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Trombofilie e gravidanza - Farmitalia Industria Chimico ...

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2Periodico<br />

di aggiornamento<br />

professionale<br />

per il Ginecologo<br />

Evidence-based-medicine<br />

Endocrinologia<br />

Menopausa<br />

Clinica quotidiana<br />

<strong>Trombofilie</strong> e <strong>gravidanza</strong>: quale approccio<br />

diagnostico e terapeutico?<br />

Amenorrea primaria<br />

nelle adolescenti<br />

Prevenzione e trattamento<br />

dell’osteoporosi<br />

Inquadramento diagnostico e terapeutico<br />

dell’insulino-resistenza in <strong>gravidanza</strong>


TRANIZOLO<br />

ITRACONAZOLO<br />

nelle Candidosi vulvovaginali<br />

8 capsule 100 mg<br />

Classe A<br />

Prezzo 10,30 (secondo G.U. N° 245 del 20/10/2006)<br />

MEDICINALE SOGGETTO A PRESCRIZIONE MEDICA<br />

Posologia: per le candidosi vulvovaginali assumere<br />

2 capsule (200 mg) al mattino e 2 capsule (200 mg)<br />

la sera per un giorno.<br />

Tranizolo non contiene né glutine né lattosio<br />

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d’aria fresca<br />

www.finderm.it<br />

Depositato presso AIFA in data 17-04-2009


N O<br />

G<br />

Sommario<br />

Periodico di aggiornamento professionale<br />

per il Ginecologo n. 2<br />

Registrazione N. 125 del 28 febbraio 2007<br />

presso il Tribunale di Milano<br />

Editore<br />

Hippocrates Edizioni Medico Scientifiche srl<br />

via Vittor Pisani 22 - 20124 Milano<br />

telefono 02.67100800 fax 02.6704311<br />

e-mail: informer@hippocrates.it<br />

Direttore editoriale<br />

Manlio Neri<br />

Direttore responsabile<br />

Susan Redwood<br />

Redazione scientifica<br />

Lella Cusin, Simona Regondi,<br />

Andrea Ridolfi, Rossella Traldi<br />

Progettazione e impaginazione grafica<br />

Marzia Bevilacqua, Giovanni Carella,<br />

Daniela De Martin, Vittorio Resmi<br />

Segreteria di redazione<br />

Isabella Monza<br />

Coordinamento scientifico<br />

Giovanni Scambia<br />

Hanno collaborato a questo numero<br />

Lisa Albertini, Alberto Bacchi Modena, Fabio<br />

Facchinetti, Matilde Ferrario, Giorgio Mello, Gianni<br />

Russo, Serena Ottanelli, Luciano Sterpellone,<br />

Valentina Vaccaro.<br />

Pubblicità e marketing<br />

Silvia Cavalca<br />

Stampa<br />

La Fenice Grafica soc. coop. a r.l.<br />

Borghetto Lodigiano - LO<br />

Chiuso in tipografia<br />

27 aprile 2009<br />

Referenze fotografiche<br />

in copertina, Fotolia.com - doctor © .shock #5141280<br />

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di<br />

riproduzione e di adattamento, totale o parziale con qualsiasi<br />

mezzo, compresi i microfilm e le copie fotostatiche, sono<br />

riservati per tutti i Paesi. Manoscritti e foto non si restituiscono.<br />

Per le immagini di cui, nonostante le ricerche eseguite, non<br />

è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’editore si dichiara<br />

pienamente disponibile ad assolvere i propri doveri. Informativa<br />

sulla legge 675/96 (tutela dei dati personali). Si informa che<br />

i dati personali che verranno forniti saranno oggetto di<br />

trattamento a mezzo di sistemi informatici.<br />

L’Editore garantisce la riservatezza dei dati forniti.<br />

Clinica<br />

Scienza e società 4<br />

di Luciano Sterpellone<br />

Evidence-based-medicine<br />

<strong>Trombofilie</strong> e <strong>gravidanza</strong>:<br />

quale approccio diagnostico e terapeutico? 6<br />

di Lisa Albertini, Fabio Facchinetti, Valentina Vaccaro<br />

Endocrinologia<br />

Amenorrea primaria nelle adolescenti 12<br />

di Gianni Russo, Matilde Ferrario<br />

Menopausa<br />

Prevenzione e trattamento dell’osteoporosi 22<br />

di Alberto Bacchi Modena<br />

Clinica quotidiana<br />

Inquadramento diagnostico e terapeutico<br />

dell’insulino-resistenza in <strong>gravidanza</strong> 30<br />

di Giorgio Mello, Serena Ottanelli<br />

3


N OG<br />

4<br />

cienza e società<br />

Sdi Luciano Sterpellone - Roma<br />

Buon vino dall’orto<br />

dei Semplici<br />

Gli Orti Botanici<br />

che a partire<br />

dal Medioevo<br />

erano annessi ai<br />

monasteri per la<br />

coltivazione delle<br />

erbe officinali<br />

con le quali si<br />

preparavano i<br />

medicamenti,<br />

cominciarono<br />

nel tempo ad ospitare anche i vitigni. Ciò in quanto<br />

i ridenti vigneti italiani e dei Paesi limitrofi rischiavano<br />

di estinguersi sotto la pressione delle orde barbariche<br />

che - notoriamente - al vino preferivano la<br />

birra, cercando di imporla alle popolazioni soggiogate.<br />

Le autorità ecclesiastiche, per assicurarsi almeno<br />

il vino necessario alla celebrazione della Messa in<br />

tutte le chiese cristiane, imposero appunto ai religiosi<br />

di includere tra le coltivazioni degli orti anche quella<br />

della vite.<br />

I frati infirmari non si lasciarono tuttavia sfuggire l’occasione<br />

di utilizzare il vino anche come eccipiente dei<br />

medicamenti da loro stessi preparati, tant’è che per<br />

lungo tempo i “vini medicati” godranno ampio favore<br />

presso i medici. Di tali vini si trovano ancora abbondanti<br />

tracce nei ricettari ufficiali sin quasi alla prima<br />

metà del XX secolo.<br />

Ovviamente, non tutto il vino prodotto negli orti dei<br />

Semplici serviva a questi scopi: i religiosi cominciarono<br />

ad apprezzare anche il gusto del vino “grezzo”,<br />

cioè non contaminato, servendosene qualche bicchiere<br />

in più nelle tediose serate d’inverno, forse nell’intento<br />

di prendere alla lettera le parole di Gesù: “Io<br />

sono la vera vite, e il Padre mio è il vignaiolo”.<br />

Anatomia bisex<br />

Nella recente sessione (novembre 2008) del Women,<br />

Health and Gender Forum di Madrid, una<br />

relazione ha riguardato l’importante tema (malauguratamente<br />

trascurato per secoli!) della...<br />

“pari opportunità” tra i due sessi nei Trattati di<br />

Anatomia. Maria José Barral dell’Università di<br />

Saragoza, che si è occupata a fondo del vitale<br />

problema, ha documentato (con il supporto di<br />

molte delle 17.000 immagini esaminate e l’accurata<br />

disamina dei dodici Trattati impiegati nelle<br />

venti più autorevoli Università mondiali) che<br />

esiste una imperdonabile e netta discriminazione<br />

di ordine razziale e sessuale tra maschio e<br />

femmina. Prevalgono infatti i riferimenti al corpo<br />

maschile (di tipo caucasico), mentre quello<br />

femminile e di altre etnie resta tristemente in secondo<br />

piano, a meno che non si parli specificamente<br />

dell’apparato riproduttore.<br />

La Barral tiene a sottolineare che non si tratta<br />

semplicemente di superficialità da parte degli<br />

autori, ma di un evidente basso maschilismo:<br />

per esempio, quando si tratta di raffigurare il sistema<br />

nervoso si prende esclusivamente a modello<br />

il corpo maschile, quasi a dire che “le donne<br />

non hanno cervello”.


Quante sono le<br />

ossa umane?<br />

Sembrerebbe un calcolo ozioso, perché basterebbe<br />

contarle. Eppure i nostri predecessori non<br />

sono mai riusciti a mettersi d’accordo. Gli antichi<br />

medici cinesi, per esempio, ne contavano<br />

265, mentre Charaka - uno dei due più famosi<br />

medici indiani - parlava di 360 (compresi i denti<br />

e le unghie) e Susruta di sole 300. Secondo il<br />

Talmud, invece, lo scheletro umano contiene 252<br />

ossa, mentre Galeno ne<br />

conta ancor meno (244),<br />

quattro in meno di quante<br />

ne conteranno medici di<br />

lingua araba come Albucasis<br />

e Avicenna. Ma non<br />

è finita. Nel 1300, Guy de<br />

Chauliac conta nello scheletro<br />

umano 245 ossa,<br />

qualcuna meno di quante<br />

ne conterà due secoli dopo<br />

Ambroise Paré. Andrea<br />

Vesalio, che dovrebbe essere<br />

al di sopra di ogni sospetto, enumera invece<br />

307 ossa, mentre qualche anno prima Gabriele<br />

Falloppio parlava di 256, una cinquantina<br />

in meno dei moderni anatomisti. Tanta disparità<br />

di vedute si spiega in parte con i criteri seguiti<br />

per questo... inventario: per esempio, alcune<br />

ossa - primo tra le quali il sacro - potevano essere<br />

considerate come unità a sé stanti, oppure<br />

in base alle singole unità costituenti.<br />

Archeologi beffati<br />

In base ai ritrovamenti negli antichi siti precolombiani<br />

si sa oggi che il mais è originario del Sudamerica.<br />

Tale certezza fu però temporaneamente scossa verso<br />

la metà del 1800, quando alcuni archeologi reperirono<br />

in una tomba egizia alcuni grani di mais.<br />

La cosa suscitò enorme scalpore tra archeologi, paleontologi<br />

e storici di tutto il mondo, accendendo<br />

aspre e appassionate discussioni, talora sull’orlo del-<br />

Coloranti<br />

contro batteri<br />

Com’è noto, la scoperta dello storico “Salvarsan 606”<br />

- il primo chemioterapico efficace contro la sifilide -<br />

fu messo a punto nel 1910 dal grande ricercatore tedesco<br />

Paul Ehrlich. Già quand’era studente egli aveva<br />

condotto esperimenti con sostanze coloranti i tessuti,<br />

un originale tipo di ricerca basato su di un presupposto<br />

quantomai logico: per colorare le fibre delle<br />

stoffe, i colori devono necessariamente penetrare<br />

e fissarsi stabilmente nelle loro fibre (costituite da cellule),<br />

secondo il noto detto latino Corpora non agunt<br />

nisi fixata. Restava quindi da accertare se essi non<br />

fossero anche in grado di fissare - quindi immobilizzare<br />

e uccidere - le cellule batteriche. In un primo<br />

tempo Ehrlich mise a punto un composto, il Rosso-<br />

Trypan, efficace nei topi contro il Tripanosoma equinum;<br />

poi nel 1910 realizzò (con il giapponese Sahachiro<br />

Hata) un composto arsenobenzolico - lo storico<br />

“Salvarsan 606” -, così chiamato in quanto il 606°<br />

composto “testato” nelle ricerche.<br />

la lite. Fu a questo punto che, spaventati per la brutta<br />

piega che la vicenda stava prendendo, alcuni scavatori<br />

si decisero a confessare<br />

che quei grani li avevano<br />

messi loro, così, tanto<br />

per tirare una burla<br />

agli archeologi e<br />

punire quella “scienza”<br />

che ostentavano<br />

ogni giorno con<br />

tanta superbia.<br />

5


N O<br />

G<br />

6<br />

EVIDENCE-BASED-MEDICINE<br />

TIl management clinico della trombofilia in <strong>gravidanza</strong> presenta aspetti<br />

ancora incerti o controversi, soprattutto per quanto riguarda l’impatto<br />

dello stato protrombotico in termini di complicanze gravidiche,<br />

il ruolo dello screening e della tromboprofilassi.<br />

La trombofilia è una condizione<br />

caratterizzata da un incremento<br />

della tendenza a sviluppare<br />

trombosi sia di tipo venoso che di<br />

tipo arterioso e quindi da un’aumentata<br />

probabilità di eventi<br />

trombotici come la trombosi venosa<br />

profonda (TVP) e l’embolia<br />

polmonare (EP): essa può essere<br />

causata da diversi gruppi di disturbi<br />

coagulativi e avere un’origine<br />

congenita, acquisita o mista.<br />

• Forme congenite: le più frequenti<br />

sono le mutazioni del fattore<br />

II (protrombina) e del fattore<br />

V (per esempio, la mutazione<br />

di Leiden che si traduce<br />

in una diminuita capacità di<br />

inattivare il fattore V attivato da<br />

parte del sistema della proteina<br />

C) e il deficit di anticoagulanti<br />

fisiologici come la proteina<br />

S, la proteina C e l’antitrombina<br />

III. La prevalenza combinata<br />

di questi difetti nella popolazione<br />

generale supera il 5% 1 .<br />

rombofilie e <strong>gravidanza</strong>:<br />

quale approccio diagnostico<br />

e terapeutico?<br />

di Lisa Albertini, Fabio Facchinetti, Valentina Vaccaro<br />

Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero Universitaria - Modena<br />

• Forme acquisite: la condizione<br />

più comune è la presenza di anticorpi<br />

antifosfolipidi (anti-LAC,<br />

anti-cardiolipina).<br />

• Forme miste: in questo contesto<br />

va ricordata, in particolare, l’iperomocisteinemia<br />

che può essere<br />

causata sia da fattori ambientali<br />

che genetici (per esempio,<br />

mutazioni del gene per la metilentetraidrofolato-reduttasi).<br />

Negli ultimi anni è stata suggerita<br />

l’esistenza di una stretta associazione<br />

tra trombofilia materna<br />

ed esito avverso della <strong>gravidanza</strong>:<br />

quest’ultima, infatti, comporta, di<br />

per sé, uno stato di ipercoagulabilità<br />

fisiologica che aiuta a mantenere<br />

la funzione placentare e<br />

contribuisce a ridurre l’emorragia<br />

al momento del parto 2 .<br />

Poiché a livello placentare si realizza<br />

un delicato equilibrio tra fattori<br />

procoagulanti e anticoagulanti,<br />

la placenta rappresenta un distretto<br />

vascolare particolarmente<br />

a rischio: nelle donne trombofiliche<br />

questa ipercoagulabilità fisiologica<br />

risulta accentuata e può<br />

predisporre alla trombosi e alle<br />

complicanze vascolari placentari.<br />

La conseguente riduzione anatomo-funzionale<br />

del letto coriale si<br />

traduce in un’insufficienza vascolare<br />

utero-placentare che può favorire<br />

l’insorgenza di gravi complicanze<br />

ostetriche.<br />

In particolare, le gestanti trombofiliche<br />

sembrerebbero esposte a<br />

un aumentato rischio di preeclampsia,<br />

insufficienza placentare cronica<br />

con restrizione di crescita fetale<br />

(FGR), insufficienza placentare<br />

acuta con morte endouterina<br />

fetale (MEF) e distacco intempestivo<br />

di placenta normalmente inserita<br />

(DIPNI).<br />

Questo gruppo di complicanze si<br />

presenta in più di una <strong>gravidanza</strong><br />

su 6 e spesso produce conseguenze<br />

devastanti per la donna,<br />

la famiglia e la società 3 .


Fisiopatologia<br />

dello stato coagulativo<br />

in <strong>gravidanza</strong><br />

Durante la <strong>gravidanza</strong> viene modificato<br />

il delicato equilibrio tra<br />

fattori anticoagulanti e procoagulanti<br />

proprio dell’emostasi. In particolare,<br />

si osserva un marcato incremento<br />

dell’attività procoagulante<br />

in seguito all’aumento di<br />

quasi tutti i fattori della coagulazione,<br />

del fibrinogeno e del fattore<br />

di Von Willebrand. Per contro,<br />

il fisiologico sistema anticoagulante<br />

diventa meno efficiente<br />

in seguito a un’aumentata resistenza<br />

alla proteina C attivata nel<br />

II e III trimestre e a una riduzione<br />

dell’attivazione della proteina S 2 ,<br />

inoltre l’attività fibrinolitica risulta<br />

compromessa.<br />

Al momento del parto si assiste a<br />

un’ulteriore accentuazione di questa<br />

ipercoagulabilità fisiologica,<br />

dovuta alla liberazione di sostanze<br />

tromboplastiniche.<br />

Segni di consumo piastrinico, diminuzione<br />

dell’antitrombina e aumento<br />

dei prodotti di degradazione<br />

del fibrinogeno sono pertanto<br />

comuni dopo il parto, soprattutto<br />

se espletato per via laparotomica,<br />

e possono persistere per<br />

alcune settimane.<br />

Il puerperio rappresenta quindi un<br />

fattore di rischio; non a caso, molti<br />

eventi trombotici si verificano in<br />

questo periodo più che in tutto il<br />

resto della <strong>gravidanza</strong>.<br />

La <strong>gravidanza</strong><br />

è associata a uno stato<br />

di ipercoagulabilità<br />

fisiologica<br />

Trombofilia e circolo<br />

placentare: quali<br />

correlazioni?<br />

La placenta, per le peculiari caratteristiche<br />

emodinamiche del circolo<br />

a livello degli spazi intervillosi,<br />

sembrerebbe giocare nelle<br />

gestanti trombofiliche un ruolo<br />

cruciale nell’eziopatogenesi degli<br />

eventi ostetrici avversi.<br />

In particolare, è stato ipotizzato<br />

che l’inadeguata invasione della<br />

circolazione materna da parte del<br />

trofoblasto e il danno alle arterie<br />

spirali possano determinare una<br />

riduzione del flusso e modificazioni<br />

protrombotiche a livello della<br />

parete dei vasi 4 e che tutto ciò<br />

possa portare a eventi ostetrici avversi<br />

placenta-mediati. La bassa<br />

pressione del sistema utero-placentare<br />

può essere così suscettibile<br />

di complicazioni trombotiche<br />

in casi di ipercoagulabilità.<br />

In effetti, le placente di donne<br />

trombofiliche con complicazioni<br />

tardive della <strong>gravidanza</strong> presentano<br />

più frequentemente<br />

quadri istologici perlopiù riconducibili<br />

a un eccessivo<br />

deposito di fibrina<br />

e a trombosi<br />

dei vasi placentari 5 .<br />

Tuttavia, secondo<br />

una recente ipotesi,<br />

l’insufficienza placentare<br />

che spesso<br />

si riscontra nelle<br />

donne trombofiliche<br />

sarebbe riconducibi-<br />

EVIDENCE-BASED-MEDICINE<br />

le non solo allo stato<br />

di ipercoagulabilità,<br />

che può condurre<br />

a microtrombosi<br />

placentare, ma anche<br />

a un’alterazione<br />

dei meccanismi di<br />

differenziazione trofoblastica<br />

6,7 .<br />

Sta diventando infatti<br />

evidente un’importante azione<br />

reciproca tra attivazione della coagulazione/fibrinolisi<br />

e lo sviluppo<br />

placentare, particolarmente attraverso<br />

meccanismi infiammatori<br />

che potrebbero essere indipendenti<br />

dalla trombosi 7,8 . In effetti,<br />

studi condotti su modelli animali<br />

hanno dimostrato come il sistema<br />

emostatico giochi un importante<br />

ruolo nello sviluppo placentare<br />

e fetale 8-10 .<br />

La gravità delle manifestazioni cliniche,<br />

e la probabilità che esse si<br />

verifichino, dipendono da quanto<br />

precocemente s’instaurano le<br />

lesioni placentari, da quanto rapidamente<br />

si realizzano i fatti<br />

trombotici e dal grado di interessamento<br />

del letto placentare.<br />

Queste variabili, a loro volta, potrebbero<br />

essere influenzate dal tipo<br />

di trombofilia materna, dalla<br />

contemporanea presenza di fattori<br />

ambientali (per esempio, infezioni/infiammazioni<br />

degli annessi<br />

fetali) e, secondo ipotesi più<br />

recenti, dall’eventuale presenza<br />

di trombofilia anche nel feto.<br />

La placenta gioca<br />

un ruolo fondamentale<br />

nello sviluppo di eventi<br />

ostetrici avversi<br />

N O<br />

G<br />

7


EVIDENCE-BASED-MEDICINE<br />

N<br />

O<br />

G Trombofilia ed eventi<br />

ostetrici avversi<br />

8<br />

Sebbene numerosi studi abbiano<br />

esaminato l’associazione tra trombofilia<br />

congenita ed eventi ostetrici<br />

avversi, non sono state ancora<br />

delineate chiare conclusioni. Infatti,<br />

se alcuni di questi lavori mostrano<br />

l’esistenza di una relazione<br />

positiva tra eventi ostetrici avversi<br />

e trombofilia, altri non individuano<br />

alcuna correlazione.<br />

Alcuni dei più citati studi che hanno<br />

documentato l’esistenza di associazioni<br />

positive sono limitati<br />

da casistiche ridotte e da outcome<br />

compositi 11,12 ; inoltre, i fattori<br />

confondenti sembrano essere<br />

numerosi 13 . Alcune metanalisi di<br />

studi caso-controllo 1 suggeriscono<br />

un’aumentata prevalenza di<br />

trombofilia ereditaria in donne<br />

con preeclampsia, FGR, distacco<br />

intempestivo di placenta, aborti<br />

e morti fetali, rispetto a quanto<br />

osservabile in donne con gravidanze<br />

non complicate; tuttavia,<br />

alla luce delle considerazioni sopraesposte,<br />

l’interpretazione di<br />

questi risultati deve essere cauta<br />

(tabella 1). Qui di seguito verranno<br />

esaminate, nello specifico, le<br />

evidenze pubblicate in letteratura<br />

per ogni singola complicanza<br />

ostetrica.<br />

FGR<br />

La trombofilia si associa a quadri<br />

anatomopatologici caratterizzati<br />

da microtrombosi placentare, con<br />

conseguenze quali necrosi e infarti<br />

placentari; per questo motivo,<br />

una correlazione fisiopatologica<br />

tra trombofilia e FGR è teoricamente<br />

plausibile. Tuttavia, i<br />

pochi studi presenti in letteratura<br />

mostrano come tale associazione<br />

sia debole 14 o addirittura inesistente<br />

15,16 .<br />

Un’importante metanalisi pubblicata<br />

nel 2005 17 ha evidenziato<br />

un lieve incremento del rischio<br />

di sviluppare un FGR in donne<br />

con mutazione del fattore V Leiden<br />

(FV Leiden ) in eterozigosi o del<br />

gene della protrombina 20210;<br />

gli stessi autori raccomandano però<br />

cautela nell’interpretazione dei<br />

risultati, visto il limitato numero<br />

di trial esaminati (dieci), la ridot-<br />

ta casistica e l’assenza di studi prospettici<br />

disponibili (tabella 1).<br />

Risultati contrastanti emergono<br />

invece da uno studio caso-controllo<br />

del 2002 15 , confermato dagli<br />

stessi autori nel 2005 16 , in cui<br />

si evidenzia la mancanza di associazione.<br />

Analogamente, l’unico<br />

studio di coorte sufficientemente<br />

ampio presente in letteratura 18 ha<br />

correlato FGR e la mutazione<br />

FV Leiden con un RR pari a 0,9.<br />

Dalla revisione della letteratura<br />

non emerge quindi una chiara correlazione<br />

tra trombofilia materna<br />

e FGR.<br />

Preeclampsia<br />

Diversi studi hanno indagato la<br />

possibile associazione tra trombofilia<br />

materna e preeclampsia, ma<br />

anche in questo caso i risultati non<br />

sono sempre omogenei; inoltre, la<br />

maggior parte di essi trae conclusioni<br />

valide solamente per alcune<br />

forme di trombofilia congenita, in<br />

particolare per la mutazione del<br />

fattore V di Leiden in eterozigosi<br />

o della protrombina 20210.<br />

Una recente metanalisi 19 ha pre-<br />

Tabella 1 Associazione tra trombofilia ereditaria ed eventi ostetrici avversi: metanalisi di studi osservazionali<br />

