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scheda tecnica<br />
durata: 148 minuti<br />
nazionalità: Stati Uniti<br />
anno: 2007<br />
regia: SEAN PENN<br />
tratto da nelle terre estreme" di Jon Krakauer (ed. Rizzoli)<br />
sceneggiatura: SEAN PENN<br />
produzione: PARAMOUNT VANTAGE, RIVER ROAD FILMS, ART LINSON<br />
PRODUCTIONS, INTO THE WILD, RIVER ROAD ENTERTAINMENT<br />
fotografia: ERIC GAUTIER<br />
montaggio: JAY LASH CASSIDY<br />
scenografia: DEREK R. HILL<br />
costumi: MARY CLAIRE HANNAN<br />
musiche: MICHAEL BROOK, EDDIE VEDDER, KAKI KING, LA CANZONE<br />
"GUARANTEED" È DI EDDIE VEDDER<br />
effetti: DONALD FRAZEE, MARTY TAYLOR, ENTITY FX<br />
interpreti: EMILE HIRSCH (CHRISTOPHER MCCANDLESS), MARCIA GAY HARDEN (BILLIE<br />
MCCANDLESS), WILLIAM HURT (WALT MCCANDLESS), JENA MALONE (CARINE<br />
MCCANDLESS), CATHERINE KEENER (JAN BURRES), BRIAN DIERKER (RAINEY), VINCE<br />
VAUGHN (WAYNE WESTERBERG), KRISTEN STEWART (TRACY), HAL HOLBROOK (RON<br />
FRANZ), ZACH GALIFIANAKIS (KEVIN), THURE LINDHARDT (THOMAS), ROBIN<br />
MATHEWS (GAIL BORAH), SIGNE EGHOLM OLSEN (FIDANZATA DI THOMAS), HALEY<br />
RAMM (CARINE GIOVANE), BRYCE WALTERS (CHRIS MCCANDLESS A 4 ANNI), KYLE<br />
KWON (TED TURNER), STEVEN WIIG (RANGER STEVE KOEHLER)<br />
Vi è un incanto nei boschi senza sentiero<br />
Vi è un'estasi sulla spiaggia solitaria<br />
Vi è un asilo dove nessun importuno penetra<br />
In riva all'acque del mare profondo<br />
E vi è un'armonia nel frangersi delle onde<br />
Non amo meno gli uomini ma più la natura<br />
(Lord Byron)<br />
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Nelle terre estreme –il libro<br />
La natura era qualcosa di selvaggio e terribile benché bellissimo. Guardavo con<br />
soggezione la terra che calpestavo per vedere cosa avessero <strong>com</strong>piuto le Forze - la<br />
forma, il modo, il mateirale della loro opera. Questa era la Terra di cui sentiamo parlare,<br />
creata dal caos nella notte dei tempi. Qui non c'erano giardini ma il globo incontaminato.<br />
Niente prati né pascoli né coltivazioni né boschi né terre arabili né incolte né desolate. Era<br />
la superficie fresca e naturale del pianeta Terra, <strong>com</strong>'era stata creata per i secoli dei secoli<br />
- <strong>com</strong>e dimora dell'uomo, diciamo noi -, così la Natura l'ha fatta e che l'uomo la usi se può.<br />
(Henry David Thoreau, Ktaadn)<br />
Pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1996, il libro di Jon Krakauer diventò<br />
subito un vero classico della letteratura "di viaggio" e si pose a lungo ai primi posti delle<br />
classifiche di vendita, un vero best seller inaspettato e oggi, a tanti anni di distanza,<br />
trascinato dall'uscita dell'omonimo film, è di nuovo tra i primi dieci libri più venduti negli<br />
Stati Uniti. Il libro racconta la storia di Christopher McCandless che nell'estate del 1990, a<br />
ventidue anni, dopo essersi laureato, soddisfacendo così le aspirazioni dei genitori, dà in<br />
beneficenza tuti i suoi risparmi e parte verso… la natura selvaggia. Assumerà una nuova<br />
identità, sarà da quel momento Alexander Supertramp, il suo viaggiare durerà due anni e<br />
si concluderà tragicamente tra le nevi del’Alaska dopo 113 giorni vissuti sfidando la fame,<br />
il freddo e la natura davvero ostile che lo circondava. Chris/Alexander venne trovato morto<br />
da un cacciatore e vicino al suo corpo si trovò un diario su cui aveva annotato, scrivendo<br />
sempre in terza persona, giorno per giorno, finché ne ebbe la forza, la vita e la lotta per la<br />
sopravvivenza in quei luoghi ostili. Proprio da questo l’autore trasse il materiale per<br />
raccontare le ultime terribili settimane di vita di Chris. Anche se per quasi un anno, dal<br />
maggio 1991al suo arrivo in Alaska , il ragazzo interruppe il diario, in coincidenza con la<br />
rottura della sua macchina fotografica. L'autore è riuscito però a "riempire" anche quel<br />
periodo, perché quasi tutto il libro è denso di colloqui con le persone che avevano<br />
conosciuto e frequentato quel ragazzo nei due anni del suo avventuroso viaggio attraverso<br />
gli States e, grazie ai quali, è stato possibile per l'autore ricostruire in modo dettagliato<br />
tutto il percorso.<br />
Ecco ad esempio il testo di una cartolina che Chris aveva spedito a Westerberg, detenuto<br />
della Glory House, casa di detenzione di Sioux Falls, che aveva diritto ad uscire per<br />
lavorare all'esterno dove aveva conosciuto Chris, diventandone amico:<br />
Come va la vita? Spero meglio dell'ultima volta che ci siamo sentiti. Sto girando per<br />
l'Arizona già da un mese. È veramente un grande Stato! Sono circondato da paesaggi<br />
stupendi e il clima è meraviglioso. Ma lo scopo principale di questa cartolina, oltre ai saluti,<br />
è quello di ringraziarti per l'ospitalità. È raro trovare una persona tanto generosa e buona<br />
<strong>com</strong>e te. A volte però rimpiango di averti incontrato, perché con tutti questi soldi è troppo<br />
facile viaggiare. Com'erano più eccitanti le giornate senza un becco d'un quattrino, quando<br />
dovevo darmi da fare per procurarmi il pasto successivo. In ogni modo, ora <strong>com</strong>e ora non<br />
ce la farei proprio a sopravvivere senza soldi, visto che in questo periodo la terra è<br />
piuttosto avara di frutti...<br />
Krakauer, amante lui stesso di alpinismo e di viaggi avventurosi, di solitudine e di<br />
immersioni nella natura, racconta la storia di Christopher, sapendo rappresentarne la<br />
psicologia, la sete assoluta di libertà e di rottura di tutti i vincoli che il giovane, sfidando<br />
non solo le convenzioni ma gli stessi limiti umani, decide di vivere. Prima della stesura del<br />
libro Krakauer aveva scrito un articolo per l’Outside Magazine in cui presentava la<br />
vicenda affascinante e drammatica di questa sfida assoluta, articolo che ebbe una tale<br />
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isonanza che lo spinse ad approfondire, con l’aiuto dela famiglia di Chris, i suoi due ultimi<br />
anni di vita e il percorso di questo viaggio sempre più estremo. La domanda che si pone, e<br />
che pone al letore, l’autore è principalmente questa: perché tanti giovani americani sono<br />
così atrati dal rischio? Quanto sono influenzati dale dificoltà dele famiglie d’origine? La<br />
ricerca di una vita autentica, di un significato da dare al’esistenza, può condure a scelte<br />
