quale approccio? - Farmitalia Industria Chimico-Farmaceutica s.r.l.
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Periodico<br />
di aggiornamento<br />
professionale<br />
per il ginecologo<br />
Oncologia<br />
Clinica quotidiana<br />
Risk Management<br />
Vulvologia<br />
La gestione dei tumori<br />
germinali maligni dell’ovaio<br />
Il dolore pelvico cronico nella donna<br />
in età fertile: <strong>quale</strong> <strong>approccio</strong>?<br />
Menopausa e rischio cardiovascolare:<br />
che cosa fare?<br />
Vulvodinia: tra mito e realtà
2 a di copertina<br />
vuota
N O<br />
G<br />
Editoriale<br />
Questa<br />
nuova rivista medica rappresenta una sfida nel variegato mondo<br />
dell’informazione medico-scientifica soprattutto in una disciplina complessa<br />
come quella della ginecologia. Infatti diventa di fondamentale importanza<br />
non solo trasmettere agli specialisti in modo chiaro ed essenziale<br />
i nuovi e sempre crescenti contributi della ricerca medica in questo<br />
settore ma anche favorirne la divulgazione verso i mass-media nel<br />
modo più corretto.<br />
È nostra intenzione affrontare temi controversi o che attualmente suscitano<br />
maggior interesse ma anche argomenti più noti rivisitati secondo<br />
le più recenti acquisizioni. I contributi di questa iniziativa verranno affidati<br />
a clinici di alto profilo, che garantiranno la scientificità dei contenuti,<br />
ma saranno presentati come una comunicazione semplice e chiara, affiancata<br />
da key-messages che guideranno a una lettura più rapida e saranno<br />
accompagnati da un apparato bibliografico essenziale.<br />
Un particolare ringraziamento a Finderm, sponsor di questa iniziativa, all’Editore<br />
e a tutti i Colleghi che hanno aderito all’iniziativa già da ora e a<br />
quelli che aderiranno in futuro.<br />
Ci auguriamo vivamente che questa pubblicazione diventi in breve tempo<br />
non una delle solite “riviste” ma uno strumento utile e qualificato per<br />
la professione che svolgiamo.<br />
Giovanni Scambia<br />
Direttore Dipartimento per la Salute della Donna<br />
e della Vita Nascente<br />
Policlinico Universitario Agostino Gemelli, Roma<br />
3
FINDERM Farmaceutici s.r.l.<br />
Via A. De Gasperi, 165/B - 95127 Catania
N O<br />
G<br />
SClinica<br />
ommario<br />
Oncologia<br />
La gestione dei tumori germinali maligni dell’ovaio 6<br />
di Giorgia Mangili, Serena Montoli, Elisabetta Garavaglia, Riccardo Viganò<br />
Clinica quotidiana<br />
Il dolore pelvico cronico nella donna in età fertile:<br />
<strong>quale</strong> <strong>approccio</strong>? 11<br />
di Lucia Lazzeri, Stefano Luisi, Valentina Ciani, Giuseppe Morgante, Vincenzo De Leo, Felice Petraglia<br />
Risk management<br />
Menopausa e rischio cardiovascolare: che cosa fare? 18<br />
di Paola Villa, Rosanna Suriano, Francesca Macrì, Luigi Ricciardi,<br />
Barbara Costantini, Antonio Lanzone, Giovanni Scambia<br />
Vulvologia<br />
Vulvodinia: tra mito e realtà 26<br />
di Leonardo Micheletti<br />
Scienza e società 34<br />
di Luciano Sterpellone<br />
Periodico di aggiornamento professionale<br />
per il Ginecologo n. 1<br />
Registrazione N. 125 del 28 febbraio 2007<br />
presso il Tribunale di Milano<br />
Editore<br />
Hippocrates Edizioni Medico Scientifiche srl<br />
via Vittor Pisani 22 - 20124 Milano<br />
telefono 02.67100800 fax 02.6704311<br />
e-mail: informer@hippocrates.it<br />
Direttore editoriale<br />
Manlio Neri<br />
Direttore responsabile<br />
Susan Redwood<br />
Redazione scientifica<br />
Lella Cusin, Simona Regondi,<br />
Andrea Ridolfi, Rossella Traldi<br />
Progettazione e impaginazione grafica<br />
Marzia Bevilacqua, Giovanni Carella,<br />
Daniela De Martin, Vittorio Resmi<br />
Segreteria di redazione<br />
Silvia Cavalca, Isabella Monza<br />
Coordinamento scientifico<br />
Giovanni Scambia<br />
Hanno collaborato a questo numero<br />
Valentina Ciani, Barbara Costantini,<br />
Vincenzo De Leo, Elisabetta Garavaglia,<br />
Antonio Lanzone, Lucia Lazzeri, Stefano<br />
Luisi, Francesca Macrì, Giorgia Mangili,<br />
Leonardo Micheletti, Serena Montoli,<br />
Giuseppe Morgante, Felice Petraglia,<br />
Luigi Ricciardi, Giovanni Scambia,<br />
Luciano Sterpellone, Rosanna Suriano,<br />
Riccardo Viganò, Paola Villa.<br />
Stampa<br />
La Fenice Grafica soc. coop. a r.l.<br />
Borghetto Lodigiano - LO<br />
Chiuso in tipografia<br />
21 ottobre 2008<br />
Referenze fotografiche<br />
in copertina, Fotolia.com © Shuva Rahim<br />
pag. 7-11 © Astoria, pag. 9 © Alexey Khlobystov,<br />
pag. 19 © Stock.xchng, pag. 27 © matttilda,<br />
pag. 32 © Kirsty Pargeter<br />
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,<br />
di riproduzione e di adattamento, totale o parziale<br />
con qualsiasi mezzo, compresi i microfilm e le copie<br />
fotostatiche, sono riservati per tutti i Paesi. Manoscritti<br />
e foto non si restituiscono. Per le immagini di cui,<br />
nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile<br />
rintracciare gli aventi diritto, l’editore si dichiara<br />
pienamente disponibile ad assolvere i propri doveri.<br />
Informativa sulla legge 675/96 (tutela dei dati<br />
personali). Si informa che i dati personali che verranno<br />
forniti saranno oggetto di trattamento a mezzo di<br />
sistemi informatici.<br />
L’Editore garantisce la riservatezza dei dati forniti.<br />
5
N O<br />
G<br />
6<br />
ONCOLOGIA<br />
a gestione dei tumori<br />
germinali maligni<br />
dell’ovaio<br />
LRare, aggressive, tipiche dell’età adolescenziale, ma con una prognosi<br />
sostanzialmente buona se trattate in modo corretto. Ecco perché è<br />
essenziale che queste neoplasie vengano affrontate e gestite<br />
presso centri specializzati in ginecologia oncologica.<br />
Itumori germinali maligni dell’ovaio<br />
costituiscono circa il<br />
20% di tutte le neoplasie ovariche<br />
riscontrabili nei paesi occidentali:<br />
il 95% di questi è rappresentato<br />
dai teratomi maturi o cisti<br />
dermoidi di natura benigna, mentre<br />
i tumori germinali dell’ovaio<br />
(TGMO) sono meno del 5%.<br />
La maggior parte dei TGMO è diagnosticata<br />
nelle prime decadi di<br />
vita, con un picco di incidenza a<br />
18 anni: negli Stati Uniti sono segnalati<br />
circa 900 nuovi casi/anno,<br />
con una frequenza di 1/50.000 a<br />
18 anni. Prima dell’avvento di<br />
schemi polichemioterapici contenenti<br />
il cisplatino, la loro prognosi<br />
era quasi inesorabilmente infausta;<br />
negli ultimi 30 anni, invece,<br />
i tassi di sopravvivenza hanno<br />
raggiunto percentuali comprese<br />
tra l’85% e il 100%, in relazione<br />
allo stadio e al tipo istologico, grazie<br />
alla disponibilità di antiblastici<br />
efficaci. L’ottima prognosi di<br />
di Giorgia Mangili, Serena Montoli, Elisabetta Garavaglia, Riccardo Viganò<br />
Clinica Ostetrica Ginecologica, Ginecologia Oncologica, IRCCS San Raffaele - Milano<br />
queste neoplasie, che vengono<br />
diagnosticate in età giovanile, impone<br />
un trattamento finalizzato<br />
non soltanto alla cura del tumore<br />
ma anche alla conservazione<br />
della fertilità e della funzionalità<br />
gonadica.<br />
I TGMO, che derivano tutti dalla<br />
cellula germinale primordiale,<br />
spesso in ovaie disgenetiche, si<br />
suddividono in disgerminomi,<br />
non-disgerminomi e teratomi (tabella<br />
1). Di solito unilaterali, diffondono<br />
prevalentemente nella<br />
cavità addominale e difficilmente<br />
metastatizzano per via linfatica ed<br />
ematica; in fase diagnostica, infatti,<br />
le localizzazioni extraddominali<br />
sono raramente osservabili.<br />
Fa eccezione il disgerminoma, che<br />
può coinvolgere entrambe le gonadi<br />
e presenta uno spiccato linfotropismo.<br />
Altra caratteristica di queste neoplasie<br />
è il frequente riscontro di<br />
forme miste: in circa il 20% dei<br />
casi l’esame istologico evidenzia<br />
la compresenza di istotipi differenti;<br />
i più rappresentati sono il<br />
disgerminoma, il tumore del seno<br />
endodermico e il teratoma.<br />
Manifestazioni<br />
cliniche<br />
I TGMO sono neoplasie altamente<br />
aggressive caratterizzate da rapida<br />
crescita.<br />
All’esordio circa l’85% delle pazienti<br />
presenta una massa addominale<br />
palpabile (diametro medio<br />
alla diagnosi 16 cm) accompagnata<br />
da una sintomatologia algica<br />
addomino-pelvica. Nel 10% dei<br />
casi il dolore addominale è acuto<br />
e si associa a peritonismo, derivante<br />
da rottura o torsione della<br />
neoformazione annessiale. Prima<br />
della diffusione delle metodiche<br />
radiologiche (TC ed ecografia) la<br />
diagnosi era spesso effettuata du
ante una laparotomia d’urgenza<br />
eseguita nel sospetto di un’appendicite<br />
acuta. Nel 4-25% dei<br />
casi, invece, le pazienti sono asintomatiche<br />
e la diagnosi è occasionale.<br />
Sintomi meno frequenti sono rappresentati<br />
da febbre, perdite ematiche<br />
atipiche vaginali e pubertà<br />
precoce nella bambina. Sporadicamente<br />
sono riportati segni e sintomi<br />
di virilizzazione, sindrome di<br />
Cushing, sindrome da carcinoide,<br />
distiroidismi e altre sindromi paraneoplastiche,<br />
prevalentemente<br />
determinate da teratomi, anche<br />
nella forma matura, che presentano<br />
al loro interno aree ormonosecernenti.<br />
L’intervallo tra la comparsa dei sintomi<br />
e la diagnosi è di solito breve<br />
(in media 1-3 mesi).<br />
Queste neoplasie spesso esprimono<br />
marcatori tumorali specifici<br />
che, in presenza di una massa pelvica<br />
riscontrata in pazienti in gio-<br />
Tabella 1 I tumori germinali dell’ovaio<br />
■ Forme miste<br />
■ Disgerminomi<br />
vane età, possono orientare la diagnosi.<br />
La produzione di AFP (alfa-fetoproteina)<br />
in caso di tumore<br />
del seno endodermico e di<br />
ßhCG nel coriocarcinoma ovarico<br />
sono patognomoniche, mentre il<br />
carcinoma embrionale spesso sintetizza<br />
entrambi i marcatori. Nelle<br />
donne questi ultimi due tumori<br />
sono molto rari nella forma pura.<br />
Il disgerminoma si associa a un<br />
rialzo della lattico deidrogenasi<br />
(LDH) e del CA125 e, occasionalmente,<br />
produce bassi livelli di<br />
ßhCG. Il teratoma immaturo, invece,<br />
può determinare un incremento<br />
di numerosi marcatori sierici<br />
(tabella 2).<br />
Nel 60-70% dei casi la malattia<br />
alla diagnosi è al I-II stadio, nel 20-<br />
30% al III stadio e raramente il tumore<br />
si presenta al IV stadio.<br />
L’interessamento ovarico bilaterale<br />
è relativamente raro, a eccezione<br />
del disgerminoma che interessa<br />
entrambe le gonadi nel 10-<br />
15% dei casi.Il riscontro di una<br />
massa annessiale in una giovane<br />
paziente deve quindi suggerire il<br />
sospetto di un TGMO. La valutazione<br />
iniziale prevede l’esecuzione<br />
di esami ematochimici, la ricerca<br />
dei marcatori tumorali, la<br />
radiografia del torace e l’ecografia<br />
pelvica, eventualmente completata<br />
dall’esame TC dell’addo-<br />
■ Non disgerminomi<br />
• Tumore del seno endodermico (Yolk sac tumour)<br />
• Carcinoma embrionale<br />
• Corioncarcinoma<br />
• Poliembrioma<br />
■ Teratomi<br />
• Maturi<br />
• Immaturi<br />
ONCOLOGIA<br />
me; quando vi è il sospetto di disgenesia<br />
gonadica è opportuno<br />
effettuare l’analisi del cariotipo.<br />
Protocolli<br />
terapeutici:<br />
dalla chirurgia<br />
conservativa…<br />
Nei TGMO la chirurgia conservativa<br />
rappresenta il trattamento primario<br />
standard. Infatti, questi tumori<br />
sono diagnosticati prevalentemente<br />
in età giovanile, sono<br />
quasi sempre unilaterali e, anche<br />
agli stadi avanzati, hanno un alto<br />
tasso di risposta al trattamento<br />
chemioterapico. L’isterectomia<br />
con annessiectomia bilaterale non<br />
determina miglioramenti in termini<br />
di sopravvivenza rispetto all’<strong>approccio</strong><br />
conservativo.<br />
La maggior parte degli Autori propone<br />
una stadiazione chirurgica<br />
simile a quella dei tumori epiteliali<br />
dell’ovaio anche se i dati riportati<br />
in letteratura non ne chiariscono<br />
il ruolo prognostico-terapeutico.<br />
La stadiazione chirurgica, determinando<br />
l’estensione della malattia,<br />
può essere utile nel management<br />
postoperatorio. Le pazienti devono<br />
essere sottoposte ad annessiectomia<br />
monolaterale con esame<br />
istologico estemporaneo. L’identificazione<br />
intraoperatoria del tipo<br />
istologico è essenziale nella prosecuzione<br />
dell’intervento chirurgico,<br />
soprattutto in caso di disgerminoma<br />
e di teratoma immaturo. La stadiazione<br />
chirurgica nei TGMO comprende<br />
la valutazione della citologia<br />
peritoneale, l’esplorazione dell’intera<br />
cavità addominale, l’omentectomia<br />
e l’esecuzione di biopsie<br />
peritoneali multiple.<br />
L’ovaio controlaterale deve esse-<br />
N O<br />
G<br />
7
ONCOLOGIA<br />
N O<br />
G re attentamente ispezionato: se è<br />
apparentemente indenne da malattia<br />
non sembra necessario effettuare<br />
in modo sistematico una<br />
biopsia, foriera di aderenze periannessiali,<br />
sanguinamenti e,<br />
quindi, potenziale causa di infertilità;<br />
al contrario, qualora fosse<br />
riconoscibile una lesione macroscopica,<br />
può essere effettuata una<br />
tumorectomia. L’<strong>approccio</strong> conservativo<br />
è indicato anche nei casi<br />
di malattia avanzata.<br />
La linfadenectomia pelvica e lomboaortica<br />
è mandatoria nel disgerminoma,<br />
data la precoce metastatizzazione<br />
di questo tumore per via<br />
linfatica; per gli altri TGMO non vi<br />
è ancora evidenza che questo tempo<br />
chirurgico sia necessario.<br />
Anche il ruolo della chirurgia citoriduttiva<br />
negli stadi avanzati non<br />
è chiaro: l’asportazione delle localizzazioni<br />
macroscopiche sembra<br />
essere utile, ma manovre citoriduttive<br />
estreme non sono indicate<br />
in quanto possono aumentare<br />
la morbilità, determinando<br />
un ritardo nella somministrazione<br />
della chemioterapia.<br />
8<br />
...alla chemioterapia<br />
La chemioterapia ha drasticamente<br />
modificato la prognosi delle pazienti<br />
affette da TGMO. Prima del<br />
1970 la terapia era rappresentata<br />
dalla sola chirurgia e talvolta dalla<br />
Tabella 2 Marcatori tumorali nel TGMO<br />
radioterapia: tutte le pazienti con<br />
malattia avanzata erano destinate<br />
a morire e anche nei casi al I stadio<br />
veniva riportata una sopravvivenza<br />
del 5-20%.<br />
La combinazione di vincristina, actinomicina<br />
D e ciclofosfamide (VAC)<br />
è stato il primo schema chemioterapico<br />
a determinare un significativo<br />
miglioramento prognostico; a<br />
partire dal 1977, dopo i successi ottenuti<br />
nel tumore del testicolo, fu<br />
utilizzato lo schema cisplatino, vinblastina<br />
e bleomicina (PVB). In seguito,<br />
la polichemioterapia con<br />
bleomicina, etoposide e cisplatino<br />
(BEP), garantendo una sopravvivenza<br />
che sfiora il 100% nei primi stadi<br />
e di almeno il 75% negli stadi<br />
avanzati, è diventata il trattamento<br />
adiuvante standard nei TGMO.<br />
Soltanto le pazienti con disgerminoma<br />
allo stadio IA con stadiazione<br />
completa, comprendente la linfadenectomia<br />
pelvica e lomboaortica,<br />
