13.06.2013 Views

La dimensione etica della politica - Istituto Luigi Sturzo

La dimensione etica della politica - Istituto Luigi Sturzo

La dimensione etica della politica - Istituto Luigi Sturzo

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

Civitas<br />

Rivista quadrimestrale di ricerca<br />

storica e cultura <strong>politica</strong><br />

Fondata e diretta da Filippo Meda<br />

(1919-1925)<br />

Diretta da Guido Gonella (1947)<br />

Diretta da Paolo Emilio Taviani<br />

(1950-1995)<br />

Quarta serie<br />

Diretta da Gabriele De Rosa<br />

(2004-2007)<br />

Diretta da Franco Nobili (2007-2008)<br />

«Civitas» “riprenderà il difficile impegno con la serietà<br />

ed il rigore che l’hanno contraddistinta nei momenti<br />

più travagliati e complessi.<br />

I temi riguarderanno problemi, eventi, prospettive<br />

<strong>della</strong> <strong>politica</strong> internazionale con un particolare riguardo<br />

alla vita italiana ed all’unità europea.<br />

... Il XX secolo ha lasciato tracce e impronte in Italia,<br />

in Europa e nel mondo, che sono in gran parte da scoprire e,<br />

per un certo verso, se non addirittura, da correggere,<br />

da meglio interpretare.<br />

Sarà anche questo un importante compito <strong>della</strong> nuova «Civitas»”.<br />

[Paolo Emilio Taviani, 18 febbraio 2000]<br />

Costo di un numero € 10,00<br />

Abbonamento a tre numeri € 25,00<br />

Abbonamento sostenitore € 250,00<br />

(Equivalente a 10 abbonamenti)<br />

C/c postale<br />

15062888 intestato a Rubbettino Editore, Viale Rosario<br />

Rubbettino, 10 - 88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)<br />

Bonifico bancario<br />

Banca Popolare di Crotone - Agenzia di Serrastretta<br />

C/C 120418 ABI 05256 CAB 42750<br />

Carte di credito<br />

Visa - Mastercard - Cartasì<br />

Pubblicità<br />

Pagina b/n € 1.500,00 - Per tre numeri € 3.500,00<br />

Registrazione<br />

Tribunale Civile di Roma<br />

n. 152 dell’8.04.2004<br />

Civitas<br />

è una pubblicazione<br />

dell’<strong>Istituto</strong> <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong><br />

Presidente<br />

Roberto Mazzotta<br />

Direttore Responsabile<br />

Agostino Giovagnoli<br />

Coordinatore Editoriale<br />

Amos Ciabattoni<br />

Comitato Redazione<br />

Andrea Bixio<br />

Walter E. Crivellin<br />

Mario Giro<br />

Flavia Nardelli<br />

Ernesto Preziosi<br />

Giuseppe Sangiorgi<br />

Segreteria Redazione<br />

Rita Proietti, Serena Torri<br />

Sede<br />

Via delle Coppelle, 35<br />

00186 Roma<br />

Tel. 06.68809223-6840421<br />

redazione@rivistacivitas.it<br />

www.rivistacivitas.it<br />

Editore<br />

Rubbettino<br />

Viale R. Rubbettino, 10<br />

88049 Soveria Mannelli<br />

Tel. 0968/6664275<br />

Fax 0968/662055<br />

periodici@rubbettino.it<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Indice<br />

ITALIA EUROPA EMERGENZE<br />

5 Presentazione – Roberto Mazzotta<br />

ITALIA<br />

9 Politiche per il Sud: dopo i troppi fallimenti, una nuova proposta –<br />

di Luca Bianchi e Stefano Prezioso<br />

17 Crescita o declino: dietro c’è sempre una scelta <strong>politica</strong> – di Giuseppe Alvaro<br />

33 Federalismo fiscale e Favor Familiae: un connubio strategico:<br />

35 Il contributo <strong>della</strong> famiglia al superamento <strong>della</strong> crisi – di Giorgia <strong>La</strong>tini<br />

37 Famiglia e federalismo fiscale – di Giulio M. Salerno<br />

43 Valore privato e pubblico <strong>della</strong> famiglia – di Gaspare <strong>Sturzo</strong><br />

49 Cinque opzioni per una cultura di governo – di Giuseppe Sangiorgi<br />

EUROPA<br />

57 Un processo irreversibile. L’Europa unita verso gli “Stati Uniti d’Europa” –<br />

di Amos Ciabattoni<br />

61 Credere nell’Unione europea. Sfida a scetticismo e populismo – di Flavio Mondello<br />

Intervista a cura di Amos Ciabattoni<br />

99 Il modello sociale europeo. Un fattore decisivo per superare la crisi –<br />

di Marco Ricceri<br />

123 Cos’è l’Europa? Fabbisogno di una cultura per l’unità europea – di <strong>La</strong>ura Balestra<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

3


Indice<br />

FOCUS<br />

143 <strong>La</strong> <strong>dimensione</strong> <strong>etica</strong> <strong>della</strong> <strong>politica</strong> – di Joaquín Navarro-Valls<br />

149 Famiglia ed <strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà. L’obbligo e la promessa – di Franco Riva<br />

STORIA E MEMORIA<br />

173 De Gasperi visto dal Pci – di Giuseppe Vacca<br />

193 <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong>: una lezione attuale – di Card. Mariano Crociata<br />

APPENDICE<br />

197 Numeri precedenti <strong>della</strong> IV serie


Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

Presentazione<br />

Quando nel febbraio del 2000 Paolo Emilio Taviani consegnò la testata di<br />

Civitas all’<strong>Istituto</strong> <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong> di Roma accompagnò il lascito con un messaggio<br />

che si concludeva con un auspicio sul nuovo corso <strong>della</strong> Rivista: … «Il XX secolo ha<br />

lasciato tracce e impronte in Italia, in Europa e nel mondo, che sono in gran parte da<br />

scoprire e, per un certo verso, se non addirittura, da correggere. Sarà anche questo un<br />

importante compito <strong>della</strong> nuova Civitas».<br />

Successivamente la “quarta serie” <strong>della</strong> pubblicazione, curata dall’<strong>Istituto</strong> <strong>Luigi</strong><br />

<strong>Sturzo</strong> e diretta da Gabriele De Rosa, ha fatto, fin dal primo numero del 2004, di<br />

questo auspicio un impegno d’onore e l’ha mantenuto, alimentato e caratterizzato<br />

in tutte le trascorse sedici edizioni: e il presente numero ne è la conferma, per argomenti<br />

e attualità.<br />

Su questa strada Civitas intende continuare. <strong>La</strong> rivista occupa un posto di rilievo<br />

nella storia del movimento cattolico italiano, da Meda e Taviani a De Rosa, ed<br />

ha sempre mantenuto i tratti distintivi di una sensibilità civile aperta al confronto e<br />

insieme chiara nella propria identità cristiana e liberale.<br />

Nel pieno svolgimento di una crisi finanziaria grave che ci colpisce sempre più<br />

direttamente, la nostra condizione civile mostra debolezze impressionanti.<br />

Crisi determinata dalla gravità dei problemi che non trovano risposta né nella<br />

capacità del Governo né nella forza alternativa dell’opposizione.<br />

Questo grande vuoto dovrà essere riempito. Occorre intensificare gli sforzi per<br />

aggregare le energie positive di un Paese pieno di tanti problemi, ma straordinariamente<br />

ricco di energie e di opportunità.<br />

L’opera non sarà facile dopo una così lunga stagione negativa e richiederà, tra le<br />

tante condizioni, l’efficace presenza di nuclei di aggregazione culturale e sociale. <strong>La</strong><br />

Rivista seguirà con attenzione questi processi, darà conto delle iniziative allo scopo<br />

promosse dall’<strong>Istituto</strong> <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong>, essendo a tutti evidente l’indispensabile ed<br />

esemplare ruolo che dovrà essere giocato dalla grande tradizione sturziana.<br />

Roberto Mazzotta<br />

5


ITALIA<br />

Politiche per il Sud: dopo i troppi fallimenti, una nuova proposta - di Luca<br />

Bianchi e Stefano Prezioso<br />

Crescita o declino: dietro c’è sempre una scelta <strong>politica</strong> - di Giuseppe Alvaro<br />

Federalismo fiscale e Favor Familiae: un connubio strategico:<br />

Il contributo <strong>della</strong> famiglia al superamento <strong>della</strong> crisi - di Giorgia <strong>La</strong>tini<br />

Famiglia e federalismo fiscale - di Giulio M. Salerno<br />

Valore privato e pubblico <strong>della</strong> famiglia - di Gaspare <strong>Sturzo</strong><br />

Cinque opzioni per una cultura di governo - di Giuseppe Sangiorgi


Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

Politiche per il Sud<br />

Dopo i troppi fallimenti,<br />

una nuova proposta*<br />

<strong>La</strong> mancata convergenza del PIL pro-capite meridionale,<br />

che staziona da 60 anni intorno al 60% del Centro-<br />

Nord, contribuisce ad ingenerare un clima di scetticismo<br />

diffuso che investe, oramai, sia le possibilità di inserimento<br />

competitivo nei mercati internazionali delle<br />

risorse imprenditoriali private, sia l’efficacia delle politiche<br />

regionali perseguite, quest’ultime, attraverso risorse<br />

di origine comunitaria o nazionale. Eppure lo<br />

sforzo prodotto dalla c.d. Nuova Programmazione<br />

(NP), l’ultimo tentativo di ampia portata per aggredire<br />

la “Questione Meridionale” avviato oltre dieci anni fa, è<br />

stato veramente poderoso, sotto il profilo intellettuale<br />

che delle risorse messe in campo. Si valuta che in circa<br />

dieci anni sono state impiegate risorse complessive per<br />

oltre 100 mld. di euro, circa il 40% di quanto globalmente<br />

speso dall’Intervento Straordinario, ma su un<br />

orizzonte temporale ben più lungo (circa 40 anni). Nel<br />

momento in cui si sta faticosamente avviando il nuovo<br />

ciclo di programmazione 2007-2013 appare quindi<br />

cruciale capire se gli scarsi successi del precedente siano<br />

dovuti esclusivamente a fattori esterni (i.e. bassa crescita<br />

del Paese nel suo complesso) o se vi fosse, invece, un<br />

errore nelle ipotesi sottostanti la NP, che ne hanno limitato<br />

l’efficacia. L’analisi da noi sviluppata nel contributo<br />

citato in nota, e qui sint<strong>etica</strong>mente riportata, sembra<br />

confermare, pur tendendo conto dei fattori esterni citati,<br />

quest’ultima idea.<br />

* Le argomentazioni qui presentate sono tratte da un articolo degli<br />

autori pubblicato in E.Barucci, C. De Vincenti, M. Grillo (a cura di), Idee<br />

per l’Italia. Mercato e Stato, Brioschi, Milano 2010.<br />

LUCA BIANCHI<br />

Vice Direttore Svimez<br />

STEFANO PREZIOSO<br />

Ricercatore Svimez<br />

≈<br />

«Il divario Nord-<br />

Sud non può<br />

essere riproposto<br />

nei termini<br />

tradizionali di un<br />

riallineamento<br />

delle strutture<br />

economiche e<br />

sociali, ma in<br />

termini di<br />

individuazione di<br />

percorsi autonomi<br />

di sviluppo,<br />

sostenuti da<br />

politiche nazionali<br />

che ne favoriscano<br />

il tracciato»<br />

≈<br />

9


Luca Bianchi - Stefano Prezioso<br />

Gli elementi influenti: ipotesi<br />

Le due ipotesi che hanno maggiormente influenzato il precedente ciclo programmatorio,<br />

in larga parte riconducibile alle idee <strong>della</strong> “Nuova Programmazione”<br />

(NP), possono essere così riassunte:<br />

– Prima ipotesi: il Sud non presenta problemi diversi dal resto del Paese, ma ha le<br />

stesse difficoltà solo in forma più accentuata. In realtà, i due shock che hanno marcato<br />

l’ultimo quindicennio – euro e globalizzazione – hanno determinato una crescente<br />

divaricazione dell’intero sistema produttivo tra le due macro-aree. Sebbene<br />

nello spazio di questo breve documento non possono, ovviamente, essere riportate<br />

le analisi 1 alla base di tale giudizio, il seguente dato, tuttavia, è assai esemplificativo.<br />

A partire dal biennio 1996/’97, ovvero in coincidenza con l’avvio <strong>della</strong> stabilità<br />

valutaria, la progressiva incapacità del sistema produttivo meridionale di adattarsi<br />

al nuovo contesto competitivo ha determinato un raddoppio dei flussi migratori<br />

netti dal Mezzogiorno verso il resto del Paese: da circa 30.000 unità all’anno ad oltre<br />

60.000. Se a questi si aggiungono i circa 150.000 meridionali interessati da fenomeni<br />

di pendolarismo, si arriva a flussi migratori paragonabili a quelli degli anni<br />

’50/’60. È questo il dato che, nel suo insieme, indica con più forza come lo sviluppo<br />

autonomo delle imprese meridionali, in assenza di correttivi robusti indotti dalla<br />

policy, non goda di una sufficiente capacità di trazione.<br />

Il processo di integrazione di mercati, divenuto più manifesto proprio dalla<br />

metà dello scorso decennio, ha accentuato le differenze tra i sistemi produttivi del<br />

Nord e del Sud. In questa fase, i limiti impliciti nel modello del sistema produttivo<br />

italiano sono divenuti più stringenti.<br />

A fronte di essi, nelle regioni centro settentrionali sono emersi alcuni segnali<br />

di discontinuità con il modello precedente, passaggio agevolato dal vasto bacino di<br />

“imprenditorialità diffusa” ivi accumulatosi nel corso del tempo Le imprese che<br />

hanno conseguito i risultati migliori presentano una quota relativamente elevata di<br />

investimenti destinati al rafforzamento <strong>della</strong> componente extra-produttiva dell’organizzazione<br />

(design, marketing, ecc.). Tali funzioni, orientate all’elevamento nella<br />

qualità dei prodotti (upgrading), hanno permesso di differenziare i prodotti riposizionandoli,<br />

di conseguenza, nei segmenti più elevati e più aperti all’export.<br />

Ciò non è avvenuto nel Mezzogiorno, dove anche gli elementi di vitalità<br />

emersi alla fine degli anni ’90, senza uno specifica <strong>politica</strong> selettiva di accompagnamento,<br />

si sono in larga misura affievoliti o spenti. L’industria, e più in generale<br />

l’intero sistema produttivo meridionale ha seguito in questi anni un pattern diffe-<br />

1 Si veda, in proposito S. Prezioso, Problemi di sviluppo e “diversità” dell’industria italiana: la posizione<br />

del Mezzogiorno, «QA-Rivista dell’Associazione Rossi-Doria», n.3/4 2008, pp. 105-153.<br />

10<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Luca Bianchi - Stefano Prezioso<br />

rente. I dati di export delle imprese meridionali confermano questa ipotesi, evidenziando<br />

un costante e significativo aumento di peso dei settori caratterizzati dalla<br />

presenza di forte economie di scala, macro-branca peraltro quasi prevalentemente<br />

composta da grandi imprese a proprietà esterna all’area. L’incidenza dell’export<br />

delle produzioni di scala sulle vendite all’estero complessive dell’area meridionale è<br />

passata dal 49,8% degli anni 2001-2003 al 60,9% registrato nel 2007. Di converso,<br />

il raggruppamento costituito dalle produzioni tradizionali, in cui sono essenzialmente<br />

ricomprese le attività del made in Italy, ha perso, nello stesso periodo,<br />

quasi dieci punti percentuali: dal 29,3% al 19,6%; fenomeno, soprattutto, che non<br />

si è verificato nel Centro-Nord.<br />

Egualmente, l’analisi dei processi di trasformazione del settore terziario negli<br />

ultimi dieci anni evidenzia andamenti profondamente diversi tra le due aree. Le<br />

nuove tecnologie informatiche e di comunicazione, permettendo collegamenti virtuali<br />

tra produttori e utilizzatori senza vincoli di contiguità, hanno avuto un impatto<br />

assai rilevante sui processi di localizzazione dei settori terziari che hanno progressivamente<br />

favorito le agglomerazioni urbane delle regioni centro settentrionali.<br />

Gli aspetti citati oltre a contribuire a rafforzare la tesi di una diversità tra i due<br />

sistemi, sembra indebolire anche la prospettiva di uno sviluppo endogeno del Mezzogiorno,<br />

basato sulla semplice riattivazione delle risorse inutilizzate già disponibili<br />

sul territorio. Sul piano <strong>della</strong> <strong>politica</strong> economica, negare tale ipotesi significa ridare<br />

centralità all’obiettivo, accantonato dalla NP, di ampliare l’accumulazione di capitale<br />

produttivo attraverso l’attrazione di investimenti esterni all’area.<br />

– Seconda ipotesi: ha fatto da background alla NP ed è relativa alla sfera istituzionale.<br />

Si è adottata una governance fortemente incentrata sul rilancio <strong>della</strong> soggettività<br />

territoriale quale mezzo per accrescere il capitale sociale dell’area. Un indubbio<br />

merito <strong>della</strong> riflessione teorica avviatasi con la NP è stato di richiamare l’attenzione<br />

sulla minore dotazione di capitale sociale che tuttora caratterizza il Meridione quale<br />

elemento fortemente ostativo ad un più rapido sviluppo dell’area. In particolare,<br />

la NP per accrescere quantità e qualità delle relazioni fiduciarie all’interno del<br />

Mezzogiorno, ha adottato una governance fortemente incentrata sul rilancio <strong>della</strong><br />

concertazione territoriale perseguita in maniera capillare (procedurale e premiale)<br />

per quanto attiene destinazione e ripartizione delle risorse. Tuttavia, l’insufficiente<br />

presenza nel Sud di capitale sociale ha assunto una forma particolare, fortemente<br />

pervasiva, in grado di modificare significativamente le relazioni economiche tra gli<br />

agenti. È dimostrato in letteratura che affinché un mercato sia efficiente è necessario<br />

che le regole informali e/o le norme sociali che definiscono la struttura degli incentivi<br />

di una società renda conveniente lo scambio impersonale, il meccanismo<br />

che garantisce costi di transazione relativamente bassi. Nel Mezzogiorno, invece,<br />

risultano più diffusi gli scambi fondati su rapporti personali, incentrati su forti relazioni<br />

reciproche, che danno luogo a fenomeni di “intermediazione impropria”<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

11


Luca Bianchi - Stefano Prezioso<br />

(Barucci P., Mezzogiorno e intermediazione “impropria”, Il Mulino, 2008) cui è collegata<br />

la presenza di esternalità negative, asimmetrie informative, comportamenti<br />

opportunistici, ovvero le fonti delle differenze nei costi di transazione.<br />

Il fallimento <strong>della</strong> Nuova Programmazione<br />

In qualche misura, quindi, la scelta <strong>della</strong> Nuova Programmazione di coinvolgere<br />

nei processi decisionali le classi dirigenti locali a tutti i livelli, sebbene volta ad accrescere<br />

il capitale sociale dell’area, non ha intaccato le rendite associate all’“intermediazione”<br />

<strong>politica</strong> esercitata in ogni ambito istituzionale, finendo per essere<br />

essa stessa motivo del fallimento delle politiche di sviluppo. <strong>La</strong> primaria responsabilità<br />

nella conduzione <strong>della</strong> <strong>politica</strong> di coesione assegnata dalla NP alle Regioni ha<br />

portato in un contesto in cui i politici locali sono sottoposti all’“assedio di chi domanda<br />

posti e sussidi” (M. Salvati su «Il corriere <strong>della</strong> Sera», del 26 novembre 2009)<br />

a privilegiare, nella preoccupazione di rispondere a tutte le richieste territoriali e settoriali,<br />

una “dispersione” dell’intervento 2 . Non a caso, un giudizio oramai condiviso<br />

individua i principali limiti del precedente impianto programmatorio: a) nell’incapacità<br />

di coordinamento tra Regioni e tra Regioni e Amministrazioni centrali soprattutto<br />

sui grandi progetti infrastrutturali; b) eccessiva frammentazione degli interventi;<br />

c) difficoltà nel fare progetti integrati con un conseguente largo uso di progetti<br />

sponda. Si tratta di criticità relative al precedente ciclo di programmazione<br />

2000-2006 condivise dalla maggioranza degli esperti e, in parte richiamate anche<br />

nei documenti di impostazione del nuovo Quadro Comunitario di Sostegno 2007-<br />

2013. Stupisce che l’impostazione del nuovo “Quadro Strategico Nazionale” non<br />

abbia sino ad oggi fatto registrare discontinuità significative. Questo è facilmente riscontrabile<br />

in molti Programmi Operativi Regionali del Mezzogiorno che tendono a<br />

replicare un modello rivelatosi inadatto rispetto alla finalità primaria <strong>della</strong> programmazione<br />

europea per le aree in ritardo di sviluppo: l’obiettivo <strong>della</strong> convergenza.<br />

I cardini delle politiche di sviluppo: proposte<br />

<strong>La</strong> proposta da noi avanzata riporta la tematica delle politiche di coesione<br />

nell’alveo tradizionale delle politiche di sviluppo. I vincoli per la crescita del Mezzogiorno<br />

riguardano ancora oggi: infrastrutture, scala di attività delle imprese relativamente<br />

minore, insufficiente presenza di produzioni innovative. Per intervenire<br />

su tali determinanti si ipotizza la costituzione di un centro di programmazione e<br />

2 Si veda, in proposito, L. Bianchi e G. Provenzano, Ma il cielo è sempre più su?, Castelvecchi edi-<br />

tore, Roma 2010.<br />

12<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


attuazione finanziaria dei “grandi progetti”, avente caratteristiche di piena indipendenza<br />

ed elevata professionalità. L’attività dovrebbe svolgersi attraverso due<br />

Fondi, per le infrastrutture e per la promozione dell’innovazione delle PMI, in cui<br />

convogliare una parte delle risorse aggiuntive (nazionali e regionali). Potrebbero essere<br />

mutuate alcune modalità operative previste dal progetto Industria 2015: 1)<br />

destinare le risorse direttamente ai progetti e non alle Amministrazioni, identificando<br />

un responsabile dotato di competenze nel campo e reputazione; 2) privilegiare<br />

alcune aree di intervento definite ex ante; 3) identificare un responsabile del<br />

progetto; 4) creare un’Agenzia esterna alle Amministrazioni che individui, tramite<br />

un meccanismo di “public consultation”, iniziative condivise. Ciò che dovrebbe<br />

rappresentare un’importante cesura con il passato è che questa Agenzia dovrebbe<br />

poter decidere, in via esclusiva, su almeno una parte (consistente) dei fondi FAS. A<br />

tali risorse potrebbero aggiungersi quelle messe a disposizione dalle Regioni che<br />

dovrebbero farvi confluire una quota apprezzabile delle risorse del FAS regionale e,<br />

su singoli progetti, anche risorse comunitarie. Il modello finanziario potrebbe essere<br />

quello utilizzato per l’Accordo sul Fondo ammortizzatori sociali nel quale, attraverso<br />

un accordo tra Stato e Regioni, confluiscono risorse FAS nazionali, regionali,<br />

e risorse europee. Si insiste, accanto alla costituzione di un “salvadanaio”, sull’esigenza<br />

di una tecno-struttura con elevate competenze progettuali e decisionali al fine<br />

di non ripetere gli errori del passato.<br />

I Fondi e i vincoli<br />

Luca Bianchi - Stefano Prezioso<br />

Il primo Fondo dovrebbe aggredire un primo vincolo: quello <strong>della</strong> difficoltà a<br />

realizzare infrastrutture nel Mezzogiorno. Esiste infatti un problema più generale<br />

di incapacità di governance nella gestione di interventi di elevata <strong>dimensione</strong> che<br />

riguarda non solo le amministrazioni ordinarie regionali. Basti pensare che nel Piano<br />

Operativo Nazionale Trasporti, gestito dal Ministero Infrastrutture, la quota di<br />

progetti cosiddetti “coerenti” supera il 70%. Si tratta in sostanza di progetti di fatto<br />

già previsti e che dunque perdono la natura di intervento aggiuntivo volto a ridurre<br />

il gap infrastrutturale. Il modello a cui ispirarsi potrebbe essere quello dei<br />

c.d. Fondi Sovrani. Com’è noto, i principali caratteri distintivi che individuano<br />

queste organizzazioni sono la possibilità di perseguire obiettivi economici definiti<br />

dall’Autorità Pubblica “proprietaria” del Fondo; avere un orizzonte temporale di<br />

medio-lungo periodo; assumere rischi maggiori rispetto ai normali investitori. Nel<br />

momento in cui le risorse per le infrastrutture fanno capo ad un responsabile unico<br />

e chiaramente individuato, e queste non sono più oggetto di una mediazione infinita<br />

tra i vari livelli istituzionali, sarebbe anche possibile offrire una concreta possibilità<br />

di partnership sia ad Enti quali la Cassa depositi e Prestiti – che proprio da<br />

poco ha mutato il suo assetto giuridico per finanziare, tra l’altro, le opere pubbli-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

13


Luca Bianchi - Stefano Prezioso<br />

che – sia a Fondi o banche d’investimento che operano nelle infrastrutture, assicurando<br />

da parte dello Stato un contributo in termini di integrazione delle tariffe siano<br />

esse ferroviarie o autostradali per i decenni successivi.<br />

Il secondo Fondo cui sono attribuite le risorse FAS non opera direttamente,<br />

ma investe in fondi private equity cui spetta la selezione del progetto e fornire, sotto<br />

forma di incentivi, una parte delle risorse necessarie all’investimento; mentre<br />

un’altra quota è fornita dagli intermediari finanziari tradizionali. Il sistema di valutazione<br />

in itinere adottato dal “Fondo” potrebbe ispirarsi a quanto fatto dall’agenzia<br />

di promozione svedese NUTEK in casi simili. L’incentivo, erogato in fasi temporali<br />

distinte, verrebbe condizionato al perseguimento di determinati obiettivi:<br />

i.e. incrementi prestabiliti di fatturato e/o vendite (conditional loans). L’accesso alle<br />

risorse del Fondo, e anche questo rappresenterebbe un elemento di novità non<br />

da poco, non è soggetto alle graduatorie tipiche delle altre leggi di incentivazione.<br />

L’incertezza nei tempi di erogazione e la possibilità che le risorse assegnate siano revocate<br />

diminuiscono, da un lato, l’interesse per gli incentivi e, dall’altro, ne compromettono<br />

l’efficacia. È l’approvazione del progetto da parte del “Fondo”, contestualmente<br />

alla presenza di una banca quale co-finanziatore, che dà luogo all’erogazione,<br />

fermo restando il precedente meccanismo di controllo in itinere. Altro<br />

obiettivo del Fondo è quello di aggredire ’ultimo vincolo sul quale si vuole richiamare<br />

l’attenzione: la costruzione di un nucleo di imprese specializzate in produzioni<br />

innovative con un elevato contenuto tecnologico. Anche in questo campo la policy<br />

non ha conseguito risultati apprezzabili. L’altra gamba del Fondo dovrebbe<br />

avere proprio l’obiettivo di “scovare” progetti potenzialmente interessanti e proporli<br />

ad aziende che operano in campi affini. Si tratterebbe di un caso di diversificazione<br />

correlata (entrata in nuovi settori che presentano sinergie tecnologiche o<br />

commerciali con quelli in cui l’impresa era già operante) che ha avuto nella storia<br />

recente <strong>della</strong> nostra industria un’apprezzabile diffusione<br />

Questo genere di interventi non devono considerarsi alternativi a forme quali<br />

lo start-up largamente evocato per l’avvio di nuove imprese. Bisogna però tenere<br />

presente che, ad esempio, l’Art 106 <strong>della</strong> L. 388/2000 prevedeva dei fondi per lo<br />

sviluppo di imprese innovative nelle aree svantaggiate; fondi a tutt’oggi largamente<br />

inutilizzati. Con il coinvolgimento di imprese già attive si vuole garantire che non<br />

vi sia un problema di deal flow, ovvero un insufficiente numero di progetti. In questo<br />

caso, l’Agenzia potrebbe investire le risorse pubbliche in Fondi di Venture Capital,<br />

riservandosi compiti di indirizzo e controllo. Si tenga presente, inoltre, che,<br />

analogamente a prima, il coinvolgimento degli intermediari finanziari intorno ad<br />

iniziative simili può risultare meno complicato di quanto possa apparire a prima<br />

vista, in quanto diversi Istituti si sono già attrezzati per fornire finanziamenti “tagliati”<br />

su investimenti fortemente innovativi.<br />

14<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Le proposte elencate non esauriscono certo il ventaglio degli interventi necessari<br />

per rilanciare la competitività del Mezzogiorno, ma rappresentano una sorta di<br />

ritorno ai fondamentali. Il divario Nord-Sud non può essere riproposto nei termini<br />

tradizionali di un riallineamento delle (due) strutture economiche e sociali, ma in<br />

termini di individuazione di percorsi autonomi di sviluppo, sostenuti da politiche<br />

nazionali che ne favoriscano il tracciato. Le politiche pubbliche di sostegno devono<br />

quindi riqualificarsi all’interno di un tale orizzonte, concentrando le risorse a favore<br />

dei fattori di imprenditorialità pubblica e privata, adottando la trasparenza delle<br />

regole che governano i mercati e con piani di intervento di medio lungo periodo in<br />

grado di sottrarsi alla logica dell’emergenza. <strong>La</strong> tesi da noi sviluppata è che l’intervento<br />

economico e finanziario per quanto necessario non è di per sé sufficiente se<br />

non viene accompagnato da modifiche profonde nella “governance istituzionale”.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

Luca Bianchi - Stefano Prezioso<br />

<br />

15


Crescita o declino:<br />

dietro c’è sempre una scelta <strong>politica</strong><br />

L’argomento <strong>della</strong> posizione del nostro sistema economico<br />

in Europa e nell’ambito del processo di globalizzazione<br />

appare del tutto irrilevante rispetto alla questione<br />

che da qualche mese imperversa su quotidiani e<br />

settimanali e che coinvolge, guarda caso, le vicende<br />

personali <strong>della</strong> vita del Capo del Governo.<br />

Non siamo ancora del tutto usciti dalla grave crisi finanziaria<br />

che ha investito il mondo, non siamo ancora<br />

riusciti a creare e adottare misure e strumenti per proteggerci<br />

dalle manifestazioni di altre crisi e tutto ciò<br />

nei media non assume la durevole rilevanza che questi<br />

problemi meritano per le loro implicazioni sul mondo<br />

del lavoro e sulla crescita delle imprese.<br />

Abbiamo un’economia stagnante e nessuno, tranne<br />

qualche episodico richiamo giornalistico dalla durata<br />

di un giorno, dibatte in termini puntuali e <strong>politica</strong>mente<br />

credibili quali interventi effettuare per uscire<br />

da questa fase di stallo.<br />

Viviamo in un contesto europeo pieno di profondi<br />

squilibri economici e sociali, di squilibri <strong>della</strong> produttività,<br />

che tendono a mettere a rischio la sopravvivenza<br />

<strong>della</strong> stessa Unione Europea e nessuna forza <strong>politica</strong><br />

dimostra la volontà di affrontare con la dovuta profondità<br />

conoscitiva tali questioni.<br />

Un bivio di portata storica<br />

Stanno accadendo ai nostri confini sconvolgimenti politici,<br />

economici, religiosi di natura epocale, che ci riguardano<br />

e ci investono direttamente e scopriamo di trovarci in as-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

GIUSEPPE ALVARO<br />

Facoltà di Statistica<br />

dell’Università<br />

di Roma<br />

“<strong>La</strong> Sapienza”<br />

≈<br />

«L’aspetto che in<br />

questo periodo<br />

appare più<br />

inquietante è che<br />

nel Paese si è<br />

quasi perduta la<br />

sensibilità<br />

culturale nei<br />

confronti dei temi<br />

etici, economici,<br />

sociali dal cui<br />

vivificante<br />

intreccio dovrebbe<br />

derivare la<br />

definizione <strong>della</strong><br />

Politica e, per tal<br />

via, la crescita<br />

<strong>della</strong> Società nella<br />

prospettiva del<br />

futuro».<br />

≈<br />

17


Giuseppe Alvaro<br />

senza di una strategia <strong>politica</strong> per il governo di tali mutamenti, come lo dimostra,<br />

sul drammatico problema dell’immigrazione, la posizione di chiudersi nel proprio<br />

bunker a difesa dello stato di benessere acquisito che, con inusitata prontezza, è<br />

emersa a livello europeo.<br />

È una risposta, questa, che peraltro, ci fa capire che l’Europa non ha ancora<br />

percepito di trovarsi davanti ad un bivio di portata storica. Se lo sbocco <strong>della</strong> rivoluzione<br />

in corso nei paesi del nord Africa dovesse, infatti, essere dominato dalle<br />

forze islamiche, presto noi europei verremmo a trovarci schiacciati fra la morsa<br />

di una globalizzazione guidata dai paesi asiatici e la islamizzazione dei nostri<br />

confini meridionali. Invece, se lo sbocco dovesse segnare il sopravvento del desiderio<br />

di libertà di queste terre, saremmo all’inizio di un percorso che potrebbe<br />

portare al raggiungimento dell’obiettivo più prestigioso, più ambizioso, più esaltante<br />

di questo secolo: la nascita, la crescita e il consolidamento <strong>della</strong> democrazia<br />

nei paesi del nord Africa e del medio oriente, alimentata dal dialogo tra le varie<br />

religioni.<br />

Davanti a questo bivio l’Europa deve trovare la forza <strong>politica</strong> per dimostrare la<br />

sua unitaria volontà di aiuti, di sostegni e di interventi nella direzione di promuovere,<br />

stimolare e consolidare tale processo.<br />

Ove tale unità <strong>politica</strong> non riuscisse a trovarla, e, a mio parere, oggi non appare<br />

in grado di trovarla, non è difficile prevedere che per l’Unione Europea inizierebbe<br />

un lento, irreversibile declino che porterebbe al suo dissolvimento, come avvenne<br />

per l’Unione monetaria latina che, nata nel dicembre del 1866 con Francia, Belgio,<br />

Italia e Svizzera, a cui nel tempo aderirono altri Paesi quali Spagna, Grecia, Romania,<br />

Austria-Ungheria, si dissolse nel 1927, perché non riuscì a dominare gli eventi<br />

politici, monetari e finanziari di quel periodo, per mancanza di unità <strong>politica</strong>..<br />

Per quanto riguarda il nostro Paese, gli avvenimenti in corso nei paesi del Nord<br />

Africa fanno emergere la mancanza di politiche programmatiche di natura strutturale,<br />

come si evince dal fatto che non solo non siamo riusciti a realizzare, ma nemmeno<br />

a definire una <strong>politica</strong> volta a produrre la riduzione <strong>della</strong> nostra dipendenza<br />

da un’area <strong>politica</strong>mente instabile, quale quella del nord Africa e del medio oriente,<br />

del bene fondamentale per la crescita di una Società: l’energia.<br />

In compenso, però, quando l’instabilità <strong>politica</strong> si manifesta in tutta la sua portata<br />

di violenza, assistiamo a un’affollata passerella, costituita da coloro che nel passato,<br />

pur avendo potuto, non hanno preso mai le dovute decisioni, per sentir dire,<br />

oggi, che loro sono sinceramente preoccupati per le gravi, negative conseguenze che<br />

si possono registrare nel Paese a causa del mancato rifornimento delle necessarie<br />

fonti energetiche.<br />

Quanta ipocrisia <strong>politica</strong>! Questa loro preoccupazione avrebbero dovuto dimostrarla<br />

nel momento in cui dal Paese erano stati eletti per decidere e non nel momento<br />

in cui gli effetti perversi conseguenti alle loro mancate decisioni li sta pagando,<br />

nella quotidianità <strong>della</strong> vita, la gente comune.<br />

18<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Ma l’apice dell’ipocrisia <strong>politica</strong> si raggiunge quando, nel pieno degli eventi<br />

perversi, questi stessi uomini continuano a decidere… di non decidere, con l’aggravante<br />

anche di ostacolare chi decidere vuole!<br />

I mutamenti e la società del futuro<br />

Giuseppe Alvaro<br />

Nessuno, a nessun livello, sembra avere voglia di lavorare intorno ad un modello<br />

di Società di medio e lungo periodo, di proporre elaborazioni, definizioni di<br />

metodi e strumenti d’intervento utili per superare le attuali forme di crisi, in termini<br />

coerenti con i mutamenti degli scenari internazionali, oggi prevedibili.<br />

Mutamenti che, se leggo bene i segnali che emergono, tendono a marginalizzare<br />

sempre più il nostro Paese.<br />

Abbiamo dinanzi a noi problemi immensi sul piano degli assetti produttivi e su<br />

quello delle condizioni economiche e sociali dei lavoratori nella fabbrica e tutto è<br />

visto come un problema circoscritto alla trattativa sindacati-Fiat.<br />

Nessuna forza <strong>politica</strong> dibatte nei suoi aspetti più generali la via da seguire, gli<br />

strumenti da adottare per realizzare i necessari incrementi di produttività volti ad<br />

assicurare al nostro sistema produttivo quelle condizioni di competitività richieste<br />

dalle e nelle transazioni internazionali, nel rispetto dei diritti acquisiti dal lavoro in<br />

campo sociale.<br />

A fine dell’anno scorso sono state pubblicate nel più diffuso quotidiano nazionale<br />

le tabelle concernenti il rapporto pensione-retribuzione. Nei prossimi 25-30<br />

anni la pensione di un lavoratore dipendente è prevista scendere sotto il 50% <strong>della</strong><br />

retribuzione e quella di un parasubordinato scendere al 14%. Nessuno si sta ponendo<br />

le domande: cosa fare oggi per evitare che ci s’incammini verso il prossimo<br />

futuro caratterizzato dalla prevedibile presenza di un grosso esercito di poveri? È<br />

questa la società che vogliamo costruire?<br />

Sono questi i problemi che stanno davanti a noi e che occorre oggi affrontare<br />

sul piano politico-culturale se vogliamo trovare la giusta soluzione per assicurare<br />

un futuro dignitoso per noi e, soprattutto, per i nostri figli. E sono problemi che<br />

non possono essere ignorati o, peggio ancora, nascosti sotto il tappeto, con l’illusoria<br />

speranza che sarà il tempo in qualche modo a risolverli.<br />

Ciò che oggi non possiamo, non dobbiamo fare è ignorarli, perché deve essere<br />

chiaro a tutti che con l’intensificazione del processo di globalizzazione in atto si è<br />

sempre più governati dalla lex mercatoria, la quale tende a divenire con sempre<br />

maggiore evidenza e forza una legge sovraordinata rispetto all’assetto normativo<br />

di <strong>dimensione</strong> nazionale. In questa prospettiva sarà sempre più il mercato ad imporre<br />

la tempistica e l’evoluzione dei parametri relativi alla concorrenza e alla produttività.<br />

E quando tale processo si manifesta, come oggi si sta manifestando, con<br />

una presenza sempre più massiccia e pervasiva di Stati con legislazioni economica,<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

19


Giuseppe Alvaro<br />

finanziaria e sociale strutturalmente diverse tra loro, non è difficile prevedere che<br />

si viene ad affermare anche nel campo dei diritti sociali la legge che Gresham aveva<br />

scoperto per la moneta: gli stati con deficit di normativa sui diritti sociali dei<br />

lavoratori tenderanno a scacciare gli stati con normativa avanzata. Perché, normativa<br />

sociale avanzata significa maggiori costi e i maggiori costi giocano un ruolo<br />

fondamentale nella determinazione del livello di competitività del sistema economico.<br />

Come facciamo, mi domando in qualità di studioso delle società complesse, ad<br />

affrontare questi temi quando le forze politiche si trovano ad agire in un permanente<br />

contesto di contrapposizione frontale?<br />

Eppure mai come in questa fase storica, piena di trasformazioni economiche,<br />

sociali e finanziarie, che stanno portando a un indebolimento dei progressi raggiunti<br />

nel mondo occidentale, avremmo bisogno di ricordare a noi stessi, nella<br />

quotidianità decisionale e comportamentale, l’insegnamento che, con la sintesi<br />

propria dei grandi pensatori, Sant’Agostino ci ha trasmesso: «Nelle cose necessarie<br />

l’unità, in quelle dubbie libertà, in tutte tolleranza».<br />

<strong>La</strong> lente sul nostro Paese<br />

Se guardiamo a quanto sta accadendo da diversi lustri non possiamo non dedurre<br />

che nel nostro Paese pare che non ci siano cose necessarie da fare e da realizzare,<br />

perché l’unità tra le varie forze politiche mai è ravvisabile. Addirittura anche<br />

laddove l’unità esiste, come nel caso dell’Unità d’Italia o, scendendo di livello, come<br />

nel caso dell’unità sindacale, le nostre forze politiche trovano sempre il modo<br />

di introdurre e alimentare motivi di disunità!<br />

Se, poi, si passa alle cose dubbie, la libertà non sembra trovare riconoscimento<br />

alcuno e la tolleranza non riesce a trovar posto nemmeno tra i vari interlocutori<br />

che partecipano ai diversi programmi televisivi.<br />

L’aspetto che comunque in questo periodo appare più inquietante è che, a mio<br />

parere, nel Paese si è quasi perduta la sensibilità culturale nei confronti dei temi etici,<br />

economici, sociali dal cui vivificante intreccio dovrebbe derivare la definizione<br />

<strong>della</strong> Politica e, per tal via, la crescita <strong>della</strong> Società nella prospettiva del futuro<br />

Per un confronto col passato basti qui ricordare il dibattito politico-culturale<br />

che si è registrato intorno alla nota aggiuntiva <strong>La</strong> Malfa, con cui il Paese, nel 1962,<br />

prendeva consapevolezza, in una visione d’insieme e di prospettiva, dei complessi<br />

problemi da affrontare per superare l’arretratezza sociale e attenuare la profondità<br />

degli squilibri territoriali e settoriali in cui si trovava.<br />

In presenza dei vistosi sconvolgimenti che si stanno oggi registrando nel processo<br />

di divisione internazionale del lavoro, non dovremmo noi dibattere su una<br />

documentazione programmatica in grado di farci capire cosa fare, come farla per<br />

20<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Giuseppe Alvaro<br />

superare i problemi attuali in termini e modi tali da non rimanere tagliati fuori<br />

dallo sviluppo internazionale?<br />

E chi dovrebbe elaborarla questa documentazione se non le forze politiche <strong>della</strong><br />

maggioranza e, a fortiori, dell’opposizione?<br />

Come si può agevolmente costatare, tale presenza <strong>politica</strong> manca perché oggi<br />

manca la Politica. Debbo anche dire, e il pessimismo diviene più amaro, che tale<br />

cultura manca anche a livello europeo. Dominante è divenuta la <strong>politica</strong> del galleggiamento<br />

in un permanente, stagnante e asfittico presente.<br />

Quale forza <strong>politica</strong> in Italia e in Europa ha elaborato un’interpolante programmatica<br />

per indicarci verso quale tipo di Società, di rapporti umani e sociali,<br />

d’integrazione di valori stiamo andando o, meglio ancora, vogliamo andare?<br />

Nessuna. E senza alcuna indicazione di un futuro, senza porsi un obiettivo al<br />

più si cammina nel tempo; di certo, non ci si incammina verso il futuro. Affermava<br />

Goethe: «Non si va mai molto lontano quando non si sa dove si va. Il guaio peggiore è<br />

quando non si sa dove si sta.»<br />

A me sembra che non abbiamo maturato nemmeno la consapevolezza che oggi<br />

ci troviamo in queste condizioni. A partire dalla seconda metà degli anni ’90, infatti,<br />

intorno a che cosa abbiamo discusso e stiamo discutendo? Se torniamo indietro<br />

con la memoria ci accorgiamo che stiamo sempre discutendo intorno alle donne,<br />

ai cucù, alle gaffe, alle vicende giudiziarie di Silvo Berlusconi. Ossia, del nulla politico.<br />

E il nulla politico non produce reddito, occupazione, crescita. In cambio,<br />

produce abulia, inattività e tanta, tanta disaffezione <strong>politica</strong>.<br />

Invece, a furia di parlare di vicende giudiziarie abbiamo costruito un modello<br />

che ha portato alla contrapposizione frontale tra berlusconismo e antiberlusconismo,<br />

che lentamente ha finito col mettere il cittadino di fronte all’assurdo dilemma<br />

politico, inaccettabile in una democrazia liberale: o sei con “lui” o sei contro di<br />

“lui”.<br />

E lungo questa strada non abbiamo capito, ed ancora non vogliamo capire, che<br />

dietro una maggioranza che si forma c’è un corpo sociale, costituito da uomini e<br />

donne, da operai e impiegati, da studenti e pensionati, da casalinghe, dei quali coglie<br />

le esigenze, le aspirazioni.<br />

Queste persone oggi costituiscono la maggioranza, la quale è anche maggioranza<br />

quando è chiamata ad esprimersi nel momento più qualificante e vivificante di<br />

una democrazia: la libera espressione del voto.<br />

Non possiamo arrogarci il diritto di dequalificare la bontà e il significato di<br />

questo voto, di depotenziare la capacità decisionale e d’intendimento di questa<br />

maggioranza. Non possiamo farlo perché, in tal caso, siamo noi a perdere il senso,<br />

il significato più profondo <strong>della</strong> democrazia. Siamo noi che, con un atto di presunzione<br />

e di superbia, pensiamo alla democrazia in termini elitari, aspiriamo a vivere<br />

in una democrazia elitaria.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

21


Giuseppe Alvaro<br />

Validità e qualità del voto<br />

In questa prospettiva, siamo portati a ritenere che il voto risulti valido solo se<br />

viene ad esprimere la maggioranza che piace a noi. Non ci accorgiamo o facciamo<br />

finta di non accorgerci, invece, che, per tal via, introduciamo una discriminazione<br />

di sapore razzistico intorno alla qualità del voto: se la gente vota come vogliamo<br />

noi, come votiamo noi è gente che sa votare; altrimenti è gente ignorante, incapace<br />

di comprendere quello che fa.<br />

In questa subliminale posizione culturale non si può non scorgere il rimpianto,<br />

da parte di chi quest’opera di dequalificazione promuove e attua, di quel periodo<br />

in cui il diritto di voto era legato al censo e/o al titolo di studio. E, da parte di costoro,<br />

vi è anche la netta presa di distanza da quelle aspre battaglie affrontate e vinte<br />

dai nostri padri per l’introduzione del diritto universale del voto. Da quelle battaglie<br />

politiche e civili alle quali anche noi, se vuoi in piccolo, abbiamo dato il nostro<br />

contributo partecipativo.<br />

E, sempre, in direzione del rafforzamento <strong>della</strong> democrazia liberale!<br />

L’errore che in questi lunghi quindici anni si è commesso ed ancor oggi si commette<br />

è ritenere il fenomeno politico del Premier una questione riguardante la sua<br />

persona, la sua ricchezza, il suo possesso di mezzi di informazione.<br />

È lo stesso errore commesso nei confronti <strong>della</strong> D.C. e del P.S.I. di Craxi negli<br />

anni ’90. Anche allora si era convinti che, producendo la caduta di Andreotti,<br />

Craxi, Forlani, la battaglia <strong>politica</strong> sarebbe stata vinta e l’elettorato, il corpo sociale<br />

facente capo alla D.C. e al P.S.I. sarebbe stato governato dalle forze politiche di sinistra.<br />

Non è stato così, perché quel corpo sociale visse la sconfitta subita dalla D.C. e<br />

dal P.S.I come sconfitta giudiziaria, non come sconfitta <strong>politica</strong>.<br />

<strong>La</strong> collocazione <strong>politica</strong> quel blocco sociale l’ha trovata nelle forze partitiche<br />

rappresentate dall’attuale maggioranza. Non si può oggi commettere lo stesso errore<br />

politico di ieri, qual è quello di pensare di poter ereditare e governare quel corpo<br />

sociale abbattendo giudiziariamente chi la incarna.<br />

Per poter governare quel corpo sociale occorrono proposte politiche puntuali,<br />

organiche, alternative e più credibili di quelle offerte da chi al momento governa.<br />

È qui, è su questi aspetti che la ricerca, prima, e l’adozione, poi, <strong>della</strong> soluzione<br />

diventa complessa. I margini di manovra per l’elaborazione di un credibile profilo<br />

programmatico alternativo sono, nei fatti, molto ristretti: la lex mercatoria, che ormai<br />

regola l’entità e le modalità di partecipazione del sistema economico nazionale<br />

nei rapporti con l’estero, impone stringenti vincoli di produttività alle imprese e,<br />

quindi, al sistema di partecipazione del lavoro nel processo di produzione dei beni<br />

e servizi. Vincoli egualmente stringenti, soprattutto in presenza di un debito pubblico<br />

elevato com’è il nostro, si impongono nell’azione di mediazione dell’operatore<br />

pubblico fra esigenze economiche ed esigenze sociali.<br />

22<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


<strong>La</strong> difficoltà di definirle e, ancor più, di renderle, in una loro evidente coerenza<br />

sostanziale, credibili giustifica il fatto che, malgrado le peripezie, la varietà e la elevata<br />

numerosità di processi in capo al Premier e malgrado la superiorità illuministica,<br />

culturale, di integrità e coerenza morale che le forze politiche di opposizione<br />

manifestano e ostentano in ogni occasione, il corpo sociale rappresentato dalla<br />

maggioranza rimane sempre una maggioranza <strong>politica</strong> stretta intorno a lui.<br />

Solo, e solo, quando nel 1996 e nel 2006 venne presentato al Paese un programma<br />

di proposte credibili, alternativo, la maggioranza dei cittadini lo abbandonò<br />

e si affidò a Romano Prodi, vivendo così l’esperienza <strong>politica</strong> di due governi<br />

di centro-sinistra. E ciò, malgrado la persistente ricchezza e i notevoli mezzi di<br />

informazione in suo possesso.<br />

Di tanto in tanto ricordiamoci che se fossero l’informazione e le leve di potere<br />

gli elementi che portano il cittadino ad esprimere la sua volontà <strong>politica</strong>, le dittature<br />

non cadrebbero mai, avendo il dittatore il monopolio di tutti i mezzi informativi<br />

e di governo.<br />

L’esperienza vissuta nel nostro Paese mostra, dunque, che nelle decisioni di voto<br />

il cittadino è attento, molto attento alla qualità e alla credibilità di realizzazione delle<br />

proposte programmatiche avanzate dalle varie forze politiche. E l’indicatore di affidabilità<br />

che la gente percepisce più nitidamente è dato dal potenziale grado di coesione<br />

delle forze politiche che, una volta al governo, sono chiamate a realizzarle.<br />

Perplessità e incertezze<br />

Giuseppe Alvaro<br />

Quando ci soffermiamo ad analizzare questi aspetti emerge con sferzante nitidezza<br />

lo stato di incertezza in cui il cittadino si viene a trovare. Il Paese non ha assorbito<br />

il caso Craxi; ancor meno penso possa assorbire una caduta per via giudiziaria<br />

del governo, presentando come soluzione alternativa una maggioranza costituita<br />

da forze politiche strutturalmente eterogenee, quanto a visione di governo di<br />

una società complessa com’è la nostra.<br />

Sono intimamente convinto che l’eventuale caduta dell’attuale governo non<br />

per via parlamentare tenda a rendere più acuta la contrapposizione fra le varie forze<br />

politiche e, quindi, a rendere sempre meno governabile il Paese. In particolare in<br />

un periodo, quale quello attuale, in cui la speculazione finanziaria è montante,<br />

stante il nostro elevato debito pubblico e gli equilibri politici nel vicino mondo<br />

arabo che irreversibilmente si stanno modificando.<br />

D’altra parte, non possiamo neppure negare che, a partire dalla seconda metà<br />

degli anni ’90, viviamo in una situazione particolare. C’è nel Paese una maggioranza<br />

di cittadini che esprime una maggioranza <strong>politica</strong>. Dal giorno successivo all’insediamento<br />

parlamentare di questa maggioranza scatta una contrapposizione mediatica<br />

frontale, che, direttamente o indirettamente, tende a condizionare le posizioni poli-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

23


Giuseppe Alvaro<br />

tiche dell’opposizione e, quindi, ad inceppare l’azione di governo. È avvenuto sia<br />

con i governi di centro sinistra sia, con più evidenza, coi governi di centro destra.<br />

Si tratta di una strada pericolosa, perché, ricordando le parole pronunciate da<br />

Piero Calamandrei ai tempi dell’Assemblea Costituente: “Le dittature sorgono non<br />

dai governi che governano e durano, ma dall’impossibilità di governare dei governi democratici”<br />

Mi permetto di aggiungere, soprattutto quando tale impossibilità è provocata<br />

da fatti esterni alle prerogative proprie del Parlamento.<br />

Giustizia e libertà <strong>politica</strong><br />

A questo punto non posso non aprire una parentesi sul delicato tema al centro<br />

di un aspro dibattito: il rapporto tra la giustizia e la <strong>politica</strong>. Non posso non<br />

aprirlo perché per me rappresenta anche un tributo che debbo a Giacomo Mancini,<br />

che, come si ricorderà, dovette affrontare una dura vicenda giudiziaria durata<br />

dal 1993 al 1999, vicenda attivata dalle dichiarazioni di alcuni pentiti che lo accusarono<br />

di avere avuto contatti con le cosche mafiose.<br />

All’indomani <strong>della</strong> sua assoluzione gli telefonai a Cosenza per rallegrarmi con<br />

lui. Ancor oggi nitidamente ricordo il messaggio trasmessomi con voce rotta dall’emozione:<br />

«Peppino, così mi chiamava, cerca di dedicare qualche ora in meno ai tuoi studi e<br />

alle tue ricerche sulla Contabilità Nazionale e di dedicarla, quest’ora, ad osservare ed<br />

analizzare quanto sta avvenendo nel Paese. Gli equilibri fra i poteri, equilibri propri<br />

di un vivo e partecipato sistema democratico liberale, si sono rotti. <strong>La</strong> giustizia ha<br />

preso il sopravvento sulla <strong>politica</strong>. Tu, che certamente vivrai più a lungo di me, sarai<br />

un testimone dei gravi danni che verranno apportati al tessuto democratico che i nostri<br />

padri e noi abbiamo costruito, se questi equilibri non verranno prontamente ricomposti.<br />

Cerca, anche se non fai <strong>politica</strong> attiva, di dare comunque un tuo contributo<br />

alla loro ricomposizione. Ricorda nella vita: la democrazia è libertà se a ciascuno è<br />

permesso di esercitarla fino a che non contrasti con la libertà degli altri. <strong>La</strong> libertà<br />

non può essere pienamente vissuta se si trasforma in libertà vigilata!»<br />

Aveva ragione. Aveva previsto le tensioni e le lacerazioni che l’abolizione dell’art.68<br />

<strong>della</strong> Costituzione, relativo all’immunità parlamentare, approvata dallo<br />

stesso Parlamento nell’ottobre del 1993, avrebbe prodotto nel tessuto democratico<br />

del Paese.<br />

Con l’abolizione dell’art. 68 si rompe, infatti, l’equilibrio, il bilanciamento dei<br />

poteri previsto e considerato dai padri costituenti come il requisito fondamentale<br />

per il corretto funzionamento di una democrazia liberale.<br />

Il vecchio art. 68 <strong>della</strong> Costituzione elaborato e introdotto dai padri costituenti<br />

imponeva un permanente confronto fra la decisione del Parlamento e quella del<br />

24<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Giudice. E, con la decisione di concedere o meno l’autorizzazione a procedere, era<br />

lo stesso Parlamento a definire il profilo evolutivo del corso <strong>della</strong> <strong>politica</strong>.<br />

Si potrebbe osservare: nel passato, di tale principio s’è fatto un uso abnorme,<br />

tanto da apparire un malcostume. Inoltre, con la sua rielezione, il rischio è che nei<br />

fatti il parlamentare viene a sottrarsi alla giustizia. È vero. Ma la vita ci ha insegnato<br />

anche, che un errore non può essere riparato commettendo un errore ancora più<br />

grave, quale quello <strong>della</strong> rottura dell’equilibrio dei poteri, che, nella sua ultima e<br />

intima essenza, mina la possibilità <strong>della</strong> Società di poter vivere con pienezza la libertà,<br />

propria di una democrazia liberale. Ben altri accorgimenti o ben altri paletti<br />

limitativi degli abusi compiuti con il ricorso all’art. 68 si sarebbero potuti attivare,<br />

sempre nel rispetto dell’equilibrio dei poteri fra le istituzioni!<br />

Ma per comprendere i motivi per cui in quel periodo altri paletti limitativi non<br />

sono stati definiti e introdotti, basti ricordare la turbolenta violenza vissuta dal<br />

Paese sul piano mediatico e politico, giudiziariamente provocata da “Mani Pulite”.<br />

Un pericoloso corto circuito<br />

Giuseppe Alvaro<br />

Le parole di Giacomo Mancini, sopra riportate, le ho ritrovate nell’editoriale<br />

apparso sul Corriere <strong>della</strong> Sera del 16 febbraio scorso: «Non è necessario, scrive Sergio<br />

Romano, essere berlusconiano o votare per il Pdl per assistere con disagio a certe iniziative<br />

<strong>della</strong> magistratura inquirente…Esiste un pericoloso cortocircuito tra <strong>politica</strong> e<br />

magistratura, un nodo che risale alla stagione di Mani pulite e che non siamo riusciti a<br />

sciogliere».<br />

C’è da chiedersi: perché questo pericoloso corto circuito non si è riusciti a scioglierlo,<br />

pur essendo passati oltre quindici anni dall’esperienza di Mani pulite? Perché<br />

non si è riusciti a sciogliere quel nodo, pur avendo avuto governi di centro destra<br />

e governi di centro sinistra, i quali sempre, con continuità temporale, hanno in<br />

tutte le loro manifestazioni politiche dichiarato di voler sanare l’anomalia esistente<br />

nei rapporti <strong>politica</strong>-giustizia? E sempre di volerlo e doverlo fare per il rafforzamento<br />

<strong>della</strong> vita democratica del Paese?<br />

Il non essere riusciti a mantenere questi impegni ha avuto come risultato quello<br />

di creare un contesto di incertezze in cui è divenuto agevole scambiare lo Stato<br />

di diritto con l’amministrazione <strong>della</strong> Giustizia. Scriveva Piero Ostellino nel gennaio<br />

del 2004: «Lo Stato di diritto non consiste (solo) nel diritto di ciascuno di adire<br />

alla giustizia per far valere le proprie ragioni, bensì (soprattutto) nel diritto di ciascuno<br />

di noi di non essere chiamato in giudizio con accuse non fondate sulla legge, ma su teoremi<br />

e deduzioni creative».<br />

A definire lo Stato di diritto non è, dunque, come ci si vuol far credere, il riconoscimento<br />

del diritto a difendermi, ma il riconoscimento del diritto a non essere<br />

accusato infondatamente.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

25


Giuseppe Alvaro<br />

Il rapporto antico tra <strong>politica</strong> e giustizia<br />

Al di là di questi aspetti che sfociano nella filosofia del diritto, su cui ovviamente<br />

non posso addentrarmi non essendo io un giurista, qui a me preme ricordare<br />

che la questione relativa al rapporto tra <strong>politica</strong> e giustizia è sempre esistita nel<br />

tempo. Anche nell’antica Sparta il potere degli efori crebbe tanto da sovrastare il<br />

potere dei re ed assumere di fatto la sovranità dello Stato. E qui, volutamente tralascio<br />

di ricordare qual è stato l’epilogo di questa prevaricazione di poteri!<br />

Tutta la storia del mondo occidentale, del pensiero liberale è, però, lì a testimoniare<br />

e ricordarci che una democrazia si “tiene” solo e solo se a nessun potere è dato<br />

di sovrastare l’altro.<br />

Sia ben chiaro: a nessuno, neanche al re, deve esser dato di potersi considerare al<br />

di sopra <strong>della</strong> legge. <strong>La</strong> legge uguale per tutti è una conquista <strong>della</strong> democrazia liberale.<br />

“Il popolo, osservava Eraclito, deve combattere per la legge, come per le mura <strong>della</strong><br />

città.” E Socrate, quando invitato da Critone, suo discepolo, a scappare dal carcere<br />

e così porsi in salvo, perché condannato da una legge ingiusta, non accetta l’invito<br />

perché, risponde, non ci sono leggi giuste e leggi ingiuste. C’è la legge, esclama, e, in<br />

quanto tale, dev’essere osservata. E sceglie di morire pur di non disubbidire alla legge.<br />

Contestualmente, però, siamo anche tenuti a non trascurare una circostanza<br />

che nei fatti viene ad assumere un significato di enorme importanza: il cittadino,<br />

nella quotidianità <strong>della</strong> vita, non avverte mai la forza <strong>della</strong> legge nella sua astrazione,<br />

ma nelle sue modalità di applicazione, percepisce la forza <strong>della</strong> legge solo attraverso<br />

l’oggettività <strong>della</strong> sua applicazione. Se nei fatti non avverte tale oggettività,<br />

interiorizza la sferzante, qualunquistica battuta di Marcello Marchesi: «<strong>La</strong> legge è<br />

uguale per tutti. Basta essere raccomandati».<br />

Con tutte le ricadute e le conseguenze di credibilità che si registrano sul rapporto<br />

cittadino- istituzioni.<br />

· Coloro i quali traducono l’astrattezza <strong>della</strong> legge nella quotidianità applicativa<br />

sono i magistrati. Quindi, la forza insita nell’oggettività <strong>della</strong> legge nella sua astrattezza<br />

viene dal cittadino identificata nell’oggettività che il magistrato dimostra nella<br />

delicata fase <strong>della</strong> sua applicazione quotidiana.<br />

Per rilevare e definire la posizione centrale che il magistrato assume e deve assumere<br />

nell’assicurare forza oggettiva alla legge, il grande matematico e filosofo francese<br />

D’Alembert, in una lettera inviata a Montesquieu, scriveva: «I magistrati non<br />

debbono che essere magistrati, privi di partito e di passione, come le leggi, le quali assolvono<br />

e condannano, senza amare e senza odiare».<br />

<strong>La</strong> questione sta tutta qui. E qui non possiamo non rivolgere, innanzitutto a<br />

noi stessi, la domanda: c’è oggi nel cittadino la piena consapevolezza che sia questo<br />

il modello al quale il magistrato fa riferimento nella quotidianità <strong>della</strong> vita quando<br />

dall’astrattezza <strong>della</strong> legge passa a giudicare? E giudicare penso sia, tra tutte le attività<br />

svolte, l’unica che possa accomunare l’uomo con Dio!<br />

26<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Quanto sta accadendo, come ricordava anche Sergio Romano nel citato editoriale,<br />

fa sorgere qualche ragionevole dubbio. Dubbio che viveva anche Sciascia<br />

quando, sulla rivista “Il Giudice” nel lontano 1986 scriveva: «L’innegabile crisi in<br />

cui versa l’amministrazione <strong>della</strong> giustizia deriva principalmente dal fatto che una<br />

parte <strong>della</strong> magistratura non riesce ad introvertire il potere che le è assegnato, ad assumerlo<br />

come un dramma, a dibatterlo ciascuno nella propria coscienza, ma tende piuttosto<br />

ad estroverterlo, ad esteriorizzarlo, a darne manifestazioni che sfiorano, o addirittura,<br />

attuano l’arbitrio. Quando i giudici godono il proprio potere invece di soffrirlo, la<br />

Società che a quel potere li ha delegati, inevitabilmente, è costretta a giudicarli».<br />

Lo scontro istituzionale<br />

Giuseppe Alvaro<br />

È ciò che sta avvenendo ai giorni nostri con lo scontro in atto tra Parlamento<br />

eMagistratura. Con il Parlamento che ritiene che la Magistratura stia sottraendo<br />

poteri decisionali propri del Parlamento sovrano e Magistrati che ritengono di dover<br />

agire nei confronti di governanti e politici in nome e per conto delle leggi vigenti.<br />

Lungo questa strada, si è oramai giunti all’epilogo di un gravissimo scontro<br />

istituzionale, non essendo riusciti a porre i necessari paletti per fermarlo in tempo..<br />

Non è difficile prevedere che alla fine di questo scontro niente resterà come<br />

prima. Lo insegna l’esperienza. Qui, voglio ricordare quella vissuta nella vicina<br />

Francia tra il 1894 e 1906 con il processo Dreyfus, nato per caso: un foglietto di<br />

carta, trovato nel cestino, contenente notizie riservate di natura militare. Dall’analisi<br />

<strong>della</strong> grafia, tre su cinque esperti risalirono al capitano di artiglieria, Alfred<br />

Dreyfus. Il quale, a conclusione del processo, riconosciuto colpevole, venne degradato<br />

e deportato nel carcere duro dell’Isola del Diavolo, al largo <strong>della</strong> Guyana francese.<br />

Ma presto sorsero i primi dubbi sull’autenticità <strong>della</strong> prova d’accusa. Divampò<br />

la polemica. Si formarono, contrapponendosi duramente, gli schieramenti dei<br />

dreyfusard e degli antidreyfusard. Emile Zola venne condannato ad un anno di<br />

carcere e ad un’ammenda di tre mila franchi per avere messo in dubbio l’autenticità<br />

<strong>della</strong> prova, scrivendo nella sua famosa lettera “j’accuse”, indirizzata al Presidente<br />

<strong>della</strong> Repubblica: «<strong>La</strong> verità in cammino niente potrà fermarla. Del resto l’ho<br />

detto e lo ripeto: quando la verità viene rinchiusa sottoterra, vi si ammassa, acquista<br />

una forza di esplosione tale che, quando scoppia, tutto salta in aria».<br />

<strong>La</strong> prova utilizzata per condannare Dreyfus, considerata nel dibattito mediatico-<br />

processuale di evidenza solare, presto si dimostrò insussistente. Dreyfus venne<br />

assolto e riabilitato. E lo scontro, nato da una questione circoscritta, il tradimento<br />

di un militare di origine ebrea, esplose in tutta la sua virulenta violenza, investendo<br />

gli aspetti più generali <strong>della</strong> società francese, quali il rapporto fra potere militare e<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

27


Giuseppe Alvaro<br />

potere civile, il rapporto fra stampa e potere politico, il rapporto fra Stato e Chiesa,<br />

la questione ebraica.<br />

L’assoluzione di Dreyfus non poteva non produrre una irreversibile modifica di<br />

tali rapporti. Ed infatti produsse: la sottomissione del potere militare a quello politico;<br />

la separazione tra Stato e Chiesa, la quale, peraltro, attraverso una sua rivista cattolica<br />

aveva sostenuto la colpevolezza di Dreyfus; lo sviluppo <strong>della</strong> corrente di pensiero<br />

improntata al relativismo storico; il risentimento <strong>della</strong> destra <strong>politica</strong> che portò alla<br />

definizione di un modello politico-comportamentale che ha avuto una enorme importanza<br />

nella produzione e diffusione in Europa <strong>della</strong> violenta cultura antisemitica.<br />

Anche noi oggi siamo all’epilogo di uno scontro duro, senza esclusioni di colpi,<br />

tra magistratura e <strong>politica</strong>. Scontro che ha finito con l’investire i meccanismi più<br />

delicati dell’autonomia decisionale e, quindi, del rapporto e delle competenze tra<br />

l’azione e la vita del Parlamento e l’attività giurisdizionale del Magistrato.<br />

Il risultato finale dello scontro non potrà lasciare tali rapporti come prima. Oggi,<br />

la posta in gioco, è altissima: la primazia <strong>della</strong> <strong>politica</strong> rispetto alla giustizia o<br />

quella <strong>della</strong> giustizia rispetto alla <strong>politica</strong>.<br />

Con tutta la valanga di fibrillazioni che la pronuncia dell’una o dell’altra sentenza<br />

verrà a registrare sul piano politico, sociale, dei comportamenti <strong>della</strong> collettività<br />

e, financo, mi permetto di affermarlo, sui modelli di vita di ciascuno di noi.<br />

· Il Paese non ha bisogno di queste fibrillazioni, di questi scontri all’ultimo sangue<br />

tra Parlamento e Magistratura. Scontri senza prigionieri. Il Paese ha bisogno<br />

che venga pienamente ripristinato e osservato l’equilibrio dei poteri tra le Istituzioni,<br />

perché costituisce il pilastro portante <strong>della</strong> vita <strong>politica</strong>, economica, sociale, religiosa<br />

di una Società. Quell’equilibrio di poteri che i nostri padri costituenti, pur<br />

nella loro dura differenziazione polico-ideologica, con l’articolo 68, seppero e vollero<br />

introdurre nella nostra Costituzione, che ha permesso al nostro Paese di incamminarsi<br />

lungo la strada <strong>della</strong> democrazia liberale.<br />

Occorre riprendere quella logica, quelle motivazioni. Si pensa che al punto in<br />

cui è giunto lo scontro tra le Istituzioni sia troppo tardi. Penso di no. In me prevale<br />

sempre l’ottimismo <strong>della</strong> ragione. Basti che l’equilibrio dei poteri nella nostra Costituzione<br />

sia considerato dalle varie forze politiche “cosa necessaria”, per rifarci a<br />

Sant’Agostino, ed in quanto “cosa necessaria” al corretto funzionamento <strong>della</strong> vita<br />

del Parlamento, possa costituire il cemento col quale costruire l’unità decisionale<br />

delle varie forze politiche, come fecero i nostri padri costituenti.<br />

Il ritorno degli equilibri<br />

Occorre riprenderla la logica <strong>della</strong> “cosa necessaria”, perché la crescita o il declino<br />

economico e sociale sono sempre l’effetto, la conseguenza <strong>della</strong> linea <strong>politica</strong><br />

e di <strong>politica</strong> economica che il Paese, attraverso il Parlamento, definisce e attua.<br />

28<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Giuseppe Alvaro<br />

Non si può al bianco proposto da una forza <strong>politica</strong> contrapporre solo e sempre<br />

il nero da parte dell’altra forza <strong>politica</strong>, in quanto, così operando, non si va più alla<br />

ricerca <strong>della</strong> sintesi delle differenti posizioni e, quindi, <strong>della</strong> definizione <strong>della</strong> linea<br />

di intervento più idonea per assicurare al Paese le condizioni di crescita. Si va solo<br />

alla ricerca di una permanente estremizzazione, radicalizzazione, conflittualità <strong>politica</strong>-istituzionale,<br />

contesto nel quale diviene pressoché impossibile trovare la strada<br />

che conduce alla crescita.<br />

E l’esperienza degli ultimi quindici anni ci dice che tale sintesi non si è mai voluto<br />

trovare, perché sempre si è fatto prevalere la radicalizzazione, adeguatamente<br />

mediatizzata, <strong>della</strong> lotta <strong>politica</strong>. Il risultato è stato ed è un quindicennio in cui il<br />

Paese non ha conosciuto crescita economica, crescita <strong>della</strong> produttività, crescita<br />

dell’occupazione: elementi questi che lo costringe a vivere una grave crisi propria<br />

nel contesto di una crisi di portata internazionale.<br />

È in base a questa profonda convinzione che ritengo non possa e non debba<br />

trovare giustificazione alcuna l’affermazione avanzata recentemente da autorevoli<br />

uomini politici secondo cui non è possibile reintrodurre oggi il principio dell’equilibrio<br />

dei poteri perché c’è un determinato uomo al potere.<br />

Quindi, che errore politico identificare la persona con l’Istituzione! Che errore<br />

politico non pensare che l’equilibrio dei poteri istituzionali vada oltre la persona in<br />

quanto, nel momento in cui garantisce ad ogni cittadino quella libertà propria di<br />

una democrazia liberale, in quel momento stesso garantisce la democrazia liberale<br />

alla Società nel suo complesso. Come, d’altra parte, è riconosciuto dallo stesso Parlamento<br />

europeo.<br />

Con l’equilibrio dei poteri istituzionali, il Parlamento diviene centro decisionale<br />

e garanzia <strong>politica</strong> <strong>della</strong> crescita e del consolidamento <strong>della</strong> democrazia liberale!<br />

Togliatti alla Costituente mai si pose il problema se l’introduzione o meno del<br />

principio dell’immunità parlamentare potesse tornare a vantaggio di De Gasperi,<br />

<strong>della</strong> D.C. o di alcune forze politiche dello schieramento parlamentare. Né si pose<br />

mai il problema di attivare al momento <strong>della</strong> sua approvazione parlamentare atteggiamenti<br />

ostruzionistici o, peggio ancora, “un’opposizione tettaiola”!<br />

Per Togliatti, come per tutti gli altri padri costituenti, l’immunità parlamentare<br />

sancita dall’art. 68 veniva a rappresentare, nell’architettura <strong>della</strong> nostra Costituzione,<br />

lo strumento che, garantendo il principio dell’equilibrio dei poteri, assicurava al Parlamento<br />

la dovuta autonomia per discutere di <strong>politica</strong> senza che altri poteri potessero,<br />

strumentalmente o meno, frapporre ostacoli di natura diversa dalla <strong>politica</strong>.<br />

Altri tempi quelli, altri uomini, altra cultura, altra esperienza, altra statura <strong>politica</strong>!<br />

A questo punto non mi rimane che chiedere, sperando in una convincente<br />

quanto oggettivante risposta: se, nell’ambito <strong>della</strong> Commissione dei 75 che predispose<br />

il progetto <strong>della</strong> nostra Costituzione, uomini dalla statura e dell’esperienza di<br />

vita <strong>politica</strong> come Aldo Moro, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini, Lelio Basso,<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

29


Giuseppe Alvaro<br />

Giuseppe Di Vittorio, Giorgio <strong>La</strong> Pira, Antonio Giolitti e giuristi dallo spessore di<br />

Aldo Bozzi, Piero Calamandrei, Giovanni Leone, Costantino Mortati hanno considerato<br />

l’immunità parlamentare un principio fondamentale per il corretto funzionamento<br />

<strong>della</strong> democrazia liberale, perché oggi, dai loro figli (ahi, questi figli!)<br />

quel principio dev’essere inteso uno strumento di “favoritismo” per mezzo del quale<br />

i componenti del Parlamento cessano di essere uguali di fronte alla legge? Perché,<br />

questi figli non vogliono capire che senza l’immunità parlamentare è il Parlamento<br />

a non occupare più nell’ordinamento istituzionale lo stesso gradino <strong>della</strong> giustizia?<br />

Ed in questa posizione, a non poter più garantire il corretto funzionamento <strong>della</strong><br />

democrazia liberale?<br />

L’investigazione esorbitante<br />

Mi permetto un ultimo motivo di riflessione riguardante un altro argomento<br />

oggetto di scontro tra le forze politiche al calor bianco: le intercettazioni telefoniche.<br />

Per sgombrare il terreno da ogni dubbio e da ogni equivoco dichiaro subito che<br />

considero le intercettazioni un efficace e insostituibile strumento d’investigazione.<br />

Dobbiamo utilizzarle e accettarle. Nessuno può credere che lo Stato, alla guida di<br />

un trattore, possa inseguire e raggiungere chi, operando contro la legge, può tranquillamente<br />

andarsene a bordo di una Ferrari.<br />

Su questo non dovrebbe sussistere dubbio alcuno. Ma, nel momento in cui doverosamente<br />

riconosciamo e dobbiamo riconoscere l’insostituibilità delle intercettazioni,<br />

altrettanto doverosamente dobbiamo chiederci: la loro diffusione a tappeto<br />

è pure utile all’investigazione?<br />

A me sembra di no. Anzi, la loro diffusione dovrebbe costituire un ostacolo alla<br />

felice conclusione degli atti investigativi. Di qui l’angosciosa e angosciante domanda:<br />

perché vengono pubblicate e diffuse? È mai possibile che non esista alcun mezzo<br />

per impedire che possano essere diffuse e così garantire il cittadino di non subire<br />

due processi: primo, quello mediatico in cui si utilizzano a piene mani, anche in<br />

forma brillantemente recitata, gli elementi emersi dalle intercettazioni, peraltro<br />

non vagliate nella loro attendibilità e che tante volte nemmeno arrivano in tribunale<br />

e, secondo, quello nelle aule di legge?<br />

Perché negli altri Paesi, il mio riferimento è agli Stati Uniti, dove la libertà dell’informazione<br />

non è messa in dubbio, le intercettazioni non sono mai conosciute<br />

prima dell’apertura del processo?<br />

Occorre arrestare tale costume, perché lungo questa strada, ciascuno di noi,<br />

nell’impiego del telefono, è portato a controllare le parole, evento, questo, che viene<br />

a rappresentare un vulnus per la democrazia liberale. E, cosa altrettanto grave,<br />

per la libertà individuale.<br />

30<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


E, per arrivare alle estreme conseguenze, a controllarle debbano poi essere<br />

due fidanzatini quando, nel loro quotidiano dialogo telefonico, stanno per pronunciare<br />

parole denotanti uno stato d’animo gioioso e pieno di effusioni d’amore.<br />

Sono portati a farlo, perché nella loro mente riaffiora, inconsapevolmente, quell’immagine<br />

che ci ha accompagnato nella nostra infanzia, con cui venivano tappezzati<br />

i muri delle città, raffigurante la faccia di un uomo dall’espressione dura e dallo<br />

sguardo truce che, con l’indice teso e fissandoti negli occhi con paurosa intensità,<br />

esclamava: “taci, il nemico ti ascolta”.<br />

Non si sa mai, sembrano dirsi i due fidanzatini, se qualcuno, ascoltando la nostra<br />

conversazione, possa anche dedurre che il nostro amore e i nostri baci siano<br />

<strong>etica</strong>mente non corretti!<br />

E, sembrano dirsi ancora: per un solo bacio che ha fatto il giro del mondo, su<br />

cui si è costruita tutta una leggenda e che nei fatti tale bacio mai è stato dato, Andreotti<br />

ha passato tanti guai.<br />

Traducendo in termini politici, i due fidanzatini sembrano l’un l’altro confidarsi:<br />

guarda che per un bacio non dato, ma magistralmente diffuso e mediatizzato,<br />

è cambiata, irreversibilmente, la storia del nostro Paese!<br />

Suvvia, il nostro non può essere e tanto meno rimanere un Paese che, per un<br />

bacio non dato, cambia e si fa cambiare il corso <strong>della</strong> sua storia!<br />

N.d.r.<br />

Lo sviluppo successivo delle vicende politiche italiane, richiamate nell’articolo del<br />

prof. Alvaro, ha portato alla formazione di un governo detto di “solidarietà nazionale”,<br />

costituito soltanto da tecnici. <strong>La</strong> <strong>politica</strong>, i partiti in particolare, hanno lasciato il campo<br />

al nuovo governo, preferendo soltanto sostenerlo senza diretti coinvolgimenti nel momento<br />

<strong>della</strong> crisi più acuta dell’economia italiana e internazionale. Crisi che rischia<br />

addirittura di mettere in forse l’intera costruzione dell’Europa Unita.<br />

«Civitas» ne seguirà l’evoluzione, ma ritiene che le valutazioni espresse dal prof. Alvaro<br />

sulla maturità <strong>politica</strong> e complessiva del nostro Paese restano a maggior ragione valide,<br />

anzi si caricano di ulteriori significati ed eventi, in quanto saranno i partiti, e la<br />

<strong>politica</strong> in generale, a doversi, inevitabilmente e direttamente, riassumere, in tempo non<br />

troppo distante, doveri e responsabilità al cospetto di una pubblica opinione (elettorato)<br />

che presto sarà chiamata a giudicarli per ieri, l’oggi e il domani. In presenza di un Paese<br />

che, nonostante i 150 anni trascorsi, è ancora più “Stato” che “Nazione” (Patria).<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

Giuseppe Alvaro<br />

<br />

31


Federalismo fiscale e Favor Familiae<br />

Un connubio strategico<br />

Il 9 giugno 2011 si è svolto a Roma, presso l’<strong>Istituto</strong> <strong>Sturzo</strong>, un convegno organizzato<br />

dall’associazione A.R.I.E.L. (Associazione Relazioni Istituzionali Enti Locali) e dal<br />

Centro Internazionale Studi <strong>Sturzo</strong>, su Federalismo Fiscale e Favor Familiae: un<br />

connubio strategico. Un incontro che ha visto la partecipazione di autorevoli esponenti<br />

in tema di politiche familiari, che ha messo l’istituto Famiglia al centro dei problemi<br />

collegati con la crisi che l’Italia attualmente vive.


Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

Il contributo <strong>della</strong> famiglia<br />

al superamento <strong>della</strong> crisi<br />

di Giorgia <strong>La</strong>tini<br />

Consulente Ministero per la Pubblica<br />

Amministrazione e Innovazione<br />

Nel panorama <strong>della</strong> crisi globale degli ultimi anni, l’Italia è, a giudizio pressoché<br />

unanime, finora è riuscita a reggere rispondendo in maniera efficace alle sfide <strong>della</strong> globalizzazione<br />

e mantenendo, tutto sommato, un tasso accettabile di conflittualità grazie<br />

al peso sociale ed economico <strong>della</strong> famiglia, da alcuni definito il «vero Welfare» italiano.<br />

Ma oggi sono apparse evidenti le difficoltà del nostro Paese al punto tale che il Governo<br />

ha dovuto in estate tamponare l’emergenza con una straordinaria manovra finanziaria.<br />

Si è arrivati a questo punto, oltre che alla tardiva applicazione di azioni riformatrici,<br />

anche perché la famiglia che ha fatto tanto per l’Italia, non è stata tutelata adeguatamente<br />

nel momento del bisogno e quindi oggi non riesce autonomamente come in<br />

passato a sostenere il peso <strong>della</strong> crisi economico sociale.<br />

A 150 anni dalla nascita dello Stato italiano, dobbiamo riconoscere come la famiglia<br />

sia da considerarsi un elemento chiave tanto <strong>della</strong> nostra identità nazionale<br />

quanto <strong>della</strong> nostra vita pubblica contemporanea. Ogni nucleo familiare genera “capitale<br />

sociale”, inteso come quella ricchezza immateriale, fatta di memoria e di cultura,<br />

che alimenta e sostiene i rapporti e le relazioni tra le persone da quelli professionali, economici<br />

e politici. Una società senza capitale sociale non è solo una società fredda e disumana,<br />

ma è anche, e soprattutto, una società incapace di innovarsi, di crescere e di adeguarsi,<br />

senza perdere la propria memoria storica, ai cambiamenti del mondo. Infatti è<br />

da questo piccolo nucleo di persone che nasce tutto, la famiglia è come un segmento di<br />

elica di DNA perché è da essa che poi si specchia e si riproduce l’intera società.<br />

Quindi se la famiglia è portatrice di valori cristiani, così sarà anche tutta la società,<br />

così lo Stato. Oggi più che mai i giovani hanno bisogno di riscoprire i valori cristiani<br />

che fanno di un individuo una persona completa, capace di vivere in una società<br />

costruttiva e al servizio del prossimo.<br />

Dobbiamo sempre tenere presente che la famiglia è il nucleo primario e fondamentale<br />

dove vengono gettate le basi per un nuovo futuro e perciò va messa in primo piano.<br />

Sappiamo che la nostra Costituzione all’art. 29 riconosce la famiglia come una società<br />

naturale fondata sul matrimonio: una società che si forma in modo spontaneo grazie all’amore<br />

di due persone che decidono di coronare il loro sentimento entrando in comunione<br />

d’anime davanti a Dio. Quindi la famiglia si formerebbe anche se lo Stato non esistesse ma<br />

dato che in essa si formano gli individui, è importante che lo stato riconosca e tuteli i diritti<br />

di questa prima cellula <strong>della</strong> società. Infatti l’art.31 contiene l’impegno dello Stato a garan-<br />

35


Giorgia <strong>La</strong>tini<br />

tire, con l’uso di risorse pubbliche, agevolazioni economiche a favore delle famiglie. I più<br />

deboli all’interno <strong>della</strong> famiglia sono i figli minorenni, e a loro favore viene garantito il diritto<br />

all’educazione e all’istruzione e se i genitori non ne sono capaci, dovrà intervenire lo<br />

Stato aiutando i coniugi a rendere meno gravosi i loro doveri attraverso le detrazioni fiscali,<br />

gli assegni familiari, la creazione di scuole pubbliche, di consultori familiari, di asili nido.<br />

E questo è uno dei modi attraverso i quali lo Stato democratico interviene nel sistema economico<br />

attraverso la spesa pubblica per realizzare le finalità di benessere collettivo.<br />

Finora anche se lo Stato ha manifestato la sua assenza le famiglie grazie ai “risparmi<br />

dei genitori” sono riuscite a rispondere ai loro bisogni autonomamente contribuendo<br />

al benessere dell’intera società senza gravare nelle tasche statali. Ma non si può non riconoscere<br />

come oggi ci si trovi davanti a una profonda crisi <strong>della</strong> famiglia italiana. Oltre<br />

alla moltiplicazione dei divorzi e delle separazioni, la bassa natalità o il numero sempre<br />

più basso dei matrimoni stiamo assistendo infatti anche al declino di alcune caratteristiche<br />

sociali fondamentali <strong>della</strong> famiglia italiana, quale, ad esempio, la tendenza al risparmio:<br />

purtroppo, anche nelle famiglie italiane, come accade già da tempo in altri<br />

paesi occidentali, si affaccia la tendenza a spendere più di quel che si guadagna, con conseguente<br />

vulnerabilità del sistema-paese. Oggi i risparmi sono esauriti, anche perché il<br />

tasso di occupazione, soprattutto a livello giovanile, è ai minimi termini, e quindi ora<br />

serve una presenza attiva delle istituzioni per ricambiare il supporto che la famiglia ha<br />

dato all’Italia in passato. Solo partendo dalla famiglia la società può rinascere.<br />

È necessario, dunque, individuare le riforme da approvare, in via ordinaria nel breve<br />

e medio termine, per valorizzare al meglio il ruolo <strong>della</strong> famiglia nella società italiana. Le<br />

proposte in materia non mancano (dal “quoziente familiare” al “garante <strong>della</strong> famiglia”) così<br />

come non mancano le iniziative già realizzate o in corso (il bonus famiglia o le iniziative a<br />

favore <strong>della</strong> PMI). Ciò che manca è una visione d’insieme, ovvero una gerarchia degli interventi<br />

da fare ispirata a una coerente visione del ruolo <strong>della</strong> famiglia nella società italiana.<br />

Ciò potrebbe avvenire in occasione dell’attuazione del federalismo fiscale, ambito ben analizzato<br />

dal Prof. Giulio Maria Salerno che detta le linee da seguire nel testo che segue.<br />

L’incontro quindi è stata l’occasione per ribadire la centralità dell’istituto <strong>della</strong> famiglia<br />

nell’ordinamento giuridico italiano, accrescendo la consapevolezza dell’efficacia<br />

indiretta delle politiche nazionali di prossima attuazione, quali il federalismo.<br />

Sono state approfondite le opportunità e le sinergie che la definitiva attuazione del<br />

federalismo fiscale offrirà alle politiche sociali attuate dagli enti territoriali, a favore<br />

<strong>della</strong> famiglia.<br />

36<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

Famiglia e federalismo fiscale<br />

Tra le formazioni sociali protette espressamente dalla<br />

Costituzione, rientra come noto la famiglia. Nella Costituzione<br />

è infatti posto il principio del Favor Familiae,<br />

vale a dire è garantita una speciale posizione di tutela<br />

accordata alla famiglia, quale specifica e peculiare formazione<br />

sociale.. Parimenti è noto che sulla base <strong>della</strong><br />

legge delega sul federalismo fiscale nei prossimi anni si<br />

costruirà il nuovo sistema tributario <strong>della</strong> Repubblica<br />

volto ad assicurare i principi del decentramento, dell’effettiva<br />

autonomia e <strong>della</strong> conseguente responsabilità finanziaria<br />

delle autonomie territoriali. Spetta in primo<br />

luogo ai decreti legislativi di attuazione <strong>della</strong> legge delega<br />

– e ai successivi provvedimenti che saranno adottati<br />

dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali – dare corpo<br />

e sostanza ad una riforma così importante per l’intero<br />

assetto dei nostri poteri pubblici.<br />

<strong>La</strong> tutela <strong>della</strong> famiglia nella Costituzione ed in specie il<br />

Favor Familiae nel sistema impositivo<br />

<strong>La</strong> domanda che occorre porsi, è allora la seguente: il<br />

principio del Favor Familiae sta incidendo effettivamente<br />

sulla nuova disciplina del sistema impositivo derivante dalla<br />

riforma del federalismo fiscale, dandosi così finalmente attuazione<br />

a quella protezione <strong>della</strong> famiglia che, prevista dalla<br />

Costituzione, non ha sinora trovato applicazione? Questa<br />

domanda implica la risposta ad un quesito preliminare: perché<br />

l’impegno che pure la Costituzione ha promesso a favore<br />

<strong>della</strong> famiglia, non si è sinora tradotto in una <strong>politica</strong> di vantaggi<br />

fiscali? Perché, se la Costituzione statuisce che spetta<br />

all’intera Repubblica – e dunque allo Stato, alle Regioni ed<br />

GIULIO M. SALERNO<br />

Ordinario di<br />

Istituzioni<br />

di diritto pubblico<br />

dell’Università<br />

di Macerata<br />

≈<br />

«Deve ritenersi<br />

corretta<br />

l’impostazione che<br />

è stata seguita<br />

nella legge sul<br />

federalismo<br />

fiscale […] di<br />

assicurare<br />

concreta e “piena<br />

attuazione” a tutti<br />

i precetti<br />

costituzionali che<br />

impegnano la<br />

repubblica ad<br />

operare nel senso<br />

del Favor<br />

Familiae».<br />

≈<br />

37


Giulio M. Salerno<br />

agli enti locali - agevolare la famiglia “con misure economiche e altre provvidenze”<br />

(come è detto testualmente nell’art. 31 Cost.), tale promessa è stata sinora trascurata<br />

o addirittura preclusa nei fatti? In breve, questa promessa potrà finalmente essere<br />

mantenuta dal nuovo sistema tributario <strong>della</strong> Repubblica o sarà costretta a subire<br />

troverà i medesimi ostacoli che sinora ha incontrato? In genere, con riferimento<br />

al presente sistema tributario fortemente centralizzato, si è sostenuto che la predisposizione<br />

di meccanismi fiscali davvero favorevoli alla famiglia sarebbe stata<br />

ostacolata dalla presenza di altri due principi costituzionali che hanno fatto, per<br />

così dire, da freno.<br />

Secondo la Costituzione stessa, infatti, da un lato le leggi in materia tributaria<br />

devono rispettare il canone <strong>della</strong> “capacità contributiva” di ciascun soggetto che è<br />

tenuto all’adempimento del dovere tributario; e dall’altro lato l’intero sistema impositivo<br />

deve essere informato a “criteri di progressività”. Insomma, il canone <strong>della</strong><br />

capacità contributiva impedirebbe di considerare la famiglia come soggetto – anche<br />

indiretto - dell’obbligo fiscale, così come la presenza di incisive forme di agevolazione<br />

tributaria collegate al computo complessivo delle ricchezze a livello familiare,<br />

potrebbe comportare la violazione <strong>della</strong> progressività del sistema tributario tutto.<br />

Tuttavia, l’analisi sia di quanto statuito dalla Corte costituzionale, sia dei risultati<br />

cui sono pervenute le riflessioni dei giuristi più attenti, consente di affermare<br />

che entrambi i predetti principi (capacità contributiva e progressività del sistema<br />

tributario) possono senz’altro essere interpretati in senso complementare – e dunque<br />

non preclusivo rispetto alla finalità di perseguire il Favor Familiae anche in<br />

materia tributaria.<br />

<strong>La</strong> famiglia e il federalismo fiscale<br />

Ed allora deve ritenersi corretta l’impostazione che è stata seguita nella legge sul<br />

federalismo fiscale, ove, tra i principi <strong>della</strong> delega, sono stati contemporaneamente richiamati<br />

sia il rispetto dei canoni costituzionali da ultimo citati (cioè la capacità contributivaelaprogressività<br />

del sistema tributario), sia la finalità di assicurare concreta<br />

e “piena attuazione” a tutti i precetti costituzionali che impegnano la Repubblica ad<br />

operare nel senso del Favor Familiae. Infatti, tra i “principi e criteri direttivi generali”<br />

che i decreti legislativi devono rispettare, si è posta quello relativo alla: “gg) individuazione<br />

di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29,.30 e 31<br />

<strong>della</strong> Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione <strong>della</strong> famiglia e all’adempimento<br />

dei relativi compiti” (art. 2, comma 2, l. n. 42 del 2009).<br />

In conclusione, questa disposizione <strong>della</strong> legge delega sul federalismo fiscale<br />

che ha previsto, quale principio e criterio direttivo “generale” – e dunque attinente<br />

all’intera disciplina del nuovo sistema tributario <strong>della</strong> Repubblica – l’effettiva attuazione<br />

del Favor Familiae presente nella Costituzione, deve essere considerata<br />

38<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


non soltanto conforme al dettato costituzionale complessivamente inteso, ma anche<br />

necessaria e doverosa attuazione di quest’ultimo.<br />

Quattro condizioni da rispettare nei decreti legislativi di attuazione<br />

Giulio M. Salerno<br />

Possono essere individuate almeno quattro condizioni che devono essere rispettate<br />

nei decreti legislativi – e nei successivi provvedimenti dello Stato, delle Regioni<br />

e degli enti locali – per assicurare il Favor Familiae richiamato nella legge di<br />

delega in attuazione del disposto costituzionale.<br />

– Innanzitutto, poiché il perseguimento di tale obiettivo è posto dalla Costituzione<br />

come impegno di tutta la “Repubblica”, dato che il nuovo assetto dei tributi<br />

sarà improntato su un sistema multilivello, e considerato che il principio e criterio<br />

direttiva in questione è prefigurato dalla legge di delega tra quelli “generali”, se ne<br />

deduce che gli strumenti approntati in sede di attuazione nei decreti legislativi devono<br />

essere volti al perseguimento dell’obiettivo in questione con riferimento ad ogni<br />

livello di autonomia finanziaria. Si tratta insomma di un principio fondamentale di<br />

coordinamento <strong>della</strong> finanza pubblica e dell’intero sistema tributario <strong>della</strong> Repubblica.<br />

In altre parole, non si potrà limitare l’inserimento dei meccanismi in oggetto,<br />

ad esempio, soltanto nell’ambito <strong>della</strong> disciplina dei tributi statali, ma tali meccanismi<br />

– certo, nel rispetto degli altri principi posti dalla delega – potranno essere estesi<br />

anche alla disciplina che sarà dettata per i tributi delle Regioni e degli enti locali.<br />

– In secondo luogo, la legge delega prevede che deve trattarsi di strumenti<br />

“idonei”, cioè che si dimostrino nei fatti realmente efficaci ai fini del raggiungimento<br />

dell’obiettivo costituzionale del Favor Familiae. Vale a dire che le previsioni<br />

normative del legislatore delegato – e conseguentemente le leggi regionali ed i<br />

provvedimenti degli enti locali che ne seguiranno – in primo luogo non potranno<br />

né produrre esiti contrastanti con il predetto obiettivo, né risultare in concreto evidentemente<br />

e manifestamente insufficienti allo scopo. Pertanto, la discrezionalità<br />

sussistente in sede di attuazione <strong>della</strong> delega, è subordinata al rispetto <strong>della</strong> necessaria<br />

“idoneità” delle disposizioni dettate in relazione al perseguimento del prescritto<br />

obiettivo del Favor Familiae.<br />

– In terzo luogo, l’introduzione dei meccanismi in questione deve essere rivolta<br />

a garantire la piena attuazione del Favor Familiae, ovvero tali strumenti dovranno<br />

assicurare la protezione per così dire integrale <strong>della</strong> famiglia. E ciò sotto un triplice<br />

aspetto, in quanto, sulla base dell’esplicito riferimento alle disposizioni costituzionali<br />

relative alla famiglia, deve trattarsi di strumenti idonei sia a favorire nei fatti la<br />

formazione di nuove famiglie rispetto a quelli già esistenti, sia ad assicurare la possibilità<br />

che i nuclei familiari adempiano a tutti i compiti che la Costituzione e le<br />

leggi assegnano loro, sia a consentire l’effettivo esercizio e la sostanziale tutela dei<br />

diritti che l’ordinamento tutto riconosce alla famiglia costituzionalmente protetta.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

39


Giulio M. Salerno<br />

– In quarto luogo, l’espresso richiamo alla famiglia di cui all’art. 29, 30 e 31<br />

<strong>della</strong> Costituzione implica che i provvedimenti posti in sede di attuazione del federalismo<br />

fiscale devono essere rivolti alla garanzia dei diritti <strong>della</strong> famiglia, alla promozione<br />

<strong>della</strong> formazione <strong>della</strong> famiglia ed all’adempimento dei compiti spettanti<br />

alla famiglia, così come questa è prevista e disciplinata dalla Costituzione. Dunque<br />

trattasi, innanzitutto, <strong>della</strong> “famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”<br />

ai sensi dell’art. 29 <strong>della</strong> Costituzione, pur senza escludere che, nell’esercizio<br />

dell’autonomia normativa propria degli enti territoriali, i vantaggi di ordine fiscale<br />

posano essere attribuiti anche ai soggetti appartenenti alle famiglie diversamente<br />

costituite, e dunque alle formazioni sociali nel senso più ampio che è fornito in via<br />

generale dall’art. 2 <strong>della</strong> Costituzione.<br />

A ben vedere, il mancato rispetto delle condizioni qui richiamate può comportare<br />

l’eventuale intervento <strong>della</strong> Corte costituzionale in ordine alle previsioni<br />

normative che saranno contenute nei decreti legislativi e conseguentemente nelle<br />

leggi regionali. E nulla esclude che siffatto intervento <strong>della</strong> Corte possa essere anche<br />

molto incisivo, spingendosi pure sul terreno delle valutazioni di carattere effettuale,<br />

empirico ovvero tecnico-scientifico, circa la complessiva, concreta ed effettiva<br />

efficacia delle strumentazioni introdotte per assicurare davvero il favor indicato<br />

dalla Costituzione nei confronti <strong>della</strong> famiglia.<br />

I decreti legislativi adottati<br />

È dunque necessario rivolgere la nostra attenzione ai decreti legislativi già<br />

predisposti in sede di attuazione <strong>della</strong> legge di delega, per verificare se si stia compiutamente<br />

realizzando l’impegno costituzionale per il Favor Familiae.<br />

I primi due decreti approvati in via definitiva sono stati il n. 85 del 28 maggio<br />

2010 in tema di “federalismo demaniale”, e il n. 156 del 17 settembre 2010 su Roma<br />

Capitale. In entrambi non sono riscontrabili riferimenti alla famiglia. Anche se<br />

ciò può essere considerato prevedibile tenuto conto dei temi ivi trattati, si poteva<br />

forse fare qualche cenno alle esigenze delle famiglie sia là dove si è disposto in ordine<br />

all’“utilizzo ottimale di beni pubblici da parte degli enti territoriali” (v. art. 8 del<br />

d.lgs. n. 85 del 2010, ove si fa solo un generico accenno “al fine di assicurare la migliore<br />

utilizzazione dei beni pubblici per lo svolgimento delle funzioni pubbliche<br />

primarie attribuite”), oppure là dove, per Roma Capitale, si sono previste “forme<br />

di monitoraggio e controllo da affidare ad organismi posti in posizione di autonomia<br />

rispetto alla Giunta capitolina, finalizzate a garantire, nell’esercizio delle funzioni<br />

riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali,<br />

il rispetto degli standard e degli obiettivi di servizio definiti dai decreti legislativi<br />

di cui all’art. 2 <strong>della</strong> legge 5 maggio 2009, n. 42, nonché l’efficace tutela dei diritti<br />

dei cittadini” (v. art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 156 del 2010).<br />

40<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Giulio M. Salerno<br />

Dei successivi tre decreti legislativi approvati - rispettivamente sui fabbisogni<br />

standard degli enti locali (n. 216 del 26 novembre 2010), sul federalismo fiscale<br />

municipale (n. 23 del 14 marzo 2011), e sull’autonomia di entrata delle Regioni<br />

edelleProvince (n. 68 del 6 maggio 2011)-, i primi due nulla dicono sul Favor<br />

Familiae, mentre il terzo, quello sulle Regioni, appare finalmente più attento al<br />

tema.<br />

In particolare, nel d.lgs. n. 68 del 2011 relativo alle Regioni si prevede, in primo<br />

luogo, che queste ultime “nell’ambito dell’addizionale di cui al presente articolo<br />

(regionale regionale all’IRPEF, ndR) possono disporre con propria legge detrazioni<br />

in favore <strong>della</strong> famiglia, maggiorando le detrazioni previste dall’art. 12 del<br />

d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917” (art. 6, comma 5). Va ricordato che tale addizionale<br />

può essere aumentata o diminuita con legge (art. 6, comma 1); quindi, anche<br />

in coerenza con il principio di legalità dell’imposizione tributaria, appare corretta<br />

la previsione che tali misure aggiuntive a favore <strong>della</strong> famiglia debbano essere previste<br />

con legge regionale. Si tratta dunque soltanto <strong>della</strong> possibilità di maggiorare<br />

le detrazioni d’imposta, non di consentire deduzioni dall’imponibile, né, ad esempio,<br />

di incidere sui soggetti destinatari <strong>della</strong> riduzione.<br />

In secondo luogo, per ovviare correttamente al fatto che le famiglie “incapienti”,<br />

cioè con basso reddito, non godrebbero di alcun vantaggio, si prevede che<br />

“le regioni adottano altresì con propria legge misure di erogazione di misure di sostegno<br />

economico diretto a favore di soggetti IRPEF, il cui livello di reddito e la<br />

relativa imposta netta, calcolata anche su base familiare, non consente la fruizione<br />

delle detrazioni” sopra richiamate (art. 6, comma 5, secondo capoverso). Due novità<br />

vanno quindi segnalate: da un lato, è stata introdotta la possibilità – sempre<br />

con legge regionale – di misure di sostegno economico diretto per le famiglie a<br />

basso reddito non avvantaggiate dalla riduzione dell’addizionale IRPEF; dall’altro<br />

lato, il parametro cui sono collegate tali misure, si riferisce all’imposta netta “calcolata<br />

anche su base familiare”, cioè, può ipotizzarsi tenendo conto del reddito familiare.<br />

In terzo luogo, si prevede che le Regioni, sempre nell’ambito <strong>della</strong> predetta<br />

addizionale IRPEF, “possono inoltre disporre, con propria legge, detrazioni dall’addizionale<br />

stessa in luogo dell’erogazioni di sussidi, voucher, buoni servizio e<br />

altre misure di sostegno sociale previste dalla legislazione regionale” (art. 6, comma<br />

6). Ciò, dice espressamente il decreto legislativo, “al fine di favorire l’attuazione<br />

del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, quarto comma, <strong>della</strong><br />

Costituzione” (sempre art. 6, comma 6). Anche tali detrazioni per ragioni di<br />

sussidiarietà possono essere collegate alle famiglie, qualora trattasi di formazioni<br />

sociali che esercitano “attività di interesse generale” ai sensi dell’art. 118, comma<br />

4, Cost.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

41


Giulio M. Salerno<br />

Le limitazioni<br />

Tuttavia vi sono tre disposizioni che delimitano espressamente l’azione regionale<br />

nel senso delle detrazioni all’addizionale IRPEF per le famiglie e per l’attuazione<br />

<strong>della</strong> sussidiarietà orizzontale, oltre ad una disposizione di carattere residuale<br />

che sembra applicabile anche alle fattispecie qui in esame.<br />

– <strong>La</strong> prima limitazione è che tutte le predette possibilità agevolative è di ordine<br />

in senso temporale, in quanto si prevede che le relative disposizioni del decreto legislativo<br />

si applicano a decorrere dal 2013 (art. 6, comma 7).<br />

– <strong>La</strong> seconda limitazione è di ordine relazionale, cioè si riferisce ai flussi finanziari<br />

tra lo Stato e le Regioni: si prevede infatti che tutte le predette facoltà attribuite<br />

alle Regioni e che sono state prima esposte – cioè le misure a favore <strong>della</strong> famiglia<br />

o al fine di attuare la sussidiarietà orizzontale - siano “esclusivamente a carico<br />

del bilancio <strong>della</strong> Regione che le dispone e non comporta alcuna forma di compensazione<br />

da parte dello Stato” (art. 6, comma 8, primo capoverso). Per di più, si<br />

aggiunge che in ogni caso va tenuta ferma la regola generale che vale in caso di riduzioni<br />

dell’aliquota dell’addizione regionale all’IRPEF, cioè l’aliquota deve essere<br />

sufficiente per garantire ai rispettivi Comuni, insieme agli altri tributi interessati,<br />

un gettito che “non sia inferiore all’ammontare dei trasferimenti regionali ai Comuni”<br />

che sono soppressi ai sensi del medesimo decreto legislativo (cfr. art. 6,<br />

comma 8, secondo capoverso, che richiamato quanto disposto dall’art. 6, comma<br />

3, ultimo periodo).<br />

– <strong>La</strong> terza limitazione si riferisce stavolta alla pregressa cattiva gestione finanziaria<br />

elle Regioni in materia sanitaria; in sostanza, l’attivazione delle predette misure<br />

agevolative è temporaneamente preclusa, o meglio rimane “sospesa” per quelle<br />

Regioni che sono “impegnate nei piani di rientro del deficit sanitario” per le quali<br />

si applica la misura prevista dalla legge per il mancato rispetto del piano stesso (art.<br />

8, comma 9).<br />

Infine, vi è una disposizione che sembra avere carattere generale e residuale, in<br />

quanto si prevede che “restano fermi gli automatismi fiscali previsti dalla vigente<br />

legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio economico nonché le disposizioni<br />

in materia di applicazione di incrementi delle aliquote fiscali per le regioni<br />

sottoposte a piani di rientro dai deficit sanitari” (art. 6, comma 10). Insomma, gli<br />

aggravamenti fiscali determinati dalla cattiva gestione sanitaria resteranno validi<br />

anche per le famiglie che eventualmente dovessero godere delle predette misure<br />

agevolative.<br />

42<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Valore privato e pubblico <strong>della</strong> famiglia<br />

Alcune settimane fa è stato presentato a Caltagirone il<br />

libro “Amato figlio, frammenti di vita quotidiana <strong>della</strong><br />

famiglia di Felice e Caterina <strong>Sturzo</strong>” 1 . Credo che a partire<br />

da questo spunto sia possibile sviluppare un discorso<br />

sul valore privato e pubblico <strong>della</strong> famiglia naturale<br />

fondata sul matrimonio.<br />

Felice e Caterina <strong>Sturzo</strong> sono i genitori di <strong>Luigi</strong> e Mario<br />

<strong>Sturzo</strong>, ma sono soprattutto buoni modelli di vita familiare,<br />

sono patrimonio di tutti, come ha scritto Mons.<br />

Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, nell’introduzione<br />

al testo: “È la ricostruzione <strong>della</strong> storia domestica di<br />

due cristiani che da sposi, attraverso il loro matrimonio,<br />

nato nell’amore e con amore, hanno dato vita a una famiglia<br />

modello di Caltagirone. [...] In questa famiglia,<br />

tutti insieme e ciascuno a suo modo, al di là di tutti gli<br />

ostacoli e dentro ogni cosa, hanno fatto risplendere di<br />

amore fedele la ferialità dei giorni” 2 . Esempio privato e<br />

pubblico, dunque, di virtù morali e di amore.<br />

Saper costruire una grande storia d’amore familiare<br />

Possiamo chiederci, come da qualche tempo fanno molti,<br />

se questa storia domestica piena di sforzi abbia un senso<br />

nella vita privata e pubblica. O meglio, il gioco vale la candela?<br />

<strong>La</strong> risposta è nella capacità di un uomo e di una donna di saper<br />

scrivere assieme una storia che supera la banalità del quotidiano<br />

e del provvisorio: “Una storia più grande di loro stessi –<br />

per i coniugi <strong>Sturzo</strong>, ci ricorda Monsignor Peri – eunamore<br />

1 L. e P. Busacca, Amato figlio. Frammenti di vita quotidiana <strong>della</strong> famiglia<br />

di Felice e Caterina <strong>Sturzo</strong>. Effatà editrice, Cantalupa 2011.<br />

2 Ivi, p. 3.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

GASPARE STURZO<br />

Magistrato<br />

≈<br />

«<strong>La</strong> famiglia –<br />

riconosciuta nella<br />

nostra Carta<br />

Costituzionale –<br />

manca del primo<br />

grande diritto di<br />

poter dire la sua,<br />

attraverso il voto,<br />

nella democrazia<br />

italiana».<br />

≈<br />

43


Gaspare <strong>Sturzo</strong><br />

più forte <strong>della</strong> loro stessa morte. Essi raccontano per quel che possono, in modo più o meno<br />

consapevole, quella storia splendente a cui Dio stesso ha dato inizio” 3 . Se volete questa<br />

storia potrebbe essere uguale a quella di ogni sana famiglia; una grande storia fatta di<br />

amore, generosità, abnegazione, sacrifico. Una palestra continua nell’esercizio dell’amore<br />

per il prossimo. Una storia che le nostre nonne ci hanno raccontato, che con<br />

papà e mamma abbiamo vissuto, che con i nostri figli stiamo tentando si scrivere.<br />

Le ragioni <strong>della</strong> criminalizzazione <strong>della</strong> famiglia tradizionale<br />

C’è da segnalare, però, una contraddizione sociale. Se queste storie sono così<br />

importanti per la vita <strong>della</strong> nostra comunità, perché i modelli delle famiglie buone<br />

e sane, sono così trascurati nella cultura nazionale?<br />

Alla presentazione di Caltagirone ho definito il libro di Lorena e Pino Busacca,<br />

un testo rivoluzionario, perché da qualche tempo in Italia parliamo solo <strong>della</strong> patologia<br />

<strong>della</strong> famiglia, quella moralmente malata, quella in crisi, e la propagandiamo<br />

come elemento di presunta normalità. Nella lotta cieca contro questa piccola società<br />

naturale e umana <strong>della</strong> famiglia, le scarichiamo addosso il rischio e il costo <strong>della</strong><br />

crisi <strong>della</strong> grande comunità nazionale. I conti sono sempre ben fatti: la violenza<br />

in famiglia, il nepotismo familiare, la famiglia clientelare e, infine, il vero top di<br />

gamma: la famiglia mafiosa e criminale. Non appena si tenta un’operazione di distinguo<br />

tra cause ed effetti delle patologie familiari i guru <strong>della</strong> laicità accusano noi<br />

cattolici di sognare sempre l’ideale perfetto <strong>della</strong> famiglia del mulino bianco. È<br />

chiaro che quest’accusa relativista è lo strumento necessario per normalizzare concetti<br />

diversi di famiglia, come – ad esempio – quella reclamizzata da una catena di<br />

distribuzione internazionale di mobili a basso costo che ha scelto di promuovere<br />

l’amore omosessuale. Ritengo che la criminalizzazione <strong>della</strong> famiglia tradizionale<br />

appartenga a quella Kultura – sì, proprio con la famigerata storica K di matrice social<br />

comunista – che ha reinventato per la nostra Nazione un concetto assolutamente<br />

negativo come il cosiddetto familismo amorale. O meglio, siamo di fronte a<br />

delle sub culture che, per fini autonomi ma spesso convergenti, nel tentativo di un<br />

modernismo nichilista tentano di imporsi, a suon di milioni di euro, per demolire<br />

l’elemento di coesione <strong>della</strong> nostra comunità nazionale: la famiglia naturale fondata<br />

sul matrimonio. Dopo la riuscita azione di distruzione sulla fiducia nelle istituzioni<br />

pubbliche e di governo democratico, dopo quella contro le istituzioni economiche<br />

e religiose, dopo l’attacco alle istituzioni culturali, eccoci giunti al primo<br />

anello <strong>della</strong> catena sociale, distruggere il baluardo: l’istituzione familiare. Venuto<br />

meno quest’ultimo avamposto, sarà facile per l’impero delle società finanziarie internazionali,<br />

lobbistiche e/o massoniche, vivere sull’arte di dominare il prossimo.<br />

44<br />

3 Ibidem.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Quell’uomo che non ha più nessun valore se non quello del consumo, un nulla<br />

nelle mani del dio denaro, regola unica del mondo.<br />

Individualismo sociale, non genitorialità e tradizione familiare<br />

Gaspare <strong>Sturzo</strong><br />

Svilirne l’allarme, sostenendo che allo stato delle cose possa essere un fenomeno<br />

marginale sarebbe un grave errore, significherebbe non aver compreso il processo<br />

d’individualismo che il male sta percorrendo nella nostra società. Il Rapporto<br />

Eurispes Italia 2011 lancia l’allarme sulla “scelta <strong>della</strong> non genitorialità” come un<br />

preciso segnale che sta tentando di passare sui sistemi mass mediatici vecchi e nuovi.<br />

Un preciso segnale <strong>della</strong> tendenza, sempre in crescita, alla decostruzione graduale<br />

<strong>della</strong> maternità e all’abbattimento del concetto di famiglia. Siamo di fronte a sommovimenti<br />

continui e aggressivi rispetto al riconoscimento dei valori insiti nella famiglia<br />

tradizionale, che riescono – a dire del Rapporto – anche a darsi la parvenza<br />

di movimenti organizzati ideologicamente, tra questi i childless eichildfree, cioè i<br />

senza figli e i liberi dai figli, dove, alla comune libertà di scelta di essere senza figli,<br />

nel secondo gruppo s’individuano i figli come un potenziale elemento di disturbo<br />

e una limitazione alla propria libertà personale. Ancora, i Dink (Double income no<br />

kids) eiGink (green inclination no kids): nel primo gruppo è rivendicato il diritto<br />

di godere un doppio lavoro/stipendio per i due potenziali genitori, liberandosi dall’impaccio<br />

dei figli che lo renderebbe impossibile; o meglio, maggior propensione<br />

all’agiatezza e al benessere individuale con un bilancio economico liberato dal peso<br />

e dal costo dei figli; il secondo gruppo sostiene la necessità di non far figli per non<br />

infierire sulle precarie condizioni ambientali del pianeta. O meglio, non dobbiamo<br />

fare figli per non stressare le risorse ambientali.<br />

Questi gruppi di persone si organizzano nella forma ideologizzante e, attraverso<br />

ingenti investimenti economici, sono reclamizzati/promossi dai mass media come<br />

fenomeno moderno di movimentismo sociale. Nessuno di noi può dire oggi<br />

che sviluppo avranno questi ordigni nucleari di denatalità sociale nel futuro italiano,<br />

ma prendendo sul serio le loro istanze, e cercando di prevenire le conseguenze<br />

delle loro scelte sbagliate, potremmo già intravedere numerosi temi d’intervento<br />

per un’agenda dedicata alla famiglia. Allo stato abbiamo le stime sulla bassa natalità<br />

nazionale, seppur sostenuta dagli immigrati, che pone in serio dubbio la capacità di<br />

ricambio generazionale. Il nostro è paese che invecchia, guidato da vecchi politici,<br />

che non riesce neppure ad affrontare la gestione dell’emergenza anziani. Il sintomo,<br />

comunque, di quel rallentarsi del costume familiare – già denunciato da don<br />

<strong>Sturzo</strong> negli anni cinquanta espresso anche nel rifiuto di ogni concezione religiosa<br />

<strong>della</strong> vita sociale per coloro che vanno perdendo il senso <strong>della</strong> moralità privata e<br />

pubblica: “Sì che i rapporti extrafamiliari sono resi più facili e tolleranti. A parte l’introduzione<br />

del divorzio e la facilità <strong>della</strong> sua applicazione presso molti stati, l’educazio-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

45


Gaspare <strong>Sturzo</strong><br />

ne stessa <strong>della</strong> gioventù e la diffusione di teorie e abitudini materialistiche ed edonistiche,<br />

contribuiscono alla dissoluzione <strong>della</strong> vita familiare” 4 . Questi temi hanno trovato<br />

risposte nei tempi passati <strong>della</strong> Prima Repubblica italiana, sotto l’azione trainante<br />

<strong>della</strong> Democrazia Cristiana in difesa <strong>della</strong> famiglia; il processo sì è invertito sotto<br />

la vigenza <strong>della</strong> Seconda Repubblica, per i noti problemi di crisi economica e finanziaria,<br />

ma – tout court – di valori, idealità e progettualità sociale.<br />

Le politiche a favore <strong>della</strong> famiglia e il federalismo fiscale<br />

Oggi si tende a riprendere il tema <strong>della</strong> famiglia e delle politiche a essa connessa,<br />

in funzione dell’epocale sopravvenire del Federalismo fiscale. Conosciamo le tesi<br />

del prof. Luca Antonini sulla valenza positiva del federalismo fiscale nella forma municipale,<br />

soprattutto quando afferma che gran pregio di questa è legato alla possibilità<br />

di scelta sulla base del trinomio: “voto, pago, vedo”. O meglio, prima <strong>della</strong> riforma<br />

i cittadini pagavano e votavano, ma non vedevano. Non potevano controllare, né<br />

sanzionare l’attività dei governi locali. Secondo Antonini, il federalismo municipale<br />

sarebbe l’unico modo per avvicinare il potere al cittadino, per incentivare la classe <strong>politica</strong><br />

a spendere e ad agire in favore <strong>della</strong> comunità. Ci sarebbe un riscontro diretto e<br />

immediato dell’efficienza delle attività svolte dai governi locali, proprio grazie al meccanismo<br />

per cui i cittadini finalmente votano secondo ciò che vedono. Mi sia permesso<br />

sostenere che questo trinomio per la famiglia costituzionalmente protetta non<br />

funziona. <strong>La</strong> famiglia manca di un’autonoma capacità di rappresentanza <strong>politica</strong>, paga<br />

le tasse di solito per mezzo dell’indistinta redditualità genitoriale, non ha una sua<br />

legittimazione nella fruizione dei servizi. Se volete, potremmo riformulare il noto<br />

motto liberista in «Yes taxation without rapresentation». O meglio, alla famiglia sono<br />

imposte delle tasse quando alla stessa non è riconosciuto alcun ruolo autonomo e rilevante<br />

nel potere di scegliere i rappresentanti politici. Ciò ci introduce al tema <strong>della</strong><br />

crisi <strong>della</strong> famiglia e <strong>della</strong> sua relazione con il ruolo <strong>della</strong> rappresentanza <strong>politica</strong>. Alcune<br />

parole di don <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong> possono servire a comprendere bene l’inscindibile legame<br />

tra l’istituzione familiare e la sua funzione nella vita pubblica: «<strong>La</strong> famiglia, concepita<br />

individualisticamente, ha perduto l’importanza sociale di un tempo, non influisce<br />

che indirettamente sulla vita <strong>politica</strong> del paese; non ha più garanzie di stabilità economica;<br />

nella limitazione <strong>della</strong> prole cerca un ripiego per contenere le spese, ripiego<br />

che deriva da volontà egoistica. I divorzi sono divenuti frequenti man mano che la famiglia<br />

si è impoverita spiritualmente; onde questa sarebbe del tutto decaduta se la religione<br />

non avesse supplito con la sua disciplina alla mancanza di sostegno e di rilevamento<br />

sociale» 5 . Per un verso la frase del sacerdote calatino spiega perché anche oggi<br />

4 L. <strong>Sturzo</strong>, <strong>La</strong> società, sua natura e leggi, Opera Omnia, Serie I, vol. III., Zanichelli, Bologna<br />

1960, p. 55.<br />

46<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


le istituzioni Famiglia e Chiesa Cattolica siedono sullo stesso banco degli imputati.<br />

Ci fa comprendere perché il progetto sociale edonistico e individualista, proponga di<br />

liberarci da questi impacci rendendoci – a suo dire – finalmente liberi di scegliere e<br />

indirizzando il festante popolo dei consumi verso alla fiera <strong>della</strong> vanità. Papa Giovanni<br />

Paolo II, nell’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, del 22 novembre 1981,<br />

ha affermato che “Il servizio <strong>della</strong> società alla famiglia si concretizza nel riconoscimento,<br />

nel rispetto e nella promozione dei diritti <strong>della</strong> famiglia”. Tutto ciò, secondo il numero<br />

253 <strong>della</strong> Dottrina sociale <strong>della</strong> Chiesa, richiede la realizzazione di autentiche ed efficaci<br />

politiche familiari con interventi precisi in grado di affrontare i bisogni che derivano<br />

dai diritti <strong>della</strong> famiglia come tale 6 .<br />

Diritti politici <strong>della</strong> famiglia e politiche familiari<br />

Infatti, nella DSC si può leggere che «Il riconoscimento, da parte delle istituzioni<br />

civili e dello Stato, <strong>della</strong> priorità <strong>della</strong> famiglia su ogni altra comunità e sulla stessa<br />

realtà statuale, comporta il superamento delle concezioni meramente individualistiche<br />

el’assunzione <strong>della</strong> <strong>dimensione</strong> familiare come prospettiva, culturale e <strong>politica</strong>, irrinunciabile<br />

nella considerazione delle persone. Ciò non si pone in alternativa, ma piuttosto<br />

a sostegno e tutela degli stessi diritti che le persone hanno singolarmente. Tale prospettiva<br />

rende possibile elaborare criteri normativi per una soluzione corretta dei diversi<br />

problemi sociali, poiché le persone non devono essere considerate solo singolarmente,<br />

ma anche in relazione ai nuclei familiari in cui sono inserite, dei cui valori specifici ed<br />

esigenze si deve tenere debito conto» 7 .<br />

Ora possiamo dire che un progetto sociale esiste se c’è una <strong>politica</strong> pubblica che<br />

gli consenta di affermarsi. <strong>La</strong> <strong>politica</strong> pubblica non cresce sotto l’albero <strong>della</strong> cuccagna,<br />

ma è oggetto di programmazione nazionale e locale, secondo un evidente confronto<br />

d’interessi legati alla rappresentazione legittima degli stessi. Chi ha ricevuto il<br />

potere dalle elezioni, in una normale democrazia, è in grado di scegliere e decidere come<br />

e dove, raccogliere e investire le risorse pubbliche. Ciò può spiegare, a mio avviso,<br />

il lento ripiegarsi degli articoli costituzionali sul riconoscimento <strong>della</strong> famiglia, sulle<br />

agevolazioni economiche alla formazione <strong>della</strong> famiglia, l’adempimento dei suoi<br />

compiti e l’effettività <strong>della</strong> libertà economica nella libera scelta del diritto allo studio.<br />

Ciò può farci comprendere le cocenti delusioni del quoziente familiare e le frementi<br />

attese sul fattore famiglia. A mio avviso, per cambiare decisamente rotta e per avere<br />

delle politiche a favore <strong>della</strong> famiglia occorre che questa possa avere un peso diretto sul-<br />

5 Ivi, p. 63.<br />

6 Compendio <strong>della</strong> Dottrina sociale <strong>della</strong> Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano<br />

2004, p. 142.<br />

7 Ibidem.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

Gaspare <strong>Sturzo</strong><br />

47


Gaspare <strong>Sturzo</strong><br />

la vita <strong>politica</strong> nazionale, garantendole una classe dirigente e di governo sensibile a<br />

questi temi. Non è un problema di schieramenti, o solo di questi. <strong>La</strong> riprova è nel valore<br />

potenziale <strong>della</strong> breve e significativa esperienza del Family day e del rapido processo<br />

di cooptazione <strong>politica</strong> dei suoi coordinatori che ne ha stroncato ogni capacità<br />

decisionale d’indirizzo sociale e, dunque, ogni velleità di natura <strong>politica</strong>.<br />

Conclusioni: diritto di voto, riforma elettorale e norme costituzionali<br />

Insomma, è forse il tempo di cominciare a riflettere che se pago di più per la<br />

tassa sui rifiuti urbani, perché il mio nucleo familiare è più grande, come la superficie<br />

dell’alloggio che ci ospita, forse potrebbe essere giusto che il mio voto, come genitore,<br />

alle elezioni politiche o amministrative possa avere un peso maggiore rispetto<br />

al voto del single. Allora e solo allora, il trinomio federalista scelgo la classe <strong>politica</strong>,<br />

pago le tasse e vedo i servizi, sarebbe salvo. Se a causa del mio nucleo familiare pago<br />

percentualmente di più nell’uso di pessimi servizi pubblici di cui la mia famiglia<br />

usufruisce come asili nido, autobus, scuola, università, sanità, smaltimento dei rifiuti<br />

e così via, potrò avere riconosciuto il diritto a rappresentare anche quei cittadini<br />

minori di età, cioè i miei figli, che sono costretti a doversi accontentare di avere poco,<br />

mentre io pago tanto, rispetto ai single e alle mono famiglie. Sarebbe giusto riconoscere<br />

a questi cittadini, componenti <strong>della</strong> famiglia e <strong>della</strong> comunità sociale, un diritto<br />

di rappresentanza, da esercitare secondo i canoni <strong>della</strong> democrazia, per poter<br />

incidere sul ricambio <strong>della</strong> classe <strong>politica</strong>. In questo sta l’elemento di contraddizione<br />

costituzionale che riconosce i diritti <strong>della</strong> famiglia, ma le nega all’articolo 48 <strong>della</strong><br />

Costituzione ogni capacità di voto. Occorre integrare il tema <strong>della</strong> riforma elettorale<br />

introducendo il diritto <strong>della</strong> famiglia nell’ambito dei rapporti politici. O meglio,<br />

come arricchire le disposizioni di cui all’articolo 48 <strong>della</strong> Costituzione sui diritti<br />

elettorali dei cittadini con la relazione del peso elettorale <strong>della</strong> famiglia. Non credo<br />

che possa essere considerato un problema insuperabile di tecnica legislativa in una<br />

Nazione che ha reinventato le liste bloccate, i premi di maggioranza, i listini del presidente,<br />

la cooptazione, il voto disgiunto e i quesiti referendari del sì che vuol dire<br />

no. Potrà sembrare una provocazione, ma la famiglia - come cellula prima relazionale<br />

riconosciuta nella nostra Carta Costituzionale - manca del principio di effettività<br />

nel primo grande diritto, quello di poter dire la sua, attraverso il peso del voto, nella<br />

democrazia italiana. Una situazione risolvibile attraverso il noto meccanismo elettorale<br />

del voto disgiunto, che romperebbe l’egualitarismo tra due cose che sono diverse,<br />

il voto da singolo cittadino e quello da genitore rappresentante del nucleo familiare,<br />

di cui all’articolo 29 <strong>della</strong> Costituzione. Non si toglierebbe nulla ai primi,<br />

mentre si aggiungerebbe una nuova dinamica alla democrazia italiana con il riconoscimento<br />

<strong>della</strong> soggettività <strong>politica</strong> <strong>della</strong> famiglia.<br />

<br />

48<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Modelli in crisi<br />

Cinque opzioni<br />

per una cultura di governo<br />

Elaborare una nuova cultura di governo del Paese – e<br />

una conseguente proposta di governo – che abbiano la<br />

necessaria organicità e coerenza con un’ispirazione cristiana<br />

laicamente e autonomamente espressa sul terreno<br />

politico, significa affrontare una mole di problemi il<br />

cui sviluppo e le cui connessioni formino il quadro<br />

d’insieme di ciò che riteniamo essenziale per la società<br />

italiana dei nostri giorni e la sua proiezione nel contesto<br />

internazionale. Per fare questo è necessario un confronto<br />

preliminare tra le opzioni di fondo che devono caratterizzare<br />

questa visione d’insieme. Qui di seguito ne<br />

proponiamo cinque perché su di esse possano esserci<br />

una valutazione comune e un’aggregazione di intenti.<br />

<strong>La</strong> premessa dalla quale partire è che mentre inizia il secondo<br />

decennio del secolo, un ciclo e un modello di sviluppo<br />

del Paese sono giunti alla fine del loro corso, sempre più in<br />

affanno e incapaci di dare le risposte indispensabili alle nuove<br />

questioni poste dalla sfera del lavoro e delle imprese, dalle urgenze<br />

sociali, dalla condizione giovanile, dall’immigrazione,<br />

dalle innovazioni tecnologiche, dalla globalizzazione, dallo<br />

straordinario sviluppo delle comunicazioni che in questi anni<br />

ha affiancato un nuovo mondo virtuale a quello reale.<br />

Quella che abbiamo di fronte non è una crisi congiunturale<br />

ma strutturale. È un intero modello degli ultimi decenni,<br />

culturale, politico, istituzionale, di relazioni sociali che non<br />

regge più all’urto dei cambiamenti in corso. <strong>La</strong> crisi va affrontata<br />

dunque con un paradigma nuovo di analisi e di proposte.<br />

Perciò, girata la boa dei 150 anni dell’unità del Paese sta a tutti<br />

GIUSEPPE SANGIORGI<br />

Saggista<br />

≈<br />

«Stiamo vivendo<br />

una nuova epoca<br />

di cambiamento<br />

che chiama in<br />

causa la capacità<br />

progettuale di<br />

ciascuno, sui<br />

problemi dello<br />

sviluppo e <strong>della</strong><br />

organizzazione<br />

dello Stato […].<br />

L’obiettivo […] è<br />

quello di dare vita<br />

partendo dal<br />

basso a una<br />

rinnovata cultura<br />

del governo di<br />

ispirazione<br />

cristiana».<br />


Giuseppe Sangiorgi<br />

noi interrogarci su quale idea di futuro la società italiana esprime oggi con le sue dinamiche<br />

e le sue stesse contraddizioni. Compiere una tale riflessione significa innanzitutto<br />

chiederci quale è lo stato <strong>della</strong> democrazia del Paese e quali sono le sue prospettive.<br />

Una democrazia che i cattolici hanno contribuito a edificare lungo un percorso<br />

complesso, che nel corso del tempo li ha resi partecipi e protagonisti sul terreno civile<br />

attraverso i loro valori e i loro riferimenti, a iniziare dagli orientamenti espressi dalla<br />

Dottrina Sociale <strong>della</strong> Chiesa e dal popolarismo sturziano. Questo percorso non può<br />

mai dirsi concluso. Esso ha avuto fasi e stagioni diverse, come quelle politiche del cattolicesimo<br />

democratico, in un continuo intreccio con gli eventi storici del Paese.<br />

Una nuova epoca<br />

Oggi stiamo vivendo una nuova epoca di cambiamento che chiama in causa<br />

la capacità progettuale di ciascuno sui diversi problemi dello sviluppo e <strong>della</strong> organizzazione<br />

dello Stato. L’enorme livello di evasione fiscale annua – oltre 150 miliardi<br />

di euro – la burocratizzazione e il costo insopportabile <strong>della</strong> macchina pubblica<br />

e dei servizi sociali, la perdurante congiuntura economica danno la misura di<br />

uno squilibrio strutturale del Paese. Tutto ciò provoca un grande disorientamento,<br />

ma deve generare anche un desiderio di rinascita e un ritrovato senso etico e civico.<br />

I conflitti tra i diversi poteri istituzionali, il susseguirsi degli scandali, la corruzione,<br />

l’indecenza dei comportamenti personali di uomini pubblici che hanno<br />

finito con il compromettere l’immagine dell’intero il Paese, l’autismo di partiti<br />

chiusi dentro le loro logiche autoreferenziali, l’oscillazione fra una prospettiva statuale<br />

unitaria e una federalista poste in contrapposizione tra loro non aiutano a fare<br />

la chiarezza necessaria sui tanti aspetti che coinvolgono la vita quotidiana, le speranze<br />

e il destino dei cittadini.<br />

Proposta di un nuovo cammino: la “Carta d’Intesa”<br />

Per tali motivi un primo gruppo di soggetti sociali cattolici da tempo legati<br />

all’appuntamento annuale <strong>della</strong> “Tre giorni di Toniolo” di Pisa San Miniato, hanno<br />

deciso di dare vita a una Carta d’Intesa per un coordinamento <strong>della</strong> loro presenza<br />

e delle loro iniziative ed hanno condiviso a Prato il 7 maggio 2011, intorno al<br />

vescovo Gastone Simoni, un documento in tal senso da portare all’attenzione di altri<br />

gruppi e di altri soggetti che hanno a cuore anch’essi il bene comune del Paese<br />

(vedi Civitas n. 3/2010 - n. 1./2011).<br />

Le opzioni che proponiamo muovono dagli impegni presi in questo documento;<br />

ne rappresentano un inizio operativo. Esse riguardano cinque aree tematiche<br />

– democratica, istituzionale, economica, culturale educativa e <strong>politica</strong> – affin-<br />

50<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Giuseppe Sangiorgi<br />

ché le risposte ai problemi posti, anche attraverso la predisposizione di specifiche<br />

schede di analisi e l’apporto di contributi individuali e collettivi, diano vita nel loro<br />

insieme a una aggiornata cultura di governo posta al servizio di una nuova fase<br />

di sviluppo del Paese. Soltanto da una rinnovata cultura di governo potrà scaturire<br />

infatti una proposta di governo da portare sul terreno <strong>della</strong> <strong>politica</strong> e dei partiti.<br />

Opzione democratica<br />

Perché non resti una enunciazione sempre più formale e retorica la democrazia<br />

– che ha un inscindibile legame con l’essenza stessa del cristianesimo, oggetto<br />

di uno specifico approfondimento – va concretamente concepita e sostenuta come<br />

il quotidiano riferimento deliberativo del Paese. <strong>La</strong> democrazia che intendiamo affermare<br />

è quella rappresentativa delle istituzioni centrali e locali, e insieme quella<br />

partecipativa dei corpi sociali ai più diversi livelli. L’incontro e la collaborazione tra<br />

questi due soggetti <strong>della</strong> democrazia avviene attraverso gli anelli di congiunzione<br />

<strong>della</strong> sussidiarietà e <strong>della</strong> solidarietà: una nuova alleanza in una logica cooperativa e<br />

non più antagonista fra i protagonisti istituzionali e quelli sociali.<br />

<strong>La</strong> sussidiarietà è la costruzione dal basso del governo del Paese. Altrettanto lo è<br />

la solidarietà se essa è intesa non come mera redistribuzione di risorse ma come<br />

virtù produttiva e dinamica. In tale modo e alla luce dei nuovi tempi e delle nuove<br />

urgenze – pensiamo alla domanda di cittadinanza posta dagli immigrati divenuti<br />

stabilmente in pochi decenni oltre cinque milioni – va reinterpretato il binomio<br />

democrazia e giustizia sociale. Lo stesso squilibrio strutturale rappresentato oggi<br />

dai costi <strong>della</strong> previdenza e dell’assistenza sociale non è superabile se non attraverso<br />

una logica organizzativa fondata sulla sussidiarietà e sulla solidarietà, con un nuovo<br />

protagonismo dei corpi intermedi e una concezione del rilievo pubblico dei bisogni<br />

al quale non debba corrispondere di per sé meccanicamente la statalizzazione/burocratizzazione<br />

<strong>della</strong> risposta ai bisogni.<br />

Opzione istituzionale<br />

Strettamente legato al tema <strong>della</strong> democrazia c’è quello delle istituzioni. L’agenda<br />

istituzionale è dominata oggi dalla prospettiva del federalismo. Che cosa si<br />

intende per federalismo? <strong>La</strong> risposta chiama in causa i contenuti del nuovo titolo<br />

quinto <strong>della</strong> seconda parte <strong>della</strong> Costituzione approvato dal Parlamento con legge<br />

costituzionale nel 2001. Una legge delega del 2009 relativa al cosiddetto “federalismo<br />

fiscale” ne ha rappresentato una prima fase attuativa attraverso i relativi decreti<br />

legislativi, ma essa non esaurisce la portata innovativa <strong>della</strong> riforma del titolo<br />

quinto <strong>della</strong> Costituzione, rispetto alla quale resta aperta la duplice opzione di approdo<br />

verso un inedito federalismo o invece verso un più marcato regionalismo,<br />

secondo il disegno originario <strong>della</strong> Costituzione repubblicana.<br />

Ciò che nei prossimi anni sarà dunque in gioco è la prospettiva unitaria posta<br />

dall’articolo cinque <strong>della</strong> Costituzione (“<strong>La</strong> Repubblica, unica e indivisibile, rico-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

51


Giuseppe Sangiorgi<br />

nosce e promuove le autonome locali…”): il riconoscimento e lo sviluppo più ampio,<br />

particolarmente sentito dai cattolici, del decentramento e delle autonomie locali<br />

dunque, ma lungo un percorso che è insieme e dentro il processo unitario, non<br />

fuori e contro il processo unitario del Paese. Il 2011 in particolare si è caratterizzato<br />

per un contrasto sempre più dirompente sull’unità del Paese. Incalzata dal Capo<br />

dello Stato su questo tema la Lega Nord ha evocato nel settembre scorso oltre alla<br />

secessione, il diritto all’autodeterminazione delle regioni settentrionali. Sarà questo<br />

il terreno dello scontro.<br />

Opzione economica<br />

Le delusioni storiche derivanti dal collettivismo e da un liberismo sempre più<br />

finanziario e speculativo pongono il tema di un’economia civile di mercato che<br />

sappia comporre finalmente il profitto e la solidarietà: è questa la scommessa di<br />

una rinnovata cultura di governo che voglia tradursi in una <strong>politica</strong> economica volta<br />

al bene comune e ad un armonico sviluppo rispettoso <strong>della</strong> dignità umana, così<br />

come delle risorse naturali e ambientali di ciascun Paese. <strong>La</strong> crisi economica italiana<br />

si inserisce con le sue peculiarità in un contesto di crisi internazionale che non a<br />

caso vede risparmiata in notevole misura la Germania, la nazione europea che da<br />

oltre sessanta anni ha compiuto la scelta dell’economia sociale di mercato.<br />

L’enciclica Caritas in Veritate ha fatto di questa forma di economia una indicazione<br />

su scala planetaria: “… Il mercato non è, e non deve perciò diventare, di per<br />

sé il luogo <strong>della</strong> sopraffazione del forte sul debole…” (punto 46). <strong>La</strong> carità dunque,<br />

intesa come valore e come mano stavolta non invisibile del mercato; l’<strong>etica</strong> intesa<br />

come “fattore intrinseco delle leggi economiche”, secondo quell’affermazione<br />

di Giuseppe Toniolo che ha informato nel profondo il magistero <strong>della</strong> Chiesa dell’intero<br />

Novecento caratterizzando questa istituzione come portatrice di sapienza<br />

sociale. Il primo festival <strong>della</strong> Dottrina Sociale <strong>della</strong> Chiesa realizzato a Verona a<br />

metà settembre 2011 dai circoli Toniolo di don Adriano Vincenzi ha posto l’accento<br />

sugli aspetti concreti di questa prospettiva. <strong>La</strong> parola d’ordine era: basta lamentarsi.<br />

A fine settembre, nella sede di Civiltà Cattolica Stefano Zamagni ha calcolato<br />

che se ci fosse il necessario sostegno di <strong>politica</strong> economica, in Italia potrebbero nascere<br />

in breve tempo 50 mila nuove imprese sociali che una logica puramente capitalistica<br />

è incapace di realizzare.<br />

Opzione culturale educativa<br />

Si parla comunemente oggi di “emergenza educativa”. Lo si fa rispetto ai giovani<br />

e al loro disorientamento sui modelli da seguire; rispetto a un devastante diffondersi<br />

di consumo di droghe tra gli stessi giovani; rispetto a comportamenti sociali<br />

improntati a forme esasperate di individualismo e di relativismo; rispetto a innovazioni<br />

tecnologiche che vedono fasce intere di popolazione emarginate dai nuovi<br />

processi di sviluppo. Gli esempi sono innumerevoli e riguardano i più diversi<br />

52<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Giuseppe Sangiorgi<br />

aspetti <strong>della</strong> vita civile. Un antico patrimonio di legami comportamentali, affettivi,<br />

relazionali si è consumato e ad esso non si sa che cosa sostituire nei comportamenti<br />

individuali e collettivi: è un problema di identità personale e di identità nazionale<br />

anche in rapporto alla <strong>dimensione</strong> europea nella quale viviamo.<br />

Contro le paure che derivano da tutto questo, contro la rassegnazione che spesso<br />

ne consegue l’emergenza educativa va trasformata in una sfida educativa: significa<br />

porre al centro l’innovazione sociale come fattore di sviluppo, per ritrovare un<br />

nuovo e condiviso senso <strong>della</strong> nostra cittadinanza e <strong>della</strong> nostra appartenenza a una<br />

storia comune. I due progetti politici di centro destra e di centro sinistra che si sono<br />

confrontati negli ultimi vent’anni nel Paese, nei loro valori di riferimento sono stati<br />

sostanzialmente acattolici. Il debito pubblico è continuato a salire, ma insieme con<br />

esso sono cresciute le disuguaglianze. Il dato demografico è il riscontro più evidente<br />

di un Paese che non crede al proprio futuro e dunque non investe in se stesso.<br />

Opzione <strong>politica</strong><br />

<strong>La</strong> <strong>politica</strong> è di per sé <strong>dimensione</strong> internazionale dei problemi europei e mondiali.<br />

Una cultura di governo che non sia permeata integralmente da questa visione<br />

è destinata ad arenarsi nelle secche del provincialismo. Tanto più per i cattolici, per i<br />

quali la <strong>politica</strong> è esercizio di carità e la carità, insegna Antonio Rosmini, è per sua<br />

natura universale. Dunque una tale visione internazionale dei problemi è la prima<br />

riaffermazione da compiere. C’è poi da considerare l’aspetto dei partiti, che <strong>della</strong><br />

<strong>politica</strong> sono il principale strumento. Rispetto al modo attuale di elaborazione delle<br />

loro proposte, di selezione dei quadri, di democrazia interna e di finanziamento <strong>della</strong><br />

loro esistenza, i partiti rappresentano oggi il lato oscuro <strong>della</strong> democrazia italiana.<br />

Questo essere diventati il lato oscuro <strong>della</strong> nostra democrazia è il punto nevralgico<br />

<strong>della</strong> crisi. Occorre ripartire dall’articolo 49 <strong>della</strong> Costituzione determinando<br />

l’aspetto economico e la natura giuridica che ai partiti deriva dal loro ruolo: “Tutti<br />

i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con<br />

metodo democratico a determinare la <strong>politica</strong> nazionale”. Una “operazione verità”<br />

su ciò che il Paese non può più permettersi di essere, vivere di rendite e di consumi<br />

invece che di lavoro e di investimenti, deve iniziare da ciò che i partiti per primi<br />

non possono più essere: gerarchie oligarchiche che vivono di cooptazione invece<br />

che di ricambio reale del proprio personale e di maturazione condivisa dei propri<br />

progetti. <strong>La</strong> democrazia è il tempo <strong>della</strong> decisione, spiegava Aldo Moro: è il tempo<br />

necessario perché una proposta guadagni il necessario consenso per diventare iniziativa<br />

<strong>politica</strong>. Questo non può non riflettersi sul modo di essere dei partiti.<br />

Ecco dunque le cinque opzioni: una concezione <strong>della</strong> democrazia che sia insieme<br />

rappresentativa e partecipativa; uno sviluppo delle autonomie che si svolga<br />

dentro e insieme al processo unitario e non fuori e contro di esso; una riconversione<br />

dell’apparato produttivo nella direzione dell’economia civile di mercato; un<br />

nuovo e condiviso senso di cittadinanza e di appartenenza come sfida culturale<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

53


Giuseppe Sangiorgi<br />

educativa; la <strong>politica</strong> come <strong>dimensione</strong> internazionale e partiti che ne siano strumenti<br />

trasparenti, con una legge elettorale che restituisca ai cittadini il diritto di<br />

scegliere e rifondi il “patto parlamentare” del Paese.<br />

L’obiettivo posto dalla Carta d’Intesa condivisa a Prato è quello di dare vita<br />

partendo dal basso a una rinnovata cultura di governo di ispirazione cristiana. <strong>La</strong><br />

gerarchia ecclesiastica, anche con le recenti e ripetute sollecitazioni espresse dal vertice<br />

<strong>della</strong> CEI è tornata a incoraggiare – dopo anni di atteggiamento diverso, se<br />

non ostile rispetto a una tale eventualità – un percorso di assunzione autonoma di<br />

responsabilità dei laici impegnati sul piano civile. Le opzioni proposte qui, se condivise<br />

sono al tempo stesso la cornice entro la quale lavorare alle schede di approfondimento<br />

proposte dalla “Tre giorni di Toniolo” di fine 2011, e un concreto<br />

passo di aggregazione nella direzione posta dalla Carta d’Intesa di Prato.<br />

54<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


EUROPA<br />

Un processo irreversibile. L’Europa unita verso gli “Stati Uniti d’Europa” - di<br />

Amos Ciabattoni<br />

Credere nell’Unione europea. Sfida a scetticismo e populismo - di Flavio Mondello<br />

Intervista a cura di Amos Ciabattoni<br />

Il modello sociale europeo. Un fattore decisivo per superare la crisi - di Marco<br />

Ricceri<br />

Cos’è l’Europa? Fabbisogno di una cultura per l’unità europea - di <strong>La</strong>ura Balestra


Un processo irreversibile<br />

L’Europa unita verso gli<br />

“Stati Uniti d’Europa”<br />

Il problema maggiore con cui si è confrontata l’Unione europea è la crisi finanziaria,<br />

economica, occupazionale, innestatasi oltre Atlantico, che vede duri attacchi<br />

speculativi ai debiti sovrani di Paesi membri dai bilanci in disordine e determina<br />

drammatiche psicosi di fallimenti statali, di crollo dell’euro e dell’intero processo<br />

di integrazione europea, con accuse alle istituzioni EU di incapacità di affrontare<br />

correttamente la gravità <strong>della</strong> situazione e con pesanti ricadute sulla crescita<br />

e sull’occupazione.<br />

Purtroppo la psicosi è alimentata da potenti forze finanziarie extra Zona euro;<br />

da una colpevole insufficiente ricaduta informativa delle decisioni di severi e coraggiosi<br />

provvedimenti anti crisi assunti a Bruxelles dai capi di Stato e di Governo dei<br />

Paesi membri che adottano l’euro; dalle difficoltà, in alcuni casi, di farle avallare<br />

dalla stessa maggioranza governativa in Parlamento; da preoccupazioni elettorali<br />

che alimentano dei ritardi decisionali anche se in definitiva non li impediscono; da<br />

dichiarazioni sprovvedute di leader politici; dal proliferare di dichiarazioni populiste<br />

ed euroscettiche.<br />

Ci si deve domandare perché non si è affrontata la decisione, impedita per lungo<br />

tempo, a cominciare dalla firma del Trattato di Roma, di instaurare un governo<br />

europeo dell’economia affiancato a quello <strong>della</strong> moneta unica. Governo con ben<br />

definite procedure annuali condizionanti le proposte nazionali del bilancio pubblico<br />

al controllo collettivo comunitario; all’obbligo di rispettare le indicazioni decise<br />

in comune per riportare ordine nei conti pubblici; alla imposizione di severe punizioni<br />

sufficientemente automatiche per gli inadempimenti; alla unanime decisione,<br />

anche se sofferta da parte del maggior contributore, la Germania, ma comunque<br />

nel suo interesse, di impedire solidariamente il fallimento di uno Stato membro<br />

dal debito sotto violento attacco speculativo; la creazione di appositi meccanismi<br />

intergovernativi dell’Eurozona per un aiuto condizionato, praticamente un<br />

Fondo monetario europeo; la salvaguardia ad ogni costo dell’Euro e dell’Unione<br />

economica e monetaria.<br />

Si imputa d’altra parte il rischio di fallimento dell’Unione soprattutto a una<br />

mancanza di un’Europa <strong>politica</strong> sottovalutando il fatto che con le varie politiche<br />

comuni, con il governo europeo <strong>della</strong> moneta e dell’economia, con la libera circolazione<br />

dei cittadini, con la carta dei diritti fondamentali, si crea un legame indissolubile<br />

tra i cittadini e gli stati membri nel rispetto delle identità di ciascuna na-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

57


Amos Ciabattoni<br />

zione partecipante come in un contesto di Confederazione, e nella prospettiva di<br />

un continuo progresso verso una futura costituzione europea: in sostanza verso gli<br />

“Stati Uniti d’Europa”.<br />

È innegabile che lo “stato” del processo di unificazione europea costituisce<br />

oggi una emergenza seria e vasta, almeno quanto sono vasti i suoi confini. Ma il<br />

suo assetto di fondo e soprattutto i tanti effetti positivi prodotti dalle sue regole,<br />

non consentono che si parli di “crisi” demolitoria. Anche perché il processo unificatorio<br />

ha ormai assunto carattere di irreversibilità che penetra, sebbene con spessori<br />

diversi, nei destini di tutti i ventisette Paesi aderenti. E nei rapporti tra Paesi e<br />

Continenti. E quindi del mondo intero.<br />

Appare però necessario e urgente rivedere le “Regole fondanti” per aggiornarle<br />

all’evoluzione dei tempi e riparare, se così si può dire, ad alcune carenze di partenza.<br />

In particolare quelle che ancora non hanno consentito all’Unione Europea di dotarsi<br />

di una Costituzione in grado di far progredire l’esigenza di una unione <strong>politica</strong><br />

anzitutto alla necessità che gli Stati debbano commettere alcune sovranità che alla<br />

lunga appariranno sempre meno compatibili con il concetto di “Stati Uniti”.<br />

In particolare:<br />

– l’adesione ad un sistema economico di gestione comune sostenuto da una parallela<br />

<strong>politica</strong> di gestione delle risorse e delle potenzialità finanziarie;<br />

– la delega per una <strong>politica</strong> comune <strong>della</strong> “diplomazia”, in grado di rendere efficaci<br />

i rapporti con il resto del mondo e far assumere all’Europa il ruolo di potenza<br />

che conta. Così dicasi per un sistema comune di difesa;<br />

– le regole per indirizzi comuni di <strong>politica</strong> “sociale”, necessarie per l’equità e la<br />

giustizia per recuperare i dislivelli che in tale campo esistono e perdurano tra i<br />

paesi dell’Unione:<br />

– la creazione e diffusione di una “Cultura” che sostenga e alimenti una identità<br />

comunitaria dei Paesi aderenti, <strong>della</strong> ricchezza dei patrimoni e delle tradizioni<br />

che la Storia ha consentito di accumulare ad ognuno di essi.<br />

Chiaramente, dinnanzi a tali auspicati indispensabili sviluppi, si pone il problema<br />

di come procedere. Le strade che vengono indicate sono diverse, come diversi<br />

sarebbero gli effetti che produrrebbero.<br />

Tra esse: il cambiamento (adeguamento) dei Trattati – una Europa a “doppia<br />

velocità” – la rinuncia alla unanimità delle decisioni – e altri orientamenti.<br />

<strong>La</strong> ricerca stessa, comunque, è un’indicazione di volontà a resistere, esistere e<br />

dare maggiore forza all’unità del Continente. In sostanza a considerare “irreversibile”<br />

il processo.<br />

58<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Amos Ciabattoni<br />

«Civitas» offre sull’Europa alcuni aspetti del suo complesso esistenziale, con<br />

animo volto all’ottimismo e alla convinzione <strong>della</strong> irreversibilità del processo che<br />

ha per meta gli “Stati Uniti d’Europa”.<br />

Il contributo offerto da Flavio Mondello rifà la storia del cammino percorso e<br />

ne spiega le luci, le ombre, le prospettive ma soprattutto il lavoro che è stato fatto e<br />

che è in cantiere, per dare una identità solida, moderna ed efficace all’Unione.<br />

