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THE END / LA FINE - fabrica

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P.s.<br />

A caccia di storie. Fine (per non andare fuori tema).<br />

“La folla si precipita al cinema, a teatro, si butta sulle canzoni, sui<br />

disegni. Che cosa cerca se non ciò che cerca la gallina, che mangia<br />

granelli di calcare per poter formare il guscio delle proprie uova?”<br />

michel Tournier. “il vento paracleto”.<br />

nel 1969 la toei animation realizzò una serie animata che aveva per<br />

protagonista un lottatore mascherato. Dietro la maschera si celava<br />

il giovane naoto Date, un orfano che trovò il proprio riscatto<br />

diventando il più grande lottatore di tutti i tempi. pochi, però,<br />

ricordano quel nome; tutti (o perlomeno tutti i soggetti maschi nati<br />

negli anni ’70) ricordano solo il nome che naoto Date si diede per<br />

combattere sul ring: per noi, e per i suoi avversari, naoto Date era<br />

l’uomo tigre.<br />

in italia la serie andò in onda per la prima volta nel 1982, io avevo<br />

dieci anni e, sebbene avessimo avuto degli eroi in carne e ossa<br />

reduci dai mondiali di spagna, avevo ancora l’endemico bisogno<br />

di un eroe che avesse tutti gli attributi del supereroe. l’uomo tigre<br />

faceva al caso mio, e le circostanze furono favorevoli alla transizione:<br />

capitava infatti che nella vita reale impazzasse sui ring del circuito<br />

di wrestling giapponese un lottatore in carne e ossa, all’anagrafe<br />

satoru sayama, mascherato da uomo tigre, e che, all’inverso, uno<br />

dei più celebri lottatori di quel circuito, antonio inoki, si materializzasse<br />

dentro la serie tv nel ruolo, oltre che di se stesso, di amico e mentore<br />

dell’uomo tigre. Vita reale e finzione si intrecciavano, in sublimi<br />

cortocircuiti, e io mi ritrovavo con kenta e gli altri bambini<br />

dell’orfanotrofio in cui era cresciuto naoto Date a fare il tifo, davanti<br />

alla tV, proprio come loro, per il nostro eroe. nelle sue storie c’erano<br />

abbastanza sangue e violenza perché non mi sentissi troppo piccolo<br />

a guardare ancora cartoni animati, ed erano abbastanza finti – era<br />

pur sempre un cartone! – perché io non ne venissi turbato. l’uomo<br />

tigre, insomma, mi avrebbe, e così del resto fece, traghettato dal<br />

beato limbo dell’infanzia alle contorte e spigolose vie del purgatorio<br />

della preadolescenza. in sintesi: la vita reale.<br />

nel 1974, la notte del 30 ottobre, mohammed alì 13 sfidò il campione<br />

dei pesi massimi di pugilato, george Foreman, a kinshasa, la capitale<br />

dell’allora zaire. Contro tutti i pronostici, alì vinse per k.O. all’ottava<br />

ripresa: una raffica di colpi conclusa da un micidiale destro mandò<br />

al tappeto il gigante – più forte, più giovane – Foreman. lo scrittore<br />

norman mailer ne scrisse un romanzo, the Fight, e come lui il resto<br />

del mondo avrebbe conservato nella propria memoria quell’evento<br />

alla casella “il combattimento del secolo”. per quelli che invece,<br />

come me, avevano solo due anni nel 1974, ci pensò un documentario<br />

uscito nel 1996 a rinfrescarci la memoria. s’intitolava when we were<br />

kings e raccontava tutte le fasi di quell’incontro, dai preparativi agli<br />

allenamenti, al vero e proprio combattimento fino alla sua debita<br />

conclusione: che non era Foreman rantolante al tappeto, o alì con<br />

i guantoni alzati al cielo, ma una pioggia torrenziale che si abbattè<br />

sullo stadio (all’aperto) all’alba, a pochi minuti dalla fine dell’incontro.<br />

Era l’inizio della stagione delle piogge, preannunciato da un cielo<br />

nero senza stelle: affinché l’evento potesse compiersi, anche gli<br />

dèi avevano concesso la loro tregua.<br />

mohammed alì avrebbe trovato spazio in una casella nell’archivio<br />

della mia memoria. non era solo, era in buona compagnia. se<br />

la spassava con l’uomo tigre.<br />

nel 2001 avrei dovuto tenere la mia prima lezione a un corso di<br />

scrittura creativa. la lezione avrebbe avuto un titolo: a caccia<br />

di storie. lo scopo sarebbe stato quello di dare strumenti utili ad<br />

affinare quel particolare fiuto, che tutti i narratori hanno, di scovare<br />

storie nel miasma informe della vita che scorre fuori e dentro di noi.<br />

Quel fiuto – quell’istinto – che permette di dare ordine al caos, dando<br />

forma a una storia che scalpita per essere raccontata. Dopo lunghi<br />

momenti di stallo, le sinapsi del mio cervello fecero i loro debiti<br />

collegamenti (la casella che ospitava alì e l’uomo tigre era un bel<br />

po’ che dava scossoni) e trovai pescando nell’archivio il mio modello<br />

di riferimento: alì vs. Foreman, the fight. (l’uomo tigre non se la<br />

prese, sapeva che sarebbe venuto anche il suo momento.)<br />

le luci si spengono, il buio scende come una mannaia, e dalle<br />

prime file, come l’onda lenta di una marea, il silenzio avanza,<br />

religioso e inesorabile, fino alle sedie in fondo e soffoca le ultime<br />

voci resistenti. È in questa condizione di vuoto, di prossimità alla<br />

fine – come ci accade quando siamo al buio di una sala prima che

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