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Valle Leventina - Leventina Turismo

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Le vie del passato Itinerari storici e archeologici nel Cantone Ticino<br />

AAT<br />

Associazione<br />

Archeologica<br />

Ticinese<br />

<strong>Valle</strong> <strong>Leventina</strong><br />

UBC<br />

Ufficio<br />

Beni<br />

Culturali<br />

IVS<br />

Inventario delle vie<br />

di comunicazione storiche<br />

della Svizzera


LA VALLE LEVENTINA:<br />

PASSAGGIO OBBLIGATO DELLA STORIA<br />

Nel panorama storico delle terre ticinesi nessuna vallata, forse, ha<br />

avuto tanto spazio nei testi come la <strong>Leventina</strong>: un po’ perché le sue<br />

vicende più antiche sono intimamente connesse con quelle del valico<br />

del S. Gottardo – simbolo della storia svizzera stessa – che la mette in<br />

contatto con il versante settentrionale delle Alpi, un po’ perché il suo<br />

destino politico ha prefigurato quello di altre terre subalpine, e infine<br />

perché personaggi, comunità ed eventi di questa regione hanno spesso<br />

avuto un ruolo decisivo anche al di fuori dei suoi confini distrettuali.<br />

È difficile insomma, parlare di storia politica, economica, artistica e<br />

religiosa senza citare il comune di valle leventinese, le sue istituzioni<br />

civili ed ecclesiastiche, lo sfruttamento esemplare delle risorse alpestri<br />

e l’organizzazione dei trasporti, le chiese e i loro tesori d’arte.<br />

Anche la <strong>Leventina</strong> come la confinante valle ambrosiana di Blenio che<br />

il primo di questi opuscoli ha fatto conoscere più da vicino, vanta una<br />

lunga, invidiabile tradizione scritta: i suoi archivi conservano centinaia<br />

di documenti che hanno consentito, nei decenni passati, una ricostruzione<br />

storica meticolosa e illuminante, e che permettono ancora oggi<br />

agli studiosi di ripercorrere le tappe più significative del suo cammino<br />

dal Duecento in poi.<br />

Segni ancora più antichi delle pergamene medievali sono quelli lasciati<br />

dalle popolazioni primitive nei luoghi dove la vita terrena si concludeva<br />

oppure dove quella ultraterrena veniva promessa, ed è grazie a<br />

tali tracce che si può cercare di immaginare il passato di questa regione<br />

alpina. Le tombe delle necropoli di Dalpe e di Madrano, i ritrovamenti<br />

sparsi in alcuni villaggi del fondovalle e dei terrazzi più elevati,<br />

e, di recente, gli scavi condotti nelle più antiche chiese parrocchiali<br />

hanno ridestato l’interesse della ricerca e riaperto interessanti prospettive<br />

storiche. Testimonianze, anche se frammentarie e incapaci di<br />

fornirci un quadro generale, sono state raccolte sull’occupazione del


territorio in età preistoricha e nei secoli successivi, come suggeriscono<br />

gli oggetti recuperati dalle sepolture. Lo spazio per indagini ulteriori<br />

risulta comunque ampio: sembra difficile escludere che la valle<br />

possa celare altri insediamenti preistorici sulle terrazze solatíe del versante<br />

sinistro, o che taluni luoghi fortificati, presumibilmente medievali,<br />

non possano rivelare preesistenze remote.<br />

L’esempio di Airolo dovrebbe fugare ogni dubbio in proposito. Di questo<br />

insediamento situato ai piedi del San Gottardo ben poco si sapeva<br />

sino a poco tempo fa, e questa ignoranza era giustificata dalla distruzione,<br />

dovuta agli incendi, delle carte d’archivio. Le recenti indagini<br />

nella chiesa parrocchiale hanno rivelato che il primo edificio di culto<br />

risale ad epoche di molto precedenti l’agile campanile romanico, e le<br />

ipotesi sulla cristianizzazione dell’area alpina, ritenuta tardiva, vanno<br />

in buona parte riviste. Osiamo sperare che i futuri cantieri (non solo<br />

negli edifici sacri, ma pure negli insediamenti, lungo le vie di comunicazione<br />

e persino nelle frazioni più isolate) possano aggiungere altri<br />

tasselli a una conoscenza del passato che, pur arricchita da decenni di<br />

produzione storiografica, non è ancora in grado di rispondere a molte<br />

questioni.<br />

L’opuscolo che presentiamo vuole introdurci alla ricchezza delle testimonianze<br />

della storia e dell’arte, e tenta di soddisfare la varietà degli<br />

interessi di tutti coloro che vorranno percorrere questi itinerari con i<br />

mezzi più economici a disposizione, alla medesima stregua degli alpigiani<br />

e dei contadini che in questa valle sono vissuti nei secoli trascorsi.<br />

Al piacere dell’escursione e alla scoperta di paesaggi e di località<br />

poco conosciute, si sono volute aggiungere, con le opere già consacrate<br />

dalla letteratura specialistica, anche quelle costruzioni che<br />

bene incarnano la secolare capacità dell’uomo di stabilire collegamenti,<br />

di sfruttare le risorse locali e di adattarsi alle particolari condizioni<br />

di vita che la montagna imponeva.


ITINERARIO 1<br />

Percorso<br />

Dislivello<br />

Difficoltà<br />

Tempo di percorrenza<br />

Carta<br />

Punti di ristoro<br />

Accesso<br />

Inizio<br />

Il circuito percorre, a media quota, il versante destro della bassa <strong>Leventina</strong><br />

ed interessa parte dell’accesso alla valle che anticamente si elevava<br />

da Iragna per collegarsi a Chironico.<br />

Bodio - Personico - Faidàl - Catto - Giornico<br />

600 metri<br />

Nessuna<br />

5 ore<br />

CN 1273 Biasca 1:25’000<br />

Bodio, Personico, Giornico<br />

Con il postale da Bellinzona o Airolo; in auto parcheggi a Bodio sulla<br />

cantonale, all’altezza della deviazione per Personico, o nei pressi della<br />

stazione FFS<br />

Casa natale di Stefano Franscini<br />

Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999


L’escursione ha inizio a Bodio, a pochi passi dal posteggio e dalla<br />

fermata del postale.<br />

Nulla o quasi resta del passato medievale di Bodio, importante villaggio<br />

maltrattato dalla natura (una frana nel 1868 distrusse l’antica<br />

chiesa di Santo Stefano, già citata in un documento del 1227) e<br />

profondamente modificato dagli uomini già dalla fine del secolo<br />

scorso quando sul territorio di Bodio si impiantarono, attratte dalle<br />

infrastrutture e dalla disponibilità di energia elettrica, le prime industrie.<br />

È bene tuttavia ricordare, prima di lasciare Bodio, Stefano<br />

Franscini (1796-1857) di cui a Bodio sono ancora visibili la casa<br />

natale, la tomba e vari monumenti commemorativi. Franscini fu intelligente<br />

uomo politico, educatore, statistico, uomo di cultura che<br />

sempre ebbe un occhio attento alle vicende storiche del suo paese.<br />

Attraversata la strada cantonale si seguono le indicazioni escursionistiche<br />

per Personico e Faidàl lungo la strada asfaltata.<br />

A Personico, come a Bodio, la chiesa parrocchiale, dedicata ai<br />

santi milanesi Nazario e Celso, ha origini medievali, attestate non<br />

solamente dai documenti ma anche dagli scavi che nel 1978 hanno<br />

permesso di localizzare la prima chiesa romanica e di ipotizzare<br />

anche l’esistenza di una chiesa altomedievale. La chiesa odierna,<br />

edificata in gran parte nel XVIII secolo, il campanile neoromanico del<br />

1878 e gli affreschi del 1876, apparentemente hanno cancellato questo<br />

lontano passato che tuttavia riecheggia ancora in alcune belle<br />

dimore rurali seicentesche e settecentesche, ancora intatte nel<br />

nucleo, e in altri piccoli ma tipici manufatti della civiltà rurale di queste<br />

vallate alpine.<br />

Nei pressi del ruscello che attraversa il paese vi è un grande torchio,<br />

datato 1803 ma forse antecedente, ancora in buone condizioni<br />

di conservazione; nella campagna, presso i grotti, verso lo sbocco<br />

del riale Rierna, sorse a metà Settecento una vetreria che sfruttava<br />

l’acqua, la sabbia, il quarzo e il legname della valle per produrre<br />

manufatti (lastre di vetro, specchi, bottiglie, bicchieri…) poi esportati<br />

in Lombardia e nella Svizzera interna. Degli edifici di questa fabbrica<br />

è oggi visibile, ai bordi della montagna, solo un’alta cappella,<br />

due pilastri isolati e dei mucchi di pietre poco leggibili, mentre nei<br />

macigni nel greto del torrente si scorgono ancora gli intagli su cui<br />

era ancorato il “rostello”, ossia la griglia che si utilizzava per fermare<br />

i legnami affidati alla corrente. La vetreria di Personico (assieme<br />

a quella di Lodrino che sorse nel 1782 per iniziativa della famiglia<br />

Siegwart, proprietaria della fabbrica leventinese) è uno dei più antichi<br />

e documentati esempi di utilizzazione delle risorse del territorio<br />

secondo una logica industriale.<br />

Ma in questo territorio vi sono due altre interessanti testimonianze<br />

di archeologia industriale: la Centrale Nuova Biaschina costruita tra<br />

il 1962 e il 1967 su progetto dello studio di ingegneria Lombardi di<br />

Locarno e soprattutto la Centrale Vecchia Biaschina, edificata nel<br />

1911, la cui notevole facciata liberty fu progettata dall’architetto<br />

Ugo Monneret de Villard di Milano.<br />

Conclusa la visita di Personico, si ritorna sui propri passi e si imbocca<br />

la salita per Faidàl, seguendo le indicazioni escursionistiche.<br />

Lungo il sentiero che sale verso la montagna, arricchito con manufatti<br />

interessanti (cappelle votive, dipinti devozionali, due ponti in<br />

Bodio: bassorilievo di Stefano Franscini<br />

Personico:<br />

greto del torrente con gli intagli<br />

su cui era ancorato il “rostello”