così estreme? E ancora: nel’immaginario americano che posto ha la natura selvaggia?<br />
Ecco in alcune frasi di una lettera inviata nell'aprile del 1992 ad un amico, la filosofia di<br />
Chris su cui molti americani sono stati costretti a riflettere:<br />
... C'è tanta gente infelice che tuttavia non prende l'iniziativa di cambiare la propria<br />
situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo,<br />
tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l'animo<br />
avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo<br />
dello spirito vitale di una persona è la passione per l'avventura. La gioia di vivere deriva<br />
dall'incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell'avere un<br />
orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e<br />
diverso... ... Non dobbiamo che trovare il coraggio di rivoltarci contro lo stile di vita abituale<br />
e buttarci in un'esistenza non convenzionale....<br />
I legami familiari e le convenzioni sociali possono diventare una vera schiavitù da cui<br />
fuggire ad ogni costo? E poi, la solitudine assoluta può dare la felicità? il libro è denso di<br />
citazioni, di poesie e di documenti così da apparire qualcosa di più di una biografia. Inoltre<br />
la vicenda di McCandless, un giovane benestante che aveva davanti a sé una promettente<br />
carriera e che abbandona tutto per raggiungere la purezza assoluta, diventa così emblema<br />
del’impossibilità di dare risposte a domande tanto <strong>com</strong>plesse. Scegliendo sempre la via<br />
più difficile, rinunciando a tutte le <strong>com</strong>odità o agli aiuti che la civiltà moderna offre Chris ha<br />
voluto mantenere integra, incorrotta la sua scelta: una purezza estrema, ma anche un<br />
individualismo esasperato che gli sono costati la vita.<br />
Ecco il testo di una cartolina datata 27 aprile 1992, e indirizzata a Westerberg:<br />
Queste saranno le mie ultime righe, Wayne. Sono arrivato due giorni fa ed è stato molto<br />
difficile trovare passaggi nello Yukon, ma alla fine ce l'ho fatta lo stesso. Per favore,<br />
restituisci tutta la posta che ricevi. Potrebbe passare molto tempo prima che io ritorni al<br />
Sud. Se quest'aventura avrà un esito fatale e non dovessi più ricevere mie notizie sappi<br />
che per me sei un grand'uomo. Ora entro nella natura.<br />
Lo stesso giorno McCandless mandò una cartolina anche a Jan Burres e a Bob:<br />
Ciao ragazzi! Questa è l'ultima <strong>com</strong>unicazione che riceverete da me. Sto per addentrarmi<br />
nella natura selvaggia. Riguardatevi, è stato bello conoscervi.<br />
Questo fu l'ultimo contatto con il mondo esterno che Chris ebbe e che indica la piena<br />
consapevolezza delle difficoltà della sua impresa. Già prima di lui, negli anni Settanta altri<br />
giovani si erano addentrati nelle desolate vastità dell'Alaska senza farvi più ritorno e lo<br />
stesso autore incontrò l'eccentrica figura di Gene Rosellini, rampollo di una famiglia ricca e<br />
famosa, che la gente del luogo chiamava "il sindaco di Hippie Cove", che stava provando<br />
l'esperimento antropologico di vivere svincolato da ogni forma di benessere. Ma dopo dieci<br />
anni giunse a questa conclusione: "Ho imparato che non è possibile per gli esseri umani<br />
così <strong>com</strong>e noi li conosciamo vivere nella natura e della natura". Nel 1991 però Rosellini fu<br />
ritrovato morto, con un coltello piantato nel petto, si suppone da lui stesso. Vengono poi<br />
presentati altri giovani che, tentando l'impossibile spinti da una forte idealità, finirono col<br />
soc<strong>com</strong>bere. Poi Krakauer, per capire e farci capire ancor meglio la psicologia di Chris,<br />
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incontra e si sofferma sulla figura di Walter McCandless, il padre, riportando i ricordi e le<br />
mozioni vivissime che ha del figlio. Ma sono le parole di Corine, la sorella amatissima,<br />
quelle che riescono meglio a ridare vita all'adolescenza e al percorso interiore di Chris.<br />
Scrivere questa biografia, conoscere a fondo il protaognista, addentrarsi nella sua anima e<br />
nelle sue motivazioni cambiò non solo molti lettori, ma lo stesso Krakauer che volle, lui<br />
stesso sperimentare, scalate impervie, percorsi imbattuti, lo sgomento della solitudine. Il<br />
successo del libro denuncia <strong>com</strong>unque il bisogno di sentimenti assoluti che gli uomini dei<br />
nostri tempi nascondono dietro la ricerca di ogni tipo di <strong>com</strong>odità e di omologazione<br />
sociale.<br />
Le prime pagine<br />
NOTA DELL'AUTORE<br />
Nell'aprile del 1992 un ragazzo di buona famiglia della costa orientale degli Stati Uniti<br />
raggiunse l'Alaska in autostop e si addentrò nel territorio selvaggio a nord del monte<br />
McKinley. Quattro mesi più tardi un gruppo di cacciatori d'alci rinvenne il suo corpo ormai<br />
in de<strong>com</strong>posizione. Poco dopo la scoperta del cadavere, il direttore della rivista Outside mi<br />
chiese di scrivere un pezzo sulle misteriose circostanze della morte del giovane. Scoprii<br />
così che si chiamava Christopher Johnson McCandless e che era cresciuto in un ricco<br />
sobborgo di Washington D.C, distinguendosi sia per gli ottimi risultati accademici sia per<br />
quelli sportivi. Nell'estate del 1990, appena conseguita una laurea con lode all'Emery<br />
University, McCandless sparì dalla circolazione. Cambiò nome, diede in beneficenza tutti i<br />
risparmi - circa ventiquattromila dollari -, abbandonò l'auto con quasi tutti i beni personali,<br />
bruciò i contanti nel portafoglio e s'inventò una nuova esistenza ai margini della società,<br />
peregrinando attraverso l'America del Nord in cerca di un'esperienza pura e<br />
trascendentale. La famiglia non sapeva dove il ragazzo si trovasse né cosa gli fosse<br />
capitato, finché un giorno in Alaska non ne fu trovata la salma. In tempi molto stretti,<br />
preparai un articolo di novemila parole che fu pubblicato sul numero di Outside del<br />
gennaio 1993. Ma anche quando nelle edicole il mensile venne via via sostituito dalle<br />
novità, il mio interesse per il caso McCandless non si spense. Ero <strong>com</strong>e tormentato dai<br />
particolari della morte per fame di quel giovane e dai vaghi e inquietanti paralleli tra gli<br />
eventi della sua e della mia vita. Riluttante ad abbandonare la vicenda, trascorsi più di un<br />
