I cattolici e la politica - Istituto Luigi Sturzo
I cattolici e la politica - Istituto Luigi Sturzo
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Civitas<br />
Rivista quadrimestrale di ricerca<br />
storica e cultura <strong>politica</strong><br />
Fondata e diretta da Filippo Meda<br />
(1919-1925)<br />
Diretta da Guido Gonel<strong>la</strong> (1947)<br />
Diretta da Paolo Emilio Taviani<br />
(1950-1995)<br />
Quarta serie<br />
Diretta da Gabriele De Rosa<br />
(2004-2007)<br />
Diretta da Franco Nobili<br />
«Civitas» “riprenderà il difficile impegno con <strong>la</strong> serietà<br />
ed il rigore che l’hanno contraddistinta nei momenti<br />
più travagliati e complessi.<br />
I temi riguarderanno problemi, eventi, prospettive<br />
del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> internazionale con un partico<strong>la</strong>re riguardo<br />
al<strong>la</strong> vita italiana ed all’unità europea.<br />
... Il XX secolo ha <strong>la</strong>sciato tracce e impronte in Italia,<br />
in Europa e nel mondo, che sono in gran parte da scoprire e,<br />
per un certo verso, se non addirittura, da correggere,<br />
da meglio interpretare.<br />
Sarà anche questo un importante compito del<strong>la</strong> nuova «Civitas»”.<br />
[Paolo Emilio Taviani, 18 febbraio 2000]<br />
Costo di un numero € 10,00<br />
Abbonamento a tre numeri € 25,00<br />
Abbonamento sostenitore € 250,00<br />
(Equivalente a 10 abbonamenti)<br />
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Tribunale Civile di Roma<br />
n. 152 dell’8.04.2004<br />
Direttore<br />
Franco Nobili<br />
Direttore Responsabile<br />
Agostino Giovagnoli<br />
Coordinatore editoriale<br />
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Redazione<br />
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Mario Giro<br />
Nico<strong>la</strong> Graziani<br />
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E-mail<br />
redazione@rubbettino.it<br />
2 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
NEL SOLCO DI UN CAMMINO COERENTE<br />
L’argomento di questo numero di «Civitas» non è stato scelto per le circostanze<br />
che da qualche tempo lo rendono sempre più attuale, ma perché è tra quelli che<br />
<strong>la</strong> Rivista, fin dal<strong>la</strong> sua prima apparizione nel panorama culturale del nostro Paese,<br />
ha da sempre trattato e sviluppato paralle<strong>la</strong>mente all’evolversi delle vicende culturali<br />
e politiche del<strong>la</strong> società italiana.<br />
Scorrendo infatti <strong>la</strong> ponderosa collezione dei numeri di «Civitas», del<strong>la</strong> prima<br />
(1919-1925), del<strong>la</strong> seconda (1947) e del<strong>la</strong> terza serie (1950-1995) – dalle quali<br />
è risorta l’attuale quarta serie (2004) – si ritrova il coerente sviluppo dell’argomento<br />
del<strong>la</strong> ricerca, anzi del<strong>la</strong> rivendicazione, di come il pensiero sociale cristiano e<br />
quindi <strong>la</strong> presenza attiva dei <strong>cattolici</strong> abbiano maturato nel nostro Paese diritti, doveri<br />
e ruoli in virtù dei contributi dati al suo progresso democratico e sociale. E fatto<br />
crescere un elettorato cattolico sensibile e d’opinione dal quale non è possibile<br />
prescindere.<br />
Il lungo cammino del<strong>la</strong> maturità sociale e <strong>politica</strong> dei <strong>cattolici</strong> italiani, ai<br />
quali il Magistero del<strong>la</strong> Chiesa ha progressivamente aperto strade sempre più <strong>la</strong>rghe<br />
di partecipazione e di responsabilità, viene ripercorso, in profondità e coerenza di<br />
giudizio, nell’editoriale, curato da Agostino Giovagnoli, col quale si apre questo<br />
numero che pertanto offre al<strong>la</strong> rinnovata riflessione dei lettori apporti culturali ed<br />
opinioni aderenti al nostro tempo.<br />
È nostra ferma convinzione che, in coerente analogia e continuità con lo spessore<br />
del dibattito che «Civitas» ha sempre promosso, tenuto vivo e rinnova nell’attuale<br />
fase del<strong>la</strong> vita italiana, questo numero del<strong>la</strong> Rivista, per il tema che tratta, sia <strong>la</strong><br />
continuità di un impegno che non mostrerà mai cedimenti e non avrà mai fine.<br />
Nel<strong>la</strong> seconda parte del testo, il ricordo a più voci di Pietro Scoppo<strong>la</strong> ci è sembrato<br />
più che doveroso per onorare un Amico e uno Storico d’impegno e di grande<br />
spessore, <strong>la</strong> cui scomparsa rende <strong>la</strong> cultura italiana orfana di un irripetibile protagonista.<br />
Nei Suoi scritti, nelle Sue opere, nelle Sue ricerche storiche, si ritrova <strong>la</strong> profonda<br />
attualità del Suo pensiero e del Suo impegno di cattolico sensibile al divenire<br />
del<strong>la</strong> società.<br />
Il richiamo ai Suoi copiosi contributi di Sapere e di Intelligenza è d’obbligo per<br />
integrare, aggiornare e completare <strong>la</strong> nostra analisi sul ruolo dei <strong>cattolici</strong> nel<strong>la</strong> società<br />
di oggi e del futuro.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Franco Nobili<br />
3
Indice<br />
DOVE VANNO I CATTOLICI<br />
Prima parte<br />
9 Editoriale<br />
17 Cento anni di dottrina sociale - di Andrea Riccardi<br />
33 Dieci tesi sui <strong>cattolici</strong> in <strong>politica</strong> - di Mauro Magatti<br />
41 Inquietudine e prospettive per il tempo presente - di Savino Pezzotta<br />
49 Lo specifico cristiano e il Partito democratico - di Pierluigi Castagnetti<br />
59 I <strong>cattolici</strong> e <strong>la</strong> <strong>politica</strong> oggi - di Gennaro Acquaviva<br />
71 I <strong>cattolici</strong> e <strong>la</strong> <strong>politica</strong> - di Gianni Baget Bozzo<br />
79 Cattolici e <strong>la</strong>ici nel Partito democratico. Intervista a Paolo Corsini<br />
- a cura di Carlo Giunipero<br />
89 Preparazione al<strong>la</strong> <strong>politica</strong>: l’esperienza di Retinopera - di Pao<strong>la</strong> Bignardi<br />
97 Il movimento dei Foco<strong>la</strong>ri: una scelta di campo - di Lucia Fronza Crepaz<br />
Seconda parte: ricordo di Pietro Scoppo<strong>la</strong><br />
111 Pietro Scoppo<strong>la</strong> e il nostro tempo - di Franco Nobili<br />
113 Omelia per il funerale di Pietro Scoppo<strong>la</strong> - del Cardinale Achille Silvestrini<br />
117 Scoppo<strong>la</strong>, <strong>la</strong> storia come complessità - di Andrea Riccardi<br />
121 Addio a Scoppo<strong>la</strong> cattolico e democratico - di Eugenio Scalfari<br />
123 Il Nuovo Partito che rompe con il Novecento, Post scriptum - di Eugenio Scalfari<br />
125 “Un cattolico a modo suo” - di Agostino Giovagnoli<br />
129 Quando il cattolico democratico ci inflisse <strong>la</strong> scomunica - di Giuliano Ferrara<br />
131 L’amore di Pietro per <strong>la</strong> storia - di Francesco Malgeri<br />
135 Scoppo<strong>la</strong>, l’etica come religione - di Alberto Melloni<br />
137 Gentiluomo <strong>la</strong>ico, di fede - di Emma Fattorini<br />
RUBRICHE<br />
POLITICA INTERNA a cura di Nico<strong>la</strong> Graziani 141<br />
POLITICA INTERNAZIONALE a cura di Mario Giro 146<br />
RICERCHE a cura di Andrea Bixio 152<br />
RELIGIONI E CIVILTÀ a cura di Agostino Giovagnoli 155<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
5
LIBERA OPINIONE a cura di Giorgio Tupini 160<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA a cura di Valerio De Cesaris 164<br />
NOMI CITATI 168<br />
NUMERI PRECEDENTI 170<br />
6 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Prima parte
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Editoriale<br />
Nei confronti del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> i cristiani vivono costantemente una difficoltà<br />
di fondo che non è facile superare. Benedetto XVI l’ha espressa sinteticamente<br />
nel suo libro su Gesù di Nazaret con queste parole: “sul Discorso del<strong>la</strong><br />
Montagna non si può costruire nessuno Stato e nessun ordine sociale”. Tra<br />
l’ideale cristiano e qualunque costruzione giuridico-<strong>politica</strong> è sempre presente<br />
una distanza profonda ed incolmabile: tutti i tentativi di negare o annul<strong>la</strong>re<br />
tale distanza hanno sempre avuto esiti negativi o addirittura tragici. Ma, sul<br />
piano storico, si deve registrare che in molti modi e in molte forme il cristianesimo<br />
ha influito sullo sviluppo delle istituzioni politiche e sociali: <strong>la</strong> storia europea<br />
è ricca di esempi in questo senso.<br />
Ciò vale anche per il novecento ed in partico<strong>la</strong>re per il caso italiano. Nel secolo<br />
scorso, in diversi momenti i <strong>cattolici</strong> hanno vissuto un nesso molto stretto<br />
tra le loro convinzioni più profonde e alcune scelte politico-istituzionali di carattere<br />
generale, impegnandosi a fondo nel<strong>la</strong> vita pubblica italiana. È accaduto<br />
nel primo dopoguerra con il Partito popo<strong>la</strong>re – l’evento più importante del<strong>la</strong><br />
storia italiana nel XX secolo, secondo Federico Chabod – e nel secondo dopoguerra<br />
con <strong>la</strong> Democrazia cristiana, mentre in altre fasi – come durante il fascismo<br />
– è prevalsa un’afasia dei <strong>cattolici</strong> nel<strong>la</strong> vita pubblica. Nel primo e nel<br />
secondo dopoguerra, infatti, l’apporto dei <strong>cattolici</strong> è stato determinante per tutto<br />
il paese, investendo nodi cruciali del sistema politico, come nel caso del Partito<br />
popo<strong>la</strong>re <strong>la</strong> cui nascita si lega strettamente al passaggio dallo Stato liberale<br />
allo Stato democratico, al<strong>la</strong> battaglia per <strong>la</strong> proporzionale e ad un radicale<br />
mutamento nel rapporto tra cittadini e Stato in Italia. Nel<strong>la</strong> Seconda guerra<br />
mondiale, invece, <strong>la</strong> ferma convinzione che <strong>la</strong> realizzazione di un obiettivo<br />
moralmente e religiosamente decisivo – come il raggiungimento di una pace<br />
stabile a livello internazionale – ha spinto i <strong>cattolici</strong> a guidare il paese verso <strong>la</strong><br />
definitiva transizione al<strong>la</strong> democrazia ed una rapida modernizzazione accompagnata<br />
da una redistribuzione delle ricchezze.<br />
9
Editoriale<br />
La “diaspora”<br />
Com’è noto, a partire dai primi anni novanta, dopo <strong>la</strong> dissoluzione del<strong>la</strong><br />
Democrazia cristiana, il ruolo dei <strong>cattolici</strong> in Italia si è sensibilmente ridotto.<br />
In realtà, molti esponenti democristiani hanno continuato ad essere presenti in<br />
altre formazioni politiche. Inizialmente, tale presenza si è concentrata soprattutto<br />
in formazioni che si richiamavano direttamente o indirettamente al<strong>la</strong><br />
Dc, mentre successivamente è prevalsa <strong>la</strong> diaspora in partiti diversi, anche se<br />
molti ex democristiani hanno conservato una comune cultura <strong>politica</strong>. È ancora<br />
presto per tentare un bi<strong>la</strong>ncio di tale presenza, che molti hanno deprecato come<br />
fattore di continuità con <strong>la</strong> “Prima repubblica” e come ostacolo al rinnovamento<br />
del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> e di cui altri, invece, sottolineano gli aspetti positivi. Uno<br />
degli effetti più rilevanti di questa presenza è stato indubbiamente costituito<br />
dal contributo dato al<strong>la</strong> conservazione del<strong>la</strong> Costituzione del 1948, sia sotto il<br />
profilo formale sia sotto il profilo materiale. Non sono mancati, però, anche<br />
<strong>cattolici</strong>, già in primo piano nel<strong>la</strong> battaglia per superare <strong>la</strong> Dc e l’unità <strong>politica</strong><br />
dei <strong>cattolici</strong>, che si sono invece impegnati per dar vita ad un sistema politico-istituzionale<br />
profondamente diverso dal precedente, pur nel<strong>la</strong> fedeltà ad alcuni<br />
fondamentali valori costituzionali. È uno degli esempi più eloquenti di<br />
una diaspora che non riguarda solo le scelte immediate ma anche gli orientamenti<br />
politico-ideali di fondo. In ogni caso, dopo il 1994 gli ex democristiani –<br />
e, più in generale, i <strong>cattolici</strong> – sono stati sempre meno al centro del<strong>la</strong> scena <strong>politica</strong>,<br />
dominata ormai da altre formazioni e da altri protagonisti. È una differenza<br />
decisiva se si pensa che, per tutta <strong>la</strong> lunga stagione democristiana, molti<br />
<strong>cattolici</strong> sono stati invece nel partito cardine dell’intero sistema politico. Il loro<br />
ruolo, se non proprio marginale e subalterno, si è quantomeno ridotto in modo<br />
sensibile e <strong>la</strong> loro presenza sul piano politico, nel<strong>la</strong> cosiddetta Seconda repubblica,<br />
è stata interpretata in chiave residuale come mera sopravvivenza di un<br />
passato ben diverso.<br />
Il ruolo di supplenza del<strong>la</strong> Cei<br />
Al declino e al<strong>la</strong> scomparsa del<strong>la</strong> Dc ha però corrisposto una crescente visibilità<br />
di un altro soggetto sempre più rilevante nel cattolicesimo italiano: <strong>la</strong><br />
Conferenza episcopale, al<strong>la</strong> cui guida – dal<strong>la</strong> metà degli anni ottanta al 2007<br />
– è stato, con diversi ruoli, il card. Camillo Ruini. In questo periodo, <strong>la</strong> Cei ha<br />
interpretato <strong>la</strong> prospettiva indicata al cattolicesimo italiano da Giovanni Pao-<br />
10 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Editoriale<br />
lo II nel convegno di Loreto del 1985, quando il papa incoraggiò i <strong>cattolici</strong> italiani<br />
a sviluppare con più forza <strong>la</strong> propria presenza nel<strong>la</strong> società. Il card. Ruini<br />
ha successivamente ricostruito <strong>la</strong> transizione degli anni ottanta e novanta, affermando<br />
che al convegno di Loreto, si aprì “una fase nuova, più propositiva e<br />
in un certo senso più ‘ambiziosa’ del<strong>la</strong> Chiesa italiana, pur mantenendosi ben<br />
dentro il solco del primato del<strong>la</strong> evangelizzazione tracciato dal<strong>la</strong> Cei già col<br />
piano pastorale degli anni ’70, sul<strong>la</strong> scorta del<strong>la</strong> Evangelii nuntiandi di Paolo<br />
VI”. Egli ha spiegato tale apertura in questi termini:<br />
“A Loreto veniva messo in evidenza il rapporto con <strong>la</strong> società e con <strong>la</strong> cultura,<br />
caratteristico del<strong>la</strong> proposta del<strong>la</strong> ‘nuova evangelizzazione’ di Giovanni<br />
Paolo II: il suo invito ad operare ‘anche e partico<strong>la</strong>rmente in una società pluralistica<br />
e parzialmente scristianizzata […] affinché <strong>la</strong> fede cristiana abbia o recuperi<br />
un ruolo guida e un’efficacia trainante, nel cammino verso il futuro”.<br />
Al<strong>la</strong> svolta di Loreto rimasero estranee sia buona parte del mondo cattolico<br />
sia <strong>la</strong> Democrazia cristiana, anche se probabilmente nell’immediato quest’ultima<br />
ne beneficiò sul piano elettorale. Secondo una successiva ricostruzione del<br />
card. Ruini, negli ultimi tempi del<strong>la</strong> vita di questo partito, <strong>la</strong> Cei “ha insistito<br />
con forza sull’unità <strong>politica</strong> dei <strong>cattolici</strong>, motivando<strong>la</strong> però più che con <strong>la</strong> necessità<br />
di difendere il sistema democratico, con il dovere di salvaguardare e promuovere<br />
alcuni fondamentali contenuti etici ed antropologici”. Pur esprimendo<br />
una chiarezza emersa solo successivamente, <strong>la</strong> ricostruzione sottolinea una<br />
progressiva divaricazione tra Cei e Dc che indubbiamente ci fu, malgrado il sostegno<br />
elettorale offerto fino al<strong>la</strong> fine dall’episcopato italiano a questo partito.<br />
Tale divaricazione manifesta un calo di interesse per il ruolo dei <strong>cattolici</strong> quale<br />
cardine del<strong>la</strong> democrazia italiana, mentre cresceva, nel contesto dell’episcopato<br />
wojty<strong>la</strong>no, <strong>la</strong> sensibilità per tematiche culturali ed antropologiche che venivano<br />
emergendo sotto <strong>la</strong> spinta del<strong>la</strong> globalizzazione.<br />
Il recupero dell’autonomia del<strong>la</strong> Chiesa<br />
Dopo <strong>la</strong> scomparsa del “partito cattolico”, mentre ancora era diffuso tra i<br />
<strong>cattolici</strong> un grande smarrimento per una fine così improvvisa e, soprattutto, così<br />
ingloriosa, al Convegno di Palermo del 1995 <strong>la</strong> Chiesa italiana ha indicato<br />
<strong>la</strong> strada del distacco dalle diverse formazioni che venivano popo<strong>la</strong>ndo un nuovo<br />
sistema politico bipo<strong>la</strong>re. Dopo <strong>la</strong> scomparsa del<strong>la</strong> Dc, l’istituzione ecclesiastica<br />
ha inoltre recuperato una piena autonomia nei confronti di un <strong>la</strong>icato<br />
cattolico che aveva visto crescere progressivamente <strong>la</strong> propria autorevolezza,<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
11
Editoriale<br />
grazie al ruolo assunto nelle istituzioni pubbliche ed al<strong>la</strong> guida dello Stato. Si<br />
sono poste così le premesse per un nuovo ruolo pubblico assunto direttamente<br />
dal<strong>la</strong> Presidenza del<strong>la</strong> Cei in rappresentanza dell’intero cattolicesimo italiano.<br />
A partire dagli anni novanta, il card. Ruini ha avviato il “progetto culturale”<br />
del<strong>la</strong> Chiesa italiana, ingiustamente sospettato di preparare <strong>la</strong> ricostruzione<br />
del<strong>la</strong> Democrazia cristiana. Le vicende successive hanno mostrato chiaramente<br />
che né il card. Ruini né i suoi col<strong>la</strong>boratori al vertice del<strong>la</strong> Cei hanno puntato<br />
sul<strong>la</strong> rinascita del<strong>la</strong> Democrazia cristiana. Il duplice obiettivo del progetto culturale<br />
era diverso: inculturare <strong>la</strong> fede e soprattutto evangelizzare <strong>la</strong> cultura di<br />
un paese sempre più seco<strong>la</strong>rizzato come l’Italia di fine novecento. Il card. Ruini<br />
ha qualificato <strong>la</strong> prospettiva globale dell’evangelizzazione ponendo al centro<br />
dell’attenzione nuove tematiche culturali e antropologiche, diffondendole tra i<br />
<strong>cattolici</strong> ed aprendo un dialogo con <strong>la</strong>ici sensibili a tali tematiche. La scelta<br />
ruiniana di privilegiare tali questioni ha anticipato un più <strong>la</strong>rgo interesse che<br />
si è manifestato successivamente, com’è partico<strong>la</strong>rmente evidente nel caso del<strong>la</strong><br />
bioetica. Tutto ciò è poi apparso in una luce nuova dopo l’11 settembre 2001:<br />
l’attenzione che in tutto il mondo è stata rivolta nei confronti delle religioni, il<br />
rapporto fra religione e <strong>politica</strong>, il ruolo pubblico delle religioni nel contesto<br />
odierno ha favorito un’ulteriore crescita del ruolo pubblico del<strong>la</strong> Chiesa cattolica<br />
in Italia.<br />
I pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI<br />
Come si vede, <strong>la</strong> Cei ha guidato il cattolicesimo italiano su strade molto<br />
diverse rispetto a quelle battute precedentemente dal<strong>la</strong> Dc. Tuttavia, proprio intorno<br />
a questioni come quelle del<strong>la</strong> bioetica si sono sviluppate, com’è noto, iniziative<br />
che hanno fatto par<strong>la</strong>re di nuovo intervento politico del<strong>la</strong> Chiesa nel<strong>la</strong><br />
situazione italiana. Iniziative come quelle prese in occasione del referendum sul<strong>la</strong><br />
fecondazione assistita hanno infatti riguardato direttamente il terreno del<strong>la</strong><br />
produzione normativa, oltre a quello etico, toccando indirettamente anche <strong>la</strong><br />
dimensione del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>, nel senso ampio del termine. Tutto ciò ha provocato<br />
molte polemiche, mentre si manifestavano nuovamente forme di acceso anticlericalismo<br />
dopo molti anni di “pace religiosa”. Sotto il profilo storico, si può dire<br />
che <strong>la</strong> Cei abbia in parte raccolto l’eredità del<strong>la</strong> Dc, seppure su terreni e con modalità<br />
evidentemente molto diversi: ciò è avvenuto soprattutto per quanto riguarda<br />
l’obiettivo – già ampiamente perseguito dal<strong>la</strong> Democrazia cristiana – di<br />
evitare che il cattolicesimo italiano si chiudesse in una logica di minoranza, at-<br />
12 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
testato su posizioni specifiche e “non comunicabili”, spingendolo invece verso un<br />
ruolo di “parte” che si fa carico dei problemi del “tutto” costituito dal paese nel<br />
suo complesso. La Cei, viceversa, non ha sostituito interamente <strong>la</strong> Dc nel<strong>la</strong> guida<br />
<strong>politica</strong> dei <strong>cattolici</strong> italiani: i suoi interventi, infatti, si sono concentrati su<br />
questioni specifiche, seppure sempre più importanti, che essa ha considerato di<br />
sua diretta competenza ed in partico<strong>la</strong>re sulle tematiche antropologico-culturali,<br />
scegliendo invece di non intervenire in altri campi, come i problemi politicoistituzionali<br />
attinenti al<strong>la</strong> “costituzione materiale” che hanno costituito probabilmente<br />
il principale problema irrisolto del<strong>la</strong> “Seconda repubblica”. Collegato<br />
a tale “disinteresse” – che scaturisce dal<strong>la</strong> natura e agli scopi specifici propri dell’istituzione<br />
ecclesiastica – appare anche l’abban dono di una “divisione di ruoli”<br />
che assegnava principalmente al <strong>la</strong>icato cattolico <strong>la</strong> presenza nel<strong>la</strong> vita pubblica,<br />
anche se Benedetto XVI e l’episcopato italiano hanno continuato a ribadire che<br />
l’impegno politico spetta di rego<strong>la</strong> non al clero ma ai <strong>la</strong>ici.<br />
In questo contesto, è tornato periodicamente a riproporsi il problema del<strong>la</strong><br />
presenza <strong>politica</strong> di questi ultimi e sono emersi nuovi tentativi per configurare<br />
tale presenza, ad opera non solo di ex democristiani o di protagonisti comunque<br />
riconducibili all’esperienza del<strong>la</strong> “Prima repubblica”, ma anche da esponenti<br />
dell’associazionismo cattolico di varia provenienza, espressivi del<strong>la</strong> nuova<br />
stagione che si è aperta dopo il declino e <strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> Dc. Formati nel contesto<br />
ecclesiale e politico degli ultimi decenni, molti di loro non appaiono partico<strong>la</strong>rmente<br />
nostalgici dell’esperienza democristiana e sono viceversa sensibili alle novità<br />
maturate durante i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.<br />
Anche un rapporto più stretto con l’istituzione ecclesiastica ed in partico<strong>la</strong>re<br />
con <strong>la</strong> Cei li differenzia dagli ex democristiani, insieme ad una maggiore consonanza<br />
con i movimenti e le organizzazioni ecclesiali che rappresentano <strong>la</strong><br />
principale novità del <strong>la</strong>icato cattolico italiano degli ultimi decenni.<br />
La collocazione dei <strong>cattolici</strong> tra giudizi e scelte<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Editoriale<br />
Siamo arrivati così al<strong>la</strong> situazione attuale, che questo numero di «Civitas»<br />
cerca di fotografare. Si tratta di un argomento di interesse primario per<br />
una rivista come «Civitas», le cui diverse stagioni sono state tutte collegate alle<br />
varie forme assunte dall’impegno politico dei <strong>cattolici</strong> in Italia. Questo numero<br />
non ha <strong>la</strong> pretesa di interpretare l’attuale situazione dei <strong>cattolici</strong> in Italia, né<br />
di prevederne gli sviluppi futuri. Pesano infatti molte incognite, dalle scelte degli<br />
attori principali alle modificazioni del sistema elettorale. Si è scelto perciò di<br />
13
Editoriale<br />
raccogliere opinioni diverse di studiosi, esperti, protagonisti di vario orientamento<br />
politico e di diversa collocazione nell’attuale scenario italiano. Ne è scaturito<br />
un quadro che non è certo esauriente – anche per <strong>la</strong> mancanza di alcune<br />
voci che non è stato possibile ospitare malgrado ripetuti tentativi –, ma che tuttavia<br />
ci sembra ampio ed interessante. Accanto ai contributi di uno storico<br />
(Andrea Riccardi), di un sociologo (Mauro Magatti), sono ospitate le voci di<br />
politici (come Pierluigi Castagnetti, Gennaro Acquaviva e Paolo Corsini) o di<br />
osservatori (come Gianni Baget Bozzo) esplicitamente collocati in una parte o<br />
dall’altra dello scenario politico, di personalità cattoliche che guardano al<strong>la</strong> <strong>politica</strong><br />
dal punto di vista del loro impegno ecclesiale (come Pao<strong>la</strong> Bignardi e Lucia<br />
Fronza Crepaz) o che sono esplicitamente al<strong>la</strong> ricerca di nuove forme di impegno<br />
(come Savino Pezzotta).<br />
Il quadro che ne emerge è variegato. Molte delusioni sono maturate con il<br />
tramonto sempre più evidente del<strong>la</strong> speranza che, in un sistema bipo<strong>la</strong>re, un<br />
elettorato cattolico “d’opinione”, numericamente minoritario ma <strong>politica</strong>mente<br />
consapevole, potesse svolgere un ruolo determinante, spostandosi tra i due<br />
schieramenti e decidendone le sorti. Non a caso, emerge oggi, in molti luoghi<br />
diversi del<strong>la</strong> società italiana, <strong>la</strong> spinta ad esprimere più compiutamente orientamenti<br />
che vengono maturando nel mondo cattolico. Ma tale spinta si scontra<br />
con dure opposizioni animate da <strong>cattolici</strong> decisi invece a respingere l’ipotesi di<br />
un’espressione troppo diretta sul piano politico del<strong>la</strong> loro identità religiosa. A<br />
qualcuno, una presenza sociale e <strong>politica</strong> più direttamente legata all’identità<br />
cattolica sembra direttamente connessa a tentazioni di invadenza clericale da<br />
parte dell’istituzione ecclesiastica; ad altri, al contrario, il ritorno in forme<br />
nuove di una presenza più incisiva del <strong>la</strong>icato cattolico sul piano politico appare<br />
un modo per limitare tali tentazioni. Molti altri esempi potrebbero essere richiamati<br />
a conferma dei molteplici orientamenti presenti oggi nel cattolicesimo<br />
italiano, ma comunque appare complessivamente piuttosto diffusa l’insoddi sfa -<br />
zio ne per il modo limitato o scarsamente rilevante in cui <strong>la</strong> presenza dei <strong>cattolici</strong><br />
si è configurata in Italia negli ultimi quindici anni.<br />
Il diritto al rispetto del<strong>la</strong> Chiesa<br />
L’ insoddisfazione è stata autorevolmente espressa anche dal card. Tarcisio<br />
Bertone, il quale ha manifestato l’opinione che, “ai tempi del<strong>la</strong> Democrazia<br />
cristiana e del Pci”, “c’era più rispetto” verso <strong>la</strong> Chiesa. La stampa ha sottolineato<br />
soprattutto l’opinione espressa dal cardinale che “<strong>la</strong> posizione di Gramsci<br />
14 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
e di tanti esponenti comunisti verso <strong>la</strong> religione era ben diversa da quelli di certi<br />
<strong>la</strong>icisti attuali”. Ma Bertone ha anche contrastato l’opinione che “un cattolico<br />
non possa avere un concetto positivo di <strong>la</strong>icità”, richiamando i nomi di<br />
“Giuseppe Lazzati, Igino Giordani, Giorgio La Pira, e altre grandi personalità”,<br />
a suo avviso espressive di un senso autentico di <strong>la</strong>icità in grado di smentire<br />
“pregiudizi stereotipati, quasi che un cattolico non possa essere un cittadino<br />
vero”. Emerge da queste parole un esplicito riconoscimento del<strong>la</strong> capacità dei<br />
<strong>cattolici</strong> di esprimere “un senso positivo di <strong>la</strong>icità”, probabilmente non estraneo<br />
al rispetto di cui <strong>la</strong> Chiesa godeva ai tempi del<strong>la</strong> Democrazia cristiana anche<br />
da parte di chi – come i leaders comunisti – ne aveva auspicato, almeno inizialmente,<br />
se non <strong>la</strong> distruzione almeno un forte ridimensionamento.<br />
Cattolicesimo italiano e società italiana<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Editoriale<br />
Ma, probabilmente, non è solo l’insoddisfazione dei <strong>cattolici</strong> a suscitare<br />
interrogativi sul<strong>la</strong> loro presenza nel<strong>la</strong> <strong>politica</strong> italiana. Sembra infatti di poter<br />
notare un nesso tra questa problematica e un’ insoddisfazione più generale nei<br />
confronti del<strong>la</strong> cosiddetta “Seconda repubblica”. È l’insoddisfazione che ha<br />
spinto verso <strong>la</strong> formazione di un nuovo soggetto politico – il Partito Democratico,<br />
che secondo molti osservatori ha costituito l’evento <strong>politica</strong>mente più rilevante<br />
del 2007 –, cui sono seguiti movimenti diversi sia nel centro-sinistra sia<br />
nel centro-destra nonché il ri<strong>la</strong>ncio del dibattito sull’esigenza di rifondare<br />
l’intero sistema politico-istituzionale attraverso riforme elettorali e costituzionali.<br />
In altre parole, si guarda oggi ai <strong>cattolici</strong> non solo come ad una limitata<br />
riserva elettorale, utile a questa o quel<strong>la</strong> formazione <strong>politica</strong> – i cosiddetti “voti<br />
del cielo” –, ma anche in rapporto a ciò che essi possono rappresentare per il<br />
sistema-paese nel suo complesso. Ciò ha generato attese persino eccessive, gradite<br />
agli uni e sgradite agli altri, verso i <strong>cattolici</strong> e ciò che essi potrebbero fare nel<strong>la</strong><br />
<strong>politica</strong> italiana, sopravvalutato dalle speranze degli uni e dai timori degli altri.<br />
In ogni caso, il collegamento con un’insoddisfazione complessiva verso <strong>la</strong><br />
<strong>politica</strong> italiana proietta i <strong>cattolici</strong> oltre una interpretazione puramente residuale<br />
o so<strong>la</strong>mente marginale del<strong>la</strong> loro presenza nel<strong>la</strong> <strong>politica</strong> italiana.<br />
È un modo di guardare ai <strong>cattolici</strong> in linea con tutta <strong>la</strong> loro storia precedente<br />
nell’Italia post-unitaria. L’assenza o <strong>la</strong> presenza dei <strong>cattolici</strong> nel<strong>la</strong> vita<br />
<strong>politica</strong> italiana ha infatti segnato quest’ultima, nel bene e nel male e si può dire<br />
che il contributo dei <strong>cattolici</strong> è stato utile al paese soprattutto quando essi<br />
hanno sostenuto prospettive di interesse generale, come è avvenuto con il Ppi e<br />
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Editoriale<br />
in un alcune fasi del<strong>la</strong> storia del<strong>la</strong> Dc. Con ogni probabilità, oggi, l’esigenza di<br />
un loro maggior coinvolgimento non su questioni specifiche, come già avviene,<br />
ma nelle scelte di fondo per costruire un nuovo assetto politico-istituzionale si<br />
radicano, da una parte, nei legami del cattolicesimo italiano con dinamiche<br />
più ampie del mondo globalizzato e, dall’altro, nei suoi collegamenti profondi<br />
con <strong>la</strong> società italiana. I <strong>cattolici</strong> potrebbero cioè contribuire, come in altri momenti,<br />
ad una più soddisfacente collocazione internazionale del paese e ad un<br />
rapporto più intenso tra istituzioni e cittadini. In ogni caso, il problema del<strong>la</strong><br />
presenza dei <strong>cattolici</strong> nel<strong>la</strong> vita sociale e <strong>politica</strong> italiana non costituisce una<br />
questione meramente “confessionale”, tutta interna al cattolicesimo italiano ed<br />
alle sue evoluzioni. Si tratta di un problema che riguarda l’intera società italiana<br />
e in questo senso è interesse anche dei non <strong>cattolici</strong> capire se, accanto al<br />
rapporto tra Chiesa e Stato, che segue sue dinamiche specifiche, faccia bene o<br />
faccia male all’Italia un maggior coinvolgimento dei <strong>cattolici</strong> – in quali forme?<br />
– nel<strong>la</strong> vita pubblica e nel<strong>la</strong> costruzione dello Stato.<br />
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Cento anni di dottrina sociale*<br />
Cent’anni dal<strong>la</strong> prima Settimana Sociale. Si può far <strong>la</strong><br />
storia di questa istituzione? Alcuni potranno. Per me,<br />
l’interesse è considerare le quarantacinque Settimane<br />
come osservatorio del<strong>la</strong> storia del cattolicesimo italiano.<br />
Sì, cent’anni di cristianesimo italiano lungo un secolo<br />
che è, per l’Italia, il secolo del<strong>la</strong> nazione, il primo<br />
dello Stato unitario. Fino all’Ottocento, il grande e solo<br />
fatto unificante del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> fu il cattolicesimo.<br />
Per questo – notava Rumi – l’Unità fu pensata in modo<br />
neoguelfo. Ma l’Italia non nasce dal grembo del<strong>la</strong><br />
Chiesa e progressivamente non le appartiene più unanime.<br />
Il Novecento è il secolo più seco<strong>la</strong>rizzato. Ed è il<br />
secolo del cattolicesimo che si fa movimento sociale e<br />
politico.<br />
Alle origini del<strong>la</strong> pretesa di essere sociali<br />
In cent’anni, attraverso le Settimane, appaiono i dibattiti<br />
sul<strong>la</strong> dimensione sociale del cristianesimo italiano, sul<br />
rapporto con l’Italia del potere e del quotidiano. Le Settimane<br />
sono ufficiali, ma raccolgono idee, uomini e migliori<br />
energie del cattolicesimo. Chi si immerge negli Atti, constata,<br />
con sorpresa, come talune risposte o questioni, sentite oggi<br />
nuove, ritornino di stagione in stagione. Chi sottolinea le<br />
svolte, leggendo gli Atti, ha l’impressione, tra tante diversità,<br />
di un fluire continuo di vissuto, che fa <strong>la</strong> storia del<strong>la</strong> Chiesa.<br />
Storia sociale, <strong>politica</strong>…, ma anche storia del<strong>la</strong> carità in senso<br />
<strong>la</strong>rgo (questa meno nota). La Chiesa è compagna di sempre<br />
del popolo italiano, come nessun’altra istituzione. Viene<br />
*Dal<strong>la</strong> 45° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani celebrativa del Centenario.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
ANDREA RICCARDI<br />
Università degli<br />
Studi Roma Tre<br />
≈<br />
“Il cattolicesimo,<br />
dal secondo<br />
dopoguerra, ha<br />
fatto storia sociale<br />
e <strong>politica</strong> da<br />
protagonista,<br />
come mai… c’è ora,<br />
con il distacco del<br />
tempo, il grande<br />
<strong>la</strong>voro da fare:<br />
scriverne <strong>la</strong><br />
storia”<br />
≈<br />
17
Andrea Riccardi<br />
da più lontano del giovane Stato. È quel che il vecchio vescovo Monterisi disse, con<br />
orgoglio, a Badoglio che lo rimproverava di non cedergli il seminario nel 1944 e<br />
che lo aveva apostrofato: “Lei è italiano?”:<br />
“Quando il popolo è rimasto solo e stremato dalle sofferenze del<strong>la</strong> guerra io<br />
vecchio di 76 anni, col mio clero, sono rimasto al mio posto a conforto e sollievo<br />
del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione, il maresciallo Badoglio è scappato a Pescara”.<br />
Rimasti al proprio posto a conforto e sollievo del popolo: <strong>la</strong> vita di un pastore<br />
o del<strong>la</strong> Chiesa è sociale, fin dalle fibre più ecclesiali. La Chiesa e il popolo:<br />
sembra retorica, ma è presenza dentro il vissuto degli italiani. Gli italiani lo sentono,<br />
specie nei momenti difficili. La Chiesa par<strong>la</strong> sempre agli italiani, perché da<br />
antica compagna del<strong>la</strong> storia italiana, ha maturato un invidiabile senso del<strong>la</strong><br />
realtà, anzi direbbe Paolo VI, un’esperienza di umanità. Così nelle Settimane rifluisce<br />
un’esperienza pensata, proposta, discussa. Tuttavia, nei primi decenni dell’Unità,<br />
<strong>la</strong> Chiesa non ha posto nel quadro istituzionale dello Stato, a cui i <strong>cattolici</strong><br />
non partecipano.<br />
Ugualmente si sente portatrice di un’idea di bene per il paese: “quel sommo e<br />
immutabile bene”, di cui par<strong>la</strong> Leone XIII nel<strong>la</strong> Immortale Dei del 1885, lo stesso<br />
che Monterisi rivendica di fronte a Badoglio. Con Leone XIII, <strong>la</strong> convinzione di essere<br />
portatori di sommo bene si artico<strong>la</strong> sul terreno sociale. L’affermazione di una<br />
Chiesa che è sociale lega posizioni diverse: da mons. Benigni, personaggio poco<br />
chiaro e antisemita, che lotta insieme contro gesuiti e massoni, e nel 1907 pubblica<br />
<strong>la</strong> sua Storia sociale del<strong>la</strong> Chiesa, fino al card. De Lubac, teologo del Vaticano II, con<br />
il suo Cattolicismo, gli aspetti sociali del dogma nel 1938.<br />
Le origini<br />
Le Settimane nascono per illustrare ai <strong>cattolici</strong> e agli italiani i volti del bene<br />
comune: par<strong>la</strong>no all’interno, ma mai solo e non dell’interno bensì del paese. Cominciano<br />
a Lione nel 1904, poco dopo <strong>la</strong> rottura tra Francia anticlericale e Santa<br />
Sede. La Settimana di Lione esprime una vivace generazione cattolica, militante e<br />
sociale, offrendo “una dottrina all’impegno cattolico sociale”. La Spagna segue nel<br />
1906, anche se <strong>la</strong> stagione più incisiva è col franchismo, dal 1949 al 1970, quando<br />
i <strong>cattolici</strong> trovano spazio di influenza nel regime del generalissimo. Dal 1908, il<br />
Belgio celebra <strong>la</strong> sua Settimana. Le Settimane belghe entrano in crisi con l’affie -<br />
volirsi dell’unità del paese, oggi arrivato al<strong>la</strong> scomposizione nell’indifferenza europea,<br />
crisi emblematica per noi tutti. Troviamo le Settimane nel 1908 in Messico, in<br />
Uruguay, più tardi in Cile e Brasile. In Canada vanno dal 1920 al 1959. In Germania<br />
non arrivano mai, per l’esistenza de Katholikentag, convegno nazionale dei <strong>cattolici</strong>,<br />
non sugli aspetti sociali.<br />
18 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Le Settimane affermano che <strong>la</strong> Chiesa ha da dire sul terreno del<strong>la</strong> società,<br />
perché è nel sociale. Nell’età liberale, esprimono un rifiuto del posto assegnatole<br />
dai regimi liberali, cioè del solo culto. Le leggi sull’asse ecclesiastico sopprimono<br />
monasteri, vita religiosa, opere caritative, lo spessore sociale, <strong>la</strong>sciando solo le parrocchie<br />
e le diocesi, sostenute dallo Stato. La Chiesa è ridotta a struttura di servizio<br />
religioso pubblico a una società che allora aveva una morale pubblica quasi coincidente<br />
con quel<strong>la</strong> cattolica. Rifiuta uno spazio solo culturale, quasi cappel<strong>la</strong>no del<strong>la</strong><br />
società civile (voluta dal<strong>la</strong> borghesia liberale anche con un’idea di riforma ecclesiastica<br />
e spirituale). Respinge il posto di servizio civile religioso (come aveva voluto <strong>la</strong><br />
Rivoluzione, ma anche come si era profi<strong>la</strong>to nell’anglicanesimo ed è proposta di riduzione<br />
ricorrente del<strong>la</strong> vita ecclesiale); non rinuncia allo spessore sociale del<strong>la</strong> sua<br />
vita e azione. Vuole essere un popolo diverso attorno al papa e ai vescovi dentro <strong>la</strong><br />
società italiana (“un movimento” – aveva affermato Lamennais nel<strong>la</strong> crisi del<strong>la</strong> Restaurazione).<br />
Intende par<strong>la</strong>re dell’Italia e a nome dell’Italia, un paese di cui crede di<br />
conoscere il bene.<br />
Cattolici sociali tra liberali e socialisti<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Andrea Riccardi<br />
Questa è <strong>la</strong> storia del movimento cattolico dall’Opera dei Congressi, tempo<br />
di Leone XIII (1878-1903), fervido di idee e di azioni. Ma anche tempo del<br />
grande conflitto triango<strong>la</strong>re otto-novecentesco: borghesia, Chiesa, movimento<br />
socialista, tre poli in lotta tra loro, anche se le distanze tra l’uno e l’altro si accorciano<br />
o si allungano secondo le congiunture. Cattolici esterni al potere sentono<br />
<strong>la</strong> necessità di agire per un “ridestamento” – disse Toniolo a Pistoia – sul piano<br />
sociale, perché il mondo cambia, i socialisti avanzano, ci sono profonde miserie, i<br />
cuori operai e contadini si estraniano al<strong>la</strong> fede. Il professore crede – scriveva – in<br />
“una economia umana… per cui all’uomo operoso venga seguace e alleato il capitale”.<br />
Nel 1908, di fronte alle agitazioni agrarie dell’Emilia, Toniolo commentò:<br />
“guai a chi arriva secondo”. Si sente che l’orologio del<strong>la</strong> storia è mosso da altri.<br />
Come entrare nel<strong>la</strong> storia, se non si fa <strong>politica</strong>? La risposta è: con <strong>la</strong> battaglia sociale,<br />
più efficace di una <strong>politica</strong> peraltro preclusa dal<strong>la</strong> questione romana. Toniolo<br />
lottò per condensare le intelligenze cattoliche sugli studi sociali, perché bisognava<br />
ripartire dalle idee per orientare <strong>la</strong> storia nazionale. Convinto con Marx<br />
che il capitalismo moderno portasse allo sfruttamento del proletariato, Toniolo,<br />
contro Marx, riteneva che le idee non fossero sovrastrutture, ma muovessero <strong>la</strong><br />
storia da strutture portanti. Le Settimane investono sulle idee per dar carne all’opposizione<br />
cattolica, per dir<strong>la</strong> con Spadolini: non solo “no” allo Stato usurpatore<br />
da fuori del<strong>la</strong> storia. Non l’esclusiva difesa degli interessi <strong>cattolici</strong> o del papa,<br />
ma una visione di bene generale del paese. L’opposizione si fa proposta nel<strong>la</strong> storia<br />
sociale.<br />
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Andrea Riccardi<br />
Il tempo dell’esordio è il confronto-scontro con l’altra Italia, <strong>la</strong>ica, anticlericale<br />
e socialista, di cui si vede un saggio a Pistoia: “Un giorno una fol<strong>la</strong> miserabile<br />
per denaro ed educazione era trascurata e <strong>la</strong>sciata nel suo basso fondo. – dice Minoretti<br />
– Ieri presero dei sassi e li <strong>la</strong>nciarono ignobilmente contro il prof. Toniolo…<br />
Non sprezzo, non insulti contro questi poveretti, ma compassione fatta di amore e<br />
di <strong>la</strong>voro, perché giungano a quel grado di cultura…”. Perché questa gente si estrania<br />
dal<strong>la</strong> Chiesa? La domanda angustia i <strong>cattolici</strong> europei da Leone XIII in poi. Sono<br />
figli di un mondo cambiato: dell’anticlericalismo borghese e di un movimento<br />
di redenzione sociale (il socialismo), più pericoloso del primo, perché allontana il<br />
popolo. La dottrina sociale mostra una Chiesa che interpreta quello che sente essere<br />
il bene dell’Italia. Non attraverso <strong>la</strong> <strong>politica</strong>. È <strong>la</strong> prima stagione delle Settimane,<br />
dal 1907 al 1913, con i suoi temi: azione sociale, condizione operaia, <strong>la</strong>voro, cooperazione,<br />
scuo<strong>la</strong>, famiglia, problemi agricoli, economia, organizzazioni professionali,<br />
libertà civili dei <strong>cattolici</strong>. Le Settimane si aggruppano in blocchi: dal 1907 al<br />
1913 con Pio X; dal 1920 al 1934; dal 1945 al 1970; dal 1991 ad oggi. La cadenza<br />
varia, a differenza di quel<strong>la</strong> più o meno annuale dei francesi.<br />
La Settimana del 1907 nasce con Pio X (1903-1914), dopo lo scioglimento,<br />
nel 1904, del grande strumento dell’opposizione cattolica, l’Opera dei Congressi.<br />
Il movimento cattolico è tenuto nelle mani del<strong>la</strong> Santa Sede, ma si opera <strong>la</strong> distinzione<br />
tra azione del clero e del <strong>la</strong>icato; si promuoveva l’azione sociale ma si guarda<br />
al<strong>la</strong> <strong>politica</strong>. La Settimana, in questa strategia, raccoglie idee pensieri per <strong>cattolici</strong><br />
dentro il paese reale, più vicini di qualche anno prima ai meccanismi politici del<br />
paese legale. È organizzata dall’Unione Popo<strong>la</strong>re, diretta da Toniolo, dopo <strong>la</strong> fine<br />
dell’Opera dei Congressi. Con l’Unione elettorale, sorta per riorganizzare le forze<br />
cattoliche sul piano locale, nel 1913 si va al cosiddetto patto Gentiloni: l’appoggio,<br />
nelle prime elezioni a suffragio universale maschile, a candidati in <strong>la</strong>rga parte liberali,<br />
che sottoscrivono sette punti a cuore al<strong>la</strong> Chiesa. Non è una proposta <strong>politica</strong><br />
cattolica, ma un sostegno negoziato ai moderati. Per fermare i socialisti, si riduce <strong>la</strong><br />
distanza del<strong>la</strong> Chiesa dal blocco liberalgiolittiano. Due poli del<strong>la</strong> lotta triango<strong>la</strong>re si<br />
accostano: <strong>cattolici</strong> e borghesia.<br />
Le Settimane finiscono nel 1913, prima del<strong>la</strong> guerra. L’ultima, nel XVI centenario<br />
dell’Editto di Costantino, per <strong>cattolici</strong> sul<strong>la</strong> soglia del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>, ha come tema:<br />
Le libertà civili dei <strong>cattolici</strong>. Cosa chiedono i <strong>cattolici</strong> allo Stato? La <strong>la</strong>icità non<br />
sia <strong>la</strong>icismo, i <strong>cattolici</strong> nei corpi consultivi, le congregazioni religiose libere, <strong>la</strong> Chiesa<br />
in libero possesso dei suoi beni, l’insegnamento libero, il matrimonio indissolubile…<br />
Sono storie lontane. Ma <strong>la</strong> <strong>politica</strong> del<strong>la</strong> Chiesa, se così posso dire, non ha i brevi<br />
tempi di una legis<strong>la</strong>tura o quelli, oggi brevissimi, del dibattito televisivo; corre su<br />
scansioni lunghe, forse perché non sottoposta a elezioni o sondaggi, soprattutto perché<br />
aderente al vissuto. Quindi tanto ritorna. Il cattolicesimo d’opposizione, rigurgitante<br />
di iniziative sociali, con l’attenuarsi del non expedit, al crepuscolo dell’egemo-<br />
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Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
nia liberale, con il suffragio universale che riversa le masse in <strong>politica</strong>, dichiara <strong>la</strong> sua<br />
visione per l’Italia: <strong>la</strong> ricerca del “bene comune”, interesse dei <strong>cattolici</strong>.<br />
La Chiesa tra prospettiva di un regime cattolico e Stato fascista<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Andrea Riccardi<br />
La grande guerra, con <strong>la</strong> mobilitazione delle masse e l’esperienza del dolore,<br />
cambia <strong>la</strong> <strong>politica</strong>, dominata dal<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse dirigente liberalborghese. Don <strong>Sturzo</strong>, con<br />
<strong>la</strong> fondazione del Partito Popo<strong>la</strong>re, <strong>la</strong>ncia un’iniziativa <strong>politica</strong> cattolica, non confessionale,<br />
partito di popolo non del<strong>la</strong> Chiesa, portatore di idee ed esperienze di decenni<br />
di opposizione in modo originale: un partito più esigente e autonomo degli<br />
accordi clerico-moderati sul<strong>la</strong> scia del Patto Gentiloni. L’arrivo tardivo dei <strong>cattolici</strong><br />
come partito politico mostrò sì l’originalità del<strong>la</strong> loro proposta, ma non salvò <strong>la</strong> vacil<strong>la</strong>nte<br />
democrazia par<strong>la</strong>mentare dall’avvento del fascismo.<br />
Gli anni del fascismo (e di Pio XI) registrano un quadro inedito. Il regime oscil<strong>la</strong><br />
tra modello autoritario al<strong>la</strong> Sa<strong>la</strong>zar e totalitario: tanto mondo cattolico spera di<br />
<strong>cattolici</strong>zzarlo. La Conciliazione non è un concordato difensivo, ma anche uno<br />
strumento di conquista cattolica di un regime autoritario. Speranze e delusioni si<br />
alternano in Pio XI. A che servono le Settimane? Il presidente delle Settimane, p.<br />
Gemelli (dal 1926), usa caute<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> gestione dei temi del congresso pubblico in<br />
un regime senza dibattito libero. Nel 1929 si par<strong>la</strong> dell’autorità sociale del<strong>la</strong> dottrina<br />
del<strong>la</strong> Chiesa (l’acuto p. Cordovani, Maestro dei Sacri Pa<strong>la</strong>zzi, discute i limiti dell’autorità<br />
dello Stato); nel 1926 di famiglia; nel 1927 di educazione cristiana; nel<br />
1928 di unità religiosa. Nell’anno del<strong>la</strong> Conciliazione <strong>la</strong> Settimana è sull’opera di<br />
Pio XI. Come dire il bene comune, quando il regime si riserva il monopolio di<br />
esprimere <strong>la</strong> nazione?<br />
L’Italia del Concordato non ha bisogno delle Settimane: se ne tengono solo<br />
due nel 1933 sul<strong>la</strong> carità e nel 1934 sul<strong>la</strong> professione. C’è in mezzo <strong>la</strong> crisi del ’31<br />
sull’Azione Cattolica. La Settimana del 1931 salta per <strong>la</strong> crisi con il fascismo. Le Settimane<br />
poco si addicono a un clima illiberale. Il regime presenta vari profili: può essere<br />
considerato cattolico da chi lo vuole, guardando al<strong>la</strong> dottrina fascista e alle sue<br />
organizzazioni come prezzo da pagare al dittatore. Ma <strong>la</strong> realtà è che il regime non si<br />
fa <strong>cattolici</strong>zzare. Mussolini è più realista verso il papato e <strong>la</strong> Chiesa di buona parte<br />
dei dirigenti liberali; ma non rinuncia a imporre un’impronta totale al paese, più che<br />
nazionalista. Il regime occupa <strong>la</strong> società, educa i giovani, mobilita le masse, vuole<br />
creare un uomo nuovo. Lo si vede dopo le leggi razziste e con il culto del<strong>la</strong> guerra.<br />
I <strong>cattolici</strong> erano stati all’opposizione di Stato e borghesia liberale, rifiutando<br />
di essere cappel<strong>la</strong>ni del Regno. Che spazio in un regime sempre più totale? Cercano<br />
percorsi alternativi: creare nell’Italia fascista una c<strong>la</strong>sse dirigente per orientare il fu-<br />
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Andrea Riccardi<br />
turo. Gemelli <strong>la</strong>vora attraverso l’Università Cattolica: “Dobbiamo piuttosto prendere<br />
coscienza di un passato che tramonta, – dice al<strong>la</strong> Settimana del 1933 – e partecipare,<br />
animandolo col nostro spirito, al ciclo sociale che comincia”. Mons. Montini,<br />
Sostituto del<strong>la</strong> Segreteria di Stato, animatore degli universitari <strong>cattolici</strong> e fino al<br />
1933 loro assistente (quando si deve dimettere per <strong>la</strong> sua linea religioso-educativa e<br />
antifascista), promuove i Laureati Cattolici, fucina del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse <strong>politica</strong> del dopoguerra.<br />
Guarda al di là del fascismo, di cui auspica il superamento. Mons. Bernareggi,<br />
presidente delle Settimane nel 1934, è assistente dei Laureati: “Non è soltanto<br />
questione di una scuo<strong>la</strong>, ma del<strong>la</strong> vita stessa, che si è fatta spesso nemico del Vangelo”<br />
– dice nell’ultima Settimana. Formazione di c<strong>la</strong>ssi dirigenti e – naturalmente<br />
– stare in mezzo al popolo, per stare nel<strong>la</strong> storia. Di fronte c’è solo un protagonista,<br />
il fascismo, che intende occupare tanto spazio sociale...<br />
Ma viene <strong>la</strong> guerra. La Chiesa rive<strong>la</strong> il suo radicamento popo<strong>la</strong>re nello smarrimento<br />
del conflitto. Essa sa che le guerre cambiano quasi più delle rivoluzioni, immettono<br />
masse desiderose di protagonismo. Nel “tutto è perduto con <strong>la</strong> guerra,<br />
niente è perduto con <strong>la</strong> pace” di Pio XII all’alba del conflitto, sta <strong>la</strong> consapevolezza<br />
che <strong>la</strong> vecchia Europa, con orrori e grandezze, si perderà con tante vite umane nel<strong>la</strong><br />
guerra. Nello smarrimento italiano del<strong>la</strong> guerra, grandeggia <strong>la</strong> figura di Pio XII con<br />
<strong>la</strong> Chiesa. Mai, da secoli, c’è stato un rapporto così diretto tra papa, popolo e Italia:<br />
una pagina inedita di storia sociale e religiosa. Tramonta <strong>la</strong> monarchia sabauda; il<br />
papa acquista un ruolo di guida spirituale nel<strong>la</strong> vita nazionale che, nonostante le<br />
polemiche, gli resta per decenni.<br />
Il <strong>la</strong>boratorio dei <strong>cattolici</strong> al potere<br />
Come ricostruire il paese? Il partito cattolico, voluto da De Gasperi e da Mon -<br />
tini, nasce – questa volta sì! – come partito del<strong>la</strong> Chiesa; valorizza le energie preparatesi<br />
negli anni Trenta: è espressione di un protagonismo di <strong>cattolici</strong>, inedito nel<strong>la</strong><br />
storia unitaria. Si ritrova con altre presenze di partiti (e grosse talune!), ma finisce per<br />
occupare una posizione forte e centrale. Governa con alleanze, ma da posizione di<br />
forza. Si crea un blocco cattolico, di cui <strong>la</strong> Dc è espressione <strong>politica</strong>, forte di una rete<br />
di associazioni e del<strong>la</strong> cultura sociale cattolica. Le Settimane sono utili. Si susseguono<br />
con scansione annuale dal 1945 al 1966, saltando il 1950. Nel 1968 e nel<br />
1970 ci sono le due ultime Settimane. Dal 1945 al 1966, un solido blocco di Settimane<br />
ha come interlocutore <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse democristiana che costruisce lo Stato, <strong>la</strong> nuova<br />
economia italiana (anche a partecipazione statale), reti assistenziali in un paese<br />
che si inurba e in mondi di antica miseria toccati dal<strong>la</strong> rivoluzione del benessere.<br />
Nel<strong>la</strong> prima Settimana, nel 1945, Costituzione e Costituente, si ritrova il meglio<br />
del cattolicesimo italiano pensante, da De Gasperi a La Pira, ai Laureati <strong>cattolici</strong>, ai<br />
vescovi. Infatti l’Italia democristiana ha due c<strong>la</strong>ssi dirigenti di <strong>cattolici</strong>: quel<strong>la</strong> <strong>politica</strong><br />
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Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Andrea Riccardi<br />
e quel<strong>la</strong> episcopale, unite, ma non confuse, non sempre unanimi in tutto, ma convinte<br />
nel sostenere l’esperienza unitaria dei <strong>cattolici</strong> in <strong>politica</strong>. Questo quadro dura fino<br />
agli anni Novanta, anche attraverso <strong>la</strong> crescita del<strong>la</strong> CEI, timidamente nata nel 1952<br />
e rafforzatasi dopo il Vaticano II. Le Settimane sono un <strong>la</strong>boratorio comune.<br />
Nel 1945 il dibattito è serrato. Ci sono differenze, perché ci sono idee. Il<br />
card. Dal<strong>la</strong> Costa vuole <strong>la</strong> Costituzione fondata sulle radici cristiane; La Pira, vicino<br />
a lui, insiste però sul<strong>la</strong> persona come fondamento (ed è noto il suo ruolo al<strong>la</strong><br />
Costituente). Afferma Ferruccio Pergolesi,: “Il nazionalismo in senso stretto, che fa<br />
del<strong>la</strong> nazione lo scopo supremo e <strong>la</strong> suprema rego<strong>la</strong> d’azione, deve cedere il passo a<br />
un universalismo che orienti… verso il bene supernazionale del<strong>la</strong> comunità civile”.<br />
La democrazia sostituisce nazione, utilizzata con caute<strong>la</strong> dopo il fascismo. C’è <strong>la</strong><br />
volontà di radicare <strong>la</strong> nuova Italia nell’“unità del genere umano”. È un modo di<br />
pensare l’Italia differente dal passato liberale e fascista. Le Settimane, centrate sui<br />
problemi italiani, hanno aperture al mondo, come <strong>la</strong> decolonizzazione del 1961.<br />
C’è di più: fin dal 1945, si sente <strong>la</strong> necessità di ancorare <strong>la</strong> democrazia italiana al<strong>la</strong><br />
comunità internazionale. Per par<strong>la</strong>re dell’Italia, bisogna dire anche dove e con chi<br />
stia nel mondo.<br />
La democrazia italiana si integra nell’Occidente, entra nel<strong>la</strong> Nato: malgrado le<br />
perplessità di mons. Tardini, di Dossetti e altri, i democratici cristiani, De Gasperi,<br />
Montini non hanno dubbi. La scelta dell’Europa (ardita per un cattolicesimo diffidente<br />
verso, più proiettato sull’idea di un’unione cattolico-<strong>la</strong>tina che su paesi <strong>la</strong>ici<br />
come <strong>la</strong> Francia o protestanti) vede impegnato lo stesso Pio XII, che non teme <strong>la</strong><br />
formazione di un insieme dove i <strong>cattolici</strong> non saranno egemonici, ma accanto a <strong>la</strong>ici<br />
e protestanti. L’idea è che l’Italia democratica da so<strong>la</strong> non regge e si deve inserire<br />
in una realtà internazionale, che è fatta di comunità più che di azione diplomatica.<br />
Il bene comune nazionale si collega – in tale visione – al “bene comune universale”.<br />
Ne par<strong>la</strong> <strong>la</strong> Settimana del 1948 sul<strong>la</strong> comunità internazionale: è il frutto del<strong>la</strong> dura<br />
lezione del<strong>la</strong> guerra, e di una visione. La sovranità dello Stato va ridimensionata –<br />
dice Messineo – nel<strong>la</strong> coesistenza con altri Stati e dal diritto naturale. Si auspica,<br />
nel mondo del dopoguerra, una missione per l’Europa.<br />
L’andamento delle Settimane è centrato sull’Italia: <strong>la</strong>voro, vita rurale, sicurezza<br />
sociale, impresa, popo<strong>la</strong>zione, famiglia, scuo<strong>la</strong>, economia ed etica, tempo libero,<br />
emigrazione, mezzi di comunicazione e via dicendo. I <strong>cattolici</strong> sono al potere<br />
per <strong>la</strong> prima volta nel<strong>la</strong> storia unitaria e, per così dire, orientano <strong>la</strong> storia. Ma che<br />
vuol dire fare un’Italia cattolica? La morale pubblica, per lo più, coincide con quel<strong>la</strong><br />
cattolica. I <strong>cattolici</strong> propongono percorsi concreti per trasformare il paese, uscire<br />
dal<strong>la</strong> miseria seco<strong>la</strong>re, dare sicurezza ai <strong>la</strong>voratori, creare un’economia dinamica e<br />
anche uno Stato imprenditore. Al<strong>la</strong> Settimana del 1949, il gesuita De Marco tiene<br />
<strong>la</strong> prolusione, partendo dal<strong>la</strong> “cosiddetta liberazione” del 1945:<br />
23
Andrea Riccardi<br />
“Quanto a liberare i popoli dal bisogno era tutt’altra questione. Una liberazione<br />
di tal genere non è opera di un giorno né di un popolo solo, ma il risultato di un<br />
complesso di fattori d’ordine individuale e collettivo, privato e pubblico, nazionale<br />
e internazionale; in partico<strong>la</strong>re poi per i paesi economicamente deboli e per giunta<br />
usciti… dal<strong>la</strong> guerra…”.<br />
L’Italia è vista come un cantiere privato e pubblico, nazionale e internazionale,<br />
dove i <strong>cattolici</strong> che fanno <strong>politica</strong>, pensano, operano sul terreno economico, per<br />
“liberare dal bisogno”. Le Settimane, un po’ gli stati generali, pulsano del senso di<br />
una grande impresa. È il periodo più fecondo, in cui il pensiero dei <strong>cattolici</strong> unito<br />
al senso di una responsabilità <strong>politica</strong> epocale, si sente sfidato dal movimento comunista<br />
sul terreno del voto e del<strong>la</strong> realtà sociale.<br />
Le Settimane sono italiane, ma anche papali. Si sente l’influenza del<strong>la</strong> visione<br />
di Pio XII. Il card. Siri, presidente delle Settimane dal 1949 al 1970, sostenne: “il<br />
Comitato permanente deve essere nominato dal papa. Perché, guardi, levare le nomine<br />
al papa significa distruggere”. In quegli anni, il papa è il punto di unità dei<br />
<strong>cattolici</strong> italiani. Di fatto non esiste <strong>la</strong> CEI. Le Settimane sono <strong>la</strong> grande assise dei<br />
<strong>cattolici</strong> italiani, fino al convegno nazionale del 1976. Hanno nel presidente il riferimento<br />
che collega <strong>la</strong> Santa Sede con <strong>la</strong> situazione italiana. Siri difese le Settimane<br />
con forza dopo il loro accantonamento: “siccome debbono essere guida di popoli,<br />
debbono come qualunque guida antevedere le questioni…” – ha dichiarato nel<br />
1987. E alludendo al<strong>la</strong> <strong>politica</strong> italiana, ha detto: “sarebbe diverso il clima se le Settimane<br />
avessero continuato… E il clima influisce sul<strong>la</strong> credibilità e sul<strong>la</strong> non credibilità<br />
del<strong>la</strong> gente. E può sempre condizionare anche i fatti nazionali”.<br />
Per più di vent’anni il card. Siri ha svolto una funzione con prossimità partico<strong>la</strong>re<br />
a Pio XII, che lo avrebbe voluto a Roma come col<strong>la</strong>boratore autorevole. Il<br />
cardinale, affiancato dal 1957 da mons. Nicodemo di Bari, ebbe forte <strong>la</strong> convinzione<br />
dell’originalità cattolica: “Il mondo lo dobbiamo affrontare, non dobbiamo misurare<br />
il nostro comportamento sul metro di quello che ciecamente desidera”. Siri<br />
era convinto che i <strong>cattolici</strong> fossero portatori di un grande disegno per l’Italia; anche<br />
se, da realista, conosceva le forze e gli uomini. Il governo era per lui <strong>la</strong> più alta forma<br />
di servizio, unendo un grande disegno e il realismo delle scelte concrete.<br />
Sull’apertura a sinistra scoppiò il dibattito con Moro nel 1963. Critico sul<strong>la</strong> <strong>politica</strong><br />
dei democristiani, da sempre Siri aveva rifiutato l’idea di un altro partito cattolico,<br />
a destra del<strong>la</strong> Dc, che il partito romano avanzava dal dopoguerra. Per lui era<br />
