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Nuove scoperte - Archeologia Medievale Venezia

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Association Internationale<br />

pour l’Étude des Céramiques<br />

Médiévales Méditerranéennes<br />

Università<br />

Ca’Foscari<br />

<strong>Venezia</strong><br />

Università Ca' Foscari <strong>Venezia</strong><br />

Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente<br />

IX Congresso<br />

Internazionale<br />

sulla Ceramica <strong>Medievale</strong><br />

nel Mediterraneo<br />

Sessione Poster<br />

Programma<br />

<strong>Nuove</strong> <strong>scoperte</strong><br />

1


LA CERAMICA COMUNE GREZZA MEDIEVALE DI CENEDA :NUOVI DATI DAGLI SCAVI 2005 /<br />

LA CERAMICA COMUNE GREZZA MEDIEVALE DI CENEDA :NUOVI DATI DAGLI SCAVI 2005 /<br />

2006<br />

2006<br />

L i i li<br />

Lo scavo e i materiali<br />

Il contributo proposto ha come oggetto di studio la ceramica comune grezza rinvenuta durante le campagne di scavo degli anni 2005 – 2006 in località San Rocco, Ceneda, Vittorio Veneto (TV). Gli scavi sono stati condotti dall’Università degli Studi di Padova, sotto la direzione scientifica del Prof. Gian Pietro Brogiolo e della Dott.ssa Elisa Possenti.<br />

p p gg g p g g , , ( ) g , g<br />

I risultati di questo biennio di ricerche sul campo hanno messo in luce una sequenza stratigrafica del sito di San Rocco piuttosto complessa dal punto di vista dei depositi archeologici, i quali si sono conservati in modo parziale a causa della morfologia del territorio e degli interventi agrari successivi. Sono state individuate diverse fasi cronologiche che<br />

d ll’ tà t t i ll’ tà d ti l t i t t d l t di i t d l i i t i è di t t l f t d ti lt di l t ti i t d l ti i if ibili b bil t ll f d i di hi d l lt di i d i i di i f t i f I lt i li lli lt di li h<br />

vanno dall’età protostorica all’età moderna; particolarmente interessante dal punto di vista del rinvenimento, si è dimostrata la fase tardo antica- altomedievale, testimoniata da lacerti murari, riferibili probabilmente alla fondazione di una chiesa, e da alcune sepolture di cui una deposizione di un infante in anfora. Inoltre i livelli alto-medievali hanno<br />

restituito materiale appartenente a classi differenti, delle quali è stato approfondito lo studio della ceramica comune grezza. I dati raccolti sono oggetto di una pubblicazione in corso di stampa.<br />

pp q pp g gg p p<br />

L l i l t d l i di t di<br />

La classe ceramica e la metodologia di studio<br />

La classe delle ceramiche comuni, suddivise in “grezze” e “depurate” comprende in generale recipienti funzionali all’utilizzo in ambito domestico per la conservazione, la preparazione, la cottura e la presentazione dei cibi sulla mensa. In particolare, la capacità di resistere allo shock termico durante l’esposizione al fuoco per la cottura dei cibi, è una<br />

caratteristica propria solamente delle ceramiche depurate realizzate con argille caolinitiche e soprattutto delle ceramiche comuni grezze Questa sottoclasse si caratterizza per un corpo ceramico ricco di inclusi talvolta anche di notevoli dimensioni ben visibili ad occhio nudo sia in superficie che in frattura che conferiscono al corpo ceramico l’elasticità<br />

caratteristica propria solamente delle ceramiche depurate realizzate con argille caolinitiche e soprattutto delle ceramiche comuni grezze. Questa sottoclasse si caratterizza per un corpo ceramico ricco di inclusi, talvolta anche di notevoli dimensioni, ben visibili ad occhio nudo sia in superficie che in frattura, che conferiscono al corpo ceramico l elasticità<br />

necessaria per resistere all’esposizione al calore. A questo proposito, gli studi condotti da G. Olcese e M. Picon hanno permesso, attraverso l’indagine archeometrica, di suddividere le ceramiche comuni in “ceramiche da fuoco” e “ceramiche non da fuoco”. L’approccio tecnologico allo studio di questa classe ha avuto inoltre il vantaggio di estrapolare<br />

maggiori informazioni anche dai materiali che morfologicamente risultano non diagnostici e di apprendere nuovi dati relativi alle argille e ai loro bacini d’approvvigionamento, in modo da poter formulare ipotesi più ampie sui sistemi produttivi ed economici. Parallelamente all’analisi morfologica, è stata pertanto condotta anche l’indagine delle tecniche<br />

di produzione dei manufatti effettuata in collaborazione con il dott Bruno Fabbri e la dott ssa Sabrina Gualtieri dell’ISTEC con i quali sono stati discussi i dati delle analisi archeometriche da loro elaborati I frammenti campionati per le analisi sono stati selezionati sulla base di una precedente suddivisione che aveva tenuto conto dei parametri di<br />

di produzione dei manufatti, effettuata in collaborazione con il dott. Bruno Fabbri e la dott.ssa Sabrina Gualtieri dell ISTEC, con i quali sono stati discussi i dati delle analisi archeometriche da loro elaborati. I frammenti campionati per le analisi sono stati selezionati sulla base di una precedente suddivisione, che aveva tenuto conto dei parametri di<br />

definizione del corpo ceramico elaborati da G. Olcese. Inoltre, per poter avere un confronto con le materie prime locali, si è deciso di analizzare anche un frammento di concotto proveniente dal rivestimento di un edificio di romanizzazione, in quanto possibile indicatore della composizione dei materiali locali. Si è ritenuto opportuno analizzare anche<br />

alcuni frammenti rinvenuti presso il sito delle Ex Carceri di Oderzo, morfologicamente confrontabili con i materiali di San Rocco, per ampliare il campione dei frammenti esaminati ed eventualmente inquadrare in modo preliminare la natura e la dinamica delle relazioni economiche tra i due siti. Parallelamente all’analisi tecnologica, i materiali sono stati<br />

indagati anche dal punto di vista morfologico In questo caso sono stati presi in considerazione unicamente i frammenti diagnostici ovvero gli orli i fondi e le pareti decorate che corrispondono a 110 elementi su 312 La frammentarietà dei reperti non ha permesso di ricomporre alcun recipiente per intero ma è stato possibile elaborare una<br />

indagati anche dal punto di vista morfologico. In questo caso sono stati presi in considerazione unicamente i frammenti diagnostici, ovvero gli orli, i fondi e le pareti decorate, che corrispondono a 110 elementi su 312. La frammentarietà dei reperti non ha permesso di ricomporre alcun recipiente per intero, ma è stato possibile elaborare una<br />

ricostruzione grafica delle forme, che ha permesso di calcolare le dimensioni dei diametri di orli e fondi, sui quali è stata articolata l’analisi morfologica. È stata dunque redatta una tipologia, presentata in modo schematico in un catalogo, che ha tenuto conto anche delle caratteristiche tecnologiche relative alla lavorazione e alla rifinitura delle superfici,<br />

d d f d d f d d f d d b f d d ff d d b f d d<br />

nonché della composizione degli impasti. Il confronto con i materiali editi e non, provenienti da siti limitrofi, ha permesso di definire il quadro cronologico di attestazione e l’ambito geografico di diffusione dei materiali presenti a San Rocco. I dati emersi sono stati successivamente incrociati e rielaborati, con quelli forniti dalle indagini archeometriche,<br />

all’interno di un database di Access. Le informazioni così elaborate hanno consentito di sviluppare ipotesi interpretative relativamente al sistema produttivo e alla circolazione dei materiali presenti nel sito con interessanti e promettenti collegamenti con l’Italia Settentrionale tra il V e il VII secolo d. C. e con qualche spunto rivolto al IX–X secolo.<br />

all interno di un database di ccess. Le in ormazioni così elaborate hanno consentito di sviluppare ipotesi interpretative relativamente al sistema produttivo e alla circolazione dei materiali presenti nel sito con interessanti e promettenti collegamenti con l talia Settentrionale tra il V e il V secolo d. C. e con qualche spunto rivolto al X X secolo.<br />

L’analisi morfologica<br />

L’analisi morfologica<br />

L’analisi morfologica, pur limitata al 23% del materiale ceramico complessivo, ha permesso di individuare 26 frammenti, in parte ricomponibili, riconducibili<br />

a 21 olle altri 17 pertinenti a 10 catini coperchio ed un unico frammento di pentola con presa sopraelevata All’interno di ciascuna forma l’osservazione<br />

a 21 olle, altri 17 pertinenti a 10 catini-coperchio ed un unico frammento di pentola con presa sopraelevata. All interno di ciascuna forma, l osservazione<br />

dell’orlo e del corpo ha permesso di individuare rispettivamente due macro tipi, sia per le olle sia per i catini-coperchio ed un unico tipo per la pentola,<br />

analizzati in modo puntuale nel catalogo. Questa ripartizione è stataconfermata anche dalle analisi archeometriche, ad eccezione della pentola che non è<br />

stata sottoposta alle suddette analisi<br />

stata sottoposta alle suddette analisi.<br />

analisi morfologica analisi tecnologica<br />

forma macro tipo tipo corpo ceramico impasto<br />

Oll P i I II III IV V 1 I<br />

Olla Primo I, II, III, IV, V 1, I<br />

Secondo VI VII VIII 1 2 I<br />

Secondo VI, VII, VIII 1, 2 I<br />

Catini coperchio Primo I II III 1 II<br />

Catini-coperchio Primo I, II, III 1 II<br />

Secondo IV V 1 II<br />

Secondo IV, V 1 II<br />

Pentola I Non analizzato<br />

zz<br />

Tabella 1.<br />

Attestazioni<br />

Attestazioni<br />

All’interno di ciascuna forma, l’analisi morfologica, ha consentito di individuare una serie piuttosto articolata di confronti. Per quanto riguarda l’olla, i<br />

materiali rimandano tutti al medesimo impasto (Impasto1), mentre si distinguono, su base morfologica, in due macro tipi (cfr. Tabella 1). Il primo si<br />

materiali rimandano tutti al medesimo impasto (Impasto1), mentre si distinguono, su base morfologica, in due macro tipi (cfr. Tabella 1). Il primo si<br />

caratterizza per l’orlo breve, solitamente a tesa con superficie superiore scanalata per l’alloggio del coperchio, e si articola in 5 tipi. I confronti<br />

f l i i i d i i i b di i i i d bili l i il V il VI VII l L fi h i i<br />

morfologici rimandano, per ogni tipo, a contesti ben distinti, inquadrabili cronologicamente tra il V e il VI-VII secolo. Le aree geografiche in cui sono<br />

attestati questi tipi sono il Veneto, la Lombardia, il Friuli <strong>Venezia</strong> Giulia, l’area trentina e il comprensorio emiliano. Il secondo macro tipo, comprende i<br />

q p , , , p p , p<br />

recipienti caratterizzati da un orlo più o meno allungato e variamente estroflesso, datati per confronti tra il V e il VII secolo. I frammenti riconducibili a<br />

t t i ti l l i t d t l b i di di tt t i bi t t f id t<br />

questo gruppo presentano in particolare una colorazione tendente al bruno, indice di una cottura avvenuta in ambiente con atmosfera riducente.<br />

