U cuntu. Un racconto dal Sud 2008-2011 - Fondazione Nesi
U cuntu. Un racconto dal Sud 2008-2011 - Fondazione Nesi
U cuntu. Un racconto dal Sud 2008-2011 - Fondazione Nesi
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Riccardo Orioles<br />
'U <strong>cuntu</strong><br />
un <strong>racconto</strong> <strong>dal</strong> <strong>Sud</strong><br />
<strong>2008</strong>-<strong>2011</strong><br />
mardiponente
mardiponente
Riccardo Orioles<br />
'U CUNTU<br />
<strong>Un</strong> <strong>racconto</strong> <strong>dal</strong> <strong>Sud</strong><br />
<strong>2008</strong>-<strong>2011</strong><br />
www.u<strong>cuntu</strong>.org
10 aprile <strong>2008</strong><br />
ELEZIONI/ CHI LE VINCE CHI LE PERDE CHI NON CI STA<br />
La mafia è unita, l'antimafia è divisa. Perché i nostri politici non riescono<br />
a capire che sull'antimafia qui in Sicilia (e forse ormai non solo) si decide<br />
tutto? Comunque vadano queste elezioni, cominciamo a preparare le<br />
prossime. A partire da Zen, San Cristoforo e Librino, UCuntu nasce per<br />
questo: antimafia + internet + politica <strong>dal</strong> basso.. Coraggio, in fondo si<br />
tratta solo di lavorarci per qualche anno...<br />
Chi vincerà le elezioni? Boh. Chi le perderà? Sicuramente noi, anzi le<br />
abbiamo già perse. Il partito dell'antimafia (che una volta in Sicilia si<br />
chiamava Pci, poi Siciliani, poi rete, poi società civile, ma in fondo era<br />
sempre la stessa cosa) in queste elezioni non c'è. Orlando, Lumia,<br />
Borsellino, Crocetta, Fava e tutti gli altri non sono riusciti a mettersi<br />
insieme seriamente e noi della base, <strong>dal</strong> canto nostro, non siamo riusciti a<br />
costringerli a farlo.<br />
Politica tradizionale, dunque, coi faccioni “Per <strong>Un</strong> Futuro Migliore"<br />
appesi ai muri, e la mafia tranquilla.<br />
Dal lato di Berlusconi la mafia è una cosa simpatica, o almeno non tanto<br />
cattiva (“Mangano è stato un eroe”).<br />
Dal lato di Veltroni bisogna stare attenti ai “professionisti dell'antimafia"<br />
(come dice Salvo Andò, che ha stilato il programma”). Lontanissimi i tempi<br />
del Rita Express, della mobilitazione giovanile per Rita Borsellino.<br />
Eppure, a Catania e a Palermo, di antimafia “politica” se ne poteva fare.<br />
A Palermo la fine di Cuffaro è stata accelerata da una bella mobilitazione<br />
popolare, coi giovani persino di destra schierati contro di lui. Ma nessuno<br />
dei nostri politici se n'è accorto. A Catania è ormai il secondo anno che a<br />
San Cristoforo e a Librino (il Gapa, la Periferica) ci sono interventi forti e<br />
radicati. Ma nessuno, anche in questo caso, ha voluto “far politica” a partire<br />
da questo. Si è scelto il terreno perdente (ma rimunerativo per i singoli)<br />
della politica tradizionale.<br />
Vincerà Berlusconi? Fascismo.<br />
Vincerà Veltroni? Industriali.<br />
Vinceranno tutt'e due? Certo, non è la stessa cosa avere un mafioso<br />
dichiarato e pimpante come dell'Utri o un semplice amico di mafiosi come<br />
Crisafulli. Però, ripetiamo, noi comunque perdiamo.
Per questo stiamo cominciando a preparare le prossime elezioni, quelle di<br />
dopo il Duce, fin da ora. Non sappiamo se saranno elezioni tradizionali (può<br />
darsi che le aboliscano, sostituendole con liste uniche e plebisciti) oppure<br />
no, certo è che se qualcuno non comincia umilmente e da subito a preparare<br />
la nuova politica niente cambierà mai.La nuova politica? Sappiamo una sola<br />
cosa di essa, che non sta in via Ruggero Settimo o via Etnea ma a Librino, a<br />
San Cristoforo, allo Zen.<br />
Certo, non sarà facile tirarla fuori da lì.<br />
Ci vorranno degli anni. Noi cominciamo ora.<br />
E U<strong>cuntu</strong>? Che vuol dire? Beh, potrebe essere un nuovo programma<br />
Linux, o un pastore sardo, o una parola swaili che significa “kwelli-chenonvogliono-<br />
darla-vinta-agli-stronzi-cheprendono- per-il-kulo-la-gente”).<br />
Oppure potrebbe significare “il <strong>racconto</strong>”, in siciliano. Racconto di che?<br />
Beh, ce ne sono di cose, <strong>dal</strong>le parti nostre, da raccontare.<br />
(Ah, e Casablanca? È ancora lì, momentaneamente ingrippata. La stiamo<br />
spingendo per farla rimettere in moto, come una vecchia cinquecento che<br />
alla fine riparte scoppiettando e ti porta dove vuoi. Certo che è un casino,<br />
fare informazione libera qui in Sicilia.<br />
Se gli antimafiosi fossero uniti e decisi come i mafiosi, a quest'ora<br />
Casablanca uscirebbe ogni giorno, su carta d'oro).
1 maggio <strong>2008</strong><br />
APRILE IN UNA CITTÀ DEL SUD<br />
La maestrina, il comandante, il professore: lottarono contro i nazisti<br />
senza averne paura. I giudici, i giornalisti, gli antimafiosi: la mafia ha<br />
potuto ucciderli, ma non farli arretrare. Non sono in molti, in questa<br />
stagione, a ricordarsi di loro. Non molti: però abbastanza per continuare<br />
L'uomo che parlava, un partigiano, era molto vecchio e la voce usciva<br />
piano <strong>dal</strong> microfono. Raccontava. La guerra, l'otto settembre, il re che<br />
scappa, i tedeschi, la montagna. Parlava lentamente, ma senza esitazioni, e<br />
si sentiva abbastanza bene perché, nella grande piazza, c'era un silenzio<br />
teso.<br />
A un certo punto ha cominciato a dire i nomi dei siciliani, di quelli che in<br />
quel momento ci avevano reso onore. <strong>Un</strong>o era un ufficiale dell'esercito,<br />
aveva scatenato la guerriglia e alla fine era diventato – lui, siciliano – il<br />
comandante di tutti i partigiani del Piemonte. <strong>Un</strong>a era una maestrina, una<br />
ragazza, presa mentre portava i messaggi dei partigiani.<br />
Torturata, ammazzata: ma non ha parlato.<br />
<strong>Un</strong> altro un professore di liceo, morto nel lager ma mai arreso agli<br />
aguzzini.<br />
Il vecchio raccontava questi nomi - comandante Barbato, Graziella<br />
Ligresti, professor Salanitro - e la voce del vecchio, senza che lui lo volesse,<br />
si faceva più alta e più allegra. Allegra, sì: questi – diceva senza dirlo,<br />
mentre raccontava i dolori – questi siamo noi siciliani. Noi siamo quel che<br />
siamo, ci conosciamo benissimo, voi ed io; ma siamo anche capaci di tirar<br />
fuori <strong>dal</strong> nostro interno, quando l'orrore sembra invincibile, della gente così:<br />
il comandante, la maestrina, il professore.<br />
Gente che sa resistere, che sa morire se occorre, che alla fine vince.<br />
E questa serenità si spargeva per la piazza: non più una giornata<br />
d'orgoglio, un tener duro, ma una giornata felice, di buon cammino, di inizio<br />
di qualcosa.<br />
La sera, dei giovani hanno parlato di libera informazione. Anche nel resto<br />
d'Italia se n'è parlato, ai meeting di Beppe Grillo; ma qui eravamo in Sicilia,<br />
nell'isola degli otto giornalisti ammazzati, e dunque qui si volava ben più in<br />
alto.<br />
Non c'era bisogno di urlare forte, di gridare “vaffanculo”. Bastavano i
nomi e le storie – anche queste resistenziali – per dire tutto ciò che c'era da<br />
dire e, anche qui, per indicare una strada. Lavorare insieme, fare<br />
informazione moderna e onesta, non mescolarsi mai coi padroni, costruire.<br />
“Non ci sarà mai una notte così lunga che alla fine non si veda il giorno”.<br />
E tutti hanno annuito convinti. E in realtà non servivano altre parole.<br />
Questo è stato il nostro venticinque aprile, in una città del sud che è<br />
Catania e in cui per il momento comandano ancora i padroni.
23 maggio <strong>2008</strong><br />
LA RETE E L'ANTIMAFIA DI OGNI GIORNO<br />
<strong>Un</strong> quarto sono soggetti alla mafia, un quarto la combattono attivamente,<br />
gli altri non hanno ancora capito di che si tratta. Il problema della mafia –<br />
del sistema mafioso – è sostanzialmente la disinformazione. Il lavoro<br />
nostro, fare informazione. L'informazione non si fa nel ghetto – non serve a<br />
niente. Si fa in rete, facendo insieme e puntando a raggiungere –<br />
ambiziosamente - tutti<br />
I siciliani antimafiosi, nel giorno di Falcone, fanno manifestazioni e<br />
ricordi, dispiaciuti perché Falcone non c'è più. Sono circa un quarto della<br />
popolazione.<br />
I siciliani mafiosi, che sono più o meno altrettanti, festeggiano fra di loro<br />
e ne hanno buoni motivi: è stato cancellato il principale apporto giuridico di<br />
Falcone (l'unitarietà di Cosa Nostra, con tutto ciò che ne consegue), è stato<br />
riportato in Cassazione il giudice che dava a Falcone del credino (il giudice<br />
Carnevale), è stato trionfalmente eletto un governo che considera eroe,<br />
invece di Falcone, un “uomo di panza” che ha eroicamente rispettato<br />
l'omertà, il grande Mangano.<br />
E i siciliani mezzi-mezzi, la maggioranza, quelli che non hanno il cinismo<br />
di appoggiare la mafia ma neanche il coraggio di combatterla? Per loro, il<br />
problema principale è l'ignoranza. “Mi faccio i fatti miei”. Non hanno la<br />
minima idea di quanto il sistema mafioso gli ruba individualmente ogni<br />
giorno, in termini di denaro. Non sospettano che potrebbero essere, se non<br />
ricchi, almeno benestanti, in una regione ricca come questa, se non ci fosse<br />
la mafia.<br />
Sono onestamente convinti che mafia e antimafia siano questioni ideali (e<br />
dunque, per la cultura paesana, irrilevanti) e non materiali. “Mi faccio i fatti<br />
miei”.<br />
L'informazione mafiosa, che un tempo serviva a dire “la mafia non<br />
esiste”, adesso serve a dire che la mafia esiste sì ma è una cosa che riguarda<br />
solo mafiosi e giudici e non la gente normale. <strong>Un</strong>a cosa da diavoli o da eroi,<br />
insomma. Buona per i dibattiti e le fiction, ma non per la vita normale.<br />
Perciò il lavoro principale che c'è da fare oggi in Sicilia è principalmente<br />
d'informazione. Non solo sulle notizie delle singole malefatte (il che è già<br />
tanto, perché qui i malfattori comandano ai giornali), ma soprattutto sul
quadro generale, sull' “atmosfera”, sui problemi concreti che vivere in un<br />
paese mafioso comporta anche per chi non pensa a ribellarsi.<br />
Non lo si può fare alla meno peggio (raccontare una società è un lavoro<br />
abbastanza complesso) e non lo si può fare a suon di slogan (non c'è un<br />
prodotto da vendere ma una mentalità da trasformare). Però, quando si<br />
riesce a farlo come Dio comanda, funziona. È stato così che a Palermo per<br />
alcuni anni ha avuto assai peso l'antimafia e a Catania si è riusciti a<br />
scacciare i cavalieri.<br />
Questo lavoro, i grossi giornali non lo faranno mai: non puoi fare un<br />
grosso giornale senza avere grosse imprese alle spalle; e nessuna grossa<br />
impresa, ormai,può sopravvivere senza far patti col diavolo (il caso<br />
Repubblica a Catania insegna). I giornali piccoli (come noi) possono tentare<br />
di farlo sì, ma, salvo eccezioni, possono concludere poco (e le eccezioni si<br />
pagano con vite umane).<br />
E allora chi? I giornali piccoli, magari piccolissimi (tipo quello che puoi<br />
fare anche tu, nella tua scuola o nel tuo paese) però in rete: scambiandosi le<br />
notizie, organizzandosi insieme, e usando per tutto questo l'internet, cioè la<br />
rete più rete di tutte. Questo richiede tempo, richiede pazienza a non finire<br />
(tenere insieme dei siciliani, con rete o senza, è un'impresa da Giobbe,e ne<br />
sappiamo qualcosa), però, tutto sommato, può funzionare.<br />
In una rete di questo tipo bisogna lavorare molto: certo, è più divertente<br />
che sotto padrone (non è mai divertente lavorare per qualcun altro) ma il<br />
problema è che l'obbiettivo è molto alto: non si tratta di fare una cosa<br />
simpatica per sentirsi appagati, ma di far concorrenza ai giornali dei<br />
padroni, con l'obiettivo finale di spazzarli via <strong>dal</strong> mercato e dare<br />
un'informazione libera alla maggior parte della gente. Non un'operazione di<br />
nicchia (o di ghetto), insomma, ma il tentativo consapevole di costruire<br />
un'egemonia.<br />
Fra vent'anni, Peppino Impastato dovrà pesare molto di più di Berlusconi,<br />
come comunicazione di massa. “Si, vabbè...” dici tu. Eppure, trent'anni fa,in<br />
Italia le radio di base sono arrivate molto prima di Mediaset; e non erano<br />
poche: duecentocinquanta, in tutta Italia, con una copertura globale non<br />
indifferente.<br />
E allora com'è che ha vinto Berlusconi?<br />
Per tre motivi precisi: 1) erano ognuna per conto suo, e Radio Firenze –<br />
ad esempio – non sapeva cosa faceva Radio Aut a Cinisi; 2) non parlavano<br />
in italiano (cioè la lingua che usano gli italiani) ma in politichese, perché i
loro leader così si sentivano più importanti; 3) non capivano che stavano<br />
usando delle radio libere – cioè una cultura e una tecnica completamente<br />
nuove – e non dei ciclostili o dei bollettini di partito.<br />
Così Peppino è rimasto solo.<br />
* * *<br />
Adesso la situazione è sostanzialmente la stessa. Tanti gruppi diversi<br />
(moltissimi che stanno internet) ma ognuno per conto suo. Tanti linguaggi<br />
“ideologici” (cioè del ceto medio acculturato) e pochissimo intervento nei<br />
quartieri. Tanti siti, blog, giornaletti e giornali, ma tutti rassegnati alla<br />
solitudine, ad essere voci locali e non anelli di rete.<br />
Bene, tutto ciò non vuol dire niente, non c'è nulla d'irreparabile. Dipende<br />
tutto da noi, esclusivamente da noi.<br />
Certo, a volte verrebbe voglia di sbattersi la testa al muro. Casablanca<br />
chiusa per mandanza di poche migliaia di euri, Graziella Proto lasciata sola<br />
– <strong>dal</strong>la sinistra illustre, ma anche da un po' di società civile isolana – a<br />
combattere la sua guerra, come se fosse stata una guerra sua personale. E<br />
anche ora, qui a Catania, almeno due (forse tre, non si sa ancora) liste<br />
distinte della società civile locale, ognuna per sé e Dio per tutti.<br />
Credo che pure Giobbe bestemmierebbe.<br />
Però, tutto sommato, avrebbe torto.<br />
In fondo, si tratta solo di problemi di crescita. C'è molta più unità che<br />
negli altri anni (le legnate quantomeno servono a questo); “Facciamo un<br />
giornalerete tutti insieme” ormai suscita solo dei “Sì però” perplessi e non<br />
dei “No!"<br />
secchi e brutali come qualche anno prima.<br />
Ci sono degli ottimi gruppi di quartiere, e l'ultima generazione di ragazzi<br />
– se non la rovinano i vecchi – sta crescendo bene. Persino qui alle elezioni,<br />
che sono la cosa più avida e avara che ci sia, è mancato solo un pelo a fare<br />
la lista unica di base, e non è detto che la prossima volta non ci si riesca.<br />
“Last but not least”, fra un paio di settimane Graziella raddoppia le forze,<br />
in quanto fra poco nasce la nipotina.<br />
Pensate: se è stata capace di far tanta battaglia da sola, con Casablanca e<br />
col resto, che diavolo riuscirà a combinare quando le donne Proto, alla<br />
faccia di tutto, saranno in due? State in campana, amici, mi sa che la vera<br />
partita comincia ora. Finora abbiamo solo scherzato...
6 giugno <strong>2008</strong><br />
SI VOTA NELLA CITTÀ DELLA MEZZA DEMOCRAZIA<br />
Come si fa a votare in una città in cui di un affare in corso si dice tutto<br />
meno il nome dell proprietario e la stampa nasconde i candidati scomodi<br />
dicendo – come dice Ciancio per Cllaudio Fava – che li censura “per<br />
ragioni personali”?<br />
"Firmato a Palazzo degli Elefanti, l’accordo di transazione tra il Comune<br />
e i proprietari dell’area di corso Martiri della Libertà. Alla cerimonia erano<br />
presenti, oltre al commissario straordinario Vincenzo Emanuele, il<br />
presidente della Regione Raffaele Lombardo, il prefetto Giovanni Finazzo,<br />
il rappresentante della Questura prefetto Anzalone, l’ex sindaco Umberto<br />
Scapagnini, l’ex vicesindaco Giuseppe Arena, l’ex assessore all’Urbanistica<br />
Enzo Oliva, il senatore Raffaele Stancanelli, il comandante provinciale della<br />
Guardia di Finanza Agostino Sarrafiore, l’avvocato Silvestro Stazzone in<br />
rappresentanza della proprietà, l’avvocato Andrea Scuderi, advisor della<br />
proprietà, rappresentanti delle altre forze dell’ordine e del mondo<br />
imprenditoriale, economico e degli ordini professionali di Catania...".<br />
Il comunicato stampa del Comune di Catania dà notizia del "firmato<br />
accordo fra il Comune e i proprietari dell'area di corso Martiri della<br />
Libertà", con annessa pubblica cerimonia. L'area in questione è l'ultimo<br />
pezzo dello sventramento di Catania, rimasto incompleto per varie traversie<br />
e senz'altro il più grosso boccone ancora disponibile per i costruttori<br />
catanesi.<br />
Il comunicato elenca diligentemente tutti i partecipanti alla cerimonia. Il<br />
presidente, il prefetto, il senatore, il questore, il sindaco (ex), il<br />
"rappresentante della proprietà", l'"advisor" della proprietà e i rappresentanti<br />
"del mondo imprenditoriale, economico e degli ordini professionali di<br />
Catania".<br />
L'unica cosa che manca, e che non viene accennata mai neanche per<br />
sbaglio, è *chi è* la proprietà. Ciancio?<br />
Famiglia Rendo? Altri cavalieri?<br />
Vaticano (come in origine)? E chi lo sa.<br />
È come dare la locandina dell'Amleto con i nomi di tutti, meno che del<br />
regista e di Amleto. Amletico, veramente.<br />
Comunque, con evidenza, il Grande Affare comincia.
Sarà - come abiamo visto - clandestino, come tutti gli affari di Catania,<br />
perché in città manca l'informazione.<br />
Adesso, per esempio, ci sono le elezioni ma "La Sicilia" ignora<br />
completamente alcuni e appoggia arbitrariamente altri.<br />
Sono elezioni vere, quelle in cui i mezzi d'informazione nascondono ai<br />
cittadini una parte dei candidati? E non succede solo stavolta, o solo per<br />
caso. Sentiamo cosa afferma pubblicamente Ciancio, il padrone de "La<br />
Sicilia", il 24 marzo 2007: "È vero. Il suo nome non lo pubblico [si parla di<br />
Claudio Fava, n.d.r.] perché mi insulta ogni minuto. Nessuno mi può<br />
obbligare a farlo. E se il giudice mi condanna, presento appello... Ma scriva<br />
che tutto ciò accade per ragioni personali dell'editore, no, anzi, del<br />
direttore".<br />
Ecco. La libertà d'informazione, a Catania, è solo una "questione<br />
personale".<br />
Votate, ma ricordatevi che non sono elezioni libere. Sono elezioni in una<br />
città di mezza democrazia.
18 giugno <strong>2008</strong><br />
LA SINISTRA PESTATA E IL PARTITO DEI POVERI CHE NON C'È<br />
Crolla la sinistra in Sicilia e stravincono i peggiori. Tre quarti degli<br />
elettori votano per i successori ed emuli di Cuffaro. Moltissimi non votano<br />
per niente. È solo una faccenda “politica”? O il guasto è ancora più in<br />
fondo? Di chi è la colpa? E soprattutto: adesso, che cosa bisogna fare?<br />
Io non credo che Falcone sia un cretino come dice l'autorevole giudice<br />
Carnevale.<br />
Mi dispiace sinceramente che l'abbiano ammazzato, e così per Borsellino,<br />
Livatino e gli altri. Io penso che i giudici siano meglio dei mafiosi e per me<br />
l'eroe non è Mangano ma Borsellino.<br />
Mi dispiace che un sacco di esseri umani siano annegati in mare <strong>dal</strong>le<br />
parti nostre (quasi quattrocento, dicono i giornali) mentre io andavo a<br />
votare, e questo perché la legge dice che devono venire di nascosto. Mi<br />
dispiace che fra loro c'erano così tanti bambini. Mi fa schifo la gente come<br />
Bossi che ha detto tante cose schifose contro i meridionali, e preferirei<br />
crepare piuttosto che allearmi con lui.<br />
Rido in faccia a quelli del partito di Scapagnini, che prima si sono<br />
mangiati mezza Catania (manco pagavano le bollette per i lampioni) e poi<br />
sono venuti a cercaci il voto come se niente fosse.<br />
Non ce l'ho con gli zingari, coi negri, con gli ebrei e coi gay, ce l'ho solo<br />
coi delinquenti e chi gli tiene mano. Non credo che Roma sia come Kabul<br />
da mandarci i soldati. Non credo che bisogni cancellare tutti i reati fino al<br />
2002. Credo che bisogna dare più mezzi a polizia e carabinieri (adesso,<br />
manco i soldi della benzina) per prendere i delinquenti davvero e non farci<br />
chiacchiere sopra. Credo che chi fa cose sporche debba finire in galera,<br />
piccoli e grossi, comprese le più alte autorità se fanno reati. Non ho paura<br />
degli scippatori, ce l'ho di quelli che danno fuoco agli operai o ammazzano<br />
la gente nelle cliniche private.<br />
Siamo in pochi in Sicilia a pensarla così, a quanto pare. E va bene. Ma io<br />
un domani non voglio essere confuso con tutti quegli altri siciliani che si<br />
vedono ora. <strong>Un</strong> popolo ignorante e poverissimo, com'eravamo in Sicilia fino<br />
all'altra generazione, giustificazioni ne aveva moltissime, finché la miseria è<br />
durata. Ma gente coi telefonini e le automobili, coi satellitari ai balconi e le<br />
magliette firmate, di giustificazioni non ne ha più.
Perciò ora ciascuno individualmente si prenda le sue responsabilità - io mi<br />
prendo le mie - perché domani chi verrà dopo di noi ci giudicherà<br />
freddamente e con attenzione.<br />
* * *<br />
In Sicilia, la sinistra non è mai stata pestata come ora. I giochi e le<br />
stupidaggini che erano consentiti prima ora non sono possibili più. Nessuno<br />
deve più venire a dire “io corro da solo”. Nessuno deve più dire “io sono<br />
democratico, io sono di sinistra” per far politica a vantaggio esclusivo della<br />
propria classe sociale, la media e a volte non tanto media borghesia.<br />
Sinistra, come in passato, dev'essere il partito dei poveri, prima di ogni altra<br />
cosa. Si può ripartire solo da qui. “Io l'avevo detto” non serve a niente, non<br />
è il momento. Si può ripartire dai quartieri, <strong>dal</strong>l'impegno di base,<br />
<strong>dal</strong>l'informazione.<br />
È una strada lunga e difficile, e non per tutti. Chi vorrà prenderla, si<br />
decida ora.
26 giugno <strong>2008</strong><br />
VOTARE SEMPRE IN MASSA IL PEGGIO CHE SI PUÒ TROVARE<br />
In Italia senza i voti dei siciliani non solo non avrebbe vinto Berlusconi,<br />
ma neanche Andreotti sarebbe mai riuscito a diventare ciò che è diventato<br />
(in fondo la prima Repubblica l’ha ammazzata lui)<br />
Senza i dc siciliani (400mila negli anni ’60) la Dc sarebbe rimasta un<br />
pacifico partito perbene guidato da Fanfani e Moro, Andreotti sarebbe<br />
rimasto un notabile laziale e Berlusconi, più avanti, sarebbe finito in galera<br />
per reati minori o sarebbe rimasto al massimo una specie di Ricucci con più<br />
parlantina. E invece no. Nei momenti decisivi, i siciliani hanno votato in<br />
massa per il peggio che si trovava, inguaiando così non soltanto se stessi ma<br />
anche tutti gli altri italiani.<br />
Dunque Sicilia indipendente e libera, e magari - per qualche colpo di<br />
fortuna - via anche varesotti e veneti, i primi unitisi alla Svizzera e i secondi<br />
alla rinata Austria-<strong>Un</strong>gheria. E quindi elezioni fra gente seria, che non si<br />
vende il voto e non dà in escandescenze per gli immigrati. (E Roma? Boh,<br />
nel frattempo se la potrebbe essere ripresa il papa, così alle elezioni italiane<br />
non votano neanche loro). Milano, fra Albertini e Moratti, se la sarebbero da<br />
tempo comprata i giapponesi: voterebbe per la prefettura di Osaka, non<br />
certo per le elezioni italiane. Non credo che la camorra permetterebbe<br />
elezioni tranquille a Napoli, e questo potrebbe essere il pretesto per non far<br />
votare neanche i napoletani (e, a maggior ragione, calabresi e affini).<br />
Ecco, a questo punto potrebbero anche vincere le sinistre, alle elezioni<br />
italiane. Si richiamerebbe Prodi, si rimetterebbe a posto l’economia, si<br />
tornerebbe a rivincere i mondiali di calcio, si rimanderebbe al porcile<br />
Calderoli e si nominerebbe Zanotelli ministro degli esteri e Dario Fo<br />
dell’istruzione. E poi, con tutto comodo, si lascerebbero tornare a casa i<br />
secessionisti, che avrebbero avuto il tempo di girare un po' di mondo e<br />
dunque di ricordarsi come si stava bene in Italia.<br />
(E se, alle prime elezioni siffatte, dovesse vincere non diciamo Veltroni -<br />
che fisiologicamente non può farlo - ma un altro destro di sinistra tipo<br />
Cofferati? Beh, in tal caso tutta la brillante analisi precedente non vale un<br />
soldo e bisognerà tristemente ritornare a Berlusconi, Andreotti e<br />
compagnia).
26 giugno <strong>2008</strong><br />
ORIOLES: “VI RACCONTIAMO CHE COSA È UCUNTU”<br />
Cosa vuol dire fare informazione antimafia oggi?<br />
Non permettere alla gente di adagiarsi nella normalità della mafia. La<br />
mafia oggi è "normale". Non che tutto sia mafia (neanche ai tempi del<br />
fascismo tutto era fascismo). Ma la mafia fa ormai parte a pieno titolo delle<br />
basi culturali ed economiche del Paese. E politiche, ovviamente.<br />
- Per esempio?<br />
Per esempio, abbiamo al governo un partito che prima delle elezioni ha<br />
pubblicamente chiesto i voti della mafia (il "Mangano eroe" di Dell'Utri è<br />
stato trasparentemente questo). Si può far finta di non saperlo, certo, così si<br />
dorme meglio. Anche bravissima gente come Gronchi o Croce, all'inizio,<br />
non voleva capire che Mussolini non era la solita destra ma un'altra cosa. E<br />
questo cambiava tutto. Cambia tutto.<br />
- Perché è così difficile avere un giornale o una rivista che racconti la<br />
verità in Sicilia?<br />
Perché non la verità non è solo che si sono dei delinquenti, ma che questi<br />
delinquenti sono indispensabili al sistema.<br />
Perciò puoi denunciare il singolo episodio, ma non il contesto "normale"<br />
in cui si colloca. Puoi fare "fiction" (romantica, folkloristica, comunque<br />
"strana") ma non cronaca e analisi della normalità - Come si comporta la<br />
politica nei confronti dell'informazione verità?<br />
Come vuoi che si comporti. In certi casi ti sparano. In certi altri ti mettono<br />
il bavaglio (è di questi giorni la condanna di Carlo Ruta per il suo sito).<br />
Ti lasciano alla fame. Oppure ti comprano, se ce la fanno. Da un certo<br />
livello in poi, la "politica" - come la chiami tu - non è mai indifferente. O ti<br />
sostiene (ma è un caso rarissimo) o ti dà addosso.<br />
- Sinistra compresa?<br />
No, è una fesseria dire che sinistra e destra sono uguali. Storicamente,<br />
l'antimafia nasce di sinistra.<br />
Conquista uno schieramento più ampio solo negli anni Ottanta, con la<br />
Rete. È che la sinistra di ora, degli ultimi vent'anni, è una sinistra brodosa.<br />
Non è che Bertinotti o Veltroni non parlino bene dell'antimafia.<br />
Ma la lasciano sola. A noi, almeno, è capitato così.<br />
- Pensi a Casablanca, il giornale che avete fatto con Graziella Proto?
Anche. Ma Casablanca è solo l'ultimo episodio. Coi Siciliani è stato così,<br />
con Avvenimenti... La sinistra ufficiale, quella che conta, con noi è sempre<br />
stata amichevole, a parole. Nei fatti ci ha abbandonato. Ma lasciamo perdere<br />
queste cose. Parliamo di ora.<br />
- Cos'è questo UCuntu? Ho visto il sito, pare strano...<br />
- UCuntu (www.u<strong>cuntu</strong>.org) è una sperimentazione, un progetto-pilota<br />
che se Dio vuole nei prossimi mesi potrebbe anche diventare importante.<br />
Ha una caratteristiche precise: comprende un giornale vero e proprio, un<br />
magazine neanche tanto male.<br />
- Beh, mica è l'unico, su internet...<br />
Certo. Però il nostro non è basato sul web (anche) ma sul pdf. <strong>Un</strong><br />
magazine come tutti gli altri, solo che non è stampato. Lo leggi in internet<br />
e...<br />
- Leggo un sacco di cose, su internet...<br />
Ok, questo però: a) lo leggi in maniera particolare, molto più semplice,<br />
molto più naturale, grazie al formato issuu.com - guarda qua, come scorre -<br />
e b) te lo puoi stampare tranquillamente a casa tua.<br />
- Stampare?<br />
Certo. È ottimizzato per la stampa su una laser di casa. Immagina che le<br />
laser vengano a costare un bel po' meno di ora (che già non costano poi<br />
tanto). Immagina che la carta da laser diventi più economica, diciamo a un<br />
paio di euri la risma. Immagina che...<br />
Beh, insomma immagina che a un certo punto il giornale, invece di uscire<br />
<strong>dal</strong>la redazione, andare in tipografia, uscire <strong>dal</strong>la tipografia, prendere un<br />
camion e correre fino all'edicola sotto casa tua, faccia il percorso più<br />
semplice redazione-casa tua - stampante: non sarebbe tutto più semplice? E<br />
meno costoso, anche. A questo punto persino noi poveracci ce la<br />
giocheremmo alla pari coi Grandi Imbonitori.<br />
- Si, ma quando?<br />
Presto. Già tutti i grossi giornali si attrezzano con le ultimore in pdf. La<br />
tecnologia è già abbastanza matura. Il NYTimes dice che fra cinque anni<br />
non sa se stampa ancora in tipografia. Si muove tutto abbastanza in fretta. Io<br />
azzarderei che la home-press (chiamiamola così, tanto per sentirci<br />
importante) sarà al 10-15 per cento fra due anni e al 40-50 per cento fra<br />
cinque.<br />
- A Catania?<br />
Dappertutto. D'altronde, il nostro progetto è nazionale; qui stiamo
semplicemente sperimentando, con le forze che abbiamo. Ma se faccende<br />
com UCuntu cominciassero a uscire un po' dappertutto - quest'estate<br />
prevediamo di farne spuntare una a Napoli, una in Puglia e una a Roma - la<br />
partita comincerebbe a essere interessante.<br />
- E tu che ci guadagni.<br />
Niente. <strong>Un</strong> sacco. Niente soldi, un sacco di soddisfazione. È da diversi<br />
anni che lavoriamo (non da solo, con gente come Carlo Gubitosa o<br />
Rossomando & Feola, per esempio) a questo tipo di cose, a questo progetto.<br />
È un progetto bello, democratico.<br />
Permetterebbe di scrivere professionalmente a un sacco di ragazzi che ora<br />
sono costretti o a starsene zitti o ad andarsene a fare i precari <strong>dal</strong> ciancio<br />
della loro città. Io ho visto crescere un sacco di giovani giornalisti, a<br />
Catania, a Napoli, a Roma... Ne vedo crescere ancora, è il mio mestiere.<br />
Crescere e venire normalizzati o messi fuori, uno dopo l'altro, perché<br />
disturbano i padroni. Fra qualche anno potrebbe non succedere più. Fra<br />
qualche anno potrebbe esserci una rete di giovani giornalisti, in giro per<br />
questo paese.<br />
- Ma come si fa a fare un giornale come UCuntu da qualche altra parte?<br />
Semplice: basta scriverci. Noi mandiamo le gabbie-base da riempire, e<br />
uno ci mette quello che vuole. Il trucco è che le gabbie sono semplicissime<br />
da utilizzare, anche un ragazzo riesce a impaginare così. Non sono XPress,<br />
InDesign e roba del genere (che poi costano un pacco di soldi). Sono<br />
puramente e semplicemente dei files .odt creati con un semplice word<br />
processor, Open Office: uno dei nostri ragazzi è riuscito a trovare lo sgamo<br />
per utilizzarlo come dtp, e funziona bene. E Open Office lo scarichi<br />
liberamente <strong>dal</strong> suo sito, perché è free software. Fra 3-4 mesi mettiamo in<br />
giro (gratis) il dvd con le gabbie base, Open Office, una libreria di disegni,<br />
una di foto. A quel punto se non riesci a farti da te un buon giornale è perché<br />
proprio non hai un cazzo da dire, non perché non si può fare...<br />
- Bello. Ma con l'antimafia che c'entra?<br />
C'entra tutto, perché l'antimafia, l'antimafia seria, non quella di festa, è<br />
essenzialmente democrazia. E democrazia è essenzialmente diritto di<br />
parlare. Non blaterare e basta, gridare viva e abbasso da qualche parte.<br />
Parlare seriamente, autorevolmente, con cifre e dati. Professionali. Non<br />
sono solo i padroni a poterlo fare.<br />
Domani, fra tecnologia e creatività, potremo farlo anche noi.<br />
- Ma la gente, l'informazione, la vuole o non la vuole? A volte pare che
invece voglia il grande fratello, le veline?<br />
A volte lo penso anch'io. Ma vedi, non c'è niente di male: basta che sia<br />
divertimento, e non rincoglionimento programmato. A Torino gli operai<br />
leggevano il giornale di Gramsci, e leggevano i feuilletton di Carolina<br />
Invernizio, per esempio. Gramsci doveva fare le corse per cercare di non<br />
esser meno palloso del romanzetto a puntate. Quando ci riusciva, allora gli<br />
operai mettevano in modo il cervello e nel giro di due mesi ti occupavano la<br />
Fiat.<br />
- Qual è il futuro dell'informazione antimafia?<br />
Mah. Qualcosa del genere che abbiamo detto, inutile girarci attorno.<br />
Sopravviveranno strumenti utili come Antimafia Duemila, come<br />
Narcomafie, forse qualcun altro. Ma il grosso del lavoro (l'antimafia sociale,<br />
dice qualcuno; e io aggiungerei: l'antimafia allegra) dovrà farlo qualcun<br />
altro, con strumenti veramente moderni, internet più stampante di casa. Più -<br />
forse - free-press di tipo nuovo; ma questo è un discorso in più, e<br />
abbastanza complicato.<br />
- Ma perché non c'è unione, ma parecchie voci disperse e frammentate in<br />
Italia, che scrivono e lottano contro la criminalità organizzata?<br />
Beh, da un lato è fisiologico, e da un certo punto di vista (nell'antimafia<br />
gli stronzi sono pochi: quelli che non mancano magari sono quelli un po'<br />
vanitosi...) è anche positivo. Nella sinistra dell'avvenire bisognerà stare<br />
attentissimi ad avere tante teste diverse, tante critiche, tante idee: il<br />
monolitismo è esattamente ciò che ci ha fottuti, e non noi solamente, nel<br />
Novecento. Però c'è anche il fatto che non ci siamo ancora resi ben conto di<br />
cosa sta succedendo, di cosa ci tocca fare. Oggi non stiamo più a "far lotta"<br />
contro questo o quel singolo mafioso.<br />
Stiamo a far lotta contro tutto un Sistema (come giustamente lo chiama<br />
Saviano) e soprattutto stiamo a costruire un "per" qualcosa. Stavolta lo<br />
costruiremo democraticamente e tutti insieme, senza vangeli-guida, senza<br />
profeti.<br />
- Che ne pensi del decreto sulle intercettazioni, sugli atti giudiziari?<br />
Che vuoi che ne pensi. L'abbiamo detto all'inizio. È un regime. Non<br />
credere che Mussolini abbia fatto tutto così tutt'a un tratto. Era molto<br />
"ragionevole", all'inizio, molto "pacificatore". E il vecchio notabile ci<br />
cascava. I ragazzi - gente come Gobetti - no. Loro hanno capito subito di<br />
che si trattava si sono messi subito a lavorare per creare un'altra cosa.<br />
Cerchiamo di essere all'altezza anche noi.
- Perché è così difficile avere denaro e appoggio politico per aprire un<br />
nuovo giornale a Catania?<br />
Devo ridere? Ma lo sai chi sono i politici, gli imprenditori, gli editori<br />
(plurale maiestatis, visto che ce n'è uno solo) a Catania? Quel che hanno<br />
fatto in questi vent'anni, quello che stanno facendo in questo momento, ora?<br />
- Cosa vuol dire quella frase di Fava che dice "Il giornalismo fatto di<br />
verità sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il<br />
buon governo"?<br />
Che il giornalismo è una forma forte di politica. Non di propaganda, non<br />
di ideologia. Di politica alta, da polis, quella vera. Il giornalismo non è lo<br />
scoop occasionale, non è l'esternazione eburnea del fighetto intellettuale. Il<br />
giornalismo parla per tutti, soffre con tutti, appartiene a tutti, dà la parola. Il<br />
giornalismo è il braccio armato della democrazia.<br />
- Che differenza c'è tra un buon giornalista e un giornalista antimafia? E<br />
quali sono le principali caratteristiche di un giornalista antimafia?<br />
Travaglio, che è un buon giornalista, non è un militante democratico - nel<br />
senso profondo e duro che dicevamo di sopra. Giuseppe Fava lo era.<br />
Lottava per qualcuno e per qualcosa. <strong>Un</strong>a volta, molto prima che io lo<br />
conoscessi, fece un'inchiesta sui bambini di Palma di Montechiaro - i più<br />
abbandonati, allora, i più poveri di tutti. C'era il primato europeo della<br />
mortalità infantile, in questo paesino di allora. Lui fece dei buoni articoli,<br />
dei buoni pezzi. Scriveva bene. Denunciò la questione. Questo è il buon<br />
giornalista. Ma parlando con noi, molti anni dopo, lui ancora serrava le<br />
mascelle al ricordo, era ancora incazzato. Non era semplicemente l'oggetto<br />
di un'inchiesta, la miseria di quei bambini. Era un'ingiuria intollerabile,<br />
un'offesa personale.<br />
Questo è il giornalista antimafia, questo e niente di meno.<br />
- Perché dai tutto per il buon giornalismo?I tuoi colleghi lo fanno?<br />
Domanda uno, mi diverto.<br />
Domanda due, poveretti loro.<br />
Giuseppe Scatà<br />
[Narcomafie]
3 luglio <strong>2008</strong><br />
FACCIAMO UN VIAGGIO AL TEMPO DEGLI ORCHI?<br />
Come verremo ricordati, quelli della nostra generazione? Non è una<br />
domanda tanto per aria: se fossimo stati invitati a casa del signor Muller a<br />
Berlino avremmo avuto il piacere di conoscere una persona educata e<br />
perbene, buon padre di famiglia, ottimo lavoratore, con la sua brava<br />
Volkswagen, i suoi marmocchi simpatici e la sua famigliola<br />
complessivamente felice. Faremmo un giro in centro (traffico ben regolato,<br />
molto verde, nessun mendicante) e in genere incontreremmo facce<br />
tranquille e soddisfatte di sé. Può darsi che parleremmo di politica: ma fra<br />
gente educata, su questo punto, non ci si accalora mai troppo. E poi, la<br />
politica, lasciamola a chi la fa di mestiere: noi abbiamo fin troppe cose a cui<br />
pensare. Il mutuo, il dentista, il meccanico, la pagella del bambino... Così,<br />
sorridendo svagati, si farebbe ora di pranzo: in un locale caratteristico,<br />
accogliente e pulito come tutto il resto.<br />
Più tardi, quando sei ritornato nel tempo tuo, ti accorgi che hai fatto visita<br />
alla famiglia degli orchi, nella città degli orchi, nel paese degli orchi. I<br />
Muller infatti sono una qualunque famiglia berlinese del 1936 e in quanto<br />
tale hanno dirette e personali responsabilità - come oggi sappiamo - nello<br />
sterminio di milioni e milioni di esseri umani. Personali? Beh, il figlio dei<br />
Muller è militare, ma presta servizio nella Wehrmacht, mica nelle Ss. Hans<br />
e Annaliste sono regolarmente iscritti, è vero, alla Hitlerjugend e alla Lega<br />
delle Ragazze: ma che fanno di male?<br />
Campeggio, raccolta di abiti vecchi e qualche chiacchiera ogni tanto. E<br />
tutto è così normale: lo sguardo dei bambini, la risata di Muller, le strade.<br />
Non ci sono mendicanti, non c’è gente strana.<br />
Noi tuttavia sappiamo - venendo da un’altra epoca ed essendo dunque<br />
osservatori disinteressati - che il mondo del ‘36 sarebbe stato impossibile<br />
senza il consenso dei Muller. E dunque non ci sentiamo autorizzati a<br />
stringere le mani che ci vengono porte (borghesemente: perché i Muller,<br />
l’abbiamo detto, non sono dei fanatici del Partito) per l’addio. Le mani<br />
restano là, protese senza risposta a cercare una comprensione, e i visi<br />
sfumano mentre noi torniamo nel nostro tempo.<br />
Nel “nostro” mondo, muoiono trentamila bambini al giorno per cause<br />
prevedibili e facilmente evitabili.
Seicento milioni di bambini sopravvivono con meno di duemila lire al<br />
giorno. Ma questi sono numeri, non vogliono dire niente. Il fatto reale è che,<br />
se esci di casa e invece di svoltare da una parte svolti <strong>dal</strong>l’altra, ogni due o<br />
tre bambini che incontri uno non ha mangiato. Ogni tanto - diciamo ogni tre<br />
o quattro minuti - uno di questi bambini che stai guardando attentamente per<br />
capirci qualcosa scivola improvvisamente per terra e non si muove più,<br />
perché è morto.<br />
E siamo in un sogno didascalico, ancora, dunque del tutto asettico e<br />
pulito. Il bambino per terra, nella realtà, evacuerebbe liquidi disgustosi<br />
prima e durante il morire. Da una parte, e tuttavia impossibilitato a<br />
intervenire, ci sarebbe un altro essere umano per il quale il bambino<br />
morente era il centro del mondo, e che in questi istanti sta vivendo l’orrore<br />
puro. Ci sarebbero puzza e grida, e rumori casuali. E tutto questo sta<br />
avvenendo davvero, in questo preciso istante, e riusciamo a tollerarlo<br />
soltanto facendo finta che non sia così.<br />
Ma inganniamo noi stessi. Il mondo vero è quello. Questo - quello di<br />
questo monitor - è meno vero di esso.<br />
Mi fermo qui, perché questo è un ragionamento impossibile da portare<br />
avanti oltre un certo grado. Ho bisogno - come te, e come tutti - di un certo<br />
livello di rimozione, perché altrimenti mi sarebbe difficilissimo vivere<br />
normalmente senza diventare asociale.<br />
Ma quelli che verranno dopo di noi - compagni posteri, diceva<br />
Majakowskij - non avranno di questi problemi. Loro vorranno<br />
semplicemente studiare scientificamente il nostro mondo, freddamente:<br />
perché ormai tanto tempo sarà passato.<br />
Studieranno di noi come noi studiamo gli assiro-babilonesi, apprezzando<br />
al loro giusto valore tanto gli inni cosmici ad Enkhidu quanto i prigionieri<br />
impalati. E, forse, decideranno che siamo stati più o meno la stessa roba che<br />
i tedeschi del trentasei.<br />
Parleranno di Olocausto, come noi ne parliamo. Si meraviglieranno<br />
grandemente, con aria di sufficienza, per la nostra acquiescenza. “Come<br />
hanno fatto a non ribellarsi?” diranno, senza voler sapere di noi altro che<br />
questo.
18 luglio <strong>2008</strong><br />
A CATANIA D'ESTATE RUBANO LE SCUOLE<br />
A un mese <strong>dal</strong>le elezioni, non si capisce chi comanda a Catania: nel<br />
senso che non hanno ancora fatto il comune, non essendo riusciti a mettersi<br />
d'accordo. Intanto nessuno paga l'affitto delle scuole: e adesso arriva<br />
l'ufficiale giudiziario con l'ordine di chiusura...<br />
A Catania hanno fatto – magari alla disinvolta – le elezioni, hanno eletto<br />
un sindaco e adesso dovrebbe dunque esserci un comune. Il comune,<br />
l'amministrazione, però fino a questo momento non c'è perché tutti i<br />
principali interessati (sindaco, forze politiche, destra, bidestra, centrodestra<br />
e destra leghista) a un mese <strong>dal</strong>le elezioni non sono ancora riusciti a<br />
mettersi d'accordo. Affari loro? In un paese civile sarebbe affare anche dei<br />
cittadini, ma non è obbligatorio essere un paese civile e dunque tutto tira<br />
avanti alla meno peggio, giorno dopo giorno.<br />
Fra le cose che il comune - non essendoci – non ha fatto c'è anche il<br />
pagamento dell'affitto alle suore Orsoline, padrone dell'unica scuola di san<br />
Cristoforo, l'Andrea Doria (le scuole nei paesi civili non sono di proprietà<br />
dei Comune ma Catania, abbiamo detto, fa eccezine). Le suore, giustamente<br />
incazzate, hanno subito mandato l'ufficiale giudiziario: il quale arriverà<br />
venerdì, di prima mattina, per notificare l'atto e annunciare dunque la<br />
chiusura della scuola.<br />
L'Andrea Doria nell'ultimo anno scolastico è rimasta aperta solo grazie<br />
alla mobilitazione delle mamme del quartiere che, di fronte al<br />
menefreghismo del comune, hanno occupato l'edificio, hanno costretto i<br />
politici a venire lì e a fare un sacco di promesse: che l'affitto sarebbe stato<br />
pagato, che la scuola sarebbe rimasta aperta e balle del genere. Così le<br />
mamme hanno disoccupato la scuola, l'anno scolastico è finito in relativa<br />
tranquillità, e finalmente è arrivata l'estate.<br />
D'estate i politici non sono affatto andati in vacanza, ma sono rimasti “al<br />
lavoro” e cioè a dividersi fra di loro poltrone, seggiole e scrivanie. Senza<br />
molto successo, visto che le poltrone principali sono ancora oggetto di<br />
“trattativa”.<br />
Intanto le suore incalzano, gli speculatori allungano le zampe sul terreno<br />
della scuola, e “la politica” (come si dice oggigiorno) se ne frega<br />
completamente, non considerando importante la sopravvivenza di na povera<br />
scuola di quartiere.
Va bene: al solito, saranno le mamme del quartiere a prendere in mano la<br />
situazione, organizzando il presidio davanti alla scuola. Con loro ci saranno<br />
quelli di Liberare Catania e anche tutte le associazioni, movimenti e partiti<br />
che hanno sostenuto Liberare Catania alle ultime elezioni. “Noi non<br />
spariremo il giorno dopo le elezioni – hanno proclamato allora – Noi siamo<br />
la forza unita della società civile, e per essa continueremo a lavorare anche<br />
dopo le elezioni, tutti i giorni!”.<br />
Vedremo se è vero. Per ora bisogna dire che la loro promessa la stanno<br />
mantenendo, visto che con le mamme del quartiere a difendere la scuola ci<br />
stanno andando solo loro. Con il caldo che fa, non è cosa da poco.<br />
E i politici? Beh, quelli a dividersi le poltrone. In nome della “vera<br />
politica”, si capisce.
8 agosto <strong>2008</strong><br />
UNA SCUOLA-SIMBOLO AL CENTRO DELLA CITTÀ<br />
Come ogni estate, politici e speculatori cercano di chiudere l'unica<br />
scuola del povero quartiere di san Cristoforo. Come ognii estate, le mamme<br />
del quartiere si mobilitano per salvarla. Come finirà? Comunque vada,<br />
questa storia ormai rappresenta molto di più che se stessa<br />
Lasciamoci per ora qui, davanti a questa scuola di Catania, nel quartiere<br />
più antico e più “mafioso”. La scuola è l'Andrea Doria, l'unica della zona, il<br />
quartiere è san Cristoforo, militarmente occupato dagli uomini dei clan.<br />
È un quartiere poverissimo soprattutto per questo: povero<br />
economicamente – immaginate come può decollare l'economia di un posto<br />
come questo – e povero socialmente, con uno smog di paura che s'insinua<br />
dappertutto.<br />
In questo quartiere l'Italia, il mondo moderno, l'Europa (ne parliamo<br />
didascalicamente, deamicisiaamente, come se l'Italia esistesse ancora e la<br />
modernità fosse quella degli anni Settanta) possiedono due roccaforti, due<br />
sole. <strong>Un</strong>o è il centro popolare “Gapa”, il Gapannone (doposcuola, sostegno<br />
sociale, assembleee popolari, teatro, sport); e l'altro la scuola. Quest'ultima è<br />
Le Istituzioni, lo Stato; il Gapa la società civile.<br />
Ci sono poche storie più miserabili, nella miserabile vita politica catanese,<br />
della periodica chiusura dell'Andrea Doria. L'hanno già minacciata l'anno<br />
scorso, tornano a minacciarla anche ora. È l'unica scuola del quartiere,<br />
l'unico pezzo di Stato. Eppure, con ogni evidenza, alla Catania politica non<br />
ne importa niente.<br />
Il meccanismo della chiusura è il seguente: - la scuola è affittata <strong>dal</strong>le<br />
suore Orsoline (le padrone) al comune; - il comune non paga; - le suore da<br />
tempo sono ambite da un grosso imprenditore, che vorrebbe prendersi l'area<br />
per specularci; - le suore mandano l'ufficiale giudiziario per sfrattare la<br />
scuola; - le mamme del quartiere si mobilitano, insieme al Gapa, per salvare<br />
l'unico punto di speranza dei picciriddi; - e...<br />
È successo diverse volte, sta succedendo ancora ora.<br />
* * *<br />
Questa è Catania, questa è la Sicilia di ora. Lottare contro la mafia, lottare<br />
contro i politici: per una scuola.
8 agosto <strong>2008</strong><br />
COMPITI PER LE VACANZE<br />
Anche U<strong>cuntu</strong> si riposa: ci rivediamo fra due settimane. Ma non è che nel<br />
frattempo i problemi si risolvono da soli: ce li ritroveremo davanti pari pari<br />
al ritorno, più agguerriti di prima. Che problemi? La mafia? Ciancio? Il<br />
fascismo? Berlusconi? Certo, sì: ma il problema dei problemi, senza cui<br />
non si risolveranno mai tutti gli altri, consiste in noi stessi. Cioè: siamo<br />
davvero un “noi” o siamo rimasti ancora tanti piccoli “io” impotenti? E<br />
come pensiamo di... Beh, buone vacanze<br />
Ehi, ci rivediamo dopo ferragosto. Mi sembra che abbiamo fatto un buon<br />
lavoro - dodici discreti numeri in tre mesi - e un po' d'onesto riposo ce lo<br />
siamo meritato.<br />
Che lavoro, esattamente? Non abbiamo fatto un giornale perché un<br />
giornale - nel senso professionale della parola - è cosa ben più ampia di<br />
questa. Non abbiamo fatto un sito perché su u<strong>cuntu</strong>.org la cosa principale è<br />
un "giornale" pdf, regolarmente impaginato, e stampabile quando si voglia -<br />
un "cartaceo", potenzialmente.<br />
Pensiamo, in altre parole, di aver fatto più che altro un esperimento. Ma<br />
un esperimento molto avanzato, in linea con le tendenze "industriali" sia<br />
della carta stampata che dell'informazione in rete. La prima sa benissimo,<br />
ormai, di non essere più autosufficiente. Quotidiani e riviste sono ormai in<br />
una fase di transizione - gli ultimi anni esclusivamente tipografici, gli ultimi<br />
prima del nuovo modello di giornale.<br />
Come sarà quest'ultimo? Sicuramente misto, con la "serietà" dei giornali e<br />
la capillarità di internet. Avrà il suo punto di forza nella percentuale "colta"<br />
della gente, quella che passa almeno un'ora in internet ma, grazie al versante<br />
cartaceo (che sarà molto più leggero dell'attuale) potrebbe raggiungere<br />
anche tutto il resto della popolazione e inserirla in un circuito virtuoso che<br />
col tempo potrebbe anche contare più della televisione.<br />
Questa, tecnicamente, è una tendenza ormai del tutto delineata. Ma, e i<br />
contenuti?<br />
Saranno i padroni dei media attuali - e dell'attuale orrenda televisione - a<br />
gestirli?<br />
I contenuti dei giornali, a differenza di quelli delle tv (che erano stati<br />
disumanizzati molto prima), si stanno orwellizzando solo ora. Distrutta o
idotta all'angolo la classe dei giornalisti, precarizzate le redazioni, sostituiti<br />
i direttorigiornalisti con altrettanti politici, lo stile dei quotidiani italiani è<br />
ormai assolutamente normalizzato.<br />
Non credo che ci sia più da farsi illusioni: il giornalismo italiano ormai è<br />
questo, se cambierà sarà in peggio e ciò che una volta si vedeva nei giornali<br />
mafiosi di Palermo o Catania ormai è praticamente standard dappertutto. La<br />
campagna per la "paura percepita" è stata condotta dai quotidiani liberal non<br />
meno che <strong>dal</strong>le tv di Berlusconi; e ha funzionato.<br />
* * *<br />
Ecco: tutto questo ci porta, da giornalisti, a guardare la realtà in faccia e a<br />
considerare che questo mestiere può vivere ormai solo fuori dai meccanismi<br />
ufficiali.<br />
E dunque a studiare con serietà le possibili - e sempre più indispensabili -<br />
alternative. L'ottimismo ci viene <strong>dal</strong>la conoscenza della svolta di cui<br />
dicevamo sopra, <strong>dal</strong>la transizione.<br />
Il giornalismo del dopo-internet non sarà un giornalismo costoso. Avrà<br />
bisogno molto più di intelligenze e competenze che di denaro. Chiederà<br />
condizioni pesanti (chi lo eserciterà non potrà camparci su più di tanto) ma<br />
sarà perfettamente possibile. Fra dieci anni, la maggior parte della gente<br />
usufruirà un giornalismo di questo genere, e se ne saprà servire.<br />
Tecnicamente, la sperimentazione di U<strong>cuntu</strong> si poggia su due punti<br />
precisi: il giornale sta bene in internet, è sfogliabile e (grazie a Issuu) si<br />
vede bene; in caso di necessità (e possibilità) si può anche stampare. Il<br />
giornale "tipograficamente" è facilissimo da produrre perché si basa su un<br />
software elementare (e libero) come Open Office e perciò qualunque gruppo<br />
di giovani, se ne ha testa e a voglia, se ne può fare uno.<br />
Culturalmente, le idee su cui ci basiamo sono due: la nostra insufficienza,<br />
e dunque l'obbligo della complementarietà, e la necessità della rete; e poi<br />
l'assoluta incompatibilità con l'establishment ("il giornalismo borghese", lo<br />
definì una volta Giuseppe Fava), che se prima era moderato o di parte<br />
adesso è decisamente fascistoide o almeno ostile ai valori di una qualunque<br />
democrazia.<br />
In Sicilia, entrambi questi dati si moltiplicano.<br />
Il Ministero dell'Informazione (che comprende quotidiani, tv, partiti<br />
politici, baronati universitari e quant'altro) da noi non serve soltanto le<br />
destre d'ogni genere, ma anche il potere mafioso. Che non è, come molti<br />
pensano, un'escrescenza criminale esorcizzabile con cerimonie e fiction, ma
un sistema che comprende diversi bracci (militare, politico, imprenditoriale)<br />
perfettamente armonizzati fra di loro: un regime. "Alii sparant - dicevano i<br />
teologi del Medioevo - alii rubant, allii persuadent populum" ad accettare<br />
tutto questo.<br />
* * *<br />
Com'è la nostra situazione adesso? Che cosa dobbiamo fare al ritorno<br />
<strong>dal</strong>le - chiamiamole così - vacanze?<br />
La nostra situazione per un verso è buona, perché siamo riusciti ad<br />
arrivare fin qui, a non perdere il filo, e coi tempi che corrono vanno<br />
ringraziati tutti gli dei per questo. Ma è meno buona dell'anno scorso,<br />
perché allora - almeno qui a Catania - le varie realtà nuove e giovani che via<br />
via nascevano riuscivano ancora a percepire, sia pure confusamente, il senso<br />
di una grande battaglia difficile e la necessità di mettersi prima o poi tutti<br />
insieme per condurla insieme.<br />
In poco meno di un anno, e soprattutto da quando è stata messa a tacere<br />
Casablanca, questa percezione si è di molto affievolita. I singoli gruppi<br />
crescono ma, con l'eccezione del Gapa, non riescono assolutamente a<br />
vedersi più come una parte di qualcosa. Questo genera debolezza comune,<br />
insufficienza pratica, tendenza alla ritualizzazione, e chi più ne ha più ne<br />
metta. Città Insieme, Grilli, Addiopizzo, Step1, Periferica (per citare i più<br />
attivi), che avevano avuto una grandissima (e spesso anche unitaria)<br />
stagione due anni fa, adesso sono arroccati ciascuno nel proprio spazio, a<br />
difendere chi ancora può la propria valle. Nel settore dell'informazione<br />
tendono ormai ad accettare l'esistente.<br />
(Personalmente, mi ha colpito moltissimo che sia stato possibile chiudere<br />
Casablanca in una città in cui folle di progressisti accorrevano a sentire<br />
devotamente Travaglio o Grillo. Dei partiti, dei Bertinotti che regalano un<br />
giornale al guru Fagioli e lasciano chiudere i giornali antimafiosi, dei piddì,<br />
dei buffi "comunisti"<br />
a corrente alternata non mi scan<strong>dal</strong>izzo più. Della "società civile" invece<br />
sì).<br />
* * *<br />
Va bene, buone vacanze a tutti. Brevi, ché c'è molto da fare, dappertutto.<br />
Buone vacanze a Pino, a Nadia, a Carlo, alla macchina bruciata, ai su e giù<br />
a organizzare, al sito chiuso perché parlava male dei banchieri. A Mirko, a<br />
Max e alla sua bambina, a Leandro, a Luca con lo zaino pesante, a Pippo<br />
con una fotocamera n Turchia, a Graziella e Rebecca, a Luciano e Fabio, a
tutta l'altra Librino, a Gianfranco, a Livio, a quel ragazzo di Step1 che non<br />
conosco ma che però scrive bene, a me stesso, al buon Giovanni, al vecchio<br />
Titta-Qujiote, a Lucio, a Vanessa, a Toti...<br />
Dimentico qualcuno? Ma sì, dimentico un sacco di gente per fortuna,<br />
sennò altro che seimila battute, ci vorrebbero altre due pagine e Luca, che<br />
già aspetta impaziente, non riuscirebbe più a chiuderle bene stasera. Hasta<br />
presto, companeros.
15 settembre <strong>2008</strong><br />
“C'È UN GIUDICE A BERLINO...". BONU, CUMPARI: MA A<br />
CATANIA?<br />
Il giornaletto mandato al macero d'autorità perché criticava un notabile<br />
cittadino. Il ragazzino tolto alla mamma e dato al padre lombardiano<br />
ortodosso perché “se la faciva ccu i communisti”. Dovrebbe difenderci la<br />
magistratura, come a Palermo. Ma invece...<br />
La catastrofica decadenza della città di Catania, ormai riconosciuta da<br />
tutti, deriva essenzialmente <strong>dal</strong> legame strettissimo, che ha più di trent'anni,<br />
fra le strutture mafiose e quelle (talora coincidenti) dell'imprenditoria.<br />
Subito dopo vi sono due concause che meriterebbero trattazione più<br />
approfondita ma che si possono riassumere nell' inadeguatezza dei due<br />
presidi fondamentali di ogni società occidentale, l'informazione giornalistica<br />
e la magistratura.<br />
Della prima, abbiamo scritto tante volte che sarebbe noioso ripetere.<br />
L'unica scuola giornalistica libera, quella di Pippo Fava, è stata<br />
consapevolmente distrutta prima con l'assassinio del fondatore e poi col<br />
sistematico silenziamento di tutti i suoi allievi della prima e della seconda<br />
generazione.<br />
Quanto alla magistratura, il suo ruolo nella storia della città – salvo<br />
benemerite, ma isolate, eccezioni – non è stato complessivamente positivo,<br />
e men che mai paragonabile, sul piano civile, a quello di Palermo. Non solo<br />
e non tanto per i casi di corruzione esplicita (che non sono mancati), nè di<br />
aperto connubio col sistema di potere (vedi Grassi, oggi presidente in<br />
Cassazione). No: quel che ha più pesato nell'infelice esito del notabilato<br />
giudiziario in questa città è probabilmente un fattore metatecnico, più<br />
propriamente culturale.<br />
Molti magistrati catanesi, che pure operano “in nome del popolo” e nel<br />
quadro di una Costituzione, non hanno mai realmente metabolizzato i<br />
principi fondanti dell'ordinamento, né sul piano della garanzia dei diritti né<br />
su quello della lotta alla mafia. Hanno spesso operato, e operano sovente<br />
tuttora, come se anziché Magistrati della Repubblica in un' importante città<br />
a forte presenza mafiosa fossero Regi Uditori borbonici in qualche borgo<br />
dell'Ottocento. Applicando le leggi a volte poco, a volte male, a volte<br />
svogliatamente, e spesso lasciandosi guidare dai propri personali
(notabilari) pregiudizi.<br />
Due casi gravissimi, quest'estate. Il primo, l'inusuale invio al macero d'un<br />
giornaletto locale che relazionava sulle attività d'un tal notabile catanese,<br />
Fiumefreddo; la solidarietà di casta è scattata immediata col sequestro del<br />
foglio.<br />
Il secondo, ancora più deplorevole perché coinvolgente un minore, lo<br />
strappo di un adolescente alla madre e la sua consegna manu militari al<br />
padre separato (e cliente lombardiano): perché frequentava i comunisti.<br />
Scritto nero su bianco sul rapporto di una funzionaria dei servizi sociali (che<br />
continua a rubare la paga alla collettività per il servizio così infedelmente<br />
svolto), che il magistrato non ha saputo, per sua insufficienza culturale,<br />
trattare come avrebbe dovuto.<br />
Che Catania fosse città fascista (con strade intitolate a gerarchi mandanti<br />
di assassinio, e non a purissime eroine resistenziali) lo si sapeva, e il<br />
sindaco s'è compiaciuto di ricordarlo apertamente appena insediato. Che<br />
Catania fosse città mafiosa, in cui dei grandi affari non si può e non si deve<br />
parlare, si sapeva; come pure che qui nemico il comunista Pio La Torre, e<br />
amico invece il supportatore di mafia Cuffaro (commissario catanese<br />
dell'Udc). Ora si sa anche che non saranno i magistrati, a Catania, coloro cui<br />
ci si potrà affidare per contrastare tutto ciò. Se ancora esiste, dovrebbe<br />
intervenire il Csm.<br />
* * *<br />
Sempre più si diffonde, “in tale e tanto corrotta città” l'idea di uscirne a<br />
musiche e balli, magari al seguito di qualche notabile riciclando.<br />
Fiumefreddo, ad esempio, ha affidato a un'agenzia di Pr l'incarico di<br />
“costruirgli” a freddo un'immagine kennediana, antimafiosa (qualcuno<br />
dell'antimafia-bene non manca di collaborarvi, in cambio di piccoli poteri).<br />
È un'idea divertente. Ma davvero sono convinti che funzionerà?
29 settembre <strong>2008</strong><br />
NOTIZIE VERE, NOTIZIE FALSE LA CITTÀ DEL BUCO<br />
“Hanno cercato di rapire una bambina!”. Esce il titolone a nove colonne.<br />
Gli zingari vengono cacciati <strong>dal</strong> loro campo. Poco tempo dopo, grazie<br />
all'inchiesta dei giovni giornalisti di Step1, contrordine: gli zingari sono<br />
innocenti. Chi li risarcisce ora? E quel giornale che urlava “Rapitori!”,<br />
adeso pagherà qualcosa?<br />
<strong>Un</strong> avviso di garanzia ai sensi dell'articolo 656 del Codice Penale è stato<br />
inviato ieri <strong>dal</strong>la Procura di Catania al direttore del quotidiano locale La<br />
Sicilia, Mario Ciancio. La decisione dei magistrati catanesi sarebbe<br />
motivata <strong>dal</strong>la "notizia", pubblicata con grande evidenza <strong>dal</strong> quotidiano<br />
catanese nel maggio scorso, di un presunto tentativo di rapimento perpetrato<br />
da zingari all'uscita di un supermercato.<br />
Nel particolare clima di quel momento - si osserva negli ambienti della<br />
Procura etnea - una "notizia" del genere (per altro priva di ogni riscontro)<br />
avrebbe potuto facilmente dar luogo a incidenti anche molto gravi,<br />
particolarmente ai danni di elementi della comunità rom; è pertanto da<br />
ritenersi largamente violato il disposto dell'art.636 che vieta la<br />
"pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a<br />
turbare l`ordine pubblico".<br />
"La decisione della Procura di Catania - ha dichiarato poco più tardi il<br />
Presidente dell'Ordine dei Giornalisti di Sicilia, Franco Nicastro - è<br />
ineccepibile e abbiamo già provveduto a titolo cautelativo a sospendere<br />
<strong>dal</strong>l'Ordine il nostro iscritto Mario Ciancio. Non si pubblicano con<br />
leggerezza notizie così gravi e completamente prive di ogni supporto<br />
giornalistico". "A questo proposito - ha aggiunto Nicastro - voglio<br />
congratularmi con i ragazzi del sito universitario Step1 che sono stati i soli a<br />
comportarsi da giornalisti in quest'occasione, andando immediatamente a<br />
cercare le fonti sul campo e denunciando quindi l'assoluta inconsistenza<br />
dell'accusa, formalizzata adesso anche <strong>dal</strong>la piena assoluzione dei due<br />
giovani zingari ingiustamente accusati. Bravi ragazzi, continuate così"<br />
Di parere diverso ("Inammissibile ingerenza di una magistratura<br />
politicizzata") il segretario dell'Associazione Siciliana della Stampa, che ha<br />
fatto pervenire un "rispettoso e soli<strong>dal</strong>e" messaggio al collega Ciancio.<br />
"Sono sempre stato il primo a difendere gli zingari e questa assoluzione è
tutto merito mio"<br />
ha dichiarato infine, su consiglio dell'agenzia che cura la sua immagine,<br />
l'onnipresente teatrale Antonio Fiumefreddo.<br />
* * *<br />
Perché il Cern ha improvvisamente sospeso l'esperimento? Lo so, al<br />
pubblico hanno detto che s'era guastato un magnete o roba del genere.<br />
Vabbè. Il pubblico va tranquillizzato. La verità è che dai primi buchi neri<br />
creati sono cominciati a emergere pezzi dell'altro universo, che nessuno<br />
riusciva più a distinguere da quello vero.<br />
In Sicilia, ad esempio, è sbucata una città fra Taormina e Augusta, alle<br />
falde dell'Etna, tutta nera e barocca e in riva al mare. <strong>Un</strong>a città stranissima,<br />
in cui la giustizia regna e vengono acchiappati subito intrallazzisti e mafiosi.<br />
Assomiglia moltissimo, tranne qualche piccolo particolare, a una città<br />
esistente prima del buco nero.<br />
Ne siamo stati ingannati in molti, lo confesso, io compreso. Da ciò le<br />
notizie incredibili, di cui molti increduli ci hanno chiesto conferma. Ma è<br />
tutto vero: per le fregnacce sugli zingari, Ciancio è stato messo sotto<br />
inchiesta <strong>dal</strong>la magistratura, e radiato senz'altro <strong>dal</strong>l'ordine dei giornalisti.<br />
Ma questo nel buco nero. Nella Catania antebuco tutto continua<br />
tranquillamente come prima.
15 ottobre <strong>2008</strong><br />
“PARLA, SANTAPAOLA!" ZITTO TU, FAVA!"<br />
LA LIBERTÀ DI PAROLA SECONDO CIANCIO<br />
“Io, Vincenzo Santapaola, vi dico...”. <strong>Un</strong>o degli ultimi contenuti de La<br />
Sicilia di Catania, sotto forma di lettera, ma senza alcun intervento<br />
redazionale, è un vero e proprio editoriale di un boss mafioso.<br />
Contemporaneamente, e da oltre un anno, Ciancio vieta ai suoi cronisti di<br />
pubblicare dichiarazioni e notizie su Claudio Fava. <strong>Un</strong> episodio<br />
gravissimo, che segna un punto di non-ritorno. E la Magistratura? Ponzio.<br />
E l'Ordine dei Giornalisti? Pilato<br />
Il gravissimo episodio di Catania - un esponente mafioso che usa il<br />
giornale di Ciancio per mandare i suoi messaggi - non ha suscitato le<br />
risposte istituzionali che sarebbero state prontamente date in ogni altra città.<br />
1) La Procura di Catania, che da poco ha sequestrato per inadempienze<br />
burocratiche un povero foglio locale (“Catania Possibile”) di denuncia, non<br />
ha ritenuto di intervenire sul ricco e potente quotidiano che ha favoreggiato<br />
di fatto il clan Santapaola.<br />
2) L'Ordine dei Giornalisti non ha incredibilmente preso alcun<br />
provvedimento disciplinare - e quando , allora?<br />
- nei confronti del favoreggiatore.<br />
3) L'Associazione siciliana Stampa, che non è mai intervenuta in difesa di<br />
nessuno degli otto giornalisti siciliani trucidati dai Santapaola e dagli altri<br />
mafiosi, non ha avuto il coraggio di prendere adeguatamente posizione.<br />
4) Il CdR de La Sicilia non ha denunciato né ha contestato (com'era suo<br />
preciso dovere) l'operato del direttore.<br />
4) Non se n'è dissociato, nemmeno con tempestive dimissioni, neanche il<br />
vicedirettore, che evidentemente giudica incidente veniale la presenza di un<br />
Santapaola nel suo giornale.<br />
5) Le forze politiche locali hanno reagito con estrema fiacchezza<br />
all'episodio gravissimo, che ufficializza la contiguità fra poteri e mafia (già<br />
vista in numerosi episodi: caso Avola, censura dei necrologi Montana e<br />
Fava, scuse al boss Ercolano, ecc.) nel campo dell'informazione.<br />
Non è affatto una vicenda catanese.<br />
È nazionale. È l'esempio più estremo, ma che non resterà insuperato, della<br />
catastrofe etica dell'informazione italiana.
Saviano, parlando di giornali collusi, ha avuto torto solo nel limitare i<br />
suoi esempi alla Campania.<br />
* * *<br />
Facciamo appello ai siti liberi locali, ai giovani che li animano con tanta<br />
passione, a non lasciare impunita questa vergogna. A reagire apertamente e<br />
duramente, e soprattutto tutti insieme.<br />
Avremo nelle prossime settimane (l'inizio del laboratorio di giornalismo)<br />
e nel prossimo mese (“Sbavaglio” numero tre) tempo e luogo per esaminare<br />
partitamente lo stato dell'informazione a Catania e in Sicilia, e per proporre<br />
i rimedi. Ma adesso quello che è urgente è la ripulsa istintiva, etica, morale,<br />
nei confronti di quel “giornalismo” che insulta gli Alfano, le Cutuli, i Mario<br />
Francese, i Giuseppe Fava.<br />
Esprimiamo la nostra fraterna solidarietà a Claudio Fava, che i mafiosi<br />
intendevano uccidere, per la sua attività di giornalista libero, nello stesso<br />
luogo in cui avevano già ucciso suo padre; e nonostante questo, o forse<br />
proprio per questo, il suo nome oggi è tabù sullo stesso giornale che<br />
pubblica i comunicati dei Santapaola.<br />
Faccio appello infine, personalmente e da vecchio giornalista che mai<br />
avrebbe immaginato un tale degrado della professione, ai colleghi Lorenzo<br />
Del Boca e Roberto Natale, Presidenti Nazionali del nostro Ordine e del<br />
Sindacato: intervenite con tutti i vostri poteri su Catania! Difendete la nostra<br />
professione! Non lasciate soli i giovani che, con immensa generosità e a<br />
dispetto di tutto, qui impegnano le loro vite a fare un giornalismo di cui non<br />
vi dobbiate vergognare.
31 ottobre <strong>2008</strong><br />
SAVIANI<br />
Anche oggi Marco ha preso il motorino, è uscito di casa e se n'è andato in<br />
cerca di notizie. Ha lavorato tutto il giorno e poi le ha mandate in internet a<br />
quelli che conosce. Fa anche un giornaletto (Catania Possibile) di cui<br />
finalmente anche i lettori hanno potuto vedere un numero (il primo solo i<br />
poliziotti incaricati di sequestrarlo in edicola) con relative inchieste.<br />
Non ci guadagna una lira e fa questo tipo di cose da una decina d'anni. Ha<br />
perso, per farle, la collaborazione all'Ansa, la possibilità di uno stipendio<br />
qualunque e persino di una paga precaria come scaricatore: anche qui,<br />
difatti, l'hanno licenziato in quanto "giornalista pacifista". Marco non ha<br />
paura (nè della fame sicura nè dei killer eventuali) ed è contento di quel che<br />
fa.<br />
Anche oggi Max è contento perché è riuscito a mandare in giro un altro<br />
numero della Periferica, il giornaletto che ha fondato con alcuni altri amici<br />
del quartiere. Il quartiere è Librino, il più disperato della Sicilia. Se ne parla<br />
in cronaca nera e nei pensosi dibattiti sulla miseria. Loro sono riusciti a<br />
mettere su una redazione, a organizzare non solo il giornale ma anche un<br />
buon doposcuola e dei gruppi locali. Non ci guadagnano niente e i mafiosi<br />
del quartiere hanno già fatto assalire una volta una sede. Max non ha paura,<br />
almeno non ufficialmente, ed è contento di quel che fa.<br />
Anche oggi Pino ha finito di mandare in onda il telegiornale. Lo prendono<br />
a qualche chilometro di distanza (la zona dello Jato, attorno a Partinico) e<br />
contiene tutti i nomi dei mafiosi, e amici dei mafiosi, del suo paese. Non ci<br />
guadagna niente (a parte la macchina bruciata o un carico di bastonate) ma<br />
lui continua lo stesso, ed è contento di quel che fa.<br />
Anche oggi Luca ha chiuso la porta della redazione, al vicolo Sanità. Il<br />
suo giornale, Napoli Monitor, esce da un po' più di due anni e dice le cose<br />
che i giornalisti grossi non hanno voglia di dire. È da quando è ragazzo (ha<br />
iniziato presto) che fa un lavoro così. Non ci guadagna nulla, manco il caso<br />
di dirlo, e non è un momento facile da attraversare.<br />
Ma lui continua lo stesso, ed è contento di quel che fa.<br />
Ho messo i primi che mi sono venuti in mente, così per far scena. Ma, e<br />
Antonella di Censurati.it? Sta passando guai seri, a Pescara, per<br />
quell'inchiesta sui padri-padroni. E Fabio, a Catania? Fa il cameriere, per
vivere, ed è giornalista (serio) da circa quindici anni. E ti sei dimenticato di<br />
Antonio, a Bologna?<br />
Vent'anni sono passati, da quando gli puntarono la pistola in faccia per via<br />
di quell'inchiesta sui clan Vassallo e gli affitti delle scuole. Eppure non ha<br />
cambiato idea. E Graziella? E Carlo Ruta, a Ragusa? E Nadia? E... Vabbè,<br />
lasciamo andare. Mi sembra che un'idea ve la siate fatta.<br />
C'è tutta una serie, in Italia, di piccoli giornali e siti, coi loro - seri e<br />
professionali - redattori. Ogni tanto ne fanno fuori qualcuno, o lo<br />
minacciano platealmente; e allora se ne parla un po'.<br />
Tutti gli altri giorni fanno il loro lavoro così, serenamente e soli, senza<br />
che a nessuno importi affatto - fra giornalisti "alti" e politici – se sono vivi o<br />
no.<br />
Eppure, almeno nel settore dell'antimafia, il novanta per cento delle<br />
notizie reali viene da loro.<br />
Saviano è uno di loro. Quasi tutti i capitoli di Gomorra sono usciti prima<br />
su un sito (un buon sito, Nazione Indiana) e nessuno, salvo chi di mafia<br />
s'interessava davvero, se l'è cagati. Poi è successa una cosa ottima, cioè che<br />
l'industria culturale, il mercato, ci ha messo (o ha creduto di metterci) le<br />
mani sopra.<br />
Ne è derivato qualche privilegio, ma pagato carissimo, per lui. Ma ne è<br />
derivato soprattutto che - poiché l'industria culturale è stupida: vorrebbe<br />
creare personaggi mediatici, da digerire, e finisce per mettere in circolo<br />
contenuti "sovversivi" - un sacco di gente ha potuto farsi delle idee<br />
chiarissime sulla vera realtà della camorra, che è un'imprenditoria un po' più<br />
armata delle altre ma rispettatissima e tollerata e, in quanto anche armata,<br />
vincente.<br />
* * *<br />
Ci sono tre cose precisissime che, in quanto antimafiosi militanti,<br />
dobbiamo a Saviano. <strong>Un</strong>a, quella che abbiamo accennato sopra: la camorra<br />
non è la degenerazione di qualcosa ma la cosa in sè, il "sistema". Due, che il<br />
lato vulnerabile del sistema è la ribellione anche individuale, etica. Tre, che<br />
lo strumento giornalistico per combattere questo sistema non è solo la<br />
notizia classica, ma anche la sua narrazione "alta", "culturale"; non solo<br />
"giornalismo" ma anche, e contemporaneamente, "letteratura".<br />
(Quante virgolette bisogna usare in questa fase fondante, primordiale: fra<br />
una decina d'anni non occorreranno più).<br />
Dove "letteratura" non è l'abbellimento laterale e tutto sommato
folklorico, alla Sciascia, ma il nucleo della stessa notizia che si fa militanza.<br />
Nessuna di queste cose è stata inventata da Saviano. Il concetto di<br />
"sistema", anziché di semplice (folkoristica) "camorra" è stato espresso<br />
contemporaneamente, e credo sempre su Nazione Indiana, da Sergio<br />
Nazzaro (non meno bravo di Saviano: e vive vendendo elettrodomestici); e<br />
forse prima ancora, sempre a Napoli, da Cirelli.<br />
L'aspetto fortemente etico-personale della lotta non alla "mafia" ma al<br />
complessivo sistema mafioso è egemone già nelle lotte degli studenti<br />
(siciliani ma non solo) dei tardi anni Ottanta. La simbiosi fra giornalismo e<br />
"letteratura", che è forse l'aspetto più "scan<strong>dal</strong>oso" (e che più scan<strong>dal</strong>izza; e<br />
non solo a destra) di Saviano è già forte e completa in Giuseppe Fava, e<br />
nella sua scuola.<br />
Le "scoperte" di Saviano sono dunque in realtà scoperte non di un singolo<br />
essere umano ma di una intera generazione, sedimentate a poco a poco,<br />
nell'estraneità e indifferenza dell'industria culturale, in tutta una filiera di<br />
giovani cervelli e cuori. Alla fine, maturando i tempi, è venuto uno che ha<br />
saputo (ed ha osato) sintetizzarle; e che ha avuto la "fortuna"<br />
di incontrare, esattamente nel momentochiave, anche l'industria culturale.<br />
Che tuttavia non l'ha, nelle grandi linee, strumentalizzato ed è stata anzi<br />
(grazie allo spessore culturale di Saviano, ma soprattutto dell'humus da cui<br />
vien fuori) in un certo qual senso strumentalizzata essa stessa.<br />
* * *<br />
Questa è la nostra solidarietà con Saviano. Non siamo degli Umberto Eco<br />
o dei Veltroni, benevoli ma sostanzialmente estranei, che raccolgano firme e<br />
promuovano (in buona fede) questa o quella iniziativa. Siamo degli<br />
intellettuali organici, dei militanti ("siamo" qui ha un senso profondissimo,<br />
di collettivo) che hanno un lavoro da compiere, ed è lo stesso lavoro cui sta<br />
accudendo lui.<br />
Anche noi abbiamo avuto paura, spesso ne abbiamo, e sappiamo che in<br />
essa nessuno essere umano può attendersi altro conforto che da se stesso.<br />
Roberto, che è giovane, vedrà certo la fine di di questo orrendo "sistema" e<br />
avrà l'orgoglio di avervi contribuito: non - poveramente - da solo ma<br />
volando alto e insieme, con le più forti anime di tutta una generazione.
6 dicembre 2009<br />
“QUEL GIORNALETTO DEVE CHIUDERE. SVEGLIA IL<br />
QUARTIERE”<br />
Della Periferica, a Librino, abbiamo già parlato. Funziona, smuove la<br />
gente. Perciò le daranno un premio... Momento: in Sicilia, alle cose così,<br />
non gli danno premi ma legnate. O perlomeno cercano d'imbavagliarle.<br />
Come? Facendogli il vuoto intorno, mandando una corazzata contro la<br />
barchetta...<br />
La Periferica è un piccolo giornale che esce in uno delle borgate più<br />
grosse e povere del <strong>Sud</strong>, Librino. È nato fra gli scout ed ha rapidamente<br />
aggregato la meglio gioventù del quartiere, quelli che “un giorno anche<br />
Librino sarà un posto normale, senza mafia, col lavoro!”.<br />
Bene. Questa storia dura oramai da più di un anno. I ragazzi della<br />
Periferica, che secondo le buone regole avrebbero dovuto sbandarsi dopo un<br />
paio di mesi, invece hanno tenuto duro. Il loro giornaletto, che secondo le<br />
regole sarebbe dovuto restare nel giro dei pochi studenti “colti” della città,<br />
invece s'è diffuso a sorpresa fra gli abitanti del quartiere. E questi, che<br />
secondo le regole avrebbero dovuto farsi i cazzi loro, invece l'hanno<br />
appoggiato: il giornale diffuso nei bar, un po' di pubblicità – addirittura –<br />
dai piccoli commercianti del quartiere.<br />
(In mezzo a questa storia c'è anche qualche intimidazione, per esempio al<br />
doposcuola aperto dai ragazzi nel quartiere.<br />
Ma non ce la metto perché altrimenti si va nelle emozioni da fiction, che<br />
agl'italiani piacciono tanto, e dunque nel folklore. Questa è una storia di<br />
mafia, naturalmente. Ma di mafia reale, mafia quotidiana, non da<br />
televisione).<br />
Dov'eravamo rimasti? Ah, già.<br />
Dunque, i ragazzi hanno “avuto successo”, per quel che si poteva, e a un<br />
certo punto hanno anche messo su un'associazione apartitica (“Oltre la<br />
Periferica”) per la informe ma ben promettente società civile del quartiere.<br />
E regolarmente ci si riunisce fra redatori, si fa il palinsesto, si distribuiscono<br />
i pezzi, si fa il giro dei negozi per la pubblicità... Insomma, una piccola ma<br />
efficiente routine.<br />
Finché un bel giorno un barista sorride impacciato. “Beh, stavolta il<br />
vostro giornale qui non ve lo posso esporre...”.
E il negoziante: “Veramente la pubblicità me l'hanno già messa su<br />
quell'altro giornale...”. “Ehi – fa una ragazza – hai visto che oggi La Sicilia<br />
ha pubblicato una pagina straordinaria tutta su Librino?”.<br />
Cos'è successo? Come mai l'unico (e grosso) quotidiano della città ha<br />
improvvisamente scoperto il povero quartiere?<br />
Semplice: Librino è 40'mila voti.<br />
Li puoi comprare, vendere, mettere all'asta, contrattare. Se però questa<br />
gente comincia a pensare con la sua testa (a destra, a sinistra, al centro: ma<br />
con la testa sua) non lo puoi fare più. Diventano voti liberi, da convincere. E<br />
come cavolo li convinci, se da vent'anni li lasci nella miseria più nera, con<br />
fogne di fortuna e senza luce? Maledetto giornale libero, maledetti ragazzi.<br />
È quella fabbrica di uomini, quella Periferica di pensatori, la fonte della<br />
disgrazia.<br />
Facciamole il vuoto attorno.<br />
Così il barista smette di esporre, il negoziante di dare pubblicità e persino<br />
il parroco, nella sua chiesa, s'è messo a parlare male degli “aizzapopolo”.<br />
“Eh, bello quando stavano tutti zitti, che c'era la miseria ma si stava in<br />
pace!”.<br />
Quei tempi, purtroppo per chi ci marciava, non torneranno più.<br />
Periferica resta ad uscire regolarmente, il comitato continua, la società<br />
pulsa ancora. Ma quei ragazzi - chiedetevi – che vita fanno?<br />
Ecco, questa sarebbe una storia sull'informazione in Sicilia. Su<br />
Informazione E Mafia, addirittura.<br />
Emoziona nessuno? C'è qualche solidarietà? Qualche appello? Qualche<br />
intellettuale?
