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BRILLANTE LAUREATO OFFRESI - Matt Manent - On the Road

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Brillante laureato offresi – romanzo di <strong>Matt</strong>ia Colombo<br />

Prima edizione: giugno 2011<br />

Copertina e logo a cura di: <strong>Matt</strong>eo Girola<br />

Sviluppo formati e-Book: Alessandro Piazza<br />

Licenza Creative Commons<br />

Libertà di condivisione con obbligo di attribuzione di paternità<br />

Divieto di commercializzazione e di modifica salvo specifici accordi con l‟autore<br />

Brillante laureato offresi by <strong>Matt</strong>ia Colombo is licensed under a Creative Commons Attribution-<br />

NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License.<br />

Permissions beyond <strong>the</strong> scope of this license may be available at<br />

info@brillantelaureatooffresi.com<br />

2


<strong>BRILLANTE</strong> <strong>LAUREATO</strong> <strong>OFFRESI</strong><br />

su Internet<br />

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3


INDICE<br />

1. Il giorno dei giorni.................................................................................... 5<br />

2. Strategie ................................................................................................ 6<br />

3. Loading… .............................................................................................. 9<br />

4. Salire di livello ........................................................................................ 11<br />

5. Lettere da un altro universo ................................................................... 17<br />

6. Sotto questo sole ................................................................................... 19<br />

7. Lato B .................................................................................................... 33<br />

8. Spiaggiato a settembre .......................................................................... 37<br />

9. Passare dal via ...................................................................................... 60<br />

10. Maturare ............................................................................................... 64<br />

11. Lettere da un altro universo (parte seconda) ........................................ 67<br />

12. La nuova bestia .................................................................................... 69<br />

13. La notte delle streghe ........................................................................... 73<br />

14. Un lungo sonno ..................................................................................... 77<br />

15. Promemoria: passare ricevitoria ........................................................... 82<br />

16. All'improvviso un conosciuto ................................................................. 90<br />

17. L'evento dell'anno ................................................................................. 93<br />

18. Feste di lavoro ...................................................................................... 98<br />

19. Giovani imprenditori .............................................................................. 101<br />

20. Eventi .................................................................................................... 104<br />

21. Strategia Islam ...................................................................................... 108<br />

22. Ciak, si gira ........................................................................................... 113<br />

23. Fuck you, pay me! ................................................................................. 117<br />

24. A luci spente ......................................................................................... 120<br />

25. Arcobaleno ............................................................................................ 123<br />

26. Sogno e son desto ................................................................................ 130<br />

27. Bere gratis ............................................................................................ 134<br />

28. Una candelina ....................................................................................... 138<br />

29. La posta del cuore ................................................................................ 141<br />

30. Dobbiamo parlare ................................................................................. 145<br />

31. Baciami ................................................................................................. 149<br />

4


1<br />

IL GIORNO DEI GIORNI<br />

A cavallo di una settimana a cavallo del mese d‟aprile fu tempo di muoversi.<br />

Primavera, bella giornata, finestrini abbassati e auto in direzione Milano per quello che<br />

stava per essere ufficialmente l‟evento storico per entrambe le diramazioni del mio albero<br />

genealogico: il primo laureato.<br />

<strong>On</strong>ore toccato nientemeno che a me, al pari del dovere di condurre a destinazione la minicarovana<br />

di famiglia, che si apriva con l‟ammiraglia di casa guidata dal sottoscritto e carica<br />

di due festanti cugini per poi chiudersi coi miei genitori e una delle mie zie nell‟auto dietro.<br />

Una cerimonia per pochi intimi, come da me desiderato.<br />

Arrivammo a destinazione, ci demmo un‟aggiustata e c‟incamminammo verso la sede, che<br />

per la prima volta dopo innumerevoli racconti la mia famiglia giungeva a vedere in tutta<br />

l‟imponenza e la modernità. All‟ingresso incontrai parecchi compagni d‟avventura,<br />

intrattenendomi tra i gesti di scaramanzia, i complimenti ricevuti per l‟eleganza e la bonaria<br />

invidia di chi incagliato su qualche esame ancora aveva delle prove da superare prima di<br />

trovarsi al mio posto, nel giorno dei giorni coi parenti emozionati al seguito e la tesi rilegata<br />

sottobraccio.<br />

Nell‟atrio l‟atmosfera era già un‟altra: dai sorrisi di fuori passai in una manciata di<br />

centimetri al misto di tensione ed eccitazione da condividere coi nomi sulla mia stessa<br />

lista. Vestiti da giorni importanti, rumore di tacchi, ancora sorrisi, saluti e buoni auspici da<br />

parte di chi nel giro di poco non sarebbe stato più il mio collega o il mio docente, bensì un<br />

ex-collega o un ex-docente nella mia nuova e tanto faticosamente conquistata vita da<br />

laureato.<br />

I giorni sui treni umidi, nel traffico, sui libri. I giorni d‟impegno per esami ardui da superare,<br />

i giorni di peripezie per far combaciare lo studio con qualche lavoro e ben più sogni. I<br />

giorni di tensione sin dal preambolo, quando dalla graduatoria basata sui voti dell‟esame di<br />

maturità ero risultato escluso, per poi essere ripescato dopo un‟estate col groppo in gola.<br />

Assieme ai giorni migliori erano tutti parte di un mosaico servito a portarmi a quel giorno, lì<br />

a pochi lunghi passi dall‟aula magna e da una commissione di personalità più e meno<br />

rassicuranti pronte ad accogliere, ascoltare, giudicare.<br />

L‟attesa, la convocazione per l‟ingresso, di nuovo un‟attesa e il momento. Il mio momento.<br />

Semestri di gestazione, l‟abbraccio finale col passato che scivolava via fino alle mie mani<br />

che si disgiungevano dalle sue; il futuro che si apriva e chiamava alla massima<br />

concentrazione, perché è il parto il momento in cui la vita è più a rischio.<br />

Infine il compimento dell‟atto, con applausi attorno, mani da stringere, foto da scattare,<br />

abbracci, congratulazioni, lacrime altrui da contenere e uno spumante a suggellare.<br />

Diciotto aprile, ore diciotto e quindici: nacque un dottore.<br />

5


2<br />

STRATEGIE<br />

Diciotto aprile, ore diciannove e quindici: è già ora di guardare avanti.<br />

Tornato a casa per riaccompagnare la famiglia e cambiarmi alla velocità della luce, in<br />

jeans e maglietta e con le ultime bollicine di spumante ancora in fondo al palato devo<br />

rifiondarmi a Milano. E alla sveltissima.<br />

No, non c‟è nessun aperitivo o nessuna cena con ex-colleghi, amici o cose simili. C‟è che<br />

si apre il primo capitolo dei piani post-laurea. A poter scegliere starei a casa coi miei e col<br />

telefono bollente, ma le tempistiche sono tempistiche e le scelte sono scelte: inizia il corso<br />

di barman.<br />

Il dottore al corso di barman, già. «Ma non potevi andarci finita la terza media?» è stata<br />

una domanda riecheggiata parecchio, da chi me l‟ha fatta per ridere a chi invece era<br />

assolutamente serio. Ma una logica dietro il mio progetto c‟è: sarà un periodo bastardo<br />

quello della ricerca di lavoro, quindi voglio una carta da giocare che mi consenta di<br />

mettere da parte qualcosa mentre spargerò CV a destra e a manca; secondo aspetto,<br />

avendo l‟idea di fare prima o poi un periodo all‟estero questa carta diventa un asso nella<br />

manica che mette sul piatto anche una facile introduzione alla vita sociale. Chiuso il<br />

cerchio.<br />

Arrivo, parcheggio, schizzo dentro, giù per le scale, mi giustifico col trainer che gira il<br />

messaggio dal privato al pubblico e chiama l‟applauso per il dottore. Negli occhi dei miei<br />

novelli compagni di corso sbarluccica però la classica domanda, ma dieci secondi e si<br />

esce dall‟empasse prima che io mi debba giustificare. Ci si concentra su ciò per cui di fatto<br />

si è giunti, in due ore che volano via rapide e ben promettenti.<br />

Quarta vasca della giornata e sono a casa. Stanco, sfinito, Milano è alle spalle e ho in<br />

corpo solo la voglia di dormire e di prendermi qualche giorno per stare senza pensieri.<br />

Impegni già fissati a parte, il guerriero chiede sette giorni di riposo.<br />

Quindi dormo senza sveglia il primo, mi riprendo il secondo, mi alleno in palestra il terzo, il<br />

quarto è domenica e perciò va da sé, ma all‟apice del relax decido di chiudere il break in<br />

anticipo e seguire il proposito che il mio vicino di casa da anni settimanalmente urla ai figli:<br />

«Da lunedì si cambia». Con la sola differenza che le mie non voglio siano parole al vento,<br />

quindi col sole dell‟inizio di nuova settimana so che è ora di alzarmi, fare colazione,<br />

riordinare le idee ed essere operativo al computer per le dieci e qualcosa. Obiettivi due:<br />

dare al curriculum un formato professionalmente accettabile e trovare i primi destinatari a<br />

cui inviarlo.<br />

Comodo alla scrivania parto con la noia mortale del riorganizzare decentemente il vecchio<br />

CV, che dall‟ultima stesura ha qualcosa da mantenere (poco più che i dati anagrafici),<br />

qualcosa da aggiornare (titolo di studio, finalmente, e collaborazione con un mensile in<br />

carta stampata) e qualcosa che regolarmente balza alla memoria ma è meglio insabbiare<br />

(il mio impiego estivo di sguattero in una bottega brianzola quando avevo sedici anni. Guai<br />

a chi dice che non ho fatto il militare). La procedura si presenta talmente macchinosa che<br />

di tanto in tanto intervallo per fare mente locale sulle aziende papabili nelle vicinanze e<br />

cercare assieme qualche realtà interessante più in là, su Milano, tramite Internet. La mia<br />

zona concede poco spazio all‟estro, quindi posso far valere il mio bel pezzo di carta -<br />

fisicamente in arrivo entro un anno, ma come logico nominalmente valido da subito- e la<br />

mia preparazione su ben quattro lingue straniere per un impiego inquadrato e serio,<br />

mentre con Milano ci si può permettere un po‟ più di originalità e perciò mi lancio verso<br />

imprese di vario stampo concernenti la comunicazione, sia essa “pura” o riguardi più<br />

semplicemente lo stare a contatto diretto con le persone. Mi sento portato per professioni<br />

6


del genere e credo inoltre non faticherei a relazionarmi col microcosmo di entità e<br />

dinamiche che fanno loro da contorno.<br />

Realtà già note come di fresca scoperta le vado a stanare tutte in Rete e le salvo tra i<br />

preferiti della mia nuova cartella, la cartella “Lavoro”, carica a curriculum riordinato già di<br />

una decina di nomi ma destinata ad ingrassare tra una mossa telematica e l‟altra. Infatti a<br />

mercoledì, mentre l‟Italia commemora la liberazione, siamo già a venticinque e con il<br />

venerdì della settimana seguente raggiungiamo quota quaranta. Da qui la necessità di<br />

fermarmi un attimo e completare l‟invio della sostanza ai selezionati, a chi secondo il più<br />

pratico metodo dell‟e-mail con presentazione generale e tandem CV/foto in allegato, a chi<br />

invece tramite gli infiniti, iperdettagliati e ancora infiniti formulari annessi ai siti. Ogni volta<br />

che mi addentro in una sezione “Opportunità”, “Lavora con noi” o “Jobs” c‟è sempre da<br />

tenere le dita incrociate, perché se s‟incappa in un formulario, cari signori, gettiamo<br />

l‟ancora e un giro di lancetta lunga qui ce lo facciamo tutto: non c‟è mai uno standard, si<br />

trova sommarietà laddove ci sarebbe esigenza di approfondimenti e si richiedono<br />

approfondimenti laddove basterebbe la sommarietà.<br />

Moduli da una pagina sono rarità. Mediamente ne hanno due o tre, con risposte a cui<br />

spuntare la casella o per cui addentrarsi in menù a tendina con opzioni predefinite, ad<br />

ognuna delle quali la parte razionale del cervello controbatte «Eh, ma…» e quella<br />

ragionevole replica «Che te frega, clicca». Gli spazi destinati alla libera digitazione sono<br />

contati e sono pure i peggiori, perché se da un lato è sacrosanto menzionare che titolo di<br />

studio si possiede e quando/come/dove lo si è conseguito, dall‟altra parte io non sono<br />

disposto a dover fare mente locale o a ribaltare vecchi scatoloni in cantina solo per<br />

scrivere il giorno in cui mi è stata conferita la licenza media. Conto l‟anno a ritroso con le<br />

dita, il mese lo scrivo a logica e il giorno lo butto lì del tutto, tanto voglio vedere chi mai<br />

verrà a contestare. Ridicolo nella sostanza anche se logico all‟apparenza è avere poi un<br />

riquadro per elencare le proprie qualità e i propri interessi: per le prime, sfido chiunque a<br />

scrivere qualcosa che si discosti dal mostrare buona volontà e capacità di adattamento,<br />

che mai nessuno oserebbe dichiararsi talmente dittatore da non sopportare il lavoro di<br />

squadra o talmente menomato da non avere la capacità di risolvere problemi in<br />

autonomia; per i secondi è invece tutto un gioco psicologico, perché qualsiasi sia la<br />

menzione è chiaro si verrà catalogati in base al relativo stereotipo, come anche si capisce<br />

che una lista lunga o corta più di un tot inviterà a farsi etichettare come una persona con<br />

troppi grilli per la testa oppure come una persona senza sufficienti stimoli. Da non citare<br />

poi, se non in casi specifici, l‟esperienza con sport da combattimento o una passione<br />

preponderante per un genere musicale che non sia il jazz: sono impressionanti detonatori<br />

di scetticismo.<br />

Digito, clicco, digito, clicco e passano mattinate e pomeriggi in serie, tutti o quasi su<br />

formulari e formulari, dove rendo nota la mia vita dalle scuole elementari alla data odierna<br />

e dal mio lifestyle ai miei brand preferiti. Poi, alla fine dell‟iter, la sola cosa comune a tutti è<br />

l‟ultima schermata: “Hai un curriculum? Caricalo qui”.<br />

E gira che ti rigira, si sono fatte già tre settimane abbondanti dalla mia laurea. Quasi un<br />

mese. Tra una cosa e l‟altra non ho avuto nemmeno tempo di ripensarci, ma la faccenda<br />

del festone apocalittico in onore del dottore l‟ho proprio lasciata perdere senza sentirne il<br />

peso. Nonostante quella minima di delusione, anche i miei amici sapevano che non l‟avrei<br />

messa in atto, non perché io sia un asociale ma per tutto un insieme di fattori di cui anche<br />

loro sono al corrente. Punto primo, il mix dei vari impegni che mi porto appresso non mi<br />

concede tempo per organizzare un evento mondano: tutti i giorni devo dedicare minimo un<br />

paio d‟ore alla gestione del retrobottega del mio programma radio -amatoriale solo per<br />

definizione burocratica SIAE- e a rimorchio arrivano anche gli articoli da confezionare per il<br />

magazine con cui collaboro, più il corso di barman. Le ventiquattro ore quindi mi si<br />

7


saturano in fretta. Punto secondo, da una parte sono il tipo di persona che vorrebbe offrire<br />

per intero in situazioni del genere, ma dall‟altra ho i soldi contati e quei quattrocinquecento<br />

Euro me li tengo volentieri da parte. Punto terzo, non vedo „sta gran necessità<br />

di festeggiare, ho solo fatto il mio dovere e questa era “solo” la triennale.<br />

Quest‟ultimo “solo” trasuda stizza, perché mi sto realmente accorgendo di quanto il<br />

capitolo laurea triennale sia frainteso e rigirato dalla gente con le mani dell‟ignoranza o<br />

con l‟astuzia degli squali. La storia è chiara e semplice ma qualcuno s‟è perso nel mezzo:<br />

l‟università italiana è stata riformata per seguire i canoni internazionali e se prima vigeva il<br />

monoblocco quadriennale, ora dopo la prima laurea si può decidere se proseguire con<br />

specialistiche, master eccetera, oppure fermarsi. Con una laurea già in mano però, non<br />

con un francobollo.<br />

Ma quando le mie vicine di casa ciaccolano a vanvera e quella col figlio pluribocciato dice<br />

all‟altra «Tanto poi ci sono le lauree brevi…», o quando ancora compilo un formulario che<br />

richiede indichi il mio titolo di studio scegliendo fra “Diploma di laurea” e “Laurea”<br />

ignorando che ogni laurea è un diploma in quanto con diploma s‟intende un certificato<br />

accademico, il nervoso ci mette un secondo a montare. Vista tanto la fatica fatta quanto le<br />

competenze maturate mi dà tremendamente fastidio che qualcuno possa borbottare alle<br />

mie spalle «Sì, ma laurea breve» o che in ambito di colloqui l‟erroneità dei formulari<br />

compilati in questi giorni vada a prolungarsi in un «Quindi Lei ha un diploma di laurea»,<br />

come se del titolo di studio ne possedessi solo un angolino.<br />

Facciamo sempre gli esterofili e ora che abbiamo lo stesso modello di tutti lo sminuiamo?<br />

Non tollero l‟ignoranza da un lato e non sarò mai disposto dall‟altro a prestarmi al gioco di<br />

chi, rimpastando il vecchio detto, vorrà “prendere focaccia per pane”. Che già la mia vita è<br />

una storia in cui molti chiedono pane e io do loro brioche.<br />

Una boccata d‟aria ci vuole, anzi, meglio staccare del tutto la spina andando in palestra,<br />

che se ci metto anche un bel quaranta minuti di tappeto torno mentalmente nuovo. Quattro<br />

giorni e sarà un mese preciso che mi sono laureato, ma soprattutto quattro giorni e il corso<br />

di barman sarà concluso. Speriamo di imparare pure qualche numero ad effetto, che il<br />

tocco di stile nel servizio dà sempre i suoi frutti.<br />

8


3<br />

LOADING…<br />

Ribilanciato. E finalmente.<br />

E‟ stato un weekend di riorganizzazione mentale, dopo che la conclusione del corso di<br />

barman mi permette e mi richiede un nuovo assetto dei ritmi giornalieri. La sera finale del<br />

corso, o meglio il relativo festino a suon di cocktail, ha fatto sì che anche il sabato lo abbia<br />

passato a letto per metà, per poi affacciarmi ad una domenica più morigerata con ancora<br />

una volta in testa il motto del mio vicino: da lunedì si cambia.<br />

E si cambia sì. Volere e dovere alla pari, perché se da una parte in questo momento non<br />

ho obblighi di nessun tipo, dall‟altra tocca sempre stare di vedetta in settimana. Di mattina<br />

il cellulare spento o una risposta a bocca impastata potrebbero pregiudicare un‟occasione<br />

di colloquio, dato che ogni secondo che passa avvicina matematicamente il momento delle<br />

prime chiamate. Mi viene anche da pensare che sia proprio questo un momento chiave: le<br />

aziende effettuano assunzioni per lo più dopo le vacanze e col nuovo anno, ma la fase di<br />

selezione naturalmente parte per tempo. Quindi ora che siamo nell‟ultima decade di<br />

maggio i tempi sono maturi.<br />

Fattore che invece mi domando per quanto mi terrà sul filo è la ricerca di un locale in cui<br />

mettere a frutto quanto imparato al corso di barman, numeri ad effetto inclusi. Una parte<br />

degli appuntamenti è meglio fissarli aprendosi un varco via e-mail, mentre so già che un<br />

semplice sopralluogo è più che abbastanza per bar, pub e affini vicini a casa. Ancora una<br />

volta torna in ballo la differenza tra Milano e la mia zona: nel raggio di dieci chilometri<br />

conosco già tutto o quasi, perciò la fase iniziale è semplificata, mentre la città va<br />

approcciata diversamente, con una scrematura fortissima su quanto per forma, contenuto<br />

e logistica è fuori obiettivo a priori. Croce e delizia, immerso in un sito Internet sulla<br />

nightlife milanese consumo l‟intero pomeriggio e, sentendomi energico, nel dopocena<br />

stendo un‟e-mail generica che spedisco ad una parte dei locali selezionati. Una piccola<br />

esca che faccia da termometro sui tempi di risposta e la richiesta di manodopera.<br />

Se lunedì lo impegno così, martedì parto trasversale e all‟occhio sulla Rete affianco una<br />

serie di visite che in sette sere più intense e frustranti del previsto mi porta ad inanellare<br />

una parte di «Non abbiamo bisogno», una vasta gamma di «Forse avremo bisogno» e un<br />

solo ma fortunato «Sì, abbiamo bisogno. Vieni sabato». Ulteriori ricerche quindi congelate,<br />

esordio fissato e frustrazione che se ne va in virtù dell‟opportunità guadagnata. Non so<br />

come gli amanti delle statistiche interpreterebbero il dato, davvero dalle due facce: su una<br />

dozzina di locali visitati è arrivato uno e un solo sì, perciò percentuale minima, ma in<br />

termini di tempo ho trovato lavoro in sette-sere-sette. Su Internet invece tutto tace, ma<br />

siamo ancora nella fascia dei tempi tecnici di reazione.<br />

Torno a casa soddisfatto per la conquista e vivo l‟attesa con la sola preoccupazione di<br />

imparare a memoria quei quattro cocktail basilari e ripassarmi le tecniche di versaggio, sia<br />

rileggendole dal quaderno del corso che provandole in cantina sul vecchio banco di lavoro<br />

di mio padre. <strong>On</strong>ce e un quarto precise o in tolleranza nel peggiore dei casi, e pure un<br />

paio di mosse di flair a suggellare il tutto. Spettacolo.<br />

Sabato arriva in fretta e la serata di questo due giugno ha tutte le premesse per essere il<br />

classico battesimo del fuoco: tre feste di laurea e un compleanno, più o meno<br />

duecentocinquanta persone preventivate e solo tre barman, me incluso, dietro il bancone.<br />

Ne esco stremato ma soddisfatto dopo quasi sei ore al ritmo di un cocktail via l‟altro,<br />

principalmente mojito, Cuba libre e gin lemon, ma anche qualche caipiroska alla fragola<br />

che mi toglie la soddisfazione di preparare qualcosa di più elaborato. Intasco i miei<br />

9


cinquanta Euro e vado a dormire contento di aver superato la prova, già mentalmente<br />

proiettato sull‟aperitivo della domenica.<br />

Fila tutto sommato liscio anche questo. Scanso la mossa da furbetto di uno dei gestori che<br />

tenta di pagarmi dieci Euro in meno del previsto, infilo nel portafoglio il mio secondo<br />

cinquanta pulito pulito in due giorni e torno a casa a gustarmi la margherita fredda che<br />

come promesso i miei mi hanno tenuto da parte.<br />

Caro bancone, arrivederci al prossimo weekend.<br />

10


4<br />

SALIRE DI LIVELLO<br />

Questo bar non è che mi sia mai quadrato totalmente, dal vederlo al lavorarci. Ecco<br />

perché non mi dispiace più di tanto che nel fine settimana la cosa sia improvvisamente<br />

saltata e ora che siamo a mercoledì sera nessuno si sia ancora fatto vivo per chiedermi di<br />

lavorare. Per carità, i soldi in tasca non mi fanno certo schifo. Avere però su svariate<br />

faccende più cura di chi il bar lo manda avanti non è la migliore delle situazioni per<br />

progredire.<br />

«Salire di livello», me lo sono sempre detto. Ecco perché nonostante loro che mi hanno<br />

accolto e quel senso di gratitudine che in fondo in fondo provo, ho continuato a spargere<br />

voce per veder di tirare fuori altri contatti. Anche perché, parliamoci chiaro, sempre di roba<br />

in nero si tratta e quindi nessuno ha doveri verso nessuno.<br />

Mi addormento con l‟idea di farlo e alle undici e mezza della nuova mattina lo faccio:<br />

chiamo il numero che un amico della palestra mi ha girato e parlo col gestore di un loungebar<br />

a dieci minuti da casa. Il target del posto lo conosco ed è nettamente superiore, la<br />

persona con cui parlo è disponibile e quindi accetto di andare a proseguire il discorso<br />

dopo pranzo. Come di consueto non prendo il caffè ma guardo i miei che lo prendono,<br />

dopodiché esco di casa tranquillo, guido, parcheggio e arrivo di fronte alla serranda nei<br />

tempi previsti. Essendo socchiusa non mi rimane che chinare la testa e introdurmi come<br />

farebbe uno che ci lavora e sa che può, mossa che mi dà un non so che di orgoglio. Mi<br />

guardo attorno mentre cerco di scorgere qualche faccia e vedo com‟è stato rinnovato dopo<br />

il cambio di gestione lo stesso posto dove ai tempi del liceo organizzavamo le pizzate. Si<br />

stava bene a far baccano, luci bianche e blu, design moderno, star del cinema alle pareti e<br />

un solo difetto: finito di mangiare capivi d‟essere caldamente invitato ad evaporare, un po‟<br />

come quando nei fast-food cominciano a pulirti il tavolo facendoti il perimetro del vassoio<br />

col panno carta. Ora, evolutosi in lounge-bar combinato a ristorante, questo luogo di<br />

memorie fa ancora più un bell‟effetto.<br />

Finalmente un paio di facce e in meno di due domande arrivo al mio uomo. Si parla<br />

cordialmente e io vado onesto, metto bene in chiaro che pur non essendo di primissimo<br />

pelo l‟esperienza che ho è limitata, ho bisogno di essere seguito, e lui contraccambia<br />

rassicurandomi. Forse è un po‟ troppo melenso quando parla, ma tant‟è. Se c‟erano delle<br />

cose da dire sono state dette e da qui in poi si può procedere. I patti sono chiari, l‟amicizia<br />

può esser lunga. Ora ho una serata di prova –retribuita cinquanta, benissimo- fissata per il<br />

prossimo giovedì.<br />

Nel mentre, non al corrente dello stato dei fatti ma con l‟esigenza di capire se ci sia altrove<br />

qualche soldo da raggranellare, rispolvero dalla rubrica un numero di telefono inutilizzato<br />

per mesi e mesi. Trattasi di uno dei capi di un‟agenzia per la quale lavorai in fiera a Milano<br />

durante il secondo anno di università. Lavoro stimolante, ambiente attivo, chi parla le<br />

lingue straniere è prezioso come l‟oro e la paga è valida. Alla medesima persona ho<br />

inviato giusto pochi giorni fa un caro amico che ha subito trovato da fare, quindi il tasto<br />

cornetta verde del telefono lo premo consapevole che il capo ha sempre presente chi sono<br />

e ora più che mai il mio nome gli è stato rinfrescato. Risponde, ci salutiamo col buonumore<br />

del reciproco piacere di quella vecchia collaborazione, parliamo qualche minuto e<br />

nonostante causa la stagione estiva il calendario di fieristico sia vuoto, mi dice che per<br />

un‟altra sezione dell‟agenzia ci sono posizioni scoperte in vista. Trattasi d‟incarichi<br />

temporanei principalmente in ambito reception. Io, consapevole di cosa si stia parlando<br />

avendo avuto dal mio amico Alessandro un resoconto delle prime giornate di lavoro,<br />

11


mostro interesse e chiedo di darmi aggiornamento non appena ci sarà qualcosa di<br />

concreto. Non che la cosa mi esalti con una laurea in tasca, ma voglio comunque tenermi<br />

aperta la porta per quanto di buono ci sarà da scrollare dalla pianta una volta che le fiere<br />

ripartiranno. Che poi magari con tutti i CV che ho mandato in giro mi troverò in mano<br />

chissà cosa ora di settembre, però al momento avere un ulteriore paracadute male non fa.<br />

Anzi, fa molto bene, che con un altro modo per guadagnare il necessario non c‟è esigenza<br />

che mi pieghi a offerte di lavoro che non mi quadrano.<br />

La piacevole sensazione di questo contatto riattivato mi fa proseguire tranquillo fino alla<br />

fatidica serata di prova al lounge-bar. Ventuno di giugno sul calendario.<br />

Arrivo come richiesto con camicia e pantaloni scuri, con anche il tocco della scarpa<br />

elegante. Sul Garzanti la troverei facilmente come contrario della voce “comodità”, ma era<br />

l‟unica opzione in nero in mio possesso per i piedi, a parte i sacchetti dell‟immondizia.<br />

Ticchetto come un demente quando cammino sul loro parquet, sembra arrivino i<br />

carabinieri a cavallo.<br />

Introdotto nel posto dal cuoco, mi siedo al tavolo e mangio con la ciurma fino a quando<br />

entra il gestore, che teso mi sembra e teso si conferma essere, visto che saluta con un<br />

minimo cenno e se ne va da un‟altra parte. Io aspetto cinque minuti, mando giù un altro<br />

bicchiere d‟acqua, quindi mi alzo e vado a cercarlo. Lo trovo che inveisce al telefono con<br />

quella che capisco essere la sua donna, presumibilmente preda di un raptus di gelosia<br />

viste le risposte che capto dall‟infuocato digrignare del boss. Lampante che non sia un<br />

buon momento per iniziare a conversare, dunque allungo il passo verso il bancone e<br />

comincio a ragionare sul da farsi. Lo vedo chiudere la telefonata con lo sguardo truce al<br />

pavimento e una sbuffata iraconda, dopodiché passano cinque secondi, ci scambiamo un<br />

cenno ed eccolo che muove il primo dei suoi sette passi verso di me. Total look nero,<br />

tiratissimo a livello d‟immagine, trentacinque anni circa, lampadato, capello lungo,<br />

piastrato e probabilmente tinto. Perché se è un nero naturale quello, c‟è da sorprendersi di<br />

Madre Natura. Mi aspetto due convenevoli ma data la tensione della telefonata appena<br />

conclusa ne pronostico solo uno. Mi sbaglio di grosso perché me ne arriva meno che<br />

mezzo, mentre fa l‟ottavo passo e mi oltrepassa incedendo a fondo bancone, agitando le<br />

mani da ambo i lati.<br />

«Lebottigliesonoquiibiccherisonolìipremixsonodilàlalavastovigliesifàcosì…». Io già sto<br />

svalvolando di fronte a dieci metri di bancone e dispensa con ante a scomparsa, e lui con<br />

un «E‟ tutto chiaro» senza punto interrogativo chiude la conversazione e se ne va a<br />

smaneggiare a centro sala. Tra me e me faccio mente locale su quanto ci eravamo detti,<br />

incerto se dovergli rinfrescare la memoria o concedere fiducia. E‟ solo questione di minuti<br />

prima che arrivino clienti.<br />

Diciannove e tredici sull‟orologio, eccolo che torna. Spiegazioni, penso. Tutt‟altro: «Ma<br />

quella barba?».<br />

Ma barba cosa? Saran due millimetri, penso tra me e me. Quello che invece espongo è:<br />

«Sai, se me la facevo venivo qua pieno di tagli visto che è così corta. Ho la pelle sensibile,<br />

ho dedotto fosse meglio lasciar perdere».<br />

Lui: «Meglio i tagli».<br />

Va bene la telefonata, ti concedo le palle girate, ma se la piega è questa mi sa che non<br />

passeremo una bella serata…<br />

Diciannove e quindici, si aprono le danze. In un quarto d‟ora tutto lo staff è in pieno<br />

movimento. Danza classica per le cameriere coi vassoi fra i tavoli, heavy metal per i<br />

cuochi fra le padelle, io che al bancone tento la breakdance con la scioltezza di chi viene<br />

dal casatchok e al centro della pista uno e un solo uomo: lui, in un tango argentino “muy<br />

caliente y pasionario” con la clientela, in ogni angolo della sala dal corridoio all‟uscita di<br />

12


sicurezza. Una snaccherata di buone maniere accattivante e seducente, servizievole,<br />

tratatàc tutto pronto, sguardo languido per lei, cortesia per lui e poi pum: colpo i tacco che<br />

fulmina i dipendenti, invitati a stare accorti. E via per un nuovo giro.<br />

Si fan le nove che più che birre e coche non ho spillato. Una montagna, e una montagna e<br />

mezzo di bicchieri da tirar dentro e fuori dalla lavastoviglie. Per ora si viaggia, poco estro,<br />

tanta sostanza ma fino a qui tutto bene. Allorché un profumo da matrona,<br />

pronunciatissimo, mi fa alzare lo sguardo e mi trovo davanti a due labbra raggrinzite con<br />

una domanda senza il punto interrogativo. Si vede che essendo preso per la laurea mi<br />

sono perso il lancio della nuova tendenza, dato che è già la seconda volta in una sera.<br />

«Come si chiama il direttore». Rispondo mentre fisso la creatura che ho di fronte, la quale<br />

prontamente rincalza: «Perché adesso mi sente».<br />

Scintille in vista. La madame sembra uscita dalla Reggia di Versailles, coperta di pepli,<br />

panneggi e medaglioni, aristobarocca, mondano-provinciale, un gufo impagliato oversessanta<br />

che porta a spasso il duecentesimo paio di tacchi per il centro affollato del<br />

giovedì sera. Ed ha una questione da risolvere che le sta in gola più del pendente d‟ambra<br />

che indossa. Io mi sciacquo le mani, le asciugo e vado a chiamare il desiderato, che mi<br />

segue di malavoglia ma cambia subito faccia una volta giunto al cospetto della profumosa<br />

popolarnobildonna. Naso all‟insù e dito indice che sbacchetta col polso a quarantacinque<br />

gradi, «Lei non ha capito niente!» e la Marchesa Delle Rughe dirige il gran ballo delle<br />

lavate di capo, marciando con tutta l‟orchestra sull‟autostima del tanguero, moralmente<br />

liscio al pavimento al pari della sua chioma piastrata, con la mascolinità ridotta ai minimi<br />

termini, i coglioni maciullati da un attempato piede misura trentasette, passando da drago<br />

della sala a lombrico in un battito di foulard. L‟atto finale è un capolavoro e me lo godo<br />

distaccato, da vero spettatore, immaginandomelo come una di quelle vecchie commedie in<br />

bianco e nero dove al moto accelerato e ai gesti iperpronunciati dei personaggi si<br />

alternavano le schermate coi dialoghi. “La mattanza del tanguero” sta giungendo al<br />

culmine dello strazio, con lui che come ferito a morte striscia al suolo con una mano al<br />

cielo tentando di ricongiungersi con la sua stessa carnefice, anelando di riaverla in<br />

armonia per un secondo prima di trapassare, per ritrovar l‟amor perduto nell‟ultimo battito<br />

di ciglio. Ma lei invece è dama e matador, e lo infilza al suolo con una spada di nome<br />

inclemenza, uscendo di scena ancora iraconda, insaziata, con nelle mani il suo cuore<br />

ancora palpitante, ancora vivo, ancora da smembrare.<br />

«Signora, la prego, non se ne vada così!», languidezza a fiumi, «Mi fa rimanere maleee-ee…».<br />

Finto singhiozzo incluso. La Signora del Collagene scompare dalla visuale e il<br />

tanguero, anche se non Orlando di nome furioso di fatto, leva la maschera e tanto per non<br />

perdere le buone abitudini mi lancia un‟occhiata inceneritoria, per poi tornarsene a centro<br />

sala.<br />

A suon di birre, coche e bicchieri da lavare arrivo alle dieci passate, con ormai lo staff della<br />

cucina che finito il grosso del da farsi mi tiene d‟occhio così per sport, tra un consiglio e<br />

l‟altro, una domanda e l‟altra e qualche spruzzo di umorismo qua e là. No, non ho fatto<br />

l‟alberghiero, ho fatto un corso di barman e ho bisogno di essere seguito. La scienza<br />

infusa non ce l‟ho e nemmeno pretendo di averla, ragazzi. In più sono in serata di prova e<br />

col capo mi pareva che le cose fossero chiare, invece mi ritrovo qui da solo e se nessuno<br />

può consigliarmi è difficile procedere in scioltezza. Claro?<br />

A due a due, tutti quelli della cucina si beccano una risposta simile prima di andarsi a<br />

fumare una sigaretta belli beati. Le uniche con cui faccio davvero squadra sono le<br />

cameriere, che per lo meno se mi vedono impegnato hanno l‟intelligenza di tirarsi su da<br />

sole la bottiglia di minerale che han bisogno, oppure di fare un carico di lavastoviglie se<br />

siamo a corto di bicchieri. Quando ti senti perso, certi gesti li apprezzi.<br />

13


Una voce vaga, che presumo sia nella mia testa lievemente ossessionata dall‟andazzo, mi<br />

spiattella un confuso messaggio che decripto in un questionabile «Fammi questo, questo e<br />

quello». Se non fosse che alzo gli occhi e, vedendo anche il labiale di un magnanimo «Ce<br />

la fai a capire tutto?», comprendo per lo meno che Giovanna D‟Arco non sto diventando.<br />

Siamo alla consueta cortesia, il lombrico si è ripreso dopo il K.O. infertogli dalla mummia.<br />

In due parole e una faccia di quelle giuste gli faccio capire lo stato dei fatti e gli ribadisco la<br />

famosa conversazione, come a lasciar intendere che la situazione è ben diversa da<br />

quanto mi aspettavo. Nulla, se ne va. Tempo dieci minuti e rieccolo, adesso vuol capire<br />

perché sono sommerso di bicchieri da lavare. Mi osserva mentre carico la lavastoviglie e<br />

sbotta: «Ma devi riempirla più ordinata! Tu la doccia la fai con le galze?». Un attimo per<br />

intendere cosa siano queste galze e gli smollo uno sguardo di sufficienza, perché<br />

inesperto va bene, ma l‟educazione prima di tutto. Nulla, se ne va ancora. Torna dopo<br />

un‟altra decina di minuti col ristorante ormai vuoto ma la zona bar sempre più nel traffico e<br />

stavolta lo invito io a prendere le redini della situazione. O per lo meno a tenerle con me.<br />

Miracolo: accetta. Probabilmente per non mandare il bar in deficit, devo ammetterlo. Il<br />

problema, porca miseria ancora una volta, è che o fa lui, o cade in fissa a braccia conserte<br />

a guardare me. Benissimo, ma quando i tuoi clienti di fiducia chiedono cose tipo la<br />

celeberrima specialità della casa o peggio «Quello che avevo bevuto l‟altra volta», ti-vuoidare-una-scrollata-e-dirmi-cosa-devo-fare?<br />

A questo punto vengo declassato a cameriere<br />

e con amarezza mi tocca esiliarmi da dove in realtà volevo imparare a stare. Con<br />

vergogna devo confessare di aver vergogna: non che fare il cameriere sia un compito<br />

indegno, ma qualsiasi apprendista geometra avrebbe quello scatto d‟orgoglio se a metà<br />

giornata di prova in cantiere gli venissero infilati in mano secchio e cazzuola. Siamo tutti<br />

utili, ma io sono qui per altro. Dopo una manciata di minuti di purgatorio ritorno al bancone<br />

e mi tocca pure vedere a due metri di distanza la nuova frontiera dello spettacolo del Gran<br />

Gestore, che cerca di traviare un quartetto di sbarbatelli a suon di alcol: «Ragazzi eh, cosa<br />

bevete, cos‟è che vi piace? Adesso ve lo faccio io un cocktail che spacca!». Il problema è<br />

che glielo fa davvero a questi quattro puffi col gel e il lucchetto della bici in tasca: giù una<br />

legnata di angelo azzurro a testa e via. Gin, più Cointreau, più Blue Curaçao. Io questi me<br />

li guardo per un po‟ che son lì a far fatica perché è troppo forte, che deglutiscono con la<br />

lacrimuccia al bordo e la faccetta schifata di chi con certe cose è all‟esordio. Ma al<br />

tanguero gliene sbatte. Lui accontenta, incassa, lecca il culo ed è a posto. Chissenefrega.<br />

Poi, chiaramente, sguardo inceneritorio di rito e via che parte verso nuove frontiere.<br />

Si tira in là con l‟orario e il da fare cala. Meno di una dozzina di clienti nei paraggi. Il<br />

piastrato si ripalesa ma in contemporanea sopraggiunge un suo compare, allorché i due si<br />

isolano ad una manciata di spanne dal mio portaghiaccio perdendosi in chiacchiere,<br />

sempre per la serie «Non ti preoccupare, garo, ti seguirò». A un certo punto doppio<br />

sguardo su di me, cambio di registro verso il dialetto calabrese (che probabilmente<br />

credono sia un indecifrabile idioma) ed ecco che partono risatine, commenti e prese per il<br />

culo. Io mi sento prossimo all‟ebollizione e se già in un paio di punti della serata avevo<br />

pensato di uscire di filata dalla porta senza salutare, rimasto per i cinquanta Euro mi trovo<br />

ora con la gran voglia di testare la resistenza dei bicchieri sul cranio umano. Mando giù<br />

anche questa ma rimango caldo e nel giro di quaranta minuti si abbassa la serranda, si<br />

pulisce, vengo sfottuto perché per errore chiamo la lavastoviglie «lavatrice», si porta fuori il<br />

pattume ed eccoci alla resa dei conti. Prendo parola io e dichiaro di essere consapevole<br />

che non sia stata una gran prova, amareggiato con me stesso prima di tutto. Vengo però<br />

interrotto prima del fatidico «ma» che intendevo far scampanellare, appunto da lui che mi<br />

passa in mano una ricevuta e quaranta Euro anziché cinquanta. Io, demoralizzato,<br />

soprassiedo e penso tra me e me che forse me lo merito. Lui prosegue da uomo<br />

d‟esperienza, mi dice che nel suo locale ha avuto gente coi controcazzi a fargli da barman,<br />

14


che mi devo svegliare, che mi ha visto più volte con le mani in mano e, soprattutto, che<br />

quando uno dice che sa fare le cose ma poi non è così, alla fin fine salta fuori. Plim,<br />

rumore di goccia. Nessun rubinetto che perde, è tutto nella mia testa: è traboccato un<br />

vaso.<br />

A questo punto svesto moralmente i panni del sottoposto e si fa ora di parlare alla pari.<br />

«Ascolta, ti ricordi cosa ci eravamo detti? T‟avevo spiegato che la mia esperienza era<br />

limitata, non mi ero presentato col fare da superman»<br />

«…»<br />

«Quindi io te lo dico sinceramente: sono molto dispiaciuto per come è andata la serata,<br />

perché le aspettative che avevi tu sono sicuramente state deluse, ma prima di tutto sono<br />

io ad essere deluso con me stesso”.<br />

«…». Pare sorpreso, spiazzato dal fatto che ci sia un cambio di prospettiva nel<br />

relazionarsi.<br />

«Ma» eccoci al punto, e lo guardo fisso negli occhi, «quando mi accusi di aver millantato di<br />

saper fare questo e quello senza averne capacità, mi spiace ma non accetto quello che<br />

dici. Ne avevamo parlato e tu eri stato molto gentile, mi avevi rincuorato subito sul fatto<br />

che mi avresti seguito, eccetera eccetera».<br />

Attimo di silenzio. Fisicamente lui mi da almeno dieci centimetri ma ora lo vedo che si<br />

ridimensiona.<br />

«Beh», finalmente parla, «in effetti tu al golloguio sei stato molto onesto». E qui si ferma,<br />

ma far dire ad un arrogante di tale caratura una frase del genere è un gol da top ten. A<br />

questo punto vira inaspettatamente e m‟illustra i piani per il futuro. «Io nelle prossime<br />

settimane proverò altri ragazzi, dopodiché a fine estate farò un golloguio con tutti quanti<br />

assieme dove dirò che è preso e chi no».<br />

«Va bene», rispondo. Ma va bene niente, perché i termini della questione sono chiari e<br />

limpidi senza bisogno d‟aggiungere nulla. Cosa mai dovrei andare ad una serata col<br />

sapore da casting per farmi dire quello che già si capisce adesso? Inoltre, da una parte di<br />

tirar settembre non ho tempo perché mi serve qualcosa al volo, dall‟altra che vantaggio<br />

potrei trarre da una situazione del genere? Non che io nei prossimi mesi non possa anche<br />

acquisire più esperienza e ritornare qui ferrato su tutto, ma se l‟atteggiamento è questo in<br />

partenza, con quelli che pensavo fossero patti chiari, che sorta di amicizia lunga potrei mai<br />

avere?<br />

Sono stanco, ho le mani che odorano dell‟immondizia che ho portato fuori, vestito di tutto<br />

punto per venir qui a farmi prendere per il culo in dialetto. Un altro giorno se n‟è andato,<br />

sono due mesi abbondanti che mi sono laureato e va bene un po‟ di riposo, va bene il<br />

mettersi a cercare e i tempi d‟attesa, la pazienza non è il fattore problematico: il fattore<br />

problematico è quello a cui si è disposti a passare attraverso nel mentre. Abbassare la<br />

schiena, metterci sudore, olio di gomito e quant‟altro mi sta bene; mi sta invece molto<br />

meno bene venir sbeffeggiato o trattato come un demente da personaggi di dubbio gusto,<br />

gente che fuori dal guscio in cui si rintana non saprebbe muovere mezzo passo. Ma<br />

incolpo anche me stesso in fondo, ho scelto io di mettere in atto questo piano B, ho pure<br />

speso una bella cifra per il corso di barman e mi piacerebbe almeno recuperarla nello<br />

stesso ambito, giusto per darmi la prova che non ho sprecato soldi o che comunque posso<br />

chiudere il cerchio senza smenarci.<br />

Nel tragitto verso casa slaccio il primo bottone della camicia e respiro meglio, qualche<br />

goccia di sudore cade di tanto in tanto, mi passo le mani nei capelli per darmi una<br />

sistemata. Prendo una strada un po‟ più lunga per smaltire il malumore accumulato, ma<br />

invece questo cambia man mano che macino metri fino a farsi rabbia. Con tutti e nessuno<br />

in particolare, con me, col tanguero, col suo posto e con me ancora. Finalmente arrivo a<br />

casa, apro il garage, mi ci infilo e spengo l‟auto. Prima di aprire la portiera aspetto un<br />

15


secondo, mi vedo nello specchietto e distolgo subito lo sguardo. «Ma ti sei laureato per<br />

andare a farti dare calci in culo da gente del genere?», chiedo a me stesso.<br />

Domanda retorica. Tempo di una doccia.<br />

16


5<br />

LETTERE DA UN ALTRO UNIVERSO<br />

Il primo pensiero della mattina è lampante: le devo scrivere. Le devo scrivere perché a<br />

riesaminare a mente semi-fredda quello che è successo ieri siamo davvero ai confini della<br />

realtà.<br />

Il mio papiro parte via e-mail, passano poche ore e arriva la risposta. Lei è Lara, la mia<br />

amica più stretta. Stesso paese da quando siamo nati, scuole medie assieme, poi persi di<br />

vista per qualche anno e infine medesimo corso di laurea a Milano. Non è che siamo<br />

sempre andati d‟accordo, anche perché quando da ragazzini eravamo compagni di classe<br />

io ne facevo di tutti i colori. Nel suo caso ci ricordiamo ancora di una perla in particolare:<br />

un messaggio sulla segreteria telefonica di un nostro precedente professore –un creativo<br />

con la fissa per i solventi chimici e gli autoritratti da nudo- dove mi spacciavo per lei in una<br />

sviolinata di nostalgia ed affetto, prontamente seguita da una telefonata di languidi<br />

ringraziamenti da parte di lui. Finì fra lo sconcerto e l‟imbarazzo di ambo le parti una volta<br />

capito l‟inghippo.<br />

Sono stati però poi gli anni di università a cementare il nostro rapporto. Abbiamo fatto<br />

squadra tra una fatica e l‟altra nella spola giornaliera col capoluogo meneghino, fra i treni<br />

in ritardo, gli spintoni in metropolitana, gli scleri generali e le lezioni sovraffollate in centro.<br />

Poi un anno lei lo ha praticamente fatto a casa e aveva pensato anche di mollare, se non<br />

che tra l‟umorismo e il fare brusco l‟ho convinta a rimettersi in carreggiata, tanto con gli<br />

studi quanto sulla superstrada visto che ci avevano spostato di sede, in periferia, e per noi<br />

questo significava poter dire addio al formicaio dei mezzi pubblici. Peccato solo per me,<br />

tramortito dal suo odioso tabagismo, che combinato a una totale incapacità di gestire il<br />

riscaldamento rendeva ogni viaggio sulla sua auto il preludio all‟emicrania. Ma in fondo si<br />

rideva, andavamo e tornavamo col buonumore.<br />

Ora lei è da un‟altra parte, tutt‟altra parte. Oltralpe, Svizzera francese. Ci è arrivata circa<br />

un anno fa per un lavoro estivo, dopodiché è rientrata a casa per la sessione di esami di<br />

settembre ed è ripartita in meno di un mese, per scrivere la tesi stando nel mentre come<br />

au-pair presso una famiglia sul lago di Ginevra. Mossa azzeccata cambiare aria.<br />

A parte riportarle tutto nei dettagli, ovviamente le ho chiesto che novità ci sono lassù.<br />

Hey, ciao!<br />

Che serata maledetta! Dai, ti andrà meglio altrove…ma sei ancora<br />

convinto al 100% di tentare la strada da barman? Non salta fuori<br />

nulla da altre parti coi CV che hai spedito ecc.?<br />

Comunque la prossima volta che torno a casa se passo davanti a<br />

quel posto gli lancio un uovo sulla vetrina…<br />

Io invece tutto bene, questa è l‟ultima settimana che passo come<br />

au-pair, dalla prossima si ritorna su per i monti, stesso lavoro<br />

dell‟anno scorso, speriamo che il gruppo sia buono.<br />

Tra una cosa e l‟altra non avrò nemmeno tempo di fare un po‟ di<br />

vacanza perché poi a inizio settembre ho l‟esame di francese per<br />

entrare al master e praticamente una volta che avrò finito di<br />

lavorare avrò solo un paio di giorni che userò per sistemarmi nel<br />

nuovo posto. L‟esame non dovrebbe essere un problema, anche perché<br />

tutto il tempo passato qui (con pure il corso, tra l‟altro) mi ha<br />

portato ad un livello più che buono…quindi mi deve proprio andare<br />

di sfiga per non farcela.<br />

17


In Italia comunque meno ci torno, meglio è. Qui te l‟ho già detto,<br />

è un altro universo. Pensa te che l‟altra sera avevo bisogno che<br />

mi prestassero la macchina e la signora me l‟ha lasciata<br />

parcheggiata in stazione con le chiavi dentro…t‟immagini da noi<br />

una cosa del genere? Se eri rimasto impressionato dal fatto che<br />

non chiudessero la porta a chiave, vorrei vedere la tua faccia<br />

mentre leggi questo :-D<br />

L‟unico momento in cui mi rompo un po‟ le scatole è come sempre il<br />

fine settimana, perché non c‟è granché da fare, ma ora che fa bel<br />

tempo il weekend lo passo per intero giù in riva al lago.<br />

Mi spiacerà lasciare la famiglia, i bambini mi mancheranno…poi<br />

comunque li verrò a trovare spesso una volta che mi sistemo,<br />

quindi non sarà un addio.<br />

Sono convinta che dovresti mollare tutto e venire in Svizzera pure<br />

tu. Pensaci!<br />

Se ho un attimo ti chiamo su Skype nei prossimi giorni, ma la<br />

linea è quello che è in casa, il wi-fi nella mia stanza prende<br />

quasi zero…<br />

Un bacione, mitico barman!<br />

Lary<br />

Mi fa piacere sentirla così, impegnata ma con l‟animo rilassato. A volte sente un po‟ la<br />

nostalgia di casa ma male che vada son quattro ore di macchina o tre di treno per farci un<br />

salto. E in quelle tre-quattro ore fra qui e là però si cambia completamente. Questa cosa<br />

della macchina in stazione con le chiavi dentro mi viene proprio difficile concepirla, io che<br />

da quando mia mamma è stata scippata mentre parcheggiava davanti a casa metto la<br />

sicura ogni volta, preoccupato che qualcuno possa balzarmi dentro all‟improvviso.<br />

Meno male che c‟è chi se la passa meglio. La cosa che mi dice, quella di mollare tutto qui<br />

e andare anch‟io lassù, in fondo in fondo m‟intriga ma la mia situazione non è la sua e per<br />

stare in Svizzera bisogna smuovere un po‟ di burocrazia visto che non è nella UE. Lei ha<br />

avuto fortuna con la famiglia a farle da garante, poi ora se comincia il master a Ginevra si<br />

prenderà senza problemi un permesso di soggiorno per studenti e quindi è sistemata. Io<br />

non sono più del parere di buttarmi in università. A Milano men che meno, visto che ciò<br />

che faranno da settembre i miei colleghi che han deciso di proseguire con la specialistica<br />

è praticamente un rimpasto di ciò che abbiamo fatto nel triennio. Quindi per quello parte<br />

un no grazie, per l‟università all‟estero invece il discorso è più complicato e di base non ho<br />

voglia di chiedere ai miei un altro sforzo economico. Mi sento pronto per entrare nel<br />

mondo del lavoro. Una laurea e quattro lingue straniere varranno pur qualcosa, no? Il<br />

pallino che mi rimane è quello di andare in Germania per un po‟ a rimediare ai danni che il<br />

triennio ha causato al mio tedesco, che da fluente che era ai tempi del liceo è ora<br />

arrugginito come non mai. Al momento comunque sono concentrato qui, qualcosa deve<br />

per forza saltar fuori.<br />

18


6<br />

SOTTO QUESTO SOLE<br />

Nel pomeriggio del ventotto giugno uno squillo interrompe la mia consueta ricerca<br />

d‟impiego on-line.<br />

Anche se non proprio la telefonata della vita, va bene comunque: c‟è da lavorare.<br />

Niente bar, pub o locali in genere, il mio interlocutore proviene dalla famosa agenzia per<br />

cui avevo lavorato in fiera. Gestisce però l‟altra branca, quella per gli incarichi in reception<br />

et similia. La proposta di base non è male, da settimana prossima fino a quasi fine agosto<br />

cinque giorni a settimana in un istituto di intermediazione finanziaria, per sostituire a<br />

rotazione i due “titolari della cattedra” che vanno in ferie. Accetto sia per i soldi che ci sono<br />

da portare a casa, sia in prospettiva di settembre, in modo da essere in pole position una<br />

volta che la macchina fieristica si rimetterà in moto. A quel punto non potrò che essere tra i<br />

primi a salire a bordo.<br />

Comunicata la novità in famiglia, nella mia mente si fa sempre più chiaro il pensiero che la<br />

questione barman sia un capitolo da mettere momentaneamente da parte e dopo l‟ultima<br />

avventura provo un certo sollievo ad aver trovato un‟altra fonte di guadagno.<br />

Moralmente rasserenato da questo incarico tampone che mi salverà il bilancio estivo e mi<br />

riempirà le giornate in cui gli altri saranno in vacanza, mi godo il weekend di entrata in<br />

luglio e il lunedì alle dodici e trenta sono pronto ad uscire di casa in camicia e cravatta per<br />

lanciarmi in superstrada verso Milano sud, dove devo cominciare alle quattordici il turno<br />

pomeridiano. Oggi lo passerò a fianco di uno dei due che andrò a sostituire, il quale ha il<br />

compito d‟illustrarmi i doveri del ruolo.<br />

Arrivo puntuale e Giuliano mi accoglie sorridente, mi offre un caffè e lo mescoliamo con<br />

due chiacchiere. In primo luogo ci tiene a sottolineare che in questo lavoro «Ci sono solo<br />

un paio di cazzate da fare, poi ti leggi il giornale», raccomandandomi però di farlo con<br />

discrezione, senza sventolarlo troppo; dopodiché ci dirigiamo in postazione e nel giro di tre<br />

quarti d‟ora abbondanti mi spiega da cima a fondo il necessario. Effettivamente sono più<br />

che solo un paio di cose, ma sapendo del mio arrivo Giuliano ha scritto una serie di<br />

appunti grazie ai quali non mi posso sbagliare, perché passo passo è riportato tutto ciò<br />

che mi sta dicendo. Con queste due paginette posso quindi mettermi l‟animo in pace,<br />

basta leggerle per farsi un‟idea generale e poi riconsultarle a necessità per avere tutto<br />

sotto controllo. «La maggior parte delle faccende a questo punto te le ho spiegate», mi<br />

dice mentre ritorniamo da un giro di perlustrazione per gli uffici, con lui che trotterella nel<br />

suo metro e settanta per centoun chili, «il resto lo vediamo poi, ma è questione di dieci<br />

minuti». Nel mentre si fa conversazione e Giuliano mi spiega da cima a fondo la storia<br />

della sua vita lavorativa, giù nei dettagli fino a dirmi le somme che intascava sottobanco<br />

per sbrigare certe pratiche prima di altre quando aveva un incarico statale. Parliamo di<br />

cifre superiori allo stipendio regolare. Ci rimango scioccato: quando ancora si ragionava in<br />

Lire riusciva a portarsi a casa tre milioni e passa al mese, che riferito agli anni di cui mi<br />

racconta era praticamente lo stipendio di un medico. Io m‟immagino mio zio, che è<br />

chirurgo e salva la vita alla gente, e m‟immagino Giuliano nel suo ufficetto dei bei tempi a<br />

prendersi le bustarelle, con quel modo di fare che non gli si addice a vederlo ora,<br />

quell‟atteggiamento parassitario e corrosivo che ha contribuito a fare dell‟Italia un Paese<br />

con una burocrazia assassina, un Paese dove coloro che dovrebbero servire il cittadino in<br />

realtà rispondono musicando insolenza. Perché mia mamma non avrebbe mai avuto i soldi<br />

per la bustarella di Giuliano, quindi le sue pratiche sarebbero finite sotto la pila di quelle<br />

dei signorotti col centomila, risolte chissà quando, chissà in che maniera. Di questi discorsi<br />

m‟interessano le trame e i dettagli, capire come e quanto si propaga il marcio tra la gente<br />

19


comune. Però non ho voglia di spalmarci sorrisi sopra, perché tizi e situazioni del genere<br />

sono i tizi e le situazioni che fregano la gente onesta, la gente regolare, quella che fa il suo<br />

e si chiede sempre cosa sia andato storto quando si trova fregata da una scadenza, da un<br />

timbro, da una risposta a termini scaduti. La cronologia di Giuliano continua mentre<br />

ciclicamente si alza, grondante, per andare ad abbassare il condizionatore di mezzo<br />

grado. Sono arrivato che era sui ventiquattro e mezzo, ora siamo a venti, undici meno che<br />

fuori, dove luglio picchia forte anche a pomeriggio inoltrato. Ciò che mi racconta ora è ciò<br />

che è successo dopo il periodo di vacche grasse come dipendente statale, quando perso il<br />

posto per una serie di ridimensionamenti è stato per due anni senza lavoro. «Ero col culo<br />

per terra» e gli vibra la erre moscia, «poi conoscevo Mario, che tu vedrai quando vi darete<br />

il cambio dato che fa sempre il mattino, e lui mi ha tirato dentro con l‟agenzia. Alla fine<br />

sono otto anni che son qui, lui invece undici. Niente di paragonabile ai soldi che facevo<br />

prima, però c‟è da dire che non hai pressioni, non hai stress…non fai un cazzo!».<br />

Passiamo una mezz‟ora di movimento che consiste nella fascia in cui quasi tutto l‟ufficio si<br />

svuota. Vengono riconsegnate una marea di chiavi di armadietti, archivi, sale riunioni<br />

eccetera e qui noto lo stato in cui dopo otto anni riversa Giuliano: è maniacale, classico<br />

effetto che danno i lavori dove da fare c‟è poco o nulla. Riordina ogni minima cosa fuori<br />

posto, sa praticamente predire l‟ordine in cui le chiavi verranno riconsegnate e la maniera<br />

in cui le ripone va oltre l‟esigenza di organizzazione, è ossessione. Le gira e le rigira finché<br />

non son perfette col cartellino in vista, sebbene ognuna abbia la propria sezione e<br />

sottosezione in cui è impossibile sbagliarsi. E solo un maniaco può sapere che il cartellino<br />

sulle chiavi si chiama “givolare”. Ma ogni cosa per lui sembra avere un senso e<br />

un‟importanza estrema ed anche nei cassetti non è casuale riporre i post-it a destra<br />

anziché a sinistra, la tal cartelletta sopra anziché sotto la tal risma di fogli e via dicendo. Mi<br />

spiega il perché di ogni cosa e qui capisco che la parte difficile del lavoro sarà<br />

assecondare tutto ciò, perché una penna di cui si perde il tappo o il rotolo di nastro<br />

adesivo messo nel primo cassetto anziché nel secondo potrebbero mandare in tilt il suo<br />

microcosmo. Non vorrei mai tornasse dalle vacanze e finisse nel panico, quindi pur<br />

sentendomi una scimmia in fase di ammaestramento do retta a quanto mi spiega e prendo<br />

appunti. Dalle diciassette e quarantacinque alle venti e trenta è un mortorio totale dove si<br />

sparge qualche buonasera agli ultimi che abbandonano l‟ufficio, ci si prende un quarto<br />

d‟ora per una mini cena a base di tramezzini, si aspetta che quelli delle pulizie finiscano,<br />

dopodiché si giunge ai famosi dieci minuti lasciati in sospeso. Perlustrazione generale, si<br />

controlla che nessuno sia presente a parte noi, che le finestre siano chiuse e che le pulizie<br />

siano effettivamente state fatte, quindi inserimento dell‟allarme e giù per l‟ascensore.<br />

Missione compiuta, ora conosco il mio compito. Giuliano si offre gentilmente di darmi uno<br />

strappo fino a dove ho parcheggiato la macchina, facendomi evitare la traversata dalla<br />

città in metropolitana. Nella ventina di minuti di tragitto gli chiedo delle sue vacanze in<br />

partenza l‟indomani: lui e la sua compagna andranno in Umbria assieme a degli amici, poi<br />

se saranno di buona luna faranno una capatina al mare nelle Marche negli ultimi giorni.<br />

Arrivati a Piazzale Maciachini ci diamo l‟arrivederci all‟inizio del nuovo mese, momento in<br />

cui lui rientrerà e io prenderò servizio la mattina per sostituire Mario, che da veterano della<br />

reception ha il diritto di prendersi le vacanze in agosto. Secondo me Giuliano nel fingere di<br />

sacrificarsi ha avuto la stessa furbizia dei tempi delle bustarelle.<br />

Col secondo arrivo nel palazzone di Milano sud mi si apre una folta carrellata di giornate in<br />

serie. La novità è che il celebre Mario prende forma concreta…e che forma, signori. Ogni<br />

volta che sbuco dall‟ascensore alle tredici e cinquantacinque lo trovo che straripa dalla<br />

sedia, primo bottone della camicia rigorosamente slacciato per lasciare spazio ad un collo<br />

taurino più largo della testa, dalla quale sbucano due zigomi su cui poggiano un paio<br />

20


d‟occhiali contornati da gocce di sudore freddo, attratte dalla forza di gravità nel percorso<br />

dalla fronte rugosa al naso bombato e poroso, poi giù per il baffo sale e pepe per<br />

terminare a cascata tra il labbro inferiore e quelle quattro pieghe d‟adipe che dovrebbero<br />

essere il mento. Il copione è sempre lo stesso: io arrivo, lui si alza in piedi, riavvolge il<br />

quotidiano, mi dice «Vado al cesso», ci va, torna, mi aggiorna se c‟è qualcosa da sapere,<br />

chiama l‟ascensore, saluta con un «Ciao caro» e scende al pian terreno, con me che ogni<br />

volta lo identifico come l‟evoluzione –o l‟involuzione- di Giuliano, visto che come altezza<br />

siamo alla pari ma sia con l‟età che con il peso Mario ne conta una quindicina in più.<br />

Notiamo: Mario ha l‟età di mio padre, cinquanta, ma con le sembianze è molto più vicino a<br />

mio nonno.<br />

La prima settimana è di adattamento. Le facce che vedo è come fossero sempre nuove,<br />

come anche io è come fossi sempre nuovo per le facce che mi vedono, gente che mi<br />

chiede sempre perchè non c‟è Giuliano e io che rispondo che è in vacanza e lo sostituisco.<br />

Mi sento dentro in questo incarico con la testa di chi dentro non ci deve rimanere, vale a<br />

dire che faccio il mio ma non m‟identifico in quella scrivania, in quelle mansioni, in quel<br />

ruolo. I primi con cui connetto sono il fattorino, Francesco, e lo staff della ristorazione<br />

interna, che fa sia servizio bar che mensa. Francesco mi passa davanti ogni cinque minuti,<br />

ha due anni meno di me e abbiamo lo stesso modo di fare, vale a dire che un sorriso e<br />

una parola cortese non li facciamo mancare a nessuno; con lo staff della ristorazione<br />

invece è un rapporto vissuto a distanza, ma quando ci si incrocia vengo coinvolto con quel<br />

certo fare da “siamo sulla stessa barca”. Di che barca poi si parli e perché non lo so dire,<br />

fatto sta che avverto una forte voglia di complicità provenire da parte loro.<br />

Passano giorni su giorni e macinate tre settimane sono a mio agio in tutto. Se col celebre<br />

«paio di cazzate» di cui parlava Giuliano ho familiarizzato in un lampo, ben più complicato<br />

è stato imparare a gestire i tempi morti, vero aspetto chiave della faccenda considerando<br />

che per due terzi del turno non vola una mosca. Avendo deciso di combattere la noia<br />

lanciando l‟operazione “cultura generale”, un paio di quotidiani sono diventati miei fedeli<br />

compagni, affiancati da inserti di vario tipo che quando sono in formato magazine<br />

favoriscono anche un po‟ di piacere visivo con le foto a piena pagina. Solitamente ne<br />

acquisto uno, un altro è l‟eredità che Mario mi lascia alla fine del suo turno, dopodiché due<br />

o tre free-press giungono come cadeau da un dipendente che ogni giorno prima di arrivare<br />

se li è già consumati sui mezzi. E per approfondire in ambito sociologico proprio uno di<br />

questi ha una pagina imperdibile, lo specchio dell‟Italia odierna: le dediche via SMS.<br />

Questo è il vero non plus ultra, il sogno misto alla tragedia, il ridicolo nella serietà di Tizio<br />

che scrive a Tizia che l‟ha vista al supermercato tra le patate e sembrava un fiore, di un<br />

Certo che scrive a una Certa che in metropolitana le ha tolto il fiato mentre soffocava tra la<br />

gente, ma soprattutto di Patatini, Cuoricini, Tatini che si lanciano, si propongono, si<br />

mettono in gioco con parole sfolgorantemente opache, dichiaratamente nell‟anonimato, in<br />

un atto di presunto amore che è un surrogato d‟affetto, un‟infantile cotta maggiorenne da<br />

sfogare nell‟indecisione, un uscire allo scoperto da cameretta, precario, inconcludente,<br />

masturbatorio. E questi siamo noi, i cuori impavidi del ventunesimo secolo, quelli del dopo<br />

undici settembre, quelli con la faccia lampadata, il personal trainer e la scarpa di marca.<br />

Armature fuori, imbarazzati dentro. I tempi delle serenate andati persi, Romei e Giuliette<br />

innamorati dell‟inettitudine, incapaci di alzarsi e dire «lo faccio», ma solo «lo penso» e «lo<br />

scrivo». Poi tocca al cielo. Però il cielo si fa sempre gli affari suoi, specialmente oggi che<br />

ha troppi low-cost a ronzargli dappertutto. E noi sulla terra, con un alibi per l‟immobilità.<br />

Armature fuori, imbarazzanti dentro.<br />

Trenta risate per pagina, una scoperta: in amore vince chi è seduto. Autisti e cassiere<br />

sono ipergettonati. Nell‟era di “Uomini e Donne”, qualsiasi richiamo ad un trono funziona.<br />

Prendiamoci una sedia, dunque.<br />

21


Io che però sulla sedia ci sto sette ore a turno, sto cominciando a notare qualcosa che non<br />

mi piace. Ricapitoliamo: tra i dipendenti dell‟istituto circolano tre tipi di persone, vale a dire<br />

quelli che quando passano salutano, quelli che interagiscono e quelli che nulla. Sì, quelli<br />

che nulla. Cioè che passano e fanno finta di non vedermi o che peggio passano, guardano<br />

per quella frazione di secondo, si prendono il mio saluto e non rispondono. Non ho manie<br />

di persecuzione, mi girano le palle giusto quel tot, ma la cosa fondamentale, quella che<br />

m‟intriga, è osservare il fenomeno e trarne un resoconto socio-psicologico. Ad un primo<br />

bilancio, la cafonaggine propende nettamente verso il -più che mai “così detto”- gentil<br />

sesso e s‟impenna man mano che si sale per la scala gerarchica. In particolar modo ho<br />

due tizie nel mirino, una identificatami da Giuliano il primissimo giorno come «Quella è un<br />

quadro…bella figa» (e “quadro” ci ho messo un po‟ a capire che fosse un riferimento<br />

aziendale più che botticelliano), l‟altra invece è un soggetto poco chiaro, una che fa i<br />

colloqui alla gente, tipica persona da azienda con attitudine da azienda, aspirazioni da<br />

azienda e fidanzato in azienda (soggettino anch‟egli visto che quando lei non è presente<br />

saluta e sorride, dopodiché come affetto da licantropia si trasforma in Ras del quartiere<br />

alle diciassette e trenta di ogni giorno, quando la pupa lo aspetta in reception per andare a<br />

casa con la faccia sempre incazzata. Lui arriva con fare da Arthur Fonzarelli, mi lancia la<br />

chiave del suo archivio come l‟osso ad un Golden Retriever, piglia sottobraccio la squinzia<br />

e imboccano l‟uscita come dopo un cheeseburger da Arnold‟s. Col pollice su e facendo<br />

«Hey» la scena sarebbe su misura per un remake di “Happy Days”). Insomma, queste due<br />

tizie svettano sul podio dell‟arroganza, roba che se fosse disciplina olimpica meriterebbero<br />

ad ogni performance un titolo sulla Gazzetta e un replay commentato da Giacomo Crosa.<br />

Ma la mia analisi va più a fondo. Bene, loro sono il caso estremo, punto primo, e punto<br />

secondo non verifico nulla del genere da parte maschile: uomini presi, di corsa o<br />

semplicemente riservati sì, ma nessuno che si permetta di non ricambiare un saluto<br />

scandito a chiare lettere. Punto terzo –e qui scendiamo negli abissi- le grandi dinamiche, i<br />

grandi numeri, la massa. La massa va innanzitutto definita e parliamo di una cinquantina<br />

di soggetti femminili di età compresa sì fra i diciannove e i cinquantacinque anni, ma<br />

prepotentemente sbilanciata verso la giovinezza essendo un buon settanta per cento delle<br />

dipendenti under-trenta. Trattasi quindi di soggetti nel pieno della scalata sociale, con forte<br />

esigenza di affermazione dentro e fuori dall‟ufficio, tra sogni di carriera e selezione per<br />

l‟accoppiamento. Mi concentro su di loro sia perché sono il vero termometro della baracca,<br />

sia perché essendo mie coetanee suscitano il mio maggiore interesse.<br />

Delle poche over-sessanta che ci sono nel posto me ne faccio un baffo nonostante si<br />

sbraccino a salutare; delle quarantenni me ne frego non perché non sia un estimatore, ma<br />

perché tra le presenti non vi è nessuna che onori a dovere la categoria. Quindi rieccoci a<br />

loro, le diciannove-trenta, con quattro su tutte nel mirino, un poker composto da una<br />

morettina diciannovenne sarda, una ventiquattrenne lombarda ma mezza pugliese<br />

d‟origine, la frizzante trentenne assistente del direttore generale e una wild-card con<br />

nessuna dote particolare, ma un bilancio complessivo più che soddisfacente. Fuori dal<br />

mazzo, invece, quella che dal Vangelo secondo Giuliano «se la fa col vice, che è sposato,<br />

hè-hè!», che potrà anche sapere come succhiare via lo stress a un dirigente nel tempo di<br />

un ascensore, ma che a me appare oltremodo volgare col chewing-gum che mastica di<br />

continuo e la fatica che fa nel trattenere il fiato per non esplodere fuori da quei jeans taglia<br />

quarantadue, che non so come riesca a cacciarsi su per le cosciotte ogni santo giorno.<br />