Ponte in sasso presso Faidàl<br />

sasso seicenteschi), a distanze regolari si incontrano insediamenti<br />

rurali, con le tipiche cascine e stalle in pietra, oggi abitati saltuariamente,<br />

un tempo però, come nel caso di Venn e del bel nucleo di<br />

Faidàl, residenze stabili durante tutto l’anno. Questi edifici sono la<br />

testimonianza evidente di come l’uomo sfruttò anche queste terrazze<br />

glaciali sospese sui dirupi, tipiche della valle Riviera ma anche<br />

della prima parte della <strong>Leventina</strong> e sicuramente abitate fin dall’antichità;<br />

da segnalare proprio a Faidàl anche la minuscola cappella di<br />

San Rocco, con la campanella fusa dal maestro milanese<br />

Bartolomeo Bozzo nel 1747 e i suoi affreschi, quelli più recenti, assai<br />

ritoccati nel 1899 e forse dovuti alla mano del pittore Giuseppe<br />

Maria Busca di Personico (1696-1760?) del resto autore di altri dipinti,<br />

di gusto popolare, nella chiesa parrocchiale e negli oratori della<br />

regione.<br />

Da Faidàl si prende la mulattiera indicata che ci porta a Catto, toccando<br />

vari monti: Magianengo, Piodelle, Monda.<br />

Da Catto è d’obbligo una deviazione per visitare, in località<br />

Caslasc, il “Castellazzo” ossia gli imponenti resti di una fortificazione<br />

già definita dal Rigolo, nel 1682, “Trofeo di Giulio Cesare<br />

imperatore Romano” e ricordati dagli studiosi contemporanei come<br />

“rovine preistoriche”, “castelliere celtico” e via dicendo. In realtà<br />

poco o nulla si sa di questa impressionante costruzione triangolare,<br />

la cui origine resterà misteriosa finché non la si studierà in relazione<br />

ad altri complessi megalitici dell’area alpina.<br />

Volendo si può utilizzare il sentiero che conduce a Caslasc quale<br />

variante per realizzare una più lunga escursione: in meno di un’ora si<br />

raggiunge Orsino e ci si collega con l’itinerario 2.


Una volta visitate le rovine del Caslasc si ritorna a Catto da dove,<br />

seguendo sempre le indicazioni escursionistiche, si scende a<br />

Giornico lungo una mulattiera lastricata ed in parte intagliata nella<br />

roccia che porta al piano.<br />

Più domestica e comprensibile, anche se assai nobile, è la storia di<br />

Giornico (descrizione nell’itinerario 3), rustico borgo chiuso tra le<br />

montagne, ai piedi del primo scalino della <strong>Leventina</strong>, ben noto per i<br />

suoi insigni monumenti medievali. Qui ci limiteremo a ricordare le<br />

tre chiese site sulla sponda destra del fiume: quella romanica di<br />

Santa Maria del Castello, con i suoi affreschi gotici, arroccata sul<br />

promontorio difeso dal castello distrutto nel 1518 dagli svizzeri, e<br />

forse costruito tra il 1160 e il 1176 dal nobile Bernardo da Giornico;<br />

quella di San Nicolao che è il simbolo stesso e l’opera più significativa<br />

della cultura romanica nel Ticino; la parrocchiale di San<br />

Michele, attestata solamente nel 1210, ma probabilmente la più<br />

antica di tutte le chiese del paese.<br />

Passati due ponti in sasso, si raggiunge la parte del borgo posta sul<br />

versante sinistro del Ticino dove si trovano la Casa Stanga, sede<br />

del Museo di <strong>Leventina</strong>, e la Torre di Attone.<br />

Terminate le visite, si raggiunge la strada cantonale dove si prende<br />

il postale per rientrare a Bodio.<br />

Rovine del “Caslàsc”<br />

Giornico: Casa Stanga


ITINERARIO 2<br />

Percorso<br />

Dislivello<br />

Difficoltà<br />

Tempo di percorrenza<br />

Carta<br />

Punti di ristoro<br />

Accesso<br />

Inizio<br />

Il circuito propone un’escursione su due importanti tracciati storici,<br />

entrambi parte della medievale via per il San Gottardo: il primo tra l’oratorio<br />

di San Pellegrino e Chironico, il secondo tra Chironico e Orsino.<br />

Altirolo - Chironico - Orsino - Altirolo<br />

400 metri<br />

Discesa impegnativa<br />

3 ore<br />

CN 1273 Biasca 1:25’000<br />

Giornico, Chironico<br />

Con il postale fino a Giornico da Bellinzona e spostamento a piedi<br />

fino ad Altirolo<br />

Per mezzi privati, parcheggi nel nucleo<br />

Altirolo<br />

Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999


Dal parcheggio di Altirolo, si seguono le indicazioni escursionistiche<br />

per San Pellegrino (Altirolo è raggiungibile anche a piedi da Giornico).<br />

Dopo un breve spostamento in un bosco di castagni, si giunge<br />

all’oratorio di San Pellegrino.<br />

È un edificio di sicura origine medievale, consacrato nel 1345, modificato<br />

più volte nel corso dei secoli (l’antico orientamento a est è<br />

stato capovolto) e poi splendidamente decorato nel 1589 per mano<br />

dei pittori Tarilli di Cureglia che dipinsero un grandioso Giudizio<br />

Universale. Forse solamente uno scavo rigoroso potrà svelare la storia<br />

antica di questa costruzione.<br />

Dall’oratorio si prosegue inizialmente sul sentiero segnalato fino ad<br />

una strada asfaltata. La si attraversa e si prosegue sul sentiero che,<br />

dopo la prima cappelletta, diventa una mulattiera che si percorre per<br />

qualche centinaio di metri fino ad una seconda cappelletta. Da qui si<br />

attraversa il pianoro di Grumo, a valle del nucleo, e tra prati e rustici<br />

si raggiunge la chiesa di San Maurizio, divenuta parrocchiale<br />

nel XVI secolo. Forse di origine medievale, è stata completamente<br />

trasformata nel XIX secolo.<br />

Dalla chiesa una strada asfaltata conduce a Chironico, il cui passato<br />

medievale è annunciato a voce alta dalla casa a torre “dei<br />

Pedrini”, a sei piani, verosimilmente edificata su una struttura nel<br />

XIV secolo, che domina il nucleo del paese, caratterizzato dalle grandi<br />

e nere case in legno “leventinesi”. È una costruzione nobile, che<br />

trova paragoni immediati con la Torre di Attone di Giornico e con<br />

quelle che esistevano a Prato e a Faido, quest’ultima demolita pochi<br />

anni orsono. La casa a torre di Chironico originariamente non aveva<br />

l’aspetto odierno: era più bassa, aveva un’ampia merlatura ed era<br />

forse parte di un più vasto complesso fortificato, poiché nelle vicinanze<br />

esistevano dei ruderi collegati alla stessa costruzione (poi<br />

distrutti dai lavori stradali). Ingentilisce la torre un affresco nella<br />

lunetta sul portale, una Madonna con bambino di scuola seregnese,<br />

della fine del XV secolo.<br />

Oratorio di San Pellegrino:<br />

navata e particolare<br />

del Giudizio universale<br />

Chironico: torre ”dei Pedrini”


Chironico: absidi e dettaglio<br />

di un affresco della chiesa<br />

dei Santi Ambrogio e Maurizio<br />

L’altro edificio di sicuro interesse monumentale è la chiesa dei<br />

Santi Ambrogio e Maurizio, l’antichissima parrocchiale di Chironico:<br />

è un piccolo gioiello romanico, dalla navata doppia che si conclude<br />

con due absidi gemelle, forse coeve. L’iscrizione sull’ampio<br />

ciclo pittorico che ancora si conserva nella chiesa (nelle absidi<br />

Cristo in maestà, Decapitazione di San Giovanni Battista,<br />

Incoronazione della Vergine, Crocifissione; sulla parete nord Storie<br />

di Sant’Ambrogio e nei medaglioni Ciclo dei mesi; sulla parete sud<br />

Storie di Sant’Anna e Gioacchino e Età dell’uomo; sulla controfacciata<br />

Giudizio Universale) non solamente annuncia fieramente il<br />

nome del pittore che si firma “magister Petruspaulus dictus Soçus


pinctor de Castello de Menaxio” ma attesta che la chiesa fu “redificata<br />

e ampliata” nel 1338. Gli studiosi interpretano questa informazione<br />

con prudenza, mancando accertamenti murari definitivi; è probabile<br />

che nella prima metà del XIV secolo la chiesa fu semplicemente<br />

innalzata prima di essere ricoperta di affreschi. È invece certo<br />

che sorse su un minuscolo edificio altomedievale, con una piccola<br />

aula, un’abside profonda, una transenna e una tomba privilegiata:<br />

siamo quindi in presenza di un luogo di culto analogo ad altri che<br />

sono stati rinvenuti nel Ticino e databile all’VIII/IX secolo.<br />

Lasciata Chironico si ritorna sui propri passi per riprendere la strada<br />

asfaltata che riconduce a Grumo, con le sue case in legno, caratteristica<br />

frazione di Chironico simile alle altre disseminate sul suo territorio<br />

(Cala, Chiesso, Gribbio, Doro, Olina) e disperse sui monti che<br />

si affacciano sull’altipiano di Chironico, tutte con il loro minuscolo<br />

oratorio più o meno conservato. Sono il segnale tangibile che l’uomo<br />

abitò da sempre queste regioni, come del resto sembrano dimostrare<br />

i ritrovamenti di tombe altomedievali e il masso coppellare rinvenuto<br />

nei pressi di Doro.<br />

Da Grumo si continua in direzione sud sulla strada asfaltata per circa<br />

300 metri. Svoltando a sinistra si imbocca una strada agricola che<br />

porta al promontorio di Caslasc, dove sorgeva un posto di vedetta<br />

per il controllo della strada e di cui rimangono visibili alcuni resti<br />

(muratura a secco).<br />

Da Caslasc si riprende la strada asfaltata; e si prosegue l’escursione<br />

in direzione sud, seguendo i pannelli escursionistici, fino ad<br />

Orsino dove inizia una ripida scalinata in sasso (bell’esempio dell’abilità<br />

costruttiva contadina) che porta ad Altirolo.<br />

Altirolo è un compatto grappolo di edifici, posto su un promontorio<br />

roccioso sporgente sulla campagna; l’amena località, che è frazione<br />

di Giornico, un tempo era accarezzata dal piacevole scrosciare della<br />

Barongia, oggi prosciugato dallo sfruttamento idroelettrico. Ma il progresso<br />

ha anche trasformato il volto della frazione poiché la sostanza<br />

storica delle antiche case è sparita; soltanto l’oratorio di Santa<br />

Maria Maddalena è rimasto intatto con il minuscolo sagrato e l’alta<br />

abside barocca decorata da lieti affreschi di gusto popolaresco. A<br />

ricordare l’antica origine del nucleo vi è anche la bella campana<br />

piriforme, secondo la tipica maniera medievale, fusa del 1405 da un<br />

maestro Baronio già autore di altri manufatti simili nella regione.<br />

Scalinata tra Orsino e Altirolo


ITINERARIO 3<br />

Percorso<br />

Dislivello<br />

Difficoltà<br />

Tempo di percorrenza<br />

Carta<br />

Punti di ristoro<br />

Accesso<br />

Inizio<br />

Il circuito collega Giornico con due nuclei, Sobrio e Cavagnago,<br />

posti in quota sul versante sinistro della bassa <strong>Leventina</strong>.<br />