15 dicembre <strong>2008</strong><br />
CHE FINE HANNO FATTO QUI LA SCIENZA E L'INFORMAZIONE<br />
A Messina indagano il Rettore. A Catania non si sa ancora quanti giovani<br />
ricercatori sono stati uccisi dai veleni chimici a Farmacia. Sono ancora<br />
<strong>Un</strong>iversità, o sono un'altra cosa? Chi provvederà a risanarle, le autorità o<br />
gli studenti? L'informazione ufficiale, intanto, continua a essere se stessa.<br />
Cioè omertosa<br />
A Messina, tanto per cambiare, hanno rinviato a giudizio il rettore. In<br />
margine all'inchiesta telefonate minatorie del tipo "Sono soltanto un<br />
messaggero del Magnifico e con questo concorso sta scoppiando una<br />
bomba. Questo concorso lo deve vincere Macrì". A Catania, una vittima, o<br />
forse due, o forse dieci, o forse anche di più, per le terrificanti condizioni di<br />
inquinamento dei laboratori di Farmacia.<br />
Ma stiamo parlando ancora di <strong>Un</strong>iversità?<br />
È giusto dare ancora lo status di istituto scientifico a luoghi in cui si<br />
perpetrano delitti così gravi?<br />
Sui giornali ufficiali sia di Messina che di Catania è già uscita (sempre<br />
con grande evidenza) più d'una lettera di studenti e studentesse che<br />
dichiarano di sentirsi vittime della stampa del nord. “Ci criminalizzano<br />
perché siamo siciliani”, “Cercano lo scoop a tutti i costi”, “Perché non<br />
parlano delle cose buone che facciamo qui?”. Lettere vittimistiche,<br />
giustificazionistiche, omertose.<br />
Ecco: la lunga agonia delle università di Messina e Catania sta<br />
producendo effetti gravissimi non solo materialmente, ma anche in quello<br />
che dovrebbe essere il principale terreno dell'università, la formazione<br />
umana.<br />
Avremo laureati bestie (avendo studiato con professori raccomandati),<br />
irresponsabili, queruli, omertosi. Certamente non tutti (ci mancherebbe!) ma<br />
una parte sì, sul modello preciso della classe dirigente attuale. E allora?<br />
Forse sarebbe il caso di dare un segnale forte, di sospendere i corsi per un<br />
anno.<br />
Oppure di avere, per un intero anno accademico, una presenza fortissima<br />
della contestazione studentesca nelle facoltà.<br />
Nell'uno e nell'altro caso, non sarebbe – e non dovrebbe essere – un anno<br />
accademico normale. Perché “normale”, qua al sud, oramai vuol dire
un'altra cosa. Ed è ipocrita entusiasmarsi sul libro di Saviano se poi si<br />
accetta, anche in minima parte, questa normalità.<br />
* * *<br />
“Com'è finita con la Periferica?” ci chiedono, non solo <strong>dal</strong>la Sicilia, in<br />
tanti.<br />
Bene, direi. Continua a lavorare, il numero nuovo è in edicola, il 5<br />
gennaio – probabilmente – sarà al centro di un evento che coinvolgerà non<br />
solo le testate di base siciliane (che stiamo invitando fin d'ora, sulla<br />
tradizione di “Sbavaglio”) ma anche organismi nazionali come Libera<br />
Informazione. È tutt'altro che isolata, insomma, e rischia anzi di diventare<br />
un modello esemplare per tutti gli altri ragazzi – che non son pochi – che<br />
vogliono far cose utili per il quartiere o la borgata in cui stanno.<br />
Attorno alla Periferica, però, continuano ad accadere cose strane. Per<br />
esempio, la Caritas di Catania ha appena annunciato l'apertura di un<br />
“giornale di strada” anche qui. Nel farlo, però: - ha ignorato completamente<br />
i redattori della Periferica, che sono tecnicamente i più preparati nel settore<br />
(non fosse che per l'esperienza fatta finora così bene e a lungo, e proprio a<br />
fianco della Caritas); - ha invece invitato in prima fila un grosso politico<br />
locale, Castiglione, la cui valutazione da parte dell'opinione pubblica (e<br />
siamo in Sicilia) non è precisamente entusiastica o cristallina.<br />
Sembra che Castiglione, che è presidente della Provincia, stanzierà una<br />
grossa somma a favore della Caritas catanese.<br />
Va bene: tutto ciò qui è normale. Mi chiedo però che cosa ne avrebbero<br />
detto, per esempio, padre Greco o don Milani.
30 dicembre <strong>2008</strong><br />
TUTTI QUEI SITI E GIORNALI DIVISI NELLA CITTÀ DI GIUSEPPE<br />
FAVA<br />
Gli amici di Ciancio? Siamo noi. Facciamo ottimi siti, giornaletti e<br />
giornali, avremmo le forze per fare un'informazione non inferiore alla sua<br />
(specie ora che c'è internet), ma ci ostiniamo a restare ognuno per sé, senza<br />
osar fare il salto di qualità, il “tutti insieme” che ci consentirebbe di<br />
cambiare Catania da così a così<br />
Stiamo dando una mano a Ciancio. Chi?<br />
Noi qui, intanto: e poi tutti gli altri giornali giornaletti siti e contrositi<br />
“alternativi” di Catania. Che sono tanti, in realtà, e ancora ne vengono fuori.<br />
“C'è spazio per tutti”, dice qualcuno.<br />
Ecco, il problema forse è proprio questo.<br />
Di spazio ce n'é quanto ne vogliamo, se ci contentiamo – e ci contentiamo<br />
– di essere la nicchia “contro”, la “voce alternativa” e tutto il resto. Invece<br />
ce n'è di meno, o almeno bisogna conquistarselo a caro prezzo, se l'idea è di<br />
fare alternativa davvero, cioè di raggiungere e superare il peso di Ciancio<br />
nell'informazione catanese.<br />
Ma questo è un obiettivo che, giorno dopo giorno, ormai nessuno si pone<br />
più. Se l'era posto Giuseppe Fava, e poi i suoi continuatori fino al tentativo<br />
di quotidiano nel '93. Da allora, tanta generosità ma anche tanta implicita<br />
rassegnazione.<br />
Giornali – e siti sono venuti avanti più per testimonianza che sperando di<br />
farcela davvero. Coraggiosi tutti, e spesso anche di buon livello; a volte<br />
anche di prestigio nazionale, come Casablanca. Ma con un minoritarismo d<br />
fondo, ormai profondamente introiettato.<br />
E questo, naturalmente, a generato a sua volta tutta un'ideologia, e dei<br />
comportamenti conseguenti. Ciascuno ha fatto per sé, considerandosi di<br />
fatto autosufficiente.<br />
Casablanca è stata lasciata affogare – ed era costata sacrifici terribili,<br />
soprattutto a Graziella Proto – nella più scettica indifferenza.<br />
Non s'è mai stabilito un rapporto qualunque, e neanche in ggenerale ci si è<br />
provato, fra testate del web e testate stampate. Non c'è mai stato<br />
coordinamento, e quel poco s'è dissolto subito, coi videomakers che per un<br />
momento sono stati la cosa più interessante della Sicilia. Le inchieste sono
state condotte quasi sempre separatamente e si potrebbe dire anche, a volte,<br />
con gelosia.<br />
Ci sono responsabilità precise, nomi e cognomi, in tutto questo. Ma non<br />
hanno importanza. Non è importante sapere se era Toro Seduto che non<br />
voleva mettersi d'accordo con Nuvola Rossa o viceversa.<br />
Importante, e catastrofica, era la cultura diffusa per cui ciascuna tribù si<br />
difende la sua valle, e al diavolo tutto il resto. <strong>Un</strong> solo errore, semplice e<br />
condiviso da tutti: ed è bastato.<br />
Basterà anche qui, se non ci diamo una mossa. Bisogna integrare subito le<br />
varie testate e i siti – oppure chiuderle tutte subito, ché non servono a<br />
niente.<br />
C'è stato un fattore importante, quest'anno, anch e se quasi nessuno se n'è<br />
accorto.<br />
Ed è che il baricentro dell'informazione “altra” s'è spostato, con la<br />
Periferica e i Cordai, nei quartieri. In entrambi i casi, supportato e<br />
accompagnato da una serie di attività concrete di base, di intervento sociale,<br />
da un un circuito virtuoso, di mutuo rafforzamento, che può diventare<br />
modello dappertutto.<br />
Ecco, di questo vorremmo parlare quando si parla di Giuseppe Fava. Non<br />
servono a molto le commemorazioni, e neanche le presenze occasionali, di<br />
nostalgia (il gruppo “storico” dei Siciliani, salvo poche eccezioni, manca<br />
ormai da Catania da molti anni: e non è solo un'assenza fisica). No, qui c'è<br />
proprio da mettersi a lavorare professionalmente, e tutti insieme.<br />
L'esperienza dei Siciliani, a partire da Giuseppe Fava ma anche dopo, ha<br />
mostrato che con organizzazione e volontà si possono ottenere dei risultati.<br />
Io penso che è il momento di riprovare. Catania, fra le sue tante disgrazie,<br />
ha sempre avuto – almeno – una buona minoranza di giovani non banali.<br />
Questo potrebbe riessere un momento loro.
30 dicembre <strong>2008</strong><br />
1984/2009 - NON È FINITA LA LOTTA DI GIUSEPPE FAVA<br />
LAVORI IN CORSO<br />
Si può fare un giornale nella periferia più disgraziata di Catania, dando<br />
finalmente una voce a chi non ha parlato mai? Si può fare un<br />
quasiquotidiano in rete, con una redazione tutta di studenti? E una radio<br />
libera, in rete? E nel quartiere cosiddetto "mafioso", quello che la città<br />
perbene considera perduto, può esserci uno spazio anchéesso libero, e un<br />
giornale?<br />
E che cosa ci vuole per impaginarlo?<br />
Programmi costosissimi e complicati, oppure esistono anche modi facili<br />
ed economici? O ancora la free-press, quella distribuita gratis ogni<br />
settimana: non è possibile a Catania, davvero? E un magazine di qualità, a<br />
colori, con firme di tutt'Italia: è vero che qui non si può proprio fare?<br />
Tanti anni dopo la morte di Giuseppe Fava, è davvero finita la storia dei<br />
Siciliani? Del giornalismo che Fava ci ha insegnato, insieme coi ragazzi che<br />
hanno creduto in lui?<br />
Davvero non ci sarà mai altro che bavaglio, nella città dove Giuseppe<br />
Fava ha inventato il giornalismo di domani?<br />
Catania, sembrerebbe, è una città senza Giuseppe Fava. C'è un giornale<br />
soltanto, e non è amico suo (nè della verità, nè dei cittadini). Anche il<br />
giornale "del continente" qui viene censurato: non solo "La Sicilia" tace su<br />
tante cose, ma anche "Repubblica" esce senza cronaca siciliana, per non<br />
dare fastidio. Eppure...<br />
Eppure, alle domande di sopra, qualcuno ha già iniziato a rispondere.<br />
"La Periferica" esce da più di un anno, e trova persino pubblicità fra i<br />
negozianti di Librino (non a caso ora stanno tentando di strangolarla: ma<br />
ormai è troppo tardi). "Step1", il giornale degli studenti in rete, è una<br />
palestra di giornalismo innovativa nel panorama italiano. A San Cristoforo<br />
c'è un giornale libero, "I Cordai", e un grande spazio di ritrovo, il<br />
"Gapannone".<br />
<strong>Un</strong> giornale oggi si può impaginare in modo svelto e facile, e senza una<br />
lira: l'ha dimostrato il gruppo di "UCuntu", e come loro si può fare<br />
dappertutto. C'è un settimanale gratuito, si chiama "Catania Possibile"<br />
e pubblica inchieste che non ci sono altrove. <strong>Un</strong> rivista di qualità, di
prestigio nazionale? Si può fare anche quella, e l'ha dimostrato<br />
"Casablanca".<br />
E "Girodivite", e "Isola Possibile"? E l'elenco potrebbe continuare ancora.<br />
Vogliamo che tutte queste risposte comincino a interagire fra loro.<br />
Abbiamo lavorato moltissimo, in questi due anni. Adesso, cominceremo a<br />
coordinarci. Chi ha fatto cose buone venga e le insegni agli altri, ed impari<br />
da loro. Scambiamoci le esperienze, questa è la strada. Chi ha detto che non<br />
si può fare informazione a Catania?<br />
Noi l'abbiamo fatta, la facciamo ogni giorno, ognuno nel settore suo.<br />
Quando saremo tutti insieme, saremo più forti di qualsiasi bavaglio. Il 5 è<br />
solo l'inizio della strada: c'incontreremo ancora diverse volte, in questo<br />
mese.<br />
Vogliamo ricordarlo così, Giuseppe Fava. Senza grandi parole, credendo<br />
in quel che ha detto, facendo il suo mestiere.<br />
La Periferica, I Cordai, Step1, UCuntu, Casablanca, Catania Possibile,<br />
Isola Possibile, Girodivite, Itacanews, Argo, Liberainformazione
9 gennaio 2009<br />
E COME OGNI CINQUE GENNAIO CIANCIO DICE: “FAVA NON<br />
ESISTE”<br />
Da venticinque anni, il cinque gennaio è la datasimbolo degli antimafiosi<br />
catanesi. Per gli altri, è il giorno in cui lanciare messaggi. <strong>Un</strong>a volta i<br />
mafiosi dissero: “Claudio Fava? Uccideremo anche lui”. Adesso Ciancio<br />
dice: “Claudio Fava? Non esiste, lo taglio via”<br />
Ciancio non è uno sciocco, ha hobby intelligenti (ad esempio<br />
numismatica antica) ed è molto meno grezzo del personale che usa.<br />
D'altronde essere diventato il primo imprenditore in Sicilia, aver comprato<br />
l'intera classe dirigente catanese, aver preso senza scossoni il posto che a<br />
suo tempo fu dei famosi Quattro Cavalieri non è impresa da poco.<br />
Perciò sorprendono a volte la puerilità, l'autolesionismo e il sicuro effetto<br />
boomerang di alcune delle sue uscite. L'altra volta era stato l'editoriale<br />
affidato, sotto forma di lettera, a un esponente del clan Santapaola.<br />
Adesso una storia ancor più grottesca, e cioè la maldestra censura della<br />
figura di Claudio Fava, tagliata via da una foto in maniera plateale e aperta,<br />
con un ginocchio lasciato lì a mezzo.<br />
Catania, come Ciancio sa, non è l'Italia intera e queste cose, ogni volta, lo<br />
rendono ridicolo e odioso. Persino la prudentissima Federazione della<br />
Stampa, che per venticinque anni - in Sicilia - è rimasta neutrale di fronte a<br />
tutto, ha dato segni di vita. <strong>Un</strong> autogol dopo l'altro. Eppure l'uomo è un<br />
politico, sa fare diplomazia quando occorre.<br />
Ma di fronte a Claudio Fava, e a Claudio Fava il 5 gennaio, perde<br />
sempicemente le staffe. Almeno, questa è la prima impressione.<br />
Il cinque gennaio, che è una scadenza popolare e non dipendente da<br />
nessuno (furono gli studenti di Catania, e non un'autorità qualunque, a<br />
istituirla), negli ambienti mafiosi - nel Sistema - fa ancora paura. È il<br />
simbolo di una lotta che non s'è mai fermata.<br />
Di questa giornata Claudio Fava fa parte non solo come figlio di<br />
Giuseppe Fava e come militante storico dei Siciliani, ma anche come<br />
vittima designata. È il 5 gennaio di vent'anni fa che il clan Santapaola<br />
voleva ucciderlo, e proprio davanti alla lapide, come un esempio.<br />
L'assassinio fallì per caso. Ma il messaggio era chiaro.<br />
È chiaro il messaggio anche oggi, e sempre il 5 gennaio: “Io, Claudio
Fava lo cancello. Il tempo passa, tante cose sono cambiate. Ma di questo<br />
potete essere sicuri, che per me Claudio Fava, i Siciliani, il movimento<br />
antimafioso, sono e resteranno dei nemici”.<br />
Questo è il messaggio che ha mandato Mario Ciancio, e che manda ogni<br />
cinque gennaio: con queste censure esplicite, questi tagli di foto. Ma a chi lo<br />
manda? E perché lo manda? Lo manda spontaneamente, o perché costretto?<br />
Dopo quelli - visibili - degli anni '80 e '90, quali sono ora i rapporti fra<br />
Mario Ciancio primo imprenditore catanese e gli eredi dei gruppi che hanno<br />
dominato questa città?<br />
Questa curiosità per ora è nostra e la firmiamo - assumendocene la<br />
responsabilità – soltanto noi. Ma, storicamente, molte nostre curiosità e<br />
interrogativi hanno finito per diventare interrogativi di molti, e infine delle<br />
istituzioni preposte. Vedremo quanto tempo ci vorrà stavolta.<br />
* * *<br />
Quanto al resto, del cinque gennaio catanese c'è ben poco da dire. È nata<br />
un'altra leva di giovani, che noi abbiamo visto crescere da due anni in qua e<br />
altri riescono a vedere solo ora. Tranquillamente e con forza, senza<br />
cerimonie inutili e senza grandi parole, essi attendono adesso all'obbiettivo<br />
fondamentale di Giuseppe Fava, di cui sono i continuatori e gli eredi:<br />
costruire l'informazione indipendente a Catania e con questo strumento<br />
liberare la città. Non sarà un lavoro facile, e lo sanno, ma è un lavoro<br />
possibile. A condizione di essere uniti, di non nutrire povere ambizioni<br />
individuali ma solo una altissima e collettiva, e di non mollare mai.<br />
Li aspettavamo, eravamo certi che sarebbero arrivati e non abbiamo alcun<br />
dubbio su di loro. Non c'è altro da dire.
7 febbraio 2009<br />
UN RAGAZZO SICILIANO<br />
Nato ad Agrigento il 18 /10/1986, residente a Campobello di Licata (AG),<br />
cittadino libero. Ho voluto specificare il mio “status”, per combattere il<br />
servilismo che ogni giorno di più avvolge il nostro Paese. Ho scelto di<br />
rimanere in Sicilia, di non andare via anche se vivere qui è duro,<br />
durissimo...".<br />
Così si presentava sul suo blog Giuseppe Gatì, morto mentre lavorava in<br />
campagna aiutando suo padre. <strong>Un</strong> siciliano d'altri tempi: fiero, lavoratore,<br />
affezionato alla famiglia, coraggioso e buono.<br />
Sulla stampa perbene ha avuto quattro misere righe, da morto sul lavoro.<br />
Qualcuno, di sfuggita, ha ricordato che aveva contestato Sgarbi in Sicilia:<br />
ma questo certamente non basta a farne un personaggio mediatico, ci<br />
mancherebbe. Ha lavorato, ha studiato, ha fatto la sua breve utile vita:<br />
lontano dai palazzi, completamente estraneo al mondo artificiale e<br />
spregevole dei Vip.<br />
<strong>Un</strong> pezzo di questo mondo, con la consueta arroganza, a un certo punto è<br />
piombato in Sicilia, con le fattezze di Sgarbi, chissà perché. I "cappeddi", i<br />
notabili, i nobili culo-a-ponte di Agrigento e Salemi si sono affrettati a<br />
servirlo, a riverirlo abiettamente, a strisciargli ai piedi.<br />
Giuseppe, ragazzo siciliano, invece no: gli si è piantato davanti e "Viva<br />
l'antimafia! - gli ha urlato in faccia - Viva Caselli!".<br />
I servi guardaspalle siciliani, fra le urla degli altri servi e gli applausi del<br />
pubblico servo, l'hanno afferrato e portato via. Ma là, per un istante, s'è<br />
udita la voce vera della Sicilia, ed era una voce giovane, senza paura.<br />
Sbava, Sgarbi, strisciate, servi, ringhiate la vostra rabbia quanto volete: la<br />
voce vi azzera tutti, è più forte di voi. Viva Caselli, viva la nostra antimafia,<br />
viva sempre Giuseppe ragazzo siciliano.
27 febbraio 2009<br />
“VOGLIO FARE IL GIORNALISTA". BELLO. PERÒ...<br />
Sandro fa il liceo e “da grande” vuol fare il giornalista. Però quello che<br />
sente in giro non lo rassicura molto: sempre più precariato e sempre meno<br />
certezze, in questo lavoro.Come si fa? Fare il giornalistaburocrate al<br />
Ministero dell'Informazione, o provare a cercare una strada nuova? Eh,<br />
alla fine, decidi tu...<br />
Ho 15 anni, frequento il primo anno di liceo classico e ho un sogno: “da<br />
grande” vorrei fare il giornalista. Il Barbiere [www.ilbarbieredellasera. com,<br />
un sito di giornalisti, ndr] in questo mi aiuta molto, perché mi permette di<br />
leggere opinioni di “gente del mestiere” e di avvicinarmi in qualche modo a<br />
questo “mondo”. Però ogni tanto vado un po' in depressione, pensando al<br />
mio futuro, che è il vostro presente. Qui sul Barbiere è sempre attivo il<br />
dibattito sui posti di lavoro. Tutti (o quasi) ce l’hanno un po' su con gli<br />
stagisti e i praticanti, che però sono anche loro sfruttati in quanto fanno<br />
mansioni che non gli competono.<br />
Ma non è colpa loro.<br />
Qualcuno propone di chiudere l’accesso ai registri di praticantato per due<br />
anni, perché il mercato è saturo. Poi c’è Sandra che ce l’ha su con le Scuole<br />
di Giornalismo, e vorrebbe chiuderle, sempre per il problema dei posti di<br />
lavoro. Luigi, invece propone di “dissuadere l’aspirante giornalista”. E poi<br />
ci sono le sostituzioni estive. Nessuno ne trova, perché gli editori “per<br />
questioni di budget” usano gli stagisti. Terronzio è andato in tutte le<br />
redazioni Rai a cercare una sostituzione estiva, ma gli è stato chiesto se<br />
conosceva qualcuno. Chen il Cinese, disoccupato da mesi, ha chiesto di fare<br />
lo scaffalista notturno in un grande magazzino.<br />
La situazione è così catastrofica? Io vorrei fare il giornalista, ma il mondo<br />
del giornalismo è ridotto poi così male? Devo aspettarmi di essere<br />
disoccupato a vita, di fare lo stagista e prendere due lire e poi non trovare<br />
più lavoro, di fare il cococo sottopagato o di diventare un “redattore da 5<br />
euri al pezzo”? È sempre così?<br />
Io non lo so, mi piacerebbe che qualcuno mi dicesse se la situazione è<br />
veramente così tragica. Io so solo che, se nei prossimi anni vorrò ancora<br />
fare il giornalista, non mi lascerò spaventare da tutta questa serie di cose. Io<br />
ci proverò, ce la metterò tutta per darmi da fare e trovare lavoro, e se
proprio “il giornalismo"<br />
non mi vorrà, beh, allora forse cambierò strada.<br />
Insomma, qualcosa farò. Però ci proverò. Sandro<br />
* * *<br />
Bello. Però attento, il giornalista ormai non si fa più nei giornali e nelle<br />
Tv ma fuori. Devi diventare editore di te stesso, farti il tuo "giornale".<br />
Cosa sarà un "giornale" fra dieci anni (quando tu ne avrai 25)? Non lo so.<br />
<strong>Un</strong> blog con un aspetto web e uno su carta? <strong>Un</strong>a serie di clip?<br />
<strong>Un</strong>a specie di...<br />
Boh. Non lo so, ormai nessuno sa più cosa succederà nel nostro settore fra<br />
due anni.<br />
Comunque qualcosa di buono, perché la tecnologia è "democratica" e la<br />
gente può parlare sempre di più.<br />
Il tuo lavoro nei prossimi tre anni consiste dunque nel prepararti<br />
culturalmente e come mentalità a cavalcare qualunque mutamento.<br />
Comincia subito. Dovrai informare ed essere onesto coi lettori. Ma come<br />
farlo, devi prepararti a impararlo daccapo ogni due-tre anni.<br />
Questo sarà il tuo lavoro. Dovrai farlo da solo, come imprenditore di te<br />
stesso o con amici nelle tue stesse condizioni, perché le grandi testate ormai<br />
servono a creare consenso e non c'entrano affatto più col giornalismo.<br />
Evita i "corsi di giornalismo", dentro e fuori l'università, perché sono<br />
truffe. Evita le grandi testate, per il motivo che ti ho detto. Impara qualcosa<br />
dai giornalisti, ma sappi che i giornalisti con meno di quarant'anni in Italia<br />
ormai non sono giornalisti, ma un'altra cosa.<br />
Non per ragioni etiche, ma perché ogni centoduecento anni il giornalismo<br />
cambia completamente e la versione vecchia di solito si trasforma in<br />
propaganda del re.<br />
Insomma, fà il giornalista ma non l'impiegato.<br />
È bello. Può darsi che quando sarai grande tu ci si potrà anche campare.<br />
Segui fin d'ora blog (impara a scegliere accuratamente i blog; non farne tu<br />
ancora, per non essere banale) in almeno due-tre lingue.<br />
Leggi: "<strong>Un</strong>o yankee alla corte di re Artù"; "I Siciliani"; "La fattoria degli<br />
Animali"; "Siciliani/ Giovani"; qualunque cosa di Kapucinskij e quasi<br />
qualunque di Hemingway; Erodoto; "Avvenimenti" 1989-93; "L'Alba"; "La<br />
Catena di san Libero". Per leggerli devi trovarli, e questa è già una prima<br />
ricerca che puoi fare.<br />
Buon lavoro, fratellino.
Riccardo
8 marzo 2009<br />
BANALITÀ DEL MALE E CORAGGIO DI ESSERE CITTADINI<br />
Che cosa sta succedendo in Italia? La “politica”, lo sappiamo tutti, è<br />
andata a puttane. Ma solo di “politica” si tratta? E la “gente”? E perché<br />
in questo paese le donne sono tornate cittadini minori? Cosa vuol dire<br />
questo? Di che cosa è sintomo? Che “politica” (vera) ci può salvare?<br />
Se si avesse il coraggio, che non c'è, di chiedersi cosa veramente accade<br />
nel nostro Paese, non sarebbe difficile trovare le risposte vere. Rumeni<br />
violentano italiane. Italiani violentano rumene. Italiani violentano italiane, e<br />
rumeni rumene. Il popolo dei Bandar-Log ne fa dibattito, accusa gli altri,<br />
invoca nuove leggi. Tutti gridano forte, con la voce roca: tutto ciò che se ne<br />
ode <strong>dal</strong>l'esterno è un confuso ringhiare, una cacofonia che difficilmente<br />
s'associerebbe alle voci di un qualunque aggregato umano.<br />
Le domande reali sono queste: - È vero o non è vero che, <strong>dal</strong>la provincia<br />
di Como a quella di Palermo, si è avuta una recrudescenza di violenze<br />
carnali anche fra adolescenti, a volte addirittura tredicenni?<br />
- È vero o non è vero che molti casi di violenza sono stati portati a<br />
termine grazie all'indifferenza dei passanti (“Nessuna macchina s'è<br />
fermata”, “L'hanno strappata via <strong>dal</strong>l'autobus”, “Nessuno ha telefonato”)?<br />
- È vero o non è vero che tutta la pubblicità e buona parte della televisione<br />
presentano ormai le ragazze esclusivamente come merce scopabile e basta?<br />
Di recente c'è stata una campagna - legalissima - della Relish, con manifesti<br />
in tutte le principali città, che inneggiava direttamente allo stupro; l'anno<br />
scorso ce n'era stata una analoga di Dolce & Gabbana).<br />
C'è qualcosa di patologico, nella nostra società ormai post-capitalistica.<br />
Gli antichi romani sono potuti andare avanti per secoli con la<br />
spettacolarizzazione dell'omicidio (i ludi gladiatorii erano il principale<br />
entertainment di quella civiltà): c'è voluto un capovolgimento totale<br />
dell'etica per accorgersi di quanto questo spettacolo fosse patologia. E gli<br />
atzechi, e i nazisti, e le culture schiavistiche del Vecchio <strong>Sud</strong>: tutte società<br />
moderne, rispetto ai loro tempi, tutte senza eccezioni basate sul consenso. E<br />
tutte catastroficamente finite male, quando l'accumularsi degli elementi<br />
patogeni (e “normali”) è finalmente ed “improvvisamente” esploso.<br />
Non sono stati i barbari a portarci <strong>dal</strong> di fuori la violenza, nemmeno a noi.<br />
Essa cresce tranquillamente ogni giorno nelle nostre scuole, nelle nostre
ovvietà, nella nostra cultura.<br />
Le donne,adesso, non sono affatto pari agli uomini, nel nostro mondo. Gli<br />
uomini, una forte minoranza degli uomini, confonde ancora moltissimo fra<br />
potere e sesso.<br />
Le ronde non sono che la rappresentazione ritualistica (interessante per<br />
l'antropologo, e per ogni altro verso infantile) di ciò a cui da tempo abbiamo<br />
rinunciato: il coraggio di difendere le donne quotidianamente e<br />
concretamente (la piccola offesa sull'autobus, il “complimento"<br />
insultante, la frase greve) che un tempo suscitavano la reazione degli<br />
uomini - da persone normalmente perbene, non certo da “rondisti” - e ora<br />
passano via nel silenzio e nel voltare gli occhi <strong>dal</strong>l'altra parte.<br />
Questa, anche se non sembrerebbe, è la reale politica. Mentre la “politica”<br />
che si considera tale, ogni giorno che passa, è sempre più rumore di fondo.<br />
* * *<br />
Oggi è passato un anno, se ben ricordo, da quando non esce più<br />
“Casablanca”. <strong>Un</strong> piccolo ma indispensabile giornale di società e di<br />
antimafia con al centro di tutto (ma guarda un po') il protagonismo civile<br />
delle donne: a partire <strong>dal</strong>la direttrice, Graziella Proto, una donna con<br />
venticinque anni di lotta antimafia alle spalle e capace ancora di impegnarsi<br />
fino all'ultimo respiro e fino all'ultimo soldo per portarloavanti.<br />
“Casablanca” è in silenzio nell'indifferenza di Veltroni, di Bertinotti, di<br />
Vendola, di Di Pietro. Per me è uno sforzo difficile, per questo preciso<br />
motivo, prenderli sul serio ancora. E anche questo è otto marzo.
18 aprile 2009<br />
“LAVORI IN CORSO": OPERATIVA L'ASSOCIAZIONE. E ORA,<br />
ALLA FASE 2<br />
Lamentarsi che Ciancio è Ciancio può essere gratificante, ma non è che<br />
poi serva a molto. Meglio provare a costruire qualcosa di alternativo a lui<br />
– ma con quali forze? Tutti insieme.È su questa base che un gruppo di<br />
giovani catanesi lavora da alcuni mesi (o da molti anni), raccogliendo a<br />
poco a poco esperienze e forze per fare, nei prossimi mesi, un salto di<br />
qualità. La prima tappa è terminata ora, con la costituzione formale di<br />
“Lavori in Corso”<br />
Dopo Report di Sigfrido Ranucci (2009) o dopo Il Caso Catania di Joe<br />
Marrazzo (1983) Catania improvvisamente si sveglia, scopre che c'è la<br />
mafia e che ci sono loschi affari (Catania “di sinistra”, naturalmente: alla<br />
Catania di destra non gliene importa un bel niente). L'indignazione dura per<br />
diverse settimane, si fanno dibattiti, si discute. I progressisti esprimono la<br />
più sentita solidarietà ai giornalisti scesi in Sicilia a fare - finalmente!<br />
- delle inchieste. Rettori e presidi osservano che sì, c'è qualcosa di vero<br />
ma non bisogna esagerare.<br />
Risorge il patriottismo catanese: i principali intellettuali s'indignano per le<br />
calunnie contro questa città che avrà tanti difetti ma ha il sole, il mare,<br />
l'Etna, il calore umano.<br />
Da Barcellona (filosofo ultramarxista, un po' a sinistra di Mao) a<br />
Buttafuoco (fascista “uomo-di-mondo”, elegantissimo, fra il repubblichino e<br />
il gagà) si fiondano le articolesse in difesa di Catania calunniata e, già che ci<br />
siamo, anche di Ciancio.<br />
E i giovani? Restano lì perplessi, percepiscono vagamente che forse<br />
Catania non è una città come le altre e che probabilmente bisognerebbe fare<br />
qualcosa. Vanno ai dibattiti e scrivono su qualche blog, fiduciosamente.<br />
I Siciliani, nel frattempo, non trovano una lira di pubblicità (nell'83) e<br />
tirano avanti per come possono, a forza di volontà.<br />
Pubblicità non ce n'è neppure per Casablanca (nel 2009), e quindi<br />
diandare in edicola non se ne parla. Le inchieste si continuano a fare,<br />
magari su web: ma non sembra che la città sia particolarmente interessata ad<br />
esse, tranne una minoranza “illuminista"<br />
fra i 15 e i 25enni.
* * *<br />
Ecco questa è l'informazione a Catania, senza farsi illusioni, trent'anni<br />
dopo le prime inchieste (le nostre e le “forestiere”) degli anni Ottanta. Non è<br />
una situazione cattiva - una minoranza civile c'è - a patto di guardarla in<br />
faccia e di non cadere nella trappola degli entusiasmi. Infatti gli entusiasmi<br />
non servono. Che cosa serve allora? <strong>Un</strong>a cosa semplicissima: il lavoro.<br />
Lavoro costante, serio, senza illusioni inutili ma senza pessimismi. Perché<br />
si può arrivare alla fine, se si lavora - seriamente e insieme - abbastanza a<br />
lungo.<br />
Sulla parola “insieme” a Catania si potrebbe già scrivere un trattato. La<br />
sintesi sarebbe che lavorare insieme è meglio che lavorare ciascuno per<br />
conto suo. <strong>Un</strong> giorno anche questa scoperta arriverà fin quaggiù, e sarà la<br />
precondizione di tutto il resto.<br />
* * *<br />
Va bene. Pensando più o meno a queste cose, il 15 abbiamo costituito<br />
formalmente l'Associazione “Lavori in Corso”: s'era cominciato a parlarne,<br />
ricorderete, nel giorno di Pippo Fava il 5 gennaio.<br />
Da allora siamo avanti tranquillamente, con i seminari e gli incontri ogni<br />
settimana, e con la produzione di U<strong>cuntu</strong>, che è questa faccenda qui che<br />
vedete. “Lavori in Corso"<br />
sarà presentato l'otto e nove maggio, insieme a Libera Informazione, con<br />
Morrione.<br />
I “leader” (ma da noi sono semplicemente quelli che portano lo zaino più<br />
pesante) sono Luca Salici, Max Nicosia, Sonia Giardina e Claudia<br />
Campese. Lavorano a U<strong>cuntu</strong>, Periferica, Cordai e Step1 e hanno poco più<br />
di cent'anni fra tutti quanti.<br />
Altre scadenze importanti: il primo maggio nelle terre confiscate ai<br />
mafiosi (un percorso che qui parte molti anni dopo che a Palermo, ma<br />
finalmente parte); il sedici alla manifestazione di Addiopizzo (finora è una<br />
manifestazione “contro la mafia” e “di Addiopizzo”: noi speriamo di farla<br />
diventare una manifestazione contro tutti i poteri mafiosi, informazione<br />
compresa, e di tutti i movimenti antimafiosi, tutti insieme).<br />
Che altro dire? Buon lavoro. Lavoro serio e unità, non ci vuol altro. E mai<br />
fermarsi, e mai accettare compromessi.
4 maggio 2009<br />
“ORDINE, GIORNALISTI!". IL CASO MANIACI<br />
Bisogna mettere ordine nel giornalismo in Sicilia: a cominciare da gente<br />
come Pino Maniaci, che si permette di fare inchieste brillantissime, di farsi<br />
minacciare e di aggredire dai mafiosi senza neanche avere uno straccio di<br />
tesserino “professionale” in tasca. E quelli che si sono accordati coi<br />
mafiosi per pubblicargli i messaggi o intimidire i cronisti irrispettosi? Per<br />
loro non c'è Ordine? O l'ordine magari c'è, ma lo dà chi comanda?<br />
“Il direttore dell'emittente televisiva Telejato di Partinico (Palermo), Pino<br />
Maniaci, è stato rinviato a giudizio per esercizio abusivo della professione<br />
di giornalista. Il processo è stato fissato all'otto maggio prossimo. Secondo<br />
l'accusa, Maniaci, "con più condotte, poste in essere n esecuzione del<br />
medesimo disegno criminoso", avrebbe esercitato abusivamente l'attività di<br />
giornalista in assenza della speciale abilitazione dello Stato, conducendo<br />
ogni giorno il tg di Telejato...”. La tv più volte minacciata, querelata e<br />
contestata da boss e notabili della zona di Partinico.<br />
* * *<br />
Otto giornalisti sono stati ammazzati in Sicilia per aver fatto onestamente<br />
il loro mestiere. Tre (Mauro De Mauro, Mario Francese, Giuseppe Fava)<br />
erano giornalisti professionisti, tre (Cosimo Cristina, Giuseppe Spampinato,<br />
Beppe Alfano) erano semplici corrispondenti locali, e due (Mauro Rostagno<br />
e Peppino Impastato) non erano in alcun modo iscritti all'Ordine, pur<br />
lavorando a una precisa attività d'informazione.<br />
Solo tre su otto, dunque, <strong>dal</strong>l'Ordine erano riconosciuti giornalisti in senso<br />
pieno.<br />
Ma tutti si caratterizzavano per le inchieste, ben condotte, sui poteri<br />
mafiosi: che viceversa trovavano pochissimo spazio sull'informazione<br />
“ufficiale”.<br />
Questa si trovava, e si trova tuttora, in regime di monopolio (Ardizzone a<br />
Palermo, Ciancio nel rimanente): un monopolio talmente forte da riuscire a<br />
impedire la pluralità dell'informazione anche nei confronti di testate<br />
nazionali (Repubblica a Catania è costretta a uscire senza cronaca).<br />
L'informazione sui temi potenzialmente “pericolosi” - i poteri mafiosi<br />
anzitutto - restava quindi affidata o alle precarie testate d'opposizione<br />
(L'Ora, I Siciliani) o a piccoli gruppi locali (Radio Aut, ad esempio) o a
singoli giornalisti isolati. Questo contesto, dagli anni '50 ad oggi, non è<br />
cambiato affatto. E infatti i giornalisti colpiti <strong>dal</strong>la mafia si ripartiscono<br />
quasi alla pari nei vari decenni.<br />
In questa situazione, assolutamente eccezionale in Europa, non sembra<br />
che l'Ordine dei giornalisti locale (e meno ancora la locale Associazione<br />
della stampa) si sia in qualche modo distinto per eccesso d'impegno.<br />
Nessuna delle otto vittime è stata in alcuna maniera sostenuta – e alcune<br />
erano in manifesto e immediato pericolo di vita – prima delle aggressioni,<br />
che dunque colpivano individui isolati. Quanto al dopo, non sono mai<br />
mancate le commemorazioni, le cerimonie, le commosse eulogie. Ma solo<br />
queste.<br />
* * *<br />
L'Ordine siciliano non è intervenuto neanche in presenza di episodi<br />
gravissimi sul piano dell'etica professionale. La linea del quotidiano La<br />
Sicilia, ad esempio, fu direttamente influita da esponenti importanti di Cosa<br />
Nostra in almeno due precise occasioni, nel '93 (intimidazione di un cronista<br />
da parte di Giuseppe Ercolano) e nel <strong>2008</strong> (pubblicazione di messaggi di<br />
Vincenzo Santapaola). In nessuno dei due casi l'Ordine ritenne di adottare<br />
una qualsivoglia sanzione a carico dei giornalisti coinvolti, specialmente del<br />
direttore-editore Mario Ciancio. Non sarebbe stato senza costi, del resto,<br />
visto che per Ciancio lavora buona parte dei più cospicui colleghi siciliani,<br />
dentro e fuori Ordine e Associazione.<br />
Meno ancora s'intervenne su violazioni latu sensu “politiche”, come la<br />
vera e propria campagna del Giornale di Sicilia di Palero contro il pool<br />
antimafia, o il rifiuto a Catania di pubblicar necrologi di vittime della mafia,<br />
o le intimidazioni – su La Sicilia - contro i “pentiti” di mafia che<br />
minacciavano di tirar dentro imprenditori.<br />
improvvisamente l'Ordine dei giornalisti di Sicilia si scopra una<br />
vocazione ai regolamenti, e che debba scoprirla proprio nei confronti di<br />
Maniaci. Letta da fuori Sicilia, parrebbe un'iniziativa autolesionistica e<br />
perdente. E indubbiamente lo è, o perlomeno non è che porti qualche<br />
vantaggio al vecchio Circolo dei Civili che bene o male rappresenta il<br />
giornalismo siciliano. E allora perché si sono messi in questo pasticcio?<br />
Voi ed io ci spiegheremmo facilmente la cosa con le caratteristiche<br />
fisiologiche - età non verde, orecchio duro, sonnolenza - di questi<br />
rispettabili colleghi. Ma un osservatore più smaliziato, uno come Andreotti<br />
ad esempio (“a pensar male si fa peccato però a volte ci s'azzecca”), non
mancherebbe di far notare che il trambusto su Maniaci copre molto<br />
opportunamente un'altra faccenda antipatica che s'annunciava, anch'essa –<br />
normalmente - di competenza dell'Ordine: i guai di Ciancio con Report,<br />
dopo quelli col Santapaola, dopo quelli con Repubblica E che c'entra<br />
Ciancio che è di Catania con l'Ordine che sta a Palermo?, direte voi. Io non<br />
saprei che dirvi. Ma il divo Giulio, che ne sa più di me, vi guarderebbe<br />
ironico e ghignerebbe: Eh...”.<br />
Non c'è molto altro da dire, su questa storia.<br />
Mi spiace per i colleghi che ci son rimasti coinvolti (non Maniaci,<br />
naturalmente: quelli che hanno votato per silenziarlo) perché per la maggior<br />
parte sono gente perbene, senza velleità eroiche ma anche senza voglia di<br />
far del male; non certamente mafiosi né complici della mafia e tuttavia<br />
capacissimi in questo caso - come don Abbondio con l'Innominato - di<br />
favorirla così per pigrizia, senza neanche rendersene conto.<br />
“E non avendo il tesserino, lo scaricaste?<br />
Così, davanti ai suoi nemici mafiosi?”.<br />
“Ma forse non mi sono spiegato abbastanza, monsignore... m'hanno<br />
intimato di non far quel matrimonio”.<br />
“E quando avete scelto questo mestiere, non sapevate che esso<br />
v'imponeva di sapere andare oltre le carte, di scegliere che la verità va<br />
difesa ad ogni costo?”.<br />
“Torno a dire, monsignore... avrò torto io... Il coraggio, uno non se lo può<br />
dare”.<br />
Va bene, finiamola qui. È una storia buffa, tutto sommato. Maniaci rischia<br />
la pelle, la rischia (ora che l'hanno isolato) anche un po' di più. Ma noi tutti<br />
speriamo che lui abbia fortuna. Speriamo che questa storia resti così. <strong>Un</strong>a<br />
buffa storia divertente, siciliana.<br />
SCHEDA/ TUTTO IN ORDINE<br />
* * *<br />
La Regione Siciliana possiede una struttura d'informazione superiore a<br />
quella di tutte le altre Regioni messe insieme: ben ventitré giornalisti,<br />
reclutati senza concorso con la qualifica di redattore capo (3.800 euro al<br />
mese). Venti di queste ventitré assunzioni sono state messe sotto inchiesta<br />
<strong>dal</strong>la Corte dei Conti, che addebita a Cuffaro e Lombardo (“assunzioni<br />
ingiustificate e il mantenimento in servizio senza motivo”) un danno
erariale di quattro milioni di euri. La Corte si chiede fra l'altro chi mai<br />
possano capeggiare se sono tutti redattori capo.<br />
Fino al 2004 la Regione aveva solo quattro giornalisti per le varie<br />
mansioni. Nel 2006 ne vennero assunti altri quindici (fra cui tutti i<br />
portaborse degli assessori regionali). Altri ancora vennero assunti nel 2007.<br />
Attualmente la Regione Sicilia ha alle proprie dirette dipendenze un po'<br />
meno giornalisti del Corriere della Sera e un po' più di Telejato. Ma rutti<br />
rigorosamente
13 maggio 2009<br />
SE NON CI FOSSE GOEBBELS QUA SCOPPIEREBBE UNA<br />
RIVOLUZIONE...<br />
Nessuno se ne vuol accorgere, ma nel giro di un anno se n'è già andato<br />
un quarto della produzione industriale. La crisi tocca già un italiano su<br />
due. Ma allora come mai niente barricate? Primo, perché sono obsolete. E<br />
secondo, perché il potere oggi sa come rispondere: distogliere l'attenzione<br />
mediante capri espiatori. Altrimenti a che servirebbero stampa e tv?<br />
Secondo l'Istat “la produzione industriale nel primo trimestre 2009 ha<br />
perso il 9,8% rispetto al trimestre precedente” ed “è calata del 23 per cento<br />
rispetto al marzo <strong>2008</strong>”.<br />
In Italia, cioè, nel giro di un anno abbiamo prodotto un quarto di cose in<br />
meno. Meno prodotti, meno fabbriche, meno soldi che girano, meno tutto.<br />
Questo è quel che succede fuori <strong>dal</strong> mondo ovattato della tv. <strong>Un</strong> italiano<br />
su due sta già subendo personalmente la crisi, e la tendenza è a peggiorare.<br />
La soglia di povertà sfiora sempre più gente (in Sicilia almeno un terzo) e se<br />
fossimo nell'Ottocento le strade sarebbero già chiuse <strong>dal</strong>le barricate.<br />
E come mai non ci sono? Primo, perché tecnicamente obsolete:è molto<br />
più semplice, in una società post-novecento, fare le barricate politiche e non<br />
reali (in America, per esempio, eleggendo Obama). E secondo perché, come<br />
già fecero i nazisti con gli ebrei, i politici hanno provveduto per tempo a<br />
trovare un buon capro espiatorio su cui scaricare tutte le paure.<br />
Linciare uno zingaro (cosa che ormai accade abbastanza spesso) è più<br />
facile che prendersela coi manager. Picchiare a freddo una marocchina<br />
rimuove un attimo l'impotenza della disoccupazione. Annegare degli<br />
emigranti, o riconsegnarli al loro dittatore, dà un senso di potenza collettivo<br />
che a un popolo non più bonario né giovane fa più o meno l'effetto di un<br />
viagra.<br />
La responsabilità della stampa “mainstream"<br />
(per dirla in americano: noi paesanamente diremmo “padronale”) in tutto<br />
questo è tremenda, ancora più terribile che nell'edulcorare i politici e nel<br />
nascondere i fatti. La comunicazione, con poche eccezioni, oggi è di nuovo<br />
Goebbels. Se non si vede subito è perché la misuriamo col Goebbels di<br />
allora e non con quel che Goebbels sarebbe con le tecnologie di oggi.<br />
Ma la funzione è identica, e identico tende a esserne il costo in vite
umane. Il mestiere di giornalista, che prima richiedeva serietà e coraggio,<br />
adesso – per chi non tradisce – richiede una tensione quasi religiosa.<br />
* * *<br />
Di buoni giornalisti ce ne sono tuttavia ancora, e molti altri ne crescono<br />
dopo di loro. Dei giovani, penso a Claudia e agli altri ragazzi di Catania<br />
che, fregandosene di tutti quanti, hanno salvato due poveri zingari <strong>dal</strong><br />
linciaggio. Dei vecchi, penso a gente come Pino di Telejato – ne abbiamo<br />
parlato l'altra volta – che a sessant'anni ancora riesce non solo a rischiare la<br />
pelle ma anche a sorriderci su ironicamente.<br />
Maniaci in particolare, a quanto pare, se l'è cavata ancora una volta. I<br />
giornalisti siciliani, o i loro legali tutori, che volevano fargli scontare la vita<br />
di collega libero, hanno dovuto (almeno per ora) far marcia indietro e<br />
contentarsi di guardarlo storto da lontano.<br />
La cosa bellissima (pure le cose belle accadono, nonostante tutto) è che<br />
stavolta a difendere Maniaci non siamo stati i soliti quattro disperati, ma il<br />
Sindacato e l'Ordine in persona, quelli veri. Si sono schierati, per una volta,<br />
senza se e senza ma con Maniaci.<br />
Hanno difeso il giornalista minacciato e onesto, senza mezze misure.<br />
Hanno detto quel che di loro pensavano ai colleghi siciliani (certo con<br />
diplomazia, ma non poi tanta) e li hanno obbligati a comportarsi, volenti o<br />
no, da persone per bene.<br />
Mi pare quindi giusto di segnalare dei nomi: Enzo Iacopino dell'Ordine,<br />
Roberto Natale della Federazione e in aggiunta, unico fra i “politici”, Beppe<br />
Giulietti. È la prima volta, in quasi trent'anni di mestiere, che faccio nomi<br />
della corporazione per lodare e non per rimproverare. Sarà una debolezza<br />
senile, ma ne sono contento.<br />
(E altri giornalisti, e giornali? No, nomi di altri colleghi non ne posso<br />
fare. Sul caso Maniaci tutta la stampa italiana, compresa quella progressista,<br />
ha osservato un silenzio bronzeo, senza sbavature. “Giornalista in Sicilia? -<br />
hanno detto il Corriere e Repubblica – Nenti vitti. Nenti sacciu. Nenti<br />
vogghiu sapiri”).
13 maggio 2009<br />
“C'È CHI PUÒ E CHI NON PUÒ. NOI PUÒ”<br />
Rispettosi del fondamentale impegno istituzionale e civile<br />
dell'Associazione della Stampa siciliana, sempre in prima linea nella lotta<br />
contro la mafia e nella difesa dei giornalisti minacciati, rispettosamente e<br />
doverosamente pubblichiamo il recente comunicato della medesima sulla<br />
drammatica storia di venti giornalisti siciliani<br />
“Sebbene si tratti di un atto dovuto, suscita comunque sconcerto la<br />
decisione della Procura di Palermo di iscrivere nel registro degli indagati i<br />
venti giornalisti dell’ufficio stampa della Presidenza della Regione<br />
siciliana".<br />
L’ipotesi di reato (concorso in abuso in atti di ufficio) lascia intendere che<br />
sulla vicenda delle nomine dei giornalisti aleggi un che di misterioso e<br />
inquietante, così come sulla qualifica di redattore capo prevista <strong>dal</strong> contratto<br />
di lavoro giornalistico.<br />
In realtà l’ufficio stampa e documentazione presso la Presidenza della<br />
Regione venne istituito oltre trenta anni addietro con un’apposita legge<br />
regionale, poi seguita da un accordo sindacale recepito <strong>dal</strong> governo<br />
regionale, che prevedeva per i giornalisti proprio il riconoscimento del<br />
trattamento giuridico ed economico di redattore capo.<br />
Per altro in Sicilia, nel pieno rispetto della legge 150, il contratto<br />
nazionale di lavoro e le relative qualifiche da applicare ai giornalisti che<br />
operano negli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni sono stati<br />
recepiti da un accordo sindacale. L’intesa, firmata da Fnsi e Associazione<br />
della Stampa con l’assessorato alla Presidenza, e ratificata da un decreto<br />
assessoriale pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, fissando i profili<br />
professionali e il relativo trattamento economico dei giornalisti, di fatto ha<br />
messo ordine in ragione delle osservazione della Corte Costituzionale.<br />
La Suprema Corte aveva cassato quelli parti delle leggi regionali<br />
riguardanti proprio le qualifiche contrattuali dei giornalisti degli uffici<br />
stampa delle pubbliche amministrazioni sottoposte al controllo della<br />
Regione, stabilendo che le stesse qualifiche non possono essere attribuite<br />
per legge ma solo per contrattazione tra le parti. Contrattazione che è infatti<br />
avvenuta creando un collegamento organico tra le prime norme che<br />
riguardano la Regione e il sistema contrattuale che riguarda il territorio”.
SCHEDA/ DI CHE SI TRATTA<br />
* * *<br />
Palermo. L'ex presidente Cuffaro, il suo successore Lombardo e venti<br />
giornalisti dell'ufficio stampa della presidenza assunti con contratto di<br />
redattori capo nel 2004 per chiamata diretta sono stati iscritti nel registro<br />
degli indagati (per concorso in abuso d'ufficio) <strong>dal</strong>la Procura. Quattro sono<br />
già stati sentiti <strong>dal</strong> Pm Petrigni.<br />
Lo staff dei comunicatori della presidenza, composto da 4 giornalisti, fu<br />
portato a 8 nel 2004 e a 24 nel 2006, poco prima delle elezioni.<br />
Fra gli assunti, quasi tutti i portavoce degli assessori regionali uscenti<br />
(Giulio Ambrosetti, Laura Compagnino, Fabio De Pasquale, Maria Pia<br />
Ferlazzo, Enzo Fricano, Fabio Geraci, Stanislao Lauricina, Luisa Micciché,<br />
Wlady Pantaleone, Stefania Sgarlata e Manlio Viola) e altri giornalisti vicini<br />
a esponenti del centrodestra: Vito Orlando, portavoce di Guido Lo Porto,<br />
Ludovico Licciardello, addetto stampa di Salvo Fleres, Luigi Sarullo, figlio<br />
di un consulente di Schifani e Ivana Di Nuovo, figlia dell ´ex responsabile<br />
stampa Udc. Nell' ottobre 2007 entrarono anche Guido Monastrae<br />
Francesco Inguanti, un consulente di Cuffaro pubblicista da pochi mesi.
27 maggio 2009<br />
E DOPO LOMBARDO?<br />
Rissa fra i padroni (politici) della Sicilia: Lombardo, dopo Bossi e dopo<br />
Starace, va cercando altri alleati. Non a sinistra, speriamo, e non fra le<br />
persone perbene. E allora?<br />
C'è aria d'inciucio – non per la prima volta – ai piani alti del<br />
centrosinistra: i vari Cracolici e Finocchiaro rilasciano dichiarazioni di<br />
disponibilità a “dialogare”. Sarebbe una catastrofe per la Sicilia, come tutti<br />
gli altri inciuci precedenti, <strong>dal</strong>l'operazione Milazzo ai vari patti con la Dc di<br />
Salvo Lima.<br />
Invece sarebbe bello se – considerando i siciliani dei cittadini, almeno<br />
stavolta – si tornasse a votare. E se la sinistra avesse il buon senso di andare<br />
alle elezioni tutti uniti, con una sola lista, come tre anni fa.<br />
E se questa lista fosse non solo la lista della sinistra (anche), ma<br />
soprattutto quella dell'antimafia.<br />
E se il candidato presidente fosse uno come la Borsellino di allora (lei<br />
stessa, Fava, Orlando, Lumia... uno qualunque di questi, senza primedonne,<br />
magari tirando a sorte) e in giunta tutti gli esponenti dell'antimafia, tutti<br />
insieme: uno ai Lavori pubblici, uno ai Giovani, uno alla Cultura, uno alla<br />
trasparenza pubblica, uno ai Beni regionali, uno al Lavoro...<br />
<strong>Un</strong>a giunta rivoluzionaria, non solo “politica”, ma di fondazione.<br />
Sull'unico terreno che veramente divide i siciliani, l'unico concreto e serio<br />
qui e ora. I padroni – mafiosi – della Sicilia da un lato, e <strong>dal</strong>l'altro Garibaldi<br />
e Falcone, senza mezze misure. Molti siciliani risponderebbero, come<br />
dicono i risultati di tre anni fa. E forse...<br />
Sì, ma stiamo sognando. Figurarsi. Si rischierebbe di vincere, o di andarci<br />
vicini. E a questo, nel centrosinistra di oggi, oramai non ci crede nessuno.
27 maggio 2009<br />
MORIRE D'INFORMAZIONE O PROVARE A FARLA NOI<br />
Continua il percorso delle testate libere catanesi per costruire insieme un<br />
giornale che veramente racconti la città. È stata messa in funzione<br />
l'Associazione Lavori in corso, è stata completata la prima inchiesta (vedi<br />
pagina 8). Ma perché l'informazione, qui e ora, è così importante?<br />
Pare che Mauro Rostagno sia stato ammazzato dai mafiosi. Dopo ventun<br />
anni è ufficiale, sembra che anche Peppino Impastato sia stato ucciso da<br />
loro e non (come dicevano Corriere, Repubblica, Giornale di Sicilia e<br />
televisione) da una bomba mentre faceva un attentato.<br />
Bene. La verità prima o poi viene a galla, qua in Sicilia. Magari - come<br />
nel caso di Peppino - dopo dieci anni. O come per Giuseppe Fava, ucciso<br />
<strong>dal</strong>la mafia e non - come dicevano Toni Zermo, Tino Vittorio e gli altri<br />
pezzi grossi catanesi - per qualche storia di donne. E Borsellino, e Falcone?<br />
Professionisti dell'antimafia, secondo i giornali isolani ma anche secondo<br />
il nobile Corriere.<br />
E Francese, e De Mauro, e Alfano, e quelli di Portella? La mafia, secondo<br />
i giornalisti siciliani, non ha mai ucciso quasi nessuno. Qualcuno è morto sì,<br />
ma perché irrispettoso o caustico o, peggio di tutto, comunista. In quasi tutti<br />
i casi la verità vien fuori grazie a pochissime persone (Umberto Santino per<br />
Impastato, I Siciliani per Fava, ecc.), contro la stampa “perbene” e<br />
nell'indifferenza della maggior parte dei siciliani.<br />
L'omertà della stampa rincretinisce sempre più i lettori, che essendo<br />
rincretiniti vogliono una stampa sempre più omertosa. Questo circolo<br />
vizioso, che una volta era tipicamente siciliano, adesso è felicemente<br />
nazionale, e produce i governi. La rozza Sicilia, riducendola al proprio<br />
livello, s'è infine così vendicata della civile Lombardia. Sicilia capta<br />
probum victorem smerdavit.<br />
* * *<br />
La questione dell'informazione (disinformazione scientifica, propaganda)<br />
qui e ora è la più importante di tutte, senza paragone. È lei che fa Cosa<br />
Nostra e Berlusconi. È lei ha creato i Bossi e i Ciancimino (ma qualcuno sa<br />
più chi era fra i politici Ciancimino? E qualcuno nota più cosa veramente<br />
dice Bossi?), lei che accoltella o affoga in mare gli emigranti, lei che un<br />
tempo sparava ai sindacalisti. I politici vengono dopo, si limitano a
accogliere i frutti di ciò che l'”informazione” ha seminato.<br />
Non è una situazione riformabile <strong>dal</strong>l'interno.<br />
L'informazione ufficiale nel suo complesso, tecnologie o non tecnologie,<br />
può forse peggiorare (non ha ancora proposto, ad esempio, la sterilizzazione<br />
degli zingari o il lavoro forzato nei centri-lager) ma non può migliorare<br />
assolutamente, salvo che in individui singoli e pronti a finir male.<br />
Perciò siamo tanto fanatici dei nostri pochi giovani e della nostra poca e<br />
povera libera informazione. Son pochi, ma esistono. Potrebbero attraversare<br />
il ventennio – 1994-2014: vent'anni – come fu attraversato il primo.<br />
Debbono rafforzarsi, debbono collegarsi, debbono - Gobetti - cercare lo<br />
scontro senza illusioni, non l'ottimismo.<br />
* * *<br />
Le cose, qui in Italia, vanno come in fondo sono sempre andate. C'è<br />
piazza Venezia piena, c'è il duce, c'è la difesa della razza, ora c'è anche<br />
Claretta. Che buon popolo buffo saremmo stati, se in mezzo ai gerarchi<br />
panzoni, ai professori con tessera e ai tengo-famiglia non ci fosse anche<br />
quel cinque-dieci per cento di nazisti fanatici, di incamiciati sbraitanti, di<br />
assassini. Avrebbe potuto essere una commedia italiana, una delle tante: così<br />
invece, se non succede qualcosa (ma cosa?), finirà prima o poi in dramma,<br />
alla croata.
27 maggio 2009<br />
L'ITALIA ALL'EPOCA DEL BAVAGLIO<br />
Centinaia di notizie, grandi e piccole, danno l'idea di un paese che sta<br />
diventando davvero molto strano. Ma per la maggior parte non circolano, o<br />
circolano in maniera edulcorata e corretta, senza contesto. Forse il Grande<br />
Fratello (quello di Orwell) è tutto qui. <strong>Un</strong> paese di plastica, che in realtà<br />
esiste solo dentro il televisore. Mentre il paese vero, privo di idee e di<br />
governo, tira a campare giorno per giorno sprofondando sempre di più<br />
Palermo (Sicilia). Il giudice Roberto Scarpinato ha rivelato come il<br />
governo abbia recentemente tolto alle procure la password per accedere ai<br />
conti correnti, mpedendo così il sequestro di enormi capitali mafiosi.<br />
* * *<br />
Milano (Lombardia). È stata revocata con 29 voti a favore, 24 contrari e<br />
un astenuto la Commissione antimafia recentemente istituita in seno al<br />
Consiglio comunale.<br />
* * *<br />
Catania (Sicilia). A giudizio per bancarotta fraudolenta i padroni della<br />
ditta Elmec di Piano Tavola. Parte civile i lavoratori, che da due anni<br />
occupavano la fabbrica per difendere il posto di lavoro.<br />
* * *<br />
Castelfranco (Veneto). <strong>Un</strong> referendum dei lavoratori bianchi della Global<br />
Garden ha approvato la proposta dell'azienda - che costruisce macchine da<br />
giardino e impiega circa mille operai fra bianchi e neri - di cacciare gli<br />
operai neri <strong>dal</strong>la fabbrica per meglio superare la crisi.<br />
* * *<br />
Catania (Sicilia). Sei ragazzi del movimento studentesco hanno ricevuto<br />
<strong>dal</strong>la Procura una notifica, da parte "in ordine al delitto di deturpamento di<br />
immobili perché con numerosi altri soggetti non identificati nel corso di una<br />
manifestazione con corteo in via Etnea di Catania raggiungevano la piazza<br />
del Duomo, dove deturpavano ed imbrattavano il palazzo muncipale<br />
lanciando uova, pomodori e carta igienica contro il portone e la facciata".<br />
* * *<br />
Palermo (Sicilia). È stata assegnata all'Ordine dei giornalisti di Sicilia la<br />
villa confiscata ai fratelli Sansone.<br />
La richiesta di assegnazione di un bene confiscato alla mafia era stata
presentata da tempo <strong>dal</strong>l'Ordine dei giornalisti di Sicilia, che ha espresso<br />
"viva soddisfazione per il riconoscimento della funzione sociale svolta<br />
<strong>dal</strong>l'ordine dei giornalisti, a difesa della legalità".<br />
In Sicilia l'Ordine regionale (vivamente contestato <strong>dal</strong>l'Ordine nazionale)<br />
ha recentemente difeso la legalità cercando di ridurre al silenzio la tv<br />
antimafiosa Telejato.<br />
* * *<br />
Corleone (Sicilia). Per aver partecipato alla Giornata della Memoria di<br />
"Libera"<br />
Giovanni Labruzzo, Eugenio Provenzano ed Enrico Labruzzo, tre studenti<br />
corleonesi, sono stati cacciati via dagli scout <strong>dal</strong> parroco Giuseppe Gentile<br />
(lo stesso che aveva officiato le nozze della figlia di Totò Riina).<br />
* * *<br />
Trieste (Venezia Giulia). Gira armato il presidente leghista del Consiglio<br />
regionale, Ballaman. L'arma, una 357 magnum, non viene tuttavia portata in<br />
aula durante le Edouard riunioni.<br />
* * *<br />
Bassano del Grappa (Veneto). Diventa legale, grazie a un disegno di legge<br />
della Lega, la produzione casalinga di grappa.<br />
* * *<br />
Catania (Sicilia). Al processo per le infiltrazioni mafiose nella festa della<br />
patrona cittadina Sant'Agata è emerso che processione, "candelore", fermate<br />
e festa venivano gestite, per ragioni di prestigio, <strong>dal</strong> clan cittadino dei<br />
Santapaola.<br />
* * *<br />
Canicattì (Sicilia). Identificato dai carabinieri il responsabile della morte<br />
del cagnolino seviziato e ucciso il 10 maggio scorso nei pressi della villa<br />
comunale.<br />
Si tratta di un ragazzino di nove anni il quale dopo aver ucciso il cane<br />
impiccandolo si è fatto filmare con i cellulari da altri ragazzini di età<br />
compresa tra i tredici e i quindici anni.<br />
* * *<br />
Scandiano (Emilia). <strong>Un</strong> quindicenne è morto per un malore mentre<br />
nuotava nella piscina "L'Azzurra" a Scandiano, in provincia di Reggio<br />
Emilia. Il ragazzo, che frequentava la terza media, si era sentito male, forse<br />
per una congestione, poco dopo essersi tuffato. Inutile l'intervento del<br />
bagnino e dei medici subito accorsi.
Alcuni degli altri bagnanti non hanno lasciato la vasca, continuando a<br />
restare immersi durante le operazioni di soccorso a bordo piscina e<br />
nonostante gli inviti dei responsabili della struttura.<br />
* * *<br />
Urbino (Umbria). <strong>Un</strong> anziano turista è morto d'infarto mentre con altri<br />
faceva la fila per visitare la mostra di Raffaello a Palazzo Ducale. C'è stato<br />
appena il tempo di ricoprire il cadavere con un lenzuolo bianco che già gli<br />
altri turisti avevano cominciato a riprenderlo con videocamere e flash.<br />
* * *<br />
Sanremo (Liguria). <strong>Un</strong> uomo di 47 anni, Bruno Fazzini, è morto per un<br />
ictus dopo essere rimasto in coma per circa dodici ore sul pianerottolo di<br />
casa. Nessuno dei vicini l'ha aiutato e diversi hanno scavalcato il corpo<br />
risalendo le scale. "Credevo fosse ubriaco" ha dichiarato uno".<br />
* * *<br />
Napoli (Campania). Sedicenne minaccia di accoltellare il fratellino<br />
ricattando la mamma: "Cento euri o l'ammazzo".<br />
* * *<br />
Sulmona (Abruzzo). Alla Magneti Marelli (Sistemi Sospensioni spa,<br />
Gruppo Fiat, 750 operai) occorre un permesso scritto per andare in bagno. È<br />
un piccolo tagliando su carta intestata <strong>dal</strong> titolo "permesso interno".<br />
* * *<br />
Rosarno (Calabria). Tre imprenditori agricoli di Rosarno sono stati<br />
arrestati perché accusati di far parte di una associazione per delinquere<br />
finalizzata alla riduzione in schiavitù degli immigrati. Le indagini dei<br />
carabinieri hanno portato alla luce svariate storie di induzione alla<br />
prostituzione, estorsioni, maltrattamenti e violenze commesse approfittando<br />
dello stato di necessità e delle precarie condizioni di vita.<br />
* * *<br />
Palermo (Sicilia). Assessore regionale indagato per rapporti con clan<br />
mafiosi e compravendita di voti e preferenze. Accusato dai pentiti del clan<br />
di Resuttana, l'assessore Antinoro nega le accuse.<br />
* * *<br />
Bergamo (Lombardia). Applicando un vecchio regolamento di polizia<br />
urbana, l'amministrazione (di centrosinistra) ha comunicato che è permesso<br />
chiedere l'elemosina per le vie del comune, ma per la durata massima di<br />
un'ora.<br />
* * *
Padova (Veneto). Scritti sulle lavagne, per ordine della preside Anna<br />
Bottaro, i nomi dei diplomandi di origine straniera.<br />
Lo scopo,secondo la preside, è quello di invitare quelli di loro che fossero<br />
privi di permesso di soggiorno a "consegnarlo entro domani" prima di<br />
sostenere l'esame.<br />
* * *<br />
Catania (Sicilia). Conferenza all'<strong>Un</strong>iversità, insieme al rettore neo-eletto,<br />
del politico siciliano Marcello Dell'Utri, da poco assolto per prescrizione <strong>dal</strong><br />
reato di "minaccia grave" ai danni di un imprenditore trapanese. Coimputato<br />
di Dell'Utri era nell'occasione il boss trapanese Vincenzo Virga, da poco<br />
accusato di essere il mandante dell’omicidio di Mauro Rostagno.<br />
Argomento della conferenza "Il buongoverno dei giovani" visto da<br />
Dell'Utri.<br />
La successiva conferenza sarà su "Il Futurismo: avanguardia <strong>dal</strong>l'Italia al<br />
mondo", on.Gianfranco Fini, Facoltà di Lettere, Aula Magna.
4 giugno 2009<br />
CASO MANIACI/ (QUASI) TUTTO È BENE QUEL CHE FINISCE<br />
BENE<br />
Grazie alle amichevoli pressioni dell'Ordine dei Giornalisti nazionale,<br />
della Federazione della Stampa e di un bel po' d'opinione pubblica in Sicilia<br />
e fuori, i dirigenti dell'ordine dei giornalisti siciliano hanno finalmente<br />
concesso il tesserino di giornalista al giornalista Pino Maniaci di Telejato.<br />
Tutto è bene quel che finisce bene.<br />
Adesso, però, si pongono delle questioni.<br />
Telejato è una tv d'inchiesta e Maniaci è un giornalista antimafioso, più<br />
volte minacciato.<br />
I giornalisti siciliani “ufficiali"<br />
invece sono in genere tutt'altro che antimafiosi, né scrivono per giornali<br />
d'inchiesta ma per i fogli - o gli uffici stampa - dei vari politici e<br />
imprenditori locali. I quali naturalmente l'inchiesta la vedono come il cane<br />
vede il bastone.<br />
E allora? È Maniaci che deve pazientemente imparare ad adulare i politici<br />
e a chiudere tutt'e due gli occhi sui mafiosi, o sono i giornalisti perbene che<br />
debbono diventare indipendenti e riscoprire (o scoprire da zero) il<br />
giornalismo vero?<br />
Perché di qua non si scappa: Maniaci - grazie a quel tesserino – ormai è<br />
un giornalista d'ordine siciliano, un collega perfetto, uno di loro. E mica si<br />
può tenere nello stesso cesto frutta e calzini sporchi, non va bene. O tutti in<br />
un modo, o tutti nell'altro.<br />
Personalmente, preferiremmo che fosse Maniaci a diventare orbo e muto.<br />
Intanto per farlo campare un po' meglio, coi soldi per pagarsi il telefono e<br />
senza rischio di revolverate. E poi perché sarebbe troppo crudele, per i<br />
colleghi dell'establishment, obbligarli a fare sul serio questo mestiere.<br />
Ci sarebbero ulcere, inappetenze, esaurimenti nervosi e crisi coniugali.<br />
No, no, non siamo così barbari. Continuino pure a lavorare così, come<br />
sanno e vogliono. In compenso, però, ci facciano una cortesia: chiudano<br />
benignamente un occhio, perlomeno ogni tanto, sulle attività del Maniaci.<br />
Quando attacca i notabili, quando accusa i mafiosi, quando fa fatti e nomi. È<br />
vero, non sarebbero cose che si fanno, fra professionisti tesserati e perbene.<br />
Ma che ci volete fare, non è colpa sua: è solo la sua malattia, il suo vizio,
il giornalismo
4 giugno 2009<br />
CHE COSA TIENE SU I SICILIANI<br />
Tutta l'Italia andava a fondo meno la Sicilia, all'avanguardia in tutti i<br />
campi - arte, cultura, economia, politica, società - grazie a Re Federico e al<br />
saggio popolo siciliano. Il re aveva una sola curiosità: “Vorrei sapere che<br />
cosa mai vi tiene a galla, voi siciliani!”. E fece tuffare il ragazzo<br />
"Tuffati" disse lu re. 'U caruso guizzò lestamente giù diritto come un<br />
pesce (da donde il nome) e per qualche picca di lui non rimase che il colliè<br />
di bollicine su <strong>dal</strong>l'acqua profonda. Eppoi le bollicine si ruppero e ricciuta e<br />
ridente rivenne su la testa. "Rieccovi l'anello, maestà!".<br />
"Bene!" sorrise il re. "Bene!" ripetè la comarca. "Adesso finalmente potrò<br />
sapere...- il re era molto curioso: artravorta avia fatto allivari solinghi e soli<br />
dui picciriddi allo scopo di spiare che lingua cristiana o babelica ne sortissi -<br />
adesso potrò sapere che cosa, contro ogni leggi di fisica, vi tiene a galla<br />
l'Isola".<br />
"Maestà - disse un barone - ma già è ben noto. Le tre colonne cristalline: a<br />
Passero, a Lilibeo e a Peloro, coi tre ciclopi che le fecero a quei tempi". "Sì<br />
ma allora non c'era la tecnologgia!". Lu re fece un cenno e uno dei<br />
cortigiani porse al ragazzo un attrezzo, un coso lucido piccolo e vetroso, con<br />
un occhiuzzo in mezzo.<br />
"Ora tu metti questa cosa appress'alla colonna. Quando l'hai messa, premi<br />
qua.<br />
Eppoi o resti lassotto o risali, come vuoi".<br />
Il ragazzo afferrò la webcam, sorrise a tutto il mondo e si cataminò di<br />
sotto: un attimo prima c'era, un attimo dopo non c'era più.<br />
Passarono alcuni momenti, e sul dispay del sovrano si accese - come da<br />
previsione - la lucina. Eppoi, sfocate ma riconoscibili (settantadue<br />
puntipollice bianconero) le Gif cominciarono a scorrrere su tutti i monitor<br />
della Rete.<br />
"What is it?". <strong>Un</strong>a valigia di cartone: e, da fuori campo, la mano del<br />
ragazzo che la raddrizzava. "E questa?". <strong>Un</strong>'asta di bandiera, si direbbe: con<br />
pochi filamenti attaccati ma una faucimmatteddu rugginosa ancora fissa alla<br />
punta.<br />
Eppoi riloggi fermi, pacchi di lettere e vaglia, fiaschi, marranzani, nache<br />
di legno, bummuli, barde di carretto, stellette militari, coppole, e remi di
arche, e foto dei Due Amici, e cuteddi... tutta 'na massa di paccottiglia<br />
miserabile e smancicata che invero - improvvisamente e con schifo si rese<br />
conto il re - non era ammucchiata attorno alla colonna né adiacente alla<br />
medesima, ma era semplicemente la colonna stessa.<br />
Altro che colonne ciclopiche... "Ecco che cosa li teneva a galla, i fetenti!".<br />
"Richiamo il ragazzo, maestà?". "Che richiami a fare? Lascialo nella loro<br />
spazzatura".<br />
Con uno sbuffo, re Federico s'alzò.<br />
"In Germania, in Germania! Ce ne torniamo in Europa. E io che credevo<br />
ai miti". E s'incamminò via <strong>dal</strong> salone, con tutta la comarca dei cortigiani<br />
dietro.<br />
Nessuno pensò a spegnere i monitor, e la webcam per quanto obsoleta era<br />
di tipo buono. Così se passi da Messina e hai tempo da perdere ancora puoi<br />
buttare un'occhiata sul fondamento della Sicilia in bianco e nero, sui pesci<br />
che se lo smusano curiosi e le alghe che lo carezzano indifferenti.<br />
Ogni tanto, entrando improvvisamente nella schermata come in un<br />
videogame postmoderno - da su, da giù, da mancina, da dritta - appare la<br />
figurina di un ragazzo che coglie amorosamente le vecchie cose e le rimette<br />
dentro alla colonna: non senza averci fischiato dentro se era un flauto, o<br />
averci mimato una mossa se un coltello.<br />
Non pare che abbia gran voglia di risalire: e menu mali, accussì almeno<br />
un altro poco restiamo a galla.<br />
(omaggio a A.C.)
11 giugno 2009<br />
QUATTRO PROPOSTE PER RIPORTARE A COMBATTERE<br />
GRAZIELLA E GLI ALTRI<br />
La lotta alla mafia è soprattutto lotta d'informazione. Chi la fa, chi ha<br />
accumulato coraggio, serietà, professionalità ed esperienza per poterla<br />
fare, è un patrimonio di tutti. Nell'interesse di tutti, non va lasciato solo.<br />
Che cosa concretamente si può fare per aiutare (ad esempio) i giornalisti<br />
dei Siciliani a cui – vent'anni dopo vogliono confiscare le case? Ecco delle<br />
idee<br />
Berlusconi, il governo, Di Pietro, Franceschini, la sinistra... Ma si può,<br />
con tutte queste cose importanti in giro, dare la copertina a due persone<br />
“comuni”, simpatiche ma certo non potenti, come Graziella e Pino? Certo<br />
che si può.<br />
Al centro di tutta la lotta politica in Italia, prima e più seriamente di ogni<br />
altra cosa, c'è l'antimafia. Al <strong>Sud</strong> perché la mafia comanda e l'unica lotta<br />
reale è questa, e tutto il resto è poesia. In tutta Italia perché la mafia (o il<br />
sistema politico-imprenditoriale- mafioso, il Sistema come dice Saviano)<br />
oramai è un modello dappertutto.<br />
Ci sono i mafiosi dei clan anche a Milano, oramai. Ma soprattutto anch e<br />
là ci sono i Ciancimino, i Martellucci (“la mafia non esiste”), e<br />
probabilmente pure i Sindona e i Salvo Lima.<br />
Il personale politico, insomma, della contiguità. Che una volta stava a<br />
Catania e Palermo, ma ora è dilagata, sia come modo di fare che come<br />
relazioni d'affari. Non è solo la linea della palma ad aver risalito il nord.<br />
La lotta alla mafia – nel senso di lotta al potere mafioso, al Sistema – è<br />
soprattutto lotta d'informazione. Informazione di base, “povera”, libera,<br />
battagliera. Più Radio Aut che Santoro. Perché sociale, legata al territorio,<br />
giovane, aggressiva. Rendo e Ba<strong>dal</strong>amenti non li hanno sconfitti i giornalisti<br />
famosi, ma quelli – professionali ma militanti – come Peppino Impastato o<br />
Pippo Fava.<br />
* * *<br />
Di giornalisti così ce ne sono ancora, in giro. Non moltissimi, ma qualche<br />
decina sì.<br />
E molti sono i ragazzi che imparano da loro. Ciascuno di questi giornalisti<br />
è un patrimonio sociale, una risorsa insostituibile per la democrazia.
È interesse di tutti difenderli e metterli in grado di lavorare. Interesse<br />
delle sinistre, dei sindacati, delle cooperative, delle professioni<br />
democratiche, degli imprenditori (finalmente) antimafiosi. Sono loro la<br />
prima linea, quelli giù di guardia nel deserto.<br />
Se crollano loro, prima o poi crolla tutto il resto.<br />
È dovere di tutti difendere Graziella e Pino. (Certo, non loro soli: con<br />
Graziella, ad esempio, difendiamo Lillo Venezia, Rosario Lanza, Elena<br />
Brancati, Claudio Fava, Antonio Roccuzzo, Miki Gambino, tutti i “vecchi”<br />
dei Siciliani, tutti come lei chiamati a rispondere dei debiti fatti per<br />
difendere la trincea di tutti. Qui diciamo Graziella per semplificare).<br />
È dovere di Graziella e Pino (ma anche mio, di Fabio, di Luca, di Claudia,<br />
di Lillo, di Piero – anche qui, usiamo un paio di nomi per semplificare),<br />
stringere i denti, tener duro, “non mollare”, non scoraggiarsi mai e non<br />
mollare. E soprattutto essere uniti, coordinarsi il più possibile, fare rete.<br />
* * *<br />
Ci chiedono che fare, per Graziella e per gli altri. Avrei quattro precise<br />
idee da proporre: 1) Organizzare un grande concerto nazionale, con artisti<br />
famosi (a cominciare dai Modena, ma non solo), e organizzarlo con la<br />
bandiera dell'Ordine dei Giornalisti e del sindacato dei giornalisti, la Fnsi,<br />
nazionale. Mi fido di loro, li abbiamo avuti accanto per difendere Pino. Mi<br />
piacerebbe se prendessero questa iniziativa, e se ci fosse anche Libera di<br />
mezzo.<br />
2) Fare una trattenuta sullo stipendio di luglio, noi giornalisti<br />
professionisti: cinquedieci euri a testa non li sentiremo nemmeno, perché a<br />
luglio c'è la quattrordicesima e quest'anno ci sono anche i soldi del contratto<br />
nuovo; 3) I parlamentari europei dell'antimafia diano il loro primo stipendio<br />
per l'informazione antimafia, per Graziella e gli altri: 4) Voi dirigenti della<br />
Lega delle cooperative avete un debito con noi dei Siciliani. Noi eravamo<br />
una cooperativa della Lega, ma la Lega non ci ha salvati; ha preferito fare<br />
gli affari con i Cavalieri. Potete saldarlo ora, questo debito, compagni di<br />
Reggio Emilia e di Bologna. Certo, non c'è nessuno che vi obblighi; ma<br />
sarebbe un onore grandissimo, poter dire “I nostri predecessori sbagliarono,<br />
ma noi, noi che rispondiamo di noi stessi qui ed ora, noi siamo contro la<br />
mafia e con i Siciliani”.
11 giugno 2009<br />
L'ITALIA CHE NON SI VEDE MA C'È<br />
Sono arrivate molte lettere, quando s'è saputa la storia, di gente che<br />
vuole bene a Graziella. “Vi mando i miei risparmi”. “Voglio fare<br />
qualcosa”. “Perché non dà una mano la Legacoop?”. Ingenue,<br />
appassionate, profondamente civili. L'Italia non è solo Noemi e Bruno<br />
Vespa. C'è tutto un mondo sommerso, <strong>dal</strong>le radici profonde, che vive in<br />
questo Paese. I Siciliani, Casablanca, U<strong>cuntu</strong> ne portano a galla un po'<br />
Numerosi lettori hanno scritto per esprimere solidarietà a Graziella Proto<br />
e offrire il loro appoggio. Eccone alcuni.<br />
* * *<br />
Associazione Antimafie "Rita Atria": < Dobbiamo ringraziare<br />
costantemente questo Stato per ricordare le vittime di mafia e presentare il<br />
conto ai vivi. Quindi la mafia ottiene un risultato pieno: uccide Pippo Fava e<br />
distrugge la vita di Graziella Proto e di altri. Si parla di pignoramento della<br />
casa di Graziella Proto al momento dell'omicidio Fava la presidente della<br />
cooperativa Radar proprietaria della testata I Siciliani di Pippo Fava<br />
(giornalista <strong>dal</strong>la mafia ucciso il 5 gennaio 1984).<br />
Facciamo un appello a tutti affinché <strong>dal</strong>le commemorazioni si passi ai<br />
fatti.<br />
Quel pignoramento è un insulto alla memoria di Pippo Fava e soprattutto<br />
è un atteggiamento inaccettabile da parte dello Stato nei confronti di chi nel<br />
tempo con atti concreti ha saputo resistere.<br />
Gli sconti li facciamo solo ai piloti, cantanti, etc... ma quel fallimento<br />
doveva essere condonato per dignità. Vi preghiamo di scriverci per essere<br />
informati sulle forme di protesta che attueremo, al momento ci stiamo<br />
organizzando<br />
* * *<br />
mila spicola: < la notizia su graziella mi ha molto colpita, la diffondo e<br />
inoltro a chiunque per far sì che tutti sappiano ><br />
* * *<br />
massimo mingrino: < Come possiamo aiutare Graziella concretamente,<br />
noi semplici cittadini? Attendo fiducioso un riscontro. A presto ><br />
* * *<br />
Serena Malavasi: < Io vivo al nord ma conosco sommariamente la storia
de I Siciliani e vorrei, per quanto nelle mie possibilità, contribuire a<br />
sostenere Graziella ><br />
* * *<br />
Lia Didero: < Ciao. qualche info in più, che magari si cerca di organizzare<br />
qualcosa, quassù nelle marche, in sostegno di Graziella? ><br />
* * *<br />
Pia Covre: < Sono davvero straziata nel cuore per il contesto in cui siamo<br />
immersi, e mi sento come una povera farfalla rinchiusa in un bicchiere.<br />
Quando riusciremo a venir fuori da questo incubo che è diventato il Sistema<br />
italiano ci vedremo attorniati da macerie proprio come i terremotati.<br />
Si può far girare un appello a favore di Graziella per pagare i vecchi<br />
debiti? Io sono candidata alle europee ma ho rinunciato a spendere per la<br />
campagna e ho destinato i soldi della stampa a due onlus per bambini, ma<br />
potrei girare qualcosa anche per quella rivista che ha avuto tanta importanza<br />
nel costruire una coscienza antimafiosa.<br />
Fammi sapere come posso fare ><br />
* * *<br />
Ariel Paggi: < Tenendo conto degli affari che fa in tutto il paese, Sicilia<br />
compresa dovrebbe pagare la <strong>Un</strong>iccop ><br />
* * *<br />
natya migliori: < Ho letto di Graziella sulla Catena di San Libero e ho<br />
proposto un pezzo a Women in the city: mi farebbe piacere contribuire nel<br />
mio piccolo a fare un poco di casino su questa cosa che mi pare l'ennesimo<br />
sfregio all'impegno e all'onestà intellettuale ><br />
* * *<br />
antonio.baiano@fiat.com: < Si potrebbe istituire un CC per Graziella<br />
Proto, in modo che anche noi possiamo contribuire ed aiutarla? ><br />
* * *<br />
Associazione Capitano Ultimo: < L'associazione dei Volontari Capitano<br />
Ultimo si stringe attorno a Graziella Proto, che si è vista arrivare il<br />
pignoramento della casa per il fallimento della rivista "I Siciliani", giornale<br />
fondato da Peppe Fava.<br />
Mentre nelle commemorazioni ufficiali si parla del coraggio di questo<br />
giornalista e della sua rivista, sottobanco viene punita Graziella Proto,<br />
perché ha osato tentare di continuare l'opera del suo direttore tenendone in<br />
vita la memoria tramite il suo giornale.<br />
Per noi è importante che i morti non vengano dimenticati, ma che si
continui la loro lotta rimanendo al fianco di chi, in vita, porta avanti lo<br />
stesso ideale di giustizia, perché, come diceva Falcone, "Si muore quando si<br />
è lasciati soli", e noi non vogliamo essere complici di questo silenzio ><br />
* * *<br />
arci arcobaleno: < Sono Mario del Circolo Arcobaleno di Roma; ci<br />
conosciamo per via di un abbonamento a Casablanca. La sua condotta è<br />
l’AZIONE, e l’azione è la cosa che manca oggi in Italia.<br />
Mentre “penso” cosa fare, se mi mandi il suo Iban le mando i miei<br />
risparmi ><br />
* * *<br />
Giovanni Mannino: < Sono un educatore dell'Agesci Sicilia, incaricato al<br />
Settore Pace Nonviolenza e Solidarietà, referente per Libera. Sono tra i<br />
fondatori dei "I Briganti" rugby Librino e sono amico dei ragazzi della<br />
"Periferica"<br />
di Massimo Nicosia. Mi fa sempre rabbia quante cose che la gente non è a<br />
conoscenza e quanti "topi" che si sono mangiati tutto il formaggio<br />
amministrano Catania e le ns città siciliane da decenni... ormai! Mi sono<br />
permesso, dopo averlo letto l'articolo su Graziella su Peacelink, di<br />
pubblicarlo sulla pagina dell'Agesci Sicilia. Mi metto sin d'ora a<br />
disposizione per qualsiasi azione di "lotta" civile e nonviolenta, credendo<br />
che cose di questo genere succedono solo in Italia e doppiamente nella<br />
nostra Sicilia.<br />
<strong>Un</strong> forte abbraccio. I CARE ancora! ><br />
* * *<br />
Fernando Benigno: < Caro Riccardo, a nome della Scuola di formazione<br />
politica Antonino Caponnetto, esprimo tutta la vicinanza e solidarietà<br />
umana e professionale a Graziella. Lor Signori presentano sempre il conto,<br />
come metodo, a chi ha scelto di parlare, o scrivere, anzicché tacere, a chi ha<br />
scelto la libertà piuttosto che il servilismo, a chi ha scelto di avere e<br />
difendere la dignità piuttosto che svenderla. Ci impegnamo ad essere al<br />
vostro fianco per le iniziative che intraprenderete.<br />
<strong>Un</strong> saldo abbraccio a tutti voi e a Graziella in particolare ><br />
* * *<br />
giuseppegal@tin.it: < Vorrei essere informato di eventuali iniziative per<br />
aiutare Graziella Proto. Sia per promuovere la storia, sia per raccogliere<br />
fondi, sia per iniziare a contribuire con una piccola somma sperando che<br />
altri seguano >
* * *<br />
Lidia Menapace: < Davvero, aprite una sottoscrizione o indicate qualche<br />
altra cosa (una petizione, una raccolta di firme di protesta, un appello<br />
all'Ordine dei giornalisti, che so?) per aiutare Graziella, non si può stare a<br />
guardare ><br />
* * *<br />
dafne.anastasi@email.it: < Aiutare Graziella Proto non significa solo<br />
aiutare una giornalista coraggiosa, nemica della retorica e non riconducibile<br />
ad alcuna "parrocchia" politica. Significa difendere il diritto dei cittadini ad<br />
avere un'informazione libera e togliere <strong>dal</strong> cono d'ombra, antesignano della<br />
morte civile, chi per amore della giustizia e della lotta alla mafia militare e<br />
borghese, ha investito tutta la sua vita, i suoi averi, la sua faccia.Tutta questa<br />
passione civile era per noi, che ne abbiamo fruito, tratto informazioni,<br />
riflettuto e adesso siamo noi a dover ricambiare l'immenso debito di<br />
gratitudine nei suoi confronti. <strong>Un</strong> grazie a , Pino Masciari e Antimafia<br />
Duemila per aver rotto l'isolamento mediatico e pubblicato la vicenda.<br />
Forza Graziella!!! >
11 giugno 2009<br />
GIORNALE RADIO<br />
"Elezioni. Il Polo della Libertà di Silvio Berlusconi batte di misura, con<br />
poco più di due punti di vantaggio, l'Ulivo di Romano Prodi. Il Presidente<br />
Giorgio Napolitano ha dunque incaricato oggi il dott. cav. Silvio Berlusconi<br />
di formare il Governo".<br />
Ma vediamo nel dettaglio i risultati delle elezioni. Forza Italia, al 35 per<br />
cento, perde due punti (a causa soprattutto dell' astensionismo in Sicilia)<br />
mentre la Lega (10,3 per cento) ne recupera uno grazie al successo della<br />
campagna d'ordine nei paesi più tradizionalisti della Baviera. "Basta con<br />
negri, ebrei, zingari, comunisti e omosessuali": uno slogan semplice ed<br />
efficace, i cui toni gli osservatori attribuiscono alla necessità di far presa su<br />
un target territoriale non certo composto da sofisticati intellettuali ma che<br />
ovviamente non comporta alcun pericolo reale per le categorie così indicate.<br />
Il risultato complessivo, 45,3 per cento, non è certo eclatante ma neanche<br />
da disprezzare.<br />
Difficilmente tuttavia consentirà l'attuazione del programma<br />
(Totalmaggioranzen, Fuhrerprinzip, Reich millenario) che il Capo aveva<br />
espresso alla vigilia delle elezioni. In fondo, in Italia - fanno notare alcuni -<br />
il governo è appoggiato, tenendo conto delle astensioni, solo <strong>dal</strong> 26,2 per<br />
cento degli elettori: "<strong>Un</strong> italiano su quattro.<br />
E con uno su quattro si può a malapena governare, altro che fondare<br />
regimi".<br />
A livello di gossip c'è da notare che molti esponenti del Polo non<br />
nascondono in privato la soddisfazione per le dure parole pronunciate a<br />
caldo da don Angelo Bagnasco (il successore di Baget Bozzo alla guida<br />
spirituale del Polo): "Su l'ese tegnuo serrou u scagnu ("se avesse tenuto<br />
chiusa la bottega", ndr) gh'aviescimu faetu un cu cuscì ai cumunisti". Ma<br />
non è detto che il Polo sarebbe riuscito a conquistare la maggioranza<br />
assoluta anche se Noemi fosse rimasta a fare i compiti a casa sua.<br />
Molto più frastagliato, ma non meno compatto, lo schieramento<br />
dell'Ulivo, che ha mancato il sorpasso di soli due punti, attestandosi<br />
comunque su un onorevole 43,1 per cento. I Democratici (guidati stavolta<br />
da un dc combattivo e non da un "comunista"<br />
marpione) contribuiscono col 26,2 per cento. Segue Di Pietro (o meglio<br />
l'Italia dei Valori, visto che s'è finalmente deciso di abbandonare la
personalizzazione) con un ottimo 8 per cento. Poi la Sinistra, (Prc, Sl, Pdci,<br />
Verdi) con un buon 6,1 per cento (un anno fa poco oltre il 4) e infine i<br />
radicali col loro 2,4 per cento.<br />
"Combatteremo uniti, governeremo uniti, difenderemo uniti i magistrati e<br />
la legge di tutti" ha dichiarato subito Di Pietro.<br />
"Certo. E uniti organizzeremo organizzeremo il primo sciopero generale<br />
unitario di tutti i lavoratori italiani e stranieri" ha aggiunto il leader della<br />
Sinistra, Zanotelli.<br />
"Giusto. Da oggi c'impegneremo in una opposizione dura e pura - ha<br />
concluso Prodi - contro questo governo piduista e razzista, per salvare<br />
l'Italia <strong>dal</strong>la crisi facendo appello alla sua più grande risorsa umana, non i<br />
banchieri e i manager ma il popolo dei precari e dei lavoratori. Viva l'Italia".<br />
22 giugno 2009<br />
GLI STUDENTI DI TEHERAN E QUELLI DEL G8<br />
“A un certo punto decine di poliziotti ar mati sono penetrati nella scuola<br />
dove noi manifestanti avevano messo su il centro-stampa. Hanno sprangato<br />
a sangue tutti quelli che hanno trovato e li hanno portato via sanguinanti.<br />
Poi si sono accaniti sui computer e li hanno fatto a pezzi”.<br />
Siamo nella lontana Teheran, capitale del regime integralista dell'Iran.<br />
Niente di occi dentale, naturalmente. Da noi ci sono parti ti democratici, da<br />
loro gli ayatollah. Da noi la Chiesa non interviene delle faccende del lo<br />
Stato, da loro c'è una Suprema Guida che parla in nome di Allah. Da noi<br />
libere e de mocratiche “ronde”, da loro squadre fanati che di pasdaran. Da<br />
noi soprattutto non può succedere che decine e decine di oppositori vengano<br />
selvaggiamente picchiati, portati via e torturati in carcere subito dopo.<br />
Qual è il problema principale del governo iraniano, in questo momento?<br />
Far finta che tutto ciò non sia mai successo. Im porre il silenzio, censurare<br />
(o com prare) i media, schernire la stampa straniera che non si può<br />
controllare: “Nemici del l'Iran - dicono – Sovversivi, teppisti, pagati <strong>dal</strong> ne<br />
mico”.<br />
<strong>Un</strong> bel giorno, essi sperano, tutto questo sarà dimenticato; anzi,<br />
praticamente non sarà mai avvenuto. I satrapi potranno torna re<br />
tranquillamente a governare autoritaria mente, a rubare e a far festa fra<br />
cortigiani e veline nei palazzi.<br />
O forse no. Distruggere il centro-stampa di Teheran adesso non è servito a
niente. C'è Twit ter, c'è YouTube, c'è l'internet. Come si fa a sprangare anche<br />
questi?<br />
Mai la verità è stata così impopolare presso i satrapi – occidentali e<br />
orientali – come adesso. Mai è stata così palesemente (le leggi anti-cronisti<br />
qui in Italia) persegui tata in tempi moderni. Ma non è stata mai così forte,<br />
grazie all'internet: che non si può imbavagliare.<br />
Avremo, noi giovani, il coraggio (e la professionalità, la serietà, il fare<br />
rete) di servircene fino in fondo? Poveri satrapi, in questo caso, poveri papi<br />
e poveri ayatollah.