anno a ripercorrere con un fervore che rasentava l'ossessione il tortuoso cammino che lo<br />
aveva portato a morire nella taiga d'Alaska, in cerca di ogni minimo dettaglio sulle sue<br />
peregrinazioni. Cercando di capire McCandless, mi trovai inevitabilmente a riflettere su<br />
temi ben più vasti: il fascino che i territori selvaggi suscitano nell'immaginario americano,<br />
l'attrattiva che le attività ad alto rischio esercitano su certi ragazzi, il <strong>com</strong>plicato e delicato<br />
legame che unisce padri e figli. Il risultato di questa intricata ricerca è il libro che vi<br />
accingete a leggere<br />
Non sosterrò di essere un biografo imparziale. La strana storia di McCandless aveva<br />
risvolti che mi erano familiari al punto da rendere impossibile un approccio distaccato alla<br />
tragedia. In buona parte del libro ho cercato - e credo quasi sempre di esserci riuscito - di<br />
ridurre al minimo la presenza dell'autore, ma devo avvertire che la storia di McCandless<br />
viene frammezzata da episodi della mia giovinezza, che inserisco nella speranza di<br />
contribuire a fare luce sul mistero di questa s<strong>com</strong>parsa. Chris era un ragazzo molto<br />
profondo, il cui forte idealismo era difficilmente <strong>com</strong>patibile con la vita moderna.<br />
Affascinato dall'opera di Tolstoj, McCandless ammirava soprattutto il modo in cui il grande<br />
romanziere aveva saputo abbandonare una vita di benessere e privilegi per frequentare gli<br />
indigenti. All'università il ragazzo <strong>com</strong>inciò a emulare l'ascetismo e il rigore morale del suo<br />
eroe letterario a un punto tale che sulle prime stupì e in seguito preoccupò chi gli stava<br />
accanto. Quando si avventurò nelle foreste d'Alaska, McCandless non si illudeva di<br />
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arrivare nel bengodi: al contrario, pericoli, avversità e rinunce tolstoiane erano proprio<br />
quello che cercava. Li trovò, e ne trovò anche troppi. Ma per gran parte delle sedici<br />
settimane di ardua prova, il ragazzo se la cavò piuttosto bene e se non fosse stato per una<br />
o due negligenze apparentemente insignificanti, nell'agosto del 1992 egli sarebbe uscito<br />
dai boschi senza clamore, così <strong>com</strong>e vi era entrato nell'aprile dello stesso anno. Invece, le<br />
ingenuità <strong>com</strong>messe lo condannarono, il suo nome finì sulle prime pagine dei tabloid e i<br />
familiari sconcertati dovettero rimettere insieme i cocci di un amore intenso e doloroso. Un<br />
numero sorprendente di persone è rimasto colpito dalla vicenda di vita e morte di Chris<br />
McCandless. Non a caso, nelle settimane e nei mesi successivi alla pubblicazione<br />
dell'articolo su Outside, la redazione fu sommersa da tante lettere quante non se ne erano<br />
mai viste nella storia della rivista. Com'è prevedibile, la corrispondenza rifletteva punti di<br />
vista diametralmente opposti: alcuni lettori ammiravano molto il ragazzo per il coraggio e i<br />
nobili ideali, altri lo definivano un idiota imprudente, un folle, un narcisista morto per<br />
arroganza e stupidità, e consideravano immeritata l'attenzione riservatagli dai mass media.<br />
Sarà presto chiaro quello che io penso in proposito, ma vorrei che fosse il lettore a<br />
formarsi una sua opinione su Chris McCandless.<br />
JON KRAKAUER<br />
Seattle, aprile 1995<br />
© 2008, Casa editrice Corbaccio<br />
Vivere è saper rischiare: intervista a Jon Krakauer<br />
la parola ai protagonisti<br />
Come hai iniziato a scrivere, qual è stata la tua formazione?<br />
Non ho mai studiato scrittura ma sono sempre stato un lettore e ho sempre avuto il<br />
desiderio segreto di diventare scrittore. Per la mia attività di alpinista sono stato in<br />
Alaska per la prima volta nel 1974 a Arrigetch Peaks nel Brooks Range e ho fatto<br />
tre salite/scalate di cime mai scalate. L’American Alpine Club ha una rivista, The<br />
American Alpine Journal, che pubblicano ogni anno e che è una raccolta delle<br />
scalate più importanti in tutto il mondo e mi hanno invitato a scrivere un articolo per<br />
loro a proposito di queste scalate. Quello fu il primo articolo che scrissi. Tre anni<br />
dopo fui pagato per la prima volta per raccontare quando scalai il Devil’s Thumb e<br />
scrissi di questo per la rivista inglese Mountain (ora chiusa). Poi un amico e<br />
<strong>com</strong>pagno di scalate, il mio “mentore dela scritura” David Roberts, lasciò il suo<br />
lavoro di insegnante al’Hampshire Colege, dove sono andato anch’io, per fare il<br />
redatore a Horizon. Dopo un anno lasciò la rivista per l’atività freelance e mi disse<br />
<strong>com</strong>e funziona la faccenda delle lettere di proposta convincendomi a seguire il suo<br />
esempio. Ho fato a tempo perso il giornalista freelance per un paio d’anni e nel<br />
1983 ho lasciato il mio lavoro di falegname e da qual momento ho sempre scritto.<br />
Come è stato il passaggio alla carta stampata?<br />
Sapevo che non avrei potuto vivere semplicemente scrivendo di atività al’aria<br />
aperta così ho fatto uno sforzo per scrivere anche di altri temi. Sono stato<br />
falegname e ho scritto di architettura per Architectural Digest. Sono stato pescatore<br />
così ho contatato Smithsonian a proposito di un’atività di pesca in Alaska e mi ci<br />
hanno mandato. Ho contattato Rolling Stone per le camminate sui carboni ardenti,<br />
le passeggiate nel fuoco e hanno deciso di farmi scrivere rischiando. Ho provato a<br />
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scrivere per i giornali locali di Seattle e ho capito che essere pubblicati da un<br />
giornale locale è difficile quanto essere pubblicati da un giornale nazionale e i<br />
giornali locali pagano un decimo dei nazionali, così ho detto: vaffanculo la roba<br />
locale. Stavo raggiungendo la quota di dieci lettere di proposta a settimana, e<br />
lavoravo davvero sodo, ma sono stato fortunato. Sic<strong>com</strong>e volevo pagare l’afito,<br />
non avevo grandi ambizioni di diventare un artista. Volevo pagare quei maledetti<br />
conti, così lavoravo davvero sodo. Capii che quello che scrivevo per Rolling Stone<br />
doveva essere ben diverso da quello per Smithsonian, e davo loro quello che<br />
volevano, volevo vendere l’articolo. Fu utile, <strong>com</strong>e scritore, provare voci diverse e<br />
fu anche intelligente, furbo, dal punto di vista economico.<br />
Quali altri argomenti dei quali ha scrito l’hanno interessato?<br />