prioritaria una volontà unitaria, non solo ecclesiale, ma <strong>politica</strong>. In un decennio, <strong>la</strong><br />
Dc era divenuto il partito nazionale, che assommava <strong>la</strong> legittimazione cattolica, occidentale,<br />
economica, popo<strong>la</strong>re. Aveva guidato <strong>la</strong> più incisiva trasformazione economico-sociale<br />
del paese; viveva però il logorio del governo fatto da formule instabili,<br />
ma nel<strong>la</strong> sostanziale continuità del gruppo dirigente. C’erano grandi e logo-<br />
24 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
anti problemi nel rapporto tra il disegno cattolico, le scelte di governo, l’equilibrio<br />
degli interessi partico<strong>la</strong>ri, l’usura del potere.<br />
Il cattolicesimo, dal secondo dopoguerra, ha fatto storia sociale e <strong>politica</strong> da<br />
protagonista, come mai. Tale storia è stata scandagliata dal dibattito politico, dal<strong>la</strong><br />
morale, da uno sguardo teologico, dal<strong>la</strong> stampa, dal<strong>la</strong> magistratura: c’è ora, con il<br />
distacco del tempo, il grande <strong>la</strong>voro da fare: scriverne <strong>la</strong> storia per comprendere<br />
l’impatto dei <strong>cattolici</strong>, al governo con altri, di fronte a varie opposizioni, ma al centro<br />
del sistema.<br />
Il tempo del<strong>la</strong> crisi<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Andrea Riccardi<br />
La crisi e <strong>la</strong> ripresa delle Settimane sono quarant’anni di storia: <strong>la</strong> recezione<br />
del Vaticano II. Questa storia – mi diceva sempre p. Congar – non è solo vicenda<br />
del post Concilio, ma anche del ’68 e seguito, insomma dell’ultima rivoluzione europea,<br />
fallita <strong>politica</strong>mente, ma dal forte impatto antropologico. Frutto di una generazione<br />
che non ricordava <strong>la</strong> guerra, in un clima di benessere, il ’68 introdusse<br />
una spinta antigerarchica con il culto del<strong>la</strong> frattura (instauratrice per dir<strong>la</strong> con de<br />
Certeau): nel<strong>la</strong> Chiesa, scuo<strong>la</strong>, famiglia… Una ventata di soggettivismo e di gusto<br />
del<strong>la</strong> propria esperienza, portò al<strong>la</strong> critica del blocco cattolico. Tolse al partito comunista<br />
il monopolio dell’opposizione; corrose <strong>la</strong> legittimazione del<strong>la</strong> Dc, mettendo<br />
in contraddizione il suo essere partito di potere e formazione cattolica. Tanti sono<br />
i protagonisti del<strong>la</strong> vita <strong>politica</strong>: “base” è paro<strong>la</strong> mitica. Non più soli i partiti e le<br />
istituzioni. In pochi anni il cattolicesimo italiano si ritrovò con un volto marcatamente<br />
al plurale. I <strong>cattolici</strong> in diaspora? Nelle due ultime Settimane emerge<br />
l’affievolita volontà di essere presenti insieme <strong>politica</strong>mente e socialmente. Sociale<br />
diventa altra cosa: talvolta l’esperienza solidale, talvolta il politico, certo un protagonismo<br />
artico<strong>la</strong>to e differenziato…<br />
Ci sono due storie da seguire: <strong>la</strong> Dc e <strong>la</strong> Chiesa. La Dc vive una progressiva<br />
delegittimazione: con l’usura del potere, <strong>la</strong> contestazione dei <strong>cattolici</strong>, le scelte a sinistra,<br />
lo scarso entusiasmo dei giovani, l’affievolirsi del retroterra culturale e delle<br />
motivazioni. Né <strong>la</strong> Dc sa par<strong>la</strong>re al mondo post ’68. Nel 1978, al<strong>la</strong> morte di Paolo<br />
VI, grande costruttore del<strong>la</strong> Dc nel dopoguerra, dopo l’assassinio di Aldo Moro<br />
(che scuote i basamenti del sistema), il partito è ancora forte elettoralmente, ma<br />
con poco retroterra di energie, idee. Al convegno ecclesiale del 1976 si dibatté del<strong>la</strong><br />
Dc: Pietro Scoppo<strong>la</strong> rivendicò il pluralismo dei <strong>cattolici</strong>; don Ruini prospettò <strong>la</strong><br />
“<strong>la</strong>icizzazione del<strong>la</strong> Dc”, pur mantenendo da parte del<strong>la</strong> Chiesa un’“indicazione<br />
non vinco<strong>la</strong>nte”. Il partito si indebolisce finché – negli anni Novanta – smarrisce <strong>la</strong><br />
centralità e non riesce a gestire il residuo, ancorché consistente, consenso elettorale.<br />
È <strong>la</strong> fine di un mondo sotto <strong>la</strong> pressione del<strong>la</strong> società civile, dei media, di poteri<br />
25
Andrea Riccardi<br />
non partitici, protagonisti poi degli anni successivi. Non più <strong>la</strong> Repubblica dei partiti,<br />
ma di un impasto inedito tra personalità e media, tra impennate di movimenti<br />
sociali, attività di governo, formazioni politiche. Si registra l’eclissi del<strong>la</strong> volontà di<br />
essere insieme dei <strong>cattolici</strong> sul terreno politico.<br />
Nel 1976, Paolo VI confessa a mons. Bartoletti (che lo appunta): “bisogna ricominciare<br />
da zero per riprendere una coerenza e una convergenza dei <strong>cattolici</strong>. Ha<br />
mostrato ancora fiducia nel<strong>la</strong> possibilità del movimento cattolico, pur pronunziando<br />
giudizi negativi… Bisogna educare uomini (<strong>la</strong>ici) che sappiano amare e servire<br />
<strong>la</strong> Chiesa”. Su questo <strong>la</strong> Chiesa si concentra. Sono gli anni di Paolo VI e di un paese<br />
più seco<strong>la</strong>rizzato, in cui però l’eclissi del religioso, profetizzato molto presto, non<br />
ha avuto l’ampiezza prevista. Paolo VI aveva un vasto progetto di riforma ecclesiale<br />
da gestire gradualmente con <strong>la</strong> sua autorità, ma si trova con una Chiesa non solo al<br />
plurale, ma divaricante: “Ci avessero fatto <strong>la</strong>vorare in pace, avremmo cambiato<br />
profondamente <strong>la</strong> Chiesa” – diceva mons. Manziana riferendo il sentire dell’amico<br />
Montini. La Chiesa di Paolo VI sembra travolta: “Tutti poi si è sconvolti dal di<strong>la</strong>gante<br />
fenomeno del<strong>la</strong> contestazione – scrive il card. Colombo al presidente del<strong>la</strong><br />
CEI Urbani nel 1969 – e l’Episcopato italiano offre quasi l’impressione di non sapere<br />
che cosa dire, e di aspettare per vedere come vanno a finire le cose. Un giorno<br />
non sarà rimproverato di pavido silenzio?”.<br />
La presenza unitaria si smarrisce in <strong>politica</strong> e nel sociale. Politicamente un<br />
certo numero di <strong>cattolici</strong> si orienta a sinistra e, talvolta teorizza <strong>la</strong> scelta come opzione<br />
che scaturisce dal<strong>la</strong> fede. La presenza unitaria si smarrisce anche a livello ecclesiale:<br />
una crisi unica nel<strong>la</strong> storia religiosa, niente da paragonare al periodo unitario.<br />
Paolo VI punta sul<strong>la</strong> costruzione di una Chiesa italiana attorno al<strong>la</strong> Conferenza<br />
Episcopale. È un <strong>la</strong>voro lento, complesso, paziente. Ruota attorno al<strong>la</strong> prospettiva<br />
di evangelizzare il popolo italiano, “erede d’una ottima, ma un po’ stanca e consuetudinaria<br />
formazione religiosa” – dice al<strong>la</strong> CEI nel 1978. Il papa conosceva bene il<br />
cattolicesimo italiano dagli anni Venti; aveva avuto un ruolo notevole dal 1937 come<br />
Sostituto (era il tramite per <strong>la</strong> Chiesa italiana); dal 1955 era stato arcivescovo di<br />
Mi<strong>la</strong>no. A lungo aveva riflettuto sui suoi problemi e sognato un futuro di grande<br />
rinnovamento.<br />
Al<strong>la</strong> fine del suo pontificato, nel 1978, salutava <strong>la</strong> CEI come speranza: “fatto<br />
singo<strong>la</strong>re e magnifico che l’Assemblea dell’Episcopato Italiano per se stessa documenta<br />
ed illustra l’unione canonica del<strong>la</strong> Chiesa in Italia”. Attorno al<strong>la</strong> CEI si sviluppano<br />
le iniziative pastorali che danno spessore comune al cattolicesimo italiano:<br />
bisogna attrarre le pluralità perché non siano dispersione. È il primo convegno dei<br />
<strong>cattolici</strong> nel 1976 a Roma, per il presidente Poma di “importanza storica eccezionale”,<br />
“per <strong>la</strong> partecipazione dei rappresentanti di tutte le componenti ecclesiali”: “an-<br />
26 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
che se in passato vi sono stati congressi e Settimane Sociali”. L’evangelizzazione,<br />
cuore del<strong>la</strong> vita ecclesiale italiana, si coniuga con <strong>la</strong> “promozione umana”, espressione<br />
dell’Evangelii Nuntiandi, che riassume quel fascio di impegni, sociali, educativi,<br />
in favore dei poveri... che i <strong>cattolici</strong> vivono, perché non hanno <strong>la</strong>sciato il terreno<br />
sociale e dei poveri, anche se vi stanno in modo meno organizzato (e sono una<br />
grande risorsa per il paese).<br />
Del resto, con il Concilio, con un più marcato pluralismo politico-sociale,<br />
aleggia il dubbio se e come sia possibile <strong>la</strong> dottrina sociale: come stare insieme nel<strong>la</strong><br />
storia se non solo in una prospettiva religiosa. La Populorum progressio del 1967 colloca<br />
<strong>la</strong> questione sociale nei rapporti tra Nord e Sud; l’Octogesima adveniens del<br />
1971 confessa che è difficile esprimere una paro<strong>la</strong> generale sui grandi problemi sociali,<br />
ma ammonisce sul<strong>la</strong> ideologizzazione del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>, sul marxismo. Il papa invita<br />
all’azione sociale, “perché dietro il velo dell’indifferenza c’è nel cuore di ogni<br />
uomo una volontà di vita fraterna e una sete di giustizia e di pace che si devono far<br />
fiorire”. In una prospettiva sociale “<strong>la</strong>rga”, <strong>la</strong> CEI collega l’azione sociale all’evangelizzazione<br />
al<strong>la</strong> ricerca di una comunicazione maggiore tra <strong>cattolici</strong>.<br />
Giovanni Paolo II in una Italia spaesata<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Andrea Riccardi<br />
Il quadro è difficile per motivi ecclesiali e per l’instabilità <strong>politica</strong>, tempo di<br />
crisi, quando irrompe Giovanni Paolo II. Non parlerò degli ultimi tempi che, non<br />
solo per le persone viventi, poco si adattano anche a un primo giudizio storico. Il<br />
più lungo pontificato del secolo richiede, per comprenderlo, uno studio capace di<br />
abbracciare un quarto di secolo, un lungo ministero, che è davvero complesso. Non<br />
mi sono ritrovato nel<strong>la</strong> lettura che ne dà un noto storico italiano, Giovanni Miccoli,<br />
In difesa del<strong>la</strong> fede. La comprensione dell’eredità di Giovanni Paolo II rappresenta<br />
– anche solo per l’Italia – un appuntamento intellettuale e culturale decisivo. Invece,<br />
in un mondo cangiante e sul<strong>la</strong> notizia, il rischio è archiviarlo nel revisionismo<br />
o nel<strong>la</strong> pigrizia intellettuale. Da un punto di vista storico e intellettuale non capisco<br />
come i cristiani italiani, talvolta al<strong>la</strong> ricerca di antenati nel<strong>la</strong> loro storia sociale dell’altro<br />
ieri, non affrontino in modo serio il tempo di Wojty<strong>la</strong> che è ancora l’oggi.<br />
Papa Wojty<strong>la</strong> ha avuto <strong>la</strong> capacità di leggere il cattolicesimo italiano, più del<strong>la</strong><br />
CEI di allora che ne notava solo taluni segmenti. Non ha creduto al<strong>la</strong> fatale decadenza<br />
del cristianesimo italiano, che molti prevedevano. Ha creduto che andasse<br />
capito qual era: un cattolicesimo di popolo, segnato da una complessità, che non<br />
vuol dire divaricazione. Le semplificazioni delle geometrie pastorali o dei piani non<br />
rendevano giustizia a un mondo non riducibile ad unum, né organizzabile geometricamente.<br />
Andava ravvivato e guidato con carisma. Wojty<strong>la</strong> ha sconvolto <strong>la</strong> di-<br />
27
Andrea Riccardi<br />
stinzione weberiana tra carisma e ufficio, unendoli entrambi con originalità. Il suo<br />
è stato un governo carismatico, creatore di unità nel<strong>la</strong> complessità. Il cattolicesimo<br />
si esprimeva in modo plurale: era frutto del post Concilio o di una ventata di soggettivismo,<br />
ma anche di stratificazioni storiche, spirituali e pastorali, di differenze<br />
tra Nord e Sud. Bisognava ravvivare il gusto di una storia da scrivere insieme e con<br />
gli italiani.<br />
Per papa Wojty<strong>la</strong> il cattolicesimo non andava razionalizzato, magari per corrispondere<br />
a un modello: è cattolicesimo vero, ma plurimo, quello italiano. Per lui,<br />
era rispetto convinto di una stratificazione di vissuti, di opera dello Spirito, di storia<br />
di santità. Lontano dall’idea del piano, Wojty<strong>la</strong> vedeva un cristianesimo di popolo<br />
orientato a comunicare il Vangelo. Non rinunciava al mondo dei santuari e al<strong>la</strong><br />
pietà, piuttosto accantonati nel<strong>la</strong> pastorale postconciliare. Ma ha attenzione al<strong>la</strong><br />
cultura. Il papa, amico degli intellettuali, è sensibile a un cristianesimo di popolo,<br />
quello dei santuari, del<strong>la</strong> vita parrocchiale, quello, così diverso tra loro, dei movimenti<br />
e delle nuove comunità, che inserisce nel<strong>la</strong> Chiesa italiana con dignità. Nessuno<br />
di questi segmenti deve essere <strong>la</strong>sciato cadere perché costituisce una strada per<br />
<strong>la</strong> fede stessa. In questa realtà plurima il papa vedeva il frutto dell’azione dello Spirito,<br />
fede del popolo, santità e iniziative carismatiche. Sentiva <strong>la</strong> grande storia che<br />
pulsava in questo mondo. C’era storia spirituale da respirare nei santuari, nel contatto<br />
con <strong>la</strong> gente, nel ritessere il senso di una vasta comunità di popolo cristiano. Il<br />
suo genio non è razionalizzare, ma guidare <strong>la</strong> complessità, <strong>la</strong> realtà di un popolo<br />
dal<strong>la</strong> storia cristiana bimillenaria. In questo è genio molto contemporaneo, ma dal<br />
sentire antico.<br />
Il Concilio, per lui, è sorgente di uno s<strong>la</strong>ncio di un popolo che evangelizza. A<br />
tutti i livelli, ribadisce il primato del credere e dell’evangelizzare; ma è convinto che<br />
abbia una ricaduta profonda sul<strong>la</strong> vita sociale. In questo non ha il pudore del cattolicesimo<br />
italiano, vissuto da ospite nello Stato liberale. Ludovico Montini una volta<br />
mi disse: “è combattendo nel<strong>la</strong> prima guerra mondiale che ci siamo guadagnati il<br />
nostro essere italiani”. Wojty<strong>la</strong> non ha questi problemi. È un po<strong>la</strong>cco che si sente<br />
vescovo italiano. Non ha le perplessità del cattolicesimo postconciliare che fetida<br />
distinzioni e sente il lungo governo del<strong>la</strong> Dc come un peso. Ben profonda e provata<br />
è, per lui, <strong>la</strong> presenza del cristianesimo nel<strong>la</strong> storia nazionale. Non sente il fascino<br />
o <strong>la</strong> vocazione del<strong>la</strong> minoranza, anche se non pretende l’egemonia.<br />
A Loreto, nel 1985, Giovanni Paolo II spiega ai <strong>cattolici</strong>: “Anche in una società<br />
pluralistica e parzialmente seco<strong>la</strong>rizzata, <strong>la</strong> Chiesa è chiamata a operare, con<br />
umile coraggio e piena fiducia nel Signore, affinché <strong>la</strong> fede cristiana abbia o ricuperi,<br />
un ruolo-guida e un’efficacia trainante…”. La fede vissuta del popolo cristiano<br />
deve avere un ruolo guida in un paese che il papa non considera totalmente seco<strong>la</strong>rizzato,<br />
anzi in buona parte cristiano, ma a rischio di fratture a partire dal soggettivismo.<br />
Un ruolo-guida nel<strong>la</strong> storia, che viene da lontano: “tutta <strong>la</strong> sua storia e <strong>la</strong> sua<br />
28 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Andrea Riccardi<br />
cultura sono impregnate di cristianesimo e intimamente intrecciate col cammino<br />
del<strong>la</strong> Chiesa a partire dai tempi apostolici”. Il papa par<strong>la</strong> di “ricchezza di carismi”:<br />
“grande varietà e vivacità di aggregazioni e movimenti, soprattutto <strong>la</strong>icali, che caratterizza<br />
l’attuale periodo postconciliare”. Dice: “a tal riguardo mi piace ricordare<br />
l’antica e significativa tradizione di impegno sociale e politico dei <strong>cattolici</strong>”. Conclude:<br />
“questo insegnamento del<strong>la</strong> storia circa al presenza e l’impegno dei <strong>cattolici</strong><br />
non va dimenticato…”. In questa visione rinascono le Settimane auspicate a Loreto.<br />
Si ricomincia nell’anno del<strong>la</strong> Centesimus annus, quando il papa ri<strong>la</strong>ncia <strong>la</strong> dottrina<br />
sociale. Parte anche il progetto culturale che, paradossalmente, si collega a un<br />
cristianesimo di popolo, cioè a un cristianesimo che non ha rinunciato a pensare e a<br />
par<strong>la</strong>re con gli altri. Illustra bene questa prospettiva in cui fu impegnato, <strong>la</strong> figura<br />
di mons. Naro, intellettuale ed estimatore di un cattolicesimo di popolo, attento al<strong>la</strong><br />
questione sociale e a quel<strong>la</strong> antropologica.<br />
Wojty<strong>la</strong> – lo si voglia accettare o no – ha un’idea d’Italia. Di fronte a un paese<br />
che rischia di frammentarsi e che cerca nuovi equilibri politici senza trovarli negli<br />
anni Novanta, il papa ha un’idea d’Italia. Considera, ad esempio, il Mezzogiorno<br />
e quel<strong>la</strong> che Pietro Borzomati ha chiamato <strong>la</strong> questione meridionale ecclesiale:<br />
conosce le risorse del Sud religioso in un cattolicesimo che ha più pensato al Nord.<br />
Risponde (da papa) al<strong>la</strong> questione soggiacente (inespressa per timore) alle tante domande<br />
che ci poniamo sul futuro, come scrive Lucio Caracciolo: “a che serve<br />
l’Italia?”. Chiede infatti ai partecipanti al<strong>la</strong> Settimana del 1991: “Qual è il progetto<br />
di Dio sul<strong>la</strong> nostra storia? Sul<strong>la</strong> storia di questa nuova Europa che si va faticosamente<br />
ridefinendo? Su quest’Italia in Europa?”.<br />
L’idea sull’Italia si esplicita nel 1994 quando, in un periodo di crisi, propone<br />
una “grande preghiera per l’Italia e con l’Italia”. Allora considera “valutazione errata”<br />
affermare che “una forza di ispirazione cristiana avrebbe cessato di essere necessaria”.<br />
Tre sono le eredità qualificanti il paese: <strong>la</strong> fede, <strong>la</strong> cultura e l’unità (anche di<br />
quest’ultima si sente difensore intransigente). L’Italia democratica ha un servizio<br />
cristiano e umano all’Europa e al mondo. Afferma: “Sono convinto che l’Italia come<br />
nazione ha moltissimo da offrire a tutta l’Europa. Le tendenze che oggi mirano<br />
ad indebolire l’Italia sono negative per l’Europa stessa e nascono anche dallo sfondo<br />
del<strong>la</strong> negazione del cristianesimo”.<br />
Queste idee non facevano l’unanimità dei <strong>cattolici</strong> italiani. Il suo non è stato un<br />
pontificato esente da critiche, anche se oggi lo si dimentica con <strong>la</strong> logica (già vista<br />
con gli ultimi quattro papi almeno) di esaltare il papa morto per criticare il vivo. Va<br />
detto che, però, Giovanni Paolo II ebbe anche <strong>la</strong> capacità di coinvolgere (non sempre<br />
convincere) tanti con <strong>la</strong> simpatia verso gli uomini e <strong>la</strong> sincerità comunicativa<br />
del suo credere, divenendo un grande leader nazionale. La sua è una pastoralità da<br />
capire. Credeva – citando Pertini – che “<strong>la</strong> Chiesa possa fare molto di più di quan-<br />
29
Andrea Riccardi<br />
to si ritiene generalmente. Essa è una grande forza sociale che unisce gli abitanti<br />
dell’Italia, dal nord al sud. Una forza che ha superato <strong>la</strong> prova del<strong>la</strong> storia”. La domanda<br />
è ancora aperta. Forse bisognerebbe avere il coraggio non solo di dire tante<br />
cose al nostro paese, ma di provare a dire cos’è l’Italia, cos’è in Europa, cos’è nel<br />
mondo. Non è l’idea di cui ha bisogno un paese che sbanda nel<strong>la</strong> vertigine del<strong>la</strong><br />
globalizzazione? Certo richiede una concentrazione di intelligenze… Aveva ragione<br />
Toniolo: spesso le idee muovono <strong>la</strong> storia. Ma talvolta è più facile agire insieme, che<br />
pensare assieme.<br />
Senza conclusione<br />
Riflettendo su cent’anni, lo storico vede anche il radicamento cattolico nel<br />
mondo meno noto del<strong>la</strong> preghiera, dei santuari, del<strong>la</strong> liturgia: non iso<strong>la</strong>ndosi da<br />
questo mondo i <strong>cattolici</strong> fanno storia sociale, ma <strong>la</strong> loro originalità, concretezza e<br />
tenacia, si radicano in tale realtà spirituale che poco lo storico sa narrare e quasi<br />
niente il cronista. La storia spirituale si intreccia con quel<strong>la</strong> sociale. Storia spirituale,<br />
storia sociale, storia del<strong>la</strong> carità… attraversano generazioni e luoghi del paese, e<br />
ne hanno model<strong>la</strong>to <strong>la</strong> geografia e l’identità. Cento anni di storia mostrano che i<br />
<strong>cattolici</strong> non sono da soli l’Italia e né hanno il monopolio del futuro: tutt’altro, ma<br />
rappresentano una risorsa importante per tutti e per pensarne il futuro. Hanno saputo<br />
dire al paese parole importanti nelle ore di smarrimento. Penso a Pio XII nel<br />
1943, a Paolo VI nel 1978 con <strong>la</strong> morte di Moro.<br />
Da un così ricco vissuto, emerge una paro<strong>la</strong> importante per il paese che, tra<br />
smarrimenti e ripiegamenti, è entrato nel<strong>la</strong> vertigine del<strong>la</strong> globalizzazione, dove il<br />
confronto con i giganti del<strong>la</strong> storia, quelli asiatici, o con le scosse di un mondo confuso,<br />
fa indulgere a rassicurarsi e difendersi sul partico<strong>la</strong>re perimetro che si possiede.<br />
Ma se non si accetta <strong>la</strong> sfida, ci si rattrappisce come paese (dal livello intellettuale<br />
a quello imprenditoriale), ci si taglia fuori dal futuro, che è non solo storia italiana,<br />
ma storia del mondo. Questo vale per l’economia, ma anche per <strong>la</strong> <strong>politica</strong> e <strong>la</strong><br />
cultura. Va detto allora che cosa dev’essere il nostro paese nel mondo e di fronte a se<br />
stesso, al di là delle quotidiane trovate del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>.<br />
Il convegno di Verona ha par<strong>la</strong>to di speranza. Vanno tracciate figure e percorsi<br />
di speranza per i cristiani e anche gli italiani. Raramente sono gli intellettuali a<br />
indicarli nel<strong>la</strong> Chiesa. Talvolta i pastori. Spesso i santi. O i martiri. Ho in mente padre<br />
Puglisi, martire di una carità pastorale, che, da prete, scosse tanto il sociale<br />
drammatico del quartiere Brancaccio da essere condannato a morte. C’è un bene,<br />
non proprio, per cui si può morire. O penso a Vittorio Bachelet, ucciso nel 1980,<br />
perché <strong>la</strong> sua presenza mite e forte appariva minacciosa a un pensiero folle, che pur<br />
amava citare Santa Caterina da Siena (“se sarete quello che dovete essere metterete<br />
fuoco all’Italia”).<br />
30 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Andrea Riccardi<br />
Con serena semplicità, afferma Benedetto XVI nel<strong>la</strong> Deus caritas est: “<strong>la</strong> forza<br />
del cristianesimo si espande ben oltre le frontiere del cristianesimo”. Cent’anni di<br />
cristianesimo italiano nel<strong>la</strong> società, con <strong>la</strong> sua grandezza e le sue fragilità, sono una<br />
forza che va oltre le sue frontiere e scrive <strong>la</strong> storia: nel locale e nel regionale, tra <strong>la</strong><br />
gente, i poveri, nel governo del paese, nell’intraprendere iniziative... Cent’anni di<br />
storia sociale, spirituale, di carità, nel loro intreccio, dicono al paese – ed è anche<br />
una lezione umana e storica – che non si può vivere per se stessi, chiusi in se stessi,<br />
solo per proteggersi (come paese, categoria, individui), ma pensare agli altri, intraprendere<br />
per loro, amarli, governali, aiutarli, servirli, guidarli, educarli, accompagnarli<br />
(e tanto altro…). Sono un modo di stare nel<strong>la</strong> storia. Lo storico lo vede. Il<br />
contemporaneo lo percepisce. Questo vuol dire vivere il futuro e <strong>la</strong> speranza, non<br />
sopravvivere in una specie di autismo sociale. Non è solo una lezione per un individuo,<br />
per una comunità cristiana, ma un segreto umano. Al<strong>la</strong> fine è anche l’anima<br />
per un paese.<br />
<br />
31
Dieci tesi sui <strong>cattolici</strong> in <strong>politica</strong><br />
In questo contributo presenterò dieci tesi sul rapporto<br />
tra <strong>cattolici</strong> e <strong>politica</strong> nell’attuale fase storica.<br />
La scelta di un tale registro comunicativo esprime il<br />
tentativo di reagire al disorientamento e allo scoraggiamento<br />
alimentati dal degrado del sistema politico italiano.<br />
Di fronte ad una tale situazione credo sia giusto<br />
accettare di correre qualche rischio, provando a smuovere<br />
un po’ le acque e a stanare il dibattito dalle tante<br />
rigidità e timidezze che lo caratterizzano.<br />
Ovviamente, una tale scelta non è priva di conseguenze:<br />
procedendo per punti, l’esposizione potrà risultare<br />
schematica e, in diversi passaggi, forse addirittura riduttiva,<br />
anche se credo non semplicistica.<br />
La speranza è che il saldo finale possa comunque essere<br />
positivo, contribuendo ad una riflessione che è di<br />
grande importanza per il mondo cattolico e per l’inte -<br />
ro paese.<br />
L’epoca democristiana<br />
La prima tesi afferma che, nel<strong>la</strong> storia dell’unità d’Ita -<br />
lia, l’epoca democristiana rimane tra le più positive. Al di là<br />
dei fattori esterni, al di fuori del<strong>la</strong> sfera di azione e di responsabilità<br />
del governo nazionale, i successi ottenuti nel<br />
secondo dopoguerra nello sviluppo economico e nell’integrazione<br />
sociale sono stati possibili grazie al<strong>la</strong> capacità del<strong>la</strong><br />
Dc di esprimere una guida <strong>politica</strong> in grado di interpretare<br />
il paese nelle sue profondità. Tale capacità è probabilmente<br />
da ricondurre al fatto che l’Italia è un paese che ha nelle sue<br />
fibre costitutive un rapporto speciale con <strong>la</strong> tradizione cattolica.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
MAURO MAGATTI<br />
Università Cattolica<br />
del Sacro Cuore<br />
di Mi<strong>la</strong>no<br />
≈<br />
“La speranza è<br />
che …prenda<br />
corso una<br />
riflessione…<br />
di grande<br />
importanza per<br />
il mondo cattolico<br />
e per l’intero<br />
paese”<br />
≈<br />
33
Mauro Magatti<br />
La fine del<strong>la</strong> Dc<br />
La seconda tesi ha a che fare con quel<strong>la</strong> che si può chiamare “<strong>la</strong> fine ingloriosa”<br />
dell’esperienza storica del partito dei <strong>cattolici</strong>. Parlo di “fine ingloriosa” perché,<br />
a partire dagli anni ’70, e poi per poi tutti gli anni ’80, <strong>la</strong> Dc ha progressivamente<br />
smarrito i valori ideali e le tecniche politiche che avevano caratterizzato <strong>la</strong> sua azione<br />
nei due decenni precedenti. Non è il caso qui di approfondire le ragioni di tale<br />
degrado. Nei limiti di quanto intendo sostenere è sufficiente sottolineare che, riducendosi<br />
in un partito correntizio e spartitorio, sempre più in difficoltà nel far fronte<br />
alle sfide che le venivano portate dal Pci e dal Psi, <strong>la</strong> Dc ha finito per compromettere<br />
<strong>la</strong> sua stessa eredità storica.<br />
I mutamenti nel sistema politico<br />
Proprio perché l’epoca democristiana si è interrotta in modo brusco e traumatico,<br />
non ci si può stupire che <strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> Dc abbia dato vita a due raggruppamenti<br />
– confluiti progressivamente in quello che oggi chiamiamo centro destra e<br />
centro sinistra – profondamente segnati da venature anticattoliche.<br />
Da un <strong>la</strong>to, in Forza Italia e nel<strong>la</strong> Lega Nord – oltre che in settori di An – <strong>la</strong> distanza<br />
dal mondo cattolico è stata sempre evidente, pur senza che questo abbia impedito<br />
a questi partiti di appropriarsi di temi cari ai <strong>cattolici</strong>, piegandoli ad un uso<br />
strumentale e conservatore.<br />
Dall’altro <strong>la</strong>to, sia Rifondazione Comunista sia il Pds – poi Ds – hanno mantenuto<br />
un atteggiamento opportunista nei confronti del mondo cattolico, considerato<br />
un alleato minore da tollerare e, in definitiva, da egemonizzare.<br />
In entrambi gli schieramenti, <strong>la</strong> posizione dei <strong>cattolici</strong> è stata marginale. A causa<br />
del<strong>la</strong> negativa eredità storica <strong>la</strong>sciata dal<strong>la</strong> Dc e dal sistema elettorale che si è venuto<br />
a formare nei primi anni ’90, l’unità <strong>politica</strong> dei <strong>cattolici</strong> è uscita di scena, <strong>la</strong>sciando<br />
così campo libero a ripetuti tentativi di strumentalizzazione: nel caso del centro sinistra,<br />
<strong>la</strong> scelta di un leader cattolico – con un potere reale sempre piuttosto limitato –<br />
è stato visto come il costo minore da pagare per arrivare a vincere le elezioni; mentre<br />
nel centro destra è prevalso il ricorso allo scambio politico: l’offerta di benefici economici<br />
in cambio di un assenso indispensabile per governare.<br />
Fragilità <strong>politica</strong> e sviluppo<br />
L’Italia è un paese complesso, con tante differenze e tanti partico<strong>la</strong>rismi. Soprattutto<br />
è un paese che fa un’enorme fatica a trovare un baricentro in grado di tener<strong>la</strong><br />
insieme e di permetterle di svilupparsi. Per questa ragione, in un’epoca che<br />
34 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
strutturalmente tende a produrre frammentazione, il paese sembra accusare tante<br />
difficoltà: il rischio è che una tale fragilità sia <strong>la</strong> causa prima di una progressiva perdita<br />
di capacità di tenere il passo dello sviluppo.<br />
Nel<strong>la</strong> fase che stiamo attraversando, <strong>la</strong> questione <strong>politica</strong> centrale per l’Italia mi<br />
sembra proprio questa: come è possibile costruire un assetto politico che sia capace<br />
di interpretare il paese, dandogli quel baricentro che non ha più ormai da così tanto<br />
tempo?<br />
Rispetto ad un mondo socialmente e istituzionalmente molto artico<strong>la</strong>to, sarebbe<br />
una forzatura sostenere semplicisticamente che “il paese era e rimane cattolico”.<br />
Le cose sono molto più complicate, anche perché <strong>la</strong> stessa base ecclesiale è messa a<br />
dura prova da un tempo così tumultuoso come quello che stiamo vivendo.<br />
Molte ricerche par<strong>la</strong>no di un mondo cattolico che presenta tante crepe e che fatica<br />
a tenere insieme <strong>la</strong> sua ricca artico<strong>la</strong>zione interna. Tanto che par<strong>la</strong>re di mondo<br />
cattolico appare per alcuni un’astrazione, visto che con questo termine si intendono<br />
realtà molto differenti.<br />
Eppure, rimane il fatto che il mondo cattolico è <strong>la</strong> principale realtà organizzata<br />
del paese, con un radicamento e una vitalità sorprendenti. E ciò da almeno due<br />
punti di vista.<br />
In primo luogo, il mondo cattolico è di gran lunga <strong>la</strong> principale organizzazione<br />
per quanto riguarda <strong>la</strong> capacità di sostenere e dar vita a esperienze e attività in ambito<br />
sociale, culturale, assistenziale, cooperativo. Con <strong>la</strong> trama dei suoi movimenti,<br />
associazioni, gruppi, <strong>la</strong> Chiesa Cattolica contribuisce in modo straordinario al<strong>la</strong> vita<br />
del paese, in tantissime delle sue manifestazioni.<br />
In secondo luogo, in un momento nel quale sembrano venir meno i riferimenti<br />
collettivi, l’autorevolezza del<strong>la</strong> Chiesa Cattolica rimane elevata. Nonostante tutto,<br />
<strong>la</strong> Chiesa è ancora oggi un’agenzia che costituisce un riferimento spirituale per<br />
l’intero paese.<br />
Per queste ragioni, se è vero che oggi non esistono le condizioni per un governo<br />
dei <strong>cattolici</strong>, si può altresì affermare che non è possibile governare l’Italia senza fare<br />
seriamente i conti con questa variegata realtà.<br />
Tale affermazione è vera non solo e non tanto dal punto di vista elettorale o<br />
par<strong>la</strong>mentare, quanto piuttosto per il radicamento sociale che qualunque azione<br />
<strong>politica</strong> che intenda avere successo deve avere.<br />
Le componenti anticattoliche<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Mauro Magatti<br />
A me sembra che, negli ultimi 15 anni, le componenti anticattoliche presenti<br />
nelle élites politiche del nostro paese abbiano cercato di scalzare tale presenza.<br />
Progetto legittimo, ma che – a quindici anni di distanza – deve essere valutato al<strong>la</strong><br />
luce dei suoi risultati, che sono deludenti se non negativi.<br />
35
Mauro Magatti<br />
Le ragioni di tale fallimento sono molteplici e non intendo qui analizzarle. Ma<br />
credo che una delle ragioni di fondo abbia a che fare con il tema che sto trattando:<br />
nate da una reazione ai cinquantenni democristiani, le élites che hanno dominato il<br />
sistema politico negli ultimi 15 anni non erano nelle condizioni di interpretare il<br />
vero sentire del paese. Il che ha ulteriormente aggravato <strong>la</strong> crisi di legittimazione<br />
del sistema politico-istituzionale, che si è avvitato su se stesso, finendo per diventare<br />
l’artefice di decisioni astratte e spesso assai poco pertinenti con i reali bisogni del<br />
paese.<br />
Mondo cattolico strumentalizzato<br />
La situazione che si è venuta a creare all’inizio degli anni ’90 perdura dunque<br />
ancora oggi: nel<strong>la</strong> difficile fase che stiamo attraversando, sia il centro destra sia il<br />
centro sinistra continuano a mostrare un atteggiamento strumentale nei confronti<br />
del mondo cattolico.<br />
Il nuovo Pd è nato su una promessa non mantenuta: l’intento dichiarato era<br />
quello di far nascere qualcosa di nuovo proprio sul<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> sintesi innovativa tra<br />
le principali culture politiche coinvolte nel progetto: da un <strong>la</strong>to <strong>la</strong> sinistra erede del<strong>la</strong><br />
storia del Pci e dall’altro quel<strong>la</strong> parte di mondo cattolico che da sempre è sensibile<br />
ai temi sociali. L’obiettivo era ambizioso: far nascere un nuovo grande partito popo<strong>la</strong>re<br />
in grado di interpretare l’asse più avanzato del paese. Ma i fatti non sembrano<br />
seguire le intenzioni: nessun <strong>la</strong>voro serio di composizione di queste due tradizioni<br />
è stato fatto e il Pd è nato come una strana combinazione: ad un primo livello,<br />
come incontro tra Ds e Margherita, intese come organizzazioni partitiche in<br />
senso stretto; e ad un secondo livello, come mera aggregazione attorno ad un leader<br />
– Veltroni – investito mediante una votazione tanto carica dal punto di vista comunicativo<br />
e simbolico quanto debole dal punto di vista delle indicazioni progettuali e<br />
identitarie.<br />
Nel centro destra, i <strong>cattolici</strong> rimangono sostanzialmente confinati nell’Udc o<br />
comunque minoranze guardate con sospetto negli altri partiti. Al di là delle dichiarazioni,<br />
essi appaiono incapaci di costituire il baricentro dell’intera coalizione, subendo<br />
così pesantemente le incursioni degli alleati su tutti i principali temi.<br />
Riflessi elettorali<br />
Dal punto di vista elettorale, <strong>la</strong> diaspora dei <strong>cattolici</strong> – che votano ormai per<br />
tutti i partiti: dal<strong>la</strong> Fiamma Tricolore a Rifondazione Comunista – è nota. Il voto<br />
cattolico è diviso e pesa in entrambi gli schieramenti, anche se non riesce ad incidere<br />
in maniera significativa su nessuno dei due. Si ottiene così un risultato parados-<br />
36<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
sale: il mondo cattolico, pur se infragilito e ridotto, nel<strong>la</strong> sua ricca artico<strong>la</strong>zione costituisce<br />
ancora oggi il principale soggetto socio-culturale del paese. Ma per come<br />
oggi funziona il sistema politico esso non riesce a influenzare in modo significativo<br />
il processo di decisione politico. In questo modo, il paese rimane vittima di c<strong>la</strong>ssi<br />
dirigenti che hanno un retroterra culturale limitato e in qualche caso così parziale<br />
da provocare, con le loro iniziative, dei continui col<strong>la</strong>ssi al paese, che rimane così<br />
privo di una guida <strong>politica</strong> autorevole.<br />
Pur senza commettere l’errore di sopravvalutare un evento singolo, <strong>la</strong> manifestazione<br />
che si è svolta a Roma sul<strong>la</strong> famiglia qualche mese fa è un buon indicatore<br />
preciso di quale sia oggi <strong>la</strong> sproporzione tra <strong>la</strong> rilevanza culturale del mondo cattolico<br />
e <strong>la</strong> sua capacità di orientare <strong>la</strong> decisione <strong>politica</strong>.<br />
Che fare, dunque?<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Mauro Magatti<br />
Per tentare di rispondere a tale interrogativo è necessario cominciare con<br />
l’escludere alcune soluzioni.<br />
Primo: non si può pensare di ricostituire una nuova Dc. Nel<strong>la</strong> storia le cose non<br />
ritornano mai allo stesso modo. Tanto più che oggi mancano moltissime condizioni<br />
sia interne sia esterne. Interne, perché le condizioni politico-istituzionali rendono<br />
impraticabile questa soluzione. Ed esterne, perché sul piano internazionale ciò<br />
configurerebbe una anomalia difficile poi da gestire.<br />
Secondo: ugualmente improbabile è pensare al riassorbimento all’interno di un<br />
unico polo dell’intero mondo cattolico. Ciò mi sembra molto improbabile non solo<br />
per lo stato in cui versa il mondo cattolico – con una artico<strong>la</strong>zione che renderebbe<br />
rischiosa una forzatura unitaria – ma anche per <strong>la</strong> natura del sistema bipo<strong>la</strong>re:<br />
schiacciarsi su una parte potrebbe essere, per una confessione religiosa, molto pericoloso.<br />
La terza via è <strong>la</strong> più ovvia e consiste nel partecipare con impegno e passione al<strong>la</strong><br />
costruzione dei due poli, cercando di far filtrare gli elementi che appartengono al<strong>la</strong><br />
cultura cattolica all’interno dei due raggruppamenti. L’obiettivo è difficile, anche se<br />
non si può escludere a priori che sia possibile ottenere qualche risultato apprezzabile.<br />
Si potrebbe dire così: se <strong>la</strong> Dc avesse chiuso gloriosamente il suo ciclo storico,<br />
oggi avremmo due schieramenti (uno di Cd e uno di Cs) distinti ma entrambi capaci<br />
di stare in re<strong>la</strong>zione (nel senso di capaci di tenere seriamente conto) con <strong>la</strong> cultura<br />
cattolica. Riuscire a ottenere un tale risultato oggi, a partire dai rapporti di forza<br />
esistenti, è assai difficile, dato che le questioni aperte sono molte. Per uscire dal<br />
generico: nel nascente Pd, il nodo più grosso riguarda <strong>la</strong> deriva libertaria e meramente<br />
tecnocratica che sembra prevalere in ciò che resta nel movimento socialista.<br />
Di fronte alle lezioni del XX secolo, questa tradizione appare frastornata e fatalmente<br />
attratta dal tema delle differenze e del<strong>la</strong> difesa dei diritti individuali, che si<br />
37
Mauro Magatti<br />
combina con il fascino “progressista” del cambiamento tecnologico acriticamente<br />
preso. Temi importanti, ma che spesso sono vissuti in modo fortemente ideologizzato.<br />
Quando tali sensibilità prevalgono, <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione con il mondo cattolico<br />
diventa assai difficile.<br />
Nel<strong>la</strong> destra, invece i principali problemi vengono dalle derive populiste, plebiscitarie<br />
e xenofobe, oltre che dal<strong>la</strong> leggerezza con cui si affrontano i temi che riguardano<br />
<strong>la</strong> giustizia sociale e il <strong>la</strong>voro. Quando a prevalere sono le visioni più radicali,<br />
anche in questo caso, <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione diviene pressoché impossibile.<br />
La portata delle sfide<br />
Se si guarda con realismo <strong>la</strong> situazione, occorre riconoscere che l’impegno dei<br />
<strong>cattolici</strong> nel<strong>la</strong> costruzione di un nuovo centro destra e di un nuovo centro sinistra –<br />
per quanto indispensabile – non basta.<br />
La ragione sta nel fatto che l’assetto che il sistema politico italiano ha assunto<br />
nei primi anni ’90 mostra sempre di più <strong>la</strong> sua inadeguatezza. Sia dal punto di vista<br />
istituzionale – dato che le regole del gioco non funzionano e impediscono un’adeguata<br />
azione di governo – sia dal punto di vista culturale – il paese (e con lui le sue<br />
élites) non mi pare sia ancora riuscito a e<strong>la</strong>borare in modo adeguato <strong>la</strong> portata delle<br />
sfide che questo tempo sta ponendo, e tanto meno le risposte che è necessario mettere<br />
in campo.<br />
Nessuno può pensare di avere <strong>la</strong> ricetta in tasca. Proprio per questo, contrariamente<br />
a quello che di solito si crede, <strong>la</strong> <strong>politica</strong> – se non vuole ridursi a mera tecnica<br />
– ha bisogno prima di tutto di ascoltare.<br />
I grandi passaggi storici degli ultimi decenni – si pensi al<strong>la</strong> America di Reagan o<br />
di Clinton, all’Inghilterra di B<strong>la</strong>ir, al<strong>la</strong> Spagna di Aznar – sono stati caratterizzati<br />
dall’affermazione di un gruppo dirigente che ha saputo unire indubbie doti di azione<br />
<strong>politica</strong> (nel<strong>la</strong> creazione del consenso e nel<strong>la</strong> deliberazione <strong>politica</strong>) con una<br />
straordinaria capacità di “intonare” il proprio paese nelle sue qualità e attitudini<br />
più autentiche. Quello che <strong>la</strong> Dc era riuscita a fare nel dopoguerra in Italia.<br />
Ma il presupposto per riuscire a trovare questa “intonazione” è quello di dedicare<br />
tempo, energie, risorse a comprendere in profondità quello che sta accadendo<br />
in modo da arrivare a definire un progetto in grado di dare un equilibrio al paese,<br />
condizione necessaria per una nuova fase di crescita.<br />
Sono convinto che, per quanto riguarda l’Italia, una tale attitudine <strong>la</strong> può sviluppare<br />
più di ogni altra realtà proprio il mondo cattolico. Ma perché ciò possa accadere<br />
occorre credere ad un tale progetto e creare le condizioni per realizzarlo.<br />
L’obiettivo di un tale sforzo non dovrebbe essere quello di creare le basi per un<br />
nuovo partito dei <strong>cattolici</strong>, quanto piuttosto quello di convocare le realtà del mondo<br />
cattolico, portandole a prendere parte all’e<strong>la</strong>borazione di una nuova visione <strong>politica</strong>.<br />
38 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Lo sbocco strettamente politico di un tale <strong>la</strong>voro dovrebbe, in prima battuta,<br />
essere <strong>la</strong>sciato aperto. Anche perché i movimenti del quadro politico – a partire dal<strong>la</strong><br />
riforma elettorale – modificheranno ulteriormente le regole del gioco. E rimane a<br />
tutt’oggi difficile – forse impossibile – capire quali saranno gli assetti futuri.<br />
Lavorare per costruire un progetto di questo tipo non è affatto accademia. Si<br />
tratta invece di creare le condizioni per una capacità di proposta che potrà trovare<br />
poi diverse strade per esprimersi, via via che le diverse variabili del<strong>la</strong> scena – legge<br />
elettorale, alleanza, leadership – si andranno a dipanare. Si tratta insomma di prepararsi<br />
ad un appuntamento storico, piuttosto che correre dietro alle continue sollecitazioni<br />
dell’emergenza. Significa guadagnare, non perdere, tempo.<br />
Se le cose andassero bene, nel momento in cui il paese si porrà decisamente al<strong>la</strong><br />
ricerca di un progetto, ci sarà qualcuno che glielo potrà dare. Se non ci sarà bisogno<br />
di questo, un risultato minimale – tutt’altro che disprezzabile – sarà stato quello di<br />
aver contributo a creare le premesse per dar vita a qualche forma di coordinamento<br />
dei par<strong>la</strong>mentari <strong>cattolici</strong> presenti nei diversi schieramenti, in grado di fissare alcuni<br />
paletti all’azione di governo, rendendo impraticabili alcune politiche e soprattutto<br />
indicando alcune priorità.<br />
L’Italia e l’Europa<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Mauro Magatti<br />
L’ultima tesi riguarda <strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione tra Italia e Europa. Il discorso che abbiamo<br />
qui svolto vale per il nostro paese. Ma non ha più senso oggi pensare il caso italiano<br />
al di fuori del contesto europeo. Nel secondo dopoguerra, l’ideale di un’unità europea<br />
fu uno dei grandi progetti a cui partecipò come protagonista proprio <strong>la</strong> cultura<br />
<strong>politica</strong> cattolica. Forse, una delle ragioni dello smarrimento che oggi l’Unione Europea<br />
registra è aver deciso di recidere quelle radici.<br />
Pensare ad una rinnovata stagione di impegno dei <strong>cattolici</strong> italiani in <strong>politica</strong> significa<br />
<strong>la</strong>vorare in una prospettiva europea. Il <strong>la</strong>boratorio italiano da questo punto<br />
di vista potrebbe essere assai prezioso per delineare e sperimentare soluzioni ed<br />
equilibri nuovi, da estendere poi all’intero continente. E ancor più che <strong>la</strong> vicenda<br />
italiana, quel<strong>la</strong> europea ha bisogno prima di tutto di pensiero, di visione, di immaginazione.<br />
Per concludere, mi sembra che non esistano scorciatoie.<br />
Il tempo che viviamo è difficile e <strong>la</strong> sfida è portata ad un livello molto alto. Ma<br />
non si può fare a meno di raccoglier<strong>la</strong>. E d’altra parte, questo è esattamente quello<br />
che, prima di noi, hanno già fatto i nostri predecessori, che tanto ammiriamo e ricordiamo.<br />
<br />
39
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Inquietudine e prospettive<br />
per il tempo presente<br />
Ci sono giorni che, nell’osservare le vicende politiche<br />
del nostro Paese, veniamo presi da una sorta di inquietudine<br />
interiore che non riusciamo a rasserenare o a<br />
p<strong>la</strong>care. Di fronte al<strong>la</strong> complessità dei problemi che<br />
giorno dopo giorno appesantiscono <strong>la</strong> situazione e<br />
mutano le condizioni di vita, di <strong>la</strong>voro, di re<strong>la</strong>zione<br />
delle persone, desidereremmo vedere in campo proposte<br />
rigorose per rivitalizzare un tessuto socio-politico<br />
che continua a <strong>la</strong>cerarsi, di cui le vicende dei rifiuti di<br />
Napoli non sono altro che una raffigurazione drammatica<br />
e paradossale dei nostri mali. Ci crogioliamo<br />
sui pochi dati economici positivi e ci <strong>la</strong>sciamo trascinare<br />
in dibattiti politici un poco vuoti ed evanescenti.<br />
Certo, non tutto va male e nel paese esistono persone<br />
che <strong>la</strong>vorano, producono e creano. Anche quando consumiamo<br />
i <strong>la</strong>uti cenoni di natale e fine anno, abbiamo<br />
dentro di noi <strong>la</strong> sensazione di un malessere che non<br />
riusciamo a spiegare. È l’insoddisfazione per come<br />
vanno le cose.<br />
Eppure avevamo sperato tanto<br />
C’è stato un periodo di speranza all’inizio degli anni<br />
’90, dopo <strong>la</strong> fine di tangentopoli e l’avvio di quel<strong>la</strong> che impropriamente<br />
ma simbolicamente avevamo chiamato seconda<br />
repubblica. Oggi manca il coraggio di dire che siamo stati<br />
delusi perché il nuovo che doveva nascere in realtà non è mai<br />
nato. Abbiamo continuato con i nostri molti vizi e poche<br />
virtù, non abbiamo visto realizzare le tanto promesse riforme<br />
e tantomeno crescere un nuovo modo di essere del<strong>la</strong> <strong>politica</strong><br />
centrato su un rinnovato rapporto tra cittadini, istituzioni e<br />
dirigenza <strong>politica</strong>.<br />
SAVINO PEZZOTTA<br />
Presidente di<br />
“Officina 2007”<br />
≈<br />
“… quello che<br />
occorre capire è se<br />
i <strong>cattolici</strong> si<br />
posizionano in<br />
difesa oppure,<br />
come io ritengo<br />
opportuno,<br />
si attrezzano a<br />
pensare<br />
<strong>politica</strong>mente ai<br />
problemi che<br />
stanno irrompendo<br />
nel<strong>la</strong> vita<br />
sociale e<br />
contribuiscono a<br />
costruire <strong>la</strong> città<br />
dell’uomo in<br />
questa nuova<br />
situazione”<br />
≈<br />
41
Savino Pezzotta<br />
Non è stato cosi! E il buon De Rita ci descrive come siamo immersi nel<strong>la</strong> poltiglia.<br />
A questo punto ci saremmo aspettati un atto di sincerità che dichiarasse con<br />
semplicità e senza c<strong>la</strong>mori che <strong>la</strong> seconda repubblica è morta prima ancora che cominciasse<br />
a vivere. Catastrofismo o realismo? Scegliete voi, ma così non si può andare<br />
avanti a lungo. Non basta rassegnarsi all’evidenza delle cose, costatare che siamo<br />
agli ultimi posti in Europa, che il nostro debito pubblico non si riduce come<br />
dovrebbe, che il mezzogiorno rimane invischiato nei suoi problemi, che i nostri<br />
giovani sembrano perdere tensione. Bisognerebbe mettere in campo un’analisi impietosa<br />
sui mali d’Italia, del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> italiana e sulle responsabilità dei gruppi dirigenti.<br />
E neppure basta che una mattina si cambino i simboli e i nomi dei partiti per<br />
dire che il nuovo avanza quando a produrre questi mutamenti sono sempre quelli<br />
di prima. Non mi convincono nemmeno quelli che predicano i ricambi generazionali,<br />
soprattutto se a pontificare sono persone anagraficamente quasi giovani ma da<br />
molto tempo sulle accidentate rotte del<strong>la</strong> nostra <strong>politica</strong>. Non credo nemmeno alle<br />
virtù palingenetiche degli uomini nuovi, anche perché, a ben vedere, sono sempre<br />
le stesse facce.<br />
Presentate le mie geremiadi, posso quindi con libertà dire che è tempo di mettersi<br />
all’opera per contribuire a far germinare processi ricostruttivi in grado di resistere<br />
al crescere di una tentazione, <strong>la</strong> stessa che tiene lontana molti giovani dall’impegno<br />
politico, che li spinge a rifluire nel “privato”, a rifugiarsi nel<strong>la</strong> dimensione<br />
“sociale” o “ludica”. Si cercano altrove le soddisfazioni, le passioni e le emozioni che<br />
il politico non sembra essere in grado di dare. Quando <strong>la</strong> <strong>politica</strong> non è più in grado<br />
di emozionare e suscitare tensioni emotive significa che si è entrati in un cono<br />
d’ombra e che bisogna uscirne in fretta.<br />
Voglia di recupero e di buona <strong>politica</strong><br />
Queste riflessioni potrebbero essere interpretate espressione di una visione<br />
pessimistica che tende a giustificare il disimpegno. Non è così. Sono infatti convinto<br />
che esistano dentro <strong>la</strong> nostra società, nel nostro Paese e nel<strong>la</strong> <strong>politica</strong> stessa, persone<br />
e luoghi che manifestano una grande capacità di recupero e una grande voglia<br />
– che a volte si esprime in forme e modi radicali o beffardi – di una buona <strong>politica</strong>,<br />
per <strong>la</strong> quale soffrire, rischiare, gioire e condividere.<br />
Sono convinto che oggi ci sia ancora <strong>la</strong> possibilità di salvare il politico tanto necessario<br />
al Paese: è dalle difficoltà che germina <strong>la</strong> voglia di riscatto, di cambiamento.<br />
Nei sussulti del<strong>la</strong> cosiddetta anti<strong>politica</strong> s’avverte l’anelito di una prassi che faccia<br />
dell’impegno politico il terreno su cui far crescere le virtù civili.<br />
42 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
È arrivato il tempo di liberarsi dai condizionamenti, dagli interessi di parte e<br />
personali per cercare di uscire da questa situazione confusa in cui <strong>la</strong> nebulosità sembra<br />
essere lo strumento più utilizzato per mantenere o consolidare il consenso. Non<br />
è un caso che ci si rivolga in modo impreciso e indistinto a tutti, evitando di offrire<br />
argomenti e proposte coerenti. Si potrebbe sospettare che questo metodo basato<br />
sull’indistinto e sul<strong>la</strong> sommatoria dei contenuti, sia praticato soprattutto dai partiti<br />
maggiori per tenere aperte più possibilità di alleanze e di convergenze. Altro che temere<br />
l’improbabile ricomparsa del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> dei due forni! Sarebbe molto più coerente,<br />
unificante e tonificante che ciascuno dei contendenti si presentasse con chiare<br />
posizioni programmatiche, ma soprattutto indicasse le priorità che intende perseguire<br />
con re<strong>la</strong>tive forme, modi, tempi e risorse. Non basta affermare <strong>la</strong> vocazione<br />
maggioritaria – che per altro non può che essere propria di tutti coloro che concorrono<br />
e nemmeno pensata come esclusività del duopolio – se non è accompagnata<br />
dal<strong>la</strong> chiarezza dei punti programmatici, l’esplicitazione delle alleanze e del tipo di<br />
rapporto che si intende instaurare con le organizzazioni sociali.<br />
Valori ed etica del<strong>la</strong> <strong>politica</strong><br />
Quello che conta è uscire da questa situazione e dare prova che <strong>la</strong> <strong>politica</strong><br />
non è un gioco di uomini scaltri interessati esclusivamente a vincere e a prendere il<br />
potere, ma che è soprattutto un impegno teso a riscattare ruolo, valori e dimensione<br />
etica dell’agire pubblico. È sempre più necessario dimostrare che lo stare in campo<br />
non risponde ad interessi partico<strong>la</strong>ri e affermare, in declinazioni concrete e pratiche,<br />
i valori nei quali l’uomo si realizza in tutta <strong>la</strong> sua interezza.<br />
È qui, su questo terreno che da <strong>cattolici</strong> siamo chiamati ad esserci. Non pretendiamo<br />
di essere in primo piano o di possedere ricette miracolose, ma per noi il termine<br />
“uomo” ha una valenza significativa e orientativa poiché lo vediamo nel suo rapporto<br />
di origine e di fine con Dio. Nemmeno intendiamo per questo esprimere un<br />
tratto di superiorità ma, al contrario, vogliamo esercitare un servizio aperto al confronto<br />
e al dialogo con tutti, per ricercare, nel<strong>la</strong> consapevolezza dell’appartenenza, un<br />
comune impegno per valorizzare tutto l’uomo nel<strong>la</strong> sua integrità, libertà e dignità.<br />
La questione antropologica<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Savino Pezzotta<br />
Si pone in quest’ambito <strong>la</strong> questione antropologica che sarà dirimente nel<br />
delineare il futuro del dibattito politico e delle scelte conseguenti. C’è ancora anche<br />
nel nostro mondo, una sorta di inconscio timore ad entrare su questo terreno e a<br />
farlo oggetto di pensiero politico. Restiamo troppo legati al<strong>la</strong> questione sociale e alle<br />
problematiche socio-economiche e fatichiamo a comprendere che sono ormai<br />
43
Savino Pezzotta<br />
diventate parte di una questione più profonda che riguarda l’idea di uomo e di persona<br />
per <strong>la</strong> quale <strong>la</strong>vora <strong>la</strong> <strong>politica</strong>. Credo che ci sia l’urgenza di capire perché<br />
l’uomo del nostro tempo fatichi a definirsi e viva in una sorta di smarrimento di sé<br />
che lo costringe a rifugiarsi in un individualismo libertario che trasforma <strong>la</strong> società<br />
in moltitudine in cui gli uomini si muovono come monadi.<br />
L’intreccio sempre più evidente tra questione sociale e antropologica è dunque<br />
già davanti a noi ed è sempre più accentuato dalle trasformazioni che <strong>la</strong> globalizzazione<br />
sta producendo attraverso <strong>la</strong> crescente interdipendenza economica e culturale,<br />
<strong>la</strong> diffusione delle migrazioni umane che mischiano e intrecciano le civiltà,<br />
<strong>la</strong> trasformazione del<strong>la</strong> divisione internazionale del <strong>la</strong>voro che pone nuove questioni<br />
di giustizia tra paesi poveri, emergenti ed emersi. Nei paesi di vecchia industrializzazione<br />
cresce l’esigenza di una nuova cura per <strong>la</strong> salvaguardia dell’ambiente e sono<br />
fenomeni nuovi l’avanzare di tecnologie biologiche, comunicative e informative<br />
sempre più pervasive e modificatrici dell’umano, delle forme e dei modi con cui le<br />
persone si re<strong>la</strong>zionano, che chiedono nuove sensibilità del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> proprio per determinarne<br />
una nuova qualità.<br />
Il “pensare <strong>politica</strong>mente” dei <strong>cattolici</strong><br />
A fronte di questi cambiamenti che in molti casi toccano elementi significativi<br />
del<strong>la</strong> visione del mondo, quello che occorre capire è se i <strong>cattolici</strong> si posizionano<br />
in difesa oppure, come io ritengo opportuno, si attrezzano a pensare <strong>politica</strong>mente<br />
ai problemi che stanno irrompendo nel<strong>la</strong> vita sociale e contribuiscono a costruire <strong>la</strong><br />
città dell’uomo in questa nuova situazione. Dobbiamo perciò domandarci se questo<br />
oggi sia possibile oppure limitarci a sostenere che il “pensare <strong>politica</strong>mente” debba<br />
per noi cristiani ridursi a scegliere quale schieramento votare o in quale formazione<br />
<strong>politica</strong> alloggiare.<br />
La questione cattolica come noi l’abbiamo conosciuta e come l’ha vissuta il<br />
movimento politico dei <strong>cattolici</strong> italiani è certamente stata chiusa con <strong>la</strong> realizzazione<br />
del<strong>la</strong> democrazia di tutti. Anche se episodi come quelli legati al<strong>la</strong> visita poi<br />
annul<strong>la</strong>ta del Santo Padre all’università romana del<strong>la</strong> Sapienza, o certe esasperazioni<br />
anticristiane e anticlericali ci creano turbamenti, non possiamo rinnegare il <strong>la</strong>voro<br />
che è stato fatto dai <strong>cattolici</strong> per fare in modo che diventassero valori condivisi <strong>la</strong><br />
convivenza democratica, il rispetto delle idee e soprattutto di quelle diverse dalle<br />
nostre, il diritto di paro<strong>la</strong>, il rispetto del<strong>la</strong> libertà di coscienza. In questo sta <strong>la</strong> nostra<br />
<strong>la</strong>icità e non nel<strong>la</strong> privatizzazione o nel nascondimento nel<strong>la</strong> me<strong>la</strong>ssa del <strong>politica</strong>mente<br />
corretto, delle nostre convinzioni di fede che non vogliamo imporre a nessuno<br />
ma che vogliamo poter esprimere e testimoniare.<br />
44<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Come operare da <strong>cattolici</strong> nel<strong>la</strong> <strong>politica</strong>?<br />
Tutto questo non evade <strong>la</strong> domanda che ci dobbiamo porre: come stare e operare<br />
da <strong>cattolici</strong> in <strong>politica</strong>? È a mio parere una domanda che si fa sempre più urgente<br />
perché sul piano storico-sociale rischia di esaurirsi il cattolicesimo popo<strong>la</strong>re, uno dei<br />
più fecondi patrimoni costruiti dal<strong>la</strong> comunità cristiana italiana fin dall’Ottocento ed<br />
in misura massiccia dagli anni Venti e nel secondo dopoguerra. Rischia di svanire<br />
quando una sua presenza sarebbe alquanto significativa per aiutare il nostro paese ad<br />
affrontare i nuovi problemi. Non è un caso che, a fronte del suo indebolimento, si sia<br />
ripresentata nel dibattito politico italiano <strong>la</strong> questione del<strong>la</strong> <strong>la</strong>icità. Ed è soprattutto <strong>la</strong><br />
<strong>la</strong>icità cristiana a suscitare problemi e diffidenze sia a destra che a sinistra. Forse perché<br />
è troppo scomoda per coloro che da anni perseguono l’obiettivo del<strong>la</strong> semplificazione<br />
e del<strong>la</strong> schematizzazione <strong>politica</strong>: destra/sinistra, amico/nemico. Come se nel<strong>la</strong><br />
modernità dei nostri tempi a valere non fosse invece il paradigma del<strong>la</strong> complessità e<br />
<strong>la</strong> capacità di agire, pensare e organizzare in modo complesso.<br />
A fronte di questi cambiamenti e delle nuove problematiche, mi sto chiedendo<br />
da tempo come sia oggi possibile operare da <strong>cattolici</strong> in <strong>politica</strong> in modo organizzato<br />
e se questo sia ancora possibile. In partico<strong>la</strong>re me lo chiedo dopo che i popo<strong>la</strong>ri<br />
si sono sciolti nel Partito Democratico. Generalmente quando pongo questo<br />
quesito mi si risponde dal punto di vista storico oppure teologico o culturale. Sono<br />
risposte che intrometto e che mi aiutano a fare discernimento, ma che ancora non<br />
mi hanno risolto <strong>la</strong> questione. Come mi si rammenta da diverse parti, <strong>la</strong> Dc non<br />
rappresentava tutti i <strong>cattolici</strong>. Infatti era un partito di <strong>cattolici</strong> e non dei <strong>cattolici</strong>,<br />
<strong>la</strong>ico e di ispirazione cristiana. Lo stesso lo era il Ppi di Martinazzoli e Bianco. Ma<br />
<strong>la</strong> presenza <strong>politica</strong> organizzata rappresentava, anche per i <strong>cattolici</strong> che militavano<br />