Una ricostruzione nutrita dell’ottimismo di uno studioso che da sempre segue,<br />

passo dopo passo e giorno dopo giorno, la vita e i progressi dell’epocale costruzione<br />

che la storia impone e asseconda.<br />

Il saggio di Marco Ricceri punta sulla necessità di adottare un modello sociale<br />

europeo, indicandolo come fattore legante e decisivo per superare la crisi.<br />

L’articolo di <strong>La</strong>ura Balestra ripropone la necessità di una Cultura unificante per<br />

l’identità e la forza dell’Unione, nutrita <strong>della</strong> linfa stessa di cui si nutrono le diffuse<br />

radici <strong>della</strong> millenaria storia del continente.<br />

Il tutto, per contribuire a consolidare l’ottimismo e la speranza nei traguardi ai<br />

quali mira la grande impresa che la storia commette in modo irreversibile ai popoli<br />

<strong>della</strong> grande Europa. E far conoscere meglio la storia del “sogno” dell’Europa unita,<br />

farla diventare concreta realtà, esserne fieri e consapevoli partecipi come italiani.<br />

Amos Ciabattoni<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

59


Credere nell’Unione Europea<br />

Sfida a scetticismo e populismo<br />

«Civitas»: L’ideale dell’unificazione europea ha visto, dall’immediato dopoguerra,<br />

l’Italia tra le nazioni più convinte e decise. L’opera di De Gasperi, a fianco<br />

di Adenauer e di Schuman è stata decisiva per dare vita alle prime istituzioni<br />

comunitarie sullo sviluppo delle quali si è innestata l’intera costruzione <strong>della</strong><br />

unione continentale.<br />

Eppure, nonostante questo patrimonio di meriti, il nostro Paese non percepisce<br />

ancora appieno l’importanza e la vitale necessità dell’Europa unita e appare<br />

marginale nella guida delle relative istituzioni. È una realtà questa oppure una<br />

sensazione? Nel primo caso è possibile una spiegazione?<br />

Flavio Mondello: Immediatamente dopo la seconda guerra mondiale sono falliti<br />

vari tentativi degli Stati Uniti di far decidere da una entità unitaria europea la<br />

ripresa economica di una Europa che occorreva far rinascere dalle spaventose distruzioni<br />

belliche in particolare con gli aiuti del Piano Marshall (1947). D’oltre<br />

atlantico si voleva anche scongiurare un’avanzata del comunismo sovietico, dato<br />

che Mosca aveva rifiutato l’invito a questa coesione <strong>politica</strong> e mirava a comunistizzare<br />

l’Europa occidentale come aveva già fatto con l’Europa orientale.<br />

I Paesi dell’Europa occidentale, allora, non erano ancora maturi per una tale<br />

esperienza unitaria.<br />

<strong>La</strong> Francia, tramite l’ispiratore Jean Monnet e l’uomo di potere Robert Schuman,<br />

Ministro degli Esteri, preoccupati del rischio di un ritorno sulla scena europea<br />

di una Germania agguerrita e constatati i limiti <strong>della</strong> capacità francese di risollevare<br />

da sola le sorti dell’Europa, ha reagito lanciando il 9 maggio 1950 una iniziativa<br />

più limitata in ampiezza ma più efficace, offrendo ad Adenauer, Cancelliere<br />

di un Paese vinto, di sedere allo stesso tavolo dei vincitori per mettere in comune<br />

gli elementi base <strong>della</strong> guerra: il carbone e l’acciaio e quindi per controllare anche i<br />

“Baroni” <strong>della</strong> Rhur, così da rendere impossibili ulteriori tragici conflitti intraeuropei<br />

e garantire una pace duratura.<br />

Ottenuto un immediato consenso dal Cancelliere tedesco, Parigi ha allargato<br />

l’invito ai Paesi Europei interessati ed ha subito ottenuto un convinto e deciso so-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

Intervista a Flavio Mondello*<br />

acuradiAmos Ciabattoni<br />

* Coordinatore del Gruppo dei 10, Docente al Collegio Europeo di Parma.<br />

61


Flavio Mondello<br />

stegno dell’Italia di De Gasperi insieme a quella dei tre piccoli Paesi del Benelux:<br />

Olanda, Belgio e Lussemburgo.<br />

È così nata col Trattato di Parigi del 1951, anche superando talune difficoltà, la<br />

prima Comunità Europea, quella del Carbone e dell’Acciaio, gestita da una Alta<br />

Autorità sopranazionale di contenuto economico e con la prospettiva di una integrazione<br />

<strong>politica</strong> europea, da raggiungere per tappe successive che consolidassero<br />

sempre più ampie solidarietà tra i partner.<br />

Nel centro del potere legislativo <strong>della</strong> CECA Francia e Germania avevano ciascuna<br />

due Membri dell’Alta Autorità, mentre l’Italia ed i singoli Paesi del Benelux<br />

ne avevano uno ciascuno.<br />

Il carattere sopranazionale ed autoritario <strong>della</strong> CECA ha consentito di smantellare,<br />

per questi 2 prodotti, incrostate barriere commerciali tra i 6 Paesi e di introdurre<br />

la libera concorrenza interna sia tra produttori carbonieri che siderurgici.<br />

I 6 Governi avevano allora un ruolo inferiore a quello sopranazionale dell’A.A.<br />

e l’Assemblea Parlamentare svolgeva un compito solo consultivo, mentre agiva con<br />

pieni poteri la Corte di Giustizia europea.<br />

L’aspirazione di una Europa unita <strong>politica</strong>mente<br />

–Icittadinidei6Paesifondatori,piùchedagliastrusi aspetti tecnici di questa<br />

prima Comunità, (che pur prometteva sviluppo e benessere, ma che era abbastanza<br />

difficile da seguire nei suoi aspetti operativi), si dimostravano interessati e credevano<br />

nella possibilità di una evoluzione verso il mito di una Europa <strong>politica</strong>mente integrata,<br />

da costruirsi non certo in una sola volta né tutta insieme, ma con progressive<br />

realizzazioni di solidarietà e rinunce di sovranità.<br />

A livello politico degli Stati membri, tuttavia, non si condivideva completamente<br />

l’accelerazione di questa aspirazione dei cittadini: infatti non si era ratificato<br />

nel 1952, a seguito del determinante no francese e senza neppure più la pronuncia<br />

del Parlamento italiano, il completamento dell’iniziativa economica con un immediato<br />

sostanziale passo avanti sul piano militare attraverso il Trattato istitutivo <strong>della</strong><br />

Comunità Europea <strong>della</strong> Difesa (CED). In questo, De Gasperi personalmente, era<br />

riuscito ad inserire un esplicito riferimento al futuro traguardo politico europeo.<br />

Tale fallimento aveva trascinato subito dopo, nel 1953, la mancata approvazione<br />

di un Trattato costitutivo <strong>della</strong> Comunità Politica Europea che prevedeva la formazione<br />

di Istituzioni politiche soprannazionali.<br />

Fin dagli anni 50 l’aspirazione ad una Europa <strong>politica</strong> unitaria si urtava contro<br />

l’impossibilità di una troppo rapida realizzazione. Anche oggi, a distanza di sole 6<br />

decine di anni e nonostante voci la sollecitino nell’immediato, sembra concretamente<br />

possibile solo una lenta anche se continua maturazione, attraverso successivi<br />

passi avanti dell’integrazione di quella che ora si definisce Unione Europea. Passi<br />

che si stanno puntualmente realizzando ad ogni superamento di inevitabili crisi di<br />

percorso.<br />

62<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

Tuttavia è il contenuto di questa Unione Europea che sta diventando sempre<br />

più politico oltre che economico.<br />

«C.»: Il “Trattato di Roma” sembrò coronare in tutto e per tutto il sogno unitario.<br />

Poi però lo slancio ha fatto registrare ostacoli che ne hanno modificato il percorso.<br />

Sull’unificazione “<strong>politica</strong>” come premessa, ha preso via via il sopravvento<br />

l’aspetto economico, legato soprattutto all’introduzione <strong>della</strong> “moneta unica” e il<br />

progressivo allargamento che porta l’Unione agli attuali 27 membri non è avvenuto<br />

disponendo di una “Costituzione” con principii, diritti e doveri di ciascuno Stato<br />

aderente. Quanto ha influito questo aspetto sulla costruzione dell’Unione che di<br />

fatto ha lasciato agli Stati quasi totale autonomia, allontanando la prospettiva sognata<br />

degli “Stati Uniti d’Europa” e rafforzando a volte pervicaci nazionalismi?<br />

F.M.: Il Trattato di Roma del 1951 ha consacrato il successo <strong>della</strong> prima Comunità<br />

economica limitata al Carbone ed all’Acciaio ed ha allargato il campo d’azione<br />

creando la Comunità Economica Europea (CEE) con sede a Bruxelles, competente<br />

di una ampia gamma di attività economiche. L’obiettivo principale è divenuto<br />

la realizzazione di un “mercato comune”.<br />

<strong>La</strong> CEE ha tuttavia dimostrato una forte reticenza su tre politiche fondamentali:<br />

quella dei bilanci pubblici nazionali e più in generale delle politiche economiche<br />

nazionali, quella monetaria e quella sociale che hanno conservato il ruolo decisionale<br />

essenzialmente nazionale. <strong>La</strong> <strong>politica</strong> sociale era da considerarsi, a livello di<br />

ogni Stato membro, solo una conseguenza del processo di integrazione del mercato.<br />

Nulla sulla Politica estera e di difesa e su quelli che si definivano Affari interni.<br />

Nessun riferimento ad un traguardo di Europa <strong>politica</strong>mente unita. In sostanza<br />

tutto era ancora concentrato sul mercato.<br />

Ma l’aspetto regressivo,rispetto al Trattato CECA, è stato la soppressione <strong>della</strong><br />

Alta Autorità e quindi <strong>della</strong> sopranazionalità. I Governi degli Stati membri hanno<br />

ripreso il loro primato nel processo decisionale comunitario.<br />

Il nuovo metodo decisionale <strong>della</strong> CEE, che è pur sempre un rilevante e rivoluzionario<br />

passo avanti rispetto a quello degli Stati membri, prevedeva che: la Commissione<br />

ha il diritto dovere di avanzare proposte ed ha, su delega del Consiglio, il<br />

potere esecutivo, il Consiglio (composto dai rappresentanti dei Governi) ha il potere<br />

legislativo ed il Parlamento Europeo esprime solamente Pareri anche se può<br />

rovesciare la Commissione.<br />

Crisi e progressi<br />

– Di Europa <strong>politica</strong> non si parla sul piano istituzionale ma solo nelle aspirazioni<br />

di taluni illuminati.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

63


Flavio Mondello<br />

Durante il processo di integrazione europea in corso sono intervenute varie crisi,<br />

anche gravi, che sono state risolte, in gran parte, con sostanziali passi avanti <strong>della</strong><br />

costruzione europea: ampliamento sia delle materie da integrare comunitariamente,<br />

sia del numero degli Stati che hanno chiesto l’adesione alla Comunità, sia<br />

del ruolo delle Istituzioni.<br />

Il Parlamento Europeo anziché comprendere Parlamentari nazionali è stato<br />

eletto a suffragio diretto, anche se non a livello comunitario, in ciascun Paese<br />

membro con procedure elettorali nazionali, rappresentando legittimamente i cittadini.<br />

Inoltre, ed è l’aspetto più rilevante, il Parlamento dopo anni di semplice ruolo<br />

consultivo, ha finalmente acquisito un potere legislativo che condivide, anche se<br />

ancora non su tutte le materie, con il Consiglio rappresentante i Governi degli Stati<br />

membri e che, tuttavia, rimane il principale legislatore comunitario.<br />

Per queste evoluzioni sono state necessarie numerose revisioni del Trattato di<br />

Roma e la Comunità economica si è trasformata in Unione Europea.<br />

Il ruolo dei Governi e dei Parlamenti nazionali<br />

– I Capi di Stato e di Governo si sono responsabilizzati personalmente in una<br />

nuova Istituzione comunitaria: il Consiglio Europeo che dal 1983 avanzava, ed oggi<br />

incomincia ad imporre dettagliatamente,i propri orientamenti alla Commissione, al<br />

Consiglio ed al Parlamento Europeo. Il metodo legislativo detto “comunitario”che<br />

assegna alla Commissione il potere-dovere di proporre le leggi UE sta evolvendo: si<br />

introduce un ruolo determinante degli Stati membri considerato da molti come<br />

“Processo intergovernativo”. Tuttavia il Presidente del Consiglio Europeo sta avviando<br />

questa evoluzione a causa dei problemi cruciali posti dalla grave crisi economico<br />

finanziaria internazionale che coinvolge severamente l’intera Unione Europea,<br />

ma esercita questo potere tenendosi in stretto contatto con la Commissione.<br />

Le decisioni comunitarie riflettono, attraverso compromessi finali, le capacità<br />

negoziali e di ricerca del consenso ricercando opportune alleanze, di ciascuno dei<br />

massimi esponenti politici degli Stati membri. Non sempre, a differenza di quanto<br />

era intervenuto agli inizi dell’Unione Economica Europea, qualcuno dei “grandi”<br />

Paesi ha recentemente saputo sviluppare le proprie potenzialità Non dovrebbero<br />

però esserci alibi per deresponsabilizzarsi dalle decisioni assunte dal Consiglio Europeo<br />

quando il leader rientra nel proprio Paese.<br />

Fatto questo estremamente importante perché ciascun Capo di Stato e di Governo<br />

deve sentirsi, di fronte al proprio Paese, responsabile di quanto si decide nel<br />

Consiglio Europeo, così come ogni Ministro, a seconda <strong>della</strong> competenza, è responsabile<br />

personalmente <strong>della</strong> decisione collettiva in Consiglio che di norma, attualmente,<br />

si prende a maggioranza, anche se in pochi casi ancora all’unanimità.<br />

Anche i Parlamentari europei, quando esercitano il loro potere colegislativo col<br />

Consiglio, devono sentirsi responsabili di fronte ai loro elettori delle decisioni assunte<br />

nell’Assemblea parlamentare con voto a maggioranza.<br />

64<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

«C.»: Quali sono stati i principali nuovi membri <strong>della</strong> costruzione Europea<br />

dopo 6 Paesi fondatori? L’apertura a Paesi dell’Europa occidentale, soprattutto al<br />

Regno Unito, che non avevano accettato di entrare nella prima Comunità Europea<br />

ed il massiccio inserimento di Paesi dell’Europa orientale, costretti a diventare<br />

satelliti di Mosca, poco omogenei per ideali, cultura, origini storiche, sono<br />

stati un fattore di debolezza o di forza del processo integrativo europeo?<br />

F.M.: <strong>La</strong> Gran Bretagna che aveva con sdegno respinto l’invito ad entrare nella<br />

CECA, ritenendosi ancora al vertice delle potenze mondiali con il dominio del<br />

Commonwealth e che per di più, con l’avvio <strong>della</strong> CEE, aveva invano tentato di<br />

sabotarla lanciando la formula alternativa di una semplice Zona di Libero Scambio,<br />

ha chiesto con accanimento l’ingresso nella CEE quando si era resa consapevole<br />

<strong>della</strong> sua perdita di potere internazionale.<br />

I ripetuti tentativi britannici di farsi accettare dalla CEE erano falliti per la resistenza<br />

del Generale De Gaulle che temeva l’ingresso di un cavallo di Troia degli<br />

Stati Uniti nella Comunità Europea, soprattutto perché di fronte al bottone nucleare<br />

francese Londra intendeva, se del caso, coordinare il proprio bottone a quello<br />

ben più potente di Washington.<br />

Usciti di scena i due principali attori del diverbio franco-britannico, Londra è<br />

finalmente entrata nella CEE con l’intenzione tuttavia di orientare il processo europeo<br />

secondo le proprie convinzioni, non certo favorevoli al rafforzamento di talune<br />

Istituzioni comunitarie quali Commissione e Parlamento Europeo e convinta<br />

di un ruolo sempre più rilevante degli Stati membri nel processo decisionale.<br />

Certamente la presenza del Regno Unito nella costruzione europea è stata indispensabile<br />

per la credibilità internazionale <strong>della</strong> Comunità. Ha indubbiamente<br />

creato difficoltà e rallentato il percorso evolutivo comunitario, ma, almeno sino ad<br />

ora, non è riuscita a modificarlo perché, in alcuni casi maggiori quali la moneta<br />

unica ed il Trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone, ha ottenuto<br />

di potervi non partecipare.<br />

L’ingresso dei Paesi occidentali<br />

– Praticamente quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale hanno aderito alla<br />

Comunità Europea pur mantenendo le loro caratteristiche storico-culturali. I disagiati<br />

Paesi meridionali hanno saputo rapidamente utilizzare i sostegni comunitari<br />

migliorando sostanzialmente il loro tenore di vita e soprattutto Grecia, Spagna e<br />

Portogallo, abbandonati i regimi dittatoriali, hanno consolidato la loro gestione<br />

democratica.<br />

Decisione sicuramente storica e soprattutto <strong>politica</strong> è stata l’accoglienza nell’Unione<br />

Europea di paesi dell’Europa orientale che, col crollo dell’impero sovieti-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

65


Flavio Mondello<br />

co, avevano ritrovato la loro libertà dopo essere stati satellizzati da Mosca e plasmati<br />

al comunismo a seguito <strong>della</strong> determinante partecipazione Russa alla sconfitta<br />

<strong>della</strong> Germania nazista.<br />

L’ingresso in blocco di questi Paesi nell’Europa integrata, sia pure con limitati<br />

periodi di adattamento, ma con l’obbligo di condividere gli obiettivi comuni e<br />

contribuire alla loro realizzazione, è stato un atto dovuto, ma soprattutto un atto<br />

strategico che ha delimitato lo spazio occidentale europeo di fronte al ricostituirsi<br />

<strong>della</strong> potenza <strong>della</strong> Federazione Russa nell’area democratica mondiale. Ha contribuito<br />

a consolidare la condizione di forza dell’Unione Europea nel negoziato di<br />

Partenariato strategico con Mosca tuttora in corso. Certamente gli adattamenti di<br />

Paesi saldamente europei, ridotti agli estremi dal regime comunista sovietico,richiederanno<br />

tempo, ma non intralceranno il processo integrativo comunitario.<br />

Tra loro taluni Paesi stanno compiendo aggiustamenti tali da farli aspirare alla<br />

partecipazione del nucleo più avanzato dell’Unione Europea: l’Eurozona.<br />

Deve tuttavia essere sottolineato che se non si eserciterà la massima severità nel<br />

pretendere dai nuovi membri il rispetto di tutti gli obiettivi dell’Unione si potrebbe<br />

rischiare di scivolare verso un doppione del Consiglio d’Europa di Strasburgo<br />

privo di effettivi poteri.<br />

«C.»: Sul tavolo staziona da lungo tempo il “caso” Turchia, paese di grande<br />

influenza sul Medio-Oriente e sul mondo islamico. Dopo i fatti che hanno sconvolto<br />

l’assetto dei Paesi del Nord Africa, la Turchia si prepara ad essere “un” se<br />

non “il” Paese guida dei cambiamenti.<br />

L’Europa deve rivedere il caso Turchia alla luce di tali fatti e considerare strategica<br />

la sua ammissione all’Unione per la maturazione <strong>della</strong> “primavera araba” e<br />

i nuovi rapporti con l’Europa?<br />

F. M.: Un ulteriore allargamento urgente dell’Unione Europea riguarda i Balcani<br />

Occidentali che costituiscono una “enclave” all’interno stesso dell’UE e quindi<br />

hanno una destinazione naturale nel processo di integrazione europea. Dopo la<br />

dissoluzione <strong>della</strong> Iugoslavia 8 Stati indipendenti <strong>della</strong> Regione hanno avviato il<br />

loro percorso per diventare membri dell’UE nel rispetto di precise condizioni che li<br />

rendano compatibili con gli attuali 27 Stati dell’Unione. <strong>La</strong> Slovenia è già diventata<br />

membro dell’U.E. nel 2004, la Croazia dovrebbe entrare nel 2012, ma la caduta<br />

del Governo per scandali di corruzione e la dissoluzione del Parlamento, ritarderanno<br />

l’ingresso. <strong>La</strong> Serbia si sta avvicinando al traguardo. Rimangono sotto esame<br />

le domande di Bosnia-Erzegovina, Albania, Kosovo, e antica Repubblica di Macedonia<br />

perché ancora non rispondono completamente alle sollecitazioni delle Istituzioni<br />

comunitarie soprattutto nel campo dello Stato di diritto, dell’anticorruzio-<br />

66<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

ne, <strong>della</strong> giustizia. A differenza del precedente grande allargamento dell’UE sono<br />

queste tre ultime condizioni assolutamente essenziali per l’ingresso nell’Unione. <strong>La</strong><br />

futura collocazione nell’UE dei Paesi dei Balcani Occidentali è comunque segnata<br />

anche se i tempi, proprio per le nuove imperative condizioni, saranno prolungati.<br />

Ben diverso è il caso <strong>della</strong> richiesta di entrare nell’UE da parte <strong>della</strong> Turchia che<br />

con i suoi 81,5 milioni di cittadini, gli 800.000 militari in servizio attivo e la lunga<br />

e importante partecipazione alla NATO, oltre alla presenza attiva nel Gruppo dei<br />

20, ha tuttavia il 95% di popolazione e di territorio in un continente diverso dall’Europa.<br />

<strong>La</strong> Turchia è passata da membro Associato alla Comunità Economica Europea<br />

nel 1963 a Paese candidato all’adesione, ed il negoziato in corso, anche se rallentato,<br />

è iniziato nel 2005, sottoposto a tre condizioni principali: riconoscere la Repubblica<br />

di Cipro membro UE, abbandonare l’occupazione militare <strong>della</strong> parte settentrionale<br />

dell’isola, riformare profondamente il campo del diritto e delle libertà civili, <strong>della</strong><br />

democrazia, e dell’uguaglianza, per mettersi in sintonia con l’Unione.<br />

I Paesi che ostacolano il negoziato<br />

– Dopo essersi aperti 13 dei 35 capitoli del negoziato, mentre altri più critici<br />

sono stati sospesi dal 2006 ed i rimanenti rimangono ancora chiusi, il negoziato si<br />

è rallentato perché Francia, Germania, Austria, Olanda hanno confermato la loro<br />

contrarietà ad una adesione preferendo con Ankara una Partnership privilegiata soprattutto<br />

economica, mentre sono rimasti favorevoli Italia, Regno Unito,Svezia,<br />

Spagna e Finlandia particolarmente interessati alla più stretta collaborazione con<br />

Ankara.<br />

<strong>La</strong> Francia ritiene che la Turchia divenuta membro UE giocherebbe nelle Istituzioni<br />

dell’Unione, ed in particolare nel Parlamento Europeo, un ruolo eccessivo<br />

a causa <strong>della</strong> sua alta popolazione, ed inoltre cancellerebbe la coerenza geo<strong>politica</strong><br />

dell’UE a causa <strong>della</strong> sua natura non europea, essendo considerata da Parigi Asia<br />

minore. Inoltre, almeno sino ad oggi, la Turchia è criticata per avere il primato delle<br />

condanne da parte <strong>della</strong> Corte Europea dei diritti dell’uomo. Per queste ragioni<br />

il Parlamento francese ha approvato una legge costituzionale che subordina l’eventuale<br />

accordo di adesione <strong>della</strong> Turchia ad un referendum popolare.<br />

<strong>La</strong> specificità <strong>della</strong> Germania<br />

– <strong>La</strong> Germania, che già comprende 2,5 milioni di persone con passaporto turco,<br />

vorrebbe la loro completa integrazione, ma d’altra parte sostiene che i cittadini turchi<br />

non sono in grado di assimilarsi a quelli tedeschi: quindi respinge l’idea di un<br />

aumento <strong>della</strong> presenza turca sul proprio territorio a seguito di un ingresso <strong>della</strong><br />

Turchia nell’UE. Condivide inoltre le preoccupazioni francesi sulle Istituzioni UE.<br />

I Paesi UE favorevoli all’adesione <strong>della</strong> Turchia le riconoscono il valore strategico<br />

di collegamento o di ponte tra Europa ed Asia Occidentale, di controllo dei due<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

67


Flavio Mondello<br />

più importanti corsi d’acqua dell’area, di tramite di rifornimento energetico dell’Europa,<br />

di modello sufficientemente democratico e liberale per altre società islamiche.<br />

L’Aspetto islamico-religioso e il ruolo <strong>della</strong> Turchia<br />

– Il problema islamico religioso posto dall’ingresso <strong>della</strong> Turchia nell’Unione<br />

non è sollevato al livello degli Stati membri UE perché essi stessi hanno voluto evitare<br />

nel Trattato di Lisbona qualsiasi riferimento a specifiche religioni, in particolare<br />

a quella cristiana: hanno infatti precisato di istituire una Unione Europea ispirandosi<br />

alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati<br />

i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili <strong>della</strong> persona, <strong>della</strong> libertà,<br />

<strong>della</strong> democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di diritto.<br />

Mentre il negoziato di adesione UE-Turchia è in fase di stanca il Governo turco<br />

gioca un ruolo sempre più attivo nell’effervescente Medio Oriente: si è distanziato<br />

dalla Siria di Assad, dall’Iran, e dagli Hezbollah filo siriani; in Egitto ed in Tunisia<br />

ha promosso il proprio modello democratico-islamico accompagnandolo da<br />

dichiarazioni anti Israele, in Libia ha seguito Francia e Gran Bretagna nel sostegno<br />

al Consiglio di transizione e nell’avviare rapporti di affari.<br />

Entrando nell’Unione Europea Ankara non rinuncerebbe a questo suo nuovo<br />

ruolo che si sta conquistando con determinazione ed abilità. Ciò dà l’impressione<br />

che il suo slancio iniziale di adesione all’UE si stia convertendo nella ricerca di un<br />

partenariato economico privilegiato. Tuttavia non si può sottacere che ancora il 13<br />

ottobre 2011 il Ministro degli Esteri turco,a seguito delle raccomandazioni <strong>della</strong><br />

Commissione UE per far maggiormente rispettare le condizioni necessarie all’adesione,<br />

ha reagito dichiarando che <strong>La</strong> Turchia è fortemente determinata ad entrare<br />

nell’UE ed a rispettare i criteri necessari, come del resto ha fatto e sta facendo, perché<br />

questo è un suo obiettivo strategico.<br />

Attualmente Unione Europea e Turchia sono del parere di consolidare gli accordi<br />

raggiunti sino ad ora in campo industriale e commerciale così ché al momento<br />

finale <strong>della</strong> trattativa, certamente non ravvicinato, non si debba perder tempo su<br />

queste materie. Comunque L’Unione Europea non ha modificato la prospettiva ultima<br />

che rimane l’adesione.<br />

«C.»: Prima di affrontare il tema specifico di particolare drammatica attualità:<br />

la risposta UE alla crisi economica, finanziaria, occupazionale dell’Europa, è<br />

opportuno rilevare che i progressi <strong>della</strong> costruzione dell’Unione Europea sin qui<br />

realizzati non sono particolarmente evidenti ai cittadini europei, forse perché in<br />

gran parte dimenticati, o perché sono rimasti nella memoria i momenti critici<br />

del processo integrativo.<br />

68<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

È possibile evidenziare i principali momenti di importante sviluppo del cammino<br />

comunitario?<br />

F. M.: Purtroppo durante la crisi economica a cavallo degli anni 70 - 80 ogni<br />

Paese membro aveva tentato di difendere il proprio mercato ed essendo stati soppressi<br />

dazi, dogane o contingenti aveva creato intralci di tipo tecnico agli scambi<br />

(es. difesa <strong>della</strong> salute o <strong>della</strong> sicurezza) con forte effetto protezionistico. Si è rischiato<br />

il fallimento dell’integrazione di mercato sino allora realizzata ed è crollata<br />

la competitività <strong>della</strong> Comunità Europea perché la protezione aveva annullata la<br />

spinta a migliorare prodotto e processo produttivo. In un sussulto di presa di coscienza<br />

e di responsabilità degli stessi produttori fu allora concepito, provocando<br />

una riforma del Trattato di Roma, il “Mercato Unico” retto da leggi comunitarie<br />

uguali per tutti, sostituendolo all’iniziale “Mercato Comune” ove ciascuno poteva<br />

agire nell’area comunitaria rispettando le proprie leggi nazionali.<br />

Nel “Mercato Unico” merci, servizi, capitali e persone possono muoversi liberamente<br />

come in un “Mercato Interno” <strong>della</strong> Comunità Europea.<br />

Attualmente lo si sta perfezionando per renderlo più competitivo attraverso un<br />

potenziamento <strong>della</strong> concorrenza interna.<br />

Il protezionismo monetario degli Stati membri<br />

– Per superare gli effetti nefasti del risorgere del protezionismo interno, che nei<br />

momenti più difficili si manifestava anche con la rincorsa di ciascun Paese in difficoltà<br />

alla svalutazione competitiva <strong>della</strong> propria moneta, prevalse la tesi di coloro<br />

che propugnavano una moneta unica, contro l’opinione di coloro che consideravano<br />

la loro moneta come il maggior simbolo dell’identità nazionale.<br />

Dopo lunghi e talvolta aspri dibattiti finalmente a Maastricht,nel 1992, si decise<br />

di introdurre, da parte di chi era disponibile, l’Euro, gestito da una unica Banca<br />

Centrale Europea. Il principale compito di questa, nella conduzione <strong>della</strong> conseguente<br />

unica <strong>politica</strong> monetaria europea, continua ad essere il mantenimento<br />

<strong>della</strong> stabilità dei prezzi quale condizione essenziale per la stabilità <strong>della</strong> moneta,<br />

anche se incomincia ad essere evidenziato l’obiettivo, sin qui minore, di contribuire<br />

allo sviluppo economico dell’UE.<br />

Pur consapevoli che questo straordinario passo avanti del processo integrativo<br />

europeo avrebbe aperto al futuro di una Europa <strong>politica</strong>mente integrata, fu tacitamente<br />

concordato a Maastricht di non farne alcun accenno perché questo avrebbe<br />

rischiato di far fallire l’operazione. Ancora non era matura a livello governativo, ed<br />

anche del settore imprenditoriale, la prospettiva di un’Europa <strong>politica</strong>mente unita.<br />

<strong>La</strong> <strong>politica</strong> estera e la sicurezza<br />

– Altri progressi dell’integrazione di una Comunità che si trasformava in Unione<br />

Europea travalicando il proprio limite economico iniziale, hanno riguardato la<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

69


Flavio Mondello<br />

possibilità di sviluppare una <strong>politica</strong> Estera e di Sicurezza Comune solo però nei<br />

campi che riscontrassero posizioni unanimi. Ciò con la consapevolezza che molti<br />

Paesi membri non avrebbero subito abbandonato le loro priorità nazionali di Politica<br />

Estera a favore dell’UE. Sarà ancora un processo lungo e difficile raggiungere<br />

in questo campo una voce sempre unica, ma potrà essere la gravità delle sfide mondiali<br />

all’Europa a favorire riposte unitarie.<br />

Sarà comunque dalle posizioni unitarie che dipenderà principalmente il ruolo<br />

mondiale dell’Unione. Per questo l’opinione pubblica comunitaria e soprattutto<br />

quella internazionale, sono sensibili agli atteggiamenti unitari dell’UE sulla scena<br />

mondiale: senza il raggiungimento di posizioni comuni si sviluppano scoraggiamenti<br />

all’interno degli Stati membri e scarsa considerazione all’esterno.<br />

È necessario sottolineare che è stato anche superato il tabù militare creatosi con<br />

il fallimento <strong>della</strong> Comunità Europea <strong>della</strong> Difesa agli inizi del percorso integrativo.<br />

Si sono pertanto create le condizioni istituzionali per realizzare una Politica comune<br />

<strong>della</strong> Sicurezza e <strong>della</strong> Difesa basata sul supporto di forze militari degli Stati<br />

membri, messe a disposizioni di iniziative militari comunitarie per instaurare o difendere<br />

la pace in aree di crisi.<br />

Merita comunque un particolare approfondimento il tema <strong>della</strong> Politica comune<br />

Estera, Sicurezza e Difesa scarsamente conosciuta nelle sue applicazioni e<br />

fonte di critiche e di apprensioni.<br />

Energia, Ambiente e Diritti fondamentali<br />

– È stata rafforzata nel Trattato la competenza energ<strong>etica</strong> dell’Unione per realizzare<br />

un mercato interno dell’energia ed una diversificazione delle fonti energetiche<br />

per assicurare la sicurezza degli approvvigionamenti, tenuto conto delle scarsità<br />

di petrolio e gas nell’UE. Tuttavia sugli accordi comuni con Paesi terzi fornitori di<br />

fonti energetiche persistono talune difficoltà derivanti da autonome scelte di <strong>politica</strong><br />

estera.<br />

Si è anche sviluppata un azione comune per la difesa dell’ambiente assumendo<br />

un’azione di traino nel contesto internazionale.<br />

Un’importante realizzazione qualitativa dell’Unione è stata l’unanime approvazione<br />

di una vincolante Carta dei diritti fondamentali che tende a far passare dalle<br />

intenzioni alla concreta applicazione dell’articolo 2 del Trattato che afferma: “L’Unione<br />

si fonda sui valori del rispetto <strong>della</strong> dignità umana, <strong>della</strong> democrazia, dell’uguaglianza,<br />

dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Valori comuni in<br />

una società caratterizzata dal pluralismo, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà<br />

e dalla parità tra uomo e donna”. È stato decisamente tracciato il cammino<br />

da perseguire. Non rimane che imporlo quando si constatasse un derapaggio.<br />

Certamente i notevoli progressi avviati nel corso dell’integrazione europea dal<br />

suo limitato inizio ad oggi debbono essere perseguiti con determinazione tendendo<br />

sempre ad un traguardo politico unitario, anche se ancora indefinito. È eviden-<br />

70<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

te che l’Unione Europea non solo non regredisce o si ferma, ma si sta continuamente<br />

attrezzando per svilupparsi compiendo piccoli o grandi passi avanti che<br />

rompono schemi incrostati di populismo e di scetticismo e resistenze conservative<br />

che tengono più conto degli istinti meno positivi del popolo che non dei suoi reali<br />

interessi.<br />

«C.»: È possibile spiegare più in profondità come è organizzata nell’UE la<br />

<strong>politica</strong> comune Estera, Sicurezza, Difesa. Quali le azioni in corso? Prevale la<br />

sensazione che il raggiungimento di traguardi significativi incontri difficoltà e ritardi<br />

che creano scetticismo nella pubblica opinione sulla capacità dell’Unione di<br />

svolgere un efficace ruolo internazionale.<br />

F. M.: È corretto affermare che la Politica Comune degli Esteri e <strong>della</strong> Sicurezza<br />

e la sua componente Politica Comune <strong>della</strong> Sicurezza e <strong>della</strong> Difesa, se applicate<br />

con decisa volontà unitaria per perseguire risultati originali, validi e senza alternative,<br />

sono la condizione principale, non ancora pienamente raggiunta, per il riconoscimento<br />

dell’Unione Europea come uno dei maggiori attori sulla scena mondiale.<br />

È tuttavia necessario ricordare che sono stati, agli inizi degli anni 90, i conflitti<br />

regionali scoppiati dopo il crollo dell’Unione Sovi<strong>etica</strong> in Europa, e in altre parti<br />

del mondo, oltre alla necessità di combattere le crescenti ondate di terrorismo internazionale,<br />

ad indurre nel 1992, col Trattato di Maastricht, i leader dell’Unione<br />

Europea e le Istituzioni comunitarie a colmare un vuoto istituzionale ed a dotarsi<br />

progressivamente degli strumenti diplomatici e di intervento civile e militare nelle<br />

vicine aree di crisi per contribuire a risolvere conflitti, portando e mantenendo la<br />

pace anche con aiuti umanitari e per partecipare e innescare Partenariati strategici<br />

con grandi potenze mondiali ed Organismi internazionali.<br />

Questi nuovi strumenti richiedono ancora opportuni perfezionamenti.<br />

Le limitazioni<br />

–Due sono tuttavia le principali limitazioni di questa nuova competenza comunitaria:<br />

1) Le decisioni che comunque possono riguardare tutti i settori di <strong>politica</strong> estera e<br />

tutte le questioni relative alla sicurezza spettano solamente ai Governi riuniti<br />

nelle Istituzioni UE, non a Commissione e Parlamento Europeo, e possono raggiungersi<br />

con deliberazioni all’unanimità: la Politica è definita ed attuata dal<br />

Consiglio Europeo che riunisce i Capi di Stato e di Governo e dai Consigli dei<br />

Ministri degli Affari Esteri e dei Ministri <strong>della</strong> Difesa;<br />

2) sul piano militare non si è creato un esercito europeo e si utilizzano armi e soldati<br />

messi a disposizione dell’Unione dagli Stati membri ma gestiti comunitaria-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

71


Flavio Mondello<br />

mente. Sarà la gravità <strong>della</strong> crisi economica in atto a spingere i Paesi membri che<br />

detengono importanti forze armate a mettere in comune gli elementi più costosi<br />

delle loro strutture di difesa per reagire agli inevitabili tagli dei rispettivi bilanci<br />

pubblici e sviluppare ricerche e produzioni di armamenti innovativi ristrutturando<br />

l’industria europea <strong>della</strong> Difesa. Del resto lo stanno già facendo Francia e<br />

Gran Bretagna che uniscono i rispettivi sforzi in campo atomico militare, e più<br />

in generale nelle loro forze militari, indicando la via corretta agli altri Paesi UE<br />

all’interno <strong>della</strong> Agenzia Europea di Difesa. A tali fini si stanno infatti realizzando,<br />

sotto la spinta <strong>della</strong> Polonia che detiene la Presidenza di turno dell’Unione,<br />

coalizioni tra Paesi membri più attrezzati militarmente.<br />

Il freno dell’unanimità nelle decisioni<br />

– L’imposizione dell’unanimità, limitata tuttavia dalla possibilità di una astensione<br />

costruttiva, significa che le posizioni dell’UE esprimibili con una sola voce,<br />

attraverso la Politica comune Esteri e Sicurezza e la Politica comune Sicurezza e Difesa,<br />

riguardano solamente temi di riconosciuto interesse comune. Gli altri temi<br />

sono trattati esclusivamente sul piano nazionale. Ciò non toglie che l’Unione cerchi<br />

di aumentare il più possibile la convergenza delle azioni Esteri e Difesa degli<br />

Stati membri per consentire un più ampio campo degli interventi comunitari, soprattutto<br />

quando situazioni internazionali che toccano l’Europa si possono discutere<br />

ed affrontare efficacemente nei grandi consessi internazionali solo con interventi<br />

unitari.<br />

Il Trattato impone agli Stati membri di sostenere attivamente e senza riserve la<br />

Politica estera dell’Unione in uno spirito di lealtà e di solidarietà reciproca. Purtroppo<br />

non sempre ciò appare ancora evidente.<br />

I progressi lenti<br />

– Nonostante questi freni, che certamente rallentano le prese di posizione dell’UE,<br />

sono stati compiuti passi avanti nell’organizzazione <strong>della</strong> macchina comunitaria<br />

che consente, in questo campo di estrema importanza, taluni risultati non trascurabili.<br />

È comunque evidente una reazione collettiva ad una ancora insufficiente presenza<br />

unitaria dell’Europa sullo scacchiere internazionale, nonostante siano stati<br />

compiuti interessanti passi avanti, forse non tutti evidenziati dai mezzi di informazione.<br />

Certamente hanno influito taluni pregiudizi sulla Autorità comunitaria che<br />

mette in atto la Politica Estera e di Sicurezza Comune: l’Alto Rappresentante dell’Unione<br />

per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, la Sg.ra Catherine Ashton<br />

contemporaneamente è Presidente del Consiglio Esteri e Vice Presidente <strong>della</strong><br />

Commissione: forse troppi incarichi attribuiti ad una sola persona.<br />

È l’Alto Rappresentante a condurre, a nome dell’Unione, il dialogo politico<br />

con i terzi e ad esprimere la posizione comune nelle Organizzazioni internazionali,<br />

72<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

come per es. il Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Tuttavia ai massimi livelli <strong>della</strong><br />

scena mondiale, per esempio il Presidente Obama prima del G20 dell’ottobre<br />

2011, ha preferito, sul tema dell’Euro, rivolgersi direttamente al Presidente<br />

Sarkozy ed alla Sig.ra Merkel, il britannico Cameron non essendo membro dell’Eurozona.<br />

Il Servizio Diplomatico Comunitario<br />

– Una novità di rilievo è la messa a disposizione dell’Alto Rappresentante di un<br />

Servizio diplomatico comunitario che lavora in collaborazione con tutti i servizi<br />

diplomatici degli Stati membri e può migliorare di molto la conoscenza delle situazioni<br />

internazionali anche perché questo Servizio è dotato di proprie Delegazioni<br />

Permanenti nei Paesi terzi e presso le Organizzazioni Internazionali.<br />

Il Parlamento Europeo è regolarmente informato sullo sviluppo <strong>della</strong> Politica<br />

Estera e di Sicurezza dell’Unione e sempre più apporta un notevole contributo ad<br />

orientare i Capi di Stato e di Governo.<br />

I progressi nel campo <strong>della</strong> difesa<br />

– Sul piano <strong>della</strong> Difesa l’UE è molto più attiva di quanto non appaia attraverso<br />

la pubblica informazione:<br />

Ha creato l’Agenzia Europea <strong>della</strong> Difesa cui è stato riconosciuto il ruolo motore<br />

del miglioramento <strong>della</strong> capacità di difesa europea in collaborazione con la Commissione<br />

Europea in materia di ricerca e tecnologia e col Comando NATO di<br />

Norfolk<br />

Ha migliorato, rendendola permanente, la capacità di pianificazione e di condotta<br />

militare-civile delle Operazioni e delle Missioni UE.<br />

Ha attivato 24 Missioni nell’ambito <strong>della</strong> Politica Comune Estera,Sicurezza e Difesa,<br />

dai Balcani all’Africa, al Medio Oriente, all’Afganistan: 14 civili, 6 militari,<br />

3 integrate civili-militari. Sono in corso 3 Operazioni militari in Bosnia-Erzegovina,<br />

in Somalia ed al largo delle coste somale (anti-pirateria). È in atto un sostegno<br />

all’Organismo “Unione Africana”.<br />

I Paesi UE membri dell’Alleanza Atlantica partecipano in Afganistan alla Forza<br />

multinazionale NATO che opera in 5 Regioni. L’Unione Europea favorisce l’exit<br />

strategy iniziata a luglio 2011 e applica una strategia a lungo termine per rafforzare<br />

le capacità istituzionali e amministrative dello Stato afgano.<br />

Si è dotata di una disponibilità costante di 2 Gruppi di Battaglia (Raggruppamenti<br />

tattici) costituiti da forze multinazionali di 1500 uomini ciascuno per prevenire<br />

in emergenza l’insorgenza di una crisi o per reagire ad una sua degenerazione,<br />

ed in grado di rimanere operativi da 30 a 120 giorni.<br />

Ha istituito una “Cooperazione Strutturata Permanente”, senza soglia minima di<br />

partecipazione di Stati membri, per rendere credibile la capacità militare dell’UE<br />

che assicura le unità di combattimento necessarie a garantire al suo esterno il<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

73


Flavio Mondello<br />

mantenimento <strong>della</strong> pace, la prevenzione dei conflitti ed il rafforzamento <strong>della</strong> sicurezza<br />

internazionale anche attraverso il disarmo e la lotta al terrorismo.<br />

Le strutture di vertice istituzionale <strong>della</strong> Politica di Sicurezza e di Difesa, oltre<br />

al Consiglio dei Capi di Stato e di Governo, ai Consigli Esteri e Difesa, al Comitato<br />

permanente degli Ambasciatori, al Comitato Politico ed al Comitato Militare,<br />

comprendono lo Stato Maggiore dell’UE (il PE chiede di renderlo permanente)<br />

che è composto da 200 esperti militari distaccati dagli Stati membri: suo compito è<br />

pianificare strategicamente le Missioni di intervento militare dopo aver valutato le<br />

situazioni e dato allarmi tempestivi.<br />

Le relazioni transatlantiche USA e Oriente<br />

– Un aspetto rilevante <strong>della</strong> Politica Estera UE riguarda le relazioni transatlantiche<br />

USA-UE-Russia, sulle quali non vengono riprese dai masmedia informazioni<br />

dettagliate, e che si snodano tra: 3 Partenariati strategici USA-UE, UE-Russia,<br />

UE-Cina; partecipazione dei 27 Paesi UE all’Organizzazione di Sicurezza e Cooperazione<br />

Europea (OSCE) che comprende anche USA, Canada, i Paesi del Caucaso<br />

e la Santa Sede; il Consiglio NATO (21 Paesi UE membri NATO) –Russia, il<br />

Consiglio USA-UE per la sicurezza energ<strong>etica</strong>; il Partenariato Economico-Commerciale<br />

Transatlantico USA-UE per superare i punti di frizione.<br />

Lo stato di avanzamento dei lavori nelle Relazioni transatlantiche è abbastanza<br />

soddisfacente tenuto conto di problemi anche rilevanti che figurano negli ordini<br />

del giorno.<br />

Nelle relazioni strategiche Trans-Pacifico il Negoziato sul Partenariato UE-Cina<br />

incontra difficoltà sugli aspetti monetari e di mercato, sul commercio delle armi,<br />

e sulle controversie relative a Taiwan e al Tibet. L’auspicio principale manifestato<br />

dall’UE al Vertice politico <strong>della</strong> Cina è che il forte sviluppo economico <strong>della</strong><br />

Cina consolidi la coesione sociale delle sue grandi popolazioni: sugli altri problemi<br />

si troveranno, anche se lentamente, delle soluzioni.<br />

Rapporti UE-Russia<br />

– È importante rilevare l’approccio strategico dell’UE con la confinante Russia.<br />

Nel “Consiglio Permanente per il Partenariato UE-Russia”, I rispettivi vertici<br />

ostentano amicizia e disponibilità a trovare convergenza e soluzioni su taluni rilevanti<br />

problemi comuni. Mosca sollecita un “Nuovo Accordo” più approfondito rispetto<br />

a quelli negoziati sino ad ora e riguardanti i 4”Spazi comuni” (Cooperazione<br />

sulla sicurezza esterna; economia-libertà-giustizia; ricerca-istruzione,; cultura. Il<br />

Presidente Medvedev ha chiesto di approfondire un 5° Spazio comune: il “Partenariato<br />

per la modernizzazione”, perché Mosca ha bisogno dell’aiuto UE per realizzare<br />

le trasformazioni tecnologiche (investire 1 miliardo di $ nella ricerca), le misure<br />

per attrarre investimenti, le riforme strutturali economiche. In risposta ad una ferma<br />

richiesta dell’UE il Presidente russo si è impegnato a coinvolgere la società civi-<br />

74<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

le nella riforma delle Istituzioni politiche per basarle su valori democratici e su<br />

riforme giudiziarie (riguardanti per ora il civile, gli affari familiari, economici e, si<br />

spera, criminali) che rafforzino lo Stato di diritto, considerando tutto ciò basilare<br />

per la modernizzazione. Un sostanziale progresso si sta evidenziando nella possibilità<br />

dei cittadini russi e comunitari di attraversare le rispettive frontiere per viaggi<br />

di non lunga durata senza più necessità di visti.<br />

Il partenariato orientale<br />

– Oltre ai rapporti strategici con la Russia l’UE sta sviluppando, sotto la pressione<br />

<strong>della</strong> Presidenza di turno <strong>della</strong> Polonia, un concreto Partenariato Orientale<br />

(Armenia, Azerbaigian, Georgia, Moldova, essendosi temporaneamente compromessi<br />

i rapporti con la Bielorussia e incrinati, senza conseguenze maggiori, quelli<br />

con l’Ucraina) il cui funzionamento e le prospettive sono largamente positivi in vista<br />

di strette relazioni di libero scambio.<br />

I rapporti di sicurezza e difesa tra NATO e UE sono stati positivamente condizionati<br />

dal nuovo concetto strategico <strong>della</strong> Alleanza Atlantica deciso nel vertice di<br />

Lisbona il 20 settembre 2010 alla presenza anche del Presidente russo Medvedev.<br />

<strong>La</strong> NATO, secondo il Trattato UE di Lisbona resta, per gli Stati membri comunitari<br />

che ne fanno parte, “il fondamento <strong>della</strong> loro difesa collettiva ed il contesto<br />

<strong>della</strong> sua attuazione”.<br />

Il partenariato UE-USA<br />

– Sul piano economico <strong>della</strong> relazione di partenariato UE-USA nella crisi planetaria<br />

in corso entrambi i partner debbono affrontare una severa <strong>politica</strong> di austerità riducendo<br />

la spesa, ma mantenendo la sicurezza globale. È evidente che anche gli USA per<br />

raggiungere i loro obiettivi hanno bisogno, come ha affermato lo stesso Presidente<br />

Obama, di una “Unione Europea forte e capace”. Il modo migliore per esercitare una<br />

influenza UE sugli USA è certamente quello di “restare unita e sicura di sé stessa”.<br />

«C.»: C’è un fenomeno, tra i tanti, che dovrebbe produrre massima concentrazione<br />

e prevenzione: è il fenomeno dell’immigrazione, cioè dello spostamento<br />

verso l’Europa <strong>della</strong> pressione di popolazioni che anelano al benessere o, quanto<br />

meno, alla condivisione più giusta <strong>della</strong> ricchezza. Da alcune proiezioni ONU si<br />

calcola che oltre più di venti milioni saranno, alla fine del secondo decennio del<br />

secolo e all’inizio del terzo, gli emigranti verso aree ricche dell’Europa, soprattutto<br />

dal continente africano, in fuga dalla fame, dalla sete, dal deserto che avanza e<br />

dalla voglia di libertà positiva. Questo fenomeno è presente nel contesto dell’Unione<br />

Europea? È compresa appieno la sua gravità per le ripercussioni, sociali,<br />

culturali, politiche e finanche sanitarie?<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

75


Flavio Mondello<br />

F. M.: Nell’Unione Europea la <strong>politica</strong> comune dell’immigrazione è una sfida<br />

europea che impone una comune risposta europea, il rispetto di regole stabilite in<br />

comune ed in comune adattate all’evolversi <strong>della</strong> situazione che è differenziata per<br />

Paese membro e per aree dell’Unione.<br />

Il problema è affrontato sotto 6 aspetti principali:<br />

la libera circolazione degli immigrati regolari e regolarmente soggiornanti nel territorio<br />

comunitario nel rispetto <strong>della</strong> Convenzione del 1985 che applica l’accordo<br />

di Schengen per la eliminazione delle frontiere interne al passaggio delle persone,<br />

sino ad oggi sottoscritto da 22 Paesi UE (auto esclusi: Gran Bretagna e Irlanda;<br />

in attesa di partecipazione: Bulgaria e Romania), con 4 Paesi terzi associati<br />

(Norvegia, Islanda, Svizzera e Liechtenstein);<br />

il coordinamento comunitario delle politiche nazionali dell’integrazione degli<br />

immigrati regolari con possibilità di interventi comunitari di sostegno e con monitoraggio<br />

dei comportamenti nazionali utilizzando collaborazioni con Organismi<br />

specializzati per definire criteri comuni di valutazione dei risultati raggiunti;<br />

le severe azioni di prevenzione e di contrasto con controlli rafforzati nazionali e<br />

comunitari <strong>della</strong> immigrazione clandestina e <strong>della</strong> tratta di esseri umani, realizzando<br />

una equa ripartizione dei costi, qualora insopportabili, di massicci ed improvvisi<br />

afflussi, e con sostegni comunitari per il controllo delle frontiere esterne<br />

attraverso il potenziamento dell’Agenzia Frontex, creata come corpo specializzato<br />

e indipendente per coordinare l’azione via mare,terra, aria, di gestione integrata<br />

<strong>della</strong> sicurezza frontaliera;<br />

gli accordi bilaterali di riammissione di immigrati negoziati dalla Commissione<br />

con i Paesi di origine o di provenienza, con contropartita di partenariati per costruire<br />

il loro futuro in patria, stimolando la crescita economica e la creazione di<br />

occupazione in un contesto di sviluppo democratico e di Stato di diritto;<br />

l’elaborazione di uno status uniforme in materia di asilo di profughi in fuga da<br />

regimi totalitari, da guerre civili, ecc.;<br />

il controllo costante da parte <strong>della</strong> Commissione dei crescenti bisogni di manodopera<br />

immigrata semplice o professionale in un contesto di inarrestabile involuzione<br />

demografica che prefigura una incombente penuria di manodopera. <strong>La</strong> determinazione<br />

del volume necessario di ingresso di cittadini terzi (“immigrati economici”)<br />

che cercano lavoro dipendente o autonomo spetta ai singoli Stati membri.<br />

Le emergenze eccezionali<br />

– Dalle Istituzioni UE sono anche prese in considerazione situazioni di emergenza<br />

eccezionali e temporanee per afflussi rilevanti ed improvvisi di immigrati che<br />

possono creare difficoltà gravi al loro ingresso ai confini dell’Unione. Sono previste<br />

al riguardo misure che, temporaneamente e sotto controllo comunitario, possono<br />

consentire deroghe al Trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone<br />

nell’Unione. Nei casi di concentrate immigrazioni giudicate nazionalmente inso-<br />

76<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

stenibili hanno già iniziato ad intervenire, sotto varie forme, sostegni comunitari<br />

che dovranno ulteriormente svilupparsi.<br />

Il fenomeno di una forte futura pressione sull’Unione Europea di immigrati da<br />

aree fortemente disagiate del mondo vedrà un suo sviluppo condizionato dal successo<br />

<strong>della</strong> <strong>politica</strong> comunitaria dell’immigrazione in corso di consolidamento,<br />

dall’approccio UE al multiculturalismo e dell’efficacia <strong>della</strong> <strong>politica</strong> di sostegno al<br />

mondo in via di sviluppo, e dall’evoluzione delle nuove grandi potenze economiche<br />

sulla scena mondiale.<br />

«C.»: <strong>La</strong> drammatica realtà del violento tsunami che si abbatte sulla finanza,<br />

sull’economia e sull’occupazione dell’Europa ed anche a livello mondiale dopo la<br />

grande “depressione” degli anni 30, vede l’Unione Europea, soprattutto quella<br />

ampia parte che dispone di una moneta unica, impegnarsi con energia a farvi<br />

fronte attraverso una unitaria Governance economica ed a vincere le sfide che le<br />

si pongono.<br />

Purtroppo il cittadino europeo non riesce a districarsi nella serie di provvedimenti<br />

comunitari che si susseguono e non percepisce le effettive linee di condotta<br />

decise in comune ma che poi ritiene imposte a ciascuno Stato membro.<br />

Quale è il quadro dell’azione comunitaria e quali sono le ragioni di questa<br />

difficile percezione del suo svolgimento a livello degli Stati membri?<br />

F. M.: <strong>La</strong> Governance Economica Europea e i suoi poteri sono due delle questioni<br />

più attuali.<br />

Si deve subito precisare che la possibilità per l’Unione di sottoporre ad una Governance<br />

Economica Europea le politiche economiche degli Stati membri, nell’ambito<br />

di una effettiva Unione Economica, non era stata prevista né dal Trattato di<br />

Roma, né dal dopo l’istituzione <strong>della</strong> moneta unica.<br />

Anzi, nelle successive modifiche del Trattato di Roma è stato sempre ribadito<br />

che la <strong>politica</strong> economica era di responsabilità dei Governi nazionali e delle relative<br />

Parti sociali.<br />

Sono stati la crisi finanziaria ed economica, l’accentuarsi del rallentamento <strong>della</strong><br />

crescita sino all’avvio di una leggera recessione con le pesanti implicazioni sull’occupazione,<br />

il nodo al pettine di cattive gestioni <strong>della</strong> spesa pubblica che hanno<br />

messo pesantemente sotto attacco taluni debiti sovrani dell’Eurozona, a determinare,<br />

nel giugno 2010 e dopo approfonditi dibattiti, un balzo in avanti del processo<br />

integrativo con l’instaurazione di una “governance economica europea”. Questa<br />

è gestita al massimo livello politico dei Capi di Stato e di Governo riuniti nel Consiglio<br />

Europeo ed in collaborazione con la Commissione Europea, il Parlamento<br />

Europeo, il Gruppo Euro e la Banca Centrale Europea. Nella governance assume<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

77


Flavio Mondello<br />

un ruolo rilevante la Presidenza Draghi iniziata il 1° novembre 2011 nella fase più<br />

critica dei debiti sovrani, nomina che era stata decisa per l’unanime apprezzamento<br />

<strong>della</strong> sua presidenza dello Stability Financial Forum nel tentativo di combattere<br />

l’eccesso di credito non regolato, causa <strong>della</strong> grave instabilità finanziaria a livello<br />

mondiale.<br />

L’obiettivo <strong>della</strong> governance economica europea è creare le condizioni che garantiscano<br />

il mantenimento <strong>della</strong> forza <strong>della</strong> moneta unica e favoriscano un notevole<br />

recupero di competitività dell’Unione con conseguente rilancio di una crescita<br />

economica durevole ed equilibrata per vincere le sfide <strong>della</strong> globalizzazione. È stata<br />

una decisione strategica che impegna l’Unione per parecchi anni dovendo affiancare,<br />

ai drastici impegni sollecitati a Governi e cittadini, politiche comunitarie interne<br />

ed esterne a sostegno <strong>della</strong> crescita. In definitiva dipenderà dal suo successo il<br />

consolidamento dell’Unione Europea e la costituzione di una solida base per futuri<br />

progressi verso il traguardo dell’integrazione <strong>politica</strong> europea.<br />

Vertice Europeo permanente <strong>della</strong> Zona Euro<br />

– Nel maggio 2011 le Istituzioni comunitarie, e soprattutto quella che riunisce<br />

i27CapidiStatoe<br />

di Governo – il Consiglio Europeo –, hanno programmato, su proposta franco-tedesca,<br />

nell’ambito generale <strong>della</strong> Governance economica, un Vertice europeo<br />

permanente dell’Eurozona ove si è concentrata la crisi in atto nell’UE. Vertice<br />

composto dai Capi di Stato e di Governo dei 17 Paesi Euro, presieduto da un Presidente<br />

stabile per 2,5 anni, (rinnovabile una volta), e che si riunisce due volte l’anno.<br />

Il Presidente sarà designato dai 17 Capi di Stato di Governo in occasione <strong>della</strong><br />

prossima elezione nel 2013 del Presidente del Consiglio Europeo. In attesa di tale<br />

elezione i vertici <strong>della</strong> zona Euro sono presieduti dal Presidente in carica del Consiglio<br />

Europeo, Herman Van Rompuy (ex Premier belga). L’allora Presidente <strong>della</strong><br />

BCE Jean Claude Trichet aveva addirittura auspicato la creazione di un “Governo<br />

economico confederale”, con un proprio Ministro delle Finanze. Contemporanea<br />

è stata la nomina del Commissario Europeo Olli Rehn a Vice Presidente <strong>della</strong><br />

Commissione Europea con la responsabilità degli Affari economici e dell’Euro.<br />

Il Vertice dei 17 leader dell’Eurozona ha subito informato il Consiglio Europeo<br />

che, per uscire dalla grave crisi finanziaria ed economica, intende governare l’Eurozona<br />

con poteri centralizzati, eventualmente da iscrivere nel Trattato attraverso una<br />

sua modifica, ed inoltre e con decisioni a maggioranza, mettere in atto i mezzi necessari<br />

per rafforzare con determinazione la convergenza economica nella Zona<br />

Euro e per migliorare la disciplina di bilancio pubblico. Convergenza perduta a<br />

causa di una scarsa applicazione del Patto di stabilità concluso al momento dell’introduzione<br />

dell’Euro. <strong>La</strong> Germania, grazie certamente alla sua crescente competitività,<br />

ma anche alla compressione del suo consumo interno, ha realizzato ingenti at-<br />

78<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

tivi determinando un forte squilibrio macroeconomico nell’Eurozona. Dovrebbe<br />

ora contribuire ad eliminarlo. Essenziale è il rafforzamento <strong>della</strong> disciplina di bilancio<br />

ed anche <strong>della</strong> disciplina dei mercati finanziari, così da dare un profondo<br />

contenuto all’Unione Economica in parallelo con la compiuta Unione Monetaria.<br />

Soprattutto si vuole dimostrare che la governence economica europea attraverso<br />

una severa sorveglianza <strong>della</strong> condotta dei 17 Stati dell’Eurozona rende più solida<br />

l’impalcatura su cui poggia l’Euro.<br />

Questa decisione ha evidenziato l’autocritica del lassismo nella spesa pubblica,<br />

<strong>della</strong> insufficiente visione finanziaria a livello comunitario e <strong>della</strong> sottostima <strong>della</strong><br />

interdipendenza monetaria e finanziaria che hanno portato ad irresponsabili condotte<br />

di bilancio.<br />

«C.» Numerosi e continui sono i Vertici europei sia dei Paesi che fanno parte<br />

<strong>della</strong> Eurozona, che sono diciassette, sia dei ventisette capi di Stato e di Governo<br />

che formano il Consiglio Europeo.<br />

I più recenti sono stati il Vertice dell’Eurozona del 23 e 26 ottobre e il G20<br />

del 3 e 4 novembre 2011. Ambedue sono avvenuti nel pieno dell’infierire <strong>della</strong><br />

crisi globale alla quale ogni Paese sembra non potersi sottrarre.<br />

Quali sono stati i risultati da considerare più concreti ed efficaci per frenare<br />

subito e riassorbire progressivamente gli effetti <strong>della</strong> crisi?<br />

F.M. <strong>La</strong> prova del fuoco del governo dell’Eurozona è avvenuta il 23 e 27 ottobre<br />

2011 quando, attraverso un preciso piano d’azione, si è avviata la risposta alla<br />

crisi sempre più grave che incombe sull’Europa. L’immediata verifica <strong>della</strong> validità<br />

di questa azione è intervenuta nel G20 di Cannes del 3 e 4 novembre che ha accolto<br />

favorevolmente le decisioni UE del 26 ottobre, considerate l’inizio di una energica<br />

governance economica dell’Eurozona che dovrà essere ulteriormente sviluppata<br />

per dare l’impressione ai mercati che si intende agire con fermezza.<br />

Il Presidente Barak Obama ha incitato l’UE a difendere con vigore la moneta<br />

unica ed ad ottimizzare il Fondo europeo di salvataggio che dovrebbe avere il sostegno<br />

del Fondo Monetario Internazionale che dal G20 di Cannes ha ottenuto<br />

l’accordo di un aumento delle sue risorse per operazioni di emergenza, se necessario,<br />

con possibili disponibilità di Cina, Russia e Giappone, anche a favore dell’Eurozona.<br />

Le principali prospettive emerse<br />

–Tresono state le principali prospettive offerte dall’accordo raggiunto in ottobre<br />

all’unanimità dai 17 Governi dell’Eurozona per avviare una risposta coordinata<br />

alla crisi europea:<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

79


Flavio Mondello<br />

– soluzione durevole del debito sovrano greco, per impedire, attraverso meccanismi<br />

di intervento rapido fortemente condizionato;<br />

– ripristino <strong>della</strong> fiducia nel settore bancario con l’imposizione di una disciplina finanziaria<br />

che rafforzi le banche;<br />

– consolidamento dei bilanci dei Paesi ad alta criticità di deficit e di debito, accompagnato<br />

da riforme strutturali per rilanciare crescita e occupazione.<br />

<strong>La</strong> parentesi di gravissima preoccupazione per il subbuglio dei mercati a seguito<br />

dell’improvvisa minaccia di un referendum in Grecia sulle misure anticrisi che<br />

avrebbe potuto rimettere in questione gli impegni contratti da Atene per risolvere<br />

la propria crisi, è stata rapidamente chiusa con la rinuncia del Premier Papandreu<br />

di ricorrere al voto popolare, preoccupato di perdere l’aiuto dell’UE, e con l’annuncio<br />

delle sue dimissioni. Già in diversi Paesi dell’Eurozona si sono prodotte crisi<br />

di governo nella fase di risposta alle ingiunzioni del governo europeo dell’Eurozona<br />

e sono state necessarie le dimissioni per rendere credibile il drastico riordino<br />

dei loro conti pubblici: Irlanda, Portogallo, Spagna, Grecia, Italia. Ciò dimostra<br />

che la governance europea è seriamente presa in considerazione dai Paesi che hanno<br />

adottato l’Euro.<br />

L’accordo del 26 ottobre 2011<br />

– Spiazzati gli eccessivi, se non drammatici, pessimismi <strong>della</strong> vigilia, l’accordo<br />

raggiunto, pur dovendosi ancora definire il follow up tecnico, rappresenta il tentativo<br />

di apportare una risposta”europea” ad una crisi mondiale che da finanziaria e<br />

poi economica ha contagiato gli Stati dell’Eurozona nel loro debito sovrano. È in<br />

causa la <strong>politica</strong> economica e di bilancio di molti Paesi dell’Eurozona che rischia di<br />

compromettere la solidità dell’Euro che in poco più di 10 anni si è rafforzato, a differenza<br />

<strong>della</strong> sterlina e del dollaro, diventando una moneta alternativa di riserva<br />

non intaccata né da deficit e debito complessivi <strong>della</strong> sua area portati ad un livello<br />

nettamente inferiore a quelli degli Stati Uniti o del Giappone, né da un tasso di inflazione<br />

che è stato mantenuto sufficientemente basso e stabile, né da un complessivo<br />

squilibrio <strong>della</strong> bilancia dei pagamenti dell’Eurozona.<br />

<strong>La</strong> strategia UE<br />

– <strong>La</strong> strategia UE per superare la crisi abbattutasi sull’Eurozona si basa su due<br />

pilastri: solidarietà comunitaria e riforme strutturali da realizzare in contropartita.<br />

Occorre garantire sostenibilità alla disciplina di bilancio ed ad una nuova forma di<br />

crescita economica ed occupazionale adattata alla concorrenza globale. Certamente<br />

sull’esigenza <strong>della</strong> “stabilità” si è constatata l’influenzata <strong>della</strong> Germania perché<br />

l’allora Cancelliere Kohl che aveva abbandonato a Maastricht il gioiello tedesco, il<br />

Marco, in favore dell’Euro, a condizione tuttavia di applicare alla moneta unica europea<br />

la severa <strong>politica</strong> di bilancio che aveva reso la divisa tedesca la più forte al<br />

mondo col sostegno di una economia sociale di mercato altamente competitiva.<br />

80<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

<strong>La</strong> solidarietà nei confronti dei Paesi in difficoltà dovrebbe essere resa effettiva<br />

sia da un adeguato “Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria” o “Fondo salva Stati”<br />

la cui potenzialità di intervento è stata portata a 1000 miliardi di Euro, in grado di<br />

scoraggiare le turbolenze finanziarie e salvare la Grecia dal fallimento, ma tuttavia<br />

non ancora adeguata nel caso di gravi contagi a grandi Paesi dell’Eurozona, sia da<br />

un apporto volontario delle banche che accettano di ridurre del 50% il valore del<br />

debito greco in loro possesso, sia ancora dalla imposizione di una ricapitalizzazione<br />

delle banche per consentire, in situazione critica, la difesa dei depositanti e l’erogazione<br />

del credito all’attività economica per il sostegno <strong>della</strong> ripresa.<br />

Non è stato dunque possibile garantire un’ulteriore massiccio contributo comunitario<br />

al Fondo, nel caso di una dirompente aggressività dei mercati finanziari,<br />

consentendo il ricorso in ultima istanza alle illimitate disponibilità <strong>della</strong> Banca<br />

Centrale Europea che dirige l’Eurosistema; lo avevano sollecitato Francia e Italia riferendosi<br />

alle capacità delle Banche centrali nelle aree del dollaro, <strong>della</strong> sterlina e<br />

dello yen. È prevalsa la duplice esigenza sostenuta dalla Sig.ra Merkel, dalla stessa<br />

BCE ed anche dal Prof. Mario Monti: – salvaguardare l’indipendenza <strong>della</strong> BCE<br />

che certamente, in caso di peggioramento <strong>della</strong> situazione di crisi in grandi paesi<br />

dell’Eurozona, avrebbe potuto essere sottoposta a forti pressioni politiche; – evitare<br />

che una assoluta garanzia di sostegno comporti rischio di lassismo nella disciplina<br />

di bilancio e nelle riforme strutturali.<br />

Questo problema maggiore rimane tuttavia in sospeso perché rientra nelle sollecitazioni<br />

di coloro che auspicano un rafforzamento politico del governo dell’Eurozona<br />

attraverso un maggior potere <strong>della</strong> BCE e ricordano il piano Marshal che<br />

aveva salvato la Germania anche se ex nazista, impedendole il precedente strangolamento<br />

che aveva innescato il regime hitleriano.<br />

Gli interventi <strong>della</strong> BCE<br />

– È invece fallito l’insistente tentativo <strong>della</strong> Germania di impedire immediatamente<br />

alla BCE di continuare ad acquistare sul mercato obbligazioni di Stati membri<br />

per allentare forti pressioni speculative (sopratutto Buoni del Tesoro italiani e spagnoli)<br />

e di lasciare questo compito solo al Fondo Europeo di Stabilità finanziaria che<br />

è un organismo intergovernativo cui si dovrebbe dare uno statuto bancario per consentirgli<br />

di appoggiarsi alla BCE per gli interventi sul mercato dei Bonds.<br />

È stata la resistenza dell’entrante Presidente Draghi a bloccare la pressione tedesca:<br />

Draghi ha così voluto dimostrare la propria indipendenza nell’esercizio dei<br />

suoi poteri, anche se ha affermato che gli Stati in difficoltà non possono contare<br />

solo sull’intervento <strong>della</strong> BCE per risolvere i loro problemi.<br />

Dal neo Presidente dipenderà se la BCE, oltre al perseguimento dell’obiettivo<br />

principale che rimane saldamente il mantenimento <strong>della</strong> stabilità dei prezzi, e cioè<br />

la stabilità dell’Euro in termini di beni e servizi, vorrà anche perseguire, fatto salvo<br />

questo obiettivo principale, un altro obiettivo che le è stato assegnato dal Trattato di<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

81


Flavio Mondello<br />

Lisbona e dai precedenti Trattati. Si tratta del sostegno delle politiche economiche<br />

nell’UE per rispettare l’obbligo dell’Unione di garantire, tra l’altro, “lo sviluppo sostenibile<br />

dell’Europa basato su una crescita economica equilibrata, su una economia<br />

sociale di mercato fortemente competitiva che mira alla piena occupazione, al progresso<br />

sociale, alla protezione sociale, alla solidarietà tra le generazioni”.<br />

Il perseguimento di questo secondo obiettivo, che sino ad ora non era stato<br />

preso in seria considerazione dalla BCE, è attualmente oggetto di molte sollecitazioni.<br />

<strong>La</strong> recente lettera <strong>della</strong> BCE all’Italia ed alla Spagna alla vigilia dell’insediamento<br />

di Draghi, ed il primo atto del nuovo Presidente, la riduzione del tasso di<br />

interesse delle principali operazioni di rifinanziamento <strong>della</strong> BCE, sono probabilmente<br />

un segnale dell’avvio di un nuovo corso <strong>della</strong> governance economica europea.<br />

Lo sta giustificando la significativa revisione al ribasso delle previsioni e delle<br />

proiezioni <strong>della</strong> crescita reale del pil nel 2012. D’altra parte non vi sarebbero controindicazioni<br />

perché il timore <strong>della</strong> recessione dovrebbe impedire all’inflazione un<br />

livello incompatibile con la stabilità dei prezzi.<br />

Banche e bilanci pubblici<br />

–Per far mantenere la fiducia dei risparmiatori nelle banche impigliate nella<br />

crisi finanziaria, impedendo perdite ai depositanti, e per garantire all’economia (in<br />

particolare alle piccole e medie imprese) i crediti necessari per riprendere la crescita,<br />

l’UE ha imposto alle banche, sulla base degli stress tests, una capitalizzazione di<br />

sicurezza, tenuto conto dei titoli a rischio di insolvenza, come taluni debiti sovrani,<br />

in particolare detenuti da banche francesi e tedesche. L’aumento di capitale delle<br />

banche dovrà prima di tutto di tutto effettuarsi col ricorso al mercato o la cessione<br />

di loro attivi, se necessario col ricorso al sostegno pubblico e solo in ultima istanza<br />

al Fondo Europeo salva Stati. L’intervento pubblico, che in definitiva ricade sui cittadini<br />

già sottoposti a pesanti sacrifici, comporterà la riduzione dei bonus per i manager<br />

e degli interessi per gli azionisti.<br />

Nell’Eurozona lo spirito fondatore <strong>della</strong> moneta unica a Maastricht e cioè la<br />

“cultura <strong>della</strong> stabilità”, sarà garantita da una più intensa e preventiva sorveglianza<br />

comunitaria dei bilanci pubblici e delle riforme strutturali, affidata alla responsabilità<br />

<strong>della</strong> Commissione Europea perché non si ripetano precedenti errori. Si ricorda<br />

al riguardo il lassismo del 2003 nell’applicazione del Patto di stabilità durante la<br />

Presidenza Chirac, del Cancelliere Schmit col Ministro <strong>La</strong>fontaine e del Presidente<br />

Berlusconi col Ministro Tremonti.<br />

È stato infatti deciso un severo richiamo all’ordine di quei Governi che, dopo<br />

aver partecipato alle decisioni delle Istituzioni UE, non appena rientrati nei rispettivi<br />

Paesi, si dimostrino incapaci di fronteggiare reazioni politiche interne e non<br />

onorino la loro firma sovrana. Non si accetta neppure che i Governi, per dimostrare<br />

di rispettare gli accordi raggiunti in sede comunitaria, sottopongano all’UE programmi<br />

d’azione imprecisi nelle modalità e tempi di attuazione.<br />

82<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

Il programma d’azione dell’Italia<br />

– È sintomatico il caso del programma d’azione del Governo italiano, presentato<br />

per il risanamento del deficit e del troppo elevato debito e per la realizzazione<br />

di riforme strutturali necessarie all’innesco di una crescita sostenibile. Alle felicitazioni<br />

del Vertice dell’Eurozona, confermate dal G20 di Cannes, è’ stato associato il<br />

monito di applicare“imperativamente” in fretta e con vigore, le misure con le relative<br />

modalità di modi e tempi annunciate, così da garantirne la credibilità. L’Italia,<br />

grande Paese e nonostante la crisi del suo debito sovrano non sia paragonabile a<br />

quella del debito greco, è considerata un problema maggiore per la stabilità dell’Eurozona.<br />

<strong>La</strong> pressione UE e del FMI aveva indotto l’allora Premier italiano a sollecitare<br />

al FMI la certificazione dell’attuazione del Programma d’azione con aggiornamenti<br />

su base trimestrale ed a concordare il controllo <strong>della</strong> Commissione UE per rendere<br />

credibile all’Europa ed al Mondo la propria capacità di tradurre gli impegni in precise<br />

norme. L’Italia è dunque sotto la vigilanza di una troika FMI,Commissione<br />

UE e BCE, come nel caso di Grecia, Irlanda e Portogallo, anche se ha rifiutato un<br />

programma di assistenza finanziaria internazionale.<br />

Il Governo Monti<br />

– L’Unione Europea, così come i vertici internazionali, hanno appreso con soddisfazione<br />

il varo di un nuovo Governo tecnico presieduto dal Senatore a vita Prof.<br />

Mario Monti, molto stimato a livello mondiale anche per i suoi ottimi trascorsi di<br />

