BRILLANTE LAUREATO OFFRESI - Matt Manent - On the Road
BRILLANTE LAUREATO OFFRESI - Matt Manent - On the Road
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Brillante laureato offresi – romanzo di <strong>Matt</strong>ia Colombo<br />
Prima edizione: giugno 2011<br />
Copertina e logo a cura di: <strong>Matt</strong>eo Girola<br />
Sviluppo formati e-Book: Alessandro Piazza<br />
Licenza Creative Commons<br />
Libertà di condivisione con obbligo di attribuzione di paternità<br />
Divieto di commercializzazione e di modifica salvo specifici accordi con l‟autore<br />
Brillante laureato offresi by <strong>Matt</strong>ia Colombo is licensed under a Creative Commons Attribution-<br />
NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License.<br />
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INDICE<br />
1. Il giorno dei giorni.................................................................................... 5<br />
2. Strategie ................................................................................................ 6<br />
3. Loading… .............................................................................................. 9<br />
4. Salire di livello ........................................................................................ 11<br />
5. Lettere da un altro universo ................................................................... 17<br />
6. Sotto questo sole ................................................................................... 19<br />
7. Lato B .................................................................................................... 33<br />
8. Spiaggiato a settembre .......................................................................... 37<br />
9. Passare dal via ...................................................................................... 60<br />
10. Maturare ............................................................................................... 64<br />
11. Lettere da un altro universo (parte seconda) ........................................ 67<br />
12. La nuova bestia .................................................................................... 69<br />
13. La notte delle streghe ........................................................................... 73<br />
14. Un lungo sonno ..................................................................................... 77<br />
15. Promemoria: passare ricevitoria ........................................................... 82<br />
16. All'improvviso un conosciuto ................................................................. 90<br />
17. L'evento dell'anno ................................................................................. 93<br />
18. Feste di lavoro ...................................................................................... 98<br />
19. Giovani imprenditori .............................................................................. 101<br />
20. Eventi .................................................................................................... 104<br />
21. Strategia Islam ...................................................................................... 108<br />
22. Ciak, si gira ........................................................................................... 113<br />
23. Fuck you, pay me! ................................................................................. 117<br />
24. A luci spente ......................................................................................... 120<br />
25. Arcobaleno ............................................................................................ 123<br />
26. Sogno e son desto ................................................................................ 130<br />
27. Bere gratis ............................................................................................ 134<br />
28. Una candelina ....................................................................................... 138<br />
29. La posta del cuore ................................................................................ 141<br />
30. Dobbiamo parlare ................................................................................. 145<br />
31. Baciami ................................................................................................. 149<br />
4
1<br />
IL GIORNO DEI GIORNI<br />
A cavallo di una settimana a cavallo del mese d‟aprile fu tempo di muoversi.<br />
Primavera, bella giornata, finestrini abbassati e auto in direzione Milano per quello che<br />
stava per essere ufficialmente l‟evento storico per entrambe le diramazioni del mio albero<br />
genealogico: il primo laureato.<br />
<strong>On</strong>ore toccato nientemeno che a me, al pari del dovere di condurre a destinazione la minicarovana<br />
di famiglia, che si apriva con l‟ammiraglia di casa guidata dal sottoscritto e carica<br />
di due festanti cugini per poi chiudersi coi miei genitori e una delle mie zie nell‟auto dietro.<br />
Una cerimonia per pochi intimi, come da me desiderato.<br />
Arrivammo a destinazione, ci demmo un‟aggiustata e c‟incamminammo verso la sede, che<br />
per la prima volta dopo innumerevoli racconti la mia famiglia giungeva a vedere in tutta<br />
l‟imponenza e la modernità. All‟ingresso incontrai parecchi compagni d‟avventura,<br />
intrattenendomi tra i gesti di scaramanzia, i complimenti ricevuti per l‟eleganza e la bonaria<br />
invidia di chi incagliato su qualche esame ancora aveva delle prove da superare prima di<br />
trovarsi al mio posto, nel giorno dei giorni coi parenti emozionati al seguito e la tesi rilegata<br />
sottobraccio.<br />
Nell‟atrio l‟atmosfera era già un‟altra: dai sorrisi di fuori passai in una manciata di<br />
centimetri al misto di tensione ed eccitazione da condividere coi nomi sulla mia stessa<br />
lista. Vestiti da giorni importanti, rumore di tacchi, ancora sorrisi, saluti e buoni auspici da<br />
parte di chi nel giro di poco non sarebbe stato più il mio collega o il mio docente, bensì un<br />
ex-collega o un ex-docente nella mia nuova e tanto faticosamente conquistata vita da<br />
laureato.<br />
I giorni sui treni umidi, nel traffico, sui libri. I giorni d‟impegno per esami ardui da superare,<br />
i giorni di peripezie per far combaciare lo studio con qualche lavoro e ben più sogni. I<br />
giorni di tensione sin dal preambolo, quando dalla graduatoria basata sui voti dell‟esame di<br />
maturità ero risultato escluso, per poi essere ripescato dopo un‟estate col groppo in gola.<br />
Assieme ai giorni migliori erano tutti parte di un mosaico servito a portarmi a quel giorno, lì<br />
a pochi lunghi passi dall‟aula magna e da una commissione di personalità più e meno<br />
rassicuranti pronte ad accogliere, ascoltare, giudicare.<br />
L‟attesa, la convocazione per l‟ingresso, di nuovo un‟attesa e il momento. Il mio momento.<br />
Semestri di gestazione, l‟abbraccio finale col passato che scivolava via fino alle mie mani<br />
che si disgiungevano dalle sue; il futuro che si apriva e chiamava alla massima<br />
concentrazione, perché è il parto il momento in cui la vita è più a rischio.<br />
Infine il compimento dell‟atto, con applausi attorno, mani da stringere, foto da scattare,<br />
abbracci, congratulazioni, lacrime altrui da contenere e uno spumante a suggellare.<br />
Diciotto aprile, ore diciotto e quindici: nacque un dottore.<br />
5
2<br />
STRATEGIE<br />
Diciotto aprile, ore diciannove e quindici: è già ora di guardare avanti.<br />
Tornato a casa per riaccompagnare la famiglia e cambiarmi alla velocità della luce, in<br />
jeans e maglietta e con le ultime bollicine di spumante ancora in fondo al palato devo<br />
rifiondarmi a Milano. E alla sveltissima.<br />
No, non c‟è nessun aperitivo o nessuna cena con ex-colleghi, amici o cose simili. C‟è che<br />
si apre il primo capitolo dei piani post-laurea. A poter scegliere starei a casa coi miei e col<br />
telefono bollente, ma le tempistiche sono tempistiche e le scelte sono scelte: inizia il corso<br />
di barman.<br />
Il dottore al corso di barman, già. «Ma non potevi andarci finita la terza media?» è stata<br />
una domanda riecheggiata parecchio, da chi me l‟ha fatta per ridere a chi invece era<br />
assolutamente serio. Ma una logica dietro il mio progetto c‟è: sarà un periodo bastardo<br />
quello della ricerca di lavoro, quindi voglio una carta da giocare che mi consenta di<br />
mettere da parte qualcosa mentre spargerò CV a destra e a manca; secondo aspetto,<br />
avendo l‟idea di fare prima o poi un periodo all‟estero questa carta diventa un asso nella<br />
manica che mette sul piatto anche una facile introduzione alla vita sociale. Chiuso il<br />
cerchio.<br />
Arrivo, parcheggio, schizzo dentro, giù per le scale, mi giustifico col trainer che gira il<br />
messaggio dal privato al pubblico e chiama l‟applauso per il dottore. Negli occhi dei miei<br />
novelli compagni di corso sbarluccica però la classica domanda, ma dieci secondi e si<br />
esce dall‟empasse prima che io mi debba giustificare. Ci si concentra su ciò per cui di fatto<br />
si è giunti, in due ore che volano via rapide e ben promettenti.<br />
Quarta vasca della giornata e sono a casa. Stanco, sfinito, Milano è alle spalle e ho in<br />
corpo solo la voglia di dormire e di prendermi qualche giorno per stare senza pensieri.<br />
Impegni già fissati a parte, il guerriero chiede sette giorni di riposo.<br />
Quindi dormo senza sveglia il primo, mi riprendo il secondo, mi alleno in palestra il terzo, il<br />
quarto è domenica e perciò va da sé, ma all‟apice del relax decido di chiudere il break in<br />
anticipo e seguire il proposito che il mio vicino di casa da anni settimanalmente urla ai figli:<br />
«Da lunedì si cambia». Con la sola differenza che le mie non voglio siano parole al vento,<br />
quindi col sole dell‟inizio di nuova settimana so che è ora di alzarmi, fare colazione,<br />
riordinare le idee ed essere operativo al computer per le dieci e qualcosa. Obiettivi due:<br />
dare al curriculum un formato professionalmente accettabile e trovare i primi destinatari a<br />
cui inviarlo.<br />
Comodo alla scrivania parto con la noia mortale del riorganizzare decentemente il vecchio<br />
CV, che dall‟ultima stesura ha qualcosa da mantenere (poco più che i dati anagrafici),<br />
qualcosa da aggiornare (titolo di studio, finalmente, e collaborazione con un mensile in<br />
carta stampata) e qualcosa che regolarmente balza alla memoria ma è meglio insabbiare<br />
(il mio impiego estivo di sguattero in una bottega brianzola quando avevo sedici anni. Guai<br />
a chi dice che non ho fatto il militare). La procedura si presenta talmente macchinosa che<br />
di tanto in tanto intervallo per fare mente locale sulle aziende papabili nelle vicinanze e<br />
cercare assieme qualche realtà interessante più in là, su Milano, tramite Internet. La mia<br />
zona concede poco spazio all‟estro, quindi posso far valere il mio bel pezzo di carta -<br />
fisicamente in arrivo entro un anno, ma come logico nominalmente valido da subito- e la<br />
mia preparazione su ben quattro lingue straniere per un impiego inquadrato e serio,<br />
mentre con Milano ci si può permettere un po‟ più di originalità e perciò mi lancio verso<br />
imprese di vario stampo concernenti la comunicazione, sia essa “pura” o riguardi più<br />
semplicemente lo stare a contatto diretto con le persone. Mi sento portato per professioni<br />
6
del genere e credo inoltre non faticherei a relazionarmi col microcosmo di entità e<br />
dinamiche che fanno loro da contorno.<br />
Realtà già note come di fresca scoperta le vado a stanare tutte in Rete e le salvo tra i<br />
preferiti della mia nuova cartella, la cartella “Lavoro”, carica a curriculum riordinato già di<br />
una decina di nomi ma destinata ad ingrassare tra una mossa telematica e l‟altra. Infatti a<br />
mercoledì, mentre l‟Italia commemora la liberazione, siamo già a venticinque e con il<br />
venerdì della settimana seguente raggiungiamo quota quaranta. Da qui la necessità di<br />
fermarmi un attimo e completare l‟invio della sostanza ai selezionati, a chi secondo il più<br />
pratico metodo dell‟e-mail con presentazione generale e tandem CV/foto in allegato, a chi<br />
invece tramite gli infiniti, iperdettagliati e ancora infiniti formulari annessi ai siti. Ogni volta<br />
che mi addentro in una sezione “Opportunità”, “Lavora con noi” o “Jobs” c‟è sempre da<br />
tenere le dita incrociate, perché se s‟incappa in un formulario, cari signori, gettiamo<br />
l‟ancora e un giro di lancetta lunga qui ce lo facciamo tutto: non c‟è mai uno standard, si<br />
trova sommarietà laddove ci sarebbe esigenza di approfondimenti e si richiedono<br />
approfondimenti laddove basterebbe la sommarietà.<br />
Moduli da una pagina sono rarità. Mediamente ne hanno due o tre, con risposte a cui<br />
spuntare la casella o per cui addentrarsi in menù a tendina con opzioni predefinite, ad<br />
ognuna delle quali la parte razionale del cervello controbatte «Eh, ma…» e quella<br />
ragionevole replica «Che te frega, clicca». Gli spazi destinati alla libera digitazione sono<br />
contati e sono pure i peggiori, perché se da un lato è sacrosanto menzionare che titolo di<br />
studio si possiede e quando/come/dove lo si è conseguito, dall‟altra parte io non sono<br />
disposto a dover fare mente locale o a ribaltare vecchi scatoloni in cantina solo per<br />
scrivere il giorno in cui mi è stata conferita la licenza media. Conto l‟anno a ritroso con le<br />
dita, il mese lo scrivo a logica e il giorno lo butto lì del tutto, tanto voglio vedere chi mai<br />
verrà a contestare. Ridicolo nella sostanza anche se logico all‟apparenza è avere poi un<br />
riquadro per elencare le proprie qualità e i propri interessi: per le prime, sfido chiunque a<br />
scrivere qualcosa che si discosti dal mostrare buona volontà e capacità di adattamento,<br />
che mai nessuno oserebbe dichiararsi talmente dittatore da non sopportare il lavoro di<br />
squadra o talmente menomato da non avere la capacità di risolvere problemi in<br />
autonomia; per i secondi è invece tutto un gioco psicologico, perché qualsiasi sia la<br />
menzione è chiaro si verrà catalogati in base al relativo stereotipo, come anche si capisce<br />
che una lista lunga o corta più di un tot inviterà a farsi etichettare come una persona con<br />
troppi grilli per la testa oppure come una persona senza sufficienti stimoli. Da non citare<br />
poi, se non in casi specifici, l‟esperienza con sport da combattimento o una passione<br />
preponderante per un genere musicale che non sia il jazz: sono impressionanti detonatori<br />
di scetticismo.<br />
Digito, clicco, digito, clicco e passano mattinate e pomeriggi in serie, tutti o quasi su<br />
formulari e formulari, dove rendo nota la mia vita dalle scuole elementari alla data odierna<br />
e dal mio lifestyle ai miei brand preferiti. Poi, alla fine dell‟iter, la sola cosa comune a tutti è<br />
l‟ultima schermata: “Hai un curriculum? Caricalo qui”.<br />
E gira che ti rigira, si sono fatte già tre settimane abbondanti dalla mia laurea. Quasi un<br />
mese. Tra una cosa e l‟altra non ho avuto nemmeno tempo di ripensarci, ma la faccenda<br />
del festone apocalittico in onore del dottore l‟ho proprio lasciata perdere senza sentirne il<br />
peso. Nonostante quella minima di delusione, anche i miei amici sapevano che non l‟avrei<br />
messa in atto, non perché io sia un asociale ma per tutto un insieme di fattori di cui anche<br />
loro sono al corrente. Punto primo, il mix dei vari impegni che mi porto appresso non mi<br />
concede tempo per organizzare un evento mondano: tutti i giorni devo dedicare minimo un<br />
paio d‟ore alla gestione del retrobottega del mio programma radio -amatoriale solo per<br />
definizione burocratica SIAE- e a rimorchio arrivano anche gli articoli da confezionare per il<br />
magazine con cui collaboro, più il corso di barman. Le ventiquattro ore quindi mi si<br />
7
saturano in fretta. Punto secondo, da una parte sono il tipo di persona che vorrebbe offrire<br />
per intero in situazioni del genere, ma dall‟altra ho i soldi contati e quei quattrocinquecento<br />
Euro me li tengo volentieri da parte. Punto terzo, non vedo „sta gran necessità<br />
di festeggiare, ho solo fatto il mio dovere e questa era “solo” la triennale.<br />
Quest‟ultimo “solo” trasuda stizza, perché mi sto realmente accorgendo di quanto il<br />
capitolo laurea triennale sia frainteso e rigirato dalla gente con le mani dell‟ignoranza o<br />
con l‟astuzia degli squali. La storia è chiara e semplice ma qualcuno s‟è perso nel mezzo:<br />
l‟università italiana è stata riformata per seguire i canoni internazionali e se prima vigeva il<br />
monoblocco quadriennale, ora dopo la prima laurea si può decidere se proseguire con<br />
specialistiche, master eccetera, oppure fermarsi. Con una laurea già in mano però, non<br />
con un francobollo.<br />
Ma quando le mie vicine di casa ciaccolano a vanvera e quella col figlio pluribocciato dice<br />
all‟altra «Tanto poi ci sono le lauree brevi…», o quando ancora compilo un formulario che<br />
richiede indichi il mio titolo di studio scegliendo fra “Diploma di laurea” e “Laurea”<br />
ignorando che ogni laurea è un diploma in quanto con diploma s‟intende un certificato<br />
accademico, il nervoso ci mette un secondo a montare. Vista tanto la fatica fatta quanto le<br />
competenze maturate mi dà tremendamente fastidio che qualcuno possa borbottare alle<br />
mie spalle «Sì, ma laurea breve» o che in ambito di colloqui l‟erroneità dei formulari<br />
compilati in questi giorni vada a prolungarsi in un «Quindi Lei ha un diploma di laurea»,<br />
come se del titolo di studio ne possedessi solo un angolino.<br />
Facciamo sempre gli esterofili e ora che abbiamo lo stesso modello di tutti lo sminuiamo?<br />
Non tollero l‟ignoranza da un lato e non sarò mai disposto dall‟altro a prestarmi al gioco di<br />
chi, rimpastando il vecchio detto, vorrà “prendere focaccia per pane”. Che già la mia vita è<br />
una storia in cui molti chiedono pane e io do loro brioche.<br />
Una boccata d‟aria ci vuole, anzi, meglio staccare del tutto la spina andando in palestra,<br />
che se ci metto anche un bel quaranta minuti di tappeto torno mentalmente nuovo. Quattro<br />
giorni e sarà un mese preciso che mi sono laureato, ma soprattutto quattro giorni e il corso<br />
di barman sarà concluso. Speriamo di imparare pure qualche numero ad effetto, che il<br />
tocco di stile nel servizio dà sempre i suoi frutti.<br />
8
3<br />
LOADING…<br />
Ribilanciato. E finalmente.<br />
E‟ stato un weekend di riorganizzazione mentale, dopo che la conclusione del corso di<br />
barman mi permette e mi richiede un nuovo assetto dei ritmi giornalieri. La sera finale del<br />
corso, o meglio il relativo festino a suon di cocktail, ha fatto sì che anche il sabato lo abbia<br />
passato a letto per metà, per poi affacciarmi ad una domenica più morigerata con ancora<br />
una volta in testa il motto del mio vicino: da lunedì si cambia.<br />
E si cambia sì. Volere e dovere alla pari, perché se da una parte in questo momento non<br />
ho obblighi di nessun tipo, dall‟altra tocca sempre stare di vedetta in settimana. Di mattina<br />
il cellulare spento o una risposta a bocca impastata potrebbero pregiudicare un‟occasione<br />
di colloquio, dato che ogni secondo che passa avvicina matematicamente il momento delle<br />
prime chiamate. Mi viene anche da pensare che sia proprio questo un momento chiave: le<br />
aziende effettuano assunzioni per lo più dopo le vacanze e col nuovo anno, ma la fase di<br />
selezione naturalmente parte per tempo. Quindi ora che siamo nell‟ultima decade di<br />
maggio i tempi sono maturi.<br />
Fattore che invece mi domando per quanto mi terrà sul filo è la ricerca di un locale in cui<br />
mettere a frutto quanto imparato al corso di barman, numeri ad effetto inclusi. Una parte<br />
degli appuntamenti è meglio fissarli aprendosi un varco via e-mail, mentre so già che un<br />
semplice sopralluogo è più che abbastanza per bar, pub e affini vicini a casa. Ancora una<br />
volta torna in ballo la differenza tra Milano e la mia zona: nel raggio di dieci chilometri<br />
conosco già tutto o quasi, perciò la fase iniziale è semplificata, mentre la città va<br />
approcciata diversamente, con una scrematura fortissima su quanto per forma, contenuto<br />
e logistica è fuori obiettivo a priori. Croce e delizia, immerso in un sito Internet sulla<br />
nightlife milanese consumo l‟intero pomeriggio e, sentendomi energico, nel dopocena<br />
stendo un‟e-mail generica che spedisco ad una parte dei locali selezionati. Una piccola<br />
esca che faccia da termometro sui tempi di risposta e la richiesta di manodopera.<br />
Se lunedì lo impegno così, martedì parto trasversale e all‟occhio sulla Rete affianco una<br />
