La dimensione etica della politica - Istituto Luigi Sturzo
La dimensione etica della politica - Istituto Luigi Sturzo
La dimensione etica della politica - Istituto Luigi Sturzo
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
Civitas<br />
Rivista quadrimestrale di ricerca<br />
storica e cultura <strong>politica</strong><br />
Fondata e diretta da Filippo Meda<br />
(1919-1925)<br />
Diretta da Guido Gonella (1947)<br />
Diretta da Paolo Emilio Taviani<br />
(1950-1995)<br />
Quarta serie<br />
Diretta da Gabriele De Rosa<br />
(2004-2007)<br />
Diretta da Franco Nobili (2007-2008)<br />
«Civitas» “riprenderà il difficile impegno con la serietà<br />
ed il rigore che l’hanno contraddistinta nei momenti<br />
più travagliati e complessi.<br />
I temi riguarderanno problemi, eventi, prospettive<br />
<strong>della</strong> <strong>politica</strong> internazionale con un particolare riguardo<br />
alla vita italiana ed all’unità europea.<br />
... Il XX secolo ha lasciato tracce e impronte in Italia,<br />
in Europa e nel mondo, che sono in gran parte da scoprire e,<br />
per un certo verso, se non addirittura, da correggere,<br />
da meglio interpretare.<br />
Sarà anche questo un importante compito <strong>della</strong> nuova «Civitas»”.<br />
[Paolo Emilio Taviani, 18 febbraio 2000]<br />
Costo di un numero € 10,00<br />
Abbonamento a tre numeri € 25,00<br />
Abbonamento sostenitore € 250,00<br />
(Equivalente a 10 abbonamenti)<br />
C/c postale<br />
15062888 intestato a Rubbettino Editore, Viale Rosario<br />
Rubbettino, 10 - 88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)<br />
Bonifico bancario<br />
Banca Popolare di Crotone - Agenzia di Serrastretta<br />
C/C 120418 ABI 05256 CAB 42750<br />
Carte di credito<br />
Visa - Mastercard - Cartasì<br />
Pubblicità<br />
Pagina b/n € 1.500,00 - Per tre numeri € 3.500,00<br />
Registrazione<br />
Tribunale Civile di Roma<br />
n. 152 dell’8.04.2004<br />
Civitas<br />
è una pubblicazione<br />
dell’<strong>Istituto</strong> <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong><br />
Presidente<br />
Roberto Mazzotta<br />
Direttore Responsabile<br />
Agostino Giovagnoli<br />
Coordinatore Editoriale<br />
Amos Ciabattoni<br />
Comitato Redazione<br />
Andrea Bixio<br />
Walter E. Crivellin<br />
Mario Giro<br />
Flavia Nardelli<br />
Ernesto Preziosi<br />
Giuseppe Sangiorgi<br />
Segreteria Redazione<br />
Rita Proietti, Serena Torri<br />
Sede<br />
Via delle Coppelle, 35<br />
00186 Roma<br />
Tel. 06.68809223-6840421<br />
redazione@rivistacivitas.it<br />
www.rivistacivitas.it<br />
Editore<br />
Rubbettino<br />
Viale R. Rubbettino, 10<br />
88049 Soveria Mannelli<br />
Tel. 0968/6664275<br />
Fax 0968/662055<br />
periodici@rubbettino.it<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Indice<br />
ITALIA EUROPA EMERGENZE<br />
5 Presentazione – Roberto Mazzotta<br />
ITALIA<br />
9 Politiche per il Sud: dopo i troppi fallimenti, una nuova proposta –<br />
di Luca Bianchi e Stefano Prezioso<br />
17 Crescita o declino: dietro c’è sempre una scelta <strong>politica</strong> – di Giuseppe Alvaro<br />
33 Federalismo fiscale e Favor Familiae: un connubio strategico:<br />
35 Il contributo <strong>della</strong> famiglia al superamento <strong>della</strong> crisi – di Giorgia <strong>La</strong>tini<br />
37 Famiglia e federalismo fiscale – di Giulio M. Salerno<br />
43 Valore privato e pubblico <strong>della</strong> famiglia – di Gaspare <strong>Sturzo</strong><br />
49 Cinque opzioni per una cultura di governo – di Giuseppe Sangiorgi<br />
EUROPA<br />
57 Un processo irreversibile. L’Europa unita verso gli “Stati Uniti d’Europa” –<br />
di Amos Ciabattoni<br />
61 Credere nell’Unione europea. Sfida a scetticismo e populismo – di Flavio Mondello<br />
Intervista a cura di Amos Ciabattoni<br />
99 Il modello sociale europeo. Un fattore decisivo per superare la crisi –<br />
di Marco Ricceri<br />
123 Cos’è l’Europa? Fabbisogno di una cultura per l’unità europea – di <strong>La</strong>ura Balestra<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
3
Indice<br />
FOCUS<br />
143 <strong>La</strong> <strong>dimensione</strong> <strong>etica</strong> <strong>della</strong> <strong>politica</strong> – di Joaquín Navarro-Valls<br />
149 Famiglia ed <strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà. L’obbligo e la promessa – di Franco Riva<br />
STORIA E MEMORIA<br />
173 De Gasperi visto dal Pci – di Giuseppe Vacca<br />
193 <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong>: una lezione attuale – di Card. Mariano Crociata<br />
APPENDICE<br />
197 Numeri precedenti <strong>della</strong> IV serie
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
Presentazione<br />
Quando nel febbraio del 2000 Paolo Emilio Taviani consegnò la testata di<br />
Civitas all’<strong>Istituto</strong> <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong> di Roma accompagnò il lascito con un messaggio<br />
che si concludeva con un auspicio sul nuovo corso <strong>della</strong> Rivista: … «Il XX secolo ha<br />
lasciato tracce e impronte in Italia, in Europa e nel mondo, che sono in gran parte da<br />
scoprire e, per un certo verso, se non addirittura, da correggere. Sarà anche questo un<br />
importante compito <strong>della</strong> nuova Civitas».<br />
Successivamente la “quarta serie” <strong>della</strong> pubblicazione, curata dall’<strong>Istituto</strong> <strong>Luigi</strong><br />
<strong>Sturzo</strong> e diretta da Gabriele De Rosa, ha fatto, fin dal primo numero del 2004, di<br />
questo auspicio un impegno d’onore e l’ha mantenuto, alimentato e caratterizzato<br />
in tutte le trascorse sedici edizioni: e il presente numero ne è la conferma, per argomenti<br />
e attualità.<br />
Su questa strada Civitas intende continuare. <strong>La</strong> rivista occupa un posto di rilievo<br />
nella storia del movimento cattolico italiano, da Meda e Taviani a De Rosa, ed<br />
ha sempre mantenuto i tratti distintivi di una sensibilità civile aperta al confronto e<br />
insieme chiara nella propria identità cristiana e liberale.<br />
Nel pieno svolgimento di una crisi finanziaria grave che ci colpisce sempre più<br />
direttamente, la nostra condizione civile mostra debolezze impressionanti.<br />
Crisi determinata dalla gravità dei problemi che non trovano risposta né nella<br />
capacità del Governo né nella forza alternativa dell’opposizione.<br />
Questo grande vuoto dovrà essere riempito. Occorre intensificare gli sforzi per<br />
aggregare le energie positive di un Paese pieno di tanti problemi, ma straordinariamente<br />
ricco di energie e di opportunità.<br />
L’opera non sarà facile dopo una così lunga stagione negativa e richiederà, tra le<br />
tante condizioni, l’efficace presenza di nuclei di aggregazione culturale e sociale. <strong>La</strong><br />
Rivista seguirà con attenzione questi processi, darà conto delle iniziative allo scopo<br />
promosse dall’<strong>Istituto</strong> <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong>, essendo a tutti evidente l’indispensabile ed<br />
esemplare ruolo che dovrà essere giocato dalla grande tradizione sturziana.<br />
Roberto Mazzotta<br />
5
ITALIA<br />
Politiche per il Sud: dopo i troppi fallimenti, una nuova proposta - di Luca<br />
Bianchi e Stefano Prezioso<br />
Crescita o declino: dietro c’è sempre una scelta <strong>politica</strong> - di Giuseppe Alvaro<br />
Federalismo fiscale e Favor Familiae: un connubio strategico:<br />
Il contributo <strong>della</strong> famiglia al superamento <strong>della</strong> crisi - di Giorgia <strong>La</strong>tini<br />
Famiglia e federalismo fiscale - di Giulio M. Salerno<br />
Valore privato e pubblico <strong>della</strong> famiglia - di Gaspare <strong>Sturzo</strong><br />
Cinque opzioni per una cultura di governo - di Giuseppe Sangiorgi
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
Politiche per il Sud<br />
Dopo i troppi fallimenti,<br />
una nuova proposta*<br />
<strong>La</strong> mancata convergenza del PIL pro-capite meridionale,<br />
che staziona da 60 anni intorno al 60% del Centro-<br />
Nord, contribuisce ad ingenerare un clima di scetticismo<br />
diffuso che investe, oramai, sia le possibilità di inserimento<br />
competitivo nei mercati internazionali delle<br />
risorse imprenditoriali private, sia l’efficacia delle politiche<br />
regionali perseguite, quest’ultime, attraverso risorse<br />
di origine comunitaria o nazionale. Eppure lo<br />
sforzo prodotto dalla c.d. Nuova Programmazione<br />
(NP), l’ultimo tentativo di ampia portata per aggredire<br />
la “Questione Meridionale” avviato oltre dieci anni fa, è<br />
stato veramente poderoso, sotto il profilo intellettuale<br />
che delle risorse messe in campo. Si valuta che in circa<br />
dieci anni sono state impiegate risorse complessive per<br />
oltre 100 mld. di euro, circa il 40% di quanto globalmente<br />
speso dall’Intervento Straordinario, ma su un<br />
orizzonte temporale ben più lungo (circa 40 anni). Nel<br />
momento in cui si sta faticosamente avviando il nuovo<br />
ciclo di programmazione 2007-2013 appare quindi<br />
cruciale capire se gli scarsi successi del precedente siano<br />
dovuti esclusivamente a fattori esterni (i.e. bassa crescita<br />
del Paese nel suo complesso) o se vi fosse, invece, un<br />
errore nelle ipotesi sottostanti la NP, che ne hanno limitato<br />
l’efficacia. L’analisi da noi sviluppata nel contributo<br />
citato in nota, e qui sint<strong>etica</strong>mente riportata, sembra<br />
confermare, pur tendendo conto dei fattori esterni citati,<br />
quest’ultima idea.<br />
* Le argomentazioni qui presentate sono tratte da un articolo degli<br />
autori pubblicato in E.Barucci, C. De Vincenti, M. Grillo (a cura di), Idee<br />
per l’Italia. Mercato e Stato, Brioschi, Milano 2010.<br />
LUCA BIANCHI<br />
Vice Direttore Svimez<br />
STEFANO PREZIOSO<br />
Ricercatore Svimez<br />
≈<br />
«Il divario Nord-<br />
Sud non può<br />
essere riproposto<br />
nei termini<br />
tradizionali di un<br />
riallineamento<br />
delle strutture<br />
economiche e<br />
sociali, ma in<br />
termini di<br />
individuazione di<br />
percorsi autonomi<br />
di sviluppo,<br />
sostenuti da<br />
politiche nazionali<br />
che ne favoriscano<br />
il tracciato»<br />
≈<br />
9
Luca Bianchi - Stefano Prezioso<br />
Gli elementi influenti: ipotesi<br />
Le due ipotesi che hanno maggiormente influenzato il precedente ciclo programmatorio,<br />
in larga parte riconducibile alle idee <strong>della</strong> “Nuova Programmazione”<br />
(NP), possono essere così riassunte:<br />
– Prima ipotesi: il Sud non presenta problemi diversi dal resto del Paese, ma ha le<br />
stesse difficoltà solo in forma più accentuata. In realtà, i due shock che hanno marcato<br />
l’ultimo quindicennio – euro e globalizzazione – hanno determinato una crescente<br />
divaricazione dell’intero sistema produttivo tra le due macro-aree. Sebbene<br />
nello spazio di questo breve documento non possono, ovviamente, essere riportate<br />
le analisi 1 alla base di tale giudizio, il seguente dato, tuttavia, è assai esemplificativo.<br />
A partire dal biennio 1996/’97, ovvero in coincidenza con l’avvio <strong>della</strong> stabilità<br />
valutaria, la progressiva incapacità del sistema produttivo meridionale di adattarsi<br />
al nuovo contesto competitivo ha determinato un raddoppio dei flussi migratori<br />
netti dal Mezzogiorno verso il resto del Paese: da circa 30.000 unità all’anno ad oltre<br />
60.000. Se a questi si aggiungono i circa 150.000 meridionali interessati da fenomeni<br />
di pendolarismo, si arriva a flussi migratori paragonabili a quelli degli anni<br />
’50/’60. È questo il dato che, nel suo insieme, indica con più forza come lo sviluppo<br />
autonomo delle imprese meridionali, in assenza di correttivi robusti indotti dalla<br />
policy, non goda di una sufficiente capacità di trazione.<br />
Il processo di integrazione di mercati, divenuto più manifesto proprio dalla<br />
metà dello scorso decennio, ha accentuato le differenze tra i sistemi produttivi del<br />
Nord e del Sud. In questa fase, i limiti impliciti nel modello del sistema produttivo<br />
italiano sono divenuti più stringenti.<br />
A fronte di essi, nelle regioni centro settentrionali sono emersi alcuni segnali<br />
di discontinuità con il modello precedente, passaggio agevolato dal vasto bacino di<br />
“imprenditorialità diffusa” ivi accumulatosi nel corso del tempo Le imprese che<br />
hanno conseguito i risultati migliori presentano una quota relativamente elevata di<br />
investimenti destinati al rafforzamento <strong>della</strong> componente extra-produttiva dell’organizzazione<br />
(design, marketing, ecc.). Tali funzioni, orientate all’elevamento nella<br />
qualità dei prodotti (upgrading), hanno permesso di differenziare i prodotti riposizionandoli,<br />
di conseguenza, nei segmenti più elevati e più aperti all’export.<br />
Ciò non è avvenuto nel Mezzogiorno, dove anche gli elementi di vitalità<br />
emersi alla fine degli anni ’90, senza uno specifica <strong>politica</strong> selettiva di accompagnamento,<br />
si sono in larga misura affievoliti o spenti. L’industria, e più in generale<br />
l’intero sistema produttivo meridionale ha seguito in questi anni un pattern diffe-<br />
1 Si veda, in proposito S. Prezioso, Problemi di sviluppo e “diversità” dell’industria italiana: la posizione<br />
del Mezzogiorno, «QA-Rivista dell’Associazione Rossi-Doria», n.3/4 2008, pp. 105-153.<br />
10<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Luca Bianchi - Stefano Prezioso<br />
rente. I dati di export delle imprese meridionali confermano questa ipotesi, evidenziando<br />
un costante e significativo aumento di peso dei settori caratterizzati dalla<br />
presenza di forte economie di scala, macro-branca peraltro quasi prevalentemente<br />
composta da grandi imprese a proprietà esterna all’area. L’incidenza dell’export<br />
delle produzioni di scala sulle vendite all’estero complessive dell’area meridionale è<br />
passata dal 49,8% degli anni 2001-2003 al 60,9% registrato nel 2007. Di converso,<br />
il raggruppamento costituito dalle produzioni tradizionali, in cui sono essenzialmente<br />
ricomprese le attività del made in Italy, ha perso, nello stesso periodo,<br />
quasi dieci punti percentuali: dal 29,3% al 19,6%; fenomeno, soprattutto, che non<br />
si è verificato nel Centro-Nord.<br />
Egualmente, l’analisi dei processi di trasformazione del settore terziario negli<br />
ultimi dieci anni evidenzia andamenti profondamente diversi tra le due aree. Le<br />
nuove tecnologie informatiche e di comunicazione, permettendo collegamenti virtuali<br />
tra produttori e utilizzatori senza vincoli di contiguità, hanno avuto un impatto<br />
assai rilevante sui processi di localizzazione dei settori terziari che hanno progressivamente<br />
favorito le agglomerazioni urbane delle regioni centro settentrionali.<br />
Gli aspetti citati oltre a contribuire a rafforzare la tesi di una diversità tra i due<br />
sistemi, sembra indebolire anche la prospettiva di uno sviluppo endogeno del Mezzogiorno,<br />
basato sulla semplice riattivazione delle risorse inutilizzate già disponibili<br />
sul territorio. Sul piano <strong>della</strong> <strong>politica</strong> economica, negare tale ipotesi significa ridare<br />
centralità all’obiettivo, accantonato dalla NP, di ampliare l’accumulazione di capitale<br />
produttivo attraverso l’attrazione di investimenti esterni all’area.<br />
– Seconda ipotesi: ha fatto da background alla NP ed è relativa alla sfera istituzionale.<br />
Si è adottata una governance fortemente incentrata sul rilancio <strong>della</strong> soggettività<br />
territoriale quale mezzo per accrescere il capitale sociale dell’area. Un indubbio<br />
merito <strong>della</strong> riflessione teorica avviatasi con la NP è stato di richiamare l’attenzione<br />
sulla minore dotazione di capitale sociale che tuttora caratterizza il Meridione quale<br />
elemento fortemente ostativo ad un più rapido sviluppo dell’area. In particolare,<br />
la NP per accrescere quantità e qualità delle relazioni fiduciarie all’interno del<br />
Mezzogiorno, ha adottato una governance fortemente incentrata sul rilancio <strong>della</strong><br />
concertazione territoriale perseguita in maniera capillare (procedurale e premiale)<br />
per quanto attiene destinazione e ripartizione delle risorse. Tuttavia, l’insufficiente<br />
presenza nel Sud di capitale sociale ha assunto una forma particolare, fortemente<br />
pervasiva, in grado di modificare significativamente le relazioni economiche tra gli<br />
agenti. È dimostrato in letteratura che affinché un mercato sia efficiente è necessario<br />
che le regole informali e/o le norme sociali che definiscono la struttura degli incentivi<br />
di una società renda conveniente lo scambio impersonale, il meccanismo<br />
che garantisce costi di transazione relativamente bassi. Nel Mezzogiorno, invece,<br />
risultano più diffusi gli scambi fondati su rapporti personali, incentrati su forti relazioni<br />
reciproche, che danno luogo a fenomeni di “intermediazione impropria”<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
11
Luca Bianchi - Stefano Prezioso<br />
(Barucci P., Mezzogiorno e intermediazione “impropria”, Il Mulino, 2008) cui è collegata<br />
la presenza di esternalità negative, asimmetrie informative, comportamenti<br />
opportunistici, ovvero le fonti delle differenze nei costi di transazione.<br />
Il fallimento <strong>della</strong> Nuova Programmazione<br />
In qualche misura, quindi, la scelta <strong>della</strong> Nuova Programmazione di coinvolgere<br />
nei processi decisionali le classi dirigenti locali a tutti i livelli, sebbene volta ad accrescere<br />
il capitale sociale dell’area, non ha intaccato le rendite associate all’“intermediazione”<br />
<strong>politica</strong> esercitata in ogni ambito istituzionale, finendo per essere<br />
essa stessa motivo del fallimento delle politiche di sviluppo. <strong>La</strong> primaria responsabilità<br />
nella conduzione <strong>della</strong> <strong>politica</strong> di coesione assegnata dalla NP alle Regioni ha<br />
portato in un contesto in cui i politici locali sono sottoposti all’“assedio di chi domanda<br />
posti e sussidi” (M. Salvati su «Il corriere <strong>della</strong> Sera», del 26 novembre 2009)<br />
a privilegiare, nella preoccupazione di rispondere a tutte le richieste territoriali e settoriali,<br />
una “dispersione” dell’intervento 2 . Non a caso, un giudizio oramai condiviso<br />
individua i principali limiti del precedente impianto programmatorio: a) nell’incapacità<br />
di coordinamento tra Regioni e tra Regioni e Amministrazioni centrali soprattutto<br />
sui grandi progetti infrastrutturali; b) eccessiva frammentazione degli interventi;<br />
c) difficoltà nel fare progetti integrati con un conseguente largo uso di progetti<br />
sponda. Si tratta di criticità relative al precedente ciclo di programmazione<br />
2000-2006 condivise dalla maggioranza degli esperti e, in parte richiamate anche<br />
nei documenti di impostazione del nuovo Quadro Comunitario di Sostegno 2007-<br />
2013. Stupisce che l’impostazione del nuovo “Quadro Strategico Nazionale” non<br />
abbia sino ad oggi fatto registrare discontinuità significative. Questo è facilmente riscontrabile<br />
in molti Programmi Operativi Regionali del Mezzogiorno che tendono a<br />
replicare un modello rivelatosi inadatto rispetto alla finalità primaria <strong>della</strong> programmazione<br />
europea per le aree in ritardo di sviluppo: l’obiettivo <strong>della</strong> convergenza.<br />
I cardini delle politiche di sviluppo: proposte<br />
<strong>La</strong> proposta da noi avanzata riporta la tematica delle politiche di coesione<br />
nell’alveo tradizionale delle politiche di sviluppo. I vincoli per la crescita del Mezzogiorno<br />
riguardano ancora oggi: infrastrutture, scala di attività delle imprese relativamente<br />
minore, insufficiente presenza di produzioni innovative. Per intervenire<br />
su tali determinanti si ipotizza la costituzione di un centro di programmazione e<br />
2 Si veda, in proposito, L. Bianchi e G. Provenzano, Ma il cielo è sempre più su?, Castelvecchi edi-<br />
tore, Roma 2010.<br />
12<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
attuazione finanziaria dei “grandi progetti”, avente caratteristiche di piena indipendenza<br />
ed elevata professionalità. L’attività dovrebbe svolgersi attraverso due<br />
Fondi, per le infrastrutture e per la promozione dell’innovazione delle PMI, in cui<br />
convogliare una parte delle risorse aggiuntive (nazionali e regionali). Potrebbero essere<br />
mutuate alcune modalità operative previste dal progetto Industria 2015: 1)<br />
destinare le risorse direttamente ai progetti e non alle Amministrazioni, identificando<br />
un responsabile dotato di competenze nel campo e reputazione; 2) privilegiare<br />
alcune aree di intervento definite ex ante; 3) identificare un responsabile del<br />
progetto; 4) creare un’Agenzia esterna alle Amministrazioni che individui, tramite<br />
un meccanismo di “public consultation”, iniziative condivise. Ciò che dovrebbe<br />
rappresentare un’importante cesura con il passato è che questa Agenzia dovrebbe<br />
poter decidere, in via esclusiva, su almeno una parte (consistente) dei fondi FAS. A<br />
tali risorse potrebbero aggiungersi quelle messe a disposizione dalle Regioni che<br />
dovrebbero farvi confluire una quota apprezzabile delle risorse del FAS regionale e,<br />
su singoli progetti, anche risorse comunitarie. Il modello finanziario potrebbe essere<br />
quello utilizzato per l’Accordo sul Fondo ammortizzatori sociali nel quale, attraverso<br />
un accordo tra Stato e Regioni, confluiscono risorse FAS nazionali, regionali,<br />
e risorse europee. Si insiste, accanto alla costituzione di un “salvadanaio”, sull’esigenza<br />
di una tecno-struttura con elevate competenze progettuali e decisionali al fine<br />
di non ripetere gli errori del passato.<br />
I Fondi e i vincoli<br />
Luca Bianchi - Stefano Prezioso<br />
Il primo Fondo dovrebbe aggredire un primo vincolo: quello <strong>della</strong> difficoltà a<br />
realizzare infrastrutture nel Mezzogiorno. Esiste infatti un problema più generale<br />
di incapacità di governance nella gestione di interventi di elevata <strong>dimensione</strong> che<br />
riguarda non solo le amministrazioni ordinarie regionali. Basti pensare che nel Piano<br />
Operativo Nazionale Trasporti, gestito dal Ministero Infrastrutture, la quota di<br />
progetti cosiddetti “coerenti” supera il 70%. Si tratta in sostanza di progetti di fatto<br />
già previsti e che dunque perdono la natura di intervento aggiuntivo volto a ridurre<br />
il gap infrastrutturale. Il modello a cui ispirarsi potrebbe essere quello dei<br />
c.d. Fondi Sovrani. Com’è noto, i principali caratteri distintivi che individuano<br />
queste organizzazioni sono la possibilità di perseguire obiettivi economici definiti<br />
dall’Autorità Pubblica “proprietaria” del Fondo; avere un orizzonte temporale di<br />
medio-lungo periodo; assumere rischi maggiori rispetto ai normali investitori. Nel<br />
momento in cui le risorse per le infrastrutture fanno capo ad un responsabile unico<br />
e chiaramente individuato, e queste non sono più oggetto di una mediazione infinita<br />
tra i vari livelli istituzionali, sarebbe anche possibile offrire una concreta possibilità<br />
di partnership sia ad Enti quali la Cassa depositi e Prestiti – che proprio da<br />
poco ha mutato il suo assetto giuridico per finanziare, tra l’altro, le opere pubbli-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
13
Luca Bianchi - Stefano Prezioso<br />
che – sia a Fondi o banche d’investimento che operano nelle infrastrutture, assicurando<br />
da parte dello Stato un contributo in termini di integrazione delle tariffe siano<br />
esse ferroviarie o autostradali per i decenni successivi.<br />
Il secondo Fondo cui sono attribuite le risorse FAS non opera direttamente,<br />
ma investe in fondi private equity cui spetta la selezione del progetto e fornire, sotto<br />
forma di incentivi, una parte delle risorse necessarie all’investimento; mentre<br />
un’altra quota è fornita dagli intermediari finanziari tradizionali. Il sistema di valutazione<br />
in itinere adottato dal “Fondo” potrebbe ispirarsi a quanto fatto dall’agenzia<br />
di promozione svedese NUTEK in casi simili. L’incentivo, erogato in fasi temporali<br />
distinte, verrebbe condizionato al perseguimento di determinati obiettivi:<br />
i.e. incrementi prestabiliti di fatturato e/o vendite (conditional loans). L’accesso alle<br />
risorse del Fondo, e anche questo rappresenterebbe un elemento di novità non<br />
da poco, non è soggetto alle graduatorie tipiche delle altre leggi di incentivazione.<br />
L’incertezza nei tempi di erogazione e la possibilità che le risorse assegnate siano revocate<br />
diminuiscono, da un lato, l’interesse per gli incentivi e, dall’altro, ne compromettono<br />
l’efficacia. È l’approvazione del progetto da parte del “Fondo”, contestualmente<br />
alla presenza di una banca quale co-finanziatore, che dà luogo all’erogazione,<br />
fermo restando il precedente meccanismo di controllo in itinere. Altro<br />
obiettivo del Fondo è quello di aggredire ’ultimo vincolo sul quale si vuole richiamare<br />
l’attenzione: la costruzione di un nucleo di imprese specializzate in produzioni<br />
innovative con un elevato contenuto tecnologico. Anche in questo campo la policy<br />
non ha conseguito risultati apprezzabili. L’altra gamba del Fondo dovrebbe<br />
avere proprio l’obiettivo di “scovare” progetti potenzialmente interessanti e proporli<br />
ad aziende che operano in campi affini. Si tratterebbe di un caso di diversificazione<br />
correlata (entrata in nuovi settori che presentano sinergie tecnologiche o<br />
commerciali con quelli in cui l’impresa era già operante) che ha avuto nella storia<br />
recente <strong>della</strong> nostra industria un’apprezzabile diffusione<br />
Questo genere di interventi non devono considerarsi alternativi a forme quali<br />
lo start-up largamente evocato per l’avvio di nuove imprese. Bisogna però tenere<br />
presente che, ad esempio, l’Art 106 <strong>della</strong> L. 388/2000 prevedeva dei fondi per lo<br />
sviluppo di imprese innovative nelle aree svantaggiate; fondi a tutt’oggi largamente<br />
inutilizzati. Con il coinvolgimento di imprese già attive si vuole garantire che non<br />
vi sia un problema di deal flow, ovvero un insufficiente numero di progetti. In questo<br />
caso, l’Agenzia potrebbe investire le risorse pubbliche in Fondi di Venture Capital,<br />
riservandosi compiti di indirizzo e controllo. Si tenga presente, inoltre, che,<br />
analogamente a prima, il coinvolgimento degli intermediari finanziari intorno ad<br />
iniziative simili può risultare meno complicato di quanto possa apparire a prima<br />
vista, in quanto diversi Istituti si sono già attrezzati per fornire finanziamenti “tagliati”<br />
su investimenti fortemente innovativi.<br />
14<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Le proposte elencate non esauriscono certo il ventaglio degli interventi necessari<br />
per rilanciare la competitività del Mezzogiorno, ma rappresentano una sorta di<br />
ritorno ai fondamentali. Il divario Nord-Sud non può essere riproposto nei termini<br />
tradizionali di un riallineamento delle (due) strutture economiche e sociali, ma in<br />
termini di individuazione di percorsi autonomi di sviluppo, sostenuti da politiche<br />
nazionali che ne favoriscano il tracciato. Le politiche pubbliche di sostegno devono<br />
quindi riqualificarsi all’interno di un tale orizzonte, concentrando le risorse a favore<br />
dei fattori di imprenditorialità pubblica e privata, adottando la trasparenza delle<br />
regole che governano i mercati e con piani di intervento di medio lungo periodo in<br />
grado di sottrarsi alla logica dell’emergenza. <strong>La</strong> tesi da noi sviluppata è che l’intervento<br />
economico e finanziario per quanto necessario non è di per sé sufficiente se<br />
non viene accompagnato da modifiche profonde nella “governance istituzionale”.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
Luca Bianchi - Stefano Prezioso<br />
<br />
15
Crescita o declino:<br />
dietro c’è sempre una scelta <strong>politica</strong><br />
L’argomento <strong>della</strong> posizione del nostro sistema economico<br />
in Europa e nell’ambito del processo di globalizzazione<br />
appare del tutto irrilevante rispetto alla questione<br />
che da qualche mese imperversa su quotidiani e<br />
settimanali e che coinvolge, guarda caso, le vicende<br />
personali <strong>della</strong> vita del Capo del Governo.<br />
Non siamo ancora del tutto usciti dalla grave crisi finanziaria<br />
che ha investito il mondo, non siamo ancora<br />
riusciti a creare e adottare misure e strumenti per proteggerci<br />
dalle manifestazioni di altre crisi e tutto ciò<br />
nei media non assume la durevole rilevanza che questi<br />
problemi meritano per le loro implicazioni sul mondo<br />
del lavoro e sulla crescita delle imprese.<br />
Abbiamo un’economia stagnante e nessuno, tranne<br />
qualche episodico richiamo giornalistico dalla durata<br />
di un giorno, dibatte in termini puntuali e <strong>politica</strong>mente<br />
credibili quali interventi effettuare per uscire<br />
da questa fase di stallo.<br />
Viviamo in un contesto europeo pieno di profondi<br />
squilibri economici e sociali, di squilibri <strong>della</strong> produttività,<br />
che tendono a mettere a rischio la sopravvivenza<br />
<strong>della</strong> stessa Unione Europea e nessuna forza <strong>politica</strong><br />
dimostra la volontà di affrontare con la dovuta profondità<br />
conoscitiva tali questioni.<br />
Un bivio di portata storica<br />
Stanno accadendo ai nostri confini sconvolgimenti politici,<br />
economici, religiosi di natura epocale, che ci riguardano<br />
e ci investono direttamente e scopriamo di trovarci in as-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
GIUSEPPE ALVARO<br />
Facoltà di Statistica<br />
dell’Università<br />
di Roma<br />
“<strong>La</strong> Sapienza”<br />
≈<br />
«L’aspetto che in<br />
questo periodo<br />
appare più<br />
inquietante è che<br />
nel Paese si è<br />
quasi perduta la<br />
sensibilità<br />
culturale nei<br />
confronti dei temi<br />
etici, economici,<br />
sociali dal cui<br />
vivificante<br />
intreccio dovrebbe<br />
derivare la<br />
definizione <strong>della</strong><br />
Politica e, per tal<br />
via, la crescita<br />
<strong>della</strong> Società nella<br />
prospettiva del<br />
futuro».<br />
≈<br />
17
Giuseppe Alvaro<br />
senza di una strategia <strong>politica</strong> per il governo di tali mutamenti, come lo dimostra,<br />
sul drammatico problema dell’immigrazione, la posizione di chiudersi nel proprio<br />
bunker a difesa dello stato di benessere acquisito che, con inusitata prontezza, è<br />
emersa a livello europeo.<br />
È una risposta, questa, che peraltro, ci fa capire che l’Europa non ha ancora<br />
percepito di trovarsi davanti ad un bivio di portata storica. Se lo sbocco <strong>della</strong> rivoluzione<br />
in corso nei paesi del nord Africa dovesse, infatti, essere dominato dalle<br />
forze islamiche, presto noi europei verremmo a trovarci schiacciati fra la morsa<br />
di una globalizzazione guidata dai paesi asiatici e la islamizzazione dei nostri<br />
confini meridionali. Invece, se lo sbocco dovesse segnare il sopravvento del desiderio<br />
di libertà di queste terre, saremmo all’inizio di un percorso che potrebbe<br />
portare al raggiungimento dell’obiettivo più prestigioso, più ambizioso, più esaltante<br />
di questo secolo: la nascita, la crescita e il consolidamento <strong>della</strong> democrazia<br />
nei paesi del nord Africa e del medio oriente, alimentata dal dialogo tra le varie<br />
religioni.<br />
Davanti a questo bivio l’Europa deve trovare la forza <strong>politica</strong> per dimostrare la<br />
sua unitaria volontà di aiuti, di sostegni e di interventi nella direzione di promuovere,<br />
stimolare e consolidare tale processo.<br />
Ove tale unità <strong>politica</strong> non riuscisse a trovarla, e, a mio parere, oggi non appare<br />
in grado di trovarla, non è difficile prevedere che per l’Unione Europea inizierebbe<br />
un lento, irreversibile declino che porterebbe al suo dissolvimento, come avvenne<br />
per l’Unione monetaria latina che, nata nel dicembre del 1866 con Francia, Belgio,<br />
Italia e Svizzera, a cui nel tempo aderirono altri Paesi quali Spagna, Grecia, Romania,<br />
Austria-Ungheria, si dissolse nel 1927, perché non riuscì a dominare gli eventi<br />
politici, monetari e finanziari di quel periodo, per mancanza di unità <strong>politica</strong>..<br />
Per quanto riguarda il nostro Paese, gli avvenimenti in corso nei paesi del Nord<br />
Africa fanno emergere la mancanza di politiche programmatiche di natura strutturale,<br />
come si evince dal fatto che non solo non siamo riusciti a realizzare, ma nemmeno<br />
a definire una <strong>politica</strong> volta a produrre la riduzione <strong>della</strong> nostra dipendenza<br />
da un’area <strong>politica</strong>mente instabile, quale quella del nord Africa e del medio oriente,<br />
del bene fondamentale per la crescita di una Società: l’energia.<br />
In compenso, però, quando l’instabilità <strong>politica</strong> si manifesta in tutta la sua portata<br />
di violenza, assistiamo a un’affollata passerella, costituita da coloro che nel passato,<br />
pur avendo potuto, non hanno preso mai le dovute decisioni, per sentir dire,<br />
oggi, che loro sono sinceramente preoccupati per le gravi, negative conseguenze che<br />
si possono registrare nel Paese a causa del mancato rifornimento delle necessarie<br />
fonti energetiche.<br />
Quanta ipocrisia <strong>politica</strong>! Questa loro preoccupazione avrebbero dovuto dimostrarla<br />
nel momento in cui dal Paese erano stati eletti per decidere e non nel momento<br />
in cui gli effetti perversi conseguenti alle loro mancate decisioni li sta pagando,<br />
nella quotidianità <strong>della</strong> vita, la gente comune.<br />
18<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Ma l’apice dell’ipocrisia <strong>politica</strong> si raggiunge quando, nel pieno degli eventi<br />
perversi, questi stessi uomini continuano a decidere… di non decidere, con l’aggravante<br />
anche di ostacolare chi decidere vuole!<br />
I mutamenti e la società del futuro<br />
Giuseppe Alvaro<br />
Nessuno, a nessun livello, sembra avere voglia di lavorare intorno ad un modello<br />
di Società di medio e lungo periodo, di proporre elaborazioni, definizioni di<br />
metodi e strumenti d’intervento utili per superare le attuali forme di crisi, in termini<br />
coerenti con i mutamenti degli scenari internazionali, oggi prevedibili.<br />
Mutamenti che, se leggo bene i segnali che emergono, tendono a marginalizzare<br />
sempre più il nostro Paese.<br />
Abbiamo dinanzi a noi problemi immensi sul piano degli assetti produttivi e su<br />
quello delle condizioni economiche e sociali dei lavoratori nella fabbrica e tutto è<br />
visto come un problema circoscritto alla trattativa sindacati-Fiat.<br />
Nessuna forza <strong>politica</strong> dibatte nei suoi aspetti più generali la via da seguire, gli<br />
strumenti da adottare per realizzare i necessari incrementi di produttività volti ad<br />
assicurare al nostro sistema produttivo quelle condizioni di competitività richieste<br />
dalle e nelle transazioni internazionali, nel rispetto dei diritti acquisiti dal lavoro in<br />
campo sociale.<br />
A fine dell’anno scorso sono state pubblicate nel più diffuso quotidiano nazionale<br />
le tabelle concernenti il rapporto pensione-retribuzione. Nei prossimi 25-30<br />
anni la pensione di un lavoratore dipendente è prevista scendere sotto il 50% <strong>della</strong><br />
retribuzione e quella di un parasubordinato scendere al 14%. Nessuno si sta ponendo<br />
le domande: cosa fare oggi per evitare che ci s’incammini verso il prossimo<br />
futuro caratterizzato dalla prevedibile presenza di un grosso esercito di poveri? È<br />
questa la società che vogliamo costruire?<br />
Sono questi i problemi che stanno davanti a noi e che occorre oggi affrontare<br />
sul piano politico-culturale se vogliamo trovare la giusta soluzione per assicurare<br />
un futuro dignitoso per noi e, soprattutto, per i nostri figli. E sono problemi che<br />
non possono essere ignorati o, peggio ancora, nascosti sotto il tappeto, con l’illusoria<br />
speranza che sarà il tempo in qualche modo a risolverli.<br />
Ciò che oggi non possiamo, non dobbiamo fare è ignorarli, perché deve essere<br />
chiaro a tutti che con l’intensificazione del processo di globalizzazione in atto si è<br />
sempre più governati dalla lex mercatoria, la quale tende a divenire con sempre<br />
maggiore evidenza e forza una legge sovraordinata rispetto all’assetto normativo<br />
di <strong>dimensione</strong> nazionale. In questa prospettiva sarà sempre più il mercato ad imporre<br />
la tempistica e l’evoluzione dei parametri relativi alla concorrenza e alla produttività.<br />
E quando tale processo si manifesta, come oggi si sta manifestando, con<br />
una presenza sempre più massiccia e pervasiva di Stati con legislazioni economica,<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
19
Giuseppe Alvaro<br />
finanziaria e sociale strutturalmente diverse tra loro, non è difficile prevedere che<br />
si viene ad affermare anche nel campo dei diritti sociali la legge che Gresham aveva<br />
scoperto per la moneta: gli stati con deficit di normativa sui diritti sociali dei<br />
lavoratori tenderanno a scacciare gli stati con normativa avanzata. Perché, normativa<br />
sociale avanzata significa maggiori costi e i maggiori costi giocano un ruolo<br />
fondamentale nella determinazione del livello di competitività del sistema economico.<br />
Come facciamo, mi domando in qualità di studioso delle società complesse, ad<br />
affrontare questi temi quando le forze politiche si trovano ad agire in un permanente<br />
contesto di contrapposizione frontale?<br />
Eppure mai come in questa fase storica, piena di trasformazioni economiche,<br />
sociali e finanziarie, che stanno portando a un indebolimento dei progressi raggiunti<br />
nel mondo occidentale, avremmo bisogno di ricordare a noi stessi, nella<br />
quotidianità decisionale e comportamentale, l’insegnamento che, con la sintesi<br />
propria dei grandi pensatori, Sant’Agostino ci ha trasmesso: «Nelle cose necessarie<br />
l’unità, in quelle dubbie libertà, in tutte tolleranza».<br />
<strong>La</strong> lente sul nostro Paese<br />
Se guardiamo a quanto sta accadendo da diversi lustri non possiamo non dedurre<br />
che nel nostro Paese pare che non ci siano cose necessarie da fare e da realizzare,<br />
perché l’unità tra le varie forze politiche mai è ravvisabile. Addirittura anche<br />
laddove l’unità esiste, come nel caso dell’Unità d’Italia o, scendendo di livello, come<br />
nel caso dell’unità sindacale, le nostre forze politiche trovano sempre il modo<br />
di introdurre e alimentare motivi di disunità!<br />
Se, poi, si passa alle cose dubbie, la libertà non sembra trovare riconoscimento<br />
alcuno e la tolleranza non riesce a trovar posto nemmeno tra i vari interlocutori<br />
che partecipano ai diversi programmi televisivi.<br />
L’aspetto che comunque in questo periodo appare più inquietante è che, a mio<br />
parere, nel Paese si è quasi perduta la sensibilità culturale nei confronti dei temi etici,<br />
economici, sociali dal cui vivificante intreccio dovrebbe derivare la definizione<br />
<strong>della</strong> Politica e, per tal via, la crescita <strong>della</strong> Società nella prospettiva del futuro<br />
Per un confronto col passato basti qui ricordare il dibattito politico-culturale<br />
che si è registrato intorno alla nota aggiuntiva <strong>La</strong> Malfa, con cui il Paese, nel 1962,<br />
prendeva consapevolezza, in una visione d’insieme e di prospettiva, dei complessi<br />
problemi da affrontare per superare l’arretratezza sociale e attenuare la profondità<br />
degli squilibri territoriali e settoriali in cui si trovava.<br />
In presenza dei vistosi sconvolgimenti che si stanno oggi registrando nel processo<br />
di divisione internazionale del lavoro, non dovremmo noi dibattere su una<br />
documentazione programmatica in grado di farci capire cosa fare, come farla per<br />
20<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Giuseppe Alvaro<br />
superare i problemi attuali in termini e modi tali da non rimanere tagliati fuori<br />
dallo sviluppo internazionale?<br />
E chi dovrebbe elaborarla questa documentazione se non le forze politiche <strong>della</strong><br />
maggioranza e, a fortiori, dell’opposizione?<br />
Come si può agevolmente costatare, tale presenza <strong>politica</strong> manca perché oggi<br />
manca la Politica. Debbo anche dire, e il pessimismo diviene più amaro, che tale<br />
cultura manca anche a livello europeo. Dominante è divenuta la <strong>politica</strong> del galleggiamento<br />
in un permanente, stagnante e asfittico presente.<br />
Quale forza <strong>politica</strong> in Italia e in Europa ha elaborato un’interpolante programmatica<br />
per indicarci verso quale tipo di Società, di rapporti umani e sociali,<br />
d’integrazione di valori stiamo andando o, meglio ancora, vogliamo andare?<br />
Nessuna. E senza alcuna indicazione di un futuro, senza porsi un obiettivo al<br />
più si cammina nel tempo; di certo, non ci si incammina verso il futuro. Affermava<br />
Goethe: «Non si va mai molto lontano quando non si sa dove si va. Il guaio peggiore è<br />
quando non si sa dove si sta.»<br />
A me sembra che non abbiamo maturato nemmeno la consapevolezza che oggi<br />
ci troviamo in queste condizioni. A partire dalla seconda metà degli anni ’90, infatti,<br />
intorno a che cosa abbiamo discusso e stiamo discutendo? Se torniamo indietro<br />
con la memoria ci accorgiamo che stiamo sempre discutendo intorno alle donne,<br />
ai cucù, alle gaffe, alle vicende giudiziarie di Silvo Berlusconi. Ossia, del nulla politico.<br />
E il nulla politico non produce reddito, occupazione, crescita. In cambio,<br />
produce abulia, inattività e tanta, tanta disaffezione <strong>politica</strong>.<br />
Invece, a furia di parlare di vicende giudiziarie abbiamo costruito un modello<br />
che ha portato alla contrapposizione frontale tra berlusconismo e antiberlusconismo,<br />
che lentamente ha finito col mettere il cittadino di fronte all’assurdo dilemma<br />
politico, inaccettabile in una democrazia liberale: o sei con “lui” o sei contro di<br />
“lui”.<br />
E lungo questa strada non abbiamo capito, ed ancora non vogliamo capire, che<br />
dietro una maggioranza che si forma c’è un corpo sociale, costituito da uomini e<br />
donne, da operai e impiegati, da studenti e pensionati, da casalinghe, dei quali coglie<br />
le esigenze, le aspirazioni.<br />
Queste persone oggi costituiscono la maggioranza, la quale è anche maggioranza<br />
quando è chiamata ad esprimersi nel momento più qualificante e vivificante di<br />
una democrazia: la libera espressione del voto.<br />
Non possiamo arrogarci il diritto di dequalificare la bontà e il significato di<br />
questo voto, di depotenziare la capacità decisionale e d’intendimento di questa<br />
maggioranza. Non possiamo farlo perché, in tal caso, siamo noi a perdere il senso,<br />
il significato più profondo <strong>della</strong> democrazia. Siamo noi che, con un atto di presunzione<br />
e di superbia, pensiamo alla democrazia in termini elitari, aspiriamo a vivere<br />
in una democrazia elitaria.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
21
Giuseppe Alvaro<br />
Validità e qualità del voto<br />
In questa prospettiva, siamo portati a ritenere che il voto risulti valido solo se<br />
viene ad esprimere la maggioranza che piace a noi. Non ci accorgiamo o facciamo<br />
finta di non accorgerci, invece, che, per tal via, introduciamo una discriminazione<br />
di sapore razzistico intorno alla qualità del voto: se la gente vota come vogliamo<br />
noi, come votiamo noi è gente che sa votare; altrimenti è gente ignorante, incapace<br />
di comprendere quello che fa.<br />
In questa subliminale posizione culturale non si può non scorgere il rimpianto,<br />
da parte di chi quest’opera di dequalificazione promuove e attua, di quel periodo<br />
in cui il diritto di voto era legato al censo e/o al titolo di studio. E, da parte di costoro,<br />
vi è anche la netta presa di distanza da quelle aspre battaglie affrontate e vinte<br />
dai nostri padri per l’introduzione del diritto universale del voto. Da quelle battaglie<br />
politiche e civili alle quali anche noi, se vuoi in piccolo, abbiamo dato il nostro<br />
contributo partecipativo.<br />
E, sempre, in direzione del rafforzamento <strong>della</strong> democrazia liberale!<br />
L’errore che in questi lunghi quindici anni si è commesso ed ancor oggi si commette<br />
è ritenere il fenomeno politico del Premier una questione riguardante la sua<br />
persona, la sua ricchezza, il suo possesso di mezzi di informazione.<br />
È lo stesso errore commesso nei confronti <strong>della</strong> D.C. e del P.S.I. di Craxi negli<br />
anni ’90. Anche allora si era convinti che, producendo la caduta di Andreotti,<br />
Craxi, Forlani, la battaglia <strong>politica</strong> sarebbe stata vinta e l’elettorato, il corpo sociale<br />
facente capo alla D.C. e al P.S.I. sarebbe stato governato dalle forze politiche di sinistra.<br />
Non è stato così, perché quel corpo sociale visse la sconfitta subita dalla D.C. e<br />
dal P.S.I come sconfitta giudiziaria, non come sconfitta <strong>politica</strong>.<br />
<strong>La</strong> collocazione <strong>politica</strong> quel blocco sociale l’ha trovata nelle forze partitiche<br />
rappresentate dall’attuale maggioranza. Non si può oggi commettere lo stesso errore<br />
politico di ieri, qual è quello di pensare di poter ereditare e governare quel corpo<br />
sociale abbattendo giudiziariamente chi la incarna.<br />
Per poter governare quel corpo sociale occorrono proposte politiche puntuali,<br />
organiche, alternative e più credibili di quelle offerte da chi al momento governa.<br />
È qui, è su questi aspetti che la ricerca, prima, e l’adozione, poi, <strong>della</strong> soluzione<br />
diventa complessa. I margini di manovra per l’elaborazione di un credibile profilo<br />
programmatico alternativo sono, nei fatti, molto ristretti: la lex mercatoria, che ormai<br />
regola l’entità e le modalità di partecipazione del sistema economico nazionale<br />
nei rapporti con l’estero, impone stringenti vincoli di produttività alle imprese e,<br />
quindi, al sistema di partecipazione del lavoro nel processo di produzione dei beni<br />
e servizi. Vincoli egualmente stringenti, soprattutto in presenza di un debito pubblico<br />
elevato com’è il nostro, si impongono nell’azione di mediazione dell’operatore<br />
pubblico fra esigenze economiche ed esigenze sociali.<br />
22<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
<strong>La</strong> difficoltà di definirle e, ancor più, di renderle, in una loro evidente coerenza<br />
sostanziale, credibili giustifica il fatto che, malgrado le peripezie, la varietà e la elevata<br />
numerosità di processi in capo al Premier e malgrado la superiorità illuministica,<br />
culturale, di integrità e coerenza morale che le forze politiche di opposizione<br />
manifestano e ostentano in ogni occasione, il corpo sociale rappresentato dalla<br />
maggioranza rimane sempre una maggioranza <strong>politica</strong> stretta intorno a lui.<br />
Solo, e solo, quando nel 1996 e nel 2006 venne presentato al Paese un programma<br />
di proposte credibili, alternativo, la maggioranza dei cittadini lo abbandonò<br />
e si affidò a Romano Prodi, vivendo così l’esperienza <strong>politica</strong> di due governi<br />
di centro-sinistra. E ciò, malgrado la persistente ricchezza e i notevoli mezzi di<br />
informazione in suo possesso.<br />
Di tanto in tanto ricordiamoci che se fossero l’informazione e le leve di potere<br />
gli elementi che portano il cittadino ad esprimere la sua volontà <strong>politica</strong>, le dittature<br />
non cadrebbero mai, avendo il dittatore il monopolio di tutti i mezzi informativi<br />
e di governo.<br />
L’esperienza vissuta nel nostro Paese mostra, dunque, che nelle decisioni di voto<br />
il cittadino è attento, molto attento alla qualità e alla credibilità di realizzazione delle<br />
proposte programmatiche avanzate dalle varie forze politiche. E l’indicatore di affidabilità<br />
che la gente percepisce più nitidamente è dato dal potenziale grado di coesione<br />
delle forze politiche che, una volta al governo, sono chiamate a realizzarle.<br />
Perplessità e incertezze<br />
Giuseppe Alvaro<br />
Quando ci soffermiamo ad analizzare questi aspetti emerge con sferzante nitidezza<br />
lo stato di incertezza in cui il cittadino si viene a trovare. Il Paese non ha assorbito<br />
il caso Craxi; ancor meno penso possa assorbire una caduta per via giudiziaria<br />
del governo, presentando come soluzione alternativa una maggioranza costituita<br />
da forze politiche strutturalmente eterogenee, quanto a visione di governo di<br />
una società complessa com’è la nostra.<br />
Sono intimamente convinto che l’eventuale caduta dell’attuale governo non<br />
per via parlamentare tenda a rendere più acuta la contrapposizione fra le varie forze<br />
politiche e, quindi, a rendere sempre meno governabile il Paese. In particolare in<br />
un periodo, quale quello attuale, in cui la speculazione finanziaria è montante,<br />
stante il nostro elevato debito pubblico e gli equilibri politici nel vicino mondo<br />
arabo che irreversibilmente si stanno modificando.<br />
D’altra parte, non possiamo neppure negare che, a partire dalla seconda metà<br />
degli anni ’90, viviamo in una situazione particolare. C’è nel Paese una maggioranza<br />
di cittadini che esprime una maggioranza <strong>politica</strong>. Dal giorno successivo all’insediamento<br />
parlamentare di questa maggioranza scatta una contrapposizione mediatica<br />
frontale, che, direttamente o indirettamente, tende a condizionare le posizioni poli-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
23
Giuseppe Alvaro<br />
tiche dell’opposizione e, quindi, ad inceppare l’azione di governo. È avvenuto sia<br />
con i governi di centro sinistra sia, con più evidenza, coi governi di centro destra.<br />
Si tratta di una strada pericolosa, perché, ricordando le parole pronunciate da<br />
Piero Calamandrei ai tempi dell’Assemblea Costituente: “Le dittature sorgono non<br />
dai governi che governano e durano, ma dall’impossibilità di governare dei governi democratici”<br />
Mi permetto di aggiungere, soprattutto quando tale impossibilità è provocata<br />
da fatti esterni alle prerogative proprie del Parlamento.<br />
Giustizia e libertà <strong>politica</strong><br />
A questo punto non posso non aprire una parentesi sul delicato tema al centro<br />
di un aspro dibattito: il rapporto tra la giustizia e la <strong>politica</strong>. Non posso non<br />
aprirlo perché per me rappresenta anche un tributo che debbo a Giacomo Mancini,<br />
che, come si ricorderà, dovette affrontare una dura vicenda giudiziaria durata<br />
dal 1993 al 1999, vicenda attivata dalle dichiarazioni di alcuni pentiti che lo accusarono<br />
di avere avuto contatti con le cosche mafiose.<br />
All’indomani <strong>della</strong> sua assoluzione gli telefonai a Cosenza per rallegrarmi con<br />
lui. Ancor oggi nitidamente ricordo il messaggio trasmessomi con voce rotta dall’emozione:<br />
«Peppino, così mi chiamava, cerca di dedicare qualche ora in meno ai tuoi studi e<br />
alle tue ricerche sulla Contabilità Nazionale e di dedicarla, quest’ora, ad osservare ed<br />
analizzare quanto sta avvenendo nel Paese. Gli equilibri fra i poteri, equilibri propri<br />
di un vivo e partecipato sistema democratico liberale, si sono rotti. <strong>La</strong> giustizia ha<br />
preso il sopravvento sulla <strong>politica</strong>. Tu, che certamente vivrai più a lungo di me, sarai<br />
un testimone dei gravi danni che verranno apportati al tessuto democratico che i nostri<br />
padri e noi abbiamo costruito, se questi equilibri non verranno prontamente ricomposti.<br />
Cerca, anche se non fai <strong>politica</strong> attiva, di dare comunque un tuo contributo<br />
alla loro ricomposizione. Ricorda nella vita: la democrazia è libertà se a ciascuno è<br />
permesso di esercitarla fino a che non contrasti con la libertà degli altri. <strong>La</strong> libertà<br />
non può essere pienamente vissuta se si trasforma in libertà vigilata!»<br />
Aveva ragione. Aveva previsto le tensioni e le lacerazioni che l’abolizione dell’art.68<br />
<strong>della</strong> Costituzione, relativo all’immunità parlamentare, approvata dallo<br />
stesso Parlamento nell’ottobre del 1993, avrebbe prodotto nel tessuto democratico<br />
del Paese.<br />
Con l’abolizione dell’art. 68 si rompe, infatti, l’equilibrio, il bilanciamento dei<br />
poteri previsto e considerato dai padri costituenti come il requisito fondamentale<br />
per il corretto funzionamento di una democrazia liberale.<br />
Il vecchio art. 68 <strong>della</strong> Costituzione elaborato e introdotto dai padri costituenti<br />
imponeva un permanente confronto fra la decisione del Parlamento e quella del<br />
24<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Giudice. E, con la decisione di concedere o meno l’autorizzazione a procedere, era<br />
lo stesso Parlamento a definire il profilo evolutivo del corso <strong>della</strong> <strong>politica</strong>.<br />
Si potrebbe osservare: nel passato, di tale principio s’è fatto un uso abnorme,<br />
tanto da apparire un malcostume. Inoltre, con la sua rielezione, il rischio è che nei<br />
fatti il parlamentare viene a sottrarsi alla giustizia. È vero. Ma la vita ci ha insegnato<br />
anche, che un errore non può essere riparato commettendo un errore ancora più<br />
grave, quale quello <strong>della</strong> rottura dell’equilibrio dei poteri, che, nella sua ultima e<br />
intima essenza, mina la possibilità <strong>della</strong> Società di poter vivere con pienezza la libertà,<br />
propria di una democrazia liberale. Ben altri accorgimenti o ben altri paletti<br />
limitativi degli abusi compiuti con il ricorso all’art. 68 si sarebbero potuti attivare,<br />
sempre nel rispetto dell’equilibrio dei poteri fra le istituzioni!<br />
Ma per comprendere i motivi per cui in quel periodo altri paletti limitativi non<br />
sono stati definiti e introdotti, basti ricordare la turbolenta violenza vissuta dal<br />
Paese sul piano mediatico e politico, giudiziariamente provocata da “Mani Pulite”.<br />
Un pericoloso corto circuito<br />
Giuseppe Alvaro<br />
Le parole di Giacomo Mancini, sopra riportate, le ho ritrovate nell’editoriale<br />
apparso sul Corriere <strong>della</strong> Sera del 16 febbraio scorso: «Non è necessario, scrive Sergio<br />
Romano, essere berlusconiano o votare per il Pdl per assistere con disagio a certe iniziative<br />
<strong>della</strong> magistratura inquirente…Esiste un pericoloso cortocircuito tra <strong>politica</strong> e<br />
magistratura, un nodo che risale alla stagione di Mani pulite e che non siamo riusciti a<br />
sciogliere».<br />
C’è da chiedersi: perché questo pericoloso corto circuito non si è riusciti a scioglierlo,<br />
pur essendo passati oltre quindici anni dall’esperienza di Mani pulite? Perché<br />
non si è riusciti a sciogliere quel nodo, pur avendo avuto governi di centro destra<br />
e governi di centro sinistra, i quali sempre, con continuità temporale, hanno in<br />
tutte le loro manifestazioni politiche dichiarato di voler sanare l’anomalia esistente<br />
nei rapporti <strong>politica</strong>-giustizia? E sempre di volerlo e doverlo fare per il rafforzamento<br />
<strong>della</strong> vita democratica del Paese?<br />
Il non essere riusciti a mantenere questi impegni ha avuto come risultato quello<br />
di creare un contesto di incertezze in cui è divenuto agevole scambiare lo Stato<br />
di diritto con l’amministrazione <strong>della</strong> Giustizia. Scriveva Piero Ostellino nel gennaio<br />
del 2004: «Lo Stato di diritto non consiste (solo) nel diritto di ciascuno di adire<br />
alla giustizia per far valere le proprie ragioni, bensì (soprattutto) nel diritto di ciascuno<br />
di noi di non essere chiamato in giudizio con accuse non fondate sulla legge, ma su teoremi<br />
e deduzioni creative».<br />
A definire lo Stato di diritto non è, dunque, come ci si vuol far credere, il riconoscimento<br />
del diritto a difendermi, ma il riconoscimento del diritto a non essere<br />
accusato infondatamente.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
25
Giuseppe Alvaro<br />
Il rapporto antico tra <strong>politica</strong> e giustizia<br />
Al di là di questi aspetti che sfociano nella filosofia del diritto, su cui ovviamente<br />
non posso addentrarmi non essendo io un giurista, qui a me preme ricordare<br />
che la questione relativa al rapporto tra <strong>politica</strong> e giustizia è sempre esistita nel<br />
tempo. Anche nell’antica Sparta il potere degli efori crebbe tanto da sovrastare il<br />
potere dei re ed assumere di fatto la sovranità dello Stato. E qui, volutamente tralascio<br />
di ricordare qual è stato l’epilogo di questa prevaricazione di poteri!<br />
Tutta la storia del mondo occidentale, del pensiero liberale è, però, lì a testimoniare<br />
e ricordarci che una democrazia si “tiene” solo e solo se a nessun potere è dato<br />
di sovrastare l’altro.<br />
Sia ben chiaro: a nessuno, neanche al re, deve esser dato di potersi considerare al<br />
di sopra <strong>della</strong> legge. <strong>La</strong> legge uguale per tutti è una conquista <strong>della</strong> democrazia liberale.<br />
“Il popolo, osservava Eraclito, deve combattere per la legge, come per le mura <strong>della</strong><br />
città.” E Socrate, quando invitato da Critone, suo discepolo, a scappare dal carcere<br />
e così porsi in salvo, perché condannato da una legge ingiusta, non accetta l’invito<br />
perché, risponde, non ci sono leggi giuste e leggi ingiuste. C’è la legge, esclama, e, in<br />
quanto tale, dev’essere osservata. E sceglie di morire pur di non disubbidire alla legge.<br />
Contestualmente, però, siamo anche tenuti a non trascurare una circostanza<br />
che nei fatti viene ad assumere un significato di enorme importanza: il cittadino,<br />
nella quotidianità <strong>della</strong> vita, non avverte mai la forza <strong>della</strong> legge nella sua astrazione,<br />
ma nelle sue modalità di applicazione, percepisce la forza <strong>della</strong> legge solo attraverso<br />
l’oggettività <strong>della</strong> sua applicazione. Se nei fatti non avverte tale oggettività,<br />
interiorizza la sferzante, qualunquistica battuta di Marcello Marchesi: «<strong>La</strong> legge è<br />
uguale per tutti. Basta essere raccomandati».<br />
Con tutte le ricadute e le conseguenze di credibilità che si registrano sul rapporto<br />
cittadino- istituzioni.<br />
· Coloro i quali traducono l’astrattezza <strong>della</strong> legge nella quotidianità applicativa<br />
sono i magistrati. Quindi, la forza insita nell’oggettività <strong>della</strong> legge nella sua astrattezza<br />
viene dal cittadino identificata nell’oggettività che il magistrato dimostra nella<br />
delicata fase <strong>della</strong> sua applicazione quotidiana.<br />
Per rilevare e definire la posizione centrale che il magistrato assume e deve assumere<br />
nell’assicurare forza oggettiva alla legge, il grande matematico e filosofo francese<br />
D’Alembert, in una lettera inviata a Montesquieu, scriveva: «I magistrati non<br />
debbono che essere magistrati, privi di partito e di passione, come le leggi, le quali assolvono<br />
e condannano, senza amare e senza odiare».<br />
<strong>La</strong> questione sta tutta qui. E qui non possiamo non rivolgere, innanzitutto a<br />
noi stessi, la domanda: c’è oggi nel cittadino la piena consapevolezza che sia questo<br />
il modello al quale il magistrato fa riferimento nella quotidianità <strong>della</strong> vita quando<br />
dall’astrattezza <strong>della</strong> legge passa a giudicare? E giudicare penso sia, tra tutte le attività<br />
svolte, l’unica che possa accomunare l’uomo con Dio!<br />
26<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Quanto sta accadendo, come ricordava anche Sergio Romano nel citato editoriale,<br />
fa sorgere qualche ragionevole dubbio. Dubbio che viveva anche Sciascia<br />
quando, sulla rivista “Il Giudice” nel lontano 1986 scriveva: «L’innegabile crisi in<br />
cui versa l’amministrazione <strong>della</strong> giustizia deriva principalmente dal fatto che una<br />
parte <strong>della</strong> magistratura non riesce ad introvertire il potere che le è assegnato, ad assumerlo<br />
come un dramma, a dibatterlo ciascuno nella propria coscienza, ma tende piuttosto<br />
ad estroverterlo, ad esteriorizzarlo, a darne manifestazioni che sfiorano, o addirittura,<br />
attuano l’arbitrio. Quando i giudici godono il proprio potere invece di soffrirlo, la<br />
Società che a quel potere li ha delegati, inevitabilmente, è costretta a giudicarli».<br />
Lo scontro istituzionale<br />
Giuseppe Alvaro<br />
È ciò che sta avvenendo ai giorni nostri con lo scontro in atto tra Parlamento<br />
eMagistratura. Con il Parlamento che ritiene che la Magistratura stia sottraendo<br />
poteri decisionali propri del Parlamento sovrano e Magistrati che ritengono di dover<br />
agire nei confronti di governanti e politici in nome e per conto delle leggi vigenti.<br />
Lungo questa strada, si è oramai giunti all’epilogo di un gravissimo scontro<br />
istituzionale, non essendo riusciti a porre i necessari paletti per fermarlo in tempo..<br />
Non è difficile prevedere che alla fine di questo scontro niente resterà come<br />
prima. Lo insegna l’esperienza. Qui, voglio ricordare quella vissuta nella vicina<br />
Francia tra il 1894 e 1906 con il processo Dreyfus, nato per caso: un foglietto di<br />
carta, trovato nel cestino, contenente notizie riservate di natura militare. Dall’analisi<br />
<strong>della</strong> grafia, tre su cinque esperti risalirono al capitano di artiglieria, Alfred<br />
Dreyfus. Il quale, a conclusione del processo, riconosciuto colpevole, venne degradato<br />
e deportato nel carcere duro dell’Isola del Diavolo, al largo <strong>della</strong> Guyana francese.<br />
Ma presto sorsero i primi dubbi sull’autenticità <strong>della</strong> prova d’accusa. Divampò<br />
la polemica. Si formarono, contrapponendosi duramente, gli schieramenti dei<br />
dreyfusard e degli antidreyfusard. Emile Zola venne condannato ad un anno di<br />
carcere e ad un’ammenda di tre mila franchi per avere messo in dubbio l’autenticità<br />
<strong>della</strong> prova, scrivendo nella sua famosa lettera “j’accuse”, indirizzata al Presidente<br />
<strong>della</strong> Repubblica: «<strong>La</strong> verità in cammino niente potrà fermarla. Del resto l’ho<br />
detto e lo ripeto: quando la verità viene rinchiusa sottoterra, vi si ammassa, acquista<br />
una forza di esplosione tale che, quando scoppia, tutto salta in aria».<br />
<strong>La</strong> prova utilizzata per condannare Dreyfus, considerata nel dibattito mediatico-<br />
processuale di evidenza solare, presto si dimostrò insussistente. Dreyfus venne<br />
assolto e riabilitato. E lo scontro, nato da una questione circoscritta, il tradimento<br />
di un militare di origine ebrea, esplose in tutta la sua virulenta violenza, investendo<br />
gli aspetti più generali <strong>della</strong> società francese, quali il rapporto fra potere militare e<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
27
Giuseppe Alvaro<br />
potere civile, il rapporto fra stampa e potere politico, il rapporto fra Stato e Chiesa,<br />
la questione ebraica.<br />
L’assoluzione di Dreyfus non poteva non produrre una irreversibile modifica di<br />
tali rapporti. Ed infatti produsse: la sottomissione del potere militare a quello politico;<br />
la separazione tra Stato e Chiesa, la quale, peraltro, attraverso una sua rivista cattolica<br />
aveva sostenuto la colpevolezza di Dreyfus; lo sviluppo <strong>della</strong> corrente di pensiero<br />
improntata al relativismo storico; il risentimento <strong>della</strong> destra <strong>politica</strong> che portò alla<br />
definizione di un modello politico-comportamentale che ha avuto una enorme importanza<br />
nella produzione e diffusione in Europa <strong>della</strong> violenta cultura antisemitica.<br />
Anche noi oggi siamo all’epilogo di uno scontro duro, senza esclusioni di colpi,<br />
tra magistratura e <strong>politica</strong>. Scontro che ha finito con l’investire i meccanismi più<br />
delicati dell’autonomia decisionale e, quindi, del rapporto e delle competenze tra<br />
l’azione e la vita del Parlamento e l’attività giurisdizionale del Magistrato.<br />
Il risultato finale dello scontro non potrà lasciare tali rapporti come prima. Oggi,<br />
la posta in gioco, è altissima: la primazia <strong>della</strong> <strong>politica</strong> rispetto alla giustizia o<br />
quella <strong>della</strong> giustizia rispetto alla <strong>politica</strong>.<br />
Con tutta la valanga di fibrillazioni che la pronuncia dell’una o dell’altra sentenza<br />
verrà a registrare sul piano politico, sociale, dei comportamenti <strong>della</strong> collettività<br />
e, financo, mi permetto di affermarlo, sui modelli di vita di ciascuno di noi.<br />
· Il Paese non ha bisogno di queste fibrillazioni, di questi scontri all’ultimo sangue<br />
tra Parlamento e Magistratura. Scontri senza prigionieri. Il Paese ha bisogno<br />
che venga pienamente ripristinato e osservato l’equilibrio dei poteri tra le Istituzioni,<br />
perché costituisce il pilastro portante <strong>della</strong> vita <strong>politica</strong>, economica, sociale, religiosa<br />
di una Società. Quell’equilibrio di poteri che i nostri padri costituenti, pur<br />
nella loro dura differenziazione polico-ideologica, con l’articolo 68, seppero e vollero<br />
introdurre nella nostra Costituzione, che ha permesso al nostro Paese di incamminarsi<br />
lungo la strada <strong>della</strong> democrazia liberale.<br />
Occorre riprendere quella logica, quelle motivazioni. Si pensa che al punto in<br />
cui è giunto lo scontro tra le Istituzioni sia troppo tardi. Penso di no. In me prevale<br />
sempre l’ottimismo <strong>della</strong> ragione. Basti che l’equilibrio dei poteri nella nostra Costituzione<br />
sia considerato dalle varie forze politiche “cosa necessaria”, per rifarci a<br />
Sant’Agostino, ed in quanto “cosa necessaria” al corretto funzionamento <strong>della</strong> vita<br />
del Parlamento, possa costituire il cemento col quale costruire l’unità decisionale<br />
delle varie forze politiche, come fecero i nostri padri costituenti.<br />
Il ritorno degli equilibri<br />
Occorre riprenderla la logica <strong>della</strong> “cosa necessaria”, perché la crescita o il declino<br />
economico e sociale sono sempre l’effetto, la conseguenza <strong>della</strong> linea <strong>politica</strong><br />
e di <strong>politica</strong> economica che il Paese, attraverso il Parlamento, definisce e attua.<br />
28<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Giuseppe Alvaro<br />
Non si può al bianco proposto da una forza <strong>politica</strong> contrapporre solo e sempre<br />
il nero da parte dell’altra forza <strong>politica</strong>, in quanto, così operando, non si va più alla<br />
ricerca <strong>della</strong> sintesi delle differenti posizioni e, quindi, <strong>della</strong> definizione <strong>della</strong> linea<br />
di intervento più idonea per assicurare al Paese le condizioni di crescita. Si va solo<br />
alla ricerca di una permanente estremizzazione, radicalizzazione, conflittualità <strong>politica</strong>-istituzionale,<br />
contesto nel quale diviene pressoché impossibile trovare la strada<br />
che conduce alla crescita.<br />
E l’esperienza degli ultimi quindici anni ci dice che tale sintesi non si è mai voluto<br />
trovare, perché sempre si è fatto prevalere la radicalizzazione, adeguatamente<br />
mediatizzata, <strong>della</strong> lotta <strong>politica</strong>. Il risultato è stato ed è un quindicennio in cui il<br />
Paese non ha conosciuto crescita economica, crescita <strong>della</strong> produttività, crescita<br />
dell’occupazione: elementi questi che lo costringe a vivere una grave crisi propria<br />
nel contesto di una crisi di portata internazionale.<br />
È in base a questa profonda convinzione che ritengo non possa e non debba<br />
trovare giustificazione alcuna l’affermazione avanzata recentemente da autorevoli<br />
uomini politici secondo cui non è possibile reintrodurre oggi il principio dell’equilibrio<br />
dei poteri perché c’è un determinato uomo al potere.<br />
Quindi, che errore politico identificare la persona con l’Istituzione! Che errore<br />
politico non pensare che l’equilibrio dei poteri istituzionali vada oltre la persona in<br />
quanto, nel momento in cui garantisce ad ogni cittadino quella libertà propria di<br />
una democrazia liberale, in quel momento stesso garantisce la democrazia liberale<br />
alla Società nel suo complesso. Come, d’altra parte, è riconosciuto dallo stesso Parlamento<br />
europeo.<br />
Con l’equilibrio dei poteri istituzionali, il Parlamento diviene centro decisionale<br />
e garanzia <strong>politica</strong> <strong>della</strong> crescita e del consolidamento <strong>della</strong> democrazia liberale!<br />
Togliatti alla Costituente mai si pose il problema se l’introduzione o meno del<br />
principio dell’immunità parlamentare potesse tornare a vantaggio di De Gasperi,<br />
<strong>della</strong> D.C. o di alcune forze politiche dello schieramento parlamentare. Né si pose<br />
mai il problema di attivare al momento <strong>della</strong> sua approvazione parlamentare atteggiamenti<br />
ostruzionistici o, peggio ancora, “un’opposizione tettaiola”!<br />
Per Togliatti, come per tutti gli altri padri costituenti, l’immunità parlamentare<br />
sancita dall’art. 68 veniva a rappresentare, nell’architettura <strong>della</strong> nostra Costituzione,<br />
lo strumento che, garantendo il principio dell’equilibrio dei poteri, assicurava al Parlamento<br />
la dovuta autonomia per discutere di <strong>politica</strong> senza che altri poteri potessero,<br />
strumentalmente o meno, frapporre ostacoli di natura diversa dalla <strong>politica</strong>.<br />
Altri tempi quelli, altri uomini, altra cultura, altra esperienza, altra statura <strong>politica</strong>!<br />
A questo punto non mi rimane che chiedere, sperando in una convincente<br />
quanto oggettivante risposta: se, nell’ambito <strong>della</strong> Commissione dei 75 che predispose<br />
il progetto <strong>della</strong> nostra Costituzione, uomini dalla statura e dell’esperienza di<br />
vita <strong>politica</strong> come Aldo Moro, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini, Lelio Basso,<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
29
Giuseppe Alvaro<br />
Giuseppe Di Vittorio, Giorgio <strong>La</strong> Pira, Antonio Giolitti e giuristi dallo spessore di<br />
Aldo Bozzi, Piero Calamandrei, Giovanni Leone, Costantino Mortati hanno considerato<br />
l’immunità parlamentare un principio fondamentale per il corretto funzionamento<br />
<strong>della</strong> democrazia liberale, perché oggi, dai loro figli (ahi, questi figli!)<br />
quel principio dev’essere inteso uno strumento di “favoritismo” per mezzo del quale<br />
i componenti del Parlamento cessano di essere uguali di fronte alla legge? Perché,<br />
questi figli non vogliono capire che senza l’immunità parlamentare è il Parlamento<br />
a non occupare più nell’ordinamento istituzionale lo stesso gradino <strong>della</strong> giustizia?<br />
Ed in questa posizione, a non poter più garantire il corretto funzionamento <strong>della</strong><br />
democrazia liberale?<br />
L’investigazione esorbitante<br />
Mi permetto un ultimo motivo di riflessione riguardante un altro argomento<br />
oggetto di scontro tra le forze politiche al calor bianco: le intercettazioni telefoniche.<br />
Per sgombrare il terreno da ogni dubbio e da ogni equivoco dichiaro subito che<br />
considero le intercettazioni un efficace e insostituibile strumento d’investigazione.<br />
Dobbiamo utilizzarle e accettarle. Nessuno può credere che lo Stato, alla guida di<br />
un trattore, possa inseguire e raggiungere chi, operando contro la legge, può tranquillamente<br />
andarsene a bordo di una Ferrari.<br />
Su questo non dovrebbe sussistere dubbio alcuno. Ma, nel momento in cui doverosamente<br />
riconosciamo e dobbiamo riconoscere l’insostituibilità delle intercettazioni,<br />
altrettanto doverosamente dobbiamo chiederci: la loro diffusione a tappeto<br />
è pure utile all’investigazione?<br />
A me sembra di no. Anzi, la loro diffusione dovrebbe costituire un ostacolo alla<br />
felice conclusione degli atti investigativi. Di qui l’angosciosa e angosciante domanda:<br />
perché vengono pubblicate e diffuse? È mai possibile che non esista alcun mezzo<br />
per impedire che possano essere diffuse e così garantire il cittadino di non subire<br />
due processi: primo, quello mediatico in cui si utilizzano a piene mani, anche in<br />
forma brillantemente recitata, gli elementi emersi dalle intercettazioni, peraltro<br />
non vagliate nella loro attendibilità e che tante volte nemmeno arrivano in tribunale<br />
e, secondo, quello nelle aule di legge?<br />
Perché negli altri Paesi, il mio riferimento è agli Stati Uniti, dove la libertà dell’informazione<br />
non è messa in dubbio, le intercettazioni non sono mai conosciute<br />
prima dell’apertura del processo?<br />
Occorre arrestare tale costume, perché lungo questa strada, ciascuno di noi,<br />
nell’impiego del telefono, è portato a controllare le parole, evento, questo, che viene<br />
a rappresentare un vulnus per la democrazia liberale. E, cosa altrettanto grave,<br />
per la libertà individuale.<br />
30<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
E, per arrivare alle estreme conseguenze, a controllarle debbano poi essere<br />
due fidanzatini quando, nel loro quotidiano dialogo telefonico, stanno per pronunciare<br />
parole denotanti uno stato d’animo gioioso e pieno di effusioni d’amore.<br />
Sono portati a farlo, perché nella loro mente riaffiora, inconsapevolmente, quell’immagine<br />
che ci ha accompagnato nella nostra infanzia, con cui venivano tappezzati<br />
i muri delle città, raffigurante la faccia di un uomo dall’espressione dura e dallo<br />
sguardo truce che, con l’indice teso e fissandoti negli occhi con paurosa intensità,<br />
esclamava: “taci, il nemico ti ascolta”.<br />
Non si sa mai, sembrano dirsi i due fidanzatini, se qualcuno, ascoltando la nostra<br />
conversazione, possa anche dedurre che il nostro amore e i nostri baci siano<br />
<strong>etica</strong>mente non corretti!<br />
E, sembrano dirsi ancora: per un solo bacio che ha fatto il giro del mondo, su<br />
cui si è costruita tutta una leggenda e che nei fatti tale bacio mai è stato dato, Andreotti<br />
ha passato tanti guai.<br />
Traducendo in termini politici, i due fidanzatini sembrano l’un l’altro confidarsi:<br />
guarda che per un bacio non dato, ma magistralmente diffuso e mediatizzato,<br />
è cambiata, irreversibilmente, la storia del nostro Paese!<br />
Suvvia, il nostro non può essere e tanto meno rimanere un Paese che, per un<br />
bacio non dato, cambia e si fa cambiare il corso <strong>della</strong> sua storia!<br />
N.d.r.<br />
Lo sviluppo successivo delle vicende politiche italiane, richiamate nell’articolo del<br />
prof. Alvaro, ha portato alla formazione di un governo detto di “solidarietà nazionale”,<br />
costituito soltanto da tecnici. <strong>La</strong> <strong>politica</strong>, i partiti in particolare, hanno lasciato il campo<br />
al nuovo governo, preferendo soltanto sostenerlo senza diretti coinvolgimenti nel momento<br />
<strong>della</strong> crisi più acuta dell’economia italiana e internazionale. Crisi che rischia<br />
addirittura di mettere in forse l’intera costruzione dell’Europa Unita.<br />
«Civitas» ne seguirà l’evoluzione, ma ritiene che le valutazioni espresse dal prof. Alvaro<br />
sulla maturità <strong>politica</strong> e complessiva del nostro Paese restano a maggior ragione valide,<br />
anzi si caricano di ulteriori significati ed eventi, in quanto saranno i partiti, e la<br />
<strong>politica</strong> in generale, a doversi, inevitabilmente e direttamente, riassumere, in tempo non<br />
troppo distante, doveri e responsabilità al cospetto di una pubblica opinione (elettorato)<br />
che presto sarà chiamata a giudicarli per ieri, l’oggi e il domani. In presenza di un Paese<br />
che, nonostante i 150 anni trascorsi, è ancora più “Stato” che “Nazione” (Patria).<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
Giuseppe Alvaro<br />
<br />
31
Federalismo fiscale e Favor Familiae<br />
Un connubio strategico<br />
Il 9 giugno 2011 si è svolto a Roma, presso l’<strong>Istituto</strong> <strong>Sturzo</strong>, un convegno organizzato<br />
dall’associazione A.R.I.E.L. (Associazione Relazioni Istituzionali Enti Locali) e dal<br />
Centro Internazionale Studi <strong>Sturzo</strong>, su Federalismo Fiscale e Favor Familiae: un<br />
connubio strategico. Un incontro che ha visto la partecipazione di autorevoli esponenti<br />
in tema di politiche familiari, che ha messo l’istituto Famiglia al centro dei problemi<br />
collegati con la crisi che l’Italia attualmente vive.
