1 Il consonantismo romano. Processi fonologici e aspetti acustici
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0. Introduzione<br />
italiano parlato. analisi di un dialogo 1<br />
1<br />
<strong>Il</strong> <strong>consonantismo</strong> <strong>romano</strong>.<br />
<strong>Processi</strong> <strong>fonologici</strong> e <strong>aspetti</strong> <strong>acustici</strong><br />
di Giovanna Marotta<br />
Nello studio della varietà di italiano parlata a Roma, alle consuete difficoltà<br />
che l’analista incontra nel tentativo di sviscerare i diversi livelli del<br />
repertorio linguistico, se ne aggiungono altre, specifiche, dovute alle peculiarità<br />
storiche, sociali e culturali della città. Com’è ormai risaputo sulla scorta<br />
delle indagini condotte in ambito diacronico, orientate di necessità in senso<br />
documentario-filologico, le originarie caratteristiche del volgare ‘romanesco’<br />
erano assai simili a quelle riscontrabili ancora oggi nei dialetti di vaste zone<br />
dell’Italia centro-meridionale 1 ; la massiccia influenza del toscano, iniziata<br />
all’inizio dell’epoca rinascimentale, finì per modificare in parte la struttura del<br />
vernacolo di Roma, avvicinandolo al fiorentino ed allontanandolo dai dialetti<br />
del Sud.<br />
Ulteriori e cospicui processi di innovazione e di interferenza con altre<br />
varietà, sia italiane che dialettali, più o meno distanti dal romanesco, si sono<br />
prodotti anche nei secoli successivi, ma senza mai giungere ad un effetto<br />
profondo e per certi versi radicale come quello che si verificò nel corso del<br />
Quattrocento e del Cinquecento. In particolare, dopo l’Unità di Italia, quando<br />
la questione della lingua nazionale tornò a riproporsi con rinnovato vigore,<br />
la ‘lingua toscana in bocca romana’ sembrò a molti rappresentare la migliore<br />
soluzione, pur nell’implicita assunzione che l’ideale di lingua italiana cui<br />
1 Per un quadro dell’evoluzione diacronica del romanesco, si rinvia a Merlo (1929),<br />
Bertoni e Ugolini (1939a), Rohlfs (1949 = 1966: passim), De Mauro (1963), Ernst (1970),<br />
Vignuzzi (1981; 1988; 1997), Mancini (1987; 1993); Serianni (1987), De Mauro e Lorenzetti<br />
(1991), Trifone (1992); utile risulta anche il repertorio bibliografico di D’Achille e Giovanardi<br />
(1984).
2 il <strong>consonantismo</strong> <strong>romano</strong><br />
ambire doveva liberarsi delle più marcate inflessioni dialettali, sia romane che<br />
fiorentine. Dopo la seconda guerra mondiale, il progressivo processo di<br />
inurbazione e di emigrazione che ha interessato la popolazione italiana ha<br />
aumentato considerevolmente la mobilità dei cittadini, con comprensibili<br />
ripercussioni sulla situazione sociolinguistica delle città e, tra queste, della<br />
capitale. Nell’ultimo quarto del secolo scorso, in particolare, Roma è divenuta<br />
un fortissimo polo di attrazione, in particolare per le popolazioni del Meridione<br />
d’Italia, che vi hanno sovente trovato un’occupazione nell’ambito del<br />
settore terziario. D’altra parte, l’avvento dei mass-media e la conseguente<br />
diffusione sul territorio nazionale di modelli linguistici genericamente<br />
definibili come ‘italiani regionali’ hanno contribuito a delineare un quadro<br />
sociolinguistico assai sfaccettato per le varietà italiane, specialmente urbane 2 .<br />
La ridotta distanza strutturale esistente tra dialetto (da sempre percepito<br />
dai romani stessi come polo basso del continuum) e italiano <strong>romano</strong> (varietà<br />
alta, prossima allo standard) non impedisce tuttavia la stigmatizzazione consapevole<br />
di quei tratti di pronuncia sentiti come chiari marcatori sociofonetici.<br />
Tanto sul versante della produzione quanto su quello della percezione<br />
autoctona, i ‘tratti-bandiera’ della pronuncia romanesca sembrano concentrarsi<br />
più sul <strong>consonantismo</strong> che sul vocalismo 3 . Le ragioni di tale disparità<br />
andranno individuate da un lato nel maggior numero di processi che<br />
interessano il <strong>consonantismo</strong> (anche in virtù del numero maggiore di fonemi<br />
nell’inventario fonologico), dall’altro nel più spiccato carattere dialettale dei<br />
processi stessi, spesso comuni ad altre varietà sub-standard dell’Italia mediana<br />
e/o meridionale. Nel dettaglio, la lenizione delle occlusive, l’affricazione della<br />
sibilante postconsonantica ed i numerosi processi assimilativi vengono facilmente<br />
identificati e considerati come tipici di un livello linguistico basso (il<br />
cosiddetto ‘romanaccio’), pertanto stigmatizzati dalla maggior parte dei parlanti,<br />
nonostante la loro occorrenza d’uso non sia limitata a livelli diastratici<br />
e diafasici infimi.<br />
2 Non è certo questa la sede in cui affrontare queste complesse tematiche sociolinguistiche,<br />
per le quali rinviamo almeno a De Mauro (1963), De Mauro e Lorenzetti (1991),<br />
Ernst (1989), Galli de’ Paratesi (1985), Stefinlongo (1985), Bernhard (1988), Vignuzzi (1988),<br />
DAchille e Giovanardi (1995), D’Achille (2002).<br />
3 Questo è quanto traspare qua e là dall’esame della letteratura (cfr. i riferimenti<br />
bibliografici già citati alla nota precedente) ed è esplicitamente affermato da Bernhard (1992b:<br />
258).
1. <strong>Il</strong> corpus e la fenomenologia<br />
italiano parlato. analisi di un dialogo 3<br />
Dei fenomeni <strong>fonologici</strong> che caratterizzano il <strong>consonantismo</strong> del dialetto<br />
romanesco, ma che possono comparire anche nella pronuncia locale dell’italiano,<br />
è già disponibile in letteratura l’elenco e la descrizione dei contesti<br />
rilevanti 4 , mentre assenti risultano finora analisi sperimentali in merito 5 . In<br />
questo articolo intendiamo pertanto presentare una prima analisi acustica, sia<br />
qualitativa che quantitativa, dei processi che caratterizzano il <strong>consonantismo</strong><br />
della varietà romana di italiano quale è manifestato nel nostro corpus di<br />
riferimento, vale a dire il dialogo CLIPS contrassegnato dalla sigla<br />
DGtdB04R, composto da 336 turni dialogici per una durata complessiva di<br />
15 minuti e 28 secondi; i parlanti sono due giovani studenti universitari<br />
romani, un maschio e una femmina 6 .<br />
Prima di passare ad illustrare la fenomenologia in esame, qualche riflessione<br />
sul tipo di lingua che andiamo ad analizzare. Sul piano sociolinguistico,<br />
tenendo presente l’ormai tradizionale distinzione tra varietà alta, varietà<br />
media e varietà bassa, che negli studi sul romanesco, anche antico, segmenta<br />
il continuum linguistico della città, trasformandolo in gradatum, la lingua<br />
parlata dai nostri due soggetti pare appartenere alla varietà media 7 . Un<br />
italiano <strong>romano</strong>, dunque, contrassegnato da tratti locali marcati, in senso<br />
diatopico e diafasico, alcuni dei quali schiettamente dialettali (quali la lex<br />
Porena), ed addirittura arcaici (quali la geminazione della laterale negli avverbi<br />
lì, là). <strong>Il</strong> nostro osservatorio sperimentale, per quanto limitato per numero<br />
di parlanti e per ampiezza del campione di rilevamento, mostra quindi la<br />
persistenza dei tipici elementi romaneschi. Nonostante le spinte centripete<br />
4 Si vedano in merito Stefinlongo (1985), Canepari (1983: 63-66), Troncon e Canepari<br />
(1989), De Mauro e Lorenzetti (1991), Vignuzzi (1981; 1997), Trifone (1992), Bernhard<br />
(1992b; 1998), D’Achille e Giovanardi (1995), D’Achille (2002).<br />
5 La situazione è in parte diversa per il vocalismo <strong>romano</strong>, che è già stato indagato in<br />
prospettiva acustica in anni recenti; cfr. Albano Leoni et alii (1998), ed ora Sorianello e<br />
Calamai (in questo volume). Circa l’intonazione, che pure pare giocare un ruolo non secondario<br />
nell’identificazione della provenienza del parlante, si vedano i contributi di Canepari<br />
(1983), su base uditiva, e di De Dominicis (2002), di carattere sperimentale. È curioso<br />
ricordare qui quanto scriveva in proposito, ormai ottanta anni or sono, M. Porena (1925: 232)<br />
circa la melodia: “questo elemento così sfuggente (…) è all’intuizione uditiva sensibilissimo,<br />
e chi abbia orecchio riconosce con assoluta sicurezza le melodie d’un dialetto”. Non si può<br />
certo dire che la dialettologia abbia finora accolto questo antico suggerimento.<br />
6 Per la descrizione dei soggetti, come pure per il metodo di elicitazione dei dati<br />
linguistici, per la loro registrazione e segmentazione acustica, rinviamo al contributo<br />
introduttivo di F. Albano Leoni in questo stesso volume.<br />
7 Si ricordi che si tratta di studenti universitari, il che, in questi tempi, non comporta<br />
l’automatica adozione di una varietà alta.