22 giugno 2009<br />
PERCHÉ BISOGNA APPOGGIARE I SICILIANI<br />
Chiediamo a Libera, all'Ordine dei Giornalisti, al sindacato, alla Lega<br />
delle Cooperative di prendere pubblicamente posizione a favore dei<br />
Siciliani e di organizzare in prima persona la solidarietà con essi. Non è<br />
solo “aiutare i Siciliani”. E' fare tutti un passo avanti, difendere una<br />
libertà sotto attacco per difenderle tutte<br />
“Il clima morale della società è questo. Il potere si è isolato da tutto, si è<br />
collocato in una dimensione nella quale tutto quello che accade fuori, nella<br />
nazione reale, non lo tocca più e nemmeno lo offende, né accuse, né<br />
denunce, dolori, disperazioni, rivolte. Egli sta là, giornali, spettacoli,<br />
cinema, requisitorie passano senza far male: politici, cavalieri, imprenditori,<br />
giudici applaudono. I giusti e gli iniqui. Tutto sommato questi ultimi sono<br />
probabilmente convinti d'essere oramai invulnerabili”.<br />
* * *<br />
E' una città del sud - anni '80 - quella di cui ci parla Giuseppe Fava. Con<br />
la sua mafia, la sua violenza, e soprattutto il suo stretto rapporto con poteri<br />
politici, imperi economici e monopolio dell'informazione. Quest'ultimo è<br />
l'anello essenziale, quello che dei vari elementi fa un Sistema. Lo sappiamo<br />
tutti. Sappiamo come funziona Catania, come funziona il sud.<br />
La novità è che oggi Giuseppe Fava non parla più di Catania. Parla di<br />
tutta Italia, parla di Milano, parla di Roma. La mafia - com'era facilmente<br />
prevedibile – ha risalito il nord. La volgarità d'un Graci o d'un Rendo<br />
riempie oggi, con altri nomi, le chronicles from Italy della stampa<br />
internazionale. Tutto ormai è dilagato dappertutto. Ancora una volta, il<br />
centro è il monopolio dell'informazione. Non solo per la rimozione delle<br />
notizie (che è ormai abituale), ma soprattutto per la decostruzione<br />
sistematica dei pensieri comuni e la loro sostituzione con altri congrui al<br />
sistema, non civili.<br />
* * *<br />
Come ci vorrebbe adesso un Giuseppe Fava, un Siciliani! Allora, la lotta<br />
sua e dei suoi ragazzi fu durissima, e non priva - per quella fase - anche di<br />
successi. Lui la pagò come sappiamo. I suoi redattori con vite durissime, ai<br />
limiti del tollerabile, fra miseria e minacce. Eppure, nessuno tradì. Molti<br />
continuarono. I Siciliani, in realtà, non sono finiti mai. Hanno strade
diverse, diversi nomi. Ma ci sono.<br />
* * *<br />
L'Ordine dei giornalisti, il sindacato (la corporazione insomma: nel senso<br />
antico e tecnico, di mestiere) negli anni di Giuseppe Fava sono stati<br />
lontanissimi da lui. Sembrava un mestiere tranquillo, una “professione”;<br />
qualcosa che garantisse insieme uno status sociale e una funzione. Che non<br />
ci sono più. “Giornalista”, in questi anni, è tornata ad essere una parola<br />
ambigua, su cui fare scelte: o Ministero dell'Informazione, o militanza<br />
civile. La nostra “corporazione”, spalle al muro, sta scegliendo ora. Alcuni<br />
pochi tradiscono; per molti invece è l'ora della dignità.<br />
La Lega delle Cooperative (di cui I Siciliani facevano parte) tradì<br />
Giuseppe Fava e i suoi redattori. Preferì fare affari con gli imprenditori<br />
collusi. Questo l'abbiamo pagato con infiniti dolori. Cosa intendono fare,<br />
dopo un quarto di secolo, coloro che la reggono ora? Possono rimuovere,<br />
certo, queste righe. Ma sappiamo che in questo momento le leggono. E<br />
aspettiamo la loro risposta.<br />
Al tempo di Giuseppe Fava, il nuovo movimento antimafia era agli albori.<br />
Noi abbiamo contribuito a fondarlo (l'Associazione I Siciliani, Siciliani<br />
Giovani, l'idea di distribuire i beni confiscati) ma da allora se n'è fatti di<br />
passi su questa strada. C'è Libera di don Ciotti e <strong>dal</strong>la Chiesa, ci sono le<br />
associazioni locali, c'è Addiopizzo. Ci sono addirittura dei politici che sono<br />
saliti a Roma o Bruxelles grazie principalmente alle tematiche antimafiose;<br />
ed interi partiti che si appoggiano ad esse.<br />
* * *<br />
Dall'Ordine e <strong>dal</strong> Sindacato dei giornalisti, dai dirigenti di Legacoop,<br />
dagli esponenti dell'antimafia civile, ci aspettiamo una pubblica e<br />
combattiva presa di posizione sul caso dei Siciliani.<br />
La sottoscrizione è già partita (l'appello è a pagina otto) e hanno già<br />
cominciato a rispondere i cittadini. Ma è evidente che non avrà successo<br />
senza l'appoggio aperto e organizzato di forze ben più grandi di noi.<br />
Servono soldi e serve appoggio politico, (forse ancora di più).<br />
La lotta dei Siciliani è stata, e in un certo senso è ancora, una delle lotta<br />
più dense del dopoguerra: contro il sistema mafioso, per l'informazione. E'<br />
un caso esemplare, un modello; e come tale va usato. Schierarsi<br />
pubblicamente coi Siciliani, qui ed ora, è la cosa più “politica" che ci sia.
3 luglio 2009<br />
I GIORNALISTI DI PRIMA LINEA E L'ANTIFASCISMO DI OGGI<br />
Neanche il secondo fascismo ama i giornalisti. Fra scan<strong>dal</strong>i e disastro<br />
economico, come si salverebbe il regime, se la gente fosse informata?<br />
Perciò propaganda e bavaglio a tutta forza. E noi? Noi giornalisti liberi<br />
abbiamo il dovere di tener duro finché non arriveranno gli altri.<br />
L'antimafia è l'antifascismo dei nostri giorni<br />
Il Pil, secondo la Corte dei Conti, "è sceso ancora dell'uno per cento e il<br />
debito pubblico ha raggiunto la cifra di 1663,65 miliardi, pari al 105,8% del<br />
Pil". Il rapporto deficit/pil è salito al 9,3 per cento. Lo Stato è sotto di<br />
almeno 34 miliardi di euri.<br />
Il governo, se ancora esiste, non ha idea di come affrontare questa<br />
catastrofe. Tira avanti giorno per giorno, fra uno scan<strong>dal</strong>o e l'altro. Ha solo<br />
due idee chiare: trovare un capro espiatorio - immigrati, stranieri – su cui<br />
scatenare gli odii, esattamente il fascismo con gli ebrei; e impedire a ogni<br />
costo che la gente sappia qualcosa. Propaganda, bavaglio, e ora anche leggi<br />
apposta antigiornalisti, servono a questo.<br />
Da questi due punti di vista è esattamente come ai tempi del fascismo. Le<br />
leggi razziali ci isolano <strong>dal</strong>l'Europa e portano a galla gli elementi più feroci<br />
del regime (ieri i Farinacci, oggi i Bossi). Il blocco dell'informazione (non a<br />
caso il governo esalta Putin e Gheddafi) produce una “democrazia"<br />
annacquata, non abolita formalmente ma resa inutile di fatto.<br />
* * *<br />
In questo quadro, il ruolo del giornalista libero è vitale. È un'area che si<br />
estende sempre più: non solo i resistenti singoli di un tempo, ma aree<br />
sempre più ampie del giornalismo “ufficiale” (non ci stancheremo di<br />
sottolineare l'importanza dello spostamento “a sinistra”, in questi mesi, di<br />
soggetti come l'Ordine dei Giornalisti e la Federazione): anche ai tempi di<br />
Mussolini i giornalisti “perbene” divennero in gran parte antifascisti.<br />
Restano tuttavia decisivi i “fanti” in prima linea, quelli di guardia nel<br />
deserto. Lasciarli soli ora è pericolosissimo, perché dietro di loro non c'è<br />
ancora una linea di resistenza organizzata e dunque non possono cedere a<br />
nessun costo.<br />
<strong>Un</strong>o, come i lettori sanno, è Pino Maniaci. “C'è un piano della mafia per<br />
eliminarmi”. “Le famiglie di Borgetto, Montelepre, Partinico, Cinisi e
Terrasini”. “Hanno dato il via libera in queste settimane”.<br />
Non sono affermazioni da poco, dette da Pino. Ci impongono solidarietà e<br />
attenzione - solo pochi politici ne hanno avuta: Lumia, la Borsellino, il<br />
solito Giulietti - ma ci chiedono anche una strategia generale, di<br />
contrattacco.<br />
* * *<br />
Poche parole ancora servono per delineare, nel fascismo-antifascismo in<br />
cui ormai viviamo, l'obbligo della solidarietà con I Siciliani. Sono stati un<br />
modello di lotta, di tener duro, di coerenza. E anche, nei momenti più alti,<br />
un modello organizzativo, da imitare. Non solo giornalisticamente<br />
(inchieste e cultura civile), ma anche politicamente, se riusciamo a dare a<br />
dare a questa parola un senso alto, da comitato di liberazione, e non da<br />
semplice affare di partiti.<br />
A metà degli anni Ottanta, e poi nel '92-93, e ancora – con altri nomi –<br />
negli anni dopo, la storia dei Siciliani (Siciliani, SicilianiGiovani,<br />
l'Associazione I Siciliani, la prima società civile militante insomma) ha<br />
costituito per l'antifascismo-antimafia di oggi ciò che i vari Gobetti e<br />
Salvemini, il Partito d'Azione, il Non mollare, furono per l'antifascismo<br />
antico. <strong>Un</strong>a radice e un nucleo, provvisorio e immaturo, da migliorare; ma<br />
solido e nettissimo, e in grado si tradursi prima o poi in resistenza generale.<br />
Per questo bisogna studiare la storia dei Siciliani, con tutti i loro limiti ma<br />
con le loro intuizioni; e solidarizzare col vecchio gruppo, che forse non fu<br />
sempre all'altezza (ma neanche i primi antifascisti lo furono) ma si batté<br />
sempre con coraggio incredibile e dedizione, spendendosi “ingenuamente"<br />
per il bene comune.<br />
Questo, nell'Italia di oggi, è un patrimonio prezioso, che non va sprecato.<br />
I Siciliani appartengono a tutti, non possono essere rimossi da nessuno.<br />
Cambiano a ogni generazione i volti e i nomi; non è neanche indispensabile<br />
che si chiamino sempre I Siciliani, né che siano sempre incarnati <strong>dal</strong>le<br />
stesse persone. La loro esistenza è tuttavia incontestabile, dopo un quarto di<br />
secolo di lotte e di dolori. E questo è davvero un miracolo, una felicità da<br />
continuare.
13 luglio 2009<br />
DIGERIRE TUTTO<br />
In Italia e in Zimbabwe il debito pubblico ha ormai largamente superato il<br />
Pil e ogni giorno che passa lo Stato è sempre più vicino, finanziariamente<br />
parlando, a eventi alquanto infelici. Nello Zimbabwe, il Presidente del<br />
Consiglio Mugabe ha sguinzagliato le ronde con l'ordine di arrestare e<br />
tradurre al suo cospetto il maledetto Pil, servo dell'Occidente e nemico della<br />
rivoluzione.<br />
In Italia, dove abbiamo un Presidente un po' più acculturato, l'ordine è<br />
stato invece di non parlar più di Pil e di tappare la bocca a chi ci prova.<br />
Esageriamo? Niente affatto.<br />
Gli economisti dell'Istat hanno lanciato, nell'indifferenza generale, un<br />
appello per difendere “la statistica ufficiale, che è un bene pubblico del<br />
Paese”. L'Istat rischia infatti di dover sospendere per mancanza di fondi i<br />
prossimi rilevamenti. Che erano, per Scajola e Tremonti, troppo frequenti e<br />
tali da dare un quadro pessimistico dello stato dell'economia. Dove tutto va<br />
invece benissimo e non c'è proprio nulla da temere.<br />
E se, come dichiara la Consob, la piccola e media industria “è a rischio di<br />
asfissia” perché “nei confronti delle grandi banche si riscontra lentezza nel<br />
mettere al centro delle strategie il servizio al cliente”, ossia - per dirla in<br />
italiano - perché le banche strozzano i piccoli imprenditori? Niente paura,<br />
basterà non parlare più neanche di Consob. E lo struzzo-italiano restarà<br />
tranquillo, col sedere per aria e la testa ficcata sotto un metro di sabbia. E<br />
allegre musichette e spot rassicuranti che lo raggiungono fin sottoterra.<br />
* * *<br />
L'italiano, come lo struzzo, ormai digerisce tutto. Patti fra mafia e Stato,<br />
trattative, per salvaguardare le quali fu assassinato – come ogni giorno che<br />
passa emerge sempre più chiaramente – il giudice Paolo Borsellino? E chi<br />
se ne frega.<br />
Puttane, redattori, protettori e politici a libro-paga - paritariamente - degli<br />
Affari Del Re, con solo qualcuna delle prime a dimostrare occasionalente<br />
(“io certe cose non le faccio”) qualche barlume di dignità? E chi se ne frega.<br />
Squadristi, mostri, lager, emigranti annegati, italians-musolini, italians<br />
duce-duce, il mondo che ci ride dietro? E chi se ne frega.<br />
“Noi tireremo diritto”. “Alalà”. “Duce a noi”. “Me ne frego”.
* * *<br />
E' in queste circostanze, di questi tempi e in questo Paese che alcuni di<br />
noi decisero di esercitare ancora, nonostante tutto, l'antico mestiere del<br />
giornalista. Gli storici troveranno ciò molto interessante, e ancora più<br />
interessante troveranno il fatto che non siano neanche mancati giovani<br />
pronti a unirsi a questa avventura. Ma forse non saranno gli storici ad<br />
occuparsi di noi in futuro ma, più sovieticamente, i manuali di psichiatria.
25 luglio 2009<br />
MISS MAFIA E MR STATO: MATRIMONIO DIFFICILE,<br />
FIDANZAMENTO LUNGO<br />
L'accordo era che ciascuno si facesse i fatti suoi, senza pretendere<br />
troppo: controllare il territorio, raccogliere un po' di voti, e soprattutto<br />
tener buoni i contadini, cioè i “comunisti”. Poi la mafia, coi soldi<br />
dell'eroina, è diventata troppo potente. Allora Andreotti ha cercato di tirarsi<br />
indietro. Ma...<br />
Lo stato, in Italia, ha sempre trattato con la mafia. Ha trattato ai tempi di<br />
Giolitti ("camorrista" per Salvemini), di Mussolini (la fine del povero<br />
Mori), del'Amgot (Calò Vizzini, Lucky Luciano), di Scelba (Giuliano e<br />
Pisciotta) e, naturalmente, di Andreotti.Quest'ultimo, come si sa, si<br />
incontrava con boss come Spatola che, con Ba<strong>dal</strong>amenti e Inzerillo,<br />
formava il triumvirato della mafia di allora. Sia Spatola che Inzerillo furono<br />
uccisi dai "Nuovi", i corleonesi. Ba<strong>dal</strong>amenti scappò in Brasile, e l'uomo di<br />
cui si fidava era Tommaso Buscetta. Falcone, mediante Buscetta, aveva<br />
l'obiettivo preciso di far parlare Ba<strong>dal</strong>amenti. Non ci riuscì.<br />
Che cosa avrebbe potuto dire – e provare - Ba<strong>dal</strong>amenti, se Falcone fosse<br />
vissuto abbastanza da convincerlo? Che l'onorevole Giulio Andreotti, capo<br />
del governo italiano, aveva come interlocutori industriali, prelati, politici, e<br />
anche i boss di Cosa Nostra. Adesso la cosa non farebbe granché scalpore,<br />
perché è una storia vecchia, e perché l'opinione pubblica non è più quella di<br />
prima. Ma nel '93, o anche qualche anno prima, sapere ufficialmente che un<br />
politico aveva commesso il "reato di partecipazione all'associazione per<br />
delinquere" Cosa Nostra, "concretamente", "fino alla primavera 1980"<br />
avrebbe fatto saltare per aria l'Italia. Altro che Mani Pulite.<br />
* * *<br />
Per questo Falcone è morto e per questo è morto Borsellino. Ovvio che ci<br />
siano entrati (come rozzamente si dice) "i servizi", pezzi di stato. Deviati,<br />
ma fino a un certo punto. In certi anni, erano quasi ufficiali.<br />
I rapporti fra Andreotti e Spatola – ossia, fuor di metafora, fra mafia e<br />
stato – non erano finalizzati a assassinii (tranne che di comunisti, che allora<br />
giuridicamente non erano esseri umani) , né ponevano a rischio l'autonomia<br />
dello stato. Erano rapporti periferici, asimmetrici, localizzati. Il mafioso, ai<br />
tempi di Spatola, al politico chiedeva cose circoscritte e locali, e il politico
gli rispondeva su questo terreno. Al massimo poteva chiedergli una strage<br />
di contadini, seppellibili in fretta e senza troppo casino.<br />
E' il tipo di rapporto che un ufficiale americano può avere oggi con questo<br />
o quel warlord afgano, di cui si conoscono benissimo le atrocità, ma che<br />
tutto sommato torna utile per tenere il territorio. "Datemi i voti – diceva alla<br />
mafia lo stato - ammazzatemi un po' di comunisti e fate quel che cazzo<br />
volete nella vostra isola di merda".<br />
Poi, verso la fine degli anni '70, i signori della guerra si sono impadroniti<br />
di testate nucleari. Cioè, oltre metafora, i mafiosi hanno messo le mani sulla<br />
totalità del traffico mandiale di eroina e sono diventati dei grossissimi<br />
imprenditori.<br />
* * *<br />
A questo punto i rapporti di forza si sono squilibrati. "Col cazzo che<br />
restiamo a fare qualche affare di merda quaggiù in Sicilia! Vogliamo contare<br />
dappertutto, vogliamo avere la nostra fetta d'Italia esattamente come tutti i<br />
vostri imprenditori".<br />
Si aggiunge, proprio in quegli anni, una diciamo così infiltrazione. Ad<br />
esempio, gli ultimi 150 inscritti alla P2 stanno in Sicilia o sono siciliani.<br />
All'estero (“golpe” Sindona) Cosa Nostra comincia a essere un interlocutore<br />
a livello alto.<br />
Quindi la partita cambia completamente. Quelli come Andreotti si<br />
spaventano, cercano di tirarsi fuori. Però è un po' tardi, anche perchè se hai<br />
aiutato il talebano a rubare una vacca e ammazzare un paio di comunisti,<br />
quello ti ricatta per il resto della tua vita e pretende, pretende, pretende...<br />
Mr Stato dice: va bene, adesso ti aiuto a rubare anche un paio di capre.<br />
Miss Mafia dice: Col cazzo. Voglio il culo della regina Vittoria, se no dò al<br />
Times le foto di te che rubi le vacche e ammazzi i comunisti insieme a me.<br />
E il ciclo ricomincia e continua, sempre più incontrollabile e sempre più in<br />
alto a ogni giro. Sta continuando tuttora.
10 agosto 2009<br />
L'OTTO AGOSTO<br />
Cronaca.<br />
“Roma, 7 agosto. Il corpo senza vita di Fatima Aitcardi, 27 anni,<br />
marocchina, ripescato ieri sera <strong>dal</strong> fiume Brembo a Ponte San Pietro, è stato<br />
identificato <strong>dal</strong> fratello Mohamed che staamattina si è presentato ai<br />
carabinieri per denunciare la scomparsa della sorella, uscita di casa ieri alle<br />
14.<br />
L'uomo, che invece è regolare e vive proprio a Ponte San Pietro, ha<br />
raccontato che Fatima era disperata: era irregolare in Italia, aveva tentato in<br />
tutti i modi di regolarizzare la sua posizione ed era terrorizzata <strong>dal</strong>la<br />
scadenza di domani, giorno in cui la clandestinità sarebbe diventata reato.<br />
Questo l'avrebbe portata a togliersi la vita”.<br />
Storia.<br />
Il giorno 8 agosto 2009 in Italia è cominciato ufficialmente il fascismo per<br />
una parte della popolazione. La legge è stata regolarmente emanata <strong>dal</strong><br />
regolare governo (anche il fascismo di allora cominciò come governo<br />
“legale”) ed è stata regolarmente firmata da Sua Maestà il Re.<br />
Non vale per ariani e padani, non ancora.<br />
Ma la storia su questo punto è molto chiara: nessuna dittatura è mai<br />
rimasta a lungo parziale.<br />
Se questa sia davvero una legge, se questo sia ancora un governo legale,<br />
saranno gli italiani a deciderlo, ognuno nella cascienza sua.
10 agosto 2009<br />
LE VACANZE INTELLIGENTI<br />
"Viva l'Italia, l'Italia che è in mezzo al mare, l'Italia dimenticata e l'Italia<br />
da dimenticare, l'Italia metà giardino e metà galera, viva l'Italia, l'Italia<br />
tutta intera"..."<br />
Dipende. Le puoi passare su un ponte-gru a dieci metri d'altezza nel<br />
tentativo di difendere, in un Milano oramai pre-industriale, il tuo e dei tuoi<br />
compagni posto di lavoro. Oppure a veder cagare dei cavalli, di cui sei<br />
appassionato collezionista, con in tasca il milione di euri che ti hanno dato<br />
per prossenare il giornale che fu di Montanelli. Nel primo caso sei un<br />
operaio, e di te non vale la pena di ricordare nemmeno il nome. Nel secondo<br />
sei il giornalista più venduto d'Italia, e hai appena finito di sputare per soldi<br />
su Enzo Baldoni (“amico dei terroristi”) o sulla moglie obsoleta del tuo<br />
signore e padrone. Dipende.<br />
Puoi essere – tutto dipende – a leggere, qui o su qualche altro povero sito,<br />
come sta andando la storia di qualche vecchio giornale, un giornale<br />
antimafia per esempio. <strong>Un</strong>a storia bellissima, per tutti gli altri: per te è la<br />
differenza fra restare ancora a casa tua oppure, ai primi freschi d'autunno,<br />
finire in mezzo una strada. In tal caso sei un redattore, o redattrice, dei<br />
vecchi Siciliani. Brutto mestiere.<br />
Oppure puoi essere in qualche posto simpatico - Hammamet per esempio<br />
- dove la vita non è poi così cara, molto meno comunque del quartiere di<br />
New York in cui hai appena comprato casa e al limite puoi usare anche<br />
quella di Craxi, che hai appena finito di pubblicamente elogiare. In questo<br />
caso. Naturalmente, se. Veltroni. Non il communista impresentabile degli<br />
anni 'Anta ma un managger moderno e cinico, possibilmente – speri te - di<br />
successo.<br />
Puoi essere – te lo auguro vivamente – un figlio di qualcuno, un hijo<br />
d'algo. Del terribile Bossi, per esempio, e in questo caso questa è la tua<br />
prima estate tranquilla negli ultimi tre anni, la prima in cui non ti hanno<br />
selvahhiamente bocciato all'esame di maturità. Il babbo politico, per<br />
premiarti, ti ha promesso un Ente, alla Fiera o all'Expò, vedremo: come i<br />
vecchi babbi diccì d'un tempo, che finite le scuole piazzavano i voraci<br />
figliuoli da qualche parte (suscitando la giusta indignazione del bue<br />
lombardo contro Roma Ladrona).
Va bene, questo è uno stanco articolo di mezz'agosto. Che altro volete che<br />
vi dica? Che c'è da dire, del resto, in quest'Italia ormai anziana che di estati<br />
ne ha viste tante (quella di Tambroni, quella di Kappler, quelle delle bombe)<br />
sopravvivendo fortunosamente - Pertini, lo Stellone, er Poppolo 'taliano – a<br />
tutto quanto?<br />
E' troppo appiccicaticcia, quest'estate, troppo d'aria pesante, troppo<br />
noiosa. Estate di vecchi film color seppia, di vacanze in colonia, di gerarchi<br />
a Forte dei Marmi o a Fregene, di “bambini salutate tutti insieme il re e il<br />
duce”. Che palle.<br />
Fino a qualche anno fa l'ideale – un ideale burino, da bauscia; ma meglio<br />
che niente – era la Milano Da Bere, il Trend, il Managment,<br />
l'Entertainment, l'America; o una Svizzera mal riuscita, di quella che<br />
s'incontrava già, da Bologna in su, in tutti quei posti già bellissimi, dai nomi<br />
antichi, che erano una volta il mio Paese.<br />
No, non è andata così. L'ideale in realtà è la sfilata, l'orbace, il capocondominio,<br />
l'ipocrisia cattolica, il portiere spia, l'odore di camerata, il “lo<br />
sapesse il duce”. Questa è l'Italia profonda, altro che cazzi. Puoi fargli tutte<br />
le democrazie e tutte le resistenze che vuoi, ma alla fine la faccdenda è così:<br />
un terzo degli italiani non sono europei, non lo sono mai stati. E ora sono<br />
quelli che ti spintonano e gridano più forte.<br />
Ok, buone vacanze. Se venite per le vacanze quaggiù in Sicilia attenti a<br />
non urtare un cadavere, quando fate il bagno. Ne sono annegati circa<br />
millecinquecento, fra l'anno scorso e quest'anno, in questo nostro bel mare<br />
di Sicilia. Africani, immigrati, negri, gente così, naturalmente: chi se ne<br />
fotte? Viva l'Italia.
10 agosto 2009<br />
RADICI DI UNA LUNGA STORIA. IL CORAGGIO DI LOTTARE<br />
Perché tanti giovani, ancor oggi, dedicano tesi di laurea, studi,<br />
solidarietà, “simpatia” ai Siciliani? Non è una storia passata, di certo<br />
rispettabile, ma che con le cose di oggi non c'entra più? No, che non lo è.<br />
L'”ideologia” dei Siciliani non è solo giornalismo, ma qualcosa in più:<br />
professionalità e militanza, e “non mollare”<br />
Sono passati molti anni da quando Giuseppe Fava fece il primo numero<br />
dei "Siciliani" eppure decine di giovani, in tutta Italia, ancora gli dedicano<br />
tesi di laurea, studi, "simpatia". Il fatto è che in tutti questi anni la storia<br />
dei Siciliani (con svariati strumenti, e attraverso diverse generazioni) non s'è<br />
mai interrotta.<br />
Noi qui a U<strong>cuntu</strong>, ad esempio, pensiamo di muoverci proprio sulla strada<br />
dei Siciliani. Ma anche gente più "strana" (il piccolo giornale di quartiere in<br />
Sicilia, il centro sociale di Napoli, l'esperto di economia di Milano) si sente<br />
più o meno legata, e spesso effettivamente lo è, alla storia dei Siciliani.<br />
Eppure i Siciliani erano un piccolo giornale e anche i soggetti civili che<br />
da essi derivarono (Siciliani Giovani, l'Associazione i Siciliani, L'Alba,<br />
ecc.), per quanto in alcuni momenti influenti, non erano dei grandi<br />
movimenti di massa. E allora?<br />
Forse un parallelo si potrebbe cercare nel filo che lega, ad esempio, la<br />
storia di Piero Gobetti al Non Mollare, al primo antifascismo torinese e<br />
fiorentino; e poi all'antinazismo militante, ormai europeo, dell'emigrazione;<br />
e al partito d'azione, ai Rosselli; e al primo partigianato, a GL, alla<br />
resistenza popolare e infine, in una larga misura, alla Repubblica.<br />
Certo, fu un'esperienza "minoritaria" anche quella; eppure si rivelò utile,<br />
per il Dna civile nel Paese, ben più di altre storie molto più "grosse".<br />
Professionalità e militanza, estremo rigore tecnico e massima apertura ai<br />
giovani e alle idee nuove; spirito di sacrificio ma non fanatismo; creatività e<br />
artigianato; diffidenza (a volte snobismo) verso i partiti classici ma elogio<br />
della politica come partecipazione civile; spirito fortemente unitario, da Cln,<br />
ma coerenza e rigore, e mai un minimo cedimento al potere. Sarebbe stata<br />
molto diversa, la storia d'Italia, senza il sale di quei piccoli gruppi di<br />
cittadini.<br />
* * *
Lo spirito dei Siciliani, in questo momento della storia, è più necessario<br />
che mai. Tribalismo, mafia, prodromi di fascismo, crisi: ciascuna di queste<br />
cose di per sé potrebbe ammazzare un Paese, e qui ci si presentano<br />
tutteinsieme. Chi non è nel Sistema (nel senso di Saviano) ha ormai<br />
introiettato da tempo una mentalità di sconfitta che lo rende incapace anche<br />
solo di pensare a una reale opposizione. Gli scan<strong>dal</strong>i, le barzellette sui<br />
gerarchi, le nostalgie sembrano l'unico modo di opporsi, qui ed ora. Chi si<br />
oppone davvero – piccoli gruppi – tende a ghettizzarsi da solo<br />
La sinistra di ora assomiglia moltissimo a quella degli anni Venti. In<br />
piccola parte connivente o corrotta, in parte molto maggiore frastornata.<br />
Non mancano gli urlatori, i ribelli a parole, i dannunziani. Dirigenti sempre<br />
più incomprensibili, chiusi in se stessi, isolati; base non rassegnata ma<br />
impotente e confusa. E però - come allora – il regime è lungi <strong>dal</strong>l'avere i<br />
plebisciti che propaganda. Lo appoggia solo un quarto della popolazione, e<br />
non sempre; una massa circa equivalente gli è ostile. La differenza è solo di<br />
volontà e di organizzazione.<br />
* * *<br />
Parlavamo di un giornale, e siamo finiti a parlare di queste cose. Ma che<br />
c'entra un giornale con la politica? E' che un giornale, un giornale vero, non<br />
può mai essere solo un giornale. La stessa ideologia “tecnica” (il buon<br />
mestiere, la precisione, la puntualità) di un giornale è di per sé<br />
immediatamente politica, molto più profondamente – spesso - della<br />
“politica” ufficiale.<br />
Lavorare, stare uniti, passar sopra alle piccole divergenze, sorridere,<br />
essere sempre efficienti o almeno cercare di esserlo, sentirsi profondamente<br />
parte di uno schieramento ampio e durevole e non di una semplice<br />
avventura, non essere osservatori ma militanti. Non rassegnarsi mai a nulla,<br />
e non illudersi mai. Governare le proprie azioni e speranze, in gruppo e<br />
singolarmente, come se vi fosse affidata la sorte di tutto. Questa era la<br />
cultura dei Siciliani. E questa serve ora.
10 agosto 2009<br />
PECORELLA & C.<br />
“Ma poi siamo sicuri che l'hanno veramente ucciso perché era contro la<br />
camorra?<br />
E chi lo dice? E se invece...”.<br />
Questo sarebbe l'avvocato-politico Pecorella, ex di sinistra e ora di<br />
Berlusconi, che parla di don Peppe Diana, il povero prete ammazzato <strong>dal</strong>la<br />
camorra nel '94. Avvocato, fra le altre cose, di camorristi: per cui non<br />
capisce se l'attacco a don Diana sia stata un'idea sua oppure no.<br />
Comunque, scoppiato il casino, Pecorella ha glissato un po', poi ha fatto le<br />
sue “scuse"<br />
ed eccolo ancora là, presidente della Commissione Parlamentare sul ciclo<br />
dei rifiuti, cioè sulla materia su cui la camorra fa i migliori affari. Il caso è<br />
chiuso, torneremo a indignarci un'altra volta.<br />
Come è chiuso il caso di Toni Zermo, che dopo la morte di Fava scriveva<br />
un giorno sì e l'altro pure che la mafia (ma c'è mafia a Catania?) non<br />
c'entrava, o di Tino Vittorio, che sulla non-mafiosità del delitto scrisse<br />
addirittura un libro (“La mafia di carta”: la vera mafia? Gli antimafiosi), o<br />
di Mario Ciancio, contro il cui monopolio Giuseppe Fava fece prima il<br />
Giornale del <strong>Sud</strong> e poi i Siciliani.<br />
Tanti anni dopo, Zermo fa ancora l'editorialista, Vittorio l'intellettuale<br />
nobile da convegno, e Ciancio fa ancora Ciancio. Facile prevedere che<br />
anche Pecorella, passato il breve infortunio, continuerà tranquillamente a<br />
fare il suo mestiere.<br />
È bella la solidarietà per i Siciliani, specialmente quando viene da<br />
giornalisti, politici, pensatori e in genere da “persone importanti”. Da loro<br />
però io preferirei avere un pensiero commosso in meno per “i ragazzi di<br />
Fava”, e una citazione in più per coloro che, senza sparare, tentarono in tutti<br />
i modi di eliminare Giuseppe Fava anche da morto, e sono ancora qui.<br />
Meno lacrime per i don Diana, e più galera per i Pecorella.
19 agosto 2009<br />
E SE DOPO L'ESTATE, COSÌ ALL'IMPROVVISO, ARRIVASSE<br />
L'AUTUNNO?<br />
C'è chi l'ha fatto occupando una fabbrica (addirittura in cima alla gru), il<br />
ferragosto. Che pazzi, che disperati. Eppure, fra la sorpresa generale,<br />
hanno vinto. Hanno salvato la loro fabbrica, alla faccia di padroni e<br />
politici, e hanno dimostrato qualcosa che tutti si sforzano di far<br />
dimenticare: che gli operai esistono, che sono indispensabili e tanti, e che<br />
quando alla fine si muovono qualcosa di molto “strano” può ancora<br />
accadere<br />
Questi che vedete qua sopra sono esemplari rari, almeno ufficialmente,<br />
per due motivi. <strong>Un</strong>o: prima di tutto, sono operai. <strong>Un</strong>a categoria che, stando<br />
alla tv e ai giornali, non c'è più. Esistono i bianchi, i neri, gli immigrati, i<br />
padani, i rumeni, i laziali e tutto il resto ma quelli che fanno le cose, che<br />
materialmente lavorano, in quanto comunità percepibile non esistono più. Il<br />
concetto di “operai”, da un certo momento, in poi, è stato abolito dai media<br />
e sostituito con altri più malleabili (i “popolani” di Bossi,per esempio).<br />
Due: questi sono operai vincenti. La loro fabbrica, la Innse, nella Milano<br />
“finanziaria” (= biscazziera) e non più industriale di questi anni, doveva<br />
chiudere per una speculazione edilizia. La “politica” non è intervenuta, per<br />
la buona ragione che non esiste più (la Moratti e Formigoni non sono più<br />
politici come Aniasi o Bassetti ma semplici mediatori d'affari).<br />
E allora? Far ronde, trovare un capo espiatorio, prendersela con qualche<br />
zingaro o lavavetri? No. Seguendo l'antica ricetta del nonno, gli operai<br />
dell'Innse si sono organizzati fra di loro, non hanno accettato i patti. Hanno<br />
occupato un pezzo di fabbrica – cinque di loro si sono addirittura piazzati in<br />
cima alla gru – e hanno passato l'estate così, lottando. Non per qualche idea<br />
straordinaria (anche per quella, a pensarci bene) ma semplicemente per<br />
difendere se stessi, il loro lavoro. Sapendo che se non ci pensavano loro, e<br />
quelli come loro, non ci avrebbe pensato nessun altro.<br />
Questo è l'evento politico dell'estate. I politicanti più abili, cioè la Lega,<br />
hanno capito subito la pericolosità mortale, per loro, dell'evento. E hanno<br />
subito gridato alla coartata libertà del padrone, all'indisciplina operaia,<br />
all'orribile - all'orizzonte - lotta di classe.<br />
E' giusto: il loro mestiere di crumiri (altro che “popolani”: loro sono
quelli che hanno lasciato smantellare le fabbriche della Lombardia<br />
distraendo la gente con gli “al negro al negro”) li porta a capire prima degli<br />
altri queste cose. Non a caso sono stati loro, cinque anni fa, a denunciare:<br />
“Alla Zanussi, oltre metà sono stranieri!”.<br />
Questo è lo scontro vero. I potenti hanno paura degli operai, come sempre<br />
ne hanno avuta. Altro che veline e ronde: chi vive di lavoro, prima o poi,<br />
vuole più libertà e più benessere, e - unito con gli altri – in realtà li può<br />
ottenere. Ed ecco perché le parole “fabbrica”, “lavoro”, “operai” sono state<br />
proibite da lor signori: difficile che le troviate sui loro giornali e sulle loro<br />
tv.<br />
Ma sono le nostre parole. Più soldi a chi lavora, più società nelle<br />
fabbriche, più Marx (bestemmio?) e anzi, subito, più Keynes nel Paese. E,<br />
qui al sud, più Italia, cioè più Stato del popolo, cioè lotta finale al Sistema<br />
mafioso. Utopie?<br />
Va bene. Fra poco verrà l'autunno: dici che rinfresca un po'? Anche l'<br />
“autunno caldo”, quando io ero giovane - qualche anno fa - non se lo<br />
aspettava nessuno. Eppure.
31 agosto 2009<br />
L'ITALIA DI ENZO BALDONI<br />
Ma sì, per una volta lasciamoli perdere i mafiosi, i “papi" rimbambiti e i<br />
Calderoli. Pensiamo a persone serie, invece. Incomincia l'autunno,<br />
incomincia bene – coi lavoratori che iniziano a difendersi <strong>dal</strong>la crisi e<br />
votano a sinistra in Germania e in Giappone – e anche noi, qui,<br />
cominciamolo con fiducia e allegramente. Alla maniera di Enzo. E vai!<br />
Quanto tempo è passato dai tempi di Baldoni?<br />
Sembrano cinque anni, ma sono molti di più. <strong>Un</strong> secolo, è passato, fra<br />
l'Italia civile e pacifica che trottava sugli scarponi di Enzo e l'agglomerato<br />
impaurito e feroce che vediamo ora. Di Enzo, rimane la buona e incuriosita<br />
scrittura da "dilettante" da "viaggiatore" (parole profondissime, antiche<br />
nella cultura italiana: ora spazzate via, coi corrispondenti concetti,<br />
<strong>dal</strong>l'assoluta non-traducibilità in italish); il sorriso mite e serio, da italiano<br />
che ha viaggiato; e quel coraggio autoironico, da Don Camillo o Peppone,<br />
alla "io-ci-provo" (non fu mica facile ammazzarlo: ci si dovettero mettere in<br />
più d'uno, contro l'omone bonario che si difendeva la vita).<br />
* * *<br />
Baldoni, da questa Italia di ora, ha avuto il miglior premio che ci si<br />
potesse aspettare: la dimenticanza.<br />
In questo paese da barzelletta, con Milano capitale della prostituzione<br />
minorile e della coca, con Napoli della caccia ai gay, con Roma e il suo<br />
buffo sindaco fascista, con i nazisti al governo e il governo mezzo casino e<br />
mezzo governo, che cosa c'entra gente come Baldoni? Ovvio che lo<br />
cancellino, che non ne parlino più, che cerchino di farlo dimenticare.<br />
Per noi ricordare Baldoni vuol dire due cose precise, una “cattiva” e una<br />
buona.<br />
Quella “cattiva”: il Feltri che ora ricatta i preti (per un milione di paga)<br />
per conto di Berlusconi è lo stesso Feltri che allora calunniò in tutti i modi<br />
possibili il “terrorista"<br />
Baldoni. "Vacanze intelligenti", "Il pacifista col Kalashnikov" e infine<br />
"Colpo in testa a Baldoni" furono allora i titoli di Feltri su Baldoni. Non<br />
credo che allora gli dessero già un milione per fare queste cose e sarei<br />
curioso di conoscere la cifra esatta.<br />
* * *
Ma queste sono miserie. Il motivo vero per cui ricordiamo Baldoni è che<br />
egli è uno di noi, un essere umano libero, e un giornalista.<br />
<strong>Un</strong>o che faceva le cose, mica se ne stava a casa a piagnucolare “non si<br />
può fare”. Se avessimo ancora spazio, diremmo che cose alla Baldoni nel<br />
mondo, in questo momento, per chi sa vederle ci sono. Gli operai tedeschi<br />
che votano per la sinistra combattiva. Il Giappone dove la borsa sale, sale la<br />
disuccupazione – e la gente massicciamente vota a sinistra. L'Italia... Ma ne<br />
riparleremo in autunno.
12 settembre 2009<br />
GIORNALISTI IN PIAZZA PER LA LIBERTÀ<br />
Anche noi di U<strong>cuntu</strong> saremo alla manifestazione indetta per il 19 <strong>dal</strong>la<br />
Federazione della stampa (il sindacato unitario dei giornalisti). È una di<br />
quelle manifestazioni che non si dovrebbero mai fare se non in paesi come<br />
la Russia o la Colombia, dove la libertà non esiste e il giornalismo è<br />
vietato.<br />
Eppure ci tocca farla in Italia, paese occidentale e “democratico”, dove<br />
però la libertà di stampa è in pericolo ed ha bisogno urgente dell'intervento<br />
attivo dei cittadini.<br />
Per noi dell'antimafia, tuttavia, non è poi così importante l'appello dei<br />
giuristi e nemmeno la cacciata di Boffo e le minacce a Repubblica. Sono<br />
tutti episodi gravissimi ma che però, nell'Italia normale, sarebbero appunto<br />
rimasti episodi, non paragonabili con gli assassini dei giornalisti in Sicilia o<br />
coi trent'anni di monopolio di Ciancio o col sistematico strangolamento di<br />
tutti i giornali siciliani d'opposizione; né con la cancellazione di intere<br />
generazioni di giovani giornalisti, da quelli degli anni '80 a quelli delle due<br />
ultime generazioni.<br />
Tragedie imparagonabili, fino a poco tempo fa, alle traversie della stampa<br />
nazionale; e che pure abbiamo dovuto affrontare da soli.<br />
Ma quello che era il dramma privato della Sicilia - il giornalismo vietato,<br />
l'uso della minaccia e violenza, il monopolio brutale – adesso è diventato lo<br />
stigma dell'Italia intera.<br />
Il fascismo mafioso, caratteristica nostra che si poteva credere locale,<br />
adesso è nel Paese intero. Perché di fascismo si tratta – già diretto e<br />
squadristico per le minoranze “inferiori”, ottuso e prepotente per tutti gli<br />
altri - e non d'altra cosa.<br />
Le cosiddette “leggi” razziali sono illegali, esattamente come lo erano nel<br />
1938. Gli ordini impartiti a militari, di agire contro le convenzioni<br />
internazionali e le leggi del mare, sono illegali tanto quanto quelli cui<br />
disubbidivano, sfidando il duce, i migliori ufficiali della Regia Marina e del<br />
Regio Esercito. La pestilenza morale – prostituzione di massa fra i giovani,<br />
corruzione di massa fra i vecchi, vigliaccheria di massa fra i cittadini – che<br />
sempre più segna le cronache cittadine, è quella del vecchio paese dei re e<br />
dei duci.
Perciò scendiamo in piazza , in questo momento tragico della Nazione,<br />
non per difendere corporazioni o vecchi senatori, ma per pietà della patria<br />
che sta marcendo viva. È una battaglia durissima, che non ha bisogno di Vip<br />
ma di giovani cittadini.<br />
Non ha importanza se aderiscono o non aderiscono il famoso personaggio<br />
mediatico o il grande scrittore. Saranno ben altri a decidere, quelli che<br />
umilmente tengono, nel nord e nel sud del Paese, contro i delinquenti<br />
mafiosi e contro i criminali razzisti, la prima linea dell'Italia libera,<br />
dell'Italia civile, dell'Italia buona.
23 settembre 2009<br />
NUESTRA REPUBLICA<br />
Il 3 manifesteremo con tutti gli altri giornalisti per – come si dice -<br />
“difendere la libertà” -. È una parola grossa. Ma a volte le parole grosse<br />
sono adeguate. Lavoro, scuola, libertà di stampa – pilastri dell'Italia<br />
moderna – sono minacciati<br />
La nostra Repubblica era basata tradizionalmente su tre cose: il lavoro, la<br />
scuola e la libertà. Lavoro diritto-dovere di tutti, cittadinanza reale, dignità.<br />
Scuola gratis per tutti, perché nessun cucciolo, per qualunque motivo,<br />
cadesse fuori <strong>dal</strong> branco: trasmettere le conoscenze – antichissimi istinti - e<br />
proteggere i bambini. La libertà finalmente, la libertà spesso citata in toni<br />
buffi o reboanti (come ad Atene, del resto) ma che tuttavia viveva nelle vie e<br />
nei mercati. Per tre generazioni, in questa Repubblica, ognuno ha potuto<br />
dire ciò che voleva.<br />
I vecchi ricordavano benissimo di quando questa libertà non c'era. Si<br />
poteva sorridere del gerarca, passarsi – con poco rischio - le barzellette sul<br />
duce, far finta di salutare romanamente con un pigro e disimpegnato cenno<br />
della mano. Si potevano fare tutte queste cose, ed altre ancora. Ma ciascuno<br />
sapeva benissimo di non potere spingersi oltre, e soprattutto sapeva di non<br />
contare un cazzo. Tre soli esseri umani contavano qualcosa in Italia: il Papa,<br />
il Duce e il Re. Tutti gli altri, sudditi. <strong>Sud</strong>diti malcontenti, sudditi puttanieri,<br />
sudditi tutto sommato contenti, sudditi (persino) eroici, sudditi - i più -<br />
affogati nell'epica casalinga della sopravvivenza quotidiana. Ma sudditi tutti<br />
quanti senza eccezione, minorenni tutta la vita.<br />
Noi non vogliamo tornare a quel tempo, abbiamo lucidità sufficiente per<br />
individuare i sintomi di quel male. Repubblica di Ezio Mauro è il Corriere<br />
di Albertini. I giovani antimafiosi calabresi sono i socialisti di allora,<br />
perseguitati dagli scherani del regime. I Dell'Utri e i Feltri sono i Farinacci e<br />
i Dumini. Non sapete questi nomi? E studiateli, per Dio! Siete dei cittadini.<br />
Scendiamo in piazza il 3 ottobre, noi di U<strong>cuntu</strong>, per riaffermare questi<br />
principi. Ma scendere in piazza è il meno. Per noi, che non abbiamo<br />
scoperto la libertà oggi, quel che conta di più è il minuto e costante impegno<br />
quotidiano. È bello annunciare che è pronta finalmente la grande inchiesta<br />
sui giovani musicisti di una città siciliana, e che siamo in grado di dargli un<br />
punto concreto d'incontro. C'è voluto un agosto intero di lavoro, per ottenere
questo, ma noi l'abbiamo fatto.<br />
La civiltà del fare, del lavorare, del guadagnarsi la libertà, è quella a cui<br />
noi orgogliosamente apparteniamo. Come i nostri amici di Modica, col loro<br />
piccolo e agguerrito giornale “Il Clandestino”. Come i ragazzi di Locri,<br />
ormai molto lontani dai giornali, ma che ancora sono lì. Come le decine e<br />
centinaia di compagni che in questo stesso momento non solo sperano, non<br />
solo pensano, ma concretamente lavorano per questa o quella piccola o<br />
grande cosa utile a tutti. Questa è la nostra Repubblica, questa è la nostra<br />
Costituzione viva. Questa difenderemo da chiunque con qualunque mezzo.<br />
8 ottobre 2009<br />
DISPERATO QUEL POPOLO CHE NON HA CITTADINI E POLITICI<br />
MA SOLTANTO EROI<br />
<strong>Un</strong>a tragedia da terzo mondo in Sicilia. Non è la prima. E ci sono tutte le<br />
condizioni (per esempio a Letojanni) perché non sia l'ultima. Eppure<br />
nessuno interviene. E se qualcuno denuncia non viene ascoltato. Perché in<br />
Sicilia i politici sono così irresponsabili, e il popolo così disattento? E'<br />
Bangladesh o è Italia? E di chi è la colpa?<br />
Non c'è molto da dire. Ha piovuto, tutto qua. Nel Bangladesh quando<br />
piove più di tanto è una tragedia. Anche qui, in Europa. Almeno nel nostro<br />
pezzo d'Europa.<br />
“La colpa è dei politici”: certamente. A Messina c'è stato un centrosinistra<br />
e un centrodestra, entrambi (per ragioni locali) padronali. Non sembra che<br />
nessuno dei due abbia pensato – prima – a Giampilieri o in generale a cosa<br />
può succedere alle borgate.<br />
Adesso pateticamente si discolpano; alcuni, forse parecchi, in buona fede.<br />
Chiedono, in buona fede, funerali di Stato. Saranno eletti di nuovo, alle<br />
prossime elezioni.<br />
E questo, qui in Bangladesh, è abbastanza normale. I politici sono notabili<br />
che rappresentano semplicemente i più ricchi del paese, imprenditori e<br />
costruttori. L'elettorato, del resto, non ha le risorse culturali necessarie a<br />
controllarli. Non perché sia analfabeta; al contrario: perché è fin troppo<br />
acculturato. “Politici? Tutti uguali”. “Io? E io che c'entro, che ci posso<br />
fare?”. “A mia m'interessa 'u travagghiu ppi mme figghiu e basta”.<br />
Il Bangladesh dei politici alimenta il Bangladesh culturale. Entrambi,<br />
prima o poi, producono il Bangladesh fisico, quello che i popoli fortunati
guardano alla tivvù. Noi siciliani di solito siamo <strong>dal</strong> lato sbagliato del<br />
televisore, quello delle vittime da intervistare in tono commosso. In gran<br />
parte, per libera scelta nostra.<br />
Non abbiamo politici in Sicilia, e forse non abbiamo neanche elettori.<br />
Invero abbiamo eroi, questo sì: i Falcone, i Borsellino, i Pio La Torre; e oggi<br />
i Simone Neri, il giovane che spontaneamente s'è gettato a salvare sei, sette<br />
vittime – e all'ottava non è riuscito più a tornare indietro ed è morto.<br />
Non è mai mancato il coraggio, in Sicilia. Ma sarebbe meglio se Simone<br />
fosse ancora vivo, se non avesse mai avuto occasione di misurarsi con una<br />
tragedia così disperata, da tempo di guerra. Sarebbe bastato poco. Ma quel<br />
poco, qui in Sicilia, non è stato fatto. Così tocca a Simone, e agli altri come<br />
lui.<br />
* * *<br />
Sarà la magistratura, speriamo, a dire le responsabilità dei politici, che<br />
sono individuali, anche se infine riflettono l'intero sistema; e degli<br />
amministratori, dei funzionari, delle varie categorie della società che<br />
avrebbero dovuto intervenire e non l'hanno fatto.<br />
Ma una categoria ci sentiamo, moralmente, di condannare anche subito<br />
senza aspettare nessuno: quella dei nostri colleghi giornalisti dell'unico e<br />
ricco quotidiano locale, la Gazzetta del <strong>Sud</strong>. Perché non hanno scritto? Non<br />
dopo, con la commozione; ma prima, freddamente, da giornalisti. Dare<br />
l'allarme in tempo, era loro dovere; giornalisti minuscoli (quelli di<br />
Tempostretto, di Terrelibere, della rete No Ponte) l'hanno pur fatto.<br />
Eppure, se a Messina incontraste un giornalista di Tempostretto o un<br />
“politico” dei No Ponte, lo guardereste <strong>dal</strong>l'alto in basso, con degnazione.<br />
Davanti a un caposervizio della Gazzetta o a un segretario di Forza Italia o<br />
dei Ds o di An, invece, v'inchinereste umilmente e con gran rispetto, pronti<br />
a applaudire e a votare senza esitare un momento.<br />
Ci sono, a Messina e altrove, giornalisti e “politici” che sono degni di<br />
stima, di essere ascoltati. Il loro dovere, di fronte a Simone e a tutti gli altri<br />
morti di Giampilieri, è di non scoraggiarsi mai, di essere coerenti, di stare il<br />
più possibile uniti; e di non disprezzare mai neanche per un istante il popolo<br />
che hanno scelto di servire. Quel popolo un giorno, forse, si sveglierà. Ma<br />
fino a quel momento tocca a loro e soltanto a loro tenere botta, ai pochi, ai<br />
consapevoli, ai liberi cittadini.
8 ottobre 2009<br />
LAVORATORI... PRECARIII... PRRRRR!...<br />
Berlusconi e Tremonti sono pentiti: non è più vero che bisogna<br />
“mobilizzare” tutto e che il sistema “moderno” è quello senza posti di<br />
lavoro fissi. Addirittura dicono che il sistema dei precari non funziona.<br />
“Meglio tardi che mai”. “Oh com'è buono lei”. “Bontà sua, signor conte”.<br />
Sì, ma allora? Mica i precari stanno meglio di prima. Mica è cambiato<br />
qualcosa. E la sinistra? Se finalmente si svegliasse e aprisse una battaglia<br />
seria sul precariato e sul lavoro?<br />
"Non credo che la mobilità sia un valore. Per una struttura sociale come la<br />
nostra, il posto fisso è la base su cui costruire una famiglia. La stabilità del<br />
lavoro è alla base della stabilità sociale". Non lo dice uno della Fiom o dei<br />
Cobas, ma il principale ministro (e aspirante successore) di Berlusconi. Il<br />
quale si affretta a raddoppiare: “Precari io? Nooo... Sono perfettamente<br />
d'accordo con Tremonti”.<br />
I precari, in questi ultimi mesi, hanno preso pernacchie, calci nel sedere e<br />
– spesso e volentieri – colpi di manganello in testa. E non è che nei quindici<br />
o vent'anni precedenti le cose gli siano andate meglio. Questa, dagli anni<br />
Novanta in poi, è stata una repubblica fondata sugli imprenditori, gli unici<br />
autorizzati a prendere decisioni, gli unici ad avere dei diritti. Sindacato,<br />
collocamento, salario, statuto dei lavoratori, contrattazione collettiva, posto<br />
di lavoro: tutte cose terribili, da fannulloni, forse anche da comunisti.<br />
Così è nato il paradiso degli imprenditori, il “libero mercato”. Che da noi<br />
prima è stato tradotto in lavoro nero (o elegantemente “sommerso”) e poi in<br />
“mobilità” e “modernizzazione”, ossia precariato.<br />
In questo paradiso hanno beatamente arpeggiato tanto gli imprenditori di<br />
destra che hanno privatizzato tutto alla maniera della scuola di Chicago<br />
(non quella di Friedman, ma quella di Alfonso Capone) quanto quelli<br />
“liberali” il cui liberalismo si estrinsecava soprattutto nel mandare<br />
liberamente miliardi di euri in nero nei vari paradisi fiscali.<br />
I bei risultati si sono visti: l'Italia, che era diventata una potenza<br />
industriale a forza di lavoro serio, qualificato, di massa e sindacalizzato, è<br />
scesa sotto la Spagna e scende ancora.Le industrie sono finite in Cina, gli<br />
operai a spasso e gli industriali ai tavoli di poker o della Borsa, che è lo<br />
stesso. L'Italia privatizzata degli anni Duemila ha molto meno benessere, in
proporzione, dell'Italia “cattocomunista” anni Sessanta.<br />
A tutto ciò la sinistra (ma vuole ancora essere chiamata così? Bersani dice<br />
che ogni tanto si può anche dire, e perciò mi permetto) ha contribuito<br />
adottando sostanzialmente la mitologia del “privato è bello” e della<br />
precarizzazione. Tocca a lei disgraziatamente, rimettere in piedi il Paese<br />
tornando prima o poi alle ricette antiche. Per farlo dovrà tornare ad avere<br />
dai ceti produttivi (compresi i disprezzati operai) la fiducia che aveva una<br />
volta.<br />
Difficilmente ci riuscirà cambiando calzini o disquisendo amabilmente<br />
sull'eventualità di tenere o meno dentro il partito una franchista fanatica (da<br />
Francisco Franco, capo del fascismo spagnolo e propugnatore, fra l'altro,<br />
dell'Opus Dei) come la Binetti.<br />
Due notizie veloci, per finire: il giorno in cui la Binetti contribuiva a<br />
bocciare la legge per difendere i gay, nella classica Canicattì i due classici<br />
sedicenni gay sono stati mandati all'ospe<strong>dal</strong>e dai classici compagni di scuola<br />
educati - anche <strong>dal</strong>la Binetti - a pane e dagli-ai-froci.<br />
In provincia di Parma, alla Spx di Sala Baganza, di fronte a un<br />
normalissimo sciopero delle operaie, il padrone non solo ha confermato tutti<br />
i licenziamenti, ma ha mandato delle guardie armate (armate di armi da<br />
fuoco) per intimidirle.<br />
Se l'avessero fatto gli operai si sarebbe parlato, giustamente, di<br />
terrorismo. Invece gli imprenditori possono permettersi questo ed altro.
31 ottobre 20009<br />
NOTIZIE DA CATANIA<br />
Catania uno<br />
Data: 30 ottobre 2009 07.08<br />
Oggetto: Catania/ Ultimora<br />
Poco fa la polizia ha sgomberato il centro popolare "Experia", un vecchio<br />
cinema (di proprietà della Regione) che da diciassette anni costituiva uno<br />
dei pochi posti di aggregazione dei quartieri popolari catanesi.<br />
I ragazzi lo avevano ristrutturato completamente, trasformando il locale<br />
fatiscente nel centro propulsore di attività civili - doposcuola, giocoleria,<br />
sport, ecc. - che contrastavano efficacemente la presenza mafiosa nei<br />
quartieri, dove l'Experia costituiva una delle pochissime zone libere da boss<br />
e droga.<br />
Le forze dell'ordine sono arrivate all'alba, caricando con violenza e senza<br />
preavviso. Mi segnalano diversi ragazzi feriti. Lo sgombero è stato deciso<br />
<strong>dal</strong> dottor Serpotta, magistrato catanese non particolarmente distintosi<br />
nell'attività antimafia, e preceduto da una campagna di stampa di Alleanza<br />
Nazionale, che a Catania governa da anni coi risultati che conosciamo.<br />
È una giornata difficile per l'esile democrazia catanese e i giovani<br />
dell'Experia fanno appello alla solidarietà di tutti i democratici e gli<br />
antimafiosi.<br />
Riccardo Orioles<br />
* * *<br />
Catania due<br />
Siamo a Catania, si elegge il nuovo presidente della FAI, la Federazione<br />
degli Autotrasportatori, e la scelta cade su Angelo Ercolano: l’ultimo<br />
rampollo (incensurato) della principale famiglia mafiosa della città. Lo zio<br />
Pippo è il reggente della cosca Santapaola (Nitto è suo cognato); il cugino<br />
Angelo invece sta all’ergastolo per aver ammazzato Giuseppe Fava. Per<br />
decenni la famiglia Ercolano ha investito i propri denari nella ditta di<br />
trasporti, l’Avimec, poi confiscata per mafia. E non c’è subappalto per<br />
movimento terra, da queste parti della Sicilia, che sia sfuggito alla premiata<br />
ditta Ercolano.<br />
Il vecchio boss Pippo, buon amico dell’editore Mario Ciancio, fu arrestato<br />
proprio in un sottoscala ricavato negli uffici della sua azienda, ha già scritto
Walter Rizzo su l’<strong>Un</strong>ità. E anche Nitto Santapaola da latitante si spostava<br />
nascosto dentro i camion dell’Avimec. Adesso il nipote Angelo (fedina<br />
penale immacolata), titolare della «<strong>Sud</strong> Trasporti s.r.l» (azienda pulita),<br />
rappresenterà 1.500 trasportatori catanesi.<br />
Non so come la prenderemmo se al nipote (incensurato) di Cutolo<br />
avessero appaltato la ricostruzione de L’Aquila, o se al cugino (incensurato)<br />
di Francis Turatello avessero affidato il Casinò di Sanremo.<br />
Stupisce che nessuno si stupisca. E che il Giornale di Feltri distribuisca<br />
invece un opuscoletto <strong>dal</strong> titolo “Dossier Sicilia"<br />
sull’isola operosa e spregiudicata che tanto piace al padrone di quel<br />
quotidiano.<br />
In copertina c’è proprio la foto di Angelo Ercolano. La Sicilia che piace.<br />
Claudio Fava
31 ottobre 2009<br />
CATANIA CAPITALE! A NOI NERONE E ADOLF CI FANNO UN<br />
BAFFO<br />
Nel giro di ventiquattr'ore a Catania succede che: uno dei più stimati<br />
professori dell'università viene sorpreso a ricattare una studentessa; il<br />
giornale che proteggeva i cavalieri mafiosi si mobilita per discolparlo; la<br />
polizia massacra a manganellate i ragazzi dell'unico luogo d'incontro dei<br />
quartieri popolari, rei di fare antimafia e antidroga in mezzo al regno dei<br />
boss. Altro che Norimberga del Terzo Reich: le régime, c'est nous!<br />
Sarà violenta Napoli, sarà craavattara Milano, sarà marpiona Roma, ma<br />
quello che trovi qui a Catania non lo trovi in nessun'altra città d'Italia.. Altro<br />
che Marrazzo e altro che Berlusconi: qua i vecchi bavosi li mettono<br />
direttamente a far scuola di vita all'università. “O me la dai o l'esame te lo<br />
scordi!”. E se quella reagisce, subito arriva l'altro vecchio bavoso (questo<br />
non professore ma pennaiuolo) e ti scatena una campagna che in confronto<br />
Feltri è un chierichetto. “Bottana! A quel povero professore! Proposte<br />
oscene e ribottanti, gli facesti!”.<br />
E se invece di essere un vecchio bavoso sei una ragazza o un ragazzo<br />
normale, amante della vita, con voglia di fare sport, di cantare, ballare, stare<br />
allegro alla faccia dei boss? Prima o poi arriveranno le guardie a riempirti di<br />
legnate in testa e a chiuderti a suon di botte lo spazio sociale che hai<br />
faticosamente costruito in più dei quindici anni e che è l'unico spazio libero<br />
del tuo quartiere, l'unico in cui boss e spacciatori non possono mettere<br />
piede. Il che, nella città dei vecchi immafiositi e bavosi, è un gran reato. E<br />
pertanto, giù botte.<br />
Come sono allegri e simpatici, i giovani di Catania. Potrebbero avere il<br />
paradiso in terra, e certe volte lo sanno. Potrebbero, se a comandare la loro<br />
città non fossero questi vecchi incartapecoriti e feroci, gocciolanti di bile,<br />
istintivamente nemici di tutto ciò che sia gioventù e divertimento. “Si deve<br />
soffrire, a Catania!”, sussurrano feroci. E giù bastonate, intrallazzi, a volte<br />
anche colpi di pistola.<br />
* * *<br />
<strong>Un</strong> “professore” come Elio Rossitto insegna regolarmente in questa<br />
università e ne è anzi una colonna. <strong>Un</strong> “giornalista” come Toni Zermo, che<br />
quindici anni fa aiutava i mafiosi a nascondere il delitto Fava, è ancora la<br />
principale firma dell'unico giornale della città. Bische, bordelli, spacci di
cocaina, salotti-bene e benissimo, camere di compensazione degli appalti,<br />
mercati di carni umane d'ogni genere prosperano tranquillamente in questa<br />
città. I doposcuola dell'Experia, le giocolerie, le “officine popolari” di<br />
biciclette, quelle no, non possono essere tollerate, e vengono senz'altro<br />
distrutte d'autorità, chiuse con la fiamma ossidrica, murate col cemento.<br />
“Anche voi poliziotti avete figli e fratelli qui nel quartiere...”. “Io, che ho<br />
imparato lo sport al Gapa e adesso l'insegnavo ai ragazzini qui<br />
all'Experia...”. “Non avete nemmeno portato un'ordinanza, non è legale...”.<br />
“I quartieri hanno bisogno di sport e di giochi, non di violenza”. Seri e<br />
civili, i poveri di Catania, gli “estremisti arrabbiati” espongono le ragioni<br />
della civiltà contro i padroni della città. Non lasciateli soli.
27 novembre 2009<br />
FABBRICHE CHIUSE, MAFIA NEL SISTEMA<br />
L'ANNO DELLA RESA DEI CONTI<br />
La crisi, da finanziaria, è diventata industriale; e tocca il massimo<br />
adesso. Gli elementi mafiosi, da truppa di complemento, diventano<br />
componente essenziale del sistema. Nell'economia, tornare a prima di<br />
Keynes; nella società, tornare a prima di Falcone. Questi sarebbero gli<br />
obiettivi di lor signori. Ma la partita, a dispetto di tutto, è ancora aperta<br />
Le cose quando precipitano succedono tutte in una volta. Che, in bene o<br />
male, il sistema stia andando a una decisione è evidente. Dal nostro punto di<br />
vista – dell'antimafia sociale – gli eventi più importanti sono due: la crisi<br />
industriale e l'integrazione ufficiale di pezzi di mafia nel sistema.<br />
La crisi industriale (la produzione dei beni, l'occupazione, ecc.) è ormai al<br />
suo culmine, e comincia a prendere connotati diversi <strong>dal</strong>la crisi finanziaria.<br />
Quest'ultima, <strong>dal</strong> punto di vista delle banche, è data oramai per “superata”;<br />
ma non lo è affatto, e tende anzi a diventare stabile, per i consumatori e i<br />
produttori. Il sistema industriale che ne risulta, innestandosi sugli<br />
outsourcing degli ultimi dieci anni e sulle delocalizzazioni degli ultimi<br />
cinque, è completamente diverso da quello di prima della crisi: adesso è<br />
puro Ottocento.<br />
Le fabbriche occupate (con i padroni che cominciano ad attaccare le<br />
occupazioni con squadre armate) diventano sempre più un elemento<br />
“normale”, ancorché censurato, del panorama (qui in Sicilia, a Termini, gli<br />
operai hanno occupato il comune e eletto un loro “sindaco”).<br />
Rompere il silenzio dei media sulla crisi industriale è ora un obiettivo<br />
essenziale dell'informazione <strong>dal</strong> basso. In questo senso vanno appoggiate<br />
iniziative come quelle di CrisiTv.<br />
L'altro elemento catastrofico, l'integrazione ormai aperta di pezzi di mafia<br />
nel sistema, è ormai evidentissimo in una serie di fatti: la candidatura alla<br />
regione Campania, e la difesa a oltranza su tutti i fronti, di un camorrista<br />
accertato; la restituzione alla mafia, mediante un giro di compravendite, dei<br />
beni sequestrati; il tentativo di abolire il concetto stesso di concorso esterno<br />
in associazione mafiosa (fondamentale per colpire imprenditori e politici<br />
del Sistema); il tentativo insomma aperto e dichiarato di tornare a prima di<br />
Falcone.
* * *<br />
Non è un'offensiva qualunque di una qualunque destra più o meno<br />
rinnovata; è la resa dei conti, l'uscita programmata e cosciente <strong>dal</strong>la<br />
democrazia.<br />
Non si può dire che l'opposizione, nelle sue varie incarnazioni moderate o<br />
radicali, se ne renda conto. Significativo il fatto che l'unica iniziativa<br />
politica di massa di questi giorni (il NoB-day del 5) è nata al di fuori di<br />
esse, direttamente da internet: questo apre una grande speranza, conferma<br />
le previsioni dei pochi che avevamo intuito il significato politico della rete,<br />
e assegna un significato di prefigurazione a episodi (regolarmente ignorati)<br />
di mobilitazione <strong>dal</strong> basso via internet come il Rita Express di tre anni fa, il<br />
cui abbandono è una delle colpe storiche della sinistra siciliana.<br />
* * *<br />
A Catania, microcosmo in cui si anticipano le tendenza del più grande<br />
Paese, l'offensiva dei poteri contro la città è stata violenta sì ma nel<br />
complesso bene affrontata. L'Experia, lungi <strong>dal</strong>l'essere rasa al suolo senza<br />
problemi, è diventata il caso sui cui si è aggregata un'opposizione forte e <strong>dal</strong><br />
basso, che minaccia di voler espandersi molto oltre l'occasione che l'ha<br />
provocata. A Librino, le iniziative delle associazioni sociali (e anche di<br />
qualche partito, come Rifondazione), hanno portato a una prima<br />
acquisizione, la revoca della concessione a privati di Villa Fazio e la<br />
possibilità di utilizzarla come centro vitale del quartiere.<br />
* * *<br />
Piccole vittorie, certo; ma che lasciano un segno. E s'inseriscono bene<br />
nella fase immediatamente successiva, quella della Catania senza Ciancio –<br />
la cui uscita <strong>dal</strong> mondo dell'editoria viene da sempre più fonti prevista per la<br />
fine dell'anno venturo – in cui tutto il sistema dell'informazione subirà una<br />
profonda trasformazione.<br />
L'esito più probabile di quest'ultima, allo stato dei fatti, è quello di un<br />
ciancismo senza Ciancio, coi grandi gruppi editoriali che colonizzano senza<br />
problemi l'informazione in città, la “civilizzano” formalmente e la<br />
dislocano, come sempre, a difesa dei grandi interessi edilizi e<br />
imprenditoriali. “Cambiare tutto perché non cambi niente”.<br />
Ma qui, per fortuna, anche noi giornalisti – e movimento – democratici<br />
avremo forse qualcosa da dire. Ne parleremo fra un mese, il cinque gennaio.<br />
Cerchiamo intanto di essere sempre di più all'altezza dei nostri compiti, che<br />
ora possono essere decisivi.
9 dicembre 2009<br />
DEMOCRAZIA 2.0/ DAL RITA EXPRESS AL COLORE VIOLA<br />
IL FUTURO ABITA QUI<br />
Internet permette di parlare (e rispondere) a tutti, e dunque permette a<br />
tutti di organizzarsi. Non richiede Vip e non ha bisogno di ideologhi. Non è<br />
contro i partiti, ma è molto più democratico e efficiente. Questo, mentre non<br />
è escluso che la mafia possa trovarsi ufficialmente nel governo. Se così<br />
fosse (saranno i giudici a dirlo) scatterebbe la disobbedienza civile e, per i<br />
pubblici ufficiali, il rifiuto d'obbedienza<br />
30 settembre 2007. Lorenzo wrote: < Ciao R. Sono uno studente<br />
universitario di 24 anni, vivo tra Castelfranco Veneto e Padova. Ho letto il<br />
commento in cui parli di sciopero dei precari organizzato su Internet. Vorrei<br />
saperne un po' di più, la cosa mi interessa e sono prontissimo a dare una<br />
mano ><br />
< Guarda che sei tu che lo devi organizzare. Non hai bisogno di me, e<br />
nemmeno di Beppe Grillo. Basta che trovi un paio di centinaia di precari<br />
come te (nell'internet li trovi facilmente) e cominciate ad allargarvi (con<br />
l'internet è facile) su un obiettivo preciso (sull'internet è facile fare brain<br />
storming per individuare obiettivi) ><br />
* * *<br />
Beh, se avete passato gli ultimi anni a prevedere le ricadute politiche di<br />
internet è probabile che <strong>dal</strong> cinque dicembre in qua vi sentiate un po' meno<br />
utopisti e molto meno isolati. E' stata la prima manifestazione grossa<br />
interamente organizzata su internet, senza Vip - gli organizzatori si sono<br />
dimessi tutti appena fatto il loro lavoro) e senza politici di mestiere.<br />
La prima, veramente, no: un paio d'anni fa, col Rita Express, molti<br />
studenti s'erano organizzati su internet per organizzare manifestazioni per la<br />
Borsellino; funzionò benissimo, ma nessuno (nè Rita) ci fece caso.<br />
Adesso siamo molto più avanti, le dimensioni sono ben altre e siamo<br />
abbastanza vicini alla massa critica. E' una svolta nella politica, una svolta<br />
vera. Non è “contro i partiti” (goffi i tentativi di usarla in tal senso, tutto<br />
sommato dentro il Palazzo) ma, più drammaticamente, “dopo i partiti”.<br />
I quali infatti, se vogliamo guardarci negli occhi, da tempo brutalmente<br />
non esistono più. Ce ne sono residui e surrogati, e caricature. Ma come<br />
l'Ottocento (l'industria, il socialismo) rese obsolete le logge e i club e
“inventò” i partiti, così questi nostri anni (la comunicazione globale,<br />
l'interattività) rendono obsoleti i partiti verticistici e inventano, sotto i nostri<br />
occhi, qualche altra cosa.<br />
Io credo che questo “qualcosa”, di cui non conosciamo ancora<br />
esattamente i confini, ma che già cominciamo a odorare e tastare, sia<br />
qualcosa di bello e (parlando da liceale) di ateniese. E' questa la nostra<br />
frontiera. Ed è significativo che il prodromo, la versione 1.0, il Rita Express<br />
insomma, si sia verificato all'interno del movimento giovanile antimafioso.<br />
* * *<br />
Il processo Dell'Utri, con la manifestazione targata internet,<br />
apparentemente non c'entra niente. In realtà ne è l'esatto complemento,<br />
l'altro polo. Dal processo Dell'Utri sapremo se è vero che Cosa Nostra (dire<br />
Dell'Utri è dire tout-court Berlusconi) è andata anche ufficialmente al<br />
governo. Se la presenza di Cosa Nostra in questo nostro regime – o, per<br />
usare Saviano: questo Sistema – fosse ufficiale, allora non sarebbe più<br />
questione di opposizione e men che mai di “regole del gioco” ma solo di<br />
disobbedienza civile, di rifiuto d'obbedienza – per tutti i pubblici ufficiali<br />
patrioti – e infine di restaurazione della Repubblica, nei modi che i tempi di<br />
internet possono suggerire. Essi comprendono sia Obama che gli studenti di<br />
Teheran,. Non toccherà a noi decidere quale di queste due strade ci toccherà<br />
seguire.
UN EROE DEL NOSTRO TEMPO<br />
Gianfranco Miccichè, sottosegretario alla presidenza: «Non mi sento di<br />
escludere che Spatuzza voglia rifarsi un'immagine. E non escludo che sia<br />
pagato, magari da magistrati, o da terzi».<br />
Va bene. Proviamo a “non escludere” pure noi. Micciché comincia negli<br />
anni '70, con Lotta Continua. A differenza di Rostagno o Impastato, cambia<br />
idea ben presto. Nel 1984, con Dell'Utri, diventa capo di Publitalia a<br />
Palermo; nel '93 coordinatore di Forza Italia in Sicilia. Nel gennaio '88,<br />
sospettato di spaccio, "Non sono uno spacciatore - risponde - ma solo un<br />
assuntore di cocaina".<br />
L'8 agosto 2002 un'informativa dei Carabinieri ipotizza che si faccia<br />
recapitare cocaina al ministero delle Finanze, dov'è viceministro. Ciò dopo<br />
indagini sulle visite che il presunto corriere Alessandro Martello faceva<br />
presso il ministero pur non essendovi accreditato. Lui smentisce.
27 dicembre 2009<br />
I NOSTRI PROGETTI PER L'ANNO NUOVO<br />
Beh, questo sarebbe il numero 60. Festeggiare? Mah: coi bicchieri di<br />
plastica, magari. Ma poi considerarlo solo una fase riuscita di un<br />
esperimento, che ci autorizza (prudente mente) a passare alla fase<br />
successiva. Al solito, non da soli<br />
A Catania qualcosa si muove. Tante persone sentono sempre viva<br />
l'esperienza di Pippo Fava, credono nell'informazione come forza<br />
indispensabile di una società democratica. Raccontano i misfatti della<br />
mafia, le vite di quartiere, il sottobosco di interessi economici che<br />
definiscono gli scenari politici. Non sono tutti “giornalisti professionisti”<br />
ma dimostrano ogni giorno, al di là dei tesserini, che cos'è il giornalismo<br />
fatto di verità.<br />
I Cordai a San Cristoforo, La Periferica a Librino, Catania Possibile e<br />
testate online, come U<strong>cuntu</strong>, Girodivite, Argo, Step1, sono le principali<br />
esperienze nate a Catania negli ultimi anni.<br />
Il 5 gennaio 2009 abbiamo lanciato il progetto di lavorare assieme, di<br />
aggregare le forze positive del giornalismo castanese (e non solo) per<br />
combattere il monopolio della disinformazione e di quella pseudoinformazione<br />
che devia l'attenzione dai problemi reali. È nata così<br />
l'Associazione “Lavori in corso”.<br />
Da gennaio a oggi abbiamo lavorato assieme, ci siamo mossi in sinergia<br />
mettendo in campo e valorizzando le risorse di ogni realtà e le competenze<br />
di ciascuno. Abbiamo creato una rete tra le testate di base coinvolgendo<br />
chiunque fosse interessato alla costruzione di un'informazione libera.<br />
Assieme abbiamo condotto tre inchieste sfociate in tre dossier:<br />
“Munnizzopoli” sulla gestione dei rifiuti, “Toccata e fuga” sulle band<br />
emergenti e adesso “Case” sul disagio abitativo.<br />
L'informazione non può continuare ad essere controllata da pochi che la<br />
manipolano in tutti i modi pur di realizzare i propri interessi. Questi<br />
meccanismi appartengono ai regimi autoritari e uccidono lo sviluppo<br />
democratico della società.<br />
* * *<br />
Continueremo quindi a lavorare assieme, a raccogliere nuove forze, ad<br />
allargare la nostra rete a Catania e non solo. Continueremo a raccontare ciò
che la stampa ufficiale omette, a fare inchieste e denunce, e soprattutto<br />
lavoreremo alla creazione di un quotidiano indipendente fatto da chi vuole<br />
portare avanti quell'etica di giornalismo definita così da Pippo Fava quasi<br />
trent'anni fa:<br />
“<strong>Un</strong> giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la<br />
violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende<br />
il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze<br />
dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici<br />
il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di<br />
vite umane. <strong>Un</strong> giornalista incapace - per vigliaccheria o calcolo - della<br />
verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto<br />
evitare, e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è<br />
stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento! La verità! Dove c’è<br />
verità, si può realizzare giustizia e difendere la libertà!”<br />
Sonia Giardina<br />
* * *<br />
L'ANNO DEL DOPO-CIANCIO<br />
L'esperimento di U<strong>cuntu</strong> è andato avanti finora in modo soddisfacente:<br />
sessanta numeri, diversi dossier, una visibilità nazionale e così via. Tutto<br />
questo lavoro vien fatto su base volontaria, comporta fatica e stanchezza e<br />
dunque fisiologicamente l'istinto sarebbe di contentarsi di ciò che si fa, e<br />
magari gloriarsene, non certo di accelerare; visto che già è difficile tenere il<br />
ritmo di ora.<br />
Ma ci sono tre dati precisi che ci spingono invece ad accelerare la corsa:<br />
1) il concept del prodotto (Pdf da Open Office, pensato sia per web che per<br />
carta) è stato testato per quasi due anni e funziona; 2) gli interlocutori<br />
nazionali ci sono: nell'area del giornalismo libero e altrove c'è interesse e<br />
persino voglia di coordinarsi; 3) sono sempre più frequenti le voci di<br />
cambiamenti radicali nel monopolio in Sicilia; l'anno che viene potrebbe<br />
anche essere il primo a terminare senza Ciancio.<br />
Perciò dobbiamo muoverci. Fermi restando i concetti “politici” di base<br />
(centrare sulle periferie e sui quartieri; nessun compromesso coi poteri<br />
attuali; promozione dell'unità fra tutti i soggetti virtuosi, sia “moderati” che<br />
“radicali”), adesso cercheremo di fare un salto di qualità: essenzialmente<br />
una specie di “U<strong>cuntu</strong>” quotidiano (ristilato in tal senso), lavorato ogni<br />
giorno con diversi altri siti e soggetti nazionali. Questo lavoro è già in corso
e attualmente la scadenza operativa per il numero zero è il 21 marzo.<br />
Ciò potrebbe avere anche ricadute specificatamente catanesi: un<br />
web/paper legato al concept di cui sopra potebbe anche trovare un suo<br />
spazio di mercato. Al solito, non vogliamo lavorarci da soli.<br />
Elogio dell'insufficienza, 'assemblamento delle risorse, impegno<br />
“politico” e tecnico per la progettazione comune, unità.<br />
R.O.