Morte fetale Aborto ricorrente Distacco placenta FGR Preeclampsia<br />

OR (IC 95%) OR (IC 95%) OR (IC 95%) OR (IC 95%) OR (IC 95%)<br />

Fattore V 3,26 (1,82-5,83) 2,0 (1,5-2,7) 6,7 (2,0-21,6) 2,7 (1,3-5,5) 2,19 (1,46-3,27)<br />

Leiden<br />

Protrombina 2,3 (1,09-4,87) 2,0 (1,0-4,0) 7,71 (3,01-19,76) 2,5 (1,3-5,0) 2,54 (1,52-4,23)<br />

G20210A<br />

Deficit 1,41 (0,96-2,07) 1,57 (0,23- 10,54) -- -- 21,5 (1,1-414,4)<br />

di proteina C<br />

Deficit 7,39 (1,28-42,83) 14,72 (0,99-218,01) 0,3 (0-70,1) 10,2 (1,1-91) 12,7 (4,0-39,7)<br />

di proteina S<br />

Deficit -- -- 4,1 (0,3-49,9) -- 7,1 (0,4-117,4)<br />

di antitrombina<br />

Rodger MA et al, Obstet Gynecol 2008


La trombofilia materna<br />

è associata<br />

a preeclampsia grave<br />

so in considerazione 47 studi caso-controllo,<br />

per un totale di<br />

7.522 casi, dimostrando l’esistenza<br />

di una correlazione tra preeclampsia<br />

severa e l’eterozigosi sia<br />

dell’ FV Leiden che della protrombina<br />

20210 (tabella 2).<br />

Questi dati sono in linea con altre<br />

revisioni e metanalisi 14,20 riguardanti<br />

soprattutto la preeclampsia<br />

e la sindrome HELLP 21,22 ; per alcune<br />

di queste, però, la correlazione<br />

è solo debolmente positiva 23<br />

(OR=1,6 IC 95% 1,2–2,1).<br />

Sono comunque da ricordare<br />

esperienze contrastanti 24 .<br />

Un ampio studio multicentrico ca-<br />

so-controllo condotto<br />

nel 2005 su una popolazione<br />

caucasica 25 ,<br />

ha evidenziato una<br />

netta prevalenza di<br />

condizioni trombofiliche,<br />

sia congenite che<br />

acquisite, nelle pazienti<br />

con preeclampsia<br />

severa rispetto ai<br />

controlli (tabella 2).<br />

Il medesimo studio ha riscontrato<br />

anche una prevalenza significativamente<br />

più alta di complicazioni<br />

ostetriche (distacco intempestivo<br />

di placenta, insufficienza<br />

renale acuta, parto prematuro e<br />

morte perinatale) tra le preeclamptiche<br />

trombofiliche rispetto alle<br />

preeclamptiche non trombofiliche.<br />

Uno studio multicentrico di<br />

coorte di recente pubblicazione 26<br />

che ha arruolato 172 pazienti ha<br />

dimostrato un elevato rischio di<br />

ricorrenza della preeclampsia<br />

(OR=2,5 IC 95% 1,2-5,1) nelle pazienti<br />

con difetti trombofilici rispetto<br />

ai controlli.<br />

Tabella 2 Associazione tra trombofilia ereditaria e preeclampsia<br />

grave e moderata<br />

Casi/controlli OR<br />

Fattore V<br />

Lin J et al* 1.135/1.471 2,24<br />

(PE grave) (1,28-3,94)<br />

Mello G et al** 406/406 5,2<br />

(PE grave) (2,9-9,8)<br />

Mello G et al** 402/402 1,0<br />

(PE moderata) (0,42-2,32)<br />

Fattore II<br />

Lin j et al* 325/533 1,98<br />

(PE grave) (0,94-4,17)<br />

Mello G et al** 406/406 6,0<br />

(PE grave) (2,7-14,1)<br />

Mello G et al** 402/402 3,3<br />

(PE moderata) (1,1-10,3)<br />

* Lin J et al, Obstet Gynecol 2005 ** Mello G et al, Hypertension 2005<br />

EVIDENCE-BASED-MEDICINE<br />

Tutti i dati della letteratura, aldilà<br />

delle disomogeneità cliniche, suggeriscono<br />

pertanto l’esistenza di<br />

una chiara associazione tra trombofilia<br />

materna e preeclampsia di<br />

tipo severo; l’associazione con le<br />

forme lievi-moderate (anche tardive)<br />

di preeclampsia appare, invece,<br />

molto dubbia. Un’ipotesi accreditata<br />

è che la trombofilia materna<br />

sia un fattore peggiorativo<br />

e non causale dello stato preeclamptico.<br />

Aborto e morte fetale<br />

endouterina<br />

Prima di esaminare gli studi sulla<br />

correlazione tra trombofilia materna<br />

e morte fetale endouterina occorre<br />

premettere che un’importante<br />

limitazione alla base della loro<br />

interpretazione riguarda la definizione<br />

di aborto e morte fetale in<br />

relazione all’epoca gestazionale<br />

poiché essa differisce ampiamente<br />

a livello internazionale e questo<br />

condiziona sicuramente la possibilità<br />

di trarre conclusioni univoche.<br />

Dalla letteratura sembra emergere<br />

una netta differenza tra aborti<br />

precoci e perdite fetali tardive e<br />

ricorrenti. Infatti, prima delle 10<br />

settimane di gestazione, non pare<br />

sussistere alcun tipo di associazione<br />

27 , probabilmente a causa<br />

dello sviluppo embriogenetico del<br />

sistema vascolare 28 : prima delle 8-<br />

10 settimane esiste per l’embrione<br />

la vascolarizzazione del sacco<br />

vitellino e solo successivamente si<br />

sviluppa un contatto tra circolazione<br />

materna e fetale; appare<br />

perciò improbabile che la trombofilia<br />

materna possa danneggiare<br />

lo sviluppo embrionale in epoche<br />

gestazionali così precoci.<br />

Le evidenze sono invece consistenti<br />

per le perdite fetali dopo le<br />

10 settimane di gestazione 29-32 ,<br />

N O<br />

G<br />

9


N O<br />

G<br />

10<br />

EVIDENCE-BASED-MEDICINE<br />

sebbene esistano anche studi con<br />

risultati negativi 33 . In particolare,<br />

secondo un lavoro di Robertson<br />

e Wu 32 , l’aumentato rischio di perdite<br />

ricorrenti alla fine del primo<br />

trimestre sarebbe associato a donne<br />

con mutazioni FV Leiden (OR<br />

1,91; IC 95% 1,01-3,61), varianti<br />

del gene della protrombina (OR<br />

2,7; IC 95% 1,82-14,01) o elevati<br />

livelli di omocisteina (OR 4,21;<br />

IC 95% 1,28-13,87). La mutazione<br />

FV Leiden (OR 4,12; IC 95%<br />

1,93-8,81) e la variante G202110A<br />

della protrombina (OR 8,60; IC<br />

95% 2,18-33,95) sarebbero inoltre<br />

associate a perdite fetali non<br />

ricorrenti nel secondo trimestre;<br />

tali correlazioni sono state confermate<br />

anche da un altro studio 34 .<br />

Un’ampia metanalisi pubblicata<br />

nel 2003 34 ha evidenziato che la<br />

mutazione FV Leiden è associata a<br />

un aumentato rischio di morte fetale<br />

(OR 7,83; IC 95% 2,83-<br />

21,67). Secondo lo stesso studio<br />

in queste morti endouterine si osserva<br />

frequentemente un deficit<br />

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materno di proteina S (OR 7,39;<br />

IC 95% 1,28-42,63) mentre la resistenza<br />

alla proteina C attivata<br />

rappresenta una condizione di aumentato<br />

rischio per morti fetali<br />

precoci e/o ricorrenti. La correlazione<br />

tra trombofilia e perdite fetali<br />

sembra più evidente nei casi<br />

di perdite ricorrenti 35,36 , sia aborti<br />

che morti fetali 37 .<br />

Distacco di placenta<br />

Diversi lavori di revisione sistematica<br />

pubblicati in letteratura evidenziano<br />

l’esistenza di un’associazione<br />

significativa tra distacco<br />

intempestivo di placenta normalmente<br />

inserita e mutazione in eterozigosi<br />

dell’FV Leiden e della protrombina<br />

14,23,32 . Tuttavia, la reale<br />

correlazione tra questi elementi<br />

potrebbe essere influenzata dalla<br />

presenza di numerosi fattori confondenti,<br />

come, per esempio,<br />

l’ipertensione cronica 38,39 ; inoltre<br />

spesso le casistiche non sono ampie<br />

23,32 e il distacco di placenta è<br />

osservato all’interno di quadri clinici<br />

tipici dei più comuni eventi<br />

ostetrici avversi, quali preeclampsia,<br />

FGR e perdita fetale. Esiste<br />

però anche un interessante lavoro<br />

che dimostra una prevalenza<br />

di trombofilia congenita aumentata<br />

anche in pazienti nelle quali<br />

il distacco di placenta non è associato<br />

a preeclampsia 40 .<br />

In definitiva, la letteratura sembra<br />

suggerire che le forme più comuni<br />

di trombofilia congenita, quali<br />

le mutazioni FV Leiden e della protrombina,<br />

risultano associate a un<br />

rischio aumentato di incidenti placentari<br />

acuti, tra cui il distacco intempestivo<br />

di placenta.<br />

Conclusioni<br />

I dati della letteratura di questi ultimi<br />

anni indicano in modo abbastanza<br />

chiaro che la trombofilia<br />

rappresenta un fattore di rischio<br />

per alcune complicazioni della <strong>gravidanza</strong>.<br />

Nello specifico, però, i risultati<br />

degli studi non sono univoci<br />

e in parecchi casi la numerosità<br />

dei campioni non è così convincente:<br />

l’unica forte evidenza è<br />

l’associazione tra trombofilia congenita<br />

materna e preeclampsia severa.<br />

Anche il distacco di placenta<br />

e la morte endouterina sembrano<br />

associati alla presenza di<br />

trombofilia materna, anche se con<br />

minor impatto. Le evidenze scientifiche<br />

circa la tromboprofilassi con<br />

eparine a basso peso molecolare<br />

non sono al momento sufficienti<br />

9 , ma sono attualmente in corso<br />

alcuni studi clinici randomizzati a<br />

livello internazionale i cui risultati<br />

forniranno specifiche indicazioni<br />

in merito al trattamento clinico.<br />

Anche le raccomandazioni per<br />

lo screening non sono ancora supportate<br />

da livelli di evidenza significativi<br />

33 ; attualmente sono disponibili<br />

indicazioni più chiare per lo<br />

screening e la tromboprofilassi in<br />

caso di sindrome da anticorpi antifosfolipidi.<br />

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N O<br />

G<br />

11


N O<br />

G<br />

12<br />

ENDOCRINOLOGIA<br />

AUn corretto inquadramento clinico deve sempre prevedere,<br />

oltre a un’accurata anamnesi, un minuzioso esame obiettivo<br />

e la valutazione del quadro ormonale anche al fine di escludere<br />

patologie rimaste misconosciute fino all’età peripuberale.<br />

Per amenorrea primaria si intende,<br />

come noto, l’assenza del<br />

menarca e dei caratteri sessuali<br />

secondari in età >13 anni oppure<br />

assenza del menarca in presenza<br />

dei caratteri sessuali secondari<br />

a 15 anni di età.<br />

L’American Academy of Pediatrics<br />

e l’American College of Obstetrician<br />

and Gynecologists hanno indicato<br />

come meritevoli di valutazione<br />

le seguenti condizioni che<br />

non rientrano strettamente nella<br />

definizione di amenorrea primaria:<br />

• assenza del menarca a >3 anni<br />

dalla comparsa di telarca;<br />

• assenza del menarca all’età di<br />

14 anni in presenza di:<br />

■ sospetto di disturbo dell’alimentazione<br />

o esercizio fisico<br />

intenso;<br />

■ segni di irsutismo;<br />

■ sospetto di ostruzione o malformazione<br />

a livello genitale.<br />

Un approccio clinico valido può<br />

essere quello di considerare l’ame-<br />

menorrea primaria<br />

nelle adolescenti<br />

di Gianni Russo, Matilde Ferrario<br />

Centro di Endocrinologia dell’infanzia e dell’adolescenza, Università Vita-Salute San Raffaele - Milano<br />