4 il <strong>consonantismo</strong> <strong>romano</strong><br />
che puntano verso la standardizzazione della varietà romana, ancora oggi<br />
pare di dover riconoscere, parafrasando le parole già impiegate da D’Achille<br />
e Giovanardi (1995: 407), che la distanza tra italiano e <strong>romano</strong>, pur piccola,<br />
non è destinata a colmarsi, garantendo e perpetuando l’identità linguistica<br />
locale.<br />
<strong>Il</strong> materiale da noi preso in esame comprende tutti i turni del dialogo<br />
prescelto, ad esclusione di quelli costituiti da semplici segnali fatici, quali sì,<br />
OK, etc.; il corpus di dati analizzati si compone complessivamente di 3900<br />
items. Di ogni consonante è stata data un’etichettatura fonetica stretta, sulla<br />
base dell’analisi acustica ed uditiva.<br />
Per ogni segmento, sono stati considerati i seguenti parametri <strong>acustici</strong>:<br />
– posizione sillabica (attacco o coda);<br />
– contesto fonetico;<br />
– accento lessicale;<br />
– durata complessiva e durata del Voice Onset Time (VOT), ove presente;<br />
– presenza eventuale di burst;<br />
– distribuzione dell’energia nello spettro;<br />
– presenza eventuale di struttura formantica.<br />
Nella discussione dei risultati, in riferimento alla gerarchia di forza consonantica,<br />
terremo distinti i processi di indebolimento da quelli di rafforzamento:<br />
nei primi, il segmento esito del processo presenta valori di forza<br />
inferiori a quello di partenza, mentre nei secondi avviene il contrario; la<br />
cancellazione di segmento rappresenta pertanto il grado massimo di indebolimento.<br />
2. Le occlusive sonore<br />
Bersaglio privilegiato dei processi di indebolimento nella lingua parlata,<br />
nel romanesco come in altre varietà di italiano, sono i fonemi contrassegnati<br />
dal grado maggiore di forza consonantica, vale a dire le occlusive. Dei<br />
segmenti sordi parleremo diffusamente nel prossimo paragrafo. Per quanto<br />
riguarda le occlusive sonore, il trattamento di /b/ va tenuto distinto da quello<br />
di /d/ e /ɡ/; il primo segmento presenta infatti la nota geminazione spontanea<br />
condivisa da buona parte dell’Italia centro-meridionale. Nel dialogo<br />
analizzato, in contesto intervocalico l’allungamento di /b/ è pressoché sistematico,<br />
sia nel parlante maschile che in quello femminile, anche se il campione<br />
di items è piuttosto limitato. Molto più consistenti numericamente sono i
italiano parlato. analisi di un dialogo 5<br />
casi di geminazione a confine di parola per assimilazione regressiva, in<br />
particolare della liquida finale dell’Articolo nei sintagmi nominali (ad es. [l+b]<br />
> [b] in il bambino, del bambino, al bordo, dal bordo).<br />
La durata dell’occlusiva bilabiale sonora in posizione intervocalica è del<br />
tutto comparabile a quella della lunga originaria (valori medi /b/ > [b] = 92<br />
msec., σ = 14; /b/ = 96 msec., σ = 17), mentre è decisamente inferiore ([b]<br />
= 48 msec., σ = 12) ed analoga a quella delle altre occlusive scempie ([d] e<br />
[ɡ]; cfr. ultra) quando il segmento si trova in posizione postconsonantica.<br />
Soltanto sporadici sono gli esempi di spirantizzazione di /b/ preceduta da<br />
consonante nasale; quasi assente l’assimilazione [-mb-] > [m], fenomeno<br />
marcatamente dialettale e meridionale.<br />
Per /d/ e /ɡ/ in contesto intervocalico, o meglio in posizione di attacco<br />
sillabico, abbiamo rilevato tre varianti fondamentali, tutte ovviamente sonore:<br />
occlusive, spiranti e approssimanti, cui si aggiunge, per la sola coronale, la<br />
cancellazione del segmento. Nella classificazione dei foni, abbiamo seguito i<br />
seguenti criteri:<br />
• segmento occlusivo in presenza della sola barra di sonorità a bassa<br />
frequenza sul sonagramma;<br />
• segmento fricativo in presenza di rumore diffuso sullo spettro, con<br />
caratteristiche in parte diverse a seconda del punto di articolazione della<br />
consonante;<br />
• segmento approssimante in presenza di struttura formantica, di ampiezza<br />
più o meno marcata, ma comunque inferiore a quella delle vocali<br />
contigue.<br />
Nella Tabella I presentiamo i valori percentuali di occorrenza nel corpus<br />
per le diverse varianti di /d ɡ/ mediate sui due soggetti, omogenei per questo<br />
rispetto.<br />
Tabella I. Valori percentuali delle varianti dei fonemi occlusivi sonori nel corpus di<br />
riferimento.<br />
occlusiva fricativa approssimante cancellazione<br />
/d/ 32 6 55 7<br />
/ɡ/ 52 4 44 0<br />
La percentuale di mantenimento dell’occlusiva è più elevata per /ɡ/ che<br />
per /d/, per probabile effetto della ‘sindrome delle coronali’ (cfr. Kenstowicz
6 il <strong>consonantismo</strong> <strong>romano</strong><br />
1994). In parallelo, la dentale, ma non la velare, è soggetta a cancellazione,<br />
soprattutto se si tratta della preposizione di e dei suoi allomorfi, articolati e<br />
non (de, del, della). Da sottolineare che lo ‘scoppio’ (burst) che segue la fase<br />
di occlusione spesso non è visibile, né sulla forma d’onda né sullo<br />
spettrogramma a banda larga; anche quando presente (in media nel 10% dei<br />
casi, per entrambi i punti di articolazione), mostra una durata ed un’intensità<br />
assai ridotta.<br />
<strong>Il</strong> parametro acustico relativo alla durata segmentale presenta il tipico<br />
andamento scalare, che riflette il grado di forza consonantica: i segmenti<br />
occlusivi sonori sono infatti mediamente più lunghi dei segmenti fricativi, a<br />
loro volta più lunghi dei segmenti approssimanti 8 . Riportiamo in forma<br />
sintetica i valori medi della durata delle diverse varianti:<br />
[d] = 62 msec. (σ = 16); [ð] = 46 msec. (σ = 15); [ð] = 34 msec. (σ = 15) 9 ;<br />
[ɡ] = 56 msec. (σ = 18); [γ]= 45 msec. (σ = 16); [γ] = 36 msec. (σ = 19).<br />
3. La lenizione delle occlusive sorde<br />
Uno dei tratti più caratteristici della pronuncia romana di italiano è<br />
certamente la lenizione delle occlusive sorde in posizione postvocalica 10 . <strong>Il</strong><br />
processo di lenizione assume nel nostro corpus i connotati di regola<br />
fonologica variabile, nel senso che, pur essendo relativamente frequente,<br />
appare condizionata da alcuni fattori, quali il grado maggiore o minore di<br />
prominenza della parola, la presenza vs. assenza di accento lessicale.<br />
Nel tracciato spettrografico, le occlusive leni sono caratterizzate dalla<br />
presenza di una certa struttura sonora a bassa frequenza, simile alla barra di<br />
sonorità, anche se meno intensa. La fase di rilascio della consonante (Voice<br />
Onset Time) è talvolta conservata, per quanto il rumore di frizione presenti<br />
una minore espansione nella banda delle frequenze; l’esplosione, manifestata<br />
dal burst a livello acustico, è spesso assente, oppure, se presente, assai ridotta<br />
8 La medesima gerarchia di forza e di durata è stata riscontrata per l’inglese e lo spagnolo<br />
(Lavoie 2001), oltre che per il toscano (Marotta 2001; Sorianello 2001b).<br />
9 Per trascrivere l’approssimante, abbiamo aggiunto al simbolo delle fricative sonore il<br />
diacritico [ ], che indica in IPA una minore tensione nel gesto ed un maggiore avvicinamento<br />
degli articolatori, con produzione di foni più rilassati.<br />
10 <strong>Il</strong> fenomeno appartiene ad una vasta area dell’Italia mediana e meridionale, tanto nei<br />
dialetti quanto nell’italiano regionale; nell’ambito della vasta letteratura sull’argomento, ci<br />
limitiamo a rinviare a Rohlfs (1966, § 209), Canepari (1983), Loporcaro (1988: 105 sgg.),<br />
Marotta e Sorianello (1992: 80 sgg.), D’Agostino (1997), Giuliani (2003).