Alcune differenze morfologiche, tuttavia, permettono di distinguere tre diversi tipi, che rimandano a contesti geografici differenti. Il tipo VI, sembra<br />

g p g p g g p<br />

molto ben attestato nell’Italia nord orientale, fino alla Slovenia, come confermano i confronti da Oderzo; il tipo VI, sembra molto ben attestato<br />

nell’Italia nord orientale fino alla Slovenia; non mancano tuttavia confronti con materiali da Sirmione (BS) Diversamente i tipi VII e VIII che<br />

nell Italia nord orientale, fino alla Slovenia; non mancano tuttavia confronti con materiali da Sirmione (BS). Diversamente, i tipi VII e VIII, che<br />

costituiscono entrambi un unicum, sembrano maggiormente diffusi nell’area del veneziano e dell’Emilia-Romagna.<br />

Per quanto riguarda i fondi, ne è stato individuato un solo tipo, concavo (tipo I). Questo fondo, finora non molto frequente trova confronti a Torcello,<br />

Monte Barro e Brescia In particolare a Monte Barro e a Brescia è associato a orli di olle confrontabili con quelle del primo macro tipo di San Rocco<br />

Monte Barro e Brescia. In particolare a Monte Barro e a Brescia è associato a orli di olle confrontabili con quelle del primo macro tipo di San Rocco.<br />

Inoltre lo stesso tipo di fondo con medesimo impasto e presente nel sito delle “ex carceri” di Oderzo.<br />

Per quanto riguarda i catini-coperchio, l’osservazione morfologica permette di individuare due macro tipi, tuttavia non riscontrabili su base<br />

archeometrica dal momento che le analisi hanno individuato per questa forma il medesimo impasto (“Impasto 2”) differente da quello delle olle Il<br />

archeometrica, dal momento che le analisi hanno individuato per questa forma il medesimo impasto ( Impasto 2 ), differente da quello delle olle. Il<br />

primo macro tipo comprende i catini - coperchio con orlo ad estremità superiore appiattita e orizzontale, ovvero i tipi I, II e III, databili sulla base dei<br />

f l l l l b d ff d l l ll b d f ll l l<br />

confronti tra il IV e il VII secolo. I tipi I e III, in particolare, sembrano ampiamente diffusi, dal Friuli alla Lombardia fino all’area emiliana; per il tipo<br />

III, documentato già nel III secolo, i confronti rimandano all’area lombarda, al Veneto e all’area friulana. Il secondo macro tipo comprende invece i tipi<br />

, docu e tato g à e seco o, co o t a da o a a ea o ba da, a Ve eto e a a ea u a a. seco do ac o t po co p e de vece t p<br />

IV e V, ovvero i recipienti caratterizzati da un orlo ad estremità appuntita. Per il tipo IV, tipi simili sono documentati in area lombarda e friulana,<br />

li i f i l’ i P il i V i f i i d l V<br />

mentre meno puntuali sono i confronti con l’area veneziana. Per il tipo V i confronti rimandano al Veneto.<br />

La tipologia della pentola a tesa sopraelevata, rappresentata in questo contesto da un solo frammento, è documentata generalmente tra IX e X secolo<br />

p g p p , pp q , g<br />

d.C.; sono state trovate attestazioni in area veneta e precisamente ad Eraclea e a Verona, mentre nel comprensorio lombardo è stata ritrovata a Piadena.<br />

C l i d di diff i<br />

Cronologia ed aree di diffusione<br />

Lo studio morfologico ha confermato chiaramente una forte contrazione del corredo domestico, sia nelle forme che nei tipi, rispetto al periodo<br />

d t Si t tt di f b d t t t V VII l i di i iti d ll’It li S tt t i l h d i l i<br />

precedente. Si tratta di un fenomeno ben documentato tra V e VII secolo, in diversi siti dell’Italia Settentrionale, che deve essere messo in relazione con<br />

gli importanti cambiamenti politici, economici e sociali in atto in questo periodo. In merito a questo aspetto si è ipotizzato che la riduzione formale di<br />

g p p q p q p p<br />

recipienti ceramici fosse tuttavia compensata dalla presenza di oggetti realizzati con altri materiali, quali, ad esempio, il legno o la pelle animale,<br />

maggiormente diffusi e di facile rintracciabilità ma non ritrovabili archeologicamente a causa della loro deperibilità Non si è inoltre escluso che il<br />

maggiormente diffusi e di facile rintracciabilità, ma non ritrovabili archeologicamente a causa della loro deperibilità. Non si è inoltre escluso che il<br />

corredo domestico fosse completato anche da oggetti di valore maggiore, in metallo e in vetro. La sopravvivenza dell’olla e del catino coperchio è<br />

invece probabilmente imputabile alla funzionalità e alla versatilità di questi manufatti. Entrambe le forme erano ampiamente impiegate per la cottura dei<br />

cibi e l’olla era usata anche come contenitore da dispensa per la conservazione di alimenti come grani e farine Forse proprio questa doppia valenza<br />

cibi e l olla era usata anche come contenitore da dispensa per la conservazione di alimenti come grani e farine. Forse, proprio questa doppia valenza<br />

dell’olla potrebbe averne determinato il successo rispetto al catino coperchio.<br />

Per quanto riguarda invece la forma della pentola, l’orizzonte cronologico di riferimento si sposta al pieno medioevo (IX-X secolo) in cui i cambiamenti<br />

strutturali a livello di architettura domestica e i mutamenti delle abitudini alimentari producono delle novità all’interno del corredo domestico<br />

strutturali a livello di architettura domestica e i mutamenti delle abitudini alimentari producono delle novità all interno del corredo domestico.<br />

L’uso di cuocere i cibi sospendendo i recipienti direttamente sul fuoco del camino fa si che vengano realizzate delle pentole ad impasto grezzo con<br />

presa sopraelevata e foro passante per l’immanicatura. Tali manufatti erano posti a diretto contatto con la fiamma tramite un supporto in metallo, come<br />

poteva essere ad esempio un gancio o un treppiede, e convivevano con alti tipi di contenitori che pur svolgendo la stessa funzione, erano di materiale<br />

poteva essere ad esempio un gancio o un treppiede, e convivevano con alti tipi di contenitori che pur svolgendo la stessa funzione, erano di materiale<br />

diverso e più resistente, quali la pietra ollare e i recipienti in metallo. Queste due fasi di cambiamento delle forme ceramiche e delle abitudini alimentari<br />

ll’ di l i li f l h i l i i i d ll’I li S i l h è i bil h il i di S<br />

nell’arco di alcuni secoli, sono un fenomeno generale che caratterizza molti siti dell’Italia Settentrionale e che è riscontrabile anche presso il sito di San<br />

Rocco.<br />

Il quadro cronologico, definito dai confronti morfologici, colloca le ceramiche comuni grezze altomedievali di San Rocco tra il V e il VII secolo, mentre<br />

il f t di t l ò i d t t IX X l T tt i il ll t l t ti fi l i i i lt i<br />

il frammento di pentola può essere inquadrato tra IX e X secolo. Tuttavia, il collegamento con la sequenza stratigrafica e le associazioni con altri<br />

materiali, come anfore e oggetti in metallo, suggeriscono di restringere il range cronologico delle ceramiche altomedievali tra la seconda metà del VI e la Analogamente i fondi concavi permettevano di sospendere il recipiente sopra le fiamme tramite l’uso di una sorta di treppiede collocato sopra il focolare Questo sistema che non poneva il<br />

gg gg g g g<br />

prima metà del VII secolo. Inoltre, l’osservazione morfologica lo studio degli impasti e delle tecniche di lavorazione fanno ipotizzare una produzione<br />

piuttosto standardizzata che adottava sempre le stesse tecniche con poche varianti talvolta con materie prime diverse A livello morfologico i tipi<br />

Analogamente, i fondi concavi permettevano di sospendere il recipiente sopra le fiamme tramite l uso di una sorta di treppiede collocato sopra il focolare. Questo sistema, che non poneva il<br />

recipiente a diretto contatto con la fiamma, garantiva una maggiore resistenza nel tempo e un minor rischio di rottura, così come confermato anche dalle analisi archeometriche. A conferma di<br />

l d ll l h d l l l d ll d l d l f l d l l l ll A d ll<br />

piuttosto standardizzata, che adottava sempre le stesse tecniche, con poche varianti, talvolta con materie prime diverse. A livello morfologico i tipi<br />

sembrano ripetersi sostanzialmente con poche differenze, senza che si possa individuare una scansione cronologica più articolata. Le analisi<br />

questa ipotesi gli studi sull’alimentazione hanno evidenziato come gli alimenti principali della dieta altomedievale fossero le zuppe di legumi e cereali, oltre alla carne. A ragione dell’ampia<br />

disponibilità di boschi per la caccia e di aree incolte di uso comune per il pascolo, la carne doveva essere infatti un bene piuttosto diffuso. Per quanto riguarda invece i catini - coperchio, possiamo<br />

archeometriche, a tal proposito, suggeriscono inoltre che la durata di vita di questi recipienti non superava probabilmente i 5 anni.<br />

d spo b tà d bosc pe a cacc a e d a ee co te d so co e pe pasco o, a ca e doveva esse e att be e p ttosto d so. Pe q a to g a da vece cat cope c o, poss a o<br />

ipotizzare, con buona probabilità, che venissero impiegati capovolti, accanto al fuoco, per la cottura a riverbero di pane e focacce. A conferma di ciò, le analisi paleobotaniche hanno documentato<br />

l i i i i di li li l l il il f Si di d i l i d i i l h i l l b d ll’<br />

la presenza, nei contesti interessati, di cereali quali la segale, il sorgo e il farro. Si tratta di prodotti legati ad una semina stagionale, che garantivano un raccolto lungo buona parte dell’arco<br />

dell’anno. Non si può escludere tuttavia che questi recipienti fossero impiegati anche per cuocere la carne, per la quale il catino, collocato capovolto a contatto con le braci del focolare, assumeva<br />

p q p p g p , p q , p ,<br />

la funzione di piccolo forno.<br />

P r t ri rd l t i h di l r zi t tti i r ipi ti r t ti r lizz ti l t r i l ì f r l tr i ibili ll p rfi i l’ r zi d ll zi i ttili P r<br />

