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Untitled - Barz and hippo

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scheda tecnica<br />

durata: 107 MINUTI<br />

nazionalità: ITALIA<br />

anno: 2010<br />

regia: SERGIO CASTELLITTO<br />

sceneggiatura: MARGARET MAZZANTINI<br />

fotografia: GIANFILIPPO CORTICELLI<br />

scenografia: FRANCESCO FRIGERI<br />

costumi: CHIARA FERRANTINI<br />

montaggio: FRANCESCA CALVELLI<br />

musica: ARTURO ANNECCHINO<br />

produzione: ROBERTO CICUTTO, LUIGI MUSINI<br />

distribuzione: WARNER BROS ITALIA<br />

attori: SERGIO CASTELLITTO (MARCELLO), LAURA MORANTE (MARINA),<br />

Vincenzo Lombardi intervista Sergio Castellitto<br />

ENZO JANNACCI (ARMANDO), MARCO GIALLINI (DUCCIO), BARBORA<br />

BOBULOVA (LORY), GIANFELICE IMPARATO (VALENTINO), NINA<br />

TORRESI (ROSA), EMANUELA GRIMALDA (RAIMONDA), LIDIA VITALE<br />

(DELFINA), RENATO MARCHETTI (ETTORE MARIA), LOLA PONCE<br />

(GLADYS), ERIKA BLANC (VENANZIA), SVETLANA KEVRAL (CORNELIA),<br />

PIETRO CASTELLITTO (LUCA), VALERIO LO SASSO (ALDO), VALENTINA<br />

MENCARELLI (FRANCIPALLA), RICCARDO RUSSO (GIULIETTO)<br />

la parola ai protagonisti<br />

Non si perde tempo ed occasione per mettere in risalto la gr<strong>and</strong>e differenza tecnica ed organizzativa tra<br />

cinema italiano e cinema estero. Lei ha provato entrambe le esperienze: da che parte sta?<br />

Non sono molto d’accordo sulle gr<strong>and</strong>i differenze che vengono tracciate tra il cinema di casa nostra e quello<br />

estero. Alla fine il segreto di un buon film è la qualità. Si possono fare film dalle produzioni mastodontiche<br />

che non lasciano il segno e progetti piccolissimi ma ricchi di qualità. Il cinema necessario è quello bello.<br />

Diciamo che il cinema ha sempre più voglia di somigliare ad una industria dai gr<strong>and</strong>i finanziamenti, ma<br />

l’esperienza mi insegna che non è così. Ci sono tanti modi per fare cinema, ma il terminale ultimo resta uno:


l’occhio dello spettatore. Lo sguardo del pubblico, è forse, l’unico vero "effetto speciale" che sia rimasto. A<br />

me il cinema piace in ogni sua sfaccettatura, non faccio tanto differenze. Un po’ come diceva Gassman. Se il<br />

copione ti piace ti trovi bene, se non ti piace, ma hai già firmato il contratto, ti trovi bene lo stesso.<br />

Provocazione, nemmeno tanto riuscita, di questa estate è l’accusa leghista di un cinema con troppe<br />

inflessioni dialettali. Il romanesco in particolare…<br />

Il problema sta proprio nel fatto che li chiamiamo dialetti, quanto in realtà sono lingue. Il dialetto, a mio<br />

giudizio, è inteso come intonazione, cadenza. Il romano, il pugliese, il napoletano sono delle autentiche<br />

lingue. Senza queste "lingue", non sarebbe esistita la commedia italiana. Il nostro cinema deve inchinarsi a<br />

quelli che la Lega chiama dialetti. Vittorio Gassmann è la lingua italiana in persona, ma alla storia sono<br />

passate le sue battute ne I soliti ignoti e ne "l Sorpasso. Quella dell’eccesso di romanesco nel cinema e nella<br />

fiction è stata una provocazione politica che tra l’altro ha avuto anche scarso appeal. E’ stato più un gossip<br />

estivo che ad una esternazione politica. Un gossip, tra l’altro, riuscito molto male un’autentica "fregnaccia",<br />

giusto per restare in tema.<br />

Lei conserva parecchi tratti della vecchia ed immortale scuola italiana<br />

Qu<strong>and</strong>o mi paragonano a Tognazzi o a Gassman provo un gr<strong>and</strong>e soddisfazione. Ho avuto il piacere di<br />

conoscerli qu<strong>and</strong>o ero ragazzo. Più che il mestiere, da loro ho imparato il disincanto con il quale<br />

affrontavano questo lavoro. Un disincanto che ti mette al riparo da una eventuale megalomania.<br />

Nel cinema e nella vita quali sono i tabù che ancora condizionano la società?<br />

La società moderna ha per fortuna distrutto parecchi tabù. C’è gr<strong>and</strong>e liberta e si consentono situazioni<br />

ritenute impensabili fino a non molto tempo fa. Abbiamo i matrimoni tra gay, abbiamo un presidente<br />

americano di colore, ma ancora non riusciamo a superare il tabù della vecchiaia. Sembra quasi che non sia<br />

consentito essere anziani. Vorrei tanto che il mio prossimo film possa far cadere questo tabù.<br />

Altre cose brutte dei giorni nostri?<br />

La televisione, senza ombra di dubbio. La cattiva maestra dei nostri giovani, ma anche del cinema. La<br />

televisione ha consentito un’esplosione di lavoro per tutti, che ha appiattito la qualità. Recitare, infatti, è un<br />

pochino più complicato che <strong>and</strong>are in televisione.<br />

Venuto al Mondo è un progetto tornato nel cassetto?


