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U cuntu. Un racconto dal Sud 2008-2011 - Fondazione Nesi

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Riccardo Orioles<br />

'U <strong>cuntu</strong><br />

un <strong>racconto</strong> <strong>dal</strong> <strong>Sud</strong><br />

<strong>2008</strong>-<strong>2011</strong><br />

mardiponente


mardiponente


Riccardo Orioles<br />

'U CUNTU<br />

<strong>Un</strong> <strong>racconto</strong> <strong>dal</strong> <strong>Sud</strong><br />

<strong>2008</strong>-<strong>2011</strong><br />

www.u<strong>cuntu</strong>.org


10 aprile <strong>2008</strong><br />

ELEZIONI/ CHI LE VINCE CHI LE PERDE CHI NON CI STA<br />

La mafia è unita, l'antimafia è divisa. Perché i nostri politici non riescono<br />

a capire che sull'antimafia qui in Sicilia (e forse ormai non solo) si decide<br />

tutto? Comunque vadano queste elezioni, cominciamo a preparare le<br />

prossime. A partire da Zen, San Cristoforo e Librino, UCuntu nasce per<br />

questo: antimafia + internet + politica <strong>dal</strong> basso.. Coraggio, in fondo si<br />

tratta solo di lavorarci per qualche anno...<br />

Chi vincerà le elezioni? Boh. Chi le perderà? Sicuramente noi, anzi le<br />

abbiamo già perse. Il partito dell'antimafia (che una volta in Sicilia si<br />

chiamava Pci, poi Siciliani, poi rete, poi società civile, ma in fondo era<br />

sempre la stessa cosa) in queste elezioni non c'è. Orlando, Lumia,<br />

Borsellino, Crocetta, Fava e tutti gli altri non sono riusciti a mettersi<br />

insieme seriamente e noi della base, <strong>dal</strong> canto nostro, non siamo riusciti a<br />

costringerli a farlo.<br />

Politica tradizionale, dunque, coi faccioni “Per <strong>Un</strong> Futuro Migliore"<br />

appesi ai muri, e la mafia tranquilla.<br />

Dal lato di Berlusconi la mafia è una cosa simpatica, o almeno non tanto<br />

cattiva (“Mangano è stato un eroe”).<br />

Dal lato di Veltroni bisogna stare attenti ai “professionisti dell'antimafia"<br />

(come dice Salvo Andò, che ha stilato il programma”). Lontanissimi i tempi<br />

del Rita Express, della mobilitazione giovanile per Rita Borsellino.<br />

Eppure, a Catania e a Palermo, di antimafia “politica” se ne poteva fare.<br />

A Palermo la fine di Cuffaro è stata accelerata da una bella mobilitazione<br />

popolare, coi giovani persino di destra schierati contro di lui. Ma nessuno<br />

dei nostri politici se n'è accorto. A Catania è ormai il secondo anno che a<br />

San Cristoforo e a Librino (il Gapa, la Periferica) ci sono interventi forti e<br />

radicati. Ma nessuno, anche in questo caso, ha voluto “far politica” a partire<br />

da questo. Si è scelto il terreno perdente (ma rimunerativo per i singoli)<br />

della politica tradizionale.<br />

Vincerà Berlusconi? Fascismo.<br />

Vincerà Veltroni? Industriali.<br />

Vinceranno tutt'e due? Certo, non è la stessa cosa avere un mafioso<br />

dichiarato e pimpante come dell'Utri o un semplice amico di mafiosi come<br />

Crisafulli. Però, ripetiamo, noi comunque perdiamo.


Per questo stiamo cominciando a preparare le prossime elezioni, quelle di<br />

dopo il Duce, fin da ora. Non sappiamo se saranno elezioni tradizionali (può<br />

darsi che le aboliscano, sostituendole con liste uniche e plebisciti) oppure<br />

no, certo è che se qualcuno non comincia umilmente e da subito a preparare<br />

la nuova politica niente cambierà mai.La nuova politica? Sappiamo una sola<br />

cosa di essa, che non sta in via Ruggero Settimo o via Etnea ma a Librino, a<br />

San Cristoforo, allo Zen.<br />

Certo, non sarà facile tirarla fuori da lì.<br />

Ci vorranno degli anni. Noi cominciamo ora.<br />

E U<strong>cuntu</strong>? Che vuol dire? Beh, potrebe essere un nuovo programma<br />

Linux, o un pastore sardo, o una parola swaili che significa “kwelli-chenonvogliono-<br />

darla-vinta-agli-stronzi-cheprendono- per-il-kulo-la-gente”).<br />

Oppure potrebbe significare “il <strong>racconto</strong>”, in siciliano. Racconto di che?<br />

Beh, ce ne sono di cose, <strong>dal</strong>le parti nostre, da raccontare.<br />

(Ah, e Casablanca? È ancora lì, momentaneamente ingrippata. La stiamo<br />

spingendo per farla rimettere in moto, come una vecchia cinquecento che<br />

alla fine riparte scoppiettando e ti porta dove vuoi. Certo che è un casino,<br />

fare informazione libera qui in Sicilia.<br />

Se gli antimafiosi fossero uniti e decisi come i mafiosi, a quest'ora<br />

Casablanca uscirebbe ogni giorno, su carta d'oro).


1 maggio <strong>2008</strong><br />

APRILE IN UNA CITTÀ DEL SUD<br />

La maestrina, il comandante, il professore: lottarono contro i nazisti<br />

senza averne paura. I giudici, i giornalisti, gli antimafiosi: la mafia ha<br />

potuto ucciderli, ma non farli arretrare. Non sono in molti, in questa<br />

stagione, a ricordarsi di loro. Non molti: però abbastanza per continuare<br />

L'uomo che parlava, un partigiano, era molto vecchio e la voce usciva<br />

piano <strong>dal</strong> microfono. Raccontava. La guerra, l'otto settembre, il re che<br />

scappa, i tedeschi, la montagna. Parlava lentamente, ma senza esitazioni, e<br />

si sentiva abbastanza bene perché, nella grande piazza, c'era un silenzio<br />

teso.<br />

A un certo punto ha cominciato a dire i nomi dei siciliani, di quelli che in<br />

quel momento ci avevano reso onore. <strong>Un</strong>o era un ufficiale dell'esercito,<br />

aveva scatenato la guerriglia e alla fine era diventato – lui, siciliano – il<br />

comandante di tutti i partigiani del Piemonte. <strong>Un</strong>a era una maestrina, una<br />

ragazza, presa mentre portava i messaggi dei partigiani.<br />

Torturata, ammazzata: ma non ha parlato.<br />

<strong>Un</strong> altro un professore di liceo, morto nel lager ma mai arreso agli<br />

aguzzini.<br />

Il vecchio raccontava questi nomi - comandante Barbato, Graziella<br />

Ligresti, professor Salanitro - e la voce del vecchio, senza che lui lo volesse,<br />

si faceva più alta e più allegra. Allegra, sì: questi – diceva senza dirlo,<br />

mentre raccontava i dolori – questi siamo noi siciliani. Noi siamo quel che<br />

siamo, ci conosciamo benissimo, voi ed io; ma siamo anche capaci di tirar<br />

fuori <strong>dal</strong> nostro interno, quando l'orrore sembra invincibile, della gente così:<br />

il comandante, la maestrina, il professore.<br />

Gente che sa resistere, che sa morire se occorre, che alla fine vince.<br />

E questa serenità si spargeva per la piazza: non più una giornata<br />

d'orgoglio, un tener duro, ma una giornata felice, di buon cammino, di inizio<br />

di qualcosa.<br />

La sera, dei giovani hanno parlato di libera informazione. Anche nel resto<br />

d'Italia se n'è parlato, ai meeting di Beppe Grillo; ma qui eravamo in Sicilia,<br />

nell'isola degli otto giornalisti ammazzati, e dunque qui si volava ben più in<br />

alto.<br />

Non c'era bisogno di urlare forte, di gridare “vaffanculo”. Bastavano i


nomi e le storie – anche queste resistenziali – per dire tutto ciò che c'era da<br />

dire e, anche qui, per indicare una strada. Lavorare insieme, fare<br />

informazione moderna e onesta, non mescolarsi mai coi padroni, costruire.<br />

“Non ci sarà mai una notte così lunga che alla fine non si veda il giorno”.<br />

E tutti hanno annuito convinti. E in realtà non servivano altre parole.<br />

Questo è stato il nostro venticinque aprile, in una città del sud che è<br />

Catania e in cui per il momento comandano ancora i padroni.


23 maggio <strong>2008</strong><br />

LA RETE E L'ANTIMAFIA DI OGNI GIORNO<br />

<strong>Un</strong> quarto sono soggetti alla mafia, un quarto la combattono attivamente,<br />

gli altri non hanno ancora capito di che si tratta. Il problema della mafia –<br />

del sistema mafioso – è sostanzialmente la disinformazione. Il lavoro<br />

nostro, fare informazione. L'informazione non si fa nel ghetto – non serve a<br />

niente. Si fa in rete, facendo insieme e puntando a raggiungere –<br />

ambiziosamente - tutti<br />

I siciliani antimafiosi, nel giorno di Falcone, fanno manifestazioni e<br />

ricordi, dispiaciuti perché Falcone non c'è più. Sono circa un quarto della<br />

popolazione.<br />

I siciliani mafiosi, che sono più o meno altrettanti, festeggiano fra di loro<br />

e ne hanno buoni motivi: è stato cancellato il principale apporto giuridico di<br />

Falcone (l'unitarietà di Cosa Nostra, con tutto ciò che ne consegue), è stato<br />

riportato in Cassazione il giudice che dava a Falcone del credino (il giudice<br />

Carnevale), è stato trionfalmente eletto un governo che considera eroe,<br />

invece di Falcone, un “uomo di panza” che ha eroicamente rispettato<br />

l'omertà, il grande Mangano.<br />

E i siciliani mezzi-mezzi, la maggioranza, quelli che non hanno il cinismo<br />

di appoggiare la mafia ma neanche il coraggio di combatterla? Per loro, il<br />

problema principale è l'ignoranza. “Mi faccio i fatti miei”. Non hanno la<br />

minima idea di quanto il sistema mafioso gli ruba individualmente ogni<br />

giorno, in termini di denaro. Non sospettano che potrebbero essere, se non<br />

ricchi, almeno benestanti, in una regione ricca come questa, se non ci fosse<br />

la mafia.<br />

Sono onestamente convinti che mafia e antimafia siano questioni ideali (e<br />

dunque, per la cultura paesana, irrilevanti) e non materiali. “Mi faccio i fatti<br />

miei”.<br />

L'informazione mafiosa, che un tempo serviva a dire “la mafia non<br />

esiste”, adesso serve a dire che la mafia esiste sì ma è una cosa che riguarda<br />

solo mafiosi e giudici e non la gente normale. <strong>Un</strong>a cosa da diavoli o da eroi,<br />

insomma. Buona per i dibattiti e le fiction, ma non per la vita normale.<br />

Perciò il lavoro principale che c'è da fare oggi in Sicilia è principalmente<br />

d'informazione. Non solo sulle notizie delle singole malefatte (il che è già<br />

tanto, perché qui i malfattori comandano ai giornali), ma soprattutto sul


quadro generale, sull' “atmosfera”, sui problemi concreti che vivere in un<br />

paese mafioso comporta anche per chi non pensa a ribellarsi.<br />

Non lo si può fare alla meno peggio (raccontare una società è un lavoro<br />

abbastanza complesso) e non lo si può fare a suon di slogan (non c'è un<br />

prodotto da vendere ma una mentalità da trasformare). Però, quando si<br />

riesce a farlo come Dio comanda, funziona. È stato così che a Palermo per<br />

alcuni anni ha avuto assai peso l'antimafia e a Catania si è riusciti a<br />

scacciare i cavalieri.<br />

Questo lavoro, i grossi giornali non lo faranno mai: non puoi fare un<br />

grosso giornale senza avere grosse imprese alle spalle; e nessuna grossa<br />

impresa, ormai,può sopravvivere senza far patti col diavolo (il caso<br />

Repubblica a Catania insegna). I giornali piccoli (come noi) possono tentare<br />

di farlo sì, ma, salvo eccezioni, possono concludere poco (e le eccezioni si<br />

pagano con vite umane).<br />

E allora chi? I giornali piccoli, magari piccolissimi (tipo quello che puoi<br />

fare anche tu, nella tua scuola o nel tuo paese) però in rete: scambiandosi le<br />

notizie, organizzandosi insieme, e usando per tutto questo l'internet, cioè la<br />

rete più rete di tutte. Questo richiede tempo, richiede pazienza a non finire<br />

(tenere insieme dei siciliani, con rete o senza, è un'impresa da Giobbe,e ne<br />

sappiamo qualcosa), però, tutto sommato, può funzionare.<br />

In una rete di questo tipo bisogna lavorare molto: certo, è più divertente<br />

che sotto padrone (non è mai divertente lavorare per qualcun altro) ma il<br />

problema è che l'obbiettivo è molto alto: non si tratta di fare una cosa<br />

simpatica per sentirsi appagati, ma di far concorrenza ai giornali dei<br />

padroni, con l'obiettivo finale di spazzarli via <strong>dal</strong> mercato e dare<br />

un'informazione libera alla maggior parte della gente. Non un'operazione di<br />

nicchia (o di ghetto), insomma, ma il tentativo consapevole di costruire<br />

un'egemonia.<br />

Fra vent'anni, Peppino Impastato dovrà pesare molto di più di Berlusconi,<br />

come comunicazione di massa. “Si, vabbè...” dici tu. Eppure, trent'anni fa,in<br />

Italia le radio di base sono arrivate molto prima di Mediaset; e non erano<br />

poche: duecentocinquanta, in tutta Italia, con una copertura globale non<br />

indifferente.<br />

E allora com'è che ha vinto Berlusconi?<br />

Per tre motivi precisi: 1) erano ognuna per conto suo, e Radio Firenze –<br />

ad esempio – non sapeva cosa faceva Radio Aut a Cinisi; 2) non parlavano<br />

in italiano (cioè la lingua che usano gli italiani) ma in politichese, perché i


loro leader così si sentivano più importanti; 3) non capivano che stavano<br />

usando delle radio libere – cioè una cultura e una tecnica completamente<br />

nuove – e non dei ciclostili o dei bollettini di partito.<br />

Così Peppino è rimasto solo.<br />

* * *<br />

Adesso la situazione è sostanzialmente la stessa. Tanti gruppi diversi<br />

(moltissimi che stanno internet) ma ognuno per conto suo. Tanti linguaggi<br />

“ideologici” (cioè del ceto medio acculturato) e pochissimo intervento nei<br />

quartieri. Tanti siti, blog, giornaletti e giornali, ma tutti rassegnati alla<br />

solitudine, ad essere voci locali e non anelli di rete.<br />

Bene, tutto ciò non vuol dire niente, non c'è nulla d'irreparabile. Dipende<br />

tutto da noi, esclusivamente da noi.<br />

Certo, a volte verrebbe voglia di sbattersi la testa al muro. Casablanca<br />

chiusa per mandanza di poche migliaia di euri, Graziella Proto lasciata sola<br />

– <strong>dal</strong>la sinistra illustre, ma anche da un po' di società civile isolana – a<br />

combattere la sua guerra, come se fosse stata una guerra sua personale. E<br />

anche ora, qui a Catania, almeno due (forse tre, non si sa ancora) liste<br />

distinte della società civile locale, ognuna per sé e Dio per tutti.<br />

Credo che pure Giobbe bestemmierebbe.<br />

Però, tutto sommato, avrebbe torto.<br />

In fondo, si tratta solo di problemi di crescita. C'è molta più unità che<br />

negli altri anni (le legnate quantomeno servono a questo); “Facciamo un<br />

giornalerete tutti insieme” ormai suscita solo dei “Sì però” perplessi e non<br />

dei “No!"<br />

secchi e brutali come qualche anno prima.<br />

Ci sono degli ottimi gruppi di quartiere, e l'ultima generazione di ragazzi<br />

– se non la rovinano i vecchi – sta crescendo bene. Persino qui alle elezioni,<br />

che sono la cosa più avida e avara che ci sia, è mancato solo un pelo a fare<br />

la lista unica di base, e non è detto che la prossima volta non ci si riesca.<br />

“Last but not least”, fra un paio di settimane Graziella raddoppia le forze,<br />

in quanto fra poco nasce la nipotina.<br />

Pensate: se è stata capace di far tanta battaglia da sola, con Casablanca e<br />

col resto, che diavolo riuscirà a combinare quando le donne Proto, alla<br />

faccia di tutto, saranno in due? State in campana, amici, mi sa che la vera<br />

partita comincia ora. Finora abbiamo solo scherzato...


6 giugno <strong>2008</strong><br />

SI VOTA NELLA CITTÀ DELLA MEZZA DEMOCRAZIA<br />

Come si fa a votare in una città in cui di un affare in corso si dice tutto<br />

meno il nome dell proprietario e la stampa nasconde i candidati scomodi<br />

dicendo – come dice Ciancio per Cllaudio Fava – che li censura “per<br />

ragioni personali”?<br />

"Firmato a Palazzo degli Elefanti, l’accordo di transazione tra il Comune<br />

e i proprietari dell’area di corso Martiri della Libertà. Alla cerimonia erano<br />

presenti, oltre al commissario straordinario Vincenzo Emanuele, il<br />

presidente della Regione Raffaele Lombardo, il prefetto Giovanni Finazzo,<br />

il rappresentante della Questura prefetto Anzalone, l’ex sindaco Umberto<br />

Scapagnini, l’ex vicesindaco Giuseppe Arena, l’ex assessore all’Urbanistica<br />

Enzo Oliva, il senatore Raffaele Stancanelli, il comandante provinciale della<br />

Guardia di Finanza Agostino Sarrafiore, l’avvocato Silvestro Stazzone in<br />

rappresentanza della proprietà, l’avvocato Andrea Scuderi, advisor della<br />

proprietà, rappresentanti delle altre forze dell’ordine e del mondo<br />

imprenditoriale, economico e degli ordini professionali di Catania...".<br />

Il comunicato stampa del Comune di Catania dà notizia del "firmato<br />

accordo fra il Comune e i proprietari dell'area di corso Martiri della<br />

Libertà", con annessa pubblica cerimonia. L'area in questione è l'ultimo<br />

pezzo dello sventramento di Catania, rimasto incompleto per varie traversie<br />

e senz'altro il più grosso boccone ancora disponibile per i costruttori<br />

catanesi.<br />

Il comunicato elenca diligentemente tutti i partecipanti alla cerimonia. Il<br />

presidente, il prefetto, il senatore, il questore, il sindaco (ex), il<br />

"rappresentante della proprietà", l'"advisor" della proprietà e i rappresentanti<br />

"del mondo imprenditoriale, economico e degli ordini professionali di<br />

Catania".<br />

L'unica cosa che manca, e che non viene accennata mai neanche per<br />

sbaglio, è *chi è* la proprietà. Ciancio?<br />

Famiglia Rendo? Altri cavalieri?<br />

Vaticano (come in origine)? E chi lo sa.<br />

È come dare la locandina dell'Amleto con i nomi di tutti, meno che del<br />

regista e di Amleto. Amletico, veramente.<br />

Comunque, con evidenza, il Grande Affare comincia.


Sarà - come abiamo visto - clandestino, come tutti gli affari di Catania,<br />

perché in città manca l'informazione.<br />

Adesso, per esempio, ci sono le elezioni ma "La Sicilia" ignora<br />

completamente alcuni e appoggia arbitrariamente altri.<br />

Sono elezioni vere, quelle in cui i mezzi d'informazione nascondono ai<br />

cittadini una parte dei candidati? E non succede solo stavolta, o solo per<br />

caso. Sentiamo cosa afferma pubblicamente Ciancio, il padrone de "La<br />

Sicilia", il 24 marzo 2007: "È vero. Il suo nome non lo pubblico [si parla di<br />

Claudio Fava, n.d.r.] perché mi insulta ogni minuto. Nessuno mi può<br />

obbligare a farlo. E se il giudice mi condanna, presento appello... Ma scriva<br />

che tutto ciò accade per ragioni personali dell'editore, no, anzi, del<br />

direttore".<br />

Ecco. La libertà d'informazione, a Catania, è solo una "questione<br />

personale".<br />

Votate, ma ricordatevi che non sono elezioni libere. Sono elezioni in una<br />

città di mezza democrazia.


18 giugno <strong>2008</strong><br />

LA SINISTRA PESTATA E IL PARTITO DEI POVERI CHE NON C'È<br />

Crolla la sinistra in Sicilia e stravincono i peggiori. Tre quarti degli<br />

elettori votano per i successori ed emuli di Cuffaro. Moltissimi non votano<br />

per niente. È solo una faccenda “politica”? O il guasto è ancora più in<br />

fondo? Di chi è la colpa? E soprattutto: adesso, che cosa bisogna fare?<br />

Io non credo che Falcone sia un cretino come dice l'autorevole giudice<br />

Carnevale.<br />

Mi dispiace sinceramente che l'abbiano ammazzato, e così per Borsellino,<br />

Livatino e gli altri. Io penso che i giudici siano meglio dei mafiosi e per me<br />

l'eroe non è Mangano ma Borsellino.<br />

Mi dispiace che un sacco di esseri umani siano annegati in mare <strong>dal</strong>le<br />

parti nostre (quasi quattrocento, dicono i giornali) mentre io andavo a<br />

votare, e questo perché la legge dice che devono venire di nascosto. Mi<br />

dispiace che fra loro c'erano così tanti bambini. Mi fa schifo la gente come<br />

Bossi che ha detto tante cose schifose contro i meridionali, e preferirei<br />

crepare piuttosto che allearmi con lui.<br />

Rido in faccia a quelli del partito di Scapagnini, che prima si sono<br />

mangiati mezza Catania (manco pagavano le bollette per i lampioni) e poi<br />

sono venuti a cercaci il voto come se niente fosse.<br />

Non ce l'ho con gli zingari, coi negri, con gli ebrei e coi gay, ce l'ho solo<br />

coi delinquenti e chi gli tiene mano. Non credo che Roma sia come Kabul<br />

da mandarci i soldati. Non credo che bisogni cancellare tutti i reati fino al<br />

2002. Credo che bisogna dare più mezzi a polizia e carabinieri (adesso,<br />

manco i soldi della benzina) per prendere i delinquenti davvero e non farci<br />

chiacchiere sopra. Credo che chi fa cose sporche debba finire in galera,<br />

piccoli e grossi, comprese le più alte autorità se fanno reati. Non ho paura<br />

degli scippatori, ce l'ho di quelli che danno fuoco agli operai o ammazzano<br />

la gente nelle cliniche private.<br />

Siamo in pochi in Sicilia a pensarla così, a quanto pare. E va bene. Ma io<br />

un domani non voglio essere confuso con tutti quegli altri siciliani che si<br />

vedono ora. <strong>Un</strong> popolo ignorante e poverissimo, com'eravamo in Sicilia fino<br />

all'altra generazione, giustificazioni ne aveva moltissime, finché la miseria è<br />

durata. Ma gente coi telefonini e le automobili, coi satellitari ai balconi e le<br />

magliette firmate, di giustificazioni non ne ha più.


Perciò ora ciascuno individualmente si prenda le sue responsabilità - io mi<br />

prendo le mie - perché domani chi verrà dopo di noi ci giudicherà<br />

freddamente e con attenzione.<br />

* * *<br />

In Sicilia, la sinistra non è mai stata pestata come ora. I giochi e le<br />

stupidaggini che erano consentiti prima ora non sono possibili più. Nessuno<br />

deve più venire a dire “io corro da solo”. Nessuno deve più dire “io sono<br />

democratico, io sono di sinistra” per far politica a vantaggio esclusivo della<br />

propria classe sociale, la media e a volte non tanto media borghesia.<br />

Sinistra, come in passato, dev'essere il partito dei poveri, prima di ogni altra<br />

cosa. Si può ripartire solo da qui. “Io l'avevo detto” non serve a niente, non<br />

è il momento. Si può ripartire dai quartieri, <strong>dal</strong>l'impegno di base,<br />

<strong>dal</strong>l'informazione.<br />

È una strada lunga e difficile, e non per tutti. Chi vorrà prenderla, si<br />

decida ora.


26 giugno <strong>2008</strong><br />

VOTARE SEMPRE IN MASSA IL PEGGIO CHE SI PUÒ TROVARE<br />

In Italia senza i voti dei siciliani non solo non avrebbe vinto Berlusconi,<br />

ma neanche Andreotti sarebbe mai riuscito a diventare ciò che è diventato<br />

(in fondo la prima Repubblica l’ha ammazzata lui)<br />

Senza i dc siciliani (400mila negli anni ’60) la Dc sarebbe rimasta un<br />

pacifico partito perbene guidato da Fanfani e Moro, Andreotti sarebbe<br />

rimasto un notabile laziale e Berlusconi, più avanti, sarebbe finito in galera<br />

per reati minori o sarebbe rimasto al massimo una specie di Ricucci con più<br />

parlantina. E invece no. Nei momenti decisivi, i siciliani hanno votato in<br />

massa per il peggio che si trovava, inguaiando così non soltanto se stessi ma<br />

anche tutti gli altri italiani.<br />

Dunque Sicilia indipendente e libera, e magari - per qualche colpo di<br />

fortuna - via anche varesotti e veneti, i primi unitisi alla Svizzera e i secondi<br />

alla rinata Austria-<strong>Un</strong>gheria. E quindi elezioni fra gente seria, che non si<br />

vende il voto e non dà in escandescenze per gli immigrati. (E Roma? Boh,<br />

nel frattempo se la potrebbe essere ripresa il papa, così alle elezioni italiane<br />

non votano neanche loro). Milano, fra Albertini e Moratti, se la sarebbero da<br />

tempo comprata i giapponesi: voterebbe per la prefettura di Osaka, non<br />

certo per le elezioni italiane. Non credo che la camorra permetterebbe<br />

elezioni tranquille a Napoli, e questo potrebbe essere il pretesto per non far<br />

votare neanche i napoletani (e, a maggior ragione, calabresi e affini).<br />

Ecco, a questo punto potrebbero anche vincere le sinistre, alle elezioni<br />

italiane. Si richiamerebbe Prodi, si rimetterebbe a posto l’economia, si<br />

tornerebbe a rivincere i mondiali di calcio, si rimanderebbe al porcile<br />

Calderoli e si nominerebbe Zanotelli ministro degli esteri e Dario Fo<br />

dell’istruzione. E poi, con tutto comodo, si lascerebbero tornare a casa i<br />

secessionisti, che avrebbero avuto il tempo di girare un po' di mondo e<br />

dunque di ricordarsi come si stava bene in Italia.<br />

(E se, alle prime elezioni siffatte, dovesse vincere non diciamo Veltroni -<br />

che fisiologicamente non può farlo - ma un altro destro di sinistra tipo<br />

Cofferati? Beh, in tal caso tutta la brillante analisi precedente non vale un<br />

soldo e bisognerà tristemente ritornare a Berlusconi, Andreotti e<br />

compagnia).


26 giugno <strong>2008</strong><br />

ORIOLES: “VI RACCONTIAMO CHE COSA È UCUNTU”<br />

Cosa vuol dire fare informazione antimafia oggi?<br />

Non permettere alla gente di adagiarsi nella normalità della mafia. La<br />

mafia oggi è "normale". Non che tutto sia mafia (neanche ai tempi del<br />

fascismo tutto era fascismo). Ma la mafia fa ormai parte a pieno titolo delle<br />

basi culturali ed economiche del Paese. E politiche, ovviamente.<br />

- Per esempio?<br />

Per esempio, abbiamo al governo un partito che prima delle elezioni ha<br />

pubblicamente chiesto i voti della mafia (il "Mangano eroe" di Dell'Utri è<br />

stato trasparentemente questo). Si può far finta di non saperlo, certo, così si<br />

dorme meglio. Anche bravissima gente come Gronchi o Croce, all'inizio,<br />

non voleva capire che Mussolini non era la solita destra ma un'altra cosa. E<br />

questo cambiava tutto. Cambia tutto.<br />

- Perché è così difficile avere un giornale o una rivista che racconti la<br />

verità in Sicilia?<br />

Perché non la verità non è solo che si sono dei delinquenti, ma che questi<br />

delinquenti sono indispensabili al sistema.<br />

Perciò puoi denunciare il singolo episodio, ma non il contesto "normale"<br />

in cui si colloca. Puoi fare "fiction" (romantica, folkloristica, comunque<br />

"strana") ma non cronaca e analisi della normalità - Come si comporta la<br />

politica nei confronti dell'informazione verità?<br />

Come vuoi che si comporti. In certi casi ti sparano. In certi altri ti mettono<br />

il bavaglio (è di questi giorni la condanna di Carlo Ruta per il suo sito).<br />

Ti lasciano alla fame. Oppure ti comprano, se ce la fanno. Da un certo<br />

livello in poi, la "politica" - come la chiami tu - non è mai indifferente. O ti<br />

sostiene (ma è un caso rarissimo) o ti dà addosso.<br />

- Sinistra compresa?<br />

No, è una fesseria dire che sinistra e destra sono uguali. Storicamente,<br />

l'antimafia nasce di sinistra.<br />

Conquista uno schieramento più ampio solo negli anni Ottanta, con la<br />

Rete. È che la sinistra di ora, degli ultimi vent'anni, è una sinistra brodosa.<br />

Non è che Bertinotti o Veltroni non parlino bene dell'antimafia.<br />

Ma la lasciano sola. A noi, almeno, è capitato così.<br />

- Pensi a Casablanca, il giornale che avete fatto con Graziella Proto?


Anche. Ma Casablanca è solo l'ultimo episodio. Coi Siciliani è stato così,<br />

con Avvenimenti... La sinistra ufficiale, quella che conta, con noi è sempre<br />

stata amichevole, a parole. Nei fatti ci ha abbandonato. Ma lasciamo perdere<br />

queste cose. Parliamo di ora.<br />

- Cos'è questo UCuntu? Ho visto il sito, pare strano...<br />

- UCuntu (www.u<strong>cuntu</strong>.org) è una sperimentazione, un progetto-pilota<br />

che se Dio vuole nei prossimi mesi potrebbe anche diventare importante.<br />

Ha una caratteristiche precise: comprende un giornale vero e proprio, un<br />

magazine neanche tanto male.<br />

- Beh, mica è l'unico, su internet...<br />

Certo. Però il nostro non è basato sul web (anche) ma sul pdf. <strong>Un</strong><br />

magazine come tutti gli altri, solo che non è stampato. Lo leggi in internet<br />

e...<br />

- Leggo un sacco di cose, su internet...<br />

Ok, questo però: a) lo leggi in maniera particolare, molto più semplice,<br />

molto più naturale, grazie al formato issuu.com - guarda qua, come scorre -<br />

e b) te lo puoi stampare tranquillamente a casa tua.<br />

- Stampare?<br />

Certo. È ottimizzato per la stampa su una laser di casa. Immagina che le<br />

laser vengano a costare un bel po' meno di ora (che già non costano poi<br />

tanto). Immagina che la carta da laser diventi più economica, diciamo a un<br />

paio di euri la risma. Immagina che...<br />

Beh, insomma immagina che a un certo punto il giornale, invece di uscire<br />

<strong>dal</strong>la redazione, andare in tipografia, uscire <strong>dal</strong>la tipografia, prendere un<br />

camion e correre fino all'edicola sotto casa tua, faccia il percorso più<br />

semplice redazione-casa tua - stampante: non sarebbe tutto più semplice? E<br />

meno costoso, anche. A questo punto persino noi poveracci ce la<br />

giocheremmo alla pari coi Grandi Imbonitori.<br />

- Si, ma quando?<br />

Presto. Già tutti i grossi giornali si attrezzano con le ultimore in pdf. La<br />

tecnologia è già abbastanza matura. Il NYTimes dice che fra cinque anni<br />

non sa se stampa ancora in tipografia. Si muove tutto abbastanza in fretta. Io<br />

azzarderei che la home-press (chiamiamola così, tanto per sentirci<br />

importante) sarà al 10-15 per cento fra due anni e al 40-50 per cento fra<br />

cinque.<br />

- A Catania?<br />

Dappertutto. D'altronde, il nostro progetto è nazionale; qui stiamo


semplicemente sperimentando, con le forze che abbiamo. Ma se faccende<br />

com UCuntu cominciassero a uscire un po' dappertutto - quest'estate<br />

prevediamo di farne spuntare una a Napoli, una in Puglia e una a Roma - la<br />

partita comincerebbe a essere interessante.<br />

- E tu che ci guadagni.<br />

Niente. <strong>Un</strong> sacco. Niente soldi, un sacco di soddisfazione. È da diversi<br />

anni che lavoriamo (non da solo, con gente come Carlo Gubitosa o<br />

Rossomando & Feola, per esempio) a questo tipo di cose, a questo progetto.<br />

È un progetto bello, democratico.<br />

Permetterebbe di scrivere professionalmente a un sacco di ragazzi che ora<br />

sono costretti o a starsene zitti o ad andarsene a fare i precari <strong>dal</strong> ciancio<br />

della loro città. Io ho visto crescere un sacco di giovani giornalisti, a<br />

Catania, a Napoli, a Roma... Ne vedo crescere ancora, è il mio mestiere.<br />

Crescere e venire normalizzati o messi fuori, uno dopo l'altro, perché<br />

disturbano i padroni. Fra qualche anno potrebbe non succedere più. Fra<br />

qualche anno potrebbe esserci una rete di giovani giornalisti, in giro per<br />

questo paese.<br />

- Ma come si fa a fare un giornale come UCuntu da qualche altra parte?<br />

Semplice: basta scriverci. Noi mandiamo le gabbie-base da riempire, e<br />

uno ci mette quello che vuole. Il trucco è che le gabbie sono semplicissime<br />

da utilizzare, anche un ragazzo riesce a impaginare così. Non sono XPress,<br />

InDesign e roba del genere (che poi costano un pacco di soldi). Sono<br />

puramente e semplicemente dei files .odt creati con un semplice word<br />

processor, Open Office: uno dei nostri ragazzi è riuscito a trovare lo sgamo<br />

per utilizzarlo come dtp, e funziona bene. E Open Office lo scarichi<br />

liberamente <strong>dal</strong> suo sito, perché è free software. Fra 3-4 mesi mettiamo in<br />

giro (gratis) il dvd con le gabbie base, Open Office, una libreria di disegni,<br />

una di foto. A quel punto se non riesci a farti da te un buon giornale è perché<br />

proprio non hai un cazzo da dire, non perché non si può fare...<br />

- Bello. Ma con l'antimafia che c'entra?<br />

C'entra tutto, perché l'antimafia, l'antimafia seria, non quella di festa, è<br />

essenzialmente democrazia. E democrazia è essenzialmente diritto di<br />

parlare. Non blaterare e basta, gridare viva e abbasso da qualche parte.<br />

Parlare seriamente, autorevolmente, con cifre e dati. Professionali. Non<br />

sono solo i padroni a poterlo fare.<br />

Domani, fra tecnologia e creatività, potremo farlo anche noi.<br />

- Ma la gente, l'informazione, la vuole o non la vuole? A volte pare che


invece voglia il grande fratello, le veline?<br />

A volte lo penso anch'io. Ma vedi, non c'è niente di male: basta che sia<br />

divertimento, e non rincoglionimento programmato. A Torino gli operai<br />

leggevano il giornale di Gramsci, e leggevano i feuilletton di Carolina<br />

Invernizio, per esempio. Gramsci doveva fare le corse per cercare di non<br />

esser meno palloso del romanzetto a puntate. Quando ci riusciva, allora gli<br />

operai mettevano in modo il cervello e nel giro di due mesi ti occupavano la<br />

Fiat.<br />

- Qual è il futuro dell'informazione antimafia?<br />

Mah. Qualcosa del genere che abbiamo detto, inutile girarci attorno.<br />

Sopravviveranno strumenti utili come Antimafia Duemila, come<br />

Narcomafie, forse qualcun altro. Ma il grosso del lavoro (l'antimafia sociale,<br />

dice qualcuno; e io aggiungerei: l'antimafia allegra) dovrà farlo qualcun<br />

altro, con strumenti veramente moderni, internet più stampante di casa. Più -<br />

forse - free-press di tipo nuovo; ma questo è un discorso in più, e<br />

abbastanza complicato.<br />

- Ma perché non c'è unione, ma parecchie voci disperse e frammentate in<br />

Italia, che scrivono e lottano contro la criminalità organizzata?<br />

Beh, da un lato è fisiologico, e da un certo punto di vista (nell'antimafia<br />

gli stronzi sono pochi: quelli che non mancano magari sono quelli un po'<br />

vanitosi...) è anche positivo. Nella sinistra dell'avvenire bisognerà stare<br />

attentissimi ad avere tante teste diverse, tante critiche, tante idee: il<br />

monolitismo è esattamente ciò che ci ha fottuti, e non noi solamente, nel<br />

Novecento. Però c'è anche il fatto che non ci siamo ancora resi ben conto di<br />

cosa sta succedendo, di cosa ci tocca fare. Oggi non stiamo più a "far lotta"<br />

contro questo o quel singolo mafioso.<br />

Stiamo a far lotta contro tutto un Sistema (come giustamente lo chiama<br />

Saviano) e soprattutto stiamo a costruire un "per" qualcosa. Stavolta lo<br />

costruiremo democraticamente e tutti insieme, senza vangeli-guida, senza<br />

profeti.<br />

- Che ne pensi del decreto sulle intercettazioni, sugli atti giudiziari?<br />

Che vuoi che ne pensi. L'abbiamo detto all'inizio. È un regime. Non<br />

credere che Mussolini abbia fatto tutto così tutt'a un tratto. Era molto<br />

"ragionevole", all'inizio, molto "pacificatore". E il vecchio notabile ci<br />

cascava. I ragazzi - gente come Gobetti - no. Loro hanno capito subito di<br />

che si trattava si sono messi subito a lavorare per creare un'altra cosa.<br />

Cerchiamo di essere all'altezza anche noi.


- Perché è così difficile avere denaro e appoggio politico per aprire un<br />

nuovo giornale a Catania?<br />

Devo ridere? Ma lo sai chi sono i politici, gli imprenditori, gli editori<br />

(plurale maiestatis, visto che ce n'è uno solo) a Catania? Quel che hanno<br />

fatto in questi vent'anni, quello che stanno facendo in questo momento, ora?<br />

- Cosa vuol dire quella frase di Fava che dice "Il giornalismo fatto di<br />

verità sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il<br />

buon governo"?<br />

Che il giornalismo è una forma forte di politica. Non di propaganda, non<br />

di ideologia. Di politica alta, da polis, quella vera. Il giornalismo non è lo<br />

scoop occasionale, non è l'esternazione eburnea del fighetto intellettuale. Il<br />

giornalismo parla per tutti, soffre con tutti, appartiene a tutti, dà la parola. Il<br />

giornalismo è il braccio armato della democrazia.<br />

- Che differenza c'è tra un buon giornalista e un giornalista antimafia? E<br />

quali sono le principali caratteristiche di un giornalista antimafia?<br />

Travaglio, che è un buon giornalista, non è un militante democratico - nel<br />

senso profondo e duro che dicevamo di sopra. Giuseppe Fava lo era.<br />

Lottava per qualcuno e per qualcosa. <strong>Un</strong>a volta, molto prima che io lo<br />

conoscessi, fece un'inchiesta sui bambini di Palma di Montechiaro - i più<br />

abbandonati, allora, i più poveri di tutti. C'era il primato europeo della<br />

mortalità infantile, in questo paesino di allora. Lui fece dei buoni articoli,<br />

dei buoni pezzi. Scriveva bene. Denunciò la questione. Questo è il buon<br />

giornalista. Ma parlando con noi, molti anni dopo, lui ancora serrava le<br />

mascelle al ricordo, era ancora incazzato. Non era semplicemente l'oggetto<br />

di un'inchiesta, la miseria di quei bambini. Era un'ingiuria intollerabile,<br />

un'offesa personale.<br />

Questo è il giornalista antimafia, questo e niente di meno.<br />

- Perché dai tutto per il buon giornalismo?I tuoi colleghi lo fanno?<br />

Domanda uno, mi diverto.<br />

Domanda due, poveretti loro.<br />

Giuseppe Scatà<br />

[Narcomafie]


3 luglio <strong>2008</strong><br />

FACCIAMO UN VIAGGIO AL TEMPO DEGLI ORCHI?<br />

Come verremo ricordati, quelli della nostra generazione? Non è una<br />

domanda tanto per aria: se fossimo stati invitati a casa del signor Muller a<br />

Berlino avremmo avuto il piacere di conoscere una persona educata e<br />

perbene, buon padre di famiglia, ottimo lavoratore, con la sua brava<br />

Volkswagen, i suoi marmocchi simpatici e la sua famigliola<br />

complessivamente felice. Faremmo un giro in centro (traffico ben regolato,<br />

molto verde, nessun mendicante) e in genere incontreremmo facce<br />

tranquille e soddisfatte di sé. Può darsi che parleremmo di politica: ma fra<br />

gente educata, su questo punto, non ci si accalora mai troppo. E poi, la<br />

politica, lasciamola a chi la fa di mestiere: noi abbiamo fin troppe cose a cui<br />

pensare. Il mutuo, il dentista, il meccanico, la pagella del bambino... Così,<br />

sorridendo svagati, si farebbe ora di pranzo: in un locale caratteristico,<br />

accogliente e pulito come tutto il resto.<br />

Più tardi, quando sei ritornato nel tempo tuo, ti accorgi che hai fatto visita<br />

alla famiglia degli orchi, nella città degli orchi, nel paese degli orchi. I<br />

Muller infatti sono una qualunque famiglia berlinese del 1936 e in quanto<br />

tale hanno dirette e personali responsabilità - come oggi sappiamo - nello<br />

sterminio di milioni e milioni di esseri umani. Personali? Beh, il figlio dei<br />

Muller è militare, ma presta servizio nella Wehrmacht, mica nelle Ss. Hans<br />

e Annaliste sono regolarmente iscritti, è vero, alla Hitlerjugend e alla Lega<br />

delle Ragazze: ma che fanno di male?<br />

Campeggio, raccolta di abiti vecchi e qualche chiacchiera ogni tanto. E<br />

tutto è così normale: lo sguardo dei bambini, la risata di Muller, le strade.<br />

Non ci sono mendicanti, non c’è gente strana.<br />

Noi tuttavia sappiamo - venendo da un’altra epoca ed essendo dunque<br />

osservatori disinteressati - che il mondo del ‘36 sarebbe stato impossibile<br />

senza il consenso dei Muller. E dunque non ci sentiamo autorizzati a<br />

stringere le mani che ci vengono porte (borghesemente: perché i Muller,<br />

l’abbiamo detto, non sono dei fanatici del Partito) per l’addio. Le mani<br />

restano là, protese senza risposta a cercare una comprensione, e i visi<br />

sfumano mentre noi torniamo nel nostro tempo.<br />

Nel “nostro” mondo, muoiono trentamila bambini al giorno per cause<br />

prevedibili e facilmente evitabili.


Seicento milioni di bambini sopravvivono con meno di duemila lire al<br />

giorno. Ma questi sono numeri, non vogliono dire niente. Il fatto reale è che,<br />

se esci di casa e invece di svoltare da una parte svolti <strong>dal</strong>l’altra, ogni due o<br />

tre bambini che incontri uno non ha mangiato. Ogni tanto - diciamo ogni tre<br />

o quattro minuti - uno di questi bambini che stai guardando attentamente per<br />

capirci qualcosa scivola improvvisamente per terra e non si muove più,<br />

perché è morto.<br />

E siamo in un sogno didascalico, ancora, dunque del tutto asettico e<br />

pulito. Il bambino per terra, nella realtà, evacuerebbe liquidi disgustosi<br />

prima e durante il morire. Da una parte, e tuttavia impossibilitato a<br />

intervenire, ci sarebbe un altro essere umano per il quale il bambino<br />

morente era il centro del mondo, e che in questi istanti sta vivendo l’orrore<br />

puro. Ci sarebbero puzza e grida, e rumori casuali. E tutto questo sta<br />

avvenendo davvero, in questo preciso istante, e riusciamo a tollerarlo<br />

soltanto facendo finta che non sia così.<br />

Ma inganniamo noi stessi. Il mondo vero è quello. Questo - quello di<br />

questo monitor - è meno vero di esso.<br />

Mi fermo qui, perché questo è un ragionamento impossibile da portare<br />

avanti oltre un certo grado. Ho bisogno - come te, e come tutti - di un certo<br />

livello di rimozione, perché altrimenti mi sarebbe difficilissimo vivere<br />

normalmente senza diventare asociale.<br />

Ma quelli che verranno dopo di noi - compagni posteri, diceva<br />

Majakowskij - non avranno di questi problemi. Loro vorranno<br />

semplicemente studiare scientificamente il nostro mondo, freddamente:<br />

perché ormai tanto tempo sarà passato.<br />

Studieranno di noi come noi studiamo gli assiro-babilonesi, apprezzando<br />

al loro giusto valore tanto gli inni cosmici ad Enkhidu quanto i prigionieri<br />

impalati. E, forse, decideranno che siamo stati più o meno la stessa roba che<br />

i tedeschi del trentasei.<br />

Parleranno di Olocausto, come noi ne parliamo. Si meraviglieranno<br />

grandemente, con aria di sufficienza, per la nostra acquiescenza. “Come<br />

hanno fatto a non ribellarsi?” diranno, senza voler sapere di noi altro che<br />

questo.


18 luglio <strong>2008</strong><br />

A CATANIA D'ESTATE RUBANO LE SCUOLE<br />

A un mese <strong>dal</strong>le elezioni, non si capisce chi comanda a Catania: nel<br />

senso che non hanno ancora fatto il comune, non essendo riusciti a mettersi<br />

d'accordo. Intanto nessuno paga l'affitto delle scuole: e adesso arriva<br />

l'ufficiale giudiziario con l'ordine di chiusura...<br />

A Catania hanno fatto – magari alla disinvolta – le elezioni, hanno eletto<br />

un sindaco e adesso dovrebbe dunque esserci un comune. Il comune,<br />

l'amministrazione, però fino a questo momento non c'è perché tutti i<br />

principali interessati (sindaco, forze politiche, destra, bidestra, centrodestra<br />

e destra leghista) a un mese <strong>dal</strong>le elezioni non sono ancora riusciti a<br />

mettersi d'accordo. Affari loro? In un paese civile sarebbe affare anche dei<br />

cittadini, ma non è obbligatorio essere un paese civile e dunque tutto tira<br />

avanti alla meno peggio, giorno dopo giorno.<br />

Fra le cose che il comune - non essendoci – non ha fatto c'è anche il<br />

pagamento dell'affitto alle suore Orsoline, padrone dell'unica scuola di san<br />

Cristoforo, l'Andrea Doria (le scuole nei paesi civili non sono di proprietà<br />

dei Comune ma Catania, abbiamo detto, fa eccezine). Le suore, giustamente<br />

incazzate, hanno subito mandato l'ufficiale giudiziario: il quale arriverà<br />

venerdì, di prima mattina, per notificare l'atto e annunciare dunque la<br />

chiusura della scuola.<br />

L'Andrea Doria nell'ultimo anno scolastico è rimasta aperta solo grazie<br />

alla mobilitazione delle mamme del quartiere che, di fronte al<br />

menefreghismo del comune, hanno occupato l'edificio, hanno costretto i<br />

politici a venire lì e a fare un sacco di promesse: che l'affitto sarebbe stato<br />

pagato, che la scuola sarebbe rimasta aperta e balle del genere. Così le<br />

mamme hanno disoccupato la scuola, l'anno scolastico è finito in relativa<br />

tranquillità, e finalmente è arrivata l'estate.<br />

D'estate i politici non sono affatto andati in vacanza, ma sono rimasti “al<br />

lavoro” e cioè a dividersi fra di loro poltrone, seggiole e scrivanie. Senza<br />

molto successo, visto che le poltrone principali sono ancora oggetto di<br />

“trattativa”.<br />

Intanto le suore incalzano, gli speculatori allungano le zampe sul terreno<br />

della scuola, e “la politica” (come si dice oggigiorno) se ne frega<br />

completamente, non considerando importante la sopravvivenza di na povera<br />

scuola di quartiere.


Va bene: al solito, saranno le mamme del quartiere a prendere in mano la<br />

situazione, organizzando il presidio davanti alla scuola. Con loro ci saranno<br />

quelli di Liberare Catania e anche tutte le associazioni, movimenti e partiti<br />

che hanno sostenuto Liberare Catania alle ultime elezioni. “Noi non<br />

spariremo il giorno dopo le elezioni – hanno proclamato allora – Noi siamo<br />

la forza unita della società civile, e per essa continueremo a lavorare anche<br />

dopo le elezioni, tutti i giorni!”.<br />

Vedremo se è vero. Per ora bisogna dire che la loro promessa la stanno<br />

mantenendo, visto che con le mamme del quartiere a difendere la scuola ci<br />

stanno andando solo loro. Con il caldo che fa, non è cosa da poco.<br />

E i politici? Beh, quelli a dividersi le poltrone. In nome della “vera<br />

politica”, si capisce.


8 agosto <strong>2008</strong><br />

UNA SCUOLA-SIMBOLO AL CENTRO DELLA CITTÀ<br />

Come ogni estate, politici e speculatori cercano di chiudere l'unica<br />

scuola del povero quartiere di san Cristoforo. Come ognii estate, le mamme<br />

del quartiere si mobilitano per salvarla. Come finirà? Comunque vada,<br />

questa storia ormai rappresenta molto di più che se stessa<br />

Lasciamoci per ora qui, davanti a questa scuola di Catania, nel quartiere<br />

più antico e più “mafioso”. La scuola è l'Andrea Doria, l'unica della zona, il<br />

quartiere è san Cristoforo, militarmente occupato dagli uomini dei clan.<br />

È un quartiere poverissimo soprattutto per questo: povero<br />

economicamente – immaginate come può decollare l'economia di un posto<br />

come questo – e povero socialmente, con uno smog di paura che s'insinua<br />

dappertutto.<br />

In questo quartiere l'Italia, il mondo moderno, l'Europa (ne parliamo<br />

didascalicamente, deamicisiaamente, come se l'Italia esistesse ancora e la<br />

modernità fosse quella degli anni Settanta) possiedono due roccaforti, due<br />

sole. <strong>Un</strong>o è il centro popolare “Gapa”, il Gapannone (doposcuola, sostegno<br />

sociale, assembleee popolari, teatro, sport); e l'altro la scuola. Quest'ultima è<br />

Le Istituzioni, lo Stato; il Gapa la società civile.<br />

Ci sono poche storie più miserabili, nella miserabile vita politica catanese,<br />

della periodica chiusura dell'Andrea Doria. L'hanno già minacciata l'anno<br />

scorso, tornano a minacciarla anche ora. È l'unica scuola del quartiere,<br />

l'unico pezzo di Stato. Eppure, con ogni evidenza, alla Catania politica non<br />

ne importa niente.<br />

Il meccanismo della chiusura è il seguente: - la scuola è affittata <strong>dal</strong>le<br />

suore Orsoline (le padrone) al comune; - il comune non paga; - le suore da<br />

tempo sono ambite da un grosso imprenditore, che vorrebbe prendersi l'area<br />

per specularci; - le suore mandano l'ufficiale giudiziario per sfrattare la<br />

scuola; - le mamme del quartiere si mobilitano, insieme al Gapa, per salvare<br />

l'unico punto di speranza dei picciriddi; - e...<br />

È successo diverse volte, sta succedendo ancora ora.<br />

* * *<br />

Questa è Catania, questa è la Sicilia di ora. Lottare contro la mafia, lottare<br />

contro i politici: per una scuola.


8 agosto <strong>2008</strong><br />

COMPITI PER LE VACANZE<br />

Anche U<strong>cuntu</strong> si riposa: ci rivediamo fra due settimane. Ma non è che nel<br />

frattempo i problemi si risolvono da soli: ce li ritroveremo davanti pari pari<br />

al ritorno, più agguerriti di prima. Che problemi? La mafia? Ciancio? Il<br />

fascismo? Berlusconi? Certo, sì: ma il problema dei problemi, senza cui<br />

non si risolveranno mai tutti gli altri, consiste in noi stessi. Cioè: siamo<br />

davvero un “noi” o siamo rimasti ancora tanti piccoli “io” impotenti? E<br />

come pensiamo di... Beh, buone vacanze<br />

Ehi, ci rivediamo dopo ferragosto. Mi sembra che abbiamo fatto un buon<br />

lavoro - dodici discreti numeri in tre mesi - e un po' d'onesto riposo ce lo<br />

siamo meritato.<br />

Che lavoro, esattamente? Non abbiamo fatto un giornale perché un<br />

giornale - nel senso professionale della parola - è cosa ben più ampia di<br />

questa. Non abbiamo fatto un sito perché su u<strong>cuntu</strong>.org la cosa principale è<br />

un "giornale" pdf, regolarmente impaginato, e stampabile quando si voglia -<br />

un "cartaceo", potenzialmente.<br />

Pensiamo, in altre parole, di aver fatto più che altro un esperimento. Ma<br />

un esperimento molto avanzato, in linea con le tendenze "industriali" sia<br />

della carta stampata che dell'informazione in rete. La prima sa benissimo,<br />

ormai, di non essere più autosufficiente. Quotidiani e riviste sono ormai in<br />

una fase di transizione - gli ultimi anni esclusivamente tipografici, gli ultimi<br />

prima del nuovo modello di giornale.<br />

Come sarà quest'ultimo? Sicuramente misto, con la "serietà" dei giornali e<br />

la capillarità di internet. Avrà il suo punto di forza nella percentuale "colta"<br />

della gente, quella che passa almeno un'ora in internet ma, grazie al versante<br />

cartaceo (che sarà molto più leggero dell'attuale) potrebbe raggiungere<br />

anche tutto il resto della popolazione e inserirla in un circuito virtuoso che<br />

col tempo potrebbe anche contare più della televisione.<br />

Questa, tecnicamente, è una tendenza ormai del tutto delineata. Ma, e i<br />

contenuti?<br />

Saranno i padroni dei media attuali - e dell'attuale orrenda televisione - a<br />

gestirli?<br />

I contenuti dei giornali, a differenza di quelli delle tv (che erano stati<br />

disumanizzati molto prima), si stanno orwellizzando solo ora. Distrutta o


idotta all'angolo la classe dei giornalisti, precarizzate le redazioni, sostituiti<br />

i direttorigiornalisti con altrettanti politici, lo stile dei quotidiani italiani è<br />

ormai assolutamente normalizzato.<br />

Non credo che ci sia più da farsi illusioni: il giornalismo italiano ormai è<br />

questo, se cambierà sarà in peggio e ciò che una volta si vedeva nei giornali<br />

mafiosi di Palermo o Catania ormai è praticamente standard dappertutto. La<br />

campagna per la "paura percepita" è stata condotta dai quotidiani liberal non<br />

meno che <strong>dal</strong>le tv di Berlusconi; e ha funzionato.<br />

* * *<br />

Ecco: tutto questo ci porta, da giornalisti, a guardare la realtà in faccia e a<br />

considerare che questo mestiere può vivere ormai solo fuori dai meccanismi<br />

ufficiali.<br />

E dunque a studiare con serietà le possibili - e sempre più indispensabili -<br />

alternative. L'ottimismo ci viene <strong>dal</strong>la conoscenza della svolta di cui<br />

dicevamo sopra, <strong>dal</strong>la transizione.<br />

Il giornalismo del dopo-internet non sarà un giornalismo costoso. Avrà<br />

bisogno molto più di intelligenze e competenze che di denaro. Chiederà<br />

condizioni pesanti (chi lo eserciterà non potrà camparci su più di tanto) ma<br />

sarà perfettamente possibile. Fra dieci anni, la maggior parte della gente<br />

usufruirà un giornalismo di questo genere, e se ne saprà servire.<br />

Tecnicamente, la sperimentazione di U<strong>cuntu</strong> si poggia su due punti<br />

precisi: il giornale sta bene in internet, è sfogliabile e (grazie a Issuu) si<br />

vede bene; in caso di necessità (e possibilità) si può anche stampare. Il<br />

giornale "tipograficamente" è facilissimo da produrre perché si basa su un<br />

software elementare (e libero) come Open Office e perciò qualunque gruppo<br />

di giovani, se ne ha testa e a voglia, se ne può fare uno.<br />

Culturalmente, le idee su cui ci basiamo sono due: la nostra insufficienza,<br />

e dunque l'obbligo della complementarietà, e la necessità della rete; e poi<br />

l'assoluta incompatibilità con l'establishment ("il giornalismo borghese", lo<br />

definì una volta Giuseppe Fava), che se prima era moderato o di parte<br />

adesso è decisamente fascistoide o almeno ostile ai valori di una qualunque<br />

democrazia.<br />

In Sicilia, entrambi questi dati si moltiplicano.<br />

Il Ministero dell'Informazione (che comprende quotidiani, tv, partiti<br />

politici, baronati universitari e quant'altro) da noi non serve soltanto le<br />

destre d'ogni genere, ma anche il potere mafioso. Che non è, come molti<br />

pensano, un'escrescenza criminale esorcizzabile con cerimonie e fiction, ma


un sistema che comprende diversi bracci (militare, politico, imprenditoriale)<br />

perfettamente armonizzati fra di loro: un regime. "Alii sparant - dicevano i<br />

teologi del Medioevo - alii rubant, allii persuadent populum" ad accettare<br />

tutto questo.<br />

* * *<br />

Com'è la nostra situazione adesso? Che cosa dobbiamo fare al ritorno<br />

<strong>dal</strong>le - chiamiamole così - vacanze?<br />

La nostra situazione per un verso è buona, perché siamo riusciti ad<br />

arrivare fin qui, a non perdere il filo, e coi tempi che corrono vanno<br />

ringraziati tutti gli dei per questo. Ma è meno buona dell'anno scorso,<br />

perché allora - almeno qui a Catania - le varie realtà nuove e giovani che via<br />

via nascevano riuscivano ancora a percepire, sia pure confusamente, il senso<br />

di una grande battaglia difficile e la necessità di mettersi prima o poi tutti<br />

insieme per condurla insieme.<br />

In poco meno di un anno, e soprattutto da quando è stata messa a tacere<br />

Casablanca, questa percezione si è di molto affievolita. I singoli gruppi<br />

crescono ma, con l'eccezione del Gapa, non riescono assolutamente a<br />

vedersi più come una parte di qualcosa. Questo genera debolezza comune,<br />

insufficienza pratica, tendenza alla ritualizzazione, e chi più ne ha più ne<br />

metta. Città Insieme, Grilli, Addiopizzo, Step1, Periferica (per citare i più<br />

attivi), che avevano avuto una grandissima (e spesso anche unitaria)<br />

stagione due anni fa, adesso sono arroccati ciascuno nel proprio spazio, a<br />

difendere chi ancora può la propria valle. Nel settore dell'informazione<br />

tendono ormai ad accettare l'esistente.<br />

(Personalmente, mi ha colpito moltissimo che sia stato possibile chiudere<br />

Casablanca in una città in cui folle di progressisti accorrevano a sentire<br />

devotamente Travaglio o Grillo. Dei partiti, dei Bertinotti che regalano un<br />

giornale al guru Fagioli e lasciano chiudere i giornali antimafiosi, dei piddì,<br />

dei buffi "comunisti"<br />

a corrente alternata non mi scan<strong>dal</strong>izzo più. Della "società civile" invece<br />

sì).<br />

* * *<br />

Va bene, buone vacanze a tutti. Brevi, ché c'è molto da fare, dappertutto.<br />

Buone vacanze a Pino, a Nadia, a Carlo, alla macchina bruciata, ai su e giù<br />

a organizzare, al sito chiuso perché parlava male dei banchieri. A Mirko, a<br />

Max e alla sua bambina, a Leandro, a Luca con lo zaino pesante, a Pippo<br />

con una fotocamera n Turchia, a Graziella e Rebecca, a Luciano e Fabio, a


tutta l'altra Librino, a Gianfranco, a Livio, a quel ragazzo di Step1 che non<br />

conosco ma che però scrive bene, a me stesso, al buon Giovanni, al vecchio<br />

Titta-Qujiote, a Lucio, a Vanessa, a Toti...<br />

Dimentico qualcuno? Ma sì, dimentico un sacco di gente per fortuna,<br />

sennò altro che seimila battute, ci vorrebbero altre due pagine e Luca, che<br />

già aspetta impaziente, non riuscirebbe più a chiuderle bene stasera. Hasta<br />

presto, companeros.


15 settembre <strong>2008</strong><br />

“C'È UN GIUDICE A BERLINO...". BONU, CUMPARI: MA A<br />

CATANIA?<br />

Il giornaletto mandato al macero d'autorità perché criticava un notabile<br />

cittadino. Il ragazzino tolto alla mamma e dato al padre lombardiano<br />

ortodosso perché “se la faciva ccu i communisti”. Dovrebbe difenderci la<br />

magistratura, come a Palermo. Ma invece...<br />

La catastrofica decadenza della città di Catania, ormai riconosciuta da<br />

tutti, deriva essenzialmente <strong>dal</strong> legame strettissimo, che ha più di trent'anni,<br />

fra le strutture mafiose e quelle (talora coincidenti) dell'imprenditoria.<br />

Subito dopo vi sono due concause che meriterebbero trattazione più<br />

approfondita ma che si possono riassumere nell' inadeguatezza dei due<br />

presidi fondamentali di ogni società occidentale, l'informazione giornalistica<br />

e la magistratura.<br />

Della prima, abbiamo scritto tante volte che sarebbe noioso ripetere.<br />

L'unica scuola giornalistica libera, quella di Pippo Fava, è stata<br />

consapevolmente distrutta prima con l'assassinio del fondatore e poi col<br />

sistematico silenziamento di tutti i suoi allievi della prima e della seconda<br />

generazione.<br />

Quanto alla magistratura, il suo ruolo nella storia della città – salvo<br />

benemerite, ma isolate, eccezioni – non è stato complessivamente positivo,<br />

e men che mai paragonabile, sul piano civile, a quello di Palermo. Non solo<br />

e non tanto per i casi di corruzione esplicita (che non sono mancati), nè di<br />

aperto connubio col sistema di potere (vedi Grassi, oggi presidente in<br />

Cassazione). No: quel che ha più pesato nell'infelice esito del notabilato<br />

giudiziario in questa città è probabilmente un fattore metatecnico, più<br />

propriamente culturale.<br />

Molti magistrati catanesi, che pure operano “in nome del popolo” e nel<br />

quadro di una Costituzione, non hanno mai realmente metabolizzato i<br />

principi fondanti dell'ordinamento, né sul piano della garanzia dei diritti né<br />

su quello della lotta alla mafia. Hanno spesso operato, e operano sovente<br />

tuttora, come se anziché Magistrati della Repubblica in un' importante città<br />

a forte presenza mafiosa fossero Regi Uditori borbonici in qualche borgo<br />

dell'Ottocento. Applicando le leggi a volte poco, a volte male, a volte<br />

svogliatamente, e spesso lasciandosi guidare dai propri personali


(notabilari) pregiudizi.<br />

Due casi gravissimi, quest'estate. Il primo, l'inusuale invio al macero d'un<br />

giornaletto locale che relazionava sulle attività d'un tal notabile catanese,<br />

Fiumefreddo; la solidarietà di casta è scattata immediata col sequestro del<br />

foglio.<br />

Il secondo, ancora più deplorevole perché coinvolgente un minore, lo<br />

strappo di un adolescente alla madre e la sua consegna manu militari al<br />

padre separato (e cliente lombardiano): perché frequentava i comunisti.<br />

Scritto nero su bianco sul rapporto di una funzionaria dei servizi sociali (che<br />

continua a rubare la paga alla collettività per il servizio così infedelmente<br />

svolto), che il magistrato non ha saputo, per sua insufficienza culturale,<br />

trattare come avrebbe dovuto.<br />

Che Catania fosse città fascista (con strade intitolate a gerarchi mandanti<br />

di assassinio, e non a purissime eroine resistenziali) lo si sapeva, e il<br />

sindaco s'è compiaciuto di ricordarlo apertamente appena insediato. Che<br />

Catania fosse città mafiosa, in cui dei grandi affari non si può e non si deve<br />

parlare, si sapeva; come pure che qui nemico il comunista Pio La Torre, e<br />

amico invece il supportatore di mafia Cuffaro (commissario catanese<br />

dell'Udc). Ora si sa anche che non saranno i magistrati, a Catania, coloro cui<br />

ci si potrà affidare per contrastare tutto ciò. Se ancora esiste, dovrebbe<br />

intervenire il Csm.<br />

* * *<br />

Sempre più si diffonde, “in tale e tanto corrotta città” l'idea di uscirne a<br />

musiche e balli, magari al seguito di qualche notabile riciclando.<br />

Fiumefreddo, ad esempio, ha affidato a un'agenzia di Pr l'incarico di<br />

“costruirgli” a freddo un'immagine kennediana, antimafiosa (qualcuno<br />

dell'antimafia-bene non manca di collaborarvi, in cambio di piccoli poteri).<br />

È un'idea divertente. Ma davvero sono convinti che funzionerà?


29 settembre <strong>2008</strong><br />

NOTIZIE VERE, NOTIZIE FALSE LA CITTÀ DEL BUCO<br />

“Hanno cercato di rapire una bambina!”. Esce il titolone a nove colonne.<br />

Gli zingari vengono cacciati <strong>dal</strong> loro campo. Poco tempo dopo, grazie<br />

all'inchiesta dei giovni giornalisti di Step1, contrordine: gli zingari sono<br />

innocenti. Chi li risarcisce ora? E quel giornale che urlava “Rapitori!”,<br />

adeso pagherà qualcosa?<br />

<strong>Un</strong> avviso di garanzia ai sensi dell'articolo 656 del Codice Penale è stato<br />

inviato ieri <strong>dal</strong>la Procura di Catania al direttore del quotidiano locale La<br />

Sicilia, Mario Ciancio. La decisione dei magistrati catanesi sarebbe<br />

motivata <strong>dal</strong>la "notizia", pubblicata con grande evidenza <strong>dal</strong> quotidiano<br />

catanese nel maggio scorso, di un presunto tentativo di rapimento perpetrato<br />

da zingari all'uscita di un supermercato.<br />

Nel particolare clima di quel momento - si osserva negli ambienti della<br />

Procura etnea - una "notizia" del genere (per altro priva di ogni riscontro)<br />

avrebbe potuto facilmente dar luogo a incidenti anche molto gravi,<br />

particolarmente ai danni di elementi della comunità rom; è pertanto da<br />

ritenersi largamente violato il disposto dell'art.636 che vieta la<br />

"pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a<br />

turbare l`ordine pubblico".<br />

"La decisione della Procura di Catania - ha dichiarato poco più tardi il<br />

Presidente dell'Ordine dei Giornalisti di Sicilia, Franco Nicastro - è<br />

ineccepibile e abbiamo già provveduto a titolo cautelativo a sospendere<br />

<strong>dal</strong>l'Ordine il nostro iscritto Mario Ciancio. Non si pubblicano con<br />

leggerezza notizie così gravi e completamente prive di ogni supporto<br />

giornalistico". "A questo proposito - ha aggiunto Nicastro - voglio<br />

congratularmi con i ragazzi del sito universitario Step1 che sono stati i soli a<br />

comportarsi da giornalisti in quest'occasione, andando immediatamente a<br />

cercare le fonti sul campo e denunciando quindi l'assoluta inconsistenza<br />

dell'accusa, formalizzata adesso anche <strong>dal</strong>la piena assoluzione dei due<br />

giovani zingari ingiustamente accusati. Bravi ragazzi, continuate così"<br />

Di parere diverso ("Inammissibile ingerenza di una magistratura<br />

politicizzata") il segretario dell'Associazione Siciliana della Stampa, che ha<br />

fatto pervenire un "rispettoso e soli<strong>dal</strong>e" messaggio al collega Ciancio.<br />

"Sono sempre stato il primo a difendere gli zingari e questa assoluzione è


tutto merito mio"<br />

ha dichiarato infine, su consiglio dell'agenzia che cura la sua immagine,<br />

l'onnipresente teatrale Antonio Fiumefreddo.<br />

* * *<br />

Perché il Cern ha improvvisamente sospeso l'esperimento? Lo so, al<br />

pubblico hanno detto che s'era guastato un magnete o roba del genere.<br />

Vabbè. Il pubblico va tranquillizzato. La verità è che dai primi buchi neri<br />

creati sono cominciati a emergere pezzi dell'altro universo, che nessuno<br />

riusciva più a distinguere da quello vero.<br />

In Sicilia, ad esempio, è sbucata una città fra Taormina e Augusta, alle<br />

falde dell'Etna, tutta nera e barocca e in riva al mare. <strong>Un</strong>a città stranissima,<br />

in cui la giustizia regna e vengono acchiappati subito intrallazzisti e mafiosi.<br />

Assomiglia moltissimo, tranne qualche piccolo particolare, a una città<br />

esistente prima del buco nero.<br />

Ne siamo stati ingannati in molti, lo confesso, io compreso. Da ciò le<br />

notizie incredibili, di cui molti increduli ci hanno chiesto conferma. Ma è<br />

tutto vero: per le fregnacce sugli zingari, Ciancio è stato messo sotto<br />

inchiesta <strong>dal</strong>la magistratura, e radiato senz'altro <strong>dal</strong>l'ordine dei giornalisti.<br />

Ma questo nel buco nero. Nella Catania antebuco tutto continua<br />

tranquillamente come prima.


15 ottobre <strong>2008</strong><br />

“PARLA, SANTAPAOLA!" ZITTO TU, FAVA!"<br />

LA LIBERTÀ DI PAROLA SECONDO CIANCIO<br />

“Io, Vincenzo Santapaola, vi dico...”. <strong>Un</strong>o degli ultimi contenuti de La<br />

Sicilia di Catania, sotto forma di lettera, ma senza alcun intervento<br />

redazionale, è un vero e proprio editoriale di un boss mafioso.<br />

Contemporaneamente, e da oltre un anno, Ciancio vieta ai suoi cronisti di<br />

pubblicare dichiarazioni e notizie su Claudio Fava. <strong>Un</strong> episodio<br />

gravissimo, che segna un punto di non-ritorno. E la Magistratura? Ponzio.<br />

E l'Ordine dei Giornalisti? Pilato<br />

Il gravissimo episodio di Catania - un esponente mafioso che usa il<br />

giornale di Ciancio per mandare i suoi messaggi - non ha suscitato le<br />

risposte istituzionali che sarebbero state prontamente date in ogni altra città.<br />

1) La Procura di Catania, che da poco ha sequestrato per inadempienze<br />

burocratiche un povero foglio locale (“Catania Possibile”) di denuncia, non<br />

ha ritenuto di intervenire sul ricco e potente quotidiano che ha favoreggiato<br />

di fatto il clan Santapaola.<br />

2) L'Ordine dei Giornalisti non ha incredibilmente preso alcun<br />

provvedimento disciplinare - e quando , allora?<br />

- nei confronti del favoreggiatore.<br />

3) L'Associazione siciliana Stampa, che non è mai intervenuta in difesa di<br />

nessuno degli otto giornalisti siciliani trucidati dai Santapaola e dagli altri<br />

mafiosi, non ha avuto il coraggio di prendere adeguatamente posizione.<br />

4) Il CdR de La Sicilia non ha denunciato né ha contestato (com'era suo<br />

preciso dovere) l'operato del direttore.<br />

4) Non se n'è dissociato, nemmeno con tempestive dimissioni, neanche il<br />

vicedirettore, che evidentemente giudica incidente veniale la presenza di un<br />

Santapaola nel suo giornale.<br />

5) Le forze politiche locali hanno reagito con estrema fiacchezza<br />

all'episodio gravissimo, che ufficializza la contiguità fra poteri e mafia (già<br />

vista in numerosi episodi: caso Avola, censura dei necrologi Montana e<br />

Fava, scuse al boss Ercolano, ecc.) nel campo dell'informazione.<br />

Non è affatto una vicenda catanese.<br />

È nazionale. È l'esempio più estremo, ma che non resterà insuperato, della<br />

catastrofe etica dell'informazione italiana.


Saviano, parlando di giornali collusi, ha avuto torto solo nel limitare i<br />

suoi esempi alla Campania.<br />

* * *<br />

Facciamo appello ai siti liberi locali, ai giovani che li animano con tanta<br />

passione, a non lasciare impunita questa vergogna. A reagire apertamente e<br />

duramente, e soprattutto tutti insieme.<br />

Avremo nelle prossime settimane (l'inizio del laboratorio di giornalismo)<br />

e nel prossimo mese (“Sbavaglio” numero tre) tempo e luogo per esaminare<br />

partitamente lo stato dell'informazione a Catania e in Sicilia, e per proporre<br />

i rimedi. Ma adesso quello che è urgente è la ripulsa istintiva, etica, morale,<br />

nei confronti di quel “giornalismo” che insulta gli Alfano, le Cutuli, i Mario<br />

Francese, i Giuseppe Fava.<br />

Esprimiamo la nostra fraterna solidarietà a Claudio Fava, che i mafiosi<br />

intendevano uccidere, per la sua attività di giornalista libero, nello stesso<br />

luogo in cui avevano già ucciso suo padre; e nonostante questo, o forse<br />

proprio per questo, il suo nome oggi è tabù sullo stesso giornale che<br />

pubblica i comunicati dei Santapaola.<br />

Faccio appello infine, personalmente e da vecchio giornalista che mai<br />

avrebbe immaginato un tale degrado della professione, ai colleghi Lorenzo<br />

Del Boca e Roberto Natale, Presidenti Nazionali del nostro Ordine e del<br />

Sindacato: intervenite con tutti i vostri poteri su Catania! Difendete la nostra<br />

professione! Non lasciate soli i giovani che, con immensa generosità e a<br />

dispetto di tutto, qui impegnano le loro vite a fare un giornalismo di cui non<br />

vi dobbiate vergognare.


31 ottobre <strong>2008</strong><br />

SAVIANI<br />

Anche oggi Marco ha preso il motorino, è uscito di casa e se n'è andato in<br />

cerca di notizie. Ha lavorato tutto il giorno e poi le ha mandate in internet a<br />

quelli che conosce. Fa anche un giornaletto (Catania Possibile) di cui<br />

finalmente anche i lettori hanno potuto vedere un numero (il primo solo i<br />

poliziotti incaricati di sequestrarlo in edicola) con relative inchieste.<br />

Non ci guadagna una lira e fa questo tipo di cose da una decina d'anni. Ha<br />

perso, per farle, la collaborazione all'Ansa, la possibilità di uno stipendio<br />

qualunque e persino di una paga precaria come scaricatore: anche qui,<br />

difatti, l'hanno licenziato in quanto "giornalista pacifista". Marco non ha<br />

paura (nè della fame sicura nè dei killer eventuali) ed è contento di quel che<br />

fa.<br />

Anche oggi Max è contento perché è riuscito a mandare in giro un altro<br />

numero della Periferica, il giornaletto che ha fondato con alcuni altri amici<br />

del quartiere. Il quartiere è Librino, il più disperato della Sicilia. Se ne parla<br />

in cronaca nera e nei pensosi dibattiti sulla miseria. Loro sono riusciti a<br />

mettere su una redazione, a organizzare non solo il giornale ma anche un<br />

buon doposcuola e dei gruppi locali. Non ci guadagnano niente e i mafiosi<br />

del quartiere hanno già fatto assalire una volta una sede. Max non ha paura,<br />

almeno non ufficialmente, ed è contento di quel che fa.<br />

Anche oggi Pino ha finito di mandare in onda il telegiornale. Lo prendono<br />

a qualche chilometro di distanza (la zona dello Jato, attorno a Partinico) e<br />

contiene tutti i nomi dei mafiosi, e amici dei mafiosi, del suo paese. Non ci<br />

guadagna niente (a parte la macchina bruciata o un carico di bastonate) ma<br />

lui continua lo stesso, ed è contento di quel che fa.<br />

Anche oggi Luca ha chiuso la porta della redazione, al vicolo Sanità. Il<br />

suo giornale, Napoli Monitor, esce da un po' più di due anni e dice le cose<br />

che i giornalisti grossi non hanno voglia di dire. È da quando è ragazzo (ha<br />

iniziato presto) che fa un lavoro così. Non ci guadagna nulla, manco il caso<br />

di dirlo, e non è un momento facile da attraversare.<br />

Ma lui continua lo stesso, ed è contento di quel che fa.<br />

Ho messo i primi che mi sono venuti in mente, così per far scena. Ma, e<br />

Antonella di Censurati.it? Sta passando guai seri, a Pescara, per<br />

quell'inchiesta sui padri-padroni. E Fabio, a Catania? Fa il cameriere, per


vivere, ed è giornalista (serio) da circa quindici anni. E ti sei dimenticato di<br />

Antonio, a Bologna?<br />

Vent'anni sono passati, da quando gli puntarono la pistola in faccia per via<br />

di quell'inchiesta sui clan Vassallo e gli affitti delle scuole. Eppure non ha<br />

cambiato idea. E Graziella? E Carlo Ruta, a Ragusa? E Nadia? E... Vabbè,<br />

lasciamo andare. Mi sembra che un'idea ve la siate fatta.<br />

C'è tutta una serie, in Italia, di piccoli giornali e siti, coi loro - seri e<br />

professionali - redattori. Ogni tanto ne fanno fuori qualcuno, o lo<br />

minacciano platealmente; e allora se ne parla un po'.<br />

Tutti gli altri giorni fanno il loro lavoro così, serenamente e soli, senza<br />

che a nessuno importi affatto - fra giornalisti "alti" e politici – se sono vivi o<br />

no.<br />

Eppure, almeno nel settore dell'antimafia, il novanta per cento delle<br />

notizie reali viene da loro.<br />

Saviano è uno di loro. Quasi tutti i capitoli di Gomorra sono usciti prima<br />

su un sito (un buon sito, Nazione Indiana) e nessuno, salvo chi di mafia<br />

s'interessava davvero, se l'è cagati. Poi è successa una cosa ottima, cioè che<br />

l'industria culturale, il mercato, ci ha messo (o ha creduto di metterci) le<br />

mani sopra.<br />

Ne è derivato qualche privilegio, ma pagato carissimo, per lui. Ma ne è<br />

derivato soprattutto che - poiché l'industria culturale è stupida: vorrebbe<br />

creare personaggi mediatici, da digerire, e finisce per mettere in circolo<br />

contenuti "sovversivi" - un sacco di gente ha potuto farsi delle idee<br />

chiarissime sulla vera realtà della camorra, che è un'imprenditoria un po' più<br />

armata delle altre ma rispettatissima e tollerata e, in quanto anche armata,<br />

vincente.<br />

* * *<br />

Ci sono tre cose precisissime che, in quanto antimafiosi militanti,<br />

dobbiamo a Saviano. <strong>Un</strong>a, quella che abbiamo accennato sopra: la camorra<br />

non è la degenerazione di qualcosa ma la cosa in sè, il "sistema". Due, che il<br />

lato vulnerabile del sistema è la ribellione anche individuale, etica. Tre, che<br />

lo strumento giornalistico per combattere questo sistema non è solo la<br />

notizia classica, ma anche la sua narrazione "alta", "culturale"; non solo<br />

"giornalismo" ma anche, e contemporaneamente, "letteratura".<br />

(Quante virgolette bisogna usare in questa fase fondante, primordiale: fra<br />

una decina d'anni non occorreranno più).<br />

Dove "letteratura" non è l'abbellimento laterale e tutto sommato


folklorico, alla Sciascia, ma il nucleo della stessa notizia che si fa militanza.<br />

Nessuna di queste cose è stata inventata da Saviano. Il concetto di<br />

"sistema", anziché di semplice (folkoristica) "camorra" è stato espresso<br />

contemporaneamente, e credo sempre su Nazione Indiana, da Sergio<br />

Nazzaro (non meno bravo di Saviano: e vive vendendo elettrodomestici); e<br />

forse prima ancora, sempre a Napoli, da Cirelli.<br />

L'aspetto fortemente etico-personale della lotta non alla "mafia" ma al<br />

complessivo sistema mafioso è egemone già nelle lotte degli studenti<br />

(siciliani ma non solo) dei tardi anni Ottanta. La simbiosi fra giornalismo e<br />

"letteratura", che è forse l'aspetto più "scan<strong>dal</strong>oso" (e che più scan<strong>dal</strong>izza; e<br />

non solo a destra) di Saviano è già forte e completa in Giuseppe Fava, e<br />

nella sua scuola.<br />

Le "scoperte" di Saviano sono dunque in realtà scoperte non di un singolo<br />

essere umano ma di una intera generazione, sedimentate a poco a poco,<br />

nell'estraneità e indifferenza dell'industria culturale, in tutta una filiera di<br />

giovani cervelli e cuori. Alla fine, maturando i tempi, è venuto uno che ha<br />

saputo (ed ha osato) sintetizzarle; e che ha avuto la "fortuna"<br />

di incontrare, esattamente nel momentochiave, anche l'industria culturale.<br />

Che tuttavia non l'ha, nelle grandi linee, strumentalizzato ed è stata anzi<br />

(grazie allo spessore culturale di Saviano, ma soprattutto dell'humus da cui<br />

vien fuori) in un certo qual senso strumentalizzata essa stessa.<br />

* * *<br />

Questa è la nostra solidarietà con Saviano. Non siamo degli Umberto Eco<br />

o dei Veltroni, benevoli ma sostanzialmente estranei, che raccolgano firme e<br />

promuovano (in buona fede) questa o quella iniziativa. Siamo degli<br />

intellettuali organici, dei militanti ("siamo" qui ha un senso profondissimo,<br />

di collettivo) che hanno un lavoro da compiere, ed è lo stesso lavoro cui sta<br />

accudendo lui.<br />

Anche noi abbiamo avuto paura, spesso ne abbiamo, e sappiamo che in<br />

essa nessuno essere umano può attendersi altro conforto che da se stesso.<br />

Roberto, che è giovane, vedrà certo la fine di di questo orrendo "sistema" e<br />

avrà l'orgoglio di avervi contribuito: non - poveramente - da solo ma<br />

volando alto e insieme, con le più forti anime di tutta una generazione.


6 dicembre 2009<br />

“QUEL GIORNALETTO DEVE CHIUDERE. SVEGLIA IL<br />

QUARTIERE”<br />

Della Periferica, a Librino, abbiamo già parlato. Funziona, smuove la<br />

gente. Perciò le daranno un premio... Momento: in Sicilia, alle cose così,<br />

non gli danno premi ma legnate. O perlomeno cercano d'imbavagliarle.<br />

Come? Facendogli il vuoto intorno, mandando una corazzata contro la<br />

barchetta...<br />

La Periferica è un piccolo giornale che esce in uno delle borgate più<br />

grosse e povere del <strong>Sud</strong>, Librino. È nato fra gli scout ed ha rapidamente<br />

aggregato la meglio gioventù del quartiere, quelli che “un giorno anche<br />

Librino sarà un posto normale, senza mafia, col lavoro!”.<br />

Bene. Questa storia dura oramai da più di un anno. I ragazzi della<br />

Periferica, che secondo le buone regole avrebbero dovuto sbandarsi dopo un<br />

paio di mesi, invece hanno tenuto duro. Il loro giornaletto, che secondo le<br />

regole sarebbe dovuto restare nel giro dei pochi studenti “colti” della città,<br />

invece s'è diffuso a sorpresa fra gli abitanti del quartiere. E questi, che<br />

secondo le regole avrebbero dovuto farsi i cazzi loro, invece l'hanno<br />

appoggiato: il giornale diffuso nei bar, un po' di pubblicità – addirittura –<br />

dai piccoli commercianti del quartiere.<br />

(In mezzo a questa storia c'è anche qualche intimidazione, per esempio al<br />

doposcuola aperto dai ragazzi nel quartiere.<br />

Ma non ce la metto perché altrimenti si va nelle emozioni da fiction, che<br />

agl'italiani piacciono tanto, e dunque nel folklore. Questa è una storia di<br />

mafia, naturalmente. Ma di mafia reale, mafia quotidiana, non da<br />

televisione).<br />

Dov'eravamo rimasti? Ah, già.<br />

Dunque, i ragazzi hanno “avuto successo”, per quel che si poteva, e a un<br />

certo punto hanno anche messo su un'associazione apartitica (“Oltre la<br />

Periferica”) per la informe ma ben promettente società civile del quartiere.<br />

E regolarmente ci si riunisce fra redatori, si fa il palinsesto, si distribuiscono<br />

i pezzi, si fa il giro dei negozi per la pubblicità... Insomma, una piccola ma<br />

efficiente routine.<br />

Finché un bel giorno un barista sorride impacciato. “Beh, stavolta il<br />

vostro giornale qui non ve lo posso esporre...”.


E il negoziante: “Veramente la pubblicità me l'hanno già messa su<br />

quell'altro giornale...”. “Ehi – fa una ragazza – hai visto che oggi La Sicilia<br />

ha pubblicato una pagina straordinaria tutta su Librino?”.<br />

Cos'è successo? Come mai l'unico (e grosso) quotidiano della città ha<br />

improvvisamente scoperto il povero quartiere?<br />

Semplice: Librino è 40'mila voti.<br />

Li puoi comprare, vendere, mettere all'asta, contrattare. Se però questa<br />

gente comincia a pensare con la sua testa (a destra, a sinistra, al centro: ma<br />

con la testa sua) non lo puoi fare più. Diventano voti liberi, da convincere. E<br />

come cavolo li convinci, se da vent'anni li lasci nella miseria più nera, con<br />

fogne di fortuna e senza luce? Maledetto giornale libero, maledetti ragazzi.<br />

È quella fabbrica di uomini, quella Periferica di pensatori, la fonte della<br />

disgrazia.<br />

Facciamole il vuoto attorno.<br />

Così il barista smette di esporre, il negoziante di dare pubblicità e persino<br />

il parroco, nella sua chiesa, s'è messo a parlare male degli “aizzapopolo”.<br />

“Eh, bello quando stavano tutti zitti, che c'era la miseria ma si stava in<br />

pace!”.<br />

Quei tempi, purtroppo per chi ci marciava, non torneranno più.<br />

Periferica resta ad uscire regolarmente, il comitato continua, la società<br />

pulsa ancora. Ma quei ragazzi - chiedetevi – che vita fanno?<br />

Ecco, questa sarebbe una storia sull'informazione in Sicilia. Su<br />

Informazione E Mafia, addirittura.<br />

Emoziona nessuno? C'è qualche solidarietà? Qualche appello? Qualche<br />

intellettuale?


