LINEE GUIDA – EBM SULLA DIAGNOSI E TERAPIA DEL LINFEDEMA
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SOCIETÀ ITALIANA DI LINFANGIOLOGIA<br />
“<strong>LINEE</strong> <strong>GUIDA</strong> <strong>–</strong> <strong>EBM</strong> <strong>SULLA</strong> <strong>DIAGNOSI</strong> E <strong>TERAPIA</strong> <strong>DEL</strong> <strong>LINFEDEMA</strong>”<br />
BASATE SULLE EVIDENZE<br />
(Informazioni aggiornate e metodologicamente valide dalla letteratura medica)<br />
Considerazioni generali<br />
Nell’introduzione degli articoli sul linfedema si afferma spesso, in maniera del tutto fuorviante, che<br />
non sia chiara la fisiopatologia della malattia, né sia soddisfacente il relativo trattamento. Eppure,<br />
benché i dettagli patogenetici siano ancora una questione aperta, i principi generali della<br />
fisiopatologia del linfedema sono ben conosciuti.<br />
Da un lato, il disturbo centrale può essere rappresentato da una “insufficienza a bassa portata<br />
(low output failure)” del sistema linfatico: si ha, cioè, una riduzione generale del trasporto<br />
linfatico. Un’alterazione di questo tipo può essere causata da displasia linfatica congenita <strong>–</strong><br />
linfedema primario <strong>–</strong> oppure da obliterazione anatomica, quale quella che si ha a seguito di<br />
resezione chirurgica radicale (ad esempio, nel caso di dissezione linfonodale ascellare, iliacoinguinale<br />
o retroperitoneale), a seguito di ripetute linfangiti con linfangiosclerosi o quale<br />
conseguenza di insufficienza funzionale (ad esempio, linfangiospasmo, paralisi ed insufficienza<br />
valvolare <strong>–</strong> linfedema secondario. Comunque, il denominatore comune è il fatto che il trasporto<br />
linfatico scende al di sotto della capacità necessaria a gestire il carico presente di filtrato<br />
microvascolare, comprendente proteine plasmatiche e cellule, che normalmente dal circolo<br />
ematico entrano nell’interstizio.<br />
Dall’altro lato, la “insufficienza ad alta portata (high output failure)” della circolazione linfatica si<br />
ha quando una capacità di trasporto normale oppure aumentata è sopraffatta da un eccessivo<br />
carico di filtrato ematico capillare: ad esempio, la cirrosi epatica (ascite), la sindrome nefrosica<br />
(anasarca) e l’insufficienza venosa profonda degli arti inferiori (sindrome post-tromboflebitica).<br />
Il mancato controllo del linfedema può portare a ripetute infezioni(dermatolinfangioadeniti <strong>–</strong> DLA),<br />
a progressive alterazioni trofiche cutanee di tipo pachidermitico e, in rari casi, persino allo sviluppo<br />
di un agniosarcome, patologia altamente letale (sindrome di Steward-Treves).<br />
Epidemiologia<br />
I dati ricavabili dalla Letteratura internazionale, corrispondenti a quelli ufficiali dell'Organizzazione<br />
Mondiale della Sanità (1994), riportano un'incidenza del linfedema nel mondo pari a 140 milioni di<br />
casi (circa una persona ogni 20). Quasi la metà dei linfedemi è di origine primaria, caratterizzati da<br />
una base congenita linfangioadenodisplasica. Altri 40 milioni sono di origine parassitaria (le forme<br />
più frequenti sono rappresentate dall'infestazione da Filaria Bancrofti), particolarmnete presenti<br />
nelle aree tropicali e subtropicali (India, Brasile, Sud-Africa). Altri 20 milioni sono post-chirurgici e<br />
specialmente secondari al trattamento del carcinoma mammario. Gli altri 10 milioni sono<br />
essenzialmente causati da problemi funzionali di sovraccarico del circolo linfatico (particolarmente,<br />
in esiti di flebotrombosi profonda dell'arto inferiore ed anche nella c.d. sindrome di Mayall, da<br />
iperstomia artero-venosa per iperlinfogenesi).<br />
Per quanto concerne la situazione italiana, da studi epidemiologici nazionali i linfedemi primari<br />
risultano più frequenti rispetto ai secondari. La localizzazione agli arti superiori riconosce quasi<br />
sempre la natura secondaria, mentre agli arti inferiori si riscontrano per lo più linfedemi primari. Il<br />
sesso più interessato è quello femminile e l'età più colpita corrisponde alla III-IV decade di vita.<br />
L'incidenza della linfangite, clinicamente più o meno manifesta, come complicanza della linfostasi,<br />
è molto elevata (praticamente nella quasi totalità dei casi), a tal punto da richiedere un trattamento<br />
antibiotico protratto, sia a scopo terapeutico che profilattico. In particolare, su 945 pazienti<br />
osservati, in uno studio epidemiologico condotto dalla Società Italiana di Linfangiologia, provenienti<br />
da praticamente tutte le regioni d'Italia ed anche dall'Estero (Europa, in particolare), sono stati<br />
riscontrati linfedemi primari nel 57% dei casi, considerati globalmente, mentre la percentuale<br />
corrisponde all'11% tra i linfedemi degli arti superiori ed al 72% tra quelli agli arti inferiori. Dal punto<br />