Non proprio. Presto inizieremo a pensare anche alla trasposizione cinematografica, ma abbiamo voluto fare<br />

le cose gradualmente. Non volevamo che fosse un obbligo portare il libro di Margaret sul gr<strong>and</strong>e schermo.<br />

Vogliamo – conclude Sergio Castellitto – che l’opera possa continuare in un suo percorso indipendente.<br />

Sergio Castellitto<br />

Nato (il 18 agosto 1953) e cresciuto a Roma, anche se la famiglia è originaria di Campobasso, dopo aver<br />

lavorato per una società di distribuzione di giornali, sceglie di seguire la sua vocazione e si iscrive<br />

all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio D'Amico. Dopo il diploma, comincia subito ad accumulare<br />

piccole parti al cinema (il ruolo di un prigioniero nel Carcerato di Alfonso Brescia) ma è soprattutto il teatro a<br />

dargli le prime vere soddisfazioni. Sotto la guida di registi come Luigi Squarzina, Aldo Trionfo ed Enzo Muzii,<br />

il giovane attore impara e perfeziona il mestiere, fino ad arrivare a un vero esordio anche nel mondo del<br />

gr<strong>and</strong>e schermo. Nel 1983, a fianco di Marcello Mastroianni, è nel drammatico Il generale dell'armata<br />

morta di Luciano Tovoli, seguito da Magic Moments dove interpreta un provinciale arrivista con il sogno nel<br />

cassetto di far parte della sfavillante settima arte. Nel 1986 non si lascia sfuggire l'occasione di lavorare<br />

con Ettore Scola in La famiglia, ritratto puntuale della storia di diverse generazioni che fanno parte di uno<br />

stesso nucleo familiare. A seguire Dolce assenza, Giovanni Senzapensieri e La parete della stanza accanto,<br />

premesse interessanti per il suo esordio nel ruolo di sceneggiatore della pellicola, poi diretta da Felice<br />

Farina, Sembra morto…ma è solo svenuto, dove Castellitto è uno degli attori principali. Il film viene molto<br />

apprezzato in Francia e sarà proprio grazie a questo che l'attore comincerà a essere richiesto anche<br />

all'estero: nel 1988 è in Paura e amore con Fanny Ardant e Valeria Golino ma soprattutto è nel cast de Le<br />

Gr<strong>and</strong> Bleu, film culto diLuc Besson (che in Italia è uscito solo nel 2002, a seguito di numerose polemiche<br />

messe in piedi dal campione di immersione in apnea Carlo Majorca). L'anno dopo torna in Italia per far parte<br />

di un piccolo film girato con pochi mezzi ma forse per questo meritevole di nota: è in Piccoli equivoci, esordio<br />

alla regia di Ricky Tognazzi che qui mette in scena una storia quotidiana dall'impianto scenico teatrale,<br />

bas<strong>and</strong>osi soprattutto sulla bravura degli attori. In Tre colonne in cronaca ostenta un'interpretazione troppo<br />

fuori dalle righe ma è solo uno scivolone perché ritorna in forma nel successivo Stasera a casa di Alice dov'è<br />

il nemico di Carlo Verdone (regista anche della pellicola) nel corteggiamento della fascinosa Ornella<br />

Muti. Con gli anni Novanta, Castellitto stupisce con il ruolo di un architetto ipocondriaco che instaura un<br />

rapporto passionale con la sensuale (e poco altro!) Francesca Dellera nel grottesco La carne di Marco<br />

Ferreri. Segue la collaborazione con Mario Monicelli in Rossini! Rossini! (1991) e l'intesa con Francesca<br />

Archibugi che lo chiama sia per il ruolo dell'eccentrico medico che si prende cura di Pippi nell'emozionante Il<br />

gr<strong>and</strong>e cocomero (1993) sia per il successivo, meno interessante nei risultati, Con gli occhi chiusi (1994).<br />

La vera consacrazione arriva nel 1996 con il pluripremiato L'uomo delle stelle di Giuseppe Tornatore.<br />

Vincitore del Nastro d'Argento come miglior attore, Castellitto è, nel film, un improvvisato regista alla ricerca


di talenti nella Sicilia degli anni Cinquanta. In versione comica è il fratello di Paolo Rossi in Silenzio…si<br />

nasce (1996), poi passa al ruolo drammatico di un uomo in declino nell'interessante esordio di Renato De<br />

Maria Hotel Paura (con il quale lavorerà anche nella serie dedicata all'ispettor Maigret) e diventa anche Don<br />

Milani nell'omonima trasposizione televisiva (1997). Deciso a passare dietro la macchina da presa, scrive la<br />

sceneggiatura di Libero Burro (1999), trama interessante di un uomo del sud che si mette in gioco una volta<br />

tarsferitosi al Nord ma non riesce a combinare nulla di buono fino a qu<strong>and</strong>o non incontra una donna speciale<br />

(nel film è Margaret Mazzantini, compagna di Castellitto nella vita). Il risultato non è dei migliori e il film si<br />

rivela un fiasco. Ritorna poi a recitare in Padre Pio, film tv diretto da Carlo Carlei nel 2000, un vero e proprio<br />

trionfo televisivo. Il 2001 è un anno ricchissimo: è professore ne L'ultimo bacio, sarto ebreo in Concorrenza<br />

sleale, cuoco che mette in trambusto la vita di Martina Gedeck nel tedesco Ricette d'amore e un ambiguo<br />

regista teatrale in Chi lo sa?, diretto dal francese Jacques Rivette. L'anno dopo comincia la collaborazione<br />

con Marco Bellocchio che lo chiama per L'ora di religione (per il quale vince la preziosa statuetta d'argento<br />

dell'European Film Awards) e lo ritroverà cinque anni più tardi ne Il regista di matrimoni. Ruoli intensi che si<br />