in altri partiti, un centro, un punto di confronto e di orientamento politico e culturale.<br />
Poi ad un certo punto si è confuso il pluralismo con <strong>la</strong> frammentazione, una<br />
frammentazione che ha corrisposto più all’esigenza di schierarsi che ad una rinnovata<br />
piattaforma programmatica.<br />
Non ho nostalgie da mettere in campo, ma solo osservazioni da rilevare e cercare<br />
di scrutare nei segni del presente se sia ancora possibile generare luoghi in cui dei<br />
<strong>cattolici</strong> possano trovare il modo di “pensare <strong>politica</strong>mente” e <strong>la</strong>icamente avanzare<br />
proposte per il Paese.<br />
Popo<strong>la</strong>rismo e Personalismo<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Savino Pezzotta<br />
Per quanto mi riguarda non posso non restare ancorato ad alcuni elementi di<br />
principio propri di una cultura <strong>politica</strong> di ispirazione cristiana che va sotto <strong>la</strong> deno-<br />
45
Savino Pezzotta<br />
minazione di popo<strong>la</strong>rismo e personalismo. Una cultura che deve fare i conti con rigore<br />
con quanto è cambiato nel mondo cattolico e nel mondo più in generale. Anzi<br />
sono convinto che serva un nuovo popo<strong>la</strong>rismo e un neopersonalismo. Più vado<br />
avanti negli anni, più sono costretto a rendermi conto che il nostro problema non è<br />
tanto quello di non rimanere prigionieri del passato, ma di <strong>la</strong>sciarci imbrigliare da<br />
un presente che tende di per sé e in sé ad esaurire il futuro. Ciò significa allontanarsi<br />
dal<strong>la</strong> storia, negare di avervi un posto, invece che obbligarsi a una critica costante,<br />
anche di sé, per trovare una risposta al mutare del presente. E ad acutizzare <strong>la</strong><br />
nostra percezione di ciò che muta non può non intervenire il passato, <strong>la</strong> memoria<br />
storica, che ci fornisce gli strumenti per trasformare il presente in continua occasione<br />
e ci evita di ricadere negli errori compiuti. Il passato non spiega il presente perché<br />
nel<strong>la</strong> logica avviene il contrario, ma ci aiuta a trasformarlo. Benjamin in Tesi di<br />
filosofia del<strong>la</strong> storia, dice che “c’è un’intesa segreta tra le generazioni passate e <strong>la</strong> nostra”.<br />
Di questo dovremmo sempre avere consapevolezza.<br />
La coscienza critica del passato<br />
Oggi c’è una voglia di archiviare, dimenticare e obliare il passato. Operazioni<br />
di questa natura non ci rendono più immaco<strong>la</strong>ti, non ci purificano dagli errori<br />
compiuti e non ci liberano dalle responsabilità del tempo vissuto. L’unico risultato<br />
che operazioni di questo genere ci possono dare è il crescere dell’impossibilità di un<br />
pensare e di un agire critico-propositivo.<br />
Mi rendo conto che diventa difficile par<strong>la</strong>re di identità in una società che sempre<br />
viene descritta come liquida, a coriandoli o vista come una me<strong>la</strong>ssa. Eppure mi<br />
tormenta il dubbio che senza una chiarezza sull’appartenenza non sia possibile costruire<br />
processi democratici più avanzati.<br />
Con l’approvazione del<strong>la</strong> Carta dei valori del Pd è venuta meno, nel panorama<br />
politico italiano, un’altra presenza di <strong>cattolici</strong> organizzati in <strong>politica</strong>. Non voglio<br />
discutere o mettere in campo giudizi morali se questa scelta sia sta un bene o<br />
un male. È una scelta che legittimamente dei <strong>cattolici</strong> possono fare e di cui sono responsabili.<br />
Faccio solo una constatazione: è chiaro che aderendo a una nuova carta<br />
dei valori si sono <strong>la</strong>sciati alle spalle il popo<strong>la</strong>rismo e una cultura <strong>politica</strong>. Non è in<br />
discussione <strong>la</strong> possibilità di aderire da cristiani ad una carta dei valori che non sia in<br />
contrasto con i valori cristiani. Ma deve essere altrettanto chiaro che questo è altro<br />
da ciò che si era. Il Pd, al di là di quello che strumentalmente si sostiene al<strong>la</strong> sua sinistra,<br />
è un partito di sinistra che tende a ottenere il voto di <strong>cattolici</strong> e di chi si colloca<br />
su una posizione centrista. In pratica non è il partito di centro che guarda a sinistra<br />
come diceva De Gasperi del<strong>la</strong> Dc, ma il contrario. È chiaro che questa con-<br />
46 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
fluenza indebolisce ulteriormente <strong>la</strong> presenza organizzata di <strong>cattolici</strong> in <strong>politica</strong> e in<br />
partico<strong>la</strong>re di quel filone che si definiva “cattolico popo<strong>la</strong>re”. La presenza di <strong>cattolici</strong><br />
nel Pd potrà essere preziosa anche se tutta da vetrificare, ma, come avvenuto in altre<br />
parti d’Europa, sarà sempre più caratterizzata dal<strong>la</strong> testimonianza personale. E fare<br />
una corrente “cattolica” nel Pd, come qualcuno ipotizza, sarebbe un grave errore<br />
perché finirebbe per minorizzare una presenza.<br />
Altro pericolo che intravedo in questa contingenza <strong>politica</strong> e che occorre contrastare<br />
è il tentativo di impadronirsi dei valori cristiani per fini puramente utilitaristici.<br />
Un interesse ai problemi che i cristiani mettono in campo che non è dettato<br />
dal<strong>la</strong> condivisione, da curiosità intellettuale per i contenuti, ma semplicemente finalizzato<br />
a obiettivi politici.<br />
Pensare ed educare per agire <strong>politica</strong>mente<br />
Sono queste questioni che ci obbligano a riprendere il tema del “pensare <strong>politica</strong>mente”<br />
da <strong>cattolici</strong> e darci strumenti che lo consentano. Sono convinto che in<br />
prima istanza il problema si ponga alle associazioni e ai movimenti ecclesiali i quali<br />
sicuramente e autonomamente devono perseguire i fini propri e in prima istanza,<br />
data <strong>la</strong> loro natura ecclesiale, quello dell’evangelizzare. Soprattutto devono cercare<br />
di evitare qualsiasi sorta di neocol<strong>la</strong>teralismo ed in partico<strong>la</strong>re quello pragmaticoutilitaristico<br />
che è il più insidioso. Ma in questa situazione italiana oggi hanno anche<br />
il dovere di educare al<strong>la</strong> <strong>politica</strong> e a pensare <strong>la</strong> <strong>politica</strong>, che è cosa diversa dallo<br />
schierarsi partiticamente.<br />
Resto anche convinto che una rimodu<strong>la</strong>zione del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> e una flessibilizzazione<br />
del bipo<strong>la</strong>rismo attraverso una riforma elettorale di tipo proporzionale, con<br />
uno sbarramento che aiuti i simili ad aggregarsi e riduca <strong>la</strong> frammentazione, senza<br />
premi di maggioranza e con l’introduzione delle preferenze, potrebbe aiutare a determinare<br />
una nuova presenza di <strong>cattolici</strong> in <strong>politica</strong> e a valorizzare il loro ruolo nei<br />
vari schieramenti. A volte mi stupisco nel sentire i <strong>la</strong>udatori del<strong>la</strong> sussidiarietà farsi<br />
pa<strong>la</strong>dini del<strong>la</strong> semplificazione bipo<strong>la</strong>re. Gli schieramenti imposti diventano blindati<br />
ed in essi <strong>la</strong> libertà di coscienza un problema invece che una risorsa.<br />
Organizzazione e partecipazione<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Savino Pezzotta<br />
Nel frattempo occorre anche che dei <strong>cattolici</strong> si possano organizzare in forme<br />
nuove per promuovere buona <strong>politica</strong> e una <strong>politica</strong> diffusa che si basi soprattutto<br />
sul<strong>la</strong> partecipazione . La necessità di fare rete, di non disperdere un patrimonio di<br />
47
Savino Pezzotta<br />
cultura <strong>politica</strong>, di essere presenti nel dibattito pubblico e nell’iniziativa <strong>politica</strong> ha<br />
fatto sorgere “Officina 2007 ”. Si tratta di un movimento <strong>la</strong>ico di ispirazione cristiana<br />
che, non dimentico del passato, vuole affrontare in modo innovativo le sfide<br />
del presente. In pratica vuol dare un contributo perché nasca un tempo in cui a dominare<br />
<strong>la</strong> scena sia <strong>la</strong> buona <strong>politica</strong>. Una <strong>politica</strong> diffusa che amplia i modi e le<br />
forme del<strong>la</strong> partecipazione.<br />
C’è nel paese l’esigenza di tornare a discutere e a confrontarsi con serietà, di<br />
dire basta al<strong>la</strong> propaganda, all’uso mediatico e strumentale, all’eccesso di leaderismo,<br />
ai poteri sempre più monocratici che non sempre – come dimostra il caso dei<br />
rifiuti di Napoli – riescono a risolvere problemi complessi. Non abbiamo bisogno<br />
di sistemi presidenziali palesi o surrettizi come il Sindaco d’Italia. Più <strong>la</strong> <strong>politica</strong> si<br />
restringe sui pochi più blocca ogni dialogo, inibisce ogni ricerca, crea disaffezione.<br />
Sono convinto che occorra uno sforzo di fantasia e uscire dagli schemi rigidi, dai<br />
giudizi precostituiti senza smarrire le tradizioni nelle quali siamo nati e cresciuti,<br />
anzi, per renderle feconde e non semplicemente ritratti da appendere in qualche<br />
Pantheon. Abbiamo bisogno di aperture, di spazi <strong>la</strong>rghi, di moltiplicare le Agorà.<br />
Non abbiamo bisogno di chiudere gli spazi. La <strong>politica</strong> vive se respira, respira se è<br />
partecipata, se i luoghi del confronto si moltiplicano. Agire da cristiani in <strong>politica</strong><br />
significa anche avere sempre a mente che per noi ogni riduzione del<strong>la</strong> fede ad ideologia<br />
è da considerarsi ido<strong>la</strong>tria, ed è il nostro agire antido<strong>la</strong>trico che garantisce <strong>la</strong><br />
nostra <strong>la</strong>icità.<br />
48 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Il problema del rapporto con <strong>la</strong> <strong>politica</strong> è sempre complicato<br />
per i cristiani. Si tratta del<strong>la</strong> difficoltà, in concreto,<br />
di vivere <strong>la</strong> doppia cittadinanza del<strong>la</strong> terra e del<br />
Cielo. Un problema partico<strong>la</strong>rmente sentito in Italia<br />
sia a causa del<strong>la</strong> vicenda del potere temporale del<strong>la</strong><br />
Chiesa, per quanto ormai risalente a due secoli fa e comunque<br />
ampiamente risolto da un Magistero successivo<br />
inequivocabilmente posizionato sul piano del<strong>la</strong> netta<br />
separazione dei poteri, sia per le discusse e talvolta<br />
<strong>la</strong>ceranti esperienze di rigorosa <strong>la</strong>icità vissute dagli uomini<br />
politici cristiani che da <strong>Sturzo</strong> in poi hanno operato<br />
sul teatro del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> italiana.<br />
Rapporto fede <strong>politica</strong> in Italia<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Lo specifico cristiano<br />
e il Partito democratico<br />
Quando capita di incontrare uomini politici cristiani<br />
di altri paesi, non solo europei, e si scambiano opinioni sulle<br />
rispettive esperienze, si nota non di rado <strong>la</strong> difficoltà da parte<br />
loro anche solo a comprendere taluni dei problemi presenti<br />
nel dibattito politico italiano riguardo al rapporto fede <strong>politica</strong>.<br />
Come ad esempio il problema del<strong>la</strong> rilevanza <strong>politica</strong><br />
dei <strong>cattolici</strong>, cioè del<strong>la</strong> possibilità di rendere influente, ascoltata<br />
e per quanto possibile accolta una certa visione del mondo<br />
e dell’uomo in partico<strong>la</strong>re. Normalmente in Baviera o nel<br />
Quebec, dove pure <strong>la</strong> presenza dei <strong>cattolici</strong> è consistente, tale<br />
questione non si pone: lì credenti e non credenti sono essenzialmente<br />
cittadini, conservatori o progressisti o altro ancora,<br />
e solo di fronte a questioni etiche di rara importanza c’è<br />
un pronunciamento ufficiale dell’episcopato che i singoli<br />
uomini politici credenti cercano di assumere come orienta-<br />
PIERLUIGI<br />
CASTAGNETTI<br />
Vicepresidente<br />
del<strong>la</strong> Camera<br />
dei Deputati<br />
≈<br />
“… <strong>la</strong> storia che<br />
cammina e marcia<br />
velocemente e<br />
chiede (anche)<br />
ai cristiani di<br />
abituarsi a<br />
costruire tende e a<br />
vivere in tenda,<br />
chiede di non<br />
confondere mai<br />
i fini con gli<br />
strumenti e,<br />
dunque, di non<br />
dimenticare che i<br />
partiti pur non<br />
essendo taxi sono<br />
pur sempre solo<br />
strumenti”<br />
≈<br />
49
Pierluigi Castagnetti<br />
mento personale in modo più o meno coerente. In Italia non è così. Qui c’è <strong>la</strong> Santa<br />
Sede e <strong>la</strong> <strong>politica</strong> non può prescinderne. Persino Togliatti, e Berlinguer, si ponevano<br />
l’esigenza di avere una “<strong>politica</strong> ecclesiastica”.<br />
Qui c’è una tradizione di presenza importante del<strong>la</strong> Chiesa nel tessuto sociale<br />
del paese e una legittima tradizione di pronunciamento pubblico del<strong>la</strong> Chiesa su<br />
tutte le vicende che interpel<strong>la</strong>no <strong>la</strong> coscienza dei cittadini e c’è nel<strong>la</strong> gran parte dei<br />
cittadini una aspettativa per questi pronunciamenti. E, nondimeno, qui c’è <strong>la</strong> tradizione<br />
di un impegno dei <strong>cattolici</strong> in quanto tali in <strong>politica</strong> – dal popo<strong>la</strong>rismo<br />
(che un grande storico come F. Chabod ha definito uno degli eventi politici più importanti<br />
del secolo scorso) in poi – che è risultato decisivo nel<strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong><br />
democrazia repubblicana e nell’avvio del processo unitario europeo, tradizione che<br />
ha lungamente influenzato, non senza contrasti, <strong>la</strong> cultura <strong>politica</strong> democratica del<br />
paese. E, dunque, il superamento del<strong>la</strong> forma e delle modalità organizzative di<br />
quel<strong>la</strong> specifica presenza <strong>politica</strong> ha posto e continua a porre questioni oggettivamente<br />
non banali, che ruotano ineludibilmente intorno al tema del<strong>la</strong> rilevanza di<br />
forme nuove di presenza dei <strong>cattolici</strong> in <strong>politica</strong>.<br />
La fine dell’unità <strong>politica</strong> dei <strong>cattolici</strong><br />
Le ragioni che hanno portato al superamento definitivo del<strong>la</strong> unità <strong>politica</strong><br />
dei <strong>cattolici</strong> sono state adeguatamente indagate dal<strong>la</strong> storiografia contemporanea<br />
e non è il caso di richiamarle in questa sede, se non una che solitamente è trascurata:<br />
<strong>la</strong> Democrazia Cristiana con <strong>la</strong> fine del comunismo e l’accettazione dell’ordine<br />
costituzionale repubblicano da parte del<strong>la</strong> estrema destra nazionale ha registrato<br />
il massimo successo del<strong>la</strong> sua principale missione storica che era quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> democratizzazione<br />
del paese. L’accettazione poi da parte delle forze storiche del<strong>la</strong> sinistra<br />
di altri capisaldi del<strong>la</strong> tradizione <strong>politica</strong> del cattolicesimo democratico –<br />
l’europeismo e l’economia sociale di mercato – ha reso ancora più completo quel<br />
successo. Il raggiungimento di tali obiettivi ha contribuito, in qualche misura, a<br />
fare considerare esaurita una missione storica e le conseguenti “ragioni di necessità”<br />
di sostegno elettorale da parte di quei cittadini che non si sentivano motivati<br />
principalmente da ragioni di “appartenenza” culturale (o confessionale) in senso<br />
stretto.<br />
Vale invece <strong>la</strong> pena interrogarsi sul fatto se esista (ancora) uno specifico cattolico<br />
e quale fisionomia possa assumere in <strong>politica</strong> oggi. Al<strong>la</strong> domanda rispondo<br />
senz’altro positivamente. Lo specifico del cristiano è Gesù Cristo. Da tale assunto<br />
discendono conseguenze imprescindibili nel<strong>la</strong> vita e nelle azioni dei cristiani, di<br />
tutti i cristiani, e perciò anche di quelli che sono impegnati e <strong>la</strong>vorano nelle istitu-<br />
50 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
zioni del<strong>la</strong> città dell’uomo. Il cristiano deve vivere i comandamenti dell’amore e<br />
dell’unità che, declinati <strong>politica</strong>mente, configurano una originalità veramente rivoluzionaria.<br />
Pensiamo ai temi del<strong>la</strong> libertà, del<strong>la</strong> giustizia e del<strong>la</strong> pace – che rappresentano<br />
il terreno proprio delle istituzioni politiche – e immaginiamo in quale misura<br />
essi possano essere illuminati da questi comandamenti. Lo specifico cristiano<br />
è, dunque, una impostazione per molti aspetti “altra” del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>.<br />
Le regole del<strong>la</strong> <strong>politica</strong><br />
Peraltro, in democrazia <strong>la</strong> <strong>politica</strong> ha una sua forma, ha proprie regole e procedure<br />
che ne garantiscono l’autonomia e <strong>la</strong> responsabilità rispetto alle influenze<br />
ideologiche che le stanno alle spalle e agli obiettivi che intende perseguire. Regole e<br />
procedure che assicurano pure <strong>la</strong> partecipazione (cioè <strong>la</strong> condivisione) e il controllo<br />
da parte dei cittadini su chi esercita funzioni e responsabilità di governo. La democrazia<br />
è inoltre il sistema di regole e norme più rispettoso e più efficace a garantire i<br />
diritti delle persone. I cristiani, cittadini come gli altri, al<strong>la</strong> pari degli altri debbono<br />
utilizzare gli strumenti partecipativi che <strong>la</strong> democrazia mette a disposizione di tutti,<br />
se vogliono influenzare le scelte politiche.<br />
Il dilemma che oggi si pone loro non è nuovo: conviene ai cristiani organizzare<br />
<strong>la</strong> loro presenza in <strong>politica</strong> mettendosi insieme, fra di loro cioè, sapendo di essere<br />
minoranza e correndo il rischio di trovarsi per tale ragione emarginati e protetti<br />
in una enc<strong>la</strong>ve di omologhi in attesa che eventualmente maturino condizioni diverse<br />
e favorevoli, o non è più opportuno che essi partecipino al<strong>la</strong> costruzione di<br />
strumenti (partiti) più <strong>la</strong>rghi insieme a chi, provenendo da altre tradizioni culturali,<br />
mostri una “vicinanza programmatica” che ne rende compatibile e virtuosa <strong>la</strong><br />
convivenza? Ancora un partito di credenti, o un partito <strong>la</strong>ico in cui i credenti possano<br />
agire l’influenza del loro specifico?<br />
A me pare che <strong>la</strong> risposta a questo interrogativo sia “storicamente” obbligata, ed<br />
è <strong>la</strong> seconda.<br />
Un errore chiamarsi fuori<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Pierluigi Castagnetti<br />
Nel concreto, in Italia, di fronte al<strong>la</strong> riorganizzazione sia dello schieramento<br />
di centro sinistra che di quello di centro destra, a me sembrerebbe un errore “chiamarsi<br />
fuori”, e scegliere forme di aventinismo politico strutturato, o anche forme di<br />
presenza <strong>politica</strong> “terze” da poter giocare al tavolo di possibili accordi programmatici<br />
successivi alle elezioni. Conosco le obiezioni: questo sistema politico bipo<strong>la</strong>re<br />
non ci piace, entrambe le compagnie non ci soddisfano.<br />
51
Pierluigi Castagnetti<br />
Credo che al<strong>la</strong> prima si possa replicare pacatamente che, al<strong>la</strong> luce di quanto avviene<br />
un po’ ovunque nel mondo, è oggi irrealistico pensare di tornare a sistemi<br />
non più bipo<strong>la</strong>ri. E, al<strong>la</strong> seconda, si debba dire che ai cristiani, testimoni del<strong>la</strong> tensione<br />
al<strong>la</strong> unità, non può essere risparmiata <strong>la</strong> fatica di cercare punti di convergenza<br />
con quanti si sentono – per alcuni temi anche rilevanti – non omologhi, ma solo<br />
potenzialmente omologabili. Ma, si riobietta in proposito, ci sono temi su cui non<br />
sarà mai possibile definire punti di convergenza, come i cosiddetti principi non negoziabili<br />
per i credenti. In tal caso, senza rinunciare al<strong>la</strong> fiducia e al<strong>la</strong> speranza di un<br />
risultato non scontato in partenza, a me pare che si dovrebbero definire procedure<br />
di rispetto delle reciproche autonome posizioni, che avranno il diritto di esprimersi<br />
in sedi interne ed esterne, senza per ciò rinunciare a realizzare e valorizzare quei<br />
tanti punti di convergenza possibili.<br />
Questa, in sintesi, è <strong>la</strong> scommessa (e il rischio) assunta dai <strong>cattolici</strong> che hanno<br />
contribuito a far nascere il Partito democratico. Il quale non è una evoluzione di<br />
forze politiche precedenti, ma è <strong>la</strong> risposta nuova a una domanda <strong>politica</strong> nuova.<br />
La scelta di schieramento<br />
Ma perché, ci viene chiesto, <strong>la</strong> scelta di questi compagni di strada, perché lo<br />
schieramento riformista anziché quello conservatore (o, come taluno preferisce, liberista)?<br />
Si potrebbe rispondere con le parole di Aldo Schiavone 1 , perché come <strong>la</strong><br />
storia anche recente dimostra, il liberismo più serio e rigoroso che pur si rive<strong>la</strong> capace<br />
di far da vo<strong>la</strong>no al cambiamento non è poi in grado di e<strong>la</strong>borare gli strumenti<br />
culturali e politici per gestirne in modo adeguato le conseguenze. La libertà sarà<br />
duratura – ha detto recentemente a Foggia l’amministratore delegato del<strong>la</strong> FIAT<br />
Sergio Marchionne – se saprà farsi carico dei problemi di chi paga il costo del cambiamento.<br />
Per questo stanno emergendo domande di senso, di legami solidi, di sicurezze,<br />
di accompagnamento lungo i sentieri inesplorati dello sviluppo scientifico,<br />
cui <strong>la</strong> <strong>politica</strong> deve prestare attenzione e delineare risposte. Queste le ragioni del<strong>la</strong><br />
scelta di campo a favore del “partito dell’inclusione e del<strong>la</strong> speranza”. La combinazione<br />
complessiva fra tecnica e mercato – scrive infatti Schiavone –<br />
è il più straordinario motore di sviluppo che <strong>la</strong> storia dell’umanità abbia mai saputo<br />
mettere in campo. Il pensiero del<strong>la</strong> nuova destra globale ne aveva fatto <strong>la</strong> sua bandiera<br />
ed è stato capace di dettare per trent’anni l’agenda del mondo […] Ma <strong>la</strong> potenza<br />
del<strong>la</strong> macchina in campo è tuttavia pari al<strong>la</strong> sua pericolosità […] 2<br />
52<br />
1 A. Schiavone, La destra non sa più spiegare il mondo, in «<strong>la</strong> Repubblica», 16 ottobre 2007.<br />
2 Ibidem.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Sfide e opportunità<br />
Ecco <strong>la</strong> sfida nuova che sta innanzi a noi e che rappresenta insieme un dovere<br />
e una opportunità anche per i credenti di stare nel loro tempo, cercando di comprenderlo<br />
e di orientarlo. Non è forse scritto che è compito dei <strong>la</strong>ici trattare le cose<br />
temporali e orientarle secondo i disegni di Dio 3 ? È vero che <strong>la</strong> Chiesa questa sfida<br />
l’ha colta tempestivamente, ha colto il passaggio epocale di una “tecnoscienza” che<br />
non si accontenta più di conoscere il mondo ma si appresta a costruirlo, a ricostruirlo.<br />
Secondo Galli del<strong>la</strong> Loggia, in partico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> CEI del Card. Ruini ha intuito<br />
e raccolto <strong>la</strong> sfida e per questo ha deciso di affrontar<strong>la</strong> sul piano pubblico, in primo<br />
luogo perché ciò «serve al<strong>la</strong> Chiesa per svolgere <strong>la</strong> sua funzione religiosa 4 ». Serve<br />
per par<strong>la</strong>re alle coscienze dei cittadini, per offrire loro linee di orientamento e<br />
per trasmettere fiducia.<br />
Del resto dovrebbe essere pacifico per tutti i cristiani che a loro non è consentito<br />
sottrarsi alle sfide, estraniarsi dal mondo solo perché cambia, dovrebbero<br />
anzi sentire il dovere di inserirsi per potere, come dice il Papa “evangelizzare <strong>la</strong> storia<br />
dall’interno”. Un grande pensatore cristiano, già negli anni venti, scriveva:<br />
Il nostro posto è nel divenire […] il nuovo mondo è caotico e agisce da distruttore<br />
perché l’uomo idoneo a vivere insieme a lui non esiste ancora […] Si deve trovare <strong>la</strong> forza<br />
di sacrificare con cuore saldo l’indicibile nobiltà del passato 5 .<br />
La sfida del cambiamento<br />
E i cristiani che stanno in <strong>politica</strong> cosa fanno per cogliere con “con cuore<br />
saldo” <strong>la</strong> sfida del cambiamento? Non possono certo vivere del<strong>la</strong> rendita rappresentata<br />
dall’“indicibile nobiltà del passato”, debbono assolutamente entrare nel<strong>la</strong><br />
modernità con pensieri nuovi, con strumenti e analisi nuove, da “uomini nuovi”<br />
capaci di rappresentare quel<strong>la</strong> speranza che è in loro. Quel<strong>la</strong> speranza ri<strong>la</strong>nciata<br />
ancora una volta da Benedetto XVI con <strong>la</strong> enciclica Spe Salvi che una certa lettura<br />
faziosa e frettolosa ha liquidato come antimoderna, solo perché ha evidenziato<br />
i limiti di un progresso scientifico che pretende e protende verso nuove forme di<br />
totalitarismo culturale e perché ha spostato – giustamente, poiché questa è<br />
l’essenza del messaggio cristiano – l’ango<strong>la</strong>tura del<strong>la</strong> speranza dal “su cosa” all’“in<br />
chi”.<br />
3 Lumen Gentium, 31.<br />
4 M. Politi, Ruini “Io sono un animale politico”, «<strong>la</strong> Repubblica», 6 novembre 2007.<br />
5 R. Guardini, Lettere da <strong>la</strong>go di Como, Morcelliana, 1959.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Pierluigi Castagnetti<br />
53
Pierluigi Castagnetti<br />
La speranza come ha acutamente osservato Giuliano Ferrara citando Peguy 6 , è<br />
una virtù bambina che trascina tutte le altre in una spirale teologale che è anche il<br />
culmine assoluto del<strong>la</strong> filosofia, del<strong>la</strong> vera filosofia viandante e mendicante di verità.<br />
La speranza che consiste:<br />
…in sostanza nel<strong>la</strong> conoscenza di Dio, nel<strong>la</strong> scoperta del suo cuore di Padre buono<br />
e misericordioso. Gesù con <strong>la</strong> sua morte e resurrezione ci ha rive<strong>la</strong>to il suo volto 7 .<br />
E, più avanti:<br />
Tutto perde di “spessore”. È come se venisse a mancare <strong>la</strong> dimensione del<strong>la</strong> profondità<br />
ed ogni cosa si appiattisse, privata del suo rilievo simbolico, del<strong>la</strong> sua “sporgenza”<br />
rispetto al<strong>la</strong> mera materialità 8 .<br />
È una virtù strana <strong>la</strong> speranza, perché va contro <strong>la</strong> prassi dello stordimento e<br />
del<strong>la</strong> superficialità finalizzate a rimuovere le domande di fondo dell’uomo moderno<br />
e a non occuparsi di chi soffre l’ingiustizia, di chi ha bisogno e di chi pone domande<br />
“inquietanti” a chi governa e a chi gestisce comunque il potere.<br />
Il Pd offre spazi?<br />
Ci sarà spazio nel Partito democratico per riorientare <strong>la</strong> <strong>politica</strong> in modo da<br />
farle intrecciare <strong>la</strong> modernità e contemporaneamente le domande più profonde<br />
dell’uomo di oggi? Ci sarà spazio per fare dialogare ragione e fede al fine di superare<br />
<strong>la</strong> tirannia del<strong>la</strong> banalità e del<strong>la</strong> mediocrità che contribuisce non poco a produrre<br />
quel rigetto del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> che, con atteggiamento di spregio, ci stiamo abituando<br />
a liquidare tutto come anti<strong>politica</strong>?<br />
Tra fede e ragione non si tratta di un confondersi ma di un rispondersi, o meglio<br />
di un interrogarsi reciproco.<br />
La ragione domanda al credente le sue ragioni per credere… La fede domanda all’agnostico<br />
e all’ateo come egli fondi il legame umano senza comunione spirituale, come<br />
comprenda se stesso se non è destinato a nul<strong>la</strong> 9 .<br />
La scommessa è dunque, per i cristiani del Partito democratico, davvero suggestiva<br />
e – dobbiamo riconoscerlo – non facile.<br />
6 G. Ferrara, Ehi, <strong>la</strong>iconi, provate a rispondere al Papa, «Il Foglio», 5 dicembre 2007.<br />
7 Non <strong>la</strong> scienza ma l’amore redime l’uomo, «Avvenire», 4 dicembre 2007.<br />
8 Ibidem.<br />
9 P. Manent, Tra Voltaire e Pascal dialogo ancora possibile?, «Vita e Pensiero», 5/2007.<br />
54 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Cammineremo fianco a fianco con compagni di strada con cui sappiamo dove<br />
andare, rispettosi – ognuno verso l’altro – delle diverse provenienze e dei diversi<br />
approcci a questioni non secondarie per dare un senso all’ambizione di concorrere<br />
a costruire un nuovo umanesimo, ma non sempre motivati ad andare oltre il rispetto<br />
reciproco per conoscersi meglio e per farsi cambiare dal<strong>la</strong> conoscenza. Molto dipenderà<br />
da come noi credenti sapremo vivere e trasmettere l’originalità, non incline<br />
al pragmatismo e al<strong>la</strong> spensieratezza, del<strong>la</strong> nostra cultura.<br />
Walter Veltroni ha par<strong>la</strong>to di un partito allegro, è giusto che il partito non sia cupo<br />
e pessimista, ma sereno e fiducioso, in un certo senso anche lieve, riconoscendo i<br />
limiti propri e più in generale del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>. Allegro ma non banale. Perché le questioni<br />
che ci stanno innanzi sono troppo serie ed evocano forza e solidità di pensiero. In<br />
questo senso non basterà neppure dire che nel nuovo partito i <strong>cattolici</strong> debbono sentirsi<br />
a casa loro, o che per loro ci sarà spazio. Lo spazio di cui essi hanno bisogno è<br />
quello del dialogo, dell’approfondimento, del riconoscimento di quel<strong>la</strong> specificità<br />
<strong>politica</strong> diversa dall’identità partitica di cui par<strong>la</strong> Giorgio Campanini 10 , del<strong>la</strong> non privatizzazione<br />
del<strong>la</strong> fede, del non timore a tornare a par<strong>la</strong>re dei valori e dei principî:<br />
Se non siamo in grado di imparare e di insegnare il valore di ciò che è giusto e di ciò<br />
che è sbagliato siamo destinati ad essere sommersi dal “caos morale” 11 .<br />
“Omologhi” in cammino<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Pierluigi Castagnetti<br />
Torno ancora al dilemma re<strong>la</strong>tivo all’ipotesi, che in queste settimane tormenta<br />
alcuni <strong>cattolici</strong>, di promuovere l’ennesimo tentativo di partito identitario di centro<br />
e mi chiedo perché delle difficili questioni di cui abbiamo par<strong>la</strong>to dovremmo<br />
occuparci nelle stanze strette e confortanti di un partito di omologhi e non in quelle<br />
più ampie e faticose di un partito di “omologhi in cammino”? Anche, direi proprio<br />
anche, al<strong>la</strong> luce di un dibattito sul<strong>la</strong> <strong>la</strong>icità destinato a diventare più serrato<br />
proprio per <strong>la</strong> delicatezza di talune questioni – tipiche di ciò che definiamo modernità<br />
– che attengono <strong>la</strong> sfera del<strong>la</strong> vita e dell’etica e che interpel<strong>la</strong>no insistentemente<br />
<strong>la</strong> <strong>politica</strong>. Se per <strong>la</strong>icità intendiamo infatti:<br />
una situazione in cui lo Stato si atteggia come “neutrale” e imparziale rispetto alle chiese<br />
dalle quali prende, per così dire, <strong>la</strong> stessa distanza con una separazione che può presentarsi<br />
come indifferente ostile o cooperativa ma che tute<strong>la</strong> comunque <strong>la</strong> libertà religiosa 12<br />
10 G. Campanini, Cattolici e <strong>politica</strong>: quale “identità”?, «Aggiornamenti Sociali», 11/2007.<br />
11 T. B<strong>la</strong>ir, Congresso Labour Party, London, 1993.<br />
12 L. Elia, Introduzione ai problemi del<strong>la</strong> <strong>la</strong>icità, Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei<br />
Costituzionalisti, Napoli 26-27 ottobre 2007, in corso di pubblicazione.<br />
55
Pierluigi Castagnetti<br />
ci rendiamo conto del<strong>la</strong> necessità di operare in modo vigile e intelligente perché il<br />
quadro politico non scivoli progressivamente e inesorabilmente da una fase di separazione<br />
“cooperativa” a quel<strong>la</strong> di una separazione “ostile”. Non lo faremo certo<br />
per difendere privilegi o spazi impropri, ma per assicurare una prospettiva di dialogo<br />
e di cooperazione fra Stato e Chiesa cattolica nell’interesse del paese e del<strong>la</strong><br />
democrazia.<br />
Sì, proprio del<strong>la</strong> democrazia, <strong>la</strong> cui crisi crescente non necessita di partico<strong>la</strong>ri<br />
spiegazioni che già non si conoscano (fra i tanti rimando agli scritti più recenti di<br />
Robert Dahl e John Dunn).<br />
Ma vi è una ragione di questa crisi che rimanda proprio al<strong>la</strong> premessa, al sostrato<br />
etico condiviso su cui poggiano i sistemi democratici. La globalizzazione e i<br />
massicci flussi migratori di uomini che portano con sé affetti e fedi religiose, pongono<br />
oggi infatti alle democrazie dei paesi occidentali problemi etici rilevanti che<br />
possono minare le basi stesse del<strong>la</strong> convivenza e sui quali nei prossimi anni saremo<br />
chiamati tutti a <strong>la</strong>vorare. Li riassumo citando i due problemi recentemente posti<br />
dall’insigne costituzionalista tedesco Ernst Wolfgang Böckenförde che già nel recente<br />
passato ci aveva avvertito delle questioni connesse al fatto che «lo Stato liberale<br />
seco<strong>la</strong>rizzato vive di presupposti normativi che non può più garantire» 13 .<br />
Emigrazioni e fedi religiose<br />
Il primo: lo stato seco<strong>la</strong>rizzato e liberale da dove trae e come garantisce oggi, e<br />
in futuro, il criterio per individuare <strong>la</strong> comune base pregiuridica e l’ethos su cui si<br />
possa fondare una proficua convivenza, insostituibile per ogni ordinamento liberale?<br />
Il secondo: in una situazione caratterizzata da un crescente pluralismo di visioni<br />
religiose del mondo e da processi migratori sempre più consistenti, in che misura<br />
questo stato è in grado di garantire effettivamente, in conformità ai suoi stessi principi<br />
costitutivi, <strong>la</strong> libertà di religione? Böckenförde indica alcune piste per rispondere a<br />
tali interrogativi. Ma è del tutto evidente che si tratta di materia di discussione. Di<br />
ampio e faticoso dibattito e di conseguenti complesse e delicate decisioni.<br />
Responsabilità e consapevolezza<br />
Ho menzionato intenzionalmente <strong>la</strong> portata di problemi veramente di fondo,<br />
per dire il senso, lo spirito, <strong>la</strong> responsabilità (e <strong>la</strong> consapevolezza dei rischi) del-<br />
13 E.W. Böckenförde, Saggio apparso nel<strong>la</strong> col<strong>la</strong>na “Themen” diretta dal prof. H. Meier, pubblicati<br />
in Italia ne «Il Regno» - attualità, 18/2007.<br />
56 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Pierluigi Castagnetti<br />
<strong>la</strong> scelta di tanti cristiani di concorrere a dar vita a un nuovo soggetto politico insieme<br />
ad altri non credenti, partito dell’inclusione e del<strong>la</strong> speranza oltreché – vorrei<br />
aggiungere – del<strong>la</strong> responsabilità verso il nostro tempo e il tempo futuro.<br />
Conosco, di contro, le titubanze e le diffidenze di tanti amici con cui in questi<br />
decenni ho condiviso l’esperienza di partiti identitari come <strong>la</strong> Dc e il Ppi e anche <strong>la</strong><br />
prima esperienza di partito pluridentitario come “Dl Margherita”.<br />
Un altro inizio! Non me <strong>la</strong> sento, mi sono sentito dire.<br />
È, ahimè, <strong>la</strong> storia che cammina e marcia velocemente e chiede (anche) ai cristiani<br />
di abituarsi a costruire tende e a vivere in tenda, chiede di non confondere<br />
mai i fini con gli strumenti e, dunque, di non dimenticare che i partiti pur non essendo<br />
taxi sono pur sempre solo strumenti.<br />
Un grande mistico del IV secolo, Gregorio di Nissa, era solito dire ai suoi discepoli:<br />
«con me percorrerete sempre inizi».<br />
Forse questo è anche il destino dei credenti impegnati in <strong>politica</strong>: percorrere<br />
inizi.<br />
Un destino faticoso ma avvincente.<br />
<br />
57
Cattolici e modernità<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
I <strong>cattolici</strong> e <strong>la</strong> <strong>politica</strong> oggi<br />
Se rifletto sul<strong>la</strong> <strong>politica</strong> come l’ho vista scorrere, davanti<br />
ai miei occhi, in questi anni di post-tangentopoli,<br />
mi viene spesso alle <strong>la</strong>bbra una frase di Don Mi<strong>la</strong>ni<br />
che sembra fatta apposta per provocare coloro che, come<br />
me, sono usciti sconfitti da quel<strong>la</strong> stagione: “Signore,<br />
perdonaci per le occasione che abbiamo sprecato”.<br />
Mi sono cioè spesso domandato se noi, che abbiamo<br />
a lungo animato ed anche combattuto una buona<br />
battaglia a sostegno del<strong>la</strong> confluenza dei valori e delle<br />
esperienze dei <strong>cattolici</strong> nel<strong>la</strong> costruzione di un socialismo<br />
riformista e liberale, eravamo ancora degni di dire<br />
una paro<strong>la</strong>, capaci di reagire all’appiattimento prevalente<br />
su altre culture, proponibili per esprimere un impegno<br />
nostro, vigoroso e nuovo; un impegno che ci<br />
rendesse possibile agire ancora, a sostegno del<strong>la</strong> buona<br />
<strong>politica</strong> ed operando in continuità con una lunga stagione<br />
di ricerca e di azione, durata almeno quindici<br />
anni e che era approdata complessivamente a buoni risultati.<br />
La domanda trova qualche ragione di attualità giacché<br />
siamo stati in questi mesi testimoni di una rinnovata stagione<br />
di anticlericalesimo, mossa anche da parte di coloro che<br />
purtroppo trovano incentivo al loro attivismo in una supposta<br />
tradizione socialista; ma a me viene spontaneo ripropor<strong>la</strong><br />
ricordando le parole con cui l’ha espressa, più volte, uno dei<br />
maggiori corifei di questa campagna demolitoria del cattolicesimo<br />
italiano e del<strong>la</strong> sua Chiesa, e cioè Eugenio Scalfari. Il<br />
Fondatore di «Repubblica», è tornato infatti ad accusare i<br />
<strong>cattolici</strong>, in partico<strong>la</strong>re, per il fatto che con i loro atti e com-<br />
GENNARO<br />
ACQUAVIVA<br />
Senatore<br />
≈<br />
“L’apertura di un<br />
confronto<br />
approfondito …<br />
non potrà che<br />
partire da una<br />
richiesta esplicita<br />
di sostegno<br />
all’opera di<br />
ricostruzione del<strong>la</strong><br />
<strong>politica</strong> e, …in<br />
essa specificatamente<br />
di una forza<br />
<strong>politica</strong> di socialismo<br />
democratico,<br />
aperta al confronto<br />
con i valori<br />
cristiani e desiderosa<br />
di accogliere,<br />
con generosità, tra<br />
le sue file quei<br />
<strong>cattolici</strong> che intendono<br />
impegnarsi<br />
nel<strong>la</strong> vita <strong>politica</strong> a<br />
partire dal<strong>la</strong> comune<br />
accettazione di<br />
finalità sociali e di<br />
progresso”<br />
≈<br />
59
Gennaro Acquaviva<br />
portamenti essi si sono irrimediabilmente tagliati fuori del<strong>la</strong> “modernità come coerenza<br />
con <strong>la</strong> potenza storica del<strong>la</strong> ragione e del<strong>la</strong> scienza”; aggiungendo ripetutamente<br />
che noi saremmo appesantiti e dunque definitivamente sconfitti rispetto al<br />
futuro, perché vivremmo un’inimicizia profonda nei confronti appunto dell’“l’in -<br />
ter no valore del<strong>la</strong> modernità, così come è stato costruito dal pensiero del Rinascimento<br />
e dell’Illuminismo”.<br />
Forse a questi oppositori del<strong>la</strong> presenza cattolica nel<strong>la</strong> società italiana si potrebbe<br />
opporre semplicemente il fatto che <strong>la</strong> fede quotidiana sembra tuttora possedere<br />
qualche carica di ispirazione e mobilitazione per milioni di individui: una realtà<br />
che essi mostrano di non vedere. Ma io non ho mai voluto usare <strong>la</strong> fede come strumento<br />
di polemica e non voglio cominciare proprio in vecchiaia. Mi sembra invece<br />
più utile e produttivo, per tornare alle argomentazioni scartando lo scandalismo,<br />
richiamare <strong>la</strong> circostanza oggettiva che questa “straordinaria” modernità sembra<br />
trasmettere malissimo <strong>la</strong> sua potenza e che, con tutta evidenza, essa non appare in<br />
grado di forzare il gioco facendo vivere le sue ragioni nelle grandi masse, di fatto<br />
esponendosi a carenze grandi e ripetute quando si collega ai processi sociali e politici<br />
reali; con <strong>la</strong> conseguenza che <strong>la</strong> conc<strong>la</strong>mata iperpotenza del<strong>la</strong> modernità, posta<br />
nelle mani di coloro che se ne fanno profeti, non appare in grado di chiudere <strong>la</strong> partita,<br />
di fatto <strong>la</strong>sciando che <strong>la</strong> cultura cattolica, l’antropologia cattolica, <strong>la</strong> vita quotidiana<br />
dei <strong>cattolici</strong> in Italia sopravvivano, e neppure tanto male, a questa formidabile<br />
potenza di fuoco.<br />
Resistenze intellettuali e furbizie politiche<br />
È allora lecito domandarsi per quale ragione questo avviene, giacché debbono<br />
giocare in proposito motivi più consistenti di quelli rintracciabili nelle resistenze<br />
intellettuali di un teologo eletto pontefice o nelle furbizie politiche di un cardinale<br />
che, esaltato dai suoi critici, rischia di passare al<strong>la</strong> storia come un moderno Richelieu.<br />
Se il mondo del<strong>la</strong> modernità non convince è evidente che è anche colpa<br />
sua: per esempio, per essersi ca<strong>la</strong>to nel<strong>la</strong> cultura collettiva in termini probabilmente<br />
troppo lontani dalle sue e<strong>la</strong>borazioni di élite; per esempio, per essersi posta lontano<br />
dal<strong>la</strong> concreta antropologia del Paese, dove il mondo cattolico, da sempre ben<br />
insediato nel quotidiano e sul territorio, ha qualche vantaggio. Non è certamente<br />
senza ragione, per fare un caso concreto, che nell’acceso confronto sulle unioni di<br />
fatto (per non par<strong>la</strong>re del risultato a cui è giunto il referendum sul<strong>la</strong> procreazione<br />
assistita), il Cardinale Ruini partiva da una indubbia posizione di vantaggio, per <strong>la</strong><br />
semplice circostanza che <strong>la</strong> Chiesa, con <strong>la</strong> porosità delle sue decine di migliaia di<br />
parrocchie, era in grado di conoscere <strong>la</strong> realtà di cui si trattava assai più di quanto<br />
potevano apprezzar<strong>la</strong> gli esponenti delle tante sigle che, dai più diversi pulpiti, arringavano<br />
<strong>la</strong> “piazza del<strong>la</strong> modernità”.<br />
60 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Queste sono alcune delle ragioni che mi hanno suggerito di premettere alle poche<br />
considerazioni propositive che cercherò di presentare circa gli obiettivi e il significato<br />
di un apporto (o meglio di una richiesta di apporto) dei <strong>cattolici</strong> al<strong>la</strong> ricostruzione<br />
delle fondamenta del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>, una indicazione dei punti costitutivi, come<br />
io li vedo, del<strong>la</strong> crisi in cui è immersa <strong>la</strong> società italiana. La mia opinione infatti<br />
è che l’operazione oggi più necessaria dal punto di vista social-politico, anche di<br />
fronte alle frontiere che <strong>la</strong> “modernità” pone a tutti noi, sia quel<strong>la</strong> di fornici di alcuni<br />
“indicatori di marcia” rispetto alle condizioni di disagio profondo che caratterizzano<br />
da tempo <strong>la</strong> società italiana; e che debbono essere essi gli strumenti fondamentali<br />
da utilizzare per definire il nostro cammino verso il futuro, anche rispetto<br />
al<strong>la</strong> <strong>politica</strong>: perché è evidente che è solo a partire dal<strong>la</strong> stessa percezione del futuro<br />
come possibile, percorribile e migliorabile che si può fare <strong>politica</strong>; ed è solo partendo<br />
da un’idea positiva di quello che abbiamo davanti, che inizia obbligatoriamente<br />
il cammino per uscire da una crisi che tocca così gravemente il nostro tempo e<br />
l’Italia in esso e con esso.<br />
Fenomeni e processi del<strong>la</strong> “crisi”<br />
La crisi di una società è, infatti, sempre, una crisi di divisione, di autocoscienza<br />
collettiva di quel che si è e di autopropulsione verso quel che si vorrebbe o si<br />
decide di essere. Per questo possiamo dire che al<strong>la</strong> base dell’attuale crisi italiana,<br />
prima ancora del<strong>la</strong> troppa carenza di decisionalità e di guida, esiste una carenza di<br />
ragionamento interpretativo spesso tra<strong>la</strong>sciato; allo stato dei fatti non vedo infatti<br />
nessuna forza (una c<strong>la</strong>sse egemone, una alleanza <strong>politica</strong>, una pastorale ecclesiale,<br />
una qualche élite ideologico-culturale) capace di capire che <strong>la</strong> nostra crisi viene dall’intreccio<br />
fra tre grandi fenomeni e processi:<br />
– <strong>la</strong> crescita del<strong>la</strong> soggettività individuale, con i suoi effetti di frammentazione sociale<br />
e di soggettivismo etico;<br />
– <strong>la</strong> perdita di forza aggregante delle tradizionali sedi di rappresentanza (<strong>politica</strong>, sindacale,<br />
categoriale) e <strong>la</strong> corre<strong>la</strong>ta difficoltà di operare condensazione collettiva;<br />
– <strong>la</strong> <strong>la</strong>bilità crescente del<strong>la</strong> funzione delle istituzioni pubbliche e l’ambiguità del<br />
loro rapporto con <strong>la</strong> sfera privata degli interessi e dei comportamenti dei cittadini.<br />
Tre evidenze<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Gennaro Acquaviva<br />
Forse conviene approfondire questi tre punti prima di giungere ad una conclusione<br />
utile ai nostri fini, specialmente nelle re<strong>la</strong>zioni che possiamo intravedere<br />
tra di essi.<br />
61
Gennaro Acquaviva<br />
La prima evidenza riguarda il fatto che siamo prigionieri da tempo di una<br />
crescita di soggettività individuale che ha corroso e corrode tutte le tradizionali forme<br />
di integrazione sociale (dal<strong>la</strong> famiglia al<strong>la</strong> comunità locale, agli organismi di<br />
rappresentanza, alle stesse istituzioni), <strong>la</strong>sciando i singoli nel<strong>la</strong> sfida solitaria di costruire,<br />
come direbbero i sociologi, i propri “destini personali”. C’è in tale fenomeno<br />
un grande e storico processo di liberazione e valorizzazione dei diritti, delle libertà,<br />
delle potenzialità personali. Ma c’è anche tanto re<strong>la</strong>tivismo morale, con i diritti<br />
anteposti ai doveri; tanto egoismo, che riduce pericolosamente i valori collettivi<br />
di solidarietà, di diritto naturale, di bene comune; dico di più: a me preoccupa<br />
soprattutto <strong>la</strong> conseguenza inevitabile di questo stato di cose e cioè il fatto che il<br />
singolo viene <strong>la</strong>sciato disperatamente solo di fronte al<strong>la</strong> fatica di costruirsi un destino.<br />
Sta qui <strong>la</strong> radice, in parte infetta, del<strong>la</strong> enorme e spesso incontrol<strong>la</strong>bile frammentazione<br />
sociale degli ultimi decenni.<br />
La seconda evidenza è che le varie sedi di aggregazione e mobilitazione collettive<br />
sono da tempo in crisi profonda: dall’associazionismo categoriale alle rappresentanze<br />
politiche e sindacali. L’individualismo e <strong>la</strong> conseguente moleco<strong>la</strong>rità degli<br />
interessi e dei comportamenti, sfarina dal basso il funzionamento dei corpi intermedi;<br />
mentre dall’alto <strong>la</strong> crisi delle ideologie e delle grandi sfide socio-politiche ha<br />
ulteriormente livel<strong>la</strong>to il profilo del<strong>la</strong> visione collettiva. Chi come me conosce bene<br />
quel grande movimento di emancipazione collettiva e di solidarietà nel nome dell’uomo<br />
che si è chiamato socialismo, non può allora dimenticare che le esigenze di<br />
condensazione sociale in gruppi ed in appartenenze rimangono comunque necessarie<br />
anche in una società moderna, “dove non si vive senza un Noi”.<br />
Infine, terza evidenza, se <strong>la</strong> vita individuale soffre di uno squilibrio soggettivistico<br />
e le identità collettive soffrono di uno squilibrio partico<strong>la</strong>ristico, il sistema<br />
nel suo complesso soffre non di uno ma di almeno tre squilibri sostanziali:<br />
I si è innanzitutto rotto l’equilibrio fra i poteri istituzionali ai vari livelli: <strong>la</strong> trasformazione<br />
del<strong>la</strong> funzione giudiziaria in potere reale ed attivo; lo svuotamento<br />
delle sedi di rappresentanza nelle istituzioni, dai consigli comunali sino al Par<strong>la</strong>mento;<br />
<strong>la</strong> crisi dei rapporti tra poteri centrali e periferici; l’utilizzo del<strong>la</strong> legis<strong>la</strong>zione<br />
per interessi di parte;<br />
II è rotto l’equilibrio tra responsabilità private e responsabilità pubbliche, perché<br />
<strong>la</strong> delicata vita del sistema dell’economia mista costruito fino agli anni ’70 è stato<br />
stravolto, con conseguenze che toccano anche l’oggi, prima da uno statalismo<br />
animato da potere boiardo, poi da un processo di privatizzazione assai poco<br />
trasparente;<br />
III rotto l’equilibrio dinamico che esisteva tra le vitalità dei molteplici soggetti imprenditoriali<br />
e sociali e l’accumu<strong>la</strong>zione sistemica (in infrastrutture, in reti di<br />
servizi, in formazione e ricerca) che a tale vitalità dava costante alimentazione.<br />
62<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
È quindi evidente che al<strong>la</strong> soggettività individuale, al<strong>la</strong> frammentazione sociale,<br />
al partico<strong>la</strong>rismo di tanti “noi” non ha fatto compensazione e soluzione un’azione<br />
pubblica capace di dare senso di lungo periodo allo sviluppo italiano e al destino<br />
del Paese. Per cui, ad esempio, un apparato istituzionale costruito nei decenni per<br />
assolvere a ruoli di destino nazionale (l’unità del Paese, <strong>la</strong> costruzione di un Impero,<br />
lo sviluppo e il benessere collettivi) è rimasto un apparato sempre più pesante e<br />
costoso, ma vuoto di senso; un apparato appunto, non un riferimento collettivo in<br />
cui riconoscersi.<br />
La gestione <strong>politica</strong> dei problemi<br />
È dunque su questi tre grandi problemi che ci sono oggi di fronte, è sul<strong>la</strong> loro<br />
gestione <strong>politica</strong> che io penso si giocheranno buona parte delle nostre sfide del<br />
futuro. Certo non è conso<strong>la</strong>nte dover constatare come a tutt’oggi – mi ripeto – non<br />
si veda nessuno (c<strong>la</strong>sse egemone, partito, coalizione, profezia religiosa o altro) che<br />
abbia spessore adeguato a capire e governare anche separatamente i tre problemi<br />
che ho prima descritto; anzi, è realtà di tutti i giorni che ogni soggetto organizzato,<br />
quando scende in essi, quasi ne accarezza il pelo, ne sfrutta cioè assai più le pericolose<br />
debolezze che le potenziali prospettive di crescita.<br />
È qui che il richiamo al<strong>la</strong> <strong>politica</strong>, ad una <strong>politica</strong> nuova che io oggi non trovo praticata<br />
da nessuna parte, acquista tutta <strong>la</strong> sua cogenza. Rispetto al problema del<strong>la</strong> proliferazione<br />
del<strong>la</strong> soggettività individuale, che è <strong>la</strong> radice profonda del<strong>la</strong> nostra inarrestabile<br />
frammentazione, <strong>la</strong> <strong>politica</strong> con il suo appello al<strong>la</strong> solidarietà collettiva, con <strong>la</strong> sua<br />
declinazione dei doveri accanto ai diritti, ci serve perché essa è il solo strumento che ci<br />
consentirebbe di fermare lo spontaneo e fatalistico andar delle cose. Ma anche sul secondo<br />
punto di crisi, cioè sul<strong>la</strong> bassa capacità di condensazione sociale è evidente che<br />
occorre un impegno squisitamente politico. Di fronte alle difficoltà profonde a costruire<br />
nuove grandi appartenenze ed identità (che non possono certo essere rappresentate<br />
da semplici sommatorie di apparati di partiti), dobbiamo pensare innanzitutto<br />
ad un <strong>la</strong>voro di condensazione intermedia cioè ad una <strong>politica</strong> per sviluppare un “noi”<br />
di più appartenenze ed identità: un impegno oggi sempre più indispensabile.<br />
Il ruolo delle forze storiche del Paese<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Gennaro Acquaviva<br />
Mi rendo conto che ho introdotto questioni complesse, che pretenderebbero<br />
un ragionamento ben più disteso ed anche più approfondito. Ma vengo comunque<br />
ad una conclusione: con chi fare questo grande sforzo di rinnovamento, con chi<br />
reinventare una <strong>politica</strong> che il crollo delle ideologie e lo strappo di Tangentopoli ha,<br />
in Italia, forzato, accelerato e reso inarrestabile?<br />
63
Gennaro Acquaviva<br />
Io penso che dobbiamo fare riferimento alle grandi forze storiche del Paese, ai<br />
serbatoi di idealità e di forza che permangono nel suo seno. Tra queste vi è sicuramente<br />
il socialismo, se è ancora rintracciabile da qualche forza organizzato <strong>la</strong> sua<br />
storia più che centenaria di riscatto umano e di battaglia per <strong>la</strong> libertà; e vi è il cattolicesimo,<br />
di ieri, di oggi e di domani. Lascio da parte il socialismo che pretenderebbe<br />
un’analisi molto puntuale, ma sul cattolicesimo posso forse dire una paro<strong>la</strong><br />
che sia anche propositiva. Esso, il cattolicesimo italiano, anche nel<strong>la</strong> realtà del<strong>la</strong> sua<br />
crisi partico<strong>la</strong>re, è tuttora una grande risorsa per il Paese; <strong>la</strong> fede di un popolo, <strong>la</strong><br />
sua preghiera, <strong>la</strong> sua carità, <strong>la</strong> cultura <strong>politica</strong> e il senso sociale che ancora è in esso,<br />
le sue connessioni e le sue proiezioni internazionali, sono tuttora una grande forza<br />
potenzialmente disponibile a servizio del Paese. Non dico che sia l’unica, ma è probabilmente<br />
<strong>la</strong> più grande risorsa sul piano ideale, che abbia una storia, che sia organica,<br />
che sia in forte continuità con il passato e che non rinunci a proiettarsi sul futuro.<br />
Lo dico naturalmente da un punto di vista fenomenologico, non con uno spirito<br />
di soddisfazione parrocchiale.<br />
Ebbene, <strong>la</strong> mia opinione è che questo cattolicesimo va chiamato all’appello<br />
per <strong>la</strong> costruzione di una nuova <strong>politica</strong>, come lo fu nel 1943-44. Va depurato dei<br />
suoi potenziali e reali integralismi, che pure permangono; soprattutto ne va sollecitata<br />
e sostenuta <strong>la</strong> sua spinta <strong>la</strong>ica ad occuparsi di <strong>politica</strong>, indirizzando<strong>la</strong> fortemente<br />
al sostegno del<strong>la</strong> ricostruzione del Paese. Non abbiamo bisogno di un cattolicesimo<br />
conso<strong>la</strong>torio, e al<strong>la</strong> fine reazionario perché rassegnato; abbiamo bisogno<br />
di un cattolicesimo che ci fornisca quel serbatoio di c<strong>la</strong>sse dirigente intelligente<br />
e <strong>la</strong>ica, disponibile a servire il proprio Paese, capace di perseguire il bene comune<br />
perché mossa da una spinta disinteressata, che oggi è quasi impossibile cercare<br />
da altre parti.<br />
La specificità italiana<br />
Il tema del rapporto dei <strong>cattolici</strong> e del<strong>la</strong> loro Chiesa con lo Stato, sembra<br />
tornare ad acquisire oggi una specificità tutta italiana, come se fosse necessario<br />
rifondarlo. Forse è necessario allora utile ricordare che esso nasce da una lunga<br />
storia, si è costruito ed evoluto nei secoli in un modo che ha sempre visto intrecciati<br />
indissolubilmente i ruoli dei due soggetti, non fosse altro perché essi insistono<br />
sul medesimo territorio e vivono indissolubilmente legati nel medesimo popolo.<br />
Ricapitoliamo sinteticamente <strong>la</strong> condizione attuale dei loro rapporti, fondata<br />
come sappiamo, su di una logica pattizia fondata sullo strumento concordatario:<br />
una cornice ed una realtà che rappresenta l’approdo finale di una vicenda molto<br />
complessa e battagliata, intrecciata all’origine con <strong>la</strong> stessa nascita del<strong>la</strong> Nazione.<br />
64 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Recita l’art. 7 del<strong>la</strong> nostra Costituzione: “Lo Stato e <strong>la</strong> Chiesa sono ciascuno<br />
nel proprio ordine indipendenti e sovrani”. Se entrambi sono sovrani chi stabilisce<br />
le reciproche competenze? Non vi è, come dicono i giuristi, una competenza sulle<br />
competenze, che possa stabilire limiti e confini e dirimere i conflitti. La formu<strong>la</strong><br />
“indipendenti e sovrani”, secondo il ricordo di Dossetti, l’avrebbe scritta Togliatti<br />
in un incontro riservato tra i due. Ma come Scoppo<strong>la</strong> sottolinea, Togliatti forse non<br />
sapeva che quel<strong>la</strong> formu<strong>la</strong> ripeteva quasi al<strong>la</strong> lettera le parole con cui una famosa<br />
Enciclica di Leone XIII, <strong>la</strong> Immortale Dei del 1885, definiva il rapporto fra le due<br />
società: “ambedue sono supreme, ciascuna nel suo ordine”. Nel<strong>la</strong> formu<strong>la</strong> vi sono<br />
dunque, dall’inizio, radici cattoliche; essa, d’altra parte, è storicamente collegata al<br />
secondo comma dello stesso articolo che offre garanzia costituzionale al regime pattizio;<br />
per di più, il Concordato di Craxi ha voluto sancire un principio di col<strong>la</strong>borazione.<br />
Il dato di fatto da cui partire è dunque che si è venuto definendo, storicamente,<br />
tra i due soggetti un sistema di rapporti che non ha riscontri puntuali in<br />
nessun altro ordinamento e che rappresenta un deciso salto di qualità rispetto al<strong>la</strong><br />
formu<strong>la</strong> cavouriana del “Libera Chiesa in libero Stato”; e che questo sistema di rapporti,<br />
per poter funzionare, presuppone reciproca fiducia, rispetto, col<strong>la</strong>borazione<br />
appunto, in sintonia del resto con un dato profondo del<strong>la</strong> storia italiana: il ruolo<br />
decisivo che <strong>la</strong> Chiesa ha avuto, anche dialetticamente, e attraverso aspri contrasti,<br />
nel<strong>la</strong> stessa costruzione del<strong>la</strong> identità del nostro Paese.<br />
Il quadro generale del<strong>la</strong> specificità<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Gennaro Acquaviva<br />
Per fare un passo ulteriore è utile ricordare che tutto questo è stato pensato e<br />
realizzato nel quadro di un sistema politico dominato dal partito dei <strong>cattolici</strong> e<br />
spinto dal<strong>la</strong> logica del proporzionale ad una convergenza verso il centro; insomma,<br />
storicamente, questo partico<strong>la</strong>re sistema di rapporti che vige fra Stato e Chiesa cattolica<br />
in Italia nasce e si consolida in quanto legato in qualche modo al sistema politico.<br />
È stato così inevitabile che Tangentopoli e <strong>la</strong> contemporanea conclusione del<strong>la</strong><br />
esperienza <strong>politica</strong> del<strong>la</strong> Dc, che ha certificato inoltre <strong>la</strong> fine dell’unità <strong>politica</strong> dei<br />
<strong>cattolici</strong> in un unico partito, producessero non solo mutamenti nel sistema politico<br />
ma anche modifiche nel rapporto tra <strong>la</strong> Chiesa e <strong>la</strong> <strong>politica</strong>.<br />
Anche <strong>la</strong> Chiesa, infatti, almeno sul fronte dei rapporti politici, usciva in qualche<br />
modo sconfitta dal<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> prima Repubblica; ed è soprattutto per questa<br />
ragione, e non solo per <strong>la</strong> presenza esorbitante di un fine “politico” come il Cardinal<br />
Ruini, che essa non ha voluto o non ha potuto cogliere <strong>la</strong> possibilità, che allora<br />
poteva essere colta, di diventare ancora una volta elemento di animazione etica di<br />
65
Gennaro Acquaviva<br />
tutta <strong>la</strong> democrazia italiana, anche utilizzando <strong>la</strong> fluidità del<strong>la</strong> fase iniziale che ha<br />
caratterizzato <strong>la</strong> prima transizione, cioè i due-tre anni immediatamente successivi<br />
al crollo del<strong>la</strong> prima Repubblica. Al contrario, si è di fatto assistito, dopo un biennio<br />
(1994/96) all’insegna dell’indeterminatezza, il realizzarsi di una <strong>politica</strong> di tipo<br />
gentiloniano, basata sullo schema “consensi in cambio di sostegno alle rivendicazioni<br />
cattoliche”; con ciò contribuendo a spingere <strong>la</strong> Chiesa (o almeno i capi del<strong>la</strong><br />
CEI) a promuoversi ed a vedersi di fatto come una potente lobby, quanto meno nel<br />
campo del “mercato” del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>.<br />
Va da sé che le maggiori ragioni che hanno contribuito a determinare una tale<br />
configurazione rispetto al<strong>la</strong> <strong>politica</strong>, sono da rintracciarsi nelle modalità con cui<br />