di vista eziopatogenetico, per quanto concerne gli arti superiori, si è trattato nella stragrande
maggioranza dei casi di una ipodisplasia linfonodale ascellare. Anche i casi di linfedema scatenati<br />
da episodi di linfangite o da eventi traumatici hanno presentato alle indagini diagnostiche<br />
specifiche una condizione di ipoplasia linfatico-linfonodale, responsabile della particolare<br />
predisposizione dell'arto colpito alla comparsa di una stasi linfatica. In quasi tutti i linfedemi primari<br />
degli arti inferiori abbiamo potuto constatare la presenza di alterazioni linfangioadenodisplasiche<br />
con ipoplasia e fibrosclerosi linfonodale inguino-crurale nel 93% dei casi e con reflusso<br />
gravitazionale linfatico-chiloso, anche ai genitali esterni, per incontinenza valvolare dei collettori<br />
ectasici ed insufficienti nel restante 7%. La manifestazione clinica di tali forme di linfedema è stata<br />
più frequentemente spontanea, senza causa apparente, ed in alcuni casi, invece, conseguente a<br />
linfangiti o trauma. Linfedemi di origine secondaria sono stati diagnosticati nel 43% dei pazienti.<br />
Per quanto riguarda la localizzazione agli arti superiori, si è quasi sempre (98%) trattati di forme<br />
secondarie a linfoadenectomia ascellare e/o radioterapia per il trattamento del carcinoma<br />
mammario, mentre nel 2% dei casi, il linfedema all'arto superiore è stato conseguenza<br />
dell'asportazione di lipomi in sede ascellare, di biopsie linfonodali ascellari o di radioterapia axillosovraclaveare<br />
per linfoma. Agli arti inferiori, il riscontro più frequente è stato il linfedema<br />
secondario al trattamento del carcinoma della cervice uterina (46%), quindi, i linfedemi<br />
conseguenti ad interventi urologici (39%) di tipo oncologico (carcinoma prostatico, penieno,<br />
seminoma testicolare), al trattamento di melanomi (6%), linfoma di Hodgkin (3%) ed anche<br />
all'asportazione di lipomi della coscia (3%), ad interventi per varici (2%) e per ernia inguinale o<br />
crurale (1%).<br />
Un altro dato importante scaturito dalla valutazione di circa 200 donne affette da linfedema dell'arto<br />
superiore secondario a trattamento per carcinoma mammario è quello della comparsa del<br />
linfedema nel 20-25% delle donne sottoposte a mastectomia o quadrantectomia con<br />
linfoadenectomia ascellare, sino al 35% con l'associazione della radioterapia. Tali dati<br />
corrispondono a quelli trovati nella Letteratura internazionale. Ma, soprattutto, è opportuno<br />
sottolineare l'importanza, data l'elevata incidenza del linfedema secondario, delle possibilità di<br />
prevenzione della patologia linfostatica, sia in termini di diagnosi precoce che di trattamento<br />
tempestivo. Tutto ciò non solo in considerazione dei pesanti risvolti psicologico-sociali e<br />
dell'invalidità fisica correlati a tale patologia, ma anche della possibilità di prevenzione delle gravi e<br />
frequenti complicanze linfangitiche e, specialmente, del probabile, seppur raro, impianto di un<br />
linfangiosarcoma su un linfedema secondario.<br />
Raccomandazione: A tutt’oggi non esistono ancora dati definitivi sulla epidemiologia del linfedema<br />
in Italia e nel mondo, in particolare per quanto riguarda il linfedema primario. Per ciò che concerne<br />
il linfedema secondario, sono riportati in letteratura dati confrontabili non solo sulla diagnosi, le<br />
complicanze e le possibilità di prevenzione, ma anche sull’incidenza , la prevalenza, il tempo di<br />
comparsa, i fattori di rischio. Grado B.<br />
Classificazione<br />
I linfedemi vengono generalmente suddivisi in primari o congeniti e acquisiti o secondari.<br />
I linfedemi primari sono ulteriormente distinti in connatali, cioè presenti già alla nascita, oppure a<br />
manifestazione precoce, se compaiono prima dei 35 anni, o tardiva, se si manifestano dopo i 35<br />
anni. Tra i connatali si distinguono le forme sporadiche da quelle eredo-familiari, che per lo più<br />
possono essere inquadrate in sindromi malformative più o meno complesse, correlate o meno a<br />
specifiche alterazioni genetiche. Per l’identificazione del tipo di displasia che sta alla base delle<br />
diverse forme di linfedema congenito, si segue la classificazione di C.Papendieck: LAD I<br />
(linfangiodisplasia <strong>–</strong> displasia dei vasi linfatici), LAD II (linfadenodisplasia <strong>–</strong> displasia dei linfonodi),<br />
LAAD (linfangioadenodisplasia <strong>–</strong> displasia dei linfatici e dei linfonodi). Nel termine displasia si<br />
include: agenesia, ipoplasia , iperplasia, fibrosi, linfangiomatosi, amartomatosi, insufficienza<br />
valvolare.<br />
I linfedemi secondari possono essere distinti in post-chirurgici, post-attinici, post-traumatici, postlinfangitici<br />
e parassitari.