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
Il contributo <strong>della</strong> famiglia<br />
al superamento <strong>della</strong> crisi<br />
di Giorgia <strong>La</strong>tini<br />
Consulente Ministero per la Pubblica<br />
Amministrazione e Innovazione<br />
Nel panorama <strong>della</strong> crisi globale degli ultimi anni, l’Italia è, a giudizio pressoché<br />
unanime, finora è riuscita a reggere rispondendo in maniera efficace alle sfide <strong>della</strong> globalizzazione<br />
e mantenendo, tutto sommato, un tasso accettabile di conflittualità grazie<br />
al peso sociale ed economico <strong>della</strong> famiglia, da alcuni definito il «vero Welfare» italiano.<br />
Ma oggi sono apparse evidenti le difficoltà del nostro Paese al punto tale che il Governo<br />
ha dovuto in estate tamponare l’emergenza con una straordinaria manovra finanziaria.<br />
Si è arrivati a questo punto, oltre che alla tardiva applicazione di azioni riformatrici,<br />
anche perché la famiglia che ha fatto tanto per l’Italia, non è stata tutelata adeguatamente<br />
nel momento del bisogno e quindi oggi non riesce autonomamente come in<br />
passato a sostenere il peso <strong>della</strong> crisi economico sociale.<br />
A 150 anni dalla nascita dello Stato italiano, dobbiamo riconoscere come la famiglia<br />
sia da considerarsi un elemento chiave tanto <strong>della</strong> nostra identità nazionale<br />
quanto <strong>della</strong> nostra vita pubblica contemporanea. Ogni nucleo familiare genera “capitale<br />
sociale”, inteso come quella ricchezza immateriale, fatta di memoria e di cultura,<br />
che alimenta e sostiene i rapporti e le relazioni tra le persone da quelli professionali, economici<br />
e politici. Una società senza capitale sociale non è solo una società fredda e disumana,<br />
ma è anche, e soprattutto, una società incapace di innovarsi, di crescere e di adeguarsi,<br />
senza perdere la propria memoria storica, ai cambiamenti del mondo. Infatti è<br />
da questo piccolo nucleo di persone che nasce tutto, la famiglia è come un segmento di<br />
elica di DNA perché è da essa che poi si specchia e si riproduce l’intera società.<br />
Quindi se la famiglia è portatrice di valori cristiani, così sarà anche tutta la società,<br />
così lo Stato. Oggi più che mai i giovani hanno bisogno di riscoprire i valori cristiani<br />
che fanno di un individuo una persona completa, capace di vivere in una società<br />
costruttiva e al servizio del prossimo.<br />
Dobbiamo sempre tenere presente che la famiglia è il nucleo primario e fondamentale<br />
dove vengono gettate le basi per un nuovo futuro e perciò va messa in primo piano.<br />
Sappiamo che la nostra Costituzione all’art. 29 riconosce la famiglia come una società<br />
naturale fondata sul matrimonio: una società che si forma in modo spontaneo grazie all’amore<br />
di due persone che decidono di coronare il loro sentimento entrando in comunione<br />
d’anime davanti a Dio. Quindi la famiglia si formerebbe anche se lo Stato non esistesse ma<br />
dato che in essa si formano gli individui, è importante che lo stato riconosca e tuteli i diritti<br />
di questa prima cellula <strong>della</strong> società. Infatti l’art.31 contiene l’impegno dello Stato a garan-<br />
35
Giorgia <strong>La</strong>tini<br />
tire, con l’uso di risorse pubbliche, agevolazioni economiche a favore delle famiglie. I più<br />
deboli all’interno <strong>della</strong> famiglia sono i figli minorenni, e a loro favore viene garantito il diritto<br />
all’educazione e all’istruzione e se i genitori non ne sono capaci, dovrà intervenire lo<br />
Stato aiutando i coniugi a rendere meno gravosi i loro doveri attraverso le detrazioni fiscali,<br />
gli assegni familiari, la creazione di scuole pubbliche, di consultori familiari, di asili nido.<br />
E questo è uno dei modi attraverso i quali lo Stato democratico interviene nel sistema economico<br />
attraverso la spesa pubblica per realizzare le finalità di benessere collettivo.<br />
Finora anche se lo Stato ha manifestato la sua assenza le famiglie grazie ai “risparmi<br />
dei genitori” sono riuscite a rispondere ai loro bisogni autonomamente contribuendo<br />
al benessere dell’intera società senza gravare nelle tasche statali. Ma non si può non riconoscere<br />
come oggi ci si trovi davanti a una profonda crisi <strong>della</strong> famiglia italiana. Oltre<br />
alla moltiplicazione dei divorzi e delle separazioni, la bassa natalità o il numero sempre<br />
più basso dei matrimoni stiamo assistendo infatti anche al declino di alcune caratteristiche<br />
sociali fondamentali <strong>della</strong> famiglia italiana, quale, ad esempio, la tendenza al risparmio:<br />
purtroppo, anche nelle famiglie italiane, come accade già da tempo in altri<br />
paesi occidentali, si affaccia la tendenza a spendere più di quel che si guadagna, con conseguente<br />
vulnerabilità del sistema-paese. Oggi i risparmi sono esauriti, anche perché il<br />
tasso di occupazione, soprattutto a livello giovanile, è ai minimi termini, e quindi ora<br />
serve una presenza attiva delle istituzioni per ricambiare il supporto che la famiglia ha<br />
dato all’Italia in passato. Solo partendo dalla famiglia la società può rinascere.<br />
È necessario, dunque, individuare le riforme da approvare, in via ordinaria nel breve<br />
e medio termine, per valorizzare al meglio il ruolo <strong>della</strong> famiglia nella società italiana. Le<br />
proposte in materia non mancano (dal “quoziente familiare” al “garante <strong>della</strong> famiglia”) così<br />
come non mancano le iniziative già realizzate o in corso (il bonus famiglia o le iniziative a<br />
favore <strong>della</strong> PMI). Ciò che manca è una visione d’insieme, ovvero una gerarchia degli interventi<br />
da fare ispirata a una coerente visione del ruolo <strong>della</strong> famiglia nella società italiana.<br />
Ciò potrebbe avvenire in occasione dell’attuazione del federalismo fiscale, ambito ben analizzato<br />
dal Prof. Giulio Maria Salerno che detta le linee da seguire nel testo che segue.<br />
L’incontro quindi è stata l’occasione per ribadire la centralità dell’istituto <strong>della</strong> famiglia<br />
nell’ordinamento giuridico italiano, accrescendo la consapevolezza dell’efficacia<br />
indiretta delle politiche nazionali di prossima attuazione, quali il federalismo.<br />
Sono state approfondite le opportunità e le sinergie che la definitiva attuazione del<br />
federalismo fiscale offrirà alle politiche sociali attuate dagli enti territoriali, a favore<br />
<strong>della</strong> famiglia.<br />
36<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
Famiglia e federalismo fiscale<br />
Tra le formazioni sociali protette espressamente dalla<br />
Costituzione, rientra come noto la famiglia. Nella Costituzione<br />
è infatti posto il principio del Favor Familiae,<br />
vale a dire è garantita una speciale posizione di tutela<br />
accordata alla famiglia, quale specifica e peculiare formazione<br />
sociale.. Parimenti è noto che sulla base <strong>della</strong><br />
legge delega sul federalismo fiscale nei prossimi anni si<br />
costruirà il nuovo sistema tributario <strong>della</strong> Repubblica<br />
volto ad assicurare i principi del decentramento, dell’effettiva<br />
autonomia e <strong>della</strong> conseguente responsabilità finanziaria<br />
delle autonomie territoriali. Spetta in primo<br />
luogo ai decreti legislativi di attuazione <strong>della</strong> legge delega<br />
– e ai successivi provvedimenti che saranno adottati<br />
dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali – dare corpo<br />
e sostanza ad una riforma così importante per l’intero<br />
assetto dei nostri poteri pubblici.<br />
<strong>La</strong> tutela <strong>della</strong> famiglia nella Costituzione ed in specie il<br />
Favor Familiae nel sistema impositivo<br />
<strong>La</strong> domanda che occorre porsi, è allora la seguente: il<br />
principio del Favor Familiae sta incidendo effettivamente<br />
sulla nuova disciplina del sistema impositivo derivante dalla<br />
riforma del federalismo fiscale, dandosi così finalmente attuazione<br />
a quella protezione <strong>della</strong> famiglia che, prevista dalla<br />
Costituzione, non ha sinora trovato applicazione? Questa<br />
domanda implica la risposta ad un quesito preliminare: perché<br />
l’impegno che pure la Costituzione ha promesso a favore<br />
<strong>della</strong> famiglia, non si è sinora tradotto in una <strong>politica</strong> di vantaggi<br />
fiscali? Perché, se la Costituzione statuisce che spetta<br />
all’intera Repubblica – e dunque allo Stato, alle Regioni ed<br />
GIULIO M. SALERNO<br />
Ordinario di<br />
Istituzioni<br />
di diritto pubblico<br />
dell’Università<br />
di Macerata<br />
≈<br />
«Deve ritenersi<br />
corretta<br />
l’impostazione che<br />
è stata seguita<br />
nella legge sul<br />
federalismo<br />
fiscale […] di<br />
assicurare<br />
concreta e “piena<br />
attuazione” a tutti<br />
i precetti<br />
costituzionali che<br />
impegnano la<br />
repubblica ad<br />
operare nel senso<br />
del Favor<br />
Familiae».<br />
≈<br />
37
Giulio M. Salerno<br />
agli enti locali - agevolare la famiglia “con misure economiche e altre provvidenze”<br />
(come è detto testualmente nell’art. 31 Cost.), tale promessa è stata sinora trascurata<br />
o addirittura preclusa nei fatti? In breve, questa promessa potrà finalmente essere<br />
mantenuta dal nuovo sistema tributario <strong>della</strong> Repubblica o sarà costretta a subire<br />
troverà i medesimi ostacoli che sinora ha incontrato? In genere, con riferimento<br />
al presente sistema tributario fortemente centralizzato, si è sostenuto che la predisposizione<br />
di meccanismi fiscali davvero favorevoli alla famiglia sarebbe stata<br />
ostacolata dalla presenza di altri due principi costituzionali che hanno fatto, per<br />
così dire, da freno.<br />
Secondo la Costituzione stessa, infatti, da un lato le leggi in materia tributaria<br />
devono rispettare il canone <strong>della</strong> “capacità contributiva” di ciascun soggetto che è<br />
tenuto all’adempimento del dovere tributario; e dall’altro lato l’intero sistema impositivo<br />
deve essere informato a “criteri di progressività”. Insomma, il canone <strong>della</strong><br />
capacità contributiva impedirebbe di considerare la famiglia come soggetto – anche<br />
indiretto - dell’obbligo fiscale, così come la presenza di incisive forme di agevolazione<br />
tributaria collegate al computo complessivo delle ricchezze a livello familiare,<br />
potrebbe comportare la violazione <strong>della</strong> progressività del sistema tributario tutto.<br />
Tuttavia, l’analisi sia di quanto statuito dalla Corte costituzionale, sia dei risultati<br />
cui sono pervenute le riflessioni dei giuristi più attenti, consente di affermare<br />
che entrambi i predetti principi (capacità contributiva e progressività del sistema<br />
tributario) possono senz’altro essere interpretati in senso complementare – e dunque<br />
non preclusivo rispetto alla finalità di perseguire il Favor Familiae anche in<br />
materia tributaria.<br />
<strong>La</strong> famiglia e il federalismo fiscale<br />
Ed allora deve ritenersi corretta l’impostazione che è stata seguita nella legge sul<br />
federalismo fiscale, ove, tra i principi <strong>della</strong> delega, sono stati contemporaneamente richiamati<br />
sia il rispetto dei canoni costituzionali da ultimo citati (cioè la capacità contributivaelaprogressività<br />
del sistema tributario), sia la finalità di assicurare concreta<br />
e “piena attuazione” a tutti i precetti costituzionali che impegnano la Repubblica ad<br />
operare nel senso del Favor Familiae. Infatti, tra i “principi e criteri direttivi generali”<br />
che i decreti legislativi devono rispettare, si è posta quello relativo alla: “gg) individuazione<br />
di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29,.30 e 31<br />
<strong>della</strong> Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione <strong>della</strong> famiglia e all’adempimento<br />
dei relativi compiti” (art. 2, comma 2, l. n. 42 del 2009).<br />
In conclusione, questa disposizione <strong>della</strong> legge delega sul federalismo fiscale<br />
che ha previsto, quale principio e criterio direttivo “generale” – e dunque attinente<br />
all’intera disciplina del nuovo sistema tributario <strong>della</strong> Repubblica – l’effettiva attuazione<br />
del Favor Familiae presente nella Costituzione, deve essere considerata<br />
38<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
non soltanto conforme al dettato costituzionale complessivamente inteso, ma anche<br />
necessaria e doverosa attuazione di quest’ultimo.<br />
Quattro condizioni da rispettare nei decreti legislativi di attuazione<br />
Giulio M. Salerno<br />
Possono essere individuate almeno quattro condizioni che devono essere rispettate<br />
nei decreti legislativi – e nei successivi provvedimenti dello Stato, delle Regioni<br />
e degli enti locali – per assicurare il Favor Familiae richiamato nella legge di<br />
delega in attuazione del disposto costituzionale.<br />
– Innanzitutto, poiché il perseguimento di tale obiettivo è posto dalla Costituzione<br />
come impegno di tutta la “Repubblica”, dato che il nuovo assetto dei tributi<br />
sarà improntato su un sistema multilivello, e considerato che il principio e criterio<br />
direttiva in questione è prefigurato dalla legge di delega tra quelli “generali”, se ne<br />
deduce che gli strumenti approntati in sede di attuazione nei decreti legislativi devono<br />
essere volti al perseguimento dell’obiettivo in questione con riferimento ad ogni<br />
livello di autonomia finanziaria. Si tratta insomma di un principio fondamentale di<br />
coordinamento <strong>della</strong> finanza pubblica e dell’intero sistema tributario <strong>della</strong> Repubblica.<br />
In altre parole, non si potrà limitare l’inserimento dei meccanismi in oggetto,<br />
ad esempio, soltanto nell’ambito <strong>della</strong> disciplina dei tributi statali, ma tali meccanismi<br />
– certo, nel rispetto degli altri principi posti dalla delega – potranno essere estesi<br />
anche alla disciplina che sarà dettata per i tributi delle Regioni e degli enti locali.<br />
– In secondo luogo, la legge delega prevede che deve trattarsi di strumenti<br />
“idonei”, cioè che si dimostrino nei fatti realmente efficaci ai fini del raggiungimento<br />
dell’obiettivo costituzionale del Favor Familiae. Vale a dire che le previsioni<br />
normative del legislatore delegato – e conseguentemente le leggi regionali ed i<br />
provvedimenti degli enti locali che ne seguiranno – in primo luogo non potranno<br />
né produrre esiti contrastanti con il predetto obiettivo, né risultare in concreto evidentemente<br />
e manifestamente insufficienti allo scopo. Pertanto, la discrezionalità<br />
sussistente in sede di attuazione <strong>della</strong> delega, è subordinata al rispetto <strong>della</strong> necessaria<br />
“idoneità” delle disposizioni dettate in relazione al perseguimento del prescritto<br />
obiettivo del Favor Familiae.<br />
– In terzo luogo, l’introduzione dei meccanismi in questione deve essere rivolta<br />
a garantire la piena attuazione del Favor Familiae, ovvero tali strumenti dovranno<br />
assicurare la protezione per così dire integrale <strong>della</strong> famiglia. E ciò sotto un triplice<br />
aspetto, in quanto, sulla base dell’esplicito riferimento alle disposizioni costituzionali<br />
relative alla famiglia, deve trattarsi di strumenti idonei sia a favorire nei fatti la<br />
formazione di nuove famiglie rispetto a quelli già esistenti, sia ad assicurare la possibilità<br />
che i nuclei familiari adempiano a tutti i compiti che la Costituzione e le<br />
leggi assegnano loro, sia a consentire l’effettivo esercizio e la sostanziale tutela dei<br />
diritti che l’ordinamento tutto riconosce alla famiglia costituzionalmente protetta.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
39
Giulio M. Salerno<br />
– In quarto luogo, l’espresso richiamo alla famiglia di cui all’art. 29, 30 e 31<br />
<strong>della</strong> Costituzione implica che i provvedimenti posti in sede di attuazione del federalismo<br />
fiscale devono essere rivolti alla garanzia dei diritti <strong>della</strong> famiglia, alla promozione<br />
<strong>della</strong> formazione <strong>della</strong> famiglia ed all’adempimento dei compiti spettanti<br />
alla famiglia, così come questa è prevista e disciplinata dalla Costituzione. Dunque<br />
trattasi, innanzitutto, <strong>della</strong> “famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”<br />
ai sensi dell’art. 29 <strong>della</strong> Costituzione, pur senza escludere che, nell’esercizio<br />
dell’autonomia normativa propria degli enti territoriali, i vantaggi di ordine fiscale<br />
posano essere attribuiti anche ai soggetti appartenenti alle famiglie diversamente<br />
costituite, e dunque alle formazioni sociali nel senso più ampio che è fornito in via<br />
generale dall’art. 2 <strong>della</strong> Costituzione.<br />
A ben vedere, il mancato rispetto delle condizioni qui richiamate può comportare<br />
l’eventuale intervento <strong>della</strong> Corte costituzionale in ordine alle previsioni<br />
normative che saranno contenute nei decreti legislativi e conseguentemente nelle<br />
leggi regionali. E nulla esclude che siffatto intervento <strong>della</strong> Corte possa essere anche<br />
molto incisivo, spingendosi pure sul terreno delle valutazioni di carattere effettuale,<br />
empirico ovvero tecnico-scientifico, circa la complessiva, concreta ed effettiva<br />
efficacia delle strumentazioni introdotte per assicurare davvero il favor indicato<br />
dalla Costituzione nei confronti <strong>della</strong> famiglia.<br />
I decreti legislativi adottati<br />
È dunque necessario rivolgere la nostra attenzione ai decreti legislativi già<br />
predisposti in sede di attuazione <strong>della</strong> legge di delega, per verificare se si stia compiutamente<br />
realizzando l’impegno costituzionale per il Favor Familiae.<br />
I primi due decreti approvati in via definitiva sono stati il n. 85 del 28 maggio<br />
2010 in tema di “federalismo demaniale”, e il n. 156 del 17 settembre 2010 su Roma<br />
Capitale. In entrambi non sono riscontrabili riferimenti alla famiglia. Anche se<br />
ciò può essere considerato prevedibile tenuto conto dei temi ivi trattati, si poteva<br />
forse fare qualche cenno alle esigenze delle famiglie sia là dove si è disposto in ordine<br />
all’“utilizzo ottimale di beni pubblici da parte degli enti territoriali” (v. art. 8 del<br />
d.lgs. n. 85 del 2010, ove si fa solo un generico accenno “al fine di assicurare la migliore<br />
utilizzazione dei beni pubblici per lo svolgimento delle funzioni pubbliche<br />
primarie attribuite”), oppure là dove, per Roma Capitale, si sono previste “forme<br />
di monitoraggio e controllo da affidare ad organismi posti in posizione di autonomia<br />
rispetto alla Giunta capitolina, finalizzate a garantire, nell’esercizio delle funzioni<br />
riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali,<br />
il rispetto degli standard e degli obiettivi di servizio definiti dai decreti legislativi<br />
di cui all’art. 2 <strong>della</strong> legge 5 maggio 2009, n. 42, nonché l’efficace tutela dei diritti<br />
dei cittadini” (v. art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 156 del 2010).<br />
40<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Giulio M. Salerno<br />
Dei successivi tre decreti legislativi approvati - rispettivamente sui fabbisogni<br />
standard degli enti locali (n. 216 del 26 novembre 2010), sul federalismo fiscale<br />
municipale (n. 23 del 14 marzo 2011), e sull’autonomia di entrata delle Regioni<br />
edelleProvince (n. 68 del 6 maggio 2011)-, i primi due nulla dicono sul Favor<br />
Familiae, mentre il terzo, quello sulle Regioni, appare finalmente più attento al<br />
tema.<br />
In particolare, nel d.lgs. n. 68 del 2011 relativo alle Regioni si prevede, in primo<br />
luogo, che queste ultime “nell’ambito dell’addizionale di cui al presente articolo<br />
(regionale regionale all’IRPEF, ndR) possono disporre con propria legge detrazioni<br />
in favore <strong>della</strong> famiglia, maggiorando le detrazioni previste dall’art. 12 del<br />
d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917” (art. 6, comma 5). Va ricordato che tale addizionale<br />
può essere aumentata o diminuita con legge (art. 6, comma 1); quindi, anche<br />
in coerenza con il principio di legalità dell’imposizione tributaria, appare corretta<br />
la previsione che tali misure aggiuntive a favore <strong>della</strong> famiglia debbano essere previste<br />
con legge regionale. Si tratta dunque soltanto <strong>della</strong> possibilità di maggiorare<br />
le detrazioni d’imposta, non di consentire deduzioni dall’imponibile, né, ad esempio,<br />
di incidere sui soggetti destinatari <strong>della</strong> riduzione.<br />
In secondo luogo, per ovviare correttamente al fatto che le famiglie “incapienti”,<br />
cioè con basso reddito, non godrebbero di alcun vantaggio, si prevede che<br />
“le regioni adottano altresì con propria legge misure di erogazione di misure di sostegno<br />
economico diretto a favore di soggetti IRPEF, il cui livello di reddito e la<br />
relativa imposta netta, calcolata anche su base familiare, non consente la fruizione<br />
delle detrazioni” sopra richiamate (art. 6, comma 5, secondo capoverso). Due novità<br />
vanno quindi segnalate: da un lato, è stata introdotta la possibilità – sempre<br />
con legge regionale – di misure di sostegno economico diretto per le famiglie a<br />
basso reddito non avvantaggiate dalla riduzione dell’addizionale IRPEF; dall’altro<br />
lato, il parametro cui sono collegate tali misure, si riferisce all’imposta netta “calcolata<br />
anche su base familiare”, cioè, può ipotizzarsi tenendo conto del reddito familiare.<br />
In terzo luogo, si prevede che le Regioni, sempre nell’ambito <strong>della</strong> predetta<br />
addizionale IRPEF, “possono inoltre disporre, con propria legge, detrazioni dall’addizionale<br />
stessa in luogo dell’erogazioni di sussidi, voucher, buoni servizio e<br />
altre misure di sostegno sociale previste dalla legislazione regionale” (art. 6, comma<br />
6). Ciò, dice espressamente il decreto legislativo, “al fine di favorire l’attuazione<br />
del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, quarto comma, <strong>della</strong><br />
Costituzione” (sempre art. 6, comma 6). Anche tali detrazioni per ragioni di<br />
sussidiarietà possono essere collegate alle famiglie, qualora trattasi di formazioni<br />
sociali che esercitano “attività di interesse generale” ai sensi dell’art. 118, comma<br />
4, Cost.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
41
Giulio M. Salerno<br />
Le limitazioni<br />
Tuttavia vi sono tre disposizioni che delimitano espressamente l’azione regionale<br />
nel senso delle detrazioni all’addizionale IRPEF per le famiglie e per l’attuazione<br />
<strong>della</strong> sussidiarietà orizzontale, oltre ad una disposizione di carattere residuale<br />
che sembra applicabile anche alle fattispecie qui in esame.<br />
– <strong>La</strong> prima limitazione è che tutte le predette possibilità agevolative è di ordine<br />
in senso temporale, in quanto si prevede che le relative disposizioni del decreto legislativo<br />
si applicano a decorrere dal 2013 (art. 6, comma 7).<br />
– <strong>La</strong> seconda limitazione è di ordine relazionale, cioè si riferisce ai flussi finanziari<br />
tra lo Stato e le Regioni: si prevede infatti che tutte le predette facoltà attribuite<br />
alle Regioni e che sono state prima esposte – cioè le misure a favore <strong>della</strong> famiglia<br />
o al fine di attuare la sussidiarietà orizzontale - siano “esclusivamente a carico<br />
del bilancio <strong>della</strong> Regione che le dispone e non comporta alcuna forma di compensazione<br />
da parte dello Stato” (art. 6, comma 8, primo capoverso). Per di più, si<br />
aggiunge che in ogni caso va tenuta ferma la regola generale che vale in caso di riduzioni<br />
dell’aliquota dell’addizione regionale all’IRPEF, cioè l’aliquota deve essere<br />
sufficiente per garantire ai rispettivi Comuni, insieme agli altri tributi interessati,<br />
un gettito che “non sia inferiore all’ammontare dei trasferimenti regionali ai Comuni”<br />
che sono soppressi ai sensi del medesimo decreto legislativo (cfr. art. 6,<br />
comma 8, secondo capoverso, che richiamato quanto disposto dall’art. 6, comma<br />
3, ultimo periodo).<br />
– <strong>La</strong> terza limitazione si riferisce stavolta alla pregressa cattiva gestione finanziaria<br />
elle Regioni in materia sanitaria; in sostanza, l’attivazione delle predette misure<br />
agevolative è temporaneamente preclusa, o meglio rimane “sospesa” per quelle<br />
Regioni che sono “impegnate nei piani di rientro del deficit sanitario” per le quali<br />
si applica la misura prevista dalla legge per il mancato rispetto del piano stesso (art.<br />
8, comma 9).<br />
Infine, vi è una disposizione che sembra avere carattere generale e residuale, in<br />
quanto si prevede che “restano fermi gli automatismi fiscali previsti dalla vigente<br />
legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio economico nonché le disposizioni<br />
in materia di applicazione di incrementi delle aliquote fiscali per le regioni<br />
sottoposte a piani di rientro dai deficit sanitari” (art. 6, comma 10). Insomma, gli<br />
aggravamenti fiscali determinati dalla cattiva gestione sanitaria resteranno validi<br />
anche per le famiglie che eventualmente dovessero godere delle predette misure<br />
agevolative.<br />
42<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Valore privato e pubblico <strong>della</strong> famiglia<br />
Alcune settimane fa è stato presentato a Caltagirone il<br />
libro “Amato figlio, frammenti di vita quotidiana <strong>della</strong><br />
famiglia di Felice e Caterina <strong>Sturzo</strong>” 1 . Credo che a partire<br />
da questo spunto sia possibile sviluppare un discorso<br />
sul valore privato e pubblico <strong>della</strong> famiglia naturale<br />
fondata sul matrimonio.<br />
Felice e Caterina <strong>Sturzo</strong> sono i genitori di <strong>Luigi</strong> e Mario<br />
<strong>Sturzo</strong>, ma sono soprattutto buoni modelli di vita familiare,<br />
sono patrimonio di tutti, come ha scritto Mons.<br />
Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, nell’introduzione<br />
al testo: “È la ricostruzione <strong>della</strong> storia domestica di<br />
due cristiani che da sposi, attraverso il loro matrimonio,<br />
nato nell’amore e con amore, hanno dato vita a una famiglia<br />
modello di Caltagirone. [...] In questa famiglia,<br />
tutti insieme e ciascuno a suo modo, al di là di tutti gli<br />
ostacoli e dentro ogni cosa, hanno fatto risplendere di<br />
amore fedele la ferialità dei giorni” 2 . Esempio privato e<br />
pubblico, dunque, di virtù morali e di amore.<br />
Saper costruire una grande storia d’amore familiare<br />
Possiamo chiederci, come da qualche tempo fanno molti,<br />
se questa storia domestica piena di sforzi abbia un senso<br />
nella vita privata e pubblica. O meglio, il gioco vale la candela?<br />
<strong>La</strong> risposta è nella capacità di un uomo e di una donna di saper<br />
scrivere assieme una storia che supera la banalità del quotidiano<br />
e del provvisorio: “Una storia più grande di loro stessi –<br />
per i coniugi <strong>Sturzo</strong>, ci ricorda Monsignor Peri – eunamore<br />
1 L. e P. Busacca, Amato figlio. Frammenti di vita quotidiana <strong>della</strong> famiglia<br />
di Felice e Caterina <strong>Sturzo</strong>. Effatà editrice, Cantalupa 2011.<br />
2 Ivi, p. 3.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
GASPARE STURZO<br />
Magistrato<br />
≈<br />
«<strong>La</strong> famiglia –<br />
riconosciuta nella<br />
nostra Carta<br />
Costituzionale –<br />
manca del primo<br />
grande diritto di<br />
poter dire la sua,<br />
attraverso il voto,<br />
nella democrazia<br />
italiana».<br />
≈<br />
43
Gaspare <strong>Sturzo</strong><br />
più forte <strong>della</strong> loro stessa morte. Essi raccontano per quel che possono, in modo più o meno<br />
consapevole, quella storia splendente a cui Dio stesso ha dato inizio” 3 . Se volete questa<br />
storia potrebbe essere uguale a quella di ogni sana famiglia; una grande storia fatta di<br />
amore, generosità, abnegazione, sacrifico. Una palestra continua nell’esercizio dell’amore<br />
per il prossimo. Una storia che le nostre nonne ci hanno raccontato, che con<br />
papà e mamma abbiamo vissuto, che con i nostri figli stiamo tentando si scrivere.<br />
Le ragioni <strong>della</strong> criminalizzazione <strong>della</strong> famiglia tradizionale<br />
C’è da segnalare, però, una contraddizione sociale. Se queste storie sono così<br />
importanti per la vita <strong>della</strong> nostra comunità, perché i modelli delle famiglie buone<br />
e sane, sono così trascurati nella cultura nazionale?<br />
Alla presentazione di Caltagirone ho definito il libro di Lorena e Pino Busacca,<br />
un testo rivoluzionario, perché da qualche tempo in Italia parliamo solo <strong>della</strong> patologia<br />
<strong>della</strong> famiglia, quella moralmente malata, quella in crisi, e la propagandiamo<br />
come elemento di presunta normalità. Nella lotta cieca contro questa piccola società<br />
naturale e umana <strong>della</strong> famiglia, le scarichiamo addosso il rischio e il costo <strong>della</strong><br />
crisi <strong>della</strong> grande comunità nazionale. I conti sono sempre ben fatti: la violenza<br />
in famiglia, il nepotismo familiare, la famiglia clientelare e, infine, il vero top di<br />
gamma: la famiglia mafiosa e criminale. Non appena si tenta un’operazione di distinguo<br />
tra cause ed effetti delle patologie familiari i guru <strong>della</strong> laicità accusano noi<br />
cattolici di sognare sempre l’ideale perfetto <strong>della</strong> famiglia del mulino bianco. È<br />
chiaro che quest’accusa relativista è lo strumento necessario per normalizzare concetti<br />
diversi di famiglia, come – ad esempio – quella reclamizzata da una catena di<br />
distribuzione internazionale di mobili a basso costo che ha scelto di promuovere<br />
l’amore omosessuale. Ritengo che la criminalizzazione <strong>della</strong> famiglia tradizionale<br />
appartenga a quella Kultura – sì, proprio con la famigerata storica K di matrice social<br />
comunista – che ha reinventato per la nostra Nazione un concetto assolutamente<br />
negativo come il cosiddetto familismo amorale. O meglio, siamo di fronte a<br />
delle sub culture che, per fini autonomi ma spesso convergenti, nel tentativo di un<br />
modernismo nichilista tentano di imporsi, a suon di milioni di euro, per demolire<br />
l’elemento di coesione <strong>della</strong> nostra comunità nazionale: la famiglia naturale fondata<br />
sul matrimonio. Dopo la riuscita azione di distruzione sulla fiducia nelle istituzioni<br />
pubbliche e di governo democratico, dopo quella contro le istituzioni economiche<br />
e religiose, dopo l’attacco alle istituzioni culturali, eccoci giunti al primo<br />
anello <strong>della</strong> catena sociale, distruggere il baluardo: l’istituzione familiare. Venuto<br />
meno quest’ultimo avamposto, sarà facile per l’impero delle società finanziarie internazionali,<br />
lobbistiche e/o massoniche, vivere sull’arte di dominare il prossimo.<br />
44<br />
3 Ibidem.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Quell’uomo che non ha più nessun valore se non quello del consumo, un nulla<br />
nelle mani del dio denaro, regola unica del mondo.<br />
Individualismo sociale, non genitorialità e tradizione familiare<br />
Gaspare <strong>Sturzo</strong><br />
Svilirne l’allarme, sostenendo che allo stato delle cose possa essere un fenomeno<br />
marginale sarebbe un grave errore, significherebbe non aver compreso il processo<br />
d’individualismo che il male sta percorrendo nella nostra società. Il Rapporto<br />
Eurispes Italia 2011 lancia l’allarme sulla “scelta <strong>della</strong> non genitorialità” come un<br />
preciso segnale che sta tentando di passare sui sistemi mass mediatici vecchi e nuovi.<br />
Un preciso segnale <strong>della</strong> tendenza, sempre in crescita, alla decostruzione graduale<br />
<strong>della</strong> maternità e all’abbattimento del concetto di famiglia. Siamo di fronte a sommovimenti<br />
continui e aggressivi rispetto al riconoscimento dei valori insiti nella famiglia<br />
tradizionale, che riescono – a dire del Rapporto – anche a darsi la parvenza<br />
di movimenti organizzati ideologicamente, tra questi i childless eichildfree, cioè i<br />
senza figli e i liberi dai figli, dove, alla comune libertà di scelta di essere senza figli,<br />
nel secondo gruppo s’individuano i figli come un potenziale elemento di disturbo<br />
e una limitazione alla propria libertà personale. Ancora, i Dink (Double income no<br />
kids) eiGink (green inclination no kids): nel primo gruppo è rivendicato il diritto<br />
di godere un doppio lavoro/stipendio per i due potenziali genitori, liberandosi dall’impaccio<br />
dei figli che lo renderebbe impossibile; o meglio, maggior propensione<br />
all’agiatezza e al benessere individuale con un bilancio economico liberato dal peso<br />
e dal costo dei figli; il secondo gruppo sostiene la necessità di non far figli per non<br />
infierire sulle precarie condizioni ambientali del pianeta. O meglio, non dobbiamo<br />
fare figli per non stressare le risorse ambientali.<br />
Questi gruppi di persone si organizzano nella forma ideologizzante e, attraverso<br />
ingenti investimenti economici, sono reclamizzati/promossi dai mass media come<br />
fenomeno moderno di movimentismo sociale. Nessuno di noi può dire oggi<br />
che sviluppo avranno questi ordigni nucleari di denatalità sociale nel futuro italiano,<br />
ma prendendo sul serio le loro istanze, e cercando di prevenire le conseguenze<br />
delle loro scelte sbagliate, potremmo già intravedere numerosi temi d’intervento<br />
per un’agenda dedicata alla famiglia. Allo stato abbiamo le stime sulla bassa natalità<br />
nazionale, seppur sostenuta dagli immigrati, che pone in serio dubbio la capacità di<br />
ricambio generazionale. Il nostro è paese che invecchia, guidato da vecchi politici,<br />
che non riesce neppure ad affrontare la gestione dell’emergenza anziani. Il sintomo,<br />
comunque, di quel rallentarsi del costume familiare – già denunciato da don<br />
<strong>Sturzo</strong> negli anni cinquanta espresso anche nel rifiuto di ogni concezione religiosa<br />
<strong>della</strong> vita sociale per coloro che vanno perdendo il senso <strong>della</strong> moralità privata e<br />
pubblica: “Sì che i rapporti extrafamiliari sono resi più facili e tolleranti. A parte l’introduzione<br />
del divorzio e la facilità <strong>della</strong> sua applicazione presso molti stati, l’educazio-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
45
Gaspare <strong>Sturzo</strong><br />
ne stessa <strong>della</strong> gioventù e la diffusione di teorie e abitudini materialistiche ed edonistiche,<br />
contribuiscono alla dissoluzione <strong>della</strong> vita familiare” 4 . Questi temi hanno trovato<br />
risposte nei tempi passati <strong>della</strong> Prima Repubblica italiana, sotto l’azione trainante<br />
<strong>della</strong> Democrazia Cristiana in difesa <strong>della</strong> famiglia; il processo sì è invertito sotto<br />
la vigenza <strong>della</strong> Seconda Repubblica, per i noti problemi di crisi economica e finanziaria,<br />
ma – tout court – di valori, idealità e progettualità sociale.<br />
Le politiche a favore <strong>della</strong> famiglia e il federalismo fiscale<br />
Oggi si tende a riprendere il tema <strong>della</strong> famiglia e delle politiche a essa connessa,<br />
in funzione dell’epocale sopravvenire del Federalismo fiscale. Conosciamo le tesi<br />
del prof. Luca Antonini sulla valenza positiva del federalismo fiscale nella forma municipale,<br />
soprattutto quando afferma che gran pregio di questa è legato alla possibilità<br />
di scelta sulla base del trinomio: “voto, pago, vedo”. O meglio, prima <strong>della</strong> riforma<br />
i cittadini pagavano e votavano, ma non vedevano. Non potevano controllare, né<br />
sanzionare l’attività dei governi locali. Secondo Antonini, il federalismo municipale<br />
sarebbe l’unico modo per avvicinare il potere al cittadino, per incentivare la classe <strong>politica</strong><br />
a spendere e ad agire in favore <strong>della</strong> comunità. Ci sarebbe un riscontro diretto e<br />
immediato dell’efficienza delle attività svolte dai governi locali, proprio grazie al meccanismo<br />
per cui i cittadini finalmente votano secondo ciò che vedono. Mi sia permesso<br />
sostenere che questo trinomio per la famiglia costituzionalmente protetta non<br />
funziona. <strong>La</strong> famiglia manca di un’autonoma capacità di rappresentanza <strong>politica</strong>, paga<br />
le tasse di solito per mezzo dell’indistinta redditualità genitoriale, non ha una sua<br />
legittimazione nella fruizione dei servizi. Se volete, potremmo riformulare il noto<br />
motto liberista in «Yes taxation without rapresentation». O meglio, alla famiglia sono<br />
imposte delle tasse quando alla stessa non è riconosciuto alcun ruolo autonomo e rilevante<br />
nel potere di scegliere i rappresentanti politici. Ciò ci introduce al tema <strong>della</strong><br />
crisi <strong>della</strong> famiglia e <strong>della</strong> sua relazione con il ruolo <strong>della</strong> rappresentanza <strong>politica</strong>. Alcune<br />
parole di don <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong> possono servire a comprendere bene l’inscindibile legame<br />
tra l’istituzione familiare e la sua funzione nella vita pubblica: «<strong>La</strong> famiglia, concepita<br />
individualisticamente, ha perduto l’importanza sociale di un tempo, non influisce<br />
che indirettamente sulla vita <strong>politica</strong> del paese; non ha più garanzie di stabilità economica;<br />
nella limitazione <strong>della</strong> prole cerca un ripiego per contenere le spese, ripiego<br />
che deriva da volontà egoistica. I divorzi sono divenuti frequenti man mano che la famiglia<br />
si è impoverita spiritualmente; onde questa sarebbe del tutto decaduta se la religione<br />
non avesse supplito con la sua disciplina alla mancanza di sostegno e di rilevamento<br />
sociale» 5 . Per un verso la frase del sacerdote calatino spiega perché anche oggi<br />
4 L. <strong>Sturzo</strong>, <strong>La</strong> società, sua natura e leggi, Opera Omnia, Serie I, vol. III., Zanichelli, Bologna<br />
1960, p. 55.<br />
46<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
le istituzioni Famiglia e Chiesa Cattolica siedono sullo stesso banco degli imputati.<br />
Ci fa comprendere perché il progetto sociale edonistico e individualista, proponga di<br />
liberarci da questi impacci rendendoci – a suo dire – finalmente liberi di scegliere e<br />
indirizzando il festante popolo dei consumi verso alla fiera <strong>della</strong> vanità. Papa Giovanni<br />
Paolo II, nell’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, del 22 novembre 1981,<br />
ha affermato che “Il servizio <strong>della</strong> società alla famiglia si concretizza nel riconoscimento,<br />
nel rispetto e nella promozione dei diritti <strong>della</strong> famiglia”. Tutto ciò, secondo il numero<br />
253 <strong>della</strong> Dottrina sociale <strong>della</strong> Chiesa, richiede la realizzazione di autentiche ed efficaci<br />
politiche familiari con interventi precisi in grado di affrontare i bisogni che derivano<br />
dai diritti <strong>della</strong> famiglia come tale 6 .<br />
Diritti politici <strong>della</strong> famiglia e politiche familiari<br />
Infatti, nella DSC si può leggere che «Il riconoscimento, da parte delle istituzioni<br />
civili e dello Stato, <strong>della</strong> priorità <strong>della</strong> famiglia su ogni altra comunità e sulla stessa<br />
realtà statuale, comporta il superamento delle concezioni meramente individualistiche<br />
el’assunzione <strong>della</strong> <strong>dimensione</strong> familiare come prospettiva, culturale e <strong>politica</strong>, irrinunciabile<br />
nella considerazione delle persone. Ciò non si pone in alternativa, ma piuttosto<br />
a sostegno e tutela degli stessi diritti che le persone hanno singolarmente. Tale prospettiva<br />
rende possibile elaborare criteri normativi per una soluzione corretta dei diversi<br />
problemi sociali, poiché le persone non devono essere considerate solo singolarmente,<br />
ma anche in relazione ai nuclei familiari in cui sono inserite, dei cui valori specifici ed<br />
esigenze si deve tenere debito conto» 7 .<br />
Ora possiamo dire che un progetto sociale esiste se c’è una <strong>politica</strong> pubblica che<br />
gli consenta di affermarsi. <strong>La</strong> <strong>politica</strong> pubblica non cresce sotto l’albero <strong>della</strong> cuccagna,<br />
ma è oggetto di programmazione nazionale e locale, secondo un evidente confronto<br />
d’interessi legati alla rappresentazione legittima degli stessi. Chi ha ricevuto il<br />
potere dalle elezioni, in una normale democrazia, è in grado di scegliere e decidere come<br />
e dove, raccogliere e investire le risorse pubbliche. Ciò può spiegare, a mio avviso,<br />
il lento ripiegarsi degli articoli costituzionali sul riconoscimento <strong>della</strong> famiglia, sulle<br />
agevolazioni economiche alla formazione <strong>della</strong> famiglia, l’adempimento dei suoi<br />
compiti e l’effettività <strong>della</strong> libertà economica nella libera scelta del diritto allo studio.<br />
Ciò può farci comprendere le cocenti delusioni del quoziente familiare e le frementi<br />
attese sul fattore famiglia. A mio avviso, per cambiare decisamente rotta e per avere<br />
delle politiche a favore <strong>della</strong> famiglia occorre che questa possa avere un peso diretto sul-<br />
5 Ivi, p. 63.<br />
6 Compendio <strong>della</strong> Dottrina sociale <strong>della</strong> Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano<br />
2004, p. 142.<br />
7 Ibidem.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
Gaspare <strong>Sturzo</strong><br />
47
Gaspare <strong>Sturzo</strong><br />
la vita <strong>politica</strong> nazionale, garantendole una classe dirigente e di governo sensibile a<br />
questi temi. Non è un problema di schieramenti, o solo di questi. <strong>La</strong> riprova è nel valore<br />
potenziale <strong>della</strong> breve e significativa esperienza del Family day e del rapido processo<br />
di cooptazione <strong>politica</strong> dei suoi coordinatori che ne ha stroncato ogni capacità<br />
decisionale d’indirizzo sociale e, dunque, ogni velleità di natura <strong>politica</strong>.<br />
Conclusioni: diritto di voto, riforma elettorale e norme costituzionali<br />
Insomma, è forse il tempo di cominciare a riflettere che se pago di più per la<br />
tassa sui rifiuti urbani, perché il mio nucleo familiare è più grande, come la superficie<br />
dell’alloggio che ci ospita, forse potrebbe essere giusto che il mio voto, come genitore,<br />
alle elezioni politiche o amministrative possa avere un peso maggiore rispetto<br />
al voto del single. Allora e solo allora, il trinomio federalista scelgo la classe <strong>politica</strong>,<br />
pago le tasse e vedo i servizi, sarebbe salvo. Se a causa del mio nucleo familiare pago<br />
percentualmente di più nell’uso di pessimi servizi pubblici di cui la mia famiglia<br />
usufruisce come asili nido, autobus, scuola, università, sanità, smaltimento dei rifiuti<br />
e così via, potrò avere riconosciuto il diritto a rappresentare anche quei cittadini<br />
minori di età, cioè i miei figli, che sono costretti a doversi accontentare di avere poco,<br />
mentre io pago tanto, rispetto ai single e alle mono famiglie. Sarebbe giusto riconoscere<br />
a questi cittadini, componenti <strong>della</strong> famiglia e <strong>della</strong> comunità sociale, un diritto<br />
di rappresentanza, da esercitare secondo i canoni <strong>della</strong> democrazia, per poter<br />
incidere sul ricambio <strong>della</strong> classe <strong>politica</strong>. In questo sta l’elemento di contraddizione<br />
costituzionale che riconosce i diritti <strong>della</strong> famiglia, ma le nega all’articolo 48 <strong>della</strong><br />
Costituzione ogni capacità di voto. Occorre integrare il tema <strong>della</strong> riforma elettorale<br />
introducendo il diritto <strong>della</strong> famiglia nell’ambito dei rapporti politici. O meglio,<br />
come arricchire le disposizioni di cui all’articolo 48 <strong>della</strong> Costituzione sui diritti<br />
elettorali dei cittadini con la relazione del peso elettorale <strong>della</strong> famiglia. Non credo<br />
che possa essere considerato un problema insuperabile di tecnica legislativa in una<br />
Nazione che ha reinventato le liste bloccate, i premi di maggioranza, i listini del presidente,<br />
la cooptazione, il voto disgiunto e i quesiti referendari del sì che vuol dire<br />
no. Potrà sembrare una provocazione, ma la famiglia - come cellula prima relazionale<br />
riconosciuta nella nostra Carta Costituzionale - manca del principio di effettività<br />
nel primo grande diritto, quello di poter dire la sua, attraverso il peso del voto, nella<br />
democrazia italiana. Una situazione risolvibile attraverso il noto meccanismo elettorale<br />
del voto disgiunto, che romperebbe l’egualitarismo tra due cose che sono diverse,<br />
il voto da singolo cittadino e quello da genitore rappresentante del nucleo familiare,<br />
di cui all’articolo 29 <strong>della</strong> Costituzione. Non si toglierebbe nulla ai primi,<br />
mentre si aggiungerebbe una nuova dinamica alla democrazia italiana con il riconoscimento<br />
<strong>della</strong> soggettività <strong>politica</strong> <strong>della</strong> famiglia.<br />
<br />
48<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Modelli in crisi<br />
Cinque opzioni<br />
per una cultura di governo<br />
Elaborare una nuova cultura di governo del Paese – e<br />
una conseguente proposta di governo – che abbiano la<br />
necessaria organicità e coerenza con un’ispirazione cristiana<br />
laicamente e autonomamente espressa sul terreno<br />
politico, significa affrontare una mole di problemi il<br />
cui sviluppo e le cui connessioni formino il quadro<br />
d’insieme di ciò che riteniamo essenziale per la società<br />
italiana dei nostri giorni e la sua proiezione nel contesto<br />
internazionale. Per fare questo è necessario un confronto<br />
preliminare tra le opzioni di fondo che devono caratterizzare<br />
questa visione d’insieme. Qui di seguito ne<br />
proponiamo cinque perché su di esse possano esserci<br />
una valutazione comune e un’aggregazione di intenti.<br />
<strong>La</strong> premessa dalla quale partire è che mentre inizia il secondo<br />
decennio del secolo, un ciclo e un modello di sviluppo<br />
del Paese sono giunti alla fine del loro corso, sempre più in<br />
affanno e incapaci di dare le risposte indispensabili alle nuove<br />
questioni poste dalla sfera del lavoro e delle imprese, dalle urgenze<br />
sociali, dalla condizione giovanile, dall’immigrazione,<br />
dalle innovazioni tecnologiche, dalla globalizzazione, dallo<br />
straordinario sviluppo delle comunicazioni che in questi anni<br />
ha affiancato un nuovo mondo virtuale a quello reale.<br />
Quella che abbiamo di fronte non è una crisi congiunturale<br />
ma strutturale. È un intero modello degli ultimi decenni,<br />
culturale, politico, istituzionale, di relazioni sociali che non<br />
regge più all’urto dei cambiamenti in corso. <strong>La</strong> crisi va affrontata<br />
dunque con un paradigma nuovo di analisi e di proposte.<br />
Perciò, girata la boa dei 150 anni dell’unità del Paese sta a tutti<br />
GIUSEPPE SANGIORGI<br />
Saggista<br />
≈<br />
«Stiamo vivendo<br />
una nuova epoca<br />
di cambiamento<br />
che chiama in<br />
causa la capacità<br />
progettuale di<br />
ciascuno, sui<br />
problemi dello<br />
sviluppo e <strong>della</strong><br />
organizzazione<br />
dello Stato […].<br />
L’obiettivo […] è<br />
quello di dare vita<br />
partendo dal<br />
basso a una<br />
rinnovata cultura<br />
del governo di<br />
ispirazione<br />
cristiana».<br />
≈
Giuseppe Sangiorgi<br />
noi interrogarci su quale idea di futuro la società italiana esprime oggi con le sue dinamiche<br />
e le sue stesse contraddizioni. Compiere una tale riflessione significa innanzitutto<br />
chiederci quale è lo stato <strong>della</strong> democrazia del Paese e quali sono le sue prospettive.<br />
Una democrazia che i cattolici hanno contribuito a edificare lungo un percorso<br />
complesso, che nel corso del tempo li ha resi partecipi e protagonisti sul terreno civile<br />
attraverso i loro valori e i loro riferimenti, a iniziare dagli orientamenti espressi dalla<br />
Dottrina Sociale <strong>della</strong> Chiesa e dal popolarismo sturziano. Questo percorso non può<br />
mai dirsi concluso. Esso ha avuto fasi e stagioni diverse, come quelle politiche del cattolicesimo<br />
democratico, in un continuo intreccio con gli eventi storici del Paese.<br />
Una nuova epoca<br />
Oggi stiamo vivendo una nuova epoca di cambiamento che chiama in causa<br />
la capacità progettuale di ciascuno sui diversi problemi dello sviluppo e <strong>della</strong> organizzazione<br />
dello Stato. L’enorme livello di evasione fiscale annua – oltre 150 miliardi<br />
di euro – la burocratizzazione e il costo insopportabile <strong>della</strong> macchina pubblica<br />
e dei servizi sociali, la perdurante congiuntura economica danno la misura di<br />
uno squilibrio strutturale del Paese. Tutto ciò provoca un grande disorientamento,<br />
ma deve generare anche un desiderio di rinascita e un ritrovato senso etico e civico.<br />
I conflitti tra i diversi poteri istituzionali, il susseguirsi degli scandali, la corruzione,<br />
l’indecenza dei comportamenti personali di uomini pubblici che hanno<br />
finito con il compromettere l’immagine dell’intero il Paese, l’autismo di partiti<br />
chiusi dentro le loro logiche autoreferenziali, l’oscillazione fra una prospettiva statuale<br />
unitaria e una federalista poste in contrapposizione tra loro non aiutano a fare<br />
la chiarezza necessaria sui tanti aspetti che coinvolgono la vita quotidiana, le speranze<br />
e il destino dei cittadini.<br />
Proposta di un nuovo cammino: la “Carta d’Intesa”<br />
Per tali motivi un primo gruppo di soggetti sociali cattolici da tempo legati<br />
all’appuntamento annuale <strong>della</strong> “Tre giorni di Toniolo” di Pisa San Miniato, hanno<br />
deciso di dare vita a una Carta d’Intesa per un coordinamento <strong>della</strong> loro presenza<br />
e delle loro iniziative ed hanno condiviso a Prato il 7 maggio 2011, intorno al<br />
vescovo Gastone Simoni, un documento in tal senso da portare all’attenzione di altri<br />
gruppi e di altri soggetti che hanno a cuore anch’essi il bene comune del Paese<br />
(vedi Civitas n. 3/2010 - n. 1./2011).<br />
Le opzioni che proponiamo muovono dagli impegni presi in questo documento;<br />
ne rappresentano un inizio operativo. Esse riguardano cinque aree tematiche<br />
– democratica, istituzionale, economica, culturale educativa e <strong>politica</strong> – affin-<br />
50<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Giuseppe Sangiorgi<br />
ché le risposte ai problemi posti, anche attraverso la predisposizione di specifiche<br />
schede di analisi e l’apporto di contributi individuali e collettivi, diano vita nel loro<br />
insieme a una aggiornata cultura di governo posta al servizio di una nuova fase<br />
di sviluppo del Paese. Soltanto da una rinnovata cultura di governo potrà scaturire<br />
infatti una proposta di governo da portare sul terreno <strong>della</strong> <strong>politica</strong> e dei partiti.<br />
Opzione democratica<br />
Perché non resti una enunciazione sempre più formale e retorica la democrazia<br />
– che ha un inscindibile legame con l’essenza stessa del cristianesimo, oggetto<br />
di uno specifico approfondimento – va concretamente concepita e sostenuta come<br />
il quotidiano riferimento deliberativo del Paese. <strong>La</strong> democrazia che intendiamo affermare<br />
è quella rappresentativa delle istituzioni centrali e locali, e insieme quella<br />
partecipativa dei corpi sociali ai più diversi livelli. L’incontro e la collaborazione tra<br />
questi due soggetti <strong>della</strong> democrazia avviene attraverso gli anelli di congiunzione<br />
<strong>della</strong> sussidiarietà e <strong>della</strong> solidarietà: una nuova alleanza in una logica cooperativa e<br />
non più antagonista fra i protagonisti istituzionali e quelli sociali.<br />
<strong>La</strong> sussidiarietà è la costruzione dal basso del governo del Paese. Altrettanto lo è<br />
la solidarietà se essa è intesa non come mera redistribuzione di risorse ma come<br />
virtù produttiva e dinamica. In tale modo e alla luce dei nuovi tempi e delle nuove<br />
urgenze – pensiamo alla domanda di cittadinanza posta dagli immigrati divenuti<br />
stabilmente in pochi decenni oltre cinque milioni – va reinterpretato il binomio<br />
democrazia e giustizia sociale. Lo stesso squilibrio strutturale rappresentato oggi<br />
dai costi <strong>della</strong> previdenza e dell’assistenza sociale non è superabile se non attraverso<br />
una logica organizzativa fondata sulla sussidiarietà e sulla solidarietà, con un nuovo<br />
protagonismo dei corpi intermedi e una concezione del rilievo pubblico dei bisogni<br />
al quale non debba corrispondere di per sé meccanicamente la statalizzazione/burocratizzazione<br />
<strong>della</strong> risposta ai bisogni.<br />
Opzione istituzionale<br />
Strettamente legato al tema <strong>della</strong> democrazia c’è quello delle istituzioni. L’agenda<br />
istituzionale è dominata oggi dalla prospettiva del federalismo. Che cosa si<br />
intende per federalismo? <strong>La</strong> risposta chiama in causa i contenuti del nuovo titolo<br />
quinto <strong>della</strong> seconda parte <strong>della</strong> Costituzione approvato dal Parlamento con legge<br />
costituzionale nel 2001. Una legge delega del 2009 relativa al cosiddetto “federalismo<br />
fiscale” ne ha rappresentato una prima fase attuativa attraverso i relativi decreti<br />
legislativi, ma essa non esaurisce la portata innovativa <strong>della</strong> riforma del titolo<br />
quinto <strong>della</strong> Costituzione, rispetto alla quale resta aperta la duplice opzione di approdo<br />
verso un inedito federalismo o invece verso un più marcato regionalismo,<br />
secondo il disegno originario <strong>della</strong> Costituzione repubblicana.<br />
Ciò che nei prossimi anni sarà dunque in gioco è la prospettiva unitaria posta<br />
dall’articolo cinque <strong>della</strong> Costituzione (“<strong>La</strong> Repubblica, unica e indivisibile, rico-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
51
Giuseppe Sangiorgi<br />
nosce e promuove le autonome locali…”): il riconoscimento e lo sviluppo più ampio,<br />
particolarmente sentito dai cattolici, del decentramento e delle autonomie locali<br />
dunque, ma lungo un percorso che è insieme e dentro il processo unitario, non<br />
fuori e contro il processo unitario del Paese. Il 2011 in particolare si è caratterizzato<br />
per un contrasto sempre più dirompente sull’unità del Paese. Incalzata dal Capo<br />
dello Stato su questo tema la Lega Nord ha evocato nel settembre scorso oltre alla<br />
secessione, il diritto all’autodeterminazione delle regioni settentrionali. Sarà questo<br />
il terreno dello scontro.<br />
Opzione economica<br />
Le delusioni storiche derivanti dal collettivismo e da un liberismo sempre più<br />
finanziario e speculativo pongono il tema di un’economia civile di mercato che<br />
sappia comporre finalmente il profitto e la solidarietà: è questa la scommessa di<br />
una rinnovata cultura di governo che voglia tradursi in una <strong>politica</strong> economica volta<br />
al bene comune e ad un armonico sviluppo rispettoso <strong>della</strong> dignità umana, così<br />
come delle risorse naturali e ambientali di ciascun Paese. <strong>La</strong> crisi economica italiana<br />
si inserisce con le sue peculiarità in un contesto di crisi internazionale che non a<br />
caso vede risparmiata in notevole misura la Germania, la nazione europea che da<br />
oltre sessanta anni ha compiuto la scelta dell’economia sociale di mercato.<br />
L’enciclica Caritas in Veritate ha fatto di questa forma di economia una indicazione<br />
su scala planetaria: “… Il mercato non è, e non deve perciò diventare, di per<br />
sé il luogo <strong>della</strong> sopraffazione del forte sul debole…” (punto 46). <strong>La</strong> carità dunque,<br />
intesa come valore e come mano stavolta non invisibile del mercato; l’<strong>etica</strong> intesa<br />
come “fattore intrinseco delle leggi economiche”, secondo quell’affermazione<br />
di Giuseppe Toniolo che ha informato nel profondo il magistero <strong>della</strong> Chiesa dell’intero<br />
Novecento caratterizzando questa istituzione come portatrice di sapienza<br />
sociale. Il primo festival <strong>della</strong> Dottrina Sociale <strong>della</strong> Chiesa realizzato a Verona a<br />
metà settembre 2011 dai circoli Toniolo di don Adriano Vincenzi ha posto l’accento<br />
sugli aspetti concreti di questa prospettiva. <strong>La</strong> parola d’ordine era: basta lamentarsi.<br />
A fine settembre, nella sede di Civiltà Cattolica Stefano Zamagni ha calcolato<br />
che se ci fosse il necessario sostegno di <strong>politica</strong> economica, in Italia potrebbero nascere<br />
in breve tempo 50 mila nuove imprese sociali che una logica puramente capitalistica<br />
è incapace di realizzare.<br />
Opzione culturale educativa<br />
Si parla comunemente oggi di “emergenza educativa”. Lo si fa rispetto ai giovani<br />
e al loro disorientamento sui modelli da seguire; rispetto a un devastante diffondersi<br />
di consumo di droghe tra gli stessi giovani; rispetto a comportamenti sociali<br />
improntati a forme esasperate di individualismo e di relativismo; rispetto a innovazioni<br />
tecnologiche che vedono fasce intere di popolazione emarginate dai nuovi<br />
processi di sviluppo. Gli esempi sono innumerevoli e riguardano i più diversi<br />
52<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Giuseppe Sangiorgi<br />
aspetti <strong>della</strong> vita civile. Un antico patrimonio di legami comportamentali, affettivi,<br />
relazionali si è consumato e ad esso non si sa che cosa sostituire nei comportamenti<br />
individuali e collettivi: è un problema di identità personale e di identità nazionale<br />
anche in rapporto alla <strong>dimensione</strong> europea nella quale viviamo.<br />
Contro le paure che derivano da tutto questo, contro la rassegnazione che spesso<br />
ne consegue l’emergenza educativa va trasformata in una sfida educativa: significa<br />
porre al centro l’innovazione sociale come fattore di sviluppo, per ritrovare un<br />
nuovo e condiviso senso <strong>della</strong> nostra cittadinanza e <strong>della</strong> nostra appartenenza a una<br />
storia comune. I due progetti politici di centro destra e di centro sinistra che si sono<br />
confrontati negli ultimi vent’anni nel Paese, nei loro valori di riferimento sono stati<br />
sostanzialmente acattolici. Il debito pubblico è continuato a salire, ma insieme con<br />
esso sono cresciute le disuguaglianze. Il dato demografico è il riscontro più evidente<br />
di un Paese che non crede al proprio futuro e dunque non investe in se stesso.<br />
Opzione <strong>politica</strong><br />
<strong>La</strong> <strong>politica</strong> è di per sé <strong>dimensione</strong> internazionale dei problemi europei e mondiali.<br />
Una cultura di governo che non sia permeata integralmente da questa visione<br />
è destinata ad arenarsi nelle secche del provincialismo. Tanto più per i cattolici, per i<br />
quali la <strong>politica</strong> è esercizio di carità e la carità, insegna Antonio Rosmini, è per sua<br />
natura universale. Dunque una tale visione internazionale dei problemi è la prima<br />
riaffermazione da compiere. C’è poi da considerare l’aspetto dei partiti, che <strong>della</strong><br />
<strong>politica</strong> sono il principale strumento. Rispetto al modo attuale di elaborazione delle<br />
loro proposte, di selezione dei quadri, di democrazia interna e di finanziamento <strong>della</strong><br />
loro esistenza, i partiti rappresentano oggi il lato oscuro <strong>della</strong> democrazia italiana.<br />
Questo essere diventati il lato oscuro <strong>della</strong> nostra democrazia è il punto nevralgico<br />
<strong>della</strong> crisi. Occorre ripartire dall’articolo 49 <strong>della</strong> Costituzione determinando<br />
l’aspetto economico e la natura giuridica che ai partiti deriva dal loro ruolo: “Tutti<br />
i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con<br />
metodo democratico a determinare la <strong>politica</strong> nazionale”. Una “operazione verità”<br />
su ciò che il Paese non può più permettersi di essere, vivere di rendite e di consumi<br />
invece che di lavoro e di investimenti, deve iniziare da ciò che i partiti per primi<br />
non possono più essere: gerarchie oligarchiche che vivono di cooptazione invece<br />
che di ricambio reale del proprio personale e di maturazione condivisa dei propri<br />
progetti. <strong>La</strong> democrazia è il tempo <strong>della</strong> decisione, spiegava Aldo Moro: è il tempo<br />
necessario perché una proposta guadagni il necessario consenso per diventare iniziativa<br />
<strong>politica</strong>. Questo non può non riflettersi sul modo di essere dei partiti.<br />
Ecco dunque le cinque opzioni: una concezione <strong>della</strong> democrazia che sia insieme<br />
rappresentativa e partecipativa; uno sviluppo delle autonomie che si svolga<br />
dentro e insieme al processo unitario e non fuori e contro di esso; una riconversione<br />
dell’apparato produttivo nella direzione dell’economia civile di mercato; un<br />
nuovo e condiviso senso di cittadinanza e di appartenenza come sfida culturale<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
53
Giuseppe Sangiorgi<br />
educativa; la <strong>politica</strong> come <strong>dimensione</strong> internazionale e partiti che ne siano strumenti<br />
trasparenti, con una legge elettorale che restituisca ai cittadini il diritto di<br />
scegliere e rifondi il “patto parlamentare” del Paese.<br />
L’obiettivo posto dalla Carta d’Intesa condivisa a Prato è quello di dare vita<br />
partendo dal basso a una rinnovata cultura di governo di ispirazione cristiana. <strong>La</strong><br />
gerarchia ecclesiastica, anche con le recenti e ripetute sollecitazioni espresse dal vertice<br />
<strong>della</strong> CEI è tornata a incoraggiare – dopo anni di atteggiamento diverso, se<br />
non ostile rispetto a una tale eventualità – un percorso di assunzione autonoma di<br />
responsabilità dei laici impegnati sul piano civile. Le opzioni proposte qui, se condivise<br />
sono al tempo stesso la cornice entro la quale lavorare alle schede di approfondimento<br />
proposte dalla “Tre giorni di Toniolo” di fine 2011, e un concreto<br />
passo di aggregazione nella direzione posta dalla Carta d’Intesa di Prato.<br />
54<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
EUROPA<br />
Un processo irreversibile. L’Europa unita verso gli “Stati Uniti d’Europa” - di<br />
Amos Ciabattoni<br />
Credere nell’Unione europea. Sfida a scetticismo e populismo - di Flavio Mondello<br />
Intervista a cura di Amos Ciabattoni<br />
Il modello sociale europeo. Un fattore decisivo per superare la crisi - di Marco<br />
Ricceri<br />
Cos’è l’Europa? Fabbisogno di una cultura per l’unità europea - di <strong>La</strong>ura Balestra
Un processo irreversibile<br />
L’Europa unita verso gli<br />
“Stati Uniti d’Europa”<br />
Il problema maggiore con cui si è confrontata l’Unione europea è la crisi finanziaria,<br />
economica, occupazionale, innestatasi oltre Atlantico, che vede duri attacchi<br />
speculativi ai debiti sovrani di Paesi membri dai bilanci in disordine e determina<br />
drammatiche psicosi di fallimenti statali, di crollo dell’euro e dell’intero processo<br />
di integrazione europea, con accuse alle istituzioni EU di incapacità di affrontare<br />
correttamente la gravità <strong>della</strong> situazione e con pesanti ricadute sulla crescita<br />
e sull’occupazione.<br />
Purtroppo la psicosi è alimentata da potenti forze finanziarie extra Zona euro;<br />
da una colpevole insufficiente ricaduta informativa delle decisioni di severi e coraggiosi<br />
provvedimenti anti crisi assunti a Bruxelles dai capi di Stato e di Governo dei<br />
Paesi membri che adottano l’euro; dalle difficoltà, in alcuni casi, di farle avallare<br />
dalla stessa maggioranza governativa in Parlamento; da preoccupazioni elettorali<br />
che alimentano dei ritardi decisionali anche se in definitiva non li impediscono; da<br />
dichiarazioni sprovvedute di leader politici; dal proliferare di dichiarazioni populiste<br />
ed euroscettiche.<br />
Ci si deve domandare perché non si è affrontata la decisione, impedita per lungo<br />
tempo, a cominciare dalla firma del Trattato di Roma, di instaurare un governo<br />
europeo dell’economia affiancato a quello <strong>della</strong> moneta unica. Governo con ben<br />
definite procedure annuali condizionanti le proposte nazionali del bilancio pubblico<br />
al controllo collettivo comunitario; all’obbligo di rispettare le indicazioni decise<br />
in comune per riportare ordine nei conti pubblici; alla imposizione di severe punizioni<br />
sufficientemente automatiche per gli inadempimenti; alla unanime decisione,<br />
anche se sofferta da parte del maggior contributore, la Germania, ma comunque<br />
nel suo interesse, di impedire solidariamente il fallimento di uno Stato membro<br />
dal debito sotto violento attacco speculativo; la creazione di appositi meccanismi<br />
intergovernativi dell’Eurozona per un aiuto condizionato, praticamente un<br />
Fondo monetario europeo; la salvaguardia ad ogni costo dell’Euro e dell’Unione<br />
economica e monetaria.<br />
Si imputa d’altra parte il rischio di fallimento dell’Unione soprattutto a una<br />
mancanza di un’Europa <strong>politica</strong> sottovalutando il fatto che con le varie politiche<br />
comuni, con il governo europeo <strong>della</strong> moneta e dell’economia, con la libera circolazione<br />
dei cittadini, con la carta dei diritti fondamentali, si crea un legame indissolubile<br />
tra i cittadini e gli stati membri nel rispetto delle identità di ciascuna na-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
57
Amos Ciabattoni<br />
zione partecipante come in un contesto di Confederazione, e nella prospettiva di<br />
un continuo progresso verso una futura costituzione europea: in sostanza verso gli<br />
“Stati Uniti d’Europa”.<br />
È innegabile che lo “stato” del processo di unificazione europea costituisce<br />
oggi una emergenza seria e vasta, almeno quanto sono vasti i suoi confini. Ma il<br />
suo assetto di fondo e soprattutto i tanti effetti positivi prodotti dalle sue regole,<br />
non consentono che si parli di “crisi” demolitoria. Anche perché il processo unificatorio<br />
ha ormai assunto carattere di irreversibilità che penetra, sebbene con spessori<br />
diversi, nei destini di tutti i ventisette Paesi aderenti. E nei rapporti tra Paesi e<br />
Continenti. E quindi del mondo intero.<br />
Appare però necessario e urgente rivedere le “Regole fondanti” per aggiornarle<br />
all’evoluzione dei tempi e riparare, se così si può dire, ad alcune carenze di partenza.<br />
In particolare quelle che ancora non hanno consentito all’Unione Europea di dotarsi<br />
di una Costituzione in grado di far progredire l’esigenza di una unione <strong>politica</strong><br />
anzitutto alla necessità che gli Stati debbano commettere alcune sovranità che alla<br />
lunga appariranno sempre meno compatibili con il concetto di “Stati Uniti”.<br />
In particolare:<br />
– l’adesione ad un sistema economico di gestione comune sostenuto da una parallela<br />
<strong>politica</strong> di gestione delle risorse e delle potenzialità finanziarie;<br />
– la delega per una <strong>politica</strong> comune <strong>della</strong> “diplomazia”, in grado di rendere efficaci<br />
i rapporti con il resto del mondo e far assumere all’Europa il ruolo di potenza<br />
che conta. Così dicasi per un sistema comune di difesa;<br />
– le regole per indirizzi comuni di <strong>politica</strong> “sociale”, necessarie per l’equità e la<br />
giustizia per recuperare i dislivelli che in tale campo esistono e perdurano tra i<br />
paesi dell’Unione:<br />
– la creazione e diffusione di una “Cultura” che sostenga e alimenti una identità<br />
comunitaria dei Paesi aderenti, <strong>della</strong> ricchezza dei patrimoni e delle tradizioni<br />
che la Storia ha consentito di accumulare ad ognuno di essi.<br />
Chiaramente, dinnanzi a tali auspicati indispensabili sviluppi, si pone il problema<br />
di come procedere. Le strade che vengono indicate sono diverse, come diversi<br />
sarebbero gli effetti che produrrebbero.<br />
Tra esse: il cambiamento (adeguamento) dei Trattati – una Europa a “doppia<br />
velocità” – la rinuncia alla unanimità delle decisioni – e altri orientamenti.<br />
<strong>La</strong> ricerca stessa, comunque, è un’indicazione di volontà a resistere, esistere e<br />
dare maggiore forza all’unità del Continente. In sostanza a considerare “irreversibile”<br />
il processo.<br />
58<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Amos Ciabattoni<br />
«Civitas» offre sull’Europa alcuni aspetti del suo complesso esistenziale, con<br />
animo volto all’ottimismo e alla convinzione <strong>della</strong> irreversibilità del processo che<br />
ha per meta gli “Stati Uniti d’Europa”.<br />
Il contributo offerto da Flavio Mondello rifà la storia del cammino percorso e<br />
ne spiega le luci, le ombre, le prospettive ma soprattutto il lavoro che è stato fatto e<br />
che è in cantiere, per dare una identità solida, moderna ed efficace all’Unione.<br />
Una ricostruzione nutrita dell’ottimismo di uno studioso che da sempre segue,<br />
passo dopo passo e giorno dopo giorno, la vita e i progressi dell’epocale costruzione<br />
che la storia impone e asseconda.<br />
Il saggio di Marco Ricceri punta sulla necessità di adottare un modello sociale<br />
europeo, indicandolo come fattore legante e decisivo per superare la crisi.<br />
L’articolo di <strong>La</strong>ura Balestra ripropone la necessità di una Cultura unificante per<br />
l’identità e la forza dell’Unione, nutrita <strong>della</strong> linfa stessa di cui si nutrono le diffuse<br />
radici <strong>della</strong> millenaria storia del continente.<br />
Il tutto, per contribuire a consolidare l’ottimismo e la speranza nei traguardi ai<br />
quali mira la grande impresa che la storia commette in modo irreversibile ai popoli<br />
<strong>della</strong> grande Europa. E far conoscere meglio la storia del “sogno” dell’Europa unita,<br />
farla diventare concreta realtà, esserne fieri e consapevoli partecipi come italiani.<br />
Amos Ciabattoni<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
59
Credere nell’Unione Europea<br />
Sfida a scetticismo e populismo<br />
«Civitas»: L’ideale dell’unificazione europea ha visto, dall’immediato dopoguerra,<br />
l’Italia tra le nazioni più convinte e decise. L’opera di De Gasperi, a fianco<br />
di Adenauer e di Schuman è stata decisiva per dare vita alle prime istituzioni<br />
comunitarie sullo sviluppo delle quali si è innestata l’intera costruzione <strong>della</strong><br />
unione continentale.<br />
Eppure, nonostante questo patrimonio di meriti, il nostro Paese non percepisce<br />
ancora appieno l’importanza e la vitale necessità dell’Europa unita e appare<br />
marginale nella guida delle relative istituzioni. È una realtà questa oppure una<br />
sensazione? Nel primo caso è possibile una spiegazione?<br />
Flavio Mondello: Immediatamente dopo la seconda guerra mondiale sono falliti<br />
vari tentativi degli Stati Uniti di far decidere da una entità unitaria europea la<br />
ripresa economica di una Europa che occorreva far rinascere dalle spaventose distruzioni<br />
belliche in particolare con gli aiuti del Piano Marshall (1947). D’oltre<br />
atlantico si voleva anche scongiurare un’avanzata del comunismo sovietico, dato<br />