3 gennaio 2010<br />
LA MEMORIA DIFFICILE E LE COSE DA FARE<br />
<strong>Un</strong> altro anno è finito, un altro anno da fare. E così da tanti anni, da<br />
quanti ce ne possiamo ricordare. E' lunga, questa strada. Difficile capire<br />
quanto, se non ci cammini su<br />
Ventisei anni fa. come questi giorni, in cui le persone normalmente sono<br />
impegnate a guardare dentro le proprie cose, come nei giorni di fine anno.<br />
Riccardo, nella vecchia redazione de I Siciliani, sta scrivendo un volantino<br />
per organizzare la prima manifestazione del cinque gennaio. E' rimasto solo<br />
l'intera giornata per finire il lavoro. Le mani sporche di inchiostro, la<br />
scrivania piena di tabacco, il telefono con cui di tanto in tanto telefona, altre<br />
volte squilla: è Claudio da rassicurare, è il professore D'Urso con cui<br />
prendere accordi per l'associazione, è il prete palermitano che fa proposte<br />
d'intervento. Lui, ascolta e ritorna sul volantino. Guarda di tanto in tanto,<br />
<strong>dal</strong>la porta a vetrate, alla stanza d'ingresso, la stanza dove si fanno anche le<br />
riunioni dei “Siciliani giovani”.<br />
Ventisei anni e adesso che la lotta alla mafia ci ha messo nelle vite di ora.<br />
Riccardo è nella sua casa a Milazzo e sta lavorando alle pagine settimanali<br />
di U<strong>cuntu</strong>, regolarmente mi telefona per sapere a che punto siamo con i<br />
pezzi e con il lavoro a Catania.<br />
Mentre pensiamo a come preparare gli interventi per il cinque gennaio, ci<br />
sono altre dieci cose da fare, in cui spesso l'azione preminente non è<br />
scrivere ma stare semplicemente dentro il lavoro di aggregazione sociale, a<br />
Catania come in altre parti della Sicilia. E' lavorare con il gruppo dei<br />
"Clandestini" di Modica; è "Librino" interpretata da Luciano, ma è anche<br />
guardare il lavoro della "Periferica", e prestare attenzione al "Centro Iqbal<br />
Mash" e al loro lavoro ; è fare il giornale daegli insegnanti precari a<br />
Catania, è telefonare a quei due o tre preti dell'Isola che educano la gente<br />
alla antimafia, è chiudere il dossier sulla "Emergenza case”, senza<br />
dimenticarsi dell'Experia; è organizzare la festa di fine anno nel quartiere a<br />
San Cristoforo; è sentirci tra di noi, e portare avanti questa "memoria<br />
difficile"di Pippo Fava nelle nostre vite.<br />
Con questa memoria portiamo avanti il “lavoro in corso” e tutto il resto, il<br />
pallone tirato ai ragazzini dei quartieri e l'informazione da passare in rete.<br />
La nostra memoria difficile fa il suo “lavoro in corso” nella stanza di Città<br />
Insieme a Catania in Via Siena 1 . La nostra memoria difficile si rinnova
ogni mercoledì sera alle venti e trenta quando Piero, Sonia, Luca,<br />
Giuseppe, Luciano, Massimiliano, Sebastiano Enrico, Giorgio, Chiara<br />
lavorano insieme.<br />
Tutto quest'oggi e tutta questa memoria così importante e densa, ma anche<br />
così relativa e fragile, mentre pensiamo agli sguardi e ai dubbi, e al lavoro e<br />
alla fiducia di ognuno che porta con sè questa responsabilità di ricordare<br />
Pippo Fava. Come un girotondo incompleto in cui stiamo aspettando di<br />
toccare le mani degli altri compagni. Con questa “pazzia” che ci portiamo<br />
con fierezza siamo ancora lì, in quella stanza, a trovare le parole e ad<br />
aspettare.<br />
Fabio D'Urso<br />
* * *<br />
IL KITSCH E LA SPERANZA<br />
Catania è una città abbastanza kitsch, con professori settantenni che<br />
cercano di farsi le allieve promettendo bei voti, giudici che chiamano il<br />
comune per raccomandare le mogli e roba del genere. Parliamo della<br />
Catania “alta”, in realtà, quella che comanda: che è esattamente quella dei<br />
Vicerè di De Roberto o - più modestamente – dei film con Turi Ferro. Ogni<br />
tanto, anche, ammazza; ma più spesso è grottesca; questo mix di ridicolo e<br />
di feroce è il proprium di Catania e la differenzia - ad esempio - <strong>dal</strong>la<br />
solennità macabra di Palermo.<br />
Entrambe le classi dirigenti delle due città (e di altre che loro<br />
assomigliano, come Milano o Napoli o Verona) ambiscono a farsi modello<br />
nazionale. E in buona parte ci riescono: un Feltri, un Berlusconi, un<br />
Prosperini, non sarebbero mai potuti esistere se non si fossero incarnati<br />
prima, con anni e anni di anticipo, in Sicilia.<br />
Poi c'è l'altra Sicilia, dei siciliani che stanno in basso, la gente che<br />
s'accapiglia e che lavora. Questa ha i suoi alti e bassi, come ne hanno il<br />
Veneto o l'Irlanda, ma nel complesso (ci vuol coraggio a dirlo in questo<br />
momento) è un paese civile, un po' cialtrone ma umano, rozzo - specie in<br />
politica - ma dignitoso, vittimista oltre il lecito (il suo maggior difetto) ma<br />
buono, nelle emergenze, a sostenere i Garibaldi e i Falcone.<br />
Così, tutto sommato, non fu sbagliata l'idea, di tanti anni fa, di chiamarci<br />
semplicemente “I Siciliani”. Ma sì: diamo fiducia ancora, senza troppe<br />
illusioni ma con affetto, a questo nostro popolo, alla nostra gente.<br />
Lotteremmo lo stesso, anche se questa fiducia non l'avessimo. Ma<br />
l'abbiamo.
R.O.
10 gennaio 2010<br />
E IL PRIMO MARZO SCIOPERO GENERALE<br />
“Vediamo cosa succede se per un giorno noi non lavoriamo”. Sono le<br />
antiche parole del movimento operaio, quelle che prima o poi vengono in<br />
mente ai poveri stanchi di prendere bastonate. Adesso, sono gli immigrati a<br />
dirlo. I primi di loro cominciano a organizzarsi. Diamogli una mano<br />
Sarà il primo marzo il primo sciopero organizzato in internet in Italia.<br />
Sarà uno sciopero importante, uno sciopero che non s'era visto prima e che<br />
però era nell'aria da diversi anni: lo sciopero dei lavoratori immigrati.<br />
“Ventiquattr'ore senza di noi”, l'hanno chiamato le promotrici. Di cui<br />
bisogna subito dare i nomi, che probabilmente resteranno nella storia:<br />
Stefania Ragusa, Daimarely Quintero, Nelly Diop e Cristina Seynabou<br />
Sebastiani: secondo le mummie una “italiana” e tre “straniere”, in realtà<br />
quattro italiane nuove, di cui non conta più tanto la razza e il nome: come in<br />
America, per capirci.<br />
“La società vive col lavoro di migliaia di stranieri. L'Italia collasserebbe<br />
subito senza di loro. E'venuto il momento di farlo capire a tutti. Vediamo<br />
che cosa succede se per un giorno noi non lavoriamo”. Non è n'idea<br />
originale, d'accordo. E' semplicemente l'idea del vecchio socialismo, del<br />
movimento operaio. Allora ha funzionato.<br />
Migliaia e migliaia di iscritti su Facebook (“Primo marzo 2010”), comitati<br />
locali dappertutto, un primo coordinamento nazionale. Come i Viola (e<br />
prima ancora il Rita Express), ma più preciso e più mirato. Tre anni <strong>dal</strong> Rita<br />
Express, un paio di mesi dai Viola. Le cose vanno in fretta, di questi tempi.<br />
“Certo, non molti lavoratori immigrati hanno internete; ma li<br />
contatteremo lo stesso; e molti ufficialmente non lavorano, o sono in nero, o<br />
non possono permettersi di alzare la voce; ma penseremo anche a loro.<br />
Anche uno sciopero degli acquisti può servire.<br />
Che altro? Aiutiamoli - ma c'è bisogno di dirlo? - con tutte le nostre forze<br />
e con tutto il cuore.<br />
Info: primomarzo2010@gmail.com<br />
* * *<br />
Già, e poi dovremmo parlare degli altri, dei poveri “italiani” selvaggi (a<br />
Rosarno come a Verona), di quelli che ormai non sono più italiani da un<br />
pezzo ma semplice white trash, come in Alabama. Non abbiamo molto da
dirgli, salvo che ci dispiace per loro, e che ci vergognamo per loro, ma che<br />
non intendiamo assolutamente pagare per loro, sprofondare nella cloaca<br />
insieme a loro. Non sono più calabresi, non siciliani, non sono padani, non<br />
sono niente. Sono solo una povera morchia umana, la vittima più vittima del<br />
razzismo (gli schiavi si liberano, ma chi si crede padrone non si libera mai),<br />
che ormai costituisce una zavorra per il Paese.<br />
Questa zavorra, questo dieci per cento del paese, ha un suo governo<br />
ufficiale e un suo governo di fatto. Quest'ultimo, è evidentissimo, si chiama<br />
mafia, 'ndrangheta e camorra. Non può essere più combattuto con mezzi<br />
normali.<br />
Il governo ufficiale vorrebbe rozzamente servirsene, ma ne viene usato.<br />
La 'ndrangheta che prende in mano il potere, che esercita funzioni di polizia,<br />
che indice i pogrom (l'aveva già fatto la camorra a Napoli, contro i rom: e<br />
col plauso di Bossi) non può essere combattuta con mezzi democratici.<br />
Finché si scherza si scherza, ma ora si è davvero andati troppo oltre.<br />
E' bene che il governo vi rifletta, perché la corda è stata tirata abbastanza.<br />
O si ricostituisce un governo, o si fa appello ai paesi civili (Rosarno<br />
povrebbe essere presidiata <strong>dal</strong>le forze dell'Onu, come l'Uganda), o gli<br />
italiani prenderanno in mano la situazione.<br />
* * *<br />
Le parole “italiani” e “patria”, che noi usiamo raramente e con pudore,<br />
cominciano a chiedere prepotentemente d'essere pronunciate e messe in<br />
pratica, come nel '43. Beppe Sini, in queste ultime pagine, parla di<br />
insurrezione e, da buon pacifista, aggiunge “nonviolenta”: ma non tutti<br />
possono essere sempre pacifisti.<br />
Per intanto chiediamo a quanti hanno funzioni di responsabilità civile e<br />
militare – funzioni che hanno assunto con giuramento – di riflettere<br />
profondamente su quel che è oggi, e quel che potrebbe essere domani, il<br />
loro dovere di cittadini fedeli all'Italia e al giuramento prestato.
18 gennaio 2010<br />
NON CONSIDERIAMOLO NORMALE<br />
La pulizia etnica di Rosarno, cioè l'allontanamento forzato, con la<br />
minaccia delle armi e per opera della 'ndrangheta, di tutti gli individui di<br />
pelle scura da un dato territorio della Repubblica Italiana, è stata una notizia<br />
per due giorni. Al terzo giorno dei fatti di Rosarno si parlava: - al quinto<br />
posto, nella gerarchia degli argomenti, su www.repubblica.it; - al sesto<br />
posto sul www.corriere.it; - in modo analogo su tutti gli altri siti<br />
giornalistici “ufficiali”.<br />
<strong>Un</strong>a settimana dopo le prime fucilate e sprangate contro i neri, cioè, gli<br />
italiani erano già ridiventati “brava gente” e, la situazione era, come si dice,<br />
tornata “sotto controllo”. A Rosarno c'è stata addirittura una manifestazione<br />
ufficiale, gestita <strong>dal</strong>la 'ndrangheta, per dire che i rosarnesi non sono razzisti.<br />
<strong>Un</strong>o striscione contro la mafia, portato <strong>dal</strong>le ragazze del liceo, è stato fatto<br />
chiudere dagli organizzatori.<br />
Nessuno degli organizzatori o partecipanti alla manifestazione eversiva,<br />
per quanto ci risulta, è stato arrestato. Né lo è stato alcuno degli<br />
organizzatori e esecutori del pogrom, che è stato una vera e propria<br />
ribellione, penalmente perseguibile, contro i poteri dello Stato. Nei primi<br />
anni Settanta, sempre in Calabria, la molle prima Repubblica mandò<br />
poliziotti e soldati a stroncare, volente o nolente, il “boia chi molla”. Ma<br />
erano altri tempi e c'era ancora uno Stato.<br />
Tutto ciò è vergognosissimo per i funzionari di polizia, per gli ufficiali dei<br />
carabinieri e per tutti coloro che, avendo giurato fedeltà allo Stato, in effetti<br />
l'hanno tradito lasciando che il potere statale venisse violentemente<br />
usurpato, in quei giorni e in quei luoghi, dai boss mafiosi.<br />
A loro parziale discolpa sta il fatto che gli ordini erano quelli: il governo<br />
non era interessato a esercitare la sua potestà, delegandola di fatto - per<br />
clientelismo politico e solidarietà ideologica - ai mafiosi. <strong>Un</strong> piccolo otto<br />
settembre, con tutto il suo corredo di piccole vigliaccherie, di prepotenze<br />
senza sanzione, di “tutti a casa”. Ma anche di isolati atti di coraggio: gli<br />
abitanti di Riace hanno invitato i perseguitati a rifugiarsi nel loro comune,<br />
salvando col loro gesto la malridotta dignità calabrese.<br />
Anche su Rosarno, come su tutto il resto, il popolo italiano ha iniziato il<br />
rassicurante dibattito di rimozione. Calabresi e siciliani hanno dimenticato
gli orrori da loro portati in altri paesi (altro che qualche disordine dei neri di<br />
Rosarno): decine di migliaia di ragazzi assassinati in tutto il mondo <strong>dal</strong>la<br />
loro eroina; la mafia sanguinosamente introdotta in paesi, come l'Australia o<br />
il Canadà, che mai ne avevano sentito parlare; eppure né gli australiani né i<br />
canadesi - popoli civili - hanno cacciato siciliani e calabresi. Su questo<br />
dovremmo meditare profondamente, e provare anche vergogna.<br />
E' difficile in questo momento gravissimo proporsi altri obbiettivi che non<br />
siano il ripristino dei poteri legittimi su tutto il territorio della Repubblica e<br />
la liberazione <strong>dal</strong>l'occupazione militare delle mafie: perché di questo si<br />
tratta e non di altra cosa.<br />
In essa, il governo è collaborazionista col nemico. E buona parte della<br />
classe politica, o per azione o per inazione, gli tiene mano.<br />
Non c'interessano le loro opinioni su ogni altra cosa, finché questa<br />
situazione dura. Siamo in un'emergenza non inferiore a quella del<br />
dopoguerra, paghiamo prezzi altissimi e più alti ancora ne pagheremo (basti<br />
pensare al ruolo dell'Italia nella comunità delle nazioni, a quell'essere<br />
ributtati nel ruolo dell'Italian Fascist ridicolo e feroce).<br />
Davvero quel che chiamate politica è politica? Che problemi concreti si<br />
stanno risolvendo, o perlomeno affrontando, uno solo? Ci sono altre forme<br />
di politica reale, qui e ora, che non siano in un modo o nell'altro<br />
riconducibili a una ribellione?<br />
C'è una guerra civile a bassa intensità, dei ricchi contro i poveri e dei<br />
poveri fra di loro. Assume nomi e colori differenti, fra nord e sud, fra<br />
“italiani” e “stranieri”, ma è sempre sostanzialmente la stessa. Nasce<br />
<strong>dal</strong>l'abbandono della politica (sostituita da simil-politiche fittizie e da<br />
“partiti” e “istituzioni” d'accatto) e finirà con il ritorno della politica, cioè di<br />
noi stessi.<br />
Accadono alcune cose politiche (lo sciopero del primo marzo è una,<br />
l'antimafia sociale è un'altra) e cresce l'intuizione fra i giovani che bisogna<br />
organizzarsi, fare qualcosa. Ma non abbastanza in fretta. Razzisti, leghisti,<br />
mafiosi, piduisti, ladroni d'ogni risma e vecchi puttanieri lavorano<br />
alacremente a divorare la Repubblica, a distruggerne l'anima, a renderci<br />
come loro. Non consideriamolo normale. Organizziamoci di conseguenza.
27 gennaio 2010<br />
BUONE NOTIZIE (CON MOLTE PARENTESI) DALLA POLITICA<br />
"ALTA". E NOI FIGLI DI NESSUNO?<br />
Vendola vince, i “viola” continuano, il primo marzo c'è lo sciopero degli<br />
immigrati e il 12 quello della Cgil. Bersani e Di Pietro s'incontrano<br />
(miracolo!) per dire che sono contenti di lavorare insieme. Dov'è il trucco?<br />
Non riesco a vederlo: perciò non dico che mi fido, ma cerco almeno di<br />
seguirli con attenzione. Fermo restando che il lavoro duro, com'è sempre<br />
stato, toccherà farlo a noi poveri figli di nessuno...<br />
Riepilogo delle cose belle: continua il movimento dei viola, organizzano<br />
qualcosa il sei marzo (ma non hanno pensato a unificare la data con quella<br />
degli immigrati); continua l'organizzazione dello sciopero dei lavoratori<br />
immigrati, il primo marzo (ma sono due gruppi distinti che se ne occupano,<br />
e lavorano separati); la Cgil ha indetto uno sciopero generale antitasse per il<br />
12 marzo (vedi parentesi precedenti); Vendola ha vinto le primarie in Puglia<br />
(ma resta vanitosissimo); Bersani e Di Pietro, per una volta, non si sono<br />
insultati a vicenda ma si sono incontrati per elogiare la vittoria di Vendola e<br />
dire che sono contenti di essere d'accordo nella maggior parte delle regioni.<br />
Queste sono alcune delle buone notizie che ci vengono <strong>dal</strong>la “politica”,<br />
quella perbene. Non sono granché, d'accordo, ma sempre megliodi prima.<br />
La malattia della sinistra è la divisione; pochissimi ne vanno esenti e negli<br />
ultimi tempi le maggiori cazzate in tal senso le hanno fatte esattamente gli<br />
amici politici miei (Fava e Vendola più di Ferrero, Ferrero più di Epifani, Di<br />
Pietro più di... beh, lasciamo andare.<br />
La verità è che si vince solo se si va tutti insieme, da Di Pietro al Pd<br />
passando per la sinistra dispersa (grazie a Ferrero e Vendola) che però conta<br />
il suo bravo milione (buttato al cesso) di voti.<br />
Su quale politica andare insieme? Beh, di sinistra; o se proprio di sinistra<br />
vi sembra assai, allora almeno di centro-sinistra. Ma del centro-sinistra doc,<br />
quello dei socialisti (prima di Craxi) e delle riforme, che allora erano<br />
proprio riforme e non imbrogli.<br />
Come il divorzio (radicali e socialisti), lo Statuto dei lavoratori<br />
(socialisti), il voto a diciott'anni (Pci e Dc), la scuola fino a sedici anni<br />
(sinistra Dc), l'equo canone (socialisti e Dc), gli uffici di collocamento<br />
(socialisti e Pci), il Concilio (lo metto come Riforma perché, tre secoli dopo
Trento, questo è stato). Senza dimenticare la madre di tutte le riforme (Dc,<br />
Pci, Psi), la Costituzione, non a caso ancora odiatissima da fascisti, vecchi<br />
puttanieri e ladroni.<br />
Mi sono avventurato a parlare di politica perché, <strong>dal</strong>la politica loro,<br />
qualcosa per una volta mi ha fatto annuire. Per un tempo brevissimo perché<br />
poi, passato l'entusiasmo per la novità e tornato a ragionare posatamente, il<br />
Riccardo normale mi ha detto: non lasciarti gabbare, questi ora sono con le<br />
spalle al muro e fanno le persone serie, ma appena possono muoversi<br />
tornano come prima: guarda in Sicilia, che cosa stanno combinando proprio<br />
in questo momento. Fidati dei ragazzi vostri e di quelli che gli assomigliano,<br />
e di nessun altro al mondo; la vera politica è questa.<br />
E' vero, ho risposto io ancora in pennichella, certo che hai ragione. Ma<br />
perché, poveracci, se quelli vogliono fare le persone perbene, o addirittura i<br />
compagni, glielo dovremmo impedire? In fondo, è anche nel loro interesse.<br />
Perciò stiamo a guardare non dico con fiducia, ma con attenzione. Fermo<br />
restando che il lavoro più grosso, quello di pala e pico, quello che cambia le<br />
cose davvero (1860, '1943, '68...) al solito tocca farlo a noi poveri figli di<br />
nessuno.
3 febbraio 2010<br />
SANT'AGATA E I GIORNI DI RACITI<br />
A Catania Sant'Agata è una festa importante. E' una santa storica (è<br />
esistita davvero, fra i primi cristiani), una santa sovversiva (ce l'aveva col<br />
prefetto e centurioni) e dunque una santa popolare. E' una santa tradita.<br />
Non solo – com esempre a Catania – dai mafiosi, che ci hanno messo sopra<br />
le zampe impossessandosi della gestione della festa, dei soldi che ci girano<br />
e di tutti gli aspetti materiali (c'è un processo in corso:<br />
www.cataniapossibile.it). Ma anche <strong>dal</strong>le persone perbene, <strong>dal</strong>le autorità e<br />
dai politici arcivescovo in testa.<br />
Tutti costoro, cioè la grande maggioranza della Catania garantita, non<br />
solo hanno lasciato ridurre in schiavitù dai mafiosi quella che nominalmente<br />
sarebbe la loro icona; ma tre anni fa, nel febbraio 2007, l'hanno usata<br />
cinicamente (“la festa deve nontinuare!”) per normalizzare la piazza nei<br />
giorni dell'assassinio dell'ispettore Raciti.<br />
Filippo Raciti, ucciso da fascisti e mafiosi (che lì sono alleati) il 2<br />
febbraio 2007 perché si ribellava al patto di buon vicinato con fascisti e<br />
mafiosi, non ha avuto giustizia e forse, nella città di Catania, ufficialmente<br />
non l'avrà mai (a gente perbene, in questa città, anche senza giustizia dorme<br />
bene).<br />
Ha avuto invece – ma forse è ancora di più – solidarietà e amicizia vera. I<br />
giovani della città, la minoranza dei buoni (ma a volte non solo minoranza),<br />
nei giorni di Raciti si sono ribellati. Sono scesi in piazza, hanno fatto<br />
assemblee, hanno detto alto e forte che loro con la Catania ipocrita non ci<br />
stanno.<br />
Non è stata una protesta effimera, un fuoco di paglia. Da quei giorni di<br />
lotta sono nate crescita umana e organizzazione; e molti di quei giovani<br />
hanno continuato a lottare anche dopo (noialtri di U<strong>cuntu</strong>, per esempio, in<br />
un certo senso siamovenuti fuori proprio da lì). <strong>Un</strong> ruolo forte l'ha avuto, in<br />
quei giorni di costruzione e nei mesi dopo, la sede di Casablanca (di<br />
Graziella Proto) che in quell'occasione è stata non solo la redazione di un<br />
giornale ma anche un centro di organizzazione, secondo la buona tradizione<br />
dei Siciliani; di lì la fase nuova, profondamente centrata sui quartieri, e i<br />
soggetti nuovi: Cordai, Periferica, Addiopizzo, U<strong>cuntu</strong>, e altri ancora. La<br />
trasmissione della fiaccola, il passaggio di generazione e la continuazione di
tutto.<br />
Adesso ci sarebbe da parlare di cose molto più moderne e tecnologiche (le<br />
fabbriche, internet che si organizza, le cose nuove), ma non è male, una<br />
volta ogni tanto, ricordare da dove siamo partiti. I giorni di Raciti non sono<br />
ancora finiti. Sant'aAata, festa “folkloristica” e arcaizzante, in realtà è un<br />
momento di “scan<strong>dal</strong>o”, nel senso forte (e evangelico) della parola. E queste<br />
cose ci chiamano, ci indicano a modo loro dove andare.
10 febbraio 2010<br />
IN NOME DELLA LEGGE: DIFENDI GLI IMMIGRATI?<br />
ARRESTATO!<br />
E' il caso di Padre Carlo, di Siracusa: da anni “tenuto d'occhio” perché<br />
prendeva le parti dei “clandestini”: finché l'hanno arrestato. Nessuno di<br />
quanti lo conoscono crede alle accuse contro di lui. <strong>Un</strong>a sola - che non<br />
hanno osato esprimere - è vera: quella di essere un cristiano. Aiutare i<br />
poveri, ospitare gli stranieri, difendere i perseguitati<br />
Non è una chiesa come le altre. Nella Chiesa di Bosco Minniti a Siracusa,<br />
da molti anni, tutti possono trovare rifugio; gli extracomunitari, scappati per<br />
mille ragioni diverse dai loro paesi, ci abitano, la vivono, la animano<br />
condividendo le difficoltà quotidiane. Entrateci all’ora dei pasti: è la mensa<br />
di tutti i popoli. Al posto dell’altare una tavolata immensa dove almeno<br />
cento immigrati di ogni nazionalità si trovano riuniti a mangiare. Alle pareti,<br />
simboli di diverse religioni. Qui sono stati accolti anche molti di immigrati<br />
scappati da Rosarno e presto ci saranno, come ogni anno, quelli che<br />
arrivano per la raccolta stagionale nei campi tra Cassibile e Pachino.<br />
Tutto questo dà fastidio ai potenti. In un momento in cui si tenta in tutti i<br />
modi di rendere la vita sempre più impossibile agli immigrati, si compie<br />
l’ennesimo attacco politico, l’ennesimo tentativo di stroncare l'accoglienza e<br />
l'integrazione.<br />
Padre Carlo D’Antoni è ora agli arresti domiciliari insieme ad altri otto<br />
indagati (Antonino De Carlo, un collaboratore del sacerdote, l’avvocato<br />
Aldo Valtimora e sei immigrati), accusati di gestire il rilascio di permessi di<br />
soggiorno falsi. Il reato ipotizzato <strong>dal</strong> Gip di Catania è associazione per<br />
delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'illecita permanenza di<br />
stranieri nel territorio dello stato italiano. E poi accuse di riduzione in<br />
schiavitù e di falso ideologico in atto pubblico e false dichiarazioni a<br />
Pubblico Ufficiale per aver “inventato storie travagliate e commoventi” al<br />
fine di ottenere titoli di soggiorno per motivi umanitari o di protezione<br />
temporanea. Inventato!.<br />
Ma se è vero che molti extracomunitari finiscono nelle maglie del<br />
mercato illegale delle regolarizzazioni e se è vero che un traffico di<br />
clandestini tra Siracusa e la Campania esiste, gli immigrati di Bosco Minniti<br />
dicono che l’attacco a padre Carlo è infondato, che lui non ha nulla a che
vedere col racket dei documenti, che non ha mai commesso quei reati.<br />
Dicono che l’esperienza di Bosco Minniti deve continuare, in una chiesa<br />
senza frontiere, aperta a tutti, un luogo in cui si lotta per il diritto a una vita<br />
dignitosa.<br />
Sonia Giardina<br />
* * *<br />
Padre Carlo Dantoni è stato fra i primi a seguire il processo per il<br />
naufragio del Natale ’96 al largo di Portopalo e l'inchiesta di Dino Frisullo<br />
sulla holding degli schiavisti. Dopo 13 anni si è arrivati alla condanna a 30<br />
anni dei 2 imputati, anche se in seguito alle leggi razziali e ai respingimenti<br />
in Libia le mafie mediterranee continuano sempre più ad ingrassarsi .<br />
Come allora esigiamo verità e giustizia nel colpire i carnefici dei<br />
migranti , ma ci opponiamo a qualsiasi campagna di criminalizzazione di<br />
chi si spenda nell’accoglienza, anche disobbedendo a leggi ingiuste . <strong>Un</strong><br />
motivo di più perché la giornata di mobilitazione antirazzista del 1° marzo a<br />
Siracusa e in Sicilia veda scendere in piazza i migranti e chiunque si batta<br />
contro le nuove politiche d’apartheid.<br />
Rete Antirazzista Catanese<br />
* * *<br />
ALLE LEGGI RAZZIALI BISOGNA DISUBBIDIRE<br />
I “reati” di padre Carlo, se anche fossero veri, non sarebbero affatto reati<br />
nuovi: c'erano già prima. “Aiuto a schiavi evasi”, come nell'Alabama dello<br />
Zio Tom. “Aiuto a ebrei fuggitivi”, come nell'Italia del duce.<br />
Non sono affato reati, in verità. Sono doveri per chi è cristiano - sono<br />
obbligo per chi è civile - sono vergogna incancellabile per chi ne ha fatto<br />
“legge” e angheria.<br />
Alle leggi ingiuste bisogna disobbedire. Bisogna far fuggire gli schiavi,<br />
nascondere gli ebrei, aiutare i “clandestini”. Per noi cittadini italiani (non<br />
padani, non mafiosi: italiani) è un dovere precisissimo che ci ordina la<br />
nostra sovrana, la Costituzione. E' infedele quel funzionario che,<br />
nascondendosi dietro “leggi” antiitaliane, tradisce la Repubblica e viola il<br />
giuramento alla Costituzione. “Io eseguivo gli ordini” non è, e non è mai<br />
stata, una giustificazione.<br />
La Fiat ora proclama apertamente: “Al diavolo voi siciliani! Io vi licenzio<br />
tutti quanti e porto le mie fabbriche in Cina”. Ai vecchi operai settentrionali:
“E' vero, mi avete servito per quarant'anni - dice - Mi avete permesso di<br />
nascondere miliardi e miliardi all'estero e di governare di fatto il vostro<br />
paese. Che importa! Al diavolo anche voi tutti. Le prossime Cinquecento le<br />
farò in Messico o in Brasile”.<br />
E il popolo, instupidito, tace. Fino a quando?<br />
R.O.
19 febbraio 2010<br />
CHE COSA CI INSEGNA QUEL RAGAZZO QUALUNQUE<br />
"Sono nato ad Agrigento il 18/10/1986, residente a Campobello di Licata<br />
(AG), cittadino libero. Ho voluto specificare il mio status per combattere il<br />
servilismo che ogni giorno di più avvolge il nostro Paese. Ho scelto di<br />
rimanere in Sicilia, di non andare via anche se vivere qui è duro...".<br />
E' l'incipit del blog di Giuseppe Gati, morto un anno fa d'incidente mentre<br />
aiutava suo padre al lavoro, in campagna.<br />
Della sua breve vita, qualcuno ricorda ancora le fiere parole - “Viva<br />
l'antimafia! Viva Caselli!” - con cui interruppe gli insulti di un servo del<br />
potere mafioso venuto a fare il suo sporco lavoro.<br />
Lo afferrarono le guardie e se lo portarono via. Lui ricominciò la sua<br />
esistenza normale: organizzare l'antimafia, aiutare la famiglia, portare avanti<br />
il blog. Il filo era diventato assai breve, tutto ciò che Giuseppe avrebbe mai<br />
potuto dare al mondo era ormai concentrato in quei diciannove anni. Ma<br />
abbastanza per ricordarlo, per essere orgogliosi di lui, e profondamente<br />
grati. Servono le persone così, molto più che i grandi eroi.<br />
La storia di Giuseppe ci è venuta provvidenzialmente davanti mentre ci<br />
arrabbattavamo per esprimere l'indignazione per le ruberie, per le<br />
prostituzioni, per le insolenze di piccoli e grandi mascalzoni che sono ormai<br />
la fauna abituale di questa decadenza in cui viviamo. Difficile trovare le<br />
parole, e trovarne soprattutto di non volgari; perché la volgarità è<br />
contagiosa.<br />
A furia di scrivere e raccontare di anime basse qualcosa di quel grigiore<br />
s'insinua dentro di noi; e la mediocrità, la povertà umana, la svendita di se<br />
stessi a un certo punto appaiono, senza accorgersene, qualcosa di riposante e<br />
di normale.<br />
Non puoi scrivere di Bertolaso senza diventare almeno per un<br />
milionesimo di te stesso arrogante e servile. Non puoi attraversare le<br />
elucubrazioni dei Di Pietro, dei Bersani o dei D'Alema senza vergognarti<br />
impercettibilmente dei compromessi compiuti <strong>dal</strong> te stesso politico<br />
(certamente minori e, anche qui, “a fin di bene”). E Bossi, e Berlusconi, le<br />
due violenze, non hanno davvero nulla, per un maschio adulto italiano, di<br />
machiavellicamente affascinante?<br />
Ecco: a tutte queste putredini, a queste debolezze, risponde come un
soffio d'aria un essere come il nostro Giuseppe. Non ha vissuto niente di<br />
tutto questo, Giuseppe. Non si è mai rapportato coi Vip, non ha mai voluto<br />
esserlo e nemmeno, per un istante fugace, gli è apparso il fascino del<br />
rifiutare (che è quasi esercitare) un potere; queste cose nel suo mondo non<br />
sono mai esistite, semplicemente.<br />
Così, questo ragazzo come tanti altri, semplice e buono, assolutamente<br />
non-eroe, è quello che ci insegna di più; almeno a me. Dobbiamo<br />
sconfiggere Berlusconi ma così, distrattamente, senza troppo<br />
appassionarcene nè dargli maggior peso del dovuto. Combattemo il<br />
razzismo e le altre cose disumane per quello che sono, cioè estranee alla<br />
vita, indialogabili. Cammineremo nella storia, faremo la nostra parte, ma<br />
senza mai prenderla sul serio più di tanto. Sapendo che la storia profonda,<br />
quella che gl'intellettuali non vedono e che non è potere, è la più importante<br />
di tutte.<br />
E neanche sapremo esprimere queste cose in parole lucide, da poveri<br />
intellettuali del Novecento; ma ci arrenderemo a questo limite, umilmente.<br />
Infatti, basta il viso di un ragazzo buono qualunque - il viso di Giuseppe,<br />
per esempio - per raccontare con chiarezza ciò che serve. Che altro?
27 febbraio 2010<br />
CHE TI DICE LA PATRIA?<br />
“E' il rapporto mafia-politica che paralizza il <strong>Sud</strong>”: lo dice la conferenza<br />
episcopale, e certo è una bella scoperta che prima o poi doveva arrivare.<br />
Cinquant'anni fa, per l'arcivescovo di Palermo Ruffini, si trattava invece di<br />
“una supposizione calunniosa messa in giro dai socialcomunisti, i quali<br />
accusano la Democrazia Cristiana di essere appoggiata <strong>dal</strong>la mafia”.<br />
* * *<br />
Fra i ladroni ci sono parecchi fascisti: Mokbel, Andrini (manager di<br />
Alemanno) e altri ancora. Storicamente, i fascisti rubavano parecchio (Muti,<br />
Monti, Petacci fratello ecc.). Adesso, l'estrema destra razzista - la Lega - si<br />
distingue per le mani lunghe in Lombardia: vedi, fra i tanti, il crociato<br />
antiimmigrati Prosperini. “Ma fare politica costa”, si giustifica lui.<br />
* * *<br />
E il monumento a Craxi, che fine ha fatto? Ora è il momento di alzarlo.<br />
Grande, monumentale, a coprire (come suggerisce Mauro Biani) il vecchio<br />
e ormai vagamente sovversivo Duomo.<br />
* * *<br />
«Sono solo secchiate di fango. Nessun reato emerge con certezza». Ci<br />
sono già stati altri capi di Governo che hanno difeso i delinquenti. Almeno<br />
due (Fujimori del Perù e Bordaberry dell'Uruguay) lo stanno scontando<br />
nelle carceri dei rispettivi paesi, tornati democratici alla fine.<br />
* * *<br />
Satrapi. Tutti maschi. Qualche donna isolata a fare da escort, e poi basta.<br />
Questo regime è vecchio, sclerotico e, seconddo lui, maschile.<br />
* * *<br />
Nell'album di famiglia, Bertolaso è Graziani.<br />
* * *<br />
Trattative. Nè Ciancimino, ai suoi bei tempi, era “mafioso”, nè lo è adesso<br />
Dell'Utri. Ufficialmente e per tutti i media (rileggere il giornale di Sicilia o<br />
il Corrierone di allora, e quelli di ora), erano semplicemente degni uomini<br />
politici di governo che gli infami comunisti calunniavano come mafiosi.<br />
Certo, un sindaco di Palermo o un fondatore di Forza Italia in Sicilia<br />
mafioso dev'esserlo per forza, per esigenza di mestiere; così fu per il<br />
quondam Ciancimino, così è ora per il povero Dell'Utri. Ma questa è una<br />
ragione per additarli al ludibrio e al linciaggio morale? Dunque un politico
italiano, secondo voi, non può più nemmeno fare il mafioso?<br />
* * *<br />
Ma Berlusconi, poi, è davvero presidente? Davvero il cavalier Mussolini -<br />
nel pieno rispetto della legge e delle mo<strong>dal</strong>ità formali dello Statuto - era<br />
Primo ministro, nel '36?
8 marzo 2010<br />
LIBERTA' DI STAMPA IN SICILIA<br />
Libertà di stampa? Certo che in Sicilia esiste, tant'è vero che state<br />
leggendo questa cosa. Ma non è benvoluta, nè <strong>dal</strong> governo nè <strong>dal</strong>la società<br />
(per governo in Sicilia s'intende sia quello che si vede sia quello che no).<br />
L'indifferenza della società alla libera informazione si vede, di solito, il<br />
giorno dopo che ammazzano qualche giornalista. Da noi ne ammazzano<br />
molti, meno che in Colombia o in Russia ma più che in ogni altro paese. Gli<br />
unici casi in cui la gente si sia ribellata sono stati quelli di De Mauro (grazie<br />
ai comunisti, che allora c'erano ancora) e Fava (i ragazzi di Catania).<br />
Alfano, Cristina, Francese, Rostagno, Spampinato e Impastato morirono<br />
nell'indifferenza generale. A Cinisi, il paese di Impastato, la popolazione a<br />
trent'anni di distanza è ancora <strong>dal</strong>la parte dei mafiosi (imitata, negli ultimi<br />
tempi, dai più recenti mafiosi delle valli bergamasche).<br />
Esiste la libertà, ma non il mercato. L'unico siciliano autorizzato (<strong>dal</strong>le<br />
Competenti Autorità) a fare tivvù e giornali si chiama Mario Ciancio, vive a<br />
Catania ed ha nell'harem tutti gli intellettuali cittadini, <strong>dal</strong>l'elegante fascista<br />
Buttafuoco al feroce maoista Barcellona. Non vende molti giornali (molto<br />
meno, in proporzione, che a Istanbul) ma la cosa non ha importanza, perché<br />
tutti gli imprenditori siciliani (compresi quelli che ultimamente hanno<br />
smesso di essere mafiosi) fanno pubblicità solo da lui. Mai, mai, mai<br />
leggerete un rigo di pubblicità siciliana su un giornale siciliano antimafioso.<br />
Libertà di stampa vuol dire dunque che tu, se sei disposto a fare la fame<br />
per i prossimi venti o trent'anni ed eventualmente prima o poi ad essere<br />
ammazzato, puoi scrivere quello che vuoi e pubblicarlo qui, su Girodivite,<br />
su U<strong>cuntu</strong>.org, su Catania Possibile, su Terrelibere, sulla Periferica, sui<br />
Cordai o su qualche altro giornale di analoghe dimensioni. Per informare la<br />
gente, in realtà, questo potrebbe anche essere sufficiente (specialmente se<br />
tutti questi organi prima o poi si decidessero a unirsi fra loro).<br />
A Messina, ad esempio, l'allarme su Giampilieri era stato dato ben prima<br />
dai giornalisti liberi, in tempo per prendere i provvedimenti opportuni e<br />
salvare - alla faccia degli speculatori edilizi e della loro Gazzetta - coloro<br />
che erano già in lista d'attesa per essere annegati alle prime piogge. Ma<br />
nessuno ha preso sul serio i loro articoli. Se fossero stati giornalisti bravi -<br />
ragionava il lettore messinese - avrebbero fatto i milioni al servizio dei
politici, mica avrebbero perso tempo e soldi per informare me.<br />
Al messinese, al palermitano, al catanese, sapere la verità in realtà non<br />
interessa. La verità è fastidiosa, la verità desta. Ed è così bello dormire! La<br />
realtà è quel che è, cambiarla è faticosissimo, meglio sognare. Forza<br />
Catania, evviva il Ponte, viva Palermo e Santa Rosalia.<br />
[www.girodivite.it]
8 marzo 2010<br />
STANNO GIÀ COMINCIANDO AD ABOLIRE LE ELEZIONI<br />
In pratica le hanno già abolite in Lazio e in Lombardia. Addio regole<br />
uguali per tutti, ora per forza deve vincere il partito al governo. Anche il<br />
primo fascismo cominciò così. Difendiamo la costituzione, difendiamo la<br />
nostra Repubblica, e creiamoci dei dirigenti nuovi e giovani, capaci non<br />
solo di gridare forte o di fare le primedonne ma di vincere concretamente e<br />
realmente questa lotta<br />
Formalmente, anche sotto il fascismo si votava. Si votava ma a modo<br />
loro, con elezioni fasulle da cui il governo usciva automaticamente<br />
vincitore. Le elezioni, di fatto, erano state abolite, ma senza dirlo.<br />
Oggi il governo italiano ha abolito le elezioni regionali in Lazio e in<br />
Lombardia. Formalmente si vota ancora, ma non sono più vere elezioni,<br />
con regole uguali per tutti. Sono “elezioni” alla Duce, alla Putin o alla<br />
Gheddafi, di cui non a caso questo governo è l'unico amico. Esse non hanno<br />
dunque alcun valore legale e gli “eletti” che ne risulteranno faranno bene a<br />
evitare di arrogarsi poteri dello Stato.<br />
In questa situazione, delicatissima e pericolosa, i cittadini debbono restare<br />
saldi attorno alla loro Costituzione e prepararsi a difenderla in ogni caso. Le<br />
forze politiche democratiche debbono prendere in ipotesi l'eventualità di un<br />
“impeachment” - cioè di una messa in stato d'accusa - del capo del governo,<br />
che ha travalicato i suoi poteri. E' sbagliato e puerile, e certamente utile al<br />
duce, prendersela in questo momento col re, che pure certamente ha<br />
sbagliato. L'obbiettivo di tutti dev'essere la messa sotto accusa del<br />
responsabile formale dell'attacco allo Statuto, ieri Mussolini e oggi<br />
Berlusconi.<br />
* * *<br />
E' difficile che la sinistra attuale, con tutte le sue buone volontà e le sue<br />
piccinerie, sia in grado di portare avanti con successo una simile lotta, a cui<br />
non è preparata. Qua non si tratta di gridare più forte, di sopraffarsi a<br />
vicenda - ognuno per conto suo, e con vanità da prime donne - per poi<br />
lasciare tutto come si trova. Si tratta di affrontare problemi come il rifiuto<br />
d'obbedienza, la resistenza collettiva e civile agli ordini illegali e il dialogo<br />
operativo coi funzionari lealisti, civili e militari.<br />
Non credo che un Di Pietro, un Veltroni, un D'Alema, un Bersani, o anche
un Vemdola o un Ferrero (che hanno ancora sulla coscienza quasi un<br />
milione di voti dispersi per puntigli infantili) possano essere i nostri leader<br />
in questa lotta. Dobbiamo tollerarli sì, non affrontare il problema che essi<br />
costituiscono proprio ora. Ma è chiaro che con loro non si può vincere, ma<br />
al massimo sperare di resistere un altro poco.<br />
* * *<br />
Per fortuna, la sinistra comincia ad avere un altro filone di dirigenti,<br />
provenienti - come dice don Ciotti - “da un'altra falda”. E sono quelli del<br />
movimento viola (se staranno attentissimi a non produrre leaderini, e a tener<br />
fuori i leaderoni esterni), quelli dell'antimafia (il più duraturo e il più<br />
avanzato in termini sociali fra i movimenti degli ultimi vent'anni) e<br />
soprattutto quelli, parte italiani vecchi e parte nuovi, che hanno organizzato<br />
il Primo marzo.<br />
Se tutti costoro diventeranno coscientemente e compiutamente “politici”,<br />
se non rifuggiranno <strong>dal</strong>l'assumersi le loro responsabilità (che sono sempre<br />
più proprio “di partito”), se sapranno ispirare alle persone comuni fiducia e<br />
ammmirazione e non paura,se sapranno dialogare coi pezzi di sinistra basati<br />
ancora sulla lotta sociale (praticamente quasi solo il sindacato), se non<br />
saranno né prime donne né vanitosi, se sapranno coordinarsi efficacemente<br />
al loro interno e fra di loro, se sapranno imparare, se... - allora, amici miei,<br />
potremo dire che un'altra sinistra, vera e vincente, è davvero nata, e che lo<br />
sfacelo della vecchia non sia che un episodio dovuto.<br />
* * *<br />
Io sono convinto che tutto questo stia accadendo davvero, e che tutte le<br />
caratteristiche di questi compagni nuovi (comprese quelle negative)<br />
ricordino moltissimo quelle dei fondatori della prima sinistra, quella dei<br />
socialisti dell'Ottocento.<br />
E come i compagni di allora non lottavano semplicemente per i diritti ma<br />
anche contro regimi autoritari e feroci (lo zar, il kaiser, levarie monarchie<br />
assolute), così oggi ci troviamo davanti, fra i vari problemi, anche quello di<br />
un assolutismo in forma nuova, di un repubblica attaccata dai nobili, di un<br />
egoismo sociale sempre più feroce.<br />
Eppure - poveri individualmente ma immensamente forti se ci uniamo -<br />
siamo certi di farcela, assorbendo persino le debolezze e le periodiche rese<br />
dei nostri “centrosinistri” compagni di cammino.
16 marzo 2010<br />
CHE COSA L'ANTIMAFIA PUÒ INSEGNARE ORA<br />
Fare un partito grosso, più moderato ma unico, per meglio contrastare una<br />
destra aggressiva? O fare un partito di sinistra vera, responsabile ma senza<br />
equivoci, per mettere insieme tutti coloro che vogliono cambiare le cose?<br />
Non si può dire che le cose in Italia non si muovano. Vanno anzi a<br />
razionalizzarsi, attorno a queste due nuove proposte che vanno rapidamente<br />
trasformandosi in organizzazione. Quale delle due sarà giusta, l'avvenire ce<br />
lo dirà.<br />
Per intanto hanno in comune due cose: che da un lato dichiarano<br />
entrambe di non voler più fare vecchia politica, e di volerne anzi una nuova,<br />
più democratica, meno elitaria e con più partecipazione dei cittadini; e che<br />
<strong>dal</strong>l'altro non riescono esattamente a definire quale essa sia, con che prassi<br />
concreta, con che cultura.<br />
"No all'oligarchia, sì alla partecipazione": la domanda ormai è facile, ma<br />
siamo appena all'inizio della lunga strada che ci porterà alla risposta.<br />
Per il movimento antimafia ("anti" mafia, ma "per" un sacco di cose<br />
accumulate lungo la via) questa domanda si è posta fin <strong>dal</strong>le origini, e le<br />
risposte a poco a poco le hanno date i fatti.<br />
Nei momenti oligarchici, verticali, ha funzionato male e prima o poi s'è<br />
arenato; nei momenti collettivi, corali, ha funzionato bene e ha cambiato le<br />
cose. Ha funzionato bene quando è stato articolato e reciproco, con un'ala<br />
"moderata" e una "estremista" che si riconoscevano e si collaboravano, pur<br />
nelle reciproche critiche, a vicenda. Ha funzionato male quando questo<br />
autoriconoscimento s'è inceppato e ha dato luogo alle emarginazioni e ai<br />
settarismi reciproci.<br />
Noi dell'antimafia siamo stati costretti a imparare in fretta queste lezioni<br />
(almeno i più maturi di noi) perché quando si combatte non c'è molto spazio<br />
per errori. Si pagano immediatamente, e a volte molto cari. Possono litigare<br />
Togliatti e De Gasperi, a Roma. Non possono litigare il comandante<br />
garibaldino e quello badogliano, in montagna, perché hanno i tedeschi<br />
davanti, e debbono per forza trovare una via di accordo.<br />
E questo, nella prassi concreta, educa a molte cose. Alla fine l'ufficialetto<br />
sabaudo riconoscerà senza problemi che il re ha fatto molto male a<br />
scappare, e il communista feroce non farà fatica ad ammettere che forse la
dittatura del proletariato magari si può rimandare a un'altra volta.<br />
L'Italia è stata fatta così, fra partigiani.<br />
La sua coesione politica, durata oltre cinquant'anni, e della sua sinistra in<br />
particolare, non nasce <strong>dal</strong>le varie ideologie ma <strong>dal</strong>l'esperienza concreta del<br />
lottare insieme. Quando la spinta propulsiva di quest'ultima si è esaurita,<br />
allora è arrivato lo sbandamento e il "tutti a casa". Che dura tuttora, anche<br />
se mascherato dai più bei discorsi e <strong>dal</strong>le più nobili ragioni.<br />
L'antimafia è stata ed è, nei suoi momenti più alti, l'antifascismo e la<br />
resistenza delle nostre generazioni. Non una somma di idee astratte ma<br />
l'esperienza concreta, e umanamente profonda e spesso rischiosa, del fare<br />
qualcosa insieme contro un potere inumano e diffuso.<br />
Ecco: se la politica deve rinnovarsi, si rinnovi con questo. Coi ragazzi di<br />
Locri, con quelli del liceo Meli ai tempi di Falcone, coi napoletani di<br />
Monitor, coi SicilianiGiovani che lottarono i Cavalieri.<br />
Con tutti quegli esseri umani, umili e non famosi, che nelle varie<br />
situazioni fecero inconsapevolmente politica perché erano ben decisi a fare<br />
Resistenza.<br />
Ecco: nelle nostre radici c'è esattamente questo. Noi non siamo nati per<br />
"politica", siamo nati perché c'era da lottare, e in questa lotta condotta<br />
insieme ci sono state insegnate - di fatto e senza che noi lo volessimo -<br />
molte cose.<br />
Adesso dobbiamo cercare di trasmetterle, in situazioni nuove ma non<br />
sostanzialmente diverse, e di continuare a impararne sempre di nuove.<br />
In questo circolo di imparare/raccogliere, di forma tecnica "dura" e<br />
montanara, libera invece e anarchica quanto a organizzazione, c'è tutto quel<br />
che possiamo dare alla sinistra e al progresso, a qualsiasi sinistra che voglia<br />
veramente dirsi tale.<br />
[Casablanca”, maggio 2007]
6 aprile 2010<br />
LE TRE ITALIE DEL DOPO-VOTO<br />
La cosa più inportante in queste elezioni è che per la prima volta la gente<br />
ha votato secondo criteri “etnici” e non politici: prima c'erano soprattutto<br />
una destra e una sinistra, ora c'è soprattutto un nord e un sud. Qualcosa del<br />
genere si era già verificato negli ultimi tempi della Jugoslavia.<br />
La seconda cosa importante è che queste elezioni, che nessuno<br />
formalmente ha contestato, sono elezioni fino a un certo punto, falsate sia<br />
da irregolarità amministrative (la faccenda delle liste, ecc.) che <strong>dal</strong>la<br />
disparità, ormai ridicola, di propaganda. Entrambe queste caratteristiche<br />
sono ormai praticamente accettate. E' dubbio, da questo punto di vista, che<br />
l'Italia sia ancora un paese democratico nel senso occidentale.<br />
Dal voto sono usciti tre Paesi distinti – il Nord, il Centro con la Puglia, il<br />
<strong>Sud</strong> – dei quali almeno due, come statuto di fatto, sono completamente fuori<br />
<strong>dal</strong>la vecchia Costituzione. Al nord è ormai riconosciuta quasi dappertutto<br />
l'apartheid, che nell'Italia classica non è mai esistita nè a destra nè a sinistra<br />
nè in alcun'altra formazione; al <strong>Sud</strong>, dopo i fatti di Rosarno (ma prima<br />
ancora di Napoli), è ormai indubbio che il reale governo del territorio è<br />
gestito spessissimo da mafia, 'ndrangheta e camorra (il Sistema). Neanche<br />
questo era previsto <strong>dal</strong>la precedente Costituzione.<br />
* * *<br />
La responsabilità delle varie sinistre, in tutto ciò, non è da poco. Il partito<br />
maggiore ha quella di aver lasciato crescere Berlusconi, con una tendenza<br />
all'inciucio (come ora in Sicilia) che sembra fare ormai parte del suo Dna. I<br />
minori quello di essersi colpevolmente divisi (Ferrero e Vendola), di aver<br />
navigato fra piazza e notabilato (Di Pietro), di aver trasformato giuste<br />
istanze in pasticci utili a nessuno (Grillo).<br />
Se si dovesse sintetizzare, il vilain più emblematico risulterebbe<br />
Bassolino: accolto con entusiasmo da una popolazione ansiosa di cambiare,<br />
sostenuto con lealtà e coraggio <strong>dal</strong>la massa infelice ma fiera dei napoletani<br />
– e scivolato nel giro di pochi anni nell'arroganza, nel notabilato, nella<br />
corruzione e infine nel tradimento politico e sociale. Nessun segretario della<br />
sinistra sarà credibile se non farà piazza pulita, e pubblicamente, di tale<br />
gente.<br />
Abbiamo perso il Lazio per pochi voti e il Piemonte per la coglionaggine
(peraltro giustificata) dei grillini; ma la Campania e la Calabria li abbiamo<br />
persi perché abbiamo malgovernato, perché non siamo stati, come la gente<br />
ci aveva chiesto, antimafiosi.<br />
* * *<br />
Non è elevatissimo, il dibattito post-elezioni della sinistra: panico, accuse<br />
reciproche e ambizioni si sfogano liberamente e senza alcun senso di<br />
responsabilità. Tornano a farsi sentire i Veltroni, i D'Alema e gli altri<br />
affossatori del vecchio modello Pci, che pure organizzativamente (e<br />
purtroppo l'ha dimostrato Bossi) era quanto di più efficiente la sinistra<br />
italiana avesse mai prodotto. Negli apparati, i giovani non sembrano molto<br />
meglio dei vecchi, quanto a proclami apodittici gonfi di Io.<br />
Alla base, per fortuna, il clima è differente. Rabbia (si è perso per<br />
pochissimo), volontà di lottare, patriottismo. Fra i giovani soprattutto c'è<br />
confusione, sconcerto, paura per l'avvenire ma non, o assai raramente,<br />
rassegnazione. E questo trasversalmente, senza gran distinzioni di partito.<br />
Chi spera in Vendola, chi in Bersani, ma in un Bersani o un Vendola visti<br />
non come grandi leader blairiani ma come servitori seri e modesti di noi<br />
tutti.<br />
Il modello politico – lo ripetiamo ancora – per noi è quello dell'antimafia,<br />
libera, responsabile, combattiva e unita. Il progetto potrebbe ripartire<br />
dell'intervista estiva di Romano Prodi (qui a suo temo ripresa), autocritico,<br />
anti-blairiano, irriducibilmente anti-destra, e ottimista.
6 aprile 2010<br />
C'ERA UNA VOLTA l'ITALIA<br />
L'Italia, che per la maggior parte della sua storia è stata un'“espressione<br />
geografica” politicamente disgregata, è stata tuttavia sempre unitissima sul<br />
piano della cultura e, diciamo così, sentimentale. Lo è ancora<br />
L'Italia comincia a Formia e finisce a Sassuolo. Prima di Formia, sei in<br />
terra di camorra (o di 'ndrangheta o mafia, secondo i casi). Dopo Sassuolo,<br />
Parma ormai americana (coi sikh col turbante che lavorano il parmigiano) e<br />
poi Piacenza, il Po, la Padania.<br />
Padania parta est in partes tres, di cui la prima l'abitano i Padani<br />
(anticamente Lombardi), l'altra è il Nordest (un tempo Veneto) e la terza il<br />
Piemonte, unico ad aver conservato il vecchio nome. L'Italia, in queste<br />
terre, conserva Genova, Susa, Spezia, Mantova e Aosta. <strong>Un</strong> tempo questa<br />
regione era costellata di fabbriche (a ovest) e chiese (a est). Queste ultime<br />
esistono ancora, per quanto vi sia cambiata la religione; ma le fabbriche<br />
sono state quasi tutte trasferite in Cina, lasciando al loro posto vasti buchi<br />
neri. Le autorità periodicamente li riempiono di veline, stilisti, finanzieri<br />
d'assalto e faccendieri per evitare che gl'indigeni si accorgano che lì manca<br />
qualcosa. Per la stessa ragione aizzano, quando lo ritengono il caso, pogrom<br />
contro gli zingari, i miscredenti, i mori o anche i semplici stranieri.<br />
A sud di Roma (di cui estremo avamposto è Formia) si stendono gli Stati<br />
Criminali, cosìddetti non perché la criminalità vi sia particolarmente elevata<br />
(lo è) ma perché vi governa. Da secoli colà pacificamente conviveva con re,<br />
duchi, repubbliche e chiese locali. Negli ultimi vent'anni, tuttavia, ha<br />
ritenuto di non aver più bisogno di loro e di poter prendere direttamente<br />
nelle proprie mani le cure dello Stato; ciò che è avvenuto rapidamente e con<br />
uno spargimento di sangue relativamente contenuto. E' stato tuttavia<br />
mantenuta, nella maggioranza dei casi, un'apparenza di continuità (in molte<br />
cittadine della Calabria esistono ancora le caserme dei Carabinieri),<br />
soprattutto per riguardo ai cittadini più anziani.<br />
Ciascuna di queste organizzazioni ha un nome pubblico (Camorra, Cosa<br />
Nostra, 'Ndrina) che si richiama agli antichi tempi; con esso è conosciuta<br />
all'esterno del paese; fra loro, tuttavia, si chiamano semplicemente "il<br />
Sistema", termine più moderno e molto più adeguato alla situazione.<br />
Da tutte queste terre l'Italia fu espulsa fra il 1982 e il 1993; nessuno dei
tentativi di riconquista attuati (ma sempre con forze insufficienti e per così<br />
dire all'avventura) da questo o quel funzionario italiano ha avuto successo;<br />
pertanto i maggiorenti italiani decisero, dopo matura meditazione, di<br />
riconoscere il fatto compiuto e di concedere a quei baroni, se non il nome,<br />
almeno la sostanza della libertà. Quelli tuttavia non se ne contentano ma<br />
muovono arditamente, e non senza successi, alla conquista del rimanente<br />
d'Italia. Il che se otterranno, lo vedranno i nostri nipoti.<br />
Si eccettuano, a questo regime, alcune terre che, con gran difficoltà ma<br />
tenendo fede, mantengono per via di mare i legami con Roma. Ed esse sono<br />
Stromboli, Filicudi, Alicudi, le Puglie, Siracusa in Sicilia e la Basilicata.<br />
Quanto a lungo potranno resistere, Dio lo sa. Si aggiungano, molto più<br />
lungi, i Sardi, divisi tuttavia <strong>dal</strong>l'Italia da lingua, mare e costumi. Va tuttavia<br />
ricordato, a loro onore, che il Sistema da loro non attecchisce. Fieri e gelosi<br />
della loro isola, ne hanno respinto mafia, camorra, 'ndrangheta e americani.<br />
Tale lo stato della penisola italica ai nostri tempi. Dalla mia giovinezza,<br />
come tutto è cambiato! Allora - e parlo della tarda metà dell'altro secolo,<br />
quando le lucciole e i filobus c'erano ancora - l'Italia era un luogo<br />
incantevole, unito <strong>dal</strong> nord al sud, diviso in tantissimi popoli che però, per<br />
alchimia dello spirito, si completavano fra loro. Così al napoletano cialtrone<br />
ma intelligentissimo faceva contrappunto il buon torinese serio e quadrato;<br />
il corridore veneto ("Mama son contènto di esser arivado uno!") era<br />
congenere del picciotto palermitano ("Bedda matri e che ffu?"); volti e<br />
dialetti si mescolavano nel crogiolo della Fabbrica, koiné non essendo il<br />
pidgin italish di ora ma un veneto-turìn-sicilianu comprensibile a tutti, da<br />
tutti amato. Cessava dopo un millennio il latinorum dei preti; l'italoromanesco<br />
della Rai, ben più popolare, ne prendeva il posto ed<br />
alfabetizzava tutta quanta l'Italia - da Nicolò Carosio al maestro Manzi - per<br />
la prima volta nella sua lunga storia.<br />
* * *<br />
Adesso, cammini ingrugnato per piazza Maggiore. Le foto dei duemila<br />
partigiani (modeste fototessere in bianco/nero) nella bacheca di vetro, sopra<br />
i gradini; e frotte di ragazze e ragazzi che chiacchierano allegramente sotto<br />
di esse. E il sindaco - il nostro sindaco - che ha appena fatto l'accordo col<br />
fascio, per "mantenere l'ordine" e tenere lontani i lavavetri. E sei ancora a<br />
Bologna, città civile; non sei a Verona dove il sindaco appena insediato ha<br />
dichiarato guerra, in un'unica dichiarazione, agli zingari e alla<br />
Sovrintendenza alle Belle Arti o a Catania dove ammazzano i poliziotti allo
stadio e ridono il giorno dopo. Non sei a Milano né a Napoli - capitali<br />
antichissime, testa e cuore - dove scacciano i mendicanti e fanno spacciar<br />
droga ai bambini.<br />
L'Italia è sempre stata le Italie. Italian macaroni, mandolino. Abbiamo<br />
sempre avuto un Nord e un <strong>Sud</strong>, e ciò ci faceva più belli. Anche Milano, per<br />
Stendhal, era una città meridionale. Anche Napoli - Cuoco, Amendola - era<br />
illuminismo. C'era un grandissimo poeta cattolico, Pasolini, c'era un<br />
immenso rivoluzionario comunista, don Milani. C'era papa Giovanni e<br />
Peppone. C'era Gassmann, Mina, le Kessler, Alberto Sordi: chi di questi era<br />
nord e chi era sud, chi non era semplicemente italiano?<br />
C'era la grande Inter. State a sentire: Sarti, Burgnich, Facchetti, Guarneri,<br />
Picchi... cioè Giuliano, Tarcisio, Giacinto, Aristide, Armando... Avete visto<br />
che nomi? Nobili, densi di storia, popolari. Nomi italiani.<br />
Di che paese sarà la mia nipotina? Certo, sarà europea. Ma poi? Sarà<br />
semplicemente siciliana - o nordestina, o bolognese - o sarà italiana? Ha<br />
ancora un senso pensarlo? Altre nazioni sono sparite, o per trauma o per<br />
noia. Non si è più austroungarici, non si è più jugoslavi. O ateniesi, o<br />
cheyenne o polinesiani. Così sta sparendo l'Italia, o e già sparita; non già<br />
politicamente ma proprio nel profondo, come nazione.<br />
Di solito, quando parliamo di nazioni, pensiamo ai bei discorsi, alla patria<br />
immortale. Roba di destra, insomma. Invece, la nazione è una cosa di<br />
sinistra. E' ciò che sopravvive. E' popolare.<br />
* * *<br />
La nazione è il porto di Messina, con la nave che va in Australia pronta a<br />
partire, i contadini di Caltanissetta e Favara sul ponte e i parenti sulla<br />
banchina, tutti ridanciani e chiassosi, per dare coraggio a chi parte.<br />
Sciolgono gli ormeggi, e la nave si stacca. E in quel preciso momento, cogli<br />
emigranti tutti aggrumati a poppa e i parenti sulla punta del molo, che ormai<br />
piangono liberamente perchè tanto da lontano non si vede, la banda, che<br />
fino allora aveva suonato canzonette allegre, comincia a suonare l'inno: il<br />
primo e l'ultimo, per la maggior parte di loro, della loro vita. Questo non<br />
succedeva nell'Ottocento: succedeva vent'anni fa. Ci sono duemila<br />
emigranti, nella città di Sidney, di Santa Marina Salina; a Santa Marina, ne<br />
saranno rimasti forse mille. C'era il consolato australiano a Messina, fatto<br />
apposta per loro. E prima quello del Belgio, per le miniere. E prima quello<br />
argentino, quello americano...<br />
C'è un poeta veronese, Barbarani, di cui i veneti si sono ormai dimenticati
da un pezzo; e io non ne ricordo che un verso, ma che è tutto un mondo;<br />
siamo fra gli emigranti veneti, "seradi" all'osteria, la sera prima della<br />
partenza: "Porca Italia!, i biastema, andemo via". Ci sono i genovesi, in<br />
Argentina, e i lombardi, e un intero quartiere che si chiana Palermo. Ci sono<br />
gli italiani d'America, fisici nucleari e mafiosi. Ci sono i bergamaschi, che<br />
andavano a lavorare in Francia; e una volta la popolazione di un'intera<br />
provincia scatenò il pogrom contro di loro e ne fece strage. C'è Bologna (il<br />
sogno di noi siciliani di sinistra, un tempo, era che Palermo diventasse<br />
un'altra Bologna) dove se vai a fare due passi alla Montagnola ti trovi<br />
esattamente nel posto dove una volta c'era la fortezza papalina che<br />
controllava la città. Quattro volte la distrussero, i bolognesi, e quattro volte<br />
il papa la ricostruì; la quinta, restarono a vincere loro e ne fecero terra e ci<br />
fecero su i giardinetti. Tutti insieme, questi erano gli italiani.<br />
Ci sono pochi paesi al mondo che abbiano avuto tanto kitsch di generali e<br />
politici come l'Italia; ma pochi che abbiano avuto, nella grandissima parte<br />
dei cittadini, tanta storia di vita e tanta umanità. Il nostro, molto più che uno<br />
stato, è - o era - una cultura, un modo d'esserci; un software. Facile da<br />
sfasciare pestando a casaccio sul computer; difficilissimo, e probabilmente<br />
impossibile, da rimettere insieme.<br />
* * *<br />
Non so se ci sarà ancora un'Italia fra dieci anni, o solo una specie di<br />
Belgio o un'Alabama. In quest'ultimo caso, sarà un peccato per tutti: perchè<br />
non sono molti i posti del mondo dove si sia riusciti, per tanti secoli, ad<br />
essere poveri e tuttavia signori, e dove si sarebbe potuto essere finalmente<br />
ricchi restando umani. Avrmmo potuto insegnare ai poveri del mondo come<br />
si fa ad uscire <strong>dal</strong>la miseria e ai ricchi come si possono usare<br />
dignitosamente i denari. Invece stiamo preferendo imitare pacchianamente e<br />
maldestramente i ricchi di più antica data, e scalciare ferocemente contro i<br />
poveri che ancora si dibattono indietro.<br />
I tempi delle nazioni non sono quelli della cronaca, e dunque quello<br />
attuale, chissà, potrebbe essere solo un involgarimento passeggero. Ma<br />
potrebbe anche essere la fine definitiva di una storia che dura da più di<br />
duemila anni. Noi non abbiamo una hispanidad sparsa nel mondo né un<br />
commonwealth né una cultura illuministica che comunque coinvolga altri<br />
paesi. Siamo solo noi italiani d'Italia, con la nostra lingua parlata solo da noi<br />
stessi, con la nostra identità sofisticatissima ma delicata, con i nostri<br />
meccanismi etologici quasi impossibili da analizzare - e tutto questo può
sparire, per incultura, demagogia e rozzezza, nel giro di una generazione.
15 aprile 2010<br />
IL NUOVO TERRORISMO<br />
Rachel Odiase, tredici mesi, nigeriana, figlia dell'operaio Tommy Odiase,<br />
morta per mancanza di cure poco dopo essere stata respinta <strong>dal</strong>l'ospe<strong>dal</strong>e di<br />
Cernusco, Italia, è a tutti gli effetti una vittima del terrorismo.<br />
La vita non le è stata tolta per ignoranza, o per superficialità colpevole, o<br />
per "incidente": è stata respinta perchè non in regola coi documenti. Suo<br />
padre da tredici anni lavorava in Italia con tutti i permessi possibili: il Pil di<br />
noi italiani bianchi è fatto dagli anni di lavoro di operai come questo. <strong>Un</strong><br />
mese e mezzo fa, per la "crisi", il padrone l'aveva licenziato: il permesso di<br />
soggiorno, che va rinnovato (e pagato) ogni sei mesi, in questi casi richiede<br />
tutta una serie complessa di documenti, che certo a un operaio come Odiase<br />
nessuno si cura molto di consegnare in tempo. Senza documenti del Reich,<br />
senza accettazione, senza permesso, la piccola Rachel è stata praticamente<br />
condannata a morte.<br />
Questo, che noi sappiamo, è il primo caso eclatante di eliminazione legale<br />
di un piccolo immigrato. Ma c'erano già le storie dei piccoli buttati fuori<br />
<strong>dal</strong>le mense scolastiche, lasciati col piatto vuoto davanti ai compagnucci<br />
dell'asilo, semplicemente perché erano poveri e non avevano pagato in<br />
tempo la retta. E i piccolissimi zingari bruciati - anche questo è successo -<br />
nelle loro tende a Opera, Lombardia; e vivi per miracolo, non certo per pietà<br />
dei razzisti; e quelli cacciati via <strong>dal</strong>le squadracce mafiose a Rosarno, a<br />
Poggioreale, a Milano <strong>dal</strong>la guardia civica cittadina.<br />
Nessuno di questi episodi è casuale. Così come i piccoli ebrei, germe del<br />
male e seme di Ubermensch, dovevano essere sradicati <strong>dal</strong>la terra per il<br />
bene della razza ariana, così gli immigrati più piccoli vanno cacciati - o<br />
uccisi - per primi e in fretta: prima che diventino uomini, uomini di razza<br />
nemica.<br />
Il terrorismo nei confronti dell'immigrazione (le "cannonate in pancia" di<br />
Bossi, il gioco "affonda un immigrato" di suo figlio) è stato apertamente,<br />
nel nostro silenzio colpevole, teorizzato. La strategia è di fare paura, l'Italia<br />
deve apparire un paese terribile, da cui tenersi lontano. Non è vero,<br />
onorevole Bossi? Non è vero, onorevole Borghezio, sindaco Tosi, sindaco<br />
Gentilini?<br />
In nulla si differisce il terrorismo, che ormai crea le sue vittime, di costoro
da quello dei Nar o <strong>dal</strong>le Brigate Rosse. Va contrastato a ogni costo, con<br />
mezzi moderati se possibile, con ogni altro mezzo se occorre. Quanto a<br />
parlare coi terroristi, a "dialogare" coi loro alleati, a cercare non dico<br />
collaborazioni ma trattative con essi, è un'idea che dovrebbe far vergognare<br />
chi anche lontanamente ce l'abbia in mente.
15 aprile 2010<br />
L'INFORMAZIONE E LA SPERANZA/<br />
UN DIBATTITO<br />
<strong>Un</strong> giovane giornalista siciliano emigrato a Milano nterviene sul sito di<br />
Step 1 (il sito universitario catanese) con un post molto interessante<br />
intitolato “L'informazione e la speranza”. Ma non è giunto il momento – si<br />
chiede il ventitreenne Salvo Catalano – di creare uno spazio d'informazione<br />
nuovo? Ne viene fuori, con un suo collega più anziano, un dibattito che<br />
forse potrebbe interessare anche altri<br />
Salvo Catalano wrote: ...Potrei non voltarmi più indietro se non fossi<br />
caduto dentro a un sogno collettivo: fare il mio mestiere nella mia città. <strong>Un</strong><br />
redattore di Step1, da quest'autunno a Milano per frequentare una scuola di<br />
giornalismo crede che sia venuto il momento di credere nel "senso della<br />
possibilità" .<br />
Ma la possibilità di che cosa? Di creare uno spazio dell’informazione<br />
nuovo. Non controinformazione, che rischia di rimanere sempre chiusa in<br />
ambiti ristretti. Ma semplicemente informazione libera, in grado di abituare<br />
i cittadini alla libertà, di formarli con l’idea che i diritti non si elemosinano<br />
ma si pretendono. Che non serve e non conviene essere clienti a vita. Penso<br />
che questo sia uno dei compiti del giornalismo, il più urgente per chi fa<br />
informazione ai piedi dell’Etna.<br />
Resta un dato: nessuna città italiana, grande e importante come Catania,<br />
ha un solo giornale.<br />
Non esiste una free press che copra in modo capillare la nostra città. E chi<br />
sostiene di tutti, ma anche privata perché appartiene ad ognuno di loro.<br />
Questo significa creare reti tra i cittadini, e tra i cittadini e il territorio.<br />
Significa responsabilizzare una generazione, cominciare ad instillare il<br />
principio che la città è ‘cosa proprià.<br />
* * *<br />
riccardo orioles wrote: Noi lavoriamo da anni alla speranza che tu scopri<br />
ora. Perché non lavorare insieme?<br />
Voi catanesi siete tribali, in questo. Ognuno di voi all'alba guarda il sole<br />
sinceramente ammirato e pensa: "minchia, ch'è beddu!<br />
guarda che bedda scoperta fici!"- Senza minimamente sospettare che altri<br />
nello stesso omento possano guardare la stessa aurora.
Sentiamoci, se vuoi. Mi piacerebbe se voi di Step, una volta o l'altra,<br />
riusciste a credere veramente all'idea di un progetto comune.<br />
(Nè i vostri vari articoli di questi giorni nè l'ultimo vangelo di Lo Vecchio<br />
contengono - se non sbaglio - la parola "Ciancio". Tecnicamente, è una<br />
parola necessaria per cominciare anche solo a discutere di informazione<br />
seriamente, qui e ora) (Io non ho aerei da prendere, nè per Milano nè per<br />
altrove. Io sono qui in Sicilia, per mia scelta. <strong>Un</strong> po' perché conto - nei<br />
momenti d'ottimismo - nei giovani come te.<br />
<strong>Un</strong> po' - nei momenti di ragionevolezza - perché voglio salvare la mia<br />
dignità anche da solo. Ma se fossimo tutti uniti potremmo persino vincere.<br />
Ed è sapere questo che mi danna).<br />
* * *<br />
L.G. wrote: PS per Riccardo. Vecchio e non Lo Vecchio.<br />
<strong>Un</strong> giornalista deve stare molto attento a non storpiare i nomi di persona!<br />
Se lavorate da anni a un qualcosa senza esserci riusciti, non potrebbe darsi<br />
che quel progetto debba essere in parte modificato?<br />
* * *<br />
riccardo orioles wrote: intanto hai ragione per Vecchio. Il fatto è che<br />
scrivo quasi senza vederci (glicemia, vista bassissima) e quindi vado spesso<br />
a memoria. Me ne scuso. Ma scrivo per rispondere alla tua (sensata)<br />
osservazione: "Se lavorate da anni a un qualcosa senza esserci riusciti, non<br />
potrebbe darsi che quel progetto debba essere in parte modificato?".<br />
Naturalmente, nessun progetto è eterno, ogni progetto va sempre<br />
continuamente aggiornato, ed è quello che cerco di fare. Però non è esatto<br />
che non siamo riusciti a niente.<br />
Elenco alcuni punti: - I Siciliani sono stati, dopo l'Ora, la principale<br />
esperienza giornalistica della Sicilia.<br />
Sono durati molto a lungo e in un certo senso durano tuttora.<br />
- Nel '93, i Siciliani quotidiano è stato a un pelo <strong>dal</strong>l'uscire (solo la vittoria<br />
di Berlusconi, che non dipendeva da noi, ha indotto i finanziatori a ritirarsi).<br />
- Avvenimenti è stata la principale, e senz'altro la più popolare (e libera)<br />
rivista della sinistra (quando c'ero io superava le 60mila copie e non<br />
dipendeva da nessun partito).<br />
- I Cavalieri a Catania non ci sono più, in parte grazie ai giudici ma<br />
soprattutto grazie ai movimenti (Siciliani, SicilianiGiovani, Associazione<br />
Siciliani, Città Insieme, ecc.).<br />
- Ancora negli ultimi anni, abbiamo sviluppato, e più ancora creato le
condizioni per farli crescere, tutta una serie di soggetti giovani e combattivi.<br />
Casablanca, U<strong>cuntu</strong>, i Cordai e il Gapa, la Periferica, lo stesso Addiopizzo<br />
Catania, e soprattutto Lavori in Corso, sono tutte realtà, coi loro limiti, vive<br />
e combattive e potrebbero essere il nucleo di qualcosa di veramente nuovo.<br />
- In tutti questi anni abbiamo sempre e coerentemente individuato il vero<br />
punto debole dell'informazione a Catania, che è il monopolio di Ciancio.<br />
Rimuoverlo - come fanno, certo involontariamente, Vecchio e il giovane<br />
Catalano - è pericolosissimo, perché significa trasportare tutto il dibattito da<br />
Catania a Stoccolma, <strong>dal</strong>la realtà dei fatti concreti a quella dei buoni<br />
sentimenti e delle poesie.<br />
Ecco: a me pare bello che vengano avanti idee nuove, ma non credo che<br />
ogni volta bisogni ricominciare proprio da zero. C'è un patrimonio<br />
ricchissimo di esperienze forti, che hanno dimostrato la loro validità e che<br />
in parte sono ancora in corso. <strong>Un</strong>iti si vince, si diceva una volta, e io credo<br />
fermamente che vincere sia possibile - tutti uniti - anche a Catania e anche<br />
sul terreno dell'informazione.<br />
Infine, un invito per Salvo: la mia mail è riccardoorioles@gmail.com e il<br />
mio numero è 333.7295392. Puoi contattarmi quando vuoi - se ti va e se sei<br />
pronto a metterti in discussione. Io lo sono, è il mio lavoro discutere<br />
continuamente cose nuove. Ma sono un interlocutore abbastanza importante<br />
per te? :-) Non sono un industriale, non sono un professore universitario...<br />
Sono semplicemente un giornalista, uno che di giornali se ne intende e non<br />
ha oltre a questo, alcun potere politico o economico da far valere. Questo<br />
vale alcuni minuti (o ore, o giorni, o mesi), del tuo tempo?<br />
Giro questa domanda, provocatoriamente, agli amici di Step1 - qua<br />
stiamo lavorando anche e forse soprattutto per loro. "Lavori in corso", come<br />
si dice.
18 maggio 2010<br />
COME RUBANO ORA<br />
NON HANNO RUBATO MAI<br />
Quelli di Mani Pulite, al confronto, erano boy-scout. Questi sopravvivono<br />
solo perché non c'è più l'informazione (e vogliono imbavagliare quella poca<br />
che resiste, in internet). Così gli italiani li tollerano, o per ignoranza o<br />
perché gli piace...<br />
Se l'informazione fosse ancora quella dei tempi normali (non chiedo<br />
molto: quella di vent'anni fa) l'Italia oggi sarebbe percorsa da cortei di gente<br />
incazzata che chiederebbe conto al governo della catastrofe imminente e in<br />
parte già in corso. Invece “tutto ok”, “tutto sotto controllo”. Se esistesse una<br />
tv in Italia la gente assedierebbe i palazzi tempestando di monetine le auto<br />
blu.<br />
Altro che Mani Pulite: qua rubano infinitamente di più di tutti i ladroni di<br />
allora messi insieme. Mario Chiesa è un boy-scout rispetto a un Bertolaso o<br />
a un Scajola. Mariuoli? Qua si parla di gente che si compra i Feltri come<br />
noccioline, altro che prime pagine coi cinghialoni.<br />
“Saviano - disse il procuratore del Re Emilio Fede (nel senso che al suo re<br />
gli procurava le tipe) - Saviano mi fa ridere, qua sono io, l'eroe!”. <strong>Un</strong>a così<br />
non s'era mai sentita, sotto Craxi. “Craxi? <strong>Un</strong>o statista, un grand'uomo!”<br />
proclamò Sandra Milo, fedele nella catastrofe, ai reporter che la inseguivano<br />
nei giorni della disfatta. Ma quante resteranno fedeli, in circostanze<br />
analoghe, a Berlusconi? Diaco? Carfagna? La Noemi? E' in momenti del<br />
genere che si vede chi fu Napoleone e chi Cagliostro.<br />
Di ciò si potrebbe anche ridere, se alla fine non fossero soldi nostri. Soldi,<br />
vite, dolori: il fascismo c'è già, per un quarto abbondante degli italiani<br />
(poveri, neri, gay, disoccupati). I giovani, qua al sud, non lavorano più,<br />
tranne gli spacciatori. La macchina maciulla-ragazzi funziona<br />
selvaggiamente (qua comandano i vecchi, gli ultra-settantenni) e tutto<br />
l'avanspettacolo, tutte le facce da fratelli De Rege (ma guar<strong>dal</strong>i una buona<br />
volta i Bossi, i La Russa, i Bondi, i Calderoli) splende a corte.<br />
I democristiani rubavano, ma nessuno per figli così scemi come il figlio di<br />
Bossi. I socialisti a Milano avranno grattato un poco, ma il duomo almeno<br />
l'hanno lasciato lì (c'è ancora? Non ci credo. Sarà un fotomontaggio).<br />
<strong>Un</strong> ministro, Tanassi, finì ai domiciliari e poi in galera per un intrallazzo
da duecento milioni, nella vecchia Italia ladrona; un presidente, Leone, si<br />
dovette dimettere perché forse intrallazzavanno i suoi figli. Qua circola<br />
Bertolaso e circola Scajola. E sono ancora fra i migliori perchè nessuno (a<br />
differenza di altri colleghi, legati a mafia camorra e 'ndrangheta) li accusa di<br />
avere ammazzato nessuno.<br />
Questa è l'Italia che avete, miei nobili concittadini. Non ho ancora capito<br />
se l'accettiate per ignoranza, o perché proprio vi piace così. Nel primo caso<br />
(io debbo credere al primo caso, perché sono italiano), il nostro mestiere è<br />
di informarvi e qui, come in altri luoghi – per lo più eterei – facciamo il<br />
nostro lavoro. I vostri ladri ci cercano fin qui nell'internet, per metterci il<br />
bavaglio addosso e mantenervi ignoranti (o felici).<br />
“A signora donna Lionora/ che cantava 'ncoppa o teatro/ mo' abballa in<br />
mezzo o' mercato” dissero di una nostra collega che alla fine riuscirono a<br />
imbavagliare (e a impiccare in piazza mercato), molti anni fa. I Borboni, la<br />
plebe, l'Europa lontanissima, i Bossi e i La Russa di allora. Quanto tempo è<br />
passato, amici miei. E' passato?
2 giugno 2010<br />
IL PARTITO DEI NOTABILI. DI NUOVO?<br />
“Destra, sinistra? Che ce ne frega! Mettiamoci d'accordo fra di noi” E'<br />
sempre stata questa la tentazione dei proprietari meridionali, <strong>dal</strong><br />
“trasformismo” di Depretis al “milazzismo” di metà Novecento. In<br />
italiano, si chiama inciucio. E non muore mai<br />
A volte gli inciuci servono (l'ha detto anche il grande D'Alema) e a me<br />
questo qua, per esempio, ha fatto guadagnare cinquemila lire. Quale? Ma<br />
questo alla regione siciliana, naturalmente, fra il capo dei leghisti siculi<br />
Lombardo (uno che si fa le campagne elettorali coi pacchi di pasta) e il<br />
partito democratico siciliano. Alla giunta Lombardo, fumante di coltellate<br />
fra peones dei vari boss, è arrivato l'appoggio esterno, sotto forma di<br />
astensione, del Pd. Questo significa che il Pd prende un suo uomo, lo mette<br />
- proclamando di non conoscerlo: "E' solo un tecnico" - nella giunta e va<br />
avanti tranquillamente verso il suo destino.<br />
Va bene, non è un argomento molto interessante, e non è d'altra parte che<br />
io ne sia particolarmente esperto. Ma chi è il nostro uomo presso<br />
Lombardo? Il professor Mario Centorrino. E chi è Centorrino? Ecco, adesso<br />
vengo alla storia - per me importante - delle cinquemila lire.<br />
<strong>Un</strong>a ventina d'anni fa Centorrino - come d'altronde adesso - insegnava<br />
all'<strong>Un</strong>ivrsità di Messina. Fra i suoi laureandi c'era un ragazzo un po'<br />
anomalo, che si chiamava Antonello Mangano. L'anomalia consisteva nel<br />
fatto che Antonello (allora a Messina c'erano studenti che facevano l'esame<br />
con la pistola sul tavolo) non aveva nessuna voglia di chiudere occhi e<br />
orecchi sul mondo (accademico) circostante ma voleva renderne conto,<br />
scriverne, e addirittura dedicargli la sua tesi di laurea: "Il grado di coesione/<br />
Borghesi e mafiosi nell'ateneo messinese".<br />
La cosa destò scalpore. Quando Centorrino ne venne a conoscenza, ritirò<br />
senz'altro la firma <strong>dal</strong>la tesi di Antonello, che da un momento all'altro si<br />
trovò esposto e senza copertura in un momento in cui i guai piovevano da<br />
tutte le parti e l'<strong>Un</strong>iversità di Messina era un posto un po' meno sicuro di<br />
Abilene.<br />
Basta, la cosa finì bene perché: 1) Antonello rimase vivo; 2) Gli Editori<br />
Riuniti gli pubblicarono la tesi in un libro, che ebbe persino un discreto<br />
successo. Nel frattempo la situazione a Messina si aggravò ulteriormente,
con professori sparati per le strade e mafiosi che imperversavano dentro e<br />
fuori l'università, e questo era tutta pubblicità per il libro di Antonello. Che<br />
poi diventò giornalista, fece un ottimo sito (terrelibere.org) pieno di<br />
inchieste, restò disoccupato quanto a stipendio ma non come lavoro utile per<br />
la città... Ma questo è un altro discorso. E le cinquemila lire?<br />
Ecco, quando ho saputo di questa faccenda della firma ritirata, tanto<br />
m'imbestialii (volevo bene a Antonello) che cominciai a blaterare frasi prive<br />
di senso: "Ma è modo di fare questo! Ma così ci si comporta con gli<br />
studenti! Ma dov'è il senso di responsabilità? Ma questo prima o poi finisce<br />
a fare il fascista!". E qui qalcuno m'interruppe: "Fascista, dai! Centorrino è<br />
un democratico, un compagno... Come vuoi che finisca nei fasci uno così!".<br />
"Vedrai che ci finisce, vedrai! Non ci credi! E scommettiamo!<br />
Scommettiamo... scommetto cinquemila lire! Che questo prima o poi me lo<br />
vedo in stivali e camicia nera!".<br />
La scommessa fu accettata e passarono gli anni e Centorrino,lungi<br />
<strong>dal</strong>l'adempiere alla mia lugubre profezia, continuò la tranquilla routine<br />
dell'intellettuale progressista. Che in Sicilia comprende editoriali per i<br />
giornali forcaioli e di destra (la Gazzetta di Messina), articolesse sui giornali<br />
degli imprenditori collusi (La Sicilia di Catania), ecc. ecc. E scusa, per chi<br />
bisogna scrivere? Mica per quei pazzi dell'antimafia, che fra l'altro<br />
nemmeno pagano i pezzi. E poi le consulenze (per Cuffaro e per gli altri),<br />
che fanno pure brodo per il lesso.<br />
Ma adesso, finalmente, posso dire - magari forzando un po' - di avere<br />
vinto la scommessa. Che Lombardo sia di destra non c'è il minimo dubbio.<br />
<strong>Un</strong>a destra particolarmente odiosa, fra Achille Lauro (i pacchi di pasta) e<br />
Calderoli (l'alleanza di ferro con la Lega). Mettigli una camicia nera<br />
qualunque - che poi il nero è di moda - e che ottieni? <strong>Un</strong> fascista.<br />
Pino, voglio i miei soldi. Cinquemila lire. Che fa due euri e cinquanta anzi<br />
(se <strong>dal</strong> cambio per ricchi passiamo al cambio vero, quello per pensionati e<br />
operai) fa cinque begli euri tondi tondi.<br />
"Va bene, ma a me lettore che cavolo me ne frega delle scommesse tue?".<br />
Eh, bello mio. Qua si parla d'inciucio, di un solo inciucio, inciucio siciliano.<br />
Ma che dici, altri inciuci non ne faranno? E quanti Centorrini si stanno<br />
preparando, in questo momento, a sacrificarsi nobilmente per la<br />
governabilità e tutto il resto?<br />
(P.S.: Nel frattempo, a Messina, Centorrino presenta il suo “Il partito del<br />
<strong>Sud</strong>”. Relatori? Francantonio Genovese e Domenico Nania, due pezzi della
storia politica recente: che adesso, a quanto pare, si ricompongono a unità).