e le pazienti con teratoma immaturo<br />
al I stadio possono non effettuare<br />
chemioterapia adiuvante,<br />
riservando il trattamento alla recidiva.<br />
Nelle forme miste deve essere<br />
sempre trattata la componente<br />
istologica più aggressiva.<br />
Il numero dei cicli di BEP da somministrare<br />
varia in relazione allo stadio<br />
e all’andamento di eventuali<br />
marcatori sierici. I risultati dell’<strong>approccio</strong><br />
chirurgico conservativo seguito<br />
da chemioterapia adiuvante<br />
La BEP<br />
ha nettamente<br />
migliorato<br />
la prognosi<br />
secondo schema BEP sono estremamente<br />
incoraggianti anche ai fini<br />
della conservazione della fertilità<br />
e della funzionalità endocrina.<br />
Gli studi pubblicati negli ultimi decenni<br />
riportano che 69-99% delle<br />
pazienti ha riacquisito una normale<br />
regolarità dei cicli mestruali al termine<br />
della chemioterapia e molte<br />
di loro hanno concepito e portato<br />
a termine numerose gravidanze (tabella<br />
3).<br />
Lo schema BEP, però, è gravato<br />
da importanti tassi di tossicità sia<br />
acuta che a lungo termine. Oltre<br />
ad alopecia e a mielotossicità,<br />
molte pazienti sviluppano durante<br />
il trattamento un’amenorrea<br />
ipergonadotropa, nella maggior<br />
parte dei casi transitoria. È riportata<br />
inoltre l’insorgenza di seconde<br />
neoplasie dopo l’utilizzo di<br />
questo schema chemioterapico,<br />
in particolare la leucemia mieloide<br />
acuta. Altra complicanza grave<br />
descritta è rappresentata dalla<br />
fibrosi polmonare, strettamen-<br />
Istotipo AFP HCG LDH CA125 CA19-9 CEA<br />
Disgerminoma - +/- + + +/- +/-<br />
Tumore seno endodermico + - +/- +/- - -<br />
Teratoma immaturo +/- +/- +/- +/- + +<br />
Corioncarcinoma - + - - - -<br />
Carcinoma embrionale + + - - - -<br />
Poliembrioma +/- + - - - -
te correlata alla somministrazione<br />
di bleomicina; questo effetto<br />
collaterale è dose-dipendente.<br />
Management:<br />
l’importanza<br />
dell’istotipo<br />
Disgerminoma<br />
Equivalente istologico del seminoma<br />
maschile, è l’istotipo più comune<br />
e rappresenta circa il 50% di tutti<br />
i TGMO. Nella forma pura è costituito<br />
da elementi cellulari grandi,<br />
poliedrici con citoplasma chiaro<br />
e nuclei prominenti, che non presentano<br />
differenziazione in strutture<br />
embrionali o extraembrionali.<br />
Il disgerminoma è anche l’istotipo<br />
più frequentemente riscontrato nelle<br />
forme miste, di solito associato<br />
a tumore del seno endodermico<br />
e/o al teratoma immaturo.<br />
Caratteristiche peculiari del disgerminoma<br />
sono la frequente bilateralità<br />
(fino al 10-15% dei casi), la<br />
prevalente diffusione per via linfatica<br />
e la radiosensibilità.<br />
Non esprime marcatori tumorali<br />
specifici, anche se in circa 1/3 dei<br />
casi si riscontrano elevati livelli di<br />
lattico-deidrogenasi (LDH). Il CA125<br />
è spesso alterato senza raggiungere<br />
valori elevati; saltuariamente si<br />
riscontra un rialzo di ßhCG, CEA e<br />
GICA. Durante la chirurgia primaria<br />
è essenziale un accurato staging<br />
comprendente la linfadenectomia<br />
pelvica e lomboaortica, soprattutto<br />
nella malattia apparentemente<br />
al I stadio A. In questo caso non è<br />
indicato un trattamento antiblastico,<br />
ma solo uno stretto follow-up<br />
poiché la chemioterapia effettuata<br />
alla recidiva non sembra compromettere<br />
la prognosi. Altra caratteristica<br />
del disgerminoma è la<br />
spiccata radiosensibilità. Fino agli<br />
anni Ottanta la radioterapia era il<br />
trattamento adiuvante di prima<br />
scelta, mentre attualmente essa è<br />
indicata solo in casi selezionati.<br />
Tumore del seno<br />
endodermico<br />
(Yolk sac tumour)<br />
È la neoplasia germinale di più<br />
frequente riscontro dopo il disgerminoma<br />
e rappresenta il<br />
20% di tutti i TGMO; deriva dalla<br />
cellula germinale primitiva<br />
destinata a formare<br />
il sacco vitellino<br />
(differenziazione extraembrionale).<br />
I tumori<br />
del seno endodermico<br />
sono neoplasie a rapida<br />
crescita, quasi esclusivamentemonolaterali;<br />
caratteristica è la produzione<br />
di elevati livelli<br />
di AFP. Questo marcatore<br />
ha un ruolo essenziale<br />
in fase diagnostica, nella<br />
valutazione della risposta alla<br />
chemioterapia e nel follow-up.<br />
L’aggressività e la biologia di questo<br />
tumore impongono sempre<br />
un trattamento chemioterapico<br />
adiuvante anche quando la malattia<br />
è diagnosticata agli stadi<br />
iniziali.<br />
Teratoma<br />
• Teratoma cistico maturo (benigno)<br />
o cisti dermoide: rappre-<br />
ONCOLOGIA<br />
senta il 95% dei casi di teratoma.<br />
La cisti dermoide può originare<br />
non solo dall’ovaio, ma<br />
anche da altri organi e tessuti<br />
lungo il percorso che le cellule<br />
germinali primordiali compiono<br />
per giungere alla gonade durante<br />
l’organogenesi. È bilaterale<br />
nel 15% dei casi ed è costituita<br />
da una grande varietà<br />
di tessuti ben differenziati di derivazione<br />
ectodermica, mesodermica<br />
ed endodermica. La<br />
presenza di aree secernenti nel<br />
loro contesto può determinare<br />
manifestazioni cliniche da produzione<br />
ormonale ectopica.<br />
• Teratomi immaturi: quasi sempre<br />
unilaterali, costituiscono il<br />
15% dei TGMO e in meno della<br />
metà dei casi si osserva la<br />
produzione di marcatori (tabella<br />
3). Microscopicamente sono<br />
È essenziale<br />
conoscere la storia<br />
naturale e la biologia<br />
di ogni istotipo<br />
composti da tessuti maturi e<br />
immaturi derivanti dai tre foglietti<br />
embrionali; nel loro contesto,<br />
accanto a tessuti ben differenziati<br />
(cartilagine e osso),<br />
si riscontrano elementi immaturi,<br />
specialmente di origine<br />
neurale. Si distinguono tre gradi<br />
di maturità in relazione alla<br />
quantità di tessuto neuronale<br />
immaturo. La diffusione del teratoma<br />
immaturo avviene prevalentemente<br />
per dissemina-<br />
N O<br />
G<br />
9
N O<br />
G<br />
10<br />
ONCOLOGIA<br />
zione peritoneale ed è tanto più<br />
rapida quanto più il tumore è<br />
di grado 3. La stadiazione chirurgica<br />
deve comprendere numerose<br />
biopsie peritoneali, sia<br />
random sia delle aree sospette,<br />
al fine di diagnosticare<br />
eventuali impianti peritoneali<br />
immaturi e definirne il grado.<br />
Il trattamento chemioterapico<br />
non è infatti indicato<br />
in caso di impianti di grado 0<br />
o 1 perché la neoplasia non<br />
è chemiosensibile. In presenza<br />
di impianti peritoneali di<br />
grado 2 o 3 è invece necessario<br />
eseguire un trattamen-<br />
Bibliografia<br />
1. Lu KH, Gershenson DM. Update on<br />
the management of ovarian germ cell<br />
tumors. J Reprod Med 2005; 50:<br />
417-25.<br />
2. Gershenson DM. Management of ovarian<br />
germ cell tumors. J Clin Oncol<br />
2007; 25: 2938-43.<br />
3. Williams SD, Blessing JA, DiSaia PJ<br />
et al. Second-look laparotomy in ovarian<br />
germ cell tumors: The Gynecologic<br />
Oncology Group experience. Gynecol<br />
Oncol 1994; 52: 287-91.<br />
4. Gershenson DM, Morris M, Cangir A<br />
et al. Treatment of malignant germ<br />
cell tumors of the ovary with bleomy-<br />
to antiblastico secondo lo<br />
schema BEP.<br />
In presenza di impianti peritoneali<br />
è utile eseguire un followup<br />
laparoscopico per valutare<br />
l’eventuale progressione o regressione<br />
del grado di maturità.<br />
Altri istotipi<br />
Il carcinoma embrionale, il poliembrioma<br />
e il coriocarcinoma<br />
non gestazionale sono molto<br />
rari, quasi sempre unilaterali e<br />
possono risultare associati al<br />
rialzo di alcuni marcatori sierici<br />
(tabella 2).<br />
Tabella 3 Fertilità dopo terapia conservativa per i TGMO<br />
Autore N. pazienti N. cicli regolari N. gravidanze<br />
Brewer, 1999 16 13/14 (93%) 5 in 3<br />
Low, 2000 74 43/47 (92%) 14 in 19/20<br />
Zanetta, 2001 138 80/81 (99%) 41 in 16/20<br />
Tangir, 2003 64 28/40 (69%) 47 in 29/38<br />
Gershenson, 2007 132 62/71 (87%) 37 in 24/62<br />
cic, etoposide and cisplatin. J Clin Oncol<br />
1990; 8: 715-20.<br />
5. Low JJ, Perrin LC, Crandon AJ et al.<br />
Conservative surgery to preserve ovarian<br />
function in patients with malignant<br />
ovarian germ cell tumors: a review<br />
of 74 cases. Cancer 2000; 89:<br />
391-8.<br />
6. Zanetta G, Bonazzi C, Cantù M et al.<br />
Survival and reproductive function after<br />
treatment of malignant germ cell<br />
ovarian tumors. J Clin Oncol 2001;<br />
19: 1015-20.<br />
7. Brewer M, Gershenson DM, Herzog<br />
CE et al. Outcome and reproductive<br />
Conclusioni<br />
La rarità di questo gruppo di neoplasie<br />
altamente aggressive, ma<br />
con ottima prognosi, che colpiscono<br />
in età adolescenziale impone<br />
che queste giovani pazienti siano<br />
inviate in un centro specializzato<br />
in ginecologia oncologica.<br />
Infatti, al fine di garantire un adeguato<br />
trattamento con alte possibilità<br />
di sopravvivenza preservando<br />
la fertilità e la funzionalità endocrina<br />
è necessario avere esperienza<br />
e conoscere dettagliatamente<br />
la biologia e la storia naturale<br />
di ogni specifico istotipo.<br />
function after chemotherapy for ovarian<br />
dysgerminoma. J Clin Oncol<br />
1999; 17: 2670-5.<br />
8. Tangir J, Zelterman D, Ma W et al. Reproductive<br />
function after conservative<br />
surgery and chemotherapy for malignant<br />
germ cell tumors of the ovary.<br />
Obstet Gynecol 2003; 101: 251-7.<br />
9. Gershenson DM, Miller AM, Champion<br />
VL et al. Reproductive and sexual<br />
function after platinum based<br />
chemotherapy in long-term ovarian<br />
germ cell tumor survivors: a gynecologic<br />
oncology group. J Clin Oncol<br />
2007; 25: 2792-97.
N O<br />
G<br />
CLINICA QUOTIDIANA<br />
Il dolore pelvico si associa a numerosi<br />
disturbi e patologie di<br />
origine ginecologica, urologica e<br />
gastroenterica che portano la donna<br />
all’attenzione del medico curante<br />
o direttamente al pronto<br />
soccorso e, successivamente, allo<br />
specialista. Per la peculiarità di<br />
comparsa si possono distinguere:<br />
• il dolore acuto, caratterizzato<br />
da insorgenza improvvisa, repentino<br />
peggioramento e breve<br />
decorso;<br />
• il dolore ciclico, associato al ciclo<br />
mestruale;<br />
• il dolore cronico, quando l’algia<br />
è costante, non ciclica e persiste<br />
oltre i 3 mesi.<br />
Il dolore pelvico cronico è di frequente<br />
riscontro clinico, tenendo<br />
conto che si posiziona al quarto<br />
posto tra i disturbi lamentati dalle<br />
pazienti ginecologiche ambulatoriali,<br />
dopo le perdite ematiche<br />
anomale, l’amenorrea e i disturbi<br />
della menopausa. Non sempre nel<br />
dolore pelvico cronico è possibile<br />
individuare un’eziologia ben definita,<br />
di conseguenza la terapia<br />
è spesso sintomatica; le patologie<br />
l dolore pelvico cronico<br />
nella donna in età fertile:<br />
<strong>quale</strong> <strong>approccio</strong>?<br />
IUn sintomo spesso enigmatico come alcune delle patologie<br />
che lo sostengono e caratterizzato da un forte impatto epidemiologico<br />
che rende conto della necessità di attivare percorsi diagnostico-terapeutici<br />
estremamente accurati e individualizzati.<br />
di Lucia Lazzeri, Stefano Luisi, Valentina Ciani, Giuseppe Morgante, Vincenzo De Leo, Felice Petraglia<br />
Sezione di Ostetricia e Ginecologia, Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione,<br />
Università degli Studi di Siena - Siena<br />
ginecologiche più frequentemente<br />
associate a esso sono l’endometriosi,<br />
la fibromatosi uterina e<br />
l’adenomiosi.<br />
Endometriosi<br />
Il dolore pelvico è il sintomo principale<br />
dell’endometriosi e può essere<br />
sia ciclico che cronico. L’endometriosi<br />
è una malattia tipica<br />
dell’età fertile in quanto colpisce<br />
prevalentemente donne di età<br />
compresa tra i 25 e i 35 anni, verificandosi<br />
eccezionalmente nell’adolescenza<br />
(1%) e tende a regredire<br />
con il sopraggiungere della<br />
menopausa.<br />
Attualmente costituisce una delle<br />
patologie ginecologiche più diffuse,<br />
con un’incidenza in Italia del<br />
12%, che raggiunge il 30% nelle<br />
donne infertili.<br />
Patogenesi<br />
L’eziologia dell’endometriosi è tuttora<br />
sconosciuta (tabella 1). Un dato<br />
accertato è che l’endometrio ec-<br />
topico presenta aspetti molecolari<br />
(recettori per gli steroidi), funzionali<br />
(risposta ai fattori di crescita e<br />
ai loro recettori) e anabolici (sintesi<br />
di enzimi come la metalloproteinasi<br />
e l’aromatasi), con caratteristiche<br />
simili a quelle dell’endometrio<br />
eutopico. In generale, poiché la proliferazione<br />
delle cellule endometriosiche<br />
è condizionata da fattori<br />
ormonali, immunitari, angiogenetici<br />
e di crescita, si ritiene che l’insorgenza<br />
della malattia possa dipendere<br />
da una serie complessa di<br />
eventi che implicano una predisposizione<br />
genetica, anomalie del sistema<br />
immunitario, fattori anatomici<br />
e anche interferenze ambientali.<br />
La teoria eziopatogenetica oggi<br />
più accreditata è quella dell’impianto<br />
delle isole endometriosiche<br />
secondario al flusso mestruale retrogrado,<br />
coadiuvato dall’attivazione<br />
di fattori peritoneali che inducono<br />
la crescita cellulare. La diffusione<br />
di sangue mestruale in cavità<br />
peritoneale è seguita da un processo<br />
infiammatorio locale, con rilascio<br />
di fattori di crescita e citochine.<br />
Nelle donne affette da endo-<br />
11
CLINICA QUOTIDIANA<br />
N O<br />
G metriosi esiste infatti un’alterata<br />
funzione dei macrofagi peritoneali,<br />
delle cellule natural killer e dei<br />
linfociti 1 .<br />
12<br />
Ormoni ovarici<br />
L’endometriosi è considerata una<br />
patologia ormono-dipendente:<br />
estrogeni e progesterone, con i rispettivi<br />
recettori (ER, PR), regolano<br />
la crescita del tessuto endometriale<br />
eutopico ed ectopico.<br />
• Estrogeni: le cellule endometriali<br />
producono estrogeni attraverso<br />
l’azione locale dell’aromatasi, enzima<br />
presente a elevate concentrazioni<br />
anche a livello delle lesioni<br />
ectopiche nelle quali si evidenzia<br />
un’aumentata biosintesi e una<br />
diminuita inattivazione dell’estradiolo<br />
rispetto all’endometrio eutopico.<br />
Nel tessuto endometriosico,<br />
infatti, è aumentata la produzione<br />
di PGE2, potente stimolatore<br />
dell’aromatasi, con conseguente<br />
feedback positivo che favorisce<br />
la continua produzione di<br />
estradiolo. Recenti studi hanno di-<br />
mostrato che il polimorfismo del<br />
gene Pvull è associato all’endometriosi<br />
ricorrente, probabilmente<br />
attraverso una maggior attività<br />
del recettore ERα2.<br />
• Progestinici: il progesterone, oltre<br />
a indurre la fisiologica differenziazione<br />
secretiva e la decidualizzazione<br />
endometriale, diminuisce<br />
l’espressione dei geni<br />
della famiglia delle metallo-proteinasi<br />
(MMPs), enzimi che aggrediscono<br />
