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STUDI E SAGGI LINGUISTICI

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<strong>STUDI</strong> E <strong>SAGGI</strong><br />

<strong>LINGUISTICI</strong><br />

XLIII-XLIV<br />

FONDATA DA<br />

TRISTANO BOLELLI<br />

Studi in onore di<br />

RICCARDO AMBROSINI<br />

a cura di<br />

Romano Lazzeroni, Giovanna Marotta e Maria Napoli<br />

2005-2006<br />

Edizioni ETS<br />

PISA


RISERVATO OGNI DIRITTO DI PROPRIETÀ<br />

E DI TRADUZIONE<br />

Studi e Saggi Linguistici<br />

Supplemento alla rivista L’Italia Dialettale<br />

Registrazione Tribunale di Pisa 1/1961 in data 31 Gennaio 1961<br />

Direttore resposabile: Alessandra Borghini


SOMMARIO<br />

Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

pag.<br />

VII<br />

Bibliografia degli scritti di Riccardo Ambrosini . . . . . . . . . . . .<br />

Roberto Ajello, Per un’analisi dell’aumento nel primo testo scritto<br />

in lingua kikongo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Maria Giovanna Arcamone, Prato nella toponomastica toscana. .<br />

Pierangiolo Berrettoni, L’atto di verità nella cultura indoeuropea .<br />

Maria Patrizia Bologna, L’«enigma saussuriano» e la ricostruzione<br />

linguistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Carlo Consani, Lingue e scritture di Creta antica. Considerazioni<br />

sulla ‘formula di Archanes’. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Franco Fanciullo, Un’etimologia toscana (mózzi m. ‘moine’ e<br />

mózze f. ‘svenevolezze’), viareggino ramaciugliori e qualche<br />

altra considerazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Giacomo Ferrari, Linguistica… e oltre (?) . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Francesco Giuntini, Nerone in collegio . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Romano Lazzeroni, Arealità italica e riorganizzazione degli allomorfi:<br />

induzione di morfemi o induzione di regole? . . .<br />

Giulio Lepschy, To Be, or Not To Be Translated? . . . . . . . .<br />

Daniele Maggi, Annotazioni metriche a Vento a Tìndari di<br />

Salvatore Quasimodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Giovanna Marotta, Sulle rive del Mersey. Note sull’etimologia<br />

di Scouse. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

» IX<br />

» 1<br />

» 29<br />

» 35<br />

» 57<br />

» 67<br />

» 79<br />

» 89<br />

» 129<br />

» 141<br />

» 151<br />

» 163<br />

» 181


VI<br />

Filippo Motta, Tra Lucca e Lugano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Florida Nicolai, Il collo della giraffa e lo zoo comunale. Linguaggio,<br />

funzioni cognitive e sistemi neurali . . . . . . . . . .<br />

Paolo Poccetti, Un contributo della toponomastica alla ricostruzione<br />

del lessico italico e dei suoi sviluppi diacronici: il<br />

nome dell’insediamento vestino Peltuinum . . . . . . . . . . .<br />

Domenico Silvestri, Etnici di appartenenza ed etnici di provenienza<br />

nelle lingue dell’Italia antica . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Alfredo Stussi, Sull’utilità delle varianti d’autore . . . . . . . . . . .<br />

Patrizia Torricelli, Della lingua e degli inganni verbali. Su Camilleri<br />

e La concessione del telefono . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Cristina Vallini, Autorità e prestigio nel discorso etimologico (a<br />

proposito della coppia latina matrimonium-patrimonium). .<br />

Edoardo Vineis, In margine al tema dell’equilibrio intertestuale:<br />

Stefan George e la traduzione del Sonetto XXXIII di W.<br />

Shakespeare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Indirizzario degli Autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

pag. 201<br />

» 213<br />

» 245<br />

» 255<br />

» 271<br />

» 281<br />

» 309<br />

» 321<br />

» 329


GIOVANNA MAROTTA<br />

Sulle rive del Mersey. Note sull’etimologia di Scouse<br />

1. I due significati di Scouse*<br />

Running against the rain<br />

running through the rain<br />

“Ferro Battuto”<br />

F. Battiato e M. Sgalambro<br />

In Gran Bretagna, ed in particolare nel Merseyside, il termine Scouse possiede<br />

due diversi significati, apparentemente poco attinenti l’uno all’altro:<br />

a) un significato metaforico, che fa riferimento ad uno speciale accent, tipico<br />

dei Liverpudlians appartenenti alle classi sociali basse; 1<br />

b) un significato più concreto, riferito ad un piatto tradizionale di Liverpool,<br />

una specie di zuppa preparata con carne e verdure stufate, consumata dai<br />

marinai durante i loro viaggi (cfr. SPIEGL, 2000); gli ingredienti di base sono<br />

patate, cipolle, carote e carne di agnello.<br />

Per quanto riguarda il significato culinario, va osservato innanzitutto che<br />

esistono molte varianti locali di questo piatto; i siti Internet che si riferiscono<br />

alle tradizioni popolari della città di Liverpool elencano infatti diverse ricette<br />

di Scouse, alcune delle quali particolarmente interessanti; fra queste, il cosiddetto<br />

blind Scouse, la versione light del piatto, in quanto priva di carne, oppure<br />

la versione fatta con gli avanzi del giorno prima. Come si vede, lo Scouse è un<br />

piatto di basso livello, che rinvia ad uno stile di cucina povera e popolare.<br />

* L’argomento trattato in questo articolo ha costituito l’oggetto della mia comunicazione<br />

al XXII nd International Congress of Onomastic Sciences, svoltosi a Pisa nel settembre<br />

2005. Poiché la stampa dei relativi Proceedings prevede tempi lunghi, ho ritenuto di pubblicare<br />

ora in italiano una parte dei risultati presentati in quella sede, cogliendo l’occasione per<br />

aggiungere nuovi materiali ed argomenti ivi assenti, anche nella presunzione che il tema prescelto<br />

possa esser gradito al nostro festeggiato, considerata la sua non comune competenza<br />

nel campo dell’anglistica.<br />

1<br />

Dallo Scouse accent deriva il nome Scouser, che indica il parlante di Scouse; cfr. Cambridge<br />

International Dictionary of English (1995: 1270).