Raccomandazione: Nei linfedemi secondari, in particolare per le forme post-traumatiche, postlinfangitiche,<br />
ma anche per quelle conseguenti a chirurgia e/o radioterapia, si riscontra quasi<br />
sempre una predisposizione costituzionale (displasia linfatico e/o linfonodale congenita). Grado B.<br />
Stadiazione<br />
Generalmente, per la stadiazione dei linfedemi ci si affida ad un sistema suddiviso in 3 stadi,<br />
anche se il II e il III possono essere a loro volta suddivisi in due sottostadi, configurandosi così una<br />
stadiazione in 5 stadi. Tale stadiazione comprende sia i linfedemi primari che quelli secondari, i<br />
linfedemi già clinicamente manifesti e quelli subclinici, nei quali adeguate indagini diagnostiche<br />
consentono di individuare precocemente una iniziale alterazione circolatoria linfatica, e l'evoluzione<br />
clinica della malattia, prescindendo dalla natura del linfedema. La stadiazione del linfedema si<br />
basa su criteri clinici e diagnostico-strumentali: entità dell’edema, andamento clinico della malattia<br />
durante l'arco della giornata e con il variare del decubito, numero ed entità delle complicanze<br />
linfangitiche, consistenza dell'edema e alterazioni cutanee correlate alla malattia. Lo stadio I A, che<br />
comprende gli individui già sottoposti ad interventi chirurgici a rischio per la comparsa di stasi<br />
linfatica nell'arto omolaterale alla patologia primaria (ad esempio, l'arto superiore omolaterale alla<br />
sede del trattamento chirurgico e/o radioterapico di un carcinoma mammario), nel quale il<br />
linfedema non è ancora clinicamente evidente, ma la linfoscintigrafia dimostra un rallentamento<br />
della circolazione linfatica, con iniziale dermal back flow.<br />
E’ possibile, infine, valutare la gravità del quadro clinico sulla base della differenza volumetrica tra<br />
gli arti, definendola minima ( 40 % di aumento).<br />
Raccomandazione:<br />
Stadio 1: a) Assenza di edema in presenza di alterazioni delle vie linfatiche (mastectomizzata con<br />
linfadenectomia ascellare con arti coincidenti in quanto a volume e consistenza).<br />
b) Lieve edema reversibile con la posizione declive ed il riposo notturno.<br />
Stadio 2:Edema persistente che regredisce solo in parte con la posizione declive ed il riposo<br />
notturno.<br />
Stadio 3:Edema persistente (non regredisce spontaneamente con la posizione declive) ed<br />
ingravescente (linfangiti acute eresipeloidi).<br />
Stadio 4:Fibrolinfedema (verrucosi linfostatica iniziale) con arto a "colonna".<br />
Stadio 5:Elefantiasi con grave deformazione dell'arto, pachidermite sclero-indurativa e verrucosi<br />
linfostatica marcata ed estesa. Grado C<br />
Diagnosi<br />
Per una adeguata terapia è indispensabile una diagnosi precisa del linfedema. Nella maggior parte<br />
dei pazienti, sulla base dell’anamnesi e dell’esame obiettivo, si può agevolmente porre diagnosi di<br />
linfedema: edema generalmente di consistenza aumentata, a seconda della maggiore o minore<br />
componente tissutale fibrosclerotica, assenza del segno della fovea, anche negli stadi più precoci<br />
della malattia, presenza del segno di Stemmer (non plicabilità della cute alla base del 2° dito del<br />
piede), lesioni distrofiche cutanee (sequele post-linfangitiche, ipercheratosi, verrucosi linfostatica,<br />
linforrea, chilorrea, ecc.), frequenti complicanze dermato-linfangio-adenitiche (DLA). Utile, inoltre,<br />
la valutazione delle stazioni linfonodali, per evidenziare l’associazione o meno di linfoadenopatie<br />
acute o croniche.<br />
Nelle forme più complesse di angiodisplasia, caratterizzate da una condizione di iperstomia arterovenosa<br />
(Sindrome di Mayall ) o da macro e microfistole artero-venose congenite (Malattia di
Klippel-Trénaunay o di Klippel-Trénaunay-Servelle), il quadro clinico può essere caratterizzato da:<br />
gigantismo con allungamento dell’arto, dismorfismo più o meno marcato del piede, angiomi color<br />
“vino Porto”, piatti e a carta geografica, iperidrosi della pianta. Esistono, tuttavia, forme spurie,<br />
ancora più difficili da diagnosticare per la prevalente componente linfedematosa.<br />
In alcuni casi, inoltre, la presenza di condizioni sovrapposte quali l’obesità patologica,<br />
l’insufficienza venosa, il trauma più o meno evidente e ricorrenti infezioni possono complicare il<br />
quadro clinico. Inoltre, nel considerare l’origine di un linfedema uni o bilaterale delle estremità,<br />
specialmente negli adulti, è necessario prendere anche in considerazione l’eventualità di una<br />
causa tumorale. Per tutte queste ragioni prima di inoltrarsi nel trattamento del linfedema, è<br />
assolutamente indispensabile un valutazione diagnostica completa ed integrata. L’associazione di<br />
altre condizioni patologiche, quali l’insufficienza cardiaca congestizia, l’ipertensione arteriosa e<br />
patologie cerebrovascolari, compreso l’ictus, possono a loro volta influenzare l’iter terapeutico.<br />
Qualora non fosse chiara la diagnosi di linfedema o ci fosse bisogno, anche per considerazioni di<br />
