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Dialogo sull'amicizia con Ivo Lizzola - oratorioalzano.it

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Oratorio Immacolata<br />

Alzano Lombardo<br />

<strong>Dialogo</strong> sull’amicizia <strong>con</strong> <strong>Ivo</strong> <strong>Lizzola</strong><br />

Nell’epoca “delle passioni tristi” e della crisi dei legami<br />

pare che non restino che i “rifugi” nell’intim<strong>it</strong>à dei<br />

luoghi caldi degli affetti, dell’amicizia, della vicinanza.<br />

Dove non sentirci lontani, minacciati, estranei. Dove<br />

sentirci simili, protetti e noi stessi. Come se la distanza<br />

non sia sopportabile. E l’amicizia uno strumento per<br />

sopportare freddezza e durezza…<br />

Salutando l’amico Gustave Thibaud che l’aveva osp<strong>it</strong>ata in famiglia e accompagnata nel<br />

lavoro nei campi dell’Ardèche, Simone Weil gli <strong>con</strong>segnava i Quaderni e gli diceva che in<br />

futuro ci sarebbe stata solo distanza tra loro: “amiamo questa distanza perché chi ama<br />

non è mai separato”.<br />

L’arte della distanza, quasi la virtù della distanza, chiede un cammino di apprendimento.<br />

Ed una maturazione del sentire. Chiede la capac<strong>it</strong>à di sentire l’altro senza “volerlo”, senza<br />

il bisogno della <strong>con</strong>tinua alimentazione del piacere della presenza e del sentimento.<br />

Piacere e sentimento partono da me, e a me tornano sempre. L’altra, l’altro che amo viene<br />

“preso dentro” questo nodo. Sentire l’altro è sapere osp<strong>it</strong>are la sua presenza, e anche la<br />

sua distanza (che è anche il suo mistero) in profond<strong>it</strong>à dentro di me. Questa profond<strong>it</strong>à<br />

del sentire che acquisisco nell’amicizia affina una essenzial<strong>it</strong>à del sentire che è preziosa per<br />

sentire me stesso, per narrare la storia cui sono chiamato nel tempo del mio vivere.<br />

Per questo sentire l’altro non è ri(<strong>con</strong>)durlo a oggetto del mio sentire, <strong>con</strong>solatorio,<br />

emozionante o stimolante che sia. L’altro, l’amico, mi è necessario come l’aria, nella sua<br />

distanza, nella sua alter<strong>it</strong>à irriducibile. Distanza preziosa, e da curare, dunque. È l’in<strong>con</strong>tro<br />

sempre nuovo: quello che si dà in presenza e quello che può darsi in assenza – questo è<br />

l’in<strong>con</strong>tro <strong>con</strong> l’amico e, grazie a lui, <strong>con</strong> se stessi.<br />

Comunque rivederlo ed esporsi (senza difese e in ver<strong>it</strong>à) al suo sguardo è un’esperienza di<br />

in<strong>con</strong>tro e cammino interiore. Riguardarlo (aver riguardo per lui, rispettarlo, serbarlo in sé)<br />

ed essere attenti al suo farsi presente – in noi o presso di noi – è esperienza di cura: verso<br />

di lui e verso il nostro sentire. È esperienza di <strong>con</strong>oscenza.<br />

1


Scrive María Zambrano ne Il sogno creatore che “il vedere alla maniera umana è<br />

inseparabile dall’esser visto”. Quando vediamo un’amica, un amico (quando “ci vediamo”,<br />

come diciamo) è un poco come accettare di “venire alla luce” di nuovo. C’è, certamente,<br />

fiducia e speranza in questo (venendo alla luce la prima volta, e le altre, siamo stati colti e<br />

curati dal palmo di una mano!); ma c’è anche un poco dell’essenziale tragic<strong>it</strong>à del vedere<br />

umano, (verrà? mi farà del male?) che è comparire nel lim<strong>it</strong>e e nell’ombra. L’amica, l’amico<br />

la rende sostenibile, l’ombra, mentre la svela a noi e in noi. La tiene intrecciata alla fiducia,<br />