182 GIOVANNA MAROTTA [2]<br />

Nella sua accezione linguistica, lo Scouse è uno degli accents più conosciuti<br />

dell’inglese europeo, e in quanto tale, compare normalmente nelle rassegne<br />

delle varietà inglesi 2 . Le sue peculiarità interessano soprattutto il livello fonetico<br />

e prosodico 3 , ma anche il lessico e la morfologia non sono esenti da specifici<br />

tratti. Tra le caratteristiche fonologiche principali di questo dialetto inglese<br />

ricordiamo la lenizione delle consonanti occlusive ed alcuni fenomeni di<br />

centralizzazione vocalica, che alterano l’inventario fonemico RP. Ricordiamo<br />

inoltre che un tratto particolarmente rilevante per identificare un parlante come<br />

Scouser è l’intonazione, dal momento che negli enunciati dichiarativi, il profilo<br />

intonativo Scouse tipico mostra un’ascesa melodica finale, anziché una discesa,<br />

come in RP.<br />

Il cosiddetto Final Rising Pattern è un tratto prosodico che l’inglese di Liverpool<br />

condivide con le varietà che ricadono sotto l’etichetta di Urban Northern<br />

British English (cfr. CRUTTENDEN, 1994), vale a dire le varietà inglesi<br />

parlate nell’Irlanda del Nord e nella Scozia occidentale, oltre che nelle città di<br />

Birmingham e Newcastle (cfr. GRABE ePOST, 2002). Si osservi che tutte queste<br />

varietà hanno in comune due caratteristiche essenziali: il sostrato celtico ed una<br />

forte immigrazione da parte di popolazioni di origine celtica. Ricordiamo infine<br />

che lo Scouse è spesso descritto come dotato di una qualità della voce speciale.<br />

Nel suo dettagliato studio su questa varietà, Knowles (1974) ha mostrato<br />

come durante la fonazione di un parlante Scouse la lingua sia innalzata e retratta,<br />

con conseguente velarizzazione generalizzata; parallelalemente, il rilassamento<br />

di alcuni organi fonatori, in particolare il labbro inferiore e la lingua,<br />

producono l’effetto di lax voice, con incompleta chiusura e parziale fuoriuscita<br />

di aria tra le labbra durante l’articolazione delle consonanti occlusive 4 .<br />

In Gran Bretagna, la voce Scouse è di solito percepita come sgradevole e<br />

rozza; negli ultimi anni, tuttavia, il giudizio degli inglesi su questo accent sembra<br />

essersi almeno in parte attenuato, tanto da far supporre che attualmente sia<br />

dotato di un certo prestigio coperto (cfr. MAROTTA, 2004). Nella città di Liverpool,<br />

d’altro canto, il prestigio dello Scouse è attualmente manifesto, soprattutto<br />

nelle classi sociali meno elevate, in quanto strettamente legato all’espressione<br />

dell’identità sociale.<br />

Sull’origine e sullo sviluppo di questo accent affatto particolare ha probabilmente<br />

influito la pronuncia dell’inglese da parte degli immigrati irlandesi<br />

2<br />

Cfr. TRUDGILL (1984; 1986), TRUDGILL eHANNAH (1982), HUGHES eTRUDGILL (1996),<br />

TRUDGILL eCHESHIRE (1998), WELLS (1982, 1984), BEAL (2004).<br />

3<br />

Per un quadro globale della fonologia Scouse, si veda KNOWLES (1974; 1978), nonché alcuni<br />

nostri precedenti studi in questo settore; cfr. MAROTTA (2004); MAROTTA eBARTH (2005).<br />

4<br />

Per ulteriori dettagli sulla qualità vocale dello Scouse rinviamo al recente contributo di<br />

BARBERA e BARTH (2006).


[3] SULLE RIVE DEL MERSEY. NOTE SULL’ETIMOLOGIA DI SCOUSE 183<br />

che giunsero a Liverpool in numero cospicuo per un lungo periodo di tempo.<br />

L’immigrazione dall’Irlanda verso l’Inghilterra, e, in particolare, verso la città<br />

di Liverpool, iniziò precocemente e rimase costante nel corso dei secoli: partita<br />

già all’inizio dell’età moderna, continuò ininterrotta nei secoli seguenti e fu<br />

particolarmente intensa nel corso del XIX secolo. Come abbiamo avuto già<br />

modo di rilevare (MAROTTA, 2006), gli studi condotti in ambito storico e demografico<br />

hanno dimostrato che già nel 1841 un quarto degli abitanti di Liverpool<br />

era nato in Irlanda. I dati dell’ultimo censimento (Liverpool Census 2001) indicano<br />

che circa il 60% di tutti i Liverpudlians hanno origini irlandesi, almeno in<br />

un ramo familiare.<br />

Il fenomeno migratorio irlandese ha avuto dimensioni tali da essere definite<br />

senza esagerare gigantesche. In passato, e per molto tempo, la comunità irlandese<br />

di Liverpool viveva separata sia dalla comunità inglese autoctona che<br />

dalle altre comunità immigrate, in particolare, gallese e scozzese. La separazione<br />

aveva innanzitutto motivazioni socio-economiche, essendo gli immigranti<br />

irlandesi i più indigenti. Anche nell’insediamento in città si riflettevano<br />

le differenze sopra menzionate: gli irlandesi occupavano infatti il centro di Liverpool<br />

e le aree prossime al porto, caratterizzate da alta densità demografica e<br />

da abitazioni di basso livello, spesso prive dei servizi essenziali, il che configurava<br />

queste aree come veri e propri ghetti 5 . Inoltre, la mobilità degli irlandesi<br />

all’interno della città era bassa e le loro opportunità di lavoro erano ristrette ad<br />

occupazioni precarie e di basso rango.<br />

Diversi elementi cospiravano dunque nel configurare la comunità di immigrati<br />

irlandesi come caratterizzata da una rete sociale relativamente chiusa e<br />

a maglie fitte, contrassegnata da forti legami gerarchici tra gli individui che vi<br />

appartengono e quasi del tutto priva di ‘ponti’ tra reti sociali diverse 6 . La segregazione<br />

degli immigrati irlandesi a Liverpool era motivata dalle loro stesse<br />

condizioni di reddito, con conseguente residenzialità obbligatoria; al tempo<br />

stesso, queste precarie condizioni alimentavano ed accentuavano il forte sentimento<br />

di discriminazione nutrito nei loro confronti dagli altri abitanti della<br />

città, in primo luogo, gli inglesi.<br />

Tuttavia, non soltanto i fattori socio-economici determinavano la condizione<br />

di segregazione degli immigrati irlandesi, ma anche gli elementi culturali<br />

cospiravano nella deriva che collocava questa comunità ai margini della so-<br />

5<br />

L’analisi dei quozienti ecologici svolta da POOLEY (1977) in rapporto alla distribuzione<br />

residenziale nell’area urbana di Liverpool in età vittoriana conferma l’ipotesi di una stretta correlazione<br />

tra zona di residenza e gruppo sociale immigrato. Emerge così un quadro globale che consente<br />

di evidenziare un modello sociologico basato sulla segregazione della comunità irlandese.<br />

6<br />

Per l’applicazione delle reti sociali in sociolinguistica, si vedano i fondamentali lavori di<br />

MILROY (1980; 2002).