si è costruito ed è stato gestito, dopo il 1995-96, il “fronte” del centro-destra; ma<br />
conviene ricordare che una logica non dissimile è stata perseguita, con una costanza<br />
abbastanza cieca, anche dalle forze del centro-sinistra, sia nel senso di non negarsi<br />
praticamente mai al<strong>la</strong> pratica dello scambio lobbistico quando richiesto; sia nell’esporre,<br />
all’apposto, le proprie bandiere a vampate improvvise e spesso estemporanee,<br />
ma violente, di un anticlericalismo caratteristico di un’altra epoca, potremmo<br />
dire di stampo ottocentesco.<br />
Per tutti i quattordici anni che ci separano dal<strong>la</strong> scomparsa del partito cristiano,<br />
leaders ed attori tra i maggiori del<strong>la</strong> sinistra <strong>politica</strong> e culturale non hanno saputo<br />
contrapporre, rispetto a questa impostazione (ripeto: prevalentemente promossa<br />
o meglio fiancheggiata dal centro-destra, soprattutto per esplicite valutazioni<br />
elettorali), nul<strong>la</strong> di organico, nul<strong>la</strong> che potesse apparire animato da una prospettiva<br />
di confronto di ampio respiro, innanzitutto sociale ma anche culturale. Accanto<br />
a punture di spillo, a polemiche inutili e talvolta infondate sugli interventi del<strong>la</strong><br />
gerarchia e specificatamente del presidente del<strong>la</strong> CEI, va soprattutto richiamato<br />
quello che si è dimostrato, in questa logica, il fondamentale errore strategico per le<br />
forze di sinistra: aver sollecitato, promosso e gestito il referendum sul<strong>la</strong> fecondazione<br />
assistita senza essere in grado di interpretare e far proprio quello che era uno stato<br />
d’animo <strong>la</strong>rgamente diffuso nel Paese, che si è dimostrato essere – al contrario di<br />
quel<strong>la</strong> che si pensava fosse una posizione <strong>la</strong>rgamente prevalente e cioè una scontata<br />
affermazione di diritti – colmo di timore e di sospetto, o quantomeno di incertezza,<br />
verso gli automatismi del potere del<strong>la</strong> scienza e del<strong>la</strong> medicina nel<strong>la</strong> manipo<strong>la</strong>zione<br />
dell’uomo.<br />
La visione del futuro<br />
Ma veniamo al punto e guardiamo al futuro e a quello che si può fare. A me<br />
sembra che ciò che è mancata e che oggi va costruita è “una <strong>politica</strong> ecclesiastica<br />
66 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
del<strong>la</strong> sinistra”, in partico<strong>la</strong>re da parte di chi vuole rafforzare i valori e <strong>la</strong> forza del socialismo<br />
liberale, al fine di mettersi in sintonia con <strong>la</strong> novità che <strong>la</strong> situazione post<br />
1994 tuttora conserva. Uso questa terminologia – <strong>politica</strong> ecclesiastica – che non<br />
mi piace, per cercare di mettermi in rapporto con <strong>la</strong> fase in cui essa ebbe l’onore del<br />
mondo, naturalmente in connessione con <strong>la</strong> storia del Pci. Nel 1974, di fronte al<br />
referendum sul divorzio, non solo Cisl e Acli, ma settori consistenti del<strong>la</strong> stessa<br />
Azione cattolica non per caso presero posizione contro l’abrogazione del<strong>la</strong> legge, al<br />
contrario di quanto sta avvenendo puntualmente in questi anni, in cui assistiamo<br />
da parte delle organizzazioni cattoliche ad una costante uniformità di intenti intorno<br />
agli indirizzi del vertice ecclesiastico. Quello in sostanza che voglio sostenere è<br />
che <strong>la</strong> sinistra italiana ha un grande bisogno di studiare e capire e comprendere su<br />
quali basi si è venuta rafforzando l’influenza del<strong>la</strong> Chiesa e delle sue ragioni nell’Italia<br />
di oggi; e che questo sforzo di approfondimento e di ricerca comune è reso urgente<br />
ed obbligatorio dal<strong>la</strong> condizione attuale del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> e dal<strong>la</strong> collocazione<br />
delle forze in campo.<br />
Nasce da qui <strong>la</strong> proposta di inserire nel programma di rinnovamento del<strong>la</strong><br />
<strong>politica</strong> e nello sforzo collegato di ricostruirne le sue basi umane e ideali l’impegno<br />
a realizzare un rapporto positivo e col<strong>la</strong>borativo con i <strong>cattolici</strong> italiani, con <strong>la</strong> loro<br />
Chiesa, con chi oggi è chiamato a presieder<strong>la</strong>. Essa si fonda su alcune premesse: a)<br />
con il 1993-94 si è conclusa senza appello l’esperienza <strong>politica</strong> del<strong>la</strong> Democrazia<br />
Cristiana, i cui destini erano evidentemente legati indissolubilmente al vincolo dell’unità<br />
dei <strong>cattolici</strong> in un solo partito; b) le indicazioni dottrinali del<strong>la</strong> Gerarchia<br />
cattolica pronunciate successivamente hanno reso palese, anche per il nostro Paese,<br />
<strong>la</strong> piena libertà di milizia partitica per tutti i credenti; c) <strong>la</strong> Chiesa italiana è oggi in<br />
una fase di riserbo ed anche di indeterminatezza, realtà che può anche nascondere<br />
un appiattimento conformistico rispetto al<strong>la</strong> crisi del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> ma che comunque<br />
<strong>la</strong>scia impregiudicato il futuro del<strong>la</strong> sua azione anche rispetto agli strumenti del suo<br />
intervento, che quindi possono ancora orientarsi verso un rapporto, magari indiretto<br />
ma autorevole e probabilmente decisivo, con <strong>la</strong> <strong>politica</strong>.<br />
Le culture e i valori per un rapporto nuovo<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Gennaro Acquaviva<br />
Due ragioni sostengono <strong>la</strong> scelta di avviare con <strong>la</strong> Chiesa cattolica questo<br />
rapporto nuovo da parte di chi intende ricostruire una forza <strong>politica</strong> fondata sui<br />
principi e sulle pratiche del socialismo democratico, omogenee cioè a quelle realizzate<br />
nelle grandi democrazie dell’Europa negli ultimi cinquant’anni. Il primo è<br />
fondato sui valori profondi del<strong>la</strong> tradizione socialista, che collocano l’uomo e <strong>la</strong> sua<br />
libertà, <strong>la</strong> sua socialità ed il suo benessere spirituale e materiale al centro del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>,<br />
dando ad essa forti connotati solidaristici e antindividualisti. Il secondo è che i<br />
67
Gennaro Acquaviva<br />
Pastori del<strong>la</strong> Chiesa italiana non possono continuare ad ignorare che le pur vaghe<br />
risposte di conservazione e di sostegno dei valori cristiani che <strong>la</strong> destra <strong>politica</strong> è<br />
stata in grado fin qui di assicurare, non sono esaustivi rispetto ad un orizzonte sempre<br />
più vasto del<strong>la</strong> loro azione apostolica, soprattutto se rapportate agli impulsi<br />
“missionari” mossi dal<strong>la</strong> predicazione papale e tesi ad invertire le prevalenti spinte<br />
seco<strong>la</strong>rizzanti. È per me inevitabile che questa problematica, per molti anni resa<br />
meno visibile dal<strong>la</strong> gestione accentratrice dell’ultimo presidente del<strong>la</strong> CEI, sia destinata<br />
ad emergere, pur se gradualmente, con il passare del tempo anche indipendentemente<br />
dall’azione dei nuovi vertici del<strong>la</strong> CEI.<br />
L’apertura di un confronto approfondito e seriamente condotto con <strong>la</strong> Gerarchia<br />
cattolica non potrà che partire da una richiesta esplicita di sostegno all’opera<br />
di ricostruzione del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> e, per quel che riguarda <strong>la</strong> mia ottica, in essa specificatamente<br />
di una forza <strong>politica</strong> di socialismo democratico, aperta al confronto<br />
con i valori cristiani e desiderosa di accogliere, con generosità, tra le sue file quei<br />
<strong>cattolici</strong> che intendono impegnarsi nel<strong>la</strong> vita <strong>politica</strong> a partire dal<strong>la</strong> comune accettazione<br />
di finalità sociali e di progresso. Questa forza <strong>politica</strong>, di cui è in atto un<br />
processo costituente, dovrà naturalmente definire al suo interno una piattaforma di<br />
contenuti, a partire da quel<strong>la</strong> che è corretto indicare come “tavo<strong>la</strong> dei valori di una<br />
moderna piattaforma riformista”. Essa non potrà non affrontare temi centrali del<br />
futuro del<strong>la</strong> nostra vita collettiva: quelli legati ai dilemmi umanistici circa gli orientamenti<br />
ed i confini da porre alle nuove possibilità del<strong>la</strong> tecnologia; quelli connessi<br />
con lo spessore istituzionale ed il ruolo sociale da assegnare alle forme di organizzazione<br />
sociale ed in specie al tema del<strong>la</strong> famiglia; quelli legati al<strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione tra diritti<br />
individuali, doveri collettivi e spazio del<strong>la</strong> solidarietà, in una visione matura del<strong>la</strong><br />
moderna convivenza liberale.<br />
L’auspicabile disponibilità del<strong>la</strong> Chiesa<br />
Alle molte incertezze che potrebbero accompagnare l’azione di chi intenda<br />
impegnarsi come promotore di un’azione come quel<strong>la</strong> sopra abbozzata, è utile richiamare<br />
a premessa quel<strong>la</strong> decisiva, legata cioè al<strong>la</strong> disponibilità o, prima ancora,<br />
al<strong>la</strong> praticabilità da parte dei vescovi italiani di una operazione del genere. Anche<br />
cioè dando per possibile <strong>la</strong> scelta da parte del<strong>la</strong> Chiesa italiana di giungere all’accettazione<br />
di un confronto con parti organizzate del<strong>la</strong> società <strong>politica</strong>, quel<strong>la</strong> che andrebbe<br />
esaminata preliminarmente è <strong>la</strong> possibilità concreta per i vescovi, di dare<br />
oggi corso operativo ed organizzativo ad una qualche forma di intesa e di coinvolgimento.<br />
È infatti evidente che nessuno dei potenziali interlocutori dell’ipotesi che<br />
ho prima descritto, neppure <strong>la</strong> Chiesa italiana in quanto tale, è oggi in una condizione<br />
paragonabile al<strong>la</strong> realtà del 1943-45, una condizione cioè che io considero<br />
68 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
per molti versi simile al<strong>la</strong> attuale; allora si era in una fase in cui, dovendo impegnarsi<br />
nel<strong>la</strong> ricostruzione sia del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> che dei suoi strumenti, si aveva di contro, diversamente<br />
da oggi, <strong>la</strong> certezza del<strong>la</strong> disponibilità di uomini ed organizzazioni affidabili<br />
e di massa, pronte all’obbedienza, disponibili al sacrificio personale, capaci di<br />
accettare fino in fondo i costi ed i rischi di un impegno disinteressato. Oggi <strong>la</strong><br />
Chiesa italiana non dispone più di propri strumenti “di massa”, anche lontanamente<br />
paragonabili a quelli degli anni ’40; essa è in grado di agire direttamente solo facendo<br />
leva su un’area minoritaria del mondo cattolico, qual è quel<strong>la</strong> rappresentata<br />
dalle organizzazioni di Azione cattolica basate sui nuclei parrocchiali; ed il suo raggio<br />
di influenza nell’impegnare i “movimenti” – che, ricordiamo, sono di matrice<br />
“spirituale” e tendenzialmente distaccati dall’impegno politico diretto – in un’azione<br />
legata all’arena <strong>politica</strong>, è tutto da verificare e comunque appare molto problematico.<br />
Tutto ciò va tenuto presente nell’impostare <strong>la</strong> proposta da rivolgere ai vertici<br />
del<strong>la</strong> Chiesa italiana; questo comunque, a mio parere, non toglie importanza a<br />
quanto detto più sopra e cioè che per gli individui ed i gruppi che ritengono urgente<br />
e necessario impegnarsi per <strong>la</strong> rifondazione del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>, l’appello al<strong>la</strong> Chiesa<br />
cattolica sia un’opportunità obbligata; così come, per altro verso, e cioè per i vescovi<br />
italiani, e in generale per i diversi protagonisti del mondo cattolico, l’impegno<br />
morale al<strong>la</strong> ricostruzione del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> di un Paese come l’Italia, se ben illustrata e<br />
percepita correttamente, potrebbe tradursi in una sfida da cui essi potrebbero sentirsi<br />
impossibilitati a sottrarsi, pena il venir meno del loro giuramento di “pascere il<br />
loro gregge”.<br />
Riaccendere le energie vitali<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Gennaro Acquaviva<br />
C’è in Italia <strong>la</strong> convinzione diffusa che siamo un Paese non solo pieno di problemi<br />
ma ormai troppo vulnerabile e fragile, ogni giorno ci sentiamo come soffocati<br />
dal pessimismo, sembriamo ormai quasi condannati a dover soffrire un disagio<br />
sempre più profondo, pur nel permanere del<strong>la</strong> nostra opulenza. Gli italiani vivono<br />
un male dell’anima apparentemente “più rassegnati che incarogniti”, come ci dice<br />
De Rita, con una costante inclinazione a vedere nero ma anche a non farsene una<br />
ragione. Proprio il più attento ed autorevole analista del<strong>la</strong> società italiana, per di<br />
più un cattolico specchiato, par<strong>la</strong> oggi del pericolo di una distruzione “o più coerentemente<br />
di uno spegnimento del vitale che è stato parte integrante del<strong>la</strong> nostra<br />
evoluzione storica”; ed aggiunge: “il traguardo finale del peggio sarebbe <strong>la</strong> perdita<br />
del vitale”.<br />
Cosa occorre ancora aspettare, una ennesima crisi devastante del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>, il<br />
fallimento dichiarato delle leadership appena riverniciate, uno sprofondamento<br />
sempre più cinico dell’anti<strong>politica</strong>, per decidersi ad agire prima che sia troppo<br />
tardi?<br />
69
Gennaro Acquaviva<br />
La Chiesa in Italia ha una responsabilità storica così vasta che sopravanza qualsiasi<br />
pastorale illuminata e dotta, tutti i ruoli caritativi lodevolmente assolti, ogni<br />
particel<strong>la</strong> di bene servito quotidianamente e disinteressatamente al popolo. Questa<br />
responsabilità va oggi assolta, prima che sia troppo tardi; questa storia va renumerata<br />
prima che tutto muoia nel <strong>la</strong>nguore. Anche se i <strong>la</strong>ici <strong>cattolici</strong> preferiscono continuare<br />
a curare il proprio orticello. Anche se Pio XII, Tardini e Montini (ma anche<br />
De Gasperi, Fanfani e La Pira) non sono più con noi.<br />
70 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Al<strong>la</strong> domanda: “Quale partito o movimento politico<br />
oggi può essere considerato l’interprete dei <strong>cattolici</strong>”<br />
verrebbe da rispondere che <strong>la</strong> domanda non ha senso.<br />
Perché il partito dei <strong>cattolici</strong> appartiene ad un altro<br />
tempo storico: come si dice nel linguaggio patristico ad<br />
un altro “eone”. La famosa frase di Fukuyama “è finita<br />
<strong>la</strong> storia” significa almeno questo: che è cambiato il<br />
mondo.<br />
Il “secolo breve”<br />
Eric Hobsbawn ha sostenuto che il secolo ventesimo è<br />
un “secolo breve”, perché vede il 1914 come inizio del secolo<br />
ventesimo con <strong>la</strong> prima guerra mondiale e lo avverte concluso<br />
nell’89. Naturalmente egli interpreta questo secolo come<br />
centrato sul<strong>la</strong> nascita, sull’egemonia e sull’autodissolvimento<br />
del comunismo sovietico: il secolo di Lenin.<br />
Quel secolo è finito, ma il tempo è continuato a scorrere<br />
dopo il crollo del muro di Berlino ed è nata un’altra realtà: <strong>la</strong><br />
società mondiale. In altre parole l’Europa ha cessato di essere<br />
il centro del mondo e quindi il principio del<strong>la</strong> sua interpretazione<br />
come storia. E anche il termine “storia” viene meno,<br />
perché esso è legato al<strong>la</strong> lettura del<strong>la</strong> civiltà europea come<br />
evento unico che spiega <strong>la</strong> sua unicità nei tempi e quindi<br />
consente il concetto di storia come idea unitaria. Si può dire<br />
che con <strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> centralità d’Europa anche <strong>la</strong> “categoria<br />
storia” ha cessato di essere in uso.<br />
Così è caduta l’interpretazione benevo<strong>la</strong> del<strong>la</strong> storia<br />
umana, pensata come se avesse un disegno interiore e quindi<br />
portasse scritta in sé una finalità. L’idea di storia nasce da una<br />
trasformazione immanentista dell’escatologia cristiana, come<br />
se <strong>la</strong> città di Dio fosse costruita nel<strong>la</strong> storia umana.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
I <strong>cattolici</strong> e <strong>la</strong> <strong>politica</strong><br />
GIANNI BAGET<br />
BOZZO<br />
Teologo e Politologo<br />
≈<br />
“La società<br />
mondiale include<br />
l’Occidente e <strong>la</strong><br />
Cristianità in una<br />
unità dello spazio<br />
unico in tempi<br />
storici e culturali<br />
diversi… è<br />
policentrica e <strong>la</strong><br />
sua massa critica<br />
sta in Asia.<br />
Sono problemi<br />
interamente nuovi<br />
che richiedono<br />
una coscienza<br />
proporzionata da<br />
parte di tutti i<br />
cristiani europei<br />
che vogliono<br />
rimanere tali”<br />
≈<br />
71
Gianni Baget Bozzo<br />
Lo scontro di potere<br />
La realtà umana è tornata come sempre è stata pensata: uno scontro di potere<br />
senza finalità immanenti dopo che sono state consumate le categorie trascendenti.<br />
L’integrale comunicazione mediante l’economia e <strong>la</strong> telematica ha reso il mondo<br />
un luogo abitato come comune spazio da civiltà interamente diverse secondo i tempi.<br />
Le differenze storiche sono divenute realtà paritarie ugualmente presenti e<br />
egualmente re<strong>la</strong>zionate.<br />
Questo avviene mentre <strong>la</strong> tecnica fa superare all’uomo il limite del corpo umano<br />
e rende inesauribili le capacità di conoscenza: quelle legate non al corpo ma al<strong>la</strong><br />
mente. Può indagare <strong>la</strong> realtà del cosmo dal massimamente grande al massimamente<br />
piccolo come un processo che non conosce fine, come se <strong>la</strong> conoscenza umana<br />
fosse infinita e infinita <strong>la</strong> realtà che ne è oggetto, sempre aperta a livelli che vanno<br />
del tutto oltre l’esperienza sensibile.<br />
Lo spazio unico che unisce tutti i tempi è l’esperienza nuova per l’umanità: e si<br />
congiunge con il momento in cui <strong>la</strong> conoscenza umana supera il concetto stesso di<br />
limite. La realtà in cui noi viviamo e il senso che ci tramanda ci <strong>la</strong>scia nell’assoluta<br />
insicurezza perché nel momento in cui l’uomo può conoscere tutto diviene incerto<br />
su chi egli sia, che tipo di cosa sia. Ma è certo che l’Europa e lo stesso Occidente,<br />
che hanno prodotto il formarsi del<strong>la</strong> città mondiale, vengono marginalizzati dal<strong>la</strong><br />
loro opera stessa: e altri subentrano nel mondo del<strong>la</strong> potenza e sono tutte culture<br />
che non hanno il concetto del<strong>la</strong> realtà come storia umana.<br />
L’Asia e i tempi nuovi<br />
La massa critica dei nuovi tempi sta in Asia, dove <strong>la</strong> Cina diviene una grande<br />
potenza capitalista che rende possibili <strong>la</strong> stabilità delle monete anche occidentali e<br />
permette lo sviluppo del sistema, anche quando <strong>la</strong> locomotiva del mondo, cioè gli<br />
Stati Uniti, hanno cessato di essere propulsivi. L’India è divenuta <strong>la</strong> chiave delle tecnologie<br />
informatiche, cioè delle forme d’interpretazione di struttura del<strong>la</strong> società.<br />
Le loro masse umane, toccate solo parzialmente dal nuovo ruolo delle loro economie<br />
e delle loro tecnologie, pesano però sul<strong>la</strong> realtà in cui <strong>la</strong> conoscenza umana, anche<br />
quel<strong>la</strong> del singolo uomo, è una chiave per <strong>la</strong> crescita del sistema che è essenziale<br />
al<strong>la</strong> sua stessa esistenza, al<strong>la</strong> sua permanenza nell’essere.<br />
Il Cristianesimo nel<strong>la</strong> società mondiale<br />
La cultura che ha prodotto <strong>la</strong> società mondiale, sia come determinazione dello<br />
spazio unico che come indefinita potenza del<strong>la</strong> conoscenza e dei suoi esiti tecno-<br />
72 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
logici, è il Cristianesimo. L’annuncio del<strong>la</strong> vita divina conferita all’uomo nel<strong>la</strong> fede<br />
ha reso possibile <strong>la</strong> comprensione del mondo come unità universale aperta al<strong>la</strong> fede<br />
in Cristo. Ed ha, al tempo stesso, prodotto <strong>la</strong> demitizzazione del reale per cui sono<br />
caduti gli dei. Le cose sono viste come reali in se stesse, non come proiezione nel<strong>la</strong><br />
realtà trascendente. Il Cristianesimo ha unificato il mondo, costruendo lo spazio<br />
unico con l’universalità delle sue tecniche e ha aperto al<strong>la</strong> mente <strong>la</strong> conoscenza di<br />
tutta <strong>la</strong> realtà, una conoscenza che determina <strong>la</strong> creazione di tecnologie radicali.<br />
Questa società mondiale e tecnologica si è staccata dal Cristianesimo come dal veicolo<br />
che l’aveva accompagnata nello spazio unico e che ora, per rimanere fedele all’unità<br />
del<strong>la</strong> società mondiale e all’espansione indefinita del<strong>la</strong> tecnologia, era obbligata<br />
a <strong>la</strong>sciare. Ancora una volta, ma in forma assai diversa, torna il concetto che<br />
occorre separarsi dal Cristianesimo per poter realizzare tutte le premesse e le promesse<br />
dell’umanità. Queste osservazioni vogliono dire che siamo entrati in un tempo<br />
assai diverso da quello conosciuto nel ventesimo secolo. E che tutti i concetti<br />
usati in quel secolo sono divenuti desueti per comprendere ciò che l’umanità vive<br />
oggi, anche nel<strong>la</strong> <strong>politica</strong> ed anche nel<strong>la</strong> <strong>politica</strong> italiana.<br />
I <strong>cattolici</strong> per <strong>la</strong> democrazia<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Gianni Baget Bozzo<br />
Il secolo ventesimo è dominato dal<strong>la</strong> contesa tra le finalità assolute e le procedure<br />
rego<strong>la</strong>nti. La democrazia non è un valore assoluto, è una procedura rego<strong>la</strong>nte. I<br />
<strong>cattolici</strong> nel secolo XIX hanno avuto difficoltà ad accettare <strong>la</strong> democrazia perché essa<br />
si presentava come una finalità assoluta, salvifica. Nel secolo XIX liberalismo e democrazia<br />
come assoluti politici contrastavano <strong>la</strong> religione cristiana nel fondamento dottrinale,<br />
il primato di Dio creatore e provvidente e quindi <strong>la</strong> redenzione dell’uomo<br />
operata da Gesù Cristo. Perché queste cose cambiassero, occorreva venisse <strong>la</strong> prima<br />
grande crisi del moderno e cioè <strong>la</strong> prima guerra mondiale. Uomini che condividevano<br />
idee comuni su nazione, Stato e democrazia si combatterono corpo a corpo con <strong>la</strong><br />
baionetta nel terribile inferno di una guerra mondiale. Nazione, Stato e democrazia<br />
non sono più forme salvifiche universali perché hanno costituto il fondamento di lotte<br />
mortali tra uomini che condividevano questi valori. Qui cominciò <strong>la</strong> crisi del moderno<br />
e quindi cessò l’idea di discriminare i <strong>cattolici</strong> in base al<strong>la</strong> modernità come assoluto.<br />
Dopo <strong>la</strong> prima guerra mondiale, <strong>la</strong> modernità non è più un assoluto.<br />
La crisi del<strong>la</strong> modernità si esprime nei fascismi che negano <strong>la</strong> modernità e fanno<br />
del ritorno al premoderno l’essenza del loro messaggio. Ciò avviene in forme diverse.<br />
La forma fascista, in alternativa al<strong>la</strong> Roma cattolica, professa il ritorno al<strong>la</strong><br />
Roma imperiale come pagana e come custode di quell’universalità del diritto che<br />
Roma ha portato nel mondo da essa dominato. Il premoderno però in questo caso<br />
è una tradizione civile che può essere giustamente considerata <strong>la</strong> fondazione del<br />
moderno.<br />
73
Gianni Baget Bozzo<br />
Con il nazismo avviene un ritorno al<strong>la</strong> Germania di Tacito come chiave del<strong>la</strong><br />
volontà barbara del dominio razziale. Proprio il nazismo e il comunismo rendono<br />
inevitabile l’adesione dei <strong>cattolici</strong> al<strong>la</strong> libertà e al<strong>la</strong> democrazia, visti non come assoluti<br />
ma come procedure che, nel<strong>la</strong> stessa limitazione del loro significato nel<strong>la</strong> paro<strong>la</strong><br />
che assumono, sono <strong>la</strong> chiave storica del<strong>la</strong> demitizzazione del potere e <strong>la</strong> difesa<br />
del<strong>la</strong> libertà e del<strong>la</strong> persona come valori assoluti, quindi come verità. I partiti democratici<br />
dei <strong>cattolici</strong> nascono dal<strong>la</strong> comprensione che <strong>la</strong> democrazia è una procedura<br />
garante del<strong>la</strong> libertà e dell’eguaglianza delle persone e quindi è propedeutica<br />
al<strong>la</strong> verità cristiana e ai valori civili che sono l’anima del<strong>la</strong> cultura europea. Il fine<br />
dei partiti <strong>cattolici</strong> è quello di esprimere al mondo il valore universale del<strong>la</strong> democrazia<br />
come forma procedurale del<strong>la</strong> libertà. I partiti <strong>cattolici</strong> compiono <strong>la</strong> loro<br />
missione nel “secolo breve”, rendendo possibile una compenetrazione tra il valore<br />
del<strong>la</strong> modernità e <strong>la</strong> verità del<strong>la</strong> religione cristiana.<br />
Un tempo di cambiamento<br />
La Chiesa vive, dopo il “secolo breve”, il tempo del suo impianto nel<strong>la</strong> società<br />
mondiale assumendo <strong>la</strong> forma in cui essa si presenta. E cambiano i problemi del<strong>la</strong><br />
Chiesa nel mondo: non è più l’accordo con <strong>la</strong> modernità sul piano delle istituzioni<br />
politiche il problema, ma è quello del rapporto del<strong>la</strong> Chiesa con i problemi posti<br />
dal<strong>la</strong> scienza e dal<strong>la</strong> tecnologia che operano pienamente in tutta <strong>la</strong> realtà del corpo<br />
umano e del<strong>la</strong> sua coscienza e con quelli posti dal<strong>la</strong> sfida di altre religioni universali<br />
tra cui fondamentale è il nuovo attacco dell’Is<strong>la</strong>m al<strong>la</strong> Cristianità. I problemi non<br />
riguardano più i rapporti del<strong>la</strong> Chiesa con lo Stato e dei <strong>cattolici</strong> con le istituzioni<br />
moderne ma l’esistenza stessa del<strong>la</strong> Chiesa in una cultura in cui <strong>la</strong> scienza e <strong>la</strong> tecnologia<br />
hanno possibilità infinite; e in cui appare l’avversario antico e conosciuto,<br />
l’Is<strong>la</strong>m, divenuto una potenza nuova e straordinaria di cui i mezzi di comunicazione<br />
sociale rive<strong>la</strong>no <strong>la</strong> potenza mondiale di mobilitazione.<br />
La cultura occidentale sostiene oggi, in correnti rilevanti, che <strong>la</strong> Chiesa è incompatibile<br />
con lo sviluppo scientifico e tecnologico e con <strong>la</strong> concezione dei diritti<br />
umani indipendentemente dal<strong>la</strong> tradizione. Come è inevitabile proprio perché è in<br />
gioco l’essenza e l’esistenza del<strong>la</strong> Chiesa, il ruolo di guida dei <strong>cattolici</strong> è stato assunto<br />
direttamente dal Papa e sostenuto dai vescovi. Il problema dei partiti <strong>cattolici</strong> era<br />
importante nei giorni in cui il problema era <strong>la</strong> democrazia, non nei giorni in cui è<br />
in gioco l’esistenza stessa del Cristianesimo. I partiti democristiani si sono modificati<br />
in partiti seco<strong>la</strong>ri, (liberali o conservatori), opposti alle sinistre, nel<strong>la</strong> cui area<br />
<strong>politica</strong> incide il nuovo anticristianesimo occidentale.<br />
La questione del Cristianesimo come tradizione storica europea e occidentale<br />
è stata sostenuta dai partiti di destra e avversata da quelli di sinistra, ma ha dovu-<br />
74 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Gianni Baget Bozzo<br />
to essere integrata in una difesa dei valori tradizionali, delle “radici cristiane”, visti<br />
dunque non come fatti religiosi ma come fatti culturali. Le democrazie cristiane<br />
europee sono seco<strong>la</strong>rizzate, ma non <strong>la</strong>icistizzate. I partiti di destra sono rimasti legati<br />
al<strong>la</strong> tradizione cristiana, anche quando hanno abbandonato il rapporto con <strong>la</strong><br />
confessione.<br />
Il partito cristiano, nel senso di partito confessante, non ha sopravvissuto agli<br />
anni ’70. In Italia <strong>la</strong> cultura cattolica è stata influenzata dalle varie ondate del<br />
marxismo: da quelle del Pci negli anni ’50 a quelle del dissenso degli anni ’60 a<br />
quelle del<strong>la</strong> rivoluzione negli anni ’70. Ciò ha <strong>la</strong>sciato <strong>la</strong> Dc dagli anni ’60 in poi<br />
senza il supporto culturale da parte del mondo cattolico. Questo sradicamento è<br />
forse causa non picco<strong>la</strong> del<strong>la</strong> decadenza del costume e del venir meno del consenso<br />
morale. Ciò ha reso possibile l’intervento del<strong>la</strong> procura mi<strong>la</strong>nese che condusse <strong>la</strong><br />
Dc all’autoscioglimento. Essa rinacque come Partito popo<strong>la</strong>re ma in forma assai<br />
minoritaria ed è divenuta dipendente dal partito postcomunista, l’unico salvato<br />
dall’intervento di Mani Pulite. Anche il Psi, che con Bettino Craxi aveva firmato<br />
un nuovo concordato, e che aveva valorizzato l’Italia come nazione in modo assolutamente<br />
nuovo per <strong>la</strong> sinistra, venne travolto. Mentre negli altri partiti europei ciò<br />
che rimaneva del<strong>la</strong> tradizione dei democristiani rimase in qualche forma, in Italia <strong>la</strong><br />
Dc, partito sostenuto dall’unità dei <strong>cattolici</strong> proc<strong>la</strong>mata dal<strong>la</strong> gerarchia ecclesiastica,<br />
venne distrutta.<br />
Il cambiamento totale del nuovo “eone” mostra che <strong>la</strong> fine dei partiti democristiani<br />
avvenne nel<strong>la</strong> società prima dell’89 per <strong>la</strong> seco<strong>la</strong>rizzazione del<strong>la</strong> cultura in<br />
chiave non ancora anticristiana. La società mondiale include l’Occidente e <strong>la</strong> Cristianità<br />
in una unità dello spazio unico in tempi storici e culturali diversi;<br />
l’Occidente che era il centro del mondo e l’erede del<strong>la</strong> Cristianità, oggi diviene solo<br />
una parte, pur determinante, del<strong>la</strong> società mondiale. La società mondiale è policentrica<br />
e <strong>la</strong> sua massa critica sta in Asia. Sono problemi interamente nuovi che richiedono<br />
una coscienza proporzionata da parte di tutti i cristiani europei che vogliono<br />
rimanere tali.<br />
Berlusconi<br />
Il caso Berlusconi domina <strong>la</strong> <strong>politica</strong> italiana del ’94: e continua a dominar<strong>la</strong><br />
nel 2007. Il fenomeno è singo<strong>la</strong>re perché si tratta sicuramente di un carisma personale,<br />
in sostanza non trasmissibile. Ma d’altro <strong>la</strong>to <strong>la</strong> forma partito è mutata: in tutto<br />
l’Occidente il rapporto politico passa tra un leader e i mezzi di comunicazione<br />
sociale, soprattutto <strong>la</strong> televisione. È una forma di democrazia diretta, che ha sostituito<br />
<strong>la</strong> figura del partito delle tessere e delle sezioni dotato di una sovranità sui suoi<br />
iscritti. Personalizzando <strong>la</strong> sua <strong>politica</strong>, Berlusconi è riuscito a creare una forma<br />
75
Gianni Baget Bozzo<br />
mobile che rimane però identica a sé stessa negli anni e convoglia così elettorati<br />
cambiati per il corso delle generazioni. Berlusconi è intervenuto in <strong>politica</strong> nel ’94<br />
per salvare i partiti democratici dall’esecuzione <strong>politica</strong> da parte del<strong>la</strong> magistratura<br />
e dei postcomunisti. Egli ha realizzato ciò che accadeva anche ai partiti democristiani<br />
europei, cioè <strong>la</strong> loro seco<strong>la</strong>rizzazione. Essa non significava <strong>la</strong> loro <strong>la</strong>icistizzazione,<br />
come era invece accaduto nei partiti socialdemocratici europei. La Dc italiana<br />
aveva alle spalle ormai un elettorato in cui il motivo religioso non era più dominante.<br />
Del resto, sin dalle origini, con De Gasperi, <strong>la</strong> Dc aveva creato un partito rivolto<br />
non ai <strong>cattolici</strong>, ma agli italiani e quindi aveva per prima iniziato <strong>la</strong> seco<strong>la</strong>rizzazione<br />
del partito tra “<strong>cattolici</strong>” come si definiva il Partito popo<strong>la</strong>re di don <strong>Sturzo</strong>.<br />
Questa seco<strong>la</strong>rizzazione poteva avvenire in forma non drammatica se non ci fosse<br />
stata un’operazione violenta come Mani Pulite.<br />
Perché sia avvenuta tale operazione che distruggeva sia i democristiani che i<br />
socialisti, cioè i partiti occidentali, è ancora un mistero italiano, come quello dell’assassinio<br />
di Aldo Moro. Fu un fenomeno eterodiretto, che ebbe per epicentro <strong>la</strong><br />
stampa e soprattutto il giornale dei misteri, il «Corriere del<strong>la</strong> Sera».<br />
La decisione di Berlusconi di candidarsi fu un provvedimento di emergenza.<br />
Egli ripetè <strong>la</strong> mobilitazione anticomunista che era stata quel<strong>la</strong> di De Gasperi nel<br />
’48 par<strong>la</strong>ndo un linguaggio che <strong>la</strong> Dc da decenni non par<strong>la</strong>va più. Che egli avesse<br />
successo voleva dire che un linguaggio seco<strong>la</strong>rizzato par<strong>la</strong>va meglio al popolo e<br />
sfuggiva al<strong>la</strong> presa comunista. Raggiungeva il popolo italiano nel<strong>la</strong> sua composizione<br />
media, che, con un linguaggio approssimativo, si poteva chiamare moderato in<br />
contrapposto a rivoluzionario.<br />
La Casa delle libertà ha espresso una protesta contro <strong>la</strong> Dc come partito autoreferenziale<br />
che gestiva lo Stato assieme ai comunisti. E fu questo il modo di evitare<br />
il massacro dei dirigenti democristiani da parte dei procuratori del<strong>la</strong> Repubblica italiani<br />
e, al tempo stesso, il modo per sostituire il pentapartito tradizionale con un solo<br />
partito. Era una soluzione che solo <strong>la</strong> grave crisi che portava all’autoscioglimento<br />
dei partiti democratici poteva determinare. Con <strong>la</strong> Casa delle libertà avviene così<br />
che fu possibile seco<strong>la</strong>rizzare i partiti di centro in un partito che non aveva ideologie,<br />
ma che si fondava sul primato del<strong>la</strong> libertà e voleva liberare lo Stato dal potere dell’apparato<br />
delle sinistre, a cominciare da quello dei sindacati. Ci fu un cambiamento<br />
che si sarebbe rive<strong>la</strong>to adatto ai giorni del<strong>la</strong> globalizzazione. Il cambiamento radicale<br />
rispetto al partito democristiano era <strong>la</strong> fine dell’incidenza del<strong>la</strong> sinistra in chiave statalista<br />
sul<strong>la</strong> Dc. In realtà questa incidenza era già avvenuta sul piano del<strong>la</strong> Costituzione,<br />
che aveva espresso <strong>la</strong> Repubblica, cioè lo Stato, come principio creatore di tutti<br />
i processi sociali. Avveniva sul<strong>la</strong> Dc l’influenza congiunta sia del fascismo che del<strong>la</strong><br />
socialdemocrazia. E il centro dell’influenza era l’Università cattolica del Sacro<br />
Cuore di Mi<strong>la</strong>no da cui provenne il quartetto che diede forma al<strong>la</strong> Dc italiana dopo<br />
76 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Gianni Baget Bozzo<br />
Alcide De Gasperi: Dossetti, Fanfani, Lazzati e La Pira a cui si aggiunse Aldo Moro.<br />
Ciò conduceva a fare del<strong>la</strong> Dc un partito dell’intervento pubblico dello Stato sino al<br />
punto che Togliatti presentò come elementi del socialismo reale in Italia le industrie<br />
pubbliche, in partico<strong>la</strong>re l’Iri e l’Eni. Del resto, dopo il Concilio una eguale influenza<br />
si sarebbe esercitata nel<strong>la</strong> Chiesa a partire soprattutto dagli eventi del ’68.<br />
È un elettorato seco<strong>la</strong>rizzato ma non <strong>la</strong>icista che Berlusconi ha tratto dal<strong>la</strong><br />
crisi del<strong>la</strong> Democrazia cristiana, un elettorato che sentiva profondamente i temi<br />
del<strong>la</strong> tradizione. E Berlusconi riuscì, reinserendo <strong>la</strong> Lega Nord nell’unità nazionale<br />
e legittimando l’Msi nel<strong>la</strong> democrazia, a costituire un partito del<strong>la</strong> società italiana<br />
alternativo al<strong>la</strong> sinistra e al<strong>la</strong> cultura marxista e postmarxista in Italia.<br />
Berlusconi ha ottenuto il consenso dell’elettorato cattolico, ma non ha avuto il<br />
supporto del<strong>la</strong> cultura cattolica, ancora legata al<strong>la</strong> lunga influenza del<strong>la</strong> sinistra sul<strong>la</strong><br />
Chiesa e sul<strong>la</strong> società. Quello che Berlusconi valorizzava erano le piccole e medie<br />
imprese che costruivano <strong>la</strong> base dell’economia italiana e del suo inserimento nel<br />
mondo. Il paese usciva dal primato del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> e dall’esaurimento di essa nei limiti<br />
dello Stato nazionale e si apriva a comprendere <strong>la</strong> realtà del sistema Italia nel<strong>la</strong><br />
globalizzazione: cioè che solo mediante l’acquisto di mercati il sistema politico sociale<br />
italiano poteva continuare e sopravvivere. Era un cambio culturale che il mondo<br />
cattolico italiano non aveva compiuto, racchiuso come era nello statalismo del<strong>la</strong><br />
sinistra. Per vivere occorreva creare, <strong>la</strong>vorare ed esportare. Era un realismo economico<br />
che distruggeva <strong>la</strong> mitologia <strong>politica</strong> dello statalismo e del<strong>la</strong> sinistra come forza<br />
egemone, che aveva invischiato l’Italia, sino a farne il paese più vicino al socialismo<br />
reale di tutti gli altri paesi europei, ed ora in parte anche di quelli dell’Est liberati<br />
dall’influenza sovietica.<br />
La cultura cattolica e quel<strong>la</strong> democristiana, legate allo statalismo del<strong>la</strong> sinistra<br />
non potevano par<strong>la</strong>re <strong>politica</strong>mente il linguaggio del privato, dell’impresa, dell’economia,<br />
del<strong>la</strong> competizione. Il grande cambiamento avviene nell’economia,<br />
nel<strong>la</strong> <strong>politica</strong> e nel linguaggio. Il mondo cattolico nel suo insieme non ha perciò<br />
compreso il fatto Berlusconi e guarda ancora <strong>la</strong> sinistra come un linguaggio legittimante.<br />
Se guarda verso Berlusconi, si sofferma su Casini e sull’Udc, ma Casini ha<br />
puntato sul<strong>la</strong> liquidazione di Berlusconi costruendo il subgoverno Fini-Follini e<br />
obbligando Berlusconi al<strong>la</strong> crisi di governo. Berlusconi vinse le elezioni par<strong>la</strong>ndo di<br />
comunismo e di tasse e facendo riferimento all’egemonia del<strong>la</strong> sinistra sul<strong>la</strong> cultura,<br />
del vasto potere burocratico del Pci, dai giornali ai sindacati, alle cooperative. Mise<br />
l’accento sul fatto che <strong>la</strong> maggioranza Prodi non poteva che rimanere fedele al principio<br />
“tassa e spendi” perché non poteva ridurre <strong>la</strong> spesa pubblica per tanta parte ad<br />
essa legata. Casini pensava di uscire dal<strong>la</strong> Casa delle libertà creandosi un supporto<br />
esterno al centrosinistra alternativo aggiunto a Rifondazione. Non è stato possibile<br />
perché il popolo di Berlusconi è rimasto fedele a Berlusconi anche dopo <strong>la</strong> sconfit-<br />
77
Gianni Baget Bozzo<br />
ta elettorale per un soffio. E grazie all’abitudine comunista a control<strong>la</strong>re capil<strong>la</strong>rmente<br />
i seggi elettorali.<br />
Non è un caso che <strong>la</strong> legis<strong>la</strong>tura del<strong>la</strong> Casa delle libertà, appunto perché seco<strong>la</strong>rizzata<br />
ma non <strong>la</strong>icista, sia <strong>la</strong> legis<strong>la</strong>tura che nel<strong>la</strong> storia del<strong>la</strong> Repubblica ha emesso<br />
leggi favorevoli al<strong>la</strong> Chiesa cattolica: partico<strong>la</strong>rmente quel<strong>la</strong>, assai controversa e<br />
discutibile, del<strong>la</strong> legge sul<strong>la</strong> fecondazione assistita con l’obbligo del reimpianto a<br />
cui <strong>la</strong> sinistra si è opposta con un referendum che il cardinale Ruini ha fatto vincere<br />
al no, non mediante il voto affermativo ma mediante l’astensione dal voto. Questo<br />
mostra che l’adesione di principio alle tesi del<strong>la</strong> Chiesa non è militante.<br />
Forza Italia è dunque il partito che ha salvato <strong>la</strong> continuità con <strong>la</strong> Dc mediante<br />
l’intervento straordinario che ha creato una forza <strong>politica</strong> che accetta <strong>la</strong> libertà come<br />
valore fondamentale e <strong>la</strong> giustifica, anche nei suoi componenti <strong>la</strong>ici, con le radici<br />
cristiane d’Europa. Nel<strong>la</strong> sinistra il <strong>la</strong>icismo dominante è destinato a crescere,<br />
non basteranno i popo<strong>la</strong>ri a fermarlo.<br />
La Casa delle libertà è una forza <strong>la</strong>ica e cristiana che accetta, in un tempo in cui<br />
<strong>la</strong> fede cristiana è in diminuzione nei pensieri e nelle pratiche, di far valere <strong>la</strong> tradizione<br />
come principio dell’identità <strong>politica</strong> nel primato del<strong>la</strong> libertà.<br />
78 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Cattolici e <strong>la</strong>ici nel Partito democratico<br />
«Civitas»: Le statistiche indicano che negli ultimi anni<br />
è diminuito il numero dei <strong>cattolici</strong> che votano per il centro<br />
sinistra. Sembra dunque in atto uno spostamento del voto<br />
cattolico verso il centro destra. Il Partito democratico come<br />
intende contrastare questa tendenza?<br />
Paolo Corsini: Come suggeriva Pietro Scoppo<strong>la</strong>, già negli<br />
anni ’50, in Italia c’è un rapporto estremamente significativo<br />
tra <strong>la</strong> crescita del<strong>la</strong> coscienza religiosa e lo sviluppo del<strong>la</strong><br />
democrazia, un intreccio molto forte tra storia civile e storia<br />
religiosa, anche se oggi i processi di seco<strong>la</strong>rizzazione, il disincanto,<br />
<strong>la</strong> mondanizzazione hanno determinato una condizione<br />
minoritaria, sotto il profilo culturale, dei <strong>cattolici</strong> italiani.<br />
Ma se non c’è più <strong>la</strong> Democrazia cristiana, è praticabile<br />
<strong>la</strong> democrazia dei cristiani, come ha scritto Scoppo<strong>la</strong>, e se, da<br />
un <strong>la</strong>to, si deve riconoscere il valore del<strong>la</strong> democrazia come<br />
strumento di rego<strong>la</strong>zione dei problemi del<strong>la</strong> convivenza e degli<br />
interessi, dall’altro, sono convinto che <strong>la</strong> democrazia non<br />
può prescindere da un’ispirazione religiosa, come già scriveva<br />
Tocqueville. Non c’è dubbio che <strong>la</strong> conclusione del<strong>la</strong> storia<br />
del<strong>la</strong> Democrazia cristiana sia stata molto diversa da quel<strong>la</strong><br />
del Pci o dal<strong>la</strong> crisi che attraversa <strong>la</strong> socialdemocrazia contemporanea.<br />
Il Pci è finito in ragione di un fallimento storico,<br />
mentre <strong>la</strong> socialdemocrazia è oggi in crisi in ragione di un<br />
compimento del<strong>la</strong> sua funzione: ha mantenuto le sue promesse,<br />
ma è in difficoltà a dare un’interpretazione del<strong>la</strong> complessità,<br />
ad interpretare il presente ed il futuro. La fine del<strong>la</strong><br />
Dc è dovuta a uno sradicamento – <strong>la</strong> <strong>politica</strong> del Preambolo<br />
(il Preambolo del documento finale approvato dal Congresso<br />
del<strong>la</strong> Dc del 1980, che sancì <strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> di solidarietà<br />
nazionale NdR) ha sostanzialmente tentato di marginalizzare<br />
<strong>la</strong> tradizione cattolico-democratica – che non signifi-<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Intervista a<br />
PAOLO CORSINI<br />
Sindaco di Brescia<br />
a cura di<br />
CARLO<br />
GIUNIPERO<br />
Ricercatore ISPI -<br />
<strong>Istituto</strong> per gli<br />
Studi di Politica<br />
Internazionale<br />
≈<br />
“Credo che una<br />
convivenza sia<br />
possibile se… c’ è<br />
una sinistra che<br />
sappia recuperare<br />
una dimensione di<br />
apertura al<strong>la</strong> socialità...<br />
e una<br />
presenza di<br />
<strong>cattolici</strong>, di<br />
credenti che<br />
vedano nel<strong>la</strong><br />
mediazione<br />
<strong>politica</strong> il punto di<br />
soluzione delle<br />
controversie”<br />
≈<br />
79
Paolo Corsini<br />
ca affatto, in nessun modo <strong>la</strong> fine del valore democratico e del principio cristiano. Il<br />
principio democratico e cristiano ha un futuro e quindi il problema che noi oggi<br />
abbiamo di fronte come credenti è attraverso quali forme, attraverso quale mediazione<br />
culturale, attraverso quale iniziativa <strong>politica</strong> dare un futuro al principio democratico<br />
e cristiano.<br />
Ora non c’è dubbio che l’elettorato cattolico, il quale peraltro in misura ancora<br />
significativa continua a votare per le formazioni politiche del centro sinistra, soprattutto<br />
negli ultimi anni, si sia orientato in modo consistente verso il centro destra.<br />
Sono molteplici le ragioni di questo processo e di questo fenomeno, ma ce ne<br />
è una partico<strong>la</strong>rmente significativa: paradossalmente, era più facile per un cattolico<br />
dialogare ed interloquire con il Pci di quanto non lo sia oggi con l’attuale sinistra<br />
italiana, <strong>la</strong> quale sembra essere sempre più immemore del<strong>la</strong> sua vocazione al<strong>la</strong> socialità,<br />
al tema, diciamo così, del riscatto del <strong>la</strong>voro, al<strong>la</strong> possibilità di promuovere<br />
una società solidale, forte di legami umani. Oggi, mentre sembra scivo<strong>la</strong>re sempre<br />
più verso una cultura di impronta radicale e individualistica, <strong>la</strong> sinistra sposa soprattutto<br />
i temi dei cosiddetti diritti civili e così sembra volgere <strong>la</strong> propria attenzione<br />
al<strong>la</strong> soggettività dell’individuo più che ai grandi fattori di socialità. C’è poi una<br />
seconda motivazione fondamentale. Con Giovanni Paolo II è maturato nel mondo<br />
cattolico un forte giudizio critico sull’esperienza del<strong>la</strong> sinistra, non solo nei Paesi<br />
che una volta si chiamavano del socialismo reale ma anche in tutta Europa. Con<br />
Benedetto XVI, poi, questa critica si è ulteriormente accentuata investendo soprattutto<br />
le tematiche del<strong>la</strong> soggettività, penso soprattutto al<strong>la</strong> sfera del<strong>la</strong> sessualità. In<br />
tutto questo, naturalmente, vedo da parte di noi <strong>cattolici</strong> anche una buona dose di<br />
farisaismo e di ipocrisia, insomma ho l’impressione che i <strong>cattolici</strong> oggi rischino di<br />
dissociare <strong>la</strong> loro morale privata dal<strong>la</strong> morale pubblica. Mino Martinazzoli a cui<br />
guardo con grande interesse, ha ri<strong>la</strong>sciato una battuta efficace al «Corriere del<strong>la</strong> Sera»,<br />
a un giornalista che gli chiedeva, “ma lei partecipa al Family day?”, rispondeva,<br />
“no, non posso partecipare perché io ho una moglie da quasi cinquant’anni”. Il<br />
problema è che oggi <strong>la</strong> sinistra ha perso <strong>la</strong> nozione di popolo e quindi <strong>la</strong> “nazione<br />
cattolica” che è anche un popolo fa fatica a riconoscersi nel<strong>la</strong> sinistra italiana.<br />
Per quanto riguarda il Pd, una cartina al tornasole sarà <strong>la</strong> carta dei valori, il codice<br />
etico, inteso non come strumento di rego<strong>la</strong>zione del<strong>la</strong> vita del partito, ma come<br />
riferimento ideale, valoriale. Non c’è dubbio che il Pd – che nasce sostanzialmente<br />
dal<strong>la</strong> confluenza tra Margherita, Ds e repubblicani europei, anche se poi segnano<br />
una significativa presenza anche spezzoni di società civile, singole personalità<br />
– deve dare una risposta a questo problema, perché se il Pd si orienterà e scivolerà<br />
sul piano inclinato di questa soggettività individualistica, rischierà di tagliare i<br />
ponti con i <strong>cattolici</strong> o, comunque, di non avere reali canali di comunicazione con<br />
loro, di non riuscire ad interpretarli. E io credo che sia questa una grande responsabilità,<br />
perché reputo che <strong>la</strong> storia del cattolicesimo democratico in Italia, in forme<br />
nuove, deve avere un futuro.<br />
80 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Paolo Corsini<br />
C.: Secondo lei i <strong>cattolici</strong> saranno sempre più attratti da un partito moderato<br />
che guarda al centro destra?<br />
P. C.: In un sistema bipo<strong>la</strong>re, i <strong>cattolici</strong> si schiereranno e si dislocheranno su<br />
due schieramenti, e non c’è dubbio che c’è una forte tradizione cattolica moderata.<br />
Ma c’è anche un cattolicesimo del<strong>la</strong> moderazione e sono due cose distinte e diverse.<br />
Il cattolicesimo moderato risale al<strong>la</strong> tradizione del moderatismo, il cattolicesimo<br />
del<strong>la</strong> moderazione ad una tradizione cattolico democratica. Reputo che finita <strong>la</strong><br />
Democrazia cristiana, un progetto ormai improponibile nel sistema bipo<strong>la</strong>re – e<br />
per l’evoluzione del sistema politico, i rapporti internazionali, <strong>la</strong> fine del comunismo<br />
– il tema dell’unità dei <strong>cattolici</strong> non si porrà più in <strong>politica</strong>. Ma sarà difficile<br />
perseguirlo anche su quelli che sono i valori non negoziabili, perché un valore rimanda<br />
pur sempre ad una mediazione storica che va realizzata e quindi anche su<br />
questo ci sarà probabilmente differenziazione. Quando sento par<strong>la</strong>re <strong>cattolici</strong> di<br />
schieramento politico opposto, ostili tra loro, che invocano l’unità su principi non<br />
negoziabili, mi pare che questo atteggiamento possa valere in campo culturale, in<br />
campo di e<strong>la</strong>borazione teorica, ma in sede <strong>politica</strong> il tema si pone diversamente,<br />
perché il principio va sempre storicizzato; c’è pur sempre una cultura <strong>politica</strong> che lo<br />
interpreta, c’è pur sempre una struttura <strong>politica</strong> che lo invera.<br />
C.: Secondo lei, c’è un orientamento verso certi valori che condurranno anche<br />
l’elettorato cattolico a decidere il voto proprio in base a questi?<br />
P. C.: Vedo da un <strong>la</strong>to una spiccata reattività nei confronti del<strong>la</strong> cultura del desiderio,<br />
del bisogno che dovrebbe diventare norma sul<strong>la</strong> base di un individualismo<br />
spesso, peraltro, paradossalmente, anomico; dall’altro <strong>la</strong>to, invece, non vedo altrettanta<br />
sensibilità nei confronti delle forme di neo paganesimo che caratterizzano <strong>la</strong><br />
società contemporanea, e cioè in partico<strong>la</strong>re quelle culture neo tribali del luogo,<br />
quelle pratiche di egoismo appropriativo che altro non sono che neo paganesimo.<br />
Non vedo <strong>la</strong> Chiesa sufficientemente reattiva, e mi pare che sentiremo sempre come<br />
<strong>cattolici</strong> il bisogno di voci autorevoli e di testimonianze probanti che alimentino <strong>la</strong><br />
vita di una Chiesa vigile e critica. Ho l’impressione che qualcosa si sia esaurito e che<br />
ci sia un qualche spegnimento in corso di una tradizione conciliare che aveva culturalmente<br />
e teologicamente e<strong>la</strong>borato i fattori che consentivano una reazione rispetto<br />
a questa deriva neo pagana. Mi pare che il neo paganesimo diffuso non trovi nel<strong>la</strong><br />
Chiesa oggi un contrasto adeguato. Mi pare però anche che le due encicliche di Benedetto<br />
XVI Deus caritas est e Spe salvi facti sumus, aprano spiragli che giudico estremamente<br />
interessanti per una ripresa del<strong>la</strong> testimonianza del<strong>la</strong> Chiesa in Italia. E poi<br />
trovo che esistano gruppi, realtà, singoli sacerdoti, personalità, uomini di cultura<br />
che svolgono un ruolo prezioso per <strong>la</strong> vita civile di questo Paese.<br />
81
Paolo Corsini<br />
C.: Che cosa pensa delle esperienze come quelle di Savino Pezzotta, di Bruno<br />
Tabacci, cioè l’idea di nuove formazioni che siano espressione…<br />
P. C.: Ci sono due aspetti del problema. Il primo aspetto è questo: è pensabile<br />
che in Italia i <strong>cattolici</strong> non abbiano forme di rappresentanza <strong>politica</strong>? Si pensi soprattutto<br />
all’esperienza del sindacato, dell’associazionismo, del volontariato cattolico:<br />
come è possibile non dare a tutto ciò una forma di rappresentanza <strong>politica</strong>? Dopo<br />
aver risposto a questa domanda, si può poi studiare in quale modo, in quali contenitori<br />
e attraverso quali declinazioni ciò possa avvenire. Ma non c’è nessun dubbio<br />
che questo è un problema che va risolto, in partico<strong>la</strong>r modo da parte del centro<br />
sinistra. Il centro destra lo ha risolto, in chiave un po’ neogentiloniana. Io sono<br />
molto critico nei confronti dei <strong>la</strong>ici bigotti e degli atei devoti. Vedo che oggi<br />
l’ateismo devoto è partico<strong>la</strong>rmente diffuso: alcuni suoi interpreti sono molto noti,<br />
come Marcello Pera, di cui basta leggere quello che scriveva dieci anni fa e quello<br />
che scrive oggi per constatare come è cambiato, e per molti versi qualcosa di simile<br />
è accaduto a Galli Del<strong>la</strong> Loggia, il quale scriveva tempo fa, in una raccolta di saggi<br />
sull’Italia repubblicana pubblicata da Einaudi, che l’unica cultura che i <strong>cattolici</strong><br />
hanno dato al nostro Paese è quel<strong>la</strong> dei bigliardini degli oratori, mostrando nei<br />
confronti dei <strong>cattolici</strong> una totale sordità e sottovalutazione, mentre oggi esprime<br />
un’enfatizzazione che mi sembra abbastanza strumentale. L’altro aspetto del problema<br />
riguarda <strong>la</strong> dinamica del sistema politico e cioè il problema di come sia possibile,<br />
in un sistema politico bipo<strong>la</strong>re incompiuto e spurio, una rappresentazione<br />
del<strong>la</strong> tradizione cattolico democratica che è <strong>la</strong> tradizione più viva del cattolicesimo<br />
impegnato in <strong>politica</strong> in questo Paese. Dunque, non c’è dubbio che Tabacci e Pezzotta<br />
pongano una domanda fondata. Io non so quale sia <strong>la</strong> loro risposta a questa<br />
domanda e cioè quale sia il loro progetto, ma non credo che vogliano formare un<br />
nuovo partito. In ogni caso, ritengo personalmente che, di fronte ad un pluralismo<br />
politico attuale dei <strong>cattolici</strong> assolutamente diverso dal<strong>la</strong> vecchia diaspora, promuovere<br />
un nuovo, ennesimo piccolo partito sarebbe improprio rispetto anche ai fini<br />
che si perseguono. Se il fine è quello di dare visibilità a una presenza organizzata dei<br />
<strong>cattolici</strong> nel nostro Paese, dar vita a un piccolo partito, non mi sembra una soluzione<br />
auspicabile.<br />
C.: Quindi, anche quando si par<strong>la</strong> di sistema elettorale proporzionale secondo<br />
lei comunque l’opzione di un partito democratico che raccolga anche i <strong>cattolici</strong><br />
è quel<strong>la</strong> che deve prevalere?<br />
P. C.: Questa è <strong>la</strong> mia convinzione per il centro sinistra, poi per quanto riguarda<br />
il centro destra…<br />
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Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Paolo Corsini<br />
C.: Come crede che possano convivere due sensibilità così diverse, quel<strong>la</strong> dei<br />
<strong>cattolici</strong> e quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> sinistra all’interno del Partito democratico? Mentre <strong>la</strong><br />
Chiesa sembra avere sempre più una presenza pubblica diretta, qual è <strong>la</strong> posizione<br />
di un cattolico all’interno del Partito democratico?<br />
P. C.: Più che una convivenza, personalmente auspicherei una sorta di sartriana<br />
comunità di fusione nel Partito democratico. Credo che questo sia possibile se, da<br />
un <strong>la</strong>to, non c’è un irrigidimento ideologico ed i problemi non vengono affrontati<br />
soltanto nei termini di petizioni di principio, se, cioè, c’è una sinistra che sappia recuperare<br />
una dimensione di apertura al<strong>la</strong> socialità; dall’altro, se c’è una presenza di<br />
<strong>cattolici</strong>, di credenti che vedano nel<strong>la</strong> mediazione <strong>politica</strong> il punto di soluzione delle<br />
controversie, fermo restando che, nei casi estremi, mi sembrerebbe opportuno<br />
affermare e riconoscere il primato del<strong>la</strong> coscienza. Resta sempre ferma per un cattolico<br />
una doppia fedeltà che va naturalmente riconciliata e ricomposta, cioè <strong>la</strong> fedeltà<br />
alle proprie convinzioni di fede e <strong>la</strong> fedeltà alle soluzioni politiche possibili,<br />
praticabili. Ma è sul terreno del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> che va trovata <strong>la</strong> soluzione. Vorrei richiamare<br />
<strong>la</strong> vicenda del divorzio. La chiave di interpretazione del problema del divorzio<br />
che dettero i <strong>cattolici</strong> democratici per il no, capeggiati da un maestro come Pietro<br />
Scoppo<strong>la</strong>, è una chiave che oggi può essere riproposta; così pure, un’interpretazione<br />
del tema dell’aborto che non lo presenti come un diritto civile, ma come esigenza<br />
di una legis<strong>la</strong>zione che ponga rimedio ad una esperienza comunque sempre dolorosa<br />
e mortificante.<br />
Sul secondo punto, non c’è alcun dubbio che l’esperienza religiosa ha una valenza<br />
pubblica, lo vediamo a maggior ragione nel tempo del multiculturalismo religioso,<br />
direi che è ormai dirompente, prorompente. Persino il <strong>la</strong>icista più impenitente,<br />
persino il <strong>la</strong>icista più clericale, perché il <strong>la</strong>icismo è una forma di clericalismo<br />
<strong>la</strong>ico, non può non vedere questo dato. Dunque va riconosciuto lo spazio pubblico<br />
del<strong>la</strong> religione, naturalmente nel rispetto del<strong>la</strong> distinzione di ruoli e del<strong>la</strong> <strong>la</strong>icità<br />
dello Stato, di uno Stato, come il nostro, che è <strong>la</strong>ico in quanto democratico e pluralista.<br />
Ma il ruolo del<strong>la</strong> Chiesa come magistero, come coscienza dell’umanità, come<br />
richiamo a un sistema di principi non mi pare possa essere messo in discussione.<br />
Naturalmente, il punto del<strong>la</strong> mediazione <strong>politica</strong> è centrale: <strong>la</strong> mediazione <strong>politica</strong><br />
è il luogo nel quale è possibile <strong>la</strong> convivenza o <strong>la</strong> comunità di fusione. Per quanto<br />
riguarda <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse dirigente, io vedo un depauperamento del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse dirigente e soprattutto<br />
del<strong>la</strong> sua statura culturale in questo Paese e vedo che c’è una certa sordità,<br />
c’è una certa indifferenza, c’è una sorta di agnosticismo politico. Direi che se penso<br />
al<strong>la</strong> Costituente, al<strong>la</strong> tradizione del Pci, a Togliatti e al discorso di Bergamo, credo<br />
che assistiamo al paradosso di una sinistra sempre meno ideologica, sempre più<br />
pragmatica, ma che rinuncia a interrogarsi sul valore del dialogo sui grandi temi,<br />
sui grandi principi, sul destino dell’uomo, su quelli che sono i fondamenti del<strong>la</strong> democrazia.<br />
La democrazia non può non avere un fondamento religioso, perché altri-<br />
83
Paolo Corsini<br />
menti <strong>la</strong> democrazia se è soltanto un sistema di regole, non ha più qualcosa che <strong>la</strong><br />
fondi e non ha più qualcosa che <strong>la</strong> giudichi.<br />
C.: Nel<strong>la</strong> insufficienza di rapporti tra forze politiche e mondo cattolico, c’è<br />
una timidezza dell’associazionismo cattolico o una tendenza presente nel Partito<br />
democratico che va in un’altra direzione?<br />
P. C.: C’è l’uno e l’altro. Da parte di molte realtà cattoliche c’è un atteggiamento<br />
spesse volte strumentale nei confronti del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>: chiedono al<strong>la</strong> <strong>politica</strong> un’adesione<br />
formale, ossequiosa, ed esteriore, chiedono il <strong>la</strong>icismo bigotto o l’ateismo<br />
devoto. Dall’altro <strong>la</strong>to, invece c’è da parte dei politici una sorta di depauperamento<br />