Il problema è che nessuno mi ha interessato <strong>com</strong>e i pezzi sule atività al’aria<br />
aperta. Gli articoli che ho scritto per Outside magazine sono i migliori e sono tutti<br />
sulla natura. Ecco perché la maggior parte dei testi di Eiger Dreams erano stati<br />
pubblicati originariamente su Outside o Smithsonian. È difficile pensare a pezzi che<br />
davvero mi piacciono e che non sono su atività al’aria aperta.<br />
Com’è stato il passaggio dai brevi articoli per le riviste al taglio narrativo di un libro?<br />
È stato davvero soddisfacente. Mi piace molto fare delle ricerche e, se calcolo tutti<br />
gli articoli, ho fatto abbastanza ricerche per scrivere un libro. In quasi ogni articolo<br />
che ho scritto, mi sembrava di non aver reso giustizia alla storia, <strong>com</strong>e se fosse<br />
solo un <strong>com</strong>mento. Così scrivere un libro e trascorrere un anno o due e raccontare<br />
nel modo giusto la storia è davvero soddisfacente e dopo averlo fatto è difficile<br />
tornare indietro e scrivere articoli per le riviste.<br />
A cosa sta lavorando ora?<br />
Sono sei settimane in ritardo su un articolo per National Geographic a proposito di<br />
un viaggio nel cuore del’Antartide, in un posto chiamato Queen Maud Land, dove<br />
ho fatto delle scalate con Alex Lowe, probabilmente il miglior alpinista del mondo.<br />
Molti lettori di Aria sottile sarebbero sorpresi di sapere che ha fatto altre scalate dopo<br />
essere tornato dala drammatica spedizione sul’Everest.<br />
Beh, sono tornato dal’Everest con dei seri dubbi sul’intera faccenda dele scalate,<br />
ma sono molto importanti per me. Smetterò di scrivere prima di smettere con<br />
l’alpinismo. Ho avuto un invito a fare dele scalate con il migliore e andare in un<br />
posto fantastico con queste bellissime, enormi pareti di granito che sporgono dal<br />
ghiaccio che nessuno ha mai scalato prima. È un’opportunità che capita una volta<br />
nela vita, e io l’ho colta. Ho preso l’impegno con un po’ d’ansia e quando sono<br />
partito avevo ancora più ansia ma alla fine è stato uno dei miglior viaggi che abbia<br />
mai fatto. È stato tranquillo, la scalata era il tipo di scalata che so fare –granito<br />
ripido, verticale, sporgente. Non c’era nula sopra gli 11000 piedi.<br />
Qual è stata la reazione dei suoi familiari e amici alla notizia che avrebbe fatto altre<br />
scalate dopo l’Everest?<br />
Capirono. Ma per mia moglie, e non me l’ha deto finché non sono tornato, era più<br />
dificile accetare questa scalata rispeto a quela del’Everest. Sul’Everest potevo<br />
chiamarla con il telefono satelitare, nel’Antartide non ci sono <strong>com</strong>unicazioni per sei<br />
setimane. E sembrava un’escalation: prima l’Everest, poi l’Antartico.<br />
Come spiegherebbe a una persona qualunque cosa è così afascinante del’alpinismo da<br />
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valere il rischio?<br />
Mi affascina perché mi importa. A differenza del resto della vita, quello che fai ti<br />
interessa davvero e non puoi permetterti di incasinarti. Le tue azioni hanno delle<br />
conseguenze reali. Devi essere sempre molto attento e concentrato e questo dà<br />
soddisfazione. Senza rischio questo non succederebbe, quindi il rischio è parte<br />
essenziale del’alpinismo ed è dificile per alcune persone capirlo. Non ci sono<br />
giustificazioni quando le cose vanno male e le persone muoiono. Più grande è il<br />
rischio, più grande è il prezzo: capita anche nela vita, ma nel’alpinismo questo è<br />
certamente vero. È <strong>com</strong>e una partita a scacchi che coinvolge tutto il corpo e porta in<br />
posti bellissimi.<br />
Quali sono le altre atività che ama, oltre al’alpinismo e ala scritura?<br />
Mi piace stare al’aria aperta, sui monti o nel deserto, e piace anche a mia moglie.<br />
Questa è una delle cose che cementa il nostro rapporto. Faccio snowboard, leggo e<br />
scrivo. Non sono socievole. Non ho molti amici, perché sto molto via, e quando<br />
sono a casa voglio stare con mia moglie e sono felice quando sto da solo per un<br />
lungo periodo.<br />
Quali sono gli scrittori che ammira di più?<br />
Ce ne sono molti. Mi è sempre piaciuto Updike. Il mio romanzo preferito di Updike,<br />
non uno dei più conosciuti, è A Month of Sundays. Mi sono sempre piaciuti Joan<br />
Didion, E. Annie Proulx, Charles Bowden, David Roberts, Lorrie Moore.<br />
Probabilmente leggo più la narrativa che la saggistica, non so perché. Leggo ad<br />
esempio un bel romanzo magico e soprannaturale <strong>com</strong>e The Lives of the Monster<br />
Dogs e funziona: sembra ridicolo ma è per me fantastico.<br />
Non ha portato nessun romanzo con lei sul’Everest?<br />
Ho portato Infinite Jest perché mi piace molto David Forster Fallace ma è stato<br />
impossibile leggere al campo base. Il mio cervello non ci riusciva. I corrieri<br />
portavano vecchie copie del Time o del Newsweek al campo base, ma non avevo<br />
voglia di leggere le notizie; ero concentrato esclusivamente sulla scalata.<br />
Come ha fatto a prendere appunti dettagliati e ricordare così tante cose durante quella<br />
esperienza straziante?<br />
La mia memoria è inattendibile, ma <strong>com</strong>e giornalista sono disciplinato e penso che<br />
ci voglia molto lavoro per far bene le cose: così mi sono dato delle regole. Ho<br />
riempito nove taccuini. Avevo un taccuino grande su cui scrivevo ogni giorno e ogni<br />
notte, registrando quello che osservavo. Ne avevo uno piccolo da reporter che<br />
portavo con me durante la scalata, e ogni volta che mi fermavo per riposare o per<br />
bere un bicchiere d’acqua, lo tiravo fuori dala mia tasca e scrivevo. Avevo una di<br />
quelle penne che scrivono anche sotto lo zero e ha funzionato. Prendevo appunti<br />
<strong>com</strong>e i fotografi scattano fotografie. Registri tutto perché non sai mai cosa apparirà<br />
inattendibile quando tornerai giù. E non mi preoccupo di <strong>com</strong>e sta andando la storia<br />
e di <strong>com</strong>e suonerà, cerco solo di registrare, perché se hai dei pregiudizi e se stai<br />
cercando una certa cosa, finirai per perdere le cose importanti. L’unica volta che<br />
non ho preso appunti è stato il giorno che siamo arrivati in cima alla montagna. Ho<br />
provato a 27.600 piedi quando ho raggiunto “The Balcony” ale 5:30 del mattino ma<br />
gli appunti erano illeggibili e non avevano senso perché il mio cervello non<br />