Per quanto riguarda le tecniche di lavorazione, tutti i recipienti erano stati realizzati al tornio veloce, così come confermano le tracce visibili sulle superfici e l’osservazione delle sezioni sottili. Per<br />

quanto riguarda le superfici, è stato possibile distinguere due differenti sistemi di rifinitura. Un primo gruppo (“rifinitura funzionale a pettine”) si caratterizza per l’uso di uno strumento,<br />

q g p p g p g pp ( p ) p<br />

probabilmente in legno o in metallo, simile ad un pettine, con una serie di dentelli più o meno sottili, che veniva usato in senso verticale e orizzontale sulla superficie esterna. In questo modo<br />

venivano incise sulla parete una serie di linee orizzontali e verticali talvolta anche sovrapposte tra loro con effetto “a stuoia” Questa tecnica permetteva di lisciare la parete eliminando gli inclusi<br />

venivano incise sulla parete una serie di linee orizzontali e verticali, talvolta anche sovrapposte tra loro con effetto a stuoia . Questa tecnica permetteva di lisciare la parete eliminando gli inclusi<br />

superficiali e gli eventuali vacuoli che potevano rendere porose le pareti. Allo stesso tempo, in prossimità dell’orlo, sono visibili i segni di una lavorazione più accurata, realizzata tramite l’ausilio di<br />

una stecca o di un panno, probabilmente impiegati anche per definire la morfologia dell’orlo. Nel caso delle olle del primo macro tipo, ad esempio, la particolare caratteristica dell’orlo a sella, più o<br />

meno squadrata e distinta a volte con estremità pendula può essere ricondotta con buona probabilità all’utilizzo della stecca Il secondo gruppo (“rifinitura a prevalente scopo decorativo”) è<br />

meno squadrata e distinta, a volte con estremità pendula, può essere ricondotta, con buona probabilità, all utilizzo della stecca. Il secondo gruppo ( rifinitura a prevalente scopo decorativo ) è<br />

caratterizzato dal trattamento accurato delle superfici e dalla frequente presenza di una decorazione variamente articolata, posta solitamente 1 o 2 cm sopra l’orlo. Sembra interessante notare che a<br />

questi due gruppi corrispondono rispettivamente le olle, che presentano la “rifinitura funzionale a pettine” e i catini - coperchio, caratterizzati da una “rifinitura a prevalente scopo decorativo”.<br />

Parallelamente l’analisi della composizione degli impasti ha evidenziato questa suddivisione: le olle e i fondi concavi sono riconducibili all’“Impasto 1” mentre i catini - coperchio sono realizzati<br />

Parallelamente, l analisi della composizione degli impasti ha evidenziato questa suddivisione: le olle e i fondi concavi sono riconducibili all Impasto 1 , mentre i catini coperchio sono realizzati<br />

con l’”Impasto 2” (cfr. Tabella 1). Si tratta di una distinzione basata esclusivamente su elementi rintracciabili attraverso l’analisi chimica e mineralogica. Durante la fase del campionamento, infatti,<br />

i i di id i diff i i i i di i i i l i b ll l i ll di i d li i l i li i h i h d i li i li d l i<br />

erano stati individuati tre differenti corpi ceramici, distinti sostanzialmente in base alla colorazione e alla dimensione degli inclusi. Le analisi archeometriche, condotte sui soli materiali del primo<br />

corpo ceramico, hanno evidenziato la presenza di due impasti di natura diversa all’interno del medesimo gruppo. Dal momento che la selezione dei campioni è stata eseguita tenendo conto delle<br />

p , p p g pp p g<br />

diverse quantità di attestazione delle due forme, è verosimile ritenere che le percentuali elaborate siano molto vicine a quelle reali.<br />

I d i l b i d ll’ i d ll fi i d ll li i d li i i h d i di id d d i i di i i i l ll i i i hi A h<br />

I dati elaborati dall’osservazione delle superfici e dalle analisi degli impasti hanno concordemente individuato due produzioni distinte rispettivamente per le olle e per i catini - coperchio. Anche se<br />

allo stato attuale degli studi non è ancora possibile determinare con precisione la localizzazione l’articolazione degli impianti produttivi, tuttavia l’incrocio con i dati archeometrici consente di<br />

g p p g p p ,<br />

elaborare alcune ipotesi.<br />

R l ti m nt ll pr ni nz d ll m t ri prim l n li i h nn dim tr t h n n ’è ffinità tr i d tipi di r ill impi t p r li imp ti r mi i q ll t p r il n tt di II I<br />

Relativamente alla provenienza delle materie prime, le analisi hanno dimostrato che non c’è affinità tra i due tipi di argille impiegate per gli impasti ceramici e quella usata per il concotto di II-I<br />

secolo a.C., mentre i degrassanti sono costituiti, in entrambi i casi, da materiale comune in tutto il comprensorio vittoriese. Questi dati hanno permesso di elaborare due ipotesi non perfettamente<br />

g p p p p<br />

sovrapponibili: da una parte una produzione locale, cenedese, realizzata con materie prime disponibili nel territorio, dall’altra la presenza di una produzione comune nell’area opitergino-cenedese.<br />

La prima ipotesi particolarmente verosimile alla luce dei dati archeometrici è corroborata dalla differente composizione delle argille provenienti da bacini di approvvigionamento distinti ma non<br />

Fig. 1. In questa cartina sono individuati i siti con i quali sono stati stabiliti confronti cronologici.<br />

La prima ipotesi, particolarmente verosimile alla luce dei dati archeometrici, è corroborata dalla differente composizione delle argille provenienti da bacini di approvvigionamento distinti, ma non<br />

necessariamente ubicati in territori diversi; inoltre, il dato quantitativo ha suggerito che la produzione locale sia identificabile con il tipo maggiormente attestato. Nella fattispecie ci si riferisce<br />

all’“Impasto 1” e dell’ “Impasto a” di II-I secolo a.C., molto simili tra loro per la natura dell’argilla, e che costituiscono il gruppo più documentato a San Rocco (Fig. 6).<br />

Più complesso il discorso relativo al quadro offerto dai confronti coevi, relativi a siti distribuiti tra la Lombardia, il Veneto, il Trentino, il Friuli <strong>Venezia</strong>-<br />

Gi lia e l’Emilia Romagna All’interno di q esto panorama si p ò infatti osservare che alc ni tipi di San Rocco p r caratterizzati dal medesimo<br />

Diversamente la seconda ipotesi propone la presenza di un centro produttivo, per il momento non collocabile geograficamente, che riforniva sia il cenedese sia Oderzo, anche se in modo non<br />

esclusivo vista la presenza nei due siti di altri impasti A complemento di questa ipotesi meno puntuale dal punto di vista territoriale può essere evidenziato che i frammenti recuperati a San<br />

Giulia e l Emilia Romagna. All interno di questo panorama, si può infatti osservare che alcuni tipi di San Rocco, pur caratterizzati dal medesimo<br />

impasto, rimandano all’area friulana, come le olle tipo VI e i catini-coperchio tipo IV, I e II, mentre altri tipi sembrano maggiormente documentati in<br />

esclusivo vista la presenza, nei due siti, di altri impasti. A complemento di questa ipotesi, meno puntuale dal punto di vista territoriale, può essere evidenziato che i frammenti recuperati a San<br />

Rocco costituiscono solo un campione, quasi certamente non rappresentativo dell’insieme delle produzioni circolanti nel cenedese in epoca altomedievale. D’altro canto, le analisi condotte sui<br />

contesti lombardi ed emiliani. Questi dati sembrerebbero per tanto testimoniare una fitta rete di rapporti che, partendo da un repertorio morfologico in<br />

larga misura condiviso metteva in comunicazione diversi centri produttivi e i siti in cui il prodotto finito veniva messo sul mercato Ciò è confermato<br />

materiali di Oderzo sono l’esito di una campionatura estremamente selezionata effettuata, partendo dall’edito, sulla base del confronto morfologico con i materiali di San Rocco. In base alle<br />

considerazioni sopra espresse alla mancanza di dati sulle argille di Oderzo e ad alcune riflessioni di ordine storico non può essere inoltre escluso che quest’ultimo centro potesse aver avuto un<br />

larga misura condiviso, metteva in comunicazione diversi centri produttivi e i siti in cui il prodotto finito veniva messo sul mercato. Ciò è confermato<br />

dal caso di Oderzo, dove circolavano materiali simili nella forma, ma differenti nell’impasto. Allo stato attuale della ricerca, tuttavia, non è ancora<br />

considerazioni sopra espresse, alla mancanza di dati sulle argille di Oderzo e ad alcune riflessioni di ordine storico, non può essere inoltre escluso che quest ultimo centro potesse aver avuto un<br />

ruolo di primo piano nelle produzioni ceramiche altomedievali della sinistra Piave, riflettendo un assetto politico-economico del territorio consolidato già a partire dall’epoca preromana.<br />

possibile definire la rete di circolazione dei materiali in relazione a siti ubicabili nel territorio; rimane inoltre da chiarire come i manufatti circolassero<br />

nelle diverse aree se attraverso un sistema commerciale gestito da mercanti o grazie a produzioni di artigiani itineranti che veicolavano il proprio<br />

Pur con i limiti interpretativi sopra esposti, le analisi condotte sui materiali opitergini fanno ipotizzare l’esistenza di contatti tra il sito di San Rocco (e per estensione Ceneda) e Oderzo,<br />

riconducibili alla circolazione di prodotti ceramici finiti e/o di maestranze che si spostavano con il proprio bagaglio tecnologico. I sette frammenti opitergini presi in esame presentano la<br />

nelle diverse aree, se attraverso un sistema commerciale gestito da mercanti o grazie a produzioni di artigiani itineranti che veicolavano il proprio<br />

repertorio formale.<br />

riconducibili alla circolazione di prodotti ceramici finiti e/o di maestranze che si spostavano con il proprio bagaglio tecnologico. I sette frammenti opitergini presi in esame presentano la<br />

medesima lavorazione al tornio e rifinitura a pettine documentata per il materiali cenedese, ma tre differenti impasti. Un frammento di fondo concavo e due orli di olle, morfologicamente simili<br />

i i i I III li i “I OD I” ffi ll’ “I I” di S R A i h f di l f bil l i II i d<br />

I confronti con l’area lombarda e friulana sembrerebbero d’altro canto indicare un collegamento con siti di frequentazione longobarda, situazione<br />

ipotizzabile anche per San Rocco, sulla base dei dati complessivi dello scavo. A questo proposito l’elemento più significativo appare il primo macro tipo<br />

ai tipi I e III, sono realizzati con “Impasto OD I”, affine all’ “Impasto I” di San Rocco. A questo stesso gruppo appartiene anche un frammento di orlo confrontabile al tipo II ma catterizzato da<br />

una piccola presa, tipica delle pentole, appena sopraelevata rispetto all’orlo dotata di foro eseguito a crudo nella parte centrale. Diversamente, due frammenti di orli si confrontano con i tipi III e<br />

ipotizzabile anche per San Rocco, sulla base dei dati complessivi dello scavo. A questo proposito l elemento più significativo appare il primo macro tipo<br />

delle olle, associato ai fondi concavi, i cui confronti più puntuali sono stati individuati a Brescia e Sirmione, in livelli assegnati alle fasi di frequentazione<br />

l b d Q i i i i i ò d i i d i l h i i bi i i A i i f i<br />

p p , p p , pp p p g p , p<br />

V, ma da questi si distinguono per l’impiego, all’interno dell’impasto, di un diverso tipo di degrassante (“Impasto OD II”). L’utilizzo di due sabbie diverse potrebbe essere stato dovuto alla<br />

di b i i bbi i di t diff t ll’i t d l d i t it i<br />

longobarda. Questi stessi tipi sono stati però documentati, in modo piuttosto puntuale, anche in contesti bizantini. A questo proposito, i confronti con<br />