culturale, una incapacità di interrogarsi sulle provocazioni che il fatto cristiano propone<br />
anche al<strong>la</strong> <strong>politica</strong>. Ciò avviene perché non c’è più educazione al<strong>la</strong> <strong>politica</strong>,<br />
formazione al<strong>la</strong> <strong>politica</strong> e oggi in Italia “un Marcel diventa ogni vil<strong>la</strong>n che parteggiando<br />
viene”, per dir<strong>la</strong> con Dante.<br />
C.: All’interno del Partito democratico, <strong>la</strong> componente cattolico democratica<br />
sarà subalterna, così come è sembrato negli ultimi mesi o avrà <strong>la</strong> possibilità di affermarsi<br />
maggiormente?<br />
P. C.: Credo che sia una partita aperta. So che <strong>la</strong> <strong>politica</strong> è lotta per il primato,<br />
per <strong>la</strong> gestione del potere, per l’assunzione del<strong>la</strong> responsabilità di governo, è certamente<br />
questo. Però guarderei con un certo sospetto nel Partito democratico <strong>la</strong> fossilizzazione<br />
delle correnti, e cioè i <strong>cattolici</strong> da una parte gli ex diessini dall’altra, gli<br />
ex margherita o ex popo<strong>la</strong>ri da una parte e gli ex diessini dall’altra. È vero che Veltroni<br />
sta cercando un’operazione di mixofilia, direbbe Bauman, e cioè di cultura<br />
del<strong>la</strong> mesco<strong>la</strong>nza, di amore del<strong>la</strong> mesco<strong>la</strong>nza. Credo che questa sia <strong>la</strong> strada da percorrere<br />
in nome di una mediazione <strong>politica</strong> possibile.<br />
C.: Un partito come quello democratico, a vocazione maggioritaria, non dovrebbe<br />
e<strong>la</strong>borare maggiormente un progetto sul ruolo complessivo del<strong>la</strong> Chiesa e<br />
dei <strong>cattolici</strong>, come hanno già fatto gli altri principali politici italiani, Cavour,<br />
Giolitti, De Gasperi?<br />
P. C.: C’è una scelta che il Partito democratico non deve assolutamente fare,<br />
quel<strong>la</strong> di una sorta di nuovo patto Gentiloni del tutto strumentale. È un problema<br />
di fondo, di una cultura <strong>politica</strong> che non sia né agnostica, né indifferente, ma che<br />
guardi al mondo cattolico come a una riserva, un giacimento di valori, questo è il<br />
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Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Paolo Corsini<br />
punto. Se nel Partito democratico prevale questa convinzione, allora va da sé che ne<br />
scaturiranno politiche adeguate.<br />
C.: Passando ai programmi politici, <strong>la</strong> sicurezza è una dei temi dibattuti all’interno<br />
del Partito democratico e non ci sono state remore a par<strong>la</strong>re di tolleranza<br />
zero. Che differenze ci possono essere su questo tema tra un Partito democratico<br />
e le forze del centro destra su questo terreno?<br />
P. C.: È evidente <strong>la</strong> differenza, e cioè che il centro destra si ispira a una ideologia<br />
di tipo securitarista e il Partito democratico tarda a interiorizzare una cultura non sociologistica<br />
dei problemi del<strong>la</strong> sicurezza, e cioè <strong>la</strong> consapevolezza che i problemi del<strong>la</strong><br />
sicurezza sono indotti da fattori di modernizzazione, non di arretratezza: <strong>la</strong> insicurezza<br />
non è il frutto di condizioni sociali disagiate o subalterne. Quindi credo che il<br />
Partito democratico dovrebbe assumere pienamente <strong>la</strong> busso<strong>la</strong> del<strong>la</strong> sicurezza come<br />
orizzonte di libertà e di democrazia ed acquisire compiutamente il principio che <strong>la</strong><br />
sicurezza appartiene anche al<strong>la</strong> giustizia, non tanto intesa come ordinamento, ma<br />
come sistema di opportunità e di capacità concrete riconosciute a tutti. Credo che il<br />
Partito democratico erediti un qualche ritardo in ordine a questo problema.<br />
C.: È soddisfatto di come è stata affrontata nel dibattito del Partito democratico<br />
<strong>la</strong> “questione settentrionale”?<br />
P. C.: No, è stata affrontata con notevolissimo ritardo, non sono per niente<br />
soddisfatto, anche perché il Partito democratico deve raccogliere una sfida. Il Partito<br />
democratico è erede di tradizioni che accentravano <strong>la</strong> loro attenzione e <strong>la</strong> loro attività<br />
<strong>politica</strong> strutturando<strong>la</strong> attorno al polo ordinatore dei valori del progresso. Io<br />
credo che senza dismettere questa tradizione che va tenuta ferma, il vero tema che il<br />
Partito democratico al nord deve affrontare è <strong>la</strong> sfida del governo dello sviluppo<br />
del<strong>la</strong> modernizzazione. La modernizzazione è un processo ambivalente, tuttavia i<br />
deficit infrastrutturali del nord, <strong>la</strong> possibilità di intercettare le aspettative di ceti<br />
emergenti e di “nuove borghesie”, di affrontare i problemi dell’uguaglianza anche e<br />
soprattutto sotto il profilo del<strong>la</strong> conoscenza sono problemi urgenti. Don Mi<strong>la</strong>ni<br />
aveva visto giusto: l’uguaglianza non è soltanto come <strong>la</strong> sinistra l’ha sempre vissuta,<br />
non è soltanto un problema patrimoniale, appropriativo, di proprietà. In realtà nel<strong>la</strong><br />
società del<strong>la</strong> conoscenza è fondamentale il tema del<strong>la</strong> padronanza del linguaggio,<br />
del pensiero, del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> e quindi del<strong>la</strong> crescita del<strong>la</strong> cultura e delle opportunità.<br />
La visita di Veltroni a Don Mi<strong>la</strong>ni, non è soltanto l’omaggio a un profeta del nostro<br />
tempo, ma quando Don Mi<strong>la</strong>ni scrive nel<strong>la</strong> lettera al<strong>la</strong> professoressa, “vedi tu Franchino<br />
sarai sempre diverso da Pierino, perché Pierino dispone di migliaia di parole<br />
85
Paolo Corsini<br />
e tu invece no”, pronuncia una “profezia”: Don Mi<strong>la</strong>ni aveva capito che nel<strong>la</strong> società<br />
contemporanea l’uguaglianza investe soprattutto le opportunità che vanno<br />
coltivate sul terreno del<strong>la</strong> crescita culturale e dell’appropriazione dei fattori del<strong>la</strong><br />
conoscenza. Credo che il Partito democratico debba assolutamente spingere in<br />
questa direzione e investire sul<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>, sul<strong>la</strong> ricerca, sull’università, sull’innovazione<br />
che sono fattori di uguaglianza, non di differenziazione.<br />
C.: Quali sono gli altri punti che qualificano maggiormente <strong>la</strong> questione settentrionale?<br />
P. C.: Il primo punto per il nord è inverare <strong>la</strong> democrazia del<strong>la</strong> decisione. Se <strong>la</strong><br />
decisione scaturisce da procedure legittime e democratiche, va assolutamente assunta<br />
e credo che qui ci sia sostanzialmente un ritardo, una mancanza di piglio decisorio.<br />
Non sto teorizzando, come dire, <strong>la</strong> <strong>politica</strong> forte, l’imposizione e così via,<br />
ma <strong>la</strong> progettualità partecipata non può che approdare a una democrazia del<strong>la</strong> decisione<br />
compiuta e questo da sindaco lo vivo tutti i giorni. Questo è il problema culturale,<br />
direi quasi antropologico per il Partito democratico del nord, perché soltanto<br />
una compiuta democrazia del<strong>la</strong> decisione e del<strong>la</strong> responsabilità può consentire di<br />
porre mano ai grandi nodi di questo territorio.<br />
C.: La questione settentrionale è stata agitata anzitutto dal<strong>la</strong> Lega…<br />
P. C.: Credo che tale questione si accentuerà sempre di più, basti pensare al<br />
ruolo di alcuni ceti, al<strong>la</strong> loro dislocazione sociale, al peso che oggi assumono nel<strong>la</strong><br />
società italiana. Io leggo <strong>la</strong> Lega come l’equivoco del<strong>la</strong> modernizzazione, cioè <strong>la</strong> Lega<br />
è una sorta di rivolta dei produttori che vogliono da un <strong>la</strong>to <strong>la</strong> modernità e dall’altro<br />
<strong>la</strong> temono. Sono insieme liberisti e protezionisti, sono liberisti quando fa comodo<br />
e protezionisti quando invece non è più conveniente. La Lega è soprattutto<br />
questo, è un fatto antropologico che diventa <strong>politica</strong> di fronte agli equivoci e alle<br />
ambivalenze del<strong>la</strong> modernizzazione. Poi naturalmente su questo si innescano fattori<br />
storici e problemi irrisolti dello sviluppo italiano.<br />
C.: Quale atteggiamento possono avere i <strong>cattolici</strong> verso <strong>la</strong> Lega Nord?<br />
P. C.: Per me <strong>la</strong> Lega Nord è una forma di neo paganesimo e quindi direi che di<br />
fronte al<strong>la</strong> Lega Nord il cattolico ha un solo problema: quello di salvarsi l’anima. Al<br />
di là degli atteggiamenti ossequiosi verso il cattolicesimo, <strong>la</strong> Lega Nord significa il<br />
Dio Po, <strong>la</strong> sacra ampol<strong>la</strong>, l’attacco al Papa, <strong>la</strong> denigrazione delle esperienze cattoli-<br />
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Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Paolo Corsini<br />
che più vere… C’ è poi il recupero di tradizioni perfino reazionarie che fanno riferimento<br />
ad alcuni aspetti specifici e facilmente identificabili del<strong>la</strong> cultura neo radicale<br />
di destra.<br />
C.: Lei conosce molto bene le zone bianche e <strong>la</strong> Lombardia. Come vede il futuro<br />
del Partito democratico in Lombardia e come vede <strong>la</strong> prossima elezione del<br />
governatore del<strong>la</strong> Lombardia, deve essere un cattolico?<br />
P. C.: Anzitutto il problema fondamentale del Partito democratico in Lombardia<br />
è uscire dal<strong>la</strong> sua subalternità <strong>politica</strong> e dal<strong>la</strong> sua minorità culturale. È il problema<br />
di misurarsi con il formigonianesimo, che è un fenomeno da assumere nel<strong>la</strong> sua<br />
dimensione reale e cioè insediamento, rapporti sociali, leadership <strong>politica</strong>, capacità<br />
di governo. Io credo che sarebbe sbagliata una demonizzazione dell’esperienza formigoniana,<br />
del<strong>la</strong> quale peraltro vanno denunciate le incongruità, i limiti, le arretratezze.<br />
Una sottovalutazione del significato che <strong>la</strong> presenza di Formigoni, e di ciò<br />
che rappresenta, ha assunto in Lombardia sarebbe assolutamente fuorviante e deleteria.<br />
Per quanto riguarda le prospettive politiche, non credo che necessariamente il<br />
futuro presidente debba essere un cattolico. La credibilità di una leadership democratica<br />
in Lombardia si affida a due risposte necessarie, a due ordini di problemi,<br />
come ho già detto: il governo dello sviluppo e non soltanto il recupero del<strong>la</strong> tradizione<br />
dei valori del progresso da un <strong>la</strong>to, e, dall’altro, una leadership <strong>politica</strong> che sia<br />
in grado di dare una risposta alle istanze, agli interrogativi, ai bisogni che emergono<br />
dal mondo cattolico, per stare all’ambito che <strong>la</strong> domanda mi pone. Il leader non<br />
deve necessariamente essere un cattolico, però se sarà un leader <strong>la</strong>ico non potrà prescindere<br />
dal capire che in Lombardia il mondo cattolico non è soltanto una testimonianza<br />
di fede, è anche movimenti, strutture organizzate, realtà associative, presenze<br />
sindacali, organizzazioni storiche: questo il riferimento cui bisogna guardare.<br />
<br />
87
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Preparazione al<strong>la</strong> <strong>politica</strong>:<br />
l’esperienza di Retinopera<br />
Retinopera è un’associazione sorta nel 2002, dopo una<br />
gestazione di qualche anno, per iniziativa di un gruppo<br />
di <strong>la</strong>ici, tra cui i presidenti di alcune realtà aggregative<br />
di antica tradizione e di nuova origine; nel 2005 si<br />
è organizzata in forma di associazione.<br />
Obiettivo dell’iniziativa è quello di mediare <strong>la</strong> dottrina<br />
sociale del<strong>la</strong> Chiesa rendendo<strong>la</strong> impegno concreto dei<br />
<strong>cattolici</strong> nel<strong>la</strong> società e via ad una nuova soggettività<br />
del <strong>la</strong>icato.<br />
La natura di Retinopera, il contesto sociale e politico<br />
italiano e <strong>la</strong> posizione dei <strong>cattolici</strong> in esso hanno fatto sì che<br />
verso questa esperienza si rivolgesse l’attenzione interessata<br />
di alcuni e il sospetto di altri. Interesse per un’esperienza che<br />
poteva promettere una ripresa di presenza dei <strong>cattolici</strong> nel<strong>la</strong><br />
società; che suscitava speranza in vista di un rinnovamento<br />
di una realtà sociale e <strong>politica</strong> fattasi sempre più difficile e<br />
spesso lontana dal<strong>la</strong> sensibilità e dai valori cari al mondo cattolico.<br />
Sospetto, in chi ha visto in Retinopera il tentativo di<br />
ridare vita ad un futuro nuovo partito di <strong>cattolici</strong>; diffidenza<br />
soprattutto in chi è abituato a vedere in loro un inciampo<br />
più che una risorsa per <strong>la</strong> società.<br />
Tenendo presente le domande che spesso mi sono state<br />
rivolte in questi anni, vorrei provare a ripercorrere il cammino<br />
di questa esperienza, esaminando di essa opportunità e<br />
rischi, ancora tutti aperti in una realtà difficile e che ha alle<br />
proprie spalle un tratto di strada così breve.<br />
PAOLA BIGNARDI<br />
Direttore del<strong>la</strong><br />
rivista «Scuo<strong>la</strong><br />
Italiana Moderna»<br />
≈<br />
“Per capire<br />
Retinopera,<br />
occorre andare…<br />
al processo che<br />
negli ultimi<br />
decenni… ha visto<br />
affermarsi molte<br />
realtà aggregative<br />
che… hanno<br />
avvertito<br />
l’esigenza di<br />
ritrovarsi attorno<br />
a ciò che esse<br />
avevano in<br />
comune”<br />
≈<br />
89
Pao<strong>la</strong> Bignardi<br />
Dal<strong>la</strong> differenziazione ad una nuova domanda di unità<br />
Per capire Retinopera, occorre andare con il pensiero al processo che negli ultimi<br />
decenni, dopo <strong>la</strong> frantumazione dell’unità del passato, ha visto affermarsi molte<br />
realtà aggregative che, superata <strong>la</strong> fase dell’autoreferenzialità iniziale, hanno avvertito<br />
l’esigenza di ritrovarsi attorno a ciò che esse avevano in comune.<br />
Il mondo cattolico italiano aveva conosciuto sino agli anni immediatamente<br />
successivi al Concilio una sostanziale unità: pastorale, attorno al<strong>la</strong> parrocchia; del<strong>la</strong><br />
militanza <strong>la</strong>icale, attorno all’Azione Cattolica; <strong>politica</strong>, dal dopo guerra in poi, attorno<br />
al<strong>la</strong> Democrazia Cristiana.<br />
Questo mondo compatto comincia ad incrinarsi sotto <strong>la</strong> spinta dei cambiamenti<br />
culturali e sociali degli anni ’70-’80. Va rapidamente perduta l’unità di ispirazione<br />
del<strong>la</strong> pastorale, non risolta dalle forme di organizzazione nate nel dopo<br />
Concilio. Va in crisi l’unità <strong>politica</strong>, conclusa anche formalmente nel<strong>la</strong> bufera di<br />
Tangentopoli. Si trasforma profondamente il mondo del <strong>la</strong>icato, con il sorgere di<br />
nuove realtà di gruppo e con l’affermazione di realtà strutturate come sono i nuovi<br />
movimenti.<br />
Essi, caratterizzati da una forte identità e da una struttura carismatica forte, rispondono<br />
ad effettive esigenze di un tempo nuovo: raggiungono ambienti di vita<br />
che ormai <strong>la</strong> pastorale tradizionale non raggiunge più; si spendono per un nuovo<br />
annuncio del Vangelo; si esprimono attraverso forme di spiritualità nuove, più libere<br />
da quelle tradizionali, interpretando bisogni di interiorità, di ritrovamento di sé,<br />
di incontro con il mistero; raggiungono persone nuove, uscite dai circuiti comunicativi<br />
delle comunità cristiane.<br />
L’affermazione di queste esperienze è avvenuta spesso nel reciproco iso<strong>la</strong>mento,<br />
quando non anche, in alcuni passaggi cruciali, in confronti aspri o di vero e proprio<br />
conflitto. L’esperienza delle diverse aggregazioni è andata avanti raccolta su se stessa,<br />
sulle proprie attività e sulle proprie iniziative, senza scambi reciproci, nell’intenzione<br />
di rafforzare <strong>la</strong> propria identità e il proprio progetto. Concluso però il periodo<br />
iniziale, è parso chiaro che l’autoreferenzialità avrebbe costituito una debolezza<br />
per associazioni e movimenti, ma anche per <strong>la</strong> comunità cristiana, smarrita in un<br />
contesto di rapidi e accelerati cambiamenti, soprattutto sempre più in difficoltà ad<br />
assolvere il suo compito di essere sale e luce nel<strong>la</strong> società.<br />
La percezione del<strong>la</strong> fragilità connessa all’iso<strong>la</strong>mento delle aggregazioni; il disagio<br />
per <strong>la</strong> cattiva testimonianza causata dalle reciproche estraneità; <strong>la</strong> consapevolezza<br />
del<strong>la</strong> progressiva insignificanza sociale di un mondo cattolico frammentato…:<br />
tutto questo ha portato diversi responsabili delle associazioni e dei movimenti a<br />
cercare strade per uscire da questa situazione. I dialoghi informali e i rapporti interpersonali<br />
sono stati in questo di grande aiuto. Si è avviato così un processo di confronto<br />
e di ricerca per rendere le posizioni delle diverse aggregazioni un po’ meno<br />
90 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
lontane; soprattutto per diventare reciprocamente meno estranei. A chiedere questo<br />
mutamento erano soprattutto le nuove generazioni, estranee alle tensioni del<br />
passato. I rapporti tra le persone hanno preceduto quelli tra le realtà organizzate e<br />
hanno favorito quel<strong>la</strong> stima e quel<strong>la</strong> fiducia che può cambiare <strong>la</strong> qualità delle organizzazioni.<br />
La nascita di Retinopera e <strong>la</strong> sua evoluzione<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Pao<strong>la</strong> Bignardi<br />
In questo clima di ricerca di dialogo è nata l’idea di Retinopera, maturata in<br />
un gruppo di amici che iniziò a incontrarsi portato dal desiderio di sperimentare<br />
nuovi confronti.<br />
Dietro questa intenzione vi erano attese diverse: basta ascoltare i racconti dei<br />
protagonisti di quel<strong>la</strong> stagione per rendersi conto che ognuno di essi portava a quegli<br />
incontri istanze non omogenee: quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> formazione sociale insieme a quel<strong>la</strong><br />
di un’operatività concreta; quel<strong>la</strong> di tener viva <strong>la</strong> “causa cattolica” e quel<strong>la</strong> di studiare<br />
forme nuove e più efficaci di presenza sociale; quel<strong>la</strong> di far sentire <strong>la</strong> voce dei <strong>cattolici</strong><br />
in un contesto in cui essi rischiavano di essere muti e tagliati fuori dall’opinione<br />
pubblica e quel<strong>la</strong> di rendere possibile una nuova soggettività del <strong>la</strong>icato cattolico<br />
anche nel<strong>la</strong> comunità cristiana.<br />
Queste attese hanno trovato un punto di convergenza in un Manifesto dal titolo:<br />
Prendiamo il <strong>la</strong>rgo, firmato da un centinaio di persone, esponenti a diverso titolo<br />
del variegato mondo cattolico.<br />
Già in questo titolo è indicato lo spirito di Retinopera: il desiderio di prendere<br />
sul serio <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> di Giovanni Paolo II che all’inizio del millennio invitava a “prendere<br />
il <strong>la</strong>rgo”: i grandi orizzonti del<strong>la</strong> cultura, di una progettualità sociale capace di<br />
ideali e di valori; una nuova soggettività dei <strong>la</strong>ici cristiani, attraverso un’interpretazione<br />
creativa del<strong>la</strong> dottrina sociale del<strong>la</strong> Chiesa.<br />
Attraverso l’azione coordinata delle diverse aggregazioni, Retinopera vuole ri -<br />
familiarizzare i <strong>cattolici</strong> con i temi del<strong>la</strong> società e del<strong>la</strong> cultura. Le esperienze attraverso<br />
cui questo viene proposto sono <strong>la</strong> formazione, intesa come spiritualità e pensiero;<br />
l’ascolto del<strong>la</strong> Paro<strong>la</strong> di Dio e <strong>la</strong> lettura del<strong>la</strong> realtà di oggi; l’esercizio del discernimento<br />
come impegno a leggere e a valutare ciò che accade, al<strong>la</strong> ricerca dei segni<br />
dei tempi; e<strong>la</strong>borazione culturale a partire dalle provocazioni del<strong>la</strong> società in cui<br />
viviamo. In tal modo Retinopera si propone di favorire nelle diverse aggregazioni <strong>la</strong><br />
formazione di una coscienza sociale comune, capace di esprimersi nelle diverse situazioni<br />
di oggi.<br />
Retinopera si colloca al di qua dell’impegno politico, qualificandosi come esperienza<br />
formativa e culturale, volendo contribuire proprio con questa libertà a rigenerare<br />
<strong>la</strong> <strong>politica</strong> stessa.<br />
91
Pao<strong>la</strong> Bignardi<br />
Nell’estate del 2004 questo cammino ha visto un continuo crescendo, che si è<br />
espresso in una serie di eventi dei principali movimenti e organizzazioni con il<br />
coinvolgimento di diverse migliaia di persone; ha avuto il suo culmine a Loreto,<br />
durante il pellegrinaggio in cui Giovanni Paolo II ha incontrato l’Azione Cattolica,<br />
evento cui hanno partecipato rappresentanti di tutte le aggregazioni <strong>la</strong>icali. In quel<strong>la</strong><br />
circostanza, ciò che si era costruito con pazienza nel silenzio è emerso ed è diventato<br />
visibile, suscitando nell’opinione pubblica un dibattito in cui <strong>la</strong> polemica ha<br />
spesso prevalso sullo sforzo di conoscere, chiarire e capire.<br />
Dopo questo momento, Retinopera ha sentito il bisogno di darsi una forma<br />
più definita anche dal punto di vista istituzionale: si è data uno Statuto come associazione,<br />
cui partecipano sia responsabili di associazioni e movimenti, in quanto tali,<br />
sia alcune persone singole, soprattutto coloro che nel<strong>la</strong> fase fondativa hanno<br />
contribuito a dare vita all’esperienza.<br />
Le aggregazioni che hanno aderito a Retinopera, a ottobre 2007, sono:<br />
ACLI, AGESCI, Azione Cattolica, CIF, Coldiretti, Comunità di S. Egidio,<br />
CSI, CTG, FOCSIV, Fondazione Toniolo, FUCI, UNEBA. Partecipano ai <strong>la</strong>vori<br />
anche il Movimento dei Foco<strong>la</strong>ri, CL e CISL.<br />
Dopo Vallombrosa 2005, si è costituita anche una picco<strong>la</strong> lista di associazioni e<br />
movimenti in attesa di aderire.<br />
Il cammino vissuto insieme ha avuto in un seminario annuale a Vallombrosa il<br />
suo momento più importante di approfondimento e di dialogo, contribuendo a<br />
rendere più maturi gli obiettivi di Retinopera, che nello Statuto dell’associazione<br />
sono formu<strong>la</strong>ti così:<br />
“L’Associazione si costituisce come punto di incontro per lo studio, l’attuazione e <strong>la</strong><br />
diffusione del<strong>la</strong> Dottrina sociale del<strong>la</strong> Chiesa, con le finalità di valorizzare l’impegno<br />
dei cittadini sui piani spirituale, civile, culturale, educativo; di affermare e realizzare i<br />
valori e i diritti del<strong>la</strong> persona e delle comunità; di promuoverne <strong>la</strong> responsabile partecipazione<br />
allo sviluppo di una società democratica, ordinata al<strong>la</strong> realizzazione del bene<br />
comune.<br />
In ideale continuità con le Settimane sociali dei <strong>cattolici</strong> italiani e riconoscendosi nei<br />
principi costituzionali e fondativi degli ordinamenti italiano ed europeo, opera come <strong>la</strong>boratorio<br />
di riflessione e formazione, di convergenza attorno a specifici progetti ed obiettivi,<br />
di ricerca di posizioni comuni re<strong>la</strong>tivamente a questioni pubbliche di grande rilevanza<br />
e di promozione di conseguenti iniziative dell’associazionismo cattolico. (art. 3)<br />
A questi fini l’Associazione, anche in convergenza e con <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione di altri<br />
enti, organismi ed iniziative:<br />
92 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Pao<strong>la</strong> Bignardi<br />
– promuove l’incontro di studiosi, ricercatori, amministratori, esponenti del mondo politico,<br />
imprenditoriale, sindacale e del terzo settore ed assume ogni altra utile iniziativa<br />
ed azione;<br />
– organizza convegni, seminari, campagne e manifestazioni;<br />
– svolge attività di ricerca, formazione e progettazione anche con il concorso e <strong>la</strong> valorizzazione<br />
delle istituzioni ed iniziative operanti nell’ambito delle sue finalità;<br />
– svolge attività editoriale, di comunicazione e di informazione. (art 4)”.<br />
Nel gennaio del 2006, un’iniziativa realizzata a Napoli ha costituito <strong>la</strong> rappresentazione<br />
concreta delle possibilità e dello stile con cui Retinopera può operare sul<br />
territorio: si tratta di una Convention sul tema “Cristiani: da Napoli per un nuovo<br />
Mezzogiorno”. Nata dal<strong>la</strong> riflessione di Vallombrosa 2005 e dall’agenda sociale che<br />
in quell’occasione è stata approvata, l’appuntamento di Napoli ha visto una presenza<br />
numerosissima di persone appartenenti a tutte le aggregazioni di Napoli e che in<br />
un clima di partecipazione si sono incontrate per interrogarsi sul<strong>la</strong> realtà e sui problemi<br />
del<strong>la</strong> grandi città, a partire da una metropoli del Sud.<br />
La Convention ha avuto una singo<strong>la</strong>rità che l’ha differenziata da altri appuntamenti<br />
analoghi: è nata dal dialogo e dal <strong>la</strong>voro dei responsabili delle associazioni e<br />
dei movimenti locali: un’esperienza di corresponsabilità, di cui si è colto l’effetto<br />
nel coinvolgimento e nell’entusiasmo dei partecipanti.<br />
Condizioni di futuro di un’esperienza interessante e difficile<br />
L’esperienza di questi anni ha messo in luce quali sono le condizioni alle quali<br />
porre attenzione, perché Retinopera si consolidi, fedele ad un progetto che non<br />
ha nul<strong>la</strong> di scontato e che è tentato di continuo a tornare su esperienze del passato o<br />
su posizioni già sperimentate.<br />
Associazione di associazioni e movimenti<br />
Retinopera deve conservare il suo carattere di associazione di secondo livello, di<br />
associazione cioè costituita non da singole persone, ma da soggetti sociali, quali sono<br />
appunto le associazioni e i movimenti che ad essa aderiscono.<br />
A Retinopera non si può aderire come singoli. Restano alcune eccezioni motivate,<br />
ma <strong>la</strong> responsabilità e <strong>la</strong> guida poggia ormai sulle associazioni.<br />
Per far questo, è necessario che associazioni e movimenti conservino una forte<br />
regìa sul<strong>la</strong> progettualità e sull’operatività di Retinopera, testimoniandone l’origina -<br />
lità di esperienza di dialogo e di condivisione e mostrando come sia possibile una<br />
forma di re<strong>la</strong>zione significativa che non annul<strong>la</strong> le singole identità e non mortifica<br />
il loro carisma.<br />
93
Pao<strong>la</strong> Bignardi<br />
Saper camminare insieme<br />
È facile che, pur avvertendo l’esigenza di percorsi di comunione e di convergenza,<br />
al<strong>la</strong> prova dei fatti associazioni e movimenti siano tentati di frenare nel<strong>la</strong> realizzazione<br />
di progetti che li coinvolgono insieme, rendendo meno visibile <strong>la</strong> soggettività<br />
delle singole realtà aggregative. Ma compiere passi indietro sul<strong>la</strong> strada del<strong>la</strong><br />
convergenza significherebbe indebolire il valore dei <strong>la</strong>ici nel<strong>la</strong> vita del<strong>la</strong> comunità<br />
cristiana e l’efficacia del<strong>la</strong> testimonianza dei cristiani nel<strong>la</strong> società.<br />
Mi pare che oggi le aggregazioni – associazioni vecchie e nuove, movimenti ecclesiali<br />
vecchi e nuovi – abbiano compreso che non si ha nul<strong>la</strong> da perdere dal mettersi<br />
insieme, ma solo da guadagnare. Un’iniziativa che nasce non come espressione<br />
di un’associazione, ma di diverse realtà associate, dà maggiore efficacia all’iniziativa<br />
stessa e fa crescere l’aggregazione, nel<strong>la</strong> capacità di re<strong>la</strong>zione, che è il timbro del<strong>la</strong><br />
maturità. Con questo non si intende affermare che il mondo cattolico deve tornare<br />
ad essere (ma lo è mai stato?) una realtà omogenea, ma piuttosto che nel rispetto<br />
dei carismi e dei progetti associativi tipici di ciascuno, si impari ad affrontare insieme<br />
questioni che sono di tutti.<br />
Soggettività del <strong>la</strong>icato<br />
Retinopera ha <strong>la</strong> caratteristica di essere sorta per iniziativa dei <strong>la</strong>ici e per loro<br />
piena responsabilità. Essa è frutto di un <strong>la</strong>icato che si interroga sul<strong>la</strong> propria presenza<br />
nel<strong>la</strong> società, che è consapevole che i gravi problemi di questo momento non<br />
possono essere affrontati nell’iso<strong>la</strong>mento e nel<strong>la</strong> solitudine. Occorre che resti a Retinopera<br />
questa caratteristica, resistendo al<strong>la</strong> tentazione di rendere meno deso<strong>la</strong>ta <strong>la</strong><br />
solitudine nel<strong>la</strong> quale spesso si opera e di ricorrere a legittimazioni autorevoli per <strong>la</strong><br />
propria azione.<br />
D’altra parte, anche <strong>la</strong> Gerarchia deve riconoscere che se Retinopera è una risorsa<br />
per <strong>la</strong> Chiesa, questa non può che esserlo nel suo spirito <strong>la</strong>icale – che non significa<br />
assenza di legami ecclesiali e di re<strong>la</strong>zioni – nello spirito che il Concilio ha<br />
tratteggiato nel<strong>la</strong> Lumen Gentium.<br />
Questa è una delle situazioni in cui <strong>la</strong> fiducia del<strong>la</strong> Chiesa nei <strong>la</strong>ici deve mostrarsi<br />
in termini effettivi, nel riconoscimento cioè di competenze e di responsabilità<br />
che non devono ricondursi direttamente al<strong>la</strong> Chiesa.<br />
Libertà dal<strong>la</strong> <strong>politica</strong><br />
Retinopera, costituita da realtà associative e di movimento dal<strong>la</strong> differente<br />
sensibilità culturale e sociale, deve poter restare al di qua dell’impegno politico<br />
94 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Pao<strong>la</strong> Bignardi<br />
inteso come schieramento, pur sapendosi spingere sul concreto delle valutazioni<br />
e dei giudizi re<strong>la</strong>tivi al<strong>la</strong> vita sociale e civile. In questo modo si esercita <strong>la</strong> possibilità<br />
di discernimento, di opinione, di cultura dei <strong>cattolici</strong> in uno spazio non costretto<br />
dalle logiche partitiche e si ridimensiona l’opinione – a volte implicita, ma<br />
forte – che <strong>la</strong> <strong>politica</strong> sia l’unico spazio di una presenza incisiva dei <strong>cattolici</strong> nel<strong>la</strong><br />
polis.<br />
Retinopera può testimoniare che <strong>la</strong> <strong>politica</strong>, pur stimata come altissima vocazione,<br />
non è tutto e non è “l’esito obbligato” di ogni scelta di impegno. Anzi, molte<br />
esperienze di impegno sul territorio inducono a pensare che <strong>la</strong> vita di una città si<br />
cambia modificando atteggiamenti e stili; senso ordinario del<strong>la</strong> legalità e appartenenza<br />
al<strong>la</strong> città. È ciò che è già avvenuto nel nostro Paese negli anni dopo <strong>la</strong> seconda<br />
guerra mondiale. I <strong>cattolici</strong> hanno avuto un ruolo decisivo nel dare nuova forma<br />
all’Italia uscita dal<strong>la</strong> guerra, perché negli anni difficili del fascismo si erano dedicati<br />
a formare coscienze forti e libere. L’esperienza dei migliori di essi ha messo insieme<br />
santità e cultura.<br />
Radicamento locale<br />
Retinopera ha bisogno di radicarsi a livello locale, come esperienza di partecipazione<br />
e di corresponsabilità, cementata possibilmente da qualche progetto concreto<br />
da realizzare. Incontrarsi per conoscersi, o per raccontarsi ciò che ciascuna associazione<br />
o movimento realizza è bello, ma non può essere l’unico scopo di un’associazione.<br />
Portare avanti insieme qualche progetto non necessariamente impoverisce<br />
l’identità e il progetto di un’aggregazione; molto spesso <strong>la</strong> arricchisce dell’esperienza<br />
di un dialogo che matura e affina <strong>la</strong> capacità di discernere tra l’essenziale e<br />
ciò che è accessorio.<br />
In questo modo sarà possibile superare <strong>la</strong> fase di una formazione che rischia di<br />
restare astratta, per affrontare insieme situazioni che hanno bisogno di scelte; e al<br />
tempo stesso superare <strong>la</strong> tentazione di decisioni – politiche e amministrative – che<br />
patiscono <strong>la</strong> fretta delle scorciatoie, senza riflessione sufficiente e senza spessore culturale.<br />
Santità e seco<strong>la</strong>rità<br />
Retinopera può mostrare che ci sono <strong>la</strong>ici che, senza staccarsi dal<strong>la</strong> comunità<br />
cristiana e senza passare ad una militanza <strong>politica</strong>, sono impegnati a vivere quel<strong>la</strong><br />
seco<strong>la</strong>rità che costituisce un elemento specifico, cui ridare dignità cristiana, vigore,<br />
attenzione. Dopo il Concilio, l’esperienza del <strong>la</strong>icato ha patito una sorta di schizofrenia,<br />
tra chi si è dedicato soprattutto al<strong>la</strong> vita del<strong>la</strong> città, talvolta perdendo i contatti<br />
con <strong>la</strong> comunità cristiana, e chi si è dedicato quasi esclusivamente al<strong>la</strong> vita pa-<br />
95
Pao<strong>la</strong> Bignardi<br />
storale del<strong>la</strong> parrocchia. Occorre oggi fare un passo avanti in una cultura e spiritualità<br />
cristiana di sintesi, che tiene insieme preghiera e dibattito; attenzione al<strong>la</strong> città e<br />
attenzione al<strong>la</strong> Chiesa; interiorità e cultura.<br />
Retinopera vorrebbe essere uno di questi luoghi.<br />
96 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Il senso dell’esperienza <strong>politica</strong><br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Il movimento dei Foco<strong>la</strong>ri:<br />
una scelta di campo<br />
Quando vado alle radici del mio impegno politico,<br />
debbo ricordare ciò che è avvenuto quando, con altri<br />
giovani, venni in contatto con il carisma dell’unità di<br />
Chiara Lubich. L’esperienza personale di Dio Amore<br />
diventò esigenza di rendere sperimentabile, oggi, <strong>la</strong><br />
Sua presenza d’amore per l’umanità: non si poteva più<br />
essere indifferenti. Si trattava di assumere il problema<br />
altrui come nostro: andare in un campo rom ad aiutare<br />
i bambini nel dopo-scuo<strong>la</strong>; andare a trovare gli anziani<br />
soli, cercando di dare quello che potevamo; rivedere<br />
con gli occhi del<strong>la</strong> giustizia quanto ognuno di noi possedeva<br />
– tempo, vestiti, denaro – per condividerlo con<br />
chi era nel bisogno, essere pronti a partire quando succedeva<br />
qualche tragedia che non poteva <strong>la</strong>sciarci indifferenti<br />
(il terremoto in Irpinia, per esempio).<br />
Quando, dopo qualche anno, mi è stato chiesto di<br />
candidarmi, é stato chiaro che si trattava di dire di sì un’altra<br />
volta: era <strong>la</strong> stessa esperienza. Se era stato importante continuare<br />
a rispondere volta per volta alle emergenze sociali,<br />
questo non bastava. Occorreva portare <strong>la</strong> stessa logica anche<br />
nel<strong>la</strong> decisione di realizzare un’opera pubblica cittadina, o<br />
nel<strong>la</strong> redazione del<strong>la</strong> legge finanziaria dello Stato, o nelle dinamiche<br />
del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> internazionale… Ciò che non cambiava<br />
era il senso del<strong>la</strong> nostra esperienza cristiana: il Vangelo<br />
non era qualcosa da vivere individualmente, in un rapporto<br />
verticale fra me e Dio; era un messaggio vero e da concretizzare<br />
“dai tetti in giù” – come un giorno Chiara Lubich disse<br />
a noi giovani gen – anche assumendo responsabilità dentro il<br />
mondo del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>.<br />
LUCIA FRONZA<br />
CREPAZ<br />
Presidente<br />
Movimento politico<br />
per l’unità -<br />
Foco<strong>la</strong>ri<br />
≈<br />
“È necessario …<br />
proporre ai nostri<br />
giovani un patto<br />
intergenerazionale<br />
per contribuire a<br />
dare al<strong>la</strong> <strong>politica</strong><br />
il suo autentico<br />
spirito di impegno<br />
comunitario”<br />
≈<br />
97
Lucia Fronza Crepaz<br />
Il messaggio per lei e le sue prime compagne era stato chiaro fin dai primi tempi,<br />
durante <strong>la</strong> tragedia del<strong>la</strong> seconda guerra mondiale: il Testamento di Gesù “Che<br />
tutti siano uno” (Gv. 17,21), quell’unità del<strong>la</strong> famiglia umana nell’amore del Padre,<br />
era <strong>la</strong> loro visione del reale e <strong>la</strong> loro vocazione. L’unità scelta come scopo del<strong>la</strong> vita:<br />
un dono del Cielo e allo stesso tempo un mandato a portare l’unità <strong>la</strong>ddove ancora<br />
non c’è.<br />
Una sfida accolta personalmente e nello stesso tempo una tensione insopprimibile<br />
scoperta dentro le vicende sociali e nel<strong>la</strong> stessa storia dell’umanità; un cammino<br />
progressivo e ineluttabile e altresì da accompagnare e sostenere con scelte responsabili<br />
e coraggiose.<br />
Gli antropologi fanno risalire <strong>la</strong> nascita del<strong>la</strong> società umana ad una scoperta<br />
ben precisa. Essi hanno attribuito questo partico<strong>la</strong>re significato al periodo a cui si<br />
può far risalire lo scheletro ritrovato di un uomo di circa trent’anni che ha una<br />
gamba chiaramente e pesantemente lesionata. Il trauma, che risulta evidente risalire<br />
all’infanzia, indica che quell’uomo ha vissuto quasi tutta <strong>la</strong> sua lunga vita (per<br />
quell’epoca, trent’anni dovevano essere una lunga vita!) da disabile.<br />
Senza l’aiuto di altri uomini, non avrebbe potuto continuare a vivere in un ambiente<br />
fortemente ostile, dove solo <strong>la</strong> caccia forniva le risorse per <strong>la</strong> sopravvivenza.<br />
Questo dunque, per gli antropologi, il carattere “umano” dell’evoluzione sociale:<br />
una comunità in cui le persone si fanno coscientemente responsabili l’uno dell’altro,<br />
per cui il vivere dell’uomo è qualcosa di più del semplice porsi in re<strong>la</strong>zione<br />
“con” – anche nel branco, si va a caccia “con” –; <strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione che caratterizza <strong>la</strong> società<br />
umana è descritta piuttosto dal<strong>la</strong> preposizione “per”.<br />
Se è così, quando parliamo di <strong>politica</strong>, dobbiamo intendere un’azione al servizio<br />
di quel legame sociale che unisce reciprocamente gli uomini tra loro, l’arte necessaria<br />
a comporre in unità <strong>la</strong> convivenza degli uomini, <strong>la</strong> strada per concorrere al<strong>la</strong><br />
realizzazione di una comunità di fratelli.<br />
I vari fronti del<strong>la</strong> crisi <strong>politica</strong><br />
Ci sono molti fronti su cui focalizzare l’attenzione par<strong>la</strong>ndo dell’attuale crisi<br />
che attraversa <strong>la</strong> <strong>politica</strong>. Ma c’è n’è uno partico<strong>la</strong>re, che a mio parere ci aiuta a<br />
scorgerne <strong>la</strong> ragione e <strong>la</strong> direzione nel<strong>la</strong> ricerca di soluzioni non superficiali.<br />
Al<strong>la</strong> radice delle grandi domande rivolte al<strong>la</strong> <strong>politica</strong> è possibile rintracciare un<br />
elemento che le accomuna tutte: il venir meno delle tradizionali forme di comunicazione<br />
e di convivenza fra gli esseri umani, che diventa difficoltà nel rapporto interpersonale,<br />
sociale e politico. Penso all’innegabile humus di ingiustizia sociale e<br />
<strong>politica</strong> che è al<strong>la</strong> base del proliferare di fondamentalismi e di terrorismi di varia<br />
matrice, penso al<strong>la</strong> difficoltà di avere davanti agli occhi le generazioni future quan-<br />
98 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
do consumiamo l’ambiente, penso al<strong>la</strong> mancanza di spazio per le minoranze e le diversità<br />
dentro <strong>la</strong> rete di una comunicazione artificialmente globalizzata, penso al problema<br />
del<strong>la</strong> violenza che, a dispetto di fondamentali acquisizioni di civiltà giuridica,<br />
torna ad essere scelta come mezzo per risolvere le questioni, ma penso anche al bisogno<br />
ormai non rimandabile di affrontare <strong>la</strong> crisi del welfare come community globale.<br />
Al cuore di problematiche così apparentemente frastagliate, mi pare sia evidente<br />
il comune denominatore: quello dell’incapacità di con-vivere.<br />
Il nostro è un tempo <strong>la</strong>cerato da mille divisioni, ma che rive<strong>la</strong> un’innegabile domanda<br />
di unità. Nei confronti di questa domanda si impone con urgenza una scelta<br />
radicale fra due opzioni: <strong>la</strong> strada del<strong>la</strong> difesa ad oltranza del molto (o del poco)<br />
su cui contare per perpetuare le nostre certezze, costruendo grandi muri attorno ai<br />
nostri quartieri/città/stati/culture-fortezza, oppure <strong>la</strong> strada del<strong>la</strong> sforzo di leggere<br />
<strong>la</strong> storia in profondità e guardando all’“uomo-mondo” che ci sta davanti.<br />
Dove si colloca il cristiano?<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Lucia Fronza Crepaz<br />
Ed il cristiano?<br />
La figura del cristiano che oggi viene in rilievo non è certo quel<strong>la</strong> di una persona<br />
che cerca un’ascesi consumata dentro <strong>la</strong> solitudine, che vede il fratello come un<br />
ostacolo per <strong>la</strong> ricerca di Dio, ma piuttosto una figura frutto e quindi fonte di un’esperienza<br />
comunitaria, innervata da una “spiritualità di comunione” come Giovanni<br />
Paolo II <strong>la</strong> definisce nel<strong>la</strong> Novo Millennio Ineunte.<br />
La specificità del<strong>la</strong> proposta cristiana attinge al cuore stesso del messaggio di<br />
Gesù, a quello che Lui stesso chiama “comandamento suo e nuovo”: “Amatevi l’un<br />
l’altro come io ho amato voi” (Gv 13,34).<br />
Quel “costruire comunità” che contraddistingue i seguaci di Gesù, non li allontana<br />
dagli interrogativi che oggi pone <strong>la</strong> storia, non li iso<strong>la</strong> dalle sue fratture, anzi, li<br />
pone al<strong>la</strong> radice delle domande del presente, perché il creare legami, il praticare <strong>la</strong><br />
condivisione, <strong>la</strong> ricerca di “ciò che unisce” è il retroterra sostanziale e imprescindibile<br />
di ogni possibile risposta. Il resto, si potrebbe dire semplificando, ne è solo<br />
conseguenza.<br />
Già nel<strong>la</strong> Christifideles <strong>la</strong>ici, si legge che nel<strong>la</strong> realtà di oggi, l’incidenza culturale<br />
del messaggio cristiano “può realizzarsi solo con l’opera non tanto dei singoli<br />
quanto di un ‘soggetto sociale’, ossia di un gruppo, di una comunità, di un’associazione,<br />
di un movimento” (II, 29).<br />
Devo dire che <strong>la</strong> recente pubblicazione del Compendio del<strong>la</strong> Dottrina Sociale<br />
ha offerto nuovi elementi per una rilettura dell’identità e del<strong>la</strong> missione del cristiano,<br />
del<strong>la</strong> comunità cristiana. Viene in evidenza <strong>la</strong> novità di una impostazione antropologica<br />
illuminata dal<strong>la</strong> prospettiva dell’Amore trinitario, con tutte le conseguenze<br />
che ne derivano. Gesù, il Dio Amore fatto uomo, diventa modello per il no-<br />
99
Lucia Fronza Crepaz<br />
stro agire anche sociale e politico, ed il suo comando – “da questo conosceranno<br />
che siete miei discepoli!” – si fa nuova grammatica del<strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione sociale.<br />
Il Concilio Vaticano II insegna che il comandamento nuovo del<strong>la</strong> carità non è<br />
soltanto “<strong>la</strong> legge fondamentale dell’umana perfezione”, ma anche “del<strong>la</strong> trasformazione<br />
del mondo” (GS 38).<br />
Si intuisce, allora, che il paradigma antropologico c<strong>la</strong>ssico entro cui si è costruita<br />
<strong>la</strong> cultura del<strong>la</strong> modernità, impostato sull’individuo, monade solitaria, dedito a<br />
difendere i propri diritti individuali (homo homini lupus...), deve <strong>la</strong>sciare il passo ad<br />
un nuovo paradigma fondato sull’amore e sul<strong>la</strong> responsabilità reciproca, da cui fiorisce<br />
non solo una “spiritualità di comunione”, ma anche una “cultura del<strong>la</strong> comunione”<br />
che investe tutte le espressioni dell’esistenza umana.<br />
Quel<strong>la</strong> a cui siamo chiamati come cristiani dunque non è <strong>la</strong> costruzione di<br />
una comunità chiusa, di una FILIA elettiva, ma è attesa e realizzazione di una<br />
AGAPE che Gesù stesso ha voluto universale, aperta allo straniero, con i confini di<br />
quell’“ut omnes” che è il suo testamento (Gv. 17,21).<br />
Il cristiano è qualcuno che vive nello stupore l’esperienza dell’amore del Padre.<br />
Ma questa scoperta non può che essere intimamente legata ad una conseguenza: “vi<br />
è un solo Padre, Dio, e voi siete tutti fratelli” (cfr. Mt. 23,8-9). Considerare ogni<br />
uomo come fratello diviene “abitudine” – una virtù, “<strong>la</strong>” virtù cristiana (l’amore!) –<br />
l’unica precomprensione che c’è consentita.<br />
Allora, in <strong>politica</strong>?<br />
Penso che proprio questa visione e questa esperienza del<strong>la</strong> fraternità, e del<strong>la</strong> fraternità<br />
universale, costituisca <strong>la</strong> premessa per l’apporto specifico che i cristiani possono<br />
e devono dare al<strong>la</strong> <strong>politica</strong>.<br />
Per capirci ciò di cui parliamo non è un’idea che ca<strong>la</strong> dall’alto come un deus ex<br />
machina, o il sogno ricorrente di una umanità finalmente uniformata dal disegno<br />
fraterno di qualche setta più o meno potente. Non è nemmeno l’appello ad una risorsa<br />
ad una norma etica che si alza quando i progetti e <strong>la</strong> realtà del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> non<br />
sanno più chi convocare in aiuto…<br />
Questo valore, dono di Gesù agli uomini, ma diventato man mano patrimonio<br />
dell’umanità intera, ha in sé <strong>la</strong> capacità di rendere possibile un’unità di intenti anche<br />
con persone che non hanno un riferimento di fede ma condividono<br />
l’aspirazione ad un ordine sociale “fraterno” perché fondato sul legame umano fondamentale,<br />
universale, iscritto nel DNA, che viene prima delle diversità culturali,<br />
di religione, di estrazione sociale.<br />
Del resto, il principio di fraternità ha una sua storia nel progetto politico del<strong>la</strong><br />
modernità, accanto ai principi di libertà e di uguaglianza, seppure tra ombre che<br />
hanno fatto par<strong>la</strong>re del “terzo principio dimenticato”.<br />
Esiste una storia del<strong>la</strong> fraternità vissuta e tradita che sarebbe interessante percorrere.<br />
Questa storia è simile ad un fiume carsico che, così come ha guidato e<br />
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Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Lucia Fronza Crepaz<br />
orientato tanti momenti decisivi del<strong>la</strong> storia dei nostri popoli, torna oggi a rec<strong>la</strong>mare<br />
<strong>la</strong> sua traduzione <strong>politica</strong>.<br />
Il percorso dei popoli<br />
Qui vorrei solo leggere alcuni processi politici in corso dov’è riconoscibile il<br />
percorso faticoso ma inarrestabile che i popoli stanno compiendo, un percorso che<br />
li avvicina progressivamente l’uno all’altro non solo e non tanto in termini economici,<br />
ma in una prospettiva più ampia di incontro e di interdipendenza.<br />
Attorno all’Organizzazione mondiale del commercio, dal<strong>la</strong> Conferenza del ’99<br />
a Seattle, fino a quelle di Cancun del 2003 e del 2005, si è innescato un processo<br />
certamente osteggiato ma irreversibile, che ha spezzato lo stretto cerchio degli attori<br />
decisionali che gestivano le politiche economiche e finanziarie internazionali.<br />
L’unità europea: un processo inedito nel<strong>la</strong> storia dell’umanità. Le Nazioni che <strong>la</strong><br />
compongono, pur tra accelerazioni e brusche frenate, hanno saputo rinunciare a<br />
porzioni di potere a favore di una sovranità sopranazionale, volta a obiettivi comuni.<br />
Guardando all’Asia, i due giganti economici del<strong>la</strong> Cina e dell’India, che un secolo<br />
fa avrebbero rischiato, senza <strong>la</strong> globalizzazione, di scontrarsi frontalmente per<br />
<strong>la</strong> supremazia economica, sono stati – vorrei dire – costretti dall’impossibilità di<br />
operare in modo solitario, a darsi regole comuni di cooperazione economica.<br />
E, ancora, il consolidamento del processo di democratizzazione del Sud America<br />
che ha reso quel continente un interlocutore politico sempre più integrato, attore<br />
consapevole del proprio destino nel quadro internazionale multipo<strong>la</strong>re.<br />
Né si può dimenticare il rafforzamento dell’Unione Africana, pur fra mille difficoltà,<br />
e al consolidamento delle varie unioni regionali che stanno guidando<br />
l’evoluzione sociale e <strong>politica</strong> in questo straordinario, immenso continente.<br />
Per tutte queste evidenze <strong>la</strong> storia dell’umanità può essere letta come un lento<br />
ma inarrestabile cammino di “interdipendenza positiva” verso <strong>la</strong> meta del<strong>la</strong> fraternità<br />
universale, quasi un magma sotterraneo che si muove all’interno delle pieghe<br />
del<strong>la</strong> storia e che oggi sta emergendo per fecondare le nostre società.<br />
Ricordo un giorno, al Par<strong>la</strong>mento cata<strong>la</strong>no, le parole di Joan Rigol i Roig, ex<br />
presidente del par<strong>la</strong>mento cata<strong>la</strong>no, figura <strong>politica</strong> di partico<strong>la</strong>re rilievo, temprata<br />
nel<strong>la</strong> resistenza antifranchista: “La fraternità è una categoria <strong>politica</strong>, e <strong>la</strong> più importante…<br />
perché tocca e coinvolge ogni uomo, qualsiasi uomo, e quindi è davvero<br />
fondante per costruire una <strong>politica</strong> che possa realmente svolgere <strong>la</strong> sua funzione<br />
a servizio dell’umanità”.<br />
Scegliere <strong>la</strong> fraternità come categoria <strong>politica</strong> ha delle conseguenze precise.<br />
Chiara Lubich, in un suo messaggio per un incontro <strong>la</strong>tino americano di sindaci,<br />
è ancora più audace: “Le forti contraddizioni che segnano <strong>la</strong> nostra epoca neces-<br />
101
Lucia Fronza Crepaz<br />
sitano di un punto di orientamento altrettanto penetrante ed incisivo, di categorie di<br />
pensiero e di azioni capaci di coinvolgere ogni singo<strong>la</strong> persona, così come i popoli<br />
con i loro ordinamenti economici, sociali e politici. C’è un’idea universale che è già<br />
un’esperienza in atto, e che si sta rive<strong>la</strong>ndo in grado di reggere il peso di questa sfida<br />
epocale: <strong>la</strong> fraternità universale”.<br />
Oggi i tempi, e ancor più <strong>la</strong> <strong>politica</strong>, chiedono una svolta profonda; questa, come<br />
già proponeva 40 anni fa <strong>la</strong> Populorum progressio, deve partire da una nuova cultura,<br />
da uno sguardo nuovo sul<strong>la</strong> realtà, da una riflessione che abbia il coraggio di<br />
incorporare nel quadro concettuale idee e categorie nuove. Occorre scavare a fondo<br />
per vedere cosa <strong>la</strong> fraternità ci offre come categoria <strong>politica</strong>, sociologica, giuridica,<br />
economica…<br />
La <strong>politica</strong> come servizio<br />
Conseguenza naturale è un impegno quotidiano a farsi soggetti e non oggetti<br />
del<strong>la</strong> storia, un impegno a “riprendere in mano” <strong>la</strong> <strong>politica</strong> riscoprendone <strong>la</strong> funzione<br />
essenziale, irrinunciabile, per coniugare con valori comuni a ogni uomo le risposte<br />
che oggi <strong>la</strong> società attende, con una prima caratteristica.<br />
Oggi non basta più intendere l’azione <strong>politica</strong> come servizio, come impegno<br />
individuale, come coerenza personale (mettere l’interesse pubblico prima degli interessi<br />
partico<strong>la</strong>ri, coerenza etica non solo dei fini, ma anche dei mezzi…).<br />
C’è una dimensione più ampia del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> “servizio” in <strong>politica</strong> che ci deve<br />
condurre al<strong>la</strong> concezione stessa del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>. C’è bisogno di concepire <strong>la</strong> <strong>politica</strong><br />
stessa come servizio al<strong>la</strong> società e farlo accettandone tutte le conseguenze anche in<br />
termini strutturali. Per esemplificare, vorrei prendere a prestito un’immagine che<br />
Chiara Lubich usa spesso (l’ultima volta ne ha par<strong>la</strong>to ad un gruppo di par<strong>la</strong>mentari<br />
britannici) e che io trovo partico<strong>la</strong>rmente stimo<strong>la</strong>nte: “Se dessimo un colore ad<br />
ogni attività umana, all’economia, al<strong>la</strong> sanità, al<strong>la</strong> comunicazione, all’arte, al <strong>la</strong>voro<br />
culturale, al<strong>la</strong> amministrazione del<strong>la</strong> giustizia… <strong>la</strong> <strong>politica</strong> non avrebbe un colore,<br />
sarebbe lo sfondo, il nero, che fa risaltare tutti gli altri colori”.<br />
Una <strong>politica</strong> così risponde all’esigenza moderna del<strong>la</strong> società, che chiede più libertà<br />
rispetto all’invadenza e ai condizionamenti di una certa concezione di stato,<br />
ma rifiuta anche <strong>la</strong> riduzione delle istituzioni politiche a “Stato minimo”, come immaginato<br />
da Nozik. Al<strong>la</strong> luce di questa visione, <strong>la</strong> <strong>politica</strong> ha il dovere di ricercare<br />
un rapporto continuo e qualificato con ogni altro ambito di vita, per stimo<strong>la</strong>rlo,<br />
per farne emergere i progetti di sviluppo e porre in questo modo le condizioni affinché<br />
<strong>la</strong> società stessa, con tutte le sue espressioni, assuma <strong>la</strong> sua responsabilità civica,<br />
e possa così realizzare fino in fondo il suo disegno.<br />
È chiaro che in questo continuo sforzo di servizio, <strong>la</strong> <strong>politica</strong> ha il dovere di riservare<br />
a sé alcuni specifici spazi: dare voce a chi non ne ha, dare priorità alle istan-<br />
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Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Lucia Fronza Crepaz<br />
ze degli ultimi, comporre l’ordine dell’agenda <strong>politica</strong> assegnando le precedenze.<br />
Attraverso azioni di sovra-rappresentazione positiva, è possibile rafforzare <strong>la</strong> presenza<br />
e l’azione anche di chi non ha voce, ma che è ugualmente indispensabile perché<br />
se il minimo diventa “misura” del<strong>la</strong> città, <strong>la</strong> città è più vivibile per tutti. Una<br />
<strong>politica</strong>-servizio implica poi un instancabile farsi carico sempre e comunque di facilitare<br />
l’accesso al<strong>la</strong> partecipazione, che vuol dire dialogo, mediazione, responsabilità<br />
e concretezza.<br />
Senza accontentarsi mai, con l’umiltà di riconoscere che il fine del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> le è<br />
estrinseco: non <strong>la</strong> salvaguardia di posizioni raggiunte o <strong>la</strong> riproduzione del potere<br />
di qualcuno, ma <strong>la</strong> realizzazione piena dei diversi cammini di persone, città e popoli<br />
verso <strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong> famiglia umana.<br />
La partecipazione<br />
Oggi siamo al<strong>la</strong> ricerca di come “ridemocratizzare <strong>la</strong> democrazia” (come sosteneva<br />
il compianto Hirst), pena <strong>la</strong> riduzione del<strong>la</strong> democrazia a un contenitore<br />
vuoto e inadeguato alle difficili domande dell’attualità, che investono direttamente<br />
l’agire politico. Al<strong>la</strong> luce del<strong>la</strong> fraternità universale, anche dentro i processi politici<br />
si delineano caratteristiche specifiche.<br />
Al cuore del<strong>la</strong> crisi che ha fortemente scosso il Brasile, <strong>la</strong> scorsa legis<strong>la</strong>tura, mi<br />
ha colpito leggere l’invito che i Vescovi brasiliani (il 12 agosto 2005) hanno fatto al<br />
popolo “recuperare <strong>la</strong> speranza, concretizzando<strong>la</strong> in impegni di partecipazione <strong>politica</strong>”.<br />
Noi crediamo che <strong>la</strong> condizione originale del cambiamento, quel<strong>la</strong> che, anche<br />
se lenta e faticosa, non potrà riservare amari risvegli, è fare del<strong>la</strong> società uno<br />
spazio protagonista del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>. La società non è il tu del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>, è “l’io del<strong>la</strong><br />
<strong>politica</strong>”, il suo soggetto sorgivo.<br />
Assumere <strong>la</strong> fraternità universale come categoria <strong>politica</strong> significa spostare il<br />
centro del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> dalle istituzioni al<strong>la</strong> società, non per diminuire o, peggio ancora,<br />
per negare il loro valore e <strong>la</strong> loro insostituibilità, ma per renderle più atte al loro<br />
compito, innestandole dentro l’humus democratico che le legittima. I partiti sono<br />
una struttura necessaria al<strong>la</strong> democrazia, ma forse oggi abbiamo più bisogno di comitati<br />
civici, di gruppi di impegno civico, che di nuovi partiti ancora una volta autoreferenziali,<br />
chiusi in se stessi nell’illusione di trarre da sé <strong>la</strong> capacità di cambiamento.<br />
Certo, tutto questo non nasce automaticamente, ma presuppone l’impegno di<br />
tutte le componenti del<strong>la</strong> società civile: prima di tutto da parte del cittadino che<br />
deve superare <strong>la</strong> tentazione di vedere nelle istituzioni, e peggio ancora nel politico,<br />
una sorta di “padrino” a cui delegare <strong>la</strong> risposta ai propri bisogni individuali, che<br />
diventano così non un diritto ma una gentile concessione da ricevere in cambio di<br />
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Lucia Fronza Crepaz<br />
un sostegno poco chiaro. Il cittadino, per poter coniugare quel verbo fondamentale<br />
del<strong>la</strong> democrazia che è il verbo control<strong>la</strong>re, da cui passa <strong>la</strong> forza e <strong>la</strong> trasparenza dei<br />
meccanismi democratici, deve essere libero e “casto”. Una volta fatta questa scelta,<br />
si scopre <strong>la</strong> capacità di essere parte di una comunità complessa, ci si accorge che i<br />
propri bisogni sono inseriti dentro una dinamica collettiva, e nasce <strong>la</strong> capacità di<br />
passare da individui iso<strong>la</strong>ti e facilmente manipo<strong>la</strong>bili a società civile organizzata.<br />
Le nostre comunità saranno allora un vivaio di vocazioni politiche, popo<strong>la</strong>re e<br />
democratico, fecondo, capace di produrre rappresentanti che si impegnano castamente<br />
nelle istituzioni, cittadini generosi nell’offrire creatività, risorse, stimolo alle<br />
istituzioni, funzionari come efficaci mediatori tra istituzioni e società, diplomatici<br />
in grado di <strong>la</strong>vorare per <strong>la</strong> propria patria dentro il destino comune di tutti i popoli,<br />
imprenditori che si assumono <strong>la</strong> responsabilità civica del loro fare economia, rafforzando<br />
quel<strong>la</strong> che oggi si definisce responsabilità sociale d’impresa, leader politici<br />
nati dentro <strong>la</strong> società, che sappiano ridare senso ai partiti in cui <strong>la</strong>vorano.<br />
Una società così – in cui ciascuno è cosciente del<strong>la</strong> propria insostituibile funzione,<br />
ma cerca <strong>la</strong> reciprocità con gli altri soggetti – si meriterà una <strong>politica</strong> capace<br />
di buone pratiche, innovative ed efficaci, scaturite dall’incontro virtuoso tra forza<br />
istituzionale e dinamismo vitale dei soggetti coinvolti, per una nuova intelligenza e<br />
qualità del<strong>la</strong> democrazia.<br />
Vorrei fare un esempio, restando in Brasile. Il Movimento politico per l’unità –<br />
espressione <strong>politica</strong> del Movimento dei foco<strong>la</strong>ri –, proprio in queste ultime settimane,<br />
ha dato avvio ad una importante azione a livello nazionale in risposta alle ricorrenti<br />
crisi sotto il profilo del<strong>la</strong> legalità che si susseguono nel sistema politico e<br />
vedono implicati partiti e istituzioni. Si tratta del<strong>la</strong> proposta di una modifica costituzionale<br />
intorno al<strong>la</strong> legge federale di bi<strong>la</strong>ncio: un’azione che coinvolge par<strong>la</strong>mentari<br />
federali e dei diversi par<strong>la</strong>menti statali, organizzazioni del<strong>la</strong> società civile <strong>la</strong>iche<br />
e cattoliche, tanti cittadini e, tra tutti questi, tanti giovani, e che ha messo a fuoco<br />
