Trombofilie e gravidanza - Farmitalia Industria Chimico ...
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2Periodico<br />
di aggiornamento<br />
professionale<br />
per il Ginecologo<br />
Evidence-based-medicine<br />
Endocrinologia<br />
Menopausa<br />
Clinica quotidiana<br />
<strong>Trombofilie</strong> e <strong>gravidanza</strong>: quale approccio<br />
diagnostico e terapeutico?<br />
Amenorrea primaria<br />
nelle adolescenti<br />
Prevenzione e trattamento<br />
dell’osteoporosi<br />
Inquadramento diagnostico e terapeutico<br />
dell’insulino-resistenza in <strong>gravidanza</strong>
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Depositato presso AIFA in data 17-04-2009
N O<br />
G<br />
Sommario<br />
Periodico di aggiornamento professionale<br />
per il Ginecologo n. 2<br />
Registrazione N. 125 del 28 febbraio 2007<br />
presso il Tribunale di Milano<br />
Editore<br />
Hippocrates Edizioni Medico Scientifiche srl<br />
via Vittor Pisani 22 - 20124 Milano<br />
telefono 02.67100800 fax 02.6704311<br />
e-mail: informer@hippocrates.it<br />
Direttore editoriale<br />
Manlio Neri<br />
Direttore responsabile<br />
Susan Redwood<br />
Redazione scientifica<br />
Lella Cusin, Simona Regondi,<br />
Andrea Ridolfi, Rossella Traldi<br />
Progettazione e impaginazione grafica<br />
Marzia Bevilacqua, Giovanni Carella,<br />
Daniela De Martin, Vittorio Resmi<br />
Segreteria di redazione<br />
Isabella Monza<br />
Coordinamento scientifico<br />
Giovanni Scambia<br />
Hanno collaborato a questo numero<br />
Lisa Albertini, Alberto Bacchi Modena, Fabio<br />
Facchinetti, Matilde Ferrario, Giorgio Mello, Gianni<br />
Russo, Serena Ottanelli, Luciano Sterpellone,<br />
Valentina Vaccaro.<br />
Pubblicità e marketing<br />
Silvia Cavalca<br />
Stampa<br />
La Fenice Grafica soc. coop. a r.l.<br />
Borghetto Lodigiano - LO<br />
Chiuso in tipografia<br />
27 aprile 2009<br />
Referenze fotografiche<br />
in copertina, Fotolia.com - doctor © .shock #5141280<br />
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di<br />
riproduzione e di adattamento, totale o parziale con qualsiasi<br />
mezzo, compresi i microfilm e le copie fotostatiche, sono<br />
riservati per tutti i Paesi. Manoscritti e foto non si restituiscono.<br />
Per le immagini di cui, nonostante le ricerche eseguite, non<br />
è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’editore si dichiara<br />
pienamente disponibile ad assolvere i propri doveri. Informativa<br />
sulla legge 675/96 (tutela dei dati personali). Si informa che<br />
i dati personali che verranno forniti saranno oggetto di<br />
trattamento a mezzo di sistemi informatici.<br />
L’Editore garantisce la riservatezza dei dati forniti.<br />
Clinica<br />
Scienza e società 4<br />
di Luciano Sterpellone<br />
Evidence-based-medicine<br />
<strong>Trombofilie</strong> e <strong>gravidanza</strong>:<br />
quale approccio diagnostico e terapeutico? 6<br />
di Lisa Albertini, Fabio Facchinetti, Valentina Vaccaro<br />
Endocrinologia<br />
Amenorrea primaria nelle adolescenti 12<br />
di Gianni Russo, Matilde Ferrario<br />
Menopausa<br />
Prevenzione e trattamento dell’osteoporosi 22<br />
di Alberto Bacchi Modena<br />
Clinica quotidiana<br />
Inquadramento diagnostico e terapeutico<br />
dell’insulino-resistenza in <strong>gravidanza</strong> 30<br />
di Giorgio Mello, Serena Ottanelli<br />
3
N OG<br />
4<br />
cienza e società<br />
Sdi Luciano Sterpellone - Roma<br />
Buon vino dall’orto<br />
dei Semplici<br />
Gli Orti Botanici<br />
che a partire<br />
dal Medioevo<br />
erano annessi ai<br />
monasteri per la<br />
coltivazione delle<br />
erbe officinali<br />
con le quali si<br />
preparavano i<br />
medicamenti,<br />
cominciarono<br />
nel tempo ad ospitare anche i vitigni. Ciò in quanto<br />
i ridenti vigneti italiani e dei Paesi limitrofi rischiavano<br />
di estinguersi sotto la pressione delle orde barbariche<br />
che - notoriamente - al vino preferivano la<br />
birra, cercando di imporla alle popolazioni soggiogate.<br />
Le autorità ecclesiastiche, per assicurarsi almeno<br />
il vino necessario alla celebrazione della Messa in<br />
tutte le chiese cristiane, imposero appunto ai religiosi<br />
di includere tra le coltivazioni degli orti anche quella<br />
della vite.<br />
I frati infirmari non si lasciarono tuttavia sfuggire l’occasione<br />
di utilizzare il vino anche come eccipiente dei<br />
medicamenti da loro stessi preparati, tant’è che per<br />
lungo tempo i “vini medicati” godranno ampio favore<br />
presso i medici. Di tali vini si trovano ancora abbondanti<br />
tracce nei ricettari ufficiali sin quasi alla prima<br />
metà del XX secolo.<br />
Ovviamente, non tutto il vino prodotto negli orti dei<br />
Semplici serviva a questi scopi: i religiosi cominciarono<br />
ad apprezzare anche il gusto del vino “grezzo”,<br />
cioè non contaminato, servendosene qualche bicchiere<br />
in più nelle tediose serate d’inverno, forse nell’intento<br />
di prendere alla lettera le parole di Gesù: “Io<br />
sono la vera vite, e il Padre mio è il vignaiolo”.<br />
Anatomia bisex<br />
Nella recente sessione (novembre 2008) del Women,<br />
Health and Gender Forum di Madrid, una<br />
relazione ha riguardato l’importante tema (malauguratamente<br />
trascurato per secoli!) della...<br />
“pari opportunità” tra i due sessi nei Trattati di<br />
Anatomia. Maria José Barral dell’Università di<br />
Saragoza, che si è occupata a fondo del vitale<br />
problema, ha documentato (con il supporto di<br />
molte delle 17.000 immagini esaminate e l’accurata<br />
disamina dei dodici Trattati impiegati nelle<br />
venti più autorevoli Università mondiali) che<br />
esiste una imperdonabile e netta discriminazione<br />
di ordine razziale e sessuale tra maschio e<br />
femmina. Prevalgono infatti i riferimenti al corpo<br />
maschile (di tipo caucasico), mentre quello<br />
femminile e di altre etnie resta tristemente in secondo<br />
piano, a meno che non si parli specificamente<br />
dell’apparato riproduttore.<br />
La Barral tiene a sottolineare che non si tratta<br />
semplicemente di superficialità da parte degli<br />
autori, ma di un evidente basso maschilismo:<br />
per esempio, quando si tratta di raffigurare il sistema<br />
nervoso si prende esclusivamente a modello<br />
il corpo maschile, quasi a dire che “le donne<br />
non hanno cervello”.
Quante sono le<br />
ossa umane?<br />
Sembrerebbe un calcolo ozioso, perché basterebbe<br />
contarle. Eppure i nostri predecessori non<br />
sono mai riusciti a mettersi d’accordo. Gli antichi<br />
medici cinesi, per esempio, ne contavano<br />
265, mentre Charaka - uno dei due più famosi<br />
medici indiani - parlava di 360 (compresi i denti<br />
e le unghie) e Susruta di sole 300. Secondo il<br />
Talmud, invece, lo scheletro umano contiene 252<br />
ossa, mentre Galeno ne<br />
conta ancor meno (244),<br />
quattro in meno di quante<br />
ne conteranno medici di<br />
lingua araba come Albucasis<br />
e Avicenna. Ma non<br />
è finita. Nel 1300, Guy de<br />
Chauliac conta nello scheletro<br />
umano 245 ossa,<br />
qualcuna meno di quante<br />
ne conterà due secoli dopo<br />
Ambroise Paré. Andrea<br />
Vesalio, che dovrebbe essere<br />
al di sopra di ogni sospetto, enumera invece<br />
307 ossa, mentre qualche anno prima Gabriele<br />
Falloppio parlava di 256, una cinquantina<br />
in meno dei moderni anatomisti. Tanta disparità<br />
di vedute si spiega in parte con i criteri seguiti<br />
per questo... inventario: per esempio, alcune<br />
ossa - primo tra le quali il sacro - potevano essere<br />
considerate come unità a sé stanti, oppure<br />
in base alle singole unità costituenti.<br />
Archeologi beffati<br />
In base ai ritrovamenti negli antichi siti precolombiani<br />
si sa oggi che il mais è originario del Sudamerica.<br />
Tale certezza fu però temporaneamente scossa verso<br />
la metà del 1800, quando alcuni archeologi reperirono<br />
in una tomba egizia alcuni grani di mais.<br />
La cosa suscitò enorme scalpore tra archeologi, paleontologi<br />
e storici di tutto il mondo, accendendo<br />
aspre e appassionate discussioni, talora sull’orlo del-<br />
Coloranti<br />
contro batteri<br />
Com’è noto, la scoperta dello storico “Salvarsan 606”<br />
- il primo chemioterapico efficace contro la sifilide -<br />
fu messo a punto nel 1910 dal grande ricercatore tedesco<br />
Paul Ehrlich. Già quand’era studente egli aveva<br />
condotto esperimenti con sostanze coloranti i tessuti,<br />
un originale tipo di ricerca basato su di un presupposto<br />
quantomai logico: per colorare le fibre delle<br />
stoffe, i colori devono necessariamente penetrare<br />
e fissarsi stabilmente nelle loro fibre (costituite da cellule),<br />
secondo il noto detto latino Corpora non agunt<br />
nisi fixata. Restava quindi da accertare se essi non<br />
fossero anche in grado di fissare - quindi immobilizzare<br />
e uccidere - le cellule batteriche. In un primo<br />
tempo Ehrlich mise a punto un composto, il Rosso-<br />
Trypan, efficace nei topi contro il Tripanosoma equinum;<br />
poi nel 1910 realizzò (con il giapponese Sahachiro<br />
Hata) un composto arsenobenzolico - lo storico<br />
“Salvarsan 606” -, così chiamato in quanto il 606°<br />
composto “testato” nelle ricerche.<br />
la lite. Fu a questo punto che, spaventati per la brutta<br />
piega che la vicenda stava prendendo, alcuni scavatori<br />
si decisero a confessare<br />
che quei grani li avevano<br />
messi loro, così, tanto<br />
per tirare una burla<br />
agli archeologi e<br />
punire quella “scienza”<br />
che ostentavano<br />
ogni giorno con<br />
tanta superbia.<br />
5
N O<br />
G<br />
6<br />
EVIDENCE-BASED-MEDICINE<br />
TIl management clinico della trombofilia in <strong>gravidanza</strong> presenta aspetti<br />
ancora incerti o controversi, soprattutto per quanto riguarda l’impatto<br />
dello stato protrombotico in termini di complicanze gravidiche,<br />
il ruolo dello screening e della tromboprofilassi.<br />
La trombofilia è una condizione<br />
caratterizzata da un incremento<br />
della tendenza a sviluppare<br />
trombosi sia di tipo venoso che di<br />
tipo arterioso e quindi da un’aumentata<br />
probabilità di eventi<br />
trombotici come la trombosi venosa<br />
profonda (TVP) e l’embolia<br />
polmonare (EP): essa può essere<br />
causata da diversi gruppi di disturbi<br />
coagulativi e avere un’origine<br />
congenita, acquisita o mista.<br />
• Forme congenite: le più frequenti<br />
sono le mutazioni del fattore<br />
II (protrombina) e del fattore<br />
V (per esempio, la mutazione<br />
di Leiden che si traduce<br />
in una diminuita capacità di<br />
inattivare il fattore V attivato da<br />
parte del sistema della proteina<br />
C) e il deficit di anticoagulanti<br />
fisiologici come la proteina<br />
S, la proteina C e l’antitrombina<br />
III. La prevalenza combinata<br />
di questi difetti nella popolazione<br />
generale supera il 5% 1 .<br />
rombofilie e <strong>gravidanza</strong>:<br />
quale approccio diagnostico<br />
e terapeutico?<br />
di Lisa Albertini, Fabio Facchinetti, Valentina Vaccaro<br />
Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero Universitaria - Modena<br />
• Forme acquisite: la condizione<br />
più comune è la presenza di anticorpi<br />
antifosfolipidi (anti-LAC,<br />
anti-cardiolipina).<br />
• Forme miste: in questo contesto<br />
va ricordata, in particolare, l’iperomocisteinemia<br />
che può essere<br />
causata sia da fattori ambientali<br />
che genetici (per esempio,<br />
mutazioni del gene per la metilentetraidrofolato-reduttasi).<br />
Negli ultimi anni è stata suggerita<br />
l’esistenza di una stretta associazione<br />
tra trombofilia materna<br />
ed esito avverso della <strong>gravidanza</strong>:<br />
quest’ultima, infatti, comporta, di<br />
per sé, uno stato di ipercoagulabilità<br />
fisiologica che aiuta a mantenere<br />
la funzione placentare e<br />
contribuisce a ridurre l’emorragia<br />
al momento del parto 2 .<br />
Poiché a livello placentare si realizza<br />
un delicato equilibrio tra fattori<br />
procoagulanti e anticoagulanti,<br />
la placenta rappresenta un distretto<br />
vascolare particolarmente<br />
a rischio: nelle donne trombofiliche<br />
questa ipercoagulabilità fisiologica<br />
risulta accentuata e può<br />
predisporre alla trombosi e alle<br />
complicanze vascolari placentari.<br />
La conseguente riduzione anatomo-funzionale<br />
del letto coriale si<br />
traduce in un’insufficienza vascolare<br />
utero-placentare che può favorire<br />
l’insorgenza di gravi complicanze<br />
ostetriche.<br />
In particolare, le gestanti trombofiliche<br />
sembrerebbero esposte a<br />
un aumentato rischio di preeclampsia,<br />
insufficienza placentare cronica<br />
con restrizione di crescita fetale<br />
(FGR), insufficienza placentare<br />
acuta con morte endouterina<br />
fetale (MEF) e distacco intempestivo<br />
di placenta normalmente inserita<br />
(DIPNI).<br />
Questo gruppo di complicanze si<br />
presenta in più di una <strong>gravidanza</strong><br />
su 6 e spesso produce conseguenze<br />
devastanti per la donna,<br />
la famiglia e la società 3 .
Fisiopatologia<br />
dello stato coagulativo<br />
in <strong>gravidanza</strong><br />
Durante la <strong>gravidanza</strong> viene modificato<br />
il delicato equilibrio tra<br />
fattori anticoagulanti e procoagulanti<br />
proprio dell’emostasi. In particolare,<br />
si osserva un marcato incremento<br />
dell’attività procoagulante<br />
in seguito all’aumento di<br />
quasi tutti i fattori della coagulazione,<br />
del fibrinogeno e del fattore<br />
di Von Willebrand. Per contro,<br />
il fisiologico sistema anticoagulante<br />
diventa meno efficiente<br />
in seguito a un’aumentata resistenza<br />
alla proteina C attivata nel<br />
II e III trimestre e a una riduzione<br />
dell’attivazione della proteina S 2 ,<br />
inoltre l’attività fibrinolitica risulta<br />
compromessa.<br />
Al momento del parto si assiste a<br />
un’ulteriore accentuazione di questa<br />
ipercoagulabilità fisiologica,<br />
dovuta alla liberazione di sostanze<br />
tromboplastiniche.<br />
Segni di consumo piastrinico, diminuzione<br />
dell’antitrombina e aumento<br />
dei prodotti di degradazione<br />
del fibrinogeno sono pertanto<br />
comuni dopo il parto, soprattutto<br />
se espletato per via laparotomica,<br />
e possono persistere per<br />
alcune settimane.<br />
Il puerperio rappresenta quindi un<br />
fattore di rischio; non a caso, molti<br />
eventi trombotici si verificano in<br />
questo periodo più che in tutto il<br />
resto della <strong>gravidanza</strong>.<br />
La <strong>gravidanza</strong><br />
è associata a uno stato<br />
di ipercoagulabilità<br />
fisiologica<br />
Trombofilia e circolo<br />
placentare: quali<br />
correlazioni?<br />
La placenta, per le peculiari caratteristiche<br />
emodinamiche del circolo<br />
a livello degli spazi intervillosi,<br />
sembrerebbe giocare nelle<br />
gestanti trombofiliche un ruolo<br />
cruciale nell’eziopatogenesi degli<br />
eventi ostetrici avversi.<br />
In particolare, è stato ipotizzato<br />
che l’inadeguata invasione della<br />
circolazione materna da parte del<br />
trofoblasto e il danno alle arterie<br />
spirali possano determinare una<br />
riduzione del flusso e modificazioni<br />
protrombotiche a livello della<br />
parete dei vasi 4 e che tutto ciò<br />
possa portare a eventi ostetrici avversi<br />
placenta-mediati. La bassa<br />
pressione del sistema utero-placentare<br />
può essere così suscettibile<br />
di complicazioni trombotiche<br />
in casi di ipercoagulabilità.<br />
In effetti, le placente di donne<br />
trombofiliche con complicazioni<br />
tardive della <strong>gravidanza</strong> presentano<br />
più frequentemente<br />
quadri istologici perlopiù riconducibili<br />
a un eccessivo<br />
deposito di fibrina<br />
e a trombosi<br />
dei vasi placentari 5 .<br />
Tuttavia, secondo<br />
una recente ipotesi,<br />
l’insufficienza placentare<br />
che spesso<br />
si riscontra nelle<br />
donne trombofiliche<br />
sarebbe riconducibi-<br />
EVIDENCE-BASED-MEDICINE<br />
le non solo allo stato<br />
di ipercoagulabilità,<br />
che può condurre<br />
a microtrombosi<br />
placentare, ma anche<br />
a un’alterazione<br />
dei meccanismi di<br />
differenziazione trofoblastica<br />
6,7 .<br />
Sta diventando infatti<br />
evidente un’importante azione<br />
reciproca tra attivazione della coagulazione/fibrinolisi<br />
e lo sviluppo<br />
placentare, particolarmente attraverso<br />
meccanismi infiammatori<br />
che potrebbero essere indipendenti<br />
dalla trombosi 7,8 . In effetti,<br />
studi condotti su modelli animali<br />
hanno dimostrato come il sistema<br />
emostatico giochi un importante<br />
ruolo nello sviluppo placentare<br />
e fetale 8-10 .<br />
La gravità delle manifestazioni cliniche,<br />
e la probabilità che esse si<br />
verifichino, dipendono da quanto<br />
precocemente s’instaurano le<br />
lesioni placentari, da quanto rapidamente<br />
si realizzano i fatti<br />
trombotici e dal grado di interessamento<br />
del letto placentare.<br />
Queste variabili, a loro volta, potrebbero<br />
essere influenzate dal tipo<br />
di trombofilia materna, dalla<br />
contemporanea presenza di fattori<br />
ambientali (per esempio, infezioni/infiammazioni<br />
degli annessi<br />
fetali) e, secondo ipotesi più<br />
recenti, dall’eventuale presenza<br />
di trombofilia anche nel feto.<br />
La placenta gioca<br />
un ruolo fondamentale<br />
nello sviluppo di eventi<br />
ostetrici avversi<br />
N O<br />
G<br />
7
EVIDENCE-BASED-MEDICINE<br />
N<br />
O<br />
G Trombofilia ed eventi<br />
ostetrici avversi<br />
8<br />
Sebbene numerosi studi abbiano<br />
esaminato l’associazione tra trombofilia<br />
congenita ed eventi ostetrici<br />
avversi, non sono state ancora<br />
delineate chiare conclusioni. Infatti,<br />
se alcuni di questi lavori mostrano<br />
l’esistenza di una relazione<br />
positiva tra eventi ostetrici avversi<br />
e trombofilia, altri non individuano<br />
alcuna correlazione.<br />
Alcuni dei più citati studi che hanno<br />
documentato l’esistenza di associazioni<br />
positive sono limitati<br />
da casistiche ridotte e da outcome<br />
compositi 11,12 ; inoltre, i fattori<br />
confondenti sembrano essere<br />
numerosi 13 . Alcune metanalisi di<br />
studi caso-controllo 1 suggeriscono<br />
un’aumentata prevalenza di<br />
trombofilia ereditaria in donne<br />
con preeclampsia, FGR, distacco<br />
intempestivo di placenta, aborti<br />
e morti fetali, rispetto a quanto<br />
osservabile in donne con gravidanze<br />
non complicate; tuttavia,<br />
alla luce delle considerazioni sopraesposte,<br />
l’interpretazione di<br />
questi risultati deve essere cauta<br />
(tabella 1). Qui di seguito verranno<br />
esaminate, nello specifico, le<br />
evidenze pubblicate in letteratura<br />
per ogni singola complicanza<br />
ostetrica.<br />
FGR<br />
La trombofilia si associa a quadri<br />
anatomopatologici caratterizzati<br />
da microtrombosi placentare, con<br />
conseguenze quali necrosi e infarti<br />
placentari; per questo motivo,<br />
una correlazione fisiopatologica<br />
tra trombofilia e FGR è teoricamente<br />
plausibile. Tuttavia, i<br />
pochi studi presenti in letteratura<br />
mostrano come tale associazione<br />
sia debole 14 o addirittura inesistente<br />
15,16 .<br />
Un’importante metanalisi pubblicata<br />
nel 2005 17 ha evidenziato<br />
un lieve incremento del rischio<br />
di sviluppare un FGR in donne<br />
con mutazione del fattore V Leiden<br />
(FV Leiden ) in eterozigosi o del<br />
gene della protrombina 20210;<br />
gli stessi autori raccomandano però<br />
cautela nell’interpretazione dei<br />
risultati, visto il limitato numero<br />
di trial esaminati (dieci), la ridot-<br />
ta casistica e l’assenza di studi prospettici<br />
disponibili (tabella 1).<br />
Risultati contrastanti emergono<br />
invece da uno studio caso-controllo<br />
del 2002 15 , confermato dagli<br />
stessi autori nel 2005 16 , in cui<br />
si evidenzia la mancanza di associazione.<br />
Analogamente, l’unico<br />
studio di coorte sufficientemente<br />
ampio presente in letteratura 18 ha<br />
correlato FGR e la mutazione<br />
FV Leiden con un RR pari a 0,9.<br />
Dalla revisione della letteratura<br />
non emerge quindi una chiara correlazione<br />
tra trombofilia materna<br />
e FGR.<br />
Preeclampsia<br />
Diversi studi hanno indagato la<br />
possibile associazione tra trombofilia<br />
materna e preeclampsia, ma<br />
anche in questo caso i risultati non<br />
sono sempre omogenei; inoltre, la<br />
maggior parte di essi trae conclusioni<br />
valide solamente per alcune<br />
forme di trombofilia congenita, in<br />
particolare per la mutazione del<br />
fattore V di Leiden in eterozigosi<br />
o della protrombina 20210.<br />
Una recente metanalisi 19 ha pre-<br />
Tabella 1 Associazione tra trombofilia ereditaria ed eventi ostetrici avversi: metanalisi di studi osservazionali<br />
Morte fetale Aborto ricorrente Distacco placenta FGR Preeclampsia<br />
OR (IC 95%) OR (IC 95%) OR (IC 95%) OR (IC 95%) OR (IC 95%)<br />
Fattore V 3,26 (1,82-5,83) 2,0 (1,5-2,7) 6,7 (2,0-21,6) 2,7 (1,3-5,5) 2,19 (1,46-3,27)<br />
Leiden<br />
Protrombina 2,3 (1,09-4,87) 2,0 (1,0-4,0) 7,71 (3,01-19,76) 2,5 (1,3-5,0) 2,54 (1,52-4,23)<br />
G20210A<br />
Deficit 1,41 (0,96-2,07) 1,57 (0,23- 10,54) -- -- 21,5 (1,1-414,4)<br />
di proteina C<br />
Deficit 7,39 (1,28-42,83) 14,72 (0,99-218,01) 0,3 (0-70,1) 10,2 (1,1-91) 12,7 (4,0-39,7)<br />
di proteina S<br />
Deficit -- -- 4,1 (0,3-49,9) -- 7,1 (0,4-117,4)<br />
di antitrombina<br />
Rodger MA et al, Obstet Gynecol 2008
La trombofilia materna<br />
è associata<br />
a preeclampsia grave<br />
so in considerazione 47 studi caso-controllo,<br />
per un totale di<br />
7.522 casi, dimostrando l’esistenza<br />
di una correlazione tra preeclampsia<br />
severa e l’eterozigosi sia<br />
dell’ FV Leiden che della protrombina<br />
20210 (tabella 2).<br />
Questi dati sono in linea con altre<br />
revisioni e metanalisi 14,20 riguardanti<br />
soprattutto la preeclampsia<br />
e la sindrome HELLP 21,22 ; per alcune<br />
di queste, però, la correlazione<br />
è solo debolmente positiva 23<br />
(OR=1,6 IC 95% 1,2–2,1).<br />
Sono comunque da ricordare<br />
esperienze contrastanti 24 .<br />
Un ampio studio multicentrico ca-<br />
so-controllo condotto<br />
nel 2005 su una popolazione<br />
caucasica 25 ,<br />
ha evidenziato una<br />
netta prevalenza di<br />
condizioni trombofiliche,<br />
sia congenite che<br />
acquisite, nelle pazienti<br />
con preeclampsia<br />