ordine prognostico, di una migliore definizione diagnostica del quadro clinico, è opportuno un<br />
consulto specialistico linfologogico, indirizzando il paziente ad un centro specializzato di linfologia.<br />
Valutazione strumentale<br />
La Linfoscintigrafia è l’esame di prima scelta per la definizione diagnostica dell’edema, per<br />
confermarne la natura linfostatica, per l’individuazione della causa (da ostacolo o da reflusso), per<br />
valutare l’estensione della malattia (dermal back flow), la compromissione maggiore o minore del<br />
circolo linfatico profondo rispetto a quello superficiale, il drenaggio attraverso le stazioni linfonodali.<br />
Utile, pertanto, lo studio della circolazione linfatica sia superficiale che profonda, mediante<br />
l’opportuna iniezione del tracciante nelle sedi specifiche di drenaggio dei due sistemi. L’esame non<br />
è invasivo, facilmente ripetibile, eseguibile anche in età neonatale. Consente, infine, di individuare<br />
lo stadio IA della linfostasi, ancora clinicamente non manifesta, svolgendo così un ruolo<br />
fondamentale nella prevenzione del linfedema secondario. Utile, infine, lo studio nel follow-up dei<br />
diversi metodi terapeutici del linfedema e, in particolare, delle tecniche di microchirurgia linfatica.<br />
La Linfografia rappresenta modernamente un’indagine indispensabile per lo studio delle<br />
complesse patologie congenite o acquisite dei vasi chiliferi, della cisterna chyli e del dotto toracico.<br />
Viene più modernamente eseguita in sala operatoria, in anestesia locale e con preparazione dei<br />
vasi linfatici mediante tecnica microchirurgica.<br />
L’Ecografia, la TC e la RM rappresentano strumenti diagnostici utili per la definizione delle<br />
complesse sindromi in cui si associano quadri di angiodisplasia e linfedema, oltre che per lo studio<br />
della eventuale natura organica ostruttiva del linfedema secondario a malattia tumorale.<br />
La Linfangio-RM, in particolare, eseguita con la metodica di sottrazione del tessuto adiposo, può<br />
fornire informazioni importanti nei quadri avanzati di natura ostruttiva, in cui le vie linfatiche si<br />
presentano dilatate e ripiene di linfa.<br />
Indispensabile è lo studio della circolazione venosa mediante Eco-Color-Doppler (indagine<br />
costantemente impiegata nella valutazione strumentale di un arto edematoso), Fleboscintigrafia e<br />
Flebografia (se necessarie sulla base dell’esame eco-Doppler).<br />
Anche lo studio della circolazione arteriosa può rendersi indispensabile nei quadri di<br />
panangiodisplasia con associato linfedema. In questi casi, oltre all’esame Eco-Color-Doppler, può<br />
essere utile lo studio arteriografico digitale.<br />
La Linfografia indiretta, la Microlinfografia fluoresceinica, il Test linfocromico di Houdack - Mc<br />
Master, la misurazione del flusso e delle pressioni linfatiche e il Laser-Doppler possono fornire utili<br />
informazioni sulle condizioni anatomiche e funzionali, oltre che della microcircolazione sanguigna<br />
(Laser-Doppler), anche dei linfatici iniziali e dei collettori linfatici, ma la loro utilità clinica è limitata.<br />
Studio genetico<br />
Si sta cominciando ad utilizzare in maniera concreta gli esami genetici per la definizione di un<br />
numero limitato di sindromi ereditarie specifiche con mutazioni genetiche distinte, quali quella del<br />
linfedema-distichiasi ed alcune forme della malattia di Milroy. Si ritiene che, in futuro, questo tipo di<br />
esame, associato a descrizioni fenotipiche accurate, possa diventare di routine per la
classificazione delle sindromi linfangiodisplsiche familiari e altre alterazioni congenitedismorfogenetiche<br />
caratterizzate da linfedema, linfangectasia e linfangiomatosi.<br />
Esame bioptico<br />
In presenza di linfedema periferico di lunga durata, si dovrebbe prestare la massima cautela prima<br />
di asportare linfonodi regionali ingrossati, dal momento che raramente le informazioni istologiche<br />
che se ne ricavano sono effettivamente utili, mentre tali manovre potrebbero aggravare<br />
significativamente l’edema periferico. La biopsia con ago aspirato e successivo esame citologico<br />
condotto da un patologo esperto offre una valida alternativa nel caso di sospetta neoplasia<br />
maligna.<br />
Indagini immunoistochimiche<br />
Sono stati recentemente realizzati interessanti studi di immunoistochimica su materiale bioptico<br />
linfatico-linfonodale prelevato durante gli interventi di microchirurgia linfatica e sulla matrice<br />
interstiziale. Da tali studi sono scaturite importanti informazioni sugli aspetti fisiopatologici del<br />
linfedema e, in particolare, sono state individuate e classificate le alterazioni della parete dei<br />
collettori linfatici e dei linfonodi che compaiono ed evolvono progressivamente e parallelamente<br />
con il peggioramento del quadro linfedematoso e, più specificamente, in proporzione<br />
all’aumentare della durata del linfedema. Pertanto, proprio sulla base di queste osservazioni si<br />
conferma come sia indispensabile, per un adeguato trattamento della malattia, realizzare un valido<br />