all’attesa.<br />

La distanza, che non è separazione, è allora essenziale all’amicizia: <strong>con</strong>tro l’attaccamento<br />

che insidia amore e amicizia, occorre saper “creare una distanza nella prossim<strong>it</strong>à”; e quasi,<br />

usando un’espressione vertiginosa di Simone Weil, “accettare di guardare da lontano, e<br />

senza accostarsi, un essere che ci è necessario quanto il nutrimento”.<br />

Ci sono filosofi ed antropologi che parlando dell’amicizia<br />

la presentano come una “relazione tra pari”, e sociologi<br />

che la descrivono come un modello “delle relazioni<br />

simmetriche informali”…<br />

È una strana simmetria quella svelata dall’amicizia: non vi è vincolo d’interesse o<br />

reciproc<strong>it</strong>à di scambi, piuttosto vi è la fragil<strong>it</strong>à di un legame che deve aver sempre inizio,<br />

che va curato, perché non è fondato su vincoli.<br />

“Dove c’è amicizia c’è buona cura”, annota nel suo bel testo La pratica dell’aver cura<br />

Luigina Mortari, e risale all’Aristotele che scrive che coloro che desiderano “il bene degli<br />

amici per loro stessi sono i più grandi amici”. Sono i soli veri amici, perché vogliono il bene<br />

dell’altro così come lo desiderano per sé.<br />

È una simmetria senza complementarietà, una corrispondenza attiva e senza assicurazioni.<br />

Danza di preferenze date all’altro, all’altra, e alla bellezza e prezios<strong>it</strong>à del vivere comune,<br />

del sentire altri e del sentirsi d’altri. Danza tra fragil<strong>it</strong>à e forza, dove è il fragile che detta il<br />

passo. L’amicizia è una forma di cura della v<strong>it</strong>a che rompe le logiche util<strong>it</strong>aristiche dello<br />

scambio e della <strong>con</strong>venienza e quelle, più superficiali, della piacevolezza immediata e del<br />

possesso. Le rompe <strong>con</strong> la forza della sua fragil<strong>it</strong>à, del suo disinteresse. Le rompe<br />

instaurando un diverso legame, un gusto e un desiderio di felic<strong>it</strong>à, promuovendo la<br />

generazione di nuove dimensioni dell’essere.<br />

2


Stare tra noi, pensare, lavorare, ab<strong>it</strong>are, prendere iniziative, assumere responsabil<strong>it</strong>à è<br />

diverso per chi vive l’amicizia! Per chi lo vive, tutto ciò è generazione e attesa, è<br />

leggerezza e forza nell’impegno (e anche nella denuncia). Cura della v<strong>it</strong>a che spezza (le<br />

logiche e le trame soffocanti e violente degli “amici degli amici”) e che instaura capac<strong>it</strong>à di<br />

attenzione premurosa.<br />

Non ti pare di tratteggiare un’esperienza<br />

esageratamente esposta all’altro? Non portiamo in noi<br />

solo capac<strong>it</strong>à di fiducia e cura; portiamo anche violenza<br />

e lim<strong>it</strong>e, e inaffidabil<strong>it</strong>à. Non è pericoloso dare tanto<br />

cred<strong>it</strong>o ad un’altra persona e chiedere tanta fiducia?<br />

È “pericolosa” l’amicizia? Verrebbe da dire che “l’esposizione senza riserbo” che si è<br />

richiamata, l’evocata disposizione “passiva”, recettiva e in ascolto, lasci in balía<br />

dell’iniziativa d’altri. Ci rende facili obiettivi di esercizi di forza e di ricatto, di<br />

strumentalizzazione e di dileggio. Eppure la rinuncia al <strong>con</strong>trollo, ad una presenza forte e<br />

insist<strong>it</strong>a, al protagonismo e la pratica di una presenza discreta, responsabile, che <strong>con</strong>sente<br />

all’altro di venire in presenza, di potersi “riposare” presso di noi, è la sola cosa che può<br />

permettere a noi e all’amico di essere in ver<strong>it</strong>à.<br />

La delicatezza, allora, apre a uno scambio dialogico aperto e franco, in cui ci si mette in<br />

gioco senza finzioni o mimetizzazioni. Facendo accadere la parola in una relazione di<br />

attenzione e cura, di rispetto e benevolenza che la rende sostenibile. Uno stare in fiducia,<br />

in relazione <strong>con</strong> l’altro, usando parole sincere e trasparenti.<br />