aggiungono a molti altri personaggi del nuovo millennio: è protagonista del biografico Enzo Ferrari (<strong>and</strong>ato in<br />

onda in tv ma considerato una rappresentazione di alta qualità paragonabile a quella cinematografica), è un<br />

padre un po' scemo in Caterina va in città di Paolo Virzì ed è un manutentore specializzato che intraprende<br />

un viaggio formativo in Cina ne La stella che non c'è di Gianni Amelio. Tra tutti questi impegni trova anche il<br />

tempo di dirigere un film discutibile ma, ad ogni modo, ricco di emozioni come Non ti muovere (2004)<br />

con Penelope Cruz, tratto dal best seller scritto dalla moglie Margaret Mazzantini. Dopo la partecipazione<br />

all'episodio di Isabelle Coixet nel corale Paris, je t'aime (2006), omaggio romantico alle bellezze<br />

anticonvenzionali della capitale francese, lo vediamo nelle fiction Fuga per la libertà (sempre sotto la regia<br />

dell'affezionato Carlo Carlei) e O' Professore, oltre che in Italians, commedia scritta e diretta da Giovanni<br />

Veronesi. Presta la voce nella versione francese del film Arthur e il popolo dei Minimei di Luc Besson ed è il<br />

re Miraz nel secondo capitolo de Le cronache di Narnia: Il principe Caspian (2008). Nel 2009 lo troviamo<br />

in Questione di punti di vista del maestro Jacques Rivette e in Tris di donne & abiti nuziali di Vincenzo<br />

Terracciano, mentre del 2010 è la commedia La bellezza del Somaro scritta dalla moglie Margaret<br />

Mazzantini e in cui lo troviamo nella doppia veste di regista e interprete.<br />

Filmografia<br />

(1981) Carcerato<br />

(1982) La singolare avventura di Francesco Maria<br />

(1983) L’armata ritorna<br />

(1984) Magic Moments<br />

(1986) La famiglia<br />

(1986) Dolce assenza<br />

(1986) Giovani senza pensieri<br />

(1987) La parete della stanza accanto<br />

(1987) Sembra morto... ma è solo svenuto<br />

(1988) Paura e amore


(1988) Le gr<strong>and</strong> bleau<br />

(1988) Amore a cinque stelle (film tv)<br />

(1989) Cane sciolto 1 (film tv)<br />

(1989) Piccoli equivoci<br />

(1990) In viaggio con Alberto<br />

(1990) Tre colonne in cronaca<br />

(1990) Stasera a casa di Alice<br />

(1990) Una fredda mattina di maggio<br />

(1990) I tarassachi<br />

(1991) Cane sciolto 2 (film tv)<br />

(1991) La carne<br />

(1991) Rossini! Rossini!<br />

(1992) Nessuno<br />

(1992) Nero<br />

(1993) Il gr<strong>and</strong>e cocomero<br />

(1994) Con gli occhi chiusi<br />

(1995) Il gr<strong>and</strong>e Fausto (film tv)<br />

(1995) L’uomo delle stelle<br />

(1996) Silenzio... si nasce<br />

(1996) Hotel paura<br />

(1997) Don Milani – Il priore di Barbiana (film tv)<br />

(1998) À vendre – In vendita<br />

(1999) Libero burro (regista e attore)<br />

(2000) L’ultimo bacio<br />

(2000) Padre Pio (film tv)<br />

(2001) L’utopia<br />

Natalia Aspesi - La Repubblica<br />

(2001) Concorrenza sleale<br />

(2001) Ricette d’amore<br />

(2001) Chi lo sa?<br />

(2002) L’ora di religione<br />

(2003) Enzo Ferrari (film tv)<br />

(2003) Caterina va in città<br />

(2004) Non ti muovere (regista e attore)<br />

(2004) Maigret (serie tv)<br />

(2006) La stella che non c’è<br />

(2006) Il regista di matrimoni<br />

(2006) Paris, je t’aime<br />

(2007) Fuga per la libertà (film tv)<br />

(2007) O’Professore (film tv)<br />

(2007) Persepolis (animazione - doppiatore)<br />

(2008) Le cronache di Narnia – Il Principe<br />

Caspian<br />

(2009) Italians<br />

(2009) Alza la testa<br />

(2009) Vivo<br />

(2009) Questione di punti di vista<br />

(2009) Raffinati (serie tv)<br />

(2009) Tris di donne & abiti nuziali<br />

(2010) Vittorio racconta Gassman, una vita da<br />

mattatore (documentario)<br />

(2010) La bellezza del somaro<br />

Recensioni<br />

È probabile che Amélie Nothomb abbia ragione: nulla può essere più horror che ritrovarsi a passare un fine<br />

settimana nella casa di campagna degli amici, e a questa pericolosa circostanza la scrittrice ha dedicato un<br />

racconto. Sergio Castellitto e sua moglie Margaret Mazzantini devono aver subìto simili sfiancanti inviti, e ne<br />

hanno fatto un film: lui lo ha diretto e interpretato, lei lo ha scritto, il figlio diciottenne Pietro, attore per ora


dilettante, ci ha messo una gentile aria scontrosa, mentre un misterioso asinello solitario sullo sfondo della<br />

meravigliosa Val d' Orcia, gli ha dato un bel titolo, La bellezza del somaro. Nel casolare provvisto di piscina,<br />

rusticamente ristrutturato dall' architetto Marcello, per festeggiare i suoi cinquant'anni arrivano gli amici<br />

coetanei, con i loro carichi di problemi, nervosismi, nostalgie, solitudini, affollamenti, delusioni. Di questa<br />

coralità in vacanza, Castellitto si serve per accumulare con ironica serietà, pensieri e situazioni<br />