severa rispetto ai<br />
controlli (tabella 2).<br />
Il medesimo studio ha riscontrato<br />
anche una prevalenza significativamente<br />
più alta di complicazioni<br />
ostetriche (distacco intempestivo<br />
di placenta, insufficienza<br />
renale acuta, parto prematuro e<br />
morte perinatale) tra le preeclamptiche<br />
trombofiliche rispetto alle<br />
preeclamptiche non trombofiliche.<br />
Uno studio multicentrico di<br />
coorte di recente pubblicazione 26<br />
che ha arruolato 172 pazienti ha<br />
dimostrato un elevato rischio di<br />
ricorrenza della preeclampsia<br />
(OR=2,5 IC 95% 1,2-5,1) nelle pazienti<br />
con difetti trombofilici rispetto<br />
ai controlli.<br />
Tabella 2 Associazione tra trombofilia ereditaria e preeclampsia<br />
grave e moderata<br />
Casi/controlli OR<br />
Fattore V<br />
Lin J et al* 1.135/1.471 2,24<br />
(PE grave) (1,28-3,94)<br />
Mello G et al** 406/406 5,2<br />
(PE grave) (2,9-9,8)<br />
Mello G et al** 402/402 1,0<br />
(PE moderata) (0,42-2,32)<br />
Fattore II<br />
Lin j et al* 325/533 1,98<br />
(PE grave) (0,94-4,17)<br />
Mello G et al** 406/406 6,0<br />
(PE grave) (2,7-14,1)<br />
Mello G et al** 402/402 3,3<br />
(PE moderata) (1,1-10,3)<br />
* Lin J et al, Obstet Gynecol 2005 ** Mello G et al, Hypertension 2005<br />
EVIDENCE-BASED-MEDICINE<br />
Tutti i dati della letteratura, aldilà<br />
delle disomogeneità cliniche, suggeriscono<br />
pertanto l’esistenza di<br />
una chiara associazione tra trombofilia<br />
materna e preeclampsia di<br />
tipo severo; l’associazione con le<br />
forme lievi-moderate (anche tardive)<br />
di preeclampsia appare, invece,<br />
molto dubbia. Un’ipotesi accreditata<br />
è che la trombofilia materna<br />
sia un fattore peggiorativo<br />
e non causale dello stato preeclamptico.<br />
Aborto e morte fetale<br />
endouterina<br />
Prima di esaminare gli studi sulla<br />
correlazione tra trombofilia materna<br />
e morte fetale endouterina occorre<br />
premettere che un’importante<br />
limitazione alla base della loro<br />
interpretazione riguarda la definizione<br />
di aborto e morte fetale in<br />
relazione all’epoca gestazionale<br />
poiché essa differisce ampiamente<br />
a livello internazionale e questo<br />
condiziona sicuramente la possibilità<br />
di trarre conclusioni univoche.<br />
Dalla letteratura sembra emergere<br />
una netta differenza tra aborti<br />
precoci e perdite fetali tardive e<br />
ricorrenti. Infatti, prima delle 10<br />
settimane di gestazione, non pare<br />
sussistere alcun tipo di associazione<br />
27 , probabilmente a causa<br />
dello sviluppo embriogenetico del<br />
sistema vascolare 28 : prima delle 8-<br />
10 settimane esiste per l’embrione<br />
la vascolarizzazione del sacco<br />
vitellino e solo successivamente si<br />
sviluppa un contatto tra circolazione<br />
materna e fetale; appare<br />
perciò improbabile che la trombofilia<br />
materna possa danneggiare<br />
lo sviluppo embrionale in epoche<br />
gestazionali così precoci.<br />
Le evidenze sono invece consistenti<br />
per le perdite fetali dopo le<br />
10 settimane di gestazione 29-32 ,<br />
N O<br />
G<br />
9
N O<br />
G<br />
10<br />
EVIDENCE-BASED-MEDICINE<br />
sebbene esistano anche studi con<br />
risultati negativi 33 . In particolare,<br />
secondo un lavoro di Robertson<br />
e Wu 32 , l’aumentato rischio di perdite<br />
ricorrenti alla fine del primo<br />
trimestre sarebbe associato a donne<br />
con mutazioni FV Leiden (OR<br />
1,91; IC 95% 1,01-3,61), varianti<br />
del gene della protrombina (OR<br />
2,7; IC 95% 1,82-14,01) o elevati<br />
livelli di omocisteina (OR 4,21;<br />
IC 95% 1,28-13,87). La mutazione<br />
FV Leiden (OR 4,12; IC 95%<br />
1,93-8,81) e la variante G202110A<br />
della protrombina (OR 8,60; IC<br />
95% 2,18-33,95) sarebbero inoltre<br />
associate a perdite fetali non<br />
ricorrenti nel secondo trimestre;<br />
tali correlazioni sono state confermate<br />
anche da un altro studio 34 .<br />
Un’ampia metanalisi pubblicata<br />
nel 2003 34 ha evidenziato che la<br />
mutazione FV Leiden è associata a<br />
un aumentato rischio di morte fetale<br />
(OR 7,83; IC 95% 2,83-<br />
21,67). Secondo lo stesso studio<br />
in queste morti endouterine si osserva<br />
frequentemente un deficit<br />
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materno di proteina S (OR 7,39;<br />
IC 95% 1,28-42,63) mentre la resistenza<br />
alla proteina C attivata<br />
rappresenta una condizione di aumentato<br />
rischio per morti fetali<br />
precoci e/o ricorrenti. La correlazione<br />
tra trombofilia e perdite fetali<br />
sembra più evidente nei casi<br />
di perdite ricorrenti 35,36 , sia aborti<br />
che morti fetali 37 .<br />
Distacco di placenta<br />
Diversi lavori di revisione sistematica<br />
pubblicati in letteratura evidenziano<br />
l’esistenza di un’associazione<br />
significativa tra distacco<br />
intempestivo di placenta normalmente<br />
inserita e mutazione in eterozigosi<br />
dell’FV Leiden e della protrombina<br />
14,23,32 . Tuttavia, la reale<br />
correlazione tra questi elementi<br />
potrebbe essere influenzata dalla<br />
presenza di numerosi fattori confondenti,<br />
come, per esempio,<br />
l’ipertensione cronica 38,39 ; inoltre<br />
spesso le casistiche non sono ampie<br />
23,32 e il distacco di placenta è<br />
osservato all’interno di quadri clinici<br />
tipici dei più comuni eventi<br />
ostetrici avversi, quali preeclampsia,<br />
FGR e perdita fetale. Esiste<br />
però anche un interessante lavoro<br />
che dimostra una prevalenza<br />
di trombofilia congenita aumentata<br />
anche in pazienti nelle quali<br />
il distacco di placenta non è associato<br />
a preeclampsia 40 .<br />
In definitiva, la letteratura sembra<br />
suggerire che le forme più comuni<br />
di trombofilia congenita, quali<br />
le mutazioni FV Leiden e della protrombina,<br />
risultano associate a un<br />
rischio aumentato di incidenti placentari<br />
acuti, tra cui il distacco intempestivo<br />
di placenta.<br />
Conclusioni<br />
I dati della letteratura di questi ultimi<br />
anni indicano in modo abbastanza<br />
chiaro che la trombofilia<br />
rappresenta un fattore di rischio<br />
per alcune complicazioni della <strong>gravidanza</strong>.<br />
Nello specifico, però, i risultati<br />
degli studi non sono univoci<br />
e in parecchi casi la numerosità<br />
dei campioni non è così convincente:<br />
l’unica forte evidenza è<br />
l’associazione tra trombofilia congenita<br />
materna e preeclampsia severa.<br />
Anche il distacco di placenta<br />
e la morte endouterina sembrano<br />
associati alla presenza di<br />
trombofilia materna, anche se con<br />
minor impatto. Le evidenze scientifiche<br />
circa la tromboprofilassi con<br />
eparine a basso peso molecolare<br />
non sono al momento sufficienti<br />
9 , ma sono attualmente in corso<br />
alcuni studi clinici randomizzati a<br />
livello internazionale i cui risultati<br />
forniranno specifiche indicazioni<br />
in merito al trattamento clinico.<br />
Anche le raccomandazioni per<br />
lo screening non sono ancora supportate<br />
da livelli di evidenza significativi<br />
33 ; attualmente sono disponibili<br />
indicazioni più chiare per lo<br />
screening e la tromboprofilassi in<br />
caso di sindrome da anticorpi antifosfolipidi.<br />
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N O<br />
G<br />
11
N O<br />
G<br />
12<br />
ENDOCRINOLOGIA<br />
AUn corretto inquadramento clinico deve sempre prevedere,<br />
oltre a un’accurata anamnesi, un minuzioso esame obiettivo<br />
e la valutazione del quadro ormonale anche al fine di escludere<br />
patologie rimaste misconosciute fino all’età peripuberale.<br />
Per amenorrea primaria si intende,<br />
come noto, l’assenza del<br />
menarca e dei caratteri sessuali<br />
secondari in età >13 anni oppure<br />
assenza del menarca in presenza<br />
dei caratteri sessuali secondari<br />
a 15 anni di età.<br />
L’American Academy of Pediatrics<br />
e l’American College of Obstetrician<br />
and Gynecologists hanno indicato<br />
come meritevoli di valutazione<br />
le seguenti condizioni che<br />
non rientrano strettamente nella<br />
definizione di amenorrea primaria:<br />
• assenza del menarca a >3 anni<br />
dalla comparsa di telarca;<br />
• assenza del menarca all’età di<br />
14 anni in presenza di:<br />
■ sospetto di disturbo dell’alimentazione<br />
o esercizio fisico<br />
intenso;<br />
■ segni di irsutismo;<br />
■ sospetto di ostruzione o malformazione<br />
a livello genitale.<br />
Un approccio clinico valido può<br />
essere quello di considerare l’ame-<br />
menorrea primaria<br />
nelle adolescenti<br />
di Gianni Russo, Matilde Ferrario<br />
Centro di Endocrinologia dell’infanzia e dell’adolescenza, Università Vita-Salute San Raffaele - Milano<br />
norrea come espressione di una<br />
patologia organica o funzionale<br />
a carico dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi:<br />
secondo questo criterio,<br />
a seconda del livello in cui si<br />
ha la patologia, si può distinguere<br />
tra ipogonadismo normogonadotropo/ipergonadotropo/ipogonadotropo<br />
e iperprolattinemie, tenendo<br />
presente che le cause di<br />
amenorrea primitiva e secondaria<br />
(assenza delle mestruazioni da più<br />
di 4-6 mesi) non hanno sempre<br />
una netta demarcazione.<br />
Ipogonadismo<br />
normogonadotropo<br />
Malformazioni utero-vaginali.<br />
Esse possono condizionare l’assenza<br />
della mestruazione per la<br />
mancanza di tessuto mucoso uterino<br />
o per l’impossibilità alla fuoriuscita<br />
del flusso mestruale; le pa-<br />
zienti hanno normale anatomia e<br />
funzionalità ovarica, normali livelli<br />
di gonadotropine ipofisarie e un<br />
adeguato sviluppo dei caratteri<br />
sessuali secondari.<br />
Le anomalie congenite possono<br />
interessare il tratto genitale inferiore<br />
(vagina, cervice uterina) e<br />
ostacolare la fuoriuscita di sangue;<br />
in tali situazioni vi è il rischio<br />
che il flusso mestruale si raccolga<br />
nella cavità uterina (ematocolpo):<br />
• imene imperforato;<br />
• setti vaginali trasversali;<br />
• aplasie vaginali parziali/totali;<br />
• aplasia cervicale.<br />
Le malformazioni a carico dell’utero<br />
sono responsabili di circa il 15%<br />
dei casi di amenorrea primaria:<br />
nella sindrome di Rokitansky (frequenza<br />
1:4.500 bambine nate) è<br />
presente agenesia completa dell’utero<br />
e dei 2/3 superiori della vagina.<br />
Vi sono due forme, la tipo I<br />
(isolata) e la tipo II (associata a displasia<br />
renale e anomalie verte
ali); la maggior parte dei casi è<br />
sporadica, ma sono stati descritti<br />
casi familiari per cui è stata ipotizzata<br />
una trasmissione autosomica<br />
dominante con penetranza<br />
incompleta ed espressività variabile.<br />
Le pazienti in assenza di adeguata<br />
correzione chirurgica possono<br />
presentare difficoltà o impossibilità<br />
ad avere rapporti sessuali<br />
e non sono fertili.<br />
L’assenza completa dell’utero associata<br />
ad amenorrea si riscontra<br />
anche nella sindrome da insensibilità<br />
completa agli androgeni<br />
(CAIS), la cui diagnosi non di rado<br />
viene posta in ragazze adolescenti<br />
che presentano amenorrea.<br />
Clinicamente in questi casi si osserva<br />
un fenotipo femminile con<br />
presenza di scarsa peluria pubica<br />
e ascellare e ghiandola mammaria<br />
normoestrogenizzata; è caratterizzata<br />
dall’assenza sia di utero<br />
che di ovaie e dalla presenza di<br />
gonadi maschili (testicoli) ritenute<br />
in addome o a livello inguinale;<br />
il cariotipo è maschile normale<br />
(46XY). La sindrome è dovuta<br />
a un’alterazione del gene del recettore<br />
per gli androgeni e le indagini<br />
di laboratorio mostrano elevati<br />
valori di testosterone per il sesso<br />
femminile a fronte dell’assenza<br />
di segni clinici di virilizzazione.<br />
Le malformazioni acquisite possono<br />
essere formazioni di sinechie<br />
uterine conseguenti a revisioni/interventi<br />
di chirurgia ginecologica<br />
(sindrome di Asherman), ad agen-<br />
ti chimici o fisici, a cause infettive<br />
(malattia tubercolare, oggi rara).<br />
L’anovulazione da iperandrogenismo<br />
può essere:<br />
• di origine ovarica (tumori androgeno-secernenti,<br />
sindrome<br />
dell’ovaio policistico);<br />
• di origine surrenalica (tumori<br />
surrenalici, sindrome di Cushing,<br />
forma non classica di iperplasia<br />
surrenalica congenita, CAH-NC);<br />
• da aumento della frazione libera<br />
di testosterone (patologie tiroidee).<br />
La sindrome dell’ovaio policistico<br />
(PCOS) è un’endocrinopatia caratterizzata<br />
da oligoanovulazione e<br />
iperandrogenismo e, in molti casi,<br />
da alterato rapporto LH/FSH (con<br />
aumento di LH e rapporto >1,5).<br />
Clinicamente il disturbo dell’ovulazione<br />
si manifesta con oligomenorrea<br />
e, in una minor parte, amenorrea<br />
(24%); i segni<br />
di iperandrogenismo<br />
sono acne e irsutismo.<br />
Spesso si tratta<br />
di pazienti obese con<br />
insulino-resistenza e<br />
tendenza a sviluppare<br />
diabete mellito di<br />
tipo II.<br />
Attualmente, non vi<br />
è una completa univocità<br />
sulla diagnosi<br />
di PCOS nella donna<br />
adulta e nell’adolescente.<br />
Tuttavia, una<br />
recente consensus (Rotterdam,<br />
2003) ha stabilito che la presenza<br />
di almeno 2 dei seguenti criteri<br />
permette di porre diagnosi di<br />
PCOS nelle pazienti adulte: 1) presenza<br />
di caratteristiche ecografiche<br />
di ovaio policistico; 2) oligoanovulazione;<br />
3) iperandrogenismo<br />
clinico o biochimico. La forma<br />
non classica di iperplasia surrenalica<br />
congenita (CAH-NC) può<br />
ENDOCRINOLOGIA<br />
presentarsi con caratteristiche cliniche<br />
sovrapponibili alla PCOS<br />
quali l’irsutismo, l’acne, l’amenorrea.<br />
Anche i valori ormonali<br />
di gonadotropine e androgeni<br />
possono essere sovrapponibili; la<br />
diagnosi definitiva si pone riscontrando<br />
valori patologici di 17-<br />
OHP basali o dopo stimolo con<br />
ACTH; la ricerca di mutazioni del<br />
gene CYP21 può confermare la<br />
diagnosi.<br />
Ipogonadismo<br />
ipergonadotropo:<br />
sindromi primitive<br />
ovariche<br />
Un deficit primario della funzione<br />
ovarica (in cui il patrimonio follicolare<br />
può essere conservato o<br />
meno) si associa a persistenti va-<br />
L’amenorrea primaria<br />
può essere considerata<br />
come il sintomo<br />
di una patologia organica<br />
o funzionale che interessa<br />
l’asse ipotalamo-ipofisigonadi<br />
lori elevati di gonadotropine.<br />
La disgenesia gonadica è una compromissione<br />
più o meno grave delle<br />
gonadi fetali, spesso associata<br />
ad alterazioni cromosomiche. La<br />
sindrome di Turner (il cariotipo<br />
45X0 è il più frequente) è una forma<br />
di disgenesia gonadica caratterizzata<br />
dalla presenza di streak<br />
gonads, ovvero gonadi con aspetto<br />
a banderella o masserelle costi-<br />
N O<br />
G<br />
13
ENDOCRINOLOGIA<br />
N O<br />
G tuite da tessuto fibrotico, generalmente<br />
privo di ovociti, la cui deplezione<br />
inizia già dalla 18 a settimana<br />
gestazionale in utero.<br />
La secrezione delle gonadotropine<br />
delle bambine affette dalla sindrome<br />
di Turner è parallela a quella<br />
delle bambine con gonadi normali,<br />
ma molto più amplificata<br />
per l’assenza del feedback negativo<br />
da parte degli estrogeni; nelle<br />
ragazze adolescenti si riscontrano<br />
pertanto valori elevati di LH<br />
e di FSH.<br />
14<br />
L’impostazione<br />
di un corretto iter<br />
diagnostico non può<br />
prescindere da un’accurata<br />
anamnesi familiare<br />
e personale e dall’esame<br />
obiettivo<br />
Clinicamente, oltre ai dismorfismi<br />
caratteristici della sindrome che<br />
possono essere presenti in modo<br />
variabile (pterigium colli, impianto<br />
basso dei capelli alla nuca, torace<br />
a scudo, teletelia, cubito valgo,<br />
brevità degli arti rispetto al<br />
tronco) e alla bassa statura, queste<br />
pazienti non hanno in genere<br />
uno sviluppo spontaneo della<br />
ghiandola mammaria per la carenza<br />
di estrogeni, mentre presentano<br />
una normale comparsa<br />
e progressione della peluria pubica<br />
e ascellare. Nel 95% delle<br />
pazienti viene riscontrata amenorrea<br />
primitiva, mentre solo in<br />
una minima percentuale è stata<br />
osservata la comparsa di un ciclo<br />
mestruale spontaneo. La menopausa<br />
precoce (Premature Ova-<br />
rian Failure, POF) è una condizione<br />
caratterizzata da amenorrea<br />
primaria o secondaria, ipoestrogenismo<br />
e aumento delle gonadotropine<br />
prima dei 40 anni di<br />
età. La frequenza per le donne<br />
proposito è attualmente in corso<br />
la sperimentazione di nuove<br />
tecniche per l’identificazione<br />
dei geni del cromosoma X<br />
responsabili del fenotipo delle<br />
monosomie.<br />
Ipogonadismo<br />
ipo-normogonadotropo:<br />
sindromi centrali<br />
da cause ipotalamoipofisarie<br />
Patologie organiche o funzionali<br />
a carico del sistema nervoso<br />
centrale (SNC) possono essere<br />
causa di amenorrea e si associano<br />
a valori bassi o normali di gonadotropine.<br />
Le patologie organiche del SNC a<br />
carico dell’ipotalamo o dell’ipofisi<br />
possono essere deficit di sviluppo,<br />
lesioni di origine tumorale (per<br />
esempio, craniofaringioma), lesioni<br />
infettive o infiammatorie, malattie<br />
degenerative croniche.<br />
I disturbi funzionali del SNC si instaurano<br />
attraverso un meccanismo<br />
regolato dall’ipotalamo; tra<br />
le cause più frequenti si riconoscono<br />
lo stress psicogeno, l’anoressia,<br />
il calo ponderale, la pratica<br />
di sport a elevato livello di competizione;<br />
anche alcune malattie<br />
croniche non ben controllate possono<br />
causare amenorrea con un<br />
meccanismo centrale (epatopatie,<br />
insufficienza renale, diabete, malattia<br />
infiammatoria intestinale,<br />
celiachia, patologia tiroidea).<br />
Per quanto riguarda i disturbi alimentari<br />
è bene precisare che restrizioni<br />
nella dieta possono portare<br />
ad amenorrea di origine ipotalamica<br />
anche in presenza di un<br />
normale peso corporeo; inoltre,<br />
circa il 20% delle pazienti con<br />
anoressia nervosa sviluppa amenorrea<br />
prima di arrivare a un importante<br />
calo ponderale. Le pazienti<br />
con bulimia, invece, presentano<br />
più raramente irregolarità del<br />
ciclo mestruale.<br />
L’ipogonadismo ipogonadotropo<br />
congenito isolato (Isolated Hypogonadotropic<br />
Hypogonadism, IHH)<br />
è una condizione caratterizzata da<br />
assenza totale o parziale di secrezione<br />
di gonadotropine per difetto<br />
ipofisario o ipotalamico. Vi sono<br />
pertanto bassi valori di estradiolo<br />
circolante con<br />
normali o bassi livelli<br />
di LH e di FSH; non<br />
sono presenti alterazioni<br />
anatomiche ipotalamo-ipofisarie<br />
né<br />
difetti di funzione dei<br />
restanti assi.<br />
Alcune mutazioni geniche<br />
(a carico del recettore<br />
del GnRH-<br />
GPR54- e del suo ligando)<br />
sono associate<br />
a questo difetto,<br />
ma si riscontrano solo in una ridotta<br />
percentuale di casi. L’associazione<br />
di ipogonadismo ipogonadotropo<br />
e anosmia è denominata sindrome<br />
di Kallman, in cui sono state<br />
riscontrate diverse alterazioni<br />
geniche: mutazioni a carico del gene<br />
KAL1 (situato su Xp22.3) a trasmissione<br />
X-linked; mutazioni e<br />
delezioni del gene FGFR1 a trasmissione<br />
autosomica dominante;<br />
ENDOCRINOLOGIA<br />
mutazioni di PROKR2 o del suo ligando<br />
PROK2. La sindrome di Kallman<br />
è più frequente nei maschi<br />
rispetto alle femmine, nelle quali<br />
si riscontra in 1:50.000. Alla base<br />
della sindrome vi è un deficit di migrazione<br />
dei neuroni olfattori e<br />
GnRH. La diagnosi è definita con<br />
indagine genetica e riscontro neuroradiologico<br />
dell’assenza dei bulbi<br />
olfattori.<br />
Iperprolattinemie<br />
L’iperprolattinemia (PRL) interferisce<br />
con la funzione mestruale in<br />
due modi:<br />
1. con l’aumento del tono dopaminergico-oppiaceo,<br />
che determinerebbe<br />
una ridotta pulsatilità<br />
delle gonadotropine, soprattutto<br />
dell’LH;<br />
2. con l’inibizione della steroidogenesi<br />
ovarica.<br />
L’approccio clinico<br />
è improntato a riconoscere<br />
possibili patologie<br />
rimaste misconosciute<br />
fino all’età peripuberale<br />
Nella maggior parte delle ragazze<br />
puberi l’iperprolattinemia si accompagna<br />
a quadri clinici sfumati<br />
e raramente si accompagna a<br />
galattorrea; spesso in queste adolescenti<br />
si ha un normale inizio e<br />
progressione dello sviluppo dei caratteri<br />
sessuali secondari; in alcuni<br />
casi, invece, si ha un ritardo dello<br />
sviluppo puberale.<br />
Nei soggetti con iper-PRL si riscon-<br />
N O<br />
G<br />
15
N O<br />
G<br />
16<br />
ENDOCRINOLOGIA<br />
trano valori di LH, FSH ed estrogeni<br />
nei range di normalità, con<br />
riduzione dei picchi secretori di<br />
LH, poiché il feedback negativo<br />
dell’estradiolo sull’LH è conservato,<br />
mentre scompare il feedback<br />
positivo.<br />
Vi sono alcuni fattori o situazioni<br />
fisiologiche che possono causare<br />
ipersecrezione transitoria di PRL:<br />
stress, esercizio fisico, sonno, ipoglicemia,<br />
stimolazione del capezzolo,<br />
<strong>gravidanza</strong>, post-partum, periodo<br />
neonatale (2-3 mesi). Inoltre,<br />
le variazioni di pulsatilità circadiana<br />
della PRL sono molto ampie<br />
(fino al 100%); per tale motivo<br />
il dosaggio della PRL deve essere<br />
effettuato almeno su 3 prelievi<br />
venosi in tempi diversi. Il riscontro<br />
di livelli persistentemente<br />
elevati di PRL merita un approfondimento<br />
diagnostico.<br />
Impostare un adeguato<br />
follow-up clinico<br />
e terapeutico o evidenziare<br />
la presenza di malattie<br />
intercorrenti e rimuoverne<br />
se possibile le cause<br />
Cause patologiche di iperprolattinemia<br />
sono tumori ipofisari (prolattinomi<br />
e pseudoprolattinomi),<br />
patologie ipotalamo-ipofisarie, endocrinopatie<br />
(ipotiroidismo primario,<br />
policistosi ovarica), lupus eritematoso<br />
sistemico, artrite reumatoide,<br />
insufficienza renale cronica.<br />
L’utilizzo di alcuni farmaci o<br />
sostanze comporta, per il loro<br />
meccanismo d’azione, un aumento<br />
dei livelli di prolattina (per esempio,<br />