che Mosca aveva rifiutato l’invito a questa coesione <strong>politica</strong> e mirava a comunistizzare<br />
l’Europa occidentale come aveva già fatto con l’Europa orientale.<br />
I Paesi dell’Europa occidentale, allora, non erano ancora maturi per una tale<br />
esperienza unitaria.<br />
<strong>La</strong> Francia, tramite l’ispiratore Jean Monnet e l’uomo di potere Robert Schuman,<br />
Ministro degli Esteri, preoccupati del rischio di un ritorno sulla scena europea<br />
di una Germania agguerrita e constatati i limiti <strong>della</strong> capacità francese di risollevare<br />
da sola le sorti dell’Europa, ha reagito lanciando il 9 maggio 1950 una iniziativa<br />
più limitata in ampiezza ma più efficace, offrendo ad Adenauer, Cancelliere<br />
di un Paese vinto, di sedere allo stesso tavolo dei vincitori per mettere in comune<br />
gli elementi base <strong>della</strong> guerra: il carbone e l’acciaio e quindi per controllare anche i<br />
“Baroni” <strong>della</strong> Rhur, così da rendere impossibili ulteriori tragici conflitti intraeuropei<br />
e garantire una pace duratura.<br />
Ottenuto un immediato consenso dal Cancelliere tedesco, Parigi ha allargato<br />
l’invito ai Paesi Europei interessati ed ha subito ottenuto un convinto e deciso so-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
Intervista a Flavio Mondello*<br />
acuradiAmos Ciabattoni<br />
* Coordinatore del Gruppo dei 10, Docente al Collegio Europeo di Parma.<br />
61
Flavio Mondello<br />
stegno dell’Italia di De Gasperi insieme a quella dei tre piccoli Paesi del Benelux:<br />
Olanda, Belgio e Lussemburgo.<br />
È così nata col Trattato di Parigi del 1951, anche superando talune difficoltà, la<br />
prima Comunità Europea, quella del Carbone e dell’Acciaio, gestita da una Alta<br />
Autorità sopranazionale di contenuto economico e con la prospettiva di una integrazione<br />
<strong>politica</strong> europea, da raggiungere per tappe successive che consolidassero<br />
sempre più ampie solidarietà tra i partner.<br />
Nel centro del potere legislativo <strong>della</strong> CECA Francia e Germania avevano ciascuna<br />
due Membri dell’Alta Autorità, mentre l’Italia ed i singoli Paesi del Benelux<br />
ne avevano uno ciascuno.<br />
Il carattere sopranazionale ed autoritario <strong>della</strong> CECA ha consentito di smantellare,<br />
per questi 2 prodotti, incrostate barriere commerciali tra i 6 Paesi e di introdurre<br />
la libera concorrenza interna sia tra produttori carbonieri che siderurgici.<br />
I 6 Governi avevano allora un ruolo inferiore a quello sopranazionale dell’A.A.<br />
e l’Assemblea Parlamentare svolgeva un compito solo consultivo, mentre agiva con<br />
pieni poteri la Corte di Giustizia europea.<br />
L’aspirazione di una Europa unita <strong>politica</strong>mente<br />
–Icittadinidei6Paesifondatori,piùchedagliastrusi aspetti tecnici di questa<br />
prima Comunità, (che pur prometteva sviluppo e benessere, ma che era abbastanza<br />
difficile da seguire nei suoi aspetti operativi), si dimostravano interessati e credevano<br />
nella possibilità di una evoluzione verso il mito di una Europa <strong>politica</strong>mente integrata,<br />
da costruirsi non certo in una sola volta né tutta insieme, ma con progressive<br />
realizzazioni di solidarietà e rinunce di sovranità.<br />
A livello politico degli Stati membri, tuttavia, non si condivideva completamente<br />
l’accelerazione di questa aspirazione dei cittadini: infatti non si era ratificato<br />
nel 1952, a seguito del determinante no francese e senza neppure più la pronuncia<br />
del Parlamento italiano, il completamento dell’iniziativa economica con un immediato<br />
sostanziale passo avanti sul piano militare attraverso il Trattato istitutivo <strong>della</strong><br />
Comunità Europea <strong>della</strong> Difesa (CED). In questo, De Gasperi personalmente, era<br />
riuscito ad inserire un esplicito riferimento al futuro traguardo politico europeo.<br />
Tale fallimento aveva trascinato subito dopo, nel 1953, la mancata approvazione<br />
di un Trattato costitutivo <strong>della</strong> Comunità Politica Europea che prevedeva la formazione<br />
di Istituzioni politiche soprannazionali.<br />
Fin dagli anni 50 l’aspirazione ad una Europa <strong>politica</strong> unitaria si urtava contro<br />
l’impossibilità di una troppo rapida realizzazione. Anche oggi, a distanza di sole 6<br />
decine di anni e nonostante voci la sollecitino nell’immediato, sembra concretamente<br />
possibile solo una lenta anche se continua maturazione, attraverso successivi<br />
passi avanti dell’integrazione di quella che ora si definisce Unione Europea. Passi<br />
che si stanno puntualmente realizzando ad ogni superamento di inevitabili crisi di<br />
percorso.<br />
62<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
Tuttavia è il contenuto di questa Unione Europea che sta diventando sempre<br />
più politico oltre che economico.<br />
«C.»: Il “Trattato di Roma” sembrò coronare in tutto e per tutto il sogno unitario.<br />
Poi però lo slancio ha fatto registrare ostacoli che ne hanno modificato il percorso.<br />
Sull’unificazione “<strong>politica</strong>” come premessa, ha preso via via il sopravvento<br />
l’aspetto economico, legato soprattutto all’introduzione <strong>della</strong> “moneta unica” e il<br />
progressivo allargamento che porta l’Unione agli attuali 27 membri non è avvenuto<br />
disponendo di una “Costituzione” con principii, diritti e doveri di ciascuno Stato<br />
aderente. Quanto ha influito questo aspetto sulla costruzione dell’Unione che di<br />
fatto ha lasciato agli Stati quasi totale autonomia, allontanando la prospettiva sognata<br />
degli “Stati Uniti d’Europa” e rafforzando a volte pervicaci nazionalismi?<br />
F.M.: Il Trattato di Roma del 1951 ha consacrato il successo <strong>della</strong> prima Comunità<br />
economica limitata al Carbone ed all’Acciaio ed ha allargato il campo d’azione<br />
creando la Comunità Economica Europea (CEE) con sede a Bruxelles, competente<br />
di una ampia gamma di attività economiche. L’obiettivo principale è divenuto<br />
la realizzazione di un “mercato comune”.<br />
<strong>La</strong> CEE ha tuttavia dimostrato una forte reticenza su tre politiche fondamentali:<br />
quella dei bilanci pubblici nazionali e più in generale delle politiche economiche<br />
nazionali, quella monetaria e quella sociale che hanno conservato il ruolo decisionale<br />
essenzialmente nazionale. <strong>La</strong> <strong>politica</strong> sociale era da considerarsi, a livello di<br />
ogni Stato membro, solo una conseguenza del processo di integrazione del mercato.<br />
Nulla sulla Politica estera e di difesa e su quelli che si definivano Affari interni.<br />
Nessun riferimento ad un traguardo di Europa <strong>politica</strong>mente unita. In sostanza<br />
tutto era ancora concentrato sul mercato.<br />
Ma l’aspetto regressivo,rispetto al Trattato CECA, è stato la soppressione <strong>della</strong><br />
Alta Autorità e quindi <strong>della</strong> sopranazionalità. I Governi degli Stati membri hanno<br />
ripreso il loro primato nel processo decisionale comunitario.<br />
Il nuovo metodo decisionale <strong>della</strong> CEE, che è pur sempre un rilevante e rivoluzionario<br />
passo avanti rispetto a quello degli Stati membri, prevedeva che: la Commissione<br />
ha il diritto dovere di avanzare proposte ed ha, su delega del Consiglio, il<br />
potere esecutivo, il Consiglio (composto dai rappresentanti dei Governi) ha il potere<br />
legislativo ed il Parlamento Europeo esprime solamente Pareri anche se può<br />
rovesciare la Commissione.<br />
Crisi e progressi<br />
– Di Europa <strong>politica</strong> non si parla sul piano istituzionale ma solo nelle aspirazioni<br />
di taluni illuminati.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
63
Flavio Mondello<br />
Durante il processo di integrazione europea in corso sono intervenute varie crisi,<br />
anche gravi, che sono state risolte, in gran parte, con sostanziali passi avanti <strong>della</strong><br />
costruzione europea: ampliamento sia delle materie da integrare comunitariamente,<br />
sia del numero degli Stati che hanno chiesto l’adesione alla Comunità, sia<br />
del ruolo delle Istituzioni.<br />
Il Parlamento Europeo anziché comprendere Parlamentari nazionali è stato<br />
eletto a suffragio diretto, anche se non a livello comunitario, in ciascun Paese<br />
membro con procedure elettorali nazionali, rappresentando legittimamente i cittadini.<br />
Inoltre, ed è l’aspetto più rilevante, il Parlamento dopo anni di semplice ruolo<br />
consultivo, ha finalmente acquisito un potere legislativo che condivide, anche se<br />
ancora non su tutte le materie, con il Consiglio rappresentante i Governi degli Stati<br />
membri e che, tuttavia, rimane il principale legislatore comunitario.<br />
Per queste evoluzioni sono state necessarie numerose revisioni del Trattato di<br />
Roma e la Comunità economica si è trasformata in Unione Europea.<br />
Il ruolo dei Governi e dei Parlamenti nazionali<br />
– I Capi di Stato e di Governo si sono responsabilizzati personalmente in una<br />
nuova Istituzione comunitaria: il Consiglio Europeo che dal 1983 avanzava, ed oggi<br />
incomincia ad imporre dettagliatamente,i propri orientamenti alla Commissione, al<br />
Consiglio ed al Parlamento Europeo. Il metodo legislativo detto “comunitario”che<br />
assegna alla Commissione il potere-dovere di proporre le leggi UE sta evolvendo: si<br />
introduce un ruolo determinante degli Stati membri considerato da molti come<br />
“Processo intergovernativo”. Tuttavia il Presidente del Consiglio Europeo sta avviando<br />
questa evoluzione a causa dei problemi cruciali posti dalla grave crisi economico<br />
finanziaria internazionale che coinvolge severamente l’intera Unione Europea,<br />
ma esercita questo potere tenendosi in stretto contatto con la Commissione.<br />
Le decisioni comunitarie riflettono, attraverso compromessi finali, le capacità<br />
negoziali e di ricerca del consenso ricercando opportune alleanze, di ciascuno dei<br />
massimi esponenti politici degli Stati membri. Non sempre, a differenza di quanto<br />
era intervenuto agli inizi dell’Unione Economica Europea, qualcuno dei “grandi”<br />
Paesi ha recentemente saputo sviluppare le proprie potenzialità Non dovrebbero<br />
però esserci alibi per deresponsabilizzarsi dalle decisioni assunte dal Consiglio Europeo<br />
quando il leader rientra nel proprio Paese.<br />
Fatto questo estremamente importante perché ciascun Capo di Stato e di Governo<br />
deve sentirsi, di fronte al proprio Paese, responsabile di quanto si decide nel<br />
Consiglio Europeo, così come ogni Ministro, a seconda <strong>della</strong> competenza, è responsabile<br />
personalmente <strong>della</strong> decisione collettiva in Consiglio che di norma, attualmente,<br />
si prende a maggioranza, anche se in pochi casi ancora all’unanimità.<br />
Anche i Parlamentari europei, quando esercitano il loro potere colegislativo col<br />
Consiglio, devono sentirsi responsabili di fronte ai loro elettori delle decisioni assunte<br />
nell’Assemblea parlamentare con voto a maggioranza.<br />
64<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
«C.»: Quali sono stati i principali nuovi membri <strong>della</strong> costruzione Europea<br />
dopo 6 Paesi fondatori? L’apertura a Paesi dell’Europa occidentale, soprattutto al<br />
Regno Unito, che non avevano accettato di entrare nella prima Comunità Europea<br />
ed il massiccio inserimento di Paesi dell’Europa orientale, costretti a diventare<br />
satelliti di Mosca, poco omogenei per ideali, cultura, origini storiche, sono<br />
stati un fattore di debolezza o di forza del processo integrativo europeo?<br />
F.M.: <strong>La</strong> Gran Bretagna che aveva con sdegno respinto l’invito ad entrare nella<br />
CECA, ritenendosi ancora al vertice delle potenze mondiali con il dominio del<br />
Commonwealth e che per di più, con l’avvio <strong>della</strong> CEE, aveva invano tentato di<br />
sabotarla lanciando la formula alternativa di una semplice Zona di Libero Scambio,<br />
ha chiesto con accanimento l’ingresso nella CEE quando si era resa consapevole<br />
<strong>della</strong> sua perdita di potere internazionale.<br />
I ripetuti tentativi britannici di farsi accettare dalla CEE erano falliti per la resistenza<br />
del Generale De Gaulle che temeva l’ingresso di un cavallo di Troia degli<br />
Stati Uniti nella Comunità Europea, soprattutto perché di fronte al bottone nucleare<br />
francese Londra intendeva, se del caso, coordinare il proprio bottone a quello<br />
ben più potente di Washington.<br />
Usciti di scena i due principali attori del diverbio franco-britannico, Londra è<br />
finalmente entrata nella CEE con l’intenzione tuttavia di orientare il processo europeo<br />
secondo le proprie convinzioni, non certo favorevoli al rafforzamento di talune<br />
Istituzioni comunitarie quali Commissione e Parlamento Europeo e convinta<br />
di un ruolo sempre più rilevante degli Stati membri nel processo decisionale.<br />
Certamente la presenza del Regno Unito nella costruzione europea è stata indispensabile<br />
per la credibilità internazionale <strong>della</strong> Comunità. Ha indubbiamente<br />
creato difficoltà e rallentato il percorso evolutivo comunitario, ma, almeno sino ad<br />
ora, non è riuscita a modificarlo perché, in alcuni casi maggiori quali la moneta<br />
unica ed il Trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone, ha ottenuto<br />
di potervi non partecipare.<br />
L’ingresso dei Paesi occidentali<br />
– Praticamente quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale hanno aderito alla<br />
Comunità Europea pur mantenendo le loro caratteristiche storico-culturali. I disagiati<br />
Paesi meridionali hanno saputo rapidamente utilizzare i sostegni comunitari<br />
migliorando sostanzialmente il loro tenore di vita e soprattutto Grecia, Spagna e<br />
Portogallo, abbandonati i regimi dittatoriali, hanno consolidato la loro gestione<br />
democratica.<br />
Decisione sicuramente storica e soprattutto <strong>politica</strong> è stata l’accoglienza nell’Unione<br />
Europea di paesi dell’Europa orientale che, col crollo dell’impero sovieti-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
65
Flavio Mondello<br />
co, avevano ritrovato la loro libertà dopo essere stati satellizzati da Mosca e plasmati<br />
al comunismo a seguito <strong>della</strong> determinante partecipazione Russa alla sconfitta<br />
<strong>della</strong> Germania nazista.<br />
L’ingresso in blocco di questi Paesi nell’Europa integrata, sia pure con limitati<br />
periodi di adattamento, ma con l’obbligo di condividere gli obiettivi comuni e<br />
contribuire alla loro realizzazione, è stato un atto dovuto, ma soprattutto un atto<br />
strategico che ha delimitato lo spazio occidentale europeo di fronte al ricostituirsi<br />
<strong>della</strong> potenza <strong>della</strong> Federazione Russa nell’area democratica mondiale. Ha contribuito<br />
a consolidare la condizione di forza dell’Unione Europea nel negoziato di<br />
Partenariato strategico con Mosca tuttora in corso. Certamente gli adattamenti di<br />
Paesi saldamente europei, ridotti agli estremi dal regime comunista sovietico,richiederanno<br />
tempo, ma non intralceranno il processo integrativo comunitario.<br />
Tra loro taluni Paesi stanno compiendo aggiustamenti tali da farli aspirare alla<br />
partecipazione del nucleo più avanzato dell’Unione Europea: l’Eurozona.<br />
Deve tuttavia essere sottolineato che se non si eserciterà la massima severità nel<br />
pretendere dai nuovi membri il rispetto di tutti gli obiettivi dell’Unione si potrebbe<br />
rischiare di scivolare verso un doppione del Consiglio d’Europa di Strasburgo<br />
privo di effettivi poteri.<br />
«C.»: Sul tavolo staziona da lungo tempo il “caso” Turchia, paese di grande<br />
influenza sul Medio-Oriente e sul mondo islamico. Dopo i fatti che hanno sconvolto<br />
l’assetto dei Paesi del Nord Africa, la Turchia si prepara ad essere “un” se<br />
non “il” Paese guida dei cambiamenti.<br />
L’Europa deve rivedere il caso Turchia alla luce di tali fatti e considerare strategica<br />
la sua ammissione all’Unione per la maturazione <strong>della</strong> “primavera araba” e<br />
i nuovi rapporti con l’Europa?<br />
F. M.: Un ulteriore allargamento urgente dell’Unione Europea riguarda i Balcani<br />
Occidentali che costituiscono una “enclave” all’interno stesso dell’UE e quindi<br />
hanno una destinazione naturale nel processo di integrazione europea. Dopo la<br />
dissoluzione <strong>della</strong> Iugoslavia 8 Stati indipendenti <strong>della</strong> Regione hanno avviato il<br />
loro percorso per diventare membri dell’UE nel rispetto di precise condizioni che li<br />
rendano compatibili con gli attuali 27 Stati dell’Unione. <strong>La</strong> Slovenia è già diventata<br />
membro dell’U.E. nel 2004, la Croazia dovrebbe entrare nel 2012, ma la caduta<br />
del Governo per scandali di corruzione e la dissoluzione del Parlamento, ritarderanno<br />
l’ingresso. <strong>La</strong> Serbia si sta avvicinando al traguardo. Rimangono sotto esame<br />
le domande di Bosnia-Erzegovina, Albania, Kosovo, e antica Repubblica di Macedonia<br />
perché ancora non rispondono completamente alle sollecitazioni delle Istituzioni<br />
comunitarie soprattutto nel campo dello Stato di diritto, dell’anticorruzio-<br />
66<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
ne, <strong>della</strong> giustizia. A differenza del precedente grande allargamento dell’UE sono<br />
queste tre ultime condizioni assolutamente essenziali per l’ingresso nell’Unione. <strong>La</strong><br />
futura collocazione nell’UE dei Paesi dei Balcani Occidentali è comunque segnata<br />
anche se i tempi, proprio per le nuove imperative condizioni, saranno prolungati.<br />
Ben diverso è il caso <strong>della</strong> richiesta di entrare nell’UE da parte <strong>della</strong> Turchia che<br />
con i suoi 81,5 milioni di cittadini, gli 800.000 militari in servizio attivo e la lunga<br />
e importante partecipazione alla NATO, oltre alla presenza attiva nel Gruppo dei<br />
20, ha tuttavia il 95% di popolazione e di territorio in un continente diverso dall’Europa.<br />
<strong>La</strong> Turchia è passata da membro Associato alla Comunità Economica Europea<br />
nel 1963 a Paese candidato all’adesione, ed il negoziato in corso, anche se rallentato,<br />
è iniziato nel 2005, sottoposto a tre condizioni principali: riconoscere la Repubblica<br />
di Cipro membro UE, abbandonare l’occupazione militare <strong>della</strong> parte settentrionale<br />
dell’isola, riformare profondamente il campo del diritto e delle libertà civili, <strong>della</strong><br />
democrazia, e dell’uguaglianza, per mettersi in sintonia con l’Unione.<br />
I Paesi che ostacolano il negoziato<br />
– Dopo essersi aperti 13 dei 35 capitoli del negoziato, mentre altri più critici<br />
sono stati sospesi dal 2006 ed i rimanenti rimangono ancora chiusi, il negoziato si<br />
è rallentato perché Francia, Germania, Austria, Olanda hanno confermato la loro<br />
contrarietà ad una adesione preferendo con Ankara una Partnership privilegiata soprattutto<br />
economica, mentre sono rimasti favorevoli Italia, Regno Unito,Svezia,<br />
Spagna e Finlandia particolarmente interessati alla più stretta collaborazione con<br />
Ankara.<br />
<strong>La</strong> Francia ritiene che la Turchia divenuta membro UE giocherebbe nelle Istituzioni<br />
dell’Unione, ed in particolare nel Parlamento Europeo, un ruolo eccessivo<br />
a causa <strong>della</strong> sua alta popolazione, ed inoltre cancellerebbe la coerenza geo<strong>politica</strong><br />
dell’UE a causa <strong>della</strong> sua natura non europea, essendo considerata da Parigi Asia<br />
minore. Inoltre, almeno sino ad oggi, la Turchia è criticata per avere il primato delle<br />
condanne da parte <strong>della</strong> Corte Europea dei diritti dell’uomo. Per queste ragioni<br />
il Parlamento francese ha approvato una legge costituzionale che subordina l’eventuale<br />
accordo di adesione <strong>della</strong> Turchia ad un referendum popolare.<br />
<strong>La</strong> specificità <strong>della</strong> Germania<br />
– <strong>La</strong> Germania, che già comprende 2,5 milioni di persone con passaporto turco,<br />
vorrebbe la loro completa integrazione, ma d’altra parte sostiene che i cittadini turchi<br />
non sono in grado di assimilarsi a quelli tedeschi: quindi respinge l’idea di un<br />
aumento <strong>della</strong> presenza turca sul proprio territorio a seguito di un ingresso <strong>della</strong><br />
Turchia nell’UE. Condivide inoltre le preoccupazioni francesi sulle Istituzioni UE.<br />
I Paesi UE favorevoli all’adesione <strong>della</strong> Turchia le riconoscono il valore strategico<br />
di collegamento o di ponte tra Europa ed Asia Occidentale, di controllo dei due<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
67
Flavio Mondello<br />
più importanti corsi d’acqua dell’area, di tramite di rifornimento energetico dell’Europa,<br />
di modello sufficientemente democratico e liberale per altre società islamiche.<br />
L’Aspetto islamico-religioso e il ruolo <strong>della</strong> Turchia<br />
– Il problema islamico religioso posto dall’ingresso <strong>della</strong> Turchia nell’Unione<br />
non è sollevato al livello degli Stati membri UE perché essi stessi hanno voluto evitare<br />
nel Trattato di Lisbona qualsiasi riferimento a specifiche religioni, in particolare<br />
a quella cristiana: hanno infatti precisato di istituire una Unione Europea ispirandosi<br />
alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati<br />
i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili <strong>della</strong> persona, <strong>della</strong> libertà,<br />
<strong>della</strong> democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di diritto.<br />
Mentre il negoziato di adesione UE-Turchia è in fase di stanca il Governo turco<br />
gioca un ruolo sempre più attivo nell’effervescente Medio Oriente: si è distanziato<br />
dalla Siria di Assad, dall’Iran, e dagli Hezbollah filo siriani; in Egitto ed in Tunisia<br />
ha promosso il proprio modello democratico-islamico accompagnandolo da<br />
dichiarazioni anti Israele, in Libia ha seguito Francia e Gran Bretagna nel sostegno<br />
al Consiglio di transizione e nell’avviare rapporti di affari.<br />
Entrando nell’Unione Europea Ankara non rinuncerebbe a questo suo nuovo<br />
ruolo che si sta conquistando con determinazione ed abilità. Ciò dà l’impressione<br />
che il suo slancio iniziale di adesione all’UE si stia convertendo nella ricerca di un<br />
partenariato economico privilegiato. Tuttavia non si può sottacere che ancora il 13<br />
ottobre 2011 il Ministro degli Esteri turco,a seguito delle raccomandazioni <strong>della</strong><br />
Commissione UE per far maggiormente rispettare le condizioni necessarie all’adesione,<br />
ha reagito dichiarando che <strong>La</strong> Turchia è fortemente determinata ad entrare<br />
nell’UE ed a rispettare i criteri necessari, come del resto ha fatto e sta facendo, perché<br />
questo è un suo obiettivo strategico.<br />
Attualmente Unione Europea e Turchia sono del parere di consolidare gli accordi<br />
raggiunti sino ad ora in campo industriale e commerciale così ché al momento<br />
finale <strong>della</strong> trattativa, certamente non ravvicinato, non si debba perder tempo su<br />
queste materie. Comunque L’Unione Europea non ha modificato la prospettiva ultima<br />
che rimane l’adesione.<br />
«C.»: Prima di affrontare il tema specifico di particolare drammatica attualità:<br />
la risposta UE alla crisi economica, finanziaria, occupazionale dell’Europa, è<br />
opportuno rilevare che i progressi <strong>della</strong> costruzione dell’Unione Europea sin qui<br />
realizzati non sono particolarmente evidenti ai cittadini europei, forse perché in<br />
gran parte dimenticati, o perché sono rimasti nella memoria i momenti critici<br />
del processo integrativo.<br />
68<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
È possibile evidenziare i principali momenti di importante sviluppo del cammino<br />
comunitario?<br />
F. M.: Purtroppo durante la crisi economica a cavallo degli anni 70 - 80 ogni<br />
Paese membro aveva tentato di difendere il proprio mercato ed essendo stati soppressi<br />
dazi, dogane o contingenti aveva creato intralci di tipo tecnico agli scambi<br />
(es. difesa <strong>della</strong> salute o <strong>della</strong> sicurezza) con forte effetto protezionistico. Si è rischiato<br />
il fallimento dell’integrazione di mercato sino allora realizzata ed è crollata<br />
la competitività <strong>della</strong> Comunità Europea perché la protezione aveva annullata la<br />
spinta a migliorare prodotto e processo produttivo. In un sussulto di presa di coscienza<br />
e di responsabilità degli stessi produttori fu allora concepito, provocando<br />
una riforma del Trattato di Roma, il “Mercato Unico” retto da leggi comunitarie<br />
uguali per tutti, sostituendolo all’iniziale “Mercato Comune” ove ciascuno poteva<br />
agire nell’area comunitaria rispettando le proprie leggi nazionali.<br />
Nel “Mercato Unico” merci, servizi, capitali e persone possono muoversi liberamente<br />
come in un “Mercato Interno” <strong>della</strong> Comunità Europea.<br />
Attualmente lo si sta perfezionando per renderlo più competitivo attraverso un<br />
potenziamento <strong>della</strong> concorrenza interna.<br />
Il protezionismo monetario degli Stati membri<br />
– Per superare gli effetti nefasti del risorgere del protezionismo interno, che nei<br />
momenti più difficili si manifestava anche con la rincorsa di ciascun Paese in difficoltà<br />
alla svalutazione competitiva <strong>della</strong> propria moneta, prevalse la tesi di coloro<br />
che propugnavano una moneta unica, contro l’opinione di coloro che consideravano<br />
la loro moneta come il maggior simbolo dell’identità nazionale.<br />
Dopo lunghi e talvolta aspri dibattiti finalmente a Maastricht,nel 1992, si decise<br />
di introdurre, da parte di chi era disponibile, l’Euro, gestito da una unica Banca<br />
Centrale Europea. Il principale compito di questa, nella conduzione <strong>della</strong> conseguente<br />
unica <strong>politica</strong> monetaria europea, continua ad essere il mantenimento<br />
<strong>della</strong> stabilità dei prezzi quale condizione essenziale per la stabilità <strong>della</strong> moneta,<br />
anche se incomincia ad essere evidenziato l’obiettivo, sin qui minore, di contribuire<br />
allo sviluppo economico dell’UE.<br />
Pur consapevoli che questo straordinario passo avanti del processo integrativo<br />
europeo avrebbe aperto al futuro di una Europa <strong>politica</strong>mente integrata, fu tacitamente<br />
concordato a Maastricht di non farne alcun accenno perché questo avrebbe<br />
rischiato di far fallire l’operazione. Ancora non era matura a livello governativo, ed<br />
anche del settore imprenditoriale, la prospettiva di un’Europa <strong>politica</strong>mente unita.<br />
<strong>La</strong> <strong>politica</strong> estera e la sicurezza<br />
– Altri progressi dell’integrazione di una Comunità che si trasformava in Unione<br />
Europea travalicando il proprio limite economico iniziale, hanno riguardato la<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
69
Flavio Mondello<br />
possibilità di sviluppare una <strong>politica</strong> Estera e di Sicurezza Comune solo però nei<br />
campi che riscontrassero posizioni unanimi. Ciò con la consapevolezza che molti<br />
Paesi membri non avrebbero subito abbandonato le loro priorità nazionali di Politica<br />
Estera a favore dell’UE. Sarà ancora un processo lungo e difficile raggiungere<br />
in questo campo una voce sempre unica, ma potrà essere la gravità delle sfide mondiali<br />
all’Europa a favorire riposte unitarie.<br />
Sarà comunque dalle posizioni unitarie che dipenderà principalmente il ruolo<br />
mondiale dell’Unione. Per questo l’opinione pubblica comunitaria e soprattutto<br />
quella internazionale, sono sensibili agli atteggiamenti unitari dell’UE sulla scena<br />
mondiale: senza il raggiungimento di posizioni comuni si sviluppano scoraggiamenti<br />
all’interno degli Stati membri e scarsa considerazione all’esterno.<br />
È necessario sottolineare che è stato anche superato il tabù militare creatosi con<br />
il fallimento <strong>della</strong> Comunità Europea <strong>della</strong> Difesa agli inizi del percorso integrativo.<br />
Si sono pertanto create le condizioni istituzionali per realizzare una Politica comune<br />
<strong>della</strong> Sicurezza e <strong>della</strong> Difesa basata sul supporto di forze militari degli Stati<br />
membri, messe a disposizioni di iniziative militari comunitarie per instaurare o difendere<br />
la pace in aree di crisi.<br />
Merita comunque un particolare approfondimento il tema <strong>della</strong> Politica comune<br />
Estera, Sicurezza e Difesa scarsamente conosciuta nelle sue applicazioni e<br />
fonte di critiche e di apprensioni.<br />
Energia, Ambiente e Diritti fondamentali<br />
– È stata rafforzata nel Trattato la competenza energ<strong>etica</strong> dell’Unione per realizzare<br />
un mercato interno dell’energia ed una diversificazione delle fonti energetiche<br />
per assicurare la sicurezza degli approvvigionamenti, tenuto conto delle scarsità<br />
di petrolio e gas nell’UE. Tuttavia sugli accordi comuni con Paesi terzi fornitori di<br />
fonti energetiche persistono talune difficoltà derivanti da autonome scelte di <strong>politica</strong><br />
estera.<br />
Si è anche sviluppata un azione comune per la difesa dell’ambiente assumendo<br />
un’azione di traino nel contesto internazionale.<br />
Un’importante realizzazione qualitativa dell’Unione è stata l’unanime approvazione<br />
di una vincolante Carta dei diritti fondamentali che tende a far passare dalle<br />
intenzioni alla concreta applicazione dell’articolo 2 del Trattato che afferma: “L’Unione<br />
si fonda sui valori del rispetto <strong>della</strong> dignità umana, <strong>della</strong> democrazia, dell’uguaglianza,<br />
dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Valori comuni in<br />
una società caratterizzata dal pluralismo, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà<br />
e dalla parità tra uomo e donna”. È stato decisamente tracciato il cammino<br />
da perseguire. Non rimane che imporlo quando si constatasse un derapaggio.<br />
Certamente i notevoli progressi avviati nel corso dell’integrazione europea dal<br />
suo limitato inizio ad oggi debbono essere perseguiti con determinazione tendendo<br />
sempre ad un traguardo politico unitario, anche se ancora indefinito. È eviden-<br />
70<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
te che l’Unione Europea non solo non regredisce o si ferma, ma si sta continuamente<br />
attrezzando per svilupparsi compiendo piccoli o grandi passi avanti che<br />
rompono schemi incrostati di populismo e di scetticismo e resistenze conservative<br />
che tengono più conto degli istinti meno positivi del popolo che non dei suoi reali<br />
interessi.<br />
«C.»: È possibile spiegare più in profondità come è organizzata nell’UE la<br />
<strong>politica</strong> comune Estera, Sicurezza, Difesa. Quali le azioni in corso? Prevale la<br />
sensazione che il raggiungimento di traguardi significativi incontri difficoltà e ritardi<br />
che creano scetticismo nella pubblica opinione sulla capacità dell’Unione di<br />
svolgere un efficace ruolo internazionale.<br />
F. M.: È corretto affermare che la Politica Comune degli Esteri e <strong>della</strong> Sicurezza<br />
e la sua componente Politica Comune <strong>della</strong> Sicurezza e <strong>della</strong> Difesa, se applicate<br />
con decisa volontà unitaria per perseguire risultati originali, validi e senza alternative,<br />
sono la condizione principale, non ancora pienamente raggiunta, per il riconoscimento<br />
dell’Unione Europea come uno dei maggiori attori sulla scena mondiale.<br />
È tuttavia necessario ricordare che sono stati, agli inizi degli anni 90, i conflitti<br />
regionali scoppiati dopo il crollo dell’Unione Sovi<strong>etica</strong> in Europa, e in altre parti<br />
del mondo, oltre alla necessità di combattere le crescenti ondate di terrorismo internazionale,<br />
ad indurre nel 1992, col Trattato di Maastricht, i leader dell’Unione<br />
Europea e le Istituzioni comunitarie a colmare un vuoto istituzionale ed a dotarsi<br />
progressivamente degli strumenti diplomatici e di intervento civile e militare nelle<br />
vicine aree di crisi per contribuire a risolvere conflitti, portando e mantenendo la<br />
pace anche con aiuti umanitari e per partecipare e innescare Partenariati strategici<br />
con grandi potenze mondiali ed Organismi internazionali.<br />
Questi nuovi strumenti richiedono ancora opportuni perfezionamenti.<br />
Le limitazioni<br />
–Due sono tuttavia le principali limitazioni di questa nuova competenza comunitaria:<br />
1) Le decisioni che comunque possono riguardare tutti i settori di <strong>politica</strong> estera e<br />
tutte le questioni relative alla sicurezza spettano solamente ai Governi riuniti<br />
nelle Istituzioni UE, non a Commissione e Parlamento Europeo, e possono raggiungersi<br />
con deliberazioni all’unanimità: la Politica è definita ed attuata dal<br />
Consiglio Europeo che riunisce i Capi di Stato e di Governo e dai Consigli dei<br />
Ministri degli Affari Esteri e dei Ministri <strong>della</strong> Difesa;<br />
2) sul piano militare non si è creato un esercito europeo e si utilizzano armi e soldati<br />
messi a disposizione dell’Unione dagli Stati membri ma gestiti comunitaria-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
71
Flavio Mondello<br />
mente. Sarà la gravità <strong>della</strong> crisi economica in atto a spingere i Paesi membri che<br />
detengono importanti forze armate a mettere in comune gli elementi più costosi<br />
delle loro strutture di difesa per reagire agli inevitabili tagli dei rispettivi bilanci<br />
pubblici e sviluppare ricerche e produzioni di armamenti innovativi ristrutturando<br />
l’industria europea <strong>della</strong> Difesa. Del resto lo stanno già facendo Francia e<br />
Gran Bretagna che uniscono i rispettivi sforzi in campo atomico militare, e più<br />
in generale nelle loro forze militari, indicando la via corretta agli altri Paesi UE<br />
all’interno <strong>della</strong> Agenzia Europea di Difesa. A tali fini si stanno infatti realizzando,<br />
sotto la spinta <strong>della</strong> Polonia che detiene la Presidenza di turno dell’Unione,<br />
coalizioni tra Paesi membri più attrezzati militarmente.<br />
Il freno dell’unanimità nelle decisioni<br />
– L’imposizione dell’unanimità, limitata tuttavia dalla possibilità di una astensione<br />
costruttiva, significa che le posizioni dell’UE esprimibili con una sola voce,<br />
attraverso la Politica comune Esteri e Sicurezza e la Politica comune Sicurezza e Difesa,<br />
riguardano solamente temi di riconosciuto interesse comune. Gli altri temi<br />
sono trattati esclusivamente sul piano nazionale. Ciò non toglie che l’Unione cerchi<br />
di aumentare il più possibile la convergenza delle azioni Esteri e Difesa degli<br />
Stati membri per consentire un più ampio campo degli interventi comunitari, soprattutto<br />
quando situazioni internazionali che toccano l’Europa si possono discutere<br />
ed affrontare efficacemente nei grandi consessi internazionali solo con interventi<br />
unitari.<br />
Il Trattato impone agli Stati membri di sostenere attivamente e senza riserve la<br />
Politica estera dell’Unione in uno spirito di lealtà e di solidarietà reciproca. Purtroppo<br />
non sempre ciò appare ancora evidente.<br />
I progressi lenti<br />
– Nonostante questi freni, che certamente rallentano le prese di posizione dell’UE,<br />
sono stati compiuti passi avanti nell’organizzazione <strong>della</strong> macchina comunitaria<br />
che consente, in questo campo di estrema importanza, taluni risultati non trascurabili.<br />
È comunque evidente una reazione collettiva ad una ancora insufficiente presenza<br />
unitaria dell’Europa sullo scacchiere internazionale, nonostante siano stati<br />
compiuti interessanti passi avanti, forse non tutti evidenziati dai mezzi di informazione.<br />
Certamente hanno influito taluni pregiudizi sulla Autorità comunitaria che<br />
mette in atto la Politica Estera e di Sicurezza Comune: l’Alto Rappresentante dell’Unione<br />
per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, la Sg.ra Catherine Ashton<br />
contemporaneamente è Presidente del Consiglio Esteri e Vice Presidente <strong>della</strong><br />
Commissione: forse troppi incarichi attribuiti ad una sola persona.<br />
È l’Alto Rappresentante a condurre, a nome dell’Unione, il dialogo politico<br />
con i terzi e ad esprimere la posizione comune nelle Organizzazioni internazionali,<br />
72<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
come per es. il Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Tuttavia ai massimi livelli <strong>della</strong><br />
scena mondiale, per esempio il Presidente Obama prima del G20 dell’ottobre<br />
2011, ha preferito, sul tema dell’Euro, rivolgersi direttamente al Presidente<br />
Sarkozy ed alla Sig.ra Merkel, il britannico Cameron non essendo membro dell’Eurozona.<br />
Il Servizio Diplomatico Comunitario<br />
– Una novità di rilievo è la messa a disposizione dell’Alto Rappresentante di un<br />
Servizio diplomatico comunitario che lavora in collaborazione con tutti i servizi<br />
diplomatici degli Stati membri e può migliorare di molto la conoscenza delle situazioni<br />
internazionali anche perché questo Servizio è dotato di proprie Delegazioni<br />
Permanenti nei Paesi terzi e presso le Organizzazioni Internazionali.<br />
Il Parlamento Europeo è regolarmente informato sullo sviluppo <strong>della</strong> Politica<br />
Estera e di Sicurezza dell’Unione e sempre più apporta un notevole contributo ad<br />
orientare i Capi di Stato e di Governo.<br />
I progressi nel campo <strong>della</strong> difesa<br />
– Sul piano <strong>della</strong> Difesa l’UE è molto più attiva di quanto non appaia attraverso<br />
la pubblica informazione:<br />
Ha creato l’Agenzia Europea <strong>della</strong> Difesa cui è stato riconosciuto il ruolo motore<br />
del miglioramento <strong>della</strong> capacità di difesa europea in collaborazione con la Commissione<br />
Europea in materia di ricerca e tecnologia e col Comando NATO di<br />
Norfolk<br />
Ha migliorato, rendendola permanente, la capacità di pianificazione e di condotta<br />
militare-civile delle Operazioni e delle Missioni UE.<br />
Ha attivato 24 Missioni nell’ambito <strong>della</strong> Politica Comune Estera,Sicurezza e Difesa,<br />
dai Balcani all’Africa, al Medio Oriente, all’Afganistan: 14 civili, 6 militari,<br />
3 integrate civili-militari. Sono in corso 3 Operazioni militari in Bosnia-Erzegovina,<br />
in Somalia ed al largo delle coste somale (anti-pirateria). È in atto un sostegno<br />
all’Organismo “Unione Africana”.<br />
I Paesi UE membri dell’Alleanza Atlantica partecipano in Afganistan alla Forza<br />
multinazionale NATO che opera in 5 Regioni. L’Unione Europea favorisce l’exit<br />
strategy iniziata a luglio 2011 e applica una strategia a lungo termine per rafforzare<br />
le capacità istituzionali e amministrative dello Stato afgano.<br />
Si è dotata di una disponibilità costante di 2 Gruppi di Battaglia (Raggruppamenti<br />
tattici) costituiti da forze multinazionali di 1500 uomini ciascuno per prevenire<br />
in emergenza l’insorgenza di una crisi o per reagire ad una sua degenerazione,<br />
ed in grado di rimanere operativi da 30 a 120 giorni.<br />
Ha istituito una “Cooperazione Strutturata Permanente”, senza soglia minima di<br />
partecipazione di Stati membri, per rendere credibile la capacità militare dell’UE<br />
che assicura le unità di combattimento necessarie a garantire al suo esterno il<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
73
Flavio Mondello<br />
mantenimento <strong>della</strong> pace, la prevenzione dei conflitti ed il rafforzamento <strong>della</strong> sicurezza<br />
internazionale anche attraverso il disarmo e la lotta al terrorismo.<br />
Le strutture di vertice istituzionale <strong>della</strong> Politica di Sicurezza e di Difesa, oltre<br />
al Consiglio dei Capi di Stato e di Governo, ai Consigli Esteri e Difesa, al Comitato<br />
permanente degli Ambasciatori, al Comitato Politico ed al Comitato Militare,<br />
comprendono lo Stato Maggiore dell’UE (il PE chiede di renderlo permanente)<br />
che è composto da 200 esperti militari distaccati dagli Stati membri: suo compito è<br />
pianificare strategicamente le Missioni di intervento militare dopo aver valutato le<br />
situazioni e dato allarmi tempestivi.<br />
Le relazioni transatlantiche USA e Oriente<br />
– Un aspetto rilevante <strong>della</strong> Politica Estera UE riguarda le relazioni transatlantiche<br />
USA-UE-Russia, sulle quali non vengono riprese dai masmedia informazioni<br />
dettagliate, e che si snodano tra: 3 Partenariati strategici USA-UE, UE-Russia,<br />
UE-Cina; partecipazione dei 27 Paesi UE all’Organizzazione di Sicurezza e Cooperazione<br />
Europea (OSCE) che comprende anche USA, Canada, i Paesi del Caucaso<br />
e la Santa Sede; il Consiglio NATO (21 Paesi UE membri NATO) –Russia, il<br />
Consiglio USA-UE per la sicurezza energ<strong>etica</strong>; il Partenariato Economico-Commerciale<br />
Transatlantico USA-UE per superare i punti di frizione.<br />
Lo stato di avanzamento dei lavori nelle Relazioni transatlantiche è abbastanza<br />
soddisfacente tenuto conto di problemi anche rilevanti che figurano negli ordini<br />
del giorno.<br />
Nelle relazioni strategiche Trans-Pacifico il Negoziato sul Partenariato UE-Cina<br />
incontra difficoltà sugli aspetti monetari e di mercato, sul commercio delle armi,<br />
e sulle controversie relative a Taiwan e al Tibet. L’auspicio principale manifestato<br />
dall’UE al Vertice politico <strong>della</strong> Cina è che il forte sviluppo economico <strong>della</strong><br />
Cina consolidi la coesione sociale delle sue grandi popolazioni: sugli altri problemi<br />
si troveranno, anche se lentamente, delle soluzioni.<br />
Rapporti UE-Russia<br />
– È importante rilevare l’approccio strategico dell’UE con la confinante Russia.<br />
Nel “Consiglio Permanente per il Partenariato UE-Russia”, I rispettivi vertici<br />
ostentano amicizia e disponibilità a trovare convergenza e soluzioni su taluni rilevanti<br />
problemi comuni. Mosca sollecita un “Nuovo Accordo” più approfondito rispetto<br />
a quelli negoziati sino ad ora e riguardanti i 4”Spazi comuni” (Cooperazione<br />
sulla sicurezza esterna; economia-libertà-giustizia; ricerca-istruzione,; cultura. Il<br />
Presidente Medvedev ha chiesto di approfondire un 5° Spazio comune: il “Partenariato<br />
per la modernizzazione”, perché Mosca ha bisogno dell’aiuto UE per realizzare<br />
le trasformazioni tecnologiche (investire 1 miliardo di $ nella ricerca), le misure<br />
per attrarre investimenti, le riforme strutturali economiche. In risposta ad una ferma<br />
richiesta dell’UE il Presidente russo si è impegnato a coinvolgere la società civi-<br />
74<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
le nella riforma delle Istituzioni politiche per basarle su valori democratici e su<br />
riforme giudiziarie (riguardanti per ora il civile, gli affari familiari, economici e, si<br />
spera, criminali) che rafforzino lo Stato di diritto, considerando tutto ciò basilare<br />
per la modernizzazione. Un sostanziale progresso si sta evidenziando nella possibilità<br />
dei cittadini russi e comunitari di attraversare le rispettive frontiere per viaggi<br />
di non lunga durata senza più necessità di visti.<br />
Il partenariato orientale<br />
– Oltre ai rapporti strategici con la Russia l’UE sta sviluppando, sotto la pressione<br />
<strong>della</strong> Presidenza di turno <strong>della</strong> Polonia, un concreto Partenariato Orientale<br />
(Armenia, Azerbaigian, Georgia, Moldova, essendosi temporaneamente compromessi<br />
i rapporti con la Bielorussia e incrinati, senza conseguenze maggiori, quelli<br />
con l’Ucraina) il cui funzionamento e le prospettive sono largamente positivi in vista<br />
di strette relazioni di libero scambio.<br />
I rapporti di sicurezza e difesa tra NATO e UE sono stati positivamente condizionati<br />
dal nuovo concetto strategico <strong>della</strong> Alleanza Atlantica deciso nel vertice di<br />
Lisbona il 20 settembre 2010 alla presenza anche del Presidente russo Medvedev.<br />
<strong>La</strong> NATO, secondo il Trattato UE di Lisbona resta, per gli Stati membri comunitari<br />
che ne fanno parte, “il fondamento <strong>della</strong> loro difesa collettiva ed il contesto<br />
<strong>della</strong> sua attuazione”.<br />
Il partenariato UE-USA<br />
– Sul piano economico <strong>della</strong> relazione di partenariato UE-USA nella crisi planetaria<br />
in corso entrambi i partner debbono affrontare una severa <strong>politica</strong> di austerità riducendo<br />
la spesa, ma mantenendo la sicurezza globale. È evidente che anche gli USA per<br />
raggiungere i loro obiettivi hanno bisogno, come ha affermato lo stesso Presidente<br />
Obama, di una “Unione Europea forte e capace”. Il modo migliore per esercitare una<br />
influenza UE sugli USA è certamente quello di “restare unita e sicura di sé stessa”.<br />
«C.»: C’è un fenomeno, tra i tanti, che dovrebbe produrre massima concentrazione<br />
e prevenzione: è il fenomeno dell’immigrazione, cioè dello spostamento<br />
verso l’Europa <strong>della</strong> pressione di popolazioni che anelano al benessere o, quanto<br />
meno, alla condivisione più giusta <strong>della</strong> ricchezza. Da alcune proiezioni ONU si<br />
calcola che oltre più di venti milioni saranno, alla fine del secondo decennio del<br />
secolo e all’inizio del terzo, gli emigranti verso aree ricche dell’Europa, soprattutto<br />
dal continente africano, in fuga dalla fame, dalla sete, dal deserto che avanza e<br />
dalla voglia di libertà positiva. Questo fenomeno è presente nel contesto dell’Unione<br />
Europea? È compresa appieno la sua gravità per le ripercussioni, sociali,<br />
culturali, politiche e finanche sanitarie?<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
75
Flavio Mondello<br />
F. M.: Nell’Unione Europea la <strong>politica</strong> comune dell’immigrazione è una sfida<br />
europea che impone una comune risposta europea, il rispetto di regole stabilite in<br />
comune ed in comune adattate all’evolversi <strong>della</strong> situazione che è differenziata per<br />
Paese membro e per aree dell’Unione.<br />
Il problema è affrontato sotto 6 aspetti principali:<br />
la libera circolazione degli immigrati regolari e regolarmente soggiornanti nel territorio<br />
comunitario nel rispetto <strong>della</strong> Convenzione del 1985 che applica l’accordo<br />
di Schengen per la eliminazione delle frontiere interne al passaggio delle persone,<br />
sino ad oggi sottoscritto da 22 Paesi UE (auto esclusi: Gran Bretagna e Irlanda;<br />
in attesa di partecipazione: Bulgaria e Romania), con 4 Paesi terzi associati<br />
(Norvegia, Islanda, Svizzera e Liechtenstein);<br />
il coordinamento comunitario delle politiche nazionali dell’integrazione degli<br />
immigrati regolari con possibilità di interventi comunitari di sostegno e con monitoraggio<br />
dei comportamenti nazionali utilizzando collaborazioni con Organismi<br />
specializzati per definire criteri comuni di valutazione dei risultati raggiunti;<br />
le severe azioni di prevenzione e di contrasto con controlli rafforzati nazionali e<br />
comunitari <strong>della</strong> immigrazione clandestina e <strong>della</strong> tratta di esseri umani, realizzando<br />
una equa ripartizione dei costi, qualora insopportabili, di massicci ed improvvisi<br />
afflussi, e con sostegni comunitari per il controllo delle frontiere esterne<br />
attraverso il potenziamento dell’Agenzia Frontex, creata come corpo specializzato<br />
e indipendente per coordinare l’azione via mare,terra, aria, di gestione integrata<br />
<strong>della</strong> sicurezza frontaliera;<br />
gli accordi bilaterali di riammissione di immigrati negoziati dalla Commissione<br />
con i Paesi di origine o di provenienza, con contropartita di partenariati per costruire<br />
il loro futuro in patria, stimolando la crescita economica e la creazione di<br />
occupazione in un contesto di sviluppo democratico e di Stato di diritto;<br />
l’elaborazione di uno status uniforme in materia di asilo di profughi in fuga da<br />
regimi totalitari, da guerre civili, ecc.;<br />
il controllo costante da parte <strong>della</strong> Commissione dei crescenti bisogni di manodopera<br />
immigrata semplice o professionale in un contesto di inarrestabile involuzione<br />
demografica che prefigura una incombente penuria di manodopera. <strong>La</strong> determinazione<br />
del volume necessario di ingresso di cittadini terzi (“immigrati economici”)<br />
che cercano lavoro dipendente o autonomo spetta ai singoli Stati membri.<br />
Le emergenze eccezionali<br />
– Dalle Istituzioni UE sono anche prese in considerazione situazioni di emergenza<br />
eccezionali e temporanee per afflussi rilevanti ed improvvisi di immigrati che<br />
possono creare difficoltà gravi al loro ingresso ai confini dell’Unione. Sono previste<br />
al riguardo misure che, temporaneamente e sotto controllo comunitario, possono<br />
consentire deroghe al Trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone<br />
nell’Unione. Nei casi di concentrate immigrazioni giudicate nazionalmente inso-<br />
76<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
stenibili hanno già iniziato ad intervenire, sotto varie forme, sostegni comunitari<br />
che dovranno ulteriormente svilupparsi.<br />
Il fenomeno di una forte futura pressione sull’Unione Europea di immigrati da<br />
aree fortemente disagiate del mondo vedrà un suo sviluppo condizionato dal successo<br />
<strong>della</strong> <strong>politica</strong> comunitaria dell’immigrazione in corso di consolidamento,<br />
dall’approccio UE al multiculturalismo e dell’efficacia <strong>della</strong> <strong>politica</strong> di sostegno al<br />
mondo in via di sviluppo, e dall’evoluzione delle nuove grandi potenze economiche<br />
sulla scena mondiale.<br />
«C.»: <strong>La</strong> drammatica realtà del violento tsunami che si abbatte sulla finanza,<br />
sull’economia e sull’occupazione dell’Europa ed anche a livello mondiale dopo la<br />
grande “depressione” degli anni 30, vede l’Unione Europea, soprattutto quella<br />
ampia parte che dispone di una moneta unica, impegnarsi con energia a farvi<br />
fronte attraverso una unitaria Governance economica ed a vincere le sfide che le<br />
si pongono.<br />
Purtroppo il cittadino europeo non riesce a districarsi nella serie di provvedimenti<br />
comunitari che si susseguono e non percepisce le effettive linee di condotta<br />
decise in comune ma che poi ritiene imposte a ciascuno Stato membro.<br />
Quale è il quadro dell’azione comunitaria e quali sono le ragioni di questa<br />
difficile percezione del suo svolgimento a livello degli Stati membri?<br />
F. M.: <strong>La</strong> Governance Economica Europea e i suoi poteri sono due delle questioni<br />
più attuali.<br />
Si deve subito precisare che la possibilità per l’Unione di sottoporre ad una Governance<br />
Economica Europea le politiche economiche degli Stati membri, nell’ambito<br />
di una effettiva Unione Economica, non era stata prevista né dal Trattato di<br />
Roma, né dal dopo l’istituzione <strong>della</strong> moneta unica.<br />
Anzi, nelle successive modifiche del Trattato di Roma è stato sempre ribadito<br />
che la <strong>politica</strong> economica era di responsabilità dei Governi nazionali e delle relative<br />
Parti sociali.<br />
Sono stati la crisi finanziaria ed economica, l’accentuarsi del rallentamento <strong>della</strong><br />
crescita sino all’avvio di una leggera recessione con le pesanti implicazioni sull’occupazione,<br />
il nodo al pettine di cattive gestioni <strong>della</strong> spesa pubblica che hanno<br />
messo pesantemente sotto attacco taluni debiti sovrani dell’Eurozona, a determinare,<br />
nel giugno 2010 e dopo approfonditi dibattiti, un balzo in avanti del processo<br />
integrativo con l’instaurazione di una “governance economica europea”. Questa<br />
è gestita al massimo livello politico dei Capi di Stato e di Governo riuniti nel Consiglio<br />
Europeo ed in collaborazione con la Commissione Europea, il Parlamento<br />
Europeo, il Gruppo Euro e la Banca Centrale Europea. Nella governance assume<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
77
Flavio Mondello<br />
un ruolo rilevante la Presidenza Draghi iniziata il 1° novembre 2011 nella fase più<br />
critica dei debiti sovrani, nomina che era stata decisa per l’unanime apprezzamento<br />
<strong>della</strong> sua presidenza dello Stability Financial Forum nel tentativo di combattere<br />
l’eccesso di credito non regolato, causa <strong>della</strong> grave instabilità finanziaria a livello<br />
mondiale.<br />
L’obiettivo <strong>della</strong> governance economica europea è creare le condizioni che garantiscano<br />
il mantenimento <strong>della</strong> forza <strong>della</strong> moneta unica e favoriscano un notevole<br />
recupero di competitività dell’Unione con conseguente rilancio di una crescita<br />
economica durevole ed equilibrata per vincere le sfide <strong>della</strong> globalizzazione. È stata<br />
una decisione strategica che impegna l’Unione per parecchi anni dovendo affiancare,<br />
ai drastici impegni sollecitati a Governi e cittadini, politiche comunitarie interne<br />
ed esterne a sostegno <strong>della</strong> crescita. In definitiva dipenderà dal suo successo il<br />
consolidamento dell’Unione Europea e la costituzione di una solida base per futuri<br />
progressi verso il traguardo dell’integrazione <strong>politica</strong> europea.<br />
Vertice Europeo permanente <strong>della</strong> Zona Euro<br />
– Nel maggio 2011 le Istituzioni comunitarie, e soprattutto quella che riunisce<br />
i27CapidiStatoe<br />
di Governo – il Consiglio Europeo –, hanno programmato, su proposta franco-tedesca,<br />
nell’ambito generale <strong>della</strong> Governance economica, un Vertice europeo<br />
permanente dell’Eurozona ove si è concentrata la crisi in atto nell’UE. Vertice<br />
composto dai Capi di Stato e di Governo dei 17 Paesi Euro, presieduto da un Presidente<br />
stabile per 2,5 anni, (rinnovabile una volta), e che si riunisce due volte l’anno.<br />
Il Presidente sarà designato dai 17 Capi di Stato di Governo in occasione <strong>della</strong><br />
prossima elezione nel 2013 del Presidente del Consiglio Europeo. In attesa di tale<br />
elezione i vertici <strong>della</strong> zona Euro sono presieduti dal Presidente in carica del Consiglio<br />
Europeo, Herman Van Rompuy (ex Premier belga). L’allora Presidente <strong>della</strong><br />
BCE Jean Claude Trichet aveva addirittura auspicato la creazione di un “Governo<br />
economico confederale”, con un proprio Ministro delle Finanze. Contemporanea<br />
è stata la nomina del Commissario Europeo Olli Rehn a Vice Presidente <strong>della</strong><br />
Commissione Europea con la responsabilità degli Affari economici e dell’Euro.<br />
Il Vertice dei 17 leader dell’Eurozona ha subito informato il Consiglio Europeo<br />
che, per uscire dalla grave crisi finanziaria ed economica, intende governare l’Eurozona<br />
con poteri centralizzati, eventualmente da iscrivere nel Trattato attraverso una<br />
sua modifica, ed inoltre e con decisioni a maggioranza, mettere in atto i mezzi necessari<br />
per rafforzare con determinazione la convergenza economica nella Zona<br />
Euro e per migliorare la disciplina di bilancio pubblico. Convergenza perduta a<br />
causa di una scarsa applicazione del Patto di stabilità concluso al momento dell’introduzione<br />
dell’Euro. <strong>La</strong> Germania, grazie certamente alla sua crescente competitività,<br />
ma anche alla compressione del suo consumo interno, ha realizzato ingenti at-<br />
78<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
tivi determinando un forte squilibrio macroeconomico nell’Eurozona. Dovrebbe<br />
ora contribuire ad eliminarlo. Essenziale è il rafforzamento <strong>della</strong> disciplina di bilancio<br />
ed anche <strong>della</strong> disciplina dei mercati finanziari, così da dare un profondo<br />
contenuto all’Unione Economica in parallelo con la compiuta Unione Monetaria.<br />
Soprattutto si vuole dimostrare che la governence economica europea attraverso<br />
una severa sorveglianza <strong>della</strong> condotta dei 17 Stati dell’Eurozona rende più solida<br />
l’impalcatura su cui poggia l’Euro.<br />
Questa decisione ha evidenziato l’autocritica del lassismo nella spesa pubblica,<br />
<strong>della</strong> insufficiente visione finanziaria a livello comunitario e <strong>della</strong> sottostima <strong>della</strong><br />
interdipendenza monetaria e finanziaria che hanno portato ad irresponsabili condotte<br />
di bilancio.<br />
«C.» Numerosi e continui sono i Vertici europei sia dei Paesi che fanno parte<br />
<strong>della</strong> Eurozona, che sono diciassette, sia dei ventisette capi di Stato e di Governo<br />
che formano il Consiglio Europeo.<br />
I più recenti sono stati il Vertice dell’Eurozona del 23 e 26 ottobre e il G20<br />
del 3 e 4 novembre 2011. Ambedue sono avvenuti nel pieno dell’infierire <strong>della</strong><br />
crisi globale alla quale ogni Paese sembra non potersi sottrarre.<br />
Quali sono stati i risultati da considerare più concreti ed efficaci per frenare<br />
subito e riassorbire progressivamente gli effetti <strong>della</strong> crisi?<br />
F.M. <strong>La</strong> prova del fuoco del governo dell’Eurozona è avvenuta il 23 e 27 ottobre<br />
2011 quando, attraverso un preciso piano d’azione, si è avviata la risposta alla<br />
crisi sempre più grave che incombe sull’Europa. L’immediata verifica <strong>della</strong> validità<br />
di questa azione è intervenuta nel G20 di Cannes del 3 e 4 novembre che ha accolto<br />
favorevolmente le decisioni UE del 26 ottobre, considerate l’inizio di una energica<br />
governance economica dell’Eurozona che dovrà essere ulteriormente sviluppata<br />
per dare l’impressione ai mercati che si intende agire con fermezza.<br />
Il Presidente Barak Obama ha incitato l’UE a difendere con vigore la moneta<br />
unica ed ad ottimizzare il Fondo europeo di salvataggio che dovrebbe avere il sostegno<br />
del Fondo Monetario Internazionale che dal G20 di Cannes ha ottenuto<br />
l’accordo di un aumento delle sue risorse per operazioni di emergenza, se necessario,<br />
con possibili disponibilità di Cina, Russia e Giappone, anche a favore dell’Eurozona.<br />
Le principali prospettive emerse<br />
–Tresono state le principali prospettive offerte dall’accordo raggiunto in ottobre<br />
all’unanimità dai 17 Governi dell’Eurozona per avviare una risposta coordinata<br />
alla crisi europea:<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
79
Flavio Mondello<br />
– soluzione durevole del debito sovrano greco, per impedire, attraverso meccanismi<br />
di intervento rapido fortemente condizionato;<br />
– ripristino <strong>della</strong> fiducia nel settore bancario con l’imposizione di una disciplina finanziaria<br />
che rafforzi le banche;<br />
– consolidamento dei bilanci dei Paesi ad alta criticità di deficit e di debito, accompagnato<br />
da riforme strutturali per rilanciare crescita e occupazione.<br />
<strong>La</strong> parentesi di gravissima preoccupazione per il subbuglio dei mercati a seguito<br />
dell’improvvisa minaccia di un referendum in Grecia sulle misure anticrisi che<br />
avrebbe potuto rimettere in questione gli impegni contratti da Atene per risolvere<br />
la propria crisi, è stata rapidamente chiusa con la rinuncia del Premier Papandreu<br />
di ricorrere al voto popolare, preoccupato di perdere l’aiuto dell’UE, e con l’annuncio<br />
delle sue dimissioni. Già in diversi Paesi dell’Eurozona si sono prodotte crisi<br />
di governo nella fase di risposta alle ingiunzioni del governo europeo dell’Eurozona<br />
e sono state necessarie le dimissioni per rendere credibile il drastico riordino<br />
dei loro conti pubblici: Irlanda, Portogallo, Spagna, Grecia, Italia. Ciò dimostra<br />
che la governance europea è seriamente presa in considerazione dai Paesi che hanno<br />
adottato l’Euro.<br />
L’accordo del 26 ottobre 2011<br />
– Spiazzati gli eccessivi, se non drammatici, pessimismi <strong>della</strong> vigilia, l’accordo<br />
raggiunto, pur dovendosi ancora definire il follow up tecnico, rappresenta il tentativo<br />
di apportare una risposta”europea” ad una crisi mondiale che da finanziaria e<br />
poi economica ha contagiato gli Stati dell’Eurozona nel loro debito sovrano. È in<br />
causa la <strong>politica</strong> economica e di bilancio di molti Paesi dell’Eurozona che rischia di<br />
compromettere la solidità dell’Euro che in poco più di 10 anni si è rafforzato, a differenza<br />
<strong>della</strong> sterlina e del dollaro, diventando una moneta alternativa di riserva<br />
non intaccata né da deficit e debito complessivi <strong>della</strong> sua area portati ad un livello<br />
nettamente inferiore a quelli degli Stati Uniti o del Giappone, né da un tasso di inflazione<br />
che è stato mantenuto sufficientemente basso e stabile, né da un complessivo<br />
squilibrio <strong>della</strong> bilancia dei pagamenti dell’Eurozona.<br />
<strong>La</strong> strategia UE<br />
– <strong>La</strong> strategia UE per superare la crisi abbattutasi sull’Eurozona si basa su due<br />
pilastri: solidarietà comunitaria e riforme strutturali da realizzare in contropartita.<br />
Occorre garantire sostenibilità alla disciplina di bilancio ed ad una nuova forma di<br />
crescita economica ed occupazionale adattata alla concorrenza globale. Certamente<br />
sull’esigenza <strong>della</strong> “stabilità” si è constatata l’influenzata <strong>della</strong> Germania perché<br />
l’allora Cancelliere Kohl che aveva abbandonato a Maastricht il gioiello tedesco, il<br />
Marco, in favore dell’Euro, a condizione tuttavia di applicare alla moneta unica europea<br />
la severa <strong>politica</strong> di bilancio che aveva reso la divisa tedesca la più forte al<br />
mondo col sostegno di una economia sociale di mercato altamente competitiva.<br />
80<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
<strong>La</strong> solidarietà nei confronti dei Paesi in difficoltà dovrebbe essere resa effettiva<br />
sia da un adeguato “Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria” o “Fondo salva Stati”<br />
la cui potenzialità di intervento è stata portata a 1000 miliardi di Euro, in grado di<br />
scoraggiare le turbolenze finanziarie e salvare la Grecia dal fallimento, ma tuttavia<br />
non ancora adeguata nel caso di gravi contagi a grandi Paesi dell’Eurozona, sia da<br />
un apporto volontario delle banche che accettano di ridurre del 50% il valore del<br />
debito greco in loro possesso, sia ancora dalla imposizione di una ricapitalizzazione<br />
delle banche per consentire, in situazione critica, la difesa dei depositanti e l’erogazione<br />
del credito all’attività economica per il sostegno <strong>della</strong> ripresa.<br />
Non è stato dunque possibile garantire un’ulteriore massiccio contributo comunitario<br />
al Fondo, nel caso di una dirompente aggressività dei mercati finanziari,<br />
consentendo il ricorso in ultima istanza alle illimitate disponibilità <strong>della</strong> Banca<br />
Centrale Europea che dirige l’Eurosistema; lo avevano sollecitato Francia e Italia riferendosi<br />
alle capacità delle Banche centrali nelle aree del dollaro, <strong>della</strong> sterlina e<br />
dello yen. È prevalsa la duplice esigenza sostenuta dalla Sig.ra Merkel, dalla stessa<br />
BCE ed anche dal Prof. Mario Monti: – salvaguardare l’indipendenza <strong>della</strong> BCE<br />
che certamente, in caso di peggioramento <strong>della</strong> situazione di crisi in grandi paesi<br />
dell’Eurozona, avrebbe potuto essere sottoposta a forti pressioni politiche; – evitare<br />
che una assoluta garanzia di sostegno comporti rischio di lassismo nella disciplina<br />
di bilancio e nelle riforme strutturali.<br />
Questo problema maggiore rimane tuttavia in sospeso perché rientra nelle sollecitazioni<br />
di coloro che auspicano un rafforzamento politico del governo dell’Eurozona<br />
attraverso un maggior potere <strong>della</strong> BCE e ricordano il piano Marshal che<br />
aveva salvato la Germania anche se ex nazista, impedendole il precedente strangolamento<br />
che aveva innescato il regime hitleriano.<br />
Gli interventi <strong>della</strong> BCE<br />
– È invece fallito l’insistente tentativo <strong>della</strong> Germania di impedire immediatamente<br />
alla BCE di continuare ad acquistare sul mercato obbligazioni di Stati membri<br />
per allentare forti pressioni speculative (sopratutto Buoni del Tesoro italiani e spagnoli)<br />
e di lasciare questo compito solo al Fondo Europeo di Stabilità finanziaria che<br />
è un organismo intergovernativo cui si dovrebbe dare uno statuto bancario per consentirgli<br />
di appoggiarsi alla BCE per gli interventi sul mercato dei Bonds.<br />
È stata la resistenza dell’entrante Presidente Draghi a bloccare la pressione tedesca:<br />
Draghi ha così voluto dimostrare la propria indipendenza nell’esercizio dei<br />
suoi poteri, anche se ha affermato che gli Stati in difficoltà non possono contare<br />
solo sull’intervento <strong>della</strong> BCE per risolvere i loro problemi.<br />
Dal neo Presidente dipenderà se la BCE, oltre al perseguimento dell’obiettivo<br />
principale che rimane saldamente il mantenimento <strong>della</strong> stabilità dei prezzi, e cioè<br />
la stabilità dell’Euro in termini di beni e servizi, vorrà anche perseguire, fatto salvo<br />
questo obiettivo principale, un altro obiettivo che le è stato assegnato dal Trattato di<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
81
Flavio Mondello<br />
Lisbona e dai precedenti Trattati. Si tratta del sostegno delle politiche economiche<br />
nell’UE per rispettare l’obbligo dell’Unione di garantire, tra l’altro, “lo sviluppo sostenibile<br />
dell’Europa basato su una crescita economica equilibrata, su una economia<br />
sociale di mercato fortemente competitiva che mira alla piena occupazione, al progresso<br />
sociale, alla protezione sociale, alla solidarietà tra le generazioni”.<br />
Il perseguimento di questo secondo obiettivo, che sino ad ora non era stato<br />
preso in seria considerazione dalla BCE, è attualmente oggetto di molte sollecitazioni.<br />
<strong>La</strong> recente lettera <strong>della</strong> BCE all’Italia ed alla Spagna alla vigilia dell’insediamento<br />
di Draghi, ed il primo atto del nuovo Presidente, la riduzione del tasso di<br />
interesse delle principali operazioni di rifinanziamento <strong>della</strong> BCE, sono probabilmente<br />
un segnale dell’avvio di un nuovo corso <strong>della</strong> governance economica europea.<br />
Lo sta giustificando la significativa revisione al ribasso delle previsioni e delle<br />
proiezioni <strong>della</strong> crescita reale del pil nel 2012. D’altra parte non vi sarebbero controindicazioni<br />
perché il timore <strong>della</strong> recessione dovrebbe impedire all’inflazione un<br />
livello incompatibile con la stabilità dei prezzi.<br />
Banche e bilanci pubblici<br />
–Per far mantenere la fiducia dei risparmiatori nelle banche impigliate nella<br />
crisi finanziaria, impedendo perdite ai depositanti, e per garantire all’economia (in<br />
particolare alle piccole e medie imprese) i crediti necessari per riprendere la crescita,<br />
l’UE ha imposto alle banche, sulla base degli stress tests, una capitalizzazione di<br />
sicurezza, tenuto conto dei titoli a rischio di insolvenza, come taluni debiti sovrani,<br />
in particolare detenuti da banche francesi e tedesche. L’aumento di capitale delle<br />
banche dovrà prima di tutto di tutto effettuarsi col ricorso al mercato o la cessione<br />
di loro attivi, se necessario col ricorso al sostegno pubblico e solo in ultima istanza<br />
al Fondo Europeo salva Stati. L’intervento pubblico, che in definitiva ricade sui cittadini<br />
già sottoposti a pesanti sacrifici, comporterà la riduzione dei bonus per i manager<br />
e degli interessi per gli azionisti.<br />
Nell’Eurozona lo spirito fondatore <strong>della</strong> moneta unica a Maastricht e cioè la<br />
“cultura <strong>della</strong> stabilità”, sarà garantita da una più intensa e preventiva sorveglianza<br />
comunitaria dei bilanci pubblici e delle riforme strutturali, affidata alla responsabilità<br />
<strong>della</strong> Commissione Europea perché non si ripetano precedenti errori. Si ricorda<br />
al riguardo il lassismo del 2003 nell’applicazione del Patto di stabilità durante la<br />
Presidenza Chirac, del Cancelliere Schmit col Ministro <strong>La</strong>fontaine e del Presidente<br />
Berlusconi col Ministro Tremonti.<br />
È stato infatti deciso un severo richiamo all’ordine di quei Governi che, dopo<br />
aver partecipato alle decisioni delle Istituzioni UE, non appena rientrati nei rispettivi<br />
Paesi, si dimostrino incapaci di fronteggiare reazioni politiche interne e non<br />
onorino la loro firma sovrana. Non si accetta neppure che i Governi, per dimostrare<br />
di rispettare gli accordi raggiunti in sede comunitaria, sottopongano all’UE programmi<br />
d’azione imprecisi nelle modalità e tempi di attuazione.<br />
82<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
Il programma d’azione dell’Italia<br />
– È sintomatico il caso del programma d’azione del Governo italiano, presentato<br />
per il risanamento del deficit e del troppo elevato debito e per la realizzazione<br />
di riforme strutturali necessarie all’innesco di una crescita sostenibile. Alle felicitazioni<br />
del Vertice dell’Eurozona, confermate dal G20 di Cannes, è’ stato associato il<br />
monito di applicare“imperativamente” in fretta e con vigore, le misure con le relative<br />
modalità di modi e tempi annunciate, così da garantirne la credibilità. L’Italia,<br />
grande Paese e nonostante la crisi del suo debito sovrano non sia paragonabile a<br />
quella del debito greco, è considerata un problema maggiore per la stabilità dell’Eurozona.<br />
<strong>La</strong> pressione UE e del FMI aveva indotto l’allora Premier italiano a sollecitare<br />
al FMI la certificazione dell’attuazione del Programma d’azione con aggiornamenti<br />
su base trimestrale ed a concordare il controllo <strong>della</strong> Commissione UE per rendere<br />
credibile all’Europa ed al Mondo la propria capacità di tradurre gli impegni in precise<br />
norme. L’Italia è dunque sotto la vigilanza di una troika FMI,Commissione<br />
UE e BCE, come nel caso di Grecia, Irlanda e Portogallo, anche se ha rifiutato un<br />
programma di assistenza finanziaria internazionale.<br />
Il Governo Monti<br />
– L’Unione Europea, così come i vertici internazionali, hanno appreso con soddisfazione<br />
il varo di un nuovo Governo tecnico presieduto dal Senatore a vita Prof.<br />
Mario Monti, molto stimato a livello mondiale anche per i suoi ottimi trascorsi di<br />
Vice Presidente <strong>della</strong> Commissione Europea e di severo commissario alla concorrenza:<br />
si ritiene credibile l’impegno assunto a Bruxelles dal nuovo Governo e l’Italia<br />
è invitata a fianco del duo franco-tedesco affinché il trio rappresenti le principali<br />
economie dell’Eurozona che offrono all’Unione Europea una loro proposta per<br />
uscire dalla crisi. Il risanamento dell’Italia richiederà comunque tempi non brevi e<br />
continuerà il severo controllo dell’UE e del FMI per evitare che rischi di complicazioni<br />
politiche interne compromettano la stabilità dell’intera Eurozona.<br />
Con riferimento a talune reazioni dei media e di ambienti politici sulla disciplina<br />
comunitaria imposta ai Governi degli Stati membri si deve comunque affermare<br />
che non può essere considerato una umiliazione né una coercizione l’obbligo<br />
di stare ai patti comunitari precedentemente sottoscritti. <strong>La</strong> disciplina sollecitata<br />
non è una improvvisazione ma il risultato di dibattiti e decisioni concordate nel<br />
quadro istituzionale dell’Unione che avrebbero dovuto avere maggiore risonanza a<br />
livello nazionale al momento in cui erano state assunte.<br />
«C.» Due aspetti del “Sistema Europa Unita” sollevano perplessità e comunque<br />