funzionava. Non ho iniziato a prendere appunti fino ale sei del matino del’11<br />
maggio quando Stuart Hutchinson mi ha svegliato. Quindi c’è un periodo, il più<br />
importante, in cui non ho preso appunti. L’ho ricostruito da moltissime interviste a<br />
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tutte le persone che erano lassù e, <strong>com</strong>e sai, ho detto cose sbagliate. Non puoi<br />
fidarti della tua memoria, è una questione di rimandi e di avvalorare. E anche<br />
adesso i lettori più attenti si accorgeranno che la linea temporale non è molto<br />
precisa. Tuti queli che erano lassù sono d’accordo nel sostenere che il tempo è la<br />
cosa più ambigua, sfuggente.<br />
Scrivere è stato catartico?<br />
Credo che lo sarà, eventualmente. Non lo è stato a quel tempo, è stato duro e molto<br />
doloroso. Non è il modo in cui scrivo di solito. Scrivo per molte ore ma sono<br />
lentissimo e soffro del blocco dello scrittore. Qualche volta lavoro su una singola<br />
frase per due o tre giorni. Non ho avuto questo lusso stavolta, ho dovuto darci<br />
dentro. Avevo 80 o 90 giorni di scritura e c’erano circa 88.000 parole nel libro.<br />
Sapevo di dover scrivere circa 1000 parole al giorno e ero un caso disperato, alla<br />
fine.<br />
Cosa ne pensa del modo in cui i media hanno trattato questa storia?<br />
I media sono riduzionisti per natura. Soprattutto la televisione, ma anche le riviste,<br />
<strong>com</strong>presa la mia, l’hanno leta <strong>com</strong>e “ecco gli uomini buoni, ecco gli uomini cativi”.<br />
E la tv ha cercato di dire “ecco la tragedia che non doveva accadere” e “Chi è da<br />
biasimare?”. È molto più <strong>com</strong>plicato. Rob Hal, per esempio, è morto, e una dele<br />
sue guide e due clienti sono morti. Ma non biasimo Rob, e cerco di capire i suoi<br />
sbagli, e molti di loro nascono da motivi altruistici, ma la fine fu tragica.<br />
Cosa spera che le persone si portino dietro dopo la lettura del libro?<br />
Volevo più di ogni altra cosa mostrare la <strong>com</strong>plessità e l’ambiguità di questa<br />
tragedia. Non è semplice, e non è semplice biasimare, e non nasce dal’avidità o<br />
dalla stupidità della ricerca del brivido o dalla caccia al trofeo, ma è molto più<br />
profondo. I motivi per le persone che scalano l’Everest sono, in un certo senso,<br />
nobili, e alo stesso tempo fuorvianti. È il desiderio di andare oltre se stessi. C’è<br />
anche molta arroganza e egoismo. Volevo che il libro fosse un solidale e fiero<br />
ritratto dei caratteri coivolti. Volevo raccontare la storia nella sua <strong>com</strong>plessità. Che è<br />
quello che cerco di fare quando scrivo, ecco perché sono sempre frustrato dagli<br />
articoli dele riviste. C’è sempre una zona d’ombra nella vita, e in gran parte del<br />
giornalismo sei costretto e condensarlo nel bianco e nel nero e il grigio si dissolve.<br />
In un libro hai il lusso di sviluppare i personaggi e mostrare che le persone sono sia<br />
buone che cattive, e fanno buone cose e si incasinano.<br />
Cosa ha pensato quando hai saputo dele morti sul’Everest quest’anno?<br />
È stato un colpo allo stomaco, non potevo credere che fosse successo ancora. Ha<br />
fatto riaffiorare molti ricordi.<br />
Sono persone che non hanno imparato la lezione dal’anno scorso?<br />
Sì, assolutamente. L’Everest è per persone molto determinate e proprio perché è<br />
l’Everest le persone corono rischi che non corerebbero su altre montagne. Ecco<br />
perché questa tragedia si ripeterà ancora e ancora. È chiamata “the death zone”<br />
per una buona ragione, è <strong>com</strong>e giocare alla roulette russa.<br />
Cosa avrebbe fato Chris McCadless se fosse stato con lei nela spedizione sul’Everest?<br />
Sarebbe corso via dal’Everest. Era avventuroso ma pensava che la ricchezza<br />
corrompesse. E delle persone che spendono 65.000 dolari per scalare l’Everest,<br />
avrebbe pensato che si <strong>com</strong>portanto in modo osceno. Chris era un uomo che non<br />
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apprezzava le zone d’ombra e le ambiguità e si sarebbe formato subito dele<br />
opinioni precise su di noi, e ci avrebbe puniti tutti. Posso solo immaginare cosa<br />
avrebbe detto... (ride).<br />
Lei sembra avere ancora un forte legame con Chris. Che cos’è di questa storia che la<br />
ossessiona parecchi anni dopo?<br />
Mi identifico molto con lui, è una storia triste. Sono tornato al’autobus per la terza<br />
volta lo scorso settembre. Sono diventato un buon amico della sua famiglia,<br />
abbiamo questo strano vincolo. I suoi genitori sono venuti alla presentazione che ho<br />
fatto a Baltimora pochi giorni fa, e era la prima volta che vedevano molte di queste<br />
slide e deve essere stato difficile per loro. Molte persone sono andate da loro per<br />
dirgli quanto ammiravano Chris, è stato molto toccante. È molto strano per me che<br />
non ho mai conosciuto Chris; ho scritto questo libro su di lui e i suoi genitori mi<br />
hanno ringraziato per aver spiegato alcuni aspetti di lui che non avevano mai<br />
conosciuto, ma io non l’ho mai incontrato. Ai reading ad Atlanta e Nashvile, la<br />
gente venne a dirmi essere andati al college con Chris a Emory e di averlo<br />
conosciuto. E è stato molto strano.<br />
L'intervista è stata concessa da Jon Krakauer a Larry Weissman per la rivista letteraria Bold Type.<br />
Traduzione di Claudia Spadoni –tratta da www.wuz.it<br />
intervista a Sean Penn<br />
Un po’ di solitudine è necessaria, ma ala fine stare da soli è niente, perché <strong>com</strong>e<br />
ha detto Tolstoj: non è vera felicità se non si può dividerla con qualcuno<br />
Ci racconti il suo primo impatto con questa storia<br />
Ho visto, dieci anni fa, il libro di Krakauer in una libreria e l’immagine di<br />
quel’autobus nela neve mi ha afascinato. Ho <strong>com</strong>prato il libro, ho passato la notte<br />
a leggerlo e a rileggerlo. Sono andato a dormire e la mattina, quando mi sono<br />
alzato mi sono messo subito al lavoro per acquisirne i diritti. Mi sembrava una storia<br />
indimenticabile e profondamente cinematografica, sia per i personaggi che per le<br />
ambientazioni. Ha toccato in me le stesse corde che credo abbia toccato in tutti<br />
coloro che hanno il libro.<br />
Tra quela prima letura e la scritura del film sono passati però dieci anni…<br />