antidopaminergici, antidepressivi<br />
serotoninergici, oppioidi).<br />
L’approccio clinico<br />
Anamnesi<br />
ed esame obiettivo<br />
L’anamnesi e l’esame clinico permettono<br />
un primo inquadramento<br />
della paziente, in particolare è<br />
opportuno indagare:<br />
• anamnesi familiare: difetti genetici,<br />
tempi dello sviluppo puberale<br />
(ritardo costituzionale di<br />
pubertà), caratteristiche dei cicli<br />
mestruali, familiarità per menopausa<br />
precoce, sterilità o patologie<br />
autoimmuni;<br />
• anamnesi personale: situazione<br />
di stress, esercizio fisico intenso<br />
(sport agonistici), importanti<br />
variazioni del peso corporeo<br />
o continue oscillazioni (sia<br />
perdita che aumento), abitudini<br />
alimentari patologiche (anoressia<br />
o bulimia nervosa),<br />
patologie cro-<br />
niche, uso di farmaci<br />
o droghe, chemio/radioterapia<br />
(possibile danno al<br />
SNC o alle gonadi),<br />
se presente tempo<br />
di inizio dello sviluppo<br />
puberale e sue<br />
caratteristiche, attività<br />
sessuale (possibile<br />
<strong>gravidanza</strong>);<br />
• esame obiettivo: peso, altezza,<br />
BMI, curva di crescita e stadio<br />
puberale per valutare se rallentamento<br />
della crescita, eccessiva<br />
magrezza o sovrappeso,<br />
presenza o meno di iniziali segni<br />
di sviluppo puberale e segni<br />
di estrogenizzazione (presenza<br />
di ghiandola mammaria);<br />
ricerca di eventuali dismorfismi<br />
(escludere sindrome di Turner),<br />
ricerca di eventuali segni di virilizzazione<br />
(ipertrofia clitoridea),<br />
segni di ipercorticismo,<br />
segni di ipo/ipertiroidismo, presenza<br />
di acne o irsutismo, caratteristiche<br />
dei genitali (per<br />
esempio, evidenza di sinechie),<br />
galattorrea, disturbi della vista,<br />
sintomi vasomotori (menopausa<br />
precoce), ipo-anosmia (sindrome<br />
di Kallman).<br />
Indagini di laboratorio -<br />
esami strumentali<br />
Per poter porre una corretta diagnosi,<br />
dopo l’esame clinico è necessario<br />
sottoporre la paziente a<br />
valutazioni laboratoristiche e strumentali<br />
(tabella 1).<br />
In particolare, gli accertamenti<br />
necessari in prima battuta sono<br />
il dosaggio di gonadotropine,<br />
prolattina, TSH, che permettono<br />
di effettuare una prima importante<br />
distinzione nelle 4 categorie.<br />
Il dosaggio dell’estradiolo può<br />
essere utile, ma non dirimente<br />
nella maggior parte dei casi.<br />
L’ecografia pelvica permette di valutare<br />
la presenza di malformazioni<br />
dell’utero o del tratto genitale<br />
inferiore (sindrome di Rokitanski<br />
o agenesia parziale o totale dell’utero,<br />
setti vaginali), le caratteristiche<br />
delle gonadi (ovaie fibrotiche<br />
o streak gonads, tipiche della<br />
sindrome di Turner, ovaio policistico,<br />
presenza di masse tumorali,<br />
presenza di gonadi maschili<br />
in scavo pelvico, come nella sindrome<br />
da insensibilità agli androgeni).<br />
Il riscontro di elevati valori<br />
di LH e di FSH deve orientare<br />
verso un difetto ovarico; a questo<br />
punto è necessario eseguire<br />
un’analisi del cariotipo per escludere<br />
la sindrome di Turner.<br />
In presenza di normale cariotipo<br />
e normale anatomia degli organi<br />
genitali interni si deve approfondire<br />
lo studio indagando le<br />
possibili e finora note cause di
POF: studio dell’autoimmunità<br />
con ricerca degli anticorpi antiovaio;<br />
studio della funzionalità<br />
surrenalica per escludere un deficit<br />
di 17-alfa idrossilasi; ricerca<br />
di alterazioni genetiche; sindrome<br />
dell’X-fragile. Il riscontro di<br />
bassi valori di gonadotropine<br />
orienta verso una patologia del<br />
SNC a carico del tratto ipotalamo-ipofisario<br />
o verso forma di<br />
ipogonadismo transitorio secondario<br />
a patologie organiche (ce-<br />
Tabella 1 Approccio diagnostico alle amenorree<br />
Esami di primo livello<br />
LH, FSH, PRL, TSH, ecografia pelvica,<br />
test di <strong>gravidanza</strong><br />
FSH, LH bassi: patologia ipotalamo-ipofisaria<br />
liachia, malattie renali, ipotiroidismo,<br />
ipercorticismo, patologie<br />
cardiache ecc.).<br />
La RM dell’encefalo permette di<br />
escludere patologie organiche<br />
(tumori) o di evidenziare agenesia<br />
dei bulbi olfattivi (come nella<br />
sindrome di Kallman). Il test da<br />
stimolo con LHRH analogo preferibile<br />
al test con LHRH permette<br />
di valutare la risposta delle gonadotropine<br />
e di orientare la diagnosi<br />
verso un ipogonadismo ipo-<br />
ENDOCRINOLOGIA<br />
gonadotropo o un ritardo costituzionale<br />
di pubertà. Il test con<br />
medrossiprogesterone acetato<br />
(MAP test) può essere utile e<br />
complementare nella diagnosi di<br />
amenorrea ipotalamica funzionale:<br />
la comparsa di sanguinamento<br />
simil-mestruale (test positivo)<br />
indica la produzione di estrogeni<br />
e, quindi, la presenza di una<br />
parziale funzionalità ovarica. Il riscontro<br />
di normali livelli di gonadotropine<br />
necessita dell’indagi-<br />
■ Escludere s. Kallman: test per anosmia, RM encefalo<br />
■ Valutare anoressia-malnutrizione: indici nutrizionali, Ab antitransglutaminasi, funzionalità epatica e renale<br />
■ Escludere altre patologie infettivo-infiammatorie-tumorali ipotalamo-ipofisarie: RM encefalo<br />
■ Test con LHRH-analogo: diagnosi differenziale ipogonadismo ipogonadotropo/ RCCP<br />
FSH, LH elevati: insufficienza ovarica<br />
■ Escludere s. Turner: ecografia pelvica, cariotipo<br />
■ Valutare cause di POF: accurata anamnesi familiare; dosaggio Ab anti ovaio, Ab anti surrene, Ab anti TPO, indagare<br />
altre eventuali patologie autoimmuni; eventuale studio genetico (ricerca premutazione FMR1, BMP15 ecc.)<br />
FSH, LH normali<br />
■ Ecografia pelvica escludere malformazioni utero-vaginali, escludere CAIS<br />
■ Valutare iperandrogenismo: dosaggio 17-OHP, DHEAS, testosterone totale e libero, SHBG, Delta4-androstenedione,<br />
insulina, glicemia<br />
■ Escludere patologie tumorali ovariche o surrenaliche: ecografia/RM/TC addome<br />
■ Escludere iperplasia surrenalica congenita: ACTH test<br />
■ Escludere sindrome di Cushing: ritmo cortisolo-ACTH, cortisoluria, test di soppressione con desametasone<br />
Iperprolattinemia<br />
Esami di secondo livello<br />
Cariotipo, RM encefalo,<br />
altri dosaggi ormonali/test<br />
da stimolo, autoimmunità<br />
Esami di terzo livello<br />
Studi genetici<br />
■ Valori 100 ng/ml (elevata probabilità di macroprolattinoma) sempre RM encefalo subito<br />
N O<br />
G<br />
17
N O<br />
G<br />
18<br />
ENDOCRINOLOGIA<br />
ne ecografica per escludere malformazioni<br />
dell’apparato genitale,<br />
presenza di tumori androgeno-secernenti<br />
ovarici o surrenalici,<br />
policistosi ovarica.<br />
Nel caso di normalità dell’ecografia<br />
è utile il dosaggio degli androgeni<br />
e l’eventuale esecuzione di<br />
test ormonali (quali l’ACTH test<br />
nel sospetto di forma non classica<br />
di CAH; il test di soppressio-<br />
Bibliografia<br />
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3): S19-S25.<br />
5. NH Golden, JL Carlson. The pathophysiology of amenorrhea<br />
ne con desametasone, nel sospetto<br />
di Cushing); qualora il quadro<br />
ecografico non fosse dirimente<br />
può essere necessaria la RM dell’addome.<br />
Il riscontro di persistenti valori elevati<br />
di PRL pone indicazione a effettuare<br />
RM dell’encefalo per<br />
escludere la presenza di prolattinomi<br />
o di tumori della regione<br />
ipotalamo-ipofisaria.<br />
Conclusioni<br />
L’amenorrea primaria può essere<br />
considerata come il sintomo<br />
di una patologia organica o funzionale<br />
che interessa l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi.<br />
L’adolescente che giunge alla nostra<br />
attenzione per amenorrea<br />
primaria deve essere indagata<br />
innanzitutto per escludere patologie<br />
congenite, anomalie cromosomiche,<br />
sindromi genetiche,<br />
alterazioni ormonali, patologie<br />
croniche.<br />
L’impostazione di un corretto iter<br />
diagnostico, che non può prescindere<br />
da un’accurata anamnesi<br />
familiare e personale e dall’esame<br />
obiettivo, è pertanto<br />
molto importante per riconoscere<br />
possibili patologie rimaste misconosciute<br />
fino all’età peripuberale<br />
e impostare un adeguato<br />
follow-up clinico e terapeutico<br />
o per evidenziare la presenza<br />
di malattie intercorrenti e rimuoverne<br />
se possibile le cause.<br />
in the Adolescent. Ann NY Acad Sci 2008, 1135: 163-78.<br />
6. Hickey M, Balen A. Menstrual disorders in adolescence: Investigation<br />
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10. Trarbach EB, Silveira LG, Latronico AC. Genetic insights into<br />
human isolated gonadotropic deficiency. Pituitary 2007;<br />
10: 381-91.
RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO<br />
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE. Tranizolo.<br />
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Ogni capsula contiene 100<br />
mg di itraconazolo. Eccipienti: saccarosio 195 mg/capsula. Per una lista completa<br />
degli eccipienti vedere paragrafo 6.1.<br />
3. FORMA FARMACEUTICA. Capsula rigida. Capsula allungata di gelatina rigida,<br />
rossa, opaca (misura 0).<br />
4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1 Indicazioni Terapeutiche. - Candidosi vulvovaginale.<br />
- Candidosi orale, dermatomicosi (es. tinea corporis, tinea cruris, tinea<br />
pedis, tinea manus) ed onicomicosi (causate da dermatofiti e lieviti), pityriasis<br />
versicolor. - Sporotricosi linfocutanee, paracoccidioidomicosi, bastomicosi<br />
(in pazienti immunocompromessi) ed istoplasmosi. - Itraconazolo può essere<br />
usato per trattare pazienti affetti da aspergillosi invasive risultate resistenti o<br />
intolleranti all’amfotericina B. Si deve prestare attenzione alle linee guida ufficiali<br />
riguardanti l’uso corretto degli agenti antimicotici. 4.2 Posologia, e modo<br />
di somministrazione. Le capsule di itraconazolo sono per uso orale. Le<br />
capsule devono essere assunte immediatamente dopo i pasti. Le capsule devono<br />
essere inghiottite intere. Raccomandazioni posologiche per adulti ed adolescenti:<br />
- Candidosi vulvovaginale: 200 mg al mattino e 200 mg alla sera per<br />
un giorno. - Candidosi orale: 100 mg una volta al giorno per 2 settimane. - Tinea<br />
corporis/cruris: 100 mg una volta al giorno per 2 settimane. - Tinea pedis/manus:<br />
100 mg una volta al giorno per 4 settimane. - Pityriasis versicolor: 200 mg<br />
una volta al giorno per 1 settimana. - Onicomicosi: Terapia a cicli di trattamento.<br />
Un ciclo consiste di due capsule due volte al giorno per una settimana (400<br />
mg/die), seguito da un periodo di tre settimane senza trattamento. Un totale di<br />
3 cicli viene somministrato per l’onicomicosi delle unghie dei piedi, due cicli sono<br />
raccomandati per l’onicomicosi delle unghie delle mani. Trattamento continuo.<br />
Due capsule (200 mg/die) una volta al giorno per 3 mesi. Il risultato del<br />
trattamento è visibile solo dopo la fine della somministrazione quando le unghie<br />
ricrescono. - Sporotricosi linfocutanea*: 100 mg una volta al giorno per 3 mesi.<br />
- Paracoccidioidomicosi*: 100 mg una volta al giorno per 6 mesi. - Blastomicosi*:<br />
100 mg una volta al giorno, possono essere aumentati a 200 mg due<br />
volte al giorno, per 6 mesi. - Istoplasmosi*: 200 mg una volta al giorno, possono<br />
essere aumentati a 200 mg due volte al giorno, per 8 mesi. - Aspergillosi<br />
invasiva: inizio con una dose di 200 mg tre volte al giorno per 4 giorni e poi continuazione<br />
con 200 mg due volte al giorno fino a che le colture sono negative<br />
o fino a che le lesioni sono scomparse (2-5 mesi di durata) o almeno fino a<br />
quando è cessata le neutropenia. *) I tempi di trattamento specificati sono medi<br />
e possono variare a seconda della gravità della malattia o della guarigione<br />
clinica e micologica. Per le infezioni cutanee l’effetto clinico ottimale viene raggiunto<br />
1-4 settimane dopo la cessazione del trattamento e per le infezioni delle<br />
unghie dopo 6-9 mesi. Questo avviene perché l’eliminazione di itraconazolo<br />
dalla pelle e dalle unghie avviene più lentamente che dal plasma. Bambini (sotto<br />
i 12 anni): I dati sull’itraconazolo nei bambini sono inadeguati per raccomandarne<br />
l’uso, a meno che i potenziali benefici superino i rischi (vedere paragrafo<br />
4.4). Anziani: I dati sull’itraconazolo negli anziani sono inadeguati per raccomandarne<br />
l’uso, a meno che i potenziali benefici superino i rischi (vedere paragrafo<br />
4.4). Alterazioni delle funzioni epatiche: L’itraconazolo è principalmente<br />
metabolizzato nel fegato. Una lieve diminuzione della biodisponibilità orale è<br />
stata osservata in pazienti cirrotici, benché ciò non abbia significatività statistica.<br />
L’emivita terminale è risultata lievemente ma significativamente aumentata<br />
da un punto di vista statistico. Se necessario la dose deve essere aggiustata.<br />
Può essere necessario il monitoraggio dei livelli plasmatici (vedere paragrafo<br />
4.4). Alterazioni delle funzioni renali: La biodisponibilità orale dell’itraconazolo<br />
può essere inferiore nei pazienti con insufficienza renale. Può essere preso in<br />
considerazione un adattamento della dose. Può essere necessario il monitoraggio<br />
dei livelli plasmatici. L’itraconazolo non può essere eliminato mediante dialisi<br />
(vedere paragrafo 4.4). Diminuita acidità gastrica: L’assorbimento dell’itraconazolo<br />
è alterato quando l’acidità gastrica è ridotta. Per informazioni sui pa-<br />
zienti con acloridria o in trattamento con inibitori della secrezione acida o che<br />
assumono medicinali ad azione antiacido, vedere paragrafo 4.4. L’alterato assorbimento<br />
in pazienti con AIDS e neutropenici, può portare a bassi livelli emetici<br />
di itraconazolo ed a mancanza di efficacia. In questi casi può essere indicato<br />
il monitoraggio dei livelli ematici e se necessario un aggiustamento della<br />
dose. 4.3 Controindicazioni. Itraconazolo è controindicato in: - ipersensibilità<br />
all’itraconazolo o ai derivati azolici correlati o ai suoi eccipienti. - Simultanea<br />
somministrazione di: terfenadina, astemizolo, cisapride, chinidina, pimozide, mizolastina,<br />
dofetilide, inibitori della HMG-CoA reduttasi metabolizzati dal CYP3A4<br />
come la simvastatina, atorvastatina e lovastatina o triazolam e midazolam per<br />
via orale. 4.4 Avvertenze speciali e opportune precauzioni di impiego. Con<br />
itraconazolo esiste la possibilità di interazioni clinicamente rilevanti con altri farmaci<br />
(vedere paragrafo 4.5). - L’assorbimento di itraconazolo da Tranizolo 100<br />
mg capsule è influenzato dalla diminuzione dell’acidità gastrica. Pazienti trattati<br />
anche con sostanze che neutralizzano gli acidi (ad es. idrossido di alluminio)<br />
devono prendere queste sostanze almeno 2 ore dopo la somministrazione<br />
di itraconazolo. A pazienti affetti da acloridria come alcuni pazienti con AIDS o<br />
a pazienti in trattamento con inibitori acidi (ad es. Antagonisti H 2, inibitori della<br />
pompa protonica) si consiglia di assumere itraconazolo capsule 100 mg con<br />
bevande contenenti anidride carbonica che hanno un basso pH. - Nei pazienti<br />
sottoposti a trattamento continuo per più di un mese si consiglia un controllo<br />
della funzionalità epatica. Durante la somministrazione di itraconazolo in casi<br />
molto rari si è manifestata grave tossicità epatica, inclusi alcuni casi di insufficienza<br />
epatica acuta fatale. Nella maggior parte questi casi riguardano pazienti<br />
che hanno avuto disturbi epatici prima del trattamento, che erano trattati per<br />
indicazioni sistemiche, che hanno sofferto di altre gravi malattie e/o usavano<br />
altri agenti epatotossici. Alcuni di questi casi si manifestano già al primo mese<br />
di trattamento: pochi perfino nella prima settimana. Si devono monitorare frequentemente<br />
le funzioni epatiche dei pazienti che sono trattati con itraconazolo.<br />
Bisogna inoltre istruire i pazienti a riferire immediatamente al proprio medico<br />
i segni e i sintomi di epatite, come anoressia, nausea, vomito, stanchezza,<br />
dolore addominale o urina di colore scuro. In questi pazienti il trattamento deve<br />
essere interrotto immediatamente ed è necessario controllare le funzioni epatiche.<br />
- Itraconazolo non deve essere prescritto a pazienti con aumentati valori<br />
di enzimi epatici o con disturbi epatici pre-esistenti, o che hanno mostrato tossicità<br />
epatica come reazione ad altri farmaci. Se si prende la decisione di iniziare<br />
un trattamento a lungo termine è necessario controllare i valori degli enzimi<br />
epatici durante il trattamento. - L’uso a lungo termine (più lungo di 6 mesi<br />
o più lungo di 6 mesi cumulativi) non è raccomandato eccetto quando non vi<br />
siano alternative terapeutiche. - La biodisponibilità orale dell’itraconazolo risulta<br />
diminuita in alcuni pazienti con insufficienza renale. L’aggiustamento della<br />
dose può essere preso in considerazione. - Insufficienza epatica: itraconazolo<br />
viene prevalentemente metabolizzato nel fegato. L’emivita terminale dell’itraconazolo<br />
è piuttosto prolungata in pazienti che soffrono di cirrosi epatica. La biodisponibilità<br />
orale di itraconazolo è ridotta nei pazienti che soffrono di cirrosi<br />
epatica. Può essere necessario un aggiustamento della dose. - La biodisponibilità<br />
orale di itraconazolo può essere ridotta in alcuni pazienti immunocompromessi<br />
sottoposti a trattamento aggressivo con chemioterapici ed antibiotici. Per<br />
questi pazienti è pertanto raccomandato monitorare la concentrazione di itraconazolo<br />
nel plasma e se necessario aumentare la dose. - In uno studio con<br />
itraconazolo per via endovenosa in soggetti sani, si è osservata una temporanea<br />
sintomatica riduzione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro che<br />
scompariva prima della successiva infusione. La rilevanza clinica di questa osservazione<br />
per le formulazioni orali non è nota. - Itraconazolo sembra avere un<br />
effetto inotropo negativo ed è stato messo in relazione a segnalazioni di scompenso<br />
cardiaco. Itraconazolo non deve essere usato in pazienti con scompenso<br />
cardiaco o con una storia di scompenso cardiaco a meno che i benefici siano<br />
chiaramente superiori ai rischi. Durante questa valutazione individuale dei<br />
benefici e dei rischi, bisogna prendere in considerazione fattori quali la gravità<br />
dell’indicazione, il dosaggio e i fattori di rischio individuali per lo scompenso<br />
cardiaco. Questi fattori includono malattie cardiache quali malattie ischemiche<br />
e valvolari, importanti malattie polmonari, quali la pneumopatia cronica ostruttiva,<br />
l’insufficienza renale ed altre malattie edemigene. Questi pazienti devono<br />
essere informati sui sintomi dello scompenso cardiaco congestizio, devono essere<br />
trattati con cautela e sottoposti a controlli sui sintomi di scompenso cardiaco<br />
durante il loro trattamento; in caso che si manifestino tali sintomi durante<br />
il trattamento, la somministrazione di itraconazolo deve essere interrotta. -<br />
Bisogna avere cautela nel somministrare contemporaneamente itraconazolo e<br />
agenti calcio-antagonisti (vedere paragrafo 4.5). - Itraconazolo è un potente ini-
itore del CYP3A4. L’uso di itraconazolo in associazione a farmaci metabolizzati<br />
dal CYP3A4 può portare ad interazioni clinicamente rilevanti (vedere paragrafo<br />
4.5). L’uso concomitante di itraconazolo con alcaloidi della segale cornuta<br />
come l’ergotamina può portare a più elevati livelli di questi alcaloidi a causa<br />
dell’inibizione del CYP3A4 da parte dell’itraconazolo. Questo può portare a sintomi<br />
di ergotismo. - Non vi sono informazioni relative all’ipersensibilità crociata<br />
tra itraconazolo ed altri agenti antifungini azolici. Pertanto si deve usare cautela<br />
nel prescrivere itraconazolo a pazienti con ipersensibilità ad altri derivati<br />
azolici. - L’esperienza clinica sull’uso di itraconazolo capsule nei bambini è modesta.<br />
Pertanto itraconazolo 100 mg capsule non deve essere somministrato<br />
nei bambini eccetto nei casi dove gli effetti positivi attesi superano i potenziali<br />
rischi. - A causa del rischio di danni al feto, le donne in età fertile e che usano<br />
itraconazolo devono prendere adeguate misure anticoncezionali fino al primo<br />
periodo mestruale successivo alla fine del trattamento. - Se compare neuropatia<br />
che può essere attribuita ad itraconazolo, il trattamento deve essere interrotto.<br />
- Itraconazolo non deve essere usato entro 2 settimane dall’interruzione<br />
del trattamento di agenti che inducono il CYP3A4 (rifampicina, rifabutina, fenobarbital,<br />
fenitoina, carbamazepina, Erba di S. Giovanni). L’uso di itraconazolo<br />
con questi farmaci può portare a livelli plasmatici sub-terapeutici di itraconazolo<br />
e pertanto ad inefficacia. - Ceppi della specie di Candida resistenti al fluconazolo<br />
non possono essere ritenuti sensibili all’itraconazolo. Test di sensibilità<br />
devono essere condotti prima dell’inizio della terapia con itraconazolo. -<br />
Questo medicinale contiene saccarosio. I pazienti con rari problemi ereditari di<br />
intolleranza al fruttosio, malassorbimento di glucosio-galattosio o insufficienza<br />
della saccarasi-isomaltasi, non devono assumere questo medicinale. 4.5 Interazioni<br />
con altri medicinali ed altre forme di interazione. Effetti di altri prodotti<br />
medicinali sull’itraconazolo: Itraconazolo viene prevalentemente metabolizzato<br />
dal CYP3A4. Induttori del CYP3A4: Sono stati condotti studi di interazione<br />
con rifampicina, rifabutina e fenitoina che sono potenti induttori del CYP3A4.<br />
La biodisponibilità di itraconazolo e idrossi-itraconazolo è diminuita in misura<br />
tale che l’efficacia può essere considerata ridotta. Pertanto si raccomanda di<br />
non associare itraconazolo a questi potenti induttori enzimatici. Simili effetti devono<br />
essere previsti con altri induttori dell’enzima come carbamazepina, fenobarbital<br />
e isoniazide. Inoltre l’itraconazolo non deve essere somministrato entro<br />
2 settimane dall’interruzione del trattamento con qualunque medicinale induttore<br />
del CYP3A4. Inibitori del CYP3A4: Dal momento che itraconazolo è principalmente<br />
metabolizzato dal CYP3A4, potenti inibitori di questo enzima possono<br />