italiano parlato. analisi di un dialogo 7<br />
quanto ad ampiezza. Dal punto di vista articolatorio, la lenizione è il risultato<br />
di un grado minore di tensione delle pliche vocali, associato ad una modesta<br />
e talora minima vibrazione delle stesse, con conseguente parziale sonorizzazione.<br />
Gli indici <strong>acustici</strong> adottati per il riconoscimento di un fono come lene<br />
sono pertanto la presenza di vibrazioni a bassa frequenza, di intensità minore<br />
rispetto a quella della barra vocale che caratterizza le consonanti sonore, ed<br />
una durata minore rispetto alle occlusive sorde, ma superiore a quella delle<br />
occlusive sonore; due esempi di consonanti lenite sono presentati nella<br />
Figura 1. In contesto intervocalico, abbiamo riscontrato anche l’occorrenza<br />
di un’ulteriore variante debole, caratterizzata da barra vocale poco intensa e<br />
da struttura formantica, anch’essa di ampiezza ridotta. Tali foni, sia<br />
uditivamente che acusticamente assai prossimi alle leni, possono essere classificati<br />
come approssimanti, quindi più deboli delle leni propriamente dette,<br />
in quanto sono marcate positivamente non solo rispetto al tratto di continuità,<br />
ma anche a quello di sonorità.<br />
Figura 1. Forma d’onda e spettrogramma di “però dalla parte tua” che illustra la<br />
lenizione di /p t/ e la lex Porena (per cui, cfr. § 6).<br />
Su un totale di 430 fonemi occlusivi sordi in contesto intervocalico o<br />
seguite da vibrante, le varianti deboli, leni e approssimanti, risultano<br />
maggioritarie. Le stesse varianti occlusive appaiono comunque soggette ad<br />
indebolimento, dal momento che possono talora assumere l’aspetto acustico
8 il <strong>consonantismo</strong> <strong>romano</strong><br />
di segmenti aspirati, con allungamento della fase del Voice Onset Time ed<br />
assenza di scoppio. <strong>Il</strong> quadro analitico della percentuale di occorrenza dei<br />
singoli allofoni è presentato nella Tabella II. <strong>Il</strong> comportamento dei due<br />
soggetti non è omogeneo: in accordo con uno dei postulati classici della<br />
sociolinguistica, il parlante maschile, che mostra per i foni deboli percentuali<br />
più elevate rispetto alla parlante femminile, si qualifica come più dialettalmente<br />
marcato.<br />
Tabella II. Valori percentuali di ricorrenza delle varianti dei fonemi occlusivi sordi, distinti<br />
per parlante; M = maschio; F = femmina.<br />
occlusiva occlusiva lene approssimanti cancellazione<br />
GF-F GM-M GF-F GM-M GF-F GM-M GF-F GM-M<br />
/p/ 63 33 27 47 10 20 – –<br />
/t/ 60 44 22 29 18 27 – –<br />
/k/ 55 34 13 20 22 35 10 11<br />
La durata delle diverse varianti riflette la scalarità attesa, con le occlusive<br />
più lunghe delle leni, a loro volta più lunghe delle approssimanti. Nel dettaglio,<br />
le durate medie sono le seguenti:<br />
[p] = 91 ms. (σ 26), [t] = 87 ms. (σ 30), [k] = 110 ms (σ 24);<br />
[b] = 71 ms. (σ 18), [d] = 69 ms. (σ 21), [ɡ ] = 79 ms. (σ 25);<br />
[β] = 45 ms. (σ 12), [ð]= 42 ms. (σ 11), [γ] = 46 ms. (σ 12).<br />
<strong>Il</strong> fonema velare risulta il più esposto al processo di indebolimento nelle<br />
sue varie facies: non solo presenta i valori percentuali più bassi per la variante<br />
forte, ma è anche l’unico soggetto a cancellazione totale 11 , specialmente in<br />
morfemi quali che, come, con, a conferma della nota fragilità delle parole<br />
funzionali. Nel corpus di riferimento, la distribuzione delle varianti – una<br />
relativamente bassa frequenza delle leni, una percentuale più elevata di<br />
approssimanti, l’occorrenza di cancellazione – sembra indicare che l’indebolimento<br />
abbia raggiunto il massimo grado proprio per questo punto di<br />
articolazione. Si può supporre che nello sviluppo diacronico i diversi processi<br />
11 <strong>Il</strong> quadro è del tutto compatibile con quanto emerso per altre varietà di italiano centromeridionale;<br />
cfr. ad es. D’Agostino (1997: 107) per il siciliano, Marotta (2001) per il toscano,<br />
Giuliani (2003: 278) per il barese.
italiano parlato. analisi di un dialogo 9<br />
che puntavano verso l’economia del gesto articolatorio occlusivo abbiano<br />
trovato nella velare non solo il primo elemento di applicazione, ma anche il<br />
migliore veicolo di diffusione della lenizione.<br />
Tuttavia, il fatto che la lenizione ricorra con minore frequenza nel caso<br />
di /k/, posteriore, rispetto a /p/ e /t/, anteriori, può avere anche una spiegazione<br />
di tipo articolatorio. In linea di principio, occlusione ed accostamento<br />
delle pliche vocali sono gesti antagonisti; la lenizione, associata ad un grado<br />
ridotto di tensione dei muscoli adduttivi, prevede un controllo fine della<br />
muscolatura laringea, per cui l’accostamento parziale delle pliche vocali,<br />
tipico di questa modalità di fonazione, può facilmente tradursi in<br />
sonorizzazione nel caso dell’occlusiva velare, data la maggiore difficoltà di<br />
controllare i movimenti degli organi articolatori quando il punto di articolazione<br />
si colloca a livello del velo. Viceversa, per i punti di articolazione<br />
marcati dal tratto di anteriorità, occlusione e lenizione sono maggiormente<br />
compatibili. Sembra pertanto che sussista una correlazione positiva tra distanza<br />
dalla glottide e tendenza verso la lenizione delle consonanti occlusive<br />
sorde 12 .<br />
Volendo interpretare il processo di lenizione nel quadro corrente della<br />
geometria dei tratti, si può ricorrere ai due tratti <strong>fonologici</strong> [glottide allargata]<br />
e [corde vocali rigide] (Halle e Stevens 1971, Sagey 1986). <strong>Il</strong> primo tratto<br />
riguarda i movimenti della glottide in orizzontale, mentre il secondo tratto<br />
riguarda l’asse verticale. Se l’ampliamento come pure la riduzione dello spazio<br />
compreso tra le pliche vocali è relativamente ben controllato dal parlante (Ni<br />
Chasaide e Gobl 1997: 443-452), lo stesso non pare valere con la stessa<br />
facilità per il grado di tensione delle pliche medesime, che sono soggette a<br />
modificazioni non sempre dipendenti dalla volontà del parlante; si pensi ad<br />
esempio alla riduzione della tensione delle pliche vocali che si accompagna<br />
a certe patologie laringee oppure all’età senile.<br />
<strong>Il</strong> tratto [glottide allargata] risulta tuttavia problematico per le leni: positivo<br />
per le sorde (per le quali le pliche vocali sono distanziate), negativo per<br />
le sonore (nella cui produzione le pliche vocali sono accostate al massimo),<br />
quale sarebbe la marca per le leni? Essendo questo tipo di consonanti<br />
prodotto con la glottide più allargata rispetto alle sonore, ma con le pliche<br />
vocali non così distanti come per le sorde, il loro valore relativo al grado di<br />
12 Parimenti sfavorita sembra essere l’aspirazione per le consonanti occlusive marcate dal<br />
tratto [+post]; nella produzione orale di soggetti non udenti italiani, si è ad es. osservato il<br />
mantenimento dell’occlusiva velare sorda, mentre l’aspirazione della labiale e della dentale si<br />
producono by default, a causa del rallentamento generale dei gesti articolatori, che determina<br />
un allungamento temporale delle varie fasi di una consonante occlusiva sorda, ivi compreso<br />
il VOT.