Attorno a costoro, due dozzine e mezzo di gregarie che hanno comunque voce in capitolo,<br />

diritto di voto, mano al telecomando. E il responso, è inutile girarci attorno, è molto chiaro:<br />

dicevo che non m‟identifico in questa scrivania, in queste mansioni, in questo ruolo; ma chi<br />

mi circonda invece sì che in questa scrivania, in queste mansioni e in questo ruolo mi<br />

identifica. Ecco dove sono fregato, riassunto come “Giuliano & Mario 2.0”, più leggero,<br />

22


grafica migliore e più user-friendly, ma sempre lo stesso software. Prenderne coscienza<br />

non è stato né rapido, né molto piacevole, per me che a ruoli e gerarchie non ho mai dato<br />

peso valutando le persone, dal paese all‟università, dal vicino di casa ai professori. Invece<br />

eccoci qui, che pur se con il combinato camicia e cravatta vesto i panni poco cool del<br />

receptionist, di quello non appetibile, di quello che con la corsa alla carriera non c‟entra<br />

una mazza, che non c‟ha nemmeno il buono pasto e che se deve andare in bagno deve<br />

chiedere il permesso. Fuori dai giochi insomma, escluso, reietto, “Renegade” come il<br />

fuoristrada o Lorenzo Lamas nel telefilm. Un non-membro dell‟organico seduto in un nonluogo,<br />

in un limbo tra un‟ala e l‟altra degli uffici. Insomma, per quanto possa avere da dire<br />

casomai mi alzassi in piedi, qui per la femmina non sono un‟opzione. Il fatto che in<br />

sostanza io sia uno sciolto, certamente non un addormentato, uno che le chiacchierate le<br />

rende tutto sommato piacevoli, qui conta zero. Sono schiacciato dal mio ruolo come uno<br />

stambecco da un macigno, ho addosso l‟etichetta sbagliata come quei capi da outlet che<br />

non si capisce dove sian difettati «...ma se li han messi qui un motivo c‟è». Il motivo è puro<br />

e semplice, dicesi i quattrini. Sono perfettamente in pace con me stesso, alla fine mi<br />

ritengo anche più concreto di gente che quando è alla ricerca di un posto di lavoro serio<br />

non fa altro perché «è uno spreco di tempo». Ma spreco di tempo cosa? A star fermi<br />

quando il resto del mondo non si muove, nessuno va da nessuna parte. Almeno due soldi<br />

me li caccio in tasca, che quelli servono sempre.<br />

Il bruciore di stomaco raggiunge il picco alle ventuno del quarto venerdì di luglio mentre<br />

chiudo e faccio la chiamata di rito ai metronotte per dire che me ne sto andando. Un paio<br />

di birre a serata mi riportano alla calma durante il weekend, dopodiché lunedì mi passa<br />

svelto in vista del martedì e martedì senza esserlo ha il sapore di un ultimo giorno. Di fatto<br />

un po‟ lo è, visto che per l‟ultima volta lavoro di pomeriggio. Auguri di buone vacanze a<br />

Mario, che millanta di avere donne in ogni dove ma che so se ne starà abbracciato solo al<br />

suo Pinguino De Longhi, un paio di istruzioni da parte sua e via per un cambio abbastanza<br />

arduo, consistente nello spostare le mie abitudini per farle combaciare col turno mattutino.<br />

Giusto per cominciare, a casa alle ventidue e quindici, doccia, cena, un po‟ di relax ed è<br />

già mezzanotte e mezza del primo di agosto. Sveglia alle cinque perché capire chi sono e<br />

dove sono la mattina è un problema cronico, fuori di casa alle cinque e quarantacinque,<br />

parcheggio al solito posto e metropolitana che mi oblitera sulle sei e diciotto, trenta minuti<br />

trenta per arrivare alla sede, sette per aprire il portone, salire, disinserire l‟allarme,<br />

accendere le luci, fare un giro di controllo e alle sei e cinquantacinque, vale a dire cinque<br />

minuti prima del mio orario di inizio ufficiale, sono in reception con le chiavi della mensa<br />

pronte alla consegna, perché mi è stato esplicitamente detto che quelli della ristorazione<br />

hanno l‟abitudine di arrivare un po‟ prima e senza di me non potrebbero fare niente. Ecco<br />

infatti l‟ascensore con loro dentro, io che consegno le chiavi, questi che vanno e il<br />

panettiere che arriva a rimorchio dopo a quaranta secondi, carico di croissant e focaccine<br />

che mi fanno venire l‟acquolina in bocca. Grazie al cielo la ricompensa per la gentilezza di<br />

essere sul posto prima del dovuto si materializza sottoforma di cappuccio e brioche di lì a<br />

pochi attimi, cosa che apprezzo. Bene, non sono neanche le sette e dieci e metà del<br />

lavoro che mi spetta l‟ho fatto. Dapprima delizio il mio stomaco con assoluta calma, in<br />

seguito apro il quotidiano per una manciata di minuti ma poi comincia il viavai di gente.<br />

“Perspicacia” è la parola del giorno.<br />

«Buongiorno»<br />

«Buongiorno…ma anche la mattina adesso?»<br />

«No, adesso è Mario in ferie, nel pomeriggio riprende Giuliano»<br />

«Ah!».<br />

23


Tra le otto meno venti e le otto e mezza questo dialogo si ripete almeno trenta volte. C‟è di<br />

buono che l‟interazione forzata mi risveglia pian piano dallo stato comatoso in cui riverso.<br />

Inoltre, la mattina si propone con un nuovo dramma: «Non ho il badge».<br />

«Guarda, t‟attacchi», vorrei poter sciorinare come risposta. «Nessun problema» mi tocca<br />

invece dire, al che mi tocca far partire una girandola di telefonate manco fosse stato<br />

trafugato materiale alieno dall‟Area 51. E chiama la sede centrale, e chiedi di parlare con<br />

l‟ufficio, e aspetta, e parla con l‟ufficio, e tieni lì il dipendente che deve dare i suoi dati, e<br />

attendi che li scrivano, e prendi nota tu, e saluta, e dai un badge sostitutivo a „sto<br />

dipendente, e annota che gliel‟hai dato, e fagli in conclusione ben presente di non<br />

intascarselo a fine giornata. Il tutto solo per aprire due porte, praticamente per andare in<br />

mensa o in bagno. Mica per accedere alla sala di controllo delle testate nucleari.<br />

Il turno in fascia antimeridiana ha un altro sapore, tra corrieri che arrivano, visite esterne,<br />

telefonate e una temperatura certamente più gradevole senza bisogno di abusare del<br />

condizionatore, che in ogni dove tendo a centellinare dati i raffreddori che mi provoca. Da<br />

mezzogiorno e mezzo all‟una e tre quarti poi è un andirivieni di gente per la pausa pranzo<br />

e passata questa una figura bombata, senza spigoli, anti-urto, mi appare sul monitor della<br />

telecamera all‟entrata. Schiaccio il tasto per aprire il portone prima ancora che mi citofoni,<br />

proprio mentre è nell‟atto di sollevare il braccio e puntare l‟indice. Zac e si trova la porta<br />

aperta. Lo vedo perplesso per mezzo secondo, lui che probabilmente pensava d‟essere il<br />

solo in possesso di una tale rapidità cognitiva. Ebbene sì, queste poche settimane sono<br />

state sufficienti a traviarmi. Sali Giuliano, sali.<br />

«Uella, ha-ha, non ho fatto neanche in tempo a suonare che…»<br />

«Quando si ha avuto un grande maestro, d‟altronde! Come stai allora, tutto bene in ferie?»<br />

«Tutto bene, tutto bene»<br />

«Eh, infatti ti vedo abbronzato». Effettivamente il suo bel colore l‟ha preso.<br />

«Tu, tutto OK invece qui?»<br />

«Sì sì, alla fine quello che c‟è da fare lo sai meglio di me. La mattina è più movimentata,<br />

almeno da quello che ho visto oggi, ma niente di che».<br />

Da qui il dialogo prosegue con quello che sarà ogni giorno il rituale tra Giuliano e me.<br />

«Ci sono appunti particolari o cose che devo sapere?»<br />

«Ti ho lasciato un paio di cose scritte lì sul blocco, ma solo dei promemoria»<br />

«Ah, bene»<br />

«Devi andare in bagno o al bar?»<br />

«No no»<br />

«Vabè, allora io anche se son cinque alle due andrei, OK?»<br />

«Nessun problema»<br />

«E anche oggi missione compiuta». Il mio luogo comune mentre aspetto l‟ascensore.<br />

Eccolo.<br />

«Ma ascolta una cosa…»<br />

«Dimmi». Mentre le porte si aprono.<br />

«Con quelli delle pulizie tutto a posto?»<br />

«Sì»<br />

«Questi esterni segnati sul registro come ancora dentro, sono ancora dentro?»<br />

«Sì»<br />

«C‟è gente che è arrivata senza badge?»<br />

«Sì»<br />

«E te pareva…sei riuscito a sistemare?»<br />

«Sì»<br />

«Le chiavi le han prese tutte?»<br />

24


«Sì»<br />

«Il grande capo, presente?»<br />

«Sì»<br />

«Quelli della mensa ci sono tutti oggi?»<br />

«Sì»<br />

«Te l‟hanno offerto il cappuccio perché sei arrivato prima?»<br />

«Sì»<br />

«Eh, saranno un po‟ così ma son gentili, nè?»<br />

«Sì»<br />

Ed ecco che l‟ascensore si richiude e parte per qualcun altro. Saran pure le tredici e<br />

cinquantotto e non le quattordici, però le palle mi girano quel filo. Infatti dopo un «Vabè, è<br />

andato…prendo le scale. A domani», esco dal portone alle due in punto, mi muovo a<br />

passo svelto verso la metropolitana, mi c‟immergo, oblitero, passo il tornello, scendo le<br />

ulteriori scale talmente rapido da far quasi scintille, arrivo al binario, vedo i vagoni che si<br />

allontanano, mi sento beffato dal destino, scorgo il monitor che mi dice di aspettare cinque<br />

minuti per la metro successiva e maledico il tempo sprecato con quelle chiacchiere da<br />

precisino fottuto di Giuliano. Che alla fine non è che mi sembri davvero voler sapere quelle<br />

cose, il sentore è che sia solo voglia di far conversazione. Ma porco cane. Probabilmente<br />

però sono io che sto ridiventando troppo milanese, come nei primi due anni di università<br />

con la fissa del tempo, l‟andatura svelta verso i mezzi, lo slalom tra i venditori ambulanti<br />

quando scendi in metro, la caccia al tornello meno affollato. Alla fine mi sto stressando per<br />

cinque minuti. In Brianza ti ci fumi una sigaretta, in Sicilia è il tempo in cui ordini un caffè.<br />

Sarà che sono a Milano e mi ci adatto o sarà che sono a Milano e ho voglia di tornare a<br />

casa, fatto sta che questi cinque minuti mi pesano.<br />

Saper cominciare presto la giornata, come mio nonno, come mio padre, è sempre stato<br />

uno dei miei sogni. A questo giro, visto che volente o nolente alle sette meno cinque devo<br />

essere sul posto, speravo anche di poter avere il pomeriggio da far fruttare in palestra o in<br />

altro, ma qui si è fatto il tredici di agosto che i pomeriggi li ho consumati per la maggior<br />

parte sul divano a riprendermi. Avevo sbagliato i conti, infatti una cosa è finire di lavorare<br />

alle due, un‟altra cosa è quando si torna fisicamente a casa. Fortunatamente in questi<br />

giorni di poca ressa ho anche la possibilità di parcheggiare nel cortile interno, quindi da<br />

settimana scorsa non ho più la metropolitana da prendere, però c‟è sempre una bella<br />

oretta di strada per rientrare, che la città in estate non si svuota più come una volta. Quindi<br />

torno all‟ovile che sono le tre, mangio qualcosa e automaticamente mi taglio fuori da<br />

qualsiasi possibilità sportiva per un‟ora e mezza, si fan le quattro passate che tento di<br />

alzarmi e preparare il borsone ma la metà delle volte sono troppo assonnato per farcela.<br />

Perciò getto la spugna e cazzeggio, ecco il copione classico.<br />

Tredici di agosto. Tredici di agosto e là dentro comunque più di metà della gente lavora,<br />

tredici di agosto e qui in paese invece la differenza si nota. Tredici di agosto e per me<br />

domani è comunque servizio. Tredici di agosto che diventa quattordici, quattordici di<br />

agosto che diventa quindici e ci si ferma.<br />

Ferragosto e ci si ferma. Io mi sveglio con calma verso le dieci e dal colore della luce<br />

attraverso le tapparelle capisco che è un‟altra giornata di sole, sole pieno. La finestra è<br />

aperta ma fuori non sento un solo rumore a parte i grilli che cantano. Grazie al cielo vivo<br />

ad una certa distanza da Milano, già un‟altra provincia, e alcune volte scopri che ne vale la<br />

pena. Poi niente vicini oggi a quanto pare, niente auto a quanto si sente. Niente.<br />

Mi alzo, doccia, mi butto addosso un paio di pantaloni corti e una t-shirt che rappresentano<br />

la mia età meglio che la camicia e la cravatta che stanno girando in lavatrice, vado in<br />

cucina e faccio colazione alla mia maniera, senza strafare, solo tè e un paio di biscotti.<br />

25


Lasciare le porte aperte fa sì che ci sia quel filo d‟aria corrente piacevole, che quando<br />

l‟estate è al culmine è una manna dal cielo. Già, l‟estate è al culmine. Non accendo né TV,<br />

né radio, né computer: non ho bisogno di nulla. Mi piace ascoltare il silenzio, musicato<br />

solo dai grilli che cantano nell‟afa, nella canicola, sotto il cielo azzurro opaco figlio<br />

dell‟umidità della Pianura Padana.<br />

Sarà una lunga giornata, una lunga giornata.<br />

Sì, perché non è come nei weekend delle scorse settimane, oggi non c‟è nessuno in giro e<br />

nulla da fare per chi è qui. Potrei uscire, fare due passi, raggiungere la via principale del<br />

mio paese e sedermici in mezzo che non succederebbe niente. A quel punto mi sdraierei<br />

anche e penserei ai miei amici. I miei amici, tutti via. Con le vacanze già prenotate a metà<br />

febbraio, in una trepidazione che parte appena passato capodanno, subito lì coi depliant a<br />

scegliere il dove e il dove del dove. Forti di una sola certezza, vale a dire che Ferragosto<br />

deve assolutamente essere incluso. Come biasimarli d‟altra parte, è uno status che ancora<br />

non conosco quello dei trenta giorni liberi all‟anno, chiaro che alla fine ti ritrovi con le<br />

tempistiche abbondantemente prestabilite. Anzi, praticamente forzate. Su questo non ci<br />

piove, ma la mia mentalità e la loro sono molto diverse, per ora siamo due universi distanti<br />

sotto questo punto di vista. Vederli nella foga per l‟estate quando ancora è gennaio mi<br />

mette tristezza. Sì, va bene, belli i depliant, belli gli hotel, i villaggi all-inclusive, bello tutto.<br />

Ma ragazzi, avrei sempre voglia di dire, ma è questa qui che dev‟essere la vita? Com‟è<br />

possibile che appena passato l‟ultimo dell‟anno sia tutta solo una grande attesa per<br />

l‟estate e poi passata l‟estate sia tutta solo una grande attesa per l‟ultimo dell‟anno?<br />

Perché non prendiamo coscienza che c‟è dell‟altro nel mezzo e non dev‟essere solo un<br />

continuo tirare il fine settimana al ritmo di un pacchetto al giorno, per poi spaccarsi la<br />

faccia nell‟alcol dalla notte del venerdì all‟aperitivo della domenica? Qual è il problema?<br />

Il problema però è chiaro e semplice, è che chi la vita ce l‟ha già sul suo binario vive in<br />

tutt‟altro stato mentale. Ci sono quelli che soffrono e quelli che galleggiano senza troppi<br />

pensieri. Li vedo io quelli che patiscono tra i miei amici, quelli che c‟hanno la rabbia in<br />

corpo perché si son fermati subito dopo le superiori anche se in fondo avevano la testa per<br />

andare avanti, vuoi che l‟han fatto perché i genitori non li hanno spronati, vuoi che l‟han<br />

fatto per altre ragioni, un po‟ per rassegnazione, un po‟ perché altri già lavoravano e<br />

avevano quei due soldi da spendere. Sia quel che sia, ora sono incastrati, costretti a far<br />

loro un ritmo che loro non è, fingendo di farsela passare, tanto basta un po‟ più di rum nel<br />

Cuba per scendere al livello degli altri. Gli altri, appunto, invidiabili in un certo senso, dato<br />

che incredibilmente si trovano bene in questo modo di vivere. Da una parte prendi le<br />

distanze, dall‟altra però a volte ti fermi e pensi: beati loro. Beati quelli che per natura non<br />

contemplano la necessità di dare una svolta alla propria vita.<br />

Gli uni e gli altri però oggi se ne stanno in spiaggia, mentre io m‟incanto al massimo sul<br />

riuscire a sdraiarmi in mezzo ad un viale senza pericolo d‟essere investito. Domani<br />

riprendo e ho davanti poco più di una settimana, poi sarà davvero missione compiuta.<br />

Insalata di riso, tè freddo al limone, il rumore della prima auto che passa in fondo alla via<br />

di casa e si son fatte le due inoltrate. Sole in faccia, cellulare in mano e rubrica che scorre.<br />

Ferragosto è il giorno dove se sei rimasto a casa passi i contatti uno a uno e provi a<br />

immaginare chi possa essere appiedato come te. C‟è chi raschia il fondo del barile e<br />

telefona a gente depennata dalla propria esistenza da tempo immemore, io invece ad un<br />

primo passaggio individuo un nome, penso possa essere quello giusto e faccio partire la<br />

chiamata. Mi sento fortunato solo per aver pensato a questa persona, che se non fossi<br />

stato nella solitudine monastica in cui mi trovo oggi probabilmente nemmeno mi sarebbe<br />

passata per l‟anticamera del cervello. E sarebbe stato un male, perché a volte ci sono<br />

persone che ti lasci scivolare per un po‟ di tempo, ma sai che sono parte di te e sentirsi più<br />

spesso sarebbe la cosa giusta. Suona a vuoto, niente da fare. Spiaggia o grigliata anche<br />

26


per lei, mi sa. Sono davvero rimasto l‟ultimo essere umano in questa landa desolata.<br />

Passiamo oltre allora e sovvertiamo lo schema: telefonata a quelli che sicuramente stanno<br />

facendo festa.<br />

«Pronto!»<br />

«Uella, buon Ferragosto! Come va, tutto bene? Siete in spiaggia?»<br />

«Tutto bene, sì. Io, Fabio e Marco siamo in spiaggia, gli altri dopo ieri sera ancora non si<br />

vedono»<br />

«Minchia, alle due e mezza di Ferragosto ancora a letto?»<br />

«Eh, è che siam tornati alle sette di mattina»<br />

«Cos‟avete fatto?»<br />

«Niente di particolare, abbiam girato una decina di posti tutti sul lungomare, poi lo sai<br />

come va a finire, la storia è sempre la solita»<br />

«Cioè?»<br />

«Eh, che alla fine ci sono gli altri che bevono finché non ce la fan più, poi te li devi portare<br />

a casa in spalla, in giro a far figure con la gente. Solite robe, lo sai…»<br />

«Capito»<br />

«E quindi noi tre oggi siam venuti in spiaggia alle undici che non c‟era in giro un cane.<br />

Adesso pian piano sta cominciando a riempirsi»<br />

«Stasera avete in ballo qualcosa, poi?»<br />

«Non lo so. Di andare a farmi pelar fuori settanta carte al ristorante perché è Ferragosto<br />

non c‟ho voglia. Gli altri forse»<br />

«Ti stai rompendo le scatole o sbaglio?»<br />

«No, però vorrei fare qualcosa di diverso, tipo girare un po‟ nell‟entroterra, andare a<br />

vedere qualche altro posto, qualche altra spiaggia»<br />

«E non si riesce?»<br />

«Mah, diciamo che l‟iniziativa non raccoglierebbe molti voti. Lo sai com‟è l‟andazzo, il<br />

sentiero camera-spiaggia una volta che è segnato il primo giorno poi resta sempre quello.<br />

A me di girar cinquantamila bar a nottata non me ne può fregar di meno, una birra è<br />

sempre una birra. Grazie al cielo ieri sera son riuscito a schivare la spedizione a Porto<br />

Cervo»<br />

«E non mi sei andato a salutare il Flavio?!»<br />

«Ma per carità! Ieri pomeriggio son saltati fuori con questa cagata il cugino di Michele e i<br />

suoi amici. Son passati qui a salutare lui e ci volevano tirare in mezzo tutti. Io l‟ho detto<br />

subito agli altri che piuttosto rimanevo in stanza da solo»<br />

«Michele è andato?»<br />

«Sì»<br />

«Beh, chiaro. Un divo come lui mica poteva mancare…»<br />

«Lascia perdere, che ci scassa le palle ogni giorno perché non gli piacciono le cose del<br />

buffet. Per tre giorni s‟è riempito il piatto con una montagna di roba e poi ha buttato via<br />

quasi tutto, da lì in poi invece va a comprarsi le cose in paese e cucina per suo conto»<br />

«E glielo lascian fare, scusa?»<br />

«Ha sparato la cazzata che ha delle intolleranze, quindi gli fanno „sto favore»<br />

«Schiavo del pettorale a tutti i costi»<br />

«Appunto, che poi guarda quant‟è furbo: prima dice che ha problemi, gli fanno il favore<br />

della cucina e lui ogni giorno si fa vedere che mischia la roba da mangiare con tutti i suoi<br />

beveroni, le polverine e compagnia. Sembra il Mago Merlino all‟opera quando è lì che fa<br />

su „sti intrugli…»<br />

«Ha-ha! Sì, però poi quando si leva la canotta, silenzio tutti»<br />

«Eh, invece ha subito il colpo quando si è ritrovato in spiaggia con uno sciame di cloni»<br />

«Davvero? Mi devo aspettare il TG da un momento all‟altro a fare un reportage sui<br />

mandrilli spiaggiati in Costa Smeralda?»<br />

27


«Metti su Italia 1 stasera che c‟è Lucignolo in diretta da qui, magari ne parlano! Scherzi a<br />

parte, vedessi che tamarri che ci sono in giro»<br />

«Stile?»<br />

«Tutti tirati al massimo, tatuati, abbronzati all‟inverosimile, costumino aderente col pacco<br />

in mostra. Roba che io mi sento un rottame, c‟ho vergogna a farmi vedere che sono<br />

ancora mezzo bianco e non c‟ho il fisico. Poi però aprono la bocca ed è il trionfo della<br />

cafoneria, non so come facciano le ragazze ad andar dietro a „sti trogloditi qui»<br />

«Eh, guarda, mi spiace dirtelo ma mi sa che lì così col cervello si tira su ben poco. Beato<br />

te che almeno sei ricco»<br />

«Ma vaffanculo va‟, ha-ha!»<br />

«Senti, ti lascio andare alla chitarrata con Apicella giù a Villa Certosa»<br />

«Infatti, che tra un po‟ è ora»<br />

«Portami a casa una bandana, mi raccomando»<br />

«Va bene! Ma ascolta, te invece stai lavorando?»<br />

«Oggi no, domani però come di regola. Finisco settimana prossima»<br />

«E poi?»<br />

«E poi boh, fiere a settembre, penso. Spero comunque che si faccia vivo qualcuno dopo i<br />

CV che ho mandato»<br />

«Ma sì, sicuramente. Oggi invece cosa fai?»<br />

«Non c‟è in giro un cane, c‟è poco da scegliere»<br />

«Guarda che qui almeno per me non è tanto diverso, te l‟ho spiegato come van le cose»<br />

«Sì, ma dai, non ti lamentare. Goditi il mare, va‟»<br />

«Sicuro. Allora dai, ci sentiamo nei prossimi giorni»<br />

«Va bene. Salutami gli altri…e tienili d‟occhio»<br />

«OK, ciao»<br />

«Ciao ciao».<br />

Eccolo lì uno di quelli che si è spaccato le palle di stare al passo degli altri. Vacanza in<br />

hotel in Sardegna, mandria da quindici, obiettivo giornaliero la sbronza, transumanza<br />

infinita da Milano con quattro macchine per poi toccarle solo per andare in discoteca,<br />

unico tragitto contemplato in fascia diurna quello dei duecento metri dall‟albergo alla<br />

spiaggia con deviazione al ritorno per dare il via all‟alcolismo in centro al paese. Una<br />

settimana via da casa in tutta l‟estate, cambia lo sfondo come in una scenografia a teatro<br />

ma la trama della commedia resta la stessa, talmente la stessa che è già il terzo anno che<br />

s‟infilano nello stesso posto, dove per giunta c‟è anche metà della gente del nostro paese.<br />

Quindi anche i personaggi secondari rimangono invariati, le comparse invece saranno<br />

pure inedite ma sempre comparse restano. Non li ho mai visti tornare con nuove amicizie,<br />

qualche numero di telefono interessante, gente diversa da andare a ribeccare durante<br />

l‟anno. Niente, solo una gara alla tintarella per la vera competizione, quella che prende<br />

piede al ritorno con la metà del paese andata altrove, classicamente a Ibiza. Era meglio<br />

quando andavamo in vacanza ai tempi del liceo, coi soldi contati al centesimo ma con la<br />

voglia di vedere, con la voglia di fare, con la voglia di conoscere. In albergo a Rimini il<br />

primo anno -così come in Spagna l‟estate seguente- dopo un giorno facevamo già gruppo<br />

con tutti; nella Sardegna pre-“Flavio Coast” avevamo le chiappe arrostite dai cinquantini<br />

che ci eravamo noleggiati per girare; poi l‟estate migliore fu quella in cui partimmo per il<br />

Nord Europa senza praticamente sapere cosa ci saremmo trovati di fronte, tornando in<br />

patria ammaliati, fieri come esploratori dei secoli addietro. Ora invece tutto bruciato, senza<br />

Canadair che possano venire a sganciare acqua e salvare lo spirito dei tempi. Erano<br />

spedizioni prima, oggi vacanze. Per qualcuno è il top, qualcuno invece vi si adegua e<br />

qualcun altro –il sottoscritto- ne resta fuori, per metà condizionato dai doveri, per metà non<br />

stimolato da quel genere di piaceri. Però Ferragosto è a me che non passa più, intanto.<br />

28


Mano al cellulare un‟altra volta. Ritentiamo col primo obiettivo della giornata. Uno squillo,<br />

due squilli, tre squilli.<br />

«Pronto?!»<br />

«Stupita di sentirmi?»<br />

«Ciao! Come mai?»<br />

«Come mai? Volevo sapere come va, quant‟è che non facciamo due chiacchiere? Se<br />

escludiamo il messaggio che mi hai mandato il giorno della laurea, praticamente è da fine<br />

gennaio»<br />

«Eh, praticamente sì, dal tuo compleanno»<br />

«Tu la solita, degnarti di farti viva no?»<br />

«Potrei dire lo stesso, ma mi fregheresti col fatto che mi stai chiamando ora»<br />

«Esatto, quindi chi è il più bravo?»<br />

«Sei tu, sei tu»<br />

«Vedi che ci capiamo? Scherzi a parte, ti disturbo?»<br />

«Assolutamente no»<br />

«Dove sei?»<br />

«A casa»<br />

«Anche tu? E come mai?»<br />

«Gli altri son tutti via, io ho un mucchio di esami a inizio settembre»<br />

«Ma vacanze niente del tutto?»<br />

«Con quello che mi è costato stare a Bologna quest‟anno, col cavolo»<br />

«Problemi con la casa? Qualcosa mi avevi ventilato…»<br />

«Sì, perché poi la storia si è conclusa che il proprietario ci ha alzato l‟affitto e la questione<br />

era o dentro o fuori. Praticamente mi son trovata costretta a stare al gioco, altrimenti sarei<br />

finita a un‟ora e passa di autobus dall‟università, perché se durante l‟anno ti vuoi trovare<br />

un appartamento ti devi muovere in periferia, molto in periferia»<br />

«Porca miseria, ma ha rifatto il contratto lui o che?»<br />

«Ma quale contratto, è in nero»<br />

«Come sempre, chiaro»<br />

«Fanno gli strozzini tutti, tanto di domanda ce n‟è. Sai a loro cosa interessa…»<br />

«E ora per quanto conti di rimanere lì? Stai cercando un altro posto?»<br />

«Terrò gli occhi aperti a settembre appena torno giù per gli esami, però non posso dire<br />

che me ne vado da un giorno all‟altro»<br />

«Perché no, scusa? Se non c‟è il contratto…»<br />

«Eh no, non funziona così. Praticamente funziona che se tu te ne vai, devi trovare qualcun<br />

altro che prenda il tuo posto, altrimenti con una persona in meno in casa i tuoi coinquilini si<br />

devono dividere anche la tua quota»<br />

«Ma stai scherzando?»<br />

«No»<br />

«Ma che stronzata è?! Mai me la sarei immaginata. Alla fine se tu sei il proprietario e<br />

decidi che la casa ha tot posti letto, sono affari tuoi se non riesci a riempirla. O no? E‟<br />

come dire che se vai in albergo e non è pieno, paghi anche per la gente che manca»<br />

«Non so cosa dirti, funziona così per le case»<br />

«Pensa te che stronzi, non c‟è contratto ma alla fine ti trovi legato lo stesso perché se no<br />

ci rimettono i tuoi coinquilini»<br />

«Precisamente. Chiaro che lo fai per loro, non per il padrone di casa»<br />

«Grazie al cielo non son passato in mezzo a „ste cose, che già avrei fatto una fatica<br />

enorme a tirar fuori i soldi per dovermi magari pure dividere la stanza con qualcuno.<br />

Spesso mi son lamentato, ma meglio due ore e qualcosa di strada avanti e indietro tutti i<br />

giorni, sul treno o nel traffico che sia, piuttosto che trovarsi in mezzo a certe situazioni»<br />

«Io purtroppo non potevo fare diversamente»<br />

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«Lo so. Ma ora quanto ti manca per laurearti?»<br />

«Se non mi fossi trovata negli sbattimenti dopo l‟Overseas, mi sarei laureata a settembre»<br />

«Overseas? Intendi l‟Erasmus?»<br />

«Praticamente è la stessa cosa, poi c‟è l‟Erasmus che è solo in Europa e l‟Erasmus<br />

Mundus che è dappertutto anche quello»<br />

«Ah, OK, ecco allora. Comunque che sbattimenti, scusa?»<br />

«Non mi hanno riconosciuto interamente degli esami che ho fatto là, quindi uno alla volta li<br />

devo completare qui, il che praticamente vuol dire ristudiare tutto»<br />

«Non me l‟avevi detto l‟ultima volta. Quindi adesso?»<br />

«Adesso spero di farcela per dicembre. C‟è di buono che con la tesi sono avanti»<br />

«Meno male. E perciò Ferragosto sui libri?»<br />

«Sì, ma mi sta scoppiando la testa»<br />

«Ti va di fare una pausa e passo lì, magari?»<br />

«Dai! Vieni qui quando vuoi»<br />

«Tra una mezz‟ora comoda, allora»<br />

«Va bene!»<br />

«OK, giù il telefono a questo punto. Ciao!»<br />

«Suona due o tre volte quando arrivi, che il citofono non funziona bene»<br />

«OK»<br />

«Ciao!»<br />

Ci vado a piedi da Claudia. Non sto nemmeno a cambiarmi perché è estate e perché lei<br />

non è una di quelle che bada a certe cose. Maglietta e pantaloncini vanno bene. Indosso il<br />

mio classico e strausurato paio di Adidas, bevo un sorso di tè freddo prima di chiudere la<br />

porta e m‟incammino. I marciapiedi li evito, come previsto si può stare in mezzo alla strada<br />

senza che passi nessuno. Ne ricavo un certo senso di libertà e padronanza del luogo in<br />

cui sono cresciuto. Ventitré ne ho viste di estati in questo posto. Ventitré sembra un<br />

numero importante, un numero nel mezzo, né troppo alto per sentirsi col dado tratto, né<br />

troppo basso per sentirsi senza diritto di parola. Ventitré è un numero giusto, tanto per<br />

tracciare bilanci quanto per guardare avanti senza senso di pesantezza. Personalmente<br />

sento di aver fatto un bel pezzo di strada, ma al tempo stesso so di averne ancora un<br />

mucchio davanti. Giustissimo a ben pensarci, sono a metà percorso: in ventitré anni sono<br />

arrivato fin qui e fra ventitré vedremo cosa sarò riuscito a combinare, che anche se a<br />

quarantasei un uomo non è certo alla fine dei suoi giorni, per lo meno a livello<br />

professionale e umano si pensa sia una figura fatta e finita. Ventitré Michael Jordan,<br />

quarantasei Valentino Rossi. Mi si sta fondendo il cervello su questo asfalto bollente.<br />

Eccomi arrivato, suono tre volte, poi arrivano la quarta e la quinta, infine aspetto un minuto<br />

e piazzo la sesta, la settima e l‟ottava. Nessun segno di vita, provo sul telefono. Suona a<br />

vuoto venti secondi e poi mi sento chiamare dalla finestra: «Aspetta, ero in doccia!».<br />

Bene, cancello che si apre, io che entro e lei che nel mentre scende al pian terreno con<br />

due bicchieri e una bottiglia d‟aranciata. Stiamo in giardino quindi. Bella casa quella di<br />

Claudia, pure abbastanza antica visto che esiste dal tempo dei bisnonni, fine Ottocento,<br />

quando il nostro paesino era davvero tutta campagna e chi si aggiudicava un lotto di terra<br />

per quattro spiccioli ci faceva quello che voleva. Dopodiché è storia nota: entrati nel<br />

Novecento e passate le due guerre, tra i Sessanta e i Settanta si sono chiusi i ranghi, chi<br />

aveva era sistemato, chi non aveva cominciava ad essere tagliato fuori di grosso perché<br />

non c‟era più la flessibilità di prima. Il paese iniziava a sovrappopolarsi, le leggi man mano<br />

cambiavano così come le dinamiche. Per aprire un‟attività da zero le beghe burocratiche<br />

aumentavano vertiginosamente e il concetto di “farsi una casa” era ormai stato<br />

soppiantato da quello di “mercato immobiliare”, con tutte le speculazioni che poi sono<br />

partite in pompa magna dagli Ottanta e arrivate fino ad oggi. Senza bisogno di parlare di<br />

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Milano 2, anche qui si sono mossi dei micro-Berlusconi e lo stato attuale è una porcheria,<br />

con imprese autorizzate a costruire in ogni dove, terreni che vengono espropriati e villette<br />

a schiera così appiccicate che ci si guarda nel cesso l‟un l‟altro. Da Claudia le forme e gli<br />

spazi hanno invece ancora l‟ampiezza dei tempi, senza lo stress dell‟industria edile<br />

addosso. In giardino si respira una bella aria e la casa, anche se praticamente ha solo due<br />

piani, è altissima. La guardo da seduto e ci resto nuovamente impressionato, come fosse<br />

la prima volta, mentre invece ho fatto spesso dentro e fuori negli anni addietro.<br />

Tra un bicchiere d‟aranciata e l‟altro, cubetti di ghiaccio annessi, ci aggiorniamo a vicenda<br />

sugli ultimi mesi. Per buona parte della conversazione mi faccio raccontare del suo<br />

periodo in Oriente, di cui avevo avuto notizie solo per vie traverse, vale a dire da mia<br />

mamma che in un paio di occasioni aveva incontrato la sua dal panettiere. Del conto<br />

salato arrivato a posteriori, cioè la faccenda degli esami non approvati, già mi ha<br />

accennato ed è una bella fregatura, il resto invece ha un colore molto diverso. Tonalità<br />

positive traspaiono dalle sue parole: un nuovo posto conosciuto, nuovi amici incontrati, un<br />

po‟ troppa festa ma alla fine sì, dai, è un‟esperienza di quelle da incorniciare sotto il profilo<br />

umano. «Tu che hai studiato le lingue, invece, perché non hai fatto uno scambio tipo<br />

Erasmus, Overseas, eccetera?», mi chiede. «Perché soldi a parte, poi sarebbe finita molto<br />

probabilmente come per te, e il tempo per me non è un‟opzione. All‟università ci sono<br />

entrato con l‟elmetto in testa, questa è la cosa che dico a tutti. Volevo arrivare alla fine il<br />

prima possibile e gestirmi per gli affari miei poi, perché lo sai che ho sempre avuto altre<br />

cose in ballo e di slittamenti sulla tabella di marcia non ne ho mai voluto sentire».<br />

Annuisce, si ricorda tutti i discorsi che le avevo fatto quando ero a metà strada, circa due<br />

anni fa. Mi chiede di conseguenza come vadano quelle cose, io senza troppa voglia di<br />

approfondire le dico solo che mi manca una settimana di lavoro e poi appunto andrò in<br />

Repubblica Ceca per qualche giorno. Metto l‟accento su «lavoro» più che su «Repubblica<br />

Ceca» ed ecco la richiesta di un punto della situazione. Dalla laurea ai primi CV inviati,<br />

passando poi per il capitolo bar e arrivando all‟incarico tampone targato Milano, le fornisco<br />

un riassunto dei primi mesi da dottore. Non il più entusiasmante dei resoconti, sicuramente<br />

non da copione fiabesco, però chiudo sempre dicendo che «Da settembre conto di avere<br />

parecchio con le fiere». Sorridiamo quindi, cambiamo discorso e viriamo su argomenti più<br />

leggeri. Passano un paio d‟ore, tiriamo fuori due pizze dal freezer e due birre dal<br />

frigorifero, ceniamo, dopodiché faccio ritorno a casa dato che la sveglia è destinata a<br />

suonare prima che canti il gallo.<br />

La settimana a Milano la chiudo in tranquillità dato che col personale viaggiano a ranghi<br />

ridotti e lo smarrimento dei badge è ai minimi termini, poi il sabato lo passo al campetto<br />

per qualche ora di basket in solitaria. Domenica invece mi barrico in casa, che rientrano le<br />

mandrie e non ho voglia di subirmi il via del titanico scontro dialettico “Sardegna contro<br />

Ibiza”. Con lunedì torno in postazione e a metà mattina l‟ascensore mi porta una sorpresa:<br />

il responsabile della sezione fiere e congressi della mia agenzia.<br />

«L‟è propii un milanés» avrebbe detto mia nonna: è proprio un milanese. Non avrei potuto<br />

darle torto, perché la parlantina, la “e” più che aperta letteralmente scoperchiata e tutti i<br />

modi di atteggiarsi sono da meneghino puro. Molto sorpreso di vederlo, apprendo che in<br />

assenza di Gerardo, il responsabile delle reception attualmente in vacanza, è lui che se ne<br />

deve occupare ed è passato solo per lasciare dei documenti per Mario e Giuliano.<br />

Questioni di contabilità per loro che sono assunti a pieno titolo, non come me che presto<br />

servizio in ritenuta d‟acconto o il mio amico Alessandro in partita IVA. Di questo me ne<br />

lavo le mani, deposito ad ognuno nel proprio scomparto e siamo a posto. Quello che<br />

invece mi preme indagare avendo Damiano qui in carne ed ossa sono le possibilità da<br />

settembre per quanto lui gestisce di solito. Prendo il discorso coi dovuti modi, senza però<br />

nemmeno girarci troppo attorno, e rimango rincuorato dalla risposta che ricevo, breve ed<br />

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efficace: «Sì sì, a settembre ripartiamo, ci sentiamo per metterci d‟accordo. Nel mese ci<br />

sono un paio di fiere, poi anche più avanti abbiamo sempre da fare». Ottimo, questo mi<br />

cambia l‟umore non solo della giornata, ma di tutto il periodo che sto passando qui dentro.<br />

E‟ come se avessi lavorato fino ad ora per sentire queste parole, perché in effetti è ciò a<br />

cui ambivo sin dall‟inizio. Mi sento come se avessi azzeccato la strategia, vale a dire<br />

accettare un incarico così-così in modo da riaprire una porta che il tempo aveva<br />

socchiuso. Bene, ora posso interpretare l‟estate impiegata fra queste quattro mura come<br />

un piccolo investimento, come una semina, e ciò migliora di molto il gusto generale<br />

dell‟impresa. Il resto del lunedì mi scorre via col sorriso.<br />

Martedì giornata di routine e mercoledì, mercoledì ventidue agosto finalmente arriva.<br />

Ultimo giorno, ultima apertura della sede, ultima volta operativo prima del dovuto, ultima<br />

volta incollato ad una sedia per ore intere. A ridosso della pausa pranzo saluto coi dovuti<br />

modi quel paio di persone con cui ho instaurato una minima di rapporto. A chi mi chiede<br />

cosa farò prossimamente rispondo in maniera sintetica che andrò via qualche giorno e poi<br />

a settembre inizierò con le fiere, fattore che guida a qualche domanda più approfondita da<br />

parte loro. Emerge quindi che oltre ad essere laureato parlo quattro lingue straniere. Mi<br />

chiedono quali, io rispondo. Leggo un netto stupore nei loro occhi, ma più che stupore per<br />

il fatto che io conosca diverse lingue, è uno stupore da «Ma cosa ci fai qui?». Non è più<br />

tempo di rispondere ad eventuali domande implicite, loro devono andare a mangiare e io<br />

ho quattro note da scrivere prima che mi dimentichi. Passano i minuti, onde evitare<br />

disguidi comincio a levare dalla tasca il mio badge e segnare il giorno di resa sull‟apposito<br />

registro. Ripongo il mazzo di chiavi come richiesto in una busta, la sigillo, metto la mia<br />

sigla e la chiudo nella cassettiera. Tempo di ridare una spolverata al quotidiano e mi<br />

citofona Giuliano. Stavolta ero preso, non l‟ho preceduto. Sale, io nel frattempo mi faccio<br />

pronto con tutto quanto. Due minuti per il congedo ed eccomi riuscire anche a prendere<br />

l‟ascensore. Premo zero, apro il portone, esco e sono libero. Tanti saluti Milano sud, tanti<br />

saluti Giuliano, tanti saluti Mario e pure tanti saluti dipendenti del posto. Che<br />

contraccambiate o meno, per me è definitivamente missione compiuta.<br />

32


7<br />

LATO B<br />

Documenti e carta d‟imbarco in una mano, trolley impugnato con l‟altra. Giovedì ventitré<br />

agosto ore nove e quarantaquattro, Terminal 2 dell‟aeroporto di Malpensa, passo spedito<br />

verso il gate.<br />

La tasca sinistra dei pantaloncini vibra con insistenza, tocca quindi che mi fermi e dia retta<br />

al telefono.<br />

«Pronto?»<br />

«Sì, ciao Alessandro, scusa ma…»<br />

«No, sono <strong>Matt</strong>ia».<br />

Speravo di liquidare la cosa in un battito di ciglio non essendo il desiderato, invece no. Le<br />

domande che mi pongo sono due: cosa vogliono dall‟agenzia oggi e cosa ci fa Gerardo in<br />

ufficio.<br />

«Ah, no, scusa, sì, <strong>Matt</strong>ia…»<br />

«Dimmi Gerardo»<br />

«Eh, scusa se ti disturbo eh, scusa…»<br />

«Tranquillo, dimmi pure». Il mio tono di voce è invece un chiaro invito a spicciarsi.<br />

«Ehm, no, è che mi chiedevo se stamattina potevi…».<br />

Lo tronco io: «Gerardo guarda, sono in aeroporto, sto partendo»<br />

«Ah…» e tira un sospiro lunghissimo. «Eh, allora no, niente. Vai, vai, scusa eh, scusa»<br />

«Posso aiutarti in qualcosa?»<br />

«No, no. E‟ che mi è stato male uno e volevo sapere se potevi coprire un pomeriggio»<br />

«Purtroppo no. Però chiama Alessandro, molto probabilmente lui ce la fa. E‟ a casa»<br />

«Ah sì? Eh, cià che allora provo. Grazie eh, grazie. Scusa ancora per il disturbo»<br />

«Di niente, figurati. Ascolta, le date del mio rientro te le ho mandate ieri via e-mail con<br />

anche il resoconto ore di luglio e agosto». Sottolineare non fa mai male.<br />

«Va bene, va bene. E‟ che sono appena rientrato in ufficio per questa emergenza. Dovevo<br />

essere ancora in ferie…»<br />

«E‟ il duro lavoro, che ci vuoi fare. Dai, ti saluto che se no mi lascian giù»<br />

«Va bene. Ciao, scusa ancora eh, scusa. Ciao»<br />

«Ciao».<br />

Gerardo dovrebbe prendere qualche lezione di pubbliche relazioni da Damiano, perché<br />

saranno sì pari ruolo, ma se interagisce così anche coi clienti non è che la società faccia<br />

una gran figura. Vabè, chissenefrega, manco fossero affari miei. Qui mi tocca fare in fretta<br />

che fra cinque minuti chiudono l‟imbarco.<br />

Tre ore dopo sono a Praga, Piazza Venceslao. Io e il mio trolley ci dirigiamo verso una<br />

pizzeria dove è previsto il rendezvous col resto della ciurma, che libera da impegni si è<br />

goduta la città per un paio di giorni. Prima che anch‟io possa trascorrere qualche giorno da<br />

turista abbiamo settantadue ore abbondanti di lavoro, ma questo tipo di lavoro non è uno<br />

scherzo dire che sia un piacere farlo. Da un anno collaboro con un mensile di musica, di<br />

fatto il magazine di settore più importante d‟Italia, inoltre da quattro conduco una<br />

trasmissione radiofonica che partita da una piccola emittente di provincia è arrivata oggi,<br />

grazie a un mazzo tanto e grazie a Internet, ad essere conosciuta nel circuito underground<br />

di tutta Italia. La passione per la black music mi ha portato fin qui. Dal primo CD acquistato<br />

a dodici anni ne è passata di acqua sotto i ponti e specie dai diciotto in poi la situazione si<br />

è fatta intensa, con me a maniche rimboccate per cercare di dar forma ai sogni che fino a<br />

poco prima restavano confinati in cameretta. Avevo voglia di combinare, “concretizzare” è<br />

33


il termine migliore, perché il mondo è pieno di gente che sogna, sogna, sogna e poi… puf,<br />

lascia svanire tutto quanto. Potrei contarne a manciate, ad esempio, di mie compagne di<br />

scuola che volevano fare le attrici ma non hanno mai nemmeno fatto il passo di cercarsi<br />

un corso di recitazione. Però provavano delle parti sotto la doccia, dicevano. Ecco, modi di<br />

fare del genere li ho sempre ritenuti ridicoli ed è anche per questo che, due anni fa, fino a<br />

una settimana prima che il mio disco d‟esordio andasse in stampa nemmeno molti dei miei<br />

amici più stretti ne erano a conoscenza. Ma non solo a conoscenza del disco, a<br />

conoscenza proprio dell‟intera faccenda, cioè che scrivessi testi ormai da anni e che fossi<br />

deciso a spingere al massimo delle mie possibilità. Lo feci, invece, e ne uscì un lavoro<br />

onesto, un EP di dieci tracce, voce e testi miei e musiche del mio socio Daniele. Curato<br />

quanto più non potevamo, un anno abbondante di lavoro, riuscimmo con mezzi modesti ad<br />

ottenere una qualità degna di nota e con un paio di agganci mirati a rendere il disco<br />

disponibile in vari negozi specializzati in Italia e Svizzera. Non male, considerato anche<br />

che le recensioni fra portali in Rete e qualche piccolo spazio sulla carta stampata furono<br />

più che buone e ci permisero di crearci un piccolo seguito e ottenere delle date. Ora che<br />

sto per completare il mio primo album ufficiale, stavolta come solista seppur con la<br />

presenza di Daniele in alcune parti, guardo indietro e non posso che essere soddisfatto.<br />

Chiaro che due anni dopo non farei più le cose alla stessa maniera, però c‟è quel nucleo di<br />

sostanza che resiste al tempo e che mi farà per sempre andare convinto di quell‟EP. E‟<br />

stato un ottimo primo passo e mi ha permesso inoltre di prendere le misure su molti aspetti<br />

tecnici e pratici che mi stanno tornando utili in vista dell‟album, col quale mi auguro di<br />

avere dei risultati degni di nota. Per i prossimi tre-quattro mesi sarà necessaria la massima<br />

concentrazione e dovermi gestire da solo è cosa sì stimolante, ma tutt‟altro che facile.<br />

Oltre ad essere dietro il microfono sono io stesso il mio manager, il mio contabile, il mio<br />

promoter e anche gli aspetti apparentemente più piacevoli, come ad esempio il fatto che<br />

fra non molto dovrò elaborare un piano su come realizzare il primo videoclip, hanno l‟altra<br />

faccia della medaglia ben in evidenza.<br />

Ricontrollo il messaggio in cui mi è stato comunicato il posto esatto per incontrarci.<br />

Confidenza col luogo ne ho già, visto che anche l‟anno scorso abbiamo affrontato questa<br />

spedizione, infatti muovendomi a memoria sono ora giusto di fronte. Gradino d‟entrata per<br />

il quale non mi scomodo a sollevare il trolley, gradini d‟accesso alla sala vera e propria che<br />

invece me lo impongono, un‟occhiata rapida e li scorgo ad un tavolo nell‟angolo, già con le<br />

bocche piene e chiaramente un posto libero per me. Margherita e “pivo” ordinate al volo al<br />

cameriere che mi dà il benvenuto e a passo comodo mi dirigo verso i miei tre. Guardali là,<br />

il sudamericano e il pugliese più lombardi mai visti, al secolo Miguel e il celebre Daniele, e<br />

il nostro tedescone di matrice sarda. Assieme ai primi due porto avanti la trasmissione –e<br />

con Daniele non solo, appunto- mentre Martin si dà da fare per una realtà simile con un<br />

altro ragazzo a Francoforte. Date le origini italiane si è sempre documentato su cosa si<br />

muovesse nella Penisola e trovando il nostro sito si è messo subito in contatto con noi.<br />

Gran ragazzo, volenteroso ed estremamente intelligente. Tra i nostri due programmi si è<br />

creato un forte sodalizio, un gemellaggio Italia-Germania. Pronti a conquistare l‟Europa?<br />

Chissà, magari un giorno.<br />

Il primo a vedermi mentre arrivo è Miguel, che mi sorride subito con la sua faccia da festa<br />

perenne. Di sudamericano gli è rimasto poco oltre il nome e i tratti somatici. Arrivare in<br />

Italia a nemmeno tre anni lo ha fatto crescere ed inserire perfettamente nel nostro<br />

contesto. E‟ uno che va in montagna appena può e tra campeggio ed escursioni non si fa<br />

mancare un piatto di pizzoccheri, cosa che se non hai la Valtellina nello spirito nemmeno ti<br />

sogni di ordinare. Prima di salutarmi con la mano, Miguel tocca Daniele col gomito e<br />

anche lui mi vede. Non ha bisogno di sbracciarsi, siamo talmente tanto in contatto che<br />

potrebbe tracciare la mappa di ogni mio spostamento, infatti è lui che ho avvisato appena<br />

34


sono atterrato ed è lui che mi ha riconfermato l‟indirizzo della pizzeria. Precisione estrema,<br />

questa è la sua dote principale. Alle origini Daniele sembra tenerci più di Miguel, difatti<br />

quando parla si definisce pugliese nonostante abbia sempre vissuto nei paraggi di Milano.<br />

I veri pugliesi non sono che i suoi nonni, emigrati al Nord ai tempi del miracolo economico<br />

con il copione classico, vale a dire trasferire le braccia dalle reti da pesca alle fabbriche.<br />

Sicuramente del Sud Daniele ha molto, soprattutto il sangue caldo e insindacabilmente<br />

l‟abilità di esprimersi nella lingua dei suoi avi, in proporzione molto più di quanto Miguel<br />

mastichi lo spagnolo. Per il resto però ha quella manciata di qualità che si dipingono<br />

addosso alla figura tipica del lombardo, una su tutte la puntualità. Estrema puntualità, roba<br />

che se l‟appuntamento è alle tredici e trenta, lui alle tredici e ventinove è già sul posto da<br />

una ventina di minuti e ti sta chiamando al telefono. Se alle tredici e trentaquattro ancora<br />

non ti vede, sono cazzi tuoi. Ho il sentore che solitamente in Puglia se la prendano un filo<br />

più comoda. Ottimo compagno di lavoro a parte gli scherzi, instancabile. In tutto ciò che<br />

abbiamo fatto assieme la sintonia è stata massima perché da questo lato abbiamo la<br />

stessa mentalità. Se c‟è un mestiere da portare a termine non esiste festa, sabato,<br />

domenica o altro: lo si fa, punto e basta. Tirare mattina su certe faccende ormai per noi<br />

due è la prassi, giù nello studio di registrazione che ha ricavato da una cantina di cinque<br />

metri per tre che ai suoi serviva solo come ripostiglio per quelle cianfrusaglie che ci sono<br />

in ogni famiglia e che alla fin fine stanno bene anche in discarica. I quindici metri quadri<br />

meglio utilizzati che abbia mai visto, dato che ora è la sotto che io registro i miei pezzi così<br />

come altre persone che con ciò permettono a Daniele di arrotondare una volta passate le<br />

otto ore giornaliere a consegnare alimenti a fianco del padre. Inoltre, per quanto riguarda<br />

la trasmissione questo studio è stato la salvezza in un momento chiave della nostra storia<br />

radiofonica. Non ci fosse stato, non ci saremmo più stati noi, dato che a ridosso dello<br />

scorso Natale la nostra vecchia radio ha chiuso i battenti per questioni monetarie e noi ci<br />

siamo resi indipendenti, con un mucchio di burocrazia, un piccolo esborso e un trasloco da<br />

Daniele per registrare quanto necessario ogni settimana. Molte delle persone con cui<br />

dividevamo il vecchio tetto radiofonico hanno mollato, lo facevano per hobby e ora ne<br />

hanno semplicemente scelto uno diverso, altri invece hanno preso lo schiaffo al pari<br />

nostro, ma solo noi abbiamo avuto la fortuna e soprattutto la caparbietà di reagire. Un paio<br />

di amici ci hanno dato una mano per potenziare il sito nelle tre settimane in cui noi<br />

eravamo fra un mare di scartoffie, un mare di conti e un mare di telefonate, poi con la<br />

quarta siamo ripartiti. Avremo perso sì la diffusione in FM, ma questo per noi contava<br />

meno di un cinque per cento dato che una radio locale è, appunto, locale. Internet è il<br />

futuro ed è in Internet che noi stiamo, a portata di click per il mondo anziché a portata di<br />

antenna per il vicinato. Ce l‟eravamo detto fin dal primo momento: quello in cui crediamo e<br />

per cui da anni stiamo sudando non deve andare a fondo per colpa d‟altri. Otto mesi dopo<br />

siamo per la seconda volta in Repubblica Ceca come media partner di uno dei festival più<br />

importanti d‟Europa, in tre giorni avremo l‟imbarazzo della scelta sugli eventi a cui<br />

assistere e staremo gomito a gomito con personaggi di fama mondiale, quelli che fino a<br />

poco tempo fa vedevamo solo in TV o che oggi collezionano centinaia di migliaia di<br />

visualizzazioni su Youtube. Mica male per tre ragazzi di provincia.<br />

A Martin appoggio una mano sulla spalla e quindi lascio si alzi per un abbraccio. Sono<br />

sicuro sia stato un‟ottima guida per le vie di Praga, lui che in Germania si divide fra un<br />

part-time e la facoltà di Storia dell‟Arte. Il suo livello culturale è indiscutibile, però tra i suoi<br />

connazionali generalmente così attaccati alla concretezza viene definito quello che si<br />

dedica a una “brotlose Kunst”, cioè una materia che non mette il pane in tavola, etichetta<br />

che lo infastidisce non poco. Casomai non funzionasse lassù, potrebbe comunque<br />

scendere alle nostre latitudini, che non abbiamo tale astio per la categoria e di materia<br />

prima ce n‟è in abbondanza, almeno da visitare. Ci vorrà ancora un po‟ di tempo però, un<br />

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paio di mesi fa mi diceva che non riesce a trovare la giusta calma per dedicarsi alla tesi a<br />

causa di qualche problema in famiglia. Parte tutto dalla cattiva salute di suo padre e<br />

purtroppo, com‟è logico che sia, tutti sono in apprensione. Al di là dei tempi comunque è<br />

certo che ce la farà a laurearsi, non ho il minimo dubbio, e tra le venti ore a settimana che<br />

lavora e le agevolazioni che in Germania esistono per gli studenti può anche essere<br />

contento di avere un tipo d‟indipendenza che in Italia rimane utopia. Ci hanno chiamati<br />

bamboccioni dicendo che stiamo attaccati alla sottana della mamma fino a trent‟anni,<br />

eccetera, eccetera, eccetera. Ma se altrove con un part-time da studente uno ci vive,<br />

divide casa con la fidanzata –in una situazione in regola e più che decorosa, non in nero in<br />

un seminterrato- e mette da parte anche il minimo per qualche svago, probabilmente dalle<br />

nostre parti saremmo tutti meno bamboccioni se ci passassero un giusto lembo di sottana<br />

dello Stato. Invece ci ritroviamo dal giorno zero a lavarne i panni sporchi. E per la coperta<br />

corta, non siamo noi che abbiamo sbagliato candeggio.<br />

Va giù rapida la pizza. Non sarà come quelle che ci si mangia a casa ma non è affatto<br />

male. Quattro espressi chiudono il pasto e siamo pronti per andare alla stazione.<br />

Scendiamo in metropolitana sebbene il tragitto sia solo di due fermate, sia per il gusto di<br />

farci un giro, sia per evitare il trekking con valigie al seguito attraverso un paio di vie dove<br />

l‟anno scorso ci siamo trovati di fronte a gente con l‟ago nel braccio. Tornati in superficie<br />

dopo sette minuti, varchiamo la soglia della Masarykovo e partiamo verso l‟Est della<br />

Repubblica.<br />

Su un treno sufficientemente vecchio da sapere ancora di cortina di ferro, ci siamo noi<br />

quattro a occupare uno scomparto. Coi soldi che finora abbiamo guadagnato da questo ci<br />

pagheremmo un weekend, con quelli che ci devono forse una vacanza, ma il valore di<br />

quello che siamo non si misura in moneta.<br />

Il paesaggio sfuma in uscita da Praga, facendosi campagna e sfociando poi in Boemia.<br />

Scendiamo e sappiamo già quale strada percorrere. Il cielo è aperto come i nostri sorrisi.<br />

Facciamo radio, musica, scriviamo, viaggiamo quando si può. C‟è chi non sa, chi vede e<br />

non capisce, chi vede e riconosce il valore. Vorremmo non dover mai fermare il giradischi,<br />

sollevare la puntina e capovolgere il vinile, ma per quanto suoni meravigliosamente questo<br />

è solo il lato B delle nostre vite.<br />

36


8<br />

SPIAGGIATO A SETTEMBRE<br />

Quanti CD. Troppi CD.<br />

Dopo una decina di giorni di ritorno dalla Repubblica Ceca sono sommerso di singoli,<br />

album, EP, demo, promo e chi più ne ha, più ne metta. Non sono nemmeno il reduce più<br />

esagerato, visto che il record è spettato come al solito a Daniele. Il vinile è un brutto vizio,<br />

specie quando all‟aeroporto il tuo bagaglio sfora di tre chili e otto.<br />

Settimana scorsa ho dato un ascolto generale a tutto, perché stasera registrando la<br />

puntata per la radio faremo un reportage e girerà qualche nuovo pezzo in tema con la<br />

trasferta. Sono sempre meno disteso però, perché qui il calendario parla chiaro e una<br />

chiamata per le fiere dovrei averla già ricevuta. Settimana scorsa hanno ricominciato e fra<br />

tre giorni ce n‟è un‟altra, ma il mio telefono si è chiuso in un silenzio che sta iniziando a<br />

diventare poco simpatico.<br />

Leviamoci il dubbio e piazziamo una chiamata, mi dico. Mezzo minuto dopo vengo deviato<br />

sulla segreteria di Damiano, quindi ritento e dopo altri trenta secondi la situazione è la<br />

stessa. Lascio stare, contando sulle due chiamate perse che vedrà sul display.<br />

Faccio passare ventiquattr‟ore e chiamo in ufficio. Damiano è in riunione. Lascio detto di<br />

richiamarmi. Arriva sera e non vedo niente. Passa un giorno e niente ancora. Passano due<br />

giorni ed è un'altra fiera a cui sicuramente non lavoro.<br />

Lascio sbollire la cosa ma con l‟inizio della settimana seguente mi ripaleso al telefono.<br />

Segreteria come da copione quando chiamo sul cellulare, così stavolta piazzo un SMS e<br />

in un‟ora e tre quarti eccolo che mi risponde: «Ciao, ho lavoro per settimana prossima. Ti<br />

chiamo presto, ora sono incasinato».<br />

Alla buon‟ora, Damiano, praticamente sarà fine settembre. Vabè, prendiamola con un<br />

pizzico di filosofia, come se mi fossi fermato un mese per delle vacanze estive ritardate.<br />

Un mese ci può stare, specie se questo, dato che è collocato una sorta di fase di<br />

ripartenza un po‟ per tutti. Questione a parte è però il nervoso che mi genera metterci<br />

giorni e giorni per rintracciare una persona nonostante si chiami ogni numero possibile, si<br />

lasci detto a chi di dovere, ci si senta dire che il messaggio verrà passato e si verrà<br />

ricontattati…mentre poi invece tocca ancora aspettare e trovare altre maniere per bussare<br />

alla medesima porta, badando sempre di non sfociare nella cafoneria altrimenti scatta il<br />

cartellino rosso. Ma «persistere non è maleducazione», come recita il motto del mio amico<br />

Alessandro, che non ricordo bene da quale libro di miglioramento personale provenga,<br />

però mi piace. Lui lo fa sempre seguire dal commento, mentre solleva le spalle e rivolta il<br />

palmi delle mani verso l‟alto, «Perché se non vuoi, mi dici di no e io smetto di chiedere». Il<br />

ragionamento non fa una grinza, sebbene l‟insistenza mi risulti sempre scomoda, nel<br />

subirla come anche nel propinarla.<br />

Sia quel che sia. Quindi settimana prossima si lavora in fiera, o così sembra. Se tutto va<br />

secondo i miei calcoli ci dovrebbe essere un discreto gruzzolo in ballo. La famosa volta<br />

che ci avevo lavorato mi erano entrati circa settecento Euro per cinque giorni, che se su<br />

una media oraria sono una ricompensa onesta visto che si parla di dodici ore al giorno, mi<br />

aumentano invece l‟acquolina in bocca se penso a cosa potrei mettermi in tasca lavorando<br />

non quattro, ma anche solo tre o anche due settimane al mese. Per me sarebbe il mix<br />

perfetto: con le fiere porterei a casa un buon mensile e nel resto del tempo potrei<br />

dedicarmi alla musica, alla radio e agli articoli per il magazine, che sapere di aver risolto la<br />

questione monetaria agevolerebbe di sicuro il morale del mio “esercito di un solo uomo”.<br />

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La notizia del lavoro in fiera prossimo alla conferma viene accolta positivamente in casa, in<br />

particolar modo da mia mamma che si lascia andare in un «Vedi, basta avere un po‟ di<br />

pazienza e poi le cose si muovono. Comunque hai fatto bene a farti sentire, perché se no<br />

a uno così impegnato come quello lì passi di mente. Però adesso puoi tirare un sospiro di<br />

sollievo. Rilassati ora, rilassati». Non mi sembrava il caso di tutte queste parole con invito<br />

finale al distendermi, ma chissà, magari si vedeva che ero in pensiero. Ad ogni modo,<br />

quello che dico a mia mamma è che finché non ricevo un‟altra telefonata non c‟è nulla di<br />

confermato.<br />

Due giorni ci mette, ma eccolo che finalmente mi fa lampeggiare, vibrare e suonare il<br />

cellulare. Speriamo non ci siano cambi dell‟ultimo minuto.<br />

«<strong>Matt</strong>ia, carissimo!»<br />

«Ciao Damiano, tutto bene?». Io educato sì, ma senza troppi fronzoli.<br />

«Sì, sì. Scusa per le altre volte ma è stato un inferno…»<br />

«Non ti preoccupare». L‟importante è che siam qui. «Notizie per settimana prossima?»<br />

«Sì, è una fiera di prodotti domestici e altre cose correlate. Avrei pensato a te come<br />

supporto ad uno degli uffici internazionali»<br />

«Benissimo!»<br />

Da qui mi spiega un po‟ di dettagli sull‟incarico, che davvero mi suona bene. Ci sarà da<br />

trattare con espositori e rappresentanze di tutto il mondo, quindi di sicuro risulterò utile e<br />

se ne beneficerà tutti, compresa anche l‟agenzia di Damiano che sta fornendo al cliente<br />

una persona preparata. Mica come in quella famosa prima fiera a cui avevo lavorato, dove<br />

nel nostro team c‟erano un paio di soggetti per le cui magagne ci siamo tutti dovuti<br />

uccidere di lavoro extra l‟ultimo giorno.<br />

Damiano sottolinea di avermi dato un incarico chiave, che si fida di me e che ci tiene a far<br />

bella figura. Ci tengo anch‟io alla bella figura e glielo evidenzio, mentre per il resto non mi<br />

dilungo in parole dato che prediligo parlare fatti alla mano. Persona concreta lo sono, l‟ha<br />

visto e lo rivedrà. Però, giusto per essere concreto al cento per cento, mi permetto anche<br />

una domanda prima che la telefonata giunga al termine. Lui è uno di quelli che si propone<br />

con frasi tipo «Pane al pane, vino al vino», «Diciamoci le cose in faccia», «Andiamo al<br />

sodo» e così via, quindi io mi gestisco in egual maniera.<br />

«Ascolta Damiano, invece…posso sapere di quanto si parla in termini di compenso?».<br />

L‟ho presa comunque morbida, non gli ho certo sparato nell‟orecchio un «Oh, quanto mi<br />

paghi?».<br />

«Allora», risponde lui, «la cosa è ancora in via di definizione tra noi e la società per cui<br />

opererete. A differenza di quando avevi lavorato con noi l‟altra volta, che era tutta un‟altra<br />

faccenda, non ci sono provvigioni perché non avrete nulla da vendere. Tu e quelli che<br />

saranno negli uffici dovrete offrire supporto gestionale».<br />

«OK Damiano, non pretendo che spacchi il centesimo, però suppongo avrai un‟idea della<br />

cifra, grosso modo…»<br />

«Sì, calcola sui cento al giorno»<br />

«Netti?»<br />

«Netti»<br />

«E in totale quanti giorni si lavora?»<br />

«Voi in ufficio lavorate dal mercoledì al lunedì, quindi sono…».<br />

Ci arrivo prima io: «Sei. Sono sei giorni, allora»<br />

«Sì, sei giorni, esatto».<br />

Sei giorni e mezzo risultano invece, quando in seguito viene aggiunto che il martedì<br />

pomeriggio ci sarà un briefing direttamente agli uffici in fiera dove ci verrà illustrato il da<br />

farsi e ci verranno presentati i responsabili della società per cui lavoreremo.<br />

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In fin dei conti quindi mi si prospettano seicento Euro e un pomeriggio regalato, dato che il<br />

briefing non è retribuito. Mi lascia una punta d‟amaro in bocca il fatto che si guadagni<br />

meno di quanto immaginavo, ma qui bisogna ingranare e comunque non sono pochi soldi.<br />

Avanti, cazzo, avanti, che quello che interessa a me è ricevere almeno due incarichi al<br />

mese. Tanto questo tipo di lavoro può essere un ottimo salvagente o magari anche un bel<br />

trampolino, ma di sicuro non ciò che mi terrò per la vita, quindi nel mentre continuerò a far<br />

girare CV e, si spera, a far colloqui. Per intanto Damiano suona contento e a me sta bene<br />

quello che è stato proposto. Quindi avanti, cazzo, avanti.<br />

La spinta di questo adrenalinico slogan fa in modo che io fagociti pre-weekend, weekend,<br />

post-weekend e mi trovi catapultato al venticinque settembre, giorno del briefing. Un<br />

quarto d‟ora di tangenziale, macchina parcheggiata comodamente a venti metri<br />

dall‟entrata e quando vedo un gruppettino di persone con Damiano e la sua assistente al<br />

centro, scendo e avanzo a passo comodo. Qualche minuto d‟attesa in modo che arrivino<br />

tutti e, quasi una decina di minuti dopo l‟orario di appuntamento, ci dirigiamo verso gli<br />

uffici. Mentre scambio due convenevoli con Damiano e ringrazio ancora per l‟incarico<br />

eccetera eccetera, mi trovo per la prima volta all‟interno del nuovo polo fieristico:<br />

mastodontico, padiglioni ovunque e dalle metrature inquantificabili, sembra una città. Mi<br />

chiedo quelli che fanno i facchini che preparazione atletica debbano sostenere per correre<br />

da parte a parte. Dopo mezzo chilometro circa prendiamo una scalinata che ci conduce<br />

agli uffici di direzione, mentre tutti guardano il bar a piano terra con la stessa delusione<br />

degli scolari in gita se la maestra decide di passare oltre il Mc Donald‟s. Poco male,<br />

comunque, perché arrivati al piano di sopra troviamo un catering presso il quale ci viene<br />

promesso potremo rifocillarci. Cose del genere ti fanno sentire importante, un vero minimanager.<br />

L‟incontro parte con presentazioni di vario genere da parte della responsabile della società<br />

organizzatrice, la parola passa poi ad un Damiano che sembra cerchi d‟incamerare quanta<br />

più aria possibile per lievitare dal suo metro e settanta scarso, quindi veniamo divisi per<br />

mansione e scopro chi sono coloro che lavoreranno negli uffici accanto al mio, in quella<br />

che viene definita la “direzione espositiva”. Nel giro di un minuto io e queste altre cinque<br />

persone veniamo portati al banco catering da tre differenti membri della società, due dei<br />

quali si presentano rispettivamente come il responsabile dell‟area Italia e la responsabile<br />

dell‟area Europa, dopodiché il terzo s‟identifica come il vice-responsabile per l‟ambito<br />

intercontinentale. Autorizzati a rifocillarci, vengo preso da parte proprio da quest‟ultimo, il<br />

quale mi spiega che lavorerò per lui e la sua direttrice, che mi comunica essere «molto<br />

ansiosa di conoscerti, viste tutte le lingue che parli. Guarda che può sembrare un po‟ rude<br />

in prima battuta ma è una brava persona, in fondo». Nessun problema da parte mia, se<br />

andiamo d‟accordo sulla sostanza non mi cambia molto che una persona sia soffice come<br />

un Saccottino Mulino Bianco o dura come il pane raffermo. Anzi, meglio non avere attorno<br />

una di quelle classiche donnicciole tutte moine, che dopo un po‟ anche troppe smancerie<br />

tritano i maroni. Lui invece senza dirmi l‟età capisco abbia al massimo trentadue-trentatrè<br />

anni, pur dimostrandone nettamente meno. E‟ molto informale questo Roberto e mi fa<br />

piacere, ma io resto comunque sulle mie. Mi spiega anche come sarà organizzata la<br />

direzione espositiva nel complesso, con in poche parole due persone della mia agenzia<br />

per ognuno degli altri uffici, mentre invece solo io per il suo poiché è l‟unico con direttrice e<br />

vicedirettore. Comunque sia sempre tre persone per settore, con «noi tre» –inteso io, lui e<br />

la direttrice- «a smazzarci la patata bollente più grossa, perché anche se ogni ufficio fa<br />

riferimento ad un numero pressoché identico di espositori, noi trattiamo con circa<br />

trentacinque nazioni diverse, e ti renderai conto di cosa vuol dire». Io non mostro segni di<br />

timore, anche perché non sapendo concretamente cosa mi troverò davanti non sto a<br />

fasciarmi la testa prima del tempo. Poi, mal che vada, sono sei giorni di lavoro, mica da<br />