la matrice extracellulare<br />
favorendo lo sviluppo di foci<br />
ectopici. Il tessuto endometriosico<br />
presenta un’alterata risposta<br />
al progesterone che si manifesta<br />
con una continua espressione<br />
di MMPs in tutta la fase secretiva<br />
del ciclo. A livello endometriale<br />
esistono due isoforme<br />
dei PR (PR-A e PR-B) derivanti dallo<br />
stesso gene: la forma A inibisce<br />
l’azione della forma B. Le<br />
donne affette da endometriosi<br />
hanno una diminuita espressione<br />
di PR-B mRNA; si ipotizza, pertanto,<br />
che alterazioni a livello dei<br />
PR possano giocare un ruolo importante<br />
nello sviluppo della patologia<br />
endometriosica 1,3 .<br />
Angiogenesi<br />
e fattori angiogenici<br />
Recentemente si è raggiunta una<br />
chiara evidenza scientifica che dimostra<br />
come l’angiogenesi rivesta<br />
un ruolo chiave nella fisiopatologia<br />
della malattia endometriosica<br />
4 . Gli impianti endometriosici<br />
necessitano di una neovascolarizzazione<br />
per poter crescere e invadere<br />
i tessuti su cui si sono impiantati.<br />
Il fattore angiogenetico<br />
più studiato è il Vascular Endothelial<br />
Growth Factor (VEGF), espresso<br />
e secreto da lesioni endometriosiche,<br />
endometriomi e dal liquido<br />
peritoneale di donne affette<br />
dalla malattia 5 .<br />
Citochine, peptidi<br />
infiammatori e fattori<br />
di crescita<br />
I livelli del tumor necrosis factor<br />
(TNF-α) nel liquido peritoneale ri-<br />
Tabella 1 Principali sintomi e cause di endometriosi, fibromatosi e adenomiosi<br />
Patologia Sintomi Cause<br />
Dolore pelvico • Metaplasia del mesotelio<br />
Dismenorrea • Sviluppo di residui di tessuto mulleriano<br />
Endometriosi Dispareunia nel setto retto-vaginale<br />
Infertilità • Diffusione di cellule endometriali<br />
con flusso mestruale retrogrado<br />
Dolore pelvico • Azione degli ormoni sessuali<br />
Fibromatosi Metrorragia • Alterazioni genetiche delle cellule miometriali<br />
Infertilità • Possibili interazioni anomale<br />
nella matrice extra-cellulare<br />
Dolore pelvico • Origine dalla mucosa endometriale<br />
Dismenorrea più profonda<br />
Adenomiosi Dispareunia • Diffusione attraverso la circolazione<br />
Infertilità linfatica intramiometriale<br />
• Metaplasia de novo del tessuto miometriale<br />
in tessuto endometriale
sultano significativamente più<br />
elevati nelle donne affette da endometriosi<br />
rispetto ai controlli.<br />
Il TNF-α può stimolare sia l’adesione<br />
e la proliferazione delle cellule<br />
endometriali, sia l’espressione delle<br />
MMPs, rendendo più facile l’invasione<br />
delle cellule endometriali.<br />
Il TNF-α può inoltre stimolare l’angiogenesi<br />
attraverso l’espressione<br />
dell’IL-8. Oltre al TNF-α e all’IL-8,<br />
nel liquido peritoneale di donne<br />
con endometriosi sono stati documentati<br />
elevati livelli di IL-1,<br />
IL-6 e IL-10. Tutte queste citochine<br />
potrebbero essere coinvolte<br />
nell’attivazione dei macrofagi e<br />
nell’infiammazione 6 .<br />
L’urocortina, peptide secreto dalle<br />
cellule epiteliali e stromali dell’endometrio,<br />
ha un effetto modulatorio<br />
sul sistema immunitario.<br />
In donne con endometriosi<br />
sono stati osservati livelli sierici di<br />
urocortina significativamente<br />
maggiori rispetto a donne sane o<br />
con altri tipi di cisti ovariche 7 . Analogamente,<br />
l’activina A e la follistatina,<br />
fattori di crescita secreti<br />
dall’endometrio (che esprime anche<br />
i recettori per l’activina A e la<br />
follistatina), sono presenti in elevate<br />
concentrazioni nel liquido di<br />
cisti endometriosiche 8,9 .<br />
Manifestazioni cliniche<br />
L’interazione tra i sistemi endocrino,<br />
immunitario e vascolare determina<br />
un’attivazione dei meccanismi<br />
del dolore a vari livelli, che si<br />
estrinseca con dismenorrea secondaria,<br />
dispareunia profonda e dolore<br />
pelvico. Solo nel 20-25% dei<br />
casi l’endometriosi è asintomatica<br />
e viene diagnosticata casualmente<br />
durante un intervento di laparoscopia<br />
eseguito, in gran parte dei casi,<br />
per sterilità da causa inspiegata<br />
o durante interventi laparotomici<br />
per altre indicazioni. Peraltro, come<br />
dimostrato da molteplici studi,<br />
la gravità della sintomatologia non<br />
risulta direttamente correlata con<br />
l’estensione della malattia all’interno<br />
della cavità addominale.<br />
Il dolore, inizialmente ciclico, può<br />
diventare cronico con il passare del<br />
tempo, inducendo un netto peggioramento<br />
della qualità di vita. In<br />
circa il 20-40% dei casi, spesso a<br />
seguito di localizzazioni comunemente<br />
definite “endometriosiche<br />
profonde”, si associa la comparsa<br />
di dispareunia, sia superficiale, sia<br />
profonda, e di turbe intestinali o<br />
urologiche. In questi casi, oltre al<br />
dolore addominale e<br />
lombare, si possono<br />
avere emorragie rettali<br />
cicliche, costipazione e<br />
ostruzione nel caso di localizzazione<br />
intestinale,<br />
disuria ed ematuria per<br />
interessamento della vescica<br />
o dell’uretere (tabella<br />
2). Tra i possibili<br />
meccanismi chiamati in<br />
causa per spiegare l’origine<br />
del dolore vi sono: l’infiammazione<br />
peritoneale locale, l’infiltrazione<br />
profonda con danno tissutale,<br />
la formazione di aderenze,<br />
l’ispessimento fibrotico e la raccolta<br />
di sangue mestruale nell’impianto<br />
endometriosico, che determina<br />
uno stiramento doloroso dei tessuti<br />
con i movimenti fisiologici.<br />
Iter diagnostico<br />
L’esame clinico ha esiti molto variabili:<br />
talvolta può risultare del tutto<br />
normale, altre volte, invece, permette<br />
di evidenziare una tumefazione<br />
ovarica oppure la presenza<br />
di nodulazioni dolorose a livello dei<br />
legamenti utero-sacrali o del setto<br />
retto-vaginale; negli stadi più avanzati,<br />
l’utero, a causa di processi ade-<br />
CLINICA QUOTIDIANA<br />
renziali più o meno estesi, può risultare<br />
poco mobile o addirittura<br />
fissato in retroversione insieme agli<br />
annessi. Per confermare il sospetto<br />
diagnostico possiamo avvalerci<br />
dell’esame ecografico condotto sia<br />
per via transaddominale che transvaginale<br />
(specificità del 90%, sensibilità<br />
del 75%) e del dosaggio<br />
ematochimico del CA-125, un marker<br />
presente nei tessuti derivati dall’epitelio<br />
celomatico e mulleriano,<br />
con una specificità maggiore<br />
dell’80% e una sensibilità del 20-<br />
50%. La diagnosi di endometriosi<br />
si pone su prelievo bioptico in corso<br />
di laparoscopia.<br />
Necessaria<br />
la conferma<br />
laparoscopica<br />
e bioptica<br />
Opzioni terapeutiche<br />
La terapia medica dell’endometriosi<br />
è basata sul concetto che<br />
l’endometrio ectopico sia modulato<br />
dagli ormoni sessuali. Le strategie<br />
che possono essere utilizzate<br />
sono le seguenti:<br />
• creare un clima ormonale ipoestrogenico<br />
allo scopo di rendere<br />
atrofiche le lesioni endometriali;<br />
• creare una pseudodecidualizzazione<br />
attraverso il trattamento<br />
con estroprogestinici.<br />
Tra le nuove opzioni farmacologiche<br />
vengono annoverati gli antagonisti<br />
dell’ormone rilasciante gonadotropine<br />
(GnRH), i modulatori<br />
dei recettori del progesterone e<br />
nuove vie di somministrazione del<br />
N O<br />
G<br />
13
CLINICA QUOTIDIANA<br />
N O<br />
G progestinico. I sintomi legati all’endometriosi<br />
non sempre sono migliorati<br />
dalla terapia farmacologica<br />
e richiedono spesso l’ablazione<br />
chirurgica dell’impianto ectopico.<br />
14<br />
Agonisti e antagonisti<br />
del GnRH<br />
Agiscono attraverso il blocco diretto<br />
del recettore del GnRH, prevenendo<br />
così che venga attivato 10 .<br />
Questo porta alla downregulation<br />
ipofisaria, alla riduzione della secrezione<br />
di gonadotropine e alla soppressione<br />
della produzione degli steroidi<br />
ovarici, perciò a un clima ipoestrogenico.<br />
Sono descritti numerosi<br />
effetti collaterali degli analoghi 11 .<br />
Modulatori dei recettori<br />
del progesterone (SPRMs)<br />
Vengono classificati in tre diverse<br />
categorie:<br />
• ligandi di tipo I, ligandi che prevengono<br />
o attenuano il legame<br />
fra il progesterone e l’elemento<br />
di risposta al progesterone e che<br />
agiscono quindi come antagonisti<br />
puri del progesterone (onapristone);<br />
• ligandi di tipo II, ligandi che promuovono<br />
il legame del recettore<br />
del progesterone e il DNA de-<br />
Tabella 2 Endometriosi: sintomi secondari<br />
Endometriosi profonda infiltrante<br />
Endometriosi ureterale<br />
gli elementi di risposta (mifepristone<br />
e i mesoprogestinici);<br />
• ligandi di tipo III, che promuovono<br />
il legame del recettore del progesterone<br />
all’elemento di risposta<br />
del progesterone.<br />
Quindi i ligandi di tipo I e III agiscono<br />
come antagonisti puri del progesterone,<br />
mentre i ligandi di tipo<br />
II, che sono in corso di studio nel<br />
trattamento dell’endometriosi, possono<br />
comportarsi da agonisti, agonisti<br />
parziali o antagonisti in base<br />
alla dose, ai siti d’azione e alla presenza<br />
o assenza di progesterone 12 .<br />
Nuove vie<br />
di somministrazione<br />
dei progestinici<br />
In donne affette da endometriosi<br />
è possibile utilizzare progestinici<br />
(levonorgestrel e danazolo) a<br />
rilascio locale.<br />
• Levonorgestrel intrauterino<br />
(Lng-IUD): riduce la proliferazione<br />
endometriale e aumenta<br />
l’apoptosi nelle ghiandole e nello<br />
stroma endometriale 13 ; questa<br />
via di somministrazione consente<br />
di raggiungere concentrazioni<br />
locali del principio attivo<br />
superiori a quelle plasmatiche.<br />
L’assorbimento locale sem-<br />
• Costipazione<br />
• Diarrea<br />
• Dischezia<br />
• Subocclusioni intestinali<br />
• Disuria<br />
• Ematuria<br />
• Pollachiuria<br />
• Cisti non microbiche<br />
• Infezioni ricorrenti del tratto urinario<br />
bra assicurare una maggiore efficacia<br />
con effetti collaterali limitati<br />
e quindi anche un aumento<br />
della compliance della<br />
paziente, soprattutto durante il<br />
trattamento di lunga durata.<br />
Questo sistema medicato sembra<br />
alleviare la dismenorrea e il<br />
dolore pelvico cronico associato<br />
all’endometriosi profonda. Il<br />
suo impiego, dopo chirurgia<br />
conservativa per endometriosi<br />
sintomatica, riduce significativamente<br />
il rischio di ricorrenza<br />
a medio termine della dismenorrea<br />
moderata o severa.<br />
• Danazolo: agisce direttamente<br />
sul tessuto endometriosico in<br />
vitro e in vivo inibendo la sintesi<br />
del DNA e inducendo<br />
l’apoptosi. L’utilizzo di un dispositivo<br />
intrauterino al danazolo<br />
in donne affette da dolore<br />
pelvico cronico ha mostrato<br />
la sua efficacia nella remissione<br />
della dismenorrea, del dolore<br />
pelvico cronico e della dispareunia<br />
associati all’endometriosi<br />
moderata o severa 14 . L’impiego<br />
di danazolo gel per via<br />
vaginale per 4 mesi, ha ridotto<br />
la dismenorrea e il dolore pelvico<br />
associato all’endometriosi<br />
15 . Uno studio condotto su pazienti<br />
con endometriosi profonda,<br />
sottoposte al trattamento<br />
laparoscopico e poi a terapia<br />
locale con danazolo per 12 mesi,<br />
ha evidenziato al follow-up<br />
(scala visiva per il dolore, ultrasonografia,<br />
profilo ematochimico<br />
completo) una riduzione<br />
significativa della dismenorrea,<br />
della dispareunia e del dolore<br />
pelvico cronico dopo tre mesi<br />
di terapia (p
Il leiomioma<br />
è più frequente<br />
tra i 40-50 anni<br />
chi effetti collaterali locali; inoltre,<br />
lo studio ultrasonografico<br />
con sonda transvaginale e transrettale<br />
ha dimostrato anche<br />
una diminuzione nel volume dei<br />
noduli presenti nel setto rettovaginale<br />
16 .<br />
Fibromatosi<br />
uterina<br />
Il leiomioma uterino è il tumore benigno<br />
che si riscontra con maggior<br />
frequenza nella patologia ginecologica,<br />
infatti è presente nel 15-<br />
20% delle donne dopo i 35 anni,<br />
con una maggior incidenza tra i 40<br />
e i 50 anni. Il numero, la localizzazione<br />
e il volume di queste neoformazioni<br />
sono assai variabili, come<br />
la loro velocità di crescita: in alcuni<br />
casi esse conservano il loro volume<br />
per molti anni o crescono<br />
molto lentamente, in altri si sviluppano<br />
abbastanza rapidamente raggiungendo<br />
dimensioni ragguardevoli<br />
in pochi mesi. Al momento della<br />
menopausa il leiomioma tende<br />
a ridursi di volume e a diventare<br />
asintomatico. Generalmente situato<br />
nel corpo uterino, può essere<br />
sottosieroso, intramurale, sottomucoso<br />
o infralegamentario. A seconda<br />
della componente prevalente,<br />
fibrosa o muscolare, può essere più<br />
o meno vascolarizzato; solitamente<br />
risulta irrorato da una singola arteriola<br />
di 1-2 mm di diametro circondata<br />
da vasi più piccoli, con tra-<br />
ma vascolare più accentuata alla<br />
periferia e più scarsa al centro.<br />
Patogenesi<br />
La patogenesi del leiomioma uterino<br />
sembra essere legata all’azione<br />
degli ormoni sessuali, ad alterazioni<br />
genetiche delle cellule miometriali<br />
e alla presenza di interazioni<br />
anomale nella matrice extracellulare<br />
(tabella 1). Gli estrogeni<br />
sono da sempre considerati i principali<br />
promotori della sua crescita.<br />
Tale ipotesi è confermata dalle seguenti<br />
osservazioni: il leiomioma<br />
insorge solo dopo il menarca, si sviluppa<br />
nell’età fertile, specie in gravidanza,<br />
e frequentemente regredisce<br />
con la menopausa. Inoltre, il<br />
rischio di sviluppare questa neoplasia<br />
è maggiore nelle nullipare, nelle<br />
donne con frequenti cicli anovulatori<br />
e in quelle obese.<br />
Manifestazioni cliniche<br />
Il dolore cronico causato dal leiomioma<br />
è legato fondamentalmente<br />
alla distensione del rivestimento<br />
perimetriale dell’utero e alla compressione<br />
esercitata, nel caso in cui<br />
raggiunga un cospicuo volume, sui<br />
visceri contigui, in particolare vescica,<br />
ureteri e retto. Il dolore, che il<br />
più delle volte viene descritto come<br />
senso di peso, può esacerbarsi<br />
in seguito a necrosi e a degenerazione<br />
del leiomioma. Esso può<br />
essere anche causa di sterilità per<br />
alterazione della normale anatomia<br />
dell’utero oppure di infertilità<br />
associata a poliabortività, con un’incidenza<br />
che raggiunge il 40-50%<br />
in caso di localizzazione sottomucosa.<br />
Circa il 20% delle pazienti portatrici<br />
di leiomiomi uterini non lamenta<br />
alcun disturbo; in questi casi<br />
la neoplasia viene diagnosticata<br />
occasionalmente durante una visi-<br />
CLINICA QUOTIDIANA<br />
ta di controllo e risulta perlopiù di<br />
tipo sottosieroso. Nelle altre localizzazioni,<br />
particolarmente quelle sottomucose,<br />
il sintomo più frequente<br />
(30-40%) è la menometrorragia.<br />
Iter diagnostico<br />
Alla visita ginecologica si rileva una<br />