Giornico – Sobrio – Cavagnago – Giornico<br />

750 metri<br />

Nessuna<br />

4 ore 30 minuti<br />

CN 1273 Biasca 1:25’000<br />

Negozi e ristoranti a Giornico, Sobrio e Cavagnago<br />

Con il postale fino a Giornico da Bellinzona; fino a Cavagnago e Sobrio<br />

da Lavorgo<br />

Per mezzi privati parcheggi a disco in centro paese<br />

Cartelli escursionistici sulla strada cantonale, nel centro di Giornico<br />

Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999


Proponiamo, prima di intraprendere l’escursione, una doverosa visita<br />

a Giornico.<br />

Se Bellinzona, secondo una definizione quattrocentesca, è la “chiave<br />

d’Italia”, Giornico, è la “chiave della <strong>Leventina</strong>”. L’importanza<br />

del paese durante il periodo medievale (e quasi sicuramente anche<br />

in tempi più remoti) discende da questa sua posizione strategica,<br />

chiusa tra i dirupi ai piedi delle gole della Biaschina. Si spiega così<br />

il fascino della località che non mancava di interessare i viandanti e<br />

gli storici: nel 1840 scriveva Stefano Franscini che fu figlio di questa<br />

regione: “Giornico, in tedesco Irnis (con Ugazzo, Altirolo, Castello e<br />

Gribiago, anime 743), è un grosso villaggio, capoluogo della inferior<br />

parte di Val <strong>Leventina</strong>. La principal terra sorge sulla sinistra del<br />

Ticino: le terriciuole colla chiesa parrocchiale ed altre si veggon disseminate<br />

sulla destra. Due ponti di pietra congiungono le due rive là<br />

dove il Ticino romoreggia fra innumerevoli macigni. Vi è copia di<br />

prati, e si coltiva con molta diligenza la vite, che vi dà copiosi i suoi<br />

prodotti. Parecchi oggetti rendono interessante questa terra. Sorge<br />

entro il paese un’alta e antica torre; e nel sito denominato Castello<br />

innalzasi una chiesuola dove sono le fortificazioni di grande vetustà.<br />

La parrocchiale è chiesa matrice delle tre comuni che sono sui monti.<br />

Ivi presso è la chiesetta di San Nicolao, tutta di pietre lavorate collo<br />

scalpello, e riputata da’ Giornichesi per un antico luogo di adorazione<br />

degli idoli. Oltre a tutto ciò si vedono le imponenti cascate della<br />

Barolgia e della Cremosina. Chiunque si trovi alquanto inferiormente<br />

a Giornico non può non riguardare con meraviglia la Cremosina, e gli<br />

altissimi torrioni che la natura pose a custodir l’ingresso di quel laterale<br />

vallone che va a finire a modo di vasto e magnifico anfiteatro, e<br />

dispiega il lontano spettacolo delle nevi accumulate dalla valanca.<br />

Sino verso la fine del passato secolo custodivansi in Giornico colubrine<br />

ed altri pezzi di artiglieria, che gli uni pretendono conquistati<br />

nella battaglia del 28 dicembre 1478, gli altri in vari famosi conflitti<br />

d’Italia: gli Svizzeri avevanli lasciati addietro perché male atti a trascinarsi<br />

di là delle Alpi per le malvagie strade d’allora…”.<br />

Benché la strada cantonale, la ferrovia e l’autostrada abbiano quasi<br />

cancellato il rude paesaggio descritto dal Franscini, la singolarità del<br />

carattere del borgo ancora oggi è ben percettibile: sulla sponda<br />

destra sorgono le tre chiese, unite al nucleo principale dai ponti carrozzabili<br />

e dai due vecchi ponti in pietra, forse seicenteschi, appoggiati<br />

ad un isolotto in mezzo al fiume. Lo sviluppo edilizio tuttavia<br />

non ha cancellato il volto antico del paese; occorre ricordare in particolare,<br />

nella parte bassa del paese, la Casa Stanga dimora della<br />

famiglia dell’alfiere ticinese che combatté valorosamente nella battaglia<br />

dei “Sassi grossi” citata dal Franscini.<br />

Hanno un notevole interesse storico e monumentale anche le chiese<br />

di Giornico, a partire dalla chiesa parrocchiale di San Michele,<br />

interamente ricostruita nel 1787. Prima di questo edificio barocco<br />

esisteva una chiesa romanica, a tre navate, descritta dalle visite<br />

pastorali, con un soffitto ligneo di grande effetto; di tutto ciò resta<br />

solamente lo splendido fonte battesimale scolpito e decorato con<br />

animali fantastici e stelle, del XII secolo (ora nella chiesa di San<br />

Nicolao). Nella chiesa è per contro conservato un bell’altare tardogotico<br />

a portelli, datato 1517, proveniente da San Nicolao e purtroppo<br />

privato delle sue statue a causa di un furto avvenuto qualche<br />

Giornico: Santa Maria del Castello<br />

Giornico: ponte in sasso


Giornico: veduta generale<br />

e particolari della chiesa di San Nicolao<br />

Giornico: dettaglio di affresco<br />

raffigurante San Lucio<br />

nella chiesa di Santa Maria del Castello<br />

anno fa. Ben più conosciuta di San Michele è la chiesa romanica<br />

di San Nicolao, documentata nel 1210 ma probabilmente della<br />

metà del XII secolo: era la chiesa conventuale di un priorato benedettino,<br />

oggi scomparso. L’architettura sobria e rigorosa, la struttura<br />

muraria raffinata, a grandi conci lavorati (San Carlo scrive di una<br />

chiesa “valde ampla et pulchra lapidibus vivis constructa”, ossia una<br />

chiesa ampia e ben costruita con pietre in vivo), l’abside profonda e<br />

ben proporzionata, la cripta, il ricco apparato scultoreo che orna i<br />

portali e i capitelli della cripta, gli affreschi di Nicolao da Seregno<br />

del 1478, fanno di questo edificio uno dei più magnifici esempi di<br />

arte romanica del nostro paese.<br />

Anche la chiesa di Santa Maria del Castello, arroccata su un<br />

poggio isolato e circondata dai resti dei muri dell’antico maniero,<br />

non sfigura, per la sua importanza paesaggistica, con la vicina San<br />

Nicolao: la chiesa, a pianta rettangolare, ha due absidi, quella più<br />

antica circolare, che forse nasconde una cripta (è visibile una finestra<br />

murata), venne edificata come il vicino campanile nel XII secolo;<br />

quella quadrata è più recente, pur risalendo al medioevo; sono<br />

notevoli gli affreschi del 1448 eseguiti da un seregnese (occorre<br />

ricordare la presenza di San Lucio, patrono dei pastori e dei casari),<br />

e il soffitto ligneo dipinto del 1575.<br />

Bisogna infine segnalare la cosiddetta “Torre di Attone” (vescovo<br />

di Vercelli che nel 948 lasciò le valli di Blenio e di <strong>Leventina</strong> al<br />

Capitolo del Duomo di Milano): è un’alta casa a torre fortificata che<br />

domina la parte alta del nucleo, edificata, secondo le analisi dendrocronologiche<br />

e archeologiche, nel 1381. La costruzione, che verosimilmente<br />

faceva parte di un complesso fortificato non ancora individuato,<br />

fu modificata in casa d’abitazione dopo un crollo avvenuto<br />

nel 1846; al piano terreno, in una delle costruzioni adiacenti (datate<br />

1396/1397) vi è un bell’affresco raffigurante due Santi vescovi e la<br />

Madonna in trono, forse della prima metà del XV secolo.<br />

Completata la visita si inizia l’escursione: seguendo le indicazioni del<br />

pannello escursionistico posto nel centro del paese sulla strada cantonale,<br />

a pochi passi dal parcheggio, dove si attraversa la strada in<br />

direzione di Sobrio. Si percorrono alcune tipiche carrali del nucleo<br />

vecchio di Giornico e si esce dal paese inoltrandosi nel bosco, dove<br />

si inizia la salita fino ad una cappelletta sotto la quale è indicata la<br />

via per Sobrio. Attraversato un primo riale, la salita riprende e si<br />

giunge ai resti dell’oratorio di Gramudèl, dedicato a Sant’Anna.<br />

Da qui in breve si arriva a Sobrio. Località abitata da tempo imme-


morabile, come tutti i paesi posti sui terrazzi glaciali della <strong>Leventina</strong>,<br />

come dimostrato dalle tombe romane, scoperte nei pressi della<br />

chiesa parrocchiale di San Lorenzo alcuni decenni orsono e dall’antichità<br />

della chiesa stessa, citata nel “Liber Notitiae Sanctorum<br />

Mediolani” del XIII secolo. Di questo passato apparentemente non<br />

resta più nulla; bisogna accontentarsi di una visita alle belle e tipiche<br />

case leventinesi ancora esistenti, per lo più del XVII e XVIII secolo,<br />

e dell’affascinante complesso isolato formato dalla casa, dalla<br />

chiesa parrocchiale settecentesca, dal campanile e dal cimitero,<br />

all’ombra di un grande acero sotto il quale si radunava anticamente<br />

la popolazione in occasione delle riunioni della “vicinia”.<br />

Lasciata la parrocchiale di Sobrio si riprende il cammino fino a<br />

Cavagnago, passando a valle del villaggio di Ronzano, dove si trova<br />

una cappelletta con un affresco dell’Annunciazione, del XVI secolo.<br />

Da Cavagnago (villaggio a monte del quale, sull’alpe Foppascia, in<br />

prossimità del passo dei Laghetti che collega con la <strong>Valle</strong> di Blenio,<br />