un punto di debolezza istituzionale dove appare necessario intervenire con un urgente<br />
intervento legis<strong>la</strong>tivo.<br />
La campagna di raccolta delle firme necessarie al<strong>la</strong> presentazione del<strong>la</strong> modifica<br />
del<strong>la</strong> Costituzione intende raggiungere tre obiettivi: il consolidamento del<strong>la</strong> rego<strong>la</strong><br />
democratica e delle sue procedure, <strong>la</strong> moltiplicazione dei luoghi del dibattito pubblico<br />
perché il bi<strong>la</strong>ncio del<strong>la</strong> nazione possa diventare “questione di popolo”, il<br />
rafforzamento delle scelte etiche attraverso un rafforzamento del<strong>la</strong> legalità.<br />
Il dialogo come metodo<br />
Fraternità in <strong>politica</strong> non significa una sorta di codice etico di buona educazione,<br />
non vuol dire accordarsi superficialmente, rinunciare alle po<strong>la</strong>rità degli estre-<br />
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Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Lucia Fronza Crepaz<br />
mi per incontrarsi al centro… Tra il resto, restare dentro il confine dei temi che ci<br />
uniscono, ci porterebbe ad escludere temi essenziali e urgenti, perché <strong>la</strong>ceranti:<br />
esempi su tutti il dibattito sul<strong>la</strong> guerra, sul<strong>la</strong> famiglia... Scegliere <strong>la</strong> fraternità vuol<br />
dire apprezzare <strong>la</strong> “paro<strong>la</strong> <strong>politica</strong>” dell’altro come necessaria al<strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong><br />
comunità, vuol dire posporre gli interessi del<strong>la</strong> propria parte nel<strong>la</strong> convinzione di<br />
poter concorrere ad un bene più grande che tocca l’intera comunità. Per questo<br />
“fraternità” è prima di tutto ascolto e dialogo, spesso sofferto, per approfondire <strong>la</strong><br />
verità delle cose, è mediazione competente e approfondita, è costruzione di progetti<br />
politici condivisi ispirati ai valori dell’uomo e delle culture.<br />
Scegliere di privilegiare <strong>la</strong> ricerca del rapporto prima dell’affermazione del<strong>la</strong><br />
propria appartenenza <strong>politica</strong>, permette anzitutto di approfondire <strong>la</strong> nostra peculiare<br />
identità, dal momento che ciascuno è espressione e portatore di un’opzione e<br />
dà voce – a partire dal<strong>la</strong> propria esperienza e dal<strong>la</strong> propria formazione – ad interessi<br />
diversi. Ma aprendoci alle ragioni dell’altro, mettendoci al<strong>la</strong> ricerca di ciò che ci<br />
fa simili sul piano di valori – perché siamo fratelli – possiamo davvero <strong>la</strong>vorare sempre<br />
più efficacemente per il bene comune, raggiungendo una condivisione sempre<br />
più profonda e allo stesso tempo più concreta sugli obiettivi da raggiungere, e rispondendo<br />
in modo sempre più adeguato e compiuto al<strong>la</strong> molteplicità degli interrogativi<br />
del<strong>la</strong> comunità di cui siamo. La scelta del<strong>la</strong> fraternità fa crescere <strong>la</strong> capacità<br />
progettuale delle risposte politiche.<br />
La fraternità dà spazio e rafforza il “noi” del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>: solo questa composizione<br />
in unità del<strong>la</strong> varietà degli interessi, solo questa azione fortemente plurale guidata<br />
dal<strong>la</strong> fraternità universale, infatti, può farci superare l’empasse del<strong>la</strong> difesa dei<br />
partico<strong>la</strong>rismi e del<strong>la</strong> paura del<strong>la</strong> diversità, quel<strong>la</strong> notte del “noi” di cui par<strong>la</strong>va Ricouer.<br />
La fraternità non frutta annul<strong>la</strong>mento delle identità, omogeneità mortificante;<br />
chiede, anzi, il dono “appassionato” – e sottolineo questo aggettivo forte –<br />
del proprio contributo personale e di gruppo.<br />
Dentro <strong>la</strong> città<br />
Questa realtà non è un’operazione sentimentale o peggio ancora ideologica,<br />
che avviene astrattamente guardando verso “l’iso<strong>la</strong> che non c’è”, un luogo che immaginiamo<br />
noi, ma che non esiste: è un <strong>la</strong>voro che comincia dentro <strong>la</strong> storia che ci<br />
interpel<strong>la</strong> giorno per giorno e mette in luce ciò che già c’è, che inizia dal comporre<br />
insieme fratture e risposte, bisogni e risorse, agendo non in modo ingenuo, ma con<br />
una riflessione seria e continua.<br />
Scegliere <strong>la</strong> fraternità vuol dire diventare cittadini a pieno titolo, capaci di guardare<br />
in faccia <strong>la</strong> realtà e allo stesso tempo di modificare il corso degli eventi: significa<br />
progettare a partire dal<strong>la</strong> scelta decisa di voler incontrare <strong>la</strong> propria città. Solo<br />
gente così, che fornisce un nuovo capitale sociale di speranza e di rapporti, cercati e<br />
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Lucia Fronza Crepaz<br />
voluti, sarà in grado di trasformare il “cuore di pietra” delle nostre città, in un “cuore<br />
di carne” che sa riconoscere e raccogliere il contributo di tutti, sia di chi può solo<br />
chiedere, sia di chi è ricco di risorse e di beni. Si può così sperimentare che non ci<br />
sono determinismi sociali che governano le situazioni, a condizione che ci sia chi<br />
decide di farsi attore sociale che investe in nuove re<strong>la</strong>zioni, essenziali per costruire<br />
una nuova città.<br />
La mondialità come misura dell’azione<br />
Che <strong>la</strong> storia dell’umanità sia caratterizzata da un rapporto di interdipendenza<br />
reciproca è un dato di fatto da cui è impossibile prescindere. Le esemplificazioni sono<br />
evidenti: <strong>la</strong> ricerca del<strong>la</strong> pace, <strong>la</strong> difesa dell’ambiente, lo sviluppo del<strong>la</strong> scienza, le comunicazioni<br />
e l’uso dei media… Sfide verso le quali è possibile produrre una risposta<br />
efficace, esprimere una paro<strong>la</strong> forte, solo agendo con sforzi creativi proporzionati: solo<br />
se partiamo dal riconoscimento del legame universale del<strong>la</strong> fraternità. Questo agire<br />
si attua dentro <strong>la</strong> storia, una storia che lega gli uomini dal primo all’ultimo, che ci dà<br />
<strong>la</strong> possibilità di interpretare tutto il patrimonio delle idee dell’umanità.<br />
Per fare solo un esempio, quello delle azioni per <strong>la</strong> pace, esse chiedono di agire<br />
in due direzioni convergenti: mentre <strong>la</strong> globalizzazione esige una riforma vigorosa<br />
determinata delle istituzioni internazionali verso istituzioni democratiche globali,<br />
allo stesso tempo è indispensabile dare spazio e rafforzare anche <strong>la</strong> rete di re<strong>la</strong>zioni<br />
di “diplomazia diffusa” popo<strong>la</strong>re e decentrata, dando forma a una “società globale”.<br />
Persone che hanno imparato a conoscersi e a stimarsi, a col<strong>la</strong>borare e ad apprezzarsi<br />
reciprocamente, che hanno spazi comuni di dialogo, più difficilmente si presteranno<br />
a imbracciare le armi l’una contro l’altra. Se <strong>la</strong> sfida è concretizzare nel<strong>la</strong> storia<br />
ciò che è segno del<strong>la</strong> nostra umanità, ovvero <strong>la</strong> fraternità universale, si tratta di<br />
abituarsi a ragionare in <strong>politica</strong> tenendo conto che <strong>la</strong> comunità <strong>politica</strong> fondamentale<br />
è l’umanità, e abbandonare così, come chiave di lettura e di progettazione <strong>politica</strong>,<br />
<strong>la</strong> stretta visuale del proprio angolo di mondo, per riconoscere e assumere nelle<br />
sue conseguenze pratiche che il progetto di vita dell’altro ha a che fare con il mio,<br />
che <strong>la</strong> sua aspettativa di vita è <strong>la</strong> mia, che gli ostacoli che frenano il suo sviluppo e<br />
quello del suo popolo sono gli ostacoli che frenano lo sviluppo mio e del mio popolo.<br />
Allora il bi<strong>la</strong>ncio del<strong>la</strong> mia famiglia, del mio comune, del mio Stato si re<strong>la</strong>tivizza<br />
e si struttura in una nuova dimensione.<br />
L’opzione per i poveri<br />
Altra caratteristica irrinunciabile di una <strong>politica</strong> fraterna è l’opzione per i poveri,<br />
che rappresenta certamente una direttrice precisa: <strong>la</strong> soluzione non è lo stato<br />
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Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Lucia Fronza Crepaz<br />
compassionevole, ma una <strong>politica</strong> che sceglie di sovra-rappresentare gli interessi degli<br />
ultimi, di chi da solo non ha voce dentro le dinamiche democratiche.<br />
Zigmund Bauman ricorda che gli ingegneri non ritengono sicuro un ponte calco<strong>la</strong>ndo<br />
<strong>la</strong> portata del pi<strong>la</strong>stro più forte, ma calco<strong>la</strong>ndo il pi<strong>la</strong>stro più debole, quel<strong>la</strong><br />
è <strong>la</strong> forza del ponte, ed aggiunge: così nel<strong>la</strong> nostra società per organizzar<strong>la</strong> dobbiamo<br />
prendere le misure organizzative sul punto più debole e da lì iniziare. Protagonisti<br />
del<strong>la</strong> nostra organizzazione <strong>politica</strong> debbono essere i più deboli.<br />
Questo si traduce nel<strong>la</strong> possibilità per tutti di concretizzare e di rendere esigibili<br />
i propri diritti di cittadinanza: dare cioè <strong>la</strong> possibilità di sopravvivenza, ma anche,<br />
ancora più essenziale forse, dare <strong>la</strong> possibilità di riscattare <strong>la</strong> propria dignità, in partico<strong>la</strong>re<br />
attraverso l’istruzione e attivando quelle forme di autopromozione di cui<br />
Yunus, ma anche progetti come l’economia di comunione, sono testimoni e sperimentazioni<br />
efficaci. Questo passa attraverso una seria capacità di progettazione <strong>politica</strong>,<br />
ma passa anche dal<strong>la</strong> decisione di assumere stili di vita diversi, personali e familiari.<br />
Se saremo capaci di rispondere ai diritti degli ultimi, saremo capaci di rispondere<br />
ai bisogni di tutti, facendo barriera contro <strong>la</strong> crescente cultura del conflitto,<br />
che produce <strong>la</strong> guerra, ma anche le insanabili divisioni e violenze dentro <strong>la</strong> nostra<br />
società.<br />
La priorità del<strong>la</strong> formazione<br />
Ma come cristiani è necessario rispondere ad altre due opzioni: <strong>la</strong> creazione<br />
di luoghi di dialogo precedenti al<strong>la</strong> <strong>politica</strong>, così come ci ha invitato a fare il Card.<br />
Ruini al convegno di Verona e un coinvolgimento adeguato dei giovani, <strong>la</strong> vera<br />
chance per una <strong>politica</strong> nuova.<br />
Grandi anime del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> hanno visto nei processi lunghi del<strong>la</strong> formazione, del<strong>la</strong><br />
ricerca delle motivazioni all’azione sociale e <strong>politica</strong>, l’unica strategia davvero efficace.<br />
Questa domanda di formazione, ancora in germe, sta emergendo però un po’ dovunque,<br />
per poter essere in grado di svolgere le proprie funzioni dentro i cambiamenti.<br />
I giovani che frequentano con entusiasmo le nostre scuole lo dimostrano.<br />
Due mi sembrano le condizioni indispensabili a questa formazione:<br />
– bisogna avere il coraggio di dare uno spazio specifico all’approfondimento di radici<br />
spirituali, dei valori precedenti <strong>la</strong> <strong>politica</strong>, che danno senso alle appartenenze,<br />
ma che non possono essere sostituiti da quelle: i sudamericani di lingua spagno<strong>la</strong><br />
<strong>la</strong> chiamerebbero necessità di una mistica;<br />
– luogo del<strong>la</strong> formazione dovrà essere un ambiente in cui si possa sperimentare <strong>la</strong><br />
comunità: non si può creare comunità <strong>politica</strong> se non si sperimenta <strong>la</strong> comunità,<br />
se non si compone un’esperienza di condivisione, in cui <strong>la</strong> diversità è una ricchezza,<br />
perché “l’apprendimento in gruppo” è maggiore del<strong>la</strong> semplice somma<br />
di ciò che ciascuno può apprendere da solo.<br />
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Lucia Fronza Crepaz<br />
È necessario allora proporre ai nostri giovani un patto intergenerazionale per<br />
contribuire a dare al<strong>la</strong> <strong>politica</strong> il suo autentico spirito di impegno comunitario. Un<br />
patto di amore scambievole tra i giovani, che hanno <strong>la</strong> capacità di credere nel<strong>la</strong> attuazione<br />
dei grandi valori come <strong>la</strong> fratel<strong>la</strong>nza universale, <strong>la</strong> pace, <strong>la</strong> libertà, e gli<br />
adulti che, avendo già cominciato a <strong>la</strong>vorare, hanno il peso ma anche <strong>la</strong> ricchezza<br />
dell’esperienza e rappresentano ciò che oggi è possibile mettere in atto.<br />
Le persone che hanno cambiato <strong>la</strong> storia, l’hanno potuto fare perché non si sono<br />
mai rassegnate al mondo così com’era, ma hanno “creduto” al cambiamento.<br />
Come potrebbero essere assenti dai processi di cambiamento in atto proprio i<br />
cristiani, portatori del<strong>la</strong> “speranza” che “performa”? La loro vocazione all’amore<br />
può diventare vocazione <strong>politica</strong>: amore per <strong>la</strong> propria gente, per <strong>la</strong> propria patria,<br />
per <strong>la</strong> patria altrui amata come <strong>la</strong> propria, per l’umanità intera, orizzonte del<strong>la</strong> loro<br />
speranza.<br />
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Seconda parte:<br />
ricordo di Pietro Scoppo<strong>la</strong>
Pietro Scoppo<strong>la</strong> e il nostro tempo<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
di Franco Nobili<br />
La Rivista «Civitas» ha più di un motivo per ricordare, anzi perpetuare, non soltanto<br />
il ricordo di Pietro Scoppo<strong>la</strong>, ma soprattutto il grande <strong>la</strong>scito del Suo pensiero<br />
che trae alimento da una cultura vastissima e in partico<strong>la</strong>re dal suo amore per <strong>la</strong> <strong>politica</strong><br />
intesa come servizio per l’intelligenza; dal<strong>la</strong> passione per i compiti ed i problemi del<strong>la</strong><br />
Società; dal<strong>la</strong> sua dedizione per <strong>la</strong> ricerca del<strong>la</strong> continuità del<strong>la</strong> Storia e dei Valori che<br />
di volta in volta completa; dall’amore per l’Italia e il suo progresso culturale e sociale.<br />
Siccome non muore davvero chi <strong>la</strong>scia eredità di pensiero e di opere ai posteri,<br />
possiamo dire che Pietro Scoppo<strong>la</strong> è vivo e ancora vivrà continuando ad affiancarsi<br />
a chi ha il compito di continuare sul<strong>la</strong> scia del suo esempio.<br />
L’<strong>Istituto</strong> “L. <strong>Sturzo</strong>”, che lo ha avuto a lungo attivo componente del suo Consiglio<br />
e animatore delle iniziative di maggiore spicco, è e sarà in prima fi<strong>la</strong> per questo<br />
doveroso e sentito tributo di amicizia e di stima.<br />
Questa sezione straordinaria di «Civitas» tutta dedicata a Pietro Scoppo<strong>la</strong>,<br />
densa di ricordi, è l’iniziativa più immediata, e ancora carica di emozioni, che<br />
l’<strong>Istituto</strong> promuove e al<strong>la</strong> quale si unisce <strong>la</strong> partecipazione convinta delle venti Fondazioni<br />
che custodiscono l’eredità del pensiero politico e sociale dei protagonisti<br />
del<strong>la</strong> ancora giovane storia democratica del nostro Paese, e che sono raccolte nell’Associazione<br />
per <strong>la</strong> Valorizzazione del<strong>la</strong> Democrazia in Italia.<br />
È come dire che l’eredità di Scoppo<strong>la</strong> viene subito accolta, raccolta e perpetuata<br />
dal più vasto mondo del<strong>la</strong> cultura attiva e più strettamente collegato con il divenire<br />
del progresso del<strong>la</strong> società contemporanea.<br />
I testi e gli articoli che <strong>la</strong> sezione di «Civitas» propone, e ripropone a chi gli è<br />
stato vicino e accanto al momento del commiato, non è quindi un dovere di maniera<br />
e tanto meno <strong>la</strong> continuità di una commemorazione rituale, ma è nei decisi<br />
propositi, una testimonianza di continuità con lui.<br />
In ogni testo riprodotto o inedito che viene offerto ai nostri lettori, c’è, oltre il<br />
fervore del momento, una porzione picco<strong>la</strong> o grande di ciò che è stato, e continuerà<br />
111
Franco Nobili<br />
ad essere per tutti noi, l’intellettuale Scoppo<strong>la</strong>; il profondo ragionatore politico; il<br />
seminatore dei risultati delle continue ricerche dei “perché” e dei “come” <strong>la</strong> Storia<br />
accumu<strong>la</strong> e distribuisce in perpetuo <strong>la</strong> saggezza degli insegnamenti; e soprattutto il<br />
generoso e chiaro offerente di possibili soluzioni agli inevitabili problemi del vivere<br />
sociale.<br />
– L’Omelia del Cardinale Achille Silvestrini tocca in profondità il cuore e <strong>la</strong> mente<br />
e predispone al più sincero sentimento di affetto e di riconoscenza per l’amico<br />
scomparso.<br />
– Il contributo di Andrea Riccardi approfondisce il pensiero di Scoppo<strong>la</strong> e lo inserisce<br />
nel<strong>la</strong> complessità del commento al<strong>la</strong> Storia.<br />
– Il saluto sincero di Eugenio Scalfari è l’omaggio di un grande e sensibile osservatore<br />
dei moti del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> e dei cambiamenti sociali oltre che degli uomini che<br />
li influenzano. Ma è anche l’omaggio di un Amico che celebra l’universalità acquisita<br />
da Scoppo<strong>la</strong> che entra nel Pantheon del<strong>la</strong> nostra Storia.<br />
– Agostino Giovagnoli offre un ritratto di Pietro Scoppo<strong>la</strong> che ne celebra <strong>la</strong> personalità<br />
con una attenta analisi.<br />
– Il ricordo di Giuliano Ferrara dà <strong>la</strong> dimensione e <strong>la</strong> vastità del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>rità di<br />
Scoppo<strong>la</strong> e del rispetto che gli viene tributato.<br />
– Francesco Malgeri porta in primo piano l’amore profondo dell’amico per <strong>la</strong> Storia<br />
e sottolinea <strong>la</strong> validità del suo metodo di ricerca.<br />
– La religiosità di Scoppo<strong>la</strong>, ma soprattutto <strong>la</strong> sua convinta e coerente scelta dell’etica<br />
come religione, è ricordata e descritta da Alberto Melloni.<br />
– Il tributo a Scoppo<strong>la</strong> come gentiluomo e <strong>la</strong>ico di fede è un aspetto di valore riconosciuto<br />
e tributato da Emma Fattorini.<br />
Al<strong>la</strong> iniziativa di «Civitas» altre ne seguiranno in grado di dare continuità al<br />
Suo pensiero ed essere fonte di studi e di ricerche soprattutto per le generazioni venienti.<br />
112 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Omelia per il funerale di Pietro Scoppo<strong>la</strong><br />
“Domenica scorsa, nel<strong>la</strong> sa<strong>la</strong> da pranzo di casa, abbiamo celebrato con lui<br />
l’Eucaristia. Corinna si preoccupava che non mancassero le candele, e mentre venivano<br />
proc<strong>la</strong>mate le letture, Pietro socchiudeva gli occhi come a imprimere nel cuore<br />
<strong>la</strong> Paro<strong>la</strong> divina. Un velo stava oscurandogli <strong>la</strong> vista esteriore, ma i versetti del<strong>la</strong><br />
Scrittura letti da voci a lui care gli mostravano <strong>la</strong> strada, quel<strong>la</strong> via misteriosa a cui<br />
tutti guardiamo con timore e speranza.<br />
C’era <strong>la</strong> pagina del libro dell’Esodo con <strong>la</strong> preghiera di Mosè a braccia alzate.<br />
Nel<strong>la</strong> tensione di quelle braccia che si affidano a Dio c’era tutto il tempo presente<br />
di Pietro, il suo coraggioso e dignitoso far fronte all’aggressione del<strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia, ma<br />
anche l’intera parabo<strong>la</strong> del<strong>la</strong> sua vita di autentico credente che non ha mai smesso<br />
di sentire il valore plurale di ogni preghiera e di propor<strong>la</strong> con <strong>la</strong> lucida integrità dell’uomo<br />
di fede. Vi era nel<strong>la</strong> sua fisionomia interiore e nel suo impegno il sentimento<br />
di appartenenza ad un popolo, <strong>la</strong> condivisione del destino di una nazione, <strong>la</strong> fedeltà<br />
ai suoi principi fondamentali sempre col desiderio di cercare le ragioni per cui<br />
spendere tutte le proprie forze coniugando libertà e fedeltà. Come Mosè agiva e<br />
pregava non per se stesso. Ma anche a Mosè, dice l’Esodo, ‘pesavano le mani per <strong>la</strong><br />
stanchezza’ (17,12), e noi intorno a lui, ci sentivamo chiamati a fare quello che lui<br />
aveva fatto molte volte per noi, e per tanti giovani allievi, con il sostegno del<strong>la</strong> sua<br />
intelligenza, con <strong>la</strong> probità delle sue scelte. Di fare, cioè come Aronne e Cur, simbolo<br />
dei puntelli che sostengono <strong>la</strong> speranza nelle situazioni in cui <strong>la</strong> stanchezza indebolisce<br />
e fiacca anche i più robusti. La nostra preghiera si raccoglieva intorno al<strong>la</strong><br />
tavo<strong>la</strong> di famiglia per sostenere le braccia di Pietro nell’ultima prova.<br />
E adesso noi continuiamo a riconoscerci in quel gesto, nel<strong>la</strong> liturgia di congedo,<br />
a suffragare <strong>la</strong> sua anima. Ognuno di noi, fratelli, figli, discepoli, amici, rappresenta<br />
parte del<strong>la</strong> sua storia ed è qui per essere partecipe, coi pensieri oranti che ciascuno<br />
può offrire, del sostegno al suo ultimo transito. Non qui, ma si dovrà ricordarlo<br />
in sede adeguata come storico, uomo di cultura e per il Suo magistero nell’università<br />
e nel<strong>la</strong> vita pubblica.<br />
Non c’è sapere che ci possa preparare al guado del<strong>la</strong> morte. Puntelliamo i nostri<br />
timori e le nostre speranze con qualche saggio ed equilibrato pensiero, rivediamo <strong>la</strong><br />
nostra vita, consideriamo i passaggi che l’hanno indirizzata volendo rimanere autentici<br />
e riuscire a chiedere scusa e riparare il possibile dove ci accorgiamo d’avere sbagliato.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
del Cardinale Achille Silvestrini<br />
113
Achille Silvestrini<br />
E poi c’è lo spazio del<strong>la</strong> gratitudine, quel<strong>la</strong> sensazione che nasce dall’evidenza d’aver<br />
molto ricevuto dal<strong>la</strong> vita e dagli altri che talora instil<strong>la</strong> il rammarico di non aver altro<br />
tempo per vivere. Una prolunga vitale utile, forse, per riuscire a sdebitarsi tramite un<br />
esercizio capovolto in cui il dono esca indenne dalle nostre mani magari accresciuto,<br />
per essere restituito a chi, ora, ha bisogno di tempo per crescere, maturare e impegnarsi.<br />
Ed è qui, in questa evidenza che Pietro ha mostrato come si può diventare maestri.<br />
Nel<strong>la</strong> vita non si diventa maestri seducendo o imponendosi oppure dando vita a gruppi<br />
di pressione. Le sue stagioni sono state per noi stagioni di magistero civile e spirituale,<br />
libero e disinteressato; in più ogni volta che si trovava a contatto con nuovi stimoli<br />
o era interrogato dagli occhi avidi di giovani – e quanti giovani, di più generazioni<br />
– che ne avevano intercettato il valore, era capace di tornare discepolo, convinto<br />
che ci sono momenti in cui è più urgente cercare ancora qualcosa ma che non si può<br />
farlo da soli. Amico di tanti di ogni età, riceveva, consigliava, discuteva, sottoponendo<br />
a vaglio critico ricerche e progetti, pago di un frutto concordemente maturato.<br />
Nel<strong>la</strong> prima lettura, le parole di Giobbe (42,1-6) diventano le sue parole.<br />
Pietro nelle ultime settimane leggeva avidamente il libro di Giobbe. Il dignitoso coraggio<br />
dell’uomo giusto, provato da sofferenze, che trasfigura <strong>la</strong> vita in un grande<br />
mistero lo spingeva a par<strong>la</strong>re con Dio. E come Giobbe, per farsi ascoltare, aveva capito<br />
che facendo tacere inutili discorsi su Dio, occorreva tornare discepoli: ‘Ascoltami<br />
e io parlerò, io t’interrogherò e tu istruiscimi’. Pietro era tornato discepolo, affidandosi,<br />
e sottomettendo <strong>la</strong> sua curiosità – così disponibile allo stupore – al<strong>la</strong> fede.<br />
Il mistero è più grande delle nostre misure, così come <strong>la</strong> vita eterna è più grande,<br />
più profonda di tutto quello che nel<strong>la</strong> vita riusciamo a realizzare. Il Vangelo del<strong>la</strong><br />
Samaritana ci par<strong>la</strong> di questo, di un Dio in cerca dell’uomo assetato. Di un Dio<br />
più grande del luogo in cui lo si adora; di un Dio <strong>la</strong>rgo e aperto quanto lo spirito e<br />
<strong>la</strong> verità, di cui sono nutriti i veri adoratori, quelli ricercati e amati dal Padre. Nel<strong>la</strong><br />
donna del Vangelo che con <strong>la</strong> brocca trascina <strong>la</strong> sua sete c’è il segno dell’umana ricerca.<br />
Gesù è lì ad attender<strong>la</strong>, sapendo che <strong>la</strong> sua sete non può saziarsi senza di Lui.<br />
Le promette l’acqua viva, l’acqua che non inganna, l’acqua vera capace di liberare <strong>la</strong><br />
verità nascosta del<strong>la</strong> sua vita.<br />
Abbiamo di fronte <strong>la</strong> brocca e l’incontenibile acqua divina. Così si rappresenta<br />
<strong>la</strong> nostra vita davanti al giudizio di Dio.<br />
Ne discende l’idea di quello che Pietro ha sempre creduto. Il cristianesimo, così<br />
come storicamente si è delineato e si delinea, non potrà mai pensarsi del tutto proporzionato<br />
all’infinita ricchezza che custodisce. E questa evidenza lo ha segnato temprando<br />
in lui il carattere del cristiano serenamente inappagato, docilmente inquieto.<br />
Da qui deriva lo sguardo critico con cui ha osservato e cercato di decifrare i nostri anni.<br />
Tale sguardo non era generato da orgogliosa autosufficienza, ma, al contrario,<br />
affondava in quel rigoroso senso di appartenenza che non poteva esercitarsi senza<br />
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Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Achille Silvestrini<br />
l’esercizio del<strong>la</strong> responsabilità dell’intelligenza. L’appello al<strong>la</strong> coscienza nei momenti<br />
in cui poteva avvenire di non trovare espresso compiutamente il passaggio dal<strong>la</strong> lettera<br />
evangelica al<strong>la</strong> sua applicazione nel<strong>la</strong> realtà, non è mai stato per lui l’esodo dal<strong>la</strong> fedeltà<br />
verso un soggettivismo senza padri. Al contrario, l’appello al<strong>la</strong> coscienza era <strong>la</strong><br />
prova del<strong>la</strong> vitalità del<strong>la</strong> fede espressa in forma concreta come verifica di quel precetto<br />
che tutto fonda: amerai il prossimo tuo come te stesso, impossibile, come dice <strong>la</strong> Lettera<br />
ai Ga<strong>la</strong>ti, senza essere guidati dallo Spirito di Dio. La docilità allo Spirito trasforma il<br />
cristiano. Lo sapeva Giovanni XXIII quando indisse il Concilio, lo sapeva Paolo VI<br />
quando ne difese i contenuti. ‘Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza,<br />
benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé’. Tutte queste caratteristiche si ritrovano<br />
nel<strong>la</strong> speranza degli anni conciliari che aveva trasformato il rapporto del<strong>la</strong><br />
Chiesa col mondo. Una Chiesa ‘chiamata a libertà’, liberata dal<strong>la</strong> paura del mondo.<br />
Pietro figlio del Concilio non aveva paura ed era lucido per questo. Era libero,<br />
e dal<strong>la</strong> sua coerenza nasceva <strong>la</strong> valutazione che, anche se critica, aveva come fine<br />
di tute<strong>la</strong>re <strong>la</strong> libertà del<strong>la</strong> chiesa e del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>, entrambe nel<strong>la</strong> necessità di essere<br />
tute<strong>la</strong>te dall’asservimento a logiche strumentali che ne potevano stravolgere <strong>la</strong> natura<br />
e il fine.<br />
La Chiesa e <strong>la</strong> <strong>politica</strong> dovevano servire l’uomo, a loro modo, attraverso strade<br />
diverse che ne ritraducevano l’assioma, obbedivano allo stesso comandamento,<br />
quello che chiede di servire il prossimo amandolo.<br />
Pietro da storico era convinto che <strong>la</strong> storia insegna ma non offre infallibili strumenti.<br />
La storia rive<strong>la</strong> ad ogni generazione una verità semplicemente utile a districarsi<br />
tra le insidie del ripetersi degli errori. Il credente sa che il Vangelo non dispiega i<br />
dettagli delle risposte a tutte le domande che <strong>la</strong> vita di ogni generazione solleva.<br />
Ci sono stagioni di entusiasmo e ci sono tempi in cui ci pare che le cose non riescano<br />
a ritrovare <strong>la</strong> giusta direzione. Ci sono le sconfitte e i successi. C’è <strong>la</strong> giovinezza<br />
e <strong>la</strong> vecchiaia, <strong>la</strong> vita e <strong>la</strong> morte. Tutto si rivolge alle promesse divine, soprattutto<br />
quel<strong>la</strong> più grande e più difficile a credersi, del<strong>la</strong> vittoria sul<strong>la</strong> morte, del<strong>la</strong> resurrezione.<br />
Pietro ha attraversato l’ombra che <strong>la</strong> vita umana ci proietta addosso con <strong>la</strong> fiducia<br />
nel<strong>la</strong> sinergia di grazia e libertà. In essa ha aperto il Vangelo per dare senso e continuità<br />
al suo battesimo, interrogandolo e interrogandosi. È stato figlio, fratello, marito,<br />
padre, nonno, amico, maestro, considerando come talento prezioso l’essere credente.<br />
Non ha sotterrato, questo talento, lo ha messo in opera fino al<strong>la</strong> fine.<br />
L’ultima lezione è stata quel<strong>la</strong> dell’abbandono fiducioso. Quello che aveva potuto<br />
fare era stato fatto. Ha riscritto nel<strong>la</strong> sua debolezza le ultime parole di Cristo<br />
‘tutto è compiuto’, respirando l’attesa che <strong>la</strong> sua vita sarebbe stata raccolta dall’abbraccio<br />
di Dio che non ha <strong>la</strong>sciato suo Figlio nel<strong>la</strong> tomba”.<br />
<br />
115
Scoppo<strong>la</strong>, <strong>la</strong> storia come complessità*<br />
Il mio primo ricordo di Pietro Scoppo<strong>la</strong> rimonta al 1970, nel clima effervescente<br />
del<strong>la</strong> ‘Sapienza’ a Roma, quando nel mondo universitario si riversava l’onda del<br />
’68. Lo studioso, che ieri è scomparso, teneva una linea difficile: considerato “progressista”<br />
da non pochi colleghi di Facoltà, richiamava al<strong>la</strong> lezione del<strong>la</strong> storia tanti<br />
studenti imbevuti nello spirito para marxista del tempo, per cui tutto era sovrastruttura.<br />
Professore poco più che quarantenne, Scoppo<strong>la</strong> era convinto del<strong>la</strong> complessità<br />
del<strong>la</strong> storia, non riducibile ad un’interpretazione ideologica. E comunicava il gusto<br />
del<strong>la</strong> storia. La concretezza del confronto con i fatti e i processi storici era il grande<br />
insegnamento che fin da allora egli offriva ai più giovani. Infatti Scoppo<strong>la</strong> ha sempre<br />
unito l’attenta ricerca sui documenti con un’intuizione spiccata e profonda di uomini,<br />
situazioni, congiunture. Non si può dire che lo storico abbia avuto maestri, anche<br />
se si rifaceva al<strong>la</strong> lezione di Jemolo e riprendeva con ammirazione quel<strong>la</strong> di Marrou,<br />
“uno storicismo umanistico aperto ai valori del<strong>la</strong> trascendenza”.<br />
Il contatto con gli studenti, <strong>la</strong> discussione con loro, <strong>la</strong> lezione, l’insegnamen -<br />
to… sono stati <strong>la</strong> passione del<strong>la</strong> sua vita. A chi lo frequentava trasmetteva il senso di<br />
una vicenda storica da scoprire con i documenti, <strong>la</strong> ricerca, <strong>la</strong> riflessione. In questa<br />
prospettiva è stato un maestro di generazioni di giovani storici e di tanti studenti<br />
lungo periodi inquieti e in anni più tranquilli, ma talvolta piatti culturalmente.<br />
Non è stato un “maestro” di una scuo<strong>la</strong> storica, ma uno storico che, con un notevole<br />
senso del rapporto personale e con attenzione alle capacità e al sentire dei suoi interlocutori,<br />
ha sviluppato in allievi e col<strong>la</strong>boratori il gusto di andare al di là del<strong>la</strong><br />
rappresentazione banale degli eventi.<br />
Scoppo<strong>la</strong> non veniva dall’Università, ma era funzionario del Senato.<br />
La storia era <strong>la</strong> sua passione fin dagli anni Cinquanta. Era stato protagonista,<br />
con Gabriele De Rosa, dell’inserzione del<strong>la</strong> storia del cattolicesimo (anzi del movimento<br />
cattolico) nel<strong>la</strong> storiografia italiana, orientata in una linea crociana, che<br />
metteva ai margini <strong>la</strong> vicenda del mondo cattolico. Ma ben presto si era dedicato a<br />
temi fini e complessi come quelli del<strong>la</strong> crisi modernista di inizio secolo, che rappresentava<br />
<strong>la</strong> grande questione del primo rapporto tra Chiesa e modernità. Il tema era<br />
* «Avvvenire», 26 ottobre 2007.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
di Andrea Riccardi<br />
117
Andrea Riccardi<br />
un intreccio di problematiche culturali e religiose, che diede origine al primo libro<br />
sul modernismo italiano.<br />
Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, edito nel 1961. La cultura religiosa<br />
restò sempre un aspetto decisivo del<strong>la</strong> ricerca storiografica di Pietro Scoppo<strong>la</strong>.<br />
Ma lo studioso romano è anche estremamente sensibile al legame tra vita religiosa e<br />
vita pubblica. La sua non è mai stata una storiografia confessionale o a tesi; anzi era<br />
convinto che «<strong>la</strong> fede è l’antidoto più efficace ad ogni lettura ideologica del<strong>la</strong> storia».<br />
Lungo questa linea si muovono tante sue ricerche e pubblicazioni. Non è qui il<br />
caso di ricordarle, anche perché, in queste ore, mi è più presente l’immagine del cristiano<br />
e dell’amico di tante giovani generazioni di studenti e studiosi. Solo va detto<br />
che le sue ricerche su Chiesa e fascismo e quelle su De Gasperi, portarono il riservato<br />
studioso nel pieno del dibattito politico.<br />
Soprattutto La proposta <strong>politica</strong> di De Gasperi (che è del 1977), opera di grande<br />
valore storiografico, si saldò al<strong>la</strong> vicenda <strong>politica</strong> di quel periodo, all’Italia del<br />
“compromesso storico”, all’assassinio di Aldo Moro (che aveva guardato a quel testo<br />
con attenzione, anche perché recuperava un aspetto dimenticato del<strong>la</strong> storia nazionale<br />
e del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> dei <strong>cattolici</strong>). Negli anni Settanta cominciò <strong>la</strong> vita pubblica<br />
di Pietro Scoppo<strong>la</strong> (che fu, negli anni Ottanta, senatore per una legis<strong>la</strong>tura), fervido<br />
cantiere di iniziative per cercare un nuovo equilibrio del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> italiana e del<strong>la</strong><br />
presenza dei <strong>cattolici</strong> in esso. Ma lo storico romano non è mai stato un politico e,<br />
in fondo, poco ha avuto dal<strong>la</strong> <strong>politica</strong> e dai politici. Il suo approccio colto, pensato,<br />
e un timbro etico lo hanno tenuto lontano da una politique d’abord e talvolta reso<br />
una presenza singo<strong>la</strong>re tra i compagni delle sue imprese.<br />
Si potrebbe pensare che nel più che ottantenne professore romano (era nato nel<br />
1926) predominava l’amarezza per il suo rapporto con il mondo del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>. Avrebbe<br />
potuto predominare anche l’amarezza per i suoi rapporti con il cattolicesimo.<br />
Scoppo<strong>la</strong> aveva sentito con molta partecipazione gli anni di Paolo VI, di cui<br />
ammirava il travaglio intellettuale. Il pontificato di Giovanni Paolo II lo aveva visto<br />
meno partecipe, specie degli aspetti ‘popo<strong>la</strong>ri’ di questo papa, di cui pure riconosceva<br />
<strong>la</strong> grandezza. Del resto era tipico dell’approccio dello studioso al<strong>la</strong> vita, anche<br />
nei suoi aspetti personali, un forte senso critico e autocritico. Sarà necessario, in un<br />
prossimo futuro, ritornare sull’uomo e sullo studioso, che fa parte del<strong>la</strong> storia culturale<br />
e <strong>politica</strong> del nostro paese negli ultimi decenni.<br />
Un aspetto, però, mi preme sottolineare, quello meno noto ai lettori dei giornali<br />
e forse protetto dal<strong>la</strong> sua grande riservatezza borghese. Infatti Pietro Scoppo<strong>la</strong> è<br />
118 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Andrea Riccardi<br />
stato un borghese, nel senso nobile del termine: servitore dello Stato, insegnante<br />
appassionato nell’Università, attento ai valori del dovere e dell’onestà. Qualcuno ha<br />
par<strong>la</strong>to di lui come di un “cattolico liberale”; ma forse è una definizione fuori tempo,<br />
se non per sottolineare <strong>la</strong> nobiltà d’animo e l’approccio “etico” alle questioni<br />
del<strong>la</strong> vita, del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> e del<strong>la</strong> ricerca. La sua casa nel quartiere romano borghese di<br />
Prati (non distante da quel<strong>la</strong> che fu di Arturo Carlo Jemolo e nello stesso pa<strong>la</strong>zzo<br />
dove abitava lo storico Vittorio Emanuele Giuntel<strong>la</strong>), assieme al<strong>la</strong> sua famiglia, era<br />
lo specchio di questi valori coltivati nel privato e condivisi nel<strong>la</strong> lunga vita con <strong>la</strong><br />
moglie Corinna. Lì, a Prati, Scoppo<strong>la</strong> riceveva tanti, consigliava, discuteva delle ultime<br />
ricerche, incoraggiava, sottoponeva al vaglio critico ricerche e progetti. Lo ha<br />
fatto sino al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> sua vita.<br />
L’aspetto, che vorrei sottolineare, poco noto, è quello del credente: non il cattolico<br />
militante, l’intellet tuale, l’ispiratore di azioni politiche o di discorsi. Pietro<br />
Scoppo<strong>la</strong> era credente, amava <strong>la</strong> Bibbia, pregava, sentiva <strong>la</strong> liturgia. Aveva riflettuto<br />
sul male (era amma<strong>la</strong>to di cancro) che “prende da dentro e consuma”, non qualcosa<br />
che gli altri contagiano e viene da fuori – diceva – ma qualcosa che “è dentro di<br />
te”. Tuttavia i suoi ultimi mesi e, in partico<strong>la</strong>re, i suoi ultimi giorni sono stati una<br />
preparazione, sofferta ma serena, a quello che considerava il passo più grande del<strong>la</strong><br />
sua vita, quello del<strong>la</strong> morte come passaggio: “Aiutatemi a vivere i prossimi giorni<br />
con gioia”, aveva detto in una preghiera a casa sua, meno di due settimane fa.<br />
Diceva: “La fede è l’antidoto migliore alle letture ideologiche”. In una disciplina<br />
segnata dal<strong>la</strong> linea crociana, indagò in modo nuovo i rapporti fra Chiesa e modernità.<br />
Amava Bibbia e liturgia, aveva una profonda cognizione del male.<br />
Nel dolore, pregava di vivere l’ultimo passaggio “con gioia”.<br />
<br />
119
Addio a Scoppo<strong>la</strong> cattolico e democratico*<br />
Sapevamo che era molto amma<strong>la</strong>to e ormai prossimo al<strong>la</strong> fine ma conservava<br />
ancora una lucidità di mente straordinaria e una capacità di <strong>la</strong>voro che stupiva tutti<br />
quelli che seguivano con trepidazione <strong>la</strong> sua personale vicenda.<br />
Pochi giorni fa aveva dato al nostro giornale, cui da molti anni col<strong>la</strong>borava,<br />
un’ampia intervista <strong>politica</strong>; da suo figlio avevo saputo che stava scrivendo un libro-testamento<br />
e si affrettava a dettarlo (a scrivere materialmente non riusciva più)<br />
sperando che fosse pronto prima del<strong>la</strong> fine che sapeva imminente.<br />
Così speriamo tutti noi che gli siamo stati amici e tanto abbiamo imparato da<br />
lui su come si possa essere <strong>cattolici</strong> e democratici insieme, rispettosi del magistero<br />
morale del<strong>la</strong> Chiesa e autonomi nelle scelte sia etiche sia politiche.<br />
Questo, del<strong>la</strong> <strong>cattolici</strong>tà democratica, è stato da sempre il tema e il problema<br />
delle sue riflessioni, dei suoi scritti e del<strong>la</strong> sua azione <strong>politica</strong>, con due punti di riferimento<br />
precisi: il Concilio Vaticano II e le encicliche ad esso ispirate da un <strong>la</strong>to e<br />
dall’altro i princìpi del<strong>la</strong> Costituzione repubblicana. Si è detto che alcune delle sue<br />
posizioni traessero origine dal pensiero cattolico-democratico francese dei primi<br />
del Novecento.<br />
Qualche somiglianza e qualche eco si colgono nei suoi scritti ma il contesto dei<br />
due paesi era ed è molto diverso, l’Italia è <strong>la</strong> sede millenaria del Papato e del temporalismo<br />
del<strong>la</strong> Chiesa, <strong>la</strong> Francia ha una tradizione gallicana e anche una tradizione<br />
giansenista che hanno fortemente influito sul cattolicesimo francese, insieme all’insediamento<br />
ugonotto e alle guerre di religione durate per oltre tre secoli.<br />
A causa di queste profonde diversità dei contesti politico-religiosi <strong>la</strong> posizione<br />
di Scoppo<strong>la</strong> è stata del tutto autonoma. Sostanzialmente solitaria.<br />
Perciò preziosa per quell’incontro storico del<strong>la</strong> cultura <strong>la</strong>ica e socialista con <strong>la</strong><br />
cultura cattolico-democratica che dovrebbe avere il suo compimento nell’appena<br />
nato Partito democratico del quale non a caso Pietro Scoppo<strong>la</strong> è stato uno dei fondatori.<br />
Gli ultimi due Papi, nelle loro manifestazioni magisterali e nel<strong>la</strong> loro attività<br />
pastorale, suscitarono parecchi dubbi nell’animo suo di credente, di storico e di uomo<br />
di pensiero. Di Wojty<strong>la</strong> ammirava molto <strong>la</strong> doppia critica al comunismo totalitario<br />
e al capitalismo fondato sul<strong>la</strong> ricerca del profitto come obiettivo esclusivo e<br />
* «<strong>la</strong> Repubblica», 26 ottobre 2007.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
di Eugenio Scalfari<br />
121
Eugenio Scalfari<br />
“fondamento morale” del<strong>la</strong> cultura di impresa. Criticava invece una sorta di fondamentalismo<br />
cattolico che vedeva emergere in quel pontificato, radicalizzato dalle<br />
gerarchie episcopali di Roma e di Italia.<br />
In Benedetto XVI vide lo sviluppo coerente e tenace del<strong>la</strong> tesi del predecessore,<br />
fino all’esplicita messa in causa del Vaticano II e ad una sorta di regressione verso <strong>la</strong><br />
Chiesa pacelliana di non fausta memoria per i <strong>cattolici</strong> democratici. Questa è stata<br />
<strong>la</strong> posizione di Scoppo<strong>la</strong> con gli scritti e con l’azione. Ho detto posizione solitaria<br />
ma aggiungo: per sua scelta. Non amava le correnti né politiche né di scuo<strong>la</strong>. Amava<br />
e praticava una piena autonomia e libertà di giudizio, fondate su una concezione<br />
comunitaria e proprio per questo ecumenica del cattolicesimo.<br />
Alcuni di noi <strong>la</strong>ici – penso a Gustavo Zagrebelsky – ritengono che <strong>la</strong> Chiesa<br />
cattolica porti in sé una vocazione oggettiva e perciò irresistibile verso il fondamentalismo<br />
per il fatto stesso di affermare il possesso di una verità rive<strong>la</strong>ta e quindi assoluta.<br />
Ma non era questa <strong>la</strong> posizione di Scoppo<strong>la</strong> e di alcuni (pochissimi) ecclesiastici<br />
che concordavano con il suo pensiero. Egli introduceva infatti nell’abbinamento<br />
tra verità rive<strong>la</strong>ta e verità assoluta un terzo elemento, quello del rapporto del credente<br />
con Dio non necessariamente intermediato dal<strong>la</strong> Chiesa. In qualche misura<br />
era stato questo il <strong>la</strong>scito del “modernismo” e ancora più indietro del pensiero di<br />
Rosmini e del Manzoni. Il rapporto diretto dei fedeli con Dio e con le sue scritture<br />
evangeliche rappresenta in questo contesto il solo efficace baluardo contro <strong>la</strong> vocazione<br />
gerarchica e fondamentalista e getta un ponte verso <strong>la</strong> <strong>la</strong>icità delle istituzioni,<br />
il pluralismo dei contributi, l’autentica libertà religiosa e, infine, l’autonomia del<br />
<strong>la</strong>icato cattolico e democratico.<br />
Questo è il <strong>la</strong>scito di Pietro Scoppo<strong>la</strong>, il rimpianto di non averlo più con noi<br />
nel momento stesso in cui <strong>la</strong> sua presenza e <strong>la</strong> sua generosità intellettuale sarebbe<br />
stata preziosa, il timore che <strong>la</strong> sua scomparsa privi il pensiero e l’azione dei <strong>cattolici</strong><br />
di un contributo essenziale. E il nostro giornale di una voce che non sarà certo facile<br />
da rimpiazzare.<br />
Al nostro modo <strong>la</strong>ico anche noi oggi pensandolo e ricordandolo preghiamo<br />
per lui.<br />
122 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Post scriptum. Sono stato ieri al funerale di Pietro Scoppo<strong>la</strong> svoltosi nel<strong>la</strong> chiesa<br />
di Cristo Re a Roma in viale Mazzini. C’erano almeno mille persone, intente e<br />
commosse. Officiava il cardinal Silvestrini insieme a tutto il capitolo del<strong>la</strong> parrocchia.<br />
Non entravo in quel<strong>la</strong> chiesa da settant’anni; <strong>la</strong> frequentai da bambino e mentre<br />
assistevo al<strong>la</strong> messa funebre e pensavo all’amico scomparso sono anche riandato<br />
a quegli anni così lontani del<strong>la</strong> mia infanzia devota.<br />
La fol<strong>la</strong> assiepata nei banchi e nelle navate rappresentava un campione autentico<br />
di <strong>cattolici</strong> ferventi, animati dal<strong>la</strong> fede e da un impegno civile ammirevole. Lo<br />
dico perché conosco molti di loro e so di quell’impegno e di quel<strong>la</strong> fede responsabile<br />
e non bigotta.<br />
Si sono tutti comunicati. L’intera fol<strong>la</strong> presente ha preso l’eucaristia. Più d’uno<br />
si è avvicinato a me per dirmi che preferiscono frequentare i non credenti sinceri<br />
piuttosto che i falsi <strong>cattolici</strong>.<br />
Il cardinale ha par<strong>la</strong>to benissimo e così pure, con brevi parole, il parroco del<strong>la</strong><br />
chiesa. Figli e nipoti del morto si sono avvicendati con letture e pensieri appropriati<br />
e commossi.<br />
Ho avuto <strong>la</strong> sensazione di stare con persone perbene, moralmente, intellettualmente<br />
e professionalmente perbene. Da non credente mi ci sono trovato a mio<br />
agio. Mi hanno dato fiducia nel futuro. Per questo rinnovo il mio ringraziamento<br />
al<strong>la</strong> memoria di Pietro Scoppo<strong>la</strong>, sicuro che i <strong>cattolici</strong> presenti in quel<strong>la</strong> chiesa e i<br />
tanti simili a loro proseguano l’opera sua.<br />
* «<strong>la</strong> Repubblica», 28 ottobre 2007.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Il Nuovo Partito che rompe<br />
con il Novecento*<br />
di Eugenio Scalfari<br />
<br />
123
“Un cattolico a modo suo”. Così lo definì Paolo VI quando il segretario del<strong>la</strong><br />
Conferenza episcopale italiana, Enrico Bartoletti, gli chiese un giudizio su Pietro<br />
Scoppo<strong>la</strong>. Era allora in corso <strong>la</strong> preparazione del primo convegno nazionale del<strong>la</strong><br />
Chiesa italiana – “Evangelizzazione e Promozione Umana” che si tenne a Roma<br />
nell’ottobre del 1976 – e su Scoppo<strong>la</strong>, membro del comitato organizzatore, era<br />
comparso un articolo critico de «L’Osservatore Romano». Egli avrebbe voluto dimettersi,<br />
ma fu trattenuto da Bartoletti che interpellò Montini e l’arguta ma benevo<strong>la</strong><br />
risposta del papa fece continuare <strong>la</strong> sua col<strong>la</strong>borazione al convegno del<strong>la</strong> Chiesa<br />
italiana.<br />
Scoppo<strong>la</strong> si riconosceva in questa definizione. Egli sentiva il dovere di essere intellettualmente<br />
rigoroso, talvolta costruttivamente critico, anche a motivo del<strong>la</strong> sua<br />
sincera <strong>cattolici</strong>tà. Amava sottolineare che <strong>la</strong> sua fede passava costantemente attraverso<br />
il dubbio. Ma pur avendo scritto nel 1961 il primo libro importante sul modernismo<br />
italiano, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia – nutriva dubbi<br />
diversi da quelli del<strong>la</strong> generazione di credenti di inizio novecento, sconvolta soprattutto<br />
dagli sviluppi del<strong>la</strong> scienza.<br />
Egli era anzi un po’ allergico ad una certa rincorsa cattolica nei confronti del<strong>la</strong><br />
modernità, di cui al<strong>la</strong> vigilia del Concilio Vaticano II denunciava l’“esteriorità”. Per<br />
“stabilire un contatto vivo con l’animo dell’uomo moderno” si doveva piuttosto<br />
promuovere “un più profondo senso interiore […] alieno da ogni aggressività o<br />
punta polemica” e, soprattutto, riconoscere che “l’uomo di oggi è colpito assai più<br />
dal richiamo al rischio e all’incertezza del<strong>la</strong> sua condizione e da un appello alle sue<br />
responsabilità individuali di fronte al mistero cristiano, che da una esposizione dottrinaria<br />
ed astratta […] al<strong>la</strong> quale il suo orecchio è diventato sordo”.<br />
Scoppo<strong>la</strong> ha accolto l’invito all’“aggiornamento” <strong>la</strong>nciato da Giovanni XXIII<br />
per contrastare le voci dei “profeti di sventura”. Probabilmente, il Vaticano II è stato<br />
l’evento che più ha segnato <strong>la</strong> sua vita, orientando tutto il suo percorso religioso,<br />
culturale, politico. Come si è accennato, il suo cattolicesimo non ha seguito i binari<br />
obbligati del<strong>la</strong> logica istituzionale ma a Scoppo<strong>la</strong> non piaceva neanche quel<strong>la</strong> che<br />
si potrebbe chiamare <strong>la</strong> “banalità dell’anticonformismo”: il suo giudizio sul dissen-<br />
* «<strong>la</strong> Repubblica», 26 ottobre 2007.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
“Un cattolico a modo suo” *<br />
di Agostino Giovagnoli<br />
125
Agostino Giovagnoli<br />
so cattolico e sul<strong>la</strong> povertà culturale è sempre rimasto molto severo. Egli guardava<br />
piuttosto a personalità complesse come quel<strong>la</strong> di Paolo VI, di cui pure non condivise<br />
alcune scelte, ma che gli sembrava esprimere un rapporto intenso e tormentato<br />
con <strong>la</strong> cultura contemporanea. Per Scoppo<strong>la</strong>, infatti, il messaggio religioso non doveva<br />
essere ca<strong>la</strong>to dentro una rigida filosofia neosco<strong>la</strong>stica che lo allontana dal<strong>la</strong> vita<br />
concreta degli uomini e delle donne. In questo senso non è stato casuale il suo<br />
incontro con <strong>la</strong> storia, il cui studio egli ha sviluppato – sul<strong>la</strong> scia di grandi maestri<br />
come March Bloch ed Henri Marrou – soprattutto come “simpatia” verso tutto ciò<br />
che è umano. A tale atteggiamento corrispondeva, al di là dei suoi studi, una sincera<br />
capacità di interesse per l’altro, superando distanze culturali, sociali, ideologiche:<br />
egli ha saputo unire grande cultura e forte carica umana, grazie anche a un’inquietudine<br />
che lo faceva uscire dalle convenzioni e dai clichè del suo ambiente.<br />
Il nome di Pietro Scoppo<strong>la</strong> è strettamente associato al<strong>la</strong> storia del cattolicesimo<br />
democratico italiano. Egli si è prima inserito nel<strong>la</strong> tradizione di <strong>Sturzo</strong>, De Gasperi<br />
e Moro, l’ha poi reinterpretata e ne è infine diventato un esponente di spicco.<br />
La proposta <strong>politica</strong> di De Gasperi, da lui pubblicata nel 1977, non segnò solo una<br />
svolta negli studi degasperiani, ma offrì anche un nuovo punto di riferimento all’impegno<br />
politico dei <strong>cattolici</strong>.<br />
Progressivamente, <strong>la</strong> tradizione cattolico-democratica ha cominciato a par<strong>la</strong>re<br />
soprattutto con <strong>la</strong> sua voce, è stata da lui difesa contro le contraffazioni ed è riuscita<br />
a sopravvivere, dopo l’esaurimento delle forze politiche che <strong>la</strong> esprimevano, attraverso<br />
le sue posizioni. È accaduto durante il referendum sul divorzio, quando<br />
egli si impegnò per evitarne l’abrogazione. Personalmente molto legato al<strong>la</strong> moglie<br />
e al<strong>la</strong> famiglia, era però convinto che l’indissolubilità del matrimonio non dovesse<br />
essere imposta per legge ma scelta liberamente in coscienza (sull’aborto invece ha<br />
avuto un’opinione molto diversa, convinto che <strong>la</strong> tute<strong>la</strong> del<strong>la</strong> vita costituisca un<br />
principio giuridico irrinunciabile). La paro<strong>la</strong> coscienza, che gli era indubbiamente<br />
familiare, evoca infatti in lui l’esigenza di una coerenza più profonda e di un dovere<br />
più alto, piuttosto che il senso del<strong>la</strong> soggettività individuale. È significativo in questo<br />
senso che, in seguito, Scoppo<strong>la</strong> abbia messo in dubbio l’opportunità di quel<strong>la</strong><br />
scelta, constatando <strong>la</strong> ferita del corpo ecclesiale che ne era derivata.<br />
Le sue posizioni erano esenti da rigidità o ristrettezze, anche se egli amava discutere<br />
sostenendo in modo bril<strong>la</strong>nte le proprie convinzioni e, nel confronto a più<br />
voci, <strong>la</strong> sua personalità finiva in genere per prevalere. Scoppo<strong>la</strong> non temeva i paradossi,<br />
anzi probabilmente li riteneva passaggi necessari per restare fedele ad una sua<br />
personale autenticità. Tra gli altri, c’è stato anche il paradosso degli scarsi successi<br />
politici di un uomo pure tanto ammirato e stimato, ma il suo “fallimento politico”<br />
era probabilmente scritto nel suo destino ed è facilmente comprensibile se si pensa<br />
al<strong>la</strong> forte carica etica che lo ha animato. Nel 1977 egli era noto come uno dei prin-<br />
126 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Agostino Giovagnoli<br />
cipali ispiratori del rinnovamento democristiano, per questo subì <strong>la</strong> contestazione<br />
di un gruppo di studenti e fu anche messa una bomba sotto <strong>la</strong> sua auto. Ma Scoppo<strong>la</strong><br />
era critico verso quel rinnovamento: pur sentendosi vicino al tentativo di Zaccagnini<br />
e Moro, riteneva troppo timida <strong>la</strong> loro azione e ne giudicava insufficienti i<br />
risultati. Qualcosa di simile si è ripetuto spesso anche in altre circostanze. A lui si<br />
devono intuizioni politiche importanti, che hanno contribuito prima al<strong>la</strong> nascita<br />
dell’Ulivo e poi a quel<strong>la</strong> del Partito Democratico, ma in entrambi i casi il suo apporto<br />
è stato accolto solo limitatamente. Anche molti di coloro che pure si sono<br />
ispirati alle sue idee ne temevano <strong>la</strong> coerenza e lo hanno tenuto a distanza: talvolta<br />
Scoppo<strong>la</strong> ne ha sofferto, pur comprendendo tali comportamenti con realismo mischiato<br />
ad ironia.<br />
Senza mai diventare uomo del Pa<strong>la</strong>zzo, ha sempre avuto un forte senso delle<br />
istituzioni. Scoppo<strong>la</strong> ha denunciato apertamente i limiti del sistema politico – La<br />
Repubblica dei partiti è un’altra delle sue opere più importanti – ed ha contribuito<br />
attivamente a cambiarlo, sostenendo nel 1993 il referendum sul<strong>la</strong> legge elettorale.<br />
Ma egli era agli antipodi del qualunquismo o dell’anti<strong>politica</strong>. Al fondo, ha perseguito<br />
soprattutto una “missione impossibile”: cambiare il costume civile e politico<br />
degli italiani, facendo leva contemporaneamente su un rinnovato senso religioso e<br />
su un profondo spirito <strong>la</strong>ico. «La Repubblica» ha spesso ospitato i suoi interventi in<br />
questo senso. “Generale senza truppe” fu astiosamente definito negli anni ottanta,<br />
ma Pietro Scoppo<strong>la</strong> – che peraltro non ha mai cercato di allineare truppe dietro di<br />
sé – ha avuto molti amici, esercitando con <strong>la</strong> so<strong>la</strong> forza delle sue idee un’influenza<br />
sorprendentemente <strong>la</strong>rga. La “lezione” più difficile del professore, che avrebbe<br />
compiuto ottantun’anni il 14 dicembre 2007, è stata indubbiamente l’ultima: con<br />
<strong>la</strong> sobrietà che gli era propria ma in una forma in qualche modo pubblica, ha combattuto<br />
a viso aperto <strong>la</strong> sua ultima battaglia, vivendo <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia con <strong>la</strong> lucidità del<br />
<strong>la</strong>ico e <strong>la</strong> serenità del credente. Senza Pietro Scoppo<strong>la</strong> oggi siamo più soli: <strong>cattolici</strong> e<br />
<strong>la</strong>ici, amici ed avversari sentiremo tutti <strong>la</strong> sua mancanza. In questo breve ricordo, il<br />
termine autentico è ricorso più volte, forse non a caso: questo raro esempio di spirito<br />
inquieto e generoso ci <strong>la</strong>scia soprattutto il dono di un’esistenza vissuta con esemp<strong>la</strong>re<br />
autenticità umana e spirituale.<br />
<br />
127
Ne abbiamo par<strong>la</strong>to sorridendo affettuosamente le due o tre volte che è venuto<br />
in tv a discutere di religione e <strong>politica</strong>, l’anno scorso. Qualche tempo prima Pietro<br />
Scoppo<strong>la</strong> aveva dichiarato eretiche le posizioni de «Il Foglio» sul diritto del cristianesimo<br />
e del<strong>la</strong> Chiesa al<strong>la</strong> presenza e all’influenza sul<strong>la</strong> vita pubblica, spacciandole per<br />
un cinico tentativo di abuso politico del<strong>la</strong> fede, e le aveva scomunicate citando <strong>la</strong><br />
tragica parabo<strong>la</strong> di Charles Maurras, a sua volta oggetto di scomunica papale. Maurras<br />
era un grandiloquente, immaginifico e confuso letterato, ideologo e giornalista<br />
che abbracciò, da posizioni personali di spiritualismo agnostico, quasi tutte le opinioni<br />
censurabili o ignobili del<strong>la</strong> cultura europea del<strong>la</strong> prima metà del Novecento:<br />
fu antidreyfusardo, antisemita, nazionalista, xenofobo-germanofobo, monarchicolegittimista,<br />
sa<strong>la</strong>zarista, franchista, integrista cattolico, populista e non so cos’altro.<br />
“È in quanto ebreo che bisogna capire, combattere e abbattere Léon Blum”, è una<br />
delle sue tipiche espressioni sanguinarie. Se si tenga conto del fatto che Maurras, accademico<br />
di Francia, finì i suoi giorni scontando una condanna all’ergastolo nel<strong>la</strong><br />
Francia del secondo dopoguerra, per essere poi condannato all’oblio multipartisan<br />
del<strong>la</strong> République e a un culto solforoso di pochi fedeli, bisogna dire che <strong>la</strong> polemica<br />
di Scoppo<strong>la</strong> contro «Il Foglio», ospitata da «<strong>la</strong> Repubblica» con una replica il giorno<br />
successivo, non fu esente da una certa concitazione. Ma quello scatto di nervi fu subito<br />
acqua passata, nonostante un dissenso rimasto integro, però senza rancori.<br />
A me oltre tutto il paradosso civile del cattolico democratico, e Scoppo<strong>la</strong> fu<br />
campione militante di quel<strong>la</strong> cultura, è sempre piaciuto. Che da un mondo <strong>la</strong>ico e<br />
non confessionale, con <strong>la</strong> trovata degli atei devoti e una guerra culturale non occasionale<br />
né effimera, arrivasse un segno di contraddizione al<strong>la</strong> vulgata di sinistra, post-conciliare,<br />
<strong>la</strong>icista del cattolicesimo democratico, era obiettivamente un affronto:<br />
umanamente perdonato ma intellettualmente imperdonabile. Avere scoperto<br />
con qualche anticipo, e averlo predicato come una buona novel<strong>la</strong> <strong>la</strong>ica, che <strong>la</strong> <strong>politica</strong><br />
seco<strong>la</strong>re non aveva riassorbito nel conformismo e nello stato etico <strong>la</strong> autonoma<br />
e inquietante bellezza del<strong>la</strong> religione, fino ad esaurir<strong>la</strong> in un culto radicalmente privato,<br />
era il nostro crimine maurrasiste.<br />
Ma il vecchio e saggio professore, saggio perché dotato anche di un cattivo carattere,<br />
sapeva in cuor suo che qualcosa di nuovo era successo, che tempi e papi e<br />
* «Il Foglio», 26 ottobre 2007.<br />
Quando il cattolico democratico<br />
ci inflisse <strong>la</strong> scomunica*<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
di Giuliano Ferrara<br />
129
Giuliano Ferrara<br />
idee e processi sociali si erano succeduti in un turbine di mutamento, dai tempi in<br />
cui il divorzio e l’aborto avevano trionfato spaccando <strong>la</strong> chiesa e seco<strong>la</strong>rizzando con<br />
violenza perfino il ricordo di un cattolicesimo effettivamente sentito e praticato e<br />
predicato senza costrizioni, umilmente o orgogliosamente ma liberamente. Capiva<br />
con il sorriso, <strong>la</strong> conversazione, quel che non accettava con i nervi, da studioso e<br />
pubblicista legato al<strong>la</strong> propria identità: che l’ipotesi illuminista di un radicale<br />
smantel<strong>la</strong>mento dello spirito religioso in favore del positivismo scientista o di altri<br />