Quando mi sono messo a scrivere la prima stesura del film, dieci anni dopo<br />
appunto, non ho dovuto nemmeno riprendere in mano il libro. Prima della seconda<br />
stesura però ho voluto ripercorrere di persona le tappe del viaggio di Chris e<br />
incontrare di persona le persone che lui aveva conosciuto lungo il suo viaggio.<br />
Ci sintetizzi in poche parole il messaggio del film e della storia di Christopher McCandless.<br />
La sua è stata una fuga, ma anche una ricerca della libertà assoluta. Fuga dal<br />
benessere, dalla banalità, da tutto il troppo che portiamo con noi e con cui ci siamo<br />
abituati a vivere, fuga dalla stupidità che ci circonda. La nostra società ha creato<br />
una vera dipendenza dal confort. Fuga, ma anche inseguimento: del’autenticità,<br />
dela purezza, del’essenzialità. Inseguimento del posto giusto, di un luogo in<br />
sintonia con lui. Sono convinto che dentro ogni uomo ci sia un Alaska e negli anni<br />
Setanta era ancora possibile raggiungerlo…<br />
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Chi era, per lei, Chris?<br />
Una persona vera, e così ho voluto presentarla. Non ho voluto farne un martire o un<br />
eroe. Ho voluto che si vedesse l’integrità dela sua umanità. Che ognuno lo<br />
scoprisse nel bene che c’era in lui e nei suoi difeti.<br />
Il film a chi si rivolge principalmente?<br />
Ai giovani che oggi sono troppo spesso schiavi del benessere e delle cose<br />
materiali. Anche senza affrontare situazioni estreme e rischiose si può cercare di<br />
sentire il proprio cuore battere più in fretta. È importante che ci si provi almeno<br />
quando davanti si ha tutta la vita.<br />
Sembra molto critico con il mondo attuale.<br />
Sono tante le cose che mi fanno arrabbiare e che sono una specie di <strong>com</strong>bustibile<br />
che mi infiamma quando la stupidità raggiunge degli eccessi… Ma spero che la mia<br />
creatività non nasca solo da lì.<br />
Possiamo dire quindi che Into the Wild sia un film politico?<br />
Come è politica ogni storia che parla del nostro tempo e che pone delle domande<br />
sulla nostra società. Sono convinto che ci sia bisogno che gli uomini si liberino da<br />
tutto ciò che li circonda, e questo deve avvenire in solitudine, ma è indispensabile<br />
che poi riportino la loro esperienza al’interno dela società. Si deve essere soli in un<br />
primo processo di presa di coscienza, ma è poi indispensabile, per essere felici, che<br />
si condividano le conquiste.<br />
Il rapporto con la natura è un tema fondamentale in questo film.<br />
La natura è un elemento dominante è la guida di Chris e di tutto il film. È stata la<br />
nostra priorità.<br />
Come ha scelto gli attori che impersonassero le persone incontrate da Chris durante il suo<br />
viaggio?<br />
Gente così non la si incontra nela Screen Actor’s Guild. Mi piace viaggiare e<br />
trovare per la strada gente meravigliosa, gente che ha qualcosa dentro. E così si è<br />
creato sul set un'atmosfera particolare e la troupe nel corso delle riprese è diventata<br />
una specie di banda di quartiere dove le persone si guardavano le spalle a vicenda.<br />
E il protagonista?<br />
Vorrei sottolineare che il film non ci sarebbe senza di lui. Avevo visto Emile in un<br />
film e c'erano tante cose di lui, a partire dalla sua fisicità, che mi dicevano che<br />
poteva essere perfetto per il ruolo. Abbiamo passato trenta giorni insieme per la<br />
preparazione perché dovevo essere sicuro che avrebbe potuto sostenere la parte e<br />
passare otto mesi nella natura selvaggia. È stata la s<strong>com</strong>messa più importante che<br />
io abbia fatto.<br />
Il montaggio, così <strong>com</strong>plesso, deve aver richiesto tempi molto lunghi.<br />
Sì, certamente. È, <strong>com</strong>e diciamo noi, la “terza stesura del film”. Io e il montatore<br />
abbiamo fatto finta di essere due sceneggiatori e siamo restati sempre chiusi per<br />
mesi in una stanza, giorno dopo giorno, a volte stando svegli anche la notte,<br />
facendoci portare il mangiare nella stanza per non allontanarci nemmeno un<br />
momento, scambiandoci idee, pareri e consigli e così alla fine è venuto fuori un film<br />
esattamente <strong>com</strong>e lo avevo in testa dieci anni prima.<br />
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Ci racconti <strong>com</strong>e nasce la colonna sonora del film.<br />
A mano a mano che procedevamo con le riprese ho iniziato a sentire la voce di<br />
Eddie Vedder [paroliere e cantante dei Pearl Jam] <strong>com</strong>e l’anima di Chris<br />
McCandless. E mentre montavamo il film mi sono trovato ad attingere alla musica di<br />
Michael Brook. Poi il montatore del suono ci ha consigliato Kaki King. Ho chiesto<br />
poi a Eddie Vedder di leggere il libro e subito dopo si è messo a <strong>com</strong>porre sia<br />
canzoni che pezzi strumentali. Poi sono bastate poche sedute di registrazione a<br />
Seattle e la colonna sonora era fatta<br />
Credo che in ogni caso non siano mancate le difficoltà.<br />
È stato un film molto duro da fare, ma anche quando tutto andava storto, quando<br />
nessuno mi sopportava più, non c’è mai stato un solo momento in cui qualcuno<br />
abbia smesso di amare questo film. Tutti erano sempre pronti a rischiare la vita per<br />
aiutarsi l’un l’altro.<br />
Ha avuto modo di intrecciare un lungo rapporto con la famiglia di Chris.<br />
Con i genitori e la sorella di Chris è nato un rapporto di fiducia reciproco. Abbiamo<br />
passato insieme dieci anni prima che mi sentissi pronto per fare questo film. Mi<br />
hanno aperto la porta della loro casa e mi hanno permesso di portare sullo schermo<br />
la vita di loro figlio.<br />
Lei ha vissuto nela sua esistenza qualcosa di simile al’esperienza che ha raccontatoin<br />
questo film?<br />
Per quello che mi riguarda, la mia esperienza personale che si avvicina di più a<br />
quella di McCandless è stato crescere nei pressi dell'oceano e fare il surfista. Anche<br />
tra le onde si cerca una sorta di solitudine e di libertà interiore. Anche se<br />
inizialmente il protagonista fugge da qualcosa - dalla sua famiglia, dagli obblighi, da<br />
una situazione di <strong>com</strong>fort - il fulcro del film sta nella sua ricerca e nella celebrazione<br />
della libertà. Ed è un percorso interiore che tutti dovrebbero intraprendere, magari<br />
non in una maniera così estrema.<br />
recensioni<br />
Maurizio Porro - Il Corriere della Sera, 2 gennaio 2008<br />