nel 1956, durante lo scavo di un riparo contro le valanghe, è stata<br />

ritrovata una punta di lancia alamanna assegnabile al VI secolo) consigliamo<br />

vivamente di prolungare di pochi minuti l’escursione,<br />

seguendo le indicazioni escursionistiche, fino alla chiesa di<br />

Sant’Ambrogio di Segno, antica parrocchiale di questa piccola<br />

comunità montana: l’aula e l’abside originali, ben leggibili rispetto al<br />

prolungamento quattrocentesco, dovrebbero risalire al XIII secolo,<br />

come il tozzo campanile che sta loro vicino: solamente un’analisi<br />

archeologica più raffinata potrà tuttavia confermare questa datazione.<br />

All’esterno accolgono il visitatore affreschi di San Cristoforo, San<br />

Michele e Santa Domenica e una Crocifissione; all’interno, caratterizzato<br />

dal soffitto piano, vi sono i consueti affreschi gotici, questa<br />

volta più vicini alla maniera dell’inizio del Quattrocento.<br />

Per concludere il circuito occorre ritornare a Cavagnago dove si trovano<br />

i pannelli escursionistici che indicano la discesa per Giornico.<br />

Si attraversano inizialmente i pascoli fino a Maradenca, e quindi,<br />

subito dopo una cappelletta posta al margine del bosco, si prosegue<br />

lungo un ripido sentiero nei castagneti.<br />

A quota 600 m, all’interno di un tornante vi è, tra i comuni di Cavagnago<br />

e Giornico, un masso di confine inciso C / / G.<br />

Ritornati a Giornico, tempo e voglia permettendo, raccomandiamo la<br />

visita del Museo della <strong>Leventina</strong>, presso la Casa Stanga, aperto da<br />

aprile a ottobre, dalle 14:00 alle 17:00.<br />

Segno: chiesa romanica<br />

di Sant’Ambrogio<br />

Sobrio: parrocchiale di San Lorenzo


ITINERARIO 4<br />

Percorso<br />

Dislivello<br />

Difficoltà<br />

Tempo di percorrenza<br />

Carta<br />

Punti di ristoro<br />

Accesso<br />

Inizio<br />

Il circuito ripercorre alcune vie storiche della media <strong>Leventina</strong>: un tratto<br />

di “strada alta” tra Calonico e Rossura, e due collegamenti verticali,<br />

quello tra Lavorgo e Calonico e quello tra Rossura e Chiggiogna.<br />

Lavorgo – Calonico – Rossura – Chiggiogna - Lavorgo<br />

520 metri<br />

Nessuna<br />

4 ore<br />

CN 1252 Ambrì-Piotta, 1272 Campo Tencia, 1273 Biasca 1:25’000<br />

Lavorgo, Rossura, Chiggiogna e Calonico<br />

Con il postale fino a Lavorgo da Bellinzona o Airolo.<br />

Per mezzi privati parcheggio lungo la vecchia strada cantonale<br />

che attraversa il borgo, o nei pressi della stazione FFS<br />

Cappella di Santa Petronilla a Lavorgo<br />

Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999


La Cappella di Santa Petronilla, di stile barocco con volta a botte,<br />

è stata costruita nel 1662, forse su edifici più antichi. Da qui inizia la<br />

salita lungo una mulattiera in parte lastricata che conduce, attraverso<br />

selve castanili e pascoli, al nucleo di Calonico.<br />

I ritrovamenti di materiali romani e longobardi, in gran parte non<br />

studiati, avvenuti nel 1879 tra Lavorgo e Chiggiogna, in località<br />

“Croce”, assieme alla tomba verosimilmente romana scoperta nei<br />

pressi di Molare, in località “Piano di <strong>Valle</strong>”, dimostrano che anche<br />

questa regione, come il resto della valle, era già frequentata in<br />

epoca remota. Questa impressione, del resto, è confermata anche da<br />

altri ritrovamenti d’epoca preistorica avvenuti a Calonico (un’ascia<br />

in serpentino rinvenuta prima della guerra durante uno scavo<br />

sulla collina denominata “Castello” e ora depositata presso il Museo<br />

di Giornico) e a Chiggiogna (una punta di freccia trovata nel 1907 nei<br />

pressi dei dirupi sopra il paese). Sono indizi materiali che già<br />

6000/6500 anni orsono, all’epoca del suo primo insediamento sulla<br />

collina di Castel Grande a Bellinzona, l’uomo frequentò i fondovalle<br />

e i pascoli alpini di queste vallate.<br />

È altrettanto vero che la <strong>Leventina</strong> entrò nella “grande” storia in<br />

piena epoca medievale, ossia dai primi decenni del XIII secolo, quando<br />

la via del San Gottardo si affermò decisamente come passaggio<br />

d’importanza internazionale, diventando il collegamento più diretto<br />

tra il meridione e il settentrione dell’Europa. Già in quel momento<br />

esistevano molte chiese nella regione, in particolare quelle delle<br />

comunità più importanti che in parte erano chiese parrocchiali autonome,<br />

essendosi già staccate da San Pietro di Biasca, chiesa matrice<br />

della pieve di <strong>Leventina</strong>. È probabile che anche la chiesa di San<br />

Martino di Calonico, posta su uno sperone roccioso che domina<br />

Chiggiogna e la media <strong>Leventina</strong>, come tutte le chiese con questa<br />

titolazione, abbia origini assai antiche.<br />

Mancano però le prove archeologiche in grado di accertare sia la<br />

reale data di fondazione della chiesa, sia la sua storia costruttiva:<br />

oggi solamente il massiccio e arcaico campanile, forse dell’inizio del<br />

Calonico: chiesa di San Martino


Calonico: vecchio mulino<br />

recentemente restaurato e visitabile<br />

Rossura: particolare dell’Ultima Cena<br />

nella parrocchiale dei Santi Lorenzo e<br />

Agata<br />

XII secolo, con bifore e monofore sovrapposte, testimonia la fondazione<br />

medievale della chiesa. Calonico conserva, assieme a parecchie<br />

caratteristiche case in legno di tipo leventinese, più o meno<br />

intatte, anche un bell’esempio di archeologia industriale: un mulino<br />

del XVIII secolo, simbolo della vita rurale condotta dagli abitanti del<br />

villaggio.<br />

Dalla chiesa di San Martino, si risale fino alle prime case e si svolta<br />

a sinistra, imboccando la strada asfaltata pianeggiante, segnalata<br />

con pannelli escursionistici, fino alla località “Cesü”, dove inizia il<br />

sentiero. Percorse alcune centinaia di metri e attraversate due pietraie,<br />

il sentiero sale ripido fino ai pascoli a quota 1140 m., da dove<br />

si inizia la discesa su Tengia, villaggio con caratteristiche case<br />

leventinesi dove si trova la cappella di Sant’Antonio Abate del XVIII<br />

secolo.<br />

Da qui si giunge in breve a Rossura dove segnaliamo, in particolare,<br />

la chiesa dei Santi Lorenzo e Agata. Anche questa è in una<br />

posizione dominante, essendo stata edificata su un’emergenza rocciosa<br />

affacciata sulla vallata e isolata dal villaggio restato più o<br />

meno intatto, come molte altre frazioni di questo comune. Della chiesa<br />

medievale, ricordata due volte nel “Liber Notitiae Sanctorum<br />

Mediolani” per il suo titolo di San Lorenzo e per quello di<br />

Sant’Agata, restano probabilmente due pareti laterali; all’esterno si<br />

scorge qualche lacerto di un grande San Cristoforo bizantineggiante<br />

del XIII secolo, mentre all’interno, nei pressi dei notissimi affreschi<br />

quattrocenteschi (di Nicolao e Cristoforo da Seregno, che qui lavorarono<br />

nel 1463, e di un altro ignoto pittore di qualche tempo antecedente)<br />

si scorgono una figura inginocchiata (il donatore?) sotto due<br />

santi, dipinti con gusto ancora romanico e attribuibili alla metà del<br />

XIII secolo.<br />

Alle spalle della chiesa, si prende la strada in terra battuta che scende<br />

tra i prati e porta alla località “Caslasc” che conserva altre testimonianze<br />

medievali presenti in territorio di Rossura. Sotto le poche<br />

cascine diroccate, si erge una collinetta sulla quale sono ancora visibili<br />

i resti di una medievale fortificazione di data incerta denominata<br />

“Mött da Cröisc” (motto delle streghe). Si noti che il toponimo rimanda<br />

alle “Case dei Cröisc”, le “Case dei pagani”, ovvero le ben note e<br />

imprendibili strutture fortificate d’epoca medievale frequenti in <strong>Valle</strong><br />

di Blenio ma presenti anche in questa regione.<br />

Si prosegue lungo una bella mulattiera che termina in località<br />

Fusnengo, da dove una strada conduce fino a Chiggiogna. La chiesa<br />

di Santa Maria Assunta di Chiggiogna, recentemente indagata<br />

archeologicamente, è un buon esempio dell’evoluzione nel<br />

tempo delle chiese della <strong>Leventina</strong> in periodo medievale: nei pressi<br />

del campanile generalmente assegnato all’XI secolo, sotto il bel<br />

pavimento romanico in lastre di granito (oggi parzialmente visibile)<br />

sono stati rinvenuti i resti del primo semplicissimo edificio di culto<br />

altomedievale, assegnabile all’VIII secolo ma forse antecedente; era<br />

una semplice sala di forma rettangolare, analoga ad altre ritrovate<br />

nei decenni passati nel Canton Ticino (in primo luogo Airolo, ma<br />

anche Mezzovico, Melide, Gravesano), che fu demolita al momento<br />

della costruzione della prima chiesa romanica di cui è visibile, nella


facciata odierna, il partito decorativo. Questa prima chiesa, probabilmente<br />

contemporanea al campanile, venne ampliata forse già nel<br />

secolo successivo, raddoppiando la navata e le absidi; nel 1524 la<br />

navata così formatasi ricevette un nuovo coro rettangolare, che<br />

venne modificato nei secoli successivi e in particolare nell’Ottocento,<br />

quando fu creato il soffitto oggi esistente. Lungo la parete<br />

settentrionale è stato liberato dallo scialbo di calce bianca un ciclo<br />

di affreschi, assai martellinati, dell’inizio del XV secolo, con le raffigurazioni<br />

dei Mesi e Storie cristologiche; al di sotto, frammentari, si<br />

scorgono pochissimi resti di intonaco più antico, con la scritta dedicatoria,<br />