norrea come espressione di una<br />

patologia organica o funzionale<br />

a carico dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi:<br />

secondo questo criterio,<br />

a seconda del livello in cui si<br />

ha la patologia, si può distinguere<br />

tra ipogonadismo normogonadotropo/ipergonadotropo/ipogonadotropo<br />

e iperprolattinemie, tenendo<br />

presente che le cause di<br />

amenorrea primitiva e secondaria<br />

(assenza delle mestruazioni da più<br />

di 4-6 mesi) non hanno sempre<br />

una netta demarcazione.<br />

Ipogonadismo<br />

normogonadotropo<br />

Malformazioni utero-vaginali.<br />

Esse possono condizionare l’assenza<br />

della mestruazione per la<br />

mancanza di tessuto mucoso uterino<br />

o per l’impossibilità alla fuoriuscita<br />

del flusso mestruale; le pa-<br />

zienti hanno normale anatomia e<br />

funzionalità ovarica, normali livelli<br />

di gonadotropine ipofisarie e un<br />

adeguato sviluppo dei caratteri<br />

sessuali secondari.<br />

Le anomalie congenite possono<br />

interessare il tratto genitale inferiore<br />

(vagina, cervice uterina) e<br />

ostacolare la fuoriuscita di sangue;<br />

in tali situazioni vi è il rischio<br />

che il flusso mestruale si raccolga<br />

nella cavità uterina (ematocolpo):<br />

• imene imperforato;<br />

• setti vaginali trasversali;<br />

• aplasie vaginali parziali/totali;<br />

• aplasia cervicale.<br />

Le malformazioni a carico dell’utero<br />

sono responsabili di circa il 15%<br />

dei casi di amenorrea primaria:<br />

nella sindrome di Rokitansky (frequenza<br />

1:4.500 bambine nate) è<br />

presente agenesia completa dell’utero<br />

e dei 2/3 superiori della vagina.<br />

Vi sono due forme, la tipo I<br />

(isolata) e la tipo II (associata a displasia<br />

renale e anomalie verte


ali); la maggior parte dei casi è<br />

sporadica, ma sono stati descritti<br />

casi familiari per cui è stata ipotizzata<br />

una trasmissione autosomica<br />

dominante con penetranza<br />

incompleta ed espressività variabile.<br />

Le pazienti in assenza di adeguata<br />

correzione chirurgica possono<br />

presentare difficoltà o impossibilità<br />

ad avere rapporti sessuali<br />

e non sono fertili.<br />

L’assenza completa dell’utero associata<br />

ad amenorrea si riscontra<br />

anche nella sindrome da insensibilità<br />

completa agli androgeni<br />

(CAIS), la cui diagnosi non di rado<br />

viene posta in ragazze adolescenti<br />

che presentano amenorrea.<br />

Clinicamente in questi casi si osserva<br />

un fenotipo femminile con<br />

presenza di scarsa peluria pubica<br />

e ascellare e ghiandola mammaria<br />

normoestrogenizzata; è caratterizzata<br />

dall’assenza sia di utero<br />

che di ovaie e dalla presenza di<br />

gonadi maschili (testicoli) ritenute<br />

in addome o a livello inguinale;<br />

il cariotipo è maschile normale<br />

(46XY). La sindrome è dovuta<br />

a un’alterazione del gene del recettore<br />

per gli androgeni e le indagini<br />

di laboratorio mostrano elevati<br />

valori di testosterone per il sesso<br />

femminile a fronte dell’assenza<br />

di segni clinici di virilizzazione.<br />

Le malformazioni acquisite possono<br />

essere formazioni di sinechie<br />

uterine conseguenti a revisioni/interventi<br />

di chirurgia ginecologica<br />

(sindrome di Asherman), ad agen-<br />

ti chimici o fisici, a cause infettive<br />

(malattia tubercolare, oggi rara).<br />

L’anovulazione da iperandrogenismo<br />

può essere:<br />

• di origine ovarica (tumori androgeno-secernenti,<br />

sindrome<br />

dell’ovaio policistico);<br />

• di origine surrenalica (tumori<br />

surrenalici, sindrome di Cushing,<br />

forma non classica di iperplasia<br />

surrenalica congenita, CAH-NC);<br />

• da aumento della frazione libera<br />

di testosterone (patologie tiroidee).<br />

La sindrome dell’ovaio policistico<br />

(PCOS) è un’endocrinopatia caratterizzata<br />

da oligoanovulazione e<br />

iperandrogenismo e, in molti casi,<br />

da alterato rapporto LH/FSH (con<br />

aumento di LH e rapporto >1,5).<br />

Clinicamente il disturbo dell’ovulazione<br />

si manifesta con oligomenorrea<br />

e, in una minor parte, amenorrea<br />

(24%); i segni<br />

di iperandrogenismo<br />

sono acne e irsutismo.<br />

Spesso si tratta<br />

di pazienti obese con<br />

insulino-resistenza e<br />

tendenza a sviluppare<br />

diabete mellito di<br />

tipo II.<br />

Attualmente, non vi<br />

è una completa univocità<br />

sulla diagnosi<br />

di PCOS nella donna<br />

adulta e nell’adolescente.<br />

Tuttavia, una<br />

recente consensus (Rotterdam,<br />

2003) ha stabilito che la presenza<br />

di almeno 2 dei seguenti criteri<br />

permette di porre diagnosi di<br />

PCOS nelle pazienti adulte: 1) presenza<br />

di caratteristiche ecografiche<br />

di ovaio policistico; 2) oligoanovulazione;<br />

3) iperandrogenismo<br />

clinico o biochimico. La forma<br />

non classica di iperplasia surrenalica<br />

congenita (CAH-NC) può<br />

ENDOCRINOLOGIA<br />

presentarsi con caratteristiche cliniche<br />

sovrapponibili alla PCOS<br />

quali l’irsutismo, l’acne, l’amenorrea.<br />

Anche i valori ormonali<br />

di gonadotropine e androgeni<br />

possono essere sovrapponibili; la<br />

diagnosi definitiva si pone riscontrando<br />

valori patologici di 17-<br />

OHP basali o dopo stimolo con<br />

ACTH; la ricerca di mutazioni del<br />

gene CYP21 può confermare la<br />

diagnosi.<br />

Ipogonadismo<br />

ipergonadotropo:<br />

sindromi primitive<br />

ovariche<br />

Un deficit primario della funzione<br />

ovarica (in cui il patrimonio follicolare<br />

può essere conservato o<br />

meno) si associa a persistenti va-<br />

L’amenorrea primaria<br />

può essere considerata<br />

come il sintomo<br />

di una patologia organica<br />

o funzionale che interessa<br />

l’asse ipotalamo-ipofisigonadi<br />

lori elevati di gonadotropine.<br />

La disgenesia gonadica è una compromissione<br />

più o meno grave delle<br />

gonadi fetali, spesso associata<br />

ad alterazioni cromosomiche. La<br />

sindrome di Turner (il cariotipo<br />

45X0 è il più frequente) è una forma<br />

di disgenesia gonadica caratterizzata<br />

dalla presenza di streak<br />

gonads, ovvero gonadi con aspetto<br />

a banderella o masserelle costi-<br />

N O<br />

G<br />

13


ENDOCRINOLOGIA<br />

N O<br />

G tuite da tessuto fibrotico, generalmente<br />

privo di ovociti, la cui deplezione<br />

inizia già dalla 18 a settimana<br />

gestazionale in utero.<br />

La secrezione delle gonadotropine<br />

delle bambine affette dalla sindrome<br />

di Turner è parallela a quella<br />

delle bambine con gonadi normali,<br />

ma molto più amplificata<br />

per l’assenza del feedback negativo<br />

da parte degli estrogeni; nelle<br />

ragazze adolescenti si riscontrano<br />

pertanto valori elevati di LH<br />

e di FSH.<br />

14<br />

L’impostazione<br />

di un corretto iter<br />

diagnostico non può<br />

prescindere da un’accurata<br />

anamnesi familiare<br />

e personale e dall’esame<br />

obiettivo<br />

Clinicamente, oltre ai dismorfismi<br />

caratteristici della sindrome che<br />

possono essere presenti in modo<br />

variabile (pterigium colli, impianto<br />

basso dei capelli alla nuca, torace<br />

a scudo, teletelia, cubito valgo,<br />

brevità degli arti rispetto al<br />

tronco) e alla bassa statura, queste<br />

pazienti non hanno in genere<br />

uno sviluppo spontaneo della<br />

ghiandola mammaria per la carenza<br />

di estrogeni, mentre presentano<br />

una normale comparsa<br />

e progressione della peluria pubica<br />

e ascellare. Nel 95% delle<br />

pazienti viene riscontrata amenorrea<br />

primitiva, mentre solo in<br />

una minima percentuale è stata<br />

osservata la comparsa di un ciclo<br />

mestruale spontaneo. La menopausa<br />

precoce (Premature Ova-<br />

rian Failure, POF) è una condizione<br />

caratterizzata da amenorrea<br />

primaria o secondaria, ipoestrogenismo<br />

e aumento delle gonadotropine<br />

prima dei 40 anni di<br />

età. La frequenza per le donne<br />


proposito è attualmente in corso<br />

la sperimentazione di nuove<br />

tecniche per l’identificazione<br />

dei geni del cromosoma X<br />

responsabili del fenotipo delle<br />

monosomie.<br />

Ipogonadismo<br />

ipo-normogonadotropo:<br />

sindromi centrali<br />

da cause ipotalamoipofisarie<br />

Patologie organiche o funzionali<br />

a carico del sistema nervoso<br />

centrale (SNC) possono essere<br />

causa di amenorrea e si associano<br />

a valori bassi o normali di gonadotropine.<br />

Le patologie organiche del SNC a<br />

carico dell’ipotalamo o dell’ipofisi<br />

possono essere deficit di sviluppo,<br />

lesioni di origine tumorale (per<br />

esempio, craniofaringioma), lesioni<br />

infettive o infiammatorie, malattie<br />

degenerative croniche.<br />

I disturbi funzionali del SNC si instaurano<br />

attraverso un meccanismo<br />

regolato dall’ipotalamo; tra<br />

le cause più frequenti si riconoscono<br />

lo stress psicogeno, l’anoressia,<br />

il calo ponderale, la pratica<br />

di sport a elevato livello di competizione;<br />

anche alcune malattie<br />

croniche non ben controllate possono<br />

causare amenorrea con un<br />

meccanismo centrale (epatopatie,<br />

insufficienza renale, diabete, malattia<br />

infiammatoria intestinale,<br />

celiachia, patologia tiroidea).<br />

Per quanto riguarda i disturbi alimentari<br />

è bene precisare che restrizioni<br />

nella dieta possono portare<br />

ad amenorrea di origine ipotalamica<br />

anche in presenza di un<br />

normale peso corporeo; inoltre,<br />

circa il 20% delle pazienti con<br />

anoressia nervosa sviluppa amenorrea<br />

prima di arrivare a un importante<br />

calo ponderale. Le pazienti<br />

con bulimia, invece, presentano<br />

più raramente irregolarità del<br />

ciclo mestruale.<br />

L’ipogonadismo ipogonadotropo<br />

congenito isolato (Isolated Hypogonadotropic<br />

Hypogonadism, IHH)<br />

è una condizione caratterizzata da<br />

assenza totale o parziale di secrezione<br />

di gonadotropine per difetto<br />

ipofisario o ipotalamico. Vi sono<br />

pertanto bassi valori di estradiolo<br />

circolante con<br />

normali o bassi livelli<br />

di LH e di FSH; non<br />

sono presenti alterazioni<br />

anatomiche ipotalamo-ipofisarie<br />

né<br />

difetti di funzione dei<br />

restanti assi.<br />

Alcune mutazioni geniche<br />

(a carico del recettore<br />

del GnRH-<br />

GPR54- e del suo ligando)<br />

sono associate<br />

a questo difetto,<br />

ma si riscontrano solo in una ridotta<br />

percentuale di casi. L’associazione<br />

di ipogonadismo ipogonadotropo<br />

e anosmia è denominata sindrome<br />

di Kallman, in cui sono state<br />

riscontrate diverse alterazioni<br />

geniche: mutazioni a carico del gene<br />

KAL1 (situato su Xp22.3) a trasmissione<br />

X-linked; mutazioni e<br />

delezioni del gene FGFR1 a trasmissione<br />

autosomica dominante;<br />

ENDOCRINOLOGIA<br />

mutazioni di PROKR2 o del suo ligando<br />

PROK2. La sindrome di Kallman<br />

è più frequente nei maschi<br />

rispetto alle femmine, nelle quali<br />

si riscontra in 1:50.000. Alla base<br />

della sindrome vi è un deficit di migrazione<br />

dei neuroni olfattori e<br />

GnRH. La diagnosi è definita con<br />

indagine genetica e riscontro neuroradiologico<br />

dell’assenza dei bulbi<br />

olfattori.<br />

Iperprolattinemie<br />

L’iperprolattinemia (PRL) interferisce<br />

con la funzione mestruale in<br />

due modi:<br />

1. con l’aumento del tono dopaminergico-oppiaceo,<br />

che determinerebbe<br />

una ridotta pulsatilità<br />

delle gonadotropine, soprattutto<br />

dell’LH;<br />

2. con l’inibizione della steroidogenesi<br />

ovarica.<br />

L’approccio clinico<br />

è improntato a riconoscere<br />

possibili patologie<br />

rimaste misconosciute<br />

fino all’età peripuberale<br />

Nella maggior parte delle ragazze<br />

puberi l’iperprolattinemia si accompagna<br />

a quadri clinici sfumati<br />

e raramente si accompagna a<br />

galattorrea; spesso in queste adolescenti<br />

si ha un normale inizio e<br />

progressione dello sviluppo dei caratteri<br />

sessuali secondari; in alcuni<br />

casi, invece, si ha un ritardo dello<br />

sviluppo puberale.<br />

Nei soggetti con iper-PRL si riscon-<br />

N O<br />

G<br />

15


N O<br />

G<br />

16<br />

ENDOCRINOLOGIA<br />

trano valori di LH, FSH ed estrogeni<br />

nei range di normalità, con<br />

riduzione dei picchi secretori di<br />

LH, poiché il feedback negativo<br />

dell’estradiolo sull’LH è conservato,<br />

mentre scompare il feedback<br />

positivo.<br />

Vi sono alcuni fattori o situazioni<br />

fisiologiche che possono causare<br />

ipersecrezione transitoria di PRL:<br />

stress, esercizio fisico, sonno, ipoglicemia,<br />

stimolazione del capezzolo,<br />

<strong>gravidanza</strong>, post-partum, periodo<br />

neonatale (2-3 mesi). Inoltre,<br />

le variazioni di pulsatilità circadiana<br />

della PRL sono molto ampie<br />

(fino al 100%); per tale motivo<br />

il dosaggio della PRL deve essere<br />

effettuato almeno su 3 prelievi<br />

venosi in tempi diversi. Il riscontro<br />

di livelli persistentemente<br />

elevati di PRL merita un approfondimento<br />

diagnostico.<br />

Impostare un adeguato<br />

follow-up clinico<br />

e terapeutico o evidenziare<br />

la presenza di malattie<br />

intercorrenti e rimuoverne<br />

se possibile le cause<br />

Cause patologiche di iperprolattinemia<br />

sono tumori ipofisari (prolattinomi<br />

e pseudoprolattinomi),<br />

patologie ipotalamo-ipofisarie, endocrinopatie<br />

(ipotiroidismo primario,<br />

policistosi ovarica), lupus eritematoso<br />

sistemico, artrite reumatoide,<br />

insufficienza renale cronica.<br />

L’utilizzo di alcuni farmaci o<br />

sostanze comporta, per il loro<br />

meccanismo d’azione, un aumento<br />

dei livelli di prolattina (per esempio,<br />

antidopaminergici, antidepressivi<br />

serotoninergici, oppioidi).<br />

L’approccio clinico<br />

Anamnesi<br />

ed esame obiettivo<br />

L’anamnesi e l’esame clinico permettono<br />

un primo inquadramento<br />

della paziente, in particolare è<br />

opportuno indagare:<br />

• anamnesi familiare: difetti genetici,<br />

tempi dello sviluppo puberale<br />

(ritardo costituzionale di<br />

pubertà), caratteristiche dei cicli<br />

mestruali, familiarità per menopausa<br />

precoce, sterilità o patologie<br />

autoimmuni;<br />

• anamnesi personale: situazione<br />

di stress, esercizio fisico intenso<br />

(sport agonistici), importanti<br />

variazioni del peso corporeo<br />

o continue oscillazioni (sia<br />

perdita che aumento), abitudini<br />

alimentari patologiche (anoressia<br />

o bulimia nervosa),<br />

patologie cro-<br />

niche, uso di farmaci<br />

o droghe, chemio/radioterapia<br />

(possibile danno al<br />

SNC o alle gonadi),<br />

se presente tempo<br />

di inizio dello sviluppo<br />

puberale e sue<br />

caratteristiche, attività<br />

sessuale (possibile<br />

<strong>gravidanza</strong>);<br />

• esame obiettivo: peso, altezza,<br />

BMI, curva di crescita e stadio<br />

puberale per valutare se rallentamento<br />

della crescita, eccessiva<br />

magrezza o sovrappeso,<br />

presenza o meno di iniziali segni<br />

di sviluppo puberale e segni<br />

di estrogenizzazione (presenza<br />

di ghiandola mammaria);<br />

ricerca di eventuali dismorfismi<br />

(escludere sindrome di Turner),<br />

ricerca di eventuali segni di virilizzazione<br />

(ipertrofia clitoridea),<br />

segni di ipercorticismo,<br />

segni di ipo/ipertiroidismo, presenza<br />

di acne o irsutismo, caratteristiche<br />

dei genitali (per<br />

esempio, evidenza di sinechie),<br />

galattorrea, disturbi della vista,<br />

sintomi vasomotori (menopausa<br />

precoce), ipo-anosmia (sindrome<br />

di Kallman).<br />

Indagini di laboratorio -<br />

esami strumentali<br />

Per poter porre una corretta diagnosi,<br />

dopo l’esame clinico è necessario<br />

sottoporre la paziente a<br />

valutazioni laboratoristiche e strumentali<br />

(tabella 1).<br />

In particolare, gli accertamenti<br />

necessari in prima battuta sono<br />

il dosaggio di gonadotropine,<br />

prolattina, TSH, che permettono<br />

di effettuare una prima importante<br />

distinzione nelle 4 categorie.<br />

Il dosaggio dell’estradiolo può<br />

essere utile, ma non dirimente<br />

nella maggior parte dei casi.<br />

L’ecografia pelvica permette di valutare<br />

la presenza di malformazioni<br />

dell’utero o del tratto genitale<br />

inferiore (sindrome di Rokitanski<br />

o agenesia parziale o totale dell’utero,<br />

setti vaginali), le caratteristiche<br />

delle gonadi (ovaie fibrotiche<br />

o streak gonads, tipiche della<br />

sindrome di Turner, ovaio policistico,<br />

presenza di masse tumorali,<br />

presenza di gonadi maschili<br />

in scavo pelvico, come nella sindrome<br />

da insensibilità agli androgeni).<br />

Il riscontro di elevati valori<br />

di LH e di FSH deve orientare<br />

verso un difetto ovarico; a questo<br />

punto è necessario eseguire<br />

un’analisi del cariotipo per escludere<br />

la sindrome di Turner.<br />

In presenza di normale cariotipo<br />

e normale anatomia degli organi<br />

genitali interni si deve approfondire<br />

lo studio indagando le<br />

possibili e finora note cause di


POF: studio dell’autoimmunità<br />

con ricerca degli anticorpi antiovaio;<br />

studio della funzionalità<br />

surrenalica per escludere un deficit<br />

di 17-alfa idrossilasi; ricerca<br />

di alterazioni genetiche; sindrome<br />

dell’X-fragile. Il riscontro di<br />

bassi valori di gonadotropine<br />

orienta verso una patologia del<br />

SNC a carico del tratto ipotalamo-ipofisario<br />

o verso forma di<br />

ipogonadismo transitorio secondario<br />

a patologie organiche (ce-<br />

Tabella 1 Approccio diagnostico alle amenorree<br />

Esami di primo livello<br />

LH, FSH, PRL, TSH, ecografia pelvica,<br />

test di <strong>gravidanza</strong><br />

FSH, LH bassi: patologia ipotalamo-ipofisaria<br />

liachia, malattie renali, ipotiroidismo,<br />

ipercorticismo, patologie<br />

cardiache ecc.).<br />

La RM dell’encefalo permette di<br />

escludere patologie organiche<br />

(tumori) o di evidenziare agenesia<br />

dei bulbi olfattivi (come nella<br />

sindrome di Kallman). Il test da<br />

stimolo con LHRH analogo preferibile<br />

al test con LHRH permette<br />

di valutare la risposta delle gonadotropine<br />

e di orientare la diagnosi<br />

verso un ipogonadismo ipo-<br />

ENDOCRINOLOGIA<br />

gonadotropo o un ritardo costituzionale<br />

di pubertà. Il test con<br />

medrossiprogesterone acetato<br />

(MAP test) può essere utile e<br />

complementare nella diagnosi di<br />

amenorrea ipotalamica funzionale:<br />

la comparsa di sanguinamento<br />

simil-mestruale (test positivo)<br />

indica la produzione di estrogeni<br />

e, quindi, la presenza di una<br />

parziale funzionalità ovarica. Il riscontro<br />

di normali livelli di gonadotropine<br />

necessita dell’indagi-<br />

■ Escludere s. Kallman: test per anosmia, RM encefalo<br />

■ Valutare anoressia-malnutrizione: indici nutrizionali, Ab antitransglutaminasi, funzionalità epatica e renale<br />

■ Escludere altre patologie infettivo-infiammatorie-tumorali ipotalamo-ipofisarie: RM encefalo<br />

■ Test con LHRH-analogo: diagnosi differenziale ipogonadismo ipogonadotropo/ RCCP<br />

FSH, LH elevati: insufficienza ovarica<br />

■ Escludere s. Turner: ecografia pelvica, cariotipo<br />

■ Valutare cause di POF: accurata anamnesi familiare; dosaggio Ab anti ovaio, Ab anti surrene, Ab anti TPO, indagare<br />

altre eventuali patologie autoimmuni; eventuale studio genetico (ricerca premutazione FMR1, BMP15 ecc.)<br />

FSH, LH normali<br />

■ Ecografia pelvica escludere malformazioni utero-vaginali, escludere CAIS<br />

■ Valutare iperandrogenismo: dosaggio 17-OHP, DHEAS, testosterone totale e libero, SHBG, Delta4-androstenedione,<br />

insulina, glicemia<br />

■ Escludere patologie tumorali ovariche o surrenaliche: ecografia/RM/TC addome<br />

■ Escludere iperplasia surrenalica congenita: ACTH test<br />

■ Escludere sindrome di Cushing: ritmo cortisolo-ACTH, cortisoluria, test di soppressione con desametasone<br />

Iperprolattinemia<br />

Esami di secondo livello<br />

Cariotipo, RM encefalo,<br />

altri dosaggi ormonali/test<br />

da stimolo, autoimmunità<br />

Esami di terzo livello<br />

Studi genetici<br />

■ Valori 100 ng/ml (elevata probabilità di macroprolattinoma) sempre RM encefalo subito<br />

N O<br />

G<br />

17


N O<br />

G<br />

18<br />

ENDOCRINOLOGIA<br />

ne ecografica per escludere malformazioni<br />

dell’apparato genitale,<br />

presenza di tumori androgeno-secernenti<br />

ovarici o surrenalici,<br />

policistosi ovarica.<br />

Nel caso di normalità dell’ecografia<br />

è utile il dosaggio degli androgeni<br />

e l’eventuale esecuzione di<br />

test ormonali (quali l’ACTH test<br />

nel sospetto di forma non classica<br />

di CAH; il test di soppressio-<br />

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5. NH Golden, JL Carlson. The pathophysiology of amenorrhea<br />

ne con desametasone, nel sospetto<br />

di Cushing); qualora il quadro<br />

ecografico non fosse dirimente<br />

può essere necessaria la RM dell’addome.<br />

Il riscontro di persistenti valori elevati<br />

di PRL pone indicazione a effettuare<br />

RM dell’encefalo per<br />

escludere la presenza di prolattinomi<br />

o di tumori della regione<br />

ipotalamo-ipofisaria.<br />

Conclusioni<br />

L’amenorrea primaria può essere<br />

considerata come il sintomo<br />

di una patologia organica o funzionale<br />

che interessa l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi.<br />

L’adolescente che giunge alla nostra<br />

attenzione per amenorrea<br />

primaria deve essere indagata<br />

innanzitutto per escludere patologie<br />

congenite, anomalie cromosomiche,<br />

sindromi genetiche,<br />

alterazioni ormonali, patologie<br />

croniche.<br />

L’impostazione di un corretto iter<br />

diagnostico, che non può prescindere<br />

da un’accurata anamnesi<br />

familiare e personale e dall’esame<br />

obiettivo, è pertanto<br />

molto importante per riconoscere<br />

possibili patologie rimaste misconosciute<br />

fino all’età peripuberale<br />

e impostare un adeguato<br />

follow-up clinico e terapeutico<br />

o per evidenziare la presenza<br />

di malattie intercorrenti e rimuoverne<br />

se possibile le cause.<br />

in the Adolescent. Ann NY Acad Sci 2008, 1135: 163-78.<br />

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10: 381-91.


RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO<br />

1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE. Tranizolo.<br />

2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Ogni capsula contiene 100<br />

mg di itraconazolo. Eccipienti: saccarosio 195 mg/capsula. Per una lista completa<br />

degli eccipienti vedere paragrafo 6.1.<br />

3. FORMA FARMACEUTICA. Capsula rigida. Capsula allungata di gelatina rigida,<br />

rossa, opaca (misura 0).<br />

4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1 Indicazioni Terapeutiche. - Candidosi vulvovaginale.<br />

- Candidosi orale, dermatomicosi (es. tinea corporis, tinea cruris, tinea<br />

pedis, tinea manus) ed onicomicosi (causate da dermatofiti e lieviti), pityriasis<br />

versicolor. - Sporotricosi linfocutanee, paracoccidioidomicosi, bastomicosi<br />

(in pazienti immunocompromessi) ed istoplasmosi. - Itraconazolo può essere<br />

usato per trattare pazienti affetti da aspergillosi invasive risultate resistenti o<br />

intolleranti all’amfotericina B. Si deve prestare attenzione alle linee guida ufficiali<br />

riguardanti l’uso corretto degli agenti antimicotici. 4.2 Posologia, e modo<br />

di somministrazione. Le capsule di itraconazolo sono per uso orale. Le<br />

capsule devono essere assunte immediatamente dopo i pasti. Le capsule devono<br />

essere inghiottite intere. Raccomandazioni posologiche per adulti ed adolescenti:<br />

- Candidosi vulvovaginale: 200 mg al mattino e 200 mg alla sera per<br />

un giorno. - Candidosi orale: 100 mg una volta al giorno per 2 settimane. - Tinea<br />

corporis/cruris: 100 mg una volta al giorno per 2 settimane. - Tinea pedis/manus:<br />

100 mg una volta al giorno per 4 settimane. - Pityriasis versicolor: 200 mg<br />

una volta al giorno per 1 settimana. - Onicomicosi: Terapia a cicli di trattamento.<br />

Un ciclo consiste di due capsule due volte al giorno per una settimana (400<br />

mg/die), seguito da un periodo di tre settimane senza trattamento. Un totale di<br />

3 cicli viene somministrato per l’onicomicosi delle unghie dei piedi, due cicli sono<br />

raccomandati per l’onicomicosi delle unghie delle mani. Trattamento continuo.<br />

Due capsule (200 mg/die) una volta al giorno per 3 mesi. Il risultato del<br />

trattamento è visibile solo dopo la fine della somministrazione quando le unghie<br />

ricrescono. - Sporotricosi linfocutanea*: 100 mg una volta al giorno per 3 mesi.<br />

- Paracoccidioidomicosi*: 100 mg una volta al giorno per 6 mesi. - Blastomicosi*:<br />

100 mg una volta al giorno, possono essere aumentati a 200 mg due<br />

volte al giorno, per 6 mesi. - Istoplasmosi*: 200 mg una volta al giorno, possono<br />

essere aumentati a 200 mg due volte al giorno, per 8 mesi. - Aspergillosi<br />

invasiva: inizio con una dose di 200 mg tre volte al giorno per 4 giorni e poi continuazione<br />

con 200 mg due volte al giorno fino a che le colture sono negative<br />

o fino a che le lesioni sono scomparse (2-5 mesi di durata) o almeno fino a<br />

quando è cessata le neutropenia. *) I tempi di trattamento specificati sono medi<br />

e possono variare a seconda della gravità della malattia o della guarigione<br />

clinica e micologica. Per le infezioni cutanee l’effetto clinico ottimale viene raggiunto<br />

1-4 settimane dopo la cessazione del trattamento e per le infezioni delle<br />

unghie dopo 6-9 mesi. Questo avviene perché l’eliminazione di itraconazolo<br />

dalla pelle e dalle unghie avviene più lentamente che dal plasma. Bambini (sotto<br />

i 12 anni): I dati sull’itraconazolo nei bambini sono inadeguati per raccomandarne<br />

l’uso, a meno che i potenziali benefici superino i rischi (vedere paragrafo<br />

4.4). Anziani: I dati sull’itraconazolo negli anziani sono inadeguati per raccomandarne<br />

l’uso, a meno che i potenziali benefici superino i rischi (vedere paragrafo<br />

4.4). Alterazioni delle funzioni epatiche: L’itraconazolo è principalmente<br />

metabolizzato nel fegato. Una lieve diminuzione della biodisponibilità orale è<br />

stata osservata in pazienti cirrotici, benché ciò non abbia significatività statistica.<br />

L’emivita terminale è risultata lievemente ma significativamente aumentata<br />

da un punto di vista statistico. Se necessario la dose deve essere aggiustata.<br />

Può essere necessario il monitoraggio dei livelli plasmatici (vedere paragrafo<br />

4.4). Alterazioni delle funzioni renali: La biodisponibilità orale dell’itraconazolo<br />

può essere inferiore nei pazienti con insufficienza renale. Può essere preso in<br />

considerazione un adattamento della dose. Può essere necessario il monitoraggio<br />

dei livelli plasmatici. L’itraconazolo non può essere eliminato mediante dialisi<br />

(vedere paragrafo 4.4). Diminuita acidità gastrica: L’assorbimento dell’itraconazolo<br />

è alterato quando l’acidità gastrica è ridotta. Per informazioni sui pa-<br />

zienti con acloridria o in trattamento con inibitori della secrezione acida o che<br />

assumono medicinali ad azione antiacido, vedere paragrafo 4.4. L’alterato assorbimento<br />

in pazienti con AIDS e neutropenici, può portare a bassi livelli emetici<br />

di itraconazolo ed a mancanza di efficacia. In questi casi può essere indicato<br />

il monitoraggio dei livelli ematici e se necessario un aggiustamento della<br />

dose. 4.3 Controindicazioni. Itraconazolo è controindicato in: - ipersensibilità<br />

all’itraconazolo o ai derivati azolici correlati o ai suoi eccipienti. - Simultanea<br />

somministrazione di: terfenadina, astemizolo, cisapride, chinidina, pimozide, mizolastina,<br />

dofetilide, inibitori della HMG-CoA reduttasi metabolizzati dal CYP3A4<br />

come la simvastatina, atorvastatina e lovastatina o triazolam e midazolam per<br />

via orale. 4.4 Avvertenze speciali e opportune precauzioni di impiego. Con<br />

itraconazolo esiste la possibilità di interazioni clinicamente rilevanti con altri farmaci<br />

(vedere paragrafo 4.5). - L’assorbimento di itraconazolo da Tranizolo 100<br />

mg capsule è influenzato dalla diminuzione dell’acidità gastrica. Pazienti trattati<br />

anche con sostanze che neutralizzano gli acidi (ad es. idrossido di alluminio)<br />

devono prendere queste sostanze almeno 2 ore dopo la somministrazione<br />

di itraconazolo. A pazienti affetti da acloridria come alcuni pazienti con AIDS o<br />

a pazienti in trattamento con inibitori acidi (ad es. Antagonisti H 2, inibitori della<br />

pompa protonica) si consiglia di assumere itraconazolo capsule 100 mg con<br />

bevande contenenti anidride carbonica che hanno un basso pH. - Nei pazienti<br />

sottoposti a trattamento continuo per più di un mese si consiglia un controllo<br />

della funzionalità epatica. Durante la somministrazione di itraconazolo in casi<br />

molto rari si è manifestata grave tossicità epatica, inclusi alcuni casi di insufficienza<br />

epatica acuta fatale. Nella maggior parte questi casi riguardano pazienti<br />

che hanno avuto disturbi epatici prima del trattamento, che erano trattati per<br />

indicazioni sistemiche, che hanno sofferto di altre gravi malattie e/o usavano<br />

altri agenti epatotossici. Alcuni di questi casi si manifestano già al primo mese<br />

di trattamento: pochi perfino nella prima settimana. Si devono monitorare frequentemente<br />

le funzioni epatiche dei pazienti che sono trattati con itraconazolo.<br />

Bisogna inoltre istruire i pazienti a riferire immediatamente al proprio medico<br />

i segni e i sintomi di epatite, come anoressia, nausea, vomito, stanchezza,<br />

dolore addominale o urina di colore scuro. In questi pazienti il trattamento deve<br />

essere interrotto immediatamente ed è necessario controllare le funzioni epatiche.<br />

- Itraconazolo non deve essere prescritto a pazienti con aumentati valori<br />

di enzimi epatici o con disturbi epatici pre-esistenti, o che hanno mostrato tossicità<br />

epatica come reazione ad altri farmaci. Se si prende la decisione di iniziare<br />

un trattamento a lungo termine è necessario controllare i valori degli enzimi<br />

epatici durante il trattamento. - L’uso a lungo termine (più lungo di 6 mesi<br />

o più lungo di 6 mesi cumulativi) non è raccomandato eccetto quando non vi<br />

siano alternative terapeutiche. - La biodisponibilità orale dell’itraconazolo risulta<br />

diminuita in alcuni pazienti con insufficienza renale. L’aggiustamento della<br />

dose può essere preso in considerazione. - Insufficienza epatica: itraconazolo<br />

viene prevalentemente metabolizzato nel fegato. L’emivita terminale dell’itraconazolo<br />

è piuttosto prolungata in pazienti che soffrono di cirrosi epatica. La biodisponibilità<br />

orale di itraconazolo è ridotta nei pazienti che soffrono di cirrosi<br />

epatica. Può essere necessario un aggiustamento della dose. - La biodisponibilità<br />

orale di itraconazolo può essere ridotta in alcuni pazienti immunocompromessi<br />

sottoposti a trattamento aggressivo con chemioterapici ed antibiotici. Per<br />

questi pazienti è pertanto raccomandato monitorare la concentrazione di itraconazolo<br />

nel plasma e se necessario aumentare la dose. - In uno studio con<br />

itraconazolo per via endovenosa in soggetti sani, si è osservata una temporanea<br />

sintomatica riduzione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro che<br />

scompariva prima della successiva infusione. La rilevanza clinica di questa osservazione<br />

per le formulazioni orali non è nota. - Itraconazolo sembra avere un<br />

effetto inotropo negativo ed è stato messo in relazione a segnalazioni di scompenso<br />

cardiaco. Itraconazolo non deve essere usato in pazienti con scompenso<br />

cardiaco o con una storia di scompenso cardiaco a meno che i benefici siano<br />

chiaramente superiori ai rischi. Durante questa valutazione individuale dei<br />

benefici e dei rischi, bisogna prendere in considerazione fattori quali la gravità<br />

dell’indicazione, il dosaggio e i fattori di rischio individuali per lo scompenso<br />

cardiaco. Questi fattori includono malattie cardiache quali malattie ischemiche<br />

e valvolari, importanti malattie polmonari, quali la pneumopatia cronica ostruttiva,<br />

l’insufficienza renale ed altre malattie edemigene. Questi pazienti devono<br />

essere informati sui sintomi dello scompenso cardiaco congestizio, devono essere<br />

trattati con cautela e sottoposti a controlli sui sintomi di scompenso cardiaco<br />

durante il loro trattamento; in caso che si manifestino tali sintomi durante<br />

il trattamento, la somministrazione di itraconazolo deve essere interrotta. -<br />