184 GIOVANNA MAROTTA [4]<br />

cietà cittadina. In primo luogo, la religione cattolica contribuiva ad aumentare<br />

la distanza rispetto agli altri gruppi etnici, anche immigrati, nonostante tra coloro<br />

che provenivano dall’Irlanda vi fossero dei protestanti. In secondo luogo,<br />

la lingua era un ulteriore rilevante elemento di differenziazione, dal momento<br />

che gli irlandesi immigrati parlavano una varietà di inglese che risentiva fortemente<br />

dell’interferenza con l’irlandese, che per molti rappresentava ancora la<br />

lingua-madre, specialmente nei secoli XVI e XVII. D’altra parte, gli stessi tratti<br />

sociofonetici che rendevano facilmente riconoscibile un parlante come immigrato<br />

irlandese finivano per costituire uno strumento essenziale per l’identità<br />

sociale della comunità di immigrati (cfr. LE PAGE e TABOURET KELLER,<br />

1985). Sul piano strettamente culturale, la comunità degli irlandesi era del pari<br />

omogenea e marcata verso il polo basso della società, essendo in genere costituita<br />

da persone incolte e prive di istruzione.<br />

Poiché la comunità immigrata irlandese era relativamente chiusa e caratterizzata<br />

da legami interni forti, ha potuto conservare facilmente e a lungo i tratti<br />

distintivi della propria pronuncia dell’inglese, riducendo al massimo la contaminazione<br />

con la popolazione autoctona. La varietà di inglese parlato dagli immigrati<br />

irlandesi, lingua non standard e non prestigiosa, coesisteva e al tempo<br />

stesso si opponeva all’inglese locale, varietà di prestigio. Ed è proprio questa<br />

forma speciale di inglese, intriso di tracce di Irish English, che a nostro parere<br />

costituisce la base dello Scouse accent.<br />

Soltanto nel corso del XX secolo le condizioni socio-economiche e, di<br />

conseguenza, anche quelle latamente culturali della comunità irlandese a Liverpool<br />

hanno conosciuto un sensibile miglioramento. L’incremento degli<br />

scambi commerciali marittimi e l’importante sviluppo dell’industria manifatturiera<br />

in città modificarono pesantemente il quadro sociologico della città,<br />

rendendolo più dinamico. Soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, l’integrazione<br />

sociale tra gli immigrati irlandesi, molti dei quali ormai non più di prima<br />

o seconda generazione, e gli altri abitanti di Liverpool aumentò in misura<br />

significativa e finì con l’alterare in modo irreversibile la struttura delle reti sociali,<br />

garantendo allo Scouse non solo la sua sopravvivenza, ma addirittura la<br />

sua espansione.<br />

Vari fattori hanno contribuito alla diffusione dell’accento Scouse a Liverpool<br />

come pure nel repertorio inglese. Avendo già trattato altrove e più diffusamente<br />

questo tema (cfr. MAROTTA, 2004), ci limitiamo qui a ricordare le trasmissioni<br />

radiofoniche della BBC condotte da una vasta serie di comici inglesi<br />

che parlavano Scouse in quanto nativi di Liverpool; né possiamo evitare di fare<br />

riferimento ancora una volta alla band musicale dei Beatles, originaria proprio<br />

di questa città, che con il suo successo planetario ha di certo giocato un ruolo<br />

non marginale nel favorire un mutamento di giudizio nei confronti di Liverpool<br />

nel suo complesso, e del suo accent in particolare.


[5] SULLE RIVE DEL MERSEY. NOTE SULL’ETIMOLOGIA DI SCOUSE 185<br />

Attualmente, a Liverpool lo Scouse è la lingua parlata non soltanto dalle<br />

classi sociali più basse, ma sta diventando la varietà linguistica maggioritaria,<br />

nonostante lo scarsissimo prestigio di cui ha goduto per secoli. Il mutato quadro<br />

socio-culturale sembra aver determinato una diversa percezione sociolinguistica<br />

dello Scouse, che, nonostante a tratti sia ancora percepito come hugly<br />

accent, si è diffuso lentamente, ma costantemente e progressivamente non soltanto<br />

nella comunità cittadina, ma anche in tutto il Merseyside.<br />

2. Aspetti etimologici<br />

La parola inglese Scouse è normalmente considerata una semplificazione<br />

del composto lobscouse, forma presa in prestito da una parola più antica labskaus,<br />

di origine danese o comunque appartenente ad una varietà germanica<br />

settentrionale.<br />

La mancanza della palatalizzazione nel nesso consonantico -sk- è infatti<br />

con ogni probabilità dovuta all’interferenza dell’inglese con i dialetti germanici<br />

del Nord, che non palatalizzavano (cfr. LASS, 1994: 59). Allo stesso tempo, il<br />

dittongo ou da au è una prova della forma scandinava originaria, perché au proto-germanico<br />

è diventato in inglese ea.<br />

Nel nome composto labskaus del germanico settentrionale (= lobscouse<br />

inglese), sono riconoscibili due elementi: LAB/LOB + SKAUS/SCOUS. Il termine<br />

non ha finora trovato una etimologia soddisfacente, in particolare, resta<br />

ignoto l’etimo del secondo elemento del composto.<br />

2.1. Sull’etimo di Lob<br />

Per quanto riguarda il primo elemento, nella scarsa letteratura disponibile<br />

finora sull’argomento, le etimologie proposte sono le seguenti:<br />

a) da una radice germanica LAB, il cui significato sarebbe “comodità,<br />

conforto”; attestata nel verbo dell’antico alto tedesco laba “conforto”, e<br />

nel tedesco moderno laben “ristorare, confortare, rianimare; rinfrescarsi,<br />

ristabilirsi”;<br />

b) da una radice germanica LOP, col significato di “abito, pezza”; attestata nel<br />

medio nederlandese lobbe, nell’antico inglese lob, e nel moderno inglese<br />

lob, da cui, con epentesi nasale, lump “un grande pezzo”, termine dialettate<br />

usato per carne o denaro (cfr. Oxford Dict.).<br />

c) dal medio inglese LOB, col significato di “un tipo di pesce”; vedi Onions<br />

(1966, s.v.), Hoad (1986); in questo caso, il riferimento al mondo marinaresco<br />

sarebbe diretto.