Più che “pericolosa”, allora, l’amicizia può essere “non accomodante”, può sollec<strong>it</strong>are,<br />

obbligare e rivedere e valutare cr<strong>it</strong>icamente: d’altra parte gli amici non ci vengono dati per<br />

nostra comod<strong>it</strong>à! Ma la scomod<strong>it</strong>à può essere <strong>con</strong>giunta a tenerezza, e a una certa<br />

leggerezza, può non avere il sapore della durezza e della rigid<strong>it</strong>à.<br />

L’amicizia rispettosa della divers<strong>it</strong>à può permetterci anche di coltivare quella che Mortari<br />

chiama una forma di tenerezza cogn<strong>it</strong>iva che ci permette di ammorbidire <strong>con</strong>vinzioni,<br />

teorie di riferimento, categorie d’analisi per rendere la nostra mente capace di cogliere e<br />

sentire e dire dell’altro, il muoversi del suo pensare, delle sue prospettive, delle sue<br />

intenzioni profonde. Ascoltando e interpretando senza pregiudizi, il suo venire alla<br />

presenza, <strong>con</strong> una generos<strong>it</strong>à che ci permette, poi, di essere liberi e onesti nel proporre il<br />

nostro pensare e il nostro sentire, i nostri movimenti, e le nostre intenzioni.<br />

3


Pare di cogliere un riflesso delle pagine de Ed<strong>it</strong>h Stein<br />

sull’empatia. Che legame vedi tra empatia e amicizia?<br />

La capac<strong>it</strong>à di empatia è non solo preziosa ma essenziale all’amicizia. Tra me e l’altro, tra<br />

noi, si dà lo spazio di una reale e nuova esperienza: osp<strong>it</strong>o il vissuto di altre donne e altri<br />

uomini, non “come se” fosse il mio ma proprio in quanto d’altri. Questo mi trasforma,<br />

allarga la mia esperienza, il mio sentire e la mia capac<strong>it</strong>à di riflettere. “Io so del dolore<br />

dell’altro”, non riprendendo il mio, e non solo per un atto di memoria: so anche di un<br />

“nuovo” dolore, mai provato da me. Pure - se “ne so qualcosa anch’io” - devo non restare<br />

presso di me, altrimenti la mia comunicazione si fa sub<strong>it</strong>o falsa, non c’è, e si fa<br />

insopportabile il suo lim<strong>it</strong>e.<br />

“Acquisizione emotiva della realtà del sentire altrui” che fan cogliere che esiste altro:<br />

un’altra donna, un altro uomo. E grazie a lei/a lui io trovo altro di me, mie dimensioni di<br />

responsabil<strong>it</strong>à e cura, e pure segni del lim<strong>it</strong>e mio, dell’autocentratura, della violenza.<br />

Ancora mi trovo, come in origine, “per amore di altro”.<br />

Per Ed<strong>it</strong>h Stein l’empatia è proprio questo “atto mediante il quale l’essere umano si<br />

cost<strong>it</strong>uisce attraverso l’esperienza dell’alter<strong>it</strong>à”. Ripercorrerne la riflessione, così<br />

densamente intrecciata alla biografia, pare prezioso in un tempo in cui l’in<strong>con</strong>tro, anche il<br />

<strong>con</strong>fl<strong>it</strong>to non distruttivo <strong>con</strong> l’altro pare “la sfida più sottilmente ev<strong>it</strong>ata”, l’incapac<strong>it</strong>à più<br />

profonda e serbata.<br />

Nell’in<strong>con</strong>tro, nell’amicizia, si è <strong>con</strong>dotti ad uscire dai <strong>con</strong>fini degli atti cogn<strong>it</strong>ivi ed<br />

intenzionali dell’io: superamento della “prigione della nostra particolar<strong>it</strong>à”. [L. Boella,<br />