2 giugno 2020<br />
MARE MOSTRUM<br />
Non è ancora come il Golfo Persico, ma è già uno dei mari più a rischio<br />
del pianeta. In Grecia, nel giro di poche settimane, un tranquillo Paese<br />
semi-agricolo è finito dentro alla macchina di triturazione. In Medio<br />
Oriente, il vecchio Stato (laburista) di Israele non esiste più e il suo posto è<br />
stato preso, per l'appunto, da un regime mediorientale che massacra e fa<br />
stragi come tutti gli altri. In Italia sono stati persi trecentosettemila posti di<br />
lavoro e un giovane ogni tre è disoccupato…<br />
Insomma, il mondo dei sogni sta andando a pezzi. Non che prima le cose<br />
fossero molto migliori (non si è atteso Netanyahu per fare Sabra e Chatila<br />
né Berlusconi per far macelleria sociale), ma prima almeno erano presentate<br />
come eccezioni. Adesso, invece, le si proclama come normalità.<br />
Certo, non è stato facile arrivarci: c' è voluta una lunga e paziente opera<br />
di propaganda, di fronte alla quale Goebbels e Beria erano dei dilettanti; ma<br />
alla fine ci si è arrivati. L'uomo non è più un uomo, puoi massacrarlo alla<br />
generale Sherman (“L'unico indiano buono...”), apertamente. L'operaio,<br />
altro che diritti!, è una macchina punto e basta (“Prendiamo la via della<br />
Cina!”, incita Romiti). Il gay, la donna, il bimbo del turismo sessuale,<br />
chiunque non sia maschio adulto “regolare”, può essere violentato, o<br />
quantomeno aggredirlo, impunemente.<br />
Quest'opera di mutazione culturale, di riformazione freddamente studiata<br />
del senso comune umano (è di questo che parlano quando parlano di<br />
“riforme”) può essere e dev'essere contrastata da noi tutti. Tutti? Certo, una<br />
mano possono darla anche i Vip, ma con riserve e limiti che prima o poi ne<br />
offuscano – vedi il recente caso Santoro – la credibilità di fondo.<br />
Meglio contare sulle nostre forze, sui militanti antimafia (e dunque<br />
antifascisti, antirazzisti ecc.) vecchi e nuovi.<br />
Facciamo due esempi specifici, tanto per non chiacchierare a vuoto. Il<br />
primo è quello di Chiara, una giovane collega di ventitrè anni che sta<br />
arrivando al massimo premio giornalistico coi suoi “sconosciuti” video sulle<br />
lotte sociali catanesi (sconosciuti per Minzolini, non certo per noi di U<strong>cuntu</strong><br />
o quelli dell'Experia).<br />
Il secondo è quello di Roberto, che ha più di sessant'anni e una carriera<br />
brillantissima alle spalle ma la vecchiaia la sta passando a formare
giornalisti antimafiosi e a scrivere su mafia e governo cose tali che ogni<br />
paio di settimane mandano un paio di pirati ad hackerargli il sito.<br />
Non cerchiamo altri alleati, non ce ne sono. Stiamo uniti, lavoriamo,<br />
facciamo rete. Su questo numero di U<strong>cuntu</strong> trovate annunci di rete per le<br />
settimane prossime, a Catania e a Ragusa. Non siategli indifferenti, non<br />
guardateli con estraneità: anche se voi non ci siete, sono momenti vostri.<br />
Dovunque siate, comunque la pensiate, qualunque sia l'ingiustizia contro la<br />
quale siete (o credete di essere) soli.<br />
Perché la rete è l'unica che può aiutare tutti, in Sicilia, nelle fabbriche, in<br />
tutto il nostro mondo, nel paese. La rete, l'intelligenza collettiva degli esseri<br />
umani.
11 giugno 2010<br />
VENDERE SOGNI O RACCONTARE REALTA'<br />
Perché nessuno parla mai dei giornalisti calabresi? Sono i migliori<br />
d'Italia, ma raccontano – semplicemente – la verità. L'industria del<br />
consenso non sa proprio che farsene di loro. Sono i nostri naturali modelli,<br />
e interlocutori. “Nostri”, di chi? Eh...<br />
Vespa, Lerner, Santoro, Feltri, Mauro, Belpietro... Li riconoscete? “Certo<br />
che li conosciamo! Sono i massimi giornalisti italiani, quelli che fanno le<br />
notizie, i maestri”.<br />
Benissimo. E ora vediamo questi: Inserra, Baldessarro, Cutrupi,<br />
Monteleone, Mobilio, Bozzo, Pistoia, Pantano, Agostino, Rizzo, Baglivo,<br />
Anastasi, D'Urso, Fresca. Chi sono? “Mah... una squadra di serie C? I<br />
prossimi candidati al Grande Fratello?”.<br />
Sono alcuni dei giornalisti calabresi minacciati <strong>dal</strong>la 'ndrangheta solo<br />
negli ultimi tre-quattro anni. L'informazione, per quanto riguarda la<br />
'ndrangheta, la fanno loro. E dunque la politica, i rapporti sociali e tutto il<br />
resto. Eppure non li conosce nessuno. Né sono in molti a conoscere<br />
(emarginati come sono) ciò che vanno scrivendo.<br />
Ecco: il problema dell'Italia è tutto qui. Esiste un'Italia fasulla ed una<br />
vera. <strong>Un</strong>a serve ai sogni e ai consensi, e alle paure. L'altra non serve a<br />
niente, cioè ai poveracci qualunque e alle loro banali vite.<br />
Le due Italie si scontrano, ogni tanto: lo scontro non è però<br />
principalmente, come rappresentazione di queste Italie, fra i Grandi Guru di<br />
destra e quelli di sinistra (che pure non sono uguali: ci mancherebbbe) ma<br />
fra plasmatori di sogni e cronisti di realtà. Questi ultimi, come abbiamo<br />
visto, son pochi, son marginali e rischiano spesso la pelle, nella generale<br />
abulìa, perché la realtà che narrano spesso è criminale. A volte, quando li<br />
ammazzano, se ne parla.<br />
* * *<br />
Diversi dei nostri amici “realisti” (e dunque, in quanto tali, sconosciuti) in<br />
questi giorni sono impegnati in scadenze importanti (che dunque non<br />
interessano nessuno) del loro lavoro. Vediamo un po'.<br />
A Catania, Lavori in Corso – sarebbe l'”editore” di questo “giornale” - sta<br />
come al solito agucchiando faticosamente alla rete: un'assemblea di<br />
giornalisti fra una settimana, un seminario operativo (in realtà un raduno
tipo scout in una bicocca di montagna) due giorni.<br />
A Modica e Ragusa i ragazzi del Clandestino stanno organizzando quello<br />
che pomposamente chiamano un Festival di Giornalismo per fine estate<br />
(eppure, guarda un po': il Clandestino miliardario, quello di Roma, con<br />
famosi giornalisti e grandi editori, ha chiuso baracca inseguito <strong>dal</strong>la<br />
Finanza, mentre il Clandestino straccione, quello dei nostri ragazzi, è ancora<br />
qua più presuntuoso che mai).<br />
A Roma invece stasera c'è l'assemblea degli amici di Italiani.it, che<br />
dovrebbero per l'occasione presentare le loro (apprezzabili) iniziative in rete<br />
e il loro mensile cartaceo, bello e obsoleto come un brigantino. Fra Roma e<br />
Bologna, i redattori di Mamma (la rivista di satira, online e anche purtroppo<br />
– poiché costa - su carta) continuano a migliorare il loro giornale, che già<br />
ora raggruppa disordinatamente i migliori disegnatori e satiri d'Italia.<br />
Dimentichiamo qualcuno? Sì, per fortuna: quelli di AmmazzateciTutti in<br />
Calabria, quelli di Da<strong>Sud</strong> fra Calabria e Roma (in Calabria, come vedete, ci<br />
sono i ragazzi più intestarditi d'Italia), quelli di Dialogos, AdEst e Zetalab<br />
in Sicilia; e l'inaffondabile Telejato, e Step1, e Antimafia Duemila, e<br />
Liberainformazione...<br />
* * *<br />
E cosa mandiamo a dire a questi – e ai molti altri – valenti commilitoni di<br />
questa strana guerra? Niente, hanno tanto da fare che difficilmente<br />
avrebbero tempo di stare a sentire chiunque altro. Le cose importanti,<br />
comunque, sarebbero queste: 1) ogni tanto fermatevi per stare a sentire gli<br />
altri come voi, soprattutto quelli che non conoscete ; 2) non perdete tempo a<br />
fabbricare bei brigantini e non invidiate gli armatori dei clipper: avete già<br />
provveduto, invece, a fare un pdf veloce? L'avete standardizzato, e con chi?<br />
Che politica degli standard avete? E, soprattutto, quanti lettori pensate di<br />
avere l'anno prossimo con questo pdf (opportunamente parametrato) su ebook<br />
e/o i Pad?<br />
3) non illludetevi neanche per un attimo che i signori dell'Elenco A (vedi<br />
inizio articolo) possano o vogliano minimamente risolvere i vostri problemi;<br />
non considerateli dei modelli. I vostri interlocutori, e modelli, invece, sono<br />
quelli dell'Elenco B (vedi sopra) e i loro simili. Fate rete!
24 giugno 2010<br />
«¡QUE VIVAN LAS COMPANERAS!»<br />
OGGI SI FESTEGGIA<br />
Le Siciliane vincono il Premio Alpi. E non dovremmo festeggiare? Mafia,<br />
camorra, Fiat: è tutto alla faccia vostra!<br />
A Napoli, come sapete, si paga il pizzo. Il camorrista va <strong>dal</strong> commerciante<br />
e gli fa: “O paghi o ti faccio saltare in aria”. Il commerciante liberamente<br />
decide che pagare è molto meglio di saltare per aria. “Bravo – gli fa la<br />
camorra – tu sì che sei un uomo saggio e perspicace”.<br />
I napoletani che hanno la disgrazia di essere anche operai di fabbrica,<br />
tuttavia, il pizzo lo pagano due volte. La prima volta alla camorra, secondo<br />
le democratiche mo<strong>dal</strong>ità sopra indicate. E la seconda alla Fiat, sempre in<br />
maniera libera e nel pieno rispetto della democrazia. “O paghi – gli fa la<br />
Fiat – e cioè mi vendi il tuo lavoro per un pezzo di pane, o ti levo la<br />
fabbrica e ti riduco alla fame. E l'operaio – non tutti – liberamente e<br />
democraticamente paga.<br />
Tutto questo per dire che è anche per questo che Saviano e alcuni altri,<br />
invece di parlare semplicemente di camorra, parlano di Sistema. Il Sistema<br />
comprende la camorra, e comprende la Fiat. La Fiat, man mano che<br />
ammazza Keynes, si fa camorra; e la camorra, man mano che reinveste i<br />
soldi, si fa Fiat. Sempre più evanescenti le differenze fra l'una e l'altra, e<br />
tendenti a sparire. Onde è saggio e scientifico considerarle come un tutto<br />
unico, il vecchio Establishment, modernamente 'O Sistema.<br />
'O Sistema ha un governo che caccia i giudici (vedi Caselli) minaccia<br />
d'ammazzamento i pentiti (vedi Spatuzza), ruba ai produttori le fabbriche<br />
(vedi Pomigliano). Tutto ciò è tuttavia secondario, non essendo ormai più da<br />
tempo – come lucidamente previsto <strong>dal</strong> Vecchio Maggiore della Fattoria – il<br />
governo che una specie di stanza in cui i rappresentanti della Fiat, della<br />
camorra e degli altri poteri ogni tanto si siedono per dirimere fra amici i<br />
loro affari.<br />
* * *<br />
E' un tempo malinconico - o forse no: di ricordi - questa fine di giugno,<br />
per il vostro corrispondente. Trent'anni esatti - ahimè, quantum mutatus –<br />
da quando la musa del giornalismo ci arruolò, freschi e ingenui, al suo<br />
servizio. Venti da quando, un po' meno freschi ma non domi, si navigava
con Fracassi e la sua redazione (valorosissima) di ragazzi su Avvenimenti.<br />
E quindici da quando è morto il nostro maestro Giuseppe D'Urso, quello<br />
che c'insegnò le forme del potere moderno, la massomafia.<br />
E il mio amico Fratangelo, procuratore di Avvenimenti e poi del Siciliani<br />
quotidiano, grasso, compagno, sfottente, coraggioso? Anche lui via con<br />
l'estate, cinque anni fa. E così pure Maoloni, il grande grafico (le pagine su<br />
cui ci state leggendo discendono da un suo capolavoro) che accompagnò<br />
per tanti anni, lui, grande artista, noi giornalisti pirati.<br />
E Turone, e il buon Gnasso, e padre Balducci, e Pratesi? Tutte penne<br />
grandissime, appuntite, ma al servizio dei poveri e non dei padroni. A tutti è<br />
toccato dunque il premio massimo – la dimenticanza ufficiale, la damnatio<br />
memoriae - con cui i potenti segnano chi ha fatto loro veramente paura.<br />
* * *<br />
Non volevamo scrivere di questo, ma del lavoro di ora. Pochi giorni fa i<br />
redattori di U<strong>cuntu</strong> si sono rinchiusi per un paio di giorni a studiare, a fare il<br />
punto del cammino percorso e a cercar di capire quel che resta da fare. Ne<br />
parteremo ancora, sia qui su U<strong>cuntu</strong> che in redazione fra di noi.<br />
Operativamente, hanno deciso di fare uno sforzo per estendere la rete,<br />
sempre con poche chiacchiere e molti fatti: una nuova inchiesta collettiva<br />
sui poteri mafiosi, una mappa aggiornata (sempre collettiva) delle lotte<br />
sociali, un'inchiesta (collettiva anch'essa) sull'emigrazione africana.<br />
Collettiva per noi vuol dire, come sempre, che non siamo autosufficienti,<br />
che lavoriamo con altri, che insegniamo/ impariamo continuamente, che<br />
facciamo rete.<br />
Sono sempre le stesse due cose che s'intrecciano, da noi: da un lato una<br />
storia fortissima, veramente alternativa (I Siciliani, Siciliani/Giovani,<br />
Avvenimenti, l'Alba, Casablanca, poi U<strong>cuntu</strong>, poi la rete di Lavori in corso,<br />
poi chissà cosa, sempre nell'antimafia e nel collettivo), <strong>dal</strong>l'altro una serietà<br />
“professionale” e tecnica che ci fa scoprire prima degli altri le ricadute<br />
pratiche (e “politiche”) di ogni tecnologia.<br />
Se guardate l'ultimo menù di Repubblica.it, per esempio, trovate un<br />
“giornale elettronico” (pdf, tecnica Issuu, web sfogliabile, ecc.) che è<br />
esattamente un U<strong>cuntu</strong> molto più in grande: ma due anni dopo...<br />
Rete e tecnologie invadono sempre più il giornalismo, e noi non ne<br />
abbiamo paura; anzi. <strong>Un</strong> internet di esseri umani – non di semplici<br />
macchine, e men che mai di mercato – è quello dentro cui navighiamo. E<br />
tanto si estenderà, grazie a noi e a tutti gli altri, che alla fine – alla faccia di
'O Sistema – cambierà il Paese.<br />
* * *<br />
Le righe che restano, le dedichiamo a festeggiare. Due nostre brave<br />
compagne, Chiara Zappalà e Sonia Giardina (per un disguido i due nomi,<br />
ufficialmente, son diventati uno) hanno vinto il Premio Alpi per miglior<br />
reportage locale con “<strong>Un</strong>a rovina di città”, video-inchiesta sulle periferie<br />
catanesi. Tutto il giornalismo ufficiale d'Italia è dunque lì a bocca aperta ad<br />
ammirare il capolavoro di queste due ragazze siciliane.<br />
Per me, veramente, è un guaio perché i numerosi bicchieri che sto<br />
bevendo alla loro salute (più quelli di poco fa, “di malinconia”) non mi<br />
hanno certo fatto bene alla glicemia. Ma chi se ne frega! Viva Chiara, viva<br />
Sonia, ¡viva las compañeras! e viva la vita che va avanti e non si ferma.
5 luglio 2010<br />
CI VUOLE UN ALTRO PERTINI. E FORSE C'E'<br />
Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare...<br />
Cinquant'anni fa di questi tempi avevamo il governo più fascista che ci sia<br />
stato fra Mussolini e Berlusconi, un centrodestra Dc-Msi che per prima cosa<br />
provvide a “revisionare” - come si dice ora – la storia italiana facendo<br />
occupare Genova dagli ex repubblichini di Salò.<br />
Genova insorse e anche nel resto d'Italia ci furono manifestazioni contro il<br />
governo. Nel sud si mescolarono con quelle per l'acqua e per l'occupazione.<br />
La polizia, in perfetto stile sovietico (ma i “comunisti” qui erano gli<br />
sparati) , sparò sulla folla in diverse città: a Reggio Emilia uccise cinque<br />
operai, a Licata (Agrigento) restarono per terra venticinque manifestanti<br />
(uno morto), a Palermo furono uccisi un anziano sindacalista, un precario<br />
diciottenne e una donna che stava alla finestra. A Catania massacrarono un<br />
ragazzo a manganellate (Salvatore Novembre, 19 anni) e lo lasciarono a<br />
morire in piazza Stesicoro, dove ora la gente passeggia senza sapere.<br />
Nei giorni successivi il governo crollò, travolto <strong>dal</strong>le proteste (allora la<br />
gente si ribellava). Ma al sud e specialmente in Sicilia la vita rimase quelle<br />
di prima, cioè disoccupazione e miseria e mafia per i contadini: mancava<br />
ancora un sacco di tempo per il Sessantotto.<br />
* * *<br />
Da allora molte cose sono cambiat e alcune sono rimaste le stesse. La<br />
polizia, dopo Falcone e gli altri, non sparerebbe più sulla folla. Ci sono più<br />
telefonini, ma meno allegria. Lavoro continua a non essercene, e ora non<br />
solo al sud. Invece c'è sempre la mafia, che ha ancora più amici nei partiti di<br />
governo.<br />
E proprio a questo proposito, c'è una differenza importantissima:<br />
adesso,della mafia, nessuno fra i politici si accorge più. Allora i partiti di<br />
sinistra (i “socialcomunisti” che poi si scissero, uno al governo l'altro<br />
all'opposizione: ma sempre restando di sinistra fino a tutti gli anni'70), se<br />
una cosa sapevano, è che con la mafia non si discute e che la mafia sempre<br />
si combatte. Persero pià di cento compagni (un'altra cosa che ora non vi<br />
raccontano) combattendo i mafiosi, fra il '43 e gli anni Sessanta). Avevano<br />
mille difetti, ma non di fare compromessi coi mafiosi.<br />
E ora? Adesso lo vedete: condannano un politico fondamentale (un
fondatore di Forza Italia, un braccio destro di Berlusconi) per mafia, e una<br />
settimana dopo tutti se lo sono già dimenticato. Non è che non protestino,<br />
non facciano begli articoli, non siano – per alcuni giorni – virtuosamente<br />
indignati: ma tutto si ferma lì. Poi arriva la “politica” dei politici, e tutto<br />
ritorna normale.<br />
Per ora, nella sinistra “normale”, fervono le trattative e le avances<br />
(allearsi con Fini? con Micciché in Sicilia? con Calderoli e Bossi?), con<br />
strategie complessissime, degne di Sun Tzu o Napoleone. Peccato che<br />
falliscano sempre. E quanto agli assetti interni: chi sarà il candidato finale,<br />
alle elezioni? Bersani, Vendola? Di Pietro? Oppure - tocchiamo ferro – un<br />
D'Alema o un Veltroni? O l'abilissimo Letta? E chi appoggiato da chi, che<br />
schieramenti interni, che alleati? Manovre complicatissime, degne di Giulio<br />
Cesare o Machiavelli.<br />
E anche queste regolarmente finiscono col pugno di mosche in mano.<br />
Finirà che <strong>dal</strong>la crisi verrà fuori un governo Tremonti (che in effetti c'è già)<br />
o un Tremonti-Fini, o un Fini-Calderoli-allargato (tutto è possibile) o... E<br />
tutto, in nome dell'emergenza, con l'appoggio pià o meno esplicito della<br />
sinistra.<br />
Da un canto è divertentissimo vedere gli schieramenti che si<br />
compongono, le congiure reciproche, i tradimenti dei ras (non a caso fra<br />
poco è venticinque luglio...), <strong>dal</strong>l'altro noi popolo di ogni giorno in tutto ciò<br />
ci guadagniamo proprio niente. Rischiamo un governo Berlusconi senza di<br />
lui, che duri altri vent'anni e che sia sempre e altrettanto padronale. <strong>Un</strong> otto<br />
settembre che non finisce mai.<br />
* * *<br />
Quanto a noi, che di “politica” non ne mastichiamo, abbiamo poche idee e<br />
tutte fuori moda. Primo, coi mafiosi non si tratta, neanche per un istante.<br />
Secondo, se governo di emergenza ha da esserci, che sia di emergenza vera,<br />
e cioè in primissimo luogo antimafioso. Abbiamo un candidato, persino, - a<br />
sua insaputa, ovviamente... - ed è un giudice antimafioso.<br />
Volete un governo unitario, che gestisca il dopo-Berlusconi e prepari<br />
(diciamo, nel giro di un anno) le elezioni? Benissimo. Eccolo qua. Caselli.<br />
A Berlusconi (e a Dell'Utri) non va bene, ovviamente. Ma a tutti gli altri?<br />
E' democratico. E' settentrionale. E' anche siciliano, in un certo senso. Non è<br />
di destra. Non è di sinistra. E' più istituzionale della carta bollata. Non si è<br />
mai immischiato di politica (a volte la politica se l'è presa con lui) e sempre<br />
fatto seriamente ed efficacemente quel che l'Italia gli chiedeva, combattere i
terroristi o stangare i mafiosi.<br />
E' giovane e pimpante, soprattutto, almeno quanto Pertini. E infatti<br />
rischierebbe d'essere proprio un altro Pertini.<br />
Chi ha paura di un altro Pertini? Chi ce lo farebbe, un pensierino?
18 luglio 2010<br />
I PRIMI NOMI DEL NUOVO GOVERNO...<br />
Non si può dire che abbia avuto molto successo la nostra proposta di un<br />
governo di unità nazionale guidato da un magistrato sicuramente al disopra<br />
delle parti e volto al superamento dell'attuale gravissima crisi, causata<br />
principalmente <strong>dal</strong>la presenza di Mafia, Camorra e Ndrangheta in tutti i<br />
principali centri di potere nazionali.<br />
Contrariamente a quanto ci aspettavamo né il Presidente Napolitano né i<br />
segretari delle varie forze politiche hanno ritenuto di convocarci per<br />
chiederci ulteriori delucidazioni. Neanche il Presidente del Consiglio -<br />
deludendoci profondamente - ha voluto trarre le conseguenze del nuovo<br />
clima politico costituendosi alla più vicina caserma dei Carabinieri,<br />
continuando ad alloggiare tranquillamente nei suoi vari palazzi come se non<br />
fosse successo niente.<br />
Sta bene. Incuranti del caldo e dell'indifferenza noi andiamo avanti<br />
indefessamente, producendo altresì i primi nomi – visto che uno solo non è<br />
bastato – del costituendo Governo. Il cui scopo è, lo ripetiamo per chiarezza<br />
e perché nessuno poi dica di non essere stato avvertito, di risolvere il<br />
principale e anzi in fondo l'unico problema del Paese, il predominio<br />
mafioso.<br />
Dunque: agli Affari Esteri abbiamo deciso di mettere, dopo ponderata<br />
riflessione, l'esperto e autorevole Romano Prodi. E' l'unico che per ”estero”<br />
intenda la Francia, la Svizzera, la Russia, l'Inghilterra e altri tradizionali<br />
paesi. Tutti gli altri politici, chi più chi meno, considerano stranieri chi la<br />
Padanìa, chi il Meridione, chi sta un po' più in su o un po' più in giù di loro.<br />
E non va bene. Da Prodi (che è federalista serio, e cioè europeo) ci<br />
aspettiamo dunque un buon lavoro, e lo preghiamo di comunicarci al più<br />
presto la sua accettazione.<br />
Agli Interni – sempre che voglia accettare – andrà per la prima volta una<br />
donna, Angela Napoli. “Ma è di destra” obietteranno i miei amici, storcendo<br />
il muso. Ebbene sì: ma vi sembra il momento di far gli schizzinosi? “Che il<br />
gatto sia rosso o nero non importa, basta che prenda i mafiosi” disse una<br />
volta il Presidente Mao. E dunque buona fortuna alla camerata Angela,<br />
vediamo come se la caveranno i mafiosi contro una buona testa di ferro di<br />
calabrese.
Alla Difesa, padre Zanotelli. Ci difenderà dai banditi, dai ladri d'acqua, da<br />
tutti i talebani in giacca e cravatta che ammazzano più gente in un anno che<br />
i talebani selvaggi in cento. L'esercito, naturalmente, sarà stanziato in Italia<br />
dov'è il posto suo. Tuttavia, per rispettare i sentimenti patriottici dei patrioti,<br />
sarà concessodi stanziarsi liberamente a Kabul (e in Mongolia, su Klingoon,<br />
dove cazzo vorranno) alle unità di volontari che vorranno farlo: “Padania<br />
Warriors” “Militiae Lepanti”, “Magnafoco del Labbaro” e quant'altro. Così<br />
finalmente potranno combattere i nemici dell'Occidente e della Religione in<br />
prima persona e non per interposti sldati. Grazie, padre Zanotelli, buon<br />
lavoro anche a lei.<br />
Al Lavoro ci va, naturalmente, un sindacalista. Personalmente, preferirei<br />
il mio amico Gigi Malabarba, operaio di Arese; ma mi dicono che è troppo<br />
estremista per un ruolo così istituzionale, e allora mettiamoci Guglielmo<br />
Epifani. (Notate che il ministero torna del Lavoro e non del welfare, del<br />
producing e di altre americanate. Qua siamo in Italia, grazie a Dio, e si parla<br />
italiano). Fine parentesi e buon lavoro anche a lei, compagno Epifani.<br />
All'Industria invece ci va un industriale, categoria rarissima oramai,<br />
sostituita da giocatori di poker, venditori di chiacchiere e ogni tipologia di<br />
lestofanti. <strong>Un</strong> industriale vero l'ho trovato però ed è Renato Soru, che<br />
Tiscali se l'è fatta da solo senza farsela regalare né da Berlusconi né da<br />
D'Alema. Mi mandi una mail, dottor Soru, ché qua il tempo passa e c'è da<br />
fare in fretta.<br />
Commissari alle Regioni Mafiose, con poteri adeguati, saranno i tre<br />
generali Aurigo, Bozzo e Gualdi, coadiuvati rispettivamente dai Prefetti<br />
Serra (già a Roma), Frattasi (Fondi) e Linares (Trapani). Prenderanno ordini<br />
direttamente <strong>dal</strong> Presidente e mi auguro che siano già al loro posto.<br />
Va bene. Il resto al prossimo numero, per oggi mi sembra che basti. Con<br />
questo caldo, e con tutte le altre cose da fare, vi pare un lavoro da niente<br />
mettere su un governo? Eppure a poco a poco ci stiamo arrivando: basta un<br />
po' di buona volontà e si riesce a far tutto. Eppoi dicono che noi meridionali<br />
non abbiamo voglia di lavorare.
18 luglio 2010<br />
MISS MAFIA E MR STATO<br />
MATRIMONIO DIFFICILE, FIDANZAMENTO LUNGO<br />
L'accordo era che ciascuno si facesse i fatti suoi, senza pretendere<br />
troppo: controllare il territorio, raccogliere un po' di voti, e soprattutto<br />
tener buoni i contadini, cioè i “comunisti”. Poi la mafia, coi soldi<br />
dell'eroina, è diventata troppo potente. Allora Andreotti ha cercato di tirarsi<br />
indietro. Ma...<br />
Lo stato, in Italia, ha sempre trattato con la mafia. Ha trattato ai tempi di<br />
Giolitti ("camorrista" per Salvemini), di Mussolini (la fine del povero<br />
Mori), del'Amgot (Calò Vizzini, Lucky Luciano), di Scelba (Giuliano e<br />
Pisciotta) e, naturalmente, di Andreotti. Quest'ultimo, come si sa, si<br />
incontrava con boss come Bontate che, con Ba<strong>dal</strong>amenti e Inzerillo,<br />
formava il triumvirato della mafia di allora. Sia Bontate che Inzerillo furono<br />
uccisi dai "Nuovi", i corleonesi. Ba<strong>dal</strong>amenti scappò in Brasile, e l'uomo di<br />
cui si fidava era Tommaso Buscetta. Falcone, mediante Buscetta, aveva<br />
l'obiettivo preciso di far parlare Ba<strong>dal</strong>amenti. Non ci riuscì.<br />
Che cosa avrebbe potuto dire – e provare - Ba<strong>dal</strong>amenti, se Falcone fosse<br />
vissuto abbastanza da convincerlo? Che l'onorevole Giulio Andreotti, capo<br />
del governo italiano, aveva come interlocutori industriali, prelati, politici, e<br />
anche i boss di Cosa Nostra. Adesso la cosa non farebbe granché scalpore,<br />
perché è una storia vecchia, e perché l'opinione pubblica non è più quella di<br />
prima. Ma nel '93, o anche qualche anno prima, sapere ufficialmente che un<br />
politico aveva commesso il "reato di partecipazione all'associazione per<br />
delinquere" Cosa Nostra, "concretamente", "fino alla primavera 1980"<br />
avrebbe fatto saltare per aria l'Italia. Altro che Mani Pulite.<br />
* * *<br />
Per questo Falcone è morto e per questo è morto Borsellino. Ovvio che ci<br />
siano entrati (come rozzamente si dice) "i servizi", pezzi di stato. Deviati,<br />
ma fino a un certo punto. In certi anni, erano quasi ufficiali.<br />
I rapporti fra Andreotti e Bontate – ossia, fuor di metafora, fra mafia e<br />
stato – non erano finalizzati a assassinii (tranne che di comunisti, che allora<br />
giuridicamente non erano esseri umani) , né ponevano a rischio l'autonomia<br />
dello stato. Erano rapporti periferici, asimmetrici, localizzati. Il mafioso, a<br />
quei tempi, al politico chiedeva cose circoscritte e locali, e il politico gli
ispondeva su questo terreno. Al massimo poteva chiedergli una strage di<br />
contadini, seppellibili in fretta e senza troppo casino.<br />
E' il tipo di rapporto che un ufficiale americano può avere oggi con questo<br />
o quel warlord afgano, di cui si conoscono benissimo le atrocità, ma che<br />
tutto sommato torna utile per tenere il territorio. "Datemi i voti – diceva alla<br />
mafia lo stato - ammazzatemi un po' di comunisti e fate quel che cazzo<br />
volete nella vostra isola di merda".<br />
Poi, verso la fine degli anni '70, i signori della guerra si sono impadroniti<br />
di testate nucleari. Cioè, oltre metafora, i mafiosi hanno messo le mani sulla<br />
totalità del traffico mandiale di eroina e sono diventati dei grossissimi<br />
imprenditori.<br />
* * *<br />
A questo punto i rapporti di forza si sono squilibrati. "Col cazzo che<br />
restiamo a fare qualche affare di merda quaggiù in Sicilia! Vogliamo contare<br />
dappertutto, vogliamo avere la nostra fetta d'Italia esattamente come tutti i<br />
vostri imprenditori".<br />
Si aggiunge, proprio in quegli anni, una diciamo così infiltrazione. Ad<br />
esempio, gli ultimi 150 inscritti alla P2 stanno in Sicilia o sono siciliani.<br />
All'estero (“golpe” Sindona) Cosa Nostra comincia a essere un interlocutore<br />
a livello alto.<br />
Quindi la partita cambia completamente. Quelli come Andreotti si<br />
spaventano, cercano di tirarsi fuori. Però è un po' tardi, anche perchè se hai<br />
aiutato il talebano a rubare una vacca e ammazzare un paio di comunisti,<br />
quello ti ricatta per il resto della tua vita e pretende, pretende, pretende...<br />
Mr Stato dice: va bene, adesso ti aiuto a rubare anche un paio di capre.<br />
Miss Mafia dice: Col cazzo. Voglio il culo della regina Vittoria, se no dò al<br />
Times le foto di te che rubi le vacche e ammazzi i comunisti insieme a me.<br />
E il ciclo ricomincia e continua, sempre più incontrollabile e sempre più in<br />
alto a ogni giro. Sta continuando tuttora.
28 luglio 2010<br />
GANO JAGO E SANSONETTI<br />
L'incredibile storia di un giornalista "di sinistra" in Calabria<br />
Gano di Maganza, politico di qualche rilievo tempo addietro, aveva le sue<br />
ragioni per odiare Orlando, Rinaldo e gli altri paladini, che pare che<br />
l'abbiano ingiustamente scavalcato in non so che intrallazzo governativo.<br />
Perciò, pur deprecando il tradimento con cui, alla fine, abbandonò Re Carlo<br />
per passare all'infedele, non possiamo fare a meno di riconoscergli qualche<br />
attenuante. Forse è stato eccessivo bollarlo come “Ganu 'u traituri”.<br />
E Jago? Povero Jago, innamorato cotto di Desdemona e inoltre<br />
giustamente incazzato con quel negraccio di Otello: altro che ammiraglio! a<br />
coltivare i campi lo dovevano mettere, quei maledetti senatori veneziani<br />
Questo nobile sentimento (che in fondo è lo stesso che il Corriere e quasi<br />
tutti i giornali “bianchi” nutrono per Obama) sarebbe stato più che<br />
compreso dai governanti veneti di ora. Ma allora purtroppo c'erano i dogi e<br />
il povero Jago è stato lasciato là a macerarsi con tutta la sua invidia e<br />
gelosia. Traditore anche lui alla fine, d'accordo: ma davvero, onestamente,<br />
lo potete condannare?<br />
Tutto questo per dire che siamo uomini di mondo, capiamo le umane<br />
debolezze e siamo ben lontani da quei furori ideologici che tanto hanno<br />
devastato il Novecento. Ma, e Sansonetti?<br />
Piero Sansonetti, giornalista rivoluzionario, guida del proletariato ribelle e<br />
nemico fierissimo di ogni padronato, è stato tempo fa, come sapete, al<br />
centro di una cause célebre nel suo tremendo partito, che era Rifondazione<br />
(ne dirigeva il giornale).<br />
I dirigenti a un certo punto, ritenendolo non del tutto in linea col partito,<br />
ne decisero la rimozione. Scoppiò un putiferio terribile (causa non ultima<br />
della scissione, o meglio dell'esplosione, di quel partito) al quale in qualche<br />
modo partecipai anch'io, indignandomi per la libertà violata di Sansonetti,<br />
per l'autoritarismo dei suoi capi e per un sacco di altre belle cose.<br />
Sansonetti a questo punto fondò un suo quotidiano, che ebbe vita<br />
brevissima trasformandosi prima in un settimanale e poi in un sito, e destò<br />
qualche interesse solo per il fatto di essere distribuito in edicola da<br />
Mondadori, teoricamente “nemica”. Il gossip si occupò di Sansonetti anche<br />
per un paio di partecipazioni a Porta a Porta che dai malevoli vennero
itenute eccessivamente benevole verso Berlusconi. Ma tutto qui.<br />
Adesso invece la notizia è tragica, e riguarda non più i salotti romani, ma<br />
l'insanguinata Calabria, terra dove non si fa gossip ma si ammazza.<br />
Riguarda il “dimissionamento” in tronco del direttore e di nove giornalisti<br />
del quotidiano Calabria Ora, segnalatosi negli ultimi tempi (v. Roberto<br />
Rossi più avanti) per varie inchieste su politici e mafiosi. Cosa non tollerata<br />
dai proprietari, Fausto Aquino e Piero Citrigno, il secondo da pochi mesi<br />
condannato (il 9 febbraio a Cosenza) per reati legati all'usura.<br />
E chi chiamano, Citrigno e Aquino, a sostituire il direttore antimafia alla<br />
testa del giornale? Chiamano Sansonetti. E cosa fa Sansonetti? Si rifiuta<br />
indignato, s'incazza, li sfida a duello alla sciabola per la tremenda offesa?<br />
No, accetta docile, con un sorriso. Piero Sansonetti è il nuovo direttore di<br />
Calabria Ora, al posto di un direttore antimafioso.<br />
<strong>Un</strong> quarto di secolo fa, il 18 giugno 1984 Piero Ostellino si installò al<br />
Corriere (allora molto vicino alla P2) al posto di un direttore antipiduista,<br />
Cavallari. Lo sfascio del giornalismo italiano secondo molti incominciò da<br />
lì, da quell'obbedienza cieca e prona ai voleri di una proprietà quanto meno<br />
oscura, che aveva appena cacciato un giornalista perbene.<br />
Ovviamente, Sansonetti proclama ora (come allora Ostellino) la propria<br />
indipendenza, la professionalità, la più assoluta autonomia. Va bene. Di<br />
fatto è là, a fare – lautamente pagato – quella parte infelice.<br />
* * *<br />
Non stiamo parlando di giornalismo, ma di politica. Piero Ostellino, a<br />
quei tempi, era un giornalista liberale e “borghese” che, con la sua pessima<br />
azione, mise plasticamente in luce i limiti morali ed etici di quel<br />
giornalismo “liberal”, di quella borghesia.<br />
Ma Sansonetti è un “compagno”, a lungo riconosciuto come tale. Quella<br />
che lui mette in luce è la crisi morale ed etica di una sinistra sempre più<br />
molle e sbiadita, sempre più lontana. Che oggi, drammaticamente, nella sua<br />
persona scavalca l'antimafia e il <strong>Sud</strong>, si schiera con i padroni peggiori,<br />
tradisce.<br />
Ciascuno deve esprimersi, su questo. Prima di tutto debbono esprimersi i<br />
referenti politici – fra cui Vendola – di Sansonetti. Esprimersi in maniera<br />
netta e limpida, per esempio così: “Noi del nostro partito non abbiamo più<br />
nulla a che fare con quel mascalzone di Sansonetti”. E poi tutti gli altri.<br />
* * *<br />
E basta così, come temi politici, per oggi. Ce ne sarebbero di drammatici,
la Fiat prima di tutto, col suo attacco allo Stato – agli operai, all'Italia, alla<br />
Costituzione vigente, alle migliaia di vite bruciate a Mirafiori – non di<br />
molto inferiore, per gravità e insolenza, a quello dei brigatisti. Meriterebbe<br />
una risposta non inferiore, in termini di unità e determinazione, a quella data<br />
a costoro.<br />
Nazionalizzare d'autorità, ai sensi dell'articolo 41 della Costituzione: non<br />
c'è altra risposta possibile – seria – a questo attacco. Ci sono forze politiche<br />
disposte a tanto? O tutto dev'essere sempre e solo polvere di discorsi, “por<br />
ablandarlos”, demagogia?
8 agosto 2010<br />
UN PARTITO<br />
Di Tremonti ha parlato per primo, senza nominarlo, Veltroni (“governo<br />
tecnico”) seguito subito dopo da Bersani. Il Fatto, i primi giorni, sembrava<br />
incerto fra lui e Draghi. In realtà è una soluzione probabile, e non a caso è<br />
quella esorcizzsata subito da Bossi e Berlusconi. Qualche rivoluzionario,<br />
come Beppe Grillo, preferirebbe direttamente un uomo Fiat, Montezemolo.<br />
Ma insomma si va in direzione Tremonti, non per governi “tecnici”, ma<br />
proprio per l'assetto finale dopo le elezioni. Se ce la fanno – se cioè<br />
Berlusconi non si ripiglia, se il centrosinistra ci casca, se non scoppia la<br />
Grecia nel frattempo – sarà il terzo ventennio, dopo quello di Mussolini e<br />
quello di Berlusconi. Ben diversi fra loro, i tre regimi, ma con una cosa in<br />
comune: la Fiat. Di Fiat, praticamente, non si parla più.<br />
* * *<br />
La crisi non è politica, è industriale. Comanda Berlusconi? Comandano<br />
Tremonti e Marchionne; che tendono a liberarsi, nello sfascio,<br />
<strong>dal</strong>l'ingombrante duce e andare avanti da sé. Giovanni Agnelli fu il<br />
kingmaker di Mussolini. E Agnelli Gianni, quando ci fu da scegliere, fra<br />
Prodi e Berlusconi scelse il secondo. Così nessuno, nè fra i moderati nè fra i<br />
radicali ha minimamente citato i centrosinistri "liberal" (giolittiani...) come<br />
Ciampi e Prodi. Sarebbe stato naturale. Ma ora implicherebbe una rottura<br />
totale con la Fiat, che nella crisi si collloca (come nel '22) all'estrema destra.<br />
Questa è la situazione. E' catastrofica non tanto in sé (Berlusconi ha molto<br />
meno consenso di quel che dice) quanto perché, essendo la sinistra (tutta)<br />
assolutamente priva di qualsiasi strategia, verrà facilmente egemonizzata<br />
<strong>dal</strong> centro e persino <strong>dal</strong>la destra, buon pretesto fra l'altro per le componenti<br />
peggiori del Pd per calar braghe e mutande in nome della solidarietà<br />
nazionale.<br />
La solidarietà è necessaria, ed è necessaria non solo l'unità di tutta<br />
sinistra, ma addirittura un'apertura a componenti di destra. Non Fini e<br />
Lombardo, appendice di altri poteri; bensì la destra “minore”, antipadrini<br />
(un nome per tutti: Angela Napoli; oppure l'Azione Giovani di Palermo che<br />
tre anni fa, non sostenuta da Fini, si ribellò a Cuffaro). Bisognerà<br />
pazientemente disaggregarla e tenerla insieme, come coi “badogliani”<br />
monarchici nel '43.
* * *<br />
Questo non può avvenire nella “politica”, ovviamente. Ma può bene<br />
avvenire in una Resistenza.<br />
Ecco, il centro di tutto è proprio questo. L'unica carta possibile è volare<br />
alto, essere e mostrarsi molto radicali, battersi apertamente per cambiamenti<br />
di fondo.<br />
C'è un terreno su cui ciò è possibile e naturale, ed è la lotta antimafia. I<br />
boss mafiosi, oramai, in mezza Italia coincidono coi padroni; e sono sulla<br />
via di diventarlo nell'altra mezza. Ieri l'affare-simbolo era Gioia Tauro, oggi<br />
è l'Expo di Milano. Questo è ormai sotto gli occhi di tutti, e il tradimento<br />
della Lega non riuscirà molto a lungo a nasconderlo anche al nord.<br />
L'antimafia deve diventare il baricentro politico della sinistra, esattamente<br />
come la lotta antifascista lo diventò, a un certo punto, per la sinistra di<br />
allora. E' facile per dei giovani, ma non lo è affatto per i vecchi politici,<br />
anche in buona fede. Ma anche per l'antifascismo fu così. Ci volle un salto<br />
in avanti radicale, un modo di pensare più giovane, quello dei giovani<br />
Gramsci e Gobetti; i vecchi della vecchia sinistra, anche buoni – i Nitti, i<br />
Turati, i Treves – rimasero irrimediabilmente indietro e non ebbero altro<br />
ruolo, anche se nobile, che di testimoniare una indifesa fedeltà.<br />
* * *<br />
Torniamo da un giro all'interno del nostro partito, stavolta in provincia di<br />
Ragusa. Il "partito" a Pozzallo era costituito da ragazzi di SL, a Vittoria da<br />
quelli del "Circolo Impastato" di Rifonda; a Ragusa invece il caporione è<br />
uno della gioventù francescana e a Modica ci sono i ragazzi del<br />
Clandestino, nati da non più di tre anni e su una cosa "piccola" e immediata<br />
come la lotta locale (ma poi nazionale, e vincente) per l'acqua.<br />
Nè Bersani né Vendola nè Di Pietro o Ferrero, che pure sono delle ottime<br />
persone, hanno più di una vaga e lontana percezione di questi giovani, che<br />
per noi invece sono il centro (politico, non genericamente simpatico) di<br />
tutto, e non da oggi ma da molti anni.<br />
Chi ci sta a fare questo partito insieme a loro? Non è uno scherzo. Oggi<br />
come ai primordi, un “partito” non deve necessariamente avere tessere e<br />
capi. Gli bastano un rudimentale programma (governo antimafia, nel nostro<br />
caso) delle idee chiare sulla gravità della situazione, un quadro di poche<br />
“semplici” cose da fare e una “ingenua” fiducia nelle vecchie virtù del<br />
Paese.
23 agosto 2010<br />
LA SA PIÙ LUNGA WIRED<br />
OPPURE UCUNTU E IL CLANDESTINO?<br />
Noi siamo quelli dei volantini, e dei giornali di quartiere per chi non ha<br />
internet. Proprio per questo sappiamo meglio di altri a che serve, e a che<br />
può servire, l'internet<br />
“Internet è morto”, dicono in questi giorni in America e l'idea, coi suoi<br />
tempi, comincia a venire fuori anche in Italia.<br />
Chi è Internet? E' quel tizio strano – libero, senza padroni e, come le<br />
vecchie fontanelle pubbliche, aperto a tutti – che ha tolto il monopolio dei<br />
geroglifici ai vecchi scribi e faraoni e ha inventato di nuovo il vecchio<br />
democratico alfabeto.<br />
E perché è morto? Perché ora, con tutti gli apparecchietti nuovi<br />
dell'ultimo anno (iPhone, Android e compagnia bella) la gente le cose che<br />
prima trovava solo sull'internet le trova, ma più svelte e tascabili, su questi<br />
supertelefonini. Però se le deve pagare, poiché questi cosi viaggiano a colpi<br />
di proprietà, con dei programmini speciali (le “apps”) senza cui non<br />
funziona quasi niente.<br />
Così finalmente è morto il signor Gratis – ragionano i padroni – ed è<br />
finita la storia che chi vuole va e naviga di testa sua, su chissà che siti e con<br />
chissà che idee.<br />
Purtroppo per i padroni, le cose non stanno proprio così. Intanto non è<br />
vero che il “vecchio” web è stato scavalcato da questo nuovo sistema. La<br />
rivista che lo sostiene, Wired, su questo punto “bara “, nel senso che<br />
paragona arbitrariamente i contenuti dei due sistemi. Su uno viaggiano<br />
prevalentemente notizie e opinioni, sull'altro video e intrattenimenti, che<br />
“pesano” (come bytes) molto di più: come dire che siccome i libri<br />
viaggiano in furgoncino e i mattoni in grossi camion, la gente legge meno<br />
libri e più mattoni.<br />
In secondo luogo – che è quello che ci interessa – il successo di ogni<br />
nuova tecnologia di solito è determinato non tanto <strong>dal</strong>la tecnologia in sé,<br />
quanto <strong>dal</strong>l'uso che ne fa la gente.<br />
L'alfabeto ha fregato i geroglifici perché con esso potevi scrivere delle<br />
bellissime (e utili, se avevi una ragazza da corteggiare) poesie d'amore.<br />
Gutemberg ce l'ha fatta perché poteva diffondere non solo cento bibbie
(protestanti) in più in più del papa, ma anche e soprattutto un milione di<br />
volantini (che prima di lui non esistevano).<br />
La vecchia Cinquecento, <strong>dal</strong> secondo modello in poi, aveva i sedili<br />
reclinabili (e vi debbo spiegare che vuol dire questo?); l'sms originariamente<br />
era usato dai tecnici Telecom per scambiarsi i dati. Quanto all'iPad... beh,<br />
amici miei, c'è già chi legge il povero U<strong>cuntu</strong> anche su questo coso.<br />
Perciò stiamo in campana: a nuove tecnologie, contenuti migliori. Negli<br />
ultimi trent'anni abbiamo fatto incazzare i padroni con scritte sui muri,<br />
ciclostili, megafoni, radio, rotative, tv, fax, web, video, mail, blog, youtube<br />
e pdf... non sarà qualche pidocchiosa multinazionale a metterci i bastoni fra<br />
le ruote proprio ora.<br />
'Sta storia dei libri elettronici (e giornali!) anzi sembra fatta apposta per<br />
chi non ha tanti soldi per carta e per tipografi, ma è ricco di idee. E' un<br />
mondo nostro.<br />
* * *<br />
Ecco, questa pagina in teoria doveva servire a fare gli auguri ai ragazzi di<br />
Modica che stanno facendo il loro secondo jamboree, o assemblea o come si<br />
chiama (odio la parola festival). Probabilmente sarebbe stato qualcosa di<br />
paternalistico e un poo' solenne, del tipo della fiaccola che passa <strong>dal</strong>le<br />
vecchie alle nuove generazioni e così via.<br />
Invece usiamola come un solito strumento di lavoro, un promemoria per<br />
ricordarci che quando facciamo a lungo una cosa nella stessa maniera<br />
probabilmente stiamo diventando pigri, e che delle tecniche nuove non solo<br />
non ci dobbiamo spaventare ma dobbiamo anche essere fra i primi (come ai<br />
Siciliani, come ad Avvenimenti) a metterle in campo.<br />
Perché a noi le tecniche servono per far sapere le cose, per svegliare la<br />
gente e per dare voce. Lavoro che in questo momento è importantissimo -<br />
guardate che cosa sta facendo la Fiat approfittando che la gente dorme ed è<br />
senza voce.<br />
Operativamente, questo significa che tutti noi dobbiamo: - preparare<br />
prodotti per l'iPad, per Android, per gli e-book e per tutti i diavoli che li<br />
portino; e prepararli già ora, come priorità, pensando un po' meno di prima<br />
al ciclostile (e anche alla rotativa...); - organizzarci meglio su ciò che<br />
facciamo già, oleare i meccanismi di rete (proprio tecnicamente, facendo<br />
viaggiare più svelti i pezzi) e... insomma, ci siamo capiti.<br />
Dimenticato niente? Ah, sì, gli auguri per i ragazzi del Clandestino. Va<br />
bene, auguri. Ma mica ne avete bisogno :-)
5 settembre 2010<br />
L'ORSACCHIOTTO IL TRIANGOLO E L'EUROPA<br />
C'erano tre triangoli, in Europa. <strong>Un</strong>o marrone per gli zingari. <strong>Un</strong>o rosa<br />
per gli omosessuali. E uno giallo per gli ebrei. L'Europa è cambiata da<br />
allora, ma non completamente. E meno di tutti l'Italia. In questo paese e in<br />
questa Europa noi lottiamo<br />
L'orsacchiotto - quello del bel disegno di Mauro Biani - è un orsacchiotto<br />
qualunque, potrebbe essere del tuo fratellino o tuo di quand'eri piccolo o di<br />
qualsiasi altro bambino. Niente di complicato. Il triangolo su quel pezzo di<br />
stoffa, travolto come il giocattolo nel vento che ora soffia in Europa, invece<br />
ha una storia più complessa. E' – come vedi – di colore marrone. Non è un<br />
colore qualunque ma scelto scientificamente, con tutta la scienza della civile<br />
Europa.<br />
In Europa, a un certo punto, si decise che alcuni tipi di esseri umani non<br />
erano esseri umani veri e propri ma una specie di insetti, e andavano<br />
sterminati. Non fu un'idea di pochi fanatici (certo ci vollero anche questi,<br />
ma solo per cominciare) ma di milioni e milioni di persone perbene, ognuna<br />
colla sua brava Volkswagen e, se li avessero già inventati, col suo bravo<br />
bancomat e telefonino.<br />
Questi uomini-insetti appartenevano a tre tipologie principali: gli ebrei;<br />
gli zingari; e gli omosessuali. E il triangolo? Ecco, il triangolo serviva a<br />
distinguerli fra di loro per stabilire ordinatamente quale doveva essere<br />
“normalizzato” prima e quale dopo. Così, un triangolo giallo caratterizzava<br />
gli ebrei (precedenza assoluto); uno rosa gli omosessuali; e uno marrone<br />
infine gli zingari, anch'essi da sottoporre appena possibile al trattamento<br />
finale.<br />
* * *<br />
Queste cose in Europa non succedono più, o almeno non più quanto<br />
prima. E' quasi cessata la persecuzione contro gli ebrei (che hanno imparato<br />
a difendersi); è molto diminuita quella contro gli omosessuali (qua ormai se<br />
ne ammezzano non più di una dozzina all'anno); è rimasta abbastanza<br />
pesante quella contro gli zingari, che sono i più antipatici e comunque non<br />
vengono (in massa) uccisi più ma semplicemente rinchiusi.<br />
Insomma, anche l'Europa perbene in tutti questi anni è migliorata. Ma la<br />
cultura di fondo è rimasta la stessa, e potrebbe risaltar fuori a ogni
momento. Gli Heider, i Le Pen, i Bossi, non sono tanto più “strani” dei<br />
vecchi Hitler e Farinacci. Sono semplicemente una normale componente<br />
dell'Europa che può tornare a galla, e periodicamente torna, in qualsiasi<br />
momento.<br />
* * *<br />
Scriviamo questo per due precisi motivi. Primo - da osservatori politici<br />
quali siamo – per segnalare il più importante avvenimento politico di questo<br />
momento, e cioè la grande manifestazione pro-zingari di pochi giorni fa.<br />
Era stata indetta contro i provvedimenti gemelli di Sarkozy e Maroni,<br />
eppure a Parigi hanno partecipato centinaia di migliaia di cittadini e a Roma<br />
solo quattro o cinquecento.<br />
Secondo – e soprattutto - per ricordarci che tutte queste belle storie<br />
“politiche” che stiamo vivendo (la vecchiaia di Berlusconi, i fronti<br />
“democratici”, le alleanze) si collocano in uno scenario ben preciso, quello<br />
di un paese in cui il dieci percento della popolazione è tranquillamente<br />
deciso a sterminare prima o poi quelli che esso considera non-umani e il<br />
cinquanta per cento è abbastanza disposto, in questa o quella circostanza, a<br />
lasciarglielo fare.<br />
Esageriamo? No, non dopo gli anni Trenta. Questo è già successo una<br />
volta, e può succedere ancora. Non è detto che la nostra crisi politica –<br />
poiché non siamop un paese del tutto civile - finisca tranquillamente come<br />
nei paesi civili. Potrebbe anche finire nella violenza e nel sangue, come in<br />
Jugoslavia o a Weimar; e dobbiamo essere preparati anche a questo.<br />
La patologia fascistoide, che da noi è molto più presente che altrove,<br />
adesso s'intreccia sinistramente con l'ormai dilagante potere mafioso, col<br />
golpe Fiat, e con la presenza di un partito secessionista che ormai comanda<br />
diverse banche e regioni. Ognuna di queste componenti è in sé violenta, e<br />
completamente esterna a qualsiasi forma di democrazia. Difficile che<br />
l'incontro fra esse avvenga su un terreno democratico. Ciascuna di loro, e<br />
tutte insieme, vuole semplicemente prendere il potere.<br />
* * *<br />
Questo è un promemoria per tutti noi, e soprattutto per gli amici nuovi<br />
che abbiamo conosciuto quest'estate. E' bello vedere i ragazzi che crescono,<br />
che pian piano – m a volte con accelerazioni inspiegabili per chi non è del<br />
mestiere - scoprono le cose e che allegramente si organizzano, fervidi,<br />
invincibili, immortali. Bello ma al fondo non privo di uno stringimento di<br />
cuore.
Dove saranno questi ragazzi fra cinque anni? Li lasceranno vivere, li<br />
lasceranno volare? Che prove riserva loro questo paese? Avranno nemici<br />
terribili, questi ragazzi. Saranno abbastanza forti, abbastanza uniti?<br />
Ecco, delle tecnologie parleremo un'altra volta; e così del percorso dei<br />
prossimi mesi, per U<strong>cuntu</strong>, Lavori in corso e gli amici nuovi. Dovremo<br />
cambiare molto, per essere all'altezza. Ma prima la cosa importante è sapere<br />
con precisione dove siamo, in che terreno. E poi, solamente allora, fare le<br />
scelte.
19 settembre 2010<br />
REGIA MARINA<br />
Carlo Fecia di Cossato, comandante di sommergibile, operava in<br />
Atlantico, e dunque sotto il comando dei tedeschi. I tedeschi a un certo<br />
punto misero fuori un ordine: per nessun motivo perdere tempo a salvare i<br />
naufraghi delle navi silurate, la guerra è una cosa seria, non una roba<br />
sentimentale all’italiana. Cossato, come tutti gli altri comandanti italiani,<br />
prese il cablogramma di Doenitz e ne fece carta da cesso.<br />
Pochi giorni dopo gli capitò di silurare un cargo inglese: nessuna vittima<br />
fra i due equipaggi, i marinai del cargo raccolti alla meno peggio su tre<br />
scialuppe, il sommergibile pronto all’immersione.<br />
Però l’Atlantico cresceva, mare lungo di poppa, e difficilmente – pensò<br />
Cossato – ce l’avrebbero fatta a raggiungere una qualunque terraferma.<br />
Allora: stop immersione, aprire i boccaporti, gettare una cima. E un’ora<br />
dopo eccoti un sommergibile italiano, in pieno Atlantico centrale e in tempo<br />
di guerra, che se ne va lentamente a otto nodi trascinandosi dietro la cordata<br />
delle scialuppe gremite di “nemici”.<br />
Questa faccenda durò tre giorni. Ogni tanto si sentiva il ronzio di un<br />
ricognitore: allora Cossato mollava la cima e s’immergeva; passato il<br />
pericolo, riveniva su e si rimetteva a trainare.<br />
All’alba del quarto giorno, un’alba livida di brutto mare, Cossato si<br />
affiancò alle scialuppe e afferrò il portavoce: «Le Azzorre a venti miglia<br />
sulla vostra destra. Vi lascio qui. Venti miglia a ovest e buona fortuna!».<br />
<strong>Un</strong> «God bless you» arrivò <strong>dal</strong>l’altra parte. Poi gli inglesi si misero a<br />
remare verso la foschia grigio-viola a ovest, e l’italiano s’immerse alla<br />
svelta perché i bombardieri non scherzavano e il sommergibile era<br />
particolarmente vulnerabile a causa della torretta di comando molto alta (nei<br />
sottomarini italiani c’era un cesso degli ufficiali distinto da quello della<br />
truppa, e questo secondo cesso faceva un paio di metri di sagoma emersa in<br />
più).<br />
Passano gli anni, e arriva l’otto settembre. Il re scappa, i generali<br />
scappano, Cossato – che non ha fatto carriera – è di guarnigione su un'isola<br />
con un paio di motovedette. I tedeschi mandano un paio di trasporti, scortati<br />
da mezza dozzina di siluranti, per occupare l’isola. Cossato esce colle sue<br />
due bagnarole, si fa sotto ai tedeschi e a uno a uno li manda giù tutti.
Passano ancora un paio di mesi e stavolta il capitano di corvetta Carlo<br />
Fecia di Cossato, R.M., S.P.E., è in una camera d’albergo, a Napoli. Il re è<br />
scappato, la Marina non c’è più, le strade di Napoli sono un brulichio di<br />
puttane, borsaneristi e marinai. Cossato è un tizio semplice, non ce la fa a<br />
fare ragionamenti complicati. Scrive un paio di lettere, una alla sua Regia<br />
Marina e una alla moglie. E poi si spara.<br />
Questa storia, che qui evidentemente non c’entra un cazzo, me l’ha<br />
raccontata un casino d’anni fa un marinaio che si chiamava Walter Ghetti e<br />
che era stato pure lui nei sommergibili a quei tempi.<br />
Io ce la metto perché ho letto sul giornale che adesso la marina italiana,<br />
per ordine di uno che si chiama Bossi, serve a combattere i poveracci che<br />
vanno per mare sulle carrette alla ricerca di una terra dove campare. Così, se<br />
qualche marinaio o ufficiale della marina di ora mi legge, saprà come<br />
regolarsi quando <strong>dal</strong>l’ Oberkommando arrivano ordini stronzi: carta da<br />
cesso.
19 settembre 2010<br />
PARLARE DI "POLITICA"?<br />
BRAVO CHI CI RIESCE<br />
Da Catania una buona notizia: qualche imprenditore si tira su i<br />
pantaloni. E' una svolta<br />
E' diventato impossibile parlare di “politica” perché ormai la<br />
divaricazione fra il mondo Vip e quello nostro è tale, che pare di ragionare<br />
con gente di pianeti diversi.<br />
I nostri problemi (di noi di questo pianeta) sono i seguenti: 1) E' morto il<br />
sistema industriale con cui l'Italia era uscita <strong>dal</strong> Terzo Mondo. Morto<br />
ammazzato, con l'eliminazione di Keynes, la fine (teorizzata) del sindacato,<br />
la riduzione (proclamata) del rapporto di lavoro a mero fatto occupazionale,<br />
“militare”. Tutto ciò, naturalmente, ricaccerebbe in dieci anni l'Italia fuori<br />
dell'Occidente (l'Argentina “prima” era un paese prospero e avanzato) ma ai<br />
grandi manager non gliene frega niente perché loro – individualmente e<br />
come ceto - non sono italiani, sono multinazionali. La Fiat, che comanda in<br />
Italia, non è italiana affatto.<br />
2) Il potere politico (anzitutto la finanza, e poi anche la “politica” e le<br />
regioni) in metà del Paese è tout-court mafioso e nell'altra metà assedia le<br />
poche roccaforti ancora indipendenti.<br />
A questi due problemi, ciascuno dei quali basterebbe a a distruggerci<br />
come Nazione, si aggiunge quello della Lega, cioè di un potere<br />
dichiaratamente eversivo che siede alla pari con gli altri poteri.<br />
Le interviste di Bossi qui non ci fanno ridere affatto; ci fanno pensare<br />
invece a titoli del tipo “Il Presidente della Repubblica (o il sindaco di<br />
Peretola, o l'ambasciatore del Belgio, o chi volete voi) si è incontrato ieri<br />
col capo delle Brigate Rosse Renato Curcio” ecc.<br />
I danni della Lega risultano per fortuna limitati <strong>dal</strong>la sua povertà<br />
culturale. Riesce semplicemente ad assorbire e “politicizzare” inciviltà<br />
preesistenti. In più, tradisce il nord - senza neanche accorgersene - aprendo<br />
le porte alla mafia, che per lei è semplicemente uno dei tanti poteri con cui<br />
far “politica” furbesca all'italiana.<br />
(Senza accorgersene, certamente. Ma si è accorta benissimo, e l'ha portato<br />
a fine cinicamente, del primo tradimento, quello fondativo, con cui ha<br />
permesso la deindustrializzazione del nord svendendo cent'anni e passa di
civiltà – operaia e industriale – questa sì “padana”).<br />
Di questi due problemi (due e mezzo) nella “politica” italiana non si<br />
ritrova traccia, se non formale. La Fiat non ha avuto oppositori. L'Espresso<br />
dedica una copertina molto benevola a Marchionne (e questi sono i liberal,<br />
figuriamoci gli altri). Il resto degl'industriali s'è già accodato.<br />
Quanto alla mafia...beh, lasciamo andare.<br />
Soltanto nelle assemblee dei ragazzi, oramai, si trova la politica reale. Nel<br />
paesino sperduto, alla prima assemblea antimafiosa, vengono<br />
rudimentalmente dibattuti i problemi reali del Paese. A Roma no. Nei<br />
convegni, nelle redazioni, nei precongressi, nei partiti si parla sempre e<br />
disperatamente – weimarianamente – d'altro. E uno dovrebbe mettersi<br />
seriamente a commentare il nuovo partito, o non-partito, di Veltroni, o la<br />
precisazione di Chiamparino, o l'ultima intervista di Renzi,?<br />
* * *<br />
A Catania, una buona notizia (una notizia improvvisa, eppure attesa): è<br />
nato un giornale nuovo, al di fuori di Ciancio, e per la prima volta non è uno<br />
di quelli fatti da noi ma ha degli imprenditori che lo finanziano.<br />
La notizia non è il giornale (si chiama “<strong>Sud</strong>”; il direttore, non nostro, è un<br />
bravo ragazzo; esce ogni due settimane), la notizia sono gli imprenditori.<br />
Per la prima volta dopo secoli degli imprenditori catanesi si son tirati su<br />
mutande e brache e hanno timidamente iniziato a fare il loro mestiere.<br />
Questa è una svolta. Comincia, con questa piccola storia, il dopo-Ciancio.<br />
Ci coglie con sentimenti diversi: simpatia, diffidenza, sorrisi, scuotimenti<br />
di testa...<br />
Adesso, il cammino sarà in discesa. Non sarà breve o facile, ma sarà la<br />
seconda parte della strada. La prima è durata venticinque anni.<br />
Io spero che i colleghi di “<strong>Sud</strong>”, e persino i loro imprenditori, abbiano un<br />
buon successo in questa impresa, che certo non sopravvaluto ma nemmeno<br />
voglio sottovalutare. Il suo valore di segnale è indiscutibile, conferma le<br />
nostre analisi, c'incoraggia nel lavoro; ma potrà avere anche – lo vedremo<br />
nei prossimi mesi – un buon peso anche di per sé, giornalisticamente; ed è<br />
ciò che auguriamo.<br />
Quanto a noi, abbiamo avuto una fortuna grandissima in tutti questi anni<br />
ed è stata quella di avere accanto – dopo il gruppo iniziale dei Siciliani – dei<br />
colleghi e compagni molto superiori a quel che meritavamo. Coraggiosi,<br />
costanti, soli<strong>dal</strong>i, amici: nello sfacelo generale, essi pochi hanno tenuto<br />
duro. E sono ancora qui al loro posto, all'inizio – speriamo – di una stagione
meno dura, nata soprattutto grazie a loro<br />
Non mi ricordo più, alle volte, qual era l'obbiettivo finale dei Siciliani.<br />
Forse semplicemente questo: essere degni del nome, essere i Siciliani. Non<br />
c'è dubbio che Fabio, Graziella, Piero, Giovanni, Toti, Maurizio, Luca,<br />
Sonia, Massimiliano, Lillo, Sebastiano e tutti gli altri l'abbiano conseguito.
25 settembre 2010<br />
PARLANDO DI NOI<br />
Caro Gianluca e cari tutti,<br />
mi dispiace molto di non poterci essere ora, vi seguo con attenzione e vi<br />
auguro buon lavoro.<br />
Buon *lavoro*, non buona commemorazione o buona autoconsolazione o<br />
buona ripetizione delle cose che già tutti sappiamo. E nemmeno - ma questo<br />
a voi non c'è proprio bisogno di dirlo - buona autoglorificazione, una<br />
categoria che un tempo era quasi assente e ora ahimè è fin troppo presente<br />
nelle occasioni pubbliche dell'antimafia.<br />
Lavorare vuol dire non essere nè geni nè eroi, e anzi guardarsi<br />
accuratamente <strong>dal</strong>l'esserlo e considerare con diffidenza un uso troppo<br />
frequente di queste parole. Le guerre le vincono i comuni soldati - e la<br />
vostra è una guerra - e non i generali e neppure i cavalieri a cavallo.<br />
Bisogna che vi abituiate subito a pensare così, per quanto fuori moda sia; a<br />
lavorare pazientemente e modestamente, ma con serietà e con costanza,<br />
senza grandi parole ma senza mollare mai nemmeno per un istante. Ma<br />
questa nel caso vostro è una predica superflua, visto che vi conosco e so che<br />
persone siete. Diciamo che è una cosa in più, un pericolo che vi segnalo.<br />
Certo, potrà capitarvi (è capitato ad alcuni dei presenti) di dovere<br />
affrontare situazioni durissime, momenti in cui - come si dice - non è<br />
neanche sicuro di riportare a casa la pelle. Ma se vi toccheranno affrontatele<br />
senza tante parole, come un muratore su un'impalcatura difficile o un<br />
ferroviere su una linea rischiosa. Noi siamo stati così, Pippo Fava è stato<br />
così. Se volete imitarlo - ed è bello imitare uno come Pippo Fava -<br />
cominciate da questo: niente grandi parole!<br />
E un'altra cosa vorrei dirvi, un'altra cosa un po' anomala, del Direttore:<br />
non era un giornalista d'inchiesta. Lo era stato a suo tempo (con Liggio, con<br />
Genco Russo, coi mafiosi di allora) ma non quando ha diretto i Siciliani. E<br />
allora perché l'hanno ammazzato? Perchè non Claudio o me o Miki, che<br />
invece le inchieste le facevamo proprio allora?<br />
Perché il giornalismo d'inchiesta non è che una parte del giornalismo, e<br />
nemmeno la parte principale. La parte principale è quella (fra virgolette)<br />
"politica" ed è come leader politico che Pippo Fava è stato ucciso. Ma<br />
come, i leader politici vanno in giro così, senza potere nè cravatta, senza
nemmeno un partito cui appartenere?<br />
Proprio così. La politica veraè raccontare i dolori della gente, e le loro<br />
speranze, e i volti dei potenti che l'opprimono, con arte, mettendoci tutti se<br />
stessi, cervello e cuore. Allora, e soltanto allora, la verità colpisce davvero.<br />
Tra voi in questo momento ci sono tre ottimi giornalisti - Carlo, Graziella e<br />
Pino - che hanno pagato moltissimo per quello che hanno fatto. Hanno fatto<br />
inchieste bellissime ma ciò che non gli è stato perdonato è stato prima di<br />
tutto il loro ruolo "politico" e civile. Quando Graziella non solo indaga su<br />
un episodio ma anche organizza i Siciliani, quando Carlo si fa esempio<br />
vivente di rottura dell'omertà del notabilato locale, quando Pino non solo<br />
denuncia i Fardazza ma li schernisce e porta la gente a ridere di loro,<br />
ebbene, questa è politica e questi sono i nostri militanti politici, non solo e<br />
non principalmente i nostri giornalisti. Bravi, concreti, complessivi e quindi<br />
non digeribili in alcun modo. "Pericolosi".<br />
E così spero si possa dire di voi, in tutti i campi. <strong>Un</strong> saluto affettuoso e<br />
ancora buon lavoro.
3 ottobre 2010<br />
QUA COMANDANO QUELLI DELLA TRABANT<br />
Fare macchine che non si vendono, coi soldi dello Stato, e alla fine<br />
accusare gli operai<br />
La Trabant non si vende e il Partito accusa gli operai. “Dovete lavorare di<br />
più - dice il Partito - E' che siete abituati troppo bene. Ma d'ora in poi vi<br />
faremo vedere....”.<br />
Tutti gli apparatnik, tutti i politici, tutti i giornali annuiscono gravemente.<br />
Nessuno propone la soluzione più logica (nazionalizzare la Trabant e<br />
metterla in mano agli ingegneri) anche perché, in teoria, la fabbrica è già<br />
nazionalizzata: vive dei soldi pubblici, produce pessime macchine ed è<br />
gestita da gente che di partito s'intende forse, ma di automobili assai meno.<br />
Gli unici rimedi che conoscono sono: uno, più sacrifici; due, più polizia.<br />
Esattamente la situazione della Fiat. Cacciati gl'ingegneri dai vertici<br />
(qualcuno si ricorda ancora di Ghidella?), sostituiti dagente fida del Partito<br />
(Romiti nell'88, adesso l'ineffabile Marchionne), le macchine vengono male<br />
e nessuno ne vuole.<br />
Fra tutte le consolidate auto europee, la Fiat è quella (- 26 per cento) che<br />
va peggio. Non per colpa dei coreani o dei cinesi: soffre Psa, Volkswagen, le<br />
europee.<br />
Buttare fuori a calci il compagno Marchionnov? Non se ne parla<br />
nemmeno. Sacrifici, licenziamenti e, se qualcuno protesta, polizia. E<br />
siccome qui in <strong>Un</strong>ione Sovietica c'è un partito solo, nessuno seriamente<br />
protesta (seriamente vuol dire vendita forzata o nazionalizzazione).<br />
* * *<br />
Che fa un capo dello Stato riformista anzi semplicemente democratico<br />
anzi, mi voglio rovinare, addirittura conservatore e di destra se il sindaco di<br />
un paese propugna la superiorità della razza bianca locale e vuole insegnarla<br />
per forza ai bambini innocenti delle scuole? Manda messaggi? Si appella<br />
alla buona volontà di un minisstro? Lascia intendere che forse non va<br />
bene?.Manda direttamenter la truppa, reparti delle Forze armate, che<br />
disperde la folla razzista a calcio di fucile e fa ala ai bambini neri.<br />
Non l'ha fatto Di Pietro o Vendola e nemmeno Bersani. L'ha fatto un<br />
presidente degli Stati <strong>Un</strong>iti, il repubblicano Eisenhower,, a Little Rock<br />
nell'Arkansas nell'autunno del '57. Pochi anni dopo, nel '62, fu Kennedy a
mandare quattrocento federali nel Mississippi, dove i razzisti locali -<br />
governatore in testa – pretendevano di fare i razzisti nell'università.<br />
Anche qui, le baionette spianate e qualche buon spintone fecero un buon<br />
lavoro. Ad Adro, nel Quarto Reich di Brighella, il sindaco ribelle e razzista<br />
invece è ancora lì.<br />
* * *<br />
«La vera notizia a me l'ha detta Eva, una ragazza del Centro per disabili<br />
con cui lavoro» racconta Mauro Biani. «”Hai sentito? - mi ha detto -<br />
Sakineh non l'ammazzano più, la impiccano”. <strong>Un</strong>afrase che vale più di<br />
cento editoriali»<br />
* * *<br />
Qua in Sicilia, a Catania i giudici non hanno la tradizione di Palermo. <strong>Un</strong><br />
modo eufemistico per dire che negli anni 70 mettevano in galera l'ingegnere<br />
Mignemi che denunciava scan<strong>dal</strong>i edilizi, negli anni '80 indagavano sui<br />
conti di Giuseppe Fava, negli anni '90 coprivano i Cavalieri e un paio di<br />
anni fa non si accorgevano che i Santapaola scrivevano editoriali sui<br />
giornali di Ciancio.<br />
Qualche giorno fa, fra la sorpresa generale, sono piombati sull'unico<br />
giornale non di Ciancio della Città, <strong>Sud</strong>, che - a quanto avevano sentito dire<br />
- aveva intenzione di parlar male del presidente Lombardo.<br />
Sarebbe bellissimo se Catania prima o poi diventasse una città normale, a<br />
cominciare <strong>dal</strong> Palazzo di Giustizia e da coloro che l'abitano. Non sembra<br />
un momento vicino.<br />
Ci sono magistrati borbonici (quelli cresciuti col vecchio Di Natale: il<br />
persecutore di Fava, per intenderci), ci sono magistrati liberal (quelli del<br />
caso Catania di qualche anno fa: i persecutori di Scidà, per intenderci).<br />
Tutt'e due, fra di loro, si fanno a quanto pare una gran guerra, dando<br />
notizie, negandole, incriminandosi – per interposta persona – a vicenda,<br />
ciascuno coi suoi notabili, i suoi amici, le sue bestie nere. Noi (salva la<br />
solidarietà coi colleghi di <strong>Sud</strong> - solo i colleghi) noi non c'entriamo, siamo<br />
di un altro mondo, forse – ci pare a volte - di un altro pianeta.
3 ottobre 2010<br />
SEI AMICI<br />
Il dottore Nastasi, veterinario, s'era fatto tutta la ritirata di Russia a piedi,<br />
con gli alpini. Mio padre aveva la rotula sinistra di metallo, completamente<br />
ricostruita, e varie schegge non estraibili in corpo. L'altro Nastasi, quello<br />
che insegnava ginnastica, s'era fatto Grecia, Libia e Albania. Idem Alfano e<br />
Ruvolo, tutti in fanteria. Ghetti, un anno e mezzo nei sommergibili: ne<br />
tornarono una decina, dei sottomarini atlantici, e "alla parata di Napoli<br />
eravamo ottantuno". Di questi sei amici non ce n'era uno che non<br />
bestemmiasse quando sentiva "gerarchi" e "mussolini".<br />
Nessuno di questi sei era pacifista, nel senso che intendete voi adesso. Ma<br />
odiavano la guerra e chiunque ne parlasse bene. "La guerra, la guerra...".<br />
"Eh. Non potete capire, voi giovani, quant'è bella la pace". <strong>Un</strong>o sospirava,<br />
l'altro tirava un colpo di toscano.<br />
Non si sono mai fatti guardare, da me bambino, come eroi. Stavano anzi<br />
molto attenti a non farlo. Di tutta la guerra, l'unica <strong>racconto</strong> che ho di mio<br />
padre è delle sigarette che s'erano scambiati, sotto la tenda dell'ospe<strong>dal</strong>e da<br />
campo, con il maggiore inglese che forse l'aveva ferito. E un'altra volta in<br />
cui, con tutti noi bambini a naso in su davanti ai premi del tiro a segno,<br />
dopo lunga esitazione e vergognandosi prese la carabina ad ariacompressa e<br />
a uno a uno li buttò giu tutti. "Ero tiratore scelto" mormorò come<br />
scusandosi, distribuendo le bambole e gli orsacchiotti di pezza.<br />
Non so quante ferite e medaglie avessero quei sei amici, tutti insieme. Ma<br />
mi hanno insegnato la pace, poiché erano dei soldati.<br />
Oggigiorno un politico - culomolle, gerarca, mai stato al fuoco, mai<br />
rischiata la pelle per il suo paese - vorrebbe invece insegnare la guerra<br />
(peggio: giocare alla guerra) ai ragazzini. Ma mio padre e i suoi amici, nelle<br />
loro varie e diverse idee politiche, concordemente avrebbero avuto orrore di<br />
lui.
10 ottobre 2010<br />
VIETATO SCRIVERE "SFRUTTATORE"?<br />
Scan<strong>dal</strong>o per una scritta contro Marchionne. E allora? C'è molta<br />
differenza fra la protesta (in questo caso, assai giusta) e il terrorismo o la<br />
violenza. Anche la Marcegaglia, adesso, è contro Berlu sconi. Ma questo<br />
non vuol dire...<br />
A Milano è successa una cosa tremenda: alcuni feroci estremisti, o<br />
brigatisti o di Bin Laden o di chissà che banda, sono andati in via <strong>Un</strong>bria,<br />
hanno scelto accuratamente un muro e – a caratteri enormi e, badate bene,<br />
in rosso - vi hanno scritto d'un getto: “Marchionne sfruttatore”. Poi “Servi<br />
dei padroni” (per Angeletti e Bonanni). Infine hanno vergato: una falce; un<br />
martello; e una stella rossa.<br />
Quest'ultima, a dire il vero, non era proprio quella dei brigatisti (che è<br />
piuttosto, tecnicamente, un pentacolo) ma - piccola, fra l'estremità della<br />
falce e quella del martello – aveva un'aria più che altro berlingueriana<br />
(“Emblema del Partito sono la falce e il martello, simboli del Lavoro, e la<br />
Stella d'Italia che li affianca...”).<br />
Ma non importa: l'allarme – allarme sociale – resta; e se n'è fatta<br />
portavoce Repubblica, con titoli convenevolmente allarmati, simili – per<br />
dare un'idea – a quelli che userebbe se un giorno o l'altro, per assurda<br />
ipotesi, Marchione dichiarasse che la Costituzione della Repubblica non<br />
vale più e lo Statuto dei lavoratori è carta straccia.<br />
Ma, filologicamente, si può dire (e scrivere) che un personaggio così<br />
illustre come Marchionne sia con rispetto parlando uno sfruttatore? A me, e<br />
al mio illustre collega prof Marchetti (prima delle leggi razziali si chiamava<br />
Marx) parrebbe ovvio. Potremmo sbagliarci, s'intende: ma si va già in<br />
galera, o si passa per brigatisti, a dirlo?<br />
(Non sono invece d'accordo con quel “servi dei padroni” ai poveri<br />
Angeletti e Bonanni, che sono semplicemente dei sindacalisti alquanto<br />
incapaci: ma, anche qui, potrei sbagliarmi).<br />
* * *<br />
Siamo impegnati in una lotta ferocissima con un potere non-democratico<br />
e corrotto, quello di Berlusconi. Contro di esso lottano anche, e con<br />
determinazione non inferiore, anche i colleghi di Repubblica e gli<br />
imprenditori che ne possiedono il giornale. Si tratta, com'è evidente, di
gente civile e democratica, del tutto imparagonabile con gli avversari<br />
comuni. Sarebbe dunque sbagliato fare troppe polemiche con loro.<br />
Ogni tanto, però, non fa male ricordarsi un attimo che sempre di interessi<br />
si tratta, civili e democratici ma interessi; e che la Fiat in particolare, per<br />
loro e per tutta la democrazia moderata – è stata per sessant'anni ed è tuttora<br />
un tabù.<br />
Possiamo pretendere, questo sì, che non confondano cazzi e lanterne<br />
(come si dice a Parigi) e non aiutino involontariamente i brigatisti veri<br />
attribuendo loro sentimenti che invece sono, da molte generazioni a questa<br />
parte, delal gran maggioranza degli operai. E poi via tutti avanti a lottare<br />
contro Caligola e Nerone, loro (senatori) da un lato e noi (schiavi e liberti)<br />
<strong>dal</strong>l'altro. Soltanto, facciano attenzione a non regalare a Nerone liberti e<br />
schiavi, come spesso sono tentati di fare.<br />
* * *<br />
Saviano – passando ad altro – da quando ha lasciato il suo vecchio sito<br />
Nazione Indiana non è migliorato. Ultimamente ha piantato là una gran<br />
bischerata, occupandosi con leggerezza di Peppino Impastato e dando della<br />
sua lotta una versione da fiction, ignorando ad esempio il ruolo decisivo che<br />
ebbero, con gran rischio e coraggio, compagni come Umberto Santino e il<br />
suo Centro Impastato.<br />
Umberto (che non per la prima volta viene ingiustamente cancellato <strong>dal</strong>la<br />
storia “ufficiale”) giustamente se n'è doluto e ha protestato. Bene. Poi, però,<br />
ha preso carta e penna e ha fatto causa a Saviano. Male.<br />
Io spero, e anzi mi permetto umilmente di chiedere, che questa faccenda<br />
finisca con un sorriso reciproco e una stretta di mano. Due antimafiosi, il<br />
più grande dei vecchi e il più famoso dei nuovi! Eppure non andrà così, lo<br />
sento. E anche questo è un segnale.<br />
Io ho sempre sostenuto che l'antimafia dovrebbe insegnare alla politica,<br />
fare (vera) politica essa stessa. Ma occorre un colpo d'ali.
18 ottobre 2010<br />
"HA DA VENI' ER TICKET"<br />
- Eh, va là! Sessantotto!”.<br />
- Che ti devo dire. Anche allora mica la tv se l'aspettava. Intanto...<br />
- E chi sarebbe il capo di 'sto sessantotto? Vendola? Beppe Grillo? Di<br />
Pietro?<br />
- Beh, mica facile fare il sessantottino se perdi tempo con un partitino<br />
intestato al tuo nome. E allora son stati proprio i capi, come li chiami tu, a<br />
sfasciare tutto. Stavolta magari se ne fa a meno.<br />
- Vabbe', le solite fantasie. E intanto Berlusconi...<br />
- Ma intanto ridendo e scherzando ci abbiamo guadagnato un'opposizione.<br />
Prima non c'era e ora da sabato c'è.<br />
- Ma dai!<br />
- Mica lo dico io. Il Corriere lo dice. Leggi qua: “La Fiom si fa partito”.,<br />
E il Corriere, quando sente guai, se ne intende...<br />
- E il piddì? E Bersani? Che fine fanno?<br />
- Bersani è uno serio, e a quest'ora s'è già accordato con Vendola per fare<br />
il ticket.<br />
- Il ticket?<br />
- Te lo ricordi quando c'era Prodi e Veltroni? Il vecchio e il giovane,<br />
l'Emilia solida e la città futura, i conti in ordine e la poesia...<br />
- E dai, Veltroni... Tocco palle a solo pensarci.<br />
- Anch'io, e difatti Veltroni ha fatto la fine che ha fatto. Ha accoltellato il<br />
povero Prodi fra l'altro. Ma Vendola è un'altra cosa. Vendola non tradisce.<br />
Bersani tiene su la baracca, e lui la spinge avanti.<br />
* * *<br />
Anche per noi dell'antimafia sabato è stato un bel giorno. Noi non<br />
abbiamo amici, in realtà. Non fino in fondo. Gli unici di cui ci fidiamo, sono<br />
gli operai. Sono nella stessa barca con noi. Noi abbiamo addosso la mafia,<br />
loro la Fiat. Non so qual'è peggio delle due. Ma sono nella stessa barca<br />
anche loro, l'Italia se la dividono fra loro due, nord e sud, destra e<br />
“moderati”.<br />
Noi, ai Siciliani, l'abbiamo sempre saputo. Non abbiamo mai fatto<br />
antimafia senza pensare ai poveracci. Nè abbiamo mai appoggiato uno<br />
sciopero senza dire: “Sì, ma i veri padroni sono i Cavalieri”.
Questa è la dote che noi portiamo oggi al “movimento”, qualunque cosa<br />
sia oggi questa parola, vecchia come tutte quelle dell'altro secolo ma come<br />
molte altre della nostra storia (operai e padroni, destra e sinistra, “coppole”<br />
e “cappeddi”) nella sostanza tremendamente attuale.<br />
Per questo dobbiamo sbrigarci a fare rete. I tanti nostri piccoli (e meno<br />
piccoli) siti e giornali non ci bastano più. Nè possiamo affidarci ai<br />
“cappeddi” liberali, neanche quando lottano contro Re Bomba o Berlusconi.<br />
E tanto per capirci, ecco due esempi.<br />
* * *<br />
In Calabria un giornalista antimafioso, un certo (ché tanto non lo<br />
conoscete) Musolino. è stato trasferito d'autorità <strong>dal</strong>la direzione del suo<br />
giornale dopo aver fatto dichiarazioni “avventate” ad Anno Zero. A fargli<br />
questo scherzetto sono stati due padroni molto discussi, Citrigno e Aquino<br />
(occhio, si preparano a fare un giornale “democratico” a Roma) e un<br />
direttore “liberal”, Sansonetti. Di costui io aspetto ancora di sapere che cosa<br />
ne pensano i miei amici liberali, compresi i più avanzati.<br />
In Sicilia, il giornalista più in pericolo è probabilmente Pino Maniaci,<br />
quello di Telejato, delle aggressioni in piazza e della lotta antimafia a<br />
Partinico. Quest'estate un “collega”, tale Molino, l'ha violentemente<br />
attaccato, usando anche calunnie (per le quali il suo avvocato ha offerto ora<br />
una transazione amichevole, cioè soldi, a Maniaci).<br />
Bene, vengo sapere che questo Molino, grazie a spinte molto autorevoli di<br />
una parte (non la migliore) del Pd siciliano, è stato assunto ad Anno Zero.<br />
Santoro non conosce il background, naturalmente. Ma Maniaci, così, è un<br />
po' più isolato (e in pericolo) di prima.<br />
* * *<br />
Beh, parliamo un po' di cose di famiglia, ora. Oggi si laurea in<br />
giornalismo Giorgio Ruta (22 anni; lo conoscete <strong>dal</strong> “Clandestino”) e<br />
domani fa l'esame dell'Ordine Chiara Zappalà, un'altra dei nostri, 24 anni,<br />
ha vinto l'Ilaria Alpi per un video con Sonia Giardina. Credo che Pippo<br />
Fava, da qualche parte, tutto sommato stia sorridendo.