drenaggio linfatico ove mancante od ostruito quanto più precocemente possibile, al fine di ottenere<br />
risultati positivi e duraturi nel tempo, grazie proprio alla conservata azione della pompa linfatica<br />
autonoma correlata alla presenza delle fibrocellule muscolari lisce normalmente presenti nei<br />
precollettori e nei collettori linfatici, oltre che nella capsula linfonodale, ma che progressivamente si<br />
perdono e vengono sostituiti da tessuto fibrosclerotico adinamico con il perdurare della malattia.<br />
Raccomandazione: il primo livello diagnostico è rappresentato dall’eco-color-Doppler e dalla<br />
linfoscintigrafia; il secondo livello, dall’ecografia, TC, RM, linfografia; il terzo livello, flebografia,<br />
arteriografia, genetica, biopsia. Grado A.<br />
Trattamento<br />
La terapia del linfedema periferico viene suddivisa in metodologie conservative (non chirurgiche) e<br />
chirurgiche.<br />
Trattamento non chirurgico<br />
A) Fisioterapia<br />
1 <strong>–</strong> Terapia fisica combinata (Combined Physical Therapy <strong>–</strong> CPT). Questa metodica consta<br />
generalmente di un programma di trattamento in due fasi: la prima fase prevede la cura della pelle,<br />
linfodrenaggio manuale, una serie di esercizi di ginnastica ed elastocompressione normalmente<br />
applicata con bendaggi multistrato. La seconda fase, che va iniziata non appena completata la<br />
fase 1, con l’obiettivo di mantenere ed ottimizzare i risultati ottenuti nella fase 1, comprende la cura<br />
della pelle, l’elastocompressione per mezzo di tutore (calza o bracciale) a basso grado di elasticità,<br />
la ginnastica per il recupero funzionale del o degli arti e ripetute sedute di linfodrenaggio manuale<br />
a seconda dei singoli casi. Condizioni essenziali per la riuscita del protocollo fisico combinato sono<br />
la disponibilità di personale medico (linfologi clinici), infermieristico e di fisioterapisti<br />
adeguatamente formati su tale metodica terapeutica. L’elastocompressione, se non applicata<br />
adeguatamente, può essere inutile ed anche dannosa. Per la cura a lungo termine, è<br />
indispensabile che vengano prescritti tutori per l’elastocompressione (se necessario, anche<br />
realizzati su misura) per il mantenimento dei risultati ottenuti dopo CPT.
Il fallimento della CPT viene confermato solo in case di insuccesso del trattamento non chirurgico<br />
intensivo condotto in un istituto specializzato nel trattamento del linfedema periferico sotto la<br />
direzione di un linfologi clinico esperto.<br />
2 <strong>–</strong> Pressoterapia a pressione uniforme e/o peristaltico-sequenziale. La pressoterapia solitamente<br />
consiste in un programma di 3 fasi: trattamento delle stazioni linfonodali prossimali dell’arto, per la<br />
preparazione delle stesse e per evitarne l’ingorgo; terapia compressiva a pressioni adeguate a<br />
seconda dello stadio clinico della malattia; applicazione di un tutore elastico (calza, bracciale o<br />
bendaggio multistrato).<br />
3 <strong>–</strong> Linfodrenaggio manuale. Viene eseguito per lo più seguendo le metodiche classiche delle<br />
scuole tedesca e belga. A seconda dei casi le diverse tecniche di linfodrenaggio manuale possono<br />
essere combinate. Non deve essere praticato in modo eccessivamente vigoroso per evitare<br />
possibili danni alle strutture linfatico-linfonodali.<br />
B) Terapia farmacologica<br />
1 <strong>–</strong> Benzopironi (b.): comprendono la Cumarina e derivati (alfa-b.) e i Bioflavonoidi e derivati<br />
(gamma-b. - Diosmina, Rutina, Esperidina, Quercitina, ecc.).<br />
L’attività degli alfa-b. consiste in:<br />
•Incremento tono capillare<br />
• Diminuzione della permeabilità capillarealle proteine<br />
• Aumento numerico dei macrofagi<br />
• Attivazione della loro attività proteolitica<br />
• Stimolazione attività propulsiva del linfangione<br />
• Inibizione della sintesi delle Prostaglandine e<br />
dei Leucotrieni<br />
Pertanto, gli effetti sono:<br />
• Riassorbimento del fluido interstiziale<br />
• Graduale regressione della fibrosi favorita dalla proteolisi macrofagica<br />
• Riduzione dello stimolo infiammatorio cronico con conseguente minori incidenza degli episodi<br />
acuti e minore tendenza alla fibrotizzazionedell’edema.<br />
Le Cumarine naturali, da somministrare a dosaggi di 8 mg/die per 60 giorni, hanno dimostrato una<br />
efficacia terapeutica nel miglioramento della sintomatologia soggettiva, del recupero funzionale<br />
dell’arto linfedematoso, riduzione della consistenza dell’edema, potenziamento della riduzione del<br />
volume in eccesso ottenuta dopo trattamento fisico e/o microchirurgico, senza determinare alcun<br />
effetto tossico sul fegato.<br />
Le azioni dei gamma-b. comprendono:<br />
•Riduzione di permeabilità dell’endotelio alle macromolecole proteiche<br />
• Riduzione della filtrazione capillare<br />
• Aumento del tono venulare<br />
Per cui, gli effetti sono:<br />
•Azione stabilizzante sul connetivo interstiziale e sulla parete capillare.<br />
• Inibizione della produzione delle prostaglandine e dei leucotrieni.