Bisogna avere cautela nel somministrare contemporaneamente itraconazolo e<br />

agenti calcio-antagonisti (vedere paragrafo 4.5). - Itraconazolo è un potente ini-


itore del CYP3A4. L’uso di itraconazolo in associazione a farmaci metabolizzati<br />

dal CYP3A4 può portare ad interazioni clinicamente rilevanti (vedere paragrafo<br />

4.5). L’uso concomitante di itraconazolo con alcaloidi della segale cornuta<br />

come l’ergotamina può portare a più elevati livelli di questi alcaloidi a causa<br />

dell’inibizione del CYP3A4 da parte dell’itraconazolo. Questo può portare a sintomi<br />

di ergotismo. - Non vi sono informazioni relative all’ipersensibilità crociata<br />

tra itraconazolo ed altri agenti antifungini azolici. Pertanto si deve usare cautela<br />

nel prescrivere itraconazolo a pazienti con ipersensibilità ad altri derivati<br />

azolici. - L’esperienza clinica sull’uso di itraconazolo capsule nei bambini è modesta.<br />

Pertanto itraconazolo 100 mg capsule non deve essere somministrato<br />

nei bambini eccetto nei casi dove gli effetti positivi attesi superano i potenziali<br />

rischi. - A causa del rischio di danni al feto, le donne in età fertile e che usano<br />

itraconazolo devono prendere adeguate misure anticoncezionali fino al primo<br />

periodo mestruale successivo alla fine del trattamento. - Se compare neuropatia<br />

che può essere attribuita ad itraconazolo, il trattamento deve essere interrotto.<br />

- Itraconazolo non deve essere usato entro 2 settimane dall’interruzione<br />

del trattamento di agenti che inducono il CYP3A4 (rifampicina, rifabutina, fenobarbital,<br />

fenitoina, carbamazepina, Erba di S. Giovanni). L’uso di itraconazolo<br />

con questi farmaci può portare a livelli plasmatici sub-terapeutici di itraconazolo<br />

e pertanto ad inefficacia. - Ceppi della specie di Candida resistenti al fluconazolo<br />

non possono essere ritenuti sensibili all’itraconazolo. Test di sensibilità<br />

devono essere condotti prima dell’inizio della terapia con itraconazolo. -<br />

Questo medicinale contiene saccarosio. I pazienti con rari problemi ereditari di<br />

intolleranza al fruttosio, malassorbimento di glucosio-galattosio o insufficienza<br />

della saccarasi-isomaltasi, non devono assumere questo medicinale. 4.5 Interazioni<br />

con altri medicinali ed altre forme di interazione. Effetti di altri prodotti<br />

medicinali sull’itraconazolo: Itraconazolo viene prevalentemente metabolizzato<br />

dal CYP3A4. Induttori del CYP3A4: Sono stati condotti studi di interazione<br />

con rifampicina, rifabutina e fenitoina che sono potenti induttori del CYP3A4.<br />

La biodisponibilità di itraconazolo e idrossi-itraconazolo è diminuita in misura<br />

tale che l’efficacia può essere considerata ridotta. Pertanto si raccomanda di<br />

non associare itraconazolo a questi potenti induttori enzimatici. Simili effetti devono<br />

essere previsti con altri induttori dell’enzima come carbamazepina, fenobarbital<br />

e isoniazide. Inoltre l’itraconazolo non deve essere somministrato entro<br />

2 settimane dall’interruzione del trattamento con qualunque medicinale induttore<br />

del CYP3A4. Inibitori del CYP3A4: Dal momento che itraconazolo è principalmente<br />

metabolizzato dal CYP3A4, potenti inibitori di questo enzima possono<br />

aumentare la biodisponibilità di itraconazolo. Esempi sono ritonavir, indinavir,<br />

saquinavir, sildenafil, tadalafil, alcuni agenti antineoplastici, sirolimo, claritromicina<br />

ed eritromicina. Per l’uso concomitante con sildenafil si raccomanda<br />

una riduzione della dose a 25 mg. Omeprazolo: Quando itraconazolo viene<br />

somministrato con omeprazolo (inibitore della pompa protonica), l’esposizione<br />

dell’itraconazolo viene ridotta del 65%. L’interazione è probabilmente dovuta al<br />

ridotto assorbimento, che è pH-dipendente. Altri inibitori della pompa protonica<br />

devono comportarsi in modo simile (vedere paragrafo 4.2 e paragrafo 4.4).<br />

Effetti dell’itraconazolo sul metabolismo di altri medicinali: Itraconazolo è un potente<br />

inibitore del CYP3A4 ed inibisce il metabolismo di farmaci che sono substrati<br />

di questo enzima. Itraconazolo è anche un potente inibitore della P-glicoproteina.<br />

La somministrazione concomitante di farmaci che sono substrati del<br />

CYP3A4 e/o P-glicoproteina può portare ad aumento e/o prolungamento del loro<br />

effetto ed a un aumentato rischio di effetti collaterali. Associazioni controindicate<br />

sono: Terfenadina, astemizolo, pimozide, cisapride, triazolam, midazolam<br />

per via orale, dofetilide, mizolastina e chinidina poiché la co-somministrazione<br />

può risultare in un aumento dei livelli plasmatici di queste sostanze che può<br />

portare a prolungamento del QTC ed in rare occasioni a torsade de pointes, inibitori<br />

della HMG-CoA reduttasi metabolizzati dal CYP3A4 come simvastatina,<br />

atorvastatina e lovastatina (vedere paragrafo 4.3). Per l’interazione con gli alcaloidi<br />

della segale cornuta vedere paragrafo 4.4. L’uso concomitante dei seguenti<br />

farmaci può richiedere aggiustamento della dose: Si deve usare cautela<br />

quando si somministra itraconazolo con altri substrati del CYP3A4. Devono<br />

essere monitorati i livelli plasmatici, gli effetti o gli effetti collaterali dei farmaci<br />

co-somministrati e può essere necessario un aggiustamento della dose. Si noti<br />

che l’elenco seguente non è completo e l’itraconazolo può interagire con altri<br />

farmaci metabolizzati dal CYP3A4. Calcio antagonisti metabolizzati dal CYP3A4<br />

(diidropiridine e verapamil). Anticoagulanti orali: Itraconazolo può potenziare l’effetto<br />

della warfarina. Si raccomanda di monitorare il tempo di protrombina se<br />

si usa questa associazione. Inibitori della HIV-proteasi come ritonavir, indinavir,<br />

saquinavir: Poiché gli inibitori della HIV-proteasi sono principalmente metabolizzati<br />

dal CYP3A4 ci si aspetta un aumento delle concentrazioni plasmatiche<br />

se usati in associazione. Agenti per il trattamento delle disfunzioni erettili come<br />

sildenafil, tadalafil: Itraconazolo può aumentare i livelli plasmatici di questi farmaci<br />

con la conseguenza di possibili effetti collaterali. Alcuni agenti antineoplastici<br />

come alcaloidi della vinca, busulfan, docetaxel e trimetressato: L’itraconazolo<br />

può inibire il metabolismo di questi farmaci. La clearance del busulfan è<br />

diminuita del 20% quando somministrato in associazione. Alcuni agenti immuno-soppressori:<br />

ciclosporina, tacrolimus, sirolimus: L’itraconazolo può aumentare<br />

i livelli plasmatici di questi farmaci con la conseguenza di possibili effetti<br />

collaterali. Le concentrazioni plasmatiche di ciclosporina, tacrolimus, sirolimus<br />

devono essere monitorate se usati assieme all’itraconazolo. Digossina: Itraconazolo<br />

è noto per inibire il P-gp. La concomitante somministrazione di digossina<br />

e itraconazolo ha portato ad aumentate concentrazioni plasmatiche di digossina<br />

con sintomi di tossicità alla digossina. Ciò suggerisce una diminuita clearance<br />

urinaria della digossina poiché l’itraconazolo può inibire l’azione della Pglicoproteina<br />

che trasporta la digossina dalle cellule del tubulo renale nelle urine.<br />

I livelli plasmatici della digossina devono essere attentamente monitorati<br />

durante la somministrazione concomitante con itraconazolo. Desametasone:<br />

l’itraconazolo riduce del 68% la clearance del desametasone somministrato endovena.<br />

Metilprednisone: l’itraconazolo inibisce il metabolismo del prednisone.<br />

È stato osservato un aumento di 4 volte dell’esposizione e di 2 volte dell’emivita.<br />

Vi è il rischio di effetti collaterali dello steroide, in particolare durante il trattamento<br />

a lungo termine, se la dose non è adeguata. Alprazolam: la somministrazione<br />

concomitante di itraconazolo ed alprazolam porta ad una riduzione del<br />

60% della clearance dell’alprazolam. Le aumentate concentrazioni plasmatiche<br />

possono potenziare e prolungare gli effetti ipnotici e sedativi. Buspirone: la somministrazione<br />

concomitante di itraconazolo e buspirone (dose orale singola) ha<br />

dato luogo ad un significativo aumento (19 volte) della biodisponibilità. L’aggiustamento<br />

della dose è necessario quando itraconazolo e buspirone vengono<br />

somministrati in associazione. Altri: Alfentanile, brotizolam, carbamazepina, cilostazolo,<br />

disopiramide, ebastina, eletriptan, alofantrina, midazolam e.v., reboxetina,<br />

repaglinide, rifabutina: resta da stabilire l’importanza degli aumenti di<br />

concentrazione e la loro rilevanza clinica di questi cambiamenti durante la cosomministrazione<br />

con itraconazolo. 4.6 Gravidanza ed allattamento. Gravidanza.<br />

Dati limitati sull’uso a breve termine durante la <strong>gravidanza</strong> non hanno<br />

finora rivelato effetti pericolosi. Non vi sono dati documentati sull’uso a lungo<br />

termine in <strong>gravidanza</strong>. In studi sugli animali itraconazolo è risultato dannoso (vedere<br />

paragrafo 5.3). Itraconazolo non deve essere usato in <strong>gravidanza</strong> a meno<br />

che sia chiaramente necessario. Allattamento. Itraconazolo è escreto nel latte<br />

materno. L’allattamento al seno non è raccomandato durante il trattamento con<br />

itraconazolo. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari.<br />

Non sono stati condotti studi sugli effetti di itraconazolo sulla capacità<br />

di guidare veicoli o di usare macchinari. Quando non si è alla guida di veicoli<br />

e si usano macchinari bisogna tener conto che in alcuni casi può manifestarsi<br />

la possibilità di vertigine. 4.8 Effetti indesiderati. In circa il 9% dei pazienti<br />

possono manifestarsi effetti indesiderati durante la somministrazione di itraconazolo.<br />

Nell’uso a lungo termine (circa 1 mese) l’incidenza degli effetti indesiderati<br />

è stata più alta (circa 15%). Gli effetti indesiderati maggiormente riportati<br />

sono stati di natura gastrointestinale, epatica e dermatologica. All’interno di<br />

ogni classe organica gli effetti indesiderati sono ordinati in base alla frequenza<br />

con cui si manifestano, rari (≤0,01%,


Non è noto un antidoto specifico. Itraconazolo non è rimosso con l’emodialisi.<br />

5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1 Proprietà farmacodinamiche. Categoria<br />

farmacoterapeutica: antimicotici per uso sistemico, derivati triazolici.<br />

Codice ATC: J02AC02. Proprietà generali: Itraconazolo è un composto triazolico<br />

sintetico con azione antimicotica contro dermatofiti, lieviti, Aspergillus ed altri<br />

miceti patogeni. Meccanismo d’azione. Itraconazolo inibisce la biosintesi dell’ergosterolo,<br />

il più importante sterolo della membrana cellulare di lieviti e miceti,<br />

a concentrazioni di solito tra 0,025 e 0,8 µg/ml. Questo causa cambiamenti<br />

della permeabilità e dei componenti lipidici della membrana. Microbiologia.<br />

I seguenti organismi sono considerati sensibili all’itraconazolo: Dermatofiti<br />

(Trichophyton spp., Microsporum spp., Epidermophyton floccosum), Lieviti (C.<br />

albicans e altra Candida spp., Pityrosporum ovale, Cryptococcus neoformans,<br />

C. glabrata) Aspergillus fumigatus ed altri Aspergillus spp., Miceti dimorfi: Sporothrix<br />

schenckii, Histoplasma spp., Paracoccidioides brasiliensis, Fonsecacea<br />

spp., Cladosporium spp., Blastomyces dermatitidis. Candida glabrata e Candida<br />

tropicalis sono generalmente le meno sensibili tra le specie di Candida, con<br />

ceppi isolati che mostrano resistenza in vitro all’itraconazolo. Le specie più importanti<br />

non inibite dall’itraconazolo sono: Zygomycetes (ad es. Rhizopus spp.,<br />

Rhizomucor spp., Mucor spp. e Absidia spp.), Fusarium spp., Scedosporium<br />

spp. e Scopulariopsis spp. La sensibilità in vitro è influenzata da: dimensione<br />

dell’inoculo, temperature di incubazione, fase di sviluppo del fungo ed in particolare<br />

dal terreno di cultura usato. Pertanto possono essere trovate considerevoli<br />

differenze nei valori di CMI. Altre informazioni. La resistenza agli azoli sembra<br />

svilupparsi lentamente e spesso è il risultato di numerose mutazioni genetiche.<br />

Sono stati riportati diversi meccanismi di resistenza. Un meccanismo riguarda<br />

una diminuita affinità della 14α-demetilasi per gli azoli. Questo può causare<br />

una sovraespressione o una mutazione puntiforme in ERG11, il gene che<br />

codifica la 14α-demetilasi. Più comunemente la resistenza agli azoli risulta da<br />

un’espressione micotica di un sistema di pompa ad efflusso. Non sembra che<br />

i miceti possano trasferire geni resistenti da un organismo ad un altro e spesso<br />

i casi isolati in clinica non sono correlati tra di loro. La resistenza micotica<br />

probabilmente non risulta da una riduzione su larga scala della sensibilità dei<br />

miceti come provato nel caso della resistenza batterica. Resistenza crociata tra<br />

antimicotici azolici è stata riportata in pazienti clinicamente resistenti al clotrimazolo.<br />

Finora aumenti molteplici della CMI dell’itraconazolo sono stati osservati<br />

solo in mutanti selezionati in laboratorio di Aspergillus fumigatus. 5.2 Proprietà<br />

farmacocinetiche. I livelli plasmatici variano fortemente tra individui,<br />

sia a dosi singole sia a dosi ripetute. Assorbimento. I livelli plasmatici massimi<br />

di sostanza attiva immodificata si raggiungono in 2-5 ore dopo l’assunzione. La<br />

biodisponibilità orale assoluta dell’itraconazolo è del 55%. La biodisponibilità<br />

massima dopo assunzione orale si ottiene se l’itraconazolo viene assunto direttamente<br />

dopo un pasto. Distribuzione. Il legame di itraconazolo con le proteine<br />

plasmatiche è del 99,8%. Nel sangue il 5% dell’itraconazolo è legato alle cellule<br />

ematiche, il 95% alle proteine plasmatiche e solo lo 0,2% è libero. La concentrazione<br />

di itraconazolo nel sangue intero è il 60% della concentrazione plasmatica.<br />

Non vi sono dati sul passaggio di itraconazolo nel latte umano. I livelli<br />

tissutali in tessuti contenenti cheratina, specialmente cute ed unghie, sono fino<br />

a 4 volte più elevati di quelli nel plasma. L’eliminazione dell’itraconazolo è in<br />

relazione alla rigenerazione dell’epidermide, per le unghie l’eliminazione è determinata<br />

dalla velocità di crescita. Pertanto livelli terapeutici continuano ad esistere<br />

nella cute per 2-4 settimane dopo un trattamento di poche settimane; per<br />

le unghie questo periodo è di 6-9 mesi. Itraconazolo viene escreto nella pelle<br />

attraverso le ghiandole sebacee ed in minor misura attraverso quelle sudoripare.<br />

Esso inoltre raggiunge la pelle attraverso i cheratinociti dello strato basale.<br />

Inoltre l’itraconazolo mostra buona penetrazione in altri tessuti che vengono attaccati<br />

da infezioni fungine. Concentrazioni di 2-3 volte quelle del plasma, sono<br />

state misurate in polmoni, reni, fegato, ossa, stomaco, milza e muscoli. Nel<br />

tessuto vaginale la concentrazione terapeutica permane per 2-3 giorni dopo 2<br />

somministrazioni di 2 capsule in un giorno. Dopo un trattamento di 3 giorni con<br />

2 capsule una volta al giorno, una concentrazione terapeutica continua ad essere<br />

presente nel tessuto vaginale per 2 giorni. Metabolismo. Itraconazolo è<br />

ampiamente metabolizzato nel fegato principalmente dall’isoenzima CYP3A4.<br />

Uno dei metaboliti è l’idrossi-itraconazolo che in vitro mostra un’azione antifungina<br />

paragonabile a quella di itraconazolo. I livelli determinati usando dosaggi<br />

biologici sono circa 3 volte più alti dei livelli di itraconazolo determinati con HPLC.<br />

Escrezione. L’emivita terminale dell’itraconazolo è di 17 ore dopo somministrazione<br />

singola ed aumenta a 34-42 ore dopo somministrazioni ripetute. La farmacocinetica<br />

dell’itraconazolo non è lineare, di conseguenza la sostanza attiva<br />

si accumula nel plasma dopo somministrazioni multiple. Le concentrazioni allo<br />

stato stazionario si raggiungono in 15 giorni con una C max che raggiunge 0,5<br />

µg/ml dopo 100 mg di itraconazolo una volta al giorno, 1,1 µg/ml dopo 200 mg<br />

una volta al giorno e 2,0 µg/ml dopo 200 mg due volte al giorno. Alla sospensione<br />

del trattamento le concentrazioni plasmatiche dell’itraconazolo scendono<br />

quasi sotto il limite di determinazione entro 7 giorni. A causa del meccanismo<br />

di saturazione durante la metabolizzazione epatica, la clearance dell’itraconazolo<br />

decresce ai dosaggi più elevati. Il 3-18% della dose assunta viene<br />

escreta con le feci come itraconazolo immodificato. Il contenuto di itraconazolo<br />

immodificato nelle urine è minore dello 0,03%. Nel fegato l’itraconazolo viene<br />

metabolizzato in un ampio numero di metaboliti che sono escreti con le feci<br />

e le urine. Circa il 40% di questo è escreto con le urine. 5.3 Dati preclinici<br />

di sicurezza. Studi di tossicità subacuta e cronica hanno mostrato effetti indesiderati<br />

su adrenali, fegato e ovaie di ratti femmina. Il metabolismo dei grassi è<br />

risultato alterato nei ratti. Studi non clinici non hanno indicato una capacità di<br />

indurre mutazioni genetiche. Effetti tossici clinicamente rilevanti sono comparsi<br />

a livelli plasmatici. La rilevanza clinica degli effetti osservati negli animali non<br />

è nota. In studi preclinici in ratti maschi, vi è stata una più elevata incidenza di<br />

sarcoma dei tessuti molli dopo 2 anni di trattamento. Il rischio potenziale per<br />

l’uomo è sconosciuto. Non vi è evidenza di influenza primaria sulla fertilità durante<br />

il trattamento con itraconazolo. Itraconazolo è risultato causare un aumento<br />

dose-dipendente della tossicità materna, embriotossicità e teratogenicità<br />

in ratti e topi a dosi elevate. Nei ratti la teratogenicità consiste in difetti scheletrici<br />

maggiori e nel topo in encefalocele e macroglossia.<br />

6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1 Elenco degli eccipienti. Contenuto<br />

della capsula: Sfere di zucchero (saccarosio/amido di mais), ipromellosa<br />

(E464), sorbitano stearato (E491), silice colloidale idrata (E551). Capsula: cappuccio/corpo:<br />

gelatina. Agenti coloranti: titanio biossido (E171), ossido di ferro<br />

rosso (E172). 6.2 Incompatibilità. Non pertinente. 6.3 Periodo di validità. 3<br />

anni. 6.4 Speciali precauzioni per la conservazione. Non conservare a temperatura<br />

superiore ai 30 °C. 6.5 Natura e contenuto del contenitore. Blister<br />

di PVC/PVDC/alluminio. Blister contenenti: 4, 6, 7, 8, 14, 15, 16, 18, 28, 30,<br />

50, 60, 84, 100, 140, 150, 280, 300, 500 capsule in strip. Non tutte le confezioni<br />

saranno commercializzate. 6.6 Istruzioni per l’impiego e la manipolazione.<br />

Nessuna istruzione particolare.<br />

7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. EG<br />

S.p.A. Via D. Scarlatti, 31 - 20124 Milano.<br />

8. NUMERI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO.<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 4 capsule AIC n. 037093.010/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 6 capsule AIC n. 037093.022/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 7 capsule AIC n. 037093.034/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 8 capsule AIC n. 037093.046/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 14 capsule AIC n. 037093.059/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 15 capsule AIC n. 037093.061/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 16 capsule AIC n. 037093.073/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 18 capsule AIC n. 037093.085/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 28 capsule AIC n. 037093.097/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 30 capsule AIC n. 037093.109/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 50 capsule AIC n. 037093.111/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 60 capsule AIC n. 037093.123/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 84 capsule AIC n. 037093.135/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 100 capsule AIC n. 037093.147/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 140 capsule AIC n. 037093.150/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 150 capsule AIC n. 037093.162/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 280 capsule AIC n. 037093.174/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 300 capsule AIC n. 037093.186/M<br />

Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 500 capsule AIC n. 037093.198/M<br />

9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVODELL’AUTORIZZAZIONE.<br />