186 GIOVANNA MAROTTA [6]<br />

Vorremmo tuttavia proporre un’ulteriore ipotesi, a parer nostro più plausibile<br />

di quelle precedentemente avanzate. Il primo elemento del composto potrebbe<br />

essere ricollegato ad una radice germanica LAB/LOB col significato di<br />

“pendere in modo floscio”, attestata in norvegese lapa, islandese lapa, svedese<br />

lafa, labba, danese lab, labbe. Questa radice è presente anche nella forma tedesca<br />

labbern “appendersi in modo morbido, pendere”. Si noti che questo verbo<br />

si usa in particolare nel registro marinaresco, con riferimento fondamentale alla<br />

navigazione a vela. Come accade frequentemente nelle lingue i.e. antiche, la<br />

stessa radice può mostrare una variante con l’aggiunta di un consonante sibilante<br />

iniziale; abbiamo così la forma slapa in islandese e norvegese, che ha lo<br />

stesso significato; parallelamente, in antico alto tedesco troviamo slap, e in gotico<br />

slepan; in inglese, la forma sleep potrebbe essere connessa con quelle precedenti.<br />

Interessante rilevare un possibile nome derivato da questa medesima radice:<br />

in islandese è attestata la forma lap, glossata come homo sui negligens in<br />

Jóhannesson (1956: 752). In danese, laban indica un “monello”, oppure una<br />

“persona alta e ciondolante”; in particolare, il sintagma allitterante langer Laban<br />

indica “una persona allampanata”. Questo termine può essere paragonato<br />

ad alcune parole nordiche simili, che però mostrano, con la tipica alternanza<br />

che abbiamo già avuto modo di menzionare, una consonante sibilante iniziale;<br />

ad es. norvegese slubb “persona che ciondola, menefreghista”, oppure i termini<br />

dialettali svedese slubba e olandese slubbe, che hanno praticamente lo stesso<br />

significato. Inoltre, in olandese si trova la forma lubbe, derivata dalla stessa radice,<br />

con il significato di “labbro pendulo”, che documenta in modo esplicito lo<br />

slittamento della parola verso un campo semantico che crucialmente si riferisce<br />

alla figura umana.<br />

Il verbo inglese che si ricollega alla stessa radice è lop, attestato verso la fine<br />

del secolo XVI. Il senso iniziale di questo verbo dovrebbe essere “lasciar<br />

pendere pesantemente”, ma ben presto ha assunto anche altri significati, riferiti<br />

all’essere umano; da un lato “muoversi pesantemente o in modo impacciato”<br />

(cfr. Oxford Dict., 1933: 375), dall’altro, forse consequenzialmente, “comportarsi<br />

come uno zoticone”. Oltre al verbo, troviamo anche attestazioni del nome<br />

lop, che esprime “qualche cosa di pesante, impacciato, o che pende in modo libero<br />

e casuale” (Oxford Dict., ibidem). Lop è infine anche un aggettivo, che significa<br />

“rozzo, villano”. La metafora funziona in riferimento ad una persona<br />

che si muove avanti e indietro, qui e là senza meta, uno che vaga sprecando il<br />

suo tempo.<br />

D’altra parte, lob è anche un termine dialettale che significa “far ribollire,<br />

far gorgogliare”, e quindi, per estensione metaforica all’ambito umano, “mangiare<br />

e bere in modo rumoroso”. Da menzionare la radice i.e. LAB dal significato<br />

di “succhiare, leccare”, e quindi anche “mangiare e bere in modo rumoroso”.


[7] SULLE RIVE DEL MERSEY. NOTE SULL’ETIMOLOGIA DI SCOUSE 187<br />

Verbi derivati da questa radice sarebbero danese labe, svedese lapa, olandese lapen,<br />

antico alto tedesco laffan, tedesco läppen, anglosassone lapian, da cui l’inglese<br />

lap up (cfr. FALK e TORP, 1960: 615). Si ricordi a questo proposito anche la<br />

forma italiana lappare, probabilmente parola di prestito dal germanico, come le<br />

analoghe forme romanze (cfr. CORTELAZZO e ZOLLI, 1983, III vol., s.v.).<br />

Pare ragionevole supporre – come i dizionari etimologici di inglese fanno<br />

di norma – che a questa stessa radice verbale siano collegati anche il verbo loll<br />

“pendere pesantemente”; è inoltre attestata anche la parola onomatopeica lolly<br />

per “brodo, zuppa”.<br />

Menzioniamo infine il derivato loblolly, che ha diversi significati, tra di<br />

loro connessi:<br />

1) “un grosso pezzo di cibo”,<br />

2) “una minestra da mangiarsi con il cucchiaio”, in riferimento ad un piatto<br />

marinaresco servito a marinai indisposti quale semplice rimedio medicinale<br />

7 ,<br />

3) “villano, rustico”, in quanto, probabilmente, “persona che mangia e beve<br />

rumorosamente”.<br />

La prima attestazione della parola loblolly risale alla fine del XVI secolo o<br />

alla prima decade del XVII secolo. A nostro parere, tuttavia, il primo elemento<br />

del composto loblolly potrebbe essere ricollegato alla radice LOB “pendere pesantemente”,<br />

sopra menzionata a proposito di Lobscouse. Non è altresì da<br />

escludere che possa esserci stata un’interferenza con la radice LAB “mangiare<br />

e bere in modo rumoroso”. In ogni caso, forse anche in quanto rinforzato da<br />

questa interferenza, il termine loblolly poteva facilmente acquistare il significato<br />

metaforico di “bifolco, zoticone”. Con questo significato, la parola è ben<br />

attestata in Inghilterra a partire dal XVII secolo.<br />

2.2. Sull’etimo di Scouse<br />

Per il secondo termine del composto labskaus, poi lobscouse, nessuna etimologia<br />

è stata finora proposta in letteratura, almeno per quanto ci risulta. Lo<br />

spoglio dei dizionari etimologici delle lingue germaniche antiche sembra tuttavia<br />

fornire alcuni suggerimenti interessanti.<br />

La nostra ipotesi è che la forma germanica settentrionale skaus come pure<br />

quella inglese scouse abbiano origine dalla radice SKAUTA del germanico antico,<br />

con il significato di “bordo di un panno, angolo di un tessuto” (cfr. DE<br />

VRIES, 1961: 487). Questa radice è attestata nel Nord Europa in norvegese<br />

7<br />

Cf. Oxford Dict. (1933: 377), s.v. loblolly; SHIPLEY (1957), s.v. lobscouse.