profetismi era fallita.<br />
130 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Il 25 ottobre 2007 ci ha <strong>la</strong>sciato Pietro Scoppo<strong>la</strong>, un’intellettuale cattolico che ha<br />
marcato con un segno profondo <strong>la</strong> cultura storica e <strong>politica</strong> del nostro paese. Era nato<br />
nel 1926. Giovanissimo lo troviamo tra i col<strong>la</strong>boratori del periodico «Adesso» di don<br />
Primo Mazzo<strong>la</strong>ri, fu, poi, funzionario del Senato, col<strong>la</strong>boratore e direttore del<strong>la</strong> rivista<br />
«Il Mulino», dal<strong>la</strong> metà degli anni Sessanta intraprese <strong>la</strong> carriera universitaria, insegnando<br />
nelle Università di Lecce, di Trento e di Roma ‘La Sapienza’. Ha fatto parte<br />
del<strong>la</strong> Commissione nazionale dell’Unesco e del<strong>la</strong> Giunta centrale degli studi storici.<br />
Pietro Scoppo<strong>la</strong> è lo storico che, tra i primi, in Italia, assieme a Fausto Fonzi e<br />
Gabriele De Rosa, avviò, negli anni Cinquanta, gli studi sul<strong>la</strong> storia, sino ad allora<br />
quasi sconosciuta, del cattolicesimo politico italiano tra Ottocento e Novecento. I<br />
suoi libri hanno formato intere generazioni di studiosi, ad essi hanno attinto politici,<br />
giornalisti, studenti e tutti coloro che andavano al<strong>la</strong> ricerca delle radici lontane<br />
del<strong>la</strong> nostra storia nazionale e del partito politico che in quegli anni aveva assunto<br />
saldamente <strong>la</strong> guida del paese.<br />
Al suo primo libro, pubblicato nel 1957 presso le edizioni Studium con il titolo<br />
Dal neoguelfismo al<strong>la</strong> Democrazia cristiana, efficace sintesi delle vicende del movimento<br />
politico e sociale dei <strong>cattolici</strong> italiani, seguì una delle sue opere più significative,<br />
Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia (il Mulino, 1961). Con<br />
questa opera, Scoppo<strong>la</strong> offriva un approfondito e documentato quadro delle correnti<br />
politiche e culturali del cattolicesimo italiano, con partico<strong>la</strong>re attenzione al<br />
movimento modernista. Il volume, uscito negli anni più vivaci del<strong>la</strong> svolta conciliare,<br />
riproponeva all’attenzione degli studiosi il delicato problema del rapporto tra<br />
gerarchia ecclesiastica e istanze di rinnovamento religioso e culturale, che maturano<br />
tra <strong>la</strong> fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Un tema sempre caro a Pietro<br />
Scoppo<strong>la</strong>, per quel<strong>la</strong> attenzione, che mai venne meno, ai processi di cambiamento<br />
e alle novità che maturano nel pensiero e nel<strong>la</strong> vita interna del<strong>la</strong> Chiesa, ai rapporti<br />
del<strong>la</strong> fede con <strong>la</strong> modernità, con <strong>la</strong> società civile e con lo Stato.<br />
Questi temi trovarono una ulteriore attenzione nel volume pubblicato nel<br />
1966, sempre per i tipi del Mulino, con il titolo Coscienza religiosa e democrazia nel-<br />
* «Coscienza», nn. 4-6, 2007.<br />
L’amore di Pietro per <strong>la</strong> storia*<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
di Francesco Malgeri<br />
131
Francesco Malgeri<br />
l’Italia contemporanea, ove gli aspetti dedicati alle correnti e ai problemi del rinnovamento<br />
religioso si arricchivano di una penetrante riflessione sul cattolicesimo politico<br />
italiano, con partico<strong>la</strong>re riguardo al rapporto tra cattolicesimo e democrazia.<br />
Negli stessi anni Scoppo<strong>la</strong> si è interessato, con saggi ed interventi vari, del<strong>la</strong> <strong>politica</strong><br />
sco<strong>la</strong>stica italiana, del pensiero di Maret e dei <strong>cattolici</strong> democratici europei,<br />
del pensiero di Cavour e Croce, e del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> ecclesiastica italiana, pubblicando<br />
nel 1967, presso l’editore Laterza, una ricca antologia di documenti, con introduzione<br />
e note critiche, sul tema Chiesa e Stato nel<strong>la</strong> storia d’Italia, a cui seguì nel<br />
1971 La Chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni.<br />
A partire dagli anni Settanta l’attenzione di Pietro Scoppo<strong>la</strong> si è orientata prevalentemente<br />
verso i temi e i problemi dell’Italia del secondo dopoguerra. Fu tra i primi<br />
a studiare <strong>la</strong> figura, il pensiero e l’opera di Alcide De Gasperi. Con il volume La proposta<br />
<strong>politica</strong> di De Gasperi, pubblicato nel 1977 dal Mulino, Scoppo<strong>la</strong> suscitava un<br />
vivace dibattito storiografico, proponendo una rilettura del ruolo svolto da De Gasperi<br />
nel<strong>la</strong> vita <strong>politica</strong> italiana, dal<strong>la</strong> crisi del regime fascista sino agli anni Cinquanta,<br />
soffermandosi in partico<strong>la</strong>re sul delicato problema del rapporto tra Democrazia<br />
cristiana, mondo cattolico e quadro politico nazionale, sottolineando l’orientamento<br />
democratico-liberale che animò il progetto degasperiano, anche in contrasto con le<br />
spinte più conservatrici presenti nel cattolicesimo italiano, che De Gasperi ebbe il<br />
merito di convogliare e ricondurre all’interno del sistema democratico.<br />
Emerge, in questa opera, l’immagine di un De Gasperi non tanto erede del<strong>la</strong><br />
tradizione del cattolicesimo sociale ottocentesco, né tanto meno delle istanze corporativistiche<br />
clerico-fasciste – come ha ipotizzato Baget Bozzo – bensì, soprattutto<br />
“partecipe del<strong>la</strong> grande tradizione democratico-liberale europea”. Scoppo<strong>la</strong> individua<br />
nel pensiero di De Gasperi “l’affermazione del<strong>la</strong> libertà individuale e degli ordinamenti<br />
rappresentativi”, assieme all’idea, sul<strong>la</strong> linea del Tocqueville, “di una democrazia<br />
pluralistica, che esprime una società artico<strong>la</strong>ta, in cui individuo e stato<br />
non sono più entità astratte e contrapposte”. Una visione che De Gasperi riuscì felicemente<br />
a conciliare “con le esigenze più profonde del cristianesimo”.<br />
Parve a molti, nel 1977, quando uscì questo volume di Pietro Scoppo<strong>la</strong>, che il<br />
suo <strong>la</strong>voro fosse in qualche modo funzionale all’ipotesi, allora dibattuta, del compromesso<br />
storico. Il dibattito attorno a questo libro divenne a volte aspro e serrato.<br />
È indubbio che i riflessi del<strong>la</strong> vita <strong>politica</strong> e sociale non sono mai del tutto estranei<br />
nel <strong>la</strong>voro dello storico, che ne vive e ne subisce i condizionamenti. Per Scoppo<strong>la</strong>,<br />
poi, il <strong>la</strong>voro dello storico non era mai fine a se stesso ma intriso di una intensa passione<br />
etica, civile e democratica, che ne rappresentava una sorta di nutrimento.<br />
Gli interessi e l’attenzione all’Italia del secondo dopoguerra hanno trovato ulteriori<br />
sviluppi negli anni successivi, con i volumi Gli anni del<strong>la</strong> Costituente tra politi-<br />
132 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Francesco Malgeri<br />
ca e storia (il Mulino, 1980) e La nuova cristianità perduta (Studium, 1985), ma soprattutto<br />
con <strong>la</strong> pubblicazione nel 1991 del<strong>la</strong> prima edizione del volume La Repubblica<br />
dei partiti (il Mulino), una ampia e organica riflessione sul<strong>la</strong> storia dell’Italia<br />
repubblicana e sul problema del<strong>la</strong> democrazia italiana. Si tratta di un’opera che<br />
mette a fuoco i nodi più importanti e delicati sul piano politico, sociale e istituzionale,<br />
che segnano <strong>la</strong> storia dell’Italia repubblicana, ripercorsi anche con l’attenzione<br />
a cogliere le cause che, a partire dagli anni Ottanta, hanno bloccato il sistema politico,<br />
mettendo in crisi i partiti e le istituzioni del paese.<br />
Questa riflessione sull’Italia del secondo dopoguerra portava Scoppo<strong>la</strong> ad affrontare<br />
anche <strong>la</strong> questione dell’identità nazionale e del<strong>la</strong> formazione e sviluppo del<br />
senso del<strong>la</strong> cittadinanza nel nostro paese, inserendosi in un vivace dibattito storiografico<br />
e dedicando all’argomento alcuni significativi saggi (25 aprile. Liberazione,<br />
Einaudi 1995 e La Costituzione contesa, Einaudi 1998), nei quali si evidenzia il peso<br />
e il ruolo che le forze politiche uscite dal<strong>la</strong> Resistenza hanno svolto nel<strong>la</strong> fondazione<br />
del<strong>la</strong> Repubblica, in un comune patrimonio di valori e di principi, che hanno<br />
trovato nel<strong>la</strong> Carta costituzionale <strong>la</strong> loro più significativa realizzazione. Un patrimonio<br />
che, a suo avviso, andava custodito e conservato, rivendicando anche una<br />
sorta di “patriottismo costituzionale”, come risposta al<strong>la</strong> crisi dell’identità nazionale<br />
italiana.<br />
Con Pietro Scoppo<strong>la</strong> scompare una delle più rappresentative figure – forse<br />
l’ultima – di quel pensiero che da Rosmini, Manzoni e Tommaseo, attraverso personalità<br />
come Jacini, Fogazzaro e Gal<strong>la</strong>rati Scotti, giunge sino ad Arturo Carlo Jemolo,<br />
che fu tra i suoi maestri. Un pensiero che si ispirava a quel filone cattolico-liberale,<br />
che intendeva coniugare le istanze culturali del<strong>la</strong> tradizione democratica e<br />
risorgimentale del liberalismo, con un cattolicesimo ispirato al<strong>la</strong> tolleranza e lontano<br />
dalle tentazioni integraliste, attento a cogliere il segno dei tempi e i valori delle<br />
moderne conquiste civili e sociali.<br />
Scoppo<strong>la</strong> si misurò anche con l’impegno politico vissuto non soltanto attraverso<br />
i suoi scritti e le sue ricerche storiche, ma in prima persona, ricoprendo cariche<br />
di partico<strong>la</strong>re rilievo. Basti ricordare che fu fondatore ed esponente di primo piano<br />
del<strong>la</strong> “Lega democratica” tra gli anni ’70 e gli anni ’80; fu parte attiva, il 17 febbraio<br />
1974, nel<strong>la</strong> stesura dell’Appello dei <strong>cattolici</strong> democratici per il no nel referendum, che<br />
ebbe il sostegno di personalità e di intellettuali <strong>cattolici</strong> come Francesco Traniello,<br />
Ettore Passerin d’Entreves, <strong>Luigi</strong> Pedrazzi, Paolo Brezzi, Giuseppe Alberigo, Pierre<br />
Carniti, Giancarlo Zizo<strong>la</strong>, Ruggero Orfei ed altri; fu senatore, eletto nelle liste del<strong>la</strong><br />
Dc, dal 1983 al 1987; fece parte dei movimenti referendari all’inizio degli anni<br />
’90, con l’obiettivo di accelerare <strong>la</strong> riforma del sistema politico italiano; fu parte attiva<br />
in seno all’Ulivo e nel<strong>la</strong> recente preparazione e realizzazione del Partito democratico.<br />
133
Francesco Malgeri<br />
Questa esperienza <strong>la</strong> visse con una straordinaria passione civile e con una forte<br />
tensione etica, mantenendosi sempre ben ancorato a quei valori e a quelle istanze<br />
del cattolicesimo democratico che avevano nutrito <strong>la</strong> sua formazione e <strong>la</strong> sua fisionomia<br />
culturale e intellettuale, ma anche riaffermando, con convinzione profonda,<br />
<strong>la</strong> dimensione <strong>la</strong>ica e l’autonomia <strong>politica</strong> del cristiano, pur nel rispetto del magistero<br />
del<strong>la</strong> Chiesa e delle sue indicazioni morali.<br />
Chi ha avuto modo di conoscerlo e frequentarlo non potrà dimenticare il suo<br />
tratto gentile, il suo garbo, <strong>la</strong> sua signorilità, <strong>la</strong> sua sensibilità, il rispetto e <strong>la</strong> tolleranza<br />
nei confronti dei suoi interlocutori, anche dei giovani e degli studenti, e soprattutto<br />
<strong>la</strong> sua personalità di intellettuale e di cristiano ben saldo nel<strong>la</strong> sua fede,<br />
ma attento e disponibile al dialogo e sempre pronto a misurarsi con <strong>la</strong> complessità<br />
del<strong>la</strong> vita e del<strong>la</strong> storia.<br />
134 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
“La democrazia dei cristiani oggi coincide con <strong>la</strong> democrazia di tutti; in sostanza<br />
è un impegno a tener viva , anche con <strong>la</strong> fede, una speranza di democrazia per il<br />
nuovo millennio”. Finiva così l’intervento di Pietro Scoppo<strong>la</strong> sul cattolicesimo politico<br />
dell’Italia unita uscita quasi due anni fa e che sembra un epitaffio, posto a sigillo<br />
di una vita chiusasi ieri a Roma tra l’affetto dei suoi cari, dopo aver combattuto<br />
da cristiano, a mani nude, una lunga battaglia con <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia.<br />
Scoppo<strong>la</strong> è stato non solo maestro di studiosi e di studenti, ma una figura che<br />
ha <strong>la</strong>vorato intensamente per dare al<strong>la</strong> storia <strong>politica</strong> dei <strong>cattolici</strong> italiani una fondazione<br />
culturale che era per alcuni un vezzo surrogabile con l’anticomunismo o<br />
con l’integrismo. Una passione civile, borghese nel senso alto del termine, coltivata<br />
fin dalle prime apparizioni del suo nome sulle colonne delle «Cronache sociali» di<br />
Rossetti e nei «Quaderni di storia e cultura sociale» di Livorno. È del 1957 il suo libro<br />
(“schiettamente divulgativo”, dichiara l’understatement dell’autore) Dal neoguelfismo<br />
al<strong>la</strong> democrazia cristiana, che cerca e trova nei fallimenti di quelle generazioni<br />
che avevano sognato una vita <strong>politica</strong> democratica per i <strong>cattolici</strong> le ragioni di<br />
una speranza.<br />
Ascoltiamo quello Scoppo<strong>la</strong> trentenne tirare le fi<strong>la</strong> del<strong>la</strong> utopia di Murri: “È così<br />
che le encicliche sociali dei papi e le affermazioni stesse del Vangelo, là dove indicano<br />
un ideale di fraternità e di carità, sono concepite come programma compiuto<br />
di partito da contrapporre a qualche altro partito; come se nell’azione <strong>politica</strong> le<br />
oneste intenzioni e i sani propositi morali potessero per sé soli attuare miracolose<br />
trasformazioni, senza una <strong>la</strong>boriosa e rischiosa opera di incarnazione nel<strong>la</strong> realtà<br />
storica che tenga conto realisticamente delle sue leggi di sviluppo e delle forze che<br />
in essa operano”.<br />
Questa linea insieme storica e <strong>politica</strong> passa nel volume sul<strong>la</strong> crisi modernista e<br />
il rinnovamento cattolico (1961), per approdare dopo altri libri a Chiesa e fascismo<br />
del 1971. Libro antologico, ma capitale, di cui tutti speravamo che Scoppo<strong>la</strong> potesse<br />
fare una riedizione ora che gli archivi di Pio XI s’erano aperti: perché nel nodo<br />
clerico-fascista, nell’illusione che una retorica moralistica potesse legare popolo e<br />
Stato egli intuiva una trappo<strong>la</strong> di lungo periodo per un cattolicesimo culturalmente<br />
desertificato dall’antimodernismo.<br />
* «Corriere del<strong>la</strong> Sera», 26 ottobre 2007.<br />
Scoppo<strong>la</strong>, l’etica come religione*<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
di Alberto Melloni<br />
135
Alberto Melloni<br />
Per questa via Scoppo<strong>la</strong> arrivava agli studi su La proposta <strong>politica</strong> di De Gasperi<br />
(1977) e su Gli anni del<strong>la</strong> Costituente fra <strong>politica</strong> e storia (1980): lo storico romano<br />
– nel frattempo espostosi <strong>politica</strong>mente a più riprese, senza ricevere in cambio nul<strong>la</strong><br />
– confida che almeno <strong>la</strong> <strong>la</strong>ica mediazione degasperiana profumi di futuro. Ancora<br />
una citazione: “I valori non possono essere maneggiati come un metro con cui<br />
misurare gli eventi dall’esterno: vanno scoperti dentro gli eventi stessi (…)”.<br />
Non credo giovi il rimpianto per momenti di libertà che non si sono compiutamente<br />
espressi o per alternative che non si sono realizzate. La comprensione critica<br />
di quello che è realmente accaduto, così come è accaduto, è ancora, forse <strong>la</strong> premessa<br />
migliore per una più ampia libertà nel presente”. E fra le opzioni c’è quel<strong>la</strong> de La<br />
“nuova cristianità” perduta (1985): lo studio dedicato al mito di una riconquista papale<br />
sconfitta dal<strong>la</strong> guerra, al di là del<strong>la</strong> quale si proponeva intonso ai <strong>cattolici</strong> italiani<br />
il compito di far crescere <strong>la</strong> democrazia prima e più di qualsiasi punto confessionale.<br />
Compito che Scoppo<strong>la</strong> fece suo anche dalle colonne de «<strong>la</strong> Repubblica» e che<br />
gli costò qualche diffidenza, diventata denigrazione dell’«Avvenire» nei lustri prima<br />
di Bagnasco. Scoppo<strong>la</strong>, però, non ha mai rinunciato all’idea che <strong>la</strong> comprensione<br />
dell’insieme del<strong>la</strong> parabo<strong>la</strong> storica dei <strong>cattolici</strong> in <strong>politica</strong> fosse l’unica premessa<br />
possibile e necessaria all’azione: e anche all’indomani del naufragio democristiano,<br />
con La repubblica dei partiti (1991 e 1997), è tornato dire che <strong>la</strong> capacità del cattolicesimo<br />
di dare radicamento popo<strong>la</strong>re a una democrazia resa debole dal<strong>la</strong> sua origine<br />
costitutiva un servizio al Paese e al<strong>la</strong> verità. Un servizio più forte perché storicamente<br />
più fondato del<strong>la</strong> illusione di fare del<strong>la</strong> Chiesa un sindacato dei valori (una<br />
“lobby” diceva nell’introduzione agli articoli recentissimamente raccolti in La coscienza<br />
e il potere) al<strong>la</strong> corte di qualche destra. Per Scoppo<strong>la</strong> questa non è una posizione<br />
ideologica, ma il compito e il frutto del sapere storico. “Le occasioni perdute<br />
rimangono tali anche quando si sono capite e studiate. Ignorarle o rimuoverle è<br />
sempre <strong>la</strong> premessa di una irresistibile coazione a ripetere”, scriveva meno di un<br />
mese fa Scoppo<strong>la</strong>. È <strong>la</strong> consegna di cui – non credo mi facciano velo <strong>la</strong> riconoscenza<br />
e l’amicizia – si sente già <strong>la</strong> mancanza.<br />
136 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Pietro Scoppo<strong>la</strong> (morto giovedì all’età di 81 anni) era un uomo che “ci credeva”.<br />
Come si diceva un tempo, quando si voleva par<strong>la</strong>re di una persona cui si riconosceva<br />
coerenza e affidabilità. Credeva al<strong>la</strong> presenza di Dio nel<strong>la</strong> vita degli uomini,<br />
prima di tutto; al<strong>la</strong> <strong>politica</strong> democratica, come il modo più idoneo per migliorarne<br />
<strong>la</strong> convivenza nel Novecento. Ma soprattutto al<strong>la</strong> profonda coerenza tra le<br />
convinzioni e le azioni. In questo semplice e profondo assioma sta il cuore del<strong>la</strong> sua<br />
<strong>la</strong>icità, del<strong>la</strong> sua fede e del<strong>la</strong> sua etica. E del<strong>la</strong> sua profonda anomalia nel panorama<br />
del<strong>la</strong> nostra cultura attuale.<br />
Un’integrità che si è sviluppata negli studi come nel<strong>la</strong> <strong>politica</strong>, ma disgiunti in<br />
un motivarsi reciproco e continuo. Un senso di unitarietà (così evidente nel<strong>la</strong> sua<br />
vita privata) che era quanto di più lontano da ogni doppiezza <strong>politica</strong>, da ogni nichilismo,<br />
da ogni astrattezza accademica. L’unico vero faro morale, <strong>la</strong> sua etica, era<br />
in definitiva <strong>la</strong> coerenza dei comportamenti. Ma più che in un senso protestante –<br />
come spesso gli è stato ingiustamente rimproverato – direi proprio di una certa spiritualità<br />
francese che univa un po’ Bernanos e molto Maritain, fondendo strettamente<br />
interiorità, coscienza e azione, <strong>politica</strong> e studio.<br />
Per questo l’ultima sua polemica, condotta sempre con quel suo fare di gentiluomo,<br />
che non bastava a risparmiargli una profonda amarezza – soprattutto per le<br />
polemiche mossegli dall’«Avvenire» – era contro chi pensava di poter utilizzare <strong>la</strong><br />
religione ai fini politici senza esperire e testimoniare un vero cambiamento interiore.<br />
L’accostamento del pensiero teo-con con l’Action française non nasceva in primo<br />
luogo da una preoccupazione <strong>politica</strong> quanto dal vedere ridotta <strong>la</strong> religione a un<br />
uso solo e spregiudicatamente politico e cioè a una forma di ido<strong>la</strong>tria. Prima dell’estate<br />
aveva cercato nelle carte dell’Archivio Segreto vaticano re<strong>la</strong>tivo al fondo di Pio<br />
XI le argomentazioni con le quali Papa Ratti aveva inflitto <strong>la</strong> scomunica a Maurras<br />
(1925). E, in un suo ultimo <strong>la</strong>voro, ancora inedito, sottolinea proprio il carattere<br />
religioso che motiva questa scomunica.<br />
Ma prono e subalterno al<strong>la</strong> modernità, Scoppo<strong>la</strong> è riuscito invece a cogliere<br />
l’importanza fondativa che <strong>la</strong> presenza cattolica avrebbe dovuto e potuto avere nel<br />
consolidarne gli aspetti più positivi. Primo fra tutti <strong>la</strong> democrazia: tutto il suo <strong>la</strong>voro<br />
di storico propone il difficile e lungo percorso dei <strong>cattolici</strong> verso <strong>la</strong> democrazia<br />
* «Il Sole 24 Ore», 26 ottobre 2007.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Gentiluomo <strong>la</strong>ico, di fede*<br />
di Emma Fattorini<br />
137
Emma Fattorini<br />
come <strong>la</strong> strada maestra per <strong>la</strong> testimonianza cristiana nel Novecento. Fu acuto nel<br />
cogliere gli effetti del<strong>la</strong> seco<strong>la</strong>rizzazione (La “nuova cristianità” perduta, 1985), i referendum<br />
sul divorzio e sull’aborto – soleva ripetere – hanno avuto un effetto def<strong>la</strong>grante<br />
più del 1968 e del<strong>la</strong> stessa fine dei partiti. E i cui esiti si giocheranno anche<br />
in quel partito democratico da lui tanto voluto ma in ben altre forme da come si sta<br />
ora realizzando. Una figura del tutto anoma<strong>la</strong> nel panorama del cattolicesimo del<strong>la</strong><br />
cultura e del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> italiana: che esprimeva molto più un pensiero liberale innervato<br />
di passione sociale che quel così detto cattolicesimo democratico in cui posizioni<br />
del<strong>la</strong> sinistra democristiana si sono confusi con i vari catto-comunismi.<br />
In questi ultimi giorni agli amici che andavano a trovarlo e che ringraziava con<br />
infinita dolcezza creando subito un clima di intesa confidenza, sgranava gli occhi<br />
divenuti più grandi e ancora più curiosi, desiderosi di comunicare. Più stupore che<br />
non ansia, non paura e molta attesa come i bambini di fronte a qualcosa che li colpisce<br />
e li sorprende: “Non ho angoscia sai, ho solo molta curiosità”. Come a interrogarsi:<br />
“Anche dopo <strong>la</strong> morte vivrete”. Finalmente dopo tanti anni capirò cosa<br />
vuol dire. Come Pascal. Sto aspettando. La mia unica preghiera è questa: “Eccomi,<br />
Signore”. Poi mi chiedo cosa fare nell’attesa, come dare speranza e fiducia. Ma devo<br />
essere più umile e “sapermi fermare”. Nessun eroismo ma neppure nessun affanno<br />
compulsivo per accettare o rifiutare: solo un <strong>la</strong>rgo intimo senso del<strong>la</strong> vita e del<strong>la</strong> sua<br />
positività.<br />
138 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Rubriche<br />
POLITICA INTERNA a cura di Nico<strong>la</strong> Graziani 141<br />
POLITICA INTERNAZIONALE a cura di Mario Giro 146<br />
RICERCHE a cura di Andrea Bixio 152<br />
RELIGIONI E CIVILTÀ a cura di Agostino Giovagnoli 155<br />
LIBERA OPINIONE a cura di Giorgio Tupini 160<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA a cura di Valerio De Cesaris 164
Politica interna<br />
a cura di Nico<strong>la</strong> Graziani<br />
La caduta del governo di centrosinistra segna, al di là persino del<strong>la</strong> superficialità<br />
di alcuni titoli del<strong>la</strong> stampa internazionale, <strong>la</strong> fine di una stagione <strong>politica</strong>,<br />
iniziata con le convulsioni seguite al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> cosiddetta Prima Repubblica e culminata<br />
in un lungo duello, vissuto talvolta in maniera anche troppo personalistica,<br />
tra Romano Prodi e Silvio Berlusconi.<br />
Il centrosinistra conclude in anticipo una stagione di governo che si augurava<br />
ben più lunga. Per il centrodestra non si tratta di un esito non del tutto inaspettato,<br />
visto che il rendere molto difficile l’azione del governo era lo scopo dichiarato<br />
del<strong>la</strong> legge elettorale da esso varata nell’ultima fase del<strong>la</strong> legis<strong>la</strong>tura 2001-2006. Ma<br />
il fatto stesso che, per riuscire a tornare protagonista, il Polo abbia dovuto ricorrere<br />
ad un sotterfugio (altrimenti denominato “porcata” dallo stesso Roberto Calderoni,<br />
autore del<strong>la</strong> legge elettorale), così come l’incapacità del centrosinistra di e<strong>la</strong>borare<br />
comunque una autentica <strong>politica</strong> di riforme, dimostrano il fallimento di una<br />
intera fase del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> nazionale. Scegliendo una immagine partico<strong>la</strong>rmente viva<br />
negli occhi dell’opinione pubblica non solo nazionale, il «Corriere del<strong>la</strong> Sera» ha<br />
definito l’emergenza rifiuti del<strong>la</strong> Campania l’emblema del fallimento non tanto di<br />
una parte <strong>politica</strong>, ma di un’intera c<strong>la</strong>sse dirigente. La semplificazione, in quanto<br />
tale, è parziale, ma non priva di efficacia. Persino i numerosi, quanti spesso ingenerosi<br />
e poco condivisibili, articoli del «New York Times», del« Times» di Londra, del<br />
«Wall Street Journal» o del «Financial Times» sono, nel<strong>la</strong> loro indubbia parzialità,<br />
spia di una sensazione generale di sfi<strong>la</strong>cciamento delle tensioni ideali di una fase<br />
iniziata (proprio quando le stesse testate condannavano <strong>la</strong> Prima Repubblica paragonando<strong>la</strong><br />
al Tardo Impero) tra promesse di rinnovamento e di ri<strong>la</strong>ncio.<br />
Il fatto che entrambi i poli abbiano mostrato il fiato corto viene confermato<br />
dalle fasi politiche che si sono avvicendate prima del gennaio 2008. Vale a dire il<br />
varo del<strong>la</strong> Finanziaria, <strong>la</strong> nascita del Partito Democratico, il tentativo berlusconiano<br />
di dar vita ad un Partito delle Libertà.<br />
Il governo Prodi, al contrario di quanto avvenuto 12 mesi prima, nel dicembre<br />
del 2007 è riuscito a varare una Finanziaria che non ha dato l’impressione di<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
141
far pagare al ceto medio il costo del necessario risanamento delle casse pubbliche.<br />
Al termine di un anno in buona parte dedicato al dibattito su cosa fare del “Tesoretto”<br />
proveniente dall’extragettito fiscale, l’esecutivo ha portato ad approvazione<br />
una Finanziaria in cui il peso del<strong>la</strong> stretta appariva sostanzialmente ben distribuito<br />
tra le componenti sociali. Purtroppo, però, questo innegabile sforzo di equità è andato<br />
a coincidere con una fase in cui, per effetto di una serie di fattori anche endogeni,<br />
il ceto medio italiano ha dovuto fare i conti con un’ulteriore diminuzione del<br />
potere d’acquisto dei sa<strong>la</strong>ri. Il quadro tracciato a riguardo dall’Eurispes tra dicembre<br />
e gennaio è, oggettivamente, al<strong>la</strong>rmante. Tanto più se si considera l’essen zia lità,<br />
per il buon funzionamento e <strong>la</strong> prosecuzione di ogni regime autenticamente democratico,<br />
di un ceto medio in grado di poter guardare al futuro senza patemi<br />
d’animo. La situazione economica generale, poi, non ha potuto che risentire negativamente<br />
dell’incipiente recessione proveniente dagli Stati Uniti, dove <strong>la</strong> crisi dei<br />
mutui sub-prime ha fatto da detonatore ad una spirale negativa peggiore di quel<strong>la</strong><br />
seguita all’implosione del<strong>la</strong> New Economy dell’inizio del decennio.<br />
Dal punto di vista politico, poi, <strong>la</strong> Finanziaria ha mostrato una volta di più<br />
le carenze strutturali del<strong>la</strong> coalizione di governo emersa dalle elezioni del 2006.<br />
Una maggioranza a suo tempo definita “sexy” dallo stesso premier ha avuto modo<br />
di varare il provvedimento, come nel 2007, a colpi di fiducia. Una circostanza che<br />
le ha attirato gli strali dello stesso Capo dello Stato. Giorgio Napolitano, ancor prima<br />
del<strong>la</strong> votazione finale, aveva fatto trape<strong>la</strong>re il suo malumore per un sistema che<br />
aveva condannato già nel 2006 e che, gli era stato promesso, non sarebbe stato seguito<br />
nel 2007. Tanto che, nel discorso pronunciato di fronte alle Alte magistrature<br />
del<strong>la</strong> Repubblica al<strong>la</strong> fine dell’anno, Napolitano ha dovuto constatare: “Anche<br />
quest’anno, in misura solo lievemente attenuata rispetto allo scorso anno, l’appro -<br />
va zione del<strong>la</strong> legge Finanziaria e’ stata in ultima istanza affidata a congegni di abnorme<br />
accorpamento – con conseguenti voti di fiducia – di norme accresciutesi<br />
senza misura nel corso del dibattito par<strong>la</strong>mentare”.<br />
Nel corso dello stesso messaggio, peraltro, il Capo dello Stato ha dovuto anche<br />
richiamare l’attenzione su altri punti. Primo tra tutto l’esistenza di un “dibattito<br />
politico soffocato dal<strong>la</strong> partigianeria” che ha impedito ai poli di dialogare. Poi, logica<br />
conseguenza del punto precedente, il mancato avvio delle riforme. Terzo: tra<br />
le riforme non varate spicca quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> legge elettorale. Quarto: il deterioramento<br />
dei rapporti tra istituzioni e magistratura. Considerando che, nel febbraio 2007,<br />
sempre Napolitano aveva rinviato il governo Prodi alle Camere proprio con<br />
l’indicazione di avviare le riforme cominciando dal<strong>la</strong> legge elettorale, il bi<strong>la</strong>ncio<br />
tracciato dal Quirinale dieci mesi dopo difficilmente può essere considerato soddisfacente.<br />
Senza considerare poi che <strong>la</strong> pietra su cui è infine inciampato il governo<br />
riguarda proprio i rapporti tra magistratura e istituzioni. Gli arresti domiciliari per<br />
Sandra Lonardo Mastel<strong>la</strong>, e <strong>la</strong> fase che si è conseguentemente aperta per chiudersi<br />
con l’uscita dell’Udeur di Clemente Mastel<strong>la</strong>, sono da considerare solo un fattore<br />
episodico di una crisi <strong>politica</strong> che si andava dipanando da diversi mesi. Né <strong>la</strong> tenu-<br />
142<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
ta del governo è emersa come rafforzata dal <strong>la</strong>ncio del<strong>la</strong> formu<strong>la</strong> <strong>politica</strong> che, invece,<br />
avrebbe dovuto renderlo stabile e duraturo.<br />
Il Partito Democratico nasce come <strong>la</strong> logica e necessaria conseguenza di un<br />
percorso politico avviato dopo il 1992, con l’introduzione del bipo<strong>la</strong>rismo (in grado<br />
di reggere al ritorno di una legge elettorale similproporzionale come quel<strong>la</strong> del<br />
2006). Il Pd, probabilmente, ha segnato anche qualcosa di più profondo, come il<br />
momento finale di un cammino politico avviato da forze cattoliche all’indomani<br />
del Concilio, le quali (erroneamente comprese nel mondo ben più vasto e complesso<br />
del<strong>la</strong> Sinistra Democristiana) hanno <strong>la</strong>vorato per anni ad una nuova fase<br />
del<strong>la</strong> Repubblica, in cui cadesse <strong>la</strong> dicotomia <strong>cattolici</strong>-sinistra. Perdendo lungo il<br />
percorso anche non trascurabili schegge del loro mondo di provenienza, queste<br />
forze (certo non trascurabili dal punto di vista intellettuale e morale) hanno scelto<br />
non come compagni di viaggio, e nemmeno come semplici conviventi, ma si direbbe<br />
come elementi a loro consustanziali esponenti di una cultura originariamente<br />
di sinistra, poi sempre più spostata al centro fino ad essere tacciata, in qualche<br />
caso, di liberismo. Anche perché il modello di sviluppo economico da essa scelto<br />
negli ultimi anni non è stata l’economia sociale di mercato sull’esempio renano,<br />
ma il New Labour di Tony B<strong>la</strong>ir.<br />
La presenza ai vertici del partito del ticket Veltroni-Franceschini è <strong>la</strong> rappresentazione<br />
materiale di questo nuovo tipo di unione, il quale viene da lontano e<br />
probabilmente sopravviverà alle tempeste dell’attualità <strong>politica</strong>: l’uno da segretario<br />
dei Ds scrisse su «La Stampa»: “Noi non siamo mai stati comunisti”. L’altro, proveniente<br />
dalle fi<strong>la</strong> del Movimento giovanile del<strong>la</strong> Democrazia Cristiana, entrò nel<br />
Partito Popo<strong>la</strong>re dopo un passaggio nei Cristiano-Sociali.<br />
Le prime uscite del Partito Democratico, però, non hanno coinciso con una fase<br />
fortunata per il centrosinistra. Il suo stesso varo, l’investitura del segretario (Veltroni)<br />
attraverso le primarie del 16 ottobre 2007 ed il successivo dibattito hanno<br />
avuto l’effetto immediato di far apparire <strong>la</strong> premiership di Prodi come una fase appartenente<br />
al passato. Nonostante le rassicurazioni in senso contrario, dichiarazioni<br />
come quelle rese da Walter Veltroni ancor prima dell’apertura del<strong>la</strong> crisi di governo<br />
sull’intenzione del Pd di avere liste autonome alle politiche hanno fatto apparire<br />
come imminente una nuova fase elettorale. Il partito, poi, porta con sé il segno,<br />
non positivo, dell’assenza di un processo di formazione dal basso che lo<br />
rafforzi nel<strong>la</strong> società civile, a meno che non si voglia ritenere che una cosiddetta<br />
“primaria” possa supplire al<strong>la</strong> mancanza di una vera e propria fase congressuale.<br />
Per quanto riguarda lo strumento delle primarie, non può sfuggire una considerazione<br />
imposta dall’attualità del processo elettorale americano, in pieno svolgimento<br />
in questi mesi. Le primarie americane consistono, nel<strong>la</strong> loro essenza, in<br />
una serie di votazioni su territori diversi, in momenti diversi, per l’elezione su base<br />
proporzionale dei delegati ad una convention, vale a dire un congresso, che poi<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
143
sceglie il candidato al<strong>la</strong> Presidenza. Non è esattamente il processo seguito dal centrosinistra<br />
italiano per scegliere <strong>la</strong> candidatura Prodi prima e <strong>la</strong> segreteria Veltroni<br />
poi.<br />
La nascita del Pd, comunque, ha messo in luce anche una contraddizione intrinseca<br />
del centrodestra. Non è un caso, infatti, che immediatamente dopo le primarie<br />
del Pd Silvio Berlusconi abbia <strong>la</strong>nciato un nuovo partito unitario, il Partito<br />
del Popolo delle Libertà. Non è un caso, nemmeno, che l’offerta abbia incontrato<br />
il disincanto dei partner del Polo (anche perché andata a coincidere con una fase di<br />
temporaneo rafforzamento del governo Prodi, dovuta al passaggio al Senato in prima<br />
lettura del<strong>la</strong> Finanziaria).<br />
Se il Pd, nel centrosinistra, segna <strong>la</strong> logica evoluzione del bipo<strong>la</strong>rismo, lo stesso<br />
dovrebbe avvenire con il partito unitario cui Silvio Berlusconi va pensando ormai<br />
da anni. I no di Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini appaiono, al tempo stesso,<br />
fuori del tempo quanto necessari a preservare le rispettive anime culturali: quel<strong>la</strong><br />
di una destra ancora in bilico e quel<strong>la</strong> di un conservatorismo cattolico che guarda<br />
al centro ma è incapace di liberarsi dall’abbraccio del centrodestra.<br />
La posizione del Polo, innegabilmente migliore rispetto a quel<strong>la</strong> del centrosinistra<br />
al momento del<strong>la</strong> fine dell’esecutivo Prodi, presenta quindi le sue non trascurabili<br />
contraddizioni. Al suo interno, infatti, sopravvivono gli unici due partiti<br />
strutturati del panorama politico. Al tempo stesso il partito più consistente, vale a<br />
dire Forza Italia, rappresenta <strong>la</strong> quintessenza di quel leaderismo da molti indicati<br />
come <strong>la</strong> più precipua caratteristica del<strong>la</strong> lunga fase <strong>politica</strong> avviata nel ’92. Alte le<br />
possibilità di cortocircuito politico, dunque, soprattutto in base ad una lettura dei<br />
rapporti di forza fatta sui canoni stabiliti dal<strong>la</strong> legge elettorale del 2006.<br />
Anche il centrodestra, non va dimenticato, nel corso del<strong>la</strong> legis<strong>la</strong>tura avviata<br />
nel 2001 con una maggioranza par<strong>la</strong>mentare schiacciante (<strong>la</strong> più netta nel<strong>la</strong> storia<br />
repubblicana), fu costretto ad un passaggio al Quirinale a metà percorso.<br />
Un altro elemento di novità degli ultimi mesi del 2007, infine, è stata <strong>la</strong> cosiddetta<br />
“Cosa Bianca”, in sé il primo serio tentativo da parte di esponenti del<br />
mondo cattolico di ricostruire un momento di unità. Il nome non rende giustizia<br />
al<strong>la</strong> chiarezza: in effetti sotto <strong>la</strong> dizione “Cosa Bianca” (dal punto di vista del<br />
marketing, nome infelice come pochi: a metà strada tra <strong>la</strong> “Cosa” di Achille Occhetto<br />
del 1989-91 e <strong>la</strong> “Balena Bianca” di for<strong>la</strong>niana memoria) vanno ricadendo<br />
una serie di esperienze e di iniziative non ancora caratterizzate dall’unità. La principale<br />
tra queste è “Officina 2007”, movimento di Savino Pezzotta che punta ufficialmente<br />
ad una fase costituente di natura culturale ancor prima che <strong>politica</strong>. Non<br />
a caso lo slogan scelto da Pezzotta è “In movimento per <strong>la</strong> buona <strong>politica</strong>”. L’ex segretario<br />
del<strong>la</strong> Cisl è andato comunque muovendosi molto nel<strong>la</strong> seconda metà dello<br />
scorso anno, tessendo una rete di re<strong>la</strong>zioni con numerose realtà del mondo cattolico,<br />
alcune delle quali non hanno voluto aderire al Pd ritenendolo – come prima di<br />
esso <strong>la</strong> Margherita – un contenitore di voti privo di anima ed identità culturali e<br />
144 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
politiche; altre sempre meno felici del modello di presenza dei <strong>cattolici</strong> nel centrodestra.<br />
Una seconda esperienza significativa, tra le altre, il movimento a chiara impronta<br />
<strong>politica</strong> fondato da tempo da Gerardo Bianco, Alberto Monticone e Lino<br />
Duilio, Italia Popo<strong>la</strong>re. Questo movimento, apertamente di natura <strong>politica</strong>, ha<br />
aderito federandosi a “Officina 2007”, rispetto al<strong>la</strong> quale mantiene unità d’intenti<br />
e autonomia di azione. Una situazione che svinco<strong>la</strong> gli uni dagli obblighi degli altri<br />
(Italia Popo<strong>la</strong>re è fortemente caratterizzata sul centrosinistra, pur considerando in<br />
maniera non certo positiva il Partito Democratico, “Officina 2007” ha un carattere<br />
più trasversale). “Non credo che nascerà mai <strong>la</strong> ‘Cosa Bianca’”, è stato detto lo<br />
scorso dicembre da autorevoli esponenti del centrosinistra. Il fatto stesso che <strong>la</strong> si<br />
citi ai massimi livelli, proprio per negarle possibilità di successo, indica che le prospettive<br />
di sviluppo esistono. La crisi del governo Prodi, infatti, è <strong>la</strong> crisi del<strong>la</strong> Seconda<br />
Repubblica.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
<br />
145
Il Belgio in crisi<br />
146<br />
Politica internazionale<br />
a cura di Mario Giro<br />
Il 10 giugno 2007 le elezioni politiche hanno prodotto risultati diversi nelle<br />
Fiandre e in Vallonia. Nelle Fiandre il grande vincitore è stato il partito democristiano<br />
CD&V di Yves Leterme, alleato in un cartello elettorale assieme al<strong>la</strong> N-VA<br />
(nazionalisti fiamminghi). Il liberali del Primo Ministro uscente Guy Verhofstadt,<br />
subiscono un certo calo mentre i socialisti (SP.A) vanno incontro a pesanti perdite.<br />
In Vallonia il vincitore è invece il MR (Liberali francofoni) di Didier Reynders che,<br />
per <strong>la</strong> prima volta riesce a diventare il primo partito francofono superando i socialisti<br />
di Di Rupo. I democristiani del CDH restano stabili.<br />
È chiaro subito a tutti gli osservatori che l’alleanza liberali-socialisti non potrà<br />
essere riedita. I risultati disegnano invece una possibile alleanza «Orange bleue»<br />
(arancio-blu, dai colori dei democristiani e liberali rispettivamente), cioè una inedita<br />
coalizione tra democristiani e liberali, guidata da Leterme (che ha preso 800.000 voti,<br />
un’enormità in Belgio). Dopo molto tempo i socialisti sono costretti all’opposizione.<br />
La stampa saluta il ritrovarsi insieme delle due tradizioni che vollero <strong>la</strong> nascita<br />
del Belgio nel XIX secolo.<br />
Tuttavia fin dall’inizio dei negoziati per <strong>la</strong> formazione del governo emergono i<br />
primi problemi. Il CDH (democristiani francofoni), guidato dal<strong>la</strong> presidente del<br />
partito Joëlle Milquet, non aveva previsto i risultati del voto e si era posizionato su<br />
una campagna elettorale di futura alleanza con i socialisti. D’altra parte lo stesso<br />
CDH governa <strong>la</strong> Vallonia con il PS. Milquet preferirebbe non rompere tale alleanza<br />
ma i liberali si oppongono a tale eventualità. In realtà il CDH si sente <strong>politica</strong>mente<br />
più vicino ai socialisti e ha un programma spiccatamente progressista, a differenza<br />
dei democristiani fiamminghi.<br />
C’è però un problema più complesso. Durante le discussioni <strong>la</strong> famiglia democristiana<br />
scopre di non avere più quei legami che <strong>la</strong> univano al di sopra del<strong>la</strong><br />
frontiera linguistica. I democristiani francofoni hanno da qualche tempo addirittura<br />
cambiato il loro nome (ora si chiamano centro democratico umanista, CDH<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
appunto) e si configurano come un partito più <strong>la</strong>ico e di centrosinistra dei cristiano-sociali<br />
di una volta. L’alleanza con i socialisti in Vallonia non è estranea a tale<br />
cambiamento. Milquet assieme al<strong>la</strong> giovane dirigenza del CDH, sembrano non<br />
amare i riferimenti al<strong>la</strong> storia e alle radici del partito e preferiscono l’etichetta<br />
“umanista” a quel<strong>la</strong> democristiana o social cristiana. Da parte loro i democristiani<br />
fiamminghi hanno anch’essi cambiato tutta <strong>la</strong> dirigenza, ora molto più giovane. Il<br />
problema del CD&V non è tanto legato alle radici o al<strong>la</strong> storia del partito, quanto al<strong>la</strong><br />
spinta separatista che nelle Fiandre è rappresentata dal successo del V<strong>la</strong>amse Be<strong>la</strong>ng<br />
(interesse fiammingo), una “lega” separatista che influenza da tempo pesantemente<br />
il dibattito culturale e politico del<strong>la</strong> regione. Per non <strong>la</strong>sciare l’argomento regionalista<br />
del<strong>la</strong> riforma del bilinguismo e delle istituzioni federali solo in mano al Be<strong>la</strong>ng,<br />
il CD&V ha accettato di costruire il cartello elettorale con il N-VA (anch’esso<br />
“fiammingante”) e ne ha assunto alcuni dei temi polemici. Così oggi il CD&V è diventato<br />
un partito “confederalista” che vuole più devolution. In partico<strong>la</strong>re accusa i<br />
francofoni per il continuo rinvio di ogni soluzione a proposito del<strong>la</strong> circoscrizione<br />
elettorale del<strong>la</strong> regione di Bruxelles (Bruxelles Hal Vilvorde BHV) i cui elettori godono<br />
di uno statuto speciale che non piace ai fiamminghi, anche perché tale area si<br />
trova (geograficamente e linguisticamente) nelle Fiandre.<br />
Dalle schermaglie polemiche delle trattative emerge il fatto che le due giovani<br />
generazioni che dirigono i rispettivi partiti di centro, si sono formate distanti<br />
l’una dall’altra, non si conoscono, né si frequentano. Psicologicamente e <strong>politica</strong>mente<br />
non riescono a creare un clima adatto a un vero negoziato. Molti dei giovani<br />
dirigenti fiamminghi inoltre subiscono il cambiamento culturale avvenuto negli<br />
ultimi 15 anni nelle Fiandre, dove il sentimento separatista è montato e il ripiegamento<br />
identitario è molto forte. Rimane pur vero in effetti che quasi nessuno in<br />
Vallonia par<strong>la</strong> il fiammingo. Ciò crea dei forti risentimenti e ha provocato una reazione<br />
generalizzata con il non utilizzo del francese nelle Fiandre a vantaggio dell’inglese.<br />
Il Belgio non si scopre non un paese bilingue ma un paese dove si par<strong>la</strong>no<br />
due lingue, senza comunicazione. I media francofoni rimangono più chiusi alle<br />
notizie fiamminghe che viceversa. Nelle zone miste di Bruxelles il francese <strong>la</strong> fa da<br />
padrone, complice anche <strong>la</strong> vocazione internazionale del<strong>la</strong> città (vedi <strong>la</strong> presenza<br />
delle istituzioni europee). I francofoni dal canto loro, non sembrano avvedersi<br />
completamente di tale mutazione avvenuta nelle Fiandre, e demonizzano tutti i discorsi<br />
“fiamminganti” o confederalisti, bol<strong>la</strong>ndoli come scissionisti senza fare distinzione<br />
tra partiti, posizioni e sensibilità. La trasmissione “Bye Bye Belgium”<br />
mandata in onda l’anno scorso dal<strong>la</strong> TV francofona e in cui si annunciava <strong>la</strong> partizione<br />
del Belgio per causa fiamminga, è il sintomo di un atteggiamento diffuso.<br />
I negoziati politici intanto si trascinano per settimane senza esito. Davanti<br />
alle ripetute interruzioni delle conversazioni, il Re Alberto II fa ricorso a numerose<br />
figure di mediazione per tentare di riannodare il fili del dialogo. Vengono di volta<br />
in volta incaricati due “informatori” (il liberale francofono Didier Reynders e l’ex<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
147
primo ministro fiammingo Jean-Luc Dehaene del CD&V), un “esploratore” (il<br />
presidente del<strong>la</strong> camera Herman Van Rompuy del CD&V), due “riconciliatori”<br />
(ancora Van Rompuy con Armand De Decker liberale francofono).<br />
I facilitatori giungono con una re<strong>la</strong>tiva rapidità ad ottenere tra CD&V e CDH<br />
accordi nei campi socio-economico, del<strong>la</strong> giustizia e delle re<strong>la</strong>zioni esterne. Rimane<br />
però per mesi impossibile trovare il consenso sul<strong>la</strong> questione cruciale del<strong>la</strong> riforma<br />
dello Stato. Su tale esigenza di parte fiamminga, c’é un accordo trasversale fra<br />
CD&V e N-VA anche con liberali e socialisti del<strong>la</strong> regione. L’idea è che sia necessario<br />
migliorare il funzionamento dello Stato devolvendo maggiori competenze alle<br />
regioni, in partico<strong>la</strong>re nell’ambito fiscale, del<strong>la</strong> sicurezza sociale e dell’impiego. I<br />
francofoni su questo rifiutano ogni ipotesi di riforma. Lo scontro è frontale.<br />
In realtà i partiti fiamminghi che dovrebbero dar vita al<strong>la</strong> coalizione sono intrappo<strong>la</strong>ti<br />
dal<strong>la</strong> loro stessa campagna elettorale: per contrastare il separatismo del<br />
Be<strong>la</strong>ng hanno chiesto il voto con <strong>la</strong> promessa di riformare lo Stato e hanno vinto.<br />
Ma ora non hanno i numeri per imporlo. Va ricordato infatti che per cambiare le<br />
istituzioni ci vuole una maggioranza dei due terzi al<strong>la</strong> Camera. Siccome nessuno<br />
(per ora) vuole utilizzare i voti del Be<strong>la</strong>ng, <strong>la</strong> situazione è in stallo e basta<br />
l’opposizione del CDH o del MR francofoni per bloccare tutto. Il CD&V inoltre è<br />
ostaggio del suo alleato di cartello, <strong>la</strong> N-VA, e di conseguenza si va radicalizzando<br />
durante i lunghi mesi di negoziati inutili.<br />
La situazione si aggrava ulteriormente in novembre con il voto del<strong>la</strong> commissione<br />
del<strong>la</strong> Camera sul<strong>la</strong> fine dello statuto speciale del<strong>la</strong> regione di Bruxelles<br />
(BHV). I partiti fiamminghi votano in blocco a favore, rompendo un gentlemen’s<br />
agreement che per anni aveva sconsigliato al<strong>la</strong> maggioranza fiamminga di utilizzare<br />
il suo peso numerico contro <strong>la</strong> minoranza francofona (i fiamminghi sono 6 milioni<br />
e i francofoni 4). Quest’ultima ha subito fatto ricorso a una procedura costituzionale<br />
che blocca ogni decisione per alcuni mesi.<br />
Tuttavia tale choc sembra essere stato salutare: i partiti francofoni hanno abbandonato<br />
<strong>la</strong> loro posizione oltranzista e oggi accettano di discutere sul<strong>la</strong> riforma<br />
dello Stato. Ma <strong>la</strong> situazione non migliora e al<strong>la</strong> fine lo stesso Leterme getta <strong>la</strong> spugna.<br />
Il CDH ha voluto <strong>la</strong> sua testa dopo aver dovuto indietreggiare sul<strong>la</strong> riforma. Il<br />
Re, ormai alle strette e con l’opinione pubblica stanca dopo 5 mesi senza governo,<br />
incarica in dicembre il primo ministro dimissionario Verhofstadt di formare un gabinetto<br />
provvisorio per tre mesi in cui oltre ai partiti che stanno negoziando entrano<br />
anche i socialisti francofoni, come richiesto dal CDH. Tale governo dovrebbe<br />
<strong>la</strong>sciare il 23 marzo per far spazio ancora a Yves Leterme (CD&V), sempre che si<br />
siano risolti i contenziosi pendenti. Intanto a Verhofstadt viene chiesto di redigere<br />
un progetto preliminare di riforma dello Stato. Allo stesso tempo una commissione<br />
di 12 saggi (chiamata octopus) paralle<strong>la</strong>mente deve fare altrettanto.<br />
148 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
La crisi belga giunge sulle pagine dei giornali europei solo dopo l’estate. L’in -<br />
teresse rimane comunque sempre assai basso, e solo alcune testate danno conto dei<br />
vari passaggi. Certamente decifrare il dibattito belga è complesso per chi non ha<br />
esperienza delle alchimie biregionali del<strong>la</strong> costituzione belga. Resta il fatto che una<br />
grave crisi, che rischia di mettere in discussione <strong>la</strong> tenuta di uno dei paesi fondatori<br />
dell’UE, non appassiona gli stanchi europei, tutti ripiegati sulle questioni di casa e<br />
assai poco interessati del futuro dell’Unione. Un’altra lezione che si coglie dagli avvenimenti<br />
di Bruxelles è <strong>la</strong> forza acquista dal credo localista e separatista. “Nazione<br />
felice, non ha storia” continuano a ripetere coloro che ad Anversa o Gent vedono<br />
di buon occhio <strong>la</strong> fine del Belgio per rispondere a chi li accusa di provincialismo<br />
miope davanti alle grandi sfide del<strong>la</strong> globalizzazione. D’altra parte <strong>la</strong> frustrazione<br />
fiamminga non viene compresa nel<strong>la</strong> parte francofona del paese né in Europa. La<br />
comunicazione <strong>la</strong>ngue e i dirigenti fiamminghi non sembrano preoccupati di spiegarsi<br />
a un pubblico più <strong>la</strong>rgo che quello di casa propria. La Chiesa stessa rifiuta di<br />
intervenire nel dibattito e non prende posizione. Come luogo di contatto restano<br />
solo i sindacati e le casse di risparmio, di antica tradizione social cristiana che restano<br />
tra le poche entità unitarie in un paese ormai rigidamente diviso su basi etnolinguistiche.<br />
Sarà questo il futuro del nostro continente?<br />
Obama o Hil<strong>la</strong>ry?<br />
La diversità delle attuali primarie americane risiede nel fatto che dal 1928<br />
mai si era vista un’elezione in cui non è presente tra i candidati un presidente o un<br />
vicepresidente. La battaglia è apertissima tra i repubblicani dove in vari sembrano<br />
avere delle chances. Ma anche tra i democratici <strong>la</strong> cavalcata solitaria di Hil<strong>la</strong>ry<br />
Clinton è stata stoppata dall’emergere di Obama Barack, il giovane senatore dell’Illinois<br />
di origine africana. Obama piace a tutti meno che ai neri afroamericani che<br />
non lo considerano dei loro. In effetti Obama è figlio di un Keniota e di una americana<br />
bianca del Kansas trapiantata nelle Hawaay. Inoltre da bambino ha vissuto<br />
in Indonesia e ha avuto un patrigno indonesiano. Da questo alcuni lo accusano di<br />
essere stato musulmano ma senza prove. Obama piace invece per il suo “nuovismo”:<br />
lontano dall’apparato del partito e dall’establishment di Washington (così<br />
come Huckabee tra i repubblicani), porta un discorso di cambiamento senza specificarne<br />
i contenuti. Tanto basta per sollevare gli entusiasmi soprattutto de giovani<br />
americani, anch’essi colpiti dal<strong>la</strong> sindrome dell’anti-<strong>politica</strong> e diffidenti per tutto<br />
ciò che viene dal mondo del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> di professione. Ma <strong>la</strong> forza di Hil<strong>la</strong>ry non<br />
sta solo negli apparati: <strong>la</strong> Clinton – sostenuta dal marito – rappresenta anche una<br />
formidabile macchina <strong>politica</strong> che ha dato già più volte prova di saper adattare il<br />
proprio discorso, di essere flessibile davanti alle emozioni dell’opinione e di una<br />
pervicace capacità di resistenza alle critiche e ai fallimenti. La battaglia sarà lunga e<br />
dura. Anche in campo repubblicano le sorprese non potranno mancare: <strong>la</strong> presenza<br />
di un candidato religioso ma anti-establishment come Huckabee sta dando filo da<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
149
torcere al preferito dalle strutture del partito dell’elefante, il mormone Romney, e<br />
crea delle brecce anche per gli outsiders come Giuliani e McCain, anche se <strong>la</strong> decisione<br />
di Giuliani di snobbare i primi caucus e di concentrasi solo sulle primarie in<br />
Florida potrebbe rive<strong>la</strong>rsi un boomerang.<br />
Sta di fatto che <strong>la</strong> <strong>politica</strong> americana dimostra una vitalità eccezionale e una capacità<br />
di rinnovamento da far impallidire gli scenari europei.<br />
Medio Oriente: forse alcune buone notizie<br />
La conferenza di Annapolis, preceduta da alcuni passi di avvicinamento importanti<br />
tra i quali l’incontro tra il ministro D’Alema, il suo collega dell’interno<br />
israeliano Meir Shitrit e il rappresentante palestinese Jamal Zakout durante il Meeting<br />
di Sant’Egidio a Napoli in ottobre 2007, assieme al viaggio del presidente Bush<br />
in Medio Oriente, ri<strong>la</strong>nciano <strong>la</strong> possibilità di una pace tra israeliani e palestinesi.<br />
Nell’ultimo anno del<strong>la</strong> sua presidenza George Bush tenta il tutto per tutto e compie<br />
un viaggio che può rappresentare un punto di svolta.<br />
Il quadro dell’area rimane fosco e complesso, anche se si registrano alcuni miglioramenti<br />
dal punto di vista del<strong>la</strong> sicurezza in Iraq, dovuti al cambio di strategia<br />
sul terreno da parte delle truppe americane, poste sotto il comando del generale<br />
Paetreus. L’Afghanistan dal canto suo sembra restare in una situazione di stallo politico<br />
e militare mentre il Pakistan è sconvolto dai sussulti di una crisi che non accenna<br />
a finire e il cui punto culminante è stato l’assassinio di Benazir Buttho in dicembre<br />
2007. L’Iran rimane minaccioso, mantiene il suo programma nucleare come<br />
atteggiamento di sfida all’Occidente, e continua a interferire negativamente in<br />
Libano attraverso l’alleanza con Siria e Hezbol<strong>la</strong>h.<br />
In questo quadro difficile gli esperti si interrogano sul<strong>la</strong> strategia fin qui seguita<br />
dall’Occidente mediante <strong>la</strong> “guerra globale contro il terrorismo” che non pare<br />
essere riuscita ad ottenere i risultati promessi. Tuttavia, nel<strong>la</strong> ricerca di nuove<br />
idee, è necessario ammettere che <strong>la</strong> nuova <strong>politica</strong> seguita dopo il 2001, ha avuto<br />
inizialmente un <strong>la</strong>rgo sostegno nelle opinioni e nei governi occidentali, a iniziare<br />
dalle operazioni in Afghanistan poste sotto il sigillo dell’ONU e volte a privare al<br />
Qaeda del<strong>la</strong> sua base territoriale. Si è forse persa subito dopo l’occasione di tornare<br />
a sistemi diplomatici tradizionali e al<strong>la</strong> lotta antiterrorismo c<strong>la</strong>ssica. Invece il concetto<br />
di “guerra globale” ha trascinato verso l’avventura irakena, malgrado le connessioni<br />
tra il regime di Saddam e il terrorismo internazionale non fossero veramente<br />
mai provate. È seguita una fuga in avanti in cui l’identificazione del “nemico”<br />
è divenuta sempre più vaga e ideologica, confondendo il fronte interno con<br />
quello esterno e mettendo a dura prova ogni strumento di azione reale sul terreno.<br />
Uno dei risultati peggiori è stato il progressivo allontanamento (psicologico e politico)<br />
del mondo arabo-musulmano nei suoi legami con l’Occidente e segnatamen-<br />
150 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
te con l’Europa. Il dibattito infinito e tutto americano su quante truppe fosse necessario<br />
mandare in Iraq, rappresenta <strong>la</strong> dimostrazione di quanta confusione ci sia<br />
stata tra i responsabili e gli esperti, e di conseguenza nell’opinione pubblica mondiale,<br />
quanto al<strong>la</strong> strategia da seguire. La promozione di regimi democratici, filooccidentali<br />
e stabili in Medio Oriente è divento un rompicapo per tutti, di cui troviamo<br />
traccia nei dibattiti politici in Europa e nelle primarie Usa.<br />
Ecco allora che <strong>la</strong> conferenza di Annapolis, se darà luogo a un accordo, può<br />
rappresentare <strong>la</strong> fine di fumose ossessioni e di dibattiti troppo teorici (e ideologici),<br />
per riportare, almeno in questo conflitto, <strong>la</strong> discussione su temi pratici e concreti.<br />
Non che <strong>la</strong> fine – pur auspicata – del conflitto israelo-palestinese rappresenti <strong>la</strong><br />
quadratura del cerchio in Medio Oriente. Tuttavia il suo valore simbolico per le<br />
masse arabe e per <strong>la</strong> Umma musulmana, dà al<strong>la</strong> augurabile fine di questo conflitto,<br />
un valore specifico molto importante. In molti lo sperano anche perché i seguiti di<br />
Annapolis vogliono svolgersi nel senso di un accordo e non di un processo, come<br />
avvenne dopo Oslo. E questo offre al<strong>la</strong> pace maggiori possibilità.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
<br />
151
Ricerche<br />
a cura di Andrea Bixio<br />
Una lettura etico-<strong>politica</strong> del pensiero di <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong> di Diego Forestieri<br />
Negli ultimi tempi vi è un forte ritorno nell’attualità del pensiero sturziano<br />
non soltanto perché se ne ravvede il fulcro ispiratore e fondativo di certi movimenti<br />
che poi faranno <strong>la</strong> storia d’Italia fino ai nostri giorni ma anche perché in tempi incerti,<br />
risulta prezioso rivolgersi ad un’autorità intellettuale che riesca a diradare le<br />
nebbie che troppo spesso avvolgono le menti e le coscienze; quanto meno secondo<br />
<strong>la</strong> lezione di Machiavelli che, durante il suo esilio di San Casciano, narrato nel<strong>la</strong> famosa<br />
Lettera a Francesco Vettori, pur immerso in un mondo che non è il suo, triviale<br />
e litigioso, eppure <strong>la</strong> sera, nel suo studio, dialoga con i grandi Autori del passato.<br />
Di ciò appare convinto Giuseppe Acocel<strong>la</strong> che nel<strong>la</strong> sua ricerca su Legge naturale<br />
e legge morale nello storicismo vichiano di <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong> (in G. Acocel<strong>la</strong>, Per una filosofia<br />
<strong>politica</strong> dell’Italia civile, Rubbettino editore, Soveria Mannelli 2004) attualizza<br />
e dà nuova voce agli echi di un dibattito sullo storicismo “vichiano” di <strong>Sturzo</strong><br />
e su come ordine giuridico ed ordine etico prendano vigore da un dinamismo sociale<br />
che è sempre in via di formazione, un ordine “re<strong>la</strong>tivo” mai del tutto compiuto<br />
con una forte aspirazione a divenire un ordine ideale.<br />
Acocel<strong>la</strong> ricorda come l’incidenza del vichismo sul pensiero sturziano è apertamente<br />
dichiarata dallo stesso <strong>Sturzo</strong> nel<strong>la</strong> prolusione tenuta per l’inaugurazione dell’anno<br />
accademico del corso di sociologia storicista 1958-59 (L. <strong>Sturzo</strong>, La sociologia<br />
storicista, in «Sociologia», ottobre-dicembre 1958, pp. 365-375.) e come <strong>Sturzo</strong><br />
riprenda <strong>la</strong> lezione vichiana nel volume La società, sua natura e leggi. Sociologia storicista<br />
e in La vera vita. Sociologia del soprannaturale in cui secondo il nostro autore è<br />
fondamentale il contributo che <strong>Sturzo</strong> riconosce a Vico per lo sviluppo e per <strong>la</strong> definizione<br />
delle scienze sociali, asserendo vichianamente che vero e fatto trovano nel<strong>la</strong><br />
