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26 ANGELA CAMUSO<br />

proprio lui a fare ai giudici i nomi dei suoi compagni di imprese dell’epoca:<br />

Giovanni Piconi, Emilio Castel<strong>le</strong>tti, Renzo Danesi, Enzo Mastropietro<br />

e Giorgio Paradisi, garagista, tutti suoi coetanei. Quando il gruppo di Crispino<br />

si unì a Franco Giuseppucci, er Negro, nativo invece di Trastevere,<br />

si costituì quella che si chiamava nel gergo della malavita una «batteria».<br />

La «batteria» presupponeva un patto di solidarietà e l’accordo a steccare<br />

in parti uguali i proventi dei delitti, anche qualora non tutti i sodali partecipassero<br />

all’azione. Er Negro, più anziano degli altri di una decina di<br />

anni, era già famoso nell’ambiente e suo pupillo era un ragazzo noto per<br />

essere irascibi<strong>le</strong> e spietato, Marcello Colafigli detto Marcellone, con la fisionomia<br />

del gigante: Marcellone si unì quasi subito alla «batteria», anche<br />

se poi capitava che sia lui sia Giuseppucci, oltre che a lavorare con il nuovo<br />

gruppo, occasionalmente si aggregassero anche ad altre «batterie», con<br />

<strong>le</strong> quali di solito ci si incontrava nella zona dell’Alberone, sulla via Appia<br />

Nuova. Una di queste «batterie» era la cosiddetta «banda di Val Melaina»,<br />

che a differenza di quella di Maurizio Abbatino detto Crispino, specializzata<br />

in rapine, già controllava il traffico della cocaina tramite un cana<strong>le</strong><br />

aperto dal figlio diseredato di un conte, che aveva contatti con la camorra.<br />

La «banda di Val Melaina», tuttavia, si sfaldò presto, intorno al<br />

1972: i soci si montarono la testa, furono incapaci di gestire i guadagni<br />

stratosferici. Per tali motivi si può dire che a Roma, in quel periodo, non<br />

esisteva alcuna grossa organizzazione di mala autoctona. Piuttosto, imperversava<br />

un potente clan d’oltralpe: la cosiddetta «banda dei Marsigliesi»:<br />

proveniente appunto dalla città portua<strong>le</strong>, era un clan che si era trasferito<br />

in Italia dopo che la polizia francese era riuscita a smantellare in<br />

patria molte raffinerie della droga.<br />

I Marsigliesi, a Roma, oltre che trafficare cocaina, controllavano buona<br />

parte del gioco d’azzardo e in particolare il «Totonero», ovvero <strong>le</strong> scommesse<br />

clandestine sul<strong>le</strong> partite di calcio. Nei night club dell’ormai decadente<br />

via Veneto riciclavano il denaro, anche quello frutto dei sequestri di<br />

persona, e nell’apri<strong>le</strong> del 1975 organizzarono il rapimento di Giovanni<br />

Bulgari, il gioielliere di fama internaziona<strong>le</strong> con atelier in via Condotti, tenuto<br />

prigioniero per un mese e liberato dopo il pagamento di un riscatto<br />

di un miliardo e 300 milioni di lire. Fu il colpaccio dei «francesi», ma anche<br />

l’inizio della loro fine. Solo un anno dopo, il clan fu stroncato dalla<br />

cattura clamorosa di uno dei suoi capi, Albert Bergamelli, che dimorava<br />

in una villa sull’Aurelia. Da quel momento, fino al 1983, l’anno in cui fu<br />

ucciso in carcere, Bergamelli assistette, suo malgrado, all’ascesa di quel<br />

gruppo di malavitosi romani che aveva sempre disprezzato: «Sono dei<br />

borgatari – disse di loro una volta – è gente che agisce senza alcuna razionalità»<br />

6 .<br />

Bergamelli aveva <strong>le</strong> sue ragioni. Fino a quando la sorte di Crispino e degli<br />

altri non incrociò quella dello sventurato Grazioli, i loro sforzi per sca-<br />