20 Ottobre 2006<br />

10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. Ottobre 2006


N O<br />

G<br />

22<br />

MENOPAUSA<br />

PPer gestire in modo ottimale l’osteoporosi e le complicanze<br />

ad essa correlate, è necessario adottare una strategia d’intervento globale<br />

imperniata su interventi non farmacologici consigliabili a tutte le donne<br />

e approcci farmacologici modulabili in base all’età e al livello di rischio<br />

della singola paziente.<br />

Fino a quando non si verifica il<br />

primo evento fratturativo,<br />

l’osteoporosi è una patologia silente,<br />

ma, a partire da quel momento<br />

il rischio di successive fratture<br />

raddoppia a ogni nuovo<br />

evento comportando un notevole<br />

aumento della morbilità e della<br />

mortalità1 .<br />

L’obiettivo più importante delle<br />

strategie di prevenzione dovrebbe<br />

pertanto essere finalizzato a<br />

scongiurare la prima e le successive<br />

fratture e non al trattamento<br />

o al miglioramento di ciascun<br />

singolo fattore di rischio come,<br />

per esempio, la densità minerale<br />

ossea (BMD).<br />

Poiché l’osteoporosi colpisce una<br />

notevole parte della popolazione<br />

femminile in postmenopausa dovrebbe<br />

essere preso in considerazione<br />

un approccio su larga scala,<br />

possibile solamente usando<br />

strategie non farmacologiche come,<br />

per esempio, i cambiamenti<br />

revenzione e trattamento<br />

dell’osteoporosi<br />

di Alberto Bacchi Modena<br />

Dipartimento di Scienze Ginecologiche Ostetriche e di Neonatologia, Azienda Ospedaliero Universitaria - Parma<br />

dello stile di vita. Per contro, le<br />

strategie farmacologiche vanno<br />

riservate alle pazienti ad elevato<br />

rischio di frattura.<br />

Cambiamenti<br />

dello stile di vita<br />

• Fumo di tabacco: uno studio recente<br />

ha confermato che le<br />

donne fumatrici (anche pregresse)<br />

in postmenopausa presentano<br />

un aumentato rischio di<br />

fratture dell’anca 2 . È stato inoltre<br />

dimostrato che il fumo provoca<br />

una riduzione del BMD e<br />

della corticale dell’osso anche<br />

nei giovani maschi 3 .<br />

• Bevande alcoliche: l’abuso è associato<br />

a un aumento significativo<br />

di tutte le fratture su base<br />

osteoporotica 4 .<br />

• Farmaci: la perdita di osso è uno<br />

dei più importanti effetti colla-<br />

terali dei glucocorticoidi, anche<br />

se utilizzati a basse dosi; essa si<br />

manifesta rapidamente, raggiunge<br />

il massimo dopo 6 mesi<br />

di trattamento e risulta più<br />

accentuata a livello delle ossa<br />

con elevata componente trabecolare<br />

come, per esempio, le<br />

vertebre. Gli interventi farmacologici<br />

atti a prevenirla dovranno<br />

prendere in considerazione<br />

il dosaggio dei glucocorticoidi,<br />

la durata prevista del trattamento,<br />

l’età, il sesso e il BMD al momento<br />

dell’inizio della terapia 5 .<br />

Altri farmaci che possono compromettere<br />

la salute dell’osso<br />

sono i tranquillanti che incrementano<br />

il rischio di caduta e<br />

gli antidepressivi. In particolare,<br />

secondo uno studio recente<br />

le pazienti in trattamento con<br />

inibitori del re-uptake della serotonina<br />

vanno incontro a un<br />

aumento della perdita di massa<br />

ossea a livello dell’anca e


quindi del rischio di frattura 6 ;<br />

questi effetti non sono presenti<br />

quando si utilizzano gli antidepressivi<br />

triciclici.<br />

• Sedentarietà: favorisce l’attività<br />

osteoclastica, mentre l’esercizio<br />

fisico stimola l’attività<br />

osteoblastica; di conseguenza,<br />

tutte le donne che entrano in<br />

menopausa dovrebbero essere<br />

stimolate a camminare tutti i<br />

giorni ed eventualmente praticare<br />

un’attività fisica regolare 7 .<br />

• Altri fattori di rischio: le pazienti<br />

in postmenopausa devono essere<br />

incoraggiate ad adottare<br />

tutte le strategie in grado di minimizzare<br />

il rischio di cadute<br />

(calzature adeguate, correzione<br />

di eventuali difetti del visus<br />

o di patologie dell’orecchio, eliminazione<br />

di eventuali barriere<br />

architettoniche e di pavimentazioni<br />

scivolose, buona illuminazione<br />

ambientale ecc.).<br />

Dieta<br />

e supplementazione<br />

I benefici effetti di una dieta ricca<br />

di potassio e bicarbonati sono<br />

noti da tempo: anche se non sono<br />

disponibili dati derivanti da trial<br />

randomizzati e controllati in grado<br />

di supportare queste raccomandazioni,<br />

le donne in postmenopausa<br />

dovrebbero essere stimolate<br />

a consumare una dieta ric-<br />

ca di frutta e vegetali e povera di<br />

grassi 8 . Si dovrebbe, inoltre, prendere<br />

in considerazione una supplementazione<br />

proteica, specie<br />

dopo una frattura: infatti, secondo<br />

uno studio recente condotto<br />

su donne anziane e magre affette<br />

da frattura dell’anca, essa è in<br />

grado di aumentare il BMD 9 .<br />

Ruolo<br />

della supplementazione<br />

di calcio…<br />

Le donne in postmenopausa dovrebbero<br />

assumere almeno 1.200<br />

mg/die di calcio elementare 10 attingendoli<br />

dalla miglior sorgente<br />

alimentare, ossia dai prodotti caseari.<br />

Una metanalisi condotta su<br />

17 studi che avevano come endpoint<br />

il numero delle fratture, ha<br />

dimostrato che la supplementazione<br />

a base di calcio in una popolazione<br />

di età superiore ai 50<br />

anni è in grado di ridurre del 12%<br />

il numero delle fratture; queste<br />

ultime sono diminuite addirittura<br />

del 24% nei soggetti che presentavano<br />

un’aderenza al trattamento<br />

dell’80%.<br />

Ciononostante, in accordo con<br />

quanto stabilito in una recente<br />

consensus europea 11 , la supplementazione<br />

routinaria di calcio<br />

nella popolazione generale non<br />

può essere giustificata come strategia<br />

globale in termini di efficacia<br />

e di economia sanitaria.<br />

Esiste tuttavia un razionale per<br />

una supplementazione riservata<br />

ai pazienti con aumentato rischio<br />

di osteoporosi e a quelli osteoporotici,<br />

anche se già in trattamento<br />

con altri farmaci per l’osteoporosi.<br />

La supplementazione (500-<br />

1.000 mg di calcio elementare)<br />

dipende dalla quantità di calcio<br />

che ciascun individuo introduce<br />

giornalmente con la dieta.<br />

MENOPAUSA<br />

Anche se non sono disponibili test<br />

ematici in grado di valutare l’insufficienza<br />

calcica, bassi livelli di<br />

secrezione urinaria di calcio nelle<br />

24 ore, potrebbero essere indicativi<br />

di un ridotto apporto di calcio<br />

con la dieta.<br />

L’apporto dietetico di una quota<br />

di calcio elementare inferiore a<br />

1.500 mg al giorno non promuove<br />

la formazione di calcoli renali.<br />

… e di vitamina D<br />

Il ruolo della vitamina D sull’omeostasi<br />

dell’osso è stato recentemente<br />

ridefinito 12 . È noto da tempo<br />

che essa è essenziale per l’assorbimento<br />

del calcio e la dose giornaliera<br />

raccomandata era stata<br />

stabilita in 400 UI. I suoi livelli sono<br />

valutabili direttamente misurando<br />

la concentrazione ematica<br />

di 25-idrossi-vitamina D e indirettamente<br />

valutando la correlazione<br />

inversa con i livelli di PTH. Basandosi<br />

sulle evidenze disponibili,<br />

gli esperti hanno stabilito che i<br />

livelli di 25-idrossi-vitamina D devono<br />

risultare intorno a 75 nmol/L<br />

(30 ng/mL) per far rientrare il paziente<br />

in un range a basso rischio<br />

di frattura. Per raggiungere questo<br />

obiettivo, la dose giornaliera<br />

di vitamina D3 per gli anziani è<br />

stata portata a 800-1.000 UI 13 .<br />

Se questo target non viene raggiunto<br />

circa il 60% degli anziani<br />

presenta livelli di vitamina D inadeguati<br />

e ciò sembra anche legato<br />

all’incapacità della cute e del<br />

rene di produrre la forma attiva<br />

della vitamina nei soggetti in questa<br />

fascia di età. La supplementazione<br />

è pertanto l’unica opzione<br />

possibile dato che sembra impossibile<br />

correggere il deficit con le<br />

normali misure alimentari. È stato<br />

inoltre dimostrato che la supplementazione<br />

con vitamina D è<br />

N O<br />

G<br />

23


MENOPAUSA<br />

N O<br />

G in grado di ridurre, come fattore<br />

indipendente, il rischio di caduta<br />

nei pazienti anziani 14 . Infine, l’impiego<br />

di questa vitamina è oggetto<br />

di un’attenta valutazione per<br />

altri possibili effetti benefici, come<br />

la riduzione della carcinogenesi<br />

e della mortalità totale 15 .<br />

24<br />

Valutazione<br />

del rischio di frattura<br />

• Età avanzata: il rischio di fratture<br />

osteoporotiche di qualsiasi<br />

tipo subisce un incremento<br />

con l’aumentare dell’età; per<br />

esempio, un T-score di -2,5 in<br />

una paziente di 75 anni implica<br />

un rischio di frattura notevolmente<br />

maggiore se paragonato<br />

allo stesso T-score a 50<br />

anni.<br />

• Sesso: le donne presentano un<br />

rischio superiore a quello dei<br />

maschi.<br />

• Basso indice di massa corporea:<br />

un BMI inferiore a 21 kg/mq si<br />

associa a un basso BMD e a un<br />

aumentato rischio di frattura e<br />

può essere indicativo di carenze<br />

alimentari 16 .<br />

• Presenza di una frattura o<br />

anamnesi positiva per frattura<br />

dopo i 50 anni di età 17 : ogni<br />

frattura vertebrale raddoppia il<br />

rischio di una successiva frattura.<br />

Quest’ultimo è pari al<br />

20% nel primo anno successivo<br />

a una frattura vertebrale e<br />

aumenta in presenza di fratture<br />

multiple. Le fratture vertebrali<br />

possono essere asintomatiche<br />

ed evidenziabili solo attraverso<br />

una radiografia laterale<br />

della colonna vertebrale 18 .<br />

Per la valutazione dei corpi vertebrali<br />

può essere impiegato il<br />

metodo semiquantitativo di Ge-<br />

nant che richiede un abbassamento<br />

del 20% della loro altezza<br />

19 .<br />

• Anamnesi familiare di fratture<br />

dell’anca 20 : il rischio di frattura<br />

aumenta in presenza di<br />

un’anamnesi positiva per frattura<br />

dell’anca sia nella madre<br />

che nel padre.<br />

• Uso di sostanze nocive per la<br />

salute dell’osso: come già accennato,<br />

il fumo 21 , il consumo<br />

elevato di alcolici 4 e una terapia<br />

con glucocorticoidi della durata<br />

superiore a 3 mesi a una<br />

dose di prednisone di 5 mg/die<br />

o superiore 22 , aumentano il rischio<br />

di frattura.<br />

• Presenza di condizioni patologiche<br />

associate all’osteoporosi:<br />

artrite reumatoide, iperparatiroidismo,<br />

deficit di vitamina D,<br />

diabete mellito di tipo 1, osteogenesi<br />

imperfetta negli adulti,<br />

ipertiroidismo non trattato per<br />

lungo tempo, ipogonadismo,<br />

menopausa prematura, malnutrizione<br />

cronica, sindromi da<br />

malassorbimento (soprattutto<br />

morbo celiaco), malattie epatiche<br />

croniche, malattia di Cushing.<br />

• Densitometria ossea mediante<br />

DEXA: è una metodica non invasiva,<br />

ripetibile, affidabile e validata<br />

che fornisce un ottimo indice<br />

del rischio di frattura nella<br />

popolazione non trattata,<br />

senza fratture 23 . Esiste una forte<br />

correlazione continua tra il<br />

BMD e le fratture osteoporotiche,<br />

con un aumento del rischio<br />

che può variare da 1,5 a 2,6 volte<br />

per ogni riduzione della deviazione<br />

standard in funzione<br />

del sito in cui si effettua la misurazione<br />

e in cui si è verificata<br />

la frattura 24 .<br />

La diagnosi di osteoporosi, stabilita<br />

nel 1994 dalla WHO, richiede<br />

una BMD inferiore di 2,5 deviazioni<br />

standard rispetto al valore<br />

del picco di massa ossea in<br />

una popolazione di giovani donne<br />

caucasiche (T-score -2,5) 25 .<br />

Anche se questa definizione è<br />

utile dal punto di vista epidemiologico,<br />

non sembra altrettanto<br />

valida sotto il profilo della<br />

decisione clinica, in quanto<br />

basata su un singolo fattore di<br />

rischio.<br />

Si è infatti visto che nell’82%<br />

delle donne in postmenopausa<br />

con frattura il T-score è migliore<br />

di -2,5 26 . La valutazione routinaria<br />

con la DEXA è consigliata<br />

a tutte le donne in post-menopausa<br />

considerate a rischio<br />

di frattura e a tutte le donne di<br />

età superiore a 65 anni.<br />

• Etnia: la popolazione di origine<br />

afro-caraibica ha, solitamente,<br />

una densità minerale ossea superiore<br />

a quella della popolazione<br />

caucasica.


Soglia d’intervento<br />

farmacologico<br />

Le indicazioni assolute al trattamento<br />

sono le seguenti:<br />

• BMD a livello della colonna con<br />

T-score inferiore o uguale a -2,5<br />

a L1-L4;<br />

• BMD a livello dell’anca con Tscore<br />

inferiore o uguale a -2,5<br />

al collo del femore;<br />

• presenza di fratture da fragilità<br />

indipendentemente dal BMD.<br />

Il trattamento deve comunque essere<br />

deciso soprattutto su base<br />

clinica (tabella 1) e dovrebbe essere<br />

imperniato sulla valutazione<br />

del rischio di frattura a 10 anni.<br />

La National Osteoporosis Foundation<br />

raccomanda di sottoporre a<br />

trattamento tutte le donne osteopeniche<br />

in postmenopausa con<br />

un rischio di frattura dell’anca a<br />

10 anni uguale o superiore al 3%.<br />

Terapia<br />

estroprogestinica<br />

L’accelerazione della perdita d’osso<br />

che si osserva all’inizio della<br />

menopausa è direttamente correlata<br />

alla caduta degli estrogeni che<br />

esplicano un’attività anti-riassorbimento<br />

attraverso l’inibizione dell’attività<br />

cellulare degli osteocla-<br />

Tabella 1 Farmaci disponibili per la prevenzione delle fratture<br />

■ Elevati livelli serici di calcio potrebbero far sospettare un iperparatiroidismo.<br />

■ Elevati livelli di PTH devono far sospettare la presenza di iperparatiroidismo.<br />

■ Bassi livelli di 25-idrossi-vitamina-D sono indicativi di un deficit di vitamina D.<br />

■ Bassi livelli di calcio nelle urine delle 24 ore possono essere indicativi<br />

di uno scarso apporto o di un cattivo assorbimento di calcio.<br />

■ I valori dell’emocromo possono essere indicativi dello stato nutrizionale.<br />

■ Elevati livelli di fosfatasi alcalina devono far sospettare un morbo di Paget.<br />

■ La funzione renale deve essere valutata prima di decidere un trattamento.<br />

■ Semplici esami bioumorali possono rivelare la presenza di celiachia.<br />

■ I marker biochimici del rimodellamento osseo hanno un ruolo limitato<br />

nella routine clinica.<br />

MENOPAUSA<br />

Tabella 2 Farmaci disponibili per la prevenzione delle fratture<br />

Anti-riassorbimento (attività anti-osteoclastica)<br />

■ Terapia estroprogestinica<br />

■ SERM<br />

■ Bisfosfonati<br />

Stimolanti la formazione di osso<br />

■ Teriparatide (PTH 1-34)<br />

Ad attività mista<br />

■ Ranelato di stronzio<br />

■ Una radiografia latero-laterale delle vertebre toraciche e lombari è importante<br />

per escludere fratture vertebrali secondarie a neoplasie.<br />

sti, favorendone l’apoptosi; essi,<br />

inoltre, svolgono un effetto positivo<br />

sul bilancio del calcio.<br />

È ormai assodato da diversi anni<br />

che la terapia ormonale sostitutiva<br />

(TOS) è in grado di prevenire la<br />

perdita ossea associata alla menopausa<br />

e di far aumentare il<br />

BMD nelle pazienti osteoporotiche.<br />

Lo studio Women’s Health<br />

Iniziative (WHI) ha evidenziato che<br />

la TOS e la terapia con<br />

soli estrogeni riducono il<br />

rischio di fratture osteoporosi-correlate<br />

27,28 . Il livello<br />

di rischio è molto<br />

basso subito dopo la menopausa,<br />

mentre au-<br />

mentaconsiderevolmente in età avanzata. Pertanto,<br />

dato che il beneficio<br />

della TOS è presente<br />

solo in corso di trattamento,<br />

sarebbe necessario<br />

proseguire la terapia<br />

per un lungo periodo<br />

di tempo. Tuttavia, è<br />

anche necessario considerare<br />

che il rischio di tumore<br />

della mammella<br />

s’incrementa con l’aumentare<br />

della durata del<br />

trattamento e che anche<br />

il rischio cardiovascolare<br />

diventa apprezzabile nelle<br />

donne più avanti con<br />

N O<br />

G<br />

25


N O<br />

G<br />

26<br />

MENOPAUSA<br />

gli anni. Di conseguenza, le autorità<br />

sanitarie europee hanno deciso<br />

di sconsigliare la TOS come<br />

terapia di prima scelta per il trattamento<br />

dell’osteoporosi.<br />

Lo studio WHI, anche se in gran<br />

parte soggetto a critiche, spesso<br />

giuste, ha documentato i seguenti<br />

aspetti.<br />

• Aumento del rischio tromboembolico:<br />

18 casi in più ogni<br />

10.000 donne trattate per anno;<br />

il livello di rischio aumenta<br />

con l’aumentare dell’età ed è<br />

massimo nel primo anno di trattamento.<br />

I fattori di rischio comprendono<br />

un precedente episodio<br />

di trombosi venosa profonda<br />

(TVP) o una storia familiare<br />

positiva per TVP. Teoricamente,<br />

l’aumento del rischio di<br />

TVP potrebbe essere notevolmente<br />

ridotto utilizzando, per<br />

la TOS, le formulazioni per via<br />

trasdermica.<br />

• Aumento del rischio di ictus cerebrale:<br />

circa 8-12 eventi per<br />

10.000 donne per anno; il rischio<br />

permane anche dopo il<br />

primo anno d’impiego della<br />

TOS.<br />

• Aumento del rischio di tumore<br />

della mammella: dopo 5 anni<br />

di assunzione della TOS; que-<br />

sto effetto aumenta con la durata<br />

del trattamento e diminuisce<br />

rapidamente dopo la sospensione<br />

della terapia.<br />

Pertanto, il ricorso a questa strategia<br />

farmacologica nell’osteoporosi<br />

deve essere rivalutato alla luce<br />

delle nuove analisi di sottogruppi<br />

che indicano una finestra di opportunità<br />

per l’uso della TOS. In<br />

particolare, iniziare il trattamento<br />

prima dei 60 anni implica rischi<br />

molto bassi e può anche offrire<br />

una protezione cardiovascolare 29 .<br />

L’opinione di molti esperti, attualmente,<br />

suggerisce che la TOS ai<br />

più bassi dosaggi efficaci può essere<br />

impiegata nei soggetti più<br />

giovani a rischio di frattura 30 che<br />

magari presentano anche disturbi<br />

vasomotori e che potrebbero<br />

sostituire la TOS con altri preparati<br />

dopo i 60 anni.<br />

SERMs<br />

(Selective Estrogens<br />

Receptors Modulators)<br />

L’unico SERM attualmente disponibile<br />

per la protezione nei confronti<br />

delle fratture è il raloxifene<br />

alla dose orale giornaliera di 60<br />

mg, ma sono in avanzata fase di<br />

sviluppo altri principi attivi (lasofoxifene;<br />

bazedoxifene e arzoxifene).<br />

Questo gruppo complesso<br />

di molecole sintetiche mima gli<br />

effetti benefici degli estrogeni sull’osso<br />

e sull’assetto lipidico senza<br />

però stimolare i recettori estrogenici<br />

a livello della mammella e dell’endometrio.<br />

Un importante studio<br />

randomizzato 31 e una recente<br />

metanalisi 32 hanno dimostrato<br />

che il raloxifene è in grado di ridurre<br />

del 34-51% il rischio di fratture<br />

vertebrali nonostante un modesto<br />

aumento del BMD. Non è<br />

stato, purtroppo, evidenziato alcun<br />

effetto positivo sul numero di<br />

fratture non vertebrali (comprese<br />

quelle dell’anca). Il raloxifene, inoltre,<br />

riduce del 76% il rischio di<br />

cancro invasivo della mammella<br />

con recettori estrogenici positivi 33 .<br />

Un recente studio controllato e<br />

randomizzato ha evidenziato che<br />

il raloxifene ha la stessa efficacia<br />

del tamoxifene nella prevenzione<br />

del cancro della mammella nelle<br />

pazienti non osteoporotiche 34 .<br />

Contrariamente agli estrogeni, il<br />

raloxifene non è efficace sui sintomi<br />

vasomotori, anzi può favorirne<br />

la comparsa. Il RUTH trial ha<br />

dimostrato che il raloxifene non<br />

ha effetto protettivo nei confronti<br />

della patologia coronarica in pazienti<br />

ad alto rischio 35 . In questo<br />

studio le pazienti trattate con raloxifene<br />

avevano un maggior rischio<br />

di sviluppare eventi tromboembolici<br />

(HR 1,44) e di mortalità<br />

per ictus (HR 1,49).<br />

Bisfosfonati<br />

Sono un gruppo di molecole che<br />

mostrano una struttura bisfosfonata<br />

comune (P-C-P) con catene


laterali diverse. La prerogativa di<br />

questi principi attivi è quella di<br />

inibire l’attività degli osteoclasti<br />

bloccando la via dell’acido mevalonico.<br />

Per la terapia dell’osteoporosi menopausale<br />

solitamente si usano le<br />

seguenti preparazioni:<br />

• etidronato, 400 mg/die per via<br />

orale seguito da calcio carbonato<br />

per 76 giorni (cicli di 90<br />

giorni ripetuti); riduzione del rischio<br />

di fratture vertebrali del<br />

41-47% 36 ;<br />

• alendronato, 70 mg/settimanali<br />

o 10 mg/die per via orale riducono<br />

l’incidenza di fratture<br />

vertebrali, dell’anca e del polso<br />

di circa il 50% 37 ;<br />

• risedronato, 35 mg/settimanali<br />

o 5 mg/die per via orale riducono<br />

l’incidenza di fratture vertebrali<br />

del 41-49% e di fratture<br />

non vertebrali del 36% 38 ;<br />

• ibandronato, 2,5 mg/die o 150<br />

mg una volta al mese per via<br />

orale oppure 3 mg ogni 3 mesi<br />

per via venosa riducono il rischio<br />

di fratture vertebrali di circa<br />

il 50% 39 ;<br />

• zoledronato, 5 mg per via venosa<br />

una volta all’anno riducono<br />

il rischio di fratture vertebrali<br />

del 70%, delle fratture dell’anca<br />

del 41% e delle fratture<br />

periferiche del 25% 40 .<br />

I bisfosfonati assunti per via orale<br />

vengono assorbiti solo in piccola<br />

parte (meno del 1%) e dovrebbero<br />

essere assunti a digiuno<br />

con un bicchiere di acqua. Il paziente<br />

dovrebbe rimanere in piedi<br />

o seduto e a digiuno per 30 minuti<br />

dopo l’assunzione, al fine di<br />

evitare gli effetti collaterali o un<br />

ridotto assorbimento del farmaco.<br />

L’assunzione settimanale o<br />

mensile riduce la possibilità che si<br />

verifichino effetti collaterali a carico<br />

dell’apparato gastrointestina-<br />

le e può migliorare l’aderenza al<br />

trattamento. La somministrazione<br />

endovena elimina gli effetti collaterali<br />

gastrointestinali e aumenta<br />

l’aderenza al trattamento, ma<br />

può determinare la comparsa di<br />

una sindrome simil-influenzale,<br />

della durata di pochi giorni, subito<br />

dopo l’infusione.<br />

Il livello di soppressione del turnover<br />

osseo varia a seconda delle<br />

molecole impiegate, tuttavia tale<br />

effetto dura per diverso tempo<br />

anche dopo la sospensione della<br />

terapia. I bisfosfonati si legano saldamente<br />

alla idrossiapatite sulla<br />

superficie dell’osso e vengono qui<br />

trattenut per un periodo di tempo<br />

molto lungo. Per questo motivo,<br />

potrebbe verificarsi un’eccessiva<br />

soppressione del turnover osseo<br />

con un possibile aumento del<br />

rischio di frattura 41,42 . Recentemente<br />

si è parlato di un’osteonecrosi<br />

della mascella come di una possibile<br />

complicanza correlata all’eccessiva<br />

soppressione del turnover<br />

osseo da parte dei bisfosfonati 43 .<br />

Negli ultimi due anni sono stati riportati<br />

casi di gravi episodi di fibrillazione<br />

atriale in soggetti trattati<br />

con bisfosfonati 44,45 .<br />

Ma un’analisi della FDA su 19.687<br />

soggetti in trattamento con questi<br />

farmaci e su 18.358 soggetti<br />

trattati con placebo non ha evi-<br />

MENOPAUSA<br />

denziato una chiara associazione<br />

tra l’uso di bisfosfonati e l’aritmia<br />

cardiaca. Un trial molto importante<br />

rivisto dall’FDA ha messo in evidenza<br />

un significativo incremento<br />

di fibrillazioni atriali gravi e l’impiego<br />

di zoledronato: tale correlazione<br />

viene evidenziata sulla<br />

scheda tecnica che accompagna<br />

il farmaco.<br />

Nonostante questi dati conflittuali,<br />

nel novembre 2008 la FDA ha<br />

stabilito che i medici non devono<br />

cambiare le loro abitudini sulla<br />

prescrizione dei bisfosfonati e che<br />

i pazienti non devono sospendere<br />

il trattamento.<br />

Questi farmaci non dovrebbero<br />

essere prescritti nei soggetti con<br />

esofago di Barrett per l’aumentato<br />

rischio di carcinoma esofageo.<br />

Data la notevole lunghezza dell’emivita,<br />

i bisfosfonati dovrebbero<br />

essere usati con estrema attenzione<br />

nelle pazienti con insufficienza<br />

ovarica prematura.<br />

Teriparatide (PTH 1-34)<br />

Si tratta dell’ormone paratiroideo<br />

ricombinante, dotato di una potente<br />

attività anabolica sull’osso.<br />

Si somministra quotidianamente<br />

per via sottocutanea alla dose di<br />

N O<br />

G<br />

27


MENOPAUSA<br />

N O<br />

G 20 µg. Favorisce la formazione di<br />

nuovo osso sia a livello corticale<br />

che a livello trabecolare stimolando<br />

l’attività osteoblastica. È in grado<br />

di ridurre del 65% le fratture<br />

vertebrali e del 53% quelle non<br />

vertebrali 46 .<br />

Gli effetti collaterali sono generalmente<br />

di scarsa entità (ipercalcemia,<br />

iperuricemia, crampi, nausea,<br />

cefalea). Le preoccupazioni<br />

legate alla comparsa di osteosarcoma<br />

negli animali di laboratorio,<br />

non sono state confermate nell’uomo.<br />

Il suo impiego è comunque<br />

controindicato nella malattia<br />

di Paget, nei pazienti irradiati a livello<br />

scheletrico e in quelli con elevati<br />

livelli di fosfatasi alcalina non<br />

spiegati. L’effetto anabolico risulta<br />

essere ridotto nei pazienti precedentemente<br />

trattati con bisfosfonati.<br />

L’uso di questo farmaco<br />

è limitato dai costi estremamente<br />

elevati.<br />

28<br />

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Questo farmaco possiede una<br />