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qui alla pensione. Qualsiasi piega prenda, saluti e baci settimana prossima. Altro aspetto<br />

per cui non mi turba che questa chiacchierata direttrice possa esser un osso duro. A<br />

questo punto anche tutto il resto della truppa è al banco catering e dopo un quarto d‟ora di<br />

convenevoli in cui un po‟ tutti ci si guarda con la faccia da “Durerà ancora molto?”, vedo<br />

Damiano scambiare un cenno d‟intesa con la prima persona della società che aveva preso<br />

parola e susseguentemente viene dichiarata la chiusura del briefing. «Ci vediamo domani<br />

alle nove e trenta, vestiti normali che tanto è giorno d‟allestimento. Poi mi raccomando, da<br />

dopodomani eleganti ragazzi, e-l-e-g-a-n-t-i e alle otto e trenta in postazione. Tutto<br />

chiaro?». Coro affermativo stonatissimo, risatina generale e via che si va. Punto Damiano<br />

che prende l‟uscita, lo tengo un attimo in disparte e apprendo l‟amara notizia: niente pass<br />

parcheggio, il che significa per me un‟ora e quaranta a vasca sui mezzi, anziché un quarto<br />

d‟ora di tangenziale. Non avrei nemmeno alcun modo di parcheggiare a pagamento,<br />

perché quando arriverò la mattina quelle aree saranno ancora chiuse, mentre la sera<br />

abbasseranno la stanga prima che io smetta. Questa non ci voleva, porco cane, che quasi<br />

tre ore al giorno fuori casa in più del preventivato fanno una grande differenza quando già<br />

si lavora per dodici o tredici. La partenza alle sei e quaranta sarebbe stata uguale anche in<br />

macchina, perché pur solo mettendosi in strada cinque minuti dopo si trova la tangenziale<br />

intasata, mentre invece è il ritorno che cambia, specie perché se non schizzo in<br />

metropolitana alle ventidue e zerouno perdo l‟ultimo treno in Cadorna che può portarmi al<br />

paesello. E fra l‟altro, tutto ciò vuol dire varcare la soglia di casa a ridosso di mezzanotte,<br />

sistemarmi e dover già essere in piedi alle cinque e mezza. Quattro ore di sonno da<br />

domani sera in poi. Ma anche qui, come per la direttrice, in fondo chissenefrega: sarà solo<br />

per una manciata di notti.<br />

Ora via alla svelta come a L.A. quando per i Lakers la partita è decisa e allo Staples<br />

Center scatta il “beat <strong>the</strong> traffic”. Battere il traffico quando si è a Milano è il primo<br />

comandamento, visto che bastano dieci minuti per perdere due ore, tutte a singhiozzo in<br />

prima e a cinque metri alla volta, sballottati sul sedile come sul dorso di un dromedario.<br />

<strong>Matt</strong>ina seguente, sveglia a un quarto alle sette che già è un‟impresa, doccia, colazione,<br />

lavata di denti, pettinata rapida, Levi‟s, maglioncino girocollo azzurro dal tocco<br />

sorprendentemente “principe di Savoia”, giubbino di pelle data l‟arietta, Stan Smith<br />

bianche e via che si va in stazione. E domani si replica, ma con un‟ora e un quarto<br />

d‟anticipo: l‟ora perché si comincia prima e il quarto, invece, per il maledettissimo nodo alla<br />

cravatta, impresa che implica ad ogni sortita attimi di panico con intervento riparatore di<br />

mio padre all‟ultimo secondo. Col solo problema che lui come fare il nodo non me lo sa<br />

spiegare, lo sa fare solo avendocela addosso quella fottuta lingua di stoffa, con<br />

conseguenti momenti al cardiopalma quando la cravatta bell‟e pronta deve passare senza<br />

disfarsi dalla sua e, soprattutto, dalla mia testa.<br />

Arrivo in stazione, biglietto, passaggio a livello giù in un attimo ed eccomi sul sette e<br />

quarantacinque per Milano Cadorna. Una ressa clamorosa, soffocante, che avevo<br />

abbandonato alla fine del secondo anno di università grazie al cambio di sede. Memore<br />

degli infausti tempi riaccendo la furbizia e mi ricavo un posto a sedere in cima alle scale<br />

per il piano rialzato. Polveroso sì, ma grazie al cielo oggi non piove, quindi con due pacche<br />

sul sedere posso levarmi tutto. Ecco che nelle due ulteriori fermate che il treno effettua<br />

prima di tirare dritto fino alla fine salgono ondate di persone che si pressano<br />

all‟inverosimile, con un paio di elementi che cominciano a prendersi pure a male parole. E‟<br />

piacevole vedere come certe cose non cambino mai, infatti al pari di allora a darsi battaglia<br />

per prime sono le donne. Si arriva al capolinea mentre la massa di gente a me sottostante<br />

viene sballottata a più riprese per i colpi che prende il treno, quindi le porte si aprono e<br />

sembra di aver rotto un vaso zeppo d‟insetti, con questi che si propagano velocissimi in<br />

ogni spazio possibile. Conto fino a dieci e salto nella calca anch‟io, in un fiume d‟umanità<br />

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pendolare che si muove per la maggioranza nella mia stessa direzione, giù in<br />

metropolitana sulla linea rossa. Anche qui è un pollaio sotterraneo e non mi resta che<br />

perdere il primo convoglio e farmi spazio fra la gente per raggiungere il punto dove si<br />

fermerà il primo vagone del prossimo. Quello col conducente, quello che mi dico sempre<br />

che se succedesse un disastro sarebbe quello con più vittime, ma l‟unico dove ci sia un<br />

numero ancora ragionevole di persone. Negli altri, peggio che per le sardine in una<br />

scatola. Mezz‟ora abbondante ed eccomi a destinazione. Mostro il pass alla guardia,<br />

attraverso i tornelli, guardo sul cellulare che ore sono e corro, corro, corro. Comincia così<br />

l‟avventura. La prima volta non si scorda mai, ma dicono pure che la seconda sia meglio.<br />

Giorno 1: partiti!<br />

Dopo uno scatto che non mi permettevo più dai tempi in cui giocavo a basket, arrivo in<br />

direzione espositiva alle nove e trenta spaccate trovandoci però solo una persona, vale a<br />

dire Marilena, anche lei qui come me tramite l‟agenzia. Apprendo per bocca sua che gli<br />

altri sono partiti un minuto prima per andare alla messa inaugurale indetta dall‟azienda.<br />

Messa inaugurale? Messa inaugurale?! Dopo tre quarti d‟ora in cui io mi calo in un silenzio<br />

totale, esterrefatto, ecco che la ciurma rientra al gran completo. Roberto varca la soglia<br />

dell‟ufficio e con lui la famigerata direttrice: uno scricciolo di donna, poco sopra il metro e<br />

mezzo tacchi inclusi, età approssimativa sessanta. Non un singolo elemento che mi faccia<br />

presagire un mastino. Dopo le presentazioni di rito, in cui m‟invita a chiamarla per nome -<br />

Flavia- e a darle del tu, i compiti della giornata mi vengono illustrati: mentre lei e Roberto<br />

saranno direttamente ai padiglioni, io ho sia una lista di istituzioni da chiamare per sapere<br />

delle presenze alla cerimonia d‟inaugurazione ufficiale e al pranzo sociale l‟indomani a<br />

mezzogiorno, sia un secondo elenco che andrà modificandosi nel corso delle ore, inerente<br />

agli espositori che ancora non sono giunti sul posto in questa ultima giornata<br />

d‟allestimento degli stand. Per qualsiasi problema mi vengono lasciati i dovuti recapiti.<br />

Fuoco alle polveri, dunque.<br />

Sono subito al telefono con ambasciate e consolati. Rispondono sempre nella loro lingua<br />

madre, quindi dove posso mi gestisco con quella, mentre in altri casi sfondo di prepotenza<br />

con l‟italiano e forza azzurri, tanto giochiamo in casa. Sono tutti gentili devo dire, arrivo<br />

sempre a chi devo arrivare per verificare la presenza di ambasciatori, consoli, ogni tanto<br />

ministri oppure delegati di vario genere. Sollevo la testa la prima volta che son le undici e<br />

mezza e la seconda che è la una meno cinque, in questo caso con una mano di Flavia<br />

sulla spalla, venuta a vedere se tutto procede bene. Giusto il tempo di un breve resoconto<br />

ed eccola che mi concede di andare in pausa pranzo, dicendo di focalizzarmi in seguito<br />

almeno per un‟ora sulla lista degli espositori non ancora sul posto, che lei ha appena<br />

aggiornato dopo le verifiche ai vari stand vuoti. Uscendo per il break, come prima cosa<br />

m‟imbosco a scartare il mio umile tramezzino fatto in casa, mentre tutti gli altri saranno<br />

sicuramente al bar a lasciar giù l‟equivalente di un‟ora di lavoro per una focaccia riscaldata<br />

e una bibita in lattina; poi torno dentro per un blitz alla toilette; afferrati infine quaranta<br />

centesimi dalla giacca e perciò diretto a concedermi un caffè alla macchinetta, chiacchiero<br />

cinque minuti con Marilena, che è stata inserita nell‟ufficio europeo. Concluse le pubbliche<br />

relazioni e buttato giù il caffè mi getto in un‟ora delle più strane di sempre, ricca di<br />

telefonate in Paesi improbabili come Kazakistan, Suriname, Vietnam ed altri, dove di<br />

frequente oltre la cornetta si consumano scene delle più disparate. Esaurite le mie<br />

differenti opzioni linguistiche c‟è chi parte in monologhi nel proprio idioma, chi cade nel<br />

silenzio e chi capisco stia chiamando qualcun altro per farsi dare una mano, lasciandomi<br />

in attesa un millennio col contatore sul telefono a sprintare come un duecentometrista di<br />

Trinidad e Tobago. Alcuni sono i diretti interessati -al cellulare, persi chissà dove- altre<br />

volte mi trovo invece in linea con le reception delle rispettive aziende ed altre ancora<br />

finisce persino che chiamo a casa di qualcuno. Nulla d‟illecito, se ho determinati contatti è<br />

41


perché sono stati dati, ma in ciascuno di questi casi non mi resta che annotare un bel<br />

punto di domanda sulla lista e passare oltre. Trascorsa un‟ora come stabilito, ritorno<br />

sull‟elenco per l‟inaugurazione, che per forza di cose va finito entro l‟orario classico<br />

d‟ufficio «Perché già alle cinque e trentuno in quei posti non becchi più un‟anima», come<br />

esclamato da Flavia a sopracciglio inarcato. Più ambasciate e consolati chiamo, più invidio<br />

coloro che vi lavorano: non parlo di ambasciatori e consoli, miraggi irraggiungibili per un<br />

popolano come me e di cui comunque poco me ne frega, intendo invece che non<br />

dev‟essere davvero male avere un incarico in un ente governativo e starsene in Italia, a<br />

Milano o meglio ancora a Roma, anziché da un‟altra parte. Non per patriottismo, ma<br />

perché diversi di quelli che chiamo sono enti di nazioni devastate, dove la gente muore<br />

ammazzata dai ribelli, oppure senza troppo eccedere si tratta di Paesi dove vorrei davvero<br />

sapere che cazzo ci sia mai da fare. Con tutto il rispetto, ma quando nasci in Azerbaigian<br />

ad esempio, tu là che minchia fai di esaltante? Vuoi star tutta la vita sulle pendici del<br />

Caucaso a tirarti bianca la barba? Per quanto un glorioso Stato, non mi si venga a dire che<br />

offre elettrizzanti opportunità ai propri abitanti. Tu ad esempio, uomo azero, sarai mai<br />

campione del mondo con la tua nazionale di calcio? Vivrai mai tale brivido? No. Beh, per<br />

lo meno tu invece, donna azera, non darai mai fuori di testa con tuo marito perché al posto<br />

di trombarti ha una finale da guardare. Se non altro la famiglia resta unita, di fronte al<br />

focolare o in gita sulle rive del Mar Caspio, che poi però è un lago. Quindi non c‟è dubbio<br />

nel dire che questi venendo in Italia abbiano svoltato, così come chiunque di noi<br />

svolterebbe finendo in ambasciata italiana a Cuba. Ci proverò ad investigare per capire se<br />

può essere una strada anche per me. D‟altra parte il mio corso di laurea dichiarava di<br />

formare figure adatte ad operare nei contesti della diplomazia internazionale, così come al<br />

servizio delle ONG. Vedremo se carta canta.<br />

Con Roberto che arriva caffè alla mano, mi accorgo che sono addirittura le diciassette e<br />

venticinque.<br />

«<strong>Matt</strong>ia, come andiamo?»<br />

«Bene, bene. Solo un paio hanno annullato»<br />

«Espositori?!»<br />

«No no, stavo parlando dell‟inaugurazione di domani, scusa»<br />

«Vabè, amen se ne mancano un paio. Facciamo un punto sugli espositori, invece».<br />

Così dall‟elenco di quelli non ancora arrivati ne depenniamo tredici che si sono presentati<br />

nel corso della giornata. Roberto li ha incontrati ai padiglioni.<br />

«Leva questo, questo e questo anche»<br />

«OK, solo undici ne mancano, quindi»<br />

«Beh, “solo” non direi, <strong>Matt</strong>ia. Guarda che questi tre sono belli grossi, sai che figura che ci<br />

facciamo?». Io comincio a capire l‟ottica della situazione e Roberto prosegue: «Fra l‟altro,<br />

te lo dico perché è importante, il più della gente salda quando arriva e ti garantisco che se<br />

cominciano a tirar bidoni espositori con uno stand grosso come ce l‟hanno questi, è una<br />

montagna di soldi che viene a mancare»<br />

«Ma scusa, è così classico che ci sia chi non si presenta?»<br />

«Non è sempre colpa loro: ad alcuni non sdoganano le merci, altri fino al giorno prima<br />

sono ancora lì ad aspettare il visto. Poi chiaro che a qualcuno, specie ai più piccoli, tipo<br />

quelli a conduzione familiare, basta una persona che s‟ammala e salta tutto. Comunque<br />

domani e dopo sono giorni di visita solo per gli addetti stampa, quindi<br />

contemporaneamente abbiamo della gente in lista d‟attesa pronta a riempire i posti<br />

vacanti»<br />

«Scusa, ma se son dall‟altra parte del mondo come fanno ad arrivare e montare tutto in un<br />

giorno?»<br />

42


«Ce ne sono certi che anche se sono in lista d‟attesa son venuti a Milano lo stesso, con<br />

tutta la roba al seguito. Chiaramente espositori medi, mai grossi, per quello che per noi<br />

avere un buco troppo grande o troppo piccolo è un problema. Finché sette o otto medi non<br />

si presentano, li rimpiazziamo sicuro».<br />

Io ci rimango: c‟è gente che pur senza garanzie organizza tutto. E non stiamo parlando di<br />

gente della zona, bensì di imprenditori che smuovono una camionata o come minimo una<br />

furgonata di roba da un altro continente, pronti anche a restare fuori dal cancello se non si<br />

libera un posto. Pensa te, mi dico, dev‟essere proprio una gallina dalle uova d‟oro questa<br />

fiera.<br />

«Quindi io adesso torno ai padiglioni con Flavia, tu continua a cercare i dispersi»<br />

«Con certi però è un problema, risponde gente che non parla altro che la sua lingua»<br />

«Hmm, tipo?»<br />

«Asiatici soprattutto, poi pure un paio di russi»<br />

«Vabè, prendi l‟indirizzo e-mail che hanno di fianco», indicandomi l‟elenco alzando mento,<br />

«io ora ti apro la mia casella di posta e tu gli mandi una mail in inglese a nome mio, così<br />

poi siamo col culo parato».<br />

Col culo parato. Roberto va veramente sciolto. E meno male, io di certo non mi<br />

scandalizzo. Meglio un ambiente così che un ufficio tutto ingessato dove farsi riverenze a<br />

go-go. Tanto l‟ha capito che tipo sono, ieri è stata una di quelle conversazioni in cui non ci<br />

si dice niente di particolare ma si avverte con chi si ha a che fare, e lui l‟ha inteso al volo<br />

che non sono un addormentato.<br />

Pariamoci „sto culo quindi: a coloro che è inutile richiamare scrivo subito, con gli altri<br />

proseguo in cerca di aggiornamenti. Si son fatte le diciotto e quindici e adagio adagio<br />

m‟inserisco in un tempo morto in cui ho sbrigato il grosso del necessario e comincio ad<br />

avvertire un certo languorino. Mi metto sulla porta, poi decido di andare alla toilette e<br />

buttando al ritorno lo sguardo dentro gli altri uffici realizzo che ci siamo solo noi<br />

dell‟agenzia, mentre i vari capi sono ai padiglioni. Finisce che si scambiano due parole fra<br />

tutti, finché mi suona il telefono e devo andare a rispondere. E‟ Flavia che mi chiede come<br />

vanno le cose, io spiego e morta lì.<br />

Il languorino si fa sentire sempre di più, ma per mia sfortuna non vi è nessun Ambrogio nei<br />

paraggi che possa aprirmi uno scomparto coi Ferrero Rocher messi a piramide, quindi<br />

tocca tener duro. La questione diventa complicata quando uno alla volta gli altri<br />

dell‟agenzia vanno a rifocillarsi e io realizzo di non aver nessuno con cui darmi il cambio:<br />

porca puttana, non avevo ancora calcolato d‟essere stato fregato su questo punto.<br />

Il languorino perde il grado diminutivo e si fa languore, poi acquisisce l‟accrescitivo e si fa<br />

languorone. Poi diventa una bestia di buco allo stomaco che fatico a reggere, visto che nel<br />

mentre non ho nuovi ordini sul da farsi e non m‟è rimasto nulla su cui concentrarmi. Alle<br />

sette e dieci ecco il duo Flavia-Roberto, coi quali stendiamo le basi per l‟indomani.<br />

Dopo venti minuti di strategie, ecco che il dito gira impietoso nella piaga: «Beh, abbiamo<br />

detto tutto. Allora noi andiamo a mangiare».<br />

Io, che in questo momento potrei scannare un caribù, mi sento morire. Lasciato di nuovo<br />

solo, addento una caramella gommosa manco fosse una fiorentina e aspetto,<br />

organizzando la scrivania per la seconda alba e ripassando il da farsi, speranzoso che a<br />

breve tornino per darmi il cambio. Scattate le otto, la lancetta sull‟orologio ne scandisce tre<br />

quarti senza che nessuno si veda.<br />

Di lì a pochi minuti arriva una chiamata sul mio cellulare, che giaceva a peso morto in<br />

tasca dalla mattina. Nemmeno mi ricordavo di averlo.<br />

«Pronto»<br />

«<strong>Matt</strong>ia?»<br />

43


«Sì?»<br />

«Ciao, sono io». Ma cazzo, io chi? Il numero non lo conosco, la voce mi sembra familiare<br />

ma non la inquadro. Come sempre in queste situazioni resto neutro, non chiedo niente e<br />

lascio che i vari dettagli mi dicano con chi ho il piacere d‟interloquire.<br />

«Ah, ciao»<br />

«E, ciao <strong>Matt</strong>ia, tutto bene?»<br />

«Tutto bene…». Ma chi diavolo è?! E che trambusto che c‟ha in sottofondo? La sento<br />

appena.<br />

«Guarda che fra poco ci muoviamo». E muovetevi, manco so chi cazzo siete, per me<br />

potete anche darvi fuoco. Ma la frase prosegue: «…quindi fra una decina di minuti chiudi a<br />

chiave e vai anche tu». Ma porca puttana: Flavia.<br />

Saluto e ringrazio, mi preparo e dopo nove minuti e cinquantanove secondi sgommo. Lo<br />

stomaco non sembra più nemmeno così vuoto, è il poter correre via un‟ora prima del<br />

previsto che mi dà nuova energia. Me ne frego di lasciare giù un‟ora di lavoro in contanti<br />

per un pit-stop al bar, adesso si va a casa e basta.<br />

Meno di due ore dopo sto addentando una cotoletta alla milanese che è un bijou. Primo<br />

round completato. Sono soddisfatto, è una bella sensazione essersi guadagnati la<br />

giornata. Ne mancano cinque.<br />

Giorno 2: mezzogiorno di fuoco<br />

Una martellata in testa è quella che mi sembra di aver preso mentre sono su un mai visto<br />

treno delle sei e quarantadue antimeridiane in direzione capoluogo. Coma totale, ma per<br />

lo meno sono seduto su un sedile vero e proprio, come spetterebbe a qualunque<br />

passeggero a qualunque orario. Per la cravatta solita confusione, ma da oggi la lascio<br />

annodata e sono salvo, mentre invece la particolarità della mia mise è che al momento di<br />

definitivo indosso solo la già citata, annodatissima lingua di stoffa e la camicia. Tutto il<br />

resto, dicesi giacca, pantaloni e scarpe eleganti è ben riposto nel borsone che ho con me.<br />

Per ragioni d‟igiene non mi sono fidato a mettermi addosso tutto subito. Inoltre è<br />

certamente un piacere muoversi in jeans e Stan Smith lungo il tragitto, per la comodità e<br />

perché a me il rumore dei tacchi se non sono di una donna stanno sui coglioni, specie se<br />

del mio famoso vicino, che l‟unica cosa che dovrebbe veramente cambiare da lunedì sono<br />

le scarpe, visto che già alle sette del mattino sembra ci sia uno stage di tip-tap nel<br />

condominio.<br />

Il tragitto è lo stesso di ieri ma decisamente meno congestionato, infatti prendo la prima<br />

metropolitana e arrivo a destinazione con un bel dieci minuti d‟anticipo, giusto il tempo per<br />

salire e cambiarmi con calma. Invece…<br />

«Salve. Ecco qui». Porgo il tesserino alla guardia.<br />

«E lei dove crede di andare con questo?». Voce roca, accento pugliese.<br />

«Non ne ho un altro, questo ci hanno dato». Faccio suonare forte il «ci», come a far capire<br />

che sono sicuro di non essere il Calimero della situazione.<br />

«Deve aspettare le nove e trenta»<br />

«Senta, io comincio a lavorare fra dieci minuti e mi devo anche cambiare. Per favore…»<br />

«Io non ci posso fare niente»<br />

«Guardi che l‟ho usato anche ieri, e io lavoro per gli organizzatori, in direzione, mica per<br />

un espositore. Vede qui?». Gli indico le specifiche riportate, così come il logo della società,<br />

che contemporaneamente domina su una miriade di pannelli promozionali sparsi<br />

tutt‟intorno. Spero che almeno sia il suo subconscio a fargli fare associazione mentale,<br />

dato che si vedono più quelli che il colore del cielo.<br />

44


Mentre lui guarda il mio badge spostandoselo lontano e vicino come uno che avrebbe<br />

bisogno di un paio d‟occhiali ma è troppo uomo per dirselo, sento un voce da dietro.<br />

«<strong>Matt</strong>ia, ciao». E‟ Marilena.<br />

«Ciao Mari». Col sorriso e l‟aria da infastidita allo stesso momento.<br />

«C‟è qualche problema?»<br />

«Il tesserino, signora» esclama la guardia, sempre alle prese con la sua indagine da RIS.<br />

«Nando, cos‟è che non va bene?». Gli si rivolge direttamente e lui, sentendosi chiamato<br />

per nome, alza lo sguardo.<br />

«Oh…ciao! Mi sembrava di conoscere la voce!». Ha già cambiato tono e finito di fare lo<br />

spaccone, a quanto pare. Mi ci gioco le palle che se non fosse che Marilena è così carina,<br />

un tot di cafoneria sarebbe rimasta. Invece zero, sparita. Alt un momento però, fermi tutti,<br />

concentrazione: Marilena oggi è davvero molto più carina dei giorni scorsi. Pollice su per<br />

le giornate eleganti, rivelano piacevoli sorprese.<br />

«Nando, ce l‟ho anch‟io identico. Cosa facciamo, non ci fai passare?»<br />

«Vabè, visto che sei qua te andate, mi fido. E tu, ragazzo, offri un caffè alla signorina, mi<br />

raccomando, perché se no te ne stavi qui a farmi compagnia fino alle nove e mezza».<br />

Ma vaffanculo, coglione, e mettiti gli occhiali.<br />

Io e Marilena procediamo verso la direzione a passo speditissimo, che mancano due<br />

minuti all‟ora X, con io che per giunta devo ancora completare la trasformazione.<br />

Infilo la chiave nella porta dell‟ufficio tre minuti in ritardo, miracolosamente senza che vi sia<br />

ombra di Roberto e Flavia. Già me li immaginavo lì a indicarmi il quadrante dei rispettivi<br />

orologi da polso sulle otto e trentatré. Meglio così, quindi apro, accendo il computer e<br />

intanto che carica tutto l‟ambaradan volo in bagno a cambiarmi.<br />

Ci metto il minimo indispensabile ed esco dal bagno addirittura con le stringhe arrabattate<br />

dentro le scarpe, con l‟intenzione di allacciarle in tutta calma una volta in controllo della<br />

postazione. Ecco che arrivo e in controllo della postazione ci trovo invece Flavia e<br />

Roberto, con le facce serie serie. In un attimo penso a cosa possa essere successo. Ti<br />

pareva, saranno già stati qui prima delle otto e trenta, quando quel deficiente mi stava<br />

bloccando all‟entrata, hanno trovato la porta dell‟ufficio chiusa, sono andati a fare<br />

colazione, dopo un quarto d‟ora sono tornati e hanno trovato sì la porta aperta, ma non me<br />

e quindi han pensato che fossi andato con nonchalance a farmi un bel cappuccino con<br />

brioche. Infatti…<br />

«Fatto colazione, <strong>Matt</strong>ia?». Flavia, senza neanche guardarmi in faccia.<br />

«No, ero un attimo in bagno» e dopo un secondo di eterno silenzio «e prima ho avuto<br />

casini giù con la guardia all‟entrata. Non voleva lasciarmi passare»<br />

«Ogni anno la stessa storia» dice Roberto, che evidentemente non può riferirsi a me.<br />

«Perché?» chiedo io, dubbioso se stia parlando di qualche ritardatario di anni addietro.<br />

«Perché c‟è un mucchio di gente che falsifica i pass per entrare. Da un lato c‟han ragione<br />

le guardie ad essere strette, ma i loro capi dovrebbero anche svegliarsi a dare le<br />

informazioni corrette, perché noi gliele facciamo avere»<br />

«Ieri invece non m‟hanno fatto storie», rispondo io.<br />

«Ieri era ieri» dice Flavia, inacidita.<br />

«Allora, io e lei adesso andiamo giù che c‟è bordello. Tu ora comincia a chiamare gli<br />

espositori dispersi, dai a tutti una svegliata e aggiorniamoci massimo alle dieci. Se non<br />

sono arrivati a mezzogiorno sono esclusi. Questa è la lista d‟attesa con anche la metratura<br />

di stand che ognuno vorrebbe. Lì sotto c‟è segnato il numero di Pedretti: la situazione<br />

concreta ce l‟ha in mano lui su dove sistemare uno piuttosto che l‟altro, quindi c‟è bisogno<br />

che venga in ufficio a dirti cos‟abbiamo disponibile. Comunque cominciamo a sentirci noi<br />

alle dieci, poi vediamo man mano».<br />

45


Loro se ne vanno, io comincio a fare quello che devo, chiamando i celebri desaparecidos.<br />

Si fanno le dieci meno dieci che ho necessità di una botta di zuccheri, quindi mi alzo<br />

moneta alla mano e mi dirigo verso la macchinetta, facendo però tappa all‟ufficio a fianco.<br />

Imitando l‟accento pugliese di poc‟anzi, busso ed esordisco con «Signorin‟ vèng‟ che le<br />

offr‟un gaffè, ghe se non er‟ pellèi io me ne rimanev‟ fuori a fare gompagnia a guèll‟».<br />

«Ha-ha!” Risata squillante, fragorosa fra il resto delle voci sopite degli uffici della direzione.<br />

Me la cavicchio con le imitazioni.<br />

Marilena si alza dalla sedia col sorriso e andiamo a prenderci qualcosa, io una cioccolata<br />

e lei un cappuccino extra zucchero. Ci raccontiamo un attimo come procede e quando mi<br />

chiede a che ora ho in programma di fare la pausa pranzo le rispondo che è tutto da<br />

vedere, dato che ieri ho saltato la cena perché non ho nessuno che mi dia il cambio.<br />

«<strong>Matt</strong>ia, qui ti devi gestire per i cavoli tuoi, ricordatelo. Se aspetti che si sveglino gli altri,<br />

buonanotte»<br />

«Eh, ma son da solo in ufficio. Tu almeno hai…com‟è che si chiama l‟altra ragazza, che mi<br />

son dimenticato?»<br />

«Sara»<br />

«E già, Sara. Eh, tu hai lei, nell‟altro ufficio sono in due di noi anche lì. Io son da solo.<br />

Comunque magari ieri sera è stato un malinteso, vediamo oggi».<br />

Marilena ha un nonsoché di delusione negli occhi, ma in tutta calma mi dice: «Vabè, se ti<br />

serve che ti prenda qualcosa al bar comunque fammi sapere».<br />

«Grazie, ma mi son portato dietro un panino da casa per mezzogiorno e oggi anche uno<br />

per stasera, in caso d‟emergenza»<br />

«Ma guarda che non puoi mica andare avanti a panini fino a lunedì!». C‟è qualcosa di<br />

materno nei miei confronti che non decifro. Sarà che ha ventinove anni. I numeri son<br />

numeri, anche se non li dimostra.<br />

«No, non ti preoccupare, resisto».<br />

Sarò stato un po‟ troppo sulle mie? Boh. A scanso di equivoci rattoppo con un chiaro<br />

sorriso che però si richiude dopo un secondo, perché sento il telefono del mio ufficio che<br />

suona. Ci diamo un cenno d‟intesa e ognuno torna al suo da fare. Io alzo la cornetta al<br />

quarto squillo ed è Roberto.<br />

«<strong>Matt</strong>ia, hai lì qualcuno?»<br />

«No no, Roberto. Sono andato a prendermi un caffè, che a metà mattina mi serve». Fa<br />

niente che fosse la cioccolata, dire caffè fa sembrare molto più rapido il break.<br />

«Vai tranquillo, che qui bisogna arrivare a sera». Che piacere avere un capo<br />

accomodante. «Comunque <strong>Matt</strong>ia, aggiornamenti sui dispersi?»<br />

«Allora, progressi: due mi han detto che stanno arrivando ma sono nel traffico, mentre altri<br />

tre han detto che stanno montando gli stand adesso»<br />

“Proprio qui ti volevo. Bravo, mi hai preceduto, infatti chiamavo anche per dirti di levare tre<br />

nomi dalla lista che li ho visti qui al padiglione».<br />

Controlliamo per sicurezza che i nomi corrispondano e in effetti tutto torna. Rimaniamo<br />

che ci si risente poco prima del cerimoniale.<br />

Nel giro di pochi minuti però la situazione si capovolge, perché comincio a ricevere una<br />

marea di chiamate dalle segreterie di ambasciate e consolati per confermare orario e<br />

luogo dell‟inaugurazione, così come le targhe delle auto da comunicare alle guardie, dato<br />

che questa gente non viene certo coi mezzi. Speriamo che il solerte Nando non sia stato<br />

clonato. Contemporaneamente, prima uno, poi due, poi tre, poi una fila, mi bussano alla<br />

porta espositori con questioni delle più disparate, fra chi sbaglia ufficio e chi è salito a<br />

consegnare la prova di pagamento, fino a chi ha problemi con la corrente o il vicino di<br />

postazione.<br />

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Sembra un‟udienza a corte: uno ad uno li ascolto, prendo i dati e la posizione, infine<br />

restando sul diplomatico dico che «risolveremo il più presto possibile». Bado bene ad<br />

essere educato con tutti, ma la risposta che ricevo ad ogni passaggio è sbalorditiva: lunghi<br />

ringraziamenti, strette di mano, inviti agli stand e promesse di regali. Sono a bocca aperta.<br />

Si vede che qualcosa azzecco. Arriviamo alle undici e mezza che c‟è ancora qualcuno, ma<br />

il telefono ricomincia a suonare all‟impazzata e scopro di avere tre ambasciatori e cinque<br />

consoli bloccati all‟ingresso. Tento di raggiungere al volo Roberto ma suona occupato,<br />

quindi provo su quello di Flavia.<br />

«Dimmi <strong>Matt</strong>eo». Sorvolo, badiamo alla sostanza<br />

«Flavia, guarda che mi sono arrivate una scarica di chiamate e abbiamo otto persone fuori<br />

dal cancello con l‟auto, non le fanno entrare»<br />

«Chi?»<br />

«Te lo stavo appunto per dire: tre ambasciatori e cinque consoli»<br />

«Cosa?!»<br />

«Vuoi che vada là? Però qui mi tocca chiuder l‟ufficio che se no non c‟è nessuno».<br />

Evidenziamo.<br />

«Ma che figure di merda!». Flavia è in ebollizione. «Aspetta, aspetta, fammi pensare. Lì<br />

come va, invece?»<br />

«C‟ho una processione di gente per…»<br />

«Mandali a cagare! Tu mandali a cagare!». E‟ davvero fuori.<br />

«Ma…». Vorrei spiegarle un attimo che certi hanno problemi concreti.<br />

«No, no! E adesso, adesso cosa cavolo facciamo? Senti, chiama qualcuno perché quelli<br />

che ci sono fuori devono entrare subito! Che figure, che figure!»<br />

«E…». Troppo tardi, ha già messo giù.<br />

Tento una chiamata a Roberto ma è ancora occupato. A questo punto controllo l‟elenco<br />

dei numeri utili ma non vi è nessuna traccia di qualcosa che riguardi la sorveglianza. Vedo<br />

con la coda dell‟occhio Marilena che passa oltre la porta del mio ufficio e la chiamo.<br />

Tempo tre secondi ed eccola.<br />

«Madonna ma che folla che hai qui. Stai regalando soldi?»<br />

«No, ma che, questi voglion parlare sicuramente dei problemi che hanno agli stand o<br />

lasciare la prova di pagamento. Invece, sai mica come si chiama la società per cui lavora il<br />

tuo caro amico Nando?».<br />

Colpo fortunato. Con lei e Google in un minuto stano il numero della centrale fieristica,<br />

chiamo e spiego cosa sta succedendo. Lascio un recapito e dico di provvedere<br />

immediatamente. Che chiunque mi chiami. Non per riverenze da suddito verso il tal o il tal<br />

altro personaggio, ma perché c‟è qualcuno che sta sbagliando qualcosa e ne sta uscendo<br />

un casino.<br />

I secondi passano lenti, al rallenty, perché qui ho ancora persone fuori dalla porta, giù c‟è<br />

gente fuori dal cancello e io non mi posso sdoppiare. Per intanto vedo di liquidare i due<br />

disperati che ho di fronte adesso, venuti a dirmi che il vicino di stand ha parcheggiato della<br />

roba nel loro e non si decide a levarla. Prendo i dati e come di prassi rassicuro che ci<br />

muoveremo il prima possibile, quindi saluto. A questo punto decido di andare di persona<br />

all‟ingresso per sbrigare la questione dei diplomatici. Frugo in tasca per la chiave, la trovo,<br />

esco, comunico alla folla che mi sto assentando per un‟emergenza, la folla borbotta, io sto<br />

per dare la seconda mandata ma sento il telefono che squilla. Riapro, mi chino sulla<br />

scrivania in una posizione del tutto sconveniente e prendo la cornetta.<br />

«Il dottor Colombo?»<br />

«Sì».<br />

47


Miracolo! No, non perché per la prima volta qualcuno mi chiama dottor Colombo, ma<br />

perché mi stanno telefonando dall‟ingresso automezzi. Mi tocca riprendere il foglio e<br />

recitare titolo, nome della persona e targa dell‟auto per ognuno, mentre una guardia grida<br />

all‟altra quello che dico. Altro che le barzellette sui carabinieri. Ed entrano il primo, il<br />

secondo, il terzo e il quarto ma sul quinto abbiamo un problema: non corrisponde l‟auto,<br />

mentre tutto il resto sì. Dico di muoversi sugli altri e qui tutto combacia fra quello che io<br />

dico e quello che loro si trovano di fronte, perciò il problema stava probabilmente solo sugli<br />

elenchi che avevano. A questo punto chiedo di richiamarmi passati dieci minuti e mi lancio<br />

al telefono con il consolato del personaggio ancora bloccato. Nel giro di breve raggiungo<br />

chi di dovere e domando spiegazioni. Banalmente: errori di spelling sulla targa, “b”<br />

diventate “d” e una “s” rocambolescamente diventata “6”. Va bene, va bene, problema<br />

risolto.<br />

La questione è che in questo ufficio io da solo non posso fare miracoli, serviva minimo<br />

un‟altra persona e non solo per darmi il cambio ai pasti. Che nervi, la solita gente che<br />

punta al risparmio. Adesso sono io incazzato nero, altro che Flavia. Ecco che mi<br />

richiamano dalla guardiola, io spiego la situazione e quindi anche l‟ultimo reietto viene<br />

fatto entrare. «Oh, comunque ve la prendete voi la responsabilità!» mi dice il tizio al<br />

telefono, non Nando ma probabilmente un imparentato. Sì, sì, ce la prendiamo noi la<br />

responsabilità, dai, avanti, far passare e via una rottura di coglioni per il dottor Colombo.<br />

Ma poi chi l‟ha detto a loro che son dottore? Come l‟avran capito che sono dottore? Sarà<br />

una presa per il culo o che qui tutti si fan chiamare dottore? O che da laggiù quando<br />

chiamano quassù danno a tutti del dottore per riverenza automatica? Mah…<br />

Chiamo Flavia per dire che la situazione si è sbloccata, ma adesso è lei col telefono<br />

occupato. Provo con Roberto, mi risponde dicendomi che Flavia stava giusto tentando di<br />

chiamarmi, io gli do la buona novella e lo sento tirare un sospiro di sollievo mentre sposta<br />

il cellulare e mette al corrente anche la nostra cara dama. Faccio pure in tempo a dirgli<br />

che quassù le acque sono molto agitate, salvo poi essere mollato in fretta visto che<br />

l‟inaugurazione incombe. Va bene, ridiamo il via alla processione. Però fermi un attimo, qui<br />

ormai è mezzogiorno e c‟è da chiamare il celebre Pedretti per decidere in merito alle liste<br />

d‟attesa. Facciamolo.<br />

«Pronto»<br />

«Sì, salve signor Pedretti, sono <strong>Matt</strong>ia, lavoro per Flavia e Roberto»<br />

Dopo essersi scandalizzato per il fatto che io gli abbia dato del lei, mi dice: «Verrò su<br />

appena possibile. Sto avendo dei problemi con gli allacciamenti della corrente di diversi<br />

espositori». Ottimo direi, il buon Pedretti sembra fare al caso mio, mi spiace solo che avrà<br />

un‟ulteriore dose di noie dopo avermi incontrato. E sì, c‟è gente che ha problemi e io mi<br />

permetto di esclamare «Ottimo!»: sto proprio diventando uno squalo egoista, un vero<br />

manager. Basta che ci sia chi può risolvere i miei cazzi che del resto me ne infischio, per<br />

me a quel punto è tutto ottimo, con anche un arrogantissimo punto esclamativo. E siamo<br />

solo al secondo giorno.<br />

Avanti un altro, un altro e poi altri due assieme, finché mentre accompagno questi alla<br />

porta vedo una specie di ciclone sbraitante puntare il corridoio. Uno schizzato di non<br />

precisata provenienza che sventolando un foglio come fosse una molotov cerca con lo<br />

sguardo la targa dell‟ufficio designato per il tumulto. Vedo che guarda sopra la mia testa e<br />

poi: «Flavia, c‟est vous Flavia?!». Letteralmente con lo sguardo omicida.<br />

«Non, c‟est pas moi mais je travaille pour elle». Specifico, come dire che ambasciator non<br />

porta pena: non sono io Flavia, ma comunque lavoro per lei. Tralasciamo che sono<br />

maschio e quello è un nome da donna, non mettiamo i puntini sulle “i”.<br />

48


«J‟ai payé, j‟ai payé, c‟est pas vrai que j‟ai pas payé!». Insiste sul dire che ha pagato,<br />

come se io conoscessi per filo e per segno la sua situazione, mentre invece nemmeno so<br />

chi sia.<br />

Gli dico di calmarsi un attimo e di aspettare in fila, che tutti se la stanno educatamente<br />

facendo, ma questo non ci sente. Ha il veleno negli occhi e impreca un po‟ in francese e<br />

un po‟ in una lingua ostrogota che qualcuno in coda però evidentemente capisce, dato che<br />

due uomini si staccano e si avvicinano parlandogli, con l‟evidente intenzione di calmarlo.<br />

C‟è poco da fare, il tizio è fuori controllo, un cavallo da rodeo. Si forma rapidamente un<br />

capannello di gente degli uffici e di gente in fila, come fosse per metà una rissa da godersi<br />

a bordo ring e per metà una situazione in cui dover saltare addosso in massa a uno<br />

squilibrato prima che estragga un mitra e faccia una carneficina. Io cerco di scorgere se<br />

nel mentre ci sia qualcuno della sicurezza a cui fare un cenno. Negativo, un cazzo di<br />

nessuno. Vorrei vedere cosa farebbe in questo momento il solerte Nando, giusto per<br />

capire se è più Chuck Norris o Commissario Winchester.<br />

Quando le fiamme divampano, l‟unica è usare l‟estintore. O almeno provarci, in attesa dei<br />

pompieri. E l‟estintore umano non può essere altri che il sottoscritto. Allora, come stazza<br />

siamo uguali, non sono di fronte a sproporzioni bibliche come in Ken il Guerriero, dove di<br />

frequente uno dei contendenti era grande quanto una falange dell‟altro. Non che io voglia<br />

menar le mani, ma c‟è da contemplare che lo voglia lui. E‟ una scena da “Mezzogiorno di<br />

fuoco”: il corridoio è il nostro saloon, tutti ci stanno guardando e questo gringo ha qualcosa<br />

da ridire sulla proprietaria. Tocca quindi a me difendere l‟onore di colei che mi sta<br />

spianando la strada per la ricchezza e far capire a questo tizio che non si passa da Fiera<br />

Town piantando grane e uscendone indenni. Nossignore! Faresti meglio a tornartene da<br />

dove sei venuto, forestiero, perché ora capirai di aver trovato pane per i tuoi denti.<br />

Avanzo verso colui che oggi ha deciso di digerire piombo, così che fra il mio naso e il suo<br />

ci sia una spanna o pressoché. Il Padreterno gli ha regalato degli occhi acuti, peccato non<br />

abbia fatto così col cervello. Ma è pur sempre vero che ogni uomo ha un motivo per<br />

perdere le staffe, a volte. Magari era anche lui un bravo cowboy, ma successe qualcosa.<br />

Già, succede sempre qualcosa (ormai nella mia testa parlo con la voce di John Wayne).<br />

Ogni bestia indomita va riportata alla calma e qui tocca a me farlo. Ho già mosso tre passi<br />

in avanti e non sono il tipo da muoverne indietro. Non mi piace chi non sa andare alla fine<br />

di quello che ha cominciato.<br />

A questo punto faccio una cosa del tutto normale: gli spiego che non è la maniera di agire<br />

e che se continua a dar di matto “qualcuno” chiamerà la sicurezza, così che sarà spedito<br />

fuori dai cancelli in meno di dieci minuti, perdendo la possibilità di fare quello per cui ha<br />

transumato fin qui dal suo Paese. Insomma, lui è salito sbraitando per una questione di<br />

soldi e io lo tocco su quelli che non incasserà se prosegue su questa linea. Chi ha<br />

orecchie da mercante, di fronte a frasi come queste orecchie da mercante evita di farle.<br />

Dalla rivolta alla calma in un minuto: do pacatamente uno sguardo al foglio che impugna,<br />

lo indirizzo verso l‟ufficio contabilità (che fortunatamente è altrove, almeno avrà chance di<br />

sbollirsi nella scampagnata) e la questione è risolta. Alla mia sinistra, uno stuolo di<br />

colleghe capitanato da Marilena mi guarda con la faccia da “Oh, mio eroe!”; alla mia<br />

destra, la fila della gente che ancora devo sentire si ricompone. Avanti il prossimo, quindi.<br />

Ah, nota al margine: nessuno mi aveva autorizzato a minacciare di estromissione gli<br />

espositori. Vabè, Maradona la chiamerebbe “mano de Dios”.<br />

Dopo una mezz‟oretta di udienze ecco che arriva il famigerato Pedretti. A porte chiuse<br />

quindi, per la gioia della gente in fila, cominciamo la puntata aziendale di “Chi l‟ha visto”:<br />

Pedretti parte con una mossa a sorpresa, estraendo una mappa dettagliatissima dei<br />

padiglioni che mi dice aver aggiornato dopo un giro di ricognizione appena concluso.<br />

49


Fantastico, grazie a degli arrivi freschi freschi scriviamo un numero di OK che ci permette<br />

di scendere a quota cinque. Tra questi ne noto uno che sulla mappa di Pedretti è<br />

sottolineato in rosso e chiedo come mai.<br />

«Porca puttana…». Così parlò Pedretti.<br />

«Cosa?»<br />

«Questo stand non lo possiamo dar via, perché il tizio è uno dei pochi che ha già fatto il<br />

saldo completo»<br />

«Almeno i soldi ci sono» dico io, mostrandomi incline alla massimizzazione del profitto<br />

come piace alle aziende.<br />

«Questa va discussa con Flavia e Roberto»<br />

«Perché?»<br />

«Perché noi di vuoto non lasciamo niente». Accidenti, pareggio con gol da antologia per<br />

Pedretti sulla massimizzazione: vendere anche il già venduto.<br />

A questo punto contattiamo rapidamente i primi quattro in lista d‟attesa e questi esultano<br />

uno per uno: più che una pioggia di ringraziamenti, un‟alluvione. Su richiesta di Pedretti do<br />

anche direttive molto strette in quanto a modalità di pagamento e tempi di allestimento, ma<br />

questi sempre che ringraziano, ringraziano e ringraziano. Accetterebbero di tutto in questo<br />

momento. Dico anche ad ognuno di mandare un delegato in ufficio da me come prima<br />

cosa una volta sul posto, autorizzandoli a saltare qualsiasi fila al grido di “Waiting list”, lista<br />

d‟attesa. E giù ancora ringraziamenti su ringraziamenti, come non esistessero altre parole<br />

al mondo, con me sempre più ad interrogarmi su quali prodigi faccia questo evento a chi vi<br />

partecipa, visto che dalle reazioni sembra ancora una volta di aver regalato ad un bulimico<br />

un ingresso alla fabbrica di Willy Wonka.<br />

Pedretti a questo punto si congeda, lasciandomi il compito di discutere coi due capoccia il<br />

da farsi per lo stand in sospeso ed avvisarlo in seguito. Io, prima di riprendere con le<br />

udienze manco fossi Mastella a Ceppaloni la domenica mattina, azzanno uno dei miei due<br />

panini, quello al formaggio. Per stasera, se il cielo mi concede un minuto, mi resta quello<br />

al cotto. Neanche le due del pomeriggio e già mi sembra di essere uscito da un<br />

pentathlon, con per di più ancora otto ore davanti. Speriamo che finisca come ieri, con<br />

un‟oretta abbonata e una fuga disperata verso sessanta preziosissimi minuti di sonno<br />

extra.<br />

Una volta rifocillato proseguo con una migliore visione del mondo finché, evidentemente<br />

appesantiti (per non dire freschi di rutto) sopraggiungono Flavia e Roberto, l‟immagine<br />

della sazietà, visione che mi riporta a sentirmi un perfetto denutrito. Senza degnare di uno<br />

sguardo la gente in fila chiudono la porta e si adagiano su due sedie come sprofondassero<br />

in poltrona dopo un‟abbuffata natalizia. Io vedendoli raggianti m‟informo su come sia<br />

andata la mattinata, sentendomi declamare il menù del pranzo più che il numero di incontri<br />

o eventuali notizie di rilievo. Li lascio sfogare, concedo loro di esternare cotanta gioia<br />

nonostante sia seccato giusto-una-punta da quanto mostrino inesistente interesse per le<br />

mie sorti alimentari. Si fa quindi il mio turno di parlare e faccio un resoconto della giornata<br />

di fuoco finora trascorsa, sciorinando fatti e fattacci con le annesse soluzioni<br />

appositamente come fossero quisquiglie, roba da niente, vento fresco, desideroso di<br />

vedere che effetto faccia. Roberto mostra più coinvolgimento, Flavia invece non batte<br />

ciglio se non per chiedermi se ce l‟abbia fatta a intendermi con tutti. Domanda spiattellata<br />

in maniera arrogante e senza un concreto perché, ma io lascio cadere seguendo la regola<br />

del “beneficio del dubbio nei confronti del capo”, inedita variante con molta, ma molta, ma<br />

molta più elasticità rispetto alle situazioni extraprofessionali.<br />

Selezionato quindi il mio unico interlocutore per i prossimi minuti, mi appresto ad affrontare<br />

il caso “Al-Haddad: il disperso pagante”, mentre Flavia parte in direzione toilette senza<br />

proferir parola, con me a chiedermi se abbia realizzato di essere stata sconveniente o se<br />

50


le sia partito un ponte per colpa dell‟ultimo dei tre bignè che si è sparata dopo il rientro.<br />

Alla facciazza mia e senza offrire, naturalmente. Comincio a capire perché, seppur con<br />

tutte le sfumature, mi erano state ventilate certe frasi al briefing. Ecco, se c‟è una cosa che<br />

fatico a farmi risultare come rugiada sulla pelle sono proprio le persone così, quella gente<br />

lunatica che ti spinge a fermentare pian piano finché finisci a chiedere se “per caso” ci sia<br />

qualcosa che non va, per sentirti dire verbalmente di no mentre con tutto ciò che verbale<br />

non è ti vengono inviati chiari segnali di tempesta. Vedremo se toccherà arrivare a tal<br />

punto, ma per ora preferisco sperare in lune propizie fino a quando il mio compito non sarà<br />

assolto. In fondo non ce ne vogliono molte. Poi che se la sorbiscano quelli che ci lavorano<br />

assieme tutto l‟anno.<br />

«Roberto, qui abbiamo un problema di cui c‟è da far sapere a Pedretti cosa si decide»<br />

«Cioè?»<br />

«Questo tizio, Al-Haddad, è uno dei pochi che aveva già pagato tutto, ma non è arrivato»<br />

«E cazzo…». Roberto si adombra.<br />

«Peggio che peggio, è uno di quelli con cui non ci si riesce ad intendere per via della<br />

lingua»<br />

«Quindi non si sa nulla di cosa ne sia „sto qui?»<br />

«No, niente. Anche all‟e-mail nessuna risposta»<br />

«Anche?». Gli vedo una scintilla nell‟occhio.<br />

«Eh sì»<br />

«Senti, allora tu dì a Pedretti che ne mettiamo dentro un altro e via. Perché noi di vuoto<br />

non lasciamo niente».<br />

Se poc‟anzi avevo pensato che questa potesse essere la sparata di uno un po‟ troppo<br />

aggressivo nell‟intendere gli affari, ora che la sento per la seconda volta e da una seconda<br />

bocca comincio a pensare sia invece il mantra aziendale. Non è la mia filosofia, ma io non<br />

sono qui per lanciare crociate equo-solidali, quindi mentre anche Roberto parte sulla via<br />

della toilette –questo pranzo dev‟essere stato davvero sostanzioso- io balzo al telefono<br />

con Pedretti, capisco che genere di nome in lista d‟attesa contattare e via. Quando<br />

entrambi i miei boss ritornano dalla gita ai servizi igienici, la faccenda è sbrigata. Quasi<br />

colti di sorpresa da cotanta rapidità, ecco che per bocca di Flavia mi viene concessa una<br />

pausa caffè mentre loro si smazzeranno le udienze con quelli fuori dalla porta. Uscendo<br />

noto meno gente di prima, rientrando poi dopo un quarto d‟ora ne noto solo uno in attesa e<br />

due dentro. Vabè, dopotutto sono in due, mi dico. Vabè, poi sono anche esperti, aggiungo.<br />

Poi non essendoci una terza scrivania e per non interrompere nessuno, resto in disparte<br />

ma comunque con occhi e orecchie sulla conversazione. Non che ci sia molto però,<br />

perché il trattamento è l‟immagine della sbrigatività, il che non è per forza un male se non<br />

fosse in questo caso per la palpabile attitudine in stile “Non sono qui per te” (Roberto) e<br />

“Ricordati chi sei, suddito” (Flavia). Ci rimango abbondantemente basito, dicendomi come<br />

per darmi conforto che magari con questi due specifici espositori sia davvero il caso di<br />

usar tali maniere. Non posso giudicare essendo entrato a conversazione avviata, ma<br />

sicuro è che a prescindere ci vuole un bel pelo sullo stomaco a porsi con questo tipo di<br />

sfacciataggine. Io non ce la farei a far così. Ma soprattutto, sarei autorizzato a far così?<br />

Prendo l‟iniziativa di sentire sulla porta cos‟abbia bisogno l‟ultimo disgraziato: disguidi coi<br />

pass. Lo indirizzo all‟ufficio corretto e il problema per noi è uno in meno.<br />

Dio che giornata, questa sì che è una maratona. Ho anche perso la cognizione del<br />

tempo…ed era effettivamente meglio averla persa visto che, da come m‟informa lo<br />

schermo del computer, sono poco più che le tre del pomeriggio. Bene, mi manca solo una<br />

cosa come una normale giornata di lavoro di un bancario e poi me ne posso tornare a<br />

casa: sei ore e trenta.<br />

51


Una e mezza parte con Flavia a dettarmi una lettera di ringraziamento alle rappresentanze<br />

diplomatiche presenti all‟inaugurazione. Scrivi, cancella, riscrivi, punto e a capo, lascia una<br />

riga vuota: sembra il dettato delle elementari, o meglio sembriamo maresciallo e appuntato<br />

per come lei cammina a mento alto su e giù per l‟ufficio mentre mi detta una missiva che<br />

muta una dozzina di volte, si evolve e s‟involve modifica dopo modifica. Novanta minuti<br />

per riempire nemmeno una facciata, Times New Roman 12.<br />

Il resto del tardo pomeriggio è contraddistinto dalle visite di rito degli espositori che dalla<br />

lista d‟attesa si sono aggiudicati il posto. Uno sparuto gruppetto messi tutti assieme, infatti<br />

bastano le dita di una mano per contarli, ma accade comunque qualcosa di significativo:<br />

ognuno di questi bussando alla porta chiede di “Mister Colombo”, con grandi sorrisi,<br />

vigorose strette di mano e in ogni caso un piccolo presente. Per me. Mi trovo quindi al<br />

centro di una situazione in prima battuta gratificante, ma dal secondo momento in poi di<br />

notevole imbarazzo: l‟ultima ruota del carro, senza volerlo, ha un riflettore puntato addosso<br />

e l‟aureola da benefattore in testa. Il tutto avviene per un motivo semplice e lineare, cioè<br />

che con questi elementi ci ho parlato io. Quello che però viene mal digerito da qualcuno<br />

(donna, corporatura minuta, età avanzata, pronunciata passione per i bignè) è che non vi<br />

sia menzione per nessun altro. Io sono ben consapevole che i risultati ottenuti durante<br />

questa fiera siano frutto di un lavoro pregresso di cui io non faccio parte –e ci<br />

mancherebbe, son qui da due giorni- perciò faccio del mio meglio per allargare la visuale a<br />

questi espositori e spostare l‟attenzione su Flavia, captando quanto la regina desideri<br />

essere adulata. Roberto non è un problema, ha preso a fare su e giù coi padiglioni e<br />

anche quando capita nel mezzo di una situazione del genere non sembra curarsene.<br />

Flavia invece potrebbe azzannare e nonostante i miei sforzi per ridirezionare sorrisi e<br />

ringraziamenti, una volta esauriti questi incontri capisco benissimo quanto astio stia<br />

covando nei miei confronti. Roba da fumo dalle narici, il che mi fa sentire molto a disagio<br />

soprattutto perché baratterei tutte le dimostrazioni di gratitudine ricevute -per quanto sia<br />

sempre bello sentirsi apprezzati- coi pranzi e le cene di cui lei dispone o magari anche<br />

solo con un pass parcheggio come il suo, prendendomi più sostanza e lasciando a lei<br />

l‟onore d‟essere la “première dame” alla quale tutti s‟inchinano. Tanto io settimana<br />

prossima me ne torno da dove sono venuto e l‟importante non è quanti regalini da far<br />

vedere alla mamma riuscirò ad incamerare, ma quanto positivo sarà il resoconto che<br />

arriverà a Damiano. Per questo che ci tengo a lavorare bene. Dunque pochi fronzoli: che<br />

mi si lasci pure nell‟ombra e risplendano di luce eterna coloro che per questo evento<br />

lavorano dodici mesi l‟anno. E‟ giusto così. Se però mi è concesso un appunto, Flavia<br />

dovrebbe anche fare uno più uno ed evitare di prendersela come fosse un caso di lesa<br />

maestà. Piccola donna, grande ego.<br />

«Purtèm pascienza», direbbe mia nonna: portiamo pazienza.<br />

Esattamente come ieri, arriviamo in una fascia oraria in cui l‟ambiente si fa tranquillo. Non<br />

manca molto prima che il mio bis di capi parta per la cena, ma mentre Roberto è ancora<br />

impegnato coi padiglioni, Flavia, dopo qualche parola scambiata sulla porta con le<br />

colleghe che dirigono gli altri uffici, si riaccomoda alla scrivania, controlla un quarto d‟ora le<br />

sue e-mail, dopodiché siamo entrambi senza nulla da fare e nella stanza si condensa uno<br />

strano silenzio. Dura una decina di minuti, mentre io cerco di guardare ovunque,<br />

controllare e ricontrollare cose già sistemate, riassettare la scrivania, temperare le matite,<br />

rimettere il cappuccio alle penne, riporre gli evidenziatori nel cassetto in ordine cromatico e<br />

verificare che le rotelle sotto le sedie girino a dovere. Tutto per un semplice motivo: evitare<br />

che si finisca a guardarsi in faccia. Finite le opzioni, però, entro davvero in circa centoventi<br />

secondi d‟immobilità, con lo sguardo fisso alla porta come a pregare che qualcuno bussi,<br />

che Roberto torni o che Flavia venga nuovamente chiamata a conversare da una qualsiasi<br />

collega.<br />

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Tutto d‟un tratto, dal nulla:<br />

«<strong>Matt</strong>ia, tu sei di CL?»<br />

«No».<br />

E sul di silenzio in cui ripiombiamo cala anche un gelo siberiano. Ma che domanda è?<br />

Cosa vuole sapere adesso? E me l‟avrà chiesto perché è di CL e considera un infedele chi<br />

non lo è, oppure perché non è di CL e le sta sulle palle chi lo è? Eh?<br />

Di qualunque parrocchia (è proprio il caso di dirlo) Flavia sia o non sia, sicuro è che una<br />

domanda del genere è fatta per innalzare il conflitto. Per fare conversazione c‟erano<br />

parecchie altre opzioni.<br />

Dopo poco, ecco rientrare Roberto. Aggiorna direttamente Flavia ed indirettamente anche<br />

me sulle ultime novità, dopodiché comunica a Nostra Signora che è stato indetto un<br />

meeting dal direttore generale prima di cena, cosa che richiede un pre-meeting della<br />

direzione espositori fra un quarto d‟ora. Flavia sembra colta di sorpresa, ma non tanto da<br />

quello che c‟è da fare, quanto dal dover incontrare il direttore generale senza aver<br />

occasione di sentirsi al top della presentabilità, come quelle donne di paese che se non<br />

riescono a passare dalla parrucchiera il sabato hanno difficoltà ad andare in chiesa la<br />

domenica. Scheggiando quindi lei e la sua trousse verso i bagni, ho occasione di rimanere<br />

solo con Roberto, che dopo avermi chiesto come stia andando ha altro da dirmi.<br />

«Comunque fra ieri e oggi hai lavorato veramente bene, bravo»<br />

«Grazie Roberto. Cerco di fare il meglio che posso». So di non eccedere in originalità, ma<br />

il sorriso che mi viene compensa in gentilezza.<br />

«Io l‟avevo detto che ci voleva uno con le palle. Il casino con il pazzo di stamattina<br />

soprattutto l‟hai gestito alla grande, non è da tutti. Gli anni scorsi ci sono state persone che<br />

di fronte ad episodi del genere sono scoppiate in lacrime. Sono contento che Damiano ti<br />

abbia inserito nel team».<br />

Seguitamente, Roberto mi domanda nel dettaglio cosa io abbia studiato all‟università.<br />

Parliamo cinque-sei minuti, ma significativi. Mi fa piacere abbia lanciato questa<br />

chiacchierata e mi verrebbe anche da chiedergli in merito alla strana uscita di Flavia su<br />

CL. Ma alla fine evito: che ci s‟intenda non vuol dire che ci sia confidenza, quindi glisso<br />

giusto un secondo prima di aprir bocca e rischiare di compromettermi.<br />

Una volta salpati gli eroi per il trittico pre-meeting, meeting e cena, vengo lasciato in una<br />

“no man‟s land” manco fossi Hevia con la cornamusa asturiana. Con l‟udito che mi si affina<br />

nel silenzio comincio a captare persone che chiacchierano in maniera rilassata, così esco<br />

in corridoio, faccio una visita a Marilena, mi unisco al gruppetto e nel giro di dieci minuti ci<br />

ritroviamo ancora una volta tutti assieme noi dell‟agenzia. Si fa conversazione, ogni tanto<br />

a qualcuno suona il telefono ma principalmente vige calma piatta. Salta fuori che c‟è chi è<br />

la prima volta che lavora in fiera, chi invece è d‟esperienza come Marilena e chi sta nel<br />

mezzo; chi è di Milano, chi abita a due passi dalla fiera e chi come me si deve fare una<br />

vasca per arrivarci; chi studia, chi sta cercando lavoro e chi proprio come lavoro a tempo<br />

pieno fluttua di evento in evento al servizio di Damiano o di altri. Insomma, un team ben<br />

variegato, ognuno cordiale con l‟altro e nel mentre il tempo passa. Ogni tanto butto<br />

l‟occhio sul corridoio come fossi un radar a caccia d‟intrusi, ma credo proprio che nessuno<br />

dei capi miei o degli altri si farà vedere fino a dopo cena. Passato un certo orario, noi<br />

dell‟agenzia siamo più guardiani del faro che altro.<br />

Fattasi la fame di una certa imponenza per tutti quanti, mi tocca rinunciare a qualsiasi<br />

turnazione per la pizza, la focaccia o la piadina che sia. Ancora di vedetta e abbandonato,<br />

stasera ho però un degno panino al cotto pronto ad immolarsi per la mia sopravvivenza.<br />

Tutti si mostrano apprensivi nei miei confronti, ma come ovvio dico di non preoccuparsi,<br />

53


che sono a posto così. Padrone della situazione, azzanno la mia cena facendo briciole<br />

ovunque mentre mi concedo una comoda navigata in Internet a puro scopo personale. In<br />

amore, in guerra e anche in pausa, tutto è lecito.<br />

Sulla cresta dell‟onda dei fattacci miei tiro le ventuno e dieci e mentre a casa mi starei<br />

gustando “Spetteguless” o “I nuovi mostri”, ecco che rientra la velona locale con al seguito<br />

l‟intero manipolo di capi e capetti. Chiudo le finestre spalancate sui miei affari, mi metto<br />

sull‟attenti e una volta sopraggiunto anche Roberto ecco che la cricca si disperde, tutti<br />

verso i propri uffici, sorridenti e pieni come portaombrelli in Scozia. Quando la porta si<br />

chiude, si palesa un odore di grigliata intenso tanto quanto quello di una canna accesa a<br />

un concerto dal tizio a fianco. Se prima ero soddisfatto e calmo, adesso con questi aromi<br />

che svampano non posso che immaginare immensi girarrosto, grasso che gronda, fiamme<br />

che abbrustoliscono la carne fuori e la lasciano al sangue dentro, contorni di patate al<br />

forno, camerieri con le braccia doloranti per il peso delle portate…<br />

Sennonché un rutto di Roberto, contenuto ma pur sempre una fialetta al vino marcio, mi<br />

riporta alla realtà, nonostante il sogno rimanga incastonato in due dita abbondanti di<br />

acquolina. Ormai so che restano solo scampoli della partita odierna, ma si parte per un<br />

confronto a tre sull‟andamento generale e sulle proiezioni per i giorni a seguire. Roba di<br />

rito, ma prende comunque mezz‟ora con Flavia che poi si alza, impugna il cappotto e dice:<br />

«Bene, possiamo andare». Sissignora.<br />

«<strong>Matt</strong>ia, chiudi tu fra un quarto d‟ora, allora?». E io che pensavo che la frase precedente<br />

includesse anche me.<br />

«Ehm, sì sì, Flavia».<br />

«Carico come oggi, domani, eh!» mi dice Roberto, cercando di riparare in simpatia al tiro<br />

mancino della sciura.<br />

«Tranquillo» e gli allargo il sorriso anch‟io.<br />

«Ciao <strong>Matt</strong>ia, buona serata»<br />

«Ciao Flavia». E buona serata dove, sui mezzi?<br />

Lascio scivolare l‟ultimo quarto d‟ora nel silenzio più totale. Fiera chiusa al pubblico già<br />

dalla mezza e tutti col solo pensiero di andare a casa, quindi totale inutilità della mia<br />

presenza.<br />

Ventuno e cinquantanove, arriva in corridoio una guardia giurata mentre sto spegnendo il<br />

computer e impugnando lo zaino. «Si chiude!» esclama, con la voce squillante e la<br />

cadenza infastidita di chi vuole redarguire i drogati di lavoro.<br />

Giorni 3-4-5: motori avanti tutta<br />

Si procede a cannone. Mi sento come un treno a vapore inarrestabile verso la meta,<br />

ingranaggi semplici ma meccanismi perfetti, sudore e risultati, il minimo di carbone e il<br />

massimo di distanza percorsa. Perché il segreto è sempre la qualità della locomotiva.<br />

-Il gentilissimo Signor Colombo-<br />

Nel corso della tre giorni s‟instaura un rapporto idilliaco con gli espositori, che mi frutta<br />

regali e proposte di ogni sorta: oltre che una quantità industriale di cioccolatini, frutta e<br />

pietanze tipiche da tutto il mondo, ricevo proposte di lavoro come interprete agli stand per<br />

le cui ottime retribuzioni sarei tentato di fare ciao ciao con la manina a Flavia. Inoltre, un<br />

paio di uomini d‟affari franco-senegalesi coi quali salta fuori del mio impegno in campo<br />

musicale, addirittura m‟invitano nella loro città con un persuasivo e scioccante «<strong>On</strong><br />

organise un petit show pour toi et après…il y aura aussi des femmes», cioè vogliono farmi<br />

esibire dal vivo e poi mi dicono che ci saranno anche delle donne, con tanto di occhiolini e<br />

inequivocabili gesti con le mani. Non me ne voglia nessuno, io per primo mi trovo in<br />

imbarazzo di fronte a sparate del genere. Cioè, suonare all‟estero? Oh cavoli!<br />

54


Quel che succede segue comunque una dinamica molto semplice: io ascolto, prendo nota<br />

delle esigenze e segnalo a chi di dovere. Nulla di eccezionale, faccio solo il necessario e<br />

lo guarnisco con della –dovuta, credo bene- cortesia. Altri, evidentemente, no.<br />

«Buongiorno, c‟è il gentilissimo Signor Colombo?», «Ah, ringrazi il Signor Colombo che è<br />

stato gentilissimo», «Farò arrivare un presente per il Signor Colombo, è proprio<br />

gentilissimo»...<br />

-Colombo, vaffanculo!-<br />

Diametralmente opposti sono gli episodi di sfanculamento, per giunta multilingua. Tutti<br />

avvengono nella terza giornata e arrivano da parte di espositori in lista d‟attesa che non<br />

hanno ottenuto un posto, chi imbufalito, chi in lacrime per i soldi buttati al vento per visti,<br />

biglietti d‟aereo, trasporti vari, eccetera. «Lo sapevano benissimo che non c‟era nulla di<br />

garantito», ribatte Flavia ogni volta. Io, in versione sacco da boxe telefonico, rimango<br />

dubbioso sui termini in cui questo “nulla di garantito” sia stato venduto. Che questa sia una<br />

tana di vecchie volpi è cosa ormai nota.<br />

-L’odio-<br />

Fra me e Flavia finisce come nel film di Kassovitz ed esaurita la caduta, arriva<br />

l‟atterraggio. Stranamente le dinamiche sono l‟inverso della norma: caduta relativamente<br />

breve e atterraggio invece eterno, come se la prima fosse proiettata in fast forward e il<br />

secondo in slow motion.<br />

Nelle relazioni esterne all‟ufficio, chi meglio le lecca il culo sopravvive e chi invece no se la<br />

vede grama. I regalini e le moine la esaltano e simmetricamente tutto ciò che non<br />

contempla salamelecchi finisce per renderla caustica. Ogni riverenza mancata è per lei un<br />

casus belli, l‟iscrizione della tal persona sul libro nero.<br />

Nelle relazioni interne all‟ufficio, con me è presto detto: sufficienza a pioggia e grandinate<br />

di cafoneria di quando in quando. Con Roberto invece le cose sono diverse, ma nemmeno<br />

più di tanto: a parole tutto normale, ma la chiave di lettura è da trovarsi in certi particolari<br />

silenzi. Poi ritorniamo sempre al celebre avvertimento che proprio Roberto mi aveva<br />

lanciato al briefing, parole che all‟inizio mi erano suonate superflue ma delle quali ora<br />

comprendo appieno la valenza.<br />

Nelle relazioni di corridoio, cioè quelle con gli altri uffici e i relativi membri, si vede invece<br />

una creatura diversa, come prevedibile. E‟ purtroppo nel copione di tutte le arpie da<br />

azienda, nei film come nella realtà, l‟essere cerbero nei propri due metri quadri e al<br />

contempo recitare la parte del Nobel per la Pace al di fuori di essi, coi pari ruolo e<br />

naturalmente coi superiori. Certamente solo io, Roberto e chi al mio posto è passato gli<br />

anni scorsi sappiamo con che genere di persona abbiamo a che fare; gli altri invece<br />

devono scegliere se credere ad una recita o ad eventuali reportage. Fiction o cronaca,<br />

insomma.<br />

Per tutto questo mix di atteggiamenti, arrivo al punto in cui mi è inevitabile smettere di<br />

coltivare il giardino zen, con la sua sabbietta e la sua cascatina. Essere professionali vuol<br />

dire adempiere al proprio compito e di sicuro su questo io non manco. Ciò per cui invece<br />

sviluppo intolleranza è la parte supina del concetto di professionalità, quella regola non<br />

scritta per cui dei superiori bisogna subirsi gli scleri anche se immotivati e nei toni della<br />

maleducazione. C‟è una zona nel rapporto lavorativo che interseca la sfera personale di<br />

ciascuno e ciò avviene quando vengono toccati i tasti –naturalmente per chi ce li ha-<br />

dell‟etica e del rispetto. Per esempio, in quanto ad etica un comunista dovrebbe evitare di<br />

lavorare in ambiti dove la caccia al profitto regna sovrana; in quanto al rispetto, invece,<br />

ognuno dovrebbe andare a prendersi il proprio caffè senza ordinare ad altri di farlo, a<br />

meno che non sia nel contratto. Seguendo questo ragionamento, Flavia urta la mia etica<br />

per come conduce qualsivoglia relazione professionale e manca di rispetto nei miei<br />