contemporanee: le coppie che paiono perfette e sono invece più o meno sfaldate, che a letto leggono e non<br />

si sfiorano, b<strong>and</strong>endo ogni reciproca seduzione, i mariti che si dichiarano fedelissimi anche se hanno una<br />

giovane amante innamorata che poi lasciano senza problemi, i genitori succubi dei figli adolescenti di cui<br />

non riescono a saper nulla e che temono per la loro estraneità, i figli, insicuri, che si chiudono nei loro riti di<br />

gruppo, che provocano i genitori e rimproverano loro distrazione, egoismi, ideologie, fallimenti. Su questi<br />

cinquantenni giovanilisti incombe il terrore di invecchiare, lo spettro dell' esclusione della vecchiaia. Qu<strong>and</strong>o<br />

la diciassettenne Rosa (da Luxemburg, siamo tra borghesi colti che erano di sinistra e adesso non sanno di<br />

che, e si limitano a qualche stanca invettiva anti-B...) annuncia di avere un innamorato un po' irregolare,<br />

mamma Marina, psicologa sovraeccitata (Laura Morante) e papà Marcello sovrastupefatto dietro gli<br />

occhialoni (Castellitto), sono pronti ad accettare, per sensi di colpa e democratica eleganza, sia il ragazzone<br />

con enorme serpente al collo che il negretto semirasta e malmostoso: ma non un vecchio, un settantenne,<br />

sia pur professore, con i capelli bianchi e l'<strong>and</strong>atura cauta. Sarà, da parte degli autori, un richiamo "politico"<br />

alla desolazione di moltitudini di minorenni che oggi accorrono alla corte di un ultrasettantenne un po'<br />

acciaccato ma di imperioso potere? L'Arm<strong>and</strong>o del film è invece raccontato come uno di quei vecchi, nella<br />

realtà anche centenari, che vengono continuamente festeggiati per i loro intoccati anche se spesso astiosi<br />

talenti, e alimentano inchieste stupefatte e ammirate di vegliardi. Il personaggio sarebbe di maniera, troppo<br />

filosofico, troppo sereno, capace di far partorire le capre e innamorare ogni donna, se non lo interpretasse<br />

Enzo Jannacci, che d<strong>and</strong>ogli il suo tocco stralunato anni '70, lo rende il più interessante di un film<br />

intelligente, che scarta l'ovvia comicità per tentare la strada difficile e rara del surreale.<br />

Alberto Crespi - L'Unità<br />

Il nuovo film di Sergio Castelletto è un oggetto da maneggiare criticamente con cura. Diversi colleghi ce<br />

l’avevano anticipato come «tremendo» (disponendoci alla benevolenza: le stroncature preventive ci fanno<br />

questo effetto). Beh, forse La bellezza del somaro è «tremendo», ma non in senso qualitativo. Lo è nel<br />

giudizio morale che esprime sui suoi stessi personaggi, in modo consapevole: descrive con tremendo<br />

cipiglio un’Italia perduta, nella quale l’alta borghesia (la classe sociale raccontata: il ricco architetto<br />

Castellitto, la psicologa e moglie di lui Laura Morante, i loro parenti e amici) ha perso ogni freno morale e<br />

ogni contatto con la realtà. Nemmeno i pazienti della psicologa, che dovrebbero portare nella storia il loro<br />

carico di dolore e di follia, sono «la realtà»: schizzati e snob quanto la loro dottoressa, sembrano ambire<br />

soltanto a divenire come lei. Persino gli animali – somari, pitoni… - sembrano vivere le stesse nevrosi degli<br />

umani. La realtà irrompe in questo limbo familiare qu<strong>and</strong>o la figlia minorenne, passata da un fidanzatino<br />

coatto all’altro (i giovani non sono meglio degli adulti, anzi), porta a casa il suo nuovo amore, che è… Enzo<br />

Jannacci, senza eccessive sovrastrutture da personaggio «scritto ». Nel senso che è proprio Jannacci, con il<br />

suo umorismo surreale, la sua saggezza alla Chance il Giardiniere. E lui è umano, il che esalta


l’insopportabile antipatia degli altri. «Surreale» è un altro termine critico da maneggiare con cautela. Da<br />

Buñuel in poi, può voler dire tutto e il contrario di tutto. E però La bellezza del somaro è qualcosa di più di<br />

una commedia grottesca, è proprio un film surreale, dove di tanto in tanto il regista/attore/autore guarda in<br />

macchina e si rivolge a noi spettatori, e dove il montaggio sempre acrobatico di Francesca Calvelli (di solito<br />

monta i film di Bellocchio, che Castellitto ben conosce) crea associazioni visive sorprendenti. In breve: è<br />

chiarissimo cosa NON È. Non è una commedia all’italiana, non è un film natalizio. Più arduo dire cos’è.<br />

Forse un tentativo di importare Almodovar nella borghesia italiana, o di ritrovare le atmosfere feroci di Ferreri<br />

(altro autore che Castellitto ha frequentato). Sicuramente è un film sfrontato, coraggioso, personalissimo.<br />

Solo Castellitto poteva farlo.<br />

Boris Sollazzo - Liberazione<br />

Si deve attingere alla vecchia cultura popolare contadina per intuire il significato di questo titolo. Che si<br />

riferisce sì a quella bellezza senza meriti che viene solo dalla freschezza della gioventù, ma che in questo<br />

film di Sergio Castellitto si rivolge anche a un recalcitrante muto comprimario: un asino, appunto. La bellezza<br />

del somaro, in fondo, gira attorno a lui.<br />

Dopo una premessa cittadina, infatti, in cui conosciamo un piccolo mondo altoborghese concentrato intorno<br />

alle famiglie di tre amici, ci si trasferisce tutti in un casolare in Toscana, per un tranquillo week-end di paura,<br />

un ponte dei Santi e dei Morti gioiosamente inquietante. I tre amici sono un architetto "figaccione" (Sergio<br />