10 il <strong>consonantismo</strong> <strong>romano</strong><br />
apertura della glottide sarebbe intermedio, e quindi non immediatamente<br />
trasferibile in una matrice binaria. D’altro canto, il tratto [corde vocali rigide]<br />
risulterà positivo per le sole sorde, mentre per le leni, come per le sonore, sarà<br />
negativo. Schematicamente, esemplificando per il punto di articolazione<br />
labiale, una possibile matrice dei tratti rilevanti per i foni coinvolti potrebbe<br />
essere la seguente:<br />
1) debole forte<br />
β b b p<br />
sonoro + + - -<br />
glottide allargata - - + +<br />
corde vocali rigide - - - +<br />
continuo + - - -<br />
Un tale quadro non è tuttavia esente da critiche. Innanzitutto, il tratto<br />
[glottide allargata] è stato introdotto in letteratura per la rappresentazione<br />
delle occlusive aspirate (Halle e Stevens 1971), che sono segmenti forti, per<br />
cui la sua adozione per le leni, deboli, sembra poco motivata; ma se marcassimo<br />
negativamente le leni per questo tratto, non le distingueremmo più dalle<br />
sonore corrispondenti. In secondo luogo, il tratto relativo alla rigidità/<br />
rilassatezza delle pliche vocali è stato sottoposto in anni recenti ad una serie<br />
di critiche esplicite, quali la difficoltà di verifica empirica e la sua<br />
concomitanza con il tratto di sonorità 13 .<br />
Sembra pertanto preferibile abbandonare i due tratti suddetti, per ricorrere<br />
al tradizionale tratto di tensione 14 , che rende conto in modo più semplice<br />
ed economico del processo di lenizione. I foni tesi sono prodotti con un più<br />
elevato grado di tensione delle pliche vocali come pure dell’intero tratto<br />
vocale; l’aumentata tensione muscolare si associa ad un innalzamento della<br />
pressione, sia ipolaringea che orale, e ad un aumento della durata 15 . La<br />
matrice alternativa consente di differenziare in modo semplice ed elegante le<br />
possibili varianti dei fonemi occlusivi sordi:<br />
13 Su questi <strong>aspetti</strong> non banali di rappresentazione in termini di tratti, rinviamo alla recente<br />
monografia di Jessen (1998: 129-130), dedicata alle consonanti ostruenti del tedesco, ed alla<br />
ricca bibliografia ivi citata.<br />
14 Com’è noto, il tratto di tensione fu introdotto da Jakobson, Fant e Halle (1952); di<br />
recente è stato riportato in auge, su base sia acustica che articolatoria, da Jessen (1998).<br />
15 Cfr. Jakobson, Fant e Halle (1952: 36), Ladefoged e Maddieson (1996: 97 sgg.), Ni<br />
Chasaide e Gobl (1997: 451).
italiano parlato. analisi di un dialogo 11<br />
2) debole forte<br />
β b b p<br />
sonoro + + - -<br />
teso - - - +<br />
continuo + - - -<br />
4. Fricative e affricate<br />
Anche i processi <strong>fonologici</strong> che coinvolgono queste consonanti sono<br />
comuni a vaste aree dell’Italia mediana e meridionale. Per quanto riguarda le<br />
fricative labiodentali, nel corpus in esame /f/ non presenta fenomeni specifici,<br />
mentre per /v/ abbiamo rilevato la presenza di tre varianti essenziali: la<br />
fricativa sonora propriamente detta (presente in contesto intervocalico nel<br />
24% dei casi), l’approssimante (con una percentuale pari al 68%), e la cancellazione<br />
del segmento (8% dei casi). Come accade anche in altre varietà di<br />
italiano (ad es. nel toscano), la fricativa sonora si conferma più incline<br />
all’indebolimento della sorda.<br />
Passando alle sibilanti, la spirante palatale sorda in contesto intervocalico<br />
risulta sempre lunga (in media 136 msec.), come di norma nelle varietà<br />
centro-meridionali. Più movimentato il quadro relativo alla sibilante<br />
alveolare. Innanzitutto, in posizione intervocalica alla sorda (presente nel<br />
75%) si alterna, sia pure con minore frequenza, la sonora (25%), a conferma<br />
della lenta, ma forse ormai inesorabile diffusione di [z] in questo contesto.<br />
Sulla base dei dati raccolti, sembrerebbe che forme come cosa, scusa, scusami<br />
fungano da ‘cavallo di Troia’ del processo di sonorizzazione.<br />
In secondo luogo, l’affricazione di /s/ postconsonantica risulta categorica,<br />
in quanto presente nella totalità dei contesti potenzialmente disponibili;<br />
parole-bersaglio primarie nel nostro dialogo risultano verso, senso, penso. La<br />
durata media dell’affricata secondaria è pari a 134 msec. (σ = 20) se preceduta<br />
da consonante liquida, a 121 msec. (σ = 26) se preceduta da consonante<br />
nasale, quindi del tutto comparabile a /ts/ lessicale (cfr. ultra). Anche nel caso<br />
dell’italiano di Roma, come già osservato per l’italiano di Pisa (cfr. Turchi e<br />
Gili Fivela 2004), nell’affricata secondaria la fase di occlusione può essere<br />
brevissima oppure del tutto assente a livello spettrografico, sostituita da<br />
rumore di frizione piuttosto disomogeneo, di intensità minore, ma con frequenze<br />
più elevate rispetto alla fase fricativa seguente, corrispondente a [s].<br />
<strong>Il</strong> risultato percettivo (= affricata) è comunque chiaro ed inequivocabile, sia<br />
per i parlanti romani che per parlanti di altra area regionale.<br />
<strong>Il</strong> processo in questione appare non marcato sul piano tipologico in
12 il <strong>consonantismo</strong> <strong>romano</strong><br />
generale e nell’ambito della diatopia italiana in particolare, essendo comune<br />
a molti dialetti come pure a numerose varietà regionali di area centromeridionale.<br />
Ohala (1974) ha mostrato come l’intrusive t si spieghi con facilità<br />
dal punto di vista articolatorio: nel caso di -ns-, l’occlusione anticipa<br />
l’innalzamento del velo palatino, necessario per la produzione del segmento<br />
orale seguente, mentre per -rs- e -ls-, l’epentesi dell’occlusiva consente l’interessamento<br />
in due fasi successive delle aree di contatto complementari<br />
coinvolte nel passaggio dalla liquida alla sibilante seguente. In prospettiva<br />
fonologica, con esplicito riferimento alla ‘Legge del Contatto Sillabico’ proposta<br />
da Vennemann (1988: 40), il processo di affricazione risulta parimenti<br />
naturale, dal momento che incrementa lo scarto in forza consonantica tra i<br />
due segmenti posti al confine di sillaba.<br />
Se la sibilante è target nel processo di affricazione quando sia preceduta<br />
da consonante sonorante, diventa trigger nel contesto /st/: l’occlusiva subisce<br />
infatti l’influsso assimilativo da parte della sibilante, il che determina la<br />
spirantizzazione di /t/, totale o, più spesso, parziale. <strong>Il</strong> fenomeno è stato<br />
riscontrato anche in altre varietà di italiano (ad es. il toscano o il napoletano)<br />
e rientra nel quadro della generale tendenza verso l’ipoarticolazione che<br />
caratterizza la lingua parlata (Lindblom 1990).<br />
Le affricate alveo-dentali sono sempre lunghe se intervocaliche (cfr. Tab.<br />
III), ma brevi se precedute da liquida o nasale 16 . Le affricate palatali mostrano<br />
invece comportamenti opposti: se da un lato a Roma, come in buona parte<br />
dell’Italia centro-meridionale, si assiste alla geminazione ‘spontanea’ di /dʒ/<br />
(ad es. [radʒonamento] 17 , dall’altro /tʃ/ subisce la spirantizzazione, come<br />
accade in Toscana ed in altre zone dell’Italia mediana (ad es. [pɔlitʃe]><br />
[pɔliʃe], [spεtʃe]> [spεʃe]). Entrambi i fenomeni presentano carattere<br />
di categoricità nel dialogo in esame, il che ne testimonia non solo la vitalità,<br />
ma anche la stabile collocazione nella varietà medio-alta del repertorio<br />
<strong>romano</strong>. L’affricata palatale sorda si mantiene soltanto dopo nasale e dopo<br />
pausa 18 , oppure, in contesto intervocalico all’interno dello stesso turno, dopo<br />
frattura tonale. Come nel toscano, la spirantizzazione comporta una riduzione<br />
segmentale, dal momento che viene a mancare la fase di occlusione<br />
16 Nel corpus abbiamo rilevato cinque casi in tutto per /rts/, sempre per la stessa parola<br />
(terza), e tre esempi per /nts/, nella parola differenza; la durata media dell’affricata è pari a 108<br />
ms. (σ = 30) se preceduta dalla vibrante, a 118 ms. (σ = 14) se preceduta da consonante nasale.<br />
17 Nel nostro corpus, la durata media di /dʒ/ in contesto intervocalico è pari in media a 111<br />
ms. (σ = 22), mentre /dʒ/ lessicale (nella parola leggermente) è lungo 107 ms. ( σ = 1 5); cfr.<br />
Tabella III.<br />
18 Tipico il caso di c’è o di cioè , piuttosto comuni sia dopo pausa di esitazione all’interno<br />
di uno stesso turno che ad inizio di turno dialogico.