serie di visite che in sette sere più intense e frustranti del previsto mi porta ad inanellare<br />
una parte di «Non abbiamo bisogno», una vasta gamma di «Forse avremo bisogno» e un<br />
solo ma fortunato «Sì, abbiamo bisogno. Vieni sabato». Ulteriori ricerche quindi congelate,<br />
esordio fissato e frustrazione che se ne va in virtù dell‟opportunità guadagnata. Non so<br />
come gli amanti delle statistiche interpreterebbero il dato, davvero dalle due facce: su una<br />
dozzina di locali visitati è arrivato uno e un solo sì, perciò percentuale minima, ma in<br />
termini di tempo ho trovato lavoro in sette-sere-sette. Su Internet invece tutto tace, ma<br />
siamo ancora nella fascia dei tempi tecnici di reazione.<br />
Torno a casa soddisfatto per la conquista e vivo l‟attesa con la sola preoccupazione di<br />
imparare a memoria quei quattro cocktail basilari e ripassarmi le tecniche di versaggio, sia<br />
rileggendole dal quaderno del corso che provandole in cantina sul vecchio banco di lavoro<br />
di mio padre. <strong>On</strong>ce e un quarto precise o in tolleranza nel peggiore dei casi, e pure un<br />
paio di mosse di flair a suggellare il tutto. Spettacolo.<br />
Sabato arriva in fretta e la serata di questo due giugno ha tutte le premesse per essere il<br />
classico battesimo del fuoco: tre feste di laurea e un compleanno, più o meno<br />
duecentocinquanta persone preventivate e solo tre barman, me incluso, dietro il bancone.<br />
Ne esco stremato ma soddisfatto dopo quasi sei ore al ritmo di un cocktail via l‟altro,<br />
principalmente mojito, Cuba libre e gin lemon, ma anche qualche caipiroska alla fragola<br />
che mi toglie la soddisfazione di preparare qualcosa di più elaborato. Intasco i miei<br />
9
cinquanta Euro e vado a dormire contento di aver superato la prova, già mentalmente<br />
proiettato sull‟aperitivo della domenica.<br />
Fila tutto sommato liscio anche questo. Scanso la mossa da furbetto di uno dei gestori che<br />
tenta di pagarmi dieci Euro in meno del previsto, infilo nel portafoglio il mio secondo<br />
cinquanta pulito pulito in due giorni e torno a casa a gustarmi la margherita fredda che<br />
come promesso i miei mi hanno tenuto da parte.<br />
Caro bancone, arrivederci al prossimo weekend.<br />
10
4<br />
SALIRE DI LIVELLO<br />
Questo bar non è che mi sia mai quadrato totalmente, dal vederlo al lavorarci. Ecco<br />
perché non mi dispiace più di tanto che nel fine settimana la cosa sia improvvisamente<br />
saltata e ora che siamo a mercoledì sera nessuno si sia ancora fatto vivo per chiedermi di<br />
lavorare. Per carità, i soldi in tasca non mi fanno certo schifo. Avere però su svariate<br />
faccende più cura di chi il bar lo manda avanti non è la migliore delle situazioni per<br />
progredire.<br />
«Salire di livello», me lo sono sempre detto. Ecco perché nonostante loro che mi hanno<br />
accolto e quel senso di gratitudine che in fondo in fondo provo, ho continuato a spargere<br />
voce per veder di tirare fuori altri contatti. Anche perché, parliamoci chiaro, sempre di roba<br />
in nero si tratta e quindi nessuno ha doveri verso nessuno.<br />
Mi addormento con l‟idea di farlo e alle undici e mezza della nuova mattina lo faccio:<br />
chiamo il numero che un amico della palestra mi ha girato e parlo col gestore di un loungebar<br />
a dieci minuti da casa. Il target del posto lo conosco ed è nettamente superiore, la<br />
persona con cui parlo è disponibile e quindi accetto di andare a proseguire il discorso<br />
dopo pranzo. Come di consueto non prendo il caffè ma guardo i miei che lo prendono,<br />
dopodiché esco di casa tranquillo, guido, parcheggio e arrivo di fronte alla serranda nei<br />
tempi previsti. Essendo socchiusa non mi rimane che chinare la testa e introdurmi come<br />
farebbe uno che ci lavora e sa che può, mossa che mi dà un non so che di orgoglio. Mi<br />
guardo attorno mentre cerco di scorgere qualche faccia e vedo com‟è stato rinnovato dopo<br />
il cambio di gestione lo stesso posto dove ai tempi del liceo organizzavamo le pizzate. Si<br />
stava bene a far baccano, luci bianche e blu, design moderno, star del cinema alle pareti e<br />
un solo difetto: finito di mangiare capivi d‟essere caldamente invitato ad evaporare, un po‟<br />
come quando nei fast-food cominciano a pulirti il tavolo facendoti il perimetro del vassoio<br />
col panno carta. Ora, evolutosi in lounge-bar combinato a ristorante, questo luogo di<br />
memorie fa ancora più un bell‟effetto.<br />
Finalmente un paio di facce e in meno di due domande arrivo al mio uomo. Si parla<br />
cordialmente e io vado onesto, metto bene in chiaro che pur non essendo di primissimo<br />
pelo l‟esperienza che ho è limitata, ho bisogno di essere seguito, e lui contraccambia<br />
rassicurandomi. Forse è un po‟ troppo melenso quando parla, ma tant‟è. Se c‟erano delle<br />
cose da dire sono state dette e da qui in poi si può procedere. I patti sono chiari, l‟amicizia<br />
può esser lunga. Ora ho una serata di prova –retribuita cinquanta, benissimo- fissata per il<br />
prossimo giovedì.<br />
Nel mentre, non al corrente dello stato dei fatti ma con l‟esigenza di capire se ci sia altrove<br />
qualche soldo da raggranellare, rispolvero dalla rubrica un numero di telefono inutilizzato<br />
per mesi e mesi. Trattasi di uno dei capi di un‟agenzia per la quale lavorai in fiera a Milano<br />
durante il secondo anno di università. Lavoro stimolante, ambiente attivo, chi parla le<br />
lingue straniere è prezioso come l‟oro e la paga è valida. Alla medesima persona ho<br />
inviato giusto pochi giorni fa un caro amico che ha subito trovato da fare, quindi il tasto<br />
cornetta verde del telefono lo premo consapevole che il capo ha sempre presente chi sono<br />
e ora più che mai il mio nome gli è stato rinfrescato. Risponde, ci salutiamo col buonumore<br />
del reciproco piacere di quella vecchia collaborazione, parliamo qualche minuto e<br />
nonostante causa la stagione estiva il calendario di fieristico sia vuoto, mi dice che per<br />
un‟altra sezione dell‟agenzia ci sono posizioni scoperte in vista. Trattasi d‟incarichi<br />
temporanei principalmente in ambito reception. Io, consapevole di cosa si stia parlando<br />
avendo avuto dal mio amico Alessandro un resoconto delle prime giornate di lavoro,<br />
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mostro interesse e chiedo di darmi aggiornamento non appena ci sarà qualcosa di<br />
concreto. Non che la cosa mi esalti con una laurea in tasca, ma voglio comunque tenermi<br />
aperta la porta per quanto di buono ci sarà da scrollare dalla pianta una volta che le fiere<br />
ripartiranno. Che poi magari con tutti i CV che ho mandato in giro mi troverò in mano<br />
chissà cosa ora di settembre, però al momento avere un ulteriore paracadute male non fa.<br />
Anzi, fa molto bene, che con un altro modo per guadagnare il necessario non c‟è esigenza<br />
che mi pieghi a offerte di lavoro che non mi quadrano.<br />
La piacevole sensazione di questo contatto riattivato mi fa proseguire tranquillo fino alla<br />
fatidica serata di prova al lounge-bar. Ventuno di giugno sul calendario.<br />
Arrivo come richiesto con camicia e pantaloni scuri, con anche il tocco della scarpa<br />
elegante. Sul Garzanti la troverei facilmente come contrario della voce “comodità”, ma era<br />
l‟unica opzione in nero in mio possesso per i piedi, a parte i sacchetti dell‟immondizia.<br />
Ticchetto come un demente quando cammino sul loro parquet, sembra arrivino i<br />
carabinieri a cavallo.<br />
Introdotto nel posto dal cuoco, mi siedo al tavolo e mangio con la ciurma fino a quando<br />
entra il gestore, che teso mi sembra e teso si conferma essere, visto che saluta con un<br />
minimo cenno e se ne va da un‟altra parte. Io aspetto cinque minuti, mando giù un altro<br />
bicchiere d‟acqua, quindi mi alzo e vado a cercarlo. Lo trovo che inveisce al telefono con<br />
quella che capisco essere la sua donna, presumibilmente preda di un raptus di gelosia<br />
viste le risposte che capto dall‟infuocato digrignare del boss. Lampante che non sia un<br />
buon momento per iniziare a conversare, dunque allungo il passo verso il bancone e<br />
comincio a ragionare sul da farsi. Lo vedo chiudere la telefonata con lo sguardo truce al<br />
pavimento e una sbuffata iraconda, dopodiché passano cinque secondi, ci scambiamo un<br />
cenno ed eccolo che muove il primo dei suoi sette passi verso di me. Total look nero,<br />
tiratissimo a livello d‟immagine, trentacinque anni circa, lampadato, capello lungo,<br />
piastrato e probabilmente tinto. Perché se è un nero naturale quello, c‟è da sorprendersi di<br />
Madre Natura. Mi aspetto due convenevoli ma data la tensione della telefonata appena<br />
conclusa ne pronostico solo uno. Mi sbaglio di grosso perché me ne arriva meno che<br />
mezzo, mentre fa l‟ottavo passo e mi oltrepassa incedendo a fondo bancone, agitando le<br />
mani da ambo i lati.<br />
«Lebottigliesonoquiibiccherisonolìipremixsonodilàlalavastovigliesifàcosì…». Io già sto<br />
svalvolando di fronte a dieci metri di bancone e dispensa con ante a scomparsa, e lui con<br />
un «E‟ tutto chiaro» senza punto interrogativo chiude la conversazione e se ne va a<br />
smaneggiare a centro sala. Tra me e me faccio mente locale su quanto ci eravamo detti,<br />
incerto se dovergli rinfrescare la memoria o concedere fiducia. E‟ solo questione di minuti<br />
prima che arrivino clienti.<br />
Diciannove e tredici sull‟orologio, eccolo che torna. Spiegazioni, penso. Tutt‟altro: «Ma<br />
quella barba?».<br />
Ma barba cosa? Saran due millimetri, penso tra me e me. Quello che invece espongo è:<br />
«Sai, se me la facevo venivo qua pieno di tagli visto che è così corta. Ho la pelle sensibile,<br />
ho dedotto fosse meglio lasciar perdere».<br />
Lui: «Meglio i tagli».<br />
Va bene la telefonata, ti concedo le palle girate, ma se la piega è questa mi sa che non<br />
passeremo una bella serata…<br />
Diciannove e quindici, si aprono le danze. In un quarto d‟ora tutto lo staff è in pieno<br />
movimento. Danza classica per le cameriere coi vassoi fra i tavoli, heavy metal per i<br />
cuochi fra le padelle, io che al bancone tento la breakdance con la scioltezza di chi viene<br />
dal casatchok e al centro della pista uno e un solo uomo: lui, in un tango argentino “muy<br />
caliente y pasionario” con la clientela, in ogni angolo della sala dal corridoio all‟uscita di<br />
12
sicurezza. Una snaccherata di buone maniere accattivante e seducente, servizievole,<br />
tratatàc tutto pronto, sguardo languido per lei, cortesia per lui e poi pum: colpo i tacco che<br />
fulmina i dipendenti, invitati a stare accorti. E via per un nuovo giro.<br />
Si fan le nove che più che birre e coche non ho spillato. Una montagna, e una montagna e<br />
mezzo di bicchieri da tirar dentro e fuori dalla lavastoviglie. Per ora si viaggia, poco estro,<br />
tanta sostanza ma fino a qui tutto bene. Allorché un profumo da matrona,<br />
pronunciatissimo, mi fa alzare lo sguardo e mi trovo davanti a due labbra raggrinzite con<br />
una domanda senza il punto interrogativo. Si vede che essendo preso per la laurea mi<br />
sono perso il lancio della nuova tendenza, dato che è già la seconda volta in una sera.<br />
«Come si chiama il direttore». Rispondo mentre fisso la creatura che ho di fronte, la quale<br />
prontamente rincalza: «Perché adesso mi sente».<br />
Scintille in vista. La madame sembra uscita dalla Reggia di Versailles, coperta di pepli,<br />
panneggi e medaglioni, aristobarocca, mondano-provinciale, un gufo impagliato oversessanta<br />
che porta a spasso il duecentesimo paio di tacchi per il centro affollato del<br />
giovedì sera. Ed ha una questione da risolvere che le sta in gola più del pendente d‟ambra<br />
che indossa. Io mi sciacquo le mani, le asciugo e vado a chiamare il desiderato, che mi<br />
segue di malavoglia ma cambia subito faccia una volta giunto al cospetto della profumosa<br />
popolarnobildonna. Naso all‟insù e dito indice che sbacchetta col polso a quarantacinque<br />
gradi, «Lei non ha capito niente!» e la Marchesa Delle Rughe dirige il gran ballo delle<br />
lavate di capo, marciando con tutta l‟orchestra sull‟autostima del tanguero, moralmente<br />
liscio al pavimento al pari della sua chioma piastrata, con la mascolinità ridotta ai minimi<br />
termini, i coglioni maciullati da un attempato piede misura trentasette, passando da drago<br />
della sala a lombrico in un battito di foulard. L‟atto finale è un capolavoro e me lo godo<br />
distaccato, da vero spettatore, immaginandomelo come una di quelle vecchie commedie in<br />
bianco e nero dove al moto accelerato e ai gesti iperpronunciati dei personaggi si<br />
alternavano le schermate coi dialoghi. “La mattanza del tanguero” sta giungendo al<br />
culmine dello strazio, con lui che come ferito a morte striscia al suolo con una mano al<br />
cielo tentando di ricongiungersi con la sua stessa carnefice, anelando di riaverla in<br />
armonia per un secondo prima di trapassare, per ritrovar l‟amor perduto nell‟ultimo battito<br />
di ciglio. Ma lei invece è dama e matador, e lo infilza al suolo con una spada di nome<br />
inclemenza, uscendo di scena ancora iraconda, insaziata, con nelle mani il suo cuore<br />
ancora palpitante, ancora vivo, ancora da smembrare.<br />
«Signora, la prego, non se ne vada così!», languidezza a fiumi, «Mi fa rimanere maleee-ee…».<br />
Finto singhiozzo incluso. La Signora del Collagene scompare dalla visuale e il<br />
tanguero, anche se non Orlando di nome furioso di fatto, leva la maschera e tanto per non<br />
perdere le buone abitudini mi lancia un‟occhiata inceneritoria, per poi tornarsene a centro<br />
sala.<br />
A suon di birre, coche e bicchieri da lavare arrivo alle dieci passate, con ormai lo staff della<br />
cucina che finito il grosso del da farsi mi tiene d‟occhio così per sport, tra un consiglio e<br />
l‟altro, una domanda e l‟altra e qualche spruzzo di umorismo qua e là. No, non ho fatto<br />
l‟alberghiero, ho fatto un corso di barman e ho bisogno di essere seguito. La scienza<br />
infusa non ce l‟ho e nemmeno pretendo di averla, ragazzi. In più sono in serata di prova e<br />
col capo mi pareva che le cose fossero chiare, invece mi ritrovo qui da solo e se nessuno<br />
può consigliarmi è difficile procedere in scioltezza. Claro?<br />
A due a due, tutti quelli della cucina si beccano una risposta simile prima di andarsi a<br />
fumare una sigaretta belli beati. Le uniche con cui faccio davvero squadra sono le<br />
cameriere, che per lo meno se mi vedono impegnato hanno l‟intelligenza di tirarsi su da<br />
sole la bottiglia di minerale che han bisogno, oppure di fare un carico di lavastoviglie se<br />
siamo a corto di bicchieri. Quando ti senti perso, certi gesti li apprezzi.<br />
13
Una voce vaga, che presumo sia nella mia testa lievemente ossessionata dall‟andazzo, mi<br />
spiattella un confuso messaggio che decripto in un questionabile «Fammi questo, questo e<br />
quello». Se non fosse che alzo gli occhi e, vedendo anche il labiale di un magnanimo «Ce<br />
la fai a capire tutto?», comprendo per lo meno che Giovanna D‟Arco non sto diventando.<br />
Siamo alla consueta cortesia, il lombrico si è ripreso dopo il K.O. infertogli dalla mummia.<br />
In due parole e una faccia di quelle giuste gli faccio capire lo stato dei fatti e gli ribadisco la<br />
famosa conversazione, come a lasciar intendere che la situazione è ben diversa da<br />
quanto mi aspettavo. Nulla, se ne va. Tempo dieci minuti e rieccolo, adesso vuol capire<br />
perché sono sommerso di bicchieri da lavare. Mi osserva mentre carico la lavastoviglie e<br />
sbotta: «Ma devi riempirla più ordinata! Tu la doccia la fai con le galze?». Un attimo per<br />
intendere cosa siano queste galze e gli smollo uno sguardo di sufficienza, perché<br />
inesperto va bene, ma l‟educazione prima di tutto. Nulla, se ne va ancora. Torna dopo<br />
un‟altra decina di minuti col ristorante ormai vuoto ma la zona bar sempre più nel traffico e<br />
stavolta lo invito io a prendere le redini della situazione. O per lo meno a tenerle con me.<br />
Miracolo: accetta. Probabilmente per non mandare il bar in deficit, devo ammetterlo. Il<br />
problema, porca miseria ancora una volta, è che o fa lui, o cade in fissa a braccia conserte<br />
a guardare me. Benissimo, ma quando i tuoi clienti di fiducia chiedono cose tipo la<br />
celeberrima specialità della casa o peggio «Quello che avevo bevuto l‟altra volta», ti-vuoidare-una-scrollata-e-dirmi-cosa-devo-fare?<br />
A questo punto vengo declassato a cameriere<br />
e con amarezza mi tocca esiliarmi da dove in realtà volevo imparare a stare. Con<br />
vergogna devo confessare di aver vergogna: non che fare il cameriere sia un compito<br />
indegno, ma qualsiasi apprendista geometra avrebbe quello scatto d‟orgoglio se a metà<br />
giornata di prova in cantiere gli venissero infilati in mano secchio e cazzuola. Siamo tutti<br />
utili, ma io sono qui per altro. Dopo una manciata di minuti di purgatorio ritorno al bancone<br />
e mi tocca pure vedere a due metri di distanza la nuova frontiera dello spettacolo del Gran<br />
Gestore, che cerca di traviare un quartetto di sbarbatelli a suon di alcol: «Ragazzi eh, cosa<br />
bevete, cos‟è che vi piace? Adesso ve lo faccio io un cocktail che spacca!». Il problema è<br />
che glielo fa davvero a questi quattro puffi col gel e il lucchetto della bici in tasca: giù una<br />
legnata di angelo azzurro a testa e via. Gin, più Cointreau, più Blue Curaçao. Io questi me<br />
li guardo per un po‟ che son lì a far fatica perché è troppo forte, che deglutiscono con la<br />
lacrimuccia al bordo e la faccetta schifata di chi con certe cose è all‟esordio. Ma al<br />
tanguero gliene sbatte. Lui accontenta, incassa, lecca il culo ed è a posto. Chissenefrega.<br />
Poi, chiaramente, sguardo inceneritorio di rito e via che parte verso nuove frontiere.<br />
Si tira in là con l‟orario e il da fare cala. Meno di una dozzina di clienti nei paraggi. Il<br />
piastrato si ripalesa ma in contemporanea sopraggiunge un suo compare, allorché i due si<br />
isolano ad una manciata di spanne dal mio portaghiaccio perdendosi in chiacchiere,<br />
sempre per la serie «Non ti preoccupare, garo, ti seguirò». A un certo punto doppio<br />
sguardo su di me, cambio di registro verso il dialetto calabrese (che probabilmente<br />
credono sia un indecifrabile idioma) ed ecco che partono risatine, commenti e prese per il<br />
culo. Io mi sento prossimo all‟ebollizione e se già in un paio di punti della serata avevo<br />
pensato di uscire di filata dalla porta senza salutare, rimasto per i cinquanta Euro mi trovo<br />
ora con la gran voglia di testare la resistenza dei bicchieri sul cranio umano. Mando giù<br />
anche questa ma rimango caldo e nel giro di quaranta minuti si abbassa la serranda, si<br />
pulisce, vengo sfottuto perché per errore chiamo la lavastoviglie «lavatrice», si porta fuori il<br />
pattume ed eccoci alla resa dei conti. Prendo parola io e dichiaro di essere consapevole<br />
che non sia stata una gran prova, amareggiato con me stesso prima di tutto. Vengo però<br />
interrotto prima del fatidico «ma» che intendevo far scampanellare, appunto da lui che mi<br />
passa in mano una ricevuta e quaranta Euro anziché cinquanta. Io, demoralizzato,<br />
soprassiedo e penso tra me e me che forse me lo merito. Lui prosegue da uomo<br />
d‟esperienza, mi dice che nel suo locale ha avuto gente coi controcazzi a fargli da barman,<br />
14
che mi devo svegliare, che mi ha visto più volte con le mani in mano e, soprattutto, che<br />
quando uno dice che sa fare le cose ma poi non è così, alla fin fine salta fuori. Plim,<br />
rumore di goccia. Nessun rubinetto che perde, è tutto nella mia testa: è traboccato un<br />
vaso.<br />
A questo punto svesto moralmente i panni del sottoposto e si fa ora di parlare alla pari.<br />
«Ascolta, ti ricordi cosa ci eravamo detti? T‟avevo spiegato che la mia esperienza era<br />
limitata, non mi ero presentato col fare da superman»<br />
«…»<br />
«Quindi io te lo dico sinceramente: sono molto dispiaciuto per come è andata la serata,<br />
perché le aspettative che avevi tu sono sicuramente state deluse, ma prima di tutto sono<br />
io ad essere deluso con me stesso”.<br />
«…». Pare sorpreso, spiazzato dal fatto che ci sia un cambio di prospettiva nel<br />
relazionarsi.<br />
«Ma» eccoci al punto, e lo guardo fisso negli occhi, «quando mi accusi di aver millantato di<br />
saper fare questo e quello senza averne capacità, mi spiace ma non accetto quello che<br />
dici. Ne avevamo parlato e tu eri stato molto gentile, mi avevi rincuorato subito sul fatto<br />
che mi avresti seguito, eccetera eccetera».<br />
Attimo di silenzio. Fisicamente lui mi da almeno dieci centimetri ma ora lo vedo che si<br />
ridimensiona.<br />
«Beh», finalmente parla, «in effetti tu al golloguio sei stato molto onesto». E qui si ferma,<br />
