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18 ANGELA CAMUSO<br />

Il 20 novembre 1991, «Il Messaggero», sotto il titolo Troppi piccoli reati<br />

impuniti, pubblicava un’intervista al dottor Fernando Masone, all’epoca<br />

Questore di Roma, nella qua<strong>le</strong> si <strong>le</strong>ggeva: «Il prob<strong>le</strong>ma vero di questa città<br />

è quello della piccola criminalità. Qui non abbiamo frequenti esplosioni di<br />

grossa criminalità. Quel che più s’avverte invece è la quotidianità della piccola<br />

criminalità. Sono questi piccoli reati quelli che incidono fortemente<br />

sui cittadini. La gente quando viene colpita nel suo, nella sua casa, nella sua<br />

auto, non pensa e non può pensare che questo sia un piccolo reato. Chi viene<br />

derubato, chi viene malmenato, chi subisce un danno, uno scippo, un<br />

furto in appartamento, riceve un’offesa. Gravissima. Ecco, su queste cose<br />

dobbiamo avere una vera attenzione. Insomma, noi dobbiamo lottare e<br />

combattere per ridurre questo prob<strong>le</strong>ma che a mio avviso è il vero prob<strong>le</strong>ma<br />

di Roma. Del centro, ma soprattutto dei quartieri di periferia, dei quartieri<br />

dormitorio, di Tor Bella Monaca, di Corvia<strong>le</strong>, di Centocel<strong>le</strong> e di tanti<br />

altri ancora. Ecco, se stasera sapessi che siamo riusciti a ridurre il numero<br />

degli scippi anche di una sola unità, sarei davvero felice».<br />

Incalzato dall’intervistatore («Dunque, il prob<strong>le</strong>ma è questo. E la droga?»),<br />

il Questore insisteva: «La droga c’è ed è tanta. E droga significa per<br />

lo più microcriminalità. Il piccolo spaccio, il consumo quotidiano trovano<br />

alimento proprio nel piccolo reato non in quello grande».<br />

Non potendosi sottrarre a una domanda sulla possibilità che vi fossero<br />

<strong>le</strong>gami tra la banda della Magliana, la mafia e la camorra, l’intervistato affermava:<br />

«Io personalmente non ho fatto indagini su questo, ma mi sento<br />

di dire che è sicuro». Salvo naturalmente affermare, subito dopo: «A Roma,<br />

comunque, non ci sono quel<strong>le</strong> manifestazioni tipiche di altre zone d’Italia<br />

come il racket, l’estorsione capillare a negozianti e industriali, il controllo<br />

su tutte <strong>le</strong> attività economiche con percentuali e parcellizzazione del<br />

territorio. Tutto questo qui da noi non c’è». E, quindi, ulteriormente precisare:<br />

a Roma «ci può essere quello che noi abbiamo già detto ripetutamente:<br />

l’investimento di danaro sporco in attività <strong>le</strong>cite. E siccome questo<br />

è stato provato in vari casi già sottoposti all’autorità giudiziaria, che ha deciso<br />

il sequestro dei beni anche recentemente, non vedo perché questi fenomeni<br />

di criminalità organizzata non debbano esserci ancora. E noi lavoriamo<br />

per bloccarli. Anche se tutto va ricondotto entro certi limiti. Roma<br />

non è un territorio di conquista per questa gente. Io ipotizzo tutto al<br />

top per essere pronto all’occorrenza, ma non dobbiamo esagerare».<br />

Tutte queste dichiarazioni del Questore Masone intervenivano all’indomani<br />

dell’omicidio di Claudio Sicilia, a bloccare il qua<strong>le</strong>, la macchina<br />

della prevenzione, ipotizzata al top, ma senza esagerare, purtroppo non<br />

era stata pronta.<br />

Gli autori dell’omicidio di Claudio Sicilia sono ancora ignoti, ma la<br />

sciagurata scelta di collaborazione della vittima, in ogni caso e contro ogni<br />