Oderzo sono piuttosto interessanti dal momento che non sono solo relativi alla morfologia, ma anche all’impasto. Appare pertanto chiaro come questi<br />

compresenza di bacini sabbiosi di natura differente, all’interno del medesimo territorio.<br />

Questi dati suggeriscono nuovi spunti per la ricostruzione del sistema produttivo dal momento che portano all’ipotesi che una stessa forma potesse essere realizzata con impasti diversi<br />

p g , p pp p q<br />

materiali dovessero circolare in aree differenziate, politicamente e culturalmente. Alla luce dei dati relativi alle produzioni attestate per l’area veneziana<br />

( i i i li T ll C ’ V d i C l i S Pi i C ll ) i i di l è h il di Od i f i i i li à di<br />

Q gg p p p p p p p<br />

all’interno di un medesimo territorio (come ad esempio Oderzo) o in contesti geograficamente distinti. In tal modo viene avvalorata l’idea di un mercato su scala regionale, già intuibile grazie<br />

all’analisi morfologica<br />

(tra i principali Torcello, Ca’ Vendramin Calergi, S. Pietro in Castello, etc.) un ipotesi di lavoro è che il centro di Oderzo si fosse inserito in qualità di<br />

intermediario nel sistema commerciale, in particolare nei rapporti con l’entroterra. Facendo fede ai dati relativi a San Rocco e Oderzo, l’impressione<br />

all analisi morfologica.<br />

Un’ulteriore elemento di riflessione deriva dal confronto con le produzioni di II-I secolo a.C. di San Rocco. La forte analogia tra l’ “Impasto 1” altomedievale e l’ “Impasto a” di romanizzazione<br />

, p pp , p<br />

prevalente è infatti che il materiale o l’“idea dell’oggetto” fosse arrivato nel Veneto nord-orientale grazie ai canali commerciali mediati da <strong>Venezia</strong>,<br />

provenienti dall’area bizantino emiliana Allo stato attuale della ricerca non può essere tuttavia escluso tuttavia che questo commercio potesse essersi<br />

porta ad ipotizzare un uso, a distanza di sette secoli, dei medesimi bacini argilliferi. Contemporaneamente, è tuttavia da segnalare, nei manufatti altomedievali rispetto a quelli di II-I secolo a.C.,<br />

l’uso di argille più depurate con aggiunta di degrassante e la rifinitura accurata delle superfici interne ed esterne interpretabili come sensibili miglioramenti alla funzionalità degli oggetti<br />

provenienti dall area bizantino-emiliana. Allo stato attuale della ricerca, non può essere tuttavia escluso tuttavia che questo commercio potesse essersi<br />

verificato anche nel senso opposto, ovvero dall’Italia Settentrionale verso l’area costiera del Veneto e dell’Emilia-Romagna. A conferma di questa<br />

l uso di argille più depurate, con aggiunta di degrassante e la rifinitura accurata delle superfici interne ed esterne, interpretabili come sensibili miglioramenti alla funzionalità degli oggetti.<br />

complessità di rapporti, non necessariamente unidirezionali, possono essere citati i confronti delle olle tipo II e IV con i materiali invetriati da Monte<br />

Barro e Brescia; confronti giustificati dall’esistenza di centri di produzione mista documentati archeologicamente (Brescia Carlino)<br />

Impasto 2<br />

Barro e Brescia; confronti giustificati dall esistenza di centri di produzione mista, documentati archeologicamente (Brescia, Carlino).<br />

10%<br />

Analisi tecnologica e funzionale<br />

Impasto a<br />

40%<br />

Grazie ai dati forniti dallo studio archeometrico è stato possibile prendere in considerazione, dal punto di vista quantitativo, tutto l’insieme del materiale<br />

40%<br />

p p , p q ,<br />

ceramico rinvenuto a San Rocco. Nella fattispecie sono state sottoposte ad analisi mineralogica le forme ben rappresentate, olle e catini - coperchio,<br />

mentre non è stato analizzato in q anto statisticamente poco significati o il frammento di pentola I dati otten ti da q esta indagine hanno offerto da<br />

mentre non è stato analizzato, in quanto statisticamente poco significativo, il frammento di pentola. I dati ottenuti da questa indagine hanno offerto, da<br />

un lato la conferma alle ipotesi relative alla funzionalità dei manufatti, dall’altro nuove informazioni utili all’incremento delle conoscenze dei sistemi Impasto 1 Fig. 6. Percentuali dei diversi tipi di impasto: Impasti di II-I a.C.: “a”, “b”, ”c”;<br />

I i l di li 1 2<br />

p<br />

produttivi e della diffusione dei recipienti ceramici.<br />

Per quanto riguarda le caratteristiche funzionali le analisi archeometriche hanno confermato la capacità di questi recipienti di essere impiegati sul fuoco<br />

I t<br />

40%<br />

Impasto b<br />

Impasti altomedievali: 1 e 2.<br />

Per quanto riguarda le caratteristiche funzionali, le analisi archeometriche hanno confermato la capacità di questi recipienti di essere impiegati sul fuoco<br />

per la cottura degli alimenti, grazie alla resistenza agli shock termici, e al grado di impermeabilità. Lo studio morfologico ha confermato questa<br />

Impasto c<br />

5%<br />

5%<br />

funzionalità. In particolare le olle del primo macro tipo presentano una scanalatura sulla parte superiore dell’orlo destinata all’alloggio del coperchio.<br />

5%<br />

Impasto a Impasto b Impasto c Impasto 1 Impasto 2<br />

Impasto a Impasto b Impasto c Impasto 1 Impasto 2


Fig.1: Cori, Ceramica Smaltata<br />

tardomedievale (nn.1-5) e Ceramica<br />

Graffita (nn.6-7) (dis. S.Pannuzi).<br />

Produzioni ceramiche e commerci tra XIII-XIV e<br />

XVI secolo nel Lazio meridionale: i rinvenimenti<br />

di ceramica smaltata tardomedievale, graffita e<br />

maiolica rinascimentale a Cori (LT)<br />

* Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma – Sede di Ostia<br />

** Università degli Studi di Roma “La Sapienza”<br />

Simona Pannuzi*, Domenico Palombi**<br />

Il contesto ceramico proviene dallo scavo, effettuato alcuni anni fa, di un ambiente posto all'interno del<br />

Convento di S.Oliva a Cori: furono rinvenuti materiali di cronologie diverse dal pieno Medioevo all’età<br />

moderna, purtroppo senza riferimenti stratigrafici precisi.<br />

Alla Ceramica Smaltata tardomedievale (circa il 30% del totale dei reperti) appartengono tutte forme aperte<br />

abbastanza standardizzate nella morfologia (ciotole, scodelle e piatti fondi con piede ad anello; mancano le<br />

forme chiuse) e nel tipo di impasto depurato con vacuoli, di colore rosato scuro. Gli esemplari sono inoltre<br />

caratterizzati dallo stesso rivestimento stannifero interno povero di stagno, opaco e grigiastro o gialloverdastro<br />

(Fig.1, nn. 1-5). I materiali mostrano decori diversi, ma riferibili ad un medesimo ambito<br />

cronologico tardomedievale di chiaro influsso meridionale, dipinti in ramina e manganese oppure in solo<br />

manganese. I decori sono di tipo geometrico-floreale, particolarmente stilizzati e con poche varianti, e non<br />

rientrano nel repertorio tipico della Maiolica Arcaica né in quello della Protomaiolica (Fig.2, nn.1-2 e 4-5).<br />

Per la tipologia delle forme, del rivestimento e dei decori questa produzione smaltata può essere attribuita al<br />

XIII-XIV secolo, grazie anche ai confronti che si sono istituiti con materiali provenienti da centri limitrofi del<br />

Lazio Meridionale e dall’ambito campano, molisano e soprattutto abruzzese. La quantità dei materiali ha<br />

permesso di individuare con chiarezza questa produzione, i cui limitati ritrovamenti finora avevano portato a<br />

confusioni circa il suo corretto riconoscimento, e di inquadrarla in ambito bassolaziale, con forti influenze<br />

delle produzioni abruzzesi-molisane e campane.<br />

L’individuazione di questa particolare tipologia di Smaltata tardomedievale evidenzia ancor di più come la<br />

classe ceramica genericamente definita “Protomaiolica” non sia riducibile a definiti schemi decorativi e<br />

morfologici, ma trovi a seconda delle diverse aree dell’Italia meridionale differenti stilemi, pur con generiche<br />

somiglianze ed influssi tra le aree produttive. In questo senso perciò il Basso Lazio viene ad accomunarsi alla<br />

regione abruzzese-molisana, già individuata come area di confine, nella quale venivano a sperimentarsi<br />

tipologie ibride, non chiaramente riconducibili alle prime differenti produzioni smaltate italiane a tutt'oggi<br />

meglio conosciute attraverso gli studi archeologici e storico-artistici.<br />

La Ceramica Graffita è stata rinvenuta in quantità molto modesta nel contesto in esame (meno del 10% del<br />

totale dei reperti), ma la sua presenza si qualifica comunque come significativa, vista la scarsa documentazione<br />

per ora in nostro possesso sull’uso di questa tipologia ceramica nella regione laziale. A Roma e in aree limitrofe<br />

i pochi frammenti di Ceramica Graffita rinvenuti appaiono tutti importati da altre regioni centro-settentrionali<br />

ed in particolare dall’area umbra. Invece, i frammenti rinvenuti a Cori appartengono alla medesima produzione,<br />

dalle forme e decori semplici e standardizzati in bruno, verde e giallo scuro. Questa tipologia ceramica era già<br />

stata rinvenuta in anni passati a Veroli, a Priverno, nella catacomba di S.Ilario ad Bivium presso Valmontone, a<br />

Nettuno, a Palestrina e in altri centri del Lazio meridionale (Caprile, Pontecorvo, Esperia, Ferentino, Giuliano<br />

di Roma, Prossedi, Roccasecca, Trevi nel Lazio) (Fig.1, nn. 6-7 e Fig.3). Questi materiali possono a ragione<br />

costituire l’esempio di una produzione locale probabilmente di XV secolo, collegata all’ambito abruzzese e<br />

campano dove questa tipologia aveva trovato maggiore riscontro.<br />

Fig.3: Cori, Ceramica Graffita<br />

(foto S.Pannuzi).<br />

Fig.4: Cori, Maiolica policroma rinascimentale<br />

(foto S.Pannuzi).<br />

Fig.2: Cori, Ceramica Smaltata<br />

tardomedievale (nn. 1-2 e 4-5) e Maiolica<br />

Arcaica (n. 3).<br />

Oltre al rinvenimento di un piccolo gruppo di frammenti di Ingobbiata e Invetriata dipinta di ambito<br />

centro-meridionale di XIII-XIV e di alcuni esemplari di tarda Maiolica Arcaica (Fig.2, n.3), si segnala<br />

inoltre una gran quantità di reperti riferibili alla Maiolica policroma e rinascimentale, inquadrabili<br />

nella seconda metà/fine XV-XVI secolo. I materiali riconoscibili, forme aperte e chiuse, appartengono<br />

a produzioni di ambito romano-laziale ed in gran parte sono riferibili ad ampie ciotole di forma<br />

similare decorate “a monticelli”, probabilmente da collegare agli usi del Convento corese negli ultimi<br />

due terzi del XVI secolo, come è già stato ipotizzato per ciotole con morfologia e decoro simili dal<br />