188 GIOVANNA MAROTTA [8]<br />

skaut, islandese skaut, danese skiød; inoltre, si ritrova in medio nederlandese<br />

schoot, antico alto tedesco skoza (cfr. KÖBLER, 1993: 971; SCHADE, 1969: 803),<br />

gotico skaut, col significato non solo di “grembo”, ma anche di “bordo, orlo”.<br />

Per l’inglese, abbiamo antico inglese sceat, medio inglese skaute “un pezzo di<br />

stoffa”, poi anche “abito”; il termine è attestato già nei secoli XV e XVI (cf.<br />

LEWIS, 1956: 983-984). Dalla stessa radice nasce il derivato *skauti, che costituisce<br />

la base per la forma antico inglese sceata “bordo, orlo”, ma anche “vela”;<br />

parallelamente in medio e moderno nederlandese schote, antico alto tedesco<br />

scozo “vela”. Interessante rilevare che nel dizionario etimologico di De Vries<br />

(1961: 487) sono citate anche alcune forme di prestito dal germanico in lingue<br />

celtiche con lo stesso significato di “vela” o anche “bordo, angolo della vela”;<br />

ad es. antico irlandese lín-scóit, scozzese sgòd; a ciò si aggiunga la testimonianza<br />

di lingue non i.e., come la forma estone kaud “vela, telo per navigare”, o<br />

quella lappone skakta, skafta “angolo di una vela”.<br />

D’altra parte, la forma germanica *skaut- costituisce la base del termine<br />

marinaresco “vela” anche nelle lingue romanze: francese écoute, spagnolo<br />

escota, italiano scotta sono tutti prestiti dalla stessa radice germanica 8 , entrati<br />

nel Mediterraneo dai dialetti germanici settentrionali oppure dal basso tedesco,<br />

come indica l’assenza di palatalizzazione nel nesso consonantico iniziale. Originariamente,<br />

il termine indicava “la vela”, in seguito, più precisamente, “la fune<br />

che la manovra”, ovvero “la scotta”.<br />

La deriva semantica di SKAUT- può quindi essere riassunta come segue:<br />

il primo significato della parola era “angolo di un tessuto”, “parte di un panno”;<br />

abbastanza presto, è avvenuta una sorta di specializzazione della parola, diventata<br />

il termine per indicare il “panno per la navigazione”, e quindi, più semplicemente,<br />

“la vela”.<br />

A questo punto della deriva semantica, è possibile supporre che siano entrate<br />

in funzione due metonimie:<br />

a) dalla vela alla nave, per cui in inglese scauti “vela” diventa scouti “nave<br />

a fondo piatto”, termine attestato nella prima metà del XV secolo;<br />

b) una parte speciale della vela, ovvero la “fune di manovra”, che in inglese<br />

assume la forma palatalizzata di sheet, vale a dire la “scotta”.<br />

È altamente probabile che lo slittamento semantico in a) abbia preceduto<br />

quello in b), perché nel significato di sail sheet, vale a dire “telo della nave, vela”<br />

la parola è sempre scritta sheet, in cui il digramma indica la palatalizzazione<br />

del nesso sk-, tipico processo fonologico della lingua inglese, come<br />

8<br />

Cf. BATTISTI e ALESSIO (1957, s.v.); DEVOTO (1979, s.v.); leggermente diverso il quadro<br />

presentato in CORTELAZZO e ZOLLI (1988, s.v.).


[9] SULLE RIVE DEL MERSEY. NOTE SULL’ETIMOLOGIA DI SCOUSE 189<br />

dimostrano molte altre coppie di parole che alternano una forma più antica, priva<br />

di palatalizzazione, ad una più moderna, palatalizzata (ad es. skirt/shirt).<br />

Seguendo la nostra ipotesi, avremmo quindi in inglese due forme diverse,<br />

con significato differente, derivate dallo stesso etimo *skaut- germanico:<br />

1. scouti/scouse, senza palatalizzazione, ma con possibile spirantizazzione<br />

dell’occlusiva coronale nella seconda sillaba;<br />

2. sheet, con palatalizzazione iniziale di sk-.<br />

La prima forma si è trasformata ben presto in una parola arcaica, una specie<br />

di relitto. La seconda forma è invece molto produttiva, poiché nell’evoluzione<br />

della lingua la parola ha assunto molti altri significati; dal primario senso<br />

di “panno, tessuto”, sheet viene così ad indicare “biancheria da letto, lenzuola”;<br />

oppure il pezzo di carta su cui scrivere, cioè “foglio”.<br />

3. L’inglese Lobscouse<br />

In inglese, la parola lobscouse è attestata dall’inizio del XVIII secolo, col significato<br />

di “piatto di carne stufata con verdure e gallette” (cf. ONIONS, 1966;<br />

Oxford Dict., s.v.). Qualche dizionario etimologico scrive ‘di origine ignota’ (ad<br />

es. HOAD, 1986: 269, Longman Dict., 1984: 860), mentre altri comparano la parola<br />

inglese con alcune forme di lingue germaniche del Nord: danese labskous,<br />

lobskous, norvegese lapskaus, svedese lapskojs, e le sue varianti lappkojs e<br />

lappskaus, nederlandese lapskous, tedesco Labskaus (ONIONS, 1966).<br />

È utile sottolineare che oggi tutte queste parole si riferiscono ad un piatto<br />

tradizionale, preparato nello stesso modo e con ingredienti simili allo Scouse di<br />

Liverpool. In particolare, Labskaus è il piatto tipico di Amburgo, fatto con carne<br />

stufata (o anche aringhe), patate e cipolle.<br />

I dizionari storici di inglese concordano nel definire lobscouse “un piatto<br />

tipico marinaresco fatto di carne e verdure stufate” (cf. Oxford Dict., 1933,<br />

SHIPLEY, 1957, s.v.); talvolta propongono inoltre che lobscouse derivi da lob’s<br />

course, lap’s course; quindi, da lobscouse “piatto del marinaio” sarebbe derivato<br />

lobscouser, i.e. “marinaio”.<br />

La prima citazione di lobscouse presente nei dizionari risale allo scrittore<br />

inglese E. Ward che in The Wooden World Dissected (1706) scrisse «He has<br />

sent the Fellow (…) to the Devil, that first invented lobscouse». La parola si ritrova<br />

quindi in T. Smollett (1751): «A mess of that savoury composition<br />

known by the name of lob’s course». Vi sono varie altre citazioni per il XIX secolo;<br />

per esempio, nel 1867 lap’s course è descritto come «one of the oldest and<br />

most savoury of the regular forecastle dishes» (cf. Oxford New English Dict.,<br />

1933: 377-378; SHIPLEY, 1957, s.v.).


