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Ag g iorna - Associazione Docenti d'Italiano in Germania

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cento metri e nel giro di dieci m<strong>in</strong>uti";<br />

questo paese, qu<strong>in</strong>di, con cui non<br />

possiamo fare a meno di arrabbiarci perché<br />

non possiamo fare a meno di amarlo.<br />

Ma lasciamo i sentimentalismi e torniamo<br />

alla nostra birra. Provando a seguire il<br />

bayerischem Re<strong>in</strong>heitsgebot e a mischiare i<br />

tre <strong>in</strong>gredienti, ci accorgiamo presto che<br />

quello che ne esce non è una buona birra,<br />

ma una zuppa fredda di acqua, malto e<br />

luppolo. Perché il Re<strong>in</strong>heitsgebot <strong>in</strong> realtà<br />

tace sul fatto che per la buona riuscita della<br />

birra è necessario un quarto elemento: il<br />

lievito.<br />

Il lievito è quel componente che fa<br />

comunicare l’acqua, il malto e il luppolo, li<br />

lega <strong>in</strong>sieme e li trasforma <strong>in</strong> birra; è il lievito<br />

che produce la fermentazione, cioè che<br />

mette <strong>in</strong> movimento i componenti e li fa<br />

<strong>in</strong>contrare, li fa dialogare e li aiuta a<br />

smettere di essere quello che sono per<br />

diventare, <strong>in</strong>sieme, una buona birra.<br />

Il lievito, nella nostra allegoria, a mio<br />

parere sono le associazioni, tutte quelle<br />

strutture che rendono possibili gli <strong>in</strong>contri<br />

degli <strong>in</strong>segnanti tra di loro, lo scambio di<br />

<strong>in</strong>formazioni e materiali, che portano<br />

all’attenzione delle istituzioni i problemi e<br />

che si sforzano per far arrivare ovunque il<br />

fermento, il movimento che rende vivo il<br />

lavoro che facciamo.<br />

L’associazione dei docenti di italiano che<br />

ho il piacere di presentarvi vuol essere un<br />

po’ di questo lievito. Attenzione: ho detto<br />

“un po’ di questo lievito“. Sì, perché <strong>in</strong> una<br />

buona birra sono all’opera anche f<strong>in</strong>o a 50<br />

lieviti diversi, ognuno con una caratteristica<br />

particolare, ognuno di per sé importante,<br />

ma da solo quasi <strong>in</strong>utile.<br />

Noi, allora, vorremmo essere quel lievito<br />

particolare che crea strutture che mettano al<br />

centro la didattica dell’italiano come l<strong>in</strong>gua<br />

straniera e che ci dia occasione di<br />

conoscerci e di confrontarci sui temi che ci<br />

<strong>in</strong>teressano, cioè i problemi del nostro<br />

quotidiano.<br />

Storia<br />

Per questo, oggi, siamo qui, a<br />

concludere un camm<strong>in</strong>o <strong>in</strong>iziato per me<br />

personalmente ormai un anno e mezzo fa,<br />

per molti di noi, di voi, <strong>in</strong>vece, già molti anni<br />

fa. In Baviera l’idea di un’associazione dei<br />

docenti di italiano dev’essere più vecchia di<br />

me. E se negli anni settanta del secolo<br />

scorso quell’idea era certamente utile, oggi<br />

quella stessa idea è vitale, perché, senza<br />

voler anticipare troppo quello che diranno i<br />

relatori oggi e con la speranza non nascosta<br />

di essere da loro smentito, se volete un mio<br />

parere spassionato, l’italiano, <strong>in</strong> <strong>Germania</strong>, è<br />

una l<strong>in</strong>gua con un bellissimo e importante<br />

passato, ma di cui io non riesco a<br />

dist<strong>in</strong>guere nessun futuro.<br />

Per questo, oggi, Anna Fattori, Donato<br />

Miroballi, Gabriella Dondol<strong>in</strong>i, Marco<br />

Depietri, Maria Balì, Paola Cesaroni, Rosa<br />

Errico e il sottoscritto siamo qui: per<br />

concludere il nostro camm<strong>in</strong>o da soli e<br />

<strong>in</strong>iziarne uno nuovo con voi.<br />

Cosa vogliamo fare<br />

Un’associazione degli <strong>in</strong>segnanti di<br />

italiano che <strong>in</strong>tenda tener fede al nome che<br />

porta ha certamente tanti fronti su cui<br />

impegnarsi. Oggi, cercando di non<br />

dilungarmi troppo, vorrei elencarvi quelli che<br />

a noi sembrano i più importanti.<br />

Spesso mi chiedono cosa faccio nella<br />

vita e la risposta è semplice: “io <strong>in</strong>segno<br />

italiano”. Pensate a questa frase, che<br />

ognuno di voi avrà detto mille volte: pensate<br />

a quello che la rende differente da quella<br />

pronunciata dal vostro vic<strong>in</strong>o. Anche lui<br />

dice: “io <strong>in</strong>segno italiano”. Questa frase<br />

contiene sempre lo stesso verbo e lo stesso<br />

complemento oggetto, ma mille soggetti<br />

diversi. F<strong>in</strong>o ad ora, purtroppo, molto<br />

spesso questa frase è stata coniugata ad<br />

esclusione degli altri: “io <strong>in</strong>segno italiano”,<br />

oppure “tu <strong>in</strong>segni italiano”, “lui <strong>in</strong>segna<br />

italiano”, “lei <strong>in</strong>segna italiano”, “voi <strong>in</strong>segnate<br />

italiano” oppure ancora “loro <strong>in</strong>segnano<br />

italiano”. Io ho l’impressione che f<strong>in</strong>o ad<br />

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