purtroppo frammentaria “Fatus fu(it) ?m natu(?)” che, se<br />

completa, avrebbe forse permesso di datare il raddoppio della chiesa.<br />

Occorre infine segnalare la bella ancona gotica del 1520 e<br />

soprattutto l’antica campana proveniente dalla chiesa e oggi collocata<br />

in un giardino privato nelle sue immediate vicinanze. Si tratta di<br />

un manufatto della seconda metà del XIII secolo; sulla fascia superiore<br />

si legge un alfabeto, mentre sul bordo vi è il nome dei due auto-<br />

ri “magister Paolinus et Zanes fabricavit hanc campanam”, ossia “il<br />

mastro Paolino e Zane hanno fabbricato questa campana”. È tra le<br />

più antiche del Cantone Ticino e dimostra, assieme ai numerosi ritrovamenti,<br />

durante gli scavi nelle chiese, delle fosse di fusione, quanto<br />

la nobile arte di fabbricare campane, esercitata sul posto da artigiani<br />

vaganti fosse diffusa nelle nostre terre già a partire dal primo<br />

medioevo; del resto è bene qui ricordare la bella campana quattrocentesca<br />

già sul campanile dell’oratorietto di Santa Petronilla a<br />

Lavorgo, creata dallo stesso maestro Baronius operante a Altirolo<br />

all’inizio del Quattrocento.<br />

A qualche centinaia di metri dalla chiesa parrocchiale, verso sud,<br />

arroccata sui dirupi che sovrastano il fondovalle, fra due torrenti si<br />

scorgono ancora i resti di muro di una “Casa dei pagani”, costruzione<br />

medievale, adibita a rifugio e ricovero dei beni della comunità<br />

in caso di invasioni o razzie.<br />

Da Chiggiogna è possibile rientrare a Lavorgo in postale. Per chi prosegue<br />

l’escursione a piedi dalla chiesa, si passa sotto il ponte della<br />

ferrovia e si seguono le indicazioni escursionistiche per Lavorgo;<br />

quest’ultimo tratto percorre il fondovalle in leggera discesa su una<br />

strada che costeggia il fiume Ticino.<br />

Chiggiogna: campana, fonte battesimale<br />

e particolare delle Storie di Cristo<br />

della chiesa di Santa Maria Assunta<br />

Chiggiogna: rovine<br />

della “Casa dei pagani”


ITINERARIO 5<br />

Percorso<br />

Dislivello<br />

Difficoltà<br />

Tempo di percorrenza<br />

Carta<br />

Punti di ristoro<br />

Accesso<br />

Inizio<br />

Il circuito della media <strong>Leventina</strong> collega alcuni nuclei in quota del versante<br />

sinistro della valle.<br />

Faido – Calpiogna – Osco – Mairengo - Faido<br />

430 metri<br />

Nessuna<br />

4 ore<br />

CN 1252 Ambrì-Piotta 1:25’000<br />

Negozi e ristoranti a Faido, Calpiogna, Osco e Mairengo<br />

Con il postale fino a Faido da Airolo o da Bellinzona o in treno<br />

Per mezzi privati parcheggio nella piazza centrale di Faido<br />

Dal parcheggio di Faido<br />

Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999


L’escursione inizia con una visita al borgo di Faido.<br />

Particolare attenzione merita la cappella di San Bernardino da<br />

Siena, edificata nel 1459 e parzialmente trasformata nel 1595.<br />

Indagato archeologicamente fra 1978 e 1979, l’edificio conserva una<br />

fondazione preesistente con navata quadrangolare ed abside semicircolare<br />

orientata, forse riferibile al XIII secolo.<br />

Degno di nota è pure il convento dei Cappuccini, fondato nel<br />

1607. La chiesa annessa – dedicata a San Francesco – venne<br />

costruita nel 1608 e subì delle modifiche nei secoli successivi. Nel<br />

suo interno, sull’altare maggiore si conserva un’interessante pala<br />

raffigurante la Madonna con i Santi Francesco e Giuseppe, che riproduce<br />

la Madonna del Soccorso di Lukas Cranach.<br />

Per quanto riguarda le costruzioni civili, fino a pochi anni orsono esistevano<br />

due costruzioni particolari: l’antico Pretorio della <strong>Valle</strong>,<br />

che conservava lo stemma del landfogto Magnus Bessler (1550-<br />

1553) e la cosiddetta “Torre Varesi” - una costruzione medievale in<br />

pietra a sei piani, con tetto a spiovente unico. Entrambi gli edifici<br />

sono stati demoliti per far posto a strade e nuove abitazioni. Per contro<br />

esiste ancora, sulla via principale, una bella casa in legno cinquecentesca,<br />

costruita secondo la tipologia della “casa del<br />

Gottardo”. Essa si distingue per il fregio ornamentale con tre bassorilievi<br />

datati 1582, raffiguranti l’Adorazione dei Magi, la<br />

Crocifissione e la Madonna.<br />

Proseguendo l’escursione, dalla piazza centrale si risale lungo la<br />

strada asfaltata, seguendo le indicazioni escursionistiche, in direzione<br />

di Calpiogna. Attraversato il ponte sulla ferrovia, si svolta a sinistra<br />

fino al primo tornante per imboccare il sentiero che sale nel<br />

bosco fino a Primadengo.<br />

Faido: tipica costruzione<br />

rurale del ’500<br />

e dettaglio del bassorilievo datato


Osco: dettaglio dell’Adorazione<br />

della Madonna e del Bambino<br />

nella parrocchiale di San Maurizio<br />

Discosto da Primadengo e non raggiunto dal circuito, segnaliamo<br />

l’interessante nucleo di Fontanè (Fontanedo), nel comune di<br />

Campello, dove, nei pressi dell’oratorio cinquecentesco dedicato al<br />

Santissimo Nome di Maria, sono ancora visibili stalle settecentesche<br />

e poche rovine dell’antico nucleo rurale. Dal basamento di una<br />

casa in legno di Fontanedo proviene lo strappo di affresco, raffigurante<br />

una Madonna in trono e un vescovo, dell’inizio del XVI secolo,<br />

oggi conservato nel Museo della Casa Stanga a Giornico.<br />

Da Primadengo si sale a Calpiogna, dopo aver più volte attraversato<br />

la strada asfaltata. All’ingresso del paese si può visitare un piccolo<br />

mulino idraulico restaurato recentemente. Da Calpiogna il sentiero<br />

prosegue fino ad Osco lungo il percorso della “strada alta” e si attraversa<br />

il riale di Formiei dalle spettacolari gole che incidono la roccia<br />

a strapiombo. A Osco si segnalano alcuni edifici tradizionali e la<br />

chiesa parrocchiale di San Maurizio – documentata fin dal 1171<br />

– che presenta oggi una fisionomia tardoseicentesca, rinnovata in<br />

anni recenti. All’interno si conservano interessanti tracce di affreschi<br />

tardogotici, riferibili al terzo quarto del XV secolo e raffiguranti<br />

l’Adorazione della Madonna e del Bambino. Il campanile, completamente<br />

rimodernato, conserva nella parte bassa la struttura e la<br />

muratura di epoca romanica.<br />

Nei pressi di Osco, in località Freggio, raggiungibile percorrendo un<br />

tratto di “strada alta”, nei decenni scorsi sono state riportate alla<br />

luce tombe dell’età del ferro contenenti suppellettili di particolare<br />

finezza e originalità. Tra queste sono da segnalare delle olle decora-


te con cavallucci schematici e puntiniformi, nei quali viene simbolizzato<br />

il culto del Sole. Parte dei corredi è conservata a Bellinzona<br />

presso il Museo di Montebello e nei depositi dell’Ufficio dei beni culturali.<br />

Siamo ormai sulla via del ritorno e da Osco si imbocca la mulattiera<br />

che conserva alcune strutture degne di nota, e si giunge quindi a<br />

Mairengo seguendo le indicazioni escursionistiche. L’ultimo tratto<br />

prima dell’ingresso a Mairengo è su strada asfaltata ma, vegetazione<br />

permettendo, si notano ancora resti dell’antica mulattiera a valle<br />

di questa. A Mairengo merita una visita la chiesa di San Siro, una<br />

delle più antiche parrocchiali della <strong>Leventina</strong>. Documentata dal<br />

1171, è tra le quindici chiese della diocesi di Milano dedicate al<br />

santo patrono di Pavia. Smembrata dall’antica matrice di Biasca<br />

nell’XI-XII secolo, quella di San Siro era la chiesa battesimale dell’antica<br />

vicinanza (comunità rurale) di Faido, che comprendeva le<br />

degagne (frazioni della vicinanza) di Faido, Osco e Mairengo.<br />

L’edificio presenta uno schema biabsidato da riferire al tardomedioevo.<br />

Della chiesa romanica rimangono la facciata a capanna e<br />

parti del fianco meridionale ad archeggiature cieche incorporate<br />

nella struttura attuale. La parete meridionale esterna conserva affreschi<br />

tardogotici - recentemente restaurati - raffiguranti San Siro, la<br />

Madonna in trono, San Sebastiano fra due arcieri e la figura di un<br />

Pontefice. Affreschi tardogotici sono presenti anche all’interno della<br />

chiesa, dove troviamo raffigurata la Natività e santi. Nel coro nord si<br />

conserva uno splendido altare a portelli tardogotico, opera datata<br />

1510-1520 e riferibile ad una bottega della Germania meridionale.<br />

Interessanti anche gli affreschi di entrambi i cori. Riportati alla luce<br />

negli anni Cinquanta, i dipinti murali sono da riferire al 1558 e - almeno<br />

parzialmente - alla mano di Gerolamo (Hieronymus) Gorla da<br />

Milano.<br />

Terminata la visita si riprende il cammino, seguendo la strada asfaltata<br />

per un centinaio di metri. Subito dopo il ponte sulla sinistra vi è<br />

il bivio che consente di ricollegarsi alla mulattiera per Faido. Punto<br />

d’arrivo è la stazione di Faido, dove chi è arrivato in treno o in postale<br />

termina l’escursione. Chi è giunto con mezzi privati deve proseguire<br />

lungo la strada fino al punto di partenza.<br />

Mairengo: particolare dell’ancona<br />

a sportelli del XVI secolo<br />

del coro della chiesa di San Siro


ITINERARIO 6<br />

Percorso<br />

Dislivello<br />

Difficoltà<br />

Tempo di percorrenza<br />

Carta<br />

Punti di ristoro<br />

Accesso<br />

Inizio<br />

Il circuito si situa sulla sponda sinistra dell’alta <strong>Valle</strong> <strong>Leventina</strong> lungo<br />