15 dicembre <strong>2008</strong><br />

CHE FINE HANNO FATTO QUI LA SCIENZA E L'INFORMAZIONE<br />

A Messina indagano il Rettore. A Catania non si sa ancora quanti giovani<br />

ricercatori sono stati uccisi dai veleni chimici a Farmacia. Sono ancora<br />

<strong>Un</strong>iversità, o sono un'altra cosa? Chi provvederà a risanarle, le autorità o<br />

gli studenti? L'informazione ufficiale, intanto, continua a essere se stessa.<br />

Cioè omertosa<br />

A Messina, tanto per cambiare, hanno rinviato a giudizio il rettore. In<br />

margine all'inchiesta telefonate minatorie del tipo "Sono soltanto un<br />

messaggero del Magnifico e con questo concorso sta scoppiando una<br />

bomba. Questo concorso lo deve vincere Macrì". A Catania, una vittima, o<br />

forse due, o forse dieci, o forse anche di più, per le terrificanti condizioni di<br />

inquinamento dei laboratori di Farmacia.<br />

Ma stiamo parlando ancora di <strong>Un</strong>iversità?<br />

È giusto dare ancora lo status di istituto scientifico a luoghi in cui si<br />

perpetrano delitti così gravi?<br />

Sui giornali ufficiali sia di Messina che di Catania è già uscita (sempre<br />

con grande evidenza) più d'una lettera di studenti e studentesse che<br />

dichiarano di sentirsi vittime della stampa del nord. “Ci criminalizzano<br />

perché siamo siciliani”, “Cercano lo scoop a tutti i costi”, “Perché non<br />

parlano delle cose buone che facciamo qui?”. Lettere vittimistiche,<br />

giustificazionistiche, omertose.<br />

Ecco: la lunga agonia delle università di Messina e Catania sta<br />

producendo effetti gravissimi non solo materialmente, ma anche in quello<br />

che dovrebbe essere il principale terreno dell'università, la formazione<br />

umana.<br />

Avremo laureati bestie (avendo studiato con professori raccomandati),<br />

irresponsabili, queruli, omertosi. Certamente non tutti (ci mancherebbe!) ma<br />

una parte sì, sul modello preciso della classe dirigente attuale. E allora?<br />

Forse sarebbe il caso di dare un segnale forte, di sospendere i corsi per un<br />

anno.<br />

Oppure di avere, per un intero anno accademico, una presenza fortissima<br />

della contestazione studentesca nelle facoltà.<br />

Nell'uno e nell'altro caso, non sarebbe – e non dovrebbe essere – un anno<br />

accademico normale. Perché “normale”, qua al sud, oramai vuol dire


un'altra cosa. Ed è ipocrita entusiasmarsi sul libro di Saviano se poi si<br />

accetta, anche in minima parte, questa normalità.<br />

* * *<br />

“Com'è finita con la Periferica?” ci chiedono, non solo <strong>dal</strong>la Sicilia, in<br />

tanti.<br />

Bene, direi. Continua a lavorare, il numero nuovo è in edicola, il 5<br />

gennaio – probabilmente – sarà al centro di un evento che coinvolgerà non<br />

solo le testate di base siciliane (che stiamo invitando fin d'ora, sulla<br />

tradizione di “Sbavaglio”) ma anche organismi nazionali come Libera<br />

Informazione. È tutt'altro che isolata, insomma, e rischia anzi di diventare<br />

un modello esemplare per tutti gli altri ragazzi – che non son pochi – che<br />

vogliono far cose utili per il quartiere o la borgata in cui stanno.<br />

Attorno alla Periferica, però, continuano ad accadere cose strane. Per<br />

esempio, la Caritas di Catania ha appena annunciato l'apertura di un<br />

“giornale di strada” anche qui. Nel farlo, però: - ha ignorato completamente<br />

i redattori della Periferica, che sono tecnicamente i più preparati nel settore<br />

(non fosse che per l'esperienza fatta finora così bene e a lungo, e proprio a<br />

fianco della Caritas); - ha invece invitato in prima fila un grosso politico<br />

locale, Castiglione, la cui valutazione da parte dell'opinione pubblica (e<br />

siamo in Sicilia) non è precisamente entusiastica o cristallina.<br />

Sembra che Castiglione, che è presidente della Provincia, stanzierà una<br />

grossa somma a favore della Caritas catanese.<br />

Va bene: tutto ciò qui è normale. Mi chiedo però che cosa ne avrebbero<br />

detto, per esempio, padre Greco o don Milani.


30 dicembre <strong>2008</strong><br />

TUTTI QUEI SITI E GIORNALI DIVISI NELLA CITTÀ DI GIUSEPPE<br />

FAVA<br />

Gli amici di Ciancio? Siamo noi. Facciamo ottimi siti, giornaletti e<br />

giornali, avremmo le forze per fare un'informazione non inferiore alla sua<br />

(specie ora che c'è internet), ma ci ostiniamo a restare ognuno per sé, senza<br />

osar fare il salto di qualità, il “tutti insieme” che ci consentirebbe di<br />

cambiare Catania da così a così<br />

Stiamo dando una mano a Ciancio. Chi?<br />

Noi qui, intanto: e poi tutti gli altri giornali giornaletti siti e contrositi<br />

“alternativi” di Catania. Che sono tanti, in realtà, e ancora ne vengono fuori.<br />

“C'è spazio per tutti”, dice qualcuno.<br />

Ecco, il problema forse è proprio questo.<br />

Di spazio ce n'é quanto ne vogliamo, se ci contentiamo – e ci contentiamo<br />

– di essere la nicchia “contro”, la “voce alternativa” e tutto il resto. Invece<br />

ce n'è di meno, o almeno bisogna conquistarselo a caro prezzo, se l'idea è di<br />

fare alternativa davvero, cioè di raggiungere e superare il peso di Ciancio<br />

nell'informazione catanese.<br />

Ma questo è un obiettivo che, giorno dopo giorno, ormai nessuno si pone<br />

più. Se l'era posto Giuseppe Fava, e poi i suoi continuatori fino al tentativo<br />

di quotidiano nel '93. Da allora, tanta generosità ma anche tanta implicita<br />

rassegnazione.<br />

Giornali – e siti sono venuti avanti più per testimonianza che sperando di<br />

farcela davvero. Coraggiosi tutti, e spesso anche di buon livello; a volte<br />

anche di prestigio nazionale, come Casablanca. Ma con un minoritarismo d<br />

fondo, ormai profondamente introiettato.<br />

E questo, naturalmente, a generato a sua volta tutta un'ideologia, e dei<br />

comportamenti conseguenti. Ciascuno ha fatto per sé, considerandosi di<br />

fatto autosufficiente.<br />

Casablanca è stata lasciata affogare – ed era costata sacrifici terribili,<br />

soprattutto a Graziella Proto – nella più scettica indifferenza.<br />

Non s'è mai stabilito un rapporto qualunque, e neanche in ggenerale ci si è<br />

provato, fra testate del web e testate stampate. Non c'è mai stato<br />

coordinamento, e quel poco s'è dissolto subito, coi videomakers che per un<br />

momento sono stati la cosa più interessante della Sicilia. Le inchieste sono


state condotte quasi sempre separatamente e si potrebbe dire anche, a volte,<br />

con gelosia.<br />

Ci sono responsabilità precise, nomi e cognomi, in tutto questo. Ma non<br />

hanno importanza. Non è importante sapere se era Toro Seduto che non<br />

voleva mettersi d'accordo con Nuvola Rossa o viceversa.<br />

Importante, e catastrofica, era la cultura diffusa per cui ciascuna tribù si<br />

difende la sua valle, e al diavolo tutto il resto. <strong>Un</strong> solo errore, semplice e<br />

condiviso da tutti: ed è bastato.<br />

Basterà anche qui, se non ci diamo una mossa. Bisogna integrare subito le<br />

varie testate e i siti – oppure chiuderle tutte subito, ché non servono a<br />

niente.<br />

C'è stato un fattore importante, quest'anno, anch e se quasi nessuno se n'è<br />

accorto.<br />

Ed è che il baricentro dell'informazione “altra” s'è spostato, con la<br />

Periferica e i Cordai, nei quartieri. In entrambi i casi, supportato e<br />

accompagnato da una serie di attività concrete di base, di intervento sociale,<br />

da un un circuito virtuoso, di mutuo rafforzamento, che può diventare<br />

modello dappertutto.<br />

Ecco, di questo vorremmo parlare quando si parla di Giuseppe Fava. Non<br />

servono a molto le commemorazioni, e neanche le presenze occasionali, di<br />

nostalgia (il gruppo “storico” dei Siciliani, salvo poche eccezioni, manca<br />

ormai da Catania da molti anni: e non è solo un'assenza fisica). No, qui c'è<br />

proprio da mettersi a lavorare professionalmente, e tutti insieme.<br />

L'esperienza dei Siciliani, a partire da Giuseppe Fava ma anche dopo, ha<br />

mostrato che con organizzazione e volontà si possono ottenere dei risultati.<br />

Io penso che è il momento di riprovare. Catania, fra le sue tante disgrazie,<br />

ha sempre avuto – almeno – una buona minoranza di giovani non banali.<br />

Questo potrebbe riessere un momento loro.


30 dicembre <strong>2008</strong><br />

1984/2009 - NON È FINITA LA LOTTA DI GIUSEPPE FAVA<br />

LAVORI IN CORSO<br />

Si può fare un giornale nella periferia più disgraziata di Catania, dando<br />

finalmente una voce a chi non ha parlato mai? Si può fare un<br />

quasiquotidiano in rete, con una redazione tutta di studenti? E una radio<br />

libera, in rete? E nel quartiere cosiddetto "mafioso", quello che la città<br />

perbene considera perduto, può esserci uno spazio anchéesso libero, e un<br />

giornale?<br />

E che cosa ci vuole per impaginarlo?<br />

Programmi costosissimi e complicati, oppure esistono anche modi facili<br />

ed economici? O ancora la free-press, quella distribuita gratis ogni<br />

settimana: non è possibile a Catania, davvero? E un magazine di qualità, a<br />

colori, con firme di tutt'Italia: è vero che qui non si può proprio fare?<br />

Tanti anni dopo la morte di Giuseppe Fava, è davvero finita la storia dei<br />

Siciliani? Del giornalismo che Fava ci ha insegnato, insieme coi ragazzi che<br />

hanno creduto in lui?<br />

Davvero non ci sarà mai altro che bavaglio, nella città dove Giuseppe<br />

Fava ha inventato il giornalismo di domani?<br />

Catania, sembrerebbe, è una città senza Giuseppe Fava. C'è un giornale<br />

soltanto, e non è amico suo (nè della verità, nè dei cittadini). Anche il<br />

giornale "del continente" qui viene censurato: non solo "La Sicilia" tace su<br />

tante cose, ma anche "Repubblica" esce senza cronaca siciliana, per non<br />

dare fastidio. Eppure...<br />

Eppure, alle domande di sopra, qualcuno ha già iniziato a rispondere.<br />

"La Periferica" esce da più di un anno, e trova persino pubblicità fra i<br />

negozianti di Librino (non a caso ora stanno tentando di strangolarla: ma<br />

ormai è troppo tardi). "Step1", il giornale degli studenti in rete, è una<br />

palestra di giornalismo innovativa nel panorama italiano. A San Cristoforo<br />

c'è un giornale libero, "I Cordai", e un grande spazio di ritrovo, il<br />

"Gapannone".<br />

<strong>Un</strong> giornale oggi si può impaginare in modo svelto e facile, e senza una<br />

lira: l'ha dimostrato il gruppo di "UCuntu", e come loro si può fare<br />

dappertutto. C'è un settimanale gratuito, si chiama "Catania Possibile"<br />

e pubblica inchieste che non ci sono altrove. <strong>Un</strong> rivista di qualità, di


prestigio nazionale? Si può fare anche quella, e l'ha dimostrato<br />

"Casablanca".<br />

E "Girodivite", e "Isola Possibile"? E l'elenco potrebbe continuare ancora.<br />

Vogliamo che tutte queste risposte comincino a interagire fra loro.<br />

Abbiamo lavorato moltissimo, in questi due anni. Adesso, cominceremo a<br />

coordinarci. Chi ha fatto cose buone venga e le insegni agli altri, ed impari<br />

da loro. Scambiamoci le esperienze, questa è la strada. Chi ha detto che non<br />

si può fare informazione a Catania?<br />

Noi l'abbiamo fatta, la facciamo ogni giorno, ognuno nel settore suo.<br />

Quando saremo tutti insieme, saremo più forti di qualsiasi bavaglio. Il 5 è<br />

solo l'inizio della strada: c'incontreremo ancora diverse volte, in questo<br />

mese.<br />

Vogliamo ricordarlo così, Giuseppe Fava. Senza grandi parole, credendo<br />

in quel che ha detto, facendo il suo mestiere.<br />

La Periferica, I Cordai, Step1, UCuntu, Casablanca, Catania Possibile,<br />

Isola Possibile, Girodivite, Itacanews, Argo, Liberainformazione


9 gennaio 2009<br />

E COME OGNI CINQUE GENNAIO CIANCIO DICE: “FAVA NON<br />

ESISTE”<br />

Da venticinque anni, il cinque gennaio è la datasimbolo degli antimafiosi<br />

catanesi. Per gli altri, è il giorno in cui lanciare messaggi. <strong>Un</strong>a volta i<br />

mafiosi dissero: “Claudio Fava? Uccideremo anche lui”. Adesso Ciancio<br />

dice: “Claudio Fava? Non esiste, lo taglio via”<br />

Ciancio non è uno sciocco, ha hobby intelligenti (ad esempio<br />

numismatica antica) ed è molto meno grezzo del personale che usa.<br />

D'altronde essere diventato il primo imprenditore in Sicilia, aver comprato<br />

l'intera classe dirigente catanese, aver preso senza scossoni il posto che a<br />

suo tempo fu dei famosi Quattro Cavalieri non è impresa da poco.<br />

Perciò sorprendono a volte la puerilità, l'autolesionismo e il sicuro effetto<br />

boomerang di alcune delle sue uscite. L'altra volta era stato l'editoriale<br />

affidato, sotto forma di lettera, a un esponente del clan Santapaola.<br />

Adesso una storia ancor più grottesca, e cioè la maldestra censura della<br />

figura di Claudio Fava, tagliata via da una foto in maniera plateale e aperta,<br />

con un ginocchio lasciato lì a mezzo.<br />

Catania, come Ciancio sa, non è l'Italia intera e queste cose, ogni volta, lo<br />

rendono ridicolo e odioso. Persino la prudentissima Federazione della<br />

Stampa, che per venticinque anni - in Sicilia - è rimasta neutrale di fronte a<br />

tutto, ha dato segni di vita. <strong>Un</strong> autogol dopo l'altro. Eppure l'uomo è un<br />

politico, sa fare diplomazia quando occorre.<br />

Ma di fronte a Claudio Fava, e a Claudio Fava il 5 gennaio, perde<br />

sempicemente le staffe. Almeno, questa è la prima impressione.<br />

Il cinque gennaio, che è una scadenza popolare e non dipendente da<br />

nessuno (furono gli studenti di Catania, e non un'autorità qualunque, a<br />

istituirla), negli ambienti mafiosi - nel Sistema - fa ancora paura. È il<br />

simbolo di una lotta che non s'è mai fermata.<br />

Di questa giornata Claudio Fava fa parte non solo come figlio di<br />

Giuseppe Fava e come militante storico dei Siciliani, ma anche come<br />

vittima designata. È il 5 gennaio di vent'anni fa che il clan Santapaola<br />

voleva ucciderlo, e proprio davanti alla lapide, come un esempio.<br />

L'assassinio fallì per caso. Ma il messaggio era chiaro.<br />

È chiaro il messaggio anche oggi, e sempre il 5 gennaio: “Io, Claudio


Fava lo cancello. Il tempo passa, tante cose sono cambiate. Ma di questo<br />

potete essere sicuri, che per me Claudio Fava, i Siciliani, il movimento<br />

antimafioso, sono e resteranno dei nemici”.<br />

Questo è il messaggio che ha mandato Mario Ciancio, e che manda ogni<br />

cinque gennaio: con queste censure esplicite, questi tagli di foto. Ma a chi lo<br />

manda? E perché lo manda? Lo manda spontaneamente, o perché costretto?<br />

Dopo quelli - visibili - degli anni '80 e '90, quali sono ora i rapporti fra<br />

Mario Ciancio primo imprenditore catanese e gli eredi dei gruppi che hanno<br />

dominato questa città?<br />

Questa curiosità per ora è nostra e la firmiamo - assumendocene la<br />

responsabilità – soltanto noi. Ma, storicamente, molte nostre curiosità e<br />

interrogativi hanno finito per diventare interrogativi di molti, e infine delle<br />

istituzioni preposte. Vedremo quanto tempo ci vorrà stavolta.<br />

* * *<br />

Quanto al resto, del cinque gennaio catanese c'è ben poco da dire. È nata<br />

un'altra leva di giovani, che noi abbiamo visto crescere da due anni in qua e<br />

altri riescono a vedere solo ora. Tranquillamente e con forza, senza<br />

cerimonie inutili e senza grandi parole, essi attendono adesso all'obbiettivo<br />

fondamentale di Giuseppe Fava, di cui sono i continuatori e gli eredi:<br />

costruire l'informazione indipendente a Catania e con questo strumento<br />

liberare la città. Non sarà un lavoro facile, e lo sanno, ma è un lavoro<br />

possibile. A condizione di essere uniti, di non nutrire povere ambizioni<br />

individuali ma solo una altissima e collettiva, e di non mollare mai.<br />

Li aspettavamo, eravamo certi che sarebbero arrivati e non abbiamo alcun<br />

dubbio su di loro. Non c'è altro da dire.


7 febbraio 2009<br />

UN RAGAZZO SICILIANO<br />

Nato ad Agrigento il 18 /10/1986, residente a Campobello di Licata (AG),<br />

cittadino libero. Ho voluto specificare il mio “status”, per combattere il<br />

servilismo che ogni giorno di più avvolge il nostro Paese. Ho scelto di<br />

rimanere in Sicilia, di non andare via anche se vivere qui è duro,<br />

durissimo...".<br />

Così si presentava sul suo blog Giuseppe Gatì, morto mentre lavorava in<br />

campagna aiutando suo padre. <strong>Un</strong> siciliano d'altri tempi: fiero, lavoratore,<br />

affezionato alla famiglia, coraggioso e buono.<br />

Sulla stampa perbene ha avuto quattro misere righe, da morto sul lavoro.<br />

Qualcuno, di sfuggita, ha ricordato che aveva contestato Sgarbi in Sicilia:<br />

ma questo certamente non basta a farne un personaggio mediatico, ci<br />

mancherebbe. Ha lavorato, ha studiato, ha fatto la sua breve utile vita:<br />

lontano dai palazzi, completamente estraneo al mondo artificiale e<br />

spregevole dei Vip.<br />

<strong>Un</strong> pezzo di questo mondo, con la consueta arroganza, a un certo punto è<br />

piombato in Sicilia, con le fattezze di Sgarbi, chissà perché. I "cappeddi", i<br />

notabili, i nobili culo-a-ponte di Agrigento e Salemi si sono affrettati a<br />

servirlo, a riverirlo abiettamente, a strisciargli ai piedi.<br />

Giuseppe, ragazzo siciliano, invece no: gli si è piantato davanti e "Viva<br />

l'antimafia! - gli ha urlato in faccia - Viva Caselli!".<br />

I servi guardaspalle siciliani, fra le urla degli altri servi e gli applausi del<br />

pubblico servo, l'hanno afferrato e portato via. Ma là, per un istante, s'è<br />

udita la voce vera della Sicilia, ed era una voce giovane, senza paura.<br />

Sbava, Sgarbi, strisciate, servi, ringhiate la vostra rabbia quanto volete: la<br />

voce vi azzera tutti, è più forte di voi. Viva Caselli, viva la nostra antimafia,<br />

viva sempre Giuseppe ragazzo siciliano.


27 febbraio 2009<br />

“VOGLIO FARE IL GIORNALISTA". BELLO. PERÒ...<br />

Sandro fa il liceo e “da grande” vuol fare il giornalista. Però quello che<br />

sente in giro non lo rassicura molto: sempre più precariato e sempre meno<br />

certezze, in questo lavoro.Come si fa? Fare il giornalistaburocrate al<br />

Ministero dell'Informazione, o provare a cercare una strada nuova? Eh,<br />

alla fine, decidi tu...<br />

Ho 15 anni, frequento il primo anno di liceo classico e ho un sogno: “da<br />

grande” vorrei fare il giornalista. Il Barbiere [www.ilbarbieredellasera. com,<br />

un sito di giornalisti, ndr] in questo mi aiuta molto, perché mi permette di<br />

leggere opinioni di “gente del mestiere” e di avvicinarmi in qualche modo a<br />

questo “mondo”. Però ogni tanto vado un po' in depressione, pensando al<br />

mio futuro, che è il vostro presente. Qui sul Barbiere è sempre attivo il<br />

dibattito sui posti di lavoro. Tutti (o quasi) ce l’hanno un po' su con gli<br />

stagisti e i praticanti, che però sono anche loro sfruttati in quanto fanno<br />

mansioni che non gli competono.<br />

Ma non è colpa loro.<br />

Qualcuno propone di chiudere l’accesso ai registri di praticantato per due<br />

anni, perché il mercato è saturo. Poi c’è Sandra che ce l’ha su con le Scuole<br />

di Giornalismo, e vorrebbe chiuderle, sempre per il problema dei posti di<br />

lavoro. Luigi, invece propone di “dissuadere l’aspirante giornalista”. E poi<br />

ci sono le sostituzioni estive. Nessuno ne trova, perché gli editori “per<br />

questioni di budget” usano gli stagisti. Terronzio è andato in tutte le<br />

redazioni Rai a cercare una sostituzione estiva, ma gli è stato chiesto se<br />

conosceva qualcuno. Chen il Cinese, disoccupato da mesi, ha chiesto di fare<br />

lo scaffalista notturno in un grande magazzino.<br />

La situazione è così catastrofica? Io vorrei fare il giornalista, ma il mondo<br />

del giornalismo è ridotto poi così male? Devo aspettarmi di essere<br />

disoccupato a vita, di fare lo stagista e prendere due lire e poi non trovare<br />

più lavoro, di fare il cococo sottopagato o di diventare un “redattore da 5<br />

euri al pezzo”? È sempre così?<br />

Io non lo so, mi piacerebbe che qualcuno mi dicesse se la situazione è<br />

veramente così tragica. Io so solo che, se nei prossimi anni vorrò ancora<br />

fare il giornalista, non mi lascerò spaventare da tutta questa serie di cose. Io<br />

ci proverò, ce la metterò tutta per darmi da fare e trovare lavoro, e se


proprio “il giornalismo"<br />

non mi vorrà, beh, allora forse cambierò strada.<br />

Insomma, qualcosa farò. Però ci proverò. Sandro<br />

* * *<br />

Bello. Però attento, il giornalista ormai non si fa più nei giornali e nelle<br />

Tv ma fuori. Devi diventare editore di te stesso, farti il tuo "giornale".<br />

Cosa sarà un "giornale" fra dieci anni (quando tu ne avrai 25)? Non lo so.<br />

<strong>Un</strong> blog con un aspetto web e uno su carta? <strong>Un</strong>a serie di clip?<br />

<strong>Un</strong>a specie di...<br />

Boh. Non lo so, ormai nessuno sa più cosa succederà nel nostro settore fra<br />

due anni.<br />

Comunque qualcosa di buono, perché la tecnologia è "democratica" e la<br />

gente può parlare sempre di più.<br />

Il tuo lavoro nei prossimi tre anni consiste dunque nel prepararti<br />

culturalmente e come mentalità a cavalcare qualunque mutamento.<br />

Comincia subito. Dovrai informare ed essere onesto coi lettori. Ma come<br />

farlo, devi prepararti a impararlo daccapo ogni due-tre anni.<br />

Questo sarà il tuo lavoro. Dovrai farlo da solo, come imprenditore di te<br />

stesso o con amici nelle tue stesse condizioni, perché le grandi testate ormai<br />

servono a creare consenso e non c'entrano affatto più col giornalismo.<br />

Evita i "corsi di giornalismo", dentro e fuori l'università, perché sono<br />

truffe. Evita le grandi testate, per il motivo che ti ho detto. Impara qualcosa<br />

dai giornalisti, ma sappi che i giornalisti con meno di quarant'anni in Italia<br />

ormai non sono giornalisti, ma un'altra cosa.<br />

Non per ragioni etiche, ma perché ogni centoduecento anni il giornalismo<br />

cambia completamente e la versione vecchia di solito si trasforma in<br />

propaganda del re.<br />

Insomma, fà il giornalista ma non l'impiegato.<br />

È bello. Può darsi che quando sarai grande tu ci si potrà anche campare.<br />

Segui fin d'ora blog (impara a scegliere accuratamente i blog; non farne tu<br />

ancora, per non essere banale) in almeno due-tre lingue.<br />

Leggi: "<strong>Un</strong>o yankee alla corte di re Artù"; "I Siciliani"; "La fattoria degli<br />

Animali"; "Siciliani/ Giovani"; qualunque cosa di Kapucinskij e quasi<br />

qualunque di Hemingway; Erodoto; "Avvenimenti" 1989-93; "L'Alba"; "La<br />

Catena di san Libero". Per leggerli devi trovarli, e questa è già una prima<br />

ricerca che puoi fare.<br />

Buon lavoro, fratellino.


Riccardo


8 marzo 2009<br />

BANALITÀ DEL MALE E CORAGGIO DI ESSERE CITTADINI<br />

Che cosa sta succedendo in Italia? La “politica”, lo sappiamo tutti, è<br />

andata a puttane. Ma solo di “politica” si tratta? E la “gente”? E perché<br />

in questo paese le donne sono tornate cittadini minori? Cosa vuol dire<br />

questo? Di che cosa è sintomo? Che “politica” (vera) ci può salvare?<br />

Se si avesse il coraggio, che non c'è, di chiedersi cosa veramente accade<br />

nel nostro Paese, non sarebbe difficile trovare le risposte vere. Rumeni<br />

violentano italiane. Italiani violentano rumene. Italiani violentano italiane, e<br />

rumeni rumene. Il popolo dei Bandar-Log ne fa dibattito, accusa gli altri,<br />

invoca nuove leggi. Tutti gridano forte, con la voce roca: tutto ciò che se ne<br />

ode <strong>dal</strong>l'esterno è un confuso ringhiare, una cacofonia che difficilmente<br />

s'associerebbe alle voci di un qualunque aggregato umano.<br />

Le domande reali sono queste: - È vero o non è vero che, <strong>dal</strong>la provincia<br />

di Como a quella di Palermo, si è avuta una recrudescenza di violenze<br />

carnali anche fra adolescenti, a volte addirittura tredicenni?<br />

- È vero o non è vero che molti casi di violenza sono stati portati a<br />

termine grazie all'indifferenza dei passanti (“Nessuna macchina s'è<br />

fermata”, “L'hanno strappata via <strong>dal</strong>l'autobus”, “Nessuno ha telefonato”)?<br />

- È vero o non è vero che tutta la pubblicità e buona parte della televisione<br />

presentano ormai le ragazze esclusivamente come merce scopabile e basta?<br />

Di recente c'è stata una campagna - legalissima - della Relish, con manifesti<br />

in tutte le principali città, che inneggiava direttamente allo stupro; l'anno<br />

scorso ce n'era stata una analoga di Dolce & Gabbana).<br />

C'è qualcosa di patologico, nella nostra società ormai post-capitalistica.<br />

Gli antichi romani sono potuti andare avanti per secoli con la<br />

spettacolarizzazione dell'omicidio (i ludi gladiatorii erano il principale<br />

entertainment di quella civiltà): c'è voluto un capovolgimento totale<br />

dell'etica per accorgersi di quanto questo spettacolo fosse patologia. E gli<br />

atzechi, e i nazisti, e le culture schiavistiche del Vecchio <strong>Sud</strong>: tutte società<br />

moderne, rispetto ai loro tempi, tutte senza eccezioni basate sul consenso. E<br />

tutte catastroficamente finite male, quando l'accumularsi degli elementi<br />

patogeni (e “normali”) è finalmente ed “improvvisamente” esploso.<br />

Non sono stati i barbari a portarci <strong>dal</strong> di fuori la violenza, nemmeno a noi.<br />

Essa cresce tranquillamente ogni giorno nelle nostre scuole, nelle nostre


ovvietà, nella nostra cultura.<br />

Le donne,adesso, non sono affatto pari agli uomini, nel nostro mondo. Gli<br />

uomini, una forte minoranza degli uomini, confonde ancora moltissimo fra<br />

potere e sesso.<br />

Le ronde non sono che la rappresentazione ritualistica (interessante per<br />

l'antropologo, e per ogni altro verso infantile) di ciò a cui da tempo abbiamo<br />

rinunciato: il coraggio di difendere le donne quotidianamente e<br />

concretamente (la piccola offesa sull'autobus, il “complimento"<br />

insultante, la frase greve) che un tempo suscitavano la reazione degli<br />

uomini - da persone normalmente perbene, non certo da “rondisti” - e ora<br />

passano via nel silenzio e nel voltare gli occhi <strong>dal</strong>l'altra parte.<br />

Questa, anche se non sembrerebbe, è la reale politica. Mentre la “politica”<br />

che si considera tale, ogni giorno che passa, è sempre più rumore di fondo.<br />

* * *<br />

Oggi è passato un anno, se ben ricordo, da quando non esce più<br />

“Casablanca”. <strong>Un</strong> piccolo ma indispensabile giornale di società e di<br />

antimafia con al centro di tutto (ma guarda un po') il protagonismo civile<br />

delle donne: a partire <strong>dal</strong>la direttrice, Graziella Proto, una donna con<br />

venticinque anni di lotta antimafia alle spalle e capace ancora di impegnarsi<br />

fino all'ultimo respiro e fino all'ultimo soldo per portarloavanti.<br />

“Casablanca” è in silenzio nell'indifferenza di Veltroni, di Bertinotti, di<br />

Vendola, di Di Pietro. Per me è uno sforzo difficile, per questo preciso<br />

motivo, prenderli sul serio ancora. E anche questo è otto marzo.


18 aprile 2009<br />

“LAVORI IN CORSO": OPERATIVA L'ASSOCIAZIONE. E ORA,<br />

ALLA FASE 2<br />

Lamentarsi che Ciancio è Ciancio può essere gratificante, ma non è che<br />

poi serva a molto. Meglio provare a costruire qualcosa di alternativo a lui<br />

– ma con quali forze? Tutti insieme.È su questa base che un gruppo di<br />

giovani catanesi lavora da alcuni mesi (o da molti anni), raccogliendo a<br />

poco a poco esperienze e forze per fare, nei prossimi mesi, un salto di<br />

qualità. La prima tappa è terminata ora, con la costituzione formale di<br />

“Lavori in Corso”<br />

Dopo Report di Sigfrido Ranucci (2009) o dopo Il Caso Catania di Joe<br />

Marrazzo (1983) Catania improvvisamente si sveglia, scopre che c'è la<br />

mafia e che ci sono loschi affari (Catania “di sinistra”, naturalmente: alla<br />

Catania di destra non gliene importa un bel niente). L'indignazione dura per<br />

diverse settimane, si fanno dibattiti, si discute. I progressisti esprimono la<br />

più sentita solidarietà ai giornalisti scesi in Sicilia a fare - finalmente!<br />

- delle inchieste. Rettori e presidi osservano che sì, c'è qualcosa di vero<br />

ma non bisogna esagerare.<br />

Risorge il patriottismo catanese: i principali intellettuali s'indignano per le<br />

calunnie contro questa città che avrà tanti difetti ma ha il sole, il mare,<br />

l'Etna, il calore umano.<br />

Da Barcellona (filosofo ultramarxista, un po' a sinistra di Mao) a<br />

Buttafuoco (fascista “uomo-di-mondo”, elegantissimo, fra il repubblichino e<br />

il gagà) si fiondano le articolesse in difesa di Catania calunniata e, già che ci<br />

siamo, anche di Ciancio.<br />

E i giovani? Restano lì perplessi, percepiscono vagamente che forse<br />

Catania non è una città come le altre e che probabilmente bisognerebbe fare<br />

qualcosa. Vanno ai dibattiti e scrivono su qualche blog, fiduciosamente.<br />

I Siciliani, nel frattempo, non trovano una lira di pubblicità (nell'83) e<br />

tirano avanti per come possono, a forza di volontà.<br />

Pubblicità non ce n'è neppure per Casablanca (nel 2009), e quindi<br />

diandare in edicola non se ne parla. Le inchieste si continuano a fare,<br />

magari su web: ma non sembra che la città sia particolarmente interessata ad<br />

esse, tranne una minoranza “illuminista"<br />

fra i 15 e i 25enni.


* * *<br />

Ecco questa è l'informazione a Catania, senza farsi illusioni, trent'anni<br />

dopo le prime inchieste (le nostre e le “forestiere”) degli anni Ottanta. Non è<br />

una situazione cattiva - una minoranza civile c'è - a patto di guardarla in<br />

faccia e di non cadere nella trappola degli entusiasmi. Infatti gli entusiasmi<br />

non servono. Che cosa serve allora? <strong>Un</strong>a cosa semplicissima: il lavoro.<br />

Lavoro costante, serio, senza illusioni inutili ma senza pessimismi. Perché<br />

si può arrivare alla fine, se si lavora - seriamente e insieme - abbastanza a<br />

lungo.<br />

Sulla parola “insieme” a Catania si potrebbe già scrivere un trattato. La<br />

sintesi sarebbe che lavorare insieme è meglio che lavorare ciascuno per<br />

conto suo. <strong>Un</strong> giorno anche questa scoperta arriverà fin quaggiù, e sarà la<br />

precondizione di tutto il resto.<br />

* * *<br />

Va bene. Pensando più o meno a queste cose, il 15 abbiamo costituito<br />

formalmente l'Associazione “Lavori in Corso”: s'era cominciato a parlarne,<br />

ricorderete, nel giorno di Pippo Fava il 5 gennaio.<br />

Da allora siamo avanti tranquillamente, con i seminari e gli incontri ogni<br />

settimana, e con la produzione di U<strong>cuntu</strong>, che è questa faccenda qui che<br />

vedete. “Lavori in Corso"<br />

sarà presentato l'otto e nove maggio, insieme a Libera Informazione, con<br />

Morrione.<br />

I “leader” (ma da noi sono semplicemente quelli che portano lo zaino più<br />

pesante) sono Luca Salici, Max Nicosia, Sonia Giardina e Claudia<br />

Campese. Lavorano a U<strong>cuntu</strong>, Periferica, Cordai e Step1 e hanno poco più<br />

di cent'anni fra tutti quanti.<br />

Altre scadenze importanti: il primo maggio nelle terre confiscate ai<br />

mafiosi (un percorso che qui parte molti anni dopo che a Palermo, ma<br />

finalmente parte); il sedici alla manifestazione di Addiopizzo (finora è una<br />

manifestazione “contro la mafia” e “di Addiopizzo”: noi speriamo di farla<br />

diventare una manifestazione contro tutti i poteri mafiosi, informazione<br />

compresa, e di tutti i movimenti antimafiosi, tutti insieme).<br />

Che altro dire? Buon lavoro. Lavoro serio e unità, non ci vuol altro. E mai<br />

fermarsi, e mai accettare compromessi.


4 maggio 2009<br />

“ORDINE, GIORNALISTI!". IL CASO MANIACI<br />

Bisogna mettere ordine nel giornalismo in Sicilia: a cominciare da gente<br />

come Pino Maniaci, che si permette di fare inchieste brillantissime, di farsi<br />

minacciare e di aggredire dai mafiosi senza neanche avere uno straccio di<br />

tesserino “professionale” in tasca. E quelli che si sono accordati coi<br />

mafiosi per pubblicargli i messaggi o intimidire i cronisti irrispettosi? Per<br />

loro non c'è Ordine? O l'ordine magari c'è, ma lo dà chi comanda?<br />

“Il direttore dell'emittente televisiva Telejato di Partinico (Palermo), Pino<br />

Maniaci, è stato rinviato a giudizio per esercizio abusivo della professione<br />

di giornalista. Il processo è stato fissato all'otto maggio prossimo. Secondo<br />

l'accusa, Maniaci, "con più condotte, poste in essere n esecuzione del<br />

medesimo disegno criminoso", avrebbe esercitato abusivamente l'attività di<br />

giornalista in assenza della speciale abilitazione dello Stato, conducendo<br />

ogni giorno il tg di Telejato...”. La tv più volte minacciata, querelata e<br />

contestata da boss e notabili della zona di Partinico.<br />

* * *<br />

Otto giornalisti sono stati ammazzati in Sicilia per aver fatto onestamente<br />

il loro mestiere. Tre (Mauro De Mauro, Mario Francese, Giuseppe Fava)<br />

erano giornalisti professionisti, tre (Cosimo Cristina, Giuseppe Spampinato,<br />

Beppe Alfano) erano semplici corrispondenti locali, e due (Mauro Rostagno<br />

e Peppino Impastato) non erano in alcun modo iscritti all'Ordine, pur<br />

lavorando a una precisa attività d'informazione.<br />

Solo tre su otto, dunque, <strong>dal</strong>l'Ordine erano riconosciuti giornalisti in senso<br />

pieno.<br />

Ma tutti si caratterizzavano per le inchieste, ben condotte, sui poteri<br />

mafiosi: che viceversa trovavano pochissimo spazio sull'informazione<br />

“ufficiale”.<br />

Questa si trovava, e si trova tuttora, in regime di monopolio (Ardizzone a<br />

Palermo, Ciancio nel rimanente): un monopolio talmente forte da riuscire a<br />

impedire la pluralità dell'informazione anche nei confronti di testate<br />

nazionali (Repubblica a Catania è costretta a uscire senza cronaca).<br />

L'informazione sui temi potenzialmente “pericolosi” - i poteri mafiosi<br />

anzitutto - restava quindi affidata o alle precarie testate d'opposizione<br />

(L'Ora, I Siciliani) o a piccoli gruppi locali (Radio Aut, ad esempio) o a


singoli giornalisti isolati. Questo contesto, dagli anni '50 ad oggi, non è<br />

cambiato affatto. E infatti i giornalisti colpiti <strong>dal</strong>la mafia si ripartiscono<br />

quasi alla pari nei vari decenni.<br />

In questa situazione, assolutamente eccezionale in Europa, non sembra<br />

che l'Ordine dei giornalisti locale (e meno ancora la locale Associazione<br />

della stampa) si sia in qualche modo distinto per eccesso d'impegno.<br />

Nessuna delle otto vittime è stata in alcuna maniera sostenuta – e alcune<br />

erano in manifesto e immediato pericolo di vita – prima delle aggressioni,<br />

che dunque colpivano individui isolati. Quanto al dopo, non sono mai<br />

mancate le commemorazioni, le cerimonie, le commosse eulogie. Ma solo<br />

queste.<br />

* * *<br />

L'Ordine siciliano non è intervenuto neanche in presenza di episodi<br />

gravissimi sul piano dell'etica professionale. La linea del quotidiano La<br />

Sicilia, ad esempio, fu direttamente influita da esponenti importanti di Cosa<br />

Nostra in almeno due precise occasioni, nel '93 (intimidazione di un cronista<br />

da parte di Giuseppe Ercolano) e nel <strong>2008</strong> (pubblicazione di messaggi di<br />

Vincenzo Santapaola). In nessuno dei due casi l'Ordine ritenne di adottare<br />

una qualsivoglia sanzione a carico dei giornalisti coinvolti, specialmente del<br />

direttore-editore Mario Ciancio. Non sarebbe stato senza costi, del resto,<br />

visto che per Ciancio lavora buona parte dei più cospicui colleghi siciliani,<br />

dentro e fuori Ordine e Associazione.<br />

Meno ancora s'intervenne su violazioni latu sensu “politiche”, come la<br />

vera e propria campagna del Giornale di Sicilia di Palero contro il pool<br />

antimafia, o il rifiuto a Catania di pubblicar necrologi di vittime della mafia,<br />

o le intimidazioni – su La Sicilia - contro i “pentiti” di mafia che<br />

minacciavano di tirar dentro imprenditori.<br />

improvvisamente l'Ordine dei giornalisti di Sicilia si scopra una<br />

vocazione ai regolamenti, e che debba scoprirla proprio nei confronti di<br />

Maniaci. Letta da fuori Sicilia, parrebbe un'iniziativa autolesionistica e<br />

perdente. E indubbiamente lo è, o perlomeno non è che porti qualche<br />

vantaggio al vecchio Circolo dei Civili che bene o male rappresenta il<br />

giornalismo siciliano. E allora perché si sono messi in questo pasticcio?<br />

Voi ed io ci spiegheremmo facilmente la cosa con le caratteristiche<br />

fisiologiche - età non verde, orecchio duro, sonnolenza - di questi<br />

rispettabili colleghi. Ma un osservatore più smaliziato, uno come Andreotti<br />

ad esempio (“a pensar male si fa peccato però a volte ci s'azzecca”), non


mancherebbe di far notare che il trambusto su Maniaci copre molto<br />

opportunamente un'altra faccenda antipatica che s'annunciava, anch'essa –<br />

normalmente - di competenza dell'Ordine: i guai di Ciancio con Report,<br />

dopo quelli col Santapaola, dopo quelli con Repubblica E che c'entra<br />

Ciancio che è di Catania con l'Ordine che sta a Palermo?, direte voi. Io non<br />

saprei che dirvi. Ma il divo Giulio, che ne sa più di me, vi guarderebbe<br />

ironico e ghignerebbe: Eh...”.<br />

Non c'è molto altro da dire, su questa storia.<br />

Mi spiace per i colleghi che ci son rimasti coinvolti (non Maniaci,<br />

naturalmente: quelli che hanno votato per silenziarlo) perché per la maggior<br />

parte sono gente perbene, senza velleità eroiche ma anche senza voglia di<br />

far del male; non certamente mafiosi né complici della mafia e tuttavia<br />

capacissimi in questo caso - come don Abbondio con l'Innominato - di<br />

favorirla così per pigrizia, senza neanche rendersene conto.<br />

“E non avendo il tesserino, lo scaricaste?<br />

Così, davanti ai suoi nemici mafiosi?”.<br />

“Ma forse non mi sono spiegato abbastanza, monsignore... m'hanno<br />

intimato di non far quel matrimonio”.<br />

“E quando avete scelto questo mestiere, non sapevate che esso<br />

v'imponeva di sapere andare oltre le carte, di scegliere che la verità va<br />

difesa ad ogni costo?”.<br />

“Torno a dire, monsignore... avrò torto io... Il coraggio, uno non se lo può<br />

dare”.<br />

Va bene, finiamola qui. È una storia buffa, tutto sommato. Maniaci rischia<br />

la pelle, la rischia (ora che l'hanno isolato) anche un po' di più. Ma noi tutti<br />

speriamo che lui abbia fortuna. Speriamo che questa storia resti così. <strong>Un</strong>a<br />

buffa storia divertente, siciliana.<br />

SCHEDA/ TUTTO IN ORDINE<br />

* * *<br />

La Regione Siciliana possiede una struttura d'informazione superiore a<br />

quella di tutte le altre Regioni messe insieme: ben ventitré giornalisti,<br />

reclutati senza concorso con la qualifica di redattore capo (3.800 euro al<br />

mese). Venti di queste ventitré assunzioni sono state messe sotto inchiesta<br />

<strong>dal</strong>la Corte dei Conti, che addebita a Cuffaro e Lombardo (“assunzioni<br />

ingiustificate e il mantenimento in servizio senza motivo”) un danno


erariale di quattro milioni di euri. La Corte si chiede fra l'altro chi mai<br />

possano capeggiare se sono tutti redattori capo.<br />

Fino al 2004 la Regione aveva solo quattro giornalisti per le varie<br />

mansioni. Nel 2006 ne vennero assunti altri quindici (fra cui tutti i<br />

portaborse degli assessori regionali). Altri ancora vennero assunti nel 2007.<br />

Attualmente la Regione Sicilia ha alle proprie dirette dipendenze un po'<br />

meno giornalisti del Corriere della Sera e un po' più di Telejato. Ma rutti<br />

rigorosamente


13 maggio 2009<br />

SE NON CI FOSSE GOEBBELS QUA SCOPPIEREBBE UNA<br />

RIVOLUZIONE...<br />

Nessuno se ne vuol accorgere, ma nel giro di un anno se n'è già andato<br />

un quarto della produzione industriale. La crisi tocca già un italiano su<br />

due. Ma allora come mai niente barricate? Primo, perché sono obsolete. E<br />

secondo, perché il potere oggi sa come rispondere: distogliere l'attenzione<br />

mediante capri espiatori. Altrimenti a che servirebbero stampa e tv?<br />

Secondo l'Istat “la produzione industriale nel primo trimestre 2009 ha<br />

perso il 9,8% rispetto al trimestre precedente” ed “è calata del 23 per cento<br />

rispetto al marzo <strong>2008</strong>”.<br />

In Italia, cioè, nel giro di un anno abbiamo prodotto un quarto di cose in<br />

meno. Meno prodotti, meno fabbriche, meno soldi che girano, meno tutto.<br />

Questo è quel che succede fuori <strong>dal</strong> mondo ovattato della tv. <strong>Un</strong> italiano<br />

su due sta già subendo personalmente la crisi, e la tendenza è a peggiorare.<br />

La soglia di povertà sfiora sempre più gente (in Sicilia almeno un terzo) e se<br />

fossimo nell'Ottocento le strade sarebbero già chiuse <strong>dal</strong>le barricate.<br />

E come mai non ci sono? Primo, perché tecnicamente obsolete:è molto<br />

più semplice, in una società post-novecento, fare le barricate politiche e non<br />

reali (in America, per esempio, eleggendo Obama). E secondo perché, come<br />

già fecero i nazisti con gli ebrei, i politici hanno provveduto per tempo a<br />

trovare un buon capro espiatorio su cui scaricare tutte le paure.<br />

Linciare uno zingaro (cosa che ormai accade abbastanza spesso) è più<br />

facile che prendersela coi manager. Picchiare a freddo una marocchina<br />

rimuove un attimo l'impotenza della disoccupazione. Annegare degli<br />

emigranti, o riconsegnarli al loro dittatore, dà un senso di potenza collettivo<br />

che a un popolo non più bonario né giovane fa più o meno l'effetto di un<br />

viagra.<br />

La responsabilità della stampa “mainstream"<br />

(per dirla in americano: noi paesanamente diremmo “padronale”) in tutto<br />

questo è tremenda, ancora più terribile che nell'edulcorare i politici e nel<br />

nascondere i fatti. La comunicazione, con poche eccezioni, oggi è di nuovo<br />

Goebbels. Se non si vede subito è perché la misuriamo col Goebbels di<br />

allora e non con quel che Goebbels sarebbe con le tecnologie di oggi.<br />

Ma la funzione è identica, e identico tende a esserne il costo in vite


umane. Il mestiere di giornalista, che prima richiedeva serietà e coraggio,<br />

adesso – per chi non tradisce – richiede una tensione quasi religiosa.<br />

* * *<br />

Di buoni giornalisti ce ne sono tuttavia ancora, e molti altri ne crescono<br />

dopo di loro. Dei giovani, penso a Claudia e agli altri ragazzi di Catania<br />

che, fregandosene di tutti quanti, hanno salvato due poveri zingari <strong>dal</strong><br />

linciaggio. Dei vecchi, penso a gente come Pino di Telejato – ne abbiamo<br />

parlato l'altra volta – che a sessant'anni ancora riesce non solo a rischiare la<br />

pelle ma anche a sorriderci su ironicamente.<br />

Maniaci in particolare, a quanto pare, se l'è cavata ancora una volta. I<br />

giornalisti siciliani, o i loro legali tutori, che volevano fargli scontare la vita<br />

di collega libero, hanno dovuto (almeno per ora) far marcia indietro e<br />

contentarsi di guardarlo storto da lontano.<br />

La cosa bellissima (pure le cose belle accadono, nonostante tutto) è che<br />

stavolta a difendere Maniaci non siamo stati i soliti quattro disperati, ma il<br />

Sindacato e l'Ordine in persona, quelli veri. Si sono schierati, per una volta,<br />

senza se e senza ma con Maniaci.<br />

Hanno difeso il giornalista minacciato e onesto, senza mezze misure.<br />

Hanno detto quel che di loro pensavano ai colleghi siciliani (certo con<br />

diplomazia, ma non poi tanta) e li hanno obbligati a comportarsi, volenti o<br />

no, da persone per bene.<br />

Mi pare quindi giusto di segnalare dei nomi: Enzo Iacopino dell'Ordine,<br />

Roberto Natale della Federazione e in aggiunta, unico fra i “politici”, Beppe<br />

Giulietti. È la prima volta, in quasi trent'anni di mestiere, che faccio nomi<br />

della corporazione per lodare e non per rimproverare. Sarà una debolezza<br />

senile, ma ne sono contento.<br />

(E altri giornalisti, e giornali? No, nomi di altri colleghi non ne posso<br />

fare. Sul caso Maniaci tutta la stampa italiana, compresa quella progressista,<br />

ha osservato un silenzio bronzeo, senza sbavature. “Giornalista in Sicilia? -<br />

hanno detto il Corriere e Repubblica – Nenti vitti. Nenti sacciu. Nenti<br />

vogghiu sapiri”).


13 maggio 2009<br />

“C'È CHI PUÒ E CHI NON PUÒ. NOI PUÒ”<br />

Rispettosi del fondamentale impegno istituzionale e civile<br />

dell'Associazione della Stampa siciliana, sempre in prima linea nella lotta<br />

contro la mafia e nella difesa dei giornalisti minacciati, rispettosamente e<br />

doverosamente pubblichiamo il recente comunicato della medesima sulla<br />

drammatica storia di venti giornalisti siciliani<br />

“Sebbene si tratti di un atto dovuto, suscita comunque sconcerto la<br />

decisione della Procura di Palermo di iscrivere nel registro degli indagati i<br />

venti giornalisti dell’ufficio stampa della Presidenza della Regione<br />

siciliana".<br />

L’ipotesi di reato (concorso in abuso in atti di ufficio) lascia intendere che<br />

sulla vicenda delle nomine dei giornalisti aleggi un che di misterioso e<br />

inquietante, così come sulla qualifica di redattore capo prevista <strong>dal</strong> contratto<br />

di lavoro giornalistico.<br />

In realtà l’ufficio stampa e documentazione presso la Presidenza della<br />

Regione venne istituito oltre trenta anni addietro con un’apposita legge<br />

regionale, poi seguita da un accordo sindacale recepito <strong>dal</strong> governo<br />

regionale, che prevedeva per i giornalisti proprio il riconoscimento del<br />

trattamento giuridico ed economico di redattore capo.<br />

Per altro in Sicilia, nel pieno rispetto della legge 150, il contratto<br />

nazionale di lavoro e le relative qualifiche da applicare ai giornalisti che<br />

operano negli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni sono stati<br />

recepiti da un accordo sindacale. L’intesa, firmata da Fnsi e Associazione<br />

della Stampa con l’assessorato alla Presidenza, e ratificata da un decreto<br />

assessoriale pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, fissando i profili<br />

professionali e il relativo trattamento economico dei giornalisti, di fatto ha<br />

messo ordine in ragione delle osservazione della Corte Costituzionale.<br />

La Suprema Corte aveva cassato quelli parti delle leggi regionali<br />

riguardanti proprio le qualifiche contrattuali dei giornalisti degli uffici<br />

stampa delle pubbliche amministrazioni sottoposte al controllo della<br />

Regione, stabilendo che le stesse qualifiche non possono essere attribuite<br />

per legge ma solo per contrattazione tra le parti. Contrattazione che è infatti<br />

avvenuta creando un collegamento organico tra le prime norme che<br />

riguardano la Regione e il sistema contrattuale che riguarda il territorio”.


SCHEDA/ DI CHE SI TRATTA<br />

* * *<br />

Palermo. L'ex presidente Cuffaro, il suo successore Lombardo e venti<br />

giornalisti dell'ufficio stampa della presidenza assunti con contratto di<br />

redattori capo nel 2004 per chiamata diretta sono stati iscritti nel registro<br />

degli indagati (per concorso in abuso d'ufficio) <strong>dal</strong>la Procura. Quattro sono<br />

già stati sentiti <strong>dal</strong> Pm Petrigni.<br />

Lo staff dei comunicatori della presidenza, composto da 4 giornalisti, fu<br />

portato a 8 nel 2004 e a 24 nel 2006, poco prima delle elezioni.<br />

Fra gli assunti, quasi tutti i portavoce degli assessori regionali uscenti<br />

(Giulio Ambrosetti, Laura Compagnino, Fabio De Pasquale, Maria Pia<br />

Ferlazzo, Enzo Fricano, Fabio Geraci, Stanislao Lauricina, Luisa Micciché,<br />

Wlady Pantaleone, Stefania Sgarlata e Manlio Viola) e altri giornalisti vicini<br />

a esponenti del centrodestra: Vito Orlando, portavoce di Guido Lo Porto,<br />

Ludovico Licciardello, addetto stampa di Salvo Fleres, Luigi Sarullo, figlio<br />

di un consulente di Schifani e Ivana Di Nuovo, figlia dell ´ex responsabile<br />

stampa Udc. Nell' ottobre 2007 entrarono anche Guido Monastrae<br />

Francesco Inguanti, un consulente di Cuffaro pubblicista da pochi mesi.


27 maggio 2009<br />

E DOPO LOMBARDO?<br />

Rissa fra i padroni (politici) della Sicilia: Lombardo, dopo Bossi e dopo<br />

Starace, va cercando altri alleati. Non a sinistra, speriamo, e non fra le<br />

persone perbene. E allora?<br />

C'è aria d'inciucio – non per la prima volta – ai piani alti del<br />

centrosinistra: i vari Cracolici e Finocchiaro rilasciano dichiarazioni di<br />

disponibilità a “dialogare”. Sarebbe una catastrofe per la Sicilia, come tutti<br />

gli altri inciuci precedenti, <strong>dal</strong>l'operazione Milazzo ai vari patti con la Dc di<br />

Salvo Lima.<br />

Invece sarebbe bello se – considerando i siciliani dei cittadini, almeno<br />

stavolta – si tornasse a votare. E se la sinistra avesse il buon senso di andare<br />

alle elezioni tutti uniti, con una sola lista, come tre anni fa.<br />

E se questa lista fosse non solo la lista della sinistra (anche), ma<br />

soprattutto quella dell'antimafia.<br />

E se il candidato presidente fosse uno come la Borsellino di allora (lei<br />

stessa, Fava, Orlando, Lumia... uno qualunque di questi, senza primedonne,<br />

magari tirando a sorte) e in giunta tutti gli esponenti dell'antimafia, tutti<br />

insieme: uno ai Lavori pubblici, uno ai Giovani, uno alla Cultura, uno alla<br />

trasparenza pubblica, uno ai Beni regionali, uno al Lavoro...<br />

<strong>Un</strong>a giunta rivoluzionaria, non solo “politica”, ma di fondazione.<br />

Sull'unico terreno che veramente divide i siciliani, l'unico concreto e serio<br />

qui e ora. I padroni – mafiosi – della Sicilia da un lato, e <strong>dal</strong>l'altro Garibaldi<br />

e Falcone, senza mezze misure. Molti siciliani risponderebbero, come<br />

dicono i risultati di tre anni fa. E forse...<br />

Sì, ma stiamo sognando. Figurarsi. Si rischierebbe di vincere, o di andarci<br />

vicini. E a questo, nel centrosinistra di oggi, oramai non ci crede nessuno.


27 maggio 2009<br />

MORIRE D'INFORMAZIONE O PROVARE A FARLA NOI<br />

Continua il percorso delle testate libere catanesi per costruire insieme un<br />

giornale che veramente racconti la città. È stata messa in funzione<br />

l'Associazione Lavori in corso, è stata completata la prima inchiesta (vedi<br />

pagina 8). Ma perché l'informazione, qui e ora, è così importante?<br />

Pare che Mauro Rostagno sia stato ammazzato dai mafiosi. Dopo ventun<br />

anni è ufficiale, sembra che anche Peppino Impastato sia stato ucciso da<br />

loro e non (come dicevano Corriere, Repubblica, Giornale di Sicilia e<br />

televisione) da una bomba mentre faceva un attentato.<br />

Bene. La verità prima o poi viene a galla, qua in Sicilia. Magari - come<br />

nel caso di Peppino - dopo dieci anni. O come per Giuseppe Fava, ucciso<br />

<strong>dal</strong>la mafia e non - come dicevano Toni Zermo, Tino Vittorio e gli altri<br />

pezzi grossi catanesi - per qualche storia di donne. E Borsellino, e Falcone?<br />

Professionisti dell'antimafia, secondo i giornali isolani ma anche secondo<br />

il nobile Corriere.<br />

E Francese, e De Mauro, e Alfano, e quelli di Portella? La mafia, secondo<br />

i giornalisti siciliani, non ha mai ucciso quasi nessuno. Qualcuno è morto sì,<br />

ma perché irrispettoso o caustico o, peggio di tutto, comunista. In quasi tutti<br />

i casi la verità vien fuori grazie a pochissime persone (Umberto Santino per<br />

Impastato, I Siciliani per Fava, ecc.), contro la stampa “perbene” e<br />

nell'indifferenza della maggior parte dei siciliani.<br />

L'omertà della stampa rincretinisce sempre più i lettori, che essendo<br />

rincretiniti vogliono una stampa sempre più omertosa. Questo circolo<br />

vizioso, che una volta era tipicamente siciliano, adesso è felicemente<br />

nazionale, e produce i governi. La rozza Sicilia, riducendola al proprio<br />

livello, s'è infine così vendicata della civile Lombardia. Sicilia capta<br />

probum victorem smerdavit.<br />

* * *<br />

La questione dell'informazione (disinformazione scientifica, propaganda)<br />

qui e ora è la più importante di tutte, senza paragone. È lei che fa Cosa<br />

Nostra e Berlusconi. È lei ha creato i Bossi e i Ciancimino (ma qualcuno sa<br />

più chi era fra i politici Ciancimino? E qualcuno nota più cosa veramente<br />

dice Bossi?), lei che accoltella o affoga in mare gli emigranti, lei che un<br />

tempo sparava ai sindacalisti. I politici vengono dopo, si limitano a


accogliere i frutti di ciò che l'”informazione” ha seminato.<br />

Non è una situazione riformabile <strong>dal</strong>l'interno.<br />

L'informazione ufficiale nel suo complesso, tecnologie o non tecnologie,<br />

può forse peggiorare (non ha ancora proposto, ad esempio, la sterilizzazione<br />

degli zingari o il lavoro forzato nei centri-lager) ma non può migliorare<br />

assolutamente, salvo che in individui singoli e pronti a finir male.<br />

Perciò siamo tanto fanatici dei nostri pochi giovani e della nostra poca e<br />

povera libera informazione. Son pochi, ma esistono. Potrebbero attraversare<br />

il ventennio – 1994-2014: vent'anni – come fu attraversato il primo.<br />

Debbono rafforzarsi, debbono collegarsi, debbono - Gobetti - cercare lo<br />

scontro senza illusioni, non l'ottimismo.<br />

* * *<br />

Le cose, qui in Italia, vanno come in fondo sono sempre andate. C'è<br />

piazza Venezia piena, c'è il duce, c'è la difesa della razza, ora c'è anche<br />

Claretta. Che buon popolo buffo saremmo stati, se in mezzo ai gerarchi<br />

panzoni, ai professori con tessera e ai tengo-famiglia non ci fosse anche<br />

quel cinque-dieci per cento di nazisti fanatici, di incamiciati sbraitanti, di<br />

assassini. Avrebbe potuto essere una commedia italiana, una delle tante: così<br />

invece, se non succede qualcosa (ma cosa?), finirà prima o poi in dramma,<br />

alla croata.


27 maggio 2009<br />

L'ITALIA ALL'EPOCA DEL BAVAGLIO<br />

Centinaia di notizie, grandi e piccole, danno l'idea di un paese che sta<br />

diventando davvero molto strano. Ma per la maggior parte non circolano, o<br />

circolano in maniera edulcorata e corretta, senza contesto. Forse il Grande<br />

Fratello (quello di Orwell) è tutto qui. <strong>Un</strong> paese di plastica, che in realtà<br />

esiste solo dentro il televisore. Mentre il paese vero, privo di idee e di<br />

governo, tira a campare giorno per giorno sprofondando sempre di più<br />

Palermo (Sicilia). Il giudice Roberto Scarpinato ha rivelato come il<br />

governo abbia recentemente tolto alle procure la password per accedere ai<br />

conti correnti, mpedendo così il sequestro di enormi capitali mafiosi.<br />

* * *<br />

Milano (Lombardia). È stata revocata con 29 voti a favore, 24 contrari e<br />

un astenuto la Commissione antimafia recentemente istituita in seno al<br />

Consiglio comunale.<br />

* * *<br />

Catania (Sicilia). A giudizio per bancarotta fraudolenta i padroni della<br />

ditta Elmec di Piano Tavola. Parte civile i lavoratori, che da due anni<br />

occupavano la fabbrica per difendere il posto di lavoro.<br />

* * *<br />

Castelfranco (Veneto). <strong>Un</strong> referendum dei lavoratori bianchi della Global<br />

Garden ha approvato la proposta dell'azienda - che costruisce macchine da<br />

giardino e impiega circa mille operai fra bianchi e neri - di cacciare gli<br />

operai neri <strong>dal</strong>la fabbrica per meglio superare la crisi.<br />

* * *<br />

Catania (Sicilia). Sei ragazzi del movimento studentesco hanno ricevuto<br />

<strong>dal</strong>la Procura una notifica, da parte "in ordine al delitto di deturpamento di<br />

immobili perché con numerosi altri soggetti non identificati nel corso di una<br />

manifestazione con corteo in via Etnea di Catania raggiungevano la piazza<br />

del Duomo, dove deturpavano ed imbrattavano il palazzo muncipale<br />

lanciando uova, pomodori e carta igienica contro il portone e la facciata".<br />

* * *<br />

Palermo (Sicilia). È stata assegnata all'Ordine dei giornalisti di Sicilia la<br />

villa confiscata ai fratelli Sansone.<br />

La richiesta di assegnazione di un bene confiscato alla mafia era stata


presentata da tempo <strong>dal</strong>l'Ordine dei giornalisti di Sicilia, che ha espresso<br />

"viva soddisfazione per il riconoscimento della funzione sociale svolta<br />

<strong>dal</strong>l'ordine dei giornalisti, a difesa della legalità".<br />

In Sicilia l'Ordine regionale (vivamente contestato <strong>dal</strong>l'Ordine nazionale)<br />

ha recentemente difeso la legalità cercando di ridurre al silenzio la tv<br />

antimafiosa Telejato.<br />

* * *<br />

Corleone (Sicilia). Per aver partecipato alla Giornata della Memoria di<br />

"Libera"<br />

Giovanni Labruzzo, Eugenio Provenzano ed Enrico Labruzzo, tre studenti<br />

corleonesi, sono stati cacciati via dagli scout <strong>dal</strong> parroco Giuseppe Gentile<br />

(lo stesso che aveva officiato le nozze della figlia di Totò Riina).<br />

* * *<br />

Trieste (Venezia Giulia). Gira armato il presidente leghista del Consiglio<br />

regionale, Ballaman. L'arma, una 357 magnum, non viene tuttavia portata in<br />

aula durante le Edouard riunioni.<br />

* * *<br />

Bassano del Grappa (Veneto). Diventa legale, grazie a un disegno di legge<br />

della Lega, la produzione casalinga di grappa.<br />

* * *<br />

Catania (Sicilia). Al processo per le infiltrazioni mafiose nella festa della<br />

patrona cittadina Sant'Agata è emerso che processione, "candelore", fermate<br />

e festa venivano gestite, per ragioni di prestigio, <strong>dal</strong> clan cittadino dei<br />

Santapaola.<br />

* * *<br />

Canicattì (Sicilia). Identificato dai carabinieri il responsabile della morte<br />

del cagnolino seviziato e ucciso il 10 maggio scorso nei pressi della villa<br />

comunale.<br />

Si tratta di un ragazzino di nove anni il quale dopo aver ucciso il cane<br />

impiccandolo si è fatto filmare con i cellulari da altri ragazzini di età<br />

compresa tra i tredici e i quindici anni.<br />

* * *<br />

Scandiano (Emilia). <strong>Un</strong> quindicenne è morto per un malore mentre<br />

nuotava nella piscina "L'Azzurra" a Scandiano, in provincia di Reggio<br />

Emilia. Il ragazzo, che frequentava la terza media, si era sentito male, forse<br />

per una congestione, poco dopo essersi tuffato. Inutile l'intervento del<br />

bagnino e dei medici subito accorsi.


Alcuni degli altri bagnanti non hanno lasciato la vasca, continuando a<br />

restare immersi durante le operazioni di soccorso a bordo piscina e<br />

nonostante gli inviti dei responsabili della struttura.<br />

* * *<br />

Urbino (Umbria). <strong>Un</strong> anziano turista è morto d'infarto mentre con altri<br />

faceva la fila per visitare la mostra di Raffaello a Palazzo Ducale. C'è stato<br />

appena il tempo di ricoprire il cadavere con un lenzuolo bianco che già gli<br />

altri turisti avevano cominciato a riprenderlo con videocamere e flash.<br />

* * *<br />

Sanremo (Liguria). <strong>Un</strong> uomo di 47 anni, Bruno Fazzini, è morto per un<br />

ictus dopo essere rimasto in coma per circa dodici ore sul pianerottolo di<br />

casa. Nessuno dei vicini l'ha aiutato e diversi hanno scavalcato il corpo<br />

risalendo le scale. "Credevo fosse ubriaco" ha dichiarato uno".<br />

* * *<br />

Napoli (Campania). Sedicenne minaccia di accoltellare il fratellino<br />

ricattando la mamma: "Cento euri o l'ammazzo".<br />

* * *<br />

Sulmona (Abruzzo). Alla Magneti Marelli (Sistemi Sospensioni spa,<br />

Gruppo Fiat, 750 operai) occorre un permesso scritto per andare in bagno. È<br />

un piccolo tagliando su carta intestata <strong>dal</strong> titolo "permesso interno".<br />

* * *<br />

Rosarno (Calabria). Tre imprenditori agricoli di Rosarno sono stati<br />

arrestati perché accusati di far parte di una associazione per delinquere<br />

finalizzata alla riduzione in schiavitù degli immigrati. Le indagini dei<br />

carabinieri hanno portato alla luce svariate storie di induzione alla<br />

prostituzione, estorsioni, maltrattamenti e violenze commesse approfittando<br />

dello stato di necessità e delle precarie condizioni di vita.<br />

* * *<br />

Palermo (Sicilia). Assessore regionale indagato per rapporti con clan<br />

mafiosi e compravendita di voti e preferenze. Accusato dai pentiti del clan<br />

di Resuttana, l'assessore Antinoro nega le accuse.<br />

* * *<br />

Bergamo (Lombardia). Applicando un vecchio regolamento di polizia<br />

urbana, l'amministrazione (di centrosinistra) ha comunicato che è permesso<br />

chiedere l'elemosina per le vie del comune, ma per la durata massima di<br />

un'ora.<br />

* * *


Padova (Veneto). Scritti sulle lavagne, per ordine della preside Anna<br />

Bottaro, i nomi dei diplomandi di origine straniera.<br />

Lo scopo,secondo la preside, è quello di invitare quelli di loro che fossero<br />

privi di permesso di soggiorno a "consegnarlo entro domani" prima di<br />

sostenere l'esame.<br />

* * *<br />

Catania (Sicilia). Conferenza all'<strong>Un</strong>iversità, insieme al rettore neo-eletto,<br />

del politico siciliano Marcello Dell'Utri, da poco assolto per prescrizione <strong>dal</strong><br />

reato di "minaccia grave" ai danni di un imprenditore trapanese. Coimputato<br />

di Dell'Utri era nell'occasione il boss trapanese Vincenzo Virga, da poco<br />

accusato di essere il mandante dell’omicidio di Mauro Rostagno.<br />

Argomento della conferenza "Il buongoverno dei giovani" visto da<br />

Dell'Utri.<br />

La successiva conferenza sarà su "Il Futurismo: avanguardia <strong>dal</strong>l'Italia al<br />

mondo", on.Gianfranco Fini, Facoltà di Lettere, Aula Magna.


4 giugno 2009<br />

CASO MANIACI/ (QUASI) TUTTO È BENE QUEL CHE FINISCE<br />

BENE<br />

Grazie alle amichevoli pressioni dell'Ordine dei Giornalisti nazionale,<br />

della Federazione della Stampa e di un bel po' d'opinione pubblica in Sicilia<br />

e fuori, i dirigenti dell'ordine dei giornalisti siciliano hanno finalmente<br />

concesso il tesserino di giornalista al giornalista Pino Maniaci di Telejato.<br />

Tutto è bene quel che finisce bene.<br />

Adesso, però, si pongono delle questioni.<br />

Telejato è una tv d'inchiesta e Maniaci è un giornalista antimafioso, più<br />

volte minacciato.<br />

I giornalisti siciliani “ufficiali"<br />

invece sono in genere tutt'altro che antimafiosi, né scrivono per giornali<br />

d'inchiesta ma per i fogli - o gli uffici stampa - dei vari politici e<br />

imprenditori locali. I quali naturalmente l'inchiesta la vedono come il cane<br />

vede il bastone.<br />

E allora? È Maniaci che deve pazientemente imparare ad adulare i politici<br />

e a chiudere tutt'e due gli occhi sui mafiosi, o sono i giornalisti perbene che<br />

debbono diventare indipendenti e riscoprire (o scoprire da zero) il<br />

giornalismo vero?<br />

Perché di qua non si scappa: Maniaci - grazie a quel tesserino – ormai è<br />

un giornalista d'ordine siciliano, un collega perfetto, uno di loro. E mica si<br />

può tenere nello stesso cesto frutta e calzini sporchi, non va bene. O tutti in<br />

un modo, o tutti nell'altro.<br />

Personalmente, preferiremmo che fosse Maniaci a diventare orbo e muto.<br />

Intanto per farlo campare un po' meglio, coi soldi per pagarsi il telefono e<br />

senza rischio di revolverate. E poi perché sarebbe troppo crudele, per i<br />

colleghi dell'establishment, obbligarli a fare sul serio questo mestiere.<br />

Ci sarebbero ulcere, inappetenze, esaurimenti nervosi e crisi coniugali.<br />

No, no, non siamo così barbari. Continuino pure a lavorare così, come<br />

sanno e vogliono. In compenso, però, ci facciano una cortesia: chiudano<br />

benignamente un occhio, perlomeno ogni tanto, sulle attività del Maniaci.<br />

Quando attacca i notabili, quando accusa i mafiosi, quando fa fatti e nomi. È<br />

vero, non sarebbero cose che si fanno, fra professionisti tesserati e perbene.<br />

Ma che ci volete fare, non è colpa sua: è solo la sua malattia, il suo vizio,


il giornalismo


4 giugno 2009<br />

CHE COSA TIENE SU I SICILIANI<br />

Tutta l'Italia andava a fondo meno la Sicilia, all'avanguardia in tutti i<br />

campi - arte, cultura, economia, politica, società - grazie a Re Federico e al<br />

saggio popolo siciliano. Il re aveva una sola curiosità: “Vorrei sapere che<br />

cosa mai vi tiene a galla, voi siciliani!”. E fece tuffare il ragazzo<br />

"Tuffati" disse lu re. 'U caruso guizzò lestamente giù diritto come un<br />

pesce (da donde il nome) e per qualche picca di lui non rimase che il colliè<br />

di bollicine su <strong>dal</strong>l'acqua profonda. Eppoi le bollicine si ruppero e ricciuta e<br />

ridente rivenne su la testa. "Rieccovi l'anello, maestà!".<br />

"Bene!" sorrise il re. "Bene!" ripetè la comarca. "Adesso finalmente potrò<br />

sapere...- il re era molto curioso: artravorta avia fatto allivari solinghi e soli<br />

dui picciriddi allo scopo di spiare che lingua cristiana o babelica ne sortissi -<br />

adesso potrò sapere che cosa, contro ogni leggi di fisica, vi tiene a galla<br />

l'Isola".<br />

"Maestà - disse un barone - ma già è ben noto. Le tre colonne cristalline: a<br />

Passero, a Lilibeo e a Peloro, coi tre ciclopi che le fecero a quei tempi". "Sì<br />

ma allora non c'era la tecnologgia!". Lu re fece un cenno e uno dei<br />

cortigiani porse al ragazzo un attrezzo, un coso lucido piccolo e vetroso, con<br />

un occhiuzzo in mezzo.<br />

"Ora tu metti questa cosa appress'alla colonna. Quando l'hai messa, premi<br />

qua.<br />

Eppoi o resti lassotto o risali, come vuoi".<br />

Il ragazzo afferrò la webcam, sorrise a tutto il mondo e si cataminò di<br />

sotto: un attimo prima c'era, un attimo dopo non c'era più.<br />

Passarono alcuni momenti, e sul dispay del sovrano si accese - come da<br />

previsione - la lucina. Eppoi, sfocate ma riconoscibili (settantadue<br />

puntipollice bianconero) le Gif cominciarono a scorrrere su tutti i monitor<br />

della Rete.<br />

"What is it?". <strong>Un</strong>a valigia di cartone: e, da fuori campo, la mano del<br />

ragazzo che la raddrizzava. "E questa?". <strong>Un</strong>'asta di bandiera, si direbbe: con<br />

pochi filamenti attaccati ma una faucimmatteddu rugginosa ancora fissa alla<br />

punta.<br />

Eppoi riloggi fermi, pacchi di lettere e vaglia, fiaschi, marranzani, nache<br />

di legno, bummuli, barde di carretto, stellette militari, coppole, e remi di


arche, e foto dei Due Amici, e cuteddi... tutta 'na massa di paccottiglia<br />

miserabile e smancicata che invero - improvvisamente e con schifo si rese<br />

conto il re - non era ammucchiata attorno alla colonna né adiacente alla<br />

medesima, ma era semplicemente la colonna stessa.<br />

Altro che colonne ciclopiche... "Ecco che cosa li teneva a galla, i fetenti!".<br />

"Richiamo il ragazzo, maestà?". "Che richiami a fare? Lascialo nella loro<br />

spazzatura".<br />

Con uno sbuffo, re Federico s'alzò.<br />

"In Germania, in Germania! Ce ne torniamo in Europa. E io che credevo<br />

ai miti". E s'incamminò via <strong>dal</strong> salone, con tutta la comarca dei cortigiani<br />

dietro.<br />

Nessuno pensò a spegnere i monitor, e la webcam per quanto obsoleta era<br />

di tipo buono. Così se passi da Messina e hai tempo da perdere ancora puoi<br />

buttare un'occhiata sul fondamento della Sicilia in bianco e nero, sui pesci<br />

che se lo smusano curiosi e le alghe che lo carezzano indifferenti.<br />

Ogni tanto, entrando improvvisamente nella schermata come in un<br />

videogame postmoderno - da su, da giù, da mancina, da dritta - appare la<br />

figurina di un ragazzo che coglie amorosamente le vecchie cose e le rimette<br />

dentro alla colonna: non senza averci fischiato dentro se era un flauto, o<br />

averci mimato una mossa se un coltello.<br />

Non pare che abbia gran voglia di risalire: e menu mali, accussì almeno<br />

un altro poco restiamo a galla.<br />

(omaggio a A.C.)


11 giugno 2009<br />

QUATTRO PROPOSTE PER RIPORTARE A COMBATTERE<br />

GRAZIELLA E GLI ALTRI<br />

La lotta alla mafia è soprattutto lotta d'informazione. Chi la fa, chi ha<br />

accumulato coraggio, serietà, professionalità ed esperienza per poterla<br />

fare, è un patrimonio di tutti. Nell'interesse di tutti, non va lasciato solo.<br />

Che cosa concretamente si può fare per aiutare (ad esempio) i giornalisti<br />

dei Siciliani a cui – vent'anni dopo vogliono confiscare le case? Ecco delle<br />

idee<br />

Berlusconi, il governo, Di Pietro, Franceschini, la sinistra... Ma si può,<br />

con tutte queste cose importanti in giro, dare la copertina a due persone<br />

“comuni”, simpatiche ma certo non potenti, come Graziella e Pino? Certo<br />

che si può.<br />

Al centro di tutta la lotta politica in Italia, prima e più seriamente di ogni<br />

altra cosa, c'è l'antimafia. Al <strong>Sud</strong> perché la mafia comanda e l'unica lotta<br />

reale è questa, e tutto il resto è poesia. In tutta Italia perché la mafia (o il<br />

sistema politico-imprenditoriale- mafioso, il Sistema come dice Saviano)<br />

oramai è un modello dappertutto.<br />

Ci sono i mafiosi dei clan anche a Milano, oramai. Ma soprattutto anch e<br />

là ci sono i Ciancimino, i Martellucci (“la mafia non esiste”), e<br />

probabilmente pure i Sindona e i Salvo Lima.<br />

Il personale politico, insomma, della contiguità. Che una volta stava a<br />

Catania e Palermo, ma ora è dilagata, sia come modo di fare che come<br />

relazioni d'affari. Non è solo la linea della palma ad aver risalito il nord.<br />

La lotta alla mafia – nel senso di lotta al potere mafioso, al Sistema – è<br />

soprattutto lotta d'informazione. Informazione di base, “povera”, libera,<br />

battagliera. Più Radio Aut che Santoro. Perché sociale, legata al territorio,<br />

giovane, aggressiva. Rendo e Ba<strong>dal</strong>amenti non li hanno sconfitti i giornalisti<br />

famosi, ma quelli – professionali ma militanti – come Peppino Impastato o<br />

Pippo Fava.<br />

* * *<br />

Di giornalisti così ce ne sono ancora, in giro. Non moltissimi, ma qualche<br />

decina sì.<br />

E molti sono i ragazzi che imparano da loro. Ciascuno di questi giornalisti<br />

è un patrimonio sociale, una risorsa insostituibile per la democrazia.


È interesse di tutti difenderli e metterli in grado di lavorare. Interesse<br />

delle sinistre, dei sindacati, delle cooperative, delle professioni<br />

democratiche, degli imprenditori (finalmente) antimafiosi. Sono loro la<br />

prima linea, quelli giù di guardia nel deserto.<br />

Se crollano loro, prima o poi crolla tutto il resto.<br />

È dovere di tutti difendere Graziella e Pino. (Certo, non loro soli: con<br />

Graziella, ad esempio, difendiamo Lillo Venezia, Rosario Lanza, Elena<br />

Brancati, Claudio Fava, Antonio Roccuzzo, Miki Gambino, tutti i “vecchi”<br />

dei Siciliani, tutti come lei chiamati a rispondere dei debiti fatti per<br />

difendere la trincea di tutti. Qui diciamo Graziella per semplificare).<br />

È dovere di Graziella e Pino (ma anche mio, di Fabio, di Luca, di Claudia,<br />

di Lillo, di Piero – anche qui, usiamo un paio di nomi per semplificare),<br />

stringere i denti, tener duro, “non mollare”, non scoraggiarsi mai e non<br />

mollare. E soprattutto essere uniti, coordinarsi il più possibile, fare rete.<br />

* * *<br />

Ci chiedono che fare, per Graziella e per gli altri. Avrei quattro precise<br />

idee da proporre: 1) Organizzare un grande concerto nazionale, con artisti<br />

famosi (a cominciare dai Modena, ma non solo), e organizzarlo con la<br />

bandiera dell'Ordine dei Giornalisti e del sindacato dei giornalisti, la Fnsi,<br />

nazionale. Mi fido di loro, li abbiamo avuti accanto per difendere Pino. Mi<br />

piacerebbe se prendessero questa iniziativa, e se ci fosse anche Libera di<br />

mezzo.<br />

2) Fare una trattenuta sullo stipendio di luglio, noi giornalisti<br />

professionisti: cinquedieci euri a testa non li sentiremo nemmeno, perché a<br />

luglio c'è la quattrordicesima e quest'anno ci sono anche i soldi del contratto<br />

nuovo; 3) I parlamentari europei dell'antimafia diano il loro primo stipendio<br />

per l'informazione antimafia, per Graziella e gli altri: 4) Voi dirigenti della<br />

Lega delle cooperative avete un debito con noi dei Siciliani. Noi eravamo<br />

una cooperativa della Lega, ma la Lega non ci ha salvati; ha preferito fare<br />

gli affari con i Cavalieri. Potete saldarlo ora, questo debito, compagni di<br />

Reggio Emilia e di Bologna. Certo, non c'è nessuno che vi obblighi; ma<br />

sarebbe un onore grandissimo, poter dire “I nostri predecessori sbagliarono,<br />

ma noi, noi che rispondiamo di noi stessi qui ed ora, noi siamo contro la<br />

mafia e con i Siciliani”.


11 giugno 2009<br />

L'ITALIA CHE NON SI VEDE MA C'È<br />

Sono arrivate molte lettere, quando s'è saputa la storia, di gente che<br />

vuole bene a Graziella. “Vi mando i miei risparmi”. “Voglio fare<br />

qualcosa”. “Perché non dà una mano la Legacoop?”. Ingenue,<br />

appassionate, profondamente civili. L'Italia non è solo Noemi e Bruno<br />

Vespa. C'è tutto un mondo sommerso, <strong>dal</strong>le radici profonde, che vive in<br />

questo Paese. I Siciliani, Casablanca, U<strong>cuntu</strong> ne portano a galla un po'<br />

Numerosi lettori hanno scritto per esprimere solidarietà a Graziella Proto<br />

e offrire il loro appoggio. Eccone alcuni.<br />

* * *<br />

Associazione Antimafie "Rita Atria": < Dobbiamo ringraziare<br />

costantemente questo Stato per ricordare le vittime di mafia e presentare il<br />

conto ai vivi. Quindi la mafia ottiene un risultato pieno: uccide Pippo Fava e<br />

distrugge la vita di Graziella Proto e di altri. Si parla di pignoramento della<br />

casa di Graziella Proto al momento dell'omicidio Fava la presidente della<br />

cooperativa Radar proprietaria della testata I Siciliani di Pippo Fava<br />

(giornalista <strong>dal</strong>la mafia ucciso il 5 gennaio 1984).<br />

Facciamo un appello a tutti affinché <strong>dal</strong>le commemorazioni si passi ai<br />

fatti.<br />

Quel pignoramento è un insulto alla memoria di Pippo Fava e soprattutto<br />

è un atteggiamento inaccettabile da parte dello Stato nei confronti di chi nel<br />

tempo con atti concreti ha saputo resistere.<br />

Gli sconti li facciamo solo ai piloti, cantanti, etc... ma quel fallimento<br />

doveva essere condonato per dignità. Vi preghiamo di scriverci per essere<br />

informati sulle forme di protesta che attueremo, al momento ci stiamo<br />

organizzando<br />

* * *<br />

mila spicola: < la notizia su graziella mi ha molto colpita, la diffondo e<br />

inoltro a chiunque per far sì che tutti sappiano ><br />

* * *<br />

massimo mingrino: < Come possiamo aiutare Graziella concretamente,<br />

noi semplici cittadini? Attendo fiducioso un riscontro. A presto ><br />

* * *<br />

Serena Malavasi: < Io vivo al nord ma conosco sommariamente la storia


de I Siciliani e vorrei, per quanto nelle mie possibilità, contribuire a<br />

sostenere Graziella ><br />

* * *<br />

Lia Didero: < Ciao. qualche info in più, che magari si cerca di organizzare<br />

qualcosa, quassù nelle marche, in sostegno di Graziella? ><br />

* * *<br />

Pia Covre: < Sono davvero straziata nel cuore per il contesto in cui siamo<br />

immersi, e mi sento come una povera farfalla rinchiusa in un bicchiere.<br />

Quando riusciremo a venir fuori da questo incubo che è diventato il Sistema<br />

italiano ci vedremo attorniati da macerie proprio come i terremotati.<br />

Si può far girare un appello a favore di Graziella per pagare i vecchi<br />

debiti? Io sono candidata alle europee ma ho rinunciato a spendere per la<br />

campagna e ho destinato i soldi della stampa a due onlus per bambini, ma<br />

potrei girare qualcosa anche per quella rivista che ha avuto tanta importanza<br />

nel costruire una coscienza antimafiosa.<br />

Fammi sapere come posso fare ><br />

* * *<br />

Ariel Paggi: < Tenendo conto degli affari che fa in tutto il paese, Sicilia<br />

compresa dovrebbe pagare la <strong>Un</strong>iccop ><br />

* * *<br />

natya migliori: < Ho letto di Graziella sulla Catena di San Libero e ho<br />

proposto un pezzo a Women in the city: mi farebbe piacere contribuire nel<br />

mio piccolo a fare un poco di casino su questa cosa che mi pare l'ennesimo<br />

sfregio all'impegno e all'onestà intellettuale ><br />

* * *<br />

antonio.baiano@fiat.com: < Si potrebbe istituire un CC per Graziella<br />

Proto, in modo che anche noi possiamo contribuire ed aiutarla? ><br />

* * *<br />

Associazione Capitano Ultimo: < L'associazione dei Volontari Capitano<br />

Ultimo si stringe attorno a Graziella Proto, che si è vista arrivare il<br />

pignoramento della casa per il fallimento della rivista "I Siciliani", giornale<br />

fondato da Peppe Fava.<br />

Mentre nelle commemorazioni ufficiali si parla del coraggio di questo<br />

giornalista e della sua rivista, sottobanco viene punita Graziella Proto,<br />

perché ha osato tentare di continuare l'opera del suo direttore tenendone in<br />

vita la memoria tramite il suo giornale.<br />

Per noi è importante che i morti non vengano dimenticati, ma che si


continui la loro lotta rimanendo al fianco di chi, in vita, porta avanti lo<br />

stesso ideale di giustizia, perché, come diceva Falcone, "Si muore quando si<br />

è lasciati soli", e noi non vogliamo essere complici di questo silenzio ><br />

* * *<br />

arci arcobaleno: < Sono Mario del Circolo Arcobaleno di Roma; ci<br />

conosciamo per via di un abbonamento a Casablanca. La sua condotta è<br />

l’AZIONE, e l’azione è la cosa che manca oggi in Italia.<br />

Mentre “penso” cosa fare, se mi mandi il suo Iban le mando i miei<br />

risparmi ><br />

* * *<br />

Giovanni Mannino: < Sono un educatore dell'Agesci Sicilia, incaricato al<br />

Settore Pace Nonviolenza e Solidarietà, referente per Libera. Sono tra i<br />

fondatori dei "I Briganti" rugby Librino e sono amico dei ragazzi della<br />

"Periferica"<br />

di Massimo Nicosia. Mi fa sempre rabbia quante cose che la gente non è a<br />

conoscenza e quanti "topi" che si sono mangiati tutto il formaggio<br />

amministrano Catania e le ns città siciliane da decenni... ormai! Mi sono<br />

permesso, dopo averlo letto l'articolo su Graziella su Peacelink, di<br />

pubblicarlo sulla pagina dell'Agesci Sicilia. Mi metto sin d'ora a<br />

disposizione per qualsiasi azione di "lotta" civile e nonviolenta, credendo<br />

che cose di questo genere succedono solo in Italia e doppiamente nella<br />

nostra Sicilia.<br />

<strong>Un</strong> forte abbraccio. I CARE ancora! ><br />

* * *<br />

Fernando Benigno: < Caro Riccardo, a nome della Scuola di formazione<br />

politica Antonino Caponnetto, esprimo tutta la vicinanza e solidarietà<br />

umana e professionale a Graziella. Lor Signori presentano sempre il conto,<br />

come metodo, a chi ha scelto di parlare, o scrivere, anzicché tacere, a chi ha<br />

scelto la libertà piuttosto che il servilismo, a chi ha scelto di avere e<br />

difendere la dignità piuttosto che svenderla. Ci impegnamo ad essere al<br />

vostro fianco per le iniziative che intraprenderete.<br />

<strong>Un</strong> saldo abbraccio a tutti voi e a Graziella in particolare ><br />

* * *<br />

giuseppegal@tin.it: < Vorrei essere informato di eventuali iniziative per<br />

aiutare Graziella Proto. Sia per promuovere la storia, sia per raccogliere<br />

fondi, sia per iniziare a contribuire con una piccola somma sperando che<br />

altri seguano >


* * *<br />

Lidia Menapace: < Davvero, aprite una sottoscrizione o indicate qualche<br />

altra cosa (una petizione, una raccolta di firme di protesta, un appello<br />

all'Ordine dei giornalisti, che so?) per aiutare Graziella, non si può stare a<br />

guardare ><br />

* * *<br />

dafne.anastasi@email.it: < Aiutare Graziella Proto non significa solo<br />

aiutare una giornalista coraggiosa, nemica della retorica e non riconducibile<br />

ad alcuna "parrocchia" politica. Significa difendere il diritto dei cittadini ad<br />

avere un'informazione libera e togliere <strong>dal</strong> cono d'ombra, antesignano della<br />

morte civile, chi per amore della giustizia e della lotta alla mafia militare e<br />

borghese, ha investito tutta la sua vita, i suoi averi, la sua faccia.Tutta questa<br />

passione civile era per noi, che ne abbiamo fruito, tratto informazioni,<br />

riflettuto e adesso siamo noi a dover ricambiare l'immenso debito di<br />

gratitudine nei suoi confronti. <strong>Un</strong> grazie a , Pino Masciari e Antimafia<br />

Duemila per aver rotto l'isolamento mediatico e pubblicato la vicenda.<br />

Forza Graziella!!! >


11 giugno 2009<br />

GIORNALE RADIO<br />

"Elezioni. Il Polo della Libertà di Silvio Berlusconi batte di misura, con<br />

poco più di due punti di vantaggio, l'Ulivo di Romano Prodi. Il Presidente<br />

Giorgio Napolitano ha dunque incaricato oggi il dott. cav. Silvio Berlusconi<br />

di formare il Governo".<br />

Ma vediamo nel dettaglio i risultati delle elezioni. Forza Italia, al 35 per<br />

cento, perde due punti (a causa soprattutto dell' astensionismo in Sicilia)<br />

mentre la Lega (10,3 per cento) ne recupera uno grazie al successo della<br />

campagna d'ordine nei paesi più tradizionalisti della Baviera. "Basta con<br />

negri, ebrei, zingari, comunisti e omosessuali": uno slogan semplice ed<br />

efficace, i cui toni gli osservatori attribuiscono alla necessità di far presa su<br />

un target territoriale non certo composto da sofisticati intellettuali ma che<br />

ovviamente non comporta alcun pericolo reale per le categorie così indicate.<br />

Il risultato complessivo, 45,3 per cento, non è certo eclatante ma neanche<br />

da disprezzare.<br />

Difficilmente tuttavia consentirà l'attuazione del programma<br />

(Totalmaggioranzen, Fuhrerprinzip, Reich millenario) che il Capo aveva<br />

espresso alla vigilia delle elezioni. In fondo, in Italia - fanno notare alcuni -<br />

il governo è appoggiato, tenendo conto delle astensioni, solo <strong>dal</strong> 26,2 per<br />

cento degli elettori: "<strong>Un</strong> italiano su quattro.<br />

E con uno su quattro si può a malapena governare, altro che fondare<br />

regimi".<br />

A livello di gossip c'è da notare che molti esponenti del Polo non<br />

nascondono in privato la soddisfazione per le dure parole pronunciate a<br />

caldo da don Angelo Bagnasco (il successore di Baget Bozzo alla guida<br />

spirituale del Polo): "Su l'ese tegnuo serrou u scagnu ("se avesse tenuto<br />

chiusa la bottega", ndr) gh'aviescimu faetu un cu cuscì ai cumunisti". Ma<br />

non è detto che il Polo sarebbe riuscito a conquistare la maggioranza<br />

assoluta anche se Noemi fosse rimasta a fare i compiti a casa sua.<br />

Molto più frastagliato, ma non meno compatto, lo schieramento<br />

dell'Ulivo, che ha mancato il sorpasso di soli due punti, attestandosi<br />

comunque su un onorevole 43,1 per cento. I Democratici (guidati stavolta<br />

da un dc combattivo e non da un "comunista"<br />

marpione) contribuiscono col 26,2 per cento. Segue Di Pietro (o meglio<br />

l'Italia dei Valori, visto che s'è finalmente deciso di abbandonare la


personalizzazione) con un ottimo 8 per cento. Poi la Sinistra, (Prc, Sl, Pdci,<br />

Verdi) con un buon 6,1 per cento (un anno fa poco oltre il 4) e infine i<br />

radicali col loro 2,4 per cento.<br />

"Combatteremo uniti, governeremo uniti, difenderemo uniti i magistrati e<br />

la legge di tutti" ha dichiarato subito Di Pietro.<br />

"Certo. E uniti organizzeremo organizzeremo il primo sciopero generale<br />

unitario di tutti i lavoratori italiani e stranieri" ha aggiunto il leader della<br />

Sinistra, Zanotelli.<br />

"Giusto. Da oggi c'impegneremo in una opposizione dura e pura - ha<br />

concluso Prodi - contro questo governo piduista e razzista, per salvare<br />

l'Italia <strong>dal</strong>la crisi facendo appello alla sua più grande risorsa umana, non i<br />

banchieri e i manager ma il popolo dei precari e dei lavoratori. Viva l'Italia".<br />

22 giugno 2009<br />

GLI STUDENTI DI TEHERAN E QUELLI DEL G8<br />

“A un certo punto decine di poliziotti ar mati sono penetrati nella scuola<br />

dove noi manifestanti avevano messo su il centro-stampa. Hanno sprangato<br />

a sangue tutti quelli che hanno trovato e li hanno portato via sanguinanti.<br />

Poi si sono accaniti sui computer e li hanno fatto a pezzi”.<br />

Siamo nella lontana Teheran, capitale del regime integralista dell'Iran.<br />

Niente di occi dentale, naturalmente. Da noi ci sono parti ti democratici, da<br />

loro gli ayatollah. Da noi la Chiesa non interviene delle faccende del lo<br />

Stato, da loro c'è una Suprema Guida che parla in nome di Allah. Da noi<br />

libere e de mocratiche “ronde”, da loro squadre fanati che di pasdaran. Da<br />

noi soprattutto non può succedere che decine e decine di oppositori vengano<br />

selvaggiamente picchiati, portati via e torturati in carcere subito dopo.<br />

Qual è il problema principale del governo iraniano, in questo momento?<br />

Far finta che tutto ciò non sia mai successo. Im porre il silenzio, censurare<br />

(o com prare) i media, schernire la stampa straniera che non si può<br />

controllare: “Nemici del l'Iran - dicono – Sovversivi, teppisti, pagati <strong>dal</strong> ne<br />

mico”.<br />

<strong>Un</strong> bel giorno, essi sperano, tutto questo sarà dimenticato; anzi,<br />

praticamente non sarà mai avvenuto. I satrapi potranno torna re<br />

tranquillamente a governare autoritaria mente, a rubare e a far festa fra<br />

cortigiani e veline nei palazzi.<br />

O forse no. Distruggere il centro-stampa di Teheran adesso non è servito a


niente. C'è Twit ter, c'è YouTube, c'è l'internet. Come si fa a sprangare anche<br />

questi?<br />

Mai la verità è stata così impopolare presso i satrapi – occidentali e<br />

orientali – come adesso. Mai è stata così palesemente (le leggi anti-cronisti<br />

qui in Italia) persegui tata in tempi moderni. Ma non è stata mai così forte,<br />

grazie all'internet: che non si può imbavagliare.<br />

Avremo, noi giovani, il coraggio (e la professionalità, la serietà, il fare<br />

rete) di servircene fino in fondo? Poveri satrapi, in questo caso, poveri papi<br />

e poveri ayatollah.