ma far dire ad un arrogante di tale caratura una frase del genere è un gol da top ten. A<br />
questo punto vira inaspettatamente e m‟illustra i piani per il futuro. «Io nelle prossime<br />
settimane proverò altri ragazzi, dopodiché a fine estate farò un golloguio con tutti quanti<br />
assieme dove dirò che è preso e chi no».<br />
«Va bene», rispondo. Ma va bene niente, perché i termini della questione sono chiari e<br />
limpidi senza bisogno d‟aggiungere nulla. Cosa mai dovrei andare ad una serata col<br />
sapore da casting per farmi dire quello che già si capisce adesso? Inoltre, da una parte di<br />
tirar settembre non ho tempo perché mi serve qualcosa al volo, dall‟altra che vantaggio<br />
potrei trarre da una situazione del genere? Non che io nei prossimi mesi non possa anche<br />
acquisire più esperienza e ritornare qui ferrato su tutto, ma se l‟atteggiamento è questo in<br />
partenza, con quelli che pensavo fossero patti chiari, che sorta di amicizia lunga potrei mai<br />
avere?<br />
Sono stanco, ho le mani che odorano dell‟immondizia che ho portato fuori, vestito di tutto<br />
punto per venir qui a farmi prendere per il culo in dialetto. Un altro giorno se n‟è andato,<br />
sono due mesi abbondanti che mi sono laureato e va bene un po‟ di riposo, va bene il<br />
mettersi a cercare e i tempi d‟attesa, la pazienza non è il fattore problematico: il fattore<br />
problematico è quello a cui si è disposti a passare attraverso nel mentre. Abbassare la<br />
schiena, metterci sudore, olio di gomito e quant‟altro mi sta bene; mi sta invece molto<br />
meno bene venir sbeffeggiato o trattato come un demente da personaggi di dubbio gusto,<br />
gente che fuori dal guscio in cui si rintana non saprebbe muovere mezzo passo. Ma<br />
incolpo anche me stesso in fondo, ho scelto io di mettere in atto questo piano B, ho pure<br />
speso una bella cifra per il corso di barman e mi piacerebbe almeno recuperarla nello<br />
stesso ambito, giusto per darmi la prova che non ho sprecato soldi o che comunque posso<br />
chiudere il cerchio senza smenarci.<br />
Nel tragitto verso casa slaccio il primo bottone della camicia e respiro meglio, qualche<br />
goccia di sudore cade di tanto in tanto, mi passo le mani nei capelli per darmi una<br />
sistemata. Prendo una strada un po‟ più lunga per smaltire il malumore accumulato, ma<br />
invece questo cambia man mano che macino metri fino a farsi rabbia. Con tutti e nessuno<br />
in particolare, con me, col tanguero, col suo posto e con me ancora. Finalmente arrivo a<br />
casa, apro il garage, mi ci infilo e spengo l‟auto. Prima di aprire la portiera aspetto un<br />
15
secondo, mi vedo nello specchietto e distolgo subito lo sguardo. «Ma ti sei laureato per<br />
andare a farti dare calci in culo da gente del genere?», chiedo a me stesso.<br />
Domanda retorica. Tempo di una doccia.<br />
16
5<br />
LETTERE DA UN ALTRO UNIVERSO<br />
Il primo pensiero della mattina è lampante: le devo scrivere. Le devo scrivere perché a<br />
riesaminare a mente semi-fredda quello che è successo ieri siamo davvero ai confini della<br />
realtà.<br />
Il mio papiro parte via e-mail, passano poche ore e arriva la risposta. Lei è Lara, la mia<br />
amica più stretta. Stesso paese da quando siamo nati, scuole medie assieme, poi persi di<br />
vista per qualche anno e infine medesimo corso di laurea a Milano. Non è che siamo<br />
sempre andati d‟accordo, anche perché quando da ragazzini eravamo compagni di classe<br />
io ne facevo di tutti i colori. Nel suo caso ci ricordiamo ancora di una perla in particolare:<br />
un messaggio sulla segreteria telefonica di un nostro precedente professore –un creativo<br />
con la fissa per i solventi chimici e gli autoritratti da nudo- dove mi spacciavo per lei in una<br />
sviolinata di nostalgia ed affetto, prontamente seguita da una telefonata di languidi<br />
ringraziamenti da parte di lui. Finì fra lo sconcerto e l‟imbarazzo di ambo le parti una volta<br />
capito l‟inghippo.<br />
Sono stati però poi gli anni di università a cementare il nostro rapporto. Abbiamo fatto<br />
squadra tra una fatica e l‟altra nella spola giornaliera col capoluogo meneghino, fra i treni<br />
in ritardo, gli spintoni in metropolitana, gli scleri generali e le lezioni sovraffollate in centro.<br />
Poi un anno lei lo ha praticamente fatto a casa e aveva pensato anche di mollare, se non<br />
che tra l‟umorismo e il fare brusco l‟ho convinta a rimettersi in carreggiata, tanto con gli<br />
studi quanto sulla superstrada visto che ci avevano spostato di sede, in periferia, e per noi<br />
questo significava poter dire addio al formicaio dei mezzi pubblici. Peccato solo per me,<br />
tramortito dal suo odioso tabagismo, che combinato a una totale incapacità di gestire il<br />
riscaldamento rendeva ogni viaggio sulla sua auto il preludio all‟emicrania. Ma in fondo si<br />
rideva, andavamo e tornavamo col buonumore.<br />
Ora lei è da un‟altra parte, tutt‟altra parte. Oltralpe, Svizzera francese. Ci è arrivata circa<br />
un anno fa per un lavoro estivo, dopodiché è rientrata a casa per la sessione di esami di<br />
settembre ed è ripartita in meno di un mese, per scrivere la tesi stando nel mentre come<br />
au-pair presso una famiglia sul lago di Ginevra. Mossa azzeccata cambiare aria.<br />
A parte riportarle tutto nei dettagli, ovviamente le ho chiesto che novità ci sono lassù.<br />
Hey, ciao!<br />
Che serata maledetta! Dai, ti andrà meglio altrove…ma sei ancora<br />
convinto al 100% di tentare la strada da barman? Non salta fuori<br />
nulla da altre parti coi CV che hai spedito ecc.?<br />
Comunque la prossima volta che torno a casa se passo davanti a<br />
quel posto gli lancio un uovo sulla vetrina…<br />
Io invece tutto bene, questa è l‟ultima settimana che passo come<br />
au-pair, dalla prossima si ritorna su per i monti, stesso lavoro<br />
dell‟anno scorso, speriamo che il gruppo sia buono.<br />
Tra una cosa e l‟altra non avrò nemmeno tempo di fare un po‟ di<br />
vacanza perché poi a inizio settembre ho l‟esame di francese per<br />
entrare al master e praticamente una volta che avrò finito di<br />
lavorare avrò solo un paio di giorni che userò per sistemarmi nel<br />
nuovo posto. L‟esame non dovrebbe essere un problema, anche perché<br />
tutto il tempo passato qui (con pure il corso, tra l‟altro) mi ha<br />
portato ad un livello più che buono…quindi mi deve proprio andare<br />
di sfiga per non farcela.<br />
17
In Italia comunque meno ci torno, meglio è. Qui te l‟ho già detto,<br />
è un altro universo. Pensa te che l‟altra sera avevo bisogno che<br />
mi prestassero la macchina e la signora me l‟ha lasciata<br />
parcheggiata in stazione con le chiavi dentro…t‟immagini da noi<br />
una cosa del genere? Se eri rimasto impressionato dal fatto che<br />
non chiudessero la porta a chiave, vorrei vedere la tua faccia<br />
mentre leggi questo :-D<br />
L‟unico momento in cui mi rompo un po‟ le scatole è come sempre il<br />
fine settimana, perché non c‟è granché da fare, ma ora che fa bel<br />
tempo il weekend lo passo per intero giù in riva al lago.<br />
Mi spiacerà lasciare la famiglia, i bambini mi mancheranno…poi<br />
comunque li verrò a trovare spesso una volta che mi sistemo,<br />
quindi non sarà un addio.<br />
Sono convinta che dovresti mollare tutto e venire in Svizzera pure<br />
tu. Pensaci!<br />
Se ho un attimo ti chiamo su Skype nei prossimi giorni, ma la<br />
linea è quello che è in casa, il wi-fi nella mia stanza prende<br />
quasi zero…<br />
Un bacione, mitico barman!<br />
Lary<br />
Mi fa piacere sentirla così, impegnata ma con l‟animo rilassato. A volte sente un po‟ la<br />
nostalgia di casa ma male che vada son quattro ore di macchina o tre di treno per farci un<br />
salto. E in quelle tre-quattro ore fra qui e là però si cambia completamente. Questa cosa<br />
della macchina in stazione con le chiavi dentro mi viene proprio difficile concepirla, io che<br />
da quando mia mamma è stata scippata mentre parcheggiava davanti a casa metto la<br />
sicura ogni volta, preoccupato che qualcuno possa balzarmi dentro all‟improvviso.<br />
Meno male che c‟è chi se la passa meglio. La cosa che mi dice, quella di mollare tutto qui<br />
e andare anch‟io lassù, in fondo in fondo m‟intriga ma la mia situazione non è la sua e per<br />
stare in Svizzera bisogna smuovere un po‟ di burocrazia visto che non è nella UE. Lei ha<br />
avuto fortuna con la famiglia a farle da garante, poi ora se comincia il master a Ginevra si<br />
prenderà senza problemi un permesso di soggiorno per studenti e quindi è sistemata. Io<br />
non sono più del parere di buttarmi in università. A Milano men che meno, visto che ciò<br />
che faranno da settembre i miei colleghi che han deciso di proseguire con la specialistica<br />
è praticamente un rimpasto di ciò che abbiamo fatto nel triennio. Quindi per quello parte<br />
un no grazie, per l‟università all‟estero invece il discorso è più complicato e di base non ho<br />
voglia di chiedere ai miei un altro sforzo economico. Mi sento pronto per entrare nel<br />
mondo del lavoro. Una laurea e quattro lingue straniere varranno pur qualcosa, no? Il<br />
pallino che mi rimane è quello di andare in Germania per un po‟ a rimediare ai danni che il<br />
triennio ha causato al mio tedesco, che da fluente che era ai tempi del liceo è ora<br />
arrugginito come non mai. Al momento comunque sono concentrato qui, qualcosa deve<br />
per forza saltar fuori.<br />
18
6<br />
SOTTO QUESTO SOLE<br />
Nel pomeriggio del ventotto giugno uno squillo interrompe la mia consueta ricerca<br />
d‟impiego on-line.<br />
Anche se non proprio la telefonata della vita, va bene comunque: c‟è da lavorare.<br />
Niente bar, pub o locali in genere, il mio interlocutore proviene dalla famosa agenzia per<br />
cui avevo lavorato in fiera. Gestisce però l‟altra branca, quella per gli incarichi in reception<br />
et similia. La proposta di base non è male, da settimana prossima fino a quasi fine agosto<br />
cinque giorni a settimana in un istituto di intermediazione finanziaria, per sostituire a<br />
rotazione i due “titolari della cattedra” che vanno in ferie. Accetto sia per i soldi che ci sono<br />
da portare a casa, sia in prospettiva di settembre, in modo da essere in pole position una<br />
volta che la macchina fieristica si rimetterà in moto. A quel punto non potrò che essere tra i<br />
primi a salire a bordo.<br />
Comunicata la novità in famiglia, nella mia mente si fa sempre più chiaro il pensiero che la<br />
questione barman sia un capitolo da mettere momentaneamente da parte e dopo l‟ultima<br />
avventura provo un certo sollievo ad aver trovato un‟altra fonte di guadagno.<br />
Moralmente rasserenato da questo incarico tampone che mi salverà il bilancio estivo e mi<br />
riempirà le giornate in cui gli altri saranno in vacanza, mi godo il weekend di entrata in<br />
luglio e il lunedì alle dodici e trenta sono pronto ad uscire di casa in camicia e cravatta per<br />
lanciarmi in superstrada verso Milano sud, dove devo cominciare alle quattordici il turno<br />
pomeridiano. Oggi lo passerò a fianco di uno dei due che andrò a sostituire, il quale ha il<br />
compito d‟illustrarmi i doveri del ruolo.<br />
Arrivo puntuale e Giuliano mi accoglie sorridente, mi offre un caffè e lo mescoliamo con<br />
due chiacchiere. In primo luogo ci tiene a sottolineare che in questo lavoro «Ci sono solo<br />
un paio di cazzate da fare, poi ti leggi il giornale», raccomandandomi però di farlo con<br />
discrezione, senza sventolarlo troppo; dopodiché ci dirigiamo in postazione e nel giro di tre<br />
quarti d‟ora abbondanti mi spiega da cima a fondo il necessario. Effettivamente sono più<br />
che solo un paio di cose, ma sapendo del mio arrivo Giuliano ha scritto una serie di<br />
appunti grazie ai quali non mi posso sbagliare, perché passo passo è riportato tutto ciò<br />
che mi sta dicendo. Con queste due paginette posso quindi mettermi l‟animo in pace,<br />
basta leggerle per farsi un‟idea generale e poi riconsultarle a necessità per avere tutto<br />
sotto controllo. «La maggior parte delle faccende a questo punto te le ho spiegate», mi<br />
dice mentre ritorniamo da un giro di perlustrazione per gli uffici, con lui che trotterella nel<br />
suo metro e settanta per centoun chili, «il resto lo vediamo poi, ma è questione di dieci<br />
minuti». Nel mentre si fa conversazione e Giuliano mi spiega da cima a fondo la storia<br />
della sua vita lavorativa, giù nei dettagli fino a dirmi le somme che intascava sottobanco<br />
per sbrigare certe pratiche prima di altre quando aveva un incarico statale. Parliamo di<br />
cifre superiori allo stipendio regolare. Ci rimango scioccato: quando ancora si ragionava in<br />
Lire riusciva a portarsi a casa tre milioni e passa al mese, che riferito agli anni di cui mi<br />
racconta era praticamente lo stipendio di un medico. Io m‟immagino mio zio, che è<br />
chirurgo e salva la vita alla gente, e m‟immagino Giuliano nel suo ufficetto dei bei tempi a<br />
prendersi le bustarelle, con quel modo di fare che non gli si addice a vederlo ora,<br />
quell‟atteggiamento parassitario e corrosivo che ha contribuito a fare dell‟Italia un Paese<br />
con una burocrazia assassina, un Paese dove coloro che dovrebbero servire il cittadino in<br />
realtà rispondono musicando insolenza. Perché mia mamma non avrebbe mai avuto i soldi<br />
per la bustarella di Giuliano, quindi le sue pratiche sarebbero finite sotto la pila di quelle<br />
dei signorotti col centomila, risolte chissà quando, chissà in che maniera. Di questi discorsi<br />
m‟interessano le trame e i dettagli, capire come e quanto si propaga il marcio tra la gente<br />
19
comune. Però non ho voglia di spalmarci sorrisi sopra, perché tizi e situazioni del genere<br />
sono i tizi e le situazioni che fregano la gente onesta, la gente regolare, quella che fa il suo<br />
e si chiede sempre cosa sia andato storto quando si trova fregata da una scadenza, da un<br />
timbro, da una risposta a termini scaduti. La cronologia di Giuliano continua mentre<br />
ciclicamente si alza, grondante, per andare ad abbassare il condizionatore di mezzo<br />
grado. Sono arrivato che era sui ventiquattro e mezzo, ora siamo a venti, undici meno che<br />
fuori, dove luglio picchia forte anche a pomeriggio inoltrato. Ciò che mi racconta ora è ciò<br />
che è successo dopo il periodo di vacche grasse come dipendente statale, quando perso il<br />
posto per una serie di ridimensionamenti è stato per due anni senza lavoro. «Ero col culo<br />
per terra» e gli vibra la erre moscia, «poi conoscevo Mario, che tu vedrai quando vi darete<br />
il cambio dato che fa sempre il mattino, e lui mi ha tirato dentro con l‟agenzia. Alla fine<br />
sono otto anni che son qui, lui invece undici. Niente di paragonabile ai soldi che facevo<br />
prima, però c‟è da dire che non hai pressioni, non hai stress…non fai un cazzo!».<br />
Passiamo una mezz‟ora di movimento che consiste nella fascia in cui quasi tutto l‟ufficio si<br />
svuota. Vengono riconsegnate una marea di chiavi di armadietti, archivi, sale riunioni<br />
eccetera e qui noto lo stato in cui dopo otto anni riversa Giuliano: è maniacale, classico<br />
effetto che danno i lavori dove da fare c‟è poco o nulla. Riordina ogni minima cosa fuori<br />
posto, sa praticamente predire l‟ordine in cui le chiavi verranno riconsegnate e la maniera<br />
in cui le ripone va oltre l‟esigenza di organizzazione, è ossessione. Le gira e le rigira finché<br />
non son perfette col cartellino in vista, sebbene ognuna abbia la propria sezione e<br />
sottosezione in cui è impossibile sbagliarsi. E solo un maniaco può sapere che il cartellino<br />
sulle chiavi si chiama “givolare”. Ma ogni cosa per lui sembra avere un senso e<br />
un‟importanza estrema ed anche nei cassetti non è casuale riporre i post-it a destra<br />
anziché a sinistra, la tal cartelletta sopra anziché sotto la tal risma di fogli e via dicendo. Mi<br />
spiega il perché di ogni cosa e qui capisco che la parte difficile del lavoro sarà<br />
assecondare tutto ciò, perché una penna di cui si perde il tappo o il rotolo di nastro<br />
adesivo messo nel primo cassetto anziché nel secondo potrebbero mandare in tilt il suo<br />
microcosmo. Non vorrei mai tornasse dalle vacanze e finisse nel panico, quindi pur<br />
sentendomi una scimmia in fase di ammaestramento do retta a quanto mi spiega e prendo<br />
appunti. Dalle diciassette e quarantacinque alle venti e trenta è un mortorio totale dove si<br />
sparge qualche buonasera agli ultimi che abbandonano l‟ufficio, ci si prende un quarto<br />
d‟ora per una mini cena a base di tramezzini, si aspetta che quelli delle pulizie finiscano,<br />
dopodiché si giunge ai famosi dieci minuti lasciati in sospeso. Perlustrazione generale, si<br />
controlla che nessuno sia presente a parte noi, che le finestre siano chiuse e che le pulizie<br />
siano effettivamente state fatte, quindi inserimento dell‟allarme e giù per l‟ascensore.<br />
Missione compiuta, ora conosco il mio compito. Giuliano si offre gentilmente di darmi uno<br />
strappo fino a dove ho parcheggiato la macchina, facendomi evitare la traversata dalla<br />
città in metropolitana. Nella ventina di minuti di tragitto gli chiedo delle sue vacanze in<br />
partenza l‟indomani: lui e la sua compagna andranno in Umbria assieme a degli amici, poi<br />
se saranno di buona luna faranno una capatina al mare nelle Marche negli ultimi giorni.<br />
Arrivati a Piazzale Maciachini ci diamo l‟arrivederci all‟inizio del nuovo mese, momento in<br />
cui lui rientrerà e io prenderò servizio la mattina per sostituire Mario, che da veterano della<br />
reception ha il diritto di prendersi le vacanze in agosto. Secondo me Giuliano nel fingere di<br />
sacrificarsi ha avuto la stessa furbizia dei tempi delle bustarelle.<br />
Col secondo arrivo nel palazzone di Milano sud mi si apre una folta carrellata di giornate in<br />
serie. La novità è che il celebre Mario prende forma concreta…e che forma, signori. Ogni<br />
volta che sbuco dall‟ascensore alle tredici e cinquantacinque lo trovo che straripa dalla<br />
sedia, primo bottone della camicia rigorosamente slacciato per lasciare spazio ad un collo<br />
taurino più largo della testa, dalla quale sbucano due zigomi su cui poggiano un paio<br />
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d‟occhiali contornati da gocce di sudore freddo, attratte dalla forza di gravità nel percorso<br />
dalla fronte rugosa al naso bombato e poroso, poi giù per il baffo sale e pepe per<br />
terminare a cascata tra il labbro inferiore e quelle quattro pieghe d‟adipe che dovrebbero<br />
essere il mento. Il copione è sempre lo stesso: io arrivo, lui si alza in piedi, riavvolge il<br />
quotidiano, mi dice «Vado al cesso», ci va, torna, mi aggiorna se c‟è qualcosa da sapere,<br />
chiama l‟ascensore, saluta con un «Ciao caro» e scende al pian terreno, con me che ogni<br />
volta lo identifico come l‟evoluzione –o l‟involuzione- di Giuliano, visto che come altezza<br />
siamo alla pari ma sia con l‟età che con il peso Mario ne conta una quindicina in più.<br />
Notiamo: Mario ha l‟età di mio padre, cinquanta, ma con le sembianze è molto più vicino a<br />
mio nonno.<br />
La prima settimana è di adattamento. Le facce che vedo è come fossero sempre nuove,<br />
come anche io è come fossi sempre nuovo per le facce che mi vedono, gente che mi<br />
chiede sempre perchè non c‟è Giuliano e io che rispondo che è in vacanza e lo sostituisco.<br />
Mi sento dentro in questo incarico con la testa di chi dentro non ci deve rimanere, vale a<br />
dire che faccio il mio ma non m‟identifico in quella scrivania, in quelle mansioni, in quel<br />
ruolo. I primi con cui connetto sono il fattorino, Francesco, e lo staff della ristorazione<br />
interna, che fa sia servizio bar che mensa. Francesco mi passa davanti ogni cinque minuti,<br />
ha due anni meno di me e abbiamo lo stesso modo di fare, vale a dire che un sorriso e<br />
una parola cortese non li facciamo mancare a nessuno; con lo staff della ristorazione<br />
invece è un rapporto vissuto a distanza, ma quando ci si incrocia vengo coinvolto con quel<br />
certo fare da “siamo sulla stessa barca”. Di che barca poi si parli e perché non lo so dire,<br />
fatto sta che avverto una forte voglia di complicità provenire da parte loro.<br />
Passano giorni su giorni e macinate tre settimane sono a mio agio in tutto. Se col celebre<br />
«paio di cazzate» di cui parlava Giuliano ho familiarizzato in un lampo, ben più complicato<br />
è stato imparare a gestire i tempi morti, vero aspetto chiave della faccenda considerando<br />
che per due terzi del turno non vola una mosca. Avendo deciso di combattere la noia<br />
lanciando l‟operazione “cultura generale”, un paio di quotidiani sono diventati miei fedeli<br />
compagni, affiancati da inserti di vario tipo che quando sono in formato magazine<br />