Vice Presidente <strong>della</strong> Commissione Europea e di severo commissario alla concorrenza:<br />

si ritiene credibile l’impegno assunto a Bruxelles dal nuovo Governo e l’Italia<br />

è invitata a fianco del duo franco-tedesco affinché il trio rappresenti le principali<br />

economie dell’Eurozona che offrono all’Unione Europea una loro proposta per<br />

uscire dalla crisi. Il risanamento dell’Italia richiederà comunque tempi non brevi e<br />

continuerà il severo controllo dell’UE e del FMI per evitare che rischi di complicazioni<br />

politiche interne compromettano la stabilità dell’intera Eurozona.<br />

Con riferimento a talune reazioni dei media e di ambienti politici sulla disciplina<br />

comunitaria imposta ai Governi degli Stati membri si deve comunque affermare<br />

che non può essere considerato una umiliazione né una coercizione l’obbligo<br />

di stare ai patti comunitari precedentemente sottoscritti. <strong>La</strong> disciplina sollecitata<br />

non è una improvvisazione ma il risultato di dibattiti e decisioni concordate nel<br />

quadro istituzionale dell’Unione che avrebbero dovuto avere maggiore risonanza a<br />

livello nazionale al momento in cui erano state assunte.<br />

«C.» Due aspetti del “Sistema Europa Unita” sollevano perplessità e comunque<br />

dubbi, sia di natura funzionale e di poteri, sia relativi all’efficacia di quel ri-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

83


Flavio Mondello<br />

sultato che potremmo, con semplicità di immagine e di parole, definire lo “stare<br />

assieme” di tutti i Paesi aderenti.<br />

Uno riguarda la legittimazione democratica dei nuovi poteri del Governo<br />

dell’Eurozona (diciassette Paesi) e l’“imposizione” del rispetto delle regole; l’altro<br />

aspetto riguarda il conseguente rapporto Eurozona-Consiglio Europeo (ventisette<br />

Paesi).<br />

Non appare necessaria una revisione del Trattato di Lisbona per rafforzarne<br />

le regole, e quindi le ragioni e le volontà, e rendere consapevolmente irreversibile<br />

il processo verso la “Grande Europa”?<br />

F.M.: Il Vertice comunitario dell’Eurozona, dopo le decisioni del 26 ottobre<br />

2011, evidenzia la necessita di ampi poteri per far rispettare dai Paesi membri la disciplina<br />

concordata nell’ambito di una <strong>politica</strong> comunitaria di bilancio.<br />

Nuove regole di disciplina, anche se ancora non sufficientemente rafforzata,<br />

già approvate dai Governi di tutti i Paesi dell’Eurozona, sono state messe in atto, a<br />

partire dal 1° gennaio 2011, con dettagliate procedure unanimemente approvate.<br />

Queste comportano durante il “Semestre Europeo” (il primo semestre di ogni anno)<br />

precisi impegni da parte di ognuno dei 17 Paesi di sottoporre preventivamente<br />

a Bruxelles i progetti di bilancio, rispettando le Raccomandazioni UE Paese per<br />

Paese precedentemente concordate. Nel 2° semestre viene effettuato “comunitariamente”<br />

un esame <strong>della</strong> compatibilità dei progetti di bilancio con tali impegni e<br />

vengono richieste le eventuali correzioni.<br />

Nel caso di insufficienti risposte seguono successive sollecitazioni che, in mancanza<br />

di adeguamenti, possono diventare vere e proprie dettagliate ingiunzioni, sino<br />

a trasformarsi, per gli inadempienti persistenti, nelle sanzioni previste dal Trattato<br />

e che ora, come già precisato, si vorrebbe rendere più pesanti. <strong>La</strong> Sig.ra Merkel,<br />

invocando l’automatismo delle sanzioni, vorrebbe addirittura trascinare davanti alla<br />

Corte di giustizia UE gli irriducibili inadempienti così da far camminare le sanzioni<br />

dalla stessa Corte. Sono addirittura in discussione possibilità di sospensione<br />

del diritto di voto o dei Fondi Europei ed interventi sulle procedure nazionali di<br />

bilancio. Il Governo tedesco deve comunque sempre ottenere il benestare <strong>della</strong><br />

Corte costituzionale prima di trasferire nuove competenze e nuovi poteri.<br />

Il rafforzamento del Trattato di Lisbona<br />

– I maggiori poteri del governo dell’Eurozona potrebbero anche essere democraticamente<br />

legittimati da una modifica del Trattato di Lisbona: questa volta,<br />

però, le variazioni dovrebbero essere limitate ed elaborate con previste procedure<br />

semplificate per non richiedere tempi troppo lunghi e scongiurare tentativi di intaccare<br />

l’attuale architettura istituzionale dell’Unione e di alterare la natura dell’Unione<br />

Europea. Comunque anche se le variazioni dovessero riguardare solo l’Eurozona<br />

per una severissima Governance comunitaria di Bilancio, la riforma deve es-<br />

84<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

sere decisa all’unanimità dei 27 Paesi membri. Per non ritoccare il Trattato non è<br />

stata esclusa la possibilità di ricorrere a delle “Cooperazioni rafforzate”, previste dal<br />

Trattato, che consentono decisioni solo tra alcuni Stati membri non inferiori a nove.<br />

Tuttavia anche questa soluzione richiede un accordo a 27 col rischio del no britannico.<br />

Non è stato escluso, nell’impossibilità di modificare il Trattato, il ricorso alla<br />

formula iniziale intergovernativa di Schengen per la libera circolazione nell’UE,<br />

sottoscritta solo dai governi favorevoli. Formula che successivamente è stata comunitarizzata<br />

con la concessione di opt-out.<br />

<strong>La</strong> legittimazione democratica delle variazioni di un Trattato firmato da Governi<br />

deriva dalle libere ratifiche nei 27 Paesi membri da parte di Parlamenti nazionali<br />

o di referendum popolari.<br />

Non è quindi accettabile la critica di una Unione Europea imposta dalle Cancellerie<br />

ai Parlamenti nazionali ed ai cittadini dalle Cancellerie. <strong>La</strong> prova <strong>della</strong> impossibilità<br />

di una simile imposizione è già intervenuta due volte: col rifiuto dei cittadini<br />

francesi e irlandesi di ratificare nel 2005 il Trattato Costituzionale approvato<br />

e firmato dai 27 Governi UE nel 2003 ed in precedenza nel 1954 con la mancata<br />

ratifica del Parlamento francese del Trattato <strong>della</strong> Comunità Europea <strong>della</strong> Difesa<br />

(CED) firmato dai Governi dei 6 Paesi <strong>della</strong> CECA nel 1952.<br />

<strong>La</strong> proposta di riforma<br />

– Il problema <strong>della</strong> possibile riforma del Trattato di Lisbona è già stato messo<br />

all’ordine del giorno del Consiglio Europeo del prossimo dicembre e sarà discusso<br />

sulla base di una proposta del Presidente Van Rompuy e del Presidente <strong>della</strong> Commissione<br />

Europea Barroso.<br />

<strong>La</strong> proposta riguarderà un programma d’azione che approfondisca ulteriormente<br />

la governance economica, andando oltre il Patto di Stabilità e Crescita ed il<br />

Patto Euro plus.<br />

Bilancio economico, controlli<br />

– Nel frattempo la Commissione ha presentato al Parlamento ed al Consiglio<br />

due proposte di legge che saranno di applicazione diretta ed immediata: la prima<br />

per rafforzare la sorveglianza di bilancio ed economica così da realizzare una coerenza<br />

tra i 17 dell’Eurozona e gli altri 10 membri UE, la seconda per imporre ai<br />

Paesi con deficit eccessivi controlli molto severi e per sollecitare modifiche ai loro<br />

bilanci.<br />

È data inoltre ampia diffusione ad un “Libro verde” <strong>della</strong> Commissione per<br />

raccogliere le reazioni di “tutti gli interessati” su tre opzioni per l’emissione di Eurobonds<br />

che sono definiti “Obbligazioni UE per la stabilità finanziaria” (“Stability<br />

Bonds”), da realizzare tuttavia non appena sarà raggiunto nell’Eurozona l’obiettivo<br />

del rafforzamento <strong>della</strong> governance introducendo maggiore disciplina con san-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

85


Flavio Mondello<br />

zioni automatiche contro gli inadempimenti, e convergenza dei risultati economici.<br />

Si tratterebbe allora di comunitarizzare una parte dei debiti sovrani dell’area<br />

Euro, dovendosi quindi decidere il controverso problema <strong>della</strong> ripartizione delle<br />

garanzie.<br />

È evidente che ormai è indispensabile dimostrare ai mercati, attraverso credibili<br />

meccanismi UE “salvastati”, che la sottoscrizione di debiti sovrani dell’Eurozona<br />

non sarà più a rischio e quindi non si potranno pretendere tassi di interesse elevati<br />

che creano ulteriori squilibri di bilancio e comprimono ulteriormente le già scarse<br />

disponibilità di credito. Attualmente la notevole forza <strong>della</strong> Germania, rispetto alla<br />

debolezza di molti suoi partner dell’Eurozona, fa si che lo Stato tedesco possa indebitarsi<br />

a tassi particolarmente bassi mentre molto elevati sono i tassi richiesti a Paesi<br />

in crisi come Italia e Spagna e anche ad altri Paesi ancora considerati solidi. <strong>La</strong> sig.ra<br />

Merkel sostiene a riguardo che è invece opportuno non intervenire, per es. con gli<br />

stability bonds, per livellare gli spreads poichè questi sono indicatori dei necessari<br />

aggiustamenti di bilancio. Occorre pertanto ricreare le condizioni prima <strong>della</strong> crisi<br />

quando i tassi erano praticamente uguali.<br />

È opportuno precisare che nell’Eurozona, una gran parte dei poteri derivanti<br />

da un trasferimento di sovranità nazionale all’UE sono già stati legittimati dal Trattato<br />

di Maastricht e dal successivo Patto di Stabilità e Sviluppo che è una legge comunitaria,<br />

prevalente sulla legge nazionale e di applicazione diretta ed immediata<br />

negli Stati membri, approvata dopo lunghi dibattiti. Il Patto, per quanto riguarda i<br />

Paesi dell’Euro, riguarda soprattutto la disciplina per garantire il rispetto dei parametri<br />

ammissibili di deficit e debito del bilancio pubblico inscritti nel Trattato: disciplina<br />

che, come già detto, deve essere notevolmente rafforzata.<br />

Nel frattempo, sempre per meglio legittimare democraticamente la Governance<br />

Economica Europea diventa indispensabile, come già osservato, un maggior<br />

coinvolgimento del Parlamento Europeo, l’Istituzione eletta dai cittadini dell’Unione,<br />

sia pure senza unica legge elettorale, garantendone il potere colegislativo col<br />

Consiglio.<br />

Rapporto Eurozona-Consiglio Europeo<br />

– Un problema collegato, sollevato dai Paesi membri non partecipanti all’Euro<br />

e in particolare dalla Gran Bretagna che non ha alcuna intenzione di abbandonare<br />

la sterlina, è la necessità di evitare condotte separate del Vertice Monetario dei 17<br />

membri dell’Eurozona e del Consiglio Europeo dei 27 Paesi membri, perché la crisi<br />

dell’Eurozona e le sue soluzioni incidono su tutte le economie dell’Unione. L’Eurozona<br />

non può essere considerata una deroga all’UE.<br />

Londra ha chiesto il pieno rispetto dell’integrità dell’EU nel suo insieme, anche<br />

se preferirebbe intendendo evitare la istituzionalizzazione di una Europa due<br />

velocità, tra l’altro ha preteso la conservazione dell’unità a 27 Paesi membri del<br />

mercato interno, non per nulla definito “mercato unico”, che rappresenta un im-<br />

86<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

portante sbocco dell’export britannico. Il Premier Cameron tuttavia, nonostante<br />

abbia dichiarato essenziale per il Regno Unito un Euro stabile e forte, non ha ancora<br />

ottenuto, per l’opposizione francese, l’accordo politico sul coordinamento istituzionale<br />

dei lavori a 27 con quelli a 17, ciò che in gran parte allevierebbe le conseguenze<br />

<strong>della</strong> attuale non partecipazione britannica all’Euro.<br />

<strong>La</strong> recente intenzione accennata da ambienti governativi tedeschi di spezzare la<br />

Zona Euro in due, una forte ed una debole con diversi livelli di cambio dell’Euro<br />

per non continuare a sostenere i Paesi membri in difficoltà, sembra non ricordare<br />

che durante la fase dello SME (Sistema Monetario Europeo che ha preceduto l’Euro)<br />

numerosi settori industriali tedeschi, per mantenere gli acquisti dei loro prodotti<br />

(es. automobili) da parte dei Paesi <strong>della</strong> Comunità Europea che avevano svalutato<br />

la loro divisa rispetto al Marco, avevano dovuto deprezzare privatamente il<br />

loro tasso di cambio ufficiale.<br />

«C.»: Come potrebbe essere individuato e descritto il contributo delle politiche<br />

comunitarie agli sforzi degli Stati per vincere la crisi in atto, in carenza di<br />

una <strong>politica</strong> comunitaria di governo dell’economia che lascia troppo esposti i<br />

singoli Paesi e mette addirittura a rischio la loro permanenza nell’Unione?<br />

F.M.: È sorprendente constatare che, in taluni Paesi membri, poche notizie sono<br />

filtrate da Bruxelles sulle politiche comunitarie che contribuiscono a sostenere<br />

gli onerosi sforzi a livello nazionale per vincere la crisi in atto e favorire crescita ed<br />

occupazione. Si sentono infatti avanzare dall’opinione pubblica critiche ed accuse<br />

alla Unione Europea ed a sue Istituzioni di non affrontare temi di loro responsabilità<br />

che, invece, sono ampiamente discussi in avviate fasi decisionali, anche se talvolta<br />

complesse difficili, o addirittura sono già decisi. Il Consiglio Europeo del 23<br />

ottobre 2011, in preparazione <strong>della</strong> successiva sessione del 25-26 ottobre sulla crisi<br />

dell’Eurozona, ha voluto evidenziare i principali atteggiamenti, le intenzioni e le<br />

decisioni delle Istituzioni UE, in particolare con riferimento alla ampiamente dibattuta<br />

strategia Europa 2020.<br />

Limitandoci ad accennare ai principali capitoli affrontati dai Governi degli Stati<br />

membri nelle Istituzioni UE si possono indicare:<br />

le riforme strutturali individuate per la competitività, la crescita e l’occupazione,<br />

relative al mercato del lavoro nel rispetto <strong>della</strong> flexIsecurity (flessibilità legata alla<br />

sicurezza sociale) con particolare attenzione ai precari, al sistema pensionistico, ai<br />

rapporti di lavoro;<br />

le privatizzazioni dei servizi e delle libere professioni;<br />

l’efficacia del sistema giudiziario civile;<br />

la lotta all’evasione fiscale;<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

87


Flavio Mondello<br />

il “Patto Euro plus”, da approfondire nel Consiglio Europeo di dicembre 2011,<br />

per migliorare il coordinamento delle politiche economiche finalizzate alla stabilità<br />

dell’Euro;<br />

il pacchetto dei 6 atti legislativi per assicurare un più elevato livello di sorveglianza<br />

e di coordinamento per evitare accumuli di squilibri economici eccessivi e per<br />

un affidabile esame annuale <strong>della</strong> crescita necessario alla migliore preparazione<br />

dei “Consigli economici di Primavera”;<br />

i lavori legislativi sulle proposte <strong>della</strong> Commissione per il coordinamento delle<br />

politiche fiscali relativo alla base comune consolidata per l’imposta sulle società<br />

ed alla tassa comunitaria sulle transazioni finanziarie che è rimasta in discussione<br />

nel G20;<br />

la effettiva apertura a livello comunitario degli appalti pubblici;<br />

l’integrazione comunitaria dei settori dell’energia e dei trasporti con finanziamenti<br />

UE integrativi per la realizzazione di anelli infrastrutturali transnazionali;<br />

la <strong>politica</strong> globale degli investimenti nel contesto <strong>della</strong> mondializzazione.<br />

È da sottolineare l’approfondimento in corso delle nuove regole e <strong>della</strong> loro relativa<br />

sorveglianza comunitaria, da applicare al sistema finanziario: si intende collaborare<br />

col Consiglio Internazionale di Stabilità Finanziaria, sino ad ora presieduto<br />

da Draghi iniziatore di un ambizioso programma di riforma di quel settore che è<br />

stato all’origine <strong>della</strong> crisi globale in atto. In particolare si sta discutendo, nell’ambito<br />

<strong>della</strong> governance economica, <strong>della</strong> riforma dei prodotti derivati, del sistema<br />

bancario parallelo e dei principi e norme delle remunerazioni nel settore bancario,<br />

<strong>della</strong> lotta ai paradisi fiscali ed anche <strong>della</strong> lotta alla eccessiva volatilità dei prezzi<br />

alimentari nell’ambito <strong>della</strong> sicurezza alimentare a livello mondiale.<br />

È inoltre rilevante l’impegno di rafforzare la <strong>dimensione</strong> sociale <strong>della</strong> mondializzazione.<br />

«C.»: Dopo la prima risposta del Consiglio Europeo dell’ottobre 2011 alla<br />

crisi dell’Eurozona quale riflessione si può fare sul più decisivo impegno dei Capi<br />

di Stato e di Governo dell’Eurozona, assunto il 9 dicembre 2011, per migliorare<br />

la governance economica e rispondere alla crisi del debito sovrano?<br />

F.M.: Anche questa volta alla vigilia del Summit si è ripetuta la liturgia <strong>della</strong><br />

estrema drammatizzazione <strong>della</strong> situazione. Nelle conclusioni, quasi all’alba, non si<br />

è verificata alcuna catastrofe e come ha dichiarato il Presidente Draghi <strong>della</strong> BCE :<br />

“non aveva alcuna probabilità né il crollo dell’Euro col ritorno alle valute nazionali,<br />

né la dissoluzione dell’Unione Europea”. Si sono consolidati l’Euro e l’Unione Europea.<br />

Ha inoltre affermato il Presidente Van Rompuy: “il risultato è molto buono<br />

anche perché si è imparato dai propri recenti errori”.<br />

88<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

È prevalsa la tesi da molto tempo in atto a Bruxelles, secondo cui il treno dell’integrazione<br />

non può correre alla velocità del vagone più lento.<br />

In questo caso il vagone è il Governo di Londra che, sotto la minaccia degli euroscettici<br />

britannici di convocare un referendum per decidere se rimanere o meno<br />

nell’UE, ha opposto il veto a nuove regole UE in campo finanziario, da introdurre<br />

attraverso una riforma del Trattato.<br />

Il Premier Cameron lo ha fatto ritenendo di difendere ad oltranza l’autonomia<br />

dei servizi finanziari <strong>della</strong> City, ma è rimasto completamente isolato dai 17 dell’Eurozona<br />

e dagli altri 9 Stati membri che ancora non applicano la moneta unica.<br />

Cameron rientrato in patria si è trovato contestato non solo dall’opposizione<br />

ma addirittura da membri del suo Governo e dal suo stesso Vice.<br />

D’altra parte era stata respinta, su pressione di Sarkozy ed a causa <strong>della</strong> gravità<br />

<strong>della</strong> situazione dell’intera Unione Europea, la richiesta di Londra di fruire ancora<br />

una volta di un opting-out, e cioè <strong>della</strong> possibilità di non applicare le nuove regole<br />

da introdurre nel Trattato, come già, per esempio, aveva ottenuto a Maastricht di<br />

non adottare l’Euro o, successivamente, di non attivare le regole <strong>della</strong> libera circolazione<br />

delle persone.<br />

Nel 2012 un accordo intergovernativo<br />

– Mancata l’unanimità, pur di accelerare i tempi di un ambizioso e vincolante<br />

“Patto di bilancio” che di fatto instaura regole comuni per una “Unione di stabilità<br />

dei bilanci” a fianco <strong>della</strong> moneta unica, i 17 dell’Eurozona, con la piena adesione<br />

a tale processo da parte degli altri 9 membri dell’UE, hanno deciso di firmare entro<br />

marzo 2012 un Accordo intergovernativo. Obiettivo: stabilizzare il mercato finanziario,<br />

avviare a soluzione sistemica la crisi dell’Eurozona, consolidare l’Euro, in un<br />

contesto di disciplina di bilancio e di coordinamento notevolmente rafforzato delle<br />

politiche economiche nei settori di interesse comune. Si creano così le condizioni<br />

necessarie alla ripresa dell’economia.<br />

I 17 dell’Eurozona faranno comunque di tutto per incorporare il prima possibile<br />

le disposizioni dell’Accordo intergovernativo nei Trattati dell’Unione, così come era<br />

avvenuto per l’Accordo intergovernativo sulla libera circolazione delle persone.<br />

È stato pertanto deciso di stabilire un nuovo quadro giuridico per realizzare il<br />

“Patto sulla condotta dei bilanci pubblici nazionali”: una autentica “Unione di stabilità<br />

dei Bilanci” a fianco <strong>della</strong> moneta unica, con regole che impegnino ad una<br />

severa disciplina di bilancio, al coordinamento delle politiche economiche oltre ad<br />

un approfondimento dell’integrazione nel “Mercato interno”, per perseguire una<br />

maggiore crescita, una competitività rafforzata e la coesione sociale.<br />

In sintesi l’Accordo tradurrà il forte impegno dei 17 dell’Eurozona di salvaguardare<br />

in un nuovo quadro giuridico la stabilità dell’Euro e segnerà un passo<br />

avanti nella realizzazione di una architettura rafforzata per l’Unione Economica e<br />

Monetaria.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

89


Flavio Mondello<br />

Occorre ora che il mercato finanziario creda a questa volontà <strong>politica</strong> e cessi di<br />

destabilizzare i debiti sovrani dell’Unione Europea.<br />

Deve essere sottolineato che l’Unione Europea continuerà comunque ad applicare<br />

le regole previste dall’attuale Trattato di Lisbona, ratificato da tutti i 27 Stati<br />

membri, per le numerose politiche di competenza comunitaria, salvo quelle decise<br />

il 9 dicembre 2011 da realizzarsi entro un diverso quadro giuridico. <strong>La</strong> vita dell’Unione<br />

continua dunque per la concorrenza nel “Mercato interno”, il commercio,<br />

l’industria, l’agricoltura, la fiscalità, la giustizia, l’energia, l’ambiente, la <strong>politica</strong><br />

estera, di sicurezza e di difesa comune, ecc.<br />

Cooperazioni rafforzate<br />

– È opportuno rilevare che sarà utilizzata, col benestare dei 27, e quindi anche<br />

di Londra, la formula delle “Cooperazioni rafforzate” (politiche decise da più di 9<br />

Stati membri, per es. i 17 dell’Eurozona) riguardanti questioni essenziali per il corretto<br />

funzionamento <strong>della</strong> Zona Euro già previste dal Trattato di Lisbona, senza<br />

compromettere, tra l’altro, l’unicità del mercato interno essenziale anche per il Regno<br />

Unito.<br />

Gli interventi decisi il 9 dicembre 2011 dai Capi di Stato e di Governo dell’Eurozona<br />

hanno assunto due direzioni: un nuovo “Patto di bilancio” con un rafforzamento<br />

del coordinamento delle politiche economiche, ed il rafforzamento e sviluppo degli<br />

strumenti di stabilizzazione già decisi per fronteggiare le sfide a breve termine.<br />

Tutti i dettagli sono stati, questa volta, ampiamente ripresi dai media ed illustrati<br />

dai leader politici partecipanti al Summit di Bruxelles.<br />

Ruoli delle istituzioni europee<br />

– È necessario mettere in evidenza che per raggiungere i due fondamentali<br />

obiettivi è stato fortemente potenziato il ricorso alla macchina istituzionale comunitaria.<br />

Alle Istituzioni dell’Unione sono stati attribuiti, sulla base dei principi espressi<br />

dai Capi di Stato e di Governo, ruoli fondamentali di proposta, di decisione, di valutazione,<br />

di controllo e di intervento, per esempio, nei confronti degli inadempimenti<br />

degli impegni collettivamente assunti riguardo al pareggio di bilancio ed al<br />

debito dello Stato:<br />

– la Commissione, interprete dell’interesse comune, esamina la compatibilità dei<br />

progetti di bilancio nazionali ed esprime il proprio parere;<br />

– il Consiglio, quale legislatore, espressione degli interessi nazionali, esamina insieme<br />

al Parlamento Europeo, i progetti dei Regolamenti affinché siano messi<br />

rapidamente in vigore;<br />

– la Corte di Giustizia è garante dell’applicazione delle regole di bilancio;<br />

– la Banca Centrale Europea, nella sua assoluta indipendenza, è principalmente<br />

impegnata a mantenere la stabilità dei prezzi e, senza pregiudicarla, contribui-<br />

90<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

sce a promuovere uno sviluppo armonioso ed equilibrato dell’attività economica,<br />

per es. garantendo opportuni flussi di finanziamento delle banche, anche<br />

acquistando, tra l’altro, loro attivi in titoli di Stato, ed agendo sui tassi di interesse<br />

favorisce la disponibilità di credito al mondo produttivo, oggi gravemente<br />

compromessa.<br />

– il Presidente del Consiglio Europeo è la figura cerniera tra il Patto intergovernativo<br />

di bilancio e l’Unione Europea.<br />

<strong>La</strong> possibilità di comunitarizzare parte del debito sovrano degli Stati dell’Eurozona<br />

attraverso l’emissione di Eurobond o di Stability bond, che sembrava essere<br />

stata abbandonata a seguito dell’opposizione tedesca preoccupata di ingenerare lassismo,verrà<br />

discussa nel marzo prossimo in occasione <strong>della</strong> firma dell’Accordo intergovernativo,<br />

sulla base <strong>della</strong> proposta <strong>della</strong> Commissione.<br />

In conclusione si può affermare che il 9 dicembre 2011 sono state create, attraverso<br />

progressive “solidarietà di fatto”, condizioni che dovrebbero portare al futuro<br />

traguardo di una Unione <strong>politica</strong> europea.<br />

«C.»: Nonostante i progressi, anche sostanziali, del processo integrativo europeo,<br />

la pubblica opinione manifesta preoccupanti segni di euro scetticismo e stenta<br />

ad assorbire e metabolizzare l’ideale europeo, anche perché non è esattamente<br />

al corrente di quanto, come e cosa si decide a Bruxelles per carenza di informazione<br />

e soprattutto non intravede una possibilità certa di “unione <strong>politica</strong> europea”.<br />

Considerando l’insufficiente perseguimento di questo obiettivo la causa principale<br />

di tentennamenti e di troppo lente decisioni comunitarie, quale potrebbe essere<br />

una corretta visione del fenomeno di integrazione europea in atto?<br />

F.M.: Il recente Trattato di Lisbona, che è seguito all’infortunato Trattato costituzionale<br />

firmato ma non ratificato, precisa che i Governi dei 27 Paesi firmatari<br />

istituiscono tra loro una Unione Europea che segna solamente una nuova tappa nel<br />

processo di creazione di una unione sempre più stretta tra i “popoli” d’Europa: occorrono<br />

ancora parecchi ulteriori passi da compiere e solidarietà da verificare per<br />

coronare <strong>politica</strong>mente l’integrazione europea.<br />

Il Trattato riconosce dunque per ora la necessità di creare solide basi per l’edificazione<br />

dell’Europa futura pur senza definirla. Nella fase attuale si tratta dunque di<br />

rafforzare le basi su cui costruire una Europa <strong>politica</strong> e ciò è abbastanza importante<br />

se non essenziale per raggiungere il traguardo politico finale.<br />

<strong>La</strong> mancanza dell’espressione “Europa <strong>politica</strong>” nel Trattato non significa però<br />

che il contenuto <strong>della</strong> Unione non sia profondamente politico: infatti comporta la<br />

realizzazione di una serie di Politiche comuni che rafforzano l’identità dell’Europa<br />

e la sua indipendenza nel mondo. D’altra parte la stessa l’Unione è iniziata con un<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

91


Flavio Mondello<br />

progetto politico: garantire la pace nell’Europa occidentale. E l’Euro ha creato un<br />

legame indissolubile tra i partecipanti ed ha fatto scattare l’esigenza di una Unione<br />

più approfondita.<br />

Il Presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy ha messo in evidenza<br />

che, per esempio, la sollecitazione di urgente Europa <strong>politica</strong> per creare una effettiva<br />

Unione Fiscale europea, da affiancare all’Unione Economica e Monetaria,<br />

non tiene conto dell’impossibilità attuale del trasferimento di un sostanziale ammontare<br />

di tassazione e di spesa pubblica dai livelli nazionali al livello comunitario.<br />

Oggi il 98% <strong>della</strong> spesa pubblica nell’UE è nazionale e solo il 2% passa attraverso<br />

il Bilancio dell’UE.<br />

Eirrealistico immaginare che questa situazione possa cambiare, se non subito,<br />

anche nel medio periodo, così come è irrealistica la possibilità di fissare livelli comuni<br />

di imposizione fiscale nei Paesi membri. Forse potrebbe esserlo solo per l’I-<br />

VA. Ciò che è necessario e possibile è solo un maggior coordinamento nella tassazione<br />

sulle imprese, come più sopra accennato a proposito dell’impegno bilaterale<br />

franco-tedesco, essendo però consapevoli che in questo campo occorre sempre l’unanimità<br />

per deliberare.<br />

L’utilizzo dei Fondi strutturali UE<br />

– Una Unione fiscale dovrebbe anche significare il trasferimento di risorse dagli<br />

Stati più ricchi a quelli disagiati. Ma è bene ricordare che gli Stati membri hanno<br />

già dichiarato la loro riluttanza ad un radicale ampliamento dei Fondi strutturali<br />

UE che, anche se limitati, già esprimono solidarietà tra Stati membri. D’altra<br />

parte, secondo un parere che si sta evidenziando, l’ammontare di questi Fondi potrebbe<br />

essere meglio finalizzato, nell’attuale fase critica, a facilitare riforme economiche<br />

che accelerino una ripresa competitiva.<br />

Tuttavia è evidente che la discrepanza tra il debole grado di integrazione <strong>della</strong><br />

<strong>politica</strong> fiscale UE e l’alto livello <strong>della</strong> interdipendenza monetaria-finanziaria (con<br />

una moneta unica che richiede una disciplina anche fiscale) rende necessari nel<br />

medio termine ulteriori passi avanti in questo campo e su ciò, come sostiene il<br />

Consiglio Europeo, è opportuno avviare un serio dibattito pubblico.<br />

In definitiva pretendere che l’approccio dinamico per tappe successive di integrazione<br />

sia di colpo trasformato nella istituzione di una unitaria Europa <strong>politica</strong><br />

non sembra ancora realista. Sarebbe più opportuno, tra le due tesi degli ossessionati<br />

di questo futuro politico e di coloro che lo considerano solo una profonda aspirazione,<br />

un approccio realista: considerare già <strong>politica</strong> una Unione che realizza legami<br />

così stretti tra i 27 Stati membri.<br />

Quanto alle critiche per i tentennamenti e la lentezza delle decisioni nell’Unione<br />

Europea dovuti a carenza di leadership, il Presidente del Consiglio Europeo ha<br />

raffermato si debba prendere atto dell’esistenza di un divario oggettivo tra il tempo<br />

<strong>della</strong> democrazia ed il tempo dei mercati, tra le settimane, i mesi e gli anni delle<br />

92<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

procedure in un Parlamento ed i giorni, i minuti od anche i secondi di un click di<br />

mouse che determina il ritmo di una Borsa.<br />

Non si può tuttavia ignorare che in passato, nella costruzione europea, sono<br />

state assunte decisioni da chi ha avuto il coraggio di non temporeggiare e superare<br />

forti interessi di potere personale o nazionale per privilegiare il progresso dell’integrazione<br />

europea.<br />

I freni delle crisi interne agli Stati<br />

– Purtroppo la crisi in atto, col seguito di gravi sacrifici <strong>della</strong> popolazione, finisce<br />

col sollecitare reazioni, talvolta populiste, contro i trasferimenti di sovranità ad<br />

Istituzioni comunitarie accusate di non prendere in sufficiente considerazione le<br />

reali esigenze dei cittadini oppure di non saper affrontare con maggiore determinazione<br />

le drammatiche conseguenze <strong>della</strong> crisi. In realtà sono talvolta i Capi di Stato<br />

e di Governo, prigionieri di loro condizionamenti nazionali, a rallentare o comunque<br />

a condizionare il processo decisionale comunitario. D’altra parte si deve tener<br />

conto che i trasferimenti di sovranità in campo economico e finanziario ad una entità<br />

sopranazionale sono ormai imposti dalla sfida <strong>della</strong> globalizzazione dei mercati<br />

e dal progressivo riequilibrio delle leadership mondiali. Per quanto riguarda l’Europa,<br />

la sua leadership nel contesto mondiale non può certamente essere assunta<br />

come espressione dell’una o dell’altra leadership nazionale.<br />

«C.»: Quale è l’indirizzo dell’Unione per la conciliazione dell’identità europea<br />

e delle identità nazionali ancora solidamente ancorate a comportamenti e regole<br />

gelosamente difese e sottratte, anche parzialmente, ad una gestione più comunitaria?<br />

F.M.: L’Unione Europea continua a rispettare l’identità nazionale degli Stati<br />

membri senza metterla in contrapposizione con una identità europea.<br />

Il Trattato di Lisbona ha ripetuto che l’Unione non intende modificare gli elementi<br />

identitari di ciascuno degli Stati-Nazione membri relativi alla struttura <strong>politica</strong><br />

e costituzionale ed alle autonomie locali e regionali.<br />

L’unione inoltre non intende interferire nelle tre funzioni che ritiene peculiari<br />

dello Stato-Nazione: salvaguardia <strong>della</strong> integrità territoriale, mantenimento dell’ordine<br />

pubblico, tutela <strong>della</strong> sicurezza nazionale.<br />

Non si deve però dimenticare che per giurisprudenza costante <strong>della</strong> Corte di<br />

Giustizia Europea, i Trattati UE ed il Diritto da loro derivato prevalgono sempre<br />

sul Diritto degli Stati membri.<br />

Non si deve ugualmente dimenticare che per onorare l’impegno assunto con la<br />

firma del Trattato gli Stati membri devono “giornalmente” adottare ogni misura<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

93


Flavio Mondello<br />

necessaria per attuare gli obblighi comunitari che si sono loro stessi assegnati e per<br />

raggiungere i traguardi che si sono loro stessi imposti.<br />

Si è anche deciso che tutti i Governi degli Stati membri debbono facilitare l’Unione<br />

nell’adempimento dei propri compiti astenendosi da qualsiasi misura che rischi<br />

di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’UE.<br />

Obblighi e ritiri<br />

– D’altra parte, secondo lo stesso Trattato di Lisbona, nessuno Stato membro è<br />

obbligato a<br />

rimanere nell’Unione Europea e, rispettando determinate procedure, ha sempre<br />

la possibilità, se non ritiene di poter rispettare l’evolversi degli impegni assunti,<br />

di ritirarsi dal processo integrativo e tentare di agire da solo o con altri partner nel<br />

nuovo contesto mondializzato, però senza più contare sulla solidarietà comunitaria.<br />

Il Trattato non prende invece in considerazione la possibilità di un ritiro dall’Eurozona.<br />

È inoltre da chiarire che il Trattato UE, evidenziando il “Principio di Attribuzione”,<br />

sottolinea che le Istituzioni dell’Unione non possono assegnarsi compiti<br />

che non siano compresi tra le competenze comunitarie loro conferite dagli stessi<br />

Stati membri: all’Unione gli Stati membri hanno devoluto il conseguimento di<br />

precisi obiettivi comuni in tre campi: “aspetti economici, sociali, monetari”, <strong>politica</strong><br />

estera di sicurezza e di difesa”, “spazio interno di libertà sicurezza, giustizia”.<br />

Sono problemi che, nel contesto <strong>della</strong> globalizzazione, possono essere risolti<br />

non con singole azioni nazionali ma solo con solidi impegni comunitari.<br />

L’Unione d’altra parte, in applicazione del “Principio di Sussidiarietà” può intervenire<br />

con leggi, elaborate ed emanate dalle proprie Istituzioni, soltanto se gli<br />

obiettivi comunitari condivisi non possono essere soddisfacentemente raggiunti da<br />

leggi nazionali, regionali o locali. Novità comunitaria è il fatto che arbitri di questa<br />

situazione sono i Parlamenti nazionali.<br />

Il contributo richiesto ai Parlamenti nazionali<br />

– L’Unione sollecita ai Parlamenti nazionali un forte contributo attivo al suo<br />

buon funzionamento, che se dato con convinzione porta a rafforzare la legittimità<br />

comunitaria e ad avvicinare l’Europa ai cittadini. Purtroppo questo obiettivo non<br />

può considerarsi ancora raggiunto.<br />

Inoltre le elezioni del Parlamento Europeo, che comunque sta accentuando il<br />

suo potere colegislativo col Consiglio, rimangono ancora una sommatoria di elezioni<br />

nazionali e le campagne elettorali non fanno cogliere ai cittadini le valenze<br />

comunitarie delle Politiche UE, perché si limitano a privilegiare il piccolo cabotaggio<br />

delle diatribe partitiche nazionali.<br />

94<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

«C.»: In molti paesi si accentuano prese di posizioni nazional-populiste contrarie<br />

alla attuale costruzione europea che è accusata di imporre troppi sacrifici ai<br />

cittadini per fronteggiare la crisi in atto ed inoltre di trasformare l’identità europea<br />

in una minaccia a consolidate identità nazionali. Come è possibile debellare<br />

queste derive che per di più incoraggiano l’euroscetticismo?<br />

F.M.: Una dura obiezione nazional-populista al Trattato di Lisbona è l’implicito<br />

sostegno al multiculturalismo e cioè alla coesistenza di molteplici matrici culturali<br />

nelle società europee che sta diventando una minaccia alla identità originaria<br />

delle nazioni europee.<br />

Sono stati strumentalizzati interventi sul multiculturalismo da parte di Nicolas<br />

Sarkozy, di David Cameron e di Angela Merkel, preoccupati delle reazioni di lavoratori,<br />

di un numero sempre maggiore di pensionati in paesi che invecchiano e di<br />

cittadini di fronte alle difficoltà economiche in una Europa sottoposta alle pressioni<br />

di giovani immigrati da paesi in sottosviluppo.<br />

L’obiettivo di tali dichiarazioni era certamente quello di marginalizzare movimenti<br />

nazional-populisti di destra e di partiti minori, o precedentemente irrilevanti<br />

che si sono evidenziati in recenti elezioni politiche ed anche di contrastare recenti<br />

derive di partiti tradizionalmente europeisti che di fronte all’attuale crisi hanno<br />

fatto prevalere, anziché la solidarietà, tendenze egoistiche.<br />

È pertanto necessario contrastare eccessive prese di posizione che sfiorano il razzismo<br />

e risvegliano tentazioni di identità nazionaliste se non separatiste, accusando<br />

l’Unione Europea di minacciare le basi etniche <strong>della</strong> identità nazionale e di non saper<br />

contrastare il mondialismo cosmopolita ed il multiculturalismo. In definitiva il nazional-populismo<br />

accusa l’UE di estinguere l’identità del continente europeo.<br />

Le minacce separatiste<br />

– L’eccesso di estremismo xenofobo, che inaspettatamente ha raggiunto il parossismo<br />

nella recente strage di giovani in Norvegia, ha immediatamente mobilitato<br />

l’UE che, tramite EUROPOL (Agenzia Europea di polizia istituita nel 1992 che<br />

si occupa di intelligence in ambito criminale), in collaborazione con INTERPOL,<br />

ha creato una task force per fronteggiare in maniera coordinata questa minaccia.<br />

Purtroppo il tentativo in atto di valorizzare soprattutto l’identità <strong>della</strong> Nazione<br />

che si eredita e non quella che si può costruire con l’integrazione europea, fa breccia<br />

negli euro scettici che si credono minacciati nella loro sicurezza e nella loro<br />

identità; addirittura talune forze politiche che maggiormente li rappresentano accusano<br />

l’UE di “colpi di Stato” per rovesciare taluni Governi imponendo loro insopportabili<br />

misure anticrisi.<br />

Il richiamo populista alle basi etniche dell’UE, che nel contesto dell’evoluzione<br />

geo<strong>politica</strong> mondiale sarebbe meglio considerare”provincialismo”, ha strumentalizzato<br />

la <strong>politica</strong> comunitaria dell’immigrazione.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

95


Flavio Mondello<br />

Lo Spazio di libera circolazione di Schengen è stato giudicato troppo accogliente<br />

di immigrati provenienti sia dalla confinante Federazione post comunista<br />

degli Stati legati a Mosca, sia dalla riva Sud del Mediterraneo in fibrillazione.<br />

L’anti multiculturalismo in questo caso è riferito maggiormente al complesso<br />

rapporto tra gli occidentali e gli arabi mussulmani.<br />

Occorre contrastare la tesi nazional-populista, supportata dall’euroscetticismo,<br />

secondo cui l’identità europea perseguita dal Trattato di Lisbona non è in grado di<br />

suscitare emozioni e di sollecitare una adesione popolare. In realtà non diminuisce<br />

la domanda di Unione Europea di molti Paesi che ambiscono farvi parte non solo<br />

alla ricerca di prosperità, ma anche per acquisire i nostri valori, la nostra libertà ed<br />

anche il nostro Euro che, in un solo decennio di vita, è diventato la 2° moneta<br />

mondiale.<br />

Carenze nella comunicazione<br />

– L’insufficiente conoscenza dell’attività delle Istituzioni europee fa molte volte<br />

percepire le Autorità di Bruxelles lontane e astratte forse anche perché sono plasmate<br />

essenzialmente dai Governi degli Stati membri che, a loro volta, non sempre<br />

sono considerati vicini alle esigenze dei cittadini. Si deve aggiungere che anche disinformazioni<br />

su talune Politiche comunitarie le fanno sembrare slegate dalle attese<br />

popolari perché all’interno degli Stati membri si tende a far attribuire al proprio<br />

Governo i meriti di decisioni comunitarie particolarmente positive, mentre si scarica<br />

sulla UE l’imposizione di provvedimenti che comportano particolare severità<br />

anche se questa è indispensabile.<br />

Le pur legittime discussioni tra i partner europei in vista di difficili soluzioni si<br />

svolgono in pubblico evidenziando così le divergenze con seguito di minacce negoziali.<br />

Ciò propaga l’inquietudine e dà l’impressione di irreparabili divisioni, anche<br />

se poi queste finiscono sempre col comporsi in un accordo.<br />

Questa trasparenza dei dibattiti può talvolta creare l’impressione di inadeguatezza<br />

e di incertezza dell’UE di fronte alla gravità <strong>della</strong> posta in gioco, ma ciò che<br />

conta sono le conclusioni cui si giunge.<br />

Certamente per non lasciar diffondere le tesi nazional-populiste si devono denunciare<br />

le disinformazioni a scopi elettorali, ma è anche opportuno rendere più<br />

comprensibili e incisivi i comunicati UE oltre a dare completezza al sito informatico<br />

ufficiale UE, attualmente scarsamente efficace. Sono inoltre necessari più convincenti<br />

e motivanti interventi pubblici dei responsabili comunitari delle Politiche UE in<br />

ogni campo, se non altro per alimentare un sentimento di fierezza di essere europei.<br />

«C.»: Il “Gruppo dei 10” che, nell’ambito dell’attività dell’<strong>Istituto</strong> <strong>Luigi</strong><br />

<strong>Sturzo</strong>, effettua un periodico monitoraggio dei fenomeni in atto ed in prospetti-<br />

96<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Flavio Mondello<br />

va dell’attività dell’Unione Europea e delle sue Istituzioni, come vede nel momento<br />

attuale l’evoluzione del processo integrativo europeo?<br />

F.M.: L’<strong>Istituto</strong> <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong> ha voluto offrire ospitalità ad un gruppo di convinti<br />

assertori dell’idea europea, costituitosi all’inizio del 2000 come “Gruppo dei<br />

10” che ha fatto leva sull’esperienza comunitaria dei suoi membri i quali, per lungo<br />

tempo, sono stati attori, con ruoli diversi,del processo integrativo europeo.<br />

Come ha rilevato l’allora Presidente dell’<strong>Istituto</strong>, il compianto Prof Gabriele<br />

De Rosa, era opportuno favorire una migliore conoscenza <strong>della</strong> realtà dell’Unione<br />

Europea in continua evoluzione, perché i risultati straordinari conseguiti diventassero<br />

lo sprone per avere ragione delle difficoltà, talvolta delusioni, spesso delle incomprensioni<br />

o ancor più spesso <strong>della</strong> carenza di informazione che rallentano ll<br />

processo europeo. Il loro superamento evidenzia la convinzione che il fine ultimo<br />

dell’unità europea, non solo economica, ma anche <strong>politica</strong>, sia il destino di noi tutti<br />

in una Europa quale patrimonio condiviso.<br />

È questo un compito che il Gruppo dei 10, in piena adesione al metodo di lavoro<br />

comunitario, vuole perseguire per approfondire i problemi attuali formulando<br />

proposte che siano <strong>politica</strong>mente attuabili, e considerate indispensabili per cementare<br />

i popoli europei in una Unione Europea all’interno del nuovo contesto<br />

<strong>della</strong> mondializzazione. Il Gruppo è confortato dai ricorrenti apprezzamenti <strong>della</strong><br />

sua attività che si esplicita attraverso periodici Documenti.<br />

<strong>La</strong> ricchezza delle diversità<br />

– Per vincere la sfida lanciata alla identità europea il Gruppo è convinto che le<br />

diversità che caratterizzano l’Europa, quando positive, devono essere considerate<br />

una autentica e peculiare ricchezza comune, perché non impediscono la possibilità<br />

di perseguire la solidarietà tra i popoli e realizzare uno dei principali obiettivi comunitari:<br />

la coesione economica, sociale oltre che territoriale, attraverso equità e<br />

rigore, reciproco rispetto, leale cooperazione, reciproca assistenza. A tal fine occorre<br />

suscitare realizzare tra i cittadini europei un forte sentimento di cittadinanza comune.<br />

<strong>La</strong> fierezza di essere europei<br />

–IlGruppo ritiene che l’Unione Europea di oggi non è più la Comunità del<br />

cuore e <strong>della</strong> passione degli inizi <strong>della</strong> Comunità Carbosiderurgica, finalizzata ad<br />

eliminare secolari guerre fratricide ed a far sognare una Europa <strong>politica</strong>mente unita,<br />

ma è certamente l’Europa <strong>della</strong> ragione per affrontare con la fierezza di essere<br />

europei la sfida <strong>della</strong> globalizzazione dei mercati e del progressivo riequilibrio delle<br />

leadership mondiali. Leadership che, per quanto ci riguarda, non si addicono a singoli<br />

Paesi membri dell’UE ma ad una Europa che sa essere economicamente e <strong>politica</strong>mente<br />

integrata e che sa esprimersi con voce unica.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

97


Flavio Mondello<br />

Il processo integrativo europeo, per perseguire questo obiettivo sta compiendo<br />

straordinari passi avanti se ci si riferisce al drammatico dopo la seconda guerra<br />

mondiale. Occorre ora la determinazione di superare i numerosi inevitabili ostacoli<br />

che ancora si frappongono al suo cammino.<br />

Il Gruppo in definitiva apprezza che l’Europa in costruzione dimostri concreto<br />

attaccamento ai principi <strong>della</strong> libertà, <strong>della</strong> democrazia e dell’uguaglianza ed al rispetto<br />

dei diritti dell’uomo, delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto soprattutto<br />

quando intende innovare la sua Politica di Vicinato con le confinanti aree evolutive<br />

dei Paesi all’Est, dei Paesi confluenti sul Mar Nero, del Medio Oriente e del<br />

Mediterraneo Sud che aspirano a gravitare intorno all’Unione Europea.<br />

98<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Il modello sociale europeo<br />

Un fattore decisivo per superare la crisi<br />

<strong>La</strong> crisi economico-finanziaria che sta imperversando<br />

sull’Europa finirà per trasformare anche il suo modello<br />

sociale di riferimento?<br />

<strong>La</strong> questione è obbiettivamente di grande rilievo sia perché<br />

il modello sociale è stato – ed è tuttora – uno dei fattori<br />

essenziale <strong>della</strong> grande crescita europea dal dopoguerra<br />

ad oggi, sia perché è un elemento costitutivo <strong>della</strong><br />

coesione dell’intero sistema. Le ipotesi di soluzione sono<br />

diverse e del tutto aperte perché il superamento <strong>della</strong> crisi,<br />

e quindi il mantenimento o meno del modello sociale,<br />

sia pur rinnovato e ammodernato, è legato al modo in<br />

cui i decisori politici ed i principali soggetti economici e<br />

sociali sapranno affrontare un passaggio inevitabile:<br />

quello relativo alla Grande correzione da apportare alle<br />

modalità tradizionali del processo di sviluppo.<br />

<strong>La</strong> domanda iniziale porta a svolgere alcune considerazioni<br />

preliminari, utili per individuare alcuni elementi<br />

di una plausibile risposta.<br />

Tre considerazioni<br />

«Sempre la pratica dev’essere edificata sopra la bona teorica»<br />

Leonardo da Vinci<br />

<strong>La</strong> prima considerazione, di carattere storico, riguarda<br />

l’evolversi del processo di unificazione europea che fin dall’inizio<br />

non è mai stato lineare, ma ha proceduto come per<br />

salti, sospinto in avanti dalla necessità di affrontare e superare<br />

le gravi difficoltà che si presentavano al momento. Ad<br />

un esame attento dei vari passaggi, risulta come un legame<br />

consequenziale tra crisi esterne ed avanzamento del processo<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

MARCO RICCERI<br />

Segretario generale<br />

Eurispes<br />

Docente di Storia<br />

dell’integrazione<br />

europea Link<br />

Campus University<br />

≈<br />

«[necessaria la]<br />

costruzione di<br />

nuovi equilibri,<br />

idonei a<br />

ridisegnare i<br />

rapporti tra<br />

economia e diritto<br />

[…] tra<br />

capitalismo e<br />

democrazia […] in<br />

grado di riattivare<br />

una cittadinanza<br />

attiva e<br />

responsabile».<br />

≈<br />

99


Marco Ricceri<br />

di integrazione. Gli stessi trattati di Roma del 1957, ad esempio, con la nascita<br />

delle Comunità Europee, (la CEE ed EURATOM che si aggiunsero alla CECA,<br />

già operativa dal 1951), furono sbloccati e siglati solo dopo gli avvenimenti del<br />

1956, caratterizzato dalle repressioni delle rivolte popolari in Polonia e Ungheria e<br />

dal fallimento dell’ultima vicenda imperialista in occasione <strong>della</strong> crisi del canale di<br />

Suez, la spedizione in Egitto di Francia e Gran Bretagna. Negli anni ’70, gli impulsi<br />

esterni vennero dalla crisi del dollaro e del petrolio e da quei movimenti di<br />

contestazione giovanile che in tutto il mondo occidentale cambiarono mentalità,<br />

stili di vita, modo di fare <strong>politica</strong>. L’avvio di un primo coordinamento tra le monete<br />

(il famoso “serpente monetario”, poi dello SME – Sistema Monetario Europeo),<br />

i prime progetti concreti di unione economica e monetaria (Rapporto Werner) di<br />

Unione europea (Rapporto Tindemans) e soprattutto, le prime elezioni dirette del<br />

Parlamento europeo (1979) sono legati indubbiamente a quei cambiamenti di<br />

scenario. Così è stato anche al termine degli ani ’80, con le risposte date alla caduta<br />

del muro di Berlino e alla dissoluzione dell’URSS, risposte segnate dalla nascita<br />

dell’Unione Economica e Monetaria, <strong>della</strong> moneta unica, dell’allargamento a 27<br />

Stati membri e di un nuovo sistema di governance. C’è, insomma, da valutare<br />

questo dato storico che ha visto sempre il nostro continente rispondere con “più<br />

Europa” alle sollecitazioni esterne. Anche se il progetto attuato finora è ben lontano<br />

dalle aspettative e sollecitazioni degli europeisti, non vi è dubbio che la consapevolezza<br />

crescente <strong>della</strong> grande integrazione di sistema ha finito in ogni occasione<br />

per produrre azioni positive di crescita, non di arretramento, del cammino europeo.<br />

<strong>La</strong> seconda considerazione, di carattere economico, riguarda la natura <strong>della</strong><br />

crisi, che stiamo attraversando, la sua origine ed evoluzione attuale. <strong>La</strong> crisi è iniziata<br />

come crisi finanziaria, ma si è evoluta successivamente come crisi economica,<br />

quindi produttiva, quindi occupazionale e sociale. Siamo, cioè, di fronte ad un<br />

processo che ha finito per investire numerosi ambiti <strong>della</strong> società: l’economia, il livello<br />

di reddito e dei consumi <strong>della</strong> gente, le condizioni sociali, lo stile di vita, la fiducia<br />

dei cittadini nei confronti delle istituzioni e degli attori dello sviluppo, la base<br />

del consenso politico. È lettura comune che si tratta di una crisi non congiunturale,<br />

ma strutturale, cosa che rende assai difficile fare delle previsioni serie e valide<br />

sul futuro. In ogni caso l’esperienza ha dimostrato che quando accadono crisi di tipo<br />

strutturale i vari sistemi entrano in una situazione nuova, piena di variabili imponderabili,<br />

di cui è praticamente impossibile immaginare lo sbocco finale; ma è<br />

certo che ne escono profondamente trasformati rispetto alla situazione iniziale. In<br />

queste condizioni, la grande scienza economica fa un passo indietro perché la ri-regolazione<br />

di un sistema investe i rapporti tra interessi ed esigenze complesse, antiche<br />

e nuove, che solo la <strong>politica</strong> può rappresentare, con i valori di riferimento <strong>della</strong><br />

convivenza civile. Come il sistema di cui fa parte, il modello sociale europeo è investito<br />

in pieno dalle trasformazioni strutturali in atto ed è obbiettivamente diffici-<br />

100<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


le immaginare a quali aggiustamenti sarà soggetto, come esito dei nuovi equilibri<br />

economici, sociali e politici che inevitabilmente finiranno per emergere ed affermarsi.<br />

<strong>La</strong> terza considerazione è di carattere sociale e si riferisce alla natura stessa del<br />

modello sociale europeo. A tale proposito va detto subito che con tale modello siamo<br />

di fronte ad uno strumento, teorico e pratico, che riguarda, certo, le politiche<br />

sociali e l’organizzazione del sistema di welfare; ma per i significati sempre più ampi<br />

che la stessa Unione Europea ha finito per riconoscergli, soprattutto dal 2000 ad<br />

oggi, riguarda l’intero processo di sviluppo. In sostanza, con il modello sociale europeo<br />

siamo di fronte ad un vero e proprio modello di sviluppo, incardinato su<br />

precisi principi: l’efficienza nell’impiego delle risorse umane e materiali di cui una<br />

società dispone, la sostenibilità economica, sociale e ambientale dello sviluppo, la<br />

responsabilizzazione e partecipazione di tutti gli attori <strong>della</strong> crescita alle scelte fondamentali.<br />

In quanto modello economico-culturale-politico, esso esprime quindi<br />

la visione di uno sviluppo equilibrato, solidale, democratico. Sul piano pratico il<br />

modello sociale europeo promuove iniziative che riguardano, certo, le tutele e le<br />

assistenze sociali, ma in termini più ampi riguardano il sistema dei diritti di un cittadino<br />

e <strong>della</strong> sua famiglia ad una crescita dignitosa, di un lavoratore a partecipare<br />

alle scelte aziendali; interpreta le politiche sociali come politiche produttive promuovendo<br />

la ricerca di un equilibrio tra produzione e distribuzione <strong>della</strong> ricchezza<br />

per rispondere in tal modo alla duplice esigenza <strong>della</strong> efficienza economica dell’<strong>etica</strong><br />

solidaristica, persegue la sostenibilità dello sviluppo sulla base di una scelta di razionalità<br />

finalizzata ad evitare che un sistema arrivi a dei punti di rottura causati<br />

dall’eccessivo impoverimento delle persone, da fenomeni diffusi di disagio, precarietà<br />

e insicurezza sociale.<br />

Questa interpretazione del modello sociale europeo è sancita nel trattato di Lisbona<br />

del 2007, entrato in vigore nel 2009, che regge attualmente la vita dell’Unione<br />

Europea. Esso è il punto di arrivo di un processo evolutivo, durato decenni,<br />

nel corso del quale si è via via riconosciuto un valore sempre più grande alla <strong>politica</strong><br />

sociale, dalla funzione secondaria e di supporto alla <strong>politica</strong> economica dei primi<br />

anni <strong>della</strong> vicenda comunitaria, fino alla svolta <strong>della</strong> strategia di crescita Lisbona<br />

2000 che l’ha riconosciuta come un fattore essenziale dello sviluppo. Infine, il<br />

suo inserimento nell’ultimo trattato dell’Unione, con l’adozione <strong>della</strong> cosiddetta<br />

“clausola sociale” e l’affermazione, nell’articolato, che quello europeo è un sistema<br />

fondato su una “economia sociale di mercato”.<br />

UE: il Trattato di Lisbona 2007 e la “clausola sociale”<br />

Marco Ricceri<br />

In Europa, il riferimento generale a cui collegare la costruzione di un equilibrio<br />

tra sviluppo economico e sociale è segnato dai principi e dalle azioni che per-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

101


Marco Ricceri<br />

seguono due obbiettivi: obbiettivo prosperità (competitività, efficienza, piena occupazione)<br />

e obbiettivo solidarietà (coesione sociale e territoriale, lotta all’esclusione<br />

sociale).<br />

L’importanza di politiche efficaci in questi due ambiti precisi è ben presente<br />

nei documenti dell’Unione Europea, a cominciare dall’atto fondamentale del Trattato<br />

di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre<br />

2009 (Trattato sull’Unione Europea, Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea,<br />

Protocolli e Dichiarazioni allegate)..<br />

Come è noto, il trattato riforma la struttura dell’Unione e rilancia il processo<br />

di integrazione su nuove basi, definendo un diverso sistema di governance, di competenze<br />

e di impegni che riguardano le istituzioni europee, gli Stati membri ed i<br />

cittadini. Esso è il risultato di un faticoso compromesso politico che ha consentito<br />

all’Unione di uscire dalla lunga fase di incertezza seguita alla bocciatura referendaria<br />

del precedente trattato del 2004, “Una costituzione per l’Europa”, il quale si era<br />

posto l’ambizioso obbiettivo – il sogno di tanti europeisti – di avviare un processo<br />

di integrazione anchepolitico-istituzionale del continente (verso gli Stati Uniti<br />

d’Europa).<br />

È importante rilevare che nel trattato di Lisbona, la questione sociale assume<br />

un rilievo di primo piano, al pari delle altre questioni relative al progresso ed alla<br />

crescita dell’Unione. Il riconoscimento <strong>della</strong> sua importanza si traduce, concretamente,<br />

nell’affermazione di determinati principi, in un particolare approccio alle<br />

politiche di sviluppo, nella tutela di diritti e interessi ritenuti fondamentali, nell’attribuzione<br />

di specifiche competenze e responsabilità ai principali attori sociali e<br />

territoriali. Quest’insieme di elementi, di ordine generale e particolare, caratterizza<br />

il nuovo orientamento che viene definito con una espressione precisa: la “clausola<br />

sociale”.<br />

Con queste parole, l’Unione ha chiarito sia la concezione del tipo di progresso<br />

da perseguire, sia la condizionalità che deve sovrintendere alle politiche ed agli atti<br />

conseguenti. <strong>La</strong> “clausola sociale” è, in sintesi, l’espressione di una precisa interpretazione<br />

e visione <strong>della</strong> società europea, del suo modello di sviluppo, del valore delle<br />

esigenze manifestate dai cittadini. È questa clausola che definisce le caratteristiche<br />

peculiari del modello sociale europeo e gli elementi di distinzione da altri modelli,<br />

come,ad esempio, il modello sociale americano.<br />

Questa profonda innovazione, che ha assunto un grande valore appunto per il<br />

suo inserimento nel trattato che regge attualmente l’Unione, può essere considerata<br />

come uno degli elementi più importanti e positivi emersi dal faticoso compromesso<br />

politico da cui il trattato stesso è scaturito.<br />

Non vi è dubbio, che su questo inserimento hanno influito due elementi precisi:<br />

a) la gravità <strong>della</strong> crisi finanziaria ed economica che ha investito l’Europa proprio<br />

nel periodo dell’approvazione del trattato; b) la valutazione attenta delle<br />

profonde trasformazioni che da tempo sono in atto nella società europea.<br />

102<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


<strong>La</strong> funzione del dialogo sociale<br />

Si tratta, quindi, di un percorso lungo, di un processo di maturazione e di<br />

presa di coscienza con il quale si è messo un punto fermo nel processo <strong>della</strong> integrazione<br />

europea. È chiaro che un riconoscimento formale, come quello sancito<br />

dal trattato di Lisbona, può rivelarsi insufficiente se non è seguito da una interpretazione<br />

corretta e, soprattutto, da un’azione <strong>politica</strong> conseguente da parte dei soggetti<br />

pubblici e privati protagonisti <strong>della</strong> crescita. A tale riguardo, ad esempio, assai<br />

rilevante è la funzione riconosciuta al “dialogo sociale”. In ogni caso, questo punto<br />

fermo, questa acquisizione esiste: e ciò è di per sé un fatto importante.<br />

In pratica, con l’approvazione <strong>della</strong> “clausola sociale”, l’Unione ha assunto<br />

l’impegno formale e fondamentale a valutare ed organizzare le politiche di sviluppo<br />

in modo da promuovere nello stesso tempo anche un reale progresso sociale, di<br />

cui riconosce la valenza non solo in termini di giustizia ma anche di apporto alla<br />

crescita economica ed alla coesione dell’intero sistema. Questo è l’elemento costitutivo<br />

<strong>della</strong> nuova fase del processo di integrazione; un elemento che rappresenta,<br />

obbiettivamente, un vero salto di qualità rispetto alle fasi precedenti. È ben vero<br />

che questo obbiettivo era presente con uguale chiarezza nei documenti politici e<br />

programmatici dell’Unione, come ad esempio nella strategia di sviluppo “Lisbona<br />

2000-2010”, che avevano legato le politiche per la crescita al vincolo <strong>della</strong> loro<br />

complessiva sostenibilità; ma non era stato sancito in modo così esplicito da un atto<br />

fondamentale come un trattato.<br />

UE: il Trattato di Lisbona e gli articoli <strong>della</strong> “svolta” sociale.<br />

Marco Ricceri<br />

Esaminiamo questa innovazione in termini più precisi. In base al trattato di<br />

Lisbona, l’Unione dovrà operare secondo i principi <strong>della</strong> solidarietà, sussidiarietà,<br />

coesione economica, sociale, territoriale (artt.3-5) per promuovere uno sviluppo sostenibile<br />

basato…su un’economia sociale di mercato altamente competitiva che mira alla<br />

piena occupazione e al progresso sociale (art.3). Lo strumento principale per il raggiungimento<br />

di questo obbiettivo è la organizzazione di un comune mercato unico<br />

(art.3), nel quale dovranno essere garantite le quattro libertà fondamentali di libera<br />

circolazione delle persone, merci, servizi e capitali. L’approccio metodologico, di<br />

alto valore politico, privilegia, insieme alla collaborazione tra gli Stati, anche il ruolo<br />

delle parti sociali.<br />

A rafforzare questa nuova impostazione, di grande attenzione alle questioni sociali<br />

e del lavoro, contribuisce in modo decisivo, in base al trattato, anche il riconoscimento<br />

e l’inserimento nel sistema del diritto europeo, <strong>della</strong> Carta dei diritti fondamentali<br />

dell’Unione Europea, con i suoi principi che regolano anche le dinamiche<br />

sociali. In questo modo, la Carta assume un valore cogente: «L’Unione riconosce i<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

103


Marco Ricceri<br />

diritti, le libertà e i principi enunciati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione<br />

Europea …Essa ha lo stesso valore giuridico dei trattati». (art.6).<br />

Sono questi gli articoli principali, in base ai quali la “clausola sociale” è entrata<br />

di diritto nel patrimonio costitutivo dell’Unione Europea. Riguardo ai possibili interventi<br />

in materia di promozione sociale, le principali innovazioni introdotte dal<br />

trattato si trovano nei seguenti punti:<br />

a) il riferimento ad un modello economico definito economia sociale di mercato<br />

L’associazione delle due nozioni, “economia di mercato” e “sociale”, impegna la<br />

UE a valutare ogni iniziativa a favore del mercato con il criterio degli effetti sociali<br />

che tali iniziative possono produrre; e la valutazione non è un fatto limitato al giudizio<br />

politico ma, come è previsto anche per l’obbiettivo <strong>della</strong> piena occupazione, è<br />

un fatto che deve essere necessariamente monitorato e misurato. In altre parole, il<br />

rispetto <strong>della</strong> “clausola sociale” diventa un vincolo per tutte le politiche <strong>della</strong> UE, il<br />

nuovo riferimento per valutare e misurare anche l’efficienza e l’efficacia delle politiche<br />

per il lavoro e la promozione sociale. Tutto ciò vale, indubbiamente, anche se<br />

il trattato presenta una indubbia contraddizione nella definizione del sistema economico<br />

di riferimento. In effetti, mentre il Trattato sull’Unione Europea definisce<br />

con molta chiarezza che quello europeo è un sistema di “economia sociale di mercato”,<br />

la seconda parte del trattato, cioè il Trattato sul funzionamento dell’Unione,<br />

mantiene la precedente definizione di “economia di mercato aperto”. Sarà la volontà<br />

<strong>politica</strong> degli attori dello sviluppo a superare questo punto di incoerenza.<br />

b) Il riferimento esplicito all’obiettivo <strong>della</strong> piena occupazione<br />

Nei trattati precedenti, l’espressione usata al riguardo aveva un significato decisamente<br />

diverso. Si parlava, infatti, di “un livello elevato di occupazione”. In questo<br />

caso, si tratta di un passaggio di grande portata perché impegna gli Stati membri<br />

su un obiettivo ben preciso, misurabile anche sul piano statistico. <strong>La</strong> UE e gli<br />

Stati membri dovranno, in pratica, compiere ogni sforzo possibile per ridurre al<br />

minimo la disoccupazione, al limite per portarla a livello zero. Al contrario, con la<br />

precedente espressione, “un livello di occupazione elevato”, non si poteva fare riferimento<br />

ad alcuna nozione precisa; o, meglio, si faceva riferimento ad una nozione<br />

che poteva essere interpretata in modi molto diversi tra loro. L’unico limite di questa<br />

innovazione, un altro punto di incoerenza, è che l’antica designazione è rimasta<br />

nella seconda parte del trattato, cioè nel Trattato sul funzionamento <strong>della</strong> UE. Anche<br />

questo fatto potrà essere causa di contrasti interpretativi in futuro.<br />

c) Il riferimento al ruolo del dialogo tra le parti sociali<br />

Molta rilevanza ha assunto il ruolo del dialogo tra le parti sociali. Esso era già<br />

presente nei precedenti trattati, ma ha assunto una funzione molto più importante<br />

con il nuovo trattato di Lisbona. L’Unione riconosce e promuove il ruolo delle parti<br />

104<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Marco Ricceri<br />

sociali … tenendo presente la diversità dei sistemi nazionali. L’Unione facilita il dialogo<br />

tra le parti, nel rispetto <strong>della</strong> loro autonomia. Il vertice sociale tripartito per la crescita<br />

e l’occupazione contribuirà al dialogo sociale. In pratica, in base al trattato di Lisbona,<br />

per il raggiungimento degli obbiettivi <strong>della</strong> piena occupazione e <strong>della</strong> costruzione<br />

di un’economia sociale di mercato, l’Unione Europea fa in questo caso,<br />

da un lato, come un passo indietro nella sua azione di coordinamento e, dall’altro,<br />

affida alle parti sociali un ruolo attivo di rilevanza fondamentale. Questo nuovo riferimento<br />

alla funzione delle parti sociali è da ritenere di grande rilievo per l’impostazione<br />

e l’efficacia delle politiche sociali e del lavoro. Infatti, è dal dialogo tra le<br />

parti che potranno emergere – è una possibilità – nuovi, originali elementi per l’avanzamento<br />

di quest’insieme di politiche. Dal canto suo l’Unione si è resa disponibile<br />

a riconoscere i risultati degli accordi tra le parti in determinate materie, a recepirli<br />

e tradurre tali accordi in proprie disposizioni di legge. Importante sarà anche<br />

la organizzazione dei vertici sociali tripartiti, che dovranno precedere quelli dei Capi<br />

di stato e di governo.<br />

d) Il non riferimento al metodo aperto di coordinamento<br />

Un’altra novità importante riguarda il fatto che il cosiddetto “metodo aperto di<br />

coordinamento” – che stava alla base <strong>della</strong> strategia di crescita Lisbona 2000-2010<br />

– non è più richiamato in modo esplicito. In pratica è stato come abbandonato,<br />

anche se in diversi articoli del trattato, in generale, viene ancora richiamata l’importanza<br />

<strong>della</strong> funzione di coordinamento esercitata dalla UE. Ma un riferimento<br />

esplicito al metodo aperto di coordinamento è stato cancellato. In realtà, l’Unione<br />

risulta sempre più orientata a rafforzare l’azione di coordinamento delle politiche<br />

sociali e del lavoro con l’aggiunta di precise indicazioni di percorso, i segnali europei,<br />

indispensabili per orientare gli operatori pubblici e privati. Questi “segnali”,<br />

quando sono accompagnati da indicatori e misuratori precisi delle perfomances, sono<br />

destinati a diventare degli strumenti essenziali per valutare l’efficacia delle politiche<br />

nazionali e regionali e la capacità dei servizi di soddisfare le esigenze delle imprese,<br />

dei lavoratori, delle comunità locali.<br />

Va aggiunto che questa linea di impegno sugli indicatori comuni più idonei a<br />

misurare lo sviluppo economico e sociale, è coerente con il nuovo indirizzo complessivo<br />

delle politiche di sviluppo <strong>della</strong> UE; e, se esteso fino a comprendere la valutazione<br />

di quella che viene definita la qualità sociale <strong>della</strong> crescita, è destinato a<br />

diventare senza dubbio un’occasione importante per affrontare in termini adeguati<br />

le problematiche <strong>della</strong> promozione sociale. Da tempo, sono già in atto delle iniziative<br />

<strong>della</strong> Commissione Europea per elaborare misuratori di progresso che vadano<br />

oltre il riferimento tradizionale al PIL (vedi la Comunicazione n.433/2009); e ciò<br />

in base all’idea che lo sviluppo non deve essere misurato solo con riferimento al valore<br />

dei beni e servizi scambiati sul mercato, ma anche in termini di qualità <strong>della</strong><br />

vita.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

105


Marco Ricceri<br />

I precedenti: l’Agenda sociale e la “visione sociale” europea (2007-2010)<br />

Per comprenderne il valore del salto di qualità compiuto con il trattato di Lisbona<br />

e le possibilità che esso apre agli interventi in materia di promozione sociale,<br />

è utile ricordare, come si è già accennato, che già nella strategia di sviluppo approvata<br />

a Lisbona nel 2000 – il riferimento delle politiche europee del decennio 2000-<br />

2010 – si era riconosciuta l’importanza di perseguire una linea di equilibrio tra tre<br />

diverse tipologie di sostenibilità: economica, sociale, ambientale. Solo il rispetto di<br />

questo equilibrio, nel quale alle questioni sociali era riconosciuto un ruolo fondamentale,<br />

avrebbe potuto assicurare all’Europa un reale progresso e il recupero di<br />

margini di competitività sulla scena mondiale.<br />

Ma è nell’adeguamento dell’Agenda Sociale europea (Agenda sociale rinnovata<br />

2008) e, come vedremo in seguito, nella parallela elaborazione <strong>della</strong> nuova strategia<br />

di sviluppo EU 2020, con cui è stata sostituita la precedente strategia di Lisbona,<br />

che la Commissione ha fatto emergere con chiarezza la propria visione sociale<br />

per l’Europa del XXI secolo.<br />

Nel 2007, in occasione di una consultazione pubblica, la Commissione ha diffuso<br />

un documento per tracciare un bilancio <strong>della</strong> realtà sociale in Europa ed adeguare<br />

le indicazioni <strong>della</strong> Agenda sociale 2006-2010 alle nuove esigenze emerse con la crisi.<br />

Nello stesso tempo il documento aveva lo scopo di offrire degli elementi di conoscenza<br />

a quanti, nello stesso periodo, erano impegnati nelle complesse trattative che<br />

fino all’ultimo momento hanno accompagnato la ratifica del trattato di Lisbona. (Gli<br />

obbiettivi e le misure dell’Agenda sociale sono stati successivamente modificati nel<br />

2010, contemporaneamente all’avvio <strong>della</strong> nuova strategia di sviluppo EU 2020).<br />

Come migliorare il benessere, la qualità <strong>della</strong> vita e i valori comuni dei cittadini<br />

nel mondo odierno?. Quando si parla di realtà sociale dell’Europa di quali realtà si<br />

tratta? <strong>La</strong> Commissione muove da queste domande per definire una sua interpretazione<br />

<strong>della</strong> situazione europea e disegnare un sua visione per il futuro.<br />

Per la Commissione, ciò che sta cambiando sono la struttura sociale, l’organizzazione<br />

ed il funzionamento dell’economia per effetto <strong>della</strong> globalizzazione, la stessa<br />

Unione, come conseguenza dell’allargamento e dell’aumento delle diversità.<br />

Nella società valgono, ad esempio, il prolungamento delle aspettative di vita, il<br />

calo <strong>della</strong> natalità, la precarietà economica e l’isolamento sociale delle persone anziane,<br />

la frattura tra le generazioni, la modifica degli schemi familiari, gli squilibri<br />

crescenti di reddito tra i gruppi sociali ed i territori. Oggetto di profondo mutamento<br />

sono anche gli stili di vita ed i valori culturali ed etici che orientano una comunità,<br />

con il prevalere di una cultura individualistica e l’atomizzazione <strong>della</strong> cultura,<br />

l’indebolimento dei legami familiari e comunitari, <strong>della</strong> pratica religiosa, <strong>della</strong><br />

partecipazione <strong>politica</strong>, la crescita delle inquietudini nei confronti di tutto ciò<br />

che appare come diverso e – aggiunge in modo specifico il documento – nella stessa<br />

“capacità dell’Europa di affermare i suoi valori comuni”.<br />

106<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Nell’economia i maggiori cambiamenti sono legati alla difficoltà di adattamento<br />

delle imprese e dei lavoratori alle nuove condizioni <strong>della</strong> competizione mondiale,<br />

alla disoccupazione, al deficit di competenze professionali adeguate, alla scarsa<br />

valorizzazione del capitale umano (a cominciare dalle insufficienze <strong>della</strong> educazione<br />

scolastica) ai diversi modelli che si impongono nella organizzazione dei tempi di<br />

vita e di lavoro, nella organizzazione delle carriere.<br />

<strong>La</strong> interpretazione <strong>della</strong> Commissione in merito alla profonda trasformazione<br />