2 <strong>–</strong> Antibiotici: Vengono utilizzati in fase acuta (terapia per lo streptococco B-emolitico), per il<br />
trattamento delle dermato-linfangio-adeniti (DLA), e a scopo preventivo per la profilassi degli<br />
episodi di linfangite acuta (penicillina ad azione protratta).<br />
3 <strong>–</strong> Antimicotici: per il trattamento delle infezioni fungine delle estremità (fluconazolo, ecc.).<br />
4 <strong>–</strong> Dietilcarbamazina: per l’eliminazione della microfilaria dal circolo sanguigno nei pazienti affetti<br />
da linfedema su base parassitaria.<br />
5 <strong>–</strong> Diuretici: solitamente a basso dosaggio e per brevi periodi di trattamento, in particolare nei<br />
quadri di linfedema associato a flebedema o altre patologie quali cardiopatie, nefropatie, ascite,<br />
patologie dei vasi chiliferi, ecc.<br />
6 <strong>–</strong> Dieta: in pazienti obesi, la riduzione dell’apporto calorico, in associazione ad un idoneo<br />
programma di attività fisica, ha una sua specifica efficacia nella riduzione del volume dell’arto<br />
linfedematoso. Non è stata dimostrata la validità di un apporto limitato di liquidi. Nelle sindromi con<br />
reflusso chioso, una dieta a basso contenuto di lipidi e con l’assunzione esclusivamente di<br />
trigliceridi a catena media (medium chain triglicerides <strong>–</strong> MCT), che vengono assorbiti attraverso il<br />
circolo portale, non andando a sovraccaricare il sistema dei vasi chiliferi, è risultata estremamente<br />
efficace, anche in età pediatrica.<br />
Esiste, pertanto, una vasta gamma di principi terapeutici farmacologici. La scelta è basata sugli<br />
aspetti etiopatogenetici e fisiopatologici di ciascun tipo di linfedema.<br />
C) Riabilitazione psico-sociale<br />
Il sostegno psicosociale accompagnato da un programma di valutazione e miglioramento della<br />
qualità di vita dei malati affetti da linfedema, rappresenta una componente integrante fondamentale<br />
di qualsiasi tipo di trattamento della malattia.<br />
Raccomandazione: E’ importante utilizzare le diverse metodiche terapeutiche non chirurgiche in<br />
modo combinato ed integrato, a seconda del singolo caso e dello stadio clinico del linfedema.<br />
Grado B<br />
Trattamento chirurgico<br />
Le tecniche chirurgiche impiegate in passato per la cura dei linfedemi miravano alla riduzione<br />
volumetrica degli arti mediante interventi di tipo demolitivo-resettivo (cutolipofascectomia,<br />
linfangectomia totale superficiale, intervento di Thompson, ecc.). Si trattava, pertanto, di soluzioni<br />
di natura sintomatica che, non rimuovevano la causa dell’ostruzione al flusso linfatico, fornivano<br />
una temporanea riduzione dell’edema, attraverso lunghi periodi di degenza ospedaliera, frequenti<br />
infezioni e ritardate guarigioni delle ferite, perdita della sensibilità, edema residuo e ingravescente<br />
della caviglia e del piede, ampie cicatrici retraenti deturpanti.<br />
L’avvento della Microchirurgia ha consentito di studiare e realizzare soluzioni terapeutiche<br />
funzionali e causali del linfedema con lo scopo di drenare il flusso linfatico o di ricostruire le vie<br />
linfatiche ove ostruite o mancanti mediante tecniche fini, riparatrici, intervenendo direttamente sulle<br />
strutture linfatiche stesse. Le tecniche microchirurgiche hanno fornito risultati positivi e duraturi nel<br />
tempo sia per il trattamento di linfedemi primari, compresi quelli in età pediatrica, che secondari ad<br />
interventi di tipo oncologico, che comportano l’exeresi linfonodale in sedi “critiche” quali l’ascella e<br />
l’inguine. I primi approcci diretti sulle strutture linfatico-linfonodali sono stati realizzati mediante la<br />
metodica di legature antigravitazionali multiple dei collettori linfatici e chiliferi incompetenti secondo
Servelle e Tosatti, nei casi di linfochiledema da reflusso gravitazionale, e l’intervento di Kinmonth<br />
(“bridge operation”), che consiste nell’anastomosi tra i linfonodi iliaco-inguinale ed un segmento<br />
intestinale ileale, con il suo peduncolo mesenterico, privato della mucosa. Ma il progresso delle<br />
apparecchiature, dello strumentario e delle tecniche ha portato ad individuare due gruppi di<br />
metodiche microchirurgiche, per la terapia chirurgica “conservativa e funzionale” del linfedema,<br />
distinte in derivative e ricostruttive. Le tecniche derivative mirano al ripristino del flusso linfatico<br />
nella sede dell’ostruzione mediante la realizzazione di un drenaggio linfo-venoso, con l’impiego dei<br />
linfonodi o direttamente dei linfatici: Anastomosi Linfonodo-Venosa (LNVA), Anastomosi Linfatico-<br />