55


confronti in un abile concatenarsi di maniere implicite ed esplicite. Il difetto della mia<br />

flessibilità è che non raggiunge i novanta gradi e già da una buona ventina prima comincia<br />

a far suonare l‟allarme. Ed è così che ad ogni goccia di veleno di Flavia, ad un certo punto<br />

comincio a farne corrispondere una mia. Mai verbalmente, mai compromettendo il mio<br />

operato, ma di certo per fermare un mezzo d‟assalto non si può usare una manciata di<br />

coriandoli.<br />

-Carramba che sorpresa!-<br />

Il terzo giorno risuscitò da morte. Ma non salì al cielo, salì all‟ufficio.<br />

Mi trovo un documento piantato in mano così dal nulla assieme ad altre carte col logo<br />

della “nostra” società, lo stesso che aveva messo in crisi le diottrie dello sceriffo Nando.<br />

Quello che mi sembra un sordomuto, capisco invece consultando il passaporto perché non<br />

proferisca parola, così come che razza di bomba stia per deflagrare: signore e signori,<br />

direttamente dal Maghreb, da laddove il Mediterraneo bacia l‟Africa, dalle terre in cui i<br />

tramonti hanno il colore del fuoco…il signor Al-Haddad!<br />

Subito prendo il telefono e faccio partire una chiamata.<br />

«Dimmi <strong>Matt</strong>ia»<br />

«Roberto, indovina chi ho qui? Al-Haddad»<br />

«Cosa?!». E per poco non sputa le tonsille.<br />

Dieci minuti dopo sia lui che Flavia arrivano in ufficio con gli occhi sgranati e le facce da<br />

morto in casa. Al-Haddad è seduto comodo comodo sulla sedia, isolato nel suo<br />

monolinguismo, probabilmente convinto che sia arrivato il comitato d‟accoglienza in suo<br />

onore, mentre invece la situazione è ben diversa.<br />

Io, come ai tempi delle scuole le poche volte che non ero coinvolto in qualche casino,<br />

appoggio la schiena alla sedia e mi appresto a godermi il dramma. Stavolta è pure bello<br />

grosso. Mantra aziendale „sta gran fava, «noi di vuoto non lasciamo niente». Mo‟ voglio<br />

vedervi!<br />

A parte i sorrisi e le strette di mano, i miei due testano che davvero il malcapitato non<br />

comprenda un accidente di italiano e passano quindi ad interagire fra loro senza peli sulla<br />

lingua. Al-Haddad nel mentre chissà a cosa pensa, probabilmente crede ci siano ritardi col<br />

tappeto rosso per condurlo al suo stand, inconsapevole che il tappeto rosso si potrebbe<br />

anche organizzare, ma un po‟ più difficile è far levare da là dentro la persona che si è<br />

insediata pagando. Ci sarebbe proprio da mettere in sottofondo Renato Zero con<br />

“Triangolo”, visto che nessuno l‟aveva considerato eppure ora è qui bell‟e fatto: su un lato<br />

il tandem Flavia-Roberto, sull‟altro l‟ormai star Al-Haddad e sul terzo un imprenditore<br />

ancora ignaro del tutto, che si starà beatamente promuovendo al padiglione, con magari la<br />

radio sintonizzata a caso che passa “Su di noi” del buon Pupo. Invece, altro che nemmeno<br />

una nuvola…<br />

Vie d‟uscita non ce ne sono. Viene convocato anche Pedretti e dopo qualche ulteriore<br />

minuto di camera di consiglio dove se ne sentono di ogni, Al-Haddad viene appioppato a<br />

me assieme al compito di andare a cercare qualcuno fra gli espositori che possa salire a<br />

fare da interprete. Lui un genio -e non della lampada- a venire senza nessuno che lo<br />

supporti dal punto di vista linguistico, ma certo furbi pure i compari miei a non prendersi<br />

pure una persona che parli arabo, con tutti i clienti che hanno di quei Paesi (e con me<br />

senza spalla per i cambi ai pasti, ribadiamo). Quindi vado, peregrino in cerca di un‟anima<br />

pia e rientro ben dopo la mezz‟ora impostami come tempo di campo libero dai i maghi<br />

della doppia vendita. Il comitato tiene il colpo di genio segreto e riparte con Al-Haddad alla<br />

volta dei padiglioni. Chissà lui come si sente importante, scortato a destra e a manca dalle<br />

alte cariche.<br />

Dopo un‟ora circa, ecco Flavia e Roberto di ritorno.<br />

56


«Quindi?»<br />

«E‟ andata». Naturalmente è Roberto a rispondermi.<br />

«Grande!». Con una falsità totale, devo ammettere. Mi sarebbe piaciuto vedere i capi nel<br />

guano. Come abbiano fatto esattamente non è dato sapere. Presumo Pedretti abbia risolto<br />

con carta millimetrata e fantasia da bricolage.<br />

E ancora lavoro, lavoro e lavoro. Incontri, telefonate, problemi da risolvere, traduzioni,<br />

panini da casa, cioccolate alla macchinetta, guardie scettiche sul pass, albe viste sulla via<br />

della stazione e tramonti persi in un ufficio senza finestre.<br />

Il congedo della penultima sera non so perché ma odora di vigilia di Natale, di quasi fine<br />

scuola. Passo il tragitto verso casa a chiedermi come mai, dopo aver fatto una decina di<br />

fermate di metropolitana chiacchierando con Marilena, ridendo del più e del meno.<br />

Giorno 6: è Natale (o l’ultimo giorno di scuola?)<br />

Non essendo giornata d‟apertura al pubblico si attacca alle nove e mezza e dopo un tour<br />

de force a sonno rateizzato la differenza si sente. Abbigliamento informale, prospettive<br />

rilassate soprattutto per i piedi, spacco il minuto e mi lascio dietro alcuni colleghi che<br />

intravedo coi rispettivi superiori al bar a piano terra, dove figurano anche Flavia e, a<br />

sorpresa, Damiano. Tiro dritto e salgo in ufficio, lasciandoli a quella che ha tutta l‟aria di<br />

essere una colazione premio.<br />

Aprendo la porta dell‟ufficio vedo Marilena sbucare in corridoio.<br />

«Ma abbiamo fatto i monelli?»<br />

«Perché?»<br />

«Noi niente colazione premio?»<br />

«Eh?»<br />

«Sì Mari, ho visto giù al bar tutti o quasi, capi inclusi»<br />

«No allora…è per la Messa di congedo»<br />

«Ossignore!»<br />

E ci sorridiamo a vicenda con gli occhi furbi. Marilena sa cogliere le battute sottili, mi piace<br />

questa cosa.<br />

Riprendiamo i discorsi abbandonati in metropolitana ieri sera e tra una chiacchiera e l‟altra<br />

consumiamo i nostri pagani minuti parlando di viaggi, studi e sport. Io bado bene a non<br />

toccare l‟argomento musica, perché per qualche strano effetto ne sono così coinvolto da<br />

non volerlo esporre a una collega, ed entrambi non facciamo menzione a nulla che possa<br />

lambire la sfera amorosa. Io sono single, quindi c‟è poco da dire, ma lei? Niente è scontato<br />

quando una donna non si sbottona in tal senso.<br />

Una volta che le anime pie tornano dalla funzione, si dà inizio ad una giornata che<br />

assomiglia sì al Natale, ma più dal punto di vista degli elfi visto che c‟è da impacchettare<br />

tutto per il rinvio in sede centrale. Elenchi, brochure, cancelleria varia, stampanti e<br />

computer: tutti lavorano con tutti e il campo è perfettamente sgombero da impicci. Pausa<br />

pranzo globale, dopodiché meeting per i pezzi da novanta. E‟ alla fine di questo che<br />

Damiano convoca tutti noi dell‟agenzia e ci fa un discorso conclusivo. Emerge che<br />

abbiamo lavorato bene e che i capi sono soddisfatti. Al termine, mentre torniamo tutti ai<br />

nostri uffici per vedere il da farsi, mi prende da parte e mi carica una dose di complimenti<br />

personalizzata.<br />

«<strong>Matt</strong>ia, bravo. Mi hanno parlato molto bene di te»<br />

«Grazie! Meno male, ho cercato di fare più che potevo»<br />

«Avevi una posizione cruciale. Partivi pure svantaggiato, diciamo, visto che prima avevano<br />

avuto la stessa persona per tre anni e sai com‟è, quando c‟è un rapporto di fiducia<br />

consolidato…»<br />

57


«Capisco, capisco»<br />

«Ma alla fine hai fatto meglio di quanto si aspettassero»<br />

«Bene, bene». Ma chi avrà sciorinato tante belle parole sul mio conto?<br />

«Ma invece ascolta, con Flavia non c‟è stato un gran feeling, vero?». Eccoci al punto, ti<br />

pareva.<br />

«Damiano, in tutta sincerità, la signora è fatta alla sua maniera, per così dire». Devo<br />

difendermi a dovere, perché qui si capisce subito che lei si è lamentata. «Potrei citarti una<br />

decina di episodi in cui mi ha trattato come una pezza da piedi». Poi calo l‟asso: «Ma in<br />

fondo, che fin dal briefing io sia stato praticamente messo in guardia da Roberto vuol dire<br />

parecchio…»<br />

«Non ti preoccupare, non ti preoccupare. L‟importante è che hai lavorato bene»<br />

«Quindi Damiano, guardando avanti», colgo l‟occasione d‟oro di averlo qui in diretta, «altre<br />

fiere o cose del genere a cui lavorare ce ne sono?»<br />

«Sì sì, lasciami fare l‟occhio e poi ci sentiamo»<br />

«Benissimo, grazie mille»<br />

«Grazie a te, <strong>Matt</strong>ia».<br />

Ritorno in ufficio e trovo Roberto, per un altro dialogo.<br />

«Allora <strong>Matt</strong>ia…»<br />

«Dimmi»<br />

«Cosa farai adesso?»<br />

«Guarda, momentaneamente è difficile da dire. Lavorerò ancora per Damiano mentre<br />

continuerò con colloqui vari e altre cose mie»<br />

«Quindi stai cercando lavoro?»<br />

«Sì»<br />

«Allora fai una cosa, tu mandami il tuo CV che poi qui ci penso io».<br />

Ottimo, cavoli. Allora è vero che è piaciuto come ho lavorato! Rispondo affermativamente<br />

e ringrazio per la proposta. Riflettendoci nei minuti a seguire capisco quale territorio fertile<br />

io abbia a disposizione con questa storia delle fiere: ogni volta nuove realtà con cui<br />

mettermi in mostra e tentare un passo avanti tramite un‟entrata privilegiata, già introdotto e<br />

soprattutto già testato. Qui davvero ho trovato un trampolino d‟eccezione.<br />

Mentre Roberto torna ad altri incontri e incontrini da ultimo giorno, io mi trasferisco a fare<br />

l‟aiutante di Babbo Natale negli altri due uffici, dove chissà come mai hanno ancora un bel<br />

po‟ di roba da inscatolare.<br />

Una cazzata via l‟altra –oggi ce lo si può decisamente permettere- tiriamo quasi le diciotto,<br />

allorché sento il telefono squillare nel mio ufficio. Vado di corsa ed è Roberto che mi<br />

chiede se abbia voglia di andare a cena con loro. Ringrazio ma rifiuto, ufficialmente per<br />

questioni di trasporti complicati per rincasare dal ristorante sui Navigli che mi menziona,<br />

ma di fatto anche per evitare di dovermi intrattenere con Flavia. Mi viene quindi concesso<br />

di andare a casa.<br />

Ma Flavia, appunto: sto per far comparire il “The End” su questo schermo, ho il suo<br />

numero di cellulare sottomano ma cosa faccio, la chiamo o non la chiamo? Allora, sì o no?<br />

Lascio vincere l‟orgoglio, facendomi passare in testa un paio di episodi topici di questi<br />

giorni più una proiezione mentale di come potrebbe essere umiliante sentirmi trattare con<br />

sufficienza anche un secondo prima di uscire. Egualmente, anche la più rosea delle<br />

previsioni, cioè quella di una reciproca leccata di culo, mi mette la nausea. Quindi via, il<br />

mio servizio l‟ho fatto.<br />

Faccio un giro di saluti a baci e abbracci tenendo Marilena per ultima, chiedendole<br />

«Sigaretta?» come per lanciarle un segnale di richiesta di privacy, visto che lei fuma ma io<br />

no. C‟incamminiamo all‟esterno verso la metropolitana, con lei che mi fa vedere che si è<br />

58


fatta un taglietto chiudendo un pacco, io che la prendo per i fondelli dandole della vittima,<br />

lei che mi dà uno schiaffo sulla spalla e poi ci guardiamo in faccia. Due secondi di silenzio,<br />

poi il silenzio lo rompiamo perché sta parlando troppo.<br />

All‟imbocco della scalinata della metro ci diamo un abbraccio e un bacio sulla guancia, con<br />

la ferma, implicita volontà di non incappare in discorsi che sappiano di conclusione.<br />

Passato l‟attimo del bacio sulla guancia, le tengo una mano dietro la schiena e lei me ne<br />

tiene una salda sul braccio. L‟altra sua mano impugna già l‟accendino e fra indice e medio<br />

la Merit che si accenderà sulla via del ritorno agli uffici. Mentre la mia mano libera<br />

accarezza il dorso della sua, siamo sicuramente sotto l‟occhio di qualche telecamera. Tre<br />

secondi dopo, qualche schermo in qualche sala di sorveglianza proietta improvvisamente<br />

un non preventivato, ma tanto atteso, attimo.<br />

59


9<br />

PASSARE DAL VIA<br />

Un paio di giorni d‟assestamento sono necessari, come fosse un weekend ma in mezzo<br />

alla settimana, dopodiché attendendo novità da Damiano riprendo in mano le redini delle<br />

solite manovre di ricerca generale. Nel mentre strappo un mese al calendario e anche per<br />

il mio ufficio casalingo siamo in ottobre. Sulla proposta di inviare il CV a Roberto, a mente<br />

fredda mi ritrovo abbastanza scettico: ha senso fare domanda in un posto dove avrei già<br />

una nemica dal giorno zero, per di più in una posizione di rilievo? Mettiamo la questione<br />

da parte per il momento, che fra nuove fiere e nuovi colloqui è facile trovi altre occasioni.<br />

Riaprendo le e-mail ieri sera ho trovato una richiesta di contatto da parte di un‟agenzia<br />

interinale della zona, con la quale mi ero fatto vivo subito dopo la laurea per aggiornare il<br />

mio status. Vi ero iscritto sin da circa fine liceo ma da parte loro non è mai arrivato nulla.<br />

Chissà stavolta, invece. Quando le interinali spuntavano come funghi, nel raggio di cinque<br />

chilometri da casa mi ero registrato a tutte o quasi, una buona dozzina. Sembrava<br />

dovessero essere la rivoluzione dell‟impiego, io però non ci ho mai tirato fuori niente: mi si<br />

diceva ogni volta che se fossi stato un operaio specializzato in qualche ambito o se avessi<br />

avuto un titolo di studio in più avrei avuto diverse possibilità, ma messo com‟ero messo<br />

purtroppo c‟era poco da fare. Non ero «né carne, né pesce», come mi sentivo ripetere. Poi<br />

c‟erano volte che davvero avevo di meglio da fare che andare a scaricare divani per venti<br />

ore su due giorni a quattro Euro l‟ora. Adesso invece, essendomi laureato, qualcosa<br />

dovrebbe cambiare.<br />

Nel corso di una telefonata rapidissima mi viene detto di passare quando voglio per «fare<br />

due chiacchiere e sentire la proposta». Non perdo tempo in ulteriori domande perché le<br />

interinali si sa che altro non dicono, quindi salto in macchina e vado.<br />

Giunto in sede, siccome la persona con cui devo parlare è occupata in un colloquio, vengo<br />

invitato ad accomodarmi e a riempire un formulario, munito di penna a sfera aziendale.<br />

Riempio la prima pagina e alla fine, spazientito da questi soliti, eterni convenevoli guardo<br />

le altre tre e vedo che non è altro che il formulario on-line in versione cartacea, lo stesso<br />

già compilato tempo addietro. Mi alzo e vado dalla signorina che mi ha accolto. Sì, con<br />

una velata supponenza, ma la gente si deve dare una svegliata.<br />

«Scusi, ma questo non è mica come il vostro formulario on-line?»<br />

«Sì»<br />

«Eh, allora guardi che io sono già nel vostro database»<br />

«Ah sì?»<br />

«Sì. Provi a dare un occhio per sicurezza. <strong>Matt</strong>ia Colombo»<br />

«Ehm…ehm…ehm…»<br />

«L‟ho aggiornato qualche mese fa, dopo il nuovo titolo di studio»<br />

«Eccolo. Sì, ce l‟ho»<br />

«Allora devo per forza compilare anche questo?»<br />

«Ehm…no, può lasciare stare allora»<br />

«Grazie». Ma svegliamoci, per la miseria. E la penna gliela frego per vendetta.<br />

Resto cinque minuti a girarmi i pollici –sempre meglio che compilare formulari inutili- e<br />

vengo quindi chiamato nell‟ufficio della manager. Dopo un excursus generale sulla mia<br />

situazione, i miei studi, le mie aspirazioni professionali e addirittura i miei interessi<br />

personali, arriviamo al succo della faccenda.<br />

«Benissimo <strong>Matt</strong>ia. Vedo che lei è una persona sveglia, quindi penso proprio che la<br />

proposta che ho faccia al caso suo»<br />

60


«Mi dica» e le faccio un sorriso.<br />

«La proposta riguarda un‟azienda che produce ceramiche. Le può piacere l‟ambito?»<br />

«Beh, l‟ambito in sé per me è relativo, dipende la mansione»<br />

«Certo, certo. Comunque quest‟azienda produce dalle piastrelle ai vasi, eccetera». E<br />

chissenefrega, andiamo al punto, vorrei dirle.<br />

«OK», scandisco invece.<br />

«Avremmo pensato a lei per un percorso d‟inserimento graduale che le permetterà di<br />

crescere nell‟azienda conoscendone la sostanza alla perfezione»<br />

«Bene»<br />

«E le prospettive sono poi quelle di un ruolo dirigenziale a svilupparsi negli anni, che però<br />

come base richiede una preparazione solida, che non può che maturare tramite<br />

l‟esperienza specifica»<br />

«Capisco. Condivido fra l‟altro, l‟esperienza è sempre un fattore chiave. Pur da laureato,<br />

so comunque che il pezzo di carta non presuppone che io possa saper fare un mestiere<br />

bene da subito»<br />

«Mi fa piacere trovarla d‟accordo». Sorrisone da parte sua.<br />

«Ci mancherebbe. Comunque scusi se l‟ho interrotta, mi diceva del periodo preparatorio.<br />

Giusto in merito, in tutta franchezza, le dico subito che se parliamo di stage non retribuiti o<br />

cose del genere non sono interessato»<br />

«No, nulla del genere»<br />

«Meno male»<br />

«Quello che noi e l‟azienda abbiamo pensato è un periodo di sei mesi, rinnovabile<br />

comunque in caso di necessità, in magazzino».<br />

Io ci rimango talmente incredulo da dover chiedere conferma: «In magazzino…in che<br />

veste, scusi?». Chissà mai io non m‟immagini qualcosa.<br />

Palese l‟imbarazzo suo: «Eh…come magazziniere».<br />

Io sbuffo un sorriso stranito, inarco il sopracciglio con la bocca semiaperta e un attimo<br />

dopo ribatto seccato: «Ma ascolti un attimo, io mi presento dopo aver aggiornato il<br />

curriculum con una laurea e mi proponete di fare il magazziniere?»<br />

Questa, spiazzata dal mio scatto di nervi, si ritrae un secondo e cerca di rattoppare: «Ma è<br />

un ruolo d‟inserimento, serve per capire com‟è l‟azienda»<br />

«Ma se poi mi vogliono in ufficio, non è meglio tenermi sei mesi in formazione direttamente<br />

lì spiegandomi i vari processi, invece che mettermi a fare il facchino?»<br />

Ormai non ci sono più scuse, il trucco c‟è e si vede. Una di quelle storie narratemi da amici<br />

che ci sono già passati prima: loro hanno clienti con posti vacanti e gli preme solo trovare<br />

uno da piazzare, poi i tempi delle promesse si allungano, si allungano, si allungano, fin<br />

quando per legge non possono più rinnovarti il contratto e allora avanti il prossimo.<br />

Scommetto che il futuro ruolo dirigenziale neanche esiste, è come il coniglio finto per i cani<br />

alle corse. Maledetta puttana, men che meno ora che ho altre porte aperte ti sto ad<br />

ascoltare per questo magazzino di merda pieno di tazze di cessi. Affanculo, mi hai fatto<br />

pure venire qui di corsa per „sta stronzata. Dentro sono un vulcano in eruzione.<br />

«Senta, non perdiamo tempo in due. Se l‟azienda vede il mio CV e mi vuole per un ruolo<br />

adatto da subito, bene. Altrimenti niente»<br />

«Ehm, sì…ne parlerò con loro». Ma taci, che tanto non è vero.<br />

«Comunque, io a posizioni di manovalanza non sono interessato. Segnatevelo nel<br />

database, sempre per evitare di perdere tempo, sia io che voi»<br />

«Certo, certo», con l‟aria di quella che ha preso un pugno in faccia.<br />

Qui non è il fatto di aver buttato un‟ora, è molto di più. Non ho buttato solo quella, io<br />

nell‟attesa ho pure buttato tempo fantasticando, facendo mente locale su come gestirmi,<br />

61


lasciandomi salire anche quel po‟ di comprensibile eccitazione. Ma quando mai capita che<br />

chiami un laureato a colloquio per un posto in magazzino, per di più cercando di rifilare la<br />

sola delle prospettive dirigenziali? Ma chi è lo scemo che ci crede? Ma anche fosse vero<br />

che l‟azienda ha piani del genere, che razza di gente la tiene in piedi quest‟azienda?<br />

Sveglia cicci, che qui è finito il tempo della gavetta che parte dai sotterranei. Robe del<br />

genere c‟erano trenta e passa anni fa, quando ha iniziato mio padre a lavorare, quando in<br />

paese la metà della gente smetteva di studiare dopo la terza media e andava a fare il<br />

garzone in bottega. Gli stessi tempi in cui già un diplomato sembrava un alieno, una<br />

creatura superiore. “Il ragioniere”, “Il geometra”, “Ecco il ragionier Barzaghi”, “Senta, signor<br />

geometra…”. Ora di ragionieri e geometri ce ne sono derrate, navi cargo stracolme,<br />

talmente tanti che chiamarli per titolo sarebbe più generico che far riferimento alle<br />

casalinghe di Voghera e ai braccianti lucani.<br />

Furibondo per la presa in giro me ne torno a casa e mi concentro un po‟ sul da farsi per la<br />

radio e per il magazine, che ho due interviste da tradurre al più presto e altre su cui<br />

lavorare in seguito. Pagasse appena appena nella fascia della decenza tutta „sta roba, non<br />

batterei ciglio e ci lavorerei dodici ore ogni giorno, invece ogni mese che pubblico<br />

qualcosa per due monete mi tocca chiamare cinquanta volte in contabilità ed accertarmi<br />

che partano le procedure, poi tutto si congela per novanta giorni e poi tocca ancora<br />

saettare un paio di telefonate. La radio invece non parliamone nemmeno, è già un<br />

miracolo poterla fare.<br />

Ecco che mi arriva invece una mail dell‟ufficio contabilità di Damiano, dove mi si chiede di<br />

confermare i dati personali e gli estremi per il pagamento. Cinque minuti ed è tutto fatto.<br />

Da quanto annunciano, i soldi mi arriveranno a giorni. Questo sì che è parlare.<br />

Il martedì seguente, nove di ottobre, mi trovo l‟accredito sul conto ma qualcosa non torna.<br />

Ci dev‟essere sicuramente un errore. Per questo e anche per sapere dei prossimi incarichi<br />

mi lancio al telefono con “D come dinamico”, non senza una certa agitazione. Al cellulare<br />

suona occupato, quindi opto per il fisso aziendale. Il centralinista devia la chiamata e dopo<br />

mezzo minuto di musichette da vecchia Sip, ci siamo.<br />

«Ciao Damiano, sono <strong>Matt</strong>ia»<br />

«Ciao caro, dimmi tutto. Ho due minuti, però»<br />

«Faccio svelto, no problem: oltre a sapere per quando c‟è ancora lavoro…»<br />

«Ti chiamo fra qualche giorno, stiamo pianificando»<br />

«OK, quindi altra questione: mi sa che hanno sbagliato a farmi l‟accredito»<br />

«Perché?»<br />

«Il bonifico è di cinquecentoventidue Euro. A parte suonarmi strana la cifra non tonda,<br />

diviso fa ottantasette al giorno»<br />

«Ehm…no <strong>Matt</strong>ia, ti confermo che è corretto. E‟ stato così per tutti»<br />

«Ah…», e qui mi ritrovo spaesato come quando senti un botto in macchina e non capisci<br />

se ti abbiano centrato, se ti sia scoppiata una gomma o cos‟altro. Resto come sotto shock,<br />

con poche parole. «Ah, va bene, risolto allora» è tutto quello che timidamente mi esce,<br />

come fossi stato su una giostra convinto che a girare fosse il mondo anziché io. Smentito,<br />

tenuto quindi a scusarmi, ma ancora non del tutto convinto: eppur si muove.<br />

Rimango pensieroso per un po‟. Son quasi ottanta Euro in meno. Nell‟interezza non<br />

sembra chissà che tragedia ma ad un secondo pensiero realizzo che è più o meno come<br />

se mi avessero scippato un giorno di lavoro. Insomma, non mi lascia bene questa<br />

manovrina. A cena ne parlo coi miei, i quali non possono che ascoltare senza sapere<br />

esattamente cosa rispondere, dopodiché per unire l‟utile al dilettevole decido di fare un<br />

colpo di telefono a Marilena. La prima telefonata dopo la fiera. E‟ salita una coltre di<br />

timidezza dopo il “saluto” che ci siamo scambiati.<br />

«<strong>Matt</strong>ia!»<br />

62


«Ciao Mari, tutto bene?»<br />

«Abbastanza. Tu?»<br />

«Bene, bene, grazie». In realtà avrei dovuto optare anch‟io per un abbastanza.<br />

«Ti sei riposato?»<br />

«Sì, ho avuto tempo…purtroppo. Non è che piova lavoro da queste parti»<br />

«Ah…ma dai, che qualcosa arriverà. Ma coi colloqui, invece?»<br />

«Ne ho avuto uno che è stato una farsa, lasciamo perdere e speriamo bene per i prossimi.<br />

Che arrivino, soprattutto. Invece, ascolta, prima di far due chiacchiere volevo chiederti una<br />

cosa un filo delicata»<br />

«<strong>Matt</strong>ia, stai tranquillo: gli spermatozoi non passano attraverso i jeans!»<br />

«Marilena, ma dico! Ha-ha, non entriamo in questioni da “Cioè”, se no non ne usciamo più!<br />

Scherzi a parte, in tutta confidenza ti volevo dire che oggi ho avuto un interscambio<br />

abbastanza dubbio con Damiano»<br />

«Del tipo?»<br />

«Mi son trovato cinquecentoventidue Euro di bonifico, mentre lui mi aveva parlato di circa<br />

cento al giorno. Pensavo ci fosse un errore, ma mi ha detto di no. Tutto normale, secondo<br />

te? Sono ottantasette al giorno»<br />

«<strong>Matt</strong>ia…con Damiano spesso è così»<br />

«Allora era andata proprio di culo a me la prima volta, che mi ero trovato pure un bonus.<br />

Ma vabè, lo so, là si vendeva e stavolta no»<br />

«Ma anche dove si vende non è sempre domenica»<br />

«Vabè, ma a parte tutto, devo prenderla come regola che lui prometta tot e poi arrivi di<br />

meno?»<br />

«Non come regola assoluta, ma capita. Io ormai non ci faccio più caso, mi preventivo in<br />

automatico un dieci per cento in meno»<br />

«Ma scusa, che maniere sono? A me non fa rimanere mica bene una cosa del genere»<br />

«Anche a me all‟inizio dava fastidio, ma <strong>Matt</strong>ia, guarda che in fin dei conti loro pagano più<br />

di altre agenzie. Io ho lavorato per diversi e credimi, Damiano è il meglio che puoi avere a<br />

parte lavorare direttamente per gli espositori. Quelli sì che pagano, ma perché la cosa è<br />

senza intermediari»<br />

«Logico. Che tu c‟abbia fatto l‟abitudine è un altro discorso però, a me cose del genere<br />

non piacciono, faccio fatica a digerirle. Cazzo, dimmi quello che mi dai e basta, tanto poi ci<br />

arriviamo comunque al punto, no? E allora…»<br />

«Poi ci fai il callo, <strong>Matt</strong>ia, non ti preoccupare».<br />

Poi ci fai il callo? Ma che voglia di mandarla affanculo!<br />

La conversazione prosegue per altri sentieri, si smette di parlare di lavoro, ma a me<br />

rimane un nervoso latente in merito alla sua reazione al sapor di vaselina. Avrò anch‟io la<br />

stessa mentalità fra qualche anno? Mi starà bene farmi soavemente pigliare per i fondelli,<br />

entrare nel giro delle frasi di circostanza, delle risposte di rito, delle strette di mano<br />

fraudolente, dei sorrisi di gomma? Che Dio me ne scampi.<br />

Rimaniamo che mi manderà dei contatti a cui pensa possa girare il mio CV e la telefonata<br />

si conclude. Mi avrà fatto girare le scatole, fosse mia sorella le avrei dato un calcio nel<br />

sedere dopo quel paio di frasi da “tanto va così”, ma già anche solo il gesto di volermi<br />

passare dei contatti dimostra che persona sia. Poi con la battuta sullo sperma ha fatto<br />

centro.<br />

Nessuna menzione al bacio, invece. Lei sicuramente penserà lo stesso. A me intanto non<br />

resta che guardarmi un film con Pozzetto trovato a caso su una TV locale, intrattenuto solo<br />

in parte dato che con la testa sono abbondantemente altrove. Nessuna tragedia, solo un<br />

bicchiere di scetticismo in circolo.<br />

63


10<br />

MATURARE<br />

Il telefono che squilla mi distrae dal contemplare i cachi spuntati sull‟albero dei nostri<br />

confinanti. Si prospetta un grande autunno, per loro ma anche un po‟ per noi grazie al<br />

ramo che oltrepassa la rete.<br />

Ogni volta che vedo un numero sconosciuto ho quell‟attimo di sussulto, so che quasi<br />

sicuramente è lavoro. Infatti trattasi di un inedito Enrico, mai sentito, mai visto e mai<br />

nominatomi. Evidentemente però qualcuno fra Damiano e Gerardo gli ha fatto il mio nome.<br />

«…stiamo lanciando questa nuova branca dell‟agenzia dedicata alle promozioni. Mi hanno<br />

detto che sei uno brillante e ti piace lavorare in mezzo alla gente»<br />

«Dimmi pure». Con voce brillante, da uno a cui piace lavorare in mezzo alla gente.<br />

«E‟ una cosa un po‟ diversa dalle fiere, quindi dimmi se ti piace o no, non sei obbligato»<br />

«Guarda, le fiere sono il mio primo obiettivo, ma all‟occorrenza sono sempre aperto a<br />

valutare dell‟altro»<br />

«Ecco, qui per i ragazzi si parla di promozioni di prodotti gastronomici o finanziari»<br />

«Cioè?»<br />

«Tipo un certo formaggio o certe carte di credito»<br />

«Hmm…»<br />

«In contesti come le piazze, i centri commerciali, i mercati…»<br />

«Ho capito. Guarda Enrico, in tutta sincerità ti dico che non sono cose che m‟interessano<br />

granché. Il fatto è che mi sono laureato, quindi senza disprezzare quello che tu mi proponi<br />

penso comunque che le fiere con Damiano siano tutt‟altro ambiente. Quello che hai per le<br />

mani tu l‟avrei fatto senza problemi durante gli studi, ora sono in una posizione diversa»<br />

«Capisco»<br />

«Comunque la cosa potrebbe interessare ad alcuni miei amici, nel caso te li dirotto»<br />

«Perfetto, grazie mille allora».<br />

Recito anch‟io il mio grazie e la telefonata si conclude. In occasioni del genere mi torna<br />

sempre in mente una mia professoressa dell‟università, quella del corso di traduzione e<br />

interpretariato. Fra le nozioni per essere dei buoni interpreti ci aveva anche detto di<br />

puntare a far riconoscere la nostra professionalità. L‟esempio era stato lampante, semplice<br />

e vero, una di quelle storie di vissuto contro cui non si può obiettare. Più che su cosa fare,<br />

verteva su cosa non fare: «Ricordatevi che voi siete lì come interpreti, non come servetti.<br />

Anche se non c‟è nulla da fare e ve lo chiedono, non tocca a voi svuotare i cestini o<br />

andare a prender l‟acqua per tutti. L‟imbianchino a casa non vi pulisce il gabinetto mentre<br />

aspetta che si asciughi la vernice, no?». Ottimo il messaggio esplicito, ma anche quello<br />

implicito: chi si abbassa è perduto, fai il servetto un minuto e te lo faran fare sempre.<br />

Quindi qui la cosa si trasla alla mia cara agenzia: vai a vender formaggio una volta e sei<br />

marchiato a oltranza. No grazie, questa dev‟essere una strada verso l‟alto, non una<br />

spalmata generale da factotum. Che mi chiamino quando hanno bisogno un esperto in<br />

lingue.<br />

Il giorno dopo, altra telefonata ma personaggio noto: Gerardo.<br />

«Pronto»<br />

«Ciao Alessandro, scusa se ti disturbo, eh…»<br />

«Gerardo, sono <strong>Matt</strong>ia»<br />

«Ah sì, scusa, scusa, <strong>Matt</strong>ia»<br />

«Non c‟è problema. Ma volevi parlare con me?»<br />

«Sì, sì, ho sbagliato solo il nome, scusa, scusa»<br />

64


Sbrigato il siparietto, eterno e ridicolo come in precedenza, Gerardo mi propone dei turni<br />

da mezza giornata che però mi renderebbero automaticamente indisponibile per Damiano.<br />

«Guarda Gerardo, son partite le fiere e Damiano mi ha detto che presto lavorerò ancora».<br />

Messaggio chiaro, in più non ho nemmeno il problema di dover tener nascosto qualcosa<br />

visto che l‟agenzia è sempre una. Gerardo balbetta e, per tenere fede al copione, non mi<br />

resta che dargli l‟imbeccata di chiamare Alessandro. «Grazie, grazie, e scusa il disturbo<br />

eh, scusa». Ti assolvo dai tuoi peccati, Gerardo, vai in pace. Già che ci sono mando un<br />

SMS ad Alessandro, dicendogli sia di questa conversazione che di quella con Enrico. Ad<br />

Alessandro sì che sta bene fare il factotum. Con un figlio in arrivo vorrei ben vedere,<br />

correrei anch‟io ovunque.<br />

Traduco un‟intervista, nel mentre il magazine esce in edicola con tre miei articoli, nel<br />

mentre coordino il calendario ospiti in radio, nel mentre continuo a scrivere pezzi per il mio<br />

disco e ad organizzare le collaborazioni. Lavoratore saltuario? Non mi pare proprio.<br />

L‟unico diversivo che mi concedo è la palestra. Spesso nemmeno esco durante il weekend<br />

perché al computer una cosa tira l‟altra e scollinata una cert‟ora non ha più senso portar<br />

fuori l‟auto. «Vedrai che poi ti succederà tutto in un colpo solo. Ironia della sorte! Quel che<br />

si semina si raccoglie!». I cavalli di battaglia di mia mamma corrono liberi per le infinite<br />

praterie della mia testa.<br />

Intanto passano i giorni, a piccole manciate ma passano. E‟ metà ottobre, i cachi<br />

diventano timidamente sempre più arancioni, sempre meno rocciosi nell‟inesorabile marcia<br />

verso l‟abbandono del verde e l‟acquisizione di un‟eccezionale polposità. Ogni giorno li<br />

contemplo e ancora una volta mentre sono nell‟atto il telefono suona: è Damiano, mi<br />

propone tre giornate ad un convegno.<br />

«Abbiamo bisogno di personale multilingua per un congresso europeo. Ti va?»<br />

«Certo, che giorni precisamente?»<br />

«Da dopodomani. Mercoledì-venerdì»<br />

«OK, benissimo. Ascolta, in quanto a retribuzione, invece?»<br />

«Sui 140 netti al giorno»<br />

«Accipicchia!». Ma sarà vero?<br />

«Eh sì, ai congressi pagano molto bene, ma c‟è da essere impeccabili».<br />

Applicando il “teorema di Marilena” scalo un dieci per cento e rimane comunque una bella<br />

cifra: centoventisei al giorno. Orario dalle sette alle venti, stavolta anche in zona<br />

favorevole coi parcheggi. Briefing? Nemmeno.<br />

Il martedì sbrigo un paio di faccende inclusa la lavanderia per il mio completo elegante e il<br />

mercoledì alle sei e cinquantacinque sono sulla porta assieme ad un manipolo di<br />

compagni d‟avventura, una buona quindicina, e Damiano in veste di cerimoniere. Si parte.<br />

E c‟è poco da dire: tre giorni e si finisce. Piazzato fuori da una sala, ad un banco<br />

informazioni improvvisato a dire un buongiorno ogni tanto, nonché la direzione per bagni e<br />

guardaroba. Una noia di lavoro, un ambiente sterile a livello di contatti e un solo evento da<br />

ricordare: la lite coi parcheggiatori abusivi la seconda mattina. Volevano venti Euro per la<br />

giornata su un parcheggio libero, io li ho fronteggiati a muso duro ma delle due carte da<br />

giocare la sola buona è stata minacciare di venirli a prendere con il personale della<br />

sicurezza in caso di danni all‟auto; sul fatto del mandargli i vigili, invece, ci hanno riso<br />

sopra. Una guardia giurata, dopo aver assistito alla scena, mi ha spiegato che una multa<br />

da ottocento Euro una volta ogni tanto non li spaventa certo, quando in una giornata ne<br />

intascano almeno altri mille. Io pensavo come minimo li si portasse in centrale degli<br />

elementi del genere, in modo da vanificargli la missione. Invece no, sono io che devo<br />

capire come gira il mondo: due australopitechi con la pettorina “Parking” svoltano il mese<br />

in un paio di giorni, alla faccia mia e della guardia giurata, del mio pezzo di carta e del suo<br />

giubbotto antiproiettili.<br />

65


Poi capita così, che nella mattina del sabato un lavoratore saltuario si alza, va alla finestra<br />

e stropicciandosi gli occhi scopre che mentre era al lavoro i merli hanno preso d‟assalto i<br />

cachi. Prima di tutti e prima del tempo.<br />

66


11<br />

LETTERE DA UN ALTRO UNIVERSO (PARTE SECONDA)<br />

Penultimo lunedì di ottobre, da oltralpe giungono notizie via e-mail. L‟account è bello pieno<br />

oggi, ma comincio da questa visto che so che sarà intrattenitiva. Per i problemi, invece,<br />

attivarmi prima delle nove e trenta mi fa digerire male la colazione.<br />

Salut, mon cher!<br />

Allora, che si dice laggiù, sei già diventato ricco a suon di<br />

fiere?<br />

Io qui dopo il primo mese mi sento di poterlo dire a gran voce:<br />

Italia vaffanculo! Il master è una figata: tanta pratica, poche<br />

balle e soprattutto siamo al massimo in classe in 14…mica in 200<br />

come a Milano.<br />

Tra parentesi, ti lascio in allegato una traduzione che devo<br />

consegnare come primo parziale. Dalle un occhio e dimmi per<br />

piacere cosa ne pensi, trovi sia il testo originale che la mia<br />

versione.<br />

Lo studentato dove sto è in centro a Ginevra. Si sta bene, non è<br />

nemmeno sovraffollato. Prenditi un biglietto del treno e vieni a<br />

trovarmi appena puoi!<br />

Parlando in generale, qui c‟è da stare attenti a quanti soldi<br />

escono. E‟ cara la vita, forse però tramite l‟università il<br />

prossimo semestre mi prendo un lavoretto, visto che avrò pochi<br />

corsi.<br />

Novità lì così, invece? E‟ un po‟ che mia mamma non va dalla<br />

panettiera, quindi il gossip scarseggia. Mio fratello però sembra<br />

si sia trovato un tipella che fa danza. Chiedi a tua cugina se sa<br />

qualcosa, è una di quelle che fan lezione con lei…se è una di<br />

quelle buzzicone che escono vicino alle scuole, fammelo sapere che<br />

il Gio‟ mi sente!<br />

Allora aspetto il tuo parere sulla traduzione. La devo consegnare<br />

dopodomani.<br />

Bisous.<br />

La‟<br />

Lara respira un‟aria decisamente diversa dalla mia e non è un fatto di polveri sottili, anche<br />

se credo avrebbe la meglio anche su quello.<br />

Prendo una ventina di minuti per guardare la sua traduzione, ristrutturo un paio di frasi e<br />

secondo me ci siamo. Metto da parte per una rilettura a posteriori.<br />

Dando un‟occhiata ad altre e-mail fresche d‟arrivo, ce ne sono diverse di siti e sitarelli vari<br />

a cui mi sono iscritto per pubblicare annunci di ricerca di lavoro. Nessuna notifica di<br />

risposta, solo pubblicità, ma d‟altra parte si sa che non ci si può aspettare molto di diverso:<br />

sono quelli come me che devono andare a sondare gli annunci di chi offre un posto.<br />

Procedo quindi nel compito giornaliero e dopo una spulciata generale invio cinque CV,<br />

compito che mi assorbe fino all‟ora di pranzo nel cercare di adattarli il meglio possibile alle<br />

diverse situazioni. Poi c‟è l‟immancabile lettera di presentazione: guai a non farla, ma<br />

67


ormai sono diventato come i venditori porta a porta, con formule consolidate e quel po‟ di<br />

freestyle a seconda che la massaia di turno sia mora o bionda, o finta bionda.<br />

Mentre mangiamo, mio papà salta fuori con una bella idea.<br />

«Dovresti andare a parlare con le associazioni di artigiani che ci sono qui in zona. Solo qui<br />

in paese ne abbiamo due. Lasciagli il curriculum che magari qualcuno cerca, oppure ti<br />

metti disponibile per le fiere, cose del genere»<br />

«E bravo papà, questa sì che è una bella idea. Ma tu non conosci nessuno in particolare in<br />

questi posti?»<br />

«Qui così sì, è tutta gente di paese»<br />

«Ma secondo te in che maniera rompo il ghiaccio: telefono, mando un‟e-mail?»<br />

«Ma va‟, vai là subito e basta. Passi dentro e scambi due parole. Son tutti dei legnamé».<br />

Son tutti dei falegnami, mi dice.<br />

«Finito il telegiornale cerco dove sono, allora».<br />

Mi connetto ad Internet e trovo i due indirizzi qui in paese. Domani ci vado. Poi mi perdo a<br />

cercare altre associazioni di artigiani e commercianti della zona, stanandone una decina.<br />

Forse forse che questa sia una buona porta per interagire con le aziende, anziché le<br />

interinali o i cestini della carta dei vari uffici del personale.<br />

Mentre il pomeriggio cala, ricontrollo il file per Lara e glielo spedisco. Passata mezz‟ora,<br />

ecco una sua e-mail.<br />

Grazie mille, sei un mago!<br />

Corro che devo uscire. Vado con un paio di compagne sul lungolago,<br />

mangiamo una pizza, poi ci sono diversi locali carini in zona.<br />

Baci baci<br />

La‟<br />

Lara va a godersi il lungolago, il mago invece va a fare un po‟ di sport e in seguito<br />

trascorre la serata in relax ascoltando alcuni nuovi arrivi per la radio. Ieri abbiamo<br />

registrato una bella puntata, domani che andiamo in onda me la riascolterò volentieri. Per<br />

intanto già lavoro per quella della prossima settimana. Lavoro? Me lo chiedo spesso se io<br />

stia effettivamente lavorando. La discriminante non è il fatto che io mi diverta con la radio,<br />

ma che lo stia facendo senza che ci sia un ritorno economico. Però non è un hobby, no di<br />

certo, non c‟è abbastanza cazzeggio intrinseco per definirlo tale, siamo troppo organizzati,<br />

troppo dediti per definirci radioamatori. Presumo sarà il futuro a dire ciò che siamo ora io e<br />

i miei due compagni d‟avventura: se fra dieci anni saremo su un‟emittente nazionale,<br />

avremo lavorato; se saremo al bar a raccontarlo alla cameriera, potremo solo dire che ce<br />

l‟avevamo come hobby, che eravamo degli appassionati. Ironico che un‟unica cosa possa<br />

essere chiamata con un nome o con l‟opposto in sola dipendenza dal suo destino anziché<br />

dalla sua sostanza.<br />

Nessuna traccia di un Pozzetto, né di un Calà, né di un Dorelli in TV. Vabè, siamo ancora<br />

in prima serata. Meglio continuare a tenere le cuffie e al primo calo andare a nanna, che in<br />

Brianza la mattina comincia presto e domani sarà questo il mio campo d‟azione.<br />

68


12<br />

LA NUOVA BESTIA<br />

Dopo tempo immemore mi ritrovo a far colazione coi miei, ore sette e dieci. Un po‟<br />

prestino per il mio programma odierno, in effetti: prima delle nove e un quarto è meglio<br />

non piombare in ufficio a nessuno. Tocca rallentare.<br />

Seguitamente ad una scarica di Oro Saiwa pucciati in un tazzone di tè e una mezz‟oretta<br />

sul divano a guardarmi un TG e un vecchio telefilm, viene però l‟ora di prepararsi. Look<br />

casual. Sì esatto, perché in Brianza a presentarsi in giacca e cravatta senza<br />

appuntamento sono solo tre categorie di persone: i venditori di aspirapolveri, gli agenti<br />

immobiliari e i truffatori. Meglio non far agitare i miei prossimi interlocutori già da fuori la<br />

vetrata, perciò maglione azzurro, camicia bianca sotto con primo bottone slacciato e ai<br />

piani bassi la premiata ditta Levi‟s e Stan Smith. Preciso così. Ah, e via l‟orecchino, che<br />

per gli over-cinquanta di queste latitudini «è da drogato» (che poi diversi dei loro figli dalla<br />

faccia così pulita spazzino più neve che una ruspa a Cortina è un altro discorso).<br />

Pronti, via: al primo obiettivo ci arrivo a piedi, verso gli altri mi muovo in macchina. Il<br />

mezzogiorno mangio fuori, un panino volante in un centro commerciale, scegliendo con<br />

orgoglio di evitare catene a stelle e strisce. Li chiamano pure ristoranti ora, nemmeno più<br />

fast-food. Che vergogna.<br />

Rincaso infine sul gong dell‟ora di cena, così non mi resta che fare un resoconto della<br />

giornata ai miei, a bocca tranquillamente piena.<br />

«…un po‟ con tutti la stessa storia, insomma. Ah, papà, ti saluta il tizio del consorzio qui in<br />

piazza. Mi ha chiesto se facevi ancora l‟intagliatore»<br />

«Il Minotti?»<br />

«Sì, quello lì»<br />

«Saran vent‟anni che non scambiamo due parole. Quando aveva la ditta gli facevo del<br />

lavoro, poi lui s‟è levato dalla società e ha cominciato col consorzio. Da lì ci siamo persi»<br />

«Vabè, tornando al punto: lui come gli altri da cui son passato son stati tutti gentili. Ci ho<br />

messo una ventina di minuti ad incontro. Superficialmente parlando direi che la giornata è<br />

andata bene, tutti hanno preso i miei dati, il curriculum eccetera»<br />

«C‟è un però?»<br />

«Si, è una sensazione mia tirate le somme. Io quello che ho spiegato è molto semplice:<br />

sono laureato, parlo cinque lingue e cerco lavoro. Una via classica è quella del chiedervi<br />

se fra le aziende che rappresentate ce n‟è qualcuna alla ricerca di una figura come me, un<br />

esperto linguistico; un‟altra strada è invece quella di offrire servizi come libero<br />

professionista, il che può avvenire per fiere, trasferte, traduzioni generiche e mille altre<br />

cose»<br />

«Mi sembra una buona idea»<br />

«E ho anche specificato che per quando fanno, ad esempio, le fiere con la collettiva intera<br />

e una figura di supporto per ogni singola azienda finirebbe con l‟essere fuori budget<br />

rispetto alle esigenze effettive, io potrei costituire un team con elementi di competenze<br />

simili alle mie, tre-quattro persone, per lavorare a rotazione per tutte le quindici-venti realtà<br />

presenti nell‟area che il consorzio affitta. Facendo così il costo sarebbe leggero perché<br />

diviso fra tutti, ma avrebbero comunque le spalle coperte. Insomma, come per dire: tra il<br />

tutto e il niente, vi fornisco la via di mezzo»<br />

«Questo è più un due piccioni con una fava, ed è anche un‟idea imprenditoriale»<br />

«Ecco, un embrione di agenzia, nel caso ingranasse. Il fatto è però che parlandone ho<br />

avuto la sensazione che mi guardassero come una bestia mai vista prima, manco fosse<br />

saltato fuori lo Yeti. A me sembrava una cosa ideale da proporre a un consorzio»<br />

69


«Magari ci devono solo ragionare sopra», interviene mia mamma.<br />

«Infatti», dice mio papà in supporto.<br />

«Può darsi, per carità. Vedremo. Ora per lo meno mi sono presentato e diversi mi han<br />

detto che ci risentiremo presto per approfondire. E‟ stato un buon approccio, ma<br />

chiaramente piombando così inaspettato li avrò presi in contropiede»<br />

«Ancora però non mi sembri convinto. Non fasciarti la testa prima del tempo, aspetta e<br />

vedrai». I cavalli di battaglia di mia mamma stanno uscendo dalla stalla.<br />

«Non è quello. E‟ l‟altra faccenda che mi ha fatto scattare lo scetticismo su tutto quanto,<br />

quella più semplice: al di là della cortesia di facciata, mi sono sembrati tutti senza<br />

cognizione su che tipo di figure siano ricercate dalle aziende che rappresentano. Parlo di<br />

quelli da assumere proprio. Probabilmente non è compito loro, ma di certo un lavoro del<br />

genere ho visto che nemmeno le interinali lo fanno. Chissà a chi diamine tocca. CV ne ho<br />

mandati una marea direttamente alle aziende, ora sto procedendo con le varie entità che<br />

gravitano attorno, ma ancora qui è il deserto dei Tartari. Sembra che selezionare il<br />

personale non sia compito di nessuno»<br />

«Stai facendo tutto giusto, ti stai aprendo più porte. Il periodo non è dei migliori, quindi<br />

bisognerà aspettare un momento». Mio papà.<br />

«Son più di sei mesi che aspetto…»<br />

«Oh, dai, cosa sono sei mesi quando bisogna cercar lavoro? C‟è gente che ci mette anche<br />

un anno». Mia mamma.<br />

«Il punto è che fatico a credere che in un contesto come il nostro, dove tutti hanno<br />

problemi con le lingue straniere ma lo stesso devono fare affari con l‟estero, io che posso<br />

far comodo a molti sia ancora qui ai blocchi di partenza. Non mi sono mica laureato in<br />

Scienza delle Merendine»<br />

«E‟ solo questione di tempo, questione di tempo». Il coro dei miei, con l‟eco.<br />

La conversazione sfuma con me che insindacabilmente rimango perplesso, e parecchio.<br />

Più ci rifletto, più credo che la giornata abbia avuto due facce, la classica maschera bianca<br />

e liscia sopra che nasconde i connotati reali sotto, ma forse sto solo degenerando perché<br />

avverto non poca pressione. La frase di mia mamma sulla gente che ci mette anche un<br />

anno per trovare lavoro mi ha risollevato un filo, ma sono ad ogni modo a metà strada.<br />

Posso dire che ho davanti una porzione di tempo uguale a quella avuta finora, come<br />

anche mi tocca constatare che metà del tempo a mia disposizione è evaporato senza le<br />

attese rivoluzioni. Che io ora stia cominciando ad ingranare con Damiano è cosa buona,<br />

ma il risvolto della medaglia è aver mandato in giro un numero spropositato di CV e<br />

sentirmi come ad averli lanciati fuori da una finestra, in mano a nessuno.<br />

Ecco, ecco, idea: devo decidermi a telefonare. Sarà una cosa poco simpatica ma qui c‟è<br />

da farsi sentire, i coglioni li si può anche rompere due minuti, c‟è il mio futuro in ballo. E‟ la<br />

prima volta da quando mi sono laureato che mi sento così teso; so che c‟è da portar<br />

pazienza, come dicono i miei, e la porterò perché comunque non si può fare altrimenti,<br />

però se un periodo di transizione è paragonabile ad un ponte, io oggi questo ponte l‟ho<br />

sentito tremare. Chiaramente non è solo la giornata trascorsa, sono i mesi trascorsi. Non<br />

mi resta che fare un bel respiro e procedere facendomi coraggio. Alternative? Niente.<br />

Concludo la giornata armandomi di numeri di telefono, un altro lavoraccio che mi costringe<br />

a recuperare tutte le e-mail spedite, risalire ai siti delle aziende, cercare fra i loro contatti e<br />

in alcuni casi aiutarmi anche con gli elenchi telefonici on-line. Parecchi non mostrano altro<br />

che formulari o numeri di servizio clienti, perciò nisba, ma comunque programmo un bel<br />

mucchietto di telefonate per il mio segretario. Che poi sono sempre io.<br />

70


Dopo otto ore e mezza di sonno do il via ad un‟altra mattinata. In questo caso<br />

decisamente una delle meno desiderabili, visto quel che m‟ha lasciato da fare il mio capo.<br />

Che poi sono sempre io.<br />

Parto all‟arrembaggio, essendomi inoltre preventivamente diviso i numeri da chiamare fra<br />

Brianza, Milano nord, Milano centro città, Milano sud, Como e Varese. Le prime tre sono le<br />

zone più ambite a livello logistico, le altre sono seconde scelte soprattutto in quanto per<br />

me problematiche da raggiungere, al punto che se vi trovassi lavoro dovrei contemplare<br />

l‟affitto di un appartamento in prossimità sin da subito, oppure accettare di passare fra le<br />

tre e le quattro ore ogni giorno incolonnato nel traffico o su e giù dai mezzi pubblici.<br />

Procediamo per gradi, sarebbe da scemi non farlo.<br />

La maratona telefonica, passata per il banco ristoro del mezzogiorno con zucchero in<br />

zollette e Gatorade, si conclude nel tardo pomeriggio. Come apertura dei dialoghi sciorino<br />

un‟introduzione apparentemente improvvisata, ma in realtà studiata nei minimi dettagli.<br />

Vale la pena analizzarla:<br />

“Pronto, buongiorno. Io nel corso degli ultimi mesi¹ ho sottoposto il mio curriculum alla<br />

vostra azienda. Gentilmente², non avendo ancora ricevuto risposta³ volevo sapere se<br />

fosse 4 possibile parlare un minuto 5 con chi si occupa della selezione del personale, prima<br />

di tutto per accertarmi che la mia documentazione l‟abbiate 6 effettivamente ricevuta… 7<br />

¹ Per suonare né troppo recente, né troppo sepolto nel tempo. Se uno chiama due giorni dopo aver mandato<br />

il CV fa la figura dello scassaminchia iperteso, mentre se chiama dopo un anno ne esce come un cretino che<br />

non ha capito di essere già stato scartato.<br />

² Una parola educata apre sempre una porta in più.<br />

³ E’ giunto il tempo di fare gli stronzetti: mettiamola giù come se fossero in difetto loro, quasi come a<br />

chiamare fosse un cliente che lamenta un disservizio.<br />

4 Congiuntivo: denota il livello culturale e assieme mostra i muscoli dialettici di cui si è dotati, incutendo nel<br />

subconscio dell’interlocutore una buona dose di timore reverenziale, con conseguente incremento della sua<br />

mansuetudine.<br />

5 Carta della credibilità. A dire «un secondo» si appare come quelli che chiedono un dito per prendersi il<br />

braccio. E specie al telefono, di soggetti del genere ce ne sono troppi.<br />

6 Promemoria del punto 3.<br />

7 Facciamo irrompere un “sovraproblema” che potrebbe impedire ad ambo le parti (perciò azienda inclusa:<br />

punto fondamentale) di ottenere qualcosa d’importante. Ancora una volta manipoliamo senza scrupoli il<br />

subconscio dell’interlocutore, che avvertendo di essere il SOLO E UNICO a poter risolvere la situazione farà<br />

tutto il possibile per accaparrarsi le lodi dei superiori. Come ultimo atto lasciamo cadere la conversazione,<br />

sfruttando un vuoto comunicativo creato ad arte come implicito invito a procedere.<br />

A tale introduzione, atta a massimizzare le chance di risvolti positivi (o meglio a contenere<br />

al massimo le negative), seguono tre macrotipi di risposta.<br />

1: La secca<br />

«Guardi, mi spiace ma purtroppo non siamo autorizzati ad inoltrare questo tipo di<br />

chiamate. Scriva un‟e-mail».<br />

2: La lunga<br />

«Sì, attenda in linea, prego…». E dopo quattro minuti d‟attesa: «Guardi, mi spiace ma<br />

purtroppo non siamo autorizzati ad inoltrare questo tipo di chiamate. Scriva un‟e-mail»<br />

3: L’assist(ente)<br />

«Sì, attenda in linea, prego…». E dopo un minuto d‟attesa: «Le passo l‟assistente».<br />

Io sfrutto il dai-e-vai del centralino applicando un riadattamento della precedente<br />

introduzione. Il dialogo si conclude generalmente con me invitato «per sicurezza» a<br />

spedire di nuovo tutto quanto, ma con l‟utile novità di un indirizzo e-mail legato ad una<br />

specifica persona.<br />

71


“La secca” e “la lunga”, oltre ad essere inutili, sono purtroppo anche le risposte a cui mi<br />

trovo di fronte più spesso. Le interazioni con assistenti o presunti tali sono invece brevi ma<br />

aggiungono un tassello significativo alla mia manovra, che completo poi nella semplice<br />

mossa del “forward” della prima e-mail. Ciò che però mi lascia perplesso è non riuscire<br />

mai, aziende grandi o medie o piccole, a parlare direttamente con chi seleziona il<br />

personale, che in un modo o nell‟altro c‟è, anche se magari non coinvolto full-time in<br />

queste faccende. Quello che mi rimane è perciò l‟idea di una situazione generale pari a<br />

una rete a maglie impenetrabili, dietro le quali la persona che sempre, o una volta all‟anno,<br />

o una volta ogni lustro si occupa di tale compito è custodita gelosamente, protetta come<br />

fosse il bambino d‟oro. Come accidenti si fa a trovare un posto di lavoro? Con chi si deve<br />

parlare? Come si aggancia l‟anello mancante fra uomo e occupazione? Ma soprattutto: a<br />

chi le faccio queste domande?<br />

Non facciamo i ridicoli, in Comune a parlare con l‟assistente sociale non ci vado, che non<br />

sono un disagiato in cerca di sussidi; idem non ho intenzione di rivolgermi a quegli<br />

pseudo-sportelli informativi delle biblioteche, delle scuole e dei centri giovanili,<br />

principalmente per motivi di ordine pubblico: se la masnada di obiettori che piazzano in tali<br />

postazioni risultasse saperne più di tutte le persone che ho interpellato ultimamente, potrei<br />

compiere un gesto estremo oppure, per disperazione, iniziare a credere alla prossimità<br />

dell‟apocalisse.<br />

L‟apocalisse: ecco che le Sacre Scritture mi vedono libero e mi alzano un alley-oop<br />

ecclesiastico, sperando che sul collegamento io piazzi una schiacciata alla LeBron James<br />

rivolgendomi in parrocchia per un‟intermediazione fra anime pie, classica manovra di<br />

paese. Niente invece, questo passaggio lo lascio planare oltre la linea di fondo, nemmeno<br />

salto. Vaffanculo a „ste ciellinate, sarebbe come andare a canestro dopo un antisportivo<br />

non contestatomi. E transitandomi per la mente tale congrega, ecco un nuovo<br />

suggerimento per un tiro da tre punti verso…Roberto e Flavia.<br />

Palla in mano, difensori scansati con maestria, piedi e busto perfettamente direzionati: qui<br />

l‟azione è pulita. Che faccio, tiro?<br />

72


13<br />

LA NOTTE DELLE STREGHE<br />

Guardare il sedile del passeggero e sentirsi un cretino. Ma che cazzo…<br />

Mantello scuro, bastone e in più cipria e matita nera fregate a mia mamma. Mi tocca fare il<br />

vampiro stasera.<br />

Mi sciroppo mezz‟ora di superstrada fra una contemplativa autoironia e il contagiri del<br />

nervoso che sale. Bocciate le mie idee del maniaco sessuale e di un più canonico Gomez<br />

Addams. Per che cosa? Per la grande originalità del Conte Dracula. Avrò solo un miliardo<br />

di cloni attorno, sai che gusto.<br />

Parcheggio e cerco di citofonare. Mille nomi, maremma maiala, e pure i codici. Milanesi<br />

del menga.<br />

«Sì?»<br />

«Buonasera, cercavo una vergine a cui succhiare del sangue»<br />

«Ha-ha, cretino! Sali, dai». In realtà la battuta me l‟ha troncata a metà, non doveva finire<br />

così. E devo pure risuonare.<br />

«Sì?». Come se niente fosse, stesso tono di prima.<br />

«Ehm, scusa, ma dove?»<br />

«Oh che palle! Scendo io, va‟».<br />

Clic. Giù il citofono. E lo sa benissimo che mi sta facendo incazzare, lo fa apposta. Ci<br />

prova pure gusto.<br />

«Ué sveglione, son qui, nè!». Sbuca dopo un paio di minuti da chissà quale porta sul retro.<br />

«Mari, io prima di fine serata ti butto in un fosso!». Faccio il finto incazzato, lasciando<br />

trasparire che in fondo scherzo.<br />

«Ma mica volevi succhiarmi il sangue?». Sorride, con la sua battutina carina. Ora la<br />

sistemo io.<br />

«Veramente cercavo una vergine».<br />

Uh-uh, la signorina accusa il colpo. Un secondo di silenzio la tradisce, così come anche<br />

l‟unica parola che dopo quello riesce a proferire: “Sss…stronzo!”. E si sa che quando una<br />

donna dice «stronzo»…dice «stronzo». Neanche il tempo di contare fino a due e abbiamo<br />

le labbra appiccicate. Mi piacciono le sue braccia attorno al collo e la maniera in cui con le<br />

mani mi tocca la testa, è delicata ma salda allo stesso tempo, ha uno stile tutto suo.<br />

«Muoviti strega, che mi devi ancora truccare». Saliamo.<br />

Eccomi quindi nel mondo di Marilena, una casa condivisa con altre due ragazze. Due<br />

universitarie, mi dice, senza alcun nesso con lei, nel senso che non è un appartamento di<br />

tre amiche a un certo punto votatesi alla vita indipendente in città.<br />

«Io sono l‟ultima arrivata»<br />

«Ma ti era proprio necessario levarti da casa?»<br />

«Da Cremona a qui son più di ottanta chilometri, non ce la facevo a farla tutti i giorni avanti<br />

e indietro». Ah ecco, Cremona. A me era rimasto in testa che fosse di Crema, sarà che ho<br />

degli amici là e ogni volta associo tutto a quello.<br />

«Ma scusa, Crema e Cremona quanto distano precisamente?»<br />

«Una quarantina di chilometri»<br />

«Alla faccia, pensavo meno. E Crema è in provincia di Cremona?»<br />

«Sì»<br />

«Mi sembrate uno scioglilingua»<br />

«Scemo. Vieni qui, chiudi gli occhi che ti devo mettere la cipria».<br />

73


Vengo autorizzato a riaprirli ad opera conclusa: bianco cadaverico come preventivabile,<br />

delle righe in faccia con un rossetto rosso che secondo Marilena sono «macchie di<br />

sangue», rossetto viola livido sulle labbra, matita nera attorno agli occhi e finto neo sotto<br />

l‟occhio destro. E perché „sto neo?<br />

Senza che il quesito trovi risposta, partiamo alla volta delle Colonne di San Lorenzo,<br />

trovando un carnaio e lottando per un parcheggio con auto cariche di mummie, zombi e<br />

pirati. Al quarto tentativo trovo un buco dietro Piazza Vetra, chiaramente in divieto e<br />

chiaramente per metà sul marciapiede. Se stasera il Comune mandasse in giro i vigili a far<br />

contravvenzioni, domani la povertà in Somalia potrebbe essere risolta devolvendo gli<br />

introiti. Ma c‟è da star tranquilli, invece, perché quella che si scatena a Milano nelle notti di<br />

movida sembra una vera e propria sommossa popolare contro la viabilità e non c‟è<br />

maniera che quattro sventurati armati di biro e blocchetti riescano a far granché mentre la<br />

circonvallazione sembra il circuito di Monza, le strade del centro sono invase da sciami di<br />

motorini che ci manca solo viaggino in orizzontale sui muri, ad un incrocio su tre c‟è un<br />

tamponamento e Ticinese e limitrofi sembrano una Piazza S. Pietro (alcolizzata) il giorno<br />

dell‟”habemus papam”.<br />

Si parte con un giro di birre con alcuni amici di Marilena che ci hanno raggiunto, incluse un<br />

quattro-cinque facce già intraviste in fiera. Mi viene spiegato che dopo diversi anni di<br />

lavoro ormai c‟è un nucleo storico che indipendentemente dall‟agenzia o dalla<br />

manifestazione di turno si ritrova sempre lì, anche se le mansioni oscillano di volta in volta.<br />

C‟è chi una settimana sposta divani e quella dopo lo vedi in ufficio, c‟è chi ad un giro fa la<br />

hostess e al seguente è in segreteria generale e così via. Il bello di questo è che si<br />

familiarizza senza farsi condizionare dai ruoli, cosa che invece non è certamente avvenuta<br />

nell‟indimenticabile sessione estiva al fortino finanziario di Milano sud. Non mi sarei mai<br />

potuto trovare fuori da lì a brindare con quei miei coetanei come sto facendo ora con<br />

questi, e là sapevo perfettamente con che tipo di figure mi relazionavo, mentre qui potrei<br />

essere di fronte a gente che domani si laurea in Ingegneria Aerospaziale, o in Economia, o<br />

in Legge ed oggi è a fare carico-scarico o il punto informazioni, oppure semplicemente c‟è<br />

chi è nella sua dimensione in quello che fa e svolge un compito terra a terra.<br />

Nessunissimo problema: nell‟aria non c‟è discriminazione, a me basta questo. Affanculo<br />

invece quelle impiegatine da recupero crediti con la puzza sotto il naso e il buono pasto<br />

come status-symbol.<br />

Finite un paio di birre a testa siamo ben amalgamati, circondati da gente in borghese e<br />

gente in maschera in egual proporzione, accompagnati dal suono dei bonghi, divertiti da<br />

un paio di giocolieri a centro piazza ed accerchiati da folate di nebbia dalla fragranza<br />

esotica. Le Colonne hanno sempre un‟atmosfera a sé stante, colorata, caotica, scapigliata,<br />

anarchica, in una città che in ogni altro dove, da via Montenapoleone a Gratosoglio, salta<br />

dallo snob al popolare senza vie intermedie.<br />

Facciamo meno di trenta metri e scendiamo in una piccola discoteca, uno dei luoghi storici<br />

di Milano da quanto mi dice la strega Marilena. Niente è mio qui dentro, non la musica,<br />

non l‟ambiente, ma lo stesso lasciarmi andare mi viene automatico, saltare nel fiume e<br />

seguire la corrente. Come va, va. Mi sembra di fare una doccia gelida sotto una cascata<br />

mentre quasi andavo a fuoco. Il resto è in superficie, il buono e il cattivo, la mia casella email,<br />

la mia laurea, il curriculum, la radio, la palestra. Tutto. Tutto fuori.<br />

Passo tre ore così, fra una cazzata e l‟altra, una ragnatela posticcia e l‟altra, cento streghe<br />

e cento vampiri, un maniaco sessuale e un Gomez Addams a cui faccio i complimenti,<br />

quattro chiacchiere a voce altissima con ognuna delle nuove conoscenze del gruppo e poi<br />

via, luci su e via tutti.<br />

74


Sono quasi le quattro e dopo una decina di minuti di convenevoli con gli altri io e Marilena<br />

c‟incamminiamo. Saliti in auto, niente multe sotto il tergicristallo. A me è colato tutto il<br />

trucco per la calura e sotto i vestiti il sudore va raffreddandosi. Mari regge meglio, è solo<br />

un filo spettinata ma anche quello le dona. Le orecchie piano piano smettono di fischiare,<br />

mentre si guida verso casa sua ad un cinquanta all‟ora costante che è più per prender<br />

tempo che per fare i bravi cittadini.<br />

«Ti sei divertito?»<br />

«Non s‟è visto? Metti una mano qua» e le faccio sentire il sudore freddo sulla schiena.<br />

«Mamma mia, sei gelato!»<br />

«Sudo abbastanza io, ma là sotto faceva un caldo infernale. Ai tempi in cui ancora si<br />

poteva fumare nei locali comunque non avrei resistito così tanto, me ne sarei uscito<br />

lacrimante a metà serata. Se c‟è stata una legge decente, è stata quella»<br />

«Sì, davvero, lo dico anche io che fumo. A proposito, ora una bella sigarettina ci sta<br />

proprio»<br />

«Strega, sulla mia macchina non credo proprio…»<br />

«Ma dai, abbasso un po‟ il finestrino»<br />

«No dai, per piacere, che poi l‟odore che rimane mi fa venir la nausea. E poi ho intenzione<br />

di baciarti fra poco, non farti trovare col sapore di posacenere». Le sorrido e le strizzo<br />

l‟occhio, lei ricambia il sorriso e gli occhi le brillano. Passa circa un chilometro di silenzio,<br />

con entrambi sovrappensiero.<br />

«Dimmi dove devo andare qui»<br />

«Dritto, dritto»<br />

«Indicami tu, mi son dimenticato che strada abbiamo fatto prima»<br />

«OK. Dritto anche alla prossima rotonda, per intanto»<br />

«Questa settimana lavori?»<br />

«Sì, da martedì a domenica»<br />

«Per Damiano?»<br />

«No, per una cooperativa ma sempre in fiera»<br />

«Una cooperativa? E che differenza c‟è con un‟agenzia?»<br />

«Pagano qualcosa meno, ma il resto è uguale. Per me poi che sono in partita IVA non<br />

cambia proprio nulla»<br />

«Ma che incarico hai?»<br />

«Promoter, stavolta. Già mi fan male le gambe a pensare a quando dovrò stare in piedi sui<br />

tacchi»<br />

«Che orario fai?»<br />

«Sono da un espositore, quindi dieci-venti»<br />

«A confronto della scorsa sembran poche»<br />

«Infatti. Ma tu con Damiano poi?»<br />

«Dopo il convegno che ho fatto siam rimasti che mi chiama appena c‟è da qualcosa»<br />