Castellitto), un cardiologo dongiovanni impenitente (Marco Giallini) e uno squalo della finanza schiavo del<br />

suo corso d'inglese (Gianfelice Imparato). Amano il karaoke, il benessere e la facciata più o meno ipocrita<br />

dietro alla quale nascondono la loro dorata insoddisfazione. Odiano le mogli, o le ex, ma non ne sanno fare<br />

a meno. I figli sono la loro croce. La coppia Castellitto-Mazzantini sembra voler ritrarre quell'universo radical<br />

chic romano che conoscono bene, proprio partendo da lui, architetto che tanto richiama, almeno nella<br />

dialettica, quel Fuksas già maltrattato, con la complicità di un Fantastichini gr<strong>and</strong>ioso, da Maselli ne Le<br />

ombre rosse. E i due film, in fondo, non sono poi così lontani.<br />

Ci mostrano entrambi i salotti buoni "centrosinistri" nel loro squallore, non resistono alla tentazione di<br />

rivelarci la loro visione del mondo. In più, forse, La bellezza del somaro ci mette un gusto dell'anomalo e del<br />

grottesco che ricorda un po' Libero Burro. E come quell'opera, è piena di buone intuizioni e discontinuità naif.<br />

I due coniugi hanno l'ansia, in 107 minuti, di dire la propria su tutto, dall'educazione dei figli alla raccolta<br />

differenziata, pass<strong>and</strong>o per gli emarginati, il razzismo (la scena del campo nomadi non è male) e le crisi di<br />

mezza età.<br />

Gli errori e gli eccessi, che pure non sono pochi, vengono superati di slancio da un ritmo frenetico, da<br />

continui cambi di registro e di tema, da una narrazione sopra le righe. Ci si diverte con questo oggetto<br />

cinematografico diverso e anarchico, con questi solisti che si trasformano in rumorosa e variegata orchestra<br />

che gode di una stonata armonia. E il centro di questa gita fuori porta che diviene resa dei conti è un<br />

simpatico vecchio, Enzo Jannacci. Nei panni di un santone solo perché è l'unico che probabilmente non<br />

mente né a sé, né agli altri. E' il fidanzato della figlia di Castellitto e Laura Morante (psicologa psicotica, che<br />

ha in cura una Bobulova in gran forma). Cinquant'anni dividono lui e quell'adolescente supponente: l'unico<br />

tabù che i suoi illuminati genitori benestanti e benpensanti non riescono a superare. E qui è brava la


giovanissima Nina Torresi, gr<strong>and</strong>e grinta e ottima presenza in scena. Il resto è un balletto di comprimari che<br />

va da una sensuale e rabbiosa Lola Ponce (brava, da valorizzare) alla dittatoriale Svetlana Kevral.<br />

Da non sottovalutare La bellezza del somaro: vi lascerà disorientati, a volte irritati, incuriositi. E comunque<br />

coinvolti.<br />

Paola Casella - Europa<br />

Anche in questo caso, gr<strong>and</strong>e delusione. La commedia corale scritta da Margareth Mazzantini e girata e<br />

interpretata dal di lei marito Sergio Castellitto pare un pamphlet (ahimé, involontario) su ciò che non va nella<br />

generazione dei cinquantenni italiani radical chic che si ostinano a ergersi a modello per il paese. Il film<br />

racconta un gruppo di presuntuosi di quella generazione arroccati in una villa di campagna e intenti a<br />

sbranarsi a vicenda, fagocit<strong>and</strong>o anche i propri figli adolescenti (maternità tardive?).<br />

Sarebbe un bel j’accuse, peccato che i personaggi siano tutti stereotipati. Si salvano solo i giovani<br />

(soprattutto Pietro Castellitto) e il decano Jannacci che, pur incomprensibile perché si mangia le parole,<br />

trasmette fisicamente quella pulizia interiore che nella vita gli fa trascorrere più tempo nel pronto soccorso<br />

per sans papier che nei salotti della Milano bene. Salotti nei quali, invece, altri sembrano aver soggiornato<br />

troppo a lungo per mantenere quel graffio doloroso che non mancava al vero maestro del genere, il<br />

rimpianto Monicelli.<br />

Fabio Ferzetti - Il Messaggero<br />

Gruppo di famiglia in un paese allo sb<strong>and</strong>o. Il nostro naturalmente. Altro che disoccupazione, politici corrotti,<br />

divario Nord/Sud. Dietro tutti questi drammi c’è un solo nodo tentacolare: il rapporto fra le generazioni.<br />

Esageriamo? A giudicare dai film di questi anni si direbbe di no. È un trionfo di genitori infantili, figli smarriti,<br />

modelli sbriciolati. Magari l’obiettivo è giusto, sui modi usati per raccontarlo si può discutere. Ma <strong>and</strong>iamo<br />

avanti.<br />

In questo sfascio generalizzato, e già molto sfruttato dal cinema non solo italiano, entra a gamba tesa la<br />

premiata ditta Castellitto-Mazzantini (regista e sceneggiatrice) con una specie di Indovina chi viene a cena<br />

italico, dunque tarato non sul colore della pelle ma sull’età, Ultimo Tabù dei nostri anni narcisi.<br />