favoriscono anche un po‟ di piacere visivo con le foto a piena pagina. Solitamente ne<br />
acquisto uno, un altro è l‟eredità che Mario mi lascia alla fine del suo turno, dopodiché due<br />
o tre free-press giungono come cadeau da un dipendente che ogni giorno prima di arrivare<br />
se li è già consumati sui mezzi. E per approfondire in ambito sociologico proprio uno di<br />
questi ha una pagina imperdibile, lo specchio dell‟Italia odierna: le dediche via SMS.<br />
Questo è il vero non plus ultra, il sogno misto alla tragedia, il ridicolo nella serietà di Tizio<br />
che scrive a Tizia che l‟ha vista al supermercato tra le patate e sembrava un fiore, di un<br />
Certo che scrive a una Certa che in metropolitana le ha tolto il fiato mentre soffocava tra la<br />
gente, ma soprattutto di Patatini, Cuoricini, Tatini che si lanciano, si propongono, si<br />
mettono in gioco con parole sfolgorantemente opache, dichiaratamente nell‟anonimato, in<br />
un atto di presunto amore che è un surrogato d‟affetto, un‟infantile cotta maggiorenne da<br />
sfogare nell‟indecisione, un uscire allo scoperto da cameretta, precario, inconcludente,<br />
masturbatorio. E questi siamo noi, i cuori impavidi del ventunesimo secolo, quelli del dopo<br />
undici settembre, quelli con la faccia lampadata, il personal trainer e la scarpa di marca.<br />
Armature fuori, imbarazzati dentro. I tempi delle serenate andati persi, Romei e Giuliette<br />
innamorati dell‟inettitudine, incapaci di alzarsi e dire «lo faccio», ma solo «lo penso» e «lo<br />
scrivo». Poi tocca al cielo. Però il cielo si fa sempre gli affari suoi, specialmente oggi che<br />
ha troppi low-cost a ronzargli dappertutto. E noi sulla terra, con un alibi per l‟immobilità.<br />
Armature fuori, imbarazzanti dentro.<br />
Trenta risate per pagina, una scoperta: in amore vince chi è seduto. Autisti e cassiere<br />
sono ipergettonati. Nell‟era di “Uomini e Donne”, qualsiasi richiamo ad un trono funziona.<br />
Prendiamoci una sedia, dunque.<br />
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Io che però sulla sedia ci sto sette ore a turno, sto cominciando a notare qualcosa che non<br />
mi piace. Ricapitoliamo: tra i dipendenti dell‟istituto circolano tre tipi di persone, vale a dire<br />
quelli che quando passano salutano, quelli che interagiscono e quelli che nulla. Sì, quelli<br />
che nulla. Cioè che passano e fanno finta di non vedermi o che peggio passano, guardano<br />
per quella frazione di secondo, si prendono il mio saluto e non rispondono. Non ho manie<br />
di persecuzione, mi girano le palle giusto quel tot, ma la cosa fondamentale, quella che<br />
m‟intriga, è osservare il fenomeno e trarne un resoconto socio-psicologico. Ad un primo<br />
bilancio, la cafonaggine propende nettamente verso il -più che mai “così detto”- gentil<br />
sesso e s‟impenna man mano che si sale per la scala gerarchica. In particolar modo ho<br />
due tizie nel mirino, una identificatami da Giuliano il primissimo giorno come «Quella è un<br />
quadro…bella figa» (e “quadro” ci ho messo un po‟ a capire che fosse un riferimento<br />
aziendale più che botticelliano), l‟altra invece è un soggetto poco chiaro, una che fa i<br />
colloqui alla gente, tipica persona da azienda con attitudine da azienda, aspirazioni da<br />
azienda e fidanzato in azienda (soggettino anch‟egli visto che quando lei non è presente<br />
saluta e sorride, dopodiché come affetto da licantropia si trasforma in Ras del quartiere<br />
alle diciassette e trenta di ogni giorno, quando la pupa lo aspetta in reception per andare a<br />
casa con la faccia sempre incazzata. Lui arriva con fare da Arthur Fonzarelli, mi lancia la<br />
chiave del suo archivio come l‟osso ad un Golden Retriever, piglia sottobraccio la squinzia<br />
e imboccano l‟uscita come dopo un cheeseburger da Arnold‟s. Col pollice su e facendo<br />
«Hey» la scena sarebbe su misura per un remake di “Happy Days”). Insomma, queste due<br />
tizie svettano sul podio dell‟arroganza, roba che se fosse disciplina olimpica meriterebbero<br />
ad ogni performance un titolo sulla Gazzetta e un replay commentato da Giacomo Crosa.<br />
Ma la mia analisi va più a fondo. Bene, loro sono il caso estremo, punto primo, e punto<br />
secondo non verifico nulla del genere da parte maschile: uomini presi, di corsa o<br />
semplicemente riservati sì, ma nessuno che si permetta di non ricambiare un saluto<br />
scandito a chiare lettere. Punto terzo –e qui scendiamo negli abissi- le grandi dinamiche, i<br />
grandi numeri, la massa. La massa va innanzitutto definita e parliamo di una cinquantina<br />
di soggetti femminili di età compresa sì fra i diciannove e i cinquantacinque anni, ma<br />
prepotentemente sbilanciata verso la giovinezza essendo un buon settanta per cento delle<br />
dipendenti under-trenta. Trattasi quindi di soggetti nel pieno della scalata sociale, con forte<br />
esigenza di affermazione dentro e fuori dall‟ufficio, tra sogni di carriera e selezione per<br />
l‟accoppiamento. Mi concentro su di loro sia perché sono il vero termometro della baracca,<br />
sia perché essendo mie coetanee suscitano il mio maggiore interesse.<br />
Delle poche over-sessanta che ci sono nel posto me ne faccio un baffo nonostante si<br />
sbraccino a salutare; delle quarantenni me ne frego non perché non sia un estimatore, ma<br />
perché tra le presenti non vi è nessuna che onori a dovere la categoria. Quindi rieccoci a<br />
loro, le diciannove-trenta, con quattro su tutte nel mirino, un poker composto da una<br />
morettina diciannovenne sarda, una ventiquattrenne lombarda ma mezza pugliese<br />
d‟origine, la frizzante trentenne assistente del direttore generale e una wild-card con<br />
nessuna dote particolare, ma un bilancio complessivo più che soddisfacente. Fuori dal<br />
mazzo, invece, quella che dal Vangelo secondo Giuliano «se la fa col vice, che è sposato,<br />
hè-hè!», che potrà anche sapere come succhiare via lo stress a un dirigente nel tempo di<br />
un ascensore, ma che a me appare oltremodo volgare col chewing-gum che mastica di<br />
continuo e la fatica che fa nel trattenere il fiato per non esplodere fuori da quei jeans taglia<br />
quarantadue, che non so come riesca a cacciarsi su per le cosciotte ogni santo giorno.<br />
Attorno a costoro, due dozzine e mezzo di gregarie che hanno comunque voce in capitolo,<br />
diritto di voto, mano al telecomando. E il responso, è inutile girarci attorno, è molto chiaro:<br />
dicevo che non m‟identifico in questa scrivania, in queste mansioni, in questo ruolo; ma chi<br />
mi circonda invece sì che in questa scrivania, in queste mansioni e in questo ruolo mi<br />
identifica. Ecco dove sono fregato, riassunto come “Giuliano & Mario 2.0”, più leggero,<br />
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grafica migliore e più user-friendly, ma sempre lo stesso software. Prenderne coscienza<br />
non è stato né rapido, né molto piacevole, per me che a ruoli e gerarchie non ho mai dato<br />
peso valutando le persone, dal paese all‟università, dal vicino di casa ai professori. Invece<br />
eccoci qui, che pur se con il combinato camicia e cravatta vesto i panni poco cool del<br />
receptionist, di quello non appetibile, di quello che con la corsa alla carriera non c‟entra<br />
una mazza, che non c‟ha nemmeno il buono pasto e che se deve andare in bagno deve<br />
chiedere il permesso. Fuori dai giochi insomma, escluso, reietto, “Renegade” come il<br />
fuoristrada o Lorenzo Lamas nel telefilm. Un non-membro dell‟organico seduto in un nonluogo,<br />
in un limbo tra un‟ala e l‟altra degli uffici. Insomma, per quanto possa avere da dire<br />
casomai mi alzassi in piedi, qui per la femmina non sono un‟opzione. Il fatto che in<br />
sostanza io sia uno sciolto, certamente non un addormentato, uno che le chiacchierate le<br />
rende tutto sommato piacevoli, qui conta zero. Sono schiacciato dal mio ruolo come uno<br />
stambecco da un macigno, ho addosso l‟etichetta sbagliata come quei capi da outlet che<br />
non si capisce dove sian difettati «...ma se li han messi qui un motivo c‟è». Il motivo è puro<br />
e semplice, dicesi i quattrini. Sono perfettamente in pace con me stesso, alla fine mi<br />
ritengo anche più concreto di gente che quando è alla ricerca di un posto di lavoro serio<br />
non fa altro perché «è uno spreco di tempo». Ma spreco di tempo cosa? A star fermi<br />
quando il resto del mondo non si muove, nessuno va da nessuna parte. Almeno due soldi<br />
me li caccio in tasca, che quelli servono sempre.<br />
Il bruciore di stomaco raggiunge il picco alle ventuno del quarto venerdì di luglio mentre<br />
chiudo e faccio la chiamata di rito ai metronotte per dire che me ne sto andando. Un paio<br />
di birre a serata mi riportano alla calma durante il weekend, dopodiché lunedì mi passa<br />
svelto in vista del martedì e martedì senza esserlo ha il sapore di un ultimo giorno. Di fatto<br />
un po‟ lo è, visto che per l‟ultima volta lavoro di pomeriggio. Auguri di buone vacanze a<br />
Mario, che millanta di avere donne in ogni dove ma che so se ne starà abbracciato solo al<br />
suo Pinguino De Longhi, un paio di istruzioni da parte sua e via per un cambio abbastanza<br />
arduo, consistente nello spostare le mie abitudini per farle combaciare col turno mattutino.<br />
Giusto per cominciare, a casa alle ventidue e quindici, doccia, cena, un po‟ di relax ed è<br />
già mezzanotte e mezza del primo di agosto. Sveglia alle cinque perché capire chi sono e<br />
dove sono la mattina è un problema cronico, fuori di casa alle cinque e quarantacinque,<br />
parcheggio al solito posto e metropolitana che mi oblitera sulle sei e diciotto, trenta minuti<br />
trenta per arrivare alla sede, sette per aprire il portone, salire, disinserire l‟allarme,<br />
accendere le luci, fare un giro di controllo e alle sei e cinquantacinque, vale a dire cinque<br />
minuti prima del mio orario di inizio ufficiale, sono in reception con le chiavi della mensa<br />
pronte alla consegna, perché mi è stato esplicitamente detto che quelli della ristorazione<br />
hanno l‟abitudine di arrivare un po‟ prima e senza di me non potrebbero fare niente. Ecco<br />
infatti l‟ascensore con loro dentro, io che consegno le chiavi, questi che vanno e il<br />
panettiere che arriva a rimorchio dopo a quaranta secondi, carico di croissant e focaccine<br />
che mi fanno venire l‟acquolina in bocca. Grazie al cielo la ricompensa per la gentilezza di<br />
essere sul posto prima del dovuto si materializza sottoforma di cappuccio e brioche di lì a<br />
pochi attimi, cosa che apprezzo. Bene, non sono neanche le sette e dieci e metà del<br />
lavoro che mi spetta l‟ho fatto. Dapprima delizio il mio stomaco con assoluta calma, in<br />
seguito apro il quotidiano per una manciata di minuti ma poi comincia il viavai di gente.<br />
“Perspicacia” è la parola del giorno.<br />
«Buongiorno»<br />
«Buongiorno…ma anche la mattina adesso?»<br />
«No, adesso è Mario in ferie, nel pomeriggio riprende Giuliano»<br />
«Ah!».<br />
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Tra le otto meno venti e le otto e mezza questo dialogo si ripete almeno trenta volte. C‟è di<br />
buono che l‟interazione forzata mi risveglia pian piano dallo stato comatoso in cui riverso.<br />
Inoltre, la mattina si propone con un nuovo dramma: «Non ho il badge».<br />
«Guarda, t‟attacchi», vorrei poter sciorinare come risposta. «Nessun problema» mi tocca<br />
invece dire, al che mi tocca far partire una girandola di telefonate manco fosse stato<br />
trafugato materiale alieno dall‟Area 51. E chiama la sede centrale, e chiedi di parlare con<br />
l‟ufficio, e aspetta, e parla con l‟ufficio, e tieni lì il dipendente che deve dare i suoi dati, e<br />
attendi che li scrivano, e prendi nota tu, e saluta, e dai un badge sostitutivo a „sto<br />
dipendente, e annota che gliel‟hai dato, e fagli in conclusione ben presente di non<br />
intascarselo a fine giornata. Il tutto solo per aprire due porte, praticamente per andare in<br />
mensa o in bagno. Mica per accedere alla sala di controllo delle testate nucleari.<br />
Il turno in fascia antimeridiana ha un altro sapore, tra corrieri che arrivano, visite esterne,<br />
telefonate e una temperatura certamente più gradevole senza bisogno di abusare del<br />
condizionatore, che in ogni dove tendo a centellinare dati i raffreddori che mi provoca. Da<br />
mezzogiorno e mezzo all‟una e tre quarti poi è un andirivieni di gente per la pausa pranzo<br />
e passata questa una figura bombata, senza spigoli, anti-urto, mi appare sul monitor della<br />
telecamera all‟entrata. Schiaccio il tasto per aprire il portone prima ancora che mi citofoni,<br />
proprio mentre è nell‟atto di sollevare il braccio e puntare l‟indice. Zac e si trova la porta<br />
aperta. Lo vedo perplesso per mezzo secondo, lui che probabilmente pensava d‟essere il<br />
solo in possesso di una tale rapidità cognitiva. Ebbene sì, queste poche settimane sono<br />
state sufficienti a traviarmi. Sali Giuliano, sali.<br />
«Uella, ha-ha, non ho fatto neanche in tempo a suonare che…»<br />
«Quando si ha avuto un grande maestro, d‟altronde! Come stai allora, tutto bene in ferie?»<br />
«Tutto bene, tutto bene»<br />
«Eh, infatti ti vedo abbronzato». Effettivamente il suo bel colore l‟ha preso.<br />
«Tu, tutto OK invece qui?»<br />
«Sì sì, alla fine quello che c‟è da fare lo sai meglio di me. La mattina è più movimentata,<br />
almeno da quello che ho visto oggi, ma niente di che».<br />
Da qui il dialogo prosegue con quello che sarà ogni giorno il rituale tra Giuliano e me.<br />
«Ci sono appunti particolari o cose che devo sapere?»<br />
«Ti ho lasciato un paio di cose scritte lì sul blocco, ma solo dei promemoria»<br />
«Ah, bene»<br />
«Devi andare in bagno o al bar?»<br />
«No no»<br />
«Vabè, allora io anche se son cinque alle due andrei, OK?»<br />
«Nessun problema»<br />
«E anche oggi missione compiuta». Il mio luogo comune mentre aspetto l‟ascensore.<br />
Eccolo.<br />
«Ma ascolta una cosa…»<br />
«Dimmi». Mentre le porte si aprono.<br />
«Con quelli delle pulizie tutto a posto?»<br />
«Sì»<br />
«Questi esterni segnati sul registro come ancora dentro, sono ancora dentro?»<br />
«Sì»<br />
«C‟è gente che è arrivata senza badge?»<br />
«Sì»<br />
«E te pareva…sei riuscito a sistemare?»<br />
«Sì»<br />
«Le chiavi le han prese tutte?»<br />
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«Sì»<br />
«Il grande capo, presente?»<br />
«Sì»<br />
«Quelli della mensa ci sono tutti oggi?»<br />
«Sì»<br />
«Te l‟hanno offerto il cappuccio perché sei arrivato prima?»<br />
«Sì»<br />
«Eh, saranno un po‟ così ma son gentili, nè?»<br />
«Sì»<br />
Ed ecco che l‟ascensore si richiude e parte per qualcun altro. Saran pure le tredici e<br />
cinquantotto e non le quattordici, però le palle mi girano quel filo. Infatti dopo un «Vabè, è<br />
andato…prendo le scale. A domani», esco dal portone alle due in punto, mi muovo a<br />
passo svelto verso la metropolitana, mi c‟immergo, oblitero, passo il tornello, scendo le<br />
ulteriori scale talmente rapido da far quasi scintille, arrivo al binario, vedo i vagoni che si<br />
allontanano, mi sento beffato dal destino, scorgo il monitor che mi dice di aspettare cinque<br />
minuti per la metro successiva e maledico il tempo sprecato con quelle chiacchiere da<br />
precisino fottuto di Giuliano. Che alla fine non è che mi sembri davvero voler sapere quelle<br />
cose, il sentore è che sia solo voglia di far conversazione. Ma porco cane. Probabilmente<br />
però sono io che sto ridiventando troppo milanese, come nei primi due anni di università<br />
con la fissa del tempo, l‟andatura svelta verso i mezzi, lo slalom tra i venditori ambulanti<br />
quando scendi in metro, la caccia al tornello meno affollato. Alla fine mi sto stressando per<br />
cinque minuti. In Brianza ti ci fumi una sigaretta, in Sicilia è il tempo in cui ordini un caffè.<br />
Sarà che sono a Milano e mi ci adatto o sarà che sono a Milano e ho voglia di tornare a<br />
casa, fatto sta che questi cinque minuti mi pesano.<br />
Saper cominciare presto la giornata, come mio nonno, come mio padre, è sempre stato<br />
uno dei miei sogni. A questo giro, visto che volente o nolente alle sette meno cinque devo<br />
essere sul posto, speravo anche di poter avere il pomeriggio da far fruttare in palestra o in<br />
altro, ma qui si è fatto il tredici di agosto che i pomeriggi li ho consumati per la maggior<br />
parte sul divano a riprendermi. Avevo sbagliato i conti, infatti una cosa è finire di lavorare<br />
alle due, un‟altra cosa è quando si torna fisicamente a casa. Fortunatamente in questi<br />
giorni di poca ressa ho anche la possibilità di parcheggiare nel cortile interno, quindi da<br />
settimana scorsa non ho più la metropolitana da prendere, però c‟è sempre una bella<br />
oretta di strada per rientrare, che la città in estate non si svuota più come una volta. Quindi<br />
torno all‟ovile che sono le tre, mangio qualcosa e automaticamente mi taglio fuori da<br />
qualsiasi possibilità sportiva per un‟ora e mezza, si fan le quattro passate che tento di<br />
alzarmi e preparare il borsone ma la metà delle volte sono troppo assonnato per farcela.<br />
Perciò getto la spugna e cazzeggio, ecco il copione classico.<br />
Tredici di agosto. Tredici di agosto e là dentro comunque più di metà della gente lavora,<br />
tredici di agosto e qui in paese invece la differenza si nota. Tredici di agosto e per me<br />
domani è comunque servizio. Tredici di agosto che diventa quattordici, quattordici di<br />
agosto che diventa quindici e ci si ferma.<br />
Ferragosto e ci si ferma. Io mi sveglio con calma verso le dieci e dal colore della luce<br />
attraverso le tapparelle capisco che è un‟altra giornata di sole, sole pieno. La finestra è<br />
aperta ma fuori non sento un solo rumore a parte i grilli che cantano. Grazie al cielo vivo<br />
ad una certa distanza da Milano, già un‟altra provincia, e alcune volte scopri che ne vale la<br />
pena. Poi niente vicini oggi a quanto pare, niente auto a quanto si sente. Niente.<br />
Mi alzo, doccia, mi butto addosso un paio di pantaloni corti e una t-shirt che rappresentano<br />
la mia età meglio che la camicia e la cravatta che stanno girando in lavatrice, vado in<br />
cucina e faccio colazione alla mia maniera, senza strafare, solo tè e un paio di biscotti.<br />
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Lasciare le porte aperte fa sì che ci sia quel filo d‟aria corrente piacevole, che quando<br />
l‟estate è al culmine è una manna dal cielo. Già, l‟estate è al culmine. Non accendo né TV,<br />
né radio, né computer: non ho bisogno di nulla. Mi piace ascoltare il silenzio, musicato<br />
solo dai grilli che cantano nell‟afa, nella canicola, sotto il cielo azzurro opaco figlio<br />
dell‟umidità della Pianura Padana.<br />
Sarà una lunga giornata, una lunga giornata.<br />
Sì, perché non è come nei weekend delle scorse settimane, oggi non c‟è nessuno in giro e<br />
nulla da fare per chi è qui. Potrei uscire, fare due passi, raggiungere la via principale del<br />
mio paese e sedermici in mezzo che non succederebbe niente. A quel punto mi sdraierei<br />
anche e penserei ai miei amici. I miei amici, tutti via. Con le vacanze già prenotate a metà<br />
febbraio, in una trepidazione che parte appena passato capodanno, subito lì coi depliant a<br />
scegliere il dove e il dove del dove. Forti di una sola certezza, vale a dire che Ferragosto<br />
deve assolutamente essere incluso. Come biasimarli d‟altra parte, è uno status che ancora<br />
non conosco quello dei trenta giorni liberi all‟anno, chiaro che alla fine ti ritrovi con le<br />
tempistiche abbondantemente prestabilite. Anzi, praticamente forzate. Su questo non ci<br />
piove, ma la mia mentalità e la loro sono molto diverse, per ora siamo due universi distanti<br />
sotto questo punto di vista. Vederli nella foga per l‟estate quando ancora è gennaio mi<br />
mette tristezza. Sì, va bene, belli i depliant, belli gli hotel, i villaggi all-inclusive, bello tutto.<br />
Ma ragazzi, avrei sempre voglia di dire, ma è questa qui che dev‟essere la vita? Com‟è<br />
possibile che appena passato l‟ultimo dell‟anno sia tutta solo una grande attesa per<br />
l‟estate e poi passata l‟estate sia tutta solo una grande attesa per l‟ultimo dell‟anno?<br />
Perché non prendiamo coscienza che c‟è dell‟altro nel mezzo e non dev‟essere solo un<br />
continuo tirare il fine settimana al ritmo di un pacchetto al giorno, per poi spaccarsi la<br />
faccia nell‟alcol dalla notte del venerdì all‟aperitivo della domenica? Qual è il problema?<br />
Il problema però è chiaro e semplice, è che chi la vita ce l‟ha già sul suo binario vive in<br />
tutt‟altro stato mentale. Ci sono quelli che soffrono e quelli che galleggiano senza troppi<br />
pensieri. Li vedo io quelli che patiscono tra i miei amici, quelli che c‟hanno la rabbia in<br />