22 giugno 2009<br />

PERCHÉ BISOGNA APPOGGIARE I SICILIANI<br />

Chiediamo a Libera, all'Ordine dei Giornalisti, al sindacato, alla Lega<br />

delle Cooperative di prendere pubblicamente posizione a favore dei<br />

Siciliani e di organizzare in prima persona la solidarietà con essi. Non è<br />

solo “aiutare i Siciliani”. E' fare tutti un passo avanti, difendere una<br />

libertà sotto attacco per difenderle tutte<br />

“Il clima morale della società è questo. Il potere si è isolato da tutto, si è<br />

collocato in una dimensione nella quale tutto quello che accade fuori, nella<br />

nazione reale, non lo tocca più e nemmeno lo offende, né accuse, né<br />

denunce, dolori, disperazioni, rivolte. Egli sta là, giornali, spettacoli,<br />

cinema, requisitorie passano senza far male: politici, cavalieri, imprenditori,<br />

giudici applaudono. I giusti e gli iniqui. Tutto sommato questi ultimi sono<br />

probabilmente convinti d'essere oramai invulnerabili”.<br />

* * *<br />

E' una città del sud - anni '80 - quella di cui ci parla Giuseppe Fava. Con<br />

la sua mafia, la sua violenza, e soprattutto il suo stretto rapporto con poteri<br />

politici, imperi economici e monopolio dell'informazione. Quest'ultimo è<br />

l'anello essenziale, quello che dei vari elementi fa un Sistema. Lo sappiamo<br />

tutti. Sappiamo come funziona Catania, come funziona il sud.<br />

La novità è che oggi Giuseppe Fava non parla più di Catania. Parla di<br />

tutta Italia, parla di Milano, parla di Roma. La mafia - com'era facilmente<br />

prevedibile – ha risalito il nord. La volgarità d'un Graci o d'un Rendo<br />

riempie oggi, con altri nomi, le chronicles from Italy della stampa<br />

internazionale. Tutto ormai è dilagato dappertutto. Ancora una volta, il<br />

centro è il monopolio dell'informazione. Non solo per la rimozione delle<br />

notizie (che è ormai abituale), ma soprattutto per la decostruzione<br />

sistematica dei pensieri comuni e la loro sostituzione con altri congrui al<br />

sistema, non civili.<br />

* * *<br />

Come ci vorrebbe adesso un Giuseppe Fava, un Siciliani! Allora, la lotta<br />

sua e dei suoi ragazzi fu durissima, e non priva - per quella fase - anche di<br />

successi. Lui la pagò come sappiamo. I suoi redattori con vite durissime, ai<br />

limiti del tollerabile, fra miseria e minacce. Eppure, nessuno tradì. Molti<br />

continuarono. I Siciliani, in realtà, non sono finiti mai. Hanno strade


diverse, diversi nomi. Ma ci sono.<br />

* * *<br />

L'Ordine dei giornalisti, il sindacato (la corporazione insomma: nel senso<br />

antico e tecnico, di mestiere) negli anni di Giuseppe Fava sono stati<br />

lontanissimi da lui. Sembrava un mestiere tranquillo, una “professione”;<br />

qualcosa che garantisse insieme uno status sociale e una funzione. Che non<br />

ci sono più. “Giornalista”, in questi anni, è tornata ad essere una parola<br />

ambigua, su cui fare scelte: o Ministero dell'Informazione, o militanza<br />

civile. La nostra “corporazione”, spalle al muro, sta scegliendo ora. Alcuni<br />

pochi tradiscono; per molti invece è l'ora della dignità.<br />

La Lega delle Cooperative (di cui I Siciliani facevano parte) tradì<br />

Giuseppe Fava e i suoi redattori. Preferì fare affari con gli imprenditori<br />

collusi. Questo l'abbiamo pagato con infiniti dolori. Cosa intendono fare,<br />

dopo un quarto di secolo, coloro che la reggono ora? Possono rimuovere,<br />

certo, queste righe. Ma sappiamo che in questo momento le leggono. E<br />

aspettiamo la loro risposta.<br />

Al tempo di Giuseppe Fava, il nuovo movimento antimafia era agli albori.<br />

Noi abbiamo contribuito a fondarlo (l'Associazione I Siciliani, Siciliani<br />

Giovani, l'idea di distribuire i beni confiscati) ma da allora se n'è fatti di<br />

passi su questa strada. C'è Libera di don Ciotti e <strong>dal</strong>la Chiesa, ci sono le<br />

associazioni locali, c'è Addiopizzo. Ci sono addirittura dei politici che sono<br />

saliti a Roma o Bruxelles grazie principalmente alle tematiche antimafiose;<br />

ed interi partiti che si appoggiano ad esse.<br />

* * *<br />

Dall'Ordine e <strong>dal</strong> Sindacato dei giornalisti, dai dirigenti di Legacoop,<br />

dagli esponenti dell'antimafia civile, ci aspettiamo una pubblica e<br />

combattiva presa di posizione sul caso dei Siciliani.<br />

La sottoscrizione è già partita (l'appello è a pagina otto) e hanno già<br />

cominciato a rispondere i cittadini. Ma è evidente che non avrà successo<br />

senza l'appoggio aperto e organizzato di forze ben più grandi di noi.<br />

Servono soldi e serve appoggio politico, (forse ancora di più).<br />

La lotta dei Siciliani è stata, e in un certo senso è ancora, una delle lotta<br />

più dense del dopoguerra: contro il sistema mafioso, per l'informazione. E'<br />

un caso esemplare, un modello; e come tale va usato. Schierarsi<br />

pubblicamente coi Siciliani, qui ed ora, è la cosa più “politica" che ci sia.


3 luglio 2009<br />

I GIORNALISTI DI PRIMA LINEA E L'ANTIFASCISMO DI OGGI<br />

Neanche il secondo fascismo ama i giornalisti. Fra scan<strong>dal</strong>i e disastro<br />

economico, come si salverebbe il regime, se la gente fosse informata?<br />

Perciò propaganda e bavaglio a tutta forza. E noi? Noi giornalisti liberi<br />

abbiamo il dovere di tener duro finché non arriveranno gli altri.<br />

L'antimafia è l'antifascismo dei nostri giorni<br />

Il Pil, secondo la Corte dei Conti, "è sceso ancora dell'uno per cento e il<br />

debito pubblico ha raggiunto la cifra di 1663,65 miliardi, pari al 105,8% del<br />

Pil". Il rapporto deficit/pil è salito al 9,3 per cento. Lo Stato è sotto di<br />

almeno 34 miliardi di euri.<br />

Il governo, se ancora esiste, non ha idea di come affrontare questa<br />

catastrofe. Tira avanti giorno per giorno, fra uno scan<strong>dal</strong>o e l'altro. Ha solo<br />

due idee chiare: trovare un capro espiatorio - immigrati, stranieri – su cui<br />

scatenare gli odii, esattamente il fascismo con gli ebrei; e impedire a ogni<br />

costo che la gente sappia qualcosa. Propaganda, bavaglio, e ora anche leggi<br />

apposta antigiornalisti, servono a questo.<br />

Da questi due punti di vista è esattamente come ai tempi del fascismo. Le<br />

leggi razziali ci isolano <strong>dal</strong>l'Europa e portano a galla gli elementi più feroci<br />

del regime (ieri i Farinacci, oggi i Bossi). Il blocco dell'informazione (non a<br />

caso il governo esalta Putin e Gheddafi) produce una “democrazia"<br />

annacquata, non abolita formalmente ma resa inutile di fatto.<br />

* * *<br />

In questo quadro, il ruolo del giornalista libero è vitale. È un'area che si<br />

estende sempre più: non solo i resistenti singoli di un tempo, ma aree<br />

sempre più ampie del giornalismo “ufficiale” (non ci stancheremo di<br />

sottolineare l'importanza dello spostamento “a sinistra”, in questi mesi, di<br />

soggetti come l'Ordine dei Giornalisti e la Federazione): anche ai tempi di<br />

Mussolini i giornalisti “perbene” divennero in gran parte antifascisti.<br />

Restano tuttavia decisivi i “fanti” in prima linea, quelli di guardia nel<br />

deserto. Lasciarli soli ora è pericolosissimo, perché dietro di loro non c'è<br />

ancora una linea di resistenza organizzata e dunque non possono cedere a<br />

nessun costo.<br />

<strong>Un</strong>o, come i lettori sanno, è Pino Maniaci. “C'è un piano della mafia per<br />

eliminarmi”. “Le famiglie di Borgetto, Montelepre, Partinico, Cinisi e


Terrasini”. “Hanno dato il via libera in queste settimane”.<br />

Non sono affermazioni da poco, dette da Pino. Ci impongono solidarietà e<br />

attenzione - solo pochi politici ne hanno avuta: Lumia, la Borsellino, il<br />

solito Giulietti - ma ci chiedono anche una strategia generale, di<br />

contrattacco.<br />

* * *<br />

Poche parole ancora servono per delineare, nel fascismo-antifascismo in<br />

cui ormai viviamo, l'obbligo della solidarietà con I Siciliani. Sono stati un<br />

modello di lotta, di tener duro, di coerenza. E anche, nei momenti più alti,<br />

un modello organizzativo, da imitare. Non solo giornalisticamente<br />

(inchieste e cultura civile), ma anche politicamente, se riusciamo a dare a<br />

dare a questa parola un senso alto, da comitato di liberazione, e non da<br />

semplice affare di partiti.<br />

A metà degli anni Ottanta, e poi nel '92-93, e ancora – con altri nomi –<br />

negli anni dopo, la storia dei Siciliani (Siciliani, SicilianiGiovani,<br />

l'Associazione I Siciliani, la prima società civile militante insomma) ha<br />

costituito per l'antifascismo-antimafia di oggi ciò che i vari Gobetti e<br />

Salvemini, il Partito d'Azione, il Non mollare, furono per l'antifascismo<br />

antico. <strong>Un</strong>a radice e un nucleo, provvisorio e immaturo, da migliorare; ma<br />

solido e nettissimo, e in grado si tradursi prima o poi in resistenza generale.<br />

Per questo bisogna studiare la storia dei Siciliani, con tutti i loro limiti ma<br />

con le loro intuizioni; e solidarizzare col vecchio gruppo, che forse non fu<br />

sempre all'altezza (ma neanche i primi antifascisti lo furono) ma si batté<br />

sempre con coraggio incredibile e dedizione, spendendosi “ingenuamente"<br />

per il bene comune.<br />

Questo, nell'Italia di oggi, è un patrimonio prezioso, che non va sprecato.<br />

I Siciliani appartengono a tutti, non possono essere rimossi da nessuno.<br />

Cambiano a ogni generazione i volti e i nomi; non è neanche indispensabile<br />

che si chiamino sempre I Siciliani, né che siano sempre incarnati <strong>dal</strong>le<br />

stesse persone. La loro esistenza è tuttavia incontestabile, dopo un quarto di<br />

secolo di lotte e di dolori. E questo è davvero un miracolo, una felicità da<br />

continuare.


13 luglio 2009<br />

DIGERIRE TUTTO<br />

In Italia e in Zimbabwe il debito pubblico ha ormai largamente superato il<br />

Pil e ogni giorno che passa lo Stato è sempre più vicino, finanziariamente<br />

parlando, a eventi alquanto infelici. Nello Zimbabwe, il Presidente del<br />

Consiglio Mugabe ha sguinzagliato le ronde con l'ordine di arrestare e<br />

tradurre al suo cospetto il maledetto Pil, servo dell'Occidente e nemico della<br />

rivoluzione.<br />

In Italia, dove abbiamo un Presidente un po' più acculturato, l'ordine è<br />

stato invece di non parlar più di Pil e di tappare la bocca a chi ci prova.<br />

Esageriamo? Niente affatto.<br />

Gli economisti dell'Istat hanno lanciato, nell'indifferenza generale, un<br />

appello per difendere “la statistica ufficiale, che è un bene pubblico del<br />

Paese”. L'Istat rischia infatti di dover sospendere per mancanza di fondi i<br />

prossimi rilevamenti. Che erano, per Scajola e Tremonti, troppo frequenti e<br />

tali da dare un quadro pessimistico dello stato dell'economia. Dove tutto va<br />

invece benissimo e non c'è proprio nulla da temere.<br />

E se, come dichiara la Consob, la piccola e media industria “è a rischio di<br />

asfissia” perché “nei confronti delle grandi banche si riscontra lentezza nel<br />

mettere al centro delle strategie il servizio al cliente”, ossia - per dirla in<br />

italiano - perché le banche strozzano i piccoli imprenditori? Niente paura,<br />

basterà non parlare più neanche di Consob. E lo struzzo-italiano restarà<br />

tranquillo, col sedere per aria e la testa ficcata sotto un metro di sabbia. E<br />

allegre musichette e spot rassicuranti che lo raggiungono fin sottoterra.<br />

* * *<br />

L'italiano, come lo struzzo, ormai digerisce tutto. Patti fra mafia e Stato,<br />

trattative, per salvaguardare le quali fu assassinato – come ogni giorno che<br />

passa emerge sempre più chiaramente – il giudice Paolo Borsellino? E chi<br />

se ne frega.<br />

Puttane, redattori, protettori e politici a libro-paga - paritariamente - degli<br />

Affari Del Re, con solo qualcuna delle prime a dimostrare occasionalente<br />

(“io certe cose non le faccio”) qualche barlume di dignità? E chi se ne frega.<br />

Squadristi, mostri, lager, emigranti annegati, italians-musolini, italians<br />

duce-duce, il mondo che ci ride dietro? E chi se ne frega.<br />

“Noi tireremo diritto”. “Alalà”. “Duce a noi”. “Me ne frego”.


* * *<br />

E' in queste circostanze, di questi tempi e in questo Paese che alcuni di<br />

noi decisero di esercitare ancora, nonostante tutto, l'antico mestiere del<br />

giornalista. Gli storici troveranno ciò molto interessante, e ancora più<br />

interessante troveranno il fatto che non siano neanche mancati giovani<br />

pronti a unirsi a questa avventura. Ma forse non saranno gli storici ad<br />

occuparsi di noi in futuro ma, più sovieticamente, i manuali di psichiatria.


25 luglio 2009<br />

MISS MAFIA E MR STATO: MATRIMONIO DIFFICILE,<br />

FIDANZAMENTO LUNGO<br />

L'accordo era che ciascuno si facesse i fatti suoi, senza pretendere<br />

troppo: controllare il territorio, raccogliere un po' di voti, e soprattutto<br />

tener buoni i contadini, cioè i “comunisti”. Poi la mafia, coi soldi<br />

dell'eroina, è diventata troppo potente. Allora Andreotti ha cercato di tirarsi<br />

indietro. Ma...<br />

Lo stato, in Italia, ha sempre trattato con la mafia. Ha trattato ai tempi di<br />

Giolitti ("camorrista" per Salvemini), di Mussolini (la fine del povero<br />

Mori), del'Amgot (Calò Vizzini, Lucky Luciano), di Scelba (Giuliano e<br />

Pisciotta) e, naturalmente, di Andreotti.Quest'ultimo, come si sa, si<br />

incontrava con boss come Spatola che, con Ba<strong>dal</strong>amenti e Inzerillo,<br />

formava il triumvirato della mafia di allora. Sia Spatola che Inzerillo furono<br />

uccisi dai "Nuovi", i corleonesi. Ba<strong>dal</strong>amenti scappò in Brasile, e l'uomo di<br />

cui si fidava era Tommaso Buscetta. Falcone, mediante Buscetta, aveva<br />

l'obiettivo preciso di far parlare Ba<strong>dal</strong>amenti. Non ci riuscì.<br />

Che cosa avrebbe potuto dire – e provare - Ba<strong>dal</strong>amenti, se Falcone fosse<br />

vissuto abbastanza da convincerlo? Che l'onorevole Giulio Andreotti, capo<br />

del governo italiano, aveva come interlocutori industriali, prelati, politici, e<br />

anche i boss di Cosa Nostra. Adesso la cosa non farebbe granché scalpore,<br />

perché è una storia vecchia, e perché l'opinione pubblica non è più quella di<br />

prima. Ma nel '93, o anche qualche anno prima, sapere ufficialmente che un<br />

politico aveva commesso il "reato di partecipazione all'associazione per<br />

delinquere" Cosa Nostra, "concretamente", "fino alla primavera 1980"<br />

avrebbe fatto saltare per aria l'Italia. Altro che Mani Pulite.<br />

* * *<br />

Per questo Falcone è morto e per questo è morto Borsellino. Ovvio che ci<br />

siano entrati (come rozzamente si dice) "i servizi", pezzi di stato. Deviati,<br />

ma fino a un certo punto. In certi anni, erano quasi ufficiali.<br />

I rapporti fra Andreotti e Spatola – ossia, fuor di metafora, fra mafia e<br />

stato – non erano finalizzati a assassinii (tranne che di comunisti, che allora<br />

giuridicamente non erano esseri umani) , né ponevano a rischio l'autonomia<br />

dello stato. Erano rapporti periferici, asimmetrici, localizzati. Il mafioso, ai<br />

tempi di Spatola, al politico chiedeva cose circoscritte e locali, e il politico


gli rispondeva su questo terreno. Al massimo poteva chiedergli una strage<br />

di contadini, seppellibili in fretta e senza troppo casino.<br />

E' il tipo di rapporto che un ufficiale americano può avere oggi con questo<br />

o quel warlord afgano, di cui si conoscono benissimo le atrocità, ma che<br />

tutto sommato torna utile per tenere il territorio. "Datemi i voti – diceva alla<br />

mafia lo stato - ammazzatemi un po' di comunisti e fate quel che cazzo<br />

volete nella vostra isola di merda".<br />

Poi, verso la fine degli anni '70, i signori della guerra si sono impadroniti<br />

di testate nucleari. Cioè, oltre metafora, i mafiosi hanno messo le mani sulla<br />

totalità del traffico mandiale di eroina e sono diventati dei grossissimi<br />

imprenditori.<br />

* * *<br />

A questo punto i rapporti di forza si sono squilibrati. "Col cazzo che<br />

restiamo a fare qualche affare di merda quaggiù in Sicilia! Vogliamo contare<br />

dappertutto, vogliamo avere la nostra fetta d'Italia esattamente come tutti i<br />

vostri imprenditori".<br />

Si aggiunge, proprio in quegli anni, una diciamo così infiltrazione. Ad<br />

esempio, gli ultimi 150 inscritti alla P2 stanno in Sicilia o sono siciliani.<br />

All'estero (“golpe” Sindona) Cosa Nostra comincia a essere un interlocutore<br />

a livello alto.<br />

Quindi la partita cambia completamente. Quelli come Andreotti si<br />

spaventano, cercano di tirarsi fuori. Però è un po' tardi, anche perchè se hai<br />

aiutato il talebano a rubare una vacca e ammazzare un paio di comunisti,<br />

quello ti ricatta per il resto della tua vita e pretende, pretende, pretende...<br />

Mr Stato dice: va bene, adesso ti aiuto a rubare anche un paio di capre.<br />

Miss Mafia dice: Col cazzo. Voglio il culo della regina Vittoria, se no dò al<br />

Times le foto di te che rubi le vacche e ammazzi i comunisti insieme a me.<br />

E il ciclo ricomincia e continua, sempre più incontrollabile e sempre più in<br />

alto a ogni giro. Sta continuando tuttora.


10 agosto 2009<br />

L'OTTO AGOSTO<br />

Cronaca.<br />

“Roma, 7 agosto. Il corpo senza vita di Fatima Aitcardi, 27 anni,<br />

marocchina, ripescato ieri sera <strong>dal</strong> fiume Brembo a Ponte San Pietro, è stato<br />

identificato <strong>dal</strong> fratello Mohamed che staamattina si è presentato ai<br />

carabinieri per denunciare la scomparsa della sorella, uscita di casa ieri alle<br />

14.<br />

L'uomo, che invece è regolare e vive proprio a Ponte San Pietro, ha<br />

raccontato che Fatima era disperata: era irregolare in Italia, aveva tentato in<br />

tutti i modi di regolarizzare la sua posizione ed era terrorizzata <strong>dal</strong>la<br />

scadenza di domani, giorno in cui la clandestinità sarebbe diventata reato.<br />

Questo l'avrebbe portata a togliersi la vita”.<br />

Storia.<br />

Il giorno 8 agosto 2009 in Italia è cominciato ufficialmente il fascismo per<br />

una parte della popolazione. La legge è stata regolarmente emanata <strong>dal</strong><br />

regolare governo (anche il fascismo di allora cominciò come governo<br />

“legale”) ed è stata regolarmente firmata da Sua Maestà il Re.<br />

Non vale per ariani e padani, non ancora.<br />

Ma la storia su questo punto è molto chiara: nessuna dittatura è mai<br />

rimasta a lungo parziale.<br />

Se questa sia davvero una legge, se questo sia ancora un governo legale,<br />

saranno gli italiani a deciderlo, ognuno nella cascienza sua.


10 agosto 2009<br />

LE VACANZE INTELLIGENTI<br />

"Viva l'Italia, l'Italia che è in mezzo al mare, l'Italia dimenticata e l'Italia<br />

da dimenticare, l'Italia metà giardino e metà galera, viva l'Italia, l'Italia<br />

tutta intera"..."<br />

Dipende. Le puoi passare su un ponte-gru a dieci metri d'altezza nel<br />

tentativo di difendere, in un Milano oramai pre-industriale, il tuo e dei tuoi<br />

compagni posto di lavoro. Oppure a veder cagare dei cavalli, di cui sei<br />

appassionato collezionista, con in tasca il milione di euri che ti hanno dato<br />

per prossenare il giornale che fu di Montanelli. Nel primo caso sei un<br />

operaio, e di te non vale la pena di ricordare nemmeno il nome. Nel secondo<br />

sei il giornalista più venduto d'Italia, e hai appena finito di sputare per soldi<br />

su Enzo Baldoni (“amico dei terroristi”) o sulla moglie obsoleta del tuo<br />

signore e padrone. Dipende.<br />

Puoi essere – tutto dipende – a leggere, qui o su qualche altro povero sito,<br />

come sta andando la storia di qualche vecchio giornale, un giornale<br />

antimafia per esempio. <strong>Un</strong>a storia bellissima, per tutti gli altri: per te è la<br />

differenza fra restare ancora a casa tua oppure, ai primi freschi d'autunno,<br />

finire in mezzo una strada. In tal caso sei un redattore, o redattrice, dei<br />

vecchi Siciliani. Brutto mestiere.<br />

Oppure puoi essere in qualche posto simpatico - Hammamet per esempio<br />

- dove la vita non è poi così cara, molto meno comunque del quartiere di<br />

New York in cui hai appena comprato casa e al limite puoi usare anche<br />

quella di Craxi, che hai appena finito di pubblicamente elogiare. In questo<br />

caso. Naturalmente, se. Veltroni. Non il communista impresentabile degli<br />

anni 'Anta ma un managger moderno e cinico, possibilmente – speri te - di<br />

successo.<br />

Puoi essere – te lo auguro vivamente – un figlio di qualcuno, un hijo<br />

d'algo. Del terribile Bossi, per esempio, e in questo caso questa è la tua<br />

prima estate tranquilla negli ultimi tre anni, la prima in cui non ti hanno<br />

selvahhiamente bocciato all'esame di maturità. Il babbo politico, per<br />

premiarti, ti ha promesso un Ente, alla Fiera o all'Expò, vedremo: come i<br />

vecchi babbi diccì d'un tempo, che finite le scuole piazzavano i voraci<br />

figliuoli da qualche parte (suscitando la giusta indignazione del bue<br />

lombardo contro Roma Ladrona).


Va bene, questo è uno stanco articolo di mezz'agosto. Che altro volete che<br />

vi dica? Che c'è da dire, del resto, in quest'Italia ormai anziana che di estati<br />

ne ha viste tante (quella di Tambroni, quella di Kappler, quelle delle bombe)<br />

sopravvivendo fortunosamente - Pertini, lo Stellone, er Poppolo 'taliano – a<br />

tutto quanto?<br />

E' troppo appiccicaticcia, quest'estate, troppo d'aria pesante, troppo<br />

noiosa. Estate di vecchi film color seppia, di vacanze in colonia, di gerarchi<br />

a Forte dei Marmi o a Fregene, di “bambini salutate tutti insieme il re e il<br />

duce”. Che palle.<br />

Fino a qualche anno fa l'ideale – un ideale burino, da bauscia; ma meglio<br />

che niente – era la Milano Da Bere, il Trend, il Managment,<br />

l'Entertainment, l'America; o una Svizzera mal riuscita, di quella che<br />

s'incontrava già, da Bologna in su, in tutti quei posti già bellissimi, dai nomi<br />

antichi, che erano una volta il mio Paese.<br />

No, non è andata così. L'ideale in realtà è la sfilata, l'orbace, il capocondominio,<br />

l'ipocrisia cattolica, il portiere spia, l'odore di camerata, il “lo<br />

sapesse il duce”. Questa è l'Italia profonda, altro che cazzi. Puoi fargli tutte<br />

le democrazie e tutte le resistenze che vuoi, ma alla fine la faccdenda è così:<br />

un terzo degli italiani non sono europei, non lo sono mai stati. E ora sono<br />

quelli che ti spintonano e gridano più forte.<br />

Ok, buone vacanze. Se venite per le vacanze quaggiù in Sicilia attenti a<br />

non urtare un cadavere, quando fate il bagno. Ne sono annegati circa<br />

millecinquecento, fra l'anno scorso e quest'anno, in questo nostro bel mare<br />

di Sicilia. Africani, immigrati, negri, gente così, naturalmente: chi se ne<br />

fotte? Viva l'Italia.


10 agosto 2009<br />

RADICI DI UNA LUNGA STORIA. IL CORAGGIO DI LOTTARE<br />

Perché tanti giovani, ancor oggi, dedicano tesi di laurea, studi,<br />

solidarietà, “simpatia” ai Siciliani? Non è una storia passata, di certo<br />

rispettabile, ma che con le cose di oggi non c'entra più? No, che non lo è.<br />

L'”ideologia” dei Siciliani non è solo giornalismo, ma qualcosa in più:<br />

professionalità e militanza, e “non mollare”<br />

Sono passati molti anni da quando Giuseppe Fava fece il primo numero<br />

dei "Siciliani" eppure decine di giovani, in tutta Italia, ancora gli dedicano<br />

tesi di laurea, studi, "simpatia". Il fatto è che in tutti questi anni la storia<br />

dei Siciliani (con svariati strumenti, e attraverso diverse generazioni) non s'è<br />

mai interrotta.<br />

Noi qui a U<strong>cuntu</strong>, ad esempio, pensiamo di muoverci proprio sulla strada<br />

dei Siciliani. Ma anche gente più "strana" (il piccolo giornale di quartiere in<br />

Sicilia, il centro sociale di Napoli, l'esperto di economia di Milano) si sente<br />

più o meno legata, e spesso effettivamente lo è, alla storia dei Siciliani.<br />

Eppure i Siciliani erano un piccolo giornale e anche i soggetti civili che<br />

da essi derivarono (Siciliani Giovani, l'Associazione i Siciliani, L'Alba,<br />

ecc.), per quanto in alcuni momenti influenti, non erano dei grandi<br />

movimenti di massa. E allora?<br />

Forse un parallelo si potrebbe cercare nel filo che lega, ad esempio, la<br />

storia di Piero Gobetti al Non Mollare, al primo antifascismo torinese e<br />

fiorentino; e poi all'antinazismo militante, ormai europeo, dell'emigrazione;<br />

e al partito d'azione, ai Rosselli; e al primo partigianato, a GL, alla<br />

resistenza popolare e infine, in una larga misura, alla Repubblica.<br />

Certo, fu un'esperienza "minoritaria" anche quella; eppure si rivelò utile,<br />

per il Dna civile nel Paese, ben più di altre storie molto più "grosse".<br />

Professionalità e militanza, estremo rigore tecnico e massima apertura ai<br />

giovani e alle idee nuove; spirito di sacrificio ma non fanatismo; creatività e<br />

artigianato; diffidenza (a volte snobismo) verso i partiti classici ma elogio<br />

della politica come partecipazione civile; spirito fortemente unitario, da Cln,<br />

ma coerenza e rigore, e mai un minimo cedimento al potere. Sarebbe stata<br />

molto diversa, la storia d'Italia, senza il sale di quei piccoli gruppi di<br />

cittadini.<br />

* * *


Lo spirito dei Siciliani, in questo momento della storia, è più necessario<br />

che mai. Tribalismo, mafia, prodromi di fascismo, crisi: ciascuna di queste<br />

cose di per sé potrebbe ammazzare un Paese, e qui ci si presentano<br />

tutteinsieme. Chi non è nel Sistema (nel senso di Saviano) ha ormai<br />

introiettato da tempo una mentalità di sconfitta che lo rende incapace anche<br />

solo di pensare a una reale opposizione. Gli scan<strong>dal</strong>i, le barzellette sui<br />

gerarchi, le nostalgie sembrano l'unico modo di opporsi, qui ed ora. Chi si<br />

oppone davvero – piccoli gruppi – tende a ghettizzarsi da solo<br />

La sinistra di ora assomiglia moltissimo a quella degli anni Venti. In<br />

piccola parte connivente o corrotta, in parte molto maggiore frastornata.<br />

Non mancano gli urlatori, i ribelli a parole, i dannunziani. Dirigenti sempre<br />

più incomprensibili, chiusi in se stessi, isolati; base non rassegnata ma<br />

impotente e confusa. E però - come allora – il regime è lungi <strong>dal</strong>l'avere i<br />

plebisciti che propaganda. Lo appoggia solo un quarto della popolazione, e<br />

non sempre; una massa circa equivalente gli è ostile. La differenza è solo di<br />

volontà e di organizzazione.<br />

* * *<br />

Parlavamo di un giornale, e siamo finiti a parlare di queste cose. Ma che<br />

c'entra un giornale con la politica? E' che un giornale, un giornale vero, non<br />

può mai essere solo un giornale. La stessa ideologia “tecnica” (il buon<br />

mestiere, la precisione, la puntualità) di un giornale è di per sé<br />

immediatamente politica, molto più profondamente – spesso - della<br />

“politica” ufficiale.<br />

Lavorare, stare uniti, passar sopra alle piccole divergenze, sorridere,<br />

essere sempre efficienti o almeno cercare di esserlo, sentirsi profondamente<br />

parte di uno schieramento ampio e durevole e non di una semplice<br />

avventura, non essere osservatori ma militanti. Non rassegnarsi mai a nulla,<br />

e non illudersi mai. Governare le proprie azioni e speranze, in gruppo e<br />

singolarmente, come se vi fosse affidata la sorte di tutto. Questa era la<br />

cultura dei Siciliani. E questa serve ora.


10 agosto 2009<br />

PECORELLA & C.<br />

“Ma poi siamo sicuri che l'hanno veramente ucciso perché era contro la<br />

camorra?<br />

E chi lo dice? E se invece...”.<br />

Questo sarebbe l'avvocato-politico Pecorella, ex di sinistra e ora di<br />

Berlusconi, che parla di don Peppe Diana, il povero prete ammazzato <strong>dal</strong>la<br />

camorra nel '94. Avvocato, fra le altre cose, di camorristi: per cui non<br />

capisce se l'attacco a don Diana sia stata un'idea sua oppure no.<br />

Comunque, scoppiato il casino, Pecorella ha glissato un po', poi ha fatto le<br />

sue “scuse"<br />

ed eccolo ancora là, presidente della Commissione Parlamentare sul ciclo<br />

dei rifiuti, cioè sulla materia su cui la camorra fa i migliori affari. Il caso è<br />

chiuso, torneremo a indignarci un'altra volta.<br />

Come è chiuso il caso di Toni Zermo, che dopo la morte di Fava scriveva<br />

un giorno sì e l'altro pure che la mafia (ma c'è mafia a Catania?) non<br />

c'entrava, o di Tino Vittorio, che sulla non-mafiosità del delitto scrisse<br />

addirittura un libro (“La mafia di carta”: la vera mafia? Gli antimafiosi), o<br />

di Mario Ciancio, contro il cui monopolio Giuseppe Fava fece prima il<br />

Giornale del <strong>Sud</strong> e poi i Siciliani.<br />

Tanti anni dopo, Zermo fa ancora l'editorialista, Vittorio l'intellettuale<br />

nobile da convegno, e Ciancio fa ancora Ciancio. Facile prevedere che<br />

anche Pecorella, passato il breve infortunio, continuerà tranquillamente a<br />

fare il suo mestiere.<br />

È bella la solidarietà per i Siciliani, specialmente quando viene da<br />

giornalisti, politici, pensatori e in genere da “persone importanti”. Da loro<br />

però io preferirei avere un pensiero commosso in meno per “i ragazzi di<br />

Fava”, e una citazione in più per coloro che, senza sparare, tentarono in tutti<br />

i modi di eliminare Giuseppe Fava anche da morto, e sono ancora qui.<br />

Meno lacrime per i don Diana, e più galera per i Pecorella.


19 agosto 2009<br />

E SE DOPO L'ESTATE, COSÌ ALL'IMPROVVISO, ARRIVASSE<br />

L'AUTUNNO?<br />

C'è chi l'ha fatto occupando una fabbrica (addirittura in cima alla gru), il<br />

ferragosto. Che pazzi, che disperati. Eppure, fra la sorpresa generale,<br />

hanno vinto. Hanno salvato la loro fabbrica, alla faccia di padroni e<br />

politici, e hanno dimostrato qualcosa che tutti si sforzano di far<br />

dimenticare: che gli operai esistono, che sono indispensabili e tanti, e che<br />

quando alla fine si muovono qualcosa di molto “strano” può ancora<br />

accadere<br />

Questi che vedete qua sopra sono esemplari rari, almeno ufficialmente,<br />

per due motivi. <strong>Un</strong>o: prima di tutto, sono operai. <strong>Un</strong>a categoria che, stando<br />

alla tv e ai giornali, non c'è più. Esistono i bianchi, i neri, gli immigrati, i<br />

padani, i rumeni, i laziali e tutto il resto ma quelli che fanno le cose, che<br />

materialmente lavorano, in quanto comunità percepibile non esistono più. Il<br />

concetto di “operai”, da un certo momento, in poi, è stato abolito dai media<br />

e sostituito con altri più malleabili (i “popolani” di Bossi,per esempio).<br />

Due: questi sono operai vincenti. La loro fabbrica, la Innse, nella Milano<br />

“finanziaria” (= biscazziera) e non più industriale di questi anni, doveva<br />

chiudere per una speculazione edilizia. La “politica” non è intervenuta, per<br />

la buona ragione che non esiste più (la Moratti e Formigoni non sono più<br />

politici come Aniasi o Bassetti ma semplici mediatori d'affari).<br />

E allora? Far ronde, trovare un capo espiatorio, prendersela con qualche<br />

zingaro o lavavetri? No. Seguendo l'antica ricetta del nonno, gli operai<br />

dell'Innse si sono organizzati fra di loro, non hanno accettato i patti. Hanno<br />

occupato un pezzo di fabbrica – cinque di loro si sono addirittura piazzati in<br />

cima alla gru – e hanno passato l'estate così, lottando. Non per qualche idea<br />

straordinaria (anche per quella, a pensarci bene) ma semplicemente per<br />

difendere se stessi, il loro lavoro. Sapendo che se non ci pensavano loro, e<br />

quelli come loro, non ci avrebbe pensato nessun altro.<br />

Questo è l'evento politico dell'estate. I politicanti più abili, cioè la Lega,<br />

hanno capito subito la pericolosità mortale, per loro, dell'evento. E hanno<br />

subito gridato alla coartata libertà del padrone, all'indisciplina operaia,<br />

all'orribile - all'orizzonte - lotta di classe.<br />

E' giusto: il loro mestiere di crumiri (altro che “popolani”: loro sono


quelli che hanno lasciato smantellare le fabbriche della Lombardia<br />

distraendo la gente con gli “al negro al negro”) li porta a capire prima degli<br />

altri queste cose. Non a caso sono stati loro, cinque anni fa, a denunciare:<br />

“Alla Zanussi, oltre metà sono stranieri!”.<br />

Questo è lo scontro vero. I potenti hanno paura degli operai, come sempre<br />

ne hanno avuta. Altro che veline e ronde: chi vive di lavoro, prima o poi,<br />

vuole più libertà e più benessere, e - unito con gli altri – in realtà li può<br />

ottenere. Ed ecco perché le parole “fabbrica”, “lavoro”, “operai” sono state<br />

proibite da lor signori: difficile che le troviate sui loro giornali e sulle loro<br />

tv.<br />

Ma sono le nostre parole. Più soldi a chi lavora, più società nelle<br />

fabbriche, più Marx (bestemmio?) e anzi, subito, più Keynes nel Paese. E,<br />

qui al sud, più Italia, cioè più Stato del popolo, cioè lotta finale al Sistema<br />

mafioso. Utopie?<br />

Va bene. Fra poco verrà l'autunno: dici che rinfresca un po'? Anche l'<br />

“autunno caldo”, quando io ero giovane - qualche anno fa - non se lo<br />

aspettava nessuno. Eppure.


31 agosto 2009<br />

L'ITALIA DI ENZO BALDONI<br />

Ma sì, per una volta lasciamoli perdere i mafiosi, i “papi" rimbambiti e i<br />

Calderoli. Pensiamo a persone serie, invece. Incomincia l'autunno,<br />

incomincia bene – coi lavoratori che iniziano a difendersi <strong>dal</strong>la crisi e<br />

votano a sinistra in Germania e in Giappone – e anche noi, qui,<br />

cominciamolo con fiducia e allegramente. Alla maniera di Enzo. E vai!<br />

Quanto tempo è passato dai tempi di Baldoni?<br />

Sembrano cinque anni, ma sono molti di più. <strong>Un</strong> secolo, è passato, fra<br />

l'Italia civile e pacifica che trottava sugli scarponi di Enzo e l'agglomerato<br />

impaurito e feroce che vediamo ora. Di Enzo, rimane la buona e incuriosita<br />

scrittura da "dilettante" da "viaggiatore" (parole profondissime, antiche<br />

nella cultura italiana: ora spazzate via, coi corrispondenti concetti,<br />

<strong>dal</strong>l'assoluta non-traducibilità in italish); il sorriso mite e serio, da italiano<br />

che ha viaggiato; e quel coraggio autoironico, da Don Camillo o Peppone,<br />

alla "io-ci-provo" (non fu mica facile ammazzarlo: ci si dovettero mettere in<br />

più d'uno, contro l'omone bonario che si difendeva la vita).<br />

* * *<br />

Baldoni, da questa Italia di ora, ha avuto il miglior premio che ci si<br />

potesse aspettare: la dimenticanza.<br />

In questo paese da barzelletta, con Milano capitale della prostituzione<br />

minorile e della coca, con Napoli della caccia ai gay, con Roma e il suo<br />

buffo sindaco fascista, con i nazisti al governo e il governo mezzo casino e<br />

mezzo governo, che cosa c'entra gente come Baldoni? Ovvio che lo<br />

cancellino, che non ne parlino più, che cerchino di farlo dimenticare.<br />

Per noi ricordare Baldoni vuol dire due cose precise, una “cattiva” e una<br />

buona.<br />

Quella “cattiva”: il Feltri che ora ricatta i preti (per un milione di paga)<br />

per conto di Berlusconi è lo stesso Feltri che allora calunniò in tutti i modi<br />

possibili il “terrorista"<br />

Baldoni. "Vacanze intelligenti", "Il pacifista col Kalashnikov" e infine<br />

"Colpo in testa a Baldoni" furono allora i titoli di Feltri su Baldoni. Non<br />

credo che allora gli dessero già un milione per fare queste cose e sarei<br />

curioso di conoscere la cifra esatta.<br />

* * *


Ma queste sono miserie. Il motivo vero per cui ricordiamo Baldoni è che<br />

egli è uno di noi, un essere umano libero, e un giornalista.<br />

<strong>Un</strong>o che faceva le cose, mica se ne stava a casa a piagnucolare “non si<br />

può fare”. Se avessimo ancora spazio, diremmo che cose alla Baldoni nel<br />

mondo, in questo momento, per chi sa vederle ci sono. Gli operai tedeschi<br />

che votano per la sinistra combattiva. Il Giappone dove la borsa sale, sale la<br />

disuccupazione – e la gente massicciamente vota a sinistra. L'Italia... Ma ne<br />

riparleremo in autunno.


12 settembre 2009<br />

GIORNALISTI IN PIAZZA PER LA LIBERTÀ<br />

Anche noi di U<strong>cuntu</strong> saremo alla manifestazione indetta per il 19 <strong>dal</strong>la<br />

Federazione della stampa (il sindacato unitario dei giornalisti). È una di<br />

quelle manifestazioni che non si dovrebbero mai fare se non in paesi come<br />

la Russia o la Colombia, dove la libertà non esiste e il giornalismo è<br />

vietato.<br />

Eppure ci tocca farla in Italia, paese occidentale e “democratico”, dove<br />

però la libertà di stampa è in pericolo ed ha bisogno urgente dell'intervento<br />

attivo dei cittadini.<br />

Per noi dell'antimafia, tuttavia, non è poi così importante l'appello dei<br />

giuristi e nemmeno la cacciata di Boffo e le minacce a Repubblica. Sono<br />

tutti episodi gravissimi ma che però, nell'Italia normale, sarebbero appunto<br />

rimasti episodi, non paragonabili con gli assassini dei giornalisti in Sicilia o<br />

coi trent'anni di monopolio di Ciancio o col sistematico strangolamento di<br />

tutti i giornali siciliani d'opposizione; né con la cancellazione di intere<br />

generazioni di giovani giornalisti, da quelli degli anni '80 a quelli delle due<br />

ultime generazioni.<br />

Tragedie imparagonabili, fino a poco tempo fa, alle traversie della stampa<br />

nazionale; e che pure abbiamo dovuto affrontare da soli.<br />

Ma quello che era il dramma privato della Sicilia - il giornalismo vietato,<br />

l'uso della minaccia e violenza, il monopolio brutale – adesso è diventato lo<br />

stigma dell'Italia intera.<br />

Il fascismo mafioso, caratteristica nostra che si poteva credere locale,<br />

adesso è nel Paese intero. Perché di fascismo si tratta – già diretto e<br />

squadristico per le minoranze “inferiori”, ottuso e prepotente per tutti gli<br />

altri - e non d'altra cosa.<br />

Le cosiddette “leggi” razziali sono illegali, esattamente come lo erano nel<br />

1938. Gli ordini impartiti a militari, di agire contro le convenzioni<br />

internazionali e le leggi del mare, sono illegali tanto quanto quelli cui<br />

disubbidivano, sfidando il duce, i migliori ufficiali della Regia Marina e del<br />

Regio Esercito. La pestilenza morale – prostituzione di massa fra i giovani,<br />

corruzione di massa fra i vecchi, vigliaccheria di massa fra i cittadini – che<br />

sempre più segna le cronache cittadine, è quella del vecchio paese dei re e<br />

dei duci.


Perciò scendiamo in piazza , in questo momento tragico della Nazione,<br />

non per difendere corporazioni o vecchi senatori, ma per pietà della patria<br />

che sta marcendo viva. È una battaglia durissima, che non ha bisogno di Vip<br />

ma di giovani cittadini.<br />

Non ha importanza se aderiscono o non aderiscono il famoso personaggio<br />

mediatico o il grande scrittore. Saranno ben altri a decidere, quelli che<br />

umilmente tengono, nel nord e nel sud del Paese, contro i delinquenti<br />

mafiosi e contro i criminali razzisti, la prima linea dell'Italia libera,<br />

dell'Italia civile, dell'Italia buona.


23 settembre 2009<br />

NUESTRA REPUBLICA<br />

Il 3 manifesteremo con tutti gli altri giornalisti per – come si dice -<br />

“difendere la libertà” -. È una parola grossa. Ma a volte le parole grosse<br />

sono adeguate. Lavoro, scuola, libertà di stampa – pilastri dell'Italia<br />

moderna – sono minacciati<br />

La nostra Repubblica era basata tradizionalmente su tre cose: il lavoro, la<br />

scuola e la libertà. Lavoro diritto-dovere di tutti, cittadinanza reale, dignità.<br />

Scuola gratis per tutti, perché nessun cucciolo, per qualunque motivo,<br />

cadesse fuori <strong>dal</strong> branco: trasmettere le conoscenze – antichissimi istinti - e<br />

proteggere i bambini. La libertà finalmente, la libertà spesso citata in toni<br />

buffi o reboanti (come ad Atene, del resto) ma che tuttavia viveva nelle vie e<br />

nei mercati. Per tre generazioni, in questa Repubblica, ognuno ha potuto<br />

dire ciò che voleva.<br />

I vecchi ricordavano benissimo di quando questa libertà non c'era. Si<br />

poteva sorridere del gerarca, passarsi – con poco rischio - le barzellette sul<br />

duce, far finta di salutare romanamente con un pigro e disimpegnato cenno<br />

della mano. Si potevano fare tutte queste cose, ed altre ancora. Ma ciascuno<br />

sapeva benissimo di non potere spingersi oltre, e soprattutto sapeva di non<br />

contare un cazzo. Tre soli esseri umani contavano qualcosa in Italia: il Papa,<br />

il Duce e il Re. Tutti gli altri, sudditi. <strong>Sud</strong>diti malcontenti, sudditi puttanieri,<br />

sudditi tutto sommato contenti, sudditi (persino) eroici, sudditi - i più -<br />

affogati nell'epica casalinga della sopravvivenza quotidiana. Ma sudditi tutti<br />

quanti senza eccezione, minorenni tutta la vita.<br />

Noi non vogliamo tornare a quel tempo, abbiamo lucidità sufficiente per<br />

individuare i sintomi di quel male. Repubblica di Ezio Mauro è il Corriere<br />

di Albertini. I giovani antimafiosi calabresi sono i socialisti di allora,<br />

perseguitati dagli scherani del regime. I Dell'Utri e i Feltri sono i Farinacci e<br />

i Dumini. Non sapete questi nomi? E studiateli, per Dio! Siete dei cittadini.<br />

Scendiamo in piazza il 3 ottobre, noi di U<strong>cuntu</strong>, per riaffermare questi<br />

principi. Ma scendere in piazza è il meno. Per noi, che non abbiamo<br />

scoperto la libertà oggi, quel che conta di più è il minuto e costante impegno<br />

quotidiano. È bello annunciare che è pronta finalmente la grande inchiesta<br />

sui giovani musicisti di una città siciliana, e che siamo in grado di dargli un<br />

punto concreto d'incontro. C'è voluto un agosto intero di lavoro, per ottenere


questo, ma noi l'abbiamo fatto.<br />

La civiltà del fare, del lavorare, del guadagnarsi la libertà, è quella a cui<br />

noi orgogliosamente apparteniamo. Come i nostri amici di Modica, col loro<br />

piccolo e agguerrito giornale “Il Clandestino”. Come i ragazzi di Locri,<br />

ormai molto lontani dai giornali, ma che ancora sono lì. Come le decine e<br />

centinaia di compagni che in questo stesso momento non solo sperano, non<br />

solo pensano, ma concretamente lavorano per questa o quella piccola o<br />

grande cosa utile a tutti. Questa è la nostra Repubblica, questa è la nostra<br />

Costituzione viva. Questa difenderemo da chiunque con qualunque mezzo.<br />

8 ottobre 2009<br />

DISPERATO QUEL POPOLO CHE NON HA CITTADINI E POLITICI<br />

MA SOLTANTO EROI<br />

<strong>Un</strong>a tragedia da terzo mondo in Sicilia. Non è la prima. E ci sono tutte le<br />

condizioni (per esempio a Letojanni) perché non sia l'ultima. Eppure<br />

nessuno interviene. E se qualcuno denuncia non viene ascoltato. Perché in<br />

Sicilia i politici sono così irresponsabili, e il popolo così disattento? E'<br />

Bangladesh o è Italia? E di chi è la colpa?<br />

Non c'è molto da dire. Ha piovuto, tutto qua. Nel Bangladesh quando<br />

piove più di tanto è una tragedia. Anche qui, in Europa. Almeno nel nostro<br />

pezzo d'Europa.<br />

“La colpa è dei politici”: certamente. A Messina c'è stato un centrosinistra<br />

e un centrodestra, entrambi (per ragioni locali) padronali. Non sembra che<br />

nessuno dei due abbia pensato – prima – a Giampilieri o in generale a cosa<br />

può succedere alle borgate.<br />

Adesso pateticamente si discolpano; alcuni, forse parecchi, in buona fede.<br />

Chiedono, in buona fede, funerali di Stato. Saranno eletti di nuovo, alle<br />

prossime elezioni.<br />

E questo, qui in Bangladesh, è abbastanza normale. I politici sono notabili<br />

che rappresentano semplicemente i più ricchi del paese, imprenditori e<br />

costruttori. L'elettorato, del resto, non ha le risorse culturali necessarie a<br />

controllarli. Non perché sia analfabeta; al contrario: perché è fin troppo<br />

acculturato. “Politici? Tutti uguali”. “Io? E io che c'entro, che ci posso<br />

fare?”. “A mia m'interessa 'u travagghiu ppi mme figghiu e basta”.<br />

Il Bangladesh dei politici alimenta il Bangladesh culturale. Entrambi,<br />

prima o poi, producono il Bangladesh fisico, quello che i popoli fortunati


guardano alla tivvù. Noi siciliani di solito siamo <strong>dal</strong> lato sbagliato del<br />

televisore, quello delle vittime da intervistare in tono commosso. In gran<br />

parte, per libera scelta nostra.<br />

Non abbiamo politici in Sicilia, e forse non abbiamo neanche elettori.<br />

Invero abbiamo eroi, questo sì: i Falcone, i Borsellino, i Pio La Torre; e oggi<br />

i Simone Neri, il giovane che spontaneamente s'è gettato a salvare sei, sette<br />

vittime – e all'ottava non è riuscito più a tornare indietro ed è morto.<br />

Non è mai mancato il coraggio, in Sicilia. Ma sarebbe meglio se Simone<br />

fosse ancora vivo, se non avesse mai avuto occasione di misurarsi con una<br />

tragedia così disperata, da tempo di guerra. Sarebbe bastato poco. Ma quel<br />

poco, qui in Sicilia, non è stato fatto. Così tocca a Simone, e agli altri come<br />

lui.<br />

* * *<br />

Sarà la magistratura, speriamo, a dire le responsabilità dei politici, che<br />

sono individuali, anche se infine riflettono l'intero sistema; e degli<br />

amministratori, dei funzionari, delle varie categorie della società che<br />

avrebbero dovuto intervenire e non l'hanno fatto.<br />

Ma una categoria ci sentiamo, moralmente, di condannare anche subito<br />

senza aspettare nessuno: quella dei nostri colleghi giornalisti dell'unico e<br />

ricco quotidiano locale, la Gazzetta del <strong>Sud</strong>. Perché non hanno scritto? Non<br />

dopo, con la commozione; ma prima, freddamente, da giornalisti. Dare<br />

l'allarme in tempo, era loro dovere; giornalisti minuscoli (quelli di<br />

Tempostretto, di Terrelibere, della rete No Ponte) l'hanno pur fatto.<br />

Eppure, se a Messina incontraste un giornalista di Tempostretto o un<br />

“politico” dei No Ponte, lo guardereste <strong>dal</strong>l'alto in basso, con degnazione.<br />

Davanti a un caposervizio della Gazzetta o a un segretario di Forza Italia o<br />

dei Ds o di An, invece, v'inchinereste umilmente e con gran rispetto, pronti<br />

a applaudire e a votare senza esitare un momento.<br />

Ci sono, a Messina e altrove, giornalisti e “politici” che sono degni di<br />

stima, di essere ascoltati. Il loro dovere, di fronte a Simone e a tutti gli altri<br />

morti di Giampilieri, è di non scoraggiarsi mai, di essere coerenti, di stare il<br />

più possibile uniti; e di non disprezzare mai neanche per un istante il popolo<br />

che hanno scelto di servire. Quel popolo un giorno, forse, si sveglierà. Ma<br />

fino a quel momento tocca a loro e soltanto a loro tenere botta, ai pochi, ai<br />

consapevoli, ai liberi cittadini.


8 ottobre 2009<br />

LAVORATORI... PRECARIII... PRRRRR!...<br />

Berlusconi e Tremonti sono pentiti: non è più vero che bisogna<br />

“mobilizzare” tutto e che il sistema “moderno” è quello senza posti di<br />

lavoro fissi. Addirittura dicono che il sistema dei precari non funziona.<br />

“Meglio tardi che mai”. “Oh com'è buono lei”. “Bontà sua, signor conte”.<br />

Sì, ma allora? Mica i precari stanno meglio di prima. Mica è cambiato<br />

qualcosa. E la sinistra? Se finalmente si svegliasse e aprisse una battaglia<br />

seria sul precariato e sul lavoro?<br />

"Non credo che la mobilità sia un valore. Per una struttura sociale come la<br />

nostra, il posto fisso è la base su cui costruire una famiglia. La stabilità del<br />

lavoro è alla base della stabilità sociale". Non lo dice uno della Fiom o dei<br />

Cobas, ma il principale ministro (e aspirante successore) di Berlusconi. Il<br />

quale si affretta a raddoppiare: “Precari io? Nooo... Sono perfettamente<br />

d'accordo con Tremonti”.<br />

I precari, in questi ultimi mesi, hanno preso pernacchie, calci nel sedere e<br />

– spesso e volentieri – colpi di manganello in testa. E non è che nei quindici<br />

o vent'anni precedenti le cose gli siano andate meglio. Questa, dagli anni<br />

Novanta in poi, è stata una repubblica fondata sugli imprenditori, gli unici<br />

autorizzati a prendere decisioni, gli unici ad avere dei diritti. Sindacato,<br />

collocamento, salario, statuto dei lavoratori, contrattazione collettiva, posto<br />

di lavoro: tutte cose terribili, da fannulloni, forse anche da comunisti.<br />

Così è nato il paradiso degli imprenditori, il “libero mercato”. Che da noi<br />

prima è stato tradotto in lavoro nero (o elegantemente “sommerso”) e poi in<br />

“mobilità” e “modernizzazione”, ossia precariato.<br />

In questo paradiso hanno beatamente arpeggiato tanto gli imprenditori di<br />

destra che hanno privatizzato tutto alla maniera della scuola di Chicago<br />

(non quella di Friedman, ma quella di Alfonso Capone) quanto quelli<br />

“liberali” il cui liberalismo si estrinsecava soprattutto nel mandare<br />

liberamente miliardi di euri in nero nei vari paradisi fiscali.<br />

I bei risultati si sono visti: l'Italia, che era diventata una potenza<br />

industriale a forza di lavoro serio, qualificato, di massa e sindacalizzato, è<br />

scesa sotto la Spagna e scende ancora.Le industrie sono finite in Cina, gli<br />

operai a spasso e gli industriali ai tavoli di poker o della Borsa, che è lo<br />

stesso. L'Italia privatizzata degli anni Duemila ha molto meno benessere, in


proporzione, dell'Italia “cattocomunista” anni Sessanta.<br />

A tutto ciò la sinistra (ma vuole ancora essere chiamata così? Bersani dice<br />

che ogni tanto si può anche dire, e perciò mi permetto) ha contribuito<br />

adottando sostanzialmente la mitologia del “privato è bello” e della<br />

precarizzazione. Tocca a lei disgraziatamente, rimettere in piedi il Paese<br />

tornando prima o poi alle ricette antiche. Per farlo dovrà tornare ad avere<br />

dai ceti produttivi (compresi i disprezzati operai) la fiducia che aveva una<br />

volta.<br />

Difficilmente ci riuscirà cambiando calzini o disquisendo amabilmente<br />

sull'eventualità di tenere o meno dentro il partito una franchista fanatica (da<br />

Francisco Franco, capo del fascismo spagnolo e propugnatore, fra l'altro,<br />

dell'Opus Dei) come la Binetti.<br />

Due notizie veloci, per finire: il giorno in cui la Binetti contribuiva a<br />

bocciare la legge per difendere i gay, nella classica Canicattì i due classici<br />

sedicenni gay sono stati mandati all'ospe<strong>dal</strong>e dai classici compagni di scuola<br />

educati - anche <strong>dal</strong>la Binetti - a pane e dagli-ai-froci.<br />

In provincia di Parma, alla Spx di Sala Baganza, di fronte a un<br />

normalissimo sciopero delle operaie, il padrone non solo ha confermato tutti<br />

i licenziamenti, ma ha mandato delle guardie armate (armate di armi da<br />

fuoco) per intimidirle.<br />

Se l'avessero fatto gli operai si sarebbe parlato, giustamente, di<br />

terrorismo. Invece gli imprenditori possono permettersi questo ed altro.


31 ottobre 20009<br />

NOTIZIE DA CATANIA<br />

Catania uno<br />

Data: 30 ottobre 2009 07.08<br />

Oggetto: Catania/ Ultimora<br />

Poco fa la polizia ha sgomberato il centro popolare "Experia", un vecchio<br />

cinema (di proprietà della Regione) che da diciassette anni costituiva uno<br />

dei pochi posti di aggregazione dei quartieri popolari catanesi.<br />

I ragazzi lo avevano ristrutturato completamente, trasformando il locale<br />

fatiscente nel centro propulsore di attività civili - doposcuola, giocoleria,<br />

sport, ecc. - che contrastavano efficacemente la presenza mafiosa nei<br />

quartieri, dove l'Experia costituiva una delle pochissime zone libere da boss<br />

e droga.<br />

Le forze dell'ordine sono arrivate all'alba, caricando con violenza e senza<br />

preavviso. Mi segnalano diversi ragazzi feriti. Lo sgombero è stato deciso<br />

<strong>dal</strong> dottor Serpotta, magistrato catanese non particolarmente distintosi<br />

nell'attività antimafia, e preceduto da una campagna di stampa di Alleanza<br />

Nazionale, che a Catania governa da anni coi risultati che conosciamo.<br />

È una giornata difficile per l'esile democrazia catanese e i giovani<br />

dell'Experia fanno appello alla solidarietà di tutti i democratici e gli<br />

antimafiosi.<br />

Riccardo Orioles<br />

* * *<br />

Catania due<br />

Siamo a Catania, si elegge il nuovo presidente della FAI, la Federazione<br />

degli Autotrasportatori, e la scelta cade su Angelo Ercolano: l’ultimo<br />

rampollo (incensurato) della principale famiglia mafiosa della città. Lo zio<br />

Pippo è il reggente della cosca Santapaola (Nitto è suo cognato); il cugino<br />

Angelo invece sta all’ergastolo per aver ammazzato Giuseppe Fava. Per<br />

decenni la famiglia Ercolano ha investito i propri denari nella ditta di<br />

trasporti, l’Avimec, poi confiscata per mafia. E non c’è subappalto per<br />

movimento terra, da queste parti della Sicilia, che sia sfuggito alla premiata<br />

ditta Ercolano.<br />

Il vecchio boss Pippo, buon amico dell’editore Mario Ciancio, fu arrestato<br />

proprio in un sottoscala ricavato negli uffici della sua azienda, ha già scritto


Walter Rizzo su l’<strong>Un</strong>ità. E anche Nitto Santapaola da latitante si spostava<br />

nascosto dentro i camion dell’Avimec. Adesso il nipote Angelo (fedina<br />

penale immacolata), titolare della «<strong>Sud</strong> Trasporti s.r.l» (azienda pulita),<br />

rappresenterà 1.500 trasportatori catanesi.<br />

Non so come la prenderemmo se al nipote (incensurato) di Cutolo<br />

avessero appaltato la ricostruzione de L’Aquila, o se al cugino (incensurato)<br />

di Francis Turatello avessero affidato il Casinò di Sanremo.<br />

Stupisce che nessuno si stupisca. E che il Giornale di Feltri distribuisca<br />

invece un opuscoletto <strong>dal</strong> titolo “Dossier Sicilia"<br />

sull’isola operosa e spregiudicata che tanto piace al padrone di quel<br />

quotidiano.<br />

In copertina c’è proprio la foto di Angelo Ercolano. La Sicilia che piace.<br />

Claudio Fava


31 ottobre 2009<br />

CATANIA CAPITALE! A NOI NERONE E ADOLF CI FANNO UN<br />

BAFFO<br />

Nel giro di ventiquattr'ore a Catania succede che: uno dei più stimati<br />

professori dell'università viene sorpreso a ricattare una studentessa; il<br />

giornale che proteggeva i cavalieri mafiosi si mobilita per discolparlo; la<br />

polizia massacra a manganellate i ragazzi dell'unico luogo d'incontro dei<br />

quartieri popolari, rei di fare antimafia e antidroga in mezzo al regno dei<br />

boss. Altro che Norimberga del Terzo Reich: le régime, c'est nous!<br />

Sarà violenta Napoli, sarà craavattara Milano, sarà marpiona Roma, ma<br />

quello che trovi qui a Catania non lo trovi in nessun'altra città d'Italia.. Altro<br />

che Marrazzo e altro che Berlusconi: qua i vecchi bavosi li mettono<br />

direttamente a far scuola di vita all'università. “O me la dai o l'esame te lo<br />

scordi!”. E se quella reagisce, subito arriva l'altro vecchio bavoso (questo<br />

non professore ma pennaiuolo) e ti scatena una campagna che in confronto<br />

Feltri è un chierichetto. “Bottana! A quel povero professore! Proposte<br />

oscene e ribottanti, gli facesti!”.<br />

E se invece di essere un vecchio bavoso sei una ragazza o un ragazzo<br />

normale, amante della vita, con voglia di fare sport, di cantare, ballare, stare<br />

allegro alla faccia dei boss? Prima o poi arriveranno le guardie a riempirti di<br />

legnate in testa e a chiuderti a suon di botte lo spazio sociale che hai<br />

faticosamente costruito in più dei quindici anni e che è l'unico spazio libero<br />

del tuo quartiere, l'unico in cui boss e spacciatori non possono mettere<br />

piede. Il che, nella città dei vecchi immafiositi e bavosi, è un gran reato. E<br />

pertanto, giù botte.<br />

Come sono allegri e simpatici, i giovani di Catania. Potrebbero avere il<br />

paradiso in terra, e certe volte lo sanno. Potrebbero, se a comandare la loro<br />

città non fossero questi vecchi incartapecoriti e feroci, gocciolanti di bile,<br />

istintivamente nemici di tutto ciò che sia gioventù e divertimento. “Si deve<br />

soffrire, a Catania!”, sussurrano feroci. E giù bastonate, intrallazzi, a volte<br />

anche colpi di pistola.<br />

* * *<br />

<strong>Un</strong> “professore” come Elio Rossitto insegna regolarmente in questa<br />

università e ne è anzi una colonna. <strong>Un</strong> “giornalista” come Toni Zermo, che<br />

quindici anni fa aiutava i mafiosi a nascondere il delitto Fava, è ancora la<br />

principale firma dell'unico giornale della città. Bische, bordelli, spacci di


cocaina, salotti-bene e benissimo, camere di compensazione degli appalti,<br />

mercati di carni umane d'ogni genere prosperano tranquillamente in questa<br />

città. I doposcuola dell'Experia, le giocolerie, le “officine popolari” di<br />

biciclette, quelle no, non possono essere tollerate, e vengono senz'altro<br />

distrutte d'autorità, chiuse con la fiamma ossidrica, murate col cemento.<br />

“Anche voi poliziotti avete figli e fratelli qui nel quartiere...”. “Io, che ho<br />

imparato lo sport al Gapa e adesso l'insegnavo ai ragazzini qui<br />

all'Experia...”. “Non avete nemmeno portato un'ordinanza, non è legale...”.<br />

“I quartieri hanno bisogno di sport e di giochi, non di violenza”. Seri e<br />

civili, i poveri di Catania, gli “estremisti arrabbiati” espongono le ragioni<br />

della civiltà contro i padroni della città. Non lasciateli soli.


27 novembre 2009<br />

FABBRICHE CHIUSE, MAFIA NEL SISTEMA<br />

L'ANNO DELLA RESA DEI CONTI<br />

La crisi, da finanziaria, è diventata industriale; e tocca il massimo<br />

adesso. Gli elementi mafiosi, da truppa di complemento, diventano<br />

componente essenziale del sistema. Nell'economia, tornare a prima di<br />

Keynes; nella società, tornare a prima di Falcone. Questi sarebbero gli<br />

obiettivi di lor signori. Ma la partita, a dispetto di tutto, è ancora aperta<br />

Le cose quando precipitano succedono tutte in una volta. Che, in bene o<br />

male, il sistema stia andando a una decisione è evidente. Dal nostro punto di<br />

vista – dell'antimafia sociale – gli eventi più importanti sono due: la crisi<br />

industriale e l'integrazione ufficiale di pezzi di mafia nel sistema.<br />

La crisi industriale (la produzione dei beni, l'occupazione, ecc.) è ormai al<br />

suo culmine, e comincia a prendere connotati diversi <strong>dal</strong>la crisi finanziaria.<br />

Quest'ultima, <strong>dal</strong> punto di vista delle banche, è data oramai per “superata”;<br />

ma non lo è affatto, e tende anzi a diventare stabile, per i consumatori e i<br />

produttori. Il sistema industriale che ne risulta, innestandosi sugli<br />

outsourcing degli ultimi dieci anni e sulle delocalizzazioni degli ultimi<br />

cinque, è completamente diverso da quello di prima della crisi: adesso è<br />

puro Ottocento.<br />

Le fabbriche occupate (con i padroni che cominciano ad attaccare le<br />

occupazioni con squadre armate) diventano sempre più un elemento<br />

“normale”, ancorché censurato, del panorama (qui in Sicilia, a Termini, gli<br />

operai hanno occupato il comune e eletto un loro “sindaco”).<br />

Rompere il silenzio dei media sulla crisi industriale è ora un obiettivo<br />

essenziale dell'informazione <strong>dal</strong> basso. In questo senso vanno appoggiate<br />

iniziative come quelle di CrisiTv.<br />

L'altro elemento catastrofico, l'integrazione ormai aperta di pezzi di mafia<br />

nel sistema, è ormai evidentissimo in una serie di fatti: la candidatura alla<br />

regione Campania, e la difesa a oltranza su tutti i fronti, di un camorrista<br />

accertato; la restituzione alla mafia, mediante un giro di compravendite, dei<br />

beni sequestrati; il tentativo di abolire il concetto stesso di concorso esterno<br />

in associazione mafiosa (fondamentale per colpire imprenditori e politici<br />

del Sistema); il tentativo insomma aperto e dichiarato di tornare a prima di<br />

Falcone.


* * *<br />

Non è un'offensiva qualunque di una qualunque destra più o meno<br />

rinnovata; è la resa dei conti, l'uscita programmata e cosciente <strong>dal</strong>la<br />

democrazia.<br />

Non si può dire che l'opposizione, nelle sue varie incarnazioni moderate o<br />

radicali, se ne renda conto. Significativo il fatto che l'unica iniziativa<br />

politica di massa di questi giorni (il NoB-day del 5) è nata al di fuori di<br />

esse, direttamente da internet: questo apre una grande speranza, conferma<br />

le previsioni dei pochi che avevamo intuito il significato politico della rete,<br />

e assegna un significato di prefigurazione a episodi (regolarmente ignorati)<br />

di mobilitazione <strong>dal</strong> basso via internet come il Rita Express di tre anni fa, il<br />

cui abbandono è una delle colpe storiche della sinistra siciliana.<br />

* * *<br />

A Catania, microcosmo in cui si anticipano le tendenza del più grande<br />

Paese, l'offensiva dei poteri contro la città è stata violenta sì ma nel<br />

complesso bene affrontata. L'Experia, lungi <strong>dal</strong>l'essere rasa al suolo senza<br />

problemi, è diventata il caso sui cui si è aggregata un'opposizione forte e <strong>dal</strong><br />

basso, che minaccia di voler espandersi molto oltre l'occasione che l'ha<br />

provocata. A Librino, le iniziative delle associazioni sociali (e anche di<br />

qualche partito, come Rifondazione), hanno portato a una prima<br />

acquisizione, la revoca della concessione a privati di Villa Fazio e la<br />

possibilità di utilizzarla come centro vitale del quartiere.<br />

* * *<br />

Piccole vittorie, certo; ma che lasciano un segno. E s'inseriscono bene<br />

nella fase immediatamente successiva, quella della Catania senza Ciancio –<br />

la cui uscita <strong>dal</strong> mondo dell'editoria viene da sempre più fonti prevista per la<br />

fine dell'anno venturo – in cui tutto il sistema dell'informazione subirà una<br />

profonda trasformazione.<br />

L'esito più probabile di quest'ultima, allo stato dei fatti, è quello di un<br />

ciancismo senza Ciancio, coi grandi gruppi editoriali che colonizzano senza<br />

problemi l'informazione in città, la “civilizzano” formalmente e la<br />

dislocano, come sempre, a difesa dei grandi interessi edilizi e<br />

imprenditoriali. “Cambiare tutto perché non cambi niente”.<br />

Ma qui, per fortuna, anche noi giornalisti – e movimento – democratici<br />

avremo forse qualcosa da dire. Ne parleremo fra un mese, il cinque gennaio.<br />

Cerchiamo intanto di essere sempre di più all'altezza dei nostri compiti, che<br />

ora possono essere decisivi.


9 dicembre 2009<br />

DEMOCRAZIA 2.0/ DAL RITA EXPRESS AL COLORE VIOLA<br />

IL FUTURO ABITA QUI<br />

Internet permette di parlare (e rispondere) a tutti, e dunque permette a<br />

tutti di organizzarsi. Non richiede Vip e non ha bisogno di ideologhi. Non è<br />

contro i partiti, ma è molto più democratico e efficiente. Questo, mentre non<br />

è escluso che la mafia possa trovarsi ufficialmente nel governo. Se così<br />

fosse (saranno i giudici a dirlo) scatterebbe la disobbedienza civile e, per i<br />

pubblici ufficiali, il rifiuto d'obbedienza<br />

30 settembre 2007. Lorenzo wrote: < Ciao R. Sono uno studente<br />

universitario di 24 anni, vivo tra Castelfranco Veneto e Padova. Ho letto il<br />

commento in cui parli di sciopero dei precari organizzato su Internet. Vorrei<br />

saperne un po' di più, la cosa mi interessa e sono prontissimo a dare una<br />

mano ><br />

< Guarda che sei tu che lo devi organizzare. Non hai bisogno di me, e<br />

nemmeno di Beppe Grillo. Basta che trovi un paio di centinaia di precari<br />

come te (nell'internet li trovi facilmente) e cominciate ad allargarvi (con<br />

l'internet è facile) su un obiettivo preciso (sull'internet è facile fare brain<br />

storming per individuare obiettivi) ><br />

* * *<br />

Beh, se avete passato gli ultimi anni a prevedere le ricadute politiche di<br />

internet è probabile che <strong>dal</strong> cinque dicembre in qua vi sentiate un po' meno<br />

utopisti e molto meno isolati. E' stata la prima manifestazione grossa<br />

interamente organizzata su internet, senza Vip - gli organizzatori si sono<br />

dimessi tutti appena fatto il loro lavoro) e senza politici di mestiere.<br />

La prima, veramente, no: un paio d'anni fa, col Rita Express, molti<br />

studenti s'erano organizzati su internet per organizzare manifestazioni per la<br />

Borsellino; funzionò benissimo, ma nessuno (nè Rita) ci fece caso.<br />

Adesso siamo molto più avanti, le dimensioni sono ben altre e siamo<br />

abbastanza vicini alla massa critica. E' una svolta nella politica, una svolta<br />

vera. Non è “contro i partiti” (goffi i tentativi di usarla in tal senso, tutto<br />

sommato dentro il Palazzo) ma, più drammaticamente, “dopo i partiti”.<br />

I quali infatti, se vogliamo guardarci negli occhi, da tempo brutalmente<br />

non esistono più. Ce ne sono residui e surrogati, e caricature. Ma come<br />

l'Ottocento (l'industria, il socialismo) rese obsolete le logge e i club e


“inventò” i partiti, così questi nostri anni (la comunicazione globale,<br />

l'interattività) rendono obsoleti i partiti verticistici e inventano, sotto i nostri<br />

occhi, qualche altra cosa.<br />

Io credo che questo “qualcosa”, di cui non conosciamo ancora<br />

esattamente i confini, ma che già cominciamo a odorare e tastare, sia<br />

qualcosa di bello e (parlando da liceale) di ateniese. E' questa la nostra<br />

frontiera. Ed è significativo che il prodromo, la versione 1.0, il Rita Express<br />

insomma, si sia verificato all'interno del movimento giovanile antimafioso.<br />

* * *<br />

Il processo Dell'Utri, con la manifestazione targata internet,<br />

apparentemente non c'entra niente. In realtà ne è l'esatto complemento,<br />

l'altro polo. Dal processo Dell'Utri sapremo se è vero che Cosa Nostra (dire<br />

Dell'Utri è dire tout-court Berlusconi) è andata anche ufficialmente al<br />

governo. Se la presenza di Cosa Nostra in questo nostro regime – o, per<br />

usare Saviano: questo Sistema – fosse ufficiale, allora non sarebbe più<br />

questione di opposizione e men che mai di “regole del gioco” ma solo di<br />

disobbedienza civile, di rifiuto d'obbedienza – per tutti i pubblici ufficiali<br />

patrioti – e infine di restaurazione della Repubblica, nei modi che i tempi di<br />

internet possono suggerire. Essi comprendono sia Obama che gli studenti di<br />

Teheran,. Non toccherà a noi decidere quale di queste due strade ci toccherà<br />

seguire.


UN EROE DEL NOSTRO TEMPO<br />

Gianfranco Miccichè, sottosegretario alla presidenza: «Non mi sento di<br />

escludere che Spatuzza voglia rifarsi un'immagine. E non escludo che sia<br />

pagato, magari da magistrati, o da terzi».<br />

Va bene. Proviamo a “non escludere” pure noi. Micciché comincia negli<br />

anni '70, con Lotta Continua. A differenza di Rostagno o Impastato, cambia<br />

idea ben presto. Nel 1984, con Dell'Utri, diventa capo di Publitalia a<br />

Palermo; nel '93 coordinatore di Forza Italia in Sicilia. Nel gennaio '88,<br />

sospettato di spaccio, "Non sono uno spacciatore - risponde - ma solo un<br />

assuntore di cocaina".<br />

L'8 agosto 2002 un'informativa dei Carabinieri ipotizza che si faccia<br />

recapitare cocaina al ministero delle Finanze, dov'è viceministro. Ciò dopo<br />

indagini sulle visite che il presunto corriere Alessandro Martello faceva<br />

presso il ministero pur non essendovi accreditato. Lui smentisce.


27 dicembre 2009<br />

I NOSTRI PROGETTI PER L'ANNO NUOVO<br />

Beh, questo sarebbe il numero 60. Festeggiare? Mah: coi bicchieri di<br />

plastica, magari. Ma poi considerarlo solo una fase riuscita di un<br />

esperimento, che ci autorizza (prudente mente) a passare alla fase<br />

successiva. Al solito, non da soli<br />

A Catania qualcosa si muove. Tante persone sentono sempre viva<br />

l'esperienza di Pippo Fava, credono nell'informazione come forza<br />

indispensabile di una società democratica. Raccontano i misfatti della<br />

mafia, le vite di quartiere, il sottobosco di interessi economici che<br />

definiscono gli scenari politici. Non sono tutti “giornalisti professionisti”<br />

ma dimostrano ogni giorno, al di là dei tesserini, che cos'è il giornalismo<br />

fatto di verità.<br />

I Cordai a San Cristoforo, La Periferica a Librino, Catania Possibile e<br />

testate online, come U<strong>cuntu</strong>, Girodivite, Argo, Step1, sono le principali<br />

esperienze nate a Catania negli ultimi anni.<br />

Il 5 gennaio 2009 abbiamo lanciato il progetto di lavorare assieme, di<br />

aggregare le forze positive del giornalismo castanese (e non solo) per<br />

combattere il monopolio della disinformazione e di quella pseudoinformazione<br />

che devia l'attenzione dai problemi reali. È nata così<br />

l'Associazione “Lavori in corso”.<br />

Da gennaio a oggi abbiamo lavorato assieme, ci siamo mossi in sinergia<br />

mettendo in campo e valorizzando le risorse di ogni realtà e le competenze<br />

di ciascuno. Abbiamo creato una rete tra le testate di base coinvolgendo<br />

chiunque fosse interessato alla costruzione di un'informazione libera.<br />

Assieme abbiamo condotto tre inchieste sfociate in tre dossier:<br />

“Munnizzopoli” sulla gestione dei rifiuti, “Toccata e fuga” sulle band<br />

emergenti e adesso “Case” sul disagio abitativo.<br />

L'informazione non può continuare ad essere controllata da pochi che la<br />

manipolano in tutti i modi pur di realizzare i propri interessi. Questi<br />

meccanismi appartengono ai regimi autoritari e uccidono lo sviluppo<br />

democratico della società.<br />

* * *<br />

Continueremo quindi a lavorare assieme, a raccogliere nuove forze, ad<br />

allargare la nostra rete a Catania e non solo. Continueremo a raccontare ciò


che la stampa ufficiale omette, a fare inchieste e denunce, e soprattutto<br />

lavoreremo alla creazione di un quotidiano indipendente fatto da chi vuole<br />

portare avanti quell'etica di giornalismo definita così da Pippo Fava quasi<br />

trent'anni fa:<br />

“<strong>Un</strong> giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la<br />

violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende<br />

il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze<br />

dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici<br />

il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di<br />

vite umane. <strong>Un</strong> giornalista incapace - per vigliaccheria o calcolo - della<br />

verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto<br />

evitare, e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è<br />

stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento! La verità! Dove c’è<br />

verità, si può realizzare giustizia e difendere la libertà!”<br />

Sonia Giardina<br />

* * *<br />

L'ANNO DEL DOPO-CIANCIO<br />

L'esperimento di U<strong>cuntu</strong> è andato avanti finora in modo soddisfacente:<br />

sessanta numeri, diversi dossier, una visibilità nazionale e così via. Tutto<br />

questo lavoro vien fatto su base volontaria, comporta fatica e stanchezza e<br />

dunque fisiologicamente l'istinto sarebbe di contentarsi di ciò che si fa, e<br />

magari gloriarsene, non certo di accelerare; visto che già è difficile tenere il<br />

ritmo di ora.<br />

Ma ci sono tre dati precisi che ci spingono invece ad accelerare la corsa:<br />

1) il concept del prodotto (Pdf da Open Office, pensato sia per web che per<br />

carta) è stato testato per quasi due anni e funziona; 2) gli interlocutori<br />

nazionali ci sono: nell'area del giornalismo libero e altrove c'è interesse e<br />

persino voglia di coordinarsi; 3) sono sempre più frequenti le voci di<br />

cambiamenti radicali nel monopolio in Sicilia; l'anno che viene potrebbe<br />

anche essere il primo a terminare senza Ciancio.<br />

Perciò dobbiamo muoverci. Fermi restando i concetti “politici” di base<br />

(centrare sulle periferie e sui quartieri; nessun compromesso coi poteri<br />

attuali; promozione dell'unità fra tutti i soggetti virtuosi, sia “moderati” che<br />

“radicali”), adesso cercheremo di fare un salto di qualità: essenzialmente<br />

una specie di “U<strong>cuntu</strong>” quotidiano (ristilato in tal senso), lavorato ogni<br />

giorno con diversi altri siti e soggetti nazionali. Questo lavoro è già in corso


e attualmente la scadenza operativa per il numero zero è il 21 marzo.<br />

Ciò potrebbe avere anche ricadute specificatamente catanesi: un<br />

web/paper legato al concept di cui sopra potebbe anche trovare un suo<br />

spazio di mercato. Al solito, non vogliamo lavorarci da soli.<br />

Elogio dell'insufficienza, 'assemblamento delle risorse, impegno<br />

“politico” e tecnico per la progettazione comune, unità.<br />

R.O.