massa solida irregolare o formazioni<br />
che protrudono dall’utero; nel<br />
caso di degenerazione, la palpazione<br />
può evocare dolore fino alla<br />
comparsa di una reazione di difesa<br />
addominale. Può essere presente<br />
anche un rialzo della temperatura<br />
corporea associata a leucocitosi.<br />
Tra gli esami strumentali, l’ecografia<br />
consente di valutare l’origine<br />
della massa addominale, la sua<br />
ecostruttura e la distribuzione della<br />
vascolarizzazione.<br />
Terapia<br />
• Analoghi del GnRH: determinano<br />
una riduzione dei recettori<br />
ipofisari del GnRH, e quindi anche<br />
dei livelli di LH e FSH, bloccando<br />
così la produzione ovarica<br />
di estrogeni e progesterone.<br />
• Antagonisti del GnRH: si legano<br />
ugualmente ai recettori<br />
del GnRH con il vantaggio<br />
di un’azione rapida e quindi con<br />
l’immediata riduzione dei livelli<br />
di LH e FSH e la conseguente diminuzione<br />
dei livelli di estrogeni,<br />
che induce un miglioramento<br />
dell’emorragia e una riduzione<br />
delle dimensioni dell’utero.<br />
• Progestinici: il danazolo, per la sua<br />
attività antiestrogenica, viene utilizzato<br />
nel trattamento della leiomiomatosi<br />
uterina.<br />
• Antiprogestinici: hanno una loro<br />
potenziale utilità clinica; il gestrinone<br />
e il mefiprestone si legano<br />
al recettore progestinico e,<br />
a seconda delle circostanze, pos-<br />
N O<br />
G<br />
15
CLINICA QUOTIDIANA<br />
N O<br />
G sono comportarsi come agonisti<br />
o antagonisti.<br />
Le strategie future riguardano l’utilizzo<br />
di composti come la somatostatina,<br />
gli agenti antifibrinolitici, i<br />
modulatori selettivi dei recettori<br />
estrogenici (SERM). L’obiettivo di altri<br />
farmaci in via di sviluppo è il blocco<br />
di specifici fattori di crescita che<br />
regolano la proliferazione e la produzione<br />
di collagene nelle cellule<br />
muscolari lisce uterine. Negli ultimi<br />
anni, in alternativa al trattamento<br />
chirurgico conservativo o demolitivo,<br />
può essere utilizzata l’embolizzazione<br />
dell’arteria uterina (UAE) che<br />
dà buoni risultati nei leiomiomii sintomatici.<br />
L’UAE non viene raccomandata<br />
alle donne che stanno programmando<br />
future gravidanze, poiché<br />
i suoi effetti sulla fertilità non<br />
sono completamente noti 17 .<br />
16<br />
Adenomiosi<br />
L’adenomiosi è caratterizzata dalla<br />
presenza di endometrio all’interno<br />
della struttura del miometrio. I focolai<br />
endometriali, che comprendono<br />
ghiandole e stroma, sono incastonati<br />
nella profondità del muscolo.<br />
Sebbene colpisca più frequentemente<br />
donne attorno ai 40 anni,<br />
l’adenomiosi può essere riscontrata<br />
anche in pazienti più giovani. È<br />
una patologia difficile da diagnosticare<br />
e rappresenta un punto di congiunzione<br />
tra l’endometriosi e la fibromatosi<br />
uterina; il dolore cronico<br />
è il suo sintomo-chiave.<br />
Patogenesi<br />
Secondo la teoria oggi maggiormente<br />
accreditata, l’adenomiosi<br />
sarebbe caratterizzata dalla penetrazione<br />
diretta delle ghiandole<br />
endometriali nel miometrio; fattori<br />
favorenti sarebbero l’ipere-<br />
strogenia - tramite l’iperplasia endometriale<br />
-, la riduzione della resistenza<br />
del miometrio e i traumi,<br />
come la revisione della cavità e il<br />
taglio cesareo (tabella 1). Recentemente,<br />
studi condotti su modelli<br />
animali, hanno evidenziato<br />
che l’uso di estrogeni ad alti dosaggi,<br />
di prolattina, di antagonisti<br />
della dopamina, ma anche di<br />
progesterone, consente di indurre<br />
lesioni da adenomiosi. L’invasione<br />
delle cellule stromali e ghiandolari<br />
seguirebbe gli assi vascolari<br />
e linfatici del miometrio.<br />
Manifestazioni cliniche<br />
I sintomi principali dell’adenomiosi<br />
sono il dolore pelvico di tipo premestruale,<br />
la dismenorrea, la dispareunia<br />
e le emorragie genitali, anche<br />
se in molti casi la patologia è<br />
del tutto silente. Il dolore si associa<br />
spesso a senso di tensione e di pesantezza<br />
addominale.<br />
Il sanguinamento sembra essere il<br />
segno più frequente (60% dei casi);<br />
generalmente si tratta di menorragie<br />
che si aggravano progressivamente<br />
e che possono associarsi<br />
a metrorragie, spesso resistenti<br />
alle terapie mediche e chirurgiche.<br />
Iter diagnostico<br />
La diagnosi clinica di adenomiosi è<br />
sicuramente difficile. L’utero è aumentato<br />
di volume, non presenta<br />
noduli evidenziabili alla palpazione<br />
ed è dolente alla mobilizzazione,<br />
soprattutto in fase premestruale.<br />
Spesso sono associati dei fibromi o<br />
un’endometriosi pelvica che possono<br />
complicare la diagnosi.<br />
• Dosaggio del CA-125: può trovare<br />
impiego nel follow-up della<br />
malattia, sebbene la sua specificità<br />
e sensibilità non siano significative.<br />
• Ecografia: i segni ecografici sono<br />
poco specifici; si può notare<br />
un aumento di spessore del miometrio<br />
la cui struttura appare finemente<br />
eterogenea. La sensibilità<br />
è pari a circa il 60% quando<br />
si utilizza la via transaddominale,<br />
mentre nell’esame per via<br />
transvaginale effettuato nella seconda<br />
parte del ciclo essa raggiunge<br />
l’80%.<br />
• RM: studi recenti hanno dimostrato<br />
l’utilità di quest’indagine<br />
che presenta una sensibilità e<br />
specificità comprese tra l’86-<br />
100% 18 .<br />
• Isterosalpingografia: può essere<br />
un esame essenziale ai fini diagnostici<br />
quando le isole di adenomiosi<br />
sono in continuità con<br />
l’endometrio poiché consente di<br />
evidenziare le immagini diverticolari<br />
tipiche, anzi quasi patognomoniche,<br />
di questa condizione.<br />
• Isteroscopia: può rilevare la presenza<br />
di piccoli orifizi puntiformi<br />
corrispondenti ai canali diverticolari<br />
oppure un’ipervascolarizzazione<br />
superficiale che rende ragione<br />
dei fenomeni emorragici.<br />
Terapia<br />
Nell’adenomiosi<br />
l’ecografia<br />
ha una specificità<br />
dell’80%<br />
L’ormonodipendenza delle cellule<br />
endometriali dei focolai di adenomiosi<br />
non è costante; tuttavia, il<br />
fatto che questa condizione scompaia<br />
nel post-menopausa suggerisce<br />
una certa estrogeno-dipendenza;<br />
ed è proprio questa l’evi
denza sulla <strong>quale</strong> fino a oggi si è<br />
concentrata l’attenzione della ricerca<br />
di una terapia medica 19 . Oltre<br />
ai farmaci precedentemente ricordati<br />
nell’ambito del trattamento<br />
dell’endometriosi, il cui fine è<br />
quello di indurre una ipo-atrofia<br />
dell’endometrio ectopico (danazolo,<br />
analoghi del GnRH), è stata dimostrata<br />
l’utilità dei nuovi dispositivi<br />
intrauterini medicati al levonorgestrel<br />
per il trattamento della<br />
menorragia: essi sono infatti in grado<br />
di indurre una drastica riduzione<br />
del flusso mestruale, con effet-<br />
Bibliografia<br />
1. Petraglia F, Musacchio C, Luisi S et<br />
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disorders: a pathophysiological<br />
perspective for appropriate treatment.<br />
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urocortin levels in the diagnosis<br />
of ovarian endometriosis. Obstet Gynecol<br />
2007; 110: 594-600.<br />
ti collaterali, quali spotting occasionale<br />
e oligomenorrea, ben tollerati.<br />
L’uso del Lng-IUD rappresenta<br />
quindi un reale avanzamento<br />
anche nel trattamento dell’adenomiosi:<br />
la sua efficacia in questo specifico<br />
contesto è correlata sia alla<br />
capacità del farmaci di promuovere<br />
la decidualizzazione e quindi una<br />
marcata atrofia dell’endometrio sia<br />
all’azione diretta dell’ormone sui<br />
foci adenomiosici.<br />
Il Lng-IUD è inoltre indicato per indurre<br />
una down-regulation dei recettori<br />
estrogenici nei comparti<br />
8. Reis FM, Di Blasio AM, Florio P et al.<br />
Evidence for local production of inhibin<br />
A and activin A in patients with<br />
ovarian endometriosis. Fertil Steril<br />
2001; 75: 367-73.<br />
9. Torres PB, Florio P, Ferriera MC et al.<br />
Deranged expression of follistatin and<br />
follistatin-like protein (FLRG) in ovarian<br />
endometriosis. Fertil Steril 2007;<br />
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treatment of endometriosis. Reprod<br />
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agonists vs antagonists. Best Pract<br />
Res Clin Obstet Gynaecol 2007; 21:<br />
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12. Chwalisz K, Perez MC, Demanno D<br />
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modulator development and use<br />
in the treatment of leiomyomata and<br />
endometriosis. Endocr Rev 2005; 26:<br />
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13. Maruo T, Laoag-Fernandez JB, Pakarinen<br />
P et al. Effects of the levonorgestrel-releasing<br />
intrauterine system<br />
on proliferation and apoptosis<br />
in the endometrium. Hum Reprod<br />
2001; 16: 2103-108.<br />
14. Cobellis L, Razzi S, Fava A et al. A danazol-loaded<br />
intrauterine device decreases<br />
dysmenorrhea, pelvic pain,<br />
CLINICA QUOTIDIANA<br />
ghiandolari e stromali del tessuto<br />
endometriale, prevenendo così<br />
un’ulteriore stimolazione da parte<br />
degli estrogeni e portando all’atrofia<br />
e al restringimento dei foci adenomiosici<br />
20 .<br />
Il trattamento chirurgico conservativo<br />
può essere effettuato in presenza<br />
di un adenomioma molto voluminoso;<br />
la difficoltà di exeresi chirurgica,<br />
però, risiede nella mancanza<br />
di un piano di clivaggio tra tessuto<br />
sano e adenomiosi; in molti<br />
casi, quindi, l’isterectomia resta l’unica<br />
soluzione terapeutica efficace.<br />
and dyspareunia associated with endometriosis.<br />
Fertil Steril 2004; 82:<br />
239-40.<br />
15. Janicki TI, Dmowsky WP. Intravaginal<br />
danazol significantly reduces chronic<br />
pelvic pain in women with endometriosis.<br />
Supplement to the Journal<br />
of the Society for Gynecologic Investigation<br />
(SGI) 2004 Annual Meeting,<br />
abs n. 266.<br />
16. Razzi S, Luisi S, Calonaci F et al. Efficacy<br />
of vaginal danazol treatment<br />
in women with recurrent deeply infiltrating<br />
endometriosis. Fertil Steril<br />
2007; 88: 789-94.<br />
17. Tropeano G, Amoroso S, Scambia G.<br />
Non-surgical management of uterine<br />
fibroids. Hum Reprod Update<br />
2008; 14: 259-74.<br />
18. Tamai K, Togashi K, Ito T et al. MR<br />
imaging findings of adenomyosis:<br />
correlation with histopathologic features<br />
and diagnostic pitfalls. Radiographics<br />
2005; 25: 21-40.<br />
19. Fedele L, Bianchi S, Frontino G. Hormonal<br />
treatments for adenomyosis.<br />
Best Pract Res Clin Obstet Gynaecol<br />
2008; 22: 333-39.<br />
20. Fedele L, Bianchi S, Raffaelli R et al.<br />
Treatment of adenomyosis-associated<br />
menorrhagia with a levonorgestrel-releasing<br />
intrauterine device.<br />
Fertil Steril 1997; 68: 426-29.<br />
N O<br />
G<br />
17
N O<br />
G<br />
18<br />
RISK MANAGEMENT<br />
enopausa<br />
e rischio cardiovascolare:<br />
che cosa fare?<br />
MOccorre incentivare la medicina d’opportunità approfittando del controllo<br />
ginecologico in perimenopausa per una valutazione del profilo di rischio<br />
cardiovascolare globale: queste acquisizioni risulteranno importanti al momento<br />
di decidere se intraprendere o meno una terapia ormonale sostitutiva.<br />
Secondo i riscontri emersi da studi<br />
epidemiologici, negli ultimi<br />
dieci anni la prima causa di morte<br />
negli Stati Uniti è rappresentata dalle<br />
malattie cardiovascolari. Esse, infatti,<br />
sono responsabili, direttamente<br />
o in associazione con altre patologie,<br />
di oltre il 70% dei decessi registrati<br />
negli uomini di età superiore<br />
ai 35 anni e nelle donne sopra i<br />
65 anni. Il sesso femminile, benché<br />
colpito dalle malattie cardiovascolari<br />
circa 10 anni più tardi rispetto<br />
a quello maschile, mostra una maggior<br />
frequenza di primo infarto miocardico<br />
fatale (39% vs 31%), nonché<br />
una mortalità più elevata nel<br />
primo anno del post-infarto (38%<br />
vs 25%) e una più alta percentuale<br />
d’inabilità post-infartuale (46%<br />
vs 39%) 1 .<br />
Relativamente protetta durante tutto<br />
il periodo premenopausale, dopo<br />
la menopausa la donna vede<br />
aumentare considerevolmente la<br />
frequenza e la gravità delle patologie<br />
cardiovascolari: è stato, infatti,<br />
stimato che all’età di 50 anni<br />
ogni donna ha il 46% di probabilità<br />
di ammalarsi di coronaropatia<br />
di Paola Villa, Rosanna Suriano, Francesca Macrì, Luigi Ricciardi, Barbara Costantini,<br />
Antonio Lanzone, Giovanni Scambia<br />
Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, Policlinico A. Gemelli,<br />
Università Cattolica del Sacro Cuore - Roma<br />
e il 31% di morirne. Inoltre, se solo<br />
una donna su 9 va incontro a<br />
eventi cardiovascolari nella fascia<br />
d’età compresa tra i 45 e i 64 anni,<br />
una volta superati i 65 anni 1 su<br />
3 è colpita da aterosclerosi 2 .<br />
Quali fattori<br />
valutare?<br />
La patogenesi delle malattie cardiovascolari<br />
è multifattoriale: i principali<br />
fattori di rischio modificabili<br />
e non modificabili attualmente<br />
individuati sono numerosi e variegati<br />
(tabella 1). In particolare, va<br />
ricordato che alcune alterazioni<br />
metaboliche, ponderali e antropometriche<br />
sono anche alla base della<br />
sindrome metabolica 3 . Quest’ultima<br />
è una complessa alterazione<br />
dell’equilibrio del metabolismo di<br />
lipidi e di carboidrati che, nel suo<br />
insieme, espone il soggetto a un<br />
rischio cardiovascolare elevato, superiore<br />
a quello imputabile ai singoli<br />
fattori presenti in forma isolata.<br />
A tutt’oggi, però, non si è ancora<br />
giunti a una definizione uni-<br />
voca di questo complesso quadro<br />
patologico, considerando che ne<br />
sono state elaborate numerose descrizioni<br />
(tabella 2). I più recenti<br />
criteri diagnostici, scaturiti dal Consensus<br />
Statement of International<br />
Diabetes Federation del 2005, si<br />
basano sulla presenza di almeno<br />
tre caratteristiche tra le seguenti:<br />
• obesità addominale, ossia una<br />
circonferenza vita superiore a 80<br />
cm per la donna europea;<br />
• ipertrigliceridemia, ossia una<br />
concentrazione plasmatica di TG<br />
>150 mg/dl;<br />
• ipoalfalipoproteinemia, ossia<br />
una concentrazione plasmatica<br />
di colesterolo HDL 130/85 mmHg;<br />
• intolleranza al glucosio con iperglicemia<br />
a digiuno (valori >100<br />
mg/dl) 4 .<br />
Obesità e sovrappeso<br />
La frequenza dell’obesità aumenta<br />
con il progredire dell’età e acquista<br />
particolare rilevanza nella
Tabella 1 Fattori di rischio cardiovascolare<br />
fascia di età tra i 45-54 anni<br />
(13%). Quest’ultima comprende<br />
tutto il periodo postmenopausale<br />
e risulta particolarmente critica<br />
per la donna, che presenta un tasso<br />
di obesità doppio rispetto alla<br />
fascia di età dei 35-44 anni<br />
(12,8% vs 5,8%). Massimi valori<br />
di obesità femminile (come anche<br />