aumentare la biodisponibilità di itraconazolo. Esempi sono ritonavir, indinavir,<br />
saquinavir, sildenafil, tadalafil, alcuni agenti antineoplastici, sirolimo, claritromicina<br />
ed eritromicina. Per l’uso concomitante con sildenafil si raccomanda<br />
una riduzione della dose a 25 mg. Omeprazolo: Quando itraconazolo viene<br />
somministrato con omeprazolo (inibitore della pompa protonica), l’esposizione<br />
dell’itraconazolo viene ridotta del 65%. L’interazione è probabilmente dovuta al<br />
ridotto assorbimento, che è pH-dipendente. Altri inibitori della pompa protonica<br />
devono comportarsi in modo simile (vedere paragrafo 4.2 e paragrafo 4.4).<br />
Effetti dell’itraconazolo sul metabolismo di altri medicinali: Itraconazolo è un potente<br />
inibitore del CYP3A4 ed inibisce il metabolismo di farmaci che sono substrati<br />
di questo enzima. Itraconazolo è anche un potente inibitore della P-glicoproteina.<br />
La somministrazione concomitante di farmaci che sono substrati del<br />
CYP3A4 e/o P-glicoproteina può portare ad aumento e/o prolungamento del loro<br />
effetto ed a un aumentato rischio di effetti collaterali. Associazioni controindicate<br />
sono: Terfenadina, astemizolo, pimozide, cisapride, triazolam, midazolam<br />
per via orale, dofetilide, mizolastina e chinidina poiché la co-somministrazione<br />
può risultare in un aumento dei livelli plasmatici di queste sostanze che può<br />
portare a prolungamento del QTC ed in rare occasioni a torsade de pointes, inibitori<br />
della HMG-CoA reduttasi metabolizzati dal CYP3A4 come simvastatina,<br />
atorvastatina e lovastatina (vedere paragrafo 4.3). Per l’interazione con gli alcaloidi<br />
della segale cornuta vedere paragrafo 4.4. L’uso concomitante dei seguenti<br />
farmaci può richiedere aggiustamento della dose: Si deve usare cautela<br />
quando si somministra itraconazolo con altri substrati del CYP3A4. Devono<br />
essere monitorati i livelli plasmatici, gli effetti o gli effetti collaterali dei farmaci<br />
co-somministrati e può essere necessario un aggiustamento della dose. Si noti<br />
che l’elenco seguente non è completo e l’itraconazolo può interagire con altri<br />
farmaci metabolizzati dal CYP3A4. Calcio antagonisti metabolizzati dal CYP3A4<br />
(diidropiridine e verapamil). Anticoagulanti orali: Itraconazolo può potenziare l’effetto<br />
della warfarina. Si raccomanda di monitorare il tempo di protrombina se<br />
si usa questa associazione. Inibitori della HIV-proteasi come ritonavir, indinavir,<br />
saquinavir: Poiché gli inibitori della HIV-proteasi sono principalmente metabolizzati<br />
dal CYP3A4 ci si aspetta un aumento delle concentrazioni plasmatiche<br />
se usati in associazione. Agenti per il trattamento delle disfunzioni erettili come<br />
sildenafil, tadalafil: Itraconazolo può aumentare i livelli plasmatici di questi farmaci<br />
con la conseguenza di possibili effetti collaterali. Alcuni agenti antineoplastici<br />
come alcaloidi della vinca, busulfan, docetaxel e trimetressato: L’itraconazolo<br />
può inibire il metabolismo di questi farmaci. La clearance del busulfan è<br />
diminuita del 20% quando somministrato in associazione. Alcuni agenti immuno-soppressori:<br />
ciclosporina, tacrolimus, sirolimus: L’itraconazolo può aumentare<br />
i livelli plasmatici di questi farmaci con la conseguenza di possibili effetti<br />
collaterali. Le concentrazioni plasmatiche di ciclosporina, tacrolimus, sirolimus<br />
devono essere monitorate se usati assieme all’itraconazolo. Digossina: Itraconazolo<br />
è noto per inibire il P-gp. La concomitante somministrazione di digossina<br />
e itraconazolo ha portato ad aumentate concentrazioni plasmatiche di digossina<br />
con sintomi di tossicità alla digossina. Ciò suggerisce una diminuita clearance<br />
urinaria della digossina poiché l’itraconazolo può inibire l’azione della Pglicoproteina<br />
che trasporta la digossina dalle cellule del tubulo renale nelle urine.<br />
I livelli plasmatici della digossina devono essere attentamente monitorati<br />
durante la somministrazione concomitante con itraconazolo. Desametasone:<br />
l’itraconazolo riduce del 68% la clearance del desametasone somministrato endovena.<br />
Metilprednisone: l’itraconazolo inibisce il metabolismo del prednisone.<br />
È stato osservato un aumento di 4 volte dell’esposizione e di 2 volte dell’emivita.<br />
Vi è il rischio di effetti collaterali dello steroide, in particolare durante il trattamento<br />
a lungo termine, se la dose non è adeguata. Alprazolam: la somministrazione<br />
concomitante di itraconazolo ed alprazolam porta ad una riduzione del<br />
60% della clearance dell’alprazolam. Le aumentate concentrazioni plasmatiche<br />
possono potenziare e prolungare gli effetti ipnotici e sedativi. Buspirone: la somministrazione<br />
concomitante di itraconazolo e buspirone (dose orale singola) ha<br />
dato luogo ad un significativo aumento (19 volte) della biodisponibilità. L’aggiustamento<br />
della dose è necessario quando itraconazolo e buspirone vengono<br />
somministrati in associazione. Altri: Alfentanile, brotizolam, carbamazepina, cilostazolo,<br />
disopiramide, ebastina, eletriptan, alofantrina, midazolam e.v., reboxetina,<br />
repaglinide, rifabutina: resta da stabilire l’importanza degli aumenti di<br />
concentrazione e la loro rilevanza clinica di questi cambiamenti durante la cosomministrazione<br />
con itraconazolo. 4.6 Gravidanza ed allattamento. Gravidanza.<br />
Dati limitati sull’uso a breve termine durante la <strong>gravidanza</strong> non hanno<br />
finora rivelato effetti pericolosi. Non vi sono dati documentati sull’uso a lungo<br />
termine in <strong>gravidanza</strong>. In studi sugli animali itraconazolo è risultato dannoso (vedere<br />
paragrafo 5.3). Itraconazolo non deve essere usato in <strong>gravidanza</strong> a meno<br />
che sia chiaramente necessario. Allattamento. Itraconazolo è escreto nel latte<br />
materno. L’allattamento al seno non è raccomandato durante il trattamento con<br />
itraconazolo. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari.<br />
Non sono stati condotti studi sugli effetti di itraconazolo sulla capacità<br />
di guidare veicoli o di usare macchinari. Quando non si è alla guida di veicoli<br />
e si usano macchinari bisogna tener conto che in alcuni casi può manifestarsi<br />
la possibilità di vertigine. 4.8 Effetti indesiderati. In circa il 9% dei pazienti<br />
possono manifestarsi effetti indesiderati durante la somministrazione di itraconazolo.<br />
Nell’uso a lungo termine (circa 1 mese) l’incidenza degli effetti indesiderati<br />
è stata più alta (circa 15%). Gli effetti indesiderati maggiormente riportati<br />
sono stati di natura gastrointestinale, epatica e dermatologica. All’interno di<br />
ogni classe organica gli effetti indesiderati sono ordinati in base alla frequenza<br />
con cui si manifestano, rari (≤0,01%,
Non è noto un antidoto specifico. Itraconazolo non è rimosso con l’emodialisi.<br />
5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1 Proprietà farmacodinamiche. Categoria<br />
farmacoterapeutica: antimicotici per uso sistemico, derivati triazolici.<br />
Codice ATC: J02AC02. Proprietà generali: Itraconazolo è un composto triazolico<br />
sintetico con azione antimicotica contro dermatofiti, lieviti, Aspergillus ed altri<br />
miceti patogeni. Meccanismo d’azione. Itraconazolo inibisce la biosintesi dell’ergosterolo,<br />
il più importante sterolo della membrana cellulare di lieviti e miceti,<br />
a concentrazioni di solito tra 0,025 e 0,8 µg/ml. Questo causa cambiamenti<br />
della permeabilità e dei componenti lipidici della membrana. Microbiologia.<br />
I seguenti organismi sono considerati sensibili all’itraconazolo: Dermatofiti<br />
(Trichophyton spp., Microsporum spp., Epidermophyton floccosum), Lieviti (C.<br />
albicans e altra Candida spp., Pityrosporum ovale, Cryptococcus neoformans,<br />
C. glabrata) Aspergillus fumigatus ed altri Aspergillus spp., Miceti dimorfi: Sporothrix<br />
schenckii, Histoplasma spp., Paracoccidioides brasiliensis, Fonsecacea<br />
spp., Cladosporium spp., Blastomyces dermatitidis. Candida glabrata e Candida<br />
tropicalis sono generalmente le meno sensibili tra le specie di Candida, con<br />
ceppi isolati che mostrano resistenza in vitro all’itraconazolo. Le specie più importanti<br />
non inibite dall’itraconazolo sono: Zygomycetes (ad es. Rhizopus spp.,<br />
Rhizomucor spp., Mucor spp. e Absidia spp.), Fusarium spp., Scedosporium<br />
spp. e Scopulariopsis spp. La sensibilità in vitro è influenzata da: dimensione<br />
dell’inoculo, temperature di incubazione, fase di sviluppo del fungo ed in particolare<br />
dal terreno di cultura usato. Pertanto possono essere trovate considerevoli<br />
differenze nei valori di CMI. Altre informazioni. La resistenza agli azoli sembra<br />
svilupparsi lentamente e spesso è il risultato di numerose mutazioni genetiche.<br />
Sono stati riportati diversi meccanismi di resistenza. Un meccanismo riguarda<br />
una diminuita affinità della 14α-demetilasi per gli azoli. Questo può causare<br />
una sovraespressione o una mutazione puntiforme in ERG11, il gene che<br />
codifica la 14α-demetilasi. Più comunemente la resistenza agli azoli risulta da<br />
un’espressione micotica di un sistema di pompa ad efflusso. Non sembra che<br />
i miceti possano trasferire geni resistenti da un organismo ad un altro e spesso<br />
i casi isolati in clinica non sono correlati tra di loro. La resistenza micotica<br />
probabilmente non risulta da una riduzione su larga scala della sensibilità dei<br />
miceti come provato nel caso della resistenza batterica. Resistenza crociata tra<br />
antimicotici azolici è stata riportata in pazienti clinicamente resistenti al clotrimazolo.<br />
Finora aumenti molteplici della CMI dell’itraconazolo sono stati osservati<br />
solo in mutanti selezionati in laboratorio di Aspergillus fumigatus. 5.2 Proprietà<br />
farmacocinetiche. I livelli plasmatici variano fortemente tra individui,<br />
sia a dosi singole sia a dosi ripetute. Assorbimento. I livelli plasmatici massimi<br />
di sostanza attiva immodificata si raggiungono in 2-5 ore dopo l’assunzione. La<br />
biodisponibilità orale assoluta dell’itraconazolo è del 55%. La biodisponibilità<br />
massima dopo assunzione orale si ottiene se l’itraconazolo viene assunto direttamente<br />
dopo un pasto. Distribuzione. Il legame di itraconazolo con le proteine<br />
plasmatiche è del 99,8%. Nel sangue il 5% dell’itraconazolo è legato alle cellule<br />
ematiche, il 95% alle proteine plasmatiche e solo lo 0,2% è libero. La concentrazione<br />
di itraconazolo nel sangue intero è il 60% della concentrazione plasmatica.<br />
Non vi sono dati sul passaggio di itraconazolo nel latte umano. I livelli<br />
tissutali in tessuti contenenti cheratina, specialmente cute ed unghie, sono fino<br />
a 4 volte più elevati di quelli nel plasma. L’eliminazione dell’itraconazolo è in<br />
relazione alla rigenerazione dell’epidermide, per le unghie l’eliminazione è determinata<br />
dalla velocità di crescita. Pertanto livelli terapeutici continuano ad esistere<br />
nella cute per 2-4 settimane dopo un trattamento di poche settimane; per<br />
le unghie questo periodo è di 6-9 mesi. Itraconazolo viene escreto nella pelle<br />
attraverso le ghiandole sebacee ed in minor misura attraverso quelle sudoripare.<br />
Esso inoltre raggiunge la pelle attraverso i cheratinociti dello strato basale.<br />
Inoltre l’itraconazolo mostra buona penetrazione in altri tessuti che vengono attaccati<br />
da infezioni fungine. Concentrazioni di 2-3 volte quelle del plasma, sono<br />
state misurate in polmoni, reni, fegato, ossa, stomaco, milza e muscoli. Nel<br />
tessuto vaginale la concentrazione terapeutica permane per 2-3 giorni dopo 2<br />
somministrazioni di 2 capsule in un giorno. Dopo un trattamento di 3 giorni con<br />
2 capsule una volta al giorno, una concentrazione terapeutica continua ad essere<br />
presente nel tessuto vaginale per 2 giorni. Metabolismo. Itraconazolo è<br />
ampiamente metabolizzato nel fegato principalmente dall’isoenzima CYP3A4.<br />
Uno dei metaboliti è l’idrossi-itraconazolo che in vitro mostra un’azione antifungina<br />
paragonabile a quella di itraconazolo. I livelli determinati usando dosaggi<br />
biologici sono circa 3 volte più alti dei livelli di itraconazolo determinati con HPLC.<br />
Escrezione. L’emivita terminale dell’itraconazolo è di 17 ore dopo somministrazione<br />
singola ed aumenta a 34-42 ore dopo somministrazioni ripetute. La farmacocinetica<br />
dell’itraconazolo non è lineare, di conseguenza la sostanza attiva<br />
si accumula nel plasma dopo somministrazioni multiple. Le concentrazioni allo<br />
stato stazionario si raggiungono in 15 giorni con una C max che raggiunge 0,5<br />
µg/ml dopo 100 mg di itraconazolo una volta al giorno, 1,1 µg/ml dopo 200 mg<br />
una volta al giorno e 2,0 µg/ml dopo 200 mg due volte al giorno. Alla sospensione<br />
del trattamento le concentrazioni plasmatiche dell’itraconazolo scendono<br />
quasi sotto il limite di determinazione entro 7 giorni. A causa del meccanismo<br />
di saturazione durante la metabolizzazione epatica, la clearance dell’itraconazolo<br />
decresce ai dosaggi più elevati. Il 3-18% della dose assunta viene<br />
escreta con le feci come itraconazolo immodificato. Il contenuto di itraconazolo<br />
immodificato nelle urine è minore dello 0,03%. Nel fegato l’itraconazolo viene<br />
metabolizzato in un ampio numero di metaboliti che sono escreti con le feci<br />
e le urine. Circa il 40% di questo è escreto con le urine. 5.3 Dati preclinici<br />
di sicurezza. Studi di tossicità subacuta e cronica hanno mostrato effetti indesiderati<br />
su adrenali, fegato e ovaie di ratti femmina. Il metabolismo dei grassi è<br />
risultato alterato nei ratti. Studi non clinici non hanno indicato una capacità di<br />
indurre mutazioni genetiche. Effetti tossici clinicamente rilevanti sono comparsi<br />
a livelli plasmatici. La rilevanza clinica degli effetti osservati negli animali non<br />
è nota. In studi preclinici in ratti maschi, vi è stata una più elevata incidenza di<br />
sarcoma dei tessuti molli dopo 2 anni di trattamento. Il rischio potenziale per<br />
l’uomo è sconosciuto. Non vi è evidenza di influenza primaria sulla fertilità durante<br />
il trattamento con itraconazolo. Itraconazolo è risultato causare un aumento<br />
dose-dipendente della tossicità materna, embriotossicità e teratogenicità<br />
in ratti e topi a dosi elevate. Nei ratti la teratogenicità consiste in difetti scheletrici<br />
maggiori e nel topo in encefalocele e macroglossia.<br />
6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1 Elenco degli eccipienti. Contenuto<br />
della capsula: Sfere di zucchero (saccarosio/amido di mais), ipromellosa<br />
(E464), sorbitano stearato (E491), silice colloidale idrata (E551). Capsula: cappuccio/corpo:<br />
gelatina. Agenti coloranti: titanio biossido (E171), ossido di ferro<br />
rosso (E172). 6.2 Incompatibilità. Non pertinente. 6.3 Periodo di validità. 3<br />
anni. 6.4 Speciali precauzioni per la conservazione. Non conservare a temperatura<br />
superiore ai 30 °C. 6.5 Natura e contenuto del contenitore. Blister<br />
di PVC/PVDC/alluminio. Blister contenenti: 4, 6, 7, 8, 14, 15, 16, 18, 28, 30,<br />
50, 60, 84, 100, 140, 150, 280, 300, 500 capsule in strip. Non tutte le confezioni<br />
saranno commercializzate. 6.6 Istruzioni per l’impiego e la manipolazione.<br />
Nessuna istruzione particolare.<br />
7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. EG<br />
S.p.A. Via D. Scarlatti, 31 - 20124 Milano.<br />
8. NUMERI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO.<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 4 capsule AIC n. 037093.010/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 6 capsule AIC n. 037093.022/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 7 capsule AIC n. 037093.034/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 8 capsule AIC n. 037093.046/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 14 capsule AIC n. 037093.059/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 15 capsule AIC n. 037093.061/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 16 capsule AIC n. 037093.073/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 18 capsule AIC n. 037093.085/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 28 capsule AIC n. 037093.097/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 30 capsule AIC n. 037093.109/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 50 capsule AIC n. 037093.111/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 60 capsule AIC n. 037093.123/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 84 capsule AIC n. 037093.135/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 100 capsule AIC n. 037093.147/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 140 capsule AIC n. 037093.150/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 150 capsule AIC n. 037093.162/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 280 capsule AIC n. 037093.174/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 300 capsule AIC n. 037093.186/M<br />
Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 500 capsule AIC n. 037093.198/M<br />
9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVODELL’AUTORIZZAZIONE.<br />
20 Ottobre 2006<br />
10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. Ottobre 2006
N O<br />
G<br />
22<br />
MENOPAUSA<br />
PPer gestire in modo ottimale l’osteoporosi e le complicanze<br />
ad essa correlate, è necessario adottare una strategia d’intervento globale<br />
imperniata su interventi non farmacologici consigliabili a tutte le donne<br />
e approcci farmacologici modulabili in base all’età e al livello di rischio<br />
della singola paziente.<br />
Fino a quando non si verifica il<br />
primo evento fratturativo,<br />
l’osteoporosi è una patologia silente,<br />
ma, a partire da quel momento<br />
il rischio di successive fratture<br />
raddoppia a ogni nuovo<br />
evento comportando un notevole<br />
aumento della morbilità e della<br />
mortalità1 .<br />
L’obiettivo più importante delle<br />
strategie di prevenzione dovrebbe<br />
pertanto essere finalizzato a<br />
scongiurare la prima e le successive<br />
fratture e non al trattamento<br />
o al miglioramento di ciascun<br />
singolo fattore di rischio come,<br />
per esempio, la densità minerale<br />
ossea (BMD).<br />
Poiché l’osteoporosi colpisce una<br />
notevole parte della popolazione<br />
femminile in postmenopausa dovrebbe<br />
essere preso in considerazione<br />
un approccio su larga scala,<br />
possibile solamente usando<br />
strategie non farmacologiche come,<br />
per esempio, i cambiamenti<br />
revenzione e trattamento<br />
dell’osteoporosi<br />
di Alberto Bacchi Modena<br />
Dipartimento di Scienze Ginecologiche Ostetriche e di Neonatologia, Azienda Ospedaliero Universitaria - Parma<br />
dello stile di vita. Per contro, le<br />
strategie farmacologiche vanno<br />
riservate alle pazienti ad elevato<br />
rischio di frattura.<br />
Cambiamenti<br />
dello stile di vita<br />
• Fumo di tabacco: uno studio recente<br />
ha confermato che le<br />
donne fumatrici (anche pregresse)<br />
in postmenopausa presentano<br />
un aumentato rischio di<br />
fratture dell’anca 2 . È stato inoltre<br />
dimostrato che il fumo provoca<br />
una riduzione del BMD e<br />
della corticale dell’osso anche<br />
nei giovani maschi 3 .<br />
• Bevande alcoliche: l’abuso è associato<br />
a un aumento significativo<br />
di tutte le fratture su base<br />
osteoporotica 4 .<br />
• Farmaci: la perdita di osso è uno<br />
dei più importanti effetti colla-<br />
terali dei glucocorticoidi, anche<br />
se utilizzati a basse dosi; essa si<br />
manifesta rapidamente, raggiunge<br />
il massimo dopo 6 mesi<br />
di trattamento e risulta più<br />
accentuata a livello delle ossa<br />
con elevata componente trabecolare<br />
come, per esempio, le<br />
vertebre. Gli interventi farmacologici<br />
atti a prevenirla dovranno<br />
prendere in considerazione<br />
il dosaggio dei glucocorticoidi,<br />
la durata prevista del trattamento,<br />
l’età, il sesso e il BMD al momento<br />
dell’inizio della terapia 5 .<br />
Altri farmaci che possono compromettere<br />
la salute dell’osso<br />
sono i tranquillanti che incrementano<br />
il rischio di caduta e<br />
gli antidepressivi. In particolare,<br />
secondo uno studio recente<br />
le pazienti in trattamento con<br />
inibitori del re-uptake della serotonina<br />
vanno incontro a un<br />
aumento della perdita di massa<br />
ossea a livello dell’anca e
quindi del rischio di frattura 6 ;<br />
questi effetti non sono presenti<br />
quando si utilizzano gli antidepressivi<br />
triciclici.<br />
• Sedentarietà: favorisce l’attività<br />
osteoclastica, mentre l’esercizio<br />
fisico stimola l’attività<br />
osteoblastica; di conseguenza,<br />
tutte le donne che entrano in<br />
menopausa dovrebbero essere<br />
stimolate a camminare tutti i<br />
giorni ed eventualmente praticare<br />
un’attività fisica regolare 7 .<br />
• Altri fattori di rischio: le pazienti<br />
in postmenopausa devono essere<br />
incoraggiate ad adottare<br />
tutte le strategie in grado di minimizzare<br />
il rischio di cadute<br />
(calzature adeguate, correzione<br />
di eventuali difetti del visus<br />
o di patologie dell’orecchio, eliminazione<br />
di eventuali barriere<br />
architettoniche e di pavimentazioni<br />
scivolose, buona illuminazione<br />
ambientale ecc.).<br />
Dieta<br />
e supplementazione<br />
I benefici effetti di una dieta ricca<br />
di potassio e bicarbonati sono<br />
noti da tempo: anche se non sono<br />
disponibili dati derivanti da trial<br />
randomizzati e controllati in grado<br />
di supportare queste raccomandazioni,<br />
le donne in postmenopausa<br />
dovrebbero essere stimolate<br />
a consumare una dieta ric-<br />
ca di frutta e vegetali e povera di<br />
grassi 8 . Si dovrebbe, inoltre, prendere<br />
in considerazione una supplementazione<br />
proteica, specie<br />
dopo una frattura: infatti, secondo<br />
uno studio recente condotto<br />
su donne anziane e magre affette<br />
da frattura dell’anca, essa è in<br />
grado di aumentare il BMD 9 .<br />
Ruolo<br />
della supplementazione<br />
di calcio…<br />
Le donne in postmenopausa dovrebbero<br />
assumere almeno 1.200<br />
mg/die di calcio elementare 10 attingendoli<br />
dalla miglior sorgente<br />
alimentare, ossia dai prodotti caseari.<br />
Una metanalisi condotta su<br />
17 studi che avevano come endpoint<br />