ragionevo<strong>le</strong> previsione, non restò isolata.<br />

MAI CI FU PIETÀ 19<br />

Maurizio Abbatino, colpito da più provvedimenti restrittivi, dopo un<br />

lungo periodo di latitanza, che si protraeva dal dicembre 1986, venne arrestato,<br />

a Caracas, il 24 gennaio 1992. Gli antichi sodali si attivarono immediatamente,<br />

senza, tuttavia, approdare a risultati utili, per propiziarne<br />

la liberazione e scongiurarne l’estradizione dal Venezuela verso l’Italia: essi<br />

avevano ben fondate ragioni di temere che l’Abbatino, considerato da<br />

sempre personaggio di primo piano dell’organizzazione delinquentesca,<br />

potesse indursi a clamorose quanto pericolose rivelazioni, specie dopo la<br />

barbara uccisione del fratello Roberto, prima torturato e, quindi, finito a<br />

coltellate sul greto del Tevere, alcuni giorni dopo l’agguato nel qua<strong>le</strong> era<br />

caduto Enrico De Pedis.<br />

Non si sbagliavano.<br />

Giunto in Italia, a seguito della sua espulsione dal Venezuela, Maurizio<br />

Abbatino, il qua<strong>le</strong>, già poco dopo il suo arresto, aveva manifestato l’intenzione<br />

di vo<strong>le</strong>r collaborare agli stessi ufficiali della nostra polizia giudiziaria<br />

che l’avevano rintracciato all’estero, fornì preziose informazioni sulla banda,<br />

rivendicando al suo interno un ruolo di vertice; ne tracciò <strong>le</strong> linee di sviluppo,<br />

sia sotto il profilo dei partecipi sia sotto il profilo della sua strutturazione<br />

per progressive aggregazioni e stratificazioni di gruppi delinquenziali,<br />

in precedenza non omogenei, sia, finalmente, sotto il profilo strettamente<br />

operativo, sul terreno del traffico, del controllo e della commercializzazione,<br />

a Roma, dell’eroina e della cocaina, tra la fine degli anni Settanta<br />

e i primi anni Ottanta. La sua collaborazione apparve subito particolarmente<br />

interessante per i cospicui e<strong>le</strong>menti di novità su un impressionante<br />

numero di omicidi, che, proprio a partire dall’ultimo scorcio degli anni Settanta<br />

e sino all’inizio degli anni Novanta, avevano insanguinato la Capita<strong>le</strong>;<br />

su efferati sequestri di persona; su cruente lotte per il «controllo» del mercato<br />

della droga, della gestione del gioco d’azzardo e dell’esercizio dell’usura;<br />

sulla fagocitazione ed il controllo di attività economiche.<br />

Quel<strong>le</strong> rivelazioni, d’altra parte, risultarono di assoluta importanza sotto<br />

un ulteriore punto di vista: mentre a Claudio Sicilia, il qua<strong>le</strong> proveniva da<br />

Napoli e, dunque, non era pienamente consapevo<strong>le</strong> del<strong>le</strong> dinamiche che<br />

avevano attraversato la criminalità romana degli anni Settanta, sfuggivano<br />

spesso la rea<strong>le</strong> portata ed il significato dei fatti che riferiva, Maurizio Abbatino,<br />

cresciuto nell’ambiente della malavita capitolina di quegli anni, era<br />

perfettamente in grado di apprezzare l’unitarietà, pur nella diversità dei<br />

gruppi, fondamenta<strong>le</strong> caratteristica della banda della Magliana, e, dunque,<br />

di trarne <strong>le</strong> conseguenze, in termini di adeguata spiegazione del fenomeno.<br />

Inuti<strong>le</strong> dire che con <strong>le</strong> rivelazioni di Maurizio Abbatino la banda della<br />

Magliana entrava nella mitologia.<br />

Sulla strada della costruzione del mito, è poi arrivato Romanzo Crimina<strong>le</strong><br />

di Giancarlo De Cataldo, libro nel qua<strong>le</strong>, per l’appunto in forma ro-

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