maschile) si osservano tra i 55-64<br />
anni. La stessa tendenza si manifesta<br />
per il sovrappeso, che au-<br />
Non modificabili Modificabili Nuovi fattori Favorenti<br />
Criterio WHO (1999) NCEP-ATP III (2001) IDF (2005)<br />
RISK MANAGEMENT<br />
menta con l’età, fino a raggiungere<br />
nelle donne tra i 45-64 anni<br />
una prevalenza del 30%, dato che<br />
arriva addirittura al 38% nella fascia<br />
di età successiva. Nel periodo<br />
che coincide con la peri- e postmenopausa,<br />
circa il 50% delle<br />
donne presenta un eccesso di peso<br />
corporeo. Studi longitudinali<br />
hanno chiaramente evidenziato<br />
che la transizione menopausale si<br />
associa a una riduzione della mas-<br />
Età Fumo di sigaretta Lipoproteina (a) Stress<br />
Famigliarità Alterazioni dell’assetto Iperomocisteinemia Assetto endocrino<br />
lipidico<br />
Razza Ipertensione Fibrinogeno Eccessivo consumo di alcol<br />
Inattività fisica Fattori infiammatori Vasculopatie periferche<br />
Sovrappeso/obesità Apolipoproteina A1<br />
Apolipoproteina B<br />
Tabella 2 Definizioni di sindrome metabolica<br />
Insulino-resistenza DMT2 o IFG o IGT o IR Non previsto Non previsto<br />
+ 2 criteri tra: 3 criteri tra:<br />
Obesità BMI>_30 kg/m 2 oppure Circonferenza Circonferenza vita<br />
WHR>0,85 vita >88 cm specifica per popolazione<br />
(in Europa >_80)<br />
+2 criteri tra:<br />
Dislipidemia TG>_150 mg/dl oppure TG>_150 mg/dl oppure TG>_150 mg/dl o in trattamento<br />
C-HDL_135/85 mmHg e/o<br />
arteriosa e/o in trattamento in trattamento<br />
Glicemia DMT2 o IFG o IGT >_100 mg/dl >100 mg/dl (include diabete)<br />
(include diabete)<br />
Altri fattori Microalbuminuria Famigliarità per DMT2,<br />
escrezione PCOS, sedentarietà,<br />
>20 mcg/min età, gruppi etnici<br />
a rischio per DMT2<br />
DMT2=Diabete mellito tipo2; IFG=Alterata glicemia a digiuno; IGT=Ridotta tolleranza glucidica;<br />
IR=Insulino-resistenza; WHR=Rapporto circonferenza vita/fianchi.<br />
N O<br />
G<br />
19
N O<br />
G<br />
20<br />
RISK MANAGEMENT<br />
sa magra accompagnata da un aumento<br />
della massa grassa 5 . A questo<br />
proposito va rilevato che l’invecchiamento<br />
comporta da un lato<br />
una riduzione della spesa energetica<br />
legata a una diminuzione<br />
sia del metabolismo basale, sia dell’attività<br />
fisica non lavorativa e dall’altra<br />
modificazioni psicologiche<br />
che, in alcuni casi, possono associarsi<br />
a un aumento del desiderio<br />
e dell’assunzione di cibo 3 e a un<br />
incremento dell’apporto calorico 6 .<br />
Le modificazioni<br />
del quadro<br />
lipidico iniziano<br />
in pre-menopausa<br />
Insulino-resistenza<br />
Sebbene il meccanismo patogenetico<br />
che sottende la sindrome<br />
metabolica non sia ancora del tutto<br />
chiaro, una delle ipotesi più accreditate<br />
segnala, come primo movens,<br />
l’instaurarsi di uno stato di<br />
insulino-resistenza, caratterizzato<br />
da una diminuzione della normale<br />
risposta degli organi bersaglio<br />
alle concentrazioni fisiologiche di<br />
questo ormone 7 . La patogenesi<br />
dell’insulino-resistenza sembra essere,<br />
a sua volta, multifattoriale e<br />
vede quindi implicati:<br />
• fattori genetici, per definizione<br />
non modificabili, coinvolti<br />
nell’espressione dei mediatori<br />
cellulari dell’insulina;<br />
• fattori ambientali, quindi modificabili,<br />
tra cui l’inattività fisica<br />
e una dieta ad alto contenu-<br />
to di carboidrati che agiscono<br />
da promotori o contribuiscono<br />
a mantenere e/o peggiorare<br />
l’espressione clinica di questa<br />
condizione 8 ;<br />
• fattori endocrini, considerando<br />
che in menopausa sia la diminuzione<br />
dei livelli degli estrogeni<br />
sia le variazioni nella secrezione<br />
dell’ormone GH hanno<br />
un ruolo importante nel controllo<br />
del metabolismo glico-insulinemico.<br />
Assetto lipidico<br />
L’assetto lipidico assume<br />
un ruolo particolarmente<br />
importante in menopausa,<br />
in quanto in questa<br />
fascia di età compaiono<br />
alterazioni fisiologiche<br />
del metabolismo dei<br />
lipidi che possono favorire<br />
l’insorgenza di cardiopatie<br />
9 . Non a caso, a partire dagli<br />
anni Settanta, è stato ampiamente<br />
dimostrato che le modificazioni<br />
dell’assetto lipidico si associano a<br />
un aumento della mortalità e morbilità<br />
cardiovascolari. Lo studio di<br />
Framingham, in particolare, ha evidenziato<br />
come una colesterolemia<br />
totale > a 270 mg/dl sia associata<br />
a un aumento del rischio di infarto<br />
del miocardio di 3 volte nell’uomo<br />
e di ben 9 volte nella donna rispetto<br />
a quanto osservabile nei soggetti<br />
con colesterolemia totale
L’HRT riduce<br />
il rischio di diabete<br />
di tipo 2<br />
è anche un cofattore della lecitina-colesterolo<br />
acetil-transferasi<br />
(LCAT), enzima chiave nei processi<br />
di rimozione dell’eccesso di colesterolo<br />
dai tessuti, in quanto<br />
permette l’assorbimento del colesterolo<br />
all’interno delle HDL e<br />
quindi la sua rimozione a livello<br />
epatico. Il rapporto apoA1/apoB<br />
sembra rappresentare un ottimo<br />
indicatore del rischio cardiovascolare:<br />
un valore basso è correlato<br />
a un aumento del rischio di coronaropatie;<br />
questo marker ha<br />
una sensibilità e una specificità<br />
maggiore rispetto al solo dosaggio<br />
delle LDL 20 .<br />
Iperomocisteinemia<br />
L’iperomocisteinemia è ormai considerata<br />
un fattore di rischio aterosclerotico<br />
e aterotrombotico indipendente<br />
21 . La relazione tra l’aumento<br />
dei livelli di omocisteina (>9<br />
mmol/l) e quello del rischio cardiovascolare<br />
è stata documentata in<br />
una metanalisi da cui risulta che<br />
l’incremento del rischio coronarico<br />
associato all’iperomocisteinemia è<br />
statisticamente significativo 22 . L’effetto<br />
negativo dell’iperomocisteinemia<br />
a livello cardiovascolare si<br />
esprime attraverso un aumento dei<br />
radicali liberi, un’alterazione della<br />
coagulazione in senso protrombotico<br />
e una riduzione della produzione<br />
di ossido nitrico da parte delle<br />
cellule endoteliali 23 . In particolare<br />
si è osservata una correlazione<br />
tra livelli di omocisteina ed estro-<br />
geni. Si è visto come in<br />
postmenopausa i livelli<br />
basali di omocisteina aumentinoprogressivamente<br />
mentre tendono<br />
a ridursi durante il trattamento<br />
con HRT 24 .<br />
Molti studi hanno poi<br />
evidenziato che la presenza<br />
di elevati livelli di estrogeni<br />
difficilmente si accompagnano a<br />
iperomocisteinemia. Di conseguenza,<br />
si può pensare che esista<br />
un’influenza positiva degli estrogeni<br />
sul metabolismo e sulla sintesi<br />
dell’omocisteina 25 .<br />
Alterazioni del<br />
metabolismo glucidico<br />
In concomitanza della menopausa<br />
si osservano variazioni del profilo<br />
glucidico in senso diabetogeno che<br />
si traducono in un rapido aumento<br />
dell’incidenza di diabete nelle<br />
donne di mezza età. Questo precario<br />
equilibrio metabolico espone<br />
la donne in menopausa sia a un<br />
maggior rischio di ridotta tolleranza<br />
glucidica (IGT) o di diabete mellito<br />
di tipo 2 (NIDDM), sia a condizioni<br />
di iperinsulinemia, considerata,<br />
di per sé, un fattore indipendente<br />
di rischio cardiovascolare, in<br />
quanto (almeno nelle fasi iniziali<br />
della malattia) in grado di favorire<br />
l’aterogenesi, modificando il metabolismo<br />
lipidico e influenzando<br />
in maniera negativa i valori pressori,<br />
la fibrinolisi 26 e la reattività vascolare<br />
27 .<br />
Per quanto riguarda il ruolo degli<br />
estrogeni in questo particolare contesto,<br />
è opinione comune che essi<br />
abbiano un effetto avverso sul metabolismo<br />
dei carboidrati. Ci si potrebbe<br />
quindi attendere che il loro<br />
impiego provochi un corrispondente<br />
aumento dell’incidenza di diabete.<br />
Al contrario, recenti eviden-<br />
RISK MANAGEMENT<br />
ze suggeriscono che le donne trattate<br />
con la terapia ormonale sostitutiva<br />
abbiano una riduzione dell’incidenza<br />
di diabete di tipo 2 28 .<br />
Ipertensione<br />
Il dato secondo cui la prevalenza<br />
dell’ipertensione aumenta progressivamente<br />
di più nella donna dopo<br />
la menopausa che nell’uomo di pari<br />
età, ha indicato un possibile ruolo<br />
protettivo per steroidi sessuali<br />
femminili (ISTAT 1999). La somministrazione<br />
diretta di estrogeni a livello<br />
vascolare produce un effetto<br />
di tipo vasodilatatorio e quindi antipertensivo<br />
29 , mentre a lungo termine<br />
questi composti sembrerebbero<br />
dotati di un effetto vasoprotettivo.<br />
Tuttavia, esistono ancora<br />
dati contrastanti circa l’effetto della<br />
somministrazione di preparazioni<br />
estrogeniche sulla pressione arteriosa<br />
nelle donne in postmenopausa,<br />
con dati a favore di una riduzione<br />
dei valori pressori 30 ed altri<br />
con effetto neutro nelle donne<br />
trattate rispetto ai controlli 31 .<br />
La globalizzazione<br />
del rischio<br />
Sino alla fine degli anni Ottanta<br />
la prevenzione delle malattie cardiovascolari<br />
si fondava sul trattamento<br />
dei singoli fattori di rischio.<br />
Oggi, invece, si prende in<br />
considerazione il rischio cardiovascolare<br />
globale, stimabile valutando<br />
contemporaneamente<br />
la presenza di diversi fattori di rischio.<br />
In quest’ottica sono state<br />
messe a punto le carte del rischio<br />
cardiovascolare che servono a<br />
stimare la probabilità di sviluppare<br />
un primo evento cardiovascolare<br />
maggiore (infarto del<br />
miocardio o ictus) nei 10 anni<br />
N O<br />
G<br />
21
N O<br />
G<br />
22<br />
RISK MANAGEMENT<br />
successivi in base alla presenza<br />
o meno di diversi fattori di rischio<br />
32 . Anche in Italia, nel 2005,<br />
è stata elaborata una Carta Italiana<br />
di Rischio Coronarico redatta<br />
sulla base dei principali fattori<br />
di rischio pesati sulle caratteristiche<br />
della nostra popolazione<br />
e che quindi può essere presa<br />
in considerazione nella valutazione<br />
del rischio della paziente<br />
sebbene rimanga ancora uno<br />
strumento poco specifico 33 .<br />
La terapia ormonale<br />
sostitutiva<br />
Nel 2002, la pubblicazione dei risultati<br />
del Women’s Health Iniziative<br />
(WHI) study 28 ha avuto profonde ripercussioni<br />
sul management clinico<br />
Tabella 3 HRT e rischio cardiovascolare<br />
della menopausa, determinando un<br />
precipitoso calo nell’uso della terapia<br />
ormonale sostitutiva (HRT) 34 .<br />
Il WHI è un trial clinico randomizzato<br />
disegnato allo scopo di valutare<br />
gli effetti dell’HRT sul rischio<br />
cardiovascolare in menopausa in<br />
donne senza precedenti cardiovascolari,<br />
ma che non dovevano necessariamente<br />
presentare sintomi<br />
menopausali (la minoranza dei soggetti<br />
reclutati erano negli anni critici<br />
postmenopausali). L’end-point<br />
primario di efficacia comprendeva<br />
l’infarto del miocardio e la morte<br />
cardiovascolare e quello di sicurezza<br />
il tumore della mammella, mentre<br />
l’end-point secondario era costituito<br />
da stroke, embolie polmonari,<br />
tumori dell’endometrio e del<br />
colon retto, fratture del femore e<br />
decessi per altre cause. Lo studio<br />
ha arruolato complessivamente<br />
16.608 donne: 8.506 nel braccio<br />
in terapia combinata continua orale<br />
con estrogeni coniugati equini<br />
(CEE= 0,625 mg/d) più medrossiprogesterone<br />
acetato (MPA=2,5<br />
mg/d) e 8.102 pazienti nel braccio<br />
placebo. L’età media delle pazienti<br />
era 63 anni e il BMI medio 28,5.<br />
Il trial, programmato per una durata<br />
di 8 anni circa, è stato interrotto<br />
dopo 5,2 anni di follow-up<br />
per l’evidenza di un’aumentata incidenza<br />
di tumori mammari nel<br />
braccio CEE/MPA e i risultati sono<br />
analizzati per tutti i parametri illustrati.<br />
Uno studio analogo è stato<br />
condotto anche su circa 10.000<br />
donne isterectomizzate, di cui<br />
5.000 trattate con soli estrogeni<br />
(CEE=0,625 mg/d) e 5.000 con placebo<br />
35 .<br />
CEE+MPA (n=8.506) Placebo (n=8.102) Rischio relativo<br />
Eventi cardiovascolari 164 122 1,29 (0,85-1,97)<br />
Letali 33 26 1,18 (0,47-2,98)<br />
Non letali 133 96 1,32 (0,82-2,13)<br />
Infarti del miocardio (IM) 127 85 1,41 (0,86-2,31)<br />
IM letali 16 13 1,20 (0,32-4,49)<br />
IM non letali 94 59 1,50 (0,83-2,70)<br />
Totale eventi<br />
cardiovascolari 694 546 1,22 (1,00-1,49)<br />
CEE (n=5.310) Placebo (n=5.429) Rischio relativo<br />
Eventi cardiovascolari 177 199 0,91 (0,75-1,15)<br />
Letali 54 59 0,94 (0,54-1,63)<br />
Non letali 132 153 0,89 (0,63-1,26)<br />
Infarti del miocardio (IM) 158 118 1,39 (0,97-1,99)<br />
IM letali 15 14 1,13 (0,38-3,36)<br />
IM non letali 114 85 1,39 (0,91-2,12)<br />
Totale eventi<br />
cardiovascolari 811 748 1,12 (0,97-1,30)<br />
* CEE=Estrogeni coniugati equini; MPA=Medrossiprogesterone acetato<br />
Modificato da: WHI, JAMA 2002 e JAMA 2004
Tabella 4 Effetto dell’HRT in base alla fascia d’età alla randomizzazione<br />
Coronaropatia<br />
Stroke<br />
Mortalità totale<br />
Indice globale<br />
0 50 100 150 200 250 300 350<br />
RISK MANAGEMENT<br />
Terapia CEE<br />
50-59 anni CEE (n=1.637) Placebo (n=1.673) * HR<br />
Coronaropatia<br />
Stroke<br />
Mortalità totale<br />
Indice globale<br />
Coronaropatia<br />
Stroke<br />
Mortalità totale<br />
Indice globale<br />
50-59 anni<br />
Terapia combinata CEE+MPA<br />
CEE+MPA (n=2.839) Placebo (n=2.683) * HR<br />
Coronaropatia<br />
Stroke<br />
Mortalità totale<br />
Indice globale<br />
Coronaropatia<br />
Stroke<br />
Mortalità totale<br />
Indice globale<br />
Coronaropatia<br />
Stroke<br />
Mortalità totale<br />
Indice globale<br />
21<br />
34<br />
18<br />
21<br />
34<br />
48<br />
* 0,63<br />
0 50 100 150 200 250 300 350<br />
* 0,94<br />
* 0,89<br />
* 1,62<br />
* 0,71<br />
* 1,02<br />
* 0,82<br />
60-69 anni CEE (n=2.387) Placebo (n=2.465) * HR<br />
0 50 100 150 200 250 300 350<br />
* 1,29<br />
* 1,01<br />
70-79 anni CEE (n=1.286) Placebo (n=1.291) * HR<br />
38<br />
27<br />
26<br />
16<br />
54<br />
54<br />
66<br />
48<br />
35<br />
47<br />
* 1,13<br />
0 50 100 150 200 250 300 350 400<br />
60-69 anni CEE+MPA (n=3.853) Placebo (n=3.657) * HR<br />
48<br />
84<br />
84<br />
78<br />
72<br />
72<br />
96<br />
106<br />
95<br />
114<br />
111<br />
94<br />
129<br />
131<br />
134<br />
* 1,03<br />
0 50 100 150 200 250 300 350 400<br />
70-79 anni CEE+MPA (n=1.814) Placebo (n=1.762) * HR<br />
79<br />
54<br />
61<br />
48<br />
103<br />
95<br />
140<br />
138<br />
164<br />
* 1,48<br />
* 1,21<br />
* 1,41<br />
* 1,37<br />
* 1,21<br />
* 1,20<br />
* 0,69<br />
* 1,09<br />
* 1,06<br />
333<br />
342<br />
* 1,16<br />
* 1,10<br />
* 1,13<br />
0 50 100 150 200 250 300 350 400<br />
* 1,11<br />
CEE=Estrogeni coniugati equini; HR=Hazard ratio.<br />
Indice globale=Indice di rischio per la somma delle patologie osservate, che sono: patologie coronariche, infarto, embolia polmonare,<br />
carcinoma della mammella, carcinoma del colon-retto, carcinoma dell’endometrio, fratture del femore e altre cause.<br />