<strong>della</strong> società europea mette in risalto due elementi fortemente collegati tra loro:<br />

grandi opportunità e grandi rischi. Infatti, da un lato, si sono aperte ai cittadini europei<br />

delle grandi opportunità come: “una maggiore libertà di scelta, la possibilità<br />

di condurre uno stile di vita più sano e di vivere più a lungo, migliori condizioni di<br />

vita e società più innovative e più aperte”. Dall’altro vi sono i nuovi rischi sociali<br />

che “potrebbero ridurre le opportunità di successo e generare un senso di insicurezza<br />

e di isolamento, un sentimento di ingiustizia e di disuguaglianza”. “Quando si<br />

parla del futuro” – specifica la Commissione – gli europei “si dichiarano inquieti e<br />

preoccupati, soprattutto per la prossima generazione”.<br />

I contenuti di riferimento<br />

Marco Ricceri<br />

Nella nuova visione sociale che secondo la Commissione “sta prendendo forma<br />

in tutta l’Europa”, tre sono gli elementi principali di riferimento: “le opportunità,<br />

l’accesso e la solidarietà”.<br />

Opportunità: per avviarsi nella vita con buone premesse, realizzare al meglio il<br />

proprio potenziale e sfruttare al meglio le possibilità offerte da un’Europa innovativa,<br />

aperta e moderna;<br />

Accesso: metodi nuovi e più efficaci per accedere all’istruzione, avanzare nel<br />

mercato dell’occupazione, beneficiare di un’assistenza sanitaria e di una protezione<br />

sociale di qualità e partecipare alla vita collettiva e sociale;<br />

Solidarietà: promuovere la coesione sociale e la sostenibilità del modello sociale<br />

e garantire che nessuno venga escluso.<br />

Questa visione, precisa il documento, “rispecchia un’opinione sempre più diffusa<br />

secondo la quale la società non può garantire ai suoi cittadini i medesimi risultati<br />

ma deve promuovere con sempre maggiore fermezza delle pari opportunità di successo…<br />

per consentire a tutti gli europei di accedere alle risorse ed ai servizi – trasformando<br />

– le pari opportunità e la cittadinanza attiva, attualmente teoriche, in<br />

una realtà concreta”. Limitare lo scarto tra “vincitori e sconfitti” del cambiamento<br />

economico e tecnologico e delle relative disuguaglianze è una questione di giustizia<br />

e di coesione sociale. Ma è anche un “imperativo economico”, un “investimento finanziario”<br />

perché “risolvendo i problemi sociali alla fonte, si riduce il rischio che il<br />

sistema di previdenza sociale debba poi accollarsi i costi delle disfunzioni sociali e<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

107


Marco Ricceri<br />

<strong>della</strong> mancanza di opportunità economiche”. Infine, una simile visione risponde<br />

anche a precise necessità politiche, perché crea “un clima di fiducia – che – è essenziale<br />

per il progresso, la modernizzazione e l’apertura al cambiamento”.<br />

Nella visione sociale <strong>della</strong> Commissione, “questo programma di opportunità,<br />

accesso e solidarietà richiede un investimento, un rinnovato impegno a sfruttare appieno<br />

il potenziale umano dell’Europa e ad ampliare le possibilità di successo per<br />

tutti”. Ed ancora: gli “investimenti nel capitale umano e sociale” non sono soltanto<br />

“una spesa volta a sovvenzionare le conseguenze di un fallimento sociale, ma …un<br />

investimento sociale che dev’essere giustificato ricorrendo alle migliori valutazioni<br />

disponibili dell’utile sociale ed economico sotto il profilo dello sviluppo sostenibile”.<br />

Nel parere espresso sul documento <strong>della</strong> Commissione, il Comitato Economico<br />

e Sociale Europeo – CESE (2007) amplia questo concetto, sottolineando l’importanza<br />

di passare da una posizione sostanzialmente passiva (gli investimenti nel<br />

sociale sono necessari per prevenire i costi delle disfunzioni) ad una posizione attiva<br />

(il sociale come elemento costitutivo <strong>della</strong> produzione). Infatti, il Comitato<br />

chiede espressamente alla Commissione di arrivare a riconoscere apertamente il valore<br />

economico e produttivo delle politiche sociali, perché esse sono parte integrante<br />

del processo dello sviluppo, un fattore essenziale <strong>della</strong> crescita. In un successivo<br />

parere (2008) formulato in occasione <strong>della</strong> decisione di promuovere l’Anno<br />

Europeo <strong>della</strong> lotta alla povertà ed all’esclusione sociale nel 2010, il Comitato arriva<br />

ad affermare esplicitamente che il sostegno alla <strong>politica</strong> sociale si giustifica perché<br />

essa è “un autentico fattore produttivo” e che solo “la modernizzazione del modello<br />

sociale europeo, nel senso più ampio del termine – potrà consentire all’Europa<br />

di continuare ad essere una zona di benessere democratica”.<br />

Le opportunità individuali<br />

Secondo la Commissione, il valore la “clausola sociale” orizzontale introdotta<br />

dal trattato di Lisbona emerge con chiarezza solo nel collegamento con questa visione<br />

di una promozione sociale imperniata sull’incremento delle capacità di un<br />

individuo di cogliere le suddette “opportunità di successo”. <strong>La</strong> clausola “pone in rilievo<br />

l’impegno dell’Unione Europea nei confronti dell’occupazione e <strong>della</strong> protezione<br />

sociale e conferma il ruolo delle regioni e delle parti sociali quale parte integrante<br />

del tessuto politico, economico e sociale dell’Unione”. Per facilitare il rispetto<br />

e la sua applicazione sarà necessario anche rivedere ed eventualmente modificare,<br />

alla luce del trattato,.“il quadro giuridico per garantire che esso consegua efficacemente<br />

gli obbiettivi convenuti”.<br />

Nell’Agenda sociale rinnovata, presentata nel 2008 a seguito <strong>della</strong> consultazione<br />

pubblica del 2007, si afferma che le politiche sociali devono “stare al passo” con l’evolversi<br />

<strong>della</strong> situazione europea, “devono essere flessibili” ed in grado di “risponde-<br />

108<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


e ai mutamenti”. Questa esigenza fa sì che la stessa Agenda sociale non può più limitarsi<br />

alle questioni tradizionali <strong>della</strong> <strong>politica</strong> sociale, ma “deve essere trasversale e<br />

multidimensionale, estendersi ad una vasta gamma di settori, dalle politiche del<br />

mercato del lavoro all’istruzione, alla salute, all’immigrazione e al dialogo interculturale.<br />

<strong>La</strong> realtà – secondo la nuova Agenda – è che le politiche economiche e sociali<br />

a livello europeo e nazionale si rafforzano reciprocamente e sono complementari”.<br />

I tre obbiettivi già indicati nel documento <strong>della</strong> consultazione pubblica del<br />

2007 – opportunità, accesso, solidarietà – sono confermati come “obbiettivi tra loro<br />

collegati, di uguale importanza”. Tuttavia il loro ambito di riferimento viene<br />

meglio precisato e circoscritto. In tal modo, ad esempio, l’obbiettivo dell’opportunità<br />

viene tradotto in termini di occupazione e mobilità (“opportunità significa<br />

produrre maggiore e migliore occupazione e facilitare la mobilità”); l’accesso è collegato<br />

ad “un’istruzione di buona qualità, alla protezione sociale, alla sanità e ai servizi<br />

che possono contribuire a compensare le disuguaglianze di partenza”; la solidarietà<br />

è collegata al rapporto “tra generazioni, tra regioni, tra i più agiati ed i meno<br />

agiati, tra gli Stati membri più prosperi e quelli meno prosperi”.<br />

<strong>La</strong> “visione sociale” <strong>della</strong> Commissione Europea: un commento<br />

Marco Ricceri<br />

Un commento su questa “visione sociale” è d’obbligo. Anche perché il documento,<br />

da cui sono emersi i piani di sviluppo successivi, compresa la nuova strategia<br />

di sviluppo EU 2020 approvata dopo all’entrata in vigore del trattato di Lisbona,<br />

presenta una forte contraddizione. Il documento è certamente apprezzabile per<br />

la sua chiarezza ed utilità. Ma non esprime una coerenza tra la valutazione iniziale<br />

dei cambiamenti strutturali in atto nella società europea e le indicazioni del percorso<br />

da compiere per affrontarli e viverli in modo positivo.<br />

<strong>La</strong> ricerca dell’“utile economico” combinata con la ricerca dell’“utile sociale”,<br />

non può limitarsi alla moltiplicazione delle “opportunità di successo” ed alla possibilità<br />

dell’“accesso” a servizi qualificati. Quando i cambiamenti investono, come si<br />

riconosce espressamente, gli stili di vita delle persone, i fatti identitari, la cancellazione<br />

dei valori aggreganti e delle prospettive future per gli individui e le comunità,<br />

è chiaro che la realtà europea si è evoluta in modo tale da porre domande sulla<br />

qualità del modello di sviluppo perseguito.<br />

<strong>La</strong> risposta a questi nuovi problemi, che sono la vera componente <strong>della</strong> precarietà,<br />

insicurezza e disagio sociale, trova senz’altro nella formula “un’economia sociale<br />

di mercato” inserita nel trattato di Lisbona una indicazione orientativa importante.<br />

Ma questo principio di grande originalità e portata, non può tradursi<br />

soltanto in azioni ispirate a mere logiche efficientistiche e produttivistiche. Queste<br />

logiche, per quanto importanti, ineludibili, dovrebbero comunque essere integrate<br />

e valutate in base ad altri criteri, riassumibili in termini di qualità <strong>della</strong> crescita.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

109


Marco Ricceri<br />

In altre parole, le azioni programmate in base alle valutazioni svolte dalla Commissione<br />

nella sua “visione sociale” sono in grado di assicurare un reale progresso<br />

civile, armonico, <strong>della</strong> società europea? Su questa domanda i dubbi restano aperti,<br />

così come sulla reale volontà e capacità di affrontare il gravissimo fenomeno del disagio<br />

e degli squilibri sociali crescenti.<br />

I precedenti: il documento per il superamento <strong>della</strong> crisi (2009)<br />

Nel marzo 2009, nel pieno di quella che è stata definita come la più grave crisi<br />

economica e finanziaria del dopoguerra, la Commissione Europea ha elaborato il<br />

documento per Guidare la ripresa in Europa. In esso riconosce espressamente: «Gli<br />

effetti occupazionali e sociali <strong>della</strong> crisi non si sono ancora manifestati pienamente,<br />

ma saranno comunque più gravi di quanto preventivato al momento di adottare le<br />

misure iniziali. Occorre quindi intensificare gli sforzi a tutti i livelli per affrontare il<br />

problema <strong>della</strong> disoccupazione, nonché adeguare e modernizzare i sistemi di assistenza<br />

sociale. Il sostegno al reddito, associato a misure attive, stimolerà la domanda,<br />

agevolerà il ritorno alla vita attiva ed eviterà l’esclusione sociale».<br />

Nel documento, la UE definisce il prossimo periodo che l’Europa dovrà affrontare<br />

come un periodo di transizione, nel quale molti posti di lavoro spazzati via<br />

dalla crisi non saranno sostituiti. Ma la organizzazione di un’economia più intelligente,<br />

più verde, più competitiva favorirà la creazione di nuovi posti di lavoro e consentirà<br />

di compensare gli alti livelli di disoccupazione. Le politiche sociali e le nuove<br />

politiche del lavoro dovranno garantire la coesione sociale.<br />

In ogni caso, secondo la UE, vale un dato di cambiamento strutturale: tutti devono<br />

prendere atto che è finito il modello di vita tradizionale dei cittadini suddiviso<br />

in una successione tripartita di periodi di studio-lavoro-pensione e che il nuovo<br />

modello sarà caratterizzato da continue interruzioni e riprese dell’attività lavorativa,<br />

più funzionale per cogliere le nuove opportunità e le nuove sfide. Questo nuovo<br />

modello è collegato direttamente con la situazione in cui gli aspetti positivi <strong>della</strong><br />

flessibilità e dell’adattamento alle nuove condizioni <strong>della</strong> crescita si combinano con<br />

quelli negativi <strong>della</strong> precarietà del lavoro e del venir meno di tradizionali tutele sociali;<br />

le due grandi aree in cui si generano disagio, impoverimento, esclusione e<br />

precarietà sociale.<br />

L’Unione, dunque, conferma le interpretazioni, già date in precedenza (ad<br />

esempio, nella strategia di sviluppo Lisbona 2000-2010), che la società europea è<br />

di fronte a cambiamenti di natura strutturale. Ma rafforza questa interpretazione e<br />

la rende ancora più esplicita mettendo in risalto la gravità delle conseguenze sociali.<br />

In tal modo, la questione <strong>della</strong> sostenibilità sociale dello sviluppo assume un valore<br />

strategico centrale nelle politiche comunitarie. Questo è l’elemento “politico”<br />

e” culturale” sopra descritto che caratterizza il nuovo trattato.<br />

110<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


<strong>La</strong> nuova strategia di sviluppo EU 2020<br />

«Le realtà economiche si muovono più velocemente di quelle politiche… dobbiamo<br />

accettare il fatto che la maggiore interdipendenza economica richiede anche<br />

una risposta più determinata e coerente a livello politico”. È con queste parole che il<br />

presidente <strong>della</strong> Commissione Europea, Josè M. Baroso presenta la nuova strategia di<br />

sviluppo destinata a guidare l’Europa nel prossimo decennio 2010-2020. Insieme<br />

alla consapevolezza dell’importanza dell’elemento “<strong>politica</strong>”, che è raro trovare nei<br />

documenti europei, nella nuova strategia emerge anche con rinnovata evidenza che<br />

la crisi, capace di vanificare i risultati positivi di un decennio di progresso economico<br />

e sociale, “ha messo in luce le carenze strutturali dell’economia europea».<br />

Per conseguire uno sviluppo sostenibile l’Europa, secondo Barroso, dovrà perseguire<br />

l’obbiettivo di creare “più posti di lavoro” e le condizioni per “una vita migliore”.<br />

Ciò sarà possibile attraverso il perseguimento di tre priorità precise individuate<br />

dalla strategia EU 2020 le quali si rafforzano ed integrano a vicenda. Esse sono:<br />

a) “crescita intelligente: sviluppare un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione”;<br />

b) “crescita sostenibile: promuovere un’economia più efficiente sotto<br />

il profilo delle risorse, più verde e più competitiva”; c) “crescita inclusiva: promuovere<br />

un’economia con un alto tasso di occupazione che favorisca la coesione<br />

sociale e territoriale”..<br />

Le tre priorità sono successivamente tradotte, con una sequenza logica, in cinque<br />

“obbiettivi principali” e sette “iniziative faro”.<br />

Gli obiettivi<br />

Marco Ricceri<br />

Come era nella precedente strategia di Lisbona 2000-2010, gli obbiettivi sono<br />

stati anche quantificati. In modo specifico, dunque, la Commissione si impegna<br />

a raggiungere i seguenti risultati:<br />

a) il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro;<br />

b) il 3% del PIL <strong>della</strong> UE deve essere investito in R & S;<br />

c) i traguardi “20/20/20” in materia di clima/energia devono essere raggiunti<br />

(compresi un incremento del 30% <strong>della</strong> riduzione delle emissioni, se le condizioni<br />

lo permettono);<br />

d) il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40%<br />

dei giovani deve essere laureato;<br />

e) 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà.<br />

Come le priorità selezionate in partenza, anche gli obbiettivi sono connessi<br />

strettamente tra loro e sono ritenuti “fondamentali” per il successo globale <strong>della</strong><br />

strategia europea. Da essi dovranno derivare gli obbiettivi ed i programmi dei singoli<br />

Stati membri.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

111


Marco Ricceri<br />

Infine, data l’ampiezza <strong>della</strong> loro portata, gli obbiettivi sono a loro volta tradotti<br />

in sette “iniziative faro” su cui viene concentrato lo sforzo programmatico e l’impegno<br />

finanziario dell’Unione. Riguardo ai problemi sociali, le principali iniziative faro<br />

sono: Youth on the move (aumentare l’occupazione giovanile migliorando la qualità<br />

dell’istruzione e le condizioni <strong>della</strong> mobilità); Un’agenda per nuove competenze e nuovi<br />

posti di lavoro (modernizzare i mercati del lavoro, avviare la seconda fase del programma<br />

“flessicurezza”, definire un Quadro europeo delle qualifiche); Piattaforma europea<br />

contro la povertà (migliorare l’accesso ai servizi pubblici, adeguare i sistemi pensionistici,<br />

promuovere “l’innovazione sociale” per le categorie più vulnerabili).<br />

<strong>La</strong> strategia EU 2020: commento<br />

«Il destino dell’economia di mercato, con il suo mirabile meccanismo dell’offerta e<br />

<strong>della</strong> domanda, si decide al di là dell’offerta e <strong>della</strong> domanda» W. Roepke.<br />

– I limiti di questa impostazione <strong>della</strong> nuova strategia di sviluppo EU 2020 sono<br />

evidenti e lasciano del tutto aperti i dubbi sulla sua idoneità a dare una risposta<br />

positiva in particolare al crescente fenomeno del disagio e degli squilibri sociali. Peraltro<br />

sono limiti tanto più gravi se si considera che in questa strategia e in questi<br />

programmi, come è stato dichiarato, si concentrerà nei prossimi anni il maggior<br />

impegno concreto, anche finanziario, dell’Unione.<br />

Mancanza di riferimento allo schema teorico del Modello Sociale Europeo<br />

– Nel documento non si trova alcun richiamo esplicito al Modello Sociale Europeo<br />

ed a ciò che questo riferimento teorico rappresenta in termini di crescita<br />

equilibrata tra sviluppo economico e produttivo e giustizia sociale, tra produzione<br />

e distribuzione <strong>della</strong> ricchezza, di progresso civile e democratico. Ne consegue, che<br />

è difficile, se non impossibile, comprendere quale “economia sociale di mercato” si<br />

intende realmente costruire, come si intende attuare la condizionalità sociale prevista<br />

dal trattato di Lisbona. Tutto ciò per garantire un tipo di sviluppo che sia valutabile<br />

e misurabile non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi.<br />

Prevalenza delle logica produttivistica e mercantilistica dello sviluppo<br />

– Il documento affronta le cause delle carenze strutturali dell’economia europea<br />

puntando a colmare lacune e recuperare efficienza negli ambiti dove si registrano<br />

le maggiori disfunzioni, secondo una logica produttivistica e mercantilistica che<br />

interviene a tutto campo, dal sistema produttivo al mercato del lavoro, ai servizi<br />

sociali, stimolando i cittadini ad essere più attivi e partecipi, cioè in grado di cogliere<br />

le opportunità di successo che possono presentarsi nella nuova fase di sviluppo.<br />

Ma non offre una visione in grado di fornire degli elementi di orientamento<br />

che consentano di colmare le tante inquietudini e incertezze che minano la fiducia<br />

112<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Marco Ricceri<br />

dei cittadini europei sul proprio futuro e, fatto ancor più grave, indeboliscono la<br />

propria identità e ruolo sociale. Tutte condizioni che riducono sempre più proprio<br />

quella partecipazione attiva che dovrebbe assicurare anche un nuovo impulso alle<br />

attività economiche.<br />

Mancanza di valutazione delle disuguaglianze economiche e sociali<br />

– Inoltre, nell’affrontare le cause strutturali, il documento non tiene conto che<br />

i veri limiti dello sviluppo europeo stanno nel progressivo accentuarsi delle disuguaglianze<br />

economiche e sociali, tra le cause principali dell’aumento continuo del<br />

disagio e <strong>della</strong> precarietà sociale. <strong>La</strong> dimostrazione di questo fatto sta proprio in<br />

quanto è avvenuto nel decennio appena concluso, prima del 2008, cioè prima dell’esplodere<br />

<strong>della</strong> crisi economica e finanziaria.<br />

Prima <strong>della</strong> crisi, la forte e diffusa crescita economica aveva indubbiamente aumentato<br />

il livello di occupazione e di benessere generale. Anche il livello <strong>della</strong> spesa<br />

sociale degli Stati membri era rimasto costante ed elevato, attestato su una media<br />

europea del 27% del PIL. Ma tutto ciò non ha impedito che proprio negli anni<br />

dell’espansione e <strong>della</strong> crescita si continuasse a registrare anche un aggravarsi dei fenomeni<br />

del degrado sociale, un forte incremento <strong>della</strong> povertà, del rischio di povertà,<br />

<strong>della</strong> precarietà sociale.<br />

È proprio il parallelismo tra crescita <strong>della</strong> precarietà sociale e <strong>della</strong> povertà, da<br />

un lato, e crescita economica e produttiva, dall’altro, che dimostra come il tipo di<br />

crescita perseguito con la precedente strategia di Lisbona 2000-2010 fosse un fenomeno<br />

viziato dalla mancanza di correttivi efficaci sia sul fronte di una reale qualificazione<br />

del lavoro, sia sul fronte <strong>della</strong> composizione degli squilibri sociali. Le vere<br />

cause del degrado sociale si trovano, dunque, soprattutto nelle carenze e distorsioni<br />

che caratterizzano i due fattori: l’organizzazione del lavoro (con riferimento al<br />

modo in cui è promossa dalle imprese) e le politiche di coesione sociale (con riferimento<br />

alle disuguaglianze nella distribuzione dei redditi e la scarsa qualità <strong>della</strong><br />

spesa sociale). Sono i punti che la nuova strategia di sviluppo EU 2020 evita di affrontare<br />

in modo adeguato.<br />

Ovviamente questi fenomeni di degrado sociale si sono accentuati negli anni<br />

successivi <strong>della</strong> crisi; e il forte impegno di spesa sociale degli Stati sviluppato in termini<br />

aggiuntivi per fronteggiare l’emergenza – un impegno che i sindacati europei<br />

hanno definito l’European social revival – non è stato sufficiente a segnare una<br />

qualche inversione di tendenza. Anche questo fatto conferma che non è tanto la<br />

quantità <strong>della</strong> spesa sociale ad incidere sui livelli di precarietà, quanto la sua qualità<br />

ed il modo in cui sono interpretate e promosse le politiche di coesione sociale.<br />

Contraddizione con le valutazioni di documenti precedenti<br />

– Questi limiti nella impostazione <strong>della</strong> nuova strategia di sviluppo EU 2020<br />

adottata dall’Unione, presentano, anche in modo sorprendente, un forte elemento di<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

113


Marco Ricceri<br />

contraddizione con le stesse analisi condotte dalla Commissione negli anni passati.<br />

Ad esempio: a) con le analisi dei profondi cambiamenti <strong>della</strong> società europea svolte<br />

nel 2007 per l’aggiornamento <strong>della</strong> Agenda sociale europea, b) con il riferimento ai<br />

possibili scenari futuri indicati nel piano per Guidare la ripresa in Europa, del 2009;<br />

c) con il richiamo alla necessità di recuperare il primato <strong>della</strong> <strong>politica</strong> negli indirizzi<br />

dei programmi di sviluppo – cioè di una visione d’insieme ed un sistema di valori<br />

orientativi – contenuto nella stessa presentazione <strong>della</strong> strategia EU 2020.<br />

I molteplici aspetti del degrado sociale<br />

Se l’applicazione del ben noto indice Gini sulle disuguaglianze (indice adottato<br />

dalle Nazioni Unite) è in grado di mettere in luce un elemento di debolezza<br />

strutturale del sistema economico e sociale europeo, le analisi sociologiche mettono<br />

in evidenza la profondità delle trasformazioni dei valori coesivi e identitari, che<br />

orientano la vita degli individui e delle comunità, l’influenza ed i limiti <strong>della</strong> cultura<br />

individualista, il timore diffuso delle diversità.<br />

In queste condizioni di cambiamento strutturale, gli interventi correttivi soprattutto<br />

dal lato del mercato del lavoro e dal lato dell’efficienza e sostenibilità finanziaria<br />

dei servizi sociali, possono senz’altro fornire un valido contributo al recupero<br />

di determinati aspetti del disagio sociale diffuso e fare in modo che l’adattamento<br />

del lavoro alla nuove condizioni dello sviluppo (ad esempio in termini di<br />

flessibilità e qualificazione) sia vissuta anche positivamente.<br />

Ma è proprio quanto accade nel mondo del lavoro – un esempio emblematico<br />

– che offre indicazioni utili sul tipo di interventi ben più complesso e di più ampio<br />

respiro che bisognerebbe promuovere a livello europeo.<br />

Alle migliaia di giovani che in ogni Stato membro vivono quotidianamente gli<br />

aspetti negativi <strong>della</strong> flessibilità, ciò che viene meno, con la fonte di reddito, è<br />

qualcosa di ben più alto valore: la certezza <strong>della</strong> propria identità sociale, la possibilità<br />

di organizzare al meglio la propria esistenza, di sentirsi partecipe di una comune<br />

esperienza positiva, di guardare con fiducia al futuro. Sono tutti elementi collegati<br />

al patrimonio conoscitivo e culturale <strong>della</strong> persona, alla validità dei valori etici<br />

su cui è basata la sua vita, alla concezione stessa che ha <strong>della</strong> vita.<br />

Questo è il motivo per cui la precarietà sociale, l’aspetto negativo <strong>della</strong> flessibilità<br />

lavorativa, viene coniugata nei termini più diversi tra loro: il punto di partenza<br />

dell’analisi può essere benissimo la precarietà lavorativa, originata nei luoghi <strong>della</strong><br />

produzione. Ma il fenomeno assume un significato più preciso quando si considera<br />

la sua trasformazione in precarietà professionale (legata all’impoverimento del bagaglio<br />

conoscitivo), in precarietà economica (collegata, al limite, alle condizioni di<br />

povertà), in precarietà sociale (collegata alla caduta <strong>della</strong> mobilità sociale), in precarietà<br />

esistenziale (collegata alle difficoltà di formulare un progetto di vita). È su<br />

114<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


questi elementi, in gran parte collegati ad un modello di sviluppo generatore di disuguaglianze<br />

crescenti – ben diverso dal modello sociale europeo prefigurato e sancito<br />

nel trattato di Lisbona – che la società europea finisce per assumere quella<br />

struttura gerarchica e piramidale ben descritta dal sociologo Richard Sennet; una<br />

struttura che pone molti interrogativi sulla sua effettiva solidità democratica.<br />

Il rischio di equilibri deboli<br />

È chiaro che quanto più quest’area complessa <strong>della</strong> precarietà sociale che sta alla<br />

base <strong>della</strong> piramide si allarga e si allontana dall’area dove sono più facilmente raggiungibili<br />

le opportunità di crescita e di successo, tanto più, come si è già accennato, la società<br />

europea accumula tensioni e rischia di avvicinarsi ad un vero e proprio punto di<br />

rottura dei suoi deboli equilibri. In questo processo di deterioramento, gravi effetti<br />

negativi si producono anche, in modo particolare, nella vita <strong>politica</strong> e istituzionale<br />

(segnate da crescente assenteismo, disaffezione, qualunquismo,ovvero protesta estremistica),<br />

nelle solidarietà comunitarie (come l’isolamento, le rotture generazionali,<br />

l’indifferenza nei confronti dell’altro, la perdita di senso di ciò che può rappresentare<br />

il bene comune), nella cultura (col prevalere <strong>della</strong> cosiddetta “cultura del presente”<br />

che distrugge ogni idea di passato e di futuro. Vale al riguardo, l’osservazione dello<br />

studioso italiano Remo Bodei per il quale nella società contemporanea «sta drasticamente<br />

diminuendo la capacità di pensare ad un futuro collettivo, di immaginarlo al<br />

di fuori delle proprie aspettative private… Siamo alla desertificazione del futuro».<br />

Una <strong>politica</strong> europea finalizzata ad una reale avanzamento non solo economico<br />

ma anche civile <strong>della</strong> società europea, dovrebbe mostrare la capacità di intervenire<br />

sulla molteplicità delle cause che sono alla base del diffuso disagio e impoverimento<br />

sociale, sulla multidimensionalità che caratterizza questo grave fenomeno. Non<br />

vi è dubbio che siamo di fronte a cambiamenti di tipo strutturale che incidono nel<br />

profondo gli assetti comunitari; e gli scenari che si prospettano indicano che questi<br />

cambiamenti saranno sempre più accentuati nel prossimo futuro. È proprio la riflessione<br />

sugli elementi che collegano la precarietà lavorativa con la precarietà sociale<br />

ed esistenziale, che può fornirci degli orientamenti utili per promuovere interventi<br />

correttivi secondo le esigenze <strong>della</strong> qualità <strong>della</strong> crescita.<br />

Il “caos” <strong>della</strong> globalizzazione e la precarizzazione <strong>della</strong> società europea<br />

Marco Ricceri<br />

Tutto il mondo vive gli effetti <strong>della</strong> globalizzazione, che è un fenomeno ben<br />

diverso dall’internazionalizzazione, con cui si individuava soprattutto la <strong>dimensione</strong><br />

internazionale degli scambi commerciali. <strong>La</strong> globalizzazione è un processo di<br />

ben più ampia portata, che investe gli assetti <strong>della</strong> società e la vita stessa degli indi-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

115


Marco Ricceri<br />

vidui e delle comunità. Al riguardo, la domanda da porsi è la seguente: questo processo<br />

riflette un “ordine” o un “disordine”? Il fatto che anche nei vertici internazionali<br />

si parli continuamente <strong>della</strong> necessità di dare un ordine allo sviluppo – la questione<br />

di una nuova governance – significa che quello che stiamo vivendo è piuttosto<br />

un periodo quantomeno di grande disordine. <strong>La</strong> globalizzazione, insomma, riflette<br />

un caos – un caos che può anche essere creativo, non solo distruttivo – perché<br />

in questo processo è difficile prevedere e controllare le conseguenze dei piani,<br />

dei programmi, delle azioni.<br />

A questa prima considerazione se ne aggiunge una seconda: in genere è nella<br />

debolezza o nell’assenza di un ordine che si sviluppa quella che possiamo definire<br />

come la lotta per il potere, cioè il tentativo da parte di alcuni soggetti di abolire<br />

l’ordine esistente e di organizzare un nuovo ordine ed un nuovo sistema di regole,<br />

più vantaggioso per se stessi e da imporre agli altri. Questo tentativo produce sempre<br />

dei vincitori e degli sconfitti, come riconosceva anche l’analisi che stava alla base<br />

<strong>della</strong> revisione dell’Agenda sociale del 2007.<br />

Chi punta ad affermare un proprio ordine, parte sempre dalla svalutazione dell’ordine<br />

esistente, ne indebolisce le regole, ne sfrutta le contraddizioni e i limiti, accentua<br />

i fattori di contrasto per imporre le proprie regole. Uno dei fattori principali<br />

su cui agisce è quello del cambiamento legato ad una mobilità spinta al limite del<br />

nomadismo, al superamento di ogni possibile vincolo e sistema di rapporti; ad<br />

esempio, i rapporti con una comunità o con un territorio. «Basta con il lungo termine!»<br />

afferma Richard Sennet ne L’uomo flessibile – I rapporti occasionali di associazione<br />

sono più utili dei vincoli a lungo termine.<br />

Come ha ben spiegato l’ex segretario <strong>della</strong> CISL, Pierre Carniti, in una nota<br />

dell’istituto ISRIL, l’èlite globale, cioè i protagonisti del mercato globale impegnati<br />

a cogliere le opportunità del “disordine”, non ha confini, non è legata o condizionata<br />

da determinate situazioni, come le politiche degli stati nazionali o gli<br />

accordi sindacali, etc; questi attori dello sviluppo possono, o cercano, di abbandonarle<br />

in ogni momento, de-localizzando le attività secondo le opportunità che intravedono<br />

o le situazioni che sono in grado di costruire nelle più diverse aree del<br />

mondo. Le èlite globali, insomma, agiscono in una <strong>dimensione</strong> di spazio e di tempo<br />

che è ben diversa da quella in cui vive la maggioranza dei cittadini ed in cui<br />

operano le istituzioni tradizionali (per inserirsi in questa nuova <strong>dimensione</strong> si arriva<br />

anche all’assurdo, come ha fatto il ministro <strong>della</strong> sanità inglese, il conservatore<br />

Andrew <strong>La</strong>nsley, il quale, per trovare soluzioni alle restrizioni del bilancio, ha<br />

proposto di de-localizzare in altre parti del mondo una parte delle prestazioni del<br />

Servizio Sanitario Britannico). Per queste élite, ad esempio, la geografia è semplicemente<br />

finita. Il passato storico non esiste più da tempo. Già Henry Ford, nel secolo<br />

scorso affermava: «<strong>La</strong> storia è un mucchio di sciocchezze […] non vogliamo la<br />

tradizione […] Vogliamo vivere nel presente e la sola storia che valga qualcosa è la storia<br />

che facciamo oggi».<br />

116<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Legami capitale-lavoro-<strong>politica</strong><br />

Sta qui la fonte dell’incertezza diffusa nella società contemporanea; nella<br />

grande asimmetria tra il capitale che è sempre più globale e il lavoro e la <strong>politica</strong><br />

che restano legati alla <strong>dimensione</strong> locale. Un lavoratore dipendente è legato alla sua<br />

comunità, la impresa per cui lavora sempre meno; un’amministrazione pubblica è<br />

legata per definizione al servizio del suo territorio, ma gli attori economici forti<br />

con cui si confronta hanno ben diverse e più ampie possibilità di azione. Per loro,<br />

aggiunge Carniti, le realtà locali sono come «campi di aviazione sui quali atterra e<br />

decolla la flotta globale». Perciò la capacità di condizionamento degli attori economici<br />

sull’attività pubblica è molto più forte oggi che in passato. L’incertezza che si<br />

genera, in questo modo, nel sistema dei rapporti tra gli attori dello sviluppo – istituzioni,<br />

lavoratori, imprese – finisce per diffondersi e gravare su un intero sistema,<br />

sia esso nazionale o locale. Anzi, quanto più questa incertezza è accentuata, quanto<br />

più essa si trasforma in precarietà diffusa, tanto più i soggetti del mercato globale<br />

hanno la possibilità di trarre vantaggi per la propria azione. <strong>La</strong> rottura con l’ordine<br />

precedente è in questa situazione inedita e imprevista; una situazione, va aggiunto,<br />

nella quale la precarietà sociale si presenta sempre più come l’elemento costitutivo<br />

del nuovo disordine globale, è decisamente funzionale ad esso.<br />

In questa nuova <strong>dimensione</strong> spazio-temporale, i rapporti diventano occasionali<br />

ed effimeri, i vincoli ed i legami a lungo termine perdono di valore, i vantaggi hanno<br />

senso se vengono colti nell’immediato, le idee hanno valore solo se producono<br />

reddito, tutto diventa transitorio, frammentato, “liquido”. Nel mondo globalizzato<br />

bisogna viaggiare “leggeri”, senza il peso di particolari condizionamenti; bisogna<br />

evitare legami duraturi con i propri beni; bisogna essere mobili e flessibili. Ma ciò<br />

che per le élite globali rappresenta una situazione positiva di vantaggio, per chi sta<br />

alla base <strong>della</strong> piramide sociale di Sennet, è causa di pesanti effetti negativi, tanto<br />

economici quanto esistenziali. Per giunta gli effetti negativi pesano tanto sugli individui<br />

quanto sulle strutture aggreganti <strong>della</strong> società, sulle istituzioni pubbliche e<br />

sull’associazionismo, sulla classe <strong>politica</strong> il cui ruolo finisce per diventare sempre<br />

meno influente e sempre più marginale.<br />

Che fare?<br />

Marco Ricceri<br />

Che fare? Come intervenire? Alcune indicazioni utili, a nostro avviso, possono<br />

venire dai seguenti riferimenti.<br />

Qualità dello sviluppo, capacità progettuale e ricerca dell’identità<br />

– Un primo riferimento lo si può ricavare da una valutazione attenta delle caratteristiche<br />

ed implicazioni del modello interpretativo <strong>della</strong> società contemporanea,<br />

prima definita come società post-industriale, attualmente come società <strong>della</strong> cono-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

117


Marco Ricceri<br />

scenza. Questo modello interpretativo, proposto dal sociologo Daniel Bell e adottato<br />

negli USA fin dagli anni ’70, ha mostrato tutta la sua validità nel corso degli anni.<br />

Esso mette in risalto il valore dei punti di cambiamento strutturale che riguardano: a)<br />

il principio assiale su cui è imperniata una società (traduzione in codice delle conoscenze<br />

teoriche); b) le nuove gerarchie di valori (competizione ed affermazione tra individui<br />

e tra gruppi); c) le prospettive temporali (orientamento al futuro); d) le risorse<br />

strategiche (l’informazione e le conoscenze); e) le modalità di sviluppo (modelli<br />

previsionali, programmazione, progetti); f) i modelli di produzione (arricchimento<br />

dei beni con servizi multipli); g) le tecnologie (tecnologie intellettuali, programmazione<br />

dei calcolatori, nuove tecniche matematiche ed economiche); h) le principali<br />

classi produttive (operai specializzati, tecnici, professionisti, ricercatori, scienziati).<br />

L’affermazione di questo tipo di società post-industriale fa emergere una duplice<br />

esigenza, essenziale per tutti: a) avere una vera capacità di progettazione del futuro<br />

(e la forza di imporlo agli altri, come afferma il sociologo italiano De Masi,<br />

anche se tale imposizione non fa conto delle vittime che provoca); b) ridisegnare la<br />

propria identità personale nel sistema dei rapporti sociali e lavorativi (come costruire<br />

la propria identità lavorativa in un mondo segnato dalla “fine del lavoro”,<br />

secondo Rifkin? e da una “modernità liquida”, secondo Bauman?).<br />

Quando si richiama l’importanza <strong>della</strong> qualità sociale dello sviluppo, si vuole<br />

intendere proprio questo: che le strategie da applicare nel contesto europeo non<br />

dovrebbero limitarsi ad una visione mercantilistica <strong>della</strong> crescita (il predominio di<br />

quella che nel medioevo si chiamava la lex mercatoria) ed al recupero di margini di<br />

efficienza nell’impiego delle risorse umane e materiali del sistema. Ma, operando<br />

un vero salto di qualità, le strategie <strong>della</strong> crescita dovrebbero promuovere un insieme<br />

di interventi coordinati e finalizzati: nell’economia, a correggere le distorsioni<br />

del consumismo di tipo individualista dando nuovo impulso alla produzione dei<br />

beni di consumo pubblici maggiormente legati alla qualità <strong>della</strong> vita (un ambito in<br />

cui le stesse imprese private potrebbero trovare dei nuovi margini di profitto); nel<br />

sociale, a stimolare il recupero di valori etici aggreganti ed a qualificare il patrimonio<br />

culturale e conoscitivo <strong>della</strong> gente.<br />

Tutto ciò per allargare l’area delle persone in grado di esprimere una reale capacità<br />

di progettare il futuro, di costruire un propria identità forte, in grado di reggere<br />

criticamente, alle sfide del cambiamento; quindi di fare in modo che questa capacità<br />

non sia ristretta soltanto alle élite globali, ma sia un’attitudine propria quantomeno<br />

<strong>della</strong> maggioranza <strong>della</strong> gente. È questo tipo di <strong>politica</strong> che consentirebbe<br />

di intervenire sulle vere cause <strong>della</strong> precarietà, incertezza e insicurezza, e, quantomeno,<br />

di correggerne almeno in parte gli effetti.<br />

Stato sociale – Stato di benessere<br />

– Il secondo riferimento importante, per una efficace azione correttiva, riguarda il<br />

modo in cui si dovrebbe attuare la modernizzazione delle politiche sociali, anche al fi-<br />

118<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


ne di assicurare la sostenibilità finanziaria dei relativi servizi, in un periodo di crisi che<br />

pone precisi vincoli ai bilanci pubblici. In questo caso, giustamente molte autorevoli<br />

voci sottolineano il valore <strong>della</strong> distinzione tra Stato sociale e Stato di benessere.<br />

Infatti, con l’espressione Stato sociale si fa riferimento a politiche sociali che, in<br />

senso stretto, intervengono a coprire i rischi principali <strong>della</strong> vita: vecchiaia, malattia,<br />

disoccupazione, incidenti, povertà. Mentre, con l’espressione Stato del benessere si fa<br />

riferimento a politiche che, in senso ben più ampio, intervengono sulla distribuzione<br />

dei redditi, sulla regolazione delle attività di mercato, sulle variabili macroeconomiche<br />

sulle quali incidono, ad esempio, le politiche per l’istruzione, le politiche per la<br />

famiglia, etc. Ancor di più: “Stato del benessere” implica il ricorso a pratiche di partecipazione<br />

attiva alle dinamiche dello sviluppo da parte dei gruppi sociali, attraverso<br />

precise procedure e strumentazioni democratiche, nei luoghi di lavoro e nelle comunità,<br />

l’uso del metodo <strong>della</strong> programmazione degli interventi, il ricorso al “dialogo<br />

sociale” come mezzo di coinvolgimento degli attori dello sviluppo e <strong>della</strong> società civile<br />

nella crescita comune. Insomma, se con lo Stato sociale” siamo sul fronte dei servizi<br />

che aiutano il cittadino a vivere meglio e con maggiore sicurezza e lo sostengono<br />

nei processi di inclusione nelle dinamiche <strong>della</strong> crescita, con lo “Stato del benessere”<br />

siamo invece di fronte ad un modo di concepire e costruire il progresso di una comunità<br />

nei suoi molteplici aspetti di progresso politico, civile, etico, oltre che economico<br />

e sociale; l’essenza di quel modello di sviluppo che è il modello sociale europeo.<br />

Questa è la ragione per cui si afferma che un intervento in materia di disagio<br />

sociale, data la natura multidimensionale del fenomeno, per risultare efficace deve<br />

agire soprattutto sul sistema dello “Stato di benessere”, più che sull’efficienza dei<br />

servizi connessi allo “Stato sociale”.<br />

Spazio politico europeo, spazio culturale europeo, <strong>etica</strong> di sistema<br />

– In sintesi, è richiesto un intervento che operi in prevalenza su quelli che sono<br />

definiti come lo spazio politico, lo spazio culturale, il sistema dei valori etici dell’Europa,<br />

più ancora che sullo spazio economico (l’obbiettivo dell’emancipazione<br />

culturale era già nel trattato di Maastricht del 1992). Il “deficit di europeismo” con<br />

cui la strategia EU 2020 affronta il degrado sociale, sta proprio nelle carenze che si<br />

riscontrano a questo riguardo nella sua impostazione. Purtroppo, permane ancora<br />

forte il contrasto tra le grandi ambizioni e gli obbiettivi dell’Unione e la mancanza<br />

di “modelli e prospettive convincenti” in grado di stimolare un reale coinvolgimento<br />

dei cittadini su una linea condivisa di progresso.<br />

Osservazioni conclusive<br />

Marco Ricceri<br />

«Oggi noi dubitiamo che l’imprenditore ci porti in una terra migliore di quella in<br />

cui siamo. Come strumento è tollerabile, come fine non risponde alle esigenze […] Se<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

119


Marco Ricceri<br />

il progresso economico non contiene un obbiettivo morale, ne consegue che non vale sacrificare<br />

neppure per un momento il vantaggio morale a quello materiale». J.M. Keynes,<br />

1925<br />

<strong>La</strong> riflessione sugli aspetti complessi del disagio e degrado sociale diffuso nel<br />

sistema europeo ci porta al centro delle questioni aperte dai cambiamenti strutturali<br />

causati dai processi <strong>della</strong> globalizzazione e dell’evolversi <strong>della</strong> crisi attuale. Fenomeni<br />

rispetto ai quali le soluzioni prospettate finora dall’Unione risultano deboli<br />

e contraddittorie, se guardiamo al modello sociale europeo codificato nel trattato<br />

di Lisbona e la strategia di sviluppo che tenta di realizzarne gli obbiettivi, dandone<br />

una interpretazione chiaramente riduttiva.<br />

<strong>La</strong> globalizzazione, come sottolinea l’ISRIL, ha rotto, in Europa, diverse situazioni<br />

di equilibrio che sono state per decenni alle base delle sue certezze e del suo<br />

sviluppo, come, ad esempio, l’equilibrio tra regolazioni economiche e regolazioni<br />

sociali; tra valori etici aggreganti, libera iniziativa di mercato, pratiche di partecipazione<br />

democratica nelle istituzioni rappresentative e nella società civile.<br />

Nuovi equilibri<br />

– <strong>La</strong> costruzione di nuovi equilibri, idonei a garantire il recupero di un autentico<br />

progresso civile, richiede: a) di affrontare la questione <strong>etica</strong> nell’economia,<br />

per ancorare i processi anonimi <strong>della</strong> globalizzazione ad un insieme di valori, obbiettivi<br />

e regole a tutela degli interessi generali <strong>della</strong> collettività; b) di ridisegnare i<br />

rapporti tra economia e diritto (a garanzia di comportamenti trasparenti e responsabili),<br />

tra capitalismo e democrazia (a correzione delle attuali disuguaglianze) per<br />

costruire una “governance” in grado di riattivare una cittadinanza attiva e responsabile;<br />

c) di agire in modo coerente al modello di “economia sociale di mercato”,<br />

assunto come riferimento dal trattato europeo, con un progetto che riequilibri il<br />

declino del ruolo dello Stato nazionale e delle organizzazioni sociali di massa, con<br />

la valorizzazione, anche istituzionale, delle esperienze innovative che stanno<br />

emergendo nella società civile, nelle forme dell’”economia associativa” e del “welfare<br />

associativo”.<br />

Nella costruzione di questi nuovi equilibri, che è valutabile in termini non solo<br />

teorici ma anche pratici, si possono trovare alcuni correttivi importanti e validi ai<br />

fenomeni del degrado e <strong>della</strong> precarietà sociale; e la salvaguardia di quel modello<br />

sociale europeo che ha garantito il grande progresso del continente dall’ultimo dopoguerra<br />

ad oggi, è una condizione imprescindibile, anche se la situazione presente<br />

impone un profondo aggiustamento dell’insieme.<br />

120<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Bibliografia<br />

Marco Ricceri<br />

Arne Heise and Hanna Lierse: Budget Consolidation and the European Social Model, F.<br />

Ebert Stiftung, Berlin, 2011<br />

Bauman Zygmunt: Modernità liquida, Ed. <strong>La</strong>terza, Bari 2002<br />

Bianchi Giuseppe: Il lavoro, vaso di coccio, nell’economia globale, Nota ISRIL n.11, Roma 2010<br />

Bianchi Giuseppe: I sistemi di Welfare e la loro sostenibilità nel tempo, Nota ISRIL n.29,<br />

Roma 2010<br />

Bianchi Giuseppe: C’è spazio per un Welfare associativo?, Nota ISRIL n.33, Roma 2010<br />

Bodei Romano: Il futuro condiviso o l’incertezza globale, Lettera Internazionale n.<br />

106,(www.letterainternazionale.it), Milano 2010<br />

Bucchi Massimiano: L’ideologia del presente, Il Sole 24Ore, Milano 20 gennaio 2011<br />

Carniti Pierre: <strong>La</strong>voro e sindacato nell’epoca <strong>della</strong> globalizzazione, in Nota ISRIL n.8, Roma<br />

2011<br />

Cascone Giuseppe: Flessibilità, Precarietà, Imprese Sociali. Variazioni sul tema, Studio ER-<br />

ReSSE, Soc.Coop. Napoli 2010<br />

Cese – Comitato Economico e Sociale Europeo: Parere sulla questione: Bilancio <strong>della</strong> Realtà<br />

<strong>della</strong> società europea, Bruxelles (2007/C 93/ 11)<br />

Cese – Comitato Economico e Sociale Europeo: Parere sulla Proposta: Anno Europeo contro<br />

la Povertà e l’Esclusione Sociale 2010, SOC/302, Bruxelles 29.05.2008<br />

Cese – Comitato Economico e Sociale Europeo: Parere sulla questione: l’integrazione e l’agenda<br />

sociale, SOC/362, Bruxelles 17.12.2010<br />

Commissione Europea: Sull’Agenda sociale, Comunicazione COM(2005) 33 Final,<br />

Bruxelles 9.2.2005<br />

Commissione Europea: Opportunità, accesso e solidarietà: verso una nuova visione per l’Europa<br />

del XXI secolo, Comunicazione COM(2007) 726 Final, Bruxelles 20.11.2007<br />

Commissione Europea: Agenda sociale rinnovata: Opportunità, accesso e solidarietà nell’Europa<br />

del XXI secolo, Comunicazione COM(2008) 412 Final, Bruxelles 2.7.2008<br />

Commissione Europea: EERP –European Economic Recovery Plan, Comunicazione al Consiglio,<br />

Bruxelles 26.11.2008<br />

Commissione Europea – Occupazione in Europa, 2009<br />

Commissione Europea: Proposta al Consiglio. Orientare le politiche degli Stati membri sull’occupazione,<br />

Bruxelles 28.1.2009<br />

Commissione Europea: Oltre il PIL, Comunicazione, COM(2009)433 Final, Bruxelles<br />

20.08.2009<br />

Commissione Europea: <strong>La</strong> crisi dell’occupazione: Situazione, Risposte politiche, Interventichiave.<br />

Documento preparatorio per il Consiglio, EPSCO, Bruxelles 24.11.2009<br />

Commissione Europea, Commission Staff Working Document: Lisbon Strategy Evaluation<br />

Document, Bruxelles 2.2.2010<br />

Commissione Europea: Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e<br />

inclusiva, COM(2010) 2020, Bruxelles 3.3.2010<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

121


Marco Ricceri<br />

Eu Social Protection Committee – Report on the Social Dimension of theGrowth and Jobs<br />

Strategy, Bruxelles 29.09.2009<br />

Eurobarometer: European social expectations in 20 years time, Survey, Interventions.<br />

Preparatory document for the Council, EPSCO, Bruxelles 24.11.2009<br />

Eurostat: The Impact of the Crisis on Employment, Population and Social Condition, n.<br />

79/2009, Bruxelles 2009<br />

Inca-Cgil Europa: Politiche sociali in tempo di crisi, Bruxelles febbraio 2010<br />

Inca-Cgil Europa: Benchmarking Working Europe, Approfondimenti, Bruxelles marzo 2010<br />

Keynes John Maynard: Esortazioni e profezie,(Essays in Persuasion) Il Saggiatore, Milano 1968<br />

Ministero Del <strong>La</strong>voro, Salute, Poltiche Sociali: Libro bianco sul futuro del modello sociale.<br />

<strong>La</strong> vita buona in una società attiva, Roma 2010<br />

Oecd: Venice Action Statement 2008, Venezia 2008<br />

Oecd: Employment Outlook 2009. Tackling the Jobs Crisis, Paris 2009<br />

Oecd: International Migration Outlook 2009, Paris 2009<br />

Paselli Manuela: Flessibilità: luci ed ombre, in Studi Zancan, n. 4, 2003<br />

Ridola Paolo (a cura di): <strong>La</strong> Costituzione europea tra cultura e mercato, Ed. NIS, Roma 1997<br />

Rifkin Jeremy: <strong>La</strong> fine del lavoro, Ed. Baldini & Castoldi, Milano 1998<br />

Sennet Richard: <strong>La</strong> cultura del nuovo capitalismo, Ed. Il Mulino, Bologna 2006<br />

Sennet Richard: L’uomo flessibile, Ed. Feltrinelli, Milano 1999<br />

Viola Filippo: <strong>La</strong> precarietà esistenziale come identità sociale: una operazione ideologica, Ptoteo,<br />

n. 2/ 2008 (www.proteo.rdbcub,it/article=643)<br />

Unione Europea – Il trattato di Lisbona, Bruxelles 2009<br />

122<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Che cos’è l’Europa<br />

1 Cfr. http://europa.eu/about-eu/basic-information/index_it.htm.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

Cos’è l’Europa?<br />

Fabbisogno di una cultura<br />

per l’unità europea<br />

Trattare nello spazio di un breve articolo l’annosa questione<br />

<strong>della</strong> ricerca di un comune patrimonio culturale<br />

per l’Europa e a cui l’Europa possa attingere nel definirsi<br />

tale e unitaria è quanto mai arduo e, per certi versi,<br />

periglioso per le notevoli implicazioni politiche, sociali<br />

ereligiose che essa reca inevitabilmente con sé. Si intende<br />

qui procedere alla maniera questuante del Socrate errante<br />

per le vie d’Atene, intento ad indagare il ti esti, il<br />

“che cos’è” delle cose...<br />

Nel sito web ufficiale dell’UE, alla sezione “Informazioni<br />

di base sull’Unione Europea” si legge: «L’Unione europea<br />

(UE) è un partenariato economico e politico tra 27 paesi,<br />

unico nel suo genere. Da mezzo secolo l’UE è un fattore di pace,<br />

stabilità e prosperità; ha contribuito ad innalzare il tenore di<br />

vita, introdotto una moneta unica europea e sta progressivamente<br />

realizzando un mercato unico nel quale persone, beni,<br />

servizi e capitali possono circolare liberamente come all’interno<br />

di uno stesso paese» 1 . Procedendo, in un click, ai “Simboli<br />

dell’UE”, si trova un elenco, per così dire “anagrafico” delle<br />

generalità d’Europa: la bandiera, in cui «le 12 stelle in cerchio<br />

rappresentano gli ideali di unità, solidarietà e armonia<br />

tra i popoli d’Europa»; l’inno, tratto «dalla Nona sinfonia di<br />

Ludwig van Beethoven, composta nel 1823»; la festa, il9<br />

maggio, in memoria di quel 9 maggio 1950 in cui «gli ideali<br />

dell’Unione Europea sono stati enunciati per la prima volta<br />

[…] dal Ministro degli Esteri francese Robert Schuman»; il<br />

LAURA BALESTRA<br />

Ricercatrice storica<br />

≈<br />

«[…]I nostri Stati<br />

europei sono una<br />

realtà storica.<br />

Sarebbe<br />

impossibile farli<br />

sparire. <strong>La</strong> loro<br />

diversità, poi, è<br />

una fortuna e non<br />

vogliamo né<br />

livellarli né<br />

renderli uguali<br />

[…]. Tutti i Paesi<br />

europei sono stati<br />

impregnati dalla<br />

civiltà cristiana. E’<br />

questa l’anima<br />

dell’Europa che<br />

occorre far<br />

rivivere».<br />

≈<br />

123


<strong>La</strong>ura Balestra<br />

motto “Uniti nella diversità”, che in latino suona In varietate concordia ed è stato<br />

scelto «ad indicare come, attraverso l’UE, gli europei siano riusciti ad operare insieme<br />

a favore <strong>della</strong> pace e <strong>della</strong> prosperità, mantenendo al tempo stesso la ricchezza<br />

delle diverse culture, tradizioni e lingue del continente» 2 .<br />

Le informazioni di base, in genere, dovrebbero affrescare un quadro d’insieme<br />

esaustivo, eppure lasciano, in questo caso, un eventuale indagatore non del tutto<br />

soddisfatto. Il profilo d’Europa che emerge trae davvero la propria natura nei<br />

tratti caratteristici di partenariato, economia, <strong>politica</strong>, bandiera, inno, festa e motto?<br />

Si brancola, pare, nell’alveo dell’indistinzione e verrebbe spontaneo ribadire<br />

l’interrogativo iniziale: ma cos’è l’Europa? Qual è la sua essenza profonda, unitaria,<br />

identitaria che la rende tale e distinguibile da altro? Forse la natura delle istituzioni<br />

operanti in nome d’Europa saranno maggiormente illuminanti: «L’Unione europea<br />

(UE) non è una federazione come gli Stati Uniti.<br />

Non si tratta nemmeno di un’organizzazione per la cooperazione tra i governi,<br />

come le Nazioni Unite. È, infatti, un organismo unico nel suo genere. I paesi che<br />

costituiscono l’UE (gli “Stati membri”) conservano la propria natura di Stati sovrani<br />

indipendenti, ma uniscono le loro sovranità per guadagnare una forza e un’influenza<br />

mondiale che nessuno di essi potrebbe acquisire da solo. Nella pratica,<br />

mettere insieme le sovranità significa che gli Stati membri delegano alcuni dei loro<br />

poteri decisionali alle istituzioni comuni da loro stessi create in modo che le decisioni<br />

su questioni specifiche di interesse comune possano essere prese democraticamente<br />

a livello europeo» 3 .<br />

Europa, “tempio senza santuario”<br />

Unorganismo unico nel suo genere, est<strong>etica</strong>mente definito, parrebbe, nelle<br />

sue direttrici essenziali, sebbene nessuna delle definizioni finora proposte ne definisca<br />

l’essenza. L’Europa si staglia sovrana, ma come un «tempio senza santuario» 4 ,<br />

privo del quid sacrale che d’ogni templum è essenziale fondamento. Sappiamo che<br />

l’Europa accentra in sé un’unione di 27 Paesi, è aperta a nuove candidature di adesione<br />

a divenire Stati membri, è fondata su un sistema economico e commerciale,<br />

la cui stabilità sta ultimamente vacillando, è <strong>politica</strong>mente democratica, ma non è<br />

una federazione di Stati come gli USA né un’organizzazione per la cooperazione tra<br />

governi come le Nazioni Unite, ebbene, si è in presenza di un’elencazione piuttosto<br />

sterile di ciò che l’Europa è e di una altrettanto inefficace definizione di ciò che essa<br />

2 Cfr. http://europa.eu/about-eu/basic-information/symbols/index_it.htm.<br />

3 Cfr. http://europa.eu/about-eu/institutions-bodies/index_it.htm.<br />

4 Cfr. G.F.W. Hegel, Scienza <strong>della</strong> logica, tr. it. di A. Moni con revisione di C. Cesa, 2 voll., <strong>La</strong>terza,<br />

Roma-Bari 1974 3 ,vol.I,p.4.<br />

124<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


<strong>La</strong>ura Balestra<br />

non è. Essere o non essere: questo è, da sempre, stato il problema! Giungere a stabilire<br />

ciò che si è o non si è mediante la differenza per oppositionem, alteritaria rispetto<br />

ad un altro Sé identitario, può costituire un buon punto di partenza per<br />

comprendersi e comprendere l’Altro, nella cui di-versità iniziale si potrà certo riscontrare<br />

una primaria av-versità, tuttavia ricomponibile entro l’idea di diversità<br />

intesa come essenza positiva e non in-essenza oppositiva, ma in queste definizioni<br />

date si assiste ad una sorta di punto d’arrivo senza meta statuita. L’Europa sa ciò<br />

che non è, ha una vaga percezione generica di ciò che è e su basi esteriori identifica<br />

se stessa, ma in interiore cos’è l’Europa? Qual è la verità che in essa alberga, se esiste?<br />

Qual è il suo spirito? Quali sono le sue radici culturali? Qual è il senso dell’Europa?<br />

<strong>La</strong> domanda sul senso ultimo e necessario delle cose emerge e s’impone solo<br />

quando le cose in questione paiono perderlo.<br />

L’Europa sembra aver raggiunto il proprio tramonto critico prima ancora, forse,<br />

di esser nata alle sue origini. Ricercare l’esse proprio dell’Europa, prescinde dal suo<br />

agire esteriore, che non la qualifica, né la definisce in quanto tale. <strong>La</strong> ricerca d’essenza,<br />

la tedesca Wesensforschung, è il metodo che conduce sulla via predicativa delle cose:<br />

il predicato ontologico primo dell’Europa, <strong>della</strong> sua idea e cultura in quale elemento<br />

può essere rintracciato? Arrischiare una risposta è tanto complesso quanto affascinante<br />

e di certo, ciò che di rilevante si ricava dalle definizioni del Trattato di Lisbona<br />

5 , non è sufficiente a stabilire il ti esti europeo: «mai in nessun luogo i semplici<br />

trattati hanno creato una comunità, al massimo essi la esprimono» 6 .<br />

<strong>La</strong> concezione che l’Europa attuale ha di se stessa non può essere risolta in e da<br />

un trattato ed è paragonabile, in ciò, alla Gesellschaft del sociologo Ferdinand Tönnies,<br />

una società che unisce senz’anima, una panoplia senz’uomo, senza valori né<br />

radici e, stando così le cose, appare più che chimerica l’utopia d’unire i popoli<br />

d’Europa sotto un unico blasone, in una concorde Gemeinschaft, comunità di valori<br />

condivisi, «unità nel differente» 7 : ideale immagine che l’Europa vorrebbe, dovrebbe<br />

avere di sé. Scrive Tönnies: «[…] mentre nella comunità [Gemeinschaft] (gli individui)<br />

restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società<br />

[Gesellschaft] restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono» 8 .<br />

Ed è quest’ultima affermazione a rappresentare specificamente, oggi, l’Europa,<br />

la Gesellschaft europea, un arcipelago senza mare che unisca isole sorelle, una<br />

sovra-nazione associante più nazioni in qualità di sovrano organo collettivo. Ma, se<br />

5 Cfr. http://europa.eu/lisbon_treaty/faq/index_it.htm#19 «[…] il trattato di Lisbona è un trattato<br />

internazionale approvato e ratificato da Stati membri sovrani che convengono di mettere in comune parte<br />

<strong>della</strong> loro sovranità in una collaborazione sopranazionale».<br />

6 Cfr. M. Scheler, L’eterno nell’uomo, tr. it. a cura di U. Pellegrino, Fratelli Fabbri Editori, Milano<br />

1972.<br />

7 F. Tönnies, Comunità e Società, tr. it. G. Giordano, M. Ricciardi (a cura di), <strong>La</strong>terza, Roma-Bari<br />

2011, p. 61.<br />

8 Ibid., passim.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

125


<strong>La</strong>ura Balestra<br />

proprio la sovranazionalità, l’«Übernationalität Europa» 9 di Husserl divenisse più<br />

di un mero legante economico-politico, edificandosi come trascendentale condizione<br />

possibilitante la cooperazione attiva fra nazioni culturalmente e valorialmente<br />

identiche, pur nella loro diversità? Il principio da cui avviare l’indagine, vòlta a<br />

definire le linee direttrici di “una cultura armonica per l’Europa unita”, si orienta<br />

lungo la via dell’incessante dinamica fra unità e pluralità 10 ,ilmethodos d’Europa,<br />

ed è in tale dialettica tensionale che, seppur nell’apparente aposiopesi valoriale, anche<br />

l’Europa in fieri ha stabilito il proprio signum: «in varietate concordia», illogos<br />

del molteplice 11 .<br />

Ethos e telos: chi siamo e dove andiamo?<br />

È possibile comprendere l’Europa a partire dall’Europa stessa? Esiste una nazione,<br />

un evento o momento storico particolare che, solo, ne possa decretare la caratteristica<br />

precipua? Atene, Roma, Gerusalemme, Medioevo, Umanesimo, Rinascimento,<br />

Riforma e Controriforma, Poitiers (732 d.C.), Lepanto, Illuminismo,<br />

Rivoluzione francese, Cristianesimo, <strong>La</strong>icità, Relativismo, Nichilismo? Ogni visione<br />

parziale non renderà mai l’idea dell’universale e il tessuto culturale d’Europa è<br />

polidentitario, un unicum, ma riconducibile ai molti, non all’uno. L’atto di definizione<br />

del Sé identitario non può prescindere da tre domande fondamentali: Da dove<br />

veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Il rimando all’arte pittorica di Gauguin è<br />

intuitivo ed immediato, ma non si tratta, in questa sede, di figurare l’allegoria narrativa<br />

dell’uomo, bensì il tentativo è rivolto a statuire il carattere e il fine dell’“essere<br />

europei”. Esiste un ethos europeo, una comune “coscienza unitaria” fra le<br />

nazioni d’Europa? Esiste una mistica culla, una mater trascendente, una natio spirituale<br />

che educhi e allevi gli orfani figli d’Europa? Scrisse Husserl che «l’Europa spirituale<br />

ha un luogo di nascita in una nazione. Questa nazione è l’antica Grecia del<br />

VII e del VI secolo a.C.» 12 . I Greci, inventori <strong>della</strong> filosofia e signori del logos, che<br />

tutti gli uomini affratella in un comune afflato razionale: il pensiero, la «scoperta<br />

dello spirito» 13 .<br />

Nell’afferrare il proprio carattere, l’Europa lo scopre essere di greca natura,<br />

fondato sulla Ragione, una ragione critica, che ha come proprio fine l’essere uma-<br />

9 E. Husserl, <strong>La</strong> crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. di E. Filippini, Il<br />

Saggiatore, Milano 1961, pp. 56 ss.<br />

10 Cfr. J. Ortega y Grasset, <strong>La</strong> società europea,inStoria e sociologia, tr. it. a cura di L. Infantino, Liguori,<br />

Napoli 1983, p. 265.<br />

11 Cfr. M. Cacciari, L’Arcipelago, Adelphi, Milano 1997, pp. 18-19.<br />

12 Cfr. E. Husserl, op. cit., pp. 56-57.<br />

13 Cfr. B. Snell, <strong>La</strong> cultura greca e le origini del pensiero europeo, Einaudi, Torino 2002 2 , passim.<br />

126<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


no. Il nome, il mito stesso di Europa intraprende la via, l’odos che si fa methodos,da<br />

Oriente a Occidente, nel rapimento di una fanciulla fenicia sedotta dal padre degli<br />

dei, condotta per mezzo del mare al di là del mare stesso e la sua indole, all’apparire,<br />

si mostra già connessa e distinta da Asia, sorella d’essa dalla medesima origine<br />

(genos tautos). Nella letteratura e nella storiografia greche, Europa ed Asia sono kasignèta<br />

14 , sorelle di sangue dall’unica e identica genesi e memoria, dove l’essere di<br />

ciascuna si dà identità nel differire dall’altra. Cavalle oniriche dall’impeto diverso,<br />

allegoria dell’ethos proprio di ognuna, che sconvolge i sogni di regine antiche, persiane,<br />

visionarie per simboli delle due potenze reali 15 . Nell’armonica dissonanza,<br />

l’interrogazione sul Sé e sull’Altro aggioga le distinzioni senza escluderle, ma comprendendole,<br />

gettando il pròblema del reciproco-distinto Essere nella superiore<br />

unità del Logos, il quale «altro non potrà significare che l’originaria comunanza del<br />

differire: l’esser-uno del molteplice proprio in forza delle differenze tra le sue singolarità»<br />

16 .<br />

Così come la Grecia scoprì la sua libertà nel separarsi e opporsi alla douleia<br />

orientale, conquistando la fiaccola teor<strong>etica</strong> alla ragione dell’uomo, così il Cristianesimo<br />

trovò se stesso, nella sua <strong>dimensione</strong> universale, nell’innesto e successiva<br />

differenziazione dal giudaismo e dalla “follia” pagana, divenendo skandalon esso<br />

stesso, confine limitante e limitato, nella pars occidentale, dall’Islam; i Lumi s’accesero<br />

in contrasto alle tenebre medievali, che pure ebbero ragione e ragioni per essere<br />

ciò che furono e la francese libertà fraterna dell’uguaglianza capì se stessa assaltando<br />

la roccaforte avversa dei privilegi anti-libertari.<br />

Il cantiere Europa<br />

<strong>La</strong>ura Balestra<br />

L’Europa è un «cantiere tumultuoso e disordinato» 17 , secondo la definizione<br />

di Edgar Morin, la cui cultura sussiste, vitale, in conflitti e opposizioni, crisi e decadenze,<br />

vortici di interazioni che uniscono e separano, opponendo in tensione costante<br />

philia ed echtria, capace anche, in virtù del Cristianesimo, di ricomporle in<br />

philoxenia o agape ton echtron (Mt 5, 44). <strong>La</strong> dinamica dei discordi plurali è al cen-<br />

14 Eschilo, Persiani, 185-186.<br />

15 Cfr. Ibid., 176-200. Il riferimento è al noto sogno <strong>della</strong> regina persiana Atossa, contenuto nella<br />

tragedia eschilea, I Persiani. <strong>La</strong> madre del Gran Re Serse sogna, una notte, mentre il figlio è in spedizione<br />

contro i Greci, due donne ben vestite, adorne l’una di pepli persiani, l’altra di dorici, belle, sorelle<br />

e appartenenti alla stessa stirpe. Entrambe sorte a contesa, spronano Serse ad aggiogarle, come cavalle,<br />

al proprio cocchio. Asia, simbolo di servitù e dispotismo, pone docile le redini nella bocca, Europa,<br />

allegoria <strong>della</strong> libertà, si divincola spezzando il giogo nel mezzo. Le due sorelle di sangue si separano<br />

dalla cooriginaria stirpe per divenire ciascuna se stessa nell’esser l’opposto dell’altra.<br />

16 M. Cacciari, Geofilosofia dell’Europa, Adelphi, Milano 2008 4 , p. 25.<br />

17 E. Morin, Pensare l’Europa, Feltrinelli, Milano 1988, p. 97.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

127


<strong>La</strong>ura Balestra<br />

tro del suo genio logico e dialogico, che la rende incessantemente «produttrice/prodotto»<br />

di istanze meticce, mutevoli, di-verse/av-verse, ricche e complesse, affascinanti<br />

quanto ostili, inquietanti e pur tuttavia necessarie nel loro essere ospiti<br />

feconde. Il logos che le percorre da una parte all’altra le sublima nell’unicum che è<br />

fondamento analogico delle diversità stesse. Il logos-dialogos d’Europa è un logos polemikos<br />

18 , spazio di mediazione mnestico fra istanze opposte che, nella vicendevole<br />

differenza, si uniscono fraterne: è questo l’ethos d’Europa, teso ad un intento che,<br />

dall’alba ellenica, dall’uomo antico all’uomo nuovo, per mezzo d‘un Impero e d’una<br />

croce, approda a fine ultimo.<br />

Iltelos verso cui l’Europa persegue quell’incessante anelito all’essenza di sé<br />

transita per il medium del logos. Il fine verso cui tende ed è stata chiamata a tendere<br />

l’idea di Europa, la dinamica polisensa dell’Uninone Europea, dopo l’evento storico<br />

del Cristianesimo, è la bifronte natura dell’essere umano: l’uomo e la donna, la<br />

persona. Telos è Persona, nell’idea d’Europa, e nessun tessuto semantico, nella storia<br />

d’Oriente e d’Occidente, ha riconosciuto un valore tanto elevato alla persona, come<br />

l’alveo fecondo di quella fede che, del logos incarnato, del Dio comunicatosi<br />

Persona fece emblema dell’esistente e del futuro.<br />

L’entelechia d’Europa si volge in una direzione, de dignitate hominis, ma non<br />

intesa solo alla maniera dell’Umanesimo, che nel suo antropocentrismo, tutto intento<br />

a far dell’uomo il protagoreo metron d’ogni cosa, lo mutò in sapiens, faber senza<br />

Dio, artefice di se stesso, fondamento d’una nuova religione, tutta umana, dell’uomo,<br />

per l’uomo e sull’uomo. <strong>La</strong> dignità da recuperare, dopo il crollo dell’Umanesimo<br />

laico, è la dignitas originaria del Cristianesimo che, a dispetto di Atene o Roma,<br />

di Parigi o Philadelphia, riconobbe tutti fratelli senza distinzione alcuna di razza<br />

o genere, senza esigenza di recriminazioni o contro-dichiarazioni di diritti 19 ,come<br />

proclamò, in tempi lontani eppur sempre vicini, quell’antico persecutore divenuto<br />

apostolo delle genti: «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero;<br />

non c’è più né uomo né donna, poiché tutti (sono) uno in Cristo» 20 . Questa fu la<br />

grande rivoluzione del Cristianesimo, i cui principi andrebbero ricompresi e recepiti<br />

ancora oggi, senza timori, dettati da una memoria volontariamente immemore<br />

del proprio passato, nell’affaccendarsi a risultare il meno possibile invisa a tutti. Decidere<br />

d’essere nessuno per lasciar che ognuno sia libero di vederci come meglio crede<br />

equivale a non esistere, a non essere. Negare il proprio passato è negare se stessi.<br />

18 M. Cacciari, Geofilosofia…, cit., passim.<br />

19 Il riferimento è alle culture greco-latine che non riconobbero valore di persona umana alla classe<br />

dei servi e, spesso, riservavano alla donna un ruolo subordinato rispetto all’uomo. Così, in tempi moderni,<br />

nel 1776 in America e nel 1789 a Parigi, il valore <strong>della</strong> donna fu nuovamente vittima di un silenzio<br />

scarsamente lungimirante, che diede vita a polemiche o contro-dichiarazioni di diritti e valori, come<br />

la “Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne”, redatta dalla scrittrice francese Olympe de Gouges,<br />

nel 1791, in risposta alla più nota “Déclaration des droits de l’homme et du citoyen” del 1789.<br />

20 San Paolo, Gal 3, 28.<br />

128<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


L’Europa, soprattutto dopo la caduta del Muro di Berlino, limes fra Est ed<br />

Ovest, che ha ridisegnato i confini geografici e storico-spirituali di quest’unione<br />

ancora pienamente da raggiungere, necessita di una identità, da far maturare negli<br />

anni a venire in frutti sempre nuovi, ma a partire da una salda radice, la quale, tuttavia,<br />

costretta, vive nascosta in rinnegamento costante, sospesa in attesa, al fin di<br />

tutti servire senza a nulla, effettivamente, in tale modo, servire.<br />

Gigante dai piedi d’argilla<br />

<strong>La</strong>ura Balestra<br />

Leggevo recentemente di un’intervista al filosofo Remo Bodei circa il destino<br />

dell’Europa in preda all’oblio di se stessa, ebbene, le vie che Bodei ravvisa e suggerisce<br />

affinché questo «[…] gigante dai piedi d’argilla, formato da ventisette Paesi con<br />

storie tutte diverse, in un’estensione che va dalle Azzorre a Cipro, dal Circolo polare artico<br />

a Malta» ritrovi se stesso sono: «una costituzione <strong>politica</strong> omogenea con rappresentanti<br />

credibili e la precisa volontà di puntare sulla ricerca, investendo in innovazione<br />

e tecnologia» 21 .<br />

Benché condivisibili, le vie prospettate dal filosofo sembrerebbero, a mio modesto<br />

parere, non primarie alla determinazione del gnothi seauton europeo. Un uomo<br />

senza memoria <strong>della</strong> propria identità, seppur amministrato da un buon governo<br />

e proteso egli stesso individualmente o in <strong>dimensione</strong> collettiva verso l’innovazione<br />

e la ricerca, sarebbe pur sempre un uomo abissale, precario, incapace di dar<br />

voce alla questione fondamentale: chi sono? Avere una buona <strong>politica</strong>, avere uno<br />

sviluppo tecnologico innovativo è ben lungi dall’Essere e l’Europa esige primariamente<br />

un’onto-logia e, in via susseguente, una tecno-logia, o, se vogliamo, essa necessita<br />

di un senso, una <strong>dimensione</strong> memoriale entro cui disporre attivamente le<br />

technai funzionali al mantenimento <strong>della</strong> propria originaria armonia che è logos e<br />

polemos, articolazione dialettico-teor<strong>etica</strong> questuante l’essenza.<br />

Politica e scienza vi contribuiscono in maniera secondaria, se non come declinazioni<br />

di ciò che è da principio l’esse proprium d’Europa: il logos. Logos è il luogo<br />

del cum-sensus edellegein, il raccogliere il molteplice in unità, esso è parola relazionale<br />

che, da una parte all’altra (dia), si fa dia-logos, partecipazione, condivisione<br />

con l’altro di ciò che propriamente è nostro (unicum), relazione con altre unicità,<br />

eccezionali, diverse dalla nostra e da altre ancora, tra loro irripetibili e discordi, impareggiabili<br />

ed uniche ugualmente. L’Europa è armonia di unica non sopprimibili<br />

né riducibili ad Unum, essa non ha profilo storico o geografico teor<strong>etica</strong>mente limitato,<br />

cum-prehensibilis, manifesta piuttosto una facies liquida come il Mare di<br />

21 Tratto dall’intervista a Remo Bodei “Europa. Il pericolo ci salverà” (a cura di Rita Sala), in Il<br />

Messaggero, 13 agosto 2011, p. 19.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