storia <strong>la</strong> verifica del<strong>la</strong> loro conversione. La società intesa da <strong>Sturzo</strong> non è una costruzione<br />
immobile, ma piuttosto un processo e l’apporto, l’opera che ogni individuo<br />
può realizzare è rilevante ai fini dell’evoluzione o dell’involuzione del<strong>la</strong> stessa. <strong>Luigi</strong><br />
<strong>Sturzo</strong> ha difatti <strong>la</strong>vorato per educare <strong>la</strong> persona ad uno sviluppo pieno, spirituale e<br />
materiale. Quel “pieno sviluppo” previsto anche dal<strong>la</strong> Costituzione.<br />
152 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Non a caso natura e scienza sotto l’egida del<strong>la</strong> storia sono espressamente richiamate<br />
e interre<strong>la</strong>te nel vichismo di <strong>Sturzo</strong> e non a caso <strong>Sturzo</strong> pone <strong>la</strong> centralità<br />
dell’uomo come soggetto di diritti naturali inalienabili ed ha individuato <strong>la</strong> sede<br />
dei diritti nel<strong>la</strong> persona umana in sintonia con il pensiero del<strong>la</strong> dottrina sociale del<strong>la</strong><br />
Chiesa cattolica. Lo Stato, in questa prospettiva, non è l’assegnatario di diritti<br />
naturali, ma è <strong>la</strong> persona che li possiede e li esercita nell’ambito delle leggi e delle<br />
garanzie che lo Stato ha l’obbligo di assicurargli.<br />
Dunque, <strong>Sturzo</strong> si colloca certamente al centro del dibattito contemporaneo<br />
come fulcro di una necessaria mediazione fra un principio individualistico, che rifiuta<br />
<strong>la</strong> società come aspetto necessario del<strong>la</strong> persona, e il comunitarismo sfrenato<br />
che porta all’alienazione totale e all’annientamento. Egli ritiene infatti che “il fine<br />
effettivo di ogni società (stato compreso) è <strong>la</strong> persona umana in concreto, ovvero<br />
ciascun individuo” (L. <strong>Sturzo</strong>, Politica e morale) e che <strong>la</strong> base del<strong>la</strong> giustizia naturale<br />
è insita nei diritti e nel<strong>la</strong> reciprocità di doveri. In tal senso <strong>la</strong> personalità umana è<br />
non solo soggetto di diritto, ma anche sorgente del diritto. L’ordine so ciale, generato<br />
dal<strong>la</strong> persona, a sua volta genera un diritto sociale (o civile), che determina i<br />
diritti e i do veri dei singoli soci e i diritti e i doveri del “governo” del<strong>la</strong> società, e rispettivamente<br />
quelli dei soci e del<strong>la</strong> società ver so il “governo”.<br />
Vi è una inseparabile re<strong>la</strong>zione tra responsabilità individuale e bene comune;<br />
ed esso risulta essere caratterizzante per <strong>la</strong> concezione formu<strong>la</strong>ta da <strong>Sturzo</strong> per il<br />
quale <strong>la</strong> lotta per l’ordine etico, prima ancora che giuridico, costituisce lo scopo<br />
storico da perseguire. L’ambiente, <strong>la</strong> tradizione, <strong>la</strong> rego<strong>la</strong> sociale sono il fatto per<br />
Vico ed il punto di partenza a cui guardare per <strong>la</strong> costruzione e <strong>la</strong> vivificazione continua<br />
di un preciso bene comune, un ordine etico personale e poi collettivo sia per<br />
<strong>Sturzo</strong>, quanto meno secondo l’interpretazione vichiana che ne fa Acocel<strong>la</strong>.<br />
Delle tre esigenze fondamentali che sono proprie dell’uomo e che rappresentano<br />
per <strong>Sturzo</strong> il fondamento antropologico, a cui corrispondono tre forme sociali<br />
primarie: a) l’affettività e <strong>la</strong> famiglia, b) l’esigenza di garanzia di ordine e difesa, c)<br />
<strong>la</strong> finalità etico-religiosa, Acocel<strong>la</strong> sceglie di considerare l’istituto familiare come<br />
esemp<strong>la</strong>re e, come fa <strong>Sturzo</strong>, considera <strong>la</strong> famiglia come crocevia essenziale nel faticoso<br />
processo storico che conduce al<strong>la</strong> maturità le società umane. Sottolinea ancora<br />
come <strong>Sturzo</strong> abbia indagato senza pregiudizi le radici del<strong>la</strong> formazione del<strong>la</strong> società<br />
familiare già nel 1935 col saggio La società sua natura e leggi e come <strong>la</strong> ragione<br />
storica costituisca l’unico fondamento individuabile dell’istituto familiare, il quale<br />
si evolve verso <strong>la</strong> monogamia, essendo il processo storico in moto verso <strong>la</strong> razionalità.<br />
Nel saggio La vera vita. Sociologia del soprannaturale il processo storico che<br />
conduce al<strong>la</strong> maturità le società umane viene direttamente connesso al<strong>la</strong> centralità<br />
dell’istituto familiare, che – aggiunge Acocel<strong>la</strong> – risulta elemento fondamentale per<br />
<strong>la</strong> comprensione del<strong>la</strong> storia; ed è attraverso un’originale interpretazione del<strong>la</strong> formazione<br />
del mondo e delle cose in senso vichiano che <strong>Sturzo</strong> dirà anche che il primo<br />
nucleo naturale è <strong>la</strong> famiglia pur non creando una coscienza storica, ma solo<br />
una coscienza di interessi morali e materiali, si forma nel<strong>la</strong> consistenza solidale di<br />
più famiglie unite da un vincolo soprannaturale.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
153
In tal modo tutti gli istituti giuridici nascono da una progressiva ricerca di una<br />
razionalità che va p<strong>la</strong>smandosi al fuoco del<strong>la</strong> realtà sociale, e che per <strong>Sturzo</strong> ha un<br />
riferimento prima al diritto naturale poi a quello soprannaturale. Un ordinamento<br />
giuridico per essere davvero reale deve pertanto riferirsi all’etica.<br />
È dall’uomo persona che potrà nascere <strong>la</strong> partecipazione per un nuovo sviluppo.<br />
E per dir<strong>la</strong> con <strong>Sturzo</strong>: “Siccome non c’è società senza individui, né individui<br />
senza società, non abbiamo bisogno di fabbricare una entità a sé stante. La comunità<br />
esiste in seguito ad una serie di rap porti tra individui viventi insieme, in<br />
forma organica e permanente, per fini naturali e necessari. La famiglia, <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse sociale,<br />
il Comune, lo Stato, <strong>la</strong> Chiesa, altrettante comunità esistenti e coesistenti che<br />
prendono un carattere giuridico nell’organizzazione specifica di ognuna sul<strong>la</strong> base<br />
del<strong>la</strong> libertà (coexistentia multorum) e dell’autorità (reductio ad unum).<br />
In questo modo, noi sfuggiamo al determinismo soggiacente al<strong>la</strong> formazione<br />
dei miti: Stato, nazione, razza, c<strong>la</strong>sse, che si sono insinuati dal<strong>la</strong> <strong>politica</strong> nel<strong>la</strong> sociologia<br />
e da questa nell’etica, e si introducono così nel<strong>la</strong> fraseologia di certi oratori<br />
sacri e di moralisti sentimentali che par<strong>la</strong>no volentieri del culto del<strong>la</strong> nazione, dell’obbedienza<br />
allo Stato e di altre simili cose. Grande merito dello storiscismo vichiano<br />
di <strong>Sturzo</strong> sarebbe dunque quello di aver saputo individuare <strong>la</strong> storicità come<br />
principio metodologico del<strong>la</strong> ricerca sociologica: “Per noi il vero storicismo è <strong>la</strong><br />
concezione sistematica del<strong>la</strong> storia come processo umano, realizzantesi per forze<br />
immanenti, unificate nel<strong>la</strong> razionalità, da un principio e verso un fine trascendentale<br />
assoluto” (Del metodo sociologico, p. 95).<br />
In tal senso lo storicismo vichiano, o meglio ancora <strong>la</strong> sociologia storicista di<br />
<strong>Sturzo</strong>, si configura come scienza che è autonoma in quanto ha un suo soggetto/oggetto<br />
specifico, <strong>la</strong> società in concreto, ma che avendo come suo interesse<br />
principale l’uomo deve aprirsi anche alle istanze degli interessi economici e politici,<br />
dei valori, principi morali, sentimenti e passioni. Una scienza, dunque, come commistione<br />
di discipline differenti: dall’etica al diritto, al<strong>la</strong> storia, una sociologia che<br />
non ha per oggetto il fatto sociale inteso in senso volgare, ma il senso che gli uomini<br />
attribuiscono ai loro rapporti intersoggettivi. La partecipazione ad una struttura<br />
collettiva solo così diviene una reale forma di cooperazio ne; il punto è di verificare<br />
se questa sia fruttuosa per tutti o solo per alcuni degli individui presenti nell’organizzazione<br />
so ciale. Così l’uomo trova il suo scopo nel<strong>la</strong> formazione sociale ed avverte<br />
sempre più profondamente l’esi genza di ritrovare se stesso nel groviglio di cose<br />
che egli stesso produce.<br />
154<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Liberalismo, democrazia, multiculturalismo<br />
I diritti di libertà e<strong>la</strong>borati nel contesto dello Stato liberale hanno costituito<br />
<strong>la</strong> base anche dei più moderni Stati democratici: <strong>la</strong> continuità fra liberalismo e democrazia<br />
è, in questo senso, evidente. Ma gli Stati democratici sono andati oltre il<br />
liberalismo, identificando anche altri diritti e, soprattutto, cercando di promuoverli<br />
in modo concreto. Com’è noto, le libertà liberali sono prevalentemente “libertà<br />
da” o “libertà negative” nel senso che scaturiscono da una limitazione del potere<br />
dello Stato nei confronti del cittadino: il liberalismo, cioè, incorpora una carica di<br />
antistatalismo, che è stata tra l’altro molto enfatizzata dopo il 1989. Oggi qualcuno<br />
definisce le libertà liberali anche come “libertà minimali”, cui vengono contrapposte<br />
le liberà democratiche intese come “libertà di” o “libertà positive”. Negli ultimi<br />
decenni, è diventata corrente l’espressione “diritti di cittadinanza” per indicare<br />
l’insieme dei diritti – o dei “beni politici” – che gli Stati democratici garantiscono<br />
ai loro cittadini. Libertà positive e diritti di cittadinanza presuppongo ovviamente<br />
uno Stato in grado di sostenerle: per questo, in democrazia l’antistatalismo è diverso<br />
e meno evidente di quello liberale.<br />
La parabo<strong>la</strong> del<strong>la</strong> libertà religiosa è in questo senso emblematica. Tale libertà,<br />
infatti, ha costituito indubbiamente uno dei primi diritti riconosciuti dal pensiero<br />
liberale. Si può anzi dire che, l’approccio liberale al tema dei diritti si è sviluppato<br />
in Europa a partire proprio dal<strong>la</strong> libertà religiosa e anche oggi, alcuni degli esponenti<br />
più noti di questa tradizione, lo assumono come base e modello di tutte le altre<br />
libertà. Ma successivamente, quando gli Stati democratici si sono posti il problema<br />
di una concreta attuazione dei principi di libertà astrattamente riconosciuti,<br />
sono state introdotte condizioni e limitazioni. La Costituzione italiana, ad esempio,<br />
prevede esplicitamente un solo limite al<strong>la</strong> libertà religiosa – quello imposto dal<br />
rispetto del buon costume – ma è noto che nell’insieme gli articoli 3, 7, 8, 19, 20<br />
configurano un quadro complesso entro cui attuare concretamente il principio<br />
del<strong>la</strong> libertà religiosa, anche in considerazione del ruolo partico<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> Chiesa<br />
cattolica nel contesto italiano. Limiti e condizioni, però, non sono presenti solo nel<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Religioni e Civiltà<br />
a cura di Agostino Giovagnoli<br />
155
caso italiano. Nel<strong>la</strong> Convenzione europea per <strong>la</strong> salvaguardia dei Diritti dell’Uomo<br />
e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, si prevedono restrizioni<br />
del<strong>la</strong> libertà religiosa “per <strong>la</strong> protezione dell’ordine pubblico, del<strong>la</strong> salute o<br />
del<strong>la</strong> morale pubblica o per <strong>la</strong> protezione dei diritti e delle libertà altrui”. Ma questa<br />
convenzione, pur introducendo limitazioni del<strong>la</strong> libertà religiosa e di altri diritti, ha<br />
istituito una Corte di giustizia per garantirne in concreto l’esercizio più ampio possibile:<br />
è il segno evidente del<strong>la</strong> volontà di stabilire uno stretto rapporto tra parole e<br />
fatti, attraverso l’azione degli Stati democratici o di organismi internazionali da questi<br />
promossi e sostenuti. Sul<strong>la</strong> stessa linea si è mosso successivamente il Patto Internazionale<br />
sui diritti civili e politici, stipu<strong>la</strong>to nel 1976 e promulgato nel 1976, con<br />
cui ci si proponeva l’attuazione concreta del<strong>la</strong> Dichiarazione universale dei diritti<br />
dell’uomo del 1948: questo patto introduce il principio per cui <strong>la</strong> libertà di religione<br />
può essere limitata in certe situazioni per motivi di sicurezza pubblica, di salute o<br />
di libertà fondamentale di altri. In teoria, dunque, con <strong>la</strong> democrazia <strong>la</strong> libertà religiosa<br />
subisce limitazioni sconosciute allo Stato liberale; in pratica, queste limitazioni<br />
servono ad estendere sempre di più nel<strong>la</strong> realtà concreta questa ed altre libertà.<br />
Nel corso del XX secolo, il terreno su cui maggiormente si sono sviluppate <strong>la</strong><br />
democrazia e le sue istituzioni è stato indubbiamente quello economico-sociale.<br />
Anche a causa del<strong>la</strong> sfida rappresentata dal comunismo, gli Stati democratici hanno<br />
cercato soprattutto di affrontare il problema – per usare il linguaggio marxista –<br />
di affiancare <strong>la</strong> “libertà sostanziale” al<strong>la</strong> “libertà formale”, contrastando le condizioni<br />
economiche e sociali che di fatto impediscono qualunque esercizio di autentica<br />
libertà, come avviene per il proletariato e cioè per quel<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse sociale <strong>la</strong> cui unica<br />
ricchezza è costituita, come dice <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, dal<strong>la</strong> prole. Ai diritti civili e politici, si<br />
sono gradualmente affiancati quelli economico-sociali e, a partire dal<strong>la</strong> Repubblica<br />
di Weimar, si è sviluppata una nuova stagione costituzionale che prevede un ruolo<br />
attivo dello Stato in questo campo. Anche nel<strong>la</strong> Costituzione italiana – che da poco<br />
tempo ha compiuto sessant’anni – è incluso il principio che lo Stato deve promuovere<br />
migliori condizioni di vita per i meno abbienti, rimuovendo le cause che<br />
impediscono <strong>la</strong> piena dignità del<strong>la</strong> persona e, in molti paesi occidentali, dopo <strong>la</strong> seconda<br />
guerra mondiale si sono sviluppate forme diverse di Welfare State.<br />
A partire dall’ultimo scorcio del novecento, invece, <strong>la</strong> spinta verso l’ugua -<br />
glian za è stata gradualmente sostituita da una crescente attenzione verso le differenze.<br />
Non si tratta necessariamente di prospettive del tutto contraddittorie, ma<br />
questo passaggio non coincide neanche con una semplice sostituzione di vocaboli:<br />
è piuttosto il segno di una profonda trasformazione storica. Premessa di questo<br />
passaggio, infatti, sono state, da un <strong>la</strong>to, le grandi trasformazioni dell’economia<br />
mondiale, l’avvento del<strong>la</strong> globalizzazione e del<strong>la</strong> post-modernità, <strong>la</strong> “dissoluzione”<br />
del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse operaia con le sue caratteristiche tradizionali; e, dall’altra, <strong>la</strong> diffusione<br />
di problematiche nuove, come quelle legate all’identità di genere o alle specificità<br />
etniche, e cioè, in una paro<strong>la</strong>, alle diversità culturali. Sul piano economico e socia-<br />
156 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
le, rispettare le differenze ha significato di fatto accettare sempre più facilmente le<br />
disuguaglianze di ricchezza e status sociale, mentre sul terreno culturale, il riconoscimento<br />
delle differenze ha alimentato <strong>la</strong> ricerca di un nuovo modo e più profondo<br />
di interpretare l’ideale di uguaglianza.<br />
Com’è noto, il crollo del comunismo in Europa ha accentuato questi processi,<br />
aprendo <strong>la</strong> strada ad una sorta di “ritorno” ai principi liberali quali criteri fondamentali<br />
per orientarsi dopo <strong>la</strong> fine del secolo breve. Questo clima ha favorito, ad<br />
esempio, il ritorno al sistema elettorale uninominale, già prevalente in Italia fino<br />
al<strong>la</strong> prima guerra mondiale, prima cioè dell’avvento del<strong>la</strong> società di massa che ha<br />
suggerito nel 1919 l’introduzione del sistema proporzionale. In questo contesto, si<br />
è intensificata anche <strong>la</strong> critica ad un ideale di uguaglianza ritenuto “massificante” e,<br />
perciò, limitatore del<strong>la</strong> libertà individuale o addirittura oppressivo nei confronti<br />
del<strong>la</strong> persona. Si è molto insistito in questo senso sul mercato, <strong>la</strong> concorrenza e <strong>la</strong><br />
“meritocrazia”, in contrasto con una forte resistenza ad accettare i cambiamenti<br />
dell’economia mondiale. È stato <strong>la</strong>rgamente sottolineato che <strong>la</strong> cultura <strong>politica</strong> italiana<br />
– ma qualcosa di simile è accaduto anche in altri paesi europei – ha fatto fatica<br />
a comprendere le conseguenze di tali cambiamenti per quanto riguarda il mercato<br />
del <strong>la</strong>voro e le stratificazioni sociali. A lungo, partiti e sindacati non sono riusciti<br />
ad abbandonare l’idea di una società divisa in c<strong>la</strong>ssi chiaramente identificabili<br />
e il riferimento al modello del <strong>la</strong>voro dipendente a tempo indeterminato tipico<br />
dell’“operaio-massa”. Si è continuato a pensare al<strong>la</strong> fabbrica anche quando <strong>la</strong> fabbrica<br />
non c’era più e a ragionare in termini fordistici anche in epoca post-fordista,<br />
a privilegiare, insomma, l’orizzonte del<strong>la</strong> società di massa anche quando questa si<br />
era ormai dissolta.<br />
Tuttavia, anche una certa vulgata cosiddetta “liberale” ha offerto spesso una<br />
rappresentazione ideologica e deformante del<strong>la</strong> realtà. C’è stato ad esempio chi ha<br />
avvicinato democrazia e totalitarismo fin quasi a sovrapporli, perché entrambi sarebbero<br />
stati analogamente segnati dal<strong>la</strong> “massificazione” del<strong>la</strong> <strong>politica</strong>, ma è evidente<br />
che sotto altri e decisivi profili si è trattato di modelli politici opposti e inconciliabili.<br />
In Italia si è giunti a stravolgere battaglie come quelle condotte da don<br />
Mi<strong>la</strong>ni contro <strong>la</strong> selezione c<strong>la</strong>ssista nel<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> dell’obbligo e quindi per una effettiva<br />
“democratizzazione” dell’istruzione pubblica, interpretando<strong>la</strong> come premessa<br />
di un <strong>la</strong>ssismo educativo antimeritocratico che in realtà è agli antipodi dei metodi<br />
praticati dal priore di Barbiana. Se negli ultimi decenni, gli orientamenti neoliberali<br />
sono apparsi indubbiamente fondati su indiscutibili trasformazioni dell’economia<br />
mondiale, <strong>la</strong> loro trasposizione meccanica sul piano dei diritti o del<strong>la</strong> sintesi<br />
<strong>politica</strong> complessiva appare più problematica e, nel tempo, si è rive<strong>la</strong>ta non pienamente<br />
adeguata per affrontare i problemi emergenti.<br />
L’attenzione alle differenze, infatti, ha aperto <strong>la</strong> strada ad una nuova stagione<br />
di diritti che faticano a trovare piena sistemazione nel quadro sia delle “libertà libe-<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
157
ali” sia delle “libertà democratiche” tradizionali: si tratta dei diritti culturali, che si<br />
sono aggiunti alle precedenti stratificazioni dei diritti civili e politici, economici e<br />
sociali. Sul terreno del<strong>la</strong> sessualità, ad esempio, è oggi diffusa una forte sensibilità<br />
non solo per <strong>la</strong> libertà di opinione ma anche per <strong>la</strong> libertà di comportamenti, purché<br />
ovviamente non lesivi di diritti altrui, ed altrettanto diffuso appare il consenso<br />
intorno all’obiettivo delle “pari opportunità” tra uomo e donna. Non è bastato<br />
dunque distogliere l’attenzione dalle disuguaglianze economico-sociali – che in<br />
molte situazioni, proprio per questo, si sono nel frattempo aggravate: l’improvvisa<br />
scoperta di una “questione sa<strong>la</strong>riale” in Italia è in questo senso emblematica – per<br />
rendere superato l’impianto di uno Stato democratico che si impegna a rimuovere<br />
gli ostacoli concreti al<strong>la</strong> piena espressione del<strong>la</strong> dignità umana. Lo testimoniano tra<br />
l’altro il fiorire di provvedimenti antidiscriminatori o l’introduzione di correttivi in<br />
grado di tradurre in fatti concreti una astratta uguaglianza di diritti, come le “quote<br />
rose” nelle commissioni pubbliche o nelle liste di partito. Più problematica appare<br />
<strong>la</strong> questione dei diritti dei migranti che entrano nel territorio di Stati diversi<br />
da quello di origine e per cui si configurano situazioni molto diverse (immigrati irrego<strong>la</strong>ri,<br />
richiedenti asilo, residenti con permesso di soggiorno etc.) ma anche in<br />
questo campo, è in corso un intenso dibattito su come si possano applicare concretamente<br />
principi di libertà e di uguaglianza che, per loro natura, tendono sempre<br />
ad avere validità universale.<br />
La tematica delle differenze si incontra infine con l’esigenza di definire nuovi<br />
diritti che scaturisce dall’attenzione rivolta soprattutto dai credenti – ma non solo<br />
da loro – intorno al tema del<strong>la</strong> vita e del<strong>la</strong> sua tute<strong>la</strong>. Com’è noto, non mancano su<br />
questo terreno problemi e conflitti, fino a configurare interpretazioni persino opposte:<br />
è il caso, ad esempio, del<strong>la</strong> discussione in corso su accanimento terapeutico,<br />
testamento biologico, eutanasia etc. È però comunque rilevante – sotto il profilo<br />
storico – che diverse “zone” dell’esistenza umana tradizionalmente in ombra siano<br />
oggi investite dall’esigenza di fare chiarezza, nell’ottica di offrire maggiori garanzie<br />
a soggetti non pienamente in grado di far valere direttamente i loro diritti. Il cambiamento<br />
è tanto profondo da investire persino <strong>la</strong> definizione del soggetto stesso<br />
dei diritti, tradizionalmente identificato con l’uomo e il cittadino, mentre prevale<br />
oggi una sorta di ampliamento e, insieme, di “frammentazione” di tale soggetto,<br />
attraverso l’attenzione all’identità di genere, ai diversi gradi di “estraneità” rispetto<br />
al<strong>la</strong> piena cittadinanza nel paese di accoglienza, al<strong>la</strong> condizione di chi non può godere<br />
di piena capacità giuridica in quanto nascituro, disabile, anziano etc.<br />
L’esclusione dal<strong>la</strong> polis di donne e stranieri, <strong>la</strong>rgamente accettata fino a pochi<br />
decenni fa, agli occhi di molti appare oggi simile a quel<strong>la</strong> di schiavi e meteci nell’antica<br />
democrazia greca che, giudicata con i parametri di oggi, ci appare molto<br />
lontana dal<strong>la</strong> nostra idea di democrazia. Non è un caso perciò che il loro “ingresso”<br />
nel<strong>la</strong> polis metta in discussione i principi politico istituzionali liberali che presupponevano<br />
<strong>la</strong> loro esclusione e il loro “assalto” al<strong>la</strong> cittadel<strong>la</strong> democratica dove i diritti<br />
sono davvero garantiti venga letto da molti come un pericoloso attacco a privi-<br />
158 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
legi consolidati. Tutto ciò spinge verso un “di più” e non un “di meno” di democrazia<br />
che, come si è detto, si è sempre sviluppata sotto <strong>la</strong> pressione di problemi<br />
posti da un progressivo al<strong>la</strong>rgamento del<strong>la</strong> cittadel<strong>la</strong> dei diritti e da un costante accrescimento<br />
dei suoi abitanti.<br />
I problemi, tuttavia, non mancano e non riguardano solo l’adattamento di<br />
istituzioni e procedure democratiche alle nuove sfide. Ancora una volta, il caso del<strong>la</strong><br />
libertà religiosa, appare eloquente. Nel dibattito internazionale degli ultimi decenni,<br />
<strong>la</strong> libertà religiosa è stata interpretata in senso sempre più ampio: da una religious<br />
freedom intesa come mera libertà di credo religioso ci si è spostati sempre<br />
più verso una freedom of religion inclusiva del<strong>la</strong> libertà di culto, di propaganda religiosa,<br />
di conversione ad una religione diversa etc. Ma contemporaneamente, in<br />
molti paesi del mondo tra cui quelli europei, l’immigrazione di milioni di <strong>la</strong>voratori<br />
extracomunitari di religione diversa da quel<strong>la</strong> dei paesi di accoglienza ha posto,<br />
anche su questo terreno, molti nuovi problemi concreti. La questione del<strong>la</strong> libertà<br />
religiosa, infatti, è apparsa sempre più – specie per immigrati di fede is<strong>la</strong>mica – una<br />
questione anche di comportamenti individuali e collettivi legati al rispetto di tradizioni<br />
partico<strong>la</strong>ri, celebrazioni di festività, costumi e abbigliamento, regole etiche<br />
re<strong>la</strong>tive al<strong>la</strong> sfera sessuale e familiare etc. In molti casi, i problemi posti da tali comportamenti<br />
non sono insuperabili e l’esperienza ha mostrato che spesso è possibile<br />
trovare soluzioni concrete, effettivamente praticabili e consone al<strong>la</strong> tradizione giuridica<br />
europea (o alle specifiche varianti nazionali di tale tradizione: <strong>la</strong> normativa<br />
sul velo is<strong>la</strong>mico in Francia è in questo senso emblematica). Malgrado <strong>la</strong> capacità<br />
di adattamento dimostrata delle istituzioni pubbliche e delle regole democratiche,<br />
però, davanti a queste sfide sembra crescere sempre di più anche un rifiuto dell’altro<br />
che fa sorgere in molti luoghi nuovi muri di pregiudizio, diffidenza, ostilità,<br />
odio e xenofobia. Il legame con <strong>la</strong> propria identità religiosa di molti immigrati e,<br />
soprattutto, le manifestazioni non solo individuali ma anche comunitarie del<strong>la</strong> loro<br />
religiosità è apparso, infatti, a molti incompatibile con il pieno inserimento nel<strong>la</strong><br />
comunità nazionale di accoglienza. Si deve intendere che accanto ai diritti individuali<br />
debbano essere riconosciuti anche diritti comunitari? Si deve pensare a istituzioni<br />
politiche non più collegate ad una comunità nazionale, re<strong>la</strong>tivamente<br />
omogenea sotto il profilo etnico, culturale e religioso, ma ad una società sempre<br />
più multietnica, multiculturale e multireligiosa? O si deve pensare invece al<strong>la</strong> formazione<br />
di una “comunità di comunità”, unite su alcuni valori fondamentali ma<br />
significativamente diversificate su altri valori importanti? È una problematica rilevante<br />
per lo Stato nazionale di tipo tradizionale che meriterebbe una discussione<br />
più attenta di quel<strong>la</strong> abitualmente riservata a questi argomenti.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
<br />
159
La sentenza di Martinazzoli<br />
Libera Opinione<br />
Attualità del<strong>la</strong> Democrazia Cristiana<br />
a cura di Giorgio Tupini<br />
In una recente intervista, Mino Martinazzoli ha affermato che il nuovo Partito<br />
democratico è “<strong>la</strong> liquidazione di ciò che resta del<strong>la</strong> tradizione cattolico-democratica.<br />
È un’idea corrente: andare oltre, cancel<strong>la</strong>re, abiurare, un’idea compulsiva<br />
del nuovo. Con il rischio di tornare indietro di un secolo”. Aveva detto poco prima<br />
che le primarie del Pd “sono <strong>la</strong> definizione di una base molto <strong>la</strong>rga per una cupo<strong>la</strong><br />
molto stretta”.<br />
Martinazzoli è stato l’ultimo Segretario del<strong>la</strong> Dc e il primo Segretario dell’effimero<br />
Partito Popo<strong>la</strong>re del 1994. Uomo del<strong>la</strong> sinistra Dc, Martinazzoli pone dunque<br />
un suggello competente al<strong>la</strong> “liquidazione” di un disegno perseguito da una<br />
corrente di politici <strong>cattolici</strong>, che hanno scelto di confluire nel partito di Veltroni.<br />
L’argomento merita una riflessione. A suo tempo, <strong>la</strong> debolezza di carattere e di<br />
convinzioni aveva condotto, nel periodo confuso ed oscuro di Mani Pulite, molti<br />
dirigenti Dc a un “rompete le righe” non necessario. Il timore del<strong>la</strong> persecuzione<br />
giudiziaria e <strong>la</strong> pressione mediatica per il finanziamento dei partiti – che colpì anche<br />
il Psi ma non il Pci nonostante le cospicue rimesse da Mosca – impedirono di<br />
<strong>la</strong>sciare in piedi <strong>la</strong> Dc sia pur depurata e rigenerata. Come avrebbero potuto e dovuto<br />
fare i dirigenti di esperienza e tradizione, rappresentanti di quel<strong>la</strong> <strong>politica</strong> di<br />
centro, che aveva costituito il nerbo centrale e il successo del<strong>la</strong> Dc.<br />
Cedettero invece le armi. Fu scelta una opzione: barra a sinistra e alleanza con i<br />
successori del Pci, che dal Pci avevano ereditato <strong>la</strong> forza organizzativa di base, <strong>la</strong> capacità<br />
di guida e di propaganda, <strong>la</strong> rete ben col<strong>la</strong>udata di fiancheggiatori inseriti<br />
negli organi di informazione e in poteri forti. Che erano, insomma, e sono, le forze<br />
capaci di fare da cassa di risonanza a quanti si uniscono a loro e di assicurare appoggio<br />
elettorale a morti (Garibaldi, Nitti, etc.) e a vivi, fin quando ne esiste <strong>la</strong><br />
convenienza.<br />
Martinazzoli ha chiarito, per parte sua, “dove vanno i <strong>cattolici</strong>”, questi <strong>cattolici</strong>.<br />
160 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
La prospettiva dell’emarginazione “cattolica” nell’Unione<br />
Non è difficile prevedere che <strong>la</strong> componente “cattolica” sarà gradualmente<br />
diluita ed emarginata nell’Unione. Già oggi <strong>la</strong> sua influenza è tenue, com’è tenue <strong>la</strong><br />
sua resistenza a episodi e a tendenze anticattoliche astiose. Mai vi è stata nel dopoguerra<br />
in Italia una così grave e di<strong>la</strong>gante ondata contro i valori cristiani, contro le<br />
istituzioni cattoliche. Sembra rilevante che i “<strong>cattolici</strong>” dell’attuale maggioranza<br />
abbiano accettato, per una pura operazione di potere, di entrare in una coalizione<br />
che accoglie correnti radicali dichiaratamente opposte a quei valori e a quelle istituzioni<br />
e che danno luogo a manifestazioni sguaiate (gay con mitrie episcopali,<br />
pubblico lesbismo, etc.), cui il nostro popolo non era avvezzo e che fanno impallidire<br />
le ottocentesche pagine dell’«Asino» di Podrecca. Qui ha ragione Martinazzoli,<br />
si torna indietro di un secolo!<br />
E sembrano altrettanto rilevanti, sia l’insofferenza a suo tempo manifestata per<br />
gli “interventi di Ruini” sia il sotterfugio davvero povero con cui si è giustificato il<br />
voto del noto articolo del<strong>la</strong> legge sul<strong>la</strong> sicurezza, che configura un reato di opinione<br />
a carico di chi dissente da determinate manifestazioni omosessuali, reato che<br />
potrebbe essere invocato da qualche procuratore ze<strong>la</strong>nte contro Papi e catechisti. È<br />
grave dire – ecco il sotterfugio – che si sarebbe rimediato a Montecitorio dove i<br />
“<strong>cattolici</strong>” dell’Unione sono sovrastati da un gruppo par<strong>la</strong>mentare ingrossato dal<br />
premio di maggioranza e non votare al Senato dove il loro intervento ne avrebbe<br />
impedito l’approvazione. Notiamo di passata che <strong>la</strong> senatrice Binetti, che ha<br />
espresso il suo dissenso, è stata minacciata di espulsione dal Pd e che il “capofi<strong>la</strong><br />
del<strong>la</strong> componente popo<strong>la</strong>re” ha dovuto dire al «Corriere del<strong>la</strong> Sera» che “se viene<br />
meno il reciproco rispetto viene meno anche il Partito democratico”.<br />
Sembrano più che fondate le autorevoli preoccupazioni del Cardinal Bertone:<br />
“i <strong>cattolici</strong> non siano mortificati nel nascente Pd”.<br />
Che direbbe De Gasperi?<br />
Di fronte a questa situazione, a questa “liquidazione”, che fare? Che direbbe<br />
De Gasperi? Non è un interrogativo bizzarro dal momento che tanti si dichiarano<br />
suoi eredi con una pretesa, che pur indebita, riconosce <strong>la</strong> validità del<strong>la</strong> sua figura e<br />
l’attualità del suo insegnamento. Riconosce <strong>la</strong> matrice e l’origine del<strong>la</strong> grande vicenda<br />
vittoriosa del movimento politico dei <strong>cattolici</strong> nel dopoguerra.<br />
Affiorano nel<strong>la</strong> memoria <strong>la</strong> sua direttiva unitaria, il suo continuo impegno pedagogico<br />
verso le sinistre interne, quel<strong>la</strong> gronchiana, ma soprattutto quel<strong>la</strong> dossettiana,<br />
al<strong>la</strong> quale si riferiscono molti <strong>cattolici</strong> presenti nelle considerazioni di Martinazzoli.<br />
Non è storia del tutto archiviata. Dissentirono sulle decisioni di porre i comunisti<br />
fuori dal governo, espressero riserve sull’adesione al patto at<strong>la</strong>ntico, sul<strong>la</strong><br />
<strong>politica</strong> delle alleanze con i partiti di centro liberali, socialdemocratici, repubblicani,<br />
sull’interc<strong>la</strong>ssismo, etc.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
161
Quando è scoppiata <strong>la</strong> tempesta di Mani pulite, da molti di loro è partito il refrain<br />
che ormai il tempo del<strong>la</strong> Dc era finito, che con <strong>la</strong> caduta del muro di Berlino<br />
<strong>la</strong> situazione era radicalmente mutata, che un’improvvisa conversione aveva messo<br />
in stato di grazia democratica <strong>la</strong> vecchia opposizione marxista e che retrogradi e superati<br />
erano quanti non si rendevano conto delle grandi novità.<br />
Molta precipitazione. Ancora qualche riflessione. Innanzitutto <strong>la</strong> Democrazia<br />
cristiana, è viva e vegeta in Europa sotto varie denominazioni. Così è in Germania,<br />
dove esprime il Cancelliere, in Austria, in Belgio, nei Paesi Bassi, in Svizzera. In secondo<br />
luogo, se il muro non fosse caduto sotto <strong>la</strong> pressione del<strong>la</strong> <strong>politica</strong> americana<br />
e del fallimento economico-sociale sovietico, è da escludere che molti dirigenti<br />
del Pci sarebbero tuttora ossequienti a quel regime, con l’appendice del suo colonialismo<br />
all’esterno, dei suoi gu<strong>la</strong>g all’interno e del<strong>la</strong> più lunga e tenace campagna<br />
ateista del<strong>la</strong> Storia? È pertanto almeno discutibile affermare che siano venute meno<br />
catarticamente tutte le caratteristiche, che informavano <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse dirigente del Pci<br />
oggi più che mai inserita nelle istituzioni ed egemone nel Pd. Tra queste caratteristiche<br />
sono le antiche riserve verso il mondo cattolico oggi inespresse (quando si ricorda<br />
ai <strong>cattolici</strong> che Togliatti votò l’art. 7 del<strong>la</strong> Costituzione, che recepiva il Concordato<br />
<strong>la</strong>ternanense con <strong>la</strong> Chiesa, bisognerebbe aggiungere che quel<strong>la</strong> fu una decisione<br />
accortamente leninista nei confronti di una nazione a prevalenza cattolica e<br />
di una democrazia cristiana forte e determinante).<br />
Dc in Europa e in Italia<br />
Proprio l’assalto condotto in molte forme da movimenti ausiliari di rivendicazione<br />
o rifondazione comunista e da movimenti radicali contro <strong>la</strong> cultura e le radici<br />
cristiane del nostro popolo dovrebbe far riflettere seriamente sul<strong>la</strong> opportunità<br />
di risvegliare <strong>la</strong> Democrazia cristiana in Italia e di presentar<strong>la</strong> al suo naturale elettorato.<br />
E non una “nuova” Democrazia cristiana simile alle formazioni che con brevetti<br />
o accorgimenti amministrativi e giudiziari si sono appropriati di insegne, scudi<br />
e sedi varie, ma <strong>la</strong> Democrazia cristiana storica, quel<strong>la</strong> che gli italiani votavano a<br />
milioni, quel<strong>la</strong> di De Gasperi.<br />
Il disagio nazionale induce a ritenere oggi che <strong>la</strong> maggioranza dei <strong>cattolici</strong>, che<br />
è <strong>la</strong> maggioranza del Paese, non si senta rappresentata né dall’attuale centro-sinistra,<br />
assemb<strong>la</strong>to sostanzialmente sull’antiberlusconismo, né dall’attuale centro-destra,<br />
così ondivago, diviso e più motivato dal ritorno al potere che da un coerente<br />
programma di governo. Anche le sue componenti minori, con <strong>la</strong> loro preminente<br />
insistenza sulle modalità delle leggi elettorali sembrano evidenziare più l’interesse<br />
ad assicurarsi porzioni di potere. Né esse sembrano godere del<strong>la</strong> fiducia sicura del<br />
mondo cattolico.<br />
Si dirà che stiamo riproponendo un’esperienza esaurita, che <strong>la</strong> Democrazia cristiana<br />
appartiene al<strong>la</strong> storia. Insistiamo: chiedetelo ad Ange<strong>la</strong> Merkel, ai cristianodemocratici<br />
dei Paesi Bassi, al partito popo<strong>la</strong>re del governo austriaco, ai cristianosociali<br />
belgi di Martens, al Partito Popo<strong>la</strong>re europeo.<br />
162 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
La specificità anticlericale continentale<br />
Non basta appel<strong>la</strong>rsi agli esempi di Kennedy o di B<strong>la</strong>ir, com’è trendy fare.<br />
L’Italia non è un paese anglosassone, dove i capi di stato invocano <strong>la</strong> benedizione di<br />
Dio e i valori cristiani sono un dato comunemente accettato. La storia dell’Europa<br />
continentale ha conosciuto le più sanguinose esplosioni di anticlericalismo con uccisioni<br />
incredibili di vescovi, sacerdoti, suore, <strong>la</strong>ici <strong>cattolici</strong>. La rivoluzione francese<br />
e <strong>la</strong> massoneria istituzionalizzata da Napoleone produssero i noti scempi. La Spagna<br />
non fu da meno in corsi e ricorsi storici dolorosi, l’ultimo dei quali negli anni non<br />
lontani del Frente Popu<strong>la</strong>r. In Italia, il filo rosso massonico e anticlericale non<br />
mancò purtroppo all’epopea risorgimentale e ispirò non soltanto l’inno a Satana di<br />
Carducci, ma una tenace vena di rancore, tuttora attiva, verso <strong>la</strong> Chiesa e i <strong>cattolici</strong>.<br />
Un partito di centro, di chiara ispirazione cristiana ha dunque <strong>la</strong> sua ragion<br />
d’essere anche per questo. E non soltanto per <strong>la</strong> delusione sempre più diffusa verso<br />
i “<strong>cattolici</strong> adulti” (a loro si rivolgeva «Famiglia cristiana» rimproverandoli di abbandonare<br />
i Dico per ri<strong>la</strong>nciare i Cus a favore di una battaglia ideologica di pochi…<br />
“Quale distanza tra <strong>politica</strong> e Paese reale!”.<br />
La delusione apre grandi spazi a una Dc autorevole, che non sia <strong>la</strong> Cosa bianca<br />
di cui si par<strong>la</strong>, ma una forza che origini situazioni nuove. Al di là, infatti, di quel<strong>la</strong><br />
delusione vi è <strong>la</strong> necessità di un nuovo equilibrio tra le contrapposizioni finora sterili<br />
dei poli, <strong>la</strong> necessità di una formazione <strong>politica</strong> moderna, centrale e determinante.<br />
Certo, l’impresa non sarebbe facile. Occorrerebbero uomini disposti a una battaglia<br />
di rottura, attorno a un leader di forte carattere, di dignitosa vita privata, nel<br />
vigore degli anni, con esperienze amministrative e politiche alle spalle, di chiara<br />
provenienza cattolica. Con un programma antidemagogico di ristabilimento dell’ordine<br />
democratico, dei meriti e dei doveri, accanto ai diritti, di risanamento morale,<br />
civico e finanziario del Paese, di contrasto al cancro del parassitismo cliente<strong>la</strong>re;<br />
un programma che alienerebbe ristretti gruppi di pressione, ma sarebbe premiato<br />
dal consenso del<strong>la</strong> generalità dei cittadini. Con proposte concrete di soluzioni<br />
moderne dei soliti problemi nazionali del<strong>la</strong> sicurezza, dell’istruzione, dell’amministrazione<br />
del<strong>la</strong> giustizia, del<strong>la</strong> sanità e del <strong>la</strong>voro.<br />
Il ruolo del leader è centrale (a proposito del<strong>la</strong> sua esperienza di consulente di<br />
Sarkozy, l’ex ministro del<strong>la</strong> Funzione pubblica Franco Ba<strong>la</strong>nini osservava: “certe<br />
riforme funzionano quando se ne fanno carico leaders forti”).<br />
Il partito popo<strong>la</strong>re esordì nel 1919 come partito minoritario, ma aveva a capo<br />
Strurzo. La Dc esordì nel dopoguerra come uno dei sei partiti del C.L.N., ma aveva<br />
a capo De Gasperi. Entrambi avevano solide convinzioni, temperamento deciso,<br />
provenivano da esperienze pubbliche, da lungo impegno democratico e cristiano,<br />
erano aperti all’orizzonte internazionale. A questo punto Diogene di Sinope si<br />
metterebbe al<strong>la</strong> ricerca dell’uomo.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
<br />
163
I <strong>cattolici</strong> e <strong>la</strong> <strong>politica</strong> in Italia<br />
Novità in libreria<br />
a cura di Valerio De Cesaris<br />
«Novità in libreria» propone per questo numero di «Civitas» un breve percorso bibliografico<br />
su “<strong>cattolici</strong> e <strong>politica</strong> in Italia”, attraverso alcune schede di libri di recente<br />
pubblicazione.<br />
P. Scoppo<strong>la</strong>, P. Consorti (a cura di), Fede religiosa e fede <strong>la</strong>ica in dialogo, Guerini e<br />
Associati, Mi<strong>la</strong>no 2007, 142 pp., € 14,50<br />
Fede religiosa e fede <strong>la</strong>ica in dialogo non tratta direttamente <strong>la</strong> questione dell’impegno<br />
dei <strong>cattolici</strong> in <strong>politica</strong>. La decisione di aprire <strong>la</strong> rubrica Novità in libreria<br />
con questo libro – oltre ad essere un doveroso omaggio al<strong>la</strong> memoria di<br />
Pietro Scoppo<strong>la</strong> – nasce dal<strong>la</strong> convinzione che il tema del dialogo tra <strong>la</strong>ici e credenti<br />
sia oggi, in Italia, di primaria importanza, anche per quel che riguarda <strong>la</strong><br />
vita <strong>politica</strong> del paese. Il confronto tra <strong>la</strong>ici e credenti è serrato, e talvolta aspro,<br />
su questioni riguardanti <strong>la</strong> vita e <strong>la</strong> bioetica, il rapporto tra religione e <strong>politica</strong>,<br />
il ruolo del<strong>la</strong> Chiesa in Italia. Pietro Scoppo<strong>la</strong> e Pierluigi Consorti hanno curato<br />
questo libro “polifonico”, in cui, come sfondo di tutti gli interventi, pur diversi<br />
tra loro, è sottolineata <strong>la</strong> necessità di un dialogo franco e costruttivo tra «fede<br />
religiosa e fede <strong>la</strong>ica». Il volume è frutto delle attività del<strong>la</strong> “Fondazione Remo<br />
Orseri per <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione culturale fra i popoli”, di cui Scoppo<strong>la</strong> è stato a<br />
lungo presidente e di cui Consorti è segretario generale. È anche un modo per<br />
fare memoria di un uomo, Remo Orseri, sconosciuto ai più, che visse l’ideale<br />
dell’incontro e del dialogo tra culture e religioni diverse, e ne fece un motivo di<br />
vita. Il volume contiene contributi di Arrigo Levi, Vincenzo Paglia, Andrea Riccardi,<br />
Tullia Zevi, Oscar <strong>Luigi</strong> Scalfaro, Dario Antiseri, Walter Veltroni, Dalil<br />
Boubakeur, José da Cruz Policarpo, Samuel Levy, Mario Soares, Francesco Paolo<br />
Casavo<strong>la</strong>.<br />
164 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
S. Pezzotta, I <strong>cattolici</strong> e <strong>la</strong> <strong>politica</strong>, Editrice La Scuo<strong>la</strong>, Brescia 2007, 128 pp., € 8,50<br />
Il libro è un’intervista di Fabio Zavattaro a Savino Pezzotta, in cui l’ex leader<br />
del<strong>la</strong> Cisl descrive in modo appassionato come immagina oggi il ruolo dei <strong>cattolici</strong><br />
nel<strong>la</strong> società e nel<strong>la</strong> <strong>politica</strong> italiana. Si tratta di un testo ovviamente importante<br />
perché Pezzotta, con il ruolo avuto nel Family day e con il progetto dell’“Officina<br />
2007”, che mira a una nuova aggregazione dei <strong>cattolici</strong> in <strong>politica</strong>, rappresenta una<br />
novità che – nuova legge elettorale permettendo – potrebbe divenire rilevante. La<br />
sua è peraltro un’analisi che abbraccia molti temi, dal discorso di una “nuova <strong>la</strong>icità”,<br />
in cui i <strong>cattolici</strong>, seppure in minoranza, debbono essere in grado di difendere<br />
in modo dialogico <strong>la</strong> propria storia e <strong>la</strong> propria identità, al<strong>la</strong> questione del “meticciato<br />
culturale”, che rappresenta un interrogativo ineludibile per il futuro dell’Italia<br />
e dell’Europa, fino alle problematiche del<strong>la</strong> criminalità e del<strong>la</strong> sicurezza, molto<br />
percepite dal<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione italiana e quindi che richiedono risposte concrete, che<br />
non siano però strumentali a fini politici di parte. Attraverso questa intervista di<br />
Zavattaro, Pezzotta delinea <strong>la</strong> sua risposta al problema del<strong>la</strong> presenza dei <strong>cattolici</strong><br />
nel dibattito pubblico in Italia dopo <strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> Dc.<br />
L. Bobba, Il posto dei <strong>cattolici</strong>, Einaudi, Torino 2007, 152 pp., € 8,00<br />
<strong>Luigi</strong> Bobba pone al centro del<strong>la</strong> sua analisi sul “posto dei <strong>cattolici</strong>” in Italia i<br />
<strong>la</strong>ici credenti. Non soltanto per quel che riguarda l’attività <strong>politica</strong> dei <strong>cattolici</strong>, necessariamente<br />
riservata ai <strong>la</strong>ici, ma anche per quel che concerne l’impegno sociale e<br />
<strong>la</strong> dimensione culturale. La capil<strong>la</strong>re presenza dei <strong>cattolici</strong> nel<strong>la</strong> società italiana è<br />
una risorsa e andrebbe valorizzata, senza creare o acuire divisioni tra diverse “anime”<br />
del paese. I <strong>cattolici</strong> hanno “un posto” in Italia, negarlo sarebbe come falsificare<br />
<strong>la</strong> storia del nostro paese. E ci sono tanti <strong>cattolici</strong> che operano in maniera onesta,<br />
incisiva, creativa, in molti ambiti del<strong>la</strong> vita nazionale. Un certo <strong>la</strong>icismo – presente<br />
sia a destra che a sinistra, ma più evidente o più percepito dall’opinione pubblica<br />
nel<strong>la</strong> sinistra radicale – vorrebbe relegare i valori morali nel<strong>la</strong> sfera del privato.<br />
Bobba, eletto al Senato nelle liste dell’Ulivo, risponde citando Barack Obama:<br />
“Dire che uomini e donne non dovrebbero far rifluire <strong>la</strong> loro morale personale nei<br />
dibattiti pubblici è un assurdo pratico”. I <strong>cattolici</strong> che <strong>la</strong>vorano nel<strong>la</strong> sfera del<strong>la</strong> <strong>politica</strong><br />
possono avere un duplice ruolo: da una parte hanno il compito di difendere<br />
in maniera ferma i valori cristiani nelle discussioni par<strong>la</strong>mentari, dall’altra hanno <strong>la</strong><br />
responsabilità di stemperare i toni di un dibattito politico che è stato incentrato,<br />
negli ultimi quindici anni, sul<strong>la</strong> demonizzazione e <strong>la</strong> distruzione dell’avversario. Si<br />
tratta per Bobba di compiti che tutti i <strong>cattolici</strong> impegnati in <strong>politica</strong>, in entrambi<br />
gli schieramenti, dovrebbero assumere. Il posto dei <strong>cattolici</strong> è un libro piccolo ma<br />
intelligente, una riflessione non banale sul futuro dei <strong>cattolici</strong> nel<strong>la</strong> vita <strong>politica</strong> e<br />
sociale italiana.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
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M. Griffo, Dimenticare <strong>la</strong> Dc, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, 96 pp., € 9,00<br />
Al<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> riflessione di Maurizio Griffo c’è l’esigenza di comprendere quale<br />
sia l’origine del corto circuito in cui è finito il sistema politico italiano, che appare<br />
incapace di garantire governabilità al paese. Nel<strong>la</strong> prima parte del volume<br />
l’autore ripercorre brevemente le vicende politiche italiane dal secondo dopoguerra<br />
al 1994, data del<strong>la</strong> fondazione di Forza Italia e del<strong>la</strong> “discesa in campo” di Silvio<br />
Berlusconi. L’analisi di questo lungo periodo è incentrata su un dato: <strong>la</strong> sostanziale<br />
inamovibilità del<strong>la</strong> maggioranza par<strong>la</strong>mentare centrista. In tal senso, <strong>la</strong> storia <strong>politica</strong><br />
italiana è stata a lungo caratterizzata, nel<strong>la</strong> cosiddetta “prima Repubblica” dall’esclusione<br />
delle “ali” politiche e da immobilismo. Griffo non risparmia critiche<br />
al<strong>la</strong> gestione democristiana del potere e, con <strong>la</strong> formu<strong>la</strong> “dimenticare <strong>la</strong> Dc”, intende<br />
esprimere un concetto ben chiaro: il sistema politico italiano sarà realmente rinnovato<br />
se saprà tradursi in una vera e funzionante democrazia dell’alternanza.<br />
L’autore si schiera nettamente per un bipo<strong>la</strong>rismo all’inglese, scongiurando l’ipo -<br />
tesi di una “restaurazione neocentrista” che – a suo parere – avrebbe l’effetto di<br />
bloccare ancora una volta il paese. Il libro è senz’altro un’utile riflessione, anche se<br />
alcuni giudizi generali – come il richiamo a una “democrazia immediata”, espressione<br />
forse troppo demagogica e quantomeno astratta, perché presuppone maggiore<br />
capacità decisionale di un sistema politico in cui diminuisce il potere dei partiti<br />
e si afferma un poco definito “governo del popolo” – e su singole personalità politiche<br />
sono piuttosto opinabili.<br />
M. Dami<strong>la</strong>no, Il partito di Dio. La nuova ga<strong>la</strong>ssia dei <strong>cattolici</strong> italiani, Einaudi, Torino<br />
2006, 217 pp., € 14,50<br />
Marco Dami<strong>la</strong>no, giornalista de «L’Espresso» esperto di questioni politico-religiose,<br />
descrive un cattolicesimo “al<strong>la</strong> conquista” di spazi nel<strong>la</strong> <strong>politica</strong>, nei media,<br />
nel<strong>la</strong> società. Al<strong>la</strong> conquista, per dir<strong>la</strong> in breve, del potere. La tesi – che vede in atto<br />
una vera «guerra culturale» avviata dal<strong>la</strong> Chiesa di Benedetto XVI contro il re<strong>la</strong>tivismo<br />
etico – appare forzata. La Chiesa italiana sarebbe infatti, in questa ricostruzione,<br />
una sorta di avanguardia – o di “<strong>la</strong>boratorio” – per una più ampia offensiva a livello<br />
mondiale sui temi del<strong>la</strong> bioetica, del<strong>la</strong> famiglia, dei rapporti Stato-Chiesa. Sarebbe<br />
ormai in atto uno «scontro di civiltà» tra credenti e non credenti, nel cuore<br />
dell’Occidente. La figura centrale in questa sorta di reconquista del<strong>la</strong> società è per<br />
Dami<strong>la</strong>no il cardinale Ruini. Nel suo più che ventennale governo del<strong>la</strong> Chiesa italiana<br />
Ruini avrebbe condotto una «controffensiva culturale» nei confronti sia del<br />
<strong>la</strong>icismo che del re<strong>la</strong>tivismo, passando infine all’offensiva con l’organizzazione di<br />
tutte le sue “truppe”: clero, associazioni, movimenti ecclesiali. Con un’attenzione<br />
costante al rapporto con i leader politici e alle loro posizioni rispetto ai temi sensibili<br />
per <strong>la</strong> Chiesa. Al di là del fatto che il libro sembri un po’ troppo “a tesi”, Dami<strong>la</strong>no<br />
affronta una questione delicata: l’utilizzo del<strong>la</strong> Chiesa in campo politico e <strong>la</strong><br />
166 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
iduzione del cristianesimo a elemento di identità di fronte alle minacce del tempo<br />
presente, siano quelle del re<strong>la</strong>tivismo etico, siano quelle dell’aggressività di parte<br />
del mondo is<strong>la</strong>mico.<br />
G. Filoramo, La Chiesa e le sfide del<strong>la</strong> modernità, Laterza, Roma-Bari 2007, 189 pp.,<br />
€ 16,00<br />
Giovanni Filoramo, storico del cristianesimo e delle religioni, par<strong>la</strong> di un «rinnovato<br />
scontro tra Chiesa cattolica e modernità» in Italia. Questo scontro diviene<br />
sempre più nocivo al<strong>la</strong> convivenza civile in Italia, perché rischia di spaccare in due<br />
il paese. Quali ne sono i motivi? Come ricomporre un dissidio che appare quasi insanabile<br />
tra credenti e non credenti? Filoramo tenta di rispondere, per quanto possibile,<br />
a questi quesiti. La sua analisi è vasta e tocca le questioni etiche, il pluralismo<br />
religioso, i temi del<strong>la</strong> guerra e del<strong>la</strong> pace, oltre che le diverse posizioni esistenti<br />
in Italia sul<strong>la</strong> <strong>la</strong>icità dello Stato. La questione riguardante il ruolo dei <strong>cattolici</strong> nel<strong>la</strong><br />
vita <strong>politica</strong> del paese, pur non essendo al centro del libro, ne costituisce, in un certo<br />
senso, <strong>la</strong> premessa, anche tenendo conto del fatto che il nesso tra <strong>politica</strong> ed etica<br />
torna oggi di «impellente attualità». Il capitolo dedicato a «Chiesa, democrazia,<br />
<strong>la</strong>icità» contiene un’analisi storica dei rapporti tra cristianesimo e <strong>politica</strong>, sino ai<br />
giorni nostri in cui – avverte l’autore – c’è <strong>la</strong> tendenza a un «neotemporalismo incoraggiato<br />
dal magistero in Italia». La riflessione di Filoramo, non priva di critiche<br />
nei confronti del magistero del<strong>la</strong> Chiesa, si artico<strong>la</strong> in un’analisi di lungo periodo e<br />
non è schiacciata sull’attualità <strong>politica</strong>.<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
<br />
167
Alberigo G., 133<br />
Aznar J.M., 38<br />
Bachelet V., 30<br />
Badoglio P., 18<br />
Bartoletti E., 26, 125<br />
Bauman Z., 84, 107<br />
Benedetto XVI, 9, 12, 13, 31, 53, 80, 81,<br />
122, 166<br />
Benigni U., 18<br />
Berlinguer E., 50<br />
Berlusconi S., 75, 76, 77, 141, 144, 166<br />
Bernanos G., 137<br />
Bernareggi D., 22<br />
Bertone T., 14, 15, 161<br />
Bianco G., 45, 145<br />
B<strong>la</strong>ir T., 38, 143, 163<br />
Bloch M., 126<br />
Blum L., 129<br />
Böckenförde E.W., 56<br />
Borzomati P., 29<br />
Brezzi P., 133<br />
Campanini G., 55<br />
Caracciolo L., 29<br />
Carniti P., 133<br />
Casini P., 77, 144<br />
Caterina da Siena, 30<br />
Cavour C.B., 84, 132<br />
Chabod F., 9, 50<br />
Clinton B., 38, 149<br />
Colombo G., 26<br />
Congar Y., 25<br />
Cordovani R., 21<br />
Craxi B., 65, 75<br />
Croce B., 132<br />
Dahl R., 56<br />
Dal<strong>la</strong> Costa E., 23<br />
Dante, 84<br />
De Gasperi A., 22, 23, 46, 70, 76, 77, 84,<br />
118, 126, 132, 136, 161, 162, 163<br />
De Lubac H., 18<br />
De Marco, 23<br />
De Rita G., 42, 69<br />
De Rosa G., 117, 131<br />
Dossetti G., 23, 65, 77<br />
Dunn J., 56<br />
Fanfani A., 70, 77<br />
Ferrara G., 54<br />
Fogazzaro A., 133<br />
Fonzi F., 131,<br />
Fukuyama F., 71<br />
Gal<strong>la</strong>rati Scotti T., 133<br />
Galli del<strong>la</strong> Loggia E., 53, 82<br />
Gemelli A., 21, 22<br />
Gentiloni V.O., 20, 21<br />
Giobbe, 114<br />
Giolitti G., 84<br />
Giordani I., 15<br />
Giovanni Paolo II, 11, 12, 13, 27, 28, 29,<br />
80, 91, 92, 99, 118<br />
Giuntel<strong>la</strong> V.E., 119<br />
Gramsci A., 14<br />
Gregorio Di Nissa, 57<br />
Hirst P., 103<br />
Hobsbawn E., 71<br />
Nomi citati<br />
168 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007
Jacini S., 133<br />
Jemolo A.C., 133<br />
La Pira G., 15, 22, 23, 70, 77<br />
Lamennais H.R., 19<br />
Lazzati G., 77<br />
Lenin V., 71<br />
Leone XIII, 18, 19, 20, 65<br />
Lubich C., 97, 102<br />
Manziana C., 26<br />
Manzoni A., 122, 133<br />
Marchionne S., 52<br />
Maret H., 132<br />
Maritain J., 137<br />
Marrou H., 117, 126<br />
Martinazzoli F.M., 160, 161<br />
Marx K., 19,<br />
Maurras C., 129, 137<br />
Mazzo<strong>la</strong>ri P., 131<br />
Messineo A., 23<br />
Miccoli G., 27,<br />
Mi<strong>la</strong>ni L., 59, 85, 86, 157<br />
Minoretti C.D., 20<br />
Monterisi N., 18<br />
Montini G.B., 22, 125<br />
Montini L., 23, 26, 28, 70<br />
Moro A., 24, 25, 30, 76, 77, 118, 126, 127<br />
Mosè, 113<br />
Murri R., 135<br />
Naro C., 29<br />
Nicodemo E., 24<br />
Nozik R., 102<br />
Orfei R., 133<br />
Paolo VI, 11, 18, 25, 26, 30, 115, 118, 125,<br />
126<br />
Pascal B., 138<br />
Passerin d’Entreves E., 133<br />
Pedrazzi L., 133<br />
Peguy C., 54<br />
Pera M., 82<br />
Pergolesi F., 23<br />
Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007<br />
Pertini S., 29<br />
Pio X, 20<br />
Pio XI, 21, 135, 137<br />
Pio XII, 22, 23, 24, 30, 70<br />
Poma A., 26<br />
Prodi R., 77, 141, 142, 143, 144, 145<br />
Puglisi P., 30<br />
Ratti A., 137<br />
Reagan R., 38<br />
Richelieu A.J., 60<br />
Ricoeur P., 105<br />
Rigol i Roig J., 101<br />
Rosmini A., 122, 133<br />
Rossetti G., 135<br />
Ruini C., 10, 11, 12, 25, 53, 60, 65, 78, 107,<br />
161, 166<br />
Scalfari E., 59<br />
Schiavone A., 52<br />
Siri G., 24<br />
Spadolini G., 19<br />
<strong>Sturzo</strong> L., 21, 49, 76, 126, 152, 153, 154<br />
Tabacci B., 82<br />
Tacito, 74<br />
Tardini D., 23, 70<br />
Tocqueville A. C., 79, 132<br />
Togliatti P., 50, 65, 77, 83, 162<br />
Tommaseo N., 133<br />
Toniolo G., 19, 20, 30, 92<br />
Traniello F., 133<br />
Urbani G., 26<br />
Veltroni W., 36, 55, 84, 85, 143, 144, 160,<br />
164<br />
Wojty<strong>la</strong> K., 27, 28, 29, 121<br />
Yunus M., 107<br />
Zaccagnini B., 127<br />
Zagrebelsky G., 122<br />
Zizo<strong>la</strong> G., 13<br />
169
ASSOCIAZIONE PER LA VALORIZZAZIONE DELLA DEMOCRAZIA IN ITALIA - ONLUS<br />
ANNO I - N. 1/2004<br />
ANNO II<br />
ANNO III<br />
EUROPA SENZA CONFINI<br />
CIVITAS<br />
Gabriele De Rosa - Achille Silvestrini - Franco Nobili - <strong>Luigi</strong> Giraldi - Giorgio Tupini -<br />
Jean Dominique Durand - Roberto Morozzo del<strong>la</strong> Rocca - Gorgio Bosco - Agostino Giovagnoli<br />
- Pao<strong>la</strong> Pizzo - Marisa Ferrari Occhionero - Simona Andrini - Stefano Trinchese<br />
N. 1/2005<br />
LA DEMOCRAZIA MALATA<br />
Agostino Giovagnoli - Rudolf Lill - Jean Marie Mayeur - Pietro Scoppo<strong>la</strong> - Carlo Mongardini<br />
- Savino Pezzotta - Andrea Bonaccorsi - Paolo Musso - Carlo Giunipero - Marco<br />
Impagliazzo - Ruggero Orfei - Giuseppe Merisi - Giovanni Pitruzzel<strong>la</strong> - Leopoldo Elia -<br />
Nico<strong>la</strong> Mancino<br />
N. 2/2005<br />
LA LUNGA STAGIONE DELLA LIBERAZIONE<br />
Giulio Andreotti - Franco Nobili - Alfredo Canavero - Raoul Pupo - Corrado Belci -<br />
Agostino Giovagnoli<br />
RELIGIONI, MULTICULTURALISMO, LAICITÀ<br />
Milena Santerini - Renè Remond - Paolo Branca - Vincenzo Cesareo - Carlo Cardia<br />
N. 3/2005<br />
ECONOMIA E DEMOCRAZIA<br />
Piero Barucci - Andrea Bixio - Giampiero Cantoni - Innocenzo Cipoletta - Emmanuele<br />
Emanuele - Piero Giarda - Giovanni Marseguerra - Franco Nobili - Giuseppe Sangiorgi -<br />
Mario Sarcinelli - Bruno Tabacci - Antonio Zurzolo<br />
N. 1/2006<br />
NUMERI PRECEDENTI<br />
CHIESA E STATO IN ITALIA - IERI E OGGI<br />
Franco Nobili - Andrea Riccardi - Romeo Astorri - Maurizio Punzo - Giuseppe Dal<strong>la</strong><br />
Torre - Francesca Margiotta Broglio - Giovanni Battista Varnier - Carlo Cardia - Camillo<br />
Ruini - Pietro Scoppo<strong>la</strong> - Agostino Giovagnoli - Silvio Ferrari - Stefano Semplici - Francesco<br />
Totaro - Luciano Eusebi
NUMERO SPECIALE – AFRICA: UN CONTINENTE TRA ABBANDONO E SPERANZA<br />
Franco Nobili - Mario Giro - Jean Leonard Touadi - Jean Mbarga - Stefano Picciaredda -<br />
Gianpaolo Cada<strong>la</strong>nu - Leonardo Palombi - Danie<strong>la</strong> Pompei - Robert Sarah - Boniface<br />
Mongo Mboussa - Éloi Messi Metodo - Robert Dussey<br />
N. 2-3/2006<br />
BIPOLARISMO IMPERFETTO<br />
Antonio Agosta - Andrea Bixio - Fedele Cuculo - Gianfranco D’Alessio - Giuseppe De<br />
Rita - Emmanuele F.M. Emanuele - Marco Follini - Enrico Letta - Franco Nobili - Andrea<br />
Riccardi - Mario Rusciano - Giuseppe Sangiorgi - Paolo Segatti - Pietro Scoppo<strong>la</strong> -<br />
Bruno Tabacci<br />
N. 1/2007<br />
OLTRE IL WELFARE: LA SFIDA DELLE NUOVE POVERTÀ<br />
Card. Tarcisio Bertone - Stefano Bartolini - Leonardo Becchetti - Corrado Beguinot -<br />
<strong>Luigi</strong>no Bruni - Giuseppe De Rita - Franco Nobili - Renato Palma - Pierluigi Porta -<br />
Franco Riva - Giuseppe Sangiorgi - Silvio Scanagatta<br />
N. 2/2007<br />
ISLAM<br />
Lahouari Addi - Mustapha Cherif - Bahey El-Din Hassan - Mohamed Haddad - Hassan<br />
Hanafi - Kone Idriss Koudouss - Ahmad Syafii Maarif - Chandra Muzaffar - Paul Matar<br />
Mohammad Sammak - Ghassan Tueni - Mohamed Tozy - Abdul Magid - A. Karim Vakil<br />
Richieste e informazioni a:<br />
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per conto di Rubbettino Editore Srl<br />
88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)