190 GIOVANNA MAROTTA [10]<br />

Particolarmente interessante ci pare il brano di F.F. Moore in Journalist’s<br />

Note del 1894: «something like a glorified Irish stew, or perhaps what yachtsmen<br />

call lobscouse» (citato da Oxford Dict., 1933: 378). Si osservi che questa è<br />

l’unica citazione che collega la parola lobscouse agli irlandesi; tale aspetto può<br />

essere rilevante per il quadro socio-economico specifico della città di Liverpool<br />

che abbiamo delineato in precedenza (cfr. § 1).<br />

4. Marinai e metafore<br />

Una volta identificate le radici dei due elementi del composto inglese lobscouse,<br />

possiamo ora articolare la nostra ipotesi etimologica .<br />

Il termine originale labskaus potrebbe essere una forma danese arrivata in<br />

Inghilterra ed Irlanda in tempo antico, forse già in epoca medievale. In tal caso,<br />

la parola sarebbe stata in uso presso i Vichinghi, esperti marinai, per indicare<br />

gli abitanti costieri delle isole britanniche, considerati inesperti, in breve, “marinai<br />

d’acqua dolce”.<br />

Sappiamo da fonti storiche che nel IX e X secolo, popolazioni nordiche invasero<br />

l’Irlanda ed ebbero intense relazioni commerciali con l’Inghilterra; il<br />

loro contributo allo sviluppo dei commerci e dell’urbanizzazione fu particolarmente<br />

rilevante per tutto il Nord Europa. Contatti tra scandinavi da un lato e<br />

britannici o irlandesi dall’altro sono stati del resto frequenti e proficui anche in<br />

epoca moderna.<br />

Se il composto germanico labskaus derivasse dalla combinazione della radice<br />

verbale LAB “pendere pesantemente” e dall’etimo SKAUT-/SKAUS-<br />

“vela”, la parola avrebbe letteralmente il significato di “vela che pende pesantemente”.<br />

Nella nostra ipotesi, la connotazione semantica della parola sarebbe<br />

stata negativa sin dall’inizio, dal momento che la vela di un bravo marinaio non<br />

è mai floscia, bensì sempre tesa e gonfia. Basti pensare al sintagma italiano<br />

“andare a gonfie vele”, o all’analogo inglese to be under full sail, espressioni<br />

connotate positivamente, in quanto fanno riferimento ad una vela ben tesa, che<br />

sfrutta appieno la forza dei venti e che può pertanto imprimere alla nave un’andatura<br />

spedita.<br />

La parola originale scandinava labskaus sarebbe stata presa in prestito<br />

dall’inglese agli inizi dell’epoca moderna; l’adozione nella lingua inglese ne<br />

avrebbe determinato il cambiamento in lobscouse: l’innalzamento vocalico<br />

dall’originale a in o è infatti compatibile con la fonologia dell’inglese (cfr.<br />

MIONI, 1988). Come abbiamo già avuto modo di osservare, l’assenza di palatizzazione<br />

del nesso sk e la conservazione del dittongo au costituiscono forti indizi<br />

a favore dell’origine nordica del composto (cfr. LASS, 1994: 59). Il prestito<br />

sarebbe entrato nelle isole Britanniche quando la tipica regola di palatalizza-


[11] SULLE RIVE DEL MERSEY. NOTE SULL’ETIMOLOGIA DI SCOUSE 191<br />

zione del gruppo sk non era attiva nella lingua inglese.<br />

Un’ipotesi alternativa potrebbe far risalire l’origine della parola composta<br />

labskaus ad una forma del basso tedesco, entrata nelle lingue germaniche del<br />

Nord e nell’inglese nel corso del secolo XIV, in coincidenza con il periodo di<br />

maggiore espansione della Lega Anseatica, che, com’è noto, diede origine ad<br />

una koiné linguistica di matrice commerciale più che letteraria, avente come<br />

base il dialetto di Lubecca. A questo periodo risalgono infatti molti prestiti dal<br />

basso tedesco alle lingue scandinave, in particolare, danese e norvegese. Ricordiamo<br />

che anche nel basso tedesco (come nel germanico settentrionale), non si<br />

verifica la palatalizzazione della sibilante preconsonantica, ma, di contro, il<br />

dittongo au monottonga in o oppure u lunga, per cui ci attenderemmo una forma<br />

come skoos anziché skaus (cfr. MIONI, 1988: 53-54).<br />

È importante sottolineare che l’etimologia da noi proposta (Labskaus<br />

“marinaio inesperto”) non è in contrasto con nessuna delle due ipotesi qui<br />

avanzate circa l’origine della parola: in entrambi i casi (popolazioni vichinghe<br />

oppure marinai della Hansa), si fa riferimento a contesti caratterizzati da<br />

un’elevata competenza in ambito marinaresco.<br />

Né pare costituire obiezione alla nostra etimologia il fatto che la parola<br />

sheet, derivata dalla stessa radice del germanico settentrionale o anche del basso<br />

tedesco skauti-, mostri una forma palatalizzata in inglese, mentre in lobscouse,<br />

poi semplicemente scouse, non si riscontra palatalizzazione: nel composto<br />

labskaus, poi lobscouse, che si configura come un vero e proprio relitto, è<br />

conservata la forma originale scandinava o basso tedesca, con il gruppo sk- non<br />

ancora palatalizzato, mentre nella parola sheet il gruppo ha seguito il suo normale<br />

percorso evolutivo tipico dell’inglese.<br />

In entrambe le forme (labskaus e lobscouse), a partire dal primo significato<br />

letterale di “vela moscia”, il composto avrebbe potuto facilmente acquisire il<br />

significato metaforico di “marinaio che naviga con la vela floscia”, cioè “marinaio<br />

inesperto”, ovvero “marinaio d’acqua dolce”. Non sono escluse anche<br />

connotazioni della parola in senso sessuale, che renderebbero ancora più negativo<br />

il senso globale della metafora. In ogni caso, il processo metaforico procede<br />

mediante una depauperizzazione del taxon originale (cfr. CARDONA, 1982),<br />

sebbene si mantenga nella stessa sfera semantica (lessico marinaresco).<br />

Se la nostra ipotesi è corretta, il significato originale di lobscouse sarebbe<br />

quindi quello di un etnonimo, ed in particolare un etnonimo eteronimo dato<br />

dai Vichinghi, oppure dai tedeschi del Nord (in entrambi i casi, esperti navigatori<br />

nei mari del Nord Europa) agli inglesi ed agli irlandesi. Questa classe speciale<br />

di nomi mostra di norma connotazioni di tipo negativo, in quanto basata<br />

su un’opposizione fondamentale – mirabilmente messa in luce già da G.R.<br />

Cardona – tra NOI, che siamo migliori, superiori e GLI ALTRI, che sono peggiori,<br />

inferiori.