129


<strong>La</strong>ura Balestra<br />

mezzo dalla «legge rischiosa, vasto e diverso e insieme fisso» 22 , che intesse le trame<br />

delle sue terre e civiltà, dalla terra dell’alba a quella del tramonto, e fonda la propria<br />

identità su presupposti spirituali comuni, edificantisi, come cripte vetuste innalzate<br />

in moderne cattedrali, sopra l’antica-attuale dialettica socratica e la visione (theoria)<br />

ideale platonica, frammiste ad un’evoluzione valoriale di matrice cristiana, diretta<br />

ad un fine supremo e maggiore: l’humanitas, la dignità dell’essere umano.<br />

Idea dialettica, dialettica tragica, visione agonale e polemica, tragedia spiritualmente<br />

irrisolta, che, nel viaggio dall’antico al nuovo, trova pace nell’estatica<br />

commedia dell’Amor dantesco. L’humanitas, in tal senso, diviene il comune orizzonte<br />

valoriale verso l’acquisizione di una cultura condivisa, obiettivo, peraltro, in<br />

principio avocato dai Padri fondatori d’Europa, che fossero stati essi cattolici o<br />

agnostici, democratici cristiani o socialisti 23 , come ricordò Giovanni Paolo II nel<br />

discorso all’UNESCO del 2 giugno 1980: «<strong>La</strong> cultura è un modo specifico dell’“esistere”<br />

e dell’“essere” dell’uomo. […] <strong>La</strong> cultura è ciò per cui l’uomo in quanto uomo<br />

diventa più uomo, “è” di più, accede di più all’“essere”. È qui anche che si fonda la distinzione<br />

capitale fra ciò che l’uomo è e ciò che egli ha, fra l’essere e l’avere» 24 .<br />

Dialettica tragica: le matrici culturali d’Europa<br />

Husserl identificava la crisi culturale dell’umanità europea nell’allontanamento<br />

dalle proprie radici culturali e dalla propria origine storica, ravvisando un<br />

esempio rivoluzionario di rinascita connettiva alle origini, in prospettiva filosofica,<br />

nel Rinascimento: «l’umanità europea attua durante il Rinascimento un rivolgimento<br />

rivoluzionario. Essa si rivolge contro i suoi precedenti modi di esistenza, quelli medievali,<br />

li svaluta ed esige di plasmare se stessa in piena libertà. Essa riscopre nell’umanità<br />

antica un modello esemplare.[…]Che cosa considera essenziale nell’uomo antico? […]<br />

Nient’altro che la forma “filosofica” dell’esistenza: la capacità di dare liberamente a se<br />

stesso, a tutta la propria vita, regole fondate sulla pura ragione, tratte dalla filosofia» 25 .<br />

<strong>La</strong> filosofia nella sua forma classica, greca, la scienza <strong>della</strong> totalità delle cose, la cura<br />

del sapere evidente ed innegabile, costituisce il sostrato fondativo <strong>della</strong> cultura occidentale.<br />

22 Cfr. E. Montale, Mediterraneo (II), da Ossi di Seppia.<br />

23 Cfr. Bernard Ardura, Robert Schuman, «Il padre dell’Europa», inI padri dell’Europa. Alle radici<br />

dell’unione europea. Atti <strong>della</strong> Tavola Rotonda (Città del Vaticano, Domus Sanctae Marthae, 14 maggio<br />

2010), LEV, Città del Vaticano 2010, p. 31.<br />

24 Giovanni Paolo II, Allocuzione all’UNESCO – Parigi, 2 giugno 1980, in Pontificio Consiglio<br />

<strong>della</strong> Cultura, Fede e Cultura. Antologia di testi del Magistero Pontificio da Leone XIII a Giovanni Paolo<br />

II, Città del Vaticano 2003, p. 593.<br />

25 E. Husserl, <strong>La</strong> crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. di E. Filippini, il<br />

Saggiatore, Milano 1961, p. 37.<br />

130<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


L’Europa non ha una cultura che essa possa definire propria, in ragione del<br />

fatto che il nome stesso di Europa è sinonimo di cultura, una cultura eclettica, formatasi<br />

in una particolare <strong>dimensione</strong> di Alterità, nell’incontro con l’Altro, nella<br />

consapevolezza del suo irriducibile valore 26 .L’esse proprium e unicum d’Europa dipende<br />

e comprende la sua radice essere intessuta per aggregazione alteritaria del<br />

molteplice e, come tale, appartenente ad Altro: in ciò risiede il paradosso europeo.<br />

«<strong>La</strong> questione dell’identità culturale d’Europa non può essere posta in modo indipendente:<br />

è indissolubilmente legata alla questione del rapporto dell’Europa con le altre<br />

civiltà, precedenti e/o esterne a essa. Per l’Europa, il rapporto con se stessa passa attraverso<br />

il rapporto con l’altro» 27 . <strong>La</strong> considerazione qui espressa da Rémi Brague, filosofo<br />

francese, autore dell’opera “<strong>La</strong> voie romaine”, tradotta in Italia, in maniera forse<br />

più efficace ed esplicativa del tema trattato, con il titolo “Il futuro dell’Occidente.<br />

Nel modello romano la salvezza dell’Europa”, induce a riflessioni più ampie e complesse<br />

circa l’inchiesta sulle matrici culturali d’Europa.<br />

Le vie identitarie di una cultura<br />

<strong>La</strong>ura Balestra<br />

Se di identità si possa validamente parlare, in sede europea, ma in prospettiva<br />

dinamica e alteritaria, sarebbe lecito rinvenire le vie identitarie di una cultura così<br />

varia in tre direttrici interpretative: la Secondarietà romano-cristiana, l’Universalità,<br />

la Stranieritudine?<br />

Tema caro a Rémi Brague e al card. Angelo Scola, la “Secondarietà” definisce la<br />

capacità propria di Roma e, in via successiva, <strong>della</strong> Chiesa di riconoscersi seconde,<br />

secondarie rispetto ad una cultura precedente ritenuta portatrice di valori non da<br />

rinnegare, per rifondarne in toto di nuovi, ma da accogliere, comprendere, mediare<br />

e ridiffondere, riversandoli nell’alveo <strong>della</strong> propria cultura o di una cultura altra con<br />

la quale si entri in contatto; essa appare come una via o, nel caso di Roma, come un<br />

acquedotto, teso tra ciò che è a monte e ciò che è a valle, una sorta di attitudine all’acculturazione<br />

in <strong>dimensione</strong> alteritaria, in una dinamica continua di acquisizione<br />

e trasmissione. Tale “atteggiamento secondario” non sarebbe, peraltro, prerogativa<br />

esclusiva <strong>della</strong> Romanità e <strong>della</strong> Cristianità, ma apparterrebbe anche ad altre compagini<br />

culturali, quali la cultura araba, ad esempio, la quale ha contribuito a conservare<br />

il patrimonio intellettuale di tradizioni altre e diverse dalla propria, attraverso<br />

l’opera imponente dei suoi traduttori, nella consapevolezza che la Verità sia universale,<br />

non confinabile e acquisibile da chiunque essa provenga, benché estraneo.<br />

26 Cfr. A. Scola (card.), Una nuova laicità. Temi per una società plurale, Marsilio, Venezia 2007, p.<br />

54 ss. 27 R. Brague, Europe, la voie romaine, Criterion, Paris 1992, tr. it. a cura di A. Soldati, Il futuro<br />

dell’Occidente. Nel modello romano la salvezza dell’Europa, Rusconi Libri, Milano 1998, p. 149.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

131


<strong>La</strong>ura Balestra<br />

<strong>La</strong> Secondarietà, dunque, è apertura all’Universale e all’Altro.<br />

L’Universalità o “cattolicità”, infatti, intesa nel suo etimo greco riconducibile all’aggettivo<br />

katholikos (universale), manifesta la facies propria <strong>della</strong> Romanità – così<br />

come ribadito anche dall’illustre studiosa del mondo greco-romano, Marta Sordi, in<br />

più occasioni 28 – prima ancora di connettersi ad una visione confessionale cristiana<br />

o anche islamica. In fondo così come Roma, da Augusto in poi, aveva considerato se<br />

stessa mandataria di una missione provvidenziale e universale nei confronti dell’ecumene<br />

soggiacente al suo Impero, così anche la Chiesa o l’Islam, quest’ultimo nelle<br />

sue pretese universalistiche aspiranti a creare il dār-al-Islām, rientrano in tale specifica<br />

idea di universalità 29 , direttamente legata o dia-logata, alla cosiddetta “stranieritudine”<br />

o <strong>dimensione</strong> alteritaria, itinerante dell’umanità europea. Il contatto con lo<br />

straniero è un archetipo originario nella storia dell’umanità. Nel mondo antico lo<br />

xenos, rappresentava l’Altro nel cui volto riconoscere se stessi o l’Altro inteso in senso<br />

ostile come hostis, nemico, il cui potenziale eversivo ed av-verso andava stemperato<br />

fino a mutarne l’iniziale hostilitas in hospitalitas, cerimoniale posto sotto gli auspici<br />

del divino, atto a rivestire lo straniero di un’aura sacrale, rendendolo hospes o philos,<br />

amico. Comportarsi da nemico dello straniero, echtroxenos, era considerato dagli<br />

antichi una grave colpa, così come si legge nelle tragedie di Eschilo o Euripide. E,<br />

allo stesso modo, passando dalla letteratura greca a quella neotestamentaria, si ritrova<br />

il tema dello straniero e dell’ospitalità nelle parole pronunciate da Cristo nel Vangelo<br />

di Matteo 25,35: «ero xenos/hospes e mi avete accolto» o nel paradossale precetto<br />

<strong>della</strong> montagna che invita ad amare i propri echtroi (nemici). Tale dialettica tragica<br />

degli opposti costituisce la base dell’identità europea e il suo paradoxon, il prodigio<br />

straordinario, il principio contrario all’opinione comune.<br />

Identità e radici<br />

IlCristianesimo, a partire dal quale l’Europa è chiamata, da più parti, a ripensare<br />

le proprie radici, rappresenta forse la novitas di un annuncio che invita a riscoprire<br />

la propria radice come indefinito s-radicamento di Sé, infinita tensione e<br />

apertura verso l’Altro, accogliendolo, ospitandolo in sé come fosse proprio. Optare<br />

per una scelta identitaria in senso forte, in Europa, darebbe origine ad un’opposizione<br />

liminare tra ciò che è europeo e ciò che non lo è, distinguendo nell’Altro il<br />

nemico da rifiutare e combattere perché estraneo, diverso, avverso. Solo concependo<br />

l’identità come non-identità, la radice come s-radicamento o indefinito rinnovamento<br />

<strong>della</strong> radice stessa, l’Europa potrà dirsi cristiana, nella misura in cui accoglierà<br />

l’Altro e sarà capace di amare il proprio nemico, lasciandolo sussistere come<br />

132<br />

28 Cfr. Intervista di M. Blondet a Marta Sordi, Avvenire (30 ottobre 2004).<br />

29 M. Cacciari, <strong>La</strong> città, Pazzini, Rimini 2009 4 , passim.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


tale, tendendogli la mano. L’armonia europea nasce proprio da questa dialettica tra<br />

identità-alterità, tra polemos e dialogos.<br />

Il dialogo è la <strong>dimensione</strong> razionale/relazionale propria <strong>della</strong> cultura europea e,<br />

come ha sostenuto il sociologo francese Edgar Morin in Pensare l’Europa: «Il genio<br />

europeo non consiste solo nella pluralità e nel cambiamento, ma anche nel dialogo<br />

tra le pluralità che produce il cambiamento».<br />

Il vero valore d’Europa non risiede nell’uguaglianza ma nella disuguaglianza,<br />

nel binomio tragico-dialettico uno-molti, io-tu, nosce te ipsum et alium per alium.<br />

In tale contesto, prosegue Morin, «ciò che fa l’unità <strong>della</strong> cultura europea non<br />

è la sintesi giudeo-cristiana-greco-romana, è il gioco non solo complementare ma<br />

anche concorrenziale e antagonistico tra queste istanze, ciascuna delle quali ha la<br />

sua logica: si tratta, appunto, <strong>della</strong> loro dialogica» 30 . L’identità europea passa attraverso<br />

un ripensamento di sé come “non-identità”, attuabile mediante una ricomprensione<br />

delle sue intuizioni ed esperienze originarie, molteplici e plurali, uni-distinte.<br />

<strong>La</strong> patria Europa è un’Europa delle patrie e alla sua «laboriosa creazione» attesero<br />

demiurghi dall’eminente spessore politico, culturale, morale.<br />

I Patres d’Europa e il Cristianesimo<br />

È forse anacronistico e singolare designare con l’antico titolo senatorio romano<br />

di “patres”, gli ispiratori ideali e fattivi dello spirito unitario europeo? Schuman,<br />

De Gasperi, Adenauer, Monnet, Dante: il “Senato d’Europa”. Senza nulla togliere<br />

alle riflessioni e agli sforzi attivi per l’unità d’Europa compiuti da Carlo Sforza e<br />

Altiero Spinelli, ciò che qui preme discutere è la relazione tra Europa e Cristianesimo<br />

a livello storico e politico, verificando la liceità e velleità ecclesiastiche nel tenace,<br />

riecheggiante richiamo alle radici cristiane e, in tal senso, Schuman, Adenauer,<br />

De Gasperi e Monnet, politici e cristiani, considerati, con altri, padri fondatori<br />

dell’Europa, rappresentano una “quinta compagnia” ad hoc in merito alla questione<br />

da analizzare. Si aggiunge, infatti, quinto, a coronamento ideale dei tempi e d’azione<br />

dei patres moderni, Dante Alighieri, concittadino, con essi, in spirito, dell’universale<br />

patria Europa. Il Cristianesimo e il richiamo ad esso come fulcro radicale<br />

<strong>della</strong> poliforme identità europea, ha sollevato e continua a sollevare polemiche rilevanti<br />

e, il “laicissimo” art. 1-bis del Preambolo dell’UE ne rappresenta l’icastica<br />

evidenza: «L’Unione si fonda sui valori del rispetto <strong>della</strong> dignità umana, <strong>della</strong> libertà,<br />

<strong>della</strong> democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani,<br />

compresi i diritti appartenenti ad una minoranza. Questi valori sono comuni agli<br />

Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione,<br />

dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».<br />

30 E. Morin, Pensare l’Europa, cit., p. 24.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

<strong>La</strong>ura Balestra<br />

133


<strong>La</strong>ura Balestra<br />

Ad esso va a complemento annotata l’“ispirazione” generale dell’Unione, ratificata<br />

nel medesimo Trattato di Lisbona: «(Ispirandosi) alle eredità culturali, religiose<br />

e umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili<br />

e inalienabili <strong>della</strong> persona, <strong>della</strong> libertà, <strong>della</strong> democrazia, dell’uguaglianza e<br />

dello Stato di diritto». Sfuma, in nient’altro che un’allusione passibile di soggettive<br />

interpretazioni, ogni esplicito riferimento alle radici greco-romane e, soprattutto,<br />

cristiane dell’Europa, sebbene i principi appena citati siano espressamente esito<br />

<strong>della</strong> evoluzione-rivoluzione che il Cristianesimo operò nel mondo antico, mutandone<br />

il volto in innovative fattezze valoriali, a cui si aggiunsero precedentemente e<br />

progressivamente in seguito, nel corso dei secoli, altre rivoluzioni, di cui il trattato<br />

ricorda solo gli esiti. Il “rischio” che una cosiddetta “nominatio Dei”, nel Preambolo<br />

<strong>della</strong> mai varata Costituzione europea, possa compromettere la <strong>dimensione</strong> laica<br />

<strong>della</strong> futura UE, pare e parve, probabilmente anche a Giscard d’Estaing, nel 2002<br />

Presidente <strong>della</strong> “Convenzione sul futuro dell’Europa”, un inconveniente da evitare,<br />

così come similmente, nel 2007, ha ribadito in altri termini anche il Cancelliere<br />

tedesco Angela Merkel, favorevole ad un riconoscimento formale <strong>della</strong> cristianità<br />

radicale d’Europa, ma altrettanto fautrice di una sua esclusione da «un documento<br />

di Stato» 31 , all’insegna <strong>della</strong> separazione e indipendenza <strong>della</strong> sfera di Cesare da<br />

quella di Dio, considerazione, peraltro, evangelicamente già ben chiara secoli or<br />

sono. Un eventuale riferimento alle radici greco-romane-giudeo-cristiane-umanistiche<br />

all’interno di un preambolo costituzionale avrebbe e dovrebbe avere carattere<br />

storico-culturale memoriale non confessionale e, come ha fatto notare Ombretta<br />

Fumagalli Carulli, ordinario di Diritto Canonico all’Università Cattolica del Sacro<br />

Cuore «il riferimento a Dio è inserito nel Preambolo di specifici testi costituzionali<br />

di Stati europei, con maggiore o minore intensità: ad esempio in Germania vi è il<br />

generico riferimento a Dio, in Polonia il riferimento ai valori di quanti credono in<br />

Dio […], in Irlanda l’invocazione al Nome <strong>della</strong> Santissima Trinità» 32 , e dunque<br />

quale potenziale eversivo risiederebbe in una dichiarazione super partes, di natura<br />

memoriale e storica, espressamente privata di ogni imposizione fideistico-confessionale<br />

esclusiva ed escludente altre realtà religiose?<br />

<strong>La</strong>icità baluardo ideologico<br />

Si obietterà che, tuttavia, l’Italia, e chi qui scrive è cittadina italiana, non ha<br />

nella propria Costituzione alcun riferimento specificamente confessionale, con-<br />

31 Tratto dall’articolo “Radici cristiane: la UE senza accordo”, a cura di Alberto d’Argento, in <strong>La</strong><br />

Repubblica (26 marzo 2007), p. 4.<br />

32 O. Fumagalli Carulli, Costituzione europea, radici cristiane e Chiese, in www.olir.it “Osservatorio<br />

delle libertà ed istituzioni religiose”, p. 11.<br />

134<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


figurandosi bensì come Stato laico (artt. 8, 19, 20 Cost., relativi alla questione<br />

religiosa), sebbene riconosca una qualche forma di privilegio alla religione cattolica<br />

(art. 7 Cost.), la quale, al di là dell’espresso riferimento costituzionale, costituisce<br />

per l’Italia una matrice storico-culturale e religiosa inappellabile. <strong>La</strong> tanto<br />

discussa ed ambita laicità sembra oggi essersi eretta a baluardo ideologico e costitutivo<br />

dell’identità s-personalizzata europea. Ideologia, peraltro, apparentemente<br />

condivisa in maniera unanime e diffusa, da opporre alla religione come qualcosa<br />

ad essa estraneo e avverso, benché, come ha recentemente fatto notare il politologo<br />

francese Olivier Roy, il concetto di laicità, soggetto attualmente a strani fenomeni<br />

di distorsione interpretativa, non sia anti-religioso, ma sia in realtà una<br />

conseguenza delle antiche guerre di religione combattute in Europa, sorto a motivo<br />

di un mancato consenso dei vari paesi europei in merito allo spazio da assegnare<br />

alla religione. Il fanatismo scatena sì la guerra ma anche il compromesso<br />

pacifico che ne è conseguenza di libertà, seppur come conquista tradiva e imputabile<br />

a scontri tra poteri opposti, indipendenti e mal conciliati o difficilmente<br />

conciliabili 33 .<br />

Il problema non risiederebbe tanto nel veto più o meno avvalorato di questo<br />

o quell’altro Paese in merito a un trattato, nel far esistere un’Europa etsi Deus non<br />

daretur, ma nell’introdurre un cardine memoriale, al pari di altri grandi esclusi,<br />

all’interno di una Carta costituzionale, che sia definizione, nel medesimo tempo,<br />

del carattere laico e religioso, occidentale ed orientale dell’Europa. E se dalla<br />

Francia in primis – e da altri – venne, a suo tempo, l’abiura, dalla Francia poi, si è<br />

fatta nuovamente largo l’idea dell’eredità cristiana d’Europa. Il 29 gennaio 2008<br />

Nicolas Sarkozy, al Congresso dell’UMP sull’Europa, s’espresse così: «Dire che in<br />

Europa ci sono delle radici cristiane è semplicemente dare prova di buon senso. Rinunciare<br />

a farlo, significa girare le spalle ad una realtà storica» 34 . Ed è sempre dalla<br />

Francia del secondo dopoguerra, dal progetto maturato da Robert Schuman, in<br />

stretta collaborazione con «Monsieur Europe», Jean Monnet, che l’Europa, come<br />

auspichiamo intenderla oggi e in futuro, conobbe un inedito processo di unificazione<br />

35 , innaturale, ma ispirato a una visione <strong>politica</strong>, storica e spirituale lungimirante,<br />

riconducibile, a detta dello stesso Schuman, «alla legge cristiana di una nobile<br />

ma umile fratellanza. E per un paradosso che ci sorprenderebbe se non fossimo cristiani<br />

[…] tendiamo la mano ai nemici di ieri non semplicemente per perdonare, ma<br />

per costruire insieme l’Europa di domani» 36 . <strong>La</strong> mano tesa del nemico al nemico<br />

che unisce e mantiene distinti Schuman e Adenauer, Francia e Germania, rendendoli<br />

parte <strong>della</strong> stessa grande visione europea, non era contemplata nelle conce-<br />

33 Cfr. Olivier Roy, L’Islam in Europa, in http://www.radioradicale.it/scheda/321363.<br />

34 N. Sarkozy, Discours lors du Congrès de l’UMP sur l’Europe, 29 gennaio 2008.<br />

35 Cfr. Bernard Ardura, op. cit., p. 25.<br />

36 R. Schuman, Pour l’Europe, Genève 1990, p. 44.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

<strong>La</strong>ura Balestra<br />

135


<strong>La</strong>ura Balestra<br />

zioni antiche, fino al comandamento nuovo e paradossale di quell’ebreo di Nazareth<br />

che, dall’alto di un monte, insegnò per primo a tendere la mano ai “fratellinemici”.<br />

Riconcialiazione e i segni <strong>della</strong> civiltà cristiana<br />

Il 19 marzo 1958, otto anni dopo, la Dichiarazione Schuman, il padre fondatore<br />

d’Europa, in occasione dell’elezione a presidente del primo Parlamento europeo,<br />

disse: «Non si tratta di fondere gli Stati associati, di creare un super Stato. […] I<br />

nostri Stati europei sono una realtà storica. Sarebbe psicologicamente impossibile farli<br />

sparire. <strong>La</strong> loro diversità, poi, è una fortuna e non vogliamo né livellarli né renderli<br />

uguali». <strong>La</strong> <strong>politica</strong> europea per noi non è assolutamente in contraddizione con l’ideale<br />

patriottico di ciascuno di noi. Tutti i Paesi europei sono stati impregnati dalla<br />

civiltà cristiana. È questa l’anima dell’Europa che occorre far rivivere. Che questa<br />

idea di un’Europa riconciliata, unita e forte, sia ormai una parola d’ordine per le<br />

nuove generazioni che desiderano servire un’umanità finalmente libera dall’odio e<br />

dalla paura e che impari di nuovo, dopo troppe lacerazioni, la fraternità cristiana.<br />

L’Europa ha dato all’umanità il suo pieno compimento. È lei che deve mostrare<br />

una via nuova, invece <strong>della</strong> schiavitù.<br />

Accettando una pluralità di civiltà in cui ciascuna sia rispettosa delle altre.<br />

Non siamo, non saremo mai negatori <strong>della</strong> patria, dimentichi dei doveri che abbiamo<br />

nei suoi confronti. Ma al di sopra di ogni patria riusciamo a distinguere sempre<br />

più nettamente che esiste un bene comune, superiore all’interesse nazionale, quel<br />

bene comune nel quale gli interessi individuali dei nostri Paesi si fondono e si<br />

confondono. In un’epoca in cui tutto è in fermento, bisogna saper osare. È meglio<br />

provare che rassegnarsi, la ricerca <strong>della</strong> perfezione è una scusa meschina per non<br />

agire 37 . Il richiamo al Bene comune, alla fratellanza universale, al perdono e all’accoglienza<br />

del nemico sono temi cristiani di grande attualità che inducono a una riflessione<br />

più ampia sulla questione dei cattolici in <strong>politica</strong>, il cui impegno, ieri come<br />

oggi, anche sul tema dell’Europa non deve indurre ad accelerazioni in senso necessariamente<br />

confessionale. In tal direzione va letta l’opera europeistica di Alcide<br />

De Gasperi. Ricordare la sua figura, infatti, studiarne l’attività vuol dire – come ha<br />

sottolineato Gabriele De Rosa – «confrontarsi con alcuni nodi cruciali <strong>della</strong> storia del<br />

secolo scorso: dalle vicende legate alla dissoluzione dell’Impero asburgico, alla crisi dello<br />

Stato liberale e all’avvento del fascismo; dalla tragedia <strong>della</strong> II guerra mondiale alla<br />

difficile opera di ricostruzione e di avvio <strong>della</strong> modernizzazione economica, <strong>politica</strong> e<br />

istituzionale del nostro paese, fino al progetto di una casa comune europea» 38 .<br />

136<br />

37 Ivi,pp.46ss.<br />

38 http://www.degasperi.net/navipage_percorsi.php?id_cat=p1.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


L’ideale e i promotori<br />

<strong>La</strong>ura Balestra<br />

L’ideale che supremo s’impose nelle menti sognanti di europei ante litteram<br />

come De Gasperi, Schuman, Monnet, Adenauer, fu l’edificazione di una comunità<br />

internazionale che s’ispirasse ai valori di democrazia, pace, convivenza fra popoli e<br />

culture, nell’iniziativa di risollevare a nuova alba l’Europa scossa e devastata da antagonismi<br />

e guerre, forti <strong>della</strong> consapevolezza di un «comune retaggio europeo», rintracciato<br />

da De Gasperi in «quella morale unitaria che esalta la figura e la responsabilità<br />

<strong>della</strong> persona umana col suo fermento di fraternità evangelica, col suo culto del diritto<br />

ereditato dagli antichi, col suo culto <strong>della</strong> bellezza affinatosi attraverso i secoli, con<br />

la sua volontà di verità e di giustizia acuita da una esperienza millenaria» 39 .<br />

Nelle parole di De Gasperi c’è l’Europa di Atene e Roma, l’Europa <strong>della</strong><br />

Chiesa e forse anche già del minareto, l’Europa <strong>della</strong> Rivoluzione Francese e Americana,<br />

l’Europa dei due polmoni di Giovanni Paolo II, l’Europa che i Padri fondatori<br />

avevano visto e progettato, senza che nessuno oggi riesca a sognare di nuovo<br />

la stessa visione, cercando di realizzarla fattivamente. Non se ne dolgano i “moderni”<br />

se, tra i patres d’Europa, posto d’onore attribuisco anche a Dante Alighieri,<br />

logos e theo-logos dell’humanitas, che in un’Europa, alla sua epoca, forse solo in<br />

mente Dei, seppe concepirne, tuttavia, l’idea, la visione, anch’egli, nella descrizione<br />

degli spiriti magni del Limbo, nella teoria dei due soli, di spada e pastorale,<br />

nella sintesi po<strong>etica</strong> e prof<strong>etica</strong> d’Occidente e Oriente, nella tensione a cose che<br />

«albeggiano nel grembo del futuro», così come ricordato da papa Paolo VI nella<br />

lettera apostolica Altissimi cantus: il Poema di Dante è universale: nella sua immensa<br />

grandezza, abbraccia cielo e terra, eternità e tempo, i misteri di Dio e le vicende<br />

degli uomini, la dottrina sacra e le discipline profane, la scienza attinta dalla<br />

Rivelazione divina e quella attinta dal lume <strong>della</strong> ragione, i dati dell’esperienza<br />

personale e le memorie <strong>della</strong> storia, l’età sua e le antichità greco-romane, mentre<br />

ben si può dire che del Medioevo è il monumento più rappresentativo. Nel suo<br />

contenuto tesoreggia la sapienza orientale, il logos greco, la civiltà romana, e, in<br />

sintesi, il dogma e i precetti <strong>della</strong> legge del Cristianesimo nella elaborazione dei<br />

suoi dottori. Aristotelico nella concezione filosofica, platonico nella tendenza all’ideale,<br />

agostiniano nella concezione <strong>della</strong> storia, nella teologia è fedele seguace di<br />

San Tommaso d’Aquino, tanto che la Divina Commedia è, fra l’altro, in frammenti,<br />

quasi lo specchio poetico <strong>della</strong> Somma del Dottore Angelico. Che se ciò è<br />

ben vero nelle linee generali, è altrettanto vero però che Dante è aperto a profondi<br />

influssi di sant’Agostino, di San Bernardo, de’ Vittorini, di San Bonaventura, e<br />

non è scevro di qualche influsso apocalittico dell’Abate Gioacchino da Fiore, poi-<br />

39 A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, IV/3, a cura di E. Tonezzer – M. Bigaran – M. Guiotto,<br />

il Mulino, Bologna 2006, p. 2746.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

137


<strong>La</strong>ura Balestra<br />

ché suole protendersi a cose che albeggiano o che, non ancora nate, sono in grembo<br />

del futuro 40 .<br />

Dante è stato forse il primo civis d’Europa? Se non nei fatti, lo fu nello spirito<br />

e «pur essendo un italiano e un uomo di parte, (fu) prima di tutto un europeo» 41 ,<br />

la sua cultura è il patrimonio che stentiamo a riacquisire e a cui è dovere primo attingere.<br />

Dante non necessita di una ratifica costituzionale per concepire, cum-capere,<br />

afferrare insieme la sub-stantia d’Europa, la metonimia delle sue tre altezze: Golgota,<br />

Campidoglio, Acropoli; Grecia, Roma, Cristo o, Atene, Roma, Gerusalemme,<br />

che dir si voglia. Egli non inabita una nazione, è la cultura d’Europa che troneggia<br />

nei suoi versi, le cui radici nascono e s’impiantano nell’ecumene “cattolicauniversale”.<br />

Ciò che accomuna le azioni e le idee di quello che ho definito il “Senato<br />

d’Europa” è un’ideale trascendente, una missione o diaconia a carattere katholikos-universale,<br />

un servizio al servizio del Bene comune: l’Europa <strong>politica</strong> e spirituale,<br />

non confessionale, l’Europa dell’humanitas edeldialogos.<br />

Conclusione<br />

L’Europa è un’idea, una visione stentatamente esperibile, faticosamente tangibile<br />

se non nella misura stessa del ponos, la fatica <strong>della</strong> visio e <strong>della</strong> sua concreta<br />

realizzazione fattiva. Come conciliare ciò che, discorde, nelle menti albeggia già in<br />

concordia? Il fine ultimo di quanti presiedono, con le loro azioni ed intenzioni, alla<br />

creazione dell’Europa unita risiede nel mantenimento <strong>della</strong> varietas e <strong>della</strong> concordia<br />

che la sublima. Il rischio paradossale di un’unitas multiplex che non sia rete<br />

interculturale, dialogica e mediante, bensì imposizione riduttiva del molteplice<br />

non ad unione ma ad Unum, s’insinua sempre ratto e sotterraneo nelle pieghe confuse<br />

del costituendo Esse europeo, gettando l’idea d’Europa in scenari babelici. «<strong>La</strong><br />

fatica di questa theoria […] consisterà, dunque, nell’armonizzare, senza ridurle violentemente<br />

a Uno, le diverse figure, le diverse isole, tutte ‘salve’ nell’individualità<br />

del proprio carattere, ma tutte colte nella comune ricerca, nel comune amore (philia)<br />

per quel Nome o per quella Patria che a tutte manca» 42 : l’Europa.<br />

Che cos’è l’Europa? <strong>La</strong> sua dinamica attuale la sospinge ad assumer forma di<br />

progetto culturale, non più limitatamente economico-politico, e soltanto comprendendo<br />

che essa è un concetto la cui dynnamis attiva risiede su fondamenti spirituali<br />

diversi e discordi, necessitanti di un’armonia logica, dia-logica, che tutti li<br />

riconosca identici e distinti senza nessuno disconoscerne o annullarne, sarà possibile<br />

dar ragione <strong>della</strong> sua richiesta d’identità, strappandola all’oblio di sé, al nichilismo<br />

e al relativismo.<br />

40 Paolo VI, Altissimi Cantus n. 16, traduzione dall’originale latino pubblicata in Annali dell’<strong>Istituto</strong><br />

di Studi Danteschi. Volume primo, Vita e Pensiero, Milano 1967, vol. I, pp. IX-LIV.<br />

138<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


<strong>La</strong> sua originalità risiede nella molteplicità, «in varietate concordia», essa è<br />

continens accogliente civiltà, da Oriente ad Occidente, e chi, meglio di quei Padri<br />

fondatori francesi, tedeschi, italiani, uomini di frontiera, capaci di leggere il limes<br />

non come confine di separazione ma di unione (cum-finis), poteva concepire e vedere,<br />

prima ch’esistesse, quell’Europa unita e diversa, che gli occhi europei, oggi,<br />

non riescono ancora a contemplare? Atene, Roma, Gerusalemme rappresentano la<br />

“patria trinitaria” dell’esse europeo, la madrepatria universale <strong>della</strong> grande familia<br />

humana europea, ed imponendo con volontà immemore, da più parti, la damnatio<br />

memoriae dei suoi tre fondamenti spirituali, storici e filosofici, o peggio, tentando<br />

di abolire la varietas nell’affannosa mostruosa creazione dell’Unum indistinto, non<br />

si otterrà che una Babele confusa e diffusa di nomi e aspetti dati a ciò che, priva<br />

<strong>della</strong> sua consapevole essenza, non avrà forza d’esistere.<br />

In varietate concordia: il motto d’Europa le ha dato nome all’anima, spetta ora<br />

ai figli d’Europa sentirsi fratelli di sangue (kasignetoi), divenire coscienti d’essere<br />

europei, uniti seppur divisi, radicati nel perenne s-radicamento, dall’identità nonidentitaria<br />

e, in virtù di ciò, liberi di aprirsi all’Altro, come Roma, come Cristo: è<br />

questo l’ethos d’Europa, il suo telos, che le derivano dalla memoria di un passato comune.<br />

Il fondamento radicale <strong>della</strong> nova humanitas europea precede e transita al di<br />

là dell’unificazione economico-<strong>politica</strong>, che ne è solo la veste esteriore. Il Terzo<br />

millennio s’appressa ai bastioni d’Europa e la chiama a darsi un’anima. Scrisse T.S.<br />

Eliot: «Il mondo occidentale ha la sua unità, in questa eredità, nel Cristianesimo e nelle<br />

antiche civiltà <strong>della</strong> Grecia, di Roma e d’Israele, alle quali, attraverso duemila anni<br />

di Cristianesimo, noi riconduciamo la nostra origine. […] Se noi disperdiamo o gettiamo<br />

via il nostro comune patrimonio, allora tutte le organizzazioni e i progetti delle<br />

menti più ingegnose non ci gioveranno, né contribuiranno ad unirci» 43 .<br />

41 T.S. Eliot, Dante [II] (1929),inOpere 1904-1939, ed. it. a cura di R. Sanesi, Bompiani, Milano,<br />

pp. 428, 829.<br />

42 M. Cacciari, L’Arcipelago, cit., p. 20<br />

43 T.S. Eliot, Appunti per una definizione <strong>della</strong> cultura. Appendice: L’unità <strong>della</strong> cultura europea,in<br />

Opere 1939-1962, ed. it. a cura di R. Sanesi, Bompiani, Milano 1993, pp. 638-640.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

<strong>La</strong>ura Balestra<br />

<br />

139


FOCUS<br />

<strong>La</strong> <strong>dimensione</strong> <strong>etica</strong> <strong>della</strong> <strong>politica</strong> - di Joaquín Navarro-Valls<br />

Famiglia ed <strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà. L’obbligo e la promessa - di Franco Riva


Politica e potere<br />

<strong>La</strong> <strong>dimensione</strong> <strong>etica</strong> <strong>della</strong> <strong>politica</strong><br />

Se c’è un atteggiamento che ha caratterizzato con continuità<br />

la riflessione culturale europea, non solo filosofica,<br />

è stata di sicuro la capacità di formulare correttamente le<br />

domande. Già il grande Aristotele, vero maestro <strong>della</strong><br />

razionalità antica, ha dedicato un intero libro <strong>della</strong> Metafisica<br />

a impostare rettamente le interpellanze che stanno<br />

alla base del sapere. E, recentemente, gli scienziati<br />

hanno suggerito allo stesso modo che quasi tutti i problemi<br />

inutili derivano unicamente dal non saper formulare<br />

i legittimi interrogativi alle giuste questioni.<br />

È un tema ricorrente in Europa interrogarsi sui rapporti<br />

tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong>. Infatti, ci si interroga quale sia il genere<br />

di <strong>etica</strong> che possa essere applicato correttamente<br />

alla <strong>politica</strong>. Ma domandare che tipo di condotta possa<br />

valere in genere come ragion di stato è, di fatto, investigare<br />

i motivi per cui solitamente l’<strong>etica</strong> e la <strong>politica</strong> non<br />

camminano di pari passo e non trovano facili motivi di<br />

concordia. In realtà, a guardare le cose con attenzione,<br />

l’innegabile distinzione non è solo una situazione moderna<br />

dell’Occidente, essendo espressione di una tentazione<br />

che fin dalle origini classiche ha attraversato e minacciato<br />

la condotta e i costumi dell’umanità. Con la<br />

globalizzazione, poi, la divaricazione è divenuta fatalmente<br />

universale.<br />

Oggi si considera normale che la <strong>politica</strong> sia una pratica<br />

di rapporti di potere che deve fermarsi ai fatti, come<br />

avrebbe detto il filosofo Ludwig Wittgenstein, evitando categoricamente<br />

di aprirsi al mistero. E il motivo di quella do-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

JOAQUÍN<br />

NAVARRO-VALLS<br />

Presidente<br />

Advisory Board<br />

Università Campus<br />

Bio-Medico di Roma<br />

≈<br />

«<strong>La</strong> vera soluzione<br />

del dualismo tra<br />

<strong>etica</strong> e <strong>politica</strong> sta<br />

nel riuscire a<br />

trattare la persona<br />

esattamente ed<br />

esclusivamente<br />

come persona […]<br />

ancorando<br />

finalmente la<br />

pratica <strong>politica</strong> ad<br />

una <strong>dimensione</strong><br />

autenticamente<br />

“vera”, metafisica,<br />

che sola riesca a<br />

dare contenuti ed<br />

ideali sicuri e<br />

permanenti».<br />

≈<br />

143


Joaquín Navarro-Valls<br />

manda iniziale, riguardante la disgiunzione tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong>, finisce per essere, in<br />

tal modo, una concessione gratuita all’onnipotenza del potere. È piuttosto facile,<br />

in fin dei conti, comprendere la mentalità che ha determinato lo scenario attuale,<br />

vale a dire l’istinto ad abbandonarsi all’illusione che la <strong>politica</strong> sia una limitata arte<br />

di governo, una scaltra strategia simile a quella tenuta dal Principe di Niccolò Machiavelli,<br />

il quale si cingeva solo a gestire gli interessi di tutti, senza voler giudicare,<br />

cambiare e giustificare il valore di nessuno.<br />

Mi pare che dovremmo dire no a questo insano pessimismo. Opporci all’idea<br />

che tutto si risolva unicamente in pragmatismi senza finalità. <strong>La</strong> <strong>politica</strong> non è<br />

l’amministrazione del possibile, ma l’arte dell’impossibile, ossia l’ingegnosa volontà<br />

di cambiare le cose presenti e migliorare nel futuro quanto non va. Ecco perché,<br />

su questo sfondo, il rapporto tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong> non può più accettare delle<br />

squallide soluzioni di continuità, delle contrapposizioni insanabili. L’unione di <strong>etica</strong><br />

e <strong>politica</strong> deve divenire, ad ogni buon conto, il segno tangibile di un’opposizione<br />

frontale al relativismo, malattia ormai perfino noiosamente insopportabile.<br />

Anche nel passato, d’altronde, vi erano coloro che giudicavano la <strong>politica</strong><br />

un’attività indegna, un modo rapido in cui poter eseguire strategie spregevoli per<br />

raggirare efficacemente i più deboli. Vi erano ad Atene perfino dei maestri che insegnavano,<br />

già nel IV secolo a. C., la professione di persuadere e di ingannare le<br />

masse: erano i Sofisti. Platone, all’inizio <strong>della</strong> Repubblica, fa cenno a questa deriva<br />

patologica, che non diversamente si trova oggi frequentemente, mettendo in bocca<br />

al personaggio Trasimaco la definizione di ‘opportunismo’ più famosa di tutti i<br />

tempi: <strong>La</strong> giustizia è l’interesse del più forte.<br />

D’altronde, se non esistono più riferimenti superiori, cui attribuire, indirizzare<br />

e mo<strong>della</strong>re le azioni, è chiaro che il giusto e il vero diventano espressioni esclusive<br />

<strong>della</strong> prestanza, <strong>della</strong> abilità comunicativa, <strong>della</strong> prepotenza. E chi governa finisce<br />

nel baratro <strong>della</strong> capziosità. Il potere diviene, insomma, un assoluto e incontrollato<br />

idolo, una specie di nuovo “vitello d’oro”, cui affidare irresponsabilmente il<br />

proprio destino. Ecco così avverarsi l’incubo del completo relativismo. L’<strong>etica</strong> e la<br />

<strong>politica</strong> appaiono definitivamente staccate tra loro poiché, come spiegava bene<br />

Anassagora, “solo l’individuo è misura di tutto”.<br />

Etica e Politica<br />

Con ciò siamo giunti ad una prima importante conclusione, che rimanda alla<br />

domanda iniziale: qual è il genere di <strong>etica</strong> che può essere applicato correttamente<br />

alla <strong>politica</strong>. Se la sfida, riguardante la distinzione tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong>, deriva principalmente<br />

da un atteggiamento relativista, secondo cui il bene è il predominio<br />

esclusivo del più forte o del più sagace, allora ogni individuo è misura arbitraria di<br />

ogni cosa, non vedendo più nulla oltre se stesso. Evidentemente, abbiamo a che fa-<br />

144<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


e con una seduzione originaria che spinge ad impostare il senso <strong>della</strong> giustizia e<br />

<strong>della</strong> convivenza civile nei termini privilegiati, utilitari e pragmatici, del cinismo e<br />

<strong>della</strong> prepotenza individualista.<br />

Nell’Enciclica Centesimus annus, Giovanni Paolo II ha mostrato di avere perfettamente<br />

chiaro il dramma antropologico che questa impostazione segnala, vero<br />

nucleo costitutivo di tutte le proposte ideologiche contemporanee, rinvenibile sia<br />

nella separazione tra capitale e lavoro che in quella tra bene comune e privato. Il<br />

problema è, in ultima istanza, metapolitico, presupponendo ingiustificatamente la<br />

pretesa validità di uno scetticismo assoluto. Conviene rileggere con attenzione le<br />

sue analisi magistrali:<br />

«Se ci si domanda donde nasca quell’errata concezione <strong>della</strong> natura <strong>della</strong> persona e<br />

<strong>della</strong> “soggettività” <strong>della</strong> società, bisogna rispondere che la prima causa è l’ateismo. È<br />

nella risposta all’appello di Dio, contenuto nell’essere delle cose, che l’uomo diventa consapevole<br />

<strong>della</strong> sua trascendente dignità. Ogni uomo deve dare questa risposta, nella<br />

quale consiste il culmine <strong>della</strong> sua umanità, e nessun meccanismo sociale o soggetto collettivo<br />

può sostituirlo. <strong>La</strong> negazione di Dio priva la persona del suo fondamento e, di<br />

conseguenza, induce a riorganizzare l’ordine sociale prescindendo dalla dignità e responsabilità<br />

<strong>della</strong> persona».<br />

<strong>La</strong> persona “Persona”.<br />

Joaquín Navarro-Valls<br />

<strong>La</strong>vera soluzione del dualismo tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong> sta, quindi, nel riuscire a<br />

trattare la persona esattamente ed esclusivamente come persona. Questo primo asse<br />

etico fondamentale preme, infatti, a superare il suddetto relativismo <strong>della</strong> forza e<br />

dell’arbitrio, ancorando finalmente la pratica <strong>politica</strong> ad una <strong>dimensione</strong> autenticamente<br />

‘verà, metafisica, che sola riesca a dare contenuti e ideali sicuri e permanenti.<br />

In questo senso, appare in tutta la sua penetrante forza espressiva e attualità la<br />

celebre affermazione, più volte ribadita da Robert Spaemann, che fissa la base antropologica<br />

fondamentale per una solida <strong>etica</strong> <strong>politica</strong>: “Tutti i doveri verso le persone<br />

sono riconducibili al dovere di percepire le persone come persone”.<br />

Quando, infatti, manca il riferimento alla trascendenza personale, anche l’idea<br />

stessa di dovere etico verso se stessi o verso la comunità si sgretola e dissolve come<br />

neve al sole. D’altronde, la <strong>politica</strong> non può restare espressione soddisfacente dell’unica<br />

e incontrollata volontà di dominio e di potenza di chi comanda, incontrando<br />

obbligatoriamente nel proprio cammino l’opposizione popolare <strong>della</strong> presenza<br />

umana, dal cui confronto e dalla cui ‘resistenzà è impossibile sottrarsi. Perciò l’<strong>etica</strong><br />

non può restare a lungo il monopolio dell’utile, senza fare niente di operativo, non<br />

essendo mai una tavola di principi astratti simile ad una serie di cartelli stradali che<br />

indicano asetticamente la strada giusta per giungere ad un risultato previsto che<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

145


Joaquín Navarro-Valls<br />

nessuno compie. <strong>La</strong> complessità umana lo impedisce. Le esigenze individuali si ribellano.<br />

<strong>La</strong> trascendenza dell’altro vi si oppone con una prestanza imperativa. Una<br />

razionale visione del bene comune nasce, all’opposto, obbligatoriamente evidenziando<br />

la necessaria unità sostanziale di <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong> in tutte le dimensioni, teoriche<br />

e pratiche, che riguardano la vita umana.<br />

Teoria e pratica<br />

Qual è, allora, il genere di <strong>etica</strong> che può applicarsi con successo alla <strong>politica</strong>?<br />

Di certo, l’unica che disponga di un livello soddisfacente di riferimenti antropologici<br />

e di motivazioni pratiche da soddisfare le aspirazioni profonde presenti<br />

nella società. E ciò per due ragioni. Da un lato, perché l’agire pratico non può esistere<br />

senza una conoscenza speculativa <strong>della</strong> verità umana come tale. Infatti, se non<br />

so chi è la persona, non posso neanche sapere cosa devo fare e quanto occorre esigere<br />

dagli altri per comportarsi con misura e giustizia, nel rispetto pieno <strong>della</strong> dignità<br />

personale di tutti. Dall’altro, perché la <strong>politica</strong> è fondamentalmente abitudine,<br />

vale a dire un ricorrente traboccare dell’intelligenza nell’azione, senza il quale<br />

non può esservi alcun tipo di garanzia e dignità per nessuno. Ecco perché la piena<br />

saldatura tra teoria e pratica è quanto i maestri <strong>della</strong> Scolastica chiamavano “prassi”,<br />

vale a dire non la sola trasformazione tecnologica dell’ambiente circostante, ma<br />

la materializzazione <strong>della</strong> verità umana in buoni comportamenti: coerenti, effettivi<br />

e concreti. Il risultato è la felicità personale, indipendente dai risultati produttivi<br />

ottenuti.<br />

Non stupisce, alla fine, che l’unità di <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong>, mo<strong>della</strong>ta sul principio<br />

<strong>della</strong> responsabilità personale, abbia trovato il proprio sbocco normale nella centralità<br />

delle virtù umane. Esse sono, per l’appunto, come il grande filosofo tedesco<br />

Joseph Pieper ha spiegato, il cuore etico <strong>della</strong> <strong>politica</strong> e il perno stesso <strong>della</strong> pretesa<br />

pubblica che definisce l’agire privato di ognuno.<br />

Le virtù etiche<br />

Le più importanti virtù etiche in <strong>politica</strong> sono, non a caso, la prudenza e la<br />

giustizia.<br />

Un politico, infatti, è all’altezza del suo dovere solo se è misurato e equo, vale a<br />

dire solo se compie abitualmente atti razionali che diventino tutt’uno con il suo<br />

modo d’essere, di valutare problemi e scegliere soluzioni responsabili. Da tale coerenza<br />

deriva poi non soltanto la credibilità che da politico egli può garantire ai suoi<br />

elettori, ma l’aderenza <strong>etica</strong> <strong>della</strong> sua autentica personalità alla verità antropologica<br />

oggettiva. È fin troppo chiaro che l’indissociabilità tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong>, legata per<br />

146<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


l’appunto alla prassi, è resa possibile solo dalle virtù personalmente esigibili. Se, infatti,<br />

vi fosse un’<strong>etica</strong> senza virtù, allora avremmo una tavola di regole morali<br />

astratte assolutamente insignificanti e dissociate dai comportamenti. E se ci fossero<br />

virtù senza <strong>etica</strong>, ci troveremmo davanti ad un moralismo ideologico insopportabile<br />

che trascinerebbe la verità stessa sul piano legale e convenzionale, senza tener<br />

conto dei corrispondenti doveri individuali <strong>della</strong> vita sociale.<br />

<strong>La</strong> prudenza, oltretutto, come virtù principe <strong>della</strong> razionalità <strong>politica</strong>, fa risaltare<br />

il legame etico che deve esistere tassativamente tra azione e razionalità, nella<br />

ponderazione cauta e risoluta, ben diverso evidentemente dalla paura, dal tatticismo<br />

o dal perfezionismo, che sono esattamente l’opposto. E la stessa cosa può essere<br />

detta anche a proposito <strong>della</strong> giustizia. Solo quando la persona è pensata in tutta<br />

la sua verità trascendente, è possibile riconoscere equamente una dignità oggettivamente<br />

corrispondente alla volontà singolare di ognuno. Se chi agisce, invece,èdominato<br />

dal puro egoismo, allora, pur sapendo esattamente cosa sia teoricamente la<br />

giustizia, non riuscirà a mettere in pratica mai, neanche una volta, i valori che sostiene,<br />

vanificando infine ogni sforzo in atti di disumana prevaricazione.<br />

<strong>La</strong> verità attorno all’uomo<br />

D’altra parte, recuperare il senso etico <strong>della</strong> <strong>politica</strong>, come Benedetto XVI ha<br />

esortato nell’Enciclica Caritas in Veritate, vuol dire riscoprire l’indipendente valore<br />

umano <strong>della</strong> verità, riuscendo così, al contempo, a liberare se stessi dal cattivo relativismo,<br />

effetto ultimo dell’individualismo radicale, e a scoprire la buona relatività,<br />

causa di un sano pluralismo e di una concreta sensibilità democratica.<br />

Sapere che la verità intorno all’uomo ha più valore degli sbagli personali di ciascuno<br />

significa comprendere che esistono molti modi possibili di attuare il nesso<br />

inscindibile tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong>. Il risultato definitivo è, in fin dei conti, l’acquisizione<br />

di una vigorosa modestia, di una consapevole umiltà, davanti ai modi compositi<br />

in cui si consuma l’impegno collettivo e individuale per la comunità.<br />

Il bene comune, in ultima istanza, non è altro che la fusione totale e virtuosa<br />

di teoria e prassi nella condotta di vita delle persone. Ossia, l’inscindibile sinergia<br />

di essere e dover essere che nella vita sociale fa diventare realmente<br />

persone felici e serene, aperte agli altrui destini e libertà.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

Joaquín Navarro-Valls<br />

<br />

147


Famiglia e solidarietà<br />

Famiglia ed <strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà<br />

L’obbligo e la promessa*<br />

Il linguaggio <strong>della</strong> famiglia e quello <strong>della</strong> solidarietà<br />

tendono a dissociarsi; e danno vita a tensioni etiche in<br />

parte sfalsate: tra particolarismo e universalismo, tra<br />

privato e pubblico, tra intimo e collettivo, tra tradizione<br />

e modernità. Le cause non vanno cercate soltanto nel<br />

crollo di un mondo – frantumazione dei legami, l’après-devoir,<br />

l’individualismo –, ma anche nell’immagine<br />

tetra di una solidarietà familiare troppo intrisa di<br />

obblighi e di coazioni, di debiti e di desideri sacrificali.<br />

Etica <strong>della</strong> famiglia ed <strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà restano comunque<br />

vicine, a patto di riflettere: la solidarietà emerge<br />

in modo esemplare nella famiglia, senza esserne<br />

esaurita; il legame sociale non viene dopo, e non si spiega<br />

nei termini organici di una pura interdipendenza; e,<br />

tra promessa e ospitalità, il dovere deve essere infine riconsegnato<br />

alla responsabilità per l’altro in quanto altro<br />

che è pure un modo, umano, <strong>della</strong> libertà.<br />

L’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà si propone ormai su scala planetaria.<br />

I suoi sviluppi e la sua estensione oltrepassano l’identificazione<br />

tra la solidarietà e l’appartenenza ad un gruppo più<br />

o meno ristretto, sia questo comunitario o nazionale, di cultura<br />

o di lotta. <strong>La</strong> solidarietà guadagna finalmente il senso<br />

dell’altro in quanto altro, e non solo come membro del gruppo<br />

di appartenenza, di colui che condivide il mio stesso desti-<br />

* Pubblicato anche in Èthique et Famille, dir. E. Rudge-Antoine, M.<br />

Piévic, L’Harmattan, Paris 2011, pp. 225-248: Franco Riva, <strong>La</strong> famille et<br />

l’éthique de la solidarité. L’Obligation et la Promesse.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

FRANCO RIVA<br />

Filosofo<br />

Università Cattolica<br />

Sacro Cuore Milano<br />

≈<br />

«Prima<br />

dell’obbligo, nella<br />

famiglia il dovere<br />

mostra la sua<br />

origine in una<br />

promessa di<br />

radicale<br />

solidarietà.<br />

Nessun obbligo<br />

può generare una<br />

promessa, mentre<br />

nella promessa<br />

sorge una<br />

responsabilità che<br />

rinnova ogni volta<br />

da capo il proprio<br />

dovere».<br />

≈<br />

149


Franco Riva<br />

no ravvicinato, o di un simile troppo simile a me 1 . L’affacciarsi del senso dell’altro in<br />

quanto altro, nella sua differenza differente, risulta d’altro canto per la solidarietà<br />

l’unica via di accesso a una vera universalità, che non escluda nessuno. Dire l’universale<br />

umano significa per la solidarietà mettersi appunto di fronte all’altro indipendentemente<br />

dai riconoscimenti di appartenenza, di affinità, di somiglianza.<br />

<strong>La</strong> solidarietà guadagna la propria universalità mettendosi di fronte all’altro in<br />

quanto altro. Da questo preciso punto di vista, un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà incontra<br />

direttamente l’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia: anche nella famiglia la scelta elettiva non equivale<br />

a un narcisismo di coppia, ma all’istituzione di un’apertura sull’apertura, all’ingresso<br />

dell’altro in quanto altro. Nella famiglia si inaugura il tempo dell’altro:<br />

femminile e maschile, maternità e paternità, figliolanza e fraternità si intrecciano,<br />

si fondono, si ripensano nel faccia a faccia, per scoprire infine che niente <strong>della</strong> famiglia<br />

e delle sue dinamiche si spiega nell’ottica di una centratura su di sé, di<br />

un’appartenenza esclusiva, di un possesso.<br />

Le esperienze fondamentali di eros e del figlio 2 stanno lì a documentare come<br />

nell’elezione dell’amore, nella famiglia che si costituisce, si inaugura un tempo altro<br />

in quanto tempo dell’altro: inaugurazione che avviene in una comunità incipiente,<br />

con volti e nomi propri, e che tuttavia deve la sua configurazione, perfino<br />

nel suo aspetto normativo, a ciò che, nell’unità, differisce. Elezione <strong>della</strong> differenza,<br />

quindi, carne altra eletta come propria – ma proprio perché propria non è –,<br />

paradosso del figlio che biologicamente deriva dai genitori ma che, nella sua<br />

profondità irraggiungibile, è altro.<br />

<strong>La</strong> famiglia si raccoglie nella casa. Nella casa l’aprirsi delle porte è altrettanto<br />

essenziale del loro chiudersi, l’uscita altrettanto fondamentale dell’ingresso, ospitare<br />

è anche un essere accolti nella propria dimora. Ma non si tratta solo di un’immagine;<br />

semmai, dell’essere dell’uomo su questa terra come un soggiornare aperto 3 ,<br />

un abitare presso. Il movimento diventa così decisivo tanto quanto il raccoglimento,<br />

l’uscire tanto quanto l’entrare, il rischio tanto quanto la protezione. Senza la<br />

presenza dell’altro in quanto altro, la dimora dell’umano – il suo stesso esserci –<br />

non si può costruire.<br />

<strong>La</strong> famiglia non è solo una prima, elementare forma di solidarietà. Realizza<br />

semmai il movimento stesso <strong>della</strong> solidarietà nel suo perenne incarnarsi e decen-<br />

1 Cfr. J. Cohen, A. Arato, Civil Society and Political Theory,MIT Press, Cambridge (Mass.) 1992,<br />

p. 38. Per un panorama sulla solidarietà, cfr. K. Bayertz, herausg., Solidarität. Begriff und Probleme,<br />

Suhrkamp, Frankfurt am Main 1998; AA.VV., Solidarity, Kluwer, Boston-London 1999; F. Crespi, S.<br />

Moscovici, Solidarietà in questione. Contributi teorici e analisi empiriche, Meltemi, Roma 2001; R.<br />

Zoll, <strong>La</strong> solidarietà. Eguaglianza e differenza, il Mulino, Bologna 2003; F. Riva, a cura di, Ripensare la<br />

solidarietà, Diabasis, Reggio Emilia 2009.<br />

2 Cfr. E. Lévinas, Etica e Infinito, a cura di F. Riva, Città Aperta Edizioni, Troina 2008.<br />

3 M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, Adelphi, Milano 1995, pp. 92 ss.; J.-L. Nancy, L’«<strong>etica</strong> originaria»<br />

di Heidegger, Cronopio, Napoli 1996, p. 36.<br />

150<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


trarsi: di fronte all’altro eletto in un vincolo esclusivo di responsabilità e tuttavia,<br />

proprio per questo, pur sempre dinnanzi all’altro da sé che domanda, e che rimanda,<br />

al movimento sempre particolare e sempre universale <strong>della</strong> stessa solidarietà.<br />

Nella famiglia tutte le dimensioni <strong>della</strong> solidarietà umana sono messe alla<br />

prova: nella salute e nella malattia, nella giovinezza e nella vecchiaia, nella buona e<br />

nella cattiva sorte, nella felicità e nella disperazione. Nell’affinità e nell’insormontabile<br />

differenza.<br />

Un’inversione pericolosa<br />

Franco Riva<br />

<strong>La</strong> responsabilità per l’altro in quanto altro agisce nel cuore <strong>della</strong> famiglia e in<br />

quello di una solidarietà universale. Nonostante questa vicinanza, e nonostante che<br />

fin dall’inizio i loro linguaggi si siano mescolati, tra famiglia e solidarietà sono maturate<br />

progressivamente tensioni e dissociazioni morali, come se riguardassero infine<br />

narrazioni antitetiche dell’umano.<br />

Il motivo di questa ingiusta antitesi risiede in una inversione tanto semplice da<br />

indicare, quanto articolata e complessa da documentare: il motivo etico <strong>della</strong> solidarietà<br />

che emerge esemplarmente in riferimento alla famiglia non esaurisce in essa<br />

tutte le potenzialità di espressione. Quando si parla dunque di modello familiare<br />

per la solidarietà la cosa va intesa per intensità di emergenza, e non per sovrapposizione:<br />

significa che la famiglia è attraversata dalla socialità nel suo stesso costituirsi;<br />

e se questo la indica come paradigma, la trascina al tempo stesso verso una <strong>dimensione</strong><br />

fondamentale dell’umano comune che l’oltrepassa senza oltrepassarla veramente,<br />

perché in essa già compresa e vissuta. <strong>La</strong> sorgente non è il fiume. Le fondamenta<br />

non sono l’edificio. Se è vero che senza sorgente e senza fondamenta non ci<br />

sono fiumi e case, non è meno vero che senza fiumi e senza case non ci sono sorgenti<br />

e fondamenta di nulla.<br />

L’inversione consiste dunque in questo: nel far coincidere il paradigma <strong>della</strong><br />

solidarietà con il luogo familiare <strong>della</strong> sua emergenza. Fuori dubbio che nella famiglia<br />

la solidarietà emerge, si esercita, e si educa in un modo tipico e insostituibile.<br />

Ma nel modo tipico e insostituibile <strong>della</strong> famiglia emerge, si esercita, e si educa anche<br />

la solidarietà come tale. Il luogo esemplare <strong>della</strong> sua emergenza e <strong>della</strong> sua pratica<br />

non equivale alla chiusura di significato <strong>della</strong> solidarietà. Né tanto meno a un<br />

abbozzo, una prova, un anticipo. <strong>La</strong> famiglia è già, nel suo modo tipico e insostituibile,<br />

responsabilità per l’altro in quanto altro, già destinazione all’umano comune<br />

nella sua stessa elettività, già universale nella sua singolarità, già insuperabile socialità.<br />

L’inversione strisciante tra il modello familiare e l’esaurimento <strong>della</strong> solidarietà<br />

provoca perciò, così come la netta dissociazione, dei contraccolpi mortali su entrambi<br />

i lati.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

151


Franco Riva<br />

Tensioni etiche<br />

L’allargarsi progressivo <strong>della</strong> solidarietà al di là delle comunità ristrette, parentali,<br />

di destino, di cultura, o di lotta, sembra quasi abbandonare la famiglia alla sua configurazione<br />

<strong>etica</strong> premoderna e arcaica; e in ogni caso a un’<strong>etica</strong> dei rapporti non più spendibile<br />

per una solidarietà che si colloca – come deve essere – al di là delle appartenenze<br />

esclusive. Cifra, così, di ogni ristrettezza. Dopo secoli di alleanza, gli sviluppi <strong>della</strong> solidarietà<br />

mettono dunque tra loro in tensione la famiglia e la solidarietà, con esiti per<br />

nulla scontati da una parte e dall’altra. A seconda che si accetti o che si rifiuti il modello<br />

familiare di solidarietà come paradigma – ipotecato nel senso <strong>della</strong> chiusura e <strong>della</strong> ristrettezza<br />

– muta infatti l’immagine di società e cambia l’idea stessa di solidarietà.<br />

Famiglia modello di legame sociale<br />

Gli orientamenti teorici che affrontano la tensione sembrano, a prima vista,<br />

del tutto contrastanti: se si assume la famiglia come modello per il legame sociale,<br />

la solidarietà andrà a significare un’appartenenza stretta, una precisa comunità di<br />

vita, la condivisione del medesimo destino; se invece si ritiene che le società contemporanee<br />

non possano essere equiparate a delle famiglie allargate, e si privilegia<br />

in alternativa una solidarietà universalistica, che fa perno ad esempio sui diritti<br />

umani, allora l’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia viene giudicata troppo arretrata per potersi ancora<br />

proporre quale paradigma generale di convivenza.<br />

Pur contrapposti tra loro, questi due orientamenti condividono in realtà la stessa<br />

idea di famiglia, nonché il concetto di solidarietà che ne deriva: ruotano entrambi, per<br />

difesa o per contestazione che sia, intorno all’equivalenza tra famiglia e solidarietà ristretta.<br />

E a seconda che si conceda, o meno, che la famiglia possa proporsi quale modello<br />

generale del rapporto sociale varia senz’altro l’idea di solidarietà, mentre l’immagine<br />

di famiglia tende a rimanere tutto sommato la stessa. Proprio su questa staticità si deve<br />

riflettere, perché i giochi alternati delle parti, a favore o contro, sono possibili fin tanto<br />

che si concede senza discuterlo il punto di partenza, ossia che un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia corrisponda<br />

per davvero a quella dei gruppi ristretti e autoprotettivi, dei legami di sangue.<br />

Bisognerebbe anche chiedersi in quale misura le teorie del riconoscimento risolvano<br />

per davvero la tensione: la famiglia è identificata come la prima forma di<br />

riconoscimento reciproco, a cui seguono, per innalzamento progressivo di sfera sociale,<br />

i diritti e la solidarietà, sulla scia dell’eticità di Hegel. Comprendendo la<br />

gamma dei rapporti erotici, amicali e soprattutto parentali, che implicano «forti<br />

vincoli affettivi tra poche persone», la famiglia, per quanto dialetticamente correlata,<br />

resta pur sempre distanziata dalla solidarietà 4 .<br />

152<br />

4 A. Honneth, Lotta per il riconoscimento. Proposte per un’<strong>etica</strong> del conflitto, il Saggiatore, Milano<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


<strong>La</strong> famiglia rimane così in bilico sul crinale che separa e unisce al tempo stesso<br />

due tipi di solidarietà – per sintetizzare: particolaristica e universalistica; ristretta e<br />

allargata; destinale e libera –; e conseguentemente due impostazioni dell’<strong>etica</strong><br />

stessa.<br />

Dall’alternativa tra una solidarietà che neppure si pone il problema di articolarsi<br />

rispetto alla famiglia, identificandosi con l’unità di un gruppo compatto e interdipendente,<br />

e una solidarietà che rifiuta il modello familiare perché si è liberata<br />

infine dei propri lacci etnocentrici in virtù <strong>della</strong> responsabilità per l’altro in quanto<br />

altro, si esce solo con un rovesciamento. In forza di questo rovesciamento si è costretti<br />

a ritornare ancora una volta sulla famiglia e sul tipo di rapporti di solidarietà<br />

che mette in atto. Tralasciando la considerazione dei mutamenti epocali e delle trasformazioni<br />

sociali, si deve contestare che la famiglia sia un luogo etico identitario,<br />

in senso ristretto, particolaristico e privato.<br />

Comunità precisa, con volti e nomi propri, ma di persone che manifestano già<br />

in questo legame elettivo la responsabilità per l’altro in quanto altro – l’altra persona,<br />

l’altro genere, l’altra generazione, l’altro nella diversità dei tempi e delle avventure<br />

<strong>della</strong> vita – che è insieme la radice e la mappa dei percorsi stessi <strong>della</strong> solidarietà<br />

umana.<br />

Prima, però, bisogna arrivare fino al punto dell’attuale implosione tra un’<strong>etica</strong><br />

<strong>della</strong> famiglia e un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà, certo non per narrarne la storia: per denunciarne<br />

piuttosto le ostinate premesse, che si distribuiscono equamente sui campi<br />

avversi; per recuperarne le intime possibilità.<br />

Popoli come famiglie<br />

Franco Riva<br />

Il punto di implosione tra un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia e un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà si<br />

prepara lentamente attraverso storie e vicende di linguaggi che sono ogni volta comuni<br />

e distanti, lasciando sullo sfondo immutata l’immagine <strong>della</strong> famiglia. Nel<br />

suo punto contemporaneo di arrivo, questa storia rappresenta per la solidarietà<br />

l’attrito teorico tra chi ne ribadisce ad oltranza il modello familiare e chi invece lo<br />

incrimina direttamente. Storia stessa dei trapassi epocali, se è vero quanto scrive<br />

Jean-Francois Lyotard parlando del «legame sociale» in prospettiva postmoderna,<br />

quando i legami tradizionali si sono frantumati e si è guadagnata la consapevolezza<br />

<strong>della</strong> propria irriducibile individualità: anche se per qualcuno «il sé» può apparire<br />

troppo «poco» rispetto ai legami del passato, pur tuttavia non è poi così «isolato»<br />

perché «coinvolto in un tessuto di relazioni più complesse e mobili che mai» 5 .<br />

2002, p. 117; cfr. Id., Riconoscimento e disprezzo. Sui fondamenti di un’<strong>etica</strong> post-tradizionale, Rubbettino,<br />

Soveria Mannelli 1993; P. Ricoeur, Percorsi del riconoscimento, R. Cortina, Milano 2004, pp. 213 ss.<br />

5 J.-F. Lyotard, <strong>La</strong> condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 1994, p. 32.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

153


Franco Riva<br />

Quando Hans Jonas distingue tra la responsabilità e una solidarietà di fatto<br />

che viene a crearsi tra i membri di un gruppo coinvolto nella stessa impresa, fa ancora<br />

memoria del linguaggio familiare: quei rapporti che si generano tra persone<br />

che condividono lo stesso destino e le cui vite sono strettamente unite nella comune<br />

impresa, come una scalata in montagna o il cameratismo in guerra, «in cui<br />

ognuno deve poter contare sull’altro per la propria sicurezza e tutti diventano<br />

quindi reciprocamente “custodi” del loro fratello», appartengono a «un’altra <strong>dimensione</strong><br />

dell’<strong>etica</strong> e del sentimento» rispetto alla responsabilità 6 . Non perché nell’impresa<br />

comune non sorgano rapporti di responsabilità reciproca, ma perché la<br />

simmetria <strong>della</strong> solidarietà si contrappone alla disimmetria <strong>della</strong> responsabilità,<br />

che va al di là, per spazio e per tempo, dell’impresa comune. Il rapporto di responsabilità<br />

non equivale alla solidarietà ristretta in cui ci si fa vicendevolmente custodi<br />

del proprio fratello. <strong>La</strong> solidarietà nell’impresa comune affratella soltanto coloro<br />

che per sangue, per cultura, per interesse, vi si riconoscono.<br />

<strong>La</strong> citazione di Jonas non è a caso. L’intreccio tra solidarietà, impresa comune,<br />

e fraternità è sfruttato da Charles Taylor in polemica contro l’individualismo, a<br />

cui fa difetto proprio il senso <strong>della</strong> solidarietà: e questo in un contesto dove si parla<br />

di bene comune, di «sacrifici», e di «disciplina» che la società civile deve richiedere<br />

ai suoi membri, fatto salvo che vanno espressi nella libertà piuttosto che nella costrizione<br />

come nei regimi dispotici. Sacrifici, disciplina, doveri verso gli altri – sia<br />

pure nella libertà, questa volta – intrecciano nuovamente tra loro il linguaggio <strong>della</strong><br />

solidarietà con quello <strong>della</strong> famiglia.<br />

Alla frantumazione individualistica e liberale Taylor contrappone infatti una<br />

«solidarietà repubblicana», una specie particolare di «patriottismo», capace di posticipare<br />

i propri interessi egoistici in vista del bene comune: un patriottismo che<br />

si regge proprio «su un’identificazione con altri in una particolare impresa comune»,<br />

per la quale «non mi dedico semplicemente alla difesa <strong>della</strong> libertà di uno<br />

qualsiasi, ma sento il legame <strong>della</strong> solidarietà con i miei compatrioti nella nostra<br />

impresa comune, l’espressione comune <strong>della</strong> nostra rispettiva dignità».<br />

<strong>La</strong> solidarietà ricalca esplicitamente il modello familiare, per quanto esteso a livello<br />

di una comunità nazionale: un destino condiviso, l’identificazione con gli altri,<br />

l’impresa comune, la dignità di sentirsi accomunati. Modello <strong>della</strong> solidarietà civile<br />

rimangono, a chiare lettere, i «legami familiari», o quelli amicali, rispetto ai quali soltanto<br />

l’impresa comune, l’identificazione, il destino condiviso possono avere senso.<br />

Tra una famiglia e la società civile scorrono ovviamente delle differenze, tant’è<br />

che la «mia lealtà patriottica non mi lega a persone individuali in questa maniera<br />

familiare»; e tuttavia il modello familiare resta il paradigma di una società civile, la<br />

cui pertinenza è data dal fatto che il «mio legame con queste persone passa attraverso<br />

la nostra partecipazione a un’entità <strong>politica</strong> comune. Le repubbliche che<br />

154<br />

6 H. Jonas, Il principio responsabilità, a cura di P.P. Portinaro, Einaudi, Torino 1993, pp. 119-120.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


funzionano sono come famiglie in questo senso cruciale: nel senso che parte di ciò<br />

che lega insieme le persone è la loro storia comune» 7 .<br />

<strong>La</strong> storia comune rende pertinente il modello familiare per la convivenza civile,<br />

fatte salve alcune differenze: le persone non stanno in rapporto diretto come<br />

nelle famiglie vere e proprie, e il dovere non si può estorcere. Ma proprio queste<br />

eccezioni distanziano tra loro la famiglia e la solidarietà civile nello stesso momento<br />

in cui vengono avvicinate. Questa storia, inoltre, sarà veramente così comune o<br />

non prevede piuttosto complessi intrecci di storie molteplici, diverse, e addirittura<br />

antagoniste le une alle altre?<br />

Famiglia o solidarietà?<br />

Franco Riva<br />

Nonostante le buone intenzioni e il fondo di verità <strong>della</strong> cosa, l’avvicinamento<br />

tra famiglia e solidarietà rischia di provocare, quando viene inteso nel senso di<br />

una comunità ristretta, di destino, di appartenenza, degli effetti sgraditi dove, alla<br />

fine, ne va tanto dell’una quanto dell’altra. <strong>La</strong> famiglia e la solidarietà possono scoprirsi<br />

entrambe invecchiate rispetto a una società moderna e dinamica; oppure,<br />

per salvare l’una delle due, si abbandona l’altra al suo inesorabile destino: in genere,<br />

la famiglia a vantaggio di una solidarietà pubblica rinnovata; ma avviene anche<br />

il contrario.<br />

Ne va innanzitutto <strong>della</strong> solidarietà perché, schiacciata sul modello familiare ristretto,<br />

rischia di seguirne le sorti quando questo va in crisi; e di venire inoltre, per<br />

inevitabile contraccolpo, dichiarata a sua volta sorpassata. Rinchiusa nei ghetti delle<br />

appartenenze, la solidarietà allude per un verso a coesioni etnocentriche e si presta,<br />

per altro verso, a diventare fulcro di costanti rivalità. Il limite estremo di questa impostazione<br />

si ha nel pensiero, reso esplicito da von Hayek, che non vi potrà essere<br />

una «società aperta pacifica» fin tanto che non si «rinuncia a creare solidarietà», la<br />

quale è invece «estremamente efficace nel piccolo gruppo» 8 . Ricalcata sul modello<br />

familiare, la solidarietà si identifica con la coesione dei gruppi chiusi che alimentano<br />

la rivalità sociale. Per quanto la sua efficacia sia indiscutibile entro piccole comunità,<br />

è preferibile rinunciarvi se si vuole costruire una società aperta e pacificata.<br />

Ne va soprattutto, e in secondo luogo, <strong>della</strong> famiglia quando, per difendere il<br />

valore più dilatato <strong>della</strong> solidarietà, si tende a trascurarla come modello di riferi-<br />

7 C. Taylor, Cross-Purposes. The Liberal-Communitarian Debate, inPhilosophical Arguments, Harvard<br />

University Press, Cambridge-Mass. – London 1995, pp. 187 ss. Cfr. J. Chevalier, éd., <strong>La</strong> solidarité,<br />

un sentiment republicain?, PUF, Paris 1992. Per A. Etzioni (The Spirit of Community. Rights, Responsibilities,<br />

and the Communitarian Agenda, Crown, New York 1993) il paradigma familiare va difeso<br />

per legge.<br />

8 F.A. von Hayek, Legge, legislazione e libertà. Una nuova enunciazione dei principi liberali <strong>della</strong><br />

giustizia e dell’economia <strong>politica</strong>, il Saggiatore, Milano 1986, p. 361.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

155


Franco Riva<br />

mento: finisce così, strumentalmente, per essere consegnata alla sua immagine tradizionalistica.<br />

A quest’ultimo proposito si consuma un vero e proprio paradosso<br />

nel connubio tra il linguaggio <strong>della</strong> famiglia e quello <strong>della</strong> solidarietà: nati insieme,<br />

sempre insieme o vengono abbandonati o si rinuncia alla matrice familiare<br />

che genera in qualche modo il linguaggio stesso <strong>della</strong> solidarietà.<br />