«Io lavoro per lui settimana prossima»<br />

«Ah sì?». Involontariamente sussulto. Ho il terrore di essere stato tagliato fuori.<br />

«Sì, questa è proprio la fiera con la quale avevo cominciato, quella per gli sposi»<br />

«Io potrei gestire benissimo qualche stand per addii al celibato. Spogliarelliste che saltan<br />

fuori dalla torta e tutte quelle robe lì. Sai che bomba?»<br />

«Ha-ha! E tu cosparso di panna montata? Gira, gira a destra qui»<br />

«OK. Comunque, facendo i seri adesso, io non ho ancora ricevuto nessuna chiamata da<br />

Damiano, pensi voglia dir qualcosa? Sono un po‟ preoccupato, già non è che mi piova<br />

lavoro…»<br />

«Non so che dire così per così, ma se vuoi indago. Comunque magari ti chiama in<br />

settimana»<br />

«Può essere, può essere. Non è uno da larghi anticipi con me, a quanto ho visto. Qui?»<br />

75


«Dritto. Al prossimo semaforo a destra»<br />

«Damiano comunque quando l‟avevo rincontrato quest‟estate mi sembrava preso bene sul<br />

darmi parecchi incarichi. A questo punto credevo avrei già lavorato molto di più»<br />

«Dipende da diversi fattori, guarda. Il tipo di evento, le richieste del cliente e anche chi ha<br />

già lavorato ad una manifestazione piuttosto che un‟altra. Ad esempio, tu s‟è visto che hai<br />

lavorato bene per Flavia e Roberto, quindi l‟anno prossimo sarai il primo ad essere<br />

contattato per quella posizione». OK, comincio a vederci più chiaro su come funzionano le<br />

cose.<br />

«Flavia e Roberto…ma sai che appunto Roberto mi ha chiesto di fargli avere il mio CV?<br />

Parallelamente, da una domanda sibillina di Damiano ho capito che Flavia sì è lamentata»<br />

«E perché mai?»<br />

«Quando ha passato il segno io ho cominciato a rispondere. Oh Mari, ne avevo i coglioni<br />

pieni a un certo punto. Nasce e muore tutto in meno di una settimana, ma quando sei lì<br />

dentro quattordici ore al giorno o pressoché, non hai molta voglia di farti pigliare per il<br />

culo»<br />

«Flavia è una particolare, io l‟avevo già capito gli anni addietro pur non avendo mai<br />

lavorato direttamente per lei. Seconda a sinistra»<br />

«Ecco, allora non sono totalmente scemo io»<br />

«Ma no che non sei scemo. Bello il mio vampiro!», con tanto di pizzicotto prolungato sulla<br />

guancia. «Gira, gira, gira qui a sinistra che ci siamo»<br />

«Va bene! E calma, stregaccia!». Duecento metri e parcheggiamo sotto il suo palazzo.<br />

«Sali che ti strucco, dai»<br />

«Come no, guarda che ho capito tutto: tu vuoi solo abusare del mio corpo»<br />

«Smettila, cretino!». E ci baciamo mezzo minuto.<br />

«Hai proprio un buon sapore quando non fumi». Scendiamo dall‟auto.<br />

«Oh grazie. Ma ora una me l‟accendo!». Io sollevo benevolmente gli occhi al cielo.<br />

Schiacciato il mozzicone sotto il suo stivale, via dentro e sei piani d‟ascensore.<br />

Lei a struccarsi ci mette due minuti, poi è il mio turno. Batuffoli di cotone, latte detergente,<br />

chiudi gli occhi-apri gli occhi, aspetta e poi ripeti finché non è sparito tutto. Tre passate.<br />

Dev‟essere una vitaccia esser Vladimir Luxuria.<br />

Mi dice quindi di saltare in doccia, che il sudore freddo rischia di farmi prendere un<br />

accidente. Lei esce, io mi spoglio mentre mando in temperatura l‟acqua. Sentirla poi quasi<br />

scottare fra le scapole è una gran sensazione. Ma ancora meglio è dopo un minuto sentirsi<br />

sfiorare il collo con un dito.<br />

Avevo sentito la porta riaprirsi.<br />

76


14<br />

UN LUNGO SONNO<br />

Suona il cellulare. Mezzogiorno. Mia mamma.<br />

Bocca impastata, palpebre anestetizzate, disorientamento totale.<br />

«Buongiorno! Io sono a casa fra mezz‟ora, puoi cominciare a metter su l‟acqua?»<br />

«Eh? Ah…va bene». In realtà è il mio subconscio che parla, io non ho facoltà di intendere<br />

e di volere.<br />

Dopo un lasso di tempo imprecisato mi sento una mano sulla spalla.<br />

«Sono qui»<br />

«Eh? Ah…va bene». Questo mio subconscio c‟è da dire che è monofrase.<br />

«Oh diamine, che ritmi che hai preso. Ti sei addormentato ancora tardi?».<br />

Sì, ed è un mese che lo faccio. Dovrei comprarmi dei cioccolatini e festeggiare.<br />

Cazzate a parte, c‟ha ragione eccome. Novembre mi si è fulminato in questa maniera. Da<br />

Halloween in poi è stato un disastro e non c‟entra Mari, c‟entra che mi pare d‟esser finito in<br />

una città fantasma. Tutti spariti e io in giro come uno scemo a cercare un‟anima viva che<br />

offra lavoro. Ma qui la vita fuori c‟è eccome: c‟è mia mamma che è appena rincasata e c‟è<br />

mio papà che invece ha ancora davanti mezza giornata in magazzino, giusto per fare due<br />

esempi pronta consumazione. Allora cambio la metafora: mi sembra di essere uno che sta<br />

musicando un concerto ad una platea di sordomuti, che né sentono, né possono dirmi<br />

alcunché.<br />

Ricapitoliamo gli avvenimenti di novembre: mi sono arrivati i soldi del congresso da parte<br />

di Damiano e come volevasi dimostrare è valso il “teorema di Marilena”, con per giunta un<br />

Euro in meno per scendere ad una cifra tondeggiante, centoventicinque, che a volerla<br />

pensar tutta magari è stata messa lì proprio per evitare una mia ulteriore chiamata al grido<br />

di «C‟è un errore». La chiamata al caro milanés però l‟ho fatta lo stesso, solo non subito e<br />

con fondamentalmente il mio quesito originale, il «Quando si lavora?». La questione<br />

danari l‟ho bypassata, oramai la sonata s‟è capita anche se mi rende la bocca secca dal<br />

nervoso. E fuochi d‟artificio, pirotecnia della minchiata da parte del Signor Damiano. I fatti<br />

si sono svolti più o meno così:<br />

«Damiano, molto semplicemente volevo sapere in quanto ad incarichi»<br />

«Eh, <strong>Matt</strong>ia, guarda, la questione fondamentalmente è una»<br />

«Dimmi». Io già che pensavo a conseguenze relative agli attriti con Flavia, invece no.<br />

«Il punto è che piazzare ragazzi è difficile». Con una dozzina di effe.<br />

«In che senso?»<br />

«Eh, nel senso che le richieste sono altre»<br />

«Ma per che ambito?»<br />

«Agli stand in particolare, ma un po‟ dappertutto»<br />

«Me n‟ero accorto in effetti che noi ragazzi siamo in sottonumero. Però, ad esempio,<br />

guarda quanti eravamo al convegno»<br />

«Ma lì chiedevano espressamente degli steward. Ai congressi è vero, ma alle fiere è<br />

l‟opposto, come hai visto»<br />

«Quindi convegni in vista, magari?»<br />

«No, niente fino ad almeno dopo le Feste»<br />

«Azz…ma toglimi una curiosità, se possibile: maschio o femmina, alto o basso, io si può<br />

dire sia una figura a sé stante, no? Non so tu normalmente con chi ti gestisca, ma nelle tre<br />

volte complessive che ho lavorato per te in vita mia non ho visto nessun altro così ferrato<br />

con le lingue straniere»<br />

77


«Eh lo so, lo so»<br />

«Ma allora scusa, com‟è possibile che per uno come me, che oltretutto ha anche fatto dei<br />

corsi d‟interpretariato veri e propri, non salti fuori un‟occasione, una sola anche, in<br />

un‟intera fiera?»<br />

«Ritorniamo al solito punto: mi chiedono ragazze nel novantanove per cento dei casi»<br />

«Vabè, quindi i ragazzi?»<br />

«Per lo più io li metto in facchinaggio, squadre tecniche, allestimento-disallestimento.<br />

Roba del genere, insomma, non penso che tu…».<br />

Non pensa che io, Damiano non pensa che io. Grazie al cazzo, a poter scegliere. Già al<br />

momento di quella conversazione la prospettiva mi stava cambiando, ma grazie a due<br />

contatti da parte di Marilena lì per lì non mi sono lasciato trascinare dallo sconforto per<br />

mendicare un ruolo da monta-smonta, sempre per la solita regola del “fai il servetto un<br />

minuto e te lo faran fare sempre”. Una volta chiamate invece le due responsabili delle<br />

agenzie indicatemi, nello sconforto mi ci sono tuffato a candela. Stessa identica storia: non<br />

m‟avesse il Padreterno equipaggiato di sifone sarei andato bene, invece allo stato dei fatti<br />

mi sono solo potuto attaccare…e l‟ironia della sorte è atroce, per come il detto solitamente<br />

si conclude.<br />

E ora sì, permettetemi: ce l‟ho con le donne. Ne ho il diritto. Qui il mio cervello è<br />

discriminato per via del mio sesso. Si sente sempre parlare del contrario, delle quote rosa,<br />

degli sforzi delle casalinghe, delle donne nell‟esercito, ma scusate: me lo faranno al TG1-<br />

o per lo meno al TG4 o a Studio Aperto- un bel servizio perché io sono stato una rarità<br />

maschile in un ambiente femminile lavorando per Flavia e Roberto? Ora che la cosa è<br />

stata sottolineata, sento di potermi meritare uno di quei servizi sul “casalingo” o sul<br />

“mammo” di turno che fanno ogni tanto. Perché quando si dice “sessismo” lo si pensa<br />

sempre in sfavore della donna? E‟ come il fatto che ogniqualvolta si menzioni “razzismo” si<br />

pensi alla discriminazione perpetrata da un bianco a discapito di un nero. Ma c‟è anche il<br />

contrario, mi sembra il caso di dire. No?<br />

E allora mettete delle fottute quote azzurre per „sti lavori in fiera. Io voglio lavorare, sono<br />

laureato e al momento è mio papà che è operaio a mettermi il pane in tavola. E‟ assurdo.<br />

A ben pensarci, però, non me la posso prendere nemmeno con le donne: probabilmente<br />

me la devo prendere con gli uomini che impongono alle agenzie di fornire loro delle donne.<br />

Se già ai tempi del liceo invidiavo le mie compagne che potevano arrotondare come nulla<br />

facendo le baby-sitter o dando ripetizioni, qui la cosa si riaccade. Per carità, condivido<br />

anch‟io una divisione dei ruoli, identici non siamo e ci sono cose per cui le donne sono<br />

generalmente più indicate degli uomini e viceversa. Ma generalmente. Questo<br />

“generalmente” è grande come una casa. Voi mettetemi in fila tutte le donne che lavorano<br />

in fiera in una posizione che potrei ricoprire io (quindi non pretendo di fare l‟indossatrice di<br />

bikini, ci mancherebbe) e se tutte hanno capacità migliori delle mie io me ne starò zitto e<br />

andrò a casa. Ma se anche solo una non offre quello che offro io a livello di capacità,<br />

voglio il suo dannato posto e che se ne vada a casa lei.<br />

Mi vien voglia di rifarmi su Marilena con lo sciopero delle coccole. L‟atroce vendetta.<br />

A volte mi chiedo se io sia troppo pignolo, troppo freddamente logico o semplicemente<br />

troppo cagacazzo, ma a mia detta queste sono le pari opportunità, mica le possibilità per<br />

l‟uomo e per la donna sparse a macchia di leopardo. Sui CV dovrebbero segretare il nome<br />

e il sesso per i lavori di competenza pura. Non sto cercando di fare la modella per la<br />

Wonderbra, io voglio lavorare affinché la gente che ha esigenza di comunicare possa<br />

comprendersi e per questo non serve essere una bella figa. Chi afferma il contrario fa<br />

della discriminazione sessuale e come tale, senza scherzi, lede i miei diritti al pari di come<br />

venivano lesi quelli degli afroamericani che dovevano sedere in fondo agli autobus o a cui<br />

78


veniva vietato l‟accesso ad alcuni locali. La gente non s‟immagina quanto discorsi del<br />

genere davvero influenzino la vita di tutti i giorni. La nostra, s‟intende, mica quella delle<br />

“altre forme di vita” cantate dai Bluvertigo. Facciamo un passettino indietro: quando<br />

Roberto se n‟era uscito con «Io l‟avevo detto che ci voleva uno con le palle», davvero<br />

intendeva che ci voleva uno coi testicoli e la causa è il maschilismo dilagante in parecchie<br />

culture degli espositori con cui avevamo a che fare. Molti non solo non considerano<br />

autorevoli le donne, ma proprio non ci vogliono avere a che fare, non vedono altro<br />

interlocutore che l‟uomo per le questioni lavorativo-gestionali. E qui semplice per tutti<br />

additare, scandalizzarsi, indignarsi, gridare alla barbarie. Un po‟ meno facile è avere la<br />

finezza intellettuale per cogliere il problema quando applicato in senso contrario.<br />

Adesso invece torniamo sul pianeta Terra, laddove i soldi a fine mese vanno fatti saltar<br />

fuori. Un bar? No, sfortunatamente credo proprio di aver perso quella possibilità, non sono<br />

riuscito a svezzarmi e l‟investimento ha ora perso ogni valenza pratica. E‟ rimasta solo<br />

quella nominale: ho fatto un corso. Di fronte a gestori di una certa professionalità varrebbe<br />

zero, con gli altri nemmeno serviva fare il corso, se è per quello. Risultato: all‟atto pratico<br />

avrei fatto meglio a non spendere soldi, ma ovvio che a priori non potevo saperlo. Peccato<br />

per l‟investimento non adeguatamente messo a frutto, ma meglio aver mosso un passo,<br />

per lo meno posso dire di averci provato. Quindi ora? Beh, quando urge rimpinguare le<br />

tasche non ho altra soluzione: tocca chiamare “Mister Scusa-Scusa”, il principe della gaffe,<br />

il salvagente umano Gerardo. Che almeno mi getti un bracciolo.<br />

Rubrica, lettera “G”, nome individuato, chiamata, connesso.<br />

«Pronto»<br />

«Gerardo ciao, sono <strong>Matt</strong>ia, ti disturbo?»<br />

«Ehm, ehm…ciao. No, ehm, tranquillo». Questo non ha capito chi cavolo sono.<br />

«Ci metto un attimo, comunque: volevo sapere se hai incarichi da propormi in qualche<br />

reception o simile da qui a dopo le Feste»<br />

«Ah!», ecco che ha capito con chi sta parlando. «Allora, ti dico subito di sì: ho delle cose<br />

per tutto il periodo natalizio in centro a Milano. C‟è uno che mi va in vacanza nella<br />

reception di una residenza universitaria. Torna giù al paese, sai, quelle robe lì…»<br />

«Di quanti giorni parliamo?»<br />

«Due settimane»<br />

«Turni come?»<br />

«Da otto ore, sette e trenta/quindici e trenta o quindici e trenta/ventitré e trenta a seconda<br />

dei giorni»<br />

«Va bene, va bene. Per me più ore sono, meglio è. Natale però?»<br />

«No, no, quel giorno niente e neanche il trentuno e l‟uno. Quelli me le fa un altro tizio»<br />

“Ah. Eventualmente non era un problema su capodanno, ma meglio così. Quindi,<br />

insomma, siam d‟accordo?»<br />

«Sì sì, guarda, mi hai fatto anche un gran piacere, che già ero lì che scleravo perché non<br />

sapevo chi contattare. Tu m‟avevi detto che eri preso con le fiere»<br />

«Sì, è vero, ma in questa fase sono libero». Stiamo vaghi.<br />

«Bene, allora facciamo un turno di formazione entro il venti e poi mi cominci il ventidue?»<br />

«A posto, fammi sapere tu. Una cosa, in quanto a compenso c‟è qualche differenza?»<br />

«No, sempre lo stesso, otto netti l‟ora. Poi mi fai il conto a fine mese e ti faccio pagare il<br />

seguente».<br />

«Ascolta, essendo solo una quindicina di giorni ma su due mesi differenti, non possiamo<br />

fare che ti mando un conto unico e mi paghi entro fine gennaio?»<br />

«Ah…sì, non mi sembra un gran problema. Lo faccio presente in contabilità, poi tu<br />

ricordaglielo, nè».<br />

79


Insomma, eccoci. Piano d‟emergenza azionato, bonjour tristesse. C‟è di buono che mi<br />

entreranno un migliaio di Euro circa, c‟è di cattivo che i piani d‟emergenza si chiamano tali<br />

proprio per le circostanze in cui li si mette in moto. Non è come buttar giù un bicchiere<br />

d‟acqua, non ho alzato la cornetta a cuor leggero. Tutt‟altro: a Gerardo posso anche far<br />

sentire la voce squillante, ma quello che mi gira per la testa è l‟opposto del sorridente.<br />

Novembre è stato il mese che ha sancito un passo indietro, uno scatto mentale volto al<br />

regresso duro da digerire per me che sono disposto a sudare come un maratoneta purché<br />

si proceda col segno “+”. Invece in questo primo lunedì dicembrino mi viene in mente una<br />

frase letta anni fa su una rivista di pallacanestro, probabilmente in un‟intervista a Dino<br />

Meneghin: «Il vero campione non si vede da come celebra la vittoria, ma da come vive la<br />

sconfitta». Oggi posso dire che alla sconfitta sto reagendo, cercando prima di tutto di far<br />

quadrare i conti, ma mi ci è voluto un mese per risalire: una settimana di «qualcosa<br />

arriverà», due settimane d‟attesa, una settimana di disillusione fino al giorno del cambio di<br />

andatura. “Paso doble” lo chiamerebbero, il doppio passo, perché ora ho istituito il sentiero<br />

del lavoro salvagente: da una parte picchio duro per far quello che vorrei, dall‟altra quando<br />

non si muove nulla toccherà chiamar Gerardo. Meglio che stare in miniera, ma per l‟ego è<br />

comunque come scendere sottoterra.<br />

Uno sguardo al calendario mi fa ragionare sul fatto che la giornata di formazione sia<br />

meglio anticiparla il più possibile, in modo da potermi poi gestire senza nulla in mezzo<br />

finché prendo servizio. Richiamo Gerardo, ne esce che posso andare questo giovedì, in<br />

«giacca e cravatta, sì sì <strong>Matt</strong>ia, per forza». In più: «Senti, facciamo una bella cosa almeno<br />

siam coperti: fai due turni di formazione, almeno vedi sia l‟apertura che la chiusura. Scusa<br />

eh se te lo chiedo, scusa, e mica te li devi fare nella stessa giornata, eh, fai tu come vuoi».<br />

Tranquillo Gerardo, finché paghi io vado. Giacca e cravatta incluse.<br />

Stasera, invece, Mari vorrebbe venire a vedere come funziona la trasmissione. M‟è<br />

toccato dirglielo, non aveva più senso fare il vago o il misterioso come fosse un‟estranea.<br />

Le si è aperto un mondo: «Ma tu sei pieno di sorprese!» m‟ha detto, pretendendo un<br />

resoconto dettagliato sull‟intera faccenda. Ho prosciugato una bottiglia d‟acqua nel<br />

farglielo, senza comunque sbilanciarmi troppo sull‟album in arrivo: tutto ciò che sa in<br />

merito è che sto registrando diverse nuove cose. Ora il gioco comincia ad intensificarsi e<br />

ad ogni spiraglio possibile sarò in studio da Daniele. Le ultime volte ho dovuto mollare il<br />

colpo prima del previsto perché la gola mi andava in fiamme, speriamo ciò non voglia dire<br />

guai alle corde vocali.<br />

E il mio CV è sempre lì sul desktop. A tratti mi parla:<br />

«Allora, mi mandi o no?»<br />

«A chi?»<br />

«Dai, non fare il finto tonto»<br />

«Touché»<br />

«Allora?»<br />

«Non lo so, sono indeciso, guarda…»<br />

«Ma che cazzo te ne frega? M‟hai mandato a destra e a manca e stavolta che c‟han<br />

davvero voglia di leggermi tu sei qui che titubi?»<br />

«Titubo, titubo»<br />

«Finiscila di prendere per il culo, sei tu che vuoi che parli forbito»<br />

«Per ora mi sembri più uno scaricatore di porto»<br />

«Ma cosa c‟entra, sto parlando con te, alla tua maniera. Ho un‟ottima capacità<br />

relazionale»<br />

«Fai poco il simpatico, che ci metto un attimo a cancellarti»<br />

«Figurati, c‟hai messo un pezzo a farmi e aggiornarmi»<br />

80


“Io t‟ho creato, io ti distruggo, caro mio. Comunque ascolta, te lo dico chiaramente: ci<br />

fosse solo in mezzo Roberto saresti già stato spedito da un‟eternità. Il problema è Flavia»<br />

«Non t‟ho mai visto così indeciso, ragazzino».<br />

Start, spegni computer, spegni. Silenzio, grazie.<br />

Sto davvero impazzendo.<br />

81


15<br />

PROMEMORIA: PASSARE RICEVITORIA<br />

La giacca e la cravatta, le indicazioni stradali seguite alla lettera, il citofono e il cancello<br />

che si apre senza che alcuna voce chieda chi sono. E il parcheggio interno, ah che bello.<br />

L‟edificio è grigio cenere e non ha l‟aria di brillare per il lusso. Io che m‟ero sempre chiesto<br />

che tipo d‟ambiente fossero queste famigerate residenze universitarie, in questo sei<br />

dicembre sto per scoprirlo. Ricordo un paio di compagni di liceo –non fuori sede, ma per lo<br />

meno fuori mano- organizzatissimi coi colloqui per una stanza in posti del genere, tesi<br />

perché c‟era una stretta selezione. Tanta domanda, poca offerta. «Ma almeno poi hai tutto<br />

lì pronto e sei a due passi dalla facoltà» dicevano, a me che non capivo come mai tanto<br />

affanno. Da un lato non avevano tutti i torti: evitare la giungla degli affitti in nero è una<br />

scelta che fa guadagnare in salute, Claudia docet. Chissà lei come sta, fra l‟altro, e in che<br />

situazione è. Promemoria: contattare Claudia.<br />

Due porte a vetri e sono nell‟atrio, dove subito scorgo quella che sarà la mia postazione e<br />

presumibilmente il mio indottrinatore. A colpo d‟occhio noto due cose: l‟atmosfera<br />

fatiscente del luogo e il fatto che questo tizio sia vestito in maglione e jeans. E io no.<br />

«Buongiorno, sono qui per il turno di formazione, mi manda il signor Gerardo»<br />

«Chi?»<br />

«Gerardo, dell‟agenzia»<br />

«Ah, l‟agenzia ti manda! Allora te sei quello che deve sostituire a Zio Nino? Eh, se ne<br />

scende a Natale, „sto culattone…»<br />

«Ehm», io impietrito, «non conosco il nome della persona»<br />

«Sì, sì, è lui, te lo dico io. Vieni dentro, vieni». Apre quindi la porta della reception con due<br />

giri di chiave. Santa miseria, questo sta dentro barricato a doppia mandata, in un antro che<br />

pare un ufficio postale. «Alla faccia, che eleganza, oh!»<br />

«Mi è stato chiesto», giustificandomi per aver capito d‟essere troppo in tiro. Affanculo<br />

Gerardo, manco m‟avesse inviato al Parlamento Europeo. Invece guarda qui, „sto posto<br />

saran vent‟anni che non becca una mano di bianco. E nemmeno una spolverata decente,<br />

viste le ragnatele negli angoli del soffitto. Casino ovunque, mobilia laccata bianca<br />

sbeccata in più punti, briciole sulla scrivania e -dettaglio superfluo- computer<br />

dell‟anteguerra, di quelli color crema, nemmeno bianchi, con uno schermo pesante tanti<br />

chili quanti il numero dei pollici.<br />

Ogni lezione ha un‟introduzione. Logico.<br />

Taddeo monopolizza l‟introduzione su sé stesso. La sua vita intera per quaranta minuti,<br />

dalla nascita in Sardegna all‟ultima multa a Milano per transito in zona pedonale. Era con<br />

l‟auto dietro il Duomo. Era dai tempi in cui “Il ragazzo di campagna” era sbarcato in città<br />

col trattore che nessuno aveva osato tanto, con la differenza che Taddeo non è Artemio:<br />

Taddeo è reale.<br />

Ha anche un sito, mi dice, Taddeo.<br />

«Oh, vieni a vedere mo‟!», urlando. Io a meno di un metro. «Aspetta che ci devo entrare,<br />

allora, il sito è…»<br />

Taddeo ha una casella e-mail, semplicemente. La apre per farmi vedere che da un paio di<br />

giorni ha in piedi una faida con qualcuno che non ha la sua stessa visione in ambito<br />

politico, praticamente «un coglionazzo che quando ho scritto mi ha risposto che dico<br />

stronzate. Perché io sai cos‟ho fatto?»<br />

«No, cos‟hai fatto?». Interesse di plastica.<br />

82


«Eh, io ho letto che c‟era una notizia su quei bastardi del governo, allora io che c‟ho il sito<br />

sono entrato e gli ho lasciato una scritta». Tradotto: ha commentato un articolo<br />

registrandosi al portale con la propria e-mail.<br />

«E cosa?»<br />

“Guarda, guarda!”, e cerca per un lungo minuto, ansioso di mostrarmi quale svampante<br />

protesta alla Jan Palach abbia imbastito. «Ecco, ecco! Leggi, tè!»<br />

Leggo.<br />

Basta! E la solita zolfa!!!<br />

Oltre una facciata vacillante mi sbriciolo dalle risa. Non mi succedeva dai tempi del liceo,<br />

alla seconda canna.<br />

Da questo punto in avanti vedo tutto offuscato, lento, a fotogrammi. Come fossi fatto. E<br />

solo un‟ora fa arrivavo. Mi perdo il perché e il per come della faida con questo tizio, mentre<br />

la “solita zolfa” mi rimbomba in testa come un eco interminabile, uno scoppio a ripetizione,<br />

una Harley che spalanca il gas in zona del silenzio.<br />

Mi riprendo dopo un lasso di tempo imprecisato, quando Taddeo mi dà una pacca sulla<br />

gamba da sotto il tavolo e lo sento ricomporsi.<br />

«E che cazzo vuole questo adesso?» sussurra nella sua parlata meccanica. Poi, ad alta<br />

voce: «Salve direttore!»<br />

«Buonasera Taddeo, buonasera». Cazzo, già le sei e mezza. «Abbiamo un ospite, vedo».<br />

Gli sorrido: «Buonasera, piacere, sono <strong>Matt</strong>ia»<br />

«E‟ quello dell‟agenzia lui», s‟intromette a gamba tesa Taddeo, «che deve sostituire a Zio<br />

Nino».<br />

«Eh, che giovanotto elegante!». E mi becco pure un buffetto da quest‟uomo anziano, sui<br />

settanta, abbastanza malconcio.<br />

Uno, due, tre.<br />

Porca puttana, questa no! Lancio un‟occhiata fra lo stupito e il carbonizzante a Taddeo,<br />

che sicuramente ha scoreggiato. Il direttore imbocca la porta verso il suo ufficio e il mio<br />

maestro per la giornata mi si rivolge a voce bassa.<br />

«L‟hai sentita, eh?». E ridacchia.<br />

«Eh, sì…”. Evito qualsiasi commento, mi tocca anche star nel mio.<br />

«C‟ha addosso una puzza da maledetti il vecchio, fa dentro e fuori dall‟ospedale», e<br />

ridacchia ancora. Io ho un sussulto e stavolta mi tocca dire mea culpa. In effetti l‟olezzo è<br />

salito quando il direttore mi si è avvicinato e per di più come scoreggia avrebbe avuto una<br />

fragranza inedita. Era proprio più odore di morto.<br />

Promemoria: stare a distanza dal direttore.<br />

Taddeo, forse come da programma o forse voglioso di farsi captare attivo dal suo capo,<br />

passa a illustrarmi le faccende concrete. Mi spiega come è organizzata la bacheca con le<br />

chiavi delle stanze, come tenere il registro presenze tanto sul cartaceo quanto sul<br />

computer e come gestire il quadro elettrico.<br />

Il direttore se ne va. Taddeo lo saluta a vuoto e correda il tutto con un «Meno male che è<br />

andato fuori dai coglioni, chissà che cazzo voleva. Oh, la mangi una pizza?». Rispondo di<br />

sì, lui tira fuori un volantino, diamo un‟occhiata e chiama. Rimessa a posto la cornetta,<br />

chiedo se per il telefono ci sia qualcosa di particolare che io debba sapere. Mi risponde<br />

che si fa lo zero per prendere la linea quando si vuol chiamare, dopodiché m‟informa che<br />

in fascia serale ci sono parecchie telefonate per i ragazzi da parte dei genitori. Immagino<br />

ci sia da deviarle in camera ma mi viene detto di no.<br />

«Eh, mo‟ sono cazzi…mi tocca spiegarti una roba lunga»<br />

83


«Dai, intanto che aspettiamo la pizza». Cioè, mi hai raccontato la tua vita fino a quante<br />

Winx c‟ha tua figlia e adesso ti scoccia spiegarmi una parte del lavoro?<br />

«Ehm, ehm…». Lo vedo che cerca disperato di organizzare le idee. «Ehm, faccio fatica a<br />

spiegartelo a parole»<br />

«In qualche maniera dobbiamo», gli sorrido io, benevolo.<br />

«Ehm, allora, lo vedi qua?». Diamine, fa davvero fatica. Per metà mi fa ridere e per metà<br />

pena. «No, no, già se parto così finiamo male. Te lo devo far vedere» e gli s‟illumina il<br />

volto.<br />

Parte il teatro.<br />

Mi mima tutto: «Tu fai finta che suona il telefono…driiin, driiin». I telefoni non fanno più<br />

così dall‟Ottantanove, fra parentesi. «E rispondi. Dici: pronto, residenza universitaria. Poi<br />

loro ti dicono: sono la mamma di…Guglielmini. Allora tu dici: sì signora, un attimo che<br />

glielo chiamo».<br />

Dal lato della scrivania sbuca fuori un microfono. Non l‟avevo notato, o meglio credevo<br />

fosse un cimelio dei tempi andati. Taddeo lo accende e si sente un colpo risuonare in tutto<br />

l‟edificio. «Guglielmini! Guglielmiiiniii!!!». Altro colpo, microfono spento dopo un fracasso<br />

cane. «Devi gridare, mi raccomando, che questi sono un branco di addormentati».<br />

Sbuca un tizio dal corridoio. Allarmato dalle grida al microfono, penso io. «Niente niente,<br />

vai vai» gli dice Taddeo. «Chi è?», chiedo io. «Guglielmini», mi risponde lui.<br />

Stento a credere a quel che sto vivendo. Mi sento salire una vampata di calore, sudo<br />

freddo in un secondo, mi si contraggono gli addominali e a questo punto lascio andare una<br />

mastodontica, imperiale risata. «Eh, fa ridere pure a me con quei capelli!». Ma io non rido<br />

certo per quelli.<br />

Nonostante le mie lacrime agli occhi, la performance continua: «Dai, dai che fra poco ci<br />

arriva la pizza. Allora, tu sei al telefono con la mamma di Guglielmini e gli hai detto che ora<br />

passi la chiamata? Sì, quindi adesso io faccio Guglielmini e tu fai me, che poi puoi essere<br />

anche te se sei di turno, anzi che devi essere te quando sei di turno. Quindi io faccio lui e<br />

tu fai te che lavori, OK?». Delirio totale. Queste risate mi valgono come dieci serie di<br />

panca inclinata. «Devi schiacciare questo, ricordati» ed esce dalla porta di corsa<br />

dirigendosi a fondo corridoio, sette metri più in là, in una cabina telefonica da Pensione<br />

Mariuccia. «Io entro qui adesso», a squarciagola, «guardami! Allora in quel momento tu<br />

schiacci il bottone che manda la chiamata. Schiaccia, schiaccia!». Non mi resta che<br />

simulare di schiacciare il bottone. «Driiin, driiin! Lo senti che suona? Driiin, Driiin!»,<br />

naturalmente arriva tutto dalla sua bocca, «e a questo punto lui, se non è sordo, risponde<br />

a sua mamma: pronto mamma! Sì ciao, tutto bene. Mi sono fatto le seghe tutto il giorno!».<br />

Più decibel di un aeroplano, e io vorrei tanto avere una videocamera perché a raccontarla<br />

non ci crederà nessuno. «Poi lui quando ha finito dice: ciao mamma, sì, ti voglio bene<br />

mamma, ciao ciao. E riattacca. Capito?».<br />

Qui scemo io a chiedere se la procedura sia la medesima anche per inoltrare chiamate<br />

all‟amministrazione. Altro giro di imitazioni, con la voce roca e quasi stridula del direttore e<br />

un‟introduzione alle segretarie che fa capire quanto poco gli vadano a genio.<br />

Per me, nel frattempo, ennesima serie di addominali e rinnovata rosicata per non essere in<br />

possesso di microcamere da servizio delle Iene.<br />

Arriva il fattorino con le pizze e due lattine in omaggio, paghiamo, apriamo i cartoni sulla<br />

scrivania e cominciamo a mangiare. Io a questo punto appendo la giacca e sfilo la<br />

cravatta, ora più che mai d‟intralcio. Taddeo risponde in pieno al detto “parla come mangi”,<br />

infatti mangia come parla, in un trionfo di classe degno di un orango a tavola. Nel mentre<br />

cominciano a rientrare diversi residenti, che chiedono la chiave e se ne vanno coi<br />

84


polpastrelli grondanti d‟olio infarinato. Taddeo ha usato il tovagliolo per soffiarsi il naso e<br />

ora maneggia tutto senza pulirsi.<br />

Noto che molti di quelli che entrano fremono con un imprecisato qualcosa sulla punta della<br />

lingua, che reprimono però una volta avvistato un soggetto ignoto (io) alla destra del padre<br />

padrone. D‟un tratto varca la soglia un trio.<br />

«Ridicoli!», esclama Taddeo a bocca piena.<br />

«Ridicolo, ridicolo!». Rispondono al fuoco in coro.<br />

«Ridicoli, uno per uno, ridicoli!»<br />

«Taci, stai zitto, sfigato!»<br />

«Brutti ricchioni, pugnettari!». Dopodiché, rivolgendosi a me, rimasto paralizzato: «Ci<br />

salutiamo sempre così. Cazzo vuoi dire a degli interisti? Oh, ma tu chi tifi?».<br />

Io, riprendendomi dal siparietto: «Mah, guarda, non è che m‟interessi granché il calcio.<br />

Sono molto più per il basket»<br />

«Eh, tu vuo‟ fa l‟americano, eh?»<br />

«Mi piace anche quello italiano». Non stiamo a spiegargli più di tanto.<br />

«Invece io tifo la Juve, perché da bambino…» e via una digressione post-cena delle<br />

peggiori per me, che davvero ne ho le palle piene di sentir parlare di calcio ovunque.<br />

Ripercorriamo la passione di Taddeo per la Vecchia Signora, con nel mentre altri soggetti<br />

a transitare per le chiavi. Saluti di rito sempre molto coloriti, con ad un certo punto la<br />

scoperta della giornata: qui dentro alloggiano solo maschi.<br />

«E sì, qui è solo per ragazzi, se no sai che bordello? Quattro fighe qui farebbero smettere<br />

di studiare tutti quanti, e poi te li senti te i genitori che chiamano e dicono: mio figlio torna<br />

la sera e invece di ripassare la lezione corre ancora dietro alla figa, ma che cazzo vi<br />

paghiamo a fare?».<br />

Io a questo punto sento -non so perché- di voler esplicitare la mia opinione: «Ma scusa,<br />

sarà mica il collegio responsabile dei risultati di chi alloggia»<br />

«No, però tu devi capire che la maggioranza di quelli che ci sono vengono messi qui dai<br />

genitori perché sono degli irresponsabili. Metti in un appartamento a questi? Lasci in giro a<br />

questi? Finisce che arrivano a fine anno che non hanno fatto un cazzo. Allora i genitori<br />

chiamano un posto come questo, pagano un mucchio di soldini ma c‟hanno il figlio che è<br />

come in collegio: qui non esci quando vuoi, c‟hai due sere a settimana; qui non inviti i tuoi<br />

amici a fumarti gli spinelli, perché gli amici al massimo stanno due ore e nelle sale comuni;<br />

e qui non torni ubriaco tutte le sere, perché alla prima che succede chiamano i tuoi e alla<br />

seconda ti becchi un calcio nel culo e sei in mezzo alla strada».<br />

Alt, alt, alt un secondo. Annuisco in silenzio ma dentro di me c‟è un‟esondazione di<br />

pensieri in merito: in primo luogo non stiam parlando di liceali, ma di studenti universitari;<br />

secondo aspetto, stiamo parlando di maggiorenni. Cazzo, con un genitore che deposita<br />

qui il figlio –o più che altro con un figlio che si lascia depositare qui dal genitore- siamo<br />

prossimi alla caserma, se non alla carcerazione, se non ad un sequestro di persona<br />

legalizzato. Io non mi capacito: gli anni di università, il completamento della crescita, il<br />

processo di responsabilizzazione di una persona, il fare nuove esperienze, come diamine<br />

combaciano con questo? Letteralmente ciò vuol dire piazzare il figlio in università tramite<br />

un atto di sfiducia: ti reputiamo così cretino da doverti mettere attorno delle guardie; e in<br />

parallelo ci sono dei ventenni così smidollati da non riuscire a gestirsi se non ficcati in un<br />

ambiente inquadrato, pari a dei muli che sanno tirare il carretto ma non sanno dove<br />

diamine andare se non c‟è un cocchiere a direzionarli.<br />

Lasciamo perdere i casi estremi da un lato e dall‟altro, cioè quelli della gente con qualche<br />

problema serio o quelli di coloro che hanno preferito perderci in libertà piuttosto che finire<br />

in un quartieraccio a dividere casa con chissà chi. Ma qui la fetta principale non può<br />

85


davvero che essere una, cioè quella che mi ha descritto Taddeo, cioè quella per cui posti<br />

del genere sono stati creati: i rincoglioniti.<br />

E così mentre in America si va al college a chiavare anche sui lampadari, in Italia si va al<br />

collegio a farsi tenere sotto chiave. Un film porno contro il Libro Cuore: alla fine sempre la<br />

laurea, ma in mezzo giusto un pelo di differenza.<br />

Inizio a capire bene dove sono finito e non posso fare a meno di continuare su una<br />

traiettoria d‟opinione negativa quando comincia l‟andirivieni di ragazzi a chiedere «Per<br />

favore, le racchette da ping-pong», o «Per favore, il Forza 4» o qualche altra cavolata. E<br />

stiamo parlando di gente che ha all‟incirca la mia età, mica di quattordicenni. Rinchiusi con<br />

fuori Milano, che al di là della nebbia ha locali, mostre e vernissage da visitare, concerti,<br />

centri sportivi con mille corsi diversi, squadre di alto profilo per tutti gli sport principali,<br />

eccetera. E questi no, rinchiusi con lo svago dei giochi da tavolo sfruttano la città in cui si<br />

sono trasferiti al venti per cento, se va bene. Solo poco più di un paio passano a firmare<br />

per uscire e via che consumano una delle due possibilità settimanali. Ma chissà che<br />

vergogna finire a dire a qualche compagno di università «Ehm, no, stasera non posso…ho<br />

finito i permessi al collegio». A vent‟anni suonati, quando tutti gli altri si sono guadagnati la<br />

possibilità di autogestirsi e la sfruttano al meglio.<br />

Fattasi oramai sera avanzatissima, vengo guidato per un giro di ricognizione dove Taddeo<br />

deve richiamare all‟ordine a suon di francesismi un quartetto sul punto di lanciarsi<br />

secchiate d‟acqua, dopodiché ci dirigiamo a controllare che tutte le porte e le finestre dei<br />

locali comuni siano ben chiuse. Finito il tour tocca annotare le presenze totali e fare la<br />

conta di quelli in libera uscita, che sono solo sei su centodieci. Ed è giovedì sera.<br />

A trenta minuti dalla mezzanotte, il turno si conclude. Notifico a Taddeo che l‟indomani<br />

sarò lì la mattina per la formazione sulle procedure d‟apertura. Lui ridacchia e mi dice che<br />

mi beccherò «la banda al gran completo». Io fra me e me mi dico che dopo un solista del<br />

genere posso reggere qualsiasi altra cosa. A guardare indietro ora, Giuliano e Mario mi<br />

sembrano due lord inglesi e il posto dove lavoravo un castello nello Yorkshire.<br />

Passando a rapidi convenevoli, mi viene chiesto cosa farò nel weekend. Rispondo che<br />

non ho piani.<br />

«Come non hai piani?! No no, invece io con la mia famiglia organizzo sempre qualcosa.<br />

Ho appena fatto anche il Telepass»<br />

«Ah sì?»<br />

«Eh sì, a noi piace viaggiare: ogni fine settimana facciamo un centro commerciale!»<br />

«A‟ Lonely Planet…ma vaffanculo!». Lo penso e basta, non lo dico. Saluto e vado.<br />

La mattina dopo eccomi in largo anticipo, come di prassi ogni volta che c‟è da venire a<br />

Milano con lo spauracchio dell‟ora di punta. Il parcheggio interno e i ribaltabili rimediano<br />

alla levataccia, senza comunque che ci sia granché da aspettare perché fattesi quasi le<br />

sette e trenta è ora di varcare la soglia. Fra me e me ripenso ancora a ieri e a Taddeo.<br />

Promemoria: stasera raccontare agli altri (sperando che ci credano).<br />

Entro con una certa confidenza e vedo un uomo grassottello, semi-calvo e con gli occhiali<br />

che alza lo sguardo e mi sorride.<br />

«Buongiorno, lei è qui per la formazione vero?»<br />

«Buongiorno! Esattamente». Stupito da cotanta efficienza entro in reception, oggi<br />

comodamente in camicia, maglione e jeans, il mio “must” per tutte le occasioni informali<br />

ma composte. «Informatissimo, eh?» gli dico.<br />

«Ho solo trovato un nota di Taddeo». La vedo sul tavolo:<br />

Viene ragazzo agenzia ha fare formazione<br />

86


Altra perla.<br />

«Eh, il mio caro collega ha qualche problemino con la grammatica», dice il mio nuovo<br />

maestro. Scopro dopo un attimo e una stretta di mano blanda che si chiama Giovanni.<br />

“Senta, senta, ma lei di dov‟è? Lei è un lumbard!» Mi dice.<br />

«Abito a mezz‟ora da qui in direzione nord. Traffico permettendo, s‟intende. E tu?».<br />

Proviamo simpaticamente ad abbattere questo ridicolo muro del “lei”, che per quanto non<br />

freschissimo nell‟aspetto Giovanni di certo non tocca i quaranta.<br />

«Io a un‟ora e mezza da qui, ma in direzione sud e coi mezzi. Non ho la macchina, non<br />

sono mica fortunato come lei!». Messaggio non ricevuto.<br />

«Sono fortunato ad avere i miei che possono prestarmela, semmai. Altrimenti dovevo<br />

muovermi anch‟io coi mezzi e ci avrei messo lo stesso tempo tuo». Aggettivo possessivo<br />

pronunciato in maniera marcata, come a rinvitare a rompere le forme di cortesia.<br />

«Ha-ha, certo che lei è una sagoma!». Ancora.<br />

«Perché?». Stupito, non ho detto niente di che. O no?<br />

«He-he, lei ha notato subito l‟errore di Taddeo. Ho visto che ha strabuzzato gli occhi!»<br />

«Vabè, l‟è minga catif». Non è cattivo, gli dico in dialetto lombardo. Questa mia<br />

dimestichezza con l‟idioma dei nonni galvanizza Giovanni.<br />

«He-he, he-he! Ma senta, senta, lei di dov‟è? Di Cermenate-Lentate-Minoprio-Fino<br />

Mornasco?»<br />

«Alla faccia che conoscenza, Giovanni!». Comincio ad avere una certa sensazione, ma<br />

non mi sbilancio nemmeno con me stesso.<br />

«He-he, io ne so, ne so! Ho amici a Cadorago».<br />

«Più o meno siamo dalle mie parti. Grosso modo»<br />

«Senta, senta: ma ieri lei ha incontrato il direttore? Ha-ha!».<br />

E qui si parte con un‟imitazione da record in cui il povero vecchio viene demolito su tutti i<br />

fronti, canzonato dalla voce all‟olezzo transitando per la forte miopia. Non è neanche<br />

passato un quarto d‟ora che già sento le fitte agli addominali. Anche oggi. La sensazione<br />

era giusta: questo è un covo di fenomeni.<br />

Meno di un minuto e mi si accende la lampadina, in virtù di uno dei promemoria: non ho<br />

una videocamera vera e propria ma ho il cellulare, quindi fuori quello. Con la<br />

conversazione che inaspettatamente vira su argomenti soft-porno, do il ciak e parto con<br />

un‟intervista senza peli sulla lingua. Giovanni s‟irrigidisce un attimo ma capisco ciò non<br />

accada per le domande, bensì solo per l‟ansia da obiettivo. Gli chiedo come abbia fatto a<br />

diventare un idolo per i giovani, come gestisca il suo losco giro di pretendenti e cosa<br />

significhi per lui aver sfondato nel mondo dell‟hard. Tutte uscite senza senso, a cui<br />

comunque lui prontamente risponde con un sottile umorismo fra il timido e il sagace.<br />

Tentenna, balbetta, quasi arrossisce ma un secondo dopo non si trattiene e spiattella la<br />

risposta colorita, per poi quasi ritrarsi, ma in fondo godendo.<br />

Noto che si è portato un libro, lo scruto meglio e vedo che è l‟Eneide, quindi devio su<br />

quello e lo faccio parlare. Tutto d‟un tratto mi si trasforma in una specie di Benigni con la<br />

Divina Commedia e comincia a narrarmi di Eurialo e Niso e il loro “pius amor”, ma dopo<br />

meno di due minuti la passione del suo racconto viene interrotta dal telefono della<br />

reception che prende a suonare. Mentre l‟osservo che parla metto via il cellulare e rifletto,<br />

sbalordito, su quanto rapidamente abbia saputo tirar fuori riferimenti e commenti in merito<br />

ad un‟opera letteraria che non è roba per tutti, non è letteratura da ombrellone. Una volta<br />

riappoggiata la cornetta mi dice che il direttore ha avvisato che non sta bene e quindi oggi<br />

ci sarà il vice, che però ci metterà un po‟ per arrivare da Varese.<br />

Tento di ritornare su Virgilio ma non c‟è possibilità: Giovanni sembra aver eletto in me un<br />

compagno di giochi e, come succede con quei bimbi che vanno su di giri quando lo zio<br />

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passa a trovarli, ora sono obbligato ad assistere al migliore dei suoi show. Al grido di<br />

«Senta, senta, ma a lei piace…» e ogni volta un personaggio diverso, Giovanni sforna una<br />

serie di imitazioni di Paolo Villaggio in Fantozzi, Adriano Celentano, quel Silvio Berlusconi<br />

da “Mi consenta/Si contenga”, Maurizio Costanzo, Vittorio Sgarbi, Beppe Grillo, Cossiga e<br />

Scalfaro. Tre minuti circa da un «Adesso, adesso le faccio…» all‟altro, per un totale di una<br />

buona mezz‟ora di cabaret intervallata da qualche saltuario episodio di residenti che<br />

consegnano le chiavi ed escono. Ciò che c‟interrompe definitivamente è l‟arrivo delle<br />

segretarie, alle quali stringo la mano e spiego il perché della mia presenza. A vederle così<br />

sembrano due persone assolutamente normali, cosa che mi porta a pensare che il fatto<br />

che a Taddeo non vadano a genio avvenga principalmente perché Taddeo non va a genio<br />

a loro. Il che, oltretutto, non impone nemmeno di arrovellarsi sul come mai. Da qui in poi<br />

Giovanni si ricompone, si ridimensiona al punto di farmi venire in mente la dolce signora<br />

Minù, che nel cartone animato d‟improvviso diventava piccola quasi quanto un cucchiaino<br />

da caffè. Tempo cinque minuti ed arrivano anche le donne delle pulizie, che cominciano<br />

proprio dalla reception e costringono noi due a sgomberare. Giovanni m‟illustra le varie<br />

procedure d‟inizio giornata, praticamente le stesse viste per la chiusura ma fatte al<br />

contrario, dopodiché comincia una lunga mattinata di ordinaria amministrazione: gente<br />

avanti e indietro, operai per riparazioni varie, qualche telefonata da passare e nulla più. Il<br />

mio Cicerone è diventato l‟immagine della compostezza ma l‟energia che prima aveva nel<br />

fare le imitazioni ora la pone tutta sul pettegolezzo. Il bersaglio prediletto è il famigerato<br />

Zio Nino.<br />

«Senta senta, ma anche lei quando sarà qui la sera si farà un paio di birrette?»<br />

«Ma scherziamo? A che pro?»<br />

«He-he, ma non vuol essere un degno sostituto allora?»<br />

«E se son degno o no lo decidiamo con l‟etilometro?»<br />

«He-he, ma lei non sa quanto beve Zio Nino!»<br />

«Allora dovreste chiamarlo Zio Vino»<br />

«Ha-ha! Ma lei è proprio una sagoma!»<br />

Io sarò proprio una sagoma, ma certo che voi tre fate un bel quadretto di staff ora che ho<br />

scoperto che il personaggio che sostituirò è un mezzo alcolizzato. «Se ne scende a<br />

Natale» aveva detto Taddeo, ma credo convenga verificare se scenderà in bassitalia o in<br />

cantina per qualche bottiglia, perché nel secondo caso potrebbe trattenersi più del<br />

previsto.<br />

Conquistato un momento di tranquillità vengo introdotto al compito principe della<br />

mattinata, ossia controllare le riprese notturne della telecamera a circuito chiuso sul<br />

cancello al fine d‟individuare ingressi sospetti oppure, in ottica più da Gestapo, verificare<br />

l‟eventuale stato di ebbrezza dei vari Franti e Garrone e riferire alle alte cariche. «La prima<br />

volta vengono convocati, la seconda fanno la valigia», nulla che io già non sappia nelle<br />

parole del mio tondeggiante istruttore. Il più del filmato scorre a “10x”, rallentiamo sui sei<br />

ingressi ma a questo giro tutto regolare. Leggo della delusione negli occhi di Giovanni,<br />

niente colpi di scena oggi nella sua telenovela preferita. Io, nel mentre, sono sempre più<br />

allibito per il regime orwelliano a cui centodieci “speranze per il futuro” hanno deciso di<br />

sottomettersi.<br />

A mezzogiorno meno cinque il mio sensei mi offre un caffè alla macchinetta. Una volta<br />

riaccomodatici in postazione, eccolo che in uno scatto inaspettato posa il bicchiere e si<br />

mette composto sulla sedia, con la schiena bella dritta: «Buongiorno signor Castoldi». Io<br />

alzo lo sguardo e vedo quest‟uomo elegantissimo, un metro e novanta, l‟immagine<br />

dell‟autorità ma soprattutto –finalmente- l‟immagine della normalità. Ricambia il saluto di<br />

Giovanni, entra in reception, ci presentiamo rapidamente e poi se ne va in ufficio. Ecco il<br />

vicedirettore. Da qui in avanti non vola una mosca, Giovanni persino ripone nel cassetto i<br />

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settimanali che sfogliavamo entrambi nei momenti più placidi. Ora in faccia sua c‟è<br />

un‟espressione inequivocabile, uno striscione che risponde «No, non possiamo» ad ogni<br />

mia eventuale domanda, un tatuaggio di timore come se si aspettasse una bacchettata<br />

sulle mani al minimo sgarro. Ad un certo punto m‟irrigidisco anch‟io, dubbioso se davvero<br />

ci sia da cagarsi in mano così tanto per Castoldi. Dopo un paio di minuti a riflettere, però,<br />

decontraggo le spalle tornando sul pianeta Terra e ricordandomi chi sono: un signor<br />

nessuno, o meglio un dottor nessuno, ma di certo umanamente parlando né un Giovanni,<br />

né un Taddeo, né tantomeno uno Zio Nino. Mentalmente è qui che tiro le somme di due<br />

turni lunghissimi, non in quanto a ore ma a livello di sensazioni: un fenomeno ieri, uno che<br />

oggi mi aveva fatto una migliore impressione ma che poi si è rivelato degno del suo<br />

collega, un alcolista non-anonimo, un direttore con un piede nella fossa e un manipolo di<br />

sciagurati come alloggiati. Mi monta lo squallore. Solo Castoldi si distacca completamente<br />

dal resto, ma non me ne viene comunque in tasca nulla; anzi, spero solo che non mi<br />

prenda per uno dei suoi soliti personaggi da reception perché al primo gesto di<br />

supponenza di sicuro non mi metto a tremare come il pulcino Giovanni. Sia chiaro da<br />

subito soprattutto a Castoldi che io qui ci sono finito per sbaglio, sbaglio della vita, e quindi<br />

al più presto intendo levare le tende. Una manciata di settimane fa interagivo con<br />

imprenditori e diplomatici di tutto il mondo, lo sappia Castoldi e se lo tenga bene a mente<br />

ogni volta che penserà di dirmi anche solo una sillaba. Perché voglio vedere oltre il bel<br />

vestito e il metro e novanta cosa può vantare Castoldi, facendo il vice in questo cesso di<br />

posto.<br />

Poveraccio, me la prendo con lui senza un perché. Senza dubbio i miei pensieri iracondi<br />

sono uno sfogo della frustrazione accumulata non solo ed esclusivamente nelle ultime<br />

ventiquattro ore, sebbene queste siano state “particolari” per usare un eufemismo.<br />

Tiro le tre del pomeriggio senza neanche aver mangiato il tramezzino che mi ero portato<br />

da casa, mentre Giovanni zitto zitto avrà pranzato durante una delle sue gite al bagno,<br />

badando bene a non far briciole sulla tazza per non essere passibile di tortura medievale.<br />

Chissà cosa gli gira in quella testa.<br />

In una manciata di minuti mi sistemo, saluto il temibile Castoldi e le segretarie, dopodiché<br />

ringrazio Giovanni «per avermi insegnato l‟arte».<br />

«Oh, ma si figuri signor Colombo!»<br />

«Giovanni, dammi del tu se ci rivediamo, mi raccomando»<br />

«He-he, va bene…come fra gente di paese!»<br />

«D‟altra parte è da lì che vengo. E buona lettura dell‟Eneide»<br />

«Ma questa l‟ho già letta mille volte, è che ora c‟ho l‟esame per l‟abilitazione ad<br />

insegnante. Io mica resto qui a vita, voglio fare il professore!»<br />

«Auguri». In tutti i sensi.<br />

Sulla via di casa ripercorro ciò che ho visto, dicendomi ripetutamente che non può essere<br />

vero. Per fortuna ho un video nel cellulare che lo testimonia, altrimenti finirei col credere di<br />

aver sognato tutto.<br />

E se davvero fosse stato un sogno, a quest‟ora mi fermerei alla prima ricevitoria a<br />

giocarmi sulla ruota di Milano la serie 22-23-14-48.<br />

O‟ pazzo, „o scemo, o‟ mbriaco…e o‟ muorto che „pparla.<br />

89


16<br />

ALL’IMPROVVISO UN CONOSCIUTO<br />

Mi sveglio ridendo. Chissà se avrò sghignazzato anche nel sonno.<br />

Durante il weekend la performance video di Giovanni ha spopolato ed è stata il<br />

lasciapassare della credibilità per raccontare ai miei amici l‟intera storia. L‟ilarità non<br />

toccava certi livelli da tempo immemore e qualcuno mi ha anche chiesto di passargli il file<br />

tramite Bluetooth, in veste di rimedio tempestivo contro i momenti di depressione. Per la<br />

serie “aprire in caso d‟emergenza”. Io però ho lasciato perdere con la scusa della<br />

dimensione, cinque megabyte abbondanti causa l‟alta qualità (con un tale personaggio di<br />

fronte non ho badato a pixel). In realtà è meglio limitare manovre di condivisione, che da lì<br />

a Youtube il passo è breve…e finisce che qualcuno fa successo. E io in tutta risposta mi<br />

becco una denuncia. E perdo il lavoro. Non scherziamo.<br />

Con un gioioso nulla da fare all‟orizzonte, decido di dedicare la giornata a quel che più mi<br />

piace, così dopo la colazione e un rapido controllo della casella di posta -piena solo di<br />

cavolate- aggiorno i piani di battaglia inerenti al completamento del mio disco. Tutto<br />

sommato sono messo bene, diciamo che manca solo un quindici per cento di registrazioni,<br />

poi sarà la volta di ciò che non gestirò io direttamente, vale a dire mixaggio, grafica del CD<br />

e videoclip del singolo. Già che sono qui ad account aperto scrivo un messaggio al tecnico<br />

del suono di Milano che si occuperà del primo aspetto, così come uno al creativo delle mie<br />

parti che si prenderà cura degli altri due. In entrambi i casi è solo un ricontrollare le loro<br />

agende per farmi l‟occhio su che tempi dare a me stesso e che prospettive ricomunicare a<br />

loro. Un gioco d‟incastri multipli, insomma.<br />

Mentre invio la seconda e-mail, il cellulare mi vibra e vedo sul display il nome di Gerardo.<br />

«Pronto, ciao Ales…eh, scusa, <strong>Matt</strong>ia, ciao. Scusa se ti disturbo, scusa eh, ma sono<br />

proprio nella cacca». Oltre la raffinata metafora salta fuori che s‟è ammalato il tristemente<br />

noto Zio Nino e alla residenza universitaria c‟è da coprire quasi certamente tutta la<br />

settimana da domani pomeriggio. Casino schivato per un pelo, visto che stasera sono<br />

impegnato con la trasmissione, e incarico accettato. Gerardo mi annuncia inoltre che «Ad<br />

un certo punto, non so quando, ma questa settimana ci vedremo perché la residenza è un<br />

cliente nuovo e non ho ancora incontrato direttamente il responsabile. Mi tocca una visita<br />

di cortesia, ma almeno anche io e te ci conosciamo, finalmente». Dopodiché una frangia di<br />

ringraziamenti e scuse per il disturbo, quindi la chiamata si conclude. Va bene Gerardo, ci<br />

vediamo in settimana.<br />

Il lunedì prosegue sciolto che è un piacere, fra le risposte incoraggianti alle due e-mail<br />

inviate in relazione al disco, un‟ottima sessione in palestra e la felicità di aggiungere delle<br />

ore di lavoro al resoconto mensile che compilerò per l‟agenzia. A livello di cifre a questo<br />

giro si mette bene. Comunicandolo però a tavola vedo sì dei sorrisi da parte dei miei, ma<br />

anche un‟espressione di compassione per questo figlio raggiante per una settimana extra<br />

in un posto fatiscente, ottenuta per giunta grazie alla cattiva salute di un‟altra persona. A<br />

me sinceramente in questo momento interessa poco, so bene che non è la più rosea delle<br />

situazioni ma quel che conta è ficcare qualche monetina in più nel porcellino, poi sul resto<br />

faremo i filosofi a pancia un po‟ più piena. Sono positivo oggi, non senza che mi salga una<br />

punta di timore su cosa mi stia succedendo dentro per essere sorridente al centro di<br />

questa cornice.<br />

Via, andiamo in studio ora e vediamo di mettere in piedi una bella puntata per il<br />

programma, non pensiamo ad altro. Hic et nunc mi basta questo e poi la giornata è da<br />

doppio pollice su.<br />

90


Si fa martedì e alle quindici e venticinque varco la soglia del fortino. Saluto rapido Taddeo,<br />

che non vede l‟ora di sfrecciare in qualche zona vietata a bordo della sua station wagon, e<br />

prendo posizione con tanto di settimanale al mio fianco per una sfogliata generale.<br />

Compare Castoldi, scompare la rivista; scompare Castoldi, riappare la rivista.<br />

D‟un tratto si palesa un uomo con un sostanzioso pizzetto, si avvicina al vetro della<br />

reception e mi si rivolge: «Ciao, tu sei <strong>Matt</strong>ia, vero?». Et voilà Gerardo, arrivato anche<br />

molto prima di quanto il suo «in settimana» mi aveva indotto a pensare. «Eh, oggi ero con<br />

l‟acqua alla gola ma poi m‟è saltato un incontro. Senti, mi annunci al direttore per<br />

piacere?». In assenza del buon settantenne non mi resta che interpellare Castoldi,<br />

dopodiché senza che mi sia chiaro il motivo vengo invitato a sedermi in ufficio con loro.<br />

Nella sala vige uno strano silenzio, uno strato di ghiaccio che tanto Gerardo quanto<br />

Castoldi sembrano reciprocamente riluttanti a rompere, il primo di certo per riverenza e il<br />

secondo di certo per un‟oncia di supponenza. I gesti di entrambi sono molto lenti, un<br />

condimento dei secondi mentre l‟uno attende che l‟altro faccia la prima mossa, finché con<br />

una battuta a caso, un originale «Che freddo che fa oggi», intervengo io e sblocco la<br />

situazione. Gerardo ha occasione di dire che voleva venire in scooter ma poi ha preferito<br />

usare i mezzi per paura di prendersi un accidente, Castoldi chiede se gli vada un caffè per<br />

riscaldarsi e la conversazione parte. Risolto.<br />

Per poco, perché Gerardo è un continuo tentennare e sembra più badare a girare il<br />

cucchiaino nel caffè portatogli dalla segretaria che a condurre la conversazione col cliente<br />

in maniera dovuta. Non guarda in faccia Castoldi che per frazioni di secondo, quindi ritorna<br />

sulla sua tazzina, chiaramente per timidezza. Io che dopo un paio di minuti capisco<br />

perfettamente che figura di merda stia rimediando, comincio ad intervenire. Nel giro di una<br />

manciata di frasi sono il perno della conversazione: io spiego a Castoldi come lavora<br />

l‟agenzia fra fiere, reception, promozioni commerciali, eccetera; dopodiché io spiego a<br />

Gerardo, sottoforma di rassicurazioni sulla capacità di svolgere il mio compito qui dentro,<br />

che cosa sia richiesto nella residenza universitaria a livello di mansioni ordinarie. Finito il<br />

colloquio dopo una ventina di minuti, capisco due cose: Gerardo ha fatto una figura<br />

penosa, invece Castoldi ha inteso che ho poco da spartire con le altre persone che gli<br />

girano in reception, sia per come ho gestito i discorsi, sia perché fra le poche parole<br />

scucite da Gerardo ci sono stati diversi elogi per il mio operato in fiera, dove «questo<br />

ragazzo ci dà una mano enorme perché parla le lingue». Usciamo dall‟ufficio che nulla è<br />

come prima: Gerardo sa che gli ho salvato il culo e che me ne deve una; Castoldi si fida<br />

meno del previsto dell‟agenzia e più del previsto di me; io so di aver guadagnato punti su<br />

entrambi, cosa che attendo di scoprire se e come potrà portarmi vantaggi.<br />

Il turno prosegue discretamente fluido, sebbene l‟esser da solo per la prima volta mi faccia<br />

tendere ad una minore rapidità in virtù di una maggiore attenzione su quel che faccio.<br />

Arrivo ad ogni modo verso l‟ora di cena con due quotidiani e due settimanali letti in larga<br />

parte, quindi si fa tempo tanto di ordinare una bella pizza quanto di iniziare a gestire i<br />

rientri serali fra chiavi che riconsegno, cambi di moneta per le macchinette e già qualche<br />

richiesta per elettrizzanti giochi di società e materiale da ping-pong. Castoldi ad un certo<br />

punto butta dentro la testa e si congeda con un inaspettato «Buona serata, io salgo in<br />

camera». E chi lo sapeva che gli toccasse pure pernottare? Bella prospettiva di “Milano by<br />

night”, fortunello. Scommetto comunque che con lui nel posto stasera nessuno progetterà<br />

gavettoni: la riverenza dei ragazzi nei suoi confronti si nota da un miglio, sembrano tutti dei<br />

cucciolotti cortesi quando lo incrociano. Matematico che sia lui quello che in caso di sgarri<br />

ha l‟incarico di dare il celebre «calcio nel culo» agli ospiti.<br />

Una volta che il fattorino mi lascia la tonno e cipolla, capisco con lo scorrere dei minuti di<br />

aver sbagliato qualcosa. La pizza finisco a consumarla fredda fra una chiave riconsegnata<br />

e l‟altra e comprendo che in futuro sarà meglio battere sul tempo l‟ondata madre dei rientri<br />

oppure posticipare finché non ne mancheranno che cinque o sei. Con l‟occhio all‟orologio<br />

91


scopro che il flusso si placa qualche minuto prima delle ventuno, orario inusuale per il mio<br />

stomaco, come del resto però anche le diciotto. Ma per mangiare tranquillo c‟è poco da<br />

scegliere, o una sponda o l‟altra.<br />

Un giorno dopo l‟altro finisco a lavorare addirittura fino al martedì successivo, con nulla se<br />

non mare piatto e un cambio di turno con Giovanni al fine di riuscire a registrare per la<br />

radio.<br />

Manca una settimana a Natale. Ora andrò tre sere di fila in studio da Daniele e vedrò<br />

anche di sbrigare quanto serve per piazzare dei regali sotto l‟albero. Grazie al malanno<br />

prolungato di Zio Nino posso permettermi un braccino meno corto del solito e con piacere<br />

anche un pensiero per Marilena. In realtà non so se nei suoi piani ci sia o meno un<br />

pacchettino per me. Siamo in quella fase dove non si capisce bene cosa siamo e che<br />

misure dobbiamo prendere l‟uno con l‟altra, visibilmente impacciati nella gestione delle<br />

comunicazioni, delle proposte di uscita e di tutto il carrozzone. Tanto meglio però che si<br />

proceda coi piedi di piombo, centimetro dopo centimetro, anziché abbozzare salti in lungo<br />

senza avere le gambe pronte.<br />

E non è incuria maschilista il fiondarmi in studio per tutte e tre le mie prossime serate<br />

libere. Nemmeno si pone il problema, lei in fiera sta lavorando senza sosta.<br />

92


17<br />

L’EVENTO DELL’ANNO<br />

Niente vestito elegante o particolari accorgimenti: solo sciarpa, guanti e un bel maglione<br />

pesante. Non si richiedono smancerie, la chiave è la sostanza. Sostanza come per le<br />

fettazze di panettone e i tazzotti di vin brulé che gli Alpini offriranno una volta terminata la<br />

Messa. E pur non essendo io un oratoriano o un Papa-boy, stasera non c‟è maniera di<br />

farmi saltare la funzione perché questo è il vero evento dell‟anno. Ci vedi quelli che da<br />

dopo le medie non incroci praticamente mai, guardi un po‟ i cambiamenti delle fisionomie,<br />

le variazioni nello stile, alla fine scambi due parole e con qualcuno finisci a tirar tardi<br />

davanti ad una birra. E‟ un misto di curiosità paesana e sana voglia di rincontrare vecchie<br />

conoscenze a spingermi verso un contesto particolare, che si distacca completamente dal<br />

resto delle volte in cui si mette il naso fuori di casa da queste parti, con facce prestabilite<br />

peregrinanti verso mete straconsumate. Stasera no, invece, e pure il baretto all‟angolo,<br />

quello in cui di solito non entrerei nemmeno a svuotare la vescica in deflagrazione, brilla di<br />

luce propria e di una quantità di clientela tale da far credere al gestore che davvero<br />

stanotte sia sceso il Messia, proprio sul suo locale. La notte di Natale anche il peggior<br />

barista di paese ha motivo di recitare un Gloria.<br />

Quindi eccomi qui, nove e un quarto post-cena, fuori in largo anticipo diretto da Lara, sia<br />

per fare gli auguri alla sua famiglia, sia perché lei in un paio di SMS mi ha fatto capire di<br />

non essere del mio stesso parere sul rivedere facce del passato. E‟ la prima cosa su cui la<br />

punzecchio una volta datole un abbraccio e scambiati un paio di convenevoli coi suoi.<br />

«Tu comunque comincia a pensare cosa metterti, perché stasera vieni a Messa». Ebbene<br />

sì, a Natale sono anch‟io pescatore di uomini.<br />

«Ma non ci penso neanche!»<br />

«Scusa, perché? Ci si fa tutti due risate, una fettazza di panettone di quelle tagliate giù da<br />

boscaiolo e poi si va a bere qualcosa»<br />

«Pensa te! Io me ne vado all‟estero per tagliare i ponti con qui e tu credi che c‟abbia voglia<br />

di uscire stasera?»<br />

Ecco il punto. Da un certo lato la invidio, visto che da come prosegue la conversazione si<br />

capisce bene quanto felice sia di aver trovato una nuova prospettiva. Ora come ora Lara<br />

dell‟Italia ha un rigetto a tutto campo, spaziante dall‟università alle facce che girano in<br />

Stazione Centrale: «A Milano ho dovuto aspettare dieci minuti mio papà e c‟era d‟aver<br />

paura. Pieno di gentaglia. Mi son messa il portafoglio nella tasca interna della giacca, così<br />

anche se m‟avessero fregato la borsa ci avrei perso solo una trousse e poco altro».<br />

Le rido in faccia, ma non perché stia dicendo falsità o ingigantendo un‟inezia. La risata è<br />

per sbeffeggiare il suo timore, ma mentre mi esce con uno sfiato di sufficienza rifletto e<br />

comprendo quanto lo sbaglio sia mio. E‟ giusto il suo scandalizzarsi, certe situazioni non<br />

andrebbero tollerate. Nemmeno io le tollero su un piano teorico, ma nel concreto ci faccio<br />

lo slalom, ci convivo dandomi poi in occasioni come queste l‟aria del sopravvissuto, del<br />

tenebroso da due soldi d‟innanzi alla damigella spaventata. Perché è vero che lascia quel<br />

pizzico d‟orgoglio il sapersi districare nella Milano notturna, come un moderno Sigfrido dei<br />

Nibelunghi pronto a sguainare la spada per trafiggere draghi e nemici. Intanto, però,<br />

quando mi capita di passare in Centrale ho gli occhi ben aperti e mai il portafoglio a zonzo.<br />