2000] In questa esperienza può apparire una empatia in atto osservabile in sei caratteri,<br />

quasi sei quadri. Il primo riguarda l’arricchimento del nostro sentire: colgo dell’esperienza<br />

gioiosa o sofferta altrui lati fino ad ora nascosti alla mia propria gioia e alla mia propria<br />

sofferenza. Un se<strong>con</strong>do quadro è una più chiara <strong>con</strong>oscenza di <strong>con</strong>oscente e senziente: è<br />

una particolare esperienza di percezione interna.<br />

Una terza acquisizione è che posso vivere valori anche se il mio vissuto non ha o non ha<br />

ancora offerto alcuna occasione al loro delinearsi o al loro realizzarsi. Scopro comunque<br />

livelli correlativi della mia persona. Posso essere, ad esempio, non credente e capire che<br />

qualcuno sacrifichi la v<strong>it</strong>a, o i suoi beni o le sue capac<strong>it</strong>à per una fede che io non<br />

possiedo. Ma “empatizzo in lui” un’assunzione di valore che motiva il suo agire. Per questa<br />

via si in<strong>con</strong>trano amb<strong>it</strong>i di valore a noi preclusi o estranei.<br />

4


Con due preziosi effetti: di poter risvegliare dimensioni di valore o motivazioni sop<strong>it</strong>e; di<br />

potere chiarire ciò che non siamo pur non essendo a ciò assolutamente estranei, tanto da<br />

non <strong>con</strong>cepirlo. Esperienza <strong>con</strong>osc<strong>it</strong>iva preziosa <strong>con</strong>tro il fondamentalismo che s’annida in<br />

ognuno quando pensa di <strong>con</strong>servare nel profondo la ver<strong>it</strong>à come un possesso. E che di sé<br />

e dell’altro costruisce immagini come simulacri.<br />

Un quarto elemento di questa particolare esperienza <strong>con</strong>osc<strong>it</strong>iva <strong>con</strong>siste nel disporre a<br />

vivere e a leggere il mondo come esperienza “degli atti <strong>con</strong> cui gli esseri umani si<br />

scambiano significati ed emozioni” (moti d’animo, investimenti d’energia, “moventi”<br />

direbbe la Weil). Con ciò che si fa, e si è, si “va verso” gli altri, ciò che loro fanno, e ciò<br />

che sono.<br />

È la bellezza che ci ab<strong>it</strong>a e trasfigura. Chi ama nell’intim<strong>it</strong>à e nel pudore viene accolto e<br />

sorpreso dalla forza e dalla delicatezza della bellezza, ogni tratto, fisico e spir<strong>it</strong>uale, viene<br />

valorizzato. Come se l’altro prendesse casa dentro di me e io dentro di lei: campi<br />

reciprocamente seminati.<br />

Un quinto elemento dell’empatia pratica è, quindi, la scoperta che da stanco e arido non<br />

faccio trovare spazio dentro di me a ciò che vivo: “non è semplice vivere ciò che si vive”,<br />

serve un movimento di recettiv<strong>it</strong>à.<br />

Anche il sesto tratto dell’esperienza del <strong>con</strong>oscere nel corpo è l’attenzione, il “restare nel<br />

vivo” delle risposte in atto per una s<strong>it</strong>uazione data: lì ciò che veramente avvertiamo<br />

fremere o gemere può emergere e sorprenderci. Prendiamo <strong>con</strong>tatto <strong>con</strong> ciò cui siamo<br />

chiamati.<br />

L’amicizia, esperienza della buona cura, è impegno e dono, esperienza del <strong>con</strong>oscere e del<br />

sentire. La ripercorre Laura Boella nel suo recente Sentire l’altro.<br />

Ne coglie l’origine e l’alimentazione nei giorni Michel de Certeau storico affascinato dalla<br />

avventura mistica, antropologo attento all’esistenza delle donne e degli uomini, nel piccolo<br />

libro Mai senza l’altro. Amicizia che, come il credere e il vivere, è avviarsi su “un sentiero<br />

non tracciato”, in “un viaggio senza r<strong>it</strong>orno”: così indica nel suo ultimo Debolezza del<br />

credere.<br />

5

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