corpo perché si son fermati subito dopo le superiori anche se in fondo avevano la testa per<br />
andare avanti, vuoi che l‟han fatto perché i genitori non li hanno spronati, vuoi che l‟han<br />
fatto per altre ragioni, un po‟ per rassegnazione, un po‟ perché altri già lavoravano e<br />
avevano quei due soldi da spendere. Sia quel che sia, ora sono incastrati, costretti a far<br />
loro un ritmo che loro non è, fingendo di farsela passare, tanto basta un po‟ più di rum nel<br />
Cuba per scendere al livello degli altri. Gli altri, appunto, invidiabili in un certo senso, dato<br />
che incredibilmente si trovano bene in questo modo di vivere. Da una parte prendi le<br />
distanze, dall‟altra però a volte ti fermi e pensi: beati loro. Beati quelli che per natura non<br />
contemplano la necessità di dare una svolta alla propria vita.<br />
Gli uni e gli altri però oggi se ne stanno in spiaggia, mentre io m‟incanto al massimo sul<br />
riuscire a sdraiarmi in mezzo ad un viale senza pericolo d‟essere investito. Domani<br />
riprendo e ho davanti poco più di una settimana, poi sarà davvero missione compiuta.<br />
Insalata di riso, tè freddo al limone, il rumore della prima auto che passa in fondo alla via<br />
di casa e si son fatte le due inoltrate. Sole in faccia, cellulare in mano e rubrica che scorre.<br />
Ferragosto è il giorno dove se sei rimasto a casa passi i contatti uno a uno e provi a<br />
immaginare chi possa essere appiedato come te. C‟è chi raschia il fondo del barile e<br />
telefona a gente depennata dalla propria esistenza da tempo immemore, io invece ad un<br />
primo passaggio individuo un nome, penso possa essere quello giusto e faccio partire la<br />
chiamata. Mi sento fortunato solo per aver pensato a questa persona, che se non fossi<br />
stato nella solitudine monastica in cui mi trovo oggi probabilmente nemmeno mi sarebbe<br />
passata per l‟anticamera del cervello. E sarebbe stato un male, perché a volte ci sono<br />
persone che ti lasci scivolare per un po‟ di tempo, ma sai che sono parte di te e sentirsi più<br />
spesso sarebbe la cosa giusta. Suona a vuoto, niente da fare. Spiaggia o grigliata anche<br />
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per lei, mi sa. Sono davvero rimasto l‟ultimo essere umano in questa landa desolata.<br />
Passiamo oltre allora e sovvertiamo lo schema: telefonata a quelli che sicuramente stanno<br />
facendo festa.<br />
«Pronto!»<br />
«Uella, buon Ferragosto! Come va, tutto bene? Siete in spiaggia?»<br />
«Tutto bene, sì. Io, Fabio e Marco siamo in spiaggia, gli altri dopo ieri sera ancora non si<br />
vedono»<br />
«Minchia, alle due e mezza di Ferragosto ancora a letto?»<br />
«Eh, è che siam tornati alle sette di mattina»<br />
«Cos‟avete fatto?»<br />
«Niente di particolare, abbiam girato una decina di posti tutti sul lungomare, poi lo sai<br />
come va a finire, la storia è sempre la solita»<br />
«Cioè?»<br />
«Eh, che alla fine ci sono gli altri che bevono finché non ce la fan più, poi te li devi portare<br />
a casa in spalla, in giro a far figure con la gente. Solite robe, lo sai…»<br />
«Capito»<br />
«E quindi noi tre oggi siam venuti in spiaggia alle undici che non c‟era in giro un cane.<br />
Adesso pian piano sta cominciando a riempirsi»<br />
«Stasera avete in ballo qualcosa, poi?»<br />
«Non lo so. Di andare a farmi pelar fuori settanta carte al ristorante perché è Ferragosto<br />
non c‟ho voglia. Gli altri forse»<br />
«Ti stai rompendo le scatole o sbaglio?»<br />
«No, però vorrei fare qualcosa di diverso, tipo girare un po‟ nell‟entroterra, andare a<br />
vedere qualche altro posto, qualche altra spiaggia»<br />
«E non si riesce?»<br />
«Mah, diciamo che l‟iniziativa non raccoglierebbe molti voti. Lo sai com‟è l‟andazzo, il<br />
sentiero camera-spiaggia una volta che è segnato il primo giorno poi resta sempre quello.<br />
A me di girar cinquantamila bar a nottata non me ne può fregar di meno, una birra è<br />
sempre una birra. Grazie al cielo ieri sera son riuscito a schivare la spedizione a Porto<br />
Cervo»<br />
«E non mi sei andato a salutare il Flavio?!»<br />
«Ma per carità! Ieri pomeriggio son saltati fuori con questa cagata il cugino di Michele e i<br />
suoi amici. Son passati qui a salutare lui e ci volevano tirare in mezzo tutti. Io l‟ho detto<br />
subito agli altri che piuttosto rimanevo in stanza da solo»<br />
«Michele è andato?»<br />
«Sì»<br />
«Beh, chiaro. Un divo come lui mica poteva mancare…»<br />
«Lascia perdere, che ci scassa le palle ogni giorno perché non gli piacciono le cose del<br />
buffet. Per tre giorni s‟è riempito il piatto con una montagna di roba e poi ha buttato via<br />
quasi tutto, da lì in poi invece va a comprarsi le cose in paese e cucina per suo conto»<br />
«E glielo lascian fare, scusa?»<br />
«Ha sparato la cazzata che ha delle intolleranze, quindi gli fanno „sto favore»<br />
«Schiavo del pettorale a tutti i costi»<br />
«Appunto, che poi guarda quant‟è furbo: prima dice che ha problemi, gli fanno il favore<br />
della cucina e lui ogni giorno si fa vedere che mischia la roba da mangiare con tutti i suoi<br />
beveroni, le polverine e compagnia. Sembra il Mago Merlino all‟opera quando è lì che fa<br />
su „sti intrugli…»<br />
«Ha-ha! Sì, però poi quando si leva la canotta, silenzio tutti»<br />
«Eh, invece ha subito il colpo quando si è ritrovato in spiaggia con uno sciame di cloni»<br />
«Davvero? Mi devo aspettare il TG da un momento all‟altro a fare un reportage sui<br />
mandrilli spiaggiati in Costa Smeralda?»<br />
27
«Metti su Italia 1 stasera che c‟è Lucignolo in diretta da qui, magari ne parlano! Scherzi a<br />
parte, vedessi che tamarri che ci sono in giro»<br />
«Stile?»<br />
«Tutti tirati al massimo, tatuati, abbronzati all‟inverosimile, costumino aderente col pacco<br />
in mostra. Roba che io mi sento un rottame, c‟ho vergogna a farmi vedere che sono<br />
ancora mezzo bianco e non c‟ho il fisico. Poi però aprono la bocca ed è il trionfo della<br />
cafoneria, non so come facciano le ragazze ad andar dietro a „sti trogloditi qui»<br />
«Eh, guarda, mi spiace dirtelo ma mi sa che lì così col cervello si tira su ben poco. Beato<br />
te che almeno sei ricco»<br />
«Ma vaffanculo va‟, ha-ha!»<br />
«Senti, ti lascio andare alla chitarrata con Apicella giù a Villa Certosa»<br />
«Infatti, che tra un po‟ è ora»<br />
«Portami a casa una bandana, mi raccomando»<br />
«Va bene! Ma ascolta, te invece stai lavorando?»<br />
«Oggi no, domani però come di regola. Finisco settimana prossima»<br />
«E poi?»<br />
«E poi boh, fiere a settembre, penso. Spero comunque che si faccia vivo qualcuno dopo i<br />
CV che ho mandato»<br />
«Ma sì, sicuramente. Oggi invece cosa fai?»<br />
«Non c‟è in giro un cane, c‟è poco da scegliere»<br />
«Guarda che qui almeno per me non è tanto diverso, te l‟ho spiegato come van le cose»<br />
«Sì, ma dai, non ti lamentare. Goditi il mare, va‟»<br />
«Sicuro. Allora dai, ci sentiamo nei prossimi giorni»<br />
«Va bene. Salutami gli altri…e tienili d‟occhio»<br />
«OK, ciao»<br />
«Ciao ciao».<br />
Eccolo lì uno di quelli che si è spaccato le palle di stare al passo degli altri. Vacanza in<br />
hotel in Sardegna, mandria da quindici, obiettivo giornaliero la sbronza, transumanza<br />
infinita da Milano con quattro macchine per poi toccarle solo per andare in discoteca,<br />
unico tragitto contemplato in fascia diurna quello dei duecento metri dall‟albergo alla<br />
spiaggia con deviazione al ritorno per dare il via all‟alcolismo in centro al paese. Una<br />
settimana via da casa in tutta l‟estate, cambia lo sfondo come in una scenografia a teatro<br />
ma la trama della commedia resta la stessa, talmente la stessa che è già il terzo anno che<br />
s‟infilano nello stesso posto, dove per giunta c‟è anche metà della gente del nostro paese.<br />
Quindi anche i personaggi secondari rimangono invariati, le comparse invece saranno<br />
pure inedite ma sempre comparse restano. Non li ho mai visti tornare con nuove amicizie,<br />
qualche numero di telefono interessante, gente diversa da andare a ribeccare durante<br />
l‟anno. Niente, solo una gara alla tintarella per la vera competizione, quella che prende<br />
piede al ritorno con la metà del paese andata altrove, classicamente a Ibiza. Era meglio<br />
quando andavamo in vacanza ai tempi del liceo, coi soldi contati al centesimo ma con la<br />
voglia di vedere, con la voglia di fare, con la voglia di conoscere. In albergo a Rimini il<br />
primo anno -così come in Spagna l‟estate seguente- dopo un giorno facevamo già gruppo<br />
con tutti; nella Sardegna pre-“Flavio Coast” avevamo le chiappe arrostite dai cinquantini<br />
che ci eravamo noleggiati per girare; poi l‟estate migliore fu quella in cui partimmo per il<br />
Nord Europa senza praticamente sapere cosa ci saremmo trovati di fronte, tornando in<br />
patria ammaliati, fieri come esploratori dei secoli addietro. Ora invece tutto bruciato, senza<br />
Canadair che possano venire a sganciare acqua e salvare lo spirito dei tempi. Erano<br />
spedizioni prima, oggi vacanze. Per qualcuno è il top, qualcuno invece vi si adegua e<br />
qualcun altro –il sottoscritto- ne resta fuori, per metà condizionato dai doveri, per metà non<br />
stimolato da quel genere di piaceri. Però Ferragosto è a me che non passa più, intanto.<br />
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Mano al cellulare un‟altra volta. Ritentiamo col primo obiettivo della giornata. Uno squillo,<br />
due squilli, tre squilli.<br />
«Pronto?!»<br />
«Stupita di sentirmi?»<br />
«Ciao! Come mai?»<br />
«Come mai? Volevo sapere come va, quant‟è che non facciamo due chiacchiere? Se<br />
escludiamo il messaggio che mi hai mandato il giorno della laurea, praticamente è da fine<br />
gennaio»<br />
«Eh, praticamente sì, dal tuo compleanno»<br />
«Tu la solita, degnarti di farti viva no?»<br />
«Potrei dire lo stesso, ma mi fregheresti col fatto che mi stai chiamando ora»<br />
«Esatto, quindi chi è il più bravo?»<br />
«Sei tu, sei tu»<br />
«Vedi che ci capiamo? Scherzi a parte, ti disturbo?»<br />
«Assolutamente no»<br />
«Dove sei?»<br />
«A casa»<br />
«Anche tu? E come mai?»<br />
«Gli altri son tutti via, io ho un mucchio di esami a inizio settembre»<br />
«Ma vacanze niente del tutto?»<br />
«Con quello che mi è costato stare a Bologna quest‟anno, col cavolo»<br />
«Problemi con la casa? Qualcosa mi avevi ventilato…»<br />
«Sì, perché poi la storia si è conclusa che il proprietario ci ha alzato l‟affitto e la questione<br />
era o dentro o fuori. Praticamente mi son trovata costretta a stare al gioco, altrimenti sarei<br />
finita a un‟ora e passa di autobus dall‟università, perché se durante l‟anno ti vuoi trovare<br />
un appartamento ti devi muovere in periferia, molto in periferia»<br />
«Porca miseria, ma ha rifatto il contratto lui o che?»<br />
«Ma quale contratto, è in nero»<br />
«Come sempre, chiaro»<br />
«Fanno gli strozzini tutti, tanto di domanda ce n‟è. Sai a loro cosa interessa…»<br />
«E ora per quanto conti di rimanere lì? Stai cercando un altro posto?»<br />
«Terrò gli occhi aperti a settembre appena torno giù per gli esami, però non posso dire<br />
che me ne vado da un giorno all‟altro»<br />
«Perché no, scusa? Se non c‟è il contratto…»<br />
«Eh no, non funziona così. Praticamente funziona che se tu te ne vai, devi trovare qualcun<br />
altro che prenda il tuo posto, altrimenti con una persona in meno in casa i tuoi coinquilini si<br />
devono dividere anche la tua quota»<br />
«Ma stai scherzando?»<br />
«No»<br />
«Ma che stronzata è?! Mai me la sarei immaginata. Alla fine se tu sei il proprietario e<br />
decidi che la casa ha tot posti letto, sono affari tuoi se non riesci a riempirla. O no? E‟<br />
come dire che se vai in albergo e non è pieno, paghi anche per la gente che manca»<br />
«Non so cosa dirti, funziona così per le case»<br />
«Pensa te che stronzi, non c‟è contratto ma alla fine ti trovi legato lo stesso perché se no<br />
ci rimettono i tuoi coinquilini»<br />
«Precisamente. Chiaro che lo fai per loro, non per il padrone di casa»<br />
«Grazie al cielo non son passato in mezzo a „ste cose, che già avrei fatto una fatica<br />
enorme a tirar fuori i soldi per dovermi magari pure dividere la stanza con qualcuno.<br />
Spesso mi son lamentato, ma meglio due ore e qualcosa di strada avanti e indietro tutti i<br />
giorni, sul treno o nel traffico che sia, piuttosto che trovarsi in mezzo a certe situazioni»<br />
«Io purtroppo non potevo fare diversamente»<br />
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«Lo so. Ma ora quanto ti manca per laurearti?»<br />
«Se non mi fossi trovata negli sbattimenti dopo l‟Overseas, mi sarei laureata a settembre»<br />
«Overseas? Intendi l‟Erasmus?»<br />
«Praticamente è la stessa cosa, poi c‟è l‟Erasmus che è solo in Europa e l‟Erasmus<br />
Mundus che è dappertutto anche quello»<br />
«Ah, OK, ecco allora. Comunque che sbattimenti, scusa?»<br />
«Non mi hanno riconosciuto interamente degli esami che ho fatto là, quindi uno alla volta li<br />
devo completare qui, il che praticamente vuol dire ristudiare tutto»<br />
«Non me l‟avevi detto l‟ultima volta. Quindi adesso?»<br />
«Adesso spero di farcela per dicembre. C‟è di buono che con la tesi sono avanti»<br />
«Meno male. E perciò Ferragosto sui libri?»<br />
«Sì, ma mi sta scoppiando la testa»<br />
«Ti va di fare una pausa e passo lì, magari?»<br />
«Dai! Vieni qui quando vuoi»<br />
«Tra una mezz‟ora comoda, allora»<br />
«Va bene!»<br />
«OK, giù il telefono a questo punto. Ciao!»<br />
«Suona due o tre volte quando arrivi, che il citofono non funziona bene»<br />
«OK»<br />
«Ciao!»<br />
Ci vado a piedi da Claudia. Non sto nemmeno a cambiarmi perché è estate e perché lei<br />
non è una di quelle che bada a certe cose. Maglietta e pantaloncini vanno bene. Indosso il<br />
mio classico e strausurato paio di Adidas, bevo un sorso di tè freddo prima di chiudere la<br />
porta e m‟incammino. I marciapiedi li evito, come previsto si può stare in mezzo alla strada<br />
senza che passi nessuno. Ne ricavo un certo senso di libertà e padronanza del luogo in<br />
cui sono cresciuto. Ventitré ne ho viste di estati in questo posto. Ventitré sembra un<br />
numero importante, un numero nel mezzo, né troppo alto per sentirsi col dado tratto, né<br />
troppo basso per sentirsi senza diritto di parola. Ventitré è un numero giusto, tanto per<br />
tracciare bilanci quanto per guardare avanti senza senso di pesantezza. Personalmente<br />
sento di aver fatto un bel pezzo di strada, ma al tempo stesso so di averne ancora un<br />
mucchio davanti. Giustissimo a ben pensarci, sono a metà percorso: in ventitré anni sono<br />
arrivato fin qui e fra ventitré vedremo cosa sarò riuscito a combinare, che anche se a<br />
quarantasei un uomo non è certo alla fine dei suoi giorni, per lo meno a livello<br />
professionale e umano si pensa sia una figura fatta e finita. Ventitré Michael Jordan,<br />
quarantasei Valentino Rossi. Mi si sta fondendo il cervello su questo asfalto bollente.<br />
Eccomi arrivato, suono tre volte, poi arrivano la quarta e la quinta, infine aspetto un minuto<br />
e piazzo la sesta, la settima e l‟ottava. Nessun segno di vita, provo sul telefono. Suona a<br />
vuoto venti secondi e poi mi sento chiamare dalla finestra: «Aspetta, ero in doccia!».<br />
Bene, cancello che si apre, io che entro e lei che nel mentre scende al pian terreno con<br />
due bicchieri e una bottiglia d‟aranciata. Stiamo in giardino quindi. Bella casa quella di<br />
Claudia, pure abbastanza antica visto che esiste dal tempo dei bisnonni, fine Ottocento,<br />
quando il nostro paesino era davvero tutta campagna e chi si aggiudicava un lotto di terra<br />
per quattro spiccioli ci faceva quello che voleva. Dopodiché è storia nota: entrati nel<br />
Novecento e passate le due guerre, tra i Sessanta e i Settanta si sono chiusi i ranghi, chi<br />
aveva era sistemato, chi non aveva cominciava ad essere tagliato fuori di grosso perché<br />
non c‟era più la flessibilità di prima. Il paese iniziava a sovrappopolarsi, le leggi man mano<br />
cambiavano così come le dinamiche. Per aprire un‟attività da zero le beghe burocratiche<br />
aumentavano vertiginosamente e il concetto di “farsi una casa” era ormai stato<br />
soppiantato da quello di “mercato immobiliare”, con tutte le speculazioni che poi sono<br />
partite in pompa magna dagli Ottanta e arrivate fino ad oggi. Senza bisogno di parlare di<br />
30
Milano 2, anche qui si sono mossi dei micro-Berlusconi e lo stato attuale è una porcheria,<br />
con imprese autorizzate a costruire in ogni dove, terreni che vengono espropriati e villette<br />
a schiera così appiccicate che ci si guarda nel cesso l‟un l‟altro. Da Claudia le forme e gli<br />
spazi hanno invece ancora l‟ampiezza dei tempi, senza lo stress dell‟industria edile<br />
addosso. In giardino si respira una bella aria e la casa, anche se praticamente ha solo due<br />
piani, è altissima. La guardo da seduto e ci resto nuovamente impressionato, come fosse<br />
la prima volta, mentre invece ho fatto spesso dentro e fuori negli anni addietro.<br />
Tra un bicchiere d‟aranciata e l‟altro, cubetti di ghiaccio annessi, ci aggiorniamo a vicenda<br />
sugli ultimi mesi. Per buona parte della conversazione mi faccio raccontare del suo<br />
periodo in Oriente, di cui avevo avuto notizie solo per vie traverse, vale a dire da mia<br />
mamma che in un paio di occasioni aveva incontrato la sua dal panettiere. Del conto<br />
salato arrivato a posteriori, cioè la faccenda degli esami non approvati, già mi ha<br />
accennato ed è una bella fregatura, il resto invece ha un colore molto diverso. Tonalità<br />
positive traspaiono dalle sue parole: un nuovo posto conosciuto, nuovi amici incontrati, un<br />
po‟ troppa festa ma alla fine sì, dai, è un‟esperienza di quelle da incorniciare sotto il profilo<br />
umano. «Tu che hai studiato le lingue, invece, perché non hai fatto uno scambio tipo<br />
Erasmus, Overseas, eccetera?», mi chiede. «Perché soldi a parte, poi sarebbe finita molto<br />
probabilmente come per te, e il tempo per me non è un‟opzione. All‟università ci sono<br />
entrato con l‟elmetto in testa, questa è la cosa che dico a tutti. Volevo arrivare alla fine il<br />
prima possibile e gestirmi per gli affari miei poi, perché lo sai che ho sempre avuto altre<br />
cose in ballo e di slittamenti sulla tabella di marcia non ne ho mai voluto sentire».<br />
Annuisce, si ricorda tutti i discorsi che le avevo fatto quando ero a metà strada, circa due<br />
anni fa. Mi chiede di conseguenza come vadano quelle cose, io senza troppa voglia di<br />
approfondire le dico solo che mi manca una settimana di lavoro e poi appunto andrò in<br />
Repubblica Ceca per qualche giorno. Metto l‟accento su «lavoro» più che su «Repubblica<br />
Ceca» ed ecco la richiesta di un punto della situazione. Dalla laurea ai primi CV inviati,<br />
passando poi per il capitolo bar e arrivando all‟incarico tampone targato Milano, le fornisco<br />
un riassunto dei primi mesi da dottore. Non il più entusiasmante dei resoconti, sicuramente<br />
non da copione fiabesco, però chiudo sempre dicendo che «Da settembre conto di avere<br />
parecchio con le fiere». Sorridiamo quindi, cambiamo discorso e viriamo su argomenti più<br />
leggeri. Passano un paio d‟ore, tiriamo fuori due pizze dal freezer e due birre dal<br />
frigorifero, ceniamo, dopodiché faccio ritorno a casa dato che la sveglia è destinata a<br />
suonare prima che canti il gallo.<br />
La settimana a Milano la chiudo in tranquillità dato che col personale viaggiano a ranghi<br />
ridotti e lo smarrimento dei badge è ai minimi termini, poi il sabato lo passo al campetto<br />
per qualche ora di basket in solitaria. Domenica invece mi barrico in casa, che rientrano le<br />
mandrie e non ho voglia di subirmi il via del titanico scontro dialettico “Sardegna contro<br />
Ibiza”. Con lunedì torno in postazione e a metà mattina l‟ascensore mi porta una sorpresa:<br />
il responsabile della sezione fiere e congressi della mia agenzia.<br />
«L‟è propii un milanés» avrebbe detto mia nonna: è proprio un milanese. Non avrei potuto<br />
darle torto, perché la parlantina, la “e” più che aperta letteralmente scoperchiata e tutti i<br />
modi di atteggiarsi sono da meneghino puro. Molto sorpreso di vederlo, apprendo che in<br />
assenza di Gerardo, il responsabile delle reception attualmente in vacanza, è lui che se ne<br />
deve occupare ed è passato solo per lasciare dei documenti per Mario e Giuliano.<br />
Questioni di contabilità per loro che sono assunti a pieno titolo, non come me che presto<br />
servizio in ritenuta d‟acconto o il mio amico Alessandro in partita IVA. Di questo me ne<br />
lavo le mani, deposito ad ognuno nel proprio scomparto e siamo a posto. Quello che<br />
invece mi preme indagare avendo Damiano qui in carne ed ossa sono le possibilità da<br />