3 gennaio 2010<br />

LA MEMORIA DIFFICILE E LE COSE DA FARE<br />

<strong>Un</strong> altro anno è finito, un altro anno da fare. E così da tanti anni, da<br />

quanti ce ne possiamo ricordare. E' lunga, questa strada. Difficile capire<br />

quanto, se non ci cammini su<br />

Ventisei anni fa. come questi giorni, in cui le persone normalmente sono<br />

impegnate a guardare dentro le proprie cose, come nei giorni di fine anno.<br />

Riccardo, nella vecchia redazione de I Siciliani, sta scrivendo un volantino<br />

per organizzare la prima manifestazione del cinque gennaio. E' rimasto solo<br />

l'intera giornata per finire il lavoro. Le mani sporche di inchiostro, la<br />

scrivania piena di tabacco, il telefono con cui di tanto in tanto telefona, altre<br />

volte squilla: è Claudio da rassicurare, è il professore D'Urso con cui<br />

prendere accordi per l'associazione, è il prete palermitano che fa proposte<br />

d'intervento. Lui, ascolta e ritorna sul volantino. Guarda di tanto in tanto,<br />

<strong>dal</strong>la porta a vetrate, alla stanza d'ingresso, la stanza dove si fanno anche le<br />

riunioni dei “Siciliani giovani”.<br />

Ventisei anni e adesso che la lotta alla mafia ci ha messo nelle vite di ora.<br />

Riccardo è nella sua casa a Milazzo e sta lavorando alle pagine settimanali<br />

di U<strong>cuntu</strong>, regolarmente mi telefona per sapere a che punto siamo con i<br />

pezzi e con il lavoro a Catania.<br />

Mentre pensiamo a come preparare gli interventi per il cinque gennaio, ci<br />

sono altre dieci cose da fare, in cui spesso l'azione preminente non è<br />

scrivere ma stare semplicemente dentro il lavoro di aggregazione sociale, a<br />

Catania come in altre parti della Sicilia. E' lavorare con il gruppo dei<br />

"Clandestini" di Modica; è "Librino" interpretata da Luciano, ma è anche<br />

guardare il lavoro della "Periferica", e prestare attenzione al "Centro Iqbal<br />

Mash" e al loro lavoro ; è fare il giornale daegli insegnanti precari a<br />

Catania, è telefonare a quei due o tre preti dell'Isola che educano la gente<br />

alla antimafia, è chiudere il dossier sulla "Emergenza case”, senza<br />

dimenticarsi dell'Experia; è organizzare la festa di fine anno nel quartiere a<br />

San Cristoforo; è sentirci tra di noi, e portare avanti questa "memoria<br />

difficile"di Pippo Fava nelle nostre vite.<br />

Con questa memoria portiamo avanti il “lavoro in corso” e tutto il resto, il<br />

pallone tirato ai ragazzini dei quartieri e l'informazione da passare in rete.<br />

La nostra memoria difficile fa il suo “lavoro in corso” nella stanza di Città<br />

Insieme a Catania in Via Siena 1 . La nostra memoria difficile si rinnova


ogni mercoledì sera alle venti e trenta quando Piero, Sonia, Luca,<br />

Giuseppe, Luciano, Massimiliano, Sebastiano Enrico, Giorgio, Chiara<br />

lavorano insieme.<br />

Tutto quest'oggi e tutta questa memoria così importante e densa, ma anche<br />

così relativa e fragile, mentre pensiamo agli sguardi e ai dubbi, e al lavoro e<br />

alla fiducia di ognuno che porta con sè questa responsabilità di ricordare<br />

Pippo Fava. Come un girotondo incompleto in cui stiamo aspettando di<br />

toccare le mani degli altri compagni. Con questa “pazzia” che ci portiamo<br />

con fierezza siamo ancora lì, in quella stanza, a trovare le parole e ad<br />

aspettare.<br />

Fabio D'Urso<br />

* * *<br />

IL KITSCH E LA SPERANZA<br />

Catania è una città abbastanza kitsch, con professori settantenni che<br />

cercano di farsi le allieve promettendo bei voti, giudici che chiamano il<br />

comune per raccomandare le mogli e roba del genere. Parliamo della<br />

Catania “alta”, in realtà, quella che comanda: che è esattamente quella dei<br />

Vicerè di De Roberto o - più modestamente – dei film con Turi Ferro. Ogni<br />

tanto, anche, ammazza; ma più spesso è grottesca; questo mix di ridicolo e<br />

di feroce è il proprium di Catania e la differenzia - ad esempio - <strong>dal</strong>la<br />

solennità macabra di Palermo.<br />

Entrambe le classi dirigenti delle due città (e di altre che loro<br />

assomigliano, come Milano o Napoli o Verona) ambiscono a farsi modello<br />

nazionale. E in buona parte ci riescono: un Feltri, un Berlusconi, un<br />

Prosperini, non sarebbero mai potuti esistere se non si fossero incarnati<br />

prima, con anni e anni di anticipo, in Sicilia.<br />

Poi c'è l'altra Sicilia, dei siciliani che stanno in basso, la gente che<br />

s'accapiglia e che lavora. Questa ha i suoi alti e bassi, come ne hanno il<br />

Veneto o l'Irlanda, ma nel complesso (ci vuol coraggio a dirlo in questo<br />

momento) è un paese civile, un po' cialtrone ma umano, rozzo - specie in<br />

politica - ma dignitoso, vittimista oltre il lecito (il suo maggior difetto) ma<br />

buono, nelle emergenze, a sostenere i Garibaldi e i Falcone.<br />

Così, tutto sommato, non fu sbagliata l'idea, di tanti anni fa, di chiamarci<br />

semplicemente “I Siciliani”. Ma sì: diamo fiducia ancora, senza troppe<br />

illusioni ma con affetto, a questo nostro popolo, alla nostra gente.<br />

Lotteremmo lo stesso, anche se questa fiducia non l'avessimo. Ma<br />

l'abbiamo.


R.O.


10 gennaio 2010<br />

E IL PRIMO MARZO SCIOPERO GENERALE<br />

“Vediamo cosa succede se per un giorno noi non lavoriamo”. Sono le<br />

antiche parole del movimento operaio, quelle che prima o poi vengono in<br />

mente ai poveri stanchi di prendere bastonate. Adesso, sono gli immigrati a<br />

dirlo. I primi di loro cominciano a organizzarsi. Diamogli una mano<br />

Sarà il primo marzo il primo sciopero organizzato in internet in Italia.<br />

Sarà uno sciopero importante, uno sciopero che non s'era visto prima e che<br />

però era nell'aria da diversi anni: lo sciopero dei lavoratori immigrati.<br />

“Ventiquattr'ore senza di noi”, l'hanno chiamato le promotrici. Di cui<br />

bisogna subito dare i nomi, che probabilmente resteranno nella storia:<br />

Stefania Ragusa, Daimarely Quintero, Nelly Diop e Cristina Seynabou<br />

Sebastiani: secondo le mummie una “italiana” e tre “straniere”, in realtà<br />

quattro italiane nuove, di cui non conta più tanto la razza e il nome: come in<br />

America, per capirci.<br />

“La società vive col lavoro di migliaia di stranieri. L'Italia collasserebbe<br />

subito senza di loro. E'venuto il momento di farlo capire a tutti. Vediamo<br />

che cosa succede se per un giorno noi non lavoriamo”. Non è n'idea<br />

originale, d'accordo. E' semplicemente l'idea del vecchio socialismo, del<br />

movimento operaio. Allora ha funzionato.<br />

Migliaia e migliaia di iscritti su Facebook (“Primo marzo 2010”), comitati<br />

locali dappertutto, un primo coordinamento nazionale. Come i Viola (e<br />

prima ancora il Rita Express), ma più preciso e più mirato. Tre anni <strong>dal</strong> Rita<br />

Express, un paio di mesi dai Viola. Le cose vanno in fretta, di questi tempi.<br />

“Certo, non molti lavoratori immigrati hanno internete; ma li<br />

contatteremo lo stesso; e molti ufficialmente non lavorano, o sono in nero, o<br />

non possono permettersi di alzare la voce; ma penseremo anche a loro.<br />

Anche uno sciopero degli acquisti può servire.<br />

Che altro? Aiutiamoli - ma c'è bisogno di dirlo? - con tutte le nostre forze<br />

e con tutto il cuore.<br />

Info: primomarzo2010@gmail.com<br />

* * *<br />

Già, e poi dovremmo parlare degli altri, dei poveri “italiani” selvaggi (a<br />

Rosarno come a Verona), di quelli che ormai non sono più italiani da un<br />

pezzo ma semplice white trash, come in Alabama. Non abbiamo molto da


dirgli, salvo che ci dispiace per loro, e che ci vergognamo per loro, ma che<br />

non intendiamo assolutamente pagare per loro, sprofondare nella cloaca<br />

insieme a loro. Non sono più calabresi, non siciliani, non sono padani, non<br />

sono niente. Sono solo una povera morchia umana, la vittima più vittima del<br />

razzismo (gli schiavi si liberano, ma chi si crede padrone non si libera mai),<br />

che ormai costituisce una zavorra per il Paese.<br />

Questa zavorra, questo dieci per cento del paese, ha un suo governo<br />

ufficiale e un suo governo di fatto. Quest'ultimo, è evidentissimo, si chiama<br />

mafia, 'ndrangheta e camorra. Non può essere più combattuto con mezzi<br />

normali.<br />

Il governo ufficiale vorrebbe rozzamente servirsene, ma ne viene usato.<br />

La 'ndrangheta che prende in mano il potere, che esercita funzioni di polizia,<br />

che indice i pogrom (l'aveva già fatto la camorra a Napoli, contro i rom: e<br />

col plauso di Bossi) non può essere combattuta con mezzi democratici.<br />

Finché si scherza si scherza, ma ora si è davvero andati troppo oltre.<br />

E' bene che il governo vi rifletta, perché la corda è stata tirata abbastanza.<br />

O si ricostituisce un governo, o si fa appello ai paesi civili (Rosarno<br />

povrebbe essere presidiata <strong>dal</strong>le forze dell'Onu, come l'Uganda), o gli<br />

italiani prenderanno in mano la situazione.<br />

* * *<br />

Le parole “italiani” e “patria”, che noi usiamo raramente e con pudore,<br />

cominciano a chiedere prepotentemente d'essere pronunciate e messe in<br />

pratica, come nel '43. Beppe Sini, in queste ultime pagine, parla di<br />

insurrezione e, da buon pacifista, aggiunge “nonviolenta”: ma non tutti<br />

possono essere sempre pacifisti.<br />

Per intanto chiediamo a quanti hanno funzioni di responsabilità civile e<br />

militare – funzioni che hanno assunto con giuramento – di riflettere<br />

profondamente su quel che è oggi, e quel che potrebbe essere domani, il<br />

loro dovere di cittadini fedeli all'Italia e al giuramento prestato.


18 gennaio 2010<br />

NON CONSIDERIAMOLO NORMALE<br />

La pulizia etnica di Rosarno, cioè l'allontanamento forzato, con la<br />

minaccia delle armi e per opera della 'ndrangheta, di tutti gli individui di<br />

pelle scura da un dato territorio della Repubblica Italiana, è stata una notizia<br />

per due giorni. Al terzo giorno dei fatti di Rosarno si parlava: - al quinto<br />

posto, nella gerarchia degli argomenti, su www.repubblica.it; - al sesto<br />

posto sul www.corriere.it; - in modo analogo su tutti gli altri siti<br />

giornalistici “ufficiali”.<br />

<strong>Un</strong>a settimana dopo le prime fucilate e sprangate contro i neri, cioè, gli<br />

italiani erano già ridiventati “brava gente” e, la situazione era, come si dice,<br />

tornata “sotto controllo”. A Rosarno c'è stata addirittura una manifestazione<br />

ufficiale, gestita <strong>dal</strong>la 'ndrangheta, per dire che i rosarnesi non sono razzisti.<br />

<strong>Un</strong>o striscione contro la mafia, portato <strong>dal</strong>le ragazze del liceo, è stato fatto<br />

chiudere dagli organizzatori.<br />

Nessuno degli organizzatori o partecipanti alla manifestazione eversiva,<br />

per quanto ci risulta, è stato arrestato. Né lo è stato alcuno degli<br />

organizzatori e esecutori del pogrom, che è stato una vera e propria<br />

ribellione, penalmente perseguibile, contro i poteri dello Stato. Nei primi<br />

anni Settanta, sempre in Calabria, la molle prima Repubblica mandò<br />

poliziotti e soldati a stroncare, volente o nolente, il “boia chi molla”. Ma<br />

erano altri tempi e c'era ancora uno Stato.<br />

Tutto ciò è vergognosissimo per i funzionari di polizia, per gli ufficiali dei<br />

carabinieri e per tutti coloro che, avendo giurato fedeltà allo Stato, in effetti<br />

l'hanno tradito lasciando che il potere statale venisse violentemente<br />

usurpato, in quei giorni e in quei luoghi, dai boss mafiosi.<br />

A loro parziale discolpa sta il fatto che gli ordini erano quelli: il governo<br />

non era interessato a esercitare la sua potestà, delegandola di fatto - per<br />

clientelismo politico e solidarietà ideologica - ai mafiosi. <strong>Un</strong> piccolo otto<br />

settembre, con tutto il suo corredo di piccole vigliaccherie, di prepotenze<br />

senza sanzione, di “tutti a casa”. Ma anche di isolati atti di coraggio: gli<br />

abitanti di Riace hanno invitato i perseguitati a rifugiarsi nel loro comune,<br />

salvando col loro gesto la malridotta dignità calabrese.<br />

Anche su Rosarno, come su tutto il resto, il popolo italiano ha iniziato il<br />

rassicurante dibattito di rimozione. Calabresi e siciliani hanno dimenticato


gli orrori da loro portati in altri paesi (altro che qualche disordine dei neri di<br />

Rosarno): decine di migliaia di ragazzi assassinati in tutto il mondo <strong>dal</strong>la<br />

loro eroina; la mafia sanguinosamente introdotta in paesi, come l'Australia o<br />

il Canadà, che mai ne avevano sentito parlare; eppure né gli australiani né i<br />

canadesi - popoli civili - hanno cacciato siciliani e calabresi. Su questo<br />

dovremmo meditare profondamente, e provare anche vergogna.<br />

E' difficile in questo momento gravissimo proporsi altri obbiettivi che non<br />

siano il ripristino dei poteri legittimi su tutto il territorio della Repubblica e<br />

la liberazione <strong>dal</strong>l'occupazione militare delle mafie: perché di questo si<br />

tratta e non di altra cosa.<br />

In essa, il governo è collaborazionista col nemico. E buona parte della<br />

classe politica, o per azione o per inazione, gli tiene mano.<br />

Non c'interessano le loro opinioni su ogni altra cosa, finché questa<br />

situazione dura. Siamo in un'emergenza non inferiore a quella del<br />

dopoguerra, paghiamo prezzi altissimi e più alti ancora ne pagheremo (basti<br />

pensare al ruolo dell'Italia nella comunità delle nazioni, a quell'essere<br />

ributtati nel ruolo dell'Italian Fascist ridicolo e feroce).<br />

Davvero quel che chiamate politica è politica? Che problemi concreti si<br />

stanno risolvendo, o perlomeno affrontando, uno solo? Ci sono altre forme<br />

di politica reale, qui e ora, che non siano in un modo o nell'altro<br />

riconducibili a una ribellione?<br />

C'è una guerra civile a bassa intensità, dei ricchi contro i poveri e dei<br />

poveri fra di loro. Assume nomi e colori differenti, fra nord e sud, fra<br />

“italiani” e “stranieri”, ma è sempre sostanzialmente la stessa. Nasce<br />

<strong>dal</strong>l'abbandono della politica (sostituita da simil-politiche fittizie e da<br />

“partiti” e “istituzioni” d'accatto) e finirà con il ritorno della politica, cioè di<br />

noi stessi.<br />

Accadono alcune cose politiche (lo sciopero del primo marzo è una,<br />

l'antimafia sociale è un'altra) e cresce l'intuizione fra i giovani che bisogna<br />

organizzarsi, fare qualcosa. Ma non abbastanza in fretta. Razzisti, leghisti,<br />

mafiosi, piduisti, ladroni d'ogni risma e vecchi puttanieri lavorano<br />

alacremente a divorare la Repubblica, a distruggerne l'anima, a renderci<br />

come loro. Non consideriamolo normale. Organizziamoci di conseguenza.


27 gennaio 2010<br />

BUONE NOTIZIE (CON MOLTE PARENTESI) DALLA POLITICA<br />

"ALTA". E NOI FIGLI DI NESSUNO?<br />

Vendola vince, i “viola” continuano, il primo marzo c'è lo sciopero degli<br />

immigrati e il 12 quello della Cgil. Bersani e Di Pietro s'incontrano<br />

(miracolo!) per dire che sono contenti di lavorare insieme. Dov'è il trucco?<br />

Non riesco a vederlo: perciò non dico che mi fido, ma cerco almeno di<br />

seguirli con attenzione. Fermo restando che il lavoro duro, com'è sempre<br />

stato, toccherà farlo a noi poveri figli di nessuno...<br />

Riepilogo delle cose belle: continua il movimento dei viola, organizzano<br />

qualcosa il sei marzo (ma non hanno pensato a unificare la data con quella<br />

degli immigrati); continua l'organizzazione dello sciopero dei lavoratori<br />

immigrati, il primo marzo (ma sono due gruppi distinti che se ne occupano,<br />

e lavorano separati); la Cgil ha indetto uno sciopero generale antitasse per il<br />

12 marzo (vedi parentesi precedenti); Vendola ha vinto le primarie in Puglia<br />

(ma resta vanitosissimo); Bersani e Di Pietro, per una volta, non si sono<br />

insultati a vicenda ma si sono incontrati per elogiare la vittoria di Vendola e<br />

dire che sono contenti di essere d'accordo nella maggior parte delle regioni.<br />

Queste sono alcune delle buone notizie che ci vengono <strong>dal</strong>la “politica”,<br />

quella perbene. Non sono granché, d'accordo, ma sempre megliodi prima.<br />

La malattia della sinistra è la divisione; pochissimi ne vanno esenti e negli<br />

ultimi tempi le maggiori cazzate in tal senso le hanno fatte esattamente gli<br />

amici politici miei (Fava e Vendola più di Ferrero, Ferrero più di Epifani, Di<br />

Pietro più di... beh, lasciamo andare.<br />

La verità è che si vince solo se si va tutti insieme, da Di Pietro al Pd<br />

passando per la sinistra dispersa (grazie a Ferrero e Vendola) che però conta<br />

il suo bravo milione (buttato al cesso) di voti.<br />

Su quale politica andare insieme? Beh, di sinistra; o se proprio di sinistra<br />

vi sembra assai, allora almeno di centro-sinistra. Ma del centro-sinistra doc,<br />

quello dei socialisti (prima di Craxi) e delle riforme, che allora erano<br />

proprio riforme e non imbrogli.<br />

Come il divorzio (radicali e socialisti), lo Statuto dei lavoratori<br />

(socialisti), il voto a diciott'anni (Pci e Dc), la scuola fino a sedici anni<br />

(sinistra Dc), l'equo canone (socialisti e Dc), gli uffici di collocamento<br />

(socialisti e Pci), il Concilio (lo metto come Riforma perché, tre secoli dopo


Trento, questo è stato). Senza dimenticare la madre di tutte le riforme (Dc,<br />

Pci, Psi), la Costituzione, non a caso ancora odiatissima da fascisti, vecchi<br />

puttanieri e ladroni.<br />

Mi sono avventurato a parlare di politica perché, <strong>dal</strong>la politica loro,<br />

qualcosa per una volta mi ha fatto annuire. Per un tempo brevissimo perché<br />

poi, passato l'entusiasmo per la novità e tornato a ragionare posatamente, il<br />

Riccardo normale mi ha detto: non lasciarti gabbare, questi ora sono con le<br />

spalle al muro e fanno le persone serie, ma appena possono muoversi<br />

tornano come prima: guarda in Sicilia, che cosa stanno combinando proprio<br />

in questo momento. Fidati dei ragazzi vostri e di quelli che gli assomigliano,<br />

e di nessun altro al mondo; la vera politica è questa.<br />

E' vero, ho risposto io ancora in pennichella, certo che hai ragione. Ma<br />

perché, poveracci, se quelli vogliono fare le persone perbene, o addirittura i<br />

compagni, glielo dovremmo impedire? In fondo, è anche nel loro interesse.<br />

Perciò stiamo a guardare non dico con fiducia, ma con attenzione. Fermo<br />

restando che il lavoro più grosso, quello di pala e pico, quello che cambia le<br />

cose davvero (1860, '1943, '68...) al solito tocca farlo a noi poveri figli di<br />

nessuno.


3 febbraio 2010<br />

SANT'AGATA E I GIORNI DI RACITI<br />

A Catania Sant'Agata è una festa importante. E' una santa storica (è<br />

esistita davvero, fra i primi cristiani), una santa sovversiva (ce l'aveva col<br />

prefetto e centurioni) e dunque una santa popolare. E' una santa tradita.<br />

Non solo – com esempre a Catania – dai mafiosi, che ci hanno messo sopra<br />

le zampe impossessandosi della gestione della festa, dei soldi che ci girano<br />

e di tutti gli aspetti materiali (c'è un processo in corso:<br />

www.cataniapossibile.it). Ma anche <strong>dal</strong>le persone perbene, <strong>dal</strong>le autorità e<br />

dai politici arcivescovo in testa.<br />

Tutti costoro, cioè la grande maggioranza della Catania garantita, non<br />

solo hanno lasciato ridurre in schiavitù dai mafiosi quella che nominalmente<br />

sarebbe la loro icona; ma tre anni fa, nel febbraio 2007, l'hanno usata<br />

cinicamente (“la festa deve nontinuare!”) per normalizzare la piazza nei<br />

giorni dell'assassinio dell'ispettore Raciti.<br />

Filippo Raciti, ucciso da fascisti e mafiosi (che lì sono alleati) il 2<br />

febbraio 2007 perché si ribellava al patto di buon vicinato con fascisti e<br />

mafiosi, non ha avuto giustizia e forse, nella città di Catania, ufficialmente<br />

non l'avrà mai (a gente perbene, in questa città, anche senza giustizia dorme<br />

bene).<br />

Ha avuto invece – ma forse è ancora di più – solidarietà e amicizia vera. I<br />

giovani della città, la minoranza dei buoni (ma a volte non solo minoranza),<br />

nei giorni di Raciti si sono ribellati. Sono scesi in piazza, hanno fatto<br />

assemblee, hanno detto alto e forte che loro con la Catania ipocrita non ci<br />

stanno.<br />

Non è stata una protesta effimera, un fuoco di paglia. Da quei giorni di<br />

lotta sono nate crescita umana e organizzazione; e molti di quei giovani<br />

hanno continuato a lottare anche dopo (noialtri di U<strong>cuntu</strong>, per esempio, in<br />

un certo senso siamovenuti fuori proprio da lì). <strong>Un</strong> ruolo forte l'ha avuto, in<br />

quei giorni di costruzione e nei mesi dopo, la sede di Casablanca (di<br />

Graziella Proto) che in quell'occasione è stata non solo la redazione di un<br />

giornale ma anche un centro di organizzazione, secondo la buona tradizione<br />

dei Siciliani; di lì la fase nuova, profondamente centrata sui quartieri, e i<br />

soggetti nuovi: Cordai, Periferica, Addiopizzo, U<strong>cuntu</strong>, e altri ancora. La<br />

trasmissione della fiaccola, il passaggio di generazione e la continuazione di


tutto.<br />

Adesso ci sarebbe da parlare di cose molto più moderne e tecnologiche (le<br />

fabbriche, internet che si organizza, le cose nuove), ma non è male, una<br />

volta ogni tanto, ricordare da dove siamo partiti. I giorni di Raciti non sono<br />

ancora finiti. Sant'aAata, festa “folkloristica” e arcaizzante, in realtà è un<br />

momento di “scan<strong>dal</strong>o”, nel senso forte (e evangelico) della parola. E queste<br />

cose ci chiamano, ci indicano a modo loro dove andare.


10 febbraio 2010<br />

IN NOME DELLA LEGGE: DIFENDI GLI IMMIGRATI?<br />

ARRESTATO!<br />

E' il caso di Padre Carlo, di Siracusa: da anni “tenuto d'occhio” perché<br />

prendeva le parti dei “clandestini”: finché l'hanno arrestato. Nessuno di<br />

quanti lo conoscono crede alle accuse contro di lui. <strong>Un</strong>a sola - che non<br />

hanno osato esprimere - è vera: quella di essere un cristiano. Aiutare i<br />

poveri, ospitare gli stranieri, difendere i perseguitati<br />

Non è una chiesa come le altre. Nella Chiesa di Bosco Minniti a Siracusa,<br />

da molti anni, tutti possono trovare rifugio; gli extracomunitari, scappati per<br />

mille ragioni diverse dai loro paesi, ci abitano, la vivono, la animano<br />

condividendo le difficoltà quotidiane. Entrateci all’ora dei pasti: è la mensa<br />

di tutti i popoli. Al posto dell’altare una tavolata immensa dove almeno<br />

cento immigrati di ogni nazionalità si trovano riuniti a mangiare. Alle pareti,<br />

simboli di diverse religioni. Qui sono stati accolti anche molti di immigrati<br />

scappati da Rosarno e presto ci saranno, come ogni anno, quelli che<br />

arrivano per la raccolta stagionale nei campi tra Cassibile e Pachino.<br />

Tutto questo dà fastidio ai potenti. In un momento in cui si tenta in tutti i<br />

modi di rendere la vita sempre più impossibile agli immigrati, si compie<br />

l’ennesimo attacco politico, l’ennesimo tentativo di stroncare l'accoglienza e<br />

l'integrazione.<br />

Padre Carlo D’Antoni è ora agli arresti domiciliari insieme ad altri otto<br />

indagati (Antonino De Carlo, un collaboratore del sacerdote, l’avvocato<br />

Aldo Valtimora e sei immigrati), accusati di gestire il rilascio di permessi di<br />

soggiorno falsi. Il reato ipotizzato <strong>dal</strong> Gip di Catania è associazione per<br />

delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'illecita permanenza di<br />

stranieri nel territorio dello stato italiano. E poi accuse di riduzione in<br />

schiavitù e di falso ideologico in atto pubblico e false dichiarazioni a<br />

Pubblico Ufficiale per aver “inventato storie travagliate e commoventi” al<br />

fine di ottenere titoli di soggiorno per motivi umanitari o di protezione<br />

temporanea. Inventato!.<br />

Ma se è vero che molti extracomunitari finiscono nelle maglie del<br />

mercato illegale delle regolarizzazioni e se è vero che un traffico di<br />

clandestini tra Siracusa e la Campania esiste, gli immigrati di Bosco Minniti<br />

dicono che l’attacco a padre Carlo è infondato, che lui non ha nulla a che


vedere col racket dei documenti, che non ha mai commesso quei reati.<br />

Dicono che l’esperienza di Bosco Minniti deve continuare, in una chiesa<br />

senza frontiere, aperta a tutti, un luogo in cui si lotta per il diritto a una vita<br />

dignitosa.<br />

Sonia Giardina<br />

* * *<br />

Padre Carlo Dantoni è stato fra i primi a seguire il processo per il<br />

naufragio del Natale ’96 al largo di Portopalo e l'inchiesta di Dino Frisullo<br />

sulla holding degli schiavisti. Dopo 13 anni si è arrivati alla condanna a 30<br />

anni dei 2 imputati, anche se in seguito alle leggi razziali e ai respingimenti<br />

in Libia le mafie mediterranee continuano sempre più ad ingrassarsi .<br />

Come allora esigiamo verità e giustizia nel colpire i carnefici dei<br />

migranti , ma ci opponiamo a qualsiasi campagna di criminalizzazione di<br />

chi si spenda nell’accoglienza, anche disobbedendo a leggi ingiuste . <strong>Un</strong><br />

motivo di più perché la giornata di mobilitazione antirazzista del 1° marzo a<br />

Siracusa e in Sicilia veda scendere in piazza i migranti e chiunque si batta<br />

contro le nuove politiche d’apartheid.<br />

Rete Antirazzista Catanese<br />

* * *<br />

ALLE LEGGI RAZZIALI BISOGNA DISUBBIDIRE<br />

I “reati” di padre Carlo, se anche fossero veri, non sarebbero affatto reati<br />

nuovi: c'erano già prima. “Aiuto a schiavi evasi”, come nell'Alabama dello<br />

Zio Tom. “Aiuto a ebrei fuggitivi”, come nell'Italia del duce.<br />

Non sono affato reati, in verità. Sono doveri per chi è cristiano - sono<br />

obbligo per chi è civile - sono vergogna incancellabile per chi ne ha fatto<br />

“legge” e angheria.<br />

Alle leggi ingiuste bisogna disobbedire. Bisogna far fuggire gli schiavi,<br />

nascondere gli ebrei, aiutare i “clandestini”. Per noi cittadini italiani (non<br />

padani, non mafiosi: italiani) è un dovere precisissimo che ci ordina la<br />

nostra sovrana, la Costituzione. E' infedele quel funzionario che,<br />

nascondendosi dietro “leggi” antiitaliane, tradisce la Repubblica e viola il<br />

giuramento alla Costituzione. “Io eseguivo gli ordini” non è, e non è mai<br />

stata, una giustificazione.<br />

La Fiat ora proclama apertamente: “Al diavolo voi siciliani! Io vi licenzio<br />

tutti quanti e porto le mie fabbriche in Cina”. Ai vecchi operai settentrionali:


“E' vero, mi avete servito per quarant'anni - dice - Mi avete permesso di<br />

nascondere miliardi e miliardi all'estero e di governare di fatto il vostro<br />

paese. Che importa! Al diavolo anche voi tutti. Le prossime Cinquecento le<br />

farò in Messico o in Brasile”.<br />

E il popolo, instupidito, tace. Fino a quando?<br />

R.O.


19 febbraio 2010<br />

CHE COSA CI INSEGNA QUEL RAGAZZO QUALUNQUE<br />

"Sono nato ad Agrigento il 18/10/1986, residente a Campobello di Licata<br />

(AG), cittadino libero. Ho voluto specificare il mio status per combattere il<br />

servilismo che ogni giorno di più avvolge il nostro Paese. Ho scelto di<br />

rimanere in Sicilia, di non andare via anche se vivere qui è duro...".<br />

E' l'incipit del blog di Giuseppe Gati, morto un anno fa d'incidente mentre<br />

aiutava suo padre al lavoro, in campagna.<br />

Della sua breve vita, qualcuno ricorda ancora le fiere parole - “Viva<br />

l'antimafia! Viva Caselli!” - con cui interruppe gli insulti di un servo del<br />

potere mafioso venuto a fare il suo sporco lavoro.<br />

Lo afferrarono le guardie e se lo portarono via. Lui ricominciò la sua<br />

esistenza normale: organizzare l'antimafia, aiutare la famiglia, portare avanti<br />

il blog. Il filo era diventato assai breve, tutto ciò che Giuseppe avrebbe mai<br />

potuto dare al mondo era ormai concentrato in quei diciannove anni. Ma<br />

abbastanza per ricordarlo, per essere orgogliosi di lui, e profondamente<br />

grati. Servono le persone così, molto più che i grandi eroi.<br />

La storia di Giuseppe ci è venuta provvidenzialmente davanti mentre ci<br />

arrabbattavamo per esprimere l'indignazione per le ruberie, per le<br />

prostituzioni, per le insolenze di piccoli e grandi mascalzoni che sono ormai<br />

la fauna abituale di questa decadenza in cui viviamo. Difficile trovare le<br />

parole, e trovarne soprattutto di non volgari; perché la volgarità è<br />

contagiosa.<br />

A furia di scrivere e raccontare di anime basse qualcosa di quel grigiore<br />

s'insinua dentro di noi; e la mediocrità, la povertà umana, la svendita di se<br />

stessi a un certo punto appaiono, senza accorgersene, qualcosa di riposante e<br />

di normale.<br />

Non puoi scrivere di Bertolaso senza diventare almeno per un<br />

milionesimo di te stesso arrogante e servile. Non puoi attraversare le<br />

elucubrazioni dei Di Pietro, dei Bersani o dei D'Alema senza vergognarti<br />

impercettibilmente dei compromessi compiuti <strong>dal</strong> te stesso politico<br />

(certamente minori e, anche qui, “a fin di bene”). E Bossi, e Berlusconi, le<br />

due violenze, non hanno davvero nulla, per un maschio adulto italiano, di<br />

machiavellicamente affascinante?<br />

Ecco: a tutte queste putredini, a queste debolezze, risponde come un


soffio d'aria un essere come il nostro Giuseppe. Non ha vissuto niente di<br />

tutto questo, Giuseppe. Non si è mai rapportato coi Vip, non ha mai voluto<br />

esserlo e nemmeno, per un istante fugace, gli è apparso il fascino del<br />

rifiutare (che è quasi esercitare) un potere; queste cose nel suo mondo non<br />

sono mai esistite, semplicemente.<br />

Così, questo ragazzo come tanti altri, semplice e buono, assolutamente<br />

non-eroe, è quello che ci insegna di più; almeno a me. Dobbiamo<br />

sconfiggere Berlusconi ma così, distrattamente, senza troppo<br />

appassionarcene nè dargli maggior peso del dovuto. Combattemo il<br />

razzismo e le altre cose disumane per quello che sono, cioè estranee alla<br />

vita, indialogabili. Cammineremo nella storia, faremo la nostra parte, ma<br />

senza mai prenderla sul serio più di tanto. Sapendo che la storia profonda,<br />

quella che gl'intellettuali non vedono e che non è potere, è la più importante<br />

di tutte.<br />

E neanche sapremo esprimere queste cose in parole lucide, da poveri<br />

intellettuali del Novecento; ma ci arrenderemo a questo limite, umilmente.<br />

Infatti, basta il viso di un ragazzo buono qualunque - il viso di Giuseppe,<br />

per esempio - per raccontare con chiarezza ciò che serve. Che altro?


27 febbraio 2010<br />

CHE TI DICE LA PATRIA?<br />

“E' il rapporto mafia-politica che paralizza il <strong>Sud</strong>”: lo dice la conferenza<br />

episcopale, e certo è una bella scoperta che prima o poi doveva arrivare.<br />

Cinquant'anni fa, per l'arcivescovo di Palermo Ruffini, si trattava invece di<br />

“una supposizione calunniosa messa in giro dai socialcomunisti, i quali<br />

accusano la Democrazia Cristiana di essere appoggiata <strong>dal</strong>la mafia”.<br />

* * *<br />

Fra i ladroni ci sono parecchi fascisti: Mokbel, Andrini (manager di<br />

Alemanno) e altri ancora. Storicamente, i fascisti rubavano parecchio (Muti,<br />

Monti, Petacci fratello ecc.). Adesso, l'estrema destra razzista - la Lega - si<br />

distingue per le mani lunghe in Lombardia: vedi, fra i tanti, il crociato<br />

antiimmigrati Prosperini. “Ma fare politica costa”, si giustifica lui.<br />

* * *<br />

E il monumento a Craxi, che fine ha fatto? Ora è il momento di alzarlo.<br />

Grande, monumentale, a coprire (come suggerisce Mauro Biani) il vecchio<br />

e ormai vagamente sovversivo Duomo.<br />

* * *<br />

«Sono solo secchiate di fango. Nessun reato emerge con certezza». Ci<br />

sono già stati altri capi di Governo che hanno difeso i delinquenti. Almeno<br />

due (Fujimori del Perù e Bordaberry dell'Uruguay) lo stanno scontando<br />

nelle carceri dei rispettivi paesi, tornati democratici alla fine.<br />

* * *<br />

Satrapi. Tutti maschi. Qualche donna isolata a fare da escort, e poi basta.<br />

Questo regime è vecchio, sclerotico e, seconddo lui, maschile.<br />

* * *<br />

Nell'album di famiglia, Bertolaso è Graziani.<br />

* * *<br />

Trattative. Nè Ciancimino, ai suoi bei tempi, era “mafioso”, nè lo è adesso<br />

Dell'Utri. Ufficialmente e per tutti i media (rileggere il giornale di Sicilia o<br />

il Corrierone di allora, e quelli di ora), erano semplicemente degni uomini<br />

politici di governo che gli infami comunisti calunniavano come mafiosi.<br />

Certo, un sindaco di Palermo o un fondatore di Forza Italia in Sicilia<br />

mafioso dev'esserlo per forza, per esigenza di mestiere; così fu per il<br />

quondam Ciancimino, così è ora per il povero Dell'Utri. Ma questa è una<br />

ragione per additarli al ludibrio e al linciaggio morale? Dunque un politico


italiano, secondo voi, non può più nemmeno fare il mafioso?<br />

* * *<br />

Ma Berlusconi, poi, è davvero presidente? Davvero il cavalier Mussolini -<br />

nel pieno rispetto della legge e delle mo<strong>dal</strong>ità formali dello Statuto - era<br />

Primo ministro, nel '36?


8 marzo 2010<br />

LIBERTA' DI STAMPA IN SICILIA<br />

Libertà di stampa? Certo che in Sicilia esiste, tant'è vero che state<br />

leggendo questa cosa. Ma non è benvoluta, nè <strong>dal</strong> governo nè <strong>dal</strong>la società<br />

(per governo in Sicilia s'intende sia quello che si vede sia quello che no).<br />

L'indifferenza della società alla libera informazione si vede, di solito, il<br />

giorno dopo che ammazzano qualche giornalista. Da noi ne ammazzano<br />

molti, meno che in Colombia o in Russia ma più che in ogni altro paese. Gli<br />

unici casi in cui la gente si sia ribellata sono stati quelli di De Mauro (grazie<br />

ai comunisti, che allora c'erano ancora) e Fava (i ragazzi di Catania).<br />

Alfano, Cristina, Francese, Rostagno, Spampinato e Impastato morirono<br />

nell'indifferenza generale. A Cinisi, il paese di Impastato, la popolazione a<br />

trent'anni di distanza è ancora <strong>dal</strong>la parte dei mafiosi (imitata, negli ultimi<br />

tempi, dai più recenti mafiosi delle valli bergamasche).<br />

Esiste la libertà, ma non il mercato. L'unico siciliano autorizzato (<strong>dal</strong>le<br />

Competenti Autorità) a fare tivvù e giornali si chiama Mario Ciancio, vive a<br />

Catania ed ha nell'harem tutti gli intellettuali cittadini, <strong>dal</strong>l'elegante fascista<br />

Buttafuoco al feroce maoista Barcellona. Non vende molti giornali (molto<br />

meno, in proporzione, che a Istanbul) ma la cosa non ha importanza, perché<br />

tutti gli imprenditori siciliani (compresi quelli che ultimamente hanno<br />

smesso di essere mafiosi) fanno pubblicità solo da lui. Mai, mai, mai<br />

leggerete un rigo di pubblicità siciliana su un giornale siciliano antimafioso.<br />

Libertà di stampa vuol dire dunque che tu, se sei disposto a fare la fame<br />

per i prossimi venti o trent'anni ed eventualmente prima o poi ad essere<br />

ammazzato, puoi scrivere quello che vuoi e pubblicarlo qui, su Girodivite,<br />

su U<strong>cuntu</strong>.org, su Catania Possibile, su Terrelibere, sulla Periferica, sui<br />

Cordai o su qualche altro giornale di analoghe dimensioni. Per informare la<br />

gente, in realtà, questo potrebbe anche essere sufficiente (specialmente se<br />

tutti questi organi prima o poi si decidessero a unirsi fra loro).<br />

A Messina, ad esempio, l'allarme su Giampilieri era stato dato ben prima<br />

dai giornalisti liberi, in tempo per prendere i provvedimenti opportuni e<br />

salvare - alla faccia degli speculatori edilizi e della loro Gazzetta - coloro<br />

che erano già in lista d'attesa per essere annegati alle prime piogge. Ma<br />

nessuno ha preso sul serio i loro articoli. Se fossero stati giornalisti bravi -<br />

ragionava il lettore messinese - avrebbero fatto i milioni al servizio dei


politici, mica avrebbero perso tempo e soldi per informare me.<br />

Al messinese, al palermitano, al catanese, sapere la verità in realtà non<br />

interessa. La verità è fastidiosa, la verità desta. Ed è così bello dormire! La<br />

realtà è quel che è, cambiarla è faticosissimo, meglio sognare. Forza<br />

Catania, evviva il Ponte, viva Palermo e Santa Rosalia.<br />

[www.girodivite.it]


8 marzo 2010<br />

STANNO GIÀ COMINCIANDO AD ABOLIRE LE ELEZIONI<br />

In pratica le hanno già abolite in Lazio e in Lombardia. Addio regole<br />

uguali per tutti, ora per forza deve vincere il partito al governo. Anche il<br />

primo fascismo cominciò così. Difendiamo la costituzione, difendiamo la<br />

nostra Repubblica, e creiamoci dei dirigenti nuovi e giovani, capaci non<br />

solo di gridare forte o di fare le primedonne ma di vincere concretamente e<br />

realmente questa lotta<br />

Formalmente, anche sotto il fascismo si votava. Si votava ma a modo<br />

loro, con elezioni fasulle da cui il governo usciva automaticamente<br />

vincitore. Le elezioni, di fatto, erano state abolite, ma senza dirlo.<br />

Oggi il governo italiano ha abolito le elezioni regionali in Lazio e in<br />

Lombardia. Formalmente si vota ancora, ma non sono più vere elezioni,<br />

con regole uguali per tutti. Sono “elezioni” alla Duce, alla Putin o alla<br />

Gheddafi, di cui non a caso questo governo è l'unico amico. Esse non hanno<br />

dunque alcun valore legale e gli “eletti” che ne risulteranno faranno bene a<br />

evitare di arrogarsi poteri dello Stato.<br />

In questa situazione, delicatissima e pericolosa, i cittadini debbono restare<br />

saldi attorno alla loro Costituzione e prepararsi a difenderla in ogni caso. Le<br />

forze politiche democratiche debbono prendere in ipotesi l'eventualità di un<br />

“impeachment” - cioè di una messa in stato d'accusa - del capo del governo,<br />

che ha travalicato i suoi poteri. E' sbagliato e puerile, e certamente utile al<br />

duce, prendersela in questo momento col re, che pure certamente ha<br />

sbagliato. L'obbiettivo di tutti dev'essere la messa sotto accusa del<br />

responsabile formale dell'attacco allo Statuto, ieri Mussolini e oggi<br />

Berlusconi.<br />

* * *<br />

E' difficile che la sinistra attuale, con tutte le sue buone volontà e le sue<br />

piccinerie, sia in grado di portare avanti con successo una simile lotta, a cui<br />

non è preparata. Qua non si tratta di gridare più forte, di sopraffarsi a<br />

vicenda - ognuno per conto suo, e con vanità da prime donne - per poi<br />

lasciare tutto come si trova. Si tratta di affrontare problemi come il rifiuto<br />

d'obbedienza, la resistenza collettiva e civile agli ordini illegali e il dialogo<br />

operativo coi funzionari lealisti, civili e militari.<br />

Non credo che un Di Pietro, un Veltroni, un D'Alema, un Bersani, o anche


un Vemdola o un Ferrero (che hanno ancora sulla coscienza quasi un<br />

milione di voti dispersi per puntigli infantili) possano essere i nostri leader<br />

in questa lotta. Dobbiamo tollerarli sì, non affrontare il problema che essi<br />

costituiscono proprio ora. Ma è chiaro che con loro non si può vincere, ma<br />

al massimo sperare di resistere un altro poco.<br />

* * *<br />

Per fortuna, la sinistra comincia ad avere un altro filone di dirigenti,<br />

provenienti - come dice don Ciotti - “da un'altra falda”. E sono quelli del<br />

movimento viola (se staranno attentissimi a non produrre leaderini, e a tener<br />

fuori i leaderoni esterni), quelli dell'antimafia (il più duraturo e il più<br />

avanzato in termini sociali fra i movimenti degli ultimi vent'anni) e<br />

soprattutto quelli, parte italiani vecchi e parte nuovi, che hanno organizzato<br />

il Primo marzo.<br />

Se tutti costoro diventeranno coscientemente e compiutamente “politici”,<br />

se non rifuggiranno <strong>dal</strong>l'assumersi le loro responsabilità (che sono sempre<br />

più proprio “di partito”), se sapranno ispirare alle persone comuni fiducia e<br />

ammmirazione e non paura,se sapranno dialogare coi pezzi di sinistra basati<br />

ancora sulla lotta sociale (praticamente quasi solo il sindacato), se non<br />

saranno né prime donne né vanitosi, se sapranno coordinarsi efficacemente<br />

al loro interno e fra di loro, se sapranno imparare, se... - allora, amici miei,<br />

potremo dire che un'altra sinistra, vera e vincente, è davvero nata, e che lo<br />

sfacelo della vecchia non sia che un episodio dovuto.<br />

* * *<br />

Io sono convinto che tutto questo stia accadendo davvero, e che tutte le<br />

caratteristiche di questi compagni nuovi (comprese quelle negative)<br />

ricordino moltissimo quelle dei fondatori della prima sinistra, quella dei<br />

socialisti dell'Ottocento.<br />

E come i compagni di allora non lottavano semplicemente per i diritti ma<br />

anche contro regimi autoritari e feroci (lo zar, il kaiser, levarie monarchie<br />

assolute), così oggi ci troviamo davanti, fra i vari problemi, anche quello di<br />

un assolutismo in forma nuova, di un repubblica attaccata dai nobili, di un<br />

egoismo sociale sempre più feroce.<br />

Eppure - poveri individualmente ma immensamente forti se ci uniamo -<br />

siamo certi di farcela, assorbendo persino le debolezze e le periodiche rese<br />

dei nostri “centrosinistri” compagni di cammino.


16 marzo 2010<br />

CHE COSA L'ANTIMAFIA PUÒ INSEGNARE ORA<br />

Fare un partito grosso, più moderato ma unico, per meglio contrastare una<br />

destra aggressiva? O fare un partito di sinistra vera, responsabile ma senza<br />

equivoci, per mettere insieme tutti coloro che vogliono cambiare le cose?<br />

Non si può dire che le cose in Italia non si muovano. Vanno anzi a<br />

razionalizzarsi, attorno a queste due nuove proposte che vanno rapidamente<br />

trasformandosi in organizzazione. Quale delle due sarà giusta, l'avvenire ce<br />

lo dirà.<br />

Per intanto hanno in comune due cose: che da un lato dichiarano<br />

entrambe di non voler più fare vecchia politica, e di volerne anzi una nuova,<br />

più democratica, meno elitaria e con più partecipazione dei cittadini; e che<br />

<strong>dal</strong>l'altro non riescono esattamente a definire quale essa sia, con che prassi<br />

concreta, con che cultura.<br />

"No all'oligarchia, sì alla partecipazione": la domanda ormai è facile, ma<br />

siamo appena all'inizio della lunga strada che ci porterà alla risposta.<br />

Per il movimento antimafia ("anti" mafia, ma "per" un sacco di cose<br />

accumulate lungo la via) questa domanda si è posta fin <strong>dal</strong>le origini, e le<br />

risposte a poco a poco le hanno date i fatti.<br />

Nei momenti oligarchici, verticali, ha funzionato male e prima o poi s'è<br />

arenato; nei momenti collettivi, corali, ha funzionato bene e ha cambiato le<br />

cose. Ha funzionato bene quando è stato articolato e reciproco, con un'ala<br />

"moderata" e una "estremista" che si riconoscevano e si collaboravano, pur<br />

nelle reciproche critiche, a vicenda. Ha funzionato male quando questo<br />

autoriconoscimento s'è inceppato e ha dato luogo alle emarginazioni e ai<br />

settarismi reciproci.<br />

Noi dell'antimafia siamo stati costretti a imparare in fretta queste lezioni<br />

(almeno i più maturi di noi) perché quando si combatte non c'è molto spazio<br />

per errori. Si pagano immediatamente, e a volte molto cari. Possono litigare<br />

Togliatti e De Gasperi, a Roma. Non possono litigare il comandante<br />

garibaldino e quello badogliano, in montagna, perché hanno i tedeschi<br />

davanti, e debbono per forza trovare una via di accordo.<br />

E questo, nella prassi concreta, educa a molte cose. Alla fine l'ufficialetto<br />

sabaudo riconoscerà senza problemi che il re ha fatto molto male a<br />

scappare, e il communista feroce non farà fatica ad ammettere che forse la


dittatura del proletariato magari si può rimandare a un'altra volta.<br />

L'Italia è stata fatta così, fra partigiani.<br />

La sua coesione politica, durata oltre cinquant'anni, e della sua sinistra in<br />

particolare, non nasce <strong>dal</strong>le varie ideologie ma <strong>dal</strong>l'esperienza concreta del<br />

lottare insieme. Quando la spinta propulsiva di quest'ultima si è esaurita,<br />

allora è arrivato lo sbandamento e il "tutti a casa". Che dura tuttora, anche<br />

se mascherato dai più bei discorsi e <strong>dal</strong>le più nobili ragioni.<br />

L'antimafia è stata ed è, nei suoi momenti più alti, l'antifascismo e la<br />

resistenza delle nostre generazioni. Non una somma di idee astratte ma<br />

l'esperienza concreta, e umanamente profonda e spesso rischiosa, del fare<br />

qualcosa insieme contro un potere inumano e diffuso.<br />

Ecco: se la politica deve rinnovarsi, si rinnovi con questo. Coi ragazzi di<br />

Locri, con quelli del liceo Meli ai tempi di Falcone, coi napoletani di<br />

Monitor, coi SicilianiGiovani che lottarono i Cavalieri.<br />

Con tutti quegli esseri umani, umili e non famosi, che nelle varie<br />

situazioni fecero inconsapevolmente politica perché erano ben decisi a fare<br />

Resistenza.<br />

Ecco: nelle nostre radici c'è esattamente questo. Noi non siamo nati per<br />

"politica", siamo nati perché c'era da lottare, e in questa lotta condotta<br />

insieme ci sono state insegnate - di fatto e senza che noi lo volessimo -<br />

molte cose.<br />

Adesso dobbiamo cercare di trasmetterle, in situazioni nuove ma non<br />

sostanzialmente diverse, e di continuare a impararne sempre di nuove.<br />

In questo circolo di imparare/raccogliere, di forma tecnica "dura" e<br />

montanara, libera invece e anarchica quanto a organizzazione, c'è tutto quel<br />

che possiamo dare alla sinistra e al progresso, a qualsiasi sinistra che voglia<br />

veramente dirsi tale.<br />

[Casablanca”, maggio 2007]


6 aprile 2010<br />

LE TRE ITALIE DEL DOPO-VOTO<br />

La cosa più inportante in queste elezioni è che per la prima volta la gente<br />

ha votato secondo criteri “etnici” e non politici: prima c'erano soprattutto<br />

una destra e una sinistra, ora c'è soprattutto un nord e un sud. Qualcosa del<br />

genere si era già verificato negli ultimi tempi della Jugoslavia.<br />

La seconda cosa importante è che queste elezioni, che nessuno<br />

formalmente ha contestato, sono elezioni fino a un certo punto, falsate sia<br />

da irregolarità amministrative (la faccenda delle liste, ecc.) che <strong>dal</strong>la<br />

disparità, ormai ridicola, di propaganda. Entrambe queste caratteristiche<br />

sono ormai praticamente accettate. E' dubbio, da questo punto di vista, che<br />

l'Italia sia ancora un paese democratico nel senso occidentale.<br />

Dal voto sono usciti tre Paesi distinti – il Nord, il Centro con la Puglia, il<br />

<strong>Sud</strong> – dei quali almeno due, come statuto di fatto, sono completamente fuori<br />

<strong>dal</strong>la vecchia Costituzione. Al nord è ormai riconosciuta quasi dappertutto<br />

l'apartheid, che nell'Italia classica non è mai esistita nè a destra nè a sinistra<br />

nè in alcun'altra formazione; al <strong>Sud</strong>, dopo i fatti di Rosarno (ma prima<br />

ancora di Napoli), è ormai indubbio che il reale governo del territorio è<br />

gestito spessissimo da mafia, 'ndrangheta e camorra (il Sistema). Neanche<br />

questo era previsto <strong>dal</strong>la precedente Costituzione.<br />

* * *<br />

La responsabilità delle varie sinistre, in tutto ciò, non è da poco. Il partito<br />

maggiore ha quella di aver lasciato crescere Berlusconi, con una tendenza<br />

all'inciucio (come ora in Sicilia) che sembra fare ormai parte del suo Dna. I<br />

minori quello di essersi colpevolmente divisi (Ferrero e Vendola), di aver<br />

navigato fra piazza e notabilato (Di Pietro), di aver trasformato giuste<br />

istanze in pasticci utili a nessuno (Grillo).<br />

Se si dovesse sintetizzare, il vilain più emblematico risulterebbe<br />

Bassolino: accolto con entusiasmo da una popolazione ansiosa di cambiare,<br />

sostenuto con lealtà e coraggio <strong>dal</strong>la massa infelice ma fiera dei napoletani<br />

– e scivolato nel giro di pochi anni nell'arroganza, nel notabilato, nella<br />

corruzione e infine nel tradimento politico e sociale. Nessun segretario della<br />

sinistra sarà credibile se non farà piazza pulita, e pubblicamente, di tale<br />

gente.<br />

Abbiamo perso il Lazio per pochi voti e il Piemonte per la coglionaggine


(peraltro giustificata) dei grillini; ma la Campania e la Calabria li abbiamo<br />

persi perché abbiamo malgovernato, perché non siamo stati, come la gente<br />

ci aveva chiesto, antimafiosi.<br />

* * *<br />

Non è elevatissimo, il dibattito post-elezioni della sinistra: panico, accuse<br />

reciproche e ambizioni si sfogano liberamente e senza alcun senso di<br />

responsabilità. Tornano a farsi sentire i Veltroni, i D'Alema e gli altri<br />

affossatori del vecchio modello Pci, che pure organizzativamente (e<br />

purtroppo l'ha dimostrato Bossi) era quanto di più efficiente la sinistra<br />

italiana avesse mai prodotto. Negli apparati, i giovani non sembrano molto<br />

meglio dei vecchi, quanto a proclami apodittici gonfi di Io.<br />

Alla base, per fortuna, il clima è differente. Rabbia (si è perso per<br />

pochissimo), volontà di lottare, patriottismo. Fra i giovani soprattutto c'è<br />

confusione, sconcerto, paura per l'avvenire ma non, o assai raramente,<br />

rassegnazione. E questo trasversalmente, senza gran distinzioni di partito.<br />

Chi spera in Vendola, chi in Bersani, ma in un Bersani o un Vendola visti<br />

non come grandi leader blairiani ma come servitori seri e modesti di noi<br />

tutti.<br />

Il modello politico – lo ripetiamo ancora – per noi è quello dell'antimafia,<br />

libera, responsabile, combattiva e unita. Il progetto potrebbe ripartire<br />

dell'intervista estiva di Romano Prodi (qui a suo temo ripresa), autocritico,<br />

anti-blairiano, irriducibilmente anti-destra, e ottimista.


6 aprile 2010<br />

C'ERA UNA VOLTA l'ITALIA<br />

L'Italia, che per la maggior parte della sua storia è stata un'“espressione<br />

geografica” politicamente disgregata, è stata tuttavia sempre unitissima sul<br />

piano della cultura e, diciamo così, sentimentale. Lo è ancora<br />

L'Italia comincia a Formia e finisce a Sassuolo. Prima di Formia, sei in<br />

terra di camorra (o di 'ndrangheta o mafia, secondo i casi). Dopo Sassuolo,<br />

Parma ormai americana (coi sikh col turbante che lavorano il parmigiano) e<br />

poi Piacenza, il Po, la Padania.<br />

Padania parta est in partes tres, di cui la prima l'abitano i Padani<br />

(anticamente Lombardi), l'altra è il Nordest (un tempo Veneto) e la terza il<br />

Piemonte, unico ad aver conservato il vecchio nome. L'Italia, in queste<br />

terre, conserva Genova, Susa, Spezia, Mantova e Aosta. <strong>Un</strong> tempo questa<br />

regione era costellata di fabbriche (a ovest) e chiese (a est). Queste ultime<br />

esistono ancora, per quanto vi sia cambiata la religione; ma le fabbriche<br />

sono state quasi tutte trasferite in Cina, lasciando al loro posto vasti buchi<br />

neri. Le autorità periodicamente li riempiono di veline, stilisti, finanzieri<br />

d'assalto e faccendieri per evitare che gl'indigeni si accorgano che lì manca<br />

qualcosa. Per la stessa ragione aizzano, quando lo ritengono il caso, pogrom<br />

contro gli zingari, i miscredenti, i mori o anche i semplici stranieri.<br />

A sud di Roma (di cui estremo avamposto è Formia) si stendono gli Stati<br />

Criminali, cosìddetti non perché la criminalità vi sia particolarmente elevata<br />

(lo è) ma perché vi governa. Da secoli colà pacificamente conviveva con re,<br />

duchi, repubbliche e chiese locali. Negli ultimi vent'anni, tuttavia, ha<br />

ritenuto di non aver più bisogno di loro e di poter prendere direttamente<br />

nelle proprie mani le cure dello Stato; ciò che è avvenuto rapidamente e con<br />

uno spargimento di sangue relativamente contenuto. E' stato tuttavia<br />

mantenuta, nella maggioranza dei casi, un'apparenza di continuità (in molte<br />

cittadine della Calabria esistono ancora le caserme dei Carabinieri),<br />

soprattutto per riguardo ai cittadini più anziani.<br />

Ciascuna di queste organizzazioni ha un nome pubblico (Camorra, Cosa<br />

Nostra, 'Ndrina) che si richiama agli antichi tempi; con esso è conosciuta<br />

all'esterno del paese; fra loro, tuttavia, si chiamano semplicemente "il<br />

Sistema", termine più moderno e molto più adeguato alla situazione.<br />

Da tutte queste terre l'Italia fu espulsa fra il 1982 e il 1993; nessuno dei


tentativi di riconquista attuati (ma sempre con forze insufficienti e per così<br />

dire all'avventura) da questo o quel funzionario italiano ha avuto successo;<br />

pertanto i maggiorenti italiani decisero, dopo matura meditazione, di<br />

riconoscere il fatto compiuto e di concedere a quei baroni, se non il nome,<br />

almeno la sostanza della libertà. Quelli tuttavia non se ne contentano ma<br />

muovono arditamente, e non senza successi, alla conquista del rimanente<br />

d'Italia. Il che se otterranno, lo vedranno i nostri nipoti.<br />

Si eccettuano, a questo regime, alcune terre che, con gran difficoltà ma<br />

tenendo fede, mantengono per via di mare i legami con Roma. Ed esse sono<br />

Stromboli, Filicudi, Alicudi, le Puglie, Siracusa in Sicilia e la Basilicata.<br />

Quanto a lungo potranno resistere, Dio lo sa. Si aggiungano, molto più<br />

lungi, i Sardi, divisi tuttavia <strong>dal</strong>l'Italia da lingua, mare e costumi. Va tuttavia<br />

ricordato, a loro onore, che il Sistema da loro non attecchisce. Fieri e gelosi<br />

della loro isola, ne hanno respinto mafia, camorra, 'ndrangheta e americani.<br />

Tale lo stato della penisola italica ai nostri tempi. Dalla mia giovinezza,<br />

come tutto è cambiato! Allora - e parlo della tarda metà dell'altro secolo,<br />

quando le lucciole e i filobus c'erano ancora - l'Italia era un luogo<br />

incantevole, unito <strong>dal</strong> nord al sud, diviso in tantissimi popoli che però, per<br />

alchimia dello spirito, si completavano fra loro. Così al napoletano cialtrone<br />

ma intelligentissimo faceva contrappunto il buon torinese serio e quadrato;<br />

il corridore veneto ("Mama son contènto di esser arivado uno!") era<br />

congenere del picciotto palermitano ("Bedda matri e che ffu?"); volti e<br />

dialetti si mescolavano nel crogiolo della Fabbrica, koiné non essendo il<br />

pidgin italish di ora ma un veneto-turìn-sicilianu comprensibile a tutti, da<br />

tutti amato. Cessava dopo un millennio il latinorum dei preti; l'italoromanesco<br />

della Rai, ben più popolare, ne prendeva il posto ed<br />

alfabetizzava tutta quanta l'Italia - da Nicolò Carosio al maestro Manzi - per<br />

la prima volta nella sua lunga storia.<br />

* * *<br />

Adesso, cammini ingrugnato per piazza Maggiore. Le foto dei duemila<br />

partigiani (modeste fototessere in bianco/nero) nella bacheca di vetro, sopra<br />

i gradini; e frotte di ragazze e ragazzi che chiacchierano allegramente sotto<br />

di esse. E il sindaco - il nostro sindaco - che ha appena fatto l'accordo col<br />

fascio, per "mantenere l'ordine" e tenere lontani i lavavetri. E sei ancora a<br />

Bologna, città civile; non sei a Verona dove il sindaco appena insediato ha<br />

dichiarato guerra, in un'unica dichiarazione, agli zingari e alla<br />

Sovrintendenza alle Belle Arti o a Catania dove ammazzano i poliziotti allo


stadio e ridono il giorno dopo. Non sei a Milano né a Napoli - capitali<br />

antichissime, testa e cuore - dove scacciano i mendicanti e fanno spacciar<br />

droga ai bambini.<br />

L'Italia è sempre stata le Italie. Italian macaroni, mandolino. Abbiamo<br />

sempre avuto un Nord e un <strong>Sud</strong>, e ciò ci faceva più belli. Anche Milano, per<br />

Stendhal, era una città meridionale. Anche Napoli - Cuoco, Amendola - era<br />

illuminismo. C'era un grandissimo poeta cattolico, Pasolini, c'era un<br />

immenso rivoluzionario comunista, don Milani. C'era papa Giovanni e<br />

Peppone. C'era Gassmann, Mina, le Kessler, Alberto Sordi: chi di questi era<br />

nord e chi era sud, chi non era semplicemente italiano?<br />

C'era la grande Inter. State a sentire: Sarti, Burgnich, Facchetti, Guarneri,<br />

Picchi... cioè Giuliano, Tarcisio, Giacinto, Aristide, Armando... Avete visto<br />

che nomi? Nobili, densi di storia, popolari. Nomi italiani.<br />

Di che paese sarà la mia nipotina? Certo, sarà europea. Ma poi? Sarà<br />

semplicemente siciliana - o nordestina, o bolognese - o sarà italiana? Ha<br />

ancora un senso pensarlo? Altre nazioni sono sparite, o per trauma o per<br />

noia. Non si è più austroungarici, non si è più jugoslavi. O ateniesi, o<br />

cheyenne o polinesiani. Così sta sparendo l'Italia, o e già sparita; non già<br />

politicamente ma proprio nel profondo, come nazione.<br />

Di solito, quando parliamo di nazioni, pensiamo ai bei discorsi, alla patria<br />

immortale. Roba di destra, insomma. Invece, la nazione è una cosa di<br />

sinistra. E' ciò che sopravvive. E' popolare.<br />

* * *<br />

La nazione è il porto di Messina, con la nave che va in Australia pronta a<br />

partire, i contadini di Caltanissetta e Favara sul ponte e i parenti sulla<br />

banchina, tutti ridanciani e chiassosi, per dare coraggio a chi parte.<br />

Sciolgono gli ormeggi, e la nave si stacca. E in quel preciso momento, cogli<br />

emigranti tutti aggrumati a poppa e i parenti sulla punta del molo, che ormai<br />

piangono liberamente perchè tanto da lontano non si vede, la banda, che<br />

fino allora aveva suonato canzonette allegre, comincia a suonare l'inno: il<br />

primo e l'ultimo, per la maggior parte di loro, della loro vita. Questo non<br />

succedeva nell'Ottocento: succedeva vent'anni fa. Ci sono duemila<br />

emigranti, nella città di Sidney, di Santa Marina Salina; a Santa Marina, ne<br />

saranno rimasti forse mille. C'era il consolato australiano a Messina, fatto<br />

apposta per loro. E prima quello del Belgio, per le miniere. E prima quello<br />

argentino, quello americano...<br />

C'è un poeta veronese, Barbarani, di cui i veneti si sono ormai dimenticati


da un pezzo; e io non ne ricordo che un verso, ma che è tutto un mondo;<br />

siamo fra gli emigranti veneti, "seradi" all'osteria, la sera prima della<br />

partenza: "Porca Italia!, i biastema, andemo via". Ci sono i genovesi, in<br />

Argentina, e i lombardi, e un intero quartiere che si chiana Palermo. Ci sono<br />

gli italiani d'America, fisici nucleari e mafiosi. Ci sono i bergamaschi, che<br />

andavano a lavorare in Francia; e una volta la popolazione di un'intera<br />

provincia scatenò il pogrom contro di loro e ne fece strage. C'è Bologna (il<br />

sogno di noi siciliani di sinistra, un tempo, era che Palermo diventasse<br />

un'altra Bologna) dove se vai a fare due passi alla Montagnola ti trovi<br />

esattamente nel posto dove una volta c'era la fortezza papalina che<br />

controllava la città. Quattro volte la distrussero, i bolognesi, e quattro volte<br />

il papa la ricostruì; la quinta, restarono a vincere loro e ne fecero terra e ci<br />

fecero su i giardinetti. Tutti insieme, questi erano gli italiani.<br />

Ci sono pochi paesi al mondo che abbiano avuto tanto kitsch di generali e<br />

politici come l'Italia; ma pochi che abbiano avuto, nella grandissima parte<br />

dei cittadini, tanta storia di vita e tanta umanità. Il nostro, molto più che uno<br />

stato, è - o era - una cultura, un modo d'esserci; un software. Facile da<br />

sfasciare pestando a casaccio sul computer; difficilissimo, e probabilmente<br />

impossibile, da rimettere insieme.<br />

* * *<br />

Non so se ci sarà ancora un'Italia fra dieci anni, o solo una specie di<br />

Belgio o un'Alabama. In quest'ultimo caso, sarà un peccato per tutti: perchè<br />

non sono molti i posti del mondo dove si sia riusciti, per tanti secoli, ad<br />

essere poveri e tuttavia signori, e dove si sarebbe potuto essere finalmente<br />

ricchi restando umani. Avrmmo potuto insegnare ai poveri del mondo come<br />

si fa ad uscire <strong>dal</strong>la miseria e ai ricchi come si possono usare<br />

dignitosamente i denari. Invece stiamo preferendo imitare pacchianamente e<br />

maldestramente i ricchi di più antica data, e scalciare ferocemente contro i<br />

poveri che ancora si dibattono indietro.<br />

I tempi delle nazioni non sono quelli della cronaca, e dunque quello<br />

attuale, chissà, potrebbe essere solo un involgarimento passeggero. Ma<br />

potrebbe anche essere la fine definitiva di una storia che dura da più di<br />

duemila anni. Noi non abbiamo una hispanidad sparsa nel mondo né un<br />

commonwealth né una cultura illuministica che comunque coinvolga altri<br />

paesi. Siamo solo noi italiani d'Italia, con la nostra lingua parlata solo da noi<br />

stessi, con la nostra identità sofisticatissima ma delicata, con i nostri<br />

meccanismi etologici quasi impossibili da analizzare - e tutto questo può


sparire, per incultura, demagogia e rozzezza, nel giro di una generazione.


15 aprile 2010<br />

IL NUOVO TERRORISMO<br />

Rachel Odiase, tredici mesi, nigeriana, figlia dell'operaio Tommy Odiase,<br />

morta per mancanza di cure poco dopo essere stata respinta <strong>dal</strong>l'ospe<strong>dal</strong>e di<br />

Cernusco, Italia, è a tutti gli effetti una vittima del terrorismo.<br />

La vita non le è stata tolta per ignoranza, o per superficialità colpevole, o<br />

per "incidente": è stata respinta perchè non in regola coi documenti. Suo<br />

padre da tredici anni lavorava in Italia con tutti i permessi possibili: il Pil di<br />

noi italiani bianchi è fatto dagli anni di lavoro di operai come questo. <strong>Un</strong><br />

mese e mezzo fa, per la "crisi", il padrone l'aveva licenziato: il permesso di<br />

soggiorno, che va rinnovato (e pagato) ogni sei mesi, in questi casi richiede<br />

tutta una serie complessa di documenti, che certo a un operaio come Odiase<br />

nessuno si cura molto di consegnare in tempo. Senza documenti del Reich,<br />

senza accettazione, senza permesso, la piccola Rachel è stata praticamente<br />

condannata a morte.<br />

Questo, che noi sappiamo, è il primo caso eclatante di eliminazione legale<br />

di un piccolo immigrato. Ma c'erano già le storie dei piccoli buttati fuori<br />

<strong>dal</strong>le mense scolastiche, lasciati col piatto vuoto davanti ai compagnucci<br />

dell'asilo, semplicemente perché erano poveri e non avevano pagato in<br />

tempo la retta. E i piccolissimi zingari bruciati - anche questo è successo -<br />

nelle loro tende a Opera, Lombardia; e vivi per miracolo, non certo per pietà<br />

dei razzisti; e quelli cacciati via <strong>dal</strong>le squadracce mafiose a Rosarno, a<br />

Poggioreale, a Milano <strong>dal</strong>la guardia civica cittadina.<br />

Nessuno di questi episodi è casuale. Così come i piccoli ebrei, germe del<br />

male e seme di Ubermensch, dovevano essere sradicati <strong>dal</strong>la terra per il<br />

bene della razza ariana, così gli immigrati più piccoli vanno cacciati - o<br />

uccisi - per primi e in fretta: prima che diventino uomini, uomini di razza<br />

nemica.<br />

Il terrorismo nei confronti dell'immigrazione (le "cannonate in pancia" di<br />

Bossi, il gioco "affonda un immigrato" di suo figlio) è stato apertamente,<br />

nel nostro silenzio colpevole, teorizzato. La strategia è di fare paura, l'Italia<br />

deve apparire un paese terribile, da cui tenersi lontano. Non è vero,<br />

onorevole Bossi? Non è vero, onorevole Borghezio, sindaco Tosi, sindaco<br />

Gentilini?<br />

In nulla si differisce il terrorismo, che ormai crea le sue vittime, di costoro


da quello dei Nar o <strong>dal</strong>le Brigate Rosse. Va contrastato a ogni costo, con<br />

mezzi moderati se possibile, con ogni altro mezzo se occorre. Quanto a<br />

parlare coi terroristi, a "dialogare" coi loro alleati, a cercare non dico<br />

collaborazioni ma trattative con essi, è un'idea che dovrebbe far vergognare<br />

chi anche lontanamente ce l'abbia in mente.


15 aprile 2010<br />

L'INFORMAZIONE E LA SPERANZA/<br />

UN DIBATTITO<br />

<strong>Un</strong> giovane giornalista siciliano emigrato a Milano nterviene sul sito di<br />

Step 1 (il sito universitario catanese) con un post molto interessante<br />

intitolato “L'informazione e la speranza”. Ma non è giunto il momento – si<br />

chiede il ventitreenne Salvo Catalano – di creare uno spazio d'informazione<br />

nuovo? Ne viene fuori, con un suo collega più anziano, un dibattito che<br />

forse potrebbe interessare anche altri<br />

Salvo Catalano wrote: ...Potrei non voltarmi più indietro se non fossi<br />

caduto dentro a un sogno collettivo: fare il mio mestiere nella mia città. <strong>Un</strong><br />

redattore di Step1, da quest'autunno a Milano per frequentare una scuola di<br />

giornalismo crede che sia venuto il momento di credere nel "senso della<br />

possibilità" .<br />

Ma la possibilità di che cosa? Di creare uno spazio dell’informazione<br />

nuovo. Non controinformazione, che rischia di rimanere sempre chiusa in<br />

ambiti ristretti. Ma semplicemente informazione libera, in grado di abituare<br />

i cittadini alla libertà, di formarli con l’idea che i diritti non si elemosinano<br />

ma si pretendono. Che non serve e non conviene essere clienti a vita. Penso<br />

che questo sia uno dei compiti del giornalismo, il più urgente per chi fa<br />

informazione ai piedi dell’Etna.<br />

Resta un dato: nessuna città italiana, grande e importante come Catania,<br />

ha un solo giornale.<br />

Non esiste una free press che copra in modo capillare la nostra città. E chi<br />

sostiene di tutti, ma anche privata perché appartiene ad ognuno di loro.<br />

Questo significa creare reti tra i cittadini, e tra i cittadini e il territorio.<br />

Significa responsabilizzare una generazione, cominciare ad instillare il<br />

principio che la città è ‘cosa proprià.<br />

* * *<br />

riccardo orioles wrote: Noi lavoriamo da anni alla speranza che tu scopri<br />

ora. Perché non lavorare insieme?<br />

Voi catanesi siete tribali, in questo. Ognuno di voi all'alba guarda il sole<br />

sinceramente ammirato e pensa: "minchia, ch'è beddu!<br />

guarda che bedda scoperta fici!"- Senza minimamente sospettare che altri<br />

nello stesso omento possano guardare la stessa aurora.


Sentiamoci, se vuoi. Mi piacerebbe se voi di Step, una volta o l'altra,<br />

riusciste a credere veramente all'idea di un progetto comune.<br />

(Nè i vostri vari articoli di questi giorni nè l'ultimo vangelo di Lo Vecchio<br />

contengono - se non sbaglio - la parola "Ciancio". Tecnicamente, è una<br />

parola necessaria per cominciare anche solo a discutere di informazione<br />

seriamente, qui e ora) (Io non ho aerei da prendere, nè per Milano nè per<br />

altrove. Io sono qui in Sicilia, per mia scelta. <strong>Un</strong> po' perché conto - nei<br />

momenti d'ottimismo - nei giovani come te.<br />

<strong>Un</strong> po' - nei momenti di ragionevolezza - perché voglio salvare la mia<br />

dignità anche da solo. Ma se fossimo tutti uniti potremmo persino vincere.<br />

Ed è sapere questo che mi danna).<br />

* * *<br />

L.G. wrote: PS per Riccardo. Vecchio e non Lo Vecchio.<br />

<strong>Un</strong> giornalista deve stare molto attento a non storpiare i nomi di persona!<br />

Se lavorate da anni a un qualcosa senza esserci riusciti, non potrebbe darsi<br />

che quel progetto debba essere in parte modificato?<br />

* * *<br />

riccardo orioles wrote: intanto hai ragione per Vecchio. Il fatto è che<br />

scrivo quasi senza vederci (glicemia, vista bassissima) e quindi vado spesso<br />

a memoria. Me ne scuso. Ma scrivo per rispondere alla tua (sensata)<br />

osservazione: "Se lavorate da anni a un qualcosa senza esserci riusciti, non<br />

potrebbe darsi che quel progetto debba essere in parte modificato?".<br />

Naturalmente, nessun progetto è eterno, ogni progetto va sempre<br />

continuamente aggiornato, ed è quello che cerco di fare. Però non è esatto<br />

che non siamo riusciti a niente.<br />

Elenco alcuni punti: - I Siciliani sono stati, dopo l'Ora, la principale<br />

esperienza giornalistica della Sicilia.<br />

Sono durati molto a lungo e in un certo senso durano tuttora.<br />

- Nel '93, i Siciliani quotidiano è stato a un pelo <strong>dal</strong>l'uscire (solo la vittoria<br />

di Berlusconi, che non dipendeva da noi, ha indotto i finanziatori a ritirarsi).<br />

- Avvenimenti è stata la principale, e senz'altro la più popolare (e libera)<br />

rivista della sinistra (quando c'ero io superava le 60mila copie e non<br />

dipendeva da nessun partito).<br />

- I Cavalieri a Catania non ci sono più, in parte grazie ai giudici ma<br />

soprattutto grazie ai movimenti (Siciliani, SicilianiGiovani, Associazione<br />

Siciliani, Città Insieme, ecc.).<br />

- Ancora negli ultimi anni, abbiamo sviluppato, e più ancora creato le


condizioni per farli crescere, tutta una serie di soggetti giovani e combattivi.<br />

Casablanca, U<strong>cuntu</strong>, i Cordai e il Gapa, la Periferica, lo stesso Addiopizzo<br />

Catania, e soprattutto Lavori in Corso, sono tutte realtà, coi loro limiti, vive<br />

e combattive e potrebbero essere il nucleo di qualcosa di veramente nuovo.<br />

- In tutti questi anni abbiamo sempre e coerentemente individuato il vero<br />

punto debole dell'informazione a Catania, che è il monopolio di Ciancio.<br />

Rimuoverlo - come fanno, certo involontariamente, Vecchio e il giovane<br />

Catalano - è pericolosissimo, perché significa trasportare tutto il dibattito da<br />

Catania a Stoccolma, <strong>dal</strong>la realtà dei fatti concreti a quella dei buoni<br />

sentimenti e delle poesie.<br />

Ecco: a me pare bello che vengano avanti idee nuove, ma non credo che<br />

ogni volta bisogni ricominciare proprio da zero. C'è un patrimonio<br />

ricchissimo di esperienze forti, che hanno dimostrato la loro validità e che<br />

in parte sono ancora in corso. <strong>Un</strong>iti si vince, si diceva una volta, e io credo<br />

fermamente che vincere sia possibile - tutti uniti - anche a Catania e anche<br />

sul terreno dell'informazione.<br />

Infine, un invito per Salvo: la mia mail è riccardoorioles@gmail.com e il<br />

mio numero è 333.7295392. Puoi contattarmi quando vuoi - se ti va e se sei<br />

pronto a metterti in discussione. Io lo sono, è il mio lavoro discutere<br />

continuamente cose nuove. Ma sono un interlocutore abbastanza importante<br />

per te? :-) Non sono un industriale, non sono un professore universitario...<br />

Sono semplicemente un giornalista, uno che di giornali se ne intende e non<br />

ha oltre a questo, alcun potere politico o economico da far valere. Questo<br />

vale alcuni minuti (o ore, o giorni, o mesi), del tuo tempo?<br />

Giro questa domanda, provocatoriamente, agli amici di Step1 - qua<br />

stiamo lavorando anche e forse soprattutto per loro. "Lavori in corso", come<br />

si dice.


18 maggio 2010<br />

COME RUBANO ORA<br />

NON HANNO RUBATO MAI<br />

Quelli di Mani Pulite, al confronto, erano boy-scout. Questi sopravvivono<br />

solo perché non c'è più l'informazione (e vogliono imbavagliare quella poca<br />

che resiste, in internet). Così gli italiani li tollerano, o per ignoranza o<br />

perché gli piace...<br />

Se l'informazione fosse ancora quella dei tempi normali (non chiedo<br />

molto: quella di vent'anni fa) l'Italia oggi sarebbe percorsa da cortei di gente<br />

incazzata che chiederebbe conto al governo della catastrofe imminente e in<br />

parte già in corso. Invece “tutto ok”, “tutto sotto controllo”. Se esistesse una<br />

tv in Italia la gente assedierebbe i palazzi tempestando di monetine le auto<br />

blu.<br />

Altro che Mani Pulite: qua rubano infinitamente di più di tutti i ladroni di<br />

allora messi insieme. Mario Chiesa è un boy-scout rispetto a un Bertolaso o<br />

a un Scajola. Mariuoli? Qua si parla di gente che si compra i Feltri come<br />

noccioline, altro che prime pagine coi cinghialoni.<br />

“Saviano - disse il procuratore del Re Emilio Fede (nel senso che al suo re<br />

gli procurava le tipe) - Saviano mi fa ridere, qua sono io, l'eroe!”. <strong>Un</strong>a così<br />

non s'era mai sentita, sotto Craxi. “Craxi? <strong>Un</strong>o statista, un grand'uomo!”<br />

proclamò Sandra Milo, fedele nella catastrofe, ai reporter che la inseguivano<br />

nei giorni della disfatta. Ma quante resteranno fedeli, in circostanze<br />

analoghe, a Berlusconi? Diaco? Carfagna? La Noemi? E' in momenti del<br />

genere che si vede chi fu Napoleone e chi Cagliostro.<br />

Di ciò si potrebbe anche ridere, se alla fine non fossero soldi nostri. Soldi,<br />

vite, dolori: il fascismo c'è già, per un quarto abbondante degli italiani<br />

(poveri, neri, gay, disoccupati). I giovani, qua al sud, non lavorano più,<br />

tranne gli spacciatori. La macchina maciulla-ragazzi funziona<br />

selvaggiamente (qua comandano i vecchi, gli ultra-settantenni) e tutto<br />

l'avanspettacolo, tutte le facce da fratelli De Rege (ma guar<strong>dal</strong>i una buona<br />

volta i Bossi, i La Russa, i Bondi, i Calderoli) splende a corte.<br />

I democristiani rubavano, ma nessuno per figli così scemi come il figlio di<br />

Bossi. I socialisti a Milano avranno grattato un poco, ma il duomo almeno<br />

l'hanno lasciato lì (c'è ancora? Non ci credo. Sarà un fotomontaggio).<br />

<strong>Un</strong> ministro, Tanassi, finì ai domiciliari e poi in galera per un intrallazzo


da duecento milioni, nella vecchia Italia ladrona; un presidente, Leone, si<br />

dovette dimettere perché forse intrallazzavanno i suoi figli. Qua circola<br />

Bertolaso e circola Scajola. E sono ancora fra i migliori perchè nessuno (a<br />

differenza di altri colleghi, legati a mafia camorra e 'ndrangheta) li accusa di<br />

avere ammazzato nessuno.<br />

Questa è l'Italia che avete, miei nobili concittadini. Non ho ancora capito<br />

se l'accettiate per ignoranza, o perché proprio vi piace così. Nel primo caso<br />

(io debbo credere al primo caso, perché sono italiano), il nostro mestiere è<br />

di informarvi e qui, come in altri luoghi – per lo più eterei – facciamo il<br />

nostro lavoro. I vostri ladri ci cercano fin qui nell'internet, per metterci il<br />

bavaglio addosso e mantenervi ignoranti (o felici).<br />

“A signora donna Lionora/ che cantava 'ncoppa o teatro/ mo' abballa in<br />

mezzo o' mercato” dissero di una nostra collega che alla fine riuscirono a<br />

imbavagliare (e a impiccare in piazza mercato), molti anni fa. I Borboni, la<br />

plebe, l'Europa lontanissima, i Bossi e i La Russa di allora. Quanto tempo è<br />

passato, amici miei. E' passato?


2 giugno 2010<br />

IL PARTITO DEI NOTABILI. DI NUOVO?<br />

“Destra, sinistra? Che ce ne frega! Mettiamoci d'accordo fra di noi” E'<br />

sempre stata questa la tentazione dei proprietari meridionali, <strong>dal</strong><br />

“trasformismo” di Depretis al “milazzismo” di metà Novecento. In<br />

italiano, si chiama inciucio. E non muore mai<br />

A volte gli inciuci servono (l'ha detto anche il grande D'Alema) e a me<br />

questo qua, per esempio, ha fatto guadagnare cinquemila lire. Quale? Ma<br />

questo alla regione siciliana, naturalmente, fra il capo dei leghisti siculi<br />

Lombardo (uno che si fa le campagne elettorali coi pacchi di pasta) e il<br />

partito democratico siciliano. Alla giunta Lombardo, fumante di coltellate<br />

fra peones dei vari boss, è arrivato l'appoggio esterno, sotto forma di<br />

astensione, del Pd. Questo significa che il Pd prende un suo uomo, lo mette<br />

- proclamando di non conoscerlo: "E' solo un tecnico" - nella giunta e va<br />

avanti tranquillamente verso il suo destino.<br />

Va bene, non è un argomento molto interessante, e non è d'altra parte che<br />

io ne sia particolarmente esperto. Ma chi è il nostro uomo presso<br />

Lombardo? Il professor Mario Centorrino. E chi è Centorrino? Ecco, adesso<br />

vengo alla storia - per me importante - delle cinquemila lire.<br />

<strong>Un</strong>a ventina d'anni fa Centorrino - come d'altronde adesso - insegnava<br />

all'<strong>Un</strong>ivrsità di Messina. Fra i suoi laureandi c'era un ragazzo un po'<br />

anomalo, che si chiamava Antonello Mangano. L'anomalia consisteva nel<br />

fatto che Antonello (allora a Messina c'erano studenti che facevano l'esame<br />

con la pistola sul tavolo) non aveva nessuna voglia di chiudere occhi e<br />

orecchi sul mondo (accademico) circostante ma voleva renderne conto,<br />

scriverne, e addirittura dedicargli la sua tesi di laurea: "Il grado di coesione/<br />

Borghesi e mafiosi nell'ateneo messinese".<br />

La cosa destò scalpore. Quando Centorrino ne venne a conoscenza, ritirò<br />

senz'altro la firma <strong>dal</strong>la tesi di Antonello, che da un momento all'altro si<br />

trovò esposto e senza copertura in un momento in cui i guai piovevano da<br />

tutte le parti e l'<strong>Un</strong>iversità di Messina era un posto un po' meno sicuro di<br />

Abilene.<br />

Basta, la cosa finì bene perché: 1) Antonello rimase vivo; 2) Gli Editori<br />

Riuniti gli pubblicarono la tesi in un libro, che ebbe persino un discreto<br />

successo. Nel frattempo la situazione a Messina si aggravò ulteriormente,


con professori sparati per le strade e mafiosi che imperversavano dentro e<br />

fuori l'università, e questo era tutta pubblicità per il libro di Antonello. Che<br />

poi diventò giornalista, fece un ottimo sito (terrelibere.org) pieno di<br />

inchieste, restò disoccupato quanto a stipendio ma non come lavoro utile per<br />

la città... Ma questo è un altro discorso. E le cinquemila lire?<br />

Ecco, quando ho saputo di questa faccenda della firma ritirata, tanto<br />

m'imbestialii (volevo bene a Antonello) che cominciai a blaterare frasi prive<br />

di senso: "Ma è modo di fare questo! Ma così ci si comporta con gli<br />

studenti! Ma dov'è il senso di responsabilità? Ma questo prima o poi finisce<br />

a fare il fascista!". E qui qalcuno m'interruppe: "Fascista, dai! Centorrino è<br />

un democratico, un compagno... Come vuoi che finisca nei fasci uno così!".<br />

"Vedrai che ci finisce, vedrai! Non ci credi! E scommettiamo!<br />

Scommettiamo... scommetto cinquemila lire! Che questo prima o poi me lo<br />

vedo in stivali e camicia nera!".<br />

La scommessa fu accettata e passarono gli anni e Centorrino,lungi<br />

<strong>dal</strong>l'adempiere alla mia lugubre profezia, continuò la tranquilla routine<br />

dell'intellettuale progressista. Che in Sicilia comprende editoriali per i<br />

giornali forcaioli e di destra (la Gazzetta di Messina), articolesse sui giornali<br />

degli imprenditori collusi (La Sicilia di Catania), ecc. ecc. E scusa, per chi<br />

bisogna scrivere? Mica per quei pazzi dell'antimafia, che fra l'altro<br />

nemmeno pagano i pezzi. E poi le consulenze (per Cuffaro e per gli altri),<br />

che fanno pure brodo per il lesso.<br />

Ma adesso, finalmente, posso dire - magari forzando un po' - di avere<br />

vinto la scommessa. Che Lombardo sia di destra non c'è il minimo dubbio.<br />

<strong>Un</strong>a destra particolarmente odiosa, fra Achille Lauro (i pacchi di pasta) e<br />

Calderoli (l'alleanza di ferro con la Lega). Mettigli una camicia nera<br />

qualunque - che poi il nero è di moda - e che ottieni? <strong>Un</strong> fascista.<br />

Pino, voglio i miei soldi. Cinquemila lire. Che fa due euri e cinquanta anzi<br />

(se <strong>dal</strong> cambio per ricchi passiamo al cambio vero, quello per pensionati e<br />

operai) fa cinque begli euri tondi tondi.<br />

"Va bene, ma a me lettore che cavolo me ne frega delle scommesse tue?".<br />

Eh, bello mio. Qua si parla d'inciucio, di un solo inciucio, inciucio siciliano.<br />

Ma che dici, altri inciuci non ne faranno? E quanti Centorrini si stanno<br />

preparando, in questo momento, a sacrificarsi nobilmente per la<br />

governabilità e tutto il resto?<br />

(P.S.: Nel frattempo, a Messina, Centorrino presenta il suo “Il partito del<br />

<strong>Sud</strong>”. Relatori? Francantonio Genovese e Domenico Nania, due pezzi della


storia politica recente: che adesso, a quanto pare, si ricompongono a unità).