doppia azione che è una sua caratteristica<br />

peculiare. In base ai<br />

dati derivanti da studi sui marcatori<br />

dell’osso, lo stronzio ranelato<br />

sembra agire sia sull’inibizione<br />

dell’attività osteoclastica, sia favorendo<br />

l’attività osteoblastica.<br />

Questa attività viene mediata attraverso<br />

il sistema RANK e sui recettori<br />

del calcio 47 .<br />

Due importanti trial randomizzati<br />

e controllati (SOTI e TROPOS) 48,49<br />

hanno fornito risultati molto importanti.<br />

Il trattamento con ranelato<br />

di stronzio provoca un significativo<br />

aumento del BMD e una<br />

riduzione delle fratture vertebrali<br />

del 41%. Biopsie ossee dopo 5<br />

anni di terapia hanno confermato<br />

gli effetti positivi del trattamento<br />

sulla microarchitettura tridimensionale<br />

dell’osso 50 .<br />

Monitoraggio<br />

della terapia<br />

Il monitoraggio della terapia mediante<br />

la valutazione seriata del<br />

BMD presenta diverse insidie come<br />

quelle legate alla precisione<br />

degli operatori e degli strumenti<br />

di misura. Per avere significato dovrebbero<br />

verificarsi cambiamenti<br />

di almeno il 3,8% a livello dell’anca<br />

e del 2,4% a livello della colonna<br />

vertebrale. Le misurazioni<br />

dovrebbero essere effettuate a distanza<br />

di almeno due anni. Il<br />

BMD, inoltre, non tiene conto dell’effetto<br />

della terapia sullo spessore<br />

della corticale, sulla porosità<br />

e sulla connettività trabecolare<br />

dell’osso. Attualmente, la valutazione<br />

delle fratture vertebrali mediante<br />

la DEXA rimane il miglior<br />

modo per monitorare gli effetti<br />

della terapia.<br />

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N O<br />

G<br />

29


N O<br />

G<br />

30<br />

CLINICA QUOTIDIANA<br />

nquadramento diagnostico<br />

e terapeutico dell’insulino-<br />

resistenza in <strong>gravidanza</strong><br />

IUna situazione a rischio che può sfociare in un diabete gestazionale (DMG),<br />

ma anche favorire la comparsa di ipertesione materna o di preeclampsia.<br />

In presenza di insulino-resistenza occorre pertanto attivare un monitoraggio<br />

particolarmente attento, mentre sul fronte della terapia del DMG sembrano<br />

profilarsi buone prospettive per gli ipoglicemizzanti orali.<br />

insulina svolge una funzione<br />

L’ fondamentale nella fisiologia<br />

umana attraverso la regolazione<br />

del metabolismo dei carboidrati,<br />

dei lipidi e delle proteine a livello<br />

epatico, muscolare e del tessuto<br />

adiposo. Il suo ruolo non si limita<br />

alla stimolazione del trasporto del<br />

glucosio e all’inibizione della lipolisi<br />

poiché essa ha un’importante<br />

influenza sulla funzione endoteliale<br />

e sulla regolazione dell’espressione<br />

genica. L’insulino-resistenza<br />

(IR), definita come una ridotta risposta<br />

biologica all’insulina, in particolare<br />

a livello dell’omeostasi glicemica,<br />

rappresenta una caratteristica<br />

fondamentale della <strong>gravidanza</strong>:<br />

durante la gestazione si assiste,<br />

infatti, a un progressivo aumento<br />

della resistenza periferica<br />

all’azione dell’insulina che raggiunge<br />

il suo massimo nel terzo<br />

trimestre e scompare rapidamente<br />

dopo il parto; tutto questo è il<br />

risultato, soprattutto, dell’attività<br />

di Giorgio Mello, Serena Ottanelli<br />

Dipartimento di Ginecologia, Perinatologia e Riproduzione Umana, Università di Firenze<br />

controinsulare di alcuni ormoni e<br />

citochine di origine placentare, ma<br />

anche dell’aumento del tessuto<br />

adiposo materno. Tale modificazione<br />

metabolica permette di ottimizzare<br />

il passaggio transplacentare<br />

dei nutrienti durante l’assunzione<br />

di cibo e, allo stesso tempo,<br />

accentua le capacità materne di<br />

utilizzare le proprie riserve di grassi<br />

come fonte di energia durante<br />

il digiuno 1 .<br />

Le alterazioni di questa fisiologica<br />

IR sono coinvolte in importanti<br />

complicanze ostetriche. È ormai<br />

ben chiaro come un’eccessiva IR,<br />

insieme a una risposta β-cellulare<br />

inadeguata, rappresentino il meccanismo<br />

fisiopatologico alla base<br />

dello sviluppo del diabete mellito<br />

gestazionale (DMG); negli ultimi<br />

anni, inoltre, l’iperinsulinemia materna<br />

è stata proposta come possibile<br />

fattore patogenetico nello<br />

sviluppo dell’ipertensione gestazionale<br />

e della preeclampsia.<br />

Valutazione della IR<br />

in <strong>gravidanza</strong>:<br />

quale metodica?<br />

La sensibilità insulinica (IS) rappresenta<br />

la capacità dell’ormone di<br />

ridurre i livelli di glucosio ematico,<br />

sia stimolandone la captazione<br />

da parte dei tessuti periferici,<br />

sia sopprimendone la produzione<br />

a livello epatico. La disponibilità<br />

di metodi sensibili e riproducibili<br />

per studiare le variazioni dell’IS è<br />

fondamentale per capire le modificazioni<br />

fisiologiche e patologiche<br />

che si verificano durante il corso<br />

della <strong>gravidanza</strong>.<br />

Il metodo considerato il gold standard<br />

per quantificare la IS in vivo<br />

è il clamp euglicemico iperinsulinemico.<br />

Il principio del test è quello<br />

di mantenere la glicemia costante<br />

infondendo glucosio a velocità<br />

controllata durante la contemporanea<br />

infusione di insulina


a una dose fissa a livelli soprabasali<br />

2 . Per la sua complessità di esecuzione<br />

e il suo alto costo, questa<br />

metodica non è facilmente applicabile<br />

per studi su larga scala.<br />

Sono stati così elaborati test surrogati<br />

che consentono di valutare<br />

in modo semplice la sensibilità<br />

e la secrezione insulinica in un largo<br />

numero di soggetti o in particolari<br />

condizioni quali la <strong>gravidanza</strong>.<br />

Un valido metodo alternativo<br />

è la tecnica del minimal model,<br />

che utilizza un modello matematico<br />

per analizzare i valori di glucosio<br />

e insulina ottenuti durante<br />

un IVGTT (Intravenous Glucose<br />

Tolerance Test) 3 . Anche se tecnicamente<br />

meno complesso del<br />

clamp, anche il minimal model<br />

non risulta ideale per studi su larga<br />

scala, in quanto comporta una<br />

lunga procedura e richiede prelievi<br />

ematici ravvicinati.<br />

Si è cercato quindi di sviluppare e<br />

validare metodi sempre più semplici<br />

e meno invasivi. Da questa<br />

necessità è nato, circa venti anni<br />

fa, l’Homeostasis Model Assessment,<br />

un modello matematico<br />

che rappresenta la relazione non<br />

lineare tra le concentrazioni di insulina<br />

e di glucosio a digiuno.<br />

L’equazione utilizzata da Matthews<br />

per stimare la resistenza insulinica<br />

è la seguente: IS HOMA =<br />

(FPI x FPG)/22,5 dove FPI e FPG<br />

rappresentano, rispettivamente,<br />

l’insulinemia e la glicemia a digiuno.<br />

Correlazioni significative tra<br />

IS HOMA e i risultati del clamp sono<br />

state ottenute sia in pazienti<br />

con diabete di tipo 2 che nell’intero<br />

range della sensibilità insulinica,<br />

suggerendo che l’IS HOMA<br />

rappresenta una valida alternativa<br />

a tecniche più sofisticate nella<br />

valutazione dell’IS in vivo 4 . Kats et<br />

al hanno introdotto più recentemente<br />

l’IS QUICKI (Quantitative Insulin-sensitivity<br />

ChecK Index), un<br />

altro indice di IS ottenuto dai livelli<br />

di glucosio e di insulina a digiuno,<br />

definito come: IS QUICKI =1/[log<br />

(I0) + log (G0)] dove I0 e G0 sono<br />

rispettivamente le concentrazioni<br />

di insulina e di glucosio a digiuno.<br />

Tali autori hanno dimostrato che<br />

l’IS QUICKI ha una significativa correlazione<br />

con i risultati ottenuti dal<br />

clamp euglicemico, anche in soggetti<br />

obesi e diabetici 5 .<br />

L’impiego di questi indici basati<br />

sulla glicemia e l’insulinemia a digiuno<br />

è stato accuratamente validato<br />

durante la <strong>gravidanza</strong> 6 . Anche<br />

se essi non hanno lo scopo di<br />

sostituire il clamp euglicemico nello<br />

scenario della ricerca, possono<br />

fornire ai clinici e agli epidemiologi<br />

un utile strumento per valutare<br />

tale parametro metabolico e<br />

le sue modificazioni durante la<br />

<strong>gravidanza</strong> in larghi campioni di<br />

studio.<br />

IR materna e DGM<br />

Il termine Diabete Mellito Gestazionale<br />

(DMG) definisce un’alterazione<br />

del metabolismo glucidico<br />

di entità variabile la cui insorgenza<br />

o il primo riconoscimento<br />

avviene durante la <strong>gravidanza</strong>. È<br />

il più comune disordine metabolico<br />

che complica la <strong>gravidanza</strong><br />

(7%) e la sua diagnosi clinica è<br />

fondamentale per identificare gravidanze<br />

ad aumentato rischio di<br />

CLINICA QUOTIDIANA<br />

morbilità e mortalità perinatale e<br />

anche donne ad aumentato rischio<br />

di sviluppare un diabete mellito<br />

di tipo 2 negli anni successivi<br />

al parto.<br />

Nella <strong>gravidanza</strong> fisiologica, l’omeostasi<br />

glucidica è mantenuta,<br />

nonostante lo sviluppo di un certo<br />

grado di IR, attraverso un concomitante<br />

e compensatorio aumento<br />

della secrezione insulinica.<br />

Nella maggioranza dei casi di<br />

DMG non viene riscontrata alcuna<br />

alterazione cellulare identificabile<br />

e la maggior parte delle donne<br />

con DMG sembra avere una<br />

disfunzione delle β-cellule pancreatiche<br />

dovuta a IR cronica, similmente<br />

a quanto accade nel<br />

meccanismo patogenetico alla base<br />

del diabete di tipo 2.<br />

La diminuzione dell’IS che si verifica<br />

nella <strong>gravidanza</strong> fisiologica<br />

avviene nello stesso modo nelle<br />

gestanti sane e nelle donne che<br />

svilupperanno il DMG, ma in queste<br />

ultime si sviluppa su un fondo<br />

di IR cronica cosicché le gestanti<br />

diabetiche tendono ad avere<br />

un grado maggiore di IR rispetto<br />

alle gestanti sane 7 . Questo concetto<br />

è stato confermato da recenti<br />

studi che hanno dimostrato<br />

come alcuni indici di IR siano significativamente<br />

aumentati in<br />

epoca precoce di gestazione nelle<br />

donne che svilupperanno il<br />

DMG 8,9 . È stato per molto tempo<br />

ritenuto che il DMG si sviluppi in<br />

quelle donne che non sono in grado<br />

di incrementare la loro secrezione<br />

insulinica quando si trovano<br />

di fronte al fisiologico aumento<br />

del bisogno insulinico durante<br />

le fasi tardive della <strong>gravidanza</strong>.<br />

In realtà, il semplice smascheramento<br />

di un difetto β-cellulare da<br />

parte della fisiologica IR della <strong>gravidanza</strong><br />

non può spiegare la presenza<br />

dell’IR cronica dimostrata<br />

N O<br />

G<br />

31


CLINICA QUOTIDIANA<br />

N O<br />

G nelle donne che sviluppano il<br />

DMG, a meno che il difetto delle<br />

β-cellule e questa IR non siano in<br />

qualche modo legati. Questo suggerisce<br />

che il difetto β-cellulare<br />

sia il risultato di anni di esposizione<br />

a un’IR cronica e che il sommarsi<br />

della fisiologica IR nelle fasi<br />

tardive della <strong>gravidanza</strong> peggiora<br />

inevitabilmente la funzione delle<br />

β-cellule portando al manifestarsi<br />

del DMG.<br />

32<br />

IR e preeclampsia<br />

La preeclampsia fa parte di un ampio<br />

spettro di disordini ipertensivi<br />

che possono complicare la <strong>gravidanza</strong><br />

con una frequenza variabile<br />

dal 6 all’8% e rimane ancora<br />

oggi una delle principali cause<br />

di morbilità e mortalità materna<br />

e neonatale nel mondo occidentale.<br />

La limitata comprensione dei<br />

meccanismi fisiopatologici che ne<br />

sono alla base costituisce il principale<br />

ostacolo allo sviluppo di metodi<br />

in grado di identificare le gestanti<br />

a rischio e prevenire l’insorgenza<br />

della complicanza.<br />

Anche se probabilmente le cause<br />

della preeclampsia sono multifattoriali,<br />

l’IR potrebbe svolgere un<br />

ruolo importante nella comparsa<br />

della sindrome clinica. Numerosi<br />

aspetti descritti nella fisiopatologia<br />

della preeclampsia sono comuni<br />

alle caratteristiche della sindrome<br />

metabolica: l’ipertensione,<br />

la dislipidemia, la generalizzata risposta<br />

infiammatoria e gli alti livelli<br />

circolanti di TNF e di PAI1 10 .<br />

Diverse evidenze sperimentali derivanti<br />

da studi retrospettivi suggeriscono<br />

che la preeclampsia è<br />

associata a gradi maggiori di IR rispetto<br />

alla <strong>gravidanza</strong> fisiologica:<br />

numerosi studi svolti durante il<br />

terzo trimestre dimostrano che le<br />

donne che sviluppano ipertensione<br />

risultano iperinsulinemiche e<br />

affette da vari gradi di intolleranza<br />

glucidica 11 .<br />

Grazie a importanti studi prospettici,<br />

è stato oggi dimostrato che<br />

l’IR non solo è una caratteristica<br />

della preeclampsia, ma ne precede<br />

l’insorgenza, suggerendo un<br />

suo possibile ruolo patogenetico.<br />

Uno studio condotto da Sowers<br />

et al in donne afro-americane ha<br />

dimostrato che a 20 settimane di<br />

gestazione i livelli di insulinemia<br />

a digiuno erano aumentati in maniera<br />

significativa nelle pazienti<br />

che avrebbero sviluppato la preeclampsia<br />

12 .<br />

In uno studio prospettico che ha<br />

arruolato oltre 3.600 gestanti, Parretti<br />

et al hanno documentato in<br />

un gruppo di 819 pazienti normotese<br />

e con normale tolleranza<br />

al glucosio l’esistenza di un’associazione<br />

significativa tra gli indici<br />

di IS a digiuno (IS HOMA >75° centile<br />

e IS QUICKI < 25° centile) sia in<br />

epoca precoce che tardiva e l’incidenza<br />

di preeclampsia.<br />

Tali indici sembrano in grado di<br />

predire con una buona sensibilità<br />

e specificità in entrambe le epoche<br />

di <strong>gravidanza</strong> il seguente sviluppo<br />

di preeclampsia 13 .<br />

Questa relazione temporale supporta<br />

quindi l’ipotesi che l’IR sia<br />

in qualche modo coinvolta nella<br />

sequenza di cause che portano alla<br />

preeclampsia. Probabilmente<br />

l’IR e la predisposizione alla sin-<br />

drome metabolica rientrano in<br />

quei fattori materni che interagiscono<br />

con l’ipoperfusione placentare<br />

e alimentano lo stress ossidativo<br />

e la disfunzione endoteliale<br />

portando così al manifestarsi della<br />

patologia.<br />

Nuove strategie<br />

terapeutiche nel DMG<br />

Il principale scopo del trattamento<br />

del DMG è quello di ridurre i livelli<br />

glicemici materni in modo da<br />

prevenire l’iperinsulinemia e l’eccessiva<br />

crescita fetale e migliorare<br />

la funzione endoteliale materna.<br />

Il principale approccio per il<br />

controllo glicemico in queste pazienti<br />

è il trattamento nutrizionale,<br />

con l’aggiunta di insulina quando<br />

il primo, da solo, non è sufficiente.<br />

La terapia insulinica è da<br />

sempre considerata il gold standard<br />

per la sua efficacia nel raggiungere<br />

uno stretto controllo metabolico<br />

e per il fatto che non oltrepassa<br />

la barriera placentare.<br />

Da quanto precedentemente<br />

esposto, essendo il DMG caratterizzato,<br />

come il diabete di tipo 2,<br />

da un’eccessiva IR materna associata<br />

a un deficit relativo di insulina,<br />

il trattamento con ipoglicemizzanti<br />

orali è da tempo stato ritenuto<br />

di potenziale interesse.<br />

Gli svantaggi della terapia insulinica<br />

includono la necessità di iniezioni<br />

sottocutanee multiple e quindi<br />

di fornire alla paziente un’edu


cazione corretta circa i modi e i<br />

tempi di somministrazione; quest’opzione<br />

comporta inoltre un rischio<br />

di ipoglicemia e un aumento<br />

dell’appetito, con conseguente<br />

incremento del peso materno.<br />

L’impiego degli ipoglicemizzanti<br />

orali potrebbe rappresentare una<br />

attraente alternativa alla terapia<br />

insulinica per la facilità di somministrazione<br />

e quindi per la soddisfazione<br />

della paziente, costituendo<br />

un approccio più “fisiologico”<br />

al trattamento del DMG rispetto<br />

all’insulina. La restrizione al loro<br />

uso in <strong>gravidanza</strong> sarebbe principalmente<br />

correlata al rischio malformativo<br />

e al danno fetale da ipoglicemia<br />

per stimolazione diretta<br />

del pancreas fetale.<br />

Prospettive trapeutiche<br />

con gliburide…<br />

I dati più importanti sugli antidiabetici<br />

orali riguardano la gliburide,<br />

principio attivo appartenente<br />

alla classe delle sulfaniluree. Questi<br />

farmaci agiscono sopprimendo<br />

la produzione epatica di glucosio<br />

e aumentando la secrezione<br />

insulinica dopo i pasti; è stato<br />

quindi ipotizzato che essi potrebbero<br />

stimolare la produzione d’insulina<br />

da parte del pancreas fetale<br />

e quindi peggiorare la fetopatia<br />

diabetica in caso di passaggio<br />

transplacentare.<br />

Studi in vitro su placente di madri<br />

sia diabetiche che non diabetiche<br />

hanno dimostrato che la gliburide<br />

non oltrepassa in quantità<br />

significative la barriera placentare<br />

14 . In un importante studio randomizzato,<br />

Langer et al hanno<br />

confrontato l’impiego della gliburide<br />

e dell’insulina in circa 400<br />

donne con DMG che non riuscivano<br />

a ottenere un adeguato controllo<br />

glicemico con la terapia nu-<br />

trizionale dimostrando che il grado<br />

di controllo glicemico era essenzialmente<br />

lo stesso con i due<br />

trattamenti e che solo il 4% del<br />

gruppo in terapia con gliburide<br />

aveva richiesto terapia insulinica.<br />

Inoltre, non erano evidenziabili<br />

differenze significative tra i due<br />

gruppi nell’incidenza di preeclampsia,<br />

macrosomia, ipoglicemia<br />

neonatale, anomalie congenite,<br />

mortalità perinatale, TC e nelle<br />

concentrazioni di insulina nel cordone<br />

ombelicale dei neonati.<br />

Gli autori concludono che la gliburide<br />

sembrerebbe rappresentare<br />

una sicura ed efficace alternativa<br />

alla terapia insulinica per il<br />

trattamento del diabete gestazionale<br />

15 . La gliburide stimola la secrezione<br />

da parte delle β-cellule,<br />

ma non risolve o affronta il problema<br />

dell’IR sia periferica che<br />

epatica.<br />

… e con metformina<br />

La metformina, come sensibilizzante<br />

dell’azione insulinica, potrebbe<br />

sembrare un’opzione più<br />

logica per le donne con DMG; essa<br />

agisce infatti diminuendo l’output<br />

epatico di glucosio, aumentandone<br />

l’uptake e l’utilizzo periferico<br />

e riducendo i livelli di FFA<br />

(Free Fatty Acids).<br />

Inoltre, a differenza della gliburide,<br />

non stimola la secrezione insulinica<br />

provocando meno frequentemente<br />

ipoglicemia. La metformina<br />

attraversa la placenta raggiungendo<br />

nella circolazione fetale<br />

livelli di circa la metà rispetto<br />

a quelli materni; non stimolando<br />

la secrezione β-cellulare non dovrebbe<br />

essere in grado di agire sulla<br />

secrezione insulinica del pancreas<br />

fetale e causare danni fetali<br />

da ipoglicemia e iperinsulinemia.<br />

I primi dati sull’uso della met-<br />

CLINICA QUOTIDIANA<br />

formina in <strong>gravidanza</strong> risalgono a<br />

circa 20 anni or sono; è infatti riportato<br />

l’impiego del farmaco nelle<br />

donne con DMG e con DM di<br />

tipo 2 nelle popolazioni sudafricane;<br />

studi di coorte hanno dimostrato<br />

esiti perinatali simili nelle<br />

donne trattate con metformina rispetto<br />

a quelle in terapia insulinica<br />

16 . Tale esperienza è stata poi<br />

confermata da lavori più recenti 17 ;<br />

solo uno studio retrospettivo danese<br />

ha segnalato un maggior rischio<br />

di preeclampsia e di morte<br />

fetale in un gruppo di 50 donne<br />

con DMG o DM di tipo 2 trattate<br />

con metformina rispetto a 23 donne<br />

in terapia insulinica 18 .<br />

Tuttavia il trial era retrospettivo e<br />

poco controllato e probabilmente<br />

le morti fetali non erano correlate<br />

al trattamento. Ulteriori dati<br />

sull’uso della metformina in <strong>gravidanza</strong><br />

provengono dal suo utilizzo<br />

nelle donne con sindrome<br />

dell’ovaio policistico (PCOS), tipicamente<br />

caratterizzate da IR. Il<br />

trattamento con metformina in<br />

queste pazienti ha mostrato migliorare<br />

l’ovulazione e la fertilità<br />

e il suo proseguimento durante la<br />

<strong>gravidanza</strong> sembra ridurre il rischio<br />

di aborto spontaneo dal 73<br />

al 10% e di insorgenza di DMG<br />

di circa 10 volte, senza aumentare<br />

la frequenza di preeclampsia o<br />

di morte perinatale 19 .<br />

N O<br />

G


N O<br />

G<br />

34<br />

CLINICA QUOTIDIANA<br />

Oggi, i risultati del MIG TRIAL, un<br />

recente studio randomizzato controllato<br />

che ha comparato la metformina<br />

con il trattamento insulinico<br />

in 751 pazienti con DMG,<br />

sembrano confermare l’efficacia<br />

e la sicurezza di questo antidiabetico<br />

orale nel trattamento del<br />

DMG. In questo studio non è stata<br />

riscontrata differenza negli outcome<br />

perinatali tra i due gruppi<br />

di gestanti; non c’erano inoltre<br />

differenze nelle misure antropometriche<br />

dei neonati e nei livelli<br />

di insulina nel sangue cordonale.<br />

Delle donne in terapia con metformina<br />

circa il 46% ha avuto bisogno<br />

di un supplemento con in-<br />

Bibliografia<br />

1. Catalano PM, Tyzbir ED, Roman MN. Longitudinal changes in<br />

insulin release and insulin resistance in non obese pregnant<br />

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insulin resistance index in the first trimester. Gynecol<br />