266<br />
266<br />
300<br />
306<br />
319<br />
384<br />
N O<br />
G<br />
23
N O<br />
RISK MANAGEMENT<br />
G svolgere una funzione positiva ri- una riduzione del rischio nelle don-<br />
24<br />
Rischio relativo<br />
e rischio assoluto<br />
Le conclusioni generali di questi<br />
trial hanno chiarito soprattutto il<br />
fatto che l’HRT in menopausa non<br />
è un’opzione terapeutica da intraprendere<br />
in funzione di una prevenzione<br />
primaria del rischio cardiovascolare.<br />
Infatti, il rischio relativo<br />
di presentare un evento cardiovascolare<br />
(sia arterioso che venoso)<br />
era aumentato del 29%<br />
(24% nel successivo lavoro definitivo<br />
di Manson) 34 nelle pazienti in<br />
terapia ormonale combinata rispetto<br />
al gruppo placebo 36 . Questo dato<br />
in termini di rischio assoluto indica<br />
che mentre nel gruppo in trattamento<br />
si verificano 37 casi su<br />
10.000 donne/anno, nel gruppo<br />
placebo se ne osservano 30, con<br />
un aumento di 7 casi su 10.000<br />
donne/anno di eventi cardiovascolari.<br />
I risultati dello studio WHI che<br />
esaminava gli effetti della sola terapia<br />
estrogenica, riportavano un<br />
HR di 0,91 considerando complessivamente<br />
gli eventi coronarici (tabella<br />
3). Gli ampi trial osservazionali<br />
precedenti avevano evidentemente<br />
sovrastimato gli effetti benefici<br />
della terapia ormonale, ma<br />
allo stesso tempo i dati degli studi<br />
clinici randomizzati non dovrebbero<br />
essere generalizzati a popolazioni<br />
differenti da quelle studiate.<br />
Un fattore critico:<br />
la fascia d’età<br />
La discordanza fra i diversi trial<br />
può essere imputata a diversi fattori,<br />
come il momento di inizio<br />
della terapia rispetto all’epoca di<br />
inizio menopausa e l’età delle pazienti,<br />
anche in relazione alle condizioni<br />
cardiocircolatorie. Alcuni<br />
ricercatori hanno infatti ipotizzato<br />
che gli estrogeni potrebbero<br />
tardando l’inizio degli stadi precoci<br />
dell’arteriosclerosi, mentre risulterebbero<br />
inefficaci o addirittura<br />
in grado di innescare eventi<br />
avversi in donne anziane con<br />
preesistenti lesioni vascolari. In effetti,<br />
una recente rilettura dei dati<br />
WHI 37 suggerisce che l’effetto<br />
degli ormoni sull’apparato cardiovascolare<br />
si modifica in base all’età<br />
e al tempo dall’inizio della<br />
menopausa: le donne a maggior<br />
rischio di eventi avversi coronarici<br />
in conseguenza della HRT sono<br />
quelle con più di 60 anni e che<br />
iniziano la terapia a distanza di<br />
10 o più anni dalla menopausa,<br />
mentre nelle donne fra i 50-60<br />
anni o in menopausa da meno di<br />
10 anni, esso tende a essere ridotto,<br />
anche se non in modo significativo<br />
(tabella 4). Al momento<br />
attuale, non sono disponibili<br />
dati relativi alla fascia di età tra i<br />
50-55 anni.<br />
Complessivamente la terapia con<br />
soli CEE è associata a un minor rischio<br />
che non la terapia con CEE<br />
in associazione a MPA. È di particolare<br />
importanza il fatto che il rischio<br />
di stroke associato alla HRT<br />
non è influenzato dall’età, dall’epoca<br />
della menopausa e dalla presenza<br />
di sintomi, sebbene non si<br />
osservi un incremento significativo<br />
del rischio fra i 50 e i 60 anni.<br />
Conclusioni<br />
Le più recenti linee guida internazionali<br />
sull’utilizzo della terapia ormonale<br />
sostitutiva (NAMS 2008),<br />
offrono una serie di indicazioni cliniche<br />
relativamente al rischio di sviluppare<br />
eventi cardiovascolari. Per<br />
quel che riguarda le coronaropatie,<br />
si è osservata una tendenza a<br />
ne che iniziano l’HRT entro i dieci<br />
anni dall’insorgenza della menopausa,<br />
mentre si avrebbe un aumento<br />
del rischio nelle donne che<br />
iniziano la terapia una volta superati<br />
i 10 anni dalla menopausa. In<br />
particolare, il rischio di infarto del<br />
miocardio non aumenta significativamente<br />
nelle donne tra i 50-59<br />
anni che assumono l’HRT. Anche<br />
per quel che riguarda il rischio di<br />
stroke (per il <strong>quale</strong> negli studi WHI<br />
si è verificato un leggero aumento),<br />
l’analisi dei dati per fasce di età<br />
evidenzia che tra i 50 e 59 anni<br />
l’HRT non risulta associata a un aumento<br />
significativo del rischio. Infine,<br />
sia i dati osservazionali che gli<br />
studi clinici randomizzati hanno<br />
suggerito che l’HRT può determinare<br />
un aumento di rischio di eventi<br />
tromboembolici venosi (TEV); di<br />
conseguenza, le pazienti con pregressi<br />
TEV o portatrici di una mutazione<br />
del fattore V di Leiden sono<br />
una categoria esposta a un rischio<br />
superiore. Per quanto riguarda<br />
i dosaggi, le linee guida indicano<br />
che l’optimum terapeutico<br />
s’identifica nella dose minima necessaria<br />
affinché la terapia abbia<br />
effetto sui sintomi menopausali<br />
(vampate e secchezza vaginale).<br />
• Dosi minime iniziali per estrogeni:<br />
0,3 mg di estrogeni coniugati<br />
equini o 0,5 mg di 17-betaestradiolo<br />
micronizzato oppure<br />
un dosaggio transdermico di 17beta-estradiolo<br />
variabile dai<br />
0,014 mg ai 0,025 mg.<br />
• Dosi minime iniziali per progestinici:<br />
generalmente, 1,5 mg di<br />
medrossi-progesterone-acetato<br />
o 0,5 mg di drospirenone oppure<br />
50-100 mg di progesterone<br />
micronizzato.<br />
In conclusione, l’HRT non è indicata<br />
come prevenzione primaria<br />
di eventi cardiovascolari in donne
Bibliografia<br />
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alla comparsa dei sintomi<br />
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N O<br />
G<br />
26<br />
VULVOLOGIA<br />
Vulvodinia:<br />
tra mito e realtà<br />
Una sindrome dolorosa fonte di importante sofferenza e disagio esistenziale<br />
per le donne che ne sono affette e motivo di difficoltà diagnostico-terapeutiche<br />
per la maggior parte dei ginecologi: un’entità dai contorni sfumati e controversi<br />
ancora troppo spesso misconosciuta alla <strong>quale</strong> è necessario dare una chiara<br />
definizione e identità.<br />
esistenza di una sindrome<br />
L’ dolorosa vulvare senza riscontro<br />
di segni clinici visibili venne<br />
descritta per la prima volta<br />
nella letteratura ginecologica da<br />
Thomas nel 1880 come forma di<br />
“eccessiva sensibilità delle fibre<br />
nervose deputate all’innervazione<br />
della mucosa di alcune aree<br />
vulvari; talvolta… confinata al<br />
vestibolo… talora ad un piccolo<br />
labbro” 1 . Una situazione simile<br />
fu descritta da Skene nel 18882 ed una ulteriore volta da Kelly<br />
nel 19283 . Nei successivi 50 anni,<br />
nella letteratura ginecologica,<br />
il problema “dolore vulvare<br />
non associato a lesione clinica<br />
visibile” non venne più menzionato.<br />
Questo lungo periodo di silenzio<br />
della comunità medica e scientifica<br />
è verosimilmente responsabile<br />
del fatto che a tutt’oggi<br />
la vulvodinia venga ancora vista<br />
più come un mito e non una realtà.<br />
Sarà solo nel 1970, con la<br />
di Leonardo Micheletti<br />
Dipartimento di Discipline Ginecologiche e Ostetriche, Università degli Studi - Torino<br />
fondazione della International<br />
Society for the Study of Vulvovaginal<br />
Disease (ISSVD), che questo<br />
problema clinico verrà riaffrontato,<br />
non senza contrasti e<br />
accese discussioni.<br />
La ISSVD, nel 1983, al posto della<br />
dizione vulvar burning syndrome,<br />
adotterà il termine vulvodinia<br />
per indicare un “disturbo vulvare<br />
cronico prevalentemente caratterizzato<br />
da bruciore e talvolta<br />
da sensazione di puntura, irritazione<br />
o escoriazione” 4 .<br />
Nel 2003 la stessa società ribadirà<br />
che vulvodinia è il termine<br />
più corretto e adatto per indicare<br />
un “disturbo vulvare, più spesso<br />
descritto come dolore urente,<br />
che si presenta in assenza di<br />
segni clinici visibili rilevanti o di<br />
una specifica, clinicamente identificabile,<br />
alterazione neurologica”<br />
5 . Viene inoltre riconfermata<br />
la raccomandazione di abbandonare<br />
l’uso del termine vestibolite<br />
con lo scopo di eliminare<br />
ogni elemento che possa mantenere<br />
la convinzione che questa<br />
sindrome dolorosa abbia una<br />
patogenesi flogistico/infettiva.<br />
A questo punto è utile fornire alcune<br />
precisazioni neurofisiologiche<br />
e terminologiche indispensabili<br />
per meglio conoscere e di<br />
conseguenza trattare, il “problema<br />
dolore”.<br />
Il dolore come<br />
malattia<br />
Il termine dolore indica una sensazione<br />
soggettiva che ogni individuo<br />
ha imparato a utilizzare<br />
per definire eventi in qualche<br />
modo correlati a un danno fisico.<br />
In tal senso il dolore è un sintomo<br />
che può essere generato<br />
da malattie tra loro anche molto<br />
differenti. Tuttavia in alcune<br />
situazioni il dolore, da sintomo,<br />
può divenire malattia vera e propria<br />
attraverso il permanere del
icordo e dell’emozione, anche<br />
dopo la scomparsa della causa<br />
iniziale. Questo nuovo <strong>approccio</strong><br />
al dolore come malattia ha<br />
richiesto una rivisitazione terminologico-classificativa<br />
che ha indotto<br />
la IASP (International Association<br />
for the Study of Pain)<br />
nel 1986 a definire “il dolore come<br />
un’esperienza sensoriale ed<br />
emozionale spiacevole associata<br />
a danno tissutale, in atto o<br />
potenziale, o descritta in termini<br />
di danno”. Pertanto, il dolore<br />
esiste non solo come semplice<br />
risposta a una stimolazione recettoriale,<br />
ma in quanto esiste<br />
un’entità anatomo-funzionale<br />
complessa (sistemi recettoriali<br />
periferici, fibre e vie nervose polisinaptiche<br />
di trasmissione e centri<br />
encefalici superiori) deputata<br />
all’analisi dei fenomeni potenzialmente<br />
dolorosi, esteriori e interiori,<br />
in grado di integrarli in<br />
una elaborazione peculiare per<br />
quel determinato individuo in<br />
quel determinato momento o<br />
periodo della sua vita.<br />
Il dolore va inizialmente distinto<br />
in acuto e cronico. Questa differenza<br />
non è stabilita solo da un<br />
dato temporale, ma è collegata<br />
alla capacità o meno da parte<br />
dell’organismo di riportare alla<br />
norma le afferenze sensoriali e<br />
gli eventi scatenanti a livello centrale.<br />
Mentre il dolore acuto è<br />
prevalentemente il sintomo di un<br />
evento o malattia specifica, e<br />
quindi viene considerato<br />
un “dolore fisiologico”,<br />
cioè inteso<br />
alla difesa e alla sopravvivenza,<br />
è il dolore<br />
cronico che può diventare<br />
malattia vera<br />
e propria, e viene<br />
quindi considerato un<br />
“dolore patologico”,<br />
ossia non finalizzato alla conservazione.<br />
Fattori<br />
eziopatogenetici<br />
L’eziopatogenesi della vulvodinia è<br />
a tutt’oggi sconosciuta: nel corso<br />
degli anni è stata chiamata in causa<br />
una vasta gamma di fattori, molti<br />
dei quali desunti da osservazioni<br />
su singoli o pochi casi. I motivi principali<br />
che rendono difficile studiare<br />
questa sindrome sono le controverse<br />
definizioni ancora esistenti<br />
che portano a metodologie diagnostiche<br />
e terapeutiche spesso contraddittorie,<br />
la mancanza di marker<br />
tipici della malattia e<br />
quella di un modello animale.<br />
Tutto ciò è conseguenza<br />
della complessità<br />
patogenetica della vulvodinia,<br />
che va vista come<br />
uno “scenario clinico”<br />
su cui sono presenti<br />
“attori principali” insieme<br />
ad “attori secondari<br />
o comparse” e “innocenti<br />
astanti o spettatori”.<br />
In quest’ultimo<br />
gruppo oggi si possono mettere<br />
le infezioni (è ormai accertato che<br />
la vulvodinia non è causata da una<br />
infezione attiva e non è una malattia<br />
sessualmente trasmessa), i<br />
fattori dietetici, le alterazioni del<br />
sistema immunitario e le diatesi<br />
allergiche.<br />
VULVOLOGIA<br />
Nel gruppo degli “attori secondari<br />
o comparse” si possono includere<br />
le accertate infezioni recidivanti<br />
da candida (influirebbero alterando<br />
la percezione sensoriale locale<br />
e centrale disturbando il complesso<br />
sistema della sessualità femminile<br />
intesa come equilibrio tra psiche<br />
e sistema genitale), i fattori iatrogeni<br />
(medicamenti topici, distruzioni<br />
chimiche o fisiche della mucosa<br />
vestibolare, danni traumatici<br />
e chirurgici ai nervi genitali) e le situazioni<br />
di aumentato tono muscolare<br />
del pavimento pelvico.<br />
Fra gli “attori principali” patogenetici<br />
oggi si può annoverare una<br />
certa predisposizione genetica sotto<br />
forma di alterata regolazione dei<br />
normali meccanismi biochimici di<br />
controllo dell’infiammazione neurogenica;<br />
un fattore ormonale basato<br />
sull’osservazione di una aumentata<br />
sensibilità dolorifica vestibolare<br />
in fase premestruale, che si<br />
inquadrerebbe in una visione più<br />
ampia sul ruolo svolto dalle variazioni<br />
degli ormoni sessuali sia sulla<br />
sensibilità periferica che cortica-<br />
L’eziopatogenesi<br />
della vulvodinia<br />
è ancora<br />
sconosciuta<br />
le (si cita ad esempio il ruolo del<br />
progesterone ed estrogeni nelle sindromi<br />
depressive puerperali e nei<br />
disturbi premestruali dell’umore);<br />
infine fattori psicologici, correlati<br />
anche all’aspetto sessuologico.<br />
Poiché nella patogenesi psicologica<br />
della vulvodinia si inserisce an-<br />
N O<br />
G<br />
27
N O<br />
G<br />
28<br />
VULVOLOGIA<br />
che lo stress, si ritiene utile accennare<br />
a come l’attivazione emozionale,<br />
che caratterizza le condizioni<br />
di stress, induca modificazioni somatiche<br />
periferiche particolarmente<br />
complesse. Infatti, la rete di connessioni<br />
neuronali fra sistema limbico,<br />
strutture mesencefaliche e nuclei<br />
ipotalamici è responsabile dell’attivazione<br />
selettiva, in seguito a<br />
specifiche condizioni emozionali,<br />
del sistema endocrino e del sistema<br />
nervoso centrale e periferico.<br />
Somatizzazione<br />
vulvare<br />
Il termine somatizzazione identifica<br />
genericamente un processo<br />
neurofisiologico che porta allo<br />
sviluppo di disturbi che riguardano<br />
il funzionamento di un organo,<br />
apparato o sistema corporeo,<br />
o alla percezione anormale<br />
di essi, non sostenuta da alcun<br />
substrato anatomico. La somatizzazione<br />
viene pertanto considerata<br />
un disturbo funzionale,<br />
in assenza di malattie organiche<br />
presenti. Attualmente, questo<br />
termine viene utilizzato per in-<br />
L’<strong>approccio</strong><br />
diagnostico deve<br />
essere<br />
multidisciplinare<br />
dicare la tendenza di un soggetto<br />
a esprimere e a comunicare<br />
disagi psicologici attraverso sintomi<br />
somatici.<br />
La somatizzazione è il risultato<br />
di un’influenza reciproca tra<br />
meccanismi psicologici e neurofisiologici.<br />
Il processo di somatizzazione<br />
porta a esprimere sintomi<br />
psicosomatici responsabili<br />
di disturbi somatoformi; la loro<br />