italiano parlato. analisi di un dialogo 13<br />
iniziale che contraddistingue l’affricata; tuttavia, l’opposizione fonologica tra<br />
/tʃ/ e /ʃ/ si mantiene per mezzo del tratto di lunghezza: la fricativa esito del<br />
processo di deaffricazione è infatti breve, mentre la sibilante palatale primaria<br />
è lunga (cfr. supra) 19 .<br />
Nella Tabella III, presentiamo, in forma sinottica, i valori medi delle<br />
durata per le consonanti fricative e affricate in contesto intervocalico.<br />
Tabella III. Valori medi della durata (msec.) e deviazione standard (σ) per le consonanti<br />
fricative ed affricate.<br />
5. Le sonoranti<br />
f f v v w s z s ʃ ts dz tʃ dʒ dʒ<br />
Durata 78 148 55 93 45 97 70 139 136 148 120 108 111 107<br />
σ 22 17 16 12 18 24 23 32 21 16 20 21 22 15<br />
Le nasali bilabiale e dentale non presentano fenomeni particolari. La<br />
nasalizzazione della vocale precedente è comunque frequente per entrambi<br />
i parlanti, soprattutto se la nasale si trova in posizione di coda sillabica. In<br />
contesto intervocalico, in concomitanza di nasalizzazione della vocale, si<br />
assiste al dileguo della consonante nasale nel 10% delle ricorrenze per /m/, nel<br />
12% per /n/. L’assimilazione tipica dei dialetti centro-meridionali ([-nd-] ><br />
[n]) è fondamentalmente assente nel corpus in esame, in linea con quanto già<br />
osservato da D’Achille e Giovanardi (1995: 405), anche se nel contesto -ndè<br />
dato osservare un indebolimento consonantico non esente da vincoli<br />
morfologici: /d/ è realizzata infatti come occlusiva nei nomi (ad es. bandierina,<br />
onde, sfondo), ma come approssimante negli avverbi (tipicamente in quindi e<br />
secondo), nell’aggettivo grande e nelle forme verbali (partendo, scende). Attestata<br />
è anche l’assimilazione totale regressiva della nasale nel caso della preposizione<br />
con; ad es. con sotto > [ko soto], con sopra > [ko sobra].<br />
Sono stati anche rilevati casi di palatalizzazione della nasale seguita da<br />
vocale anteriore; ad es., nella parola lineette, frequente nei turni dialogici, la<br />
resa palatale della nasale è sistematica nel parlante maschile ([li ete]),<br />
mentre in linea, il processo si ferma all’innalzamento di -e- in -i-; infine, in tutte<br />
19 Nel dettaglio, la spirante esito dell’affricata dura in media 87 msec. (σ = 18), mentre la<br />
fricativa palatale sorda, dura 136 msec. (σ = 21); cfr. Tabella III.
14 il <strong>consonantismo</strong> <strong>romano</strong><br />
le ricorrenze di niente, si verifica la palatalizzazione, per entrambi i parlanti.<br />
<strong>Il</strong> quadro sinottico della durata segmentale media delle consonanti nasali<br />
viene presentato nella Tabella IV.<br />
Tabella IV. Valori medi della durata (msec.) e deviazione standard (σ) per i fonemi nasali<br />
nei contesti indicati.<br />
VmV VmV mC VnV VnV nC <br />
Durata 56 98 79 47 82 62 79<br />
σ 19 25 22 18 30 24 18<br />
<strong>Il</strong> micro-sistema delle consonanti liquide nella varietà romana mostra<br />
molteplici processi <strong>fonologici</strong>, globalmente leggibili all’insegna della tendenza<br />
verso l’indebolimento articolatorio.<br />
La vibrante presenta numerose varianti, condizionate dal contesto di<br />
occorrenza del segmento: la polivibrante si realizza di norma nelle parole<br />
prominenti, caratterizzate da lunghezza maggiore e da tono accentuale<br />
ascendente; l’allofono fricativizzato è favorito nel nesso –sCr-, per effetto di<br />
assimilazione progressiva (tipici sono i casi di sinistra e destra, assai frequenti<br />
nel corpus); la monovibrante e l’approssimante sono perlopiù limitate al<br />
contesto intervocalico (o precedute da occlusiva sorda) in parole di scarso<br />
peso informativo (ad es. sarà, allora, proprio, tre); il dileguo ricorre spesso<br />
nell’avverbio allora, usato come segnale discorsivo, ma non nella preposizione<br />
per, in cui il segmento si conserva sempre e per entrambi i parlanti, nonostante<br />
la fragilità fonologica tipica degli elementi funzionali.<br />
Nel complesso, le varianti deboli (ivi compresa la cancellazione del<br />
segmento) risultano maggioritarie, essendo pari al 63%. La percentuale di<br />
ricorrenza delle singole varianti e la loro durata segmentale vengono illustrate<br />
nella Tabella V. Per quanto riguarda infine lo scempiamento della vibrante<br />
lunga 20 , non è dato osservarne esempi nel dialogo in esame; i due soli casi<br />
20 La letteratura sul romanesco è concorde nel riconoscere che il fenomeno sia relativamente<br />
recente. Secondo Migliorini (1933 = 1945 2 : XXIII), “non si era ancora prodotto ai tempi<br />
del Belli”; Trifone (1992: 64) ritiene invece che lo scempiamento della vibrante lunga sia “la<br />
più importante innovazione fonologica del romanesco nell’età belliana, di cui il poeta indica<br />
puntualmente, e per primo, la pur limitata espansione”. La sensibilità linguistica del Belli,<br />
‘poeta-dialettologo’ secondo una felice espressione dello stesso Trifone (1992: 62), è da tempo<br />
riconosciuta ed apprezzata dagli studiosi del romanesco; per una valutazione complessiva<br />
della lingua poetica belliana, rinviamo a Serianni (1987) e al già menzionato Trifone (1992),<br />
nonché alla bibliografia ivi citata.