2 giugno 2020<br />

MARE MOSTRUM<br />

Non è ancora come il Golfo Persico, ma è già uno dei mari più a rischio<br />

del pianeta. In Grecia, nel giro di poche settimane, un tranquillo Paese<br />

semi-agricolo è finito dentro alla macchina di triturazione. In Medio<br />

Oriente, il vecchio Stato (laburista) di Israele non esiste più e il suo posto è<br />

stato preso, per l'appunto, da un regime mediorientale che massacra e fa<br />

stragi come tutti gli altri. In Italia sono stati persi trecentosettemila posti di<br />

lavoro e un giovane ogni tre è disoccupato…<br />

Insomma, il mondo dei sogni sta andando a pezzi. Non che prima le cose<br />

fossero molto migliori (non si è atteso Netanyahu per fare Sabra e Chatila<br />

né Berlusconi per far macelleria sociale), ma prima almeno erano presentate<br />

come eccezioni. Adesso, invece, le si proclama come normalità.<br />

Certo, non è stato facile arrivarci: c' è voluta una lunga e paziente opera<br />

di propaganda, di fronte alla quale Goebbels e Beria erano dei dilettanti; ma<br />

alla fine ci si è arrivati. L'uomo non è più un uomo, puoi massacrarlo alla<br />

generale Sherman (“L'unico indiano buono...”), apertamente. L'operaio,<br />

altro che diritti!, è una macchina punto e basta (“Prendiamo la via della<br />

Cina!”, incita Romiti). Il gay, la donna, il bimbo del turismo sessuale,<br />

chiunque non sia maschio adulto “regolare”, può essere violentato, o<br />

quantomeno aggredirlo, impunemente.<br />

Quest'opera di mutazione culturale, di riformazione freddamente studiata<br />

del senso comune umano (è di questo che parlano quando parlano di<br />

“riforme”) può essere e dev'essere contrastata da noi tutti. Tutti? Certo, una<br />

mano possono darla anche i Vip, ma con riserve e limiti che prima o poi ne<br />

offuscano – vedi il recente caso Santoro – la credibilità di fondo.<br />

Meglio contare sulle nostre forze, sui militanti antimafia (e dunque<br />

antifascisti, antirazzisti ecc.) vecchi e nuovi.<br />

Facciamo due esempi specifici, tanto per non chiacchierare a vuoto. Il<br />

primo è quello di Chiara, una giovane collega di ventitrè anni che sta<br />

arrivando al massimo premio giornalistico coi suoi “sconosciuti” video sulle<br />

lotte sociali catanesi (sconosciuti per Minzolini, non certo per noi di U<strong>cuntu</strong><br />

o quelli dell'Experia).<br />

Il secondo è quello di Roberto, che ha più di sessant'anni e una carriera<br />

brillantissima alle spalle ma la vecchiaia la sta passando a formare


giornalisti antimafiosi e a scrivere su mafia e governo cose tali che ogni<br />

paio di settimane mandano un paio di pirati ad hackerargli il sito.<br />

Non cerchiamo altri alleati, non ce ne sono. Stiamo uniti, lavoriamo,<br />

facciamo rete. Su questo numero di U<strong>cuntu</strong> trovate annunci di rete per le<br />

settimane prossime, a Catania e a Ragusa. Non siategli indifferenti, non<br />

guardateli con estraneità: anche se voi non ci siete, sono momenti vostri.<br />

Dovunque siate, comunque la pensiate, qualunque sia l'ingiustizia contro la<br />

quale siete (o credete di essere) soli.<br />

Perché la rete è l'unica che può aiutare tutti, in Sicilia, nelle fabbriche, in<br />

tutto il nostro mondo, nel paese. La rete, l'intelligenza collettiva degli esseri<br />

umani.


11 giugno 2010<br />

VENDERE SOGNI O RACCONTARE REALTA'<br />

Perché nessuno parla mai dei giornalisti calabresi? Sono i migliori<br />

d'Italia, ma raccontano – semplicemente – la verità. L'industria del<br />

consenso non sa proprio che farsene di loro. Sono i nostri naturali modelli,<br />

e interlocutori. “Nostri”, di chi? Eh...<br />

Vespa, Lerner, Santoro, Feltri, Mauro, Belpietro... Li riconoscete? “Certo<br />

che li conosciamo! Sono i massimi giornalisti italiani, quelli che fanno le<br />

notizie, i maestri”.<br />

Benissimo. E ora vediamo questi: Inserra, Baldessarro, Cutrupi,<br />

Monteleone, Mobilio, Bozzo, Pistoia, Pantano, Agostino, Rizzo, Baglivo,<br />

Anastasi, D'Urso, Fresca. Chi sono? “Mah... una squadra di serie C? I<br />

prossimi candidati al Grande Fratello?”.<br />

Sono alcuni dei giornalisti calabresi minacciati <strong>dal</strong>la 'ndrangheta solo<br />

negli ultimi tre-quattro anni. L'informazione, per quanto riguarda la<br />

'ndrangheta, la fanno loro. E dunque la politica, i rapporti sociali e tutto il<br />

resto. Eppure non li conosce nessuno. Né sono in molti a conoscere<br />

(emarginati come sono) ciò che vanno scrivendo.<br />

Ecco: il problema dell'Italia è tutto qui. Esiste un'Italia fasulla ed una<br />

vera. <strong>Un</strong>a serve ai sogni e ai consensi, e alle paure. L'altra non serve a<br />

niente, cioè ai poveracci qualunque e alle loro banali vite.<br />

Le due Italie si scontrano, ogni tanto: lo scontro non è però<br />

principalmente, come rappresentazione di queste Italie, fra i Grandi Guru di<br />

destra e quelli di sinistra (che pure non sono uguali: ci mancherebbbe) ma<br />

fra plasmatori di sogni e cronisti di realtà. Questi ultimi, come abbiamo<br />

visto, son pochi, son marginali e rischiano spesso la pelle, nella generale<br />

abulìa, perché la realtà che narrano spesso è criminale. A volte, quando li<br />

ammazzano, se ne parla.<br />

* * *<br />

Diversi dei nostri amici “realisti” (e dunque, in quanto tali, sconosciuti) in<br />

questi giorni sono impegnati in scadenze importanti (che dunque non<br />

interessano nessuno) del loro lavoro. Vediamo un po'.<br />

A Catania, Lavori in Corso – sarebbe l'”editore” di questo “giornale” - sta<br />

come al solito agucchiando faticosamente alla rete: un'assemblea di<br />

giornalisti fra una settimana, un seminario operativo (in realtà un raduno


tipo scout in una bicocca di montagna) due giorni.<br />

A Modica e Ragusa i ragazzi del Clandestino stanno organizzando quello<br />

che pomposamente chiamano un Festival di Giornalismo per fine estate<br />

(eppure, guarda un po': il Clandestino miliardario, quello di Roma, con<br />

famosi giornalisti e grandi editori, ha chiuso baracca inseguito <strong>dal</strong>la<br />

Finanza, mentre il Clandestino straccione, quello dei nostri ragazzi, è ancora<br />

qua più presuntuoso che mai).<br />

A Roma invece stasera c'è l'assemblea degli amici di Italiani.it, che<br />

dovrebbero per l'occasione presentare le loro (apprezzabili) iniziative in rete<br />

e il loro mensile cartaceo, bello e obsoleto come un brigantino. Fra Roma e<br />

Bologna, i redattori di Mamma (la rivista di satira, online e anche purtroppo<br />

– poiché costa - su carta) continuano a migliorare il loro giornale, che già<br />

ora raggruppa disordinatamente i migliori disegnatori e satiri d'Italia.<br />

Dimentichiamo qualcuno? Sì, per fortuna: quelli di AmmazzateciTutti in<br />

Calabria, quelli di Da<strong>Sud</strong> fra Calabria e Roma (in Calabria, come vedete, ci<br />

sono i ragazzi più intestarditi d'Italia), quelli di Dialogos, AdEst e Zetalab<br />

in Sicilia; e l'inaffondabile Telejato, e Step1, e Antimafia Duemila, e<br />

Liberainformazione...<br />

* * *<br />

E cosa mandiamo a dire a questi – e ai molti altri – valenti commilitoni di<br />

questa strana guerra? Niente, hanno tanto da fare che difficilmente<br />

avrebbero tempo di stare a sentire chiunque altro. Le cose importanti,<br />

comunque, sarebbero queste: 1) ogni tanto fermatevi per stare a sentire gli<br />

altri come voi, soprattutto quelli che non conoscete ; 2) non perdete tempo a<br />

fabbricare bei brigantini e non invidiate gli armatori dei clipper: avete già<br />

provveduto, invece, a fare un pdf veloce? L'avete standardizzato, e con chi?<br />

Che politica degli standard avete? E, soprattutto, quanti lettori pensate di<br />

avere l'anno prossimo con questo pdf (opportunamente parametrato) su ebook<br />

e/o i Pad?<br />

3) non illludetevi neanche per un attimo che i signori dell'Elenco A (vedi<br />

inizio articolo) possano o vogliano minimamente risolvere i vostri problemi;<br />

non considerateli dei modelli. I vostri interlocutori, e modelli, invece, sono<br />

quelli dell'Elenco B (vedi sopra) e i loro simili. Fate rete!


24 giugno 2010<br />

«¡QUE VIVAN LAS COMPANERAS!»<br />

OGGI SI FESTEGGIA<br />

Le Siciliane vincono il Premio Alpi. E non dovremmo festeggiare? Mafia,<br />

camorra, Fiat: è tutto alla faccia vostra!<br />

A Napoli, come sapete, si paga il pizzo. Il camorrista va <strong>dal</strong> commerciante<br />

e gli fa: “O paghi o ti faccio saltare in aria”. Il commerciante liberamente<br />

decide che pagare è molto meglio di saltare per aria. “Bravo – gli fa la<br />

camorra – tu sì che sei un uomo saggio e perspicace”.<br />

I napoletani che hanno la disgrazia di essere anche operai di fabbrica,<br />

tuttavia, il pizzo lo pagano due volte. La prima volta alla camorra, secondo<br />

le democratiche mo<strong>dal</strong>ità sopra indicate. E la seconda alla Fiat, sempre in<br />

maniera libera e nel pieno rispetto della democrazia. “O paghi – gli fa la<br />

Fiat – e cioè mi vendi il tuo lavoro per un pezzo di pane, o ti levo la<br />

fabbrica e ti riduco alla fame. E l'operaio – non tutti – liberamente e<br />

democraticamente paga.<br />

Tutto questo per dire che è anche per questo che Saviano e alcuni altri,<br />

invece di parlare semplicemente di camorra, parlano di Sistema. Il Sistema<br />

comprende la camorra, e comprende la Fiat. La Fiat, man mano che<br />

ammazza Keynes, si fa camorra; e la camorra, man mano che reinveste i<br />

soldi, si fa Fiat. Sempre più evanescenti le differenze fra l'una e l'altra, e<br />

tendenti a sparire. Onde è saggio e scientifico considerarle come un tutto<br />

unico, il vecchio Establishment, modernamente 'O Sistema.<br />

'O Sistema ha un governo che caccia i giudici (vedi Caselli) minaccia<br />

d'ammazzamento i pentiti (vedi Spatuzza), ruba ai produttori le fabbriche<br />

(vedi Pomigliano). Tutto ciò è tuttavia secondario, non essendo ormai più da<br />

tempo – come lucidamente previsto <strong>dal</strong> Vecchio Maggiore della Fattoria – il<br />

governo che una specie di stanza in cui i rappresentanti della Fiat, della<br />

camorra e degli altri poteri ogni tanto si siedono per dirimere fra amici i<br />

loro affari.<br />

* * *<br />

E' un tempo malinconico - o forse no: di ricordi - questa fine di giugno,<br />

per il vostro corrispondente. Trent'anni esatti - ahimè, quantum mutatus –<br />

da quando la musa del giornalismo ci arruolò, freschi e ingenui, al suo<br />

servizio. Venti da quando, un po' meno freschi ma non domi, si navigava


con Fracassi e la sua redazione (valorosissima) di ragazzi su Avvenimenti.<br />

E quindici da quando è morto il nostro maestro Giuseppe D'Urso, quello<br />

che c'insegnò le forme del potere moderno, la massomafia.<br />

E il mio amico Fratangelo, procuratore di Avvenimenti e poi del Siciliani<br />

quotidiano, grasso, compagno, sfottente, coraggioso? Anche lui via con<br />

l'estate, cinque anni fa. E così pure Maoloni, il grande grafico (le pagine su<br />

cui ci state leggendo discendono da un suo capolavoro) che accompagnò<br />

per tanti anni, lui, grande artista, noi giornalisti pirati.<br />

E Turone, e il buon Gnasso, e padre Balducci, e Pratesi? Tutte penne<br />

grandissime, appuntite, ma al servizio dei poveri e non dei padroni. A tutti è<br />

toccato dunque il premio massimo – la dimenticanza ufficiale, la damnatio<br />

memoriae - con cui i potenti segnano chi ha fatto loro veramente paura.<br />

* * *<br />

Non volevamo scrivere di questo, ma del lavoro di ora. Pochi giorni fa i<br />

redattori di U<strong>cuntu</strong> si sono rinchiusi per un paio di giorni a studiare, a fare il<br />

punto del cammino percorso e a cercar di capire quel che resta da fare. Ne<br />

parteremo ancora, sia qui su U<strong>cuntu</strong> che in redazione fra di noi.<br />

Operativamente, hanno deciso di fare uno sforzo per estendere la rete,<br />

sempre con poche chiacchiere e molti fatti: una nuova inchiesta collettiva<br />

sui poteri mafiosi, una mappa aggiornata (sempre collettiva) delle lotte<br />

sociali, un'inchiesta (collettiva anch'essa) sull'emigrazione africana.<br />

Collettiva per noi vuol dire, come sempre, che non siamo autosufficienti,<br />

che lavoriamo con altri, che insegniamo/ impariamo continuamente, che<br />

facciamo rete.<br />

Sono sempre le stesse due cose che s'intrecciano, da noi: da un lato una<br />

storia fortissima, veramente alternativa (I Siciliani, Siciliani/Giovani,<br />

Avvenimenti, l'Alba, Casablanca, poi U<strong>cuntu</strong>, poi la rete di Lavori in corso,<br />

poi chissà cosa, sempre nell'antimafia e nel collettivo), <strong>dal</strong>l'altro una serietà<br />

“professionale” e tecnica che ci fa scoprire prima degli altri le ricadute<br />

pratiche (e “politiche”) di ogni tecnologia.<br />

Se guardate l'ultimo menù di Repubblica.it, per esempio, trovate un<br />

“giornale elettronico” (pdf, tecnica Issuu, web sfogliabile, ecc.) che è<br />

esattamente un U<strong>cuntu</strong> molto più in grande: ma due anni dopo...<br />

Rete e tecnologie invadono sempre più il giornalismo, e noi non ne<br />

abbiamo paura; anzi. <strong>Un</strong> internet di esseri umani – non di semplici<br />

macchine, e men che mai di mercato – è quello dentro cui navighiamo. E<br />

tanto si estenderà, grazie a noi e a tutti gli altri, che alla fine – alla faccia di


'O Sistema – cambierà il Paese.<br />

* * *<br />

Le righe che restano, le dedichiamo a festeggiare. Due nostre brave<br />

compagne, Chiara Zappalà e Sonia Giardina (per un disguido i due nomi,<br />

ufficialmente, son diventati uno) hanno vinto il Premio Alpi per miglior<br />

reportage locale con “<strong>Un</strong>a rovina di città”, video-inchiesta sulle periferie<br />

catanesi. Tutto il giornalismo ufficiale d'Italia è dunque lì a bocca aperta ad<br />

ammirare il capolavoro di queste due ragazze siciliane.<br />

Per me, veramente, è un guaio perché i numerosi bicchieri che sto<br />

bevendo alla loro salute (più quelli di poco fa, “di malinconia”) non mi<br />

hanno certo fatto bene alla glicemia. Ma chi se ne frega! Viva Chiara, viva<br />

Sonia, ¡viva las compañeras! e viva la vita che va avanti e non si ferma.


5 luglio 2010<br />

CI VUOLE UN ALTRO PERTINI. E FORSE C'E'<br />

Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare...<br />

Cinquant'anni fa di questi tempi avevamo il governo più fascista che ci sia<br />

stato fra Mussolini e Berlusconi, un centrodestra Dc-Msi che per prima cosa<br />

provvide a “revisionare” - come si dice ora – la storia italiana facendo<br />

occupare Genova dagli ex repubblichini di Salò.<br />

Genova insorse e anche nel resto d'Italia ci furono manifestazioni contro il<br />

governo. Nel sud si mescolarono con quelle per l'acqua e per l'occupazione.<br />

La polizia, in perfetto stile sovietico (ma i “comunisti” qui erano gli<br />

sparati) , sparò sulla folla in diverse città: a Reggio Emilia uccise cinque<br />

operai, a Licata (Agrigento) restarono per terra venticinque manifestanti<br />

(uno morto), a Palermo furono uccisi un anziano sindacalista, un precario<br />

diciottenne e una donna che stava alla finestra. A Catania massacrarono un<br />

ragazzo a manganellate (Salvatore Novembre, 19 anni) e lo lasciarono a<br />

morire in piazza Stesicoro, dove ora la gente passeggia senza sapere.<br />

Nei giorni successivi il governo crollò, travolto <strong>dal</strong>le proteste (allora la<br />

gente si ribellava). Ma al sud e specialmente in Sicilia la vita rimase quelle<br />

di prima, cioè disoccupazione e miseria e mafia per i contadini: mancava<br />

ancora un sacco di tempo per il Sessantotto.<br />

* * *<br />

Da allora molte cose sono cambiat e alcune sono rimaste le stesse. La<br />

polizia, dopo Falcone e gli altri, non sparerebbe più sulla folla. Ci sono più<br />

telefonini, ma meno allegria. Lavoro continua a non essercene, e ora non<br />

solo al sud. Invece c'è sempre la mafia, che ha ancora più amici nei partiti di<br />

governo.<br />

E proprio a questo proposito, c'è una differenza importantissima:<br />

adesso,della mafia, nessuno fra i politici si accorge più. Allora i partiti di<br />

sinistra (i “socialcomunisti” che poi si scissero, uno al governo l'altro<br />

all'opposizione: ma sempre restando di sinistra fino a tutti gli anni'70), se<br />

una cosa sapevano, è che con la mafia non si discute e che la mafia sempre<br />

si combatte. Persero pià di cento compagni (un'altra cosa che ora non vi<br />

raccontano) combattendo i mafiosi, fra il '43 e gli anni Sessanta). Avevano<br />

mille difetti, ma non di fare compromessi coi mafiosi.<br />

E ora? Adesso lo vedete: condannano un politico fondamentale (un


fondatore di Forza Italia, un braccio destro di Berlusconi) per mafia, e una<br />

settimana dopo tutti se lo sono già dimenticato. Non è che non protestino,<br />

non facciano begli articoli, non siano – per alcuni giorni – virtuosamente<br />

indignati: ma tutto si ferma lì. Poi arriva la “politica” dei politici, e tutto<br />

ritorna normale.<br />

Per ora, nella sinistra “normale”, fervono le trattative e le avances<br />

(allearsi con Fini? con Micciché in Sicilia? con Calderoli e Bossi?), con<br />

strategie complessissime, degne di Sun Tzu o Napoleone. Peccato che<br />

falliscano sempre. E quanto agli assetti interni: chi sarà il candidato finale,<br />

alle elezioni? Bersani, Vendola? Di Pietro? Oppure - tocchiamo ferro – un<br />

D'Alema o un Veltroni? O l'abilissimo Letta? E chi appoggiato da chi, che<br />

schieramenti interni, che alleati? Manovre complicatissime, degne di Giulio<br />

Cesare o Machiavelli.<br />

E anche queste regolarmente finiscono col pugno di mosche in mano.<br />

Finirà che <strong>dal</strong>la crisi verrà fuori un governo Tremonti (che in effetti c'è già)<br />

o un Tremonti-Fini, o un Fini-Calderoli-allargato (tutto è possibile) o... E<br />

tutto, in nome dell'emergenza, con l'appoggio pià o meno esplicito della<br />

sinistra.<br />

Da un canto è divertentissimo vedere gli schieramenti che si<br />

compongono, le congiure reciproche, i tradimenti dei ras (non a caso fra<br />

poco è venticinque luglio...), <strong>dal</strong>l'altro noi popolo di ogni giorno in tutto ciò<br />

ci guadagniamo proprio niente. Rischiamo un governo Berlusconi senza di<br />

lui, che duri altri vent'anni e che sia sempre e altrettanto padronale. <strong>Un</strong> otto<br />

settembre che non finisce mai.<br />

* * *<br />

Quanto a noi, che di “politica” non ne mastichiamo, abbiamo poche idee e<br />

tutte fuori moda. Primo, coi mafiosi non si tratta, neanche per un istante.<br />

Secondo, se governo di emergenza ha da esserci, che sia di emergenza vera,<br />

e cioè in primissimo luogo antimafioso. Abbiamo un candidato, persino, - a<br />

sua insaputa, ovviamente... - ed è un giudice antimafioso.<br />

Volete un governo unitario, che gestisca il dopo-Berlusconi e prepari<br />

(diciamo, nel giro di un anno) le elezioni? Benissimo. Eccolo qua. Caselli.<br />

A Berlusconi (e a Dell'Utri) non va bene, ovviamente. Ma a tutti gli altri?<br />

E' democratico. E' settentrionale. E' anche siciliano, in un certo senso. Non è<br />

di destra. Non è di sinistra. E' più istituzionale della carta bollata. Non si è<br />

mai immischiato di politica (a volte la politica se l'è presa con lui) e sempre<br />

fatto seriamente ed efficacemente quel che l'Italia gli chiedeva, combattere i


terroristi o stangare i mafiosi.<br />

E' giovane e pimpante, soprattutto, almeno quanto Pertini. E infatti<br />

rischierebbe d'essere proprio un altro Pertini.<br />

Chi ha paura di un altro Pertini? Chi ce lo farebbe, un pensierino?


18 luglio 2010<br />

I PRIMI NOMI DEL NUOVO GOVERNO...<br />

Non si può dire che abbia avuto molto successo la nostra proposta di un<br />

governo di unità nazionale guidato da un magistrato sicuramente al disopra<br />

delle parti e volto al superamento dell'attuale gravissima crisi, causata<br />

principalmente <strong>dal</strong>la presenza di Mafia, Camorra e Ndrangheta in tutti i<br />

principali centri di potere nazionali.<br />

Contrariamente a quanto ci aspettavamo né il Presidente Napolitano né i<br />

segretari delle varie forze politiche hanno ritenuto di convocarci per<br />

chiederci ulteriori delucidazioni. Neanche il Presidente del Consiglio -<br />

deludendoci profondamente - ha voluto trarre le conseguenze del nuovo<br />

clima politico costituendosi alla più vicina caserma dei Carabinieri,<br />

continuando ad alloggiare tranquillamente nei suoi vari palazzi come se non<br />

fosse successo niente.<br />

Sta bene. Incuranti del caldo e dell'indifferenza noi andiamo avanti<br />

indefessamente, producendo altresì i primi nomi – visto che uno solo non è<br />

bastato – del costituendo Governo. Il cui scopo è, lo ripetiamo per chiarezza<br />

e perché nessuno poi dica di non essere stato avvertito, di risolvere il<br />

principale e anzi in fondo l'unico problema del Paese, il predominio<br />

mafioso.<br />

Dunque: agli Affari Esteri abbiamo deciso di mettere, dopo ponderata<br />

riflessione, l'esperto e autorevole Romano Prodi. E' l'unico che per ”estero”<br />

intenda la Francia, la Svizzera, la Russia, l'Inghilterra e altri tradizionali<br />

paesi. Tutti gli altri politici, chi più chi meno, considerano stranieri chi la<br />

Padanìa, chi il Meridione, chi sta un po' più in su o un po' più in giù di loro.<br />

E non va bene. Da Prodi (che è federalista serio, e cioè europeo) ci<br />

aspettiamo dunque un buon lavoro, e lo preghiamo di comunicarci al più<br />

presto la sua accettazione.<br />

Agli Interni – sempre che voglia accettare – andrà per la prima volta una<br />

donna, Angela Napoli. “Ma è di destra” obietteranno i miei amici, storcendo<br />

il muso. Ebbene sì: ma vi sembra il momento di far gli schizzinosi? “Che il<br />

gatto sia rosso o nero non importa, basta che prenda i mafiosi” disse una<br />

volta il Presidente Mao. E dunque buona fortuna alla camerata Angela,<br />

vediamo come se la caveranno i mafiosi contro una buona testa di ferro di<br />

calabrese.


Alla Difesa, padre Zanotelli. Ci difenderà dai banditi, dai ladri d'acqua, da<br />

tutti i talebani in giacca e cravatta che ammazzano più gente in un anno che<br />

i talebani selvaggi in cento. L'esercito, naturalmente, sarà stanziato in Italia<br />

dov'è il posto suo. Tuttavia, per rispettare i sentimenti patriottici dei patrioti,<br />

sarà concessodi stanziarsi liberamente a Kabul (e in Mongolia, su Klingoon,<br />

dove cazzo vorranno) alle unità di volontari che vorranno farlo: “Padania<br />

Warriors” “Militiae Lepanti”, “Magnafoco del Labbaro” e quant'altro. Così<br />

finalmente potranno combattere i nemici dell'Occidente e della Religione in<br />

prima persona e non per interposti sldati. Grazie, padre Zanotelli, buon<br />

lavoro anche a lei.<br />

Al Lavoro ci va, naturalmente, un sindacalista. Personalmente, preferirei<br />

il mio amico Gigi Malabarba, operaio di Arese; ma mi dicono che è troppo<br />

estremista per un ruolo così istituzionale, e allora mettiamoci Guglielmo<br />

Epifani. (Notate che il ministero torna del Lavoro e non del welfare, del<br />

producing e di altre americanate. Qua siamo in Italia, grazie a Dio, e si parla<br />

italiano). Fine parentesi e buon lavoro anche a lei, compagno Epifani.<br />

All'Industria invece ci va un industriale, categoria rarissima oramai,<br />

sostituita da giocatori di poker, venditori di chiacchiere e ogni tipologia di<br />

lestofanti. <strong>Un</strong> industriale vero l'ho trovato però ed è Renato Soru, che<br />

Tiscali se l'è fatta da solo senza farsela regalare né da Berlusconi né da<br />

D'Alema. Mi mandi una mail, dottor Soru, ché qua il tempo passa e c'è da<br />

fare in fretta.<br />

Commissari alle Regioni Mafiose, con poteri adeguati, saranno i tre<br />

generali Aurigo, Bozzo e Gualdi, coadiuvati rispettivamente dai Prefetti<br />

Serra (già a Roma), Frattasi (Fondi) e Linares (Trapani). Prenderanno ordini<br />

direttamente <strong>dal</strong> Presidente e mi auguro che siano già al loro posto.<br />

Va bene. Il resto al prossimo numero, per oggi mi sembra che basti. Con<br />

questo caldo, e con tutte le altre cose da fare, vi pare un lavoro da niente<br />

mettere su un governo? Eppure a poco a poco ci stiamo arrivando: basta un<br />

po' di buona volontà e si riesce a far tutto. Eppoi dicono che noi meridionali<br />

non abbiamo voglia di lavorare.


18 luglio 2010<br />

MISS MAFIA E MR STATO<br />

MATRIMONIO DIFFICILE, FIDANZAMENTO LUNGO<br />

L'accordo era che ciascuno si facesse i fatti suoi, senza pretendere<br />

troppo: controllare il territorio, raccogliere un po' di voti, e soprattutto<br />

tener buoni i contadini, cioè i “comunisti”. Poi la mafia, coi soldi<br />

dell'eroina, è diventata troppo potente. Allora Andreotti ha cercato di tirarsi<br />

indietro. Ma...<br />

Lo stato, in Italia, ha sempre trattato con la mafia. Ha trattato ai tempi di<br />

Giolitti ("camorrista" per Salvemini), di Mussolini (la fine del povero<br />

Mori), del'Amgot (Calò Vizzini, Lucky Luciano), di Scelba (Giuliano e<br />

Pisciotta) e, naturalmente, di Andreotti. Quest'ultimo, come si sa, si<br />

incontrava con boss come Bontate che, con Ba<strong>dal</strong>amenti e Inzerillo,<br />

formava il triumvirato della mafia di allora. Sia Bontate che Inzerillo furono<br />

uccisi dai "Nuovi", i corleonesi. Ba<strong>dal</strong>amenti scappò in Brasile, e l'uomo di<br />

cui si fidava era Tommaso Buscetta. Falcone, mediante Buscetta, aveva<br />

l'obiettivo preciso di far parlare Ba<strong>dal</strong>amenti. Non ci riuscì.<br />

Che cosa avrebbe potuto dire – e provare - Ba<strong>dal</strong>amenti, se Falcone fosse<br />

vissuto abbastanza da convincerlo? Che l'onorevole Giulio Andreotti, capo<br />

del governo italiano, aveva come interlocutori industriali, prelati, politici, e<br />

anche i boss di Cosa Nostra. Adesso la cosa non farebbe granché scalpore,<br />

perché è una storia vecchia, e perché l'opinione pubblica non è più quella di<br />

prima. Ma nel '93, o anche qualche anno prima, sapere ufficialmente che un<br />

politico aveva commesso il "reato di partecipazione all'associazione per<br />

delinquere" Cosa Nostra, "concretamente", "fino alla primavera 1980"<br />

avrebbe fatto saltare per aria l'Italia. Altro che Mani Pulite.<br />

* * *<br />

Per questo Falcone è morto e per questo è morto Borsellino. Ovvio che ci<br />

siano entrati (come rozzamente si dice) "i servizi", pezzi di stato. Deviati,<br />

ma fino a un certo punto. In certi anni, erano quasi ufficiali.<br />

I rapporti fra Andreotti e Bontate – ossia, fuor di metafora, fra mafia e<br />

stato – non erano finalizzati a assassinii (tranne che di comunisti, che allora<br />

giuridicamente non erano esseri umani) , né ponevano a rischio l'autonomia<br />

dello stato. Erano rapporti periferici, asimmetrici, localizzati. Il mafioso, a<br />

quei tempi, al politico chiedeva cose circoscritte e locali, e il politico gli


ispondeva su questo terreno. Al massimo poteva chiedergli una strage di<br />

contadini, seppellibili in fretta e senza troppo casino.<br />

E' il tipo di rapporto che un ufficiale americano può avere oggi con questo<br />

o quel warlord afgano, di cui si conoscono benissimo le atrocità, ma che<br />

tutto sommato torna utile per tenere il territorio. "Datemi i voti – diceva alla<br />

mafia lo stato - ammazzatemi un po' di comunisti e fate quel che cazzo<br />

volete nella vostra isola di merda".<br />

Poi, verso la fine degli anni '70, i signori della guerra si sono impadroniti<br />

di testate nucleari. Cioè, oltre metafora, i mafiosi hanno messo le mani sulla<br />

totalità del traffico mandiale di eroina e sono diventati dei grossissimi<br />

imprenditori.<br />

* * *<br />

A questo punto i rapporti di forza si sono squilibrati. "Col cazzo che<br />

restiamo a fare qualche affare di merda quaggiù in Sicilia! Vogliamo contare<br />

dappertutto, vogliamo avere la nostra fetta d'Italia esattamente come tutti i<br />

vostri imprenditori".<br />

Si aggiunge, proprio in quegli anni, una diciamo così infiltrazione. Ad<br />

esempio, gli ultimi 150 inscritti alla P2 stanno in Sicilia o sono siciliani.<br />

All'estero (“golpe” Sindona) Cosa Nostra comincia a essere un interlocutore<br />

a livello alto.<br />

Quindi la partita cambia completamente. Quelli come Andreotti si<br />

spaventano, cercano di tirarsi fuori. Però è un po' tardi, anche perchè se hai<br />

aiutato il talebano a rubare una vacca e ammazzare un paio di comunisti,<br />

quello ti ricatta per il resto della tua vita e pretende, pretende, pretende...<br />

Mr Stato dice: va bene, adesso ti aiuto a rubare anche un paio di capre.<br />

Miss Mafia dice: Col cazzo. Voglio il culo della regina Vittoria, se no dò al<br />

Times le foto di te che rubi le vacche e ammazzi i comunisti insieme a me.<br />

E il ciclo ricomincia e continua, sempre più incontrollabile e sempre più in<br />

alto a ogni giro. Sta continuando tuttora.


28 luglio 2010<br />

GANO JAGO E SANSONETTI<br />

L'incredibile storia di un giornalista "di sinistra" in Calabria<br />

Gano di Maganza, politico di qualche rilievo tempo addietro, aveva le sue<br />

ragioni per odiare Orlando, Rinaldo e gli altri paladini, che pare che<br />

l'abbiano ingiustamente scavalcato in non so che intrallazzo governativo.<br />

Perciò, pur deprecando il tradimento con cui, alla fine, abbandonò Re Carlo<br />

per passare all'infedele, non possiamo fare a meno di riconoscergli qualche<br />

attenuante. Forse è stato eccessivo bollarlo come “Ganu 'u traituri”.<br />

E Jago? Povero Jago, innamorato cotto di Desdemona e inoltre<br />

giustamente incazzato con quel negraccio di Otello: altro che ammiraglio! a<br />

coltivare i campi lo dovevano mettere, quei maledetti senatori veneziani<br />

Questo nobile sentimento (che in fondo è lo stesso che il Corriere e quasi<br />

tutti i giornali “bianchi” nutrono per Obama) sarebbe stato più che<br />

compreso dai governanti veneti di ora. Ma allora purtroppo c'erano i dogi e<br />

il povero Jago è stato lasciato là a macerarsi con tutta la sua invidia e<br />

gelosia. Traditore anche lui alla fine, d'accordo: ma davvero, onestamente,<br />

lo potete condannare?<br />

Tutto questo per dire che siamo uomini di mondo, capiamo le umane<br />

debolezze e siamo ben lontani da quei furori ideologici che tanto hanno<br />

devastato il Novecento. Ma, e Sansonetti?<br />

Piero Sansonetti, giornalista rivoluzionario, guida del proletariato ribelle e<br />

nemico fierissimo di ogni padronato, è stato tempo fa, come sapete, al<br />

centro di una cause célebre nel suo tremendo partito, che era Rifondazione<br />

(ne dirigeva il giornale).<br />

I dirigenti a un certo punto, ritenendolo non del tutto in linea col partito,<br />

ne decisero la rimozione. Scoppiò un putiferio terribile (causa non ultima<br />

della scissione, o meglio dell'esplosione, di quel partito) al quale in qualche<br />

modo partecipai anch'io, indignandomi per la libertà violata di Sansonetti,<br />

per l'autoritarismo dei suoi capi e per un sacco di altre belle cose.<br />

Sansonetti a questo punto fondò un suo quotidiano, che ebbe vita<br />

brevissima trasformandosi prima in un settimanale e poi in un sito, e destò<br />

qualche interesse solo per il fatto di essere distribuito in edicola da<br />

Mondadori, teoricamente “nemica”. Il gossip si occupò di Sansonetti anche<br />

per un paio di partecipazioni a Porta a Porta che dai malevoli vennero


itenute eccessivamente benevole verso Berlusconi. Ma tutto qui.<br />

Adesso invece la notizia è tragica, e riguarda non più i salotti romani, ma<br />

l'insanguinata Calabria, terra dove non si fa gossip ma si ammazza.<br />

Riguarda il “dimissionamento” in tronco del direttore e di nove giornalisti<br />

del quotidiano Calabria Ora, segnalatosi negli ultimi tempi (v. Roberto<br />

Rossi più avanti) per varie inchieste su politici e mafiosi. Cosa non tollerata<br />

dai proprietari, Fausto Aquino e Piero Citrigno, il secondo da pochi mesi<br />

condannato (il 9 febbraio a Cosenza) per reati legati all'usura.<br />

E chi chiamano, Citrigno e Aquino, a sostituire il direttore antimafia alla<br />

testa del giornale? Chiamano Sansonetti. E cosa fa Sansonetti? Si rifiuta<br />

indignato, s'incazza, li sfida a duello alla sciabola per la tremenda offesa?<br />

No, accetta docile, con un sorriso. Piero Sansonetti è il nuovo direttore di<br />

Calabria Ora, al posto di un direttore antimafioso.<br />

<strong>Un</strong> quarto di secolo fa, il 18 giugno 1984 Piero Ostellino si installò al<br />

Corriere (allora molto vicino alla P2) al posto di un direttore antipiduista,<br />

Cavallari. Lo sfascio del giornalismo italiano secondo molti incominciò da<br />

lì, da quell'obbedienza cieca e prona ai voleri di una proprietà quanto meno<br />

oscura, che aveva appena cacciato un giornalista perbene.<br />

Ovviamente, Sansonetti proclama ora (come allora Ostellino) la propria<br />

indipendenza, la professionalità, la più assoluta autonomia. Va bene. Di<br />

fatto è là, a fare – lautamente pagato – quella parte infelice.<br />

* * *<br />

Non stiamo parlando di giornalismo, ma di politica. Piero Ostellino, a<br />

quei tempi, era un giornalista liberale e “borghese” che, con la sua pessima<br />

azione, mise plasticamente in luce i limiti morali ed etici di quel<br />

giornalismo “liberal”, di quella borghesia.<br />

Ma Sansonetti è un “compagno”, a lungo riconosciuto come tale. Quella<br />

che lui mette in luce è la crisi morale ed etica di una sinistra sempre più<br />

molle e sbiadita, sempre più lontana. Che oggi, drammaticamente, nella sua<br />

persona scavalca l'antimafia e il <strong>Sud</strong>, si schiera con i padroni peggiori,<br />

tradisce.<br />

Ciascuno deve esprimersi, su questo. Prima di tutto debbono esprimersi i<br />

referenti politici – fra cui Vendola – di Sansonetti. Esprimersi in maniera<br />

netta e limpida, per esempio così: “Noi del nostro partito non abbiamo più<br />

nulla a che fare con quel mascalzone di Sansonetti”. E poi tutti gli altri.<br />

* * *<br />

E basta così, come temi politici, per oggi. Ce ne sarebbero di drammatici,


la Fiat prima di tutto, col suo attacco allo Stato – agli operai, all'Italia, alla<br />

Costituzione vigente, alle migliaia di vite bruciate a Mirafiori – non di<br />

molto inferiore, per gravità e insolenza, a quello dei brigatisti. Meriterebbe<br />

una risposta non inferiore, in termini di unità e determinazione, a quella data<br />

a costoro.<br />

Nazionalizzare d'autorità, ai sensi dell'articolo 41 della Costituzione: non<br />

c'è altra risposta possibile – seria – a questo attacco. Ci sono forze politiche<br />

disposte a tanto? O tutto dev'essere sempre e solo polvere di discorsi, “por<br />

ablandarlos”, demagogia?


8 agosto 2010<br />

UN PARTITO<br />

Di Tremonti ha parlato per primo, senza nominarlo, Veltroni (“governo<br />

tecnico”) seguito subito dopo da Bersani. Il Fatto, i primi giorni, sembrava<br />

incerto fra lui e Draghi. In realtà è una soluzione probabile, e non a caso è<br />

quella esorcizzsata subito da Bossi e Berlusconi. Qualche rivoluzionario,<br />

come Beppe Grillo, preferirebbe direttamente un uomo Fiat, Montezemolo.<br />

Ma insomma si va in direzione Tremonti, non per governi “tecnici”, ma<br />

proprio per l'assetto finale dopo le elezioni. Se ce la fanno – se cioè<br />

Berlusconi non si ripiglia, se il centrosinistra ci casca, se non scoppia la<br />

Grecia nel frattempo – sarà il terzo ventennio, dopo quello di Mussolini e<br />

quello di Berlusconi. Ben diversi fra loro, i tre regimi, ma con una cosa in<br />

comune: la Fiat. Di Fiat, praticamente, non si parla più.<br />

* * *<br />

La crisi non è politica, è industriale. Comanda Berlusconi? Comandano<br />

Tremonti e Marchionne; che tendono a liberarsi, nello sfascio,<br />

<strong>dal</strong>l'ingombrante duce e andare avanti da sé. Giovanni Agnelli fu il<br />

kingmaker di Mussolini. E Agnelli Gianni, quando ci fu da scegliere, fra<br />

Prodi e Berlusconi scelse il secondo. Così nessuno, nè fra i moderati nè fra i<br />

radicali ha minimamente citato i centrosinistri "liberal" (giolittiani...) come<br />

Ciampi e Prodi. Sarebbe stato naturale. Ma ora implicherebbe una rottura<br />

totale con la Fiat, che nella crisi si collloca (come nel '22) all'estrema destra.<br />

Questa è la situazione. E' catastrofica non tanto in sé (Berlusconi ha molto<br />

meno consenso di quel che dice) quanto perché, essendo la sinistra (tutta)<br />

assolutamente priva di qualsiasi strategia, verrà facilmente egemonizzata<br />

<strong>dal</strong> centro e persino <strong>dal</strong>la destra, buon pretesto fra l'altro per le componenti<br />

peggiori del Pd per calar braghe e mutande in nome della solidarietà<br />

nazionale.<br />

La solidarietà è necessaria, ed è necessaria non solo l'unità di tutta<br />

sinistra, ma addirittura un'apertura a componenti di destra. Non Fini e<br />

Lombardo, appendice di altri poteri; bensì la destra “minore”, antipadrini<br />

(un nome per tutti: Angela Napoli; oppure l'Azione Giovani di Palermo che<br />

tre anni fa, non sostenuta da Fini, si ribellò a Cuffaro). Bisognerà<br />

pazientemente disaggregarla e tenerla insieme, come coi “badogliani”<br />

monarchici nel '43.


* * *<br />

Questo non può avvenire nella “politica”, ovviamente. Ma può bene<br />

avvenire in una Resistenza.<br />

Ecco, il centro di tutto è proprio questo. L'unica carta possibile è volare<br />

alto, essere e mostrarsi molto radicali, battersi apertamente per cambiamenti<br />

di fondo.<br />

C'è un terreno su cui ciò è possibile e naturale, ed è la lotta antimafia. I<br />

boss mafiosi, oramai, in mezza Italia coincidono coi padroni; e sono sulla<br />

via di diventarlo nell'altra mezza. Ieri l'affare-simbolo era Gioia Tauro, oggi<br />

è l'Expo di Milano. Questo è ormai sotto gli occhi di tutti, e il tradimento<br />

della Lega non riuscirà molto a lungo a nasconderlo anche al nord.<br />

L'antimafia deve diventare il baricentro politico della sinistra, esattamente<br />

come la lotta antifascista lo diventò, a un certo punto, per la sinistra di<br />

allora. E' facile per dei giovani, ma non lo è affatto per i vecchi politici,<br />

anche in buona fede. Ma anche per l'antifascismo fu così. Ci volle un salto<br />

in avanti radicale, un modo di pensare più giovane, quello dei giovani<br />

Gramsci e Gobetti; i vecchi della vecchia sinistra, anche buoni – i Nitti, i<br />

Turati, i Treves – rimasero irrimediabilmente indietro e non ebbero altro<br />

ruolo, anche se nobile, che di testimoniare una indifesa fedeltà.<br />

* * *<br />

Torniamo da un giro all'interno del nostro partito, stavolta in provincia di<br />

Ragusa. Il "partito" a Pozzallo era costituito da ragazzi di SL, a Vittoria da<br />

quelli del "Circolo Impastato" di Rifonda; a Ragusa invece il caporione è<br />

uno della gioventù francescana e a Modica ci sono i ragazzi del<br />

Clandestino, nati da non più di tre anni e su una cosa "piccola" e immediata<br />

come la lotta locale (ma poi nazionale, e vincente) per l'acqua.<br />

Nè Bersani né Vendola nè Di Pietro o Ferrero, che pure sono delle ottime<br />

persone, hanno più di una vaga e lontana percezione di questi giovani, che<br />

per noi invece sono il centro (politico, non genericamente simpatico) di<br />

tutto, e non da oggi ma da molti anni.<br />

Chi ci sta a fare questo partito insieme a loro? Non è uno scherzo. Oggi<br />

come ai primordi, un “partito” non deve necessariamente avere tessere e<br />

capi. Gli bastano un rudimentale programma (governo antimafia, nel nostro<br />

caso) delle idee chiare sulla gravità della situazione, un quadro di poche<br />

“semplici” cose da fare e una “ingenua” fiducia nelle vecchie virtù del<br />

Paese.


23 agosto 2010<br />

LA SA PIÙ LUNGA WIRED<br />

OPPURE UCUNTU E IL CLANDESTINO?<br />

Noi siamo quelli dei volantini, e dei giornali di quartiere per chi non ha<br />

internet. Proprio per questo sappiamo meglio di altri a che serve, e a che<br />

può servire, l'internet<br />

“Internet è morto”, dicono in questi giorni in America e l'idea, coi suoi<br />

tempi, comincia a venire fuori anche in Italia.<br />

Chi è Internet? E' quel tizio strano – libero, senza padroni e, come le<br />

vecchie fontanelle pubbliche, aperto a tutti – che ha tolto il monopolio dei<br />

geroglifici ai vecchi scribi e faraoni e ha inventato di nuovo il vecchio<br />

democratico alfabeto.<br />

E perché è morto? Perché ora, con tutti gli apparecchietti nuovi<br />

dell'ultimo anno (iPhone, Android e compagnia bella) la gente le cose che<br />

prima trovava solo sull'internet le trova, ma più svelte e tascabili, su questi<br />

supertelefonini. Però se le deve pagare, poiché questi cosi viaggiano a colpi<br />

di proprietà, con dei programmini speciali (le “apps”) senza cui non<br />

funziona quasi niente.<br />

Così finalmente è morto il signor Gratis – ragionano i padroni – ed è<br />

finita la storia che chi vuole va e naviga di testa sua, su chissà che siti e con<br />

chissà che idee.<br />

Purtroppo per i padroni, le cose non stanno proprio così. Intanto non è<br />

vero che il “vecchio” web è stato scavalcato da questo nuovo sistema. La<br />

rivista che lo sostiene, Wired, su questo punto “bara “, nel senso che<br />

paragona arbitrariamente i contenuti dei due sistemi. Su uno viaggiano<br />

prevalentemente notizie e opinioni, sull'altro video e intrattenimenti, che<br />

“pesano” (come bytes) molto di più: come dire che siccome i libri<br />

viaggiano in furgoncino e i mattoni in grossi camion, la gente legge meno<br />

libri e più mattoni.<br />

In secondo luogo – che è quello che ci interessa – il successo di ogni<br />

nuova tecnologia di solito è determinato non tanto <strong>dal</strong>la tecnologia in sé,<br />

quanto <strong>dal</strong>l'uso che ne fa la gente.<br />

L'alfabeto ha fregato i geroglifici perché con esso potevi scrivere delle<br />

bellissime (e utili, se avevi una ragazza da corteggiare) poesie d'amore.<br />

Gutemberg ce l'ha fatta perché poteva diffondere non solo cento bibbie


(protestanti) in più in più del papa, ma anche e soprattutto un milione di<br />

volantini (che prima di lui non esistevano).<br />

La vecchia Cinquecento, <strong>dal</strong> secondo modello in poi, aveva i sedili<br />

reclinabili (e vi debbo spiegare che vuol dire questo?); l'sms originariamente<br />

era usato dai tecnici Telecom per scambiarsi i dati. Quanto all'iPad... beh,<br />

amici miei, c'è già chi legge il povero U<strong>cuntu</strong> anche su questo coso.<br />

Perciò stiamo in campana: a nuove tecnologie, contenuti migliori. Negli<br />

ultimi trent'anni abbiamo fatto incazzare i padroni con scritte sui muri,<br />

ciclostili, megafoni, radio, rotative, tv, fax, web, video, mail, blog, youtube<br />

e pdf... non sarà qualche pidocchiosa multinazionale a metterci i bastoni fra<br />

le ruote proprio ora.<br />

'Sta storia dei libri elettronici (e giornali!) anzi sembra fatta apposta per<br />

chi non ha tanti soldi per carta e per tipografi, ma è ricco di idee. E' un<br />

mondo nostro.<br />

* * *<br />

Ecco, questa pagina in teoria doveva servire a fare gli auguri ai ragazzi di<br />

Modica che stanno facendo il loro secondo jamboree, o assemblea o come si<br />

chiama (odio la parola festival). Probabilmente sarebbe stato qualcosa di<br />

paternalistico e un poo' solenne, del tipo della fiaccola che passa <strong>dal</strong>le<br />

vecchie alle nuove generazioni e così via.<br />

Invece usiamola come un solito strumento di lavoro, un promemoria per<br />

ricordarci che quando facciamo a lungo una cosa nella stessa maniera<br />

probabilmente stiamo diventando pigri, e che delle tecniche nuove non solo<br />

non ci dobbiamo spaventare ma dobbiamo anche essere fra i primi (come ai<br />

Siciliani, come ad Avvenimenti) a metterle in campo.<br />

Perché a noi le tecniche servono per far sapere le cose, per svegliare la<br />

gente e per dare voce. Lavoro che in questo momento è importantissimo -<br />

guardate che cosa sta facendo la Fiat approfittando che la gente dorme ed è<br />

senza voce.<br />

Operativamente, questo significa che tutti noi dobbiamo: - preparare<br />

prodotti per l'iPad, per Android, per gli e-book e per tutti i diavoli che li<br />

portino; e prepararli già ora, come priorità, pensando un po' meno di prima<br />

al ciclostile (e anche alla rotativa...); - organizzarci meglio su ciò che<br />

facciamo già, oleare i meccanismi di rete (proprio tecnicamente, facendo<br />

viaggiare più svelti i pezzi) e... insomma, ci siamo capiti.<br />

Dimenticato niente? Ah, sì, gli auguri per i ragazzi del Clandestino. Va<br />

bene, auguri. Ma mica ne avete bisogno :-)


5 settembre 2010<br />

L'ORSACCHIOTTO IL TRIANGOLO E L'EUROPA<br />

C'erano tre triangoli, in Europa. <strong>Un</strong>o marrone per gli zingari. <strong>Un</strong>o rosa<br />

per gli omosessuali. E uno giallo per gli ebrei. L'Europa è cambiata da<br />

allora, ma non completamente. E meno di tutti l'Italia. In questo paese e in<br />

questa Europa noi lottiamo<br />

L'orsacchiotto - quello del bel disegno di Mauro Biani - è un orsacchiotto<br />

qualunque, potrebbe essere del tuo fratellino o tuo di quand'eri piccolo o di<br />

qualsiasi altro bambino. Niente di complicato. Il triangolo su quel pezzo di<br />

stoffa, travolto come il giocattolo nel vento che ora soffia in Europa, invece<br />

ha una storia più complessa. E' – come vedi – di colore marrone. Non è un<br />

colore qualunque ma scelto scientificamente, con tutta la scienza della civile<br />

Europa.<br />

In Europa, a un certo punto, si decise che alcuni tipi di esseri umani non<br />

erano esseri umani veri e propri ma una specie di insetti, e andavano<br />

sterminati. Non fu un'idea di pochi fanatici (certo ci vollero anche questi,<br />

ma solo per cominciare) ma di milioni e milioni di persone perbene, ognuna<br />

colla sua brava Volkswagen e, se li avessero già inventati, col suo bravo<br />

bancomat e telefonino.<br />

Questi uomini-insetti appartenevano a tre tipologie principali: gli ebrei;<br />

gli zingari; e gli omosessuali. E il triangolo? Ecco, il triangolo serviva a<br />

distinguerli fra di loro per stabilire ordinatamente quale doveva essere<br />

“normalizzato” prima e quale dopo. Così, un triangolo giallo caratterizzava<br />

gli ebrei (precedenza assoluto); uno rosa gli omosessuali; e uno marrone<br />

infine gli zingari, anch'essi da sottoporre appena possibile al trattamento<br />

finale.<br />

* * *<br />

Queste cose in Europa non succedono più, o almeno non più quanto<br />

prima. E' quasi cessata la persecuzione contro gli ebrei (che hanno imparato<br />

a difendersi); è molto diminuita quella contro gli omosessuali (qua ormai se<br />

ne ammezzano non più di una dozzina all'anno); è rimasta abbastanza<br />

pesante quella contro gli zingari, che sono i più antipatici e comunque non<br />

vengono (in massa) uccisi più ma semplicemente rinchiusi.<br />

Insomma, anche l'Europa perbene in tutti questi anni è migliorata. Ma la<br />

cultura di fondo è rimasta la stessa, e potrebbe risaltar fuori a ogni


momento. Gli Heider, i Le Pen, i Bossi, non sono tanto più “strani” dei<br />

vecchi Hitler e Farinacci. Sono semplicemente una normale componente<br />

dell'Europa che può tornare a galla, e periodicamente torna, in qualsiasi<br />

momento.<br />

* * *<br />

Scriviamo questo per due precisi motivi. Primo - da osservatori politici<br />

quali siamo – per segnalare il più importante avvenimento politico di questo<br />

momento, e cioè la grande manifestazione pro-zingari di pochi giorni fa.<br />

Era stata indetta contro i provvedimenti gemelli di Sarkozy e Maroni,<br />

eppure a Parigi hanno partecipato centinaia di migliaia di cittadini e a Roma<br />

solo quattro o cinquecento.<br />

Secondo – e soprattutto - per ricordarci che tutte queste belle storie<br />

“politiche” che stiamo vivendo (la vecchiaia di Berlusconi, i fronti<br />

“democratici”, le alleanze) si collocano in uno scenario ben preciso, quello<br />

di un paese in cui il dieci percento della popolazione è tranquillamente<br />

deciso a sterminare prima o poi quelli che esso considera non-umani e il<br />

cinquanta per cento è abbastanza disposto, in questa o quella circostanza, a<br />

lasciarglielo fare.<br />

Esageriamo? No, non dopo gli anni Trenta. Questo è già successo una<br />

volta, e può succedere ancora. Non è detto che la nostra crisi politica –<br />

poiché non siamop un paese del tutto civile - finisca tranquillamente come<br />

nei paesi civili. Potrebbe anche finire nella violenza e nel sangue, come in<br />

Jugoslavia o a Weimar; e dobbiamo essere preparati anche a questo.<br />

La patologia fascistoide, che da noi è molto più presente che altrove,<br />

adesso s'intreccia sinistramente con l'ormai dilagante potere mafioso, col<br />

golpe Fiat, e con la presenza di un partito secessionista che ormai comanda<br />

diverse banche e regioni. Ognuna di queste componenti è in sé violenta, e<br />

completamente esterna a qualsiasi forma di democrazia. Difficile che<br />

l'incontro fra esse avvenga su un terreno democratico. Ciascuna di loro, e<br />

tutte insieme, vuole semplicemente prendere il potere.<br />

* * *<br />

Questo è un promemoria per tutti noi, e soprattutto per gli amici nuovi<br />

che abbiamo conosciuto quest'estate. E' bello vedere i ragazzi che crescono,<br />

che pian piano – m a volte con accelerazioni inspiegabili per chi non è del<br />

mestiere - scoprono le cose e che allegramente si organizzano, fervidi,<br />

invincibili, immortali. Bello ma al fondo non privo di uno stringimento di<br />

cuore.


Dove saranno questi ragazzi fra cinque anni? Li lasceranno vivere, li<br />

lasceranno volare? Che prove riserva loro questo paese? Avranno nemici<br />

terribili, questi ragazzi. Saranno abbastanza forti, abbastanza uniti?<br />

Ecco, delle tecnologie parleremo un'altra volta; e così del percorso dei<br />

prossimi mesi, per U<strong>cuntu</strong>, Lavori in corso e gli amici nuovi. Dovremo<br />

cambiare molto, per essere all'altezza. Ma prima la cosa importante è sapere<br />

con precisione dove siamo, in che terreno. E poi, solamente allora, fare le<br />

scelte.


19 settembre 2010<br />

REGIA MARINA<br />

Carlo Fecia di Cossato, comandante di sommergibile, operava in<br />

Atlantico, e dunque sotto il comando dei tedeschi. I tedeschi a un certo<br />

punto misero fuori un ordine: per nessun motivo perdere tempo a salvare i<br />

naufraghi delle navi silurate, la guerra è una cosa seria, non una roba<br />

sentimentale all’italiana. Cossato, come tutti gli altri comandanti italiani,<br />

prese il cablogramma di Doenitz e ne fece carta da cesso.<br />

Pochi giorni dopo gli capitò di silurare un cargo inglese: nessuna vittima<br />

fra i due equipaggi, i marinai del cargo raccolti alla meno peggio su tre<br />

scialuppe, il sommergibile pronto all’immersione.<br />

Però l’Atlantico cresceva, mare lungo di poppa, e difficilmente – pensò<br />

Cossato – ce l’avrebbero fatta a raggiungere una qualunque terraferma.<br />

Allora: stop immersione, aprire i boccaporti, gettare una cima. E un’ora<br />

dopo eccoti un sommergibile italiano, in pieno Atlantico centrale e in tempo<br />

di guerra, che se ne va lentamente a otto nodi trascinandosi dietro la cordata<br />

delle scialuppe gremite di “nemici”.<br />

Questa faccenda durò tre giorni. Ogni tanto si sentiva il ronzio di un<br />

ricognitore: allora Cossato mollava la cima e s’immergeva; passato il<br />

pericolo, riveniva su e si rimetteva a trainare.<br />

All’alba del quarto giorno, un’alba livida di brutto mare, Cossato si<br />

affiancò alle scialuppe e afferrò il portavoce: «Le Azzorre a venti miglia<br />

sulla vostra destra. Vi lascio qui. Venti miglia a ovest e buona fortuna!».<br />

<strong>Un</strong> «God bless you» arrivò <strong>dal</strong>l’altra parte. Poi gli inglesi si misero a<br />

remare verso la foschia grigio-viola a ovest, e l’italiano s’immerse alla<br />

svelta perché i bombardieri non scherzavano e il sommergibile era<br />

particolarmente vulnerabile a causa della torretta di comando molto alta (nei<br />

sottomarini italiani c’era un cesso degli ufficiali distinto da quello della<br />

truppa, e questo secondo cesso faceva un paio di metri di sagoma emersa in<br />

più).<br />

Passano gli anni, e arriva l’otto settembre. Il re scappa, i generali<br />

scappano, Cossato – che non ha fatto carriera – è di guarnigione su un'isola<br />

con un paio di motovedette. I tedeschi mandano un paio di trasporti, scortati<br />

da mezza dozzina di siluranti, per occupare l’isola. Cossato esce colle sue<br />

due bagnarole, si fa sotto ai tedeschi e a uno a uno li manda giù tutti.


Passano ancora un paio di mesi e stavolta il capitano di corvetta Carlo<br />

Fecia di Cossato, R.M., S.P.E., è in una camera d’albergo, a Napoli. Il re è<br />

scappato, la Marina non c’è più, le strade di Napoli sono un brulichio di<br />

puttane, borsaneristi e marinai. Cossato è un tizio semplice, non ce la fa a<br />

fare ragionamenti complicati. Scrive un paio di lettere, una alla sua Regia<br />

Marina e una alla moglie. E poi si spara.<br />

Questa storia, che qui evidentemente non c’entra un cazzo, me l’ha<br />

raccontata un casino d’anni fa un marinaio che si chiamava Walter Ghetti e<br />

che era stato pure lui nei sommergibili a quei tempi.<br />

Io ce la metto perché ho letto sul giornale che adesso la marina italiana,<br />

per ordine di uno che si chiama Bossi, serve a combattere i poveracci che<br />

vanno per mare sulle carrette alla ricerca di una terra dove campare. Così, se<br />

qualche marinaio o ufficiale della marina di ora mi legge, saprà come<br />

regolarsi quando <strong>dal</strong>l’ Oberkommando arrivano ordini stronzi: carta da<br />

cesso.


19 settembre 2010<br />

PARLARE DI "POLITICA"?<br />

BRAVO CHI CI RIESCE<br />

Da Catania una buona notizia: qualche imprenditore si tira su i<br />

pantaloni. E' una svolta<br />

E' diventato impossibile parlare di “politica” perché ormai la<br />

divaricazione fra il mondo Vip e quello nostro è tale, che pare di ragionare<br />

con gente di pianeti diversi.<br />

I nostri problemi (di noi di questo pianeta) sono i seguenti: 1) E' morto il<br />

sistema industriale con cui l'Italia era uscita <strong>dal</strong> Terzo Mondo. Morto<br />

ammazzato, con l'eliminazione di Keynes, la fine (teorizzata) del sindacato,<br />

la riduzione (proclamata) del rapporto di lavoro a mero fatto occupazionale,<br />

“militare”. Tutto ciò, naturalmente, ricaccerebbe in dieci anni l'Italia fuori<br />

dell'Occidente (l'Argentina “prima” era un paese prospero e avanzato) ma ai<br />

grandi manager non gliene frega niente perché loro – individualmente e<br />

come ceto - non sono italiani, sono multinazionali. La Fiat, che comanda in<br />

Italia, non è italiana affatto.<br />

2) Il potere politico (anzitutto la finanza, e poi anche la “politica” e le<br />

regioni) in metà del Paese è tout-court mafioso e nell'altra metà assedia le<br />

poche roccaforti ancora indipendenti.<br />

A questi due problemi, ciascuno dei quali basterebbe a a distruggerci<br />

come Nazione, si aggiunge quello della Lega, cioè di un potere<br />

dichiaratamente eversivo che siede alla pari con gli altri poteri.<br />

Le interviste di Bossi qui non ci fanno ridere affatto; ci fanno pensare<br />

invece a titoli del tipo “Il Presidente della Repubblica (o il sindaco di<br />

Peretola, o l'ambasciatore del Belgio, o chi volete voi) si è incontrato ieri<br />

col capo delle Brigate Rosse Renato Curcio” ecc.<br />

I danni della Lega risultano per fortuna limitati <strong>dal</strong>la sua povertà<br />

culturale. Riesce semplicemente ad assorbire e “politicizzare” inciviltà<br />

preesistenti. In più, tradisce il nord - senza neanche accorgersene - aprendo<br />

le porte alla mafia, che per lei è semplicemente uno dei tanti poteri con cui<br />

far “politica” furbesca all'italiana.<br />

(Senza accorgersene, certamente. Ma si è accorta benissimo, e l'ha portato<br />

a fine cinicamente, del primo tradimento, quello fondativo, con cui ha<br />

permesso la deindustrializzazione del nord svendendo cent'anni e passa di


civiltà – operaia e industriale – questa sì “padana”).<br />

Di questi due problemi (due e mezzo) nella “politica” italiana non si<br />

ritrova traccia, se non formale. La Fiat non ha avuto oppositori. L'Espresso<br />

dedica una copertina molto benevola a Marchionne (e questi sono i liberal,<br />

figuriamoci gli altri). Il resto degl'industriali s'è già accodato.<br />

Quanto alla mafia...beh, lasciamo andare.<br />

Soltanto nelle assemblee dei ragazzi, oramai, si trova la politica reale. Nel<br />

paesino sperduto, alla prima assemblea antimafiosa, vengono<br />

rudimentalmente dibattuti i problemi reali del Paese. A Roma no. Nei<br />

convegni, nelle redazioni, nei precongressi, nei partiti si parla sempre e<br />

disperatamente – weimarianamente – d'altro. E uno dovrebbe mettersi<br />

seriamente a commentare il nuovo partito, o non-partito, di Veltroni, o la<br />

precisazione di Chiamparino, o l'ultima intervista di Renzi,?<br />

* * *<br />

A Catania, una buona notizia (una notizia improvvisa, eppure attesa): è<br />

nato un giornale nuovo, al di fuori di Ciancio, e per la prima volta non è uno<br />

di quelli fatti da noi ma ha degli imprenditori che lo finanziano.<br />

La notizia non è il giornale (si chiama “<strong>Sud</strong>”; il direttore, non nostro, è un<br />

bravo ragazzo; esce ogni due settimane), la notizia sono gli imprenditori.<br />

Per la prima volta dopo secoli degli imprenditori catanesi si son tirati su<br />

mutande e brache e hanno timidamente iniziato a fare il loro mestiere.<br />

Questa è una svolta. Comincia, con questa piccola storia, il dopo-Ciancio.<br />

Ci coglie con sentimenti diversi: simpatia, diffidenza, sorrisi, scuotimenti<br />

di testa...<br />

Adesso, il cammino sarà in discesa. Non sarà breve o facile, ma sarà la<br />

seconda parte della strada. La prima è durata venticinque anni.<br />

Io spero che i colleghi di “<strong>Sud</strong>”, e persino i loro imprenditori, abbiano un<br />

buon successo in questa impresa, che certo non sopravvaluto ma nemmeno<br />

voglio sottovalutare. Il suo valore di segnale è indiscutibile, conferma le<br />

nostre analisi, c'incoraggia nel lavoro; ma potrà avere anche – lo vedremo<br />

nei prossimi mesi – un buon peso anche di per sé, giornalisticamente; ed è<br />

ciò che auguriamo.<br />

Quanto a noi, abbiamo avuto una fortuna grandissima in tutti questi anni<br />

ed è stata quella di avere accanto – dopo il gruppo iniziale dei Siciliani – dei<br />

colleghi e compagni molto superiori a quel che meritavamo. Coraggiosi,<br />

costanti, soli<strong>dal</strong>i, amici: nello sfacelo generale, essi pochi hanno tenuto<br />

duro. E sono ancora qui al loro posto, all'inizio – speriamo – di una stagione


meno dura, nata soprattutto grazie a loro<br />

Non mi ricordo più, alle volte, qual era l'obbiettivo finale dei Siciliani.<br />

Forse semplicemente questo: essere degni del nome, essere i Siciliani. Non<br />

c'è dubbio che Fabio, Graziella, Piero, Giovanni, Toti, Maurizio, Luca,<br />

Sonia, Massimiliano, Lillo, Sebastiano e tutti gli altri l'abbiano conseguito.


25 settembre 2010<br />

PARLANDO DI NOI<br />

Caro Gianluca e cari tutti,<br />

mi dispiace molto di non poterci essere ora, vi seguo con attenzione e vi<br />

auguro buon lavoro.<br />

Buon *lavoro*, non buona commemorazione o buona autoconsolazione o<br />

buona ripetizione delle cose che già tutti sappiamo. E nemmeno - ma questo<br />

a voi non c'è proprio bisogno di dirlo - buona autoglorificazione, una<br />

categoria che un tempo era quasi assente e ora ahimè è fin troppo presente<br />

nelle occasioni pubbliche dell'antimafia.<br />

Lavorare vuol dire non essere nè geni nè eroi, e anzi guardarsi<br />

accuratamente <strong>dal</strong>l'esserlo e considerare con diffidenza un uso troppo<br />

frequente di queste parole. Le guerre le vincono i comuni soldati - e la<br />

vostra è una guerra - e non i generali e neppure i cavalieri a cavallo.<br />

Bisogna che vi abituiate subito a pensare così, per quanto fuori moda sia; a<br />

lavorare pazientemente e modestamente, ma con serietà e con costanza,<br />

senza grandi parole ma senza mollare mai nemmeno per un istante. Ma<br />

questa nel caso vostro è una predica superflua, visto che vi conosco e so che<br />

persone siete. Diciamo che è una cosa in più, un pericolo che vi segnalo.<br />

Certo, potrà capitarvi (è capitato ad alcuni dei presenti) di dovere<br />

affrontare situazioni durissime, momenti in cui - come si dice - non è<br />

neanche sicuro di riportare a casa la pelle. Ma se vi toccheranno affrontatele<br />

senza tante parole, come un muratore su un'impalcatura difficile o un<br />

ferroviere su una linea rischiosa. Noi siamo stati così, Pippo Fava è stato<br />

così. Se volete imitarlo - ed è bello imitare uno come Pippo Fava -<br />

cominciate da questo: niente grandi parole!<br />

E un'altra cosa vorrei dirvi, un'altra cosa un po' anomala, del Direttore:<br />

non era un giornalista d'inchiesta. Lo era stato a suo tempo (con Liggio, con<br />

Genco Russo, coi mafiosi di allora) ma non quando ha diretto i Siciliani. E<br />

allora perché l'hanno ammazzato? Perchè non Claudio o me o Miki, che<br />

invece le inchieste le facevamo proprio allora?<br />

Perché il giornalismo d'inchiesta non è che una parte del giornalismo, e<br />

nemmeno la parte principale. La parte principale è quella (fra virgolette)<br />

"politica" ed è come leader politico che Pippo Fava è stato ucciso. Ma<br />

come, i leader politici vanno in giro così, senza potere nè cravatta, senza


nemmeno un partito cui appartenere?<br />

Proprio così. La politica veraè raccontare i dolori della gente, e le loro<br />

speranze, e i volti dei potenti che l'opprimono, con arte, mettendoci tutti se<br />

stessi, cervello e cuore. Allora, e soltanto allora, la verità colpisce davvero.<br />

Tra voi in questo momento ci sono tre ottimi giornalisti - Carlo, Graziella e<br />

Pino - che hanno pagato moltissimo per quello che hanno fatto. Hanno fatto<br />

inchieste bellissime ma ciò che non gli è stato perdonato è stato prima di<br />

tutto il loro ruolo "politico" e civile. Quando Graziella non solo indaga su<br />

un episodio ma anche organizza i Siciliani, quando Carlo si fa esempio<br />

vivente di rottura dell'omertà del notabilato locale, quando Pino non solo<br />

denuncia i Fardazza ma li schernisce e porta la gente a ridere di loro,<br />

ebbene, questa è politica e questi sono i nostri militanti politici, non solo e<br />

non principalmente i nostri giornalisti. Bravi, concreti, complessivi e quindi<br />

non digeribili in alcun modo. "Pericolosi".<br />

E così spero si possa dire di voi, in tutti i campi. <strong>Un</strong> saluto affettuoso e<br />

ancora buon lavoro.


3 ottobre 2010<br />

QUA COMANDANO QUELLI DELLA TRABANT<br />

Fare macchine che non si vendono, coi soldi dello Stato, e alla fine<br />

accusare gli operai<br />

La Trabant non si vende e il Partito accusa gli operai. “Dovete lavorare di<br />

più - dice il Partito - E' che siete abituati troppo bene. Ma d'ora in poi vi<br />

faremo vedere....”.<br />

Tutti gli apparatnik, tutti i politici, tutti i giornali annuiscono gravemente.<br />

Nessuno propone la soluzione più logica (nazionalizzare la Trabant e<br />

metterla in mano agli ingegneri) anche perché, in teoria, la fabbrica è già<br />

nazionalizzata: vive dei soldi pubblici, produce pessime macchine ed è<br />

gestita da gente che di partito s'intende forse, ma di automobili assai meno.<br />

Gli unici rimedi che conoscono sono: uno, più sacrifici; due, più polizia.<br />

Esattamente la situazione della Fiat. Cacciati gl'ingegneri dai vertici<br />

(qualcuno si ricorda ancora di Ghidella?), sostituiti dagente fida del Partito<br />

(Romiti nell'88, adesso l'ineffabile Marchionne), le macchine vengono male<br />

e nessuno ne vuole.<br />

Fra tutte le consolidate auto europee, la Fiat è quella (- 26 per cento) che<br />

va peggio. Non per colpa dei coreani o dei cinesi: soffre Psa, Volkswagen, le<br />

europee.<br />

Buttare fuori a calci il compagno Marchionnov? Non se ne parla<br />

nemmeno. Sacrifici, licenziamenti e, se qualcuno protesta, polizia. E<br />

siccome qui in <strong>Un</strong>ione Sovietica c'è un partito solo, nessuno seriamente<br />

protesta (seriamente vuol dire vendita forzata o nazionalizzazione).<br />

* * *<br />

Che fa un capo dello Stato riformista anzi semplicemente democratico<br />

anzi, mi voglio rovinare, addirittura conservatore e di destra se il sindaco di<br />

un paese propugna la superiorità della razza bianca locale e vuole insegnarla<br />

per forza ai bambini innocenti delle scuole? Manda messaggi? Si appella<br />

alla buona volontà di un minisstro? Lascia intendere che forse non va<br />

bene?.Manda direttamenter la truppa, reparti delle Forze armate, che<br />

disperde la folla razzista a calcio di fucile e fa ala ai bambini neri.<br />

Non l'ha fatto Di Pietro o Vendola e nemmeno Bersani. L'ha fatto un<br />

presidente degli Stati <strong>Un</strong>iti, il repubblicano Eisenhower,, a Little Rock<br />

nell'Arkansas nell'autunno del '57. Pochi anni dopo, nel '62, fu Kennedy a


mandare quattrocento federali nel Mississippi, dove i razzisti locali -<br />

governatore in testa – pretendevano di fare i razzisti nell'università.<br />

Anche qui, le baionette spianate e qualche buon spintone fecero un buon<br />

lavoro. Ad Adro, nel Quarto Reich di Brighella, il sindaco ribelle e razzista<br />

invece è ancora lì.<br />

* * *<br />

«La vera notizia a me l'ha detta Eva, una ragazza del Centro per disabili<br />

con cui lavoro» racconta Mauro Biani. «”Hai sentito? - mi ha detto -<br />

Sakineh non l'ammazzano più, la impiccano”. <strong>Un</strong>afrase che vale più di<br />

cento editoriali»<br />

* * *<br />

Qua in Sicilia, a Catania i giudici non hanno la tradizione di Palermo. <strong>Un</strong><br />

modo eufemistico per dire che negli anni 70 mettevano in galera l'ingegnere<br />

Mignemi che denunciava scan<strong>dal</strong>i edilizi, negli anni '80 indagavano sui<br />

conti di Giuseppe Fava, negli anni '90 coprivano i Cavalieri e un paio di<br />

anni fa non si accorgevano che i Santapaola scrivevano editoriali sui<br />

giornali di Ciancio.<br />

Qualche giorno fa, fra la sorpresa generale, sono piombati sull'unico<br />

giornale non di Ciancio della Città, <strong>Sud</strong>, che - a quanto avevano sentito dire<br />

- aveva intenzione di parlar male del presidente Lombardo.<br />

Sarebbe bellissimo se Catania prima o poi diventasse una città normale, a<br />

cominciare <strong>dal</strong> Palazzo di Giustizia e da coloro che l'abitano. Non sembra<br />

un momento vicino.<br />

Ci sono magistrati borbonici (quelli cresciuti col vecchio Di Natale: il<br />

persecutore di Fava, per intenderci), ci sono magistrati liberal (quelli del<br />

caso Catania di qualche anno fa: i persecutori di Scidà, per intenderci).<br />

Tutt'e due, fra di loro, si fanno a quanto pare una gran guerra, dando<br />

notizie, negandole, incriminandosi – per interposta persona – a vicenda,<br />

ciascuno coi suoi notabili, i suoi amici, le sue bestie nere. Noi (salva la<br />

solidarietà coi colleghi di <strong>Sud</strong> - solo i colleghi) noi non c'entriamo, siamo<br />

di un altro mondo, forse – ci pare a volte - di un altro pianeta.


3 ottobre 2010<br />

SEI AMICI<br />

Il dottore Nastasi, veterinario, s'era fatto tutta la ritirata di Russia a piedi,<br />

con gli alpini. Mio padre aveva la rotula sinistra di metallo, completamente<br />

ricostruita, e varie schegge non estraibili in corpo. L'altro Nastasi, quello<br />

che insegnava ginnastica, s'era fatto Grecia, Libia e Albania. Idem Alfano e<br />

Ruvolo, tutti in fanteria. Ghetti, un anno e mezzo nei sommergibili: ne<br />

tornarono una decina, dei sottomarini atlantici, e "alla parata di Napoli<br />

eravamo ottantuno". Di questi sei amici non ce n'era uno che non<br />

bestemmiasse quando sentiva "gerarchi" e "mussolini".<br />

Nessuno di questi sei era pacifista, nel senso che intendete voi adesso. Ma<br />

odiavano la guerra e chiunque ne parlasse bene. "La guerra, la guerra...".<br />

"Eh. Non potete capire, voi giovani, quant'è bella la pace". <strong>Un</strong>o sospirava,<br />

l'altro tirava un colpo di toscano.<br />

Non si sono mai fatti guardare, da me bambino, come eroi. Stavano anzi<br />

molto attenti a non farlo. Di tutta la guerra, l'unica <strong>racconto</strong> che ho di mio<br />

padre è delle sigarette che s'erano scambiati, sotto la tenda dell'ospe<strong>dal</strong>e da<br />

campo, con il maggiore inglese che forse l'aveva ferito. E un'altra volta in<br />

cui, con tutti noi bambini a naso in su davanti ai premi del tiro a segno,<br />

dopo lunga esitazione e vergognandosi prese la carabina ad ariacompressa e<br />

a uno a uno li buttò giu tutti. "Ero tiratore scelto" mormorò come<br />

scusandosi, distribuendo le bambole e gli orsacchiotti di pezza.<br />

Non so quante ferite e medaglie avessero quei sei amici, tutti insieme. Ma<br />

mi hanno insegnato la pace, poiché erano dei soldati.<br />

Oggigiorno un politico - culomolle, gerarca, mai stato al fuoco, mai<br />

rischiata la pelle per il suo paese - vorrebbe invece insegnare la guerra<br />

(peggio: giocare alla guerra) ai ragazzini. Ma mio padre e i suoi amici, nelle<br />

loro varie e diverse idee politiche, concordemente avrebbero avuto orrore di<br />

lui.


10 ottobre 2010<br />

VIETATO SCRIVERE "SFRUTTATORE"?<br />

Scan<strong>dal</strong>o per una scritta contro Marchionne. E allora? C'è molta<br />

differenza fra la protesta (in questo caso, assai giusta) e il terrorismo o la<br />

violenza. Anche la Marcegaglia, adesso, è contro Berlu sconi. Ma questo<br />

non vuol dire...<br />

A Milano è successa una cosa tremenda: alcuni feroci estremisti, o<br />

brigatisti o di Bin Laden o di chissà che banda, sono andati in via <strong>Un</strong>bria,<br />

hanno scelto accuratamente un muro e – a caratteri enormi e, badate bene,<br />

in rosso - vi hanno scritto d'un getto: “Marchionne sfruttatore”. Poi “Servi<br />

dei padroni” (per Angeletti e Bonanni). Infine hanno vergato: una falce; un<br />

martello; e una stella rossa.<br />

Quest'ultima, a dire il vero, non era proprio quella dei brigatisti (che è<br />

piuttosto, tecnicamente, un pentacolo) ma - piccola, fra l'estremità della<br />

falce e quella del martello – aveva un'aria più che altro berlingueriana<br />

(“Emblema del Partito sono la falce e il martello, simboli del Lavoro, e la<br />

Stella d'Italia che li affianca...”).<br />

Ma non importa: l'allarme – allarme sociale – resta; e se n'è fatta<br />

portavoce Repubblica, con titoli convenevolmente allarmati, simili – per<br />

dare un'idea – a quelli che userebbe se un giorno o l'altro, per assurda<br />

ipotesi, Marchione dichiarasse che la Costituzione della Repubblica non<br />

vale più e lo Statuto dei lavoratori è carta straccia.<br />

Ma, filologicamente, si può dire (e scrivere) che un personaggio così<br />

illustre come Marchionne sia con rispetto parlando uno sfruttatore? A me, e<br />

al mio illustre collega prof Marchetti (prima delle leggi razziali si chiamava<br />

Marx) parrebbe ovvio. Potremmo sbagliarci, s'intende: ma si va già in<br />

galera, o si passa per brigatisti, a dirlo?<br />

(Non sono invece d'accordo con quel “servi dei padroni” ai poveri<br />

Angeletti e Bonanni, che sono semplicemente dei sindacalisti alquanto<br />

incapaci: ma, anche qui, potrei sbagliarmi).<br />

* * *<br />

Siamo impegnati in una lotta ferocissima con un potere non-democratico<br />

e corrotto, quello di Berlusconi. Contro di esso lottano anche, e con<br />

determinazione non inferiore, anche i colleghi di Repubblica e gli<br />

imprenditori che ne possiedono il giornale. Si tratta, com'è evidente, di


gente civile e democratica, del tutto imparagonabile con gli avversari<br />

comuni. Sarebbe dunque sbagliato fare troppe polemiche con loro.<br />

Ogni tanto, però, non fa male ricordarsi un attimo che sempre di interessi<br />

si tratta, civili e democratici ma interessi; e che la Fiat in particolare, per<br />

loro e per tutta la democrazia moderata – è stata per sessant'anni ed è tuttora<br />

un tabù.<br />

Possiamo pretendere, questo sì, che non confondano cazzi e lanterne<br />

(come si dice a Parigi) e non aiutino involontariamente i brigatisti veri<br />

attribuendo loro sentimenti che invece sono, da molte generazioni a questa<br />

parte, delal gran maggioranza degli operai. E poi via tutti avanti a lottare<br />

contro Caligola e Nerone, loro (senatori) da un lato e noi (schiavi e liberti)<br />

<strong>dal</strong>l'altro. Soltanto, facciano attenzione a non regalare a Nerone liberti e<br />

schiavi, come spesso sono tentati di fare.<br />

* * *<br />

Saviano – passando ad altro – da quando ha lasciato il suo vecchio sito<br />

Nazione Indiana non è migliorato. Ultimamente ha piantato là una gran<br />

bischerata, occupandosi con leggerezza di Peppino Impastato e dando della<br />

sua lotta una versione da fiction, ignorando ad esempio il ruolo decisivo che<br />

ebbero, con gran rischio e coraggio, compagni come Umberto Santino e il<br />

suo Centro Impastato.<br />

Umberto (che non per la prima volta viene ingiustamente cancellato <strong>dal</strong>la<br />

storia “ufficiale”) giustamente se n'è doluto e ha protestato. Bene. Poi, però,<br />

ha preso carta e penna e ha fatto causa a Saviano. Male.<br />

Io spero, e anzi mi permetto umilmente di chiedere, che questa faccenda<br />

finisca con un sorriso reciproco e una stretta di mano. Due antimafiosi, il<br />

più grande dei vecchi e il più famoso dei nuovi! Eppure non andrà così, lo<br />

sento. E anche questo è un segnale.<br />

Io ho sempre sostenuto che l'antimafia dovrebbe insegnare alla politica,<br />

fare (vera) politica essa stessa. Ma occorre un colpo d'ali.


18 ottobre 2010<br />

"HA DA VENI' ER TICKET"<br />

- Eh, va là! Sessantotto!”.<br />

- Che ti devo dire. Anche allora mica la tv se l'aspettava. Intanto...<br />

- E chi sarebbe il capo di 'sto sessantotto? Vendola? Beppe Grillo? Di<br />

Pietro?<br />

- Beh, mica facile fare il sessantottino se perdi tempo con un partitino<br />

intestato al tuo nome. E allora son stati proprio i capi, come li chiami tu, a<br />

sfasciare tutto. Stavolta magari se ne fa a meno.<br />

- Vabbe', le solite fantasie. E intanto Berlusconi...<br />

- Ma intanto ridendo e scherzando ci abbiamo guadagnato un'opposizione.<br />

Prima non c'era e ora da sabato c'è.<br />

- Ma dai!<br />

- Mica lo dico io. Il Corriere lo dice. Leggi qua: “La Fiom si fa partito”.,<br />

E il Corriere, quando sente guai, se ne intende...<br />

- E il piddì? E Bersani? Che fine fanno?<br />

- Bersani è uno serio, e a quest'ora s'è già accordato con Vendola per fare<br />

il ticket.<br />

- Il ticket?<br />

- Te lo ricordi quando c'era Prodi e Veltroni? Il vecchio e il giovane,<br />

l'Emilia solida e la città futura, i conti in ordine e la poesia...<br />

- E dai, Veltroni... Tocco palle a solo pensarci.<br />

- Anch'io, e difatti Veltroni ha fatto la fine che ha fatto. Ha accoltellato il<br />

povero Prodi fra l'altro. Ma Vendola è un'altra cosa. Vendola non tradisce.<br />

Bersani tiene su la baracca, e lui la spinge avanti.<br />

* * *<br />

Anche per noi dell'antimafia sabato è stato un bel giorno. Noi non<br />

abbiamo amici, in realtà. Non fino in fondo. Gli unici di cui ci fidiamo, sono<br />

gli operai. Sono nella stessa barca con noi. Noi abbiamo addosso la mafia,<br />

loro la Fiat. Non so qual'è peggio delle due. Ma sono nella stessa barca<br />

anche loro, l'Italia se la dividono fra loro due, nord e sud, destra e<br />

“moderati”.<br />

Noi, ai Siciliani, l'abbiamo sempre saputo. Non abbiamo mai fatto<br />

antimafia senza pensare ai poveracci. Nè abbiamo mai appoggiato uno<br />

sciopero senza dire: “Sì, ma i veri padroni sono i Cavalieri”.


Questa è la dote che noi portiamo oggi al “movimento”, qualunque cosa<br />

sia oggi questa parola, vecchia come tutte quelle dell'altro secolo ma come<br />

molte altre della nostra storia (operai e padroni, destra e sinistra, “coppole”<br />

e “cappeddi”) nella sostanza tremendamente attuale.<br />

Per questo dobbiamo sbrigarci a fare rete. I tanti nostri piccoli (e meno<br />

piccoli) siti e giornali non ci bastano più. Nè possiamo affidarci ai<br />

“cappeddi” liberali, neanche quando lottano contro Re Bomba o Berlusconi.<br />

E tanto per capirci, ecco due esempi.<br />

* * *<br />

In Calabria un giornalista antimafioso, un certo (ché tanto non lo<br />

conoscete) Musolino. è stato trasferito d'autorità <strong>dal</strong>la direzione del suo<br />

giornale dopo aver fatto dichiarazioni “avventate” ad Anno Zero. A fargli<br />

questo scherzetto sono stati due padroni molto discussi, Citrigno e Aquino<br />

(occhio, si preparano a fare un giornale “democratico” a Roma) e un<br />

direttore “liberal”, Sansonetti. Di costui io aspetto ancora di sapere che cosa<br />

ne pensano i miei amici liberali, compresi i più avanzati.<br />

In Sicilia, il giornalista più in pericolo è probabilmente Pino Maniaci,<br />

quello di Telejato, delle aggressioni in piazza e della lotta antimafia a<br />

Partinico. Quest'estate un “collega”, tale Molino, l'ha violentemente<br />

attaccato, usando anche calunnie (per le quali il suo avvocato ha offerto ora<br />

una transazione amichevole, cioè soldi, a Maniaci).<br />

Bene, vengo sapere che questo Molino, grazie a spinte molto autorevoli di<br />

una parte (non la migliore) del Pd siciliano, è stato assunto ad Anno Zero.<br />

Santoro non conosce il background, naturalmente. Ma Maniaci, così, è un<br />

po' più isolato (e in pericolo) di prima.<br />

* * *<br />

Beh, parliamo un po' di cose di famiglia, ora. Oggi si laurea in<br />

giornalismo Giorgio Ruta (22 anni; lo conoscete <strong>dal</strong> “Clandestino”) e<br />

domani fa l'esame dell'Ordine Chiara Zappalà, un'altra dei nostri, 24 anni,<br />

ha vinto l'Ilaria Alpi per un video con Sonia Giardina. Credo che Pippo<br />

Fava, da qualche parte, tutto sommato stia sorridendo.