il numero delle fratture, ha<br />
dimostrato che la supplementazione<br />
a base di calcio in una popolazione<br />
di età superiore ai 50<br />
anni è in grado di ridurre del 12%<br />
il numero delle fratture; queste<br />
ultime sono diminuite addirittura<br />
del 24% nei soggetti che presentavano<br />
un’aderenza al trattamento<br />
dell’80%.<br />
Ciononostante, in accordo con<br />
quanto stabilito in una recente<br />
consensus europea 11 , la supplementazione<br />
routinaria di calcio<br />
nella popolazione generale non<br />
può essere giustificata come strategia<br />
globale in termini di efficacia<br />
e di economia sanitaria.<br />
Esiste tuttavia un razionale per<br />
una supplementazione riservata<br />
ai pazienti con aumentato rischio<br />
di osteoporosi e a quelli osteoporotici,<br />
anche se già in trattamento<br />
con altri farmaci per l’osteoporosi.<br />
La supplementazione (500-<br />
1.000 mg di calcio elementare)<br />
dipende dalla quantità di calcio<br />
che ciascun individuo introduce<br />
giornalmente con la dieta.<br />
MENOPAUSA<br />
Anche se non sono disponibili test<br />
ematici in grado di valutare l’insufficienza<br />
calcica, bassi livelli di<br />
secrezione urinaria di calcio nelle<br />
24 ore, potrebbero essere indicativi<br />
di un ridotto apporto di calcio<br />
con la dieta.<br />
L’apporto dietetico di una quota<br />
di calcio elementare inferiore a<br />
1.500 mg al giorno non promuove<br />
la formazione di calcoli renali.<br />
… e di vitamina D<br />
Il ruolo della vitamina D sull’omeostasi<br />
dell’osso è stato recentemente<br />
ridefinito 12 . È noto da tempo<br />
che essa è essenziale per l’assorbimento<br />
del calcio e la dose giornaliera<br />
raccomandata era stata<br />
stabilita in 400 UI. I suoi livelli sono<br />
valutabili direttamente misurando<br />
la concentrazione ematica<br />
di 25-idrossi-vitamina D e indirettamente<br />
valutando la correlazione<br />
inversa con i livelli di PTH. Basandosi<br />
sulle evidenze disponibili,<br />
gli esperti hanno stabilito che i<br />
livelli di 25-idrossi-vitamina D devono<br />
risultare intorno a 75 nmol/L<br />
(30 ng/mL) per far rientrare il paziente<br />
in un range a basso rischio<br />
di frattura. Per raggiungere questo<br />
obiettivo, la dose giornaliera<br />
di vitamina D3 per gli anziani è<br />
stata portata a 800-1.000 UI 13 .<br />
Se questo target non viene raggiunto<br />
circa il 60% degli anziani<br />
presenta livelli di vitamina D inadeguati<br />
e ciò sembra anche legato<br />
all’incapacità della cute e del<br />
rene di produrre la forma attiva<br />
della vitamina nei soggetti in questa<br />
fascia di età. La supplementazione<br />
è pertanto l’unica opzione<br />
possibile dato che sembra impossibile<br />
correggere il deficit con le<br />
normali misure alimentari. È stato<br />
inoltre dimostrato che la supplementazione<br />
con vitamina D è<br />
N O<br />
G<br />
23
MENOPAUSA<br />
N O<br />
G in grado di ridurre, come fattore<br />
indipendente, il rischio di caduta<br />
nei pazienti anziani 14 . Infine, l’impiego<br />
di questa vitamina è oggetto<br />
di un’attenta valutazione per<br />
altri possibili effetti benefici, come<br />
la riduzione della carcinogenesi<br />
e della mortalità totale 15 .<br />
24<br />
Valutazione<br />
del rischio di frattura<br />
• Età avanzata: il rischio di fratture<br />
osteoporotiche di qualsiasi<br />
tipo subisce un incremento<br />
con l’aumentare dell’età; per<br />
esempio, un T-score di -2,5 in<br />
una paziente di 75 anni implica<br />
un rischio di frattura notevolmente<br />
maggiore se paragonato<br />
allo stesso T-score a 50<br />
anni.<br />
• Sesso: le donne presentano un<br />
rischio superiore a quello dei<br />
maschi.<br />
• Basso indice di massa corporea:<br />
un BMI inferiore a 21 kg/mq si<br />
associa a un basso BMD e a un<br />
aumentato rischio di frattura e<br />
può essere indicativo di carenze<br />
alimentari 16 .<br />
• Presenza di una frattura o<br />
anamnesi positiva per frattura<br />
dopo i 50 anni di età 17 : ogni<br />
frattura vertebrale raddoppia il<br />
rischio di una successiva frattura.<br />
Quest’ultimo è pari al<br />
20% nel primo anno successivo<br />
a una frattura vertebrale e<br />
aumenta in presenza di fratture<br />
multiple. Le fratture vertebrali<br />
possono essere asintomatiche<br />
ed evidenziabili solo attraverso<br />
una radiografia laterale<br />
della colonna vertebrale 18 .<br />
Per la valutazione dei corpi vertebrali<br />
può essere impiegato il<br />
metodo semiquantitativo di Ge-<br />
nant che richiede un abbassamento<br />
del 20% della loro altezza<br />
19 .<br />
• Anamnesi familiare di fratture<br />
dell’anca 20 : il rischio di frattura<br />
aumenta in presenza di<br />
un’anamnesi positiva per frattura<br />
dell’anca sia nella madre<br />
che nel padre.<br />
• Uso di sostanze nocive per la<br />
salute dell’osso: come già accennato,<br />
il fumo 21 , il consumo<br />
elevato di alcolici 4 e una terapia<br />
con glucocorticoidi della durata<br />
superiore a 3 mesi a una<br />
dose di prednisone di 5 mg/die<br />
o superiore 22 , aumentano il rischio<br />
di frattura.<br />
• Presenza di condizioni patologiche<br />
associate all’osteoporosi:<br />
artrite reumatoide, iperparatiroidismo,<br />
deficit di vitamina D,<br />
diabete mellito di tipo 1, osteogenesi<br />
imperfetta negli adulti,<br />
ipertiroidismo non trattato per<br />
lungo tempo, ipogonadismo,<br />
menopausa prematura, malnutrizione<br />
cronica, sindromi da<br />
malassorbimento (soprattutto<br />
morbo celiaco), malattie epatiche<br />
croniche, malattia di Cushing.<br />
• Densitometria ossea mediante<br />
DEXA: è una metodica non invasiva,<br />
ripetibile, affidabile e validata<br />
che fornisce un ottimo indice<br />
del rischio di frattura nella<br />
popolazione non trattata,<br />
senza fratture 23 . Esiste una forte<br />
correlazione continua tra il<br />
BMD e le fratture osteoporotiche,<br />
con un aumento del rischio<br />
che può variare da 1,5 a 2,6 volte<br />
per ogni riduzione della deviazione<br />
standard in funzione<br />
del sito in cui si effettua la misurazione<br />
e in cui si è verificata<br />
la frattura 24 .<br />
La diagnosi di osteoporosi, stabilita<br />
nel 1994 dalla WHO, richiede<br />
una BMD inferiore di 2,5 deviazioni<br />
standard rispetto al valore<br />
del picco di massa ossea in<br />
una popolazione di giovani donne<br />
caucasiche (T-score -2,5) 25 .<br />
Anche se questa definizione è<br />
utile dal punto di vista epidemiologico,<br />
non sembra altrettanto<br />
valida sotto il profilo della<br />
decisione clinica, in quanto<br />
basata su un singolo fattore di<br />
rischio.<br />
Si è infatti visto che nell’82%<br />
delle donne in postmenopausa<br />
con frattura il T-score è migliore<br />
di -2,5 26 . La valutazione routinaria<br />
con la DEXA è consigliata<br />
a tutte le donne in post-menopausa<br />
considerate a rischio<br />
di frattura e a tutte le donne di<br />
età superiore a 65 anni.<br />
• Etnia: la popolazione di origine<br />
afro-caraibica ha, solitamente,<br />
una densità minerale ossea superiore<br />
a quella della popolazione<br />
caucasica.
Soglia d’intervento<br />
farmacologico<br />
Le indicazioni assolute al trattamento<br />
sono le seguenti:<br />
• BMD a livello della colonna con<br />
T-score inferiore o uguale a -2,5<br />
a L1-L4;<br />
• BMD a livello dell’anca con Tscore<br />
inferiore o uguale a -2,5<br />
al collo del femore;<br />
• presenza di fratture da fragilità<br />
indipendentemente dal BMD.<br />
Il trattamento deve comunque essere<br />
deciso soprattutto su base<br />
clinica (tabella 1) e dovrebbe essere<br />
imperniato sulla valutazione<br />
del rischio di frattura a 10 anni.<br />
La National Osteoporosis Foundation<br />
raccomanda di sottoporre a<br />
trattamento tutte le donne osteopeniche<br />
in postmenopausa con<br />
un rischio di frattura dell’anca a<br />
10 anni uguale o superiore al 3%.<br />
Terapia<br />
estroprogestinica<br />
L’accelerazione della perdita d’osso<br />
che si osserva all’inizio della<br />
menopausa è direttamente correlata<br />
alla caduta degli estrogeni che<br />
esplicano un’attività anti-riassorbimento<br />
attraverso l’inibizione dell’attività<br />
cellulare degli osteocla-<br />
Tabella 1 Farmaci disponibili per la prevenzione delle fratture<br />
■ Elevati livelli serici di calcio potrebbero far sospettare un iperparatiroidismo.<br />
■ Elevati livelli di PTH devono far sospettare la presenza di iperparatiroidismo.<br />
■ Bassi livelli di 25-idrossi-vitamina-D sono indicativi di un deficit di vitamina D.<br />
■ Bassi livelli di calcio nelle urine delle 24 ore possono essere indicativi<br />
di uno scarso apporto o di un cattivo assorbimento di calcio.<br />
■ I valori dell’emocromo possono essere indicativi dello stato nutrizionale.<br />
■ Elevati livelli di fosfatasi alcalina devono far sospettare un morbo di Paget.<br />
■ La funzione renale deve essere valutata prima di decidere un trattamento.<br />
■ Semplici esami bioumorali possono rivelare la presenza di celiachia.<br />
■ I marker biochimici del rimodellamento osseo hanno un ruolo limitato<br />
nella routine clinica.<br />
MENOPAUSA<br />
Tabella 2 Farmaci disponibili per la prevenzione delle fratture<br />
Anti-riassorbimento (attività anti-osteoclastica)<br />
■ Terapia estroprogestinica<br />
■ SERM<br />
■ Bisfosfonati<br />
Stimolanti la formazione di osso<br />
■ Teriparatide (PTH 1-34)<br />
Ad attività mista<br />
■ Ranelato di stronzio<br />
■ Una radiografia latero-laterale delle vertebre toraciche e lombari è importante<br />
per escludere fratture vertebrali secondarie a neoplasie.<br />
sti, favorendone l’apoptosi; essi,<br />
inoltre, svolgono un effetto positivo<br />
sul bilancio del calcio.<br />
È ormai assodato da diversi anni<br />
che la terapia ormonale sostitutiva<br />
(TOS) è in grado di prevenire la<br />
perdita ossea associata alla menopausa<br />
e di far aumentare il<br />
BMD nelle pazienti osteoporotiche.<br />
Lo studio Women’s Health<br />
Iniziative (WHI) ha evidenziato che<br />
la TOS e la terapia con<br />
soli estrogeni riducono il<br />
rischio di fratture osteoporosi-correlate<br />
27,28 . Il livello<br />
di rischio è molto<br />
basso subito dopo la menopausa,<br />
mentre au-<br />
mentaconsiderevolmente in età avanzata. Pertanto,<br />
dato che il beneficio<br />
della TOS è presente<br />
solo in corso di trattamento,<br />
sarebbe necessario<br />
proseguire la terapia<br />
per un lungo periodo<br />
di tempo. Tuttavia, è<br />
anche necessario considerare<br />
che il rischio di tumore<br />
della mammella<br />
s’incrementa con l’aumentare<br />
della durata del<br />
trattamento e che anche<br />
il rischio cardiovascolare<br />
diventa apprezzabile nelle<br />
donne più avanti con<br />
N O<br />
G<br />
25
N O<br />
G<br />
26<br />
MENOPAUSA<br />
gli anni. Di conseguenza, le autorità<br />
sanitarie europee hanno deciso<br />
di sconsigliare la TOS come<br />
terapia di prima scelta per il trattamento<br />
dell’osteoporosi.<br />
Lo studio WHI, anche se in gran<br />
parte soggetto a critiche, spesso<br />
giuste, ha documentato i seguenti<br />
aspetti.<br />
• Aumento del rischio tromboembolico:<br />
18 casi in più ogni<br />
10.000 donne trattate per anno;<br />
il livello di rischio aumenta<br />
con l’aumentare dell’età ed è<br />
massimo nel primo anno di trattamento.<br />
I fattori di rischio comprendono<br />
un precedente episodio<br />
di trombosi venosa profonda<br />
(TVP) o una storia familiare<br />
positiva per TVP. Teoricamente,<br />
l’aumento del rischio di<br />
TVP potrebbe essere notevolmente<br />
ridotto utilizzando, per<br />
la TOS, le formulazioni per via<br />
trasdermica.<br />
• Aumento del rischio di ictus cerebrale:<br />
circa 8-12 eventi per<br />
10.000 donne per anno; il rischio<br />
permane anche dopo il<br />
primo anno d’impiego della<br />
TOS.<br />
• Aumento del rischio di tumore<br />
della mammella: dopo 5 anni<br />
di assunzione della TOS; que-<br />
sto effetto aumenta con la durata<br />
del trattamento e diminuisce<br />
rapidamente dopo la sospensione<br />
della terapia.<br />
Pertanto, il ricorso a questa strategia<br />
farmacologica nell’osteoporosi<br />
deve essere rivalutato alla luce<br />
delle nuove analisi di sottogruppi<br />
che indicano una finestra di opportunità<br />
per l’uso della TOS. In<br />
particolare, iniziare il trattamento<br />
prima dei 60 anni implica rischi<br />
molto bassi e può anche offrire<br />
una protezione cardiovascolare 29 .<br />
L’opinione di molti esperti, attualmente,<br />
suggerisce che la TOS ai<br />
più bassi dosaggi efficaci può essere<br />
impiegata nei soggetti più<br />
giovani a rischio di frattura 30 che<br />
magari presentano anche disturbi<br />
vasomotori e che potrebbero<br />
sostituire la TOS con altri preparati<br />
dopo i 60 anni.<br />
SERMs<br />
(Selective Estrogens<br />
Receptors Modulators)<br />
L’unico SERM attualmente disponibile<br />
per la protezione nei confronti<br />
delle fratture è il raloxifene<br />
alla dose orale giornaliera di 60<br />
mg, ma sono in avanzata fase di<br />
sviluppo altri principi attivi (lasofoxifene;<br />
bazedoxifene e arzoxifene).<br />
Questo gruppo complesso<br />
di molecole sintetiche mima gli<br />
effetti benefici degli estrogeni sull’osso<br />
e sull’assetto lipidico senza<br />
però stimolare i recettori estrogenici<br />
a livello della mammella e dell’endometrio.<br />
Un importante studio<br />
randomizzato 31 e una recente<br />
metanalisi 32 hanno dimostrato<br />
che il raloxifene è in grado di ridurre<br />
del 34-51% il rischio di fratture<br />
vertebrali nonostante un modesto<br />
aumento del BMD. Non è<br />
stato, purtroppo, evidenziato alcun<br />
effetto positivo sul numero di<br />
fratture non vertebrali (comprese<br />
quelle dell’anca). Il raloxifene, inoltre,<br />
riduce del 76% il rischio di<br />
cancro invasivo della mammella<br />
con recettori estrogenici positivi 33 .<br />
Un recente studio controllato e<br />
randomizzato ha evidenziato che<br />
il raloxifene ha la stessa efficacia<br />
del tamoxifene nella prevenzione<br />
del cancro della mammella nelle<br />
pazienti non osteoporotiche 34 .<br />
Contrariamente agli estrogeni, il<br />
raloxifene non è efficace sui sintomi<br />
vasomotori, anzi può favorirne<br />
la comparsa. Il RUTH trial ha<br />
dimostrato che il raloxifene non<br />
ha effetto protettivo nei confronti<br />
della patologia coronarica in pazienti<br />
ad alto rischio 35 . In questo<br />
studio le pazienti trattate con raloxifene<br />
avevano un maggior rischio<br />
di sviluppare eventi tromboembolici<br />
(HR 1,44) e di mortalità<br />
per ictus (HR 1,49).<br />
Bisfosfonati<br />
Sono un gruppo di molecole che<br />
mostrano una struttura bisfosfonata<br />
comune (P-C-P) con catene
laterali diverse. La prerogativa di<br />
questi principi attivi è quella di<br />
inibire l’attività degli osteoclasti<br />
bloccando la via dell’acido mevalonico.<br />
Per la terapia dell’osteoporosi menopausale<br />
solitamente si usano le<br />
seguenti preparazioni:<br />
• etidronato, 400 mg/die per via<br />
orale seguito da calcio carbonato<br />
per 76 giorni (cicli di 90<br />
giorni ripetuti); riduzione del rischio<br />
di fratture vertebrali del<br />
41-47% 36 ;<br />
• alendronato, 70 mg/settimanali<br />
o 10 mg/die per via orale riducono<br />
l’incidenza di fratture<br />
vertebrali, dell’anca e del polso<br />
di circa il 50% 37 ;<br />
• risedronato, 35 mg/settimanali<br />
o 5 mg/die per via orale riducono<br />
l’incidenza di fratture vertebrali<br />
del 41-49% e di fratture<br />
non vertebrali del 36% 38 ;<br />
• ibandronato, 2,5 mg/die o 150<br />
mg una volta al mese per via<br />
orale oppure 3 mg ogni 3 mesi<br />
per via venosa riducono il rischio<br />
di fratture vertebrali di circa<br />
il 50% 39 ;<br />
• zoledronato, 5 mg per via venosa<br />
una volta all’anno riducono<br />
il rischio di fratture vertebrali<br />
del 70%, delle fratture dell’anca<br />
del 41% e delle fratture<br />
periferiche del 25% 40 .<br />
I bisfosfonati assunti per via orale<br />
vengono assorbiti solo in piccola<br />
parte (meno del 1%) e dovrebbero<br />
essere assunti a digiuno<br />
con un bicchiere di acqua. Il paziente<br />
dovrebbe rimanere in piedi<br />
o seduto e a digiuno per 30 minuti<br />
dopo l’assunzione, al fine di<br />
evitare gli effetti collaterali o un<br />
ridotto assorbimento del farmaco.<br />
L’assunzione settimanale o<br />
mensile riduce la possibilità che si<br />
verifichino effetti collaterali a carico<br />
dell’apparato gastrointestina-<br />
le e può migliorare l’aderenza al<br />
trattamento. La somministrazione<br />
endovena elimina gli effetti collaterali<br />
gastrointestinali e aumenta<br />
l’aderenza al trattamento, ma<br />
può determinare la comparsa di<br />
una sindrome simil-influenzale,<br />
della durata di pochi giorni, subito<br />
dopo l’infusione.<br />
Il livello di soppressione del turnover<br />
osseo varia a seconda delle<br />
molecole impiegate, tuttavia tale<br />
effetto dura per diverso tempo<br />
anche dopo la sospensione della<br />
terapia. I bisfosfonati si legano saldamente<br />
alla idrossiapatite sulla<br />
superficie dell’osso e vengono qui<br />
trattenut per un periodo di tempo<br />
molto lungo. Per questo motivo,<br />
potrebbe verificarsi un’eccessiva<br />
soppressione del turnover osseo<br />
con un possibile aumento del<br />
rischio di frattura 41,42 . Recentemente<br />
si è parlato di un’osteonecrosi<br />
della mascella come di una possibile<br />
complicanza correlata all’eccessiva<br />
soppressione del turnover<br />
osseo da parte dei bisfosfonati 43 .<br />
Negli ultimi due anni sono stati riportati<br />
casi di gravi episodi di fibrillazione<br />
atriale in soggetti trattati<br />
con bisfosfonati 44,45 .<br />
Ma un’analisi della FDA su 19.687<br />
soggetti in trattamento con questi<br />
farmaci e su 18.358 soggetti<br />
trattati con placebo non ha evi-<br />
MENOPAUSA<br />
denziato una chiara associazione<br />
tra l’uso di bisfosfonati e l’aritmia<br />
cardiaca. Un trial molto importante<br />
rivisto dall’FDA ha messo in evidenza<br />
un significativo incremento<br />
di fibrillazioni atriali gravi e l’impiego<br />
di zoledronato: tale correlazione<br />
viene evidenziata sulla<br />
scheda tecnica che accompagna<br />
il farmaco.<br />
Nonostante questi dati conflittuali,<br />
nel novembre 2008 la FDA ha<br />
stabilito che i medici non devono<br />
cambiare le loro abitudini sulla<br />
prescrizione dei bisfosfonati e che<br />
i pazienti non devono sospendere<br />
il trattamento.<br />
Questi farmaci non dovrebbero<br />
essere prescritti nei soggetti con<br />
esofago di Barrett per l’aumentato<br />
rischio di carcinoma esofageo.<br />
Data la notevole lunghezza dell’emivita,<br />
i bisfosfonati dovrebbero<br />
essere usati con estrema attenzione<br />
nelle pazienti con insufficienza<br />
ovarica prematura.<br />
Teriparatide (PTH 1-34)<br />
Si tratta dell’ormone paratiroideo<br />
ricombinante, dotato di una potente<br />
attività anabolica sull’osso.<br />
Si somministra quotidianamente<br />
per via sottocutanea alla dose di<br />
N O<br />
G<br />
27
MENOPAUSA<br />
N O<br />
G 20 µg. Favorisce la formazione di<br />
nuovo osso sia a livello corticale<br />
che a livello trabecolare stimolando<br />
l’attività osteoblastica. È in grado<br />
di ridurre del 65% le fratture<br />
vertebrali e del 53% quelle non<br />
vertebrali 46 .<br />
Gli effetti collaterali sono generalmente<br />
di scarsa entità (ipercalcemia,<br />
iperuricemia, crampi, nausea,<br />
cefalea). Le preoccupazioni<br />
legate alla comparsa di osteosarcoma<br />
negli animali di laboratorio,<br />
non sono state confermate nell’uomo.<br />
Il suo impiego è comunque<br />
controindicato nella malattia<br />
di Paget, nei pazienti irradiati a livello<br />
scheletrico e in quelli con elevati<br />
livelli di fosfatasi alcalina non<br />
spiegati. L’effetto anabolico risulta<br />
essere ridotto nei pazienti precedentemente<br />
trattati con bisfosfonati.<br />
L’uso di questo farmaco<br />
è limitato dai costi estremamente<br />
elevati.<br />
28<br />
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Questo farmaco possiede una<br />
doppia azione che è una sua caratteristica<br />
peculiare. In base ai<br />
dati derivanti da studi sui marcatori<br />
dell’osso, lo stronzio ranelato<br />
sembra agire sia sull’inibizione<br />
dell’attività osteoclastica, sia favorendo<br />
l’attività osteoblastica.<br />
Questa attività viene mediata attraverso<br />
il sistema RANK e sui recettori<br />
del calcio 47 .<br />
Due importanti trial randomizzati<br />
e controllati (SOTI e TROPOS) 48,49<br />
hanno fornito risultati molto importanti.<br />
Il trattamento con ranelato<br />
di stronzio provoca un significativo<br />
aumento del BMD e una<br />
riduzione delle fratture vertebrali<br />
del 41%. Biopsie ossee dopo 5<br />
anni di terapia hanno confermato<br />
gli effetti positivi del trattamento<br />
sulla microarchitettura tridimensionale<br />
dell’osso 50 .<br />
Monitoraggio<br />
della terapia<br />
Il monitoraggio della terapia mediante<br />
la valutazione seriata del<br />
BMD presenta diverse insidie come<br />
quelle legate alla precisione<br />
degli operatori e degli strumenti<br />
di misura. Per avere significato dovrebbero<br />
verificarsi cambiamenti<br />
di almeno il 3,8% a livello dell’anca<br />
e del 2,4% a livello della colonna<br />
vertebrale. Le misurazioni<br />
dovrebbero essere effettuate a distanza<br />
di almeno due anni. Il<br />
BMD, inoltre, non tiene conto dell’effetto<br />
della terapia sullo spessore<br />
della corticale, sulla porosità<br />
e sulla connettività trabecolare<br />
dell’osso. Attualmente, la valutazione<br />
delle fratture vertebrali mediante<br />
la DEXA rimane il miglior<br />
modo per monitorare gli effetti<br />
della terapia.<br />
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N O<br />
G<br />
29
N O<br />
G<br />
30<br />
CLINICA QUOTIDIANA<br />
nquadramento diagnostico<br />
e terapeutico dell’insulino-<br />
resistenza in <strong>gravidanza</strong><br />
IUna situazione a rischio che può sfociare in un diabete gestazionale (DMG),<br />
ma anche favorire la comparsa di ipertesione materna o di preeclampsia.<br />
In presenza di insulino-resistenza occorre pertanto attivare un monitoraggio<br />
particolarmente attento, mentre sul fronte della terapia del DMG sembrano<br />