italiano parlato. analisi di un dialogo 15<br />
rilevati di /r/ (terra, bis) vedono il mantenimento della geminata con durata<br />
pari a 86 msec.<br />
Tabella V. Valori percentuali di ricorrenza delle varianti del fonema vibrante /r/,<br />
con indicazione della loro durata (msec.) e relativa deviazione standard (σ).<br />
polivibrante monovibrante vibrante fricativa approssimante cancellazione<br />
% 37 15 19 20 9<br />
Durata 46 24 41 27 -<br />
σ 10 8 16 11 -<br />
Infine, segnaliamo la sporadica occorrenza di vocali epentetiche centralizzate<br />
nel contesto muta cum liquida, anche in questo caso in linea con<br />
quanto osservabile in numerose varietà di italiano centro-meridionale. Quando<br />
prodotta dopo un’ostruente sorda, la vibrante può infatti essere preceduta<br />
da un elemento vocalico di timbro indistinto; la vocale centralizzata [ə] è<br />
riconoscibile acusticamente in base alla struttura formantica ed al cambiamento<br />
nell’ampiezza e nella periodicità delle vibrazioni; un esempio di<br />
epentesi vocalica viene presentato nella Figura 2.<br />
Figura 2. Forma d’onda e spettrogramma del sintagma “quella sopra” che illustra<br />
l’epentesi vocalica e la lenizione consonantica nel nesso -pr-.<br />
Passando alle laterali, consideriamo innanzitutto la laterale palatale, resa<br />
normalmente con [j] nel romanesco. Nel dialogo vi sono pochissime occor
16 il <strong>consonantismo</strong> <strong>romano</strong><br />
renze di /ʎ/ (per la precisione, tre in tutto), ma in nessun caso, viene prodotta<br />
la laterale palatale, bensì sempre il glide anteriore 21 . Fondamentalmente assente<br />
risulta il rotacismo, tratto dialettale in regresso nel romanesco di ‘terza<br />
fase’; parimenti assente anche l’allomorfo er per l’articolo deter-minativo il<br />
(cfr. anche Bernhard 1998: 259). Frequenti sono invece le assimilazioni subite<br />
da /l/ a confine di morfema, tipicamente nel caso dell’articolo il e delle forme<br />
preposizionali articolate del e dal (ad es. del mare [de mare], il mare > [i<br />
mare], dal bordo [da bordo], il pollice [i poliʃe]).<br />
La consonante laterale alveolare è di norma realizzata come tale. La sua<br />
lunghezza sembra essere influenzata dal contesto sillabico; se intervocalica ed<br />
interna di parola, presenta infatti una durata media pari a 45 msec. (σ = 18),<br />
mentre all’inizio di turno, è un po’ più lunga (mediamente, 57 msec., σ = 15).<br />
In alcuni casi, le caratteristiche di approssimante risultano accentuate: soprattutto<br />
in sillaba postonica (ad es. nuvola, piccola), la struttura formantica è assai<br />
simile a quella delle vocali contigue e la durata del segmento laterale è<br />
brevissima, anche inferiore a 30 msec.<br />
In posizione di coda sillabica, ricorre spesso (35% dei casi utili) la variante<br />
laterale fricativizzata, quando il segmento è seguito da un’occlusiva sorda con<br />
chiari segni di aspirazione (VOT lungo; cfr. § 4); ad es. altro, altra, altezza, al<br />
piede, al sasso; se invece segue un’occlusiva sonora, il processo di spirantizzazione<br />
non si verifica. <strong>Il</strong> parlante maschile presenta percentuali più elevate<br />
di foni fricativizzati rispetto al soggetto femminile (40% versus 29%).<br />
La laterale lunga mostra una durata media pari a 88 msec. (σ = 22). Si<br />
registrano tuttavia alcuni esempi di scempiamento, ad es. nei lessemi capelli<br />
o pollice, frequentemente nel caso dell’avverbio allora. La riduzione di /l/ a [l]<br />
è sistematica nelle preposizioni articolate (alla, della, delle, dalla, sulla, sullo),<br />
e nelle forme pronominali quello e quella; in questi contesti morfologici, [l]<br />
si mantiene infatti soltanto se l’elemento è pre-pausale oppure se è associato<br />
ad un certo grado di prominenza. Nei casi di degeminazione, la laterale<br />
spesso presenta una durata inferiore a quella riscontrata per /l/ scempia<br />
lessicale e mostra una struttura più marcatamente approssimante. Entrambi<br />
i parlanti presentano la degeminazione di /l/, che si conferma così come uno<br />
dei tratti locali più stabili nell’italiano <strong>romano</strong> parlato a livelli diafasici medî,<br />
oltre che bassi.<br />
21 In un caso soltanto il glide risulta lungo: per la parola caviglia, la durata di [jù] è infatti<br />
pari a 72 msec. Nell’articolo gli, prodotto dopo pausa, il glide dura 52 msec. Infine, nella parola<br />
sopracciglio, la laterale, o meglio il suo succedaneo [j], viene addirittura cancellato, per cui<br />
[sobratʃio], con perdita dell’approssimante, analogamente a quanto già rilevato da<br />
Bernhard (1992b: 259).
italiano parlato. analisi di un dialogo 17<br />
Ai fenomeni finora descritti, che coerentemente mostrano la tendenza<br />
della laterale verso l’indebolimento articolatorio, sembra opporsi la<br />
geminazione che si riscontra negli avverbi locativi lì e là ([li], [la]) e nei<br />
pronomi lo, la in unione al verbo averci (o meglio avecci), d’uso comune nel<br />
parlato di Roma; ad es. nel dialogo, ce ll’ho, ce ll’hai. La contraddizione è<br />
tuttavia solo apparente, dal momento che in entrambi i contesti sopra indicati,<br />
limitati lessicalmente e morfologicamente, si tratta di forme residuali,<br />
quasi fossili, nelle quali si perpetua l’antica laterale lunga originaria del latino.<br />
6. La lex Porena<br />
Com’è noto, in vaste zone dell’Italia centro-meridionale, i morfemi derivati<br />
dal lat. ILLUM sono soggetti a processi di indebolimento più o meno<br />
invasivi, come dimostra tra l’altro la mancata applicazione del Rafforzamento<br />
Fonosintattico agli articoli determinativi (Rohlfs 1949 = 1966: § 174). In questo<br />
quadro si inscrive il fenomeno che da tempo è noto in letteratura come lex<br />
Porena, dal nome dell’Autore che per primo ne scrisse, qualificandolo come<br />
“fenomeno del dialetto plebeo” di Roma (cfr. Porena 1925: 230). <strong>Il</strong> processo<br />
ha natura morfofonologica e prevede la perdita della laterale negli articoli<br />
determinativi (la, le, lo, li), negli omofoni pronomi clitici oggetto, nelle preposizioni<br />
articolate (della, dalla, sulla, etc.) e nelle forme del pronome o<br />
aggettivo quello. Si tratta dunque di un complesso di elementi aventi una<br />
comune base etimologica: i morfemi derivati da ILLUM specificati dai tratti<br />
di genere, numero e definitezza.<br />
Sul processo vigono due vincoli: il primo, prosodico, impone che la<br />
vocale seguente sia atona (per cui it. ho venduto la casa, rom. [ɔ vendu do<br />
a ɡ asa], ma gli uomini, rom. [lomini]); il secondo, morfosintattico, prevede<br />
la presenza di un confine morfologico tra l’elemento contenente /l/ e l’elemento<br />
precedente. Una terza restrizione può inoltre essere individuata sulla<br />
base di quanto scriveva Porena (1925: 235): la cancellazione di /l/ sarebbe<br />
bloccata quando /l/ sia “iniziale di proposizione”, dal che discende il vincolo<br />
di posizione intervocalica per l’applicazione della lex Porena. Tuttavia, i rilievi<br />
successivi sembrano aver dimostrato l’applicazione del processo anche in<br />
contesto iniziale di enunciato22 .<br />
Nonostante la sua marcatezza come tratto dialettale, il processo, relativa-<br />
22 Cfr. Loporcaro (1991: passim; nello specifico, p. 299, in nota 17), Bernhard (1998; 1999).
18 il <strong>consonantismo</strong> <strong>romano</strong><br />
mente recente 23 , risulta in espansione e sempre più diffuso nel parlato di<br />
Roma, dal momento che ricorre ormai anche nella varietà media del<br />
continuum linguistico <strong>romano</strong>, perlomeno nel caso degli articoli e delle preposizioni<br />
articolate 24 . <strong>Il</strong> nostro corpus conferma la vitalità della legge Porena,<br />
essendo il fenomeno attestato nel dialogo, nonostante i parlanti siano giovani<br />
studenti universitari; per la precisione, abbiamo rilevato, prima uditivamente<br />
e poi acusticamente, 20 casi di cancellazione di /l/ nei contesti morfologici<br />
sopra indicati, di cui 11 per il parlante femminile e 9 per quello maschile, così<br />
distribuiti:<br />
– 8 articoli determinativi: la (3), le (4), l (1);<br />
– 3 pronomi clitici: la (1), lo (2);<br />
– 7 preposizioni articolate: dalla (2), sulla/-o/-e (4), delle (1);<br />
– 1 pronome dimostrativo: quella;<br />
– 1 aggettivo dimostrativo: quella.<br />
In uno studio dedicato espressamente a questo tema, Loporcaro (1991)<br />
ha sostenuto che, nei contesti previsti dalla lex Porena, la caduta di /l/<br />
determina l’allungamento per compenso della vocale atona seguente, ad es.<br />
it. lo bruci [lo brutʃi], rom. [o bruʃi], it. la Roma [la roma], rom. [a<br />
roma]. Tuttavia, come risulta dall’analisi quantitativa svolta puntualmente<br />
da P. Sorianello e S. Calamai in questo stesso volume, in nessuno dei casi<br />
rilevati nel nostro corpus la durata della vocale in questione è risultata lunga,<br />
ma sempre comparabile a quella di una vocale atona non finale in sillaba<br />
aperta.<br />
Per l’interpretazione globale del processo è a nostro avviso cruciale<br />
riconoscere che, in caso di applicazione della legge Porena in posizione<br />
interna di enunciato, si verifica uno iato, in cui nessuna delle vocali atone<br />
coinvolte e contigue viene allungata; ad es. nel caso dei sintagmi sulla sinistra<br />
(turno 209 del dialogo), o sullo sfondo (turno 2) la trascrizione fonetica sarà,<br />
rispettivamente, [suo sfondo], [sua sinistra]. Particolarmente istruttivi<br />
sono i contesti in cui la caduta di /l/ dà origine ad uno iato mono-timbrico<br />
(sotto l’orecchio, dalla parte tua, dalla spiaggia, delle linette, là la cosa): l’impressione<br />
di vocale lunga può essere generata dall’assenza di cambiamento<br />
timbrico. Ma che si tratti di due vocali sillabiche – ancora iato, quindi, e non<br />
23 Scriveva Porena (1925: 237) che il fenomeno doveva “essersi determinato negli ultimi<br />
trenta o quarant’anni”, quindi a cavallo tra il XIX e il XX secolo.<br />
24 Cfr. De Mauro e Lorenzetti (1991), Loporcaro (1991), Trifone (1992), D’Achille e<br />
Giovanardi (1995), Bernhard (1998, 1999).