25 ottobre 2010<br />

RICOMINCIARE DA TELEJATO<br />

Due storie di cronisti minacciati (uno in Sicilia l'altro in Calabria) che<br />

non riguardano solo il giornalismo ma proprio la politica: la nostra<br />

Non è una storia importante, quella di Pino Maniaci e di TeleJato. Si<br />

svolge in un pezzo d'Italia (Partinico e dintorni) in cui la mafia comanda da<br />

quasi cent'anni, tollerata da Crispi, Giolitti, Mussolini, Fanfani, Andreotti e<br />

infine Berlusconi. Non è un'Italia importante, infatti, Partinico; si può ben<br />

delegarne il controllo, in cambio di qualche voto, a Cosa Nostra.<br />

E tutto va avanti così, banalmente, una generazione dopo l'altra. L'Italia<br />

civile, ogni tanto, manda giù una telecamera: un servizio, una fiction, un'ora<br />

di folklore.<br />

Finché, improvvisamente, ti spunta una telecamera indigena, che senza<br />

sapere un cazzo d'informazione comincia fare informazione davvero. Cioè<br />

ventiquattr'ore su ventiquattro, <strong>dal</strong> basso, in mezzo alla gente del luogo e<br />

con parole locali. Ridendo e sputtanando i boss locali: “Tano Seduto!”.<br />

“Fardazza!”.<br />

Si chiami Peppino Impastato o Pino Maniaci, il giornalista indigeno non è<br />

mai presi sul serio (da vivo) dai giornalisti ufficiali.<br />

Ci volle del bello e del buono, l'anno scorso, per fare ottenere un<br />

tesserino a Pino. Dovette fiondarsi a Palermo il presidente dell'Ordine in<br />

persona, Iacopino, e imporlo ai riluttanti colleghi locali alcuni dei quali<br />

(Lazzaro Dantuso e Mannisi) minacciarono di uscire <strong>dal</strong>l'Ordine se vi fosse<br />

stato accolto Maniaci.<br />

Seguono alcuni mesi “normali” (la solita pastasciutta, le solite minacce, i<br />

soliti tg sui Fardazza, le solite aggressioni in piazza) in cui Pino, senza far<br />

troppo caso dei “colleghi”, continua a tirare la carretta di TeleJato paziente e<br />

imperturbabile come un somaro.<br />

Poi, con l'estate, arriva un bel regalo: un lbro di un collega “antimafioso”<br />

(vedi pag.4) che dedica a TeleJato un capitolo intero: per dire che è tutta una<br />

buffonata e che Pino è un ciarlatano.<br />

Caselli, don Ciotti, i “vecchi” di Radio Aut e dei Siciliani, l'antimafia<br />

insomma, si mettono pubblicamente accanto a Pino. I più intimi lo<br />

consigliano: “Eddài, non te la prendere, sono cose che passano, continua a<br />

fare il tuo dovere”.


E lui pazientemente riafferra le stanghe e si rimette a tirare, povero e<br />

indifferente come prima. Il collega calunniatore intanto fa carriera e finisce<br />

in Rai: e non da Bruno Vespa ma da Santoro. Così va il mondo.<br />

Maniaci perde la pazienza, ma brevemente, soltanto quando l'ennesima<br />

minaccia (che Procura e Scientifica valutano fra le più dure in assoluto)<br />

colpisce non più solo lui, ma anche la sua famiglia. Dice alcune parole, ad<br />

alta voce. Eppoi si rimette a lavorare. “Noi non ci fermeremo”.<br />

* * *<br />

Parlo di Pino perché sono siciliano, e mi è quindi più facile scrivere di lui.<br />

Ma un caso abbastanza simile, quasi contemporaneamente, si è verificato in<br />

Calabria (vedi U<strong>cuntu</strong> 18 ottobre) dove il cronista Luigi Musolino, più volte<br />

minacciato <strong>dal</strong>la 'ndrangheta, viene trasferito d'autorità dopo aver fatto<br />

dichiarazioni su politici non propriamente antimafiosi. Il suo direttore è uno<br />

“di sinistra”, Sansonetti, il cui riferimento politico, se non ho perso qualche<br />

puntata, è addirittura Vendola. Che certo, come Santoro, non è tenuto a<br />

occuparsi di tutti i particolari, e in particolare della sorte di un misero<br />

cronista calabrese o siciliano.<br />

* * *<br />

Torniamo su questi due nomi, che i nostri lettori (e di non molti altri<br />

giornali) già conoscono, perché li riteniamo importantissimi per il nostro<br />

mestiere, per il nostro Paese, e per lo schieramento politico cui<br />

apparteniamo, la sinistra.<br />

Maniaci e Musolino non sono dei semplici giornalisti. Giù da noi, sono il<br />

giornalismo.<br />

Maniaci e Musolino non sono dei semplici giornalisti. Giù da noi sono le<br />

sentinelle della Nazione, sono l'Italia.<br />

Maniaci e Musolino non sono un problema della sinistra. Giù da noi sono<br />

il problema.<br />

Nel momento in cui (forse) riusciamo a cacciar via Berlusconi, a ridarci<br />

un governo, saremo noi di sinistra in grado di governare meglio di prima, di<br />

affrontare con la durezza e serietà che in passato è mancata i problemi vitali:<br />

la mafia, l'informazione libera, la non-dignità sul lavoro?<br />

Nei casi di Musolino e Maniaci compaiono esattamente questi temi. Con<br />

nemici e responsabili di destra ma con un'immensa miopia - colpevole - da<br />

sinistra.<br />

Perciò io qui chiedo formalmente a Santoro di esprimere pubblicamente<br />

solidarietà a Maniaci (finora non l'ha fatto) e a Vendola di prendere


pubblicamente le distanze da Sanonetti (non l'ha fatto). Insomma di<br />

sostenere per quanto possibile la nostra antimafia povera e paesana,<br />

scegliendo i militanti sul campo e non i cortigiani.<br />

Mica siete obbligati, caro Michele e caro Nichi, a comportarvi così<br />

impoliticamente.<br />

Se non lo farete continuerò e sostenervi per disciplina e dovere, bugia<br />

nen, come un sergente sabaudo. Se lo farete, sarete molto più che dei re (o<br />

dei politici) per me e per quelli come me: sarete dei compagni.


1 novembre 2010<br />

IL MURO DI SICILIA E QUELLO DI BERLINO<br />

Qual è peggio dei due? Mah. Intanto la gente crepa su tutt'e due<br />

Ci sono poche cose più inutili di questo numero di U<strong>cuntu</strong>, in questo<br />

buffo paese in cui il principale argomento di politica è il numero e l'età delle<br />

ragazzine comprate <strong>dal</strong> rimbambito monarca. Leggetelo, se proprio volete,<br />

come una semplice testimonianza: fra gli italiani, e siciliani, del duemila e<br />

rotti non tutti erano del tutto privi di vergogna, non tutti prendevano atto.<br />

Leggete questo, ora o fra vent'anni, e non confondeteci con gli altri.<br />

Perché quel che è successo a Catania in questi giorni è, nella sua<br />

ordinarietà, assolutamente nitido come segnale; equivalente a quello dei<br />

buoni cittadini di Berlino o Vienna che, sorridendo distrattamente,<br />

guardavano gli ebrei afferrati e portati via.<br />

Succede, e anche questo è significativo, a Catania, cioè in una delle due o<br />

tre città d'Italia in cui il potere mafioso è totalmente integrato, da tre decenni<br />

ormai, in quello dello Stato. Succede anche in citttà, d'accordo, d'inciviltà<br />

più recente. Ma parlino gli altri, se vogliono, delle loro vergogne; noi, delle<br />

nostre.<br />

* * *<br />

La storia è molto semplice: più di cento profughi, di cui metà bambini,<br />

arrivano dopo pene indicibili da noi in Sicilia, sbarcano sulla nostra terra.<br />

<strong>Un</strong> tempo, le donne si sarebbero affrettate a portare coperte e viveri, e gli<br />

uomini vino. Adesso, l'affare è di competenza della forza pubblica.<br />

Rastrellano i disgraziati, li chiudono in uno stadio, inventano qualche<br />

chiacchiera per tenere a bada i pochi cittadini accorsi, e rimandano le pecore<br />

al lupo. Che è uno dei tanti tiranni africani, odiati <strong>dal</strong> popolo ma con una<br />

buona polizia: tutti, da qualche anno in qua, fraterni amici dell'Italia o<br />

almeno dei suoi governanti.<br />

Il rapporto fra noi e l'egiziano Mubarak, o il librico Gheddafi, è infatti<br />

chiarissimo su questo punto: l'Italia paga; essi impediscono con ogni mezzo,<br />

comprese tortura e morte, ai loro infelici sudditi di venire e infastidire noi<br />

ricchi.<br />

Cento o duecento vittime, uccise mentre fuggivano <strong>dal</strong> Muro di Berlino,<br />

disonorarono - e giustamente - i regimi orientali, concorsero al loro crollo e<br />

furono e sono invocate come prova della disumanità e tirannia di quei


egimi. Oggi le vittime si contano a migliaia e decine di migliaia, e noi tutti<br />

italiani – meno chi vi si oppone – ne siamo conniventi.<br />

Vergogna, vergogna, vergogna. E vergogna maggiore su chi, come noi<br />

sicilaini, ha conosciuto la fame, come i poveretti di ora, e ha dovuto<br />

emigrare. Ma le angherie degli svizzeri - e dei tedeschi, e dei francesi, e dei<br />

belgi, e di tutti quei popoli presso cui la necessità ci costringeva a emigrare<br />

– non furono mai paragonabili a quelle che gli emigranti di ora subiscono da<br />

noi italiani degenerati. Peggio delle violenze (che non mancano) è odiosa<br />

l'indifferenza, e la Sicilia e l'Italia ne danno adesso - diversamente da ancora<br />

pochi anni fa - triste prova.<br />

* * *<br />

Non saprei che altro aggiungere. E' futile, di fronte a questo, dilungarsi<br />

sulle politiche nazionali e locali che al confronto appaiono sempre più<br />

esercitazioni di notabili più o meno incartapecoriti; l'unico partito che fa<br />

politica, a quanto pare, è la Fiom e tutti gli altri sono struzzi che<br />

differiscono per il diverso livello di profondità a cui seppelliscono la testa.<br />

Due osservazioni soltanto. La prima riguarda la quasi totale indifferenza<br />

con cui la stampa nazionale ha accolto questa tragica vicenda, con l'unica<br />

benemerita eccezione del (fuori moda) Manifesto.<br />

A Catania, quasi contemporaneamente ai fatti, si svolgeva uno dei tanti<br />

periodici dibattiti sull'informazione. Nessuno degli intervenuti ha ritenuto<br />

opportuno mentovare i poveri emigranti che proprio in quelle ore andavano<br />

incontro al loro tragico destino.<br />

Né alcuno dei valorosi politici piombati giù da Roma ad aprire<br />

nell'occasione la campagna elettorale ha perso tempo a recarsi<br />

immediatamente allo stadio o all'aeroporto, a difendere i poveretti, che se ne<br />

sarebbero giovati. Liberali sì ma “galantuomini”, nell'accezione veghiana.<br />

* * *<br />

L'altra considerazione riguarda invece i nostri ragazzi, i miei colleghi di<br />

U<strong>cuntu</strong>. Che <strong>dal</strong>le primissime ore, senza porsi il problema di cosa sia o non<br />

sia l'informazione, si sono fiondati sul posto, a dare “copertura<br />

giornalistica” - come si dice - all'evento, che subito avevano percepito come<br />

importantissimo, e per solidarizzare con gli emigranti.<br />

Fatiche e coraggio sprecati, perché <strong>dal</strong> punto di vista dei media il loro<br />

piccolo giornale, non ripreso dai grossi, non basterà certo a mutare<br />

l'opinione pubblica; e <strong>dal</strong> punto di vista civile le poche decine di cittadini<br />

presenti, fra cui essi stessi, non hanno potuto fare molto di più che


ichiamare i diritti e prendersi qualche spintone.in mezzo agli altri.<br />

Non sono stati furbi per niente, i miei colleghi e amici: potevano andare ai<br />

dibattiti, o in qualche carriera politica, invece di perdere tempo così per<br />

niente. Salvo che per una cosa che un tempo era importante, fra di noi<br />

siciliani: la dignità.


8 novembre 2010<br />

LOMBARDO, FIUMEFREDDO...<br />

MA CHE C'ENTRIAMO NOI?<br />

“Cambiare tutto perché non cambi niente...”. Quante volte, in Sicilia. Ma<br />

una volta, almeno, c'era chi resisteva duramente, egualmente nemico di<br />

gattopardi e borboni<br />

<strong>Un</strong>o dei più seri presidenti della Sicilia è stato certamente Mario<br />

D'Acquisto, capocolonna andreottiano negli anni Ottanta. A differenza di<br />

Cuffaro o Lombardo, infatti, non si faceva ufficialmente indagare come<br />

mafioso, non si faceva fotografare coi cannoli, e soprattutto - cupo e letale -<br />

non rideva mai, nemmeno quando piazzava i suoi uomini nella colonna<br />

siciliana della P2. Che cosa combinò la P2, e soprattutto in Sicilia, e<br />

soprattutto in quegli anni, sarebbe bello sapere. D'Aquisto inoltre (e questa è<br />

la seconda differenza dai tempi nostri) non fu mai sostenuto <strong>dal</strong>la sinistra,<br />

che allora era Berlinguer e Pio La Torre.<br />

Il “nuovo” della politica siciliana, esteticamente parlando, è tutto qui.<br />

Prima c'erano i tragici Lima e Ciancimino, e gl'incorruttibili nemici del Pci.<br />

Ora ci sono macchiette (fors'anche sanguinose: ma macchiette), e ciascuna<br />

di loro ha i propri amici e alleati nel Pd: di cui alcuni sono corrotti ma altri<br />

persone perbene.<br />

Fra queste ultime sicuramente c'è Beppe Lumia, che è un antimafioso<br />

esemplare da molti anni. Perché un Lumia viene a trovarsi con un<br />

Lombardo? O, a un livello meno drammatico, una Borsellino con un<br />

Fiumefreddo, un Crocetta con un Toni Zermo?<br />

Sono persone coraggiose e buone, non le si può certo accusare di<br />

tradimento. E sono, per quel che sappiamo, sane di mente. Eppure sono<br />

riuscite a infilarsi in un groviglio inestricabile di accordi, di controaccordi,<br />

di equilibrismi e alleanze in confronto a cui gli inciuci di Veltroni e<br />

D'Alema appaiono rozzi e primitivi.<br />

Il fatto è che nè Lumia nè Crocetta nè la Borsellino, nè Orlando nè<br />

l'Alfano nè Fava nè, a quanto pare, alcun altro come loro si sente parte di un<br />

tutto, di un collettivo. Sono cavalieri isolati, alla Lancillotto (“Non posso<br />

battere la mafia da solo” dichiarò tempo fa uno di loro). Mettersi insieme,<br />

fare squadra, non gli passa neppure per la mente. Ovvio che quindi risultino,<br />

individualmente presi, pessimisti e sfiduciati.


Il loro pessimismo nasce anche <strong>dal</strong> fatto che, salvo eccezioni momentanee<br />

ma rimosse, non hanno mai avuto una fiducia reale nei movimenti (il<br />

cooordinamento antimafia, i Siciliani Giovani, il Rita Express) che via via<br />

incontravano. “Bravi ragazzi sì, ma la politica è un'altra cosa”. E hanno<br />

puntato tutte le carte sulla politica tradizionale. Che non ha funzionato.<br />

Da ciò, isolamento e sfiducia. Alcuni hanno reagito raddopiando gli<br />

sforzi, persuasi che bisognasse solo insistere. Altri cercando di galleggiare<br />

alla meno peggio. Altri ancora hanno deciso che, perso per perso, tanto<br />

valeva - nell'interesse geneale – contrattare almeno il meno peggio,<br />

accordarsi coi meno stronzi fra i nemici.<br />

Ora, con Lombardo indagato e tutto il resto, cercano disperatamente una<br />

soluzione. Ma soluzioni non ce n'è. E finiscono per trovarsi<br />

involontariamente arruolati con questo o quel signore della guerra - i vari<br />

Lombardo, Micciché Fiumefreddo, Castiglione e chi più ne ha più ne metta<br />

– che, su oppeste fazioni, cercano classicamete di farsi le scarpe a vicenda<br />

nel momento del patatrac generale.<br />

Ce ne dispiace per Lumia, e anche per diversi nostri amici, giovani e<br />

meno giovani, che nella fretta di colpire questo o quel singolo barone non<br />

riescono più a percepire che la guerra in realtà è contro tutta (indivisibile) la<br />

baronìa.<br />

E va bene. Sono cose banali, lo sappiamo, ma ripetiamole ancora:<br />

l'antimafia, che è politica, può farla solo l'insieme di tutti gli antimafiosi. Se<br />

vi si intrufolano altri, non funziona. Se ci si allea con gente strana, non<br />

funziona. Se si comincia a distinguere, non funziona. Se ci sente “isolati”,<br />

non funziona.<br />

Adesso funzionerebbe come noi mai, perché il nemico è confuso, perché<br />

re e duci litigano, perché i sacrifici che esigono son diventati davvero<br />

troppo grossi. Sarebbe automatico, e semplice, vincere in un momento come<br />

questo. Ma forse è troppo semplice, per i complicati politici che ormai<br />

siamo diventati.<br />

E non parliamo più della Fiat. E ci illudiamo che il regime caschi – forse<br />

– per una mera storia di puttane. E ci prepariamo ad accogliere tutti contenti<br />

Fini, Draghi, Montezemolo, Lapo Elkann, Dino Grandi, Casini, chiunque i<br />

poteri forti vogliano imporci al posto dell'ormai inusabile duce.<br />

Facciamo motti di spirito, belle frasi, e battute indignate e ipotesi da<br />

farmacia. E non parliamomo più di Fiat. E di mafia pochissimo. E non<br />

parliamo mai affatto, imperdonabilmente, di sciopero antimafia e antifiat,


sciopero generale.


16 novembre 2010<br />

LA LUNGA E PROGRAMMATA AGONIA DEL CAUDILLO<br />

Quando Francisco Franco venne finalmente chiamato a render conto al<br />

tribunale del Signore, fra i cortigiani si levò un'onda di paura: che sarebbe<br />

accaduto ora? Chi avrebbe protetto più il loro regno, quell'eden di banchieri<br />

“cattolici” e di puttane devote pazientemente costruito anno dopo anno?<br />

Mentre il vecchio caudillo agonizzava, cortigiani e banchieri trovarono la<br />

soluzione: “Lasciamolo agonizzare”, disse qualcuno. “Facciamolo<br />

agonizzare più a lungo che si può. E così avremo il tempo di organizzare la<br />

transizione”.<br />

E così fu. L'agonia del tiranno fu spaventosa: tubi e tubicini lo tennero in<br />

un'improbabile “vita” per mesi e mesi mentre finanzieri e vescovi<br />

organizzavano freneticamente la successione. Le cose poi non andarono per<br />

il giusto verso, fra il re improvvisamente democratico e gli operai fin troppo<br />

prevedibilmente incazzati (oggi si chiamano Fiom, allora Comisiones<br />

Obreras).<br />

L'idea della lunga agonia però non era male, pensano – oggi, in Italia –<br />

finanzieri e cortigiani. “Tiriamo in lungo le cose - pensano lor signori -<br />

avremo tempo di trovare se non un altro Berlusconi (di quelli la<br />

Provvidenza ne manda solo uno per secolo) almeno uno che in qualche<br />

modo faccia il suo lavoro essenziale: far pagare la crisi ai maledetti poveri e<br />

non ai miliardari innocenti, che saremmo noi”.<br />

Ed ecco perché, se l'economia corre, la politica va a rilento. L'economia<br />

va – letteralmente – a rotta di collo, alla marchionesca: produrre male,<br />

perdere i mercati uno dopo l'altro (si stanno vendendo la Ferrari, non si sa se<br />

ai tedeschi o ai coreani) ma intanto ristrutturare le fabbriche senza contratti<br />

fissi e senza sindacato. Pomigliano, Torino, poi altre decine di fabbriche, poi<br />

l'Italia intera: e senza opposizione concreta di nessuno, nè a “sinistra” nè a<br />

destra, salvo quella – ma forte e dura, e ovviamente ignorata – degli operai.<br />

La politica segue piano piano, con moltissimo fumo e poco arrosto. Chi<br />

sarà il successore di Temonti (il vero primo ministro, se non ve ne siete<br />

accorti, al capezzale del Papi lo sta facendo lui)? Il banchiere Draghi,<br />

ufficialmente proposto da Scalfari con parole forbite? Tremonti stesso, se<br />

Bossi finalmente si decide? Casini, Fini, Montezemolo, Carrero Blanco?<br />

E chi lo sa. Non abbiamo la più pallida idea di quello che si discute in


quelle stanze, nè averla ci servirebbe, tanto decidono tutto loro. C'interessa<br />

invece moltissimo che cosa si va preparando <strong>dal</strong>le parti nostre, l'opposizione<br />

politica, la sinistra. Qui le cose, se si considera bene, non vanno male.<br />

La sinistra, per cominciare, ha sempre più voglia di essere di sinistra (e<br />

capirai, con 'sta crisi) e non di centrosinistra, di centro o di qualche altra<br />

cosa. <strong>Un</strong> segnale?<br />

Le primarie Pd di Milano, dove ha vinto non Vendola ma Berlinguer: vale<br />

a dire il realismo, la nostalgia, il “basta con queste chiacchiere”, il<br />

“lavoratori!”, il buon vecchio Pci dei tempi andati.<br />

Nella base Pd questa è una minoranza (e infatti la partecipazione alle<br />

primarie è stata abbastanza minore del previsto), ma è la minoranza politica,<br />

l'unica che crede ancora nel partito e nella politica in generale (le<br />

“opposizioni” dentro il Pd, Chiamparino, Veltroni o il terrificante Renzi,<br />

contestano Bersani qualunquisticamente e da destra).<br />

Farà in tempo questa minoranza, avrà la forza di costruire un blocco<br />

politico (quello sociale c'è già, ed è la manifestazione Fiom del 16 ottobre)<br />

veramente democratico, berlingueriano?<br />

E Vendola, ce la farà Vendola - dacchè il dio dei bambini, come diceva<br />

Luca Orlando, l'ha scelto - a essere più di Vendola, a diventare se stesso?<br />

Non ci servono i leader, proprio per niente. Servono compagni seri e<br />

“quadrati”, collettivi.<br />

Vendola, non per sua colpa, non lo è (io sono ancora impaurito<br />

<strong>dal</strong>l'orrenda maniera con cui lui, Fava, Bertinotti e Ferrero riuscirono, fra<br />

tutti, a balcanizzare Rifondazione) ma, se dà retta a se stesso, al Vendola<br />

reale e non dei media, può diventarlo.<br />

Non l'improbabile leader di un centrosinistra confuso ma il capo di una<br />

sinistra organizzata e compatta che ora non c'è e che, col 10-15 per cento di<br />

elettorato su cui può contare, diventerebbe l'arbitra della Terza Repubblica,<br />

sia al governo che all'opposizione.<br />

Personalmente, per fidarmi di Vendola, ho bisogno di due segnali precisi.<br />

Primo, tolga <strong>dal</strong> suo simbolo quell'orribile “con Vendola” (“con Di Pietro”,<br />

“con Beppe Grillo” ecc.) che è leaderistico e perciò di berlusconiano.<br />

Secondo, scarichi pubblicamente il traditore Sansonetti che in Calabria,<br />

dopo aver fatto il crumiro e aver licenziato i giornalisti antimafiosi, ora<br />

esalta i fascisti e i mafiosi del Boia Chi Molla.<br />

* * *<br />

Infine. Ho molta simpatia per Saviano e quindi lo prego di smetterla di


dire cose che dette da un altro sarebbero sciocchezze e dette da lui sono<br />

sciocchezze lo stesso.<br />

Mi riferisco a quelle su Peppino Impastato (che non a caso hanno<br />

suscitato la reazione, eccessiva, di Umberto Santino) e soprattutto ora su<br />

Alfredo Galasso.<br />

Gli addetti ai lavori sanno che le mie relazioni con lui adesso non sono<br />

purtroppo delle migliori, ma ciò non toglie che Alfredo Galasso sia stato<br />

uno degli eroi dell'antimafia, in momenti in cui c'erano pochi applausi e<br />

molta solitudine, e che presentarlo (come in sostanza ha fatto Saviano)<br />

come uno della “fabbrica del fango” sia irresponsabile, ingiusto e<br />

profondamente sbagliato. Io, fossi in Saviano, presenterei le mie scuse. Ma<br />

anche Saviano, forse, deve ancora imparare a diventare completamente<br />

Saviano.


21 novembre 2010<br />

IL PATTO<br />

Brescia: espulsi i capi operai, liberi e trionfanti gli stragisti. Viviamo in<br />

un Paese così. La piccola politica non basta<br />

“Andreotti Giulio, anni dieci. Berlusconi Silvio, anni otto. Cuffaro<br />

Salvatore detto Totò, anni sette. Lombardo Raffaele, anni due e mesi sei...”.<br />

No, non è quello che stavate pensando. E' semplicemente il numero degli<br />

anni in cui la Repubblica Italiana e la Regione Siciliana sono state<br />

governate da politici ufficialmente e giudiziariamente in contatto con<br />

mafiosi. Per un terzo della nostra storia civile, quindi, siamo stati<br />

comandati da gente che s'intendeva coi mafiosi. Questo è il Patto.<br />

Il Patto non esclude patti minori - anzi, li esalta - ma non coincide con<br />

essi. Questi ultimi possono essere considerati delle patologie del sistema,<br />

ma il Patto è una fisiologia.<br />

Uccidere Falcone, ad esempio, può essere stata una scelta eccezionale,<br />

una patologia. Ma se ciò è stato fatto per impedirgli di portare Ba<strong>dal</strong>amenti<br />

(tramite Buscetta) a rivelare gli incontri Cosa Nostra-Governo - rivelazioni<br />

che ora sono agli atti della Storia ma vent'anni fa avrebbero rivoluzionato il<br />

Paese – uccidere Falcone allora non sarebbe più una decisione occasionale,<br />

un caso estremo, ma una componente fisiologica, necessitata, del Patto. Lo<br />

stesso per Borsellino, ucciso <strong>dal</strong>la mafia ma non per essa.<br />

Il Patto, agli albori della Repubblica, consiste in questo: l'Italia è un paese<br />

civile, con libere elezioni, ma fino a un certo punto. Mezza Italia resta prerepubblicana,<br />

feudo senza diritti del grande latifondo. L'altra metà è<br />

repubblica, ma con un confine preciso: in nessun caso può andare al<br />

governo il partito dei lavoratori dipendenti, che per ragioni storiche si<br />

chiamava comunista.<br />

Entro questi binari, la vita della repubblica andava avanti tranquilla. <strong>Un</strong><br />

nord corporativo e democratico, e tutto sommato europeo, in cui lo Stato<br />

finanziava gli imprenditori e questi garantivano la piena occupazione. <strong>Un</strong><br />

sud largamente autonomo ma non ribelle, in cui i grandi proprietari terrieri<br />

si evolvevano in “imprenditori” e i loro armati in moderni mafiosi. Due<br />

insiemi collegati <strong>dal</strong>la Dc e <strong>dal</strong>l'emigrazione.<br />

Nei momenti di crisi (l'occupazione delle terre, l'autunno caldo)<br />

s'interveniva con mezzi forti: Portella delle Ginestre, Piazza Fontana. Ma


erano casi estremi. A poco a poco la crisi rientrava (i contadini emigravano,<br />

gli operai accettavano la ristrutturazione industriale) e tutto tornava nella<br />

normalità. Che era una normalità italiana, legata al Patto.<br />

* * *<br />

Il nostro - sto parlando del <strong>Sud</strong>: ma ormai arriva a Milano - è un Paese<br />

antichissimo, molto più antico della politica. Da noi la destra non è quella<br />

parte del parlamento che siede alla destra dell'onorevole speaker, è proprio<br />

il padrone feroce, nato sulla zolla; e la sinistra non è un club di gentlemen<br />

riformisti, è generazioni infinite di contadini. La paura, la fame, muovevano<br />

reciprocamente i due mondi.<br />

Certo: poi venne De Gasperi, venne Togliatti; ci siamo inciviliti<br />

parecchio, nei nostri anni belli, prima di diventare quel che siamo. Ma<br />

l'imprinting è quello: una lotta di classe a volte umanamente “politica”, altre<br />

volte feroce. In altri Paesi simili (la Grecia del dopo-guerra, la Spagna di<br />

Franco) questa lotta di classe fu risolta con stragi di centinaia di migliaia di<br />

cittadini. In Italia col Patto.<br />

* * *<br />

A Brescia, in questi giorni, sono accadute - per singolare coincidenza,<br />

quasi insieme - due cose che ci ricordano cos'è stato in pratica, e cosa<br />

ancora è ogni volta che gli si lascia via libera - la gestione del potere in<br />

questo paese. Sono stati esiliati d'autorità, con un ottocentesco foglio di<br />

polizia, i capi di una pacifica manifestazione di operai; ché tali erano i<br />

senegalesi della gru, prima ancora che forestieri o immigrati: operai.<br />

Ed è stata definitivamente dichiarata impunita la strage del maggio '74 di<br />

Brescia, di trentasei anni fa. Otto italiani ammazzati, feriti più di cento: la<br />

giustizia, impotente, alza le braccia.<br />

Perseguitati gli operai, liberi e trionfanti gli stragisti: questo è lo stato del<br />

mio Paese nell'anno di grazia 2010. Non sarà la politica piccola a<br />

sollevarlo.<br />

Maroni, spingendo Tremonti, tradisce Berlusconi in proprio o per conto di<br />

Bossi? Chi ha spinto la Carfagna a quest'ultima storia di Bocchino?<br />

Lombardo è più o meno mafioso di Cuffaro?<br />

E che ce ne frega. Pensiamo alla politica seria, almeno noi. Cacciare<br />

Berlusconi, deridere i suoi cortigiani, sberlursconizzare la sinistra: vi pare<br />

un programma da niente?


1 dicembre 2010<br />

DOPO PIÙ DI VENT'ANNI FINALMENTE INDAGATO MARIO<br />

CIANCIO<br />

"Concorso esterno in associazione mafiosa” è l'intestatazione del<br />

fascicolo intestato <strong>dal</strong>la Procura di Catania all'imprenditore Mario<br />

Ciancio. Da decenni al centro delle inchieste dei pochi giornalisti liberi<br />

della città, l'editore catanese - a lungo presidente degli editori italiani - era<br />

diventato uno degli uomini più potenti non solo della Sicilia ma di tutto un<br />

sottobosco italiano politico-imprenditoriale. Ai suoi piedi intellettuali e<br />

politici, mafiosi e principi del foro: vent'anni di servilismo, connivenza e<br />

omertà<br />

Dopo più di vent'anni, finalmente alla Procura di Catania si accorgono<br />

che esiste un Mario Ciancio. Lo indagano, a quanto pare, per uno dei tanti<br />

centri commerciali; si parla di concorso per associazione mafiosa, ma<br />

alcuni sembrano anche orientati (se non cambieranno idea) a indagare sul<br />

terrificante episodio dell'editoriale di Vincenzo Santapaola, pubblicato su La<br />

Sicilia sotto forma di lettera al giornale.<br />

Vent'anni di articoli sui Siciliani, sui Siciliani nuovi, su Avvenimenti,<br />

sull'Isola Possibile, su U<strong>cuntu</strong> e infine da qualche mese anche su altri<br />

giornali son dunque infine serviti a qualcosa? Riusciremo a vedere, nei<br />

prossimi vent'anni, non solo le prime indagini ma anche un po' di giustizia?<br />

Forse il clima politico, di si-salvi-chi-può e di sfacelo generale, potrebbe<br />

aiutare a vincere tante annose timidezze. Forse - poiché nulla è impossibile -<br />

una genuina volontà di giustizia s'intrufola persino nei palazzi<br />

tradizionalmente più lontani da essa, come - a Catania - quello di Giustizia.<br />

Chi lo sa. In ogni caso, a caval donato non si guarda in bocca.<br />

Descrivere tutte le imprese - in senso imprenditoriale e no - di Ciancio, i<br />

sui incontri e rapporti con mafiosi di vario genere, i suoi intrecci politici, i<br />

suoi interessati sostegni, di volta in volta, a tutti i politici catanesi - da Andò<br />

a Drago, da Bianco a Scapagnini - sarebbe troppo lungo per queste pagine;<br />

del resto l'abbiamo già scritto in tante pagine che chi ne ha voglia può<br />

rileggersele in santa pace.<br />

Per ora, vogliamo solo sottolineare l'estremo servilismo con cui il ceto<br />

intellettuale e politico di questa città si è prestato a fargli da corte e a<br />

difenderlo in ogni occasione, <strong>dal</strong>l'elegante “fascista” Buttafuoco al feroce


“compagno” Barcellona. <strong>Un</strong>a vergogna che sarà difficile cancellare.<br />

Riccardo Orioles<br />

* * *<br />

“IL TERMINALE E IL GARANTE DI UN SISTEMA DI POTERE”<br />

Per vent'anni abbiamo indicato, fatti alla mano, Mario Ciancio come il<br />

terminale e il garante di un sistema di potere.<br />

Per vent'anni abbiamo denunziato le menzogne dei suoi giornali, le<br />

contiguità alla mafia, l'omissione quotidiana della verità.<br />

Ci rincuora apprendere che esiste un giudice anche a Catania.<br />

Claudio Fava


10 dicembre 2010<br />

WIKILEAKS E IL PANICO DEL SISTEMA<br />

La vera notizia è la reazione alle "rivelazioni"<br />

Non è che poi Wikileaks abbia fatto 'ste gran rivelazioni. Le cose che<br />

sono uscite più o meno si sapevano già prima: certo, a vederle tutte insieme<br />

il panorama è molto più desolante che a leggerle una per una: politici bestie,<br />

bombardamenti casuali, governi semimafiosi, guerre fatte per soldi e<br />

compìti diplomatici che ruttano fragorosamente ai pranzi ufficiali. E allora?<br />

Perché s'incazzano tanto?<br />

Perché il senso di panico, a sentirsi sbattere le cose in faccia senza poterci<br />

far niente, ha fatto letteralmente impazzire tutti quanti. “L'ha detto la<br />

televisione”, diceva una volta la gente, e quella la puoi controllare. Ma ora:<br />

“L'ha detto internet!”. E qua, con tutto il potere, non ci puoi far niente.<br />

La vera notizia allora è questa: il panico da ancient régime che ha travolto<br />

selvaggiamente tutti, <strong>dal</strong> non-occidentale Putin all'occidentalissima Clinton.<br />

“Arrestatelo!”, “Minaccia il mondo!”, “Pena di morte!”, “Fatelo fuori alla<br />

svelta!”. Non sono i talebani a gridarlo o i mandarini cinesi, ma proprio i<br />

nostri civilissimi e acculturati parlamentari e ministri. La Svizzera, a un<br />

certo punto, ha addirittura sospeso i conti del povero Asange: non l'aveva<br />

fatto con Hitler, non lo fa coi mafiosi - lo fa con Wikileaks, cioè con<br />

internet, che evidentemente gli fa molta più paura.<br />

Con il che, è detto tutto: se i banchieri svizzeri, cioè il cuore del cuore del<br />

- chiamiamolo così - Sistema hanno rinnegato se stessi, figuriamoci gli altri.<br />

Il diritto di cronaca ufficialmente non esiste più e il giornalismo è<br />

fuorilegge. Non solo in Iran o in Cina ma proprio qui da noi, in America e<br />

Europa. E la libertà? E il liberismo? E chi se ne fotte.<br />

Zoom sulla Sicilia, a Catania e Palermo, dove era già così da trent'anni (le<br />

inchieste su Ciancio indicano solo la cattiva coscienza in tempi complicati<br />

del Palazzo, non certo una qualunque voglia di cambiare): c'è democrazia in<br />

Sicilia? si può fare cronaca? si può parlare liberamente?<br />

Va bene, non si può, rispondevamo fino a poco tempo fa: ma a Milano,<br />

ma a Roma, ma a Washington... Ecco: la novità è che si vanno<br />

catanesizzando Roma Milano e Washington, vanno abolendo<br />

l'informazione.<br />

O almeno, questa sarebbe l'intenzione. Ma in realtà la gente è molto meno


malleabile di prima, non perché più colta o più civile (anzi) ma perché ha a<br />

disposizione tecnologie che prima non aveva. Puoi impiccare Asange, ma<br />

internet chi lo impicca?<br />

Tanti piccoli Asange (ma no, non personalizziamo: nell'internet non si<br />

usa) spunteranno, e in effetti già spuntano, dappertutto. E' la stessa<br />

tecnologia che li produce: dopo Gutenberg era solo questione di tempo<br />

perché venissero fuori tanti Luteri.<br />

Va bene, lavoriamo per questo. Tranquillamente perché tanto il trend è<br />

questo e non c'è nessuna ragione di eccitarsi. Stampa batte amanuense,<br />

borghese batte vescono, Rete batte Sistema: prima o poi.<br />

Pensare globalmente, agire localmente: è tornata ad uscire la Periferica e<br />

questa, nel nostro piccolo, è una delle tipiche buone notizie. Sta<br />

funzionando male la connessione Sicilia-Bologna e la Catania-Ragusa:<br />

questi, nel nostro piccolo, sono i nostri guai. E lavoriamo da gnomi, da<br />

formichine, senza una lira ma cantando allegramente come i Sette Nani,<br />

perché sappiamo benissimo che sono guai risolvibili mentre le buone notizie<br />

sono semi di alberi grandi, il cui frusciare, se tendete le orecchie, lo sentite<br />

già.<br />

* * *<br />

E' buffa la politica, sempre la stessa: liberali e borboni si contrastano,<br />

dentro e fuori il Circolo dei Civili, mentre in campagna e sui lontani monti i<br />

contadini...<br />

Due mondi lontanissimi, qualche volta s'incrociano, ma sfuggenti. E come<br />

si chiamano i contadini oggigiorno? Ricercatori disoccupati? Precari?<br />

Ragazze che in mancanza di meglio fanno il concorso per velina?<br />

Metalmeccanici? Tutti questi, e altri ancora. Nell'ottocento, del resto, non<br />

c'era solo l'Operaio Sfruttato: c'era anche il Coolie, il Professore, il<br />

Marinaio, l'Impiegatuccio, la Fioraia... E' complicato il mondo, ma lo era<br />

già prima.<br />

(A proposito di politica: una volta, in tempo d'elezioni, il privilegio di<br />

rovinare la sinistra spettava ai pezzi grossi, tipo Veltroni-D'Alema. Adesso,<br />

a quanto pare, se lo possono permettere anche i poveri Renzi da tre soldi.<br />

Sarà democrazia...).


22 dicembre 2010<br />

IL POLITICO E IL RAGAZZO RUMENO<br />

<strong>Un</strong>o vende i voti. L'altro piglia le luparate<br />

Da Barcellona Pozzo di Gotto - ridente cittadina tirrenica, ad alto tasso<br />

mafioso - sono giunti alle cronache due nomi. <strong>Un</strong>o, a modo suo<br />

famosissimo, è Domenico Scilipoti, l'ultimo Giuda di quel povero cristo di<br />

Di Pietro e anche, indirettamente, di noi tutti. Pagine e pagine ha avuto, dai<br />

giornalisti di palazzo: ha esternato in tv le sue ragioni, ostentando disprezzo<br />

per quei trenta denari.<br />

L'altro nome è quello di un ragazzo rumeno di vent'anni, tale Petre Ciurar.<br />

Stava in una baracca lungo la ferrovia, con la moglie e un bambino di nove<br />

mesi, una di quelle baracche che periodicamente i barcellonesi più attenti<br />

alla politica nazionale vanno a incendiare con la benzina.<br />

Stavolta niente fiaccole, ma colpi di pistola e lupara: Petre è morto così<br />

(era in Italia da un mese: che “sgarro” aveva potuto commettere nel<br />

frattempo?), la donna è rimasta lievemente ferita e il piccolo, chissà come,<br />

del tutto illeso. I carabinieri indagano, non escludono mafia, ma più che<br />

altro pensano a un atto di “semplice” razzismo.<br />

La notizia è stata data <strong>dal</strong> corrispondente del giornale locale - non l'ha<br />

ripresa nessuno -, il giorno dopo è arrivata la notiziola (più breve)<br />

dell'autopsia, e poi non se n'è parlato più. Tutto questo è successo più o<br />

meno negli stessi giorni, e forse a pochi chilometri di distanza, in cui il buon<br />

Scilipoti faceva alta politica col governo.<br />

* * *<br />

Ecco, di questo parliamo quando parliamo di questi giorni. Puoi morire<br />

così, a luparate e in silenzio, come un sindacalista anni Cinquanta, se sei un<br />

rumeno. Certo, c'è stata violenza quel giorno a Roma. Vetrine rotte, sassi<br />

gettati e altri atti sciocchi. Ma molta di più ce n'è stata, in quei giorni, a<br />

Barcellona. Quella contro Ciurar, sottouomo rumeno, senza diritti. E quella<br />

contro di me, cittadino italiano, con diritti, la cui volontà elettorale è stata<br />

venduta e comprata da Scilipoti e Berlusconi.<br />

Di questo stiamo parlando quando parliamo di cosa fare. La violenza è<br />

pesante, la violenza dilaga, non son tempi normali. Chi ammazzeranno, il<br />

prossimo? Sarà un altro zingaro, o un negro? Che cosa mi ruberanno, la<br />

prossima volta? Già comprano e vendono i voti, già non mi fanno votare.


Io i sassi miei a suo tempo li ho gettati (ma ero in compagnia ottima:<br />

Peppino Impastato, Rostagno) e ho le idee chiarissime su quando servire<br />

possono e quando sono solo uno sfogo. Adesso, con tutto il rispetto, non<br />

servivano. Non credo che ci vogliano gran prediche, neanche fatte da me<br />

che pure sono fra i più credibili perché non ho una lira in tasca.<br />

Credo che dobbiamo invece ragionare seriamente su come si sta in piazza<br />

nel 2010 - in questa che, per noi bianchi, non è una società repressiva ma<br />

una società dell'imbroglio - non per “moderarsi”, per fare i bravi ragazzi, ma<br />

proprio per fare danno, per togliere consenso e forza al Berlusconi di adesso<br />

e ai berluschini che seguiranno subito dopo. Hutter, sul blog del Fatto, ha<br />

detto delle cose serie. Serie perché dette da Hutter, che non è un fighetto da<br />

dibattito ma uno che, ai tempi suoi e miei, ha affrontato i poliziotti cileni di<br />

Pinochet.<br />

* * *<br />

Partiamo da un dato semplice: il governo è illegale. Perché? Perché<br />

compra i voti in parlamento. Non è una battaglia politica, quella di questi<br />

giorni – e già sarebbe nobilissima, coi ragazzini in piazza a difendere il<br />

maestro Manzi, il mio professore di greco, le tabelline insegnate al popolo,<br />

l'aritmetica e la grammatica, la Scuola.<br />

E' la disperata difesa del mio Paese, l'Italia, diverso <strong>dal</strong>la Libia di<br />

Gheddafi e <strong>dal</strong>la Russia di Putin. Per questo, non possiamo commettere<br />

errori.<br />

Fra loro, fra i politici, non è successo niente. “Il governo può continuare”,<br />

“ha ragione Marchionne”, “mica vogliamo le elezioni”. Si accorderanno.<br />

Ma noi no, per noi non continua così. Rassegnati, routinati, di nuovo a<br />

mordicchiarsi a vicenda: così, per loro politici, è il giorno dopo. Bersani<br />

sotto assedio, i “rottamatori” che rottamano, Veltroni che aleggia e Fini e<br />

Montezemolo e Casini: di questo stanno parlando, questo è importante per<br />

loro. Ma per noi no, noi non possiamo affrontare un altr'anno così.<br />

* * *<br />

“O le sassate o Casini”: questo, in estrema sintesi, ciò che ci sbattono in<br />

faccia i gattopardi. Ma noi non vogliamo né sfogarci coi sassi né regalarci a<br />

Marchionne sotto le vesti di Fini o Casini. Vogliamo un governo diverso,<br />

con una maggioranza reale. Perché non siamo affatto minoranza, noi, nel<br />

paese vero: siamo soltanto divisi. Vogliamo un governo serio, civile,<br />

democratico, più forte della Fiat e dei veri padroni.<br />

Non ce lo può dare il centrosinistra, non ne ha la forza da solo. Non ce lo


può dare se si allarga a destra – dovrebbe tradirci, prima. Ce la può fare solo<br />

se si allarga sì, ma trasversalmente, saltando sopra gli apparati, unendosi<br />

alla società civile.<br />

Per questo ci serve una candidatura forte, una candidatura non “politica”<br />

ma sociale. Non l'uomo forte”, il salvapopolo (ce n'è già tanti) ma un<br />

Pertini. Non c'è lotta sociale più acuta di quella che conduciamo ogni<br />

giorno, noi antimafiosi, contro i poteri mafiosi. Poliziotti e compagni, operai<br />

e insegnanti, “moderati” e ribelli, qui e solo qui siamo nello stesso fronte,<br />

siamo uniti.<br />

Rostagno e Borsellino, La Torre e <strong>dal</strong>la Chiesa: ma non lo sentite cosa vi<br />

dicono, insieme, questi nomi? Perché non partire da qui? Di che avete<br />

paura? E' una cosa reale, questa, non un'utopia.


30 dicembre 2010<br />

SCIOPERO GENERALE? SI', MA ANTIMAFIOSO<br />

L'impresa-mafia sempre più potente<br />

Cos'è cambiato da allora? Allora la mafia comandava a Catania, ora in<br />

tutta Italia. Ha i suoi sottosegretari, i suoi governatori, i suoi opinion maker<br />

riconosciuti. Questo per limitarci a quelli ufficialmente riconosciuti, se no<br />

dovremmo aggiungere “i suoi ministri e i suoi presidenti”. E i suoi<br />

imprenditori, naturalmente, che non è una novità.<br />

La cosa più importante, tuttavia, non è che la mafia è forte, è che viene<br />

imitata. Il suo modello, cioè, più o meno consciamente è diventato il<br />

modello vincente di quasi tutta la politica e di buona parte dell'impresa. Non<br />

più solo a Catania, ma anzi soprattutto a Roma e Milano.<br />

Queste ultime, nei confronti di Catania, sono quel che Catania era una<br />

volta nei confronti di Palermo: il posto dove la mafia “non esiste”, il posto<br />

dove “non ammazzano nessuno”, il posto dove “non facciamo l'esame del<br />

sangue agli imprenditori” e dove il boss Santapaola giocava a bridge nei<br />

migliori circoli della città. <strong>Un</strong>a mafia moderna, insomma, digeribile e<br />

perbene. I catanesi credevano di essere ancora a Catania e invece erano già<br />

a Corleone, a Medellin, nel terzo Mondo.<br />

* * *<br />

E noi, dove siamo adesso? Qualche esempio veloce, per capirci in fretta.<br />

Buona parte degli affari per l'Expo di Milano (il business del decennio), e<br />

comunque quasi tutto il movimento terra, ruotano attorno a capitali<br />

calabresi. L'altro giorno a Vibo Valentia un tale, che aveva ruggini con una<br />

famiglia vicina, l'ha sterminata freddamente - otto morti - in un vero e<br />

proprio scontro fra clan tribali. L'esercito italiano, tuttavia, non pattuglia<br />

Vibo Valentia (o Rosarno) ma Kabul.<br />

Cacciata (grazie ai Siciliani) da Catania la Famiglia Rendo, quella di cui<br />

parlavano Fava e <strong>dal</strong>la Chiesa, si è riciclata in America e in Est Europa.<br />

Negli Stati <strong>Un</strong>iti una società da lei acquisita del '96, la Invision, ha ottenuto<br />

anni fa l'appalto della security dei venti principali aeroporti nazionali. In<br />

<strong>Un</strong>gheria, la Famiglia ha acquisito diversi quotidiani a Budapest,<br />

ristrutturandoli a modo suo. In quel Paese, due settimane fa, hanno<br />

approvato una legislazione sui media estremamente repressiva.<br />

Nel Sinai, a poche ore di volo da qui, alcune centinaia di emigranti sono<br />

stati catturati da una banda di beduini, che li ha tenuti in ostaggio per


settimane, violentando donne, uccidendo uomini e rivendendone gli organi<br />

a cliniche clandestine. Tutto ciò nell'indifferenza del governo locale e della<br />

comunità internazionale, che proprio in questo caso, quando avrebbe fatto<br />

benissimo a mandar truppe, non è intervenuta.<br />

Alcuni degli emigranti, dopo, sono stati arrestati <strong>dal</strong>la polizia egiziana per<br />

immigrazione clandestina. I governi egiziano e, libico, infatti, sono<br />

lautamente finanziati dai peggiori governi europei - fra cui il nostro - per<br />

stroncare l'emigrazione in Europa con qualunque mezzo, compresi<br />

terrorismo e tortura.<br />

* * *<br />

"Accordo storico e positivo" ha detto Berlusconi del minestra-finestra di<br />

Marchionne. Ci mancherebbe altro. Per non lasciare equivoci, subito dopo<br />

ha detto che ce l'ha con i “magistrati eversivi” e con gli studenti (escluse,<br />

probabilmente, le veline).<br />

Stupisce che di fronte a un nemico così determinato (un sindacalista ha<br />

ricordato che l'ultimo episodio del genere risale al 1925, quando Mussolini<br />

abolì nelle fabbri che le commissioni interne, a manganellate) la si nistra sia<br />

così farfugliante e incerta, com preso il buon Bersani, che pure ultimamente<br />

aveva fatto sperare bene.<br />

Qualcuno, come Fassino (che a suo tempo elogiò Craxi e lo mise anzi fra<br />

i padri fondatori) si schiera direttamente con Marchionne: ”Fossi un operaio<br />

voterei per lui”. “Prova a fare l'operaio per davvero”.<br />

* * *<br />

Se tutto ciò porterà, come ci sembra logico, a uno sciopero generale, a noi<br />

piacerebbe moltissimo che fosse anche uno sciopero generale antimafia.<br />

<strong>Un</strong>o sciopero del genere, in realtà, di fatto non potrebbe che essere<br />

antimafia, visto chi sono buona parte dei peggiori imprenditori: ma sarebbe<br />

bene che lo fosse anche esplicitamente.<br />

Lo sciopero antimafia sarebbe non un momento, ma il momento decisivo<br />

dello scontro italiano, e bene fa la segretaria della Cgil (a proposito, avete<br />

notato che l'unica donna importante, nella politica italiana, sta proprio alla<br />

Cgil?) a non volerlo scagliare senza una perfetta preparazione.<br />

Lo scontro, e questo è sempre più chiaro, molto più che politico è sociale.<br />

Difficilmente sarà deciso <strong>dal</strong>la “politica” (con questo termine in Italia si<br />

indica un ceto di circa duecentomila persone, che si chiamava la noblesse in<br />

Francia nel 1788). Eppure di una politica c'è bisogno, e non improvvvisata<br />

nè casuale.


* * *<br />

“... L'incarico di formare un governo ad un uomo al di fuori dei partiti,<br />

con una forte caratura economica e/o costituzionale.<br />

Personaggi adeguati da un tale incarico ce ne sono in abbondanza, a<br />

cominciare <strong>dal</strong> governatore della Banca d'Italia... (...). Per salvare la<br />

continuità politica, il Capo dello Stato avrebbe potuto perfino affidare<br />

l'incarico ad un eminente della maggioranza berlusconiana, del tipo di<br />

Gianni Letta, di Pisanu, di Tremonti...”.<br />

L'idea di una soluzione di “salute pubblica” ormai come vedete si affaccia<br />

- questo era Scalfari - anche nella classe dirigente: che però pensa a<br />

banchieri o a notabili illustri, magari ex (o moderatamente) berlusconiani.<br />

Congelare tutto, e poi si vedrà<br />

Ma la crisi è tanto urgente e tragica, soprattutto per la presenza dei poteri<br />

mafiosi, che prendere tempo non servirebbe a niente, e men che mai<br />

affidarsi (ancora) a banchieri e imprenditori.<br />

Se “salute pubblica” dev'essere, lo sia davvero, non dando il potere ai<br />

notabili ma ai resistenti con le carte in regola, sul precedente del Cln.<br />

Governo di Resistenza, unitario ma ostile ai padronati, e con alla testa non<br />

un imprenditore o un banchiere ma un uomo dell'antimafia, un servitore di<br />

Stato.<br />

Buon anno.


5 gennaio 2010<br />

E COMINCIA UN ALTR'ANNO DEI SICILIANI<br />

Rete, giornale di internet, ebook: gli obbiettivi<br />

Questo numero di U<strong>cuntu</strong>, il giornale che raggruppa i fogli e l'internet<br />

dell'antimafia sociale, è un strumento di lavoro. Abbiamo creduto utile<br />

infatti fornire ai nostri lettori e a tutti i simpatizzanti e militanti antimafiosi<br />

un breve riepilogo della densissima storia dei Siciliani, non solo come<br />

giornale ma anche (e in questo caso soprattutto) come movimento di<br />

liberazione.<br />

Abbiamo dunque dato particolare risalto ai momenti più “politici” (non<br />

mai, ovviamente, di partito) di essa: fra cui SicilianiGiovani, la singolare<br />

esperienza fra scuola di giornalismo e movimento giovanile che formò tutta<br />

una generazione di giornalisti e militanti civili sulla via di Giuseppe Fava.<br />

Esperienza tuttora validissima e quindi da riproporre e studiare non solo<br />

sotto il profilo storico ma anche dell'utilità immediata.<br />

* * *<br />

A tanti anni di distanza, la storia di Giuseppe Fava è una delle pochissime<br />

che ancora continuano ad affascinare i giovani e a dar loro un modello di<br />

giornalismo, di politica e di vita. Fu lui a smascherare i legami fra mafia e<br />

poteri economici e sociali; fu lui a considerare la lotta non come un<br />

semplice “lottare contro” ma anche e soprattutto come un “lottare per”. Non<br />

casualmente, nel primo numero dei Siciliani si parla dei cavalieri mafiosi<br />

(era già una rivoluzione, questo associare mafia e imprenditoria) ma anche,<br />

con pari importanza, di “donne siciliane” e di “amore”.<br />

Amava profondamente la vita; la lotta contro i poteri disumani era per lui<br />

solo un mezzo per liberare profondamente quello che abbiamo dentro, per<br />

conquistare quella felicità e quella gioia che, pur contrastate e difficili, sono<br />

il lato più nobile della condizione umana.<br />

Su questa via ebbe intuizioni fortissime, ben più avanzate<br />

dell'intellettualità ufficiale che lo circondava e che lui abbandonò<br />

coscientemente per affidare tutte le sue chances a noi ragazzi. Non c'è che<br />

Pasolini, nella cultura italiana, ad essergli paragonabile per radicalità e<br />

umanità di pensiero; ma, molto più di Pasolini, egli fu un militante.<br />

Moltissimo resta ancora da scoprire, della sua profondità e poesia, ai<br />

futuri studiosi; a noi che l'abbiamo conosciuto resta la felicità dei ricordi e il


dovere di trasmetterne il più possibile - come facciamo da sempre, e non<br />

senza risultato - ai giovani che via via si affacciano.<br />

Spessissimo il “suo” giornale cambia di nome; eppure, in un quarto di<br />

secolo, ritorna ancora. Siamo già alla quinta generazione (la mia, quella dei<br />

SicilianiGiovani, quella di Avvenimenti, l'Alba e dei Siciliani Nuovi del<br />

'93), quella dei primi anni del nuovo secolo; e questa) di ragazze e ragazzi<br />

che incontrano, immediatamente comprendono e, ognuno alla sua maniera,<br />

ricostruiscono il mondo di Giuseppe Fava.<br />

Pochissimi intellettuali hanno avuto tanta ventura: di fronte alla quale<br />

decisamente sbiadiscono la mediocrità e l'assenza della cultura e della<br />

politica “ufficiali”<br />

* * *<br />

Questi, per noi di Lavori in corso e di U<strong>cuntu</strong> (dei Cordai, della<br />

Periferica, della Fandazione, di Telejato, di Libera, di AdEst, del<br />

Clandestino...) sono giorni di lavoro duro, coi seminari e gli incontri, fra<br />

Palazzolo e Catania, di riepilogo, di progetto, di studio operativo. Tre cose<br />

sono mportanti quest'anno, e sono le nostre sfide.<br />

1) continuare e concretizzare il lavoro di quest'estate a Modica: abbiamo<br />

individuato l'obiettivo giusto - l'integrazione fra le testate, la rete - ma poi ci<br />

siamo arenati; 2) aprire con professionalità e determinazione tutto un settore<br />

nuovissimo (gli ebook mobi epub e pdf, il settore video, la produzione di<br />

“giornali” e libri in questi nuovi formati) che stanno lì ad aspettare<br />

esattamente gente come noi; 3) partire col settimanale di internet,<br />

un'evoluzione di U<strong>cuntu</strong> ma nazionale; se ne discute da molto, con il meglio<br />

di internet (Gliitaliani.it, Antimafia2000, Agoravox, Liberainformazione);<br />

siamo indietro solo per mia mancanza personale, non avendo portato a<br />

termine (per malattie, problemi e altre cose noiose) la quota di lavoro che<br />

dovevo fare. Me ne scuso umilmente e mi impegno a presentare il progetto<br />

entro la fine del mese; questo ovviamente significa aprire tutta una nuova<br />

impresa collettiva.<br />

Il momento è ottimo: più si sviluppano le tecnologie e meno abbiamo<br />

bisogno di imprenditori (che in trent'anni se ne sono sempre fregati sia di<br />

Giuseppe Fava che di noi). Ma ci vuole aggressività, rete fra noi liberi,<br />

voglia di concludere, e competenza.<br />

* * *<br />

Non so come avete passato il capodanno. Di noi, meglio di tutti uno dei<br />

nostri redattori migliori, uno dei più giovani “allora” ma oramai uno dei


veterani: ha trovato un posto di cameriere precario per capodanno e l'ha<br />

passato così, servendo a tavola, con pochi auguri di fretta via sms - c'era da<br />

lavorare. Nè il giornalismo nè l'antimafia ti aiutano a sistemarti, a vivere<br />

come quelli perbene. E anche questa è la strada di Pippo Fava, che si<br />

vendette la casa per i Siciliani.<br />

Ne valeva la pena? Io ritengo di si. E' bella la nostra vita, con tutti i suoi<br />

dolori e le pene, quando la stai vivendo per qualcosa. E quale premio e che<br />

gloria, per Giuseppe Fava, aver saputo suscitare, in così tanti anni, tanta<br />

fedeltà! Nessun altro, o pochissimi, ha mai avuto altrettanto.<br />

Così, buon anno a tutti, amici miei. Vogliamoci bene a vicenda, lavoriamo<br />

insieme, guardiamo avanti, aiutiamoci. E comincia un altr'anno dei Siciliani.


13 gennaio <strong>2011</strong><br />

"UN SALUTO E BUON LAVORO"<br />

LE IDEE NUOVE DI UCUNTU <strong>2011</strong><br />

Si allarga il circuito delle testate in rete. E allora...<br />

Forum 4 gennaio a Palazzolo. Report: 1. 1. Creazione mailing list:<br />

informazione_in_rete@googlegroups.com,<br />

2.2. Ciclo di 4 workshop di giornalismo destinati a noi e a tutti coloro che<br />

vogliono accostarsi al giornalismo e all'uso degli strumenti di<br />

comunicazione multimediali.<br />

Ecco alcune proposte dei possibili temi dei workshop: video inchiesta,<br />

tecniche dell’intervista, cronaca giudiziaria, quadro legale<br />

dell’informazione, free software per l’impaginazione e per il web.<br />

I laboratori si terranno a: Modica, Catania, Raffadari e Corleone.<br />

Ogni testata si occuperà dell’ organizzazione del workshop che si terrà<br />

nella propria città.<br />

I workshop saranno di uno o più giorni in base al periodo, alla<br />

disponibilità dei partecipanti e del coordinatore, al programma e alla<br />

struttura dell’incontro.<br />

Bozza di calendario: a. marzo a Corleone (Corleone Dialogos) b. 25<br />

aprile-1 mag. a Raffa<strong>dal</strong>i (Ad Est) c. giugno a Catania (Lavori in corso) d.<br />

agosto a Modica (Il Clandestino) Periodo, tema, programma e coordinatori<br />

dei workshop devono essere definiti e comunicati entro e non oltre il 15<br />

febbraio.<br />

Tutte le testate devono occuparsi della pubblicizzazione nel proprio<br />

territorio.<br />

3.3. Raccolte di articoli-dossier. Ogni numero comprenderà due pezzi di<br />

approfondimento scritti da ciascuna testata.<br />

Argomenti proposti: a. sanità<br />

b. immigrazione<br />

c. rifiuti<br />

Il primo numero sarà sulla sanità e sarà coordinato <strong>dal</strong> Clandestino che si<br />

occuperà di definire il palinsesto e raccoglierà gli articoli che verranno<br />

impaginati con Open Office. Deadline per l’invio dei pezzi al Clandestino: 5<br />

febbraio. Il secondo dossier sarà sui rifiuti (coordinato da Corleone<br />

Dialogos) e il terzo sull’immigrazione (coordinato da Lavori in corso).


4. Presto Luca manderà le istruzioni per la creazione della finestracontenitore<br />

di notizie che verrà ospitata in tutti i nostri siti e che raccoglierà<br />

le principali notizie postate da ogni testata. Il sistema dei feed rss proposto a<br />

Modica in estate presenta forti limiti dovuti all'automatismo del<br />

meccanismo che crea una moltitudine di notizie indiscriminate e senza<br />

criterio. Luca vi fornirà una spiegazione attenta e dettagliata delle possibili<br />

soluzioni agli inconvenienti sinosra riscontrati.<br />

<strong>Un</strong> saluto e buon lavoro, Sonia<br />

* * *<br />

Beh, io se fossi un imprenditore mafioso mi preoccuperei. “Guarda un<br />

po'! - penserei - Son passati trent'anni da quando Giuseppe Fava cominciò<br />

ad attaccarci a Catania e ancora ne saltano fuori. E questi debbono essere<br />

giovani, fra l'altro. E almeno fossero tipi entusiasti, di quelli che gridano e<br />

poi non fanno niente. Questi sono freddi e cattivi, tipo bolscevichi. Prenderli<br />

per le buone? <strong>Un</strong>a carriera politica, magari nei progressisti? Mi sa che<br />

neanche ci pensano. Ma qual è il punto debole, quale?”.<br />

* * *<br />

Eh, caro mio. Di buchi ne abbiamo tanti, ma almeno non siamo superbi e<br />

quindi sappiamo accorgercene e rimediarli. Contiamo l'uno sull'altro,<br />

abbiamo pazienza (“dammi tempu e ti perciu”, disse alla pietra l'acqua, in<br />

siciliano) e sappiamo fare il nostro mestiere, sia di giornalisti che di<br />

rivoluzionari. Che più? Ma mi scusi, lei mi sta facendo perdere tempo. Se<br />

ne tornasse a mafiare, voscenza, se crede che serva a qualcosa, ché noi qua<br />

c'è da lavorare<br />

* * *<br />

Dunque: buone le idee di Sonia (specialmente le inchieste insieme), ma<br />

proviamo ad aggiungerne altre per andare anche più in fretta. <strong>Un</strong>a, i libri<br />

elettronici (mobi, epub, pdf e quant'altro) che dovrebbero diventare una<br />

routine; tutti i nostri lavori, dossier compresi, dovrebbero uscire in versione<br />

elettronica oltre a quella “normale”.<br />

Due: stiamo usando pochissimo U<strong>cuntu</strong> che ormai, ridendo e scherzando,<br />

è abbastanza diffuso e ha superato il numero cento. Dal prossimo mese,<br />

svoltiamo: due pagine di U<strong>cuntu</strong> le fa, colla propria testata, il Clandestino,<br />

altre due Corleone Dialogos (sempre con la propria testata e senza smettere<br />

ovviamente quel che già sta facendo), e così via. E' facile, basta usare le<br />

pagine-base. Il punto di forza di U<strong>cuntu</strong> è che, grazie a Luca e alla sua idea<br />

di usare Open Office per impaginare, si produce velocemente e senza


problemi. Questo finora l'abbiamo sfruttato poco.<br />

U<strong>cuntu</strong> rinnovato non interferisce, ovviamente, col progetto “grosso” (il<br />

giornale nazionale di internet con Agoravox GliItaliani, Liberainfo,<br />

Antimafia2000 ecc.) che va avanti proprio in queste settimane.<br />

Non interferisce nemmeno col tentativo di giornale citttadino unitario,<br />

sempre con tecnologia OpenOffice, fra i siti d'informazione messinesi<br />

(c'incontreremo a febbraio) che, se funziona, può diventare un modello<br />

anche per altre città.<br />

U<strong>cuntu</strong> però può diventare il giornale unitario dei “rivoluzionari” siciliani<br />

- è la seconda volta oggi che trovo 'sta parola e mi sta piacendo moltissimo,<br />

dopo quarant'anni che non l'usavo :-) - e se funziona può portare a degli<br />

sviluppi inaspettati.<br />

Non dimentichiamo che siamo in tempo di crisi e di scombussolamento<br />

generale, e che se si è forti e chiari si può essere ascoltati anche da molti che<br />

in tempi normali resterebbero muti.<br />

* * *<br />

Resta pochissimo spazio per parlare del resto. Che dire? Io sono “un<br />

cattivo maestro”, Scidà si dedica al “dossieraggio” e il povero Pino<br />

Finocchiaro ha commesso delitti orrendi trent'anni fa. E tutto perché<br />

abbiamo pubblicato una certa foto, su un certo giudice e un tal certo<br />

mafioso, della quale: o è truccata, e allora querelateci; o è vera, e allora<br />

spiegateci che cosa siete. Tutto il resto è "dibbattito" e vale zero.<br />

Tre righe ancora: benvenuti nei Siciliani , caro scrittore Massimo Gamba<br />

e cari (ignorati dai nobili, ma efficientissimi e combattivi) ragazzi<br />

barcellonesi di “Gramigna”. Insieme, faremo grandi cose. No?


11 gennaio <strong>2011</strong><br />

GLI AMICI DI BABA CONTRO I RAZZISTI<br />

VENERDÌ CORTEO NEL QUARTIERE<br />

A Roma, al Casilino, mobilitazione popolare<br />

Apu, quello dei “Simpsons”, lo conoscete? Bene, esiste davvero, è<br />

davvero indiano e ha davvero un locale cui dedica la vita; l'unca differenza<br />

è' che non si chiama Apu ma Baba e non un locale a Springfield ma qua da<br />

noantri, a Roma, in via Casilina.<br />

Allora, è un po' di tempo che nel locale di Apu, pardon di Baba, arrivano<br />

dei tipi strani, coatti o peggio. Siedono, magnano, bevono, e al momento di<br />

pagare non cacciano una lira. Anzi, con le cattive, si fanno dare soldi lor da<br />

Baba: oggi cinquanta euri, domani cento e così via. <strong>Un</strong> giorno Baba<br />

risponde: “Non ce ne ho”. I tizi, incazzati, escono. La sera, sulla serranda,<br />

quattro colpi di pistola.<br />

Baba, buon cittadino, avverte la polizia. Ma non si fa vivo nessuno, <strong>dal</strong><br />

commissariato. Tornano invece i coatti, più inferociti di prima. Il sette<br />

gennaio portano una tanica di benzina, in pieno giorno, con sette clienti<br />

dentro, e danno fuoco al locale. Ancora polizia assente, ancora silenzio dei<br />

giornali. Ci vuole l'intervento di un avvocato (Simonetta Cresci) per mettere<br />

in moto un giudice, che per prima cosa chiede al commissariato come mai<br />

non l'ha ancora informato.<br />

La gente però comincia a essere stufa al Casilino, specie (ma non<br />

soltanto) i lavoratori immigrati. 'Sti razzisti hanno proprio rotto, non se ne<br />

può più. Così si organizza un corteo, pacifico ma deciso, per venerdì.<br />

Appuntamento alle cinque, al locale di Baba. E poi via per la strada, tutti<br />

assieme.<br />

* * *<br />

Prima di passarvi il testo del volantino (un (un momento, arriva) voglio<br />

dirvi però qual è stata la scalogna di quei coatti (uno è già dentro), come<br />

state leggendo questa pagina (mica le notizie arrivano da sole) e come là al<br />

Casilino s'è messa in moto la gente.<br />

C''è un amico mio, da quelle parti. un Siciliano ad honorem di Addis<br />

Abeba. E' etiope e italiano: a vent'anni ha servito la patria in prima fila,<br />

rischiando ogni giorno la pelle con serietà e disciplina: Palermo, servizio<br />

scorte, scorta armata - negli anni di Falcone - dei magistrati. Si chiama Rudi


Colongo. E' uno che fa di più per l'Italia in un mese che dieci italiani<br />

“perbene” in un anno (e cento leghisti in tutta la vita). Vive, aiuta la gente,<br />

dirige un'associazione di immigrati (“I Blu”: che nome), è coraggioso. E,<br />

nel caso di Baba, è intervenuto.<br />

Se lo incontri e sei un compagno, salutalo con simpatia. Se sei poliziotto,<br />

fagli - ché se lo merita - un bel saluto alla visiera. Se sei un italiano vecchio<br />

e nuovo, carte in regola o senza, con la faccia di qualsiasi colore ma col<br />

cuore rosso e l'anima sveglia - un italiano - allora stringigli la mano, amico<br />

mio. Mani così, da stringere, ne troverai ben poche.<br />

Bene, e ora ecco qua il volantino.<br />

* * *<br />

NO RAZZISMO!<br />

Qui da noi l'immigrato è il capro espiatorio su cui riversare tutta<br />

l'ipocrisia di un ingranaggio assassino: sui giornali e nelle parole dei politici<br />

lo straniero è pericoloso, delinquente, clandestino, terrorista. Ma se c'è da<br />

spaccarsi la schiena a costo zero, lo straniero fa comodo. Fa comodo al<br />

padrone e al politico. Sempre più numerosi, gli immigrati abbandonano il<br />

sud del mondo, depredato e sfruttato dai governi e <strong>dal</strong>le multinazionali, per<br />

cercare una possibilità.<br />

Per noi non ci sono stranieri!<br />

L'unica cosa straniera è la logica dell'esclusione, dello sfruttamento e<br />

della discriminazione. Tra il '98 e il 2001 Centrosinistra e Centrodestra<br />

hanno messo a punto una legislazione che annienta la vita di ogni<br />

immigrato. Così gli immigrati sono schiavi per legge. Vengono internati nei<br />

Centri di Permanenza Temporanea, i lager del nuovo millennio. Umiliati,<br />

picchiati, deportati.<br />

Alle frontiere le polizie sparano, li fanno affondare a bordo delle loro<br />

precarie imbarcazioni, oppure chiudono un occhio sui traffici dei mafiosi<br />

che gestiscono i viaggi: stati e mafie, due facce dello stesso potere.<br />

A Roma c'è una campagna continua contro gli immigrati: aggressioni,<br />

sfruttamento, canoni in nero, negazioni di diritti. Non ultima la devastazione<br />

del negozio di Babain via Casilina, a cui nè il municipio, nè il comune<br />

hanno dato pronta risposta<br />

Noi vogliamo libertà e uguaglianza, ora. Per tutte e tutti, ovunque.<br />

Vogliamo un mondo in cui non conta il luogo in cui nasci per avere una vita<br />

autonoma e consapevole. Vogliamo costruire una società in cui ciascuno è<br />

libero di progettare la propria vita con gli altri e non contro gli altri.


Essere contro ogni razzismo, significa sbarazzarsi di tutte le barriere<br />

fisiche e culturali perché è proprio su queste barriere che gli stati e i governi<br />

fondano la loro pretesa di dominio.<br />

Contro il razzismo per esprimere solidarietà a Baba e per la chiusura dei<br />

Cpt.<br />

Venerdi’ 14 ore 17 in via Casilina (fermata tram Walter Tobagi)<br />

manifestazione antirazzista a cui sono invitate tutte le associazioni,le forze<br />

politiche e sociali, le comunità degli immigrati dell'VIII Municipio e della<br />

citta di Roma.<br />

Associazione Diritti in Movimento<br />

e Comitato Contro la Precarietà, Roma


13 gennaio <strong>2011</strong><br />

APPELLO AL CSM PER LA GIUSTIZIA A CATANIA<br />

La società civile catanese chiede al Cms e al suo Presidente di<br />

intervenire per garantire la trasparenza dell'amministrazione della giustizia<br />

nella drammatica situazione di Catania<br />

L'appello che riportiamo di seguito circola in queste ore fra gli esponenti<br />

della società civile catanese, uniti – nelle loro varie associazioni e correnti<br />

culturali – da una legittima inquietudine circa il destino della loro città,<br />

tormentata da un sistema politico-mafioso fra i più potenti d'Italia ma non<br />

adeguatamente contrastato, in tutti questi anni, da un impegno giudiziario<br />

anche lontanamente paragonabile a quello del pool palermitano.<br />

Questa inquietudine si accresce, e trova forse un' “ultima gocccia”<br />

decisiva, nella pubblicazione di un documento (v.pagina accanto) che ritrae<br />

insieme un boss mafioso e il principale candidato alla Procura di Catania,<br />

Giuseppe Gennaro.<br />

<strong>Un</strong>a simile compresenza, peraltro lungamente e formalmente negata<br />

<strong>dal</strong>l'interessato, può benissimo non avere (ed è auspicabile che non abbia)<br />

significati penalmente rilevabili ed essere spiegata in termini accettabili e<br />

privi di qualunque ombra. Ma essa è, qui e ora, lesiva della totale e<br />

incondizionata fiducia che una città come Catania deve poter riporre nei<br />

suoi Magistrati.<br />

Il nostro mestiere di giornalisti ci impone (come già al collega Pino<br />

Finocchiaro, il primo ad ospitarla sul suo blog) di accertare e diffondere una<br />

notizia che non può essere negata all'opinione pubblica. Non certo per<br />

nostra scelta, per avversioni o simpatie personali o per volere schierarsi<br />

nelle faide che, disgraziatamente, consumano in questi tempi non solo la<br />

classe politica, ma parte della giustizia siciliana. Ma perché non è in nostro<br />

potere di privare i lettori del loro diritto alla verità.<br />

Il nostro non è prevalentemente, come si dice oggigiorno, “giornalismo<br />

investigativo” (non lo fu quello di Giuseppe Fava), né corre dietro agli<br />

scoop; per noi l'investigazione è solo una parte di un processo complesso di<br />

ricostruzione e <strong>racconto</strong> della realtà che al centro ha la cultura e la società.<br />

La nostra verità, insomma, non si estriunseca mai in un “viva questo e<br />

abbasso quello”, non grida, non cerca facili notorietà; ma cerca di<br />

rappresentare al lettore un quadro il più possibile fedele e veritiero di un


mondo che, come i veri giornalisti sanno, è articolato e difficile e non si<br />

lascia rinchiudere in facili ovvietà.<br />

* * *<br />

L'appello<br />

Recenti e qualificate ricerche hanno delineato una Sicilia marchiata<br />

<strong>dal</strong>l'economia sommersa, "della complicità o dell'alleanza con le<br />

organizzazioni criminali". Al declino della violenza esplicita mafiosa fa da<br />

contraltare l'estensione delle mafie nell'economia formalmente legale, dove<br />

l'accumilazione della ricchezza avviene attraverso relazioni sociali e attività<br />

economiche costruite sulla base del coinvolgimento diretto e dei favori<br />

scambiati con i potentati economici,politici,professionali, fino a godere<br />

della complicità di specifici e decisivi ambiti istituzionali.<br />

Si è creato uno spazio dove lecito e illecito finiscono per entrare in<br />

commistione, una commistione ove le classi dirigenti sono tali in quanto<br />

espressione degli interessi della borghesia mafiosa dominante.<br />

Le scelte di poltica economica e finanziaria più rilevanti, <strong>dal</strong>l'urbanistica<br />

agli interventi nel settore energetico, dai servizi alla gestione dei beni<br />

pubblici, alle grandi opere, sono ispirate da questo contesto e <strong>dal</strong> dominio<br />

della borghesia mafiosa. Scelte che comportano gravi danni ai bisogni<br />

sociali, alla salvaguardia dell'ambiente e del patrimonio collettivo.<br />

In questo quadro la città di Catania viene considerata, oggi anche <strong>dal</strong><br />

presidente di Confindustria Sicilia, l'epicentro dell'"area grigia", dove<br />

massimamente si compenetrano mafia ed economia legale. <strong>Un</strong>a città dove,<br />

diversamente che a Palermo o Caltanissetta o Agrigento,l'azione di contrasto<br />

delle istituzioni delegate risulta o inefficace o largamente insufficiente.<br />

Aggiungiamo, incapace o deliberatamente inerte nel colpire i ceti politici ed<br />

economici dominanti della città. Emblematica ed evidente, da questo punto<br />

di vista, è apparsa la gestione delle indagini relative al governatore<br />

Lombardo, al fratello Angelo, a rilevanti ambienti imprenditoriali.<br />

L'intervento del Procuratore D'Agata è apparso ai più quello del difensore<br />

dei potentati piuttosto che quello del difensore della legalità repubblicana e<br />

costituzionale. Ne è conferma il contenuto dell'intervista rilasciata a Toni<br />

Zermo sul quotidiano di Mario Ciancio, anch'esso indagato, rivolto contro le<br />

considerazioni espresse da Ivan Lo Bello.<br />

Alla vigilia della nomina del nuovo Procuratore della Republica di<br />

Catania,facciamo appello al Presidente della Repubblica, acchè non si ripeta<br />

quando avvenne tre anni nel <strong>2008</strong> quando il Csm,allora presieduto da


Mancino,con una decisione ispirata dai Palazzi romani e dai potentati<br />

politici ed economici catanesi, nominò D'Agata,sovvertendo l'indicazione<br />

largamente maggioritaria della Prima Commissione favorevole ad una<br />

figura esterna avente le caratteristiche della impermeabilità e dell'internità al<br />

sistema di potere catanese.<br />

La società civile catanese


U<strong>cuntu</strong>, 28 gennaio <strong>2011</strong><br />

GLI OPERAI L'ANTIMAFIA E LA NOSTRA DIGNITÀ<br />

Dopo Cuffaro, dopo Berlusconi...<br />

Non è una vittoria di tutti, l'arresto di Cuffaro. E' una vittoria per coloro<br />

che, seguendo Falcone e Borsellino, hanno lottato anno dopo anno per la<br />

dignità e per il bene di tutti. Ma questa è stata una minoranza, anche se in<br />

certi momenti molto forte,.<br />

Per la maggioranza del popolo siciliano, invece, l'arresto di Cuffaro è un<br />

giorno di vergogna e - auspicabilmente - di riflessione. Per anni e anni,<br />

tradendo il ricordo dei morti e i valori della vecchia Sicilia contadina,<br />

abbiamo liberamente votato per un mafioso. Fra tutte le regioni italiane,<br />

siamo quella che ha peggio usato la propria libertà e democrazia,<br />

appoggiando gli assassini e i trafficanti di droga e chiamando “politica” ciò<br />

che era semplicemente vigliaccheria e servilismo.<br />

Da qui bisogna partire, senza mezze parole, se vogliamo tornare - tutti,<br />

non solo alcuni - un popolo civile. Abbiamo una storia altissima alle spalle -<br />

il movimento contadino, le rivolte, le centinaia di sindacalisti, giudici e<br />

giornalisti ammazzati - e una gioventù che, a differenza della classe<br />

dirigente, si è dimostrata spessissimo degna di stima. Ripartiamo da queste.<br />

Non perdiamo un istante a guardarci indietro, non regaliamo un attimo alla<br />

vecchia “politica” cuffariana e lombardiana, di chiunque ci abbia a che fare.<br />

“Voi avete svergognato e distrutto la Sicilia. Noi giovani la ricostruiremo”.<br />

* * *<br />

Questo impegno a Palermo può contare, oltre che sui militanti civili, su<br />

una scuola di giudici al servizio di verità e giustizia da generazioni, presidio<br />

vitalissimo di democrazia e libertà. Non a Catania. Qui, nello strapotere di<br />

un Sistema contrastato solo dai ragazzi dei movimenti, il Palazzo di<br />

giustizia per decenni si è erto solitario e inutile a tutti se non ai potenti. E<br />

tuttora è così.<br />

Travagliato da scontri interni, riconducibili più che ad ansie di giustizie<br />

alle contrastanti ambizioni di poteri superiori, conteso fra screditati<br />

esponenti fra cui è impossibile la scelta, esso urgentemente richiede un<br />

intervento preciso e duro dell'organo di autogoverno della Magistratura, fin<br />

qui efficiente e attento altrove ma non sulle faccende catanesi.<br />

Venga un buon giudice, venga finalmente un giudice a Catania; deciso


d'autorità <strong>dal</strong> Csm, dato che i concorrenti attuali danno scan<strong>dal</strong>o o sono<br />

inadeguati. Catania, coi suoi dolori e i suoi travagli, e i suoi movimenti<br />

civili che durano da trent'anni, non merita un po' di giustizia, non merita<br />

almeno questo? Si legga, alla fine di questo numero, il drammatico e<br />

purtroppo attuale rapporto del più autorevole testimone catanese, e lo si<br />

prenda finalmente a pietra di paragone.<br />

* * *<br />

Che differenza c'è fra obbligare un commerciante a “fare un regalo”<br />

minacciandogli il negozio che è il suo posto di lavoro e obbligare un<br />

operaio a “fare un regalo” (il lavoro, i diritti, la rinuncia al sindacato)<br />

minacciandogli la fabbrica in cui lavora?Ricatti del genere, del resto, nel<br />

mondo industriale sono sempre esistiti: ma mai con una tale chiarezza,<br />

diciamo così, didascalica e insistita: “Devi pagare il pizzo, e si deve sapere<br />

in paese”. “Devi rinunciare al sindacato e lo devono sapere tutti”. Il pizzo, o<br />

il ricatto del lavoro, come gesto esemplare, come manifesto. I brigatisti, più<br />

colti dei mafiosi ma meno sofisticati di Marchionne, riepilogavano<br />

rozzamente: “Colpisci uno per educarne cento”.<br />

Così, due mesi dopo Pomigliano, non c'è fabbrica italiana in cui i<br />

lavoratori siano ancora sicuri dei loro diritti: che anzi, dopo le cortesie di<br />

rito, sono praticamente spariti <strong>dal</strong>l'agenda politica. Il proprietario industriale<br />

di Repubblica “Ha proprio ragione Marchionne!” ha detto. E subito il<br />

giornale liberal s'è adeguato.<br />

Così, adesso gli operai sono soli, soli in mezzo alle chiacchiere come i<br />

ragazzi antimafiosi del sud.<br />

Che però, in fondo in fondo, soli non sono mai stati del tutto. Hanno<br />

avuto, in taluni momenti, la capacità e la fortuna di muoversi insieme con<br />

altri, di “fare rete”: la prepotenza e le minacce insegnano a molti la<br />

vigliaccheria, questo è vero, ma a molti insegnano anche la buona<br />

organizzazione e il coraggio.<br />

Così, <strong>dal</strong>lo sciopero operaio di oggi, può benissimo nascere tutta una serie<br />

concreta di momenti unitari e civili - fino allo sciopero generale, sindacale e<br />

antimafioso - da cui unicamente può sorgere la salvezza della Repubblica e<br />

la sconfitta profonda, non gattopardesca, dell'attuale regime.<br />

Non è affatto casuale - scrivevamo pochi giorni fa su Casablanca - che<br />

questo giornale, nato come giornale antimafioso (e con radici non<br />

superficiali nè casuali) in questo numero sia dedicato prevalentemente ai<br />

problemi degli operai, ai diritti degli operai. E' lo stesso discorso. E quando


iusciremo a profondamente comprendere, e non solo nei dibattiti ma nelle<br />

strade, il legame che esiste fa ingiustizia sociale e potere mafioso, allora<br />

avremo già quasi vinto la nostra battaglia.<br />

* * *<br />

Dunque, il lavoro è questo. Difendere i diritti, la Costituzione, la legge e<br />

quelli che ora l'incarnano, i nostri Magistrati. Difendere la vita quotidiana<br />

delle persone “comuni”, di quelli che non vanno nei giornali ma che, nel<br />

loro complesso, costituiscono la Nazione. Sfrondare d'ogni sovrastruttura<br />

ideologica (ma non politica) questa lotta.<br />

“L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”: questo è il<br />

nostro programma, e non ci serve altro. Ma per queste poche parole siamo<br />

pronti a combattere, senza compromessi. Vedremo chi è disposto a<br />

difenderle, e chi vorrà invece confonderle in un abile e vano fumo di parole.<br />

Facciamo rete, tutti insieme. Da soli (giornali e gruppi) siamo deboli.<br />

Insieme - ma insieme davvero, senza egoismi e ritrosie - ce la possiamo<br />

fare.