<strong>La</strong> rinuncia alla famiglia quale modello per la solidarietà matura nelle obiezioni,<br />

per depositarsi infine in un vero e proprio rovesciamento: <strong>della</strong> solidarietà si<br />

arriva infine a parlare non più nei termini comunitari <strong>della</strong> famiglia, ma in quelli,<br />

insieme polemici e provocatori, degli «individualismi solidali». Più che il dettaglio,<br />

la discussione o la correttezza delle obiezioni che vengono rivolte al concetto di solidarietà<br />

ricalcato sul modello familiare, sempre inteso tuttavia come comunità di<br />

destino e di appartenenza stretta, conviene registrare il movimento di fondo che<br />

dissocia la solidarietà moderna dalla famiglia. Le obiezioni che vengono mosse alla<br />

sovrapposizione tra linguaggio <strong>della</strong> famiglia e linguaggio <strong>della</strong> solidarietà marcano<br />

tutte il percorso di una crisi: crisi delle trasformazioni sociali, e crisi del modello<br />

familiare. Le stesse obiezioni lasciano inoltre trapelare una logica unitaria, al di<br />

là delle loro differenze e delle loro puntualizzazioni; e si presentano inoltre lungo<br />

tre linee di forza, più o meno diseguali nell’intensità: la distanza delle società moderne<br />

dal modello familiare; l’intrasponibilità dei legami parentali; la convergenza<br />

tra le comunità di destino e gli stili costrittivi <strong>della</strong> convivenza. Da tutto questo<br />

deriverebbe l’inapplicabilità del modello familiare per le società moderne 9 .<br />

Habermas non ha incertezze nel concedere che le «idee fondamentali di uguale<br />

trattamento, solidarietà e bene comune» sono sempre esistite, anche se spesso «questi<br />

obblighi normativi di per sé non oltrepassano i confini di un concreto mondo di<br />

vita: <strong>della</strong> famiglia, <strong>della</strong> tribù, <strong>della</strong> città o <strong>della</strong> nazione» 10 . <strong>La</strong> vicinanza tra famiglia<br />

e solidarietà rispecchia la situazione di comunità fortemente identitarie che sono<br />

inadatte a cogliere la valenza intersoggettiva e allargata, universale, <strong>della</strong> solidarietà:<br />

distaccandosi dal modello familiare <strong>della</strong> comunità di destino è possibile riscoprire,<br />

e liberare, i luoghi <strong>della</strong> forza socio-integrativa dell’agire comunicativo, le<br />

«energie produttrici di solidarietà» 11 . All’idea dominante di una solidarietà (e di una<br />

fraternità) tra simili subentra quella di solidarietà (e di una fraternità) tra estranei,<br />

che in Habermas privilegia l’universale, i diritti, la giustizia. <strong>La</strong> solidarietà, che è il<br />

«rovescio <strong>della</strong> giustizia» 12 , non ha più bisogno di insistere sul rapporto parentale.<br />

9 Cfr. J. Duvignaud, <strong>La</strong> solidarité. Liens de sang e liens de raison, Fayard, Paris 1986, pp. 155 ss.;<br />

K. Bayertz, Il concetto e il problema <strong>della</strong> solidarietà, in K. Bayertz, M. Baurmann, L’interesse e il dono,<br />

Questioni di solidarietà, a cura di P.P. Portinaro, Edizioni di Comunità, Milano 2002, pp. 26 ss.<br />

10 J. Habermas, Giustizia e Solidarietà,inTeoria <strong>della</strong> morale, <strong>La</strong>terza, Roma-Bari 1994, p. 71 e p.<br />

72 (cfr. J. Habermas, Solidarietà tra estranei, Guerini e Associati, Milano 1997 e Fatti e norme. Contributi<br />

a una teoria discorsiva del diritto e <strong>della</strong> democrazia, Guerini, Milano 1996, p. 96).<br />

11 Cfr. J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, <strong>La</strong>terza, Roma-Bari 2006, pp. XXX ss.<br />

12 J. Habermas, Giustizia e Solidarietà, cit., p. 74.<br />

156<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Anche Avisai Margalit coglie l’intimo rapporto tra il linguaggio <strong>della</strong> famiglia e<br />

quello <strong>della</strong> solidarietà, con riferimento alla «trinità» rivoluzionaria di libertà, uguaglianza,<br />

fraternità. Tuttavia, il «modello di relazioni fraterne» implica «un’appartenenza<br />

senza condizioni» impraticabile in un’«anonima società di massa», che non può<br />

«essere pensata su un simile legame familiare»: l’idea di un modello familiare pervasivo<br />

rispetto alla società contemporanea produce lo stesso «scetticismo» del sogno che<br />

«tutta l’umanità possa essere composta di persone che si amino l’un l’altra» 13 .<br />

Nelle obiezioni circa l’opportunità di conservare un modello familiare per la<br />

solidarietà i linguaggi continuano a intrecciarsi al rovescio, al fine di dissociare le<br />

loro prospettive. Matura in questo modo anche il distacco, perché si reputa che la<br />

disgregazione dei legami tradizionali, più legati alla famiglia, non comporti necessariamente<br />

una dismissione di solidarietà. Apre invece a possibilità inedite, dal momento<br />

che al di fuori dei gruppi e dei rapporti obbligati la solidarietà può manifestarsi<br />

più liberamente, e più creativamente.<br />

Lo scollamento del linguaggio <strong>della</strong> solidarietà da quello <strong>della</strong> famiglia annuncia<br />

l’abbandono delle logiche delle comunità di destino, a favore vuoi di universalismi<br />

– se si va nella direzione dei diritti – vuoi di individualismi solidali. In<br />

un caso e nell’altro, però, il modello familiare risulta svalutato finché continua a<br />

essere interpretato come il fiancheggiatore delle comunità ristrette e autoripiegate,<br />

di impronta tradizionalistica. <strong>La</strong> proposta di un «etnocentrismo moderato» per la<br />

solidarietà (R. Rorty), vale a dire l’allargamento progressivo del «noi» di partenza,<br />

rispetta acutamente sia l’origine “familiare” del linguaggio, sia l’esigenza del suo<br />

sfondamento 14 .<br />

Non per questo il riferimento alla famiglia è del tutto superato. Nella presa<br />

di distacco dall’uso tradizionalistico del modello familiare, nelle stesse obiezioni,<br />

trasale infatti anche l’esigenza di un suo ripensamento: soprattutto con l’annuncio<br />

di possibili, nuove fraternità, che siano scelte, non escludenti, tra estranei. Per la<br />

famiglia e la fraternità si annuncia allora, al di là del dato acquisito, genetico, che<br />

sta alle nostre spalle, anche un compito a venire. Il linguaggio <strong>della</strong> famiglia si ritrova<br />

così, non solo per forza dialettica, ad essere in qualche modo mantenuto, e<br />

addirittura reinterpretato, perfino nella dismissione del suo modello.<br />

Individui solidali<br />

Per il rapporto tra famiglia e solidarietà il fenomeno moderno dell’individualizzazione<br />

rappresenta un culmine paradossale. Il processo è «ambivalente»: da un<br />

13 A. Margalit. <strong>La</strong> società decente, Guerini e Associati, Milano 2002, p. 213; cfr. pp. 213-214.<br />

14 Cfr. R. Rorty, <strong>La</strong> filosofia dopo la filosofia. Contingenza, ironia e solidarietà, <strong>La</strong>terza, Roma-Bari<br />

2001, p. 227.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

Franco Riva<br />

157


Franco Riva<br />

lato implica una rottura rispetto ai rapporti sociali tradizionali, costrittivi, da un<br />

altro lato pone le premesse «dell’autonomia individuale» in ordine a scelte più responsabili<br />

15 . Permette inoltre percorsi d’azione inediti e dinamici rispetto ai vincoli<br />

e alle fissità delle solidarietà del passato. Lo sgretolamento dei legami tradizionali<br />

non coincide per sé con il trionfo dell’egoismo: individualizzazione non equivale<br />

a individualismo.<br />

Il rifiuto di identificare il successo dell’individuo con il regno dell’egoismo<br />

morale si deposita in modo emblematico nella possibilità inedita di un «individualismo<br />

solidale» dove, anziché essere d’ostacolo, «il pensare a se stessi» diventa addirittura<br />

il «presupposto di un essere per gli altri» 16 . Niente di più distante dalle solidarietà<br />

coatte, strette nella morsa di doveri ancestrali e insindacabili.<br />

Questo è il punto: la crisi e l’allentarsi dei legami tradizionali «non è più in<br />

contraddizione con la solidarietà, ma costituisce anzi proprio il suo presupposto»<br />

17 . Ne viene, per contrasto, che l’insistenza ad oltranza sul modello parentale<br />

porta al rifiuto <strong>della</strong> stessa solidarietà.<br />

In discussione non è la famiglia come luogo di solidarietà dato che, come dice<br />

Max Weber, la «comunità domestica» e il «gruppo parentale» restano forme tipiche<br />

e «tradizionali» di solidarietà 18 . Il problema riguarda la spendibilità del modello<br />

familiare, tradizionale e domestico, per un discorso veramente allargato,<br />

creativo, sulla solidarietà. Nella stagione del suo imporsi globale e mediatico la solidarietà<br />

oltrepassa per suo conto i confini delle appartenenze troppo ristrette, dei<br />

rapporti troppo ravvicinati, e pone il problema di una solidarietà tra estranei, per i<br />

quali è difficile utilizzare ancora il lessico familiare se non con un’estensione o una<br />

riformulazione tali (la famiglia umana; la fraternità tra sconosciuti) che lo rende<br />

irriconoscibile nei termini tradizionali dei legami di sangue e di cultura.<br />

L’estendersi globale <strong>della</strong> solidarietà non smentisce il valore delle solidarietà<br />

tradizionali. Pur tuttavia nella solidarietà moderna, che porta al proprio centro la<br />

responsabilità per l’altro in quanto altro e non come membro del proprio gruppo<br />

di appartenenza, si impone l’apertura verso modi nuovi di comunità che discutono<br />

e problematizzano il modello familiare, sempre identificato con una comunità<br />

di destino, con i legami di sangue.<br />

Il legame di sangue e l’individualismo solidale sono facce <strong>della</strong> stessa polemica<br />

che coinvolge in prima fila la solidarietà e la famiglia, sia pure con sottolineatu-<br />

15 Cfr. R. Zoll, <strong>La</strong> solidarietà, cit., pp. 180 ss.<br />

16 U. Beck, Solidarischer Individualismus. An sich denken ist die Voraussetzung eines Daseins für<br />

Andere, «Süddeutsche Zeitung» 2 marzo 1995. Cfr. U. Beck, <strong>La</strong> società del rischio, Carocci, Roma<br />

2000; R. Boudon, Declino <strong>della</strong> morale? Declino dei valori?, il Mulino, Bologna 2003, pp. 25 ss.<br />

17 K.-O. Hondrich, C. Koch-Arzberger, Solidarität in der modernen Gesellschaft, Fischer, Frankfurt<br />

am Main 1992, p. 25; cfr. H. Van der Loo, W. Van Reijen, Modernisierung. Project und Paradox,<br />

Suhrkamp, Frankfurt am Main 1992.<br />

18 M. Weber, Economia e società, a cura di P. Rossi, Edizioni di Comunità, Milano 1980, vol. I, p. 45.<br />

158<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


e alternative: il legame di sangue richiama all’essere solidali contro l’individualismo<br />

moderno che attenua, anche nel suo aspetto iper-economicistico, i «legami di<br />

fiducia o solidarietà» 19 ; l’individualismo solidale pone invece l’accento, contro le<br />

imposizioni del passato, sulla capacità individuale e trasgressiva dell’agire solidale<br />

di una persona libera. E in entrambi i casi la famiglia continua ancora a restare<br />

schiacciata sul modello premoderno, tradizionalistico e ristretto. Ma la famiglia<br />

non è solo, o non è propriamente, questo.<br />

Per reazione alla reazione, difatti, perfino gli individualismi solidali vengono<br />

a loro volta rovesciati in vista di un ritorno alla famiglia, sulla scena innegabile dell’attuale<br />

difficoltà <strong>della</strong> convivenza pubblica: per qualcuno, ormai, soltanto nella<br />

vivacità resistente <strong>della</strong> famiglia, che sopravvive ai trapassi epocali, si può ritrovare<br />

il senso di quegli stili di «solidarietà» nei rapporti che altrove si stanno smarrendo,<br />

schiacciati dal dominio incontrastato degli imperativi collettivi <strong>della</strong> concorrenza<br />

e <strong>della</strong> competizione 20 . Con la sua sorprendente vitalità la famiglia, dunque, resiste.<br />

Pur nel suo recupero, continua però a venire investita dal linguaggio <strong>della</strong> frattura<br />

e dell’opposizione rispetto alla socialità allargata: linguaggio di un «privato»<br />

<strong>della</strong> famiglia che si contrappone al pubblico, di una «intimità» che andrebbe appunto<br />

riscoperta. Questa famiglia così intima e privata non è forse poi così lontana<br />

dagli stessi individualismi solidali.<br />

Fraternità ma come?<br />

Franco Riva<br />

Il punto di implosione tra un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia e un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà rimette<br />

di fronte allo stesso paradosso e alla stessa evidenza: al paradosso di linguaggi<br />

affini che litigano tra loro senza potersi estirpare fino in fondo l’uno dall’altro; e all’evidenza<br />

di un concetto di famiglia appiattito in genere su un’immagine tradizionalistica,<br />

di una parentela chiusa – concetto che rischia di essere tanto noioso<br />

quanto artefatto, pronto per ogni uso.<br />

E questo su entrambi i versanti. <strong>La</strong> critica del modello familiare non riesce a<br />

disfarsi del tutto del linguaggio <strong>della</strong> famiglia, e parla ad esempio di fraternità tra<br />

estranei, di appartenenze straniere. L’insistenza sul modello familiare è invece costretta<br />

a riconfigurarlo e ad eccepire di continuo per poterlo riproporre in riferimento<br />

a convivenze allargate e complesse. Ecco allora le precisazioni, le avvertenze,<br />

le aggettivazioni, le limitazioni attraverso cui mantenere in vita il modello dei legami<br />

di sangue in un diverso contesto che li rende improbabili come tali: la fraternità<br />

19 C. <strong>La</strong>sch, <strong>La</strong> cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni collettive,<br />

Bompiani, Milano 1995, p. 88.<br />

20 Cfr. L. Ferry, Famiglie, vi amo! Politica e vita privata nell’era <strong>della</strong> globalizzazione, Garzanti, Milano<br />

2008, pp. 61-63.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

159


Franco Riva<br />

diventa civica, il modello esclude rapporti troppo personali, e la comunità di destino<br />

si tramuta nella condivisione <strong>della</strong> medesima storia.<br />

<strong>La</strong> parola fraternità, così centrale nel lessico <strong>della</strong> famiglia, è emblematica<br />

tanto del paradosso quanto dell’evidenza.<br />

L’estensione <strong>della</strong> solidarietà ha portato con sé anche l’allargamento <strong>della</strong> fraternità.<br />

Prendere in prestito dalla famiglia la parola fraternità si è rivelato subito non<br />

facile: è stato fatto, ma con precisazioni e distinzioni, con rifiuti e riscritture del significato.<br />

L’estensione <strong>della</strong> fraternità in senso civile, in particolare, ha implicato infatti<br />

tanto una valorizzazione del termine, quanto una doppia rottura di significato:<br />

rispetto ai legami di sangue; e all’idea religiosa di fraternità. Rispetto ai legami di<br />

sangue perché la fraternità civica ha poco a che vedere con il gruppo parentale, e<br />

permette anzi legami in un certo senso “senza legami”: legami cioè differenti che<br />

sorgono con il patto civico. E rispetto al significato religioso <strong>della</strong> fraternità, perché<br />

lo sguardo richiesto diventa adesso giocoforza orizzontale anziché verticale.<br />

Quando Rousseau va alla ricerca di una religione adatta per la convivenza tra<br />

gli uomini, si imbatte nella «religione dell’uomo» (nel vangelo): religione interiore<br />

rivolta al «dio supremo e ai doveri eterni <strong>della</strong> morale», espressione di un «diritto<br />

divino naturale», risulta anche questa inadatta alla convivenza umana, nonostante<br />

il fatto che concepisca tutti gli uomini come «fratelli» – ma solo in quanto figli dello<br />

stesso Dio. Per questo non vi è «nulla di più contrario allo spirito sociale»: religione<br />

eccessivamente spirituale, la cui patria «non è di questo mondo», e che inclina<br />

facilmente verso la tirannia dal momento che ama la sottomissione. Meglio propendere<br />

allora per una «religione civile» che suggerisce una fraternità orizzontale 21 .<br />

All’interno dei pensieri sull’unità del sociale rispuntano le parole <strong>della</strong> famiglia,<br />

e ritornano anche i problemi, perché la fraternità umana sta cercando una via<br />

alternativa tra i legami di sangue e i legami religiosi (o metafisici). Un’eco precisa<br />

del problema si ritrova, in una diversa ricerca, nelle parole di Luce Irigaray: «indispensabili<br />

anche nel regno animale», le «funzioni parentali devono forse perdere un<br />

po’ <strong>della</strong> loro importanza per non impedire una cultura <strong>della</strong> relazione all’altro<br />

considerata nella sua <strong>dimensione</strong> orizzontale» 22 . Ma anche qui non tutto è così facile.<br />

Lo spostamento di ambito <strong>della</strong> fraternità dalla famiglia naturale, o da quella<br />

metafisica, alla famiglia civile rimette in tensione i termini: nel caso <strong>della</strong> famiglia<br />

naturale o metafisica, la fraternità precede, e si esprime nei termini di una appartenenza<br />

già data, di una condizione non scelta di partenza, indipendentemente dal<br />

modo in cui questa può essere pensata; nel caso <strong>della</strong> famiglia civile, invece, la fraternità<br />

non è del tutto già fatta, ma è anche da farsi, e questo la porta verso la storia<br />

21 J.J. Rousseau, Del contratto sociale, l. IV, cap. VIII (Della religione civile). Cfr. M. Gauchet, <strong>La</strong><br />

révolution des droits de l’homme, Gallimard, Paris 1989.<br />

22 L. Irigaray, <strong>La</strong> via dell’amore, Bollati Boringhieri, Torino 2008, pp. 55-56.<br />

160<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


anziché verso la natura, verso la cultura anziché verso il sangue, verso la libertà anziché<br />

verso la necessità, verso il futuro anziché verso il passato. <strong>La</strong> fraternità non<br />

naturale si deve costruire, si può scegliere. E così per la solidarietà.<br />

Il doppio avvicinamento tra famiglia e solidarietà provoca perciò tanto una<br />

complicità quanto dei contraccolpi: a volte previsti, altre volte del tutto imprevisti.<br />

Il modello organicistico<br />

<strong>La</strong> si prenda sul lato <strong>della</strong> solidarietà allargata, o su quello di una solidarietà<br />

ristretta, l’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia continua a rimanere dipendente da un’immagine tradizionalistica<br />

che non le compete, le fa ingiustizia, e rischia alla fine di significare<br />

veramente poco, sia in sé sia in riferimento alle presunte epoche a cui si riferisce.<br />

<strong>La</strong> famiglia è stata infatti nel passato più allargata di quanto non sostenga la sua<br />

immagine polemica.<br />

Il carattere ideologico <strong>della</strong> rappresentazione in chiave tradizionalistica <strong>della</strong><br />

famiglia va denunciato 23 . Il problema non si esaurisce tuttavia restituendole la sua<br />

forza di matrice per una solidarietà allargata, perché si dovrà anche cercare di comprendere<br />

come mai l’intreccio tra il linguaggio <strong>della</strong> famiglia e quello <strong>della</strong> solidarietà<br />

sia giunto fino al punto d’implosione, e allo sfaldamento per sopravvenuta, e<br />

reciproca, irriconoscibilità: cosa che avviene, di ritorno, anche quando la solidarietà,<br />

scippata alla famiglia, le viene polemicamente – ma privatamente – riconsegnata<br />

dinnanzi allo smarrimento pubblico dei legami.<br />

All’implosione non si arriva per fraintendimenti unilaterali, consumati in alternativa<br />

sul lato <strong>della</strong> solidarietà piuttosto che su quello <strong>della</strong> famiglia. Su di un<br />

versante e sull’altro si ripropongono infatti, solo cambiate di segno, le identiche<br />

precomprensioni. Tra queste, due risultano particolarmente sfruttate nelle polemiche<br />

sulla solidarietà: il modello organicistico, e il compiacimento sacrificale del dovere<br />

di solidarietà.<br />

L’immagine <strong>della</strong> famiglia viene da sempre chiamata in causa in maniera diretta<br />

a proposito dell’idea, e di un’<strong>etica</strong>, <strong>della</strong> solidarietà: non solo perché la famiglia<br />

è un luogo umano imprescindibile per la pratica giornaliera <strong>della</strong> solidarietà,<br />

ma soprattutto perché, da Aristotele in poi, essa viene vista come il primo, decisivo<br />

snodo del legame sociale – legame che si traduce proprio in termini di solidarietà.<br />

Famiglia e solidarietà si ritrovano dunque vicine intorno all’interpretazione del legame<br />

sociale: la solidarietà sociale viene pensata per analogia con l’unità familiare,<br />

e l’unità <strong>della</strong> famiglia viene a sua volta interpretata come un luogo esemplare <strong>della</strong><br />

solidarietà sociale.<br />

23 Cfr. X. <strong>La</strong>croix, Di carne e di parola. Dare un fondamento alla famiglia, Vita e Pensiero, Milano<br />

2007, pp. 43 ss.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

Franco Riva<br />

161


Franco Riva<br />

Al di là <strong>della</strong> genesi storica e culturale di questa vicinanza, le precomprensioni<br />

retrostanti si lasciano presto riconoscere, tanto ricorrono nei discorsi pubblici per<br />

esortare all’unità del sociale: la famiglia viene per lo più interpretata secondo un<br />

modello nucleare, molecolare – di matrice in definitiva biologistica – a cui fa da<br />

inevitabile pendant una concezione organicistica <strong>della</strong> convivenza umana dominata,<br />

ieri come oggi, dalla nota metafora del corpo sociale: classica e fortunata senz’altro,<br />

ma per certi aspetti anche stucchevole nella sua bonaria – e a volte sinistra – invadenza.<br />

Il presupposto organicistico si ripete, grossomodo intatto, su entrambe le<br />

sponde. <strong>La</strong> famiglia viene allora esaurita nella complementarietà delle differenze<br />

sessuali, nell’unità funzionalistica dei sessi, nella generatività meramente biologica<br />

(o patrimoniale), nei rapporti inevitabilmente gerarchici tra i suoi componenti.<br />

L’unità del sociale sarà interpretata a sua volta sulla scia del modello organicistico,<br />

sulla falsariga cioè del “grande animale” di memoria platonica, riesumato da Hobbes<br />

agli esordi <strong>della</strong> modernità, ma ancora nel positivismo del secondo Ottocento,<br />

sulla scia di una fisica (Comte) e, ancor più, di una biologia (Spencer) sociali.<br />

Nel suo stare a mezzo tra la famiglia intesa in modo nucleare e la società concepita<br />

in modo organicistico, il concetto di solidarietà diventa un sinonimo di pura<br />

interdipendenza: la fisiologia sociale la interpreta nei termini meccanicistici dell’inter-relazione<br />

delle parti con il tutto, la biologia sociale la sublima invece nella<br />

differenziazione dei ruoli e delle funzioni 24 .<br />

Linguaggi scivolosi<br />

Fisica sociale per un verso, organicismo sociale per un altro, si perpetua comunque<br />

una corrispondenza critica tra la solidarietà e l’interdipendenza che, anziché<br />

aprire l’una all’altra la famiglia e la società, tende invece o a rendere strumentale<br />

la loro connessione, o a provocare l’effetto contrario a quello desiderato: di centrare<br />

cioè la famiglia e la società ciascuna su se stessa – mettendole di conseguenza<br />

in conflitto.<br />

L’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia e quella <strong>della</strong> solidarietà pagano congiuntamente un<br />

prezzo al linguaggio mutuato da un’ottica naturalistica o biologistica – linguaggio<br />

che, assimilato da tempo e diventato comune, rischia alla fine di scambiare l’immagine,<br />

o la metafora, con la verità dell’una e dell’altra. Hans Jonas ha fatto presente<br />

che in riferimento all’umanità e alla sua storia «tutti i paragoni organici sono<br />

inadeguati e, in ultima analisi, fuorvianti» 25 , dal momento che non si può parlare<br />

24 E. Durkheim (<strong>La</strong> divisione del lavoro sociale, Edizioni di Comunità, Milano 1996, pp. 144 ss.)<br />

usa, per la solidarietà, l’«analogia» dei «corpi viventi».<br />

25 H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., p. 137.<br />

162<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Franco Riva<br />

di un’infanzia dell’umano così come si parla <strong>della</strong> giovinezza di un corpo. <strong>La</strong> storia<br />

presenta fin dal suo inizio una “compiutezza” umana che la dissocia dalla vicenda<br />

biologica.<br />

Tra biologismo familiare e organicismo sociale si produce una vera e propria<br />

contaminazione rassicurante, perché sembra confermare sull’uno e sull’altro fronte<br />

che la socialità dell’umano consiste esattamente in una interdipendenza di funzioni,<br />

più o meno articolata, più o meno differenziata che sia, nonché in una comune<br />

appartenenza che si pensa pur sempre dall’interno di questa reciproca “strumentalità”.<br />

L’insieme dell’umano, invece, non è un modo né <strong>della</strong> pura interdipendenza,<br />

né <strong>della</strong> cruda strumentalità.<br />

Non si è nemmeno tanto sicuri che il perno del linguaggio biologistico si ritrovi<br />

nella famiglia piuttosto che nella società: in fondo, parlare <strong>della</strong> famiglia come<br />

di una cellula o di un nucleo può essere tanto un punto di partenza quanto un<br />

punto di arrivo che si guadagna, al rovescio, concependo appunto la società umana<br />

in termini di corpo sociale. E anche per l’idea di un corpo sociale, al di là dell’immagine<br />

più o meno riuscita e più o meno esplicativa, vi sarebbe non poco da discutere<br />

sulla sua apparente ovvietà e, ancor più, sul suo ripetuto ed esplicito utilizzo in<br />

senso antidemocratico 26 .<br />

Ilmodello organicistico funziona infatti in entrambi i sensi di marcia: si può<br />

andare dalla famiglia intesa come cellula alla società concepita come organismo,<br />

ma si può andare anche nella direzione opposta, e totalitaria, con esiti che si capovolgono<br />

di continuo. Nel perenne, possibile rovesciamento, gli esiti tradiscono<br />

spesso le intenzioni. Se si comincia con la famiglia quale cellula sociale, si intende<br />

difenderne il valore, e la propositività, rispetto all’organismo di cui fa parte. Se si<br />

inizia invece con l’organismo sociale, la famiglia si ritrova immediatamente relativizzata,<br />

strumentalizzata, e addirittura fisiologizzata.<br />

Il linguaggio organicistico per dire <strong>della</strong> famiglia e <strong>della</strong> solidarietà è scivoloso,<br />

forse anche inaffidabile. <strong>La</strong> difesa <strong>della</strong> famiglia in termini di cellula sociale può<br />

darsi non raggiunga lo scopo, e ne prepari dall’interno il superamento: quel che si<br />

vuole proporre come esemplare rischia, inevitabilmente, di ritrovarsi in realtà ad<br />

essere esemplato. L’analogia del corpo sociale propende così a tramutarsi in un’analogia<br />

dell’analogia di cui non si comprende il riferimento di partenza. Debole l’organicismo<br />

sociale, debole la famiglia. Su entrambi i fronti l’analogia ottiene l’effetto<br />

contrario: in virtù delle sue stesse premesse, se rafforza la famiglia indebolisce la<br />

società; e se rafforza la società indebolisce la famiglia.<br />

Il linguaggio organicista, che circola nell’antichità greco-romana, ha un’eco religiosa<br />

spesso sfruttata dalla retorica pubblica in una sorta di Santa Alleanza del<br />

compattamento sociale: compare anche nei testi cristiani con Paolo di Tarso (1 Co-<br />

26 In merito, cfr. ad es. M. Walzer, <strong>La</strong> rivoluzione dei santi. Il puritanesimo alle origini del radicalismo<br />

politico, Claudiana, Torino 1996, pp. 209-210.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

163


Franco Riva<br />

rinzi, cap. 12). Tuttavia, se è vero che «non esiste immagine più trita <strong>della</strong> rappresentazione<br />

<strong>della</strong> società come un corpo» e che, «dal punto di vista sociale e politico,<br />

è una metafora intrinsecamente conservatrice», nel cristianesimo non equivale più a<br />

un organicismo perché dipende da un’altra metafora dominante, quella <strong>della</strong> crocifissione<br />

e <strong>della</strong> risurrezione, che «altera quella <strong>politica</strong> tradizionale»: i ruoli comunitari<br />

diventano «doni», e quindi aperti a tutti; entra in crisi la visione gerarchica a favore<br />

<strong>della</strong> «testa» e degli «occhi»; e tra le membra del corpo si introduce un rapporto<br />

di «cura le une per le altre», fino a rovesciare l’obbligo dell’unità sociale a beneficio,<br />

capovolto, dei «deboli» e degli ultimi 27 . <strong>La</strong> solidarietà di una comunità non significa<br />

quindi necessariamente né solo interdipendenza, né tanto meno conservazione.<br />

<strong>La</strong> spina del dovere<br />

<strong>La</strong> vicinanza lessicale con la famiglia si impone fin dall’affacciarsi <strong>della</strong> solidarietà<br />

sulla scena dell’Occidente. In età moderna la solidarietà ha ricevuto una generalizzazione<br />

in senso morale e politico, soprattutto per indicare il dovere di aiuto<br />

reciproco tra le persone, o ancora il senso di un’obbligazione reciproca tra gli individui<br />

e la società, come si appartenesse tutti alla stessa “famiglia”. Nella trasmigrazione<br />

delle parole dalla famiglia verso la solidarietà, però, il tema del dovere ha assunto<br />

spesso un’intonazione sacrificale e soppressiva, dove la responsabilità per l’altro<br />

si esaurisce nell’obbligazione, più o meno giuridica, o in una rinuncia.<br />

<strong>La</strong> solidarietà comincia a fissarsi, giuridicamente, con i concetti di debito e di<br />

responsabilità in riferimento alla famiglia. Il concetto risale al diritto romano, dove<br />

significa l’«obligatio in solidum»: una figura particolare di responsabilità per cui<br />

ogni singolo membro di una data comunità, in primo luogo familiare, è tenuto a<br />

farsi carico non solo dei debiti personalmente sottoscritti, ma di tutto il complesso<br />

dei debiti contratti dalla comunità di appartenenza, così come la comunità si impegna<br />

a sua volta di ritorno nei confronti dei debiti del singolo.<br />

L’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà porta con sé la memoria di un dovere e di una responsabilità<br />

che si radicano nel fatto di appartenere ad una stessa comunità, di far parte<br />

<strong>della</strong> stessa famiglia. Amplificando con la solidarietà il concetto del dovere di una<br />

reciproca assistenza e di un reciproco debito tra i cittadini, la modernità ha incrementato<br />

a maggior ragione la vicinanza linguistica con la famiglia che, nello stesso<br />

istante in cui si propone come chiarificatrice, genera anche non poche tensioni<br />

pratiche e teoriche. <strong>La</strong> solidarietà parla un linguaggio familiare seguendo due direzioni<br />

che in parte si compenetrano e in parte si disarticolano: quella dell’unica famiglia<br />

umana e quella, fissata dalla Rivoluzione francese, <strong>della</strong> fraternità civile.<br />

171-172.<br />

164<br />

27 G. Meek, Le origini <strong>della</strong> morale cristiana. I primi due secoli, Vita e Pensiero, Milano 2000, pp.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


I paradigmi del sistema famiglia<br />

Franco Riva<br />

Va da sé che un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà motivata dall’appartenenza all’unica famiglia<br />

umana, è stata giustificata in modi assai differenti, che ricalcano paradigmi<br />

ora naturalistici – la specie umana –, ora culturali – la condivisione <strong>della</strong> razionalità<br />

–, ora metafisici – per via <strong>della</strong> comune discendenza dall’unico principio –,<br />

ora, infine, religiosi. Anche per la fraternità si sono avvicendati e incrociati tra loro<br />

paradigmi diversi: l’uno verticale e genetico, in definitiva religioso, privilegia la filiazione<br />

dall’unico Padre, l’altro, orizzontale e civile, vede la genesi <strong>della</strong> fraternità<br />

nell’atto costitutivo <strong>della</strong> convivenza. Ragionando sul patto che istituisce la città libera<br />

Max Weber, ad esempio, fa equivalere l’«interesse solidale» (o «comune») con<br />

una nuova «fraternità giurata» 28 . Ma indipendentemente dalla diversità dei modi,<br />

si conferma per la solidarietà l’intreccio semantico con la famiglia.<br />

Il codificarsi moderno di un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà frequenta dunque ripetutamente<br />

il lessico familiare. Nessuna <strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà vive senza l’evocazione di<br />

un dovere, che giunge talora a parlare di sacrifici come manifestazione eccellente<br />

dell’essere solidali: ma intorno al senso del dovere, e al sacrifico come essenza <strong>della</strong><br />

solidarietà, gli atteggiamenti sembrano nuovamente dividersi in modo irrecuperabile..<br />

Nell’orizzonte post-moderno l’indisponibilità al sacrificio assume un carattere<br />

positivo, perché identifica la nostra epoca come quella dell’après-devoir: stagione di<br />

libertà individuale, e quindi <strong>della</strong> morte del dovere e degli obblighi scontati. Per<br />

marcare la tonalità emotiva dell’epoca Gilles Lipovetsky ha potuto dire, in questo<br />

senso, che «l’idea di sacrificio di sé è stata delegittimata» 29 .<br />

Una conferma di contrappunto viene da John Rawls: nega il sacrificio quando<br />

espone il primo principio di giustizia – l’imparzialità –, ma evoca la famiglia a<br />

proposito del secondo – la differenza. Le convivenze moderne si fondano sul principio<br />

di giustizia, che privilegia nella definizione delle regole comuni criteri di imparzialità:<br />

si parte non a caso dal presupposto che il contratto sociale venga stipulato<br />

tra persone che non «desiderano sacrificare i propri interessi a quelli degli altri»<br />

30 . Il principio di differenza corrisponde invece al «significato naturale <strong>della</strong> fraternità;<br />

cioè, all’idea di non desiderare vantaggi, a meno che non vadano a beneficio<br />

di quelli che stanno meno bene» di noi.<br />

<strong>La</strong> perplessità sulla possibilità di estendere i rapporti familiari «ai membri di<br />

una società più ampia» spiega il suo «relativo abbandono da parte di una teoria <strong>della</strong><br />

democrazia», per quanto, «interpretato in modo da includere il requisito del prin-<br />

28 M. Weber, <strong>La</strong> città, Donzelli, Roma 2003, pp. 44-45, 80.<br />

29 G. Lipovetsky, Le crépuscole du devoir, Gallimard, Paris 1992; cfr. Z. Bauman, Le sfide dell’<strong>etica</strong>,<br />

Feltrinelli, Milano 1996, pp. 8-9.<br />

30 J. Rawls, Una teoria <strong>della</strong> giustizia, Feltrinelli, Milano 1991, p. 120.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

165


Franco Riva<br />

cipio di differenza», anche il «principio di fraternità», che tiene sullo sfondo il riferimento<br />

alla «famiglia», diventa uno «standard perfettamente accettabile» 31 . Rimeditata<br />

in senso democratico, una memoria <strong>della</strong> famiglia sopravvive pur sempre,<br />

anche se il principio di solidarietà non ne ricalca più il modello naturale perché discende,<br />

ora, da un calcolo razionale degli interessi individuali tra le parti in causa.<br />

Nelle letture critiche del post-moderno si lamenta il contrario, e cioè che la<br />

disponibilità al sacrificio è scomparsa, che il legame sociale si è allentato, e che si<br />

perde il senso del dovere per una solidarietà reciproca. Mentre nel post-moderno si<br />

guarda in avanti, a partire dalle possibilità dischiuse e inedite che offre la liberazione<br />

dal dovere coatto dei legami tradizionali, nelle sue critiche ci si volge invece all’indietro,<br />

in modo più o meno nostalgico, a sognare l’età smarrita dei legami sociali,<br />

il senso di una comune appartenenza, la capacità di gesti altruistici, la disponibilità<br />

a sacrificarsi per gli altri..<br />

Da un lato troviamo dunque il dovere, il pre-moderno, la comunità, la solidarietà<br />

e il sacrificio, dall’altro lato il post-moderno, l’individuo, la fine del dovere,<br />

del sacrificio, <strong>della</strong> solidarietà. <strong>La</strong> famiglia è coinvolta frontalmente in questa dialettica<br />

del dovere dove, tra rifiuto e riproposta, continua a essere equiparata su entrambi<br />

i versanti a forme di socialità di tipo tradizionalistico dove l’obbligo di solidarietà<br />

si traduce, forse con un eccesso di compiacenza, in una logica sacrificale.<br />

Di nuovo, anche a proposito del dovere si ripresenta l’intreccio tenace tra famiglia,<br />

solidarietà e legame sociale, come pure un’immagine tutto sommato univoca<br />

dei legami familiari.<br />

Parentela e sacrificio<br />

Con l’ampliamento del concetto di solidarietà anche quello di debito tende a<br />

dilatarsi, fino ad assumere delle intonazioni permeate di una religiosità laica e ancestrale.<br />

L’estensione del debito dall’ambito familiare a quello sociale impone alla<br />

solidarietà un linguaggio sacrificale che mette dinnanzi ad una oscura religiosità<br />

soppressiva ripetutamente sfruttata. Per Léon Bourgeois il fondamento giuridico<br />

<strong>della</strong> società civile riposa sul debito contratto dai singoli cittadini nei suoi confronti:<br />

debito che, per legge positiva, si traduce in obbligo civile di solidarietà. Due cose<br />

sono rilevanti: il fatto di ragionare sul sociale con un linguaggio mutuato ancora<br />

dall’ambito parentale; e l’intonazione debitoria, sacrificale, dolorosa, <strong>della</strong> solidarietà.<br />

Questa intonazione da banca mondiale del debito che rende tutti insolventi,<br />

d’altro canto, deflagra quando si affronta la questione di come restituire il debito<br />

sociale: siccome non è possibile estinguere il debito di riconoscenza che lega gli uomini<br />

tra di loro e con i loro antenati all’indietro, verso chi non esiste più, dovrà es-<br />

166<br />

31 J. Rawls, Una teoria <strong>della</strong> giustizia, cit., p. 101 e p. 102; cfr. pp. 379 ss., 385 ss.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Franco Riva<br />

sere saldato nei confronti dei vivi. <strong>La</strong> solidarietà diventa così la legge istitutiva <strong>della</strong><br />

convivenza perché, mentre lo riconosce pubblicamente, prescrive l’estinzione –<br />

inestinguibile – del debito sociale 32 .<br />

Nel fare del concetto di debito il suo punto di forza, l’umore sacrificale <strong>della</strong><br />

solidarietà traspare di per sé, e con un linguaggio intriso dal riferimento alla famiglia:<br />

il debito reciproco, il culto degli antenati, la parentela, i morti e i vivi, il contesto<br />

sacrificale. A partire da una certa immagine di parentela umana, si trasferiscono<br />

dunque sulla solidarietà, e sulla stessa socialità, concetti come appartenenza, debito,<br />

vincolo, restituzione, che ingabbiano il discorso sulla solidarietà tra debiti e<br />

doveri, tra sacrifici e obblighi. <strong>La</strong> solidarietà si fa così un immolarsi sublimato e regolamentato,<br />

se è vero che l’agire solidale «per spirito di sacrificio» si differenzia dagli<br />

altri stili, specie da quello contrattualistico, perché non si tratta più di «assumersi<br />

una parte “equa” nel mettere a disposizione un bene, il cui bilancio fra utili e<br />

costi sia positivo per tutti, bensì di fare un sacrificio, vale a dire di porsi in una condizione<br />

peggiore a vantaggio di altri» 33 .<br />

Il linguaggio parentale adottato dalla solidarietà la conduce ora verso una deriva<br />

sacrificale, che si riempie via via di debiti e di obblighi, di insolvenze e di restituzioni,<br />

come se essere solidali equivalesse a sacrificarsi: a cercare, direttamente, il<br />

proprio svantaggio. Dietro a questo linguaggio rispunta ancora una volta l’idea appartenenza<br />

come risolutiva per la solidarietà. In breve, il sacrificio si motiva nel debito<br />

e il debito nel legame parentale. Dietro a tutto questo, però, sta di nuovo la retorica<br />

<strong>della</strong> coesione e dell’appartenenza dell’umano pensate in riferimento a comunità<br />

chiuse; e l’equivalenza scorretta tra famiglia e ristrettezza.<br />

Jürgen Habermas ha denunciato il carattere ricattatorio dell’osmosi tra il linguaggio<br />

<strong>della</strong> solidarietà e quello parentale, nonché l’insistenza totalitaria sull’unità<br />

sociale trovata intorno ai concetti di debito e di sacrificio: infatti, il «carattere di disponibilità<br />

coatta al sacrificio per un sistema collettivo di autoaffermazione» emerge<br />

ad «ogni momento nelle forme di solidarietà premoderne». Tanto l’osmosi linguistica,<br />

quanto la disponibilità forzata al sacrificio è tipico <strong>della</strong> solidarietà premoderna<br />

dove prevale l’idea dell’unità dell’umano nel senso di un compattamento.<br />

E più che la disponibilità in sé, per il sacrificio risulta ancora più grave il fatto che<br />

una solidarietà di questo genere lo richieda in modo coatto. Habermas mette in un<br />

certo senso a nudo il fatto che una solidarietà etnocentrica, e una famiglia cellulare,<br />

vivono sullo sfondo di un’unità organica del sociale, con tutti i disastri totalitari<br />

che ne conseguono: «con la formula “Tutti per uno e uno per tutti” può concordare<br />

la formula “Führer comanda, noi ti seguiamo” – come durante la mia giovinezza<br />

si leggeva sulle colonne destinate alle affissioni <strong>della</strong> Germania nazista – perché<br />

32 Cfr. L. Bourgeois, Solidarité, cit., pp. 116 ss.<br />

33 M. Baurmann, Solidarietà come norma sociale e costituzionale, in K. Bayertz, M. Baurmann,<br />

L’interesse e il dono, cit., p. 62.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

167


Franco Riva<br />

l’associazionismo nel senso tradizionalistico di solidarietà è rimasto intrecciato con<br />

il comportamento obbediente dei seguaci del Führer» 34 .<br />

L’equivalenza tra organicismo e totalitarismo non intende in nessun modo<br />

soppiantare la solidarietà. Intende piuttosto rendere consapevoli <strong>della</strong> pericolosità<br />

delle analogie “biologistiche” per l’umano e il sociale, e invitare a trasformare la solidarietà<br />

in senso discorsivo universale: in un senso che l’avvicina alla giustizia.<br />

Resta però il problema di fondo, ossia l’osmosi tra il linguaggio biologistico<br />

<strong>della</strong> famiglia e quello <strong>della</strong> solidarietà, legati tra loro dalla precomprensione organicistica<br />

del sociale. Denunciare infatti il carattere premoderno <strong>della</strong> solidarietà etnocentrica<br />

rischia di trascinare con sé, nell’inevitabile svalutazione, anche la famiglia.<br />

L’obbligo e la promessa<br />

Le tensioni tra un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia e un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà mettono dinnanzi<br />

a un intreccio linguistico quasi inestricabile, che annoda di continuo le parole<br />

<strong>della</strong> famiglia – relazioni verticali e orizzontali, figliolanza e fraternità, responsabilità<br />

e doveri – e le parole <strong>della</strong> solidarietà: a ridire e ad amplificare i rapporti<br />

strutturali <strong>della</strong> famiglia, a correggerli nel senso di solidarietà allargate, a tenerli in<br />

vita con polemiche e negazioni. L’intreccio tra famiglia e solidarietà non è dunque<br />

aggirabile nel suo riproporsi costante come originale generatore di significati.<br />

L’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia e l’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà sono destinate a incontrarsi: nonostante<br />

le loro ingenue sovrapposizioni, nonostante le loro evidenti implosioni.<br />

Da questo inevitabile incontro, più forte del suo stesso rifiuto, derivano tre compiti<br />

prioritari per una riflessione <strong>etica</strong> che voglia attraversare la famiglia e la solidarietà,<br />

ma in definitiva la stessa umanità dell’umano: compiti aperti senz’altro, ma<br />

altresì punti di orientamento irrinunciabili.<br />

1. L’importanza del linguaggio. Il linguaggio <strong>della</strong> famiglia e quello <strong>della</strong> solidarietà<br />

non possono fare a meno di rimanere vicini l’uno all’altro. <strong>La</strong> forza di questa<br />

vicinanza si impone al di là delle loro armonie e dei loro litigi. Sembra quasi impossibile<br />

ragionare intorno alla solidarietà senza evocare i termini caratteristici <strong>della</strong><br />

famiglia: l’ospitalità, la fraternità, la filiazione; e sembra altrettanto impossibile<br />

meditare sulla famiglia senza nominare i motivi tipici <strong>della</strong> solidarietà, quell’accoglienza<br />

che l’umano fa all’umano e che oltrepassa condizioni di vita, di appartenenza,<br />

di generazione. Nello scambio dei linguaggi tra famiglia e solidarietà affiora<br />

il pensiero sul modo, umano, <strong>della</strong> convivenza.<br />

Nella famiglia non emerge (solo) il modello familiare <strong>della</strong> solidarietà, ma si<br />

annuncia la solidarietà in quanto tale come capacità dell’umano di farsi responsa-<br />

168<br />

34 J. Habermas, Giustizia e Solidarietà, cit., p. 71.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Franco Riva<br />

bile dell’altro da sé, decentrandosi. <strong>La</strong> famiglia si propone come scena originaria,<br />

per quanto non esclusiva, <strong>della</strong> solidarietà. Il rischio è allora duplice: o di non distinguere<br />

frettolosamente più nulla, e di equiparare tutto, o di mantenere famiglia<br />

e solidarietà in un rapporto tutto sommato estrinseco, che abilita a turno tanto le<br />

successive aperture, quanto le ovvie contrapposizioni.<br />

2. Socialità dell’umano. Tanto la famiglia quanto la solidarietà sono attraversate<br />

dal pensiero dell’unità dell’umano nella sua irriducibilità: pensiero stesso <strong>della</strong> socialità.<br />

A dispetto <strong>della</strong> loro (presunta) forza retorica, andrebbero superati in proposito<br />

sia i modelli fisicalistici che quelli biologicisti, in definitiva inadatti a dire<br />

l’umanità dell’umano nella sua stessa umanità.<br />

Socialità e solidarietà non stanno al di là <strong>della</strong> famiglia né come un valore aggiunto,<br />

né come <strong>dimensione</strong> ricomprensiva. <strong>La</strong> collocazione <strong>della</strong> famiglia sul lato<br />

<strong>della</strong> privatezza e <strong>della</strong> ristrettezza è frutto di una discutibile rappresentazione, perché<br />

tra famiglia e socialità non vi è né identificazione né scissione. Nessuna <strong>dimensione</strong><br />

allargata, pubblica, istituzionale potrà dunque inverare, in forza di qualche<br />

necessità dialettica, quanto emerge nella famiglia: renderla cioè più vera di quanto<br />

non sia per suo conto. Il che non significa approdare ad una astiosa precedenza <strong>della</strong><br />

famiglia rispetto alla socialità e alla solidarietà dell’umano comune, cosa che appare<br />

anch’essa falsa: sarebbe riproporre, per puro ribaltamento, la stessa logica totalizzante<br />

che espropria la famiglia, “organicisticamente” o “dialetticamente” che sia,<br />

da se stessa.<br />

3. Il dovere e la promessa. In tutti i discorsi sulla famiglia e sulla solidarietà si impone<br />

all’attenzione la questione del dovere, frequentato spesso con intonazioni<br />

troppo debitorie e sacrificali, probabilmente – e non senza ragioni – a scopo esortativo<br />

e polemico nella stagione delle difficoltà ad assumersi degli impegni continuativi:<br />

come se l’evidenza del dovere nei confronti di altri potesse scaturire esclusivamente<br />

da una precedente, e mitica, insolvenza; come se la responsabilità per altri<br />

potesse motivarsi per forza solo lungo i sentieri, dal sapore un po’ ricattatorio,<br />

<strong>della</strong> colpa preventiva. Nell’insistenza su questa intonazione, i rifiuti si alimentano<br />

e hanno presto buon gioco.<br />

L’esperienza <strong>della</strong> famiglia come luogo emergente del dovere (di solidarietà) ne<br />

contraddice il tono intristito: non sorge solo per un debito pregresso, né unicamente<br />

in virtù dell’altezza <strong>della</strong> coscienza individuale, ma nella responsabilità per<br />

l’altro in quanto altro. Nella famiglia la responsabilità è elettiva, ma fino a un certo<br />

punto: eros mi obbliga al di là <strong>della</strong> mia volontà e di un contratto, la libertà si comprende<br />

come responsabilità per altri, la differenza dell’altro distrae dal mantenersi<br />

al centro, il figlio generato è altro da chi lo genera. Non solo dovere “privato”, “intimo”,<br />

per contro a ciò che starebbe fuori, al pubblico, al collettivo. <strong>La</strong> famiglia<br />

inaugura, nel suo modo tipico, il dovere in quanto dovere, nella forma di una re-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

169


Franco Riva<br />

sponsabilità per altri, e di una responsabilità per l’alterità stessa: il segreto è orizzonte,<br />

l’intimità socialità, la presenza trascendenza.<br />

Rilevanza pubblica del familiare infine, e rilevanza familiare del pubblico. Politicità<br />

<strong>della</strong> famiglia che l’attraversa prima ancora di “aprirsi” alla società, democraticità<br />

che la struttura intimamente. Perfino la distinzione rassicurante tra verticalità<br />

e orizzontalità dei rapporti viene, se non del tutto smentita, resa almeno più<br />

fluida e problematica: non solo dall’esterno, in virtù di inesorabili mutamenti epocali,<br />

o per giuste rivendicazioni, ma per lo spiazzamento <strong>della</strong> sicurezza separata di<br />

sé a cui conduce la vicinanza solidale con l’altro.<br />

Prima dell’obbligo, nella famiglia il dovere mostra la sua origine in una promessa<br />

di radicale solidarietà. Nessun obbligo può generare una promessa, mentre nella<br />

promessa sorge una responsabilità che rinnova ogni volta da capo il proprio dovere.<br />

170<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


STORIA E MEMORIA<br />

De Gasperi visto dal Pci - di Giuseppe Vacca<br />

<strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong>: una lezione attuale - di Card. Mariano Crociata


Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

De Gasperi visto dal Pci*<br />

Il tema che mi è stato proposto, nella sua apparente<br />

semplicità, è invero molto vasto e complicato: la storia<br />

<strong>della</strong> Dc e buona parte <strong>della</strong> storia del primo decennio<br />

postbellico ruotano intorno alla figura di Alcide<br />

De Gasperi e per ricostruire, sia pure a grandi linee,<br />

la sua percezione da parte dei comunisti italiani<br />

dovrei ripercorrere quasi cinquant’anni di storia del<br />

nostro paese. Nel convegno dedicato a Togliatti nel<br />

suo tempo, organizzato dalla Fondazione <strong>Istituto</strong><br />

Gramsci e dall’Università Roma Tre nel 2004, Renato<br />

Moro affrontò un tema speculare, Togliatti nel giudizio<br />

del mondo cattolico, svolgendo un’indagine accurata<br />

sulle fonti a stampa e sui documenti epistolari disponibili.<br />

<strong>La</strong> sua relazione dimostra che l’idea di ricostruire<br />

il profilo di una figura eminente <strong>della</strong> storia<br />

d’Italia attraverso la percezione degli avversari può essere<br />

una formula felice. Essa consente non solo di far<br />

rivivere le mentalità e il clima di un periodo storico<br />

caratterizzato dai più aspri contrasti uniti alle più durature<br />

realizzazioni dell’Italia repubblicana, ma anche<br />

di fare emergere, forse meglio che con altri approcci, i<br />

tratti più squisitamente umani dei protagonisti e la<br />

discordante coralità dei cittadini che li seguivano. Se<br />

avessi potuto giovarmi del suo modello, avrei meno<br />

incertezze nell’affrontare il tema di questa sera; ma<br />

una ricerca riguardante cinquant’anni di vita del PCI<br />

esorbitava e le mie possibilità e il quadro di una trattazione<br />

sint<strong>etica</strong> adeguata a un’occasione come questa.<br />

Prendo spunto, perciò, dal lavoro esemplare di<br />

* Lectio magistralis per l’anniversario <strong>della</strong> morte di A. De Gasperi<br />

(Pieve Tesino,18 agosto 2011).<br />

GIUSEPPE VACCA<br />

Presidente<br />

Fondazione<br />

<strong>Istituto</strong> Gramsci<br />

≈<br />

«Credo […] al<br />

paradigma.<strong>della</strong><br />

complementarietà<br />

fra Dc e Pci nella<br />

storia <strong>della</strong><br />

repubblica che,<br />

fatto proprio<br />

inizialmente da<br />

Scoppola,<br />

caratterizza una<br />

parte molto<br />

significativa <strong>della</strong><br />

storiografia<br />

<strong>politica</strong> degli<br />

ultimi venti anni<br />

favorendo nuove<br />

ricerche».<br />

≈<br />

173


Giuseppe Vacca<br />

Renato Moro per auspicare che un’indagine analoga su De Gasperi visto dal<br />

PCI prima o poi si faccia e per delimitare preliminarmente il campo <strong>della</strong><br />

mia trattazione.<br />

<strong>La</strong> percezione <strong>della</strong> figura di De Gasperi da parte dei comunisti italiani risulta<br />

molto meno ricca e variegata di quella di Togliatti da parte del mondo cattolico. Se<br />

ne possono distinguere fondamentalmente tre dimensioni: il giudizio implicito negli<br />

atteggiamenti del PCI rispetto all’opera <strong>politica</strong> dello statista trentino; lo sforzo<br />

di rielaborarlo in un’immagine riflessiva; il persistere di questa immagine nel tempo<br />

senza arrivare a prendere atto, se non molto tardi e in modo inadeguato, delle<br />

“dure repliche <strong>della</strong> storia”. Le prime due dimensioni riguardano il ventennio del<br />

PCI togliattiano, la terza rimanda al periodo successivo e vi accennerò alla fine<br />

Negli anni <strong>della</strong> “Grande Alleanza” (1944-1947)<br />

L’immagine di De Gasperi e <strong>della</strong> DC che ha lungamente dominato la cultura<br />

<strong>politica</strong> del PCI fu elaborata da Togliatti in un ampio scritto pubblicato in sei<br />

puntate su “Rinascita” fra il 1955 e il 1956. Lo scritto, del resto assai noto, aveva<br />

un titolo quantomai significativo: È possibile un giudizio equanime sull’opera di Alcide<br />

De Gasperi? Ma sarebbe del tutto fuorviante pensare che rispecchi il giudizio<br />

che aveva guidato Togliatti negli anni <strong>della</strong> collaborazione tra i due statisti che posero<br />

le basi <strong>della</strong> guerra di liberazione e <strong>della</strong> Repubblica. Per ricavarlo occorre<br />

piuttosto guardare, innanzitutto, alle scelte che caratterizzarono la <strong>politica</strong> di Togliatti<br />

dal suo rientro in Italia, nel marzo del ’44, alla “rottura <strong>politica</strong>” del maggio<br />

’47; in secondo luogo alle successive posizioni del PCI sulle scelte fondamentali di<br />

De Gasperi fino al termine <strong>della</strong> prima legislatura.<br />

Che con la costituzione del secondo governo Badoglio (22 aprile 1944) Togliatti<br />

si sentisse in posizione di vantaggio rispetto a tutti gli altri protagonisti <strong>della</strong><br />

scena <strong>politica</strong> italiana mi pare un dato storiograficamente acquisito: il riconoscimento<br />

sovietico del governo Badoglio e la “svolta di Salerno” avevano non soltanto<br />

sbloccato la situazione <strong>politica</strong>, ma anche fornito a tutte le forze antifasciste le<br />

coordinate per impostare efficacemente la resistenza e la guerra di liberazione e<br />

porre le premesse di quella fase costituente che, attraverso il referendum istituzionale<br />

del 2 giugno 1946, l’elezione dell’assemblea costituente, l’elaborazione <strong>della</strong><br />

Carta e la ratifica del Trattato di pace, avrebbe portato alla nascita <strong>della</strong> repubblica.<br />

Non mi pare dubbio, quindi, che egli si sentisse il protagonista di un nuovo periodo<br />

<strong>della</strong> storia d’Italia nel quale, con la creazione del “partito nuovo” e la conferma<br />

174<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


del patto di unità d’azione con i socialisti, avrebbe potuto giocare una partita decisiva<br />

per l’egemonia del PCI nella vita <strong>politica</strong> italiana.<br />

L’egemonia presuppone un calcolo realistico dei rapporti di forza, un sistema<br />

di partiti che si influenzino a vicenda, la capacità di imprimere il proprio segno alle<br />

loro relazioni, vale a dire ai caratteri e alla funzione degli altri attori. L’egemonia prevede,<br />

quindi, l’esercizio di una funzione di governo che tuttavia non coincide necessariamente<br />

con la conquista e la direzione dell’esecutivo. Vorrei provare a sostenere<br />

che, negli anni immediatamente successivi al suo rientro in Italia, Togliatti fosse consapevole<br />

che il ruolo eminente nella <strong>politica</strong> italiana spettasse alla Democrazia Cristiana,<br />

che abbia favorito il disegno di De Gasperi di farne il partito dell’“unità <strong>politica</strong><br />

dei cattolici” e puntato sulla sua figura per garantirne l’ispirazione antifascista e<br />

l’impegno ad ancorare la Chiesa alla scelta <strong>della</strong> democrazia. Non posso addentrarmi<br />

nella ricostruzione dei fondamenti <strong>della</strong> sua strategia; mi limiterò a ricordare il quadro<br />

internazione <strong>della</strong> Grande Alleanza che le forniva legittimazione e credibilità, e<br />

l’opzione per una formula di governo che, successivamente, una mediocre politologia<br />

avrebbe definito “democrazia consociativa”. Mentre nel pensiero di Togliatti aveva<br />

a che fare con la ricerca di nuovi modelli di socialismo, diversi da quello sovietico,<br />

a cui aveva già dato una prima configurazione <strong>politica</strong> e istituzionale, non osteggiata<br />

da Stalin, nel noto saggio Sulle particolarità <strong>della</strong> rivoluzione spagnola del 1936.<br />

Argomenti e tesi<br />

Giuseppe Vacca<br />

Ma veniamo agli argomenti con cui vorrei sostanziare la tesi che ho avanzato.<br />

A datare almeno dall’intervento americano, che rendeva la sconfitta nazifascista<br />

l’ipotesi più probabile, Togliatti era del tutto consapevole, non meno di De Gasperi,<br />

del ruolo determinante che la Chiesa avrebbe giocato nella successione al fascismo.<br />

Dopo la conferenza di Casablanca che aveva deciso la resa incondizionata<br />

delle potenze dell’Asse e dopo il 25 luglio del ’43, quella previsione divenne una<br />

certezza, convalidata dal crollo dello Stato e dell’esercito italiani che seguirono all’8<br />

settembre. Tenendo conto di questo contesto, conviene richiamare l’attenzione<br />

sulla <strong>politica</strong> vaticana di Togliatti in questo periodo.<br />

Nel discorso dell’11 aprile 1944 ai quadri dell’organizzazione comunista napoletana,<br />

nel quale illustrò i cardini <strong>della</strong> “svolta di Salerno”, Togliatti avanzava una opzione<br />

per una repubblica parlamentare in cui venissero garantite tutte le libertà democratiche,<br />

compresa “la libertà di religione e di culto”. <strong>La</strong> scelta <strong>della</strong> elezione di un’assemblea<br />

costituente per definire i compiti e l’impalcatura dello Stato (e il successivo accoglimento<br />

<strong>della</strong> proposta degasperiana di referendum popolare per deciderne la forma),<br />

l’esclusione dell’economia di piano e l’adesione alla richiesta degli alleati che si tenessero<br />

per prime le elezioni amministrative, facevano di Togliatti l’interlocutore ideale <strong>della</strong><br />

“proposta <strong>politica</strong> di De Gasperi”. In primo luogo disegnavano un percorso com-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

175


Giuseppe Vacca<br />

plementare a quello prospettato nelle Idee ricostruttive. In secondo luogo, rimuovendo<br />

la pregiudiziale istituzionale a cui anche la DC nel congresso di Bari (gennaio ’44) aveva<br />

aderito, ma che De Gasperi considerava errata, gli aprivano la prospettiva <strong>della</strong> partecipazione<br />

al governo, fondamentale per il suo progetto. Ma soprattutto, tracciando<br />

un percorso costituente fondato sul voto popolare, anziché sui CLN, favorivano l’appoggio<br />

vaticano al suo disegno di fare <strong>della</strong> DC “il partito dei cattolici”.<br />

Comunisti e cattolici<br />

Che Togliatti considerasse fondamentale l’orientamento politico dei cattolici<br />

per la ricostruzione democratica dell’Italia è confermato innanzitutto dall’articolo<br />

di Eugenio Reale sul primo numero di Rinascita del maggio 1944. Riferendosi al<br />

Rapporto ai quadri dell’organizzazione comunista napoletana, l’articolo, intitolato<br />

Comunisti e cattolici, ne sottolineava il tema <strong>della</strong> “libertà religiosa e di culto” e<br />

adombrava una revisione dottrinale contenente un evidente messaggio alle gerarchie<br />

ecclesiastiche: “Il rispetto delle convinzioni religiose delle masse, scriveva Reale,<br />

è per i comunisti una questione di principio che deriva dalla stessa analisi<br />

marxista[…] del fondamento sociale di queste convinzioni ed è parte integrante<br />

<strong>della</strong> loro dottrina tutta ispirata ai sensi di una ben intesa libertà e di una larga<br />

umanità”. Era l’avvio di una <strong>politica</strong> religiosa che, come ora sappiamo, passò anche<br />

per alcuni contatti diretti con la Santa Sede. Ma, prima di accennarvi, vorrei richiamare<br />

l’attenzione sulla giustificazione storica <strong>della</strong> <strong>politica</strong> di Togliatti verso il<br />

mondo cattolico. Fondata sull’analisi del fascismo svolta tra gli anni Venti e gli anni<br />

Trenta, essa appare del tutto collimante con l’analisi degasperiana delle trasformazioni<br />

intervenute nei rapporti fra i cattolici e la <strong>politica</strong> italiana tra le due guerre.<br />

Se questa conduceva De Gasperi ad impostare il suo progetto su una nuova visione<br />

<strong>della</strong> laicità <strong>della</strong> <strong>politica</strong>, diversa da quella che aveva caratterizzato il Partito<br />

Popolare, il progetto del “partito nuovo”, basato sulla eliminazione di qualunque<br />

vincolo ideologico e sulla richiesta, per l’adesione al PCI, <strong>della</strong> sola condivisione<br />

del programma, apriva il partito alla collaborazione tra credenti e non credenti.<br />

Il contesto in cui venivano calati i due progetti (dopo la liberazione di Roma<br />

e la costituzione del primo governo Bonomi, l’unificazione delle forze antifasciste<br />

del Nord e del Sud e l’inquadramento delle formazioni partigiane nell’esercito di<br />

liberazione nazionale, la proposta di un patto di unità d’azione tra comunisti e socialisti<br />

e democristiani,avanzata da Togliatti il luglio del ’44, acquistava forza e legittimità)<br />

favoriva palesemente il consolidamento <strong>della</strong> “proposta <strong>politica</strong> di De<br />

Gasperi”. Infatti, fu solo con il rapido sviluppo <strong>della</strong> guerra partigiana che la Chiesa<br />

cominciò ad appoggiare decisamente tanto la resistenza quanto la DC. In quella<br />

congiuntura va inquadrato anche l’atteggiamento di Togliatti di fronte alla condanna<br />

del Partito <strong>della</strong> Sinistra Cristiana da parte del Vaticano. Egli non solo non<br />

la contrastò, ma mostrò di condividerne la motivazione principale: quella per cui<br />

la Chiesa poteva sì appoggiare uno o più partiti cattolici, ma non dare una investi-<br />

176<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


tura all’uno o all’altro in base alla sua ideologia. Mi pare quindi evidente che Togliatti<br />

guardasse con favore al progetto degasperiano e, riconoscendone la natura<br />

laica, democratica e antifascista, ne favorisse l’aspirazione a realizzare quello che,<br />

con espressione impropria, sarebbe stato successivamente definito il partito dell’“unità<br />

<strong>politica</strong> dei cattolici”.<br />

Il clima <strong>della</strong> “Grande Alleanza”<br />

Giuseppe Vacca<br />

Vero è che questo accadeva nel clima <strong>della</strong> Grande Alleanza, nel quale, ha<br />

scritto Maria Romana De Gasperi, anche suo padre aveva condiviso “la speranza di<br />

una evoluzione democratica del comunismo che per altro corrispondeva […] alle.‘generose<br />

visioni’ di Roosevelt appoggiate dallo stesso Churchill”. Una stagione<br />

breve, una parentesi nella storia delle relazioni internazionali che si sarebbe chiusa<br />

fra il 1946 e il 1947, ma di cui conviene ricordare il grado di reciproca fiducia e di<br />

reciproco riconoscimento raggiunto fra le forze in campo. Di tale clima il discorso<br />

di De Gasperi al teatro Brancaccio del 23 luglio 1944, con il quale aveva risposto<br />

alla proposta di Togliatti di due settimane prima, appare un documento eccezionale.<br />

Non mi riferisco tanto alle parti in cui, pur nella ferma ispirazione antitotalitaria<br />

del suo pensiero, condannava radicalmente il nazifascismo, mentre mostrava di<br />

credere invece nelle possibilità di un’evoluzione democratica del comunismo,<br />

quanto alla fiducia che riponeva nel ruolo di Togliatti nel favorirla. Si può ritenere<br />

che la sua fiducia rispecchiasse un atteggiamento analogo del Vaticano.<br />

Un documento dei servizi segreti americani risalente al 13 luglio 1944, declassificato<br />

di recente, informa che il 10 luglio, attraverso un incontro riservato tra<br />

monsignor Montini e Togliatti, era stato stabilito un primo contatto tra il leader comunista<br />

e il Vaticano. Come si vede, l’incontro seguiva immediatamente il discorso<br />

del leader comunista al Brancaccio. Inoltre, lo stesso documento dimostra che la risposta<br />

di De Gasperi era stata favorita dall’incontro tra Montini e Togliatti. È quindi<br />

da ritenere che il successivo discorso di De Gasperi, oltre ad essere stato discusso<br />

lungamente con il leader comunista, come Togliatti ha più volte ricordato in seguito,<br />

fosse stato consigliato o comunque concordato con monsignor Montini.<br />

Vorrei ricordare infine la posizione di Togliatti sulla successione a Parri. Quello<br />

che la storiografia considera giustamente “l’avvento di De Gasperi”, scaturì da una<br />

proposta di Nenni e trovò il consenso degli altri partiti perché, anche grazie all’azione<br />

svolta come ministro degli Esteri del governo Parri, De Gasperi godeva del<br />

sostegno non solo del Vaticano, ma soprattutto degli Stati Uniti che, a differenza<br />

<strong>della</strong> Gran Bretagna, erano interessati alla nascita di un regime democratico e repubblicano,<br />

e favorevoli a che l’Italia acquistasse un ruolo effettivo nel nuovo ordinamento<br />

internazionale del dopoguerra. Ma vanno sottolineati il favore di Togliatti<br />

e soprattutto le motivazioni con cui sostenne la successione di De Gasperi. Il<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

177


Giuseppe Vacca<br />

punto sostanziale dell’intesa tra loro era l’opzione per una democrazia parlamentare<br />

fondata sul ruolo preminente dei partiti popolari. Come ha scritto Piero Craveri,<br />

dopo la liberazione di Roma Togliatti era divenuto “il principale interlocutore”<br />

di De Gasperi perché entrambi condividevano i capisaldi <strong>della</strong> transizione alla repubblica.<br />

In particolare, l’obiettivo <strong>della</strong> Costituente e l’impegno a mantenere l’unità<br />

dei partiti antifascisti fino alla sua conclusione.<br />

<strong>La</strong> “democrazia dei partiti”<br />

Emarginata, con la caduta di Parri, l’ipotesi di una democrazia dei CLN, cominciava<br />

a prendere forma quella “democrazia dei partiti” che era nei voti tanto di<br />

De Gasperi quanto di Togliatti. Come notò Pietro Scoppola nella sua pionieristica<br />

ricerca degli anni ’70, “l’unica via possibile di crescita <strong>della</strong> democrazia italiana e di<br />

reale superamento <strong>della</strong> situazione prefascista era quella di una democrazia di massa<br />

canalizzata dai grandi partiti popolari”. E Roberto Gualtieri di recente ha dimostrato<br />

come quello fosse non solo il punto <strong>della</strong> loro principale concordanza, ma<br />

anche il fondamento su cui, attraverso una intensa collaborazione e dialettica, furono<br />

gettate le basi <strong>della</strong> europeizzazione del paese.<br />

Quello su cui va posta l’attenzione è il commento alla soluzione <strong>della</strong> crisi del<br />

governo Parri che Togliatti scrisse sull’Unità dell’11 dicembre. “Togliatti – ha scritto<br />

Craveri – parlò ‘di utilità <strong>della</strong> crisi’ giacché l’unità antifascista aveva trovato conferma<br />

e con essa l’indispensabilità dei partiti di sinistra nel governo, nonché l’impegno<br />

a rimanere uniti fino alla Costituente”. Ma non erano solo questi gli impegni a cui<br />

De Gasperi aveva condizionato l’accettazione <strong>della</strong> sua candidatura. Egli aveva anche<br />

ribadito la priorità delle elezioni amministrative che avrebbero consentito di<br />

misurare la forza di ciascuno dei partiti popolari, ed anche questo punto Togliatti<br />

aveva condiviso. Pertanto, scrive ancora Craveri, “l’opzione decisiva del leader comunista,<br />

come del resto dello stesso De Gasperi, era quella di rimettersi al confronto<br />

democratico e ai rapporti di forza che da questo sarebbero conseguiti”.<br />

Il realismo di Togliatti e l’ascesa di De Gasperi<br />

Non mi pare dubbio che con tali scelte Togliatti intendesse assecondare l’avvento<br />

di De Gasperi e l’affermazione anche del suo partito. Dopo la conferenza di<br />

Yalta e in vista del trattato di pace era del tutto evidente per lui che la guida del governo<br />

italiano spettasse all’uomo politico più affidabile per l’amministrazione americana.<br />

Inoltre, la controversia con la Jugoslavia sul confine orientale, il futuro dell’Istria<br />

e il destino di Trieste avevano inferto un colpo decisivo alla potenzialità egemonica<br />

<strong>della</strong> sua <strong>politica</strong>. Se la forza <strong>della</strong> “svolta di Salerno” originava dalla con-<br />

178<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


vergenza tra la <strong>politica</strong> di Stalin e l’interesse nazionale dell’Italia, la “questione di<br />

Trieste” aveva evidenziato che, pur nel quadro <strong>della</strong> Grande Alleanza, potevano generarsi<br />

contraddizioni insanabili tra la prima e il secondo. Né ci si poteva attendere<br />

altro dall’URSS, dopo il riconoscimento del governo Badoglio, risultando l’Italia<br />

marginale ed ininfluente rispetto agli interessi geostrategici <strong>della</strong> potenza sovi<strong>etica</strong>.<br />

Che Togliatti volesse favorire l’affermazione di De Gasperi era inoltre indicato<br />

dal fatto che non poteva non prevedere l’affermazione elettorale del suo partito. E<br />

non è detto che credesse davvero alla tenuta dell’alleanza antifascista internazionale.<br />

Aveva già conosciuto le oscillazioni <strong>della</strong> <strong>politica</strong> di Stalin tra isolazionismo e<br />

“sicurezza collettiva” negli anni Trenta e non poteva ignorare quanto fosse aleatoria<br />

l’eventualità che Stalin accettasse la sfida di reinserire l’URSS nel mercato mondiale,<br />

che era alla base del disegno rooseveltiano per il dopo guerra. Vero è che non<br />

aveva altra opzione che quella di radicare il PCI nella società italiana e di farne un<br />

attore influente <strong>della</strong> democrazia antifascista. <strong>La</strong> Democrazia Cristiana ed Alcide<br />

De Gasperi erano i principali interlocutori su cui puntare e la loro affermazione<br />

costituiva anche la premessa per vincere la sfida dell’egemonia sulla sinistra italiana<br />

e fare del PCI lo stabile deuteragonista <strong>della</strong> vita <strong>della</strong> repubblica.<br />

<strong>La</strong> <strong>politica</strong> impostata con la svolta di Salerno conteneva dunque un atteggiamento<br />

di favore verso De Gasperi e la sua “proposta <strong>politica</strong>” che si ricava non solo<br />

dalla sint<strong>etica</strong> rassegna dei passaggi fondamentali <strong>della</strong> <strong>politica</strong> italiana tra aprile<br />

del ’44 e gennaio del ’46, ma anche dalla valutazione storica che Togliatti ne diede<br />

quindici anni dopo. Nella conferenza del ’61 su Il partito comunista e il nuovo stato,<br />

concludendo l’esame dei risultati conseguiti con la “svolta di Salerno”, osservava<br />

che, senza quella svolta, “ben difficilmente i partiti <strong>della</strong> sinistra e forse la stessa democrazia<br />

cristiana sarebbero riusciti ad avere quello sviluppo impetuoso che hanno<br />

avuto e che rimane una delle originalità dell’attuale situazione italiana”. Sulla posizione<br />

di Togliatti nei confronti di De Gasperi in questo periodo credo, quindi, che<br />

si possa condividere il giudizio di Piero Craveri: “Rispetto agli equilibri prefascisti,<br />

sia Togliatti che De Gasperi, puntavano decisamente a un ancoraggio centrista del<br />

sistema politico che facesse perno sui cattolici”; e che nel quadro dell’unità antifascista<br />

Togliatti preconizzasse, attraverso la partecipazione al governo, “un centrismo<br />

su cui l’influenza comunista sarebbe stata determinante”.<br />

Quando cominciò la Guerra Fredda<br />

Giuseppe Vacca<br />

Sotto l’aspetto formale la Grande Alleanza durò sino alla conclusione <strong>della</strong><br />

conferenza di Parigi e alla definizione dei trattati di pace. Ma la fiducia di Stalin<br />

nella collaborazione tra le potenze antifasciste si era incrinata sin dall’agosto del<br />

’45, a seguito <strong>della</strong> distruzione atomica di Hiroshima e Nagasaki. <strong>La</strong> preparazione<br />

dell’URSS a fronteggiare l’asimmetria di potenza evidenziata dal possesso america-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

179


Giuseppe Vacca<br />

no <strong>della</strong> bomba atomica fu avviata subito e dall’inizio del ’46 Stalin cominciò a<br />

promuovere quel riallineamento strategico <strong>della</strong> <strong>politica</strong> estera sovi<strong>etica</strong> che avrebbe<br />

originato la nascita del Cominform. <strong>La</strong> nuova storiografia delle relazioni internazionali<br />

ha dimostrato che la guerra fredda non cominciò con il discorso di Churchill<br />

a Fulton, ma con la decisione già maturata da Stalin di tornare alla concezione<br />