25 ottobre 2010<br />
RICOMINCIARE DA TELEJATO<br />
Due storie di cronisti minacciati (uno in Sicilia l'altro in Calabria) che<br />
non riguardano solo il giornalismo ma proprio la politica: la nostra<br />
Non è una storia importante, quella di Pino Maniaci e di TeleJato. Si<br />
svolge in un pezzo d'Italia (Partinico e dintorni) in cui la mafia comanda da<br />
quasi cent'anni, tollerata da Crispi, Giolitti, Mussolini, Fanfani, Andreotti e<br />
infine Berlusconi. Non è un'Italia importante, infatti, Partinico; si può ben<br />
delegarne il controllo, in cambio di qualche voto, a Cosa Nostra.<br />
E tutto va avanti così, banalmente, una generazione dopo l'altra. L'Italia<br />
civile, ogni tanto, manda giù una telecamera: un servizio, una fiction, un'ora<br />
di folklore.<br />
Finché, improvvisamente, ti spunta una telecamera indigena, che senza<br />
sapere un cazzo d'informazione comincia fare informazione davvero. Cioè<br />
ventiquattr'ore su ventiquattro, <strong>dal</strong> basso, in mezzo alla gente del luogo e<br />
con parole locali. Ridendo e sputtanando i boss locali: “Tano Seduto!”.<br />
“Fardazza!”.<br />
Si chiami Peppino Impastato o Pino Maniaci, il giornalista indigeno non è<br />
mai presi sul serio (da vivo) dai giornalisti ufficiali.<br />
Ci volle del bello e del buono, l'anno scorso, per fare ottenere un<br />
tesserino a Pino. Dovette fiondarsi a Palermo il presidente dell'Ordine in<br />
persona, Iacopino, e imporlo ai riluttanti colleghi locali alcuni dei quali<br />
(Lazzaro Dantuso e Mannisi) minacciarono di uscire <strong>dal</strong>l'Ordine se vi fosse<br />
stato accolto Maniaci.<br />
Seguono alcuni mesi “normali” (la solita pastasciutta, le solite minacce, i<br />
soliti tg sui Fardazza, le solite aggressioni in piazza) in cui Pino, senza far<br />
troppo caso dei “colleghi”, continua a tirare la carretta di TeleJato paziente e<br />
imperturbabile come un somaro.<br />
Poi, con l'estate, arriva un bel regalo: un lbro di un collega “antimafioso”<br />
(vedi pag.4) che dedica a TeleJato un capitolo intero: per dire che è tutta una<br />
buffonata e che Pino è un ciarlatano.<br />
Caselli, don Ciotti, i “vecchi” di Radio Aut e dei Siciliani, l'antimafia<br />
insomma, si mettono pubblicamente accanto a Pino. I più intimi lo<br />
consigliano: “Eddài, non te la prendere, sono cose che passano, continua a<br />
fare il tuo dovere”.
E lui pazientemente riafferra le stanghe e si rimette a tirare, povero e<br />
indifferente come prima. Il collega calunniatore intanto fa carriera e finisce<br />
in Rai: e non da Bruno Vespa ma da Santoro. Così va il mondo.<br />
Maniaci perde la pazienza, ma brevemente, soltanto quando l'ennesima<br />
minaccia (che Procura e Scientifica valutano fra le più dure in assoluto)<br />
colpisce non più solo lui, ma anche la sua famiglia. Dice alcune parole, ad<br />
alta voce. Eppoi si rimette a lavorare. “Noi non ci fermeremo”.<br />
* * *<br />
Parlo di Pino perché sono siciliano, e mi è quindi più facile scrivere di lui.<br />
Ma un caso abbastanza simile, quasi contemporaneamente, si è verificato in<br />
Calabria (vedi U<strong>cuntu</strong> 18 ottobre) dove il cronista Luigi Musolino, più volte<br />
minacciato <strong>dal</strong>la 'ndrangheta, viene trasferito d'autorità dopo aver fatto<br />
dichiarazioni su politici non propriamente antimafiosi. Il suo direttore è uno<br />
“di sinistra”, Sansonetti, il cui riferimento politico, se non ho perso qualche<br />
puntata, è addirittura Vendola. Che certo, come Santoro, non è tenuto a<br />
occuparsi di tutti i particolari, e in particolare della sorte di un misero<br />
cronista calabrese o siciliano.<br />
* * *<br />
Torniamo su questi due nomi, che i nostri lettori (e di non molti altri<br />
giornali) già conoscono, perché li riteniamo importantissimi per il nostro<br />
mestiere, per il nostro Paese, e per lo schieramento politico cui<br />
apparteniamo, la sinistra.<br />
Maniaci e Musolino non sono dei semplici giornalisti. Giù da noi, sono il<br />
giornalismo.<br />
Maniaci e Musolino non sono dei semplici giornalisti. Giù da noi sono le<br />
sentinelle della Nazione, sono l'Italia.<br />
Maniaci e Musolino non sono un problema della sinistra. Giù da noi sono<br />
il problema.<br />
Nel momento in cui (forse) riusciamo a cacciar via Berlusconi, a ridarci<br />
un governo, saremo noi di sinistra in grado di governare meglio di prima, di<br />
affrontare con la durezza e serietà che in passato è mancata i problemi vitali:<br />
la mafia, l'informazione libera, la non-dignità sul lavoro?<br />
Nei casi di Musolino e Maniaci compaiono esattamente questi temi. Con<br />
nemici e responsabili di destra ma con un'immensa miopia - colpevole - da<br />
sinistra.<br />
Perciò io qui chiedo formalmente a Santoro di esprimere pubblicamente<br />
solidarietà a Maniaci (finora non l'ha fatto) e a Vendola di prendere
pubblicamente le distanze da Sanonetti (non l'ha fatto). Insomma di<br />
sostenere per quanto possibile la nostra antimafia povera e paesana,<br />
scegliendo i militanti sul campo e non i cortigiani.<br />
Mica siete obbligati, caro Michele e caro Nichi, a comportarvi così<br />
impoliticamente.<br />
Se non lo farete continuerò e sostenervi per disciplina e dovere, bugia<br />
nen, come un sergente sabaudo. Se lo farete, sarete molto più che dei re (o<br />
dei politici) per me e per quelli come me: sarete dei compagni.
1 novembre 2010<br />
IL MURO DI SICILIA E QUELLO DI BERLINO<br />
Qual è peggio dei due? Mah. Intanto la gente crepa su tutt'e due<br />
Ci sono poche cose più inutili di questo numero di U<strong>cuntu</strong>, in questo<br />
buffo paese in cui il principale argomento di politica è il numero e l'età delle<br />
ragazzine comprate <strong>dal</strong> rimbambito monarca. Leggetelo, se proprio volete,<br />
come una semplice testimonianza: fra gli italiani, e siciliani, del duemila e<br />
rotti non tutti erano del tutto privi di vergogna, non tutti prendevano atto.<br />
Leggete questo, ora o fra vent'anni, e non confondeteci con gli altri.<br />
Perché quel che è successo a Catania in questi giorni è, nella sua<br />
ordinarietà, assolutamente nitido come segnale; equivalente a quello dei<br />
buoni cittadini di Berlino o Vienna che, sorridendo distrattamente,<br />
guardavano gli ebrei afferrati e portati via.<br />
Succede, e anche questo è significativo, a Catania, cioè in una delle due o<br />
tre città d'Italia in cui il potere mafioso è totalmente integrato, da tre decenni<br />
ormai, in quello dello Stato. Succede anche in citttà, d'accordo, d'inciviltà<br />
più recente. Ma parlino gli altri, se vogliono, delle loro vergogne; noi, delle<br />
nostre.<br />
* * *<br />
La storia è molto semplice: più di cento profughi, di cui metà bambini,<br />
arrivano dopo pene indicibili da noi in Sicilia, sbarcano sulla nostra terra.<br />
<strong>Un</strong> tempo, le donne si sarebbero affrettate a portare coperte e viveri, e gli<br />
uomini vino. Adesso, l'affare è di competenza della forza pubblica.<br />
Rastrellano i disgraziati, li chiudono in uno stadio, inventano qualche<br />
chiacchiera per tenere a bada i pochi cittadini accorsi, e rimandano le pecore<br />
al lupo. Che è uno dei tanti tiranni africani, odiati <strong>dal</strong> popolo ma con una<br />
buona polizia: tutti, da qualche anno in qua, fraterni amici dell'Italia o<br />
almeno dei suoi governanti.<br />
Il rapporto fra noi e l'egiziano Mubarak, o il librico Gheddafi, è infatti<br />
chiarissimo su questo punto: l'Italia paga; essi impediscono con ogni mezzo,<br />
comprese tortura e morte, ai loro infelici sudditi di venire e infastidire noi<br />
ricchi.<br />
Cento o duecento vittime, uccise mentre fuggivano <strong>dal</strong> Muro di Berlino,<br />
disonorarono - e giustamente - i regimi orientali, concorsero al loro crollo e<br />
furono e sono invocate come prova della disumanità e tirannia di quei
egimi. Oggi le vittime si contano a migliaia e decine di migliaia, e noi tutti<br />
italiani – meno chi vi si oppone – ne siamo conniventi.<br />
Vergogna, vergogna, vergogna. E vergogna maggiore su chi, come noi<br />
sicilaini, ha conosciuto la fame, come i poveretti di ora, e ha dovuto<br />
emigrare. Ma le angherie degli svizzeri - e dei tedeschi, e dei francesi, e dei<br />
belgi, e di tutti quei popoli presso cui la necessità ci costringeva a emigrare<br />
– non furono mai paragonabili a quelle che gli emigranti di ora subiscono da<br />
noi italiani degenerati. Peggio delle violenze (che non mancano) è odiosa<br />
l'indifferenza, e la Sicilia e l'Italia ne danno adesso - diversamente da ancora<br />
pochi anni fa - triste prova.<br />
* * *<br />
Non saprei che altro aggiungere. E' futile, di fronte a questo, dilungarsi<br />
sulle politiche nazionali e locali che al confronto appaiono sempre più<br />
esercitazioni di notabili più o meno incartapecoriti; l'unico partito che fa<br />
politica, a quanto pare, è la Fiom e tutti gli altri sono struzzi che<br />
differiscono per il diverso livello di profondità a cui seppelliscono la testa.<br />
Due osservazioni soltanto. La prima riguarda la quasi totale indifferenza<br />
con cui la stampa nazionale ha accolto questa tragica vicenda, con l'unica<br />
benemerita eccezione del (fuori moda) Manifesto.<br />
A Catania, quasi contemporaneamente ai fatti, si svolgeva uno dei tanti<br />
periodici dibattiti sull'informazione. Nessuno degli intervenuti ha ritenuto<br />
opportuno mentovare i poveri emigranti che proprio in quelle ore andavano<br />
incontro al loro tragico destino.<br />
Né alcuno dei valorosi politici piombati giù da Roma ad aprire<br />
nell'occasione la campagna elettorale ha perso tempo a recarsi<br />
immediatamente allo stadio o all'aeroporto, a difendere i poveretti, che se ne<br />
sarebbero giovati. Liberali sì ma “galantuomini”, nell'accezione veghiana.<br />
* * *<br />
L'altra considerazione riguarda invece i nostri ragazzi, i miei colleghi di<br />
U<strong>cuntu</strong>. Che <strong>dal</strong>le primissime ore, senza porsi il problema di cosa sia o non<br />
sia l'informazione, si sono fiondati sul posto, a dare “copertura<br />
giornalistica” - come si dice - all'evento, che subito avevano percepito come<br />
importantissimo, e per solidarizzare con gli emigranti.<br />
Fatiche e coraggio sprecati, perché <strong>dal</strong> punto di vista dei media il loro<br />
piccolo giornale, non ripreso dai grossi, non basterà certo a mutare<br />
l'opinione pubblica; e <strong>dal</strong> punto di vista civile le poche decine di cittadini<br />
presenti, fra cui essi stessi, non hanno potuto fare molto di più che
ichiamare i diritti e prendersi qualche spintone.in mezzo agli altri.<br />
Non sono stati furbi per niente, i miei colleghi e amici: potevano andare ai<br />
dibattiti, o in qualche carriera politica, invece di perdere tempo così per<br />
niente. Salvo che per una cosa che un tempo era importante, fra di noi<br />
siciliani: la dignità.
8 novembre 2010<br />
LOMBARDO, FIUMEFREDDO...<br />
MA CHE C'ENTRIAMO NOI?<br />
“Cambiare tutto perché non cambi niente...”. Quante volte, in Sicilia. Ma<br />
una volta, almeno, c'era chi resisteva duramente, egualmente nemico di<br />
gattopardi e borboni<br />
<strong>Un</strong>o dei più seri presidenti della Sicilia è stato certamente Mario<br />
D'Acquisto, capocolonna andreottiano negli anni Ottanta. A differenza di<br />
Cuffaro o Lombardo, infatti, non si faceva ufficialmente indagare come<br />
mafioso, non si faceva fotografare coi cannoli, e soprattutto - cupo e letale -<br />
non rideva mai, nemmeno quando piazzava i suoi uomini nella colonna<br />
siciliana della P2. Che cosa combinò la P2, e soprattutto in Sicilia, e<br />
soprattutto in quegli anni, sarebbe bello sapere. D'Aquisto inoltre (e questa è<br />
la seconda differenza dai tempi nostri) non fu mai sostenuto <strong>dal</strong>la sinistra,<br />
che allora era Berlinguer e Pio La Torre.<br />
Il “nuovo” della politica siciliana, esteticamente parlando, è tutto qui.<br />
Prima c'erano i tragici Lima e Ciancimino, e gl'incorruttibili nemici del Pci.<br />
Ora ci sono macchiette (fors'anche sanguinose: ma macchiette), e ciascuna<br />
di loro ha i propri amici e alleati nel Pd: di cui alcuni sono corrotti ma altri<br />
persone perbene.<br />
Fra queste ultime sicuramente c'è Beppe Lumia, che è un antimafioso<br />
esemplare da molti anni. Perché un Lumia viene a trovarsi con un<br />
Lombardo? O, a un livello meno drammatico, una Borsellino con un<br />
Fiumefreddo, un Crocetta con un Toni Zermo?<br />
Sono persone coraggiose e buone, non le si può certo accusare di<br />
tradimento. E sono, per quel che sappiamo, sane di mente. Eppure sono<br />
riuscite a infilarsi in un groviglio inestricabile di accordi, di controaccordi,<br />
di equilibrismi e alleanze in confronto a cui gli inciuci di Veltroni e<br />
D'Alema appaiono rozzi e primitivi.<br />
Il fatto è che nè Lumia nè Crocetta nè la Borsellino, nè Orlando nè<br />
l'Alfano nè Fava nè, a quanto pare, alcun altro come loro si sente parte di un<br />
tutto, di un collettivo. Sono cavalieri isolati, alla Lancillotto (“Non posso<br />
battere la mafia da solo” dichiarò tempo fa uno di loro). Mettersi insieme,<br />
fare squadra, non gli passa neppure per la mente. Ovvio che quindi risultino,<br />
individualmente presi, pessimisti e sfiduciati.
Il loro pessimismo nasce anche <strong>dal</strong> fatto che, salvo eccezioni momentanee<br />
ma rimosse, non hanno mai avuto una fiducia reale nei movimenti (il<br />
cooordinamento antimafia, i Siciliani Giovani, il Rita Express) che via via<br />
incontravano. “Bravi ragazzi sì, ma la politica è un'altra cosa”. E hanno<br />
puntato tutte le carte sulla politica tradizionale. Che non ha funzionato.<br />
Da ciò, isolamento e sfiducia. Alcuni hanno reagito raddopiando gli<br />
sforzi, persuasi che bisognasse solo insistere. Altri cercando di galleggiare<br />
alla meno peggio. Altri ancora hanno deciso che, perso per perso, tanto<br />
valeva - nell'interesse geneale – contrattare almeno il meno peggio,<br />
accordarsi coi meno stronzi fra i nemici.<br />
Ora, con Lombardo indagato e tutto il resto, cercano disperatamente una<br />
soluzione. Ma soluzioni non ce n'è. E finiscono per trovarsi<br />
involontariamente arruolati con questo o quel signore della guerra - i vari<br />
Lombardo, Micciché Fiumefreddo, Castiglione e chi più ne ha più ne metta<br />
– che, su oppeste fazioni, cercano classicamete di farsi le scarpe a vicenda<br />
nel momento del patatrac generale.<br />
Ce ne dispiace per Lumia, e anche per diversi nostri amici, giovani e<br />
meno giovani, che nella fretta di colpire questo o quel singolo barone non<br />
riescono più a percepire che la guerra in realtà è contro tutta (indivisibile) la<br />
baronìa.<br />
E va bene. Sono cose banali, lo sappiamo, ma ripetiamole ancora:<br />
l'antimafia, che è politica, può farla solo l'insieme di tutti gli antimafiosi. Se<br />
vi si intrufolano altri, non funziona. Se ci si allea con gente strana, non<br />
funziona. Se si comincia a distinguere, non funziona. Se ci sente “isolati”,<br />
non funziona.<br />
Adesso funzionerebbe come noi mai, perché il nemico è confuso, perché<br />
re e duci litigano, perché i sacrifici che esigono son diventati davvero<br />
troppo grossi. Sarebbe automatico, e semplice, vincere in un momento come<br />
questo. Ma forse è troppo semplice, per i complicati politici che ormai<br />
siamo diventati.<br />
E non parliamo più della Fiat. E ci illudiamo che il regime caschi – forse<br />
– per una mera storia di puttane. E ci prepariamo ad accogliere tutti contenti<br />
Fini, Draghi, Montezemolo, Lapo Elkann, Dino Grandi, Casini, chiunque i<br />
poteri forti vogliano imporci al posto dell'ormai inusabile duce.<br />
Facciamo motti di spirito, belle frasi, e battute indignate e ipotesi da<br />
farmacia. E non parliamomo più di Fiat. E di mafia pochissimo. E non<br />
parliamo mai affatto, imperdonabilmente, di sciopero antimafia e antifiat,
sciopero generale.
16 novembre 2010<br />
LA LUNGA E PROGRAMMATA AGONIA DEL CAUDILLO<br />
Quando Francisco Franco venne finalmente chiamato a render conto al<br />
tribunale del Signore, fra i cortigiani si levò un'onda di paura: che sarebbe<br />
accaduto ora? Chi avrebbe protetto più il loro regno, quell'eden di banchieri<br />
“cattolici” e di puttane devote pazientemente costruito anno dopo anno?<br />
Mentre il vecchio caudillo agonizzava, cortigiani e banchieri trovarono la<br />
soluzione: “Lasciamolo agonizzare”, disse qualcuno. “Facciamolo<br />
agonizzare più a lungo che si può. E così avremo il tempo di organizzare la<br />
transizione”.<br />
E così fu. L'agonia del tiranno fu spaventosa: tubi e tubicini lo tennero in<br />
un'improbabile “vita” per mesi e mesi mentre finanzieri e vescovi<br />
organizzavano freneticamente la successione. Le cose poi non andarono per<br />
il giusto verso, fra il re improvvisamente democratico e gli operai fin troppo<br />
prevedibilmente incazzati (oggi si chiamano Fiom, allora Comisiones<br />
Obreras).<br />
L'idea della lunga agonia però non era male, pensano – oggi, in Italia –<br />
finanzieri e cortigiani. “Tiriamo in lungo le cose - pensano lor signori -<br />
avremo tempo di trovare se non un altro Berlusconi (di quelli la<br />
Provvidenza ne manda solo uno per secolo) almeno uno che in qualche<br />
modo faccia il suo lavoro essenziale: far pagare la crisi ai maledetti poveri e<br />
non ai miliardari innocenti, che saremmo noi”.<br />
Ed ecco perché, se l'economia corre, la politica va a rilento. L'economia<br />
va – letteralmente – a rotta di collo, alla marchionesca: produrre male,<br />
perdere i mercati uno dopo l'altro (si stanno vendendo la Ferrari, non si sa se<br />
ai tedeschi o ai coreani) ma intanto ristrutturare le fabbriche senza contratti<br />
fissi e senza sindacato. Pomigliano, Torino, poi altre decine di fabbriche, poi<br />
l'Italia intera: e senza opposizione concreta di nessuno, nè a “sinistra” nè a<br />
destra, salvo quella – ma forte e dura, e ovviamente ignorata – degli operai.<br />
La politica segue piano piano, con moltissimo fumo e poco arrosto. Chi<br />
sarà il successore di Temonti (il vero primo ministro, se non ve ne siete<br />
accorti, al capezzale del Papi lo sta facendo lui)? Il banchiere Draghi,<br />
ufficialmente proposto da Scalfari con parole forbite? Tremonti stesso, se<br />
Bossi finalmente si decide? Casini, Fini, Montezemolo, Carrero Blanco?<br />
E chi lo sa. Non abbiamo la più pallida idea di quello che si discute in
quelle stanze, nè averla ci servirebbe, tanto decidono tutto loro. C'interessa<br />
invece moltissimo che cosa si va preparando <strong>dal</strong>le parti nostre, l'opposizione<br />
politica, la sinistra. Qui le cose, se si considera bene, non vanno male.<br />
La sinistra, per cominciare, ha sempre più voglia di essere di sinistra (e<br />
capirai, con 'sta crisi) e non di centrosinistra, di centro o di qualche altra<br />
cosa. <strong>Un</strong> segnale?<br />
Le primarie Pd di Milano, dove ha vinto non Vendola ma Berlinguer: vale<br />
a dire il realismo, la nostalgia, il “basta con queste chiacchiere”, il<br />
“lavoratori!”, il buon vecchio Pci dei tempi andati.<br />
Nella base Pd questa è una minoranza (e infatti la partecipazione alle<br />
primarie è stata abbastanza minore del previsto), ma è la minoranza politica,<br />
l'unica che crede ancora nel partito e nella politica in generale (le<br />
“opposizioni” dentro il Pd, Chiamparino, Veltroni o il terrificante Renzi,<br />
contestano Bersani qualunquisticamente e da destra).<br />
Farà in tempo questa minoranza, avrà la forza di costruire un blocco<br />
politico (quello sociale c'è già, ed è la manifestazione Fiom del 16 ottobre)<br />
veramente democratico, berlingueriano?<br />
E Vendola, ce la farà Vendola - dacchè il dio dei bambini, come diceva<br />
Luca Orlando, l'ha scelto - a essere più di Vendola, a diventare se stesso?<br />
Non ci servono i leader, proprio per niente. Servono compagni seri e<br />
“quadrati”, collettivi.<br />
Vendola, non per sua colpa, non lo è (io sono ancora impaurito<br />
<strong>dal</strong>l'orrenda maniera con cui lui, Fava, Bertinotti e Ferrero riuscirono, fra<br />
tutti, a balcanizzare Rifondazione) ma, se dà retta a se stesso, al Vendola<br />
reale e non dei media, può diventarlo.<br />
Non l'improbabile leader di un centrosinistra confuso ma il capo di una<br />
sinistra organizzata e compatta che ora non c'è e che, col 10-15 per cento di<br />
elettorato su cui può contare, diventerebbe l'arbitra della Terza Repubblica,<br />
sia al governo che all'opposizione.<br />
Personalmente, per fidarmi di Vendola, ho bisogno di due segnali precisi.<br />
Primo, tolga <strong>dal</strong> suo simbolo quell'orribile “con Vendola” (“con Di Pietro”,<br />
“con Beppe Grillo” ecc.) che è leaderistico e perciò di berlusconiano.<br />
Secondo, scarichi pubblicamente il traditore Sansonetti che in Calabria,<br />
dopo aver fatto il crumiro e aver licenziato i giornalisti antimafiosi, ora<br />
esalta i fascisti e i mafiosi del Boia Chi Molla.<br />
* * *<br />
Infine. Ho molta simpatia per Saviano e quindi lo prego di smetterla di
dire cose che dette da un altro sarebbero sciocchezze e dette da lui sono<br />
sciocchezze lo stesso.<br />
Mi riferisco a quelle su Peppino Impastato (che non a caso hanno<br />
suscitato la reazione, eccessiva, di Umberto Santino) e soprattutto ora su<br />
Alfredo Galasso.<br />
Gli addetti ai lavori sanno che le mie relazioni con lui adesso non sono<br />
purtroppo delle migliori, ma ciò non toglie che Alfredo Galasso sia stato<br />
uno degli eroi dell'antimafia, in momenti in cui c'erano pochi applausi e<br />
molta solitudine, e che presentarlo (come in sostanza ha fatto Saviano)<br />
come uno della “fabbrica del fango” sia irresponsabile, ingiusto e<br />
profondamente sbagliato. Io, fossi in Saviano, presenterei le mie scuse. Ma<br />
anche Saviano, forse, deve ancora imparare a diventare completamente<br />
Saviano.
21 novembre 2010<br />
IL PATTO<br />
Brescia: espulsi i capi operai, liberi e trionfanti gli stragisti. Viviamo in<br />
un Paese così. La piccola politica non basta<br />
“Andreotti Giulio, anni dieci. Berlusconi Silvio, anni otto. Cuffaro<br />
Salvatore detto Totò, anni sette. Lombardo Raffaele, anni due e mesi sei...”.<br />
No, non è quello che stavate pensando. E' semplicemente il numero degli<br />
anni in cui la Repubblica Italiana e la Regione Siciliana sono state<br />
governate da politici ufficialmente e giudiziariamente in contatto con<br />
mafiosi. Per un terzo della nostra storia civile, quindi, siamo stati<br />
comandati da gente che s'intendeva coi mafiosi. Questo è il Patto.<br />
Il Patto non esclude patti minori - anzi, li esalta - ma non coincide con<br />
essi. Questi ultimi possono essere considerati delle patologie del sistema,<br />
ma il Patto è una fisiologia.<br />
Uccidere Falcone, ad esempio, può essere stata una scelta eccezionale,<br />
una patologia. Ma se ciò è stato fatto per impedirgli di portare Ba<strong>dal</strong>amenti<br />
(tramite Buscetta) a rivelare gli incontri Cosa Nostra-Governo - rivelazioni<br />
che ora sono agli atti della Storia ma vent'anni fa avrebbero rivoluzionato il<br />
Paese – uccidere Falcone allora non sarebbe più una decisione occasionale,<br />
un caso estremo, ma una componente fisiologica, necessitata, del Patto. Lo<br />
stesso per Borsellino, ucciso <strong>dal</strong>la mafia ma non per essa.<br />
Il Patto, agli albori della Repubblica, consiste in questo: l'Italia è un paese<br />
civile, con libere elezioni, ma fino a un certo punto. Mezza Italia resta prerepubblicana,<br />
feudo senza diritti del grande latifondo. L'altra metà è<br />
repubblica, ma con un confine preciso: in nessun caso può andare al<br />
governo il partito dei lavoratori dipendenti, che per ragioni storiche si<br />
chiamava comunista.<br />
Entro questi binari, la vita della repubblica andava avanti tranquilla. <strong>Un</strong><br />
nord corporativo e democratico, e tutto sommato europeo, in cui lo Stato<br />
finanziava gli imprenditori e questi garantivano la piena occupazione. <strong>Un</strong><br />
sud largamente autonomo ma non ribelle, in cui i grandi proprietari terrieri<br />
si evolvevano in “imprenditori” e i loro armati in moderni mafiosi. Due<br />
insiemi collegati <strong>dal</strong>la Dc e <strong>dal</strong>l'emigrazione.<br />
Nei momenti di crisi (l'occupazione delle terre, l'autunno caldo)<br />
s'interveniva con mezzi forti: Portella delle Ginestre, Piazza Fontana. Ma
erano casi estremi. A poco a poco la crisi rientrava (i contadini emigravano,<br />
gli operai accettavano la ristrutturazione industriale) e tutto tornava nella<br />
normalità. Che era una normalità italiana, legata al Patto.<br />
* * *<br />
Il nostro - sto parlando del <strong>Sud</strong>: ma ormai arriva a Milano - è un Paese<br />
antichissimo, molto più antico della politica. Da noi la destra non è quella<br />
parte del parlamento che siede alla destra dell'onorevole speaker, è proprio<br />
il padrone feroce, nato sulla zolla; e la sinistra non è un club di gentlemen<br />
riformisti, è generazioni infinite di contadini. La paura, la fame, muovevano<br />
reciprocamente i due mondi.<br />
Certo: poi venne De Gasperi, venne Togliatti; ci siamo inciviliti<br />
parecchio, nei nostri anni belli, prima di diventare quel che siamo. Ma<br />
l'imprinting è quello: una lotta di classe a volte umanamente “politica”, altre<br />
volte feroce. In altri Paesi simili (la Grecia del dopo-guerra, la Spagna di<br />
Franco) questa lotta di classe fu risolta con stragi di centinaia di migliaia di<br />
cittadini. In Italia col Patto.<br />
* * *<br />
A Brescia, in questi giorni, sono accadute - per singolare coincidenza,<br />
quasi insieme - due cose che ci ricordano cos'è stato in pratica, e cosa<br />
ancora è ogni volta che gli si lascia via libera - la gestione del potere in<br />
questo paese. Sono stati esiliati d'autorità, con un ottocentesco foglio di<br />
polizia, i capi di una pacifica manifestazione di operai; ché tali erano i<br />
senegalesi della gru, prima ancora che forestieri o immigrati: operai.<br />
Ed è stata definitivamente dichiarata impunita la strage del maggio '74 di<br />
Brescia, di trentasei anni fa. Otto italiani ammazzati, feriti più di cento: la<br />
giustizia, impotente, alza le braccia.<br />
Perseguitati gli operai, liberi e trionfanti gli stragisti: questo è lo stato del<br />
mio Paese nell'anno di grazia 2010. Non sarà la politica piccola a<br />
sollevarlo.<br />
Maroni, spingendo Tremonti, tradisce Berlusconi in proprio o per conto di<br />
Bossi? Chi ha spinto la Carfagna a quest'ultima storia di Bocchino?<br />
Lombardo è più o meno mafioso di Cuffaro?<br />
E che ce ne frega. Pensiamo alla politica seria, almeno noi. Cacciare<br />
Berlusconi, deridere i suoi cortigiani, sberlursconizzare la sinistra: vi pare<br />
un programma da niente?
1 dicembre 2010<br />
DOPO PIÙ DI VENT'ANNI FINALMENTE INDAGATO MARIO<br />
CIANCIO<br />
"Concorso esterno in associazione mafiosa” è l'intestatazione del<br />
fascicolo intestato <strong>dal</strong>la Procura di Catania all'imprenditore Mario<br />
Ciancio. Da decenni al centro delle inchieste dei pochi giornalisti liberi<br />
della città, l'editore catanese - a lungo presidente degli editori italiani - era<br />
diventato uno degli uomini più potenti non solo della Sicilia ma di tutto un<br />
sottobosco italiano politico-imprenditoriale. Ai suoi piedi intellettuali e<br />
politici, mafiosi e principi del foro: vent'anni di servilismo, connivenza e<br />
omertà<br />
Dopo più di vent'anni, finalmente alla Procura di Catania si accorgono<br />
che esiste un Mario Ciancio. Lo indagano, a quanto pare, per uno dei tanti<br />
centri commerciali; si parla di concorso per associazione mafiosa, ma<br />
alcuni sembrano anche orientati (se non cambieranno idea) a indagare sul<br />
terrificante episodio dell'editoriale di Vincenzo Santapaola, pubblicato su La<br />
Sicilia sotto forma di lettera al giornale.<br />
Vent'anni di articoli sui Siciliani, sui Siciliani nuovi, su Avvenimenti,<br />
sull'Isola Possibile, su U<strong>cuntu</strong> e infine da qualche mese anche su altri<br />
giornali son dunque infine serviti a qualcosa? Riusciremo a vedere, nei<br />
prossimi vent'anni, non solo le prime indagini ma anche un po' di giustizia?<br />
Forse il clima politico, di si-salvi-chi-può e di sfacelo generale, potrebbe<br />
aiutare a vincere tante annose timidezze. Forse - poiché nulla è impossibile -<br />
una genuina volontà di giustizia s'intrufola persino nei palazzi<br />
tradizionalmente più lontani da essa, come - a Catania - quello di Giustizia.<br />
Chi lo sa. In ogni caso, a caval donato non si guarda in bocca.<br />
Descrivere tutte le imprese - in senso imprenditoriale e no - di Ciancio, i<br />
sui incontri e rapporti con mafiosi di vario genere, i suoi intrecci politici, i<br />
suoi interessati sostegni, di volta in volta, a tutti i politici catanesi - da Andò<br />
a Drago, da Bianco a Scapagnini - sarebbe troppo lungo per queste pagine;<br />
del resto l'abbiamo già scritto in tante pagine che chi ne ha voglia può<br />
rileggersele in santa pace.<br />
Per ora, vogliamo solo sottolineare l'estremo servilismo con cui il ceto<br />
intellettuale e politico di questa città si è prestato a fargli da corte e a<br />
difenderlo in ogni occasione, <strong>dal</strong>l'elegante “fascista” Buttafuoco al feroce
“compagno” Barcellona. <strong>Un</strong>a vergogna che sarà difficile cancellare.<br />
Riccardo Orioles<br />
* * *<br />
“IL TERMINALE E IL GARANTE DI UN SISTEMA DI POTERE”<br />
Per vent'anni abbiamo indicato, fatti alla mano, Mario Ciancio come il<br />
terminale e il garante di un sistema di potere.<br />
Per vent'anni abbiamo denunziato le menzogne dei suoi giornali, le<br />
contiguità alla mafia, l'omissione quotidiana della verità.<br />
Ci rincuora apprendere che esiste un giudice anche a Catania.<br />
Claudio Fava
10 dicembre 2010<br />
WIKILEAKS E IL PANICO DEL SISTEMA<br />
La vera notizia è la reazione alle "rivelazioni"<br />
Non è che poi Wikileaks abbia fatto 'ste gran rivelazioni. Le cose che<br />
sono uscite più o meno si sapevano già prima: certo, a vederle tutte insieme<br />
il panorama è molto più desolante che a leggerle una per una: politici bestie,<br />
bombardamenti casuali, governi semimafiosi, guerre fatte per soldi e<br />
compìti diplomatici che ruttano fragorosamente ai pranzi ufficiali. E allora?<br />
Perché s'incazzano tanto?<br />
Perché il senso di panico, a sentirsi sbattere le cose in faccia senza poterci<br />
far niente, ha fatto letteralmente impazzire tutti quanti. “L'ha detto la<br />
televisione”, diceva una volta la gente, e quella la puoi controllare. Ma ora:<br />
“L'ha detto internet!”. E qua, con tutto il potere, non ci puoi far niente.<br />
La vera notizia allora è questa: il panico da ancient régime che ha travolto<br />
selvaggiamente tutti, <strong>dal</strong> non-occidentale Putin all'occidentalissima Clinton.<br />
“Arrestatelo!”, “Minaccia il mondo!”, “Pena di morte!”, “Fatelo fuori alla<br />
svelta!”. Non sono i talebani a gridarlo o i mandarini cinesi, ma proprio i<br />
nostri civilissimi e acculturati parlamentari e ministri. La Svizzera, a un<br />
certo punto, ha addirittura sospeso i conti del povero Asange: non l'aveva<br />
fatto con Hitler, non lo fa coi mafiosi - lo fa con Wikileaks, cioè con<br />
internet, che evidentemente gli fa molta più paura.<br />
Con il che, è detto tutto: se i banchieri svizzeri, cioè il cuore del cuore del<br />
- chiamiamolo così - Sistema hanno rinnegato se stessi, figuriamoci gli altri.<br />
Il diritto di cronaca ufficialmente non esiste più e il giornalismo è<br />
fuorilegge. Non solo in Iran o in Cina ma proprio qui da noi, in America e<br />
Europa. E la libertà? E il liberismo? E chi se ne fotte.<br />
Zoom sulla Sicilia, a Catania e Palermo, dove era già così da trent'anni (le<br />
inchieste su Ciancio indicano solo la cattiva coscienza in tempi complicati<br />
del Palazzo, non certo una qualunque voglia di cambiare): c'è democrazia in<br />
Sicilia? si può fare cronaca? si può parlare liberamente?<br />
Va bene, non si può, rispondevamo fino a poco tempo fa: ma a Milano,<br />
ma a Roma, ma a Washington... Ecco: la novità è che si vanno<br />
catanesizzando Roma Milano e Washington, vanno abolendo<br />
l'informazione.<br />
O almeno, questa sarebbe l'intenzione. Ma in realtà la gente è molto meno
malleabile di prima, non perché più colta o più civile (anzi) ma perché ha a<br />
disposizione tecnologie che prima non aveva. Puoi impiccare Asange, ma<br />
internet chi lo impicca?<br />
Tanti piccoli Asange (ma no, non personalizziamo: nell'internet non si<br />
usa) spunteranno, e in effetti già spuntano, dappertutto. E' la stessa<br />
tecnologia che li produce: dopo Gutenberg era solo questione di tempo<br />
perché venissero fuori tanti Luteri.<br />
Va bene, lavoriamo per questo. Tranquillamente perché tanto il trend è<br />
questo e non c'è nessuna ragione di eccitarsi. Stampa batte amanuense,<br />
borghese batte vescono, Rete batte Sistema: prima o poi.<br />
Pensare globalmente, agire localmente: è tornata ad uscire la Periferica e<br />
questa, nel nostro piccolo, è una delle tipiche buone notizie. Sta<br />
funzionando male la connessione Sicilia-Bologna e la Catania-Ragusa:<br />
questi, nel nostro piccolo, sono i nostri guai. E lavoriamo da gnomi, da<br />
formichine, senza una lira ma cantando allegramente come i Sette Nani,<br />
perché sappiamo benissimo che sono guai risolvibili mentre le buone notizie<br />
sono semi di alberi grandi, il cui frusciare, se tendete le orecchie, lo sentite<br />
già.<br />
* * *<br />
E' buffa la politica, sempre la stessa: liberali e borboni si contrastano,<br />
dentro e fuori il Circolo dei Civili, mentre in campagna e sui lontani monti i<br />
contadini...<br />
Due mondi lontanissimi, qualche volta s'incrociano, ma sfuggenti. E come<br />
si chiamano i contadini oggigiorno? Ricercatori disoccupati? Precari?<br />
Ragazze che in mancanza di meglio fanno il concorso per velina?<br />
Metalmeccanici? Tutti questi, e altri ancora. Nell'ottocento, del resto, non<br />
c'era solo l'Operaio Sfruttato: c'era anche il Coolie, il Professore, il<br />
Marinaio, l'Impiegatuccio, la Fioraia... E' complicato il mondo, ma lo era<br />
già prima.<br />
(A proposito di politica: una volta, in tempo d'elezioni, il privilegio di<br />
rovinare la sinistra spettava ai pezzi grossi, tipo Veltroni-D'Alema. Adesso,<br />
a quanto pare, se lo possono permettere anche i poveri Renzi da tre soldi.<br />
Sarà democrazia...).
22 dicembre 2010<br />
IL POLITICO E IL RAGAZZO RUMENO<br />
<strong>Un</strong>o vende i voti. L'altro piglia le luparate<br />
Da Barcellona Pozzo di Gotto - ridente cittadina tirrenica, ad alto tasso<br />
mafioso - sono giunti alle cronache due nomi. <strong>Un</strong>o, a modo suo<br />
famosissimo, è Domenico Scilipoti, l'ultimo Giuda di quel povero cristo di<br />
Di Pietro e anche, indirettamente, di noi tutti. Pagine e pagine ha avuto, dai<br />
giornalisti di palazzo: ha esternato in tv le sue ragioni, ostentando disprezzo<br />
per quei trenta denari.<br />
L'altro nome è quello di un ragazzo rumeno di vent'anni, tale Petre Ciurar.<br />
Stava in una baracca lungo la ferrovia, con la moglie e un bambino di nove<br />
mesi, una di quelle baracche che periodicamente i barcellonesi più attenti<br />
alla politica nazionale vanno a incendiare con la benzina.<br />
Stavolta niente fiaccole, ma colpi di pistola e lupara: Petre è morto così<br />
(era in Italia da un mese: che “sgarro” aveva potuto commettere nel<br />
frattempo?), la donna è rimasta lievemente ferita e il piccolo, chissà come,<br />
del tutto illeso. I carabinieri indagano, non escludono mafia, ma più che<br />
altro pensano a un atto di “semplice” razzismo.<br />
La notizia è stata data <strong>dal</strong> corrispondente del giornale locale - non l'ha<br />
ripresa nessuno -, il giorno dopo è arrivata la notiziola (più breve)<br />
dell'autopsia, e poi non se n'è parlato più. Tutto questo è successo più o<br />
meno negli stessi giorni, e forse a pochi chilometri di distanza, in cui il buon<br />
Scilipoti faceva alta politica col governo.<br />
* * *<br />
Ecco, di questo parliamo quando parliamo di questi giorni. Puoi morire<br />
così, a luparate e in silenzio, come un sindacalista anni Cinquanta, se sei un<br />
rumeno. Certo, c'è stata violenza quel giorno a Roma. Vetrine rotte, sassi<br />
gettati e altri atti sciocchi. Ma molta di più ce n'è stata, in quei giorni, a<br />
Barcellona. Quella contro Ciurar, sottouomo rumeno, senza diritti. E quella<br />
contro di me, cittadino italiano, con diritti, la cui volontà elettorale è stata<br />
venduta e comprata da Scilipoti e Berlusconi.<br />
Di questo stiamo parlando quando parliamo di cosa fare. La violenza è<br />
pesante, la violenza dilaga, non son tempi normali. Chi ammazzeranno, il<br />
prossimo? Sarà un altro zingaro, o un negro? Che cosa mi ruberanno, la<br />
prossima volta? Già comprano e vendono i voti, già non mi fanno votare.
Io i sassi miei a suo tempo li ho gettati (ma ero in compagnia ottima:<br />
Peppino Impastato, Rostagno) e ho le idee chiarissime su quando servire<br />
possono e quando sono solo uno sfogo. Adesso, con tutto il rispetto, non<br />
servivano. Non credo che ci vogliano gran prediche, neanche fatte da me<br />
che pure sono fra i più credibili perché non ho una lira in tasca.<br />
Credo che dobbiamo invece ragionare seriamente su come si sta in piazza<br />
nel 2010 - in questa che, per noi bianchi, non è una società repressiva ma<br />
una società dell'imbroglio - non per “moderarsi”, per fare i bravi ragazzi, ma<br />
proprio per fare danno, per togliere consenso e forza al Berlusconi di adesso<br />
e ai berluschini che seguiranno subito dopo. Hutter, sul blog del Fatto, ha<br />
detto delle cose serie. Serie perché dette da Hutter, che non è un fighetto da<br />
dibattito ma uno che, ai tempi suoi e miei, ha affrontato i poliziotti cileni di<br />
Pinochet.<br />
* * *<br />
Partiamo da un dato semplice: il governo è illegale. Perché? Perché<br />
compra i voti in parlamento. Non è una battaglia politica, quella di questi<br />
giorni – e già sarebbe nobilissima, coi ragazzini in piazza a difendere il<br />
maestro Manzi, il mio professore di greco, le tabelline insegnate al popolo,<br />
l'aritmetica e la grammatica, la Scuola.<br />
E' la disperata difesa del mio Paese, l'Italia, diverso <strong>dal</strong>la Libia di<br />
Gheddafi e <strong>dal</strong>la Russia di Putin. Per questo, non possiamo commettere<br />
errori.<br />
Fra loro, fra i politici, non è successo niente. “Il governo può continuare”,<br />
“ha ragione Marchionne”, “mica vogliamo le elezioni”. Si accorderanno.<br />
Ma noi no, per noi non continua così. Rassegnati, routinati, di nuovo a<br />
mordicchiarsi a vicenda: così, per loro politici, è il giorno dopo. Bersani<br />
sotto assedio, i “rottamatori” che rottamano, Veltroni che aleggia e Fini e<br />
Montezemolo e Casini: di questo stanno parlando, questo è importante per<br />
loro. Ma per noi no, noi non possiamo affrontare un altr'anno così.<br />
* * *<br />
“O le sassate o Casini”: questo, in estrema sintesi, ciò che ci sbattono in<br />
faccia i gattopardi. Ma noi non vogliamo né sfogarci coi sassi né regalarci a<br />
Marchionne sotto le vesti di Fini o Casini. Vogliamo un governo diverso,<br />
con una maggioranza reale. Perché non siamo affatto minoranza, noi, nel<br />
paese vero: siamo soltanto divisi. Vogliamo un governo serio, civile,<br />
democratico, più forte della Fiat e dei veri padroni.<br />
Non ce lo può dare il centrosinistra, non ne ha la forza da solo. Non ce lo
può dare se si allarga a destra – dovrebbe tradirci, prima. Ce la può fare solo<br />
se si allarga sì, ma trasversalmente, saltando sopra gli apparati, unendosi<br />
alla società civile.<br />
Per questo ci serve una candidatura forte, una candidatura non “politica”<br />
ma sociale. Non l'uomo forte”, il salvapopolo (ce n'è già tanti) ma un<br />
Pertini. Non c'è lotta sociale più acuta di quella che conduciamo ogni<br />
giorno, noi antimafiosi, contro i poteri mafiosi. Poliziotti e compagni, operai<br />
e insegnanti, “moderati” e ribelli, qui e solo qui siamo nello stesso fronte,<br />
siamo uniti.<br />
Rostagno e Borsellino, La Torre e <strong>dal</strong>la Chiesa: ma non lo sentite cosa vi<br />
dicono, insieme, questi nomi? Perché non partire da qui? Di che avete<br />
paura? E' una cosa reale, questa, non un'utopia.
30 dicembre 2010<br />
SCIOPERO GENERALE? SI', MA ANTIMAFIOSO<br />
L'impresa-mafia sempre più potente<br />
Cos'è cambiato da allora? Allora la mafia comandava a Catania, ora in<br />
tutta Italia. Ha i suoi sottosegretari, i suoi governatori, i suoi opinion maker<br />
riconosciuti. Questo per limitarci a quelli ufficialmente riconosciuti, se no<br />
dovremmo aggiungere “i suoi ministri e i suoi presidenti”. E i suoi<br />
imprenditori, naturalmente, che non è una novità.<br />
La cosa più importante, tuttavia, non è che la mafia è forte, è che viene<br />
imitata. Il suo modello, cioè, più o meno consciamente è diventato il<br />
modello vincente di quasi tutta la politica e di buona parte dell'impresa. Non<br />
più solo a Catania, ma anzi soprattutto a Roma e Milano.<br />
Queste ultime, nei confronti di Catania, sono quel che Catania era una<br />
volta nei confronti di Palermo: il posto dove la mafia “non esiste”, il posto<br />
dove “non ammazzano nessuno”, il posto dove “non facciamo l'esame del<br />
sangue agli imprenditori” e dove il boss Santapaola giocava a bridge nei<br />
migliori circoli della città. <strong>Un</strong>a mafia moderna, insomma, digeribile e<br />
perbene. I catanesi credevano di essere ancora a Catania e invece erano già<br />
a Corleone, a Medellin, nel terzo Mondo.<br />
* * *<br />
E noi, dove siamo adesso? Qualche esempio veloce, per capirci in fretta.<br />
Buona parte degli affari per l'Expo di Milano (il business del decennio), e<br />
comunque quasi tutto il movimento terra, ruotano attorno a capitali<br />
calabresi. L'altro giorno a Vibo Valentia un tale, che aveva ruggini con una<br />
famiglia vicina, l'ha sterminata freddamente - otto morti - in un vero e<br />
proprio scontro fra clan tribali. L'esercito italiano, tuttavia, non pattuglia<br />
Vibo Valentia (o Rosarno) ma Kabul.<br />
Cacciata (grazie ai Siciliani) da Catania la Famiglia Rendo, quella di cui<br />
parlavano Fava e <strong>dal</strong>la Chiesa, si è riciclata in America e in Est Europa.<br />
Negli Stati <strong>Un</strong>iti una società da lei acquisita del '96, la Invision, ha ottenuto<br />
anni fa l'appalto della security dei venti principali aeroporti nazionali. In<br />
<strong>Un</strong>gheria, la Famiglia ha acquisito diversi quotidiani a Budapest,<br />
ristrutturandoli a modo suo. In quel Paese, due settimane fa, hanno<br />
approvato una legislazione sui media estremamente repressiva.<br />
Nel Sinai, a poche ore di volo da qui, alcune centinaia di emigranti sono<br />
stati catturati da una banda di beduini, che li ha tenuti in ostaggio per
settimane, violentando donne, uccidendo uomini e rivendendone gli organi<br />
a cliniche clandestine. Tutto ciò nell'indifferenza del governo locale e della<br />
comunità internazionale, che proprio in questo caso, quando avrebbe fatto<br />
benissimo a mandar truppe, non è intervenuta.<br />
Alcuni degli emigranti, dopo, sono stati arrestati <strong>dal</strong>la polizia egiziana per<br />
immigrazione clandestina. I governi egiziano e, libico, infatti, sono<br />
lautamente finanziati dai peggiori governi europei - fra cui il nostro - per<br />
stroncare l'emigrazione in Europa con qualunque mezzo, compresi<br />
terrorismo e tortura.<br />
* * *<br />
"Accordo storico e positivo" ha detto Berlusconi del minestra-finestra di<br />
Marchionne. Ci mancherebbe altro. Per non lasciare equivoci, subito dopo<br />
ha detto che ce l'ha con i “magistrati eversivi” e con gli studenti (escluse,<br />
probabilmente, le veline).<br />
Stupisce che di fronte a un nemico così determinato (un sindacalista ha<br />
ricordato che l'ultimo episodio del genere risale al 1925, quando Mussolini<br />
abolì nelle fabbri che le commissioni interne, a manganellate) la si nistra sia<br />
così farfugliante e incerta, com preso il buon Bersani, che pure ultimamente<br />
aveva fatto sperare bene.<br />
Qualcuno, come Fassino (che a suo tempo elogiò Craxi e lo mise anzi fra<br />
i padri fondatori) si schiera direttamente con Marchionne: ”Fossi un operaio<br />
voterei per lui”. “Prova a fare l'operaio per davvero”.<br />
* * *<br />
Se tutto ciò porterà, come ci sembra logico, a uno sciopero generale, a noi<br />
piacerebbe moltissimo che fosse anche uno sciopero generale antimafia.<br />
<strong>Un</strong>o sciopero del genere, in realtà, di fatto non potrebbe che essere<br />
antimafia, visto chi sono buona parte dei peggiori imprenditori: ma sarebbe<br />
bene che lo fosse anche esplicitamente.<br />
Lo sciopero antimafia sarebbe non un momento, ma il momento decisivo<br />
dello scontro italiano, e bene fa la segretaria della Cgil (a proposito, avete<br />
notato che l'unica donna importante, nella politica italiana, sta proprio alla<br />
Cgil?) a non volerlo scagliare senza una perfetta preparazione.<br />
Lo scontro, e questo è sempre più chiaro, molto più che politico è sociale.<br />
Difficilmente sarà deciso <strong>dal</strong>la “politica” (con questo termine in Italia si<br />
indica un ceto di circa duecentomila persone, che si chiamava la noblesse in<br />
Francia nel 1788). Eppure di una politica c'è bisogno, e non improvvvisata<br />
nè casuale.
* * *<br />
“... L'incarico di formare un governo ad un uomo al di fuori dei partiti,<br />
con una forte caratura economica e/o costituzionale.<br />
Personaggi adeguati da un tale incarico ce ne sono in abbondanza, a<br />
cominciare <strong>dal</strong> governatore della Banca d'Italia... (...). Per salvare la<br />
continuità politica, il Capo dello Stato avrebbe potuto perfino affidare<br />
l'incarico ad un eminente della maggioranza berlusconiana, del tipo di<br />
Gianni Letta, di Pisanu, di Tremonti...”.<br />
L'idea di una soluzione di “salute pubblica” ormai come vedete si affaccia<br />
- questo era Scalfari - anche nella classe dirigente: che però pensa a<br />
banchieri o a notabili illustri, magari ex (o moderatamente) berlusconiani.<br />
Congelare tutto, e poi si vedrà<br />
Ma la crisi è tanto urgente e tragica, soprattutto per la presenza dei poteri<br />
mafiosi, che prendere tempo non servirebbe a niente, e men che mai<br />
affidarsi (ancora) a banchieri e imprenditori.<br />
Se “salute pubblica” dev'essere, lo sia davvero, non dando il potere ai<br />
notabili ma ai resistenti con le carte in regola, sul precedente del Cln.<br />
Governo di Resistenza, unitario ma ostile ai padronati, e con alla testa non<br />
un imprenditore o un banchiere ma un uomo dell'antimafia, un servitore di<br />
Stato.<br />
Buon anno.
5 gennaio 2010<br />
E COMINCIA UN ALTR'ANNO DEI SICILIANI<br />
Rete, giornale di internet, ebook: gli obbiettivi<br />
Questo numero di U<strong>cuntu</strong>, il giornale che raggruppa i fogli e l'internet<br />
dell'antimafia sociale, è un strumento di lavoro. Abbiamo creduto utile<br />
infatti fornire ai nostri lettori e a tutti i simpatizzanti e militanti antimafiosi<br />
un breve riepilogo della densissima storia dei Siciliani, non solo come<br />
giornale ma anche (e in questo caso soprattutto) come movimento di<br />
liberazione.<br />
Abbiamo dunque dato particolare risalto ai momenti più “politici” (non<br />
mai, ovviamente, di partito) di essa: fra cui SicilianiGiovani, la singolare<br />
esperienza fra scuola di giornalismo e movimento giovanile che formò tutta<br />
una generazione di giornalisti e militanti civili sulla via di Giuseppe Fava.<br />
Esperienza tuttora validissima e quindi da riproporre e studiare non solo<br />
sotto il profilo storico ma anche dell'utilità immediata.<br />
* * *<br />
A tanti anni di distanza, la storia di Giuseppe Fava è una delle pochissime<br />
che ancora continuano ad affascinare i giovani e a dar loro un modello di<br />
giornalismo, di politica e di vita. Fu lui a smascherare i legami fra mafia e<br />
poteri economici e sociali; fu lui a considerare la lotta non come un<br />
semplice “lottare contro” ma anche e soprattutto come un “lottare per”. Non<br />
casualmente, nel primo numero dei Siciliani si parla dei cavalieri mafiosi<br />
(era già una rivoluzione, questo associare mafia e imprenditoria) ma anche,<br />
con pari importanza, di “donne siciliane” e di “amore”.<br />
Amava profondamente la vita; la lotta contro i poteri disumani era per lui<br />
solo un mezzo per liberare profondamente quello che abbiamo dentro, per<br />
conquistare quella felicità e quella gioia che, pur contrastate e difficili, sono<br />
il lato più nobile della condizione umana.<br />
Su questa via ebbe intuizioni fortissime, ben più avanzate<br />
dell'intellettualità ufficiale che lo circondava e che lui abbandonò<br />
coscientemente per affidare tutte le sue chances a noi ragazzi. Non c'è che<br />
Pasolini, nella cultura italiana, ad essergli paragonabile per radicalità e<br />
umanità di pensiero; ma, molto più di Pasolini, egli fu un militante.<br />
Moltissimo resta ancora da scoprire, della sua profondità e poesia, ai<br />
futuri studiosi; a noi che l'abbiamo conosciuto resta la felicità dei ricordi e il
dovere di trasmetterne il più possibile - come facciamo da sempre, e non<br />
senza risultato - ai giovani che via via si affacciano.<br />
Spessissimo il “suo” giornale cambia di nome; eppure, in un quarto di<br />
secolo, ritorna ancora. Siamo già alla quinta generazione (la mia, quella dei<br />
SicilianiGiovani, quella di Avvenimenti, l'Alba e dei Siciliani Nuovi del<br />
'93), quella dei primi anni del nuovo secolo; e questa) di ragazze e ragazzi<br />
che incontrano, immediatamente comprendono e, ognuno alla sua maniera,<br />
ricostruiscono il mondo di Giuseppe Fava.<br />
Pochissimi intellettuali hanno avuto tanta ventura: di fronte alla quale<br />
decisamente sbiadiscono la mediocrità e l'assenza della cultura e della<br />
politica “ufficiali”<br />
* * *<br />
Questi, per noi di Lavori in corso e di U<strong>cuntu</strong> (dei Cordai, della<br />
Periferica, della Fandazione, di Telejato, di Libera, di AdEst, del<br />
Clandestino...) sono giorni di lavoro duro, coi seminari e gli incontri, fra<br />
Palazzolo e Catania, di riepilogo, di progetto, di studio operativo. Tre cose<br />
sono mportanti quest'anno, e sono le nostre sfide.<br />
1) continuare e concretizzare il lavoro di quest'estate a Modica: abbiamo<br />
individuato l'obiettivo giusto - l'integrazione fra le testate, la rete - ma poi ci<br />
siamo arenati; 2) aprire con professionalità e determinazione tutto un settore<br />
nuovissimo (gli ebook mobi epub e pdf, il settore video, la produzione di<br />
“giornali” e libri in questi nuovi formati) che stanno lì ad aspettare<br />
esattamente gente come noi; 3) partire col settimanale di internet,<br />
un'evoluzione di U<strong>cuntu</strong> ma nazionale; se ne discute da molto, con il meglio<br />
di internet (Gliitaliani.it, Antimafia2000, Agoravox, Liberainformazione);<br />
siamo indietro solo per mia mancanza personale, non avendo portato a<br />
termine (per malattie, problemi e altre cose noiose) la quota di lavoro che<br />
dovevo fare. Me ne scuso umilmente e mi impegno a presentare il progetto<br />
entro la fine del mese; questo ovviamente significa aprire tutta una nuova<br />
impresa collettiva.<br />
Il momento è ottimo: più si sviluppano le tecnologie e meno abbiamo<br />
bisogno di imprenditori (che in trent'anni se ne sono sempre fregati sia di<br />
Giuseppe Fava che di noi). Ma ci vuole aggressività, rete fra noi liberi,<br />
voglia di concludere, e competenza.<br />
* * *<br />
Non so come avete passato il capodanno. Di noi, meglio di tutti uno dei<br />
nostri redattori migliori, uno dei più giovani “allora” ma oramai uno dei
veterani: ha trovato un posto di cameriere precario per capodanno e l'ha<br />
passato così, servendo a tavola, con pochi auguri di fretta via sms - c'era da<br />
lavorare. Nè il giornalismo nè l'antimafia ti aiutano a sistemarti, a vivere<br />
come quelli perbene. E anche questa è la strada di Pippo Fava, che si<br />
vendette la casa per i Siciliani.<br />
Ne valeva la pena? Io ritengo di si. E' bella la nostra vita, con tutti i suoi<br />
dolori e le pene, quando la stai vivendo per qualcosa. E quale premio e che<br />
gloria, per Giuseppe Fava, aver saputo suscitare, in così tanti anni, tanta<br />
fedeltà! Nessun altro, o pochissimi, ha mai avuto altrettanto.<br />
Così, buon anno a tutti, amici miei. Vogliamoci bene a vicenda, lavoriamo<br />
insieme, guardiamo avanti, aiutiamoci. E comincia un altr'anno dei Siciliani.
13 gennaio <strong>2011</strong><br />
"UN SALUTO E BUON LAVORO"<br />
LE IDEE NUOVE DI UCUNTU <strong>2011</strong><br />
Si allarga il circuito delle testate in rete. E allora...<br />
Forum 4 gennaio a Palazzolo. Report: 1. 1. Creazione mailing list:<br />
informazione_in_rete@googlegroups.com,<br />
2.2. Ciclo di 4 workshop di giornalismo destinati a noi e a tutti coloro che<br />
vogliono accostarsi al giornalismo e all'uso degli strumenti di<br />
comunicazione multimediali.<br />
Ecco alcune proposte dei possibili temi dei workshop: video inchiesta,<br />
tecniche dell’intervista, cronaca giudiziaria, quadro legale<br />
dell’informazione, free software per l’impaginazione e per il web.<br />
I laboratori si terranno a: Modica, Catania, Raffadari e Corleone.<br />
Ogni testata si occuperà dell’ organizzazione del workshop che si terrà<br />
nella propria città.<br />
I workshop saranno di uno o più giorni in base al periodo, alla<br />
disponibilità dei partecipanti e del coordinatore, al programma e alla<br />
struttura dell’incontro.<br />
Bozza di calendario: a. marzo a Corleone (Corleone Dialogos) b. 25<br />
aprile-1 mag. a Raffa<strong>dal</strong>i (Ad Est) c. giugno a Catania (Lavori in corso) d.<br />
agosto a Modica (Il Clandestino) Periodo, tema, programma e coordinatori<br />
dei workshop devono essere definiti e comunicati entro e non oltre il 15<br />
febbraio.<br />
Tutte le testate devono occuparsi della pubblicizzazione nel proprio<br />
territorio.<br />
3.3. Raccolte di articoli-dossier. Ogni numero comprenderà due pezzi di<br />
approfondimento scritti da ciascuna testata.<br />
Argomenti proposti: a. sanità<br />
b. immigrazione<br />
c. rifiuti<br />
Il primo numero sarà sulla sanità e sarà coordinato <strong>dal</strong> Clandestino che si<br />
occuperà di definire il palinsesto e raccoglierà gli articoli che verranno<br />
impaginati con Open Office. Deadline per l’invio dei pezzi al Clandestino: 5<br />
febbraio. Il secondo dossier sarà sui rifiuti (coordinato da Corleone<br />
Dialogos) e il terzo sull’immigrazione (coordinato da Lavori in corso).
4. Presto Luca manderà le istruzioni per la creazione della finestracontenitore<br />
di notizie che verrà ospitata in tutti i nostri siti e che raccoglierà<br />
le principali notizie postate da ogni testata. Il sistema dei feed rss proposto a<br />
Modica in estate presenta forti limiti dovuti all'automatismo del<br />
meccanismo che crea una moltitudine di notizie indiscriminate e senza<br />
criterio. Luca vi fornirà una spiegazione attenta e dettagliata delle possibili<br />
soluzioni agli inconvenienti sinosra riscontrati.<br />
<strong>Un</strong> saluto e buon lavoro, Sonia<br />
* * *<br />
Beh, io se fossi un imprenditore mafioso mi preoccuperei. “Guarda un<br />
po'! - penserei - Son passati trent'anni da quando Giuseppe Fava cominciò<br />
ad attaccarci a Catania e ancora ne saltano fuori. E questi debbono essere<br />
giovani, fra l'altro. E almeno fossero tipi entusiasti, di quelli che gridano e<br />
poi non fanno niente. Questi sono freddi e cattivi, tipo bolscevichi. Prenderli<br />
per le buone? <strong>Un</strong>a carriera politica, magari nei progressisti? Mi sa che<br />
neanche ci pensano. Ma qual è il punto debole, quale?”.<br />
* * *<br />
Eh, caro mio. Di buchi ne abbiamo tanti, ma almeno non siamo superbi e<br />
quindi sappiamo accorgercene e rimediarli. Contiamo l'uno sull'altro,<br />
abbiamo pazienza (“dammi tempu e ti perciu”, disse alla pietra l'acqua, in<br />
siciliano) e sappiamo fare il nostro mestiere, sia di giornalisti che di<br />
rivoluzionari. Che più? Ma mi scusi, lei mi sta facendo perdere tempo. Se<br />
ne tornasse a mafiare, voscenza, se crede che serva a qualcosa, ché noi qua<br />
c'è da lavorare<br />
* * *<br />
Dunque: buone le idee di Sonia (specialmente le inchieste insieme), ma<br />
proviamo ad aggiungerne altre per andare anche più in fretta. <strong>Un</strong>a, i libri<br />
elettronici (mobi, epub, pdf e quant'altro) che dovrebbero diventare una<br />
routine; tutti i nostri lavori, dossier compresi, dovrebbero uscire in versione<br />
elettronica oltre a quella “normale”.<br />
Due: stiamo usando pochissimo U<strong>cuntu</strong> che ormai, ridendo e scherzando,<br />
è abbastanza diffuso e ha superato il numero cento. Dal prossimo mese,<br />
svoltiamo: due pagine di U<strong>cuntu</strong> le fa, colla propria testata, il Clandestino,<br />
altre due Corleone Dialogos (sempre con la propria testata e senza smettere<br />
ovviamente quel che già sta facendo), e così via. E' facile, basta usare le<br />
pagine-base. Il punto di forza di U<strong>cuntu</strong> è che, grazie a Luca e alla sua idea<br />
di usare Open Office per impaginare, si produce velocemente e senza
problemi. Questo finora l'abbiamo sfruttato poco.<br />
U<strong>cuntu</strong> rinnovato non interferisce, ovviamente, col progetto “grosso” (il<br />
giornale nazionale di internet con Agoravox GliItaliani, Liberainfo,<br />
Antimafia2000 ecc.) che va avanti proprio in queste settimane.<br />
Non interferisce nemmeno col tentativo di giornale citttadino unitario,<br />
sempre con tecnologia OpenOffice, fra i siti d'informazione messinesi<br />
(c'incontreremo a febbraio) che, se funziona, può diventare un modello<br />
anche per altre città.<br />
U<strong>cuntu</strong> però può diventare il giornale unitario dei “rivoluzionari” siciliani<br />
- è la seconda volta oggi che trovo 'sta parola e mi sta piacendo moltissimo,<br />
dopo quarant'anni che non l'usavo :-) - e se funziona può portare a degli<br />
sviluppi inaspettati.<br />
Non dimentichiamo che siamo in tempo di crisi e di scombussolamento<br />
generale, e che se si è forti e chiari si può essere ascoltati anche da molti che<br />
in tempi normali resterebbero muti.<br />
* * *<br />
Resta pochissimo spazio per parlare del resto. Che dire? Io sono “un<br />
cattivo maestro”, Scidà si dedica al “dossieraggio” e il povero Pino<br />
Finocchiaro ha commesso delitti orrendi trent'anni fa. E tutto perché<br />
abbiamo pubblicato una certa foto, su un certo giudice e un tal certo<br />
mafioso, della quale: o è truccata, e allora querelateci; o è vera, e allora<br />
spiegateci che cosa siete. Tutto il resto è "dibbattito" e vale zero.<br />
Tre righe ancora: benvenuti nei Siciliani , caro scrittore Massimo Gamba<br />
e cari (ignorati dai nobili, ma efficientissimi e combattivi) ragazzi<br />
barcellonesi di “Gramigna”. Insieme, faremo grandi cose. No?
11 gennaio <strong>2011</strong><br />
GLI AMICI DI BABA CONTRO I RAZZISTI<br />
VENERDÌ CORTEO NEL QUARTIERE<br />
A Roma, al Casilino, mobilitazione popolare<br />
Apu, quello dei “Simpsons”, lo conoscete? Bene, esiste davvero, è<br />
davvero indiano e ha davvero un locale cui dedica la vita; l'unca differenza<br />
è' che non si chiama Apu ma Baba e non un locale a Springfield ma qua da<br />
noantri, a Roma, in via Casilina.<br />
Allora, è un po' di tempo che nel locale di Apu, pardon di Baba, arrivano<br />
dei tipi strani, coatti o peggio. Siedono, magnano, bevono, e al momento di<br />
pagare non cacciano una lira. Anzi, con le cattive, si fanno dare soldi lor da<br />
Baba: oggi cinquanta euri, domani cento e così via. <strong>Un</strong> giorno Baba<br />
risponde: “Non ce ne ho”. I tizi, incazzati, escono. La sera, sulla serranda,<br />
quattro colpi di pistola.<br />
Baba, buon cittadino, avverte la polizia. Ma non si fa vivo nessuno, <strong>dal</strong><br />
commissariato. Tornano invece i coatti, più inferociti di prima. Il sette<br />
gennaio portano una tanica di benzina, in pieno giorno, con sette clienti<br />
dentro, e danno fuoco al locale. Ancora polizia assente, ancora silenzio dei<br />
giornali. Ci vuole l'intervento di un avvocato (Simonetta Cresci) per mettere<br />
in moto un giudice, che per prima cosa chiede al commissariato come mai<br />
non l'ha ancora informato.<br />
La gente però comincia a essere stufa al Casilino, specie (ma non<br />
soltanto) i lavoratori immigrati. 'Sti razzisti hanno proprio rotto, non se ne<br />
può più. Così si organizza un corteo, pacifico ma deciso, per venerdì.<br />
Appuntamento alle cinque, al locale di Baba. E poi via per la strada, tutti<br />
assieme.<br />
* * *<br />
Prima di passarvi il testo del volantino (un (un momento, arriva) voglio<br />
dirvi però qual è stata la scalogna di quei coatti (uno è già dentro), come<br />
state leggendo questa pagina (mica le notizie arrivano da sole) e come là al<br />
Casilino s'è messa in moto la gente.<br />
C''è un amico mio, da quelle parti. un Siciliano ad honorem di Addis<br />
Abeba. E' etiope e italiano: a vent'anni ha servito la patria in prima fila,<br />
rischiando ogni giorno la pelle con serietà e disciplina: Palermo, servizio<br />
scorte, scorta armata - negli anni di Falcone - dei magistrati. Si chiama Rudi
Colongo. E' uno che fa di più per l'Italia in un mese che dieci italiani<br />
“perbene” in un anno (e cento leghisti in tutta la vita). Vive, aiuta la gente,<br />
dirige un'associazione di immigrati (“I Blu”: che nome), è coraggioso. E,<br />
nel caso di Baba, è intervenuto.<br />
Se lo incontri e sei un compagno, salutalo con simpatia. Se sei poliziotto,<br />
fagli - ché se lo merita - un bel saluto alla visiera. Se sei un italiano vecchio<br />
e nuovo, carte in regola o senza, con la faccia di qualsiasi colore ma col<br />
cuore rosso e l'anima sveglia - un italiano - allora stringigli la mano, amico<br />
mio. Mani così, da stringere, ne troverai ben poche.<br />
Bene, e ora ecco qua il volantino.<br />
* * *<br />
NO RAZZISMO!<br />
Qui da noi l'immigrato è il capro espiatorio su cui riversare tutta<br />
l'ipocrisia di un ingranaggio assassino: sui giornali e nelle parole dei politici<br />
lo straniero è pericoloso, delinquente, clandestino, terrorista. Ma se c'è da<br />
spaccarsi la schiena a costo zero, lo straniero fa comodo. Fa comodo al<br />
padrone e al politico. Sempre più numerosi, gli immigrati abbandonano il<br />
sud del mondo, depredato e sfruttato dai governi e <strong>dal</strong>le multinazionali, per<br />
cercare una possibilità.<br />
Per noi non ci sono stranieri!<br />
L'unica cosa straniera è la logica dell'esclusione, dello sfruttamento e<br />
della discriminazione. Tra il '98 e il 2001 Centrosinistra e Centrodestra<br />
hanno messo a punto una legislazione che annienta la vita di ogni<br />
immigrato. Così gli immigrati sono schiavi per legge. Vengono internati nei<br />
Centri di Permanenza Temporanea, i lager del nuovo millennio. Umiliati,<br />
picchiati, deportati.<br />
Alle frontiere le polizie sparano, li fanno affondare a bordo delle loro<br />
precarie imbarcazioni, oppure chiudono un occhio sui traffici dei mafiosi<br />
che gestiscono i viaggi: stati e mafie, due facce dello stesso potere.<br />
A Roma c'è una campagna continua contro gli immigrati: aggressioni,<br />
sfruttamento, canoni in nero, negazioni di diritti. Non ultima la devastazione<br />
del negozio di Babain via Casilina, a cui nè il municipio, nè il comune<br />
hanno dato pronta risposta<br />
Noi vogliamo libertà e uguaglianza, ora. Per tutte e tutti, ovunque.<br />
Vogliamo un mondo in cui non conta il luogo in cui nasci per avere una vita<br />
autonoma e consapevole. Vogliamo costruire una società in cui ciascuno è<br />
libero di progettare la propria vita con gli altri e non contro gli altri.
Essere contro ogni razzismo, significa sbarazzarsi di tutte le barriere<br />
fisiche e culturali perché è proprio su queste barriere che gli stati e i governi<br />
fondano la loro pretesa di dominio.<br />
Contro il razzismo per esprimere solidarietà a Baba e per la chiusura dei<br />
Cpt.<br />
Venerdi’ 14 ore 17 in via Casilina (fermata tram Walter Tobagi)<br />
manifestazione antirazzista a cui sono invitate tutte le associazioni,le forze<br />
politiche e sociali, le comunità degli immigrati dell'VIII Municipio e della<br />
citta di Roma.<br />
Associazione Diritti in Movimento<br />
e Comitato Contro la Precarietà, Roma
13 gennaio <strong>2011</strong><br />
APPELLO AL CSM PER LA GIUSTIZIA A CATANIA<br />
La società civile catanese chiede al Cms e al suo Presidente di<br />
intervenire per garantire la trasparenza dell'amministrazione della giustizia<br />
nella drammatica situazione di Catania<br />
L'appello che riportiamo di seguito circola in queste ore fra gli esponenti<br />
della società civile catanese, uniti – nelle loro varie associazioni e correnti<br />
culturali – da una legittima inquietudine circa il destino della loro città,<br />
tormentata da un sistema politico-mafioso fra i più potenti d'Italia ma non<br />
adeguatamente contrastato, in tutti questi anni, da un impegno giudiziario<br />
anche lontanamente paragonabile a quello del pool palermitano.<br />
Questa inquietudine si accresce, e trova forse un' “ultima gocccia”<br />
decisiva, nella pubblicazione di un documento (v.pagina accanto) che ritrae<br />
insieme un boss mafioso e il principale candidato alla Procura di Catania,<br />
Giuseppe Gennaro.<br />
<strong>Un</strong>a simile compresenza, peraltro lungamente e formalmente negata<br />
<strong>dal</strong>l'interessato, può benissimo non avere (ed è auspicabile che non abbia)<br />
significati penalmente rilevabili ed essere spiegata in termini accettabili e<br />
privi di qualunque ombra. Ma essa è, qui e ora, lesiva della totale e<br />
incondizionata fiducia che una città come Catania deve poter riporre nei<br />
suoi Magistrati.<br />
Il nostro mestiere di giornalisti ci impone (come già al collega Pino<br />
Finocchiaro, il primo ad ospitarla sul suo blog) di accertare e diffondere una<br />
notizia che non può essere negata all'opinione pubblica. Non certo per<br />
nostra scelta, per avversioni o simpatie personali o per volere schierarsi<br />
nelle faide che, disgraziatamente, consumano in questi tempi non solo la<br />
classe politica, ma parte della giustizia siciliana. Ma perché non è in nostro<br />
potere di privare i lettori del loro diritto alla verità.<br />
Il nostro non è prevalentemente, come si dice oggigiorno, “giornalismo<br />
investigativo” (non lo fu quello di Giuseppe Fava), né corre dietro agli<br />
scoop; per noi l'investigazione è solo una parte di un processo complesso di<br />
ricostruzione e <strong>racconto</strong> della realtà che al centro ha la cultura e la società.<br />
La nostra verità, insomma, non si estriunseca mai in un “viva questo e<br />
abbasso quello”, non grida, non cerca facili notorietà; ma cerca di<br />
rappresentare al lettore un quadro il più possibile fedele e veritiero di un
mondo che, come i veri giornalisti sanno, è articolato e difficile e non si<br />
lascia rinchiudere in facili ovvietà.<br />
* * *<br />
L'appello<br />
Recenti e qualificate ricerche hanno delineato una Sicilia marchiata<br />
<strong>dal</strong>l'economia sommersa, "della complicità o dell'alleanza con le<br />
organizzazioni criminali". Al declino della violenza esplicita mafiosa fa da<br />
contraltare l'estensione delle mafie nell'economia formalmente legale, dove<br />
l'accumilazione della ricchezza avviene attraverso relazioni sociali e attività<br />
economiche costruite sulla base del coinvolgimento diretto e dei favori<br />
scambiati con i potentati economici,politici,professionali, fino a godere<br />
della complicità di specifici e decisivi ambiti istituzionali.<br />
Si è creato uno spazio dove lecito e illecito finiscono per entrare in<br />
commistione, una commistione ove le classi dirigenti sono tali in quanto<br />
espressione degli interessi della borghesia mafiosa dominante.<br />
Le scelte di poltica economica e finanziaria più rilevanti, <strong>dal</strong>l'urbanistica<br />
agli interventi nel settore energetico, dai servizi alla gestione dei beni<br />
pubblici, alle grandi opere, sono ispirate da questo contesto e <strong>dal</strong> dominio<br />
della borghesia mafiosa. Scelte che comportano gravi danni ai bisogni<br />
sociali, alla salvaguardia dell'ambiente e del patrimonio collettivo.<br />
In questo quadro la città di Catania viene considerata, oggi anche <strong>dal</strong><br />
presidente di Confindustria Sicilia, l'epicentro dell'"area grigia", dove<br />
massimamente si compenetrano mafia ed economia legale. <strong>Un</strong>a città dove,<br />
diversamente che a Palermo o Caltanissetta o Agrigento,l'azione di contrasto<br />
delle istituzioni delegate risulta o inefficace o largamente insufficiente.<br />
Aggiungiamo, incapace o deliberatamente inerte nel colpire i ceti politici ed<br />
economici dominanti della città. Emblematica ed evidente, da questo punto<br />
di vista, è apparsa la gestione delle indagini relative al governatore<br />
Lombardo, al fratello Angelo, a rilevanti ambienti imprenditoriali.<br />
L'intervento del Procuratore D'Agata è apparso ai più quello del difensore<br />
dei potentati piuttosto che quello del difensore della legalità repubblicana e<br />
costituzionale. Ne è conferma il contenuto dell'intervista rilasciata a Toni<br />
Zermo sul quotidiano di Mario Ciancio, anch'esso indagato, rivolto contro le<br />
considerazioni espresse da Ivan Lo Bello.<br />
Alla vigilia della nomina del nuovo Procuratore della Republica di<br />
Catania,facciamo appello al Presidente della Repubblica, acchè non si ripeta<br />
quando avvenne tre anni nel <strong>2008</strong> quando il Csm,allora presieduto da
Mancino,con una decisione ispirata dai Palazzi romani e dai potentati<br />
politici ed economici catanesi, nominò D'Agata,sovvertendo l'indicazione<br />
largamente maggioritaria della Prima Commissione favorevole ad una<br />
figura esterna avente le caratteristiche della impermeabilità e dell'internità al<br />
sistema di potere catanese.<br />
La società civile catanese
U<strong>cuntu</strong>, 28 gennaio <strong>2011</strong><br />
GLI OPERAI L'ANTIMAFIA E LA NOSTRA DIGNITÀ<br />
Dopo Cuffaro, dopo Berlusconi...<br />
Non è una vittoria di tutti, l'arresto di Cuffaro. E' una vittoria per coloro<br />
che, seguendo Falcone e Borsellino, hanno lottato anno dopo anno per la<br />
dignità e per il bene di tutti. Ma questa è stata una minoranza, anche se in<br />
certi momenti molto forte,.<br />
Per la maggioranza del popolo siciliano, invece, l'arresto di Cuffaro è un<br />
giorno di vergogna e - auspicabilmente - di riflessione. Per anni e anni,<br />
tradendo il ricordo dei morti e i valori della vecchia Sicilia contadina,<br />
abbiamo liberamente votato per un mafioso. Fra tutte le regioni italiane,<br />
siamo quella che ha peggio usato la propria libertà e democrazia,<br />
appoggiando gli assassini e i trafficanti di droga e chiamando “politica” ciò<br />
che era semplicemente vigliaccheria e servilismo.<br />
Da qui bisogna partire, senza mezze parole, se vogliamo tornare - tutti,<br />
non solo alcuni - un popolo civile. Abbiamo una storia altissima alle spalle -<br />
il movimento contadino, le rivolte, le centinaia di sindacalisti, giudici e<br />
giornalisti ammazzati - e una gioventù che, a differenza della classe<br />
dirigente, si è dimostrata spessissimo degna di stima. Ripartiamo da queste.<br />
Non perdiamo un istante a guardarci indietro, non regaliamo un attimo alla<br />
vecchia “politica” cuffariana e lombardiana, di chiunque ci abbia a che fare.<br />
“Voi avete svergognato e distrutto la Sicilia. Noi giovani la ricostruiremo”.<br />
* * *<br />
Questo impegno a Palermo può contare, oltre che sui militanti civili, su<br />
una scuola di giudici al servizio di verità e giustizia da generazioni, presidio<br />
vitalissimo di democrazia e libertà. Non a Catania. Qui, nello strapotere di<br />
un Sistema contrastato solo dai ragazzi dei movimenti, il Palazzo di<br />
giustizia per decenni si è erto solitario e inutile a tutti se non ai potenti. E<br />
tuttora è così.<br />
Travagliato da scontri interni, riconducibili più che ad ansie di giustizie<br />
alle contrastanti ambizioni di poteri superiori, conteso fra screditati<br />
esponenti fra cui è impossibile la scelta, esso urgentemente richiede un<br />
intervento preciso e duro dell'organo di autogoverno della Magistratura, fin<br />
qui efficiente e attento altrove ma non sulle faccende catanesi.<br />
Venga un buon giudice, venga finalmente un giudice a Catania; deciso
d'autorità <strong>dal</strong> Csm, dato che i concorrenti attuali danno scan<strong>dal</strong>o o sono<br />
inadeguati. Catania, coi suoi dolori e i suoi travagli, e i suoi movimenti<br />
civili che durano da trent'anni, non merita un po' di giustizia, non merita<br />
almeno questo? Si legga, alla fine di questo numero, il drammatico e<br />
purtroppo attuale rapporto del più autorevole testimone catanese, e lo si<br />
prenda finalmente a pietra di paragone.<br />
* * *<br />
Che differenza c'è fra obbligare un commerciante a “fare un regalo”<br />
minacciandogli il negozio che è il suo posto di lavoro e obbligare un<br />
operaio a “fare un regalo” (il lavoro, i diritti, la rinuncia al sindacato)<br />
minacciandogli la fabbrica in cui lavora?Ricatti del genere, del resto, nel<br />
mondo industriale sono sempre esistiti: ma mai con una tale chiarezza,<br />
diciamo così, didascalica e insistita: “Devi pagare il pizzo, e si deve sapere<br />
in paese”. “Devi rinunciare al sindacato e lo devono sapere tutti”. Il pizzo, o<br />
il ricatto del lavoro, come gesto esemplare, come manifesto. I brigatisti, più<br />
colti dei mafiosi ma meno sofisticati di Marchionne, riepilogavano<br />
rozzamente: “Colpisci uno per educarne cento”.<br />
Così, due mesi dopo Pomigliano, non c'è fabbrica italiana in cui i<br />
lavoratori siano ancora sicuri dei loro diritti: che anzi, dopo le cortesie di<br />
rito, sono praticamente spariti <strong>dal</strong>l'agenda politica. Il proprietario industriale<br />
di Repubblica “Ha proprio ragione Marchionne!” ha detto. E subito il<br />
giornale liberal s'è adeguato.<br />
Così, adesso gli operai sono soli, soli in mezzo alle chiacchiere come i<br />
ragazzi antimafiosi del sud.<br />
Che però, in fondo in fondo, soli non sono mai stati del tutto. Hanno<br />
avuto, in taluni momenti, la capacità e la fortuna di muoversi insieme con<br />
altri, di “fare rete”: la prepotenza e le minacce insegnano a molti la<br />
vigliaccheria, questo è vero, ma a molti insegnano anche la buona<br />
organizzazione e il coraggio.<br />
Così, <strong>dal</strong>lo sciopero operaio di oggi, può benissimo nascere tutta una serie<br />
concreta di momenti unitari e civili - fino allo sciopero generale, sindacale e<br />
antimafioso - da cui unicamente può sorgere la salvezza della Repubblica e<br />
la sconfitta profonda, non gattopardesca, dell'attuale regime.<br />
Non è affatto casuale - scrivevamo pochi giorni fa su Casablanca - che<br />
questo giornale, nato come giornale antimafioso (e con radici non<br />
superficiali nè casuali) in questo numero sia dedicato prevalentemente ai<br />
problemi degli operai, ai diritti degli operai. E' lo stesso discorso. E quando
iusciremo a profondamente comprendere, e non solo nei dibattiti ma nelle<br />
strade, il legame che esiste fa ingiustizia sociale e potere mafioso, allora<br />
avremo già quasi vinto la nostra battaglia.<br />
* * *<br />
Dunque, il lavoro è questo. Difendere i diritti, la Costituzione, la legge e<br />
quelli che ora l'incarnano, i nostri Magistrati. Difendere la vita quotidiana<br />
delle persone “comuni”, di quelli che non vanno nei giornali ma che, nel<br />
loro complesso, costituiscono la Nazione. Sfrondare d'ogni sovrastruttura<br />
ideologica (ma non politica) questa lotta.<br />
“L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”: questo è il<br />
nostro programma, e non ci serve altro. Ma per queste poche parole siamo<br />
pronti a combattere, senza compromessi. Vedremo chi è disposto a<br />
difenderle, e chi vorrà invece confonderle in un abile e vano fumo di parole.<br />
Facciamo rete, tutti insieme. Da soli (giornali e gruppi) siamo deboli.<br />
Insieme - ma insieme davvero, senza egoismi e ritrosie - ce la possiamo<br />
fare.