caratteristica è la presenza di sintomi<br />
fisici che fanno pensare a<br />
una condizione medica generale,<br />
da cui il termine somatoforme.<br />
In realtà non sono giustificati<br />
da una reale condizione medica<br />
generale o da effetti diretti<br />
di una sostanza o da un altro<br />
disturbo mentale.<br />
La patogenesi dei disturbi somatoformi<br />
a carico del tratto genitale<br />
femminile, con predominante<br />
alterazione sensoriale, può essere<br />
dovuta a numerosi meccanismi<br />
in grado di influenzare la<br />
rappresentazione e l’esperienza<br />
del dolore e del disturbo a livello<br />
centrale. Tra questi vengono<br />
riportati: ipereccitabilità nei confronti<br />
dei segnali provenienti dal<br />
tratto genitale con amplificazione;<br />
aumento dell’attenzione e<br />
attivazione secondaria periferica;<br />
riattivazione, da parte dello<br />
stimolo periferico, dei meccanismi<br />
affettivi e vegetativi archiviati<br />
nella funzione mnesica,<br />
tanto da portare<br />
a una percezione e interpretazione<br />
centrale<br />
distorta; collateralmente<br />
si assiste a un’attivazione<br />
delle fibre simpatiche<br />
che inducono<br />
risposte paracrine con<br />
secrezione, da parte<br />
dei nocicettori stimolati,<br />
di sostanze algogene<br />
come l’istamina, la<br />
bradichinina ecc.<br />
La vulva, nell’ambito dell’apparato<br />
genitale, può diventare un<br />
facile bersaglio di somatizzazione,<br />
non solo per la ricca compo-<br />
nente di recettori sensoriali e di<br />
connessioni con il SNC, ma anche<br />
per il suo ruolo identitario e<br />
simbolico. La vulva ha una funzione<br />
importante nella comunicazione<br />
intima e nella percezione<br />
del piacere; è un luogo di piacere<br />
e quindi anche di facile dolore,<br />
in tutte le età della donna<br />
e, a seconda della relazione intima<br />
in corso, un luogo in stretto<br />
rapporto con la propria vita<br />
psichica, con le proprie rappresentazioni<br />
e modelli sessuali.<br />
Questo è il motivo per cui la vulvodinia<br />
non si trova solo nelle<br />
donne di una certa età, depresse<br />
e/o ipocondriache, ma anche<br />
tra le giovani non depresse nelle<br />
quali la personalità può essere<br />
organizzata intorno a un modello<br />
socio-psico-cognitivo alterato<br />
che è il risultato di informazioni<br />
e pregiudizi distorti sulla<br />
sessualità (una eccessiva idealizzazione<br />
o banalizzazione della<br />
sessualità può portare a cattivo<br />
funzionamento dell’organo vulva<br />
che, cronicizzandosi, può portare<br />
alla vulvodinia), o vere e proprie<br />
situazioni psicologiche patologiche<br />
(depressione, isteria,<br />
ipocondria, alexitimia).<br />
Iter diagnostico<br />
L’<strong>approccio</strong> diagnostico a una sindrome<br />
così complessa e strettamente<br />
correlata all’habitus psicologico-esistenziale<br />
del soggetto richiede<br />
una competenza specifica<br />
multidisciplinare che oggi può essere<br />
fornita dalla vulvologia 6 , ovvero<br />
da una recente disciplina che<br />
raccoglie e integra le varie conoscenze<br />
di tipo anatomofisiologico,<br />
dermatologico, neurologico,<br />
psicologico, infettivologico, oncologico<br />
e istopatologico per fornire<br />
al medico strumenti diagnosti-
co-terapeutici adeguati e specifici<br />
nella gestione della numerosa<br />
e variegata patologia riscontrabile<br />
in sede vulvare 7 . La vulvodinia<br />
è solo una di queste patologie,<br />
ma rappresenta l’esempio più evidente<br />
di quanto sia utile avere una<br />
adeguata conoscenza vulvologica<br />
per orientarsi correttamente.<br />
Nell’iter diagnostico il primo passo<br />
è rappresentato dall’imparare<br />
l’importanza che ha una buona<br />
capacità di ascolto e di comunicazione<br />
per riuscire a ottenere sufficienti<br />
informazioni sullo stile di<br />
vita, sulla personalità psicologica<br />
e sulle caratteristiche relazionali,<br />
per meglio definire gli aspetti psicodinamici<br />
della sintomatologia<br />
riferita. Risulta utile conoscere il<br />
motivo dell’invio della paziente da<br />
parte di altri medici o dell’eventuale<br />
richiesta autonoma di consultazione.<br />
È quindi importante<br />
accertare se la paziente ha timore<br />
di essere affetta da una neoplasia,<br />
da una grave infezione sessualmente<br />
trasmessa, da una ma-<br />
lattia che nessun medico riesce a<br />
definire e trattare e, infine, ottenere<br />
le principali informazioni relative<br />
alla sessualità (una corretta<br />
anamnesi sessuale orienterà sul<br />
progetto terapeutico), non trascurando<br />
aspetti famigliari, relazionali<br />
e sociali.<br />
Quadro clinico<br />
È caratterizzato da dolore con<br />
differenti sfumature che vanno<br />
dal senso di puntura al bruciore,<br />
di varia intensità. Esso può<br />
essere localizzato all’intera vulva<br />
o a porzioni di essa e può essere<br />
spontaneo o provocato da<br />
stimoli esterni di varia natura (tabella<br />
1).<br />
La sintomatologia è caratteristicamente<br />
associata a un quadro<br />
obiettivo normale, di qui l’importanza<br />
di avere conoscenze vulvologiche<br />
di base per essere in<br />
grado di riconoscere varianti fisiologiche<br />
(per esempio, le papille<br />
vestibolari) ed evitare cor-<br />
Tabella 1 Vulvodinia: terminologia e classificazione<br />
ISSVD 2003<br />
Generalizzata<br />
• Provocata<br />
• Spontanea<br />
• Mista<br />
Localizzata (vestibolodinia, clitoridodinia, altro)<br />
• Provocata<br />
• Spontanea<br />
• Mista<br />
Generalizzata - Coinvolgimento dell’intera vulva.<br />
Localizzata - Coinvolgimento di una porzione vulvare, <strong>quale</strong> il vestibolo<br />
(vestibolodinia) o il clitoride (clitoridodinia).<br />
Provocata - Il sintomo è scatenato da un contatto fisico (sessuale<br />
o non sessuale, <strong>quale</strong> inserzione di tamponi, toccamento, frizioni ecc.).<br />
Spontanea - Il sintomo compare in assenza di stimoli fisici scatenanti.<br />
Moyal-Barracco M et al, J Reprod Med 2004<br />
VULVOLOGIA<br />
relazioni patologiche inesistenti<br />
7 . Giova ricordare, a questo proposito,<br />
che le aree eritematose<br />
spesso osservabili alle ore 5 e 7<br />
del vestibolo sono un riscontro<br />
frequente anche in donne asintomatiche<br />
e pertanto prive di significato<br />
patologico.<br />
Esame obiettivo<br />
Prevede la capacità di una consapevole<br />
ispezione a occhio nudo<br />
dell’intera vulva. L’ispezione colposcopica<br />
con applicazione di acido<br />
acetico, ancora utilizzata ed<br />
erroneamente definita “vulvoscopia”,<br />
è una tecnica inadeguata e<br />
spesso fuorviante nell’<strong>approccio</strong><br />
ai disturbi vulvari in genere 8 e specificatamente<br />
in presenza di vulvodinia.<br />
L’ispezione a occhio nudo<br />
valuterà innanzitutto l’adiposità<br />
del distretto vulvoperineale,<br />
la disposizione e quantità dei peli,<br />
la morfologia delle grandi e piccole<br />
labbra, la presenza di varicosità<br />
e le condizioni igieniche. Seguirà<br />
la valutazione dello stato di<br />
idratazione, dell’assottigliamento,<br />
dell’ispessimento di cute e/o<br />
mucosa, l’eventuale presenza di<br />
fissurazioni, di lesioni da grattamento<br />
e di lesioni dermatologiche<br />
elementari. Questa osservazione<br />
ha lo scopo di escludere un<br />
dolore vulvare sostenuto da una<br />
patologia specifica (una dermatosi<br />
<strong>quale</strong> il lichen sclerosus, un<br />
ulcera da HSV-2 o da lesione<br />
neoplastica ecc.) e pertanto da<br />
non interpretare come vulvodinia.<br />
All’ispezione segue il test<br />
pressorio che consiste nel valutare<br />
la presenza e la distribuzione<br />
topografica del dolore evocato<br />
alla semplice pressione con<br />
bastoncino cotonato. Questo<br />
test va condotto esercitando una<br />
pressione lieve e costante dap-<br />
N O<br />
G<br />
29
N O<br />
G<br />
30<br />
VULVOLOGIA<br />
Figura 1 Test pressorio con cotton: mediante<br />
lieve pressione con bastoncino<br />
cotonato si valuta il tipo<br />
di sensazione provocata.<br />
prima a livello delle grandi labbra,<br />
per poi passare alle piccole<br />
labbra, faccia esterna e interna,<br />
alla regione periclitoridea,<br />
al solco labioimenale e, infine,<br />
all’area periuretrale; è soprattutto<br />
alle ore 5 e 7 del vestibolo<br />
che viene evocato un<br />
forte dolore, la cui intensità può<br />
essere misurata con una Scala<br />
Visuale Analogica (VAS) il cui<br />
punteggio varia da 0 a 10 ed<br />
attraverso la <strong>quale</strong> il soggetto<br />
può dare una più precisa definizione<br />
del dolore percepito (figura<br />
1). L’esame obiettivo termina<br />
con l’introduzione delicata<br />
di uno speculum, che ha lo<br />
scopo preciso di valutare la fattibilità<br />
di tale manovra e l’entità<br />
del dolore introitale provocato,<br />
di evidenziare una eventuale<br />
leucorrea, possibile fonte<br />
di infiammazione, e, infine, di<br />
rilevare la comparsa di fissurazioni<br />
secondarie all’uso dello<br />
speculum. La presenza di fissu-<br />
Approfondimenti<br />
diagnostici<br />
razioni e la loro<br />
distribuzione topografica<br />
(fossa<br />
navicolare, forchetta,<br />
pareti laterali<br />
del vestibolo)<br />
forniscono<br />
indicazioni utili<br />
sulla concomitante<br />
presenza<br />
di ridotta ampiezzadell’introito<br />
vaginale e<br />
sulla fragilità costituzionaledella<br />
mucosa vestibolare,situazioni<br />
che potrebbero<br />
trovare giovamento<br />
da un<br />
trattamento chirurgico.<br />
In casi particolari possono rendersi<br />
necessari accertamenti radiologici<br />
(TC e RM), volti a escludere<br />
patologie osteoarticolari compressive<br />
o patologie neurologiche degenerative.<br />
Lo studio elettromiografico<br />
del pavimento pelvico viene<br />
ritenuto da alcuni autori momento<br />
diagnostico utile nell’evidenziare<br />
eventuali variazioni del<br />
tono muscolare e della trasmissione<br />
nervosa a livello del nervo pudendo.<br />
Trattamento:<br />
quali approcci<br />
I numerosi e più disparati presidi<br />
terapeutici reperibili in letteratura<br />
(tabelle 2 e 3), sono la dimostrazione<br />
della confusione terminologico-classificativa<br />
ed eziopatogenetica<br />
riguardante il “dolore<br />
vulvare non associato a chiara lesione<br />
visibile” che ha generato<br />
trattamenti derivati da esperienze<br />
fondate su convinzioni talora<br />
preconcette di singoli medici.<br />
Il punto di vista riduttivo di una<br />
medicina eccessivamente organicistica,<br />
fondata solo sul paradigma<br />
di linearità causa-effetto, piuttosto<br />
che su quello della complessità,<br />
ha portato molti medici alla<br />
convinzione che “se realmente<br />
esiste il dolore vulvare senza causa<br />
visibile” esso è dovuto a un processo<br />
infiammatorio/infettivo.<br />
Oggi si può affermare che l’ipotesi<br />
patogenetica infiammatoria/infettiva<br />
ha perso importanza.<br />
Le raccomandazioni terminologiche<br />
dell’ISSVD 5 incominciano<br />
a essere recepite e accettate a diversi<br />
livelli, per cui il termine “vulvodinia”<br />
viene sempre più utilizzato<br />
in sostituzione degli altri e,<br />
soprattutto, di “vestibolite” 9,10 .<br />
Attualmente, l’ipotesi patogenetica<br />
più accreditata e che riveste<br />
importanti implicazioni terapeutiche<br />
è quella che considera la<br />
vulvodinia un disturbo somatoforme<br />
11,12 . È questa una visione<br />
non riduttiva alla sola dimensione<br />
psicologica, ma che riconosce<br />
eguale importanza tra “soma” e<br />
“psiche”: un evento genitale doloroso<br />
(una vulvovaginite micotica<br />
recidivante, un’infezione urinaria<br />
cronica, una violenza o un<br />
trauma ecc.) può innescare una<br />
risposta condizionata negativa tipo-evitamento<br />
che, se associata<br />
a fattori predisponenti psichici<br />
(tratto depressivo, ipocondriaco,<br />
condizionamenti culturali-famigliari-sociali<br />
ecc.), innesca a sua<br />
volta un “circolo vizioso del dolore”<br />
che porta all’instaurarsi della<br />
vulvodinia.<br />
Ecco perché gli esperti di questo<br />
argomento ritengono che l’ap-
proccio terapeutico debba essere<br />
multimodale (tabella 4).<br />
Fase comportamentaleesplicativa<br />
È il primo momento della terapia,<br />
nel corso del <strong>quale</strong> il<br />
medico deve dimostrare consapevolezza<br />
dell’esistenza e<br />
della complessità della sindrome<br />
vulvodinica, nonché del<br />
proprio ruolo di sostegno psicologico<br />
e di strumento terapeutico.<br />
La componente “esplicativa”<br />
consiste nella spiegazione dei<br />
meccanismi fisiopatologici della<br />
sindrome, delle interazioni<br />
psicosomatiche e somatopsichiche,<br />
dell’utilità di un trattamentoneuro-psicofarmacologico<br />
o di un’eventuale consulenza<br />
psicosessuologica.<br />
Fase farmacologica<br />
Consiste nell’impiego di neuro-farmaci<br />
capaci di modulare sia la trasmissione<br />
nocicettiva periferica che<br />
la funzione dei centri nervosi cerebro-corticali.<br />
Questi farmaci appartengono<br />
alla classe degli antidepressivi<br />
(soprattutto triciclici, a cui<br />
seguono gli SSRI o inibitori selettivi<br />
della ricaptazione della serotonina,<br />
e gli SNRI o inibitori della ricaptazione<br />
della serotonina e noradrenalina)<br />
e degli anticonvulsivanti<br />
(gabapentin, pregabalin, carbamazepina);<br />
per una più particolareggiata<br />
trattazione si rimanda<br />
alle voci bibliografiche 7 e 9.<br />
Fase psicosessuologica<br />
Si avvale di tecniche basate sulle<br />
teorie cognitivo-comportamentali,<br />
sistemico-relazionali e sessuologiche.<br />
L’<strong>approccio</strong> cognitivo-compor-<br />
Farmaci topici<br />
Antibiotici<br />
Antimicotici<br />
Antierpetici<br />
Imiquimod<br />
Interferone<br />
Corticosteroidi<br />
Estrogeni<br />
Progesterone<br />
Anestetici<br />
Lubrificanti<br />
5-fluorouracile<br />
Acido ditricloroacetico<br />
Capsaicina<br />
Citochine da lisati<br />
di cellule fetali<br />
Farmaci intralesionali<br />
Anestetici<br />
Interferoni<br />
Cortisonici<br />
Botulino<br />
tamentale tenderebbe a decondizionare<br />
il sintomo, attraverso un<br />
apprendimento di comportamenti<br />
corretti in grado di modificare lo<br />
stile di vita (abbigliamento, abitudini<br />
sessuali, uso di farmaci, aspetti<br />
emotivi). L’<strong>approccio</strong> sistemicorelazionale<br />
mette in primo piano<br />
gli aspetti dell’intimità emotiva della<br />
relazione e le sue difficoltà (a volte<br />
la vulvodinia può essere segno<br />
di un disagio nella relazione di coppia<br />
o di un disagio famigliare). L’<strong>approccio</strong><br />
sessuologico tiene conto<br />
soprattutto che la vulva è un organo<br />
di comunicazione sessuale e<br />
contribuisce a formare lo schema<br />
corporeo femminile.<br />
Essendo la vulvodinia una situazione<br />
con aspetti di complessità<br />
lo psicoterapeuta dovrebbe, di vol-<br />
Farmaci orali<br />
Antimicotici<br />
Antierpetici<br />
Citrato di calcio<br />
Antidepressivi<br />
• Triciclici<br />
• SSRI<br />
• SNRI<br />
Anticonvulsivanti<br />
• Gabapentin<br />
• Pregabalin<br />