settembre per quanto lui gestisce di solito. Prendo il discorso coi dovuti modi, senza però<br />
nemmeno girarci troppo attorno, e rimango rincuorato dalla risposta che ricevo, breve ed<br />
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efficace: «Sì sì, a settembre ripartiamo, ci sentiamo per metterci d‟accordo. Nel mese ci<br />
sono un paio di fiere, poi anche più avanti abbiamo sempre da fare». Ottimo, questo mi<br />
cambia l‟umore non solo della giornata, ma di tutto il periodo che sto passando qui dentro.<br />
E‟ come se avessi lavorato fino ad ora per sentire queste parole, perché in effetti è ciò a<br />
cui ambivo sin dall‟inizio. Mi sento come se avessi azzeccato la strategia, vale a dire<br />
accettare un incarico così-così in modo da riaprire una porta che il tempo aveva<br />
socchiuso. Bene, ora posso interpretare l‟estate impiegata fra queste quattro mura come<br />
un piccolo investimento, come una semina, e ciò migliora di molto il gusto generale<br />
dell‟impresa. Il resto del lunedì mi scorre via col sorriso.<br />
Martedì giornata di routine e mercoledì, mercoledì ventidue agosto finalmente arriva.<br />
Ultimo giorno, ultima apertura della sede, ultima volta operativo prima del dovuto, ultima<br />
volta incollato ad una sedia per ore intere. A ridosso della pausa pranzo saluto coi dovuti<br />
modi quel paio di persone con cui ho instaurato una minima di rapporto. A chi mi chiede<br />
cosa farò prossimamente rispondo in maniera sintetica che andrò via qualche giorno e poi<br />
a settembre inizierò con le fiere, fattore che guida a qualche domanda più approfondita da<br />
parte loro. Emerge quindi che oltre ad essere laureato parlo quattro lingue straniere. Mi<br />
chiedono quali, io rispondo. Leggo un netto stupore nei loro occhi, ma più che stupore per<br />
il fatto che io conosca diverse lingue, è uno stupore da «Ma cosa ci fai qui?». Non è più<br />
tempo di rispondere ad eventuali domande implicite, loro devono andare a mangiare e io<br />
ho quattro note da scrivere prima che mi dimentichi. Passano i minuti, onde evitare<br />
disguidi comincio a levare dalla tasca il mio badge e segnare il giorno di resa sull‟apposito<br />
registro. Ripongo il mazzo di chiavi come richiesto in una busta, la sigillo, metto la mia<br />
sigla e la chiudo nella cassettiera. Tempo di ridare una spolverata al quotidiano e mi<br />
citofona Giuliano. Stavolta ero preso, non l‟ho preceduto. Sale, io nel frattempo mi faccio<br />
pronto con tutto quanto. Due minuti per il congedo ed eccomi riuscire anche a prendere<br />
l‟ascensore. Premo zero, apro il portone, esco e sono libero. Tanti saluti Milano sud, tanti<br />
saluti Giuliano, tanti saluti Mario e pure tanti saluti dipendenti del posto. Che<br />
contraccambiate o meno, per me è definitivamente missione compiuta.<br />
32
7<br />
LATO B<br />
Documenti e carta d‟imbarco in una mano, trolley impugnato con l‟altra. Giovedì ventitré<br />
agosto ore nove e quarantaquattro, Terminal 2 dell‟aeroporto di Malpensa, passo spedito<br />
verso il gate.<br />
La tasca sinistra dei pantaloncini vibra con insistenza, tocca quindi che mi fermi e dia retta<br />
al telefono.<br />
«Pronto?»<br />
«Sì, ciao Alessandro, scusa ma…»<br />
«No, sono <strong>Matt</strong>ia».<br />
Speravo di liquidare la cosa in un battito di ciglio non essendo il desiderato, invece no. Le<br />
domande che mi pongo sono due: cosa vogliono dall‟agenzia oggi e cosa ci fa Gerardo in<br />
ufficio.<br />
«Ah, no, scusa, sì, <strong>Matt</strong>ia…»<br />
«Dimmi Gerardo»<br />
«Eh, scusa se ti disturbo eh, scusa…»<br />
«Tranquillo, dimmi pure». Il mio tono di voce è invece un chiaro invito a spicciarsi.<br />
«Ehm, no, è che mi chiedevo se stamattina potevi…».<br />
Lo tronco io: «Gerardo guarda, sono in aeroporto, sto partendo»<br />
«Ah…» e tira un sospiro lunghissimo. «Eh, allora no, niente. Vai, vai, scusa eh, scusa»<br />
«Posso aiutarti in qualcosa?»<br />
«No, no. E‟ che mi è stato male uno e volevo sapere se potevi coprire un pomeriggio»<br />
«Purtroppo no. Però chiama Alessandro, molto probabilmente lui ce la fa. E‟ a casa»<br />
«Ah sì? Eh, cià che allora provo. Grazie eh, grazie. Scusa ancora per il disturbo»<br />
«Di niente, figurati. Ascolta, le date del mio rientro te le ho mandate ieri via e-mail con<br />
anche il resoconto ore di luglio e agosto». Sottolineare non fa mai male.<br />
«Va bene, va bene. E‟ che sono appena rientrato in ufficio per questa emergenza. Dovevo<br />
essere ancora in ferie…»<br />
«E‟ il duro lavoro, che ci vuoi fare. Dai, ti saluto che se no mi lascian giù»<br />
«Va bene. Ciao, scusa ancora eh, scusa. Ciao»<br />
«Ciao».<br />
Gerardo dovrebbe prendere qualche lezione di pubbliche relazioni da Damiano, perché<br />
saranno sì pari ruolo, ma se interagisce così anche coi clienti non è che la società faccia<br />
una gran figura. Vabè, chissenefrega, manco fossero affari miei. Qui mi tocca fare in fretta<br />
che fra cinque minuti chiudono l‟imbarco.<br />
Tre ore dopo sono a Praga, Piazza Venceslao. Io e il mio trolley ci dirigiamo verso una<br />
pizzeria dove è previsto il rendezvous col resto della ciurma, che libera da impegni si è<br />
goduta la città per un paio di giorni. Prima che anch‟io possa trascorrere qualche giorno da<br />
turista abbiamo settantadue ore abbondanti di lavoro, ma questo tipo di lavoro non è uno<br />
scherzo dire che sia un piacere farlo. Da un anno collaboro con un mensile di musica, di<br />
fatto il magazine di settore più importante d‟Italia, inoltre da quattro conduco una<br />
trasmissione radiofonica che partita da una piccola emittente di provincia è arrivata oggi,<br />
grazie a un mazzo tanto e grazie a Internet, ad essere conosciuta nel circuito underground<br />
di tutta Italia. La passione per la black music mi ha portato fin qui. Dal primo CD acquistato<br />
a dodici anni ne è passata di acqua sotto i ponti e specie dai diciotto in poi la situazione si<br />
è fatta intensa, con me a maniche rimboccate per cercare di dar forma ai sogni che fino a<br />
poco prima restavano confinati in cameretta. Avevo voglia di combinare, “concretizzare” è<br />
33
il termine migliore, perché il mondo è pieno di gente che sogna, sogna, sogna e poi… puf,<br />
lascia svanire tutto quanto. Potrei contarne a manciate, ad esempio, di mie compagne di<br />
scuola che volevano fare le attrici ma non hanno mai nemmeno fatto il passo di cercarsi<br />
un corso di recitazione. Però provavano delle parti sotto la doccia, dicevano. Ecco, modi di<br />
fare del genere li ho sempre ritenuti ridicoli ed è anche per questo che, due anni fa, fino a<br />
una settimana prima che il mio disco d‟esordio andasse in stampa nemmeno molti dei miei<br />
amici più stretti ne erano a conoscenza. Ma non solo a conoscenza del disco, a<br />
conoscenza proprio dell‟intera faccenda, cioè che scrivessi testi ormai da anni e che fossi<br />
deciso a spingere al massimo delle mie possibilità. Lo feci, invece, e ne uscì un lavoro<br />
onesto, un EP di dieci tracce, voce e testi miei e musiche del mio socio Daniele. Curato<br />
quanto più non potevamo, un anno abbondante di lavoro, riuscimmo con mezzi modesti ad<br />
ottenere una qualità degna di nota e con un paio di agganci mirati a rendere il disco<br />
disponibile in vari negozi specializzati in Italia e Svizzera. Non male, considerato anche<br />
che le recensioni fra portali in Rete e qualche piccolo spazio sulla carta stampata furono<br />
più che buone e ci permisero di crearci un piccolo seguito e ottenere delle date. Ora che<br />
sto per completare il mio primo album ufficiale, stavolta come solista seppur con la<br />
presenza di Daniele in alcune parti, guardo indietro e non posso che essere soddisfatto.<br />
Chiaro che due anni dopo non farei più le cose alla stessa maniera, però c‟è quel nucleo di<br />
sostanza che resiste al tempo e che mi farà per sempre andare convinto di quell‟EP. E‟<br />
stato un ottimo primo passo e mi ha permesso inoltre di prendere le misure su molti aspetti<br />
tecnici e pratici che mi stanno tornando utili in vista dell‟album, col quale mi auguro di<br />
avere dei risultati degni di nota. Per i prossimi tre-quattro mesi sarà necessaria la massima<br />
concentrazione e dovermi gestire da solo è cosa sì stimolante, ma tutt‟altro che facile.<br />
Oltre ad essere dietro il microfono sono io stesso il mio manager, il mio contabile, il mio<br />
promoter e anche gli aspetti apparentemente più piacevoli, come ad esempio il fatto che<br />
fra non molto dovrò elaborare un piano su come realizzare il primo videoclip, hanno l‟altra<br />
faccia della medaglia ben in evidenza.<br />
Ricontrollo il messaggio in cui mi è stato comunicato il posto esatto per incontrarci.<br />
Confidenza col luogo ne ho già, visto che anche l‟anno scorso abbiamo affrontato questa<br />
spedizione, infatti muovendomi a memoria sono ora giusto di fronte. Gradino d‟entrata per<br />
il quale non mi scomodo a sollevare il trolley, gradini d‟accesso alla sala vera e propria che<br />
invece me lo impongono, un‟occhiata rapida e li scorgo ad un tavolo nell‟angolo, già con le<br />
bocche piene e chiaramente un posto libero per me. Margherita e “pivo” ordinate al volo al<br />
cameriere che mi dà il benvenuto e a passo comodo mi dirigo verso i miei tre. Guardali là,<br />
il sudamericano e il pugliese più lombardi mai visti, al secolo Miguel e il celebre Daniele, e<br />
il nostro tedescone di matrice sarda. Assieme ai primi due porto avanti la trasmissione –e<br />
con Daniele non solo, appunto- mentre Martin si dà da fare per una realtà simile con un<br />
altro ragazzo a Francoforte. Date le origini italiane si è sempre documentato su cosa si<br />
muovesse nella Penisola e trovando il nostro sito si è messo subito in contatto con noi.<br />
Gran ragazzo, volenteroso ed estremamente intelligente. Tra i nostri due programmi si è<br />
creato un forte sodalizio, un gemellaggio Italia-Germania. Pronti a conquistare l‟Europa?<br />
Chissà, magari un giorno.<br />
Il primo a vedermi mentre arrivo è Miguel, che mi sorride subito con la sua faccia da festa<br />
perenne. Di sudamericano gli è rimasto poco oltre il nome e i tratti somatici. Arrivare in<br />
Italia a nemmeno tre anni lo ha fatto crescere ed inserire perfettamente nel nostro<br />
contesto. E‟ uno che va in montagna appena può e tra campeggio ed escursioni non si fa<br />
mancare un piatto di pizzoccheri, cosa che se non hai la Valtellina nello spirito nemmeno ti<br />
sogni di ordinare. Prima di salutarmi con la mano, Miguel tocca Daniele col gomito e<br />
anche lui mi vede. Non ha bisogno di sbracciarsi, siamo talmente tanto in contatto che<br />
potrebbe tracciare la mappa di ogni mio spostamento, infatti è lui che ho avvisato appena<br />
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sono atterrato ed è lui che mi ha riconfermato l‟indirizzo della pizzeria. Precisione estrema,<br />
questa è la sua dote principale. Alle origini Daniele sembra tenerci più di Miguel, difatti<br />
quando parla si definisce pugliese nonostante abbia sempre vissuto nei paraggi di Milano.<br />
I veri pugliesi non sono che i suoi nonni, emigrati al Nord ai tempi del miracolo economico<br />
con il copione classico, vale a dire trasferire le braccia dalle reti da pesca alle fabbriche.<br />
Sicuramente del Sud Daniele ha molto, soprattutto il sangue caldo e insindacabilmente<br />
l‟abilità di esprimersi nella lingua dei suoi avi, in proporzione molto più di quanto Miguel<br />
mastichi lo spagnolo. Per il resto però ha quella manciata di qualità che si dipingono<br />
addosso alla figura tipica del lombardo, una su tutte la puntualità. Estrema puntualità, roba<br />
che se l‟appuntamento è alle tredici e trenta, lui alle tredici e ventinove è già sul posto da<br />
una ventina di minuti e ti sta chiamando al telefono. Se alle tredici e trentaquattro ancora<br />
non ti vede, sono cazzi tuoi. Ho il sentore che solitamente in Puglia se la prendano un filo<br />
più comoda. Ottimo compagno di lavoro a parte gli scherzi, instancabile. In tutto ciò che<br />
abbiamo fatto assieme la sintonia è stata massima perché da questo lato abbiamo la<br />
stessa mentalità. Se c‟è un mestiere da portare a termine non esiste festa, sabato,<br />
domenica o altro: lo si fa, punto e basta. Tirare mattina su certe faccende ormai per noi<br />
due è la prassi, giù nello studio di registrazione che ha ricavato da una cantina di cinque<br />
metri per tre che ai suoi serviva solo come ripostiglio per quelle cianfrusaglie che ci sono<br />
in ogni famiglia e che alla fin fine stanno bene anche in discarica. I quindici metri quadri<br />
meglio utilizzati che abbia mai visto, dato che ora è la sotto che io registro i miei pezzi così<br />
come altre persone che con ciò permettono a Daniele di arrotondare una volta passate le<br />
otto ore giornaliere a consegnare alimenti a fianco del padre. Inoltre, per quanto riguarda<br />
la trasmissione questo studio è stato la salvezza in un momento chiave della nostra storia<br />
radiofonica. Non ci fosse stato, non ci saremmo più stati noi, dato che a ridosso dello<br />
scorso Natale la nostra vecchia radio ha chiuso i battenti per questioni monetarie e noi ci<br />
siamo resi indipendenti, con un mucchio di burocrazia, un piccolo esborso e un trasloco da<br />
Daniele per registrare quanto necessario ogni settimana. Molte delle persone con cui<br />
dividevamo il vecchio tetto radiofonico hanno mollato, lo facevano per hobby e ora ne<br />
hanno semplicemente scelto uno diverso, altri invece hanno preso lo schiaffo al pari<br />
nostro, ma solo noi abbiamo avuto la fortuna e soprattutto la caparbietà di reagire. Un paio<br />
di amici ci hanno dato una mano per potenziare il sito nelle tre settimane in cui noi<br />
eravamo fra un mare di scartoffie, un mare di conti e un mare di telefonate, poi con la<br />
quarta siamo ripartiti. Avremo perso sì la diffusione in FM, ma questo per noi contava<br />
meno di un cinque per cento dato che una radio locale è, appunto, locale. Internet è il<br />
futuro ed è in Internet che noi stiamo, a portata di click per il mondo anziché a portata di<br />
antenna per il vicinato. Ce l‟eravamo detto fin dal primo momento: quello in cui crediamo e<br />
per cui da anni stiamo sudando non deve andare a fondo per colpa d‟altri. Otto mesi dopo<br />
siamo per la seconda volta in Repubblica Ceca come media partner di uno dei festival più<br />
importanti d‟Europa, in tre giorni avremo l‟imbarazzo della scelta sugli eventi a cui<br />
assistere e staremo gomito a gomito con personaggi di fama mondiale, quelli che fino a<br />
poco tempo fa vedevamo solo in TV o che oggi collezionano centinaia di migliaia di<br />
visualizzazioni su Youtube. Mica male per tre ragazzi di provincia.<br />
A Martin appoggio una mano sulla spalla e quindi lascio si alzi per un abbraccio. Sono<br />
sicuro sia stato un‟ottima guida per le vie di Praga, lui che in Germania si divide fra un<br />
part-time e la facoltà di Storia dell‟Arte. Il suo livello culturale è indiscutibile, però tra i suoi<br />
connazionali generalmente così attaccati alla concretezza viene definito quello che si<br />
dedica a una “brotlose Kunst”, cioè una materia che non mette il pane in tavola, etichetta<br />
che lo infastidisce non poco. Casomai non funzionasse lassù, potrebbe comunque<br />
scendere alle nostre latitudini, che non abbiamo tale astio per la categoria e di materia<br />
prima ce n‟è in abbondanza, almeno da visitare. Ci vorrà ancora un po‟ di tempo però, un<br />
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paio di mesi fa mi diceva che non riesce a trovare la giusta calma per dedicarsi alla tesi a<br />
causa di qualche problema in famiglia. Parte tutto dalla cattiva salute di suo padre e<br />
purtroppo, com‟è logico che sia, tutti sono in apprensione. Al di là dei tempi comunque è<br />
certo che ce la farà a laurearsi, non ho il minimo dubbio, e tra le venti ore a settimana che<br />
lavora e le agevolazioni che in Germania esistono per gli studenti può anche essere<br />
contento di avere un tipo d‟indipendenza che in Italia rimane utopia. Ci hanno chiamati<br />
bamboccioni dicendo che stiamo attaccati alla sottana della mamma fino a trent‟anni,<br />
eccetera, eccetera, eccetera. Ma se altrove con un part-time da studente uno ci vive,<br />
divide casa con la fidanzata –in una situazione in regola e più che decorosa, non in nero in<br />
un seminterrato- e mette da parte anche il minimo per qualche svago, probabilmente dalle<br />
nostre parti saremmo tutti meno bamboccioni se ci passassero un giusto lembo di sottana<br />
dello Stato. Invece ci ritroviamo dal giorno zero a lavarne i panni sporchi. E per la coperta<br />
corta, non siamo noi che abbiamo sbagliato candeggio.<br />
Va giù rapida la pizza. Non sarà come quelle che ci si mangia a casa ma non è affatto<br />
male. Quattro espressi chiudono il pasto e siamo pronti per andare alla stazione.<br />
Scendiamo in metropolitana sebbene il tragitto sia solo di due fermate, sia per il gusto di<br />
farci un giro, sia per evitare il trekking con valigie al seguito attraverso un paio di vie dove<br />
l‟anno scorso ci siamo trovati di fronte a gente con l‟ago nel braccio. Tornati in superficie<br />
dopo sette minuti, varchiamo la soglia della Masarykovo e partiamo verso l‟Est della<br />
Repubblica.<br />
Su un treno sufficientemente vecchio da sapere ancora di cortina di ferro, ci siamo noi<br />
quattro a occupare uno scomparto. Coi soldi che finora abbiamo guadagnato da questo ci<br />
pagheremmo un weekend, con quelli che ci devono forse una vacanza, ma il valore di<br />
quello che siamo non si misura in moneta.<br />
Il paesaggio sfuma in uscita da Praga, facendosi campagna e sfociando poi in Boemia.<br />
Scendiamo e sappiamo già quale strada percorrere. Il cielo è aperto come i nostri sorrisi.<br />
Facciamo radio, musica, scriviamo, viaggiamo quando si può. C‟è chi non sa, chi vede e<br />
non capisce, chi vede e riconosce il valore. Vorremmo non dover mai fermare il giradischi,<br />
sollevare la puntina e capovolgere il vinile, ma per quanto suoni meravigliosamente questo<br />
è solo il lato B delle nostre vite.<br />
36
8<br />
SPIAGGIATO A SETTEMBRE<br />
Quanti CD. Troppi CD.<br />
Dopo una decina di giorni di ritorno dalla Repubblica Ceca sono sommerso di singoli,<br />
album, EP, demo, promo e chi più ne ha, più ne metta. Non sono nemmeno il reduce più<br />
esagerato, visto che il record è spettato come al solito a Daniele. Il vinile è un brutto vizio,<br />
specie quando all‟aeroporto il tuo bagaglio sfora di tre chili e otto.<br />
Settimana scorsa ho dato un ascolto generale a tutto, perché stasera registrando la<br />
puntata per la radio faremo un reportage e girerà qualche nuovo pezzo in tema con la<br />
trasferta. Sono sempre meno disteso però, perché qui il calendario parla chiaro e una<br />
chiamata per le fiere dovrei averla già ricevuta. Settimana scorsa hanno ricominciato e fra<br />
tre giorni ce n‟è un‟altra, ma il mio telefono si è chiuso in un silenzio che sta iniziando a<br />
diventare poco simpatico.<br />
Leviamoci il dubbio e piazziamo una chiamata, mi dico. Mezzo minuto dopo vengo deviato<br />
sulla segreteria di Damiano, quindi ritento e dopo altri trenta secondi la situazione è la<br />
stessa. Lascio stare, contando sulle due chiamate perse che vedrà sul display.<br />
Faccio passare ventiquattr‟ore e chiamo in ufficio. Damiano è in riunione. Lascio detto di<br />
richiamarmi. Arriva sera e non vedo niente. Passa un giorno e niente ancora. Passano due<br />
giorni ed è un'altra fiera a cui sicuramente non lavoro.<br />
Lascio sbollire la cosa ma con l‟inizio della settimana seguente mi ripaleso al telefono.<br />
Segreteria come da copione quando chiamo sul cellulare, così stavolta piazzo un SMS e<br />
in un‟ora e tre quarti eccolo che mi risponde: «Ciao, ho lavoro per settimana prossima. Ti<br />
chiamo presto, ora sono incasinato».<br />
Alla buon‟ora, Damiano, praticamente sarà fine settembre. Vabè, prendiamola con un<br />
pizzico di filosofia, come se mi fossi fermato un mese per delle vacanze estive ritardate.<br />
Un mese ci può stare, specie se questo, dato che è collocato una sorta di fase di<br />
ripartenza un po‟ per tutti. Questione a parte è però il nervoso che mi genera metterci<br />
giorni e giorni per rintracciare una persona nonostante si chiami ogni numero possibile, si<br />
lasci detto a chi di dovere, ci si senta dire che il messaggio verrà passato e si verrà<br />
ricontattati…mentre poi invece tocca ancora aspettare e trovare altre maniere per bussare<br />
alla medesima porta, badando sempre di non sfociare nella cafoneria altrimenti scatta il<br />
cartellino rosso. Ma «persistere non è maleducazione», come recita il motto del mio amico<br />
Alessandro, che non ricordo bene da quale libro di miglioramento personale provenga,<br />