192 GIOVANNA MAROTTA [12]<br />

Nel nostro caso specifico, avremmo dunque il contrasto:<br />

“NOI, marinai esperti” versus “LORO, che non sanno navigare”.<br />

Riteniamo altamente probabile che la semplificazione del composto (da<br />

labskaus a skaus, e in inglese da lobscouse a scouse) sia avvenuta soltanto dopo<br />

che la parola aveva assunto la specifica connotazione metaforica antropologica.<br />

Se il nome lobscouse indica il “marinaio inesperto”, il passo successivo<br />

nella deriva semantica della parola può facilmente prevedere uno slittamento<br />

verso due aspetti fondamentali per l’identificazione e la caratterizzazione dei<br />

gruppi etnici, vale a dire il cibo e la lingua. In altri termini, riteniamo che la parola<br />

lobscouse come pure la sua forma semplificata scouse siano passate ad indicare<br />

da una parte quello che i “cattivi marinai” mangiano, ovvero una misera<br />

zuppa, dall’altra il modo in cui parlano, ovvero il loro dialetto. Entrambi i passaggi<br />

sopra menzionati non sono certo strani o inattesi, dal momento che cibo e<br />

lingua rappresentano le caratteristiche fondamentali per la caratterizzazione<br />

antropologica di un popolo (cfr. ancora CARDONA, 1982; LE PAGE e TABOURET<br />

KELLER, 1985).<br />

La deriva semantica di lobscouse potrebbe quindi essere schematizzata nel<br />

modo seguente:<br />

vela floscia<br />

↓<br />

marinaio con vela floscia<br />

↓<br />

cattivo marinaio<br />

zuppa mangiata dai cattivi marinai<br />

dialetto parlato dai cattivi marinai<br />

5. Il piatto<br />

È ben noto che il cibo è un elemento che contribuisce in modo essenziale<br />

all’identificazione di un gruppo etnico. Possono essere citati molti esempi in<br />

questo senso: la forma italiana crucchi in riferimenti ai tedeschi, e l’analogo inglese<br />

Krauts; la parola polentoni usata dai parlanti meridionali d’Italia per i settentrionali;<br />

ancora, la forma maccaroni usata dai tedeschi per indicare gli italiani,<br />

oppure il termine Eskimo (lett. “mangiatori di carne cruda”) usato dagli<br />

americani per gli Inuit.<br />

A favore del passaggio dal “marinaio” a quello che il marinaio mangia, o,<br />

più in generale, dal nome di un lavoratore o professionista a quello che il lavoratore/professionista<br />

mangia, cioè il suo cibo, potranno d’altro canto essere citate<br />

espressioni del tipo “spaghetti alla marinara” oppure “penne alla boscaiola”.<br />

Una volta chiarito che lobscouse era passato ad indicare il piatto tipico dei


[13] SULLE RIVE DEL MERSEY. NOTE SULL’ETIMOLOGIA DI SCOUSE 193<br />

“cattivi marinai”, diventa possibile spiegare la presenza di carne in una zuppa<br />

marinara: i “cattivi marinai” non sanno andar per mare, non sono capaci di pescare,<br />

quindi tornano a casa senza pesce, con le reti vuote; di conseguenza, sono<br />

costretti a mettere carne anziché pesce nella loro minestra.<br />

Il significato alimentare della parola composta Labskaus/Lobscouse è per<br />

così dire migrato in tutto il Nord Europa; si ricordi che il termine labskaus è in<br />

uso nelle lingue scandinave ed in tedesco, in particolare ad Amburgo, dove indica<br />

un piatto tipico simile a quello di Liverpool. Nella nostra ipotesi, il termine<br />

potrebbe essere entrato in danese, norvegese, svedese e basso tedesco come<br />

prestito dall’inglese, probabilmente nel XVI e XVII secolo. La presenza delle<br />

patate tra gli ingredienti necessari per la preparazione di questa minestra consente<br />

di collocare almeno un termine temporale post quem, visto che la coltivazione<br />

di questo tubero in Europa è posteriore alla scoperta dell’America.<br />

Non sarà del resto strano che proprio la lingua inglese, che aveva preso in<br />

prestito l’antica forma scandinava in epoche precedenti, l’abbia poi esportata<br />

nel resto del Nord Europa, dal momento che in epoca moderna la nazione inglese<br />

aveva avuto modo di aumentare considerevolmente il suo prestigio economico<br />

e culturale: gli inglesi costituivano ormai una vera e propria potenza<br />

navale europea e mondiale.<br />

Stiamo quindi ipotizzando un lungo percorso circolare per la nostra parola:<br />

nata nell’Europa del Nord, entrata in Inghilterra con connotazione negativa,<br />

assunti due diversi ma correlati significati metaforici, nella sua accezione alimentare<br />

viene esportata dall’inglese nel Nord Europa. Non ci stupirà certo che<br />

il nome di un piatto ‘viaggi’, per così dire, da un capo all’altro dell’Europa: per<br />

citare un solo esempio, gli “spaghetti alla bolognese” vengono attualmente<br />

preparati e consumati in tutto il mondo occidentale, talora senza consapevolezza<br />

alcuna dell’origine geografica del piatto, spesso trascritto in modo non-standard,<br />

e propinato nei ristoranti stranieri, con varianti anche fantasiose, ben poco<br />

attinenti alla tradizione emiliana.<br />

6. Il dialetto<br />

Oltre al passaggio metaforico da “cattivo marinaio” a “zuppa del cattivo<br />

marinaio”, un nuovo slittamento semantico ebbe luogo, dal momento che alla<br />

parola scouse venne assegnato anche un altro significato, vale a dire la lingua<br />

parlata dai “cattivi marinai”, cioè dalle popolazioni che abitavano le coste occidentali<br />

dell’Inghilterra. Come il cibo, anche la lingua è caratteristica rilevante e<br />

fondante di un gruppo etnico, e dunque anche questo elemento può diventare<br />

elemento di scherno e di disprezzo tra etnìe diverse. Non mancano certo gli<br />

esempi, più o meno illustri, per illustrare la connotazione negativa associata ad