italiano parlato. analisi di un dialogo 19<br />
vocale lunga – è dimostrato anche in questo caso dalla presenza di specifici<br />
indici <strong>acustici</strong> che segmentano il continuum sonoro: i due distinti segmenti<br />
sono infatti individuati grazie a variazioni nell’andamento for-mantico, nei<br />
valori di intensità e nella curva melodica25 . Di iato monotimbrico si tratta<br />
anche nel caso di non lo so (turno 141, bis): la prima vocale si nasalizza,<br />
rendendo possibile l’applicarsi del fenomeno; la rappresentazione spettrografica<br />
mostra in corrispondenza della sequenza vocalica in iato una zona<br />
di antirisonanza tipica della nasale, per cui [no o sɔ] 26 .<br />
<strong>Il</strong>luminante risulta poi il turno 112 (la nuvola, quella là che abbiamo visto<br />
le lineette), in cui la legge Porena si applica due volte (quella e visto le): anche<br />
in questi casi la caduta di /l/ dà luogo alla produzione di uno iato, ma per<br />
effetto di assimilazione coarticolatoria, o meglio di armonia, la vocale della<br />
sillaba iniziale di quella 27 e la vocale finale di visto perdono i propri tratti<br />
timbrici per assumere quelli della vocale seguente. Come indica l’ascolto e<br />
come mostra l’analisi acustica, il risultato è uno iato omorganico ([aa], [ee]),<br />
e non un’unica vocale lunga ([a], [e]).<br />
D’altro canto, nel romanesco parlato, specialmente nella varietà bassa,<br />
fenomeni di armonia vocalica sono tutt’altro che rari, e trovano nella lex<br />
Porena un contesto alimentante:<br />
– accanto a quella, quello, quelli, sono documentati [kwoo], [kwaa],<br />
[kwii] 28 ;<br />
– nelle sequenze di due clitici (Dativo+ Oggetto), la vocale del primo si<br />
assimila a quella del secondo, via Porena: ad es. [mo o diʃi] me lo dici, [to<br />
o diɡo]<br />
te lo dico, [ti i mandʒi] te li mangi;<br />
– la congiunzione se e il pronome che, seguiti da clitico, subiscono l’assimilazione<br />
timbrica da parte della vocale del clitico seguente: [sa a drɔva ]<br />
se la trova, [so o ɡonoʃi]<br />
se lo conosci, [ko o rεɡo] che lo reggo, [ki i bɔrta]<br />
che li porta.<br />
L’assimilazione è ovviamente favorita dalla contiguità dei due segmenti<br />
25 Per i dettagli dell’analisi acustica relativa a questo caso come pure a quelli discussi più<br />
avanti, si rinvia al contributo di Sorianello e Calamai in questo stesso volume. La rappresentazione<br />
acustica del sintagma dalla parte tua è presentata nella Figura 1.<br />
26 [no o sɔ] è documentato da Bernhard (1998: § 2.2.3), insieme a [no o uso pju] non<br />
lo uso più, [no o vista] non l’ho vista.<br />
27 Si osservi che la sillaba iniziale di quella è accentata soltanto a livello lessicale, ma nel<br />
contesto in esame (quella là), risulta atona, data la contiguità con la sillaba prominente che<br />
segue.<br />
28 Cfr. Loporcaro (1991: 287-288), ma con diversa trascrizione; Bernhard (1998: §§ 2.2.2b;<br />
2.3.2).
20 il <strong>consonantismo</strong> <strong>romano</strong><br />
vocalici, per cui le tappe sequenziali del processo che conduce alle forme<br />
sopra citate saranno di necessità:<br />
a) caduta di /l/ (preceduta da degeminazione nel caso di quell-);<br />
b) contiguità di V 1 e V 2;<br />
c) diffusione dei tratti da V 2 a V 1.<br />
In forma autosegmentale, la rappresentazione corrispondente sarà la<br />
seguente:<br />
3) N A N → N N<br />
| | | | |<br />
V 1 l V 2 V 1 V 2<br />
| | | |<br />
[Tα] x [Tβ] [Tβ]<br />
Poiché V 2 è depositaria delle marche di genere e numero del Determinante,<br />
è V 1 il segmento deputato alla copia dei tratti timbrici di V 2, e non<br />
viceversa.<br />
Va rimarcato il fatto che tutti i casi di lex Porena riscontrati nel dialogo<br />
in esame sono relativi a posizione interna di turno, in linea con quanto già<br />
rilevato da Porena. La restrizione relativa alla posizione intervocalica del<br />
segmento laterale soggetto a dileguo è importante, perché è lì che si innesca<br />
il processo. Le varianti allomorfiche prive del segmento laterale (a < la, o <<br />
lo, e < le, i < li), motivate morfo-fonologicamente in contesto di frase, possono<br />
tuttavia essere estese all’inizio di enunciato (cfr. nota 22). La diffusione delle<br />
varianti innovative anche al di fuori del contesto originario testimonia la loro<br />
appartenenza stabile alla competenza dei parlanti romani contemporanei,<br />
oltre alla vitalità della legge Porena.<br />
Riprendiamo ora la spinosa questione relativa alla quantità della vocale<br />
a seguito della caduta di /l/. L’allungamento vocalico per compenso è stato<br />
sostenuto da Loporcaro (1991), il quale ha interpretato la lex Porena come<br />
falsificazione del principio teorico, di norma assunto in fonologia non lineare,<br />
per cui l’allungamento vocalico di tipo compensatorio è limitato ai casi in cui<br />
il segmento cancellato occupa la posizione di Coda sillabica, essendo l’Attacco<br />
prosodicamente inerte. Non a caso, l’esemplificazione presentata e discussa<br />
dall’Autore nel suo studio vede i morfemi bersaglio del processo all’inizio<br />
della stringa considerata, pur essendo la posizione intervocalica il contesto<br />
d’elezione del processo; nei casi in cui viene considerata anche quest’ultima<br />
posizione, interverrebbe una regola di elisione della vocale atona finale.<br />
Tuttavia, nella sua vasta inchiesta sociolinguistica svolta sul romanesco
italiano parlato. analisi di un dialogo 21<br />
contemporaneo, basata su interviste con 84 parlanti romani di diversa età ed<br />
estrazione culturale, Bernhard (1998) non ha rilevato l’allungamento vocalico<br />
in posizione iniziale di enunciato; in particolare, nel caso degli articoli a, o, e,<br />
i < la, lo, le, li, la vocale residuale risulta breve, non lunga (cfr. anche Bernhard<br />
1999: 217, nota 5). Lo stesso Loporcaro (1991: 282) scrive del resto che la<br />
vocale allungata a seguito della cancellazione di /l/ “can be optionally<br />
shortened, especially in fast speech”.<br />
In realtà, non sembra opportuno parlare di abbreviamento, dal momento<br />
che non vi è stato preliminare allungamento vocalico: riprendendo quasi alla<br />
lettera le parole di Porena (1925: 237) si dirà che la caduta di /l/ lascia intatta<br />
la sillabazione, per cui le vocali contigue, pur subendo prevedibili effetti<br />
coarticolatori a livello fonetico 29 , non si contraggono né si elidono, ma<br />
mantengono inalterato il loro assetto prosodico di partenza, con conseguente<br />
produzione di iato.<br />
Un ulteriore aspetto della prosodia del diasistema italiano ci pare qui<br />
rilevante: nel romanesco, come nei dialetti italiani centro-meridionali e nelle<br />
varietà sub-standard di italiano di quella medesima area, l’opposizione di<br />
quantità è fonologica soltanto nell’ambito del <strong>consonantismo</strong>, non nel<br />
vocalismo; le vocali possono infatti essere lunghe, superficialmente, soltanto<br />
in sillaba aperta non finale di parola, per effetto del vincolo che impone una<br />
rima pesante in quello specifico contesto. Viceversa, non si danno esempi di<br />
allungamento di vocali atone. D’altra parte, un allungamento vocalico in<br />
sillaba atona, già relativamente marcato in sistemi che conoscano il contrasto<br />
fonemico tra /V/ e /V/, diventa un’opzione ancora più marcata nel caso di un<br />
sistema quale quello <strong>romano</strong>, che non contempla l’opposizione fonologica di<br />
lunghezza vocalica in nessun altro contesto 30 .<br />
A livello teorico infine, un allungamento per compenso a seguito della<br />
cancellazione di un segmento associato alla posizione di Attacco sillabico<br />
risulterebbe problematico. È infatti un principio generalmente accettato che<br />
solo i costituenti rimaici contribuiscano al peso della sillaba, mentre l’Attacco<br />
è irrilevante; i pochi tentativi di dimostrare la valenza prosodica dell’Attacco<br />
si sono rilevati poco convincenti. Pare quindi preferibile mantenere il punto<br />
di vista tradizionale (già riconosciuto nella letteratura fonologica ben prima<br />
dell’avvento della fonologia generativa di impianto non lineare) per cui<br />
l’Attacco è prosodicamente inerte.<br />
29 Vedi anche in questo caso l’analisi acustica svolta da Sorianello e Calamai (in questo<br />
volume) sui casi della legge Porena presenti nel dialogo.<br />
30 Per un’analisi più dettagliata della lex Porena, ci permettiamo di rinviare a Marotta<br />
(2002-2003).