vie storiche di grande interesse: nel fondovalle si ripercorre parte della<br />

medievale strada francesca che da Quinto conduceva verso Airolo; in<br />

quota, tra Altanca e Lurengo, la “strada alta”. Di particolare importanza<br />

la mulattiera che saliva dal fondovalle (Serte) ad Altanca, per proseguire<br />

verso il lago Ritom e il Passo dell’Uomo.<br />

Quinto - Serte - Altanca - Lurengo - Varenzo - Quinto<br />

410 metri<br />

Nessuna<br />

4 ore 30 minuti<br />

CN 1252 Ambrì-Piotta 1:25’000<br />

Negozi e ristoranti a Quinto, Altanca, Deggio e Catto<br />

Con il postale fino a Quinto da Bellinzona con cambio ad Ambrì.<br />

Per mezzi privati parcheggio dietro la chiesa<br />

Chiesa di Quinto<br />

Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999


L’itinerario inizia con la visita della chiesa parrocchiale dei Santi<br />

Pietro e Paolo di Quinto. La chiesa è documentata dal 1227. Dalle<br />

indagini archeologiche condotte nel 1972-1973 sono però emerse<br />

tracce di due edifici altomedievali (VIII-IX secolo) precedenti la<br />

costruzione romanica che era caratterizzata da absidi gemine e dota-<br />

ta di una cripta con raddoppio laterale: chiedendo in parrocchia questi<br />

resti archeologici sono visitabili .<br />

Ad eccezione del campanile, l’antica chiesa romanica subì delle<br />

modifiche nel 1681 da parte degli architetti Giovanni Weber e<br />

Antonio e Giovanni Ferrari della Val Sesia. Nel 1748 venne invece<br />

voltata la navata. La volta del coro è decorata con stucchi rococò<br />

variopinti - in parte ricoperti di foglia d’argento - opera di Josef<br />

Moosbrugger. L’altare maggiore in legno scolpito a forma di tempio<br />

poligonale con colonne ritorte e statuette, venne eseguito fra il 1691<br />

e il 1694 da Paolo Pisoni da Ascona e Carlo Zezio da Lugano.<br />

Numerosi i dipinti che decorano le pareti della chiesa.<br />

Quinto: nucleo<br />

e parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo<br />

Quinto: bassorilievi romanici<br />

all’esterno della parrocchiale<br />

dei Santi Pietro e Paolo


Altanca: veduta orientale<br />

della parrocchiale<br />

dei Santi Cornelio e Cipriano<br />

Deggio: coro e affreschi tardogotici<br />

della cappella di San Martino<br />

Lasciandosi la chiesa alle spalle, sulla destra, in salita, inizia il sentiero<br />

che si inoltra nel bosco di larici e che porta, con un leggero<br />

dislivello, alla Stazione idroelettrica di Serte. Qui l’escursionista ha<br />

la possibilità prendere la funicolare del Ritòm per salire fino ad<br />

Altanca ed evitare la ripida salita.<br />

Nella frazione di Scruengo, poco oltre Serte, il Rigolo segnala un<br />

castello medievale, finora non identificato. Altanca è un compatto<br />

agglomerato di case tipiche, posto sul pendio della montagna. Ad<br />

ovest del paese si trova la chiesa dei Santi Cornelio e Cipriano,<br />

una massiccia costruzione del 1603 dotata di coro quadrangolare,<br />

campanile riferibile al 1692, e cappelle laterali quadrate. Anche questa<br />

chiesa ha sicure origini medievali; è citata nel XIII secolo e inoltre<br />

sono visibili, sul fianco meridionale, i tipici archetti romanici.<br />

Da Altanca è possibile imboccare la mulattiera che conduce al Lago<br />

Ritòm e alla stupenda Val Piora. Lungo la mulattiera, che conserva<br />

ancora una struttura interessante, con lunghi passaggi selciati sostenuti<br />

da muri a secco, si trovano curiose iscrizioni scolpite nella roccia.<br />

Il nostro circuito, invece, dal centro del paese, segue la strada asfaltata<br />

fino a Ronco, dove, appena lasciato il paese, si prende il sentiero<br />

con le indicazioni “strada alta” che si stacca dalla strada e<br />

scende, attraverso i prati, a Deggio. Da Deggio si percorrono circa<br />

250 metri di strada asfaltata prima di immettersi, sulla sinistra, nella<br />

strada campestre, segnalata come sentiero, che porta alla cappella<br />

romanica di San Martino.<br />

La cappella è caratterizzata da un coro quadrato voltato a botte,<br />

innestato su una minuscola navata romanica, successivamente<br />

allungata quando sulla facciata principale venne costruito il massiccio<br />

campanile oggi visibile; l’apparato decorativo esterno (grandi<br />

arcate di gusto ancora carolingio) fanno presumere che questa chiesa<br />

possa essere assai antica, forse anteriore al Mille. All’interno -<br />

nella zona del coro - è conservato un importante palinsesto di pitture<br />

murali; la più antica, nel coro, è un frammento di sinopia, con un<br />

drago e un pesce. Il corpus principale delle pitture murali del San


Martino di Deggio è però rappresentato dagli affreschi tardogotici, in<br />

parte manomessi e ridipinti, che ritroviamo sia nel coro sia nella<br />

navata. Tra questi segnaliamo l’Annunciazione, il Cristo in maestà, i<br />

Simboli degli Evangelisti, il gruppo della Crocifissione e San Martino<br />

che divide il mantello con il povero, che è l’affresco meglio conservato.<br />

Sempre a Deggio nei decenni scorsi venne riportato alla luce del<br />

vasellame proveniente da tombe dell’età del ferro.<br />

Dalla cappella si continua su sentiero per poi tornare su strada asfaltata<br />

e, seguendo le indicazioni “strada alta”, si giunge a Lurengo. La<br />

frazione di Lurengo vede la presenza della cappella di Santa<br />

Maria Immacolata, il cui interno è decorato con stucchi riferibili al<br />

1730-1740.<br />

Da Lurengo si imbocca la mulattiera che discende fino a Catto dove,<br />

a strapiombo sulla valle, sorge la chiesa di Sant’ Ambrogio. La<br />

chiesa è una costruzione di origine romanica, ampiamente rimaneggiata<br />

in epoca barocca e rococò, come testimoniano gli stucchi che<br />

decorano le volte. Sull’altare del coro si trova un ciborio in legno, riccamente<br />

scolpito, opera eseguita nel 1786 da Georg e Lukas Regli<br />

del Canton Uri.<br />

Visitata la chiesetta, si prosegue la discesa verso Varenzo, su strada<br />

in terra battuta. Sempre al Settecento è da riferire la cappella di<br />

San Rocco, dove si trovava un prezioso altare in stucco, oggi rimosso.<br />

A Varenzo esisteva una torre d’abitazione medievale, purtroppo<br />

demolita all’inizio del nostro secolo.<br />

Da Varenzo si segue la strada campestre che dalla chiesa scende<br />

verso il Ticino e riporta a Quinto.<br />

Questo itinerario può essere facilmente percorso anche in mountain<br />

bike, sia salendo da Serte ad Altanca percorrendo la strada asfaltata,<br />

sia caricando le biciclette sulla funicolare.<br />

Catto: chiesa di Sant’Ambrogio<br />

Deggio: chiesa di San Martino


ITINERARIO 7<br />

Percorso<br />

Dislivello<br />

Difficoltà<br />

Tempo di percorrenza<br />

Carta<br />

Punti di ristoro<br />

Accesso<br />

Inizio<br />

Questo breve e agevole circuito consente di percorrere alcune tra le più<br />

interessanti vie storiche della <strong>Valle</strong> <strong>Leventina</strong>, verso il Passo del San<br />

Gottardo: la cosiddetta “strada romana”, cioè il tracciato medievale, di<br />

probabile costruzione milanese, che passava per il Dazio Vecchio e la<br />

strada cantonale nella gola del Piottino, costruita all’inizio dell’Ottocento<br />

sul precedente tracciato della cinquecentesca “strada urana”.<br />

Dazio Grande - Prato - Dazio Vecchio - Piottino - Dazio Grande<br />

110 metri<br />

Nessuna<br />

1 ora 30 minuti<br />

CN 1252 Ambrì-Piotta 1:25’000<br />

Negozi e ristoranti a Rodi, Prato e Dazio Grande<br />

Con il postale fino a Rodi-Fiesso da Bellinzona o da Airolo.<br />

Per mezzi privati parcheggio presso il Dazio Grande o ampio parcheggio<br />

a Rodi, presso la fermata dell’autobus<br />

Dazio Grande<br />

Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999


L’escursione inizia con la visita del Dazio Grande.<br />

Questa solida costruzione a pianta quadrangolare, edificata dalle<br />

autorità urane verso la metà del XVI secolo (come attestano l’affresco<br />

e l’iscrizione scoperti durante i recenti restauri), sorveglia la gola<br />

del Monte Piottino, attraversata nello stesso periodo da una nuova<br />

strada. L’edificio, posta doganale e luogo di sosta e di ristoro per i<br />

viaggiatori, subì importanti trasformazioni nel 1834, quando la dogana<br />

fu trasferita ad Airolo e il Dazio divenne stazione e sede di uffici<br />

postali, con l’aggiunta di un corpo a meridione e con una sostanziale<br />

modifica degli spazi interni, mantenutasi fino ad oggi. Sulla facciata<br />

nord si vedono gli stemmi seicenteschi dei dazieri.<br />

Dal Dazio Grande si percorre per poche decine di metri una stradina<br />

asfaltata seguendo i pannelli escursionistici in direzione del Monte<br />

Piottino. Si entra nel bosco e si inizia una breve salita lungo la mulattiera<br />

che passa a lato di alcuni edifici, ormai in abbandono, costruiti<br />

all’inizio del 1800 quando venne attivato lo sfruttamento di cave di<br />

quarzo della zona, protrattosi fino a dopo la metà di questo secolo.<br />

Dopo 15 minuti circa di salita si giunge ad una biforcazione: sulla<br />

sinistra continua il percorso segnalato, di fronte vi è un’ampia mulattiera,<br />