<strong>della</strong> “sicurezza totale” precedente lo scoppio <strong>della</strong> guerra. Era questo il modo di<br />

affrontare l’inferiorità dell’URSS, divenuta la seconda potenza mondiale, con l’unica<br />

risorsa di cui riteneva di poter disporre, quella di consolidare militarmente le<br />

conquiste territoriali realizzate nell’Europa centrale e orientale nell’ultima fase <strong>della</strong><br />

guerra. Egli tornava così alla teoria <strong>della</strong> “guerra inevitabile” e il riorientamento<br />

sia <strong>della</strong> <strong>politica</strong> sia <strong>della</strong> propaganda del blocco sovietico allo scontro ideologico<br />

frontale con “l’imperialismo americano” venne preparato accuratamente fin dalla<br />

primavera-estate del ’46. Se si considera che Togliatti fu tra i primi leader politici<br />

del suo tempo a percepire, con un articolo anonimo pubblicato su Rinascita dell’agosto<br />

’45, il significato dell’avvento dell’era atomica e si tiene conto dello stretto<br />

collegamento che manteneva con l’establishment sovietico, si può fondatamente<br />

osservare che, mentre da un lato difendeva strenuamente l’opzione <strong>della</strong> collaborazione<br />

antifascista tanto sul piano internazionale quanto sul piano interno, dall’altro<br />

si preparasse ben prima <strong>della</strong> nascita del Cominform a difendere i capisaldi <strong>della</strong><br />

sua <strong>politica</strong> in Italia dall’opposizione.<br />

A nostro avviso la decisione di restare fuori dal secondo governo De Gasperi<br />

(giugno 1946) potrebbe essere stata motivata dalla necessità di avere le mani libere<br />

dinanzi al prevedibile inasprirsi del contrasto tra la <strong>politica</strong> dell’URSS e l’interesse<br />

nazionale dell’Italia. Ad ogni modo, una nuova fase del suo rapporto con De Gasperi<br />

cominciò, come è noto, con l’estromissione delle sinistre dal governo nel<br />

maggio del ’47. Togliatti sapeva che con l’avvento <strong>della</strong> guerra fredda non ci sarebbero<br />

potute tornare. <strong>La</strong> retorica <strong>politica</strong> era divenuta aspra e aggressiva da ambo le<br />

parti e già all’indomani del primo viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti Togliatti<br />

cominciò a tacciarlo di “servilismo”, innalzando la bandiera <strong>della</strong> sovranità nazionale<br />

svenduta agli americani. <strong>La</strong> guerra fredda imponeva la necessità di creare l’immagine<br />

del nemico, esasperando la minaccia di guerra e la percezione del suo pericolo.<br />

Era una narrazione propagandistica, ampiamente enfatizzata da una parte e<br />

dall’altra, che nascondeva la realtà di un bipolarismo sempre più interdipendente,<br />

orientato alla stabilizzazione internazionale piuttosto che ad una nuova guerra: almeno<br />

fino alla vittoria di Mao in Cina e allo scatenamento <strong>della</strong> guerra di Corea.<br />

I campi operativi <strong>della</strong> Dc e del Pci<br />

Questo scenario creava una disparità incolmabile tra De Gasperi e Togliatti,<br />

tra la DC e il PCI. I primi avevano una straordinaria risorsa nell’integrazione dell’Italia<br />

nel nuovo assetto euroatlantico guidato dagli Stati Uniti; Togliatti e il PCI<br />

180<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Giuseppe Vacca<br />

erano vincolati da una lealtà all’URSS che impediva loro di elaborare una combinazione<br />

di <strong>politica</strong> interna e di <strong>politica</strong> internazionale altrettanto credibile e vantaggiosa<br />

per l’Italia.<br />

Togliatti sapeva quindi che la prospettiva del governo sarebbe stata preclusa per<br />

il PCI non solo dalla polarizzazione che si andava creando con la DC, ma dalla stessa<br />

identità del suo partito. Ad ogni modo è in questo quadro che si collocano gli atti<br />

più significativi <strong>della</strong> collaborazione del PCI alla costruzione <strong>della</strong> democrazia repubblicana:<br />

il voto a favore dell’articolo 7 <strong>della</strong> Costituzione, l’atteggiamento sulla<br />

ratifica del trattato di pace e il suo contributo alla stesura <strong>della</strong> Carta costituzionale<br />

quando già era stato estromesso dal governo. Sono passaggi ben noti <strong>della</strong> storia d’Italia<br />

sui quali conviene tuttavia tornare limitatamente al tema che sto trattando.<br />

Sul voto dell’articolo 7 è tuttora diffusa l’opinione che si sia trattato di un’operazione<br />

abile e strumentale, e c’è persino chi ha scritto che era stata concepita per<br />

bloccare l’estromissione dei comunisti dal governo. Ho cercato più volte di argomentare<br />

in altre sedi come quel voto si inserisse in una visione del rapporto tra religione<br />

e <strong>politica</strong> che costituì uno dei tratti distintivi del PCI togliattiano nel panorama<br />

del comunismo internazionale. Qui piuttosto vorrei sottolineare che, come<br />

Togliatti ricordò nella citata conferenza del ’61, la posizione del PCI sulla “questione<br />

cattolica”, innovatrice rispetto alla stessa impostazione gramsciana, era scaturita<br />

dalla considerazione che, dopo il fascismo, con l’appoggio <strong>della</strong> Chiesa, sarebbe<br />

nato “un forte partito cattolico”; inoltre, aveva letto le Idee ricostruttive eviaveva<br />

riscontrato “un programma molto avanzato nella stessa direzione che era la nostra”.<br />

Perciò fin dall’esposizione <strong>della</strong> <strong>politica</strong> di unità nazionale dei comunisti, erano state<br />

fatte “le più esplicite dichiarazioni di rispetto di tutte le libertà religiose” e nel discorso<br />

del 9 luglio al Brancaccio, dopo aver discusso con De Gasperi “la questione<br />

in lunghe sedute”, aveva proposto il patto di unità d’azione tra le sinistre e la DC<br />

di cui abbiamo parlato.<br />

L’inserimento dei cattolici nella vita <strong>politica</strong> italiana era uno dei cardini anche<br />

del “partito nuovo”, un cardine essenziale per l’affermazione <strong>della</strong> funzione nazionale<br />

<strong>della</strong> classe operaia. Inoltre giova ricordare che nella Relazione al V Congresso del<br />

PCI (26 dicembre 1945) aveva dichiarato di accettare il regime concordatario. Tuttavia<br />

quando l’8 aprile del ’46 scrisse a De Gasperi una lettera di misurata protesta<br />

perché in un discorso elettorale tenuto a Viterbo aveva giudicato quelle innovazioni<br />

ancora insufficienti, il leader democristiano gli aveva risposto con una lettera lunga<br />

e impegnativa che si può considerare uno dei documenti più lucidi sui confini invalicabili<br />

<strong>della</strong> collaborazione tra DC e PCI. È un documento di grande valore, su cui<br />

non possiamo soffermarci in questa sede; ma ne va richiamato almeno un punto: la<br />

questione cattolica, sottolineava De Gasperi, non riguardava solo i rapporti tra DC<br />

e PCI, ma quelli tra il comunismo sovietico e la Chiesa. Perciò gli lanciava una sfida:<br />

quella di collaborare alla costituzionalizzazione del regime concordatario come<br />

prova definitiva dell’originalità del comunismo italiano.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

181


Giuseppe Vacca<br />

Nella Conferenza del ’61 Togliatti ricorda che per giungere al voto favorevole<br />

all’articolo 7 si era realizzato un “compromesso”, demandando al governo il compito<br />

di “correggere” i Patti <strong>La</strong>teranensi “nei punti in cui sono in contrasto con la Costituzione”<br />

con una trattativa con il Vaticano. Il voto del PCI rappresentò quindi<br />

anche la risposta positiva alla sfida di De Gasperi e, se si tiene conto del fatto che,<br />

informandone il giorno prima il cardinale Tardini, Togliatti proseguiva la sua <strong>politica</strong><br />

vaticana, esso costituì una delle prove più significative del modo in cui pensava<br />

di salvaguardare il suo disegno strategico anche con il PCI fuori dal governo.<br />

Il Trattato di pace (1947)<br />

Ma il Pci era già all’opposizione quando si presentò il problema <strong>della</strong> ratifica<br />

del Trattato di pace (31 luglio 1947). Come è noto, De Gasperi aveva atteso la<br />

conclusione <strong>della</strong> conferenza di Parigi prima di giungere, dopo molte esitazioni, a<br />

estromettere le sinistre dal governo. Inoltre, l’opposizione al Trattato di pace nel<br />

paese era molto ampia e avrebbe consentito al PCI, che era già attestato su una posizione<br />

di anacronistico nazionalismo economico e politico, di lucrare consensi anche<br />

nell’elettorato di destra. Come ha dimostrato Roberto Gualtieri, l’astensione<br />

delle sinistre sulla ratifica del trattato di pace fu concordata con De Gasperi per<br />

consentirne l’approvazione anche con un eventuale prestito sottobanco dei voti comunisti<br />

necessari: tanto De Gasperi quanto Togliatti erano del tutto consapevoli<br />

<strong>della</strong> condizione di inferiorità internazionale dell’Italia per essere stata corresponsabile<br />

dello scatenamento <strong>della</strong> guerra e per averla persa. Inoltre, Togliatti era condizionato<br />

dal fatto che l’URSS aveva la posizione più punitiva tra gli alleati nei confronti<br />

dell’Italia e peraltro la considerava giusta.<br />

Il patto costituzionale<br />

Poche parole, infine, sul patto costituzionale. Vorrei osservare che la vulgata<br />

secondo cui De Gasperi si sarebbe estraniato dai lavori <strong>della</strong> Commissione dei 75<br />

tranne che per l’approvazione dell’articolo 7 non convince. L’impostazione costituzionale<br />

<strong>della</strong> Dc era già tracciata, nelle linee di fondo, nelle Idee ricostruttive e nel<br />

lungo articolo pubblicato da De Gasperi, con lo pseudonimo di Demofilo, sul<br />

“Popolo” clandestino del 23 gennaio del ’44. D’altro canto, insistere sulla statura<br />

di De Gasperi come statista e al tempo stesso far credere che la Costituzione sia<br />

scaturita sostanzialmente dalla collaborazione tra il PCI e il gruppo dossettiano è<br />

un artificio mediocre che non riesce a scalfire la lealtà di De Gasperi alla Carta costituzionale,<br />

né può servire a dimostrare che l’adesione del PCI ad essa originasse<br />

da una consonanza solo con la sinistra democristiana. Certo, alla fortuna di questo<br />

182<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


tipo di “storiografia” tendenziosa ha contribuito il ventennale congelamento costituzionale<br />

e il fatto che d’allora il PCI fece <strong>della</strong> Costituzione la sua bandiera. Ma<br />

conviene ricordare che in Italia, come in Francia, all’approvazione <strong>della</strong> Costituzione<br />

si giunse quando le sinistre erano state estromesse dal governo e la guerra fredda<br />

era ormai esplosa. Ma mentre in Francia i comunisti, pur avendo contribuito alla<br />

stesura del patto costituzionale, sciaguratamente non la votarono, il PCI non solo<br />

la votò ma ne fece anche un vessillo di “patriottismo costituzionale”. Anche in questo<br />

caso, come nell’approvazione del Trattato di pace, Togliatti dimostrava di saper<br />

perseguire il suo disegno strategico anche dall’opposizione e continuava a riconoscere,<br />

se non altro implicitamente, la funzione <strong>della</strong> leadership degasperiana.<br />

De Gasperi dopo la morte<br />

Giuseppe Vacca<br />

Come abbiamo detto all’inizio, un’immagine riflessiva di De Gasperi fu elaborata<br />

dai comunisti dopo la sua morte e fu anch’essa opera di Togliatti. Il profilo<br />

che ne disegnò, nel saggio del ’55-’56, è quello di un nemico piuttosto che di un<br />

avversario ed esso si era evidentemente sedimentato negli anni <strong>della</strong> guerra fredda e<br />

dello scontro frontale tra Est e Ovest, tra Dc e Pci. Ai fini del nostro discorso non è<br />

necessario documentare come anche tra il ’48 e il ’53 lo scontro fosse temperato<br />

dalla ricerca di intese o di punti di equilibrio per evitare lo scardinamento <strong>della</strong> democrazia<br />

repubblicana, conta piuttosto mettere in luce i tratti essenziali di quell’immagine<br />

delineata da Togliatti.<br />

Il saggio ha il respiro di una ricostruzione storica, sia pure per grandi linee, del<br />

primo decennio postbellico; ma noi ci limiteremo a prenderne in considerazione le<br />

tesi fondamentali. Il primo capitolo è dedicato all’azione economica dei governi De<br />

Gasperi dal ’46 al ’53. Malgrado il fuggevole riconoscimento che dal 1950 era cominciato<br />

“un ciclo diverso” in cui avevano preso corpo “scarsissime iniziative ‘riformistiche’”,<br />

sulle quali per altro Togliatti manteneva un giudizio “riservato e diffidente”,<br />

la sua tesi era che De Gasperi avesse voluto “ridar vita alla economia italiana come<br />

era stata sotto il fascismo” e promuovere “un ritorno al passato senza eccessive<br />

modificazioni”. Non è il caso di discutere questi giudizi ormai largamente confutati<br />

dalla storiografia più recente. È sufficiente ricordare che in quegli anni l’Italia fu dotata<br />

di una moderna “economia mista” e furono poste le basi del grande balzo nella<br />

divisione internazionale del lavoro che Togliatti stesso avrebbe riconosciuto nel<br />

1961. Inoltre si deve a De Gasperi, più che ai ministri <strong>della</strong> sinistra democristiana<br />

che facevano parte del suo governo, la capacità di sfruttare il riorientamento dei fondi<br />

Erp nel quadro <strong>della</strong> svolta statunitense del 1949-50 per la stabilizzazione produttivistica<br />

dell’Europa, dando inizio così al ciclo politico del “centrismo riformatore”.<br />

L’attenzione va, invece, fermata sulla definizione che Togliatti dava <strong>della</strong> <strong>politica</strong><br />

economica degasperiana: quella di “restaurazione del capitalismo”. In realtà<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

183


Giuseppe Vacca<br />

voleva dire che era stato ripristinato il modello di sviluppo tradizionale dell’economia<br />

italiana, fondata sui bassi salari e i bassi consumi (quello che egli chiamava “la<br />

struttura economica tradizionale”); ma la nozione di “restaurazione capitalistica”<br />

era fuorviante e inappropriata poiché, a cominciare dal PCI, nessuna delle forze<br />

politiche fondamentali aveva sostenuto nel dopoguerra che l’Italia si potesse ricostruire<br />

su basi ‘non capitalistiche’.<br />

Al giudizio di “restaurazione capitalistica” Togliatti faceva seguire quello di continuità<br />

con lo Stato corporativo. Non sminuiva il valore <strong>della</strong> distruzione delle impalcature<br />

politiche dello stato totalitario, peraltro voluta anche dagli alleati, ma intendeva<br />

affermare che, nelle strutture dell’economa mista, si era ripristinata quella<br />

fusione tra le oligarchie finanziarie ed industriali e gli apparati di governo che era<br />

stata la sostanza del corporativismo fascista. Va richiamata l’attenzione sul punto di<br />

arrivo <strong>della</strong> sua ricostruzione e sulla argomentazione che, seguendo uno schema<br />

palesemente teleologico, lo preparava. Respingendo la tesi che “la rottura <strong>politica</strong><br />

del ’47” fosse stata imposta dagli Stati Uniti, Togliatti si proponeva di dimostrare<br />

che essa era scaturita da scelte di <strong>politica</strong> interna sulle quali aveva influito in misura<br />

determinante il pensiero di De Gasperi riguardo alla società e allo Stato. Per dimostrare<br />

la sua tesi si addentrava nell’analisi degli scritti degasperiani degli anni Trenta,<br />

evidenziandone principalmente tre aspetti.<br />

Mentre la Chiesa aveva avallato l’identificazione tra il corporativismo fascista<br />

e quello propugnato dalla dottrina sociale cattolica, De Gasperi non aveva mai ceduto<br />

su questo punto e ciò costituiva il caposaldo del suo antifascismo. Ma nel difendere<br />

il corporativismo cattolico come variante valida del “corporativismo societario”,<br />

inserito cioè nelle strutture dello Stato democratico, De Gasperi aveva manifestato<br />

una palese inclinazione a giustificare la possibilità di più di un compromesso<br />

dei cattolici con il fascismo. In estrema sintesi, nell’Europa degli anni Trenta<br />

divisa, secondo Togliatti, dall’alternativa tra fascismo e comunismo, De Gasperi<br />

era stato “un esecutore obbediente e zelante” dell’orientamento <strong>della</strong> Chiesa, disponibile<br />

al compromesso col fascismo ma mai con il comunismo o il socialismo.<br />

Il suo atteggiamento non si spiegava con debolezze del carattere ma con la contraddittorietà<br />

<strong>della</strong> sua concezione corporativa. Inoltre, Togliatti riteneva determinante<br />

il fatto che il cattolicesimo politico fosse rimasto estraneo alla ricerca dell’antifascismo<br />

europeo degli anni Trenta. Con un’analisi che ricorda la critica delle Lezioni di<br />

<strong>politica</strong> sociale di<strong>Luigi</strong>Einaudi ad ogni forma di corporativismo, considera il principio<br />

<strong>della</strong> lotta di classe l’unica prosecuzione progressiva del liberalismo e la sua<br />

esplicazione il vero soggetto <strong>della</strong> modernità. Egli ritiene quindi che il corporativismo<br />

cattolico di De Gasperi, coniugato alla “mancata rottura originaria” dei cattolici<br />

col fascismo e all’isolamento dall’antifascismo italiano ed europeo, gli avesse<br />

precluso la comprensione effettiva del fascismo e lo avesse reso incline al compromesso<br />

con alcuni suoi aspetti.<br />

184<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


L’antifascismo “speciale” di De Gasperi<br />

Giuseppe Vacca<br />

Togliatti definisce l’antifascismo di De Gasperi “un antifascismo di tipo speciale”<br />

e tanto l’analisi, quanto la sua stilizzazione concettuale, rendono necessarie<br />

alcune precisazioni. Che l’antifascismo di De Gasperi fosse diverso da quello dei<br />

comunisti, dei socialisti e degli azionisti era una constatazione banale ma non priva<br />

di valore politico. E, sotto questo profilo, il discorso di Togliatti è palesemente aporetico:<br />

sottolineare la diversità dell’antifascismo degasperiano introduceva una discriminante<br />

nell’antifascismo, incrinando il postulato <strong>della</strong> sua unità che aveva costituito<br />

il cardine <strong>della</strong> “democrazia progressiva”. Inoltre portava a concludere che<br />

l’antifascismo autentico fosse solo quello di ispirazione classista e questo costituiva<br />

un’ulteriore contraddizione rispetto al suo stesso antifascismo, che si era caratterizzato,<br />

nel panorama del comunismo internazionale, per la distinzione tra fascismo e<br />

capitalismo. Contraddittoria era infine l’insinuazione che, con “la rottura <strong>politica</strong><br />

del ’47”, De Gasperi avesse lasciato alle sinistre il monopolio dell’antifascismo poiché<br />

anche la <strong>politica</strong> che il PCI aveva sviluppato in seguito e che il saggio su De<br />

Gasperi intendeva irrobustire e aggiornare si fondava sull’unità dell’antifascismo.<br />

Ai giudizi sui contenuti economici del centrismo degasperiano segue quello<br />

sulle sue caratteristiche politiche, sintetizzato nella formula “una democrazia che<br />

scivola verso la reazione”; e, in questa parte, il saggio diviene ancor più ambivalente<br />

scoprendo le sue finalità politiche. Per definire il regime politico che aveva preso<br />

forma nel periodo compreso tra l’avvento di De Gasperi e la fine <strong>della</strong> prima legislatura,<br />

Togliatti prende le mosse dalle Idee ricostruttive e riconosce l’originaria novità<br />

<strong>della</strong> Democrazia Cristiana: ne sottolinea il carattere democratico e avanzato<br />

giungendo ad affermare che, “se in questi anni il programma formulato da De Gasperi<br />

nel 1944[…] fosse stato applicato anche solo per metà, ci si sarebbe avvicinati<br />

assai a una trasformazione già in senso socialista o per lo meno conseguentemente<br />

democratico, del volto del nostro paese”. Ma poi osserva che quel programma<br />

non era fondato su una visione approfondita <strong>della</strong> storia d’Italia e non indicava i<br />

dispositivi che ne garantissero l’applicazione.<br />

Perciò, una volta assunta la direzione del paese, aveva potuto essere facilmente<br />

abbandonato. Come prova <strong>della</strong> sua strumentalità, Togliatti evocava l’atteggiamento<br />

di De Gasperi nei confronti dell’Assemblea costituente dando credito alla<br />

tesi che si fosse astenuto “deliberatamente e costantemente” dai suoi lavori e spiegava<br />

così la disinvoltura con cui, dopo “la rottura <strong>politica</strong> del ’47”, i governi da lui<br />

diretti avevano ibernato la Costituzione. <strong>La</strong> formula <strong>della</strong> “democrazia che scivola<br />

verso la reazione” oscillava tra l’aspetto politico, esemplificato dal carattere anticomunista<br />

e antisindacale del governo, e quello istituzionale, rappresentato dal mantenimento<br />

<strong>della</strong> legislazione penale fascista, dai disegni di legge del ’52, restrittivi<br />

delle libertà di stampa, sindacali e di sciopero, e soprattutto dalla legge elettorale<br />

maggioritaria. Riprendeva poi il confronto tra De Gasperi e Giolitti, già avanzato<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

185


Giuseppe Vacca<br />

nella conferenza del 1950, per negare ai governi centristi qualsiasi risvolto riformatore.<br />

Infine contestava l’europeismo di De Gasperi sostenendo, in linea con le posizioni<br />

sovietiche, che l’integrazione europea fosse irrimediabilmente ipotecata dal<br />

disegno egemonico americano sull’Europa e che De Gasperi non avesse mai mostrato<br />

di voler sostenere, sia pure nel quadro <strong>della</strong> strategia del containement, l’interesse<br />

nazionale dell’Italia.<br />

Giudizi visti oggi<br />

A quasi cinquant’anni da quando questi giudizi furono formulati, non è il caso<br />

di argomentare l’erroneità di molti di essi e soprattutto <strong>della</strong> formula che li<br />

compendiava. Conviene piuttosto domandarsi il perché del loro carattere così accentuatamente<br />

unilaterale e liquidatorio. E la spiegazione, a mio avviso, è nelle finalità<br />

politiche del saggio, peraltro apertamente dichiarate. Il saggio è scritto nella<br />

fase iniziale del “disgelo” internazionale e dell’apertura a sinistra nella quale Togliatti<br />

si accingeva a riformulare la strategia del PCI. Vi è in lui il convincimento<br />

non solo che la sconfitta del centrismo avesse dato inizio a un nuovo periodo <strong>della</strong><br />

storia <strong>politica</strong> italiana, ma anche che il PCI potesse reinserirsi nel gioco politico. <strong>La</strong><br />

spia più evidente di ciò mi pare la tesi del carattere fallimentare del centrismo degasperiano,<br />

fondata interamente sulla “rottura <strong>politica</strong> del ’47” e sostenuta da un<br />

notevole sforzo argomentativo volto a dimostrare che il programma iniziale <strong>della</strong><br />

DC avrebbe potuto realizzarsi solo con la collaborazione governativa dei partiti popolari.<br />

In questo quadro compaiono anche argomenti ritorsivi come la sottolineatura<br />

del fatto che l’investitura di De Gasperi fosse scaturita dal quadro politico originato<br />

dalla “svolta di Salerno”. E giocano risentimenti personali: rifiuta di riconoscere<br />

a De Gasperi la statura dello statista perché non aveva mostrato di comprendere<br />

che, in un paese appartenente alla sfera di influenza americana come l’Italia, la “democrazia<br />

progressiva” non avrebbe potuto assumere i tratti delle “democrazie popolari”<br />

e non aveva avuto il coraggio di scommettere su di lui.<br />

A me pare che la coloritura liquidatoria del giudizio su De Gasperi e lo sforzo<br />

di argomentare storicamente che la Dc avesse un futuro corrispondente alla sua<br />

ispirazione originaria solo in un rapporto solidale con il movimento operaio fossero<br />

motivati dall’intenzione di parlare alla nuova generazione democristiana che si<br />

andava affermando in quegli anni. Togliatti certamente non sottovalutava il fatto<br />

che, dopo la sconfitta del ’53 causata principalmente dal successo delle destra monarchico-missina,<br />

nel confronto interno alla DC era prevalsa la decisione di raccogliere<br />

la sfida delle sinistre, sbarrando la strada a qualunque prospettiva di alleanza<br />

con la destra. Sebbene sottacesse che De Gasperi aveva favorito questo orientamento<br />

e la stessa successione di Fanfani alla segreteria del partito, il riconoscimen-<br />

186<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


to del valore politico <strong>della</strong> sua relazione al Congresso di Napoli conferma che intendeva<br />

parlare alle sinistre democristiane, in primo luogo alla “sinistra di base”,<br />

privilegiandole come interlocutrici di una nuova stagione <strong>politica</strong>. Fra i non pochi<br />

brani del saggio in cui Togliatti si rivolge ad esse conviene citare quello iniziale:<br />

Nel momento che nel campo democristiano e cattolico... ricompaiono… fermenti<br />

nuovi e correnti di opposizione diverse dal passato e talora più promettenti, la nostra<br />

opinione è che sia da seguire, proprio col pensiero a queste cose nuove e nei giudizi sul<br />

passato, il metodo <strong>della</strong> completa sincerità e chiarezza.<br />

Ricorrendo quindi al suo consueto metodo storico, proponeva di avviare il<br />

confronto da una valutazione dell’opera di De Gasperi e con tono paternalistico<br />

scriveva:<br />

L’assenza di una ragionata e approfondita critica dell’opera di De Gasperi non<br />

può che impedire a queste correnti di prendere coscienza di se stesse e del loro compito,<br />

può ridurre l’azione loro a una serie di recriminazioni contingenti, interessanti sempre,<br />

ma frammentarie e non troppo feconde. Una feconda azione <strong>politica</strong> non può risultare<br />

che da una visione concreta ed organica <strong>della</strong> vita italiana degli ultimi dieci<br />

anni e delle sue non soddisfatte esigenze, ed è a una visione siffatta che noi ci vorremmo<br />

riferire.<br />

L’ambizione storiografica del saggio era dunque finalizzata a gettare le basi di<br />

una nuova stagione <strong>politica</strong> e di una nuova strategia, e le tendenziosità dell’interpretazione<br />

e l’asprezza dei giudizi erano funzionali a questo scopo. In altre parole,<br />

non si sfugge alla sensazione che con il suo saggio Togliatti mirasse a porre le fondamenta<br />

<strong>della</strong> strategia di scardinamento <strong>della</strong> centralità democristiana che avrebbe<br />

seguito con crescente determinazione dal ’58 in avanti.<br />

“Questione vaticana” e “Questione romana”<br />

Giuseppe Vacca<br />

L’ultima parte del saggio è quella a cui credo si possa riconoscere un maggior<br />

respiro storico e, sebbene il titolo dell’ultimo capitolo, “minaccia di una nuova<br />

teocrazia”, appaia il più aggressivo, in verità non lo è perché è rivolto all’azione<br />

<strong>della</strong> Chiesa più che all’opera di De Gasperi. Prendendo spunto dagli scritti del<br />

1928-33 sulla storia del “Centro” germanico, Togliatti evidenzia la nitidezza e fermezza<br />

dell’orientamento cattolico-liberale di De Gasperi, originate dalla consapevolezza<br />

che la crisi del primo dopoguerra era sfociata nell’avvento del fascismo per<br />

il mancato accordo tra Popolari e Socialisti. Poi, tracciando il profilo storico del<br />

cattolicesimo europeo tra Ottocento e Novecento, individua lucidamente la peculiarità<br />

<strong>della</strong> situazione italiana caratterizzata dalla “questione vaticana” e dal fatto<br />

che la Chiesa, nella crisi dello stato liberale, avesse individuato nel fascismo<br />

l’interlocutore più affidabile per risolvere la “questione romana”. Con il Concordato<br />

aveva perciò conquistato un potere di influenza sulla società e sullo Stato che<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

187


Giuseppe Vacca<br />

andava ben oltre la salvaguardia <strong>della</strong> sua “libertà” e si esplicava attraverso l’esercizio<br />

del suo “magistero”. Con l’inizio <strong>della</strong> guerra fredda, l’inquadramento <strong>della</strong><br />

Chiesa nello schieramento atlantico aveva influito in misura determinante sulla<br />

situazione italiana e aveva costretto De Gasperi a subire lo snaturamento del suo<br />

disegno originario. Il “blocco d’ordine” creato intorno alla DC nel ’48, consenziente<br />

De Gasperi, aveva favorito la trasformazione <strong>della</strong> DC in partito di fiducia<br />

<strong>della</strong> grande borghesia e la Chiesa, imponendogli “l’unità <strong>politica</strong> dei cattolici”, ne<br />

aveva fatto il veicolo del suo disegno di “restaurazione teocratica”perseguito in<br />

quegli anni in tutta Europa.<br />

<strong>La</strong> sintesi necessariamente stringata del pensiero di Togliatti non rende giustizia<br />

alla ricchezza delle sue argomentazioni che, per quanto opinabili, colpiscono se<br />

si tiene conto dello stato embrionale degli studi sul cattolicesimo politico tra le due<br />

guerre in quegli anni. Ma per concludere la disamina del saggio, vorrei porre l’accento<br />

sul suo punto di arrivo: che fosse stata l’incapacità di opporsi alle pressioni<br />

vaticane e <strong>della</strong> grande borghesia ad indurre De Gasperi a compiere il passo falso<br />

<strong>della</strong> “legge truffa”, causandone la sconfitta. A me pare che su questi passaggi – fra<br />

cui si colloca “l’operazione <strong>Sturzo</strong>” – Togliatti ponesse questioni che neppure oggi<br />

sono del tutto risolte dalla ricerca storica. Ad ogni modo, quello che non appare<br />

persuasivo è sicuramente la definizione <strong>della</strong> DC. Sottacendo il valore del patto costituzionale,<br />

comunque salvaguardato, e sottovalutando la portata delle riforme<br />

compiute nella prima legislatura che avevano scombussolato il “blocco d’ordine”<br />

del 18 aprile, Togliatti rimuoveva le ragioni principali <strong>della</strong> sconfitta del ’53 e formulava<br />

quel giudizio, già ricordato, sulla Dc che ha pesato a lungo ed in parte grava<br />

tuttora sulla comprensione delle sue peculiarità e dell’effettiva dinamica del sistema<br />

politico italiano.<br />

Epilogo<br />

Il saggio di Togliatti sull’opera di De Gasperi non solo non è “equanime”, come<br />

l’autore stesso sapeva avendo posto nel titolo un bel punto interrogativo, ma è<br />

anche costellato di giudizi acrimoniosi sulla sua persona. Nella vibrante biografia<br />

di suo padre Maria Romana Catti riferisce una confidenza di De Gasperi “a un<br />

amico” che potrebbe contribuire a spiegarli: “Dopo il 18 aprile trovatosi battuto<br />

non mi ha più salutato, anche quando ci incontravamo alla buvette <strong>della</strong> Camera si<br />

allontanva fingendo di non vedermi. È freddo, metallico. <strong>La</strong> Russia ne ha fatto un<br />

bolscevico perfetto; una centrale di ricezione e di trasmissione davanti alla quale<br />

l’entità uomo scompare”. Ma il saggio togliattiano è permeato dalla psicologia del<br />

vincitore, non dello sconfitto: il convincimento che lo anima è che la sconfitta <strong>della</strong><br />

“legge truffa” avesse trascinato con sé quella di De Gasperi, <strong>della</strong> Democrazia<br />

Cristiana e quella del centrismo.<br />

188<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Penso, perciò, che l’acrimonia, l’ingenerosità e talvolta il carattere aggressivo<br />

dei giudizi sulla persona di De Gasperi, inseriti, peraltro, in uno scritto di grande<br />

ambizione storiografica, debbano avere anche altre spiegazioni. Si dovrebbe scavare<br />

a fondo nel risentimento lasciato dall’attentato del 14 luglio nell’animo di Togliatti.<br />

I “postumi” dell’attentato del 14 luglio<br />

Giuseppe Vacca<br />

Lo suggerisce il giudizio che egli stesso aveva formulato nella sua “biografia<br />

autorizzata” del ’53 nella quale, avvalendosi anche delle opinioni di due autorevoli<br />

quotidiani inglesi come il “Times” (liberale) e il “Manchester Guardian” (laburista),<br />

aveva attribuito la responsabilità <strong>politica</strong> dell’attentato “al clima creato ad<br />

arte dai clericali, e in particolare da De Gasperi, per le elezioni del 18 aprile”. E lo<br />

conferma la lettera di accompagnamento <strong>della</strong> risoluzione del PCI sulla bocciatura<br />

<strong>della</strong> CED, parzialmente inedita, che Togliatti inviò a Edoardo D’Onofrio il 20<br />

agosto 1954. De Gasperi era appena morto e si doveva organizzare la partecipazione<br />

del PCI ai suoi funerali. Togliatti scrive: “Mi sono posto in contatto con<br />

Nenni. Questi mi dice che andrà ai funerali, tanto se saranno a Roma, quanto a<br />

Trento. Io invece non ci vado, e do alla cosa un significato. Sono per la reverenza ai<br />

morti (anche se i nostri avversari non sempre seguono la stessa condotta, come dimostrano<br />

le dichiarazioni fatte da De Gasperi alla morte di Stalin); sono quindi<br />

d’accordo che i nostri commenti in questo momento abbiano un tono moderato,<br />

che non possa urtare nessuno. Sono però contrario a qualsiasi forma di embrassons<br />

nous presente il cadavere: anzi, la cosa profondamente mi ripugna, come una volgarità<br />

e una ipocrisia. De Gasperi, del resto, combattè contro di noi senza esclusione<br />

di colpi, rigettando qualsiasi senso di umanità. Dopo il 14 luglio non ebbe<br />

né una parola né un gesto di umana comprensione per i lavoratori in cui spontaneamente<br />

era insorta una grande indignazione. Volle che fossero esclusi persino<br />

dalla scarna amnistia del ’53 (…). Per tutto questo, mi raccomando! Vada un<br />

gruppo di compagni, deputati e senatori, ai funerali. Vacci pure tu, con Scoccimarro,<br />

come vicepresidenti; ci vada anche qualcun altro, in modo che ci sia la nostra<br />

presenza. Ma evitare qualsiasi manifestazione che sia al di là <strong>della</strong> reverente<br />

correttezza umana”.<br />

Ma riprendiamo il filo del discorso. I problemi che il saggio ci consegna sono<br />

principalmente due: il giudizio su De Gasperi antesignano <strong>della</strong> guerra fredda in<br />

Europa e quello sulla DC partito di fiducia <strong>della</strong> borghesia. Pur considerando il ribaltamento<br />

del quadro politico generale intervenuto dalla metà del ’47 in poi, non<br />

si può fare a meno di osservare che il saggio presenta giudizi opposti a quelli che<br />

avevano ispirato l’azione di Togliatti nei confronti di De Gasperi nel triennio <strong>della</strong><br />

loro collaborazione. E poiché ha l’ambizione di fondarli sulla ricostruzione <strong>della</strong><br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

189


Giuseppe Vacca<br />

biografia <strong>politica</strong> ed intellettuale dello statista trentino, ci pone dinanzi ad un evidente<br />

dilemma: o si deve considerarlo un’autocritica radicale <strong>della</strong> percezione che<br />

aveva avuto <strong>della</strong> sua figura fino alla “rottura <strong>politica</strong> del ’47”, o si deve ritenere che<br />

considerasse quella rottura un errore catastrofico per l’Italia e per la DC, rivelatore<br />

<strong>della</strong> mediocre statura di De Gasperi e dell’effettivo carattere del suo disegno, che<br />

prima non aveva compreso.<br />

L’attenzione di Togliatti alla Sinistra Dc<br />

Questo convincimento è espresso nel modo più significativo in un brano di<br />

Conversando con Togliatti in cui egli afferma: “Un nostro avversario intelligente e<br />

capace non ci avrebbe messo fuori del governo. Anzi, prendendo in parola le posizioni<br />

e le dichiarazioni nostre, ci avrebbe forse sfidato a rimanervi, e avrebbe lavorato<br />

per far sorgere una situazione nella quale noi potessimo essere stretti senza via<br />

d’uscita oppure spezzati”. Per quanto lo stile di pensiero di Togliatti solitamente rifuggisse<br />

dall’idea di una storiografia controfattuale, un leader politico che fondava<br />

la sua azione sul metodo storico non avrebbe potuto rinunciarvi; e il brano citato<br />

evidenzia il convincimento che, quando ormai la guerra fredda stava per esplodere,<br />

De Gasperi avrebbe potuto attendere il momento in cui il PCI fosse stato costretto<br />

dal “legame di ferro” con l’URSS ad uscire dal governo, come presto sarebbe avvenuto<br />

a seguito <strong>della</strong> costituzione del Cominform. Ma, lasciando alla ricerca storica<br />

il compito di approfondire un tema così impegnativo, vorrei tornare ancora per un<br />

momento sul nesso tra l’immagine <strong>della</strong> DC degasperiana e la nuova strategia <strong>politica</strong><br />

di Togliatti volta a privilegiare come interlocutore la sinistra democristiana.<br />

L’obiettivo di scardinare la centralità <strong>della</strong> DC prevedeva o quanto meno auspicava<br />

la possibilità che il partito si spezzasse. Era un obiettivo realistico?<br />

Credo che tra le smentite più severe si possa citare un brano <strong>della</strong> relazione di<br />

Aldo Moro al Consiglio Nazionale <strong>della</strong> DC del 20 luglio 1961. Quando Togliatti<br />

aveva già schierato il PCI su una linea di inserimento nel centrosinisistra volta a dividere<br />

la DC, Moro gli obiettò: “Il giudizio sulla DC è comprensibilmente sommario<br />

e schematico. Ed essa, qualificata per comodità di polemica come forza di<br />

destra, viene presa in considerazione non per la realtà delle sue posizioni libere e vive,<br />

ma, secondo il rozzo modulo comunista, quale partito dei monopoli a servizio<br />

dei grandi interessi capitalistici che sarebbero quindi riusciti a condurre per anni<br />

milioni e milioni di italiani ad agire contro i loro interessi, contro se stessi”. <strong>La</strong> critica<br />

di Moro metteva in luce non solo il limite politico <strong>della</strong> strategia togliattiana,<br />

ma anche quello culturale dell’analisi su cui si fondava. Riassunta nello slogan <strong>della</strong><br />

DC “partito dei padroni” e “partito americano”, quell’analisi non consentiva al suo<br />

stesso autore di comprendere che la figura e l’opera di De Gasperi avevano costituito<br />

un punto di equilibrio, una sintesi e un elemento identitario in cui si riconoscevano<br />

tutte le correnti democristiane e avrebbero continuato a riconoscersi sino alla<br />

190<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


fine <strong>della</strong> DC. Moro coglieva nel segno denunciandone il determinismo economico<br />

e il riduzionismo sociologico che sarebbero stati superati, ma solo in parte, negli<br />

anni ’70. Infatti in quegli anni anche i comunisti cominciarono a riparlare di De<br />

Gasperi e a ripensarne l’opera e la figura.<br />

Il saggio di Pietro Scoppola<br />

Giuseppe Vacca<br />

Nel 1974 Pietro Scoppola pubblicò su “il Mulino” il saggio su De Gasperi e la<br />

svolta <strong>politica</strong> del 1947 che tre anni dopo sarebbe diventato l’ultimo capitolo de <strong>La</strong><br />

proposta <strong>politica</strong> di De Gasperi. Da esso prese spunto Giorgio Amendola per avviare<br />

una revisione dello schema togliattiano che avrebbe avuto le manifestazioni più significative<br />

nella recensione alla Intervista su De Gasperi di Giulio Andreotti e in<br />

quella molto ampia e innovativa al libro di Scoppola pochi mesi dopo. Commentando<br />

anche lui su “il Mulino” il primo scritto di Scoppola, Amendola aveva rilevato<br />

che si staccava “dal magro bilancio dell’anno degasperiano” per la novità dell’impostazione<br />

e la ricchezza <strong>della</strong> documentazione. Ma va attirata l’attenzione sul<br />

punto saliente del suo scritto: Scoppola aveva affermato che la rottura del ’47 era<br />

stata condotta in modo da “non sospingere i comunisti verso una opposizione al<br />

governo ma al sistema”; Amendola aggiunse informazioni ed elementi di valutazione<br />

che lo confermavano e arricchivano. Egli argomentava che dal giugno ’46 Togliatti,<br />

consapevole dell’imminenza <strong>della</strong> guerra fredda, aveva inasprito i toni <strong>della</strong><br />

polemica contro il governo per prepararsi alla rottura e, pur cercando di rallentarne<br />

i tempi, aveva però inteso favorirla. Inoltre, accennando vagamente a testimonianze<br />

personali, suggeriva l’idea che De Gasperi e Togliatti avessero in qualche modo<br />

pilotato insieme la rottura.<br />

Nelle due recensioni del ’77 arricchì le analisi e le testimonianze dando impulso<br />

all’abbandono del paradigma togliattiano: un abbandono inizialmente parziale,<br />

ma poi sempre più completo, che si fondava sul progressivo superamento del<br />

determinismo economico e del riduzionismo sociologico che avevano inficiato il<br />

saggio di Togliatti. Il PCI veniva lentamente sviluppando la capacità di fondare l’analisi<br />

<strong>della</strong> <strong>politica</strong> italiana e delle relazioni internazionali sulle interdipendenze ele<br />

interazioni tra gli attori, e questo si riverberava sulle visioni retrospettive e sulla<br />

percezione storica <strong>della</strong> figura di De Gasperi.<br />

Ma vorrei concludere con alcune considerazioni sulla vischiosità di quel nuovo<br />

percorso. <strong>La</strong> prima riguarda la cultura <strong>politica</strong> del PCI post-togliattiano. Il metodo<br />

storico come fondamento dell’azione <strong>politica</strong> non aveva più l’incidenza e lo<br />

spessore che aveva avuto con Togliatti, per cui il contributo di Amendola restò un<br />

caso pressoché isolato. <strong>La</strong> seconda è che, nel concepire la sua revisione, Amendola<br />

aveva potuto giovarsi dei contributi significativi <strong>della</strong> storiografia cattolica, ma ad<br />

essi non corrispondeva un impegno minimamente paragonabile <strong>della</strong> storiografia<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

191


Giuseppe Vacca<br />

comunista e “di sinistra”. <strong>La</strong> terza è che il processo di revisione rimase un fatto d’élite,<br />

mentre nel senso comune dei militanti e degli elettori comunisti e di sinistra<br />

continuò – e forse continua – a prevalere l’immagine <strong>della</strong> DC “partito americano”<br />

e “partito dei padroni”. L’ultima considerazione riguarda la storiografia. Credo di<br />

poter dire che con quegli scritti Amendola desse impulso al paradigma <strong>della</strong> complementarità<br />

fra DC e PCI nella storia <strong>della</strong> repubblica che, fatto proprio inizialmente<br />

da Scoppola, caratterizza una parte limitata ma molto significativa <strong>della</strong> storiografia<br />

<strong>politica</strong> degli ultimi venti anni favorendo nuove ricerche e l’acquisizione<br />

di risultati sempre più convincenti.<br />

192<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


<strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong>: una lezione attuale<br />

L’anniversario <strong>della</strong> morte del Servo di Dio don <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong> offre l’occasione<br />

a studiosi e collaboratori dell’istituto ‘<strong>Sturzo</strong>’, nonché estimatori e devoti del grande<br />

sacerdote di Caltagirone, di sostare ancora una volta a riflettere e pregare a partire<br />

dal suo messaggio e, nel contesto di una celebrazione, dalla lezione <strong>della</strong> sua vita.<br />

Il sentimento che sgorga spontaneo in questo momento è di gratitudine al Signore<br />

per il dono di questo testimone a cui generazioni di credenti e non credenti continuano<br />

a guardare attingendo luce, idee e coraggio per la presenza e l’impegno nella<br />

cultura, nella società e nella <strong>politica</strong>. Si rinnova, perciò, anche la preghiera che l’esemplarità<br />

<strong>della</strong> vita di don <strong>Luigi</strong> abbia il giusto riconoscimento da parte dell’intera<br />

comunità ecclesiale.<br />

Viene da pensare come proprio la celebrazione quotidiana <strong>della</strong> S. Messa abbia<br />

scandito il ritmo di vita di don <strong>Sturzo</strong>: un pensiero che colloca nella giusta <strong>dimensione</strong><br />

tante cose, anche la stessa ricorrenza che celebriamo, poiché è sempre Dio e il<br />

suo Cristo a stare al centro <strong>della</strong> nostra vita e dei nostri pensieri, anche in una giornata<br />

come questa. Del resto, così facendo, non solo non ci discostiamo, ma diamo<br />

se possibile ancora più spazio e attenzione alla figura di don <strong>Luigi</strong>.<br />

Oggi le letture bibliche ci chiedono un ascolto che non può essere rimosso e<br />

nemmeno piegato strumentalmente ad altri fini. In realtà ad ascoltare la Parola<br />

proclamata nella liturgia non facciamo altro che prestare attenzione a quel Dio attorno<br />

a cui ruotava anche tutto l’impegno del Servo di Dio, così da verificare che<br />

proprio questa apertura a Dio ci mette nella condizione spirituale idonea a comprendere<br />

di più e meglio lo <strong>Sturzo</strong> credente e sacerdote che in quella apertura ha<br />

posto l’anima di ogni sua intrapresa e attività.<br />

Raccogliamo soltanto il monito che ci viene dal testo <strong>della</strong> prima lettura (Gio<br />

4,1-11), la quale ci impressiona per la resistenza che Giona oppone all’idea e alla<br />

volontà di Dio di convertire e salvare cattivi e malvagi, i quali invece secondo lui<br />

non meriterebbero altro che condanna e perdizione. Viene fuori una immagine di<br />

Dio che, al contrario del suo profeta, ha compassione di una moltitudine di persone<br />

che «non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra». Non credo sia una<br />

forzatura vedere in don <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong> un prete che ha fatto propria la compassione<br />

di Dio verso folle di persone sempre più smarrite e disorientate. E soprattutto ve-<br />

* Segretario generale <strong>della</strong> Conferenza Episcopale Italiana.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

di Card. Mariano Crociata*<br />

193


Mariano Crociata<br />

dervi un richiamo nei confronti di chi si ammanta di un senso gretto di giustizia<br />

che non lascia nemmeno a Dio il potere di giudicare e di salvare e cerca alibi per<br />

sfuggire all’appello <strong>della</strong> responsabilità e del servizio.<br />

Con l’insegnamento sulla preghiera, il Vangelo (Lc 11,1-4) tocca un punto<br />

nevralgico <strong>della</strong> fede e dell’esperienza cristiana. Innanzitutto ci fa capire che pregare<br />

è pregare come Gesù e con Gesù. Egli ci suggerisce le parole e con esse l’atteggiamento,<br />

il cuore, le intenzioni per dire a Dio ‘Padre’. E il punto cruciale dell’esperienza<br />

credente, come innanzitutto e in modo unico per Gesù stesso, è sempre<br />

quello di guardare a Dio come a un Padre, di aprirsi a Lui come figli e di porsi in<br />

relazione come fratelli con coloro che dicono e pregano insieme a noi Dio Padre.<br />

Questo senso di figliolanza divina e di fraternità non facciamo fatica a trovarlo in<br />

fondo al sentire del Servo di Dio.<br />

<strong>La</strong> sua sensibilità sociale e la sua intelligenza e operosità <strong>politica</strong> nascono sul<br />

terreno di una fede solidamente radicata e di uno spirito sacerdotale vigile e coltivato<br />

con grande cura. Il messaggio essenziale che egli ha lasciato per noi credenti è,<br />

senza dubbio, che la dedizione nei confronti del prossimo, nella forma dell’attenzione<br />

responsabile alle dinamiche sociali e <strong>della</strong> carità <strong>politica</strong>, è <strong>dimensione</strong> ineliminabile<br />

<strong>della</strong> vocazione cristiana.<br />

Di fatto il suo percorso spirituale lo porterà gradualmente sempre di più a<br />

evidenziare il discreto ma formidabile legame che ha strutturato la sua coscienza e<br />

la sua esistenza tra la fede e l’essere prete e l’impegno sociale e politico, oltre che il<br />

senso di responsabilità pastorale 1 . Mi piace riascoltare con voi alcune citazioni che<br />

esprimono tale coscienza. Scrive nel 1926:<br />

194<br />

È superfluo dire […] che quasi trent’anni di mia attività […] per me è stato ed è ancora<br />

esplicazione di apostolato religioso e morale. Non avessi avuto questa convinzione e queste<br />

finalità, non avrei potuto conciliare le mie attività con il mio carattere sacerdotale e con la<br />

mia aspirazione unica di servire Dio 2 .<br />

E ancora nel 1928:<br />

Voi non credereste che la mia vocazione <strong>politica</strong> non fu per niente una vocazione, né un’aspirazione<br />

<strong>della</strong> mia giovinezza, né un’attrattiva fantastica o sentimentale; fu una conseguenza<br />

non cercata <strong>della</strong> mia attività religioso-sociale presso operai e contadini 3 .<br />

1 Cf. M. Naro, Con il Vangelo nascosto in petto: il cammino spirituale di <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong>, in...Senza<br />

pregiudizi né preconcetti per gli ideali di giustizia e di libertà, nella loro interezza, Memoria del novantesimo<br />

anniversario dell’ Appello ai liberi e forti (Caltagirone 27 febbraio 2009), Atti, pp. 13-42.<br />

2 Cit. ivi, p. 24.<br />

3 Cit. ibidem.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


E in ultimo un passaggio che apre uno squarcio sulla sua interiorità e sulla sua<br />

spiritualità:<br />

L’idea di Dio, se ci diventa abituale nella nostra giornata, in mezzo alla varietà <strong>della</strong> vita,<br />

come un’idea fondamentale, a cui siamo legati e di cui viviamo; se questa idea ci è destata<br />

da ogni cosa che ci tocca e ci fa gioire o addolora, di quanto ci alletta o ci respinge, allora il<br />

nostro spirito è abituato a sentirlo presente, ed è preparato a entrare in più intima comunicazione<br />

con lui con la preghiera 4 .<br />

Parole che si presentano come un commento involontario proprio alle pagine<br />

scritturistiche che abbiamo ascoltato, e che soprattutto rivelano un animo profondamente<br />

credente e uno spirito sacerdotale all’origine di un pensiero straordinariamente<br />

ricco e di un’azione culturale, sociale e <strong>politica</strong> di imponente fecondità.<br />

In tempi come i nostri la sua lezione risulta singolarmente attuale, innanzitutto<br />

per noi credenti. In certi ambiti di impegno, come quello sociale e politico,<br />

sembriamo mancare di sorgenti vive e di radici, a cui rispettivamente attingere linfa<br />

e su cui far crescere progetti di largo respiro. Mancano visioni e speranze, perché<br />

queste non si inventano sull’onda <strong>della</strong> cronaca spettacolarizzata, ma si nutrono di<br />

interiorità e spiritualità lungamente coltivate e accuratamente custodite. Senza l’alterità<br />

di una fede profonda e amata, difficilmente crescono figure cristiane significative,<br />

e in tutti i campi. E pensieri, visioni, speranze, progetti non sono mai solo<br />

prodotti intellettuali, bensì frutti di vita buona, quella vita buona secondo il Vangelo<br />

a cui i Vescovi italiani richiamano per un rinnovato impegno educativo.<br />

Anniversario <strong>della</strong> morte di <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong>. Roma, Chiesa di S. Agostino, 5 ottobre 2011<br />

4 Cit. ivi, pp. 33-34.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

Mariano Crociata<br />

<br />

195


ANNO I - N. 1/2004<br />

ANNO II<br />

ANNO III<br />

EUROPA SENZA CONFINI<br />

ISTITUTO “LUIGI STURZO”<br />

CIVITAS - (IV Serie)<br />

Gabriele De Rosa - Achille Silvestrini - Franco Nobili - <strong>Luigi</strong> Giraldi - Giorgio Tupini - Jean<br />

Dominique Durand - Roberto Morozzo <strong>della</strong> Rocca - Gorgio Bosco - Agostino Giovagnoli -<br />

Paola Pizzo - Marisa Ferrari Occhionero - Simona Andrini - Stefano Trinchese<br />

N. 1/2005<br />

LA DEMOCRAZIA MALATA<br />

Agostino Giovagnoli - Rudolf Lill - Jean Marie Mayeur - Pietro Scoppola - Carlo Mongardini<br />

- Savino Pezzotta - Andrea Bonaccorsi - Paolo Musso - Carlo Giunipero - Marco<br />

Impagliazzo - Ruggero Orfei - Giuseppe Merisi - Giovanni Pitruzzella - Leopoldo Elia -<br />

Nicola Mancino<br />

N. 2/2005<br />

LA LUNGA STAGIONE DELLA LIBERAZIONE<br />

Giulio Andreotti - Franco Nobili - Alfredo Canavero - Raoul Pupo - Corrado Belci -<br />

Agostino Giovagnoli<br />

RELIGIONI, MULTICULTURALISMO, LAICITÀ<br />

Milena Santerini - Renè Remond - Paolo Branca - Vincenzo Cesareo - Carlo Cardia<br />

N. 3/2005<br />

ECONOMIA E DEMOCRAZIA<br />

Piero Barucci - Andrea Bixio - Giampiero Cantoni - Innocenzo Cipoletta - Emmanuele<br />

Emanuele - Piero Giarda - Giovanni Marseguerra - Franco Nobili - Giuseppe Sangiorgi -<br />

Mario Sarcinelli - Bruno Tabacci - Antonio Zurzolo<br />

N. 1/2006<br />

NUMERI PRECEDENTI<br />

CHIESA E STATO IN ITALIA - IERI E OGGI<br />

Franco Nobili - Andrea Riccardi - Romeo Astorri - Maurizio Punzo - Giuseppe Dalla<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

197


ANNO IV<br />

198<br />

Torre - Francesca Margiotta Broglio - Giovanni Battista Varnier - Carlo Cardia - Camillo<br />

Ruini - Pietro Scoppola - Agostino Giovagnoli - Silvio Ferrari - Stefano Semplici - Francesco<br />

Totaro - Luciano Eusebi<br />

NUMERO SPECIALE – AFRICA: UN CONTINENTE TRA ABBANDONO E SPERANZA<br />

Franco Nobili - Mario Giro - Jean Leonard Touadi - Jean Mbarga - Stefano Picciaredda -<br />

Gianpaolo Cadalanu - Leonardo Palombi - Daniela Pompei - Robert Sarah - Boniface<br />

Mongo Mboussa - Éloi Messi Metodo - Robert Dussey<br />

N. 2-3/2006<br />

BIPOLARISMO IMPERFETTO<br />

Antonio Agosta - Andrea Bixio - Fedele Cuculo - Gianfranco D’Alessio - Giuseppe De Rita -<br />

Emmanuele F.M. Emanuele - Marco Follini - Enrico Letta - Franco Nobili - Andrea Riccardi<br />

- Mario Rusciano - Giuseppe Sangiorgi - Paolo Segatti - Pietro Scoppola - Bruno Tabacci<br />

N. 1/2007<br />

OLTRE IL WELFARE: LA SFIDA DELLE NUOVE POVERTÀ<br />

Card. Tarcisio Bertone - Stefano Bartolini - Leonardo Becchetti - Corrado Beguinot -<br />

<strong>Luigi</strong>no Bruni - Giuseppe De Rita - Franco Nobili - Renato Palma - Pierluigi Porta -<br />

Franco Riva - Giuseppe Sangiorgi - Silvio Scanagatta<br />

N. 2/2007<br />

ISLAM<br />

<strong>La</strong>houari Addi - Mustapha Cherif - Bahey El-Din Hassan - Mohamed Haddad - Hassan<br />

Hanafi - Kone Idriss Koudouss - Ahmad Syafii Maarif - Chandra Muzaffar - Paul Matar<br />

Mohammad Sammak - Ghassan Tueni - Mohamed Tozy - Abdul Magid - A. Karim Vakil<br />

N. 3/2007<br />

DOVE VANNO I CATTOLICI<br />

Franco Nobili - Andrea Riccardi - Mauro Magatti - Savino Pezzotta - Pierluigi Castagnetti<br />

- Gennnaro Acquaviva - Gianni Baget Bozzo - Paolo Corsini - Carlo Giunipero - Paola<br />

Bignardi - Lucia Fronza Crepaz<br />

RICORDO DI PIETRO SCOPPOLA<br />

Franco Nobili - Achille Card. Silvestrini - Andrea Riccardi - Eugenio Scalfari - Agostino<br />

Giovagnoli - Giuliano Ferrara - Francesco Malgeri - Alberto Melloni - Emma Fattorini<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


ANNO V<br />

ANNO VI<br />

N. 1/2008<br />

PERSONA E COSTITUZIONALISMO<br />

DIRITTI, DOVERI, SPERANZE<br />

Franco Nobili - Ugo De Siervo - Paolo Doni -Vittorio Possenti - Andrea Simoncini - Antonio<br />

Magliulo - Stefano Martelli - Valerio Onida - Franco Riva<br />

N. 2/3-2008<br />

LA CITTÀ<br />

URBS, CIVITAS... DIVERSITAS<br />

Franco Nobili - Corrado Beguinot - Gabriella Esposito De Vita - Giuseppe Limone - Antonella<br />

Greco - P. Gianfranco Berbenni - Massimo Clemente - Manuel Ferrer Regales -<br />

Vincenzo Scotti - Giuseppe Imbesi - Gianluigi Sartorio - Angela Poletti - Gianluca Giannini<br />

- Giuliana Quattrone - Franco Montanari - Filippo Barbera - Bianca Petrella - Francesco<br />

Alessandria - Franco Maceri - Francesco Forte - Carla Quartarone - Gabriella Padovano<br />

- Sergio Mattia - Alessandra Pandolfi - Giancarlo Nuti - Maria Venturini - Mirilia<br />

Bonnes - Vincenzo Cabianca - Giampiero Vigliano - Franco Riva<br />

N. 1/2009<br />

L’UNIONE PER IL MEDITERRANEO<br />

Giulio Andreotti - Jean-Dominique Durand - Claire Durand - Jaques Huntzinger - Emmanuel<br />

Dupuy - Jean Michel Debrat - Mohamed Bechari - Mostafa Cherif - Jean Claude<br />

Petit - Michele Zanzucchi - Bernard Sabella - Enric Olivé Serret - Emmanuele F.M. Emanuele<br />

- Apostolides Costas - Vincenzo Conso - Peter Seideneck - Arben Xhaferi -Enrico<br />

Salza - Giuseppe Cuccurese - Vittorio Ianari<br />

N. 2/3-2009<br />

LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA<br />

IL VENTO LUNGO DELLE ENCICLICHE<br />

Roberto Mazzotta - Storia: Bartolomeo Sorge - Franco Appi - Giuseppe Sangiorgi - Emmanuele<br />

F.M. Emanuele - Vincenzo Paglia- Giorgio Campanini - Angelo Sindoni - Ernesto<br />

Preziosi. Società: <strong>Luigi</strong> Campiglio - Giuliana Martirani - Sergio Parenti - Francesco<br />

Maietta - Franco Riva. Europa: Flavio Mondello. Mondo: Michel Camdessus - Antonio<br />

Tomassini. Il personaggio: Mario Giro.<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

199


ANNO VII<br />

N. 1/2010<br />

LA RIFORMA DELL’UNIVERSITÀ<br />

Opinioni a Confronto<br />

Roberto Mazzotta - Gian Paolo Brizzi - Andrea Graziosi - Andrea Bixio - Walter Tocci -<br />

Agostino Giovagnoli - Gennaro Carotenuto - Stefano Bancaleri - Enrico Decleva - Fulvio<br />

Cammarano - Documenti<br />

N.2/2010<br />

IL MONDO NELLA RETE. LIBERTÀ PRESUNTA?<br />

Roberto Mazzotta - Agostino Giovagnoli - Franco Riva - Andrea Granelli - Massimo Russo<br />

- Giorgio Zanchini-Mario Morcellini - Diana Gianola - Piero Dorfles - Claudio Maria<br />

Celli (Mons.) - Vittorio Sabadin - Amos Ciabattoni - Angelo Bagnasco (Card.) - Claudio<br />

Giuliodori (Mons.) - Chiara Giaccardi - Patrizia Severi - Opinioni a confronto<br />

ANNO VII-VIII<br />

200<br />

N. 3/2010-N. 1/2011<br />

I CATTOLICI<br />

STORIA E RAGIONI DI UNA PRESENZA<br />

Roberto Mazzotta - Agostino Giovagnoli - Francesco Malgeri - Mario Taccolini - Francesco<br />

Bonini - Ernesto Preziosi - Giuseppe Sangiorgi - Attilio Nicora (Card.) - Giuseppe<br />

Gervasio - Beppe Del Colle - Maurizio Regosa - Giuliano Amato - Giuseppe De Rita -<br />

Angelo Bagnasco (Card.) - Lorenzo Ornaghi - Andrea Riccardi - Alfredo Canavero -<br />

<strong>La</strong>ura Balestra - Amos Ciabattoni - Jean Mbaga (Mons.) - Jean Dominique Durand -<br />

Bartolo Ciaccardini<br />

Richieste e informazioni a:<br />

Tel. 06.68809223<br />

E-mail: redazione@rivistacivitas.it<br />

www.rivistacivitas.it<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011


Finito di stampare nel mese di dicembre 2011<br />

da Rubbettino print<br />

per conto di Rubbettino Editore Srl<br />

88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)<br />

www.rubbettinoprint.it


Tariffa Taariiffffaa<br />

RR.O.C.:<br />

OC:<br />

PPoste<br />

oos ste<br />

eiitaliane<br />

ta aliane<br />

e-<br />

SSpedizione<br />

pedizioneiin<br />

nAA.P.<br />

P DD.L.<br />

L 3353/2003<br />

53 3/<br />

200<br />

03(<br />

(conv. coonv<br />

in inL.<br />

L 227/02/2004<br />

7/ / 02/22004<br />

4nn.<br />

446)<br />

6)<br />

ar art. rt<br />

1<br />

co comma omma1<br />

1 - CN CNS/CBPA NS/<br />

CBB<br />

PA-<br />

SUD/CZ/121/2007 SUDD/<br />

D/<br />

CZ/1121/22007vva<br />

valida alidaddal<br />

al115/11/2007<br />

5/<br />

11/<br />

2000<br />

07-<br />

IIn<br />

nccaso<br />

asoddi<br />

immancato<br />

ancaattorrecapito<br />

eeccapitto<br />

oiinviare<br />

nnv viarre<br />

eaal<br />

lCCM<br />

CMP MPL<strong>La</strong>mezia<br />

ameziaTTerme<br />

eerrmepper<br />

erlla<br />

aRRestituzione<br />

estittu<br />

uzioneaal<br />

lmmittente<br />

ittt<br />

tennt<br />

tepprevio<br />

reevvioppagamento<br />

agaamm<br />

eennto<br />

rresi.<br />

eessi<br />

15 1 5<br />

<strong>La</strong><br />

formazione<br />

nel<br />

mmondo<br />

ondo<br />

ddel<br />

el<br />

llavoro<br />

avoroo<br />

<strong>La</strong><br />

formazione<br />

Formazione<br />

e lavoro lavo<br />

oro<br />

<strong>La</strong><br />

formazione<br />

dei<br />

quadri<br />

e il<br />

sindacato<br />

Claudio<br />

Gentili<br />

e dei<br />

dirigenti<br />

Editoriale<br />

<strong>La</strong><br />

fformazione<br />

ormazione<br />

nel<br />

mmercato<br />

ercato<br />

del<br />

lavoro<br />

L’impegno L’<br />

impegno<br />

del<br />

Sistema Sistt<br />

ema<br />

Confindustria<br />

per<br />

la<br />

formazione<br />

foo<br />

rmazione<br />

nell’esperienza<br />

nell’<br />

esperienza<br />

e nella<br />

storia<br />

<strong>della</strong><br />

CISL<br />

Mario<br />

SScotti<br />

cotti<br />

dell’energia dell’<br />

energia<br />

elettrica<br />

<strong>della</strong><br />

rrappresentanza<br />

appresentanza<br />

Donne<br />

e formazione<br />

R.<br />

Del<br />

Vecchio, Ve ecchio,<br />

imprenditoriale<br />

sindacale sindacale<br />

nnella<br />

ella<br />

CCISL<br />

ISL<br />

R.<br />

<strong>La</strong>medica,<br />

Costanza<br />

Patti<br />

Valeria Va aleria<br />

PPasseri<br />

assee<br />

ri<br />

D.<br />

Lucarella,<br />

C.<br />

Meazzi<br />

<strong>La</strong><br />

formazione<br />

sindacale<br />

Il<br />

mmanifesto<br />

anifesto<br />

in<br />

uun’organizzazione<br />

n’<br />

organizzazione<br />

<strong>della</strong><br />

fformazione<br />

ormazione<br />

socio-<strong>politica</strong>:<br />

Carlo<br />

BBarberis<br />

arberis<br />

il<br />

ccaso<br />

aso<br />

d<strong>della</strong><br />

ella<br />

CCGIL<br />

GIL<br />

Adolfo<br />

Braga<br />

Cittadinanza<br />

europea<br />

e <strong>politica</strong><br />

<strong>della</strong><br />

cultura<br />

Claudia<br />

Forgione<br />

Sindacalismo<br />

S i indacalis<br />

mo<br />

Trimestrale<br />

Luglio Luglio22011<br />

011<br />

Rivista<br />

di<br />

studi<br />

sulla<br />

rappresentanza<br />

del<br />

llavoro<br />

av voro<br />

nella<br />

ssocietà<br />

ocietà<br />

gglobale<br />

lobale<br />

Rubbettino<br />

03 03/2011 3/ / 2011<br />

Gianfranco Miglio<br />

L’ordine L’<br />

ordd<br />

ine<br />

bipolare bipolaree<br />

come<br />

forma fo orma<br />

di<br />

oordine<br />

rdd<br />

ine<br />

internazionale<br />

inte<br />

ernazionale<br />

Rivista RRivista<br />

di i Politica PPolitica liti<br />

Diretta Direttta<br />

da Alessandro Campi<br />

’<br />

Dalla Dallaa<br />

Humana HHu uumm<br />

ana<br />

Respublica Reessspp<br />

ubbl<br />

lliiicccaa<br />

Il<br />

federalismo fee<br />

deralismo<br />

ccome<br />

ome<br />

sscienza<br />

cienza<br />

alla alll<br />

a cr crisi ri isi<br />

ddell’ordinamento<br />

ell<br />

ordi<br />

inamenn<br />

to<br />

Stefano Stee<br />

fano<br />

B.<br />

Galli<br />

bipolare: bi ipolare<br />

e:<br />

MMiglio<br />

igl<br />

lioo<br />

e<br />

lla<br />

a p<strong>politica</strong><br />

oliticc<br />

a<br />

internazionale<br />

inn<br />

te ern<br />

nazii<br />

onale<br />

Alessandro Alessandroo<br />

Vitale<br />

Il<br />

decisionismo<br />

funzionale fuu<br />

nzionale<br />

di di<br />

Miglio Migll<br />

io<br />

Davide<br />

e G.<br />

Bianchi<br />

Il<br />

sogno<br />

impossibile<br />

di<br />

una<br />

nuova<br />

CCostituzione<br />

ostituzi<br />

ione<br />

per<br />

gli gll<br />

i italiani ita<br />

alii<br />

ani<br />

Fulco<br />

<strong>La</strong>nchester<br />

<strong>La</strong>ncc<br />

hester<br />

<strong>La</strong><br />

struttura struu<br />

ttuu<br />

raa<br />

fondamentale<br />

fo ondamentaa<br />

le e<br />

del<br />

Politico Politicc<br />

o nella<br />

visione<br />

scientifica scientii<br />

fi ica<br />

a di<br />

Miglio Migl<br />

lio<br />

Damiano<br />

Palano<br />

Miglio Migll<br />

io<br />

e Schmitt:<br />

il<br />

rischio ri isch<br />

hio<br />

del<br />

Politico<br />

Riccardo Riccardd<br />

o Cavallo<br />

Confessione Confee<br />

ssione<br />

ddi<br />

i uun<br />

n re realista ealista<br />

radicale raa<br />

dicaa<br />

le<br />

Alessandro Alessandroo<br />

Campi<br />

e<br />

Alessandro Alessandroo<br />

Vitale<br />

L’avventura L’<br />

avventu<br />

uraa<br />

iintellettuale<br />

nte<br />

ellettuale<br />

di<br />

un<br />

pensatore<br />

e scomodo<br />

e geniale:<br />

un<br />

ricordo ri icordo<br />

Marcello Marcc<br />

ello<br />

Staglieno<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

Ugo<br />

dde<br />

eSSiervo<br />

iervvo<br />

-<br />

L<strong>La</strong><br />

aCCorte<br />

orteCostituzionale<br />

Costituzionale<br />

nnel<br />

elnnostro<br />

ostrosi<br />

sistema stemacos<br />

costituzionale tituzionale<br />

.......................<br />

5<br />

FFabio<br />

abio Ra Ratto attoTTrabucco<br />

rabucco<br />

- -<strong>La</strong>ricerca<strong>della</strong>stabilitàdell’esecutivoinAssembleaCostituente:<br />

<strong>La</strong>riceercadelllaastabilitàdel<br />

llle’esecuttivoinAsssembleaCostituennte:<br />

iil<br />

lrrichiamo<br />

ichiamodel<br />

del<br />

l“modello<br />

“ mode<br />

ellloelvetico”<br />

el lv vetico”<br />

ttra<br />

rapparlamentarismo<br />

arlamm<br />

entarismoe<br />

e ppresidenzialismo.................<br />

reside<br />

enzialismo.................<br />

19<br />

SStefano<br />

tefanoFalco<br />

Falco-L’asse<br />

-L’<br />

’ asse<strong>della</strong><br />

delll<br />

ladiscordia.<br />

discordia.<br />

Signicato Signnicato<br />

e evalore<br />

vallore<strong>della</strong><br />

deell<br />

la<strong>dimensione</strong><br />

<strong>dimensione</strong><strong>politica</strong><br />

<strong>politica</strong><br />

ddestra/sinistra<br />

estra/<br />

sinistra<br />

................................................................................................................<br />

43<br />

GGiovanna<br />

iovaanna<br />

Angelini - Le<br />

correnti coo<br />

rrenti<br />

politiche<br />

ddel<br />

ell<br />

RRisorgimento...............................................<br />

isorgii<br />

menn<br />

to<br />

............................................... 67<br />

GGiuseppe<br />

iuu<br />

se eppe<br />

BBottaro<br />

ottaroo<br />

- <strong>La</strong> <strong>La</strong>a<br />

<strong>politica</strong><br />

estera es stera<br />

degli de egll<br />

iSStati<br />

tat<br />

tiUniti<br />

Un niti<br />

nell’analisi nel<br />

lll<br />

’aann<br />

alisi<br />

ddi<br />

iAl<br />

Alexis lexis<br />

de<br />

eTocqueville.......<br />

Too<br />

cquu<br />

ev ville.......<br />

89<br />

GGiuseppe<br />

iuu<br />

seppe<br />

Balducci Baldd<br />

ucci<br />

-e eRRole<br />

ole<br />

oof<br />

ftheEuropean<br />

the<br />

Eurr<br />

opeann<br />

Union Unn<br />

ion<br />

iin<br />

nCChina’s<br />

hina’<br />

s’s Ac Accession ccession<br />

tto<br />

ottheWTO........<br />

he<br />

WTO.<br />

. . . . . . . 101<br />

MMatteo<br />

atteo<br />

Ve Verda erdd<br />

a - Ri Risorse isorse<br />

naturali, natt<br />

urr<br />

ali,<br />

minoranze<br />

etniche ettn<br />

nich<br />

he<br />

e stabilità<br />

regionale regii<br />

onallee<br />

nel<br />

l Caucaso Caa<br />

ucaso<br />

ppost-sovietico<br />

ost<br />

sovietico<br />

..................................................................................................................<br />

123<br />

AAlessandroMadeddu-Osservazioni<br />

lee<br />

ssa<br />

androo<br />

Madeddu<br />

Osservazion<br />

issu<br />

u“<br />

“PrincipidelGovernorappresentativo”diBernard<br />

Prr<br />

incipi<br />

de elGover<br />

rno<br />

rappresen<br />

ntat<br />

tivo”<br />

diBernar<br />

d<br />

MManin<br />

anin<br />

. ......................................................................................................................................................... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149<br />

SSilvioBeretta<br />

illvv<br />

ioo<br />

Bere<br />

etta<br />

-PPresentazionedeiquattro res<br />

sen<br />

ntazione<br />

dei<br />

quu<br />

at tt tro<br />

vvolumi<br />

oluumm<br />

ide<br />

<strong>della</strong> elll<br />

annuova<br />

uoo<br />

vasserie“Asia<br />

erie<br />

“A Asia<br />

MMajor”all’<strong>Istituto</strong><br />

aj jor”<br />

alll’<br />

’ Iss<br />

titutt<br />

o<br />

LLombardo<br />

ombardo<br />

........................................................................................................................<br />

........................................................................................................................ 159<br />

Ja Japan-Politics, apa an-Politics,<br />

E EEconomics<br />

conomics<br />

and<br />

SSecurity<br />

ecurity<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

Pa Paolo aolo<br />

MMagri<br />

agrii<br />

-In -Introduction ntroduct<br />

tion<br />

..................................................................................................... 167<br />

FFranz<br />

ranz Wa Waldenberger aldenbergger<br />

- e e<br />

Japanese Jaa<br />

panese<br />

EEconomy.<br />

conomy.<br />

AAn<br />

n OOverview<br />

verview<br />

..........................................<br />

171<br />

CCarlo<br />

arll<br />

o Filippini<br />

-<br />

Ch Changing hangi<br />

ing<br />

Income In ncome<br />

Di Distribution stribution<br />

in<br />

Ja Japan apan<br />

.................................................. 176<br />

HHiroaki<br />

iroo<br />

aki RRichard<br />

ichardd<br />

Watanabe Wa atanabe<br />

- Japanese Japp<br />

anese<br />

Po Politics olitics<br />

un under der tthe<br />

he<br />

Hatoyama<br />

AAdministration...<br />

dministrat<br />

tion...<br />

180<br />

AAxel<br />

xel<br />

BBerkofsky<br />

erkk<br />

ofsky<br />

- Ja Japanese apanese<br />

FForeign<br />

oreign<br />

aand<br />

nd<br />

SSecurity<br />

ecur<br />

rity<br />

Po Policies olicies<br />

under un nder<br />

PPrime<br />

rime<br />

Mi MinisterYukio<br />

nisterYuk<br />

kio<br />

HHatoyama<br />

atoyama<br />

-S -Some ome<br />

CChanges,<br />

hanges,<br />

A<br />

Lo Lot ot<br />

of<br />

CContinuity<br />

ontinuity<br />

.........................................................<br />

183<br />

RRecensioni<br />

ece<br />

ensioni<br />

e<br />

se segnalazioni<br />

egnalazioni<br />

<br />

<br />

<br />

RIVISTE RRI RRI IIIIV<br />

IIVV<br />

VVI IIS ST TTE E

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!