12 febbraio <strong>2011</strong><br />
IL GOLPE DI BERLUSCONI E QUELLO DI MARCHIONNE<br />
E l'uomo di Obama in Calabria ha detto...<br />
Stanno salvando l'Italia, ora mentre scriviamo, e stanno preparando il<br />
dopoberlusconi. Dove? A Milano. Chi? i congressisti del nuovo partito di<br />
Fini, i “futuristi”. A loro l'Italia perbene, giornalisti e politici, si affida. Il<br />
capo, proprio a Milano, o almeno il portavoce, era quella Tiziana Maiolo<br />
che, dopo brillanti e varie carriere “di sinistra”, alla fine è approdata ai<br />
berlusconiani; e da questi ai finiani, sempre rispettatissima e riverita. E'<br />
quella che l'altro giorno, di fronte alla morte atroce di quattro zingarelli:<br />
“Più facile educare dei cani - ha commentato - che degli zingari bambini”.<br />
* * *<br />
Si chiamavano Raul, Fernando, Patrizia e Sebastian. Erano nella loro<br />
baracca, morti bruciati mentre si riparavano <strong>dal</strong> freddo. Quattro bare a via<br />
Appia Nuova. Quattro rom bambini. Attorno alle bare le famiglie. Soli da<br />
sempre. Campi zeppi di topi. Oggi come dieci anni fa a Casilino 700,<br />
nell'anno del Giubileo, quando era vietato raccontare le stragi dei ragazzini<br />
nei ghetti, e quell'anno là ne morirono almeno dieci.<br />
A Roma ci sono più case sfitte che in ogni altra città d'Europa: centomila<br />
alloggi, dieci milioni di metri cubi di case vuote, come mille stadi di serie<br />
A. Ma per i poveri, per i Rom non c'è posto. Ghetti, tendopoli, miseria e<br />
spesso morte. Ma quale giornale, quale politico lo dice? Stiamo<br />
perseguitando gli zingari esattamente come ieri perseguitavamo gli ebrei.<br />
Ma la “politica”, a quanto sembra, è un'altra cosa.<br />
La “politica” si affida alle Maiolo e ai Renzi, alle soluzioni indolori. ai<br />
dopoberlusconi tranquilli, con tutto che resta com'è salvo (forse)<br />
Berlusconi. Chi parla più della Fiat? Chi pensa più agli operai? Eppure è<br />
stato appena deciso (anche qui, esattamente come sotto il fascismo) che di<br />
diritti non ne hanno più, neanche uno. Ma la “politica”, a quanto pare, è<br />
un'altra cosa.<br />
Il golpe è questo qua, ed è bilaterale. C'è il golpe di Berlusconi, vecchio<br />
imbecille vizioso, che minaccia e ricatta e mobilita i suoi puttani. Ma c'è<br />
anche quello di Marchionne e soci, che vogliono fare miliardi sulla pelle dei<br />
ragazzi. Nessuno, sotto i trent'anni, sa più come sarà il suo avvenire.<br />
* * *
Ma c'è un'altra politica, quella vera. La politica che ha appena mandato<br />
via Mubarak, senza violenza. La politica che non è affatto isolata (che dite,<br />
ora, di Obama?) e che sa cogliere le occasioni. “Qua bisogna puntare sui<br />
ragazzi di Ammazzateci Tutti” ha detto - secondo Wikileaks - l'uomo di<br />
Obama in Calabria. Chi se ne è accorto? Vorrà dire qualcosa, politicamente?<br />
Sono momenti incredibili, in cui davvero è possibile il cambiamento.<br />
Purché sia cambiamento vero – a cominciare <strong>dal</strong>lo spazzare via i mafiosi,<br />
che sono il cuore del Sistema – e purché si sia disposti a far sul serio e non<br />
solo balletti “politici”. Perché il mondo è cambiato. I vecchi non se ne<br />
accorgono, ma i giovani sì. L'Egitto è un paese giovane. E ha vinto, alla<br />
faccia di tutti.<br />
* * *<br />
Sicilia: qua tutto è lento. Ma si muove. Catania: sono bastati pochi<br />
giornalisti e cittadini coraggiosi - ma al culmine di una catena lunghissima,<br />
lunga trent'anni – per mettere in crisi la camera di compensazione del<br />
Sistema locale, a Palazzo di giustizia. Vorrà dire qualcosa, politicamente?<br />
Informazione libera e movimenti, lavorando insieme, possono sperare di<br />
vincere, in questa città. E' già quasi successo una vita, coi Siciliani. Perché<br />
non riprovare?<br />
Per l'informazione, in particolare, è arrivato il momento della verità. Il<br />
caso Procura di Catania ha fatto da cartina di tornasole: chi si è schierato e<br />
chi si è messo da parte, chi ha detto la verità e chi l'ha nascosta. Chi se l'è<br />
presa coi funzionari infedeli e chi coi “dossieraggi” che li smascheravano.<br />
Adessso, bisogna scegliere. O da una parte o <strong>dal</strong>l'altra.<br />
E', finito, fra l'altro, l'equivoco di <strong>Sud</strong>press, diviso fra l'onesta ingenuità<br />
dei giornalisti e le grevi ambizioni dei proprietari. Ora è il momento di<br />
riprendere la strada dei Siciliani, tutti insieme. A questo sta servendo, da tre<br />
anni in qua, questo nostro giornale, con tutto ciò – e non è poco – che gli<br />
vive attorno.<br />
Non siamo, e non vorremmo essere, autosufficienti. Ma abbiamo una<br />
storia e delle idee chiarissime e decise, le uniche che nessuno qui potrà mai<br />
equivocare. E' un patrimonio per tutti, per tutta la comunità che ci<br />
appartiene: cerchiamo di usarlo bene, con decisione e tutti insieme ed<br />
essendone sempre degni.
19 febbraio <strong>2011</strong><br />
NOTA EDITORIALE<br />
Questo documento – il promemoria del Giudice Giambattista Scidà,<br />
Presidente Emerito del Tribunale dei Minori e protagonista prestigiosissimo,<br />
da oltre un quarto di secolo, dell'antimafia a Catania – è uno strumento<br />
indispensabile per la comprensione di almeno una delle possibili<br />
interpretazioni del “caso Catania”, di cui la stampa ufficiale non ritiene di<br />
dovere dar conto al lettore. Di che si tratta?<br />
La città di Catania, tormentata da un sistema politico-mafioso fra i più<br />
potenti d'Italia, non ha mai potuto contare, in tutti questi anni, su un<br />
impegno giudiziario anche lontanamente paragonabile a quello del pool<br />
palermitano. Non è storia di oggi ma degli anni Ottanta (mancate indagini<br />
sull'omicidio Fava), Novanta (enucleazione delle responsabilità<br />
imprenditoriali), Duemila (privatizzazione della città da parte dei<br />
monopoli). L'inquietudine della società civile si accresce ora, e trova forse<br />
un' “ultima goccia” decisiva, nella pubblicazione di un documento che ritrae<br />
insieme un boss mafioso e il principale candidato a una carica<br />
importantissima nel Palazzo: compresenza, per quanto auspicabilmente<br />
priva di significati penali, che non aumenta certo la fiducia dei cittadini nel<br />
Palazzo.<br />
Il nostro mestiere di giornalisti ci impone di accertare e diffondere una<br />
notizia che non può essere negata all'opinione pubblica. Non certo per<br />
avversioni o simpatie personali o per volere schierarsi nelle faide che,<br />
disgraziatamente, consumano in questi tempi non solo la classe politica, ma<br />
parte della giustizia siciliana. Ma perché non è in nostro potere di privare i<br />
lettori del loro diritto alla verità.<br />
Il nostro non è prevalentemente, come si dice oggigiorno, “giornalismo<br />
investigativo” (non lo fu quello di Giuseppe Fava), né corre dietro agli<br />
scoop; per noi l'investigazione è solo una parte di un processo complesso di<br />
ricostruzione e <strong>racconto</strong> della realtà che al centro ha la cultura e la società.<br />
La nostra verità, insomma, non si estrinseca mai in un “viva questo e<br />
abbasso quello”, non grida, non cerca facili notorietà; ma cerca di<br />
rappresentare al lettore un quadro il più possibile fedele e veritiero di un<br />
mondo che, come i veri giornalisti sanno, è articolato e difficile e non si<br />
lascia rinchiudere in facili ovvietà.
* * *<br />
Questo modo di pensare, in questo momento , non è molto popolare. Le<br />
idee del giudice Scidà non sono state contestate, sulla stampa ufficiale, ma<br />
aggredite. Ultimamente l'attacco ha raggiunto (sempre attentamente<br />
guardandosi <strong>dal</strong>l'affrontare in qualsiasi modo la descrizione dei fatti) forme<br />
odiose e personali e se n'è resa responsabile, nell'edizione locale,<br />
“Repubblica”.<br />
Il che apparrebbe incongruo, pensando all'impegno civile di cui questa<br />
testata ha sempre dato prova a Palermo e sul piano nazionale. Ma non lo è,<br />
purtroppo, se si considera il ruolo che questo giornale (o meglio, il suo<br />
editore) ha sempre avuto a Catania. Aperta alleanza con Ciancio, silenzio<br />
sugli affari, autocensura dei contenuti (fino a poco tempo fa si evitava di<br />
distribuire la cronaca) in ossequio all'alleato. E questo non per scelte<br />
“ideologiche” o culturali, ma banalmente per la comunanza d'affari col<br />
piccolo Berlusconi catanese.<br />
Hanno questi interessi un ruolo nell'attacco personale e violento a Scidà,<br />
nella difesa dunque del Sistema catanese qui ed ora? Non lo sappiamo. Ma,<br />
non essendo affatto arbitrario né privo di connessioni con schieramente<br />
vecchi e nuovi, è un dubbio che dobbiamo consegnare – con tutto il resto –<br />
al lettore.<br />
Al quale, per l'ennesima volta, forniamo dunque non la Verità rivelata o lo<br />
scoop maiuscolo ma, più semplicemente, un utile strumento di lavoro.<br />
Questo è sempre stato il nostro principio e il nostro stile e questo,<br />
sommessamente, intendiamo mantenere.
23 febbraio <strong>2011</strong><br />
UNA DITTATURA DI MINORANZA<br />
E intanto a Catania, capitale di una certa Italia...<br />
“Buffone! Farai la fine di Ceaucescu!”. Bah. Intanto, Gheddafi rischia di<br />
farla davvero, la fine di Ceaucescu. Chi gliel' avrebbe detto quest'estate, ai<br />
tempi delle tende beduine (a Roma) e del bungabunga? Io, che sono un<br />
uomo prudente, al posto di Berlusconi mi fionderei nella più vicina caserma<br />
dei carabinieri, mi chiuderei in cella da me e come favore personale<br />
chiederei di essere messo nella camera di sicurezza più interna: non si sa<br />
mai. Ma lui è un tipo avventuroso, come Ceaucescu e come Gheddafi.<br />
Speriamo che, a differenza di Gheddafi, non sia anche – quando verrà il<br />
momento suo – un pazzo sanguinario, di quelli che buttano bombe sulla<br />
folla. Di noi tutto sommato si usa poco: Brescia, piazza Fontana, Italicus,<br />
Bologna... ma erano altri tempi, si dice, è cambiato tutto; persino al G8 di<br />
Genova, dove pure c'era da stangare un bel po' di sovversivi, un po' di<br />
torture magari, ma di bombe niente.<br />
In compenso siamo azionisti di un bel po' delle bombe di Gheddafi: Fiat,<br />
Berlusconi, <strong>Un</strong>icredit, Eni, Ansaldo, Impregilo, hanno tiranneggiato la Libia<br />
(e i poveri emigranti che ci passavano) con Gheddafi. Non a caso in queste<br />
ore a Milano la borsa trema. Ma che importa: domani è un altro giorno.<br />
Obama ricostruisce l'America, cerca di riportarla, di riffe e di raffe, <strong>dal</strong>la<br />
parte dei popoli, dov'era un tempo. Perché Obama è un patriota, al suo paese<br />
ci tiene. Qua, per salvare l'Italia – di cui onestamente non ce ne frega niente<br />
- ci affidiamo non dico a Fini ma a Luca Barbareschi.<br />
Va bene. Gli operai non esistevano, e invece ci sono eccome, e nelle<br />
piazze s'è visto. Non c'erano le donne, buonine fra tv e chiesa, e invece sono<br />
state proprio loro a dare il primo scossone decisivo. Nemmeno il popolo c'è<br />
più, contanò solo i mille Vip che “Io so' io e voi nun siete un cazzo”.<br />
Vedremo. Lo vedremo il giorno dello sciopero generale.<br />
Ché ormai la strada chiarissimamente è questa: bloccare ogni trattativa<br />
(bene Flores e Camilleri: fermare il Parlamento) e fare, come la Cgil farà, lo<br />
sciopero generale.<br />
Contro Mubarak (cioè Berlusconi), contro i suoi finanzieri (cioè<br />
Marchionne), contro i suoi sgherri e mercenari, cioè i mafiosi. Questo non è<br />
più regime di massa, nessuno dei suoi gerarchi è più un interlocutore. E' una
dittatura di minoranza, sempre più impaurita: trattiamola come tale.<br />
* * *<br />
Torniamo a Catania, che io la naja la faccio qui e guai se mi beccano a<br />
non fare bene la sentinella. Nel caso Catania – di cui sapete ormai tutto – c'è<br />
una novità importante e forse decisiva. Mentre dieci giorni fa eravamo<br />
ancora alle polemiche, alle denunce e alle giustificazioni, adesso siamo alla<br />
fase degli attacchi personali e violenti, senza mediazioni.<br />
In soldoni: il giudice A accusa il giudice B di essersi soverchiamente<br />
intrattenuto con mafiosi. Porta prove e argomenti, e infine saltano fuori pure<br />
le foto. Ma perchè A ce l'ha tanto con B? Per fatto personale, ovviamente. E<br />
donde viene questo fatto personale? Perché lui, giudice A, in realtà è un<br />
immorale, un vizioso, un mostro; l'ha detto un conoscente di un tale che l'ha<br />
sentito dire da un talaltro; ed ecco perché attacca B inventandosi Catanie,<br />
casi Catania, giudici e mafiosi.<br />
Bene. E chi lo dice (in linguaggio forbito, convenevole e professionale,<br />
poche bellissime righe da scuola di giornalismo)? Il giornale di Feltri o<br />
quello di Belpietro? No: direttamente Repubblica. Che ha una tradizione<br />
bellissima, di lotta per la libertà e la democrazia, in Italia, e anche contro la<br />
mafia a Palermo; ma a Catania ha una tradizione precisa di accordi - di<br />
contenuti e d'affari - con padron Ciancio. Queste sono notizie, amici miei, e<br />
come tali le diamo.<br />
Immaginate che a Milano nel 1946 il Corriere avesse attaccato - non<br />
politicamente, ma insinuandogli qualche delitto comune - Ferruccio Parri, e<br />
avrete un'idea di cosa stiamo vivento, in questi giorni, noi dell'antimafia a<br />
Catania e quanto siamo incazzati e quanto determinati a fare i conti.<br />
* * *<br />
Perché a Catania, e in Sicilia, e in Italia, e dappertutto, l'antimafia esiste,<br />
non è una barzelletta. Non “una certa antimafia”, non l'”antimafia di<br />
carriera”, ma l'antimafia mia, di Scidà o dei militanti del Gapa - vent'anni<br />
di dedizione totale e di battaglie, dando tutto se stessi. E anche, porco<br />
diavolo, l'antimafia “autoreferenziale e inutile” dei ragazzi di Palazzolo, di<br />
Modica, di U<strong>cuntu</strong>, ai quali è stato autorevolmente e recentemente spiegato,<br />
da qualche genio, che in realtà non servono a un cazzo.<br />
Va bene, impariamo anche questo, ragazzi. Nel mondo c'è anche 'sta gente<br />
ciarliera: a volte fa qualcosa di buono, ma raramente, e te lo fa pagare con<br />
una tonnellata di cazzate per ogni grammo di cose buone. Voi non<br />
v'impressionate, tenetevi stretto quel grammo (se riuscite a trovarlo) e per il
esto fregatevene e andate avanti.<br />
* * *<br />
Le righe che restano le dedichiamo volentieri (ma senza gridare al lupo)<br />
alla solidarietà, in questo caso a Condorelli. Buon giornalista, perbene, alle<br />
volte un po' ingenuo (come quando s'è lasciato usare contro l'antimafia cioè,<br />
qui e ora, contro Scidà), ma bravo certamente, uno che prima o poi avremo<br />
accanto; è stato licenziato ingiustamente e noi, non per la prima volta nè<br />
perchè qualcuno ce lo chieda, stiamo con lui. Ma senza confonderci con le<br />
“solidarietà” d'occasione di chi, in passato, s'è rifiutato per esempio di<br />
solidarizzare con un Marco Benanti.<br />
Noi, giornalisti sempre e non solo quando ci conviene, questa solidarietà<br />
l'abbiamo data in passato a Benanti, a Finocchiaro, a Giustolisi, a Mirone, a<br />
Savoca, a Rizzo, a Lavenia, a Scapellato – e chiediamo perdono a quelli<br />
che stiamo dimenticando ora, ma che certo non abbiamo dimenticato<br />
quando ce n'era bisogno.<br />
Raramente ne abbiamo ricevuta noi, e mai nessuno dei nostri ragazzi. Ma<br />
questo, per noi “professionisti dell'antimafia, fa parte del nostro mestiere.
7 marzo <strong>2011</strong><br />
L'UNICO INTERLOCUTORE<br />
POSSIBILE, QUI E ORA<br />
In poche regioni d'Italia la “politica” è complicata e machiavellica come<br />
in Sicilia.<br />
In nessuna città siciliana come a Catania.<br />
Alleanze, cordate, patti e accordi s'intrecciano e si disfano in maniera così<br />
elaborata che ogni volta ci vuole uno studio indefesso solo per arrivare a<br />
capire chi sta con chi e chi contro.<br />
Lavoro inutile, del resto, perché il giorno dopo le alleanze del giorno<br />
prima si sono già disfatte, i Borgia dai Colonnesi sono tornati ai Visconti e<br />
Al Capone, che ieri faceva affari con Marranzano, improvvisamente s'è<br />
unito a Frank Costello. Intanto la città affonda.<br />
C'è un'unica cosa seria, nella politica di Catania, ed è la (vera) politica dei<br />
quartieri.<br />
Non mercato di voti, non potere, non disperato arraffaggio di consulenze<br />
e poltrone.<br />
Ma serivizio civile, antimafia e formazione di massa, coi pochissimi<br />
mezzi di cui può disporre qui la gente perbene.<br />
Abbandonate <strong>dal</strong>lo stato, snobbate dai partiti locali, assolutamente<br />
ignorate dai grandi agglomerati “politici” di Roma, volontari, insegnanti,<br />
lavoratori studenti combattono qui nei quartieri poveri (cioè l'ottanta per<br />
cento della città) la vera battaglia politica per Catania, quella senza<br />
bandiere, con più idee (e “filosofia”) di chiunque altro ma senza bardature<br />
inutili di bei discorsi e sonanti parole.<br />
Il partito della Resistenza e dei poveri, senza saperlo, esiste già ed è qui.<br />
In forma rudimentale e confusa, chiamandosi qua parrocchia e là centro<br />
popolare, combatte faticosamente ogni giorno e fa democrazia.<br />
È l'unico interlocutore possibile per le persone serie, qui e ora.
7 marzo <strong>2011</strong><br />
IL NORD, IL SUD<br />
E QUESTO NOSTRO MESTIERE<br />
Ma l'informazione è ancora “Quarto Potere” o è diventata ormai<br />
semplicemente un potere? Cosa c'entrano gli editori? Ce ne sono ancora?<br />
E come si fa, senza editori?<br />
Sembra che i tunisini, gli egiziani, i libici, gli arabi insomma, siano gente<br />
come noi. Noi eravamo convinti che fossero chissà che tipi strani e fanatici,<br />
e quindi li bombardavamo e spremevamo senza troppi rimorsi. E' chiaro<br />
adesso che sono gente comune, come noi: moderatamente religiosi, tendenti<br />
a un modesto benessere, scontenti del governo, inclini alla democrazia.<br />
L'informazione ufficiale per anni e anni ce l'ha negato. Non solo<br />
distorcendo o nascondendo (vedi Wikileaks) le vere e proprie notizie; ma<br />
soprattutto barando sul piano culturale, costruendo a poco a poco<br />
un'immagine di quei popoli assolutamente non veritiera. E questo in molti<br />
altri casi.<br />
L'informazione “borghese” (per usare un termine caro a Giuseppe Fava),<br />
che una volta era il Quarto potere, adesso è semplicemente un potere come<br />
gli altri, che lascia la sua missione originaria per fare un “lavoro politico” (o<br />
finanziario) programmato.<br />
* * *<br />
Di ciò, Berlusconi è solo il modello estremo; non è che tutti gli altri siano<br />
molto indietro. Poche settimane fa è bastato un intervento di De Benedetti<br />
per invertire Repubblica sulla cruciale questione della Fiat. In sostanza, il<br />
giudice onesto può contare su Repubblica; ma l'operaio onesto, nello stesso<br />
momento, non può.<br />
Vi sembra strano? No, non lo è, anzi è “normale”. Garibaldi libera i<br />
contadini fra gli applausi di Scalfari (ci si passi l'anacronismo) e<br />
contemporaneamente Bixio li fucila: liberì sì, ma senza esagerare. La storia<br />
dell'Italia in fondo è questa, e hanno egualmente ragione tanto i “liberal”<br />
che inneggiano a Garibaldi quanto i neoborbonici che maledicono Bixio.<br />
Ma un altro tipo d'Italia ci fu pure, tanto quaggiù in Sicilia quanto su a<br />
Torino: quello dei contadini ribelli e degli operai scioperanti, dei Fasci<br />
Siciliani e della Fiom. Entrambi schioppettati egualmente dai Savoia, al<br />
nord e al sud. E poi dai fascisti, i mafiosi, i piduisti, da tutti i potenti padroni
(sempre alleati fra loro) dei due paesi.<br />
A Reggio Emilia e a Portella, il sangue dei poveri bagnò la terra italiana<br />
allo stesso modo; da Piazza Fontana a Capaci, il Sistema non ha mai avuto<br />
in realtà nè un nord nè un sud. Se li inventano i suoi politici e i suoi<br />
giornali, quelli borboni e quelli liberali, per imbrogliare i poveri e tenerli<br />
divisi.<br />
* * *<br />
Pensa nel mondo, agisci al tuo paese: questo discorso sull'informazione ci<br />
porta giù giù e poi ancora più giù per l'Italia, fino addirittura a Catania.<br />
Dove c'è un caso da studio (che i nostri lettori, a differenza di altri,<br />
conoscono bene). Il caso, in essenza, è questo: concorrono a un posto di<br />
giudice due funzionari; discussi entrambi, com'è normale; ma in più con dei<br />
fattori specifici che ne rendono sconsigliabile, o perlomeno rischiosa,<br />
l'assunzione.<br />
<strong>Un</strong>o, per sottrarsi a un caso scomodo, s'era autoaccusato di “stancabilità,<br />
non brillante memoria e reazioni emozionali spropositate”. L'altro era<br />
andato a cena con dei mafiosi, negando poi (fino a smentita fotografica) il<br />
fatto.<br />
Trattandosi di Procura antimafia, e non della pretura di Sant'Ilario,<br />
prudenza consiglierebbe di ringraziare e respingere, con pari cortesia, l'uno<br />
e l'altro; e di cercare altrove un terzo candidato, magari non un Solone ma<br />
che almeno non si sia dichiarato inabile e sia stato più attento nella scelta<br />
dei commensali.<br />
I catanesi, la società catanese, pendono per questa ovvia soluzione;<br />
deciderà il Csm, o attenendosi al precedente di Messina e Reggio Calabria<br />
di tre anni fa (dove alla fine si scelsero candidati esterni, Pignatone e lo<br />
Forte, entrambi prestigiosi) o a quello palermitano dell'88 dove<br />
burocraticamente si scelse l'anziano Meli anziché l'“irregolare” Falcone.<br />
Deciderà il Csm. Noi come giornalisti dobbiamo solo segnalare i fatti<br />
(compresi le sfumature e il contesto) nella loro interezza, senza insultare<br />
nessuno (segno di scarso mestiere, di debolezza), senza cercare scoop<br />
(molte delle cose “scoopate” ora le avevamo già scritte tre, cinque, a volte<br />
vent'anni prima) e soprattutto senza risponderne assolutamente ad altri che<br />
ai lettori. Non abbiamo padroni né occulti né regolari, come sanno tutti, e<br />
siamo forse gli unici in quella città a non averne.<br />
Quest'ultima affermazione non riguarda l'etica ma proprio la struttura<br />
tecnica del nostro mestiere, almeno come si sta configurando oggigiorno.
* * *<br />
Dei miei primi rapporti con Giuseppe Fava un episodio mi ha sempre<br />
colpito, che via via che passa il tempo mi sembra sempre più degno di<br />
riflessione. E' quando, appena arrivati, ci chiese (o meglio ci ordinò) di<br />
imparare a usare le tastiere, i rudimentali “computer” di quei tempi. “Ma<br />
perché? Ma non è compito dei tecnici? Non basta scrivere i pezzi a<br />
macchina, li dobbiamo anche montare? Ma se neanche il sindacato dai<br />
giornalisti dice che lo dobbiamo fare!”.<br />
E lui, sorridendo: “Lo so che ci sono già i tecnici, pagati <strong>dal</strong>l'editore. Ma<br />
casomai un giorno voleste farvi un giornale da soli, un giornale vostro...”.<br />
E andò proprio così. Né i Siciliani, né I Siciliani Nuovi, né Avvenimenti,<br />
né SicilianiGiovani, né Casablanca, né lo stesso U<strong>cuntu</strong> né tutte le cose che<br />
ci son state in mezzo (e che, auspicabilmente, ci saranno domani) avrebbero<br />
potuto esistere senza un minimo di autosufficienza tecnologica; nessuno di<br />
essi ha mai avuto un imprenditore “regolare” (a Catania di onesti e liberi<br />
non ce n'erano, e al di là delle chiacchiere non ce ne sono tuttora).<br />
I Siciliani erano una cooperativa. Avvenimenti una società ad azionariato<br />
popolare. Idem i Siciliani Nuovi. Casablanca, unica, ha avuto un “editore”<br />
che era poi una valorosa e disinteressata militante nostra, Graziella Proto; i<br />
Cordai, il Clandestino e la Periferica sono di libere associazioni come lo<br />
stesso U<strong>cuntu</strong>, che sta soprattutto in internet e non ha costi di stampa.<br />
Il giornalismo antimafia, che pure ha sconfitto i Cavalieri e tuttora tien<br />
duro, tecnicamente è un'impresa senza padroni, in mano ai suoi giornalisti e<br />
ai suoi simpatizzanti e lettori. Pochissimo o nullo aiuto <strong>dal</strong>le centrali civili<br />
(e miopi) di Roma. Ma indipendenza totale, mestiere, e ogni tanto anche<br />
risultati incisivi.<br />
* * *<br />
Il costo però è altissimo sul piano umano. A volte s'è rinunciato a uno<br />
“scoop” (per dirla alla moda) perché non c'erano i pochi soldi per stargli<br />
dietro. Spessissimo si esita a accogliere un ragazzo nuovo, sapendo i<br />
sacrifici durissimi che qui dove vuol mettersi lo attenderanno.<br />
Sopravviviamo nelle maniere più impensate, e mai con questo lavoro.<br />
Tranne che “andando al nord”, dove ci si aprono subito belle carriere – ma<br />
non qui in prima linea, qui nel deserto.<br />
Tutto questo sta bene, e non ne parliamo per sentimentalismo ma solo per<br />
chiarire i termini tecnici della questione. Niente (e non per nostra scelta)<br />
editori; esercito di volontari; alta qualità giornalistica per restare credibili
nonostante questo; larghe conoscenze tecnologiche per approfittare di ogni<br />
possibile occasione; unire tutte le forze disponibili, “fare rete”.<br />
* * *<br />
Nessuno si può illudere di salvarsi da solo trovando un suo deus ex<br />
machina, un suo “editore”. Le poche volte che c'è, è per far danno: Catania,<br />
in questi mesi, dovrebbe avere insegnato anche questo.<br />
U<strong>cuntu</strong> e Lavori in Corso puntano tutto sulle tecnologie e sulla rete. Non<br />
c'è nessun altro in Sicilia che cerchi così insistentemente di coordinarsi con<br />
gli altri, di organizzarsi, di lavorare insieme. Nessuno così avanzato nelle<br />
tecnologie (in alcune due anni prima di Repubblica) eppure così<br />
consapevole della propria insufficienza.<br />
La nostra missione non è di dare una nobile testimonianza da una nicchia,<br />
ma di costruire insieme agli altri qualcosa che superi fra il grande pubblico<br />
l'informazione del Sistema.<br />
Ecco perché insistiamo tanto nei contatti operativi fra gruppi grandi e<br />
piccoli, senza trascurarne nessuno. Ed ecco perché, per esempio, in questi<br />
giorni organizziamo un convegno “tecnico” non su contenuti etici ma su<br />
Linux e dintorni. <strong>Un</strong> umile strumento di lavoro, certamente. Ma senza<br />
strumenti adatti non si riesce a comunicare un bel niente e le migliori<br />
intenzioni restano chiuse dentro.<br />
Il tempo gioca per noi. Le “nuove tecnologie” non sono più l'internet, su<br />
cui già ci muoviamo. Sono i giornali elettronici, gli e-magazine, gli e-book,<br />
l'info elettronica di seconda generazione.<br />
E' il nostro terreno, per capacità e competenza; ha costi alti per un piccolo<br />
gruppo come il nostro ma non per tanti gruppi messi insieme; ha un<br />
personale già attivo, operante e - per quanto diviso - ben sperimentato. La<br />
strada è questa, e fra due o tre anni al massimo si incontrerà (ora sì) col<br />
mercato.<br />
* * *<br />
Il “quadro politico”, come si dice, non è bello. Le opposizioni hanno<br />
salvato Berlusconi, puntando su Fini e Barbareschi invece, come sarebbe<br />
stato logico, che sugli operai della Fiat.<br />
Tanti anni fa il Manifesto scriveva “Praga è sola”. Oggi è sola la Libia.<br />
Non solo per le complicità del governo ma per lo strano torpore dei giovani<br />
italiani. Massacrano folle intere a pochi chilometri da noi, un Pol Pot qui<br />
davanti: e non reagisce nessuno, non dico nei palazzi ma nelle piazze e nelle<br />
università.
La prossima scadenza politica, l'unica vera, è lo sciopero generale indetto<br />
<strong>dal</strong>la Cgil. Arriviamoci pronti, senza creare disordini ma sapendo che è<br />
l'ultima occasione. La tappa dopo potrebbe essere già la disobbedienza<br />
civile.
17 marzo <strong>2011</strong><br />
L'UTOPIA DELLO STRUZZO<br />
E CHI CI BAGNA IL PANE<br />
Il “mercato”, il consumo e il “progresso” illimitati vanno benissimo per i<br />
Grandi Animali, ma sono la morte per noi comuni esseri umani. “E' sempre<br />
stato così”. Sì, ma qua finisce male<br />
“No all'emotività! Forza, nucleare!”.<br />
Sarebbe facile polemizzare col nostro signor governo e la nostra<br />
confindustria che, mentre i tedeschi chiudono le centrali e i giapponesi<br />
cercano disperatamente di salvarsi la pelle, non sanno dire altro che “E'<br />
successo qualcosa?”.<br />
Facile, ma in fondo ingiusto. Perché la bestialità della nostra orribile<br />
classe dirigente, la più disumana e la più ignorante che questo disgraziato<br />
Paese abbia mai avuto, fa leva sul nostro sogno, sulla nostra inespressa ma<br />
convintissima utopia: che possiamo andare avanti tranquillamente così,<br />
sfruttando sempre più la natura, picchiando chi riceve di meno e ruttando<br />
felici in un dopo-pranzo sempre più inacidito.<br />
Non è così. Il Giappone, molto più civile e tecnologico di noi, era<br />
sopravvissuto a duemila anni di terremoti e tsunami: e adesso sta crepando<br />
semplicemente perché (a dispetto di una sua cultura antichissima, bollata<br />
come “”vecchia” e “superata”) s'è messo a costruire centrali nucleari in<br />
mezzo alle faglie sismiche. Modernissime, “sicure”, dotate (tranne quella<br />
mantenuta in servizio per le pressioni dei politici) della migliore tecnologia.<br />
E sono saltate per aria.<br />
Perché?<br />
Per lo stesso motivo per cui si rompe un vaso in una stanza in cui si gioca<br />
a pallone, per semplice statistica: prima o poi.<br />
E perché, se lo sapevano, non si sono organizzati? Per semplice rimozione<br />
mentale, come lo struzzo: per eliminare il pericolo non bastava “rendere più<br />
sicure” le centrali (o mettere il vaso un po' più in alto), bisognava abolirle<br />
del tutto (“Bambini, in questa stanza non si gioca a pallone”).<br />
Ma questo avrebbe significato treni un po' meno veloci, automobili un po'<br />
meno grosse, e così via (“Ahhh... cattiva mamma! Non ci vuoi fare<br />
giocare!”). La gente, non solo i politici, non l'avrebbe accettato. La stessa<br />
gente che adesso è intenta a razionarsi l'acqua e a seppellire i morti.
“Il Giappone è lontano”. No, il Giappone è qua. Intanto, perché fra un<br />
anno probabilmente dovremo stare più attenti all'acqua che beviamo,<br />
all'insalata che mangiamo e così via (e già c'era da stare attenti prima).<br />
Poi perché la crisi economica (l'economia è mondiale) sarà tremenda e la<br />
pagheremo, anche qua, noi semplici cittadini.<br />
E poi perché il modello Giappone (con molta più rozzezza e intrallazzo,<br />
all'italiana) è esattemente il nostro, quello in cui viviamo: comprarsi più<br />
giocattoli, fregarsene della natura, manganellare i poveri, sedare con<br />
chiacchiere e botte le spaventate proteste (“Che avvenire ho?”) dei nostri<br />
figli. Illudendoci che funzioni, che vada avanti.<br />
L'utopia dello struzzo: testa sotto la sabbia, chiappe all'aria, convinto che<br />
il pericolo è lontano e che tutto va bene.<br />
Non serve una “svolta politica” (certo che serve, e subito: ma non basta).<br />
Ci vuole proprio una svolta di sistema. Socialismo, buddismo, impero<br />
Ming? E che ne so: io voglio semplicemente salvarmi la pelle, e voglio non<br />
essere pisciato addosso nella mia tomba da mio nipote - se sopravviverà e<br />
se ci saranno ancora delle tombe.<br />
Voglio che cambi parecchio, e non solo alla superficie, e anche alla svelta.<br />
La mia vita, e quella del mio nipotino, non può restare in balia di pazzi<br />
politici, terremoti, multinazionali ciniche ed economie senza controllo. Per i<br />
terremoti non ci possiamo far niente. Ma per il resto sì, e dobbiamo<br />
sbrigarci perché c'è poco tempo.<br />
* * *<br />
Che notizie stranissime (lette vent'anni fa) eppure normalissime (adesso)<br />
sui giornali. “Tragedia in mare, 40 emigranti annegati”. Ma perché non<br />
avevano una nave più sicura? Perché non prendevano il traghetto? Ah: ora è<br />
vietato.<br />
“Sta vincendo Gheddafi. Il re saudita manda i soldati contro la folla”. Ma<br />
non stava arrivando la democrazia, anche lì? Ma non eravamo tutti contenti<br />
per questo? Ah: però il petrolio a noi ce lo dava il re saudita e Gheddafi, e<br />
quindi tutto sommato stiamo appoggiando loro.<br />
“Operai Fiat. Non se ne parla più”. Ma non era la più grande industria<br />
italiana? Ma davvero la lasciate finire all'estero così? E tutti 'sti lavoratori, e<br />
i vostri figli, davvero debbono spaccarsi l'anima tutta la vita così, a lavorare<br />
in caserma, senza diritti? Ah: è il management moderno, è il mondo nuovo.<br />
* * *<br />
Buone notizie? Vi do anche quelle, ma a patto che non vi servano (sotto la
sabbia) a tranquillizzarvi ma a svegliarvi un po'. Libera ora fa il suo<br />
convegno, il 19 a Potenza, convegno nazionale da tutto il Paese. Chi ci può<br />
andare ci vada: è un po' moscia Libera da un po' in qua, ma è pur sempre la<br />
più grande organizzazione antimafia, il nostro - di noi antimafiosi -<br />
“sindacato”: criticatela, dunque, ma fatela diventare sempre più forte e<br />
portatela avanti, ché là dentro c'è iun pezzetto di tutti noi.<br />
L'altro sindacato, la Cgil, ci chiama invece a raccolta per il sei maggio, lo<br />
Sciopero Generale. Sarà una giornata importantissima; probabilmente, in<br />
bene o in male, il giorno della svolta. Anche questa è antimafia, e speriamo<br />
che la Cgil lo capisca. Comprendiamolo noi per intanto, con l'esperienza<br />
che abbiamo, profondamente.<br />
Dai giochi dei politici – per lo più in buona fede - non aspettiamoci<br />
niente. Non è che non vogliano, è che semplicemente sono su un altro<br />
pianeta. Dal pazzo Berlusconi all'astuto Fassino, <strong>dal</strong> generoso Vendola al<br />
machiavellico Fini, nessuno ha mai dormito alla stazione né sa quanto costa<br />
una scatoletta di tonno. Noi sì.<br />
Noi non siamo col popolo. Siamo nel popolo, una parte minimissima di<br />
esso. Con tutte le sofferenze, ma senza illusioni, dell'umanità quotidiana del<br />
paese. Per questo “facciamo politica”, a modo nostro e con serietà, e la<br />
facciamo bene.<br />
Bisogna abolire la mafia. Bisogna cambiare il sistema. Bisogna pensare a<br />
vivere diversamente, con meno giocattoli ma più felici. Bisogna pensare al<br />
mio nipotino e a tutti gli altri Lorenzi, ché già la vita umana è difficile e non<br />
occorre aggiungerle altri dolori. E tu forza, sorridi, amica mia: adispetto di<br />
tutto, una volta ancora, come la natura o il dio hanno costruito, fra poco è<br />
primavera. Aggrappiamoci a questo, lottiamo per difenderlo e farlo<br />
continuare.
30 marzo <strong>2011</strong><br />
BANALITÀ DEL BENE<br />
E VECCHIA EUROPA<br />
Adesso dobbiamo scegliere, un'altra volta<br />
Scoppia la guerra, salgono le Borse. Dimenticato il Giappone. La guerra<br />
fa volare i listini.<br />
Cernobyl è in pieno svolgimento. Ma sta nelle ultime notizie.<br />
“Terremoti punizione di Dio, come a Sodoma e Gomorra”.<br />
Di tutte queste notizie (moderno, postmoderno, medioevo) non è che il<br />
Sistema non vi informa: il Sistema non occulta più quasi niente. Ma ne<br />
nasconde il contesto, le affoga nel flusso indistinto del villaggio globale.<br />
Perciò, concretamente, ve le sta nascondendo.<br />
Al tuo bambino, non a un bambino qualunque <strong>dal</strong>l'altro lato dello<br />
schermo, cominciano ad avvelenare il latte, nella “normalità”. La guerra è<br />
soldi, non nei regimi imperiali dell'Ottocento ma ora, nel soffice lieve<br />
mondo dei Nintendo e degli i-Pad. E Galileo Galilei (di “punizione di Dio”<br />
parla il vicecapo degli scienziati italiani, De Mattei del Cnr) se tornasse<br />
passerebbe i suoi guai anche oggi.<br />
E tutte queste cose succedono, ma ormai quasi nessuno ci fa caso.<br />
* * *<br />
E' urgentissimo, è anzi la cosa più urgente e più vitale di tutte, ripristinare<br />
almeno un minimo di informazione. L'informazione non esiste più, è quasi<br />
tutta infotaiment o rumore di fondo. Oscura senza mentire apertamente,<br />
mescolando accortamente le priorità e i contesti, agendo cioè non più (come<br />
una volta) con la censura ma con una compatta egemonia culturale. (Certo,<br />
la censura c'è ancora: internet alla cinese è il sogno di tutti i governi, nostro<br />
compreso. Ma non è più essenziale).<br />
Il Grande Fratello ora è una cosa “simpatica”, da “consenso”; quello<br />
vecchio di Orwell, in confronto, era primitivo. Ma questo funziona assai<br />
meglio, ci separa ancor più <strong>dal</strong> mondo vero, illudendoci di starci dentro. I<br />
contenuti, in altri termini, sono sempre più “loro”.<br />
In questa situazione non è più la singola notizia strappata, lo scoop, che fa<br />
la differenza; né il giornalista singolo può illudersi di servire a qualcosa. Se<br />
scopre una verità, lo applaudono e gliela usano (Saviano è un esempio) nel<br />
contesto loro. Controllando il contesto, tutto il resto – al massimo – diventa
fiore all'occhiello.<br />
Vi mostrerei – se fossi Philip Dick - il guerriero apache che corre<br />
disperatamente contro il fortino, brandendo il suo arco e le frecce, con<br />
sovrumano coraggio; e a sua insaputa lo riprende una webcam, lo mette in<br />
rete, e un regista lo monta – a sua insaputa – nella fiction del Wild West che<br />
va in onda ogni sera su Fox: “che romantici gli indiani!”. E cade anelante ai<br />
piedi del fortino, felice di aver scagliato un'ultima freccia piumata, mentre<br />
negli schermi tv la sua figura ansante già sfuma nello spot del McDonald<br />
che chiude la puntata.<br />
* * *<br />
Non basta essere giornalisti, bisogna fare i giornali. “Giornale” oggi è una<br />
parola larghissima, che va <strong>dal</strong>l'Asahi Shinbun (il più grande quotidiano del<br />
mondo, che decontestualizza dodici milioni di giapponesi al giorno)<br />
all'ultimo filmato di Youtube, passando per tutti i modelli di media vecchi e<br />
nuovi (compreso il nostro), senza che ci sia più una tecnologia egemone a<br />
dargli un senso. “Giornale”, oggigiorno, è essenzialmente un contesto. Che<br />
per noi è umanistico, per gli altri è commerciale.<br />
“U<strong>cuntu</strong>” (o un raduno di Libera, o un coro alpino) è un esempio di<br />
contesto. “Repubblica” (o una pubblicità di McDonald, o un master in<br />
economia azien<strong>dal</strong>e) un altro. I primi son molto piccoli, “ininfluenti”; ma<br />
hanno radici umane. I secondi sono (qui ed era) egemoni; ma sono dei<br />
prodotti industriali. Ma nella storia è successo molte volte che dei contesti<br />
piccoli, “isolati”, siano alla fine confluiti in un contesto nuovo, generale.<br />
Questo è il nostro lavoro. Non diamo (solo) informazioni; apriamo<br />
soprattutto spiragli su qualcosa che intuiamo oscuramente, di cui sappiamo<br />
solo che è molto grande - e che è già in noi.<br />
Per questo crediamo tanto nella rete - tanti contesti piccoli che<br />
confluiscono in un fiume solo - e nelle tecnologie, che ci danno la<br />
possibilità concreta ed economica di diffondere dappertutto questa idea.<br />
Non si è mai data, nel corso della storia, una tale occasione. Non la<br />
possiamo sprecare.<br />
* * *<br />
Così, nelle modeste cose che ci tocca ogni giorno di fare, non deve mai<br />
smarrirsi questa prospettiva. A Catania - ad esempio - noi lottiamo in questo<br />
momento sia per salvare le povere scuole dei bambini di quartiere (il Gapa,<br />
l'Experia, gli scout di Librino) che per imporre ai potenti di ritirare le mani<br />
<strong>dal</strong> Palazzo di giustizia, che di giustizia dev'essere e non di potenti.
Abbiamo storie lunghissime, su entrambi i fronti; il Gapa di San<br />
Cristoforo lavora lì da oltre vent'anni; di una Procura estranea alla città dei<br />
poteri un uomo come Scidà parlava già – perseguitato già allora – da metà<br />
anni Novanta.<br />
Due lotte diversissime, di persone diverse, tipicamente “locali”. Eppure,<br />
vivendole insieme e collegandole alle decine di analoghe, alle centinaia e<br />
alle migliaia di persone che in qualche parte d'Italia si battono per esse,<br />
otterremo alla fine (e questa è l'unica via realistica, non certo quella giocata<br />
nei palazzi) qualcosa di largo e generale; intravediamo un'Italia ben diversa;<br />
un contesto.<br />
* * *<br />
Esseri umani disperati, a migliaia; la fame, la paura. La soluzione? "La<br />
soluzione? Föra di ball!" sghignazza, con un gesto osceno, il politico<br />
numero uno. “Vengano nella mia terra: noi li accoglieremo” azzarda<br />
timidamente il politico numero due.<br />
Chi ha ragione dei due, e in che contesto? In uno, ma a forza di bombe, si<br />
può “mandar via”, e vivere tutti quanti nella paura. Nell'altro, con il lavoro e<br />
la carità, si può vivere stretti all'inizio, ma in modo sempre più accettabile e<br />
più umano.<br />
Possono crescere, i bambini, bianchi e neri; oppure tirare a sorte (“tu sì tu<br />
no tu no tu forse”) il loro eventuale avvenire. Fra i due contesti diversi,<br />
l'Europa ha già dovuto scegliere altre volte. Scelga di nuovo, adesso;<br />
sperando che stavolta possa vincere la banalità del bene.<br />
Riccardo Orioles e Fabio D'Urso
11 aprile <strong>2011</strong><br />
DOPO DACHAU<br />
PRIMA DI AUSCHWITZ<br />
Il regime è illegale. Traiamone le conseguenze<br />
I tedeschi non cominciarono subito ad ammazzare gl ebrei. Prima<br />
dichiararono che non erano cittadini come gli altri, e anzi probabilmente<br />
neanche esseri umani. Poi cominciarono a vessarli in tutti i modo, cogliendo<br />
qua e là le occasioni per estorcergli del denaro. Nel 1933, “per ragioni di<br />
ordine pubblico”, istituirono dei “campi di raccolta” (Konzentration Lager)<br />
che presto, per brevità, cominciaronmo a essere chiamati semplicemente<br />
“campi” (Lager). Infine, sette anni dopo, esaurito tutto il dibattito e stabilita<br />
la piena incompatibilità fra una “razza” e l'altra, fu aperto Auschwitz<br />
(1940). Qua l'obiettivo era la “soluzione finale” del problema, visto che<br />
tutte le altre soluzioni si erano rivelate insufficienti e, come si direbbe oggi,<br />
“buoniste”: I campi di concentramento in Italia esistono già, e si chiamano<br />
campi temporanei di raccolta. Le persecuzioni sono già in atto da molti<br />
anni, e così pure la teorizzazione scientifica dell'incompatibilità di fondo fra<br />
una razza e l'altra. L'estorsione dei soldi, fra una cosa e l'altra, non è stata<br />
assente: il disavanzo Inps è pagato dagli immigrati, e in più di un'occasione<br />
(per i rinnovi, per le “regolarizzazioni” e chi più che ha più ne metta) la<br />
razza inferiore ha dovuto pagare in moneta la tolleranza della razza eletta.<br />
Manca, finora, la “soluzione finale”. Ma già diciassettemila <strong>Un</strong>termensch<br />
sono stati annegati (per scelta politica: in mare i bianchi viaggiano su<br />
regolari traghetti) nel nostro bel mare. Ma, quanto a teorizzazioni, non<br />
siamo molto lontani.<br />
Sia Bossi che Goebbels, sia Calderoli che Herr Streicher, hanno fatto<br />
capire in più occasioni che la cosa importante, per gli uomini-non-umani,<br />
non è di sopravvivere, ma di togliersi di mezzo. “Foera di ball”, si dice in<br />
tedesco. Che il resto debba seguire non è una mera ipotesi, ma -<br />
ragionevolmente - una probabilità molto forte.<br />
Il regime italiano, come quello tedesco del '36, avrà forse consenso (e nel<br />
nostro caso è molto dubbio, visto che lo vota meno d'un quarto dei<br />
cittadini). Ma non è sicuramente legale. Qualunque cittadino tedesco, nel<br />
regime di Goebbels, aveva il diritto - e spesso il dovere - di non tener conto<br />
alcuno delle ingiunzioni delle autorità, trattandosi di disposizioni illegittime,
in violazione delle costituzioni e delle leggi, e soprattutto dei comuni<br />
principi della morale umana.<br />
Maroni, Calderoli, Bossi, Streicher e tutti gli altri razzisti non godono di<br />
autorità maggiore. I loro ordini non hanno peso, nessun pubblico ufficiale o<br />
cittadino è tenuto a obbedire, ed è anzi dovere civico, e doveroso tributo<br />
all'onor militare, boicottare apertamente gli ordini disumani. Lo fecero<br />
carabinieri, Regia Marina, ufficiali del Re, sotto il fascismo. La loro pietà<br />
umana, e il rispetto delle stellette, indicò loro la via del dovere, contro ogni<br />
burocratica – ma vile e illecita “obbedienza”.<br />
Son questi i termini della questione. Il regime è illegale, bisogna<br />
disobbedirgli apertamente. Non per le Rudy e le Noemi, storie tristi e<br />
grottesco che rendono ridicolo ogni italiano nei paesi normali. Ma per la<br />
strage voluta, per la criminale teorizzazione e messa in pratica della<br />
persecuzione sistematica di una “razza”.<br />
In Libia, in Egitto, in Italia stessa i dittatori e i subalterni responsabili<br />
dovranno pagare, quando la legalità sarà ristabilita. Nei Paesi feroci, come<br />
nella Germania d'anteguerra, nulla dovrà restare impunito.<br />
A questo nuovo nazismo dovrà corrispondere una nuova Norimberga. <strong>Un</strong>a<br />
Corte internazionale che giudichi gli stragisti e i i loro seguaci, non a<br />
Ginevra o all'Aja ma in un paese-vittima, a Nuova Delhi, a Brasilia, in una<br />
delle potenze democratiche dell'avvenire.<br />
Si ebbe anni addietro un Tribunale internazionale, presieduto da Lord<br />
Russell, per i crimini contro l'umanità in Vietnam. Bisogna che personaggi<br />
autorevoli, gli scienziati, i Nobel, i sapienti del mondo, assumano<br />
un'iniziativa del genere, in attesa di una vera e propria Corte Penale delle<br />
nazioni. Nulla deve restare impunito e nulla, fin d'ora, deve restare non<br />
denunciato. Perché la politica è finita e quella di oggi - decine di bambini<br />
annegati, per volontà di un regime, e forse di una nazione, è un'altra cosa.<br />
E questo è quanto. Avremmo dovuto scrivere delle ultime risultanze<br />
giudiziarie, da cui emerge che per la seconda volta consecutiva il Governo<br />
della Sicilia è ufficialmente colluso con la mafia. Avremmo voluto scrivere<br />
della disperata resistenza dei quartieri poveri catanesi, della rinascita<br />
dell'Experia (unico presidio civile, in alcuni di essi, oltre al Gapa).<br />
Ma anche questi argomenti, per quanto importantissimi, passano in<br />
secondo piano dinanzi alla drammaticità di questa semplice cosa: viviamo<br />
in un regime illegale.<br />
Non è questa o quella legge ad essere violata, lo sono tutte. Non è questo
o quel crimine di cui accusiamo il governo, il crimine è lui stesso.<br />
Certo: è “estremistico” dirlo, è impopolare, è rozzo. Ma era impopolare<br />
anche a Weimar, era “estremista”. Noi siamo a Weimar, fuor d'ogni dubbio.<br />
L'eccessiva prudenza, in quegli anni, creò milioni di morti.
1 maggio <strong>2011</strong><br />
PRIMO MAGGIO <strong>2011</strong><br />
Di nuovo una giornata seria, uno sciopero<br />
Grazie Renzi, grazie Moratti, grazie tutti voialtri tromboni: grazie a voi il<br />
primo maggio, nonostante il concerto, è tornato una giornata seria, un<br />
quarantotto, uno sciopero, un niente-di-regalato. Ai bempensanti e ai<br />
monarchici fa di nuovo paura. “Sciopero, sempre sciopero! Approfittano<br />
che il governo è troppo buono…”. “Glielo darei io, il primo maggio! Tutti<br />
in Russia da Putin, li manderei!”. “Eppoi, dove sono tutti ‘sti operai,<br />
oggigiorno? Tutti signori sono diventati, stanno meglio di noi, stanno!”. “La<br />
verità è che non c’è più voglia di lavorare, signora mia”.<br />
Ma sì. Aggiungi guerre di Libia, nozze di principi, contrasti diplomatici<br />
con la vicina Francia, miliardari bavosi, corazzate, papi, pellegrinaggi: ma<br />
siamo nell’Ottocento! <strong>Un</strong> bellissimo Primo Maggio fin-de-siècle, in cui la<br />
Fiat non è ancora (o non è più) una Fabbrica ma una marca di cioccolatini o<br />
un club di finanza allegra: Ottocento! Il Corriere, nell’ultimo elzeviro,<br />
richiama pensosamente all’ordine, ché il momento è complesso; replicano i<br />
giolittiani che bisogna pur pensare anche al progresso; Sua Maestà<br />
ammonisce questi e quelli e in talune città, fra mille difficoltà ma tutto<br />
sommato con sicurezza, nasce una cosa strana, il sindacato.<br />
“Ma davvero potremmo chiedere… venti lire?”. “Ma certo! Tutti insieme,<br />
che ci possono fare?”. “Compagni! In questa giornata noi lavoratori…”.<br />
“Tenente! Favorisca schierare la prima fila!”. “Dammi un bacio, dai!”.<br />
“Perché in tutta la civile Europa le otto ore…”. “Per la seconda volta,<br />
sciogliere l’assembramento!”. “No, no… Leva le mani…”. “Francesi come<br />
prussiani nostri fratelli…”. “In nome della legge, scioglietevi!”. “Disordini<br />
fomentati da agitatori socialisti…”. “Gli storici interessi dell’Italia nel<br />
Mediterraneo…”. “Ohhh….”. “E dai tanto poi ci sposiamo…”. “Tienila su!<br />
Tieni su quella bandiera!”. “Com’è verde l’erba”. “Me la consegni!”. “No, è<br />
nostro diritto!”.<br />
Buio. Colori dietro le palpebre. Corpi in terra. Tempo che passa. Treni,<br />
trincee, rumori. Tempo che passa ancora. Tempo…<br />
* * *<br />
Bene, nell’Ottocento – per amore o per forza – ci si organizzava. Lo<br />
sciopero. Il sindacato. Il partito. I discorsi insieme. La rivoluzione.<br />
Non si può fare più? Chiedilo alla Tunisia. E’ solo che è una cosa diversa,<br />
un’altra cosa. Non c’è più zar nel Palazzo, è nello specchio. E’ in quel
mondo fasullo in cui ti fanno vivere fra tv e droga. Non usano più baionette<br />
ma favole, non sono più forti di te fisicamente, sei tu che tieni fermo te<br />
stesso con un sorriso felice sul viso assente. Se batti le mani abbastanza<br />
forte – così, un bel “ciaff!” da bambino – magari il rumore ti sveglia.<br />
Quello, o qualche cosa di simile: non una rivelazione o un’idea (che altro<br />
avresti bisogno di sapere?) ma semplicemente uno svegliarti. <strong>Un</strong> momento<br />
simbolico, basterà questo.<br />
* * *<br />
Lo sciopero generale, contro la mafia e Marchionne. Il nostro “partito”,<br />
che è la Fiom e Libera e tutto ciò che vive intorno ad essi. Il nostro governo,<br />
i nomi dei nostri ministri e presidenti – gente come Pertini o Caselli, non<br />
gente elucubrata nei palazzi -, la nostra unità nazionale che è quella di Parri<br />
e De Gasperi, del comandante Longo e del Cln. La nostra rivoluzione, coi<br />
lavoratori e le donne in prima fila (disarmati e tranquilli, perché è una<br />
rivoluzione e non un gioco) e le file dei carabinieri che si aprono lentamente<br />
per lasciarli passare. Con una fucilazione di pernacchie, una grande e<br />
liberatoria sghignazzata collettiva. Coi vecchi che si guardano allo specchio,<br />
le puttane che arrossiscono, i procacciatori e i magnaccia che corrono a<br />
nascondersi per un sentimento mai percepito.<br />
Non è possibile, dici? Chiedilo ad Ahmed, a Ridah, ai nostri concittadini<br />
tunisini. O anche a me se ti va, a me che ho visto quei venti mesi del<br />
Sessantotto. Ci uccisero con Piazza Fontana, quella volta. Ma forse<br />
quest’altra volta non ci riusciranno (ora, fra le altre cose, c’è Obama).<br />
Riccardo Orioles<br />
www.u<strong>cuntu</strong>.org<br />
www.gliitaliani.it
18 maggio <strong>2011</strong><br />
IL "PARTITO" CHE CRESCE<br />
Lo stanno costruendo i giovani. Senza saperlo…<br />
Forse i “moderati” sono una cosa del genere dei fondamentalisti islamici:<br />
fanno, dichiarano, dicono, sono al centro del mondo (sui giornali) ma poi, al<br />
momento del dunque, sono una minoranza non rilevante. L'Italia no si<br />
divide infatti, a quanto risulta, semplicemente fra santanchisti e gente<br />
normale: questi ultimi, a quanto pare, sono la maggioranza. E finalmente.<br />
La gente normale, in Italia, ha sempre avuto etichette un po' stralunate:<br />
comunisti, radicali, estremisti e chi più che ha più ne metta (io<br />
personalmente a sedici anni ero comunista perchè mi sembrava strano che i<br />
braccianti, giù da noi, dovessero dormire sui cannicci per terra). Ma era solo<br />
un modo di chiamare (un po' perché les bourgeois si spaventavano, un po'<br />
perché noi ci divertivamo molto a spaventarli) le cose che nel resto d'Europa<br />
erano normali.<br />
La tv serve principalmente a far sì che la gente normale e le cose normali<br />
appaiano strane, e normale invece il pazzo che si crede Napoleone. L'Italia è<br />
l'unico paese al mondo dove la tivvù sia andata al governo, e ci sia rimasta<br />
per vent'anni.Questo spiega perché, ai congressi internazionali di<br />
psichiatria, ci sia sempre qualcuno che, con gravità professorale, dice cose<br />
spiacevoli su noi italiani. Al prossimo congresso, speriamo adesso, il suo<br />
intervento sarà più breve, anche se ci vorrà molto tempo prima che venga<br />
abolito del tutto.<br />
* * *<br />
La sinistra che vince – perché è la sinistra che ha vinto, non c'è il minimo<br />
dubbio: il terzo polo è trascurabile e Fini un bluff – è una cosa stranissima, a<br />
osservarla da fuori. Vendola, De Magistris, i grillini, la parte “buona”<br />
(Bersani) del Pd vengono da storie diversissime, e si stupirebbero molto se<br />
qualcuno gli dicesse che in fondo sono facce diverse della stessa cosa. La<br />
“cosa” è la crisi della vecchia sinistra e la travagliatissima formazione di<br />
quella nuova.<br />
Il qualunquismo rivoltoso dei grillini, il culto della personalità dei<br />
vendoliani, la rudimentalità dei dipietristi, la goffaggine dei “sinistri<br />
federati”, l'ambiguità programmatica di Bersani, non sono dati politici, sono<br />
semplicemente gli annaspamenti di gente che vorrebbe nuotare, ma non si
decide a staccare i piedi <strong>dal</strong> fondo. La storia vecchia è finita, la nuova<br />
ognuno s'illude di trovarla da solo. Non c'è ancora esperienza di storie<br />
collettive; l'unica cognizione comune (ma è già moltissimo, qui e ora) è che<br />
bisogna muoversi, che il tempo dell'impotenza è finito.<br />
In questo c'è molto Ottocento, prima dei socialisti. Sette, partiti, gruppi,<br />
ribellioni con troppe “linee politiche” o nessuna. L'unica cosa comune (ma<br />
non percepita) era – banalmente – l'età. “Non prenderemo nessuno – disse<br />
uno di loro – che abbia più di quarant'anni”. A partire da questo, si potè<br />
andare avanti.<br />
* * *<br />
E anche adesso è così. Non per la sciocchezza del sindaco giovane o del<br />
candidato ventenne (Renzi, politicamente, è tanto anziano quanto Emilio<br />
Fede o la Santanché) ma perché è il collante di tutto, ed è profondo.<br />
Il grillino di Bologna, il giovane Pd di Trento o Genova, il rifondarolo di<br />
Catania, l'attivista elettorale di Pisapia e quello di De Magistris hanno in<br />
comune questo, al di là delle (poche) cose mature che dicono e delle (molte)<br />
cazzate che li impacciano: essi sono una generazione. Se riusciranno a<br />
riconoscersi, a esprimere un “partito” nei prossimi due o tre anni, l'Italia<br />
sarà salva. Altrimenti resterà il rimpianto.<br />
* * *<br />
L'Italia, in questi vent'anni, è stata attraversata da due cose. La prima, la<br />
ristrutturazione del sistema economico da industriale a finanziario. La<br />
seconda, il passaggio da patologia a fisiologia delle sue componenti<br />
mafiose. Le due cose hanno relazione fra loro. Hanno prodotto, fra l'altro, la<br />
“seconda repubblica” (in mano non ai politici, ma agli imprenditori), la fine<br />
del lavoro (sostituito <strong>dal</strong> precariato), l'eliminazione della proprietà pubblica<br />
(privatizzato tutto, fino alla scuola), l'uscita <strong>dal</strong>l'Occidente (Libia, Russia) e<br />
ovviamente da Keynes.<br />
Il punto in tutte queste cose s'intersecano, quello su cui bisogna avere le<br />
idee chiare e chieder conto, è la Fiat. Che cosa ne pensa Beppe Grillo (e il<br />
suo – non innocente – cervello politico, Casaleggio Associati)<br />
dell'abolizione del sindacato? E Bersani (e i giovani di Bersani) da che parte<br />
starà, prima o poi, con la Cgil o con Fassino?<br />
Nella città precaria che è Napoli, De Magistris cercherà alleati a Torino o<br />
si barricherà là dentro? Vendola impernierà la sua strategia sugli operai o<br />
continuerà a farne solo un caso umano? I “comunisti” riusciranno a ripercepire<br />
la lotta di classe, a capire che la falcemartello, per gli edili di
Roma (che sono quasi tutti rumeni) era il simbolo sul berretto dei poliziotti<br />
rumeni?<br />
Da queste domande dipende tutto. Non <strong>dal</strong>le risposte che verranno date<br />
(saranno, di necessità, ambigue e lente) ma da chi le farà. Se le faranno i<br />
giovani, e in concordanza fra loro, trasversalmente, allora il “partito” loro<br />
nascerà bene. Tutti i “partiti” storici – che solo raramente hanno un nome –<br />
nascono infatti molto più <strong>dal</strong>le buone domande che <strong>dal</strong>le risposte.<br />
* * *<br />
Cos'abbiamo in comune, oltre a Berlusconi? Che cosa tutti noi abbiamo<br />
fatto, nei momenti migliori, senza sostanziali differenze? Che cosa potrebbe<br />
unirci, noi della nuova repubblica, come nella prima ci unì la Resistenza<br />
antifascista e il suo ricordo?<br />
Risposta: l'antimafia. E' il movimento antimafia il filo rosso, comune a<br />
tutti noi, di questi due decenni. Fra ingenuità, goffaggini, e anche qualche<br />
salotto e qualche arroganza (ma anche l'antifascismo repubblicano ne ebbe)<br />
esso è nel suo complesso una storia giovane, sana nei suoi fondamenti e<br />
persino nei suoi errori.<br />
Bisogna votare subito. La Santanchè e la Lega sono minoritari nel Paese.<br />
Vincere i referendum, e poi da Napolitano a chiedere elezioni.<br />
Bisogna votare uniti. Al referendum è facile. Anche le elezioni politiche,<br />
dobbiamo trasformarle in referendum. <strong>Un</strong>a lista unitaria, antimafia e<br />
antiprecariato, con un candidato unico di immenso prestigio e chiarezza, un<br />
Pertini.<br />
(U<strong>cuntu</strong> sta uscendo in ritardo per mia colpa. Ma utilizzatelo tutti, è la<br />
vostra voce)
20 maggio <strong>2011</strong><br />
Roberto Morrione<br />
UNO DI NOI<br />
Giornalista e compagno. Giornalista perché serviva onestamente il suo<br />
pubblico, dandogli le notizie. "Compagno" perché era della vecchia Italia<br />
povera e popolare. In Rai (aveva cominciato con Enzo Biagi) fu l'unico a<br />
dare l'intervista di Borsellino su Berlusconi, e a darla subito, mentre gli altri<br />
ancora si chiedevano se fosse compatibile, dare una tale intervista, con la<br />
carriera. Professionista fino alla fine, soprattutto alla fine. Quando finì con<br />
la Rai non perse tempo con salotti tv e nostalgie ma si buttò a fondare un<br />
nuovo giornale: Libera informazione, il giornale di Libera, non su carta<br />
naturalmente ma sulla Rete.<br />
Lo riempì di ragazzi, alla Giuseppe Fava. Molti venivano <strong>dal</strong> Rita<br />
Express, il movimento nord-sud che rinnovò l'antimafia (e la politica) a<br />
metà del decennio; nessuno ebbe la lucidità di prenderlo sul serio, oltre lui.<br />
Ne fu maestro fedele e rigoroso, senza demagogie. Ne fece una redazione<br />
agguerrita e aggressiva, pronta a fiondarsi appertutto, su ogni verità da<br />
raccontare.<br />
Tutti gli uomini muoiono, prima o poi, è la nostra vita. Alcuni, vip e<br />
notabili, lasciano poco e niente: cerimonie e rumori. Altri, che credevano in<br />
altro, lasciano cose fatte, affetti, esseri umani, e buon lavoro da continuare.<br />
Roberto continua così, nei giovani che lo seguirono, e che sono nostri<br />
colleghi. Hai fatto bene ad aver fiducia in loro. Il lavoro sarà continuato.<br />
Riccardo Orioles, I Siciliani
7 giugno <strong>2011</strong><br />
QUESTO REFERENDUM E' UN'ELEZIONE<br />
Napoli, Milano, referendum: tre fasi della stessa tornata elettorale<br />
Le maggiori società industriali quotate in Borsa a Milano hanno chiuso il<br />
2010 (analisi R&S-Sole24Ore) con un aumento medio del margine<br />
operativo netto del 19 per cento, e dei profitti del 29 per cento. Il margine<br />
della Fiat sale del 108 per cento ma la sua quota di mercato è scesa, in Italia,<br />
del 30 per cento. Marchionne, in altre parole, ha perso un terzo delle<br />
vendite, ma ha raddoppiato i profitti.<br />
Ecco: il dato della politica italiana è tutto qua. Questi diciassette anni non<br />
sono stati gli anni di Berlusconi (anche), sono stati principalmente gli anni<br />
degli imprenditori. Elegantemente col centrosinistra, rozzamente con le<br />
varie destre, la Confindustria ha gestito il Paese ininterrottamente e a modo<br />
suo. L'industria (che rende meno della finanza) se n'è andata; il precariato<br />
ha sostituito il lavoro; è stato privatizzato, cioè regalato a privati, tutto il<br />
privatizzabile tranne (finora) i carabinieri. Le principali catastrofi sono state<br />
portate a compimento <strong>dal</strong>la destra ma cominciate, con le migliori intenzioni,<br />
da noialtri: la “riforma” dell'università comincia negli anni '90, e allora non<br />
c'era ancora la Gelmini.<br />
* * *<br />
Gli italiani, a Milano e a Napoli, hanno votato (o non sono andati a<br />
votare, come hanno fatto molti elettori di destra) soprattutto su questo.<br />
Hanno votato bene, perché i partiti e i politici non sono tutti uguali; c'è una<br />
gran differenza fra un teppista alla Bossi e un brav'uomo come Bersani. Ma<br />
di Fiat, nel complesso, non s'è parlato.<br />
C'è nostalgia per la Repubblica, per tempi di minore ferocia e più civili;<br />
gli operai vanno trattati meglio, la mafia è una cosa brutta, l'Italia deve<br />
restare unita, non bisogna portarsi a letto le ragazzine. Ma di precarietà e di<br />
fabbrica s'è parlato – concretamente – molto poco. A tutt'oggi nessuno ha<br />
preso concretamente posizione contro Marchionne e se qualcuno parlasse di<br />
nazionalizzare la Fiat (cosa che in Germania sarebbe stata probabilmente<br />
presa in seria considerazione) verrebbe preso per matto o peggio per<br />
comunista.<br />
Eppure, quello è il cuore di tutto. La Fiat, nel giro di pochi mesi, ha<br />
completamente distrutto il sistema industriale italiano, sia nei diritti che
nella produzione, e il suo esempio è stato entusiasticamente seguito da quasi<br />
tutti. La Bialetti, poche settimane fa, ha delocalizzato non più in Cina (cosa<br />
ormai ”normale”) ma in India: un'altra ferita che si apre, e che verrà<br />
allargata.<br />
Secondo una della principali società di consulenza finanziaria,l'Italia sarà<br />
superata economicamente <strong>dal</strong>l'India prima del 2030; e poco dopo <strong>dal</strong><br />
Brasile, e molto prima <strong>dal</strong>la Cina. Con le nostre industrie, col nostro knowhow,<br />
con i nostri capitali. Noi ci accaniamo contro gli immigrati – falso<br />
problema – e mostriamo molta e nuova ferocia in questo; ma fra una<br />
generazione o meno, continuando così, sui gommoni rischiamo di finirci<br />
noi.<br />
* * *<br />
Questo referendum è una elezione politica, come le amministrative di<br />
Napoli e Milano; è inutile nascondere la realtà con un dito. Si vota pro o<br />
contro il governo, in primo luogo; si vota - ma solo indirettamente, per ora –<br />
pro o contro il mantenimento del catastrofico sistema attuale, che non è più<br />
capitalismo ma qualche altra cosa. Sarà una decisione difficile, e per<br />
prenderla ci vorranno degli anni; ma il processo, a mio parere, è già<br />
cominciato e la gente, anche se non ha le parole, comincia ad averne la<br />
percezione e il sentimento.<br />
La sinistra, per caso (per amore o per forza, a Napoli e a Milano) ha<br />
raggiunto un assetto che a me sembra vincente, pur nella sua ambiguità<br />
sostanziale. Il Pd fa da bastoncino dello zucchero filato, e attorno gli si<br />
attorciglia la società: quella di Vendola, quella di Di Pietro, quella di Beppe<br />
Grillo (sì, anche quella, alla base). Tutti questi pezzi sono vari e rozzamente<br />
rappresentati (il personalismo dei tre suddetti, da solo, meriterebbe lunghe<br />
meditazioni) ma nel complesso funzionano. Bersani, persona seria e non<br />
gonfia di sé come Veltroni, ha capito il gioco e si lascia portare.<br />
Questo significa la fine di Berlusconi, lo sfascio del suo asse sociale<br />
(nessun candidato leghista, a Milano, ha preso più di qualche decine di<br />
preferenze, tranne un paio di caporioni) e l'individuazione plateale, non<br />
nascondibile, di una maggioranza nuova. Quest'altra maggioranza in parte è<br />
di sinistra, in parte ha semplicemente paura. Su questo giocherà la<br />
Confindustria per fare il suo governo (probabilmente Tremonti), che sarà<br />
“d'unità nazionale”.<br />
Ma anche Badoglio lo era. Non durò a lungo perché la sinistra d'allora<br />
seppe mettere insieme la massima unità e “moderazione” ideologica con la
massima radicalità nella lotta (“non aspettiamo più, diamo addosso ai<br />
tedeschi”).<br />
Allora la sinistra era semplice, concentrata quasi tutta in un solo<br />
(rudimentale) partito. La sinistra di ora (oh, se volete chiamarla in qualche<br />
altro modo fate pure, è lo stesso) è complicata, è profonda, è difficile, e<br />
soprattutto non avrà mai più un unico partito – per fortuna. In compenso, ha<br />
l'internet. E questo dovrebbe bastare.<br />
* * *<br />
Fiat o non-Fiat, mafia o non-mafia, non sono le fantasie di qualcuno, sono<br />
le domande profonde a cui ciascuno di noi gente comune deve ormai<br />
rispondere, nel corso della sua vita quotidiana. La politica è sempre nata da<br />
queste domande, in realtà. E così alla fine succederà anche ora.
22 giugno <strong>2011</strong><br />
RIVOLUSSIONE…<br />
Cos'è una rivoluzione, oggigiorno? Perché è nonviolenta, perché si può<br />
fare<br />
Giusto, ha vinto internet. Ormai è banale dirlo ma queste tre elezioni<br />
(Milano, Napoli e i referendum) sono la data di nascita del “partito” nuovo,<br />
della nuova organizzazione di massa. Il “L'avevo detto” è irrefrenabile<br />
(penso al San Libero di dieci anni fa), ma in fondo è sciocco: non ci voleva<br />
granché per capire che cosa si stava preparando, bastava tenersi fuori <strong>dal</strong><br />
ceto politico riconosciuto e, pagandone i prezzi, ragionare.<br />
Hanno perso gli imprenditori. E' <strong>dal</strong>la “Milano da bere”, dunque dagli<br />
anni Ottanta, che la politica si ufficializza sempre più in un pensiero: il<br />
Paese è un'azienda, le aziende lo compongono, e tutto il resto è contorno.<br />
Neanche il pensiero di Mao era stato così categorico e indiscusso.<br />
I nuovi imprenditori italiani, in buona parte, sono stati – parlano i conti –<br />
la zavorra dell'economia italiana. Hanno rosicchiato un'industria<br />
faticosamente costruita negli anni duri, hanno mandato all'estero macchine e<br />
mercati, ci hanno trasformato - per pura avidità, senza accorgersene – un<br />
dignitoso paese industriale in un pastrocchio indefinibile fra postsovietico e<br />
terzo mondo. Le magnifiche sorti e progressive.<br />
Abbiamo sfiorato il nazismo, in questi anni, e se ne leggeranno le<br />
cronache, anni dopo di noi, con un senso d'orrore.<br />
* * *<br />
In questo disastro, creato dai possidentes, imposto a colpi di tv e mafia<br />
<strong>dal</strong>la destra e vaselinato dai leghisti, le colpe della sinistra sono tremende. Il<br />
medioevo sociale di Berlusconi - precariato, privatizzazioni selvagge,<br />
università, scuola – è cominciato col centrosinistra, che di queste “riforme”<br />
andava fiero e orgoglioso.<br />
Solo quando la gestione è passata alla destra, e le poche carote sono state<br />
sostituite dai bastoni, il centrosinistra (non tutto) ha cominciato ad<br />
accorgersi del danno fatto. La privatizzazione dell'acqua, ad esempio,<br />
nacque anche in Sicilia, con Bianco il “riformista”, e venne portata avanti<br />
da una lobby precisa dentro il Pds.<br />
Adesso questo è finito, almeno ora. Bersani si è impegnato onestamente<br />
sui referendum, ha sostenuto a spada tratta posizioni che due anni fa
avrebbero spaccato il partito, si è dimostrato coi suoi paciosi “ohè ragassi”<br />
un leader molto più serio e affidabile dei magniloquenti e catastrofici<br />
Veltroni e D'Alema.<br />
Ma anche lui non osa prendere posizione sulla Fiat (qui ci si spaccherebbe<br />
davvero, con un Fassino che sta a Marchionne come una volta Cossutta a<br />
Breznev), persino dire “stiamo con gli operai” è troppo pericoloso, in un<br />
partito nato esattamente dagli operai della Fiat, cent'anni fa. E va bene.<br />
Inutile piangere sul latte versato: meglio pensare che la sinistra ufficiale<br />
in questo momento è la meno peggio che si vede da molti anni, con ali ben<br />
distinte fra loro ma non nemiche, con personalismi assai forti (Vendola, Di<br />
Pietro, Grillo) ma tutto sommato controllabili, con una dura opposizione al<br />
governo attuale - non al sistema che l'ha prodotto - e con la vaga sensazione<br />
che forse privatizzazioni e precariato hanno qualche piccolo difetto.<br />
Va bene, non si può chiedere troppo <strong>dal</strong>la vita: questo può darci oggi la<br />
“politica”, ed è già tanto.<br />
* * *<br />
Al resto, dobbiamo pensarci noi, con altri mezzi. Quali? Ohè ragassi, ma<br />
la rivolussione naturalmente!<br />
Aaaargh! Nel duemila e passa! Queste parole orribili! Queste... queste<br />
cose selvagge e sanguinolente! Queste cose impossibili, fuori <strong>dal</strong> tempo!<br />
Momento. Le rivoluzioni nel duemila si possono fare, e si fanno<br />
benissimo difatti. Vedi Egitto, vedi Tunisia e un pochino forse anche<br />
Milano. Le rivoluzioni oggi possono essere nonviolente (debbono esserlo,<br />
perché lo zar non ha più i cosacchi ma le televisioni) e non sono meno<br />
rivoluzionarie per questo (chiedetelo a Obama).<br />
Rivoluzione vuol dire uscire coscientemente <strong>dal</strong> vecchio sistema e<br />
organizzarsi direttamente alla base, con sistemi nuovi. Discutere ma fare<br />
anche eventi di massa. Quali sono le bastiglie oggi? I palazzi d'inverno?<br />
Non hanno mura e cannoni, ma ci sono lo stesso; non più in una singola<br />
piazza, ma diffusi.<br />
Quella dozzina di liceali che organizza la lotta per l'acqua, in un paesino<br />
della Sicilia, e solo dopo si rivolge (se si rivolge) ai partiti, è rivoluzionaria;<br />
e alla fine vince. Quel gruppo di studenti a Milano, che parla di<br />
informazione e, saltando i decenni, riparte da Giuseppe Fava, è<br />
rivoluzionario; altro che Vespa e Santoro.Quella ragazza sveglia,<br />
frequentatrice dei Siciliani anni '90, che dopo anni organizza il primo<br />
sciopero degli immigrati, è rivoluzionaria.
Si unissero tutte queste forze fra loro, facessero corpo insieme,<br />
sprizzassero scintille: che cosa sarebbe questo, se non una rivoluzione?<br />
* * *<br />
Cìè un unico ostacolo serio, ed è la nostra insufficienza. Insufficienza<br />
culturale, non di forze. Stiamo perdendo tempo, stiamo perdendo occasioni.<br />
Ricordate com'è cresciuto Berlusconi? Con un progresso tecnico,<br />
l'emittenza locale. E' là che - per colpa nostra - ci ha battuto. Eravamo molto<br />
più forti di lui, negli anni Settanta, in questo campo. Duecentocinquantatrè<br />
radio libere di sinistra (una era quella di Peppino) e mezza dozzina di tv.<br />
Queste sono state date via perché tanto c'era già il nostro spazio Rai. Quelle<br />
non riuscivano mai a coordinarsi fra loro, neanche per un momento, e<br />
passavano il tempo a giocare a “rradio-rrossa-alternativa”. Intanto<br />
Berlusconi macinava.<br />
E' quel che sta succedendo oggigiorno. Abbiamo scoperto l'internet, ci<br />
abbiamo galoppato come i Sioux delle praterie. Ma gli altri lo colonizzano,<br />
in compagnie e reggimenti e con l'artiglieria. E noi continuiamo a<br />
galoppare, ognuno nella sua valle, allegramente.<br />
* * *<br />
Su che cosa sarà il prossimo referendum (è ovvio che bisogna farlo)? Sul<br />
precariato, per caso? Ci saranno elezioni? Quando ci faranno votare?<br />
L'accordo Confindustria-Tremonti sostituirà Berlusconi, o ci sarà spazio per<br />
una soluzione “milanese”?<br />
La Lega sparerà, o si limiterà alle parole? Noi saremo un “partito”, o solo<br />
un'occasionale massa elettorale?<br />
Quante domande, che un mese fa non esistevano... Il mondo va assai di<br />
fretta di questi tempi. Non restiamo a guardare.
6 luglio <strong>2011</strong><br />
BUONE VACANZE, ANZI NO<br />
C'è tanto da fare, proprio ora…<br />
Spero che siate in vacanza, tutti meno quelli che portano avanti siti, blog,<br />
movimenti e roba varia. Siete infatti l'unica forza concreta di questo paese. I<br />
politici, per quanto benintenzionati, sono dilettanti: Di Pietro che fa i<br />
capricci, Vendola sì-e-no, Veltroni che vuole i referendum ma nel Pd, Grillo<br />
che oggi è Mao e domani Fantozzi...<br />
I cattivi, purtroppo, in vacanza non ci vanno mai. Noi abbiamo<br />
dimenticato il G8, ma loro no, e infatti ci riprovano a ogni occasione. Noi<br />
non riusciamo a fare una rete unita, e loro appena possono ce la strozzano<br />
coi bavagli. Noi ci accapigliamo sul sesso dei diavoli e loro, ridendo e<br />
scherzando, preparano golpe alla vaselina.<br />
Gli operai, in vacanza ci vanno poco e male. Quelli più fortunati (i<br />
polentoni, i terroni al nord e tutti gli altri “perbene”) ci vanno col cuore in<br />
gola, non sapendo se ritroveranno la fabbrica (svanita in Cina, in India, o<br />
semplicemente in cocaina) e se dovranno lavorare il doppio o solo qualche<br />
ora in più.<br />
Per tutti gli altri – callcenterine romane, neri, terroni al sud, muratori<br />
rumeni – la parola “vacanza” è una di quelle a cui anche solo pensare è<br />
pericoloso, come “pensione”, “contratto”, “orario” o “avvenire”.<br />
* * *<br />
Ecco, è un'estate così. Ma non stava vincendo il centro sinistra? Ma<br />
Berlusconi non stava andando a ramengo?<br />
Sì, nei giornali è così. Ma nella realtà non ci sono solo la destra e la<br />
(centro)sinistra, c'è anche chi sta sopra e chi sta sotto. Lo scontro vero è<br />
quello, anche se è maleducato parlarne. Ma tutto ciò che succede,<br />
Berlusconi o Bersani, lega o tricolore, ha un senso solo se chi sta sotto<br />
comincia a salire un poco, e questo non lo decide la “politica” ma altre cose.<br />
I guai in famiglia non mancano, siamo sinceri. C'è lite fra Cgil e Fiom,<br />
cioè fra il sindacato “politico” e quello degli operai organizzati. Noi – fra<br />
amici si parla chiaro – diciamo che ha ragione la Fiom, pane al pane. Fa<br />
male la Camusso a trattare su cose senza le quali né gli operai né il Paese<br />
possono campare.<br />
Ma non di tradimento si tratta, bensì di errore: uno dei tanti sbagli in
uonafede di cui è costellato il cammino (né sarà l'ultimo) dei lavoratori.<br />
Non è un pranzo di gala, diceva il tale. L'importante è che almeno qualcuno<br />
abbia le idee chiare e non si lasci scoraggiare e abbia pazienza, e poi la dura<br />
realtà – l'unica maestra seria – farà il suo lavoro.<br />
Ricordo quell'operaio cinquantenne, si chiamava Bastiano, il più<br />
diffidente della fabbrica. “Sciupirari? e picchì? cca concludemu? 'A fuorza,<br />
simpri iddi ci l'hannu!”. Eppure, quando occupammo la fabbrica, era<br />
davanti al cancello, in prima fila: “Non si campa cchiù! Che vita è? Pissu<br />
ppi pissu, facemu a luttacontinua tutt'insemi e quannu finisci si cunta!”.<br />
* * *<br />
Nella crisi Marchionne (su cui insistiamo moltissimo perché è il centro di<br />
tutto, sia della “politica” che della realtà vera) c'è stato un episodio<br />
trascurato dai media, ed anche <strong>dal</strong>la maggior parte dei blog indipendenti. E'<br />
stato quando gli operai della Fiat serba, quella che doveva far da crumira a<br />
Mirafiori, a un certo punto propongono ai torinesi: “Bene, allora<br />
incontriamoci e mettiamoci d'accordo. Magari organizziamo qualcosa<br />
insieme. Visto che il padrone è lo stesso...”<br />
Non è che siano stati presi molto sul serio. Normale, nell'ottocento (siamo<br />
nell'ottocento, lo sapete). Normale ma non scoraggiante – all'inizio le cose<br />
vanno piano. Fatto sta che per la prima volta è stata messa sul tavolo,<br />
elementare ingenuo e tutto quel che volete, l'idea di uno sciopero<br />
multinazionale.<br />
E' un'idea pericolosa, specie se messa insieme (e qualche operaio ci<br />
penserà, ci puoi giurare) con l'altra di organizzarsi in rete (Tunisia, Milano)<br />
per fare cose “politiche”, più o meno moderate. Io dico che andrà così,<br />
prima o poi. “<strong>Un</strong>o inventa la tipografia e quegli zozzoni di operai dopo un<br />
po' ne approfittano per farsi i volantini. Si figuri con internet, signora mia”.<br />
* * *<br />
Succedono tante cose, nel mio paese. Al Nord i volontari cattolici<br />
spazzano via la Lega. A Parma i cittadini che due anni fa lodavano i vigili<br />
che picchiavano i negri ora linciano il sindaco di cui hanno scoperto, poveri<br />
innocenti, che è un po' ladrone. A Napoli, la città più “qualunquista” d'Italia<br />
(giusto, signora mia?), dànno a De Magistris esattamente gli stessi voli di<br />
trent'anni fa a Bassolino: traditi ma non arresi, non rassegnati affatto al “non<br />
c'è nulla da fare”.<br />
A Roma “consulitur”, ma Sagunto non si lascia espugnare affatto. Questo<br />
è il clima.
* * *<br />
Tutto questo si unisce in un concetto semplice: facciamo rete.<br />
Dappertutto, e senza etichette. Abbiamo un modello vincente, è l'antimafia.<br />
Senza etichette e chiacchiere (e quando ne ha di solito sono dannose), è il<br />
movimento-locomotiva di tutti gli altri. Vi serve un programma politico?<br />
Tre parole: Dalla Chiesa e Impastato.<br />
E poi non mollate i siti, continuate a remare. Certo, ciascuno di noi è<br />
moralmente giustificato quando non ce la fa più e molla il remo. Tutto così<br />
pesante, nessuno a dirti bravo. Eppure dobbiamo continuare. Non siamo più<br />
stretti in difesa ma stiamo costruendo - ora - l'alternativa.<br />
* * *<br />
Io dico “siti” perché sono vecchio e mi pare di dire chissà che modernità.<br />
Ma in realtà le cose sono molto più avanti, e a portata di mano. Per<br />
esempio: c'è la tv guarda-e-dormi che sta morendo, per colpa non di Santoro<br />
ma di i programmi divertenti su YouTube (“Freaks” ha preso milioni di<br />
accessi, e con quattro soldi). C'è la destra che è morta, e sono i gruppi FB<br />
che l'hanno seppellita.<br />
C'è il centrosinistra che non osa essere troppo di destra (e Dio sa se<br />
vorrebbe) per paura di restar solo. C'è Repubblica che migra sempre più da<br />
carta a rete (sempre restando saldamente in mano a un padrone) applicando<br />
i suoi soldi alle nostre idee. Ma soldi non ce ne vogliono poi tanti. E noi<br />
stiamo qui a fare (solo) il nostro sito?<br />
(PS: A Catania Tony Zermo ha appena benedetto il nuovo sindaco, un<br />
giovane “di sinistra” assai ragionevole. Il suo rivale – o alleato, non s'è<br />
capito bene – è un giovane “di destra” altrettanto ragionevole. Danno<br />
interviste insieme, fraternamente. Entrambi sono amici delle costruzioni<br />
ragionevoli (corso Martiri, ad esempio), entrambi ragionevolmente ben<br />
trattati da Ciancio. Auguri...)
19 luglio <strong>2011</strong><br />
PERCHÉ NON TUTTI INSIEME?<br />
RETE, TECNOLOGIE E UNITÀ<br />
“Aiutati che Dio t'aiuta”. E certo non ci aiuteranno, in Sicilia, gli<br />
imprenditori o i rettori...<br />
Omen nomen: si chiamava Recca l'editore che licenziò Giuseppe Fava (e<br />
poi me) <strong>dal</strong> Giornale del <strong>Sud</strong>, giusto trent'anni fa, in una bella estate<br />
catanese come questa. Era un brav'uomo, tutto sommato; ma aveva a che<br />
fare con gli uomini di Graci.<br />
Anche il Recca di adesso, quello che come magnifico rettore ha<br />
imbavagliato d'autorità i suoi studenti sarà una brava persona, sicuramente;<br />
ma “il coraggio, monsignore, uno non se lo può dare”; e nel caso del Recca<br />
contemporaneo non ce ne vorrebbe di meno, perché in mancanza d'un Graci<br />
qua c'è da fare i conti con Ciancio; che è sempre un bell'affare.<br />
Ma lasciamo andare. Annotiamo rapidamente che l'imbavagliata di Recca<br />
è deplorevole non solo per il pessimo esempio ai discenti in tema di<br />
democrazia, ma anche per la caduta d'immagine dell'università a lui affidata.<br />
Che già prima non mancava di suscitare pettegolezzi sull'illustre<br />
cattedratico famoso per aver pubblicato un libro di assoluzione della mafia<br />
subito dopo l'assassinio di Fava, o su quello - non meno illustre - sputtanato<br />
in tv mentre cercava di “esaminare” a modo suo una studentessa.<br />
Adesso l'università di Catania non ha bisogno d'altro: dopo don Corleone<br />
e don Giovanni, può mettere don Basilio fra i suoi luminari.<br />
In questo declassamento dell'Ateneo Recca peraltro non è solo, facendogli<br />
buona compagnia i colleghi donabbondi (la quasi totalità del corpo<br />
accademico) che non hanno ritenuto di esprimersi pubblicamente e<br />
personalmente su un episodio che sarebbe stato assolutamente normale<br />
all'università dell'Uzbekistan o del Kalahari.<br />
Catania, come sapete, ha avuto un giornalista (che era poi siracusano e<br />
non catanese) assassinato dai padroni della città. Ne ha avuto alcuni altri<br />
minacciati, più o meno pubblicamente. Ne ha avuti non uno o due, ma<br />
decine e decine emarginati, ridotti al lastrico, privati dei loro giornali,<br />
strozzati in tutti i modi; costretti a lasciar la Sicilia o diversamente a<br />
accettare - prezzo di libertà - una vita di durissimi sacrifici.