Capsulo-Venosa (LCVA), Anastomosi Linfatico-Venose Termino-Terminali (EE-LVA), Anastomosi<br />
Linfatico-Venose Termino-Laterali (ES-LVA). Le tecniche più recentemente e comunemente<br />
impiegate sono le anastomosi linfatico-venose multiple, termino-terminali o termino-laterali,<br />
realizzate direttamente utilizzando vene principali o collaterali delle stesse, a seconda della<br />
situazione anatomica riscontrata al momento dell’intervento, ed eseguite al 1/3 medio della<br />
superficie volare del braccio, per l’arto superiore, ed in regione inguino-crurale, per l’arto inferiore.<br />
Le tecniche microchirurgiche ricostruttive consentono di ripristinare una continuità di flusso del<br />
circolo linfatico, superando la sede del blocco anastomizzando direttamente i vasi linfatici afferenti<br />
ed efferenti o mediante l’impianto di segmenti autologhi linfatici o venosi tra i collettori a valle e a<br />
monte dell’ostacolo: Anastomosi Linfatico-Linfatica (LLA), Autotrapianto Segmentale di Linfatico<br />
(SLAT), Linfatico-Veno-Linfatico-Plastica o Anastomosi Linfatico-Veno-Linfatiche (LVLA), Lembi<br />
liberi linfatico-linfonodali (FLF). La tecnica di LVLA consente di operare anche linfedemi bilaterali e<br />
non presenta il rischio di determinare un linfedema iatrogeno nella sede del prelievo, così come si<br />
potrebbe verificare, invece, con il prelievo di una struttura linfatico-linfonodale.<br />
Le indicazioni alle varie tecniche di Microchirurgia Linfatica si basano sulla presenza di un valido<br />
gradiente pressorio linfatico-venoso nell’arto interessato. Nei casi in cui alla patologia linfostatica si<br />
associ un'insufficienza venosa (situazione di prevalente riscontro agli arti inferiori: varici,<br />
ipertensione venosa, incontinenza valvolare), le metodiche derivative sono controindicate, mentre<br />
devono essere impiegate le tecniche microchirurgiche ricostruttive.<br />
Raccomandazione: Le tecniche chirurgiche tradizionali di tipo demolitivo-resettivo sono riservate ai<br />
casi in cui sia necessario asportare tessuto cutaneo e sottocutaneo sovrabbondante dopo aver<br />
ottenuto la marcata riduzione del linfedema mediante le metodiche fisiche combinate e/o<br />
microchirurgiche. Le procedure microchirurgiche sono molto vantaggiose soprattutto negli stadi più<br />
precoci della malattia, per i quali la Microchirurgia è capace di fornire, grazie al ripristino di vie di<br />
drenaggio linfatico preferenziali dell'arto colpito, risultati che possono raggiungere anche la<br />
guarigione. L’efficacia a lungo termine delle anastomosi linfatico-venose risulta dipendere<br />
essenzialmente dal rigore della tecnica microchirurgica adottata (indispensabile è l’impiego del<br />
microscopio operatore) e dallo stadio della patologia. Grado B.<br />
Prevenzione<br />
Le possibilità di prevenzione del linfedema secondario al trattamento di tumori maligni mediante<br />
chirurgia e/o radioterapia vengono offerte oggi, soprattutto, dalla linfoscintigrafia, che consente di<br />
studiare, preliminarmente all’intervento per la patologia tumorale, oppure subito dopo, l’assetto<br />
anatomo-funzionale del circolo linfatico dell’arto superiore omolaterale. Sarebbe così possibile<br />
individuare categorie di pazienti a rischio (basso, medio ed elevato) per la comparsa del linfedema<br />
secondario. A questi pazienti potrebbero opportunamente, così, essere applicati in prima istanza, e<br />
non tardivamente, i provvedimenti terapeutici da caso a caso ritenuti più idonei, a seconda<br />
dell’entità del danno individuato a carico del circolo linfatico. Il protocollo di prevenzione del<br />
linfedema secondario al trattamento del carcinoma mammario realizzato dalla Società Italiana di<br />
Linfangiologia comprende criteri clinici e linfoscintigrafici sulla base dei quali sono state stabilite<br />
procedure preventive da attuare pre-, per- e post-operatoriamente, compresa la possibilità di
eseguire le anastomosi microchirurgiche linfatico-venose direttamente durante la fase di<br />
dissezione linfonodale ascellare.<br />
Raccomandazione: Esistono oggi concrete possibilità di prevenzione del linfedema dell’arto<br />
superiore secondario al trattamento di un carcinoma mammario, applicando un protocollo di<br />
prevenzione basato sia su criteri clinici che sull’esame linfoscintigrafico. Grado B.<br />
Angiodisplasie e Linfedema<br />
Le displasie linfatiche associate a difetti vascolari vengono definite malformazioni emolinfatiche.<br />
Secondo la classificazione di Amburgo (1988), le malformazioni vascolari vengono suddivise a<br />
seconda della prevalente componente arteriosa, venosa, linfatica, da shunts A-V o combinate.<br />