Giustiziere della notte non lo sono ancora, è inutile fare il figo.<br />

«Son qui da ieri e già non vedo l‟ora di tornar su, guarda»<br />

«Beh, grazie per esserti sacrificata per noi mortali». Il resto della famiglia si fa una risata.<br />

«Finiscila di far la Regina Elisabetta, adesso. Dimmi un po‟ dell‟università»<br />

93


«Benissimo, guarda, sono davvero contenta. Confermo quello che ti dicevo: funziona tutto<br />

come una macchina perfetta. C‟è da darsi da fare, specie adesso che arriviamo in zona<br />

esami, ma quello che s‟impara lo senti proprio. Fai le tue domande, ti stanno dietro…».<br />

La conversazione s‟impenna e mi sento raccontare per filo e per segno come funziona il<br />

suo nuovo ateneo. Sbalorditivo, dall‟ufficio alloggi alla bacheca lavoro tramite la quale, fra<br />

l‟altro, ha trovato già un impiego per il secondo semestre, quando avendo un solo corso<br />

potrà tranquillamente prendersi un part-time da venti ore la settimana, il massimo<br />

concesso agli studenti. Mi dice che ha giusto ricevuto la lettera di conferma: società di<br />

marketing, reparto comunicazione italiana, contratto a tempo determinato, tre mesi con<br />

possibilità di prolungamento, l‟equivalente di millecinquecento Euro al mese in busta. Per<br />

una studentessa, in cima alle varie agevolazioni di cui già gode, è un trattamento da<br />

signora. Ah, nota al margine: retta universitaria per lei pari a zero. Zero!<br />

Mentre cado in estasi sento parole come «denuncia dei redditi», «parametri studenti<br />

stranieri» e, seppur perdendo i dettagli, capisco perfettamente che non sia stata né<br />

un‟estrazione alla lotteria, né una qualche furbata da commercialista italiano. Tutto<br />

regolare. Io sprofondato nel divano, un uomo tramutatosi in timpano che ascolta, ascolta e<br />

ascolta storie di ordinaria amministrazione di un mondo lontano. Lontano quattro ore<br />

d‟auto. Più ne sento, meno del me stesso attuale ho voglia di rivelare, sebbene stia<br />

parlando con Lara. O forse proprio perché sto parlando con Lara. «Sto continuando con le<br />

reception», nessun accenno allo squallore della discarica giovanile in cui staziono,<br />

«vediamo come si mette con le fiere dopo le Feste. Nel mentre attendo risposte per i CV<br />

che ho sparso». Laconico, e ancora di più sul capitolo musica: «Con la radio bene come<br />

sempre. Se invece intendi proprio musica mia, mi sto dando da fare». Per me è già<br />

scucirmi a sufficienza far capire che non sono con le mani in mano, perciò una volta<br />

esplicitato quello svicolo a più non posso sul resto. Solo su un‟altra cosa sono così<br />

riservato: la sfera amorosa. Percepisco la gestazione su entrambi i fronti come la<br />

costruzione di un castello di sabbia, dove nonostante la cura certosina basta un‟onda o un<br />

colpo di vento a vanificare tutto. Quindi non voglio spettatori dei miei cantieri aperti.<br />

Guardo l‟orologio e sono le undici passate. Tento l‟ultimo assalto ma Lara non ne vuol<br />

sentire, tira fuori mille scuse. Così, scoccata la mezza, rinnovo gli auguri a tutta la famiglia<br />

e imbocco l‟uscita. Due minuti per raggiungere la chiesa, venti per trovare parcheggio,<br />

quasi una decina di attesa silenziosa all‟interno e infine si parte per sessanta precisi di<br />

Messa, impreziosita dai prodigi della cantoria e del presepe vivente dei bambini delle<br />

elementari. Troppo peccatore per la comunione, trascorro il tempo fra la recita puramente<br />

labiale delle dovute parti e un‟acuta osservazione della platea. Aggregatomi ad un trio che<br />

nel quadro delle mie relazioni sociali è eccessivo definire amici ma sminuente etichettare<br />

come semplici conoscenti, ci si ritrova poi sul piazzale in un trionfo di mondanità paesana,<br />

fra ex compagni di scuola, vicini di casa, cugini di tutti i gradi, vigili urbani fuori servizio,<br />

bulli dei tempi ora tramutati in padri di famiglia, zoccolette delle medie che furono con<br />

adesso il fidanzato sottobraccio, preti mancati, vecchi compagni di squadra e chi più ne ha<br />

più ne metta. Tutti in movimento circolare fra le due macrosezioni del piazzale, vale a dire<br />

l‟area “public relations” e la ben più ambita area ristoro, patrocinata da Alpini di diverse<br />

generazioni che secondo lo schema del «vün a mi, vün a ti» 1 elargiscono le celebri<br />

fettazze di panettone e i famigerati tazzotti di vin brulé, sospinti da un‟ebbra generosità<br />

mano nella mano con un‟allegria che solo il Natale regala.<br />

Come preventivato, risalendo le dovute cricche e parentele arrivo a Claudia. Entrambi<br />

sapevamo che senza bisogno di prendere accordi ci saremmo trovati, così come ora<br />

sappiamo che è giunto il momento di fare due chiacchiere in privato. Nell‟uscire dalla calca<br />

1 “Uno a me, uno a te”, dialetto lombardo<br />

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facciamo ancora auguri a destra e a manca e non ci facciamo mancare un‟altra fettazza di<br />

panettone tagliata a motosega. Dirigendoci verso la macchina, in quanto al conversare<br />

non sappiamo esattamente come partire ma la brina si scioglie in fretta quando le chiedo<br />

un aggiornamento generale sull‟università.<br />

«Torno in Cina qualche mese». Io ci rimango come uno che chiede a un altro se faccia<br />

ancora jogging e si sente rispondere che andrà alle Olimpiadi.<br />

«Accidenti! Pensa che volevo sapere di com‟eri messa con l‟affitto…»<br />

«Diciamo che le cose sono collegate, in qualche maniera»<br />

«Cioè?»<br />

«L‟autunno è stato un pasticcio».<br />

Da qui parte un racconto dove, metaforicamente parlando, tre buche sul percorso fanno<br />

cappottare il veicolo.<br />

Per darmi un quadro limpido mi fa un riassunto che parte da molto indietro, fra cose a me<br />

ben cristallizzate nella memoria ed altre mai completamente raccontatemi. Come le mie<br />

orecchie sentono, la prima buca è stata quella della rottura definitiva col proprietario di<br />

casa, che evidentemente non pago dei numeri pre-estivi ha imposto nella seconda parte<br />

dell‟anno regole dittatoriali come la tassa sugli ospiti «con nel mirino soprattutto il fidanzato<br />

di una mia coinquilina che veniva a trovarla il fine settimana» e un supplemento<br />

manutenzioni per «una messa a punto della caldaia in vista dell‟inverno, la sostituzione del<br />

frigorifero e, tanto per gradire, l‟imbiancatura di tutto l‟appartamento…non certo richiesta<br />

da noi». Ne è conseguita una tavola rotonda il cui verdetto è stato un check-out collettivo:<br />

«Abbiamo quasi finito oramai, possiamo farcela anche senza stare per forza qui» è stato il<br />

pensiero delle due per cui, in fondo in fondo, stare a Bologna era poco di più che uno<br />

sfizio, dato che una è di Cervia e l‟altra di Parma, mi racconta Claudia. «La terza, che<br />

invece era al secondo anno ma con gli esami nemmeno a metà del primo, ha colto la palla<br />

al balzo per prendersi un anno sabbatico e decidere cosa fare della sua vita. Almeno così<br />

ha detto». Perciò, chiudendo il cerchio: «Cosa potevo fare? Dovevo sbattermi a cercare<br />

altre tre persone e nel mentre battagliare il tiranno? Mi sono trovata costretta a stare<br />

anch‟io al gioco dell‟abbandono di massa, che in fondo non mi è dispiaciuto perché è quel<br />

che si merita uno che affitta in nero e fa pure lo stronzo».<br />

Dopo una marcia indietro verso la terra natia, seconda buca: «Non ho resistito nemmeno<br />

tre settimane, poi fra libri di cinese che facevo una fatica enorme a reperire e il trambusto<br />

generale ho visto che non riuscivo a concentrarmi. A parte capire che non ce l‟avrei fatta a<br />

laurearmi entro fine anno, mi sono decisa a chiamare il mondo intero a Bologna, proprio<br />

dal primo all‟ultimo numero in rubrica, e una mia conoscente ha parlato con la sua<br />

coinquilina che mi ha ceduto il letto. Tanto dormiva dal suo ragazzo quasi ogni sera e,<br />

stringi stringi, l‟idea di vedersi rimborsato l‟affitto le piaceva non poco». Se non che, terza<br />

ed ultima buca: «A inizio dicembre questa è tornata a reclamare il suo posto, scusandosi<br />

tanto ma dicendomi che lei e il ragazzo avevano riflettuto a fondo e per la convivenza i<br />

tempi non erano ancora maturi, eccetera eccetera. Insomma, mentre negoziavo di poter<br />

restare fino alla conclusione delle lezioni, che in fondo era roba di dieci-quindici giorni, ho<br />

ripensato alla Cina».<br />

«Ma così per sfizio?», intervengo io.<br />

«Ehm…no, no»<br />

«Ma fammi capire una cosa: che utilità c‟è in una manovra del genere?»<br />

«Allora, se posso essere sincera io non ce la faccio più e né a Bologna, né qui ho un posto<br />

dove concentrarmi in santa pace»<br />

«Vabè, ma scusami», la interrompo, «concretamente tu cosa diamine devi fare ancora per<br />

finire?»<br />

95


«Stai calmo! Adesso ti spiego: la tesi l‟ho praticamente ultimata; verso metà gennaio<br />

scendo per un esame e assieme vado a colloquio con la mia relatrice, alla quale nel<br />

frattempo spedirò via e-mail una versione presumibilmente definitiva. Se lei approva sono<br />

a posto da quel lato: la tesi vado a stamparla e la consegno in segreteria il giorno dopo,<br />

fine della storia»<br />

«Scusa, ma non la devi discutere?»<br />

«No, da noi quella della triennale si consegna approvata dal relatore e basta»<br />

«Bella cazzata. Cerimonia a parte, secondo me trovarsi ad esporre davanti ad una<br />

commissione è un passo fondamentale»<br />

«Ma basta! Oh cavoli, sempre a far commenti tu!». Risata di entrambi. «Comunque<br />

ascoltami fino alla fine adesso: se mi fossi laureata a settembre, come avevo sempre<br />

pensato, sarei partita con la specialistica immediatamente. Quello era il piano originale.<br />

Invece, per come son finite le cose, sono ferma in una terra di mezzo. Se tutto va bene,<br />

vado in Cina a cuor leggero e mi concentro sulla lingua; se invece avrò ancora da<br />

aggiustare la tesi oppure, più probabile, farò una pessima apparizione al prossimo esame<br />

-che ho lasciato per ultimo perché bestia nera del triennio, mica a caso- me ne sto in Cina<br />

con la testa sul necessario e il vantaggio di far pratica linguistica giorno per giorno. E<br />

credimi, col cinese ce n‟è bisogno come l‟acqua potabile»<br />

«Chiaro, chiaro, non obietto!». Ridiamo tutti e due.<br />

Dopo un laconico «Poi l‟anno prossimo vedrò se fare la specialistica o meno», la<br />

conversazione si ribalta ed è il mio turno di riassumere gli ultimi mesi. La corsa ad ostacoli<br />

di Claudia mi fa sentire meno imbarazzato nel dare al resoconto delle mie vicissitudini<br />

lavorative il colore che merita: marrone. Vengo anche preso in giro per le ultimissime e,<br />

sebbene avvenga in senso bonario, non ci rimango molto bene. Per me è questione della<br />

massima delicatezza. Fra una caricatura e l‟altra, mi calo un chewing-gum e dopo una<br />

botta di menta in bocca mi faccio serio.<br />

«Forse dovrei partire anch‟io». E sotto quel forse giace una spinta che nemmeno io mi<br />

aspettavo prima di pronunciare queste precise parole.<br />

«E dove andresti, a Londra?»<br />

«No, lì rischierei di rimanerci per sempre. Ho un conto in sospeso col tedesco, prima»<br />

«Come io ce l‟ho col cinese?»<br />

«All‟incirca. Se non lo risollevo alla svelta lo perdo. Otto anni di studio»<br />

«Eh, ma con la musica come faresti? Perché fai ancora tutto, vero?»<br />

«E‟ proprio quello il punto. Sì, faccio ancora tutto. Fra non molto pubblicherò anche un<br />

album». Accidenti, serata delle grandi rivelazioni.<br />

«Davvero?! Complimenti! Racconta, racconta!»<br />

«Facciamo che parlerò coi fatti, OK? Preferisco». Cenno d‟intesa. «Comunque il nodo è la<br />

radio, non posso piantare i ragazzi di punto in bianco. A Daniele, quello con cui anche ho<br />

fatto il primo disco, avevo accennato l‟idea tempo addietro, poco prima che mi laureassi,<br />

ed effettivamente avevamo convenuto che se uno comincia a levarsi, poi tutto il<br />

programma se ne va a scatafascio in breve. E‟ vero d‟altronde, ognuno ha il suo ruolo: se<br />

ne andasse lui, ad esempio, addio studio per registrare e selezionatore musicale in un<br />

colpo solo»<br />

«Ma con tutto il rispetto, finché non è il vostro lavoro vero e proprio nessuno può porre<br />

limiti alla libertà degli altri, no?»<br />

«E‟ vero in linea di principio, come anche è vero che non è un lavoro. Ma noi l‟abbiamo<br />

preso come tale, sono anni che ci sbattiamo e nell‟ambiente si è creato un bel seguito. Tu<br />

mi potrai anche vedere come il solito coglione», sorriso reciproco, «ma guarda che<br />

qualcosa di buono qualitativamente parlando lo stiamo combinando. Parti con la passione,<br />

fai un tentativo, la cosa a te piace farla, a diversa gente piace ascoltarla e chi fa quella<br />

96


musica ti cerca per promuoversi. Unito al fatto che l‟offerta di trasmissioni del genere<br />

scarseggia, non penso sia illecito credere di avere una chance»<br />

«No, no, giusto»<br />

«Quindi si procede fino all‟ultima goccia. Solitamente tiriamo un bilancio ogni anno prima<br />

della pausa estiva. Ti dirò cosa ne uscirà alla prossima, perché comunque è vero quello<br />

che dici sul non potersi limitare a vicenda, lo sappiamo anche noi. Diciamo che se la<br />

stagione parte, però, è per esser fatta da cima a fondo e da metà settembre al luglio<br />

successivo si tiene giù la testa».<br />

Parcheggiati di fronte a casa sua parliamo e parliamo ancora, finché d‟un tratto accendo il<br />

cruscotto e vedo che è tardi. Domani c‟è il pranzo coi parenti e non posso tirare<br />

mezzogiorno a letto. Saluto Claudia, ci lasciamo con un «A presto» ma in fondo lo so che<br />

non ci vedremo prima dell‟estate. Sì, una chiamata o un messaggio al mio compleanno e<br />

poi via verso la stagione calda, senza fermate. Fai la brava e in bocca al lupo per la Cina,<br />

allora.<br />

Si fanno le tre passate mentre riporto la macchina in garage. Aria secca ma cielo aperto,<br />

non sarà un bianco Natale.<br />

Vibra il cellulare, SMS: «Buon Natale tesoro, un bacio da Roma».<br />

«Buon Natale Mari, goditi la città e la nipotina!». E‟ con la famiglia a casa della sorella, che<br />

ha partorito da poco. M‟era del tutto uscito di mente quando qualche pomeriggio fa, nella<br />

fretta, le sono andato a prendere una pashmina e un paio di guanti.<br />

Scarterà in ritardo il pacchetto ma poco male, l‟inverno è ancora lungo.<br />

97


18<br />

FESTE DI LAVORO<br />

Ma chissenefrega. Davvero chissenefrega.<br />

Circondato da discorsi tipo «Domani da mia zia mi sfondo d‟arrosto» e «Stasera mio<br />

cugino pasticcere mi porta un Sacher a tre piani», mi isolo in quello che ora è un<br />

tristissimo e solitario eremo polveroso. Il direttore è in ferie, Castoldi è in ferie, le<br />

segretarie sono in ferie e le donne delle pulizie sono a mezzo servizio, con unicamente il<br />

dovere di pulire i bagni comuni. Ma soprattutto, sul centinaio abbondante di alloggiati solo<br />

nove hanno il piacere di passare le Feste qui: otto studenti extraeuropei e il tutor.<br />

Manco sapevo chi fosse prima di vederlo palesarsi a Santo Stefano, mogio come un cane<br />

bastonato. Antonio, di Melfi, ventotto anni e mi dà del lei. Frena frena, che sono pure più<br />

piccolo di te: lascia perdere le forme di cortesia e dimmi cosa ti tedia, giovane lucano.<br />

Quel che lo tedia lo scopro piano piano, in cinque sere in cui le sue visite nel mio antro si<br />

protraggono sempre di più. Un ragazzo genuino, abbondantemente fuori corso ma<br />

lodevole al tempo stesso semplicemente per il fatto di non aver mollato. Madre con una<br />

piccola lavanderia gestita assieme alla sorella e padre che s‟arrangia come può dopo<br />

un‟ernia al disco rimediata in cantiere, Antonio una volta finita ragioneria ha lavorato due<br />

anni part-time in uno studio commercialista mentre sei sere a settimana stava in pizzeria.<br />

«Più soldi con le mani che col diploma», commenta. Però, proprio per non vanificare il<br />

tempo sui banchi «che giù da noi è comunque un privilegio, sai quanti degli amici miei se<br />

ne sono andati a lavorare a sedici anni?», ha voluto metter via il più possibile per potersi<br />

permettere l‟università. Ci arriviamo la seconda sera, dopo una prima fondamentalmente<br />

rapida e di chiacchiere superficiali. Quindi Economia e Commercio, lento ma in fondo<br />

inesorabile, e ora gli mancano cinque esami più la tesi per finire la magistrale. «Il prossimo<br />

Natale niente panettone, comunque», nel senso che vuole laurearsi e poi cambiare aria,<br />

perché di questa città si è stancato. Anche io, ed è qui che decollano le nostre<br />

conversazioni. Le direzioni sono due: “Milano ti odio” e “Gossip locale”.<br />

-Milano ti odio-<br />

Il discorso è semplice: ci sta sul piloro la superficialità di una città votata all‟immagine.<br />

Capitale della moda un paio di palle, questa semmai è la capitale dei pecoroni.<br />

Antonio parla, io sottoscrivo: «In Corso Como ci ho messo piede una volta e mi è bastata.<br />

Tutti con „sto mito dei locali dei calciatori, dei vip, delle modelle…ma che cagata. Il sabato<br />

sera che ci siamo andati, e ti parlo dei miei primi periodi a Milano, eravamo io e cinque<br />

compagni di facoltà, tre ragazze e due ragazzi. E la camicia, e la scarpa elegante, e<br />

questo, e quello, in più se non fosse stato che c‟erano le donne saremmo sicuramente<br />

rimasti fuori. Mai vista una stronzata del genere prima, coi buttafuori e i PR che si<br />

atteggiavano manco fossero Dio all‟entrata del Paradiso. E poi cosa trovi? Niente di che,<br />

tanto tu che vip non sei te ne stai fra tutti gli scemi come te che hanno pagato venti Euro<br />

d‟ingresso e ne sganciano quasi altrettanti per un bicchiere pieno di ghiaccio. Mica entri lì<br />

e fai un brindisi con le Veline mentre dai un cinque a Vieri e Maldini. Giù al paese mio tutti<br />

pensano che sia così e pure io prima ci credevo. Ma poi te la sei vista la gente? Tutti<br />

cocainomani e fighe di legno che ti guardano in cagnesco, cose da pazzi. Io dopo quella<br />

sera non c‟ho voluto mettere più piede in situazioni del genere. Abbiamo speso un capitale<br />

girando tutti i tre-quattro posti lì attorno e io come un cretino a sperare sempre che in<br />

quello dopo mi sarei divertito, finalmente. Invece zero».<br />

Dopo un decollo del genere siamo un duetto magnifico che denigra tutta quella presunta<br />

“crème meneghina” degli aperitivi obbligati, delle vasche nel quadrilatero della moda<br />

98


giusto per darsi un tono e via dicendo. Il cambio di capitolo lo stabilisco io, quasi<br />

inaspettatamente: «Ma coi ragazzi che stanno qui non fate mai niente?»<br />

-Gossip locale-<br />

«Lasciamo perdere», mi dice. Avverto di aver aperto una diga. «Cazzo <strong>Matt</strong>ia, tu non hai<br />

idea degli sfigati che ci stanno qua dentro».<br />

Io resto in attesa di sapere se, seguendo questo ragionamento, lui s‟includa nella<br />

categoria o cosa. Arriviamo presto al bandolo della matassa, però: «Gente ripigliata ne è<br />

passata veramente poca e nessuno di questi è mai stato così scemo da farsi più di un<br />

anno. Chiariamoci, io sono qui perché faccio il tutor e quel tot di responsabilità che mi<br />

prendo e tempo che dedico sono ricompensati. Qualsiasi cazzata capiti di notte la gente<br />

sveglia me, dal cretino che ha perso la chiave a quello che c‟ha le coliche. Una volta c‟è<br />

stata pure da chiamare la polizia perché era entrato un fuori di testa che tentava di<br />

cacciarsi nelle camere, non ti dico che delirio. E insomma, io in cambio di queste rotture di<br />

palle non pago l‟affitto, che se ci pensi altrove costa sui tre-quattrocento Euro al mese in<br />

stanza con un altro. Io il primo anno e mezzo a Milano l‟ho fatto così, stavo in via<br />

Padova». Commento lampo mio: «Minchia». Riprende lui: «Appunto, minchia davvero.<br />

C‟avevo sottocasa gente che a notte fonda si prendeva a bottigliate, sirene a tutte le ore,<br />

ubriachi che scopavano per strada…un girone dantesco, anzi, più gironi tutti in una via,<br />

guarda. Poi ad un certo punto un amico mi ha parlato di questa cosa e ho fatto domanda,<br />

che fra il levarmi da via Padova e il tenermi in tasca i soldi, credimi, mi ha fatto balzare<br />

dalla gioia. Chiaro che ti rompi le palle, ma per come sono messo io Milano non ha di<br />

meglio da offrirmi». Bene, per me ora un mistero è risolto ma ne rimangono altri, primo fra<br />

tutti se Antonio sia praticamente prigioniero di queste mura. «No, l‟ingegner Castoldi ha<br />

l‟obbligo di dormire qui due sere a settimana e in quelle io sono libero».<br />

Fermi tutti: Castoldi ingegnere?<br />

«Esercita pure, Castoldi. Non credere, non è che lavori qui e basta. Non ti so dire nel<br />

dettaglio che accordo ci sia, ma guarda che non è stupido. Questo posto in poche parole è<br />

in mano a dei clericali che hanno le mani in pasta un po‟ ovunque, come sempre per<br />

quella gente. L‟ingegner Castoldi si sarà fatto i suoi conti, non è mica scemo. Qui dentro la<br />

maggior parte della gente lo rispetta perché lo teme, io lo rispetto e basta. E‟ l‟unico col<br />

cervello, umanamente poi non è una cattiva persona». Castoldi il calcolatore mi mancava,<br />

ma è indubbio che basti vederlo per capire che qui dentro non c‟entri nulla. Sapere che<br />

abbia secondi fini nel fare il leccasottane di certo non gli fa guadagnar punti, ma avere la<br />

conferma che sotto la calotta non abbia dell‟omogeneizzato Plasmon gusto vitello come il<br />

resto della ciurma mi lascia bendisposto, come se in un qualche momento potessi trovarmi<br />

a negoziare con lui una parte nella rapina del secolo.<br />

Il resto Antonio, ormai senza freni, me lo commenta lapidario. Si capisce che ha bisogno di<br />

sfogarsi, in uno dei certamente rari incontri con un normodotato in questo centro per<br />

disagiati. «Allora, te lo dico: Giovanni e Taddeo sono due casi umani, Zio Nino un coglione<br />

colossale». Partono una serie di aneddoti sui tre, fra cui soprattutto le performance<br />

alcoliche dell‟ultimo mi regalano risate da capogiro, fra inni di Mameli al microfono<br />

generale e litigi coi fattorini delle pizzerie a causa di ordinazioni fatte prima della sbronza e<br />

rimosse poi dalla memoria in ostaggio al dio Bacco. «Fuori dalle balle, io non ho ordinato<br />

una mazza!» e cose del genere, con confronti al limite del fisico e minacce reciproche di<br />

chiamare carabinieri, esercito, teste di cuoio, Rambo, al-Qaida, Cavalieri dello Zodiaco,<br />

eccetera.<br />

Aneddoti di annate di reclusione che Antonio una sera dopo l‟altra mi sciorina, nella<br />

cornice di una calma al profumo di zenzero, illuminata da neon giallastri e addobbi<br />

decadenti nell‟atrio. Arriviamo al trenta dicembre e chiudo il primo tempo del mio servizio<br />

in loco. Per l‟indomani c‟è in programma una serata fra amici, nulla di straordinario ma è<br />

99


proprio il fatto che sia un nulla di straordinario a piacermi. Una casa sul lago senza troppa<br />

strada da fare, una quindicina di persone fra il nucleo stretto e aggiunte varie, cenone in<br />

proprio e qualche bottiglia di spumante. Chiedo ad Antonio se gli vada di unirsi ma la<br />

risposta è prevedibile: «Sono di servizio, <strong>Matt</strong>ì. Comunque grazie».<br />

100


19<br />

GIOVANI IMPRENDITORI<br />

Roba da non crederci.<br />

Mezzogiorno e mezzo, intanto. Cellulare appena acceso, nuovo messaggio: «Ma ti sei<br />

preso male?». Stai a vedere che adesso ne esco come il malmostoso di turno. Orario due<br />

e ventiquattro, con me già a casa da un pezzo, disconnesso dal mondo, sotto le coperte e<br />

consapevole che qualcuno se ne fosse accorto. E‟ che quando una persona di compagnia<br />

come il sottoscritto improvvisamente non apre più bocca, il silenzio si nota più delle parole.<br />

Dalle undici a mezzanotte poi è stato un giro di lancette interminabile, in attesa di sbrigare<br />

il brindisi e levarmi dalle palle. «Non sono a posto di stomaco» ho estratto dal mazzo delle<br />

scuse, certo che chi stava pianificando di vomitare non avrebbe gradito gli profumassi il<br />

bagno in anticipo.<br />

E sì che la serata era partita bene. Diversi amici, un risotto spettacolare, scaloppine al<br />

limone come secondo, un vino bianco che stranamente ho gradito e via che s‟andava.<br />

Fino al dolce non s‟era nemmeno parlato di lavoro. Di tante cazzate sì, ma non di quello.<br />

Poi è entrato il panettone.<br />

«Ma chi è che ha preso „sta sottomarca? Viva il risparmio, eh!». Inconfutabile voce dal<br />

mucchio.<br />

«Dodici bottiglie di Ferrari e poi „sto coso da un Euro e mezzo?». Giusta osservazione a<br />

rimorchio, ilarità generale.<br />

«Per pietà, no! E‟ lo stesso che per punizione ho rifilato agli operai!».<br />

Questa battuta ha tagliato la sala in due. Anzi, in tre: quelli che si sono messi a ridere,<br />

quelli che hanno taciuto e io che mi sono acceso come un piano cottura. Sull‟uno.<br />

Il fatto stesso che il discorso sia proseguito mi ha fatto realizzare in breve quanto la<br />

composizione del parterre fosse sproporzionata. Solitamente il nostro mix è bilanciato, ieri<br />

invece la maggioranza era per l‟imprenditoria. Imprenditoria dei “figli di”, sia chiaro,<br />

nessuno di fattosi da solo fra i commensali. Semplicemente personaggi con padre, o<br />

nonno, o talvolta bisnonno in veste di originatori. Ma al cambio attuale, comunque giovani<br />

imprenditori: giovani imprenditori oggi soci dopo gli studi (non necessariamente<br />

universitari, non necessariamente ultimati) oppure giovani imprenditori domani soci, dopo<br />

una laurea in parecchi casi solo per vezzo, fra due guanciali, perché tanto un posto è già lì<br />

bell‟e pronto.<br />

A quel punto si è creata una di quelle circostanze in cui alla stessa tavola tengono banco<br />

due conversazioni, coi partecipanti dell‟una e dell‟altra sparpagliati e le voci a sovrapporsi.<br />

Da una parte Gianni e Alessia, i leader delle operazioni da supermercato, a recitare il loro<br />

mea culpa ad una platea assopita e fondamentalmente indulgente, che ha presto deviato<br />

su altro migrando in larga parte sui divani; il resto dei presenti sintonizzati invece sul<br />

battutaro della serata e le sue due spalle. Il mio piano cottura è passato al secondo scatto<br />

grazie alle facce boriose di Andrea il profeta dei salumi, Michele il principe degli impianti<br />

elettrici e, in quota rosa, Carlotta la contessina dei legnami. Quaranta dipendenti il primo,<br />

reparto marketing internazionale dopo studi in Scienze Motorie, azienda fondata dal nonno<br />

materno nel 1949; tre dipendenti il secondo, ragioneria salutata dopo due bocciature, figlio<br />

di un instancabile lavoratore che a suon di giornate da tredici ore gli ha insegnato un<br />

mestiere e messo in mano un futuro; ventitré dipendenti nell‟avvenire della terza, per il<br />

momento incagliata a due esami dalla fine di Psicologia ma serena poiché comunque<br />

vada c‟è papà, che tutti chiamano dottor Pagani sebbene il Pagani dottore non sia e girino<br />

pure strane storie su come nel „92 sia diventato proprietario di questo gioiellino del<br />

tavolame fra i più noti della Lombardia.<br />

101


Non è stata però una contrapposizione fra patrizi e plebei, perché al fianco mio, del figlio<br />

dell‟ex artigiano ora magazziniere, con occhi e orecchie sulla conversazione c‟erano mio<br />

cugino il cui padre è medico, Monica che è figlia di un bancario e Raffaele i cui genitori<br />

sono entrambi professori. Insomma, non esattamente “Il Quarto Stato” di Pellizza.<br />

In un‟escalation di massime, il trittico dei saggi si è fregiato di uscite quali:<br />

«Gli operai non hanno bisogno di pensare» (Carlotta, futura presidentessa operaia).<br />

«I problemi veri ce li hanno quelli come noi. Mica i dipendenti, che la sera vanno a casa<br />

senza preoccupazioni» (Andrea e gli introiti milionari di famiglia).<br />

«Se non mi laureo per fine anno, vado da mio papà…e non faccio un cazzo» (Carlotta e la<br />

verve della nuova generazione).<br />

«Lavoro con delle capre» (Michele, premiato studente).<br />

«Gestisco gente che è in ufficio da trent‟anni» (Andrea e i miracoli di Scienze Motorie).<br />

«Ho visto la borsa di Gucci che voglio» (Carlotta, intermezzo).<br />

«Siamo costretti a fare il più possibile in nero» (Andrea e gli introiti milionari di famiglia,<br />

parte seconda).<br />

«Lo dice anche mio papà. Il nostro commercialista però ha trovato un modo per farmi<br />

pagare la retta universitaria più bassa. In culo allo Stato» (Carlotta, perché la vendetta è<br />

un piatto che va servito evaso).<br />

Deliziato come di fronte ai Pensieri di Pascal, il piano cottura mi è andato al massimo ed è<br />

stato un problema gestire l‟incandescenza. Ci ho pensato un paio di volte se fosse il caso<br />

di aprire una delle bottiglie di Ferrari in testa ad Andrea, azzannare alla giugulare Michele<br />

e far sprizzare anabolizzanti ovunque, oppure spalancare la porta e lanciare Carlotta giù<br />

per la strada ghiacciata. Andrea a parte, che conosco solo di striscio, Michele e Carlotta<br />

sono amicizie di vecchia data e solo in casi estremi procederei per rompere in definitiva.<br />

Ieri sera però all‟estremo ci sono arrivati molto vicini e mi ha dato il voltastomaco<br />

constatare quanto siano cambiati. Ai tempi delle medie o delle superiori c‟era sì qualche<br />

differenza, soprattutto in riferimento a Carlotta la cui famiglia ha sempre avuto –e<br />

sfoggiato- un certo tenore di vita, ma la spanna di distanza avvertita con quei discorsi è<br />

stata del tutto inedita. Sia l‟una che l‟altro hanno frequentato scuole statali, entrambi sono<br />

sempre usciti con noi negli stessi baretti, negli stessi piazzali di paese, eccetera. Solo<br />

l‟estate era diversa ai tempi, non tanto per Michele e il suo classico mese in Riviera con la<br />

mamma quanto più per Carlotta, che finiva in certi resort all-inclusive con prezzi da<br />

capogiro, roba che un giorno per la sua famiglia costava come due eventuali settimane in<br />

villeggiatura per la mia. Già, eventuali, perché io di anni senza vacanze ne ho fatti<br />

eccome. Ma ecco, a parte le questioni estive che contavano come un capitolo a parte, non<br />

c‟era nulla che fra noi determinasse conti e contadini. Eravamo tutti un gruppo, facevamo<br />

gruppo. Michele addirittura era quello col fare più da barboncello, sempre col solito paio di<br />

All Star rovinate, gli occhiali da bancarella e le magliette da calcio. Confrontando<br />

un‟ipotetica foto di sette-otto anni fa con un flash di ieri, invece, si rimane impressionati.<br />

Carlotta ha preso la strada a cui a ben vedere era destinata, quella delle spese pazze fra<br />

boutique e centri estetici al fianco della madre, naturalmente col caro Pagani in veste di<br />

sponsor. Michele invece ha passato diverse metamorfosi dai diciassette in poi,<br />

praticamente una a stagione a seconda di quel che decretavano le case di moda. Senza<br />

rendersene conto, nelle sue periodiche contorsioni di stile ci ha regalato risate<br />

impareggiabili con cappotti simil-tappeto d‟orso, scarpe degne d‟un sosia di Elvis, loghi di<br />

griffe visibili quanto un pannello autostradale e via disquisendo, con in più un paio d‟inverni<br />

votati alla tintarella dove mancava poco che a suon di lampade si tirasse fosforescente. Il<br />

primo di noi a lavorare, il primo di noi coi soldi in un‟età dove però non pensi agli<br />

investimenti. Quindi per lui sono state sessioni infinite di sfizi da levarsi: cambi di<br />

102


guardaroba, cambi di cellulare, cambi di tutto il cambiabile. Ora a quanto racconta vuole<br />

cambiare la macchina, che «ha già tre anni». Ed è già la seconda, dopo che quella portata<br />

fuori dal concessionario il giorno stesso della patente è finita accartocciata su un muro di<br />

cinta poco dopo il primo tagliando.<br />

Sarei dovuto andare con Lara dai suoi cugini, o ancora meglio sarebbe stato essere a<br />

Roma con Mari. Invece, un po‟ per non rimangiarmi la parola e un po‟ causa lavoro ho<br />

mantenuto i piani originali.<br />

Certe volte sì, mi chiedo cosa ci facciano tali imbecilli nella mia cerchia d‟amicizie. Non c‟è<br />

una ragione particolare, c‟è solo che si cresce assieme, nello stesso posto, tutti circa della<br />

stessa età, e poi si procede in buona dose per inerzia. Non sono più i periodi delle<br />

espulsioni dalla compagnia, come quando avevamo quattordici anni e si bandiva d‟un<br />

colpo chi scroccava troppe sigarette o troppi passaggi in motorino. E diciamoci anche che<br />

sono stati gli ultimi anni a cambiare determinate persone, mediocri in tutto fuorché -per un<br />

centimetro o un metro- nel potere d‟acquisto, del quale ora hanno preso coscienza e si<br />

fregiano. Non tutti però sono diventati così, infatti la consolazione è aver notato che<br />

almeno un paio di persone si sono focalizzate su altri discorsi appunto per non sollevare<br />

conflitto in una serata di festa. Ho visto Raffaele lasciar perdere, lui che ha la mamma<br />

bidella e il papà cuoco, come anche hanno fatto Fabio e Sara sebbene siano figli di piccoli<br />

e medi imprenditori. Altri invece davvero chiacchieravano per proprio conto sin da dopo il<br />

battutone iniziale e mi chiedo cos‟avrebbero detto se avessero captato il conseguente<br />

simposio della premiata ditta. Avrebbero condiviso? Avrebbero mostrato dissenso?<br />

Sarebbe degenerata la serata?<br />

Per me comunque è stato troppo e una volta sbrigato il più forzato dei brindisi ho fatto in<br />

modo di levare le tende. Perché appunto ora che siamo grandi non si ostracizza più<br />

nessuno, al massimo decidi tu di staccarti e andare per la tua. Così è stato quindi per me,<br />

chissà se solo ieri o da oggi sempre di più.<br />

Nel giro dei saluti di rito mi sono avvicinato all‟angolo dove Michele, nel suo maglione di<br />

cachemire, col fare da imprenditore consumato ancora parlava di lavoro, contratti, ditta di<br />

famiglia: «…comunque Marco, io te lo dico, se ero figlio unico a quest‟ora c‟avevo già in<br />

mano il Porsche».<br />

Che ci vuoi fare Miche‟, così è la vita. E t‟è toccata un‟umile SLK.<br />

103


20<br />

EVENTI<br />

Mascarpone finito, Befana in soffitta, tutti ai posti di combattimento.<br />

Lara è tornata in Svizzera, Marilena a Milano, io in casa fra il tutto e il niente.<br />

Ho un nuovo orologio da tavolo, «E‟ ora di sorridere» dice il quadrante. Sorrido sì quando<br />

lo guardo, è un regalo di Mari. Fortunatamente anche ciò che le ho comprato io sembra<br />

aver fatto centro. Ero un po‟ in tensione, quando si tratta di presenti sono davvero<br />

impacciato.<br />

Mandato concluso ieri sera al gulag universitario, con rispetto a giare da parte di Castoldi<br />

che ha scoperto cosa voglia dire avere un normodotato in reception. «Alla prossima» e un<br />

abbraccio è stato il mio congedo da Antonio, sperando però di rincontrarlo fuori da quelle<br />

mura. Che il nuovo anno ci porti bene.<br />

A me ha già messo parecchio in agenda, visto che nel giro di breve darò finalmente alla<br />

luce il disco e, cosa molto più incombente, questo pomeriggio ho un colloquio.<br />

Nel marasma di CV inviati negli ultimi mesi c‟è stato anche quello messo a punto per una<br />

società di ideazione e pianificazione eventi con sede molto comoda rispetto a casa mia.<br />

Non è cosa nuova che il settore degli eventi eserciti un certo fascino sul sottoscritto, quindi<br />

sin dal clic sul tasto “Invia” del mio account la speranza era quella di essere ricontattato.<br />

Detto, diverse settimane di silenzio, fatto.<br />

E‟ lunedì sette gennaio, le lancette segnano le tredici e cinquantasette e so che ho il<br />

tempo di prepararmi come si deve e poi mettermi in strada. La cartina appena stampata<br />

da Internet mi dà la buona notizia che forse forse non dovrò rimbalzare come la sfera di un<br />

flipper tra un senso unico e un senso vietato, quindi delego a poi le eventuali finezze per<br />

centrare il posto e mi concentro sul vestiario.<br />

Oddio, “concentro” è una parola grossa.<br />

Diciamo che faccio un rapido calcolo mentale e giungo alla conclusione che in una società<br />

di organizzazione d‟eventi c‟è alta probabilità di trovarsi davanti due tipi d‟entità: i rampanti<br />

maschi-lingualunga e le supersciantose.<br />

Opto quindi per l‟eleganza. Senza eccessi ed umilmente “made in outlet”.<br />

Quindici e quindici, parcheggio nelle immediate vicinanze di queste file infinite di<br />

capannoni che compongono la zona industriale della cittadina, inquadro con la<br />

collaborazione di un altro ragazzo lì per il colloquio il portone esatto e via che ci si<br />

addentra.<br />

Già osservando questo tizio qualche conto però non mi torna: è evidentemente più piccolo<br />

di me, ha due-peli-due sotto il mento e complessivamente sembra un Vaporidis allungato<br />

e ristretto. Ma più che da “Notte prima degli esami”, la sua faccia e la sua figura sono da<br />

“Pomeriggio dopo la verifica”. Un passo indietro, scazzo incluso.<br />

Nel risalire una tortuosa scala a chiocciola verso gli uffici penso tra me e me cosa possa<br />

aver frainteso tra lo sguardo svelto dato al sito dell‟azienda e la rapidissima conversazione<br />

telefonica intercorsa, di cui solo una frase mi è sopravvissuta in testa: «La retribuzione,<br />

ehm, è circa settanta Euro a giornata». «Vabè», mi sono detto una volta messo giù il<br />

cordless, «di questi tempi tutto fa brodo».<br />

Facendomi largo nell‟area uffici col fido simil-Vaporidis al mio fianco, scruto e colgo al volo<br />

che non ci sono né rampanti maschi-lingualunga né supersciantose, ma un solo uomo<br />

perso nel monitor del suo PC e due-tre figure femminili di quel tipo che non capisci se<br />

siano impiegate, dirigentelle o bariste salite a portare i cafferini di metà pomeriggio.<br />

104


Mio saluto formale, loro risposta informale. Se io ti do del lei e tu mi dai del tu vuol dire che<br />

hai padronanza del luogo, quindi rimangono in lizza le prime due opzioni e decade la<br />

terza. Comunque, guardando le facce realizzo d‟essere di fronte a mie coetanee; in<br />

secondo luogo presumo visto il contesto scialbo di essere il solo laureato nel raggio di<br />

venti metri e, soprattutto, è lampante che nel posto io sia quello vestito meglio. Decido<br />

perciò di dare anch‟io del tu e mozzar la testa ad ogni sorta di pomposi convenevoli, tanto<br />

apprezzati in altri contesti quanto da me sempre odiati.<br />

Quindici e trenta ormai prossime al rintocco e al contestuale inizio del colloquio di gruppo.<br />

Gruppo composto da me e dal simil-Vaporidis.<br />

Veniamo fatti accomodare in una sala riunioni di circa cinque metri per tre, attorno a un<br />

tavolo con dieci sedie. Ci posizioniamo l‟uno a fianco all‟altro, l‟impiegata ci invita a<br />

compilare un modulo di due facciate e se ne va. «Ci risiamo», dico fra me e me<br />

ricordandomi dell‟episodio all‟interinale, «e stavolta mi tocca da cima a fondo». Dopo le<br />

prime formalità questo si rivela però il formulario delle sorprese, per me in larga parte ma<br />

noto anche per il simil-Vaporidis, nonostante in precedenza mi avesse ventilato di<br />

conoscere già diverse cose sulle possibilità lavorative che ci avrebbero messo sul piatto,<br />

per merito di un suo giro di conoscenze eccetera eccetera.<br />

La prima facciata passa rapida tra dati personali da inserire e loro menzioni generali ad<br />

iniziative quali tour di promozione e varie altre. La seconda è invece interamente dedicata<br />

ad un “Sai già fare?/ Vorresti imparare?”, ma scorrendo con la penna barro una serie di<br />

doppie risposte negative riguardanti mansioni come:<br />

-Trampoliere<br />

-Favole per bambini<br />

-Feste di compleanno<br />

-Micromagia<br />

-Addetto strutture gonfiabili<br />

-Spettacoli in costume<br />

-Megabolle<br />

(…)<br />

No, non so fare „ste cagate e „ste cagate non voglio nemmeno imparare a farle. Scorro<br />

speranzoso che l‟incedere sia un progresso verso argomentazioni più inerenti alla sfera<br />

organizzativa, mia ultima spiaggia ora che sono sceso ben oltre la metà del foglio. Ma ciò<br />

che trovo sono solo menzioni riguardanti attività pseudo artistico-intrattenitive ai confini<br />

dell‟immaginazione. Una soprattutto mi stupisce e decido che tra gli obiettivi della giornata<br />

c‟è anche quello di scoprire di cosa si tratti:<br />

-Finto cameriere<br />

Di stranezze se ne sentono, ma il finto cameriere mi giunge nuovo e soprattutto trovo<br />

stupefacente che sia una figura con una richiesta, cioè che ci sia una domanda da parte<br />

della clientela alla base. Anche senza saperne niente ora come ora, di presupposto<br />

facessi mai il finto cameriere pretenderei di essere pagato più di un non–finto cameriere (o<br />

“cameriere vero” come di certo pretenderanno si dica i rompicoglioni contro le<br />

discriminazioni) in virtù della qualifica aggiuntiva che potrei vantare. Giustamente.<br />

Ormai sul finire della compilazione entra nella stanza un‟altra candidata, agitata poiché in<br />

ritardo, talmente nel panico da rivolgersi a me e Vapo convinta fossimo i titolari. Nel giro di<br />

altri dieci minuti ne sopraggiunge un‟ulteriore. Fattasi ormai una cert‟ora, rientra<br />

l‟impiegata seguita da una collega. S‟inizia col colloquio e capisco quindi che quelle non<br />

sono impiegate ma dirigentelle. O forse no, per selezionare una tale gamma di figure<br />

professionali sarebbero sufficienti anche solo due impiegate, quindi il dubbio permane.<br />

105


Peccato per le bariste comunque assenti, perché sul finto cameriere credo avrebbero<br />

avuto l‟occhio più di altre.<br />

Si comincia con l‟introduzione di rito sull‟azienda e prende parola solo una delle due,<br />

definiamole, “selezionatrici”, quella più cozza. L‟altra si siede sul mobiletto direttamente<br />

alle mie spalle, con me a buttarle l‟occhio ogni tanto grazie ad una vetrinetta che ho di<br />

fronte e in cui la vedo riflessa. E‟ anche carina d‟aspetto, ma già una che si piazza muta su<br />

un mobile e lascia penzolare le gambe come una bambinetta annoiata ad un pranzo coi<br />

parenti perde credibilità. Poi messa ad un colloquio come selezionatrice finisce per<br />

smolecolare l‟immagine dell‟azienda. O per svelarne l‟essenza, ragionamento più sottile.<br />

Entra il solito ritardatario, siparietto classico di ogni colloquio, singolo come di gruppo, ma<br />

essendo fortunatamente solo ai preamboli si evita la pappalardata del “ricominciamo”.<br />

Con le labbra sporche di cioccolato e una cornice d‟acne a guarnire, la cozza comincia ad<br />

addentrarsi nel succo delle mansioni per cui l‟azienda ricerca personale. Io che già avevo<br />

un mezzo dubbio, ora ho la certezza di non avere nulla da spartire. Ciononostante evito di<br />

chiamare time-out e andarmene, sebbene attratto dalla possibilità in termini di risparmio di<br />

tempo, dovendo incontrare un amico categoricamente prima di cena.<br />

E via che si parla di eventi ai centri commerciali, quiz a premi per le famiglie coi carrelli<br />

pieni del sabato pomeriggio, mascheramenti da gnomo o da renna quando arriva Natale e<br />

chi più ne ha -di stronzate- più ne metta. Un delirio reso ancor più barocco dalle fragorose<br />

risate della cozza, le battute da “simpa della cumpa” del ritardatario, gli animali fatti con<br />

palloncini fottutamente stridenti e imitati in maniera imbarazzante da una delle due<br />

ragazze presenti e la topica richiesta: «Ah, specificate sul foglio se siete disposti a vestirvi<br />

o no».<br />

Impassibili di fronte a tutto solo io, la selezionatrice alle mie spalle sempre sul mobile a<br />

ciondolar le gambe e il simil-Vaporidis. Ma in me ribolle un tumulto interiore che contengo,<br />

poi contengo e non contengo, e alla fine non contengo: con la cozza che saltella e<br />

gesticola a mille, l‟impanicata di fronte che mi accorgo assomigliare in maniera clamorosa<br />

a Pollon e le cazzate che volano come UFO in Arizona, sono sulla soglia del non ritorno,<br />

con già i muscoli facciali ipercontratti e una mano davanti alla bocca nel tentativo di<br />

conservare una parvenza d‟interesse e serietà. Ma mi autoinfliggo il colpo di grazia,<br />

degenerando in pensieri perversi su come potenziare il servizio dell‟azienda in merito alle<br />

feste di compleanno, vedendomi già contattare le peggio pornostar per farle bussare alla<br />

porta vestite da poliziotte, oppure offrendo a costo zero un paio d‟amici di quelli sempre<br />

allupati per party piccanti per donne negli “-anta”.<br />

Sicché sbotto. Ma sbotto potente, con le guance che mi si gonfiano alla Louis Armstrong e<br />

il corpo che si protende in avanti per far suonare una di quelle risate che raschiano gola e<br />

palato e si spiaccicano in faccia a chi hai di fronte. Mi salvo in calcio d‟angolo grazie<br />

all‟involontario e perfetto tempismo della cozza, la quale mi precede di un soffio nel<br />

cacciare una battuta. Quindi, in mezzo secondo che noto solo io, si finisce col credere la<br />

mia risata dovuta alla sua strabordante simpatia. In realtà i motivi sono ben altri, e meriti e<br />

colpe vanno attribuiti alla mia mente, la quale ha cominciato a funzionare come palliativo a<br />

quest‟ora agroassurda, irrorandomi di immagini tra il ludico e il sadico per non lasciarmi<br />

preda facile dello sconforto.<br />

In un‟ulteriore manciata di lenti minuti salta fuori che prima di essere resi operativi è<br />

obbligatorio seguire un corso di formazione in partenza l‟indomani e della durata di un paio<br />

di settimane, il cui primo step sarà la manipolazione dei palloncini e il secondo<br />

l‟illustrazione delle dinamiche aziendali e del trattamento lavorativo. Il dilemma che mi<br />

assale è se alle spalle di ciò vi sia una logica aziendale di fatto illogica o se il forgiare<br />

pseudo-barboncini e farfalle da pezzi di gomma gonfiabili sia effettivamente un‟arte tanto<br />

essenziale quanto delicata, la cui iniziazione è perciò da intendersi priorità assoluta. Come<br />

106


se non bastasse, ci viene detto che una volta terminato il corso sarà necessario fare «una<br />

o due giornate di affiancamento a titolo gratuito, per vedere se il lavoro vi piace». Lavoro,<br />

tra l‟altro, da quello che scorgo spulciando l‟opuscolo appena consegnatoci, pagato<br />

mediamente altro che settanta Euro: dieci o quindici in meno e per giunta lordi, con<br />

rimborsi pasto in caso di tour a stento sufficienti per comprare una scatoletta di Whiskas o<br />

un osso di seppia se e venerdì. Sentendomi in un‟altra galassia rispetto alla causa, mi levo<br />

lo sfizio di scrutare pietosamente le facce degli scemi che per un lavoro del genere si<br />

prostreranno alla trafila, per poi finire fra quasi un anno in un centro commerciale camuffati<br />

da elfi, sognando un posto da Babbo Natale con gli scatti d‟anzianità. Per la serie “I have a<br />

dream”.<br />

Cala a questo punto un fatidico attimo di silenzio, il gong muto di ogni incontro mal gestito.<br />

Non c‟è più niente da dirsi e ci si guarda tutti in faccia per un istante. Con un «Bene…è<br />

abbastanza. Chi vuole ora può andare» la cozza decreta la fine dell‟incontro. Io, tutto in<br />

dieci secondi, do un occhio agli altri che non accennano a muoversi, decido di essere colui<br />

che romperà il ghiaccio –sempre perché quello vestito meglio-, rimetto il tappo alla biro<br />

usata per compilare il modulo e dopo un cenno d‟intesa, l‟unico che la cozza possa<br />

ottenere da me nel suo intero decorso esistenziale, saluto con una stretta vigorosa, un<br />

ciao bello marcato e me ne vado.<br />

Sul mio questionario, come da richiesta, la specificazione: disponibile a vestirsi.<br />

Perché anche se alla canna del gas, certe cagate farle nudi è davvero troppo.<br />

Appendice<br />

Per quanto riguarda il finto cameriere, tra un discorso e l‟altro nell‟ultima fase del colloquio<br />

sono riuscito a far cantare la nostra cara amica col cacao sotto i baffi: «Il finto cameriere è<br />

uno che va ai matrimoni o ai compleanni o alle feste e a volte il cliente ci chiede di non dire<br />

nulla, altre volte alla fine viene svelato tutto. Comunque lui va e deve far finta di non saper<br />

fare niente, tipo rovesciare tutto o non capire mai le cose, sbagliare, fare confusione o<br />

robe strane. Una volta ad esempio ce n‟era uno che si era messo a versare il vino con un<br />

colino sotto e tutta la gente che lo guardava come dire “Ma questo che cacchio fa?!”.<br />

Divertentissimo, perché quando poi ad un certo punto si svela che era tutta una finta,<br />

allora spesso e volentieri diventa il beniamino della serata, con tutti che gli fanno i<br />

complimenti, lo invitano a sedersi e ridono “Ha-ha-ha”. Se invece i clienti decidono che<br />

non si deve sapere niente, allora la cosa rimane segreta e tutti poi vanno a casa dicendo<br />

“Oh, ma hai visto quello là cosa combinava?! Ma dove siamo finiti?! Ma che gente c‟è in<br />

giro?! Robe da pazzi!”. Quindi un lavoro un po‟ così, dove tutti ridono perché combini delle<br />

cose che non stanno né in cielo, né in terra…divertentissimo!»<br />

Già, infatti, divertentissi-issi-missimo. Purtroppo però la faccia non si cambia come la<br />

cover a un Nokia. Se vuoi sputtanarti la sola che c‟hai, fallo te, va‟…<br />

107


21<br />

STRATEGIA ISLAM<br />

Raccontare ieri sera ai miei come sia andato il colloquio ha smosso del magma. La<br />

differenza che ho notato nei loro occhi su una vicenda che normalmente più che ilarità non<br />

dovrebbe causare mi ha fatto capire una cosa: qui è passato tempo. E‟ passato tempo e<br />

anche loro cominciano ad interrogarsi. Le disavventure non fanno più così ridere, a tre<br />

mesi circa dall‟anniversario di laurea.<br />

Particolarmente scosso è mio papà a quanto sembra, visto che mentre estraggo dalla<br />

pentola due piatti di pasta al burro in questo mezzogiorno per soli uomini, lo vedo cercare<br />

in tasca finché non salta fuori un biglietto scritto a penna. La sua calligrafia, un numero di<br />

telefono e un nome: Gabriella Ronchi.<br />

«E‟ la direttrice della Conferlegno. La sede è qui in zona, a dieci minuti»<br />

«Roba seria o che?». Dopo ieri mi si permetta lo scetticismo.<br />

«Sì, ehm, sì…». E‟ in imbarazzo, forse il mio tono è stato troppo caustico. «Parliamo del<br />

consorzio più grande d‟Italia per le aziende che trattano legname»<br />

«Bel colpo allora, grazie! Com‟è saltato fuori „sto contatto?»<br />

«La Ronchi la conosco da anni, dove lavoravo prima era di casa. Anche adesso<br />

comunque la si vede spesso venire a parlare coi capi».<br />

«In che maniera mi devo porre con lei, quindi?»<br />

«Beh, come hai già fatto con gli altri tizi: da un lato puoi dire dell‟idea dei servizi linguistici<br />

per fiere eccetera, dall‟altra tieni conto che puoi anche chiedere se sa di qualcuno alla<br />

ricerca di un laureato con determinate caratteristiche. Rappresentando la Conferlegno<br />

conosce tutti, ma davvero tutti»<br />

«Allora pomeriggio la chiamo. Promette bene!».<br />

Sono contento che mio papà abbia preso questa iniziativa. Mi sento orgoglioso, questo<br />

contatto lo considero come un regalo. Un po‟ mi sento anche preso per il culo a dir la<br />

verità, come ad aver ricevuto un pacchetto che giaceva nell‟armadio da mesi. Non potevi<br />

darmelo prima?<br />

Meglio che mai, comunque. Ora metto un po‟ di grana sulla pasta e il mio piatto forte va<br />

giù che è un piacere, un massaggio allo stomaco per entrambi. «Oh pa‟, comunque<br />

guarda che se „sta tizia mi dice di chiamare il Pagani, io la sfanculo al volo!». Risata. Mio<br />

padre è bene al corrente di chi si stia parlando e sebbene oggi lo si canzoni e basta non<br />

era così in passato, quando il dottore degli arricchiti gli aveva promesso un posto di lavoro.<br />

Una vicenda complicata, con l‟ex principale di mio papà che muore durante una scalata<br />

sulla Grigna, la ditta a conduzione familiare allo sbando, il Pagani che si propone di ritirare<br />

tutto ma poi prende solo il legname a prezzo stracciato e si rimangia la parola sul<br />

mantenere la sede e assumere i tre operai. In poche parole entrò dal cancello come<br />

samaritano e ne uscì da sparviero. Non ho mai portato l‟argomento sulla pubblica piazza,<br />

ma sono comunque sei anni che evito accuratamente di metter piede in casa di Carlotta e<br />

di presenziare alla classica grigliata estiva foraggiata da Mister Miliardo. Pensino quel che<br />

vogliono, frega un cazzo. E il Pagani ringrazi il suo dio che mio papà abbia trovato molto in<br />

fretta un altro posto, altrimenti lo sarei andato a prendere per il bavero in quel bar dove<br />

ogni sera fa la star dei Campari offerti. Rispetto ai più anziani un paio di coglioni, con noi<br />

che stavamo pagando il mutuo e io che costavo pure la retta di quel diamine di linguistico<br />

che tanto avevo desiderato.<br />

Un buon pranzo, un paio di risate con mio papà, ma tutta questa storia a riproiettarsi<br />

dentro la mia testa. Sottofondo lieve e fastidioso, come una TV a mezzo volume che,<br />

anche se non lo vuoi, capta la tua attenzione più di chi hai di fronte.<br />

108


Aspetto metà pomeriggio e lancio la chiamata. Ne esce un appuntamento per domani. Mia<br />

mamma rincasa che ormai è ora di cena ed ecco una seconda novità. Davvero si vede<br />

che ieri sera li ho allarmati come mai prima.<br />

«Ho pensato a una cosa»<br />

«Cosa?»<br />

«C‟è questa signora che viene in ambulatorio da diverso tempo. E‟ una che lavora in una<br />

grossa azienda di arredamento qui in zona. Facendo due chiacchiere oggi le ho accennato<br />

di te che ti sei laureato e stai cercando lavoro»<br />

«Arriviamo al dunque». Con mia mamma è sempre necessario invitare a stringere.<br />

«Insomma, mi ha detto che se vuoi puoi farle una telefonata»<br />

«Bene!»<br />

«E io le ho detto che l‟avresti chiamata stasera alle nove»<br />

«Eh?! Mamma, io stasera alle nove sarò da Daniele nel mezzo dei lavori. In studio da lui il<br />

cellulare nemmeno prende!».<br />

Ne esce una discussione accesa, col mio destino comunque segnato fin dalla prima parola<br />

senza che nessuno me lo ripeta. Non mi resta che fare uno squillo a Daniele, spiegare la<br />

situazione e annullare, manovra che mi dà un fastidio immane sia per quello che avevo<br />

programmato di concludere, sia per il bidone che gli devo tirare. Manco avessi un<br />

colloquio con Bill Gates. Ah, e il nome di questa tizia?<br />

«Non lo so», dice mia mamma.<br />

«Stai scherzando?»<br />

«Ehm…Giardi, il marito di cognome fa Giardi»<br />

«Ma lei come si chiama?!»<br />

«Signora Giardi».<br />

Oltre la serata guastata, ora mi tocca pure essere incerto sul nome della persona a cui<br />

devo presentarmi. Mentre sbollisco l‟incazzatura e guardo un TG si fanno le nove.<br />

«Buonasera signora Giardi, sono <strong>Matt</strong>ia. So che si era messa d‟accordo con mia mamma<br />

affinché la chiamassi stasera». Affinché. Forbitissimo. Bella partenza.<br />

«Ah, ciao <strong>Matt</strong>ia!». Suona disponibile. «Dimmi pure, stai cercando lavoro mi diceva tua<br />

mamma, vero?»<br />

«Sì signora, le spiego, la situazione è la seguente: la scorsa primavera mi sono laureato, il<br />

mio percorso di studi è sempre stato improntato sulle lingue straniere fin dalle scuole<br />

medie e ne parlo quattro»<br />

«Ah però, complimenti. Quali?»<br />

«Inglese, tedesco, francese e spagnolo»<br />

«Cinese o russo niente?»<br />

«No…almeno non per ora». Quasi mi sento in colpa.<br />

«Peccato, peccato. Comunque, mi dicevi?»<br />

«I miei studi universitari hanno contemplato anche una base di materie economiche e<br />

giuridiche, come anche una buona dose di materie umanistiche»<br />

«Marketing l‟hai fatto?»<br />

«No, non era in programma. Ho fatto Economia Aziendale e Economia Politica»<br />

«Ah…e quindi, in sostanza, tu cos‟è che vorresti fare?». Questa conversazione comincia a<br />

farsi spigolosa.<br />

«Allora, sinteticamente: io vorrei fornire servizi linguistici alle aziende, ad esempio per le<br />

fiere, da libero professionista; oppure accetterei volentieri anche un posto come, diciamo,<br />

esperto linguistico aziendale o qualcosa di simile. Rendo l‟idea?»<br />

«Accetteresti una posizione come junior account?»<br />

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«Ehm…dipende un po‟ dalle specifiche». Mi cavo fuori dal guano così, facendo il finto<br />

selettivo. Junior che?<br />

«Saresti disposto a partire?»<br />

«Tendenzialmente sì, poi dipende sempre». Non dalle specifiche, stavolta.<br />

«Perché il nostro CEO sta costituendo un team per tre nuovi sales point negli States».<br />

«Ah, interessante»<br />

«Ed eventualmente ti potrei far presente per quello di Los Angeles»<br />

«Fantastico! Ma tutto questo, all‟incirca, in quanto andrebbe in porto?»<br />

«Se piaci all‟HR senior partiresti fra due settimane».<br />

Come a prendere un vetro in bicicletta. Gomma che sfiata, fine del giro.<br />

Va bene la gavetta, la flessibilità e Los Angeles. Ma qui ho un programma radio per cui mi<br />

sono dato da fare per anni, un disco ormai pronto dopo infinite acrobazie e tutta una serie<br />

di altre piccole e meno piccole cose. Andare negli USA fra due settimane e chiudere di<br />

botto? Stavolta lo dico deciso: no. Ho preso impegni con me stesso e con altri, non posso<br />

uscir di scena in questa maniera.<br />

Con molta educazione ringrazio la signora Giardi, spiego che in questo preciso momento<br />

non me la sento di puntare su un cambiamento così drastico e la telefonata si conclude.<br />

Rimaniamo che mi ricontatterà nel caso si presentassero opportunità presso la casa<br />

madre in Brianza, ma il tono di voce mi fa capire che non ci sentiremo più. Chissà, magari<br />

s‟aspettava andassi almeno a colloquio, o forse il mio tono non è stato dei più gratificanti<br />

di fronte a una chance per la California. Chissà. Io comunque credo di essermi comportato<br />

correttamente nel dichiarare ci fosse subito un problema per me insormontabile. L‟ho fatto<br />

con buone intenzioni, tanto per non far perdere tempo a lei ora che sono le nove e mezza<br />

di sera, quanto per non far perdere tempo al resto dell‟entourage nell‟esaminare la mia<br />

candidatura come junior account (junior che?).<br />

Sebbene il programma della serata mi sia saltato per un nulla di fatto, sono grato a mia<br />

mamma. Voleva aiutarmi.<br />

Mi monta progressivamente un senso di difetto per aver lasciato cadere la proposta, per<br />

non aver anteposto il lavoro a tutto come di costume fra i lombardi. E‟ qualcosa di talmente<br />

radicato nel DNA di queste latitudini che seppure il cuore mi confermi di aver fatto la scelta<br />

giusta, in questo momento mi sento dannatamente biasimabile per non essermi immolato<br />

sull‟altare del lavoro. E se non ricevessi altre proposte per chissà quanto? E se questa<br />

fosse stata la svolta? E se, e se, e se. Avanti così anche dopo aver riportato il succo della<br />

conversazione a mia mamma e averla vista sospirare, non per incolpare me ma perché di<br />

fatto ne è andata buca un‟altra. Io mi ritiro in camera, i post-it mi ricordano che devo<br />

ultimare un articolo per il magazine e la traduzione di un‟intervista per la radio, ma fra<br />

l‟abbattimento e il nervoso che mi vibrano in testa non posso fare altro che mettermi a<br />

letto, spegnere la luce e tirare silenziosamente l‟indomani.<br />

Altro giro, altra corsa. Dopo una notte a rivoltarmi nel letto è ora la mattina di Conferlegno.<br />

Non sono uno che carbura presto ed avere un appuntamento prima delle dieci non gioca a<br />

mio favore. Ad ogni modo faccio il mio ingresso puntuale, forte del mio solito look casual, e<br />

incontro questa donna sulla sessantina che mi si presenta solo per cognome: «Piacere,<br />

Ronchi». Io invece uso il nome.<br />

Il posto non è grande, tutto si svolge in un centinaio di metri quadri, ma l‟ufficio della<br />

Ronchi ne prende quasi la metà. Ho anche io una comoda sedia sulla quale adagiarmi e<br />

passare alla consueta introduzione. Lei mi ascolta con però quel fare di chi ha già in<br />

mente quello che ti vuole dire, e quando prende parola mi fa ben capire che non sia la<br />

prima volta che qualcuno le si rivolge in cerca di un‟idea, un contatto, un dirottamento<br />

verso aziende facenti capo al suo consorzio. In particolare mi descrive le situazioni di tre<br />

110


persone che tramite lei hanno trovato spazio in tre delle più importanti aziende della zona.<br />

Capisco chiaramente che qui in giro funzioni così: le interinali servono a poco se non a<br />

grattare il fondo sottopagati, seminare CV a spaglio è un massimo sforzo da minimi<br />

risultati e quindi è evidente che la via sia quella di essere presentati da qualcuno. Non si<br />

tratta di essere raccomandati, si tratta di essere segnalati: se la Ronchi alza il telefono e<br />

parla di me ho sicuramente molte più possibilità che a sollevare io la cornetta o a<br />

recapitare un‟e-mail al medesimo destinatario. Pur se ci fosse l‟identico bisogno di avere<br />

uno come me a bordo, tramite la Ronchi le probabilità di successo s‟impennano. Anche se<br />

di fatto non mi conosce e potrei essere qui a condirla d‟aria fritta. Lei conosce mio papà e<br />

tale fattore mi ha portato in questo ufficio, qualcun altro conosce lei e tale fattore mi può<br />

portare in un altro ufficio. E così via, perciò sta tutto nell‟avere la fortuna del beccare<br />

l‟anello di congiunzione migliore passo dopo passo. In base a ciò, il prossimo livello della<br />

mia strategia dovrebbe essere andare a spremere tutti, dagli zii ai vicini di casa, per far<br />

saltare fuori l‟amico degli amici che conosce Tizio e Caio. Peccato che con mosse del<br />

genere io sia rimasto più che scottato proprio col primo lavoro, reperito ai tempi del liceo<br />

tramite mia mamma che parlò a mio zio, mio zio che parlò alla sua futura sposa e la futura<br />

sposa che parlò a dei suoi conoscenti: il tutto per passare mezza estate a sentirmi<br />

epitetare nelle maniere peggiori del vocabolario brianzolo e subire alla fine anche lo<br />

smacco di una retribuzione minore di quelle da semaforo. Un dramma che ebbe l‟ultimo<br />

atto proprio al pranzo di nozze di mio zio, dove con poche ma mirate parole freddai il mio<br />

schiavista, giunto al tavolo per la beffa estrema: «Ué <strong>Matt</strong>ia, allora, li ha già finiti tutti i<br />

soldi?». E credeva di far ridere, invece lo rimandai al posto con la coda fra le gambe e la<br />

faccia paonazza. Mio zio e sua moglie, a posteriori informati di quello scambio di freddure,<br />

addirittura si mostrarono in disappunto per la mia reazione. Invece di ringraziarmi per non<br />

aver trasformato il ricevimento nuziale in un film di Bud Spencer.<br />

Capii molte cose da quella vicenda, fra cui il rischio del coinvolgere parenti e compari nelle<br />

mie ricerche di lavoro. E chissà se per pura sopravvivenza tale rischio mi troverò costretto<br />

a doverlo correre di nuovo. Già ora che i miei genitori si sono messi in mezzo mi sento<br />

come a maneggiare vetro soffiato.<br />

La Ronchi procede con parecchie divagazioni professionali, interessanti in sé ma del tutto<br />

accessorie all‟incontro. Dopodiché, avendo di fronte una persona coi tentacoli su un<br />

numero molto alto di aziende, comincio spiegando la mia proposta dei servizi per fiere,<br />

congressi, traduzione ed interpretariato, eccetera. «Non lo so, <strong>Matt</strong>ia. Ormai si fa tutto in<br />

inglese e l‟inglese lo sanno tutti», mi sento dire. Mi permetto di obiettare.<br />

In primo luogo, se solo ieri sera mi è stato chiesto se avessi studiato cinese o russo vuol<br />

dire che non c‟è esigenza di parlare solo l‟inglese. Non che non lo sapessi già, perché s‟è<br />

visto ampiamente in fiera e in mille ulteriori situazioni quanto non si viva solo di quello. E<br />

poi l‟altra grande fandonia è che tutti conoscano l‟inglese: tutti conoscono due parole<br />

d‟inglese, ma già doverle mettere assieme sensatamente taglia fuori metà della<br />

popolazione. Figuriamoci quel che viene poi.<br />

Chiaramente la Ronchi si becca la versione cordiale della mia opinione, ma se la sua è la<br />

voce dell‟industria del legno italiana siamo messi maluccio. Avrebbero così bisogno d‟aiuto<br />

da non rendersene nemmeno conto, ma mentre continuano senza volerci sentire da<br />

questo orecchio la mia utilità non viene compresa. E senza pagnotta ci resto io prima che<br />

loro.<br />

Promessa un‟e-mail con curriculum in PDF e un riassunto «su questa tua idea dei servizi»<br />

che si è già capito non andrà da nessuna parte, sulla via di casa decido di completare il<br />

tour di Maometto che va alla montagna con un‟improvvisata all‟associazione degli artigiani<br />

dell‟ex-legnamé Minotti. Altro giro, altro consorzio.<br />

111


Ci ricavo un caffè e poco più. Fa sempre bene rinfrescare la memoria alla gente ma<br />

adesso come adesso non c‟è nulla da mungere. «In caso di bisogno ti abbiamo in mente<br />

eccome, Colombo. Non ci sono tante persone come te qui in giro a parte le due interpreti<br />

con cui collaboriamo da anni». Maledetta madre natura, m‟hai fatto troppo giovane. E<br />

tantomeno le tue montagne vengono a me.<br />

A casa adesso, in tempo per metter su la pasta al burro. Per tutti e tre stavolta.<br />