profilarsi buone prospettive per gli ipoglicemizzanti orali.<br />
insulina svolge una funzione<br />
L’ fondamentale nella fisiologia<br />
umana attraverso la regolazione<br />
del metabolismo dei carboidrati,<br />
dei lipidi e delle proteine a livello<br />
epatico, muscolare e del tessuto<br />
adiposo. Il suo ruolo non si limita<br />
alla stimolazione del trasporto del<br />
glucosio e all’inibizione della lipolisi<br />
poiché essa ha un’importante<br />
influenza sulla funzione endoteliale<br />
e sulla regolazione dell’espressione<br />
genica. L’insulino-resistenza<br />
(IR), definita come una ridotta risposta<br />
biologica all’insulina, in particolare<br />
a livello dell’omeostasi glicemica,<br />
rappresenta una caratteristica<br />
fondamentale della <strong>gravidanza</strong>:<br />
durante la gestazione si assiste,<br />
infatti, a un progressivo aumento<br />
della resistenza periferica<br />
all’azione dell’insulina che raggiunge<br />
il suo massimo nel terzo<br />
trimestre e scompare rapidamente<br />
dopo il parto; tutto questo è il<br />
risultato, soprattutto, dell’attività<br />
di Giorgio Mello, Serena Ottanelli<br />
Dipartimento di Ginecologia, Perinatologia e Riproduzione Umana, Università di Firenze<br />
controinsulare di alcuni ormoni e<br />
citochine di origine placentare, ma<br />
anche dell’aumento del tessuto<br />
adiposo materno. Tale modificazione<br />
metabolica permette di ottimizzare<br />
il passaggio transplacentare<br />
dei nutrienti durante l’assunzione<br />
di cibo e, allo stesso tempo,<br />
accentua le capacità materne di<br />
utilizzare le proprie riserve di grassi<br />
come fonte di energia durante<br />
il digiuno 1 .<br />
Le alterazioni di questa fisiologica<br />
IR sono coinvolte in importanti<br />
complicanze ostetriche. È ormai<br />
ben chiaro come un’eccessiva IR,<br />
insieme a una risposta β-cellulare<br />
inadeguata, rappresentino il meccanismo<br />
fisiopatologico alla base<br />
dello sviluppo del diabete mellito<br />
gestazionale (DMG); negli ultimi<br />
anni, inoltre, l’iperinsulinemia materna<br />
è stata proposta come possibile<br />
fattore patogenetico nello<br />
sviluppo dell’ipertensione gestazionale<br />
e della preeclampsia.<br />
Valutazione della IR<br />
in <strong>gravidanza</strong>:<br />
quale metodica?<br />
La sensibilità insulinica (IS) rappresenta<br />
la capacità dell’ormone di<br />
ridurre i livelli di glucosio ematico,<br />
sia stimolandone la captazione<br />
da parte dei tessuti periferici,<br />
sia sopprimendone la produzione<br />
a livello epatico. La disponibilità<br />
di metodi sensibili e riproducibili<br />
per studiare le variazioni dell’IS è<br />
fondamentale per capire le modificazioni<br />
fisiologiche e patologiche<br />
che si verificano durante il corso<br />
della <strong>gravidanza</strong>.<br />
Il metodo considerato il gold standard<br />
per quantificare la IS in vivo<br />
è il clamp euglicemico iperinsulinemico.<br />
Il principio del test è quello<br />
di mantenere la glicemia costante<br />
infondendo glucosio a velocità<br />
controllata durante la contemporanea<br />
infusione di insulina
a una dose fissa a livelli soprabasali<br />
2 . Per la sua complessità di esecuzione<br />
e il suo alto costo, questa<br />
metodica non è facilmente applicabile<br />
per studi su larga scala.<br />
Sono stati così elaborati test surrogati<br />
che consentono di valutare<br />
in modo semplice la sensibilità<br />
e la secrezione insulinica in un largo<br />
numero di soggetti o in particolari<br />
condizioni quali la <strong>gravidanza</strong>.<br />
Un valido metodo alternativo<br />
è la tecnica del minimal model,<br />
che utilizza un modello matematico<br />
per analizzare i valori di glucosio<br />
e insulina ottenuti durante<br />
un IVGTT (Intravenous Glucose<br />
Tolerance Test) 3 . Anche se tecnicamente<br />
meno complesso del<br />
clamp, anche il minimal model<br />
non risulta ideale per studi su larga<br />
scala, in quanto comporta una<br />
lunga procedura e richiede prelievi<br />
ematici ravvicinati.<br />
Si è cercato quindi di sviluppare e<br />
validare metodi sempre più semplici<br />
e meno invasivi. Da questa<br />
necessità è nato, circa venti anni<br />
fa, l’Homeostasis Model Assessment,<br />
un modello matematico<br />
che rappresenta la relazione non<br />
lineare tra le concentrazioni di insulina<br />
e di glucosio a digiuno.<br />
L’equazione utilizzata da Matthews<br />
per stimare la resistenza insulinica<br />
è la seguente: IS HOMA =<br />
(FPI x FPG)/22,5 dove FPI e FPG<br />
rappresentano, rispettivamente,<br />
l’insulinemia e la glicemia a digiuno.<br />
Correlazioni significative tra<br />
IS HOMA e i risultati del clamp sono<br />
state ottenute sia in pazienti<br />
con diabete di tipo 2 che nell’intero<br />
range della sensibilità insulinica,<br />
suggerendo che l’IS HOMA<br />
rappresenta una valida alternativa<br />
a tecniche più sofisticate nella<br />
valutazione dell’IS in vivo 4 . Kats et<br />
al hanno introdotto più recentemente<br />
l’IS QUICKI (Quantitative Insulin-sensitivity<br />
ChecK Index), un<br />
altro indice di IS ottenuto dai livelli<br />
di glucosio e di insulina a digiuno,<br />
definito come: IS QUICKI =1/[log<br />
(I0) + log (G0)] dove I0 e G0 sono<br />
rispettivamente le concentrazioni<br />
di insulina e di glucosio a digiuno.<br />
Tali autori hanno dimostrato che<br />
l’IS QUICKI ha una significativa correlazione<br />
con i risultati ottenuti dal<br />
clamp euglicemico, anche in soggetti<br />
obesi e diabetici 5 .<br />
L’impiego di questi indici basati<br />
sulla glicemia e l’insulinemia a digiuno<br />
è stato accuratamente validato<br />
durante la <strong>gravidanza</strong> 6 . Anche<br />
se essi non hanno lo scopo di<br />
sostituire il clamp euglicemico nello<br />
scenario della ricerca, possono<br />
fornire ai clinici e agli epidemiologi<br />
un utile strumento per valutare<br />
tale parametro metabolico e<br />
le sue modificazioni durante la<br />
<strong>gravidanza</strong> in larghi campioni di<br />
studio.<br />
IR materna e DGM<br />
Il termine Diabete Mellito Gestazionale<br />
(DMG) definisce un’alterazione<br />
del metabolismo glucidico<br />
di entità variabile la cui insorgenza<br />
o il primo riconoscimento<br />
avviene durante la <strong>gravidanza</strong>. È<br />
il più comune disordine metabolico<br />
che complica la <strong>gravidanza</strong><br />
(7%) e la sua diagnosi clinica è<br />
fondamentale per identificare gravidanze<br />
ad aumentato rischio di<br />
CLINICA QUOTIDIANA<br />
morbilità e mortalità perinatale e<br />
anche donne ad aumentato rischio<br />
di sviluppare un diabete mellito<br />
di tipo 2 negli anni successivi<br />
al parto.<br />
Nella <strong>gravidanza</strong> fisiologica, l’omeostasi<br />
glucidica è mantenuta,<br />
nonostante lo sviluppo di un certo<br />
grado di IR, attraverso un concomitante<br />
e compensatorio aumento<br />
della secrezione insulinica.<br />
Nella maggioranza dei casi di<br />
DMG non viene riscontrata alcuna<br />
alterazione cellulare identificabile<br />
e la maggior parte delle donne<br />
con DMG sembra avere una<br />
disfunzione delle β-cellule pancreatiche<br />
dovuta a IR cronica, similmente<br />
a quanto accade nel<br />
meccanismo patogenetico alla base<br />
del diabete di tipo 2.<br />
La diminuzione dell’IS che si verifica<br />
nella <strong>gravidanza</strong> fisiologica<br />
avviene nello stesso modo nelle<br />
gestanti sane e nelle donne che<br />
svilupperanno il DMG, ma in queste<br />
ultime si sviluppa su un fondo<br />
di IR cronica cosicché le gestanti<br />
diabetiche tendono ad avere<br />
un grado maggiore di IR rispetto<br />
alle gestanti sane 7 . Questo concetto<br />
è stato confermato da recenti<br />
studi che hanno dimostrato<br />
come alcuni indici di IR siano significativamente<br />
aumentati in<br />
epoca precoce di gestazione nelle<br />
donne che svilupperanno il<br />
DMG 8,9 . È stato per molto tempo<br />
ritenuto che il DMG si sviluppi in<br />
quelle donne che non sono in grado<br />
di incrementare la loro secrezione<br />
insulinica quando si trovano<br />
di fronte al fisiologico aumento<br />
del bisogno insulinico durante<br />
le fasi tardive della <strong>gravidanza</strong>.<br />
In realtà, il semplice smascheramento<br />
di un difetto β-cellulare da<br />
parte della fisiologica IR della <strong>gravidanza</strong><br />
non può spiegare la presenza<br />
dell’IR cronica dimostrata<br />
N O<br />
G<br />
31
CLINICA QUOTIDIANA<br />
N O<br />
G nelle donne che sviluppano il<br />
DMG, a meno che il difetto delle<br />
β-cellule e questa IR non siano in<br />
qualche modo legati. Questo suggerisce<br />
che il difetto β-cellulare<br />
sia il risultato di anni di esposizione<br />
a un’IR cronica e che il sommarsi<br />
della fisiologica IR nelle fasi<br />
tardive della <strong>gravidanza</strong> peggiora<br />
inevitabilmente la funzione delle<br />
β-cellule portando al manifestarsi<br />
del DMG.<br />
32<br />
IR e preeclampsia<br />
La preeclampsia fa parte di un ampio<br />
spettro di disordini ipertensivi<br />
che possono complicare la <strong>gravidanza</strong><br />
con una frequenza variabile<br />
dal 6 all’8% e rimane ancora<br />
oggi una delle principali cause<br />
di morbilità e mortalità materna<br />
e neonatale nel mondo occidentale.<br />
La limitata comprensione dei<br />
meccanismi fisiopatologici che ne<br />
sono alla base costituisce il principale<br />
ostacolo allo sviluppo di metodi<br />
in grado di identificare le gestanti<br />
a rischio e prevenire l’insorgenza<br />
della complicanza.<br />
Anche se probabilmente le cause<br />
della preeclampsia sono multifattoriali,<br />
l’IR potrebbe svolgere un<br />
ruolo importante nella comparsa<br />
della sindrome clinica. Numerosi<br />
aspetti descritti nella fisiopatologia<br />
della preeclampsia sono comuni<br />
alle caratteristiche della sindrome<br />
metabolica: l’ipertensione,<br />
la dislipidemia, la generalizzata risposta<br />
infiammatoria e gli alti livelli<br />
circolanti di TNF e di PAI1 10 .<br />
Diverse evidenze sperimentali derivanti<br />
da studi retrospettivi suggeriscono<br />
che la preeclampsia è<br />
associata a gradi maggiori di IR rispetto<br />
alla <strong>gravidanza</strong> fisiologica:<br />
numerosi studi svolti durante il<br />
terzo trimestre dimostrano che le<br />
donne che sviluppano ipertensione<br />
risultano iperinsulinemiche e<br />
affette da vari gradi di intolleranza<br />
glucidica 11 .<br />
Grazie a importanti studi prospettici,<br />
è stato oggi dimostrato che<br />
l’IR non solo è una caratteristica<br />
della preeclampsia, ma ne precede<br />
l’insorgenza, suggerendo un<br />
suo possibile ruolo patogenetico.<br />
Uno studio condotto da Sowers<br />
et al in donne afro-americane ha<br />
dimostrato che a 20 settimane di<br />
gestazione i livelli di insulinemia<br />
a digiuno erano aumentati in maniera<br />
significativa nelle pazienti<br />
che avrebbero sviluppato la preeclampsia<br />
12 .<br />
In uno studio prospettico che ha<br />
arruolato oltre 3.600 gestanti, Parretti<br />
et al hanno documentato in<br />
un gruppo di 819 pazienti normotese<br />
e con normale tolleranza<br />
al glucosio l’esistenza di un’associazione<br />
significativa tra gli indici<br />
di IS a digiuno (IS HOMA >75° centile<br />
e IS QUICKI < 25° centile) sia in<br />
epoca precoce che tardiva e l’incidenza<br />
di preeclampsia.<br />
Tali indici sembrano in grado di<br />
predire con una buona sensibilità<br />
e specificità in entrambe le epoche<br />
di <strong>gravidanza</strong> il seguente sviluppo<br />
di preeclampsia 13 .<br />
Questa relazione temporale supporta<br />
quindi l’ipotesi che l’IR sia<br />
in qualche modo coinvolta nella<br />
sequenza di cause che portano alla<br />
preeclampsia. Probabilmente<br />
l’IR e la predisposizione alla sin-<br />
drome metabolica rientrano in<br />
quei fattori materni che interagiscono<br />
con l’ipoperfusione placentare<br />
e alimentano lo stress ossidativo<br />
e la disfunzione endoteliale<br />
portando così al manifestarsi della<br />
patologia.<br />
Nuove strategie<br />
terapeutiche nel DMG<br />
Il principale scopo del trattamento<br />
del DMG è quello di ridurre i livelli<br />
glicemici materni in modo da<br />
prevenire l’iperinsulinemia e l’eccessiva<br />
crescita fetale e migliorare<br />
la funzione endoteliale materna.<br />
Il principale approccio per il<br />
controllo glicemico in queste pazienti<br />
è il trattamento nutrizionale,<br />
con l’aggiunta di insulina quando<br />
il primo, da solo, non è sufficiente.<br />
La terapia insulinica è da<br />
sempre considerata il gold standard<br />
per la sua efficacia nel raggiungere<br />
uno stretto controllo metabolico<br />
e per il fatto che non oltrepassa<br />
la barriera placentare.<br />
Da quanto precedentemente<br />
esposto, essendo il DMG caratterizzato,<br />
come il diabete di tipo 2,<br />
da un’eccessiva IR materna associata<br />
a un deficit relativo di insulina,<br />
il trattamento con ipoglicemizzanti<br />
orali è da tempo stato ritenuto<br />
di potenziale interesse.<br />
Gli svantaggi della terapia insulinica<br />
includono la necessità di iniezioni<br />
sottocutanee multiple e quindi<br />
di fornire alla paziente un’edu
cazione corretta circa i modi e i<br />
tempi di somministrazione; quest’opzione<br />
comporta inoltre un rischio<br />
di ipoglicemia e un aumento<br />
dell’appetito, con conseguente<br />
incremento del peso materno.<br />
L’impiego degli ipoglicemizzanti<br />
orali potrebbe rappresentare una<br />
attraente alternativa alla terapia<br />
insulinica per la facilità di somministrazione<br />
e quindi per la soddisfazione<br />
della paziente, costituendo<br />
un approccio più “fisiologico”<br />
al trattamento del DMG rispetto<br />
all’insulina. La restrizione al loro<br />
uso in <strong>gravidanza</strong> sarebbe principalmente<br />
correlata al rischio malformativo<br />
e al danno fetale da ipoglicemia<br />
per stimolazione diretta<br />
del pancreas fetale.<br />
Prospettive trapeutiche<br />
con gliburide…<br />
I dati più importanti sugli antidiabetici<br />
orali riguardano la gliburide,<br />
principio attivo appartenente<br />
alla classe delle sulfaniluree. Questi<br />
farmaci agiscono sopprimendo<br />
la produzione epatica di glucosio<br />
e aumentando la secrezione<br />
insulinica dopo i pasti; è stato<br />
quindi ipotizzato che essi potrebbero<br />
stimolare la produzione d’insulina<br />
da parte del pancreas fetale<br />
e quindi peggiorare la fetopatia<br />
diabetica in caso di passaggio<br />
transplacentare.<br />
Studi in vitro su placente di madri<br />
sia diabetiche che non diabetiche<br />
hanno dimostrato che la gliburide<br />
non oltrepassa in quantità<br />
significative la barriera placentare<br />
14 . In un importante studio randomizzato,<br />
Langer et al hanno<br />
confrontato l’impiego della gliburide<br />
e dell’insulina in circa 400<br />
donne con DMG che non riuscivano<br />
a ottenere un adeguato controllo<br />
glicemico con la terapia nu-<br />
trizionale dimostrando che il grado<br />
di controllo glicemico era essenzialmente<br />
lo stesso con i due<br />
trattamenti e che solo il 4% del<br />
gruppo in terapia con gliburide<br />
aveva richiesto terapia insulinica.<br />
Inoltre, non erano evidenziabili<br />
differenze significative tra i due<br />
gruppi nell’incidenza di preeclampsia,<br />
macrosomia, ipoglicemia<br />
neonatale, anomalie congenite,<br />
mortalità perinatale, TC e nelle<br />
concentrazioni di insulina nel cordone<br />
ombelicale dei neonati.<br />
Gli autori concludono che la gliburide<br />
sembrerebbe rappresentare<br />
una sicura ed efficace alternativa<br />
alla terapia insulinica per il<br />
trattamento del diabete gestazionale<br />
15 . La gliburide stimola la secrezione<br />
da parte delle β-cellule,<br />
ma non risolve o affronta il problema<br />
dell’IR sia periferica che<br />
epatica.<br />
… e con metformina<br />
La metformina, come sensibilizzante<br />
dell’azione insulinica, potrebbe<br />
sembrare un’opzione più<br />
logica per le donne con DMG; essa<br />
agisce infatti diminuendo l’output<br />
epatico di glucosio, aumentandone<br />
l’uptake e l’utilizzo periferico<br />
e riducendo i livelli di FFA<br />
(Free Fatty Acids).<br />
Inoltre, a differenza della gliburide,<br />
non stimola la secrezione insulinica<br />
provocando meno frequentemente<br />
ipoglicemia. La metformina<br />
attraversa la placenta raggiungendo<br />
nella circolazione fetale<br />
livelli di circa la metà rispetto<br />
a quelli materni; non stimolando<br />
la secrezione β-cellulare non dovrebbe<br />
essere in grado di agire sulla<br />
secrezione insulinica del pancreas<br />
fetale e causare danni fetali<br />
da ipoglicemia e iperinsulinemia.<br />
I primi dati sull’uso della met-<br />
CLINICA QUOTIDIANA<br />
formina in <strong>gravidanza</strong> risalgono a<br />
circa 20 anni or sono; è infatti riportato<br />
l’impiego del farmaco nelle<br />
donne con DMG e con DM di<br />
tipo 2 nelle popolazioni sudafricane;<br />
studi di coorte hanno dimostrato<br />
esiti perinatali simili nelle<br />
donne trattate con metformina rispetto<br />
a quelle in terapia insulinica<br />
16 . Tale esperienza è stata poi<br />
confermata da lavori più recenti 17 ;<br />
solo uno studio retrospettivo danese<br />
ha segnalato un maggior rischio<br />
di preeclampsia e di morte<br />
fetale in un gruppo di 50 donne<br />
con DMG o DM di tipo 2 trattate<br />
con metformina rispetto a 23 donne<br />
in terapia insulinica 18 .<br />
Tuttavia il trial era retrospettivo e<br />
poco controllato e probabilmente<br />
le morti fetali non erano correlate<br />
al trattamento. Ulteriori dati<br />
sull’uso della metformina in <strong>gravidanza</strong><br />
provengono dal suo utilizzo<br />
nelle donne con sindrome<br />
dell’ovaio policistico (PCOS), tipicamente<br />
caratterizzate da IR. Il<br />
trattamento con metformina in<br />
queste pazienti ha mostrato migliorare<br />
l’ovulazione e la fertilità<br />
e il suo proseguimento durante la<br />
<strong>gravidanza</strong> sembra ridurre il rischio<br />
di aborto spontaneo dal 73<br />
al 10% e di insorgenza di DMG<br />
di circa 10 volte, senza aumentare<br />
la frequenza di preeclampsia o<br />
di morte perinatale 19 .<br />
N O<br />
G
N O<br />
G<br />
34<br />
CLINICA QUOTIDIANA<br />
Oggi, i risultati del MIG TRIAL, un<br />
recente studio randomizzato controllato<br />
che ha comparato la metformina<br />
con il trattamento insulinico<br />
in 751 pazienti con DMG,<br />
sembrano confermare l’efficacia<br />
e la sicurezza di questo antidiabetico<br />
orale nel trattamento del<br />
DMG. In questo studio non è stata<br />
riscontrata differenza negli outcome<br />
perinatali tra i due gruppi<br />
di gestanti; non c’erano inoltre<br />
differenze nelle misure antropometriche<br />
dei neonati e nei livelli<br />
di insulina nel sangue cordonale.<br />
Delle donne in terapia con metformina<br />
circa il 46% ha avuto bisogno<br />
di un supplemento con in-<br />
Bibliografia<br />
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10. Rodie VA, Freeman DJ, Sattar N, Greer IA. Preeclampsia and<br />
cardiovascular disease: metabolic syndrome of pregnancy?<br />
Atherosclerosis 2004; 175: 189-202.<br />
sulina per raggiungere il controllo<br />
glicemico; tali pazienti erano<br />
quelle con un maggiore BMI e con<br />
livelli di glicemia a digiuno più alti<br />
e hanno richiesto, comunque,<br />
minori quantità di insulina e hanno<br />
avuto un minore incremento<br />
di peso rispetto alle pazienti trattate<br />
con la sola terapia insulinica.<br />
Gli autori concludono, quindi, che<br />
la metformina, da sola o con un<br />
supplemento di insulina, rappresenta<br />
un trattamento efficace e<br />
sicuro per le pazienti con DMG<br />
che rientrano nei criteri per l’inizio<br />
della terapia insulinica 20 .<br />
Anche se dalla letteratura sembra<br />
che questi farmaci siano sicuri, è<br />
mandatorio considerare la possibilità<br />
di un’eventuale alterazione<br />
della fisiologia fetale, che non può<br />
essere esclusa fino a quando non<br />
saranno disponibili dati rassicuranti<br />
sull’outcome neonatale in termini<br />
di composizione corporea e<br />
IS a distanza di anni dalla nascita.<br />
Al momento, la commissione della<br />
quinta Workshop Conference<br />
internazionale sul DMG ha concluso<br />
che non esiste ancora evidenza<br />
per raccomandare il trattamento<br />
con metformina nel DMG,<br />
eccetto che in studi clinici, che dovranno<br />
considerare come importante<br />
endpoint il follow-up a lungo<br />
termine di questi neonati.<br />
11. Kaaja R, Laivouri H, Laasko M et al. Evidence of a state of increased<br />
insulin resistance in preeclampsia. Metabolism 1999;<br />
48: 892-96.<br />
12. Sowers JR, Sokol RJ, Standley PR et al. Insulin resistance<br />
and increased body mass index in women developing hypertension<br />
in pregnancy. Nutr Metabol Cardiovasc Dis 1996; 6:<br />
141-46.<br />
13. Parretti E, Lapolla A, Dalfra MG, Pacini G, Mari A, Cioni R,<br />
Marzari C, Scarselli G, Mello G. Preeclampsia in lean normotensive<br />
normotolerant pregnant women can be predicted by<br />
simple insulin sensitivity indexes. Hypertension 2006; 47:<br />
449-53.<br />
14. Menato G, Bo S, Signorile A et al. Current mamagement of<br />
gestational diabetes mellitus. Expert Rev Obstet Gynecol<br />
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15. Langer O, Conway DL, Berkus MD. A comparison of glyburide<br />
and insulin in women with gestational diabetes mellitus.<br />
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16. Coetzee EJ, Jackson WP. Metformin in management of pregnant<br />
insulin independent diabetics. Diabetologia 1979; 16:<br />
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who takes metformin and what is the outcome? Diabet<br />
Med 2006; 23: 318-22.<br />
18. Helmuth E, Damm P, Pederson L. Oral hypoglicemic agents in<br />
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19. Glueck CJ, Wang P, Kobayashi S et al. Metformin therapy throughout<br />
pregnancy reduces the development of gestational diabetes<br />
in women with polycistic ovary syndrome. Fertil Steril<br />
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20. Rowan JA, Hague WM, Gao W et al. Metformin versus insulin<br />
for the treatment of gestational diabetes. NEMJ 2008; 358:<br />
2003-15.