Monastero di S.Caterina della Rosa a Roma (Figg.4 e 5).<br />

Da questi rinvenimenti emerge un quadro produttivo che evidenzia in epoca tardomedievale lo stretto<br />

legame politico, economico e culturale tra le regioni dell’Italia centro-meridionale (Lazio meridionale,<br />

Campania, area abruzzese-molisana), collegate da alleanze, concessioni territoriali e scambi<br />

commerciali. Infatti, dalla seconda metà del XIII fino alla prima metà del XV secolo sempre molto<br />

stretti furono i rapporti tra lo Stato della Chiesa ed il Regno Angioino, facilitati anche dalla<br />

“meridionalizzazione” delle famiglie baronali romane, che avevano possedimenti in entrambi gli stati.<br />

L'analisi del panorama politico perciò illumina<br />

chiaramente l’identità di questa regione bassolaziale,<br />

divisa tra influenze romane e meridionali, ed i suoi<br />

collegamenti economici e produttivi con le aree<br />

circostanti. In una fase successiva (XV-XVI secolo),<br />

dall’analisi dei rinvenimenti di Cori, che si associano a<br />

quelli riferibili ai centri vicini, questa zona del Lazio<br />

appare invece gravitare verso l'area romana, in cui si<br />

produceva grandissima quantità di maiolica che<br />

veniva esportata, con tutta probabilità ad un costo<br />

non elevato, negli ambiti limitrofi, dove la tradizione<br />

ceramistica era meno forte o meglio si era venuta<br />

specializzando nella produzione di oggetti particolari<br />

(per es. fuseruole), come è testimoniato dai dati<br />

archivistici editi.<br />

Fig.5: Cori, Maiolica policroma rinascimentale<br />

(dis. S. Pannuzi).<br />

Grafica Aldo Marano


I materiali ceramici degli scavi di Roca (Melendugno, Lecce):<br />

nuovielementiperlaconoscenzadellaceramicatardomedievalenellaPugliameridionale<br />

L'analisi di due isolati del tessuto<br />

urbano di Roca ed il parziale<br />

scavo di un terzo evidenziano<br />

un ritmo costruttivo simile,<br />

caratterizzato da una fase più<br />

antica già a pianta regolare (XIV<br />

secolo) seguita da una<br />

importante ristrutturazione databile<br />

all'inizio del Quattrocento.<br />

Piccoli rifacimenti e utilizzi<br />

di minore intensità si susseguono<br />

nel corso del secolo e nella<br />

prima metà almeno del Cinquecento,<br />

fino al definitivo abbandono<br />

che avviene comunque<br />

prima della fine del XVI secolo.<br />

Invetriata policroma "Bari type" (XV sec.)<br />

Protograffita (XV sec.)<br />

Graffita (XVI sec.)<br />

Graffita (XVI sec.)<br />

Acroma da fuoco (XV sec.) Dipinta (XIV sec.)<br />

Paolo Güll*, Elena M. Bianchi*, Valeria Della Penna*, Eda Kulja*, Paola Tagliente**<br />

* Universià del Salento ** Università di Siena<br />

Invetriata policroma (XV sec.)<br />

Double dipped ware (XV sec.)<br />

Il materiale ceramico rinvenuto nel corso delle due<br />

campagne 2005 e 2006 si presta a numerosi spunti<br />

di riflessione in parte evidenziabili dai grafici.<br />

Nel rapporto fra grandi categorie di manufatti<br />

osserviamo una presenza notevole e costante dei<br />

contenitori da acqua sia acromi che dipinti. Questi<br />

costituiscono una categoria estremamente diffusa<br />

nei siti pugliesi ma ancora poco nota, anche per le<br />

notevoli difficoltà di studio cronotipologico. Tra i<br />

contenitori da fuoco osserviamo una progressiva inversione<br />

del rapporto tra oggetti non rivestiti ed invetriati, questi<br />

ultimi in crescita, mentre poco più di un quarto del totale è<br />

costituito dalle varie classi da mensa, analizzabili<br />

separatamente grazie alle conoscenze ormai<br />

sufficientemente estese in materia. Osserviamo la presenza<br />

costante delle ceramiche invetriate policrome, ancora<br />

prodotte nei primi decenni del XVI secolo, accompagnate in<br />

proporzioni simili dall'invetriata monocroma.<br />

Su un promontorio situato 16 km a Nord di Otranto, luogo già<br />

interessato nell'Età del bronzo, da un importante insediamento,<br />

viene fondata nel XIV secolo una città a pianta ortogonale,<br />

successivamente abbandonata intorno alla metà del Cinquecento,<br />

secondo le proncipali fonti scritte.<br />

Tempi e ragioni della fondazione non vedono concordi gli storici,<br />

tuttavia pare chiaro che siamo in presenza della più antica città<br />

tardomedievale a pianta regolare nel Salento.<br />

L'area è oggetto dagli anni Ottanta di campagne di scavi<br />

dell'Università di Lecce, condotte sotto la direzione di Cosimo<br />

Pagliara. I lavori hanno avuto solo marginalmente per oggetto le<br />

evidenze tardomedievali mentre si sono concentrati sulle<br />

evidenze protostoriche, che ne fanno un sito tra i più importanti<br />

del bacino del Mediterraneo.<br />

Dal 2005 Paolo Güll sta coordinando alcuni sondaggi all'interno di<br />

isolati del tessuto abitativo volti a chiarire modi e tempi di<br />

sviluppo degli stessi attraverso le diverse fasi edilizie. Particolare<br />

attenzione viene riservata al materiale ceramico che testimonia<br />

un ruolo di rilievo, anche se ancora da chiarire, dell'insediamento.<br />

Sono infatti presenti, insieme a manufatti di<br />

produzione salentina, sia dell'area ionica che<br />

dell'area adriatica, numerosi oggetti di importazione<br />

da varie regioni del Mediterraneo, ma in prevalenza<br />

dalle coste settentrionali adriatiche e dalla Spagna.<br />

Più difficile da evidenziare,<br />

anche per i numeri assoluti<br />

ridotti, la presenza di invetriata<br />

bicroma, specie in rapporto alla<br />

cosiddetta double dipped ware: i<br />

dati disponibili confermano<br />

l'anteriorità della bicroma<br />

rispetto alla double dipped ware<br />

ed il XIV secolo avanzato come<br />

momento della comparsa di<br />

quest'ultima.<br />

Come di consueto, le graffite<br />

d'importazione precedono la<br />

cosiddetta "protograffita" di<br />

produzione locale e si<br />

accompagnano ad un numero più<br />

ridotto di ceramiche smaltate tra<br />

cui spiccano le importazioni della<br />

Spagna.<br />

Lustro valenzano (XV sec.)<br />

Stemma e iscrizione su parete di<br />

contenitore acromo da liquidi<br />

Imbarcazione graffita su fondo di<br />

contenitore acromo da liquidi<br />

www.metarc.unile.it


Ceramica arabo-normanna dai nuovi scavi dell’insediamento medievale sopra la Villa del Casale di Piazza Armerina<br />

Patrizio Pensabene - Paolo Barresi - Daniela Patti - Eleonora Gasparini - Giuseppe Paternicò<br />

Storia del sito<br />

La villa romana del Casale a Piazza Armerina fu scavata da Gino<br />

Vinicio Gentili negli anni ’50, seguendo la tendenza allora dominante,<br />

ossia privilegiare i resti di epoca romana. Nonostante le distruzioni di<br />

muri medievali nell’area della villa, allo scopo di rendere visibili i<br />

mosaici, lo scavo poté definire due fasi principali di riutilizzo della<br />

villa, medievale e rinascimentale: risultato che testimonia comunque<br />

un certo interesse per le fasi di frequentazione post-antiche. Solo nel<br />

1999 fu pubblicato un resoconto di scavo completo in tre volumi,<br />

corredato da un breve studio sulle ceramiche medievali trovate nella<br />

Villa, che si è rivelato molto utile alla luce delle nuove strutture<br />

medievali da noi <strong>scoperte</strong>.<br />

Dopo gli interventi di E. De Miro e G. Fiorentini degli anni ’80, che<br />

hanno operato nell’ambito del cortile di accesso, e che avevano<br />

come scopo la soluzione di alcune questioni topografiche relative<br />

comunque alla villa tardoantica, una serie di campagne annuali<br />

iniziate nel 2004 e ancora in corso, in collaborazione tra l’Università di<br />

Roma “La Sapienza”, la Soprintendenza di Enna e il Museo della Villa<br />

del Casale, sotto la direzione scientifica del prof. Patrizio Pensabene,<br />

ha rivelato la presenza di un ampio settore di un abitato medievale,<br />

sorto a sud della villa. Sono state evidenziate due principali fasi<br />

medievali nell’abitato, l’una sovrapposta all’altra, caratterizzate da<br />

unità abitative quadrangolari, in taluni casi dotate di un ricovero per<br />

animali e di un portichetto antistante, e centrate su un cortile; la<br />

tecnica edilizia si basava su muri di pietrame tenuti assieme da malta<br />

terrosa, rinzeppati da frammenti di tegole e di pietre più piccole. Si<br />

attribuisce la prima fase, collegata con ceramica invetriata di XI<br />

secolo, all’inizio del periodo normanno. Sembra che il I periodo<br />

medievale sia successivo ad una serie di alluvioni che rialzarono il<br />

livello del terreno, e che videro l’obliterazione delle strutture di fase<br />

tardoromana e bizantina: un evento traumatico, probabilmente<br />

un’alluvione proveniente dal fianco dell’altura ad est, ha causato la<br />

distruzione e l’abbandono delle costruzioni di I periodo.<br />

Settore Ovest: la ceramica<br />

Fig. 2<br />

Ambiente VII: ceramica<br />

Il settore Ovest è stato scavato a partire dal 2005, allargando un primo saggio effettuato in<br />

corrispondenza di un lungo muro medievale venuto in luce svuotando un canale moderno di<br />

drenaggio. Il muro si è rivelato parte di un ambiente rettangolare allungato di età normanna,<br />

riutilizzato in un secondo tempo come area per lavorazioni industriali: al suo interno è stata infatti<br />

trovata una fossa rivestita di argilla concotta e riempita di cenere, interpretabile come crogiolo<br />

usato per fondere gli ossidi usati per le invetriature, come appare dai confronti con siti spagnoli<br />

come Denia o Priego presso Cordova.<br />

Nel 2008 è stato ritrovato un ambiente absidato di età tardoantica (IV-V secolo d.C.), contemporaneo<br />

alla Villa, ma riutilizzato in età medievale, quando fu ricoperto da strati di scarti ceramici e di<br />

rifiuti. Le classi attestate nello scavo sono quelle usuali in Sicilia in questo periodo: anzitutto le<br />

pentole da cucina modellate a mano;e le anfore con decorazione sovradipinta in una varietà di<br />

impasti, anche con superficie schiarita, che fanno ipotizzare una circolazione di contenitori<br />

provenienti da più regioni. Tra i vasi per il consumo degli alimenti: l’anforetta con filtro traforato,<br />

senza rivestimento; la grande ciotola carenata, priva di rivestimento oppure dipinta e invetriata,<br />

ad orlo ingrossato o bifido. La decorazione in questa fase è molto varia, in particolare è frequente<br />

la raffigurazione della “pavoncella” e dei “cuori incatenati” (fig. 6). Nella fase normanna piena, tra XI<br />

e XII secolo, la ciotola viene fabbricata in più varianti formali e dimensionali, e si diffonde la<br />

scodella a parete emisferica. Inoltre appaiono la tazza con ansa verticale e il piatto, forse destinato<br />

ad arrosti. Le decorazioni sono semplificate e più spaziate, con bande verdi profilate in bruno.<br />