Si tratta di suicidi stilizzati, metaforizzati: il giovane di Into the wild, film ragionatamente selvaggio<br />
di Sean Penn, muore <strong>com</strong>e Heath Ledger nel suo loft a New York: non vuole più saperne del<br />
mondo. Prendendola larga, il neo laureato Christopher McCandless nel 1990 fa ciao alla società<br />
civile, brucia i dollari, si tiene i libri guida (Tolstoi, Thoreau, London) e s'inerpica in stile Herzog<br />
nelle solitudini del mondo, arrivando al finale di partita nella gelo d'Alaska. In flirt con la Natura, si è<br />
rifiutato a una ragazzina, ha fatto un po' di amicizia con una coppia di hippie fuori tempo, ha<br />
ascoltato la senile saggezza d'un uomo che vuole adottarlo e salvarlo. Ma Penn sa che il rifiuto è<br />
esistenziale ma anche politico, meglio into the wild che into the Iraq war. Film freddo e di bellezza<br />
visiva estenuante, con un magnifico Emile Hirsch; e per approfondire la storia di Supertramp<br />
leggere il libro di Krakauer edito dal Corbaccio.<br />
Roberto Nepoti - la Repubblica, 25 gennaio 2008<br />
Ci sono storie dove i personaggi restano uguali a se stessi dall'inizio alla fine; altre, nel corso delle<br />
quali evolvono e, insieme, evolve l'opinione che ci facciamo di loro. Ricade nel secondo caso Into<br />
the wild, il "film di formazione" diretto da Sean Penn che ci sorprese e ci emozionò alla Festa del<br />
Cinema di Roma. A partire da una vicenda autentica, trascritta nelle pagine del libro "Nelle terre<br />
estreme" di Jon Krakauer, Penn si confronta direttamente col mito originario americano: l'incontro<br />
tra l'uomo e la natura selvaggia. Crea, a sua volta, un mito contemporaneo nel protagonista,<br />
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giovane uomo dalla personalità al confine tra eroismo e fragilità, nevrosi e ricerca della purezza; un<br />
"picaro" dell'anima nipote elettivo dei cavalieri erranti della Beat Generation. Fa di più: osa<br />
realizzare un film sul valore della solitudine in un tempo che avverte la solitudine <strong>com</strong>e il massimo<br />
pericolo, tanto da esorcizzarla di continuo con i telefonini, o con la "rete". All'inizio degli anni 90, il<br />
neolaureato Christopher McCandless dà quel che ha in beneficenza e parte per un lungo viaggio,<br />
autentica performance dell'anima per la quale assume un nome d'arte: Alexander Supertramp, il<br />
Supervagabondo. Oltreché dalle pulsioni di libertà e anarchismo, è spinto a partire dal rifiuto della<br />
famiglia d'origine: cellula di giudizio e controllo sociale, di odio latente, di perfetta infelicità; tanto<br />
più spaventosa perché accettata <strong>com</strong>e norma e condizione naturale. Tra Nuovo Messico, Arizona,<br />
Sud Dakota, su su fino alle nevose solitudini dell'Alaska, l'itinerario marca una serie d'incontri con<br />
l'altro, occasioni di conoscenza e <strong>com</strong>prensione anche reciproca. Alex s'ac<strong>com</strong>pagna a una coppia<br />
di hippies, la cui vita non è tutta rose e fiori; lavora in un'azienda agricola, diventando amico di un<br />
tale ricercato dalla polizia; flirta con una giovanissima cantante folk; incontra un vecchio eremita,<br />
che vuole adottarlo. Già di per sé, intraprendere una tale pista equivale a confrontarsi con la<br />
mitologia fondativa della cultura americana, dai pionieri che affrontarono per primi le terre incognite<br />
a Thoreau, da London a Kerouac. Tappa dopo tappa, però, il viaggiatore s'immerge sempre più<br />
nella solitudine, fino a sfidare le stesse possibilità di sopravvivenza: la wilderness è libertà e verità,<br />
ma rappresenta anche il rischio e la minaccia ultima. In una scena ai limiti del sublime Alex, ormai<br />
stremato dalle privazioni, si trova di fronte un gigantesco orso bruno: forse affamato quanto lui,<br />
eppure non minaccioso. Qui Penn dà forma definitiva al mito dell'incontro tra due creature libere<br />
nel Paradiso Perduto, nostalgia lacerante di un'intera cultura tuttora in lutto per la perdita<br />
dell'innocenza e che, promotrice della "civiltà", ad essa annette un irredimibile senso di peccato.<br />
Sereno e dolente, stoico e consapevole insieme, refrattario al "nostalgismo" <strong>com</strong>e al manierismo,<br />
lo sguardo della macchina da presa annette di diritto Penn - accanto a Clint Eastwood, Paul<br />
Haggis e pochi altri - alla pattuglia transgenerazionale di cineasti capaci di raccogliere la grande<br />
eredità del cinema classico americano. Appropriate le canzoni di Eddie Vedder dei Pearl Jam.<br />
Alberto Crespi - L'Unità, 25 gennaio 2008<br />
Quarto film da regista di Sean Penn, Into the Wild è stato uno degli eventi dell'ultima Festa di<br />
Roma, dove in diversi hanno gridato al capolavoro. Sarà bene dire subito che non lo è, ma sarà<br />
anche giusto ammettere che è uno di quei film che possono far innamorare. Perché è tenerissimo<br />
il protagonista - il giovane Christopher, che molla il benessere e la famiglia borghese per sfidare le<br />
«terre selvagge» -, perché sono abbaglianti i paesaggi naturali nei quali si svolge la storia, e<br />
perché tutti i riferimenti culturali che Penn dissemina nel film sono quelli giusti, quelli dell'America<br />
«che ci piace». Partiamo proprio dal Wild- è un aggettivo («selvaggio», appunto) che nella cultura<br />
americana sa farsi sostantivo, e che sostantivo! Si chiama Call of the Wild, in originale, Il richiamo<br />
della foresta di Jack London, uno dei libri che Chris legge durante la sua avventura, nonché uno<br />
dei testi formativi dell'identità americana più profonda. Ma strada facendo si parla anche di<br />
Thoreau e del suo Walden o la vita nei boschi, di Tolstoj e del suo ritiro fra i contadini a Jasnaja<br />
Poljana, della cultura hippy che ancora sopravvive negli angoli più sperduti della California; e si<br />
allude, magari indirettamente, a On the Road di Kerouac, a tanto cinema (da Ford a Terrence<br />
Malick), mentre in colonna sonora Eddie Vedder, il cantante dei Pearl Jam, ammicca alla grande<br />
tradizione del folk e della psichedelia anni '60. Insomma, Into the Wild sembra veramente il<br />
pantheon di Sean Penn; ed è un vero peccato che il film sia riuscito, a esser generosi, al 60%. A<br />
causa di un eccesso di poesia «programmatica», molto cercata e poco trovata, e di un finale<br />
troppo ambizioso in cui la ribellione di Chris si ripiega su se stessa. Anche la struttura stessa del<br />