però mi piace. Lui lo fa sempre seguire dal commento, mentre solleva le spalle e rivolta il<br />
palmi delle mani verso l‟alto, «Perché se non vuoi, mi dici di no e io smetto di chiedere». Il<br />
ragionamento non fa una grinza, sebbene l‟insistenza mi risulti sempre scomoda, nel<br />
subirla come anche nel propinarla.<br />
Sia quel che sia. Quindi settimana prossima si lavora in fiera, o così sembra. Se tutto va<br />
secondo i miei calcoli ci dovrebbe essere un discreto gruzzolo in ballo. La famosa volta<br />
che ci avevo lavorato mi erano entrati circa settecento Euro per cinque giorni, che se su<br />
una media oraria sono una ricompensa onesta visto che si parla di dodici ore al giorno, mi<br />
aumentano invece l‟acquolina in bocca se penso a cosa potrei mettermi in tasca lavorando<br />
non quattro, ma anche solo tre o anche due settimane al mese. Per me sarebbe il mix<br />
perfetto: con le fiere porterei a casa un buon mensile e nel resto del tempo potrei<br />
dedicarmi alla musica, alla radio e agli articoli per il magazine, che sapere di aver risolto la<br />
questione monetaria agevolerebbe di sicuro il morale del mio “esercito di un solo uomo”.<br />
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La notizia del lavoro in fiera prossimo alla conferma viene accolta positivamente in casa, in<br />
particolar modo da mia mamma che si lascia andare in un «Vedi, basta avere un po‟ di<br />
pazienza e poi le cose si muovono. Comunque hai fatto bene a farti sentire, perché se no<br />
a uno così impegnato come quello lì passi di mente. Però adesso puoi tirare un sospiro di<br />
sollievo. Rilassati ora, rilassati». Non mi sembrava il caso di tutte queste parole con invito<br />
finale al distendermi, ma chissà, magari si vedeva che ero in pensiero. Ad ogni modo,<br />
quello che dico a mia mamma è che finché non ricevo un‟altra telefonata non c‟è nulla di<br />
confermato.<br />
Due giorni ci mette, ma eccolo che finalmente mi fa lampeggiare, vibrare e suonare il<br />
cellulare. Speriamo non ci siano cambi dell‟ultimo minuto.<br />
«<strong>Matt</strong>ia, carissimo!»<br />
«Ciao Damiano, tutto bene?». Io educato sì, ma senza troppi fronzoli.<br />
«Sì, sì. Scusa per le altre volte ma è stato un inferno…»<br />
«Non ti preoccupare». L‟importante è che siam qui. «Notizie per settimana prossima?»<br />
«Sì, è una fiera di prodotti domestici e altre cose correlate. Avrei pensato a te come<br />
supporto ad uno degli uffici internazionali»<br />
«Benissimo!»<br />
Da qui mi spiega un po‟ di dettagli sull‟incarico, che davvero mi suona bene. Ci sarà da<br />
trattare con espositori e rappresentanze di tutto il mondo, quindi di sicuro risulterò utile e<br />
se ne beneficerà tutti, compresa anche l‟agenzia di Damiano che sta fornendo al cliente<br />
una persona preparata. Mica come in quella famosa prima fiera a cui avevo lavorato, dove<br />
nel nostro team c‟erano un paio di soggetti per le cui magagne ci siamo tutti dovuti<br />
uccidere di lavoro extra l‟ultimo giorno.<br />
Damiano sottolinea di avermi dato un incarico chiave, che si fida di me e che ci tiene a far<br />
bella figura. Ci tengo anch‟io alla bella figura e glielo evidenzio, mentre per il resto non mi<br />
dilungo in parole dato che prediligo parlare fatti alla mano. Persona concreta lo sono, l‟ha<br />
visto e lo rivedrà. Però, giusto per essere concreto al cento per cento, mi permetto anche<br />
una domanda prima che la telefonata giunga al termine. Lui è uno di quelli che si propone<br />
con frasi tipo «Pane al pane, vino al vino», «Diciamoci le cose in faccia», «Andiamo al<br />
sodo» e così via, quindi io mi gestisco in egual maniera.<br />
«Ascolta Damiano, invece…posso sapere di quanto si parla in termini di compenso?».<br />
L‟ho presa comunque morbida, non gli ho certo sparato nell‟orecchio un «Oh, quanto mi<br />
paghi?».<br />
«Allora», risponde lui, «la cosa è ancora in via di definizione tra noi e la società per cui<br />
opererete. A differenza di quando avevi lavorato con noi l‟altra volta, che era tutta un‟altra<br />
faccenda, non ci sono provvigioni perché non avrete nulla da vendere. Tu e quelli che<br />
saranno negli uffici dovrete offrire supporto gestionale».<br />
«OK Damiano, non pretendo che spacchi il centesimo, però suppongo avrai un‟idea della<br />
cifra, grosso modo…»<br />
«Sì, calcola sui cento al giorno»<br />
«Netti?»<br />
«Netti»<br />
«E in totale quanti giorni si lavora?»<br />
«Voi in ufficio lavorate dal mercoledì al lunedì, quindi sono…».<br />
Ci arrivo prima io: «Sei. Sono sei giorni, allora»<br />
«Sì, sei giorni, esatto».<br />
Sei giorni e mezzo risultano invece, quando in seguito viene aggiunto che il martedì<br />
pomeriggio ci sarà un briefing direttamente agli uffici in fiera dove ci verrà illustrato il da<br />
farsi e ci verranno presentati i responsabili della società per cui lavoreremo.<br />
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In fin dei conti quindi mi si prospettano seicento Euro e un pomeriggio regalato, dato che il<br />
briefing non è retribuito. Mi lascia una punta d‟amaro in bocca il fatto che si guadagni<br />
meno di quanto immaginavo, ma qui bisogna ingranare e comunque non sono pochi soldi.<br />
Avanti, cazzo, avanti, che quello che interessa a me è ricevere almeno due incarichi al<br />
mese. Tanto questo tipo di lavoro può essere un ottimo salvagente o magari anche un bel<br />
trampolino, ma di sicuro non ciò che mi terrò per la vita, quindi nel mentre continuerò a far<br />
girare CV e, si spera, a far colloqui. Per intanto Damiano suona contento e a me sta bene<br />
quello che è stato proposto. Quindi avanti, cazzo, avanti.<br />
La spinta di questo adrenalinico slogan fa in modo che io fagociti pre-weekend, weekend,<br />
post-weekend e mi trovi catapultato al venticinque settembre, giorno del briefing. Un<br />
quarto d‟ora di tangenziale, macchina parcheggiata comodamente a venti metri<br />
dall‟entrata e quando vedo un gruppettino di persone con Damiano e la sua assistente al<br />
centro, scendo e avanzo a passo comodo. Qualche minuto d‟attesa in modo che arrivino<br />
tutti e, quasi una decina di minuti dopo l‟orario di appuntamento, ci dirigiamo verso gli<br />
uffici. Mentre scambio due convenevoli con Damiano e ringrazio ancora per l‟incarico<br />
eccetera eccetera, mi trovo per la prima volta all‟interno del nuovo polo fieristico:<br />
mastodontico, padiglioni ovunque e dalle metrature inquantificabili, sembra una città. Mi<br />
chiedo quelli che fanno i facchini che preparazione atletica debbano sostenere per correre<br />
da parte a parte. Dopo mezzo chilometro circa prendiamo una scalinata che ci conduce<br />
agli uffici di direzione, mentre tutti guardano il bar a piano terra con la stessa delusione<br />
degli scolari in gita se la maestra decide di passare oltre il Mc Donald‟s. Poco male,<br />
comunque, perché arrivati al piano di sopra troviamo un catering presso il quale ci viene<br />
promesso potremo rifocillarci. Cose del genere ti fanno sentire importante, un vero minimanager.<br />
L‟incontro parte con presentazioni di vario genere da parte della responsabile della società<br />
organizzatrice, la parola passa poi ad un Damiano che sembra cerchi d‟incamerare quanta<br />
più aria possibile per lievitare dal suo metro e settanta scarso, quindi veniamo divisi per<br />
mansione e scopro chi sono coloro che lavoreranno negli uffici accanto al mio, in quella<br />
che viene definita la “direzione espositiva”. Nel giro di un minuto io e queste altre cinque<br />
persone veniamo portati al banco catering da tre differenti membri della società, due dei<br />
quali si presentano rispettivamente come il responsabile dell‟area Italia e la responsabile<br />
dell‟area Europa, dopodiché il terzo s‟identifica come il vice-responsabile per l‟ambito<br />
intercontinentale. Autorizzati a rifocillarci, vengo preso da parte proprio da quest‟ultimo, il<br />
quale mi spiega che lavorerò per lui e la sua direttrice, che mi comunica essere «molto<br />
ansiosa di conoscerti, viste tutte le lingue che parli. Guarda che può sembrare un po‟ rude<br />
in prima battuta ma è una brava persona, in fondo». Nessun problema da parte mia, se<br />
andiamo d‟accordo sulla sostanza non mi cambia molto che una persona sia soffice come<br />
un Saccottino Mulino Bianco o dura come il pane raffermo. Anzi, meglio non avere attorno<br />
una di quelle classiche donnicciole tutte moine, che dopo un po‟ anche troppe smancerie<br />
tritano i maroni. Lui invece senza dirmi l‟età capisco abbia al massimo trentadue-trentatrè<br />
anni, pur dimostrandone nettamente meno. E‟ molto informale questo Roberto e mi fa<br />
piacere, ma io resto comunque sulle mie. Mi spiega anche come sarà organizzata la<br />
direzione espositiva nel complesso, con in poche parole due persone della mia agenzia<br />
per ognuno degli altri uffici, mentre invece solo io per il suo poiché è l‟unico con direttrice e<br />
vicedirettore. Comunque sia sempre tre persone per settore, con «noi tre» –inteso io, lui e<br />
la direttrice- «a smazzarci la patata bollente più grossa, perché anche se ogni ufficio fa<br />
riferimento ad un numero pressoché identico di espositori, noi trattiamo con circa<br />
trentacinque nazioni diverse, e ti renderai conto di cosa vuol dire». Io non mostro segni di<br />
timore, anche perché non sapendo concretamente cosa mi troverò davanti non sto a<br />
fasciarmi la testa prima del tempo. Poi, mal che vada, sono sei giorni di lavoro, mica da<br />
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qui alla pensione. Qualsiasi piega prenda, saluti e baci settimana prossima. Altro aspetto<br />
per cui non mi turba che questa chiacchierata direttrice possa esser un osso duro. A<br />
questo punto anche tutto il resto della truppa è al banco catering e dopo un quarto d‟ora di<br />
convenevoli in cui un po‟ tutti ci si guarda con la faccia da “Durerà ancora molto?”, vedo<br />
Damiano scambiare un cenno d‟intesa con la prima persona della società che aveva preso<br />
parola e susseguentemente viene dichiarata la chiusura del briefing. «Ci vediamo domani<br />
alle nove e trenta, vestiti normali che tanto è giorno d‟allestimento. Poi mi raccomando, da<br />
dopodomani eleganti ragazzi, e-l-e-g-a-n-t-i e alle otto e trenta in postazione. Tutto<br />
chiaro?». Coro affermativo stonatissimo, risatina generale e via che si va. Punto Damiano<br />
che prende l‟uscita, lo tengo un attimo in disparte e apprendo l‟amara notizia: niente pass<br />
parcheggio, il che significa per me un‟ora e quaranta a vasca sui mezzi, anziché un quarto<br />
d‟ora di tangenziale. Non avrei nemmeno alcun modo di parcheggiare a pagamento,<br />
perché quando arriverò la mattina quelle aree saranno ancora chiuse, mentre la sera<br />
abbasseranno la stanga prima che io smetta. Questa non ci voleva, porco cane, che quasi<br />
tre ore al giorno fuori casa in più del preventivato fanno una grande differenza quando già<br />
si lavora per dodici o tredici. La partenza alle sei e quaranta sarebbe stata uguale anche in<br />
macchina, perché pur solo mettendosi in strada cinque minuti dopo si trova la tangenziale<br />
intasata, mentre invece è il ritorno che cambia, specie perché se non schizzo in<br />
metropolitana alle ventidue e zerouno perdo l‟ultimo treno in Cadorna che può portarmi al<br />
paesello. E fra l‟altro, tutto ciò vuol dire varcare la soglia di casa a ridosso di mezzanotte,<br />
sistemarmi e dover già essere in piedi alle cinque e mezza. Quattro ore di sonno da<br />
domani sera in poi. Ma anche qui, come per la direttrice, in fondo chissenefrega: sarà solo<br />
per una manciata di notti.<br />
Ora via alla svelta come a L.A. quando per i Lakers la partita è decisa e allo Staples<br />
Center scatta il “beat <strong>the</strong> traffic”. Battere il traffico quando si è a Milano è il primo<br />
comandamento, visto che bastano dieci minuti per perdere due ore, tutte a singhiozzo in<br />
prima e a cinque metri alla volta, sballottati sul sedile come sul dorso di un dromedario.<br />
<strong>Matt</strong>ina seguente, sveglia a un quarto alle sette che già è un‟impresa, doccia, colazione,<br />
lavata di denti, pettinata rapida, Levi‟s, maglioncino girocollo azzurro dal tocco<br />
sorprendentemente “principe di Savoia”, giubbino di pelle data l‟arietta, Stan Smith<br />
bianche e via che si va in stazione. E domani si replica, ma con un‟ora e un quarto<br />
d‟anticipo: l‟ora perché si comincia prima e il quarto, invece, per il maledettissimo nodo alla<br />
cravatta, impresa che implica ad ogni sortita attimi di panico con intervento riparatore di<br />
mio padre all‟ultimo secondo. Col solo problema che lui come fare il nodo non me lo sa<br />
spiegare, lo sa fare solo avendocela addosso quella fottuta lingua di stoffa, con<br />
conseguenti momenti al cardiopalma quando la cravatta bell‟e pronta deve passare senza<br />
disfarsi dalla sua e, soprattutto, dalla mia testa.<br />
Arrivo in stazione, biglietto, passaggio a livello giù in un attimo ed eccomi sul sette e<br />
quarantacinque per Milano Cadorna. Una ressa clamorosa, soffocante, che avevo<br />
abbandonato alla fine del secondo anno di università grazie al cambio di sede. Memore<br />
degli infausti tempi riaccendo la furbizia e mi ricavo un posto a sedere in cima alle scale<br />
per il piano rialzato. Polveroso sì, ma grazie al cielo oggi non piove, quindi con due pacche<br />
sul sedere posso levarmi tutto. Ecco che nelle due ulteriori fermate che il treno effettua<br />
prima di tirare dritto fino alla fine salgono ondate di persone che si pressano<br />
all‟inverosimile, con un paio di elementi che cominciano a prendersi pure a male parole. E‟<br />
piacevole vedere come certe cose non cambino mai, infatti al pari di allora a darsi battaglia<br />
per prime sono le donne. Si arriva al capolinea mentre la massa di gente a me sottostante<br />
viene sballottata a più riprese per i colpi che prende il treno, quindi le porte si aprono e<br />
sembra di aver rotto un vaso zeppo d‟insetti, con questi che si propagano velocissimi in<br />
ogni spazio possibile. Conto fino a dieci e salto nella calca anch‟io, in un fiume d‟umanità<br />
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pendolare che si muove per la maggioranza nella mia stessa direzione, giù in<br />
metropolitana sulla linea rossa. Anche qui è un pollaio sotterraneo e non mi resta che<br />
perdere il primo convoglio e farmi spazio fra la gente per raggiungere il punto dove si<br />
fermerà il primo vagone del prossimo. Quello col conducente, quello che mi dico sempre<br />
che se succedesse un disastro sarebbe quello con più vittime, ma l‟unico dove ci sia un<br />
numero ancora ragionevole di persone. Negli altri, peggio che per le sardine in una<br />
scatola. Mezz‟ora abbondante ed eccomi a destinazione. Mostro il pass alla guardia,<br />
attraverso i tornelli, guardo sul cellulare che ore sono e corro, corro, corro. Comincia così<br />
l‟avventura. La prima volta non si scorda mai, ma dicono pure che la seconda sia meglio.<br />
Giorno 1: partiti!<br />
Dopo uno scatto che non mi permettevo più dai tempi in cui giocavo a basket, arrivo in<br />
direzione espositiva alle nove e trenta spaccate trovandoci però solo una persona, vale a<br />
dire Marilena, anche lei qui come me tramite l‟agenzia. Apprendo per bocca sua che gli<br />
altri sono partiti un minuto prima per andare alla messa inaugurale indetta dall‟azienda.<br />
Messa inaugurale? Messa inaugurale?! Dopo tre quarti d‟ora in cui io mi calo in un silenzio<br />
totale, esterrefatto, ecco che la ciurma rientra al gran completo. Roberto varca la soglia<br />
dell‟ufficio e con lui la famigerata direttrice: uno scricciolo di donna, poco sopra il metro e<br />
mezzo tacchi inclusi, età approssimativa sessanta. Non un singolo elemento che mi faccia<br />
presagire un mastino. Dopo le presentazioni di rito, in cui m‟invita a chiamarla per nome -<br />
Flavia- e a darle del tu, i compiti della giornata mi vengono illustrati: mentre lei e Roberto<br />
saranno direttamente ai padiglioni, io ho sia una lista di istituzioni da chiamare per sapere<br />
delle presenze alla cerimonia d‟inaugurazione ufficiale e al pranzo sociale l‟indomani a<br />
mezzogiorno, sia un secondo elenco che andrà modificandosi nel corso delle ore, inerente<br />
agli espositori che ancora non sono giunti sul posto in questa ultima giornata<br />
d‟allestimento degli stand. Per qualsiasi problema mi vengono lasciati i dovuti recapiti.<br />
Fuoco alle polveri, dunque.<br />
Sono subito al telefono con ambasciate e consolati. Rispondono sempre nella loro lingua<br />
madre, quindi dove posso mi gestisco con quella, mentre in altri casi sfondo di prepotenza<br />
con l‟italiano e forza azzurri, tanto giochiamo in casa. Sono tutti gentili devo dire, arrivo<br />
sempre a chi devo arrivare per verificare la presenza di ambasciatori, consoli, ogni tanto<br />
ministri oppure delegati di vario genere. Sollevo la testa la prima volta che son le undici e<br />
mezza e la seconda che è la una meno cinque, in questo caso con una mano di Flavia<br />
sulla spalla, venuta a vedere se tutto procede bene. Giusto il tempo di un breve resoconto<br />
ed eccola che mi concede di andare in pausa pranzo, dicendo di focalizzarmi in seguito<br />
almeno per un‟ora sulla lista degli espositori non ancora sul posto, che lei ha appena<br />
aggiornato dopo le verifiche ai vari stand vuoti. Uscendo per il break, come prima cosa<br />
m‟imbosco a scartare il mio umile tramezzino fatto in casa, mentre tutti gli altri saranno<br />
sicuramente al bar a lasciar giù l‟equivalente di un‟ora di lavoro per una focaccia riscaldata<br />
e una bibita in lattina; poi torno dentro per un blitz alla toilette; afferrati infine quaranta<br />
centesimi dalla giacca e perciò diretto a concedermi un caffè alla macchinetta, chiacchiero<br />
cinque minuti con Marilena, che è stata inserita nell‟ufficio europeo. Concluse le pubbliche<br />
relazioni e buttato giù il caffè mi getto in un‟ora delle più strane di sempre, ricca di<br />
telefonate in Paesi improbabili come Kazakistan, Suriname, Vietnam ed altri, dove di<br />
frequente oltre la cornetta si consumano scene delle più disparate. Esaurite le mie<br />
differenti opzioni linguistiche c‟è chi parte in monologhi nel proprio idioma, chi cade nel<br />
silenzio e chi capisco stia chiamando qualcun altro per farsi dare una mano, lasciandomi<br />
in attesa un millennio col contatore sul telefono a sprintare come un duecentometrista di<br />
Trinidad e Tobago. Alcuni sono i diretti interessati -al cellulare, persi chissà dove- altre<br />
volte mi trovo invece in linea con le reception delle rispettive aziende ed altre ancora<br />
finisce persino che chiamo a casa di qualcuno. Nulla d‟illecito, se ho determinati contatti è<br />
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perché sono stati dati, ma in ciascuno di questi casi non mi resta che annotare un bel<br />
punto di domanda sulla lista e passare oltre. Trascorsa un‟ora come stabilito, ritorno<br />
sull‟elenco per l‟inaugurazione, che per forza di cose va finito entro l‟orario classico<br />
d‟ufficio «Perché già alle cinque e trentuno in quei posti non becchi più un‟anima», come<br />
esclamato da Flavia a sopracciglio inarcato. Più ambasciate e consolati chiamo, più invidio<br />
coloro che vi lavorano: non parlo di ambasciatori e consoli, miraggi irraggiungibili per un<br />
popolano come me e di cui comunque poco me ne frega, intendo invece che non<br />
dev‟essere davvero male avere un incarico in un ente governativo e starsene in Italia, a<br />
Milano o meglio ancora a Roma, anziché da un‟altra parte. Non per patriottismo, ma<br />
perché diversi di quelli che chiamo sono enti di nazioni devastate, dove la gente muore<br />
ammazzata dai ribelli, oppure senza troppo eccedere si tratta di Paesi dove vorrei davvero<br />
sapere che cazzo ci sia mai da fare. Con tutto il rispetto, ma quando nasci in Azerbaigian<br />
ad esempio, tu là che minchia fai di esaltante? Vuoi star tutta la vita sulle pendici del<br />
Caucaso a tirarti bianca la barba? Per quanto un glorioso Stato, non mi si venga a dire che<br />
offre elettrizzanti opportunità ai propri abitanti. Tu ad esempio, uomo azero, sarai mai<br />
campione del mondo con la tua nazionale di calcio? Vivrai mai tale brivido? No. Beh, per<br />
lo meno tu invece, donna azera, non darai mai fuori di testa con tuo marito perché al posto<br />
di trombarti ha una finale da guardare. Se non altro la famiglia resta unita, di fronte al<br />
focolare o in gita sulle rive del Mar Caspio, che poi però è un lago. Quindi non c‟è dubbio<br />
nel dire che questi venendo in Italia abbiano svoltato, così come chiunque di noi<br />
svolterebbe finendo in ambasciata italiana a Cuba. Ci proverò ad investigare per capire se<br />