MAI CI FU PIETÀ 27<br />

lare l’Olimpo crimina<strong>le</strong> non diedero invero gli effetti sperati. Ad esempio,<br />

finì in sparatoria, con l’arresto in flagranza di uno dei banditi, il progettato<br />

rapimento di un costruttore perugino, Vincenzo Ciriello: imprevedibi<strong>le</strong><br />

fu la reazione dell’ostaggio, che era armato. Addirittura, ci fu anche il<br />

tentativo di recuperare il riscatto frutto del sequestro di un imprenditore<br />

emiliano, liberato in cambio dell’impegno a pagare a posteriori i rapitori.<br />

L’uomo, a suggello del patto, aveva dato ai carcerieri metà di un santino,<br />

che quelli avrebbero dovuto utilizzare per farsi riconoscere. Una volta al<br />

sicuro, però, l’imprenditore pensò bene di far andare al posto suo, per la<br />

consegna del denaro, un poliziotto in borghese, del qua<strong>le</strong> comunque ai<br />

malviventi non sfuggì la presenza.<br />

C’è quasi sempre una talpa dietro ogni rapimento. Nel caso del duca<br />

Massimiliano Grazioli, assassinato dopo il pagamento del riscatto, a tradirlo<br />

fu un amico di suo figlio. Giulio Grazioli, 35 anni, aveva la passione<br />

per la caccia e per i fuoristrada e fu così che due anni prima aveva conosciuto<br />

il suo Giuda, Enrico Mariotti, un coetaneo, tipo stravagante che<br />

amava vestire con abiti militari e frequentava i giovani fascisti dei Parioli.<br />

Mariotti gestiva al centro di Ostia una sala corse ed era un grande esperto<br />

di motori e col<strong>le</strong>zionista di armi. In passato, era stato arrestato per aver<br />

investito una persona su un’auto rubata, ma questo Giulio Grazioli non lo<br />

sapeva. Al figlio del duca, invece, era noto che a fare il buttafuori per Mariotti<br />

era un certo Franco Giuseppucci detto er Negro, di cui l’amico gli<br />

parlava, peraltro, in maniera colorita. La circostanza, tuttavia, non aveva<br />

mai impensierito più di tanto il rampollo dei Grazioli, nonostante i suoi<br />

illustri natali: diventati duchi nel 1851, gli avi del giovane furono i mugnai<br />

di papa Gregorio XVI mentre la famiglia di sua madre, Isabella Perrone,<br />

era stata proprietaria del quotidiano «Il Messaggero». D’altra parte, Mariotti<br />

dimostrava di avere conoscenze in ogni ambiente. Tra i frequentatori<br />

di una sua villa nel Reatino, punto di partenza per gite in motocross, c’era<br />

anche il figlio di un questore.<br />

Giulio veniva invitato spesso in quella casa di campagna da Enrico Mariotti<br />

e anche nella sua residenza di Ostia, dove il gestore della sala corse<br />

viveva con la moglie e due bambine. Allo stesso modo, la talpa conosceva<br />

bene la famiglia del suo nobi<strong>le</strong> amico. In particolare, era informato del fatto<br />

che i Grazioli avevano ottenuto di recente un cospicuo indennizzo: era<br />

stato per l’esproprio di alcuni terreni nei pressi della via Salaria, dove era<br />

stata costruita l’autostrada. Più di una volta, Mariotti aveva anche incontrato<br />

l’anziano duca, sia nel suo palazzo di via del P<strong>le</strong>biscito, dietro piazza<br />

Venezia, sia nella tenuta della Marcigliana, all’altezza di Settebagni. Si<br />

trattava di 534 ettari di terreno coltivati a grano e pascolo alla cui cura<br />

Massimiliano Grazioli aveva dedicato negli ultimi anni tutto se stesso.<br />

Ogni giorno il nobiluomo, che aveva 66 anni, usciva da casa a orario fisso<br />

e si recava alla sua azienda agricola. Quindi ritornava a via del P<strong>le</strong>biscito

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