Non parlo per sentito dire. Per quasi trent'anni ho dovuto reclutare e<br />
gettare nella fornace giovani coraggiosissimi e bravi, ai quali sapevo<br />
benissimo di non poter promettere altro - finché fossero rimasti a Catania -<br />
che onore e stenti.<br />
<strong>Un</strong> vero genocidio professionale, di cui non si ama parlare: logica<br />
conseguenza del monopolio, spietatamente esercitato, che nessuno<br />
seriamente contrasta se non qualche veterano superstite e spesso, grazie a<br />
Dio, una generazione di ragazzi.<br />
La forza dell'antimafia catanese, quanto all'informazione, è insomma tutta<br />
di volontari e poveri, e lo è sempre stata.<br />
Né sulle istituzioni “colte” qui si può contare (il caso Step1 ne è la prova),<br />
né su imprenditori privati, ora come ora; anche quelli che hanno deciso di<br />
non star più con la mafia, quando si tratta d'informazione preferiscono<br />
quella tranquilla e complice, quella ufficiale.<br />
Giornali al di fuori di Ciancio, editori illuminati? Chiacchiere, e fin<br />
troppo interessate. S'è visto nel caso <strong>Sud</strong>press, con l'editore “illuminato”<br />
risultato alla fine un politicante qualsiasi, con interessi concretissimi e grevi.<br />
* * *<br />
Ma allora non c'è niente da fare? Ce n'è moltissimo invece, e da fare in<br />
fretta. Abbiamo un'occasione irripetibile, la seconda generazione delle<br />
nuove tecnologie (ebook, Pdf, iPad, kindle) che acquistano sempre più<br />
terreno, e sono relativamente economiche, o almeno non comportano la<br />
maggior parte dei costi vivi, tipografici.<br />
Sostituiranno la carta stampata? No: ne sostituiranno solo una parte. Ma<br />
s'integreranno perfettamente, in un sistema misto e articolato, con la restante<br />
parte di essa.<br />
Staranno sul mercato? Ancora no (in Italia: ma nei paesi anglosassoni<br />
cominciano già a superare la carta stampata), ma ci staranno benissimo fra<br />
due o tre anni, man mano che si allargheranno i target e si svilupperanno i<br />
sistemi (vedi U<strong>cuntu</strong> 113) sistemi di pagamento elettronici.<br />
Siamo in grado di farli? Da soli, noi di U<strong>cuntu</strong>, no; ma tutti insieme sì,<br />
benissimo e ad alto livello. Non sono le competenze che ci mancano - ci<br />
mancano l'organizzazione e i quattrini.<br />
Di questi, nel settore elettronico, non ce ne vogliono ora poi tanti; e<br />
possiamo tener duro da volontari ancora un anno.<br />
E un'organizzazione seria e professionale si può fare benissimo (non sono<br />
le esperienze che ci mancano) se ci decidiamo a lavorare tutti insieme,
senza mezze misure e senza riserve.<br />
Siamo ripetitivi, d'accordo. Ma il progetto, l'unico che può salvarci come<br />
giornalisti liberi, è questo. Tecnologie e unità. Rete e giornali elettronici. <strong>Un</strong><br />
giro di prodotti modernissimi ma anche (dove servono), di “vecchi” giornali<br />
di quartiere. E poi tutti insieme, a maturità conseguita, sul mercato.<br />
Non è una faccenda semplice, non lo è professionalmente ma non lo è<br />
soprattutto sul piano diciamo così “politico”. In altre parti d'Italia si può<br />
giocare con le parole, essere educati e gentili. Qui, per essere appena appena<br />
dei conservatori perbene, bisogna essere subito dei “pazzi scatenati” e degli<br />
“estremisti”, o almeno acconciarsi a venir trattati come tali.<br />
Qui non ci sono spazi di mediazione con il potere, ché qui il potere è<br />
Sistema. E qui il nostro mestiere diventa una cosa maledettamente<br />
complicata.<br />
Ma facciamo un esempio, tanto per capirci. Ci sono due giudici in lizza<br />
per un posto in Procura. Dei due, uno è platealmente governativo, e non può<br />
ispirare fiducia a chiunque non sia del suo partito. L'altro, meno estremista,<br />
ha tuttavia la disgrazia di essersi fatto beccare a cena con un mafioso.<br />
Senza grida, senza urla, senza pretese di scoop e senza mai ingiuriare<br />
nessuno, noi e pochi altri (all'inizio, fra i colleghi, solo Pino Finocchiaro e<br />
Giuseppe Giustolisi) abbiamo portato avanti l'idea che ci sembrava più<br />
logica: scegliere un terzo giudice, fuori <strong>dal</strong>la città. Apriti cielo! Siamo<br />
“cattivi maestri”, siamo “amici di Ciancio”, siamo “intellettuali fuori <strong>dal</strong>la<br />
realtà”.<br />
Quel che è peggio, sono stati violentemente aggrediti i ragazzi del<br />
Coordinamento Fava che ci avevano ospitati (“antimafiosi da strapazzo”) e<br />
il vecchio giudice Scidà, che questa tesi portava avanti in solitudine da<br />
molti anni. Su di lui si sono accaniti in modo particolare.<br />
Alla fine, com'era ovvio, la logica ha avuto ragione. <strong>Un</strong> giudice<br />
“continentale”, non chiacchierato da nessuno, verrà molto probabilmente<br />
nominato. Gli stessi che prima difendevano (secondo le rispettive ideologie)<br />
questo o quel candidato, adesso si dichiarano d'accordissimo sul giudice “di<br />
fuori”. Tutti aderiscono a gara alla buona battaglia, ora che è quasi vinta.<br />
Va bene. Le novantanove pecorelle, il vitello grasso e così via.<br />
L'importante è che ora siamo tutti d'accordo, chi ci credeva da subito (e ne<br />
ha pagato i prezzi) e chi si è convinto dopo.<br />
* * *<br />
Dopo queste esperienze (e tenendo conto che non solo di Procura si tratta,
e che è già in agenda la madre di tutte le speculazioni edilizie catanesi,<br />
corso Martiri), a un poveraccio vien voglia di mandare tutti quanti a quel<br />
paese, e di fidarsi d'ora in poi solo ed esclusivamente dei ragazzi. Da quelli<br />
di Step1 a quelli (che ora stanno organizzando il loro jamboree a Modica)<br />
del Clandestino, ai nostri di Lavori in corso, passando per Periferica e<br />
Cordai.<br />
Saremo insufficienti allo scopo, saremo “troppo giovani”, saremo anche<br />
buffi se volete , ma almeno abbiamo le idee chiare su chi comanda in Sicilia<br />
e sul perché deve smettere di comandare.<br />
“Quando i giochi si fanno duri - ricordate il collega Belushi? Gran bravo<br />
ragazzo, il Belushi - i duri cominciano a giocare”.<br />
Bene, noi ora cominciamo a giocare sul serio. Prima che finisca l'estate:<br />
lavori in corso. Alla prossima puntata.
2 agosto <strong>2011</strong><br />
I PATRIZI, I PLEBEI<br />
E L'IMPERATORE PAZZO<br />
“Tremonti o Amato”, dicono i senatori...<br />
1.647 emigranti sono morti nel Canale di Sicilia nei primi sette mesi del<br />
<strong>2011</strong>. 5.962 <strong>dal</strong> 1994. Gli ultimi venticinque l'altro ieri, vicino a<br />
Lampedusa. Gli emigranti superstiti, dai campi di concentramento,<br />
protestano disperatamente da Ponte Galeria a Mineo, ma se ne sa quasi<br />
niente perché il governo ha vietato ai giornalisti di avvicinarsi ai campi.<br />
* * *<br />
<strong>Un</strong>a delle principali multinazionali del pianeta, la Foxcom (fabbrica gli<br />
Apple, i Dell, i Sony e gran parte degli altri giocattoli di massa) prevede di<br />
utilizzare nelle sue fabbriche novecentomila robot nei prossimi tre anni,<br />
facendo a meno di altrettanti operai.<br />
* * *<br />
Continua la catastrofe della Fiat sotto Marchionne. 7,8 per cento di<br />
vendite in meno nell'ultimo mese.<br />
* * *<br />
Colloqui banche-industrie-sindacati per un “governo tecnico” e un patto<br />
sociale. Repubblica azzarda i nomi dei “tecnici”: Mario Monti, Giuliano<br />
Amato o - il più probabile di tutti - Giulio Tremonti. Dopo l'imprenditore<br />
Berlusconi, avremo, a quanto pare, un altro governo degli imprenditori.<br />
* * *<br />
Queste sarebbero le notizie. Il commento è scontato. La crisi italiana si<br />
risolverà (o cercheranno di risolverla) tutta dentro al Palazzo. Dunque, non<br />
sarà risolta.<br />
I quaranta milioni di italiani (di più, considerando anche gl'italiani senza<br />
identità di cui nessuno sa esattamente il numero, come per gli schiavi<br />
dell'antica Roma) che hanno pagato questi vent'anni di Berlusconi -<br />
dell'imprenditore Berlusconi, e di tutti gli altri imprenditori che l'hanno<br />
appoggiato - non hanno voce in capitolo, non la debbono avere.<br />
Il prossimo Berlusconi starà un po' più attento con le donne, non<br />
racconterà barzellette idiote, sarà un po' meno ridicolo quando avrà a che<br />
fare con presidenti e regine e questo, nelle intenzioni del Palazzo, è più che
sufficiente per noi poveracci. Contentiamoci. Giusto?<br />
* * *<br />
Parlavamo di Roma, quella senza Cristi e senza illusioni: l'impero.<br />
Approfondiamo il paragone. Anche allora ogni tanto un imperatore<br />
impazziva, e i proprietari del mondo - i senatori, i patrizi, coloro che<br />
secondo se stessi erano Roma - ne avevano paura. A volte, di malavoglia, si<br />
ribellavano.<br />
“Forza, plebe! Seguiteci! Viva la libertà! Morte al tiranno!”.<br />
E i plebei, che da generazioni lottavano sordamente per le loro vite, li<br />
guardavano diffidenti: “Ma voi non eravate a corte con l'imperatore?”.<br />
“Tempi passati! Adesso pensiamo a Roma!”. E i plebei, non del tutto<br />
persuasi, li applaudivano.<br />
“Quale artista muore con me!” sospirava Nerone. E già i senatori<br />
litigavano sul prossimo imperatore e su quanti pretoriani e quanti gladiatori<br />
sarebbero stati necessari per tener buona la plebe in avvenire.<br />
* * *<br />
L'impero alla fine cadde, perché non può durare un impero con troppo<br />
poca tecnologia e troppi schiavi. Ma questo i senatori non lo sapevano, e<br />
non gl'interessava saperlo.<br />
(Intanto, fra gli schiavi, si macinava qualcosa. Tutto un mondo diverso, né<br />
senatorio né imperiale. <strong>Un</strong>'altra cosa.)
16 agosto <strong>2011</strong><br />
IL PROSSIMO PASSO, UN PO' PIÙ IN SU<br />
Ne parleremo a Modica, al “Clandestino”<br />
Stavolta non c'è nulla di complicato. Infuria la lotta di classe, col Capitale<br />
(direbbe quel tale) che picchia senza scrupoli i Lavoratori. In realtà le cose<br />
non stanno esattamente così: il “capitalismo” come l'abbiamo conosciuto<br />
non esiste praticamente più da una ventina d'anni (è diventato automatico, e<br />
incontrollabilmente non-umano), e sarebbe anche ora di trovargli un altro<br />
nome.<br />
Quanto ai lavoratori (di qualunque lavoro si tratti, alcuni assai strani), si<br />
sfruttano in buona parte da sé medesimi, anch'essi in automatico, senza<br />
saperlo. Marchionne non è un “padrone” (né lo è il compagno Chin-chi-lao<br />
della Commissione Industria del Partito comunista cinese, che sempre più<br />
gli somiglia), ed entrambi non comandano in quanto proprietari di qualcosa.<br />
Il computer su cui scrivo, infine, in parte è ancora una “merce” e in parte<br />
no; è merce l'hard-disk faticosamente e marxisticamente costruito dai<br />
bambini cinesi, ma non lo è affatto il bel design, che invece è un prodotto<br />
culturale, che però pesa - nel mercato moderno - per più della metà.<br />
Siamo insomma contemporaneamente nel 1810 e nel Tremila, e questo<br />
crea qualche problema nel capire le cose, abituati come siamo a ragionare<br />
seriamente solo ogni cent'anni (Marx, Keynes, Gandhi...) e per il resto a fare<br />
o resistenza o nostalgia.<br />
Sarebbe ora di rimetterci a lavorare di buzzo buono su queste cose, perciò<br />
se fra i nostri l'ettori c'è qualche piccolo Marx o Keynes potenziale (cosa<br />
niente affatto improbabile, con la cultura di massa e dell'internet che la<br />
spamma in giro dappertutto) lo prego di mettersi subito all'opera senza<br />
perder più tempo con la “politica” corrente, il Nintendo e gli altri giochi.<br />
* * *<br />
Fine della parentesi. In Italia, distrutte le garenzie democratiche (e<br />
keynesiane, che erano inseparabili da esse) si va al muro contro muro, e<br />
prima ce ne rendiamo conto meglio è. Il fulcro non è Berlusconi ma Fiat.<br />
Quest'ultima è il prodotto più apertamente esplicito di un sistema che ormai<br />
comprende tranquillamente anche la mafia, in senso lato, ed ecco perché è<br />
così importante (a parte legalità ed etica, che pure sono i nostro software di
fondo) la lotta antimafia, su cui si decide quasi tutto. Siamo all'altezza? No.<br />
Non parlo dell'antimafia mediatica (che pure qualche rara volta ha una sua<br />
funzione) ma proprio di noi, l'antimafia di base, quella che lavora ogni<br />
giorno, quella reale.<br />
Non riusciamo a “far politica” e a fare rete, non quanto occorre, e anzi in<br />
questi mesi, nel nostro piccolo mondo (che poi tanto piccino non è) i passi<br />
indietro sono stati più dei passi avanti. Non solo sul piano concreto, delle<br />
cose prodotte, dei “risultati”, ma proprio nello stato d'animo, nel nostro<br />
modo di essere, sempre più individualista e tribale e sempre meno<br />
modernamente e coscientemente coordinato.<br />
Non faccio esempi (per ora) per carità di tribù, ma credo che ci capiamo.<br />
Nella rete informale di U<strong>cuntu</strong>, che è un buon esempio per capire tutto il<br />
resto, non c'è un solo nodo che funzioni veramente in rete; ciascuno fa quel<br />
che deve fare per sé, e rimanda al domani (o rimuove) le cose altrettanto<br />
importanti che dovremmo e potremmo fare insieme.<br />
Così non ce la facciamo, o meglio ci illuderemo di farcela ma resteremo<br />
in sostanza – per difetto di massa critica – sempre subalterni. Quando non<br />
avremo più un Berlusconi a tenerci insieme e dovremo affrontare, al posto<br />
suo, i gattopardi, verremo assorbiti da questi ultimi senza nemmeno<br />
accorgercene. Perché nel mondo moderno o si è rete o si è spettatori. Non<br />
c'è via di mezzo.<br />
* * *<br />
<strong>Un</strong>'eccezione, nella geremiade di cui sopra, è rappresentata dai ragazzi di<br />
Liberainformazione, che affrontano con serietà e coraggio, e spirito unitario,<br />
la solitudine in cui li ha precipitati la scomparsa del loro maestro, Morrione.<br />
“Non siete soli in realtà, coordinate le forze” è stato l'insegnamento di<br />
Roberto, e avendolo compreso vanno avanti.<br />
<strong>Un</strong>'altra eccezione è quella dei ragazzi di Modica, del “Clandestino”. Non<br />
solo hanno continuato a sviluppare lo specifico lavoro della loro zona<br />
(questo lo fanno anche gli altri), ma hanno sempre cercato di tenersi in rete,<br />
di sapere quel che si faceva altrove, di non considerarsi autosufficienti e<br />
soli. Per questo il loro incontro è importante: è un modello per tutti, e va<br />
sottolineato.<br />
* * *<br />
Modica, all'estremo <strong>Sud</strong> dimenticato, è il posto migliore - a questo punto -<br />
per fare un annuncio importante, il salto di qualità a cui tendevamo in tutti<br />
questi anni. Da settembre si apre un capitolo nuovo. U<strong>cuntu</strong>, Lavori in
Corso, Casablanca e tutto il resto sono tappe utilissime di un viaggio che<br />
non è finito, che non si esaurisce in nessuna di esse e che anzi deve ancora<br />
toccare i suoi obiettivi più importanti.<br />
Insieme, in rete, come nei momenti più alti, più avanti ancora e più in rete<br />
ancora: a Modica, e dopo Modica, comincia un altro pezzo di strada.
UN NUOVO GIORNALE, I SICILIANI<br />
Da Liberainformazione, il sito dei giovani giornalisti di Libera, fondato<br />
da Roberto Morrione: « Festival del giornalismo di Modica/ Tornano i<br />
Siciliani/ Due giudici, un sociologo e dei giornalisti per il giornale di<br />
Giuseppe Fava »<br />
«Trent’ anni fa venivo licenziato <strong>dal</strong> giornale per cui lavoravo e salutavo<br />
Pippo Fava ad un bar. Oggi sono qui con voi giovani. Abbiamo vinto noi, i<br />
mafiosi sono morti e sepolti. Ma c’è ancora molto da fare». Così il<br />
giornalista catanese Riccardo Orioles anticipava la notizia che è stata<br />
diffusa ieri a Modica, durante la terza edizione del "Festival del<br />
giornalismo": ritorna la storica rivista "I Siciliani". In queste ore Orioles ha<br />
sintetizzato in poche parole lo spirito di questo giornale: «I Siciliani hanno<br />
un solo direttore, Pippo Fava».<br />
La notizia era nell'aria da qualche mese. Adesso, con il sostegno del<br />
sociologo Nando Dalla Chiesa, il procuratore di Torino Giancarlo Caselli e<br />
il magistrato catanese Giambattista Scidà, questo progetto di vita è<br />
diventato realtà.<br />
D'altronde "I Siciliani" diretti da Pippo Fava, ucciso <strong>dal</strong>la mafia a Catania<br />
nel 1984, non hanno mai chiuso (davvero) i battenti. Da quell'esperienza è<br />
nato anche un laboratorio permanente di giornalismo, una scuola,<br />
coordinata da Orioles e animata da tantissimi giovani, tante donne<br />
(Graziella Proto, su tutte) che in questi anni ha continuato a editare, sotto<br />
diverse forme da "Casablanca" a "U<strong>cuntu</strong>", ai tanti giornali di quartiere,<br />
quell'esperienza. Soprattutto sul web, prima di altri e più di altri.<br />
Raccontando Catania e le battaglie per i diritti nel resto del mondo.<br />
Adesso il ritorno de "I Siciliani" è una vittoria per tutti. Ma anche una<br />
sfida complessa.<br />
La notizia di questo ritorno editoriale è stata data a Modica dove è in<br />
corso la terza edizione del "Festival del Giornalismo" organizzata <strong>dal</strong>la<br />
redazione de "Il Clandestino", giornale di giovani siciliani che tanto ha in<br />
comune con quell'esperienza siciliana degli anni '80.<br />
Liberainformazione
30 agosto <strong>2011</strong><br />
E' DI NUOVO IL MOMENTO<br />
DEI SICILIANI<br />
Disoccupati, imbavagliati, schiacciati da una ragnatela di interressi<br />
terrificanti. E nessuno ci aiuta, e non c'è niente da fare? Ma noi stessi<br />
dobbiamo aiutarci, volando alto. “Quando il gioco si fa duro, i duri<br />
cominciano a giocare...”<br />
<strong>Un</strong> ragazzo su tre, giù da noi, non ha lavoro. Sarebbe un primato europeo,<br />
se fossimoEuropa ancora. L'economia della mafia, almeno al <strong>Sud</strong>, è metà<br />
del totale. Il governo è fallito, ma non se ne vede a Palazzo uno nuovo. A<br />
Palazzo si pondera: Tremonti, Montezemolo, Badoglio, Solaro della<br />
Margherita?<br />
E intanto lo sfascio va avanti. I sindaci democratici – che pure il popolo<br />
ha imposto, senza problemi – non hanno, intorno al Palazzo, molti amici. Lo<br />
sciopero generale, extrema ratio, che i capi dei lavoratori hanno infine<br />
proclamato, dopo molte esitazioni, per dare l'allarme al Paese, non sembra,<br />
in tv e sui giornali, un argomento centrale. Contano di più le veline.<br />
* * *<br />
Tv e giornali: quggiù in Sicilia, esemplarmente, son tutti di una stessa<br />
persona. Da quasi quarant'anni, ben prima di Berlusconi. Quaggiù, la<br />
tirannia è senza sfumature. Nel quartiere il mafioso, a Palazzo il politico<br />
“amico”, e nell'informazioneil bavaglio. Noi non ci rassegnamo, noi<br />
siciliani. Otto giornalisti uccisi. E tre generazioni di ragazzi, una di seguito<br />
all'altra, a fare informazione povera e antimafiosa.<br />
Cos'altro dobbiamo fare, noi siciliani?<br />
Che cosa ha il dovere di dire, in questa disperazione e in questo dramma,<br />
un antimafioso superstite, un “carusu di Fava” di sessant'anni? Può<br />
restarsene zitto? Oppure, standosi zitto, vi tradirebbe?<br />
* * *<br />
Ah, non è che non si muovano, nell'Isola Felice, politici e baroni.<br />
Degl'intrighi di corte, delle alleanze, dei tradimenti, delle alleanze<br />
rovesciate, s'è perso il conto. Ogni tanto uno di loro s'affaccia al balcone e<br />
“Cittadini! - proclama – Ecco la politica nuova! La vera strada! La geniale<br />
politica che salverà il Regno!”. Noi villici, col naso all'aria, lo ascoltiamo<br />
pazienti. Ma tutte le geniali idee dei baroni, a quanto pare, hanno come<br />
preliminare condizione (non per avidità ci mancherebbe, ma solo
nell'interesse del regno) la distribuzione fra loro baroni - siano essi<br />
borbonici o liberali - di seggiole, consulenze, assessorati e poltrone.<br />
* * *<br />
“Va bene, giù da voi in Sicilia...”. Altro che Sicilia, amici miei. E' di New<br />
York che parliamo, quando parliamo di Catania o Palermo. Di New York, di<br />
Budapest, per non dire Milano o Ravenna. Esagero? Niente affatto. A New<br />
York già nel '96 c'era l'Invision della catanesissima Famiglia Rendo. Che a<br />
Budapest, un paio d'anni fa, possedeva ben due quotidiani. Di questo si<br />
parla quando si parla di Catania, non solo degli intrallazzi locali.<br />
* * *<br />
E le tv, i giornali, l'informazione? Dopo trent'anni, mi sembra ancora di<br />
essere al punto di partenza, noi per la strada (e ora in internet) a fare i nostri<br />
fogli poveri e loro barricati là dentro a fare il notiziario di corte.<br />
Le ultime notizie sono le trattative fra De Benedetti e Ardizzone (cioè<br />
Ciancio) per acquisire progressivamente al gruppo De Benedetti il Giornale<br />
di Sicilia (cioè La Sicilia); e che in ogni caso Ciancio entro la fine dell'anno<br />
entrerebbe nella sua orbita abbandonando la vecchia agenzia di pubblicità<br />
Etas Kompass (Fiat) per abbracciare la Manzoni & C. (gruppo Repubblica).<br />
Sarà un bene, sarà un male, ma di certo noi villici non c'entriamo. E<br />
sappiamo dove va a finire ogni volta il cetriolo nella storia dell'ortolano<br />
* * *<br />
Va bene. E ora? Ci lasciamo così,dopo aver chiacchierato? E no,<br />
santiddìo, stavolta no. Stavolta giochiamo grosso, puntiamo tutto quello che<br />
abbiamo. Il nome, la storia, la forza dei Siciliani. Amici, rimettiamo in<br />
campo i Siciliani. Loro hanno i killer, loro hanno i miliardi – ma noi, noi<br />
uomini di questa terra abbiamo i Siciliani.<br />
Scusate, fratelli miei, se tutto è stato così improvviso. Non vi offendete,<br />
ve ne prego, non voglio imporvi (io?) essere presuntuoso. Io sono<br />
semplicemente il compagno che s'è svegliato più presto degli altri<br />
stamattina, che ha visto l'orizzonte in fiamme e le anime che gridano dolore,<br />
e senza pensarci un momento (pensare, in questi casi, a che serve?) s'è<br />
messo a urlare “Allarme! Svegliamoci! Ci vogliono i Siciliani!”.<br />
Non è merito mio, e neanche mia colpa. Prendetevela con coloro (il<br />
vecchio pazzo Scidà, il sovversivo Caselli, quel giacobino ostinato di <strong>dal</strong>la<br />
Chiesa) che hanno svegliato me, per svegliare noi tutti.<br />
E neanche vi dico “Rifacciamo i Siciliani”. No. “Facciamo i Siciliani”.<br />
Facciamoli ora, come se uscissimo ora insieme <strong>dal</strong>la vecchia birreria. E non
per nostalgia, ma per rabbia di oggi e per amore.<br />
E sarà dura, per noi vecchi, accettare che questo non sarà il nostro<br />
giornale. Sarà il giornale di Norma, di Agata, di Sonia, di Giorgio, di<br />
Morgana... Loro i ragazzi di oggi, loro i Siciliani.<br />
SCHEDA/ ALCUNE IDEE PER I SICILIANI<br />
1) <strong>Un</strong> magazine di 120-180 pagine, mensile di fascia alta (come I<br />
Siciliani di Fava), che ne riprenda il ritmo e l'impostazione ma legandoli<br />
alle ultime tecnologie (oggetti interattivi in pagina, approfondimenti<br />
multimediali).<br />
2) <strong>Un</strong> giornale cartaceo “da raccogliere e conservare”, ma parallelemente<br />
un e.-book di ultima generazione, mirato a tablet, Kindle e smartphone.<br />
3) Struttura: tre format:<br />
- il servizio-inchiesta (non necessariamente “pesante” di 4-10 pagine;<br />
- l'intervento di una pagina;<br />
- l'inserto (fotografico, satirico o altro) di 8-12 pagine con grafica propria.<br />
4): Contenuti: due segmenti distinti nel giornale:<br />
- il primo, servizi estesi e opinioni, affidato innanzitutto ai “vecchi” :-), i<br />
“regolari” dei Siciliani;<br />
- il secondo, inchieste e cronache dai territori (da Modica a Milano,<br />
passando per tutto il Paese) di giovanie gruppi di giovani locali.<br />
5) Redazione. Nessuna per il primo anno. Quella che sarà emersa <strong>dal</strong>la<br />
pratica a partire <strong>dal</strong> secondo o terzo anno. All'inizio si tratta “solo” di<br />
produrre duecento ottime pagine al mese e basta un buon segretario di<br />
redazione. I suoi compiti? Ricevere e montare i pezzi dei “vecchi”; garantire<br />
il controllo di qualita sui pezzi dei “giovani” secondo il buon vecchio<br />
metodo delle tre riscritture; non intervenire, in entrambi i casi, sui contenuti.<br />
6) Organizzazione. <strong>Un</strong> palinsesto coordinato in rete, con una o due<br />
riunioni fisiche ogni mese. Pagine montate con tecnologia U<strong>cuntu</strong> (odt<br />
invece di programmi dedicati) quindi spesso gestibili direttamente<br />
<strong>dal</strong>l'autore, con riduzione drastica di tempi e carichi di lavorazione.<br />
7) Prodotti:<br />
- entro sei mesi: il mensile (cartaceo) “I Siciliani”, l'e-book parallelo “I
Siciliani”; il sito dei Siciliani;<br />
- <strong>dal</strong>l'autunno 2012: e-book e altri elettronici di seconda generazione su<br />
vari temi e con diversi format (libreria elettronica);<br />
- quando e se Dio vorrà: cartacei d'altro genere;<br />
- sempre: sponsorizzazione col marchio Siciliani delle migliori testate<br />
“giovani”, su carta o web (esempi: Stampoantimafioso.it, Il Clandestino),<br />
una piccola rete informale che continuamente produca materiali, idee e<br />
persone;<br />
- unità coi giovani di Liberainformazione ;<br />
8) Nessuna redazione centrale. Sedi locali, col tempo, in diverse città<br />
(Milano, Bologna, Roma, Palermo e Catania) appoggiandoci a realtà amiche<br />
esistenti e puntando sullo spirito d'iniziativa di ogni singolo gruppo.<br />
8) Soldi. Ne servono pochi per la fase ebook. Ne serviranno almeno<br />
60mila per il cartaceo .<br />
9) Stipendi. Il lavoro sarà volontario, nel primo anno e fino alla fase del<br />
mensile inclusa. Piccoli rimborsi quando possibile, in particolare agli<br />
specialisti tecnici (il nucleo informatico sta già lavorando al suo settore).<br />
Punteremo moltissimo, <strong>dal</strong> secondo anno, sul mercato elettronico con tutte<br />
le sue peculiarità.<br />
10) Nucleo affidato a pochi personaggi, esterni al vecchio gruppo ma che<br />
godano la fiducia di tutti, di altissimo prestigio e al di sopra di ogni anche<br />
vago sospetto di parte. Scidà, Caselli, <strong>dal</strong>la Chiesa possiedono questi<br />
requisiti. Ad essi aggiungeremmo due antimafiosi - un “nordico” e un<br />
siciliano :-) - non personaggi mediatici e non primedonne ma seri e costanti<br />
militanti della società civile. Il professor Franco Cazzola di Firenze e<br />
Giovanni Caruso di Catania.<br />
11) Scadenze: l'ebook potrebbe essere in rete il 22 novembre; il cartaceo<br />
in edicola il 5 febbraio.<br />
12) L'anima. I Siciliani di Giuseppe Fava. “I cavalieri dell'apocalisse<br />
mafiosa” e “Le donne siciliane e l'amore”, alla pari. Non un semplice<br />
giornale “antimafia” o “d'inchiesta” o d'investigazione, ma un condensato<br />
felice di impegno civile, di società viva e di cultura. La vera sfida è questa e<br />
non è detto che ce la faremo. Ma ci proveremo, umilmente e con<br />
determinazione.
4 settembre <strong>2011</strong><br />
PENATI FACCI SOGNARE<br />
Gli interventi di Nando sul caso Penati - sul fatto Quotidiano del 2<br />
settembre - sono "esemplari" (e vedremo avanti il senso di questa parola")<br />
per due motivi:<br />
1 Si spingono lucidamente al fondo della questione. Penati non è una<br />
patologia, è una fisiologia. Non richiede indignazione ma politica. Non<br />
genericamente da parte dei "politici" ma <strong>dal</strong>le struttura di base.<br />
2 Non cede, neanche per un attimo, all''"indignazione". Ragiona<br />
pacatamente, a voce piana. Quanto di più lontano possibile <strong>dal</strong>la terza<br />
disgrazia d'Italia, il beppegrillismo.<br />
Dico "esemplari" non per lodarlo (non ci si loda fra gente seria) ma<br />
proprio perché è un esempio. Noi, qui nel blog e poi nell'antimafia e poi<br />
nella sinistra e infine nella società civile, noi siamo lontanissimi da questo<br />
esempio. Gridiamo, ci appassioniamo, applaudiamo commossi, campiamo<br />
sopra slogan e emozioni - ma non facciamo politica, non al giusto livello.<br />
Ho qui "L'antimafia difficile" una dozzina di interventi (stampati <strong>dal</strong><br />
centro Impastato) di militanti antimafiosi del 1989. Che serietà, che<br />
freddezza, che assenza totale e volontaria di appelli al sentimento e di<br />
grandi parole. Illuminismo militante, non emozioni. Questo s'è perso quasi<br />
completamente, magari per motivi "buoni", ma era importante. Era una cosa<br />
utile, e ora ci manca.<br />
Infine. E' stato con meraviglia (my fault) che ho constatato quest'altissimo<br />
livello "professionale" di Nando "politicien", dopo vent'anni. Possibile che<br />
debba restare qui al chiuso, nella nostra scuola? E' come se a un certo punto<br />
Moro si fosse limitato alla formazione della Fuci o Berlinguer a tenere i<br />
corsi alle Frattocchie.<br />
Noi abbiamo bisogno di politici, e ne abbiamo bisogno ora. Aggiungerei<br />
(ma non lo faccio per non spaventarvi) che abbiamo anche bisogno di un<br />
"partito". Da costruire, certo, e non un partito. Potrei darvi un modello<br />
preciso, ma qui non solo vi spaventereste ma mi caccereste a sassate :-).<br />
Perciò me ne sto zitto e ve lo trasmetto solo per telepatia. Ma c'intendiamo.<br />
* * *<br />
Quanti voti ci costò il "Consorte facci sognare", alle elezioni del 2006?<br />
Centomila, duecentomila, un milione? Fatto sta che col caso Consorte<br />
quelle elezioni, che stavamo vincendo, non le vincemmo più; o meglio, le
"vincemmo" con ventimila voti di scarto, con una maggioranza<br />
risicatissima, che ci mise nelle mani di Mastella. Il quale, appena volle, fece<br />
cascare il governo, nel gennaio <strong>2008</strong>. Ma il governo Prodi, tecnicamente, in<br />
realtà era già caduto prima di nascere, un momento dopo quella telefonata.<br />
E ora? Quanti voti ci costa il caso Penati? Come li si recupera? Subito,<br />
prima delle elezioni?<br />
"Ma non si vota". E allora? Anche senza votare, nell'equilibrio pesano gli<br />
X voti potenzialmente perduti; le trattative hanno più probabilità di<br />
trasformarsi in inciuci, e Tremonti (o Montezemolo, o quell'altro banchiere)<br />
hanno più probabilità di succedere pacificamente (e omogeneamente) a<br />
Berlusconi. E non abbiamo un Prodi.<br />
Tocca a noi, non a D'Alema o Veltroni o agli altri corresponsabili, tappare<br />
questo buco.
20 settembre <strong>2011</strong><br />
RAPPORTO 1/ IDEE PER UN NUOVO GIORNALE<br />
Cominciamo a tracciare il progetto del nuovo “Siciliani”. Anzi, “Siciliani<br />
Giovani”, tanto per capirci<br />
1) “I Siciliani Giovani” è un giornale, su carta e in rete, che si propone di<br />
continuare aggiornandola l'esperienza de “I Siciliani” di Giuseppe Fava e<br />
delle varie testate che vi hanno dato seguito nel corso degli anni.<br />
Siciliani vuol dire che nasce <strong>dal</strong> luogo dove lo scontro fra mafia e<br />
antimafia è nato prima, dove tanti giornalisti hanno onorato in questo<br />
scontro, a prezzo della vita, questo nostro mestiere. Non è un'indicazione<br />
geografica ma un simbolo di lotta, da Modica a Milano, per l'intera<br />
Nazione.<br />
Giovani vuol dire che solo da una nuova e rinnovata generazione, questa<br />
generazione, può venire in tanta tragedia la rinascita del nostro Paese. Non<br />
è un giovanilismo d'accatto, un parlar d'altro: usiamo la parola giovani<br />
nell'identico senso, e per gli stessi motivi, e con la medesima urgenza, con<br />
cui a loro tempo la usarono Mazzini o Gobetti.<br />
Sappiamo che il cammino è lungo e non ci facciamo illusioni; né<br />
vogliamo crearne a chi ci verrà dietro. Ma è un cammino ragionevole, duro<br />
ma alla fine vincente. Fidando nell'aiuto dei giovani, memori di esempi<br />
altissimi che abbiamo avuto la fortuna d'incontrare, percorreremo questo<br />
cammino con tutte le nostre forze e fino in fondo, da giornalisti seri e da<br />
buoni cittadini.<br />
* * *<br />
2) “I Siciliani Giovani”, nella sua versione cartacea, è un magazine di<br />
120-150 pagine, mensile di fascia alta come “I Siciliani” di Fava; ne<br />
riprenda il ritmo e l'impostazione ma legandoli alle ultime tecnologie<br />
(oggetti interattivi in pagina, approfondimenti multimediali). <strong>Un</strong> giornale<br />
“da raccogliere e conservare”, ma parallelemente un e-book di ultima<br />
generazione, mirato a tablet, Kindle e smartphone.<br />
3) Il giornale è diviso in tre settori:<br />
- un blocco di 5-6 servizi-inchieste (6-8 pagine) per circa 48 pagine<br />
complessive, impaginato come il classico “Siciliani”;<br />
- uninserto centrale a colori (fotografico, satirico e altro) di 24 pagine, con
grafica propria (e più “creativa”);<br />
- un blocco di pezzi di cronaca (3-4 pagine ciascuno, per altre 48 pagine<br />
complessive) forniti, sui rispettivi territori, da giovani testate e gruppi<br />
(Clandestino, Periferica, Napoli Monitor, Stampo, ecc.) aderenti al progetto,<br />
e sottoposti a un ulteriore controllo di qualità.<br />
* * *<br />
4) Al cartaceo si affianca un prodotto elettronico in formato e-book (pdf<br />
adesso, l'anno prossimo probabilmente html5 o analoghi) che ne riprende i<br />
contenuti, e che tecnicamente si differisce da U<strong>cuntu</strong> e dai prodotti<br />
successivi per una molto maggiore interattività. Ogni singolo contenuto,<br />
infatti, sarà corredato in linea di massima a contenuti multimediali,<br />
usufruibili su varie piattaforme, soprattutto su quelle (tablet, smartphone) di<br />
seconda generazione.<br />
5) Il prodotto elettronico non ha per il momento un'importanza<br />
commerciale e servirà ora soprattutto al lancio e alla diffusione del prodotto<br />
di carta. E' tuttavia ragionevole pensare che il mercato editoriale elettronico,<br />
che già nei paesi anglofoni è maturo e in piena espansione, non tarderà<br />
molto (fine 2012-inizio 2013) a presentarsi in forma matura anche in Italia.<br />
E' probabile che a quel punto il nostro prodotto elettronico assuma<br />
un'importanza molto maggiore, e probabilmente determinante, specie se<br />
sostenuto da altri prodotti elettronici in formato e-book. A tale proposito,<br />
stiamo studiando attentamente – per esempio - le esperienze (entrambe<br />
vincenti) dei “Libri di Avvenimenti” e dei “Millelire” che a suo tempo<br />
s'inserirono bene, con pochi mezzi, nel nascente segmento dell'editoria a<br />
basso prezzo.<br />
* * *<br />
6) Il sito dei Siciliani (per il quale dobbiamo ringraziare la generosità di<br />
un cittadino che, avendolo in suo possesso, ce l'ha donato) riprende in buona<br />
parte la meccanica (non la “carrozzeria”) di U<strong>cuntu</strong>. E' cioè un portale di<br />
rete, in cui al prodotto principale (potenziato con le tecnulogie Issuu, che<br />
siamo stato fra i primi a usare in Italia) si affianca tutta una serie di testate<br />
collegate, che sono il nostro retroterra e il nostro serbatoio di giovani<br />
giornalisti, di notizie e di idee. Il mensile si pone così, fin <strong>dal</strong>la sua struttura<br />
allargata, come prodotto di prestigio di un circuito di testate piccole,<br />
radicate, professionali e combattive.<br />
7) A quelle di queste giovani testate che mostreranno un adeguato livello<br />
professionale – e civile – concederemo il diritto di fregiarsi del nostro logo,
come un segno comune; aiutandole così a progredire e a restare visibili, e<br />
rafforzando insieme l'impresa comune.<br />
* * *<br />
8) Redazione. Non prevediamo una redazione centrale, che in questa fase<br />
rappresenterebbe più un peso che un reale vantaggio; il lavoro iniziale di un<br />
mensile può essere svolto in gran parte in rete, a condizione di avere nei<br />
vari nodi personale competente e determinato.<br />
Anche successivamente, l'idea di una redazione centrale è probabilmente<br />
tecnicamente obsoleta; più conveniente puntare su una struttura “stellare”,<br />
con cinque-sei punti forti sul territorio nazionale (orientativamente: Catania,<br />
Palermo, Napoli, Roma, Bologna e Milano) dove siamo già presenti già ora<br />
o direttamente o con efficienti gruppi amici. In ogni città dovrebbe esserci<br />
cioè non una sede, ma una “stanza” dei Siciliani, appoggiata su una struttura<br />
amica già esistente e attivamente coordinata con essa. Questo assicurerebbe<br />
una maggiore produzione di idee, una maggiore aderenza a tutti i territori,<br />
una maggiore efficienza e una più veloce circolazione di iniziative e idee<br />
locali.<br />
9) Il lavoro per “Siciliani Giovani” è volontario, almeno per il primo<br />
anno. Non deve tuttavia esserci, e non sarà tollerato, alcuno scadimento nel<br />
dilettantismo, sotto nessuna forma. Il nostro “volontariato è quello dei<br />
“Siciliani” storici, di Emergency, dell'antimafia organizzata, legato<br />
all'efficienza e ai buoni risultati.<br />
* * *<br />
10) L'uscita del primo numero elettronico (non semplicemente del sito) è<br />
previsto per la seconda metà di novembre. L'uscita in edicola del cartaceo<br />
per i primi giorni di febbraio.<br />
11) Sono già in lavorazione avanzata (Luca Salici, Carlo Gubitosa, Max<br />
Guglielmino, tutti professionisti di notevole esperienza nei rispettivi settori)<br />
il prodotto elettronico e il portale. E' in corso la progettazione grafica e<br />
industriale del cartaceo. Il redazionamento del numero uno (elettronico)<br />
avrà inizio il 15 ottobre, anche se già diversi contatti sono in corso sia con<br />
“firme” affermate che con gruppi di giovani colleghi.<br />
12) L'assetto sociale e giuridico è in corso d'allestimento e verrà<br />
completato nelle prossime settimane, coordinato e diretto <strong>dal</strong>l'avvocato<br />
antimafioso Enza Rando.
20 settembre <strong>2011</strong><br />
COME VANNO LE COSE (STORIE COSI')<br />
<strong>Un</strong> siciliano che scappa, uno che viene a dare una mano...<br />
Allora, il giorno dopo l'annuncio (a Modica, dai ragazzi del<br />
“Clandestino”) nel giro di quarantott'ore sono successe due cose. <strong>Un</strong>o, la<br />
tipografia ci ha improvvisamente aumentato il preventivo e quindi abbiamo<br />
dovuto sbrigarci a cercarcene un'altra. Due, ci ha scritto un tale, che non<br />
conosciamo e non sappiamo nemmeno chi sia, e qui vale la pena di fermarci<br />
e fare una lunga disgressione, così capite subito come vanno le cose.<br />
Allora: quello che ci ha scritto è un certo signor Scivoletto, che di<br />
mestiere fa il titolare di siti web (roba commerciale: turismo, case, vacanze:<br />
cose così) e che negli anni scorsi aveva registrato i siti “isiciliani”, proprio<br />
quelli che servivano a noi. Noi, ovviamente, l'avevamo sgamato e<br />
pensavamo di andare a trovarlo con una scusa qualunque per provare a<br />
vedere, fra una chiacchiera e l'altra, a quanto casomai ce li vendeva:<br />
trecento euri? Cinquecento? MILLE? Sarebbe già al di là del nostro mondo.<br />
Insomma, francamente era un bel problema.<br />
Bene. Poco dopo l'annuncio, a mezzanotte, ci arriva una mail che vi<br />
riporto appresso:<br />
< Giambattista Scivoletto<br />
a riccardoorioles@gmail.com<br />
data 01 settembre <strong>2011</strong> 23:26<br />
oggetto domini isiciliani<br />
Gentile Riccardo,<br />
ho letto con piacere che "I Siciliani" risorgerà.<br />
Posseggo i domini:<br />
isiciliani.it<br />
isiciliani.com<br />
Sono vostri, se volete. <strong>Un</strong> mio piccolissimo contributo<br />
offerto con il cuore.<br />
Saluti<br />
Giambattista Scivoletto ><br />
Reply:<br />
< riccardoorioles@gmail.com<br />
a Giambattista Scivoletto<br />
Caro Scivoletto,<br />
non ho parole. La ringrazio, E' bello essere siciliani.
Suo Riccardo Orioles ><br />
Reply:<br />
< Giambattista Scivoletto a me<br />
Carissimo,<br />
quando sarà il momento mi faccia contattare da chi vi<br />
curerà il sito, li metterò in condizione di trasferirli<br />
sui vostri server in 5 minuti.<br />
E' bello essere uomini. Voi de "I Siciliani" avete<br />
dimostrato di esserlo sempre.<br />
Saluti ><br />
* * *<br />
Insomma, io qui vi dovevo fare un lungo articolo per spiegare che<br />
succede a fare i Siciliani e che problemi s'incontano e che bisogna fare. Non<br />
serve più. L'ha scritto già Scivoletto. <strong>Un</strong> siciliano qualunque, uno come voi<br />
e me. Che senza chiedere niente, così tranquillo, ha preso quello che aveva e<br />
l'ha portato dove serviva. Non ho una parola da aggiungere e non c'è altro.<br />
Chi vuole, dia una mano. Noi siamo qua.<br />
E l'altro siciliano, quello della tipografia? Eh. Pazienza. In trent'anni,<br />
quanti ne abbiamo incontrati... Ma ne abbiamo incontrati molti di più, di<br />
Scivoletti. E basteranno.<br />
Va bene, chiuso il discorso, e andiamo avanti. (E i mafiosi? Ah, quelli non<br />
importano. Sappiamo come trattarli).<br />
* * *<br />
Credo che sia anche superfluo parlare qui di politica. E che ci sarebbe da<br />
dire? I giudici che lo inseguono, le puttane che lo ricattano, i bauscia che<br />
minacciano di fargli la secessione: ma davvero dovremmo occuparci sul<br />
serio di uno così?<br />
E qua in Sicilia, dopo tutte le rodomontate per e contro Lombardo (con<br />
annesso bailamme di giudici severissimi e giornalisti scooppettanti), com'è<br />
finita? Assolto e non assolto, vince lui e vince l'altro, muori Orlando muori<br />
Sacripante, e alla fine il puparo rimette i pupi nella scatola e tutti si sono<br />
divertiti moltissimo e tutto è di nuovo esattamente come prima.<br />
Perché? Perché non c'è Falcone. E' inutile girarci attorno, Falcone <strong>dal</strong> lato<br />
Catania non ce n'è. “Pigliatene uno di fuori - direbbe qui la voce del buon<br />
senso - se non sarà Falcone almeno non sarà uno di quelli”. Ma il buon<br />
senso lo lapidano, <strong>dal</strong>le mie parti: il buon senso – dicono loro - è<br />
communista. Salvo poi tutti a dire “io l'avevo detto”. Ma anche questo (qui<br />
in Sicilia siamo esperti) fa parte dell'Opra dei Pupi, o nei casi più nobili del
Gattopardo.<br />
E “i Siciliani” che c'entra? Non c'entra niente, assolutamente niente, è<br />
roba di un altro pianeta. O almeno di un'altra isola: perché “i Siciliani”<br />
stanno in Sicilia, dentro le scuole e lungo le trazzere, fra gli operai che<br />
faticano e i ragazzi che imparano la vita; ma quei signori lì non stanno in<br />
Sicilia, stanno negli ultimi piani dei loro palazzi, col loro piccolo mondo di<br />
nobili, nobilucci, cortigiani e (dicono loro) giornalisti. In realtà non<br />
esistono. Noi invece siamo vivi.<br />
* * *<br />
Bene. La notizia è che, dopo lunghe e ponderose consultazioni, abbiamo<br />
deciso di non chiamarci più semplicemente “i Siciliani”, ma “i Siciliani<br />
giovani”: per dire che siamo nel duemila e undici, che non facciamo reprint<br />
e non abbiamo nostalgie. Non ce n'era bisogno, in realtà, secondo me si<br />
capiva. Ma s'è deciso così, per più chiarezza. Per il resto è lo stesso.<br />
* * *<br />
Ci scusino tutti coloro a cui non abbiamo risposto subito – sono davvero<br />
tanti. Non è per superbia, ovviamente, è che il lavoro è bestiale. Lavoro<br />
proprio, non grandi elucubrazioni intellettuali. Fare un giornale è difficile,<br />
in ogni tempo, ma ora con tutta questa roba elettronica è difficile per tre<br />
volte, perché in pratica di giornali (fra rete e carta) ne devi fare due o tre.<br />
Fortuna che non siamo soli: ci sono tutti gli scovoletti e scovolettini, da<br />
Modica a Milano, che hanno le idee chiarissime e che, ciascuno dove si<br />
trova, lavorano bene e svelti più di di noi. Allora avanti così, restiamo<br />
sempre in vista, non ci perdiamo; ma sempre lavorando nei luoghi, andando<br />
avanti.<br />
(“Ero ragazzino, avevo 17 anni e mi ricordo che a Pisa mio padre<br />
comprava e leggeva la rivista. C’era un articolo, in un numero, dedicato ai<br />
dieci Siciliani allora più potenti, tra cui figuravano anche il cardinale di<br />
Palermo e Pippo Baudo. Buon lavoro”)
23 settembre <strong>2011</strong><br />
TELEJATO, I SICILIANI<br />
E UN APPELLO AL PRESIDENTE<br />
Che cosa dobbiamo aspettare ancora? L'attacco a Telejato (il doppio<br />
attacco, quello della mafia mafiosa e quello del governo) non è certo il<br />
primo, né tocca solo Telejato. E' trent'anni – per quanto mi riguarda – che<br />
facciamo giornali. Ed è trent'anni che ce li strozzano, in un modo o<br />
nell'altro, e ci lasciano in mezzo alla strada. Questa di Telejato è solo<br />
l'ultima volta.<br />
Può darsi che stavolta ci sia più fortuna. Può darsi che il governo che ora -<br />
strozzando le piccole tv - sta chiudendo Telejato l'anno prossimo non ci sia<br />
più, e che quello che verrà dopo di lui sia un po' più civile. Va bene: intanto,<br />
dai candidati a questo futuro governo vorremmo sapere che cosa faranno,<br />
allora, per Telejato, e lo vorremmo sapere ora.<br />
Ma non è questo il punto. Il punto è che non passiamo più andare avanti<br />
così, con loro che ogni tanto ci danno una sberla, noi che protestiamo<br />
indignati, e a volte riusciamo a rialzarci e a volte restiamo lì per terra. Il<br />
punto è che siamo troppo piccoli per questo mondo. E invece dovremmo<br />
essere grandi e grossi, e restituirgli ogni volta la sberla con gli interessi.<br />
La cosa buffa è che in realtà, tutti insieme, grandi e grossi lo saremmo.<br />
Abbiamo i migliori giornalisti della Sicilia, i migliori autori video, i migliori<br />
fotografi, i migliori disegnatori e anche, non sempre ma abbastanza spesso, i<br />
migliori attivisti. Eppure restiamo qua a prender le botte.<br />
Il problema è in quella parola “insieme”. Noi non l'abbiamo ancora capita,<br />
quella parola. <strong>Un</strong>a volta c'era l'”insieme” dei cosiddetti communisti,<br />
quaggiù in Sicilia, del partito dei contadini che insieme dovevano stare per<br />
forza. Ma non c'è più da secoli. E da allora l'”insieme” si è perduto.<br />
Io sono vecchio oramai, non ce la faccio più a aspettare. L'articolo che sto<br />
scrivendo, è un articolo sbagliato. Perché è su un giornale piccolo, che<br />
leggeranno in pochi. Invece potrebbe essere su un giornale grossissimo (non<br />
quelli dei padroni: a me di Repubblica e Corriere non me ne frega niente) e<br />
allora sì che farebbe veramente danno.<br />
Oggigiorno, con internet, non ci vogliono miliardi per fare un giornale<br />
così. Basta mettersi “insieme”. Ai tempi di Peppino noi compagni eravamo<br />
arrivati prima di tutti a fare le radio private e altre cose moderne. Ma non
eravamo “insieme”. Così Peppino (che era solo) l'hanno ammazzato e poi<br />
le emittenti private se le sono fatte loro a modo loro e per i loro interessi, e<br />
così alla fine è arrivato Berlusconi.<br />
Ma anche stavolta deve finire così? Io dico di no. Per questo, con altri<br />
amici, stiamo rifacendo qualcosa come i Siciliani. <strong>Un</strong> “insieme” visibile da<br />
lontano, buono per tutti noi antimafiosi, in cui ci possono star dentro tutti. A<br />
cominciare da Telejato.<br />
Allora, solidarietà per Telejato, difendiamola. Ma anche, costruiamo<br />
“insieme” una cosa più grossa. Senza la quale, anche Telejato, U<strong>cuntu</strong> e<br />
tutto il resto non possono resistere a lungo, è solo questione di tempo.<br />
Ecco, la storia è questa. La stanno capendo i giovani, i vecchi – come al<br />
solito – no.<br />
* * *<br />
Poscritto<br />
(E Lei, signor Presidente? Caro Napolitano, Maniaci e i suoi lavorano per<br />
il Suo Paese e rischiano ogni giorno la pelle. La meritano una medaglia? O<br />
almeno un piccolo aiuto, tanto per continuare ad aiutarLa? O medaglie e<br />
belle parole arrivano solo dopo il funerale, come per Falcone, Fava e tutti<br />
gli altri? Io ci farei un pensierino, sarei anche disposto a firmarLe - se ne ha<br />
bisogno – un appello, e credo che come me lo farebbero molti altri<br />
intellettuali, siciliani e non, e giornalisti)
13 ottobre <strong>2011</strong><br />
TELEJATO E SANTORO<br />
<strong>Un</strong>a bella notizia <strong>dal</strong> nuovo sito di Santoro, www. serviziopubblico.it: in tre<br />
giorni hano raccolto circa 400mila euri di donazioni! <strong>Un</strong> attestato di stima,<br />
affetto e anche di voglia di non avere bavagli, di informazione libera.<br />
Ma l'informazione libera (e strangolata) c'è anche altrove: per esempio nel<br />
cuore della mafia, a Partinico. La fa Pino Maniaci, con Telejato. Picchiato<br />
dai mafiosi, minacciato sui muri ("W la mafia - sei lo schifo della terra" - e<br />
bara accanto) e alla fine ora pure imbavagliato, colla nuova leggina antipiccole<br />
tv.<br />
E allora? Sentiamo un lettore del Fatto, "Mario 75": < Il Fatto parteciperà<br />
alla realizzazione del nuovo programma di Santoro. Non sarebbe una buona<br />
idea quella di creare nell’ambito del programma una rubrica, un qualsiasi<br />
tipo di collegamento con Telejato? ><br />
"Mario 75" non è una persona importante, e non lo è neanche Pino Maniaci:<br />
però l'idea non è male. Ehi, Santoro, ce lo facciamo un pensierino? Se lo<br />
merita, il collega Maniaci, uno piccolo spazio nel servizio pubblico oppure<br />
no? (Ma prima che lo faccianmo fuori, per favore. Non aspettiamo ogni<br />
volta i funerali, come per Mauro, come per Peppino…).<br />
Mauro Biani e Riccardo Orioles
14 ottobre <strong>2011</strong><br />
QUESTI MESI<br />
Si preparano i gattopardi. Ma...<br />
A Barletta le operaie muoiono per 4 euri l'ora. A Torino, per decisione di un<br />
tale, se ne va la Fiat. A Roma si discute di molte cose, ma non – soprattutto<br />
– di questa. E' la classica uscita all'italiana. Dopo i Borboni, Crispi. Dopo<br />
Mussolini, Badoglio. E dopo Berlusconi Montezemolo, Letta, un qualunque<br />
banchiere o un qualunque imprenditore. Vent'anni di governo-imprenditore<br />
di destra, e poi altri venti - secondo loro - di governo-imprenditore di... di<br />
che cosa?<br />
Esiste una maggioranza in Italia, che vince nei referendum, vince nei<br />
sindaci e vincerebbe alla grande, se la lasciassero votare, in qualunque altra<br />
elezione.E' una maggioranza sociale, molto prima che politica. Se la politica<br />
si adeguerà (Pd, Idv, Sel e compagnia) bene. Se no, questa maggioranza farà<br />
la sua politica lo stesso. La farà più lentamente, magari con più inciampi,<br />
ma che la farà – al tempo di internet – ormai è fuori discussione.<br />
* * *<br />
Parlare dei Siciliani, in un momento come questo, ha un significato preciso.<br />
I Siciliani sono stati una delle primissime voci, e dei primi soggetti<br />
militanti, della società civile. Non si parlava delle troie di Berlusconi, a quel<br />
tempo, si parlava degli imprenditori mafiosi – e cioé del potere. Se ne<br />
parlava direttamente e senza mediazioni, muro contor muro.<br />
Se ne parlava all'interno di un blocco sociale preciso, i giovani delle facoltà<br />
e delle scuole, il ceto medio più civile, e – per brevi momenti – nel corpo<br />
della plebe siciliana. Pochi operai, poche fabbriche, ma emarginazione e<br />
miseria e un'atavica storia, non dimenticata, di ribellioni.<br />
Non era ovvio il legame, a quel tempo, fra le fabbriche del nord e i nostri<br />
quartieri. Gli operai siciliani in Fiat lottavano come tutti gli altri. Ma<br />
tornando in Sicilia trovavano un altro mondo.<br />
Da allora sono passati trent'anni. La mafia, il potere mafioso, non è più<br />
siciliano. Sta dilagando a Milano, a Roma è nel partito di governo. La<br />
fabbrica - Marchionne insegna - non è più la patria intangibile, ma il luogo<br />
dell'insicurezza e del non-diritto. “Lavoratore” vuol dire, a nord e a sud,<br />
tante cose, ma principalmente non avere un posto fisso e dei diritti legali.<br />
Sempre più spesso, “precario” sostituisce “impiegato” e “operaio”.<br />
* * *
La lotta radicalissima di trent'anni fa, contro la mafia imprenditrice e tutto il<br />
suo potere è quindi più attuale ancora di prima. Ci manca, quella lotta. Ci<br />
manca un'antimafia complessiva, terreno per l'unità delle forze - dei<br />
giovani, dei precari, di tutti i non-cannibali del Paese - e per un nuovo patto<br />
di generazione. Per un nuovo rapporto col nostro Stato, che dobbiamo<br />
difendere ma che dev'essere nostro, com'era stato fondato. L'antimafia, la<br />
militanza antimafia, la cultura antimafia, il governo antimafia, in questo<br />
preciso senso sono il possibile inizio di qualcosa.<br />
* * *<br />
I Siciliani era un giornale, e anche Siciliani Giovani vuol esser tale. Ma i<br />
Siciliani erano molto più di un giornale, erano un punto di partenza ed un<br />
motore. E anche noi, ora, vorremmo essere tali. In Sicilia? No. Nel Paese.<br />
Da soli? No. In rete con altri, con serietà e modestia, tutti insieme.<br />
“Siciliani” per noi non indica un pezzo di terra, una regione, ma il simbolo<br />
di una lotta di tutti, il luogo dove la lotta è iniziata – ma non dove sarà<br />
decisa. A Milano come a Catania, a Modica come a Ovada, in questo siamo<br />
tutti Siciliani.<br />
* * *<br />
E' terminata la prima fase di progettazione, e da domani cominciamo a<br />
lavorare al numero uno di questo nuovo/antico giornale. Rinasce con la<br />
rinascita del Paese, nelle stesse settimane e negli stessi mesi. Guarda<br />
davanti a sé, senza voltarsi indietro. Con una parola di lotta – la Marsigliese,<br />
i Siciliani – ed una di speranza. Quel giovani è la storia d'Italia, quante volte<br />
tradita dai patriarchi, quante volte salvata dai giovani senza-potere.
25 ottobre <strong>2011</strong><br />
“UN GIORNALISMO FATTO DI VERITÀ”<br />
Caso Catania: cosa ci insegna oggi<br />
“<strong>Un</strong> giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la<br />
violenza e la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili.<br />
pretende il funzionamento dei servizi sociali. tiene continuamente allerta le<br />
forze dell'ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai<br />
politici il buon governo”.<br />
Questa è la nostra idea di giornalismo, non quella degli effetti facili e del<br />
clamore. <strong>Un</strong> giornalismo neutrale, non dipendente – neanche come favori<br />
leciti – da alcuno, ma apertamente schierato per gli interessi essenziali dei<br />
cittadini (fra cui una giustizia indiscussa, assolutamente al di là di ogni<br />
sospetto) e pronto, ogni volta che occorre, a prendere posizione.<br />
Perché al lettore va data la “notizia”, ovviamente; ma questo ancora non<br />
basta: accanto alla notizia bisogna dare il contesto, senza di cui la notizia<br />
resta monca e incompleta e, in taluni casi, ambigua per difetto di<br />
completezza.<br />
A questo ci siamo attenuti, nel “Caso Catania”, in questi anni e mesi.<br />
Insieme con pochi colleghi (Finocchiaro, Giustolisi, Travaglio e non molti<br />
altri) abbiamo cercato di fornire al lettore i dati essenziali della malattia<br />
della giustizia a Catania, dove - diversamente che a Palermo – la parola<br />
“Palazzo” ha sempre evocato complicatissime e non sempre innocenti<br />
manovre e non una semplice e secca applicazione della legge.<br />
E' una malattia che viene da lontano, e che non può essere curata <strong>dal</strong> suo<br />
interno.<br />
Perciò sempre più numerosi cittadini e soggetti della società civile si sono<br />
via via accodati alla soluzione proposta, ormai da anni, <strong>dal</strong> vecchio e<br />
integerrimo magistrato Scidà: chiamare un giudice terzo, uno non<br />
intromesso; dare a un “uomo di fuori” la cura del bene essenziale, la<br />
giustizia, che i vari locali notabili tirano ognuno a sé, privandone i cittadini;<br />
e poi andare avanti.<br />
Questa opinione, isolata dapprima e poi sempre più popolare, è stata da noi<br />
sostenuta apertamente e ora, in questi giorni, verrà approvata o respinta da<br />
chi ne ha il potere.<br />
Il Csm, fra pochi giorni, nominerà finalmente, dopo ogni rinvio possibile, il<br />
nuovo magistrato a Catania; e qui comincerà una stagione nuova. O
migliore dell'altra, essendovi finalmente un Palazzo efficiente; o<br />
sprofondata nel peggio, ribadendo la prassi della giustizia come potere dei<br />
potenti, o per atto o per omissione. In entrambi i casi, noi avremo fatto il<br />
nostro dovere.<br />
* * *<br />
Questa storia, che non è affatto locale, serve anche per illustrare, senza<br />
troppe parole, come intendiamo fare (rifare) i Siciliani. I Siciliani Giovani<br />
proseguirà, semplicemente, sulla stessa strada. Informazione e servizio<br />
pubblico, lotta ai poteri asociali e ricostruzione della società.<br />
Non inventiamo niente, di nuovo c'è solo l'internet, col suo concetto di rete<br />
che va ben al di là delle tecnologie e che profondamente s'inserisce (forse<br />
più che in ogni altro caso in Italia) nella nostra storia.<br />
Attenzione: siamo già in fase operativa, nel senso che da alcuni giorni è già<br />
aperto il palinsesto del numero uno, quello che uscirà il primo dicembre.<br />
Pertanto è necessaria un'accelerazione di tutto.<br />
Finora è stato sostanzialmente il gruppo di progettazione (Salici, Gubitosa,<br />
Guglielmino e Nicosia) a fare il lavoro di fondazione, e l'ha fatto nei tempi<br />
previsti e bene. Ora bisogna completare il lavoro di base (siti, ezine, link,<br />
struttura azien<strong>dal</strong>e, tipografia) e farlo mentre già si comincia a lavorare sui<br />
contenuti.<br />
Nei prossimi giorni e settimane contatteremo quindi, nelle varie città, i<br />
colleghi, gli amici, le testate e i gruppi che sono interlocutori e coprotagonisti<br />
di questa impresa.<br />
Ma vorremmo che già prima, spontaneamente, essi stessi cominciassero a<br />
fare proposte, a buttar giù idee, a mettere in cantiere servizi e iniziative.<br />
Senza bisogno di chiedere permesso a nessuno, e meno che mai a noi stessi,<br />
perché questa non è un'impresa nostra, ma di tutti.<br />
Tutti coloro che lottano per una società più civile, da oggi o da trent'anni, a<br />
Palermo o a Milano, giovani d'età o di testa, hanno il diritto di starci dentro.<br />
Con l'obbligo di starci dentro degnamente, ché non è un gioco.<br />
E' un momento magnifico, per mettersi in cammino. La notte sta<br />
terminando, amici che non conosciamo ci aspettano; lo zaino è quasi pronto.<br />
Nel buio che a poco a poco s'illumina, la strada ancora una volta ci chiama.
4 novembre <strong>2011</strong><br />
VALE LA PENA, SI PUÒ FARE<br />
Sembrava impossibile risanare il Palazzo di Giustizia. Eppure...<br />
La statua della Giustizia a Catania fronteggia quella dei poveri pescatori, i<br />
Malavoglia, che sono un po' il cuore nascosto della città. Loro a guadagnarsi<br />
il pane su una barchetta, cercando di sopravvivere a mare e mafiosi – i quali<br />
da molto tempo non hanno più la coppola ma il cappello elegante dell'uomo<br />
d'affari o del politico in carriera. E lei a guardarli severamente, con uno<br />
sguardo che si fa sempre più assente man mano che <strong>dal</strong>la piazza di fronte<br />
s'inoltra nei palazzi del centro direzionale.<br />
Ed è così da sempre, senza speranza. Mentre a Palermo il Palazzo di<br />
giustizia si rinnovava, esprimeva i Falcone, i Chinnici, i Caponnetto, i<br />
Borsellino, a Catania era sempre lo stesso, di trenta, di cinquanta o di<br />
cent'anni fa. Ogni tanto polemiche, guerre ad armi cortesi, con gran<br />
cannonate a polvere che non fanno male a nessuno. E intanto la città<br />
moriva.<br />
Catania è la città d'Europa con più alta criminalità minorile. Al centunesimo<br />
posto nelle classifiche di vivibilità dei centotrè capoluoghi italiani. La mafia<br />
più potente, i quartieri più abbandonati. La disoccupazione più alta, le<br />
ricchezze più dilaganti. Bottegai che falliscono, e il record nazionale dei<br />
centri comerciali. <strong>Un</strong>a delle più alte storie del giornalismo italiano<br />
(Giuseppe Fava) ma un solo giornale ammesso.<br />
<strong>Un</strong>a città che si aggrega intorno a periodici grandi affari - ieri lo<br />
sventramento e Viale Africa, oggi Corso dei Martiri – che sono gli unici<br />
scopi d'esistere della sua classe dirigente.<br />
<strong>Un</strong>a città assassinata, una città senza giustizia.<br />
Eppure, in questa città, s'è combattuto e si lotta per la giustizia. La giustizia<br />
nella società (i poveri centri sociali, l'Experia, il Gapa, i poveri preti di<br />
quartiere, i padre Greco) la giustizia dell'istruzione (ogni decina d'anni sorge<br />
un nuovo movimento di ragazzi), la giustizia dell'informazione libera (I<br />
Siciliani e tutti quelli che li hanno continuati). Ma il potere rimane duro,<br />
inossidabile, divoratore di tutto. Perché non ha mai avuto, ed è sicuro che<br />
non avrà mai, sanzioni.<br />
Vediamo se questo adesso cambierà. Intanto, il segnale è forte. Nel più<br />
importante palazzo, adeso, c'è uno che non ha amici o nemici fra i baroni.<br />
<strong>Un</strong>o che conosce Catania solo ed esclusivamente attraverso la legge. Se il
gioco – adesso – avrà delle regole, nessuno può prevedere chi vincerà.<br />
Persino i poveri e le persone perbene potrebbero arrivare a vincere, in una<br />
partita non truccata.<br />
* * *<br />
Ecco, si comincia ora. Ce n'è voluto, per arrivarci. La storia del giudice<br />
esterno non era affatto scontata, si sono mobilitate le forze – per impedirla –<br />
di tutti i poteri forti della città. Eppure, non gli è riuscita.<br />
Il merito va a gente come il vecchio giudice Scidà, testardissimo, che da più<br />
di dieci anni va chiedendo un procuratore estraneo ai poteri catanesi; va ai<br />
giornalisti disinteressati che hanno avuto il coraggio di denunciare il<br />
Palazzo (e qui è giusto far dei nomi: Finocchiaro, Giustolisi e pochissimi<br />
altri); va alle associazioni della società civile che hanno preso posizione (chi<br />
prima, chi dopo, ma non importa...).<br />
Va a ragazzi come quelli della <strong>Fondazione</strong> Fava di Palazzolo, il paese di<br />
Giuseppe Fava, che nel loro convegno a gennaio hanno avuto il coraggio di<br />
lasciar presentare le prove fotografiche che inchiodavano il malcostume del<br />
Palazzo.<br />
Per questo sono stati accusati di essre degli “antimafiosi da salotto”; altri,<br />
fra cui il sottoscritto, dei “cattivi maestri”; al più pericoloso di tutti, Scidà,<br />
sono toccate le calunnie peggiori, mobilitando giornali grossi e giornalisti<br />
importanti.<br />
E tutto è scivolato via come doveva, senza lasciare traccia, impotentemente.<br />
La verità è contagiosa, ed è un duro compito (anche se ben retribuito)<br />
cercare di nasconderla perché non conviene.<br />
La verità, il buon senso, l'ostinazione dei pochi, a lungo andare vincono, e<br />
non potevano non vincere anche in questo battaglia. L'informazione povera,<br />
e libera, l'ha affrontato da sola, senza contare su nessun potere; e alla fine è<br />
riuscita a vincere, a fare un bel regalo alla città.<br />
Ecco, l'insegnamento è questo: vale la pena, si può fare. Persino cose<br />
“impossibili” – tipo i Siciliani – possono funzionare, con questo metodo.<br />
Verità, buon senso, e forza di volontà. E fra un mese cominceremo a vedere<br />
se è vero.
13 novembre <strong>2011</strong><br />
UN MODELLO VINCENTE<br />
Zitta zitta, la società civile segna punti a Catania…<br />
Mi sarebbe piaciuto scrivere un bell'articolo di politica, sul governo di prima<br />
e su quello che verrà. Ma non posso farlo perché non sono più<br />
autorizzato. Sono infatti un cittadino, o meglio un consumatore, italiano ed<br />
è stato appena deciso che di faccende del genere non debbono occuparsi più<br />
i cittadini (troppo ignoranti e emotivi per occuparsene) ma degli esperti<br />
bravissimi, molto molto più bravi di me e di voi. Saranno loro a decidere<br />
per tutti.<br />
Questo è già successo diverse volte nella storia. In Grecia, quando è finita la<br />
polis, a Roma, quando è arrivato Cesare, nel medioevo in Italia, quando<br />
dopo i Comuni sono arrivate le Signorie.<br />
Non è che la gente fosse contraria, in questi casi. Troppa chiacchiera, troppi<br />
disordini, troppo poca abitudine - poco a poco – a uscir di casa. Meglio un<br />
governo tranquillo, un sovrano benevolo, che pensa per tutti.<br />
Sta succedendo in Italia, e non so se è bene o male. Certo, dopo tutto quel<br />
Berlusconi qualcosa bisognava fare. E chi dice che gli abitanti italiani, dopo<br />
aver creato un Berlusconi, non ne creino prima o poi qualche altro? Europa<br />
e Germania non si sono fidate. E noi, lavorando poco (precario non è<br />
lavorare) dipendiamo da loro.<br />
* * *<br />
Può darsi che vada bene così. Certo, non è democrazia. Ma chi la vuole<br />
davvero? I veneti? I commercialisti? I banchieri? I boss mafiosi? I calabresi,<br />
Catania? Gl'imprenditori del Ponte, quelli dell'Expo, la Borsa? Nessuno di<br />
questi soggetti, che ormai sono il baricentro della Nazione, ha mai avuto<br />
molto a che fare con la democrazia. Ovvio che si sia sfaldata così, nell'indifferenza<br />
generale, senza problemi.<br />
E nemmeno l'Europa, così com'è, ha molto a che fare con la democrazia. E'<br />
sorta attorno all'euro, e come primo passo andava bene. Ma è stato pure<br />
l'ultimo, purtroppo.<br />
L'Europa, la nostra Europa, si suicidò traumaticamente nel '14, cent'anni fa.<br />
Stavolta si sta suicidando piano, per avarizia e noia. Senza popolo, senza<br />
stato, con tante banche ma neanche una su maestra di scuola o un<br />
giardiniere.<br />
* * *
La crisi, come tutte le crisi, si può risolvere. Ma c'è bisogno della politica<br />
per farlo, per fare le svolte drastiche (in termini di sistema) che ogni crisi<br />
richiede. Ma qui di politica non ce n'è più.<br />
Non c'è una politica di destra contrapposta a una di sinistra, o più moderata.<br />
C'è semplicemente il rifiuto della politica, la sua abolizione in quanto<br />
pericolosa per le idee che, en passant, potrebbe mettere in testa ai<br />
consumatori. Niente referendum in Grecia, niente elezioni qui da noi.<br />
Le elezioni, in Italia, sarebbero state vinte con largo margine non <strong>dal</strong><br />
“centrosinistra” ma (di fatto) da una vera e propria sinistra, ancorché<br />
moderata, quella di Bersani e soci.<br />
Avrebbe un tale governo trovato il coraggio di resistere ai precari, di<br />
imporre ai sacrificati altri sacrifici, di lasciar mano libera per altri diciassette<br />
anni agli imprenditori? Nel dubbio, meglio non correre il rischio e non far<br />
votare.<br />
* * *<br />
E noi? In che cosa si traduce, qui e ora, il “pensa globalmente, agisci<br />
localmente”? Abbiamo due esempi interessanti, qua a Catania. Il primo,<br />
quello della mobilitazione della società civile sul tema importantissimo, e<br />
prettamente istituzionale, di una credibile Procura; e abbiamo vinto.<br />
Il secondo, quello della campagna – sempre delle associazioni della società<br />
civile - per l'istituzione dei referendum comunali; e anche qui abbiamo<br />
vinto. In entrambi i casi, senza spaccare vetrine, senza alzare la voce, con<br />
una larga componente “moderata” (specie nel secondo caso) ma con una<br />
carica alternativa e democratica assolutamente evidenti. E - lo ripetiamo per<br />
la terza volta - vincenti. E' un modello.<br />
E' il nostro modello politico, non di partito o ideologico ma civile. E' quello<br />
cui noi ci affidiamo perché sia salvato - ma veramente - il Paese.<br />
Esso ha una ricaduta giornalistica, di giornalismo rigorosissimo ma<br />
impegnato. Anche qui il caso Catania fa da testo: da una parte polemica<br />
serrata ma civile, senza urlare; <strong>dal</strong>l'altra mobilitazione dei media di destra, e<br />
anche di sedicente “sinistra” , senza remore né di verità né di stile: qualcuno<br />
è arrivato a nascondere ai lettori l'esistenza stessa della sconfitta di Gennaro,<br />
abolendone semplicemente il nome. E hanno vinto i civili.<br />
Andiamo avanti così, con le forze di base, senza aspettarci regali (qualcuno<br />
a Catania si è lamentato che il grande Santoro qui si sia appoggiato, per la<br />
sua tv, al losco Ciancio...) perché chi può fare regali di solito ha anche i suoi<br />
interessi. Con calma, con convinzione, senza mai entusiasmarci ma senza
mai rallentare. Il lavoro ben fatto alla fine vince. Specie quando ha alle<br />
spalle un nome come i Siciliani.<br />
* * *<br />
Sarebbe bello pensare che - nel 2014, per esempio: cent'anni dopo – i popoli<br />
potrebbero risvegliarsi, abbattere il muro di Bruxelles come già quello di<br />
Berlino. <strong>Un</strong>'Europa democratica! <strong>Un</strong>'Italia europea! <strong>Un</strong>a Sicilia italiana!<br />
<strong>Un</strong>a Catania senza cavalieri! Ci pensate?<br />
Sembra impossibile, certo. Ma anche l'Urss di Breznev pareva eterna. La<br />
nostra nomenklatura farà la stessa fine entro pochi anni.
22 novembre <strong>2011</strong><br />
IL NOSTRO SCIDA'<br />
Aiutò i ragazzi poveri. Difese la Città. Sembra che stia dormendo, e che<br />
sorrida<br />
Ha un lieve sorriso ironico, da ragazzo intelligente. L'aria, <strong>dal</strong>la finestra, gli<br />
passa leggermente fra i capelli. Ne muove a volte alcuni, arruffati e bianchi.<br />
Ed egli dorme.<br />
Dorme, nel buio della notte, la sua città. Dorme lo scippatorello, sognando<br />
un'infanzia normale. E' in una delle statistiche più feroci d'Europa, quella<br />
della criminalità minorile catanese; ma i sogni sono liberi, ed egli sogna.<br />
Dorme il politico, sognando gli appalti dell'anno prossimo, Corso Martiri,<br />
miliardi. Dorme il padrone-editore, inquietamente. Dorme il suo giornalista,<br />
dorme (ma più innocente) la ragazza di vita. Dormono i magistrati collusi,<br />
digrignando i denti. Dorme il bottegaio minacciato, dormono i ragazzini di<br />
Addiopizzo che lo difendono da soli. Passa la rara guardia notturna, passano<br />
le ronde dei mafiosi. Questa è la sua città.<br />
* * *<br />
“Venni a Catania, giudice del Tribunale, da Palazzolo...”. La città di<br />
Catania, a quei tempi, aveva al suo centro una grande piazza. Su un lato il<br />
palazzo di giustizia, cieco, sull'altro i carabinieri muti. Su un altro il grand<br />
hotel dove, settimanalmente, s'incontravano i padroni della droga. Su un<br />
altro ancora le bische della Famiglia Santapaola-Ferrera. Al centro, un gran<br />
monumento ai cui piedi si prostituivano i ragazzi che non avevano il<br />
coraggio di fare, per la dose quotidiana, una rapina.<br />
Nella città si parlava, prudentemente. Ma non si scriveva. Si amministrava<br />
giustizia severa, contro i piccoli scippatori e ladruncoli che la miseria<br />
generava. Ma si chiudevano entrambi gli occhi di fronte ai ricchi mafiosi e<br />
ai loro imprenditori.<br />
“Rendo, Graci, Costanzo, Finocchiaro!”. Furono gli studenti della città, in<br />
quegli anni, quelli che fecero i nomi. Non certo i magistrati. Con una sola<br />
eccezione.<br />
“Mi concedano lor signori di esporre alcune considerazioni sullo stato della<br />
giustizia in questa città...”. Questo era lui, Giambattista Scidà, quello che<br />
ora dorme nella stanza accanto.<br />
Non gli potevano dire di no: non puoi levare la parola a un magistrato,<br />
all'inaugurazione giudiziaria, una volta all'anno. E lui era un magistrato. “In
nome del Popolo Italiano” c'è scritto sulle carte dei giudici. Lui ci credeva.<br />
Così, garbatamente, prendeva la parola e cominciava a elencare cifre e dati.<br />
Le cifre dei ragazzini ammazzati, divorati vivi <strong>dal</strong>la “città matrigna”. I dati<br />
degli intrallazzi dei benestanti, magistrati compresi, comprese le mura e i<br />
tetti delle preture. Le cifre della città indifesa, abbandonata alla mafia e ai<br />
Cavalieri.<br />
E passavano gli anni. Io lo conobbi per caso, da povero cronista, facendo il<br />
mio mestiere come lui faceva il suo. Presiedeva il tribunale dei minori, cioè<br />
il posto dove andava a finire la produzione del sistema. Ti distruggo il<br />
quartiere, ti nego la scuola, ti butto sulla strada, non ti do' lavoro, ti lascio la<br />
delinquenza come unica prospettiva. E poi ti ammazzo, o ti faccio<br />
ammazzare dei mafiosi, o nel migliore dei casi ti trascino qui, nel tribunale<br />
e in galera.<br />
Giustizia e carceri minorili, prima di lui, erano gironi danteschi. Lì si veniva<br />
“giudicati” in serie come numeri; qui messi coi delinquenti grandi e spesso<br />
seviziati.<br />
Con lui, tutto cambiò. Il tribunale diventò luogo di giustizia, dove ogni<br />
singolo caso veniva studiato e trattato con estrema attenzione. Nessun<br />
ragazzo fu mai abbandonato dopo. Famiglie, case-famiglia, comunità,<br />
assistenza individuale: spessissimo a spese del giudice, sempre per sua cura.<br />
Il giudice dei minori a Catania – l'uomo che borghesemente avrebbe dovuto<br />
essere il principale nemico dei ragazzi di strada – veniva accolto come un<br />
padre nelle periferie e nei mercati. La giurisprudenza minorile di Catania<br />
divenne, e come tale fu vista, un modello per l'intera nazione.<br />
* * *<br />
Ma questa era solo una parte. Poi c'era quella “politica”; cioè di servizio alla<br />
polis, della Città. Per vent'anni Scidà fu fra i pochissimi che combatterono,<br />
non una volta ogni tanto ma ogni giorno, e non con mezze parole ma a<br />
pertamente, il sistema di potere catanese. Dai Cavalieri a Ciancio,<br />
<strong>dal</strong>l'impresa e politica collusa alle infiltrazioni d'affari in tutti i palazzi:<br />
compreso quello di Giustizia.<br />
Lui, Fava e D'Urso furono gli eroi incorruttibili di questa guerra. Giuseppe<br />
Fava lo ammazzarono nell'84. Scidà e D'Urso ne ripresero, coi suoi ragazzi,<br />
la lotta. Giuseppe D'Urso morì, di malattia misteriosa, nel '96. Scidà -<br />
dispersi i ragazzi di Fava, chiusi per la seconda volta i Siciliani - rimase<br />
solo. Dunque, dovette fare per tre.<br />
“Bisogna difendere le leggi come le mura della città”, scrive Eraclito.
Egli si piantò dinanzi a quelle mura con lancia e scudo come un guerriero<br />
antico. Nessuno gli fece paura, non pensò mai di arretrare. Facessero<br />
carriera gli altri, lo minacciassero pure. Non tradì la città nè i suoi ragazzi.<br />
Dall'una lo richiamava il dovere, dagli altri una sconfinata pietà.<br />
* * *<br />
Il giornale, una volta, era sul percorso del tribunale minorile, fra gli alberi<br />
del viale. Io uscivo prestissimo <strong>dal</strong>la stanza dove dormivo, per andare a<br />
prendere il primo caffè; e lui, alla stessa ora, andava da casa, a piedi, al<br />
tribunale.<br />
Mi si affiancava in silenzio, o io a lui, a mezza strada. Camminavamo muti,<br />
ognuno nei suoi pensieri, fino al piccolo chiosco del caffè. Da poco aveva<br />
perso una figlia, gli parevano futili le parole. Il barista, che ci conosceva,<br />
scaldava la macchinettà del caffè. Poi: “Buona giornata!”. “Buona giornata<br />
a lei!”. E ognuno al suo lavoro.<br />
A volte andavo a trovarlo, nella casa ormai vuota, fra pile disordinate di<br />
carte e di libri antichi. Era un cultore di storia; il grande Le Goff, quando<br />
veniva in Italia, spesso passava da lui. Così, la conversazione spesso<br />
inavvertitamente si spostava da Catania al Siglo de oro, a Cervantes, al<br />
lugar de la Mancha.<br />
A volte, ma più di rado, capitava che pranzassimo assieme; di solito era<br />
quando andavo a trovarlo al tribunale. “Pranza con me?”. “Andiamo”. E<br />
qui c'era un intoppo.<br />
La macchina di servizio che lo attendeva fuori (col fedelissimo autista di cui<br />
non ricordo il nome) era un bene dello Stato; poteva imbarcare il suo<br />
servitore Scidà <strong>dal</strong> tribunale a casa, visto che a ciò era destinata, ma tale<br />
privilegio non poteva assolutamente estendersi agli amici personali e<br />
privati. Non potendo far salire me (che sarebbe stato abusare), né lasciarmi<br />
a piedi (che sarebbe stato scortese), finivamo per andarcene a piedi tutt'e<br />
due, con l'autista che, solo in auto, ci veniva dietro. Per fortuna il clima<br />
catanese è mite e quelle mattinate erano – almeno nel ricordo – luminose e<br />
ridenti.<br />
* * *<br />
Cos'altro? So che dovrei parlare del caso Catania – l'ultimo – della Procura,<br />
delle cose importanti insomma. Va bene.<br />
Catania non ha mai avuto un Palazzo di giustizia lontanamente paragonabile<br />
a quello palermitano. Giudici antimafia ce ne sono stati pochi, tre dei quali<br />
(Lima, Marino e Ardita) costretti, in un modo o l'altro, a farsi da parte. Liti
fra diverse cordate, ultimamente Gennaro vs Tinebra, a parole opposte ma<br />
di fatto equivalenti. Polveroni ogni tanto. Impunità.<br />
E dunque proposta di Scidà: prendiamo un giudice terzo, uno di fuori.<br />
Campagna contro Scidà dei poteri forti, cui una Procura funzionante non fa<br />
affatto piacere. Spreco di polemiche (Ziniti, Rizzo, Condorelli, Sicilia,<br />
<strong>Sud</strong>press, Repubblica) contro Scidà e in sostegno di uno dei due contendenti<br />
indigeni, per lo più Gennaro, a volte in buona fede a volte meno. Sullo<br />
sfondo, grandi attese nel settore appalti: avremo una Procura che li controlli<br />
oppure no?<br />
Scidà (e con lui Giustolisi, Finocchiaro, Travaglio e Orioles) spera di sì.<br />
Altri parlano d'altro, o alzano polverone. Alla fine, ovviamente, vince il<br />
buon senso: il Csm nomina un procuratore esterno, che s'insedia e comincia<br />
a esaminare le carte. Tutti applaudono, compresi coloro che l'avevano<br />
osteggiato fino all'ultimo, o per interessi politici (vedi sopra) o per semplice<br />
stupidità, e che a tal nobile scopo avevano fatto il possibile per linciare<br />
Scidà. Ma invece la giustizia ha trionfato e Scidà, oplita dei poveri, ha<br />
vinto.<br />
* * *<br />
E adesso è disteso qui, nella stanza vicina a quella in cui scrivo ed è piena<br />
notte. Nella sua casa, come sempre, non ci sono che persone buone: il<br />
fedelissimo Ferrera, la brava Abeba, Titta, Giuseppe, Luca... <strong>Un</strong>a donna ha<br />
portato dei fiori gialli, un'altra delle spighe di grano.<br />
Ci sono due computer e una stampante, ma centinaia e centinaia di libri.<br />
Braudel, Lefebvre, Verga, Guicciardini, i Canti, Mallarmé, Cervantes...<br />
vecchi amici. C'è il suo giornale di otto anni fa, Controvento, quello che il<br />
distributore non volle mettere in edicola perché “sennò Ciancio ci leva il<br />
pane”. Ci sono carte e fascicoli dappertutto. Ci sono, chi addormentato in<br />
poltrona chi su un divano, amici che gli vogliono bene. Lui, nella stanza<br />
accanto, dorme sorridendo.<br />
Avremmo dovuto parlare dei Siciliani, fra pochi giorni. Era fra i promotori,<br />
proprio in questa casa ci siamo riuniti un mese fa.<br />
“Mannaggia – penso – dovremo fare i Siciliani senza di lui”-<br />
Fra poco è l'alba. Lontano, la notte s'è fatto impercettibilmente meno scura.<br />
“Senza di lui? - pensiamo - Chissà se davvero siamo senza”.
mardiponente
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