dubbi, sia di natura funzionale e di poteri, sia relativi all’efficacia di quel ri-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
83
Flavio Mondello<br />
sultato che potremmo, con semplicità di immagine e di parole, definire lo “stare<br />
assieme” di tutti i Paesi aderenti.<br />
Uno riguarda la legittimazione democratica dei nuovi poteri del Governo<br />
dell’Eurozona (diciassette Paesi) e l’“imposizione” del rispetto delle regole; l’altro<br />
aspetto riguarda il conseguente rapporto Eurozona-Consiglio Europeo (ventisette<br />
Paesi).<br />
Non appare necessaria una revisione del Trattato di Lisbona per rafforzarne<br />
le regole, e quindi le ragioni e le volontà, e rendere consapevolmente irreversibile<br />
il processo verso la “Grande Europa”?<br />
F.M.: Il Vertice comunitario dell’Eurozona, dopo le decisioni del 26 ottobre<br />
2011, evidenzia la necessita di ampi poteri per far rispettare dai Paesi membri la disciplina<br />
concordata nell’ambito di una <strong>politica</strong> comunitaria di bilancio.<br />
Nuove regole di disciplina, anche se ancora non sufficientemente rafforzata,<br />
già approvate dai Governi di tutti i Paesi dell’Eurozona, sono state messe in atto, a<br />
partire dal 1° gennaio 2011, con dettagliate procedure unanimemente approvate.<br />
Queste comportano durante il “Semestre Europeo” (il primo semestre di ogni anno)<br />
precisi impegni da parte di ognuno dei 17 Paesi di sottoporre preventivamente<br />
a Bruxelles i progetti di bilancio, rispettando le Raccomandazioni UE Paese per<br />
Paese precedentemente concordate. Nel 2° semestre viene effettuato “comunitariamente”<br />
un esame <strong>della</strong> compatibilità dei progetti di bilancio con tali impegni e<br />
vengono richieste le eventuali correzioni.<br />
Nel caso di insufficienti risposte seguono successive sollecitazioni che, in mancanza<br />
di adeguamenti, possono diventare vere e proprie dettagliate ingiunzioni, sino<br />
a trasformarsi, per gli inadempienti persistenti, nelle sanzioni previste dal Trattato<br />
e che ora, come già precisato, si vorrebbe rendere più pesanti. <strong>La</strong> Sig.ra Merkel,<br />
invocando l’automatismo delle sanzioni, vorrebbe addirittura trascinare davanti alla<br />
Corte di giustizia UE gli irriducibili inadempienti così da far camminare le sanzioni<br />
dalla stessa Corte. Sono addirittura in discussione possibilità di sospensione<br />
del diritto di voto o dei Fondi Europei ed interventi sulle procedure nazionali di<br />
bilancio. Il Governo tedesco deve comunque sempre ottenere il benestare <strong>della</strong><br />
Corte costituzionale prima di trasferire nuove competenze e nuovi poteri.<br />
Il rafforzamento del Trattato di Lisbona<br />
– I maggiori poteri del governo dell’Eurozona potrebbero anche essere democraticamente<br />
legittimati da una modifica del Trattato di Lisbona: questa volta,<br />
però, le variazioni dovrebbero essere limitate ed elaborate con previste procedure<br />
semplificate per non richiedere tempi troppo lunghi e scongiurare tentativi di intaccare<br />
l’attuale architettura istituzionale dell’Unione e di alterare la natura dell’Unione<br />
Europea. Comunque anche se le variazioni dovessero riguardare solo l’Eurozona<br />
per una severissima Governance comunitaria di Bilancio, la riforma deve es-<br />
84<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
sere decisa all’unanimità dei 27 Paesi membri. Per non ritoccare il Trattato non è<br />
stata esclusa la possibilità di ricorrere a delle “Cooperazioni rafforzate”, previste dal<br />
Trattato, che consentono decisioni solo tra alcuni Stati membri non inferiori a nove.<br />
Tuttavia anche questa soluzione richiede un accordo a 27 col rischio del no britannico.<br />
Non è stato escluso, nell’impossibilità di modificare il Trattato, il ricorso alla<br />
formula iniziale intergovernativa di Schengen per la libera circolazione nell’UE,<br />
sottoscritta solo dai governi favorevoli. Formula che successivamente è stata comunitarizzata<br />
con la concessione di opt-out.<br />
<strong>La</strong> legittimazione democratica delle variazioni di un Trattato firmato da Governi<br />
deriva dalle libere ratifiche nei 27 Paesi membri da parte di Parlamenti nazionali<br />
o di referendum popolari.<br />
Non è quindi accettabile la critica di una Unione Europea imposta dalle Cancellerie<br />
ai Parlamenti nazionali ed ai cittadini dalle Cancellerie. <strong>La</strong> prova <strong>della</strong> impossibilità<br />
di una simile imposizione è già intervenuta due volte: col rifiuto dei cittadini<br />
francesi e irlandesi di ratificare nel 2005 il Trattato Costituzionale approvato<br />
e firmato dai 27 Governi UE nel 2003 ed in precedenza nel 1954 con la mancata<br />
ratifica del Parlamento francese del Trattato <strong>della</strong> Comunità Europea <strong>della</strong> Difesa<br />
(CED) firmato dai Governi dei 6 Paesi <strong>della</strong> CECA nel 1952.<br />
<strong>La</strong> proposta di riforma<br />
– Il problema <strong>della</strong> possibile riforma del Trattato di Lisbona è già stato messo<br />
all’ordine del giorno del Consiglio Europeo del prossimo dicembre e sarà discusso<br />
sulla base di una proposta del Presidente Van Rompuy e del Presidente <strong>della</strong> Commissione<br />
Europea Barroso.<br />
<strong>La</strong> proposta riguarderà un programma d’azione che approfondisca ulteriormente<br />
la governance economica, andando oltre il Patto di Stabilità e Crescita ed il<br />
Patto Euro plus.<br />
Bilancio economico, controlli<br />
– Nel frattempo la Commissione ha presentato al Parlamento ed al Consiglio<br />
due proposte di legge che saranno di applicazione diretta ed immediata: la prima<br />
per rafforzare la sorveglianza di bilancio ed economica così da realizzare una coerenza<br />
tra i 17 dell’Eurozona e gli altri 10 membri UE, la seconda per imporre ai<br />
Paesi con deficit eccessivi controlli molto severi e per sollecitare modifiche ai loro<br />
bilanci.<br />
È data inoltre ampia diffusione ad un “Libro verde” <strong>della</strong> Commissione per<br />
raccogliere le reazioni di “tutti gli interessati” su tre opzioni per l’emissione di Eurobonds<br />
che sono definiti “Obbligazioni UE per la stabilità finanziaria” (“Stability<br />
Bonds”), da realizzare tuttavia non appena sarà raggiunto nell’Eurozona l’obiettivo<br />
del rafforzamento <strong>della</strong> governance introducendo maggiore disciplina con san-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
85
Flavio Mondello<br />
zioni automatiche contro gli inadempimenti, e convergenza dei risultati economici.<br />
Si tratterebbe allora di comunitarizzare una parte dei debiti sovrani dell’area<br />
Euro, dovendosi quindi decidere il controverso problema <strong>della</strong> ripartizione delle<br />
garanzie.<br />
È evidente che ormai è indispensabile dimostrare ai mercati, attraverso credibili<br />
meccanismi UE “salvastati”, che la sottoscrizione di debiti sovrani dell’Eurozona<br />
non sarà più a rischio e quindi non si potranno pretendere tassi di interesse elevati<br />
che creano ulteriori squilibri di bilancio e comprimono ulteriormente le già scarse<br />
disponibilità di credito. Attualmente la notevole forza <strong>della</strong> Germania, rispetto alla<br />
debolezza di molti suoi partner dell’Eurozona, fa si che lo Stato tedesco possa indebitarsi<br />
a tassi particolarmente bassi mentre molto elevati sono i tassi richiesti a Paesi<br />
in crisi come Italia e Spagna e anche ad altri Paesi ancora considerati solidi. <strong>La</strong> sig.ra<br />
Merkel sostiene a riguardo che è invece opportuno non intervenire, per es. con gli<br />
stability bonds, per livellare gli spreads poichè questi sono indicatori dei necessari<br />
aggiustamenti di bilancio. Occorre pertanto ricreare le condizioni prima <strong>della</strong> crisi<br />
quando i tassi erano praticamente uguali.<br />
È opportuno precisare che nell’Eurozona, una gran parte dei poteri derivanti<br />
da un trasferimento di sovranità nazionale all’UE sono già stati legittimati dal Trattato<br />
di Maastricht e dal successivo Patto di Stabilità e Sviluppo che è una legge comunitaria,<br />
prevalente sulla legge nazionale e di applicazione diretta ed immediata<br />
negli Stati membri, approvata dopo lunghi dibattiti. Il Patto, per quanto riguarda i<br />
Paesi dell’Euro, riguarda soprattutto la disciplina per garantire il rispetto dei parametri<br />
ammissibili di deficit e debito del bilancio pubblico inscritti nel Trattato: disciplina<br />
che, come già detto, deve essere notevolmente rafforzata.<br />
Nel frattempo, sempre per meglio legittimare democraticamente la Governance<br />
Economica Europea diventa indispensabile, come già osservato, un maggior<br />
coinvolgimento del Parlamento Europeo, l’Istituzione eletta dai cittadini dell’Unione,<br />
sia pure senza unica legge elettorale, garantendone il potere colegislativo col<br />
Consiglio.<br />
Rapporto Eurozona-Consiglio Europeo<br />
– Un problema collegato, sollevato dai Paesi membri non partecipanti all’Euro<br />
e in particolare dalla Gran Bretagna che non ha alcuna intenzione di abbandonare<br />
la sterlina, è la necessità di evitare condotte separate del Vertice Monetario dei 17<br />
membri dell’Eurozona e del Consiglio Europeo dei 27 Paesi membri, perché la crisi<br />
dell’Eurozona e le sue soluzioni incidono su tutte le economie dell’Unione. L’Eurozona<br />
non può essere considerata una deroga all’UE.<br />
Londra ha chiesto il pieno rispetto dell’integrità dell’EU nel suo insieme, anche<br />
se preferirebbe intendendo evitare la istituzionalizzazione di una Europa due<br />
velocità, tra l’altro ha preteso la conservazione dell’unità a 27 Paesi membri del<br />
mercato interno, non per nulla definito “mercato unico”, che rappresenta un im-<br />
86<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
portante sbocco dell’export britannico. Il Premier Cameron tuttavia, nonostante<br />
abbia dichiarato essenziale per il Regno Unito un Euro stabile e forte, non ha ancora<br />
ottenuto, per l’opposizione francese, l’accordo politico sul coordinamento istituzionale<br />
dei lavori a 27 con quelli a 17, ciò che in gran parte allevierebbe le conseguenze<br />
<strong>della</strong> attuale non partecipazione britannica all’Euro.<br />
<strong>La</strong> recente intenzione accennata da ambienti governativi tedeschi di spezzare la<br />
Zona Euro in due, una forte ed una debole con diversi livelli di cambio dell’Euro<br />
per non continuare a sostenere i Paesi membri in difficoltà, sembra non ricordare<br />
che durante la fase dello SME (Sistema Monetario Europeo che ha preceduto l’Euro)<br />
numerosi settori industriali tedeschi, per mantenere gli acquisti dei loro prodotti<br />
(es. automobili) da parte dei Paesi <strong>della</strong> Comunità Europea che avevano svalutato<br />
la loro divisa rispetto al Marco, avevano dovuto deprezzare privatamente il<br />
loro tasso di cambio ufficiale.<br />
«C.»: Come potrebbe essere individuato e descritto il contributo delle politiche<br />
comunitarie agli sforzi degli Stati per vincere la crisi in atto, in carenza di<br />
una <strong>politica</strong> comunitaria di governo dell’economia che lascia troppo esposti i<br />
singoli Paesi e mette addirittura a rischio la loro permanenza nell’Unione?<br />
F.M.: È sorprendente constatare che, in taluni Paesi membri, poche notizie sono<br />
filtrate da Bruxelles sulle politiche comunitarie che contribuiscono a sostenere<br />
gli onerosi sforzi a livello nazionale per vincere la crisi in atto e favorire crescita ed<br />
occupazione. Si sentono infatti avanzare dall’opinione pubblica critiche ed accuse<br />
alla Unione Europea ed a sue Istituzioni di non affrontare temi di loro responsabilità<br />
che, invece, sono ampiamente discussi in avviate fasi decisionali, anche se talvolta<br />
complesse difficili, o addirittura sono già decisi. Il Consiglio Europeo del 23<br />
ottobre 2011, in preparazione <strong>della</strong> successiva sessione del 25-26 ottobre sulla crisi<br />
dell’Eurozona, ha voluto evidenziare i principali atteggiamenti, le intenzioni e le<br />
decisioni delle Istituzioni UE, in particolare con riferimento alla ampiamente dibattuta<br />
strategia Europa 2020.<br />
Limitandoci ad accennare ai principali capitoli affrontati dai Governi degli Stati<br />
membri nelle Istituzioni UE si possono indicare:<br />
le riforme strutturali individuate per la competitività, la crescita e l’occupazione,<br />
relative al mercato del lavoro nel rispetto <strong>della</strong> flexIsecurity (flessibilità legata alla<br />
sicurezza sociale) con particolare attenzione ai precari, al sistema pensionistico, ai<br />
rapporti di lavoro;<br />
le privatizzazioni dei servizi e delle libere professioni;<br />
l’efficacia del sistema giudiziario civile;<br />
la lotta all’evasione fiscale;<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
87
Flavio Mondello<br />
il “Patto Euro plus”, da approfondire nel Consiglio Europeo di dicembre 2011,<br />
per migliorare il coordinamento delle politiche economiche finalizzate alla stabilità<br />
dell’Euro;<br />
il pacchetto dei 6 atti legislativi per assicurare un più elevato livello di sorveglianza<br />
e di coordinamento per evitare accumuli di squilibri economici eccessivi e per<br />
un affidabile esame annuale <strong>della</strong> crescita necessario alla migliore preparazione<br />
dei “Consigli economici di Primavera”;<br />
i lavori legislativi sulle proposte <strong>della</strong> Commissione per il coordinamento delle<br />
politiche fiscali relativo alla base comune consolidata per l’imposta sulle società<br />
ed alla tassa comunitaria sulle transazioni finanziarie che è rimasta in discussione<br />
nel G20;<br />
la effettiva apertura a livello comunitario degli appalti pubblici;<br />
l’integrazione comunitaria dei settori dell’energia e dei trasporti con finanziamenti<br />
UE integrativi per la realizzazione di anelli infrastrutturali transnazionali;<br />
la <strong>politica</strong> globale degli investimenti nel contesto <strong>della</strong> mondializzazione.<br />
È da sottolineare l’approfondimento in corso delle nuove regole e <strong>della</strong> loro relativa<br />
sorveglianza comunitaria, da applicare al sistema finanziario: si intende collaborare<br />
col Consiglio Internazionale di Stabilità Finanziaria, sino ad ora presieduto<br />
da Draghi iniziatore di un ambizioso programma di riforma di quel settore che è<br />
stato all’origine <strong>della</strong> crisi globale in atto. In particolare si sta discutendo, nell’ambito<br />
<strong>della</strong> governance economica, <strong>della</strong> riforma dei prodotti derivati, del sistema<br />
bancario parallelo e dei principi e norme delle remunerazioni nel settore bancario,<br />
<strong>della</strong> lotta ai paradisi fiscali ed anche <strong>della</strong> lotta alla eccessiva volatilità dei prezzi<br />
alimentari nell’ambito <strong>della</strong> sicurezza alimentare a livello mondiale.<br />
È inoltre rilevante l’impegno di rafforzare la <strong>dimensione</strong> sociale <strong>della</strong> mondializzazione.<br />
«C.»: Dopo la prima risposta del Consiglio Europeo dell’ottobre 2011 alla<br />
crisi dell’Eurozona quale riflessione si può fare sul più decisivo impegno dei Capi<br />
di Stato e di Governo dell’Eurozona, assunto il 9 dicembre 2011, per migliorare<br />
la governance economica e rispondere alla crisi del debito sovrano?<br />
F.M.: Anche questa volta alla vigilia del Summit si è ripetuta la liturgia <strong>della</strong><br />
estrema drammatizzazione <strong>della</strong> situazione. Nelle conclusioni, quasi all’alba, non si<br />
è verificata alcuna catastrofe e come ha dichiarato il Presidente Draghi <strong>della</strong> BCE :<br />
“non aveva alcuna probabilità né il crollo dell’Euro col ritorno alle valute nazionali,<br />
né la dissoluzione dell’Unione Europea”. Si sono consolidati l’Euro e l’Unione Europea.<br />
Ha inoltre affermato il Presidente Van Rompuy: “il risultato è molto buono<br />
anche perché si è imparato dai propri recenti errori”.<br />
88<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
È prevalsa la tesi da molto tempo in atto a Bruxelles, secondo cui il treno dell’integrazione<br />
non può correre alla velocità del vagone più lento.<br />
In questo caso il vagone è il Governo di Londra che, sotto la minaccia degli euroscettici<br />
britannici di convocare un referendum per decidere se rimanere o meno<br />
nell’UE, ha opposto il veto a nuove regole UE in campo finanziario, da introdurre<br />
attraverso una riforma del Trattato.<br />
Il Premier Cameron lo ha fatto ritenendo di difendere ad oltranza l’autonomia<br />
dei servizi finanziari <strong>della</strong> City, ma è rimasto completamente isolato dai 17 dell’Eurozona<br />
e dagli altri 9 Stati membri che ancora non applicano la moneta unica.<br />
Cameron rientrato in patria si è trovato contestato non solo dall’opposizione<br />
ma addirittura da membri del suo Governo e dal suo stesso Vice.<br />
D’altra parte era stata respinta, su pressione di Sarkozy ed a causa <strong>della</strong> gravità<br />
<strong>della</strong> situazione dell’intera Unione Europea, la richiesta di Londra di fruire ancora<br />
una volta di un opting-out, e cioè <strong>della</strong> possibilità di non applicare le nuove regole<br />
da introdurre nel Trattato, come già, per esempio, aveva ottenuto a Maastricht di<br />
non adottare l’Euro o, successivamente, di non attivare le regole <strong>della</strong> libera circolazione<br />
delle persone.<br />
Nel 2012 un accordo intergovernativo<br />
– Mancata l’unanimità, pur di accelerare i tempi di un ambizioso e vincolante<br />
“Patto di bilancio” che di fatto instaura regole comuni per una “Unione di stabilità<br />
dei bilanci” a fianco <strong>della</strong> moneta unica, i 17 dell’Eurozona, con la piena adesione<br />
a tale processo da parte degli altri 9 membri dell’UE, hanno deciso di firmare entro<br />
marzo 2012 un Accordo intergovernativo. Obiettivo: stabilizzare il mercato finanziario,<br />
avviare a soluzione sistemica la crisi dell’Eurozona, consolidare l’Euro, in un<br />
contesto di disciplina di bilancio e di coordinamento notevolmente rafforzato delle<br />
politiche economiche nei settori di interesse comune. Si creano così le condizioni<br />
necessarie alla ripresa dell’economia.<br />
I 17 dell’Eurozona faranno comunque di tutto per incorporare il prima possibile<br />
le disposizioni dell’Accordo intergovernativo nei Trattati dell’Unione, così come era<br />
avvenuto per l’Accordo intergovernativo sulla libera circolazione delle persone.<br />
È stato pertanto deciso di stabilire un nuovo quadro giuridico per realizzare il<br />
“Patto sulla condotta dei bilanci pubblici nazionali”: una autentica “Unione di stabilità<br />
dei Bilanci” a fianco <strong>della</strong> moneta unica, con regole che impegnino ad una<br />
severa disciplina di bilancio, al coordinamento delle politiche economiche oltre ad<br />
un approfondimento dell’integrazione nel “Mercato interno”, per perseguire una<br />
maggiore crescita, una competitività rafforzata e la coesione sociale.<br />
In sintesi l’Accordo tradurrà il forte impegno dei 17 dell’Eurozona di salvaguardare<br />
in un nuovo quadro giuridico la stabilità dell’Euro e segnerà un passo<br />
avanti nella realizzazione di una architettura rafforzata per l’Unione Economica e<br />
Monetaria.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
89
Flavio Mondello<br />
Occorre ora che il mercato finanziario creda a questa volontà <strong>politica</strong> e cessi di<br />
destabilizzare i debiti sovrani dell’Unione Europea.<br />
Deve essere sottolineato che l’Unione Europea continuerà comunque ad applicare<br />
le regole previste dall’attuale Trattato di Lisbona, ratificato da tutti i 27 Stati<br />
membri, per le numerose politiche di competenza comunitaria, salvo quelle decise<br />
il 9 dicembre 2011 da realizzarsi entro un diverso quadro giuridico. <strong>La</strong> vita dell’Unione<br />
continua dunque per la concorrenza nel “Mercato interno”, il commercio,<br />
l’industria, l’agricoltura, la fiscalità, la giustizia, l’energia, l’ambiente, la <strong>politica</strong><br />
estera, di sicurezza e di difesa comune, ecc.<br />
Cooperazioni rafforzate<br />
– È opportuno rilevare che sarà utilizzata, col benestare dei 27, e quindi anche<br />
di Londra, la formula delle “Cooperazioni rafforzate” (politiche decise da più di 9<br />
Stati membri, per es. i 17 dell’Eurozona) riguardanti questioni essenziali per il corretto<br />
funzionamento <strong>della</strong> Zona Euro già previste dal Trattato di Lisbona, senza<br />
compromettere, tra l’altro, l’unicità del mercato interno essenziale anche per il Regno<br />
Unito.<br />
Gli interventi decisi il 9 dicembre 2011 dai Capi di Stato e di Governo dell’Eurozona<br />
hanno assunto due direzioni: un nuovo “Patto di bilancio” con un rafforzamento<br />
del coordinamento delle politiche economiche, ed il rafforzamento e sviluppo degli<br />
strumenti di stabilizzazione già decisi per fronteggiare le sfide a breve termine.<br />
Tutti i dettagli sono stati, questa volta, ampiamente ripresi dai media ed illustrati<br />
dai leader politici partecipanti al Summit di Bruxelles.<br />
Ruoli delle istituzioni europee<br />
– È necessario mettere in evidenza che per raggiungere i due fondamentali<br />
obiettivi è stato fortemente potenziato il ricorso alla macchina istituzionale comunitaria.<br />
Alle Istituzioni dell’Unione sono stati attribuiti, sulla base dei principi espressi<br />
dai Capi di Stato e di Governo, ruoli fondamentali di proposta, di decisione, di valutazione,<br />
di controllo e di intervento, per esempio, nei confronti degli inadempimenti<br />
degli impegni collettivamente assunti riguardo al pareggio di bilancio ed al<br />
debito dello Stato:<br />
– la Commissione, interprete dell’interesse comune, esamina la compatibilità dei<br />
progetti di bilancio nazionali ed esprime il proprio parere;<br />
– il Consiglio, quale legislatore, espressione degli interessi nazionali, esamina insieme<br />
al Parlamento Europeo, i progetti dei Regolamenti affinché siano messi<br />
rapidamente in vigore;<br />
– la Corte di Giustizia è garante dell’applicazione delle regole di bilancio;<br />
– la Banca Centrale Europea, nella sua assoluta indipendenza, è principalmente<br />
impegnata a mantenere la stabilità dei prezzi e, senza pregiudicarla, contribui-<br />
90<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
sce a promuovere uno sviluppo armonioso ed equilibrato dell’attività economica,<br />
per es. garantendo opportuni flussi di finanziamento delle banche, anche<br />
acquistando, tra l’altro, loro attivi in titoli di Stato, ed agendo sui tassi di interesse<br />
favorisce la disponibilità di credito al mondo produttivo, oggi gravemente<br />
compromessa.<br />
– il Presidente del Consiglio Europeo è la figura cerniera tra il Patto intergovernativo<br />
di bilancio e l’Unione Europea.<br />
<strong>La</strong> possibilità di comunitarizzare parte del debito sovrano degli Stati dell’Eurozona<br />
attraverso l’emissione di Eurobond o di Stability bond, che sembrava essere<br />
stata abbandonata a seguito dell’opposizione tedesca preoccupata di ingenerare lassismo,verrà<br />
discussa nel marzo prossimo in occasione <strong>della</strong> firma dell’Accordo intergovernativo,<br />
sulla base <strong>della</strong> proposta <strong>della</strong> Commissione.<br />
In conclusione si può affermare che il 9 dicembre 2011 sono state create, attraverso<br />
progressive “solidarietà di fatto”, condizioni che dovrebbero portare al futuro<br />
traguardo di una Unione <strong>politica</strong> europea.<br />
«C.»: Nonostante i progressi, anche sostanziali, del processo integrativo europeo,<br />
la pubblica opinione manifesta preoccupanti segni di euro scetticismo e stenta<br />
ad assorbire e metabolizzare l’ideale europeo, anche perché non è esattamente<br />
al corrente di quanto, come e cosa si decide a Bruxelles per carenza di informazione<br />
e soprattutto non intravede una possibilità certa di “unione <strong>politica</strong> europea”.<br />
Considerando l’insufficiente perseguimento di questo obiettivo la causa principale<br />
di tentennamenti e di troppo lente decisioni comunitarie, quale potrebbe essere<br />
una corretta visione del fenomeno di integrazione europea in atto?<br />
F.M.: Il recente Trattato di Lisbona, che è seguito all’infortunato Trattato costituzionale<br />
firmato ma non ratificato, precisa che i Governi dei 27 Paesi firmatari<br />
istituiscono tra loro una Unione Europea che segna solamente una nuova tappa nel<br />
processo di creazione di una unione sempre più stretta tra i “popoli” d’Europa: occorrono<br />
ancora parecchi ulteriori passi da compiere e solidarietà da verificare per<br />
coronare <strong>politica</strong>mente l’integrazione europea.<br />
Il Trattato riconosce dunque per ora la necessità di creare solide basi per l’edificazione<br />
dell’Europa futura pur senza definirla. Nella fase attuale si tratta dunque di<br />
rafforzare le basi su cui costruire una Europa <strong>politica</strong> e ciò è abbastanza importante<br />
se non essenziale per raggiungere il traguardo politico finale.<br />
<strong>La</strong> mancanza dell’espressione “Europa <strong>politica</strong>” nel Trattato non significa però<br />
che il contenuto <strong>della</strong> Unione non sia profondamente politico: infatti comporta la<br />
realizzazione di una serie di Politiche comuni che rafforzano l’identità dell’Europa<br />
e la sua indipendenza nel mondo. D’altra parte la stessa l’Unione è iniziata con un<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
91
Flavio Mondello<br />
progetto politico: garantire la pace nell’Europa occidentale. E l’Euro ha creato un<br />
legame indissolubile tra i partecipanti ed ha fatto scattare l’esigenza di una Unione<br />
più approfondita.<br />
Il Presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy ha messo in evidenza<br />
che, per esempio, la sollecitazione di urgente Europa <strong>politica</strong> per creare una effettiva<br />
Unione Fiscale europea, da affiancare all’Unione Economica e Monetaria,<br />
non tiene conto dell’impossibilità attuale del trasferimento di un sostanziale ammontare<br />
di tassazione e di spesa pubblica dai livelli nazionali al livello comunitario.<br />
Oggi il 98% <strong>della</strong> spesa pubblica nell’UE è nazionale e solo il 2% passa attraverso<br />
il Bilancio dell’UE.<br />
Eirrealistico immaginare che questa situazione possa cambiare, se non subito,<br />
anche nel medio periodo, così come è irrealistica la possibilità di fissare livelli comuni<br />
di imposizione fiscale nei Paesi membri. Forse potrebbe esserlo solo per l’I-<br />
VA. Ciò che è necessario e possibile è solo un maggior coordinamento nella tassazione<br />
sulle imprese, come più sopra accennato a proposito dell’impegno bilaterale<br />
franco-tedesco, essendo però consapevoli che in questo campo occorre sempre l’unanimità<br />
per deliberare.<br />
L’utilizzo dei Fondi strutturali UE<br />
– Una Unione fiscale dovrebbe anche significare il trasferimento di risorse dagli<br />
Stati più ricchi a quelli disagiati. Ma è bene ricordare che gli Stati membri hanno<br />
già dichiarato la loro riluttanza ad un radicale ampliamento dei Fondi strutturali<br />
UE che, anche se limitati, già esprimono solidarietà tra Stati membri. D’altra<br />
parte, secondo un parere che si sta evidenziando, l’ammontare di questi Fondi potrebbe<br />
essere meglio finalizzato, nell’attuale fase critica, a facilitare riforme economiche<br />
che accelerino una ripresa competitiva.<br />
Tuttavia è evidente che la discrepanza tra il debole grado di integrazione <strong>della</strong><br />
<strong>politica</strong> fiscale UE e l’alto livello <strong>della</strong> interdipendenza monetaria-finanziaria (con<br />
una moneta unica che richiede una disciplina anche fiscale) rende necessari nel<br />
medio termine ulteriori passi avanti in questo campo e su ciò, come sostiene il<br />
Consiglio Europeo, è opportuno avviare un serio dibattito pubblico.<br />
In definitiva pretendere che l’approccio dinamico per tappe successive di integrazione<br />
sia di colpo trasformato nella istituzione di una unitaria Europa <strong>politica</strong><br />
non sembra ancora realista. Sarebbe più opportuno, tra le due tesi degli ossessionati<br />
di questo futuro politico e di coloro che lo considerano solo una profonda aspirazione,<br />
un approccio realista: considerare già <strong>politica</strong> una Unione che realizza legami<br />
così stretti tra i 27 Stati membri.<br />
Quanto alle critiche per i tentennamenti e la lentezza delle decisioni nell’Unione<br />
Europea dovuti a carenza di leadership, il Presidente del Consiglio Europeo ha<br />
raffermato si debba prendere atto dell’esistenza di un divario oggettivo tra il tempo<br />
<strong>della</strong> democrazia ed il tempo dei mercati, tra le settimane, i mesi e gli anni delle<br />
92<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
procedure in un Parlamento ed i giorni, i minuti od anche i secondi di un click di<br />
mouse che determina il ritmo di una Borsa.<br />
Non si può tuttavia ignorare che in passato, nella costruzione europea, sono<br />
state assunte decisioni da chi ha avuto il coraggio di non temporeggiare e superare<br />
forti interessi di potere personale o nazionale per privilegiare il progresso dell’integrazione<br />
europea.<br />
I freni delle crisi interne agli Stati<br />
– Purtroppo la crisi in atto, col seguito di gravi sacrifici <strong>della</strong> popolazione, finisce<br />
col sollecitare reazioni, talvolta populiste, contro i trasferimenti di sovranità ad<br />
Istituzioni comunitarie accusate di non prendere in sufficiente considerazione le<br />
reali esigenze dei cittadini oppure di non saper affrontare con maggiore determinazione<br />
le drammatiche conseguenze <strong>della</strong> crisi. In realtà sono talvolta i Capi di Stato<br />
e di Governo, prigionieri di loro condizionamenti nazionali, a rallentare o comunque<br />
a condizionare il processo decisionale comunitario. D’altra parte si deve tener<br />
conto che i trasferimenti di sovranità in campo economico e finanziario ad una entità<br />
sopranazionale sono ormai imposti dalla sfida <strong>della</strong> globalizzazione dei mercati<br />
e dal progressivo riequilibrio delle leadership mondiali. Per quanto riguarda l’Europa,<br />
la sua leadership nel contesto mondiale non può certamente essere assunta<br />
come espressione dell’una o dell’altra leadership nazionale.<br />
«C.»: Quale è l’indirizzo dell’Unione per la conciliazione dell’identità europea<br />
e delle identità nazionali ancora solidamente ancorate a comportamenti e regole<br />
gelosamente difese e sottratte, anche parzialmente, ad una gestione più comunitaria?<br />
F.M.: L’Unione Europea continua a rispettare l’identità nazionale degli Stati<br />
membri senza metterla in contrapposizione con una identità europea.<br />
Il Trattato di Lisbona ha ripetuto che l’Unione non intende modificare gli elementi<br />
identitari di ciascuno degli Stati-Nazione membri relativi alla struttura <strong>politica</strong><br />
e costituzionale ed alle autonomie locali e regionali.<br />
L’unione inoltre non intende interferire nelle tre funzioni che ritiene peculiari<br />
dello Stato-Nazione: salvaguardia <strong>della</strong> integrità territoriale, mantenimento dell’ordine<br />
pubblico, tutela <strong>della</strong> sicurezza nazionale.<br />
Non si deve però dimenticare che per giurisprudenza costante <strong>della</strong> Corte di<br />
Giustizia Europea, i Trattati UE ed il Diritto da loro derivato prevalgono sempre<br />
sul Diritto degli Stati membri.<br />
Non si deve ugualmente dimenticare che per onorare l’impegno assunto con la<br />
firma del Trattato gli Stati membri devono “giornalmente” adottare ogni misura<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
93
Flavio Mondello<br />
necessaria per attuare gli obblighi comunitari che si sono loro stessi assegnati e per<br />
raggiungere i traguardi che si sono loro stessi imposti.<br />
Si è anche deciso che tutti i Governi degli Stati membri debbono facilitare l’Unione<br />
nell’adempimento dei propri compiti astenendosi da qualsiasi misura che rischi<br />
di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’UE.<br />
Obblighi e ritiri<br />
– D’altra parte, secondo lo stesso Trattato di Lisbona, nessuno Stato membro è<br />
obbligato a<br />
rimanere nell’Unione Europea e, rispettando determinate procedure, ha sempre<br />
la possibilità, se non ritiene di poter rispettare l’evolversi degli impegni assunti,<br />
di ritirarsi dal processo integrativo e tentare di agire da solo o con altri partner nel<br />
nuovo contesto mondializzato, però senza più contare sulla solidarietà comunitaria.<br />
Il Trattato non prende invece in considerazione la possibilità di un ritiro dall’Eurozona.<br />
È inoltre da chiarire che il Trattato UE, evidenziando il “Principio di Attribuzione”,<br />
sottolinea che le Istituzioni dell’Unione non possono assegnarsi compiti<br />
che non siano compresi tra le competenze comunitarie loro conferite dagli stessi<br />
Stati membri: all’Unione gli Stati membri hanno devoluto il conseguimento di<br />
precisi obiettivi comuni in tre campi: “aspetti economici, sociali, monetari”, <strong>politica</strong><br />
estera di sicurezza e di difesa”, “spazio interno di libertà sicurezza, giustizia”.<br />
Sono problemi che, nel contesto <strong>della</strong> globalizzazione, possono essere risolti<br />
non con singole azioni nazionali ma solo con solidi impegni comunitari.<br />
L’Unione d’altra parte, in applicazione del “Principio di Sussidiarietà” può intervenire<br />
con leggi, elaborate ed emanate dalle proprie Istituzioni, soltanto se gli<br />
obiettivi comunitari condivisi non possono essere soddisfacentemente raggiunti da<br />
leggi nazionali, regionali o locali. Novità comunitaria è il fatto che arbitri di questa<br />
situazione sono i Parlamenti nazionali.<br />
Il contributo richiesto ai Parlamenti nazionali<br />
– L’Unione sollecita ai Parlamenti nazionali un forte contributo attivo al suo<br />
buon funzionamento, che se dato con convinzione porta a rafforzare la legittimità<br />
comunitaria e ad avvicinare l’Europa ai cittadini. Purtroppo questo obiettivo non<br />
può considerarsi ancora raggiunto.<br />
Inoltre le elezioni del Parlamento Europeo, che comunque sta accentuando il<br />
suo potere colegislativo col Consiglio, rimangono ancora una sommatoria di elezioni<br />
nazionali e le campagne elettorali non fanno cogliere ai cittadini le valenze<br />
comunitarie delle Politiche UE, perché si limitano a privilegiare il piccolo cabotaggio<br />
delle diatribe partitiche nazionali.<br />
94<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
«C.»: In molti paesi si accentuano prese di posizioni nazional-populiste contrarie<br />
alla attuale costruzione europea che è accusata di imporre troppi sacrifici ai<br />
cittadini per fronteggiare la crisi in atto ed inoltre di trasformare l’identità europea<br />
in una minaccia a consolidate identità nazionali. Come è possibile debellare<br />
queste derive che per di più incoraggiano l’euroscetticismo?<br />
F.M.: Una dura obiezione nazional-populista al Trattato di Lisbona è l’implicito<br />
sostegno al multiculturalismo e cioè alla coesistenza di molteplici matrici culturali<br />
nelle società europee che sta diventando una minaccia alla identità originaria<br />
delle nazioni europee.<br />
Sono stati strumentalizzati interventi sul multiculturalismo da parte di Nicolas<br />
Sarkozy, di David Cameron e di Angela Merkel, preoccupati delle reazioni di lavoratori,<br />
di un numero sempre maggiore di pensionati in paesi che invecchiano e di<br />
cittadini di fronte alle difficoltà economiche in una Europa sottoposta alle pressioni<br />
di giovani immigrati da paesi in sottosviluppo.<br />
L’obiettivo di tali dichiarazioni era certamente quello di marginalizzare movimenti<br />
nazional-populisti di destra e di partiti minori, o precedentemente irrilevanti<br />
che si sono evidenziati in recenti elezioni politiche ed anche di contrastare recenti<br />
derive di partiti tradizionalmente europeisti che di fronte all’attuale crisi hanno<br />
fatto prevalere, anziché la solidarietà, tendenze egoistiche.<br />
È pertanto necessario contrastare eccessive prese di posizione che sfiorano il razzismo<br />
e risvegliano tentazioni di identità nazionaliste se non separatiste, accusando<br />
l’Unione Europea di minacciare le basi etniche <strong>della</strong> identità nazionale e di non saper<br />
contrastare il mondialismo cosmopolita ed il multiculturalismo. In definitiva il nazional-populismo<br />
accusa l’UE di estinguere l’identità del continente europeo.<br />
Le minacce separatiste<br />
– L’eccesso di estremismo xenofobo, che inaspettatamente ha raggiunto il parossismo<br />
nella recente strage di giovani in Norvegia, ha immediatamente mobilitato<br />
l’UE che, tramite EUROPOL (Agenzia Europea di polizia istituita nel 1992 che<br />
si occupa di intelligence in ambito criminale), in collaborazione con INTERPOL,<br />
ha creato una task force per fronteggiare in maniera coordinata questa minaccia.<br />
Purtroppo il tentativo in atto di valorizzare soprattutto l’identità <strong>della</strong> Nazione<br />
che si eredita e non quella che si può costruire con l’integrazione europea, fa breccia<br />
negli euro scettici che si credono minacciati nella loro sicurezza e nella loro<br />
identità; addirittura talune forze politiche che maggiormente li rappresentano accusano<br />
l’UE di “colpi di Stato” per rovesciare taluni Governi imponendo loro insopportabili<br />
misure anticrisi.<br />
Il richiamo populista alle basi etniche dell’UE, che nel contesto dell’evoluzione<br />
geo<strong>politica</strong> mondiale sarebbe meglio considerare”provincialismo”, ha strumentalizzato<br />
la <strong>politica</strong> comunitaria dell’immigrazione.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
95
Flavio Mondello<br />
Lo Spazio di libera circolazione di Schengen è stato giudicato troppo accogliente<br />
di immigrati provenienti sia dalla confinante Federazione post comunista<br />
degli Stati legati a Mosca, sia dalla riva Sud del Mediterraneo in fibrillazione.<br />
L’anti multiculturalismo in questo caso è riferito maggiormente al complesso<br />
rapporto tra gli occidentali e gli arabi mussulmani.<br />
Occorre contrastare la tesi nazional-populista, supportata dall’euroscetticismo,<br />
secondo cui l’identità europea perseguita dal Trattato di Lisbona non è in grado di<br />
suscitare emozioni e di sollecitare una adesione popolare. In realtà non diminuisce<br />
la domanda di Unione Europea di molti Paesi che ambiscono farvi parte non solo<br />
alla ricerca di prosperità, ma anche per acquisire i nostri valori, la nostra libertà ed<br />
anche il nostro Euro che, in un solo decennio di vita, è diventato la 2° moneta<br />
mondiale.<br />
Carenze nella comunicazione<br />
– L’insufficiente conoscenza dell’attività delle Istituzioni europee fa molte volte<br />
percepire le Autorità di Bruxelles lontane e astratte forse anche perché sono plasmate<br />
essenzialmente dai Governi degli Stati membri che, a loro volta, non sempre<br />
sono considerati vicini alle esigenze dei cittadini. Si deve aggiungere che anche disinformazioni<br />
su talune Politiche comunitarie le fanno sembrare slegate dalle attese<br />
popolari perché all’interno degli Stati membri si tende a far attribuire al proprio<br />
Governo i meriti di decisioni comunitarie particolarmente positive, mentre si scarica<br />
sulla UE l’imposizione di provvedimenti che comportano particolare severità<br />
anche se questa è indispensabile.<br />
Le pur legittime discussioni tra i partner europei in vista di difficili soluzioni si<br />
svolgono in pubblico evidenziando così le divergenze con seguito di minacce negoziali.<br />
Ciò propaga l’inquietudine e dà l’impressione di irreparabili divisioni, anche<br />
se poi queste finiscono sempre col comporsi in un accordo.<br />
Questa trasparenza dei dibattiti può talvolta creare l’impressione di inadeguatezza<br />
e di incertezza dell’UE di fronte alla gravità <strong>della</strong> posta in gioco, ma ciò che<br />
conta sono le conclusioni cui si giunge.<br />
Certamente per non lasciar diffondere le tesi nazional-populiste si devono denunciare<br />
le disinformazioni a scopi elettorali, ma è anche opportuno rendere più<br />
comprensibili e incisivi i comunicati UE oltre a dare completezza al sito informatico<br />
ufficiale UE, attualmente scarsamente efficace. Sono inoltre necessari più convincenti<br />
e motivanti interventi pubblici dei responsabili comunitari delle Politiche UE in<br />
ogni campo, se non altro per alimentare un sentimento di fierezza di essere europei.<br />
«C.»: Il “Gruppo dei 10” che, nell’ambito dell’attività dell’<strong>Istituto</strong> <strong>Luigi</strong><br />
<strong>Sturzo</strong>, effettua un periodico monitoraggio dei fenomeni in atto ed in prospetti-<br />
96<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Flavio Mondello<br />
va dell’attività dell’Unione Europea e delle sue Istituzioni, come vede nel momento<br />
attuale l’evoluzione del processo integrativo europeo?<br />
F.M.: L’<strong>Istituto</strong> <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong> ha voluto offrire ospitalità ad un gruppo di convinti<br />
assertori dell’idea europea, costituitosi all’inizio del 2000 come “Gruppo dei<br />
10” che ha fatto leva sull’esperienza comunitaria dei suoi membri i quali, per lungo<br />
tempo, sono stati attori, con ruoli diversi,del processo integrativo europeo.<br />
Come ha rilevato l’allora Presidente dell’<strong>Istituto</strong>, il compianto Prof Gabriele<br />
De Rosa, era opportuno favorire una migliore conoscenza <strong>della</strong> realtà dell’Unione<br />
Europea in continua evoluzione, perché i risultati straordinari conseguiti diventassero<br />
lo sprone per avere ragione delle difficoltà, talvolta delusioni, spesso delle incomprensioni<br />
o ancor più spesso <strong>della</strong> carenza di informazione che rallentano ll<br />
processo europeo. Il loro superamento evidenzia la convinzione che il fine ultimo<br />
dell’unità europea, non solo economica, ma anche <strong>politica</strong>, sia il destino di noi tutti<br />
in una Europa quale patrimonio condiviso.<br />
È questo un compito che il Gruppo dei 10, in piena adesione al metodo di lavoro<br />
comunitario, vuole perseguire per approfondire i problemi attuali formulando<br />
proposte che siano <strong>politica</strong>mente attuabili, e considerate indispensabili per cementare<br />
i popoli europei in una Unione Europea all’interno del nuovo contesto<br />
<strong>della</strong> mondializzazione. Il Gruppo è confortato dai ricorrenti apprezzamenti <strong>della</strong><br />
sua attività che si esplicita attraverso periodici Documenti.<br />
<strong>La</strong> ricchezza delle diversità<br />
– Per vincere la sfida lanciata alla identità europea il Gruppo è convinto che le<br />
diversità che caratterizzano l’Europa, quando positive, devono essere considerate<br />
una autentica e peculiare ricchezza comune, perché non impediscono la possibilità<br />
di perseguire la solidarietà tra i popoli e realizzare uno dei principali obiettivi comunitari:<br />
la coesione economica, sociale oltre che territoriale, attraverso equità e<br />
rigore, reciproco rispetto, leale cooperazione, reciproca assistenza. A tal fine occorre<br />
suscitare realizzare tra i cittadini europei un forte sentimento di cittadinanza comune.<br />
<strong>La</strong> fierezza di essere europei<br />
–IlGruppo ritiene che l’Unione Europea di oggi non è più la Comunità del<br />
cuore e <strong>della</strong> passione degli inizi <strong>della</strong> Comunità Carbosiderurgica, finalizzata ad<br />
eliminare secolari guerre fratricide ed a far sognare una Europa <strong>politica</strong>mente unita,<br />
ma è certamente l’Europa <strong>della</strong> ragione per affrontare con la fierezza di essere<br />
europei la sfida <strong>della</strong> globalizzazione dei mercati e del progressivo riequilibrio delle<br />
leadership mondiali. Leadership che, per quanto ci riguarda, non si addicono a singoli<br />
Paesi membri dell’UE ma ad una Europa che sa essere economicamente e <strong>politica</strong>mente<br />
integrata e che sa esprimersi con voce unica.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
97
Flavio Mondello<br />
Il processo integrativo europeo, per perseguire questo obiettivo sta compiendo<br />
straordinari passi avanti se ci si riferisce al drammatico dopo la seconda guerra<br />
mondiale. Occorre ora la determinazione di superare i numerosi inevitabili ostacoli<br />
che ancora si frappongono al suo cammino.<br />
Il Gruppo in definitiva apprezza che l’Europa in costruzione dimostri concreto<br />
attaccamento ai principi <strong>della</strong> libertà, <strong>della</strong> democrazia e dell’uguaglianza ed al rispetto<br />
dei diritti dell’uomo, delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto soprattutto<br />
quando intende innovare la sua Politica di Vicinato con le confinanti aree evolutive<br />
dei Paesi all’Est, dei Paesi confluenti sul Mar Nero, del Medio Oriente e del<br />
Mediterraneo Sud che aspirano a gravitare intorno all’Unione Europea.<br />
98<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Il modello sociale europeo<br />
Un fattore decisivo per superare la crisi<br />
<strong>La</strong> crisi economico-finanziaria che sta imperversando<br />
sull’Europa finirà per trasformare anche il suo modello<br />
sociale di riferimento?<br />
<strong>La</strong> questione è obbiettivamente di grande rilievo sia perché<br />
il modello sociale è stato – ed è tuttora – uno dei fattori<br />
essenziale <strong>della</strong> grande crescita europea dal dopoguerra<br />
ad oggi, sia perché è un elemento costitutivo <strong>della</strong><br />
coesione dell’intero sistema. Le ipotesi di soluzione sono<br />
diverse e del tutto aperte perché il superamento <strong>della</strong> crisi,<br />
e quindi il mantenimento o meno del modello sociale,<br />
sia pur rinnovato e ammodernato, è legato al modo in<br />
cui i decisori politici ed i principali soggetti economici e<br />
sociali sapranno affrontare un passaggio inevitabile:<br />
quello relativo alla Grande correzione da apportare alle<br />
modalità tradizionali del processo di sviluppo.<br />
<strong>La</strong> domanda iniziale porta a svolgere alcune considerazioni<br />
preliminari, utili per individuare alcuni elementi<br />
di una plausibile risposta.<br />
Tre considerazioni<br />
«Sempre la pratica dev’essere edificata sopra la bona teorica»<br />
Leonardo da Vinci<br />
<strong>La</strong> prima considerazione, di carattere storico, riguarda<br />
l’evolversi del processo di unificazione europea che fin dall’inizio<br />
non è mai stato lineare, ma ha proceduto come per<br />
salti, sospinto in avanti dalla necessità di affrontare e superare<br />
le gravi difficoltà che si presentavano al momento. Ad<br />
un esame attento dei vari passaggi, risulta come un legame<br />
consequenziale tra crisi esterne ed avanzamento del processo<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
MARCO RICCERI<br />
Segretario generale<br />
Eurispes<br />
Docente di Storia<br />
dell’integrazione<br />
europea Link<br />
Campus University<br />
≈<br />
«[necessaria la]<br />
costruzione di<br />
nuovi equilibri,<br />
idonei a<br />
ridisegnare i<br />
rapporti tra<br />
economia e diritto<br />
[…] tra<br />
capitalismo e<br />
democrazia […] in<br />
grado di riattivare<br />
una cittadinanza<br />
attiva e<br />
responsabile».<br />
≈<br />
99
Marco Ricceri<br />
di integrazione. Gli stessi trattati di Roma del 1957, ad esempio, con la nascita<br />
delle Comunità Europee, (la CEE ed EURATOM che si aggiunsero alla CECA,<br />
già operativa dal 1951), furono sbloccati e siglati solo dopo gli avvenimenti del<br />
1956, caratterizzato dalle repressioni delle rivolte popolari in Polonia e Ungheria e<br />
dal fallimento dell’ultima vicenda imperialista in occasione <strong>della</strong> crisi del canale di<br />
Suez, la spedizione in Egitto di Francia e Gran Bretagna. Negli anni ’70, gli impulsi<br />
esterni vennero dalla crisi del dollaro e del petrolio e da quei movimenti di<br />
contestazione giovanile che in tutto il mondo occidentale cambiarono mentalità,<br />
stili di vita, modo di fare <strong>politica</strong>. L’avvio di un primo coordinamento tra le monete<br />
(il famoso “serpente monetario”, poi dello SME – Sistema Monetario Europeo),<br />
i prime progetti concreti di unione economica e monetaria (Rapporto Werner) di<br />
Unione europea (Rapporto Tindemans) e soprattutto, le prime elezioni dirette del<br />
Parlamento europeo (1979) sono legati indubbiamente a quei cambiamenti di<br />
scenario. Così è stato anche al termine degli ani ’80, con le risposte date alla caduta<br />
del muro di Berlino e alla dissoluzione dell’URSS, risposte segnate dalla nascita<br />
dell’Unione Economica e Monetaria, <strong>della</strong> moneta unica, dell’allargamento a 27<br />
Stati membri e di un nuovo sistema di governance. C’è, insomma, da valutare<br />
questo dato storico che ha visto sempre il nostro continente rispondere con “più<br />
Europa” alle sollecitazioni esterne. Anche se il progetto attuato finora è ben lontano<br />
dalle aspettative e sollecitazioni degli europeisti, non vi è dubbio che la consapevolezza<br />
crescente <strong>della</strong> grande integrazione di sistema ha finito in ogni occasione<br />
per produrre azioni positive di crescita, non di arretramento, del cammino europeo.<br />
<strong>La</strong> seconda considerazione, di carattere economico, riguarda la natura <strong>della</strong><br />
crisi, che stiamo attraversando, la sua origine ed evoluzione attuale. <strong>La</strong> crisi è iniziata<br />
come crisi finanziaria, ma si è evoluta successivamente come crisi economica,<br />
quindi produttiva, quindi occupazionale e sociale. Siamo, cioè, di fronte ad un<br />
processo che ha finito per investire numerosi ambiti <strong>della</strong> società: l’economia, il livello<br />
di reddito e dei consumi <strong>della</strong> gente, le condizioni sociali, lo stile di vita, la fiducia<br />
dei cittadini nei confronti delle istituzioni e degli attori dello sviluppo, la base<br />
del consenso politico. È lettura comune che si tratta di una crisi non congiunturale,<br />
ma strutturale, cosa che rende assai difficile fare delle previsioni serie e valide<br />
sul futuro. In ogni caso l’esperienza ha dimostrato che quando accadono crisi di tipo<br />
strutturale i vari sistemi entrano in una situazione nuova, piena di variabili imponderabili,<br />
di cui è praticamente impossibile immaginare lo sbocco finale; ma è<br />
certo che ne escono profondamente trasformati rispetto alla situazione iniziale. In<br />
queste condizioni, la grande scienza economica fa un passo indietro perché la ri-regolazione<br />
di un sistema investe i rapporti tra interessi ed esigenze complesse, antiche<br />
e nuove, che solo la <strong>politica</strong> può rappresentare, con i valori di riferimento <strong>della</strong><br />
convivenza civile. Come il sistema di cui fa parte, il modello sociale europeo è investito<br />
in pieno dalle trasformazioni strutturali in atto ed è obbiettivamente diffici-<br />
100<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
le immaginare a quali aggiustamenti sarà soggetto, come esito dei nuovi equilibri<br />
economici, sociali e politici che inevitabilmente finiranno per emergere ed affermarsi.<br />
<strong>La</strong> terza considerazione è di carattere sociale e si riferisce alla natura stessa del<br />
modello sociale europeo. A tale proposito va detto subito che con tale modello siamo<br />
di fronte ad uno strumento, teorico e pratico, che riguarda, certo, le politiche<br />
sociali e l’organizzazione del sistema di welfare; ma per i significati sempre più ampi<br />
che la stessa Unione Europea ha finito per riconoscergli, soprattutto dal 2000 ad<br />
oggi, riguarda l’intero processo di sviluppo. In sostanza, con il modello sociale europeo<br />
siamo di fronte ad un vero e proprio modello di sviluppo, incardinato su<br />
precisi principi: l’efficienza nell’impiego delle risorse umane e materiali di cui una<br />
società dispone, la sostenibilità economica, sociale e ambientale dello sviluppo, la<br />
responsabilizzazione e partecipazione di tutti gli attori <strong>della</strong> crescita alle scelte fondamentali.<br />
In quanto modello economico-culturale-politico, esso esprime quindi<br />
la visione di uno sviluppo equilibrato, solidale, democratico. Sul piano pratico il<br />
modello sociale europeo promuove iniziative che riguardano, certo, le tutele e le<br />
assistenze sociali, ma in termini più ampi riguardano il sistema dei diritti di un cittadino<br />
e <strong>della</strong> sua famiglia ad una crescita dignitosa, di un lavoratore a partecipare<br />
alle scelte aziendali; interpreta le politiche sociali come politiche produttive promuovendo<br />
la ricerca di un equilibrio tra produzione e distribuzione <strong>della</strong> ricchezza<br />
per rispondere in tal modo alla duplice esigenza <strong>della</strong> efficienza economica dell’<strong>etica</strong><br />
solidaristica, persegue la sostenibilità dello sviluppo sulla base di una scelta di razionalità<br />
finalizzata ad evitare che un sistema arrivi a dei punti di rottura causati<br />
dall’eccessivo impoverimento delle persone, da fenomeni diffusi di disagio, precarietà<br />
e insicurezza sociale.<br />
Questa interpretazione del modello sociale europeo è sancita nel trattato di Lisbona<br />
del 2007, entrato in vigore nel 2009, che regge attualmente la vita dell’Unione<br />
Europea. Esso è il punto di arrivo di un processo evolutivo, durato decenni,<br />
nel corso del quale si è via via riconosciuto un valore sempre più grande alla <strong>politica</strong><br />
sociale, dalla funzione secondaria e di supporto alla <strong>politica</strong> economica dei primi<br />
anni <strong>della</strong> vicenda comunitaria, fino alla svolta <strong>della</strong> strategia di crescita Lisbona<br />
2000 che l’ha riconosciuta come un fattore essenziale dello sviluppo. Infine, il<br />
suo inserimento nell’ultimo trattato dell’Unione, con l’adozione <strong>della</strong> cosiddetta<br />
“clausola sociale” e l’affermazione, nell’articolato, che quello europeo è un sistema<br />
fondato su una “economia sociale di mercato”.<br />
UE: il Trattato di Lisbona 2007 e la “clausola sociale”<br />
Marco Ricceri<br />
In Europa, il riferimento generale a cui collegare la costruzione di un equilibrio<br />
tra sviluppo economico e sociale è segnato dai principi e dalle azioni che per-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
101
Marco Ricceri<br />
seguono due obbiettivi: obbiettivo prosperità (competitività, efficienza, piena occupazione)<br />
e obbiettivo solidarietà (coesione sociale e territoriale, lotta all’esclusione<br />
sociale).<br />
L’importanza di politiche efficaci in questi due ambiti precisi è ben presente<br />
nei documenti dell’Unione Europea, a cominciare dall’atto fondamentale del Trattato<br />
di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre<br />
2009 (Trattato sull’Unione Europea, Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea,<br />
Protocolli e Dichiarazioni allegate)..<br />
Come è noto, il trattato riforma la struttura dell’Unione e rilancia il processo<br />
di integrazione su nuove basi, definendo un diverso sistema di governance, di competenze<br />
e di impegni che riguardano le istituzioni europee, gli Stati membri ed i<br />
cittadini. Esso è il risultato di un faticoso compromesso politico che ha consentito<br />
all’Unione di uscire dalla lunga fase di incertezza seguita alla bocciatura referendaria<br />
del precedente trattato del 2004, “Una costituzione per l’Europa”, il quale si era<br />
posto l’ambizioso obbiettivo – il sogno di tanti europeisti – di avviare un processo<br />
di integrazione anchepolitico-istituzionale del continente (verso gli Stati Uniti<br />
d’Europa).<br />
È importante rilevare che nel trattato di Lisbona, la questione sociale assume<br />
un rilievo di primo piano, al pari delle altre questioni relative al progresso ed alla<br />
crescita dell’Unione. Il riconoscimento <strong>della</strong> sua importanza si traduce, concretamente,<br />
nell’affermazione di determinati principi, in un particolare approccio alle<br />
politiche di sviluppo, nella tutela di diritti e interessi ritenuti fondamentali, nell’attribuzione<br />
di specifiche competenze e responsabilità ai principali attori sociali e<br />
territoriali. Quest’insieme di elementi, di ordine generale e particolare, caratterizza<br />
il nuovo orientamento che viene definito con una espressione precisa: la “clausola<br />
sociale”.<br />
Con queste parole, l’Unione ha chiarito sia la concezione del tipo di progresso<br />
da perseguire, sia la condizionalità che deve sovrintendere alle politiche ed agli atti<br />
conseguenti. <strong>La</strong> “clausola sociale” è, in sintesi, l’espressione di una precisa interpretazione<br />
e visione <strong>della</strong> società europea, del suo modello di sviluppo, del valore delle<br />
esigenze manifestate dai cittadini. È questa clausola che definisce le caratteristiche<br />
peculiari del modello sociale europeo e gli elementi di distinzione da altri modelli,<br />
come,ad esempio, il modello sociale americano.<br />
Questa profonda innovazione, che ha assunto un grande valore appunto per il<br />
suo inserimento nel trattato che regge attualmente l’Unione, può essere considerata<br />
come uno degli elementi più importanti e positivi emersi dal faticoso compromesso<br />
politico da cui il trattato stesso è scaturito.<br />
Non vi è dubbio, che su questo inserimento hanno influito due elementi precisi:<br />
a) la gravità <strong>della</strong> crisi finanziaria ed economica che ha investito l’Europa proprio<br />
nel periodo dell’approvazione del trattato; b) la valutazione attenta delle<br />
profonde trasformazioni che da tempo sono in atto nella società europea.<br />
102<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
<strong>La</strong> funzione del dialogo sociale<br />
Si tratta, quindi, di un percorso lungo, di un processo di maturazione e di<br />
presa di coscienza con il quale si è messo un punto fermo nel processo <strong>della</strong> integrazione<br />
europea. È chiaro che un riconoscimento formale, come quello sancito<br />
dal trattato di Lisbona, può rivelarsi insufficiente se non è seguito da una interpretazione<br />
corretta e, soprattutto, da un’azione <strong>politica</strong> conseguente da parte dei soggetti<br />
pubblici e privati protagonisti <strong>della</strong> crescita. A tale riguardo, ad esempio, assai<br />
rilevante è la funzione riconosciuta al “dialogo sociale”. In ogni caso, questo punto<br />
fermo, questa acquisizione esiste: e ciò è di per sé un fatto importante.<br />
In pratica, con l’approvazione <strong>della</strong> “clausola sociale”, l’Unione ha assunto<br />
l’impegno formale e fondamentale a valutare ed organizzare le politiche di sviluppo<br />
in modo da promuovere nello stesso tempo anche un reale progresso sociale, di<br />
cui riconosce la valenza non solo in termini di giustizia ma anche di apporto alla<br />
crescita economica ed alla coesione dell’intero sistema. Questo è l’elemento costitutivo<br />
<strong>della</strong> nuova fase del processo di integrazione; un elemento che rappresenta,<br />
obbiettivamente, un vero salto di qualità rispetto alle fasi precedenti. È ben vero<br />
che questo obbiettivo era presente con uguale chiarezza nei documenti politici e<br />
programmatici dell’Unione, come ad esempio nella strategia di sviluppo “Lisbona<br />
2000-2010”, che avevano legato le politiche per la crescita al vincolo <strong>della</strong> loro<br />
complessiva sostenibilità; ma non era stato sancito in modo così esplicito da un atto<br />
fondamentale come un trattato.<br />
UE: il Trattato di Lisbona e gli articoli <strong>della</strong> “svolta” sociale.<br />
Marco Ricceri<br />
Esaminiamo questa innovazione in termini più precisi. In base al trattato di<br />
Lisbona, l’Unione dovrà operare secondo i principi <strong>della</strong> solidarietà, sussidiarietà,<br />
coesione economica, sociale, territoriale (artt.3-5) per promuovere uno sviluppo sostenibile<br />
basato…su un’economia sociale di mercato altamente competitiva che mira alla<br />
piena occupazione e al progresso sociale (art.3). Lo strumento principale per il raggiungimento<br />
di questo obbiettivo è la organizzazione di un comune mercato unico<br />
(art.3), nel quale dovranno essere garantite le quattro libertà fondamentali di libera<br />
circolazione delle persone, merci, servizi e capitali. L’approccio metodologico, di<br />
alto valore politico, privilegia, insieme alla collaborazione tra gli Stati, anche il ruolo<br />
delle parti sociali.<br />
A rafforzare questa nuova impostazione, di grande attenzione alle questioni sociali<br />
e del lavoro, contribuisce in modo decisivo, in base al trattato, anche il riconoscimento<br />
e l’inserimento nel sistema del diritto europeo, <strong>della</strong> Carta dei diritti fondamentali<br />
dell’Unione Europea, con i suoi principi che regolano anche le dinamiche<br />
sociali. In questo modo, la Carta assume un valore cogente: «L’Unione riconosce i<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
103
Marco Ricceri<br />
diritti, le libertà e i principi enunciati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione<br />
Europea …Essa ha lo stesso valore giuridico dei trattati». (art.6).<br />
Sono questi gli articoli principali, in base ai quali la “clausola sociale” è entrata<br />
di diritto nel patrimonio costitutivo dell’Unione Europea. Riguardo ai possibili interventi<br />
in materia di promozione sociale, le principali innovazioni introdotte dal<br />
trattato si trovano nei seguenti punti:<br />
a) il riferimento ad un modello economico definito economia sociale di mercato<br />
L’associazione delle due nozioni, “economia di mercato” e “sociale”, impegna la<br />
UE a valutare ogni iniziativa a favore del mercato con il criterio degli effetti sociali<br />
che tali iniziative possono produrre; e la valutazione non è un fatto limitato al giudizio<br />
politico ma, come è previsto anche per l’obbiettivo <strong>della</strong> piena occupazione, è<br />
un fatto che deve essere necessariamente monitorato e misurato. In altre parole, il<br />
rispetto <strong>della</strong> “clausola sociale” diventa un vincolo per tutte le politiche <strong>della</strong> UE, il<br />
nuovo riferimento per valutare e misurare anche l’efficienza e l’efficacia delle politiche<br />
per il lavoro e la promozione sociale. Tutto ciò vale, indubbiamente, anche se<br />
il trattato presenta una indubbia contraddizione nella definizione del sistema economico<br />
di riferimento. In effetti, mentre il Trattato sull’Unione Europea definisce<br />
con molta chiarezza che quello europeo è un sistema di “economia sociale di mercato”,<br />
la seconda parte del trattato, cioè il Trattato sul funzionamento dell’Unione,<br />
mantiene la precedente definizione di “economia di mercato aperto”. Sarà la volontà<br />
<strong>politica</strong> degli attori dello sviluppo a superare questo punto di incoerenza.<br />
b) Il riferimento esplicito all’obiettivo <strong>della</strong> piena occupazione<br />
Nei trattati precedenti, l’espressione usata al riguardo aveva un significato decisamente<br />
diverso. Si parlava, infatti, di “un livello elevato di occupazione”. In questo<br />
caso, si tratta di un passaggio di grande portata perché impegna gli Stati membri<br />
su un obiettivo ben preciso, misurabile anche sul piano statistico. <strong>La</strong> UE e gli<br />
Stati membri dovranno, in pratica, compiere ogni sforzo possibile per ridurre al<br />
minimo la disoccupazione, al limite per portarla a livello zero. Al contrario, con la<br />
precedente espressione, “un livello di occupazione elevato”, non si poteva fare riferimento<br />
ad alcuna nozione precisa; o, meglio, si faceva riferimento ad una nozione<br />
che poteva essere interpretata in modi molto diversi tra loro. L’unico limite di questa<br />
innovazione, un altro punto di incoerenza, è che l’antica designazione è rimasta<br />
nella seconda parte del trattato, cioè nel Trattato sul funzionamento <strong>della</strong> UE. Anche<br />
questo fatto potrà essere causa di contrasti interpretativi in futuro.<br />
c) Il riferimento al ruolo del dialogo tra le parti sociali<br />
Molta rilevanza ha assunto il ruolo del dialogo tra le parti sociali. Esso era già<br />
presente nei precedenti trattati, ma ha assunto una funzione molto più importante<br />
con il nuovo trattato di Lisbona. L’Unione riconosce e promuove il ruolo delle parti<br />
104<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Marco Ricceri<br />
sociali … tenendo presente la diversità dei sistemi nazionali. L’Unione facilita il dialogo<br />
tra le parti, nel rispetto <strong>della</strong> loro autonomia. Il vertice sociale tripartito per la crescita<br />
e l’occupazione contribuirà al dialogo sociale. In pratica, in base al trattato di Lisbona,<br />
per il raggiungimento degli obbiettivi <strong>della</strong> piena occupazione e <strong>della</strong> costruzione<br />
di un’economia sociale di mercato, l’Unione Europea fa in questo caso,<br />
da un lato, come un passo indietro nella sua azione di coordinamento e, dall’altro,<br />
affida alle parti sociali un ruolo attivo di rilevanza fondamentale. Questo nuovo riferimento<br />
alla funzione delle parti sociali è da ritenere di grande rilievo per l’impostazione<br />
e l’efficacia delle politiche sociali e del lavoro. Infatti, è dal dialogo tra le<br />
parti che potranno emergere – è una possibilità – nuovi, originali elementi per l’avanzamento<br />
di quest’insieme di politiche. Dal canto suo l’Unione si è resa disponibile<br />
a riconoscere i risultati degli accordi tra le parti in determinate materie, a recepirli<br />
e tradurre tali accordi in proprie disposizioni di legge. Importante sarà anche<br />
la organizzazione dei vertici sociali tripartiti, che dovranno precedere quelli dei Capi<br />
di stato e di governo.<br />
d) Il non riferimento al metodo aperto di coordinamento<br />
Un’altra novità importante riguarda il fatto che il cosiddetto “metodo aperto di<br />
coordinamento” – che stava alla base <strong>della</strong> strategia di crescita Lisbona 2000-2010<br />
– non è più richiamato in modo esplicito. In pratica è stato come abbandonato,<br />
anche se in diversi articoli del trattato, in generale, viene ancora richiamata l’importanza<br />
<strong>della</strong> funzione di coordinamento esercitata dalla UE. Ma un riferimento<br />
esplicito al metodo aperto di coordinamento è stato cancellato. In realtà, l’Unione<br />
risulta sempre più orientata a rafforzare l’azione di coordinamento delle politiche<br />
sociali e del lavoro con l’aggiunta di precise indicazioni di percorso, i segnali europei,<br />
indispensabili per orientare gli operatori pubblici e privati. Questi “segnali”,<br />
quando sono accompagnati da indicatori e misuratori precisi delle perfomances, sono<br />
destinati a diventare degli strumenti essenziali per valutare l’efficacia delle politiche<br />
nazionali e regionali e la capacità dei servizi di soddisfare le esigenze delle imprese,<br />
dei lavoratori, delle comunità locali.<br />
Va aggiunto che questa linea di impegno sugli indicatori comuni più idonei a<br />
misurare lo sviluppo economico e sociale, è coerente con il nuovo indirizzo complessivo<br />
delle politiche di sviluppo <strong>della</strong> UE; e, se esteso fino a comprendere la valutazione<br />
di quella che viene definita la qualità sociale <strong>della</strong> crescita, è destinato a<br />
diventare senza dubbio un’occasione importante per affrontare in termini adeguati<br />
le problematiche <strong>della</strong> promozione sociale. Da tempo, sono già in atto delle iniziative<br />
<strong>della</strong> Commissione Europea per elaborare misuratori di progresso che vadano<br />
oltre il riferimento tradizionale al PIL (vedi la Comunicazione n.433/2009); e ciò<br />
in base all’idea che lo sviluppo non deve essere misurato solo con riferimento al valore<br />
dei beni e servizi scambiati sul mercato, ma anche in termini di qualità <strong>della</strong><br />
vita.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
105
Marco Ricceri<br />
I precedenti: l’Agenda sociale e la “visione sociale” europea (2007-2010)<br />
Per comprenderne il valore del salto di qualità compiuto con il trattato di Lisbona<br />
e le possibilità che esso apre agli interventi in materia di promozione sociale,<br />
è utile ricordare, come si è già accennato, che già nella strategia di sviluppo approvata<br />
a Lisbona nel 2000 – il riferimento delle politiche europee del decennio 2000-<br />
2010 – si era riconosciuta l’importanza di perseguire una linea di equilibrio tra tre<br />
diverse tipologie di sostenibilità: economica, sociale, ambientale. Solo il rispetto di<br />
questo equilibrio, nel quale alle questioni sociali era riconosciuto un ruolo fondamentale,<br />
avrebbe potuto assicurare all’Europa un reale progresso e il recupero di<br />
margini di competitività sulla scena mondiale.<br />
Ma è nell’adeguamento dell’Agenda Sociale europea (Agenda sociale rinnovata<br />
2008) e, come vedremo in seguito, nella parallela elaborazione <strong>della</strong> nuova strategia<br />
di sviluppo EU 2020, con cui è stata sostituita la precedente strategia di Lisbona,<br />
che la Commissione ha fatto emergere con chiarezza la propria visione sociale<br />
per l’Europa del XXI secolo.<br />
Nel 2007, in occasione di una consultazione pubblica, la Commissione ha diffuso<br />
un documento per tracciare un bilancio <strong>della</strong> realtà sociale in Europa ed adeguare<br />
le indicazioni <strong>della</strong> Agenda sociale 2006-2010 alle nuove esigenze emerse con la crisi.<br />
Nello stesso tempo il documento aveva lo scopo di offrire degli elementi di conoscenza<br />
a quanti, nello stesso periodo, erano impegnati nelle complesse trattative che<br />
fino all’ultimo momento hanno accompagnato la ratifica del trattato di Lisbona. (Gli<br />
obbiettivi e le misure dell’Agenda sociale sono stati successivamente modificati nel<br />
2010, contemporaneamente all’avvio <strong>della</strong> nuova strategia di sviluppo EU 2020).<br />
Come migliorare il benessere, la qualità <strong>della</strong> vita e i valori comuni dei cittadini<br />
nel mondo odierno?. Quando si parla di realtà sociale dell’Europa di quali realtà si<br />
tratta? <strong>La</strong> Commissione muove da queste domande per definire una sua interpretazione<br />
<strong>della</strong> situazione europea e disegnare un sua visione per il futuro.<br />
Per la Commissione, ciò che sta cambiando sono la struttura sociale, l’organizzazione<br />
ed il funzionamento dell’economia per effetto <strong>della</strong> globalizzazione, la stessa<br />
Unione, come conseguenza dell’allargamento e dell’aumento delle diversità.<br />
Nella società valgono, ad esempio, il prolungamento delle aspettative di vita, il<br />
calo <strong>della</strong> natalità, la precarietà economica e l’isolamento sociale delle persone anziane,<br />
la frattura tra le generazioni, la modifica degli schemi familiari, gli squilibri<br />
crescenti di reddito tra i gruppi sociali ed i territori. Oggetto di profondo mutamento<br />
sono anche gli stili di vita ed i valori culturali ed etici che orientano una comunità,<br />
con il prevalere di una cultura individualistica e l’atomizzazione <strong>della</strong> cultura,<br />
l’indebolimento dei legami familiari e comunitari, <strong>della</strong> pratica religiosa, <strong>della</strong><br />
partecipazione <strong>politica</strong>, la crescita delle inquietudini nei confronti di tutto ciò<br />
che appare come diverso e – aggiunge in modo specifico il documento – nella stessa<br />
“capacità dell’Europa di affermare i suoi valori comuni”.<br />
106<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Nell’economia i maggiori cambiamenti sono legati alla difficoltà di adattamento<br />
delle imprese e dei lavoratori alle nuove condizioni <strong>della</strong> competizione mondiale,<br />
alla disoccupazione, al deficit di competenze professionali adeguate, alla scarsa<br />