Messaggio di Daniele: «Se stasera vuoi passa in studio, sono libero». Avanti: a questa<br />

montagna ci vado e me la prendo.<br />

112


22<br />

CIAK, SI GIRA<br />

Grande tour stamattina: vasca fino in Porta Genova a Milano, dopodiché vasca all‟indietro<br />

verso il set. Finalmente ci siamo, nelle ultime due settimane il disco è stato ultimato e oggi<br />

si gira il video del singolo. A pochi minuti dal mio debutto di fronte agli obiettivi non ho per<br />

nulla il fare spavaldo da star. Sono infatti preoccupato di arrivare con le occhiaie per colpa<br />

di questo sforzo mattutino e firmare il mio debutto con una faccia da Zio Fester.<br />

Ore otto e quindici dell‟ultimo sabato di gennaio, quattro frecce in sosta vietata e mano che<br />

sventola verso il primo elemento da recuperare. Cellulare che mi squilla dopo un attimo e<br />

aggancio la seconda persona. Inversione a “U” cento per cento illegale, strombazzata a<br />

dei pedoni troppo sicuri dei propri diritti sulle strisce e via rapidi verso la superstrada. Con<br />

me a bordo A.B. e Guenda, rispettivamente il soul-singer underground più versatile dello<br />

Stivale e una giovane fotomodella studentessa di recitazione. Il primo lo conosco da un<br />

paio d‟anni e oggi è presente in virtù della partecipazione ai ritornelli; la seconda invece mi<br />

conosce di persona da meno di due minuti, semaforo arancione incluso, ed è forse bene<br />

che sollevi il piede dall‟acceleratore prima che mi chieda di farla scendere.<br />

Come cavalieri d‟altri tempi, io e A.B. facciamo il necessario per coinvolgere Guenda e<br />

farla sentire da subito parte della ciurma. E‟ stata molto gentile ad accettare la mia<br />

squattrinata proposta, nonché estremamente corretta nel presentarsi stamattina.<br />

Sinceramente era l‟aspetto che più mi preoccupava, ma ora che è sul sedile posteriore<br />

posso tirare un sospiro di sollievo. Per ringraziarla alla mia maniera, rispondo al suo<br />

«Allora, avevo tanta concorrenza?» con un pittoresco resoconto del “Cercasi ragazza<br />

acqua e sapone per videoclip musicale” lanciato poco prima di Natale nei forum delle<br />

università milanesi.<br />

«Guenda guarda, ti dico solo che mai più metterò un titolo del genere a un annuncio»<br />

«Perché?!»<br />

«Perché ho scoperto quanto il concetto di ragazza acqua e sapone sia “flessibile” per<br />

l‟universo femminile»<br />

«Hai ricevuto tante risposte all‟annuncio?»<br />

«Il punto non è quante, ma che tipo»<br />

«Racconta!». Ci sta prendendo gusto.<br />

Quel che ho testato è che non esiste ragazza sul globo terracqueo che non si reputi acqua<br />

e sapone. Dal fenotipo Gerini-Jessica di “Viaggi di nozze” lo si è fatto strano fino a<br />

candidature dimostranti quanto la variegata umanità dei provini dei reality non sia<br />

l‟invenzione di perversi autori. E le foto inviatemi, poi: cresime, comunioni, fuori fuoco,<br />

controluce, dimensioni da icone sul desktop e via discorrendo. Di tutto.<br />

«Per questo, Guenda, che alla fine ho avuto pochi dubbi. Sinceramente parlando eravate<br />

in lizza tu e un‟altra ragazza emiliana che studia qui. Siete state le uniche a presentarvi<br />

nella dovuta maniera e a farmi avere foto che si potessero chiamare tali. Lascia perdere<br />

che fossero scatti da book perché effettivamente entrambe fate le modelle, ma la<br />

differenza di base è stata potermi fare un‟idea di che persone foste. Negli altri casi c‟è<br />

mancato solo che m‟arrivasse qualcuna immortalata in immersione con la muta da sub».<br />

Ora le devo un complimento: «Vi ho incontrate entrambe, tu e quest‟altra ragazza, ma alla<br />

fine ti ho scelta perché mi hai fatto subito capire che saresti venuta a letto con me». Un<br />

secondo di silenzio. Risata mia e di A.B. ed ecco che dopo averla vista nel retrovisore<br />

sgranare gli occhi e impallidire, Guenda capisce la mia voglia d‟ilarità e si lascia andare.<br />

Iniziazione ultimata, ora è davvero parte di questo team. Passando al serio le dico che la<br />

vera differenza è la sua esperienza con la recitazione, garanzia di avere di fronte una<br />

113


persona con diverse modalità d‟espressione e che soprattutto non diventi un blocco di<br />

ghiaccio davanti alle macchine da presa. Proprio per questo aspetto ho evitato di<br />

coinvolgere Mari, per la quale comunque i weekend sono problematici da gestire visto che<br />

anche oggi lavora. Abbiamo giusto fatto in tempo a passare un paio d‟ore assieme ieri<br />

sera che era il mio compleanno, ma abbiamo dovuto chiudere sul presto visti gli impegni<br />

mattutini. E a proposito di compleanno, le due crostate che ho nel bagagliaio rischiano di<br />

essere andate in briciole grazie alla mia guida stile Bo & Luke. Me n‟ero del tutto<br />

dimenticato, impreco fra me e me arrivando a destinazione.<br />

Giro di presentazioni varie e c‟è tempo anche per un bel caffè mentre aspettiamo il<br />

cameraman e l‟aiuto regista. Max è il capo delle operazioni e la sua compagna Elisa cura<br />

gli allestimenti grazie ad un occhio da artista e uno da donna, fattore sempre<br />

fondamentale. Scopro con piacere che il borsone coi miei cambi ha fatto da cuscino alle<br />

torte, ancora commestibili.<br />

Tempo un quarto d‟ora e ci siamo tutti. Giù una fetta di crostata a testa con tanti auguri a<br />

me da parte della truppa, quindi Max e il suo braccio destro Nicola svelano il piano<br />

d‟azione: ci gestiremo fra un ambiente neutro, lo stesso appartamento in cui ci troviamo<br />

ora e un parco a cinque minuti d‟auto. Mentre Guenda viene lasciata in standby a sfogliare<br />

Cosmopolitan e a far due chiacchiere con Elisa, io e A.B. veniamo condotti in uno spazio<br />

di una ventina di metri quadri completamente bianco. Ci siamo, il pezzo parte in sottofondo<br />

ed è ora che sfoderi le mie migliori espressioni. Mezz‟ore di prove davanti allo specchio,<br />

facce cool e facce da culo, ricordarsi una mimica e ricordarsi di evitarne un‟altra,<br />

all‟occorrenza anche video col cellulare per avere l‟idea del piccolo schermo. L‟ultima<br />

settimana l‟ho passata così, sentendomi ripetutamente un deficiente ma in qualche modo<br />

convinto che passarci attraverso fosse lo scotto da pagare per non bucare lo schermo con<br />

smorfie da ebete. In realtà, finché il video non sarà ultimato non c‟è verdetto. Speriamo<br />

bene.<br />

Ciak dopo ciak dopo ciak passiamo all‟appartamento, dove entra in azione anche Guenda,<br />

infine con due auto ci dirigiamo al parco, location più critica in quanto soggetta alla luce<br />

naturale e soprattutto a qualche possibile curioso. Troviamo un buon angolo di prato con<br />

alberi e, a parte un paio di riprese fermate per cani sguinzagliati e un pensionato<br />

ficcanaso, tutto fila liscio. E‟ una bella giornata, soleggiata e pure clemente nella<br />

temperatura per essere fine gennaio. Niente condensa quando respiriamo, niente guance<br />

rosse, solo Guenda soffre una minima il freddo e quando si ricontrolla il girato le devo dare<br />

il mio giubbetto. Per scelta d‟immagine abbiamo preferito non imbottirci con cappotti e<br />

piumini, optando per uno stile primo-primaverile che però in alcuni momenti mette in<br />

difficoltà lei che è più freddolosa.<br />

Col calar del sole rientriamo alla base, riguardiamo tutte le riprese della giornata e per mio<br />

sollievo non sembro avere piazzato contorsioni maxillofacciali da Spud di “Trainspotting”.<br />

Prendendo in giro Guenda millantando una necessaria scena di nudo, optiamo per<br />

sfruttare anche la domenica in modo da avere più materiale possibile e soprattutto il<br />

contributo di un ulteriore cameraman.<br />

Sbriciolando avanzi delle mie crostate, passiamo ai saluti e ci diamo appuntamento<br />

all‟indomani. Io, dopo aver riaccompagnato non in Porta Genova ma direttamente a casa<br />

sia A.B. che Guenda, opto per rientrare, cenare leggero e dirigermi a letto. Devo riposare<br />

la pelle. Santo cielo, ho già manie da teen-idol.<br />

Comunque bella giornata. Buona la prima.<br />

Otto e un quarto ancora, Porta Genova ancora, ma senza quattro frecce. A.B. mi salta in<br />

macchina con un cappuccino del take-away e sprofonda nel sedile. Scruto l‟orizzonte<br />

calmo della domenica mattina. Due minuti, tre minuti, quattro minuti. Io fuori dalla<br />

114


macchina, cellulare che parte per raggiungere l‟orecchio. Neanche il tempo che A.B.<br />

finisca la domanda che io sono già nel panico.<br />

“Ma a che or..”<br />

“Porca puttana, ha il cellulare staccato!”<br />

“Cazzo…casa ce l‟hai?”<br />

“Ovvio che no. L‟unica è tentar da Internet, alla disperata”<br />

“Allora chiamo Marta a casa e glielo dico. Hai la mail o andiamo di Facebook?<br />

“Facebook. La mail era strana, non me la ric…”. Chiamata in entrata.<br />

“<strong>Matt</strong>ia ciao, sto uscendo adesso, scusa”<br />

“Mannaggia Guenda, m‟hai fatto perder tre anni di vita! OK comunque, quanto ci metti?”<br />

“Venti minuti”<br />

“Dai, d‟accordo. Non fermarti a guardar vetrine, mi raccomando”.<br />

Mentre recupero gli anni persi dallo spavento andando anch‟io a prendermi un<br />

cappuccino, chiamo Max per avvisarlo del ritardo. Errore: Max stava ancora dormendo.<br />

Beh, buongiorno signor regista, tu ed Elisa avete giusto il tempo di docciarvi e far<br />

colazione prima che arriviamo.<br />

Passa un‟ora e ci siamo. Citofoniamo e si entra. All‟appello mancano ancora i due<br />

cameramen, quello di ieri e quello nuovo. Mentre Elisa commenta con Guenda alcune<br />

riviste di design sorseggiando un caffè, A.B. fa ascoltare a Max qualche suo pezzo<br />

discutendo di possibili video. Mi fa piacere esser il trait d‟union fra due persone così<br />

talentuose: Max può ottenere più esposizione oltre che ulteriori entrate, A.B. video ben fatti<br />

a costi contenuti. Io invece ho l‟occasione di fare due chiacchiere con Nicola, che si è<br />

rivelato essere più un regista in seconda che solo un assistente. Ci conoscevamo già per<br />

vie traverse, perché anche lui fa il mio stesso genere di musica e ha pure una buona<br />

nomea. Parliamo però di lavoro e tocca a me svelare la prima carta, con panoramica sul<br />

casino generale dell‟essermi laureato già da un bel pezzo ma trovarmi ancora<br />

praticamente a spasso. Farcisco la pietanza con racconti di fiere e di reception, tenendoci<br />

a sottolineare –più per me stesso che per il mio interlocutore- quanto le seconde mi<br />

servano solo come tampone. Si ride un po‟, ma l‟umorismo termina quando è la sua volta<br />

di vuotare il sacco. Non mi è chiaro se si sia diplomato o se gli manchi pure quel pezzo di<br />

carta, ma sapendo che negli ultimi anni ha vissuto a Perugia credo sia più plausibile che ci<br />

sia andato per scopi universitari variati nel mezzo. Di due cose sono comunque sicuro:<br />

Nicola non è laureato, ma Nicola è un ragazzo in gamba. Non che per essere in gamba si<br />

debba avere una laurea, però parliamoci chiaro: essere nati negli Ottanta, italiani, e oggi<br />

non avere quel pezzo di carta significa nella maggior parte dei casi non avere un cervello<br />

nemmeno da diploma (anche se poi diversi passano l‟esame di maturità grazie al fare<br />

pseudo-umanitario delle commissioni), oppure aver compiuto la scelta kamikaze del non<br />

intraprendere o portare a termine un percorso universitario. Cause di forza maggiore che<br />

giustifichino l‟interruzione della rotta verso una triennale sono più uniche che rare.<br />

Ad un ragazzo in gamba, quindi, qualcosa dev‟essere successo. Su questo però Nicola<br />

soprassiede, dicendomi solo che da qualche mese è tornato a stare coi suoi, a pochi<br />

minuti da Varese. Ora lavora nel magazzino di una grande industria di solventi chimici.<br />

L‟unico italiano del reparto.<br />

Da quanto riporta emerge un‟immagine di bestialità. Gola che brucia, occhi che lacrimano,<br />

Legge 626 e mani livide. Bidoni da sollevare, muletto, bancali, cartellino, folate d‟acido.<br />

Emicranie, busta paga, schiena rotta, tuta antiabrasione. Straordinari, mille Euro. «Se sei<br />

qui è perché hai dei problemi. Tienili fuori» fu la frase di benvenuto del caposquadra.<br />

A questo punto Nicola scende nei dettagli, ma non lo seguo più. Sono bloccato tra ciò che<br />

mi ha riportato e il vederlo qui, oggi e ieri, che indica, consiglia, motiva, si confronta e cita<br />

115


attute e nozioni tecniche di capolavori del cinema da “Roma città aperta” a “Fa la cosa<br />

giusta”.<br />

Mentre annuisco ritmicamente per mascherare la disattenzione, cerco di capire cosa io<br />

possa fare per dargli una mano. Dieci video con Max? Non ho i soldi. Portare dieci amici<br />

da Max? Non ho dieci amici che facciano al caso. Dare a Nicola il numero di Damiano o<br />

Gerardo? Qui mi blocco: la più sensata delle opzioni, ma non posso. L‟ho già fatto con<br />

Alessandro ed erano tempi diversi, credevo avrei spiccato il volo a breve. Invece sono<br />

ancora qui, impantanato senza scadenza, dipendente dalle loro chiamate, che mi<br />

abbevero alla loro fonte. E‟ uno schiaffo secco comprendere che se tentassi di aiutare<br />

Nicola finirei rischiando d‟inguaiarmi. Non posso dividere la brioche come quando un<br />

amico alle elementari si scordava la merenda. Fuori fa freddo, oggi nel mondo dei Duemila<br />

e oggi nel mondo degli adulti. Vita tua può voler dire mors mea e allora, fratello, ti guardo<br />

come fossi me stesso, quell‟identico me stesso lasciato in disparte, che non riesce a<br />

collocarsi, che non trova un appiglio. E il dolore più grande, credimi, è non poterti<br />

soccorrere. Tu però vai, corri, sputa sangue e spacca tutto, perché sei come me, anzi sei<br />

me, quindi me lo dice l‟istinto, la voce del cuore unita al cervello, che non meriti nulla di<br />

tutto questo. Potessi ti darei, ma non posso. E non serve pregare, non serve un “in bocca<br />

al lupo”; servono opportunità, soldi, contatti, favori se è il caso. Io sono bloccato, di pietra,<br />

una statua pericolante e non c‟è mano che possa tenderti senza rischiare di ritrovarmi in<br />

pezzi. Tu però, fratello, corri. Corri come vorrei dire a me stesso di correre, come vorrei<br />

vedere me stesso correre.<br />

Devo andare in bagno e sciacquarmi la faccia per riprendermi.<br />

Al ritorno il team si completa e nel giro di breve si parte con la seconda giornata sul set.<br />

Scorre tutto alla perfezione, ognuno fa il suo. Rispetto a ieri siamo tutti più amalgamati.<br />

Girassimo un video al mese saremmo una macchina da guerra.<br />

Tra un ciak e l‟altro si mangia qualcosa, si scambiano pareri sugli argomenti più disparati,<br />

si scherza anche. Nel tardo pomeriggio le riprese si dichiarano concluse ed ora a Max<br />

serviranno grosso modo tre settimane per il montaggio e l‟elaborazione grafica. Non c‟è<br />

problema, con quel poco che posso mettere sul piatto capisco bene che debba dare<br />

precedenza ad altro, e dopotutto io non ho necessità fulminea di avere il video. Nel mentre<br />

ritirerò il disco dalla stamperia, preparerò i comunicati per TV, radio, siti e riviste e tradurrò<br />

il tutto anche in inglese per alcuni contatti mediatici internazionali. E‟ solo l‟inizio, insomma.<br />

Spazio per la noia non ce n‟è.<br />

Ci scambiamo tutti un abbraccio e una stretta di mano guardandoci negli occhi. E‟ stata<br />

una due giorni molto positiva, ora non mi resta che riaccompagnare Guenda e A.B. e poi<br />

potrò rilassarmi di fronte alla mia classica pizza domenicale. A domani ci pensiamo<br />

domani, per intanto teniamoci in tasca la soddisfazione di oggi e di ieri. «Stai per svoltare»<br />

direbbe qualcuno, io invece non dico niente.<br />

Si naviga a vista, marinai. E si rema intanto, si rema e basta.<br />

116


23<br />

FUCK YOU, PAY ME!<br />

Non mi erano mai giunte belle voci in merito, ma tant‟è. Le lingue ho studiato e le lingue<br />

vediamo di far fruttare. Insegnare, perché no?<br />

Di consegnare ripetizioni a domicilio storicamente non ho mai avuto voglia: i maschi che<br />

non c‟azzeccano sono in generale delle belle teste di legno, le ragazze invece dei discreti<br />

cessi (quelle in grazia di Dio le ho viste spesso sistemarsi facendo le moine al prof di<br />

turno…e poco importava se di un‟altra materia, tutto faceva brodo in consiglio di classe).<br />

Dulcis in fundo, la Corte Suprema delle Mamme Petulanti sarebbe capace di mandare al<br />

patibolo anche il rettore di Oxford in caso di ulteriori disfatte per la creatura. „Sti gran cazzi.<br />

Invece così la sonata cambia: scuola d‟inglese privata, situazione che dovrebbe espormi<br />

meno in prima persona e potenzialmente offrirmi i mezzi per fare bene, essendo la<br />

soddisfazione del cliente il motore di tutto. Per questo all‟annuncio sul forum dei miei excolleghi<br />

studenti ho risposto al volo, nonostante la vaghezza del testo e il nome d‟impresa<br />

mai sentito, quindi nessuna garanzia preventiva in un settore talvolta dimora di furbetti.<br />

Così mi ritrovo ora, a distanza di ventiquattr‟ore e fresco di doccia in palestra, con<br />

illuminato sul display un SMS “Ti ho cercato” risalente alle diciassette e quarantasette.<br />

Credo proprio sia dovuto alla chiamata di chi penso, visto il numero che identifica. Son<br />

passati cinquanta minuti, tentiamo lo stesso anche se col classico orario d‟ufficio siamo ai<br />

supplementari.<br />

Suona libero.<br />

«Ellò, langueig scul institut…». Sì, vabbè dai, chiudiamo „sta pantomima che c‟hai 02 di<br />

prefisso e siamo in Italia.<br />

«Sì salve, ho trovato una vostra chiamata circa un‟ora fa ma avevo il cellulare spento,<br />

presumo che comunque mi cercaste per la risposta che ho dato al vostro annuncio sul<br />

f…».<br />

«Sìunattimochelepassosubitolaresponsabile!». Neanche il tempo di chiudere la mia frase e<br />

capire la sua mitragliata di sillabe che già la chiamata è in viaggio verso un altro<br />

apparecchio. Sono stupito, pare che fossero tutti lì in trepidazione ad aspettare che<br />

ritelefonassi.<br />

«Hello»<br />

«Hello, I‟ve just seen your missed call». Stavolta non si scappa.<br />

Nonostante la mia interlocutrice si presenti dopo pochi secondi con un nome sì<br />

internazionale, ma un cognome decisamente meridionale, la sua parlata è credibilissima e<br />

so che mi conviene stare al gioco, perché di fatto è già partito il colloquio. Coi contenuti<br />

viaggio sciolto, faccio solo un po‟ d‟attenzione alla pronuncia e cerco di mantenere un<br />

registro accurato mentre mi tocca riassumerle tutta la mia storia in materia anglosassone,<br />

dalla prima media alla prima pinta, arrivando all‟università e giustificando inoltre perché a<br />

tredici anni feci una vacanza studio in Irlanda anziché in Inghilterra. Alla proposta di fissare<br />

un incontro in sede temporeggio con la scusa del dovermi fare l‟occhio in agenda e le<br />

assicuro una mia e-mail, concludendo così la telefonata conscio d‟aver retto bene ma di<br />

fronte al classico bivio: se cercano un madrelingua han capito che non lo sono, se cercano<br />

uno che l‟inglese lo sappia han capito che vado bene.<br />

L‟indomani scrivo l‟e-mail (sempre in inglese, questa è la prova scritta) come azione<br />

inaugurale della mia mattinata al computer, ponendo però prima della disponibilità per<br />

l‟incontro una serie di quesiti fondamentali sulla posizione offerta, capitolo di non poco<br />

conto rimasto avvolto da una coltre di denso fumo di Londra nell‟esame orale del giorno<br />

precedente.<br />

117


Arriva la risposta e qui comincia la saga. Purtroppo quando se n‟è già vista qualcuna si sa<br />

che, in generale e non solo sul lavoro, la gente si rivela sui soldi: quando scarseggiano, le<br />

reticenze spuntano come funghi in un bosco dove non c‟è ombra di chiarezza, ma solo<br />

chiarezza che ci sia dell‟ombra.<br />

Mi mantengo politically correct in un ulteriore messaggio. Giunge la risposta ed esaurisco<br />

il fair play: dolcezza, mo‟ si gioca all‟italiana. Ma col cazzo il catenaccio, tutti su e tiriamo<br />

pure per le maglie.<br />

A farmi imbufalire è la sua risposta al mio suggerimento di essere più trasparente in merito<br />

al tipo d‟incarico e al livello di retribuzione, poiché mancassero i presupposti sarebbe<br />

inutile incontrarsi: «Thirty minutes for a job interview is never a waste of time». Per te che<br />

sei lì comoda in ufficio, magari, mezz‟ora per un colloquio non è mai una perdita di tempo;<br />

per me che invece vengo da fuori e dovrei passarmi un‟intera mattina nel traffico, la cosa<br />

cambia un bel po‟.<br />

Le lascio quindi lo sfizio di giocare in casa sotto il profilo linguistico, ma le faccio ben<br />

capire che la palla è mia con un‟e-mail sotto il segno del “chissenefrega come va a finire”,<br />

in cui nell‟idioma di Geri Halliwell controbatto senza remore.<br />

Carissima,<br />

vivendo a venticinque chilometri da Milano, questa mezz‟ora mi<br />

richiederebbe tutta la mattinata…e ciò la renderebbe sì uno spreco<br />

di tempo qualora le condizioni di base per questo (misterioso)<br />

lavoro non corrispondessero a ciò che vado cercando. Nonostante le<br />

conversazioni, non so nemmeno quale potrebbe essere il mio<br />

incarico: insegnante? Tutor? Presidente? Uomo delle pulizie?<br />

Se il colloquio è, come dice, «per conoscersi», propongo allora<br />

che si vada a fare un bell‟happy hour assieme: sono molto più<br />

simpatico al di fuori degli ambienti di lavoro e sono sicuro sia<br />

lo stesso anche per Lei.<br />

Quindi, a Lei la scelta: mi può far sapere le informazioni di base<br />

prima del colloquio, oppure può decidere dove andare per questo<br />

happy hour.<br />

Cordialmente.<br />

I casi sono due, mi sono detto fin da quando lo schizzo di una risposta simile era partito: o<br />

non si fa più viva, o finisce che s‟innamora.<br />

Tempo un giorno e si fa viva, col suo nome che svetta in cima alla mia posta in arrivo e io<br />

che prima di cliccare m‟immagino di tutto, da una possibile scenata da donna in carriera<br />

stizzita ad una sottomissione in stile Mariangela Melato in “Travolti da un insolito<br />

destino…”.<br />

Leggo e noto con piacere che finalmente cade il velo di mistero attorno al tipo d‟incarico,<br />

che è di personal tutor. Dopo questa fitta corrispondenza però mi sembra il minimo e anzi,<br />

eccola di nuovo utilizzare la scusa delle informazioni che non le sono ancora giunte per<br />

quanto riguarda nemmeno il compenso, ma almeno la fascia su cui ci si andrebbe ad<br />

assestare. Rincara inoltre la dose attraccando in una caletta rigogliosa di moralismo,<br />

tenendoci a ricordarmi che la società che rappresenta è internazionale, prestigiosa, con<br />

dei criteri di reclutamento del personale estremamente selettivi, improntati su un iter di più<br />

incontri e bla, bla, bla.<br />

Stòòòp!<br />

Il personaggio di Raffaella Pavone Lanzetti ha definitivamente scassato la minchia, così<br />

Giannini abbandona il set stracciando il copione e gettando ai fichi d‟India i panni del rude<br />

118


marinaio. Tanto la trama è già stabilita e levandosi dalle scatole ora si fa solo la grazia di<br />

evitare la figura del boccalone fissata di lì a poche scene.<br />

Infatti indago sul forum nei due giorni successivi e da altri utenti emerge la verità: sei Euro<br />

l‟ora, lordi. Costo del personal tutor per il cliente? Trenta l‟ora, netti.<br />

Bye bye, baby.<br />

119


24<br />

A LUCI SPENTE<br />

«Mari, non sono molto in vena. Possiamo rimandare a domani?»<br />

«<strong>Matt</strong>ia, ma che succede?»<br />

Che succede mi chiedi, Mari? Ti dico niente di grave, che poi ti spiegherò ma di non<br />

preoccuparti, mentre ti saluto alla svelta e vado a letto, sperando tu non ci sia rimasta<br />

troppo male. Mi manca solo questo per finire completamente a terra.<br />

Domani, Mari, ti racconterò che in questi ultimi giorni sono andato a ritirare i CD in<br />

stamperia e che Max mi ha avvisato che gli ci vorrà un filo più del previsto per ultimare il<br />

video, ma sta venendo molto bene. Probabilmente mi abbraccerai forte, poi mi farai un<br />

sorriso dei tuoi, grande, radioso come sempre, come quando ti facevo le battute al lavoro.<br />

Il lavoro, appunto.<br />

Mari, siamo al venti di febbraio, è un mese e mezzo che non mi gira un incarico. E anche<br />

quando qualcosa m‟arriva, sai bene di cosa si tratta. Mi sto innervosendo al punto di non<br />

riconoscermi, mi sta maturando dentro una rabbia carica di sarcasmo, di arroganza,<br />

sprezzante. E‟ che ormai non so nemmeno dove trovare la pazienza. Magari in qualche<br />

dove dell‟ego c‟è uno scomparto per le emergenze, come la cassetta del pronto soccorso<br />

che i miei nonni avevano in bagno di fianco allo specchio. Ci fosse qualcosa del genere,<br />

l‟aprirei di scatto e farei razzia; però non c‟è niente, oppure non riesco a trovare niente, e<br />

mentre mi ripeto frasi sentite alla TV tipo «Toccato il fondo, si risale» mi sento come se in<br />

questo caso un fondo non ci fosse. Da bambino fantasticavo su cosa potesse succedere<br />

ad un astronauta caduto fuori dalla navetta, conseguenza dei filmati che vedevo nei<br />

telegiornali.<br />

«Nonna, quanto è grande lo spazio?»<br />

«Cucciolo, è infinito».<br />

E se allora non riuscivo a capacitarmi del peso della parola infinito, oggi mi sento proprio<br />

come un astronauta che cade e va sempre più lontano dalla navetta, dalla Terra, da tutto.<br />

Con il cosmo che lo inghiotte, col nero che lo prende. Lento, senza fondo. Anche se si<br />

vedono le stelle.<br />

Mi dirai che le cose cambieranno, Mari, ma io finirò col pensare che non ti sia rimasta in<br />

bocca altra frase. A te come ai miei, come se tutto per natura fosse destinato a risolversi,<br />

come se tutti i conti fossero destinati a tornare.<br />

Sto perdendo la percezione dell‟oggettivo, Mari. Domani te lo dirò che mi ero fatto bene<br />

l‟occhio sui risparmi e ancora tutto è come previsto, ma tirare fuori i milleduecento Euro<br />

per le copie dell‟album, vedermeli uscire di mano, non sapermeli più sul conto mi ha fatto<br />

quasi girar la testa. Grazie al cielo esiste la matematica, altrimenti sapere che fra qualche<br />

giorno dovrò a Max circa la stessa cifra mi leverebbe il fiato. Più che quanto ho dovuto<br />

lavorare per questi soldi, m‟importa quanto tempo ho dovuto aspettare per averli. Quante<br />

telefonate, quanti viaggi avanti e indietro con Milano e quante rinunce, da un secondo paio<br />

di scarpe a un po‟ più di svago. Avessi la certezza, o almeno l‟abitudine di un‟entrata<br />

mensile come nel tuo caso, Mari credimi, sarei ben più tranquillo. Invece anche quando<br />

lavoro non so mai cosa m‟aspetta poi. Nei miei panni il presente pesa il doppio.<br />

A questo punto mi dirai, ne sono certo, che dopotutto ho sempre chiuso i bilanci in attivo.<br />

Ti darò ragione, ma c‟è una cosa che ancora non ti ho raccontato.<br />

La sera in cui tornavo dalla stamperia avevo in auto quaranta scatole piene di CD.<br />

Guidavo in maniera attentissima, perché ci vuole poco a rompere le custodie. A un paio di<br />

minuti da casa mia c‟è un baretto che ha cambiato almeno una decina di gestori da<br />

120


quando ero ragazzino. Non mi è mai stato chiaro se ciclicamente questi giudicassero<br />

insufficienti le entrate o cos‟altro, ma è più probabile che una volta capito che tipo di<br />

clientela si erano procurati volessero solo levarsi di torno. Capisci cosa intendo.<br />

Ecco, e di nessuno di quei clienti m‟importa, per nessuno di quei tizi provo invidia. Sarei<br />

scemo ad invidiare gente che si fotte l‟anima al videopoker e cerca di rifarsi spingendo un<br />

po‟ di fumo a dei quattordicenni. Poca roba quella. Girano individui di ogni tipo in quel<br />

posto, dai disperati, la bassa manovalanza, fino a quelli che li comandano, coi quali si sa<br />

che è meglio non avere problemi. Nessuno di loro m‟interessa, però. Nessuno tranne uno:<br />

il Greco. Lo chiamano così per la carnagione scura e i lineamenti spigolosi, che lo fanno<br />

sembrare un personaggio da anfora ellenica. E‟ di buona famiglia, ha sempre vissuto in<br />

una bella casa, i suoi genitori vanno a messa tutte le domeniche. Non aveva bisogno<br />

d‟infilarsi in certe storie, ma l‟ha fatto. Mi chiederai qual è il punto, Mari. Ti spiegherò allora<br />

che mentre passavo di fianco a quel bar c‟era il Greco che fumava una sigaretta, vestito<br />

fottutamente bene, con un paio di scarpe e un giaccone che a inizio inverno mi sarei<br />

voluto prendere io. Invece niente, ero andato anche in alcuni negozi ma i cartellini<br />

avevano parlato chiaro: troppi soldi. E nei tre lunghi secondi in cui scivolavo via sull‟auto di<br />

mia mamma, il Greco se ne stava lì, lui e l‟ennesima bionda che gli sta appresso. Ti<br />

chiederò di perdonarmi per il cliché della bionda, Mari. Non m‟interessa la sua donna, non<br />

la conosco, spero non mi darai del sessista o nemmeno la butterai sulla gelosia perché sai<br />

che non è il caso. Guardiamola da un‟altra prospettiva: il Greco è un bel ragazzo, si veste<br />

con stile, ha un mucchio di agganci, guida una Z3 e ha una fidanzata bellissima,<br />

probabilmente straniera, sicuramente una modella. Ritratto di un vincente, no? Bene, il<br />

punto è che il Greco si è aperto porte su porte non grazie allo studio, non grazie a una<br />

laurea, non grazie ad una passione tramutata in lavoro o ad un‟intuizione geniale.<br />

Semplicemente grazie alla coca. Chili di coca, scatole di coca. Chissà se avrà provato<br />

anche lui a girare con quaranta scatole in macchina. Beh, sicuramente no: è impossibile<br />

con la sua due posti.<br />

Ha qualche anno più di me, ma di sicuro non tocca i trenta. E guarda cos‟ha in mano,<br />

guarda come la gente gli sta attorno. Ha cominciato portando un po‟ d‟erba ai compagni di<br />

classe in prima superiore ed ora non c‟è privé che conti, in città come in provincia, in cui<br />

non si tiri la sua coca. E vai di vestiti, e vai di cene, e vai di BMW. S‟è fatto qualcosa come<br />

due anni dentro ma non gliene è fregato nulla. Una volta a piede libero ha ricominciato con<br />

le stesse manovre, gli stessi giri, le stesse facce. Gli stessi soldi.<br />

E allora, Marilena, scusami ma una cosa te la vorrò chiedere, nonostante tu a questo<br />

punto proverai un senso di repulsione verso il mio discorso se non verso la mia persona<br />

intera: io perché non mando affanculo tutto quanto, tutto, da questi cazzo di CD alla radio,<br />

dalla laurea a quel fottuto mensile che tarda sempre a pagarmi due spicci, eh? Magari<br />

invece di perdere tempo per la gloria, per l‟arte o per mandare CV alle aziende dovrei fare<br />

domanda dal Greco. Perché no? Qualche potenziale consumatore lo conosco anch‟io,<br />

specie nel giro della musica, dove la gente sembra si sia stancata di fumare marijuana e<br />

basta, perché non fa più notizia, non fa più bohème come una volta. Una bella botta di<br />

bamba per tutti, loro hanno il nuovo vezzo per sentirsi ribelli e io mi metto in tasca un paio<br />

di centoni a sera. Pulito, senza strafare come il Greco. Cinquecento Euro a weekend mi<br />

bastano, duemila al mese. Le troie se le prenda tutte lui, così come le bottiglie nei privé, a<br />

me non interessano. Poi Mari, dimmi una cosa: ma se i nostri nonni e bisnonni trafficavano<br />

tabacco fra l‟Italia e la Svizzera e oggi di quegli spalloni conserviamo una visione quasi<br />

romantica, di innocenti ladri di mele, io perché dovrei sentirmi un criminale, una piaga<br />

sociale se spinto dalla stessa fame decidessi di oltrepassare il valico della legalità e<br />

piazzare un po‟ di bianca nel naso di chi la desidera? La cercherebbero comunque quella<br />

roba, la prenderebbero comunque, ma da altre mani. E allora tanto meglio che finiscano a<br />

me quei soldi anziché ad un altro, perché rimane chiaro che io non vorrei mica campare a<br />

121


vita in questa maniera. Magari mi ci sistemerei per le cose basilari, una macchina senza<br />

che sia come quella del Greco, vestiti senza che siano come quelli del Greco; tutto ad un<br />

livello meno appariscente, ma più cose di quelle che ho ora, finendola di gravare sulle<br />

spalle dei miei e levandomi qualche sano sfizio ogni tanto. Una buona volta senza questa<br />

maledetta sensazione di acqua alla gola con la quale mi sveglio e mi addormento ogni<br />

giorno. Che male c‟è? Che male ci sarebbe, Mari?<br />

Facciamo così, te lo dico io stesso che male ci sarebbe. Quando ancora facevo le<br />

elementari, all‟ultimo piano della mia palazzina era arrivata una nuova famiglia. Figlio più o<br />

meno della mia età adesso, padre e madre della stessa età dei miei adesso. Mia mamma<br />

era stata subito amichevole, mentre mio papà, che conosceva quel cinquantenne obeso e<br />

con gli occhiali alla Funari per le voci che giravano in paese, ci avvertì di limitarci ai saluti e<br />

nulla più. «Cortesia sì, confidenza no», ci disse.<br />

Una mattina d‟autunno, alle otto meno venti ero pronto per andare a scuola e uscito dal<br />

portone aspettavo che mio papà portasse fuori la macchina. Vedendo che ci metteva più<br />

del solito m‟incamminai verso i garage, bloccandomi alla vista di un carabiniere col mitra.<br />

Lo vidi fare un cenno d‟intesa col capo e dopo un attimo arrivò mio padre. Mi misi la<br />

cintura senza farmelo ripetere, quella volta. Subito dopo chiesi come mai c‟erano i<br />

carabinieri, ma non vi era risposta precisa in quella circostanza.<br />

Il giorno dopo fu il quotidiano locale a informarci: «Venticinquenne arrestato per spaccio».<br />

Il resto erano dettagli. Il nome, il cognome, l‟indirizzo, una foto della via.<br />

«Papà, era uno spacciatore! Ma a me non sembrava cattivo, mi salutava sempre»<br />

“Non è detto che fosse cattivo, infatti. E‟ suo papà quello che non va bene, che sta in<br />

piazza dalla mattina alla sera. E‟ uno che beve e che ha parecchi debiti, a quanto pare.<br />

Chissà, magari quel ragazzo l‟ha fatto per cercare di aiutare la famiglia ed è finito male. E<br />

pensa la sua mamma adesso come starà, con un marito del genere e un figlio in<br />

prigione».<br />

Fu un discorso molto chiaro per un bambino, la prova è quanto nitidamente me lo ricordi.<br />

E a una quindicina d‟anni di distanza mi trovo ancora a pensare a sua mamma, a quella<br />

signora bionda che sorrideva salutandomi sulle scale ma al secondo sguardo che le davo<br />

sembrava sempre triste. Oggi so cos‟era quel riflesso opaco nei suoi occhi azzurri.<br />

E allora, Mari, facciamo che non ti dirò niente di tutti questi pensieri quando ci vedremo. Mi<br />

basta ripensare a quella mamma per rivedere la mia, come anche te, come anche mio<br />

papà e tutte le persone che mi vogliono bene. La paura che un riflesso opaco nei vostri<br />

occhi possa essere colpa mia basta a calmarmi. Fossi solo magari mi lancerei, andrei a far<br />

mio tutto quel che c‟è senza remore, senza etica, con una voracità da cane randagio, la<br />

bava alla bocca, la rabbia in corpo, i morsi come religione.<br />

Ma penso ai vostri occhi ed è per voi che mi trattengo. Solo per voi.<br />

122


25<br />

ARCOBALENO<br />

Se gli dei stanno giocando a dadi sulla mia testa, a questo giro ho vinto io. Lo so, lo so,<br />

«Certi giorni il sole batte anche sul culo di un cane» direbbe Sidney Deane, ma ci si può<br />

fare poco quando un minchione-coglionazzo come Billy Hoyle è in zona magica. Lo<br />

giudicavano per il cappello messo all‟indietro, i calzini grigi e il look funky-deficient, ma lui<br />

aveva la fortuna che hanno gli irlandesi…solo che non era irlandese.<br />

Io sono Billy Hoyle, oggi. Ne ho azzeccate quattro di fila.<br />

La prima è avere il video in mano. Versione definitiva. I mille e qualcosa Euro meglio spesi<br />

della mia vita. Ora, mentre finalizzo gli accordi per mandare l‟album in distribuzione, lo<br />

sottoporrò ad un paio di realtà mediatiche di punta sperando ne esca qualcosa di speciale.<br />

Hoyle ne azzeccò anche una quinta, la storia è con me.<br />

Seconda: Gerardo mi ha chiamato per propormi un incarico continuativo, tre giorni a<br />

settimana in un‟altra residenza universitaria. E terza: sono riuscito a spillargli dodici Euro<br />

netti l‟ora, novantasei a turno. Lui era disperato e io un bel millino pulito pulito al mese me<br />

lo metto in tasca, al netto della benzina, della tangenziale e delle pizze che ordinerò.<br />

Infine, quarta: come un segnale alieno giunto dopo anni di ricerche, ho ricevuto una<br />

chiamata da Damiano con offerta di lavoro per l‟ufficio stampa di una delle fiere più<br />

importanti dell‟anno. Da domani a domenica. Stessa paga giornaliera che prenderò con<br />

Gerardo, con però due-tre ore a volta in più sul gobbo. Quindi proporzionalmente pagato<br />

meno che da Gerardo, ma se c‟è una cosa che mi suona bene è “ufficio stampa”. Dopo<br />

l‟esperienza con l‟ambiente di Flavia e Roberto, stavolta la missione mi è chiara dal primo<br />

minuto: entrare e propagarsi. Ogni contatto utile deve diventare mio. Già dal briefing a cui<br />

mi appresto a correre dovrei capire qualcosa in più su come muovermi.<br />

Passa il briefing in una bella sala conferenze del centro, passa una serata piacevole da<br />

A.B. che per la prima volta visiona il video, passano la notte, il risveglio e il viaggio ed ecco<br />

che mi ritrovo alla fiera, già con l‟elmetto calato, pronto a tutto come un lagunare.<br />

Il primo giorno se ne va senza infamia e senza lode. Senza ruoli, anche. Tutti concentrati<br />

sui press-kit, da imbastire elemento per elemento come una sorpresa da ovetto Kinder. In<br />

seguito, le ultime due ore vengono spese a ricontrollare liste d‟inviti ad addetti stampa in<br />

modo d‟avere un‟idea delle realtà nazionali ed internazionali con cui s‟interagirà.<br />

Il secondo giorno mi viene servita una colazione amara. Tre team leader dell‟azienda<br />

organizzatrice c‟illustrano le aree di competenza per il supporto all‟ufficio stampa: controllo<br />

accessi, accrediti, accoglienza e assistenza alla direzione. Certo che sarei finito in<br />

quest‟ultima mi ritrovo invece piazzato nella prima, con tanto di obliteratrice elettronica in<br />

mano.<br />

Ci rimango sbalordito, al punto di prendere da parte Damiano e chiedergli se ci sia<br />

qualche errore. Magari sugli elenchi uno scambio <strong>Matt</strong>ia-<strong>Matt</strong>eo, che ne so, oppure delle<br />

specifiche non fornite sul mio conto. Insomma: ufficio stampa di un evento internazionale e<br />

io mi ritrovo a obliterare tesserini?<br />

«No no, tutto in ordine», mi dice. Passo un momento d‟ebollizione, poi penso ai soldi che<br />

ci sono in ballo, alle spese che ho avuto ultimamente e decido di solcare il tempo sulle ali<br />

del menefreghismo. Prendiamola come una noia pagata. Bip-bip, oblitererò, sperando di<br />

non incrociare nessuno di mia conoscenza.<br />

Ci ritroviamo a venti minuti dall‟apertura ufficiale io e i miei due nuovi colleghi, con l‟ordine<br />

di non far passare «nemmeno il Presidente della Repubblica, ragazzi, perché qui sarà un<br />

delirio. Gireranno anche dei furbetti di testate non accreditate. Ricordatevi bene: chi è<br />

123


senza il nostro pass non entra. E nessuno prima delle dieci. A dopo». Parola della<br />

direttrice di qualcosa.<br />

Nell‟aria c‟è frenesia. Ho la sensazione che alcune informazioni importanti non ci siano<br />

state date, non ho un quadro molto chiaro su come si muova la giostra. Tuttavia capita<br />

sempre quando si è in un ambiente e in un ruolo con cui non si ha ancora familiarizzato,<br />

perciò non sto a dannarmi. Ricordiamoci sempre dove sono finito: bip-bip, bip-bip. Non c‟è<br />

un gran margine di qualità del servizio che si possa offrire, dunque rilassiamoci.<br />

Due minuti dopo mi s‟avvicina una donna sui trentacinque, che per come si pone mi fa<br />

scattare al volo un campanello d‟allarme. Carissima, tu forse mi prendi per un uccellabile<br />

ragazzetto da controllo accessi, ma siccome sono anch‟io un mezzo giornalista conosco<br />

bene gli espedienti per intrufolarsi ad eventi a cui non si è invitati. Sebbene avverta un<br />

certo spirito di solidarietà nei tuoi confronti, considerandoti una collega più che coloro che<br />

mi circondano, non posso fare altro che attenermi alle direttive: «Guardi signora, qui è<br />

ancora tutto off-limits fino alle dieci. Non posso esserle d‟aiuto». Sorride, ringrazia e se ne<br />

va.<br />

«No, scusa?!». Il mio collega.<br />

«Che c‟è?». Mio sorriso spaesato.<br />

«Ma tu a una giornalista rispondi così? Che quella poi scrive un articolo dove questa fiera<br />

ci fa una figura pessima solo perché tu…».<br />

Solo perché io cosa?! Sono esterrefatto. Lui va avanti.<br />

Nove e tre quarti e mi sto beccando una lavata di capo gratuita. Signorino, datti una<br />

calmata che:<br />

a) potresti dire la stessa cosa in maniera molto più gentile;<br />

b) forse ti sei dimenticato quello che ci hanno appena detto;<br />

c) ho una certa esperienza nel filtrare i rompicoglioni (chiedere a Flavia e Roberto);<br />

d) ci scommetto un caffè corretto Falqui che tu è la prima volta che lavori. In fiera e forse<br />

anche in vita tua.<br />

Mi tocca rimetterlo al suo posto in maniera secca. E‟ questione si sopravvivenza con tipi<br />

del genere: «Tu non ti preoccupare e bada al tuo, che so quello che faccio. E se qualcuno<br />

viene a dir qualcosa, la responsabilità me la prendo io». Seconda ebollizione della<br />

giornata e nuovo record: non m‟era mai capitato di scazzare con un collega, per di più così<br />

rapidamente.<br />

Nel mentre si fanno le tanto attese dieci. Vedo che alle mie spalle tutti sono in postazione,<br />

dopo minuti e minuti con gente a correre da un capo all‟altro. Ecco che cominciano ad<br />

arrivare i primi giornalisti, tutti con il pass. Saluto, bip-bip, saluto, bip-bip.<br />

Mi calmo gradatamente fra un‟obliterata e l‟altra, nel mentre i miei due colleghi scoprono di<br />

avere conoscenze comuni molto vicine e si gettano in un fitto dialogo sulle note di «Ah, ma<br />

allora tu sei quello che…». Io faccio levitare l‟anima fuori dall‟edificio. Bip-bip, bip-bip.<br />

A mezzogiorno meno un quarto capisco tocchi a me affrontare l‟argomento pausa pranzo:<br />

«Ragazzi, avete esigenze particolari per la pausa?». Ecco che scendono dal pero,<br />

neanche ci pensavano. Prima fiera per entrambi, non solo per il Signorino.<br />

Nella volontà di un gesto di carineria, lascio loro la possibilità di decidere. Silenzio per un<br />

paio di minuti, buongiorno, bip-bip, buongiorno, bip-bip, e arriva il responso: «Andiamo alle<br />

dodici e trenta».<br />

Andiamo? Eccoli Mimì e Cocò, premi Nobel per l‟arguzia: siamo qui in tre e pensate di<br />

potervi levar di torno in due?<br />

Dichiarato vano il tentativo di maieutica socratica, si fa palese il mio dovere d‟impugnare le<br />

redini: «Ragazzi, ci possiamo anche prendere tre quarti d‟ora a testa ma ognuno deve<br />

andare per suo conto, altrimenti la postazione resta troppo scoperta. Per quanto mi<br />

124


iguarda, io avrei esigenza di staccare attorno all‟una e mezza, voi fatevi pure l‟occhio su<br />

cosa volete fare e poi ci gestiamo». Pulito verso di loro, efficace verso me stesso. Fossi<br />

stato il Signorino avrei invece sventolato la mano a indice teso, uscendomene con un «No<br />

scusate?! E voi pensate di potervela svignare così assieme? Che i giornalisti poi scrivono<br />

un articolo dove questa fiera ci fa una figura pessima solo perché voi…». Quasi scoppio a<br />

ridere immaginandomelo.<br />

Bip-bip, bip-bip. Tutto procede placido e scoccato mezzogiorno e mezzo il primo va in<br />

pausa. Naturalmente il Signorino.<br />

Quarantatrè minuti e rieccolo. Due per una tappa ai servizi ed esaurisce il tempo a sua<br />

disposizione. Per lo meno è stato puntuale.<br />

A questo punto è l‟una e un quarto e, dopo un cenno d‟intesa con l‟altro collega, in pausa<br />

ci vado io. Mando un SMS a Mari e nel giro di dieci minuti la raggiungo. Il lato positivo di<br />

questa fiera è che ci sia anche lei, seppur non al mio fianco come quella fatidica volta.<br />

La aspetto su una panchina, la vedo arrivare, apriamo i nostri panini caserecci e mi chiede<br />

come stia andando. Scartiamo quindi anche la notiziona di questo pranzo: m‟hanno messo<br />

ad obliterare pass.<br />

Quasi non ci crede, poi però alla conclusione ci arriviamo in fretta: chissenefrega, son<br />

sempre soldi. Lei è molto più svelta di me nel formulare questo tipo di ragionamenti, io<br />

invece ancora sogno un incarico dove le mie capacità vengano messe all‟opera e<br />

conseguentemente retribuite. Ma vivo a Fantasilandia, a quanto pare. Ci godiamo un sole<br />

che sa già di primavera, nei quindici inaspettati gradi di una giornata che sarebbe stato<br />

bello poter trascorrere in una gita fuori porta. Mari mi calma i nervi senza nemmeno aver<br />

intenzione di farlo.<br />

I suoi reportage della mattinata sono di ordinaria amministrazione. Sta lavorando come<br />

hostess per un espositore e soprattutto senza intermediazione, il che significa non pochi<br />

soldi in più. «Una volta, lavorando allo stand di un cliente tramite agenzia, mi è capitata in<br />

mano la fattura per il mio servizio. Ero impressionata: vedere quanto un‟azienda sia<br />

disposta a sborsare mi ha aperto gli occhi sul valore di mercato di quello che faccio».<br />

Questo fu uno dei primi discorsi che fece per darmi una visione più chiara sull‟ambiente<br />

fiere-congressi-eventi. Chiaro ad entrambi che le agenzie non stiano in piedi ad aria fritta e<br />

che comunque facciano un lavoro utile tanto per i clienti quanto per chi come noi riceve<br />

incarichi, ma allo stesso tempo è indiscutibile che riuscire ad eliminare i tramiti sia la<br />

miglior via, perché ci sono quasi il doppio dei soldi in ballo.<br />

Break piacevole, ma tre quarti d‟ora passano in fretta. Ritorno al mio ovile e l‟ultimo di noi<br />

va a prendere fiato. Bip-bip, bip-bip: tra me e il Signorino solo questo suono, non una<br />

parola. Tanti giornalisti avanti e indietro ma nessun problema coi loro pass, tutto lineare.<br />

Buongiorno, bip-bip, buongiorno, bip-bip. Ogni tanto qualche visitatore disperso che non ci<br />

resta che dirottare verso la reception generale al piano di sotto, poi ancora bip-bip, bip-bip<br />

finché il buongiorno deve modificarsi in buonasera. Tra me e l‟altro collega, Raffaele, di<br />

tanto in tanto si scambiano due parole mentre invece il Signorino ha deciso di tenermi il<br />

muso a oltranza. Non cambierà nulla della mia vita, ma un tale atteggiamento m‟indispone.<br />

Non c‟è mai stato posto di lavoro in cui non abbia avuto un rapporto cordiale coi colleghi,<br />

persino con individui di stampo circense come Taddeo.<br />

Ma bip-bip dopo bip-bip tiriamo le nove senza che nulla cambi. Scatta il rompete le righe e<br />

io non penso ad altro che Marilena, è un bel premio di fine giornata averla qui. Cinque<br />

minuti e ci troviamo all‟uscita.<br />

«Sicuro che vai a casa, allora?»<br />

«Facciamo che mi fermo domani e dopo, OK?. Un quarto elemento in una casa con un<br />

solo bagno è una bomba ad orologeria in settimana”<br />

“Hai ragione. Sabato e domenica invece ci alziamo solo io e te all‟alba”.<br />

125


Terzo giorno di lavoro, secondo di obliteratrice.<br />

La mattina passa tutto sommato tranquilla. Io come sempre carburo lento, Raffaele opera<br />

con discrezione, il Signorino irradia la folla con la sua cortesia di gommapiuma. Come a<br />

porgere un ramoscello d‟ulivo, gli lascio la soddisfazione di decidere in merito alla pausa<br />

pranzo e mi adatto di conseguenza su quando trovarmi con Mari. Finiamo a pranzare alle<br />

due e un quarto ma male non ci fa, visto che la giornata è lunga.<br />

Rientro giusto in un momento di calma piatta, al punto che gli altri due si stanno godendo<br />

caffè e chiacchiere appoggiati ad uno dei due banchetti con sgabello che abbiamo in<br />

dotazione. Io saluto e mi accomodo al secondo, distante circa quattro metri e mezzo,<br />

all‟altra estremità dell‟ingresso agli uffici.<br />

Ci trovo una rivista di fotografia. Presumendo sia l‟involontario cadeau di qualche<br />

giornalista smemorato, decido di darle una sfogliata.<br />

«Stai attento che è d‟importazione. Costa un sacco di soldi». O porco cane, e chi se<br />

l‟aspettava fosse del Signorino? La ripongo in un millisecondo, ma decido che è giunta<br />

l‟ora d‟incalzarlo e vedere se mai ci sia una via per cessare le ostilità e impostare almeno<br />

un quieto vivere.<br />

«T‟interessi di fotografia?»<br />

«E‟ una storia lunga»<br />

«Ah sì?». Bastardo, non ti mollo. «Io ho un amico che è veramente bravo, studia a Brera»<br />

«Beh, ma Brera non è certo un gran posto»<br />

«Dici?». Eh già, che vuoi che siano due secoli e mezzo di storia? «Allora ne mastichi in<br />

argomento, no?»<br />

«Beh, guarda che io sono qui in fiera per puro caso». Come no, tesoro, diciamo tutti così.<br />

«Io sono fotografo. Settimana prossima me ne torno a fare i book di moda col mio prof<br />

dell‟istituto, a cinquecento Euro l‟uno. Minimo».<br />

Amico mio, per quanto tu ti stia dando un tono e per quanto a scatola chiusa io non possa<br />

verificare quel che fai, sicuramente una discreta cazzata la stai sparando. Ti pare che se<br />

veramente tu avessi un fiorente business fotografico, ora saresti qui a fare bip-bip con<br />

quell‟arnese? Non diciamoci eresie, magari sarai pure bravo qualitativamente ma se sei<br />

qui oggi è poco ma sicuro che col cash stai compromesso al pari del sottoscritto. Potrei<br />

mettermi anch‟io a raccontare a destra e a manca che sto per uscire con un disco, che ho<br />

da poco girato un video, che faccio radio, scrivo per un mensile eccetera eccetera. Invece<br />

me ne sto zitto e oblitero „sta montagna di tesserini senza far commedie. E la sai una<br />

cosa? Fossi tu un po‟ più umile, come tutte le persone con cui ho collaborato finora,<br />

probabilmente ti proporrei di unire le forze per qualche progetto. Invece guarda, io sto<br />

bene con chi sto, fronte fotografico incluso; tu stattene pure col tuo prof dell‟istituto, se<br />

prendi i soldi che dici e con la frequenza che vuoi lasciar credere. Ma di nuovo, mi sembri<br />

un Ammiraglio Boom col cannone caricato a cazzate e a me tocca reggere „sto banchetto<br />

come a casa Banks facevano con la mobilia.<br />

La giornata non riserva granché d‟altro. Bip-bip, bip-bip. Subito dopo la chiusura partono<br />

un paio di risate in merito prima con Marilena e poi al telefono con Teo.<br />

«Ah, quindi secondo questo fenomeno Brera non è un gran posto?»<br />

«Teo, io t‟avviso: molla tutto finché sei in tempo!»<br />

«Eh, sarà meglio. Chiedigli per favore qual è il suo grande istituto. Spero mi accettino!».<br />

Parola di uno che ha appena vinto un concorso internazionale.<br />

Il penultimo giorno si apre con un‟aria frescolina che ieri io e Mari non ci saremmo<br />

aspettati. Cambio di mese e «marzo marzo pazzerello», come mio papà ripete ogni anno,<br />

inaugura lanciando il primo scherzo.<br />

126


Com‟è, come non è, in postazione salta fuori un computer con tanto di connessione<br />

Internet. Quando arrivo io il Signorino vi è appollaiato di fronte tutto indaffarato, con<br />

Raffaele a fianco a dargli retta ad intermittenza. Saluto ma vengo considerato trasparente,<br />

sicché dopo un «No, ma questo è uno scandalo, davvero! Non ho parole…io vado a farlo<br />

presente», guardo il Signorino addentrarsi in area stampa e imboccare il corridoio verso la<br />

direzione. Chiedo spiegazioni a Raffaele pensando sia successo qualche pasticcio, o sia<br />

arrivato qualche reclamo, o qualcuno –magari una giornalista sui trentacinque- ci abbia<br />

sassato dalle colonne di un giornale perché rimbalzato da un mascalzone del controllo<br />

accessi. Invece, mentre mi avvicino allo schermo e scorgo delle foto, mi sento rispondere<br />

un «No, vabè, niente di che, è che lui è uno che se la prende per „ste cose. Obiettivamente<br />

guarda, guarda qui, lui saprebbe far di meglio». Praticamente cosa succede? Il Signorino<br />

ha aperto il sito dell‟azienda organizzatrice, ha visto diverse foto scattate in questi giorni<br />

dal fotografo ufficiale, non le ha trovate di suo gusto ed è andato a reclamare. Siamo<br />

davvero al non plus ultra, mai avrei immaginato potesse raggiungere un tale picco.<br />

Mentre passano i minuti e lui non si vede, avendo la ghiotta occasione di documentarmi<br />

sul suo conto mi approprio del computer e sbircio. Pur senza aver la competenza di<br />

giudicare i dettagli devo ammettere una cosa: il Signorino tira fuori degli scatti niente male,<br />

sebbene Teo, che è sempre la mia bocca della verità in materia, storcerebbe il naso per il<br />

«troppo Photoshop e troppa poca naturalezza»; il fotografo ufficiale di questa<br />

manifestazione, invece, viene da pensare non sia nemmeno un fotografo. «Vedi qui?», mi<br />

sottolinea Raffaele, avvicinatosi negli ultimi attimi, «Questa luce che entra di lato e lascia<br />

questa specie di striscia è un errore da dilettanti». Mi spiega un altro paio di cose con<br />

calma e a domanda risponde che no, lui non è fotografo ma è un fotoamatore che si è<br />

educato col tempo. Ecco, il suo parere lo ascolto volentieri: è pacato, umile ma ben<br />

circostanziato in quel che addita. «Io capisco il suo punto di vista», prosegue, «perché dà<br />

fastidio a chiunque veder gente meno brava che fa carriera. Però adesso mi pare proprio<br />

stia esagerando, vuol parlare coi direttori. Ma me l‟avevan detto i miei amici che è uno<br />

così…».<br />

Dopo un buon quarto d‟ora il contestatore è di ritorno. Spiaccica due parole con fare<br />

baldanzoso ma è meno loquace del preventivato. Bip-bip, bip-bip, proseguiamo nel nostro<br />

dovere giornaliero. Si arriva in zona pranzo e prima parte Raffaele, poi parto io per il<br />

classico rendezvous con Mari ma senza più tiepida brezza primaverile, infine è la volta del<br />

Signorino.<br />

Ad un certo punto mi sento toccare sulla spalla. Mi giro: uomo sulla quarantina, completo<br />

grigio, tesserino della società organizzatrice e, particolare che mi fa strabuzzare gli occhi,<br />

cappello stile imbianchino in testa, fatto con carta di giornale.<br />

«Mi manda la direzione»<br />

«Prego?»<br />

«Per l‟apprendistato. Sono l‟incompetente!».<br />

In un decimo di secondo mi è chiaro quel che è successo.<br />

Lancio uno sguardo a Raffaele e lo vedo che quasi si copre la faccia dalla vergogna. Il<br />

fatto che però un uomo di quarant‟anni si presenti con questo fare da buffone mi dà<br />

fastidio quanto l‟insolenza fuori luogo del Signorino. Abbasso la serranda a cotanta<br />

messinscena chiarendo che il responsabile del misfatto è in pausa e nessuno di noi due<br />

c‟entra. «Ah…», il tizio vacilla per la schioppettata a vuoto e si toglie il Corriere dalla testa,<br />

«comunque dite al vostro amico che se vuole una sfida io sono disponibile, mi trova in<br />

ufficio». O Giustiziere della Nikon, ma sei scemo?<br />

A parte il fatto che -rifletto fra me e me- non so quanto gli convenga, ma è questa una<br />

maniera adulta di reagire? Dio mi scampi dall‟arrivare a quarant‟anni voglioso di fare il<br />

bullo con gente più giovane di venti.<br />

127


Finisce che addirittura mi scaldo in difesa di colui che fino a poco fa avrei voluto espellere<br />

tramite i condotti fognari. Ma quest‟uomo fatto e finito, sfiorante il metro e novanta,<br />

probabilmente padre di famiglia, che è appena ripartito per il corridoio e fra un attimo<br />

annuncerà ai colleghi che è stato mancato il bersaglio, quanto cazzo è stupido?<br />

Sicuramente abbastanza da farmi soffermare a riflettere. Dalla mia idea di quello che<br />

dovrebbe essere un uomo maturo di cervello, le opzioni sensate in una situazione del<br />

genere ritengo non possano essere che due: lasciar cadere, nella consapevolezza del<br />

proprio valore e senza tempo da sprecare in bazzecole con un ragazzino; oppure, con un<br />

gesto eccezionalmente raro, con quella mentalità che davvero in pochi hanno, invitare la<br />

persona ad un dialogo pacifico, educativo, dove con la forza delle buone maniere la si<br />

mette all‟angolo e oltre alla lezione d‟umiltà le si dà anche una chance di riscatto. Imparai<br />

questo a sedici anni, nei periodi in cui muovevo i primi passi con la musica e una<br />

compagna di classe mi parlò di un trentenne collega di sua mamma che faceva quel<br />

genere. Risposi in maniera stupida, con frasi da ragazzetto succube della TV tipo «Ma da<br />

dove saltan fuori questo e la sua combriccola? Mai sentiti da nessuna parte, ma che cazzo<br />

voglion fare…». Credevo la questione fosse morta lì, ma la mia compagna riportò a sua<br />

mamma, che a sua volta riportò al collega, che riportò al resto del gruppo. Nel giro di<br />

qualche giorno ricevetti un messaggio, una breve lettera passata di mano in mano, dove i<br />

ragazzi m‟invitavano a fare un salto da loro nel weekend «anche se non ci hai mai sentiti<br />

da nessuna parte». Ci andai, col capo cosparso di cenere per la figuraccia d‟apertura, e ne<br />

uscì una bella esperienza: prima volta che entravo in uno studio di registrazione, prima<br />

volta che potevo parlare con qualcuno di ciò che mi appassionava. Successivamente<br />

andai con loro anche ad un paio di live. Col tempo ci perdemmo di vista, ma il loro<br />

tendermi la mano anziché mandarmi affanculo (come di fatto avrei meritato) fu un regalo<br />

che ancora oggi apprezzo. Un grande insegnamento sotto il profilo umano.<br />

Quindi poche storie: non sto completamente a Fantasilandia. Grazie al cielo che ogni tanto<br />

dal vissuto mi giunge la riprova.<br />

Una dozzina di minuti e, ignaro di tutto, ricompare il Signorino. Lo vedo dalla distanza<br />

procedere a passo clacchettante, altezzoso nella sua taglia napoleonica. Mento all‟insù,<br />

sopracciglio leggermente inarcato. E tanto basta per rinfrescarmi la memoria su chi per<br />

qualche minuto ho pure pensato di difendere.<br />

«Guarda che t‟han cercato da dentro»<br />

«E chi?». Con sufficienza da direttore generale.<br />

«Il fotografo», gli risponde Raffaele.<br />

«Ah…». Eccolo che perde colore. «Ehm, e sapete perché?». Finto come l‟ecopelle.<br />

Gli facciamo un sunto del siparietto. Nel mentre gli si materializzano in volto le stesse<br />

smorfie di chi si è preso un mattone sull‟alluce ma vuol far creder sia un nonnulla. «Cioè,<br />

ma è un vostro scherzo cretino questo?». E no caro, ti piacerebbe ma è tutto vero. «Tsè,<br />

vabbè, guarda te che gente che c‟è in giro. Io non so…». Invece tu sai eccome, Signorino.<br />

Scorrono intensi minuti in cui appollaiato sullo sgabello, faccia nel computer e colorito<br />

latteo il nostro si estranea dai doveri obliteratori. Raffaele ed io suppliamo alla temporanea<br />

secessione e gettandogli un occhio di tanto in tanto lo vedo farmi pena come una rosa che<br />

appassisce. Da regina del giardino a materiale da cassonetto. Gli s‟affloscia pure il ciuffo e<br />

per come si è seduto gli s‟è arricciata una gamba dei pantaloni, neri, abbastanza per far<br />

intravedere un calzino, arcobaleno. In un altro momento avrebbe difeso abrasivamente la<br />

sua scelta di stile, sminuendo i miei cotone/tinta unita con la medesima asprezza utilizzata<br />

per declassare Brera. Ma non ora che è vulnerabile, che è immerso in un altro mondo.<br />

«Ma...era molto arrabbiato?». Così, d‟un tratto.<br />

128


Io e Raffaele ci guardiamo, come a chiederci se sia necessario rispondere. «Te l‟abbiamo<br />

detto, più che altro voleva sfotterti». Minuto di silenzio. Bip-bip, bip-bip.<br />

«Beh, io ci vado a parlare»<br />

«Ma lascia perdere», gli replica Raffaele.<br />

«No no, io ci vado. Non voglio malintesi sul posto di lavoro»<br />

«Ma tanto mica devi tornare a fare i book da settimana prossima?». Stoccata da dieci e<br />

lode. E che mi si lasci questa soddisfazione dopo quanto ho pazientato.<br />

Convinto delle proprie idee nonostante gli inviti a desistere, sgambetta in corridoio, si<br />

ferma dalle ragazze dell‟accoglienza, si fa indicare e prosegue verso la meta.<br />

Dopo una decina di minuti è di nuovo fra noi. La faccia è quella di uno che preferirebbe<br />

non ricevere domande.<br />

«Allora?». Ormai gliele sto rendendo tutte. Fingo addirittura una voce così genuina da<br />

farmi schifo da solo.<br />

«Beh…ci siamo chiariti. In effetti, errore mio: quelle foto sono da reportage. Quand‟è così<br />

cambia tutto».<br />

E la striscia di luce che mi diceva Raffaele? E gli altri particolari? E lo scandalo? E<br />

soprattutto, non l‟avevi considerato prima?<br />

Caro Signorino, diciamoci la verità, quelle foto non sorprendono nemmeno un profano<br />

come me. Dai adesso però, su su, non giriamoci attorno: tu il primo errore che hai fatto è<br />

stato pensare di poter guadagnare punti infamando una persona che nel bene o nel male<br />

gode della fiducia della direzione; secondo, una volta messo all‟angolo hai cercato la via di<br />

fuga più breve: il lecchinaggio. Mi spiace non aver assistito alle fasi salienti della soap, ma<br />

sono pressoché certo sia stato un fattore di simmetrie: quanto più ti sei scaldato nella<br />

prima dipartita, quanto più sei stato ghiacciato nella seconda. Da +40° a -40°. Chissà che<br />

show del «Ma io non intendevo…». Pessimo, pessimo Signorino, perché se almeno avessi<br />

battagliato saresti stato sì un arrogante, ma un arrogante che crede nelle proprie idee. E<br />

non mi saresti piaciuto comunque ma t‟avrei trovato in qualche modo interessante, perché<br />

talvolta l‟arroganza è la faccia maleducata della genialità. Invece così per come è finita sei<br />

un semplice vigliacco.<br />

Quel che rimane del turno scorre regolare. Bip-bip, bip-bip. Con persino una certa pace<br />

nell‟aria, poiché la lingua di uno di noi è stata neutralizzata.<br />

Una volta fuori sono copiose risate con Mari e poi non posso lasciare a secco Teo in<br />

merito alle disavventure odierne dell‟enfant prodige.<br />

La serata da Marilena passa come fosse un classico fine giornata di una coppia che<br />

lavora. Anche il risveglio sa di buono, nonostante sia presto, nonostante sia domenica,<br />

nonostante quel che mi han messo a fare. Se solo avere un lavoro mi regala questa<br />

sensazione, figuriamoci come mi sentirei in qualcosa che mi piace.<br />

Su questa riflessione passo l‟intera giornata, senza comunque che mi prenda alcun senso<br />

di nostalgia nei confronti di quel che domani, di questo, non avrò più.<br />

Bip-bip, arriva sera. Bip-bip, tanti saluti.<br />

129


26<br />

SOGNO E SON DESTO<br />

Tre settimane dopo aver lasciato l‟obliteratrice elettronica, la primavera ha ufficialmente<br />

fatto il suo ingresso e stesso mi aspetto faccia a breve anche la mia consueta, tanto cara<br />

allergia.<br />

L‟ultima ventina di giorni è stata un grande salto mortale con mille avvitamenti nel mezzo.<br />

E‟ nato il bimbo di Alessandro, un bel maschietto di nome Edoardo, e al neo-papà ho<br />

coperto alcuni turni in modo che potesse dovutamente accudire moglie e new entry; ho<br />

cominciato il famigerato incarico continuativo con Gerardo, in un altro luogo di umano<br />

crepuscolo; infine, e mai dulcis in fundo fu per me più dulcis, l‟album è ufficialmente stato<br />

pubblicato, così come anche il video. E lo dicevo che la storia era dalla mia: Billy Hoyle ne<br />

centrò una quinta, io idem. Ho raggiunto un buonissimo accordo di distribuzione nazionale<br />

per il CD, il che vuol dire averlo sugli scaffali non solo dei negozi specializzati nel mio<br />

genere, ma anche dei megastore generalisti e delle grandi catene; assieme, e questo è il<br />

vero colpo, il video è entrato in rotazione TV. E non su un canale a caso, bensì uno che<br />

calamita la massa. Basta vedere che al primissimo passaggio, che io di preciso nemmeno<br />

sapevo quando sarebbe avvenuto, dopo trenta secondi avevo al telefono un vecchio<br />

amico vittima della mia consueta riservatezza circa le imprese musicali: «Oh, stronzo, ma<br />

non m‟avevi mica detto niente! Stavo bevendo il caffè e c‟era il video dei Negramaro, poi<br />

sei saltato fuori te…mamma mia, spettacolo! Raccontami tutto». A questa chiamata ne<br />

sono seguite altre nel corso di ulteriori passaggi, che in realtà per uno nella mia posizione<br />

non superano mai i quattro-cinque al giorno, ma è già qualcosa. Anzi, è un ottimo risultato.<br />

Nessuno ci sperava, credevamo infatti saremmo rimasti confinati ad Internet ed eravamo<br />

pronti a regolarci tranquillamente di conseguenza, ma tanto io quanto A.B. avevamo<br />

chiaro che non andasse lasciato nulla d‟intentato. E l‟audacia ci ha ricompensati. Lui negli<br />

ultimi giorni è anche stato riconosciuto per strada. Niente autografi o richieste di foto, non<br />

ci siamo certo risvegliati Paolo Maldini, ma fa piacere vedere che qualcosa può cambiare.<br />

