IL DIVO - Barz and hippo
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Istrionico a teatro, al cinema viene elogiato spesso per l'arte della «sottrazione» Sono due<br />
Servillo diversi?<br />
Questa della sottrazione temo diventi un clichet. Per Andreotti ho fatto il massimo<br />
sforzo per affidarmi al minimo segno. Ma in L'uomo in più o in Lascia perdere,<br />
Johnny!, interpretavo personaggi eccessivi. Aspetto da molto che mi propongano al<br />
cinema una commedia con un ruolo debordante e sopra le righe come quelli che ho<br />
a teatro.<br />
Potrebbe proporselo da sé: è un regista teatrale, anche di lirica. Perché non al cinema?<br />
Sono e sarò sempre e solo un attore. Non un creatore. Il film è creare qualcosa che<br />
prima non esisteva. Io invece, anche a teatro, mi metto al servizio di qualcosa di cui<br />
mi innamoro. È come la musica: ho imparato di più sul concetto di interpretazione<br />
da un gr<strong>and</strong>e esecutore come Pollini che da chiunque altro.<br />
recensioni<br />
Maurizio Porro - Il Corriere della Sera, 6 giugno 2008<br />
Baciato dal successo, come Gomorra, segno che il pubblico si fida del cinema italiano che parla<br />
della nostra storia, il film di Paolo Sorrentino è una ricostruzione del mito in finale di partita di<br />
Andreotti e dei suoi cari. Redatto non in forma di neorealismo né tanto meno di documentario, ma<br />
con la marcia in più di un senso surreale, fantastico e grottesco che spesso fa pensare, con gli<br />
stormi di paparazzi in moto perpetuo e i personaggi che parlano in macchina, al Fellini di una<br />
macabra Dolce vita. Film di memorabile prestanza espressiva, che sprigiona la fascinazione del<br />
Male (è difficile essere cattivi, diceva Brecht), s' esalta nel gruppo gregario (cast magnificamente<br />
trash) e titoli di coda su rosso cardinalizio. Tragedia elisabettiana, con voce off e monologo su<br />
Bene e Male, assai dispiaciuto all' interessato. Su Servillo basti dire che è psicosomaticamente<br />
memorabile. Voto 9,5<br />
Alessio Guzzano - City, 21 luglio 2008<br />
Arrivano i mostri. Quelli con cui si (e ci) delizia il cinema di Paolo Sorrentino. Corpi sgraziati che<br />
ospitano menti febbrili nel subire le conseguenze dell'amore per donne e/o troni. Dopo il viscido<br />
usuraio melenso de "L'amico di famiglia", ecco Belzebù Andreotti: curriculum e phisique du role<br />
perfetti. L'uno guardava compiaciuto i rettili in tv, l'altro si infila tartarughesco – gracile, acuto,<br />
immor(t)ale – in ogni piaga del Potere nostrano, sospettato di tutto perché capace di tutto, devoto a<br />
un dio che ammette l'uso del Male a fin di Bene. La Verità è la gr<strong>and</strong>e invocata invano in questo<br />
splendido viaggio nei brutti misteri della Prima Repubblica: flusso immaginario e verista, biografia<br />
documentata o possibile. Andreotti, pedinato con vena curioso/surreale, dal suo ultimo governo<br />
(1991) all'inizio del processo di Palermo (1996), è il solito, eccelso, Toni Servillo: orecchie troppo<br />
gr<strong>and</strong>i, occhio immobile mentre sibila celebri perle di cinismo. Da Sorrentino, l'ennesimo<br />
capolavoro: stile, denuncia, ispirazione. Sceglie Renato Zero che si libera del cappuccio per<br />
intonare "I migliori anni della nostra vita". Dimentica di ricordare al Divo Giulio qu<strong>and</strong>o bocciò il<br />
neorealismo perchè «I panni sporchi si lavano in famiglia». Non più.<br />
Piera Detassis - Ciak, giugno 2008<br />
Decolla rapidissimo il film, adrenalinico come un'opera rock nerissima, apocalittica versione<br />
all'italiana di The Wall. La prima immagine è la testa di Andreotti trafitta dagli spilli dell'agopuntura<br />
all'alba, l'ora del lupo, mentre la sua voce sussurrata fuori campo recita il De Profundis per tutti<br />
quelli logorati dal potere che non c'è: «È <strong>and</strong>ata sempre così. Mi pronosticavano la fine. Io<br />
sopravvivevo. Sono morti loro. In compenso per tutta la vita ho combattuto contro atroci mal di<br />
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info@barz<strong>and</strong><strong>hippo</strong>.com<br />
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