valorizzazione del capitale umano (a cominciare dalle insufficienze <strong>della</strong> educazione<br />
scolastica) ai diversi modelli che si impongono nella organizzazione dei tempi di<br />
vita e di lavoro, nella organizzazione delle carriere.<br />
<strong>La</strong> interpretazione <strong>della</strong> Commissione in merito alla profonda trasformazione<br />
<strong>della</strong> società europea mette in risalto due elementi fortemente collegati tra loro:<br />
grandi opportunità e grandi rischi. Infatti, da un lato, si sono aperte ai cittadini europei<br />
delle grandi opportunità come: “una maggiore libertà di scelta, la possibilità<br />
di condurre uno stile di vita più sano e di vivere più a lungo, migliori condizioni di<br />
vita e società più innovative e più aperte”. Dall’altro vi sono i nuovi rischi sociali<br />
che “potrebbero ridurre le opportunità di successo e generare un senso di insicurezza<br />
e di isolamento, un sentimento di ingiustizia e di disuguaglianza”. “Quando si<br />
parla del futuro” – specifica la Commissione – gli europei “si dichiarano inquieti e<br />
preoccupati, soprattutto per la prossima generazione”.<br />
I contenuti di riferimento<br />
Marco Ricceri<br />
Nella nuova visione sociale che secondo la Commissione “sta prendendo forma<br />
in tutta l’Europa”, tre sono gli elementi principali di riferimento: “le opportunità,<br />
l’accesso e la solidarietà”.<br />
Opportunità: per avviarsi nella vita con buone premesse, realizzare al meglio il<br />
proprio potenziale e sfruttare al meglio le possibilità offerte da un’Europa innovativa,<br />
aperta e moderna;<br />
Accesso: metodi nuovi e più efficaci per accedere all’istruzione, avanzare nel<br />
mercato dell’occupazione, beneficiare di un’assistenza sanitaria e di una protezione<br />
sociale di qualità e partecipare alla vita collettiva e sociale;<br />
Solidarietà: promuovere la coesione sociale e la sostenibilità del modello sociale<br />
e garantire che nessuno venga escluso.<br />
Questa visione, precisa il documento, “rispecchia un’opinione sempre più diffusa<br />
secondo la quale la società non può garantire ai suoi cittadini i medesimi risultati<br />
ma deve promuovere con sempre maggiore fermezza delle pari opportunità di successo…<br />
per consentire a tutti gli europei di accedere alle risorse ed ai servizi – trasformando<br />
– le pari opportunità e la cittadinanza attiva, attualmente teoriche, in<br />
una realtà concreta”. Limitare lo scarto tra “vincitori e sconfitti” del cambiamento<br />
economico e tecnologico e delle relative disuguaglianze è una questione di giustizia<br />
e di coesione sociale. Ma è anche un “imperativo economico”, un “investimento finanziario”<br />
perché “risolvendo i problemi sociali alla fonte, si riduce il rischio che il<br />
sistema di previdenza sociale debba poi accollarsi i costi delle disfunzioni sociali e<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
107
Marco Ricceri<br />
<strong>della</strong> mancanza di opportunità economiche”. Infine, una simile visione risponde<br />
anche a precise necessità politiche, perché crea “un clima di fiducia – che – è essenziale<br />
per il progresso, la modernizzazione e l’apertura al cambiamento”.<br />
Nella visione sociale <strong>della</strong> Commissione, “questo programma di opportunità,<br />
accesso e solidarietà richiede un investimento, un rinnovato impegno a sfruttare appieno<br />
il potenziale umano dell’Europa e ad ampliare le possibilità di successo per<br />
tutti”. Ed ancora: gli “investimenti nel capitale umano e sociale” non sono soltanto<br />
“una spesa volta a sovvenzionare le conseguenze di un fallimento sociale, ma …un<br />
investimento sociale che dev’essere giustificato ricorrendo alle migliori valutazioni<br />
disponibili dell’utile sociale ed economico sotto il profilo dello sviluppo sostenibile”.<br />
Nel parere espresso sul documento <strong>della</strong> Commissione, il Comitato Economico<br />
e Sociale Europeo – CESE (2007) amplia questo concetto, sottolineando l’importanza<br />
di passare da una posizione sostanzialmente passiva (gli investimenti nel<br />
sociale sono necessari per prevenire i costi delle disfunzioni) ad una posizione attiva<br />
(il sociale come elemento costitutivo <strong>della</strong> produzione). Infatti, il Comitato<br />
chiede espressamente alla Commissione di arrivare a riconoscere apertamente il valore<br />
economico e produttivo delle politiche sociali, perché esse sono parte integrante<br />
del processo dello sviluppo, un fattore essenziale <strong>della</strong> crescita. In un successivo<br />
parere (2008) formulato in occasione <strong>della</strong> decisione di promuovere l’Anno<br />
Europeo <strong>della</strong> lotta alla povertà ed all’esclusione sociale nel 2010, il Comitato arriva<br />
ad affermare esplicitamente che il sostegno alla <strong>politica</strong> sociale si giustifica perché<br />
essa è “un autentico fattore produttivo” e che solo “la modernizzazione del modello<br />
sociale europeo, nel senso più ampio del termine – potrà consentire all’Europa<br />
di continuare ad essere una zona di benessere democratica”.<br />
Le opportunità individuali<br />
Secondo la Commissione, il valore la “clausola sociale” orizzontale introdotta<br />
dal trattato di Lisbona emerge con chiarezza solo nel collegamento con questa visione<br />
di una promozione sociale imperniata sull’incremento delle capacità di un<br />
individuo di cogliere le suddette “opportunità di successo”. <strong>La</strong> clausola “pone in rilievo<br />
l’impegno dell’Unione Europea nei confronti dell’occupazione e <strong>della</strong> protezione<br />
sociale e conferma il ruolo delle regioni e delle parti sociali quale parte integrante<br />
del tessuto politico, economico e sociale dell’Unione”. Per facilitare il rispetto<br />
e la sua applicazione sarà necessario anche rivedere ed eventualmente modificare,<br />
alla luce del trattato,.“il quadro giuridico per garantire che esso consegua efficacemente<br />
gli obbiettivi convenuti”.<br />
Nell’Agenda sociale rinnovata, presentata nel 2008 a seguito <strong>della</strong> consultazione<br />
pubblica del 2007, si afferma che le politiche sociali devono “stare al passo” con l’evolversi<br />
<strong>della</strong> situazione europea, “devono essere flessibili” ed in grado di “risponde-<br />
108<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
e ai mutamenti”. Questa esigenza fa sì che la stessa Agenda sociale non può più limitarsi<br />
alle questioni tradizionali <strong>della</strong> <strong>politica</strong> sociale, ma “deve essere trasversale e<br />
multidimensionale, estendersi ad una vasta gamma di settori, dalle politiche del<br />
mercato del lavoro all’istruzione, alla salute, all’immigrazione e al dialogo interculturale.<br />
<strong>La</strong> realtà – secondo la nuova Agenda – è che le politiche economiche e sociali<br />
a livello europeo e nazionale si rafforzano reciprocamente e sono complementari”.<br />
I tre obbiettivi già indicati nel documento <strong>della</strong> consultazione pubblica del<br />
2007 – opportunità, accesso, solidarietà – sono confermati come “obbiettivi tra loro<br />
collegati, di uguale importanza”. Tuttavia il loro ambito di riferimento viene<br />
meglio precisato e circoscritto. In tal modo, ad esempio, l’obbiettivo dell’opportunità<br />
viene tradotto in termini di occupazione e mobilità (“opportunità significa<br />
produrre maggiore e migliore occupazione e facilitare la mobilità”); l’accesso è collegato<br />
ad “un’istruzione di buona qualità, alla protezione sociale, alla sanità e ai servizi<br />
che possono contribuire a compensare le disuguaglianze di partenza”; la solidarietà<br />
è collegata al rapporto “tra generazioni, tra regioni, tra i più agiati ed i meno<br />
agiati, tra gli Stati membri più prosperi e quelli meno prosperi”.<br />
<strong>La</strong> “visione sociale” <strong>della</strong> Commissione Europea: un commento<br />
Marco Ricceri<br />
Un commento su questa “visione sociale” è d’obbligo. Anche perché il documento,<br />
da cui sono emersi i piani di sviluppo successivi, compresa la nuova strategia<br />
di sviluppo EU 2020 approvata dopo all’entrata in vigore del trattato di Lisbona,<br />
presenta una forte contraddizione. Il documento è certamente apprezzabile per<br />
la sua chiarezza ed utilità. Ma non esprime una coerenza tra la valutazione iniziale<br />
dei cambiamenti strutturali in atto nella società europea e le indicazioni del percorso<br />
da compiere per affrontarli e viverli in modo positivo.<br />
<strong>La</strong> ricerca dell’“utile economico” combinata con la ricerca dell’“utile sociale”,<br />
non può limitarsi alla moltiplicazione delle “opportunità di successo” ed alla possibilità<br />
dell’“accesso” a servizi qualificati. Quando i cambiamenti investono, come si<br />
riconosce espressamente, gli stili di vita delle persone, i fatti identitari, la cancellazione<br />
dei valori aggreganti e delle prospettive future per gli individui e le comunità,<br />
è chiaro che la realtà europea si è evoluta in modo tale da porre domande sulla<br />
qualità del modello di sviluppo perseguito.<br />
<strong>La</strong> risposta a questi nuovi problemi, che sono la vera componente <strong>della</strong> precarietà,<br />
insicurezza e disagio sociale, trova senz’altro nella formula “un’economia sociale<br />
di mercato” inserita nel trattato di Lisbona una indicazione orientativa importante.<br />
Ma questo principio di grande originalità e portata, non può tradursi<br />
soltanto in azioni ispirate a mere logiche efficientistiche e produttivistiche. Queste<br />
logiche, per quanto importanti, ineludibili, dovrebbero comunque essere integrate<br />
e valutate in base ad altri criteri, riassumibili in termini di qualità <strong>della</strong> crescita.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
109
Marco Ricceri<br />
In altre parole, le azioni programmate in base alle valutazioni svolte dalla Commissione<br />
nella sua “visione sociale” sono in grado di assicurare un reale progresso<br />
civile, armonico, <strong>della</strong> società europea? Su questa domanda i dubbi restano aperti,<br />
così come sulla reale volontà e capacità di affrontare il gravissimo fenomeno del disagio<br />
e degli squilibri sociali crescenti.<br />
I precedenti: il documento per il superamento <strong>della</strong> crisi (2009)<br />
Nel marzo 2009, nel pieno di quella che è stata definita come la più grave crisi<br />
economica e finanziaria del dopoguerra, la Commissione Europea ha elaborato il<br />
documento per Guidare la ripresa in Europa. In esso riconosce espressamente: «Gli<br />
effetti occupazionali e sociali <strong>della</strong> crisi non si sono ancora manifestati pienamente,<br />
ma saranno comunque più gravi di quanto preventivato al momento di adottare le<br />
misure iniziali. Occorre quindi intensificare gli sforzi a tutti i livelli per affrontare il<br />
problema <strong>della</strong> disoccupazione, nonché adeguare e modernizzare i sistemi di assistenza<br />
sociale. Il sostegno al reddito, associato a misure attive, stimolerà la domanda,<br />
agevolerà il ritorno alla vita attiva ed eviterà l’esclusione sociale».<br />
Nel documento, la UE definisce il prossimo periodo che l’Europa dovrà affrontare<br />
come un periodo di transizione, nel quale molti posti di lavoro spazzati via<br />
dalla crisi non saranno sostituiti. Ma la organizzazione di un’economia più intelligente,<br />
più verde, più competitiva favorirà la creazione di nuovi posti di lavoro e consentirà<br />
di compensare gli alti livelli di disoccupazione. Le politiche sociali e le nuove<br />
politiche del lavoro dovranno garantire la coesione sociale.<br />
In ogni caso, secondo la UE, vale un dato di cambiamento strutturale: tutti devono<br />
prendere atto che è finito il modello di vita tradizionale dei cittadini suddiviso<br />
in una successione tripartita di periodi di studio-lavoro-pensione e che il nuovo<br />
modello sarà caratterizzato da continue interruzioni e riprese dell’attività lavorativa,<br />
più funzionale per cogliere le nuove opportunità e le nuove sfide. Questo nuovo<br />
modello è collegato direttamente con la situazione in cui gli aspetti positivi <strong>della</strong><br />
flessibilità e dell’adattamento alle nuove condizioni <strong>della</strong> crescita si combinano con<br />
quelli negativi <strong>della</strong> precarietà del lavoro e del venir meno di tradizionali tutele sociali;<br />
le due grandi aree in cui si generano disagio, impoverimento, esclusione e<br />
precarietà sociale.<br />
L’Unione, dunque, conferma le interpretazioni, già date in precedenza (ad<br />
esempio, nella strategia di sviluppo Lisbona 2000-2010), che la società europea è<br />
di fronte a cambiamenti di natura strutturale. Ma rafforza questa interpretazione e<br />
la rende ancora più esplicita mettendo in risalto la gravità delle conseguenze sociali.<br />
In tal modo, la questione <strong>della</strong> sostenibilità sociale dello sviluppo assume un valore<br />
strategico centrale nelle politiche comunitarie. Questo è l’elemento “politico”<br />
e” culturale” sopra descritto che caratterizza il nuovo trattato.<br />
110<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
<strong>La</strong> nuova strategia di sviluppo EU 2020<br />
«Le realtà economiche si muovono più velocemente di quelle politiche… dobbiamo<br />
accettare il fatto che la maggiore interdipendenza economica richiede anche<br />
una risposta più determinata e coerente a livello politico”. È con queste parole che il<br />
presidente <strong>della</strong> Commissione Europea, Josè M. Baroso presenta la nuova strategia di<br />
sviluppo destinata a guidare l’Europa nel prossimo decennio 2010-2020. Insieme<br />
alla consapevolezza dell’importanza dell’elemento “<strong>politica</strong>”, che è raro trovare nei<br />
documenti europei, nella nuova strategia emerge anche con rinnovata evidenza che<br />
la crisi, capace di vanificare i risultati positivi di un decennio di progresso economico<br />
e sociale, “ha messo in luce le carenze strutturali dell’economia europea».<br />
Per conseguire uno sviluppo sostenibile l’Europa, secondo Barroso, dovrà perseguire<br />
l’obbiettivo di creare “più posti di lavoro” e le condizioni per “una vita migliore”.<br />
Ciò sarà possibile attraverso il perseguimento di tre priorità precise individuate<br />
dalla strategia EU 2020 le quali si rafforzano ed integrano a vicenda. Esse sono:<br />
a) “crescita intelligente: sviluppare un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione”;<br />
b) “crescita sostenibile: promuovere un’economia più efficiente sotto<br />
il profilo delle risorse, più verde e più competitiva”; c) “crescita inclusiva: promuovere<br />
un’economia con un alto tasso di occupazione che favorisca la coesione<br />
sociale e territoriale”..<br />
Le tre priorità sono successivamente tradotte, con una sequenza logica, in cinque<br />
“obbiettivi principali” e sette “iniziative faro”.<br />
Gli obiettivi<br />
Marco Ricceri<br />
Come era nella precedente strategia di Lisbona 2000-2010, gli obbiettivi sono<br />
stati anche quantificati. In modo specifico, dunque, la Commissione si impegna<br />
a raggiungere i seguenti risultati:<br />
a) il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro;<br />
b) il 3% del PIL <strong>della</strong> UE deve essere investito in R & S;<br />
c) i traguardi “20/20/20” in materia di clima/energia devono essere raggiunti<br />
(compresi un incremento del 30% <strong>della</strong> riduzione delle emissioni, se le condizioni<br />
lo permettono);<br />
d) il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40%<br />
dei giovani deve essere laureato;<br />
e) 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà.<br />
Come le priorità selezionate in partenza, anche gli obbiettivi sono connessi<br />
strettamente tra loro e sono ritenuti “fondamentali” per il successo globale <strong>della</strong><br />
strategia europea. Da essi dovranno derivare gli obbiettivi ed i programmi dei singoli<br />
Stati membri.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
111
Marco Ricceri<br />
Infine, data l’ampiezza <strong>della</strong> loro portata, gli obbiettivi sono a loro volta tradotti<br />
in sette “iniziative faro” su cui viene concentrato lo sforzo programmatico e l’impegno<br />
finanziario dell’Unione. Riguardo ai problemi sociali, le principali iniziative faro<br />
sono: Youth on the move (aumentare l’occupazione giovanile migliorando la qualità<br />
dell’istruzione e le condizioni <strong>della</strong> mobilità); Un’agenda per nuove competenze e nuovi<br />
posti di lavoro (modernizzare i mercati del lavoro, avviare la seconda fase del programma<br />
“flessicurezza”, definire un Quadro europeo delle qualifiche); Piattaforma europea<br />
contro la povertà (migliorare l’accesso ai servizi pubblici, adeguare i sistemi pensionistici,<br />
promuovere “l’innovazione sociale” per le categorie più vulnerabili).<br />
<strong>La</strong> strategia EU 2020: commento<br />
«Il destino dell’economia di mercato, con il suo mirabile meccanismo dell’offerta e<br />
<strong>della</strong> domanda, si decide al di là dell’offerta e <strong>della</strong> domanda» W. Roepke.<br />
– I limiti di questa impostazione <strong>della</strong> nuova strategia di sviluppo EU 2020 sono<br />
evidenti e lasciano del tutto aperti i dubbi sulla sua idoneità a dare una risposta<br />
positiva in particolare al crescente fenomeno del disagio e degli squilibri sociali. Peraltro<br />
sono limiti tanto più gravi se si considera che in questa strategia e in questi<br />
programmi, come è stato dichiarato, si concentrerà nei prossimi anni il maggior<br />
impegno concreto, anche finanziario, dell’Unione.<br />
Mancanza di riferimento allo schema teorico del Modello Sociale Europeo<br />
– Nel documento non si trova alcun richiamo esplicito al Modello Sociale Europeo<br />
ed a ciò che questo riferimento teorico rappresenta in termini di crescita<br />
equilibrata tra sviluppo economico e produttivo e giustizia sociale, tra produzione<br />
e distribuzione <strong>della</strong> ricchezza, di progresso civile e democratico. Ne consegue, che<br />
è difficile, se non impossibile, comprendere quale “economia sociale di mercato” si<br />
intende realmente costruire, come si intende attuare la condizionalità sociale prevista<br />
dal trattato di Lisbona. Tutto ciò per garantire un tipo di sviluppo che sia valutabile<br />
e misurabile non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi.<br />
Prevalenza delle logica produttivistica e mercantilistica dello sviluppo<br />
– Il documento affronta le cause delle carenze strutturali dell’economia europea<br />
puntando a colmare lacune e recuperare efficienza negli ambiti dove si registrano<br />
le maggiori disfunzioni, secondo una logica produttivistica e mercantilistica che<br />
interviene a tutto campo, dal sistema produttivo al mercato del lavoro, ai servizi<br />
sociali, stimolando i cittadini ad essere più attivi e partecipi, cioè in grado di cogliere<br />
le opportunità di successo che possono presentarsi nella nuova fase di sviluppo.<br />
Ma non offre una visione in grado di fornire degli elementi di orientamento<br />
che consentano di colmare le tante inquietudini e incertezze che minano la fiducia<br />
112<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Marco Ricceri<br />
dei cittadini europei sul proprio futuro e, fatto ancor più grave, indeboliscono la<br />
propria identità e ruolo sociale. Tutte condizioni che riducono sempre più proprio<br />
quella partecipazione attiva che dovrebbe assicurare anche un nuovo impulso alle<br />
attività economiche.<br />
Mancanza di valutazione delle disuguaglianze economiche e sociali<br />
– Inoltre, nell’affrontare le cause strutturali, il documento non tiene conto che<br />
i veri limiti dello sviluppo europeo stanno nel progressivo accentuarsi delle disuguaglianze<br />
economiche e sociali, tra le cause principali dell’aumento continuo del<br />
disagio e <strong>della</strong> precarietà sociale. <strong>La</strong> dimostrazione di questo fatto sta proprio in<br />
quanto è avvenuto nel decennio appena concluso, prima del 2008, cioè prima dell’esplodere<br />
<strong>della</strong> crisi economica e finanziaria.<br />
Prima <strong>della</strong> crisi, la forte e diffusa crescita economica aveva indubbiamente aumentato<br />
il livello di occupazione e di benessere generale. Anche il livello <strong>della</strong> spesa<br />
sociale degli Stati membri era rimasto costante ed elevato, attestato su una media<br />
europea del 27% del PIL. Ma tutto ciò non ha impedito che proprio negli anni<br />
dell’espansione e <strong>della</strong> crescita si continuasse a registrare anche un aggravarsi dei fenomeni<br />
del degrado sociale, un forte incremento <strong>della</strong> povertà, del rischio di povertà,<br />
<strong>della</strong> precarietà sociale.<br />
È proprio il parallelismo tra crescita <strong>della</strong> precarietà sociale e <strong>della</strong> povertà, da<br />
un lato, e crescita economica e produttiva, dall’altro, che dimostra come il tipo di<br />
crescita perseguito con la precedente strategia di Lisbona 2000-2010 fosse un fenomeno<br />
viziato dalla mancanza di correttivi efficaci sia sul fronte di una reale qualificazione<br />
del lavoro, sia sul fronte <strong>della</strong> composizione degli squilibri sociali. Le vere<br />
cause del degrado sociale si trovano, dunque, soprattutto nelle carenze e distorsioni<br />
che caratterizzano i due fattori: l’organizzazione del lavoro (con riferimento al<br />
modo in cui è promossa dalle imprese) e le politiche di coesione sociale (con riferimento<br />
alle disuguaglianze nella distribuzione dei redditi e la scarsa qualità <strong>della</strong><br />
spesa sociale). Sono i punti che la nuova strategia di sviluppo EU 2020 evita di affrontare<br />
in modo adeguato.<br />
Ovviamente questi fenomeni di degrado sociale si sono accentuati negli anni<br />
successivi <strong>della</strong> crisi; e il forte impegno di spesa sociale degli Stati sviluppato in termini<br />
aggiuntivi per fronteggiare l’emergenza – un impegno che i sindacati europei<br />
hanno definito l’European social revival – non è stato sufficiente a segnare una<br />
qualche inversione di tendenza. Anche questo fatto conferma che non è tanto la<br />
quantità <strong>della</strong> spesa sociale ad incidere sui livelli di precarietà, quanto la sua qualità<br />
ed il modo in cui sono interpretate e promosse le politiche di coesione sociale.<br />
Contraddizione con le valutazioni di documenti precedenti<br />
– Questi limiti nella impostazione <strong>della</strong> nuova strategia di sviluppo EU 2020<br />
adottata dall’Unione, presentano, anche in modo sorprendente, un forte elemento di<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
113
Marco Ricceri<br />
contraddizione con le stesse analisi condotte dalla Commissione negli anni passati.<br />
Ad esempio: a) con le analisi dei profondi cambiamenti <strong>della</strong> società europea svolte<br />
nel 2007 per l’aggiornamento <strong>della</strong> Agenda sociale europea, b) con il riferimento ai<br />
possibili scenari futuri indicati nel piano per Guidare la ripresa in Europa, del 2009;<br />
c) con il richiamo alla necessità di recuperare il primato <strong>della</strong> <strong>politica</strong> negli indirizzi<br />
dei programmi di sviluppo – cioè di una visione d’insieme ed un sistema di valori<br />
orientativi – contenuto nella stessa presentazione <strong>della</strong> strategia EU 2020.<br />
I molteplici aspetti del degrado sociale<br />
Se l’applicazione del ben noto indice Gini sulle disuguaglianze (indice adottato<br />
dalle Nazioni Unite) è in grado di mettere in luce un elemento di debolezza<br />
strutturale del sistema economico e sociale europeo, le analisi sociologiche mettono<br />
in evidenza la profondità delle trasformazioni dei valori coesivi e identitari, che<br />
orientano la vita degli individui e delle comunità, l’influenza ed i limiti <strong>della</strong> cultura<br />
individualista, il timore diffuso delle diversità.<br />
In queste condizioni di cambiamento strutturale, gli interventi correttivi soprattutto<br />
dal lato del mercato del lavoro e dal lato dell’efficienza e sostenibilità finanziaria<br />
dei servizi sociali, possono senz’altro fornire un valido contributo al recupero<br />
di determinati aspetti del disagio sociale diffuso e fare in modo che l’adattamento<br />
del lavoro alla nuove condizioni dello sviluppo (ad esempio in termini di<br />
flessibilità e qualificazione) sia vissuta anche positivamente.<br />
Ma è proprio quanto accade nel mondo del lavoro – un esempio emblematico<br />
– che offre indicazioni utili sul tipo di interventi ben più complesso e di più ampio<br />
respiro che bisognerebbe promuovere a livello europeo.<br />
Alle migliaia di giovani che in ogni Stato membro vivono quotidianamente gli<br />
aspetti negativi <strong>della</strong> flessibilità, ciò che viene meno, con la fonte di reddito, è<br />
qualcosa di ben più alto valore: la certezza <strong>della</strong> propria identità sociale, la possibilità<br />
di organizzare al meglio la propria esistenza, di sentirsi partecipe di una comune<br />
esperienza positiva, di guardare con fiducia al futuro. Sono tutti elementi collegati<br />
al patrimonio conoscitivo e culturale <strong>della</strong> persona, alla validità dei valori etici<br />
su cui è basata la sua vita, alla concezione stessa che ha <strong>della</strong> vita.<br />
Questo è il motivo per cui la precarietà sociale, l’aspetto negativo <strong>della</strong> flessibilità<br />
lavorativa, viene coniugata nei termini più diversi tra loro: il punto di partenza<br />
dell’analisi può essere benissimo la precarietà lavorativa, originata nei luoghi <strong>della</strong><br />
produzione. Ma il fenomeno assume un significato più preciso quando si considera<br />
la sua trasformazione in precarietà professionale (legata all’impoverimento del bagaglio<br />
conoscitivo), in precarietà economica (collegata, al limite, alle condizioni di<br />
povertà), in precarietà sociale (collegata alla caduta <strong>della</strong> mobilità sociale), in precarietà<br />
esistenziale (collegata alle difficoltà di formulare un progetto di vita). È su<br />
114<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
questi elementi, in gran parte collegati ad un modello di sviluppo generatore di disuguaglianze<br />
crescenti – ben diverso dal modello sociale europeo prefigurato e sancito<br />
nel trattato di Lisbona – che la società europea finisce per assumere quella<br />
struttura gerarchica e piramidale ben descritta dal sociologo Richard Sennet; una<br />
struttura che pone molti interrogativi sulla sua effettiva solidità democratica.<br />
Il rischio di equilibri deboli<br />
È chiaro che quanto più quest’area complessa <strong>della</strong> precarietà sociale che sta alla<br />
base <strong>della</strong> piramide si allarga e si allontana dall’area dove sono più facilmente raggiungibili<br />
le opportunità di crescita e di successo, tanto più, come si è già accennato, la società<br />
europea accumula tensioni e rischia di avvicinarsi ad un vero e proprio punto di<br />
rottura dei suoi deboli equilibri. In questo processo di deterioramento, gravi effetti<br />
negativi si producono anche, in modo particolare, nella vita <strong>politica</strong> e istituzionale<br />
(segnate da crescente assenteismo, disaffezione, qualunquismo,ovvero protesta estremistica),<br />
nelle solidarietà comunitarie (come l’isolamento, le rotture generazionali,<br />
l’indifferenza nei confronti dell’altro, la perdita di senso di ciò che può rappresentare<br />
il bene comune), nella cultura (col prevalere <strong>della</strong> cosiddetta “cultura del presente”<br />
che distrugge ogni idea di passato e di futuro. Vale al riguardo, l’osservazione dello<br />
studioso italiano Remo Bodei per il quale nella società contemporanea «sta drasticamente<br />
diminuendo la capacità di pensare ad un futuro collettivo, di immaginarlo al<br />
di fuori delle proprie aspettative private… Siamo alla desertificazione del futuro».<br />
Una <strong>politica</strong> europea finalizzata ad una reale avanzamento non solo economico<br />
ma anche civile <strong>della</strong> società europea, dovrebbe mostrare la capacità di intervenire<br />
sulla molteplicità delle cause che sono alla base del diffuso disagio e impoverimento<br />
sociale, sulla multidimensionalità che caratterizza questo grave fenomeno. Non<br />
vi è dubbio che siamo di fronte a cambiamenti di tipo strutturale che incidono nel<br />
profondo gli assetti comunitari; e gli scenari che si prospettano indicano che questi<br />
cambiamenti saranno sempre più accentuati nel prossimo futuro. È proprio la riflessione<br />
sugli elementi che collegano la precarietà lavorativa con la precarietà sociale<br />
ed esistenziale, che può fornirci degli orientamenti utili per promuovere interventi<br />
correttivi secondo le esigenze <strong>della</strong> qualità <strong>della</strong> crescita.<br />
Il “caos” <strong>della</strong> globalizzazione e la precarizzazione <strong>della</strong> società europea<br />
Marco Ricceri<br />
Tutto il mondo vive gli effetti <strong>della</strong> globalizzazione, che è un fenomeno ben<br />
diverso dall’internazionalizzazione, con cui si individuava soprattutto la <strong>dimensione</strong><br />
internazionale degli scambi commerciali. <strong>La</strong> globalizzazione è un processo di<br />
ben più ampia portata, che investe gli assetti <strong>della</strong> società e la vita stessa degli indi-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
115
Marco Ricceri<br />
vidui e delle comunità. Al riguardo, la domanda da porsi è la seguente: questo processo<br />
riflette un “ordine” o un “disordine”? Il fatto che anche nei vertici internazionali<br />
si parli continuamente <strong>della</strong> necessità di dare un ordine allo sviluppo – la questione<br />
di una nuova governance – significa che quello che stiamo vivendo è piuttosto<br />
un periodo quantomeno di grande disordine. <strong>La</strong> globalizzazione, insomma, riflette<br />
un caos – un caos che può anche essere creativo, non solo distruttivo – perché<br />
in questo processo è difficile prevedere e controllare le conseguenze dei piani,<br />
dei programmi, delle azioni.<br />
A questa prima considerazione se ne aggiunge una seconda: in genere è nella<br />
debolezza o nell’assenza di un ordine che si sviluppa quella che possiamo definire<br />
come la lotta per il potere, cioè il tentativo da parte di alcuni soggetti di abolire<br />
l’ordine esistente e di organizzare un nuovo ordine ed un nuovo sistema di regole,<br />
più vantaggioso per se stessi e da imporre agli altri. Questo tentativo produce sempre<br />
dei vincitori e degli sconfitti, come riconosceva anche l’analisi che stava alla base<br />
<strong>della</strong> revisione dell’Agenda sociale del 2007.<br />
Chi punta ad affermare un proprio ordine, parte sempre dalla svalutazione dell’ordine<br />
esistente, ne indebolisce le regole, ne sfrutta le contraddizioni e i limiti, accentua<br />
i fattori di contrasto per imporre le proprie regole. Uno dei fattori principali<br />
su cui agisce è quello del cambiamento legato ad una mobilità spinta al limite del<br />
nomadismo, al superamento di ogni possibile vincolo e sistema di rapporti; ad<br />
esempio, i rapporti con una comunità o con un territorio. «Basta con il lungo termine!»<br />
afferma Richard Sennet ne L’uomo flessibile – I rapporti occasionali di associazione<br />
sono più utili dei vincoli a lungo termine.<br />
Come ha ben spiegato l’ex segretario <strong>della</strong> CISL, Pierre Carniti, in una nota<br />
dell’istituto ISRIL, l’èlite globale, cioè i protagonisti del mercato globale impegnati<br />
a cogliere le opportunità del “disordine”, non ha confini, non è legata o condizionata<br />
da determinate situazioni, come le politiche degli stati nazionali o gli<br />
accordi sindacali, etc; questi attori dello sviluppo possono, o cercano, di abbandonarle<br />
in ogni momento, de-localizzando le attività secondo le opportunità che intravedono<br />
o le situazioni che sono in grado di costruire nelle più diverse aree del<br />
mondo. Le èlite globali, insomma, agiscono in una <strong>dimensione</strong> di spazio e di tempo<br />
che è ben diversa da quella in cui vive la maggioranza dei cittadini ed in cui<br />
operano le istituzioni tradizionali (per inserirsi in questa nuova <strong>dimensione</strong> si arriva<br />
anche all’assurdo, come ha fatto il ministro <strong>della</strong> sanità inglese, il conservatore<br />
Andrew <strong>La</strong>nsley, il quale, per trovare soluzioni alle restrizioni del bilancio, ha<br />
proposto di de-localizzare in altre parti del mondo una parte delle prestazioni del<br />
Servizio Sanitario Britannico). Per queste élite, ad esempio, la geografia è semplicemente<br />
finita. Il passato storico non esiste più da tempo. Già Henry Ford, nel secolo<br />
scorso affermava: «<strong>La</strong> storia è un mucchio di sciocchezze […] non vogliamo la<br />
tradizione […] Vogliamo vivere nel presente e la sola storia che valga qualcosa è la storia<br />
che facciamo oggi».<br />
116<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Legami capitale-lavoro-<strong>politica</strong><br />
Sta qui la fonte dell’incertezza diffusa nella società contemporanea; nella<br />
grande asimmetria tra il capitale che è sempre più globale e il lavoro e la <strong>politica</strong><br />
che restano legati alla <strong>dimensione</strong> locale. Un lavoratore dipendente è legato alla sua<br />
comunità, la impresa per cui lavora sempre meno; un’amministrazione pubblica è<br />
legata per definizione al servizio del suo territorio, ma gli attori economici forti<br />
con cui si confronta hanno ben diverse e più ampie possibilità di azione. Per loro,<br />
aggiunge Carniti, le realtà locali sono come «campi di aviazione sui quali atterra e<br />
decolla la flotta globale». Perciò la capacità di condizionamento degli attori economici<br />
sull’attività pubblica è molto più forte oggi che in passato. L’incertezza che si<br />
genera, in questo modo, nel sistema dei rapporti tra gli attori dello sviluppo – istituzioni,<br />
lavoratori, imprese – finisce per diffondersi e gravare su un intero sistema,<br />
sia esso nazionale o locale. Anzi, quanto più questa incertezza è accentuata, quanto<br />
più essa si trasforma in precarietà diffusa, tanto più i soggetti del mercato globale<br />
hanno la possibilità di trarre vantaggi per la propria azione. <strong>La</strong> rottura con l’ordine<br />
precedente è in questa situazione inedita e imprevista; una situazione, va aggiunto,<br />
nella quale la precarietà sociale si presenta sempre più come l’elemento costitutivo<br />
del nuovo disordine globale, è decisamente funzionale ad esso.<br />
In questa nuova <strong>dimensione</strong> spazio-temporale, i rapporti diventano occasionali<br />
ed effimeri, i vincoli ed i legami a lungo termine perdono di valore, i vantaggi hanno<br />
senso se vengono colti nell’immediato, le idee hanno valore solo se producono<br />
reddito, tutto diventa transitorio, frammentato, “liquido”. Nel mondo globalizzato<br />
bisogna viaggiare “leggeri”, senza il peso di particolari condizionamenti; bisogna<br />
evitare legami duraturi con i propri beni; bisogna essere mobili e flessibili. Ma ciò<br />
che per le élite globali rappresenta una situazione positiva di vantaggio, per chi sta<br />
alla base <strong>della</strong> piramide sociale di Sennet, è causa di pesanti effetti negativi, tanto<br />
economici quanto esistenziali. Per giunta gli effetti negativi pesano tanto sugli individui<br />
quanto sulle strutture aggreganti <strong>della</strong> società, sulle istituzioni pubbliche e<br />
sull’associazionismo, sulla classe <strong>politica</strong> il cui ruolo finisce per diventare sempre<br />
meno influente e sempre più marginale.<br />
Che fare?<br />
Marco Ricceri<br />
Che fare? Come intervenire? Alcune indicazioni utili, a nostro avviso, possono<br />
venire dai seguenti riferimenti.<br />
Qualità dello sviluppo, capacità progettuale e ricerca dell’identità<br />
– Un primo riferimento lo si può ricavare da una valutazione attenta delle caratteristiche<br />
ed implicazioni del modello interpretativo <strong>della</strong> società contemporanea,<br />
prima definita come società post-industriale, attualmente come società <strong>della</strong> cono-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
117
Marco Ricceri<br />
scenza. Questo modello interpretativo, proposto dal sociologo Daniel Bell e adottato<br />
negli USA fin dagli anni ’70, ha mostrato tutta la sua validità nel corso degli anni.<br />
Esso mette in risalto il valore dei punti di cambiamento strutturale che riguardano: a)<br />
il principio assiale su cui è imperniata una società (traduzione in codice delle conoscenze<br />
teoriche); b) le nuove gerarchie di valori (competizione ed affermazione tra individui<br />
e tra gruppi); c) le prospettive temporali (orientamento al futuro); d) le risorse<br />
strategiche (l’informazione e le conoscenze); e) le modalità di sviluppo (modelli<br />
previsionali, programmazione, progetti); f) i modelli di produzione (arricchimento<br />
dei beni con servizi multipli); g) le tecnologie (tecnologie intellettuali, programmazione<br />
dei calcolatori, nuove tecniche matematiche ed economiche); h) le principali<br />
classi produttive (operai specializzati, tecnici, professionisti, ricercatori, scienziati).<br />
L’affermazione di questo tipo di società post-industriale fa emergere una duplice<br />
esigenza, essenziale per tutti: a) avere una vera capacità di progettazione del futuro<br />
(e la forza di imporlo agli altri, come afferma il sociologo italiano De Masi,<br />
anche se tale imposizione non fa conto delle vittime che provoca); b) ridisegnare la<br />
propria identità personale nel sistema dei rapporti sociali e lavorativi (come costruire<br />
la propria identità lavorativa in un mondo segnato dalla “fine del lavoro”,<br />
secondo Rifkin? e da una “modernità liquida”, secondo Bauman?).<br />
Quando si richiama l’importanza <strong>della</strong> qualità sociale dello sviluppo, si vuole<br />
intendere proprio questo: che le strategie da applicare nel contesto europeo non<br />
dovrebbero limitarsi ad una visione mercantilistica <strong>della</strong> crescita (il predominio di<br />
quella che nel medioevo si chiamava la lex mercatoria) ed al recupero di margini di<br />
efficienza nell’impiego delle risorse umane e materiali del sistema. Ma, operando<br />
un vero salto di qualità, le strategie <strong>della</strong> crescita dovrebbero promuovere un insieme<br />
di interventi coordinati e finalizzati: nell’economia, a correggere le distorsioni<br />
del consumismo di tipo individualista dando nuovo impulso alla produzione dei<br />
beni di consumo pubblici maggiormente legati alla qualità <strong>della</strong> vita (un ambito in<br />
cui le stesse imprese private potrebbero trovare dei nuovi margini di profitto); nel<br />
sociale, a stimolare il recupero di valori etici aggreganti ed a qualificare il patrimonio<br />
culturale e conoscitivo <strong>della</strong> gente.<br />
Tutto ciò per allargare l’area delle persone in grado di esprimere una reale capacità<br />
di progettare il futuro, di costruire un propria identità forte, in grado di reggere<br />
criticamente, alle sfide del cambiamento; quindi di fare in modo che questa capacità<br />
non sia ristretta soltanto alle élite globali, ma sia un’attitudine propria quantomeno<br />
<strong>della</strong> maggioranza <strong>della</strong> gente. È questo tipo di <strong>politica</strong> che consentirebbe<br />
di intervenire sulle vere cause <strong>della</strong> precarietà, incertezza e insicurezza, e, quantomeno,<br />
di correggerne almeno in parte gli effetti.<br />
Stato sociale – Stato di benessere<br />
– Il secondo riferimento importante, per una efficace azione correttiva, riguarda il<br />
modo in cui si dovrebbe attuare la modernizzazione delle politiche sociali, anche al fi-<br />
118<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
ne di assicurare la sostenibilità finanziaria dei relativi servizi, in un periodo di crisi che<br />
pone precisi vincoli ai bilanci pubblici. In questo caso, giustamente molte autorevoli<br />
voci sottolineano il valore <strong>della</strong> distinzione tra Stato sociale e Stato di benessere.<br />
Infatti, con l’espressione Stato sociale si fa riferimento a politiche sociali che, in<br />
senso stretto, intervengono a coprire i rischi principali <strong>della</strong> vita: vecchiaia, malattia,<br />
disoccupazione, incidenti, povertà. Mentre, con l’espressione Stato del benessere si fa<br />
riferimento a politiche che, in senso ben più ampio, intervengono sulla distribuzione<br />
dei redditi, sulla regolazione delle attività di mercato, sulle variabili macroeconomiche<br />
sulle quali incidono, ad esempio, le politiche per l’istruzione, le politiche per la<br />
famiglia, etc. Ancor di più: “Stato del benessere” implica il ricorso a pratiche di partecipazione<br />
attiva alle dinamiche dello sviluppo da parte dei gruppi sociali, attraverso<br />
precise procedure e strumentazioni democratiche, nei luoghi di lavoro e nelle comunità,<br />
l’uso del metodo <strong>della</strong> programmazione degli interventi, il ricorso al “dialogo<br />
sociale” come mezzo di coinvolgimento degli attori dello sviluppo e <strong>della</strong> società civile<br />
nella crescita comune. Insomma, se con lo Stato sociale” siamo sul fronte dei servizi<br />
che aiutano il cittadino a vivere meglio e con maggiore sicurezza e lo sostengono<br />
nei processi di inclusione nelle dinamiche <strong>della</strong> crescita, con lo “Stato del benessere”<br />
siamo invece di fronte ad un modo di concepire e costruire il progresso di una comunità<br />
nei suoi molteplici aspetti di progresso politico, civile, etico, oltre che economico<br />
e sociale; l’essenza di quel modello di sviluppo che è il modello sociale europeo.<br />
Questa è la ragione per cui si afferma che un intervento in materia di disagio<br />
sociale, data la natura multidimensionale del fenomeno, per risultare efficace deve<br />
agire soprattutto sul sistema dello “Stato di benessere”, più che sull’efficienza dei<br />
servizi connessi allo “Stato sociale”.<br />
Spazio politico europeo, spazio culturale europeo, <strong>etica</strong> di sistema<br />
– In sintesi, è richiesto un intervento che operi in prevalenza su quelli che sono<br />
definiti come lo spazio politico, lo spazio culturale, il sistema dei valori etici dell’Europa,<br />
più ancora che sullo spazio economico (l’obbiettivo dell’emancipazione<br />
culturale era già nel trattato di Maastricht del 1992). Il “deficit di europeismo” con<br />
cui la strategia EU 2020 affronta il degrado sociale, sta proprio nelle carenze che si<br />
riscontrano a questo riguardo nella sua impostazione. Purtroppo, permane ancora<br />
forte il contrasto tra le grandi ambizioni e gli obbiettivi dell’Unione e la mancanza<br />
di “modelli e prospettive convincenti” in grado di stimolare un reale coinvolgimento<br />
dei cittadini su una linea condivisa di progresso.<br />
Osservazioni conclusive<br />
Marco Ricceri<br />
«Oggi noi dubitiamo che l’imprenditore ci porti in una terra migliore di quella in<br />
cui siamo. Come strumento è tollerabile, come fine non risponde alle esigenze […] Se<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
119
Marco Ricceri<br />
il progresso economico non contiene un obbiettivo morale, ne consegue che non vale sacrificare<br />
neppure per un momento il vantaggio morale a quello materiale». J.M. Keynes,<br />
1925<br />
<strong>La</strong> riflessione sugli aspetti complessi del disagio e degrado sociale diffuso nel<br />
sistema europeo ci porta al centro delle questioni aperte dai cambiamenti strutturali<br />
causati dai processi <strong>della</strong> globalizzazione e dell’evolversi <strong>della</strong> crisi attuale. Fenomeni<br />
rispetto ai quali le soluzioni prospettate finora dall’Unione risultano deboli<br />
e contraddittorie, se guardiamo al modello sociale europeo codificato nel trattato<br />
di Lisbona e la strategia di sviluppo che tenta di realizzarne gli obbiettivi, dandone<br />
una interpretazione chiaramente riduttiva.<br />
<strong>La</strong> globalizzazione, come sottolinea l’ISRIL, ha rotto, in Europa, diverse situazioni<br />
di equilibrio che sono state per decenni alle base delle sue certezze e del suo<br />
sviluppo, come, ad esempio, l’equilibrio tra regolazioni economiche e regolazioni<br />
sociali; tra valori etici aggreganti, libera iniziativa di mercato, pratiche di partecipazione<br />
democratica nelle istituzioni rappresentative e nella società civile.<br />
Nuovi equilibri<br />
– <strong>La</strong> costruzione di nuovi equilibri, idonei a garantire il recupero di un autentico<br />
progresso civile, richiede: a) di affrontare la questione <strong>etica</strong> nell’economia,<br />
per ancorare i processi anonimi <strong>della</strong> globalizzazione ad un insieme di valori, obbiettivi<br />
e regole a tutela degli interessi generali <strong>della</strong> collettività; b) di ridisegnare i<br />
rapporti tra economia e diritto (a garanzia di comportamenti trasparenti e responsabili),<br />
tra capitalismo e democrazia (a correzione delle attuali disuguaglianze) per<br />
costruire una “governance” in grado di riattivare una cittadinanza attiva e responsabile;<br />
c) di agire in modo coerente al modello di “economia sociale di mercato”,<br />
assunto come riferimento dal trattato europeo, con un progetto che riequilibri il<br />
declino del ruolo dello Stato nazionale e delle organizzazioni sociali di massa, con<br />
la valorizzazione, anche istituzionale, delle esperienze innovative che stanno<br />
emergendo nella società civile, nelle forme dell’”economia associativa” e del “welfare<br />
associativo”.<br />
Nella costruzione di questi nuovi equilibri, che è valutabile in termini non solo<br />
teorici ma anche pratici, si possono trovare alcuni correttivi importanti e validi ai<br />
fenomeni del degrado e <strong>della</strong> precarietà sociale; e la salvaguardia di quel modello<br />
sociale europeo che ha garantito il grande progresso del continente dall’ultimo dopoguerra<br />
ad oggi, è una condizione imprescindibile, anche se la situazione presente<br />
impone un profondo aggiustamento dell’insieme.<br />
120<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Bibliografia<br />
Marco Ricceri<br />
Arne Heise and Hanna Lierse: Budget Consolidation and the European Social Model, F.<br />
Ebert Stiftung, Berlin, 2011<br />
Bauman Zygmunt: Modernità liquida, Ed. <strong>La</strong>terza, Bari 2002<br />
Bianchi Giuseppe: Il lavoro, vaso di coccio, nell’economia globale, Nota ISRIL n.11, Roma 2010<br />
Bianchi Giuseppe: I sistemi di Welfare e la loro sostenibilità nel tempo, Nota ISRIL n.29,<br />
Roma 2010<br />
Bianchi Giuseppe: C’è spazio per un Welfare associativo?, Nota ISRIL n.33, Roma 2010<br />
Bodei Romano: Il futuro condiviso o l’incertezza globale, Lettera Internazionale n.<br />
106,(www.letterainternazionale.it), Milano 2010<br />
Bucchi Massimiano: L’ideologia del presente, Il Sole 24Ore, Milano 20 gennaio 2011<br />
Carniti Pierre: <strong>La</strong>voro e sindacato nell’epoca <strong>della</strong> globalizzazione, in Nota ISRIL n.8, Roma<br />
2011<br />
Cascone Giuseppe: Flessibilità, Precarietà, Imprese Sociali. Variazioni sul tema, Studio ER-<br />
ReSSE, Soc.Coop. Napoli 2010<br />
Cese – Comitato Economico e Sociale Europeo: Parere sulla questione: Bilancio <strong>della</strong> Realtà<br />
<strong>della</strong> società europea, Bruxelles (2007/C 93/ 11)<br />
Cese – Comitato Economico e Sociale Europeo: Parere sulla Proposta: Anno Europeo contro<br />
la Povertà e l’Esclusione Sociale 2010, SOC/302, Bruxelles 29.05.2008<br />
Cese – Comitato Economico e Sociale Europeo: Parere sulla questione: l’integrazione e l’agenda<br />
sociale, SOC/362, Bruxelles 17.12.2010<br />
Commissione Europea: Sull’Agenda sociale, Comunicazione COM(2005) 33 Final,<br />
Bruxelles 9.2.2005<br />
Commissione Europea: Opportunità, accesso e solidarietà: verso una nuova visione per l’Europa<br />
del XXI secolo, Comunicazione COM(2007) 726 Final, Bruxelles 20.11.2007<br />
Commissione Europea: Agenda sociale rinnovata: Opportunità, accesso e solidarietà nell’Europa<br />
del XXI secolo, Comunicazione COM(2008) 412 Final, Bruxelles 2.7.2008<br />
Commissione Europea: EERP –European Economic Recovery Plan, Comunicazione al Consiglio,<br />
Bruxelles 26.11.2008<br />
Commissione Europea – Occupazione in Europa, 2009<br />
Commissione Europea: Proposta al Consiglio. Orientare le politiche degli Stati membri sull’occupazione,<br />
Bruxelles 28.1.2009<br />
Commissione Europea: Oltre il PIL, Comunicazione, COM(2009)433 Final, Bruxelles<br />
20.08.2009<br />
Commissione Europea: <strong>La</strong> crisi dell’occupazione: Situazione, Risposte politiche, Interventichiave.<br />
Documento preparatorio per il Consiglio, EPSCO, Bruxelles 24.11.2009<br />
Commissione Europea, Commission Staff Working Document: Lisbon Strategy Evaluation<br />
Document, Bruxelles 2.2.2010<br />
Commissione Europea: Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e<br />
inclusiva, COM(2010) 2020, Bruxelles 3.3.2010<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
121
Marco Ricceri<br />
Eu Social Protection Committee – Report on the Social Dimension of theGrowth and Jobs<br />
Strategy, Bruxelles 29.09.2009<br />
Eurobarometer: European social expectations in 20 years time, Survey, Interventions.<br />
Preparatory document for the Council, EPSCO, Bruxelles 24.11.2009<br />
Eurostat: The Impact of the Crisis on Employment, Population and Social Condition, n.<br />
79/2009, Bruxelles 2009<br />
Inca-Cgil Europa: Politiche sociali in tempo di crisi, Bruxelles febbraio 2010<br />
Inca-Cgil Europa: Benchmarking Working Europe, Approfondimenti, Bruxelles marzo 2010<br />
Keynes John Maynard: Esortazioni e profezie,(Essays in Persuasion) Il Saggiatore, Milano 1968<br />
Ministero Del <strong>La</strong>voro, Salute, Poltiche Sociali: Libro bianco sul futuro del modello sociale.<br />
<strong>La</strong> vita buona in una società attiva, Roma 2010<br />
Oecd: Venice Action Statement 2008, Venezia 2008<br />
Oecd: Employment Outlook 2009. Tackling the Jobs Crisis, Paris 2009<br />
Oecd: International Migration Outlook 2009, Paris 2009<br />
Paselli Manuela: Flessibilità: luci ed ombre, in Studi Zancan, n. 4, 2003<br />
Ridola Paolo (a cura di): <strong>La</strong> Costituzione europea tra cultura e mercato, Ed. NIS, Roma 1997<br />
Rifkin Jeremy: <strong>La</strong> fine del lavoro, Ed. Baldini & Castoldi, Milano 1998<br />
Sennet Richard: <strong>La</strong> cultura del nuovo capitalismo, Ed. Il Mulino, Bologna 2006<br />
Sennet Richard: L’uomo flessibile, Ed. Feltrinelli, Milano 1999<br />
Viola Filippo: <strong>La</strong> precarietà esistenziale come identità sociale: una operazione ideologica, Ptoteo,<br />
n. 2/ 2008 (www.proteo.rdbcub,it/article=643)<br />
Unione Europea – Il trattato di Lisbona, Bruxelles 2009<br />
122<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Che cos’è l’Europa<br />
1 Cfr. http://europa.eu/about-eu/basic-information/index_it.htm.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
Cos’è l’Europa?<br />
Fabbisogno di una cultura<br />
per l’unità europea<br />
Trattare nello spazio di un breve articolo l’annosa questione<br />
<strong>della</strong> ricerca di un comune patrimonio culturale<br />
per l’Europa e a cui l’Europa possa attingere nel definirsi<br />
tale e unitaria è quanto mai arduo e, per certi versi,<br />
periglioso per le notevoli implicazioni politiche, sociali<br />
ereligiose che essa reca inevitabilmente con sé. Si intende<br />
qui procedere alla maniera questuante del Socrate errante<br />
per le vie d’Atene, intento ad indagare il ti esti, il<br />
“che cos’è” delle cose...<br />
Nel sito web ufficiale dell’UE, alla sezione “Informazioni<br />
di base sull’Unione Europea” si legge: «L’Unione europea<br />
(UE) è un partenariato economico e politico tra 27 paesi,<br />
unico nel suo genere. Da mezzo secolo l’UE è un fattore di pace,<br />
stabilità e prosperità; ha contribuito ad innalzare il tenore di<br />
vita, introdotto una moneta unica europea e sta progressivamente<br />
realizzando un mercato unico nel quale persone, beni,<br />
servizi e capitali possono circolare liberamente come all’interno<br />
di uno stesso paese» 1 . Procedendo, in un click, ai “Simboli<br />
dell’UE”, si trova un elenco, per così dire “anagrafico” delle<br />
generalità d’Europa: la bandiera, in cui «le 12 stelle in cerchio<br />
rappresentano gli ideali di unità, solidarietà e armonia<br />
tra i popoli d’Europa»; l’inno, tratto «dalla Nona sinfonia di<br />
Ludwig van Beethoven, composta nel 1823»; la festa, il9<br />
maggio, in memoria di quel 9 maggio 1950 in cui «gli ideali<br />
dell’Unione Europea sono stati enunciati per la prima volta<br />
[…] dal Ministro degli Esteri francese Robert Schuman»; il<br />
LAURA BALESTRA<br />
Ricercatrice storica<br />
≈<br />
«[…]I nostri Stati<br />
europei sono una<br />
realtà storica.<br />
Sarebbe<br />
impossibile farli<br />
sparire. <strong>La</strong> loro<br />
diversità, poi, è<br />
una fortuna e non<br />
vogliamo né<br />
livellarli né<br />
renderli uguali<br />
[…]. Tutti i Paesi<br />
europei sono stati<br />
impregnati dalla<br />
civiltà cristiana. E’<br />
questa l’anima<br />
dell’Europa che<br />
occorre far<br />
rivivere».<br />
≈<br />
123
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
motto “Uniti nella diversità”, che in latino suona In varietate concordia ed è stato<br />
scelto «ad indicare come, attraverso l’UE, gli europei siano riusciti ad operare insieme<br />
a favore <strong>della</strong> pace e <strong>della</strong> prosperità, mantenendo al tempo stesso la ricchezza<br />
delle diverse culture, tradizioni e lingue del continente» 2 .<br />
Le informazioni di base, in genere, dovrebbero affrescare un quadro d’insieme<br />
esaustivo, eppure lasciano, in questo caso, un eventuale indagatore non del tutto<br />
soddisfatto. Il profilo d’Europa che emerge trae davvero la propria natura nei<br />
tratti caratteristici di partenariato, economia, <strong>politica</strong>, bandiera, inno, festa e motto?<br />
Si brancola, pare, nell’alveo dell’indistinzione e verrebbe spontaneo ribadire<br />
l’interrogativo iniziale: ma cos’è l’Europa? Qual è la sua essenza profonda, unitaria,<br />
identitaria che la rende tale e distinguibile da altro? Forse la natura delle istituzioni<br />
operanti in nome d’Europa saranno maggiormente illuminanti: «L’Unione europea<br />
(UE) non è una federazione come gli Stati Uniti.<br />
Non si tratta nemmeno di un’organizzazione per la cooperazione tra i governi,<br />
come le Nazioni Unite. È, infatti, un organismo unico nel suo genere. I paesi che<br />
costituiscono l’UE (gli “Stati membri”) conservano la propria natura di Stati sovrani<br />
indipendenti, ma uniscono le loro sovranità per guadagnare una forza e un’influenza<br />
mondiale che nessuno di essi potrebbe acquisire da solo. Nella pratica,<br />
mettere insieme le sovranità significa che gli Stati membri delegano alcuni dei loro<br />
poteri decisionali alle istituzioni comuni da loro stessi create in modo che le decisioni<br />
su questioni specifiche di interesse comune possano essere prese democraticamente<br />
a livello europeo» 3 .<br />
Europa, “tempio senza santuario”<br />
Unorganismo unico nel suo genere, est<strong>etica</strong>mente definito, parrebbe, nelle<br />
sue direttrici essenziali, sebbene nessuna delle definizioni finora proposte ne definisca<br />
l’essenza. L’Europa si staglia sovrana, ma come un «tempio senza santuario» 4 ,<br />
privo del quid sacrale che d’ogni templum è essenziale fondamento. Sappiamo che<br />
l’Europa accentra in sé un’unione di 27 Paesi, è aperta a nuove candidature di adesione<br />
a divenire Stati membri, è fondata su un sistema economico e commerciale,<br />
la cui stabilità sta ultimamente vacillando, è <strong>politica</strong>mente democratica, ma non è<br />
una federazione di Stati come gli USA né un’organizzazione per la cooperazione tra<br />
governi come le Nazioni Unite, ebbene, si è in presenza di un’elencazione piuttosto<br />
sterile di ciò che l’Europa è e di una altrettanto inefficace definizione di ciò che essa<br />
2 Cfr. http://europa.eu/about-eu/basic-information/symbols/index_it.htm.<br />
3 Cfr. http://europa.eu/about-eu/institutions-bodies/index_it.htm.<br />
4 Cfr. G.F.W. Hegel, Scienza <strong>della</strong> logica, tr. it. di A. Moni con revisione di C. Cesa, 2 voll., <strong>La</strong>terza,<br />
Roma-Bari 1974 3 ,vol.I,p.4.<br />
124<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
non è. Essere o non essere: questo è, da sempre, stato il problema! Giungere a stabilire<br />
ciò che si è o non si è mediante la differenza per oppositionem, alteritaria rispetto<br />
ad un altro Sé identitario, può costituire un buon punto di partenza per<br />
comprendersi e comprendere l’Altro, nella cui di-versità iniziale si potrà certo riscontrare<br />
una primaria av-versità, tuttavia ricomponibile entro l’idea di diversità<br />
intesa come essenza positiva e non in-essenza oppositiva, ma in queste definizioni<br />
date si assiste ad una sorta di punto d’arrivo senza meta statuita. L’Europa sa ciò<br />
che non è, ha una vaga percezione generica di ciò che è e su basi esteriori identifica<br />
se stessa, ma in interiore cos’è l’Europa? Qual è la verità che in essa alberga, se esiste?<br />
Qual è il suo spirito? Quali sono le sue radici culturali? Qual è il senso dell’Europa?<br />
<strong>La</strong> domanda sul senso ultimo e necessario delle cose emerge e s’impone solo<br />
quando le cose in questione paiono perderlo.<br />
L’Europa sembra aver raggiunto il proprio tramonto critico prima ancora, forse,<br />
di esser nata alle sue origini. Ricercare l’esse proprio dell’Europa, prescinde dal suo<br />
agire esteriore, che non la qualifica, né la definisce in quanto tale. <strong>La</strong> ricerca d’essenza,<br />
la tedesca Wesensforschung, è il metodo che conduce sulla via predicativa delle cose:<br />
il predicato ontologico primo dell’Europa, <strong>della</strong> sua idea e cultura in quale elemento<br />
può essere rintracciato? Arrischiare una risposta è tanto complesso quanto affascinante<br />
e di certo, ciò che di rilevante si ricava dalle definizioni del Trattato di Lisbona<br />
5 , non è sufficiente a stabilire il ti esti europeo: «mai in nessun luogo i semplici<br />
trattati hanno creato una comunità, al massimo essi la esprimono» 6 .<br />
<strong>La</strong> concezione che l’Europa attuale ha di se stessa non può essere risolta in e da<br />
un trattato ed è paragonabile, in ciò, alla Gesellschaft del sociologo Ferdinand Tönnies,<br />
una società che unisce senz’anima, una panoplia senz’uomo, senza valori né<br />
radici e, stando così le cose, appare più che chimerica l’utopia d’unire i popoli<br />
d’Europa sotto un unico blasone, in una concorde Gemeinschaft, comunità di valori<br />
condivisi, «unità nel differente» 7 : ideale immagine che l’Europa vorrebbe, dovrebbe<br />
avere di sé. Scrive Tönnies: «[…] mentre nella comunità [Gemeinschaft] (gli individui)<br />
restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società<br />
[Gesellschaft] restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono» 8 .<br />
Ed è quest’ultima affermazione a rappresentare specificamente, oggi, l’Europa,<br />
la Gesellschaft europea, un arcipelago senza mare che unisca isole sorelle, una<br />
sovra-nazione associante più nazioni in qualità di sovrano organo collettivo. Ma, se<br />
5 Cfr. http://europa.eu/lisbon_treaty/faq/index_it.htm#19 «[…] il trattato di Lisbona è un trattato<br />
internazionale approvato e ratificato da Stati membri sovrani che convengono di mettere in comune parte<br />
<strong>della</strong> loro sovranità in una collaborazione sopranazionale».<br />
6 Cfr. M. Scheler, L’eterno nell’uomo, tr. it. a cura di U. Pellegrino, Fratelli Fabbri Editori, Milano<br />
1972.<br />
7 F. Tönnies, Comunità e Società, tr. it. G. Giordano, M. Ricciardi (a cura di), <strong>La</strong>terza, Roma-Bari<br />
2011, p. 61.<br />
8 Ibid., passim.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
125
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
proprio la sovranazionalità, l’«Übernationalität Europa» 9 di Husserl divenisse più<br />
di un mero legante economico-politico, edificandosi come trascendentale condizione<br />
possibilitante la cooperazione attiva fra nazioni culturalmente e valorialmente<br />
identiche, pur nella loro diversità? Il principio da cui avviare l’indagine, vòlta a<br />
definire le linee direttrici di “una cultura armonica per l’Europa unita”, si orienta<br />
lungo la via dell’incessante dinamica fra unità e pluralità 10 ,ilmethodos d’Europa,<br />
ed è in tale dialettica tensionale che, seppur nell’apparente aposiopesi valoriale, anche<br />
l’Europa in fieri ha stabilito il proprio signum: «in varietate concordia», illogos<br />
del molteplice 11 .<br />
Ethos e telos: chi siamo e dove andiamo?<br />
È possibile comprendere l’Europa a partire dall’Europa stessa? Esiste una nazione,<br />
un evento o momento storico particolare che, solo, ne possa decretare la caratteristica<br />
precipua? Atene, Roma, Gerusalemme, Medioevo, Umanesimo, Rinascimento,<br />
Riforma e Controriforma, Poitiers (732 d.C.), Lepanto, Illuminismo,<br />
Rivoluzione francese, Cristianesimo, <strong>La</strong>icità, Relativismo, Nichilismo? Ogni visione<br />
parziale non renderà mai l’idea dell’universale e il tessuto culturale d’Europa è<br />
polidentitario, un unicum, ma riconducibile ai molti, non all’uno. L’atto di definizione<br />
del Sé identitario non può prescindere da tre domande fondamentali: Da dove<br />
veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Il rimando all’arte pittorica di Gauguin è<br />
intuitivo ed immediato, ma non si tratta, in questa sede, di figurare l’allegoria narrativa<br />
dell’uomo, bensì il tentativo è rivolto a statuire il carattere e il fine dell’“essere<br />
europei”. Esiste un ethos europeo, una comune “coscienza unitaria” fra le<br />
nazioni d’Europa? Esiste una mistica culla, una mater trascendente, una natio spirituale<br />
che educhi e allevi gli orfani figli d’Europa? Scrisse Husserl che «l’Europa spirituale<br />
ha un luogo di nascita in una nazione. Questa nazione è l’antica Grecia del<br />
VII e del VI secolo a.C.» 12 . I Greci, inventori <strong>della</strong> filosofia e signori del logos, che<br />
tutti gli uomini affratella in un comune afflato razionale: il pensiero, la «scoperta<br />
dello spirito» 13 .<br />
Nell’afferrare il proprio carattere, l’Europa lo scopre essere di greca natura,<br />
fondato sulla Ragione, una ragione critica, che ha come proprio fine l’essere uma-<br />
9 E. Husserl, <strong>La</strong> crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. di E. Filippini, Il<br />
Saggiatore, Milano 1961, pp. 56 ss.<br />
10 Cfr. J. Ortega y Grasset, <strong>La</strong> società europea,inStoria e sociologia, tr. it. a cura di L. Infantino, Liguori,<br />
Napoli 1983, p. 265.<br />
11 Cfr. M. Cacciari, L’Arcipelago, Adelphi, Milano 1997, pp. 18-19.<br />
12 Cfr. E. Husserl, op. cit., pp. 56-57.<br />
13 Cfr. B. Snell, <strong>La</strong> cultura greca e le origini del pensiero europeo, Einaudi, Torino 2002 2 , passim.<br />
126<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
no. Il nome, il mito stesso di Europa intraprende la via, l’odos che si fa methodos,da<br />
Oriente a Occidente, nel rapimento di una fanciulla fenicia sedotta dal padre degli<br />
dei, condotta per mezzo del mare al di là del mare stesso e la sua indole, all’apparire,<br />
si mostra già connessa e distinta da Asia, sorella d’essa dalla medesima origine<br />
(genos tautos). Nella letteratura e nella storiografia greche, Europa ed Asia sono kasignèta<br />
14 , sorelle di sangue dall’unica e identica genesi e memoria, dove l’essere di<br />
ciascuna si dà identità nel differire dall’altra. Cavalle oniriche dall’impeto diverso,<br />
allegoria dell’ethos proprio di ognuna, che sconvolge i sogni di regine antiche, persiane,<br />
visionarie per simboli delle due potenze reali 15 . Nell’armonica dissonanza,<br />
l’interrogazione sul Sé e sull’Altro aggioga le distinzioni senza escluderle, ma comprendendole,<br />
gettando il pròblema del reciproco-distinto Essere nella superiore<br />
unità del Logos, il quale «altro non potrà significare che l’originaria comunanza del<br />
differire: l’esser-uno del molteplice proprio in forza delle differenze tra le sue singolarità»<br />
16 .<br />
Così come la Grecia scoprì la sua libertà nel separarsi e opporsi alla douleia<br />
orientale, conquistando la fiaccola teor<strong>etica</strong> alla ragione dell’uomo, così il Cristianesimo<br />
trovò se stesso, nella sua <strong>dimensione</strong> universale, nell’innesto e successiva<br />
differenziazione dal giudaismo e dalla “follia” pagana, divenendo skandalon esso<br />
stesso, confine limitante e limitato, nella pars occidentale, dall’Islam; i Lumi s’accesero<br />
in contrasto alle tenebre medievali, che pure ebbero ragione e ragioni per essere<br />
ciò che furono e la francese libertà fraterna dell’uguaglianza capì se stessa assaltando<br />
la roccaforte avversa dei privilegi anti-libertari.<br />
Il cantiere Europa<br />
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
L’Europa è un «cantiere tumultuoso e disordinato» 17 , secondo la definizione<br />
di Edgar Morin, la cui cultura sussiste, vitale, in conflitti e opposizioni, crisi e decadenze,<br />
vortici di interazioni che uniscono e separano, opponendo in tensione costante<br />
philia ed echtria, capace anche, in virtù del Cristianesimo, di ricomporle in<br />
philoxenia o agape ton echtron (Mt 5, 44). <strong>La</strong> dinamica dei discordi plurali è al cen-<br />
14 Eschilo, Persiani, 185-186.<br />
15 Cfr. Ibid., 176-200. Il riferimento è al noto sogno <strong>della</strong> regina persiana Atossa, contenuto nella<br />
tragedia eschilea, I Persiani. <strong>La</strong> madre del Gran Re Serse sogna, una notte, mentre il figlio è in spedizione<br />
contro i Greci, due donne ben vestite, adorne l’una di pepli persiani, l’altra di dorici, belle, sorelle<br />
e appartenenti alla stessa stirpe. Entrambe sorte a contesa, spronano Serse ad aggiogarle, come cavalle,<br />
al proprio cocchio. Asia, simbolo di servitù e dispotismo, pone docile le redini nella bocca, Europa,<br />
allegoria <strong>della</strong> libertà, si divincola spezzando il giogo nel mezzo. Le due sorelle di sangue si separano<br />
dalla cooriginaria stirpe per divenire ciascuna se stessa nell’esser l’opposto dell’altra.<br />
16 M. Cacciari, Geofilosofia dell’Europa, Adelphi, Milano 2008 4 , p. 25.<br />
17 E. Morin, Pensare l’Europa, Feltrinelli, Milano 1988, p. 97.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
127
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
tro del suo genio logico e dialogico, che la rende incessantemente «produttrice/prodotto»<br />
di istanze meticce, mutevoli, di-verse/av-verse, ricche e complesse, affascinanti<br />
quanto ostili, inquietanti e pur tuttavia necessarie nel loro essere ospiti<br />
feconde. Il logos che le percorre da una parte all’altra le sublima nell’unicum che è<br />
fondamento analogico delle diversità stesse. Il logos-dialogos d’Europa è un logos polemikos<br />
18 , spazio di mediazione mnestico fra istanze opposte che, nella vicendevole<br />
differenza, si uniscono fraterne: è questo l’ethos d’Europa, teso ad un intento che,<br />
dall’alba ellenica, dall’uomo antico all’uomo nuovo, per mezzo d‘un Impero e d’una<br />
croce, approda a fine ultimo.<br />
Iltelos verso cui l’Europa persegue quell’incessante anelito all’essenza di sé<br />
transita per il medium del logos. Il fine verso cui tende ed è stata chiamata a tendere<br />
l’idea di Europa, la dinamica polisensa dell’Uninone Europea, dopo l’evento storico<br />
del Cristianesimo, è la bifronte natura dell’essere umano: l’uomo e la donna, la<br />
persona. Telos è Persona, nell’idea d’Europa, e nessun tessuto semantico, nella storia<br />
d’Oriente e d’Occidente, ha riconosciuto un valore tanto elevato alla persona, come<br />
l’alveo fecondo di quella fede che, del logos incarnato, del Dio comunicatosi<br />
Persona fece emblema dell’esistente e del futuro.<br />
L’entelechia d’Europa si volge in una direzione, de dignitate hominis, ma non<br />
intesa solo alla maniera dell’Umanesimo, che nel suo antropocentrismo, tutto intento<br />
a far dell’uomo il protagoreo metron d’ogni cosa, lo mutò in sapiens, faber senza<br />
Dio, artefice di se stesso, fondamento d’una nuova religione, tutta umana, dell’uomo,<br />
per l’uomo e sull’uomo. <strong>La</strong> dignità da recuperare, dopo il crollo dell’Umanesimo<br />
laico, è la dignitas originaria del Cristianesimo che, a dispetto di Atene o Roma,<br />
di Parigi o Philadelphia, riconobbe tutti fratelli senza distinzione alcuna di razza<br />
o genere, senza esigenza di recriminazioni o contro-dichiarazioni di diritti 19 ,come<br />
proclamò, in tempi lontani eppur sempre vicini, quell’antico persecutore divenuto<br />
apostolo delle genti: «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero;<br />
non c’è più né uomo né donna, poiché tutti (sono) uno in Cristo» 20 . Questa fu la<br />
grande rivoluzione del Cristianesimo, i cui principi andrebbero ricompresi e recepiti<br />
ancora oggi, senza timori, dettati da una memoria volontariamente immemore<br />
del proprio passato, nell’affaccendarsi a risultare il meno possibile invisa a tutti. Decidere<br />
d’essere nessuno per lasciar che ognuno sia libero di vederci come meglio crede<br />
equivale a non esistere, a non essere. Negare il proprio passato è negare se stessi.<br />
18 M. Cacciari, Geofilosofia…, cit., passim.<br />
19 Il riferimento è alle culture greco-latine che non riconobbero valore di persona umana alla classe<br />
dei servi e, spesso, riservavano alla donna un ruolo subordinato rispetto all’uomo. Così, in tempi moderni,<br />
nel 1776 in America e nel 1789 a Parigi, il valore <strong>della</strong> donna fu nuovamente vittima di un silenzio<br />
scarsamente lungimirante, che diede vita a polemiche o contro-dichiarazioni di diritti e valori, come<br />
la “Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne”, redatta dalla scrittrice francese Olympe de Gouges,<br />
nel 1791, in risposta alla più nota “Déclaration des droits de l’homme et du citoyen” del 1789.<br />
20 San Paolo, Gal 3, 28.<br />
128<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
L’Europa, soprattutto dopo la caduta del Muro di Berlino, limes fra Est ed<br />
Ovest, che ha ridisegnato i confini geografici e storico-spirituali di quest’unione<br />
ancora pienamente da raggiungere, necessita di una identità, da far maturare negli<br />
anni a venire in frutti sempre nuovi, ma a partire da una salda radice, la quale, tuttavia,<br />
costretta, vive nascosta in rinnegamento costante, sospesa in attesa, al fin di<br />
tutti servire senza a nulla, effettivamente, in tale modo, servire.<br />
Gigante dai piedi d’argilla<br />
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
Leggevo recentemente di un’intervista al filosofo Remo Bodei circa il destino<br />
dell’Europa in preda all’oblio di se stessa, ebbene, le vie che Bodei ravvisa e suggerisce<br />
affinché questo «[…] gigante dai piedi d’argilla, formato da ventisette Paesi con<br />
storie tutte diverse, in un’estensione che va dalle Azzorre a Cipro, dal Circolo polare artico<br />
a Malta» ritrovi se stesso sono: «una costituzione <strong>politica</strong> omogenea con rappresentanti<br />
credibili e la precisa volontà di puntare sulla ricerca, investendo in innovazione<br />
e tecnologia» 21 .<br />
Benché condivisibili, le vie prospettate dal filosofo sembrerebbero, a mio modesto<br />
parere, non primarie alla determinazione del gnothi seauton europeo. Un uomo<br />
senza memoria <strong>della</strong> propria identità, seppur amministrato da un buon governo<br />
e proteso egli stesso individualmente o in <strong>dimensione</strong> collettiva verso l’innovazione<br />
e la ricerca, sarebbe pur sempre un uomo abissale, precario, incapace di dar<br />
voce alla questione fondamentale: chi sono? Avere una buona <strong>politica</strong>, avere uno<br />
sviluppo tecnologico innovativo è ben lungi dall’Essere e l’Europa esige primariamente<br />
un’onto-logia e, in via susseguente, una tecno-logia, o, se vogliamo, essa necessita<br />