12 febbraio <strong>2011</strong><br />

IL GOLPE DI BERLUSCONI E QUELLO DI MARCHIONNE<br />

E l'uomo di Obama in Calabria ha detto...<br />

Stanno salvando l'Italia, ora mentre scriviamo, e stanno preparando il<br />

dopoberlusconi. Dove? A Milano. Chi? i congressisti del nuovo partito di<br />

Fini, i “futuristi”. A loro l'Italia perbene, giornalisti e politici, si affida. Il<br />

capo, proprio a Milano, o almeno il portavoce, era quella Tiziana Maiolo<br />

che, dopo brillanti e varie carriere “di sinistra”, alla fine è approdata ai<br />

berlusconiani; e da questi ai finiani, sempre rispettatissima e riverita. E'<br />

quella che l'altro giorno, di fronte alla morte atroce di quattro zingarelli:<br />

“Più facile educare dei cani - ha commentato - che degli zingari bambini”.<br />

* * *<br />

Si chiamavano Raul, Fernando, Patrizia e Sebastian. Erano nella loro<br />

baracca, morti bruciati mentre si riparavano <strong>dal</strong> freddo. Quattro bare a via<br />

Appia Nuova. Quattro rom bambini. Attorno alle bare le famiglie. Soli da<br />

sempre. Campi zeppi di topi. Oggi come dieci anni fa a Casilino 700,<br />

nell'anno del Giubileo, quando era vietato raccontare le stragi dei ragazzini<br />

nei ghetti, e quell'anno là ne morirono almeno dieci.<br />

A Roma ci sono più case sfitte che in ogni altra città d'Europa: centomila<br />

alloggi, dieci milioni di metri cubi di case vuote, come mille stadi di serie<br />

A. Ma per i poveri, per i Rom non c'è posto. Ghetti, tendopoli, miseria e<br />

spesso morte. Ma quale giornale, quale politico lo dice? Stiamo<br />

perseguitando gli zingari esattamente come ieri perseguitavamo gli ebrei.<br />

Ma la “politica”, a quanto sembra, è un'altra cosa.<br />

La “politica” si affida alle Maiolo e ai Renzi, alle soluzioni indolori. ai<br />

dopoberlusconi tranquilli, con tutto che resta com'è salvo (forse)<br />

Berlusconi. Chi parla più della Fiat? Chi pensa più agli operai? Eppure è<br />

stato appena deciso (anche qui, esattamente come sotto il fascismo) che di<br />

diritti non ne hanno più, neanche uno. Ma la “politica”, a quanto pare, è<br />

un'altra cosa.<br />

Il golpe è questo qua, ed è bilaterale. C'è il golpe di Berlusconi, vecchio<br />

imbecille vizioso, che minaccia e ricatta e mobilita i suoi puttani. Ma c'è<br />

anche quello di Marchionne e soci, che vogliono fare miliardi sulla pelle dei<br />

ragazzi. Nessuno, sotto i trent'anni, sa più come sarà il suo avvenire.<br />

* * *


Ma c'è un'altra politica, quella vera. La politica che ha appena mandato<br />

via Mubarak, senza violenza. La politica che non è affatto isolata (che dite,<br />

ora, di Obama?) e che sa cogliere le occasioni. “Qua bisogna puntare sui<br />

ragazzi di Ammazzateci Tutti” ha detto - secondo Wikileaks - l'uomo di<br />

Obama in Calabria. Chi se ne è accorto? Vorrà dire qualcosa, politicamente?<br />

Sono momenti incredibili, in cui davvero è possibile il cambiamento.<br />

Purché sia cambiamento vero – a cominciare <strong>dal</strong>lo spazzare via i mafiosi,<br />

che sono il cuore del Sistema – e purché si sia disposti a far sul serio e non<br />

solo balletti “politici”. Perché il mondo è cambiato. I vecchi non se ne<br />

accorgono, ma i giovani sì. L'Egitto è un paese giovane. E ha vinto, alla<br />

faccia di tutti.<br />

* * *<br />

Sicilia: qua tutto è lento. Ma si muove. Catania: sono bastati pochi<br />

giornalisti e cittadini coraggiosi - ma al culmine di una catena lunghissima,<br />

lunga trent'anni – per mettere in crisi la camera di compensazione del<br />

Sistema locale, a Palazzo di giustizia. Vorrà dire qualcosa, politicamente?<br />

Informazione libera e movimenti, lavorando insieme, possono sperare di<br />

vincere, in questa città. E' già quasi successo una vita, coi Siciliani. Perché<br />

non riprovare?<br />

Per l'informazione, in particolare, è arrivato il momento della verità. Il<br />

caso Procura di Catania ha fatto da cartina di tornasole: chi si è schierato e<br />

chi si è messo da parte, chi ha detto la verità e chi l'ha nascosta. Chi se l'è<br />

presa coi funzionari infedeli e chi coi “dossieraggi” che li smascheravano.<br />

Adessso, bisogna scegliere. O da una parte o <strong>dal</strong>l'altra.<br />

E', finito, fra l'altro, l'equivoco di <strong>Sud</strong>press, diviso fra l'onesta ingenuità<br />

dei giornalisti e le grevi ambizioni dei proprietari. Ora è il momento di<br />

riprendere la strada dei Siciliani, tutti insieme. A questo sta servendo, da tre<br />

anni in qua, questo nostro giornale, con tutto ciò – e non è poco – che gli<br />

vive attorno.<br />

Non siamo, e non vorremmo essere, autosufficienti. Ma abbiamo una<br />

storia e delle idee chiarissime e decise, le uniche che nessuno qui potrà mai<br />

equivocare. E' un patrimonio per tutti, per tutta la comunità che ci<br />

appartiene: cerchiamo di usarlo bene, con decisione e tutti insieme ed<br />

essendone sempre degni.


19 febbraio <strong>2011</strong><br />

NOTA EDITORIALE<br />

Questo documento – il promemoria del Giudice Giambattista Scidà,<br />

Presidente Emerito del Tribunale dei Minori e protagonista prestigiosissimo,<br />

da oltre un quarto di secolo, dell'antimafia a Catania – è uno strumento<br />

indispensabile per la comprensione di almeno una delle possibili<br />

interpretazioni del “caso Catania”, di cui la stampa ufficiale non ritiene di<br />

dovere dar conto al lettore. Di che si tratta?<br />

La città di Catania, tormentata da un sistema politico-mafioso fra i più<br />

potenti d'Italia, non ha mai potuto contare, in tutti questi anni, su un<br />

impegno giudiziario anche lontanamente paragonabile a quello del pool<br />

palermitano. Non è storia di oggi ma degli anni Ottanta (mancate indagini<br />

sull'omicidio Fava), Novanta (enucleazione delle responsabilità<br />

imprenditoriali), Duemila (privatizzazione della città da parte dei<br />

monopoli). L'inquietudine della società civile si accresce ora, e trova forse<br />

un' “ultima goccia” decisiva, nella pubblicazione di un documento che ritrae<br />

insieme un boss mafioso e il principale candidato a una carica<br />

importantissima nel Palazzo: compresenza, per quanto auspicabilmente<br />

priva di significati penali, che non aumenta certo la fiducia dei cittadini nel<br />

Palazzo.<br />

Il nostro mestiere di giornalisti ci impone di accertare e diffondere una<br />

notizia che non può essere negata all'opinione pubblica. Non certo per<br />

avversioni o simpatie personali o per volere schierarsi nelle faide che,<br />

disgraziatamente, consumano in questi tempi non solo la classe politica, ma<br />

parte della giustizia siciliana. Ma perché non è in nostro potere di privare i<br />

lettori del loro diritto alla verità.<br />

Il nostro non è prevalentemente, come si dice oggigiorno, “giornalismo<br />

investigativo” (non lo fu quello di Giuseppe Fava), né corre dietro agli<br />

scoop; per noi l'investigazione è solo una parte di un processo complesso di<br />

ricostruzione e <strong>racconto</strong> della realtà che al centro ha la cultura e la società.<br />

La nostra verità, insomma, non si estrinseca mai in un “viva questo e<br />

abbasso quello”, non grida, non cerca facili notorietà; ma cerca di<br />

rappresentare al lettore un quadro il più possibile fedele e veritiero di un<br />

mondo che, come i veri giornalisti sanno, è articolato e difficile e non si<br />

lascia rinchiudere in facili ovvietà.


* * *<br />

Questo modo di pensare, in questo momento , non è molto popolare. Le<br />

idee del giudice Scidà non sono state contestate, sulla stampa ufficiale, ma<br />

aggredite. Ultimamente l'attacco ha raggiunto (sempre attentamente<br />

guardandosi <strong>dal</strong>l'affrontare in qualsiasi modo la descrizione dei fatti) forme<br />

odiose e personali e se n'è resa responsabile, nell'edizione locale,<br />

“Repubblica”.<br />

Il che apparrebbe incongruo, pensando all'impegno civile di cui questa<br />

testata ha sempre dato prova a Palermo e sul piano nazionale. Ma non lo è,<br />

purtroppo, se si considera il ruolo che questo giornale (o meglio, il suo<br />

editore) ha sempre avuto a Catania. Aperta alleanza con Ciancio, silenzio<br />

sugli affari, autocensura dei contenuti (fino a poco tempo fa si evitava di<br />

distribuire la cronaca) in ossequio all'alleato. E questo non per scelte<br />

“ideologiche” o culturali, ma banalmente per la comunanza d'affari col<br />

piccolo Berlusconi catanese.<br />

Hanno questi interessi un ruolo nell'attacco personale e violento a Scidà,<br />

nella difesa dunque del Sistema catanese qui ed ora? Non lo sappiamo. Ma,<br />

non essendo affatto arbitrario né privo di connessioni con schieramente<br />

vecchi e nuovi, è un dubbio che dobbiamo consegnare – con tutto il resto –<br />

al lettore.<br />

Al quale, per l'ennesima volta, forniamo dunque non la Verità rivelata o lo<br />

scoop maiuscolo ma, più semplicemente, un utile strumento di lavoro.<br />

Questo è sempre stato il nostro principio e il nostro stile e questo,<br />

sommessamente, intendiamo mantenere.


23 febbraio <strong>2011</strong><br />

UNA DITTATURA DI MINORANZA<br />

E intanto a Catania, capitale di una certa Italia...<br />

“Buffone! Farai la fine di Ceaucescu!”. Bah. Intanto, Gheddafi rischia di<br />

farla davvero, la fine di Ceaucescu. Chi gliel' avrebbe detto quest'estate, ai<br />

tempi delle tende beduine (a Roma) e del bungabunga? Io, che sono un<br />

uomo prudente, al posto di Berlusconi mi fionderei nella più vicina caserma<br />

dei carabinieri, mi chiuderei in cella da me e come favore personale<br />

chiederei di essere messo nella camera di sicurezza più interna: non si sa<br />

mai. Ma lui è un tipo avventuroso, come Ceaucescu e come Gheddafi.<br />

Speriamo che, a differenza di Gheddafi, non sia anche – quando verrà il<br />

momento suo – un pazzo sanguinario, di quelli che buttano bombe sulla<br />

folla. Di noi tutto sommato si usa poco: Brescia, piazza Fontana, Italicus,<br />

Bologna... ma erano altri tempi, si dice, è cambiato tutto; persino al G8 di<br />

Genova, dove pure c'era da stangare un bel po' di sovversivi, un po' di<br />

torture magari, ma di bombe niente.<br />

In compenso siamo azionisti di un bel po' delle bombe di Gheddafi: Fiat,<br />

Berlusconi, <strong>Un</strong>icredit, Eni, Ansaldo, Impregilo, hanno tiranneggiato la Libia<br />

(e i poveri emigranti che ci passavano) con Gheddafi. Non a caso in queste<br />

ore a Milano la borsa trema. Ma che importa: domani è un altro giorno.<br />

Obama ricostruisce l'America, cerca di riportarla, di riffe e di raffe, <strong>dal</strong>la<br />

parte dei popoli, dov'era un tempo. Perché Obama è un patriota, al suo paese<br />

ci tiene. Qua, per salvare l'Italia – di cui onestamente non ce ne frega niente<br />

- ci affidiamo non dico a Fini ma a Luca Barbareschi.<br />

Va bene. Gli operai non esistevano, e invece ci sono eccome, e nelle<br />

piazze s'è visto. Non c'erano le donne, buonine fra tv e chiesa, e invece sono<br />

state proprio loro a dare il primo scossone decisivo. Nemmeno il popolo c'è<br />

più, contanò solo i mille Vip che “Io so' io e voi nun siete un cazzo”.<br />

Vedremo. Lo vedremo il giorno dello sciopero generale.<br />

Ché ormai la strada chiarissimamente è questa: bloccare ogni trattativa<br />

(bene Flores e Camilleri: fermare il Parlamento) e fare, come la Cgil farà, lo<br />

sciopero generale.<br />

Contro Mubarak (cioè Berlusconi), contro i suoi finanzieri (cioè<br />

Marchionne), contro i suoi sgherri e mercenari, cioè i mafiosi. Questo non è<br />

più regime di massa, nessuno dei suoi gerarchi è più un interlocutore. E' una


dittatura di minoranza, sempre più impaurita: trattiamola come tale.<br />

* * *<br />

Torniamo a Catania, che io la naja la faccio qui e guai se mi beccano a<br />

non fare bene la sentinella. Nel caso Catania – di cui sapete ormai tutto – c'è<br />

una novità importante e forse decisiva. Mentre dieci giorni fa eravamo<br />

ancora alle polemiche, alle denunce e alle giustificazioni, adesso siamo alla<br />

fase degli attacchi personali e violenti, senza mediazioni.<br />

In soldoni: il giudice A accusa il giudice B di essersi soverchiamente<br />

intrattenuto con mafiosi. Porta prove e argomenti, e infine saltano fuori pure<br />

le foto. Ma perchè A ce l'ha tanto con B? Per fatto personale, ovviamente. E<br />

donde viene questo fatto personale? Perché lui, giudice A, in realtà è un<br />

immorale, un vizioso, un mostro; l'ha detto un conoscente di un tale che l'ha<br />

sentito dire da un talaltro; ed ecco perché attacca B inventandosi Catanie,<br />

casi Catania, giudici e mafiosi.<br />

Bene. E chi lo dice (in linguaggio forbito, convenevole e professionale,<br />

poche bellissime righe da scuola di giornalismo)? Il giornale di Feltri o<br />

quello di Belpietro? No: direttamente Repubblica. Che ha una tradizione<br />

bellissima, di lotta per la libertà e la democrazia, in Italia, e anche contro la<br />

mafia a Palermo; ma a Catania ha una tradizione precisa di accordi - di<br />

contenuti e d'affari - con padron Ciancio. Queste sono notizie, amici miei, e<br />

come tali le diamo.<br />

Immaginate che a Milano nel 1946 il Corriere avesse attaccato - non<br />

politicamente, ma insinuandogli qualche delitto comune - Ferruccio Parri, e<br />

avrete un'idea di cosa stiamo vivento, in questi giorni, noi dell'antimafia a<br />

Catania e quanto siamo incazzati e quanto determinati a fare i conti.<br />

* * *<br />

Perché a Catania, e in Sicilia, e in Italia, e dappertutto, l'antimafia esiste,<br />

non è una barzelletta. Non “una certa antimafia”, non l'”antimafia di<br />

carriera”, ma l'antimafia mia, di Scidà o dei militanti del Gapa - vent'anni<br />

di dedizione totale e di battaglie, dando tutto se stessi. E anche, porco<br />

diavolo, l'antimafia “autoreferenziale e inutile” dei ragazzi di Palazzolo, di<br />

Modica, di U<strong>cuntu</strong>, ai quali è stato autorevolmente e recentemente spiegato,<br />

da qualche genio, che in realtà non servono a un cazzo.<br />

Va bene, impariamo anche questo, ragazzi. Nel mondo c'è anche 'sta gente<br />

ciarliera: a volte fa qualcosa di buono, ma raramente, e te lo fa pagare con<br />

una tonnellata di cazzate per ogni grammo di cose buone. Voi non<br />

v'impressionate, tenetevi stretto quel grammo (se riuscite a trovarlo) e per il


esto fregatevene e andate avanti.<br />

* * *<br />

Le righe che restano le dedichiamo volentieri (ma senza gridare al lupo)<br />

alla solidarietà, in questo caso a Condorelli. Buon giornalista, perbene, alle<br />

volte un po' ingenuo (come quando s'è lasciato usare contro l'antimafia cioè,<br />

qui e ora, contro Scidà), ma bravo certamente, uno che prima o poi avremo<br />

accanto; è stato licenziato ingiustamente e noi, non per la prima volta nè<br />

perchè qualcuno ce lo chieda, stiamo con lui. Ma senza confonderci con le<br />

“solidarietà” d'occasione di chi, in passato, s'è rifiutato per esempio di<br />

solidarizzare con un Marco Benanti.<br />

Noi, giornalisti sempre e non solo quando ci conviene, questa solidarietà<br />

l'abbiamo data in passato a Benanti, a Finocchiaro, a Giustolisi, a Mirone, a<br />

Savoca, a Rizzo, a Lavenia, a Scapellato – e chiediamo perdono a quelli<br />

che stiamo dimenticando ora, ma che certo non abbiamo dimenticato<br />

quando ce n'era bisogno.<br />

Raramente ne abbiamo ricevuta noi, e mai nessuno dei nostri ragazzi. Ma<br />

questo, per noi “professionisti dell'antimafia, fa parte del nostro mestiere.


7 marzo <strong>2011</strong><br />

L'UNICO INTERLOCUTORE<br />

POSSIBILE, QUI E ORA<br />

In poche regioni d'Italia la “politica” è complicata e machiavellica come<br />

in Sicilia.<br />

In nessuna città siciliana come a Catania.<br />

Alleanze, cordate, patti e accordi s'intrecciano e si disfano in maniera così<br />

elaborata che ogni volta ci vuole uno studio indefesso solo per arrivare a<br />

capire chi sta con chi e chi contro.<br />

Lavoro inutile, del resto, perché il giorno dopo le alleanze del giorno<br />

prima si sono già disfatte, i Borgia dai Colonnesi sono tornati ai Visconti e<br />

Al Capone, che ieri faceva affari con Marranzano, improvvisamente s'è<br />

unito a Frank Costello. Intanto la città affonda.<br />

C'è un'unica cosa seria, nella politica di Catania, ed è la (vera) politica dei<br />

quartieri.<br />

Non mercato di voti, non potere, non disperato arraffaggio di consulenze<br />

e poltrone.<br />

Ma serivizio civile, antimafia e formazione di massa, coi pochissimi<br />

mezzi di cui può disporre qui la gente perbene.<br />

Abbandonate <strong>dal</strong>lo stato, snobbate dai partiti locali, assolutamente<br />

ignorate dai grandi agglomerati “politici” di Roma, volontari, insegnanti,<br />

lavoratori studenti combattono qui nei quartieri poveri (cioè l'ottanta per<br />

cento della città) la vera battaglia politica per Catania, quella senza<br />

bandiere, con più idee (e “filosofia”) di chiunque altro ma senza bardature<br />

inutili di bei discorsi e sonanti parole.<br />

Il partito della Resistenza e dei poveri, senza saperlo, esiste già ed è qui.<br />

In forma rudimentale e confusa, chiamandosi qua parrocchia e là centro<br />

popolare, combatte faticosamente ogni giorno e fa democrazia.<br />

È l'unico interlocutore possibile per le persone serie, qui e ora.


7 marzo <strong>2011</strong><br />

IL NORD, IL SUD<br />

E QUESTO NOSTRO MESTIERE<br />

Ma l'informazione è ancora “Quarto Potere” o è diventata ormai<br />

semplicemente un potere? Cosa c'entrano gli editori? Ce ne sono ancora?<br />

E come si fa, senza editori?<br />

Sembra che i tunisini, gli egiziani, i libici, gli arabi insomma, siano gente<br />

come noi. Noi eravamo convinti che fossero chissà che tipi strani e fanatici,<br />

e quindi li bombardavamo e spremevamo senza troppi rimorsi. E' chiaro<br />

adesso che sono gente comune, come noi: moderatamente religiosi, tendenti<br />

a un modesto benessere, scontenti del governo, inclini alla democrazia.<br />

L'informazione ufficiale per anni e anni ce l'ha negato. Non solo<br />

distorcendo o nascondendo (vedi Wikileaks) le vere e proprie notizie; ma<br />

soprattutto barando sul piano culturale, costruendo a poco a poco<br />

un'immagine di quei popoli assolutamente non veritiera. E questo in molti<br />

altri casi.<br />

L'informazione “borghese” (per usare un termine caro a Giuseppe Fava),<br />

che una volta era il Quarto potere, adesso è semplicemente un potere come<br />

gli altri, che lascia la sua missione originaria per fare un “lavoro politico” (o<br />

finanziario) programmato.<br />

* * *<br />

Di ciò, Berlusconi è solo il modello estremo; non è che tutti gli altri siano<br />

molto indietro. Poche settimane fa è bastato un intervento di De Benedetti<br />

per invertire Repubblica sulla cruciale questione della Fiat. In sostanza, il<br />

giudice onesto può contare su Repubblica; ma l'operaio onesto, nello stesso<br />

momento, non può.<br />

Vi sembra strano? No, non lo è, anzi è “normale”. Garibaldi libera i<br />

contadini fra gli applausi di Scalfari (ci si passi l'anacronismo) e<br />

contemporaneamente Bixio li fucila: liberì sì, ma senza esagerare. La storia<br />

dell'Italia in fondo è questa, e hanno egualmente ragione tanto i “liberal”<br />

che inneggiano a Garibaldi quanto i neoborbonici che maledicono Bixio.<br />

Ma un altro tipo d'Italia ci fu pure, tanto quaggiù in Sicilia quanto su a<br />

Torino: quello dei contadini ribelli e degli operai scioperanti, dei Fasci<br />

Siciliani e della Fiom. Entrambi schioppettati egualmente dai Savoia, al<br />

nord e al sud. E poi dai fascisti, i mafiosi, i piduisti, da tutti i potenti padroni


(sempre alleati fra loro) dei due paesi.<br />

A Reggio Emilia e a Portella, il sangue dei poveri bagnò la terra italiana<br />

allo stesso modo; da Piazza Fontana a Capaci, il Sistema non ha mai avuto<br />

in realtà nè un nord nè un sud. Se li inventano i suoi politici e i suoi<br />

giornali, quelli borboni e quelli liberali, per imbrogliare i poveri e tenerli<br />

divisi.<br />

* * *<br />

Pensa nel mondo, agisci al tuo paese: questo discorso sull'informazione ci<br />

porta giù giù e poi ancora più giù per l'Italia, fino addirittura a Catania.<br />

Dove c'è un caso da studio (che i nostri lettori, a differenza di altri,<br />

conoscono bene). Il caso, in essenza, è questo: concorrono a un posto di<br />

giudice due funzionari; discussi entrambi, com'è normale; ma in più con dei<br />

fattori specifici che ne rendono sconsigliabile, o perlomeno rischiosa,<br />

l'assunzione.<br />

<strong>Un</strong>o, per sottrarsi a un caso scomodo, s'era autoaccusato di “stancabilità,<br />

non brillante memoria e reazioni emozionali spropositate”. L'altro era<br />

andato a cena con dei mafiosi, negando poi (fino a smentita fotografica) il<br />

fatto.<br />

Trattandosi di Procura antimafia, e non della pretura di Sant'Ilario,<br />

prudenza consiglierebbe di ringraziare e respingere, con pari cortesia, l'uno<br />

e l'altro; e di cercare altrove un terzo candidato, magari non un Solone ma<br />

che almeno non si sia dichiarato inabile e sia stato più attento nella scelta<br />

dei commensali.<br />

I catanesi, la società catanese, pendono per questa ovvia soluzione;<br />

deciderà il Csm, o attenendosi al precedente di Messina e Reggio Calabria<br />

di tre anni fa (dove alla fine si scelsero candidati esterni, Pignatone e lo<br />

Forte, entrambi prestigiosi) o a quello palermitano dell'88 dove<br />

burocraticamente si scelse l'anziano Meli anziché l'“irregolare” Falcone.<br />

Deciderà il Csm. Noi come giornalisti dobbiamo solo segnalare i fatti<br />

(compresi le sfumature e il contesto) nella loro interezza, senza insultare<br />

nessuno (segno di scarso mestiere, di debolezza), senza cercare scoop<br />

(molte delle cose “scoopate” ora le avevamo già scritte tre, cinque, a volte<br />

vent'anni prima) e soprattutto senza risponderne assolutamente ad altri che<br />

ai lettori. Non abbiamo padroni né occulti né regolari, come sanno tutti, e<br />

siamo forse gli unici in quella città a non averne.<br />

Quest'ultima affermazione non riguarda l'etica ma proprio la struttura<br />

tecnica del nostro mestiere, almeno come si sta configurando oggigiorno.


* * *<br />

Dei miei primi rapporti con Giuseppe Fava un episodio mi ha sempre<br />

colpito, che via via che passa il tempo mi sembra sempre più degno di<br />

riflessione. E' quando, appena arrivati, ci chiese (o meglio ci ordinò) di<br />

imparare a usare le tastiere, i rudimentali “computer” di quei tempi. “Ma<br />

perché? Ma non è compito dei tecnici? Non basta scrivere i pezzi a<br />

macchina, li dobbiamo anche montare? Ma se neanche il sindacato dai<br />

giornalisti dice che lo dobbiamo fare!”.<br />

E lui, sorridendo: “Lo so che ci sono già i tecnici, pagati <strong>dal</strong>l'editore. Ma<br />

casomai un giorno voleste farvi un giornale da soli, un giornale vostro...”.<br />

E andò proprio così. Né i Siciliani, né I Siciliani Nuovi, né Avvenimenti,<br />

né SicilianiGiovani, né Casablanca, né lo stesso U<strong>cuntu</strong> né tutte le cose che<br />

ci son state in mezzo (e che, auspicabilmente, ci saranno domani) avrebbero<br />

potuto esistere senza un minimo di autosufficienza tecnologica; nessuno di<br />

essi ha mai avuto un imprenditore “regolare” (a Catania di onesti e liberi<br />

non ce n'erano, e al di là delle chiacchiere non ce ne sono tuttora).<br />

I Siciliani erano una cooperativa. Avvenimenti una società ad azionariato<br />

popolare. Idem i Siciliani Nuovi. Casablanca, unica, ha avuto un “editore”<br />

che era poi una valorosa e disinteressata militante nostra, Graziella Proto; i<br />

Cordai, il Clandestino e la Periferica sono di libere associazioni come lo<br />

stesso U<strong>cuntu</strong>, che sta soprattutto in internet e non ha costi di stampa.<br />

Il giornalismo antimafia, che pure ha sconfitto i Cavalieri e tuttora tien<br />

duro, tecnicamente è un'impresa senza padroni, in mano ai suoi giornalisti e<br />

ai suoi simpatizzanti e lettori. Pochissimo o nullo aiuto <strong>dal</strong>le centrali civili<br />

(e miopi) di Roma. Ma indipendenza totale, mestiere, e ogni tanto anche<br />

risultati incisivi.<br />

* * *<br />

Il costo però è altissimo sul piano umano. A volte s'è rinunciato a uno<br />

“scoop” (per dirla alla moda) perché non c'erano i pochi soldi per stargli<br />

dietro. Spessissimo si esita a accogliere un ragazzo nuovo, sapendo i<br />

sacrifici durissimi che qui dove vuol mettersi lo attenderanno.<br />

Sopravviviamo nelle maniere più impensate, e mai con questo lavoro.<br />

Tranne che “andando al nord”, dove ci si aprono subito belle carriere – ma<br />

non qui in prima linea, qui nel deserto.<br />

Tutto questo sta bene, e non ne parliamo per sentimentalismo ma solo per<br />

chiarire i termini tecnici della questione. Niente (e non per nostra scelta)<br />

editori; esercito di volontari; alta qualità giornalistica per restare credibili


nonostante questo; larghe conoscenze tecnologiche per approfittare di ogni<br />

possibile occasione; unire tutte le forze disponibili, “fare rete”.<br />

* * *<br />

Nessuno si può illudere di salvarsi da solo trovando un suo deus ex<br />

machina, un suo “editore”. Le poche volte che c'è, è per far danno: Catania,<br />

in questi mesi, dovrebbe avere insegnato anche questo.<br />

U<strong>cuntu</strong> e Lavori in Corso puntano tutto sulle tecnologie e sulla rete. Non<br />

c'è nessun altro in Sicilia che cerchi così insistentemente di coordinarsi con<br />

gli altri, di organizzarsi, di lavorare insieme. Nessuno così avanzato nelle<br />

tecnologie (in alcune due anni prima di Repubblica) eppure così<br />

consapevole della propria insufficienza.<br />

La nostra missione non è di dare una nobile testimonianza da una nicchia,<br />

ma di costruire insieme agli altri qualcosa che superi fra il grande pubblico<br />

l'informazione del Sistema.<br />

Ecco perché insistiamo tanto nei contatti operativi fra gruppi grandi e<br />

piccoli, senza trascurarne nessuno. Ed ecco perché, per esempio, in questi<br />

giorni organizziamo un convegno “tecnico” non su contenuti etici ma su<br />

Linux e dintorni. <strong>Un</strong> umile strumento di lavoro, certamente. Ma senza<br />

strumenti adatti non si riesce a comunicare un bel niente e le migliori<br />

intenzioni restano chiuse dentro.<br />

Il tempo gioca per noi. Le “nuove tecnologie” non sono più l'internet, su<br />

cui già ci muoviamo. Sono i giornali elettronici, gli e-magazine, gli e-book,<br />

l'info elettronica di seconda generazione.<br />

E' il nostro terreno, per capacità e competenza; ha costi alti per un piccolo<br />

gruppo come il nostro ma non per tanti gruppi messi insieme; ha un<br />

personale già attivo, operante e - per quanto diviso - ben sperimentato. La<br />

strada è questa, e fra due o tre anni al massimo si incontrerà (ora sì) col<br />

mercato.<br />

* * *<br />

Il “quadro politico”, come si dice, non è bello. Le opposizioni hanno<br />

salvato Berlusconi, puntando su Fini e Barbareschi invece, come sarebbe<br />

stato logico, che sugli operai della Fiat.<br />

Tanti anni fa il Manifesto scriveva “Praga è sola”. Oggi è sola la Libia.<br />

Non solo per le complicità del governo ma per lo strano torpore dei giovani<br />

italiani. Massacrano folle intere a pochi chilometri da noi, un Pol Pot qui<br />

davanti: e non reagisce nessuno, non dico nei palazzi ma nelle piazze e nelle<br />

università.


La prossima scadenza politica, l'unica vera, è lo sciopero generale indetto<br />

<strong>dal</strong>la Cgil. Arriviamoci pronti, senza creare disordini ma sapendo che è<br />

l'ultima occasione. La tappa dopo potrebbe essere già la disobbedienza<br />

civile.


17 marzo <strong>2011</strong><br />

L'UTOPIA DELLO STRUZZO<br />

E CHI CI BAGNA IL PANE<br />

Il “mercato”, il consumo e il “progresso” illimitati vanno benissimo per i<br />

Grandi Animali, ma sono la morte per noi comuni esseri umani. “E' sempre<br />

stato così”. Sì, ma qua finisce male<br />

“No all'emotività! Forza, nucleare!”.<br />

Sarebbe facile polemizzare col nostro signor governo e la nostra<br />

confindustria che, mentre i tedeschi chiudono le centrali e i giapponesi<br />

cercano disperatamente di salvarsi la pelle, non sanno dire altro che “E'<br />

successo qualcosa?”.<br />

Facile, ma in fondo ingiusto. Perché la bestialità della nostra orribile<br />

classe dirigente, la più disumana e la più ignorante che questo disgraziato<br />

Paese abbia mai avuto, fa leva sul nostro sogno, sulla nostra inespressa ma<br />

convintissima utopia: che possiamo andare avanti tranquillamente così,<br />

sfruttando sempre più la natura, picchiando chi riceve di meno e ruttando<br />

felici in un dopo-pranzo sempre più inacidito.<br />

Non è così. Il Giappone, molto più civile e tecnologico di noi, era<br />

sopravvissuto a duemila anni di terremoti e tsunami: e adesso sta crepando<br />

semplicemente perché (a dispetto di una sua cultura antichissima, bollata<br />

come “”vecchia” e “superata”) s'è messo a costruire centrali nucleari in<br />

mezzo alle faglie sismiche. Modernissime, “sicure”, dotate (tranne quella<br />

mantenuta in servizio per le pressioni dei politici) della migliore tecnologia.<br />

E sono saltate per aria.<br />

Perché?<br />

Per lo stesso motivo per cui si rompe un vaso in una stanza in cui si gioca<br />

a pallone, per semplice statistica: prima o poi.<br />

E perché, se lo sapevano, non si sono organizzati? Per semplice rimozione<br />

mentale, come lo struzzo: per eliminare il pericolo non bastava “rendere più<br />

sicure” le centrali (o mettere il vaso un po' più in alto), bisognava abolirle<br />

del tutto (“Bambini, in questa stanza non si gioca a pallone”).<br />

Ma questo avrebbe significato treni un po' meno veloci, automobili un po'<br />

meno grosse, e così via (“Ahhh... cattiva mamma! Non ci vuoi fare<br />

giocare!”). La gente, non solo i politici, non l'avrebbe accettato. La stessa<br />

gente che adesso è intenta a razionarsi l'acqua e a seppellire i morti.


“Il Giappone è lontano”. No, il Giappone è qua. Intanto, perché fra un<br />

anno probabilmente dovremo stare più attenti all'acqua che beviamo,<br />

all'insalata che mangiamo e così via (e già c'era da stare attenti prima).<br />

Poi perché la crisi economica (l'economia è mondiale) sarà tremenda e la<br />

pagheremo, anche qua, noi semplici cittadini.<br />

E poi perché il modello Giappone (con molta più rozzezza e intrallazzo,<br />

all'italiana) è esattemente il nostro, quello in cui viviamo: comprarsi più<br />

giocattoli, fregarsene della natura, manganellare i poveri, sedare con<br />

chiacchiere e botte le spaventate proteste (“Che avvenire ho?”) dei nostri<br />

figli. Illudendoci che funzioni, che vada avanti.<br />

L'utopia dello struzzo: testa sotto la sabbia, chiappe all'aria, convinto che<br />

il pericolo è lontano e che tutto va bene.<br />

Non serve una “svolta politica” (certo che serve, e subito: ma non basta).<br />

Ci vuole proprio una svolta di sistema. Socialismo, buddismo, impero<br />

Ming? E che ne so: io voglio semplicemente salvarmi la pelle, e voglio non<br />

essere pisciato addosso nella mia tomba da mio nipote - se sopravviverà e<br />

se ci saranno ancora delle tombe.<br />

Voglio che cambi parecchio, e non solo alla superficie, e anche alla svelta.<br />

La mia vita, e quella del mio nipotino, non può restare in balia di pazzi<br />

politici, terremoti, multinazionali ciniche ed economie senza controllo. Per i<br />

terremoti non ci possiamo far niente. Ma per il resto sì, e dobbiamo<br />

sbrigarci perché c'è poco tempo.<br />

* * *<br />

Che notizie stranissime (lette vent'anni fa) eppure normalissime (adesso)<br />

sui giornali. “Tragedia in mare, 40 emigranti annegati”. Ma perché non<br />

avevano una nave più sicura? Perché non prendevano il traghetto? Ah: ora è<br />

vietato.<br />

“Sta vincendo Gheddafi. Il re saudita manda i soldati contro la folla”. Ma<br />

non stava arrivando la democrazia, anche lì? Ma non eravamo tutti contenti<br />

per questo? Ah: però il petrolio a noi ce lo dava il re saudita e Gheddafi, e<br />

quindi tutto sommato stiamo appoggiando loro.<br />

“Operai Fiat. Non se ne parla più”. Ma non era la più grande industria<br />

italiana? Ma davvero la lasciate finire all'estero così? E tutti 'sti lavoratori, e<br />

i vostri figli, davvero debbono spaccarsi l'anima tutta la vita così, a lavorare<br />

in caserma, senza diritti? Ah: è il management moderno, è il mondo nuovo.<br />

* * *<br />

Buone notizie? Vi do anche quelle, ma a patto che non vi servano (sotto la


sabbia) a tranquillizzarvi ma a svegliarvi un po'. Libera ora fa il suo<br />

convegno, il 19 a Potenza, convegno nazionale da tutto il Paese. Chi ci può<br />

andare ci vada: è un po' moscia Libera da un po' in qua, ma è pur sempre la<br />

più grande organizzazione antimafia, il nostro - di noi antimafiosi -<br />

“sindacato”: criticatela, dunque, ma fatela diventare sempre più forte e<br />

portatela avanti, ché là dentro c'è iun pezzetto di tutti noi.<br />

L'altro sindacato, la Cgil, ci chiama invece a raccolta per il sei maggio, lo<br />

Sciopero Generale. Sarà una giornata importantissima; probabilmente, in<br />

bene o in male, il giorno della svolta. Anche questa è antimafia, e speriamo<br />

che la Cgil lo capisca. Comprendiamolo noi per intanto, con l'esperienza<br />

che abbiamo, profondamente.<br />

Dai giochi dei politici – per lo più in buona fede - non aspettiamoci<br />

niente. Non è che non vogliano, è che semplicemente sono su un altro<br />

pianeta. Dal pazzo Berlusconi all'astuto Fassino, <strong>dal</strong> generoso Vendola al<br />

machiavellico Fini, nessuno ha mai dormito alla stazione né sa quanto costa<br />

una scatoletta di tonno. Noi sì.<br />

Noi non siamo col popolo. Siamo nel popolo, una parte minimissima di<br />

esso. Con tutte le sofferenze, ma senza illusioni, dell'umanità quotidiana del<br />

paese. Per questo “facciamo politica”, a modo nostro e con serietà, e la<br />

facciamo bene.<br />

Bisogna abolire la mafia. Bisogna cambiare il sistema. Bisogna pensare a<br />

vivere diversamente, con meno giocattoli ma più felici. Bisogna pensare al<br />

mio nipotino e a tutti gli altri Lorenzi, ché già la vita umana è difficile e non<br />

occorre aggiungerle altri dolori. E tu forza, sorridi, amica mia: adispetto di<br />

tutto, una volta ancora, come la natura o il dio hanno costruito, fra poco è<br />

primavera. Aggrappiamoci a questo, lottiamo per difenderlo e farlo<br />

continuare.


30 marzo <strong>2011</strong><br />

BANALITÀ DEL BENE<br />

E VECCHIA EUROPA<br />

Adesso dobbiamo scegliere, un'altra volta<br />

Scoppia la guerra, salgono le Borse. Dimenticato il Giappone. La guerra<br />

fa volare i listini.<br />

Cernobyl è in pieno svolgimento. Ma sta nelle ultime notizie.<br />

“Terremoti punizione di Dio, come a Sodoma e Gomorra”.<br />

Di tutte queste notizie (moderno, postmoderno, medioevo) non è che il<br />

Sistema non vi informa: il Sistema non occulta più quasi niente. Ma ne<br />

nasconde il contesto, le affoga nel flusso indistinto del villaggio globale.<br />

Perciò, concretamente, ve le sta nascondendo.<br />

Al tuo bambino, non a un bambino qualunque <strong>dal</strong>l'altro lato dello<br />

schermo, cominciano ad avvelenare il latte, nella “normalità”. La guerra è<br />

soldi, non nei regimi imperiali dell'Ottocento ma ora, nel soffice lieve<br />

mondo dei Nintendo e degli i-Pad. E Galileo Galilei (di “punizione di Dio”<br />

parla il vicecapo degli scienziati italiani, De Mattei del Cnr) se tornasse<br />

passerebbe i suoi guai anche oggi.<br />

E tutte queste cose succedono, ma ormai quasi nessuno ci fa caso.<br />

* * *<br />

E' urgentissimo, è anzi la cosa più urgente e più vitale di tutte, ripristinare<br />

almeno un minimo di informazione. L'informazione non esiste più, è quasi<br />

tutta infotaiment o rumore di fondo. Oscura senza mentire apertamente,<br />

mescolando accortamente le priorità e i contesti, agendo cioè non più (come<br />

una volta) con la censura ma con una compatta egemonia culturale. (Certo,<br />

la censura c'è ancora: internet alla cinese è il sogno di tutti i governi, nostro<br />

compreso. Ma non è più essenziale).<br />

Il Grande Fratello ora è una cosa “simpatica”, da “consenso”; quello<br />

vecchio di Orwell, in confronto, era primitivo. Ma questo funziona assai<br />

meglio, ci separa ancor più <strong>dal</strong> mondo vero, illudendoci di starci dentro. I<br />

contenuti, in altri termini, sono sempre più “loro”.<br />

In questa situazione non è più la singola notizia strappata, lo scoop, che fa<br />

la differenza; né il giornalista singolo può illudersi di servire a qualcosa. Se<br />

scopre una verità, lo applaudono e gliela usano (Saviano è un esempio) nel<br />

contesto loro. Controllando il contesto, tutto il resto – al massimo – diventa


fiore all'occhiello.<br />

Vi mostrerei – se fossi Philip Dick - il guerriero apache che corre<br />

disperatamente contro il fortino, brandendo il suo arco e le frecce, con<br />

sovrumano coraggio; e a sua insaputa lo riprende una webcam, lo mette in<br />

rete, e un regista lo monta – a sua insaputa – nella fiction del Wild West che<br />

va in onda ogni sera su Fox: “che romantici gli indiani!”. E cade anelante ai<br />

piedi del fortino, felice di aver scagliato un'ultima freccia piumata, mentre<br />

negli schermi tv la sua figura ansante già sfuma nello spot del McDonald<br />

che chiude la puntata.<br />

* * *<br />

Non basta essere giornalisti, bisogna fare i giornali. “Giornale” oggi è una<br />

parola larghissima, che va <strong>dal</strong>l'Asahi Shinbun (il più grande quotidiano del<br />

mondo, che decontestualizza dodici milioni di giapponesi al giorno)<br />

all'ultimo filmato di Youtube, passando per tutti i modelli di media vecchi e<br />

nuovi (compreso il nostro), senza che ci sia più una tecnologia egemone a<br />

dargli un senso. “Giornale”, oggigiorno, è essenzialmente un contesto. Che<br />

per noi è umanistico, per gli altri è commerciale.<br />

“U<strong>cuntu</strong>” (o un raduno di Libera, o un coro alpino) è un esempio di<br />

contesto. “Repubblica” (o una pubblicità di McDonald, o un master in<br />

economia azien<strong>dal</strong>e) un altro. I primi son molto piccoli, “ininfluenti”; ma<br />

hanno radici umane. I secondi sono (qui ed era) egemoni; ma sono dei<br />

prodotti industriali. Ma nella storia è successo molte volte che dei contesti<br />

piccoli, “isolati”, siano alla fine confluiti in un contesto nuovo, generale.<br />

Questo è il nostro lavoro. Non diamo (solo) informazioni; apriamo<br />

soprattutto spiragli su qualcosa che intuiamo oscuramente, di cui sappiamo<br />

solo che è molto grande - e che è già in noi.<br />

Per questo crediamo tanto nella rete - tanti contesti piccoli che<br />

confluiscono in un fiume solo - e nelle tecnologie, che ci danno la<br />

possibilità concreta ed economica di diffondere dappertutto questa idea.<br />

Non si è mai data, nel corso della storia, una tale occasione. Non la<br />

possiamo sprecare.<br />

* * *<br />

Così, nelle modeste cose che ci tocca ogni giorno di fare, non deve mai<br />

smarrirsi questa prospettiva. A Catania - ad esempio - noi lottiamo in questo<br />

momento sia per salvare le povere scuole dei bambini di quartiere (il Gapa,<br />

l'Experia, gli scout di Librino) che per imporre ai potenti di ritirare le mani<br />

<strong>dal</strong> Palazzo di giustizia, che di giustizia dev'essere e non di potenti.


Abbiamo storie lunghissime, su entrambi i fronti; il Gapa di San<br />

Cristoforo lavora lì da oltre vent'anni; di una Procura estranea alla città dei<br />

poteri un uomo come Scidà parlava già – perseguitato già allora – da metà<br />

anni Novanta.<br />

Due lotte diversissime, di persone diverse, tipicamente “locali”. Eppure,<br />

vivendole insieme e collegandole alle decine di analoghe, alle centinaia e<br />

alle migliaia di persone che in qualche parte d'Italia si battono per esse,<br />

otterremo alla fine (e questa è l'unica via realistica, non certo quella giocata<br />

nei palazzi) qualcosa di largo e generale; intravediamo un'Italia ben diversa;<br />

un contesto.<br />

* * *<br />

Esseri umani disperati, a migliaia; la fame, la paura. La soluzione? "La<br />

soluzione? Föra di ball!" sghignazza, con un gesto osceno, il politico<br />

numero uno. “Vengano nella mia terra: noi li accoglieremo” azzarda<br />

timidamente il politico numero due.<br />

Chi ha ragione dei due, e in che contesto? In uno, ma a forza di bombe, si<br />

può “mandar via”, e vivere tutti quanti nella paura. Nell'altro, con il lavoro e<br />

la carità, si può vivere stretti all'inizio, ma in modo sempre più accettabile e<br />

più umano.<br />

Possono crescere, i bambini, bianchi e neri; oppure tirare a sorte (“tu sì tu<br />

no tu no tu forse”) il loro eventuale avvenire. Fra i due contesti diversi,<br />

l'Europa ha già dovuto scegliere altre volte. Scelga di nuovo, adesso;<br />

sperando che stavolta possa vincere la banalità del bene.<br />

Riccardo Orioles e Fabio D'Urso


11 aprile <strong>2011</strong><br />

DOPO DACHAU<br />

PRIMA DI AUSCHWITZ<br />

Il regime è illegale. Traiamone le conseguenze<br />

I tedeschi non cominciarono subito ad ammazzare gl ebrei. Prima<br />

dichiararono che non erano cittadini come gli altri, e anzi probabilmente<br />

neanche esseri umani. Poi cominciarono a vessarli in tutti i modo, cogliendo<br />

qua e là le occasioni per estorcergli del denaro. Nel 1933, “per ragioni di<br />

ordine pubblico”, istituirono dei “campi di raccolta” (Konzentration Lager)<br />

che presto, per brevità, cominciaronmo a essere chiamati semplicemente<br />

“campi” (Lager). Infine, sette anni dopo, esaurito tutto il dibattito e stabilita<br />

la piena incompatibilità fra una “razza” e l'altra, fu aperto Auschwitz<br />

(1940). Qua l'obiettivo era la “soluzione finale” del problema, visto che<br />

tutte le altre soluzioni si erano rivelate insufficienti e, come si direbbe oggi,<br />

“buoniste”: I campi di concentramento in Italia esistono già, e si chiamano<br />

campi temporanei di raccolta. Le persecuzioni sono già in atto da molti<br />

anni, e così pure la teorizzazione scientifica dell'incompatibilità di fondo fra<br />

una razza e l'altra. L'estorsione dei soldi, fra una cosa e l'altra, non è stata<br />

assente: il disavanzo Inps è pagato dagli immigrati, e in più di un'occasione<br />

(per i rinnovi, per le “regolarizzazioni” e chi più che ha più ne metta) la<br />

razza inferiore ha dovuto pagare in moneta la tolleranza della razza eletta.<br />

Manca, finora, la “soluzione finale”. Ma già diciassettemila <strong>Un</strong>termensch<br />

sono stati annegati (per scelta politica: in mare i bianchi viaggiano su<br />

regolari traghetti) nel nostro bel mare. Ma, quanto a teorizzazioni, non<br />

siamo molto lontani.<br />

Sia Bossi che Goebbels, sia Calderoli che Herr Streicher, hanno fatto<br />

capire in più occasioni che la cosa importante, per gli uomini-non-umani,<br />

non è di sopravvivere, ma di togliersi di mezzo. “Foera di ball”, si dice in<br />

tedesco. Che il resto debba seguire non è una mera ipotesi, ma -<br />

ragionevolmente - una probabilità molto forte.<br />

Il regime italiano, come quello tedesco del '36, avrà forse consenso (e nel<br />

nostro caso è molto dubbio, visto che lo vota meno d'un quarto dei<br />

cittadini). Ma non è sicuramente legale. Qualunque cittadino tedesco, nel<br />

regime di Goebbels, aveva il diritto - e spesso il dovere - di non tener conto<br />

alcuno delle ingiunzioni delle autorità, trattandosi di disposizioni illegittime,


in violazione delle costituzioni e delle leggi, e soprattutto dei comuni<br />

principi della morale umana.<br />

Maroni, Calderoli, Bossi, Streicher e tutti gli altri razzisti non godono di<br />

autorità maggiore. I loro ordini non hanno peso, nessun pubblico ufficiale o<br />

cittadino è tenuto a obbedire, ed è anzi dovere civico, e doveroso tributo<br />

all'onor militare, boicottare apertamente gli ordini disumani. Lo fecero<br />

carabinieri, Regia Marina, ufficiali del Re, sotto il fascismo. La loro pietà<br />

umana, e il rispetto delle stellette, indicò loro la via del dovere, contro ogni<br />

burocratica – ma vile e illecita “obbedienza”.<br />

Son questi i termini della questione. Il regime è illegale, bisogna<br />

disobbedirgli apertamente. Non per le Rudy e le Noemi, storie tristi e<br />

grottesco che rendono ridicolo ogni italiano nei paesi normali. Ma per la<br />

strage voluta, per la criminale teorizzazione e messa in pratica della<br />

persecuzione sistematica di una “razza”.<br />

In Libia, in Egitto, in Italia stessa i dittatori e i subalterni responsabili<br />

dovranno pagare, quando la legalità sarà ristabilita. Nei Paesi feroci, come<br />

nella Germania d'anteguerra, nulla dovrà restare impunito.<br />

A questo nuovo nazismo dovrà corrispondere una nuova Norimberga. <strong>Un</strong>a<br />

Corte internazionale che giudichi gli stragisti e i i loro seguaci, non a<br />

Ginevra o all'Aja ma in un paese-vittima, a Nuova Delhi, a Brasilia, in una<br />

delle potenze democratiche dell'avvenire.<br />

Si ebbe anni addietro un Tribunale internazionale, presieduto da Lord<br />

Russell, per i crimini contro l'umanità in Vietnam. Bisogna che personaggi<br />

autorevoli, gli scienziati, i Nobel, i sapienti del mondo, assumano<br />

un'iniziativa del genere, in attesa di una vera e propria Corte Penale delle<br />

nazioni. Nulla deve restare impunito e nulla, fin d'ora, deve restare non<br />

denunciato. Perché la politica è finita e quella di oggi - decine di bambini<br />

annegati, per volontà di un regime, e forse di una nazione, è un'altra cosa.<br />

E questo è quanto. Avremmo dovuto scrivere delle ultime risultanze<br />

giudiziarie, da cui emerge che per la seconda volta consecutiva il Governo<br />

della Sicilia è ufficialmente colluso con la mafia. Avremmo voluto scrivere<br />

della disperata resistenza dei quartieri poveri catanesi, della rinascita<br />

dell'Experia (unico presidio civile, in alcuni di essi, oltre al Gapa).<br />

Ma anche questi argomenti, per quanto importantissimi, passano in<br />

secondo piano dinanzi alla drammaticità di questa semplice cosa: viviamo<br />

in un regime illegale.<br />

Non è questa o quella legge ad essere violata, lo sono tutte. Non è questo


o quel crimine di cui accusiamo il governo, il crimine è lui stesso.<br />

Certo: è “estremistico” dirlo, è impopolare, è rozzo. Ma era impopolare<br />

anche a Weimar, era “estremista”. Noi siamo a Weimar, fuor d'ogni dubbio.<br />

L'eccessiva prudenza, in quegli anni, creò milioni di morti.


1 maggio <strong>2011</strong><br />

PRIMO MAGGIO <strong>2011</strong><br />

Di nuovo una giornata seria, uno sciopero<br />

Grazie Renzi, grazie Moratti, grazie tutti voialtri tromboni: grazie a voi il<br />

primo maggio, nonostante il concerto, è tornato una giornata seria, un<br />

quarantotto, uno sciopero, un niente-di-regalato. Ai bempensanti e ai<br />

monarchici fa di nuovo paura. “Sciopero, sempre sciopero! Approfittano<br />

che il governo è troppo buono…”. “Glielo darei io, il primo maggio! Tutti<br />

in Russia da Putin, li manderei!”. “Eppoi, dove sono tutti ‘sti operai,<br />

oggigiorno? Tutti signori sono diventati, stanno meglio di noi, stanno!”. “La<br />

verità è che non c’è più voglia di lavorare, signora mia”.<br />

Ma sì. Aggiungi guerre di Libia, nozze di principi, contrasti diplomatici<br />

con la vicina Francia, miliardari bavosi, corazzate, papi, pellegrinaggi: ma<br />

siamo nell’Ottocento! <strong>Un</strong> bellissimo Primo Maggio fin-de-siècle, in cui la<br />

Fiat non è ancora (o non è più) una Fabbrica ma una marca di cioccolatini o<br />

un club di finanza allegra: Ottocento! Il Corriere, nell’ultimo elzeviro,<br />

richiama pensosamente all’ordine, ché il momento è complesso; replicano i<br />

giolittiani che bisogna pur pensare anche al progresso; Sua Maestà<br />

ammonisce questi e quelli e in talune città, fra mille difficoltà ma tutto<br />

sommato con sicurezza, nasce una cosa strana, il sindacato.<br />

“Ma davvero potremmo chiedere… venti lire?”. “Ma certo! Tutti insieme,<br />

che ci possono fare?”. “Compagni! In questa giornata noi lavoratori…”.<br />

“Tenente! Favorisca schierare la prima fila!”. “Dammi un bacio, dai!”.<br />

“Perché in tutta la civile Europa le otto ore…”. “Per la seconda volta,<br />

sciogliere l’assembramento!”. “No, no… Leva le mani…”. “Francesi come<br />

prussiani nostri fratelli…”. “In nome della legge, scioglietevi!”. “Disordini<br />

fomentati da agitatori socialisti…”. “Gli storici interessi dell’Italia nel<br />

Mediterraneo…”. “Ohhh….”. “E dai tanto poi ci sposiamo…”. “Tienila su!<br />

Tieni su quella bandiera!”. “Com’è verde l’erba”. “Me la consegni!”. “No, è<br />

nostro diritto!”.<br />

Buio. Colori dietro le palpebre. Corpi in terra. Tempo che passa. Treni,<br />

trincee, rumori. Tempo che passa ancora. Tempo…<br />

* * *<br />

Bene, nell’Ottocento – per amore o per forza – ci si organizzava. Lo<br />

sciopero. Il sindacato. Il partito. I discorsi insieme. La rivoluzione.<br />

Non si può fare più? Chiedilo alla Tunisia. E’ solo che è una cosa diversa,<br />

un’altra cosa. Non c’è più zar nel Palazzo, è nello specchio. E’ in quel


mondo fasullo in cui ti fanno vivere fra tv e droga. Non usano più baionette<br />

ma favole, non sono più forti di te fisicamente, sei tu che tieni fermo te<br />

stesso con un sorriso felice sul viso assente. Se batti le mani abbastanza<br />

forte – così, un bel “ciaff!” da bambino – magari il rumore ti sveglia.<br />

Quello, o qualche cosa di simile: non una rivelazione o un’idea (che altro<br />

avresti bisogno di sapere?) ma semplicemente uno svegliarti. <strong>Un</strong> momento<br />

simbolico, basterà questo.<br />

* * *<br />

Lo sciopero generale, contro la mafia e Marchionne. Il nostro “partito”,<br />

che è la Fiom e Libera e tutto ciò che vive intorno ad essi. Il nostro governo,<br />

i nomi dei nostri ministri e presidenti – gente come Pertini o Caselli, non<br />

gente elucubrata nei palazzi -, la nostra unità nazionale che è quella di Parri<br />

e De Gasperi, del comandante Longo e del Cln. La nostra rivoluzione, coi<br />

lavoratori e le donne in prima fila (disarmati e tranquilli, perché è una<br />

rivoluzione e non un gioco) e le file dei carabinieri che si aprono lentamente<br />

per lasciarli passare. Con una fucilazione di pernacchie, una grande e<br />

liberatoria sghignazzata collettiva. Coi vecchi che si guardano allo specchio,<br />

le puttane che arrossiscono, i procacciatori e i magnaccia che corrono a<br />

nascondersi per un sentimento mai percepito.<br />

Non è possibile, dici? Chiedilo ad Ahmed, a Ridah, ai nostri concittadini<br />

tunisini. O anche a me se ti va, a me che ho visto quei venti mesi del<br />

Sessantotto. Ci uccisero con Piazza Fontana, quella volta. Ma forse<br />

quest’altra volta non ci riusciranno (ora, fra le altre cose, c’è Obama).<br />

Riccardo Orioles<br />

www.u<strong>cuntu</strong>.org<br />

www.gliitaliani.it


18 maggio <strong>2011</strong><br />

IL "PARTITO" CHE CRESCE<br />

Lo stanno costruendo i giovani. Senza saperlo…<br />

Forse i “moderati” sono una cosa del genere dei fondamentalisti islamici:<br />

fanno, dichiarano, dicono, sono al centro del mondo (sui giornali) ma poi, al<br />

momento del dunque, sono una minoranza non rilevante. L'Italia no si<br />

divide infatti, a quanto risulta, semplicemente fra santanchisti e gente<br />

normale: questi ultimi, a quanto pare, sono la maggioranza. E finalmente.<br />

La gente normale, in Italia, ha sempre avuto etichette un po' stralunate:<br />

comunisti, radicali, estremisti e chi più che ha più ne metta (io<br />

personalmente a sedici anni ero comunista perchè mi sembrava strano che i<br />

braccianti, giù da noi, dovessero dormire sui cannicci per terra). Ma era solo<br />

un modo di chiamare (un po' perché les bourgeois si spaventavano, un po'<br />

perché noi ci divertivamo molto a spaventarli) le cose che nel resto d'Europa<br />

erano normali.<br />

La tv serve principalmente a far sì che la gente normale e le cose normali<br />

appaiano strane, e normale invece il pazzo che si crede Napoleone. L'Italia è<br />

l'unico paese al mondo dove la tivvù sia andata al governo, e ci sia rimasta<br />

per vent'anni.Questo spiega perché, ai congressi internazionali di<br />

psichiatria, ci sia sempre qualcuno che, con gravità professorale, dice cose<br />

spiacevoli su noi italiani. Al prossimo congresso, speriamo adesso, il suo<br />

intervento sarà più breve, anche se ci vorrà molto tempo prima che venga<br />

abolito del tutto.<br />

* * *<br />

La sinistra che vince – perché è la sinistra che ha vinto, non c'è il minimo<br />

dubbio: il terzo polo è trascurabile e Fini un bluff – è una cosa stranissima, a<br />

osservarla da fuori. Vendola, De Magistris, i grillini, la parte “buona”<br />

(Bersani) del Pd vengono da storie diversissime, e si stupirebbero molto se<br />

qualcuno gli dicesse che in fondo sono facce diverse della stessa cosa. La<br />

“cosa” è la crisi della vecchia sinistra e la travagliatissima formazione di<br />

quella nuova.<br />

Il qualunquismo rivoltoso dei grillini, il culto della personalità dei<br />

vendoliani, la rudimentalità dei dipietristi, la goffaggine dei “sinistri<br />

federati”, l'ambiguità programmatica di Bersani, non sono dati politici, sono<br />

semplicemente gli annaspamenti di gente che vorrebbe nuotare, ma non si


decide a staccare i piedi <strong>dal</strong> fondo. La storia vecchia è finita, la nuova<br />

ognuno s'illude di trovarla da solo. Non c'è ancora esperienza di storie<br />

collettive; l'unica cognizione comune (ma è già moltissimo, qui e ora) è che<br />

bisogna muoversi, che il tempo dell'impotenza è finito.<br />

In questo c'è molto Ottocento, prima dei socialisti. Sette, partiti, gruppi,<br />

ribellioni con troppe “linee politiche” o nessuna. L'unica cosa comune (ma<br />

non percepita) era – banalmente – l'età. “Non prenderemo nessuno – disse<br />

uno di loro – che abbia più di quarant'anni”. A partire da questo, si potè<br />

andare avanti.<br />

* * *<br />

E anche adesso è così. Non per la sciocchezza del sindaco giovane o del<br />

candidato ventenne (Renzi, politicamente, è tanto anziano quanto Emilio<br />

Fede o la Santanché) ma perché è il collante di tutto, ed è profondo.<br />

Il grillino di Bologna, il giovane Pd di Trento o Genova, il rifondarolo di<br />

Catania, l'attivista elettorale di Pisapia e quello di De Magistris hanno in<br />

comune questo, al di là delle (poche) cose mature che dicono e delle (molte)<br />

cazzate che li impacciano: essi sono una generazione. Se riusciranno a<br />

riconoscersi, a esprimere un “partito” nei prossimi due o tre anni, l'Italia<br />

sarà salva. Altrimenti resterà il rimpianto.<br />

* * *<br />

L'Italia, in questi vent'anni, è stata attraversata da due cose. La prima, la<br />

ristrutturazione del sistema economico da industriale a finanziario. La<br />

seconda, il passaggio da patologia a fisiologia delle sue componenti<br />

mafiose. Le due cose hanno relazione fra loro. Hanno prodotto, fra l'altro, la<br />

“seconda repubblica” (in mano non ai politici, ma agli imprenditori), la fine<br />

del lavoro (sostituito <strong>dal</strong> precariato), l'eliminazione della proprietà pubblica<br />

(privatizzato tutto, fino alla scuola), l'uscita <strong>dal</strong>l'Occidente (Libia, Russia) e<br />

ovviamente da Keynes.<br />

Il punto in tutte queste cose s'intersecano, quello su cui bisogna avere le<br />

idee chiare e chieder conto, è la Fiat. Che cosa ne pensa Beppe Grillo (e il<br />

suo – non innocente – cervello politico, Casaleggio Associati)<br />

dell'abolizione del sindacato? E Bersani (e i giovani di Bersani) da che parte<br />

starà, prima o poi, con la Cgil o con Fassino?<br />

Nella città precaria che è Napoli, De Magistris cercherà alleati a Torino o<br />

si barricherà là dentro? Vendola impernierà la sua strategia sugli operai o<br />

continuerà a farne solo un caso umano? I “comunisti” riusciranno a ripercepire<br />

la lotta di classe, a capire che la falcemartello, per gli edili di


Roma (che sono quasi tutti rumeni) era il simbolo sul berretto dei poliziotti<br />

rumeni?<br />

Da queste domande dipende tutto. Non <strong>dal</strong>le risposte che verranno date<br />

(saranno, di necessità, ambigue e lente) ma da chi le farà. Se le faranno i<br />

giovani, e in concordanza fra loro, trasversalmente, allora il “partito” loro<br />

nascerà bene. Tutti i “partiti” storici – che solo raramente hanno un nome –<br />

nascono infatti molto più <strong>dal</strong>le buone domande che <strong>dal</strong>le risposte.<br />

* * *<br />

Cos'abbiamo in comune, oltre a Berlusconi? Che cosa tutti noi abbiamo<br />

fatto, nei momenti migliori, senza sostanziali differenze? Che cosa potrebbe<br />

unirci, noi della nuova repubblica, come nella prima ci unì la Resistenza<br />

antifascista e il suo ricordo?<br />

Risposta: l'antimafia. E' il movimento antimafia il filo rosso, comune a<br />

tutti noi, di questi due decenni. Fra ingenuità, goffaggini, e anche qualche<br />

salotto e qualche arroganza (ma anche l'antifascismo repubblicano ne ebbe)<br />

esso è nel suo complesso una storia giovane, sana nei suoi fondamenti e<br />

persino nei suoi errori.<br />

Bisogna votare subito. La Santanchè e la Lega sono minoritari nel Paese.<br />

Vincere i referendum, e poi da Napolitano a chiedere elezioni.<br />

Bisogna votare uniti. Al referendum è facile. Anche le elezioni politiche,<br />

dobbiamo trasformarle in referendum. <strong>Un</strong>a lista unitaria, antimafia e<br />

antiprecariato, con un candidato unico di immenso prestigio e chiarezza, un<br />

Pertini.<br />

(U<strong>cuntu</strong> sta uscendo in ritardo per mia colpa. Ma utilizzatelo tutti, è la<br />

vostra voce)


20 maggio <strong>2011</strong><br />

Roberto Morrione<br />

UNO DI NOI<br />

Giornalista e compagno. Giornalista perché serviva onestamente il suo<br />

pubblico, dandogli le notizie. "Compagno" perché era della vecchia Italia<br />

povera e popolare. In Rai (aveva cominciato con Enzo Biagi) fu l'unico a<br />

dare l'intervista di Borsellino su Berlusconi, e a darla subito, mentre gli altri<br />

ancora si chiedevano se fosse compatibile, dare una tale intervista, con la<br />

carriera. Professionista fino alla fine, soprattutto alla fine. Quando finì con<br />

la Rai non perse tempo con salotti tv e nostalgie ma si buttò a fondare un<br />

nuovo giornale: Libera informazione, il giornale di Libera, non su carta<br />

naturalmente ma sulla Rete.<br />

Lo riempì di ragazzi, alla Giuseppe Fava. Molti venivano <strong>dal</strong> Rita<br />

Express, il movimento nord-sud che rinnovò l'antimafia (e la politica) a<br />

metà del decennio; nessuno ebbe la lucidità di prenderlo sul serio, oltre lui.<br />

Ne fu maestro fedele e rigoroso, senza demagogie. Ne fece una redazione<br />

agguerrita e aggressiva, pronta a fiondarsi appertutto, su ogni verità da<br />

raccontare.<br />

Tutti gli uomini muoiono, prima o poi, è la nostra vita. Alcuni, vip e<br />

notabili, lasciano poco e niente: cerimonie e rumori. Altri, che credevano in<br />

altro, lasciano cose fatte, affetti, esseri umani, e buon lavoro da continuare.<br />

Roberto continua così, nei giovani che lo seguirono, e che sono nostri<br />

colleghi. Hai fatto bene ad aver fiducia in loro. Il lavoro sarà continuato.<br />

Riccardo Orioles, I Siciliani


7 giugno <strong>2011</strong><br />

QUESTO REFERENDUM E' UN'ELEZIONE<br />

Napoli, Milano, referendum: tre fasi della stessa tornata elettorale<br />

Le maggiori società industriali quotate in Borsa a Milano hanno chiuso il<br />

2010 (analisi R&S-Sole24Ore) con un aumento medio del margine<br />

operativo netto del 19 per cento, e dei profitti del 29 per cento. Il margine<br />

della Fiat sale del 108 per cento ma la sua quota di mercato è scesa, in Italia,<br />

del 30 per cento. Marchionne, in altre parole, ha perso un terzo delle<br />

vendite, ma ha raddoppiato i profitti.<br />

Ecco: il dato della politica italiana è tutto qua. Questi diciassette anni non<br />

sono stati gli anni di Berlusconi (anche), sono stati principalmente gli anni<br />

degli imprenditori. Elegantemente col centrosinistra, rozzamente con le<br />

varie destre, la Confindustria ha gestito il Paese ininterrottamente e a modo<br />

suo. L'industria (che rende meno della finanza) se n'è andata; il precariato<br />

ha sostituito il lavoro; è stato privatizzato, cioè regalato a privati, tutto il<br />

privatizzabile tranne (finora) i carabinieri. Le principali catastrofi sono state<br />

portate a compimento <strong>dal</strong>la destra ma cominciate, con le migliori intenzioni,<br />

da noialtri: la “riforma” dell'università comincia negli anni '90, e allora non<br />

c'era ancora la Gelmini.<br />

* * *<br />

Gli italiani, a Milano e a Napoli, hanno votato (o non sono andati a<br />

votare, come hanno fatto molti elettori di destra) soprattutto su questo.<br />

Hanno votato bene, perché i partiti e i politici non sono tutti uguali; c'è una<br />

gran differenza fra un teppista alla Bossi e un brav'uomo come Bersani. Ma<br />

di Fiat, nel complesso, non s'è parlato.<br />

C'è nostalgia per la Repubblica, per tempi di minore ferocia e più civili;<br />

gli operai vanno trattati meglio, la mafia è una cosa brutta, l'Italia deve<br />

restare unita, non bisogna portarsi a letto le ragazzine. Ma di precarietà e di<br />

fabbrica s'è parlato – concretamente – molto poco. A tutt'oggi nessuno ha<br />

preso concretamente posizione contro Marchionne e se qualcuno parlasse di<br />

nazionalizzare la Fiat (cosa che in Germania sarebbe stata probabilmente<br />

presa in seria considerazione) verrebbe preso per matto o peggio per<br />

comunista.<br />

Eppure, quello è il cuore di tutto. La Fiat, nel giro di pochi mesi, ha<br />

completamente distrutto il sistema industriale italiano, sia nei diritti che


nella produzione, e il suo esempio è stato entusiasticamente seguito da quasi<br />

tutti. La Bialetti, poche settimane fa, ha delocalizzato non più in Cina (cosa<br />

ormai ”normale”) ma in India: un'altra ferita che si apre, e che verrà<br />

allargata.<br />

Secondo una della principali società di consulenza finanziaria,l'Italia sarà<br />

superata economicamente <strong>dal</strong>l'India prima del 2030; e poco dopo <strong>dal</strong><br />

Brasile, e molto prima <strong>dal</strong>la Cina. Con le nostre industrie, col nostro knowhow,<br />

con i nostri capitali. Noi ci accaniamo contro gli immigrati – falso<br />

problema – e mostriamo molta e nuova ferocia in questo; ma fra una<br />

generazione o meno, continuando così, sui gommoni rischiamo di finirci<br />

noi.<br />

* * *<br />

Questo referendum è una elezione politica, come le amministrative di<br />

Napoli e Milano; è inutile nascondere la realtà con un dito. Si vota pro o<br />

contro il governo, in primo luogo; si vota - ma solo indirettamente, per ora –<br />

pro o contro il mantenimento del catastrofico sistema attuale, che non è più<br />

capitalismo ma qualche altra cosa. Sarà una decisione difficile, e per<br />

prenderla ci vorranno degli anni; ma il processo, a mio parere, è già<br />

cominciato e la gente, anche se non ha le parole, comincia ad averne la<br />

percezione e il sentimento.<br />

La sinistra, per caso (per amore o per forza, a Napoli e a Milano) ha<br />

raggiunto un assetto che a me sembra vincente, pur nella sua ambiguità<br />

sostanziale. Il Pd fa da bastoncino dello zucchero filato, e attorno gli si<br />

attorciglia la società: quella di Vendola, quella di Di Pietro, quella di Beppe<br />

Grillo (sì, anche quella, alla base). Tutti questi pezzi sono vari e rozzamente<br />

rappresentati (il personalismo dei tre suddetti, da solo, meriterebbe lunghe<br />

meditazioni) ma nel complesso funzionano. Bersani, persona seria e non<br />

gonfia di sé come Veltroni, ha capito il gioco e si lascia portare.<br />

Questo significa la fine di Berlusconi, lo sfascio del suo asse sociale<br />

(nessun candidato leghista, a Milano, ha preso più di qualche decine di<br />

preferenze, tranne un paio di caporioni) e l'individuazione plateale, non<br />

nascondibile, di una maggioranza nuova. Quest'altra maggioranza in parte è<br />

di sinistra, in parte ha semplicemente paura. Su questo giocherà la<br />

Confindustria per fare il suo governo (probabilmente Tremonti), che sarà<br />

“d'unità nazionale”.<br />

Ma anche Badoglio lo era. Non durò a lungo perché la sinistra d'allora<br />

seppe mettere insieme la massima unità e “moderazione” ideologica con la


massima radicalità nella lotta (“non aspettiamo più, diamo addosso ai<br />

tedeschi”).<br />

Allora la sinistra era semplice, concentrata quasi tutta in un solo<br />

(rudimentale) partito. La sinistra di ora (oh, se volete chiamarla in qualche<br />

altro modo fate pure, è lo stesso) è complicata, è profonda, è difficile, e<br />

soprattutto non avrà mai più un unico partito – per fortuna. In compenso, ha<br />

l'internet. E questo dovrebbe bastare.<br />

* * *<br />

Fiat o non-Fiat, mafia o non-mafia, non sono le fantasie di qualcuno, sono<br />

le domande profonde a cui ciascuno di noi gente comune deve ormai<br />

rispondere, nel corso della sua vita quotidiana. La politica è sempre nata da<br />

queste domande, in realtà. E così alla fine succederà anche ora.


22 giugno <strong>2011</strong><br />

RIVOLUSSIONE…<br />

Cos'è una rivoluzione, oggigiorno? Perché è nonviolenta, perché si può<br />

fare<br />

Giusto, ha vinto internet. Ormai è banale dirlo ma queste tre elezioni<br />

(Milano, Napoli e i referendum) sono la data di nascita del “partito” nuovo,<br />

della nuova organizzazione di massa. Il “L'avevo detto” è irrefrenabile<br />

(penso al San Libero di dieci anni fa), ma in fondo è sciocco: non ci voleva<br />

granché per capire che cosa si stava preparando, bastava tenersi fuori <strong>dal</strong><br />

ceto politico riconosciuto e, pagandone i prezzi, ragionare.<br />

Hanno perso gli imprenditori. E' <strong>dal</strong>la “Milano da bere”, dunque dagli<br />

anni Ottanta, che la politica si ufficializza sempre più in un pensiero: il<br />

Paese è un'azienda, le aziende lo compongono, e tutto il resto è contorno.<br />

Neanche il pensiero di Mao era stato così categorico e indiscusso.<br />

I nuovi imprenditori italiani, in buona parte, sono stati – parlano i conti –<br />

la zavorra dell'economia italiana. Hanno rosicchiato un'industria<br />

faticosamente costruita negli anni duri, hanno mandato all'estero macchine e<br />

mercati, ci hanno trasformato - per pura avidità, senza accorgersene – un<br />

dignitoso paese industriale in un pastrocchio indefinibile fra postsovietico e<br />

terzo mondo. Le magnifiche sorti e progressive.<br />

Abbiamo sfiorato il nazismo, in questi anni, e se ne leggeranno le<br />

cronache, anni dopo di noi, con un senso d'orrore.<br />

* * *<br />

In questo disastro, creato dai possidentes, imposto a colpi di tv e mafia<br />

<strong>dal</strong>la destra e vaselinato dai leghisti, le colpe della sinistra sono tremende. Il<br />

medioevo sociale di Berlusconi - precariato, privatizzazioni selvagge,<br />

università, scuola – è cominciato col centrosinistra, che di queste “riforme”<br />

andava fiero e orgoglioso.<br />

Solo quando la gestione è passata alla destra, e le poche carote sono state<br />

sostituite dai bastoni, il centrosinistra (non tutto) ha cominciato ad<br />

accorgersi del danno fatto. La privatizzazione dell'acqua, ad esempio,<br />

nacque anche in Sicilia, con Bianco il “riformista”, e venne portata avanti<br />

da una lobby precisa dentro il Pds.<br />

Adesso questo è finito, almeno ora. Bersani si è impegnato onestamente<br />

sui referendum, ha sostenuto a spada tratta posizioni che due anni fa


avrebbero spaccato il partito, si è dimostrato coi suoi paciosi “ohè ragassi”<br />

un leader molto più serio e affidabile dei magniloquenti e catastrofici<br />

Veltroni e D'Alema.<br />

Ma anche lui non osa prendere posizione sulla Fiat (qui ci si spaccherebbe<br />

davvero, con un Fassino che sta a Marchionne come una volta Cossutta a<br />

Breznev), persino dire “stiamo con gli operai” è troppo pericoloso, in un<br />

partito nato esattamente dagli operai della Fiat, cent'anni fa. E va bene.<br />

Inutile piangere sul latte versato: meglio pensare che la sinistra ufficiale<br />

in questo momento è la meno peggio che si vede da molti anni, con ali ben<br />

distinte fra loro ma non nemiche, con personalismi assai forti (Vendola, Di<br />

Pietro, Grillo) ma tutto sommato controllabili, con una dura opposizione al<br />

governo attuale - non al sistema che l'ha prodotto - e con la vaga sensazione<br />

che forse privatizzazioni e precariato hanno qualche piccolo difetto.<br />

Va bene, non si può chiedere troppo <strong>dal</strong>la vita: questo può darci oggi la<br />

“politica”, ed è già tanto.<br />

* * *<br />

Al resto, dobbiamo pensarci noi, con altri mezzi. Quali? Ohè ragassi, ma<br />

la rivolussione naturalmente!<br />

Aaaargh! Nel duemila e passa! Queste parole orribili! Queste... queste<br />

cose selvagge e sanguinolente! Queste cose impossibili, fuori <strong>dal</strong> tempo!<br />

Momento. Le rivoluzioni nel duemila si possono fare, e si fanno<br />

benissimo difatti. Vedi Egitto, vedi Tunisia e un pochino forse anche<br />

Milano. Le rivoluzioni oggi possono essere nonviolente (debbono esserlo,<br />

perché lo zar non ha più i cosacchi ma le televisioni) e non sono meno<br />

rivoluzionarie per questo (chiedetelo a Obama).<br />

Rivoluzione vuol dire uscire coscientemente <strong>dal</strong> vecchio sistema e<br />

organizzarsi direttamente alla base, con sistemi nuovi. Discutere ma fare<br />

anche eventi di massa. Quali sono le bastiglie oggi? I palazzi d'inverno?<br />

Non hanno mura e cannoni, ma ci sono lo stesso; non più in una singola<br />

piazza, ma diffusi.<br />

Quella dozzina di liceali che organizza la lotta per l'acqua, in un paesino<br />

della Sicilia, e solo dopo si rivolge (se si rivolge) ai partiti, è rivoluzionaria;<br />

e alla fine vince. Quel gruppo di studenti a Milano, che parla di<br />

informazione e, saltando i decenni, riparte da Giuseppe Fava, è<br />

rivoluzionario; altro che Vespa e Santoro.Quella ragazza sveglia,<br />

frequentatrice dei Siciliani anni '90, che dopo anni organizza il primo<br />

sciopero degli immigrati, è rivoluzionaria.


Si unissero tutte queste forze fra loro, facessero corpo insieme,<br />

sprizzassero scintille: che cosa sarebbe questo, se non una rivoluzione?<br />

* * *<br />

Cìè un unico ostacolo serio, ed è la nostra insufficienza. Insufficienza<br />

culturale, non di forze. Stiamo perdendo tempo, stiamo perdendo occasioni.<br />

Ricordate com'è cresciuto Berlusconi? Con un progresso tecnico,<br />

l'emittenza locale. E' là che - per colpa nostra - ci ha battuto. Eravamo molto<br />

più forti di lui, negli anni Settanta, in questo campo. Duecentocinquantatrè<br />

radio libere di sinistra (una era quella di Peppino) e mezza dozzina di tv.<br />

Queste sono state date via perché tanto c'era già il nostro spazio Rai. Quelle<br />

non riuscivano mai a coordinarsi fra loro, neanche per un momento, e<br />

passavano il tempo a giocare a “rradio-rrossa-alternativa”. Intanto<br />

Berlusconi macinava.<br />

E' quel che sta succedendo oggigiorno. Abbiamo scoperto l'internet, ci<br />

abbiamo galoppato come i Sioux delle praterie. Ma gli altri lo colonizzano,<br />

in compagnie e reggimenti e con l'artiglieria. E noi continuiamo a<br />

galoppare, ognuno nella sua valle, allegramente.<br />

* * *<br />

Su che cosa sarà il prossimo referendum (è ovvio che bisogna farlo)? Sul<br />

precariato, per caso? Ci saranno elezioni? Quando ci faranno votare?<br />

L'accordo Confindustria-Tremonti sostituirà Berlusconi, o ci sarà spazio per<br />

una soluzione “milanese”?<br />

La Lega sparerà, o si limiterà alle parole? Noi saremo un “partito”, o solo<br />

un'occasionale massa elettorale?<br />

Quante domande, che un mese fa non esistevano... Il mondo va assai di<br />

fretta di questi tempi. Non restiamo a guardare.


6 luglio <strong>2011</strong><br />

BUONE VACANZE, ANZI NO<br />

C'è tanto da fare, proprio ora…<br />

Spero che siate in vacanza, tutti meno quelli che portano avanti siti, blog,<br />

movimenti e roba varia. Siete infatti l'unica forza concreta di questo paese. I<br />

politici, per quanto benintenzionati, sono dilettanti: Di Pietro che fa i<br />

capricci, Vendola sì-e-no, Veltroni che vuole i referendum ma nel Pd, Grillo<br />

che oggi è Mao e domani Fantozzi...<br />

I cattivi, purtroppo, in vacanza non ci vanno mai. Noi abbiamo<br />

dimenticato il G8, ma loro no, e infatti ci riprovano a ogni occasione. Noi<br />

non riusciamo a fare una rete unita, e loro appena possono ce la strozzano<br />

coi bavagli. Noi ci accapigliamo sul sesso dei diavoli e loro, ridendo e<br />

scherzando, preparano golpe alla vaselina.<br />

Gli operai, in vacanza ci vanno poco e male. Quelli più fortunati (i<br />

polentoni, i terroni al nord e tutti gli altri “perbene”) ci vanno col cuore in<br />

gola, non sapendo se ritroveranno la fabbrica (svanita in Cina, in India, o<br />

semplicemente in cocaina) e se dovranno lavorare il doppio o solo qualche<br />

ora in più.<br />

Per tutti gli altri – callcenterine romane, neri, terroni al sud, muratori<br />

rumeni – la parola “vacanza” è una di quelle a cui anche solo pensare è<br />

pericoloso, come “pensione”, “contratto”, “orario” o “avvenire”.<br />

* * *<br />

Ecco, è un'estate così. Ma non stava vincendo il centro sinistra? Ma<br />

Berlusconi non stava andando a ramengo?<br />

Sì, nei giornali è così. Ma nella realtà non ci sono solo la destra e la<br />

(centro)sinistra, c'è anche chi sta sopra e chi sta sotto. Lo scontro vero è<br />

quello, anche se è maleducato parlarne. Ma tutto ciò che succede,<br />

Berlusconi o Bersani, lega o tricolore, ha un senso solo se chi sta sotto<br />

comincia a salire un poco, e questo non lo decide la “politica” ma altre cose.<br />

I guai in famiglia non mancano, siamo sinceri. C'è lite fra Cgil e Fiom,<br />

cioè fra il sindacato “politico” e quello degli operai organizzati. Noi – fra<br />

amici si parla chiaro – diciamo che ha ragione la Fiom, pane al pane. Fa<br />

male la Camusso a trattare su cose senza le quali né gli operai né il Paese<br />

possono campare.<br />

Ma non di tradimento si tratta, bensì di errore: uno dei tanti sbagli in


uonafede di cui è costellato il cammino (né sarà l'ultimo) dei lavoratori.<br />

Non è un pranzo di gala, diceva il tale. L'importante è che almeno qualcuno<br />

abbia le idee chiare e non si lasci scoraggiare e abbia pazienza, e poi la dura<br />

realtà – l'unica maestra seria – farà il suo lavoro.<br />

Ricordo quell'operaio cinquantenne, si chiamava Bastiano, il più<br />

diffidente della fabbrica. “Sciupirari? e picchì? cca concludemu? 'A fuorza,<br />

simpri iddi ci l'hannu!”. Eppure, quando occupammo la fabbrica, era<br />

davanti al cancello, in prima fila: “Non si campa cchiù! Che vita è? Pissu<br />

ppi pissu, facemu a luttacontinua tutt'insemi e quannu finisci si cunta!”.<br />

* * *<br />

Nella crisi Marchionne (su cui insistiamo moltissimo perché è il centro di<br />

tutto, sia della “politica” che della realtà vera) c'è stato un episodio<br />

trascurato dai media, ed anche <strong>dal</strong>la maggior parte dei blog indipendenti. E'<br />

stato quando gli operai della Fiat serba, quella che doveva far da crumira a<br />

Mirafiori, a un certo punto propongono ai torinesi: “Bene, allora<br />

incontriamoci e mettiamoci d'accordo. Magari organizziamo qualcosa<br />

insieme. Visto che il padrone è lo stesso...”<br />

Non è che siano stati presi molto sul serio. Normale, nell'ottocento (siamo<br />

nell'ottocento, lo sapete). Normale ma non scoraggiante – all'inizio le cose<br />

vanno piano. Fatto sta che per la prima volta è stata messa sul tavolo,<br />

elementare ingenuo e tutto quel che volete, l'idea di uno sciopero<br />

multinazionale.<br />

E' un'idea pericolosa, specie se messa insieme (e qualche operaio ci<br />

penserà, ci puoi giurare) con l'altra di organizzarsi in rete (Tunisia, Milano)<br />

per fare cose “politiche”, più o meno moderate. Io dico che andrà così,<br />

prima o poi. “<strong>Un</strong>o inventa la tipografia e quegli zozzoni di operai dopo un<br />

po' ne approfittano per farsi i volantini. Si figuri con internet, signora mia”.<br />

* * *<br />

Succedono tante cose, nel mio paese. Al Nord i volontari cattolici<br />

spazzano via la Lega. A Parma i cittadini che due anni fa lodavano i vigili<br />

che picchiavano i negri ora linciano il sindaco di cui hanno scoperto, poveri<br />

innocenti, che è un po' ladrone. A Napoli, la città più “qualunquista” d'Italia<br />

(giusto, signora mia?), dànno a De Magistris esattamente gli stessi voli di<br />

trent'anni fa a Bassolino: traditi ma non arresi, non rassegnati affatto al “non<br />

c'è nulla da fare”.<br />

A Roma “consulitur”, ma Sagunto non si lascia espugnare affatto. Questo<br />

è il clima.


* * *<br />

Tutto questo si unisce in un concetto semplice: facciamo rete.<br />

Dappertutto, e senza etichette. Abbiamo un modello vincente, è l'antimafia.<br />

Senza etichette e chiacchiere (e quando ne ha di solito sono dannose), è il<br />

movimento-locomotiva di tutti gli altri. Vi serve un programma politico?<br />

Tre parole: Dalla Chiesa e Impastato.<br />

E poi non mollate i siti, continuate a remare. Certo, ciascuno di noi è<br />

moralmente giustificato quando non ce la fa più e molla il remo. Tutto così<br />

pesante, nessuno a dirti bravo. Eppure dobbiamo continuare. Non siamo più<br />

stretti in difesa ma stiamo costruendo - ora - l'alternativa.<br />

* * *<br />

Io dico “siti” perché sono vecchio e mi pare di dire chissà che modernità.<br />

Ma in realtà le cose sono molto più avanti, e a portata di mano. Per<br />

esempio: c'è la tv guarda-e-dormi che sta morendo, per colpa non di Santoro<br />

ma di i programmi divertenti su YouTube (“Freaks” ha preso milioni di<br />

accessi, e con quattro soldi). C'è la destra che è morta, e sono i gruppi FB<br />

che l'hanno seppellita.<br />

C'è il centrosinistra che non osa essere troppo di destra (e Dio sa se<br />

vorrebbe) per paura di restar solo. C'è Repubblica che migra sempre più da<br />

carta a rete (sempre restando saldamente in mano a un padrone) applicando<br />

i suoi soldi alle nostre idee. Ma soldi non ce ne vogliono poi tanti. E noi<br />

stiamo qui a fare (solo) il nostro sito?<br />

(PS: A Catania Tony Zermo ha appena benedetto il nuovo sindaco, un<br />

giovane “di sinistra” assai ragionevole. Il suo rivale – o alleato, non s'è<br />

capito bene – è un giovane “di destra” altrettanto ragionevole. Danno<br />

interviste insieme, fraternamente. Entrambi sono amici delle costruzioni<br />

ragionevoli (corso Martiri, ad esempio), entrambi ragionevolmente ben<br />

trattati da Ciancio. Auguri...)


19 luglio <strong>2011</strong><br />

PERCHÉ NON TUTTI INSIEME?<br />

RETE, TECNOLOGIE E UNITÀ<br />

“Aiutati che Dio t'aiuta”. E certo non ci aiuteranno, in Sicilia, gli<br />

imprenditori o i rettori...<br />

Omen nomen: si chiamava Recca l'editore che licenziò Giuseppe Fava (e<br />

poi me) <strong>dal</strong> Giornale del <strong>Sud</strong>, giusto trent'anni fa, in una bella estate<br />

catanese come questa. Era un brav'uomo, tutto sommato; ma aveva a che<br />

fare con gli uomini di Graci.<br />

Anche il Recca di adesso, quello che come magnifico rettore ha<br />

imbavagliato d'autorità i suoi studenti sarà una brava persona, sicuramente;<br />

ma “il coraggio, monsignore, uno non se lo può dare”; e nel caso del Recca<br />

contemporaneo non ce ne vorrebbe di meno, perché in mancanza d'un Graci<br />

qua c'è da fare i conti con Ciancio; che è sempre un bell'affare.<br />

Ma lasciamo andare. Annotiamo rapidamente che l'imbavagliata di Recca<br />

è deplorevole non solo per il pessimo esempio ai discenti in tema di<br />

democrazia, ma anche per la caduta d'immagine dell'università a lui affidata.<br />

Che già prima non mancava di suscitare pettegolezzi sull'illustre<br />

cattedratico famoso per aver pubblicato un libro di assoluzione della mafia<br />

subito dopo l'assassinio di Fava, o su quello - non meno illustre - sputtanato<br />

in tv mentre cercava di “esaminare” a modo suo una studentessa.<br />

Adesso l'università di Catania non ha bisogno d'altro: dopo don Corleone<br />

e don Giovanni, può mettere don Basilio fra i suoi luminari.<br />

In questo declassamento dell'Ateneo Recca peraltro non è solo, facendogli<br />

buona compagnia i colleghi donabbondi (la quasi totalità del corpo<br />

accademico) che non hanno ritenuto di esprimersi pubblicamente e<br />

personalmente su un episodio che sarebbe stato assolutamente normale<br />

all'università dell'Uzbekistan o del Kalahari.<br />

Catania, come sapete, ha avuto un giornalista (che era poi siracusano e<br />

non catanese) assassinato dai padroni della città. Ne ha avuto alcuni altri<br />

minacciati, più o meno pubblicamente. Ne ha avuti non uno o due, ma<br />

decine e decine emarginati, ridotti al lastrico, privati dei loro giornali,<br />

strozzati in tutti i modi; costretti a lasciar la Sicilia o diversamente a<br />

accettare - prezzo di libertà - una vita di durissimi sacrifici.