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10. Rodie VA, Freeman DJ, Sattar N, Greer IA. Preeclampsia and<br />

cardiovascular disease: metabolic syndrome of pregnancy?<br />

Atherosclerosis 2004; 175: 189-202.<br />

sulina per raggiungere il controllo<br />

glicemico; tali pazienti erano<br />

quelle con un maggiore BMI e con<br />

livelli di glicemia a digiuno più alti<br />

e hanno richiesto, comunque,<br />

minori quantità di insulina e hanno<br />

avuto un minore incremento<br />

di peso rispetto alle pazienti trattate<br />

con la sola terapia insulinica.<br />

Gli autori concludono, quindi, che<br />

la metformina, da sola o con un<br />

supplemento di insulina, rappresenta<br />

un trattamento efficace e<br />

sicuro per le pazienti con DMG<br />

che rientrano nei criteri per l’inizio<br />

della terapia insulinica 20 .<br />

Anche se dalla letteratura sembra<br />

che questi farmaci siano sicuri, è<br />

mandatorio considerare la possibilità<br />

di un’eventuale alterazione<br />

della fisiologia fetale, che non può<br />

essere esclusa fino a quando non<br />

saranno disponibili dati rassicuranti<br />

sull’outcome neonatale in termini<br />

di composizione corporea e<br />

IS a distanza di anni dalla nascita.<br />

Al momento, la commissione della<br />

quinta Workshop Conference<br />

internazionale sul DMG ha concluso<br />

che non esiste ancora evidenza<br />

per raccomandare il trattamento<br />

con metformina nel DMG,<br />

eccetto che in studi clinici, che dovranno<br />

considerare come importante<br />

endpoint il follow-up a lungo<br />

termine di questi neonati.<br />

11. Kaaja R, Laivouri H, Laasko M et al. Evidence of a state of increased<br />

insulin resistance in preeclampsia. Metabolism 1999;<br />

48: 892-96.<br />

12. Sowers JR, Sokol RJ, Standley PR et al. Insulin resistance<br />

and increased body mass index in women developing hypertension<br />

in pregnancy. Nutr Metabol Cardiovasc Dis 1996; 6:<br />

141-46.<br />

13. Parretti E, Lapolla A, Dalfra MG, Pacini G, Mari A, Cioni R,<br />

Marzari C, Scarselli G, Mello G. Preeclampsia in lean normotensive<br />

normotolerant pregnant women can be predicted by<br />

simple insulin sensitivity indexes. Hypertension 2006; 47:<br />

449-53.<br />

14. Menato G, Bo S, Signorile A et al. Current mamagement of<br />

gestational diabetes mellitus. Expert Rev Obstet Gynecol<br />

2008; 3, 1: 73-91.<br />

15. Langer O, Conway DL, Berkus MD. A comparison of glyburide<br />

and insulin in women with gestational diabetes mellitus.<br />

NEJM 2000; 343: 1134-38.<br />

16. Coetzee EJ, Jackson WP. Metformin in management of pregnant<br />

insulin independent diabetics. Diabetologia 1979; 16:<br />

241-45.<br />

17. Hughes R, Rowan J. Pregnancy in women with type 2 diabetes:<br />

who takes metformin and what is the outcome? Diabet<br />

Med 2006; 23: 318-22.<br />

18. Helmuth E, Damm P, Pederson L. Oral hypoglicemic agents in<br />

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19. Glueck CJ, Wang P, Kobayashi S et al. Metformin therapy throughout<br />

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20. Rowan JA, Hague WM, Gao W et al. Metformin versus insulin<br />

for the treatment of gestational diabetes. NEMJ 2008; 358:<br />

2003-15.


GESTODIOL20/30<br />

RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO<br />

1. DENOMINAZIONE DELLA SPECIALITÀ MEDICINALE.<br />

GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite<br />

GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite<br />

2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA.<br />

Principi attivi: GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite:<br />

ogni compressa contiene 20 microgrammi di Etinilestradiolo e 75 microgrammi di<br />

Gestodene. GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite:<br />

ogni compressa contiene 30 microgrammi di Etinilestradiolo e 75 microgrammi di<br />

Gestodene. Eccipienti: GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse<br />

rivestite contiene 38 mg di lattosio monoidrato e 20 mg di saccarosio. GESTODIOL<br />

30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite contiene 38 mg di lattosio<br />

monoidrato e 20 mg di saccarosio. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere<br />

paragrafo 6.1.<br />

3. FORMA FARMACEUTICA. Compressa rivestita: compresse rivestite di zucchero,<br />

di colore bianco, arrotondate, biconvesse senza impressioni su entrambi i lati.<br />

4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1. Indicazioni terapeutiche. Contraccezione orale.<br />

4.2. Posologia e modo di somministrazione. Come assumere GESTODIOL.<br />

Le compresse devono essere assunte nell’ordine indicato sulla confezione ogni giorno<br />

approssimativamente alla stessa ora. Una compressa al giorno per 21 giorni.<br />

Ogni confezione successiva deve essere iniziata dopo un intervallo di 7 giorni in cui<br />

non verrà assunta alcuna compressa: durante questo lasso di tempo si verificherà<br />

un’emorragia da sospensione. Quest’emorragia inizia solitamente il secondo o terzo<br />

giorno dopo aver assunto l’ultima compressa e potrebbe continuare anche dopo<br />

l’inizio della confezione successiva. Come cominciare ad assumere GESTO-<br />

DIOL. Nel caso in cui non ci sia stato alcun trattamento contraccettivo ormonale<br />

nel mese precedente. È necessario assumere la prima compressa il primo<br />

giorno del ciclo naturale della donna (vale a dire il primo giorno del suo ciclo mestruale).<br />

È possibile cominciare ad assumere le pillole dal secondo al quinto giorno<br />

ma in questi casi si raccomanda di usare anche un metodo contraccettivo di barriera<br />

per i primi sette giorni d’assunzione delle compresse durante il primo ciclo. In<br />

caso di passaggio da un’altra pillola contraccettiva orale di tipo combinato.<br />

La donna deve cominciare ad assumere GESTODIOL il giorno dopo l’ultima compressa<br />

attiva del suo precedente contraccettivo - ma non più tardi del giorno successivo<br />

al completamento dell’usuale periodo in cui non assume alcuna pillola oppure<br />

assume placebo come previsto dal farmaco contraccettivo precedente. Quando<br />

si passa da un contraccettivo solo progestinico (pillola solo al progesterone<br />

(mini-pillola, iniezione, impianto) oppure da un sistema intrauterino a<br />

rilascio di ormone progestinico (IUS). La donna può effettuare il passaggio dalla<br />

pillola solo al progesterone (POP) in qualsiasi momento del ciclo. La prima compressa<br />

deve essere assunta il giorno dopo aver assunto una qualsiasi delle compresse<br />

nella confezione di POP. Nel caso di un impianto o di una IUS l’assunzione<br />

di GESTODIOL deve cominciare lo stesso giorno nel quale l’impianto viene rimosso.<br />

Nel caso di un iniettabile, GESTODIOL deve essere iniziato nel giorno in cui dovrebbe<br />

essere praticata la successiva iniezione. In tutti questi casi si raccomanda<br />

alla donna di usare anche un metodo contraccettivo di barriera per i primi sette giorni<br />

di assunzione delle pillole. Dopo un aborto al primo trimestre. La donna può<br />

iniziare immediatamente a prendere le pillole. Se si attiene a queste istruzioni non<br />

sono necessarie ulteriori misure contraccettive. Dopo un parto o un aborto al secondo<br />

trimestre. Per l’uso in donne che allattano si veda il paragrafo 4.6. Si raccomanda<br />

alla donna di iniziare a prendere le compresse al 21°-28° giorno dopo il<br />

parto, se non allatta al seno, o dopo un aborto al secondo trimestre. Se inizia più<br />

tardi, la donna deve essere avvertita di usare anche un metodo contraccettivo di<br />

barriera per i primi sette giorni di assunzione delle pillole. Se nel frattempo si fossero<br />

avuti rapporti sessuali, prima di iniziare effettivamente l’assunzione delle pillole<br />

si deve escludere una <strong>gravidanza</strong> oppure la donna deve attendere la comparsa<br />

della sua prima mestruazione. Mancata assunzione di compresse. La mancata<br />

assunzione di una compressa entro 12 ore dall’ora consueta non pregiudica<br />

la protezione contraccettiva. La donna deve prendere la compressa appena se ne<br />

ricorda e continuare ad assumere il resto delle compresse come al solito. La man-<br />

cata assunzione di una compressa per più di 12 ore dall’ora consueta può diminuire<br />

la protezione contraccettiva. Le due regole seguenti possono essere utili nella<br />

gestione della mancata assunzione di compresse. 1. L’assunzione delle compresse<br />

non deve mai essere sospesa per periodi superiori ai 7 giorni. 2. Servono 7 giorni<br />

di ingestione ininterrotta di compresse per ottenere una sufficiente soppressione<br />

dell’asse ipotalamo-pituitario-gonadale. Pertanto il consiglio che segue può essere<br />

dato nella pratica giornaliera: Settimana 1. La donna deve prendere l’ultima<br />

compressa dimenticata non appena se ne ricorda, anche se questo significa che<br />

deve assumere 2 compresse contemporaneamente. Dopodiché deve continuare ad<br />

assumere le compresse alla solita ora. Contemporaneamente deve usare un metodo<br />

di barriera, ad es. un preservativo, per i successivi 7 giorni. Se nei 7 giorni precedenti<br />

si sono avuti rapporti sessuali la donna deve tenere in considerazione la<br />

possibilità di poter essere incinta. Tante più compresse sono state dimenticate e<br />

tanto più ciò è avvenuto in prossimità del periodo del mese in cui le compresse non<br />

vengono assunte, tanto maggiore è il rischio che si instauri una <strong>gravidanza</strong>. Settimana<br />

2. La donna deve prendere l’ultima compressa dimenticata non appena se<br />

ne ricorda, anche se questo significa che deve assumere 2 compresse contemporaneamente.<br />

Dopodiché deve continuare ad assumere le compresse alla solita ora.<br />

Se le compresse sono state assunte correttamente per 7 giorni prima della dimenticanza<br />

non è necessario prendere ulteriori precauzioni contraccettive. In caso contrario<br />

o se sono state dimenticate più compresse la donna deve comunque usare<br />

un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i successivi 7 giorni. Settimana<br />

3. Dato l’avvicinarsi del periodo di sospensione il rischio di una ridotta protezione<br />

anticoncezionale è maggiore. È comunque possibile prevenire la riduzione della protezione<br />

anticoncezionale regolando l’assunzione delle compresse. Attenendosi a<br />

una qualunque delle due opzioni seguenti non è pertanto necessario prendere alcuna<br />

precauzione contraccettiva supplementare, fatto salvo che le compresse siano<br />

state assunte correttamente per 7 giorni prima della dimenticanza. In caso contrario<br />

è opportuno consigliare alla donna di seguire la prima delle due opzioni e di<br />

usare allo stesso tempo un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i 7 giorni<br />

successivi. 1. La donna deve prendere l’ultima compressa dimenticata al più presto,<br />

anche se questo significa che deve assumere 2 compresse contemporaneamente.<br />

Dopodiché deve continuare ad assumere le compresse alla solita ora. Incomincerà<br />

la nuova confezione immediatamente dopo aver assunto l’ultima compressa<br />

della confezione in uso; in questo caso non vi sarà il periodo di sospensione tra<br />

le confezioni. È improbabile che si verifichino le mestruazioni fino al termine della<br />

seconda confezione di compresse, tuttavia si potrebbe notare emorragia intermestruale<br />

o metrorragia durante l’assunzione delle compresse. 2. È possibile che alla<br />

donna venga suggerito di sospendere l’assunzione delle compresse dalla confezione<br />

in uso. In qual caso si avrà un periodo di sospensione della durata massima<br />

di 7 giorni, inclusi i giorni in cui la compressa è stata dimenticata, dopodiché la donna<br />

inizierà una nuova confezione. Se, dopo che la donna ha dimenticato di assumere<br />

delle compresse, non si presentano le mestruazioni nel primo usuale intervallo<br />

libero da pillola, si deve considerare la possibilità che la donna sia incinta. Cosa<br />

fare in caso di vomito/diarrea. Se si manifesta vomito entro 3-4 ore dall’assunzione<br />

di una compressa, quest’ultima potrebbe non venire completamente assorbita.<br />

In questo caso ci si attenga alle istruzioni sopra indicate inerenti le compresse<br />

dimenticate. A meno che la diarrea non sia estremamente grave, essa non<br />

influisce sull’assorbimento dei contraccettivi orali combinati, per cui non è necessario<br />

ricorrere a metodi contraccettivi supplementari. Se la diarrea grave perdura<br />

per 2 o più giorni ci si attenga alle procedure previste per le pillole dimenticate. Se<br />

la donna non desidera variare la consueta assunzione di compresse, deve prendere<br />

una compressa (o compresse) extra da un’altra confezione. Come spostare o<br />

ritardare il mestruo. Per ritardare il mestruo, la donna dovrà continuare l’assunzione<br />

di GESTODIOL passando da una confezione blister ad un’altra, senza periodo<br />

di sospensione. Il mestruo può essere ritardato per quanto si desidera ma non<br />

oltre la fine della seconda confezione. Quando si ritarda il mestruo è possibile che<br />

si verifichino episodi di sanguinamento da sospensione o emorragia intermestruale.<br />

L’assunzione di GESTODIOL dovrà essere ripresa regolarmente al termine del<br />

consueto intervallo in cui non viene assunta alcuna compressa. Per spostare il mestruo<br />

ad un giorno nella settimana diverso rispetto a quello previsto con le attuali<br />

compresse, si può consigliare alla donna di abbreviare il successivo intervallo libero<br />

da pillola di quanti giorni lei desidera. Più breve è questo intervallo e maggiore<br />

sarà il rischio di non avere sanguinamento mestruale ma metrorragia e emorragia<br />

intermestruale durante l’assunzione delle compresse della confezione successiva<br />

(questo si verifica anche quando si ritarda il mestruo). 4.3. Controindicazioni. I<br />

contraccettivi orali combinati (COC) non devono essere usati se una delle condizioni<br />

sotto indicate è presente. Se una tale condizione si dovesse manifestare per la<br />

prima volta durante l’impiego dei COC il loro uso deve essere immediatamente sospeso.<br />

• Patologia tromboembolica venosa in fase attiva o in anamnesi (trombosi<br />

venosa profonda, embolia polmonare). • Tromboembolia arteriosa in fase attiva o


in anamnesi (infarto del miocardio, patologie cerebrovascolari) oppure sintomi prodromici<br />

(angina pectoris e attacco ischemico transitorio) (vedi paragrafo 4.4). • Predisposizione<br />

ereditaria o acquisita alla trombosi venosa o arteriosa come carenza<br />

di antitrombina, carenza di proteina C, carenza di proteina S, resistenza alla proteina<br />

C attivata (APC), anticorpi antifosfolipidi (anticorpi anticardiolipina, lupus anticoagulante),<br />

iperomocisteinemia. • Fattori di rischio multipli o considerevoli per la trombosi<br />

arteriosa (vedi paragrafo 4.4). • Grave ipertensione. • Diabete complicato da<br />

micro- o macroangiopatia. • Grave dislipoproteinemia. • Noti o sospetti tumori maligni<br />

ormono-dipendenti (ad es. a carico degli organi genitali o della mammella). •<br />

Grave patologia epatica concomitante o in anamnesi fintanto che i valori di funzionalità<br />

epatica non sono rientrati nella normalità. • Tumori epatici benigni o maligni<br />

concomitanti o in anamnesi. • Sanguinamento vaginale di natura non accertata. •<br />

Emicrania con sintomatologia neurologica focale. • Ipersensibilità ai principi attivi<br />

o ad uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego.<br />

Valutazione ed esame prima di iniziare l’assunzione dei contraccettivi orali<br />

combinati. Prima dell’inizio o della ripresa del trattamento con contraccettivi orali<br />

combinati è necessario che il medico analizzi l’anamnesi personale e familiare della<br />

paziente e che venga esclusa una <strong>gravidanza</strong>. Sulla base delle controindicazioni<br />

(vedi paragrafo 4.3) e delle avvertenze (vedi “Avvertenze” in questa sezione) è necessario<br />

misurare la pressione sanguigna e sottoporre la paziente ad un esame fisico,<br />

se clinicamente indicato. Alla donna viene richiesto di leggere attentamente il<br />

foglio illustrativo e di attenersi alle istruzioni fornite. La frequenza e la natura di ulteriori<br />

controlli periodici devono basarsi su linee guida di pratica stabilita ed essere<br />

adattate alla singola donna. Avvertenze. In generale. Informare le donne che i<br />

contraccettivi ormonali non proteggono dall’HIV (AIDS) o da altre infezioni sessualmente<br />

trasmissibili. Se uno qualunque dei fattori di rischio sotto menzionati è presente,<br />

valutare caso per caso i benefici connessi all’uso del COC con i possibili rischi<br />

per ogni singola donna e discuterne con la donna prima di cominciare l’assunzione<br />

del contraccettivo orale combinato. In caso di aggravamento, esacerbazione<br />

o insorgenza di una qualsiasi di queste condizioni o fattori di rischio è opportuno<br />

che la donna prenda contatto con il suo medico. Il medico deciderà se interrompere<br />

l’assunzione del COC. 1. Disturbi della circolazione. L’uso di qualsiasi COC aumenta<br />

il rischio di tromboembolia venosa (TEV) rispetto al non uso. L’eccesso di rischio<br />

di TEV è massimo durante il primo anno in cui una donna fa uso di un COC<br />

per la prima volta. L’aumento di rischio è inferiore rispetto al rischio di TEV associato<br />

alla <strong>gravidanza</strong>, che è stimato in 60 casi ogni 100.000 gravidanze. La TEV risulta<br />

fatale nell’1-2% dei casi. In diversi studi epidemiologici è stato riscontrato che<br />

nelle donne che usano contraccettivi orali combinati contenenti etinilestradiolo, per<br />

lo più alla dose di 30 µg, e un progestinico come gestodene il rischio di TEV è aumentato<br />

rispetto alle donne che usano contraccettivi orali combinati contenenti meno<br />

di 50 µg di etinilestradiolo ed il progestinico levonorgestrel. Relativamente ai contraccettivi<br />

orali combinati contenenti 30 µg di etinilestradiolo in combinazione con<br />

desogestrel o gestodene in confronto a quelli contenenti meno di 50 µg di etinilestradiolo<br />

e levonorgestrel, è stato stimato che il rischio relativo complessivo di TEV<br />

è compreso tra 1,5 e 2,0. Nel caso di contraccettivi orali combinati contenenti levonorgestrel<br />

con meno di 50 µg di etinilestradiolo l’incidenza di TEV è di circa 20<br />

casi su ogni 100.000 anni-donna di utilizzo. Per quanto riguarda GESTODIOL l’incidenza<br />

varia da 30 a 40 casi per 100.000 anni-donna di utilizzo, vale a dire 10-<br />

20 casi aggiuntivi ogni 100.000 anni-donna di utilizzo. L’impatto del rischio relativo<br />

sul numero di casi addizionali sarebbe massimo in donne durante il primo anno<br />

di utilizzo del contraccettivo orale combinato quando il rischio di TEV con tutti i contraccettivi<br />

orali combinati è massimo. Molto raramente è stata segnalata trombosi<br />

in altri vasi sanguigni, vale a dire di tipo epatico, mesenterico, renale oppure a carico<br />

delle vene e delle arterie della retina in utilizzatrici di contraccettivi orali. Non vi<br />

è consenso circa la possibilità che l’insorgenza di questi casi sia correlata all’uso<br />

di COC. Il rischio che si sviluppi tromboembolia venosa aumenta: • con l’avanzamento<br />

dell’età; • in caso di anamnesi familiare positiva (ad es. tromboembolia venosa<br />

che ha riguardato un parente o un consanguineo più soggetti di età relativamente<br />

giovane). In caso di sospetta predisposizione ereditaria, la donna deve essere<br />

indirizzata da uno specialista prima che le sia prescritto un contraccettivo orale;<br />

• in caso di obesità (indice di massa corporea superiore a 30 Kg/m 2 ); • immobilizzazione<br />

prolungata, chirurgia maggiore, intervento chirurgico alle gambe o trauma<br />

maggiore. In questi casi è raccomandata la sospensione del trattamento con i<br />

contraccettivi orali (nel caso di un’operazione chirurgica programmata almeno 4<br />

settimane prima) e non deve essere assunto fino a 2 settimane dopo la completa<br />

deambulazione; • non vi è consenso sul possibile ruolo di vene varicose e tromboflebiti<br />

superficiali nella tromboembolia venosa. In generale l’uso di COC è stato associato<br />

ad un aumento del rischio di infarto acuto del miocardio (AMI) o di ictus, rischio<br />

questo fortemente influenzato dalla presenza di altri fattori di rischio (ad es.<br />

fumo, pressione sanguigna alta ed età) (vedi anche sotto). Questi eventi si verificano<br />

raramente. Il rischio di eventi tromboembolici aumenta con: • l’avanzamento<br />

dell’età; • fumo (con forti fumatrici e con l’avanzare dell’età il rischio aumenta ulteriormente,<br />

soprattutto se si tratta di donne con più di 35 anni di età); • dislipoproteinemia;<br />