GESTODIOL20/30<br />
RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO<br />
1. DENOMINAZIONE DELLA SPECIALITÀ MEDICINALE.<br />
GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite<br />
GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite<br />
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA.<br />
Principi attivi: GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite:<br />
ogni compressa contiene 20 microgrammi di Etinilestradiolo e 75 microgrammi di<br />
Gestodene. GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite:<br />
ogni compressa contiene 30 microgrammi di Etinilestradiolo e 75 microgrammi di<br />
Gestodene. Eccipienti: GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse<br />
rivestite contiene 38 mg di lattosio monoidrato e 20 mg di saccarosio. GESTODIOL<br />
30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite contiene 38 mg di lattosio<br />
monoidrato e 20 mg di saccarosio. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere<br />
paragrafo 6.1.<br />
3. FORMA FARMACEUTICA. Compressa rivestita: compresse rivestite di zucchero,<br />
di colore bianco, arrotondate, biconvesse senza impressioni su entrambi i lati.<br />
4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1. Indicazioni terapeutiche. Contraccezione orale.<br />
4.2. Posologia e modo di somministrazione. Come assumere GESTODIOL.<br />
Le compresse devono essere assunte nell’ordine indicato sulla confezione ogni giorno<br />
approssimativamente alla stessa ora. Una compressa al giorno per 21 giorni.<br />
Ogni confezione successiva deve essere iniziata dopo un intervallo di 7 giorni in cui<br />
non verrà assunta alcuna compressa: durante questo lasso di tempo si verificherà<br />
un’emorragia da sospensione. Quest’emorragia inizia solitamente il secondo o terzo<br />
giorno dopo aver assunto l’ultima compressa e potrebbe continuare anche dopo<br />
l’inizio della confezione successiva. Come cominciare ad assumere GESTO-<br />
DIOL. Nel caso in cui non ci sia stato alcun trattamento contraccettivo ormonale<br />
nel mese precedente. È necessario assumere la prima compressa il primo<br />
giorno del ciclo naturale della donna (vale a dire il primo giorno del suo ciclo mestruale).<br />
È possibile cominciare ad assumere le pillole dal secondo al quinto giorno<br />
ma in questi casi si raccomanda di usare anche un metodo contraccettivo di barriera<br />
per i primi sette giorni d’assunzione delle compresse durante il primo ciclo. In<br />
caso di passaggio da un’altra pillola contraccettiva orale di tipo combinato.<br />
La donna deve cominciare ad assumere GESTODIOL il giorno dopo l’ultima compressa<br />
attiva del suo precedente contraccettivo - ma non più tardi del giorno successivo<br />
al completamento dell’usuale periodo in cui non assume alcuna pillola oppure<br />
assume placebo come previsto dal farmaco contraccettivo precedente. Quando<br />
si passa da un contraccettivo solo progestinico (pillola solo al progesterone<br />
(mini-pillola, iniezione, impianto) oppure da un sistema intrauterino a<br />
rilascio di ormone progestinico (IUS). La donna può effettuare il passaggio dalla<br />
pillola solo al progesterone (POP) in qualsiasi momento del ciclo. La prima compressa<br />
deve essere assunta il giorno dopo aver assunto una qualsiasi delle compresse<br />
nella confezione di POP. Nel caso di un impianto o di una IUS l’assunzione<br />
di GESTODIOL deve cominciare lo stesso giorno nel quale l’impianto viene rimosso.<br />
Nel caso di un iniettabile, GESTODIOL deve essere iniziato nel giorno in cui dovrebbe<br />
essere praticata la successiva iniezione. In tutti questi casi si raccomanda<br />
alla donna di usare anche un metodo contraccettivo di barriera per i primi sette giorni<br />
di assunzione delle pillole. Dopo un aborto al primo trimestre. La donna può<br />
iniziare immediatamente a prendere le pillole. Se si attiene a queste istruzioni non<br />
sono necessarie ulteriori misure contraccettive. Dopo un parto o un aborto al secondo<br />
trimestre. Per l’uso in donne che allattano si veda il paragrafo 4.6. Si raccomanda<br />
alla donna di iniziare a prendere le compresse al 21°-28° giorno dopo il<br />
parto, se non allatta al seno, o dopo un aborto al secondo trimestre. Se inizia più<br />
tardi, la donna deve essere avvertita di usare anche un metodo contraccettivo di<br />
barriera per i primi sette giorni di assunzione delle pillole. Se nel frattempo si fossero<br />
avuti rapporti sessuali, prima di iniziare effettivamente l’assunzione delle pillole<br />
si deve escludere una <strong>gravidanza</strong> oppure la donna deve attendere la comparsa<br />
della sua prima mestruazione. Mancata assunzione di compresse. La mancata<br />
assunzione di una compressa entro 12 ore dall’ora consueta non pregiudica<br />
la protezione contraccettiva. La donna deve prendere la compressa appena se ne<br />
ricorda e continuare ad assumere il resto delle compresse come al solito. La man-<br />
cata assunzione di una compressa per più di 12 ore dall’ora consueta può diminuire<br />
la protezione contraccettiva. Le due regole seguenti possono essere utili nella<br />
gestione della mancata assunzione di compresse. 1. L’assunzione delle compresse<br />
non deve mai essere sospesa per periodi superiori ai 7 giorni. 2. Servono 7 giorni<br />
di ingestione ininterrotta di compresse per ottenere una sufficiente soppressione<br />
dell’asse ipotalamo-pituitario-gonadale. Pertanto il consiglio che segue può essere<br />
dato nella pratica giornaliera: Settimana 1. La donna deve prendere l’ultima<br />
compressa dimenticata non appena se ne ricorda, anche se questo significa che<br />
deve assumere 2 compresse contemporaneamente. Dopodiché deve continuare ad<br />
assumere le compresse alla solita ora. Contemporaneamente deve usare un metodo<br />
di barriera, ad es. un preservativo, per i successivi 7 giorni. Se nei 7 giorni precedenti<br />
si sono avuti rapporti sessuali la donna deve tenere in considerazione la<br />
possibilità di poter essere incinta. Tante più compresse sono state dimenticate e<br />
tanto più ciò è avvenuto in prossimità del periodo del mese in cui le compresse non<br />
vengono assunte, tanto maggiore è il rischio che si instauri una <strong>gravidanza</strong>. Settimana<br />
2. La donna deve prendere l’ultima compressa dimenticata non appena se<br />
ne ricorda, anche se questo significa che deve assumere 2 compresse contemporaneamente.<br />
Dopodiché deve continuare ad assumere le compresse alla solita ora.<br />
Se le compresse sono state assunte correttamente per 7 giorni prima della dimenticanza<br />
non è necessario prendere ulteriori precauzioni contraccettive. In caso contrario<br />
o se sono state dimenticate più compresse la donna deve comunque usare<br />
un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i successivi 7 giorni. Settimana<br />
3. Dato l’avvicinarsi del periodo di sospensione il rischio di una ridotta protezione<br />
anticoncezionale è maggiore. È comunque possibile prevenire la riduzione della protezione<br />
anticoncezionale regolando l’assunzione delle compresse. Attenendosi a<br />
una qualunque delle due opzioni seguenti non è pertanto necessario prendere alcuna<br />
precauzione contraccettiva supplementare, fatto salvo che le compresse siano<br />
state assunte correttamente per 7 giorni prima della dimenticanza. In caso contrario<br />
è opportuno consigliare alla donna di seguire la prima delle due opzioni e di<br />
usare allo stesso tempo un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i 7 giorni<br />
successivi. 1. La donna deve prendere l’ultima compressa dimenticata al più presto,<br />
anche se questo significa che deve assumere 2 compresse contemporaneamente.<br />
Dopodiché deve continuare ad assumere le compresse alla solita ora. Incomincerà<br />
la nuova confezione immediatamente dopo aver assunto l’ultima compressa<br />
della confezione in uso; in questo caso non vi sarà il periodo di sospensione tra<br />
le confezioni. È improbabile che si verifichino le mestruazioni fino al termine della<br />
seconda confezione di compresse, tuttavia si potrebbe notare emorragia intermestruale<br />
o metrorragia durante l’assunzione delle compresse. 2. È possibile che alla<br />
donna venga suggerito di sospendere l’assunzione delle compresse dalla confezione<br />
in uso. In qual caso si avrà un periodo di sospensione della durata massima<br />
di 7 giorni, inclusi i giorni in cui la compressa è stata dimenticata, dopodiché la donna<br />
inizierà una nuova confezione. Se, dopo che la donna ha dimenticato di assumere<br />
delle compresse, non si presentano le mestruazioni nel primo usuale intervallo<br />
libero da pillola, si deve considerare la possibilità che la donna sia incinta. Cosa<br />
fare in caso di vomito/diarrea. Se si manifesta vomito entro 3-4 ore dall’assunzione<br />
di una compressa, quest’ultima potrebbe non venire completamente assorbita.<br />
In questo caso ci si attenga alle istruzioni sopra indicate inerenti le compresse<br />
dimenticate. A meno che la diarrea non sia estremamente grave, essa non<br />
influisce sull’assorbimento dei contraccettivi orali combinati, per cui non è necessario<br />
ricorrere a metodi contraccettivi supplementari. Se la diarrea grave perdura<br />
per 2 o più giorni ci si attenga alle procedure previste per le pillole dimenticate. Se<br />
la donna non desidera variare la consueta assunzione di compresse, deve prendere<br />
una compressa (o compresse) extra da un’altra confezione. Come spostare o<br />
ritardare il mestruo. Per ritardare il mestruo, la donna dovrà continuare l’assunzione<br />
di GESTODIOL passando da una confezione blister ad un’altra, senza periodo<br />
di sospensione. Il mestruo può essere ritardato per quanto si desidera ma non<br />
oltre la fine della seconda confezione. Quando si ritarda il mestruo è possibile che<br />
si verifichino episodi di sanguinamento da sospensione o emorragia intermestruale.<br />
L’assunzione di GESTODIOL dovrà essere ripresa regolarmente al termine del<br />
consueto intervallo in cui non viene assunta alcuna compressa. Per spostare il mestruo<br />
ad un giorno nella settimana diverso rispetto a quello previsto con le attuali<br />
compresse, si può consigliare alla donna di abbreviare il successivo intervallo libero<br />
da pillola di quanti giorni lei desidera. Più breve è questo intervallo e maggiore<br />
sarà il rischio di non avere sanguinamento mestruale ma metrorragia e emorragia<br />
intermestruale durante l’assunzione delle compresse della confezione successiva<br />
(questo si verifica anche quando si ritarda il mestruo). 4.3. Controindicazioni. I<br />
contraccettivi orali combinati (COC) non devono essere usati se una delle condizioni<br />
sotto indicate è presente. Se una tale condizione si dovesse manifestare per la<br />
prima volta durante l’impiego dei COC il loro uso deve essere immediatamente sospeso.<br />
• Patologia tromboembolica venosa in fase attiva o in anamnesi (trombosi<br />
venosa profonda, embolia polmonare). • Tromboembolia arteriosa in fase attiva o
in anamnesi (infarto del miocardio, patologie cerebrovascolari) oppure sintomi prodromici<br />
(angina pectoris e attacco ischemico transitorio) (vedi paragrafo 4.4). • Predisposizione<br />
ereditaria o acquisita alla trombosi venosa o arteriosa come carenza<br />
di antitrombina, carenza di proteina C, carenza di proteina S, resistenza alla proteina<br />
C attivata (APC), anticorpi antifosfolipidi (anticorpi anticardiolipina, lupus anticoagulante),<br />
iperomocisteinemia. • Fattori di rischio multipli o considerevoli per la trombosi<br />
arteriosa (vedi paragrafo 4.4). • Grave ipertensione. • Diabete complicato da<br />
micro- o macroangiopatia. • Grave dislipoproteinemia. • Noti o sospetti tumori maligni<br />
ormono-dipendenti (ad es. a carico degli organi genitali o della mammella). •<br />
Grave patologia epatica concomitante o in anamnesi fintanto che i valori di funzionalità<br />
epatica non sono rientrati nella normalità. • Tumori epatici benigni o maligni<br />
concomitanti o in anamnesi. • Sanguinamento vaginale di natura non accertata. •<br />
Emicrania con sintomatologia neurologica focale. • Ipersensibilità ai principi attivi<br />
o ad uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego.<br />
Valutazione ed esame prima di iniziare l’assunzione dei contraccettivi orali<br />
combinati. Prima dell’inizio o della ripresa del trattamento con contraccettivi orali<br />
combinati è necessario che il medico analizzi l’anamnesi personale e familiare della<br />
paziente e che venga esclusa una <strong>gravidanza</strong>. Sulla base delle controindicazioni<br />
(vedi paragrafo 4.3) e delle avvertenze (vedi “Avvertenze” in questa sezione) è necessario<br />
misurare la pressione sanguigna e sottoporre la paziente ad un esame fisico,<br />
se clinicamente indicato. Alla donna viene richiesto di leggere attentamente il<br />
foglio illustrativo e di attenersi alle istruzioni fornite. La frequenza e la natura di ulteriori<br />
controlli periodici devono basarsi su linee guida di pratica stabilita ed essere<br />
adattate alla singola donna. Avvertenze. In generale. Informare le donne che i<br />
contraccettivi ormonali non proteggono dall’HIV (AIDS) o da altre infezioni sessualmente<br />
trasmissibili. Se uno qualunque dei fattori di rischio sotto menzionati è presente,<br />
valutare caso per caso i benefici connessi all’uso del COC con i possibili rischi<br />
per ogni singola donna e discuterne con la donna prima di cominciare l’assunzione<br />
del contraccettivo orale combinato. In caso di aggravamento, esacerbazione<br />
o insorgenza di una qualsiasi di queste condizioni o fattori di rischio è opportuno<br />
che la donna prenda contatto con il suo medico. Il medico deciderà se interrompere<br />
l’assunzione del COC. 1. Disturbi della circolazione. L’uso di qualsiasi COC aumenta<br />
il rischio di tromboembolia venosa (TEV) rispetto al non uso. L’eccesso di rischio<br />
di TEV è massimo durante il primo anno in cui una donna fa uso di un COC<br />
per la prima volta. L’aumento di rischio è inferiore rispetto al rischio di TEV associato<br />
alla <strong>gravidanza</strong>, che è stimato in 60 casi ogni 100.000 gravidanze. La TEV risulta<br />
fatale nell’1-2% dei casi. In diversi studi epidemiologici è stato riscontrato che<br />
nelle donne che usano contraccettivi orali combinati contenenti etinilestradiolo, per<br />
lo più alla dose di 30 µg, e un progestinico come gestodene il rischio di TEV è aumentato<br />
rispetto alle donne che usano contraccettivi orali combinati contenenti meno<br />
di 50 µg di etinilestradiolo ed il progestinico levonorgestrel. Relativamente ai contraccettivi<br />
orali combinati contenenti 30 µg di etinilestradiolo in combinazione con<br />
desogestrel o gestodene in confronto a quelli contenenti meno di 50 µg di etinilestradiolo<br />
e levonorgestrel, è stato stimato che il rischio relativo complessivo di TEV<br />
è compreso tra 1,5 e 2,0. Nel caso di contraccettivi orali combinati contenenti levonorgestrel<br />
con meno di 50 µg di etinilestradiolo l’incidenza di TEV è di circa 20<br />
casi su ogni 100.000 anni-donna di utilizzo. Per quanto riguarda GESTODIOL l’incidenza<br />
varia da 30 a 40 casi per 100.000 anni-donna di utilizzo, vale a dire 10-<br />
20 casi aggiuntivi ogni 100.000 anni-donna di utilizzo. L’impatto del rischio relativo<br />
sul numero di casi addizionali sarebbe massimo in donne durante il primo anno<br />
di utilizzo del contraccettivo orale combinato quando il rischio di TEV con tutti i contraccettivi<br />
orali combinati è massimo. Molto raramente è stata segnalata trombosi<br />
in altri vasi sanguigni, vale a dire di tipo epatico, mesenterico, renale oppure a carico<br />
delle vene e delle arterie della retina in utilizzatrici di contraccettivi orali. Non vi<br />
è consenso circa la possibilità che l’insorgenza di questi casi sia correlata all’uso<br />
di COC. Il rischio che si sviluppi tromboembolia venosa aumenta: • con l’avanzamento<br />
dell’età; • in caso di anamnesi familiare positiva (ad es. tromboembolia venosa<br />
che ha riguardato un parente o un consanguineo più soggetti di età relativamente<br />
giovane). In caso di sospetta predisposizione ereditaria, la donna deve essere<br />
indirizzata da uno specialista prima che le sia prescritto un contraccettivo orale;<br />
• in caso di obesità (indice di massa corporea superiore a 30 Kg/m 2 ); • immobilizzazione<br />
prolungata, chirurgia maggiore, intervento chirurgico alle gambe o trauma<br />
maggiore. In questi casi è raccomandata la sospensione del trattamento con i<br />
contraccettivi orali (nel caso di un’operazione chirurgica programmata almeno 4<br />
settimane prima) e non deve essere assunto fino a 2 settimane dopo la completa<br />
deambulazione; • non vi è consenso sul possibile ruolo di vene varicose e tromboflebiti<br />
superficiali nella tromboembolia venosa. In generale l’uso di COC è stato associato<br />
ad un aumento del rischio di infarto acuto del miocardio (AMI) o di ictus, rischio<br />
questo fortemente influenzato dalla presenza di altri fattori di rischio (ad es.<br />
fumo, pressione sanguigna alta ed età) (vedi anche sotto). Questi eventi si verificano<br />
raramente. Il rischio di eventi tromboembolici aumenta con: • l’avanzamento<br />
dell’età; • fumo (con forti fumatrici e con l’avanzare dell’età il rischio aumenta ulteriormente,<br />
soprattutto se si tratta di donne con più di 35 anni di età); • dislipoproteinemia;<br />
• obesità (indice di massa corporea superiore a 30 Kg/m 2 ); • ipertensione;<br />
• valvulopatia cardiaca; • fibrillazione atriale; • anamnesi familiare positiva<br />
(ad es. trombosi arteriosa che ha riguardato un parente o un consanguineo di età<br />
relativamente giovane). Se si sospetta una predisposizione ereditaria la donna deve<br />
essere indirizzata da uno specialista prima che le sia prescritto un contraccettivo<br />
orale. Sintomi di trombosi venosa ed arteriosa possono includere: • dolore e/o<br />
gonfiore unilaterale ad una gamba; • improvviso grave dolore toracico, che può o<br />
meno estendersi al braccio sinistro; • fiato corto improvviso; • tosse improvvisa; •<br />
cefalea insolita, grave, prolungata; • improvvisa perdita parziale o completa della<br />
vista; • diplopia; • difficoltà nel parlare o afasia; • vertigini; • collasso accompagnato<br />
o meno da crisi epilettiche focali; • debolezza o improvviso intorpidimento<br />
molto marcato di un lato o una parte del corpo; • disturbi motori; • addome “acuto”.<br />
Si deve tenere in considerazione l’aumento del rischio di tromboembolia venosa<br />
durante il puerperio. Altre condizioni mediche correlate ai disturbi vascolari sono:<br />
diabete mellito, lupus eritematoso sistemico, sindrome emolitico-uremica, malattia<br />
infiammatoria cronica intestinale (morbo di Crohn oppure colite ulcerosa) e<br />
anemia a cellule falciformi. Un aumento della frequenza e della gravità dell’emicrania<br />
(che può essere prodromica in caso di malattia cerebrovascolare) durante l’impiego<br />
di contraccettivi orali deve far prendere in considerazione l’immediata sospensione<br />
dei contraccettivi orali. Fra i parametri biochimici indicativi della predisposizione<br />
ereditaria o acquisita alla trombosi venosa o arteriosa vi sono: resistenza<br />
alla proteina C attivata (APC), mutazione del fattore V di Leiden, iperomocisteinemia,<br />
carenza di antitrombina-III, carenza di proteina C, carenza di proteina S, anticorpi<br />
antifosfolipidi (anticorpi anticardiolipina, lupus anticoagulante). Mentre valuta<br />
il rapporto rischio/beneficio il medico deve tenere presente che il trattamento<br />
adeguato di una condizione può ridurre il rischio associato di trombosi e che il rischio<br />
associato alla <strong>gravidanza</strong> è maggiore rispetto a quello connesso all’uso di<br />