194 GIOVANNA MAROTTA [14]<br />

etnonimi eteronimi facenti leva sull’elemento linguistico, a partire dal termine<br />

bárbaroi (letteralmente, “coloro che dicono ba-ba”), con cui gli antichi greci<br />

nominavano le popolazioni confinanti, fino alla più recente denominazione didones<br />

usata dagli spagnoli per i francesi (dall’espressione dis-donc, comunemente<br />

usata da questi ultimi), come pure al nome dispregiativo dato dagli ungheresi<br />

ai tedeschi, cioè vigéc (forma storpiata della frase tedesca wie geht’s).<br />

Mentre il passaggio metaforico da “cattivo marinaio” a “zuppa del cattivo<br />

marinaio” non si è limitato alle isole britanniche, essendo il secondo significato<br />

attestato in varie zone dell’Europa settentrionale, la deriva semantica che da<br />

“cattivo marinaio” conduce a “lingua parlata dai cattivi marinai” mostra una<br />

connotazione spaziale più ristretta, dal momento che ha assunto il significato di<br />

accent specifico dell’area di Liverpool, in cui i “cattivi marinai” parlano un inglese<br />

per così dire ‘bastardo’. Lo stesso fenomeno si applica al derivato Scouser,<br />

vale a dire, l’abitante di Liverpool che parla con il caratteristico accent della<br />

città.<br />

A questo proposito è essenziale ricordare che per moltissimo tempo Liverpool<br />

è stato uno dei porti più attivi della costa occidentale britannica; sia per<br />

questo motivo che per la vicinanza geografica, è stato il principale polo di immigrazione<br />

irlandese in Gran Bretagna. Come abbiamo notato in precedenza,<br />

buona parte della popolazione cittadina ha ascendenti irlandesi (cfr. § 1), per<br />

cui è legittimo supporre che i “cattivi marinai” che parlavano l’inglese con un<br />

forte accento ‘straniero’ potessero essere facilmente identificati con gli immigrati<br />

irlandesi. Non è dunque un caso che proprio nella città di Liverpool e non<br />

altrove, il significato di scouse come specific accent abbia potuto attecchire,<br />

svilupparsi e mantenersi sino ad oggi. In questo modo, soprattutto in bocca degli<br />

inglesi autoctoni, la parola scouse acquistava una connotazione negativa<br />

ancor più marcata, perché aveva come referente primario proprio la parte della<br />

popolazione cittadina più disprezzata, in quanto misera, incolta, cattolica: in<br />

una parola, gli irlandesi.<br />

Non sarà infine fuori luogo richiamare l’attenzione del lettore su una specifica<br />

caratteristica fonetica: nel composto germanico attestato nel Nord Europa<br />

ancora oggi, labskaus, così come nelle forme inglesi lobscouse e scouse rileviamo<br />

una sibilante al posto dell’occlusiva coronale. Il cambiamento fonetico da t a<br />

s potrebbe essere spiegato in riferimento al tipico processo di lenizione che interessa<br />

le consonanti occlusive nell’inglese parlato a Liverpool. Ricordiamo a tale<br />

proposito che il processo di lenizione sembra particolarmente attivo nel caso di<br />

bersagli occlusivi coronali, per i quali la sibilante rappresenta uni degli esiti fonetici<br />

superficiali possibili (cfr. MAROTTA e BARTH, 2005). Non è pertanto da<br />

escludere che il cambiamento t > s (cfr. lobscouti > lobscouse) sia avvenuto a<br />

Liverpool, dal momento che proprio in quella città le occlusive intervocaliche<br />

sono soggette a spirantizzazione, in epoca antica come ancora oggi.


[15] SULLE RIVE DEL MERSEY. NOTE SULL’ETIMOLOGIA DI SCOUSE 195<br />

7. Conclusione<br />

In queste pagine abbiamo avanzato una nuova proposta etimologica per la<br />

parola inglese Scouse. La letteratura precedente sull’argomento riconosce concorde<br />

la derivazione di Scouse da un composto del germanico settentrionale<br />

Labskaus, entrato in inglese come prestito nella forma lobscouse. Mentre per il<br />

primo elemento del composto è già stato in passato proposto qualche etimo, per<br />

il secondo elemento l’etimologia era finora ignota.<br />

Nell’ipotesi etimologica qui avanzata, suffragata dai riscontri con termini<br />

attestati in epoca sia antica che moderna in numerose lingue germaniche settentrionali,<br />

il composto nordico originario Labskaus avrebbe avuto il significato<br />

di “vela floscia”, ben presto riferito, per estensione metaforica, anche a “marinaio<br />

che naviga con la vela floscia”, cioè “marinaio inesperto”. In quanto<br />

etnonimo eteronimo, inventato da popolazioni del Nord Europa esperte nella<br />

navigazione dei mari – Vichinghi o tedeschi del Nord Europa – il nome esprimeva<br />

un atteggiamento dispregiativo nei confronti di irlandesi e inglesi, considerati<br />

di competenza inferiore in ambito marinaresco (e non solo).<br />

La parola fu in seguito estesa a due elementi fondamentali della cultura di<br />

un popolo, vale a dire il cibo e la lingua. Mediante una deriva semantica assolutamente<br />

non marcata sul piano antropologico e culturale, lobscouse, o più<br />

semplicemente scouse, passarono ad indicare da una parte “il cibo che il cattivo<br />

marinaio mangia”, e dall’altra “la lingua che il cattivo marinaio parla”.<br />

Il valore originario della parola composta così come quello del semplice<br />

derivato scouse si è perduto nel corso dei secoli. Anche le persone che oggi<br />

usano quotidianamente la parola non sono più coscienti della sua origine etimologica.<br />

La deriva semantica nei suoi vari passaggi è ormai del tutto opaca:<br />

marinaio → zuppa del marinaio → dialetto del marinaio → dialetto di Liverpool.<br />

Un tratto del significato originario del termine è rimasto tuttavia costante: la<br />

parola ha mantenuto una connotazione sociale negativa. Ancora oggi, in Inghilterra,<br />

nonostante la crescente diffusione dei tratti scouse, questo accent è percepito<br />

e giudicato almeno in parte sgradevole; in parallelo, il parlante scouser continua<br />

ad essere associato a persona incolta, poco educata e poco affidabile.<br />

In sintesi, la storia della parola Scouse costituisce un ulteriore esempio<br />

della forza degli atteggiamenti culturali di un popolo (attitudes) e di come tale<br />

forza possa esprimersi in modo particolarmente energico nel linguaggio. Questi<br />

medesimi atteggiamenti possono essere più forti dei cambiamenti linguistici<br />

e perciò mantenersi inalterati, sia pure variatis variandis, anche per secoli,<br />

mostrando una vitalità ed un radicamento insospettati ad una prima e superficiale<br />

considerazione.


196 GIOVANNA MAROTTA [16]<br />

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Finito di stampare nel mese di febbraio 2007<br />

in Pisa dalle EDIZIONI ETS<br />

Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa<br />

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