Ciascuno di questi quadri viene distinto rispettivamente in forma tronculare ed extratronculare, a<br />
seconda dell’epoca e della sede di comparsa del difetto embrionale.<br />
Per quanto concerne le malformazioni linfatiche, tra le forme extratronculari (limitate o diffuse)<br />
sono classicamente definite linfangiomi o linfangiomatosi. Quelle tronculari, che interessano i vasi<br />
principali (aplasia, ipoplasia, dilatazioni o iperplasia), possono determinare linfedema.<br />
Le malformazioni linfatiche, inoltre, possono associarsi a sindromi (s.) osteodistrofiche: s.<br />
angioosteipertrofiche (con allungamento dei segmenti ossei) o angioosteoipotrofiche (con<br />
accorciamento dei segmenti ossei).<br />
L’iter diagnostico deve essere completo ed integrato, con lo studio della componente arteriosa,<br />
venosa e linfatica. La TC e la RM sono utili per la definizione della estensione e dei rapporti della<br />
malformazione.<br />
Il trattamento comprende metodiche conservative medico-fisiche, nei casi più lievi. La terapia<br />
chirurgica è rappresentata dalle tecniche di microchirurgia linfatica derivativa o ricostruttiva,<br />
exeresi dei tessuti maggiormente colpiti dalla displasia, legature antigravitazionali dei collettori<br />
linfatici incompetenti. In alternativa o in associazione alla chirurgia esistono possibilità di<br />
trattamento mediante sclerotizzazione per cutanea delle aree malformate linfangiomatose e<br />
linfangectasiche e/o embolizzazione delle FAV.<br />
Raccomandazione: Le malformazioni emolinfatiche sono difetti vascolari rari, ma molto complessi.<br />
Il loro inquadramento nosografico segue la classificazione di Amburgo. L’iter diagnostico deve<br />
essere completo ed integrato, rivolto alle componenti arteriosa, venosa e linfatica. TC e RM<br />
completano la definizione della estensione e dei rapporti della malformazione. La terapia<br />
comprende metodiche conservative, chirurgiche, scleroterapiche e l’embolizzazione per cutanea,<br />
variamente associate tra loro sulla guida degli specifici aspetti fisiopatologici alla base di ogni<br />
singolo caso. Grado C.<br />
Displasie linfatiche in età neonatale<br />
Recentemente sono stati condotti studi mediante linfoscintigrafia condotta su neonati di quadri<br />
clinici complessi di idrope per lo studio della possibile origine linfatica della malformazione. Il<br />
compito dei Rianimatori in questi casi è quello di effettuare una valutazione primaria con relativo<br />
trattamento dei problemi respiratori e cardio-circolatori di volta in volta riscontrati, per assicurare<br />
possibilmente la sopravvivenza del neonato, sino ad arrivare ad una valutazione secondaria più<br />
accurata ed al trattamento definitivo. Proprio nel contesto della valutazione secondaria si inserisce<br />
anche lo studio della circolazione linfatica, mediante linfoscintigrafia, in quanto dal punto<br />
fisiopatologico se un’idrope non è correlata a cardiopatia congestizia o a diminuzione della<br />
pressione osmotica del plasma ed aumento della filtrazione capillare, può essere dovuta a<br />
malformazioni linfatiche (chilotorace, ascite chiosa, linfedema, ecc.).
Raccomandazione: Nella valutazione di un neonato con idrope, dopo averlo assistito dal punto di<br />
vista delle funzioni vitali, tra le cause dell’idrope va considerata anche la circolazione linfatica, che<br />
viene oggi agevolmente studiata mediante linfoscintigrafia. Grado C.<br />
Prospettive future<br />
Tra le prospettive future, vi è la possibilità di prevenire il linfedema primario, in particolare nelle<br />
forme congenite a manifestazione eredito-familiare. Nei membri di una famiglia che presenta le<br />
stigmate di una sindrome linfangiodisplasica ereditaria, le possibilità di prevenzione del linfedema<br />
si basano sull'impiego di metodiche diagnostiche, quali la linfoscintigrafia ed il laser-doppler,<br />
capaci di fornire parametri morfologico-funzionali, diretti ed indiretti, sulla circolazione linfatica degli<br />
arti, rivelando eventuali alterazioni del drenaggio linfatico ancor prima della comparsa clinica<br />
dell'edema. Tale stadio "latente" del linfedema consente di individuare i pazienti a rischio che<br />
verranno, quindi, sottoposti a trattamento medico-fisico preventivo. Di notevole importanza sono a<br />
questo riguardo gli studi di genetica e di biologia molecolare attualmente in corso. Si stanno, infine,<br />
portando avanti ricerche sulle possibilità di applicazione clinica della terapia genica per il<br />
trattamento del linfedema primario.<br />
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