Si può immaginare cosa succede se l’adorata figlia adolescente (la madre: «Io non ti amo solamente, ti<br />

ammiro!») si porta in campagna per il weekend non un ragazzo di colore ma un carismatico 70enne che<br />

sprizza saggezza, disinvoltura, comprensione del mondo e di sé. Uno che può dire senza batter ciglio «sono<br />

un conoscitore del cuore non come muscolo, ma come pianeta». E se fa tardi a cena è perché si ferma «per<br />

aiutare a partorire una pecora» (Enzo Jannacci, più sornione che mai, ma con un pizzico di malizia di<br />

troppo).<br />

Al padre architetto alla moda (Castellitto senza briglia) viene quasi un colpo. La madre, psicanalista buonista<br />

con pazienti al seguito e babbo lacaniano defunto ma sempre presente (Laura Morante), la prende meglio<br />

anche se ci mette un po’ a metabolizzare. Ma mentre i padroni di casa faticosamente si adattano al genero-<br />

intruso-rivale, l’affollato weekend in campagna diventa un inferno. Maschi contro femmine, genitori contro<br />

figli, grassi contro magri, belli contro brutti, seduttori contro inibiti, prèsidi contro giornaliste, fumatori contro<br />

astinenti...


Una resa dei conti generalizzata (e un po’ generica) che alterna le trovate più ovvie a momenti pungenti (le<br />

figure migliori sono la giornalista acida Lidia Vitale e la preside furiosa Emanuela Grimalda, ma anche il figlio<br />

in moto con pitone a mo’ di sciarpa e quello che compra il fumo con la paghetta e poi lo rivende ai genitori,<br />

non sono male).<br />

Il problema però è che La bellezza del somaro è un film a tesi mascherato da commedia grottesca. I suoi<br />

personaggi dunque non vivono di vita propria, ma servono (spesso sfacciatamente) le tesi degli autori. In un<br />

moltiplicarsi di toni, di episodi e di spunti che vuole essere generoso ma finisce per essere così straripante e<br />

incontrollato da togliere mordente anche alle intuizioni migliori. Gli storici registreranno la prima commedia<br />

italiana che mixa Courbet e Lacan, Nabokov e Hillman, alle eterne battutacce. Gli altri apriranno l’ombrello.<br />

La commedia è l’arte del togliere, prima che del mettere.<br />

Michele Anselmi - Il Riformista<br />

«Non ci sono più maestri, solo esperti del settore» sentenzia Enzo Jannacci, nei panni di un ultrasettantenne<br />

carismatico, gentile, magnetico, un po' Chance il giardiniere, nel senso che non capisci bene se dice dense<br />

verità o solenni frescacce. Chiaro che Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini stanno con lui: perché non si<br />

tinge i capelli, accetta l'età, non esorcizza la morte. "La bellezza del somaro" è quella della gioventù,<br />

spontanea e sfacciata, pure struggente. E proprio il rapporto "sc<strong>and</strong>aloso" tra la diciottenne Rosa e quel<br />

vecchio misterioso che si presenta con una quercia bonsai fa da detonatore in questa commedia grottesca,<br />

non a caso definita «dinamitarda» dal regista-attore. Si parla di cinquantenni che faticano a diventare adulti e<br />

di adolescenti con una gran smania di crescere; di intellettuali post-left nevrotici e irrisolti, presi da una<br />

smania vitalistica che li rende ridicoli non solo agli occhi dei figli; di un somaro che osserva, imperturbabile,<br />

lo sbattersi dei personaggi nel corso di una rimpatriata nel Chiantishire per il ponte dei Morti. Il padrone di<br />

casa è Castellitto: architetto alla moda, con moglie psicologa lacaniana e amante sventolona, non si capacita<br />

che la figlia adolescente si sia messa con l'Arm<strong>and</strong>o. Il week-end si trasformerà in una collettiva crisi di nervi,<br />

tra confidenze imbarazzanti, citazioni cechoviane (il protagonista si veste di bianco come Mastroianni in "Oci<br />

Ciornie"), parodie del "Settimo sigillo" e lepidezze varie. Tutti urlano molto, qualche battuta è azzeccata, ma<br />

dopo mezz'ora Castellitto fatica a dirigere il traffico.<br />

Cristina Piccino - Il Manifesto<br />

Si respira aria di famiglia nei film natalizi, forse proprio per l'occasione, o forse come ciclicamente accade<br />

ecco che, a fronte di una mancanza di spunti, si rispolvera il tema più immortale. Lo fanno anche Sergio<br />

Castellitto e Margaret Mazzantini, coppia più che collaudata nella vita, autori della sceneggiatura di questo<br />

film, diretto e interpretato dallo stesso Castellitto, nel ruolo di un cinquantenne architetto affermato e<br />

benestante, con moglie psicanalista più nevrotica dei suoi pazienti, e figlia adolescente che lo ignora (di più:<br />

lo disprezza). Il nostro è chiaramente affetto da sindrome di Peter Pan, sarebbe forse più corretto dire da<br />