di un senso, una <strong>dimensione</strong> memoriale entro cui disporre attivamente le<br />
technai funzionali al mantenimento <strong>della</strong> propria originaria armonia che è logos e<br />
polemos, articolazione dialettico-teor<strong>etica</strong> questuante l’essenza.<br />
Politica e scienza vi contribuiscono in maniera secondaria, se non come declinazioni<br />
di ciò che è da principio l’esse proprium d’Europa: il logos. Logos è il luogo<br />
del cum-sensus edellegein, il raccogliere il molteplice in unità, esso è parola relazionale<br />
che, da una parte all’altra (dia), si fa dia-logos, partecipazione, condivisione<br />
con l’altro di ciò che propriamente è nostro (unicum), relazione con altre unicità,<br />
eccezionali, diverse dalla nostra e da altre ancora, tra loro irripetibili e discordi, impareggiabili<br />
ed uniche ugualmente. L’Europa è armonia di unica non sopprimibili<br />
né riducibili ad Unum, essa non ha profilo storico o geografico teor<strong>etica</strong>mente limitato,<br />
cum-prehensibilis, manifesta piuttosto una facies liquida come il Mare di<br />
21 Tratto dall’intervista a Remo Bodei “Europa. Il pericolo ci salverà” (a cura di Rita Sala), in Il<br />
Messaggero, 13 agosto 2011, p. 19.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
129
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
mezzo dalla «legge rischiosa, vasto e diverso e insieme fisso» 22 , che intesse le trame<br />
delle sue terre e civiltà, dalla terra dell’alba a quella del tramonto, e fonda la propria<br />
identità su presupposti spirituali comuni, edificantisi, come cripte vetuste innalzate<br />
in moderne cattedrali, sopra l’antica-attuale dialettica socratica e la visione (theoria)<br />
ideale platonica, frammiste ad un’evoluzione valoriale di matrice cristiana, diretta<br />
ad un fine supremo e maggiore: l’humanitas, la dignità dell’essere umano.<br />
Idea dialettica, dialettica tragica, visione agonale e polemica, tragedia spiritualmente<br />
irrisolta, che, nel viaggio dall’antico al nuovo, trova pace nell’estatica<br />
commedia dell’Amor dantesco. L’humanitas, in tal senso, diviene il comune orizzonte<br />
valoriale verso l’acquisizione di una cultura condivisa, obiettivo, peraltro, in<br />
principio avocato dai Padri fondatori d’Europa, che fossero stati essi cattolici o<br />
agnostici, democratici cristiani o socialisti 23 , come ricordò Giovanni Paolo II nel<br />
discorso all’UNESCO del 2 giugno 1980: «<strong>La</strong> cultura è un modo specifico dell’“esistere”<br />
e dell’“essere” dell’uomo. […] <strong>La</strong> cultura è ciò per cui l’uomo in quanto uomo<br />
diventa più uomo, “è” di più, accede di più all’“essere”. È qui anche che si fonda la distinzione<br />
capitale fra ciò che l’uomo è e ciò che egli ha, fra l’essere e l’avere» 24 .<br />
Dialettica tragica: le matrici culturali d’Europa<br />
Husserl identificava la crisi culturale dell’umanità europea nell’allontanamento<br />
dalle proprie radici culturali e dalla propria origine storica, ravvisando un<br />
esempio rivoluzionario di rinascita connettiva alle origini, in prospettiva filosofica,<br />
nel Rinascimento: «l’umanità europea attua durante il Rinascimento un rivolgimento<br />
rivoluzionario. Essa si rivolge contro i suoi precedenti modi di esistenza, quelli medievali,<br />
li svaluta ed esige di plasmare se stessa in piena libertà. Essa riscopre nell’umanità<br />
antica un modello esemplare.[…]Che cosa considera essenziale nell’uomo antico? […]<br />
Nient’altro che la forma “filosofica” dell’esistenza: la capacità di dare liberamente a se<br />
stesso, a tutta la propria vita, regole fondate sulla pura ragione, tratte dalla filosofia» 25 .<br />
<strong>La</strong> filosofia nella sua forma classica, greca, la scienza <strong>della</strong> totalità delle cose, la cura<br />
del sapere evidente ed innegabile, costituisce il sostrato fondativo <strong>della</strong> cultura occidentale.<br />
22 Cfr. E. Montale, Mediterraneo (II), da Ossi di Seppia.<br />
23 Cfr. Bernard Ardura, Robert Schuman, «Il padre dell’Europa», inI padri dell’Europa. Alle radici<br />
dell’unione europea. Atti <strong>della</strong> Tavola Rotonda (Città del Vaticano, Domus Sanctae Marthae, 14 maggio<br />
2010), LEV, Città del Vaticano 2010, p. 31.<br />
24 Giovanni Paolo II, Allocuzione all’UNESCO – Parigi, 2 giugno 1980, in Pontificio Consiglio<br />
<strong>della</strong> Cultura, Fede e Cultura. Antologia di testi del Magistero Pontificio da Leone XIII a Giovanni Paolo<br />
II, Città del Vaticano 2003, p. 593.<br />
25 E. Husserl, <strong>La</strong> crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. di E. Filippini, il<br />
Saggiatore, Milano 1961, p. 37.<br />
130<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
L’Europa non ha una cultura che essa possa definire propria, in ragione del<br />
fatto che il nome stesso di Europa è sinonimo di cultura, una cultura eclettica, formatasi<br />
in una particolare <strong>dimensione</strong> di Alterità, nell’incontro con l’Altro, nella<br />
consapevolezza del suo irriducibile valore 26 .L’esse proprium e unicum d’Europa dipende<br />
e comprende la sua radice essere intessuta per aggregazione alteritaria del<br />
molteplice e, come tale, appartenente ad Altro: in ciò risiede il paradosso europeo.<br />
«<strong>La</strong> questione dell’identità culturale d’Europa non può essere posta in modo indipendente:<br />
è indissolubilmente legata alla questione del rapporto dell’Europa con le altre<br />
civiltà, precedenti e/o esterne a essa. Per l’Europa, il rapporto con se stessa passa attraverso<br />
il rapporto con l’altro» 27 . <strong>La</strong> considerazione qui espressa da Rémi Brague, filosofo<br />
francese, autore dell’opera “<strong>La</strong> voie romaine”, tradotta in Italia, in maniera forse<br />
più efficace ed esplicativa del tema trattato, con il titolo “Il futuro dell’Occidente.<br />
Nel modello romano la salvezza dell’Europa”, induce a riflessioni più ampie e complesse<br />
circa l’inchiesta sulle matrici culturali d’Europa.<br />
Le vie identitarie di una cultura<br />
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
Se di identità si possa validamente parlare, in sede europea, ma in prospettiva<br />
dinamica e alteritaria, sarebbe lecito rinvenire le vie identitarie di una cultura così<br />
varia in tre direttrici interpretative: la Secondarietà romano-cristiana, l’Universalità,<br />
la Stranieritudine?<br />
Tema caro a Rémi Brague e al card. Angelo Scola, la “Secondarietà” definisce la<br />
capacità propria di Roma e, in via successiva, <strong>della</strong> Chiesa di riconoscersi seconde,<br />
secondarie rispetto ad una cultura precedente ritenuta portatrice di valori non da<br />
rinnegare, per rifondarne in toto di nuovi, ma da accogliere, comprendere, mediare<br />
e ridiffondere, riversandoli nell’alveo <strong>della</strong> propria cultura o di una cultura altra con<br />
la quale si entri in contatto; essa appare come una via o, nel caso di Roma, come un<br />
acquedotto, teso tra ciò che è a monte e ciò che è a valle, una sorta di attitudine all’acculturazione<br />
in <strong>dimensione</strong> alteritaria, in una dinamica continua di acquisizione<br />
e trasmissione. Tale “atteggiamento secondario” non sarebbe, peraltro, prerogativa<br />
esclusiva <strong>della</strong> Romanità e <strong>della</strong> Cristianità, ma apparterrebbe anche ad altre compagini<br />
culturali, quali la cultura araba, ad esempio, la quale ha contribuito a conservare<br />
il patrimonio intellettuale di tradizioni altre e diverse dalla propria, attraverso<br />
l’opera imponente dei suoi traduttori, nella consapevolezza che la Verità sia universale,<br />
non confinabile e acquisibile da chiunque essa provenga, benché estraneo.<br />
26 Cfr. A. Scola (card.), Una nuova laicità. Temi per una società plurale, Marsilio, Venezia 2007, p.<br />
54 ss. 27 R. Brague, Europe, la voie romaine, Criterion, Paris 1992, tr. it. a cura di A. Soldati, Il futuro<br />
dell’Occidente. Nel modello romano la salvezza dell’Europa, Rusconi Libri, Milano 1998, p. 149.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
131
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
<strong>La</strong> Secondarietà, dunque, è apertura all’Universale e all’Altro.<br />
L’Universalità o “cattolicità”, infatti, intesa nel suo etimo greco riconducibile all’aggettivo<br />
katholikos (universale), manifesta la facies propria <strong>della</strong> Romanità – così<br />
come ribadito anche dall’illustre studiosa del mondo greco-romano, Marta Sordi, in<br />
più occasioni 28 – prima ancora di connettersi ad una visione confessionale cristiana<br />
o anche islamica. In fondo così come Roma, da Augusto in poi, aveva considerato se<br />
stessa mandataria di una missione provvidenziale e universale nei confronti dell’ecumene<br />
soggiacente al suo Impero, così anche la Chiesa o l’Islam, quest’ultimo nelle<br />
sue pretese universalistiche aspiranti a creare il dār-al-Islām, rientrano in tale specifica<br />
idea di universalità 29 , direttamente legata o dia-logata, alla cosiddetta “stranieritudine”<br />
o <strong>dimensione</strong> alteritaria, itinerante dell’umanità europea. Il contatto con lo<br />
straniero è un archetipo originario nella storia dell’umanità. Nel mondo antico lo<br />
xenos, rappresentava l’Altro nel cui volto riconoscere se stessi o l’Altro inteso in senso<br />
ostile come hostis, nemico, il cui potenziale eversivo ed av-verso andava stemperato<br />
fino a mutarne l’iniziale hostilitas in hospitalitas, cerimoniale posto sotto gli auspici<br />
del divino, atto a rivestire lo straniero di un’aura sacrale, rendendolo hospes o philos,<br />
amico. Comportarsi da nemico dello straniero, echtroxenos, era considerato dagli<br />
antichi una grave colpa, così come si legge nelle tragedie di Eschilo o Euripide. E,<br />
allo stesso modo, passando dalla letteratura greca a quella neotestamentaria, si ritrova<br />
il tema dello straniero e dell’ospitalità nelle parole pronunciate da Cristo nel Vangelo<br />
di Matteo 25,35: «ero xenos/hospes e mi avete accolto» o nel paradossale precetto<br />
<strong>della</strong> montagna che invita ad amare i propri echtroi (nemici). Tale dialettica tragica<br />
degli opposti costituisce la base dell’identità europea e il suo paradoxon, il prodigio<br />
straordinario, il principio contrario all’opinione comune.<br />
Identità e radici<br />
IlCristianesimo, a partire dal quale l’Europa è chiamata, da più parti, a ripensare<br />
le proprie radici, rappresenta forse la novitas di un annuncio che invita a riscoprire<br />
la propria radice come indefinito s-radicamento di Sé, infinita tensione e<br />
apertura verso l’Altro, accogliendolo, ospitandolo in sé come fosse proprio. Optare<br />
per una scelta identitaria in senso forte, in Europa, darebbe origine ad un’opposizione<br />
liminare tra ciò che è europeo e ciò che non lo è, distinguendo nell’Altro il<br />
nemico da rifiutare e combattere perché estraneo, diverso, avverso. Solo concependo<br />
l’identità come non-identità, la radice come s-radicamento o indefinito rinnovamento<br />
<strong>della</strong> radice stessa, l’Europa potrà dirsi cristiana, nella misura in cui accoglierà<br />
l’Altro e sarà capace di amare il proprio nemico, lasciandolo sussistere come<br />
132<br />
28 Cfr. Intervista di M. Blondet a Marta Sordi, Avvenire (30 ottobre 2004).<br />
29 M. Cacciari, <strong>La</strong> città, Pazzini, Rimini 2009 4 , passim.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
tale, tendendogli la mano. L’armonia europea nasce proprio da questa dialettica tra<br />
identità-alterità, tra polemos e dialogos.<br />
Il dialogo è la <strong>dimensione</strong> razionale/relazionale propria <strong>della</strong> cultura europea e,<br />
come ha sostenuto il sociologo francese Edgar Morin in Pensare l’Europa: «Il genio<br />
europeo non consiste solo nella pluralità e nel cambiamento, ma anche nel dialogo<br />
tra le pluralità che produce il cambiamento».<br />
Il vero valore d’Europa non risiede nell’uguaglianza ma nella disuguaglianza,<br />
nel binomio tragico-dialettico uno-molti, io-tu, nosce te ipsum et alium per alium.<br />
In tale contesto, prosegue Morin, «ciò che fa l’unità <strong>della</strong> cultura europea non<br />
è la sintesi giudeo-cristiana-greco-romana, è il gioco non solo complementare ma<br />
anche concorrenziale e antagonistico tra queste istanze, ciascuna delle quali ha la<br />
sua logica: si tratta, appunto, <strong>della</strong> loro dialogica» 30 . L’identità europea passa attraverso<br />
un ripensamento di sé come “non-identità”, attuabile mediante una ricomprensione<br />
delle sue intuizioni ed esperienze originarie, molteplici e plurali, uni-distinte.<br />
<strong>La</strong> patria Europa è un’Europa delle patrie e alla sua «laboriosa creazione» attesero<br />
demiurghi dall’eminente spessore politico, culturale, morale.<br />
I Patres d’Europa e il Cristianesimo<br />
È forse anacronistico e singolare designare con l’antico titolo senatorio romano<br />
di “patres”, gli ispiratori ideali e fattivi dello spirito unitario europeo? Schuman,<br />
De Gasperi, Adenauer, Monnet, Dante: il “Senato d’Europa”. Senza nulla togliere<br />
alle riflessioni e agli sforzi attivi per l’unità d’Europa compiuti da Carlo Sforza e<br />
Altiero Spinelli, ciò che qui preme discutere è la relazione tra Europa e Cristianesimo<br />
a livello storico e politico, verificando la liceità e velleità ecclesiastiche nel tenace,<br />
riecheggiante richiamo alle radici cristiane e, in tal senso, Schuman, Adenauer,<br />
De Gasperi e Monnet, politici e cristiani, considerati, con altri, padri fondatori<br />
dell’Europa, rappresentano una “quinta compagnia” ad hoc in merito alla questione<br />
da analizzare. Si aggiunge, infatti, quinto, a coronamento ideale dei tempi e d’azione<br />
dei patres moderni, Dante Alighieri, concittadino, con essi, in spirito, dell’universale<br />
patria Europa. Il Cristianesimo e il richiamo ad esso come fulcro radicale<br />
<strong>della</strong> poliforme identità europea, ha sollevato e continua a sollevare polemiche rilevanti<br />
e, il “laicissimo” art. 1-bis del Preambolo dell’UE ne rappresenta l’icastica<br />
evidenza: «L’Unione si fonda sui valori del rispetto <strong>della</strong> dignità umana, <strong>della</strong> libertà,<br />
<strong>della</strong> democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani,<br />
compresi i diritti appartenenti ad una minoranza. Questi valori sono comuni agli<br />
Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione,<br />
dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».<br />
30 E. Morin, Pensare l’Europa, cit., p. 24.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
133
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
Ad esso va a complemento annotata l’“ispirazione” generale dell’Unione, ratificata<br />
nel medesimo Trattato di Lisbona: «(Ispirandosi) alle eredità culturali, religiose<br />
e umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili<br />
e inalienabili <strong>della</strong> persona, <strong>della</strong> libertà, <strong>della</strong> democrazia, dell’uguaglianza e<br />
dello Stato di diritto». Sfuma, in nient’altro che un’allusione passibile di soggettive<br />
interpretazioni, ogni esplicito riferimento alle radici greco-romane e, soprattutto,<br />
cristiane dell’Europa, sebbene i principi appena citati siano espressamente esito<br />
<strong>della</strong> evoluzione-rivoluzione che il Cristianesimo operò nel mondo antico, mutandone<br />
il volto in innovative fattezze valoriali, a cui si aggiunsero precedentemente e<br />
progressivamente in seguito, nel corso dei secoli, altre rivoluzioni, di cui il trattato<br />
ricorda solo gli esiti. Il “rischio” che una cosiddetta “nominatio Dei”, nel Preambolo<br />
<strong>della</strong> mai varata Costituzione europea, possa compromettere la <strong>dimensione</strong> laica<br />
<strong>della</strong> futura UE, pare e parve, probabilmente anche a Giscard d’Estaing, nel 2002<br />
Presidente <strong>della</strong> “Convenzione sul futuro dell’Europa”, un inconveniente da evitare,<br />
così come similmente, nel 2007, ha ribadito in altri termini anche il Cancelliere<br />
tedesco Angela Merkel, favorevole ad un riconoscimento formale <strong>della</strong> cristianità<br />
radicale d’Europa, ma altrettanto fautrice di una sua esclusione da «un documento<br />
di Stato» 31 , all’insegna <strong>della</strong> separazione e indipendenza <strong>della</strong> sfera di Cesare da<br />
quella di Dio, considerazione, peraltro, evangelicamente già ben chiara secoli or<br />
sono. Un eventuale riferimento alle radici greco-romane-giudeo-cristiane-umanistiche<br />
all’interno di un preambolo costituzionale avrebbe e dovrebbe avere carattere<br />
storico-culturale memoriale non confessionale e, come ha fatto notare Ombretta<br />
Fumagalli Carulli, ordinario di Diritto Canonico all’Università Cattolica del Sacro<br />
Cuore «il riferimento a Dio è inserito nel Preambolo di specifici testi costituzionali<br />
di Stati europei, con maggiore o minore intensità: ad esempio in Germania vi è il<br />
generico riferimento a Dio, in Polonia il riferimento ai valori di quanti credono in<br />
Dio […], in Irlanda l’invocazione al Nome <strong>della</strong> Santissima Trinità» 32 , e dunque<br />
quale potenziale eversivo risiederebbe in una dichiarazione super partes, di natura<br />
memoriale e storica, espressamente privata di ogni imposizione fideistico-confessionale<br />
esclusiva ed escludente altre realtà religiose?<br />
<strong>La</strong>icità baluardo ideologico<br />
Si obietterà che, tuttavia, l’Italia, e chi qui scrive è cittadina italiana, non ha<br />
nella propria Costituzione alcun riferimento specificamente confessionale, con-<br />
31 Tratto dall’articolo “Radici cristiane: la UE senza accordo”, a cura di Alberto d’Argento, in <strong>La</strong><br />
Repubblica (26 marzo 2007), p. 4.<br />
32 O. Fumagalli Carulli, Costituzione europea, radici cristiane e Chiese, in www.olir.it “Osservatorio<br />
delle libertà ed istituzioni religiose”, p. 11.<br />
134<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
figurandosi bensì come Stato laico (artt. 8, 19, 20 Cost., relativi alla questione<br />
religiosa), sebbene riconosca una qualche forma di privilegio alla religione cattolica<br />
(art. 7 Cost.), la quale, al di là dell’espresso riferimento costituzionale, costituisce<br />
per l’Italia una matrice storico-culturale e religiosa inappellabile. <strong>La</strong> tanto<br />
discussa ed ambita laicità sembra oggi essersi eretta a baluardo ideologico e costitutivo<br />
dell’identità s-personalizzata europea. Ideologia, peraltro, apparentemente<br />
condivisa in maniera unanime e diffusa, da opporre alla religione come qualcosa<br />
ad essa estraneo e avverso, benché, come ha recentemente fatto notare il politologo<br />
francese Olivier Roy, il concetto di laicità, soggetto attualmente a strani fenomeni<br />
di distorsione interpretativa, non sia anti-religioso, ma sia in realtà una<br />
conseguenza delle antiche guerre di religione combattute in Europa, sorto a motivo<br />
di un mancato consenso dei vari paesi europei in merito allo spazio da assegnare<br />
alla religione. Il fanatismo scatena sì la guerra ma anche il compromesso<br />
pacifico che ne è conseguenza di libertà, seppur come conquista tradiva e imputabile<br />
a scontri tra poteri opposti, indipendenti e mal conciliati o difficilmente<br />
conciliabili 33 .<br />
Il problema non risiederebbe tanto nel veto più o meno avvalorato di questo<br />
o quell’altro Paese in merito a un trattato, nel far esistere un’Europa etsi Deus non<br />
daretur, ma nell’introdurre un cardine memoriale, al pari di altri grandi esclusi,<br />
all’interno di una Carta costituzionale, che sia definizione, nel medesimo tempo,<br />
del carattere laico e religioso, occidentale ed orientale dell’Europa. E se dalla<br />
Francia in primis – e da altri – venne, a suo tempo, l’abiura, dalla Francia poi, si è<br />
fatta nuovamente largo l’idea dell’eredità cristiana d’Europa. Il 29 gennaio 2008<br />
Nicolas Sarkozy, al Congresso dell’UMP sull’Europa, s’espresse così: «Dire che in<br />
Europa ci sono delle radici cristiane è semplicemente dare prova di buon senso. Rinunciare<br />
a farlo, significa girare le spalle ad una realtà storica» 34 . Ed è sempre dalla<br />
Francia del secondo dopoguerra, dal progetto maturato da Robert Schuman, in<br />
stretta collaborazione con «Monsieur Europe», Jean Monnet, che l’Europa, come<br />
auspichiamo intenderla oggi e in futuro, conobbe un inedito processo di unificazione<br />
35 , innaturale, ma ispirato a una visione <strong>politica</strong>, storica e spirituale lungimirante,<br />
riconducibile, a detta dello stesso Schuman, «alla legge cristiana di una nobile<br />
ma umile fratellanza. E per un paradosso che ci sorprenderebbe se non fossimo cristiani<br />
[…] tendiamo la mano ai nemici di ieri non semplicemente per perdonare, ma<br />
per costruire insieme l’Europa di domani» 36 . <strong>La</strong> mano tesa del nemico al nemico<br />
che unisce e mantiene distinti Schuman e Adenauer, Francia e Germania, rendendoli<br />
parte <strong>della</strong> stessa grande visione europea, non era contemplata nelle conce-<br />
33 Cfr. Olivier Roy, L’Islam in Europa, in http://www.radioradicale.it/scheda/321363.<br />
34 N. Sarkozy, Discours lors du Congrès de l’UMP sur l’Europe, 29 gennaio 2008.<br />
35 Cfr. Bernard Ardura, op. cit., p. 25.<br />
36 R. Schuman, Pour l’Europe, Genève 1990, p. 44.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
135
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
zioni antiche, fino al comandamento nuovo e paradossale di quell’ebreo di Nazareth<br />
che, dall’alto di un monte, insegnò per primo a tendere la mano ai “fratellinemici”.<br />
Riconcialiazione e i segni <strong>della</strong> civiltà cristiana<br />
Il 19 marzo 1958, otto anni dopo, la Dichiarazione Schuman, il padre fondatore<br />
d’Europa, in occasione dell’elezione a presidente del primo Parlamento europeo,<br />
disse: «Non si tratta di fondere gli Stati associati, di creare un super Stato. […] I<br />
nostri Stati europei sono una realtà storica. Sarebbe psicologicamente impossibile farli<br />
sparire. <strong>La</strong> loro diversità, poi, è una fortuna e non vogliamo né livellarli né renderli<br />
uguali». <strong>La</strong> <strong>politica</strong> europea per noi non è assolutamente in contraddizione con l’ideale<br />
patriottico di ciascuno di noi. Tutti i Paesi europei sono stati impregnati dalla<br />
civiltà cristiana. È questa l’anima dell’Europa che occorre far rivivere. Che questa<br />
idea di un’Europa riconciliata, unita e forte, sia ormai una parola d’ordine per le<br />
nuove generazioni che desiderano servire un’umanità finalmente libera dall’odio e<br />
dalla paura e che impari di nuovo, dopo troppe lacerazioni, la fraternità cristiana.<br />
L’Europa ha dato all’umanità il suo pieno compimento. È lei che deve mostrare<br />
una via nuova, invece <strong>della</strong> schiavitù.<br />
Accettando una pluralità di civiltà in cui ciascuna sia rispettosa delle altre.<br />
Non siamo, non saremo mai negatori <strong>della</strong> patria, dimentichi dei doveri che abbiamo<br />
nei suoi confronti. Ma al di sopra di ogni patria riusciamo a distinguere sempre<br />
più nettamente che esiste un bene comune, superiore all’interesse nazionale, quel<br />
bene comune nel quale gli interessi individuali dei nostri Paesi si fondono e si<br />
confondono. In un’epoca in cui tutto è in fermento, bisogna saper osare. È meglio<br />
provare che rassegnarsi, la ricerca <strong>della</strong> perfezione è una scusa meschina per non<br />
agire 37 . Il richiamo al Bene comune, alla fratellanza universale, al perdono e all’accoglienza<br />
del nemico sono temi cristiani di grande attualità che inducono a una riflessione<br />
più ampia sulla questione dei cattolici in <strong>politica</strong>, il cui impegno, ieri come<br />
oggi, anche sul tema dell’Europa non deve indurre ad accelerazioni in senso necessariamente<br />
confessionale. In tal direzione va letta l’opera europeistica di Alcide<br />
De Gasperi. Ricordare la sua figura, infatti, studiarne l’attività vuol dire – come ha<br />
sottolineato Gabriele De Rosa – «confrontarsi con alcuni nodi cruciali <strong>della</strong> storia del<br />
secolo scorso: dalle vicende legate alla dissoluzione dell’Impero asburgico, alla crisi dello<br />
Stato liberale e all’avvento del fascismo; dalla tragedia <strong>della</strong> II guerra mondiale alla<br />
difficile opera di ricostruzione e di avvio <strong>della</strong> modernizzazione economica, <strong>politica</strong> e<br />
istituzionale del nostro paese, fino al progetto di una casa comune europea» 38 .<br />
136<br />
37 Ivi,pp.46ss.<br />
38 http://www.degasperi.net/navipage_percorsi.php?id_cat=p1.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
L’ideale e i promotori<br />
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
L’ideale che supremo s’impose nelle menti sognanti di europei ante litteram<br />
come De Gasperi, Schuman, Monnet, Adenauer, fu l’edificazione di una comunità<br />
internazionale che s’ispirasse ai valori di democrazia, pace, convivenza fra popoli e<br />
culture, nell’iniziativa di risollevare a nuova alba l’Europa scossa e devastata da antagonismi<br />
e guerre, forti <strong>della</strong> consapevolezza di un «comune retaggio europeo», rintracciato<br />
da De Gasperi in «quella morale unitaria che esalta la figura e la responsabilità<br />
<strong>della</strong> persona umana col suo fermento di fraternità evangelica, col suo culto del diritto<br />
ereditato dagli antichi, col suo culto <strong>della</strong> bellezza affinatosi attraverso i secoli, con<br />
la sua volontà di verità e di giustizia acuita da una esperienza millenaria» 39 .<br />
Nelle parole di De Gasperi c’è l’Europa di Atene e Roma, l’Europa <strong>della</strong><br />
Chiesa e forse anche già del minareto, l’Europa <strong>della</strong> Rivoluzione Francese e Americana,<br />
l’Europa dei due polmoni di Giovanni Paolo II, l’Europa che i Padri fondatori<br />
avevano visto e progettato, senza che nessuno oggi riesca a sognare di nuovo<br />
la stessa visione, cercando di realizzarla fattivamente. Non se ne dolgano i “moderni”<br />
se, tra i patres d’Europa, posto d’onore attribuisco anche a Dante Alighieri,<br />
logos e theo-logos dell’humanitas, che in un’Europa, alla sua epoca, forse solo in<br />
mente Dei, seppe concepirne, tuttavia, l’idea, la visione, anch’egli, nella descrizione<br />
degli spiriti magni del Limbo, nella teoria dei due soli, di spada e pastorale,<br />
nella sintesi po<strong>etica</strong> e prof<strong>etica</strong> d’Occidente e Oriente, nella tensione a cose che<br />
«albeggiano nel grembo del futuro», così come ricordato da papa Paolo VI nella<br />
lettera apostolica Altissimi cantus: il Poema di Dante è universale: nella sua immensa<br />
grandezza, abbraccia cielo e terra, eternità e tempo, i misteri di Dio e le vicende<br />
degli uomini, la dottrina sacra e le discipline profane, la scienza attinta dalla<br />
Rivelazione divina e quella attinta dal lume <strong>della</strong> ragione, i dati dell’esperienza<br />
personale e le memorie <strong>della</strong> storia, l’età sua e le antichità greco-romane, mentre<br />
ben si può dire che del Medioevo è il monumento più rappresentativo. Nel suo<br />
contenuto tesoreggia la sapienza orientale, il logos greco, la civiltà romana, e, in<br />
sintesi, il dogma e i precetti <strong>della</strong> legge del Cristianesimo nella elaborazione dei<br />
suoi dottori. Aristotelico nella concezione filosofica, platonico nella tendenza all’ideale,<br />
agostiniano nella concezione <strong>della</strong> storia, nella teologia è fedele seguace di<br />
San Tommaso d’Aquino, tanto che la Divina Commedia è, fra l’altro, in frammenti,<br />
quasi lo specchio poetico <strong>della</strong> Somma del Dottore Angelico. Che se ciò è<br />
ben vero nelle linee generali, è altrettanto vero però che Dante è aperto a profondi<br />
influssi di sant’Agostino, di San Bernardo, de’ Vittorini, di San Bonaventura, e<br />
non è scevro di qualche influsso apocalittico dell’Abate Gioacchino da Fiore, poi-<br />
39 A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, IV/3, a cura di E. Tonezzer – M. Bigaran – M. Guiotto,<br />
il Mulino, Bologna 2006, p. 2746.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
137
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
ché suole protendersi a cose che albeggiano o che, non ancora nate, sono in grembo<br />
del futuro 40 .<br />
Dante è stato forse il primo civis d’Europa? Se non nei fatti, lo fu nello spirito<br />
e «pur essendo un italiano e un uomo di parte, (fu) prima di tutto un europeo» 41 ,<br />
la sua cultura è il patrimonio che stentiamo a riacquisire e a cui è dovere primo attingere.<br />
Dante non necessita di una ratifica costituzionale per concepire, cum-capere,<br />
afferrare insieme la sub-stantia d’Europa, la metonimia delle sue tre altezze: Golgota,<br />
Campidoglio, Acropoli; Grecia, Roma, Cristo o, Atene, Roma, Gerusalemme,<br />
che dir si voglia. Egli non inabita una nazione, è la cultura d’Europa che troneggia<br />
nei suoi versi, le cui radici nascono e s’impiantano nell’ecumene “cattolicauniversale”.<br />
Ciò che accomuna le azioni e le idee di quello che ho definito il “Senato<br />
d’Europa” è un’ideale trascendente, una missione o diaconia a carattere katholikos-universale,<br />
un servizio al servizio del Bene comune: l’Europa <strong>politica</strong> e spirituale,<br />
non confessionale, l’Europa dell’humanitas edeldialogos.<br />
Conclusione<br />
L’Europa è un’idea, una visione stentatamente esperibile, faticosamente tangibile<br />
se non nella misura stessa del ponos, la fatica <strong>della</strong> visio e <strong>della</strong> sua concreta<br />
realizzazione fattiva. Come conciliare ciò che, discorde, nelle menti albeggia già in<br />
concordia? Il fine ultimo di quanti presiedono, con le loro azioni ed intenzioni, alla<br />
creazione dell’Europa unita risiede nel mantenimento <strong>della</strong> varietas e <strong>della</strong> concordia<br />
che la sublima. Il rischio paradossale di un’unitas multiplex che non sia rete<br />
interculturale, dialogica e mediante, bensì imposizione riduttiva del molteplice<br />
non ad unione ma ad Unum, s’insinua sempre ratto e sotterraneo nelle pieghe confuse<br />
del costituendo Esse europeo, gettando l’idea d’Europa in scenari babelici. «<strong>La</strong><br />
fatica di questa theoria […] consisterà, dunque, nell’armonizzare, senza ridurle violentemente<br />
a Uno, le diverse figure, le diverse isole, tutte ‘salve’ nell’individualità<br />
del proprio carattere, ma tutte colte nella comune ricerca, nel comune amore (philia)<br />
per quel Nome o per quella Patria che a tutte manca» 42 : l’Europa.<br />
Che cos’è l’Europa? <strong>La</strong> sua dinamica attuale la sospinge ad assumer forma di<br />
progetto culturale, non più limitatamente economico-politico, e soltanto comprendendo<br />
che essa è un concetto la cui dynnamis attiva risiede su fondamenti spirituali<br />
diversi e discordi, necessitanti di un’armonia logica, dia-logica, che tutti li<br />
riconosca identici e distinti senza nessuno disconoscerne o annullarne, sarà possibile<br />
dar ragione <strong>della</strong> sua richiesta d’identità, strappandola all’oblio di sé, al nichilismo<br />
e al relativismo.<br />
40 Paolo VI, Altissimi Cantus n. 16, traduzione dall’originale latino pubblicata in Annali dell’<strong>Istituto</strong><br />
di Studi Danteschi. Volume primo, Vita e Pensiero, Milano 1967, vol. I, pp. IX-LIV.<br />
138<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
<strong>La</strong> sua originalità risiede nella molteplicità, «in varietate concordia», essa è<br />
continens accogliente civiltà, da Oriente ad Occidente, e chi, meglio di quei Padri<br />
fondatori francesi, tedeschi, italiani, uomini di frontiera, capaci di leggere il limes<br />
non come confine di separazione ma di unione (cum-finis), poteva concepire e vedere,<br />
prima ch’esistesse, quell’Europa unita e diversa, che gli occhi europei, oggi,<br />
non riescono ancora a contemplare? Atene, Roma, Gerusalemme rappresentano la<br />
“patria trinitaria” dell’esse europeo, la madrepatria universale <strong>della</strong> grande familia<br />
humana europea, ed imponendo con volontà immemore, da più parti, la damnatio<br />
memoriae dei suoi tre fondamenti spirituali, storici e filosofici, o peggio, tentando<br />
di abolire la varietas nell’affannosa mostruosa creazione dell’Unum indistinto, non<br />
si otterrà che una Babele confusa e diffusa di nomi e aspetti dati a ciò che, priva<br />
<strong>della</strong> sua consapevole essenza, non avrà forza d’esistere.<br />
In varietate concordia: il motto d’Europa le ha dato nome all’anima, spetta ora<br />
ai figli d’Europa sentirsi fratelli di sangue (kasignetoi), divenire coscienti d’essere<br />
europei, uniti seppur divisi, radicati nel perenne s-radicamento, dall’identità nonidentitaria<br />
e, in virtù di ciò, liberi di aprirsi all’Altro, come Roma, come Cristo: è<br />
questo l’ethos d’Europa, il suo telos, che le derivano dalla memoria di un passato comune.<br />
Il fondamento radicale <strong>della</strong> nova humanitas europea precede e transita al di<br />
là dell’unificazione economico-<strong>politica</strong>, che ne è solo la veste esteriore. Il Terzo<br />
millennio s’appressa ai bastioni d’Europa e la chiama a darsi un’anima. Scrisse T.S.<br />
Eliot: «Il mondo occidentale ha la sua unità, in questa eredità, nel Cristianesimo e nelle<br />
antiche civiltà <strong>della</strong> Grecia, di Roma e d’Israele, alle quali, attraverso duemila anni<br />
di Cristianesimo, noi riconduciamo la nostra origine. […] Se noi disperdiamo o gettiamo<br />
via il nostro comune patrimonio, allora tutte le organizzazioni e i progetti delle<br />
menti più ingegnose non ci gioveranno, né contribuiranno ad unirci» 43 .<br />
41 T.S. Eliot, Dante [II] (1929),inOpere 1904-1939, ed. it. a cura di R. Sanesi, Bompiani, Milano,<br />
pp. 428, 829.<br />
42 M. Cacciari, L’Arcipelago, cit., p. 20<br />
43 T.S. Eliot, Appunti per una definizione <strong>della</strong> cultura. Appendice: L’unità <strong>della</strong> cultura europea,in<br />
Opere 1939-1962, ed. it. a cura di R. Sanesi, Bompiani, Milano 1993, pp. 638-640.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
<strong>La</strong>ura Balestra<br />
<br />
139
FOCUS<br />
<strong>La</strong> <strong>dimensione</strong> <strong>etica</strong> <strong>della</strong> <strong>politica</strong> - di Joaquín Navarro-Valls<br />
Famiglia ed <strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà. L’obbligo e la promessa - di Franco Riva
Politica e potere<br />
<strong>La</strong> <strong>dimensione</strong> <strong>etica</strong> <strong>della</strong> <strong>politica</strong><br />
Se c’è un atteggiamento che ha caratterizzato con continuità<br />
la riflessione culturale europea, non solo filosofica,<br />
è stata di sicuro la capacità di formulare correttamente le<br />
domande. Già il grande Aristotele, vero maestro <strong>della</strong><br />
razionalità antica, ha dedicato un intero libro <strong>della</strong> Metafisica<br />
a impostare rettamente le interpellanze che stanno<br />
alla base del sapere. E, recentemente, gli scienziati<br />
hanno suggerito allo stesso modo che quasi tutti i problemi<br />
inutili derivano unicamente dal non saper formulare<br />
i legittimi interrogativi alle giuste questioni.<br />
È un tema ricorrente in Europa interrogarsi sui rapporti<br />
tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong>. Infatti, ci si interroga quale sia il genere<br />
di <strong>etica</strong> che possa essere applicato correttamente<br />
alla <strong>politica</strong>. Ma domandare che tipo di condotta possa<br />
valere in genere come ragion di stato è, di fatto, investigare<br />
i motivi per cui solitamente l’<strong>etica</strong> e la <strong>politica</strong> non<br />
camminano di pari passo e non trovano facili motivi di<br />
concordia. In realtà, a guardare le cose con attenzione,<br />
l’innegabile distinzione non è solo una situazione moderna<br />
dell’Occidente, essendo espressione di una tentazione<br />
che fin dalle origini classiche ha attraversato e minacciato<br />
la condotta e i costumi dell’umanità. Con la<br />
globalizzazione, poi, la divaricazione è divenuta fatalmente<br />
universale.<br />
Oggi si considera normale che la <strong>politica</strong> sia una pratica<br />
di rapporti di potere che deve fermarsi ai fatti, come<br />
avrebbe detto il filosofo Ludwig Wittgenstein, evitando categoricamente<br />
di aprirsi al mistero. E il motivo di quella do-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
JOAQUÍN<br />
NAVARRO-VALLS<br />
Presidente<br />
Advisory Board<br />
Università Campus<br />
Bio-Medico di Roma<br />
≈<br />
«<strong>La</strong> vera soluzione<br />
del dualismo tra<br />
<strong>etica</strong> e <strong>politica</strong> sta<br />
nel riuscire a<br />
trattare la persona<br />
esattamente ed<br />
esclusivamente<br />
come persona […]<br />
ancorando<br />
finalmente la<br />
pratica <strong>politica</strong> ad<br />
una <strong>dimensione</strong><br />
autenticamente<br />
“vera”, metafisica,<br />
che sola riesca a<br />
dare contenuti ed<br />
ideali sicuri e<br />
permanenti».<br />
≈<br />
143
Joaquín Navarro-Valls<br />
manda iniziale, riguardante la disgiunzione tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong>, finisce per essere, in<br />
tal modo, una concessione gratuita all’onnipotenza del potere. È piuttosto facile,<br />
in fin dei conti, comprendere la mentalità che ha determinato lo scenario attuale,<br />
vale a dire l’istinto ad abbandonarsi all’illusione che la <strong>politica</strong> sia una limitata arte<br />
di governo, una scaltra strategia simile a quella tenuta dal Principe di Niccolò Machiavelli,<br />
il quale si cingeva solo a gestire gli interessi di tutti, senza voler giudicare,<br />
cambiare e giustificare il valore di nessuno.<br />
Mi pare che dovremmo dire no a questo insano pessimismo. Opporci all’idea<br />
che tutto si risolva unicamente in pragmatismi senza finalità. <strong>La</strong> <strong>politica</strong> non è<br />
l’amministrazione del possibile, ma l’arte dell’impossibile, ossia l’ingegnosa volontà<br />
di cambiare le cose presenti e migliorare nel futuro quanto non va. Ecco perché,<br />
su questo sfondo, il rapporto tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong> non può più accettare delle<br />
squallide soluzioni di continuità, delle contrapposizioni insanabili. L’unione di <strong>etica</strong><br />
e <strong>politica</strong> deve divenire, ad ogni buon conto, il segno tangibile di un’opposizione<br />
frontale al relativismo, malattia ormai perfino noiosamente insopportabile.<br />
Anche nel passato, d’altronde, vi erano coloro che giudicavano la <strong>politica</strong><br />
un’attività indegna, un modo rapido in cui poter eseguire strategie spregevoli per<br />
raggirare efficacemente i più deboli. Vi erano ad Atene perfino dei maestri che insegnavano,<br />
già nel IV secolo a. C., la professione di persuadere e di ingannare le<br />
masse: erano i Sofisti. Platone, all’inizio <strong>della</strong> Repubblica, fa cenno a questa deriva<br />
patologica, che non diversamente si trova oggi frequentemente, mettendo in bocca<br />
al personaggio Trasimaco la definizione di ‘opportunismo’ più famosa di tutti i<br />
tempi: <strong>La</strong> giustizia è l’interesse del più forte.<br />
D’altronde, se non esistono più riferimenti superiori, cui attribuire, indirizzare<br />
e mo<strong>della</strong>re le azioni, è chiaro che il giusto e il vero diventano espressioni esclusive<br />
<strong>della</strong> prestanza, <strong>della</strong> abilità comunicativa, <strong>della</strong> prepotenza. E chi governa finisce<br />
nel baratro <strong>della</strong> capziosità. Il potere diviene, insomma, un assoluto e incontrollato<br />
idolo, una specie di nuovo “vitello d’oro”, cui affidare irresponsabilmente il<br />
proprio destino. Ecco così avverarsi l’incubo del completo relativismo. L’<strong>etica</strong> e la<br />
<strong>politica</strong> appaiono definitivamente staccate tra loro poiché, come spiegava bene<br />
Anassagora, “solo l’individuo è misura di tutto”.<br />
Etica e Politica<br />
Con ciò siamo giunti ad una prima importante conclusione, che rimanda alla<br />
domanda iniziale: qual è il genere di <strong>etica</strong> che può essere applicato correttamente<br />
alla <strong>politica</strong>. Se la sfida, riguardante la distinzione tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong>, deriva principalmente<br />
da un atteggiamento relativista, secondo cui il bene è il predominio<br />
esclusivo del più forte o del più sagace, allora ogni individuo è misura arbitraria di<br />
ogni cosa, non vedendo più nulla oltre se stesso. Evidentemente, abbiamo a che fa-<br />
144<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
e con una seduzione originaria che spinge ad impostare il senso <strong>della</strong> giustizia e<br />
<strong>della</strong> convivenza civile nei termini privilegiati, utilitari e pragmatici, del cinismo e<br />
<strong>della</strong> prepotenza individualista.<br />
Nell’Enciclica Centesimus annus, Giovanni Paolo II ha mostrato di avere perfettamente<br />
chiaro il dramma antropologico che questa impostazione segnala, vero<br />
nucleo costitutivo di tutte le proposte ideologiche contemporanee, rinvenibile sia<br />
nella separazione tra capitale e lavoro che in quella tra bene comune e privato. Il<br />
problema è, in ultima istanza, metapolitico, presupponendo ingiustificatamente la<br />
pretesa validità di uno scetticismo assoluto. Conviene rileggere con attenzione le<br />
sue analisi magistrali:<br />
«Se ci si domanda donde nasca quell’errata concezione <strong>della</strong> natura <strong>della</strong> persona e<br />
<strong>della</strong> “soggettività” <strong>della</strong> società, bisogna rispondere che la prima causa è l’ateismo. È<br />
nella risposta all’appello di Dio, contenuto nell’essere delle cose, che l’uomo diventa consapevole<br />
<strong>della</strong> sua trascendente dignità. Ogni uomo deve dare questa risposta, nella<br />
quale consiste il culmine <strong>della</strong> sua umanità, e nessun meccanismo sociale o soggetto collettivo<br />
può sostituirlo. <strong>La</strong> negazione di Dio priva la persona del suo fondamento e, di<br />
conseguenza, induce a riorganizzare l’ordine sociale prescindendo dalla dignità e responsabilità<br />
<strong>della</strong> persona».<br />
<strong>La</strong> persona “Persona”.<br />
Joaquín Navarro-Valls<br />
<strong>La</strong>vera soluzione del dualismo tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong> sta, quindi, nel riuscire a<br />
trattare la persona esattamente ed esclusivamente come persona. Questo primo asse<br />
etico fondamentale preme, infatti, a superare il suddetto relativismo <strong>della</strong> forza e<br />
dell’arbitrio, ancorando finalmente la pratica <strong>politica</strong> ad una <strong>dimensione</strong> autenticamente<br />
‘verà, metafisica, che sola riesca a dare contenuti e ideali sicuri e permanenti.<br />
In questo senso, appare in tutta la sua penetrante forza espressiva e attualità la<br />
celebre affermazione, più volte ribadita da Robert Spaemann, che fissa la base antropologica<br />
fondamentale per una solida <strong>etica</strong> <strong>politica</strong>: “Tutti i doveri verso le persone<br />
sono riconducibili al dovere di percepire le persone come persone”.<br />
Quando, infatti, manca il riferimento alla trascendenza personale, anche l’idea<br />
stessa di dovere etico verso se stessi o verso la comunità si sgretola e dissolve come<br />
neve al sole. D’altronde, la <strong>politica</strong> non può restare espressione soddisfacente dell’unica<br />
e incontrollata volontà di dominio e di potenza di chi comanda, incontrando<br />
obbligatoriamente nel proprio cammino l’opposizione popolare <strong>della</strong> presenza<br />
umana, dal cui confronto e dalla cui ‘resistenzà è impossibile sottrarsi. Perciò l’<strong>etica</strong><br />
non può restare a lungo il monopolio dell’utile, senza fare niente di operativo, non<br />
essendo mai una tavola di principi astratti simile ad una serie di cartelli stradali che<br />
indicano asetticamente la strada giusta per giungere ad un risultato previsto che<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
145
Joaquín Navarro-Valls<br />
nessuno compie. <strong>La</strong> complessità umana lo impedisce. Le esigenze individuali si ribellano.<br />
<strong>La</strong> trascendenza dell’altro vi si oppone con una prestanza imperativa. Una<br />
razionale visione del bene comune nasce, all’opposto, obbligatoriamente evidenziando<br />
la necessaria unità sostanziale di <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong> in tutte le dimensioni, teoriche<br />
e pratiche, che riguardano la vita umana.<br />
Teoria e pratica<br />
Qual è, allora, il genere di <strong>etica</strong> che può applicarsi con successo alla <strong>politica</strong>?<br />
Di certo, l’unica che disponga di un livello soddisfacente di riferimenti antropologici<br />
e di motivazioni pratiche da soddisfare le aspirazioni profonde presenti<br />
nella società. E ciò per due ragioni. Da un lato, perché l’agire pratico non può esistere<br />
senza una conoscenza speculativa <strong>della</strong> verità umana come tale. Infatti, se non<br />
so chi è la persona, non posso neanche sapere cosa devo fare e quanto occorre esigere<br />
dagli altri per comportarsi con misura e giustizia, nel rispetto pieno <strong>della</strong> dignità<br />
personale di tutti. Dall’altro, perché la <strong>politica</strong> è fondamentalmente abitudine,<br />
vale a dire un ricorrente traboccare dell’intelligenza nell’azione, senza il quale<br />
non può esservi alcun tipo di garanzia e dignità per nessuno. Ecco perché la piena<br />
saldatura tra teoria e pratica è quanto i maestri <strong>della</strong> Scolastica chiamavano “prassi”,<br />
vale a dire non la sola trasformazione tecnologica dell’ambiente circostante, ma<br />
la materializzazione <strong>della</strong> verità umana in buoni comportamenti: coerenti, effettivi<br />
e concreti. Il risultato è la felicità personale, indipendente dai risultati produttivi<br />
ottenuti.<br />
Non stupisce, alla fine, che l’unità di <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong>, mo<strong>della</strong>ta sul principio<br />
<strong>della</strong> responsabilità personale, abbia trovato il proprio sbocco normale nella centralità<br />
delle virtù umane. Esse sono, per l’appunto, come il grande filosofo tedesco<br />
Joseph Pieper ha spiegato, il cuore etico <strong>della</strong> <strong>politica</strong> e il perno stesso <strong>della</strong> pretesa<br />
pubblica che definisce l’agire privato di ognuno.<br />
Le virtù etiche<br />
Le più importanti virtù etiche in <strong>politica</strong> sono, non a caso, la prudenza e la<br />
giustizia.<br />
Un politico, infatti, è all’altezza del suo dovere solo se è misurato e equo, vale a<br />
dire solo se compie abitualmente atti razionali che diventino tutt’uno con il suo<br />
modo d’essere, di valutare problemi e scegliere soluzioni responsabili. Da tale coerenza<br />
deriva poi non soltanto la credibilità che da politico egli può garantire ai suoi<br />
elettori, ma l’aderenza <strong>etica</strong> <strong>della</strong> sua autentica personalità alla verità antropologica<br />
oggettiva. È fin troppo chiaro che l’indissociabilità tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong>, legata per<br />
146<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
l’appunto alla prassi, è resa possibile solo dalle virtù personalmente esigibili. Se, infatti,<br />
vi fosse un’<strong>etica</strong> senza virtù, allora avremmo una tavola di regole morali<br />
astratte assolutamente insignificanti e dissociate dai comportamenti. E se ci fossero<br />
virtù senza <strong>etica</strong>, ci troveremmo davanti ad un moralismo ideologico insopportabile<br />
che trascinerebbe la verità stessa sul piano legale e convenzionale, senza tener<br />
conto dei corrispondenti doveri individuali <strong>della</strong> vita sociale.<br />
<strong>La</strong> prudenza, oltretutto, come virtù principe <strong>della</strong> razionalità <strong>politica</strong>, fa risaltare<br />
il legame etico che deve esistere tassativamente tra azione e razionalità, nella<br />
ponderazione cauta e risoluta, ben diverso evidentemente dalla paura, dal tatticismo<br />
o dal perfezionismo, che sono esattamente l’opposto. E la stessa cosa può essere<br />
detta anche a proposito <strong>della</strong> giustizia. Solo quando la persona è pensata in tutta<br />
la sua verità trascendente, è possibile riconoscere equamente una dignità oggettivamente<br />
corrispondente alla volontà singolare di ognuno. Se chi agisce, invece,èdominato<br />
dal puro egoismo, allora, pur sapendo esattamente cosa sia teoricamente la<br />
giustizia, non riuscirà a mettere in pratica mai, neanche una volta, i valori che sostiene,<br />
vanificando infine ogni sforzo in atti di disumana prevaricazione.<br />
<strong>La</strong> verità attorno all’uomo<br />
D’altra parte, recuperare il senso etico <strong>della</strong> <strong>politica</strong>, come Benedetto XVI ha<br />
esortato nell’Enciclica Caritas in Veritate, vuol dire riscoprire l’indipendente valore<br />
umano <strong>della</strong> verità, riuscendo così, al contempo, a liberare se stessi dal cattivo relativismo,<br />
effetto ultimo dell’individualismo radicale, e a scoprire la buona relatività,<br />
causa di un sano pluralismo e di una concreta sensibilità democratica.<br />
Sapere che la verità intorno all’uomo ha più valore degli sbagli personali di ciascuno<br />
significa comprendere che esistono molti modi possibili di attuare il nesso<br />
inscindibile tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong>. Il risultato definitivo è, in fin dei conti, l’acquisizione<br />
di una vigorosa modestia, di una consapevole umiltà, davanti ai modi compositi<br />
in cui si consuma l’impegno collettivo e individuale per la comunità.<br />
Il bene comune, in ultima istanza, non è altro che la fusione totale e virtuosa<br />
di teoria e prassi nella condotta di vita delle persone. Ossia, l’inscindibile sinergia<br />
di essere e dover essere che nella vita sociale fa diventare realmente<br />
persone felici e serene, aperte agli altrui destini e libertà.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
Joaquín Navarro-Valls<br />
<br />
147
Famiglia e solidarietà<br />
Famiglia ed <strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà<br />
L’obbligo e la promessa*<br />
Il linguaggio <strong>della</strong> famiglia e quello <strong>della</strong> solidarietà<br />
tendono a dissociarsi; e danno vita a tensioni etiche in<br />
parte sfalsate: tra particolarismo e universalismo, tra<br />
privato e pubblico, tra intimo e collettivo, tra tradizione<br />
e modernità. Le cause non vanno cercate soltanto nel<br />
crollo di un mondo – frantumazione dei legami, l’après-devoir,<br />
l’individualismo –, ma anche nell’immagine<br />
tetra di una solidarietà familiare troppo intrisa di<br />
obblighi e di coazioni, di debiti e di desideri sacrificali.<br />
Etica <strong>della</strong> famiglia ed <strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà restano comunque<br />
vicine, a patto di riflettere: la solidarietà emerge<br />
in modo esemplare nella famiglia, senza esserne<br />
esaurita; il legame sociale non viene dopo, e non si spiega<br />
nei termini organici di una pura interdipendenza; e,<br />
tra promessa e ospitalità, il dovere deve essere infine riconsegnato<br />
alla responsabilità per l’altro in quanto altro<br />
che è pure un modo, umano, <strong>della</strong> libertà.<br />
L’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà si propone ormai su scala planetaria.<br />
I suoi sviluppi e la sua estensione oltrepassano l’identificazione<br />
tra la solidarietà e l’appartenenza ad un gruppo più<br />
o meno ristretto, sia questo comunitario o nazionale, di cultura<br />
o di lotta. <strong>La</strong> solidarietà guadagna finalmente il senso<br />
dell’altro in quanto altro, e non solo come membro del gruppo<br />
di appartenenza, di colui che condivide il mio stesso desti-<br />
* Pubblicato anche in Èthique et Famille, dir. E. Rudge-Antoine, M.<br />
Piévic, L’Harmattan, Paris 2011, pp. 225-248: Franco Riva, <strong>La</strong> famille et<br />
l’éthique de la solidarité. L’Obligation et la Promesse.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
FRANCO RIVA<br />
Filosofo<br />
Università Cattolica<br />
Sacro Cuore Milano<br />
≈<br />
«Prima<br />
dell’obbligo, nella<br />
famiglia il dovere<br />
mostra la sua<br />
origine in una<br />
promessa di<br />
radicale<br />
solidarietà.<br />
Nessun obbligo<br />
può generare una<br />
promessa, mentre<br />
nella promessa<br />
sorge una<br />
responsabilità che<br />
rinnova ogni volta<br />
da capo il proprio<br />
dovere».<br />
≈<br />
149
Franco Riva<br />
no ravvicinato, o di un simile troppo simile a me 1 . L’affacciarsi del senso dell’altro in<br />
quanto altro, nella sua differenza differente, risulta d’altro canto per la solidarietà<br />
l’unica via di accesso a una vera universalità, che non escluda nessuno. Dire l’universale<br />
umano significa per la solidarietà mettersi appunto di fronte all’altro indipendentemente<br />
dai riconoscimenti di appartenenza, di affinità, di somiglianza.<br />
<strong>La</strong> solidarietà guadagna la propria universalità mettendosi di fronte all’altro in<br />
quanto altro. Da questo preciso punto di vista, un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà incontra<br />
direttamente l’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia: anche nella famiglia la scelta elettiva non equivale<br />
a un narcisismo di coppia, ma all’istituzione di un’apertura sull’apertura, all’ingresso<br />
dell’altro in quanto altro. Nella famiglia si inaugura il tempo dell’altro:<br />
femminile e maschile, maternità e paternità, figliolanza e fraternità si intrecciano,<br />
si fondono, si ripensano nel faccia a faccia, per scoprire infine che niente <strong>della</strong> famiglia<br />
e delle sue dinamiche si spiega nell’ottica di una centratura su di sé, di<br />
un’appartenenza esclusiva, di un possesso.<br />
Le esperienze fondamentali di eros e del figlio 2 stanno lì a documentare come<br />
nell’elezione dell’amore, nella famiglia che si costituisce, si inaugura un tempo altro<br />
in quanto tempo dell’altro: inaugurazione che avviene in una comunità incipiente,<br />
con volti e nomi propri, e che tuttavia deve la sua configurazione, perfino<br />
nel suo aspetto normativo, a ciò che, nell’unità, differisce. Elezione <strong>della</strong> differenza,<br />
quindi, carne altra eletta come propria – ma proprio perché propria non è –,<br />
paradosso del figlio che biologicamente deriva dai genitori ma che, nella sua<br />
profondità irraggiungibile, è altro.<br />
<strong>La</strong> famiglia si raccoglie nella casa. Nella casa l’aprirsi delle porte è altrettanto<br />
essenziale del loro chiudersi, l’uscita altrettanto fondamentale dell’ingresso, ospitare<br />
è anche un essere accolti nella propria dimora. Ma non si tratta solo di un’immagine;<br />
semmai, dell’essere dell’uomo su questa terra come un soggiornare aperto 3 ,<br />
un abitare presso. Il movimento diventa così decisivo tanto quanto il raccoglimento,<br />
l’uscire tanto quanto l’entrare, il rischio tanto quanto la protezione. Senza la<br />
presenza dell’altro in quanto altro, la dimora dell’umano – il suo stesso esserci –<br />
non si può costruire.<br />
<strong>La</strong> famiglia non è solo una prima, elementare forma di solidarietà. Realizza<br />
semmai il movimento stesso <strong>della</strong> solidarietà nel suo perenne incarnarsi e decen-<br />
1 Cfr. J. Cohen, A. Arato, Civil Society and Political Theory,MIT Press, Cambridge (Mass.) 1992,<br />
p. 38. Per un panorama sulla solidarietà, cfr. K. Bayertz, herausg., Solidarität. Begriff und Probleme,<br />
Suhrkamp, Frankfurt am Main 1998; AA.VV., Solidarity, Kluwer, Boston-London 1999; F. Crespi, S.<br />
Moscovici, Solidarietà in questione. Contributi teorici e analisi empiriche, Meltemi, Roma 2001; R.<br />
Zoll, <strong>La</strong> solidarietà. Eguaglianza e differenza, il Mulino, Bologna 2003; F. Riva, a cura di, Ripensare la<br />
solidarietà, Diabasis, Reggio Emilia 2009.<br />
2 Cfr. E. Lévinas, Etica e Infinito, a cura di F. Riva, Città Aperta Edizioni, Troina 2008.<br />
3 M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, Adelphi, Milano 1995, pp. 92 ss.; J.-L. Nancy, L’«<strong>etica</strong> originaria»<br />
di Heidegger, Cronopio, Napoli 1996, p. 36.<br />
150<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
trarsi: di fronte all’altro eletto in un vincolo esclusivo di responsabilità e tuttavia,<br />
proprio per questo, pur sempre dinnanzi all’altro da sé che domanda, e che rimanda,<br />
al movimento sempre particolare e sempre universale <strong>della</strong> stessa solidarietà.<br />
Nella famiglia tutte le dimensioni <strong>della</strong> solidarietà umana sono messe alla<br />
prova: nella salute e nella malattia, nella giovinezza e nella vecchiaia, nella buona e<br />
nella cattiva sorte, nella felicità e nella disperazione. Nell’affinità e nell’insormontabile<br />
differenza.<br />
Un’inversione pericolosa<br />
Franco Riva<br />
<strong>La</strong> responsabilità per l’altro in quanto altro agisce nel cuore <strong>della</strong> famiglia e in<br />
quello di una solidarietà universale. Nonostante questa vicinanza, e nonostante che<br />
fin dall’inizio i loro linguaggi si siano mescolati, tra famiglia e solidarietà sono maturate<br />
progressivamente tensioni e dissociazioni morali, come se riguardassero infine<br />
narrazioni antitetiche dell’umano.<br />
Il motivo di questa ingiusta antitesi risiede in una inversione tanto semplice da<br />
indicare, quanto articolata e complessa da documentare: il motivo etico <strong>della</strong> solidarietà<br />
che emerge esemplarmente in riferimento alla famiglia non esaurisce in essa<br />
tutte le potenzialità di espressione. Quando si parla dunque di modello familiare<br />
per la solidarietà la cosa va intesa per intensità di emergenza, e non per sovrapposizione:<br />
significa che la famiglia è attraversata dalla socialità nel suo stesso costituirsi;<br />
e se questo la indica come paradigma, la trascina al tempo stesso verso una <strong>dimensione</strong><br />
fondamentale dell’umano comune che l’oltrepassa senza oltrepassarla veramente,<br />
perché in essa già compresa e vissuta. <strong>La</strong> sorgente non è il fiume. Le fondamenta<br />
non sono l’edificio. Se è vero che senza sorgente e senza fondamenta non ci<br />
sono fiumi e case, non è meno vero che senza fiumi e senza case non ci sono sorgenti<br />
e fondamenta di nulla.<br />
L’inversione consiste dunque in questo: nel far coincidere il paradigma <strong>della</strong><br />
solidarietà con il luogo familiare <strong>della</strong> sua emergenza. Fuori dubbio che nella famiglia<br />
la solidarietà emerge, si esercita, e si educa in un modo tipico e insostituibile.<br />
Ma nel modo tipico e insostituibile <strong>della</strong> famiglia emerge, si esercita, e si educa anche<br />
la solidarietà come tale. Il luogo esemplare <strong>della</strong> sua emergenza e <strong>della</strong> sua pratica<br />
non equivale alla chiusura di significato <strong>della</strong> solidarietà. Né tanto meno a un<br />
abbozzo, una prova, un anticipo. <strong>La</strong> famiglia è già, nel suo modo tipico e insostituibile,<br />
responsabilità per l’altro in quanto altro, già destinazione all’umano comune<br />
nella sua stessa elettività, già universale nella sua singolarità, già insuperabile socialità.<br />
L’inversione strisciante tra il modello familiare e l’esaurimento <strong>della</strong> solidarietà<br />
provoca perciò, così come la netta dissociazione, dei contraccolpi mortali su entrambi<br />
i lati.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
151
Franco Riva<br />
Tensioni etiche<br />
L’allargarsi progressivo <strong>della</strong> solidarietà al di là delle comunità ristrette, parentali,<br />
di destino, di cultura, o di lotta, sembra quasi abbandonare la famiglia alla sua configurazione<br />
<strong>etica</strong> premoderna e arcaica; e in ogni caso a un’<strong>etica</strong> dei rapporti non più spendibile<br />
per una solidarietà che si colloca – come deve essere – al di là delle appartenenze<br />
esclusive. Cifra, così, di ogni ristrettezza. Dopo secoli di alleanza, gli sviluppi <strong>della</strong> solidarietà<br />
mettono dunque tra loro in tensione la famiglia e la solidarietà, con esiti per<br />
nulla scontati da una parte e dall’altra. A seconda che si accetti o che si rifiuti il modello<br />
familiare di solidarietà come paradigma – ipotecato nel senso <strong>della</strong> chiusura e <strong>della</strong> ristrettezza<br />
– muta infatti l’immagine di società e cambia l’idea stessa di solidarietà.<br />
Famiglia modello di legame sociale<br />
Gli orientamenti teorici che affrontano la tensione sembrano, a prima vista,<br />
del tutto contrastanti: se si assume la famiglia come modello per il legame sociale,<br />
la solidarietà andrà a significare un’appartenenza stretta, una precisa comunità di<br />
vita, la condivisione del medesimo destino; se invece si ritiene che le società contemporanee<br />
non possano essere equiparate a delle famiglie allargate, e si privilegia<br />
in alternativa una solidarietà universalistica, che fa perno ad esempio sui diritti<br />
umani, allora l’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia viene giudicata troppo arretrata per potersi ancora<br />
proporre quale paradigma generale di convivenza.<br />
Pur contrapposti tra loro, questi due orientamenti condividono in realtà la stessa<br />
idea di famiglia, nonché il concetto di solidarietà che ne deriva: ruotano entrambi, per<br />
difesa o per contestazione che sia, intorno all’equivalenza tra famiglia e solidarietà ristretta.<br />
E a seconda che si conceda, o meno, che la famiglia possa proporsi quale modello<br />
generale del rapporto sociale varia senz’altro l’idea di solidarietà, mentre l’immagine<br />
di famiglia tende a rimanere tutto sommato la stessa. Proprio su questa staticità si deve<br />
riflettere, perché i giochi alternati delle parti, a favore o contro, sono possibili fin tanto<br />
che si concede senza discuterlo il punto di partenza, ossia che un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia corrisponda<br />
per davvero a quella dei gruppi ristretti e autoprotettivi, dei legami di sangue.<br />
Bisognerebbe anche chiedersi in quale misura le teorie del riconoscimento risolvano<br />
per davvero la tensione: la famiglia è identificata come la prima forma di<br />
riconoscimento reciproco, a cui seguono, per innalzamento progressivo di sfera sociale,<br />
i diritti e la solidarietà, sulla scia dell’eticità di Hegel. Comprendendo la<br />
gamma dei rapporti erotici, amicali e soprattutto parentali, che implicano «forti<br />
vincoli affettivi tra poche persone», la famiglia, per quanto dialetticamente correlata,<br />
resta pur sempre distanziata dalla solidarietà 4 .<br />
152<br />
4 A. Honneth, Lotta per il riconoscimento. Proposte per un’<strong>etica</strong> del conflitto, il Saggiatore, Milano<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
<strong>La</strong> famiglia rimane così in bilico sul crinale che separa e unisce al tempo stesso<br />
due tipi di solidarietà – per sintetizzare: particolaristica e universalistica; ristretta e<br />
allargata; destinale e libera –; e conseguentemente due impostazioni dell’<strong>etica</strong><br />
stessa.<br />
Dall’alternativa tra una solidarietà che neppure si pone il problema di articolarsi<br />
rispetto alla famiglia, identificandosi con l’unità di un gruppo compatto e interdipendente,<br />
e una solidarietà che rifiuta il modello familiare perché si è liberata<br />
infine dei propri lacci etnocentrici in virtù <strong>della</strong> responsabilità per l’altro in quanto<br />
altro, si esce solo con un rovesciamento. In forza di questo rovesciamento si è costretti<br />
a ritornare ancora una volta sulla famiglia e sul tipo di rapporti di solidarietà<br />
che mette in atto. Tralasciando la considerazione dei mutamenti epocali e delle trasformazioni<br />
sociali, si deve contestare che la famiglia sia un luogo etico identitario,<br />
in senso ristretto, particolaristico e privato.<br />
Comunità precisa, con volti e nomi propri, ma di persone che manifestano già<br />
in questo legame elettivo la responsabilità per l’altro in quanto altro – l’altra persona,<br />
l’altro genere, l’altra generazione, l’altro nella diversità dei tempi e delle avventure<br />
<strong>della</strong> vita – che è insieme la radice e la mappa dei percorsi stessi <strong>della</strong> solidarietà<br />
umana.<br />
Prima, però, bisogna arrivare fino al punto dell’attuale implosione tra un’<strong>etica</strong><br />
<strong>della</strong> famiglia e un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà, certo non per narrarne la storia: per denunciarne<br />
piuttosto le ostinate premesse, che si distribuiscono equamente sui campi<br />
avversi; per recuperarne le intime possibilità.<br />
Popoli come famiglie<br />
Franco Riva<br />
Il punto di implosione tra un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia e un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà si<br />
prepara lentamente attraverso storie e vicende di linguaggi che sono ogni volta comuni<br />
e distanti, lasciando sullo sfondo immutata l’immagine <strong>della</strong> famiglia. Nel<br />
suo punto contemporaneo di arrivo, questa storia rappresenta per la solidarietà<br />
l’attrito teorico tra chi ne ribadisce ad oltranza il modello familiare e chi invece lo<br />
incrimina direttamente. Storia stessa dei trapassi epocali, se è vero quanto scrive<br />
Jean-Francois Lyotard parlando del «legame sociale» in prospettiva postmoderna,<br />
quando i legami tradizionali si sono frantumati e si è guadagnata la consapevolezza<br />
<strong>della</strong> propria irriducibile individualità: anche se per qualcuno «il sé» può apparire<br />
troppo «poco» rispetto ai legami del passato, pur tuttavia non è poi così «isolato»<br />
perché «coinvolto in un tessuto di relazioni più complesse e mobili che mai» 5 .<br />
2002, p. 117; cfr. Id., Riconoscimento e disprezzo. Sui fondamenti di un’<strong>etica</strong> post-tradizionale, Rubbettino,<br />
Soveria Mannelli 1993; P. Ricoeur, Percorsi del riconoscimento, R. Cortina, Milano 2004, pp. 213 ss.<br />
5 J.-F. Lyotard, <strong>La</strong> condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 1994, p. 32.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
153
Franco Riva<br />
Quando Hans Jonas distingue tra la responsabilità e una solidarietà di fatto<br />
che viene a crearsi tra i membri di un gruppo coinvolto nella stessa impresa, fa ancora<br />
memoria del linguaggio familiare: quei rapporti che si generano tra persone<br />
che condividono lo stesso destino e le cui vite sono strettamente unite nella comune<br />
impresa, come una scalata in montagna o il cameratismo in guerra, «in cui<br />
ognuno deve poter contare sull’altro per la propria sicurezza e tutti diventano<br />
quindi reciprocamente “custodi” del loro fratello», appartengono a «un’altra <strong>dimensione</strong><br />
dell’<strong>etica</strong> e del sentimento» rispetto alla responsabilità 6 . Non perché nell’impresa<br />
comune non sorgano rapporti di responsabilità reciproca, ma perché la<br />
simmetria <strong>della</strong> solidarietà si contrappone alla disimmetria <strong>della</strong> responsabilità,<br />
che va al di là, per spazio e per tempo, dell’impresa comune. Il rapporto di responsabilità<br />
non equivale alla solidarietà ristretta in cui ci si fa vicendevolmente custodi<br />
del proprio fratello. <strong>La</strong> solidarietà nell’impresa comune affratella soltanto coloro<br />
che per sangue, per cultura, per interesse, vi si riconoscono.<br />
<strong>La</strong> citazione di Jonas non è a caso. L’intreccio tra solidarietà, impresa comune,<br />
e fraternità è sfruttato da Charles Taylor in polemica contro l’individualismo, a<br />
cui fa difetto proprio il senso <strong>della</strong> solidarietà: e questo in un contesto dove si parla<br />
di bene comune, di «sacrifici», e di «disciplina» che la società civile deve richiedere<br />
ai suoi membri, fatto salvo che vanno espressi nella libertà piuttosto che nella costrizione<br />
come nei regimi dispotici. Sacrifici, disciplina, doveri verso gli altri – sia<br />
pure nella libertà, questa volta – intrecciano nuovamente tra loro il linguaggio <strong>della</strong><br />
solidarietà con quello <strong>della</strong> famiglia.<br />
Alla frantumazione individualistica e liberale Taylor contrappone infatti una<br />
«solidarietà repubblicana», una specie particolare di «patriottismo», capace di posticipare<br />
i propri interessi egoistici in vista del bene comune: un patriottismo che<br />
si regge proprio «su un’identificazione con altri in una particolare impresa comune»,<br />
per la quale «non mi dedico semplicemente alla difesa <strong>della</strong> libertà di uno<br />
qualsiasi, ma sento il legame <strong>della</strong> solidarietà con i miei compatrioti nella nostra<br />
impresa comune, l’espressione comune <strong>della</strong> nostra rispettiva dignità».<br />
<strong>La</strong> solidarietà ricalca esplicitamente il modello familiare, per quanto esteso a livello<br />
di una comunità nazionale: un destino condiviso, l’identificazione con gli altri,<br />
l’impresa comune, la dignità di sentirsi accomunati. Modello <strong>della</strong> solidarietà civile<br />
rimangono, a chiare lettere, i «legami familiari», o quelli amicali, rispetto ai quali soltanto<br />
l’impresa comune, l’identificazione, il destino condiviso possono avere senso.<br />
Tra una famiglia e la società civile scorrono ovviamente delle differenze, tant’è<br />
che la «mia lealtà patriottica non mi lega a persone individuali in questa maniera<br />
familiare»; e tuttavia il modello familiare resta il paradigma di una società civile, la<br />
cui pertinenza è data dal fatto che il «mio legame con queste persone passa attraverso<br />
la nostra partecipazione a un’entità <strong>politica</strong> comune. Le repubbliche che<br />
154<br />
6 H. Jonas, Il principio responsabilità, a cura di P.P. Portinaro, Einaudi, Torino 1993, pp. 119-120.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
funzionano sono come famiglie in questo senso cruciale: nel senso che parte di ciò<br />
che lega insieme le persone è la loro storia comune» 7 .<br />
<strong>La</strong> storia comune rende pertinente il modello familiare per la convivenza civile,<br />
fatte salve alcune differenze: le persone non stanno in rapporto diretto come<br />
nelle famiglie vere e proprie, e il dovere non si può estorcere. Ma proprio queste<br />
eccezioni distanziano tra loro la famiglia e la solidarietà civile nello stesso momento<br />
in cui vengono avvicinate. Questa storia, inoltre, sarà veramente così comune o<br />
non prevede piuttosto complessi intrecci di storie molteplici, diverse, e addirittura<br />
antagoniste le une alle altre?<br />
Famiglia o solidarietà?<br />
Franco Riva<br />
Nonostante le buone intenzioni e il fondo di verità <strong>della</strong> cosa, l’avvicinamento<br />
tra famiglia e solidarietà rischia di provocare, quando viene inteso nel senso di<br />
una comunità ristretta, di destino, di appartenenza, degli effetti sgraditi dove, alla<br />
fine, ne va tanto dell’una quanto dell’altra. <strong>La</strong> famiglia e la solidarietà possono scoprirsi<br />
entrambe invecchiate rispetto a una società moderna e dinamica; oppure,<br />
per salvare l’una delle due, si abbandona l’altra al suo inesorabile destino: in genere,<br />
la famiglia a vantaggio di una solidarietà pubblica rinnovata; ma avviene anche<br />
il contrario.<br />
Ne va innanzitutto <strong>della</strong> solidarietà perché, schiacciata sul modello familiare ristretto,<br />
rischia di seguirne le sorti quando questo va in crisi; e di venire inoltre, per<br />
inevitabile contraccolpo, dichiarata a sua volta sorpassata. Rinchiusa nei ghetti delle<br />