film - che Penn ha scritto da solo, ispirandosi al libro di Jon Krakauer Nelle terre selvagge - è assai<br />
ambiziosa, e non poco lambiccata. Suddiviso in capitoli («Nascita», «Adolescenza», «Famiglia»,<br />
«Conquista della saggezza» ... ), il film si apre con Chris che arriva in Alaska, taglia i ponti con la<br />
civiltà e si accinge a passare un'estate in totale solitudine. Con lunghi flash-back, e con una doppia<br />
narrazione (le lettere che Chris scrive a un amico, la voce fuori campo di sua sorella), scopriamo<br />
che Chris ha abbandonato la famiglia subito dopo essersi diplomato al college, e che per due anni<br />
ha girato l'America in autostop, facendo l'agricoltore nel South Dakota e l'hippy in California,<br />
discendendo il Colorado in kayak e cuocendo hamburger in un fast-food, sempre con il sogno di<br />
seguire le orme di Jack London. Nel frattempo, l'estate di Chris fra i monti dell'Alaska passa di<br />
disastro in disastro... Penn è stato il protagonista della Sottile linea rossa e Into the Wild potrebbe<br />
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avere, <strong>com</strong>e sottotitolo, «vorrei essere Terrence Malick». La regia va a caccia di dettagli, si dilunga<br />
in digressioni e squarci naturalistici che qua e là sfiorano il sublime, ma più spesso rimangono<br />
bellissime fotografie con poca anima. Il risultato è un film di 148 minuti, visivamente bellissimo ma<br />
narrativamente zoppicante. La prova del protagonista, Emile Hirsch, è eroica: ma è più sport<br />
estremo che cinema.<br />
Roberto Escobar - Il Sole 24 Ore, 3 febbraio 2008<br />
È un uomo in rivolta, il protagonista di Into the Wild (Usa, 2007, 140'). Dice no al mondo, e alla sua<br />
miseria. Certo, lo fa anche perché ha poco più di vent'anni. Invece Sean Penn ne ha 47. Ma non<br />
sembra che la sua rivolta sia meno limpida. È una storia vera quella che Penn ha tratto da un libro<br />
di Jon Krakauer. All'inizio degli anni 90, Christopher McCandless (Emile Hirsch) sceglie di<br />
abbandonare i soldi e la prepotenza del padre (William Hurt). Rinuncia alla prospettiva di una<br />
laurea prestigiosa, sale sulla sua vecchia auto e va verso l'Ovest, luogo del mito americano, e<br />
promessa d'una libertà anch'essa mitica. Ma la sua meta ultima è la solitudine fredda dell'Alaska.<br />
Non c'è solo né soprattutto l'ideale della frontiera, dietro la rivolta di Christopher. Più forte è il<br />
coraggio irrequieto di Henry Thoreau, l'autore di La disobbedienza civile ( 1849) e di Walden,<br />
ovvero la vita nei boschi (1854). Come lui, riferimento dei libertari d'America, abbandona la "vita<br />
civile" e cerca una dimensione d'autenticità e autonomia morale nella wilderness, nella vastità della<br />
natura selvaggia e delle terre deserte. Si somigliano, il ventenne in rivolta e il regista quasi<br />
cinquantenne. In un'epoca e in un cinema per lo più dominati da un conformismo che troppo<br />
spesso veste i panni fasulli della trasgressione, Penn è tra i pochi "arrabbiati". Lo è quando recita.<br />
Lo è quando gira. Lo è quando vive. E lo è ora, nelle immagini e nei dialoghi di questo suo film<br />
forte e sincero. È in viaggio, dunque, la rivolta di Christopher. E quello che attraversa nelle<br />
immagini e nelle parole di Into the Wild non è solo l'infinito dei paesaggi, ma anche l'infinito della<br />
sua anima. È troppo chiuso, è troppo fermo il mondo che lo sta per imprigionare. Giunto alla soglia<br />
della vita adulta, vede il suo futuro nel passato del padre e della madre (Marcia Gay Arden). E ne<br />
inorridisce. Non si possono avere vent'anni, e sapere <strong>com</strong>e si sarà a cinquanta. Allora, si fa quello<br />
che hanno fatto e fanno tanti ventenni, alcuni grandissimi e altri destinati a far naufragio nella<br />
propria pochezza. Come un Francesco d'Assisi redivivo, Christopher si spoglia del se stesso che<br />
lo minaccia <strong>com</strong>e un dovere, e si mette in cammino nella sua nuova, esaltante nudità interiore.<br />
D'altra parte, se è la nudità che si cerca, quasi di certo si finisce per scoprire che non lo si è mai<br />
abbastanza, nudi. Così fa anche il giovane in rivolta: ogni tappa del suo viaggio è un<br />
avvicinamento impossibile a una perfezione che sempre più si sposta. Chi sono Rainey (Brian<br />
Dieker) e Jan (Katherine Keener), i "figli dei fiori" sopravvissuti alla fine del loro mondo, se non la<br />
conferma che il cammino è ancora lungo? Per quanto innamorati della libertà, i due si portano<br />
addosso il peso della vita. La loro strada si è chiusa, e quello che resta è poco più del ricordo di<br />
un'illusione. E chi è la sedicenne Tracy (Kristen Stewart), se non la deliziosa tentazione<br />
d'abbandonare il viaggio? Se le cedesse, il suo futuro finirebbe per somigliare a quello di Rainey e<br />
Jan, e di tanti altri prima e dopo di loro. Ma Christopher non cede, non si rassegna. Con il coraggio<br />
testardo e crudele d'ogni vocazione alla santità, "uccide" l'amore e la speranza di Tracy, e insiste a<br />
oltrepassare limiti e confini. Quel che cerca, infatti, non è una nuova frontiera, ma l'assenza di ogni<br />
frontiera. Così, man mano, Penn lo segue fino al niente che il ribelle sta cercando. Sta oltre un<br />
fiume, quel niente, in mezzo al bianco infinito e intatto di un angolo d'Alaska coperto di neve. Qui<br />
Christopher riuscirà a esser solo ( alone, scrive nel suo diario). Qui incontrerà quel se stesso che<br />
nessuno deve imporgli d'essere. Alle spalle s'è lasciato il passato e anche il futuro che Ron (Hal<br />
Holbrook) gli ha offerto con amore. Lascia che sia per te <strong>com</strong>e un nonno, gli ha detto il vecchio<br />
Ron. Ma non si può accettare d'essere amati, se è il niente che ci seduce e chiama. In mezzo alla<br />
neve, assurdamente umano, Christopher trova un vecchio bus. Lì inizia l'ultima parte del suo<br />
cammino verso se stesso, verso la sua nudità assoluta. Ma lì, nella wilderness, finisce per essere<br />
preso e catturato dal niente: la natura è crudele, per quanto la si voglia idealizzare. Ridotto a uno<br />
scheletro, si scopre solo <strong>com</strong>e mai è stato, abbandonato (lonely, scrive ora nel diario). E però la<br />
sua non è una sconfitta. La felicità non è felicità, se non è condivisa: così scrive e così dice a se<br />
stesso, scoprendosi finalmente libero. È questa, dunque, la meta raggiunta del suo viaggio.<br />
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