Non parlo per sentito dire. Per quasi trent'anni ho dovuto reclutare e<br />

gettare nella fornace giovani coraggiosissimi e bravi, ai quali sapevo<br />

benissimo di non poter promettere altro - finché fossero rimasti a Catania -<br />

che onore e stenti.<br />

<strong>Un</strong> vero genocidio professionale, di cui non si ama parlare: logica<br />

conseguenza del monopolio, spietatamente esercitato, che nessuno<br />

seriamente contrasta se non qualche veterano superstite e spesso, grazie a<br />

Dio, una generazione di ragazzi.<br />

La forza dell'antimafia catanese, quanto all'informazione, è insomma tutta<br />

di volontari e poveri, e lo è sempre stata.<br />

Né sulle istituzioni “colte” qui si può contare (il caso Step1 ne è la prova),<br />

né su imprenditori privati, ora come ora; anche quelli che hanno deciso di<br />

non star più con la mafia, quando si tratta d'informazione preferiscono<br />

quella tranquilla e complice, quella ufficiale.<br />

Giornali al di fuori di Ciancio, editori illuminati? Chiacchiere, e fin<br />

troppo interessate. S'è visto nel caso <strong>Sud</strong>press, con l'editore “illuminato”<br />

risultato alla fine un politicante qualsiasi, con interessi concretissimi e grevi.<br />

* * *<br />

Ma allora non c'è niente da fare? Ce n'è moltissimo invece, e da fare in<br />

fretta. Abbiamo un'occasione irripetibile, la seconda generazione delle<br />

nuove tecnologie (ebook, Pdf, iPad, kindle) che acquistano sempre più<br />

terreno, e sono relativamente economiche, o almeno non comportano la<br />

maggior parte dei costi vivi, tipografici.<br />

Sostituiranno la carta stampata? No: ne sostituiranno solo una parte. Ma<br />

s'integreranno perfettamente, in un sistema misto e articolato, con la restante<br />

parte di essa.<br />

Staranno sul mercato? Ancora no (in Italia: ma nei paesi anglosassoni<br />

cominciano già a superare la carta stampata), ma ci staranno benissimo fra<br />

due o tre anni, man mano che si allargheranno i target e si svilupperanno i<br />

sistemi (vedi U<strong>cuntu</strong> 113) sistemi di pagamento elettronici.<br />

Siamo in grado di farli? Da soli, noi di U<strong>cuntu</strong>, no; ma tutti insieme sì,<br />

benissimo e ad alto livello. Non sono le competenze che ci mancano - ci<br />

mancano l'organizzazione e i quattrini.<br />

Di questi, nel settore elettronico, non ce ne vogliono ora poi tanti; e<br />

possiamo tener duro da volontari ancora un anno.<br />

E un'organizzazione seria e professionale si può fare benissimo (non sono<br />

le esperienze che ci mancano) se ci decidiamo a lavorare tutti insieme,


senza mezze misure e senza riserve.<br />

Siamo ripetitivi, d'accordo. Ma il progetto, l'unico che può salvarci come<br />

giornalisti liberi, è questo. Tecnologie e unità. Rete e giornali elettronici. <strong>Un</strong><br />

giro di prodotti modernissimi ma anche (dove servono), di “vecchi” giornali<br />

di quartiere. E poi tutti insieme, a maturità conseguita, sul mercato.<br />

Non è una faccenda semplice, non lo è professionalmente ma non lo è<br />

soprattutto sul piano diciamo così “politico”. In altre parti d'Italia si può<br />

giocare con le parole, essere educati e gentili. Qui, per essere appena appena<br />

dei conservatori perbene, bisogna essere subito dei “pazzi scatenati” e degli<br />

“estremisti”, o almeno acconciarsi a venir trattati come tali.<br />

Qui non ci sono spazi di mediazione con il potere, ché qui il potere è<br />

Sistema. E qui il nostro mestiere diventa una cosa maledettamente<br />

complicata.<br />

Ma facciamo un esempio, tanto per capirci. Ci sono due giudici in lizza<br />

per un posto in Procura. Dei due, uno è platealmente governativo, e non può<br />

ispirare fiducia a chiunque non sia del suo partito. L'altro, meno estremista,<br />

ha tuttavia la disgrazia di essersi fatto beccare a cena con un mafioso.<br />

Senza grida, senza urla, senza pretese di scoop e senza mai ingiuriare<br />

nessuno, noi e pochi altri (all'inizio, fra i colleghi, solo Pino Finocchiaro e<br />

Giuseppe Giustolisi) abbiamo portato avanti l'idea che ci sembrava più<br />

logica: scegliere un terzo giudice, fuori <strong>dal</strong>la città. Apriti cielo! Siamo<br />

“cattivi maestri”, siamo “amici di Ciancio”, siamo “intellettuali fuori <strong>dal</strong>la<br />

realtà”.<br />

Quel che è peggio, sono stati violentemente aggrediti i ragazzi del<br />

Coordinamento Fava che ci avevano ospitati (“antimafiosi da strapazzo”) e<br />

il vecchio giudice Scidà, che questa tesi portava avanti in solitudine da<br />

molti anni. Su di lui si sono accaniti in modo particolare.<br />

Alla fine, com'era ovvio, la logica ha avuto ragione. <strong>Un</strong> giudice<br />

“continentale”, non chiacchierato da nessuno, verrà molto probabilmente<br />

nominato. Gli stessi che prima difendevano (secondo le rispettive ideologie)<br />

questo o quel candidato, adesso si dichiarano d'accordissimo sul giudice “di<br />

fuori”. Tutti aderiscono a gara alla buona battaglia, ora che è quasi vinta.<br />

Va bene. Le novantanove pecorelle, il vitello grasso e così via.<br />

L'importante è che ora siamo tutti d'accordo, chi ci credeva da subito (e ne<br />

ha pagato i prezzi) e chi si è convinto dopo.<br />

* * *<br />

Dopo queste esperienze (e tenendo conto che non solo di Procura si tratta,


e che è già in agenda la madre di tutte le speculazioni edilizie catanesi,<br />

corso Martiri), a un poveraccio vien voglia di mandare tutti quanti a quel<br />

paese, e di fidarsi d'ora in poi solo ed esclusivamente dei ragazzi. Da quelli<br />

di Step1 a quelli (che ora stanno organizzando il loro jamboree a Modica)<br />

del Clandestino, ai nostri di Lavori in corso, passando per Periferica e<br />

Cordai.<br />

Saremo insufficienti allo scopo, saremo “troppo giovani”, saremo anche<br />

buffi se volete , ma almeno abbiamo le idee chiare su chi comanda in Sicilia<br />

e sul perché deve smettere di comandare.<br />

“Quando i giochi si fanno duri - ricordate il collega Belushi? Gran bravo<br />

ragazzo, il Belushi - i duri cominciano a giocare”.<br />

Bene, noi ora cominciamo a giocare sul serio. Prima che finisca l'estate:<br />

lavori in corso. Alla prossima puntata.


2 agosto <strong>2011</strong><br />

I PATRIZI, I PLEBEI<br />

E L'IMPERATORE PAZZO<br />

“Tremonti o Amato”, dicono i senatori...<br />

1.647 emigranti sono morti nel Canale di Sicilia nei primi sette mesi del<br />

<strong>2011</strong>. 5.962 <strong>dal</strong> 1994. Gli ultimi venticinque l'altro ieri, vicino a<br />

Lampedusa. Gli emigranti superstiti, dai campi di concentramento,<br />

protestano disperatamente da Ponte Galeria a Mineo, ma se ne sa quasi<br />

niente perché il governo ha vietato ai giornalisti di avvicinarsi ai campi.<br />

* * *<br />

<strong>Un</strong>a delle principali multinazionali del pianeta, la Foxcom (fabbrica gli<br />

Apple, i Dell, i Sony e gran parte degli altri giocattoli di massa) prevede di<br />

utilizzare nelle sue fabbriche novecentomila robot nei prossimi tre anni,<br />

facendo a meno di altrettanti operai.<br />

* * *<br />

Continua la catastrofe della Fiat sotto Marchionne. 7,8 per cento di<br />

vendite in meno nell'ultimo mese.<br />

* * *<br />

Colloqui banche-industrie-sindacati per un “governo tecnico” e un patto<br />

sociale. Repubblica azzarda i nomi dei “tecnici”: Mario Monti, Giuliano<br />

Amato o - il più probabile di tutti - Giulio Tremonti. Dopo l'imprenditore<br />

Berlusconi, avremo, a quanto pare, un altro governo degli imprenditori.<br />

* * *<br />

Queste sarebbero le notizie. Il commento è scontato. La crisi italiana si<br />

risolverà (o cercheranno di risolverla) tutta dentro al Palazzo. Dunque, non<br />

sarà risolta.<br />

I quaranta milioni di italiani (di più, considerando anche gl'italiani senza<br />

identità di cui nessuno sa esattamente il numero, come per gli schiavi<br />

dell'antica Roma) che hanno pagato questi vent'anni di Berlusconi -<br />

dell'imprenditore Berlusconi, e di tutti gli altri imprenditori che l'hanno<br />

appoggiato - non hanno voce in capitolo, non la debbono avere.<br />

Il prossimo Berlusconi starà un po' più attento con le donne, non<br />

racconterà barzellette idiote, sarà un po' meno ridicolo quando avrà a che<br />

fare con presidenti e regine e questo, nelle intenzioni del Palazzo, è più che


sufficiente per noi poveracci. Contentiamoci. Giusto?<br />

* * *<br />

Parlavamo di Roma, quella senza Cristi e senza illusioni: l'impero.<br />

Approfondiamo il paragone. Anche allora ogni tanto un imperatore<br />

impazziva, e i proprietari del mondo - i senatori, i patrizi, coloro che<br />

secondo se stessi erano Roma - ne avevano paura. A volte, di malavoglia, si<br />

ribellavano.<br />

“Forza, plebe! Seguiteci! Viva la libertà! Morte al tiranno!”.<br />

E i plebei, che da generazioni lottavano sordamente per le loro vite, li<br />

guardavano diffidenti: “Ma voi non eravate a corte con l'imperatore?”.<br />

“Tempi passati! Adesso pensiamo a Roma!”. E i plebei, non del tutto<br />

persuasi, li applaudivano.<br />

“Quale artista muore con me!” sospirava Nerone. E già i senatori<br />

litigavano sul prossimo imperatore e su quanti pretoriani e quanti gladiatori<br />

sarebbero stati necessari per tener buona la plebe in avvenire.<br />

* * *<br />

L'impero alla fine cadde, perché non può durare un impero con troppo<br />

poca tecnologia e troppi schiavi. Ma questo i senatori non lo sapevano, e<br />

non gl'interessava saperlo.<br />

(Intanto, fra gli schiavi, si macinava qualcosa. Tutto un mondo diverso, né<br />

senatorio né imperiale. <strong>Un</strong>'altra cosa.)


16 agosto <strong>2011</strong><br />

IL PROSSIMO PASSO, UN PO' PIÙ IN SU<br />

Ne parleremo a Modica, al “Clandestino”<br />

Stavolta non c'è nulla di complicato. Infuria la lotta di classe, col Capitale<br />

(direbbe quel tale) che picchia senza scrupoli i Lavoratori. In realtà le cose<br />

non stanno esattamente così: il “capitalismo” come l'abbiamo conosciuto<br />

non esiste praticamente più da una ventina d'anni (è diventato automatico, e<br />

incontrollabilmente non-umano), e sarebbe anche ora di trovargli un altro<br />

nome.<br />

Quanto ai lavoratori (di qualunque lavoro si tratti, alcuni assai strani), si<br />

sfruttano in buona parte da sé medesimi, anch'essi in automatico, senza<br />

saperlo. Marchionne non è un “padrone” (né lo è il compagno Chin-chi-lao<br />

della Commissione Industria del Partito comunista cinese, che sempre più<br />

gli somiglia), ed entrambi non comandano in quanto proprietari di qualcosa.<br />

Il computer su cui scrivo, infine, in parte è ancora una “merce” e in parte<br />

no; è merce l'hard-disk faticosamente e marxisticamente costruito dai<br />

bambini cinesi, ma non lo è affatto il bel design, che invece è un prodotto<br />

culturale, che però pesa - nel mercato moderno - per più della metà.<br />

Siamo insomma contemporaneamente nel 1810 e nel Tremila, e questo<br />

crea qualche problema nel capire le cose, abituati come siamo a ragionare<br />

seriamente solo ogni cent'anni (Marx, Keynes, Gandhi...) e per il resto a fare<br />

o resistenza o nostalgia.<br />

Sarebbe ora di rimetterci a lavorare di buzzo buono su queste cose, perciò<br />

se fra i nostri l'ettori c'è qualche piccolo Marx o Keynes potenziale (cosa<br />

niente affatto improbabile, con la cultura di massa e dell'internet che la<br />

spamma in giro dappertutto) lo prego di mettersi subito all'opera senza<br />

perder più tempo con la “politica” corrente, il Nintendo e gli altri giochi.<br />

* * *<br />

Fine della parentesi. In Italia, distrutte le garenzie democratiche (e<br />

keynesiane, che erano inseparabili da esse) si va al muro contro muro, e<br />

prima ce ne rendiamo conto meglio è. Il fulcro non è Berlusconi ma Fiat.<br />

Quest'ultima è il prodotto più apertamente esplicito di un sistema che ormai<br />

comprende tranquillamente anche la mafia, in senso lato, ed ecco perché è<br />

così importante (a parte legalità ed etica, che pure sono i nostro software di


fondo) la lotta antimafia, su cui si decide quasi tutto. Siamo all'altezza? No.<br />

Non parlo dell'antimafia mediatica (che pure qualche rara volta ha una sua<br />

funzione) ma proprio di noi, l'antimafia di base, quella che lavora ogni<br />

giorno, quella reale.<br />

Non riusciamo a “far politica” e a fare rete, non quanto occorre, e anzi in<br />

questi mesi, nel nostro piccolo mondo (che poi tanto piccino non è) i passi<br />

indietro sono stati più dei passi avanti. Non solo sul piano concreto, delle<br />

cose prodotte, dei “risultati”, ma proprio nello stato d'animo, nel nostro<br />

modo di essere, sempre più individualista e tribale e sempre meno<br />

modernamente e coscientemente coordinato.<br />

Non faccio esempi (per ora) per carità di tribù, ma credo che ci capiamo.<br />

Nella rete informale di U<strong>cuntu</strong>, che è un buon esempio per capire tutto il<br />

resto, non c'è un solo nodo che funzioni veramente in rete; ciascuno fa quel<br />

che deve fare per sé, e rimanda al domani (o rimuove) le cose altrettanto<br />

importanti che dovremmo e potremmo fare insieme.<br />

Così non ce la facciamo, o meglio ci illuderemo di farcela ma resteremo<br />

in sostanza – per difetto di massa critica – sempre subalterni. Quando non<br />

avremo più un Berlusconi a tenerci insieme e dovremo affrontare, al posto<br />

suo, i gattopardi, verremo assorbiti da questi ultimi senza nemmeno<br />

accorgercene. Perché nel mondo moderno o si è rete o si è spettatori. Non<br />

c'è via di mezzo.<br />

* * *<br />

<strong>Un</strong>'eccezione, nella geremiade di cui sopra, è rappresentata dai ragazzi di<br />

Liberainformazione, che affrontano con serietà e coraggio, e spirito unitario,<br />

la solitudine in cui li ha precipitati la scomparsa del loro maestro, Morrione.<br />

“Non siete soli in realtà, coordinate le forze” è stato l'insegnamento di<br />

Roberto, e avendolo compreso vanno avanti.<br />

<strong>Un</strong>'altra eccezione è quella dei ragazzi di Modica, del “Clandestino”. Non<br />

solo hanno continuato a sviluppare lo specifico lavoro della loro zona<br />

(questo lo fanno anche gli altri), ma hanno sempre cercato di tenersi in rete,<br />

di sapere quel che si faceva altrove, di non considerarsi autosufficienti e<br />

soli. Per questo il loro incontro è importante: è un modello per tutti, e va<br />

sottolineato.<br />

* * *<br />

Modica, all'estremo <strong>Sud</strong> dimenticato, è il posto migliore - a questo punto -<br />

per fare un annuncio importante, il salto di qualità a cui tendevamo in tutti<br />

questi anni. Da settembre si apre un capitolo nuovo. U<strong>cuntu</strong>, Lavori in


Corso, Casablanca e tutto il resto sono tappe utilissime di un viaggio che<br />

non è finito, che non si esaurisce in nessuna di esse e che anzi deve ancora<br />

toccare i suoi obiettivi più importanti.<br />

Insieme, in rete, come nei momenti più alti, più avanti ancora e più in rete<br />

ancora: a Modica, e dopo Modica, comincia un altro pezzo di strada.


UN NUOVO GIORNALE, I SICILIANI<br />

Da Liberainformazione, il sito dei giovani giornalisti di Libera, fondato<br />

da Roberto Morrione: « Festival del giornalismo di Modica/ Tornano i<br />

Siciliani/ Due giudici, un sociologo e dei giornalisti per il giornale di<br />

Giuseppe Fava »<br />

«Trent’ anni fa venivo licenziato <strong>dal</strong> giornale per cui lavoravo e salutavo<br />

Pippo Fava ad un bar. Oggi sono qui con voi giovani. Abbiamo vinto noi, i<br />

mafiosi sono morti e sepolti. Ma c’è ancora molto da fare». Così il<br />

giornalista catanese Riccardo Orioles anticipava la notizia che è stata<br />

diffusa ieri a Modica, durante la terza edizione del "Festival del<br />

giornalismo": ritorna la storica rivista "I Siciliani". In queste ore Orioles ha<br />

sintetizzato in poche parole lo spirito di questo giornale: «I Siciliani hanno<br />

un solo direttore, Pippo Fava».<br />

La notizia era nell'aria da qualche mese. Adesso, con il sostegno del<br />

sociologo Nando Dalla Chiesa, il procuratore di Torino Giancarlo Caselli e<br />

il magistrato catanese Giambattista Scidà, questo progetto di vita è<br />

diventato realtà.<br />

D'altronde "I Siciliani" diretti da Pippo Fava, ucciso <strong>dal</strong>la mafia a Catania<br />

nel 1984, non hanno mai chiuso (davvero) i battenti. Da quell'esperienza è<br />

nato anche un laboratorio permanente di giornalismo, una scuola,<br />

coordinata da Orioles e animata da tantissimi giovani, tante donne<br />

(Graziella Proto, su tutte) che in questi anni ha continuato a editare, sotto<br />

diverse forme da "Casablanca" a "U<strong>cuntu</strong>", ai tanti giornali di quartiere,<br />

quell'esperienza. Soprattutto sul web, prima di altri e più di altri.<br />

Raccontando Catania e le battaglie per i diritti nel resto del mondo.<br />

Adesso il ritorno de "I Siciliani" è una vittoria per tutti. Ma anche una<br />

sfida complessa.<br />

La notizia di questo ritorno editoriale è stata data a Modica dove è in<br />

corso la terza edizione del "Festival del Giornalismo" organizzata <strong>dal</strong>la<br />

redazione de "Il Clandestino", giornale di giovani siciliani che tanto ha in<br />

comune con quell'esperienza siciliana degli anni '80.<br />

Liberainformazione


30 agosto <strong>2011</strong><br />

E' DI NUOVO IL MOMENTO<br />

DEI SICILIANI<br />

Disoccupati, imbavagliati, schiacciati da una ragnatela di interressi<br />

terrificanti. E nessuno ci aiuta, e non c'è niente da fare? Ma noi stessi<br />

dobbiamo aiutarci, volando alto. “Quando il gioco si fa duro, i duri<br />

cominciano a giocare...”<br />

<strong>Un</strong> ragazzo su tre, giù da noi, non ha lavoro. Sarebbe un primato europeo,<br />

se fossimoEuropa ancora. L'economia della mafia, almeno al <strong>Sud</strong>, è metà<br />

del totale. Il governo è fallito, ma non se ne vede a Palazzo uno nuovo. A<br />

Palazzo si pondera: Tremonti, Montezemolo, Badoglio, Solaro della<br />

Margherita?<br />

E intanto lo sfascio va avanti. I sindaci democratici – che pure il popolo<br />

ha imposto, senza problemi – non hanno, intorno al Palazzo, molti amici. Lo<br />

sciopero generale, extrema ratio, che i capi dei lavoratori hanno infine<br />

proclamato, dopo molte esitazioni, per dare l'allarme al Paese, non sembra,<br />

in tv e sui giornali, un argomento centrale. Contano di più le veline.<br />

* * *<br />

Tv e giornali: quggiù in Sicilia, esemplarmente, son tutti di una stessa<br />

persona. Da quasi quarant'anni, ben prima di Berlusconi. Quaggiù, la<br />

tirannia è senza sfumature. Nel quartiere il mafioso, a Palazzo il politico<br />

“amico”, e nell'informazioneil bavaglio. Noi non ci rassegnamo, noi<br />

siciliani. Otto giornalisti uccisi. E tre generazioni di ragazzi, una di seguito<br />

all'altra, a fare informazione povera e antimafiosa.<br />

Cos'altro dobbiamo fare, noi siciliani?<br />

Che cosa ha il dovere di dire, in questa disperazione e in questo dramma,<br />

un antimafioso superstite, un “carusu di Fava” di sessant'anni? Può<br />

restarsene zitto? Oppure, standosi zitto, vi tradirebbe?<br />

* * *<br />

Ah, non è che non si muovano, nell'Isola Felice, politici e baroni.<br />

Degl'intrighi di corte, delle alleanze, dei tradimenti, delle alleanze<br />

rovesciate, s'è perso il conto. Ogni tanto uno di loro s'affaccia al balcone e<br />

“Cittadini! - proclama – Ecco la politica nuova! La vera strada! La geniale<br />

politica che salverà il Regno!”. Noi villici, col naso all'aria, lo ascoltiamo<br />

pazienti. Ma tutte le geniali idee dei baroni, a quanto pare, hanno come<br />

preliminare condizione (non per avidità ci mancherebbe, ma solo


nell'interesse del regno) la distribuzione fra loro baroni - siano essi<br />

borbonici o liberali - di seggiole, consulenze, assessorati e poltrone.<br />

* * *<br />

“Va bene, giù da voi in Sicilia...”. Altro che Sicilia, amici miei. E' di New<br />

York che parliamo, quando parliamo di Catania o Palermo. Di New York, di<br />

Budapest, per non dire Milano o Ravenna. Esagero? Niente affatto. A New<br />

York già nel '96 c'era l'Invision della catanesissima Famiglia Rendo. Che a<br />

Budapest, un paio d'anni fa, possedeva ben due quotidiani. Di questo si<br />

parla quando si parla di Catania, non solo degli intrallazzi locali.<br />

* * *<br />

E le tv, i giornali, l'informazione? Dopo trent'anni, mi sembra ancora di<br />

essere al punto di partenza, noi per la strada (e ora in internet) a fare i nostri<br />

fogli poveri e loro barricati là dentro a fare il notiziario di corte.<br />

Le ultime notizie sono le trattative fra De Benedetti e Ardizzone (cioè<br />

Ciancio) per acquisire progressivamente al gruppo De Benedetti il Giornale<br />

di Sicilia (cioè La Sicilia); e che in ogni caso Ciancio entro la fine dell'anno<br />

entrerebbe nella sua orbita abbandonando la vecchia agenzia di pubblicità<br />

Etas Kompass (Fiat) per abbracciare la Manzoni & C. (gruppo Repubblica).<br />

Sarà un bene, sarà un male, ma di certo noi villici non c'entriamo. E<br />

sappiamo dove va a finire ogni volta il cetriolo nella storia dell'ortolano<br />

* * *<br />

Va bene. E ora? Ci lasciamo così,dopo aver chiacchierato? E no,<br />

santiddìo, stavolta no. Stavolta giochiamo grosso, puntiamo tutto quello che<br />

abbiamo. Il nome, la storia, la forza dei Siciliani. Amici, rimettiamo in<br />

campo i Siciliani. Loro hanno i killer, loro hanno i miliardi – ma noi, noi<br />

uomini di questa terra abbiamo i Siciliani.<br />

Scusate, fratelli miei, se tutto è stato così improvviso. Non vi offendete,<br />

ve ne prego, non voglio imporvi (io?) essere presuntuoso. Io sono<br />

semplicemente il compagno che s'è svegliato più presto degli altri<br />

stamattina, che ha visto l'orizzonte in fiamme e le anime che gridano dolore,<br />

e senza pensarci un momento (pensare, in questi casi, a che serve?) s'è<br />

messo a urlare “Allarme! Svegliamoci! Ci vogliono i Siciliani!”.<br />

Non è merito mio, e neanche mia colpa. Prendetevela con coloro (il<br />

vecchio pazzo Scidà, il sovversivo Caselli, quel giacobino ostinato di <strong>dal</strong>la<br />

Chiesa) che hanno svegliato me, per svegliare noi tutti.<br />

E neanche vi dico “Rifacciamo i Siciliani”. No. “Facciamo i Siciliani”.<br />

Facciamoli ora, come se uscissimo ora insieme <strong>dal</strong>la vecchia birreria. E non


per nostalgia, ma per rabbia di oggi e per amore.<br />

E sarà dura, per noi vecchi, accettare che questo non sarà il nostro<br />

giornale. Sarà il giornale di Norma, di Agata, di Sonia, di Giorgio, di<br />

Morgana... Loro i ragazzi di oggi, loro i Siciliani.<br />

SCHEDA/ ALCUNE IDEE PER I SICILIANI<br />

1) <strong>Un</strong> magazine di 120-180 pagine, mensile di fascia alta (come I<br />

Siciliani di Fava), che ne riprenda il ritmo e l'impostazione ma legandoli<br />

alle ultime tecnologie (oggetti interattivi in pagina, approfondimenti<br />

multimediali).<br />

2) <strong>Un</strong> giornale cartaceo “da raccogliere e conservare”, ma parallelemente<br />

un e.-book di ultima generazione, mirato a tablet, Kindle e smartphone.<br />

3) Struttura: tre format:<br />

- il servizio-inchiesta (non necessariamente “pesante” di 4-10 pagine;<br />

- l'intervento di una pagina;<br />

- l'inserto (fotografico, satirico o altro) di 8-12 pagine con grafica propria.<br />

4): Contenuti: due segmenti distinti nel giornale:<br />

- il primo, servizi estesi e opinioni, affidato innanzitutto ai “vecchi” :-), i<br />

“regolari” dei Siciliani;<br />

- il secondo, inchieste e cronache dai territori (da Modica a Milano,<br />

passando per tutto il Paese) di giovanie gruppi di giovani locali.<br />

5) Redazione. Nessuna per il primo anno. Quella che sarà emersa <strong>dal</strong>la<br />

pratica a partire <strong>dal</strong> secondo o terzo anno. All'inizio si tratta “solo” di<br />

produrre duecento ottime pagine al mese e basta un buon segretario di<br />

redazione. I suoi compiti? Ricevere e montare i pezzi dei “vecchi”; garantire<br />

il controllo di qualita sui pezzi dei “giovani” secondo il buon vecchio<br />

metodo delle tre riscritture; non intervenire, in entrambi i casi, sui contenuti.<br />

6) Organizzazione. <strong>Un</strong> palinsesto coordinato in rete, con una o due<br />

riunioni fisiche ogni mese. Pagine montate con tecnologia U<strong>cuntu</strong> (odt<br />

invece di programmi dedicati) quindi spesso gestibili direttamente<br />

<strong>dal</strong>l'autore, con riduzione drastica di tempi e carichi di lavorazione.<br />

7) Prodotti:<br />

- entro sei mesi: il mensile (cartaceo) “I Siciliani”, l'e-book parallelo “I


Siciliani”; il sito dei Siciliani;<br />

- <strong>dal</strong>l'autunno 2012: e-book e altri elettronici di seconda generazione su<br />

vari temi e con diversi format (libreria elettronica);<br />

- quando e se Dio vorrà: cartacei d'altro genere;<br />

- sempre: sponsorizzazione col marchio Siciliani delle migliori testate<br />

“giovani”, su carta o web (esempi: Stampoantimafioso.it, Il Clandestino),<br />

una piccola rete informale che continuamente produca materiali, idee e<br />

persone;<br />

- unità coi giovani di Liberainformazione ;<br />

8) Nessuna redazione centrale. Sedi locali, col tempo, in diverse città<br />

(Milano, Bologna, Roma, Palermo e Catania) appoggiandoci a realtà amiche<br />

esistenti e puntando sullo spirito d'iniziativa di ogni singolo gruppo.<br />

8) Soldi. Ne servono pochi per la fase ebook. Ne serviranno almeno<br />

60mila per il cartaceo .<br />

9) Stipendi. Il lavoro sarà volontario, nel primo anno e fino alla fase del<br />

mensile inclusa. Piccoli rimborsi quando possibile, in particolare agli<br />

specialisti tecnici (il nucleo informatico sta già lavorando al suo settore).<br />

Punteremo moltissimo, <strong>dal</strong> secondo anno, sul mercato elettronico con tutte<br />

le sue peculiarità.<br />

10) Nucleo affidato a pochi personaggi, esterni al vecchio gruppo ma che<br />

godano la fiducia di tutti, di altissimo prestigio e al di sopra di ogni anche<br />

vago sospetto di parte. Scidà, Caselli, <strong>dal</strong>la Chiesa possiedono questi<br />

requisiti. Ad essi aggiungeremmo due antimafiosi - un “nordico” e un<br />

siciliano :-) - non personaggi mediatici e non primedonne ma seri e costanti<br />

militanti della società civile. Il professor Franco Cazzola di Firenze e<br />

Giovanni Caruso di Catania.<br />

11) Scadenze: l'ebook potrebbe essere in rete il 22 novembre; il cartaceo<br />

in edicola il 5 febbraio.<br />

12) L'anima. I Siciliani di Giuseppe Fava. “I cavalieri dell'apocalisse<br />

mafiosa” e “Le donne siciliane e l'amore”, alla pari. Non un semplice<br />

giornale “antimafia” o “d'inchiesta” o d'investigazione, ma un condensato<br />

felice di impegno civile, di società viva e di cultura. La vera sfida è questa e<br />

non è detto che ce la faremo. Ma ci proveremo, umilmente e con<br />

determinazione.


4 settembre <strong>2011</strong><br />

PENATI FACCI SOGNARE<br />

Gli interventi di Nando sul caso Penati - sul fatto Quotidiano del 2<br />

settembre - sono "esemplari" (e vedremo avanti il senso di questa parola")<br />

per due motivi:<br />

1 Si spingono lucidamente al fondo della questione. Penati non è una<br />

patologia, è una fisiologia. Non richiede indignazione ma politica. Non<br />

genericamente da parte dei "politici" ma <strong>dal</strong>le struttura di base.<br />

2 Non cede, neanche per un attimo, all''"indignazione". Ragiona<br />

pacatamente, a voce piana. Quanto di più lontano possibile <strong>dal</strong>la terza<br />

disgrazia d'Italia, il beppegrillismo.<br />

Dico "esemplari" non per lodarlo (non ci si loda fra gente seria) ma<br />

proprio perché è un esempio. Noi, qui nel blog e poi nell'antimafia e poi<br />

nella sinistra e infine nella società civile, noi siamo lontanissimi da questo<br />

esempio. Gridiamo, ci appassioniamo, applaudiamo commossi, campiamo<br />

sopra slogan e emozioni - ma non facciamo politica, non al giusto livello.<br />

Ho qui "L'antimafia difficile" una dozzina di interventi (stampati <strong>dal</strong><br />

centro Impastato) di militanti antimafiosi del 1989. Che serietà, che<br />

freddezza, che assenza totale e volontaria di appelli al sentimento e di<br />

grandi parole. Illuminismo militante, non emozioni. Questo s'è perso quasi<br />

completamente, magari per motivi "buoni", ma era importante. Era una cosa<br />

utile, e ora ci manca.<br />

Infine. E' stato con meraviglia (my fault) che ho constatato quest'altissimo<br />

livello "professionale" di Nando "politicien", dopo vent'anni. Possibile che<br />

debba restare qui al chiuso, nella nostra scuola? E' come se a un certo punto<br />

Moro si fosse limitato alla formazione della Fuci o Berlinguer a tenere i<br />

corsi alle Frattocchie.<br />

Noi abbiamo bisogno di politici, e ne abbiamo bisogno ora. Aggiungerei<br />

(ma non lo faccio per non spaventarvi) che abbiamo anche bisogno di un<br />

"partito". Da costruire, certo, e non un partito. Potrei darvi un modello<br />

preciso, ma qui non solo vi spaventereste ma mi caccereste a sassate :-).<br />

Perciò me ne sto zitto e ve lo trasmetto solo per telepatia. Ma c'intendiamo.<br />

* * *<br />

Quanti voti ci costò il "Consorte facci sognare", alle elezioni del 2006?<br />

Centomila, duecentomila, un milione? Fatto sta che col caso Consorte<br />

quelle elezioni, che stavamo vincendo, non le vincemmo più; o meglio, le


"vincemmo" con ventimila voti di scarto, con una maggioranza<br />

risicatissima, che ci mise nelle mani di Mastella. Il quale, appena volle, fece<br />

cascare il governo, nel gennaio <strong>2008</strong>. Ma il governo Prodi, tecnicamente, in<br />

realtà era già caduto prima di nascere, un momento dopo quella telefonata.<br />

E ora? Quanti voti ci costa il caso Penati? Come li si recupera? Subito,<br />

prima delle elezioni?<br />

"Ma non si vota". E allora? Anche senza votare, nell'equilibrio pesano gli<br />

X voti potenzialmente perduti; le trattative hanno più probabilità di<br />

trasformarsi in inciuci, e Tremonti (o Montezemolo, o quell'altro banchiere)<br />

hanno più probabilità di succedere pacificamente (e omogeneamente) a<br />

Berlusconi. E non abbiamo un Prodi.<br />

Tocca a noi, non a D'Alema o Veltroni o agli altri corresponsabili, tappare<br />

questo buco.


20 settembre <strong>2011</strong><br />

RAPPORTO 1/ IDEE PER UN NUOVO GIORNALE<br />

Cominciamo a tracciare il progetto del nuovo “Siciliani”. Anzi, “Siciliani<br />

Giovani”, tanto per capirci<br />

1) “I Siciliani Giovani” è un giornale, su carta e in rete, che si propone di<br />

continuare aggiornandola l'esperienza de “I Siciliani” di Giuseppe Fava e<br />

delle varie testate che vi hanno dato seguito nel corso degli anni.<br />

Siciliani vuol dire che nasce <strong>dal</strong> luogo dove lo scontro fra mafia e<br />

antimafia è nato prima, dove tanti giornalisti hanno onorato in questo<br />

scontro, a prezzo della vita, questo nostro mestiere. Non è un'indicazione<br />

geografica ma un simbolo di lotta, da Modica a Milano, per l'intera<br />

Nazione.<br />

Giovani vuol dire che solo da una nuova e rinnovata generazione, questa<br />

generazione, può venire in tanta tragedia la rinascita del nostro Paese. Non<br />

è un giovanilismo d'accatto, un parlar d'altro: usiamo la parola giovani<br />

nell'identico senso, e per gli stessi motivi, e con la medesima urgenza, con<br />

cui a loro tempo la usarono Mazzini o Gobetti.<br />

Sappiamo che il cammino è lungo e non ci facciamo illusioni; né<br />

vogliamo crearne a chi ci verrà dietro. Ma è un cammino ragionevole, duro<br />

ma alla fine vincente. Fidando nell'aiuto dei giovani, memori di esempi<br />

altissimi che abbiamo avuto la fortuna d'incontrare, percorreremo questo<br />

cammino con tutte le nostre forze e fino in fondo, da giornalisti seri e da<br />

buoni cittadini.<br />

* * *<br />

2) “I Siciliani Giovani”, nella sua versione cartacea, è un magazine di<br />

120-150 pagine, mensile di fascia alta come “I Siciliani” di Fava; ne<br />

riprenda il ritmo e l'impostazione ma legandoli alle ultime tecnologie<br />

(oggetti interattivi in pagina, approfondimenti multimediali). <strong>Un</strong> giornale<br />

“da raccogliere e conservare”, ma parallelemente un e-book di ultima<br />

generazione, mirato a tablet, Kindle e smartphone.<br />

3) Il giornale è diviso in tre settori:<br />

- un blocco di 5-6 servizi-inchieste (6-8 pagine) per circa 48 pagine<br />

complessive, impaginato come il classico “Siciliani”;<br />

- uninserto centrale a colori (fotografico, satirico e altro) di 24 pagine, con


grafica propria (e più “creativa”);<br />

- un blocco di pezzi di cronaca (3-4 pagine ciascuno, per altre 48 pagine<br />

complessive) forniti, sui rispettivi territori, da giovani testate e gruppi<br />

(Clandestino, Periferica, Napoli Monitor, Stampo, ecc.) aderenti al progetto,<br />

e sottoposti a un ulteriore controllo di qualità.<br />

* * *<br />

4) Al cartaceo si affianca un prodotto elettronico in formato e-book (pdf<br />

adesso, l'anno prossimo probabilmente html5 o analoghi) che ne riprende i<br />

contenuti, e che tecnicamente si differisce da U<strong>cuntu</strong> e dai prodotti<br />

successivi per una molto maggiore interattività. Ogni singolo contenuto,<br />

infatti, sarà corredato in linea di massima a contenuti multimediali,<br />

usufruibili su varie piattaforme, soprattutto su quelle (tablet, smartphone) di<br />

seconda generazione.<br />

5) Il prodotto elettronico non ha per il momento un'importanza<br />

commerciale e servirà ora soprattutto al lancio e alla diffusione del prodotto<br />

di carta. E' tuttavia ragionevole pensare che il mercato editoriale elettronico,<br />

che già nei paesi anglofoni è maturo e in piena espansione, non tarderà<br />

molto (fine 2012-inizio 2013) a presentarsi in forma matura anche in Italia.<br />

E' probabile che a quel punto il nostro prodotto elettronico assuma<br />

un'importanza molto maggiore, e probabilmente determinante, specie se<br />

sostenuto da altri prodotti elettronici in formato e-book. A tale proposito,<br />

stiamo studiando attentamente – per esempio - le esperienze (entrambe<br />

vincenti) dei “Libri di Avvenimenti” e dei “Millelire” che a suo tempo<br />

s'inserirono bene, con pochi mezzi, nel nascente segmento dell'editoria a<br />

basso prezzo.<br />

* * *<br />

6) Il sito dei Siciliani (per il quale dobbiamo ringraziare la generosità di<br />

un cittadino che, avendolo in suo possesso, ce l'ha donato) riprende in buona<br />

parte la meccanica (non la “carrozzeria”) di U<strong>cuntu</strong>. E' cioè un portale di<br />

rete, in cui al prodotto principale (potenziato con le tecnulogie Issuu, che<br />

siamo stato fra i primi a usare in Italia) si affianca tutta una serie di testate<br />

collegate, che sono il nostro retroterra e il nostro serbatoio di giovani<br />

giornalisti, di notizie e di idee. Il mensile si pone così, fin <strong>dal</strong>la sua struttura<br />

allargata, come prodotto di prestigio di un circuito di testate piccole,<br />

radicate, professionali e combattive.<br />

7) A quelle di queste giovani testate che mostreranno un adeguato livello<br />

professionale – e civile – concederemo il diritto di fregiarsi del nostro logo,


come un segno comune; aiutandole così a progredire e a restare visibili, e<br />

rafforzando insieme l'impresa comune.<br />

* * *<br />

8) Redazione. Non prevediamo una redazione centrale, che in questa fase<br />

rappresenterebbe più un peso che un reale vantaggio; il lavoro iniziale di un<br />

mensile può essere svolto in gran parte in rete, a condizione di avere nei<br />

vari nodi personale competente e determinato.<br />

Anche successivamente, l'idea di una redazione centrale è probabilmente<br />

tecnicamente obsoleta; più conveniente puntare su una struttura “stellare”,<br />

con cinque-sei punti forti sul territorio nazionale (orientativamente: Catania,<br />

Palermo, Napoli, Roma, Bologna e Milano) dove siamo già presenti già ora<br />

o direttamente o con efficienti gruppi amici. In ogni città dovrebbe esserci<br />

cioè non una sede, ma una “stanza” dei Siciliani, appoggiata su una struttura<br />

amica già esistente e attivamente coordinata con essa. Questo assicurerebbe<br />

una maggiore produzione di idee, una maggiore aderenza a tutti i territori,<br />

una maggiore efficienza e una più veloce circolazione di iniziative e idee<br />

locali.<br />

9) Il lavoro per “Siciliani Giovani” è volontario, almeno per il primo<br />

anno. Non deve tuttavia esserci, e non sarà tollerato, alcuno scadimento nel<br />

dilettantismo, sotto nessuna forma. Il nostro “volontariato è quello dei<br />

“Siciliani” storici, di Emergency, dell'antimafia organizzata, legato<br />

all'efficienza e ai buoni risultati.<br />

* * *<br />

10) L'uscita del primo numero elettronico (non semplicemente del sito) è<br />

previsto per la seconda metà di novembre. L'uscita in edicola del cartaceo<br />

per i primi giorni di febbraio.<br />

11) Sono già in lavorazione avanzata (Luca Salici, Carlo Gubitosa, Max<br />

Guglielmino, tutti professionisti di notevole esperienza nei rispettivi settori)<br />

il prodotto elettronico e il portale. E' in corso la progettazione grafica e<br />

industriale del cartaceo. Il redazionamento del numero uno (elettronico)<br />

avrà inizio il 15 ottobre, anche se già diversi contatti sono in corso sia con<br />

“firme” affermate che con gruppi di giovani colleghi.<br />

12) L'assetto sociale e giuridico è in corso d'allestimento e verrà<br />

completato nelle prossime settimane, coordinato e diretto <strong>dal</strong>l'avvocato<br />

antimafioso Enza Rando.


20 settembre <strong>2011</strong><br />

COME VANNO LE COSE (STORIE COSI')<br />

<strong>Un</strong> siciliano che scappa, uno che viene a dare una mano...<br />

Allora, il giorno dopo l'annuncio (a Modica, dai ragazzi del<br />

“Clandestino”) nel giro di quarantott'ore sono successe due cose. <strong>Un</strong>o, la<br />

tipografia ci ha improvvisamente aumentato il preventivo e quindi abbiamo<br />

dovuto sbrigarci a cercarcene un'altra. Due, ci ha scritto un tale, che non<br />

conosciamo e non sappiamo nemmeno chi sia, e qui vale la pena di fermarci<br />

e fare una lunga disgressione, così capite subito come vanno le cose.<br />

Allora: quello che ci ha scritto è un certo signor Scivoletto, che di<br />

mestiere fa il titolare di siti web (roba commerciale: turismo, case, vacanze:<br />

cose così) e che negli anni scorsi aveva registrato i siti “isiciliani”, proprio<br />

quelli che servivano a noi. Noi, ovviamente, l'avevamo sgamato e<br />

pensavamo di andare a trovarlo con una scusa qualunque per provare a<br />

vedere, fra una chiacchiera e l'altra, a quanto casomai ce li vendeva:<br />

trecento euri? Cinquecento? MILLE? Sarebbe già al di là del nostro mondo.<br />

Insomma, francamente era un bel problema.<br />

Bene. Poco dopo l'annuncio, a mezzanotte, ci arriva una mail che vi<br />

riporto appresso:<br />

< Giambattista Scivoletto<br />

a riccardoorioles@gmail.com<br />

data 01 settembre <strong>2011</strong> 23:26<br />

oggetto domini isiciliani<br />

Gentile Riccardo,<br />

ho letto con piacere che "I Siciliani" risorgerà.<br />

Posseggo i domini:<br />

isiciliani.it<br />

isiciliani.com<br />

Sono vostri, se volete. <strong>Un</strong> mio piccolissimo contributo<br />

offerto con il cuore.<br />

Saluti<br />

Giambattista Scivoletto ><br />

Reply:<br />

< riccardoorioles@gmail.com<br />

a Giambattista Scivoletto<br />

Caro Scivoletto,<br />

non ho parole. La ringrazio, E' bello essere siciliani.


Suo Riccardo Orioles ><br />

Reply:<br />

< Giambattista Scivoletto a me<br />

Carissimo,<br />

quando sarà il momento mi faccia contattare da chi vi<br />

curerà il sito, li metterò in condizione di trasferirli<br />

sui vostri server in 5 minuti.<br />

E' bello essere uomini. Voi de "I Siciliani" avete<br />

dimostrato di esserlo sempre.<br />

Saluti ><br />

* * *<br />

Insomma, io qui vi dovevo fare un lungo articolo per spiegare che<br />

succede a fare i Siciliani e che problemi s'incontano e che bisogna fare. Non<br />

serve più. L'ha scritto già Scivoletto. <strong>Un</strong> siciliano qualunque, uno come voi<br />

e me. Che senza chiedere niente, così tranquillo, ha preso quello che aveva e<br />

l'ha portato dove serviva. Non ho una parola da aggiungere e non c'è altro.<br />

Chi vuole, dia una mano. Noi siamo qua.<br />

E l'altro siciliano, quello della tipografia? Eh. Pazienza. In trent'anni,<br />

quanti ne abbiamo incontrati... Ma ne abbiamo incontrati molti di più, di<br />

Scivoletti. E basteranno.<br />

Va bene, chiuso il discorso, e andiamo avanti. (E i mafiosi? Ah, quelli non<br />

importano. Sappiamo come trattarli).<br />

* * *<br />

Credo che sia anche superfluo parlare qui di politica. E che ci sarebbe da<br />

dire? I giudici che lo inseguono, le puttane che lo ricattano, i bauscia che<br />

minacciano di fargli la secessione: ma davvero dovremmo occuparci sul<br />

serio di uno così?<br />

E qua in Sicilia, dopo tutte le rodomontate per e contro Lombardo (con<br />

annesso bailamme di giudici severissimi e giornalisti scooppettanti), com'è<br />

finita? Assolto e non assolto, vince lui e vince l'altro, muori Orlando muori<br />

Sacripante, e alla fine il puparo rimette i pupi nella scatola e tutti si sono<br />

divertiti moltissimo e tutto è di nuovo esattamente come prima.<br />

Perché? Perché non c'è Falcone. E' inutile girarci attorno, Falcone <strong>dal</strong> lato<br />

Catania non ce n'è. “Pigliatene uno di fuori - direbbe qui la voce del buon<br />

senso - se non sarà Falcone almeno non sarà uno di quelli”. Ma il buon<br />

senso lo lapidano, <strong>dal</strong>le mie parti: il buon senso – dicono loro - è<br />

communista. Salvo poi tutti a dire “io l'avevo detto”. Ma anche questo (qui<br />

in Sicilia siamo esperti) fa parte dell'Opra dei Pupi, o nei casi più nobili del


Gattopardo.<br />

E “i Siciliani” che c'entra? Non c'entra niente, assolutamente niente, è<br />

roba di un altro pianeta. O almeno di un'altra isola: perché “i Siciliani”<br />

stanno in Sicilia, dentro le scuole e lungo le trazzere, fra gli operai che<br />

faticano e i ragazzi che imparano la vita; ma quei signori lì non stanno in<br />

Sicilia, stanno negli ultimi piani dei loro palazzi, col loro piccolo mondo di<br />

nobili, nobilucci, cortigiani e (dicono loro) giornalisti. In realtà non<br />

esistono. Noi invece siamo vivi.<br />

* * *<br />

Bene. La notizia è che, dopo lunghe e ponderose consultazioni, abbiamo<br />

deciso di non chiamarci più semplicemente “i Siciliani”, ma “i Siciliani<br />

giovani”: per dire che siamo nel duemila e undici, che non facciamo reprint<br />

e non abbiamo nostalgie. Non ce n'era bisogno, in realtà, secondo me si<br />

capiva. Ma s'è deciso così, per più chiarezza. Per il resto è lo stesso.<br />

* * *<br />

Ci scusino tutti coloro a cui non abbiamo risposto subito – sono davvero<br />

tanti. Non è per superbia, ovviamente, è che il lavoro è bestiale. Lavoro<br />

proprio, non grandi elucubrazioni intellettuali. Fare un giornale è difficile,<br />

in ogni tempo, ma ora con tutta questa roba elettronica è difficile per tre<br />

volte, perché in pratica di giornali (fra rete e carta) ne devi fare due o tre.<br />

Fortuna che non siamo soli: ci sono tutti gli scovoletti e scovolettini, da<br />

Modica a Milano, che hanno le idee chiarissime e che, ciascuno dove si<br />

trova, lavorano bene e svelti più di di noi. Allora avanti così, restiamo<br />

sempre in vista, non ci perdiamo; ma sempre lavorando nei luoghi, andando<br />

avanti.<br />

(“Ero ragazzino, avevo 17 anni e mi ricordo che a Pisa mio padre<br />

comprava e leggeva la rivista. C’era un articolo, in un numero, dedicato ai<br />

dieci Siciliani allora più potenti, tra cui figuravano anche il cardinale di<br />

Palermo e Pippo Baudo. Buon lavoro”)


23 settembre <strong>2011</strong><br />

TELEJATO, I SICILIANI<br />

E UN APPELLO AL PRESIDENTE<br />

Che cosa dobbiamo aspettare ancora? L'attacco a Telejato (il doppio<br />

attacco, quello della mafia mafiosa e quello del governo) non è certo il<br />

primo, né tocca solo Telejato. E' trent'anni – per quanto mi riguarda – che<br />

facciamo giornali. Ed è trent'anni che ce li strozzano, in un modo o<br />

nell'altro, e ci lasciano in mezzo alla strada. Questa di Telejato è solo<br />

l'ultima volta.<br />

Può darsi che stavolta ci sia più fortuna. Può darsi che il governo che ora -<br />

strozzando le piccole tv - sta chiudendo Telejato l'anno prossimo non ci sia<br />

più, e che quello che verrà dopo di lui sia un po' più civile. Va bene: intanto,<br />

dai candidati a questo futuro governo vorremmo sapere che cosa faranno,<br />

allora, per Telejato, e lo vorremmo sapere ora.<br />

Ma non è questo il punto. Il punto è che non passiamo più andare avanti<br />

così, con loro che ogni tanto ci danno una sberla, noi che protestiamo<br />

indignati, e a volte riusciamo a rialzarci e a volte restiamo lì per terra. Il<br />

punto è che siamo troppo piccoli per questo mondo. E invece dovremmo<br />

essere grandi e grossi, e restituirgli ogni volta la sberla con gli interessi.<br />

La cosa buffa è che in realtà, tutti insieme, grandi e grossi lo saremmo.<br />

Abbiamo i migliori giornalisti della Sicilia, i migliori autori video, i migliori<br />

fotografi, i migliori disegnatori e anche, non sempre ma abbastanza spesso, i<br />

migliori attivisti. Eppure restiamo qua a prender le botte.<br />

Il problema è in quella parola “insieme”. Noi non l'abbiamo ancora capita,<br />

quella parola. <strong>Un</strong>a volta c'era l'”insieme” dei cosiddetti communisti,<br />

quaggiù in Sicilia, del partito dei contadini che insieme dovevano stare per<br />

forza. Ma non c'è più da secoli. E da allora l'”insieme” si è perduto.<br />

Io sono vecchio oramai, non ce la faccio più a aspettare. L'articolo che sto<br />

scrivendo, è un articolo sbagliato. Perché è su un giornale piccolo, che<br />

leggeranno in pochi. Invece potrebbe essere su un giornale grossissimo (non<br />

quelli dei padroni: a me di Repubblica e Corriere non me ne frega niente) e<br />

allora sì che farebbe veramente danno.<br />

Oggigiorno, con internet, non ci vogliono miliardi per fare un giornale<br />

così. Basta mettersi “insieme”. Ai tempi di Peppino noi compagni eravamo<br />

arrivati prima di tutti a fare le radio private e altre cose moderne. Ma non


eravamo “insieme”. Così Peppino (che era solo) l'hanno ammazzato e poi<br />

le emittenti private se le sono fatte loro a modo loro e per i loro interessi, e<br />

così alla fine è arrivato Berlusconi.<br />

Ma anche stavolta deve finire così? Io dico di no. Per questo, con altri<br />

amici, stiamo rifacendo qualcosa come i Siciliani. <strong>Un</strong> “insieme” visibile da<br />

lontano, buono per tutti noi antimafiosi, in cui ci possono star dentro tutti. A<br />

cominciare da Telejato.<br />

Allora, solidarietà per Telejato, difendiamola. Ma anche, costruiamo<br />

“insieme” una cosa più grossa. Senza la quale, anche Telejato, U<strong>cuntu</strong> e<br />

tutto il resto non possono resistere a lungo, è solo questione di tempo.<br />

Ecco, la storia è questa. La stanno capendo i giovani, i vecchi – come al<br />

solito – no.<br />

* * *<br />

Poscritto<br />

(E Lei, signor Presidente? Caro Napolitano, Maniaci e i suoi lavorano per<br />

il Suo Paese e rischiano ogni giorno la pelle. La meritano una medaglia? O<br />

almeno un piccolo aiuto, tanto per continuare ad aiutarLa? O medaglie e<br />

belle parole arrivano solo dopo il funerale, come per Falcone, Fava e tutti<br />

gli altri? Io ci farei un pensierino, sarei anche disposto a firmarLe - se ne ha<br />

bisogno – un appello, e credo che come me lo farebbero molti altri<br />

intellettuali, siciliani e non, e giornalisti)


13 ottobre <strong>2011</strong><br />

TELEJATO E SANTORO<br />

<strong>Un</strong>a bella notizia <strong>dal</strong> nuovo sito di Santoro, www. serviziopubblico.it: in tre<br />

giorni hano raccolto circa 400mila euri di donazioni! <strong>Un</strong> attestato di stima,<br />

affetto e anche di voglia di non avere bavagli, di informazione libera.<br />

Ma l'informazione libera (e strangolata) c'è anche altrove: per esempio nel<br />

cuore della mafia, a Partinico. La fa Pino Maniaci, con Telejato. Picchiato<br />

dai mafiosi, minacciato sui muri ("W la mafia - sei lo schifo della terra" - e<br />

bara accanto) e alla fine ora pure imbavagliato, colla nuova leggina antipiccole<br />

tv.<br />

E allora? Sentiamo un lettore del Fatto, "Mario 75": < Il Fatto parteciperà<br />

alla realizzazione del nuovo programma di Santoro. Non sarebbe una buona<br />

idea quella di creare nell’ambito del programma una rubrica, un qualsiasi<br />

tipo di collegamento con Telejato? ><br />

"Mario 75" non è una persona importante, e non lo è neanche Pino Maniaci:<br />

però l'idea non è male. Ehi, Santoro, ce lo facciamo un pensierino? Se lo<br />

merita, il collega Maniaci, uno piccolo spazio nel servizio pubblico oppure<br />

no? (Ma prima che lo faccianmo fuori, per favore. Non aspettiamo ogni<br />

volta i funerali, come per Mauro, come per Peppino…).<br />

Mauro Biani e Riccardo Orioles


14 ottobre <strong>2011</strong><br />

QUESTI MESI<br />

Si preparano i gattopardi. Ma...<br />

A Barletta le operaie muoiono per 4 euri l'ora. A Torino, per decisione di un<br />

tale, se ne va la Fiat. A Roma si discute di molte cose, ma non – soprattutto<br />

– di questa. E' la classica uscita all'italiana. Dopo i Borboni, Crispi. Dopo<br />

Mussolini, Badoglio. E dopo Berlusconi Montezemolo, Letta, un qualunque<br />

banchiere o un qualunque imprenditore. Vent'anni di governo-imprenditore<br />

di destra, e poi altri venti - secondo loro - di governo-imprenditore di... di<br />

che cosa?<br />

Esiste una maggioranza in Italia, che vince nei referendum, vince nei<br />

sindaci e vincerebbe alla grande, se la lasciassero votare, in qualunque altra<br />

elezione.E' una maggioranza sociale, molto prima che politica. Se la politica<br />

si adeguerà (Pd, Idv, Sel e compagnia) bene. Se no, questa maggioranza farà<br />

la sua politica lo stesso. La farà più lentamente, magari con più inciampi,<br />

ma che la farà – al tempo di internet – ormai è fuori discussione.<br />

* * *<br />

Parlare dei Siciliani, in un momento come questo, ha un significato preciso.<br />

I Siciliani sono stati una delle primissime voci, e dei primi soggetti<br />

militanti, della società civile. Non si parlava delle troie di Berlusconi, a quel<br />

tempo, si parlava degli imprenditori mafiosi – e cioé del potere. Se ne<br />

parlava direttamente e senza mediazioni, muro contor muro.<br />

Se ne parlava all'interno di un blocco sociale preciso, i giovani delle facoltà<br />

e delle scuole, il ceto medio più civile, e – per brevi momenti – nel corpo<br />

della plebe siciliana. Pochi operai, poche fabbriche, ma emarginazione e<br />

miseria e un'atavica storia, non dimenticata, di ribellioni.<br />

Non era ovvio il legame, a quel tempo, fra le fabbriche del nord e i nostri<br />

quartieri. Gli operai siciliani in Fiat lottavano come tutti gli altri. Ma<br />

tornando in Sicilia trovavano un altro mondo.<br />

Da allora sono passati trent'anni. La mafia, il potere mafioso, non è più<br />

siciliano. Sta dilagando a Milano, a Roma è nel partito di governo. La<br />

fabbrica - Marchionne insegna - non è più la patria intangibile, ma il luogo<br />

dell'insicurezza e del non-diritto. “Lavoratore” vuol dire, a nord e a sud,<br />

tante cose, ma principalmente non avere un posto fisso e dei diritti legali.<br />

Sempre più spesso, “precario” sostituisce “impiegato” e “operaio”.<br />

* * *


La lotta radicalissima di trent'anni fa, contro la mafia imprenditrice e tutto il<br />

suo potere è quindi più attuale ancora di prima. Ci manca, quella lotta. Ci<br />

manca un'antimafia complessiva, terreno per l'unità delle forze - dei<br />

giovani, dei precari, di tutti i non-cannibali del Paese - e per un nuovo patto<br />

di generazione. Per un nuovo rapporto col nostro Stato, che dobbiamo<br />

difendere ma che dev'essere nostro, com'era stato fondato. L'antimafia, la<br />

militanza antimafia, la cultura antimafia, il governo antimafia, in questo<br />

preciso senso sono il possibile inizio di qualcosa.<br />

* * *<br />

I Siciliani era un giornale, e anche Siciliani Giovani vuol esser tale. Ma i<br />

Siciliani erano molto più di un giornale, erano un punto di partenza ed un<br />

motore. E anche noi, ora, vorremmo essere tali. In Sicilia? No. Nel Paese.<br />

Da soli? No. In rete con altri, con serietà e modestia, tutti insieme.<br />

“Siciliani” per noi non indica un pezzo di terra, una regione, ma il simbolo<br />

di una lotta di tutti, il luogo dove la lotta è iniziata – ma non dove sarà<br />

decisa. A Milano come a Catania, a Modica come a Ovada, in questo siamo<br />

tutti Siciliani.<br />

* * *<br />

E' terminata la prima fase di progettazione, e da domani cominciamo a<br />

lavorare al numero uno di questo nuovo/antico giornale. Rinasce con la<br />

rinascita del Paese, nelle stesse settimane e negli stessi mesi. Guarda<br />

davanti a sé, senza voltarsi indietro. Con una parola di lotta – la Marsigliese,<br />

i Siciliani – ed una di speranza. Quel giovani è la storia d'Italia, quante volte<br />

tradita dai patriarchi, quante volte salvata dai giovani senza-potere.


25 ottobre <strong>2011</strong><br />

“UN GIORNALISMO FATTO DI VERITÀ”<br />

Caso Catania: cosa ci insegna oggi<br />

“<strong>Un</strong> giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la<br />

violenza e la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili.<br />

pretende il funzionamento dei servizi sociali. tiene continuamente allerta le<br />

forze dell'ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai<br />

politici il buon governo”.<br />

Questa è la nostra idea di giornalismo, non quella degli effetti facili e del<br />

clamore. <strong>Un</strong> giornalismo neutrale, non dipendente – neanche come favori<br />

leciti – da alcuno, ma apertamente schierato per gli interessi essenziali dei<br />

cittadini (fra cui una giustizia indiscussa, assolutamente al di là di ogni<br />

sospetto) e pronto, ogni volta che occorre, a prendere posizione.<br />

Perché al lettore va data la “notizia”, ovviamente; ma questo ancora non<br />

basta: accanto alla notizia bisogna dare il contesto, senza di cui la notizia<br />

resta monca e incompleta e, in taluni casi, ambigua per difetto di<br />

completezza.<br />

A questo ci siamo attenuti, nel “Caso Catania”, in questi anni e mesi.<br />

Insieme con pochi colleghi (Finocchiaro, Giustolisi, Travaglio e non molti<br />

altri) abbiamo cercato di fornire al lettore i dati essenziali della malattia<br />

della giustizia a Catania, dove - diversamente che a Palermo – la parola<br />

“Palazzo” ha sempre evocato complicatissime e non sempre innocenti<br />

manovre e non una semplice e secca applicazione della legge.<br />

E' una malattia che viene da lontano, e che non può essere curata <strong>dal</strong> suo<br />

interno.<br />

Perciò sempre più numerosi cittadini e soggetti della società civile si sono<br />

via via accodati alla soluzione proposta, ormai da anni, <strong>dal</strong> vecchio e<br />

integerrimo magistrato Scidà: chiamare un giudice terzo, uno non<br />

intromesso; dare a un “uomo di fuori” la cura del bene essenziale, la<br />

giustizia, che i vari locali notabili tirano ognuno a sé, privandone i cittadini;<br />

e poi andare avanti.<br />

Questa opinione, isolata dapprima e poi sempre più popolare, è stata da noi<br />

sostenuta apertamente e ora, in questi giorni, verrà approvata o respinta da<br />

chi ne ha il potere.<br />

Il Csm, fra pochi giorni, nominerà finalmente, dopo ogni rinvio possibile, il<br />

nuovo magistrato a Catania; e qui comincerà una stagione nuova. O


migliore dell'altra, essendovi finalmente un Palazzo efficiente; o<br />

sprofondata nel peggio, ribadendo la prassi della giustizia come potere dei<br />

potenti, o per atto o per omissione. In entrambi i casi, noi avremo fatto il<br />

nostro dovere.<br />

* * *<br />

Questa storia, che non è affatto locale, serve anche per illustrare, senza<br />

troppe parole, come intendiamo fare (rifare) i Siciliani. I Siciliani Giovani<br />

proseguirà, semplicemente, sulla stessa strada. Informazione e servizio<br />

pubblico, lotta ai poteri asociali e ricostruzione della società.<br />

Non inventiamo niente, di nuovo c'è solo l'internet, col suo concetto di rete<br />

che va ben al di là delle tecnologie e che profondamente s'inserisce (forse<br />

più che in ogni altro caso in Italia) nella nostra storia.<br />

Attenzione: siamo già in fase operativa, nel senso che da alcuni giorni è già<br />

aperto il palinsesto del numero uno, quello che uscirà il primo dicembre.<br />

Pertanto è necessaria un'accelerazione di tutto.<br />

Finora è stato sostanzialmente il gruppo di progettazione (Salici, Gubitosa,<br />

Guglielmino e Nicosia) a fare il lavoro di fondazione, e l'ha fatto nei tempi<br />

previsti e bene. Ora bisogna completare il lavoro di base (siti, ezine, link,<br />

struttura azien<strong>dal</strong>e, tipografia) e farlo mentre già si comincia a lavorare sui<br />

contenuti.<br />

Nei prossimi giorni e settimane contatteremo quindi, nelle varie città, i<br />

colleghi, gli amici, le testate e i gruppi che sono interlocutori e coprotagonisti<br />

di questa impresa.<br />

Ma vorremmo che già prima, spontaneamente, essi stessi cominciassero a<br />

fare proposte, a buttar giù idee, a mettere in cantiere servizi e iniziative.<br />

Senza bisogno di chiedere permesso a nessuno, e meno che mai a noi stessi,<br />

perché questa non è un'impresa nostra, ma di tutti.<br />

Tutti coloro che lottano per una società più civile, da oggi o da trent'anni, a<br />

Palermo o a Milano, giovani d'età o di testa, hanno il diritto di starci dentro.<br />

Con l'obbligo di starci dentro degnamente, ché non è un gioco.<br />

E' un momento magnifico, per mettersi in cammino. La notte sta<br />

terminando, amici che non conosciamo ci aspettano; lo zaino è quasi pronto.<br />

Nel buio che a poco a poco s'illumina, la strada ancora una volta ci chiama.


4 novembre <strong>2011</strong><br />

VALE LA PENA, SI PUÒ FARE<br />

Sembrava impossibile risanare il Palazzo di Giustizia. Eppure...<br />

La statua della Giustizia a Catania fronteggia quella dei poveri pescatori, i<br />

Malavoglia, che sono un po' il cuore nascosto della città. Loro a guadagnarsi<br />

il pane su una barchetta, cercando di sopravvivere a mare e mafiosi – i quali<br />

da molto tempo non hanno più la coppola ma il cappello elegante dell'uomo<br />

d'affari o del politico in carriera. E lei a guardarli severamente, con uno<br />

sguardo che si fa sempre più assente man mano che <strong>dal</strong>la piazza di fronte<br />

s'inoltra nei palazzi del centro direzionale.<br />

Ed è così da sempre, senza speranza. Mentre a Palermo il Palazzo di<br />

giustizia si rinnovava, esprimeva i Falcone, i Chinnici, i Caponnetto, i<br />

Borsellino, a Catania era sempre lo stesso, di trenta, di cinquanta o di<br />

cent'anni fa. Ogni tanto polemiche, guerre ad armi cortesi, con gran<br />

cannonate a polvere che non fanno male a nessuno. E intanto la città<br />

moriva.<br />

Catania è la città d'Europa con più alta criminalità minorile. Al centunesimo<br />

posto nelle classifiche di vivibilità dei centotrè capoluoghi italiani. La mafia<br />

più potente, i quartieri più abbandonati. La disoccupazione più alta, le<br />

ricchezze più dilaganti. Bottegai che falliscono, e il record nazionale dei<br />

centri comerciali. <strong>Un</strong>a delle più alte storie del giornalismo italiano<br />

(Giuseppe Fava) ma un solo giornale ammesso.<br />

<strong>Un</strong>a città che si aggrega intorno a periodici grandi affari - ieri lo<br />

sventramento e Viale Africa, oggi Corso dei Martiri – che sono gli unici<br />

scopi d'esistere della sua classe dirigente.<br />

<strong>Un</strong>a città assassinata, una città senza giustizia.<br />

Eppure, in questa città, s'è combattuto e si lotta per la giustizia. La giustizia<br />

nella società (i poveri centri sociali, l'Experia, il Gapa, i poveri preti di<br />

quartiere, i padre Greco) la giustizia dell'istruzione (ogni decina d'anni sorge<br />

un nuovo movimento di ragazzi), la giustizia dell'informazione libera (I<br />

Siciliani e tutti quelli che li hanno continuati). Ma il potere rimane duro,<br />

inossidabile, divoratore di tutto. Perché non ha mai avuto, ed è sicuro che<br />

non avrà mai, sanzioni.<br />

Vediamo se questo adesso cambierà. Intanto, il segnale è forte. Nel più<br />

importante palazzo, adeso, c'è uno che non ha amici o nemici fra i baroni.<br />

<strong>Un</strong>o che conosce Catania solo ed esclusivamente attraverso la legge. Se il


gioco – adesso – avrà delle regole, nessuno può prevedere chi vincerà.<br />

Persino i poveri e le persone perbene potrebbero arrivare a vincere, in una<br />

partita non truccata.<br />

* * *<br />

Ecco, si comincia ora. Ce n'è voluto, per arrivarci. La storia del giudice<br />

esterno non era affatto scontata, si sono mobilitate le forze – per impedirla –<br />

di tutti i poteri forti della città. Eppure, non gli è riuscita.<br />

Il merito va a gente come il vecchio giudice Scidà, testardissimo, che da più<br />

di dieci anni va chiedendo un procuratore estraneo ai poteri catanesi; va ai<br />

giornalisti disinteressati che hanno avuto il coraggio di denunciare il<br />

Palazzo (e qui è giusto far dei nomi: Finocchiaro, Giustolisi e pochissimi<br />

altri); va alle associazioni della società civile che hanno preso posizione (chi<br />

prima, chi dopo, ma non importa...).<br />

Va a ragazzi come quelli della <strong>Fondazione</strong> Fava di Palazzolo, il paese di<br />

Giuseppe Fava, che nel loro convegno a gennaio hanno avuto il coraggio di<br />

lasciar presentare le prove fotografiche che inchiodavano il malcostume del<br />

Palazzo.<br />

Per questo sono stati accusati di essre degli “antimafiosi da salotto”; altri,<br />

fra cui il sottoscritto, dei “cattivi maestri”; al più pericoloso di tutti, Scidà,<br />

sono toccate le calunnie peggiori, mobilitando giornali grossi e giornalisti<br />

importanti.<br />

E tutto è scivolato via come doveva, senza lasciare traccia, impotentemente.<br />

La verità è contagiosa, ed è un duro compito (anche se ben retribuito)<br />

cercare di nasconderla perché non conviene.<br />

La verità, il buon senso, l'ostinazione dei pochi, a lungo andare vincono, e<br />

non potevano non vincere anche in questo battaglia. L'informazione povera,<br />

e libera, l'ha affrontato da sola, senza contare su nessun potere; e alla fine è<br />

riuscita a vincere, a fare un bel regalo alla città.<br />

Ecco, l'insegnamento è questo: vale la pena, si può fare. Persino cose<br />

“impossibili” – tipo i Siciliani – possono funzionare, con questo metodo.<br />

Verità, buon senso, e forza di volontà. E fra un mese cominceremo a vedere<br />

se è vero.


13 novembre <strong>2011</strong><br />

UN MODELLO VINCENTE<br />

Zitta zitta, la società civile segna punti a Catania…<br />

Mi sarebbe piaciuto scrivere un bell'articolo di politica, sul governo di prima<br />

e su quello che verrà. Ma non posso farlo perché non sono più<br />

autorizzato. Sono infatti un cittadino, o meglio un consumatore, italiano ed<br />

è stato appena deciso che di faccende del genere non debbono occuparsi più<br />

i cittadini (troppo ignoranti e emotivi per occuparsene) ma degli esperti<br />

bravissimi, molto molto più bravi di me e di voi. Saranno loro a decidere<br />

per tutti.<br />

Questo è già successo diverse volte nella storia. In Grecia, quando è finita la<br />

polis, a Roma, quando è arrivato Cesare, nel medioevo in Italia, quando<br />

dopo i Comuni sono arrivate le Signorie.<br />

Non è che la gente fosse contraria, in questi casi. Troppa chiacchiera, troppi<br />

disordini, troppo poca abitudine - poco a poco – a uscir di casa. Meglio un<br />

governo tranquillo, un sovrano benevolo, che pensa per tutti.<br />

Sta succedendo in Italia, e non so se è bene o male. Certo, dopo tutto quel<br />

Berlusconi qualcosa bisognava fare. E chi dice che gli abitanti italiani, dopo<br />

aver creato un Berlusconi, non ne creino prima o poi qualche altro? Europa<br />

e Germania non si sono fidate. E noi, lavorando poco (precario non è<br />

lavorare) dipendiamo da loro.<br />

* * *<br />

Può darsi che vada bene così. Certo, non è democrazia. Ma chi la vuole<br />

davvero? I veneti? I commercialisti? I banchieri? I boss mafiosi? I calabresi,<br />

Catania? Gl'imprenditori del Ponte, quelli dell'Expo, la Borsa? Nessuno di<br />

questi soggetti, che ormai sono il baricentro della Nazione, ha mai avuto<br />

molto a che fare con la democrazia. Ovvio che si sia sfaldata così, nell'indifferenza<br />

generale, senza problemi.<br />

E nemmeno l'Europa, così com'è, ha molto a che fare con la democrazia. E'<br />

sorta attorno all'euro, e come primo passo andava bene. Ma è stato pure<br />

l'ultimo, purtroppo.<br />

L'Europa, la nostra Europa, si suicidò traumaticamente nel '14, cent'anni fa.<br />

Stavolta si sta suicidando piano, per avarizia e noia. Senza popolo, senza<br />

stato, con tante banche ma neanche una su maestra di scuola o un<br />

giardiniere.<br />

* * *


La crisi, come tutte le crisi, si può risolvere. Ma c'è bisogno della politica<br />

per farlo, per fare le svolte drastiche (in termini di sistema) che ogni crisi<br />

richiede. Ma qui di politica non ce n'è più.<br />

Non c'è una politica di destra contrapposta a una di sinistra, o più moderata.<br />

C'è semplicemente il rifiuto della politica, la sua abolizione in quanto<br />

pericolosa per le idee che, en passant, potrebbe mettere in testa ai<br />

consumatori. Niente referendum in Grecia, niente elezioni qui da noi.<br />

Le elezioni, in Italia, sarebbero state vinte con largo margine non <strong>dal</strong><br />

“centrosinistra” ma (di fatto) da una vera e propria sinistra, ancorché<br />

moderata, quella di Bersani e soci.<br />

Avrebbe un tale governo trovato il coraggio di resistere ai precari, di<br />

imporre ai sacrificati altri sacrifici, di lasciar mano libera per altri diciassette<br />

anni agli imprenditori? Nel dubbio, meglio non correre il rischio e non far<br />

votare.<br />

* * *<br />

E noi? In che cosa si traduce, qui e ora, il “pensa globalmente, agisci<br />

localmente”? Abbiamo due esempi interessanti, qua a Catania. Il primo,<br />

quello della mobilitazione della società civile sul tema importantissimo, e<br />

prettamente istituzionale, di una credibile Procura; e abbiamo vinto.<br />

Il secondo, quello della campagna – sempre delle associazioni della società<br />

civile - per l'istituzione dei referendum comunali; e anche qui abbiamo<br />

vinto. In entrambi i casi, senza spaccare vetrine, senza alzare la voce, con<br />

una larga componente “moderata” (specie nel secondo caso) ma con una<br />

carica alternativa e democratica assolutamente evidenti. E - lo ripetiamo per<br />

la terza volta - vincenti. E' un modello.<br />

E' il nostro modello politico, non di partito o ideologico ma civile. E' quello<br />

cui noi ci affidiamo perché sia salvato - ma veramente - il Paese.<br />

Esso ha una ricaduta giornalistica, di giornalismo rigorosissimo ma<br />

impegnato. Anche qui il caso Catania fa da testo: da una parte polemica<br />

serrata ma civile, senza urlare; <strong>dal</strong>l'altra mobilitazione dei media di destra, e<br />

anche di sedicente “sinistra” , senza remore né di verità né di stile: qualcuno<br />

è arrivato a nascondere ai lettori l'esistenza stessa della sconfitta di Gennaro,<br />

abolendone semplicemente il nome. E hanno vinto i civili.<br />

Andiamo avanti così, con le forze di base, senza aspettarci regali (qualcuno<br />

a Catania si è lamentato che il grande Santoro qui si sia appoggiato, per la<br />

sua tv, al losco Ciancio...) perché chi può fare regali di solito ha anche i suoi<br />

interessi. Con calma, con convinzione, senza mai entusiasmarci ma senza


mai rallentare. Il lavoro ben fatto alla fine vince. Specie quando ha alle<br />

spalle un nome come i Siciliani.<br />

* * *<br />

Sarebbe bello pensare che - nel 2014, per esempio: cent'anni dopo – i popoli<br />

potrebbero risvegliarsi, abbattere il muro di Bruxelles come già quello di<br />

Berlino. <strong>Un</strong>'Europa democratica! <strong>Un</strong>'Italia europea! <strong>Un</strong>a Sicilia italiana!<br />

<strong>Un</strong>a Catania senza cavalieri! Ci pensate?<br />

Sembra impossibile, certo. Ma anche l'Urss di Breznev pareva eterna. La<br />

nostra nomenklatura farà la stessa fine entro pochi anni.


22 novembre <strong>2011</strong><br />

IL NOSTRO SCIDA'<br />

Aiutò i ragazzi poveri. Difese la Città. Sembra che stia dormendo, e che<br />

sorrida<br />

Ha un lieve sorriso ironico, da ragazzo intelligente. L'aria, <strong>dal</strong>la finestra, gli<br />

passa leggermente fra i capelli. Ne muove a volte alcuni, arruffati e bianchi.<br />

Ed egli dorme.<br />

Dorme, nel buio della notte, la sua città. Dorme lo scippatorello, sognando<br />

un'infanzia normale. E' in una delle statistiche più feroci d'Europa, quella<br />

della criminalità minorile catanese; ma i sogni sono liberi, ed egli sogna.<br />

Dorme il politico, sognando gli appalti dell'anno prossimo, Corso Martiri,<br />

miliardi. Dorme il padrone-editore, inquietamente. Dorme il suo giornalista,<br />

dorme (ma più innocente) la ragazza di vita. Dormono i magistrati collusi,<br />

digrignando i denti. Dorme il bottegaio minacciato, dormono i ragazzini di<br />

Addiopizzo che lo difendono da soli. Passa la rara guardia notturna, passano<br />

le ronde dei mafiosi. Questa è la sua città.<br />

* * *<br />

“Venni a Catania, giudice del Tribunale, da Palazzolo...”. La città di<br />

Catania, a quei tempi, aveva al suo centro una grande piazza. Su un lato il<br />

palazzo di giustizia, cieco, sull'altro i carabinieri muti. Su un altro il grand<br />

hotel dove, settimanalmente, s'incontravano i padroni della droga. Su un<br />

altro ancora le bische della Famiglia Santapaola-Ferrera. Al centro, un gran<br />

monumento ai cui piedi si prostituivano i ragazzi che non avevano il<br />

coraggio di fare, per la dose quotidiana, una rapina.<br />

Nella città si parlava, prudentemente. Ma non si scriveva. Si amministrava<br />

giustizia severa, contro i piccoli scippatori e ladruncoli che la miseria<br />

generava. Ma si chiudevano entrambi gli occhi di fronte ai ricchi mafiosi e<br />

ai loro imprenditori.<br />

“Rendo, Graci, Costanzo, Finocchiaro!”. Furono gli studenti della città, in<br />

quegli anni, quelli che fecero i nomi. Non certo i magistrati. Con una sola<br />

eccezione.<br />

“Mi concedano lor signori di esporre alcune considerazioni sullo stato della<br />

giustizia in questa città...”. Questo era lui, Giambattista Scidà, quello che<br />

ora dorme nella stanza accanto.<br />

Non gli potevano dire di no: non puoi levare la parola a un magistrato,<br />

all'inaugurazione giudiziaria, una volta all'anno. E lui era un magistrato. “In


nome del Popolo Italiano” c'è scritto sulle carte dei giudici. Lui ci credeva.<br />

Così, garbatamente, prendeva la parola e cominciava a elencare cifre e dati.<br />

Le cifre dei ragazzini ammazzati, divorati vivi <strong>dal</strong>la “città matrigna”. I dati<br />

degli intrallazzi dei benestanti, magistrati compresi, comprese le mura e i<br />

tetti delle preture. Le cifre della città indifesa, abbandonata alla mafia e ai<br />

Cavalieri.<br />

E passavano gli anni. Io lo conobbi per caso, da povero cronista, facendo il<br />

mio mestiere come lui faceva il suo. Presiedeva il tribunale dei minori, cioè<br />

il posto dove andava a finire la produzione del sistema. Ti distruggo il<br />

quartiere, ti nego la scuola, ti butto sulla strada, non ti do' lavoro, ti lascio la<br />

delinquenza come unica prospettiva. E poi ti ammazzo, o ti faccio<br />

ammazzare dei mafiosi, o nel migliore dei casi ti trascino qui, nel tribunale<br />

e in galera.<br />

Giustizia e carceri minorili, prima di lui, erano gironi danteschi. Lì si veniva<br />

“giudicati” in serie come numeri; qui messi coi delinquenti grandi e spesso<br />

seviziati.<br />

Con lui, tutto cambiò. Il tribunale diventò luogo di giustizia, dove ogni<br />

singolo caso veniva studiato e trattato con estrema attenzione. Nessun<br />

ragazzo fu mai abbandonato dopo. Famiglie, case-famiglia, comunità,<br />

assistenza individuale: spessissimo a spese del giudice, sempre per sua cura.<br />

Il giudice dei minori a Catania – l'uomo che borghesemente avrebbe dovuto<br />

essere il principale nemico dei ragazzi di strada – veniva accolto come un<br />

padre nelle periferie e nei mercati. La giurisprudenza minorile di Catania<br />

divenne, e come tale fu vista, un modello per l'intera nazione.<br />

* * *<br />

Ma questa era solo una parte. Poi c'era quella “politica”; cioè di servizio alla<br />

polis, della Città. Per vent'anni Scidà fu fra i pochissimi che combatterono,<br />

non una volta ogni tanto ma ogni giorno, e non con mezze parole ma a<br />

pertamente, il sistema di potere catanese. Dai Cavalieri a Ciancio,<br />

<strong>dal</strong>l'impresa e politica collusa alle infiltrazioni d'affari in tutti i palazzi:<br />

compreso quello di Giustizia.<br />

Lui, Fava e D'Urso furono gli eroi incorruttibili di questa guerra. Giuseppe<br />

Fava lo ammazzarono nell'84. Scidà e D'Urso ne ripresero, coi suoi ragazzi,<br />

la lotta. Giuseppe D'Urso morì, di malattia misteriosa, nel '96. Scidà -<br />

dispersi i ragazzi di Fava, chiusi per la seconda volta i Siciliani - rimase<br />

solo. Dunque, dovette fare per tre.<br />

“Bisogna difendere le leggi come le mura della città”, scrive Eraclito.


Egli si piantò dinanzi a quelle mura con lancia e scudo come un guerriero<br />

antico. Nessuno gli fece paura, non pensò mai di arretrare. Facessero<br />

carriera gli altri, lo minacciassero pure. Non tradì la città nè i suoi ragazzi.<br />

Dall'una lo richiamava il dovere, dagli altri una sconfinata pietà.<br />

* * *<br />

Il giornale, una volta, era sul percorso del tribunale minorile, fra gli alberi<br />

del viale. Io uscivo prestissimo <strong>dal</strong>la stanza dove dormivo, per andare a<br />

prendere il primo caffè; e lui, alla stessa ora, andava da casa, a piedi, al<br />

tribunale.<br />

Mi si affiancava in silenzio, o io a lui, a mezza strada. Camminavamo muti,<br />

ognuno nei suoi pensieri, fino al piccolo chiosco del caffè. Da poco aveva<br />

perso una figlia, gli parevano futili le parole. Il barista, che ci conosceva,<br />

scaldava la macchinettà del caffè. Poi: “Buona giornata!”. “Buona giornata<br />

a lei!”. E ognuno al suo lavoro.<br />

A volte andavo a trovarlo, nella casa ormai vuota, fra pile disordinate di<br />

carte e di libri antichi. Era un cultore di storia; il grande Le Goff, quando<br />

veniva in Italia, spesso passava da lui. Così, la conversazione spesso<br />

inavvertitamente si spostava da Catania al Siglo de oro, a Cervantes, al<br />

lugar de la Mancha.<br />

A volte, ma più di rado, capitava che pranzassimo assieme; di solito era<br />

quando andavo a trovarlo al tribunale. “Pranza con me?”. “Andiamo”. E<br />

qui c'era un intoppo.<br />

La macchina di servizio che lo attendeva fuori (col fedelissimo autista di cui<br />

non ricordo il nome) era un bene dello Stato; poteva imbarcare il suo<br />

servitore Scidà <strong>dal</strong> tribunale a casa, visto che a ciò era destinata, ma tale<br />

privilegio non poteva assolutamente estendersi agli amici personali e<br />

privati. Non potendo far salire me (che sarebbe stato abusare), né lasciarmi<br />

a piedi (che sarebbe stato scortese), finivamo per andarcene a piedi tutt'e<br />

due, con l'autista che, solo in auto, ci veniva dietro. Per fortuna il clima<br />

catanese è mite e quelle mattinate erano – almeno nel ricordo – luminose e<br />

ridenti.<br />

* * *<br />

Cos'altro? So che dovrei parlare del caso Catania – l'ultimo – della Procura,<br />

delle cose importanti insomma. Va bene.<br />

Catania non ha mai avuto un Palazzo di giustizia lontanamente paragonabile<br />

a quello palermitano. Giudici antimafia ce ne sono stati pochi, tre dei quali<br />

(Lima, Marino e Ardita) costretti, in un modo o l'altro, a farsi da parte. Liti


fra diverse cordate, ultimamente Gennaro vs Tinebra, a parole opposte ma<br />

di fatto equivalenti. Polveroni ogni tanto. Impunità.<br />

E dunque proposta di Scidà: prendiamo un giudice terzo, uno di fuori.<br />

Campagna contro Scidà dei poteri forti, cui una Procura funzionante non fa<br />

affatto piacere. Spreco di polemiche (Ziniti, Rizzo, Condorelli, Sicilia,<br />

<strong>Sud</strong>press, Repubblica) contro Scidà e in sostegno di uno dei due contendenti<br />

indigeni, per lo più Gennaro, a volte in buona fede a volte meno. Sullo<br />

sfondo, grandi attese nel settore appalti: avremo una Procura che li controlli<br />

oppure no?<br />

Scidà (e con lui Giustolisi, Finocchiaro, Travaglio e Orioles) spera di sì.<br />

Altri parlano d'altro, o alzano polverone. Alla fine, ovviamente, vince il<br />

buon senso: il Csm nomina un procuratore esterno, che s'insedia e comincia<br />

a esaminare le carte. Tutti applaudono, compresi coloro che l'avevano<br />

osteggiato fino all'ultimo, o per interessi politici (vedi sopra) o per semplice<br />

stupidità, e che a tal nobile scopo avevano fatto il possibile per linciare<br />

Scidà. Ma invece la giustizia ha trionfato e Scidà, oplita dei poveri, ha<br />

vinto.<br />

* * *<br />

E adesso è disteso qui, nella stanza vicina a quella in cui scrivo ed è piena<br />

notte. Nella sua casa, come sempre, non ci sono che persone buone: il<br />

fedelissimo Ferrera, la brava Abeba, Titta, Giuseppe, Luca... <strong>Un</strong>a donna ha<br />

portato dei fiori gialli, un'altra delle spighe di grano.<br />

Ci sono due computer e una stampante, ma centinaia e centinaia di libri.<br />

Braudel, Lefebvre, Verga, Guicciardini, i Canti, Mallarmé, Cervantes...<br />

vecchi amici. C'è il suo giornale di otto anni fa, Controvento, quello che il<br />

distributore non volle mettere in edicola perché “sennò Ciancio ci leva il<br />

pane”. Ci sono carte e fascicoli dappertutto. Ci sono, chi addormentato in<br />

poltrona chi su un divano, amici che gli vogliono bene. Lui, nella stanza<br />

accanto, dorme sorridendo.<br />

Avremmo dovuto parlare dei Siciliani, fra pochi giorni. Era fra i promotori,<br />

proprio in questa casa ci siamo riuniti un mese fa.<br />

“Mannaggia – penso – dovremo fare i Siciliani senza di lui”-<br />

Fra poco è l'alba. Lontano, la notte s'è fatto impercettibilmente meno scura.<br />

“Senza di lui? - pensiamo - Chissà se davvero siamo senza”.


mardiponente


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