Appaiono anche il boccale monoansato e il versatoio in ceramica priva di rivestimento.<br />

La novità più interessante è costituita dagli scarti di fornace che sono emersi in grande quantità<br />

all’interno del vano absidato tardoantico, e vanno interpretati come un consistente butto riversato<br />

all’interno (fig. 7). Si tratta di frammenti di ceramica fusi o troppo cotti, da considerare scarti di<br />

fornace, concentrati all’interno del vano absidato in corrispondenza di un accumulo di terra con<br />

residui di bruciatura: deve trattarsi dello scarico per una fornace, che dovrebbe trovarsi nelle<br />

vicinanze. Anche gli scavi del Gentili e del Carandini avevano trovato scarti di fornace all’interno<br />

del peristilio della villa, ma solo di ceramica acroma, che era stata collegata con la fornace medievale<br />

inserita nel vano presso l’ingresso delle terme. Il fatto che tra i nostri scarti si trovino anche<br />

frammenti di invetriata (fig. 8) e frammenti di barre per forni con tracce di invetriatura (fig. 9),<br />

consente di ipotizzare anche la presenza di una fabbrica di invetriata locale che utilizzava certo<br />

fornaci a barre.<br />

Le fornaci con barre inserite nella parete, diffuse in ambiente islamico dalla Spagna<br />

all’Uzbekistan, presentavano una serie di ripiani distanti circa 30 cm tra loro, dove si caricavano le<br />

ceramiche da cuocere, separate da distanziatori. Lo spazio centrale largo m 1,20, non doveva<br />

essere lasciato vuoto, in quanto la fornace avrebbe perso efficacia di cottura: è possibile che la<br />

fornace fosse interamente riempita anche in questa zona centrale con ceramiche più grossolane<br />

e scarti di fornace. La fiamma, trovando difficoltà nel passare al centro, deve dividersi sui lati,<br />

cuocendo correttamente le maioliche o altre ceramiche fini che vi sono disposte. Il tiraggio<br />

laterale è più forte grazie al minore caricamento, non così serrato come al centro.<br />

Fig. 3<br />

Fig. 4<br />

Fig. 5<br />

Pozzo del peristilio<br />

L’ambiente VII è stato costruito nel periodo II, sul crollo occidentale del vano IV: esso si<br />

collegava verso sud ad altre stanze rettangolari, sorte sui resti crollati di un precedente<br />

edificio a più vani del I periodo. Il complesso a più vani disposto in senso N-S era così<br />

costituito da un muro che corre in senso N-S, formando tre ambienti: VII, XI e XIX, con altri<br />

muri perpendicolari orientati E-W e con il lungo muro centrale N-S del complesso di I<br />

periodo medievale, che viene riutilizzato e riparato con la muratura di nuovo tipo. I crolli<br />

degli edifici di I periodo medievale furono spianati, formando la base di appoggio per un<br />

riempimento di terra e argilla destinato a sostenere il pavimento dei vani di II periodo<br />

medievale; solo sotto il vano XXII il crollo appare coperto da uno strato di bruciato.<br />

Il crollo delle pareti sembra essersi depositato con una dinamica prolungata nel tempo: la<br />

scarsità di tegole nel crollo, e la presenza solo di frammenti di coppi che devono essere stati<br />

adoperati nella tessitura dei paramenti, lascia pensare che il tetto sia stato smontato e<br />

reimpiegato altrove. Gli accumuli di pietrame hanno eliminato ogni traccia del battuto<br />

pavimentale, probabilmente in argilla.<br />

I dati quantitativi della ceramica mostrano che lo strato di crollo del vano VII (US 60) ha<br />

restituito una forte percentuale di anfore (43%), assieme ad un 32% di ceramica acroma da<br />

mensa (fig. 2) e un 11% di invetriata, ma senza ceramica da fuoco; il 14 % era rappresentato<br />

dal tegolame del tetto crollato. Simile la composizione dello strato di abbandono US 161<br />

del vano VII, con il 47% di anfore, il 29% di ceramica acroma e il 7% di ceramica invetriata,<br />

solo il 2% di ceramica da fuoco e il 15% di tegolame. Osservando solo i frammenti diagnostici,<br />

si nota come il vasellame da mensa, sia acromo (46%) che invetriato (32%) costituisca la<br />

parte più cospicua delle ceramiche, mentre le anfore scendono al 18% (fig. 3).<br />

L’elemento di maggior pregio di questo ambiente è però il piatto decorato a solcature<br />

trovato in uno strato sconvolto dall’inserimento dei lastroni della “mangiatoia” (fig. 4). Il<br />

piatto è decorato con solcature a crudo e poi invetriato (ma l’invetriatura è molto mal<br />

conservata), con pareti svasate, orlo indistinto e piede troncoconico. Sul fondo, le solcature<br />

disegnano un felino passante di profilo verso sinistra, con coda sollevata in alto e corpo<br />

decorato da motivi a zigzag. All’interno, il labbro è decorato da linee parallele e da un<br />

motivo a treccia (fig. 5). L’invetriatura è devetrificata, ma in origine doveva stendersi su tutta<br />

la superficie interna, ed oggi risulta gialla, tranne in pochi punti, dove rimane l’originale<br />

colore verde. Al piatto, ricomposto, mancano due soli frammenti, uno dell’orlo e un altro del<br />

fondo. Solo un frammento dalla villa del Casale, di forma e decorazione affine; un frammento<br />

a Pisa di X-XI secolo, di probabile origine siciliana, dalla chiesa di S. Matteo, che raffigura<br />

un quadrupede. Per la figura di animale passante, notevoli somiglianze offre la raffigurazione<br />

di una grande ciotola invetriata di XI secolo, di produzione maghrebina, inserita nella<br />

chiesa di San Zeno a Pisa.<br />

Fig. 6<br />

Fig. 7<br />

Fig. 8<br />

Fig. 9<br />

Ambiente VII<br />

Settore OVEST<br />

Fig. 1<br />

Il pozzo del Peristilio<br />

La seconda fase è probabilmente di piena età normanna (XII secolo),<br />

e dovette terminare con l’abbandono decretato da Guglielmo I nel<br />

1161 nel corso della repressione della rivolta dei baroni Lombardi qui<br />

insediati. Una fase III di sporadica occupazione del sito potrebbe<br />

datarsi al tardo XII secolo, periodo dopo il quale non si ha più traccia<br />

di occupazione stabile.È notevole la coincidenza tra le informazioni<br />

ricavate dagli strati di crollo, e la data della fine del più antico abitato<br />

di Piazza, dovuta alla punizione della rivolta dei baroni lombardi.<br />

Si è così notato che l’abitato medievale si estendeva ben oltre i limiti<br />

della villa, e a partire dal 2006 lo scavo si è esteso al settore ovest,<br />

dove sono emersi resti di un quartiere industriale medievale collegati<br />

a resti di edifici tardoantichi riutilizzati, che mostrano come vi sia<br />

stata una continuità di vita nell’area a ridosso della villa, interrotta in<br />

alcuni momenti dalle frequenti alluvioni che provenivano dall’area<br />

collinare più ad est.<br />

A questo ambito di indagini si devono poi aggiungere alcuni saggi di<br />

scavo collegati al progetto di restauro della Villa del Casale, iniziati<br />

nell’aprile del 2007 e tuttora in corso, che hanno riguardato il perimetro<br />

esterno dell’edificio, e si sono dislocati a ridosso delle murature<br />

del complesso. La maggior parte degli interventi non ha comunque<br />

interessato bacini stratigrafici post-antichi integri, in quanto questi<br />

risultavano già asportati nel corso degli interventi di G. V. Gentili o<br />

anche di quelli precedenti, che miravano anzitutto a riportare in luce<br />

il piano tardoantico, all’interno definito dai pavimenti mosaicati, ed<br />

all’esterno arbitrariamente individuato sulle quote degli interni<br />

stessi. Ciò nonostante è stato possibile individuare alcune strutture<br />

murarie poste in aree solo parzialmente indagate e soprattutto un<br />

gran numero di pozzi e fosse ancora individuabili grazie al fatto che<br />

parte dei tagli e dei relativi riempimenti proseguono al di sotto della<br />

quota a cui si arrestarono le precedenti indagini archeologiche.<br />

Attraverso indizi frammentari è stato dunque possibile ricostruire<br />

un’immagine più completa degli insediamenti post-antichi che<br />

vennero ad occupare l’area della Villa nell’ampio lasso di tempo che<br />

parte dal VI e arriva sino al XVII secolo.<br />

Durante i recenti saggi di scavo in occasione dei restauri della Villa del Casale (2007), sono stati<br />

rinvenuti, sul totale delle aree indagate, 38 ingenti riempimenti medievali posti all’interno di<br />

altrettante fosse o di veri e propri pozzi tagliati nei livelli di età tardoantica e imperiale. Esemplificativo<br />

di questi contesti è il riempimento di un pozzo posto nel giardino del grande Peristilio<br />

quadrangolare: esso fornisce un quadro della cultura materiale tipica del medioevo siciliano e<br />

in particolare del grande insediamento sorto al di sopra e nei pressi della Villa di Piazza Armerina,<br />

con testimonianze che dal periodo arabo (fine X – inizi XI secolo) giungono sino alla piena<br />

età normanna (inizi del XII secolo).<br />

Il riempimento, all’interno del quale sono stati individuati circa 118 manufatti ceramici<br />

frammentari, ma in buono stato di conservazione, si compone per il 60% di ceramica comune,<br />

seguita dall’invetriata e dalle anfore per, rispettivamente, il 17,8% e il 17%; infine si è riscontrato<br />

un 5% di ceramica da fuoco rappresentata da pentole, olle e tegami (fig. 10, dis. 7 e 8).<br />