appartenenze, la solidarietà allude per un verso a coesioni etnocentriche e si presta,<br />
per altro verso, a diventare fulcro di costanti rivalità. Il limite estremo di questa impostazione<br />
si ha nel pensiero, reso esplicito da von Hayek, che non vi potrà essere<br />
una «società aperta pacifica» fin tanto che non si «rinuncia a creare solidarietà», la<br />
quale è invece «estremamente efficace nel piccolo gruppo» 8 . Ricalcata sul modello<br />
familiare, la solidarietà si identifica con la coesione dei gruppi chiusi che alimentano<br />
la rivalità sociale. Per quanto la sua efficacia sia indiscutibile entro piccole comunità,<br />
è preferibile rinunciarvi se si vuole costruire una società aperta e pacificata.<br />
Ne va soprattutto, e in secondo luogo, <strong>della</strong> famiglia quando, per difendere il<br />
valore più dilatato <strong>della</strong> solidarietà, si tende a trascurarla come modello di riferi-<br />
7 C. Taylor, Cross-Purposes. The Liberal-Communitarian Debate, inPhilosophical Arguments, Harvard<br />
University Press, Cambridge-Mass. – London 1995, pp. 187 ss. Cfr. J. Chevalier, éd., <strong>La</strong> solidarité,<br />
un sentiment republicain?, PUF, Paris 1992. Per A. Etzioni (The Spirit of Community. Rights, Responsibilities,<br />
and the Communitarian Agenda, Crown, New York 1993) il paradigma familiare va difeso<br />
per legge.<br />
8 F.A. von Hayek, Legge, legislazione e libertà. Una nuova enunciazione dei principi liberali <strong>della</strong><br />
giustizia e dell’economia <strong>politica</strong>, il Saggiatore, Milano 1986, p. 361.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
155
Franco Riva<br />
mento: finisce così, strumentalmente, per essere consegnata alla sua immagine tradizionalistica.<br />
A quest’ultimo proposito si consuma un vero e proprio paradosso<br />
nel connubio tra il linguaggio <strong>della</strong> famiglia e quello <strong>della</strong> solidarietà: nati insieme,<br />
sempre insieme o vengono abbandonati o si rinuncia alla matrice familiare<br />
che genera in qualche modo il linguaggio stesso <strong>della</strong> solidarietà.<br />
<strong>La</strong> rinuncia alla famiglia quale modello per la solidarietà matura nelle obiezioni,<br />
per depositarsi infine in un vero e proprio rovesciamento: <strong>della</strong> solidarietà si<br />
arriva infine a parlare non più nei termini comunitari <strong>della</strong> famiglia, ma in quelli,<br />
insieme polemici e provocatori, degli «individualismi solidali». Più che il dettaglio,<br />
la discussione o la correttezza delle obiezioni che vengono rivolte al concetto di solidarietà<br />
ricalcato sul modello familiare, sempre inteso tuttavia come comunità di<br />
destino e di appartenenza stretta, conviene registrare il movimento di fondo che<br />
dissocia la solidarietà moderna dalla famiglia. Le obiezioni che vengono mosse alla<br />
sovrapposizione tra linguaggio <strong>della</strong> famiglia e linguaggio <strong>della</strong> solidarietà marcano<br />
tutte il percorso di una crisi: crisi delle trasformazioni sociali, e crisi del modello<br />
familiare. Le stesse obiezioni lasciano inoltre trapelare una logica unitaria, al di<br />
là delle loro differenze e delle loro puntualizzazioni; e si presentano inoltre lungo<br />
tre linee di forza, più o meno diseguali nell’intensità: la distanza delle società moderne<br />
dal modello familiare; l’intrasponibilità dei legami parentali; la convergenza<br />
tra le comunità di destino e gli stili costrittivi <strong>della</strong> convivenza. Da tutto questo<br />
deriverebbe l’inapplicabilità del modello familiare per le società moderne 9 .<br />
Habermas non ha incertezze nel concedere che le «idee fondamentali di uguale<br />
trattamento, solidarietà e bene comune» sono sempre esistite, anche se spesso «questi<br />
obblighi normativi di per sé non oltrepassano i confini di un concreto mondo di<br />
vita: <strong>della</strong> famiglia, <strong>della</strong> tribù, <strong>della</strong> città o <strong>della</strong> nazione» 10 . <strong>La</strong> vicinanza tra famiglia<br />
e solidarietà rispecchia la situazione di comunità fortemente identitarie che sono<br />
inadatte a cogliere la valenza intersoggettiva e allargata, universale, <strong>della</strong> solidarietà:<br />
distaccandosi dal modello familiare <strong>della</strong> comunità di destino è possibile riscoprire,<br />
e liberare, i luoghi <strong>della</strong> forza socio-integrativa dell’agire comunicativo, le<br />
«energie produttrici di solidarietà» 11 . All’idea dominante di una solidarietà (e di una<br />
fraternità) tra simili subentra quella di solidarietà (e di una fraternità) tra estranei,<br />
che in Habermas privilegia l’universale, i diritti, la giustizia. <strong>La</strong> solidarietà, che è il<br />
«rovescio <strong>della</strong> giustizia» 12 , non ha più bisogno di insistere sul rapporto parentale.<br />
9 Cfr. J. Duvignaud, <strong>La</strong> solidarité. Liens de sang e liens de raison, Fayard, Paris 1986, pp. 155 ss.;<br />
K. Bayertz, Il concetto e il problema <strong>della</strong> solidarietà, in K. Bayertz, M. Baurmann, L’interesse e il dono,<br />
Questioni di solidarietà, a cura di P.P. Portinaro, Edizioni di Comunità, Milano 2002, pp. 26 ss.<br />
10 J. Habermas, Giustizia e Solidarietà,inTeoria <strong>della</strong> morale, <strong>La</strong>terza, Roma-Bari 1994, p. 71 e p.<br />
72 (cfr. J. Habermas, Solidarietà tra estranei, Guerini e Associati, Milano 1997 e Fatti e norme. Contributi<br />
a una teoria discorsiva del diritto e <strong>della</strong> democrazia, Guerini, Milano 1996, p. 96).<br />
11 Cfr. J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, <strong>La</strong>terza, Roma-Bari 2006, pp. XXX ss.<br />
12 J. Habermas, Giustizia e Solidarietà, cit., p. 74.<br />
156<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Anche Avisai Margalit coglie l’intimo rapporto tra il linguaggio <strong>della</strong> famiglia e<br />
quello <strong>della</strong> solidarietà, con riferimento alla «trinità» rivoluzionaria di libertà, uguaglianza,<br />
fraternità. Tuttavia, il «modello di relazioni fraterne» implica «un’appartenenza<br />
senza condizioni» impraticabile in un’«anonima società di massa», che non può<br />
«essere pensata su un simile legame familiare»: l’idea di un modello familiare pervasivo<br />
rispetto alla società contemporanea produce lo stesso «scetticismo» del sogno che<br />
«tutta l’umanità possa essere composta di persone che si amino l’un l’altra» 13 .<br />
Nelle obiezioni circa l’opportunità di conservare un modello familiare per la<br />
solidarietà i linguaggi continuano a intrecciarsi al rovescio, al fine di dissociare le<br />
loro prospettive. Matura in questo modo anche il distacco, perché si reputa che la<br />
disgregazione dei legami tradizionali, più legati alla famiglia, non comporti necessariamente<br />
una dismissione di solidarietà. Apre invece a possibilità inedite, dal momento<br />
che al di fuori dei gruppi e dei rapporti obbligati la solidarietà può manifestarsi<br />
più liberamente, e più creativamente.<br />
Lo scollamento del linguaggio <strong>della</strong> solidarietà da quello <strong>della</strong> famiglia annuncia<br />
l’abbandono delle logiche delle comunità di destino, a favore vuoi di universalismi<br />
– se si va nella direzione dei diritti – vuoi di individualismi solidali. In<br />
un caso e nell’altro, però, il modello familiare risulta svalutato finché continua a<br />
essere interpretato come il fiancheggiatore delle comunità ristrette e autoripiegate,<br />
di impronta tradizionalistica. <strong>La</strong> proposta di un «etnocentrismo moderato» per la<br />
solidarietà (R. Rorty), vale a dire l’allargamento progressivo del «noi» di partenza,<br />
rispetta acutamente sia l’origine “familiare” del linguaggio, sia l’esigenza del suo<br />
sfondamento 14 .<br />
Non per questo il riferimento alla famiglia è del tutto superato. Nella presa<br />
di distacco dall’uso tradizionalistico del modello familiare, nelle stesse obiezioni,<br />
trasale infatti anche l’esigenza di un suo ripensamento: soprattutto con l’annuncio<br />
di possibili, nuove fraternità, che siano scelte, non escludenti, tra estranei. Per la<br />
famiglia e la fraternità si annuncia allora, al di là del dato acquisito, genetico, che<br />
sta alle nostre spalle, anche un compito a venire. Il linguaggio <strong>della</strong> famiglia si ritrova<br />
così, non solo per forza dialettica, ad essere in qualche modo mantenuto, e<br />
addirittura reinterpretato, perfino nella dismissione del suo modello.<br />
Individui solidali<br />
Per il rapporto tra famiglia e solidarietà il fenomeno moderno dell’individualizzazione<br />
rappresenta un culmine paradossale. Il processo è «ambivalente»: da un<br />
13 A. Margalit. <strong>La</strong> società decente, Guerini e Associati, Milano 2002, p. 213; cfr. pp. 213-214.<br />
14 Cfr. R. Rorty, <strong>La</strong> filosofia dopo la filosofia. Contingenza, ironia e solidarietà, <strong>La</strong>terza, Roma-Bari<br />
2001, p. 227.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
Franco Riva<br />
157
Franco Riva<br />
lato implica una rottura rispetto ai rapporti sociali tradizionali, costrittivi, da un<br />
altro lato pone le premesse «dell’autonomia individuale» in ordine a scelte più responsabili<br />
15 . Permette inoltre percorsi d’azione inediti e dinamici rispetto ai vincoli<br />
e alle fissità delle solidarietà del passato. Lo sgretolamento dei legami tradizionali<br />
non coincide per sé con il trionfo dell’egoismo: individualizzazione non equivale<br />
a individualismo.<br />
Il rifiuto di identificare il successo dell’individuo con il regno dell’egoismo<br />
morale si deposita in modo emblematico nella possibilità inedita di un «individualismo<br />
solidale» dove, anziché essere d’ostacolo, «il pensare a se stessi» diventa addirittura<br />
il «presupposto di un essere per gli altri» 16 . Niente di più distante dalle solidarietà<br />
coatte, strette nella morsa di doveri ancestrali e insindacabili.<br />
Questo è il punto: la crisi e l’allentarsi dei legami tradizionali «non è più in<br />
contraddizione con la solidarietà, ma costituisce anzi proprio il suo presupposto»<br />
17 . Ne viene, per contrasto, che l’insistenza ad oltranza sul modello parentale<br />
porta al rifiuto <strong>della</strong> stessa solidarietà.<br />
In discussione non è la famiglia come luogo di solidarietà dato che, come dice<br />
Max Weber, la «comunità domestica» e il «gruppo parentale» restano forme tipiche<br />
e «tradizionali» di solidarietà 18 . Il problema riguarda la spendibilità del modello<br />
familiare, tradizionale e domestico, per un discorso veramente allargato,<br />
creativo, sulla solidarietà. Nella stagione del suo imporsi globale e mediatico la solidarietà<br />
oltrepassa per suo conto i confini delle appartenenze troppo ristrette, dei<br />
rapporti troppo ravvicinati, e pone il problema di una solidarietà tra estranei, per i<br />
quali è difficile utilizzare ancora il lessico familiare se non con un’estensione o una<br />
riformulazione tali (la famiglia umana; la fraternità tra sconosciuti) che lo rende<br />
irriconoscibile nei termini tradizionali dei legami di sangue e di cultura.<br />
L’estendersi globale <strong>della</strong> solidarietà non smentisce il valore delle solidarietà<br />
tradizionali. Pur tuttavia nella solidarietà moderna, che porta al proprio centro la<br />
responsabilità per l’altro in quanto altro e non come membro del proprio gruppo<br />
di appartenenza, si impone l’apertura verso modi nuovi di comunità che discutono<br />
e problematizzano il modello familiare, sempre identificato con una comunità<br />
di destino, con i legami di sangue.<br />
Il legame di sangue e l’individualismo solidale sono facce <strong>della</strong> stessa polemica<br />
che coinvolge in prima fila la solidarietà e la famiglia, sia pure con sottolineatu-<br />
15 Cfr. R. Zoll, <strong>La</strong> solidarietà, cit., pp. 180 ss.<br />
16 U. Beck, Solidarischer Individualismus. An sich denken ist die Voraussetzung eines Daseins für<br />
Andere, «Süddeutsche Zeitung» 2 marzo 1995. Cfr. U. Beck, <strong>La</strong> società del rischio, Carocci, Roma<br />
2000; R. Boudon, Declino <strong>della</strong> morale? Declino dei valori?, il Mulino, Bologna 2003, pp. 25 ss.<br />
17 K.-O. Hondrich, C. Koch-Arzberger, Solidarität in der modernen Gesellschaft, Fischer, Frankfurt<br />
am Main 1992, p. 25; cfr. H. Van der Loo, W. Van Reijen, Modernisierung. Project und Paradox,<br />
Suhrkamp, Frankfurt am Main 1992.<br />
18 M. Weber, Economia e società, a cura di P. Rossi, Edizioni di Comunità, Milano 1980, vol. I, p. 45.<br />
158<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
e alternative: il legame di sangue richiama all’essere solidali contro l’individualismo<br />
moderno che attenua, anche nel suo aspetto iper-economicistico, i «legami di<br />
fiducia o solidarietà» 19 ; l’individualismo solidale pone invece l’accento, contro le<br />
imposizioni del passato, sulla capacità individuale e trasgressiva dell’agire solidale<br />
di una persona libera. E in entrambi i casi la famiglia continua ancora a restare<br />
schiacciata sul modello premoderno, tradizionalistico e ristretto. Ma la famiglia<br />
non è solo, o non è propriamente, questo.<br />
Per reazione alla reazione, difatti, perfino gli individualismi solidali vengono<br />
a loro volta rovesciati in vista di un ritorno alla famiglia, sulla scena innegabile dell’attuale<br />
difficoltà <strong>della</strong> convivenza pubblica: per qualcuno, ormai, soltanto nella<br />
vivacità resistente <strong>della</strong> famiglia, che sopravvive ai trapassi epocali, si può ritrovare<br />
il senso di quegli stili di «solidarietà» nei rapporti che altrove si stanno smarrendo,<br />
schiacciati dal dominio incontrastato degli imperativi collettivi <strong>della</strong> concorrenza<br />
e <strong>della</strong> competizione 20 . Con la sua sorprendente vitalità la famiglia, dunque, resiste.<br />
Pur nel suo recupero, continua però a venire investita dal linguaggio <strong>della</strong> frattura<br />
e dell’opposizione rispetto alla socialità allargata: linguaggio di un «privato»<br />
<strong>della</strong> famiglia che si contrappone al pubblico, di una «intimità» che andrebbe appunto<br />
riscoperta. Questa famiglia così intima e privata non è forse poi così lontana<br />
dagli stessi individualismi solidali.<br />
Fraternità ma come?<br />
Franco Riva<br />
Il punto di implosione tra un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia e un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà rimette<br />
di fronte allo stesso paradosso e alla stessa evidenza: al paradosso di linguaggi<br />
affini che litigano tra loro senza potersi estirpare fino in fondo l’uno dall’altro; e all’evidenza<br />
di un concetto di famiglia appiattito in genere su un’immagine tradizionalistica,<br />
di una parentela chiusa – concetto che rischia di essere tanto noioso<br />
quanto artefatto, pronto per ogni uso.<br />
E questo su entrambi i versanti. <strong>La</strong> critica del modello familiare non riesce a<br />
disfarsi del tutto del linguaggio <strong>della</strong> famiglia, e parla ad esempio di fraternità tra<br />
estranei, di appartenenze straniere. L’insistenza sul modello familiare è invece costretta<br />
a riconfigurarlo e ad eccepire di continuo per poterlo riproporre in riferimento<br />
a convivenze allargate e complesse. Ecco allora le precisazioni, le avvertenze,<br />
le aggettivazioni, le limitazioni attraverso cui mantenere in vita il modello dei legami<br />
di sangue in un diverso contesto che li rende improbabili come tali: la fraternità<br />
19 C. <strong>La</strong>sch, <strong>La</strong> cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni collettive,<br />
Bompiani, Milano 1995, p. 88.<br />
20 Cfr. L. Ferry, Famiglie, vi amo! Politica e vita privata nell’era <strong>della</strong> globalizzazione, Garzanti, Milano<br />
2008, pp. 61-63.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
159
Franco Riva<br />
diventa civica, il modello esclude rapporti troppo personali, e la comunità di destino<br />
si tramuta nella condivisione <strong>della</strong> medesima storia.<br />
<strong>La</strong> parola fraternità, così centrale nel lessico <strong>della</strong> famiglia, è emblematica<br />
tanto del paradosso quanto dell’evidenza.<br />
L’estensione <strong>della</strong> solidarietà ha portato con sé anche l’allargamento <strong>della</strong> fraternità.<br />
Prendere in prestito dalla famiglia la parola fraternità si è rivelato subito non<br />
facile: è stato fatto, ma con precisazioni e distinzioni, con rifiuti e riscritture del significato.<br />
L’estensione <strong>della</strong> fraternità in senso civile, in particolare, ha implicato infatti<br />
tanto una valorizzazione del termine, quanto una doppia rottura di significato:<br />
rispetto ai legami di sangue; e all’idea religiosa di fraternità. Rispetto ai legami di<br />
sangue perché la fraternità civica ha poco a che vedere con il gruppo parentale, e<br />
permette anzi legami in un certo senso “senza legami”: legami cioè differenti che<br />
sorgono con il patto civico. E rispetto al significato religioso <strong>della</strong> fraternità, perché<br />
lo sguardo richiesto diventa adesso giocoforza orizzontale anziché verticale.<br />
Quando Rousseau va alla ricerca di una religione adatta per la convivenza tra<br />
gli uomini, si imbatte nella «religione dell’uomo» (nel vangelo): religione interiore<br />
rivolta al «dio supremo e ai doveri eterni <strong>della</strong> morale», espressione di un «diritto<br />
divino naturale», risulta anche questa inadatta alla convivenza umana, nonostante<br />
il fatto che concepisca tutti gli uomini come «fratelli» – ma solo in quanto figli dello<br />
stesso Dio. Per questo non vi è «nulla di più contrario allo spirito sociale»: religione<br />
eccessivamente spirituale, la cui patria «non è di questo mondo», e che inclina<br />
facilmente verso la tirannia dal momento che ama la sottomissione. Meglio propendere<br />
allora per una «religione civile» che suggerisce una fraternità orizzontale 21 .<br />
All’interno dei pensieri sull’unità del sociale rispuntano le parole <strong>della</strong> famiglia,<br />
e ritornano anche i problemi, perché la fraternità umana sta cercando una via<br />
alternativa tra i legami di sangue e i legami religiosi (o metafisici). Un’eco precisa<br />
del problema si ritrova, in una diversa ricerca, nelle parole di Luce Irigaray: «indispensabili<br />
anche nel regno animale», le «funzioni parentali devono forse perdere un<br />
po’ <strong>della</strong> loro importanza per non impedire una cultura <strong>della</strong> relazione all’altro<br />
considerata nella sua <strong>dimensione</strong> orizzontale» 22 . Ma anche qui non tutto è così facile.<br />
Lo spostamento di ambito <strong>della</strong> fraternità dalla famiglia naturale, o da quella<br />
metafisica, alla famiglia civile rimette in tensione i termini: nel caso <strong>della</strong> famiglia<br />
naturale o metafisica, la fraternità precede, e si esprime nei termini di una appartenenza<br />
già data, di una condizione non scelta di partenza, indipendentemente dal<br />
modo in cui questa può essere pensata; nel caso <strong>della</strong> famiglia civile, invece, la fraternità<br />
non è del tutto già fatta, ma è anche da farsi, e questo la porta verso la storia<br />
21 J.J. Rousseau, Del contratto sociale, l. IV, cap. VIII (Della religione civile). Cfr. M. Gauchet, <strong>La</strong><br />
révolution des droits de l’homme, Gallimard, Paris 1989.<br />
22 L. Irigaray, <strong>La</strong> via dell’amore, Bollati Boringhieri, Torino 2008, pp. 55-56.<br />
160<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
anziché verso la natura, verso la cultura anziché verso il sangue, verso la libertà anziché<br />
verso la necessità, verso il futuro anziché verso il passato. <strong>La</strong> fraternità non<br />
naturale si deve costruire, si può scegliere. E così per la solidarietà.<br />
Il doppio avvicinamento tra famiglia e solidarietà provoca perciò tanto una<br />
complicità quanto dei contraccolpi: a volte previsti, altre volte del tutto imprevisti.<br />
Il modello organicistico<br />
<strong>La</strong> si prenda sul lato <strong>della</strong> solidarietà allargata, o su quello di una solidarietà<br />
ristretta, l’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia continua a rimanere dipendente da un’immagine tradizionalistica<br />
che non le compete, le fa ingiustizia, e rischia alla fine di significare<br />
veramente poco, sia in sé sia in riferimento alle presunte epoche a cui si riferisce.<br />
<strong>La</strong> famiglia è stata infatti nel passato più allargata di quanto non sostenga la sua<br />
immagine polemica.<br />
Il carattere ideologico <strong>della</strong> rappresentazione in chiave tradizionalistica <strong>della</strong><br />
famiglia va denunciato 23 . Il problema non si esaurisce tuttavia restituendole la sua<br />
forza di matrice per una solidarietà allargata, perché si dovrà anche cercare di comprendere<br />
come mai l’intreccio tra il linguaggio <strong>della</strong> famiglia e quello <strong>della</strong> solidarietà<br />
sia giunto fino al punto d’implosione, e allo sfaldamento per sopravvenuta, e<br />
reciproca, irriconoscibilità: cosa che avviene, di ritorno, anche quando la solidarietà,<br />
scippata alla famiglia, le viene polemicamente – ma privatamente – riconsegnata<br />
dinnanzi allo smarrimento pubblico dei legami.<br />
All’implosione non si arriva per fraintendimenti unilaterali, consumati in alternativa<br />
sul lato <strong>della</strong> solidarietà piuttosto che su quello <strong>della</strong> famiglia. Su di un<br />
versante e sull’altro si ripropongono infatti, solo cambiate di segno, le identiche<br />
precomprensioni. Tra queste, due risultano particolarmente sfruttate nelle polemiche<br />
sulla solidarietà: il modello organicistico, e il compiacimento sacrificale del dovere<br />
di solidarietà.<br />
L’immagine <strong>della</strong> famiglia viene da sempre chiamata in causa in maniera diretta<br />
a proposito dell’idea, e di un’<strong>etica</strong>, <strong>della</strong> solidarietà: non solo perché la famiglia<br />
è un luogo umano imprescindibile per la pratica giornaliera <strong>della</strong> solidarietà,<br />
ma soprattutto perché, da Aristotele in poi, essa viene vista come il primo, decisivo<br />
snodo del legame sociale – legame che si traduce proprio in termini di solidarietà.<br />
Famiglia e solidarietà si ritrovano dunque vicine intorno all’interpretazione del legame<br />
sociale: la solidarietà sociale viene pensata per analogia con l’unità familiare,<br />
e l’unità <strong>della</strong> famiglia viene a sua volta interpretata come un luogo esemplare <strong>della</strong><br />
solidarietà sociale.<br />
23 Cfr. X. <strong>La</strong>croix, Di carne e di parola. Dare un fondamento alla famiglia, Vita e Pensiero, Milano<br />
2007, pp. 43 ss.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
Franco Riva<br />
161
Franco Riva<br />
Al di là <strong>della</strong> genesi storica e culturale di questa vicinanza, le precomprensioni<br />
retrostanti si lasciano presto riconoscere, tanto ricorrono nei discorsi pubblici per<br />
esortare all’unità del sociale: la famiglia viene per lo più interpretata secondo un<br />
modello nucleare, molecolare – di matrice in definitiva biologistica – a cui fa da<br />
inevitabile pendant una concezione organicistica <strong>della</strong> convivenza umana dominata,<br />
ieri come oggi, dalla nota metafora del corpo sociale: classica e fortunata senz’altro,<br />
ma per certi aspetti anche stucchevole nella sua bonaria – e a volte sinistra – invadenza.<br />
Il presupposto organicistico si ripete, grossomodo intatto, su entrambe le<br />
sponde. <strong>La</strong> famiglia viene allora esaurita nella complementarietà delle differenze<br />
sessuali, nell’unità funzionalistica dei sessi, nella generatività meramente biologica<br />
(o patrimoniale), nei rapporti inevitabilmente gerarchici tra i suoi componenti.<br />
L’unità del sociale sarà interpretata a sua volta sulla scia del modello organicistico,<br />
sulla falsariga cioè del “grande animale” di memoria platonica, riesumato da Hobbes<br />
agli esordi <strong>della</strong> modernità, ma ancora nel positivismo del secondo Ottocento,<br />
sulla scia di una fisica (Comte) e, ancor più, di una biologia (Spencer) sociali.<br />
Nel suo stare a mezzo tra la famiglia intesa in modo nucleare e la società concepita<br />
in modo organicistico, il concetto di solidarietà diventa un sinonimo di pura<br />
interdipendenza: la fisiologia sociale la interpreta nei termini meccanicistici dell’inter-relazione<br />
delle parti con il tutto, la biologia sociale la sublima invece nella<br />
differenziazione dei ruoli e delle funzioni 24 .<br />
Linguaggi scivolosi<br />
Fisica sociale per un verso, organicismo sociale per un altro, si perpetua comunque<br />
una corrispondenza critica tra la solidarietà e l’interdipendenza che, anziché<br />
aprire l’una all’altra la famiglia e la società, tende invece o a rendere strumentale<br />
la loro connessione, o a provocare l’effetto contrario a quello desiderato: di centrare<br />
cioè la famiglia e la società ciascuna su se stessa – mettendole di conseguenza<br />
in conflitto.<br />
L’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia e quella <strong>della</strong> solidarietà pagano congiuntamente un<br />
prezzo al linguaggio mutuato da un’ottica naturalistica o biologistica – linguaggio<br />
che, assimilato da tempo e diventato comune, rischia alla fine di scambiare l’immagine,<br />
o la metafora, con la verità dell’una e dell’altra. Hans Jonas ha fatto presente<br />
che in riferimento all’umanità e alla sua storia «tutti i paragoni organici sono<br />
inadeguati e, in ultima analisi, fuorvianti» 25 , dal momento che non si può parlare<br />
24 E. Durkheim (<strong>La</strong> divisione del lavoro sociale, Edizioni di Comunità, Milano 1996, pp. 144 ss.)<br />
usa, per la solidarietà, l’«analogia» dei «corpi viventi».<br />
25 H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., p. 137.<br />
162<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Franco Riva<br />
di un’infanzia dell’umano così come si parla <strong>della</strong> giovinezza di un corpo. <strong>La</strong> storia<br />
presenta fin dal suo inizio una “compiutezza” umana che la dissocia dalla vicenda<br />
biologica.<br />
Tra biologismo familiare e organicismo sociale si produce una vera e propria<br />
contaminazione rassicurante, perché sembra confermare sull’uno e sull’altro fronte<br />
che la socialità dell’umano consiste esattamente in una interdipendenza di funzioni,<br />
più o meno articolata, più o meno differenziata che sia, nonché in una comune<br />
appartenenza che si pensa pur sempre dall’interno di questa reciproca “strumentalità”.<br />
L’insieme dell’umano, invece, non è un modo né <strong>della</strong> pura interdipendenza,<br />
né <strong>della</strong> cruda strumentalità.<br />
Non si è nemmeno tanto sicuri che il perno del linguaggio biologistico si ritrovi<br />
nella famiglia piuttosto che nella società: in fondo, parlare <strong>della</strong> famiglia come<br />
di una cellula o di un nucleo può essere tanto un punto di partenza quanto un<br />
punto di arrivo che si guadagna, al rovescio, concependo appunto la società umana<br />
in termini di corpo sociale. E anche per l’idea di un corpo sociale, al di là dell’immagine<br />
più o meno riuscita e più o meno esplicativa, vi sarebbe non poco da discutere<br />
sulla sua apparente ovvietà e, ancor più, sul suo ripetuto ed esplicito utilizzo in<br />
senso antidemocratico 26 .<br />
Ilmodello organicistico funziona infatti in entrambi i sensi di marcia: si può<br />
andare dalla famiglia intesa come cellula alla società concepita come organismo,<br />
ma si può andare anche nella direzione opposta, e totalitaria, con esiti che si capovolgono<br />
di continuo. Nel perenne, possibile rovesciamento, gli esiti tradiscono<br />
spesso le intenzioni. Se si comincia con la famiglia quale cellula sociale, si intende<br />
difenderne il valore, e la propositività, rispetto all’organismo di cui fa parte. Se si<br />
inizia invece con l’organismo sociale, la famiglia si ritrova immediatamente relativizzata,<br />
strumentalizzata, e addirittura fisiologizzata.<br />
Il linguaggio organicistico per dire <strong>della</strong> famiglia e <strong>della</strong> solidarietà è scivoloso,<br />
forse anche inaffidabile. <strong>La</strong> difesa <strong>della</strong> famiglia in termini di cellula sociale può<br />
darsi non raggiunga lo scopo, e ne prepari dall’interno il superamento: quel che si<br />
vuole proporre come esemplare rischia, inevitabilmente, di ritrovarsi in realtà ad<br />
essere esemplato. L’analogia del corpo sociale propende così a tramutarsi in un’analogia<br />
dell’analogia di cui non si comprende il riferimento di partenza. Debole l’organicismo<br />
sociale, debole la famiglia. Su entrambi i fronti l’analogia ottiene l’effetto<br />
contrario: in virtù delle sue stesse premesse, se rafforza la famiglia indebolisce la<br />
società; e se rafforza la società indebolisce la famiglia.<br />
Il linguaggio organicista, che circola nell’antichità greco-romana, ha un’eco religiosa<br />
spesso sfruttata dalla retorica pubblica in una sorta di Santa Alleanza del<br />
compattamento sociale: compare anche nei testi cristiani con Paolo di Tarso (1 Co-<br />
26 In merito, cfr. ad es. M. Walzer, <strong>La</strong> rivoluzione dei santi. Il puritanesimo alle origini del radicalismo<br />
politico, Claudiana, Torino 1996, pp. 209-210.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
163
Franco Riva<br />
rinzi, cap. 12). Tuttavia, se è vero che «non esiste immagine più trita <strong>della</strong> rappresentazione<br />
<strong>della</strong> società come un corpo» e che, «dal punto di vista sociale e politico,<br />
è una metafora intrinsecamente conservatrice», nel cristianesimo non equivale più a<br />
un organicismo perché dipende da un’altra metafora dominante, quella <strong>della</strong> crocifissione<br />
e <strong>della</strong> risurrezione, che «altera quella <strong>politica</strong> tradizionale»: i ruoli comunitari<br />
diventano «doni», e quindi aperti a tutti; entra in crisi la visione gerarchica a favore<br />
<strong>della</strong> «testa» e degli «occhi»; e tra le membra del corpo si introduce un rapporto<br />
di «cura le une per le altre», fino a rovesciare l’obbligo dell’unità sociale a beneficio,<br />
capovolto, dei «deboli» e degli ultimi 27 . <strong>La</strong> solidarietà di una comunità non significa<br />
quindi necessariamente né solo interdipendenza, né tanto meno conservazione.<br />
<strong>La</strong> spina del dovere<br />
<strong>La</strong> vicinanza lessicale con la famiglia si impone fin dall’affacciarsi <strong>della</strong> solidarietà<br />
sulla scena dell’Occidente. In età moderna la solidarietà ha ricevuto una generalizzazione<br />
in senso morale e politico, soprattutto per indicare il dovere di aiuto<br />
reciproco tra le persone, o ancora il senso di un’obbligazione reciproca tra gli individui<br />
e la società, come si appartenesse tutti alla stessa “famiglia”. Nella trasmigrazione<br />
delle parole dalla famiglia verso la solidarietà, però, il tema del dovere ha assunto<br />
spesso un’intonazione sacrificale e soppressiva, dove la responsabilità per l’altro<br />
si esaurisce nell’obbligazione, più o meno giuridica, o in una rinuncia.<br />
<strong>La</strong> solidarietà comincia a fissarsi, giuridicamente, con i concetti di debito e di<br />
responsabilità in riferimento alla famiglia. Il concetto risale al diritto romano, dove<br />
significa l’«obligatio in solidum»: una figura particolare di responsabilità per cui<br />
ogni singolo membro di una data comunità, in primo luogo familiare, è tenuto a<br />
farsi carico non solo dei debiti personalmente sottoscritti, ma di tutto il complesso<br />
dei debiti contratti dalla comunità di appartenenza, così come la comunità si impegna<br />
a sua volta di ritorno nei confronti dei debiti del singolo.<br />
L’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà porta con sé la memoria di un dovere e di una responsabilità<br />
che si radicano nel fatto di appartenere ad una stessa comunità, di far parte<br />
<strong>della</strong> stessa famiglia. Amplificando con la solidarietà il concetto del dovere di una<br />
reciproca assistenza e di un reciproco debito tra i cittadini, la modernità ha incrementato<br />
a maggior ragione la vicinanza linguistica con la famiglia che, nello stesso<br />
istante in cui si propone come chiarificatrice, genera anche non poche tensioni<br />
pratiche e teoriche. <strong>La</strong> solidarietà parla un linguaggio familiare seguendo due direzioni<br />
che in parte si compenetrano e in parte si disarticolano: quella dell’unica famiglia<br />
umana e quella, fissata dalla Rivoluzione francese, <strong>della</strong> fraternità civile.<br />
171-172.<br />
164<br />
27 G. Meek, Le origini <strong>della</strong> morale cristiana. I primi due secoli, Vita e Pensiero, Milano 2000, pp.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
I paradigmi del sistema famiglia<br />
Franco Riva<br />
Va da sé che un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà motivata dall’appartenenza all’unica famiglia<br />
umana, è stata giustificata in modi assai differenti, che ricalcano paradigmi<br />
ora naturalistici – la specie umana –, ora culturali – la condivisione <strong>della</strong> razionalità<br />
–, ora metafisici – per via <strong>della</strong> comune discendenza dall’unico principio –,<br />
ora, infine, religiosi. Anche per la fraternità si sono avvicendati e incrociati tra loro<br />
paradigmi diversi: l’uno verticale e genetico, in definitiva religioso, privilegia la filiazione<br />
dall’unico Padre, l’altro, orizzontale e civile, vede la genesi <strong>della</strong> fraternità<br />
nell’atto costitutivo <strong>della</strong> convivenza. Ragionando sul patto che istituisce la città libera<br />
Max Weber, ad esempio, fa equivalere l’«interesse solidale» (o «comune») con<br />
una nuova «fraternità giurata» 28 . Ma indipendentemente dalla diversità dei modi,<br />
si conferma per la solidarietà l’intreccio semantico con la famiglia.<br />
Il codificarsi moderno di un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà frequenta dunque ripetutamente<br />
il lessico familiare. Nessuna <strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà vive senza l’evocazione di<br />
un dovere, che giunge talora a parlare di sacrifici come manifestazione eccellente<br />
dell’essere solidali: ma intorno al senso del dovere, e al sacrifico come essenza <strong>della</strong><br />
solidarietà, gli atteggiamenti sembrano nuovamente dividersi in modo irrecuperabile..<br />
Nell’orizzonte post-moderno l’indisponibilità al sacrificio assume un carattere<br />
positivo, perché identifica la nostra epoca come quella dell’après-devoir: stagione di<br />
libertà individuale, e quindi <strong>della</strong> morte del dovere e degli obblighi scontati. Per<br />
marcare la tonalità emotiva dell’epoca Gilles Lipovetsky ha potuto dire, in questo<br />
senso, che «l’idea di sacrificio di sé è stata delegittimata» 29 .<br />
Una conferma di contrappunto viene da John Rawls: nega il sacrificio quando<br />
espone il primo principio di giustizia – l’imparzialità –, ma evoca la famiglia a<br />
proposito del secondo – la differenza. Le convivenze moderne si fondano sul principio<br />
di giustizia, che privilegia nella definizione delle regole comuni criteri di imparzialità:<br />
si parte non a caso dal presupposto che il contratto sociale venga stipulato<br />
tra persone che non «desiderano sacrificare i propri interessi a quelli degli altri»<br />
30 . Il principio di differenza corrisponde invece al «significato naturale <strong>della</strong> fraternità;<br />
cioè, all’idea di non desiderare vantaggi, a meno che non vadano a beneficio<br />
di quelli che stanno meno bene» di noi.<br />
<strong>La</strong> perplessità sulla possibilità di estendere i rapporti familiari «ai membri di<br />
una società più ampia» spiega il suo «relativo abbandono da parte di una teoria <strong>della</strong><br />
democrazia», per quanto, «interpretato in modo da includere il requisito del prin-<br />
28 M. Weber, <strong>La</strong> città, Donzelli, Roma 2003, pp. 44-45, 80.<br />
29 G. Lipovetsky, Le crépuscole du devoir, Gallimard, Paris 1992; cfr. Z. Bauman, Le sfide dell’<strong>etica</strong>,<br />
Feltrinelli, Milano 1996, pp. 8-9.<br />
30 J. Rawls, Una teoria <strong>della</strong> giustizia, Feltrinelli, Milano 1991, p. 120.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
165
Franco Riva<br />
cipio di differenza», anche il «principio di fraternità», che tiene sullo sfondo il riferimento<br />
alla «famiglia», diventa uno «standard perfettamente accettabile» 31 . Rimeditata<br />
in senso democratico, una memoria <strong>della</strong> famiglia sopravvive pur sempre,<br />
anche se il principio di solidarietà non ne ricalca più il modello naturale perché discende,<br />
ora, da un calcolo razionale degli interessi individuali tra le parti in causa.<br />
Nelle letture critiche del post-moderno si lamenta il contrario, e cioè che la<br />
disponibilità al sacrificio è scomparsa, che il legame sociale si è allentato, e che si<br />
perde il senso del dovere per una solidarietà reciproca. Mentre nel post-moderno si<br />
guarda in avanti, a partire dalle possibilità dischiuse e inedite che offre la liberazione<br />
dal dovere coatto dei legami tradizionali, nelle sue critiche ci si volge invece all’indietro,<br />
in modo più o meno nostalgico, a sognare l’età smarrita dei legami sociali,<br />
il senso di una comune appartenenza, la capacità di gesti altruistici, la disponibilità<br />
a sacrificarsi per gli altri..<br />
Da un lato troviamo dunque il dovere, il pre-moderno, la comunità, la solidarietà<br />
e il sacrificio, dall’altro lato il post-moderno, l’individuo, la fine del dovere,<br />
del sacrificio, <strong>della</strong> solidarietà. <strong>La</strong> famiglia è coinvolta frontalmente in questa dialettica<br />
del dovere dove, tra rifiuto e riproposta, continua a essere equiparata su entrambi<br />
i versanti a forme di socialità di tipo tradizionalistico dove l’obbligo di solidarietà<br />
si traduce, forse con un eccesso di compiacenza, in una logica sacrificale.<br />
Di nuovo, anche a proposito del dovere si ripresenta l’intreccio tenace tra famiglia,<br />
solidarietà e legame sociale, come pure un’immagine tutto sommato univoca<br />
dei legami familiari.<br />
Parentela e sacrificio<br />
Con l’ampliamento del concetto di solidarietà anche quello di debito tende a<br />
dilatarsi, fino ad assumere delle intonazioni permeate di una religiosità laica e ancestrale.<br />
L’estensione del debito dall’ambito familiare a quello sociale impone alla<br />
solidarietà un linguaggio sacrificale che mette dinnanzi ad una oscura religiosità<br />
soppressiva ripetutamente sfruttata. Per Léon Bourgeois il fondamento giuridico<br />
<strong>della</strong> società civile riposa sul debito contratto dai singoli cittadini nei suoi confronti:<br />
debito che, per legge positiva, si traduce in obbligo civile di solidarietà. Due cose<br />
sono rilevanti: il fatto di ragionare sul sociale con un linguaggio mutuato ancora<br />
dall’ambito parentale; e l’intonazione debitoria, sacrificale, dolorosa, <strong>della</strong> solidarietà.<br />
Questa intonazione da banca mondiale del debito che rende tutti insolventi,<br />
d’altro canto, deflagra quando si affronta la questione di come restituire il debito<br />
sociale: siccome non è possibile estinguere il debito di riconoscenza che lega gli uomini<br />
tra di loro e con i loro antenati all’indietro, verso chi non esiste più, dovrà es-<br />
166<br />
31 J. Rawls, Una teoria <strong>della</strong> giustizia, cit., p. 101 e p. 102; cfr. pp. 379 ss., 385 ss.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Franco Riva<br />
sere saldato nei confronti dei vivi. <strong>La</strong> solidarietà diventa così la legge istitutiva <strong>della</strong><br />
convivenza perché, mentre lo riconosce pubblicamente, prescrive l’estinzione –<br />
inestinguibile – del debito sociale 32 .<br />
Nel fare del concetto di debito il suo punto di forza, l’umore sacrificale <strong>della</strong><br />
solidarietà traspare di per sé, e con un linguaggio intriso dal riferimento alla famiglia:<br />
il debito reciproco, il culto degli antenati, la parentela, i morti e i vivi, il contesto<br />
sacrificale. A partire da una certa immagine di parentela umana, si trasferiscono<br />
dunque sulla solidarietà, e sulla stessa socialità, concetti come appartenenza, debito,<br />
vincolo, restituzione, che ingabbiano il discorso sulla solidarietà tra debiti e<br />
doveri, tra sacrifici e obblighi. <strong>La</strong> solidarietà si fa così un immolarsi sublimato e regolamentato,<br />
se è vero che l’agire solidale «per spirito di sacrificio» si differenzia dagli<br />
altri stili, specie da quello contrattualistico, perché non si tratta più di «assumersi<br />
una parte “equa” nel mettere a disposizione un bene, il cui bilancio fra utili e<br />
costi sia positivo per tutti, bensì di fare un sacrificio, vale a dire di porsi in una condizione<br />
peggiore a vantaggio di altri» 33 .<br />
Il linguaggio parentale adottato dalla solidarietà la conduce ora verso una deriva<br />
sacrificale, che si riempie via via di debiti e di obblighi, di insolvenze e di restituzioni,<br />
come se essere solidali equivalesse a sacrificarsi: a cercare, direttamente, il<br />
proprio svantaggio. Dietro a questo linguaggio rispunta ancora una volta l’idea appartenenza<br />
come risolutiva per la solidarietà. In breve, il sacrificio si motiva nel debito<br />
e il debito nel legame parentale. Dietro a tutto questo, però, sta di nuovo la retorica<br />
<strong>della</strong> coesione e dell’appartenenza dell’umano pensate in riferimento a comunità<br />
chiuse; e l’equivalenza scorretta tra famiglia e ristrettezza.<br />
Jürgen Habermas ha denunciato il carattere ricattatorio dell’osmosi tra il linguaggio<br />
<strong>della</strong> solidarietà e quello parentale, nonché l’insistenza totalitaria sull’unità<br />
sociale trovata intorno ai concetti di debito e di sacrificio: infatti, il «carattere di disponibilità<br />
coatta al sacrificio per un sistema collettivo di autoaffermazione» emerge<br />
ad «ogni momento nelle forme di solidarietà premoderne». Tanto l’osmosi linguistica,<br />
quanto la disponibilità forzata al sacrificio è tipico <strong>della</strong> solidarietà premoderna<br />
dove prevale l’idea dell’unità dell’umano nel senso di un compattamento.<br />
E più che la disponibilità in sé, per il sacrificio risulta ancora più grave il fatto che<br />
una solidarietà di questo genere lo richieda in modo coatto. Habermas mette in un<br />
certo senso a nudo il fatto che una solidarietà etnocentrica, e una famiglia cellulare,<br />
vivono sullo sfondo di un’unità organica del sociale, con tutti i disastri totalitari<br />
che ne conseguono: «con la formula “Tutti per uno e uno per tutti” può concordare<br />
la formula “Führer comanda, noi ti seguiamo” – come durante la mia giovinezza<br />
si leggeva sulle colonne destinate alle affissioni <strong>della</strong> Germania nazista – perché<br />
32 Cfr. L. Bourgeois, Solidarité, cit., pp. 116 ss.<br />
33 M. Baurmann, Solidarietà come norma sociale e costituzionale, in K. Bayertz, M. Baurmann,<br />
L’interesse e il dono, cit., p. 62.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
167
Franco Riva<br />
l’associazionismo nel senso tradizionalistico di solidarietà è rimasto intrecciato con<br />
il comportamento obbediente dei seguaci del Führer» 34 .<br />
L’equivalenza tra organicismo e totalitarismo non intende in nessun modo<br />
soppiantare la solidarietà. Intende piuttosto rendere consapevoli <strong>della</strong> pericolosità<br />
delle analogie “biologistiche” per l’umano e il sociale, e invitare a trasformare la solidarietà<br />
in senso discorsivo universale: in un senso che l’avvicina alla giustizia.<br />
Resta però il problema di fondo, ossia l’osmosi tra il linguaggio biologistico<br />
<strong>della</strong> famiglia e quello <strong>della</strong> solidarietà, legati tra loro dalla precomprensione organicistica<br />
del sociale. Denunciare infatti il carattere premoderno <strong>della</strong> solidarietà etnocentrica<br />
rischia di trascinare con sé, nell’inevitabile svalutazione, anche la famiglia.<br />
L’obbligo e la promessa<br />
Le tensioni tra un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia e un’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà mettono dinnanzi<br />
a un intreccio linguistico quasi inestricabile, che annoda di continuo le parole<br />
<strong>della</strong> famiglia – relazioni verticali e orizzontali, figliolanza e fraternità, responsabilità<br />
e doveri – e le parole <strong>della</strong> solidarietà: a ridire e ad amplificare i rapporti<br />
strutturali <strong>della</strong> famiglia, a correggerli nel senso di solidarietà allargate, a tenerli in<br />
vita con polemiche e negazioni. L’intreccio tra famiglia e solidarietà non è dunque<br />
aggirabile nel suo riproporsi costante come originale generatore di significati.<br />
L’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> famiglia e l’<strong>etica</strong> <strong>della</strong> solidarietà sono destinate a incontrarsi: nonostante<br />
le loro ingenue sovrapposizioni, nonostante le loro evidenti implosioni.<br />
Da questo inevitabile incontro, più forte del suo stesso rifiuto, derivano tre compiti<br />
prioritari per una riflessione <strong>etica</strong> che voglia attraversare la famiglia e la solidarietà,<br />
ma in definitiva la stessa umanità dell’umano: compiti aperti senz’altro, ma<br />
altresì punti di orientamento irrinunciabili.<br />
1. L’importanza del linguaggio. Il linguaggio <strong>della</strong> famiglia e quello <strong>della</strong> solidarietà<br />
non possono fare a meno di rimanere vicini l’uno all’altro. <strong>La</strong> forza di questa<br />
vicinanza si impone al di là delle loro armonie e dei loro litigi. Sembra quasi impossibile<br />
ragionare intorno alla solidarietà senza evocare i termini caratteristici <strong>della</strong><br />
famiglia: l’ospitalità, la fraternità, la filiazione; e sembra altrettanto impossibile<br />
meditare sulla famiglia senza nominare i motivi tipici <strong>della</strong> solidarietà, quell’accoglienza<br />
che l’umano fa all’umano e che oltrepassa condizioni di vita, di appartenenza,<br />
di generazione. Nello scambio dei linguaggi tra famiglia e solidarietà affiora<br />
il pensiero sul modo, umano, <strong>della</strong> convivenza.<br />
Nella famiglia non emerge (solo) il modello familiare <strong>della</strong> solidarietà, ma si<br />
annuncia la solidarietà in quanto tale come capacità dell’umano di farsi responsa-<br />
168<br />
34 J. Habermas, Giustizia e Solidarietà, cit., p. 71.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Franco Riva<br />
bile dell’altro da sé, decentrandosi. <strong>La</strong> famiglia si propone come scena originaria,<br />
per quanto non esclusiva, <strong>della</strong> solidarietà. Il rischio è allora duplice: o di non distinguere<br />
frettolosamente più nulla, e di equiparare tutto, o di mantenere famiglia<br />
e solidarietà in un rapporto tutto sommato estrinseco, che abilita a turno tanto le<br />
successive aperture, quanto le ovvie contrapposizioni.<br />
2. Socialità dell’umano. Tanto la famiglia quanto la solidarietà sono attraversate<br />
dal pensiero dell’unità dell’umano nella sua irriducibilità: pensiero stesso <strong>della</strong> socialità.<br />
A dispetto <strong>della</strong> loro (presunta) forza retorica, andrebbero superati in proposito<br />
sia i modelli fisicalistici che quelli biologicisti, in definitiva inadatti a dire<br />
l’umanità dell’umano nella sua stessa umanità.<br />
Socialità e solidarietà non stanno al di là <strong>della</strong> famiglia né come un valore aggiunto,<br />
né come <strong>dimensione</strong> ricomprensiva. <strong>La</strong> collocazione <strong>della</strong> famiglia sul lato<br />
<strong>della</strong> privatezza e <strong>della</strong> ristrettezza è frutto di una discutibile rappresentazione, perché<br />
tra famiglia e socialità non vi è né identificazione né scissione. Nessuna <strong>dimensione</strong><br />
allargata, pubblica, istituzionale potrà dunque inverare, in forza di qualche<br />
necessità dialettica, quanto emerge nella famiglia: renderla cioè più vera di quanto<br />
non sia per suo conto. Il che non significa approdare ad una astiosa precedenza <strong>della</strong><br />
famiglia rispetto alla socialità e alla solidarietà dell’umano comune, cosa che appare<br />
anch’essa falsa: sarebbe riproporre, per puro ribaltamento, la stessa logica totalizzante<br />
che espropria la famiglia, “organicisticamente” o “dialetticamente” che sia,<br />
da se stessa.<br />
3. Il dovere e la promessa. In tutti i discorsi sulla famiglia e sulla solidarietà si impone<br />
all’attenzione la questione del dovere, frequentato spesso con intonazioni<br />
troppo debitorie e sacrificali, probabilmente – e non senza ragioni – a scopo esortativo<br />
e polemico nella stagione delle difficoltà ad assumersi degli impegni continuativi:<br />
come se l’evidenza del dovere nei confronti di altri potesse scaturire esclusivamente<br />
da una precedente, e mitica, insolvenza; come se la responsabilità per altri<br />
potesse motivarsi per forza solo lungo i sentieri, dal sapore un po’ ricattatorio,<br />
<strong>della</strong> colpa preventiva. Nell’insistenza su questa intonazione, i rifiuti si alimentano<br />
e hanno presto buon gioco.<br />
L’esperienza <strong>della</strong> famiglia come luogo emergente del dovere (di solidarietà) ne<br />
contraddice il tono intristito: non sorge solo per un debito pregresso, né unicamente<br />
in virtù dell’altezza <strong>della</strong> coscienza individuale, ma nella responsabilità per<br />
l’altro in quanto altro. Nella famiglia la responsabilità è elettiva, ma fino a un certo<br />
punto: eros mi obbliga al di là <strong>della</strong> mia volontà e di un contratto, la libertà si comprende<br />
come responsabilità per altri, la differenza dell’altro distrae dal mantenersi<br />
al centro, il figlio generato è altro da chi lo genera. Non solo dovere “privato”, “intimo”,<br />
per contro a ciò che starebbe fuori, al pubblico, al collettivo. <strong>La</strong> famiglia<br />
inaugura, nel suo modo tipico, il dovere in quanto dovere, nella forma di una re-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
169
Franco Riva<br />
sponsabilità per altri, e di una responsabilità per l’alterità stessa: il segreto è orizzonte,<br />
l’intimità socialità, la presenza trascendenza.<br />
Rilevanza pubblica del familiare infine, e rilevanza familiare del pubblico. Politicità<br />
<strong>della</strong> famiglia che l’attraversa prima ancora di “aprirsi” alla società, democraticità<br />
che la struttura intimamente. Perfino la distinzione rassicurante tra verticalità<br />
e orizzontalità dei rapporti viene, se non del tutto smentita, resa almeno più<br />
fluida e problematica: non solo dall’esterno, in virtù di inesorabili mutamenti epocali,<br />
o per giuste rivendicazioni, ma per lo spiazzamento <strong>della</strong> sicurezza separata di<br />
sé a cui conduce la vicinanza solidale con l’altro.<br />
Prima dell’obbligo, nella famiglia il dovere mostra la sua origine in una promessa<br />
di radicale solidarietà. Nessun obbligo può generare una promessa, mentre nella<br />
promessa sorge una responsabilità che rinnova ogni volta da capo il proprio dovere.<br />
170<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
STORIA E MEMORIA<br />
De Gasperi visto dal Pci - di Giuseppe Vacca<br />
<strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong>: una lezione attuale - di Card. Mariano Crociata
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
De Gasperi visto dal Pci*<br />
Il tema che mi è stato proposto, nella sua apparente<br />
semplicità, è invero molto vasto e complicato: la storia<br />
<strong>della</strong> Dc e buona parte <strong>della</strong> storia del primo decennio<br />
postbellico ruotano intorno alla figura di Alcide<br />
De Gasperi e per ricostruire, sia pure a grandi linee,<br />
la sua percezione da parte dei comunisti italiani<br />
dovrei ripercorrere quasi cinquant’anni di storia del<br />
nostro paese. Nel convegno dedicato a Togliatti nel<br />
suo tempo, organizzato dalla Fondazione <strong>Istituto</strong><br />
Gramsci e dall’Università Roma Tre nel 2004, Renato<br />
Moro affrontò un tema speculare, Togliatti nel giudizio<br />
del mondo cattolico, svolgendo un’indagine accurata<br />
sulle fonti a stampa e sui documenti epistolari disponibili.<br />
<strong>La</strong> sua relazione dimostra che l’idea di ricostruire<br />
il profilo di una figura eminente <strong>della</strong> storia<br />
d’Italia attraverso la percezione degli avversari può essere<br />
una formula felice. Essa consente non solo di far<br />
rivivere le mentalità e il clima di un periodo storico<br />
caratterizzato dai più aspri contrasti uniti alle più durature<br />
realizzazioni dell’Italia repubblicana, ma anche<br />
di fare emergere, forse meglio che con altri approcci, i<br />
tratti più squisitamente umani dei protagonisti e la<br />
discordante coralità dei cittadini che li seguivano. Se<br />
avessi potuto giovarmi del suo modello, avrei meno<br />
incertezze nell’affrontare il tema di questa sera; ma<br />
una ricerca riguardante cinquant’anni di vita del PCI<br />
esorbitava e le mie possibilità e il quadro di una trattazione<br />
sint<strong>etica</strong> adeguata a un’occasione come questa.<br />
Prendo spunto, perciò, dal lavoro esemplare di<br />
* Lectio magistralis per l’anniversario <strong>della</strong> morte di A. De Gasperi<br />
(Pieve Tesino,18 agosto 2011).<br />
GIUSEPPE VACCA<br />
Presidente<br />
Fondazione<br />
<strong>Istituto</strong> Gramsci<br />
≈<br />
«Credo […] al<br />
paradigma.<strong>della</strong><br />
complementarietà<br />
fra Dc e Pci nella<br />
storia <strong>della</strong><br />
repubblica che,<br />
fatto proprio<br />
inizialmente da<br />
Scoppola,<br />
caratterizza una<br />
parte molto<br />
significativa <strong>della</strong><br />
storiografia<br />
<strong>politica</strong> degli<br />
ultimi venti anni<br />
favorendo nuove<br />
ricerche».<br />
≈<br />
173
Giuseppe Vacca<br />
Renato Moro per auspicare che un’indagine analoga su De Gasperi visto dal<br />
PCI prima o poi si faccia e per delimitare preliminarmente il campo <strong>della</strong><br />
mia trattazione.<br />
<strong>La</strong> percezione <strong>della</strong> figura di De Gasperi da parte dei comunisti italiani risulta<br />
molto meno ricca e variegata di quella di Togliatti da parte del mondo cattolico. Se<br />
ne possono distinguere fondamentalmente tre dimensioni: il giudizio implicito negli<br />
atteggiamenti del PCI rispetto all’opera <strong>politica</strong> dello statista trentino; lo sforzo<br />
di rielaborarlo in un’immagine riflessiva; il persistere di questa immagine nel tempo<br />
senza arrivare a prendere atto, se non molto tardi e in modo inadeguato, delle<br />
“dure repliche <strong>della</strong> storia”. Le prime due dimensioni riguardano il ventennio del<br />
PCI togliattiano, la terza rimanda al periodo successivo e vi accennerò alla fine<br />
Negli anni <strong>della</strong> “Grande Alleanza” (1944-1947)<br />
L’immagine di De Gasperi e <strong>della</strong> DC che ha lungamente dominato la cultura<br />
<strong>politica</strong> del PCI fu elaborata da Togliatti in un ampio scritto pubblicato in sei<br />
puntate su “Rinascita” fra il 1955 e il 1956. Lo scritto, del resto assai noto, aveva<br />
un titolo quantomai significativo: È possibile un giudizio equanime sull’opera di Alcide<br />
De Gasperi? Ma sarebbe del tutto fuorviante pensare che rispecchi il giudizio<br />
che aveva guidato Togliatti negli anni <strong>della</strong> collaborazione tra i due statisti che posero<br />
le basi <strong>della</strong> guerra di liberazione e <strong>della</strong> Repubblica. Per ricavarlo occorre<br />
piuttosto guardare, innanzitutto, alle scelte che caratterizzarono la <strong>politica</strong> di Togliatti<br />
dal suo rientro in Italia, nel marzo del ’44, alla “rottura <strong>politica</strong>” del maggio<br />
’47; in secondo luogo alle successive posizioni del PCI sulle scelte fondamentali di<br />
De Gasperi fino al termine <strong>della</strong> prima legislatura.<br />
Che con la costituzione del secondo governo Badoglio (22 aprile 1944) Togliatti<br />
si sentisse in posizione di vantaggio rispetto a tutti gli altri protagonisti <strong>della</strong><br />
scena <strong>politica</strong> italiana mi pare un dato storiograficamente acquisito: il riconoscimento<br />
sovietico del governo Badoglio e la “svolta di Salerno” avevano non soltanto<br />
sbloccato la situazione <strong>politica</strong>, ma anche fornito a tutte le forze antifasciste le<br />
coordinate per impostare efficacemente la resistenza e la guerra di liberazione e<br />
porre le premesse di quella fase costituente che, attraverso il referendum istituzionale<br />
del 2 giugno 1946, l’elezione dell’assemblea costituente, l’elaborazione <strong>della</strong><br />
Carta e la ratifica del Trattato di pace, avrebbe portato alla nascita <strong>della</strong> repubblica.<br />
Non mi pare dubbio, quindi, che egli si sentisse il protagonista di un nuovo periodo<br />
<strong>della</strong> storia d’Italia nel quale, con la creazione del “partito nuovo” e la conferma<br />
174<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
del patto di unità d’azione con i socialisti, avrebbe potuto giocare una partita decisiva<br />
per l’egemonia del PCI nella vita <strong>politica</strong> italiana.<br />
L’egemonia presuppone un calcolo realistico dei rapporti di forza, un sistema<br />
di partiti che si influenzino a vicenda, la capacità di imprimere il proprio segno alle<br />
loro relazioni, vale a dire ai caratteri e alla funzione degli altri attori. L’egemonia prevede,<br />
quindi, l’esercizio di una funzione di governo che tuttavia non coincide necessariamente<br />
con la conquista e la direzione dell’esecutivo. Vorrei provare a sostenere<br />
che, negli anni immediatamente successivi al suo rientro in Italia, Togliatti fosse consapevole<br />
che il ruolo eminente nella <strong>politica</strong> italiana spettasse alla Democrazia Cristiana,<br />
che abbia favorito il disegno di De Gasperi di farne il partito dell’“unità <strong>politica</strong><br />
dei cattolici” e puntato sulla sua figura per garantirne l’ispirazione antifascista e<br />
l’impegno ad ancorare la Chiesa alla scelta <strong>della</strong> democrazia. Non posso addentrarmi<br />
nella ricostruzione dei fondamenti <strong>della</strong> sua strategia; mi limiterò a ricordare il quadro<br />
internazione <strong>della</strong> Grande Alleanza che le forniva legittimazione e credibilità, e<br />
l’opzione per una formula di governo che, successivamente, una mediocre politologia<br />
avrebbe definito “democrazia consociativa”. Mentre nel pensiero di Togliatti aveva<br />
a che fare con la ricerca di nuovi modelli di socialismo, diversi da quello sovietico,<br />
a cui aveva già dato una prima configurazione <strong>politica</strong> e istituzionale, non osteggiata<br />
da Stalin, nel noto saggio Sulle particolarità <strong>della</strong> rivoluzione spagnola del 1936.<br />
Argomenti e tesi<br />
Giuseppe Vacca<br />
Ma veniamo agli argomenti con cui vorrei sostanziare la tesi che ho avanzato.<br />
A datare almeno dall’intervento americano, che rendeva la sconfitta nazifascista<br />
l’ipotesi più probabile, Togliatti era del tutto consapevole, non meno di De Gasperi,<br />
del ruolo determinante che la Chiesa avrebbe giocato nella successione al fascismo.<br />
Dopo la conferenza di Casablanca che aveva deciso la resa incondizionata<br />
delle potenze dell’Asse e dopo il 25 luglio del ’43, quella previsione divenne una<br />
certezza, convalidata dal crollo dello Stato e dell’esercito italiani che seguirono all’8<br />
settembre. Tenendo conto di questo contesto, conviene richiamare l’attenzione<br />
sulla <strong>politica</strong> vaticana di Togliatti in questo periodo.<br />
Nel discorso dell’11 aprile 1944 ai quadri dell’organizzazione comunista napoletana,<br />
nel quale illustrò i cardini <strong>della</strong> “svolta di Salerno”, Togliatti avanzava una opzione<br />
per una repubblica parlamentare in cui venissero garantite tutte le libertà democratiche,<br />
compresa “la libertà di religione e di culto”. <strong>La</strong> scelta <strong>della</strong> elezione di un’assemblea<br />
costituente per definire i compiti e l’impalcatura dello Stato (e il successivo accoglimento<br />
<strong>della</strong> proposta degasperiana di referendum popolare per deciderne la forma),<br />
l’esclusione dell’economia di piano e l’adesione alla richiesta degli alleati che si tenessero<br />
per prime le elezioni amministrative, facevano di Togliatti l’interlocutore ideale <strong>della</strong><br />
“proposta <strong>politica</strong> di De Gasperi”. In primo luogo disegnavano un percorso com-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
175
Giuseppe Vacca<br />
plementare a quello prospettato nelle Idee ricostruttive. In secondo luogo, rimuovendo<br />
la pregiudiziale istituzionale a cui anche la DC nel congresso di Bari (gennaio ’44) aveva<br />
aderito, ma che De Gasperi considerava errata, gli aprivano la prospettiva <strong>della</strong> partecipazione<br />
al governo, fondamentale per il suo progetto. Ma soprattutto, tracciando<br />
un percorso costituente fondato sul voto popolare, anziché sui CLN, favorivano l’appoggio<br />
vaticano al suo disegno di fare <strong>della</strong> DC “il partito dei cattolici”.<br />
Comunisti e cattolici<br />
Che Togliatti considerasse fondamentale l’orientamento politico dei cattolici<br />
per la ricostruzione democratica dell’Italia è confermato innanzitutto dall’articolo<br />
di Eugenio Reale sul primo numero di Rinascita del maggio 1944. Riferendosi al<br />
Rapporto ai quadri dell’organizzazione comunista napoletana, l’articolo, intitolato<br />
Comunisti e cattolici, ne sottolineava il tema <strong>della</strong> “libertà religiosa e di culto” e<br />
adombrava una revisione dottrinale contenente un evidente messaggio alle gerarchie<br />
ecclesiastiche: “Il rispetto delle convinzioni religiose delle masse, scriveva Reale,<br />
è per i comunisti una questione di principio che deriva dalla stessa analisi<br />
marxista[…] del fondamento sociale di queste convinzioni ed è parte integrante<br />
<strong>della</strong> loro dottrina tutta ispirata ai sensi di una ben intesa libertà e di una larga<br />
umanità”. Era l’avvio di una <strong>politica</strong> religiosa che, come ora sappiamo, passò anche<br />
per alcuni contatti diretti con la Santa Sede. Ma, prima di accennarvi, vorrei richiamare<br />
l’attenzione sulla giustificazione storica <strong>della</strong> <strong>politica</strong> di Togliatti verso il<br />
mondo cattolico. Fondata sull’analisi del fascismo svolta tra gli anni Venti e gli anni<br />
Trenta, essa appare del tutto collimante con l’analisi degasperiana delle trasformazioni<br />
intervenute nei rapporti fra i cattolici e la <strong>politica</strong> italiana tra le due guerre.<br />
Se questa conduceva De Gasperi ad impostare il suo progetto su una nuova visione<br />
<strong>della</strong> laicità <strong>della</strong> <strong>politica</strong>, diversa da quella che aveva caratterizzato il Partito<br />
Popolare, il progetto del “partito nuovo”, basato sulla eliminazione di qualunque<br />
vincolo ideologico e sulla richiesta, per l’adesione al PCI, <strong>della</strong> sola condivisione<br />
del programma, apriva il partito alla collaborazione tra credenti e non credenti.<br />
Il contesto in cui venivano calati i due progetti (dopo la liberazione di Roma<br />
e la costituzione del primo governo Bonomi, l’unificazione delle forze antifasciste<br />
del Nord e del Sud e l’inquadramento delle formazioni partigiane nell’esercito di<br />
liberazione nazionale, la proposta di un patto di unità d’azione tra comunisti e socialisti<br />
e democristiani,avanzata da Togliatti il luglio del ’44, acquistava forza e legittimità)<br />
favoriva palesemente il consolidamento <strong>della</strong> “proposta <strong>politica</strong> di De<br />
Gasperi”. Infatti, fu solo con il rapido sviluppo <strong>della</strong> guerra partigiana che la Chiesa<br />
cominciò ad appoggiare decisamente tanto la resistenza quanto la DC. In quella<br />
congiuntura va inquadrato anche l’atteggiamento di Togliatti di fronte alla condanna<br />
del Partito <strong>della</strong> Sinistra Cristiana da parte del Vaticano. Egli non solo non<br />
la contrastò, ma mostrò di condividerne la motivazione principale: quella per cui<br />
la Chiesa poteva sì appoggiare uno o più partiti cattolici, ma non dare una investi-<br />
176<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
tura all’uno o all’altro in base alla sua ideologia. Mi pare quindi evidente che Togliatti<br />
guardasse con favore al progetto degasperiano e, riconoscendone la natura<br />
laica, democratica e antifascista, ne favorisse l’aspirazione a realizzare quello che,<br />
con espressione impropria, sarebbe stato successivamente definito il partito dell’“unità<br />
<strong>politica</strong> dei cattolici”.<br />
Il clima <strong>della</strong> “Grande Alleanza”<br />
Giuseppe Vacca<br />
Vero è che questo accadeva nel clima <strong>della</strong> Grande Alleanza, nel quale, ha<br />
scritto Maria Romana De Gasperi, anche suo padre aveva condiviso “la speranza di<br />
una evoluzione democratica del comunismo che per altro corrispondeva […] alle.‘generose<br />
visioni’ di Roosevelt appoggiate dallo stesso Churchill”. Una stagione<br />
breve, una parentesi nella storia delle relazioni internazionali che si sarebbe chiusa<br />
fra il 1946 e il 1947, ma di cui conviene ricordare il grado di reciproca fiducia e di<br />
reciproco riconoscimento raggiunto fra le forze in campo. Di tale clima il discorso<br />
di De Gasperi al teatro Brancaccio del 23 luglio 1944, con il quale aveva risposto<br />
alla proposta di Togliatti di due settimane prima, appare un documento eccezionale.<br />
Non mi riferisco tanto alle parti in cui, pur nella ferma ispirazione antitotalitaria<br />
del suo pensiero, condannava radicalmente il nazifascismo, mentre mostrava di<br />
credere invece nelle possibilità di un’evoluzione democratica del comunismo,<br />
quanto alla fiducia che riponeva nel ruolo di Togliatti nel favorirla. Si può ritenere<br />
che la sua fiducia rispecchiasse un atteggiamento analogo del Vaticano.<br />
Un documento dei servizi segreti americani risalente al 13 luglio 1944, declassificato<br />
di recente, informa che il 10 luglio, attraverso un incontro riservato tra<br />
monsignor Montini e Togliatti, era stato stabilito un primo contatto tra il leader comunista<br />
e il Vaticano. Come si vede, l’incontro seguiva immediatamente il discorso<br />
del leader comunista al Brancaccio. Inoltre, lo stesso documento dimostra che la risposta<br />
di De Gasperi era stata favorita dall’incontro tra Montini e Togliatti. È quindi<br />
da ritenere che il successivo discorso di De Gasperi, oltre ad essere stato discusso<br />
lungamente con il leader comunista, come Togliatti ha più volte ricordato in seguito,<br />
fosse stato consigliato o comunque concordato con monsignor Montini.<br />
Vorrei ricordare infine la posizione di Togliatti sulla successione a Parri. Quello<br />
che la storiografia considera giustamente “l’avvento di De Gasperi”, scaturì da una<br />
proposta di Nenni e trovò il consenso degli altri partiti perché, anche grazie all’azione<br />
svolta come ministro degli Esteri del governo Parri, De Gasperi godeva del<br />
sostegno non solo del Vaticano, ma soprattutto degli Stati Uniti che, a differenza<br />
<strong>della</strong> Gran Bretagna, erano interessati alla nascita di un regime democratico e repubblicano,<br />
e favorevoli a che l’Italia acquistasse un ruolo effettivo nel nuovo ordinamento<br />
internazionale del dopoguerra. Ma vanno sottolineati il favore di Togliatti<br />
e soprattutto le motivazioni con cui sostenne la successione di De Gasperi. Il<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
177
Giuseppe Vacca<br />
punto sostanziale dell’intesa tra loro era l’opzione per una democrazia parlamentare<br />
fondata sul ruolo preminente dei partiti popolari. Come ha scritto Piero Craveri,<br />
dopo la liberazione di Roma Togliatti era divenuto “il principale interlocutore”<br />
di De Gasperi perché entrambi condividevano i capisaldi <strong>della</strong> transizione alla repubblica.<br />
In particolare, l’obiettivo <strong>della</strong> Costituente e l’impegno a mantenere l’unità<br />
dei partiti antifascisti fino alla sua conclusione.<br />
<strong>La</strong> “democrazia dei partiti”<br />
Emarginata, con la caduta di Parri, l’ipotesi di una democrazia dei CLN, cominciava<br />
a prendere forma quella “democrazia dei partiti” che era nei voti tanto di<br />
De Gasperi quanto di Togliatti. Come notò Pietro Scoppola nella sua pionieristica<br />
ricerca degli anni ’70, “l’unica via possibile di crescita <strong>della</strong> democrazia italiana e di<br />
reale superamento <strong>della</strong> situazione prefascista era quella di una democrazia di massa<br />
canalizzata dai grandi partiti popolari”. E Roberto Gualtieri di recente ha dimostrato<br />
come quello fosse non solo il punto <strong>della</strong> loro principale concordanza, ma<br />
anche il fondamento su cui, attraverso una intensa collaborazione e dialettica, furono<br />
gettate le basi <strong>della</strong> europeizzazione del paese.<br />
Quello su cui va posta l’attenzione è il commento alla soluzione <strong>della</strong> crisi del<br />
governo Parri che Togliatti scrisse sull’Unità dell’11 dicembre. “Togliatti – ha scritto<br />
Craveri – parlò ‘di utilità <strong>della</strong> crisi’ giacché l’unità antifascista aveva trovato conferma<br />
e con essa l’indispensabilità dei partiti di sinistra nel governo, nonché l’impegno<br />
a rimanere uniti fino alla Costituente”. Ma non erano solo questi gli impegni a cui<br />
De Gasperi aveva condizionato l’accettazione <strong>della</strong> sua candidatura. Egli aveva anche<br />
ribadito la priorità delle elezioni amministrative che avrebbero consentito di<br />
misurare la forza di ciascuno dei partiti popolari, ed anche questo punto Togliatti<br />
aveva condiviso. Pertanto, scrive ancora Craveri, “l’opzione decisiva del leader comunista,<br />
come del resto dello stesso De Gasperi, era quella di rimettersi al confronto<br />
democratico e ai rapporti di forza che da questo sarebbero conseguiti”.<br />
Il realismo di Togliatti e l’ascesa di De Gasperi<br />
Non mi pare dubbio che con tali scelte Togliatti intendesse assecondare l’avvento<br />
di De Gasperi e l’affermazione anche del suo partito. Dopo la conferenza di<br />
Yalta e in vista del trattato di pace era del tutto evidente per lui che la guida del governo<br />
italiano spettasse all’uomo politico più affidabile per l’amministrazione americana.<br />
Inoltre, la controversia con la Jugoslavia sul confine orientale, il futuro dell’Istria<br />
e il destino di Trieste avevano inferto un colpo decisivo alla potenzialità egemonica<br />
<strong>della</strong> sua <strong>politica</strong>. Se la forza <strong>della</strong> “svolta di Salerno” originava dalla con-<br />
178<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
vergenza tra la <strong>politica</strong> di Stalin e l’interesse nazionale dell’Italia, la “questione di<br />
Trieste” aveva evidenziato che, pur nel quadro <strong>della</strong> Grande Alleanza, potevano generarsi<br />
contraddizioni insanabili tra la prima e il secondo. Né ci si poteva attendere<br />
altro dall’URSS, dopo il riconoscimento del governo Badoglio, risultando l’Italia<br />
marginale ed ininfluente rispetto agli interessi geostrategici <strong>della</strong> potenza sovi<strong>etica</strong>.<br />
Che Togliatti volesse favorire l’affermazione di De Gasperi era inoltre indicato<br />
dal fatto che non poteva non prevedere l’affermazione elettorale del suo partito. E<br />
non è detto che credesse davvero alla tenuta dell’alleanza antifascista internazionale.<br />