non segnalata, che si imbocca per compiere una breve variante.<br />

La mulattiera discende verso un prato; lo si attraversa per immettersi<br />

in una strada di campagna che conduce alla strada cantonale<br />

per Prato. Percorsi pochi metri di strada cantonale, sulla sinistra si<br />

trova un ponticello in sasso nei cui pressi spicca una fornace per<br />

calce.<br />

Alle spalle della fornace inizia una mulattiera che era parte della più<br />

antica strada che conduceva verso il San Gottardo. La si percorre per<br />

Dazio Grande:<br />

pigna con lo stemma di Uri<br />

e stemma del landfogto


Prato <strong>Leventina</strong>:<br />

ponte in sasso e fornace<br />

Prato <strong>Leventina</strong>:<br />

affresco di San Giorgio all’esterno<br />

della chiesa omonima<br />

Rovine del Dazio Vecchio<br />

giungere alla chiesa di San Giorgio di Prato <strong>Leventina</strong>. La chiesa<br />

sorge su un promontorio ai margini del villaggio e spicca per il suo<br />

campanile romanico. L’edificio, rimaneggiato nel XVII e nel XVIII<br />

secolo, aveva in origine due navate e forse una cripta. Sul lato meridionale<br />

il portico, chiuso da pareti e coperto da un soffitto a capriata,<br />

ripara un affresco del XVI secolo raffigurante San Giorgio che<br />

uccide il drago. All’interno si possono vedere nel coro stucchi seicenteschi,<br />

nella cappella di San Carlo stucchi ed episodi della vita<br />

del santo, come pure frammenti di un Giudizio universale della fine<br />

del XVI secolo.<br />

Prato era terra munita di fortificazioni erette a controllo dei transiti<br />

per il San Gottardo: nella facciata della casa parrocchiale sono ancora<br />

visibili resti di una torre medievale e nei pressi di Prato, su un promontorio<br />

sopra la strada che conduce a Dalpe, si scorgono i resti di<br />

una torre medievale che G. Rigolo nel 1682, riprendendo una tradizione<br />

locale, attribuisce a un castello. A Dalpe, in particolare nella


località “Vidresc”, sono venute alla luce nel corso degli anni Cinquanta<br />

diverse sepolture dell’età del ferro.<br />

Terminata la visita si torna sui propri passi ripercorrendo a ritroso la<br />

variante per riprendere il sentiero del Monte Piottino. In breve si<br />

giunge ai ruderi del Dazio Vecchio, che risalgono verosimilmente<br />

ai secoli XIV e XV. La denominazione in uso non deve far pensare a<br />

una vera posta doganale, che non esisteva come tale in questo<br />

periodo: si può invece pensare che gli edifici comprendessero locali<br />

per il deposito delle merci in transito e per dare riparo al bestiame<br />

da soma, alloggio a viandanti e ai mercanti in viaggio sulla via del<br />

San Gottardo.<br />

Dal Dazio Vecchio si riprende la mulattiera, in gran parte selciata,<br />

che percorre il promontorio del Monte Piottino, segnalata come<br />

“strada romana”, ma in realtà variante costruita in periodo visconteo<br />

per migliorare la viabilità per il passo del San Gottardo.<br />

La mulattiera sbocca su una strada asfaltata che si percorre in direzione<br />

del Dazio Grande. Si attraversa il fiume Ticino sull’ottocentesco<br />

ponte in sasso noto come “Ponte di mezzo”. Passato il ponte e<br />

fatte poche decine di metri sulla strada cantonale si entra nella suggestiva<br />

Gola del Piottino che si attraversa seguendo il tracciato<br />

della vecchia strada cantonale, costruita a partire dal 1819 sopra la<br />

precedente “strada urana”. Usciti dalla gola ci si immette nuovamente<br />

nella strada cantonale per tornare al Dazio Grande.<br />

Gola del Piottino:<br />

strada cantonale dell’Ottocento<br />

Monte Piottino: “Strada romana”


ITINERARIO 8<br />

Percorso<br />

Dislivello<br />

Difficoltà<br />

Tempo di percorrenza<br />

Carta<br />

Punti di ristoro<br />

Accesso<br />

Inizio<br />

Il circuito ripercorre l’antico tracciato della mulattiera del San Gottardo,<br />

una delle più importanti vie di comunicazione tra il nord delle Alpi e la<br />

pianura Padana.<br />

Airolo - Passo del San Gottardo<br />

900 metri<br />

Percorso per escursionista allenato<br />

3 ore 30 minuti<br />

CN 1251 Bedretto 1:25’000<br />

Negozi e ristoranti ad Airolo e al Passo del San Gottardo<br />

Con il treno o con il postale fino ad Airolo<br />

Per mezzi privati parcheggi a disco nei pressi della stazione<br />

Cartelli escursionistici dalla stazione ferroviaria<br />

Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999


L’uso del passo è ipotizzabile sin dall’antichità grazie ai ritrovamenti<br />

archeologici. Segnaliamo in particolare quelli della necropoli di<br />

Madrano, località situata nei pressi di Airolo. Qui, a meridione del<br />

nucleo principale, sul versante sinistro della valle presso la gola<br />

dello Stalvedro, è stata rinvenuta una necropoli dell’età romana<br />

(secoli II-III) i cui reperti, in parte esposti presso il Museo di<br />

Montebello a Bellinzona, ripropongono il tema affascinante dell’occupazione<br />

del territorio alpino nelle epoche più antiche e l’uso dei<br />

valichi del massiccio centrale. Due strutture fortificate dominavano<br />

la gola durante i secoli medievali: sul fianco sinistro, a poca distanza<br />

dalla necropoli di Madrano, il toponimo “Motto Caslascio” ne<br />

ricorda una, mentre sul lato opposto si possono ancora vedere i resti<br />

del castello che, secondo la tradizione, sarebbe stato costruito da re<br />

Desiderio e che viene ancora oggi chiamato “Casa dei pagani”.<br />

Anche gli scavi effettuati nella chiesa dei Santi Nazario e Celso<br />

di Airolo hanno fornito preziose indicazioni. La chiesa, pur essendo<br />

tra quelle che ha subìto il maggior numero di trasformazioni in<br />

Ticino, ha restituito preziose informazioni su questo villaggio dell’area<br />

alpina centrale. L’impianto attuale, del 1879, realizzato dopo l’ultimo<br />

di una serie di incendi, cela al suo interno diverse tappe costruttive,<br />

tra cui quella romanica ancora evidente nell’agile campanile<br />

Airolo: veduta del nucleo e dettaglio<br />

del campanile romanico<br />

della chiesa dei Santi Nazario e Celso<br />

Rovine della fortificazione denominata<br />

“Casa dei pagani”<br />

sul “Motto Caslascio” presso Madrano


Cappella dei Morti presso il Passo del<br />

San Gottardo<br />

San Gottardo, vescovo di Hildesheim<br />

Abate benedettino, nato nel 961,<br />

Gottardo venne nominato vescovo di<br />

Hildesheim dall’imperatore Enrico II. A<br />

lui si devono la realizzazione della cattedrale<br />

e della chiesa di San Michele ad<br />

Hildesheim. Gottardo morì nel 1038 e<br />

venne canonizzato nel 1131.<br />

Protettore contro la gotta, i reumatismi e<br />

i segni del vaiolo, il santo vide il suo culto<br />

diffondersi anche in Austria e Prussia.<br />

Nell’iconografia classica è rappresentato<br />

con un modello di chiesa in mano, per<br />

ricordare le sue doti di grande costruttore.<br />

superstite (metà dell’XI secolo). I recenti scavi hanno portato alla<br />

luce le primitive strutture di culto risalenti ai secoli VII-VIII, successivamente<br />

ampliate e modificate prima di giungere all’edificio romanico<br />

(metà del XII secolo) dotato di un coro semicircolare sopraelevato<br />

e di una cripta. Le successive tappe videro trasformazioni e<br />

ampliamenti in età tardomedievale (secoli XIV-XV), come pure in<br />

epoca barocca e tardobarocca.<br />

L’itinerario, interamente segnalato, inizia dalla stazione ferroviaria di<br />

Airolo. Fino al Motto di Dentro la mulattiera è stata gravemente<br />

compromessa dalla costruzione della nuova strada per il passo che<br />

ne ha frammentato il percorso. Non mancano, tuttavia, alcuni segmenti<br />

che conservano intatta la loro bellezza: segnaliamo in particolare<br />

un tratto selciato nei pressi della cappella a Motto Bartola.<br />

Dopo Motto di Dentro si percorrono ancora alcuni interessanti tratti<br />

di mulattiera, in particolare nella parte alta. Dove la <strong>Valle</strong> della<br />

Tremola si restringe, la mulattiera costeggia la vecchia strada cantonale<br />

costruita dall’ing. Francesco Meschini nel 1830. Prima della<br />

cappella dei Morti segnaliamo il ponte ad arco in sasso “di cima”<br />

e un’iscrizione nella roccia “1806 SUVOROWII VICTORIIS” che<br />

ricorda la battaglia tra francesi e russi durante il periodo<br />

dell’Elvetica.<br />

Da qui un selciato conduce alla già citata cappella dei Morti che<br />

è un piccolo edificio interamente in muratura, a pianta rettangolare<br />

e con il lato orientale a semicerchio, appoggiato su un grande masso<br />

granitico levigato dal ghiacciaio, a poche decine di metri dal valico.<br />

Già esistente ai tempi di San Carlo (1577), la costruzione serviva<br />

come luogo di deposizione per i poveri resti delle persone di religione<br />

sconosciuta che perivano durante il viaggio. Sull’intonaco interno


si scorgono ancora scritte in russo che risalgono al 1799, quando il<br />

valico fu teatro di aspri combattimenti fra truppe francesi e austrorusse.<br />

Poco oltre la cappella vi è l’Ospizio del San Gottardo e quindi il<br />

passo. Il complesso degli edifici costruiti sul valico ricorda l’importanza<br />

di questo nodo di transito per la storia dei secoli trascorsi: tra<br />

questi sono da ricordare la Vecchia Sosta, monumentale edificio<br />

costruito nel 1834 su disegno dell’arch. Domenico Fontana di<br />

Cureglia, e l’Ospizio Vecchio, che ingloba una cappella dove nel<br />

1975, durante i restauri, sono stati portati alla luce resti della costruzione<br />

romanica e di un edificio preromanico, che ci proiettano ben<br />

aldilà dell’inizio del XIII secolo, quando il valico, grazie al superamento<br />

della gola della Schöllenen, divenne la più importante arteria<br />

di traffico tra i due versanti della catena alpina. La Vecchia Sosta è<br />

ora sede del Museo nazionale del San Gottardo aperto solo nei mesi<br />

estivi.<br />

Sul Passo si trova anche il Museo Forte Ospizio San Gottardo.<br />

Consigliamo di prolungare la passeggiata verso il confine con il<br />

Canton Uri percorrendo ancora alcuni tratti di mulattiera restaurati<br />

recentemente.<br />

Passo del San Gottardo:<br />

mulattiera e Ospizio dei Cappuccini<br />

detto “Ospizio Vecchio”<br />

“Ponte di Cima” sulla mulattiera<br />

del San Gottardo


ITINERARIO 9<br />

Percorso<br />

Dislivello<br />

Difficoltà<br />

Tempo di percorrenza<br />

Carta<br />

Punti di ristoro<br />

Accesso<br />

Inizio<br />

Il circuito d’alta montagna interessa la parte superiore della <strong>Valle</strong><br />