Inoltre, dal mio lato ho anche una buona dose d‟orgoglio per aver già dimostrato a coloro<br />

che hanno collaborato tanto al singolo quanto all‟album di saper fare le cose per bene e<br />

che pure se la moneta manca ci sono altri frutti da raccogliere impegnando del tempo con<br />

me. Guenda, ad esempio, poteva tranquillamente dormire fino a tardi quel weekend,<br />

invece ora passa in TV quel tot di volte al giorno ed ha una nuova voce nel curriculum che<br />

sicuramente la mette un passo più avanti di prima; Max, situazione simile, poteva bene<br />

riposarsi o magari evitare di farmi un prezzo di favore, ma ha guadagnato un tipo di<br />

esposizione che finora non aveva avuto e che da oggi in poi potrà utilizzare a suo<br />

vantaggio coi prossimi clienti.<br />

Altra novità dell‟ultima manciata di giorni è che, volente o nolente, sono stato costretto a<br />

far visita al commercialista di mia mamma. Essendo che già con quello che c‟è in<br />

programma solo con Gerardo passerò molto presto la soglia per la ritenuta d‟acconto, ho<br />

dovuto farmi consigliare sul da farsi. In realtà io intendevo solo in termini di partita IVA, ma<br />

insieme all‟apertura di quella con regime dei minimi il dottor commercialista, combinando<br />

dialetto lombardo e parlata accelerata, ci ha tenuto a consigliarmi anche sul da farsi nella<br />

vita.<br />

«Téé…vacheadessbisògnarimbucasimanic, nèè» 1<br />

«Lo so, lo so». Come se finora fossi stato in spiaggia coi racchettoni.<br />

«Perchèvardachemicugnusilatuamama…lasèsemperfadauncüinscì» 2<br />

1 “Mio caro, guarda che adesso sarà necessario rimboccarsi le maniche, capisci?”<br />

2 “Perché guarda che io conosco tua mamma…si è sempre fatta un culo così”<br />

130


«Lo so, lo so». Pensi davvero di venire tu a insegnarmelo?<br />

«E, alura, sü sü Colombo, vacheadessasascherzapüü nèè» 3<br />

«Lo so, lo so». Accidenti, e io che invece mi stavo divertendo…<br />

Giusto conclusa la seduta psicanalitica arrivavo per la quarta volta a prestare servizio nella<br />

nuova, tristerrima residenza universitaria. In tre settimane trascorse dietro il vetro della<br />

reception ho già assistito ad una discreta quantità di episodi.<br />

In primo luogo, il turno di formazione a fianco dell‟uomo di fiducia locale mi ha lasciato<br />

basito. Nemmeno quarantott‟ore dopo aver abbandonato obliteratrice elettronica e<br />

Signorino ho avuto la proverbiale sensazione di essere passato dalla padella alla brace.<br />

Preparato mentalmente ad imbattermi in un Taddeo o in un Giovanni, mi sono invece<br />

trovato al cospetto di una creatura del tutto nuova. Come a ribadirmi che il gelato non<br />

esiste solo fragola e fiordilatte, ecco che la vita m‟inviava un omino brizzolato con la fissa<br />

dei numeri, un John Nash della Pianura Padana, “a beautiful mind”. Assaporando i suoi<br />

infiniti calcoli delle presenze e i suoi ossessivi conteggi delle chiavi ad ogni entrata e uscita<br />

dei centocinquantaquattro residenti, ho capito che tramite questo individuo una forza<br />

superiore voleva ricordarmi che in gelateria è sempre, ancora disponibile quel gusto<br />

ignobile che anche il gelataio caccia nell‟angolo, reietto, e il cui cestello è sempre pieno<br />

raso, intatto, vergine. Un gusto pastoso, pesante, assetante come il sale, ma pur sempre<br />

un sapore, pur sempre un prodotto, e che data la scarsa richiesta a maggior ragione ogni<br />

tanto va forzato in gola a qualcuno: la zuppa inglese.<br />

Per me quel primo turno è stato una vaschetta da due chili, zuppa inglese.<br />

Più addizioni e sottrazioni che in tutta la quarta elementare, ogni venti minuti controlli<br />

incrociati fra bacheca chiavi e registri, conta e riconta, guarda che nessuno esca senza<br />

notificare, «Meno male che siamo in due, così posso andare in bagno tranquillo», silenzio<br />

di tomba, un occhio ai monitor e uno all‟atrio, strabismo indotto, sudore freddo. In una<br />

parola: panico. Io, allibito, potevo vedere i numeri uscirgli dalla testa, dal naso, dalle<br />

orecchie, dalla pelle. Trasudava aritmetiche, pronostici fallaci, terrore degli sbagli pure<br />

nell‟esattezza matematica. E prima che arrivassi io, questo lo costringeva alla costipazione<br />

turno natural durante. Il tutto per una procedura necessaria solo in due momenti: inizio e<br />

fine giornata. Gliel‟ho anche suggerito, ma ha seccamente ribattuto che «è sempre meglio<br />

essere sicuri». L‟ho dunque abbandonato ai suoi deliri, che ha sospeso solo per<br />

concedersi una cena a base di riso scotto e vinaccio portati da casa. Sono addirittura<br />

uscito dalla stanza con una scusa per non cadere vittima dell‟olezzo che il suo intero pasto<br />

emanava, osservandolo mentre fagocitava bocconi e sorsi quasi strozzandosi, ingobbito,<br />

assumendo fattezze da Gremlins.<br />

Per il resto, il direttore è un uomo tranquillo mentre il suo braccio destro un cafone di prima<br />

categoria. Identico è il tandem dei tutor, con uno molto cordiale e l‟altro con fare da<br />

guardia carceraria. In quanto ai residenti, ancora una volta si tratta solo di maschi, ancora<br />

una volta di parecchi casi umani, ma la novità è che per rimpinguare le casse di questo<br />

posto vengono accolti anche diversi quaranta-cinquantenni, lavoratori, alcuni dei quali non<br />

perdono l‟occasione di ritornare ragazzini e propinare scherzi a persone di cui potrebbero<br />

essere genitori. Le due vittime predilette dell‟edificio sono un ventottenne della Napoli<br />

bene, versione vesuviana del Ragionier Filini, e un agrigentino con strane fisse sul<br />

culturismo e l‟abbigliamento da zarro milanese. Bersagliati in primo luogo dai propri<br />

conterranei, i due portano rispettivamente i soprannomi di “O‟ miele” e “Sbilancere”. Il<br />

secondo basta vederlo per capire come mai, visto che probabilmente allena la parte destra<br />

del corpo col doppio dei chili che usa per la sinistra, uscendone con una postura da piano<br />

3 “E, allora, dai dai Colombo, guarda che adesso non si scherza più, capito?”<br />

131


inclinato; il nomignolo affibbiato al primo invece mi è stato riportato nacque durante una<br />

sua notte di mal di pancia, quando il vicino di stanza scoprendolo dolorante in bagno si<br />

propose di preparagli un tè zuccherato, ricevendo con voce salemmiana la risposta «Nun<br />

fare chill‟ ca risparmia. O‟ sacc‟ c‟o tieni, mettic‟ o‟ miele!». E mentre il siculo nel suo fare<br />

sgangherato ma bonario mi suscita simpatia, il partenopeo e il suo atteggiamento da<br />

baronetto sono una grossa tentazione verso l‟offrire appoggio ai tiri mancini della<br />

Compagnia degli Scherzi. Mi hanno già chiesto se possa fornire loro le chiavi di scorta per<br />

piazzargli dei piccioni in camera, ma sinceramente preferisco non avere un morto di<br />

crepacuore sulla coscienza. Che poi il miele appiccica pure.<br />

Ma l‟episodio finora maestro si è verificato giusto durante il mio ultimo turno questa<br />

settimana.<br />

Uno dei residenti con cui scambio due parole ogni tanto è entrato in reception, mi ha<br />

piazzato un libro in mano e mi ha detto: «Leggi». Io che stavo finendo la pizza avevo poca<br />

voglia di lasciar raffreddare l‟ultima fetta, specie per dare attenzione a questo ragazzo, il<br />

quale dalla simpatia delle prime battute è progressivamente passato a prendersi una<br />

confidenza che io certo non gli ho concesso. Fame quindi, cena sul tavolo e dente<br />

leggermente avvelenato.<br />

Per pura cortesia ho dato un‟occhiata. Leggevo, ma era roba di ingegneria e io non ho<br />

basi né per capirla a fondo, né eventualmente per apprezzarla. Girando pagina ho notato<br />

con sollievo trattarsi di un capitolo lungo in realtà poco più che sessanta righe. Un<br />

paragrafone, diciamo. Felice di poter arrivar presto al bandolo della matassa, ma al tempo<br />

stesso deluso da quella paginetta e mezza propinatami a cena in corso e sicuramente<br />

priva di rivoluzioni, non ho potuto che agire di conseguenza.<br />

«Tutto qui?». Eh, d‟altronde…<br />

«Ma hai visto bene?!». Seccato.<br />

«Visto bene cosa?». Seccato anch‟io.<br />

«Qui, no? E svegliati…». Pagina indietro, polpastrello a battere sulla parte alta. Tasso<br />

d‟insolenza verso il picco. Io vicino alle cattive maniere.<br />

«Eh…e allora?». In realtà a questo punto sono giunto a capire cosa volesse farmi notare.<br />

«E‟ il mio nome quello lì. Questo è un estratto della mia tesi»<br />

«Complimenti». Con giustificata aria di sufficienza.<br />

«Vabbè, va‟…dimmelo così! Arrivaci te a fare una cosa del genere, poi ne parliamo».<br />

E girando le spalle se n‟è andato.<br />

Passando all‟ultima fetta di pizza, ormai meno che tiepida, potevo avvertire di stare<br />

diventando come una lattina di Sprite agitata con insistenza. Sentivo un miliardo di<br />

bollicine sgomitare per uscire e gridargli: «O pezzo d‟imbecille, ma come ti permetti? E tu<br />

lo sai invece che ho un disco nei negozi e pure un video che gira in televisione? No che<br />

non lo sai, perché in „sto tugurio dove soggiorni c‟avete una TV da dividervi in mille<br />

disgraziati e l‟unica cosa che vi guardate è il calcio, perché per il resto litigate su tutto.<br />

Quindi nemmeno saprai, fra qualche giorno, che mi hanno pure appena intervistato nel<br />

miglior programma di settore in Italia. Dieci minuti di parlato più passaggio del video, dicesi<br />

quasi un quarto d‟ora dedicato a me in un programma da sessanta minuti. E lo sai poi che<br />

non finisce mica qui? Le recensioni che stanno uscendo sono molto buone e sono su<br />

riviste con migliaia di lettori. E c‟è dell‟altro che si sta muovendo, come c‟è anche altro che<br />

faccio da anni. Allora arrivaci te a fare non una, ma una serie di cose del genere, poi ne<br />

parliamo. Idiota».<br />

Ma ho lasciato andare un rutto e le bollicine si sono estinte nell‟aria.<br />

132


D‟altra parte cosa si può replicare a uno così? Si fosse posto in maniera differente gli avrei<br />

stretto la mano e fatto i complimenti, perché piccolo o grande è sempre un traguardo<br />

raggiunto con l‟impegno. Come nel il mio caso. Poco importa se poi ne parla la tele o ne<br />

parla l‟università o non ne parla nessuno. E‟ il prima, il percorso verso la meta che<br />

racchiude la sostanza, che fa la differenza. Anzi, metà della differenza. L‟altra metà è<br />

come il risultato s‟interpreta.<br />

E una volta m‟imbatto in un messia fotografico, e dopo qualche settimana in un profeta<br />

dell‟ingegneria. E io sempre zitto sul mio conto.<br />

Sempre zitto perché anche se ne parlassi, cadrebbe tutto nel vuoto. Persone del genere<br />

sono troppo prese da sé stesse per aver la finezza di comprendere i risultati altrui.<br />

Nemmeno sanno dare misura ai propri.<br />

E sempre zitto perché comunque è con incarichi da menomato e in posti infimi che mi<br />

guadagno la pagnotta. Potrò anche saltar fuori in TV dopo i Negramaro, ma i Negramaro<br />

non sono certo all‟opera per Gerardo e Damiano quando non li si vede.<br />

Quindi <strong>Matt</strong>ia, da un lato stanno succedendo delle belle cose ma dall‟altro sei ancora a<br />

terra. E sistemato non lo sei in nulla. E anche marzo è agli sgoccioli.<br />

Come su ogni ring, sei a un colpo dalla svolta quanto a un colpo dall‟essere mandato giù.<br />

Pensa solo a tenere duro e lascia perdere gli altri.<br />

Parlo a me stesso nei pensieri di un sabato soleggiato, fuori. Finisco di rispondere alle email<br />

di amici vari che si felicitano per l‟album e i relativi sviluppi. Lara, la finalmente<br />

dottoressa Claudia, ex compagni d‟università, di liceo, delle medie, delle squadre dove ho<br />

giocato così come anche sconosciuti che mi hanno visto o sentito da una parte o dall‟altra.<br />

Qualcuno nella mia posizione li chiamerebbe “fans”, a me invece fa ridere solo il pensarmi<br />

pronunciare quella parola. L‟unica cosa che nessuno mi toglie, finisse anche tutto in<br />

questo momento, è l‟orgoglio per aver raggiunto un obiettivo.<br />

Ed esco in bici, che fa poco artista. E vado a prendermi un gelato, che fa poco star. Ma ho<br />

i miei mille Euro al mese, dopotutto, quindi che si festeggi.<br />

Fuori da un minuto, già mi pizzica il naso. Accidenti: allergia.<br />

133


27<br />

BERE GRATIS<br />

Mi ci è voluta una settimana di ritiro spirituale per tornare presentabile. Un ringraziamento<br />

particolare lo devo alla pioggia, che ad ogni scroscio ha dato alle mie vie respiratorie un<br />

sollievo incredibile. Per il resto antistaminici, specie al lavoro oltre che in vista delle notti, le<br />

quali altrimenti sarebbero finite regolarmente in bianco.<br />

Uscito dallo stato di licantropia bronchiale e dalla clausura che una volta all‟anno mi ritrovo<br />

imposta, nell‟ultima manciata di giorni ho potuto accettare alcuni degli inviti per un caffè,<br />

per un aperitivo, per un amaro, per una birra, per qualsiasi cosa di liquido che conoscenti<br />

di ogni sorta mi hanno proposto. Ne ho avuti per tutti i pasti tranne la colazione, che<br />

comunque preferisco sempre fare a casa col mio consueto tazzone di tè e la mia dozzina<br />

abbondante di biscotti.<br />

Il motivo di cotanti inviti tutti assieme è chiaramente correlato a quel che sta accadendo<br />

col disco. Negli ultimi giorni ho pure scoperto l‟efficacia dei media locali, dopo che il<br />

quotidiano cardine della mia provincia mi ha dedicato mezza pagina con tanto di foto. Nel<br />

circuito paesano (cioè panetteria, pasticceria, alimentari, ufficio postale e rivenditori di<br />

sanitari) mia mamma è stata eletta dalle circostanze mia portavoce ufficiale. Dopo essermi<br />

sentito dire cose tipo «Ti saluta l‟idraulico» e «Han detto i panettieri di fermarti se passi»,<br />

incerto se fossero cordialità o velate minacce l‟ho istruita sul rispondere sempre «Grazie<br />

mille, riferirò. Ma in questo periodo è sempre via», che fa molto Cremonini in tour e, a<br />

scanso d‟equivoci, evita di farmi finire infornato a duecento gradi e con un tubo su per il<br />

culo.<br />

Facendo quindi sempre il gesto di estrarre il portafoglio ma di fatto mai pagando, fino ad<br />

oggi che è il quattro di aprile ho avuto una decina di tête-à-tête. Quando sorpassavano i<br />

cinque minuti ho sempre fatto in modo di spostare il baricentro della conversazione verso<br />

l‟altra persona, perché davvero a parlare di me oltre una certa soglia provo imbarazzo.<br />

Avessi fatto i milioni probabilmente mi scioglierei più facilmente. Il problema è che per ciò<br />

che mi sta succedendo gli altri sono molto più esaltati di quanto lo sia io e probabilmente<br />

credono che i milioni sia prossimo a farli.<br />

Nel più dei casi, comunque, sono riuscito nel mio intento e si è finiti a parlare d‟altro. Vita<br />

in generale, visioni di vita in generale.<br />

Vittorio, il vecchio amico che per primo mi ha contattato e praticamente annunciato lo<br />

sbarco del video in TV, l‟ho incontrato in una caffetteria. Cappuccino al tavolo, posto<br />

tranquillo e lunga chiacchierata. Spettando a me i primi minuti, imbastendogli un resoconto<br />

di tutte le varie mosse legate alla musica in stile “istruzioni per l‟uso” ho preso coscienza di<br />

quanto realmente ho fatto. E‟ stato come riassumere un romanzo a puntate tutto d‟un fiato<br />

e mettendo vicini i punti salienti ne sono rimasto sbalordito io per primo, come ad aver<br />

viaggiato l‟Italia in lungo e in largo ma vederla per la prima volta su Google Maps.<br />

Vittorio invece, quando finalmente sono riuscito a farlo parlare di sé, mi ha aggiornato sulla<br />

situazione con gli studi. E‟ maggiore di me di un anno ma ancora gli manca un semestre<br />

per la triennale in Scienze Politiche. Insomma, deve passare quattro esami nella sessione<br />

estiva e poi galoppare con la tesi. Se va così si laurea per fine anno, «…altrimenti mi sa<br />

che a „sto giro mollo del tutto». Non il più raggiante dei prospetti comunque vada, visto che<br />

anche nella migliore delle ipotesi non continuerà con una magistrale. Da un lato rischia di<br />

rimanere unicamente con la maturità scientifica in mano, dall‟altra sì con una laurea ma<br />

uscendone da figura incompleta. E lo sapeva bene che con ciò che s‟è scelto o puntava ai<br />

cinque anni, o era persino inutile iniziare. Invece il quadro non è roseo, perché al di là del<br />

valore nominale del pezzo di carta non gli rimarrebbe granché in più da mettere sul piatto<br />

in ambito lavorativo.<br />

134


«Sì, ma tanto a me non me ne frega niente, guarda. Io voglio un lavoro routinario,<br />

ripetitivo, dove impari una cosa, fai sempre quella e non hai rotture di scatole». Io attonito.<br />

In quell‟esternazione c‟era il vecchio Vittorio, inserito però nel mondo degli adulti. Quel<br />

ragazzo buono, per carità, ma indolente; lo stesso che, nel suo metro e novantaquattro,<br />

per il basket aveva il fisico ma non la grinta. Gregario a vita, ieri in campo e oggi non solo.<br />

E con quella chiacchierata ho messo una pietra sopra. Non alla persona, ma alla speranza<br />

che ad un certo punto potesse centrare qualcosa. E‟ sempre stato un tipo diligente,<br />

dopotutto, e io pensavo che alla lunga questa caratteristica potesse ripagarlo come può<br />

succedere ad un eterno ma costante secondo nel motociclismo, che pur non vincendo<br />

alcuna gara alla fine vince il titolo.<br />

Trattasi però di possibilità infinitesimali, storie da colmo. M‟è toccato capirlo, come anche<br />

capire che non c‟è speranza per il buon vecchio “Vic”, quello più da passaggi che da tiri, di<br />

rivelarsi colui che decide la partita.<br />

Per la serie “provincia by night” invece, mentre ero fuori con altri in una delle ultime sere<br />

mi sono imbattuto al bancone con tale Mirko, personaggio noto a tutti e che riscuote<br />

parecchi consensi fra la folla. Uno di quei tipi belli ma non bellissimi, alti ma non altissimi e<br />

con due cose: i vestiti e la parlantina. Punto.<br />

Non ci siamo mai stati antipatici, ma nemmeno simpatici. Quindi non avevo altra<br />

intenzione che prendere da bere e unirmi al resto del gruppo. Se non che, mentre mi era<br />

arrivata dal barman una caipiroska alla fragola e stavo rovistando nel portafoglio, è<br />

sopraggiunta una voce da destra: «Lascia, offro io!».<br />

Per norma di cortesia ho tentato di dissuaderlo ringraziando, ma già sapevo non ci fossero<br />

alternative. Quindi cannuccia giù, primo sorso, mescolata per mischiare ghiaccio e<br />

zucchero ed ero pronto a sciropparmelo.<br />

«Come va, allora?». Mirko, non farmi commuovere, è la prima volta che me lo chiedi.<br />

«Tutto a posto, te?»<br />

«Regolare, regolare. Ué, ma ho visto il video, eh! Oh: complimenti». Mirko, sto per<br />

chiederti un fazzoletto.<br />

«Grazie, mi fa piacere. Ma dov‟è che l‟hai visto?»<br />

«In Internet»<br />

«Ah, perché sai che sta girando anche in tele, no?»<br />

«Ma va?!»<br />

«Sì, un quattro-cinque volte al giorno. Comunque dopodomani sera alle dieci e mezza c‟è<br />

la replica di un programma dove m‟hanno intervistato. Se sei in casa buttagli un occhio,<br />

magari».<br />

E quando gli ho detto il nome del canale, ancora un po‟ gli cadeva il Cuba.<br />

Io che però pensavo di delegare la sua curiosità alla TV, per la serie “Trovi tutto lì. Ciao”,<br />

sbagliavo di grosso. Avrei dovuto tacere, parlare solo ed esclusivamente in conseguenza<br />

di quel che sollevava lui. Invece, per una volta, visto che non poteva esserci momento<br />

migliore, ho voluto levarmi lo sfizio di far perdere un po‟ di vera bava dalla bocca a uno<br />

che la bocca se l‟è sempre riempita di stronzate, in questo fazzoletto di terra,<br />

quest‟acquitrino sociale incuneato fra due province dove -non mi capacito ancora come-<br />

riesce a vendere la sua chiacchiera col medesimo profitto degli antichi colonizzatori che<br />

rifilavano pezzetti di specchio agli indigeni e si vedevano spalancare le porte del villaggio.<br />

Il proseguo della conversazione, in pieno stile Mirko, ha fatto schizzare ai massimi livelli il<br />

ridicolometro. A me, s‟intende. Con gli indigeni avrebbe attecchito in pieno.<br />

Con una sostanziosa premessa voleva farmi credere di essere un estimatore di lunga data<br />

del mio genere, sciorinando pareri su quel paio di casi da alta classifica, sulla diatriba<br />

135


Italia-America e, come ogni finto esperto che si rispetti, sulla piaga degli artisti<br />

underground che «adesso si son venduti, son commerciali».<br />

Questo punto, mentre io posavo il bicchiere, è stato il suo anello di congiunzione verso la<br />

vera vetta del discorso: idee e proposte per lanciarmi nel music-business. Statunitense. Sì:<br />

addirittura. Connessioni a New York, in Florida e a Los Angeles. East Coast, West Coast.<br />

«Adesso chiamo io un paio di persone».<br />

Accidenti, a „sto giro davvero si fa il botto, pensavo di dirgli. «Mirko, ma sai là cosa gliene<br />

frega di uno che fa la roba in italiano?».<br />

Colpito, affondato. Gli si è pure bloccato a metà il sorso che stava tirando, l‟ho visto dalla<br />

cannuccia trasparente. Fine del film, del film di Mirko dove lui, io, i suoi amici americani e<br />

probabilmente Jay-Z o Puff Daddy stappavamo champagne su un jet privato. Eh no,<br />

ahimé non ci sarà mai una foto del genere per il suo Facebook. Sorry, man.<br />

«Oh Mirko, raggiungo gli altri che siam qua assieme. Grazie ancora per il cocktail»<br />

«Ma figurati. Ci becchiamo in giro allora, boss. Fai il bravo!». Pure tu, Mirko.<br />

La bevuta comunque finora più interessante -e più imbarazzante perché ho cercato in tutti<br />

i modi di offrire ma non mi è stato concesso- è stata quella con Stefania, una excompagna<br />

d‟università che abita a pochi minuti da me, nei pressi dell‟indimenticabile<br />

locale del tanguero.<br />

«Così mi racconti del disco» era stato solo un pretesto per incontrarci, dato che da tempo<br />

volevamo scambiare due parole faccia a faccia. Infatti l‟argomento è cambiato dopo<br />

cinque minuti senza che io dovessi nemmeno forzare la mano.<br />

Il nostro primo punto in comune è l‟essere stati ben decisi sul non voler proseguire con la<br />

specialistica del nostro corso di laurea; il secondo è che ci siamo ritrovati in mezzo al<br />

mare, in cerca di una rotta per la terraferma. Nessun rapporto causa-conseguenza: questa<br />

è l‟unica consolazione, come al contempo l‟amara conclusione che non sempre le scelte<br />

giuste portino a progredire. A volte semplicemente evitano si regredisca.<br />

Per uscire dallo stallo c‟è da costruirsi nuovi obiettivi e quello di Stefania mi è stato detto<br />

chiamarsi Madrid.<br />

«Ma non potevi scegliere un‟altra corona da avere sulla testa?» è stata la mia domanda,<br />

intendendo se in questi tempi di crisi non sarebbe stato più saggio optare per l‟Inghilterra.<br />

Ma lei preferisce il sole, mi ha detto, e vuole seguire ciò che più l‟ha appassionata durante<br />

gli studi. Donna dinamica, caparbia, ma sognatrice: chissà a che segno corrisponde<br />

questo profilo. E chissà se il segno poi è davvero il suo.<br />

Mi ha spiegato il possibile piano d‟azione se un paio di pezzi s‟incastreranno a dovere,<br />

dicesi una sistemazione d‟approdo tramite conoscenti di suo fratello e probabilmente un<br />

master in partenza a settembre. «Ma se non mi prendono, comunque mi do un paio di<br />

mesi per vedere se trovo un lavoro che mi piace».<br />

Mentre l‟happy-hour scorreva fra piatti già riempiti due volte a testa, mi sentivo raccontare<br />

dei discorsi fatti ai suoi genitori sul prendersi un periodo di prova del genere: «Gliel‟ho<br />

detto chiaro e tondo che qui l‟ambiente m‟ha stancata. Dovrei chiudermi in uno stage di sei<br />

mesi pregando che poi m‟assumano a progetto? Se devo rischiare di buttar via tempo<br />

così, io piuttosto vado a vedere cosa succede da un‟altra parte. Mal che vada a Natale<br />

torno indietro». «Ma con lo spagnolo a quel punto se non perfetto, quasi», il ragionamento<br />

gliel‟ho concluso io in segno d‟approvazione. E‟ sempre una cosa giusta darsi una chance,<br />

specie quando coerente con un percorso già intrapreso da anni.<br />

E mentre la sentivo parlare, e mentre lasciavamo il tavolo, e mentre ci salutavamo sentivo<br />

dentro un misto di approvazione ed invidia, roba da volerle fare i complimenti e assieme<br />

voler essere al suo posto. Probabilmente la stessa sensazione che hanno nei miei<br />

confronti i vari Vittorio, Mirko e tutti quelli che in questi giorni mi vedono sbucare in TV, su<br />

qualche giornale o che mi vengono a cercare in Internet.<br />

136


Brava Stefania, mi dicevo, tu sì che sei prossima al colpo.<br />

E me lo dico ancora adesso, mentre alle quattro e zeroquattro di questo venerdì<br />

pomeriggio pago un Euro e mezzo per la tangenziale verso il turno conclusivo della<br />

settimana.<br />

Un‟altra persona progetta di andarsene. E io?<br />

137


28<br />

UNA CANDELINA<br />

Mezzogiorno e mezzo, colazione appena finita. Nessuno ha detto niente.<br />

Già, nessuno si ricorda.<br />

Meglio così.<br />

Ho aperto gli occhi alle dieci ma non mi sono alzato che una ventina di minuti fa. Nel<br />

mezzo solo un grande flashback.<br />

Ci siamo, mondo: tutto gira come sempre, lo riconosco, ma per me ogni rumore è diverso<br />

oggi, ogni immagine più lenta.<br />

Il soffitto della mia camera. L‟ultima volta che l‟ho imbiancato con mio papà. La mia<br />

camera. Arredata che avevo sei anni. Nella vecchia casa dormivo in corridoio. La nuova<br />

casa, vuota. Solo la cucina c‟eravamo portati. In salotto quando arrivarono un divano e un<br />

mobiletto d‟accatto ci sentivamo signori. Il mutuo, dieci anni. Le vacanze, poche. L‟ultima<br />

rata estinta, io sedici anni. Fu come uscir di galera. «Che bello, adesso è nostra nostra!».<br />

Una lenta risalita. Il mio liceo. Rette, voti, litigi. Rette. Via poi, fuori. Fuori dalle aule, fuori<br />

dai giudizi, dentro in università, matricola numero tot. Voglia di respiri ampi. Ressa, apnea<br />

come soluzione. Poi un morso al cordone, la nascita, l‟aria. L‟aria, tanta. Poi l‟aria, troppa.<br />

Tempo scaduto: diciotto aprile. Un anno. Fallimento dichiarato.<br />

E questo appartamento mi sembra una reggia, le due utilitarie che abbiamo un lusso<br />

inarrivabile, la spesa che mia mamma ha appena fatto un qualcosa di opulento. So che è<br />

tutto normale, ma è anche tutto eccezionale. Soprattutto per una ragione: io non so se e<br />

quando potrò permettermi altrettanto.<br />

Semplicemente le ho provate tutte, ma non ho tirato su che briciole. La musica sì, meno<br />

male che c‟è, ma è come la Tachipirina con la febbre: abbassa la temperatura ma non è la<br />

soluzione al problema. E c‟è un‟infezione da qualche parte che mi sta portando al collasso.<br />

Anche a fare autocritica non riesco ad incolparmi, a meno che non si decreti che nella vita<br />

abbia fatto tutto -ma proprio tutto- sbagliato. Come ad aver indossato una maglietta<br />

sempre al contrario, con le cuciture e l‟etichetta fuori, in bella vista, e io ignaro del fatto.<br />

Ho letto che quando si finisce travolti da una valanga si perde il senso del sopra e del<br />

sotto e la via più semplice per capire la propria posizione è aprirsi un piccolo antro e<br />

sputare. Ecco, io l‟ho fatto: ho respirato, spremuto le ghiandole e aperto un poco le labbra.<br />

La saliva, in un fiotto schiumoso, è finita dove pensavo: sul mio alluce.<br />

Ma.<br />

C‟è un “ma” che non mi torna. Qualcuno l‟avrà infilato in una bottiglia e gettato in mare<br />

aperto, perché io non riesco davvero a trovare quest‟ultimo tassello del mosaico.<br />

Dev‟essere certamente una formula segreta che sovverte tutte quelle che ho appreso<br />

finora. Tutti i manuali, tutte le dimostrazioni di coloro che sono venuti prima di me. Sui<br />

fondali di qualche dove c‟è un pezzo di carta con l‟algoritmo per rendere i padri del mio<br />

pensiero risibili quanto bambini.<br />

Io più mi guardo, più mi sento una cavia al centro di un esperimento: l‟inversione di<br />

gravità. O probabilmente non sono solo io, è un maneggio su larga scala che sfuggito al<br />

controllo ha capovolto tre quarti della mia generazione. E oggi noi cadiamo verso il cielo.<br />

Dove vado, quindi? In quale biblioteca, in quale laboratorio? Da quale sapiente, da quale<br />

scienziato?<br />

138


Ho girato tutti gli uffici che potevo girare, parlato con tutte le persone con cui potevo<br />

parlare, fatto tutte le telefonate che potevo fare, mandato tutte le carte che potevo<br />

mandare. Come anche giocato tutte le carte che potevo giocare.<br />

E‟ questo mazzo che è maledetto. Ne avrei bisogno uno nuovo.<br />

Nel tormento fino a pomeriggio inoltrato, fattesi le tre e mezza decido di fare una<br />

telefonata inconsueta.<br />

Suona libero tre volte, poi un‟altra, poi rumore di traffico e di cornetta che gracchia. Finché,<br />

finalmente, la voce.<br />

«<strong>Matt</strong>!». Lui mi chiama così.<br />

«Martin! Wie geht‟s, mein Freund?». Dimmi come stai, amico mio.<br />

«Tutto bene, non mi lamento. Sono appena uscito dal lavoro»<br />

«Si sente, si sente che c‟è un bel casino!». Vada per l‟italiano.<br />

«Tu come stai? E la tua famiglia, tutto bene?»<br />

«Loro sì, tutto a posto. Io un po‟ meno, sinceramente»<br />

«Perché, non stai molto bene?»<br />

«Eh, insomma, è una storia lunga. Te la racconterò perché ti devo anche chiedere una<br />

cosa, ma fra cinque minuti mi devo preparare per andare al lavoro»<br />

«Ah, ma l‟hai trovato, allora? Che lavoro fai?»<br />

«No Martin, poi ti spiegherò meglio, ma è un lavoro che faccio solo per prendere due soldi.<br />

Tu col tuo tutto bene, invece?»<br />

«Non c‟è male, come sempre faccio quattro ore ogni giorno. Ora è difficile però, perché<br />

devo finire alla svelta anche il mio…ehm, come si dice in italiano, il mio Magisterarbeit»<br />

«La tesi»<br />

«Ecco sì, la tesi. Il mio professore mi stressa che la vuole avere presto. Forse dovrò<br />

chiedere di ridurre il part-time. Ma sono indeciso, perché se lavoro meno di venti ore a<br />

settimana faccio un po‟ fatica a vivere»<br />

«Consolati va‟, che c‟è chi sta peggio»<br />

«Eh sì, lo so»<br />

«Senti, mi tocca salutarti di già. Vado a prepararmi. Tieni d‟occhio la mail che al massimo<br />

domani ti scrivo. Praticamente ti ho telefonato per avvisarti di questo, ho bisogno un tuo<br />

parere su un‟idea»<br />

«Va bene. Senti, ma quando vieni qui in Germania a trovarmi?»<br />

«Guarda, adesso come adesso devo badare un po‟ al disco. E‟ una fase calda, ma<br />

appena mi rilasso un pochino ci organizziamo. Leggi l‟e-mail, mi raccomando».<br />

Ci salutiamo, quindi mi preparo e mi metto in strada. Settimo venerdì di tangenziale,<br />

dall‟altra parte tutti incolonnati. Io invece entrando in città ho vita facile, scorro fluido.<br />

Solite procedure d‟inizio turno, solita gente che rientra, poi pizza tonno e cipolla alle otto e<br />

tre quarti, viavai d‟ordinaria amministrazione, Sbilancere che torna in camera dopo<br />

l‟allenamento, O‟ miele che vuole scrivere un reclamo al direttore per l‟ennesimo scherzo<br />

subito, gli altri che se la ridono e infine, quando sono ormai le undici, la situazione si<br />

acquieta. Chi è fuori tornerà a notte fonda, chi è dentro è in branda.<br />

Non ho Internet a disposizione, ma un computer sì. Ho portato apposta la mia chiavetta, in<br />

modo da salvare il file e poi spedire appena possibile.<br />

Martin,<br />

Mi ha fatto piacere sentirti. Devi deciderti a crearti un account<br />

su Skype, così facciamo due chiacchiere più spesso!<br />

139


Come ti accennavo per telefono, le cose non vanno benissimo.<br />

Musica a parte, dove davvero non mi aspettavo certi risultati<br />

nonostante siano figli dell‟impegno che ci ho messo, per il resto<br />

è passato proprio oggi un anno dalla mia laurea. Su questo fronte<br />

non ho ottenuto ciò che speravo, proprio per niente.<br />

Mesi fa i miei genitori mi dicevano di portare pazienza, che<br />

poteva volerci anche un anno per fare colloqui e trovare un buon<br />

posto di lavoro. Bene, qui un anno è passato, mi sono dato da fare<br />

al massimo ma non è saltato fuori nulla.<br />

Sai cosa faccio da qualche settimana? Praticamente il portiere in<br />

un dormitorio per studenti. E‟ un impiego tristissimo, ma mi tocca<br />

pure ringraziare il cielo perché altrimenti non avrei nemmeno quel<br />

migliaio di Euro al mese.<br />

Mi hai chiesto quando verrò in Germania. Non ho approfondito il<br />

discorso per il poco tempo che avevo, ma proprio di questo ti<br />

volevo parlare: che ne pensi se tentassi di trasferirmi lì?<br />

Non intendo in casa tua, stai tranquillo! Infatti nel caso<br />

punterei a Berlino. Francoforte la posso tenere come alternativa,<br />

ma pur non essendoci mai stato sono affascinato dalla vostra<br />

capitale. Studiando tedesco per anni, tutte le parti di cultura<br />

hanno avuto la storia del Muro come cardine, quindi mi sento già<br />

un po‟ berlinese per la mole di libri che ho letto.<br />

Ora ci devo pensare bene e in primo luogo devo farmi tutti i<br />

conti, non solo in merito ai soldi. Evito di elencarti i dettagli,<br />

ma ci sono diverse cose che non posso mollare con facilità. Anzi,<br />

può darsi che proprio queste cose alla fine faranno sì che resti<br />

dove sono. Paradossalmente, ciò che di buono sono riuscito a<br />

sviluppare potrebbe essere la mia catena.<br />

Tu comunque dimmi che ne pensi in generale, cioè se vedresti bene<br />

uno come me in Germania in questo momento. Credi che ce la farei a<br />

trovare lavoro? E‟ complicato trovare casa? Mediamente quanto<br />

costa la vita al mese?<br />

Partiamo da qui, dagli aspetti basilari per prendere misura.<br />

Sentiti pure libero di dirmi se per qualche motivo pensi non sia<br />

una buona idea.<br />

Io so solo una cosa: qui non so più cosa inventarmi. Mi vergogno a<br />

dirlo ma è così, quindi prima di dichiararmi del tutto un buono a<br />

nulla vorrei provare un‟alternativa. Perché nonostante le cose non<br />

mi stiano andando bene, sono convinto che il problema principale<br />

non risieda in me.<br />

Attendo tue notizie.<br />

Un abbraccio.<br />

<strong>Matt</strong>ia<br />

140


29<br />

LA POSTA DEL CUORE<br />

La mia casella e-mail ha sempre avuto un discreto da fare. Nulla a che vedere con quegli<br />

account semi-desertici, piazzole di sosta per offerte speciali e barzellette divertentissime<br />

targate “Fw:”. Se ci sono dei criceti a far girar la ruota, hanno sempre dovuto procedere di<br />

buona lena. Da quando è uscito l‟album, però, c‟è stato un cambio sostanziale: più<br />

sintetiche, ma molte più e-mail. E nell‟ingranaggio non dev‟essere stato granché piacevole<br />

trasformarsi da marciatori a duecentometristi seriali. Ringrazierò mandando dei semi di<br />

girasole.<br />

Il primo giorno della nuova settimana porta notizie da parte di Lara.<br />

Ciao artista!<br />

Sottraggo il minor tempo possibile alle tue fan (haha!) solo per<br />

darti gli ultimi aggiornamenti.<br />

Per quanto riguarda i parziali, tutto benissimo: massimo dei voti!<br />

A meno di sconvolgimenti improvvisi (che non ci saranno, mica<br />

siamo in Italia) gli esami andranno giù come un bicchier d‟acqua.<br />

Non sono agitata, questo semestre me lo sono goduto nettamente più<br />

del primo.<br />

Anche col lavoro tutto bene. Deciderò all‟ultimo se prolungare per<br />

luglio-agosto. I Franchi svizzeri combinati alle agevolazioni da<br />

studente sono una benedizione. Non mi manca niente…sapendo quello<br />

che stai passando mi sento quasi in colpa a dirlo. Resto comunque<br />

del parere che tu in questo master saresti stato eccellente.<br />

Pensaci, te lo dico sempre! Nel caso però muoviti, fra poco scade<br />

il termine per la domanda.<br />

L‟unica pecca della Svizzera è che non ti si vede in tele!<br />

Ti saluto adesso, ciao!<br />

Baci<br />

Mentre la mia immagine di quei luoghi diventa ancor di più quella di sconfinate praterie di<br />

quadrifogli, passo oltre e finisco farmi due risate con un messaggio proveniente per inoltro<br />

automatico dalla mia casella dedicata alla musica.<br />

Pezzo di merda, kol tuo fottuto disko nei negozi! la musica non si<br />

vende!!! la musica deve essere gratis kome il sole!!!<br />

Gente kome te ammazza kuello in cui crediamo ma vedrai ke morirai<br />

prima tu della musica xkè se ti trovo ti sistemo io ti faccio<br />

passare la voglia di fare qst minkiate!!!<br />

Risp se hai i koglioni e sappi ke non ho paura di tè!!!<br />

Giusy<br />

Dopo un attimo di titubanza non ho potuto far altro che chiamare A.B. declamando con<br />

enfasi il messaggio della tenera Giusy, che di sicuro ha ammazzato la grammatica italiana<br />

prima che io potessi anche solo pensare di aver fatto qualcosa di spiacevole alla musica.<br />

Dolcissima Giusy, pensa che se sapessi quanto ci ho speso e in generale come sto messo<br />

mi odieresti ancora di più. Dato che evidentemente ragioni al contrario.<br />

141


Il martedì si apre invece radiosamente, grazie a un messaggio con oggetto “Zia Marilena”<br />

e tre nuove foto con lei e la nipotina a Roma. Niente fiere o congressi questa settimana,<br />

ha fatto bene a fare un salto. Sta pure trovando un tempo stupendo, a quanto testimonia lo<br />

scatto dalla terrazza del Pincio.<br />

Novità giungono anche da Oriente.<br />

Ciao cantante, sono Claudia, ti ricordi di me?!<br />

Sperò di sì, ti ho scritto solo pochi giorni fa!<br />

Scherzi a parte <strong>Matt</strong>ia, volevo dirti che è ufficiale: prolungo il<br />

soggiorno. Per il visto è stato un po‟ un casino, evito di<br />

raccontarti la rava e la fava ma ho risolto.<br />

In Italia ci torno in estate a meno che non salti fuori qualcosa<br />

qui tramite dei contatti che mi ha fornito la mia relatrice.<br />

Vediamo, insomma…<br />

Tu tienimi aggiornata sulle tue novità!<br />

Io sto bene comunque, spero anche tu.<br />

Ti abbraccio forte.<br />

Brava Claudia, in bocca al lupo.<br />

Tempo di un caffè e mi concentro su tre e-mail dall‟altro account: una è l‟invito per<br />

un‟ospitata in un programma radio nel sud di Milano, la seconda è una richiesta<br />

d‟intervista per un giornale, la terza mi avvisa che una recensione è stata pubblicata sul<br />

periodico di un quotidiano nazionale. Molto bene, ecco altri mattoncini per la mia<br />

costruzione. Si sta facendo bella altina questa torre.<br />

Giovedì gestisco quelle della mattinata stessa e del giorno prima, che ho voluto passare<br />

via dal computer.<br />

Giusy non ha preso bene il mio ignorarla e m‟ha scagliato una riga secca.<br />

Risp koglione!!!!!!!<br />

Ben più interessante è invece l‟e-mail di Martin, che riporta l‟orario sei e diciannove. Bello<br />

operativo il tedescone, già al computer di primissima mattina.<br />

Ciao <strong>Matt</strong>!<br />

Ho letto quello che mi hai scritto. Mi spiace che per il lavoro le<br />

cose in Italia non vadano bene.<br />

Mia sorella ha abitato 3 anni a Berlino, non te l‟avevo detto? Le<br />

ho parlato e di sicuro può darti dei consigli utili. Mi ha<br />

raccontato che lei pagava la sua stanza in una WG<br />

(Wohngemeinschaft, cioè un appartamento con altre persone) circa<br />

200€/mese e che in totale con 500-600€/mese viveva facendo una<br />

vita normale. Stava a Friedrichshain, che è un quartiere centrale<br />

dove abitano molti giovani. Ora può essere tutto un po‟ più caro<br />

perché è passato del tempo, ma mi ha detto che certamente non sarà<br />

troppo diverso.<br />

Per il lavoro dipende cosa vuoi fare. Come cameriere per<br />

sopravvivere trovi in qualsiasi momento, invece per posizioni “più<br />

importanti” devi sempre cercare e fare diversi colloqui. Si sa che<br />

siamo in un periodo di crisi mondiale e non è facile per nessuno.<br />

142


Comunque di sicuro c‟è differenza con l‟Italia se dove sei tu uno<br />

che è laureato e parla 5 lingue non ha ancora trovato un posto<br />

decente.<br />

Diciamo perciò che resto sul 50-50: il momento non è dei migliori<br />

nemmeno qui, ma tu hai delle caratteristiche certamente<br />

interessanti per un‟azienda.<br />

Puoi contare su di me…specialmente se vieni a Francoforte! Dai,<br />

perché no?<br />

Ci sentiamo quando vuoi! Scusa se non ho risposto subito ma ho<br />

avuto tantissime cose da fare.<br />

Bis bald<br />

Grazie Martin, soprattutto per l‟obiettività. D‟altra parte si sa che situazioni senza rischi non<br />

esistono, specialmente oggi come oggi. Impressionante comunque quanto basso sia il<br />

costo della vita lassù. Per intanto prendo nota e ci ragiono, tengo lì il pensiero anche se di<br />

certo non posso cambiare dall‟oggi al domani né tantomeno da qui a un mese. Ne deve<br />

passare d‟acqua sotto i ponti.<br />

Prima di uscire di casa per il turno del giovedì, trovo anche una breve e-mail di Mari.<br />

Ciao nordico, qui tutto bene. Sono appena tornata da una<br />

passeggiata con la piccola…è davvero stupenda (tranne quando fa il<br />

bisogno grosso!).<br />

So che fra un attimo uscirai per andare al lavoro. Volevo solo<br />

mandarti un saluto e un bacio.<br />

Stasera viene della gente a cena. Mia sorella mi ha detto che ci<br />

tiene io conosca una tizia, tale Donatella. Non mi è chiaro<br />

perché…ma vedrai che sarà come al solito una cavolata delle sue.<br />

Deve sempre fare tutte „ste scene anche per le minime cose, bah!<br />

Se non ci sentiamo dopo, ti aggiorno domani.<br />

Un bacio.<br />

Finite le mie ore di galera retribuita, rientro in uno stato comatoso. Lascio il cellulare<br />

acceso per Mari, ma tocco il letto e mi addormento in un minuto.<br />

La mattina seguente, dieci e mezza, nessun segnale suo sul mio display. Cosa che mai<br />

succede, balzo al computer come primissima azione.<br />

Buongiorno!<br />

Abbiamo mangiato a dismisura ieri, poi alle 11 mi sono<br />

addormentata. Scusa!<br />

Per una volta può essere che mia sorella abbia combinato qualcosa<br />

di buono presentandomi quella tizia. Finché non vado a<br />

rincontrarla oggi però non so, ci dobbiamo vedere a metà<br />

pomeriggio. E‟ una storia lunga, in base a quello che ne esce ti<br />

racconterò.<br />

A proposito, allora domani ti va di venirmi a prendere in stazione<br />

quando arrivo? E‟ una cosa romantica!<br />

143


Arrivo previsto per le 15:30. L‟ho scelto apposta per non farti<br />

alzare presto dato che lavori anche stasera. O meglio, l‟ho scelto<br />

apposta per non farti avere scuse!<br />

Buona giornata, attendo un tuo cenno!<br />

Va bene, accetto il compromesso: dormirò fino a tardi e poi andrò in Centrale. Però<br />

stavolta mi faccio ripagare a massaggi sulla schiena per tutta la serata. La sedia su cui<br />

bivacco al lavoro mi sta distruggendo.<br />

Nella mia casella oggi è necessario che faccia un po‟ di pulizia. Lo spam sta raggiungendo<br />

quote fastidiose, inoltre ci sono diverse newsletter da cui forse dovrei rimuovermi. Sono<br />

sempre un po‟ restio, ma che senso ha riceverle se nemmeno le apro?<br />

Il cardine dei miei dubbi verte su quelle dei siti di lavoro. Mi ricordo che un anno fa le<br />

scandagliavo per filo e per segno, adesso invece mi fanno ridere, maledetti specchietti per<br />

le allodole, e assieme mi faccio pena io per quanta energia e speranza ci consumavo<br />

appresso. Tutti „sti stronzi che cercano gente con “almeno cinque anni d‟esperienza” e<br />

capacità interdisciplinari dalla contabilità al disegno tecnico, passando per la “perfetta<br />

conoscenza di almeno due lingue straniere”. A prendere alla lettera quei mucchi di<br />

cavolate uno non dovrebbe far domanda prima di aver quarant‟anni e tre lauree. Hanno<br />

preso la gente per coltellini svizzeri e vogliono la lama, il cavatappi, la pinzetta, la lima e<br />

l‟apriscatole tutto in uno. Sì sì, via da „ste newsletter, darò una spulciata a quei siti<br />

massimo una volta ogni quindici giorni.<br />

Venti minuti prima di andare al lavoro mi giunge rovente il nuovo sclero di Giusy. E meno<br />

male, mi chiedevo per l‟appunto dove fosse finita. Dopo la lettura del messaggio rido tutta<br />

sera, pensandola sfondare la tastiera nello scrivermi.<br />

Allora hai paura eh, koniglio?!?!?! Lo sapevo, tipiko degli<br />

ipokriti kome tè!!!! Naskonditi naskonditi pure stronzo,<br />

NASKONDITI A VITA!!!!!!!!!!!!!!!<br />

Questa sarà una bella storiella per intrattenere Mari che torna da Roma. Grazie Giusy, ci<br />

risparmierai i soldi del cinema!<br />

144


30<br />

DOBBIAMO PARLARE<br />

Finito il turno sono rientrato a casa stranamente sveglio, riuscendo addirittura a guardare<br />

un film fino quasi alle due. Magie del venerdì sera. La conversazione via SMS che ho<br />

avuto con Mari giusto prima di andare a letto, però, mi ha messo in agitazione. Non riesco<br />

mai a reggere frasi del tipo “Dobbiamo parlare, ma non preoccuparti”, specialmente se<br />

provenienti da persone a cui sono legato sentimentalmente. Divento una bomba di<br />

tensione. Infatti, dopo aver parcheggiato la macchina alla bell‟e meglio, eccomi di fronte al<br />

binario che fremo e tento di dar calci ai piccioni che mi zampettano attorno. Roba che se<br />

passasse la Polfer verrei portato in centrale per accertamenti sull‟abuso di sostanze.<br />

Nel fiume umano che si riversa sulla banchina ci metto centoventi lunghissimi secondi a<br />

individuare Marilena. Le vado incontro a passo sostenuto, mi sorride da trenta metri,<br />

accelero. Mi sembra quasi di sfondare le suole da quanto premo coi talloni.<br />

Ci abbracciamo, forte. Sei secondi, lei non mi lascia. Al settimo mi stacco io, la prendo per<br />

le braccia, la guardo dritta.<br />

«Adesso me lo dici o no che cazzo c‟è?!»<br />

«Oh, ma che maniere!»<br />

«Porca puttana, m‟hai lasciato in agitazione tutte „ste ore, muoviti che son nervoso!»<br />

«Senti, non possiamo arrivare a casa e metterci comodi?»<br />

«Sei incinta? Eh?».<br />

Lei sgrana gli occhi e mi ride in faccia: «Ma va, no!».<br />

Mentre lascio andare metà della tensione accumulata, così come le immagini del<br />

pancione, del pargolo, dei miei da nonni e di me che finisco a implorare di poter pulire<br />

latrine pur di portare a casa il pane, le prendo la valigia e ci dirigiamo di buona lena verso<br />

la macchina. «Rapida Mari, che se passan gli ausiliari m‟inculano, dai!». Metà della<br />

tensione è ancora lì.<br />

Quattro frecce disinserite, via dalle strisce pedonali e finalmente diretti verso casa.<br />

Concentrarmi alla guida mi distoglie dal resto, fatto sta che non apro bocca tutto il tragitto.<br />

«Speriamo che non ci siano in casa quelle rompicoglioni», mi esce in ascensore.<br />

«T‟è tornata la parola?»<br />

«Te l‟ho detto cento volte di non farmi agitare così». Arriviamo al piano, apre la porta,<br />

entriamo.<br />

«Faccio la pipì e una doccia»<br />

«No, tu pisci e vieni in camera!». Sguardo di ghiaccio l‟un l‟altra. Un secondo. Poi lei mi fa<br />

la faccia da bambina redarguita e io rido. Un quarto di tensione però ancora mi bivacca<br />

addosso.<br />

Finalmente ci siamo. Io sono sul letto, lei entra, si sdraia al mio fianco ma tiene una<br />

spanna di distanza più del solito.<br />

«Quindi?»<br />

«Calmati <strong>Matt</strong>ia, niente di grave»<br />

«Ma lo sai che le ho pensate tutte? Tutte! Comunque, arriviamo al punto»<br />

«Allora, partiamo dall‟inizio: te l‟ho detto, no, che l‟altra sera venivano delle persone a<br />

cena?»<br />

«Eh…cos‟è, qualcuno mezzo brillo ha allungato le mani?!»<br />

«Ma va! No, è tutto collegato a quella tizia, quella Donatella che mia sorella ci teneva a<br />

presentarmi e che poi ho rincontrato»<br />

«OK». Tiro un sospiro. Nessun uomo coinvolto. Ma allora cosa diamine c‟è?<br />

145


«Lei è la vicedirettrice di un‟azienda di servizi che lavora con gli aeroporti. Suo padre è il<br />

presidente, la ditta è di famiglia. Sono molto benestanti»<br />

«Va bene, quindi?»<br />

«Mia sorella fa yoga con lei e chiacchierando era saltato fuori che a breve la sua<br />

assistente se ne andrà. Insomma, te la taglio corta: mia sorella ha organizzato la serata<br />

per far sì che c‟incontrassimo»<br />

«Ma questi lavorano anche su Milano?»<br />

«Adesso ci arrivo, aspetta. Quindi giovedì sera abbiamo fatto due chiacchiere informali,<br />

poi ieri pomeriggio sono andata da lei in ufficio. Mi ha presentato anche suo padre. Gira e<br />

rigira, nonostante l‟atmosfera rilassata, è stato un colloquio. Han voluto sapere vita, morte<br />

e miracoli»<br />

«Ma si è arrivati a un dunque o che?»<br />

«Sì, ed è questo di cui ti volevo parlare con calma. L‟azienda è solo a Roma, <strong>Matt</strong>ia»<br />

Mi si blocca il fiato. Tentenno: «Ma…ma quindi ti han presa?». Non capisco se mi stia<br />

dando il benservito o che altro.<br />

«No, non abbiam concluso niente nero su bianco…ma gli sono piaciuta. Ora ci devo<br />

pensare perché se voglio, alla fine dei conti, m‟han fatto intendere che il posto è mio».<br />

Io smetto di guardarla negli occhi e fisso la finestra. Senza che nessuno me l‟abbia detto<br />

mi sento un intruso. Ho la bocca secca e vorrei un bicchiere d‟acqua, ma è come se non<br />

potessi chiederlo, come se fosse scaduto quel tacito permesso grazie al quale in questa<br />

casa ero autorizzato a muovermi come fosse anche un po‟ mia, aprendo i mobiletti, il<br />

rubinetto, sedendomi a tavola senza sentirmi d‟intralcio.<br />

«<strong>Matt</strong>ia, non fare quella faccia, non ho detto che ci vado»<br />

«Mari, non fraintendermi, ma se mi devo levare di torno dillo subito»<br />

«Ma chi ti ha detto una cosa del genere?!»<br />

«Scusa…m‟era sembrato, hai ragione. Ma quindi come stanno messe le cose in termini di<br />

tempo, adesso? E cosa combini con Damiano e i vari altri, molli tutto?»<br />

«Donatella mi ha detto che posso rifletterci un paio di settimane. Le devo far sapere al più<br />

tardi il nove di maggio. La posizione sarà libera da inizio giugno, ma è logico che se io dico<br />

di no devono avere tempo per finalizzare con qualcun altro»<br />

«E‟ chiarissimo che ti vogliano. Ti stan tenendo il posto in caldo, dai…»<br />

«Sì, te l‟ho detto infatti, me l‟han lasciato capire. Di sicuro anche il fatto che mia sorella sia<br />

amica della vice mi ha fatto partire da una posizione diversa»<br />

«Quindi, nel caso, con Milano tagli i ponti?»<br />

«Ci ho pensato alle fiere e tutto il carrozzone, ma ci riflettevo già da tempo: <strong>Matt</strong>ia, non ho<br />

più vent‟anni e nemmeno venticinque. Ho acquisito altre competenze nel mentre, ma la<br />

maggior parte dei lavori che mi arrivano sono in primo luogo per la faccia, perché<br />

insomma…e diciamolo, per una volta: perché non sono un cesso. Passata una certa<br />

soglia però semplicemente non sei più fresca, non sei una diciannovenne. Io non devo<br />

pensare ad ora, devo pensare avanti, a cosa ne sarà fra cinque anni, dieci anni, eccetera.<br />

E una volta che passi i trentatré-trentaquattro ce n‟è una su cinquanta che s‟infila nella<br />

gestione, che diventa una supervisor o roba del genere. Le altre invece rimangono a<br />

spasso o si attaccano ai mariti. Io sinceramente non voglio rischiare quella fine»<br />

«Lo so Mari, ti capisco. Hai ragione»<br />

«E considera un‟altra cosa: mi hanno già accennato che prenderei a ridosso dei duemila al<br />

mese per i primi sei mesi, poi anche qualcosa di più. Son circa gli stessi soldi che faccio<br />

ora ma…»<br />

«Con la malattia, le ferie, i contributi, eccetera eccetera»<br />

«Esatto. A me, ora come ora, se capita un‟influenza finisce che ci smeno una settimana di<br />

lavoro. Cinquecento Euro che non mi entrano non sono uno scherzo».<br />

146


Il ragionamento non fa una piega. Quello che mi lascia a terra è che pare proprio che il<br />

prezzo da pagare saremo noi, io e lei, <strong>Matt</strong>ia e Marilena. Mi sembra già di vederla che se<br />

ne va.<br />

«Mari, io non voglio metterti pressioni, fai quello che senti. Però se hai aspettato di essere<br />

qui per parlarmene, sicuramente hai pensato anche tu a cosa succederà a noi due, come<br />

io sto facendo adesso. O no?»<br />

«Ovvio»<br />

«E cos‟è che pensi, dovremmo darci un taglio e via se decidi di andare?»<br />

«Ma no, non per forza…a meno che tu non voglia»<br />

«Mari, non è quello che voglio o non voglio, è come si mettono le cose se te ne vai. Roma<br />

non è dall‟altra parte del mondo ma non è nemmeno sotto casa»<br />

«Potremmo vederci ogni weekend, però»<br />

«Sì, va bene, per qualche periodo forse, ma poi? Non fraintendermi Mari, non voglio<br />

essere ipocrita: anch‟io quando sento le storie degli altri che si trasferiscono a destra e a<br />

manca e guardo gli studi che ho fatto, mi dico che dovrei andare all‟estero, almeno per un<br />

periodo. Chiedevo a Martin della Germania proprio in questi giorni, anche se poi a guardar<br />

bene non so nemmeno se potrò farla una cosa del genere. Io non sto accusando né te, né<br />

le occasioni che arrivano. Ne piovessero di possibilità del genere, staremmo tutti meglio.<br />

Che sia toccato a te avere qualcosa di concreto sottomano prima che a me è solo<br />

questione di sorte. Sarei potuto essere io quello con una proposta di lavoro altrove, e certo<br />

non avrei gradito d‟essere additato come l‟egoista, come quello che antepone la carriera ai<br />

sentimenti e sfancula la ragazza, eccetera. Lo so che non è così: qui c‟è in ballo la<br />

prospettiva tua come in qualsiasi momento c‟è in ballo la mia. Mari, lungi da me farti<br />

sentire in colpa o cos‟altro, però insomma, capirai che questa notizia al di là di tutto è un<br />

discreto colpo per me».<br />

Annuisce. Le dico che sono troppo confuso ora per ragionare nella dovuta maniera.<br />

Andiamo in cucina a farci un tè e un toast. Ultimo sabato di aprile, il calendario mi ricorda.<br />

Fra due settimane al massimo il dado sarà tratto.<br />

Mangio il toast come se nel mentre fossi in una dimensione parallela. In effetti lo sono,<br />

sono nel passato. Con gli occhi sulla bustina di tè verde strizzata e appoggiata al<br />

tovagliolo ripenso a tutti i bei momenti fra me e Mari. Quella fiera, le sue sigarette, il primo<br />

bacio, la prima volta che ho dormito da lei, i regali di Natale, la sua gioia per la mia<br />

musica. C‟è tanto.<br />

Non siamo quel tipo di coppia da fedine d‟argento, famiglie coinvolte e relazione notificata<br />

su Facebook. Non abbiamo affrettato nulla. Piano piano, ci siamo mossi così, al punto che<br />

voliamo a mezz‟aria. Ma non per inerzia, non per indecisione, non per mancanza di<br />

sentimento. Solo perché questo è il nostro passo, infatti avremmo ancora spazio per<br />

crescere, per andare più in alto. Non so dire di quanto, ma più in alto.<br />

«Tesoro, torniamo di là?». Troppo silenzio, meglio tenerlo in privato prima che qualcuno vi<br />

s‟intrometta.<br />

Torniamo sul letto e ci stringiamo. Le sento la schiena, le braccia, la testa. Riprendo<br />

misura di tutto, come ad azzerare la distanza che ho sentito per l‟intero pomeriggio. La<br />

bacio, riguardo bene come sono fatti i suoi occhi, il colore, le sfumature, il taglio. Stesso<br />

per il viso, le labbra, il naso, le guance. E‟ come conoscerla una nuova volta per la prima<br />

volta. Mi sono spaventato, sono spaventato. Da ieri notte e quegli SMS arrivando ad<br />

adesso lo spavento ha cambiato forma, colore, significato. Ora per due settimane, o forse<br />

meno, comunque finché una decisione non sarà presa, mi sentirò come in un‟incubatrice.<br />

«E se vado, <strong>Matt</strong>ia, sappi che terrò gli occhi aperti anche per te. Sicuro come l‟oro. Magari<br />

persino da Donatella e suo padre cercano uno così come sei tu, chi lo sa!».<br />

147


Ci sorridiamo, ed è quasi ora di cena ma ci addormentiamo, nonostante la luce di questo<br />

tardo pomeriggio nel cuore della primavera gridi come una protesta contro il tramonto.<br />

Vorrei svegliarmi fra cento mesi, Mari, con tutto sistemato, come per magia, come fosse<br />

un risveglio normale dove il peggio è alle spalle, lontano al punto da parlarne con quel<br />

passato remoto che la nostra lingua sta seppellendo. Via, dietro, lungi. Nelle terre del fui,<br />

del fosti e del fummo.<br />

148


31<br />

BACIAMI<br />

Mi sveglio presto, dopo un sonno disturbato. Sette meno venti.<br />

Il sole filtra, ma si capisce che è già un sole diverso.<br />

Mi muovo piano per non svegliare nessuno. Vado in cucina, apro il mobiletto, il rubinetto,<br />

mi siedo a tavola. Il bollitore scalda l‟acqua per il tè.<br />

Guardo l‟orologio a parete, scatto dettato dall‟abitudine. Lo so che ore sono. Poi l‟occhio<br />

mi cade sul calendario: martedì due settembre.<br />

Gli ultimi mesi sono passati muti, ovattati. Testa giù, attenzione solo al ritmo del respiro,<br />

per non perderlo.<br />

Ho girato un altro video, Internet ha risposto molto bene ma la TV non l‟ha accolto. Dal<br />

vivo invece ho avuto tre date: la prima un disastro per cause esterne, le altre due<br />

sufficienti ma nulla di che.<br />

Da lì in avanti ho messo il paraocchi. Dapprima anche doppi turni coi centri universitari,<br />

fino a diciassette ore a giornata, e una volta chiusi per ferie quelli sono passato alla<br />

fotocopia dell‟estate precedente. Ancora a sostituire Mario e poi Giuliano, ancora con le<br />

stesse persone a passarmi di fianco. Ancora ferragosto a casa, gli amici in vacanza, però<br />

nessuna visita a Claudia. Solo lavoro, ore, soldi, sonno, caffè, panini, aria condizionata,<br />

starnuti notturni.<br />

Tutto questo per arrivare ad oggi. Unicamente ad oggi, con un sogno più grande in mente,<br />

col lasciapassare di una scommessa nel portafoglio.<br />

Mi sono preparato per te. Ogni giorno è stato per te. Ogni volta che andavo a Milano era<br />

per te e ogni volta che tornavo temevo non sarei arrivato a questo momento, perché<br />

mentre facevo la tangenziale quasi mi si chiudevano gli occhi dalla stanchezza.<br />

Abbassavo il finestrino e accendevo la radio per restare sveglio. A volte cantavo pure.<br />

Da parecchi mi sono distaccato. Vedono sempre e solo il lato più appariscente delle cose,<br />

il lato più luccicante, e pare che la mia, che sembrava una gran giostra, non abbia acceso<br />

tante luci quante loro se ne aspettavano. O forse non tanto in fretta quanto loro si<br />

aspettavano.<br />

Non ho tutti dalla mia parte per questa scelta, ma in fondo ho quelli che contano. Ho i miei,<br />

compresa mia mamma, per la quale non dev‟essere facile affacciarsi al distacco; ho<br />

Daniele e Miguel, nonché la nuova tecnologia che ci terrà uniti quel che basta per non<br />

dover abbandonare un sogno; infine ho quella manciata di amici con cui mi confido e mi<br />

confronto, alcuni già altrove, i quali ovunque io sia trovano posto.<br />

Mi basta questo per tornare in camera, aprire gli armadi e cominciare a mettere sul letto<br />

quello che scelgo. Nel mentre sento del movimento in casa, nel mentre ti penso.<br />

E‟ stata una battaglia, uno sforzo enorme, in certi momenti digrignavo i denti dalla rabbia,<br />

in altri mi si riempivano gli occhi di lacrime e mi sfidavo a rimandarle indietro. Te lo giuro,<br />

la strada mi è parsa immisurabile. Ma mi sembra già di sentire il tuo profumo, di sorridere,<br />

di respirarti.<br />

Prendo una pausa, saluto i miei prima che vadano al lavoro. Sembra già il saluto, quello<br />

grande, quello lungo. Guardo bene questa casa, guardo la cucina, il salotto, i muri, le foto.<br />

Ogni pezzo un momento, ogni pezzo una gioia nell‟aggiungerlo. Mi siedo sul divano, mi<br />

sdraio, mi allungo, ci resto per un po‟. Mi mancherà, quante notti che ci ho passato. Ma è<br />

giusto che sia così.<br />

Parto per costruire, parto scommettendo, parto per non rimanere un piccolo bonsai<br />

radicato nelle certezze di un vaso che lo tiene ostaggio, di un giardiniere che lo tiene nano.<br />

149


E tu mi dai speranza, me ne dai quel tanto che basta. Mi riempirai i giorni, le notti, mi<br />

aiuterai a ritrovare me stesso facendomi trovare un nuovo me stesso. Sto già riprendendo<br />

colore, sto già riprendendo fiato ma questo voglio che quando arrivo me lo mozzi per un<br />

lungo, eterno secondo. Fammi perdere un battito e poi regalamene uno che ne valga<br />

cento, mille, un milione. Fallo, perché io quel che ricevo ridò due volte. Tu dammi un seme<br />

che io ti porterò il fiore. E mentre questa giornata scorre, scivola, fluisce senza che io<br />

possa fermare il tempo, mi preparo ad un passo che vale quanto la prima corsa di un<br />

puledro, quanto il primo salto di un bambino.<br />

Ricevo telefonate, ascolto le raccomandazioni delle zie, i saluti timidi dei cuginetti, le<br />

parole semplici di mio nonno che lasciò casa che era un ragazzino.<br />

Tu vali questo, tu rappresenti questo. Sei la mia porta per un ciclo che si ripete nelle<br />

generazioni, sei una nuova prospettiva mentre decido cosa verrà con me e cosa no, cosa<br />

varrà e cosa no.<br />

Sei un desiderio, un bisogno, una pretesa, un lusso, l‟essenza: sei tutto fuorché qualcosa<br />

di scontato, tutto fuorché un obbligo. E se assieme sei anche un rischio, ti autorizzo a<br />

mettermi a repentaglio, perché non c‟è avventura senza azzardo. Punto sul tuo numero, ti<br />

strizzo l‟occhio, credo in te. Sii dalla mia se me lo merito, o sii dalla mia perché io sono io.<br />

Perché ti sorrido, perché mi scaldo, perché mi appassiono, perché non cedo, perché tento,<br />

perché mi apro, perché parlo, perché mi dono. Semplicemente: perché amo.<br />

Quindi baciami.<br />

E ora che è passata l‟intera giornata, che ho riorganizzato tutto tre volte, che ho cenato coi<br />

miei fingendo fosse una sera normale, si è fatta ora di andare a letto. Una preventiva<br />

nostalgia fa a spintoni con l‟emozione. Sotto le coperte mi giro e mi rigiro, passa mezz‟ora,<br />

accendo la luce, mi alzo, riapro l‟armadio e decido di portare con me anche un giubbetto<br />

più pesante e un maglione, perché settembre a volte fa gli scherzi e perché dopo<br />

settembre verranno altri mesi. Le cerniere si chiudono di nuovo, prendo la bilancia, peso<br />

tutto una volta ancora.<br />

Venti chili di valigia, dieci di bagaglio a mano. Al limite. Anzi no, sarò in netto sovrappeso.<br />

Avrò a tracolla una borsa stracolma di speranze, del dovere di avere speranze. Non ho<br />

altra scelta se non quella di guardare avanti.<br />

Domani sono da te. Finalmente. Berlino.<br />

150


151<br />

L’AUTORE<br />

Nato e cresciuto nella zona fra Milano e Como che porta il nome di Brianza, <strong>Matt</strong>ia Colombo si<br />

è laureato in Mediazione Linguistica seguitamente ad un percorso di studi improntato sulle<br />

lingue straniere e l‟interculturalità sin dalle scuole medie.<br />

Incline alla scrittura già da piccolissimo, ha cominciato negli anni di liceo ad applicarsi<br />

coscienziosamente nella duplice direzione della prosa e dei versi.<br />

Sotto lo pseudonimo di <strong>Matt</strong> <strong>Manent</strong> è attivo da un decennio in ambito musicale (hanno visto<br />

la luce gli EP “Dedalo” e “<strong>On</strong> <strong>the</strong> road”, nonché l‟album “Palestra di vita” e svariate<br />

collaborazioni) ed è stato per anni tanto conduttore radiofonico del programma “Streetbeat”<br />

quanto collaboratore di magazine e realtà mediatiche di vario genere.<br />

Responsabile di colpi di testa come l‟avventura “A longer way home”, è fra i protagonisti di<br />

entrambe le edizioni dell‟antologia di poesia urbana contemporanea “incastRIMEtrici”<br />

(Arcipelago Edizioni) ed ha inoltre preso parte ad eventi nell‟ambito della giovane scena della<br />

slam poetry italiana. Nel 2011 con “Brillante laureato offresi” pubblica il suo primo romanzo e<br />

lancia il relativo blog, col quale ambisce a sviluppare un luogo di dibattito di rilevanza<br />

nazionale per i laureati e le entità attinenti.<br />

Parallelamente, il lato più visibile di una vita spaccata a metà lo trova ad interagire con<br />

l‟instabile contesto del mercato del lavoro attuale. Contratti, mete e situazioni incerte si<br />

avvicendano senza tregua in un ambiente reso pericolante dal più grande terremoto socioeconomico<br />

del dopoguerra.<br />

Maniche rimboccate, testa alta e concretezza sono gli antidoti di un giovane uomo convinto<br />

che «la via della salvezza è la forza di volontà».

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