Aveva già conosciuto le oscillazioni <strong>della</strong> <strong>politica</strong> di Stalin tra isolazionismo e<br />
“sicurezza collettiva” negli anni Trenta e non poteva ignorare quanto fosse aleatoria<br />
l’eventualità che Stalin accettasse la sfida di reinserire l’URSS nel mercato mondiale,<br />
che era alla base del disegno rooseveltiano per il dopo guerra. Vero è che non<br />
aveva altra opzione che quella di radicare il PCI nella società italiana e di farne un<br />
attore influente <strong>della</strong> democrazia antifascista. <strong>La</strong> Democrazia Cristiana ed Alcide<br />
De Gasperi erano i principali interlocutori su cui puntare e la loro affermazione<br />
costituiva anche la premessa per vincere la sfida dell’egemonia sulla sinistra italiana<br />
e fare del PCI lo stabile deuteragonista <strong>della</strong> vita <strong>della</strong> repubblica.<br />
<strong>La</strong> <strong>politica</strong> impostata con la svolta di Salerno conteneva dunque un atteggiamento<br />
di favore verso De Gasperi e la sua “proposta <strong>politica</strong>” che si ricava non solo<br />
dalla sint<strong>etica</strong> rassegna dei passaggi fondamentali <strong>della</strong> <strong>politica</strong> italiana tra aprile<br />
del ’44 e gennaio del ’46, ma anche dalla valutazione storica che Togliatti ne diede<br />
quindici anni dopo. Nella conferenza del ’61 su Il partito comunista e il nuovo stato,<br />
concludendo l’esame dei risultati conseguiti con la “svolta di Salerno”, osservava<br />
che, senza quella svolta, “ben difficilmente i partiti <strong>della</strong> sinistra e forse la stessa democrazia<br />
cristiana sarebbero riusciti ad avere quello sviluppo impetuoso che hanno<br />
avuto e che rimane una delle originalità dell’attuale situazione italiana”. Sulla posizione<br />
di Togliatti nei confronti di De Gasperi in questo periodo credo, quindi, che<br />
si possa condividere il giudizio di Piero Craveri: “Rispetto agli equilibri prefascisti,<br />
sia Togliatti che De Gasperi, puntavano decisamente a un ancoraggio centrista del<br />
sistema politico che facesse perno sui cattolici”; e che nel quadro dell’unità antifascista<br />
Togliatti preconizzasse, attraverso la partecipazione al governo, “un centrismo<br />
su cui l’influenza comunista sarebbe stata determinante”.<br />
Quando cominciò la Guerra Fredda<br />
Giuseppe Vacca<br />
Sotto l’aspetto formale la Grande Alleanza durò sino alla conclusione <strong>della</strong><br />
conferenza di Parigi e alla definizione dei trattati di pace. Ma la fiducia di Stalin<br />
nella collaborazione tra le potenze antifasciste si era incrinata sin dall’agosto del<br />
’45, a seguito <strong>della</strong> distruzione atomica di Hiroshima e Nagasaki. <strong>La</strong> preparazione<br />
dell’URSS a fronteggiare l’asimmetria di potenza evidenziata dal possesso america-<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
179
Giuseppe Vacca<br />
no <strong>della</strong> bomba atomica fu avviata subito e dall’inizio del ’46 Stalin cominciò a<br />
promuovere quel riallineamento strategico <strong>della</strong> <strong>politica</strong> estera sovi<strong>etica</strong> che avrebbe<br />
originato la nascita del Cominform. <strong>La</strong> nuova storiografia delle relazioni internazionali<br />
ha dimostrato che la guerra fredda non cominciò con il discorso di Churchill<br />
a Fulton, ma con la decisione già maturata da Stalin di tornare alla concezione<br />
<strong>della</strong> “sicurezza totale” precedente lo scoppio <strong>della</strong> guerra. Era questo il modo di<br />
affrontare l’inferiorità dell’URSS, divenuta la seconda potenza mondiale, con l’unica<br />
risorsa di cui riteneva di poter disporre, quella di consolidare militarmente le<br />
conquiste territoriali realizzate nell’Europa centrale e orientale nell’ultima fase <strong>della</strong><br />
guerra. Egli tornava così alla teoria <strong>della</strong> “guerra inevitabile” e il riorientamento<br />
sia <strong>della</strong> <strong>politica</strong> sia <strong>della</strong> propaganda del blocco sovietico allo scontro ideologico<br />
frontale con “l’imperialismo americano” venne preparato accuratamente fin dalla<br />
primavera-estate del ’46. Se si considera che Togliatti fu tra i primi leader politici<br />
del suo tempo a percepire, con un articolo anonimo pubblicato su Rinascita dell’agosto<br />
’45, il significato dell’avvento dell’era atomica e si tiene conto dello stretto<br />
collegamento che manteneva con l’establishment sovietico, si può fondatamente<br />
osservare che, mentre da un lato difendeva strenuamente l’opzione <strong>della</strong> collaborazione<br />
antifascista tanto sul piano internazionale quanto sul piano interno, dall’altro<br />
si preparasse ben prima <strong>della</strong> nascita del Cominform a difendere i capisaldi <strong>della</strong><br />
sua <strong>politica</strong> in Italia dall’opposizione.<br />
A nostro avviso la decisione di restare fuori dal secondo governo De Gasperi<br />
(giugno 1946) potrebbe essere stata motivata dalla necessità di avere le mani libere<br />
dinanzi al prevedibile inasprirsi del contrasto tra la <strong>politica</strong> dell’URSS e l’interesse<br />
nazionale dell’Italia. Ad ogni modo, una nuova fase del suo rapporto con De Gasperi<br />
cominciò, come è noto, con l’estromissione delle sinistre dal governo nel<br />
maggio del ’47. Togliatti sapeva che con l’avvento <strong>della</strong> guerra fredda non ci sarebbero<br />
potute tornare. <strong>La</strong> retorica <strong>politica</strong> era divenuta aspra e aggressiva da ambo le<br />
parti e già all’indomani del primo viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti Togliatti<br />
cominciò a tacciarlo di “servilismo”, innalzando la bandiera <strong>della</strong> sovranità nazionale<br />
svenduta agli americani. <strong>La</strong> guerra fredda imponeva la necessità di creare l’immagine<br />
del nemico, esasperando la minaccia di guerra e la percezione del suo pericolo.<br />
Era una narrazione propagandistica, ampiamente enfatizzata da una parte e<br />
dall’altra, che nascondeva la realtà di un bipolarismo sempre più interdipendente,<br />
orientato alla stabilizzazione internazionale piuttosto che ad una nuova guerra: almeno<br />
fino alla vittoria di Mao in Cina e allo scatenamento <strong>della</strong> guerra di Corea.<br />
I campi operativi <strong>della</strong> Dc e del Pci<br />
Questo scenario creava una disparità incolmabile tra De Gasperi e Togliatti,<br />
tra la DC e il PCI. I primi avevano una straordinaria risorsa nell’integrazione dell’Italia<br />
nel nuovo assetto euroatlantico guidato dagli Stati Uniti; Togliatti e il PCI<br />
180<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Giuseppe Vacca<br />
erano vincolati da una lealtà all’URSS che impediva loro di elaborare una combinazione<br />
di <strong>politica</strong> interna e di <strong>politica</strong> internazionale altrettanto credibile e vantaggiosa<br />
per l’Italia.<br />
Togliatti sapeva quindi che la prospettiva del governo sarebbe stata preclusa per<br />
il PCI non solo dalla polarizzazione che si andava creando con la DC, ma dalla stessa<br />
identità del suo partito. Ad ogni modo è in questo quadro che si collocano gli atti<br />
più significativi <strong>della</strong> collaborazione del PCI alla costruzione <strong>della</strong> democrazia repubblicana:<br />
il voto a favore dell’articolo 7 <strong>della</strong> Costituzione, l’atteggiamento sulla<br />
ratifica del trattato di pace e il suo contributo alla stesura <strong>della</strong> Carta costituzionale<br />
quando già era stato estromesso dal governo. Sono passaggi ben noti <strong>della</strong> storia d’Italia<br />
sui quali conviene tuttavia tornare limitatamente al tema che sto trattando.<br />
Sul voto dell’articolo 7 è tuttora diffusa l’opinione che si sia trattato di un’operazione<br />
abile e strumentale, e c’è persino chi ha scritto che era stata concepita per<br />
bloccare l’estromissione dei comunisti dal governo. Ho cercato più volte di argomentare<br />
in altre sedi come quel voto si inserisse in una visione del rapporto tra religione<br />
e <strong>politica</strong> che costituì uno dei tratti distintivi del PCI togliattiano nel panorama<br />
del comunismo internazionale. Qui piuttosto vorrei sottolineare che, come<br />
Togliatti ricordò nella citata conferenza del ’61, la posizione del PCI sulla “questione<br />
cattolica”, innovatrice rispetto alla stessa impostazione gramsciana, era scaturita<br />
dalla considerazione che, dopo il fascismo, con l’appoggio <strong>della</strong> Chiesa, sarebbe<br />
nato “un forte partito cattolico”; inoltre, aveva letto le Idee ricostruttive eviaveva<br />
riscontrato “un programma molto avanzato nella stessa direzione che era la nostra”.<br />
Perciò fin dall’esposizione <strong>della</strong> <strong>politica</strong> di unità nazionale dei comunisti, erano state<br />
fatte “le più esplicite dichiarazioni di rispetto di tutte le libertà religiose” e nel discorso<br />
del 9 luglio al Brancaccio, dopo aver discusso con De Gasperi “la questione<br />
in lunghe sedute”, aveva proposto il patto di unità d’azione tra le sinistre e la DC<br />
di cui abbiamo parlato.<br />
L’inserimento dei cattolici nella vita <strong>politica</strong> italiana era uno dei cardini anche<br />
del “partito nuovo”, un cardine essenziale per l’affermazione <strong>della</strong> funzione nazionale<br />
<strong>della</strong> classe operaia. Inoltre giova ricordare che nella Relazione al V Congresso del<br />
PCI (26 dicembre 1945) aveva dichiarato di accettare il regime concordatario. Tuttavia<br />
quando l’8 aprile del ’46 scrisse a De Gasperi una lettera di misurata protesta<br />
perché in un discorso elettorale tenuto a Viterbo aveva giudicato quelle innovazioni<br />
ancora insufficienti, il leader democristiano gli aveva risposto con una lettera lunga<br />
e impegnativa che si può considerare uno dei documenti più lucidi sui confini invalicabili<br />
<strong>della</strong> collaborazione tra DC e PCI. È un documento di grande valore, su cui<br />
non possiamo soffermarci in questa sede; ma ne va richiamato almeno un punto: la<br />
questione cattolica, sottolineava De Gasperi, non riguardava solo i rapporti tra DC<br />
e PCI, ma quelli tra il comunismo sovietico e la Chiesa. Perciò gli lanciava una sfida:<br />
quella di collaborare alla costituzionalizzazione del regime concordatario come<br />
prova definitiva dell’originalità del comunismo italiano.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
181
Giuseppe Vacca<br />
Nella Conferenza del ’61 Togliatti ricorda che per giungere al voto favorevole<br />
all’articolo 7 si era realizzato un “compromesso”, demandando al governo il compito<br />
di “correggere” i Patti <strong>La</strong>teranensi “nei punti in cui sono in contrasto con la Costituzione”<br />
con una trattativa con il Vaticano. Il voto del PCI rappresentò quindi<br />
anche la risposta positiva alla sfida di De Gasperi e, se si tiene conto del fatto che,<br />
informandone il giorno prima il cardinale Tardini, Togliatti proseguiva la sua <strong>politica</strong><br />
vaticana, esso costituì una delle prove più significative del modo in cui pensava<br />
di salvaguardare il suo disegno strategico anche con il PCI fuori dal governo.<br />
Il Trattato di pace (1947)<br />
Ma il Pci era già all’opposizione quando si presentò il problema <strong>della</strong> ratifica<br />
del Trattato di pace (31 luglio 1947). Come è noto, De Gasperi aveva atteso la<br />
conclusione <strong>della</strong> conferenza di Parigi prima di giungere, dopo molte esitazioni, a<br />
estromettere le sinistre dal governo. Inoltre, l’opposizione al Trattato di pace nel<br />
paese era molto ampia e avrebbe consentito al PCI, che era già attestato su una posizione<br />
di anacronistico nazionalismo economico e politico, di lucrare consensi anche<br />
nell’elettorato di destra. Come ha dimostrato Roberto Gualtieri, l’astensione<br />
delle sinistre sulla ratifica del trattato di pace fu concordata con De Gasperi per<br />
consentirne l’approvazione anche con un eventuale prestito sottobanco dei voti comunisti<br />
necessari: tanto De Gasperi quanto Togliatti erano del tutto consapevoli<br />
<strong>della</strong> condizione di inferiorità internazionale dell’Italia per essere stata corresponsabile<br />
dello scatenamento <strong>della</strong> guerra e per averla persa. Inoltre, Togliatti era condizionato<br />
dal fatto che l’URSS aveva la posizione più punitiva tra gli alleati nei confronti<br />
dell’Italia e peraltro la considerava giusta.<br />
Il patto costituzionale<br />
Poche parole, infine, sul patto costituzionale. Vorrei osservare che la vulgata<br />
secondo cui De Gasperi si sarebbe estraniato dai lavori <strong>della</strong> Commissione dei 75<br />
tranne che per l’approvazione dell’articolo 7 non convince. L’impostazione costituzionale<br />
<strong>della</strong> Dc era già tracciata, nelle linee di fondo, nelle Idee ricostruttive e nel<br />
lungo articolo pubblicato da De Gasperi, con lo pseudonimo di Demofilo, sul<br />
“Popolo” clandestino del 23 gennaio del ’44. D’altro canto, insistere sulla statura<br />
di De Gasperi come statista e al tempo stesso far credere che la Costituzione sia<br />
scaturita sostanzialmente dalla collaborazione tra il PCI e il gruppo dossettiano è<br />
un artificio mediocre che non riesce a scalfire la lealtà di De Gasperi alla Carta costituzionale,<br />
né può servire a dimostrare che l’adesione del PCI ad essa originasse<br />
da una consonanza solo con la sinistra democristiana. Certo, alla fortuna di questo<br />
182<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
tipo di “storiografia” tendenziosa ha contribuito il ventennale congelamento costituzionale<br />
e il fatto che d’allora il PCI fece <strong>della</strong> Costituzione la sua bandiera. Ma<br />
conviene ricordare che in Italia, come in Francia, all’approvazione <strong>della</strong> Costituzione<br />
si giunse quando le sinistre erano state estromesse dal governo e la guerra fredda<br />
era ormai esplosa. Ma mentre in Francia i comunisti, pur avendo contribuito alla<br />
stesura del patto costituzionale, sciaguratamente non la votarono, il PCI non solo<br />
la votò ma ne fece anche un vessillo di “patriottismo costituzionale”. Anche in questo<br />
caso, come nell’approvazione del Trattato di pace, Togliatti dimostrava di saper<br />
perseguire il suo disegno strategico anche dall’opposizione e continuava a riconoscere,<br />
se non altro implicitamente, la funzione <strong>della</strong> leadership degasperiana.<br />
De Gasperi dopo la morte<br />
Giuseppe Vacca<br />
Come abbiamo detto all’inizio, un’immagine riflessiva di De Gasperi fu elaborata<br />
dai comunisti dopo la sua morte e fu anch’essa opera di Togliatti. Il profilo<br />
che ne disegnò, nel saggio del ’55-’56, è quello di un nemico piuttosto che di un<br />
avversario ed esso si era evidentemente sedimentato negli anni <strong>della</strong> guerra fredda e<br />
dello scontro frontale tra Est e Ovest, tra Dc e Pci. Ai fini del nostro discorso non è<br />
necessario documentare come anche tra il ’48 e il ’53 lo scontro fosse temperato<br />
dalla ricerca di intese o di punti di equilibrio per evitare lo scardinamento <strong>della</strong> democrazia<br />
repubblicana, conta piuttosto mettere in luce i tratti essenziali di quell’immagine<br />
delineata da Togliatti.<br />
Il saggio ha il respiro di una ricostruzione storica, sia pure per grandi linee, del<br />
primo decennio postbellico; ma noi ci limiteremo a prenderne in considerazione le<br />
tesi fondamentali. Il primo capitolo è dedicato all’azione economica dei governi De<br />
Gasperi dal ’46 al ’53. Malgrado il fuggevole riconoscimento che dal 1950 era cominciato<br />
“un ciclo diverso” in cui avevano preso corpo “scarsissime iniziative ‘riformistiche’”,<br />
sulle quali per altro Togliatti manteneva un giudizio “riservato e diffidente”,<br />
la sua tesi era che De Gasperi avesse voluto “ridar vita alla economia italiana come<br />
era stata sotto il fascismo” e promuovere “un ritorno al passato senza eccessive<br />
modificazioni”. Non è il caso di discutere questi giudizi ormai largamente confutati<br />
dalla storiografia più recente. È sufficiente ricordare che in quegli anni l’Italia fu dotata<br />
di una moderna “economia mista” e furono poste le basi del grande balzo nella<br />
divisione internazionale del lavoro che Togliatti stesso avrebbe riconosciuto nel<br />
1961. Inoltre si deve a De Gasperi, più che ai ministri <strong>della</strong> sinistra democristiana<br />
che facevano parte del suo governo, la capacità di sfruttare il riorientamento dei fondi<br />
Erp nel quadro <strong>della</strong> svolta statunitense del 1949-50 per la stabilizzazione produttivistica<br />
dell’Europa, dando inizio così al ciclo politico del “centrismo riformatore”.<br />
L’attenzione va, invece, fermata sulla definizione che Togliatti dava <strong>della</strong> <strong>politica</strong><br />
economica degasperiana: quella di “restaurazione del capitalismo”. In realtà<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
183
Giuseppe Vacca<br />
voleva dire che era stato ripristinato il modello di sviluppo tradizionale dell’economia<br />
italiana, fondata sui bassi salari e i bassi consumi (quello che egli chiamava “la<br />
struttura economica tradizionale”); ma la nozione di “restaurazione capitalistica”<br />
era fuorviante e inappropriata poiché, a cominciare dal PCI, nessuna delle forze<br />
politiche fondamentali aveva sostenuto nel dopoguerra che l’Italia si potesse ricostruire<br />
su basi ‘non capitalistiche’.<br />
Al giudizio di “restaurazione capitalistica” Togliatti faceva seguire quello di continuità<br />
con lo Stato corporativo. Non sminuiva il valore <strong>della</strong> distruzione delle impalcature<br />
politiche dello stato totalitario, peraltro voluta anche dagli alleati, ma intendeva<br />
affermare che, nelle strutture dell’economa mista, si era ripristinata quella<br />
fusione tra le oligarchie finanziarie ed industriali e gli apparati di governo che era<br />
stata la sostanza del corporativismo fascista. Va richiamata l’attenzione sul punto di<br />
arrivo <strong>della</strong> sua ricostruzione e sulla argomentazione che, seguendo uno schema<br />
palesemente teleologico, lo preparava. Respingendo la tesi che “la rottura <strong>politica</strong><br />
del ’47” fosse stata imposta dagli Stati Uniti, Togliatti si proponeva di dimostrare<br />
che essa era scaturita da scelte di <strong>politica</strong> interna sulle quali aveva influito in misura<br />
determinante il pensiero di De Gasperi riguardo alla società e allo Stato. Per dimostrare<br />
la sua tesi si addentrava nell’analisi degli scritti degasperiani degli anni Trenta,<br />
evidenziandone principalmente tre aspetti.<br />
Mentre la Chiesa aveva avallato l’identificazione tra il corporativismo fascista<br />
e quello propugnato dalla dottrina sociale cattolica, De Gasperi non aveva mai ceduto<br />
su questo punto e ciò costituiva il caposaldo del suo antifascismo. Ma nel difendere<br />
il corporativismo cattolico come variante valida del “corporativismo societario”,<br />
inserito cioè nelle strutture dello Stato democratico, De Gasperi aveva manifestato<br />
una palese inclinazione a giustificare la possibilità di più di un compromesso<br />
dei cattolici con il fascismo. In estrema sintesi, nell’Europa degli anni Trenta<br />
divisa, secondo Togliatti, dall’alternativa tra fascismo e comunismo, De Gasperi<br />
era stato “un esecutore obbediente e zelante” dell’orientamento <strong>della</strong> Chiesa, disponibile<br />
al compromesso col fascismo ma mai con il comunismo o il socialismo.<br />
Il suo atteggiamento non si spiegava con debolezze del carattere ma con la contraddittorietà<br />
<strong>della</strong> sua concezione corporativa. Inoltre, Togliatti riteneva determinante<br />
il fatto che il cattolicesimo politico fosse rimasto estraneo alla ricerca dell’antifascismo<br />
europeo degli anni Trenta. Con un’analisi che ricorda la critica delle Lezioni di<br />
<strong>politica</strong> sociale di<strong>Luigi</strong>Einaudi ad ogni forma di corporativismo, considera il principio<br />
<strong>della</strong> lotta di classe l’unica prosecuzione progressiva del liberalismo e la sua<br />
esplicazione il vero soggetto <strong>della</strong> modernità. Egli ritiene quindi che il corporativismo<br />
cattolico di De Gasperi, coniugato alla “mancata rottura originaria” dei cattolici<br />
col fascismo e all’isolamento dall’antifascismo italiano ed europeo, gli avesse<br />
precluso la comprensione effettiva del fascismo e lo avesse reso incline al compromesso<br />
con alcuni suoi aspetti.<br />
184<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
L’antifascismo “speciale” di De Gasperi<br />
Giuseppe Vacca<br />
Togliatti definisce l’antifascismo di De Gasperi “un antifascismo di tipo speciale”<br />
e tanto l’analisi, quanto la sua stilizzazione concettuale, rendono necessarie<br />
alcune precisazioni. Che l’antifascismo di De Gasperi fosse diverso da quello dei<br />
comunisti, dei socialisti e degli azionisti era una constatazione banale ma non priva<br />
di valore politico. E, sotto questo profilo, il discorso di Togliatti è palesemente aporetico:<br />
sottolineare la diversità dell’antifascismo degasperiano introduceva una discriminante<br />
nell’antifascismo, incrinando il postulato <strong>della</strong> sua unità che aveva costituito<br />
il cardine <strong>della</strong> “democrazia progressiva”. Inoltre portava a concludere che<br />
l’antifascismo autentico fosse solo quello di ispirazione classista e questo costituiva<br />
un’ulteriore contraddizione rispetto al suo stesso antifascismo, che si era caratterizzato,<br />
nel panorama del comunismo internazionale, per la distinzione tra fascismo e<br />
capitalismo. Contraddittoria era infine l’insinuazione che, con “la rottura <strong>politica</strong><br />
del ’47”, De Gasperi avesse lasciato alle sinistre il monopolio dell’antifascismo poiché<br />
anche la <strong>politica</strong> che il PCI aveva sviluppato in seguito e che il saggio su De<br />
Gasperi intendeva irrobustire e aggiornare si fondava sull’unità dell’antifascismo.<br />
Ai giudizi sui contenuti economici del centrismo degasperiano segue quello<br />
sulle sue caratteristiche politiche, sintetizzato nella formula “una democrazia che<br />
scivola verso la reazione”; e, in questa parte, il saggio diviene ancor più ambivalente<br />
scoprendo le sue finalità politiche. Per definire il regime politico che aveva preso<br />
forma nel periodo compreso tra l’avvento di De Gasperi e la fine <strong>della</strong> prima legislatura,<br />
Togliatti prende le mosse dalle Idee ricostruttive e riconosce l’originaria novità<br />
<strong>della</strong> Democrazia Cristiana: ne sottolinea il carattere democratico e avanzato<br />
giungendo ad affermare che, “se in questi anni il programma formulato da De Gasperi<br />
nel 1944[…] fosse stato applicato anche solo per metà, ci si sarebbe avvicinati<br />
assai a una trasformazione già in senso socialista o per lo meno conseguentemente<br />
democratico, del volto del nostro paese”. Ma poi osserva che quel programma<br />
non era fondato su una visione approfondita <strong>della</strong> storia d’Italia e non indicava i<br />
dispositivi che ne garantissero l’applicazione.<br />
Perciò, una volta assunta la direzione del paese, aveva potuto essere facilmente<br />
abbandonato. Come prova <strong>della</strong> sua strumentalità, Togliatti evocava l’atteggiamento<br />
di De Gasperi nei confronti dell’Assemblea costituente dando credito alla<br />
tesi che si fosse astenuto “deliberatamente e costantemente” dai suoi lavori e spiegava<br />
così la disinvoltura con cui, dopo “la rottura <strong>politica</strong> del ’47”, i governi da lui<br />
diretti avevano ibernato la Costituzione. <strong>La</strong> formula <strong>della</strong> “democrazia che scivola<br />
verso la reazione” oscillava tra l’aspetto politico, esemplificato dal carattere anticomunista<br />
e antisindacale del governo, e quello istituzionale, rappresentato dal mantenimento<br />
<strong>della</strong> legislazione penale fascista, dai disegni di legge del ’52, restrittivi<br />
delle libertà di stampa, sindacali e di sciopero, e soprattutto dalla legge elettorale<br />
maggioritaria. Riprendeva poi il confronto tra De Gasperi e Giolitti, già avanzato<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
185
Giuseppe Vacca<br />
nella conferenza del 1950, per negare ai governi centristi qualsiasi risvolto riformatore.<br />
Infine contestava l’europeismo di De Gasperi sostenendo, in linea con le posizioni<br />
sovietiche, che l’integrazione europea fosse irrimediabilmente ipotecata dal<br />
disegno egemonico americano sull’Europa e che De Gasperi non avesse mai mostrato<br />
di voler sostenere, sia pure nel quadro <strong>della</strong> strategia del containement, l’interesse<br />
nazionale dell’Italia.<br />
Giudizi visti oggi<br />
A quasi cinquant’anni da quando questi giudizi furono formulati, non è il caso<br />
di argomentare l’erroneità di molti di essi e soprattutto <strong>della</strong> formula che li<br />
compendiava. Conviene piuttosto domandarsi il perché del loro carattere così accentuatamente<br />
unilaterale e liquidatorio. E la spiegazione, a mio avviso, è nelle finalità<br />
politiche del saggio, peraltro apertamente dichiarate. Il saggio è scritto nella<br />
fase iniziale del “disgelo” internazionale e dell’apertura a sinistra nella quale Togliatti<br />
si accingeva a riformulare la strategia del PCI. Vi è in lui il convincimento<br />
non solo che la sconfitta del centrismo avesse dato inizio a un nuovo periodo <strong>della</strong><br />
storia <strong>politica</strong> italiana, ma anche che il PCI potesse reinserirsi nel gioco politico. <strong>La</strong><br />
spia più evidente di ciò mi pare la tesi del carattere fallimentare del centrismo degasperiano,<br />
fondata interamente sulla “rottura <strong>politica</strong> del ’47” e sostenuta da un<br />
notevole sforzo argomentativo volto a dimostrare che il programma iniziale <strong>della</strong><br />
DC avrebbe potuto realizzarsi solo con la collaborazione governativa dei partiti popolari.<br />
In questo quadro compaiono anche argomenti ritorsivi come la sottolineatura<br />
del fatto che l’investitura di De Gasperi fosse scaturita dal quadro politico originato<br />
dalla “svolta di Salerno”. E giocano risentimenti personali: rifiuta di riconoscere<br />
a De Gasperi la statura dello statista perché non aveva mostrato di comprendere<br />
che, in un paese appartenente alla sfera di influenza americana come l’Italia, la “democrazia<br />
progressiva” non avrebbe potuto assumere i tratti delle “democrazie popolari”<br />
e non aveva avuto il coraggio di scommettere su di lui.<br />
A me pare che la coloritura liquidatoria del giudizio su De Gasperi e lo sforzo<br />
di argomentare storicamente che la Dc avesse un futuro corrispondente alla sua<br />
ispirazione originaria solo in un rapporto solidale con il movimento operaio fossero<br />
motivati dall’intenzione di parlare alla nuova generazione democristiana che si<br />
andava affermando in quegli anni. Togliatti certamente non sottovalutava il fatto<br />
che, dopo la sconfitta del ’53 causata principalmente dal successo delle destra monarchico-missina,<br />
nel confronto interno alla DC era prevalsa la decisione di raccogliere<br />
la sfida delle sinistre, sbarrando la strada a qualunque prospettiva di alleanza<br />
con la destra. Sebbene sottacesse che De Gasperi aveva favorito questo orientamento<br />
e la stessa successione di Fanfani alla segreteria del partito, il riconoscimen-<br />
186<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
to del valore politico <strong>della</strong> sua relazione al Congresso di Napoli conferma che intendeva<br />
parlare alle sinistre democristiane, in primo luogo alla “sinistra di base”,<br />
privilegiandole come interlocutrici di una nuova stagione <strong>politica</strong>. Fra i non pochi<br />
brani del saggio in cui Togliatti si rivolge ad esse conviene citare quello iniziale:<br />
Nel momento che nel campo democristiano e cattolico... ricompaiono… fermenti<br />
nuovi e correnti di opposizione diverse dal passato e talora più promettenti, la nostra<br />
opinione è che sia da seguire, proprio col pensiero a queste cose nuove e nei giudizi sul<br />
passato, il metodo <strong>della</strong> completa sincerità e chiarezza.<br />
Ricorrendo quindi al suo consueto metodo storico, proponeva di avviare il<br />
confronto da una valutazione dell’opera di De Gasperi e con tono paternalistico<br />
scriveva:<br />
L’assenza di una ragionata e approfondita critica dell’opera di De Gasperi non<br />
può che impedire a queste correnti di prendere coscienza di se stesse e del loro compito,<br />
può ridurre l’azione loro a una serie di recriminazioni contingenti, interessanti sempre,<br />
ma frammentarie e non troppo feconde. Una feconda azione <strong>politica</strong> non può risultare<br />
che da una visione concreta ed organica <strong>della</strong> vita italiana degli ultimi dieci<br />
anni e delle sue non soddisfatte esigenze, ed è a una visione siffatta che noi ci vorremmo<br />
riferire.<br />
L’ambizione storiografica del saggio era dunque finalizzata a gettare le basi di<br />
una nuova stagione <strong>politica</strong> e di una nuova strategia, e le tendenziosità dell’interpretazione<br />
e l’asprezza dei giudizi erano funzionali a questo scopo. In altre parole,<br />
non si sfugge alla sensazione che con il suo saggio Togliatti mirasse a porre le fondamenta<br />
<strong>della</strong> strategia di scardinamento <strong>della</strong> centralità democristiana che avrebbe<br />
seguito con crescente determinazione dal ’58 in avanti.<br />
“Questione vaticana” e “Questione romana”<br />
Giuseppe Vacca<br />
L’ultima parte del saggio è quella a cui credo si possa riconoscere un maggior<br />
respiro storico e, sebbene il titolo dell’ultimo capitolo, “minaccia di una nuova<br />
teocrazia”, appaia il più aggressivo, in verità non lo è perché è rivolto all’azione<br />
<strong>della</strong> Chiesa più che all’opera di De Gasperi. Prendendo spunto dagli scritti del<br />
1928-33 sulla storia del “Centro” germanico, Togliatti evidenzia la nitidezza e fermezza<br />
dell’orientamento cattolico-liberale di De Gasperi, originate dalla consapevolezza<br />
che la crisi del primo dopoguerra era sfociata nell’avvento del fascismo per<br />
il mancato accordo tra Popolari e Socialisti. Poi, tracciando il profilo storico del<br />
cattolicesimo europeo tra Ottocento e Novecento, individua lucidamente la peculiarità<br />
<strong>della</strong> situazione italiana caratterizzata dalla “questione vaticana” e dal fatto<br />
che la Chiesa, nella crisi dello stato liberale, avesse individuato nel fascismo<br />
l’interlocutore più affidabile per risolvere la “questione romana”. Con il Concordato<br />
aveva perciò conquistato un potere di influenza sulla società e sullo Stato che<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
187
Giuseppe Vacca<br />
andava ben oltre la salvaguardia <strong>della</strong> sua “libertà” e si esplicava attraverso l’esercizio<br />
del suo “magistero”. Con l’inizio <strong>della</strong> guerra fredda, l’inquadramento <strong>della</strong><br />
Chiesa nello schieramento atlantico aveva influito in misura determinante sulla<br />
situazione italiana e aveva costretto De Gasperi a subire lo snaturamento del suo<br />
disegno originario. Il “blocco d’ordine” creato intorno alla DC nel ’48, consenziente<br />
De Gasperi, aveva favorito la trasformazione <strong>della</strong> DC in partito di fiducia<br />
<strong>della</strong> grande borghesia e la Chiesa, imponendogli “l’unità <strong>politica</strong> dei cattolici”, ne<br />
aveva fatto il veicolo del suo disegno di “restaurazione teocratica”perseguito in<br />
quegli anni in tutta Europa.<br />
<strong>La</strong> sintesi necessariamente stringata del pensiero di Togliatti non rende giustizia<br />
alla ricchezza delle sue argomentazioni che, per quanto opinabili, colpiscono se<br />
si tiene conto dello stato embrionale degli studi sul cattolicesimo politico tra le due<br />
guerre in quegli anni. Ma per concludere la disamina del saggio, vorrei porre l’accento<br />
sul suo punto di arrivo: che fosse stata l’incapacità di opporsi alle pressioni<br />
vaticane e <strong>della</strong> grande borghesia ad indurre De Gasperi a compiere il passo falso<br />
<strong>della</strong> “legge truffa”, causandone la sconfitta. A me pare che su questi passaggi – fra<br />
cui si colloca “l’operazione <strong>Sturzo</strong>” – Togliatti ponesse questioni che neppure oggi<br />
sono del tutto risolte dalla ricerca storica. Ad ogni modo, quello che non appare<br />
persuasivo è sicuramente la definizione <strong>della</strong> DC. Sottacendo il valore del patto costituzionale,<br />
comunque salvaguardato, e sottovalutando la portata delle riforme<br />
compiute nella prima legislatura che avevano scombussolato il “blocco d’ordine”<br />
del 18 aprile, Togliatti rimuoveva le ragioni principali <strong>della</strong> sconfitta del ’53 e formulava<br />
quel giudizio, già ricordato, sulla Dc che ha pesato a lungo ed in parte grava<br />
tuttora sulla comprensione delle sue peculiarità e dell’effettiva dinamica del sistema<br />
politico italiano.<br />
Epilogo<br />
Il saggio di Togliatti sull’opera di De Gasperi non solo non è “equanime”, come<br />
l’autore stesso sapeva avendo posto nel titolo un bel punto interrogativo, ma è<br />
anche costellato di giudizi acrimoniosi sulla sua persona. Nella vibrante biografia<br />
di suo padre Maria Romana Catti riferisce una confidenza di De Gasperi “a un<br />
amico” che potrebbe contribuire a spiegarli: “Dopo il 18 aprile trovatosi battuto<br />
non mi ha più salutato, anche quando ci incontravamo alla buvette <strong>della</strong> Camera si<br />
allontanva fingendo di non vedermi. È freddo, metallico. <strong>La</strong> Russia ne ha fatto un<br />
bolscevico perfetto; una centrale di ricezione e di trasmissione davanti alla quale<br />
l’entità uomo scompare”. Ma il saggio togliattiano è permeato dalla psicologia del<br />
vincitore, non dello sconfitto: il convincimento che lo anima è che la sconfitta <strong>della</strong><br />
“legge truffa” avesse trascinato con sé quella di De Gasperi, <strong>della</strong> Democrazia<br />
Cristiana e quella del centrismo.<br />
188<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Penso, perciò, che l’acrimonia, l’ingenerosità e talvolta il carattere aggressivo<br />
dei giudizi sulla persona di De Gasperi, inseriti, peraltro, in uno scritto di grande<br />
ambizione storiografica, debbano avere anche altre spiegazioni. Si dovrebbe scavare<br />
a fondo nel risentimento lasciato dall’attentato del 14 luglio nell’animo di Togliatti.<br />
I “postumi” dell’attentato del 14 luglio<br />
Giuseppe Vacca<br />
Lo suggerisce il giudizio che egli stesso aveva formulato nella sua “biografia<br />
autorizzata” del ’53 nella quale, avvalendosi anche delle opinioni di due autorevoli<br />
quotidiani inglesi come il “Times” (liberale) e il “Manchester Guardian” (laburista),<br />
aveva attribuito la responsabilità <strong>politica</strong> dell’attentato “al clima creato ad<br />
arte dai clericali, e in particolare da De Gasperi, per le elezioni del 18 aprile”. E lo<br />
conferma la lettera di accompagnamento <strong>della</strong> risoluzione del PCI sulla bocciatura<br />
<strong>della</strong> CED, parzialmente inedita, che Togliatti inviò a Edoardo D’Onofrio il 20<br />
agosto 1954. De Gasperi era appena morto e si doveva organizzare la partecipazione<br />
del PCI ai suoi funerali. Togliatti scrive: “Mi sono posto in contatto con<br />
Nenni. Questi mi dice che andrà ai funerali, tanto se saranno a Roma, quanto a<br />
Trento. Io invece non ci vado, e do alla cosa un significato. Sono per la reverenza ai<br />
morti (anche se i nostri avversari non sempre seguono la stessa condotta, come dimostrano<br />
le dichiarazioni fatte da De Gasperi alla morte di Stalin); sono quindi<br />
d’accordo che i nostri commenti in questo momento abbiano un tono moderato,<br />
che non possa urtare nessuno. Sono però contrario a qualsiasi forma di embrassons<br />
nous presente il cadavere: anzi, la cosa profondamente mi ripugna, come una volgarità<br />
e una ipocrisia. De Gasperi, del resto, combattè contro di noi senza esclusione<br />
di colpi, rigettando qualsiasi senso di umanità. Dopo il 14 luglio non ebbe<br />
né una parola né un gesto di umana comprensione per i lavoratori in cui spontaneamente<br />
era insorta una grande indignazione. Volle che fossero esclusi persino<br />
dalla scarna amnistia del ’53 (…). Per tutto questo, mi raccomando! Vada un<br />
gruppo di compagni, deputati e senatori, ai funerali. Vacci pure tu, con Scoccimarro,<br />
come vicepresidenti; ci vada anche qualcun altro, in modo che ci sia la nostra<br />
presenza. Ma evitare qualsiasi manifestazione che sia al di là <strong>della</strong> reverente<br />
correttezza umana”.<br />
Ma riprendiamo il filo del discorso. I problemi che il saggio ci consegna sono<br />
principalmente due: il giudizio su De Gasperi antesignano <strong>della</strong> guerra fredda in<br />
Europa e quello sulla DC partito di fiducia <strong>della</strong> borghesia. Pur considerando il ribaltamento<br />
del quadro politico generale intervenuto dalla metà del ’47 in poi, non<br />
si può fare a meno di osservare che il saggio presenta giudizi opposti a quelli che<br />
avevano ispirato l’azione di Togliatti nei confronti di De Gasperi nel triennio <strong>della</strong><br />
loro collaborazione. E poiché ha l’ambizione di fondarli sulla ricostruzione <strong>della</strong><br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
189
Giuseppe Vacca<br />
biografia <strong>politica</strong> ed intellettuale dello statista trentino, ci pone dinanzi ad un evidente<br />
dilemma: o si deve considerarlo un’autocritica radicale <strong>della</strong> percezione che<br />
aveva avuto <strong>della</strong> sua figura fino alla “rottura <strong>politica</strong> del ’47”, o si deve ritenere che<br />
considerasse quella rottura un errore catastrofico per l’Italia e per la DC, rivelatore<br />
<strong>della</strong> mediocre statura di De Gasperi e dell’effettivo carattere del suo disegno, che<br />
prima non aveva compreso.<br />
L’attenzione di Togliatti alla Sinistra Dc<br />
Questo convincimento è espresso nel modo più significativo in un brano di<br />
Conversando con Togliatti in cui egli afferma: “Un nostro avversario intelligente e<br />
capace non ci avrebbe messo fuori del governo. Anzi, prendendo in parola le posizioni<br />
e le dichiarazioni nostre, ci avrebbe forse sfidato a rimanervi, e avrebbe lavorato<br />
per far sorgere una situazione nella quale noi potessimo essere stretti senza via<br />
d’uscita oppure spezzati”. Per quanto lo stile di pensiero di Togliatti solitamente rifuggisse<br />
dall’idea di una storiografia controfattuale, un leader politico che fondava<br />
la sua azione sul metodo storico non avrebbe potuto rinunciarvi; e il brano citato<br />
evidenzia il convincimento che, quando ormai la guerra fredda stava per esplodere,<br />
De Gasperi avrebbe potuto attendere il momento in cui il PCI fosse stato costretto<br />
dal “legame di ferro” con l’URSS ad uscire dal governo, come presto sarebbe avvenuto<br />
a seguito <strong>della</strong> costituzione del Cominform. Ma, lasciando alla ricerca storica<br />
il compito di approfondire un tema così impegnativo, vorrei tornare ancora per un<br />
momento sul nesso tra l’immagine <strong>della</strong> DC degasperiana e la nuova strategia <strong>politica</strong><br />
di Togliatti volta a privilegiare come interlocutore la sinistra democristiana.<br />
L’obiettivo di scardinare la centralità <strong>della</strong> DC prevedeva o quanto meno auspicava<br />
la possibilità che il partito si spezzasse. Era un obiettivo realistico?<br />
Credo che tra le smentite più severe si possa citare un brano <strong>della</strong> relazione di<br />
Aldo Moro al Consiglio Nazionale <strong>della</strong> DC del 20 luglio 1961. Quando Togliatti<br />
aveva già schierato il PCI su una linea di inserimento nel centrosinisistra volta a dividere<br />
la DC, Moro gli obiettò: “Il giudizio sulla DC è comprensibilmente sommario<br />
e schematico. Ed essa, qualificata per comodità di polemica come forza di<br />
destra, viene presa in considerazione non per la realtà delle sue posizioni libere e vive,<br />
ma, secondo il rozzo modulo comunista, quale partito dei monopoli a servizio<br />
dei grandi interessi capitalistici che sarebbero quindi riusciti a condurre per anni<br />
milioni e milioni di italiani ad agire contro i loro interessi, contro se stessi”. <strong>La</strong> critica<br />
di Moro metteva in luce non solo il limite politico <strong>della</strong> strategia togliattiana,<br />
ma anche quello culturale dell’analisi su cui si fondava. Riassunta nello slogan <strong>della</strong><br />
DC “partito dei padroni” e “partito americano”, quell’analisi non consentiva al suo<br />
stesso autore di comprendere che la figura e l’opera di De Gasperi avevano costituito<br />
un punto di equilibrio, una sintesi e un elemento identitario in cui si riconoscevano<br />
tutte le correnti democristiane e avrebbero continuato a riconoscersi sino alla<br />
190<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
fine <strong>della</strong> DC. Moro coglieva nel segno denunciandone il determinismo economico<br />
e il riduzionismo sociologico che sarebbero stati superati, ma solo in parte, negli<br />
anni ’70. Infatti in quegli anni anche i comunisti cominciarono a riparlare di De<br />
Gasperi e a ripensarne l’opera e la figura.<br />
Il saggio di Pietro Scoppola<br />
Giuseppe Vacca<br />
Nel 1974 Pietro Scoppola pubblicò su “il Mulino” il saggio su De Gasperi e la<br />
svolta <strong>politica</strong> del 1947 che tre anni dopo sarebbe diventato l’ultimo capitolo de <strong>La</strong><br />
proposta <strong>politica</strong> di De Gasperi. Da esso prese spunto Giorgio Amendola per avviare<br />
una revisione dello schema togliattiano che avrebbe avuto le manifestazioni più significative<br />
nella recensione alla Intervista su De Gasperi di Giulio Andreotti e in<br />
quella molto ampia e innovativa al libro di Scoppola pochi mesi dopo. Commentando<br />
anche lui su “il Mulino” il primo scritto di Scoppola, Amendola aveva rilevato<br />
che si staccava “dal magro bilancio dell’anno degasperiano” per la novità dell’impostazione<br />
e la ricchezza <strong>della</strong> documentazione. Ma va attirata l’attenzione sul<br />
punto saliente del suo scritto: Scoppola aveva affermato che la rottura del ’47 era<br />
stata condotta in modo da “non sospingere i comunisti verso una opposizione al<br />
governo ma al sistema”; Amendola aggiunse informazioni ed elementi di valutazione<br />
che lo confermavano e arricchivano. Egli argomentava che dal giugno ’46 Togliatti,<br />
consapevole dell’imminenza <strong>della</strong> guerra fredda, aveva inasprito i toni <strong>della</strong><br />
polemica contro il governo per prepararsi alla rottura e, pur cercando di rallentarne<br />
i tempi, aveva però inteso favorirla. Inoltre, accennando vagamente a testimonianze<br />
personali, suggeriva l’idea che De Gasperi e Togliatti avessero in qualche modo<br />
pilotato insieme la rottura.<br />
Nelle due recensioni del ’77 arricchì le analisi e le testimonianze dando impulso<br />
all’abbandono del paradigma togliattiano: un abbandono inizialmente parziale,<br />
ma poi sempre più completo, che si fondava sul progressivo superamento del<br />
determinismo economico e del riduzionismo sociologico che avevano inficiato il<br />
saggio di Togliatti. Il PCI veniva lentamente sviluppando la capacità di fondare l’analisi<br />
<strong>della</strong> <strong>politica</strong> italiana e delle relazioni internazionali sulle interdipendenze ele<br />
interazioni tra gli attori, e questo si riverberava sulle visioni retrospettive e sulla<br />
percezione storica <strong>della</strong> figura di De Gasperi.<br />
Ma vorrei concludere con alcune considerazioni sulla vischiosità di quel nuovo<br />
percorso. <strong>La</strong> prima riguarda la cultura <strong>politica</strong> del PCI post-togliattiano. Il metodo<br />
storico come fondamento dell’azione <strong>politica</strong> non aveva più l’incidenza e lo<br />
spessore che aveva avuto con Togliatti, per cui il contributo di Amendola restò un<br />
caso pressoché isolato. <strong>La</strong> seconda è che, nel concepire la sua revisione, Amendola<br />
aveva potuto giovarsi dei contributi significativi <strong>della</strong> storiografia cattolica, ma ad<br />
essi non corrispondeva un impegno minimamente paragonabile <strong>della</strong> storiografia<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
191
Giuseppe Vacca<br />
comunista e “di sinistra”. <strong>La</strong> terza è che il processo di revisione rimase un fatto d’élite,<br />
mentre nel senso comune dei militanti e degli elettori comunisti e di sinistra<br />
continuò – e forse continua – a prevalere l’immagine <strong>della</strong> DC “partito americano”<br />
e “partito dei padroni”. L’ultima considerazione riguarda la storiografia. Credo di<br />
poter dire che con quegli scritti Amendola desse impulso al paradigma <strong>della</strong> complementarità<br />
fra DC e PCI nella storia <strong>della</strong> repubblica che, fatto proprio inizialmente<br />
da Scoppola, caratterizza una parte limitata ma molto significativa <strong>della</strong> storiografia<br />
<strong>politica</strong> degli ultimi venti anni favorendo nuove ricerche e l’acquisizione<br />
di risultati sempre più convincenti.<br />
192<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
<strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong>: una lezione attuale<br />
L’anniversario <strong>della</strong> morte del Servo di Dio don <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong> offre l’occasione<br />
a studiosi e collaboratori dell’istituto ‘<strong>Sturzo</strong>’, nonché estimatori e devoti del grande<br />
sacerdote di Caltagirone, di sostare ancora una volta a riflettere e pregare a partire<br />
dal suo messaggio e, nel contesto di una celebrazione, dalla lezione <strong>della</strong> sua vita.<br />
Il sentimento che sgorga spontaneo in questo momento è di gratitudine al Signore<br />
per il dono di questo testimone a cui generazioni di credenti e non credenti continuano<br />
a guardare attingendo luce, idee e coraggio per la presenza e l’impegno nella<br />
cultura, nella società e nella <strong>politica</strong>. Si rinnova, perciò, anche la preghiera che l’esemplarità<br />
<strong>della</strong> vita di don <strong>Luigi</strong> abbia il giusto riconoscimento da parte dell’intera<br />
comunità ecclesiale.<br />
Viene da pensare come proprio la celebrazione quotidiana <strong>della</strong> S. Messa abbia<br />
scandito il ritmo di vita di don <strong>Sturzo</strong>: un pensiero che colloca nella giusta <strong>dimensione</strong><br />
tante cose, anche la stessa ricorrenza che celebriamo, poiché è sempre Dio e il<br />
suo Cristo a stare al centro <strong>della</strong> nostra vita e dei nostri pensieri, anche in una giornata<br />
come questa. Del resto, così facendo, non solo non ci discostiamo, ma diamo<br />
se possibile ancora più spazio e attenzione alla figura di don <strong>Luigi</strong>.<br />
Oggi le letture bibliche ci chiedono un ascolto che non può essere rimosso e<br />
nemmeno piegato strumentalmente ad altri fini. In realtà ad ascoltare la Parola<br />
proclamata nella liturgia non facciamo altro che prestare attenzione a quel Dio attorno<br />
a cui ruotava anche tutto l’impegno del Servo di Dio, così da verificare che<br />
proprio questa apertura a Dio ci mette nella condizione spirituale idonea a comprendere<br />
di più e meglio lo <strong>Sturzo</strong> credente e sacerdote che in quella apertura ha<br />
posto l’anima di ogni sua intrapresa e attività.<br />
Raccogliamo soltanto il monito che ci viene dal testo <strong>della</strong> prima lettura (Gio<br />
4,1-11), la quale ci impressiona per la resistenza che Giona oppone all’idea e alla<br />
volontà di Dio di convertire e salvare cattivi e malvagi, i quali invece secondo lui<br />
non meriterebbero altro che condanna e perdizione. Viene fuori una immagine di<br />
Dio che, al contrario del suo profeta, ha compassione di una moltitudine di persone<br />
che «non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra». Non credo sia una<br />
forzatura vedere in don <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong> un prete che ha fatto propria la compassione<br />
di Dio verso folle di persone sempre più smarrite e disorientate. E soprattutto ve-<br />
* Segretario generale <strong>della</strong> Conferenza Episcopale Italiana.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
di Card. Mariano Crociata*<br />
193
Mariano Crociata<br />
dervi un richiamo nei confronti di chi si ammanta di un senso gretto di giustizia<br />
che non lascia nemmeno a Dio il potere di giudicare e di salvare e cerca alibi per<br />
sfuggire all’appello <strong>della</strong> responsabilità e del servizio.<br />
Con l’insegnamento sulla preghiera, il Vangelo (Lc 11,1-4) tocca un punto<br />
nevralgico <strong>della</strong> fede e dell’esperienza cristiana. Innanzitutto ci fa capire che pregare<br />
è pregare come Gesù e con Gesù. Egli ci suggerisce le parole e con esse l’atteggiamento,<br />
il cuore, le intenzioni per dire a Dio ‘Padre’. E il punto cruciale dell’esperienza<br />
credente, come innanzitutto e in modo unico per Gesù stesso, è sempre<br />
quello di guardare a Dio come a un Padre, di aprirsi a Lui come figli e di porsi in<br />
relazione come fratelli con coloro che dicono e pregano insieme a noi Dio Padre.<br />
Questo senso di figliolanza divina e di fraternità non facciamo fatica a trovarlo in<br />
fondo al sentire del Servo di Dio.<br />
<strong>La</strong> sua sensibilità sociale e la sua intelligenza e operosità <strong>politica</strong> nascono sul<br />
terreno di una fede solidamente radicata e di uno spirito sacerdotale vigile e coltivato<br />
con grande cura. Il messaggio essenziale che egli ha lasciato per noi credenti è,<br />
senza dubbio, che la dedizione nei confronti del prossimo, nella forma dell’attenzione<br />
responsabile alle dinamiche sociali e <strong>della</strong> carità <strong>politica</strong>, è <strong>dimensione</strong> ineliminabile<br />
<strong>della</strong> vocazione cristiana.<br />
Di fatto il suo percorso spirituale lo porterà gradualmente sempre di più a<br />
evidenziare il discreto ma formidabile legame che ha strutturato la sua coscienza e<br />
la sua esistenza tra la fede e l’essere prete e l’impegno sociale e politico, oltre che il<br />
senso di responsabilità pastorale 1 . Mi piace riascoltare con voi alcune citazioni che<br />
esprimono tale coscienza. Scrive nel 1926:<br />
194<br />
È superfluo dire […] che quasi trent’anni di mia attività […] per me è stato ed è ancora<br />
esplicazione di apostolato religioso e morale. Non avessi avuto questa convinzione e queste<br />
finalità, non avrei potuto conciliare le mie attività con il mio carattere sacerdotale e con la<br />
mia aspirazione unica di servire Dio 2 .<br />
E ancora nel 1928:<br />
Voi non credereste che la mia vocazione <strong>politica</strong> non fu per niente una vocazione, né un’aspirazione<br />
<strong>della</strong> mia giovinezza, né un’attrattiva fantastica o sentimentale; fu una conseguenza<br />
non cercata <strong>della</strong> mia attività religioso-sociale presso operai e contadini 3 .<br />
1 Cf. M. Naro, Con il Vangelo nascosto in petto: il cammino spirituale di <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong>, in...Senza<br />
pregiudizi né preconcetti per gli ideali di giustizia e di libertà, nella loro interezza, Memoria del novantesimo<br />
anniversario dell’ Appello ai liberi e forti (Caltagirone 27 febbraio 2009), Atti, pp. 13-42.<br />
2 Cit. ivi, p. 24.<br />
3 Cit. ibidem.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
E in ultimo un passaggio che apre uno squarcio sulla sua interiorità e sulla sua<br />
spiritualità:<br />
L’idea di Dio, se ci diventa abituale nella nostra giornata, in mezzo alla varietà <strong>della</strong> vita,<br />
come un’idea fondamentale, a cui siamo legati e di cui viviamo; se questa idea ci è destata<br />
da ogni cosa che ci tocca e ci fa gioire o addolora, di quanto ci alletta o ci respinge, allora il<br />
nostro spirito è abituato a sentirlo presente, ed è preparato a entrare in più intima comunicazione<br />
con lui con la preghiera 4 .<br />
Parole che si presentano come un commento involontario proprio alle pagine<br />
scritturistiche che abbiamo ascoltato, e che soprattutto rivelano un animo profondamente<br />
credente e uno spirito sacerdotale all’origine di un pensiero straordinariamente<br />
ricco e di un’azione culturale, sociale e <strong>politica</strong> di imponente fecondità.<br />
In tempi come i nostri la sua lezione risulta singolarmente attuale, innanzitutto<br />
per noi credenti. In certi ambiti di impegno, come quello sociale e politico,<br />
sembriamo mancare di sorgenti vive e di radici, a cui rispettivamente attingere linfa<br />
e su cui far crescere progetti di largo respiro. Mancano visioni e speranze, perché<br />
queste non si inventano sull’onda <strong>della</strong> cronaca spettacolarizzata, ma si nutrono di<br />
interiorità e spiritualità lungamente coltivate e accuratamente custodite. Senza l’alterità<br />
di una fede profonda e amata, difficilmente crescono figure cristiane significative,<br />
e in tutti i campi. E pensieri, visioni, speranze, progetti non sono mai solo<br />
prodotti intellettuali, bensì frutti di vita buona, quella vita buona secondo il Vangelo<br />
a cui i Vescovi italiani richiamano per un rinnovato impegno educativo.<br />
Anniversario <strong>della</strong> morte di <strong>Luigi</strong> <strong>Sturzo</strong>. Roma, Chiesa di S. Agostino, 5 ottobre 2011<br />
4 Cit. ivi, pp. 33-34.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
Mariano Crociata<br />
<br />
195
ANNO I - N. 1/2004<br />
ANNO II<br />
ANNO III<br />
EUROPA SENZA CONFINI<br />
ISTITUTO “LUIGI STURZO”<br />
CIVITAS - (IV Serie)<br />
Gabriele De Rosa - Achille Silvestrini - Franco Nobili - <strong>Luigi</strong> Giraldi - Giorgio Tupini - Jean<br />
Dominique Durand - Roberto Morozzo <strong>della</strong> Rocca - Gorgio Bosco - Agostino Giovagnoli -<br />
Paola Pizzo - Marisa Ferrari Occhionero - Simona Andrini - Stefano Trinchese<br />
N. 1/2005<br />
LA DEMOCRAZIA MALATA<br />
Agostino Giovagnoli - Rudolf Lill - Jean Marie Mayeur - Pietro Scoppola - Carlo Mongardini<br />
- Savino Pezzotta - Andrea Bonaccorsi - Paolo Musso - Carlo Giunipero - Marco<br />
Impagliazzo - Ruggero Orfei - Giuseppe Merisi - Giovanni Pitruzzella - Leopoldo Elia -<br />
Nicola Mancino<br />
N. 2/2005<br />
LA LUNGA STAGIONE DELLA LIBERAZIONE<br />
Giulio Andreotti - Franco Nobili - Alfredo Canavero - Raoul Pupo - Corrado Belci -<br />
Agostino Giovagnoli<br />
RELIGIONI, MULTICULTURALISMO, LAICITÀ<br />
Milena Santerini - Renè Remond - Paolo Branca - Vincenzo Cesareo - Carlo Cardia<br />
N. 3/2005<br />
ECONOMIA E DEMOCRAZIA<br />
Piero Barucci - Andrea Bixio - Giampiero Cantoni - Innocenzo Cipoletta - Emmanuele<br />
Emanuele - Piero Giarda - Giovanni Marseguerra - Franco Nobili - Giuseppe Sangiorgi -<br />
Mario Sarcinelli - Bruno Tabacci - Antonio Zurzolo<br />
N. 1/2006<br />
NUMERI PRECEDENTI<br />
CHIESA E STATO IN ITALIA - IERI E OGGI<br />
Franco Nobili - Andrea Riccardi - Romeo Astorri - Maurizio Punzo - Giuseppe Dalla<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
197
ANNO IV<br />
198<br />
Torre - Francesca Margiotta Broglio - Giovanni Battista Varnier - Carlo Cardia - Camillo<br />
Ruini - Pietro Scoppola - Agostino Giovagnoli - Silvio Ferrari - Stefano Semplici - Francesco<br />
Totaro - Luciano Eusebi<br />
NUMERO SPECIALE – AFRICA: UN CONTINENTE TRA ABBANDONO E SPERANZA<br />
Franco Nobili - Mario Giro - Jean Leonard Touadi - Jean Mbarga - Stefano Picciaredda -<br />
Gianpaolo Cadalanu - Leonardo Palombi - Daniela Pompei - Robert Sarah - Boniface<br />
Mongo Mboussa - Éloi Messi Metodo - Robert Dussey<br />
N. 2-3/2006<br />
BIPOLARISMO IMPERFETTO<br />
Antonio Agosta - Andrea Bixio - Fedele Cuculo - Gianfranco D’Alessio - Giuseppe De Rita -<br />
Emmanuele F.M. Emanuele - Marco Follini - Enrico Letta - Franco Nobili - Andrea Riccardi<br />
- Mario Rusciano - Giuseppe Sangiorgi - Paolo Segatti - Pietro Scoppola - Bruno Tabacci<br />
N. 1/2007<br />
OLTRE IL WELFARE: LA SFIDA DELLE NUOVE POVERTÀ<br />
Card. Tarcisio Bertone - Stefano Bartolini - Leonardo Becchetti - Corrado Beguinot -<br />
<strong>Luigi</strong>no Bruni - Giuseppe De Rita - Franco Nobili - Renato Palma - Pierluigi Porta -<br />
Franco Riva - Giuseppe Sangiorgi - Silvio Scanagatta<br />
N. 2/2007<br />
ISLAM<br />
<strong>La</strong>houari Addi - Mustapha Cherif - Bahey El-Din Hassan - Mohamed Haddad - Hassan<br />
Hanafi - Kone Idriss Koudouss - Ahmad Syafii Maarif - Chandra Muzaffar - Paul Matar<br />
Mohammad Sammak - Ghassan Tueni - Mohamed Tozy - Abdul Magid - A. Karim Vakil<br />
N. 3/2007<br />
DOVE VANNO I CATTOLICI<br />
Franco Nobili - Andrea Riccardi - Mauro Magatti - Savino Pezzotta - Pierluigi Castagnetti<br />
- Gennnaro Acquaviva - Gianni Baget Bozzo - Paolo Corsini - Carlo Giunipero - Paola<br />
Bignardi - Lucia Fronza Crepaz<br />
RICORDO DI PIETRO SCOPPOLA<br />
Franco Nobili - Achille Card. Silvestrini - Andrea Riccardi - Eugenio Scalfari - Agostino<br />
Giovagnoli - Giuliano Ferrara - Francesco Malgeri - Alberto Melloni - Emma Fattorini<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
ANNO V<br />
ANNO VI<br />
N. 1/2008<br />
PERSONA E COSTITUZIONALISMO<br />
DIRITTI, DOVERI, SPERANZE<br />
Franco Nobili - Ugo De Siervo - Paolo Doni -Vittorio Possenti - Andrea Simoncini - Antonio<br />
Magliulo - Stefano Martelli - Valerio Onida - Franco Riva<br />
N. 2/3-2008<br />
LA CITTÀ<br />
URBS, CIVITAS... DIVERSITAS<br />
Franco Nobili - Corrado Beguinot - Gabriella Esposito De Vita - Giuseppe Limone - Antonella<br />
Greco - P. Gianfranco Berbenni - Massimo Clemente - Manuel Ferrer Regales -<br />
Vincenzo Scotti - Giuseppe Imbesi - Gianluigi Sartorio - Angela Poletti - Gianluca Giannini<br />
- Giuliana Quattrone - Franco Montanari - Filippo Barbera - Bianca Petrella - Francesco<br />
Alessandria - Franco Maceri - Francesco Forte - Carla Quartarone - Gabriella Padovano<br />
- Sergio Mattia - Alessandra Pandolfi - Giancarlo Nuti - Maria Venturini - Mirilia<br />
Bonnes - Vincenzo Cabianca - Giampiero Vigliano - Franco Riva<br />
N. 1/2009<br />
L’UNIONE PER IL MEDITERRANEO<br />
Giulio Andreotti - Jean-Dominique Durand - Claire Durand - Jaques Huntzinger - Emmanuel<br />
Dupuy - Jean Michel Debrat - Mohamed Bechari - Mostafa Cherif - Jean Claude<br />
Petit - Michele Zanzucchi - Bernard Sabella - Enric Olivé Serret - Emmanuele F.M. Emanuele<br />
- Apostolides Costas - Vincenzo Conso - Peter Seideneck - Arben Xhaferi -Enrico<br />
Salza - Giuseppe Cuccurese - Vittorio Ianari<br />
N. 2/3-2009<br />
LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA<br />
IL VENTO LUNGO DELLE ENCICLICHE<br />
Roberto Mazzotta - Storia: Bartolomeo Sorge - Franco Appi - Giuseppe Sangiorgi - Emmanuele<br />
F.M. Emanuele - Vincenzo Paglia- Giorgio Campanini - Angelo Sindoni - Ernesto<br />
Preziosi. Società: <strong>Luigi</strong> Campiglio - Giuliana Martirani - Sergio Parenti - Francesco<br />
Maietta - Franco Riva. Europa: Flavio Mondello. Mondo: Michel Camdessus - Antonio<br />
Tomassini. Il personaggio: Mario Giro.<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />
199
ANNO VII<br />
N. 1/2010<br />
LA RIFORMA DELL’UNIVERSITÀ<br />
Opinioni a Confronto<br />
Roberto Mazzotta - Gian Paolo Brizzi - Andrea Graziosi - Andrea Bixio - Walter Tocci -<br />
Agostino Giovagnoli - Gennaro Carotenuto - Stefano Bancaleri - Enrico Decleva - Fulvio<br />
Cammarano - Documenti<br />
N.2/2010<br />
IL MONDO NELLA RETE. LIBERTÀ PRESUNTA?<br />
Roberto Mazzotta - Agostino Giovagnoli - Franco Riva - Andrea Granelli - Massimo Russo<br />
- Giorgio Zanchini-Mario Morcellini - Diana Gianola - Piero Dorfles - Claudio Maria<br />
Celli (Mons.) - Vittorio Sabadin - Amos Ciabattoni - Angelo Bagnasco (Card.) - Claudio<br />
Giuliodori (Mons.) - Chiara Giaccardi - Patrizia Severi - Opinioni a confronto<br />
ANNO VII-VIII<br />
200<br />
N. 3/2010-N. 1/2011<br />
I CATTOLICI<br />
STORIA E RAGIONI DI UNA PRESENZA<br />
Roberto Mazzotta - Agostino Giovagnoli - Francesco Malgeri - Mario Taccolini - Francesco<br />
Bonini - Ernesto Preziosi - Giuseppe Sangiorgi - Attilio Nicora (Card.) - Giuseppe<br />
Gervasio - Beppe Del Colle - Maurizio Regosa - Giuliano Amato - Giuseppe De Rita -<br />
Angelo Bagnasco (Card.) - Lorenzo Ornaghi - Andrea Riccardi - Alfredo Canavero -<br />
<strong>La</strong>ura Balestra - Amos Ciabattoni - Jean Mbaga (Mons.) - Jean Dominique Durand -<br />
Bartolo Ciaccardini<br />
Richieste e informazioni a:<br />
Tel. 06.68809223<br />
E-mail: redazione@rivistacivitas.it<br />
www.rivistacivitas.it<br />
Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011
Finito di stampare nel mese di dicembre 2011<br />
da Rubbettino print<br />
per conto di Rubbettino Editore Srl<br />
88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)<br />
www.rubbettinoprint.it
Tariffa Taariiffffaa<br />
RR.O.C.:<br />
OC:<br />
PPoste<br />
oos ste<br />
eiitaliane<br />
ta aliane<br />
e-<br />
SSpedizione<br />
pedizioneiin<br />
nAA.P.<br />
P DD.L.<br />
L 3353/2003<br />
53 3/<br />
200<br />
03(<br />
(conv. coonv<br />
in inL.<br />
L 227/02/2004<br />
7/ / 02/22004<br />
4nn.<br />
446)<br />
6)<br />
ar art. rt<br />
1<br />
co comma omma1<br />
1 - CN CNS/CBPA NS/<br />
CBB<br />
PA-<br />
SUD/CZ/121/2007 SUDD/<br />
D/<br />
CZ/1121/22007vva<br />
valida alidaddal<br />
al115/11/2007<br />
5/<br />
11/<br />
2000<br />
07-<br />
IIn<br />
nccaso<br />
asoddi<br />
immancato<br />
ancaattorrecapito<br />
eeccapitto<br />
oiinviare<br />
nnv viarre<br />
eaal<br />
lCCM<br />
CMP MPL<strong>La</strong>mezia<br />
ameziaTTerme<br />
eerrmepper<br />
erlla<br />
aRRestituzione<br />
estittu<br />
uzioneaal<br />
lmmittente<br />
ittt<br />
tennt<br />
tepprevio<br />
reevvioppagamento<br />
agaamm<br />
eennto<br />
rresi.<br />
eessi<br />
15 1 5<br />
<strong>La</strong><br />
formazione<br />
nel<br />
mmondo<br />
ondo<br />
ddel<br />
el<br />
llavoro<br />
avoroo<br />
<strong>La</strong><br />
formazione<br />
Formazione<br />
e lavoro lavo<br />
oro<br />
<strong>La</strong><br />
formazione<br />
dei<br />
quadri<br />
e il<br />
sindacato<br />
Claudio<br />
Gentili<br />
e dei<br />
dirigenti<br />
Editoriale<br />
<strong>La</strong><br />
fformazione<br />
ormazione<br />
nel<br />
mmercato<br />
ercato<br />
del<br />
lavoro<br />
L’impegno L’<br />
impegno<br />
del<br />
Sistema Sistt<br />
ema<br />
Confindustria<br />
per<br />
la<br />
formazione<br />
foo<br />
rmazione<br />
nell’esperienza<br />
nell’<br />
esperienza<br />
e nella<br />
storia<br />
<strong>della</strong><br />
CISL<br />
Mario<br />
SScotti<br />
cotti<br />
dell’energia dell’<br />
energia<br />
elettrica<br />
<strong>della</strong><br />
rrappresentanza<br />
appresentanza<br />
Donne<br />
e formazione<br />
R.<br />
Del<br />
Vecchio, Ve ecchio,<br />
imprenditoriale<br />
sindacale sindacale<br />
nnella<br />
ella<br />
CCISL<br />
ISL<br />
R.<br />
<strong>La</strong>medica,<br />
Costanza<br />
Patti<br />
Valeria Va aleria<br />
PPasseri<br />
assee<br />
ri<br />
D.<br />
Lucarella,<br />
C.<br />
Meazzi<br />
<strong>La</strong><br />
formazione<br />
sindacale<br />
Il<br />
mmanifesto<br />
anifesto<br />
in<br />
uun’organizzazione<br />
n’<br />
organizzazione<br />
<strong>della</strong><br />
fformazione<br />
ormazione<br />
socio-<strong>politica</strong>:<br />
Carlo<br />
BBarberis<br />
arberis<br />
il<br />
ccaso<br />
aso<br />
d<strong>della</strong><br />
ella<br />
CCGIL<br />
GIL<br />
Adolfo<br />
Braga<br />
Cittadinanza<br />
europea<br />
e <strong>politica</strong><br />
<strong>della</strong><br />
cultura<br />
Claudia<br />
Forgione<br />
Sindacalismo<br />
S i indacalis<br />
mo<br />
Trimestrale<br />
Luglio Luglio22011<br />
011<br />
Rivista<br />
di<br />
studi<br />
sulla<br />
rappresentanza<br />
del<br />
llavoro<br />
av voro<br />
nella<br />
ssocietà<br />
ocietà<br />
gglobale<br />
lobale<br />
Rubbettino<br />
03 03/2011 3/ / 2011<br />
Gianfranco Miglio<br />
L’ordine L’<br />
ordd<br />
ine<br />
bipolare bipolaree<br />
come<br />
forma fo orma<br />
di<br />
oordine<br />
rdd<br />
ine<br />
internazionale<br />
inte<br />
ernazionale<br />
Rivista RRivista<br />
di i Politica PPolitica liti<br />
Diretta Direttta<br />
da Alessandro Campi<br />
’<br />
Dalla Dallaa<br />
Humana HHu uumm<br />
ana<br />
Respublica Reessspp<br />
ubbl<br />
lliiicccaa<br />
Il<br />
federalismo fee<br />
deralismo<br />
ccome<br />
ome<br />
sscienza<br />
cienza<br />
alla alll<br />
a cr crisi ri isi<br />
ddell’ordinamento<br />
ell<br />
ordi<br />
inamenn<br />
to<br />
Stefano Stee<br />
fano<br />
B.<br />
Galli<br />
bipolare: bi ipolare<br />
e:<br />
MMiglio<br />
igl<br />
lioo<br />
e<br />
lla<br />
a p<strong>politica</strong><br />
oliticc<br />
a<br />
internazionale<br />
inn<br />
te ern<br />
nazii<br />
onale<br />
Alessandro Alessandroo<br />
Vitale<br />
Il<br />
decisionismo<br />
funzionale fuu<br />
nzionale<br />
di di<br />
Miglio Migll<br />
io<br />
Davide<br />
e G.<br />
Bianchi<br />
Il<br />
sogno<br />
impossibile<br />
di<br />
una<br />
nuova<br />
CCostituzione<br />
ostituzi<br />
ione<br />
per<br />
gli gll<br />
i italiani ita<br />
alii<br />
ani<br />
Fulco<br />
<strong>La</strong>nchester<br />
<strong>La</strong>ncc<br />
hester<br />
<strong>La</strong><br />
struttura struu<br />
ttuu<br />
raa<br />
fondamentale<br />
fo ondamentaa<br />
le e<br />
del<br />
Politico Politicc<br />
o nella<br />
visione<br />
scientifica scientii<br />
fi ica<br />
a di<br />
Miglio Migl<br />
lio<br />
Damiano<br />
Palano<br />
Miglio Migll<br />
io<br />
e Schmitt:<br />
il<br />
rischio ri isch<br />
hio<br />
del<br />
Politico<br />
Riccardo Riccardd<br />
o Cavallo<br />
Confessione Confee<br />
ssione<br />
ddi<br />
i uun<br />
n re realista ealista<br />
radicale raa<br />
dicaa<br />
le<br />
Alessandro Alessandroo<br />
Campi<br />
e<br />
Alessandro Alessandroo<br />
Vitale<br />
L’avventura L’<br />
avventu<br />
uraa<br />
iintellettuale<br />
nte<br />
ellettuale<br />
di<br />
un<br />
pensatore<br />
e scomodo<br />
e geniale:<br />
un<br />
ricordo ri icordo<br />
Marcello Marcc<br />
ello<br />
Staglieno<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
Ugo<br />
dde<br />
eSSiervo<br />
iervvo<br />
-<br />
L<strong>La</strong><br />
aCCorte<br />
orteCostituzionale<br />
Costituzionale<br />
nnel<br />
elnnostro<br />
ostrosi<br />
sistema stemacos<br />
costituzionale tituzionale<br />
.......................<br />
5<br />
FFabio<br />
abio Ra Ratto attoTTrabucco<br />
rabucco<br />
- -<strong>La</strong>ricerca<strong>della</strong>stabilitàdell’esecutivoinAssembleaCostituente:<br />
<strong>La</strong>riceercadelllaastabilitàdel<br />
llle’esecuttivoinAsssembleaCostituennte:<br />
iil<br />
lrrichiamo<br />
ichiamodel<br />
del<br />
l“modello<br />
“ mode<br />
ellloelvetico”<br />
el lv vetico”<br />
ttra<br />
rapparlamentarismo<br />
arlamm<br />
entarismoe<br />
e ppresidenzialismo.................<br />
reside<br />
enzialismo.................<br />
19<br />
SStefano<br />
tefanoFalco<br />
Falco-L’asse<br />
-L’<br />
’ asse<strong>della</strong><br />
delll<br />
ladiscordia.<br />
discordia.<br />
Signicato Signnicato<br />
e evalore<br />
vallore<strong>della</strong><br />
deell<br />
la<strong>dimensione</strong><br />
<strong>dimensione</strong><strong>politica</strong><br />
<strong>politica</strong><br />
ddestra/sinistra<br />
estra/<br />
sinistra<br />
................................................................................................................<br />
43<br />
GGiovanna<br />
iovaanna<br />
Angelini - Le<br />
correnti coo<br />
rrenti<br />
politiche<br />
ddel<br />
ell<br />
RRisorgimento...............................................<br />
isorgii<br />
menn<br />
to<br />
............................................... 67<br />
GGiuseppe<br />
iuu<br />
se eppe<br />
BBottaro<br />
ottaroo<br />
- <strong>La</strong> <strong>La</strong>a<br />
<strong>politica</strong><br />
estera es stera<br />
degli de egll<br />
iSStati<br />
tat<br />
tiUniti<br />
Un niti<br />
nell’analisi nel<br />
lll<br />
’aann<br />
alisi<br />
ddi<br />
iAl<br />
Alexis lexis<br />
de<br />
eTocqueville.......<br />
Too<br />
cquu<br />
ev ville.......<br />
89<br />
GGiuseppe<br />
iuu<br />
seppe<br />
Balducci Baldd<br />
ucci<br />
-e eRRole<br />
ole<br />
oof<br />
ftheEuropean<br />
the<br />
Eurr<br />
opeann<br />
Union Unn<br />
ion<br />
iin<br />
nCChina’s<br />
hina’<br />
s’s Ac Accession ccession<br />
tto<br />
ottheWTO........<br />
he<br />
WTO.<br />
. . . . . . . 101<br />
MMatteo<br />
atteo<br />
Ve Verda erdd<br />
a - Ri Risorse isorse<br />
naturali, natt<br />
urr<br />
ali,<br />
minoranze<br />
etniche ettn<br />
nich<br />
he<br />
e stabilità<br />
regionale regii<br />
onallee<br />
nel<br />
l Caucaso Caa<br />
ucaso<br />
ppost-sovietico<br />
ost<br />
sovietico<br />
..................................................................................................................<br />
123<br />
AAlessandroMadeddu-Osservazioni<br />
lee<br />
ssa<br />
androo<br />
Madeddu<br />
Osservazion<br />
issu<br />
u“<br />
“PrincipidelGovernorappresentativo”diBernard<br />
Prr<br />
incipi<br />
de elGover<br />
rno<br />
rappresen<br />
ntat<br />
tivo”<br />
diBernar<br />
d<br />
MManin<br />
anin<br />
. ......................................................................................................................................................... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149<br />
SSilvioBeretta<br />
illvv<br />
ioo<br />
Bere<br />
etta<br />
-PPresentazionedeiquattro res<br />
sen<br />
ntazione<br />
dei<br />
quu<br />
at tt tro<br />
vvolumi<br />
oluumm<br />
ide<br />
<strong>della</strong> elll<br />
annuova<br />
uoo<br />
vasserie“Asia<br />
erie<br />
“A Asia<br />
MMajor”all’<strong>Istituto</strong><br />
aj jor”<br />
alll’<br />
’ Iss<br />
titutt<br />
o<br />
LLombardo<br />
ombardo<br />
........................................................................................................................<br />
........................................................................................................................ 159<br />
Ja Japan-Politics, apa an-Politics,<br />
E EEconomics<br />
conomics<br />
and<br />
SSecurity<br />
ecurity<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
Pa Paolo aolo<br />
MMagri<br />
agrii<br />
-In -Introduction ntroduct<br />
tion<br />
..................................................................................................... 167<br />
FFranz<br />
ranz Wa Waldenberger aldenbergger<br />
- e e<br />
Japanese Jaa<br />
panese<br />
EEconomy.<br />
conomy.<br />
AAn<br />
n OOverview<br />
verview<br />
..........................................<br />
171<br />
CCarlo<br />
arll<br />
o Filippini<br />
-<br />
Ch Changing hangi<br />
ing<br />
Income In ncome<br />
Di Distribution stribution<br />
in<br />
Ja Japan apan<br />
.................................................. 176<br />
HHiroaki<br />
iroo<br />
aki RRichard<br />
ichardd<br />
Watanabe Wa atanabe<br />
- Japanese Japp<br />
anese<br />
Po Politics olitics<br />
un under der tthe<br />
he<br />
Hatoyama<br />
AAdministration...<br />
dministrat<br />
tion...<br />
180<br />
AAxel<br />
xel<br />
BBerkofsky<br />
erkk<br />
ofsky<br />
- Ja Japanese apanese<br />
FForeign<br />
oreign<br />
aand<br />
nd<br />
SSecurity<br />
ecur<br />
rity<br />
Po Policies olicies<br />
under un nder<br />
PPrime<br />
rime<br />
Mi MinisterYukio<br />
nisterYuk<br />
kio<br />
HHatoyama<br />
atoyama<br />
-S -Some ome<br />
CChanges,<br />
hanges,<br />
A<br />
Lo Lot ot<br />
of<br />
CContinuity<br />
ontinuity<br />
.........................................................<br />
183<br />
RRecensioni<br />
ece<br />
ensioni<br />
e<br />
se segnalazioni<br />
egnalazioni<br />
<br />
<br />
<br />
RIVISTE RRI RRI IIIIV<br />
IIVV<br />
VVI IIS ST TTE E