Bedretto, in prossimità del passo della Novena. Di particolare interesse<br />

per la natura e il paesaggio.<br />

All’Acqua - Cava delle Pigne - Alpe di Cruina - All’Acqua<br />

690 metri<br />

Percorso per escursionista allenato<br />

6 ore<br />

CN 1251 Bedretto 1:25’000<br />

All’Acqua e capanna Piansecco<br />

Con il postale o con mezzi privati fino All’Acqua seguendo la strada della<br />

<strong>Valle</strong> Bedretto<br />

Cartelli escursionistici sulla strada cantonale ad All’Acqua<br />

Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999


Il sentiero si caratterizza come tipico percorso di montagna, privo di<br />

strutture di particolare interesse, ma consigliato per la bellezza dell’ambiente<br />

che si attraversa.<br />

Punto di partenza del circuito è All’Acqua. Questa località, la più<br />

elevata della <strong>Valle</strong> Bedretto, era stazione di arrivo e di partenza per<br />

coloro che affrontavano il superamento dei valichi della Novena e<br />

del San Giacomo, e quindi era dotata, almeno dall’età moderna, di<br />

una struttura d’accoglienza. Di particolare importanza, per i somieri<br />

della <strong>Valle</strong> Bedretto, era la mulattiera del valico del San Giacomo<br />

che consentiva, con qualche guadagno per le economie famigliari,<br />

più stabili relazioni economiche con i territori del Novarese e il cui<br />

uso è attestato dalla prima metà del XIV secolo (una convenzione tra<br />

la Formazza e Bedretto per il traffico è del 1451). I due valichi rappresentavano<br />

pure un tragitto alternativo che, aggirando il San<br />

Gottardo e la <strong>Valle</strong> <strong>Leventina</strong>, evitavano talvolta pure il pagamento<br />

dei consueti dazi.<br />

Da All’Acqua un sentiero piuttosto ripido conduce alla capanna<br />

Piansecco. Da qui si sale verso il laghetto delle Pigne nei cui pressi<br />

si trova la Cava delle Pigne.<br />

Nell’ampia conca che si distende a occidente del laghetto delle<br />

Pigne, sovrastata dalla parete del Poncione di Manió, si scorgono<br />

ancora i luoghi di estrazione della pietra ollare che veniva impiegata<br />

Cava delle Pigne: blocco<br />

pronto per il trasporto e abbandonato<br />

sul posto


Cava delle Pigne: incisioni datate<br />

nella pagina accanto:<br />

Oratorio della Visitazione di Maria<br />

in Altillone (Val Formazza):<br />

affresco rappresentante<br />

la Processione al San Gottardo<br />

Edito da:<br />

ASSOCIAZIONE<br />

ARCHEOLOGICA TICINESE<br />

Casella postale 4614<br />

6904 Lugano<br />

Tel. 091 976 09 26<br />

Fax 091 976 09 27<br />

E-mail: segretariato@archeologica.ch<br />

http://www.archeologica.ch<br />

per la costruzione delle pigne, tradizionali mezzi di riscaldamento diffusi<br />

non solamente in <strong>Leventina</strong>, ma anche nella Riviera. A poca<br />

distanza dal corso d’acqua che alimenta il lago, uno sperone roccioso<br />

reca, con le tracce dei lavori di asportazione, una scritta seicentesca<br />

di un anonimo artigiano; pochi metri a oriente del masso, si<br />

notano ancora un affioramento di pietra di colore verde-chiaro, come<br />

pure alcune fosse dove rimangono un paio di blocchi di pietra squadrati,<br />

pronti per essere trasportati a valle.<br />

Dalla Cava delle Pigne si ridiscende al Ciurèi di Mezzo; un passaggio<br />

asfaltato conduce all’Alpe di Cruina. L’Alpe ancor oggi è proprietà<br />

della degagna di Osco (il nome corretto è, infatti, “Cruina di Osco”).<br />

Tale singolare proprietà affonda le radici nei secoli centrali del<br />

Medioevo (sicuramente agli inizi del XIII secolo), quando le comunità<br />

di villaggio della media <strong>Leventina</strong> si spinsero fin quassù alla ricerca<br />

di nuovi pascoli per il bestiame.<br />

Per informazioni e per ritirare<br />

le chiavi delle chiese:<br />

LEVENTINA TURISMO<br />

Airolo<br />

tel. 091/869 15 33<br />

lunedì-venerdì<br />

8.15 -12.15 / 14.00 -18.00<br />

sabato 8.15 -12.15<br />

E-mail: info@leventinaturismo.ch<br />

http://www.leventinaturismo.ch<br />

Faido<br />

tel. 091/866 16 16<br />

martedì-venerdì<br />

8.30 -11.00/14.00 -17.30<br />

SEGNI CONVENZIONALI


Dall’Alpe di Cruina si riprende il sentiero per All’Acqua. Quest’ultimo<br />

tratto ricalca in gran parte la via storica che da Airolo conduceva al<br />

Passo della Novena.<br />

Segnaliamo, poco prima di Formazzora, all’altezza del Ri di Val<br />

d’Olgia, il sentiero che sale al Passo del San Giacomo verso la Val<br />

Formazza, dove si trova una chiesa dedicata ai Santi Nicolao,<br />

Caterina e Giacomo e datata, dopo scavi archeologici, alla fine XVI<br />

secolo; scomparso per contro l’ospizio che forse era nelle immediate<br />

vicinanze, già citato in documenti quattrocenteschi.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

• AA.VV.<br />

Atlante dell’edilizia rurale<br />

in Ticino.<br />

<strong>Valle</strong> <strong>Leventina</strong><br />

a cura di G. Buzzi, Locarno 1995<br />

• AA.VV.<br />

Il Romanico. Aggiornamenti<br />

1967-1997<br />

Bellinzona 1998<br />

• Bianconi P.<br />

La pittura medievale<br />

nel Cantone Ticino.<br />

Il Sopraceneri<br />

Bellinzona 1936<br />

• Bianconi P.<br />

Inventario delle cose d’arte<br />

e di antichità:<br />

Le Tre Valli Superiori,<br />

<strong>Leventina</strong>, Blenio, Rivera<br />

Bellinzona 1948<br />

• Butti Ronchetti F.<br />

La necropoli romana di<br />

Madrano<br />

(in corso di pubblicazione)<br />

• D’Alessandri P.<br />

Atti di S. Carlo riguardanti<br />

la Svizzera e i suoi territori<br />

Locarno 1909 (ristampa 1999)<br />

Le processioni<br />

Una prova certa del prestigio dato al San<br />

Gottardo è da leggere nelle processioni o<br />

pellegrinaggi che dalle cinque vallate circostanti<br />

confluivano alla cappella del<br />

passo, secondo scadenze ben precise e<br />

invariabili di anno in anno; l’origine di<br />

tale usanza risale molto probabilmente<br />

al Medioevo.<br />

Molte comunità parrocchiali vi si recavano<br />

in processione votiva: la <strong>Valle</strong><br />

Formazza, la Surselva, l’Orsera, il <strong>Valle</strong>se<br />

e Bedretto. Il percorso più lungo era<br />

quello compiuto dai formazzini, che il 25<br />

giugno – con qualsiasi tempo – attraverso<br />

il passo del San Giacomo e la Val<br />

Bedretto percorrevano i 40 chilometri che<br />

li portavano all’ospizio. Qui ricevevano<br />

cena e alloggio contro un compenso prestabilito<br />

in denaro e in natura. Con il<br />

tempo tuttavia questa manifestazione<br />

perse il carattere devoto e sacro per<br />

assumere quello di festa paesana. Fu<br />

così che nel 1610 il parroco chiese al<br />

vescovo di Novara di sopprimerla. Il<br />

vescovo di Novara aderì alla richiesta<br />

trasformando il pellegrinaggio votivo al<br />

San Gottardo in una processione molto<br />

più breve da farsi ogni anno all’oratorio<br />

della Visitazione di Maria in Altillone, a<br />

condizione che vi si dipingesse un’immagine<br />

di San Gottardo. La condizione<br />

venne rispettata e così ancora oggi nel<br />

piccolo oratorio della Val Formazza si può<br />

ammirare il bell’affresco, dove – oltre<br />

alla gente in abito seicentesco – vi è raffigurato<br />

l’antico ospizio del San Gottardo.<br />

• Gilardoni V.<br />

Il Romanico<br />

Bellinzona 1967<br />

• Rüsch E. e Cardani R.<br />

Affreschi del ‘300-’400<br />

in <strong>Leventina</strong><br />

Giornico 1995<br />

• Rüsch E. e Cardani Vergani R.<br />

Dipinti murali<br />

del tardomedioevo<br />

nel Sopraceneri.<br />

Una scelta ragionata<br />

Bellinzona 1998


A cura A cura di diPiergiorgio<br />

Piergiorgio Capietti AAT AAT<br />

Testi TestiGiuseppe<br />

Giuseppe Chiesi UBC UBC<br />

Rossana Cardani UBC UBC<br />

Giulio Foletti UBC UBC<br />

Massimo Colombo IVS IVS<br />

Foto FotoEly<br />

Ely Riva Riva<br />

Progetto grafico<br />

Antonio Tabet Tabet<br />

Della Della stessa collana<br />

– <strong>Valle</strong> – <strong>Valle</strong> di di Blenio<br />

Sponsor<br />

– <strong>Valle</strong> – <strong>Valle</strong> Riviera,<br />

Bellinzonese e Gambarogno e Gambarogno<br />

Banca del del Gottardo

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