22 il <strong>consonantismo</strong> <strong>romano</strong><br />
In sintesi, in assenza di verifica empirica pro allungamento vocalico di tipo<br />
compensativo, pare preferibile riconoscere l’occorrenza di uno iato nei contesti<br />
interni di enunciato che prevedono il dileguo di /l/ (cfr. Marotta 2002-<br />
2003). Di conseguenza, non sembra che dalla lex Porena possa derivare alcun<br />
elemento di falsificazione del principio generale che lega alcuni processi<br />
<strong>fonologici</strong> (quali l’allungamento vocalico o la geminazione consonantica) alla<br />
struttura prosodica della Rima sillabica.<br />
7. <strong>Il</strong> Rafforzamento Fonosintattico<br />
<strong>Il</strong> Raddoppiamento Fonosintattico (d’ora in avanti RF) è uno dei fenomeni<br />
di sandhi esterno più studiati negli ultimi decenni, sia per quanto riguarda<br />
l’italiano standard che per quanto riguarda varietà regionali o dialettali 31 .<br />
Com’è noto, il processo consiste nell’allungamento della durata segmentale<br />
della consonante iniziale di una parola, quando sia preceduta da una parola<br />
“geminante” precedente.<br />
Tradizionalmente si è soliti distinguere tra RF prosodicamente condizionato<br />
(dopo polisillabi ossitoni o monosillabi ‘forti’, cioè accentati) e RF<br />
morfologicamente condizionato (dopo alcuni monosillabi atoni o alcuni<br />
morfemi bisillabici parossitoni). <strong>Il</strong> romanesco, come molte altre varietà<br />
dialettali dell’Italia mediana, toscane incluse, presenta una regolare applicazione<br />
del RF prosodico, cioè dopo vocale accentata finale (cfr. Loporcaro<br />
1997: 83), mentre per il RF morfologico mostra alcune restrizioni in rapporto<br />
all’inventario dei morfemi capaci di innesco del fenomeno; in particolare, a,<br />
e, che, se, è, ho, ha, fa inducono RF, mentre da e dove, no; come è raddoppiante<br />
solo se avverbio comparativo, non se interrogativo 32 .<br />
Nel dialogo in esame, RF è realizzato costantemente da entrambi i<br />
parlanti in presenza di morfemi monosillabici potenzialmente rafforzanti. Ne<br />
diamo alcuni esempi: a d:estra, e p:oi, che f:atica, mi fa c:apire, più p:iccolo, ride<br />
o p:iange, sta v:erso, che p:artono, ma da che parte, da questa. Non sembra essere<br />
rilevante la contiguità accentuale tra le due sillabe (finale ed iniziale di<br />
parola), dal momento che il processo si verifica anche prima di sillaba atona.<br />
31 La bibliografia sull’argomento è ormai vastissima; ci limitiamo qui a rinviare a<br />
Loporcaro (1997), in cui è possibile reperire l’ulteriore bibliografia aggiornata all’anno di<br />
pubblicazione del volume.<br />
32 Vedi già Porena (1927), quindi Rohlfs (1949 =1966: § 174) e, più recentemente,<br />
Loporcaro (1997) e Bernhard (1998).
italiano parlato. analisi di un dialogo 23<br />
L’analisi acustica svolta ha confermato che la lunghezza dei segmenti<br />
geminati via RF è del tutto comparabile a quella dei medesimi segmenti<br />
lunghi a livello lessicale.<br />
8. Nota conclusiva<br />
L’analisi del <strong>consonantismo</strong> <strong>romano</strong> qui svolta è fondamentalmente concorde<br />
con quanto emerso da precedenti studi sull’argomento. <strong>Il</strong> corpus selezionato<br />
ha tuttavia consentito di mettere in luce alcune correnti dinamiche<br />
interne al sistema, che mostrano sia processi in espansione (ad es.,<br />
affricazione di s postconsonantica; lenizione delle occlusive sorde, lex Porena)<br />
che processi in regresso (degeminazione di /r/, rotacismo di /l/, assimilazione<br />
di -nd-).<br />
Per quanto concerne i parlanti, i due soggetti analizzati presentano livelli<br />
di standardizzazione diversi; coerentemente con quanto già mostrato dalla<br />
dialettologia tradizionale, la femmina è infatti meno ‘dialettale’ del maschio,<br />
almeno dal punto di vista fonologico. Non soltanto i processi fonetici che<br />
interessano il <strong>consonantismo</strong> ricorrono con maggiore frequenza nel soggetto<br />
maschile, ma la stessa qualità di voce del maschio, risulta, già ‘a orecchio’, più<br />
segnatamente romana di quella della femmina.<br />
A questa connotazione del soggetto maschile come più marcato in senso<br />
dialettale contribuisce a nostro avviso in misura rilevante la prosodia: a fronte<br />
di una ridotta variazione dei profili tonali da parte della parlante femminile,<br />
con concomitante modulazione di frequenza relativamente contenuta, il che<br />
conferisce all’eloquio un carattere abbastanza monotono in senso letterale, si<br />
rileva nel soggetto maschile una maggiore ricchezza di patterns melodici, che<br />
finisce per facilitare la percezione dei tratti prosodici tipici della varietà<br />
romana di italiano 33 .<br />
Nel complesso, i fenomeni di indebolimento risultano più copiosi di quelli<br />
di rafforzamento, sia sul piano paradigmatico che su quello sintagmatico. <strong>Il</strong><br />
dato non stupisce, giacché in condizioni di parlato spontaneo o semi-spontaneo<br />
i processi di ipoarticolazione sono frequenti, in quanto motivati dalla<br />
tendenza verso l’economia dei gesti articolatori (cfr. Lindblom 1990).<br />
In parallelo, molti dei fenomeni <strong>fonologici</strong> che abbiamo individuato non<br />
sono esclusivi del romanesco, ma condivisi con altre varietà centro-meridionali,<br />
sia dialettali che regionali, a conferma non solo della loro motivazione<br />
33 Per gli <strong>aspetti</strong> intonativi del dialogo in esame, si veda l(articolo dedicato alla proside in<br />
questo stesso volume.
24 il <strong>consonantismo</strong> <strong>romano</strong><br />
fonetica, ma anche della prossimità tipologica, geneticamente fondata, di<br />
questi diversi sistemi. Nel nostro dialogo, come accade di solito nel parlato,<br />
anche quando l’ipoarticolazione sembra manifestarsi ai massimi gradi, non<br />
arriva mai a compromettere la comunicazione interpersonale, dal momento<br />
che i vincoli imposti sulla produzione sono controbilanciati dalle esigenze<br />
percettive, pena l’insuccesso dello scambio dialogico.