• Carbamazepina<br />
• Topiramato<br />
Isotretinoina<br />
Dapsone<br />
Altri presidi<br />
Ipnosi<br />
Yoga<br />
Meditazione<br />
Training autogeno<br />
Dietoterapia<br />
VULVOLOGIA<br />
Tabella 2 In letteratura: terapia medica della vulvodinia<br />
Haefner HK et al, J Low Genit Tract Dis 2005<br />
ta in volta, adattarsi alla paziente<br />
piuttosto che obbligare la paziente<br />
ad adattarsi alla impostazione<br />
del terapeuta. Non si tratta di<br />
eclettismo, quanto piuttosto di<br />
avere nozioni in varie branche della<br />
psicoterapia e della ginecologia<br />
in modo tale da poter conformare<br />
il proprio intervento ai bisogni<br />
reali della paziente.<br />
Non è possibile quindi tracciare uno<br />
schema di psicoterapia che possa<br />
essere valido per ogni donna: una<br />
vulvodinica è anche la propria storia,<br />
che se ascoltata e compresa,<br />
contiene anche gli elementi che<br />
condurranno alla soluzione del problema.<br />
La prima regola del medico<br />
psicosomatico è l’ascolto attento<br />
per evitare che la paziente si senta<br />
trascurata e incompresa. La se-<br />
N O<br />
G<br />
31
N O<br />
G<br />
32<br />
VULVOLOGIA<br />
conda abilità è l’invio corretto,<br />
quando necessario, allo psichiatra,<br />
allo psicanalista, al ginecologo per<br />
trattamenti medico-chirurgici.<br />
L’integrazione tra i diversi approcci<br />
è quella che promette migliori<br />
possibilità di guarigione. È difficile<br />
che in uno stesso medico coesistano<br />
competenze psicoterapeutiche<br />
e vulvologiche tali da permettere<br />
la cura integrata di queste pazienti,<br />
per cui si ritiene che il problema<br />
della vulvodinia vada affrontato all’interno<br />
di un team interdisciplinare<br />
e interattivo, in cui soprattutto il<br />
vulvologo e lo psicoterapeuta siano<br />
in stretto contatto e si scambino<br />
frequenti opinioni sui casi in trattamento.<br />
L’integrazione delle competenze<br />
porterà a una visione articolata del<br />
problema nel senso che il concetto<br />
di “vulva normale” non è di facile<br />
definizione, come del resto non<br />
è semplice porre in correlazione<br />
eventi traumatici della paziente con<br />
il sintomo attuale. La difficoltà prin-<br />
cipale per lo psicoterapeuta è di<br />
escludere diagnosi psichiatriche: a<br />
tale scopo è utile che sia affiancato<br />
da uno psichiatra esperto in psicodiagnosi.<br />
Fase fisico<br />
chirurgica<br />
Prevede l’esecuzione di esercizi erogati<br />
personalmente o assistiti da fisioterapisti<br />
con lo scopo di modificare<br />
atteggiamenti posturali anomali,<br />
l’utilizzo di trattamenti decontratturanti<br />
con biofeedback vaginale<br />
e/o perineale, di elettrostimolazione<br />
antalgica (TENS) e di agopuntura.<br />
La chirurgia deve essere<br />
considerata come ultima ed estrema<br />
scelta e solo in casi ben selezionati<br />
in cui vi sia una chiara presenza<br />
di alterazioni anatomiche, e consiste<br />
in genere in una vestibolectomia<br />
totale o settoriale, o in una vulvoperineoplastica.<br />
Vanno infine menzionati altri presidi<br />
terapeutici quali le varie tecni-<br />
Tabella 3 In letteratura: terapia fisica e chirurgica<br />
della vulvodinia<br />
Terapia fisica<br />
• Biofeedback<br />
• Agopuntura<br />
• Neurostimolazione antalgica (TENS)<br />
• Fisioterapia posturale<br />
Terapia chirurgica<br />
• Distruttiva<br />
- Diatermocoagulazione<br />
- Criocoagulazione<br />
- Laser CO 2<br />
- Laser Argon<br />
• Escissionale<br />
- Vestibolectomia totale o settoriale<br />
- Vulvoperineoplastica<br />
Haefner HK et al, J Low Genit Tract Dis 2005<br />
che di training autogeno, le tecniche<br />
di meditazione, lo yoga e l’ipnosi,<br />
che, insieme a quelli fisici appena<br />
descritti, non sono dannosi e<br />
possono contribuire a migliorare lo<br />
stato di profondo malessere ed isolamento<br />
che questi soggetti possono<br />
sviluppare.<br />
Conclusioni<br />
e prospettive<br />
Riassumendo quanto presentato,<br />
si può affermare che la vulvodinia<br />
non deve più essere considerata<br />
un mito, ma una realtà<br />
clinica della cui esistenza deve<br />
prendere atto e conoscenza ogni<br />
specialista in ginecologia e ostetricia.<br />
Ciò è stato chiaramente affermato<br />
nel 2006 dall’ACOG<br />
(American College of Obstetricians<br />
and Gynecologists) attraverso<br />
il Committee Opinion on<br />
Gynecologic Practice che inizia<br />
affermando: «Vulvodynia is a<br />
complex disorder that can be difficult<br />
to treat. This Committee<br />
Opinion provides an introduction<br />
to the diagnosis and treatment<br />
of vulvodynia for the generalist<br />
obstetrician-gynecologits» 13 . La<br />
giusta attenzione clinica che questo<br />
complesso disturbo ha ricevuto<br />
negli ultimi anni 5,9,10,13 ha portato<br />
a riconoscere e affermare<br />
che, fra tutti i termini reperibili in<br />
letteratura, “vulvodinia” è il più<br />
adatto e corretto e che deve essere<br />
utilizzato non per indicare un<br />
sintomo, ovvero il dolore vulvare<br />
sic et simpliciter, ma una partico-
lare situazione di “dolore vulvare<br />
cronico non associato a lesione<br />
clinica visibile”.<br />
La vulvodinia va intesa come forma<br />
di allodinia vulvare, in cui il<br />
dolore cronico va interpretato<br />
come epifenomeno di situazioni<br />
complesse in cui interagiscono<br />
prevalentemente elementi<br />
neurosensoriali periferici e centrali,<br />
connessi ad aspetti psicosessuologici<br />
e socio-esistenziali<br />
peculiari di quella specifica donna.<br />
Sulla “scena clinica” di questa<br />
sindrome eventuali fattori infettivi<br />
o flogistici, anche se preesistenti<br />
o concomitanti, vanno<br />
interpretati come “comparse o<br />
innocenti spettatori” piuttosto<br />
che “attori principali”.<br />
Le prospettive future di ricerca e<br />
di gestione della vulvodinia si basano<br />
su quanto appena riportato,<br />
unitamente alla consapevolezza<br />
che ulteriori studi neuropsicoendocrinologici,neurobiologici,<br />
genetici, epidemiologici<br />
e socio antropologici sono ne-<br />
Bibliografia<br />
1. Thomas TG. Practical Treatise on the<br />
Diseases of Women. Henry C. Philadelphia,<br />
Lea’s Son & Co, 1880: 145-47.<br />
2. Skene AJC. Diseases of the external<br />
organs of generation. In: Treatise on<br />
the Diseases of Women. New York,<br />
D. Appleton & Co, 1888: 77-99.<br />
3. Kelly HA. Dyspareunia. In: HA Kelly,<br />
Gynecology. New York, D. Appleton &<br />
Co, 1928: 235-39.<br />
4. McKay M. Burning vulva syndrome:<br />
report of ISSVD task force. J Reprod<br />
Med 1984; 29: 457.<br />
5. Moyal-Barracco M, Lynch PJ. 2003<br />
ISSVD Terminology and Classification<br />
of Vulvodynia: a historical per-<br />
cessari e potranno fornire maggiori<br />
conoscenze, che si tradurranno<br />
in un migliore <strong>approccio</strong><br />
spective. J Reprod Med 2004; 49:<br />
772-7.<br />
6. Micheletti L, Preti M, Bogliatto F,<br />
Lynch PJ. Vulvology. A proposal for a<br />
multidisciplinary subspecialty. J Reprod<br />
Med 2002; 47: 715-7.<br />
7. Micheletti L. Vulvologia: <strong>approccio</strong><br />
multidisciplinare ai disturbi vulvari.<br />
Milano, Poletto Editore, 2006.<br />
8. Micheletti L, Bogliatto F, Lynch PJ.<br />
Vulvoscopy: review of a diagnostic<br />
approach requiring clarification. J Reprod<br />
Med 2008; 53: 179-82.<br />
9. Haefner HK, Collins ME, Davis GD et<br />
al. The Vulvodynia Guideline. J Low<br />
Genit Tract Dis 2005; 9: 40-51.<br />
VULVOLOGIA<br />
N O<br />
clinico alle donne affette da vulvodinia,<br />
evitando trattamenti<br />
inutili o iatrogeni.<br />
Tabella 4 Approccio terapeutico multimodale<br />
alla vulvodinia<br />
Comportamentale ed esplicativo<br />
Neurofarmacologico<br />
• Antidepressivi<br />
• Anticonvulsivanti<br />
Psicosessuologico<br />
Fisico-chirurgico<br />
• Biofeedback<br />
• TENS<br />
• Agopuntura<br />
• Fisioterapia<br />
• Vestibolectomia<br />
• Vulvoperineoplastica<br />
Di altro tipo<br />
• Training autogeno<br />
• Meditazione<br />
• Yoga<br />
• Ipnosi<br />
10. Bachmann GA, Rosen R, Pinn VW et<br />
al. Vulvodynia: a state-of-the-art consensus<br />
on definition, diagnosis and<br />
management. J Reprod Med 2006;<br />
51: 447-56.<br />
11. Mascherpa F, Bogliatto F, Lynch P et<br />
al. Vulvodynia as a possible somatization<br />
disorder: more than just an<br />
opinion. J Reprod Med 2007; 52:<br />
107-110.<br />
12. Lynch PJ. Vulvodynia as a somatoform<br />
disorder. J Reprod Med 2008;<br />
53: 390-6.<br />
13. ACOG Committee Opinion. Vulvodynia.<br />
Obstet Gynecol 2006; 108:<br />
1049-52.<br />
G<br />
33
N OG<br />
34<br />
cienza e società<br />
Sdi Luciano Sterpellone - Roma<br />
Quando la balia è egizia<br />
Nell’Egitto dei faraoni la pratica del baliatico era molto diffusa.<br />
Le donne nobili in genere non allattavano personalmente<br />
i propri figli, e quelle che appartenevano alla famiglia reale sceglievano<br />
le balie tra le donne che vivevano negli harem degli<br />
alti ufficiali del Palazzo; queste raggiungevano non di rado gradi<br />
sociali elevati, e ricevevano l’appellativo di “sorelle del re”.<br />
La balia di Akhenaton ricevette il titolo di “Grande Nutrice”<br />
perché aveva “nutrito il dio” (cioè il faraone Amenofis III). Nelle<br />
rappresentazioni egizie la nutrice<br />
viene talora raffigurata co-<br />
me la dea Hator in sembianze<br />
umane ma con la testa di mucca.<br />
Una volta scelta la balia adatta, il<br />
bambino veniva posto nel suo<br />
grembo con il viso rivolto verso<br />
nord, mentre la balia guardava ad<br />
est. Dopo aver spremuto un po’<br />
di latte, ella lavava la mammella<br />
e la “consacrava” con il seguente<br />
incantesimo: “O tu bella donzella,<br />
aiuta la secrezione di latte<br />
nelle tue mammelle, sì da accrescere<br />
le forze del bambino. O tu<br />
dal bel viso, possa il bambino crescere<br />
col tuo latte, avere una lunga<br />
vita come gli dèi sono resi immortali<br />
dal bere nettare”.<br />
Indi il bambino veniva attaccato<br />
alla mammella destra. Si credeva<br />
inoltre che se la balia (o la madre)<br />
non avesse scartato un po’ di latte<br />
prima della poppata, il bambino<br />
avrebbe avuto tosse, difficoltà<br />
del respiro o vomito: per questa<br />
ragione egli non doveva mai<br />
bere il primo latte.<br />
Anche le uova hanno un sesso<br />
Ai tempi dell’Impero romano, nulla conoscendosi circa i meccanismi<br />
della riproduzione, si credeva che le uova di forma oblunga<br />
contenessero il “tuorlo maschio” e una chiara più bianca di<br />
quelle rotonde, “femmina”.<br />
Credenze più o meno del genere ebbero vita molto<br />
lunga. In un libro appartenente a una famiglia veronese<br />
del Trecento si legge testualmente che<br />
“le uova di gallina ristorano rapidamente,<br />
confortano, moltiplicano il seme, rinvigoriscono<br />
l’amplesso”. E due secoli dopo il<br />
Tassoni scriverà ne La secchia rapita che<br />
dopo una notte d’amore con Venere trascorsa<br />
in una locanda, “per tirarsi su Marte<br />
bevve un centinaio (sic) di uova del<br />
pollaio dell’oste”.<br />
Successivamente le uova vennero considerate<br />
ideali per la donna nel periodo<br />
immediatamente successivo al parto e per<br />
la convalescenza dei malati. E i medici più<br />
preparati sostenevano che la maggiore efficacia<br />
era posseduta dall’uovo poco cotto,<br />
che in tal modo conservava “le sue virtù”.
Partorire<br />
a Siena<br />
Nella Siena del XVIII secolo, come<br />
in ogni altra parte d’Europa,<br />
il solo conforto per le partorienti,<br />
specie tra la gente comune,<br />
erano le levatrici, la cui unica<br />
“scuola” era la ripetizione di gesti<br />
tramandati dall’esperienza<br />
delle levatrici più anziane. Quando<br />
si trovavano dinanzi a situazioni<br />
insolite, esse cercavano in<br />
ogni modo di accelerare il parto<br />
ricorrendo a manipolazioni di vario<br />
genere, spesso traumatizzanti<br />
per il feto ma talora risolutive;<br />
in realtà, avevano acquisito una<br />
certa pratica nel ruotare il feto<br />
che non si presentava di testa o<br />
che aveva il cordone ombelicale<br />
pericolosamente arrotolato al<br />
collo.<br />
In quell’epoca divennero però<br />
sempre più frequenti (anche se<br />
disattesi) i provvedimenti delle<br />
Autorità sanitarie per limitare<br />
drasticamente l’attività delle<br />
ostetriche, variamente definite<br />
“temerarie”, “responsabili di disordini<br />
e barbarie”, addirittura<br />
“idiote, zotiche, prive di genio e<br />
di gusto per lo studio”. Un documento<br />
senese dell’epoca auspica<br />
che il parto venga ”sottratto<br />
alle semplici donne dell’ultima<br />
plebe che per la loro sciocchezza<br />
operano sotto l’influsso<br />
di mille superstizioni”.<br />
Meno vergini del previsto<br />
Capelli, unghie, parti del corpo, soprattutto ossa. Nell’Alto<br />
Medioevo il desiderio di possedere una reliquia di<br />
santi o martiri - che in un primo tempo era apparso come<br />
segno di pia devozione - assunse ben presto le dimensioni<br />
di una vera e propria manìa che contagiò ogni<br />
classe sociale, presto degenerando nella contraffazione<br />
e nella truffa. Molti scheletri furono smembrati, i capelli<br />
di un’unica ciocca presero uno per uno strade diverse,<br />
di un solo osso si fecero più frammenti. Spesso queste<br />
“reliquie” provenivano da gente comune che nulla aveva<br />
avuto a che fare con i santi: tant’è che oggi qualcuno<br />
di questi “santi” conta un numero straordinariamente<br />
insolito di femori o di mandibole…<br />
Talvolta bastò trovare una reliquia (autentica o meno) a<br />
che in quel luogo sorgesse una cappella o una cattedrale.<br />
Un esempio è la chiesa di S. Orsola a Colonia, costruita<br />
proprio in seguito al ritrovamento in quel luogo di un<br />
ossario attribuito ai resti di undicimila vergini cristiane<br />
trucidate nell’anno 453. Tuttavia, i moderni studi di paleopatologia<br />
hanno enormemente ridotto il numero di<br />
quelle vergini, portandolo miseramente a undici. Come<br />
si sa, infatti, in latino il numero 11 è XI. Ma se sopra v’è<br />
una barretta orizzontale (XI<br />
_ ) il numero viene automaticamente<br />
moltiplicato per mille. Forse un casuale segno<br />
o un graffio sopra l’XI accese a suo tempo un po’ troppo<br />
la fantasia popolare…<br />
Un caffè per ricordo<br />
Anche il famoso medico inglese William Harvey, cui si deve<br />
nel 1628 la scoperta della circolazione del sangue, era un<br />
grande entusiasta del caffè, da non molto tempo importato<br />
in Europa dal Nuovo Mondo: lo aveva “scoperto” durante<br />
un viaggio a Venezia, e ne era rimasto talmente entusiasta<br />
che, quando tornò a Londra, volle portarsene un intero<br />
sacco.<br />
A quel tempo il caffè costituiva ancora una rarità ed era<br />
molto costoso: tant’è che alla sua morte Harvey lasciò<br />
in eredità ai colleghi le 56 libbre che erano<br />
rimaste della sua scorta. Ma più che altro voleva<br />
in cuor suo che i colleghi non lo dimenticassero:<br />
nel “lascito” notarile precisava<br />
infatti che alla ricorrenza della morte essi<br />
dovessero riunirsi e bere una tazza di caffè<br />
in suo ricordo.<br />
35