COC. 2. Tumori: Cancro della cervice. In alcuni studi epidemiologici si è riferito<br />
un rischio maggiore di cancro cervicale nelle utilizzatrici a lungo termine dei COC<br />
ma non è ancora chiaro fino a che punto questo rilievo possa essere influenzato<br />
dagli effetti aggravanti del comportamento sessuale e di altri fattori quali il papilloma<br />
virus umano (HPV). Carcinoma della mammella. Una meta-analisi di 54 studi<br />
epidemiologici ha riferito un rischio relativo leggermente superiore (RR=1,24) di<br />
diagnosi di cancro della mammella fra le donne che attualmente usano COC. L’eccedenza<br />
di rischio scompare gradualmente nel corso dei 10 anni seguenti all’interruzione<br />
dell’uso dei COC. Poiché il cancro della mammella è raro nelle donne di<br />
meno di 40 anni, il numero superiore di diagnosi di tumore alla mammella fra le<br />
utilizzatrici attuali e recenti di COC è limitato in rapporto al rischio globale di cancro<br />
della mammella. Questi studi non forniscono evidenza di causalità. L’andamento<br />
superiore del rischio osservato potrebbe essere dovuto ad una diagnosi precoce del<br />
cancro della mammella nelle utilizzatrici di COC, agli effetti biologici dei COC o a<br />
una combinazione di entrambi i fattori. Il cancro alla mammella diagnosticato nelle<br />
donne che hanno usato COC tende ad essere meno avanzato dal punto di vista<br />
clinico rispetto alle forme tumorali riscontrate fra le donne che non hanno mai assunto<br />
COC. Tumori epatici. Tra le utilizzatrici di COC si sono riferiti tumori epatici<br />
benigni e maligni. In casi isolati questi tumori hanno portato ad emorragie intra-addominali<br />
ad esito potenzialmente fatale. Pertanto, considerare la possibilità di tumore<br />
epatico nella diagnosi differenziale, quando un’utilizzatrice di COC presenti<br />
severo dolore all’addome superiore, ingrossamento del fegato (epatomegalia) oppure<br />
segni di emorragia intra-addominale. 3. Altre condizioni. Le donne affette da<br />
ipertrigliceridemia, o anamnesi familiare della stessa, possono essere a rischio maggiore<br />
di pancreatite mentre usano COC. In caso di disturbi acuti o cronici della funzionalità<br />
epatica potrà essere necessaria l’interruzione di GESTODIOL, fino al ripristino<br />
ai valori normali dei marker della funzionalità epatica. Gli ormoni steroidei potrebbero<br />
essere scarsamente metabolizzati in pazienti con funzionalità epatica compromessa.<br />
Malgrado si siano riferiti piccoli innalzamenti della pressione arteriosa in<br />
molte donne che assumono contraccettivi orali combinati, gli innalzamenti clinicamente<br />
significativi sono rari. Se, durante l’assunzione di un contraccettivo ormonale<br />
combinato si sviluppa un’ipertensione clinica persistente bisogna sospendere<br />
l’assunzione del contraccettivo ormonale combinato e trattare l’ipertensione. L’assunzione<br />
del contraccettivo orale combinato potrà riprendere se risulta possibile ottenere<br />
valori normotensivi mediante la terapia. Se il medico lo ritiene opportuno,<br />
l’uso della pillola può essere ripreso quando i valori della pressione rientreranno<br />
nella norma in seguito a terapia antiipertensiva. Sia con la <strong>gravidanza</strong> che con l’uso<br />
di COC possono comparire o peggiorare delle condizioni qui di seguito riportate.<br />
Tuttavia, le prove di un’associazione con l’uso dei COC non sono decisive: ittero e/o<br />
prurito associato a colestasi; sviluppo di calcoli biliari; porfiria; lupus eritematoso sistemico;<br />
sindrome emoliticouremica; corea di Sydenham; herpes gestationis; perdita<br />
di udito dovuta a otosclerosi. I contraccettivi orali combinati possono avere un
effetto sulla resistenza periferica all’insulina e sulla tolleranza al glucosio. È pertanto<br />
necessario che le pazienti diabetiche vengano attentamente monitorate durante<br />
l’impiego dei COC. GESTODIOL contiene lattosio e saccarosio. Le pazienti con rari<br />
problemi ereditari di intolleranza al galattosio, deficit di Lapp-lattasi o malassorbimento<br />
di glucosio-galattosio oppure con rari problemi di intolleranza al fruttosio non<br />
devono assumere questo medicinale. Durante l’uso dei COC si è riferito l’aggravamento<br />
della depressione endogena, dell’epilessia (vedi paragrafo 4.5 Interazioni),<br />
del morbo di Crohn e della colite ulcerosa. È possibile che si manifesti cloasma,<br />
specialmente nelle utilizzatrici con anamnesi di cloasma gravidarum. Le donne con<br />
tendenza al cloasma devono evitare l’esposizione al sole o alla radiazione ultravioletta<br />
mentre assumono i COC. Le preparazioni erboristiche contenenti Iperico o erba<br />
di San Giovanni (Hypericum perforatum) non devono essere assunte contemporaneamente<br />
a GESTODIOL a causa del rischio di diminuzione delle concentrazioni<br />
plasmatiche e degli effetti clinici di GESTODIOL (vedi paragrafo 4.5). Efficacia ridotta.<br />
L’efficacia dei contraccettivi orali può essere ridotta nel caso in cui ci si dimentichi<br />
di assumere delle compresse, in presenza di diarrea grave o vomito (vedi<br />
paragrafo 4.2) oppure in caso di uso concomitante di altri medicinali (vedi paragrafo<br />
4.5). Ciclo irregolare. Come con tutti i contraccettivi ormonali combinati, potrà<br />
verificarsi la perdita irregolare di sangue (emorragia intermestruale o metrorragia),<br />
particolarmente nei primi mesi di assunzione. Per questo motivo, un’opinione medica<br />
circa la perdita irregolare di sangue avrà utilità solo dopo un periodo di adattamento<br />
di tre cicli circa. Se la metrorragia persiste sarà necessario considerare la<br />
possibilità di usare COC con un contenuto ormonale più alto. Se la metrorragia si<br />
verifica dopo precedenti cicli regolari occorre considerare cause non di natura ormonale<br />
e prendere adeguate misure diagnostiche per escludere la presenza di una<br />
patologia maligna o di una <strong>gravidanza</strong>. Occasionalmente potrebbe non esservi alcuna<br />
emorragia da sospensione nell’intervallo in cui non vengono assunte le compresse.<br />
Se le compresse sono state assunte secondo le istruzioni di cui al paragrafo<br />
4.2, è improbabile che la donna sia incinta. Tuttavia, se le compresse non sono<br />
state assunte in base a dette istruzioni precedentemente alla prima emorragia da<br />
sospensione saltata, oppure se la donna salta consecutivamente due emorragie da<br />
sospensione, è necessario escludere la <strong>gravidanza</strong> prima di proseguire l’assunzione<br />
del COC. 4.5. Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione.<br />
Le interazioni con medicinali in grado di portare ad una elevata clearance degli ormoni<br />
sessuali possono comportare metrorragia ed insuccesso della contraccezione<br />
orale. Questo effetto è stato stabilito nel caso di idantoine, barbiturici, primidone,<br />
carbamazepina e rifampicina, ed è risultato sospetto nel caso di oxcarbazepina,<br />
topiramato, griseofulvina, felbamato e ritonavir. Il meccanismo di queste interazioni<br />
sembra essere basato sulle proprietà di induzione degli enzimi epatici di questi<br />
medicinali. In generale la massima induzione enzimatica non si ha nelle prime<br />
2-3 settimane dopo l’inizio del trattamento, ma l’effetto può essere sostenuto per<br />
almeno 4 settimane dopo l’interruzione della terapia. Si sono riferiti anche casi di<br />
insuccesso della contraccezione con antibiotici quali ampicillina e tetracicline. Il<br />
meccanismo di questo effetto non è stato chiarito. Le donne in trattamento a bre-<br />
ve termine con uno qualsiasi dei gruppi di farmaci sopra citati o con singoli medicinali,<br />
devono usare temporaneamente un metodo di barriera oltre alla pillola anticoncezionale,<br />
ciò deve avvenire per tutto il tempo in cui questo medicinale viene<br />
assunto contemporaneamente alla pillola come pure nei sette giorni successivi alla<br />
sua sospensione. Le donne in trattamento con rifampicina devono usare un metodo<br />
di barriera contemporaneamente al contraccettivo orale durante tutto il periodo<br />
in cui assumono la rifampicina come pure nei 28 giorni successivi alla sua sospensione.<br />
Se la somministrazione concomitante del medicinale continua oltre il<br />
numero di compresse anticoncezionali nella confezione, la donna deve iniziare la<br />
confezione successiva, senza osservare il consueto intervallo di sospensione. Per<br />
le donne in terapia a lungo termine con induttori degli enzimi epatici, è necessario<br />
considerare un altro metodo contraccettivo. Le pazienti che assumono GESTODIOL<br />
non devono usare contemporaneamente preparazioni/prodotti medicinali alternativi<br />
contenenti Hypericum perforatum (Iperico o erba di San Giovanni) poiché essi potrebbero<br />
causare una perdita dell’effetto contraccettivo. Si sono riferite metrorragia<br />
e gravidanze indesiderate. L’Hypericum perforatum (Iperico o erba di San Giovanni)<br />
aumenta, mediante induzione enzimatica, la quantità di enzimi che metabolizzano<br />
i prodotti medicinali. L’effetto di induzione enzimatica potrebbe persistere per<br />
almeno 1-2 settimane dalla cessazione del trattamento con Hypericum. Effetti dei<br />
contraccettivi orali combinati su altri farmaci: i contraccettivi orali possono interferire<br />
con il metabolismo di altri farmaci. Ne può conseguire un aumento (ad es. ciclosporina)<br />
o una diminuzione (lamotrigina) delle concentrazioni plasmatiche e tissutali.<br />
Test di laboratorio. L’impiego di steroidi contraccettivi può influenzare i risultati<br />
di alcuni esami di laboratorio tra cui i parametri biochimici della funzionalità<br />
epatica, tiroidea, corticosurrenalica e renale, i livelli plasmatici delle proteine (di trasporto),<br />
per esempio della globulina legante i corticosteroidi e delle frazioni lipido/lipoproteiche,<br />
i parametri del metabolismo dei carboidrati ed i parametri della coagulazione<br />
e della fibrinolisi. Le variazioni rientrano, in genere, nei limiti dei valori normali<br />
di laboratorio. 4.6. Gravidanza ed allattamento. GESTODIOL è controindicato<br />
durante la <strong>gravidanza</strong>. In caso di <strong>gravidanza</strong> durante l’assunzione di GESTODIOL<br />
sospendere immediatamente il trattamento. Estesi studi epidemiologici non hanno<br />
evidenziato né un aumento del rischio di difetti congeniti in bambini nati da donne<br />
che hanno assunto contraccettivi orali combinati prima della <strong>gravidanza</strong>, né effetti<br />
teratogeni a seguito di involontaria assunzione di contraccettivi orali combinati durante<br />
la <strong>gravidanza</strong>. L’allattamento può essere influenzato dagli steroidi contraccettivi<br />
in quanto essi possono ridurre il volume ed alterare la composizione del latte<br />
materno. Piccole quantità di steroidi contraccettivi e/o di loro metaboliti possono<br />
essere escreti nel latte materno. Pertanto, l’uso di steroidi contraccettivi non è in<br />
genere raccomandato in madri che allattano fino al termine del completo svezzamento.<br />
4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari.<br />
GESTODIOL non ha effetti, se non minimi, sulla capacità di guidare veicoli e di usare<br />
macchinari. 4.8. Effetti indesiderati. Gli eventi avversi riferiti con maggior frequenza<br />
(>1/10) sono sanguinamento irregolare, nausea, aumento ponderale, tensione<br />
mammaria e cefalea. Essi si manifestano solitamente all’inizio della tera-<br />
Classificazione Comune (da=1/100 Non comune (da=1/1000 Raro (da=1/10000 Molto raro<br />
sistemica organica a
pia e sono transitori. I seguenti gravi effetti indesiderati sono stati riportati in<br />
donne che assumono COC, vedi paragrafi 4.3 e 4.4. • Tromboembolia venosa,<br />
vale a dire trombosi venosa profonda in una gamba o alle pelvi ed embolia polmonare.<br />
• Eventi tromboembolici arteriosi. • Tumori epatici. • Patologia della<br />
cute e del tessuto sottocutaneo: cloasma. La frequenza di diagnosi di cancro<br />
della mammella fra le donne che assumono COC è leggermente maggiore. Poiché<br />
il cancro della mammella è raro nelle donne con meno di 40 anni, il numero<br />
superiore è limitato in rapporto al rischio globale di cancro alla mammella.<br />
Non è noto il rapporto di causalità con i COC. Per ulteriori informazioni vedere i<br />
paragrafi 4.3 e 4.4. 4.9. Sovradosaggio. Non sono stati riferiti effetti indesiderati<br />
seri in seguito a sovradosaggio. I sintomi che possono manifestarsi in seguito<br />
ad un sovradosaggio sono: nausea, vomito e sanguinamento vaginale. Non<br />
c’è antidoto, e il trattamento deve essere sintomatico.<br />
5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1. Proprietà farmacodinamiche. Categoria<br />
farmacoterapeutica: Contraccettivi ormonali per uso sistemico. Codice<br />
ATC: G03AA10. L’effetto contraccettivo delle pillole anticoncezionali si basa sull’interazione<br />
di vari fattori, i più importanti dei quali sono l’inibizione dell’ovulazione<br />
e le modifiche dell’endometrio. Oltre a prevenire il concepimento i COC<br />
possiedono diverse caratteristiche positive che, accanto alle proprietà negative<br />
(illustrate al paragrafo 4.8 Avvertenze, Effetti indesiderati), possono aiutare nella<br />
scelta del metodo da adottare per il controllo delle nascite. Il ciclo mestruale<br />
è più regolare e le mestruazioni stesse sono spesso meno dolorose ed il sanguinamento<br />
più leggero. Quest’ultimo aspetto può determinare una diminuzione<br />
dei casi di carenza di ferro. 5.2. Proprietà farmacocinetiche. Gestodene.<br />
Assorbimento. Dopo somministrazione orale il gestodene viene rapidamente<br />
e completamente assorbito. Dopo somministrazione di una dose singola la massima<br />
concentrazione sierica di 4 ng/ml viene raggiunta dopo circa un’ora. La<br />
biodisponibilità è intorno al 99%. Distribuzione. Gestodene è legato all’albumina<br />
sierica ed alle globuline leganti gli ormoni sessuali (SHBG). Solo l’1-2%<br />
del gestodene totale in siero viene ritrovato come steroide libero, mentre il 50-<br />
70% è specificamente legato alle SHBG. L’aumento delle SHBG indotto dall’etinilestradiolo<br />
influenza la distribuzione delle proteine sieriche con conseguente<br />
aumento della frazione legata alle SHBG e diminuzione della frazione legata all’albumina.<br />
Il volume di distribuzione apparente del gestodene è di 0,7 l/kg. Metabolismo.<br />
Il gestodene viene completamente metabolizzato tramite i noti canali<br />
del metabolismo degli steroidi. L’entità della clearance metabolica dal siero<br />
è pari a 0,8 ml/min/kg. Non si manifestano interazioni quando il gestodene<br />
viene assunto insieme all’etinilestradiolo. Eliminazione. I livelli sierici del gestodene<br />
diminuiscono in modo bifasico. La fase di eliminazione terminale è caratterizzata<br />
da un’emivita di 12-15 ore. Il gestodene non viene escreto immodificato.<br />
I suoi metaboliti vengono escreti nelle urine e nella bile in un rapporto<br />
di 6:4. L’emivita di escrezione dei metaboliti è pari a circa 1 giorno. Steadystate.<br />
La farmacocinetica del gestodene è influenzata dai livelli sierici di SHBG<br />
che aumentano di tre volte con l’etinilestradiolo. In seguito all’assunzione giornaliera<br />
i livelli sierici di gestodene aumentano di circa quattro volte il valore della<br />
dose singola e raggiungono lo steady-state entro la seconda metà del ciclo<br />
di trattamento. Etinilestradiolo. Assorbimento. Dopo somministrazione orale<br />
l’etinilestradiolo viene rapidamente e completamente assorbito. Il picco dei livelli<br />
plasmatici, pari a circa 80 pg/ml, viene raggiunto in 1-2 ore. La biodisponibilità<br />
assoluta, dopo coniugazione presistemica e metabolismo di primo passaggio,<br />
è all’incirca del 60%. Distribuzione. Durante l’allattamento lo 0,02%<br />
della dose giornaliera della madre passa nel latte. L’etinilestradiolo è largamen-<br />
te, ma non specificamente, legato all’albumina (approssimativamente per il<br />
98,5%) e induce un aumento nelle concentrazioni sieriche dell’SHBG. È stato<br />
determinato un volume di distribuzione apparente di circa 5 l/kg. Metabolismo.<br />
L’etinilestradiolo è soggetto a coniugazione presistemica a livello sia della mucosa<br />
dell’intestino tenue sia del fegato. La principale via metabolica dell’etinilestradiolo<br />
è l’idrossilazione aromatica ma si forma anche una ampia varietà di<br />
metaboliti idrossilati e metilati, presenti come metaboliti liberi e coniugati con<br />
glucuronidi e solfati. L’entità della clearance metabolica è pari a circa 5 ml/min/kg.<br />
Eliminazione. I livelli sierici dell’etinilestradiolo diminuiscono in modo bifasico,<br />
con una fase di eliminazione terminale con un’emivita di circa 24 ore. L’etinilestradiolo<br />
immodificato non viene escreto, ma i suoi metaboliti sono escreti in<br />
un rapporto urina:bile pari a 4:6. L’emivita dell’escrezione dei metaboliti è di circa<br />
1 giorno. Steady-state. Le concentrazioni allo steady-state vengono raggiunte<br />
dopo 3-4 giorni ed i livelli sierici dell’etinilestradiolo sono più elevati del<br />
30-40% rispetto alla singola assunzione. 5.3. Dati preclinici di sicurezza. Etinilestradiolo<br />
e gestodene non sono genotossici. Gli studi di carcinogenicità con<br />
etinilestradiolo da solo o in associazione con vari progestinici non mostrano alcun<br />
pericolo carcinogenico in donne che usano il farmaco come contraccettivo<br />
come indicato. È tuttavia necessario tenere presente che gli ormoni sessuali<br />
possono promuovere la crescita di alcuni tessuti e tumori ormono-dipendenti.<br />
Studi di tossicità riproduttiva su fertilità, sviluppo fetale o performance riproduttiva<br />
condotti con etinilestradiolo da solo o in associazione con progestinici non<br />
hanno fornito indicazioni di un rischio di effetti avversi nell’uomo conseguenti<br />
all’impiego del preparato secondo quanto raccomandato.<br />
6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1. Elenco degli eccipienti. Nucleo<br />
della compressa: Magnesio stearato, Povidone K-25, Amido di mais, Lattosio<br />
monoidrato. Rivestimento della compressa: Povidone K-90, Macrogol 6000, Talco,<br />
Calcio carbonato, Saccarosio, Cera di lignite. 6.2. Incompatibilità. Non pertinente.<br />
6.3. Periodo di validità. Tre anni. 6.4. Speciali precauzioni per la<br />
conservazione. Non conservare a temperatura superiore a 30 °C. 6.5. Natura<br />
e contenuto del contenitore. Blister: PVC/Alluminio. Confezioni: 1 X 21<br />
compresse; 3 X 21 compresse; 6 X 21 compresse. È possibile che non tutte le<br />
confezioni siano commercializzate. 6.6. Precauzioni particolari per lo smaltimento<br />
e la manipolazione. Nessuna istruzione particolare.<br />
7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE PER L’IMMISSIONE IN COMMERCIO.<br />
EG SpA via D. Scarlatti, 31 - 20124 Milano.<br />
8. NUMERI DELLE AUTORIZZAZIONI ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO.<br />
GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,<br />
1X21 cpr A.I.C. n. 037684014/M<br />
GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,<br />
3X21 cpr A.I.C. n. 037684026/M<br />
GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,<br />
6X21 cpr A.I.C. n. 037684038/M<br />
GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,<br />
1X21 cpr A.I.C. n. 037684040/M<br />
GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,<br />
3X21 cpr A.I.C. n. 037684053/M<br />
GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,<br />
6X21 cpr A.I.C. n. 037684065/M<br />
9. DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE.<br />
2 ottobre 2007<br />
10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. Settembre 2007
Alfa-REPAGIN<br />
crema<br />
3 BUONE RAGIONI<br />
CREMA INTIMA<br />
Idratante<br />
Cicatrizzante<br />
Lenitiva<br />
Lubrificante<br />
Per attenuare la sintomatologia aspecifica o concomitante<br />
a patologie, a livello vulvare e vaginale