«amante giovane» (e ti pare?!), condivisa con tutto il gruppo di amici, professionisti più o meno<br />

insopportabili, e la stessa moglie che nonostante la pratica (psicanalitica) non si è mai liberata dell'Edipo del<br />

proprio padre, idealizzato come un eroe, e in realtà medico nullo, che ha sperperato i soldi di famiglia tra<br />

amanti e cocaina. il fatto è che anche i loro figli, ormai adolescenti, patiscono lo stesso male, ma in senso


opposto: vorrebbero un padre severo, adulto, e non uno che fa il «ficaccione» a cui vendere il fumo… Perciò<br />

la nostra coppia crolla qu<strong>and</strong>o nel corso di un fine settimana «bucolico»la figlioletta (altrettanto odiosa) gli<br />

presenta il fidanzato: un settantenne svagato e pieno di saggezza sul genere karma-col-mondo che è però<br />

pur sempre Jannacci ... A dire il vero un po' se ne innamorano anche i genitori, la madre per l'Edipo di cui<br />

sopra, il padre perché a sua volta deve colmare il «buco» di una figura paterna ignota... La bellezza del<br />

somaro mia nonna la tirava fuori qu<strong>and</strong>o da piccole ci si pavoneggiava un po' troppo davanti allo specchio,<br />

per dire che è facile essere belli da giovani, i guai iniziano qu<strong>and</strong>o si invecchia se non si ha niente di più. Lo<br />

stesso qui, con l'archetipo di questi adulti abbastanza squallidi che si materializza nell'asino legato al bordo<br />

del giardino, di fronte al quale si consumano alcune scene madri, a cominciare dal bel ceffone che Castellitto<br />

molla alla figliola. E' già, il punto alla fine è questo, la sberla-che-mai-mi-hai dato (o più bassamente qu<strong>and</strong>o<br />

ci vuole ci vuole)… perché lo schiaffo è segno d'amore (certo Milian nella Luna di Bertolucci è altro). E<br />

dunque a causa dei genitori eterni ragazzi che i giovanissimi cercano l'Edipo nella figura del nonno? Il fatto è<br />

che Castellitto non sa da che parte cominciare, sceglie il film corale (alla Ozpetek) e pensa che tutto funzioni<br />

meglio esasper<strong>and</strong>o l'elemento grottesco di situazioni e personaggi - la cameriera rumena soldato di<br />

Ceausesco, la giornalista d'assalto lesbica, la mamma di Morante iper botox - con risultato opposto. Nessun<br />

umorismo, nessuna cura per le sfumature, tutti sembrano capitati lì per caso. Il più «alieno» è Jannacci, ma<br />

lui ci sta anche: surreale come un personaggio delle sue canzoni, è il deus-ex-machina che rimane sul<br />

bordo.<br />

Valerio Caprara - Il Mattino<br />

È un film curioso e coraggioso, malinconico e surreale, l’opera n°3 di Sergio Castellitto dietro alla macchina<br />

da presa. Uno di quei titoli che non consentono al recensore di prevedere con quale tipo di reazioni dovrà<br />

fare i conti: «La bellezza del somaro», in effetti, è una neo-commedia all’italiana (tratta da un racconto di<br />

Margaret Mazzantini) che non vuole lisciare il pelo ai mangiafilm di bocca buona, ma nello stesso tempo si<br />

rivela ostile agli adepti del cinema protetto, edificante, garantito da nobili certezze o magnanimi conforti. La<br />

dose di estrosa cattiveria e intelligente scorrettezza che il gr<strong>and</strong>e attore dispensa a piene mani gli impedisce,<br />

inoltre, d’apparire fermo a metà del guado fra la tendenza Muccino e la tendenza Virzì e fa capire come i<br />

suoi referenti da regista siano piuttosto Ferreri e i Monthy Python. Tenuta pour cause assai sopra le righe, la<br />

ballata in forma di farsa intende prendere di petto innanzitutto i benestanti coniugi borghesi Castellitto e<br />

Morante, perfettamente ligi al format benpensante/progressista che si vuole antropologicamente<br />

contrapposto a quello cafonal/teledipendente. Una gragnuola di colpi alti e bassi che, radun<strong>and</strong>o adulti amici<br />

e parenti nonché adolescenti figli e fidanzati per un weekend nella canonica casa di campagna, non la fa<br />

buona a nessuno: un coro d’interpreti stonati della postmodernità, una sfilata di sgangherati cercatori di<br />

felicità materiali e spirituali, un tourbillon di schiavi delle proprie ubbie o fissazioni spacciate per prerogative o<br />

ideali. Il sovratono nevrotico noir, servito da un montaggio mercuriale, potrebbe esasperare, ma la somma<br />

bravura di Castellitto nello scegliere e gestire gli attori stabilisce l’ancoraggio principale: si dimostrano tanto<br />

più credibili quanto più paradossali lo stesso blaterante protagonista, la psicologa Morante attorniata da<br />

mamma aggressiva e pazienti irrecuperabili, il manager Imparato che compita l’inglese traducendo a ruota<br />

libera il nulla, l’urlante preside Grimalda che «sta sul territorio», la badante kapò Ketral, il volgare e


promiscuo chirurgo Giallini, l’ex moglie Vitale giornalista «de' sinistra», i diciassettenni Mencarelli, Lo Sasso,<br />

Pietro Castellitto non meno inguardabili e svalvolati. Il colpo di genio del copione è riservato alla viziata figlia<br />

Rosa (la tenerissima e tostissima Nina Torresi), pronta a trapiantare il nuovo boyfriend in seno alla famiglia<br />

allargata: tutti aperti, giovanili, ecosolidali, democratici, ma tutti ugualmente inebetiti al cospetto dell’alieno<br />

signore settantenne che legge Adelphi, suona i bonghi e si chiama Arm<strong>and</strong>o. Il castello di carte costruito con<br />

un po’ di karaoke e di femminismo a buon mercato crolla ancora prima che papà per capirci finalmente<br />

qualcosa si metta a sfumacchiare una canna. Arm<strong>and</strong>o, interpretato da Enzo Jannacci con una stralunata<br />

imperturbabilità che ricorda il mitico Chance di «Oltre il giardino», certifica come la vecchiaia esista e<br />

costituisca un antidoto al finto vitalismo della società infingarda e taroccata. E come forse l’origine del caos<br />

stia nella rozza quanto concreta massima del manager: qu<strong>and</strong>o eravamo giovani, i giovani non contavano<br />