La ceramica comune e quella invetriata si attestano nelle forme della scodella, della brocca o<br />

anforetta con filtro, della bottiglia e della tazza o boccale. Si è infatti potuto verificare come<br />

tutte le forme da mensa del periodo arabo-normanno siano prodotte, anche negli stessi tipi, sia<br />

nella versione acroma, spesso con schiarimento delle superfici, sia con decorazione dipinta<br />

sotto vetrina piombifera (fig. 11). Esclusivamente in ceramica comune era invece il tipico<br />

contenitore da dispensa monoansato, utilizzato per prodotti solidi o semisolidi, che si riscontra<br />

in contesti di fine X - inizi XI secolo anche nella Sicilia occidentale. Esso risulta essere il manufatto<br />

numericamente più rappresentato nel contesto (34 esemplari) e in un caso presenta anche<br />

una decorazione ad onda su tre registri (fig. 10, dis. 3). Le scodelle, in gran parte carenate (fig. 10,<br />

dis. 2), si distinguono in 8 tipi con orli che variano da cm 13 a 30 di diametro. Tra gli esemplari<br />

di grandi dimensioni si colloca una scodella acroma a vasca emisferica (fig. 10, dis. 1) con orlo<br />

appiattito a piccola tesa piana e piede ad anello, che trova confronto con materiali di inizio XII<br />

secolo rinvenuti ad Agrigento, Entella e Segesta, nonché in contesti nord-africani (Raqqada e<br />

Qal ‘a Banu Hammad) leggermente più antichi (XI secolo). Molto elaborata è la decorazione di<br />

una scodella invetriata dall’orlo estroflesso e assottigliato: tra orlo e carena compare il motivo<br />

della treccia di rombi incatenati di colore bruno, con punti verdi posti tra le intersezioni della<br />

treccia, che si confronta con manufatti siciliani e di area nord-africana (da Raqqada e Cartagine<br />

in Tunisia, da Qal ‘a Banu Hammad in Algeria, da Medinet al Sultan, Ajdabiya e Sidi Khrebish in<br />

Libia) di fine X - inizi XI secolo. Una seconda scodella, con decorazione a tratti verticali e a<br />

sfiammature verdi e brune su fondo giallo (splashed ware), non solo compare anche nel Nord<br />

Africa, ma, attestandosi sin dal IX - X secolo, si configura come distintiva delle più antiche<br />

produzioni invetriate policrome. Questi dati confermano l’esistenza di una grande distretto<br />

culturale ed economico che, specie a partire dalla prima età fatimida (seconda metà X – inizio<br />

XI secolo) ed ancora nel XII secolo unificò Sicilia e Nord Africa sia attraverso produzioni tecnologicamente<br />

ed esteticamente affini che tramite più diretti contatti in forma di scambi commerciali.<br />

Per le anfore provenienti dal contesto in esame si osserva come compaiano cinque tipi (due dei<br />

quali in fig. 10, dis. 5 e 6), che rimandano in modo abbastanza omogeneo ad una cronologia di<br />

XI o al massimo di inizio XII secolo. Molto interessante è il riscontro di uno scarto di fornace<br />

riconducibile ad uno dei tipi individuati (fig. 10, dis. 6), a riprova dell’esistenza di una produzione<br />

locale, attestata attraverso svariati elementi sia durante le ricerche svolte presso la Villa dagli<br />

anni ‘50 agli anni ’80, che con le più recenti indagini avviate nel 2004 e tutt’ora in corso. La<br />

presenza di un fondo di scodella acroma ipercotta, nonché di una lucerna mal plasmata con<br />

tracce di vetrina sulla superficie greificata confermano inoltre come nell’insediamento si<br />

producessero non solo anfore, bensì anche ceramica comune ed invetriata, dato che testimonia<br />

la centralità del sito nel panorama economico della Sicilia medievale.<br />

Fig. 10<br />

Fig. 11


pottery manufacture and absolute chronology in the high mondego<br />

basin (centre of portugal) during the early middle ages<br />

Catarina Tente<br />

(Universidade Nova de Lisboa, Portugal)<br />

The region and the state of the art<br />

Located in the hinterland of central Portugal, the high basin of the<br />

Mondego River constituted a frontier zone between Christians<br />

and Muslims in the 9-12th centuries.<br />

Its medieval history was poorly known until very recently, due to<br />

the lack of written documents and archaeological excavations.<br />

The start of a research project shed some light on the<br />

subsistence, settlement system, and material culture of this time<br />

References:<br />

Alarcão, J. 1975. Fouilles de Conimbriga. V. La céramique commune locale et régionale. Paris.<br />

Tente, C. 2007. Comunidades medievais cristãs do Alto Mondego: projecto de estudo das estratégias<br />

de ocupação do território. Promontoria. 5, p. 245-270.<br />

Research project PTDC/HAH/69806/2006, funded by the Fundação para a Ciência e Tecnologia<br />

(Portugal).<br />

António Faustino Carvalho<br />

(Universidade do Algarve, Faro, Portugal)<br />

S. Gens<br />

period (Tente 2007). Soida<br />

Sites under excavation (see photo and map for location in Iberia)<br />

Soida: large fortified site located on a mountain ridge, with only a<br />

few household units.<br />

S. Gens: fortified site located on the right bank of the Mondego,<br />

next to a large necropolis of rock-cut graves.<br />

Penedo dos Mouros: small wooden castle built on granite<br />

boulders on a plateau over a tributary of the Mondego.<br />

Pottery analysis (see figure)<br />

The ware, locally made, is composed mostly by closed vessels,<br />

such as pots or pans of medium / large sizes, and scarce jars.<br />

The most representative vessel is the “alguidar” (large bowl<br />

tapered towards the bottom). Handles and covers are almost<br />

absent. Decoration is restricted to cords (plain or decorated) and<br />

wavy or strait parallel lines.<br />

Final remarks<br />

In cases neglected or unapproachable by traditional<br />

historiography, such as this, systematic archaeological research<br />

based on multidisciplinary analyses proves to be an accurate<br />

means to overcome this impasse.<br />

Radiocarbon dating allowed the definition of Medieval horizons<br />

and their type-fossils otherwise easily attributed to other historical<br />

contexts. This is particularly the case of the “alguidares”, which<br />

have been erroneously dated to the Roman period after the<br />

famous excavations of Conimbriga, in the lower Mondego basin<br />

(Alarcão 1975).<br />

P. Mouros<br />

Radiocarbon dating (see chart)<br />

Although not commonly used in medieval archaeology, the<br />

radiocarbon dating of selected short-lived samples (seeds and<br />

shrub species) permitted the establishment of a first<br />

chronological framework in which these sites are directly dated<br />

to the 9-10 th centuries.


Cerámica altomedieval en el Tolmo de Minateda<br />

(Hellín, Albacete, España) y el sudeste de la Península<br />

Ibérica (ss. VII-IX)<br />

Universidad de Alicante<br />

El Tolmo de Minateda fue ocupado de forma discontínua entre la Edad del Bronce y la época contemporánea. En<br />

época augustea el asentamiento adquiere el rango de municipio, para entrar con posterioridad en un proceso involutivo<br />

del que no se recupera hasta la Alta Edad Media. Se ha identificado con la ciudad islámica de Madinat Iyyuh, mencionada<br />

en el Pacto acordado entre el noble visigodo Teodomiro y los conquistadores musulmanes (713), y probable trasunto de<br />

la sede episcopal Eiotana, creada a principios del siglo VII en el marco de las guerras grecogóticas. El asentamiento fue<br />

ocupado de forma contínua entre los siglos VII y IX, cuando se abandonó como asentamiento urbano, con una secuencia<br />

estratigráfica que ha permitido reconocer los contextos materiales de la Alta Edad Media en la región.<br />

Producciones del sitio<br />

Tolmo<br />

Libia Recópolis<br />

UWW1 spouted jugs (Hayes 1992)<br />

EL ACCESO A LA CIUDAD. MURALLAS Y<br />

BASUREROS<br />

3<br />

Bronce<br />

bizantino<br />

Broche<br />

de cinturón<br />

Aplique de<br />

márfil<br />

Producciones comunes<br />

Zanja de<br />

cimentación<br />

* Piezas de referencia procedentes de Crypta Balbi<br />

3<br />

1<br />

2<br />

2<br />

SIGLO VII<br />

Los contextos cerámicos de mediados del siglo VII proceden<br />

de las estructuras domésticas y los vertederos<br />

situados en el principal acceso a la ciudad, junto a la<br />

muralla. Predominan las producciones comunes de ámbito<br />

regional, realizadas tanto a torno como a mano,<br />

que conviven con una residualidad de uso de ciertas<br />

producciones foráneas.<br />

3<br />

1<br />

Spatheia*<br />

Keay LXI/LXII*<br />

TSHT meridional<br />

ARS posiblemente residuales<br />

Importaciones<br />

La construcción de un barrio islámico sobre el<br />

centro simbólico de la antigua ciuitas, marca la<br />

ruptura topográfica y social del tejido urbano.<br />

Los contextos materiales del siglo IX reflejan<br />

el dominio de las producciones de carácter local<br />

y regional, con una significativa presencia<br />

de cerámicas modeladas y un repertorio formal<br />

reducido, en el que ciertas formas, preferentemente<br />

culinarias, se han adaptado a las<br />

nuevas necesidades, al tiempo que se introducen<br />

otras nuevas plenamente islámicas. La tímida<br />

difusión de las producciones vidriadas de<br />

origen andaluz muestra la paulatrina reconstrucción<br />

de las redes comerciales suprarregionales.<br />

SIGLO IX<br />

Contexto material de cerámica común a<br />

mano y a torno de época emiral<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

LA CIUDAD MONUMENTAL. DE ESPACIO<br />

PÚBLICO A ESPACIO PRIVADO<br />

Tremís de Ervigio (680-7)<br />

EL COMPLEJO RELIGIOSO SIGLO VII<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

EL BARRIO ISLÁMICO (SIGLO IX)<br />

Tremís de Witiza (702-11) Aplique de bronce<br />

III<br />

<br />

<br />

<br />

Tolmo<br />

Zambo<br />

Pechina<br />

Remate arquitectónico<br />

Felus ¿norteafricano?<br />

(repavimentación)<br />

La distribución del vidriado: la reconstrucción del<br />

comercio de larga distancia<br />

BAPTISTERIO<br />

Sarabia Bautista J.<br />

Amorós Ruíz V.<br />

Cañavate Castejón V.<br />

Gutiérrez Lloret S.<br />

Parque Arqueológico Tolmo de Minateda<br />

PALATIUM<br />

<br />

<br />

<br />

BASÍLICA<br />

EXPOLIO Y TRANSFORMACIÓN FUNCIONAL<br />

DEL COMPLEJO RELIGIOSO (SIGLO VIII)<br />

SIGLO VIII<br />

La excavación del complejo religioso en la parte alta de<br />

la ciudad ha permitido documentar su desacralización<br />

en un momento temprano del siglo VIII, su posterior<br />

expolio y la reutilización de ciertos ambientes como espacios<br />

domésticos. Los contextos cerámicos de primera<br />

época islámica muestran una continuidad morfológica y<br />

productiva, al tiempo que permiten analizar la paulatina<br />

introducción de pautas de consumo y, en consecuencia,<br />

de hábitos sociales islamizados.<br />

Evolución morfológica de las marmitas entre los siglos VII-IX<br />

Pechina (desechos de alfar)<br />

Tolmo<br />

Zambo<br />

I<br />

II


LAS PRODUCCIONES CERÁMICAS CER MICAS DE UN ALFAR<br />

DEL SIGLO XII EN CÓRDOBA C RDOBA (ESPAÑA). (ESPA A).<br />

Al norte del recinto amurallado de al-Sarqiyya se situaba el barrio alfarero más importante de época<br />

islámica en Córdoba, en la zona que actualmente se conoce como avenida de las Ollerías. Allí se ha excavado<br />

recientemente parte de un complejo alfarero fechado en época tardoislámica, en el cual se han documentado<br />

contextos cerámicos muy interesantes, especialmente asociados a vertederos y colmataciones de hornos y de<br />

estancias relacionadas con el funcionamiento del alfar. Junto a atifles y barras de alfar se han recuperado<br />

numerosos defectos de cocción, que aportan una valiosa información sobre los tipos cerámicos que se producían en<br />