• obesità (indice di massa corporea superiore a 30 Kg/m 2 ); • ipertensione;<br />

• valvulopatia cardiaca; • fibrillazione atriale; • anamnesi familiare positiva<br />

(ad es. trombosi arteriosa che ha riguardato un parente o un consanguineo di età<br />

relativamente giovane). Se si sospetta una predisposizione ereditaria la donna deve<br />

essere indirizzata da uno specialista prima che le sia prescritto un contraccettivo<br />

orale. Sintomi di trombosi venosa ed arteriosa possono includere: • dolore e/o<br />

gonfiore unilaterale ad una gamba; • improvviso grave dolore toracico, che può o<br />

meno estendersi al braccio sinistro; • fiato corto improvviso; • tosse improvvisa; •<br />

cefalea insolita, grave, prolungata; • improvvisa perdita parziale o completa della<br />

vista; • diplopia; • difficoltà nel parlare o afasia; • vertigini; • collasso accompagnato<br />

o meno da crisi epilettiche focali; • debolezza o improvviso intorpidimento<br />

molto marcato di un lato o una parte del corpo; • disturbi motori; • addome “acuto”.<br />

Si deve tenere in considerazione l’aumento del rischio di tromboembolia venosa<br />

durante il puerperio. Altre condizioni mediche correlate ai disturbi vascolari sono:<br />

diabete mellito, lupus eritematoso sistemico, sindrome emolitico-uremica, malattia<br />

infiammatoria cronica intestinale (morbo di Crohn oppure colite ulcerosa) e<br />

anemia a cellule falciformi. Un aumento della frequenza e della gravità dell’emicrania<br />

(che può essere prodromica in caso di malattia cerebrovascolare) durante l’impiego<br />

di contraccettivi orali deve far prendere in considerazione l’immediata sospensione<br />

dei contraccettivi orali. Fra i parametri biochimici indicativi della predisposizione<br />

ereditaria o acquisita alla trombosi venosa o arteriosa vi sono: resistenza<br />

alla proteina C attivata (APC), mutazione del fattore V di Leiden, iperomocisteinemia,<br />

carenza di antitrombina-III, carenza di proteina C, carenza di proteina S, anticorpi<br />

antifosfolipidi (anticorpi anticardiolipina, lupus anticoagulante). Mentre valuta<br />

il rapporto rischio/beneficio il medico deve tenere presente che il trattamento<br />

adeguato di una condizione può ridurre il rischio associato di trombosi e che il rischio<br />

associato alla <strong>gravidanza</strong> è maggiore rispetto a quello connesso all’uso di<br />

COC. 2. Tumori: Cancro della cervice. In alcuni studi epidemiologici si è riferito<br />

un rischio maggiore di cancro cervicale nelle utilizzatrici a lungo termine dei COC<br />

ma non è ancora chiaro fino a che punto questo rilievo possa essere influenzato<br />

dagli effetti aggravanti del comportamento sessuale e di altri fattori quali il papilloma<br />

virus umano (HPV). Carcinoma della mammella. Una meta-analisi di 54 studi<br />

epidemiologici ha riferito un rischio relativo leggermente superiore (RR=1,24) di<br />

diagnosi di cancro della mammella fra le donne che attualmente usano COC. L’eccedenza<br />

di rischio scompare gradualmente nel corso dei 10 anni seguenti all’interruzione<br />

dell’uso dei COC. Poiché il cancro della mammella è raro nelle donne di<br />

meno di 40 anni, il numero superiore di diagnosi di tumore alla mammella fra le<br />

utilizzatrici attuali e recenti di COC è limitato in rapporto al rischio globale di cancro<br />

della mammella. Questi studi non forniscono evidenza di causalità. L’andamento<br />

superiore del rischio osservato potrebbe essere dovuto ad una diagnosi precoce del<br />

cancro della mammella nelle utilizzatrici di COC, agli effetti biologici dei COC o a<br />

una combinazione di entrambi i fattori. Il cancro alla mammella diagnosticato nelle<br />

donne che hanno usato COC tende ad essere meno avanzato dal punto di vista<br />

clinico rispetto alle forme tumorali riscontrate fra le donne che non hanno mai assunto<br />

COC. Tumori epatici. Tra le utilizzatrici di COC si sono riferiti tumori epatici<br />

benigni e maligni. In casi isolati questi tumori hanno portato ad emorragie intra-addominali<br />

ad esito potenzialmente fatale. Pertanto, considerare la possibilità di tumore<br />

epatico nella diagnosi differenziale, quando un’utilizzatrice di COC presenti<br />

severo dolore all’addome superiore, ingrossamento del fegato (epatomegalia) oppure<br />

segni di emorragia intra-addominale. 3. Altre condizioni. Le donne affette da<br />

ipertrigliceridemia, o anamnesi familiare della stessa, possono essere a rischio maggiore<br />

di pancreatite mentre usano COC. In caso di disturbi acuti o cronici della funzionalità<br />

epatica potrà essere necessaria l’interruzione di GESTODIOL, fino al ripristino<br />

ai valori normali dei marker della funzionalità epatica. Gli ormoni steroidei potrebbero<br />

essere scarsamente metabolizzati in pazienti con funzionalità epatica compromessa.<br />

Malgrado si siano riferiti piccoli innalzamenti della pressione arteriosa in<br />

molte donne che assumono contraccettivi orali combinati, gli innalzamenti clinicamente<br />

significativi sono rari. Se, durante l’assunzione di un contraccettivo ormonale<br />

combinato si sviluppa un’ipertensione clinica persistente bisogna sospendere<br />

l’assunzione del contraccettivo ormonale combinato e trattare l’ipertensione. L’assunzione<br />

del contraccettivo orale combinato potrà riprendere se risulta possibile ottenere<br />

valori normotensivi mediante la terapia. Se il medico lo ritiene opportuno,<br />

l’uso della pillola può essere ripreso quando i valori della pressione rientreranno<br />

nella norma in seguito a terapia antiipertensiva. Sia con la <strong>gravidanza</strong> che con l’uso<br />

di COC possono comparire o peggiorare delle condizioni qui di seguito riportate.<br />

Tuttavia, le prove di un’associazione con l’uso dei COC non sono decisive: ittero e/o<br />

prurito associato a colestasi; sviluppo di calcoli biliari; porfiria; lupus eritematoso sistemico;<br />

sindrome emoliticouremica; corea di Sydenham; herpes gestationis; perdita<br />

di udito dovuta a otosclerosi. I contraccettivi orali combinati possono avere un


effetto sulla resistenza periferica all’insulina e sulla tolleranza al glucosio. È pertanto<br />

necessario che le pazienti diabetiche vengano attentamente monitorate durante<br />

l’impiego dei COC. GESTODIOL contiene lattosio e saccarosio. Le pazienti con rari<br />

problemi ereditari di intolleranza al galattosio, deficit di Lapp-lattasi o malassorbimento<br />

di glucosio-galattosio oppure con rari problemi di intolleranza al fruttosio non<br />

devono assumere questo medicinale. Durante l’uso dei COC si è riferito l’aggravamento<br />

della depressione endogena, dell’epilessia (vedi paragrafo 4.5 Interazioni),<br />

del morbo di Crohn e della colite ulcerosa. È possibile che si manifesti cloasma,<br />

specialmente nelle utilizzatrici con anamnesi di cloasma gravidarum. Le donne con<br />

tendenza al cloasma devono evitare l’esposizione al sole o alla radiazione ultravioletta<br />

mentre assumono i COC. Le preparazioni erboristiche contenenti Iperico o erba<br />

di San Giovanni (Hypericum perforatum) non devono essere assunte contemporaneamente<br />

a GESTODIOL a causa del rischio di diminuzione delle concentrazioni<br />

plasmatiche e degli effetti clinici di GESTODIOL (vedi paragrafo 4.5). Efficacia ridotta.<br />

L’efficacia dei contraccettivi orali può essere ridotta nel caso in cui ci si dimentichi<br />

di assumere delle compresse, in presenza di diarrea grave o vomito (vedi<br />

paragrafo 4.2) oppure in caso di uso concomitante di altri medicinali (vedi paragrafo<br />

4.5). Ciclo irregolare. Come con tutti i contraccettivi ormonali combinati, potrà<br />

verificarsi la perdita irregolare di sangue (emorragia intermestruale o metrorragia),<br />

particolarmente nei primi mesi di assunzione. Per questo motivo, un’opinione medica<br />

circa la perdita irregolare di sangue avrà utilità solo dopo un periodo di adattamento<br />

di tre cicli circa. Se la metrorragia persiste sarà necessario considerare la<br />

possibilità di usare COC con un contenuto ormonale più alto. Se la metrorragia si<br />

verifica dopo precedenti cicli regolari occorre considerare cause non di natura ormonale<br />

e prendere adeguate misure diagnostiche per escludere la presenza di una<br />

patologia maligna o di una <strong>gravidanza</strong>. Occasionalmente potrebbe non esservi alcuna<br />

emorragia da sospensione nell’intervallo in cui non vengono assunte le compresse.<br />

Se le compresse sono state assunte secondo le istruzioni di cui al paragrafo<br />

4.2, è improbabile che la donna sia incinta. Tuttavia, se le compresse non sono<br />

state assunte in base a dette istruzioni precedentemente alla prima emorragia da<br />

sospensione saltata, oppure se la donna salta consecutivamente due emorragie da<br />

sospensione, è necessario escludere la <strong>gravidanza</strong> prima di proseguire l’assunzione<br />

del COC. 4.5. Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione.<br />

Le interazioni con medicinali in grado di portare ad una elevata clearance degli ormoni<br />

sessuali possono comportare metrorragia ed insuccesso della contraccezione<br />

orale. Questo effetto è stato stabilito nel caso di idantoine, barbiturici, primidone,<br />

carbamazepina e rifampicina, ed è risultato sospetto nel caso di oxcarbazepina,<br />

topiramato, griseofulvina, felbamato e ritonavir. Il meccanismo di queste interazioni<br />

sembra essere basato sulle proprietà di induzione degli enzimi epatici di questi<br />

medicinali. In generale la massima induzione enzimatica non si ha nelle prime<br />

2-3 settimane dopo l’inizio del trattamento, ma l’effetto può essere sostenuto per<br />

almeno 4 settimane dopo l’interruzione della terapia. Si sono riferiti anche casi di<br />

insuccesso della contraccezione con antibiotici quali ampicillina e tetracicline. Il<br />

meccanismo di questo effetto non è stato chiarito. Le donne in trattamento a bre-<br />

ve termine con uno qualsiasi dei gruppi di farmaci sopra citati o con singoli medicinali,<br />

devono usare temporaneamente un metodo di barriera oltre alla pillola anticoncezionale,<br />

ciò deve avvenire per tutto il tempo in cui questo medicinale viene<br />

assunto contemporaneamente alla pillola come pure nei sette giorni successivi alla<br />

sua sospensione. Le donne in trattamento con rifampicina devono usare un metodo<br />

di barriera contemporaneamente al contraccettivo orale durante tutto il periodo<br />

in cui assumono la rifampicina come pure nei 28 giorni successivi alla sua sospensione.<br />

Se la somministrazione concomitante del medicinale continua oltre il<br />

numero di compresse anticoncezionali nella confezione, la donna deve iniziare la<br />

confezione successiva, senza osservare il consueto intervallo di sospensione. Per<br />

le donne in terapia a lungo termine con induttori degli enzimi epatici, è necessario<br />

considerare un altro metodo contraccettivo. Le pazienti che assumono GESTODIOL<br />

non devono usare contemporaneamente preparazioni/prodotti medicinali alternativi<br />

contenenti Hypericum perforatum (Iperico o erba di San Giovanni) poiché essi potrebbero<br />

causare una perdita dell’effetto contraccettivo. Si sono riferite metrorragia<br />

e gravidanze indesiderate. L’Hypericum perforatum (Iperico o erba di San Giovanni)<br />

aumenta, mediante induzione enzimatica, la quantità di enzimi che metabolizzano<br />

i prodotti medicinali. L’effetto di induzione enzimatica potrebbe persistere per<br />

almeno 1-2 settimane dalla cessazione del trattamento con Hypericum. Effetti dei<br />

contraccettivi orali combinati su altri farmaci: i contraccettivi orali possono interferire<br />

con il metabolismo di altri farmaci. Ne può conseguire un aumento (ad es. ciclosporina)<br />

o una diminuzione (lamotrigina) delle concentrazioni plasmatiche e tissutali.<br />

Test di laboratorio. L’impiego di steroidi contraccettivi può influenzare i risultati<br />

di alcuni esami di laboratorio tra cui i parametri biochimici della funzionalità<br />

epatica, tiroidea, corticosurrenalica e renale, i livelli plasmatici delle proteine (di trasporto),<br />

per esempio della globulina legante i corticosteroidi e delle frazioni lipido/lipoproteiche,<br />

i parametri del metabolismo dei carboidrati ed i parametri della coagulazione<br />

e della fibrinolisi. Le variazioni rientrano, in genere, nei limiti dei valori normali<br />

di laboratorio. 4.6. Gravidanza ed allattamento. GESTODIOL è controindicato<br />

durante la <strong>gravidanza</strong>. In caso di <strong>gravidanza</strong> durante l’assunzione di GESTODIOL<br />

sospendere immediatamente il trattamento. Estesi studi epidemiologici non hanno<br />

evidenziato né un aumento del rischio di difetti congeniti in bambini nati da donne<br />

che hanno assunto contraccettivi orali combinati prima della <strong>gravidanza</strong>, né effetti<br />

teratogeni a seguito di involontaria assunzione di contraccettivi orali combinati durante<br />

la <strong>gravidanza</strong>. L’allattamento può essere influenzato dagli steroidi contraccettivi<br />

in quanto essi possono ridurre il volume ed alterare la composizione del latte<br />

materno. Piccole quantità di steroidi contraccettivi e/o di loro metaboliti possono<br />

essere escreti nel latte materno. Pertanto, l’uso di steroidi contraccettivi non è in<br />

genere raccomandato in madri che allattano fino al termine del completo svezzamento.<br />

4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari.<br />

GESTODIOL non ha effetti, se non minimi, sulla capacità di guidare veicoli e di usare<br />

macchinari. 4.8. Effetti indesiderati. Gli eventi avversi riferiti con maggior frequenza<br />

(>1/10) sono sanguinamento irregolare, nausea, aumento ponderale, tensione<br />

mammaria e cefalea. Essi si manifestano solitamente all’inizio della tera-<br />

Classificazione Comune (da=1/100 Non comune (da=1/1000 Raro (da=1/10000 Molto raro<br />

sistemica organica a


pia e sono transitori. I seguenti gravi effetti indesiderati sono stati riportati in<br />

donne che assumono COC, vedi paragrafi 4.3 e 4.4. • Tromboembolia venosa,<br />

vale a dire trombosi venosa profonda in una gamba o alle pelvi ed embolia polmonare.<br />

• Eventi tromboembolici arteriosi. • Tumori epatici. • Patologia della<br />

cute e del tessuto sottocutaneo: cloasma. La frequenza di diagnosi di cancro<br />

della mammella fra le donne che assumono COC è leggermente maggiore. Poiché<br />

il cancro della mammella è raro nelle donne con meno di 40 anni, il numero<br />

superiore è limitato in rapporto al rischio globale di cancro alla mammella.<br />

Non è noto il rapporto di causalità con i COC. Per ulteriori informazioni vedere i<br />

paragrafi 4.3 e 4.4. 4.9. Sovradosaggio. Non sono stati riferiti effetti indesiderati<br />

seri in seguito a sovradosaggio. I sintomi che possono manifestarsi in seguito<br />

ad un sovradosaggio sono: nausea, vomito e sanguinamento vaginale. Non<br />

c’è antidoto, e il trattamento deve essere sintomatico.<br />

5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1. Proprietà farmacodinamiche. Categoria<br />

farmacoterapeutica: Contraccettivi ormonali per uso sistemico. Codice<br />

ATC: G03AA10. L’effetto contraccettivo delle pillole anticoncezionali si basa sull’interazione<br />

di vari fattori, i più importanti dei quali sono l’inibizione dell’ovulazione<br />

e le modifiche dell’endometrio. Oltre a prevenire il concepimento i COC<br />

possiedono diverse caratteristiche positive che, accanto alle proprietà negative<br />

(illustrate al paragrafo 4.8 Avvertenze, Effetti indesiderati), possono aiutare nella<br />

scelta del metodo da adottare per il controllo delle nascite. Il ciclo mestruale<br />

è più regolare e le mestruazioni stesse sono spesso meno dolorose ed il sanguinamento<br />

più leggero. Quest’ultimo aspetto può determinare una diminuzione<br />

dei casi di carenza di ferro. 5.2. Proprietà farmacocinetiche. Gestodene.<br />

Assorbimento. Dopo somministrazione orale il gestodene viene rapidamente<br />

e completamente assorbito. Dopo somministrazione di una dose singola la massima<br />

concentrazione sierica di 4 ng/ml viene raggiunta dopo circa un’ora. La<br />

biodisponibilità è intorno al 99%. Distribuzione. Gestodene è legato all’albumina<br />

sierica ed alle globuline leganti gli ormoni sessuali (SHBG). Solo l’1-2%<br />

del gestodene totale in siero viene ritrovato come steroide libero, mentre il 50-<br />

70% è specificamente legato alle SHBG. L’aumento delle SHBG indotto dall’etinilestradiolo<br />

influenza la distribuzione delle proteine sieriche con conseguente<br />

aumento della frazione legata alle SHBG e diminuzione della frazione legata all’albumina.<br />

Il volume di distribuzione apparente del gestodene è di 0,7 l/kg. Metabolismo.<br />

Il gestodene viene completamente metabolizzato tramite i noti canali<br />

del metabolismo degli steroidi. L’entità della clearance metabolica dal siero<br />

è pari a 0,8 ml/min/kg. Non si manifestano interazioni quando il gestodene<br />

viene assunto insieme all’etinilestradiolo. Eliminazione. I livelli sierici del gestodene<br />

diminuiscono in modo bifasico. La fase di eliminazione terminale è caratterizzata<br />

da un’emivita di 12-15 ore. Il gestodene non viene escreto immodificato.<br />

I suoi metaboliti vengono escreti nelle urine e nella bile in un rapporto<br />

di 6:4. L’emivita di escrezione dei metaboliti è pari a circa 1 giorno. Steadystate.<br />

La farmacocinetica del gestodene è influenzata dai livelli sierici di SHBG<br />

che aumentano di tre volte con l’etinilestradiolo. In seguito all’assunzione giornaliera<br />

i livelli sierici di gestodene aumentano di circa quattro volte il valore della<br />

dose singola e raggiungono lo steady-state entro la seconda metà del ciclo<br />

di trattamento. Etinilestradiolo. Assorbimento. Dopo somministrazione orale<br />

l’etinilestradiolo viene rapidamente e completamente assorbito. Il picco dei livelli<br />

plasmatici, pari a circa 80 pg/ml, viene raggiunto in 1-2 ore. La biodisponibilità<br />

assoluta, dopo coniugazione presistemica e metabolismo di primo passaggio,<br />

è all’incirca del 60%. Distribuzione. Durante l’allattamento lo 0,02%<br />

della dose giornaliera della madre passa nel latte. L’etinilestradiolo è largamen-<br />

te, ma non specificamente, legato all’albumina (approssimativamente per il<br />

98,5%) e induce un aumento nelle concentrazioni sieriche dell’SHBG. È stato<br />

determinato un volume di distribuzione apparente di circa 5 l/kg. Metabolismo.<br />

L’etinilestradiolo è soggetto a coniugazione presistemica a livello sia della mucosa<br />

dell’intestino tenue sia del fegato. La principale via metabolica dell’etinilestradiolo<br />

è l’idrossilazione aromatica ma si forma anche una ampia varietà di<br />

metaboliti idrossilati e metilati, presenti come metaboliti liberi e coniugati con<br />

glucuronidi e solfati. L’entità della clearance metabolica è pari a circa 5 ml/min/kg.<br />

Eliminazione. I livelli sierici dell’etinilestradiolo diminuiscono in modo bifasico,<br />

con una fase di eliminazione terminale con un’emivita di circa 24 ore. L’etinilestradiolo<br />

immodificato non viene escreto, ma i suoi metaboliti sono escreti in<br />

un rapporto urina:bile pari a 4:6. L’emivita dell’escrezione dei metaboliti è di circa<br />

1 giorno. Steady-state. Le concentrazioni allo steady-state vengono raggiunte<br />

dopo 3-4 giorni ed i livelli sierici dell’etinilestradiolo sono più elevati del<br />

30-40% rispetto alla singola assunzione. 5.3. Dati preclinici di sicurezza. Etinilestradiolo<br />

e gestodene non sono genotossici. Gli studi di carcinogenicità con<br />

etinilestradiolo da solo o in associazione con vari progestinici non mostrano alcun<br />

pericolo carcinogenico in donne che usano il farmaco come contraccettivo<br />

come indicato. È tuttavia necessario tenere presente che gli ormoni sessuali<br />

possono promuovere la crescita di alcuni tessuti e tumori ormono-dipendenti.<br />

Studi di tossicità riproduttiva su fertilità, sviluppo fetale o performance riproduttiva<br />

condotti con etinilestradiolo da solo o in associazione con progestinici non<br />

hanno fornito indicazioni di un rischio di effetti avversi nell’uomo conseguenti<br />

all’impiego del preparato secondo quanto raccomandato.<br />

6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1. Elenco degli eccipienti. Nucleo<br />

della compressa: Magnesio stearato, Povidone K-25, Amido di mais, Lattosio<br />

monoidrato. Rivestimento della compressa: Povidone K-90, Macrogol 6000, Talco,<br />

Calcio carbonato, Saccarosio, Cera di lignite. 6.2. Incompatibilità. Non pertinente.<br />

6.3. Periodo di validità. Tre anni. 6.4. Speciali precauzioni per la<br />

conservazione. Non conservare a temperatura superiore a 30 °C. 6.5. Natura<br />

e contenuto del contenitore. Blister: PVC/Alluminio. Confezioni: 1 X 21<br />

compresse; 3 X 21 compresse; 6 X 21 compresse. È possibile che non tutte le<br />

confezioni siano commercializzate. 6.6. Precauzioni particolari per lo smaltimento<br />

e la manipolazione. Nessuna istruzione particolare.<br />

7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE PER L’IMMISSIONE IN COMMERCIO.<br />

EG SpA via D. Scarlatti, 31 - 20124 Milano.<br />

8. NUMERI DELLE AUTORIZZAZIONI ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO.<br />

GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,<br />

1X21 cpr A.I.C. n. 037684014/M<br />

GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,<br />

3X21 cpr A.I.C. n. 037684026/M<br />

GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,<br />

6X21 cpr A.I.C. n. 037684038/M<br />

GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,<br />

1X21 cpr A.I.C. n. 037684040/M<br />

GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,<br />

3X21 cpr A.I.C. n. 037684053/M<br />

GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,<br />

6X21 cpr A.I.C. n. 037684065/M<br />

9. DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE.<br />

2 ottobre 2007<br />

10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. Settembre 2007


Alfa-REPAGIN<br />

crema<br />

3 BUONE RAGIONI<br />

CREMA INTIMA<br />

Idratante<br />

Cicatrizzante<br />

Lenitiva<br />

Lubrificante<br />

Per attenuare la sintomatologia aspecifica o concomitante<br />

a patologie, a livello vulvare e vaginale

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