un c...; ora che siamo genitori noi, i genitori non contano un c...<br />

Aless<strong>and</strong>ra Levantesi - La Stampa<br />

La commedia è un genere difficile che ha bisogno di rigore e persino di semplificazioni: altrimenti non<br />

funziona, seppur il copione è intelligente e servito da un bel cast.<br />

Sotto mira un gruppo di borghesi imbottiti di clichés progressisti, nevrotici e demotivati dalla paura del tempo<br />

che passa. Per cui i figli adolescenti cercano altrove un equilibrio: magari innamor<strong>and</strong>osi, come la figlia della<br />

coppia Morante-Castellitto, di una sorta di nonno. È Jannacci, il quale possedendo la bellezza elettiva della<br />

vecchiaia (contrapposta alla bellezza senza merito della giovinezza) diventa di lezione per tutti. Ambientata<br />

cechovianamente in un casale durante una vacanza, la commedia è ricca di spunti, e però fatica a trovare il<br />

ritmo.<br />

Gian Luigi Rondi - Il Tempo<br />

Una commedia. Accetta anche la farsa delle torte in faccia, ma abilmente sa raccogliersi attorno a cifre di<br />

sentimenti malinconici, come il titolo anticipa perché la bellezza dell' asino (o del somaro) è quella che, se<br />

nient'altro la sorregge, tramonta presto con gli anni ed è inutile rincorrerla. Ce lo dice, con l'abituale finezza<br />

ma questa volta, anziché il dramma privilegi<strong>and</strong>o il sorriso, la sempre più esperta Margaret Mazzantini<br />

raccont<strong>and</strong>oci le disavventure di una coppia non del tutto ben assortita con una figlia diciassettenne di cui si<br />

pensa di saper tutto. Si comincia qu<strong>and</strong>o lui, Marcello, si appresta a festeggiare i cinquant'anni affid<strong>and</strong>o alla<br />

moglie Marina l'organizzazione di un ricevimento in campagna per riunire i loro molti amici che si<br />

propongono con ironia come un pittoresco ritratto della "buona borghesia" di oggi; con pregi e difetti<br />

intercambiabili, specialmente gli anziani, perché i giovani hanno tutti l'aria di badare solo a se stessi. In<br />

mezzo a loro, appunto, la figlia della coppia, Rosa, che preannuncia una sorpresa tipo "indovina chi viene a<br />

cena". Però quel nuovo fidanzato di cui ha anticipato l'arrivo non è un ragazzo di colore, Marina e Marcello,<br />

ritenendosi alla moda, lo accetterebbero senza troppe difficoltà, ma un uomo sui settant'anni di cui Rosa si<br />

dichiara perdutamente innamorata, corrisposta soprattutto con saggezza. Da questo spunto il resto, sulle cui<br />

tracce Margaret Mazzantini lavora di fino proponendoci situazioni ora molto comiche ora attraversate anche<br />

da accenti seri, vissute da una galleria di personaggi che si mescolano gli uni agli altri spesso anche con<br />

colori così vivaci da tendere intenzionalmente al grottesco. Guidati con mano sicura dalla regia di Sergio


Castellitto che i ritmi spesso quasi frenetici dell'azione li affida con sapienza alla recitazione di tutti gli attori,<br />

sempre equilibrati anche qu<strong>and</strong>o li fa urlare. Prima fra tutti Laura Morante, la moglie, poi lo stesso Castellitto,<br />

il marito, e una bravissima adolescente, Nina Torresi, nel ruolo tutto fiamme della figlia. Dà voce alla<br />

saggezza Enzo Jannacci, il canuto settantenne.<br />

Massimo Bertarelli - Il Giornale<br />

Che film strampalato. Troppo. Col risultato che lo spettatore per un po’ sta al gioco, poi non riesce più ad<br />

arginare gli sbadigli. L’estemporaneo regista Sergio Castellitto, questa è la sua terza pellicola, si basa anche<br />

stavolta su un romanzo di successo della moglie, la riverita scrittrice Margaret Mazzantini. Il titolo è lo stesso,<br />

La bellezza del somaro, la noia probabilmente pure, ma per averne certezza bisognerebbe chiederlo a chi<br />

l’ha letto.<br />

Sono un esercito i personaggi, quasi tutti inutili, reclutati per il weekend nel casale di famiglia dell’architetto<br />

neocinquantenne Marcello (Castellitto) e della moglie psicologa Marina (Laura Morante). Occhio alla<br />

professione della signora, intaccabile alibi per allargare il giro dei comprimari a due insopportabili matti,<br />

Barbora Bobulova che va a zonzo col biberon e un tizio nerovestito e, si sussurra superdotato, che, armato<br />

di falce, tracanna bicchieri di pipì. Prosit. Ed ecco che si presenta Rosa (Nina Torresi), la figlia diciassettenne<br />

della coppia, con una raccapricciante inflessione romanesca e con il nuovo fidanzatino. No, non è Luca,<br />

figlio strafatto dell’amico medico Duccio (Marco Giallini), e neanche quel ragazzo di colore che l’apprensiva<br />

mamma ha scorto all’uscita da scuola. No, è tale Arm<strong>and</strong>o (Enzo Jannacci, col nome del buffo protagonista<br />

di una sua canzone), affabile, cortese, ma di almeno mezzo secolo più vecchio della loro bambina.<br />

Insomma, siamo vagamente dalle parti di Indovina chi viene a cena?, con netta prevalenza dell’umorismo<br />

surreale. Che per la verità non fa ridere nessuno. Nemmeno il defilato protagonista a quattro a zampe, che<br />

come un più celebre progenitore «tutto quel chiasso non degnò di un guardo e a brucar serio e lento<br />

seguitò».

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