Córdoba a finales de época islámica.<br />

Se excavó gran parte de este complejo industrial conformado por un patio que articula una serie de<br />

estancias relacionadas con el proceso de producción y el almacenamiento de la cerámica y seis hornos de<br />

diferentes tipologías, entre los que destacan dos grandes hornos de barras caracterizados por ser de doble cámara,<br />

con ausencia de emparrillado intermedio y disponer de una serie de orificios en la cámara de cocción, que forman<br />

hiladas y albergan rollos de cerámica, a modo de estantes. Respecto a los hornos de menor tamaño, se han<br />

conservado peor y se utilizarían para producciones menores y especializadas.<br />

Cerámica, en su mayoría con defectos de cocción, procedente del vertedero.<br />

Material recuperado en el vertedero.<br />

Otro elemento muy interesante localizado en el patio es un<br />

vertedero de grandes dimensiones, que estaba colmatado con<br />

abundantes desechos de fabricación y fallos de cocción y que ha<br />

proporcionado información sobre el tipo de producción del alfar. Se<br />

recuperaron en su interior numerosas miniaturas defectuosas, entre las<br />

que destaca una gran variedad de jarritos y jarritas. También son<br />

abundantes los jarros y jarras de mediano tamaño, las tapaderas de<br />

cazoleta, candiles de diversas tipologías, ollas y cazuelas, arcaduces y<br />

por supuesto atifles y rollos de alfar. El fallo más común documentado<br />

es que aparezcan las piezas deformadas, en ocasiones formando un<br />

amasijo, y a menudo con grietas.<br />

Elena Salinas Pleguezuelo<br />

Convenio UCO-GMU. Córdoba*<br />

El repertorio formal es bastante completo. Está integrado<br />

por piezas de diferente funcionalidad que presentan unas<br />

características morfológicas y técnicas homogéneas. La mayoría<br />

de las piezas están fabricadas a torno, sus pastas son anaranjadas o<br />

beiges y generalmente aparecen depuradas. Se han identificado<br />

formas utilizadas como vajilla de cocina, como ollas globulares con<br />

el cuello en escotadura o de borde entrante y plano y cazuelas de<br />

paredes curvas y borde biselado o exvasado con pico vertedor;<br />

piezas empleadas en el servicio de mesa, concretamente algunos<br />

ataifores de paredes carenadas y pie anular, ornamentados en<br />

vidriado melado y manganeso, verde y manganeso o cuerda seca<br />

total y redomas piriformes de diferentes tipos, vidriadas o cubiertas<br />

con engalba blanca. Aunque las formas más numerosas son los<br />

jarros y jarras, en ocasiones pintados, entre los que destacan las<br />

jarras de boca ancha y borde biselado, las de paredes finas o los<br />

jarros de pitorro vertedor.<br />

Muchas de las piezas no presentan un acabado o/y ornamentación. Las<br />

cerámicas de cocina aparecen vidriadas en melado al interior y parcialmente al exterior.<br />

También las redomas y los ataifores se acaban con esta técnica. La ornamentación<br />

pintada en rojo o blanco se reserva a los jarros y jarras; la excisa, menos frecuente,<br />

mediante líneas verticales, se aplica en algunos braseros; los motivos sogueados impresos<br />

se utilizan en alcadafes y los motivos lineales o de bandas onduladas incisas en anafes. El<br />

verde y morado o verde y manganeso es habitual en la decoración de ataifores, con<br />

motivos vegetales o zoomorfos; y el blanco y manganeso se utiliza en ataifores de tema<br />

epigráfico. La técnica de la cuerda seca es poco habitual entre los contextos de este<br />

alfar, al igual que sucede con el estampillado. Probablemente ninguna de las dos fue<br />

utilizada aquí. Por último, se documentó un fragmento de esgrafiado con motivos espirales.<br />

Esta técnica escasea en todos los conjuntos cordobeses tardoislámicos estudiados hasta el<br />

momento, por lo que pudiera tratarse de piezas traídas de otros lugares.<br />

La gran mayoría de las formas y técnicas documentadas en este alfar<br />

encuentran paralelos en otros lugares del suroeste peninsular, mientras que otras son<br />

comunes a todo el territorio andalusí. Es importante reseñar que para algunas formas<br />

no se han encontrado paralelos, por lo que podríamos estar ante tipos de ámbito<br />

local. Los tipos, técnicas y ornamentaciones son los característicos de la etapa<br />

almohade, desde segunda mitad del siglo XII hasta el primer tercio del siglo XIII.<br />

El complejo alfarero estuvo funcionando durante la segunda mitad del siglo XII y hasta principios del XIII. La cronología ha sido fijada<br />

a partir del análisis del material cerámico. Gracias al cual sabemos que todos los hornos no se utilizaron al mismo tiempo, puesto que<br />

cada horno tiene un periodo de vida limitado. Así el horno 2 estuvo funcionando en la segunda mitad del siglo XII, mientras que el horno<br />

1 se abandonó en el primer tercio del siglo XIII, probablemente coincidiendo con el momento de la conquista cristiana de Córdoba, en<br />

el año 1236.<br />

Vista general del alfar.<br />

Dos hornos de barras y un horno pequeño.<br />

Existe una gran diversidad de candiles: de piquera alargada, de cazoleta abierta y piquera corta, de pie alto o de disco<br />

impreso; como piezas contenedoras de fuego se han documentado anafes bitroncocónicos y braseros troncocónicos con tres<br />

patas y decoración excisa o gallonada. Relacionados con el almacenamiento existen jarros o cántaros de cuerpo globular y borde<br />

moldurado, con trazos pintados en rojo y orzas globulares con acanaladuras, cuello corto y borde engrosado. Se han recuperado<br />

tapaderas de cazoleta y borde alado y de perfil cónico o hemisférico y pomo central; y alcadafes troncocónicos de borde<br />

engrosado. Entre las miniaturas destaca el amplio ajuar cerámico formado mayoritariamente por jarritos y jarritas y orcitas. Aunque,<br />

sin duda, la pieza más espectacular es la figura antropomorfa, que representa a un músico tocando el atabal. Por último, se<br />

fabricaban también piezas concebidas con un uso hidráulico, como arcaduces de paredes abombadas y base picuda y el utillaje<br />

propio del alfar, como atifles y barras.<br />

A la derecha fallos de cocción<br />

procedentes de colmataciones<br />

de hornos y otros espacios del<br />

alfar.<br />

* Este trabajo se inscribe en el Convenio de Colaboración que el Grupo de Investigación HUM – 236 del Plan Andaluz de Investigación, integrado por todos los miembros del Seminario de Arqueología de la Universidad de Córdoba, mantiene con la Gerencia Municipal de Urbanismo del Ayuntamiento de Córdoba para el estudio de<br />

Córdoba, ciudad histórica, entendida como yacimiento único.


Céramiques chypriotes médiévales glaçurées<br />

dans des collections privées athéniennes<br />

Chryssavgi KOUTSIKOU<br />

Dans des collections privées athéniennes ont récemment été répertoriées des céramiques chypriotes médiévales glaçurées.<br />

Ces objets, très rares dans le marché grec des antiquités, ont été acquis à Chypre dans les années ‘60 et ‘70 ou chez des<br />

antiquaires de l’Europe de l’Ouest, principalement en Angleterre. C’est pour cette raison que les renseignements<br />

concernant le lieu d’origine exact et les données stratigraphiques manquent. Toute datation et toute attribution de ces objets<br />

à un atelier s’effectue donc uniquement d’après la bibliographie.<br />

Le corpus contient 62 objets conservés intacts ou recollés et trois dont une partie du corps manque. Certains représentent<br />

des égratignures sur la base ou la lèvre.<br />

Un nombre considérable parmi ces 62 céramiques sont des coupes qui présentent des caractéristiques communs : pâte brune,<br />

engobe blanc qui couvre l’intérieur de la coupe et s’étale quelques fois à l’extérieur, base annulaire, corps hémisphérique<br />

formant un angle avec les lèvres. Le décor incisé, rehaussé avec des coups de pinceau verts et bruns, comprend des rosaces,<br />

des cercles concentriques, des blasons, des feuillages schématisés. Des lignes parallèles ou des hachures couvrent l’espace<br />

entre les motifs principaux. Cette catégorie date du XIVe siècle, mais son attribution à un atelier précis n’est pas possible (n os<br />

3, 4, 11).<br />

Une grande partie de notre lot provient de l’atelier de Lapithos, dont la production<br />

bien connue s’étend de la fin du XIVe au début du XVIe siècle. Elle présente les<br />

caractéristiques principales de ce type : une pâte fine rose-marron clair, un engobe<br />

blanc qui couvre la partie intérieure comme que la partie extérieure. Quant aux<br />

formes, il s’agit notamment de coupes avec un pied haut et un corps<br />

hémisphérique également haut qui fait un angle avec la lèvre (nos 19, 15). Trois<br />

exemplaires seulement sont des coupelles au corps hémisphérique qui aboutit à<br />

une base annulaire sans l’intermédiaire de pied (n o 13). Le décor, incisé<br />

polychrome aux coups de pinceau verts et bruns, est tracé librement et<br />

rapidement. A l’intérieur de la coupe, il consiste essentiellement en motifs<br />

d’inspiration florale ou géométrique, placés dans un médaillon. Dans les cas où les<br />

coupes portent un décor aussi à l’extérieur, il s’agit de palmettes, de zig-zag, de<br />

lignes parallèles coupées par d’autres lignes ondulées.<br />

Le type des coupes incisées peintes monochromes à base annulaire et corps<br />

hémisphérique qui sont datées de la fin du XVe au début du XVIe siècle est<br />

représenté par deux exemplaires seulement (n o 23).<br />

Bibliographie<br />

P. Flourentzos, A hoard of Medieval Antiquities from Nicosia, Nicosia 1994.<br />

D. Papanikola-Bakirtzi, Μεσαινωική εφυαλωμένη κεραμική της Κύπρου. Τα εργαστήρια Πάφου και Λαπήθου,<br />

Thessalonique 1996.<br />

D. Papanikola-Bakirtzi, Colours of Medieval Cyprus. Through the Ceramic Collection of the Leventis Municipal<br />

Museum of Nicosia, Nicosia 2004.<br />

Y. Violaris, Excavation at the site of Palaion Demarcheion, Lefkosia, Cahier du Centre d’Etudes Chypriotes<br />

34, 2004, 69-80.<br />

M.-L. von Wartburg, Chronology and stratigraphy of the Medieval Pottery of Cyprus: a critical review,<br />

Canak. Late Antique and Medieval Pottery and Tiles in Mediterranean Archaeological Contexts, Byzas 7, 419-<br />

440.

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