può essere una strada anche per me. D‟altra parte il mio corso di laurea dichiarava di<br />
formare figure adatte ad operare nei contesti della diplomazia internazionale, così come al<br />
servizio delle ONG. Vedremo se carta canta.<br />
Con Roberto che arriva caffè alla mano, mi accorgo che sono addirittura le diciassette e<br />
venticinque.<br />
«<strong>Matt</strong>ia, come andiamo?»<br />
«Bene, bene. Solo un paio hanno annullato»<br />
«Espositori?!»<br />
«No no, stavo parlando dell‟inaugurazione di domani, scusa»<br />
«Vabè, amen se ne mancano un paio. Facciamo un punto sugli espositori, invece».<br />
Così dall‟elenco di quelli non ancora arrivati ne depenniamo tredici che si sono presentati<br />
nel corso della giornata. Roberto li ha incontrati ai padiglioni.<br />
«Leva questo, questo e questo anche»<br />
«OK, solo undici ne mancano, quindi»<br />
«Beh, “solo” non direi, <strong>Matt</strong>ia. Guarda che questi tre sono belli grossi, sai che figura che ci<br />
facciamo?». Io comincio a capire l‟ottica della situazione e Roberto prosegue: «Fra l‟altro,<br />
te lo dico perché è importante, il più della gente salda quando arriva e ti garantisco che se<br />
cominciano a tirar bidoni espositori con uno stand grosso come ce l‟hanno questi, è una<br />
montagna di soldi che viene a mancare»<br />
«Ma scusa, è così classico che ci sia chi non si presenta?»<br />
«Non è sempre colpa loro: ad alcuni non sdoganano le merci, altri fino al giorno prima<br />
sono ancora lì ad aspettare il visto. Poi chiaro che a qualcuno, specie ai più piccoli, tipo<br />
quelli a conduzione familiare, basta una persona che s‟ammala e salta tutto. Comunque<br />
domani e dopo sono giorni di visita solo per gli addetti stampa, quindi<br />
contemporaneamente abbiamo della gente in lista d‟attesa pronta a riempire i posti<br />
vacanti»<br />
«Scusa, ma se son dall‟altra parte del mondo come fanno ad arrivare e montare tutto in un<br />
giorno?»<br />
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«Ce ne sono certi che anche se sono in lista d‟attesa son venuti a Milano lo stesso, con<br />
tutta la roba al seguito. Chiaramente espositori medi, mai grossi, per quello che per noi<br />
avere un buco troppo grande o troppo piccolo è un problema. Finché sette o otto medi non<br />
si presentano, li rimpiazziamo sicuro».<br />
Io ci rimango: c‟è gente che pur senza garanzie organizza tutto. E non stiamo parlando di<br />
gente della zona, bensì di imprenditori che smuovono una camionata o come minimo una<br />
furgonata di roba da un altro continente, pronti anche a restare fuori dal cancello se non si<br />
libera un posto. Pensa te, mi dico, dev‟essere proprio una gallina dalle uova d‟oro questa<br />
fiera.<br />
«Quindi io adesso torno ai padiglioni con Flavia, tu continua a cercare i dispersi»<br />
«Con certi però è un problema, risponde gente che non parla altro che la sua lingua»<br />
«Hmm, tipo?»<br />
«Asiatici soprattutto, poi pure un paio di russi»<br />
«Vabè, prendi l‟indirizzo e-mail che hanno di fianco», indicandomi l‟elenco alzando mento,<br />
«io ora ti apro la mia casella di posta e tu gli mandi una mail in inglese a nome mio, così<br />
poi siamo col culo parato».<br />
Col culo parato. Roberto va veramente sciolto. E meno male, io di certo non mi<br />
scandalizzo. Meglio un ambiente così che un ufficio tutto ingessato dove farsi riverenze a<br />
go-go. Tanto l‟ha capito che tipo sono, ieri è stata una di quelle conversazioni in cui non ci<br />
si dice niente di particolare ma si avverte con chi si ha a che fare, e lui l‟ha inteso al volo<br />
che non sono un addormentato.<br />
Pariamoci „sto culo quindi: a coloro che è inutile richiamare scrivo subito, con gli altri<br />
proseguo in cerca di aggiornamenti. Si son fatte le diciotto e quindici e adagio adagio<br />
m‟inserisco in un tempo morto in cui ho sbrigato il grosso del necessario e comincio ad<br />
avvertire un certo languorino. Mi metto sulla porta, poi decido di andare alla toilette e<br />
buttando al ritorno lo sguardo dentro gli altri uffici realizzo che ci siamo solo noi<br />
dell‟agenzia, mentre i vari capi sono ai padiglioni. Finisce che si scambiano due parole fra<br />
tutti, finché mi suona il telefono e devo andare a rispondere. E‟ Flavia che mi chiede come<br />
vanno le cose, io spiego e morta lì.<br />
Il languorino si fa sentire sempre di più, ma per mia sfortuna non vi è nessun Ambrogio nei<br />
paraggi che possa aprirmi uno scomparto coi Ferrero Rocher messi a piramide, quindi<br />
tocca tener duro. La questione diventa complicata quando uno alla volta gli altri<br />
dell‟agenzia vanno a rifocillarsi e io realizzo di non aver nessuno con cui darmi il cambio:<br />
porca puttana, non avevo ancora calcolato d‟essere stato fregato su questo punto.<br />
Il languorino perde il grado diminutivo e si fa languore, poi acquisisce l‟accrescitivo e si fa<br />
languorone. Poi diventa una bestia di buco allo stomaco che fatico a reggere, visto che nel<br />
mentre non ho nuovi ordini sul da farsi e non m‟è rimasto nulla su cui concentrarmi. Alle<br />
sette e dieci ecco il duo Flavia-Roberto, coi quali stendiamo le basi per l‟indomani.<br />
Dopo venti minuti di strategie, ecco che il dito gira impietoso nella piaga: «Beh, abbiamo<br />
detto tutto. Allora noi andiamo a mangiare».<br />
Io, che in questo momento potrei scannare un caribù, mi sento morire. Lasciato di nuovo<br />
solo, addento una caramella gommosa manco fosse una fiorentina e aspetto,<br />
organizzando la scrivania per la seconda alba e ripassando il da farsi, speranzoso che a<br />
breve tornino per darmi il cambio. Scattate le otto, la lancetta sull‟orologio ne scandisce tre<br />
quarti senza che nessuno si veda.<br />
Di lì a pochi minuti arriva una chiamata sul mio cellulare, che giaceva a peso morto in<br />
tasca dalla mattina. Nemmeno mi ricordavo di averlo.<br />
«Pronto»<br />
«<strong>Matt</strong>ia?»<br />
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«Sì?»<br />
«Ciao, sono io». Ma cazzo, io chi? Il numero non lo conosco, la voce mi sembra familiare<br />
ma non la inquadro. Come sempre in queste situazioni resto neutro, non chiedo niente e<br />
lascio che i vari dettagli mi dicano con chi ho il piacere d‟interloquire.<br />
«Ah, ciao»<br />
«E, ciao <strong>Matt</strong>ia, tutto bene?»<br />
«Tutto bene…». Ma chi diavolo è?! E che trambusto che c‟ha in sottofondo? La sento<br />
appena.<br />
«Guarda che fra poco ci muoviamo». E muovetevi, manco so chi cazzo siete, per me<br />
potete anche darvi fuoco. Ma la frase prosegue: «…quindi fra una decina di minuti chiudi a<br />
chiave e vai anche tu». Ma porca puttana: Flavia.<br />
Saluto e ringrazio, mi preparo e dopo nove minuti e cinquantanove secondi sgommo. Lo<br />
stomaco non sembra più nemmeno così vuoto, è il poter correre via un‟ora prima del<br />
previsto che mi dà nuova energia. Me ne frego di lasciare giù un‟ora di lavoro in contanti<br />
per un pit-stop al bar, adesso si va a casa e basta.<br />
Meno di due ore dopo sto addentando una cotoletta alla milanese che è un bijou. Primo<br />
round completato. Sono soddisfatto, è una bella sensazione essersi guadagnati la<br />
giornata. Ne mancano cinque.<br />
Giorno 2: mezzogiorno di fuoco<br />
Una martellata in testa è quella che mi sembra di aver preso mentre sono su un mai visto<br />
treno delle sei e quarantadue antimeridiane in direzione capoluogo. Coma totale, ma per<br />
lo meno sono seduto su un sedile vero e proprio, come spetterebbe a qualunque<br />
passeggero a qualunque orario. Per la cravatta solita confusione, ma da oggi la lascio<br />
annodata e sono salvo, mentre invece la particolarità della mia mise è che al momento di<br />
definitivo indosso solo la già citata, annodatissima lingua di stoffa e la camicia. Tutto il<br />
resto, dicesi giacca, pantaloni e scarpe eleganti è ben riposto nel borsone che ho con me.<br />
Per ragioni d‟igiene non mi sono fidato a mettermi addosso tutto subito. Inoltre è<br />
certamente un piacere muoversi in jeans e Stan Smith lungo il tragitto, per la comodità e<br />
perché a me il rumore dei tacchi se non sono di una donna stanno sui coglioni, specie se<br />
del mio famoso vicino, che l‟unica cosa che dovrebbe veramente cambiare da lunedì sono<br />
le scarpe, visto che già alle sette del mattino sembra ci sia uno stage di tip-tap nel<br />
condominio.<br />
Il tragitto è lo stesso di ieri ma decisamente meno congestionato, infatti prendo la prima<br />
metropolitana e arrivo a destinazione con un bel dieci minuti d‟anticipo, giusto il tempo per<br />
salire e cambiarmi con calma. Invece…<br />
«Salve. Ecco qui». Porgo il tesserino alla guardia.<br />
«E lei dove crede di andare con questo?». Voce roca, accento pugliese.<br />
«Non ne ho un altro, questo ci hanno dato». Faccio suonare forte il «ci», come a far capire<br />
che sono sicuro di non essere il Calimero della situazione.<br />
«Deve aspettare le nove e trenta»<br />
«Senta, io comincio a lavorare fra dieci minuti e mi devo anche cambiare. Per favore…»<br />
«Io non ci posso fare niente»<br />
«Guardi che l‟ho usato anche ieri, e io lavoro per gli organizzatori, in direzione, mica per<br />
un espositore. Vede qui?». Gli indico le specifiche riportate, così come il logo della società,<br />
che contemporaneamente domina su una miriade di pannelli promozionali sparsi<br />
tutt‟intorno. Spero che almeno sia il suo subconscio a fargli fare associazione mentale,<br />
dato che si vedono più quelli che il colore del cielo.<br />
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Mentre lui guarda il mio badge spostandoselo lontano e vicino come uno che avrebbe<br />
bisogno di un paio d‟occhiali ma è troppo uomo per dirselo, sento un voce da dietro.<br />
«<strong>Matt</strong>ia, ciao». E‟ Marilena.<br />
«Ciao Mari». Col sorriso e l‟aria da infastidita allo stesso momento.<br />
«C‟è qualche problema?»<br />
«Il tesserino, signora» esclama la guardia, sempre alle prese con la sua indagine da RIS.<br />
«Nando, cos‟è che non va bene?». Gli si rivolge direttamente e lui, sentendosi chiamato<br />
per nome, alza lo sguardo.<br />
«Oh…ciao! Mi sembrava di conoscere la voce!». Ha già cambiato tono e finito di fare lo<br />
spaccone, a quanto pare. Mi ci gioco le palle che se non fosse che Marilena è così carina,<br />
un tot di cafoneria sarebbe rimasta. Invece zero, sparita. Alt un momento però, fermi tutti,<br />
concentrazione: Marilena oggi è davvero molto più carina dei giorni scorsi. Pollice su per<br />
le giornate eleganti, rivelano piacevoli sorprese.<br />
«Nando, ce l‟ho anch‟io identico. Cosa facciamo, non ci fai passare?»<br />
«Vabè, visto che sei qua te andate, mi fido. E tu, ragazzo, offri un caffè alla signorina, mi<br />
raccomando, perché se no te ne stavi qui a farmi compagnia fino alle nove e mezza».<br />
Ma vaffanculo, coglione, e mettiti gli occhiali.<br />
Io e Marilena procediamo verso la direzione a passo speditissimo, che mancano due<br />
minuti all‟ora X, con io che per giunta devo ancora completare la trasformazione.<br />
Infilo la chiave nella porta dell‟ufficio tre minuti in ritardo, miracolosamente senza che vi sia<br />
ombra di Roberto e Flavia. Già me li immaginavo lì a indicarmi il quadrante dei rispettivi<br />
orologi da polso sulle otto e trentatré. Meglio così, quindi apro, accendo il computer e<br />
intanto che carica tutto l‟ambaradan volo in bagno a cambiarmi.<br />
Ci metto il minimo indispensabile ed esco dal bagno addirittura con le stringhe arrabattate<br />
dentro le scarpe, con l‟intenzione di allacciarle in tutta calma una volta in controllo della<br />
postazione. Ecco che arrivo e in controllo della postazione ci trovo invece Flavia e<br />
Roberto, con le facce serie serie. In un attimo penso a cosa possa essere successo. Ti<br />
pareva, saranno già stati qui prima delle otto e trenta, quando quel deficiente mi stava<br />
bloccando all‟entrata, hanno trovato la porta dell‟ufficio chiusa, sono andati a fare<br />
colazione, dopo un quarto d‟ora sono tornati e hanno trovato sì la porta aperta, ma non me<br />
e quindi han pensato che fossi andato con nonchalance a farmi un bel cappuccino con<br />
brioche. Infatti…<br />
«Fatto colazione, <strong>Matt</strong>ia?». Flavia, senza neanche guardarmi in faccia.<br />
«No, ero un attimo in bagno» e dopo un secondo di eterno silenzio «e prima ho avuto<br />
casini giù con la guardia all‟entrata. Non voleva lasciarmi passare»<br />
«Ogni anno la stessa storia» dice Roberto, che evidentemente non può riferirsi a me.<br />
«Perché?» chiedo io, dubbioso se stia parlando di qualche ritardatario di anni addietro.<br />
«Perché c‟è un mucchio di gente che falsifica i pass per entrare. Da un lato c‟han ragione<br />
le guardie ad essere strette, ma i loro capi dovrebbero anche svegliarsi a dare le<br />
informazioni corrette, perché noi gliele facciamo avere»<br />
«Ieri invece non m‟hanno fatto storie», rispondo io.<br />
«Ieri era ieri» dice Flavia, inacidita.<br />
«Allora, io e lei adesso andiamo giù che c‟è bordello. Tu ora comincia a chiamare gli<br />
espositori dispersi, dai a tutti una svegliata e aggiorniamoci massimo alle dieci. Se non<br />
sono arrivati a mezzogiorno sono esclusi. Questa è la lista d‟attesa con anche la metratura<br />
di stand che ognuno vorrebbe. Lì sotto c‟è segnato il numero di Pedretti: la situazione<br />
concreta ce l‟ha in mano lui su dove sistemare uno piuttosto che l‟altro, quindi c‟è bisogno<br />
che venga in ufficio a dirti cos‟abbiamo disponibile. Comunque cominciamo a sentirci noi<br />
alle dieci, poi vediamo man mano».<br />
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Loro se ne vanno, io comincio a fare quello che devo, chiamando i celebri desaparecidos.<br />
Si fanno le dieci meno dieci che ho necessità di una botta di zuccheri, quindi mi alzo<br />
moneta alla mano e mi dirigo verso la macchinetta, facendo però tappa all‟ufficio a fianco.<br />
Imitando l‟accento pugliese di poc‟anzi, busso ed esordisco con «Signorin‟ vèng‟ che le<br />
offr‟un gaffè, ghe se non er‟ pellèi io me ne rimanev‟ fuori a fare gompagnia a guèll‟».<br />
«Ha-ha!” Risata squillante, fragorosa fra il resto delle voci sopite degli uffici della direzione.<br />
Me la cavicchio con le imitazioni.<br />
Marilena si alza dalla sedia col sorriso e andiamo a prenderci qualcosa, io una cioccolata<br />
e lei un cappuccino extra zucchero. Ci raccontiamo un attimo come procede e quando mi<br />
chiede a che ora ho in programma di fare la pausa pranzo le rispondo che è tutto da<br />
vedere, dato che ieri ho saltato la cena perché non ho nessuno che mi dia il cambio.<br />
«<strong>Matt</strong>ia, qui ti devi gestire per i cavoli tuoi, ricordatelo. Se aspetti che si sveglino gli altri,<br />
buonanotte»<br />
«Eh, ma son da solo in ufficio. Tu almeno hai…com‟è che si chiama l‟altra ragazza, che mi<br />
son dimenticato?»<br />
«Sara»<br />
«E già, Sara. Eh, tu hai lei, nell‟altro ufficio sono in due di noi anche lì. Io son da solo.<br />
Comunque magari ieri sera è stato un malinteso, vediamo oggi».<br />
Marilena ha un nonsoché di delusione negli occhi, ma in tutta calma mi dice: «Vabè, se ti<br />
serve che ti prenda qualcosa al bar comunque fammi sapere».<br />
«Grazie, ma mi son portato dietro un panino da casa per mezzogiorno e oggi anche uno<br />
per stasera, in caso d‟emergenza»<br />
«Ma guarda che non puoi mica andare avanti a panini fino a lunedì!». C‟è qualcosa di<br />
materno nei miei confronti che non decifro. Sarà che ha ventinove anni. I numeri son<br />
numeri, anche se non li dimostra.<br />
«No, non ti preoccupare, resisto».<br />
Sarò stato un po‟ troppo sulle mie? Boh. A scanso di equivoci rattoppo con un chiaro<br />
sorriso che però si richiude dopo un secondo, perché sento il telefono del mio ufficio che<br />
suona. Ci diamo un cenno d‟intesa e ognuno torna al suo da fare. Io alzo la cornetta al<br />
quarto squillo ed è Roberto.<br />
«<strong>Matt</strong>ia, hai lì qualcuno?»<br />
«No no, Roberto. Sono andato a prendermi un caffè, che a metà mattina mi serve». Fa<br />
niente che fosse la cioccolata, dire caffè fa sembrare molto più rapido il break.<br />
«Vai tranquillo, che qui bisogna arrivare a sera». Che piacere avere un capo<br />
accomodante. «Comunque <strong>Matt</strong>ia, aggiornamenti sui dispersi?»<br />
«Allora, progressi: due mi han detto che stanno arrivando ma sono nel traffico, mentre altri<br />
tre han detto che stanno montando gli stand adesso»<br />
“Proprio qui ti volevo. Bravo, mi hai preceduto, infatti chiamavo anche per dirti di levare tre<br />
nomi dalla lista che li ho visti qui al padiglione».<br />
Controlliamo per sicurezza che i nomi corrispondano e in effetti tutto torna. Rimaniamo<br />
che ci si risente poco prima del cerimoniale.<br />
Nel giro di pochi minuti però la situazione si capovolge, perché comincio a ricevere una<br />
marea di chiamate dalle segreterie di ambasciate e consolati per confermare orario e<br />
luogo dell‟inaugurazione, così come le targhe delle auto da comunicare alle guardie, dato<br />
che questa gente non viene certo coi mezzi. Speriamo che il solerte Nando non sia stato<br />
clonato. Contemporaneamente, prima uno, poi due, poi tre, poi una fila, mi bussano alla<br />
porta espositori con questioni delle più disparate, fra chi sbaglia ufficio e chi è salito a<br />
consegnare la prova di pagamento, fino a chi ha problemi con la corrente o il vicino di<br />
postazione.<br />
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Sembra un‟udienza a corte: uno ad uno li ascolto, prendo i dati e la posizione, infine<br />
restando sul diplomatico dico che «risolveremo il più presto possibile». Bado bene ad<br />
essere educato con tutti, ma la risposta che ricevo ad ogni passaggio è sbalorditiva: lunghi<br />
ringraziamenti, strette di mano, inviti agli stand e promesse di regali. Sono a bocca aperta.<br />
Si vede che qualcosa azzecco. Arriviamo alle undici e mezza che c‟è ancora qualcuno, ma<br />
il telefono ricomincia a suonare all‟impazzata e scopro di avere tre ambasciatori e cinque<br />
consoli bloccati all‟ingresso. Tento di raggiungere al volo Roberto ma suona occupato,<br />
quindi provo su quello di Flavia.<br />
«Dimmi <strong>Matt</strong>eo». Sorvolo, badiamo alla sostanza<br />
«Flavia, guarda che mi sono arrivate una scarica di chiamate e abbiamo otto persone fuori<br />
dal cancello con l‟auto, non le fanno entrare»<br />
«Chi?»<br />
«Te lo stavo appunto per dire: tre ambasciatori e cinque consoli»<br />
«Cosa?!»<br />
«Vuoi che vada là? Però qui mi tocca chiuder l‟ufficio che se no non c‟è nessuno».<br />
Evidenziamo.<br />
«Ma che figure di merda!». Flavia è in ebollizione. «Aspetta, aspetta, fammi pensare. Lì<br />
come va, invece?»<br />
«C‟ho una processione di gente per…»<br />
«Mandali a cagare! Tu mandali a cagare!». E‟ davvero fuori.<br />
«Ma…». Vorrei spiegarle un attimo che certi hanno problemi concreti.<br />
«No, no! E adesso, adesso cosa cavolo facciamo? Senti, chiama qualcuno perché quelli<br />
che ci sono fuori devono entrare subito! Che figure, che figure!»<br />
«E…». Troppo tardi, ha già messo giù.<br />
Tento una chiamata a Roberto ma è ancora occupato. A questo punto controllo l‟elenco<br />
dei numeri utili ma non vi è nessuna traccia di qualcosa che riguardi la sorveglianza. Vedo<br />
con la coda dell‟occhio Marilena che passa oltre la porta del mio ufficio e la chiamo.<br />
Tempo tre secondi ed eccola.<br />
«Madonna ma che folla che hai qui. Stai regalando soldi?»<br />
«No, ma che, questi voglion parlare sicuramente dei problemi che hanno agli stand o<br />
lasciare la prova di pagamento. Invece, sai mica come si chiama la società per cui lavora il<br />
tuo caro amico Nando?».<br />
Colpo fortunato. Con lei e Google in un minuto stano il numero della centrale fieristica,<br />
chiamo e spiego cosa sta succedendo. Lascio un recapito e dico di provvedere<br />
immediatamente. Che chiunque mi chiami. Non per riverenze da suddito verso il tal o il tal<br />
altro personaggio, ma perché c‟è qualcuno che sta sbagliando qualcosa e ne sta uscendo<br />
un casino.<br />
I secondi passano lenti, al rallenty, perché qui ho ancora persone fuori dalla porta, giù c‟è<br />
gente fuori dal cancello e io non mi posso sdoppiare. Per intanto vedo di liquidare i due<br />
disperati che ho di fronte adesso, venuti a dirmi che il vicino di stand ha parcheggiato della<br />
roba nel loro e non si decide a levarla. Prendo i dati e come di prassi rassicuro che ci<br />
muoveremo il prima possibile, quindi saluto. A questo punto decido di andare di persona<br />
all‟ingresso per sbrigare la questione dei diplomatici. Frugo in tasca per la chiave, la trovo,<br />
esco, comunico alla folla che mi sto assentando per un‟emergenza, la folla borbotta, io sto<br />
per dare la seconda mandata ma sento il telefono che squilla. Riapro, mi chino sulla<br />
scrivania in una posizione del tutto sconveniente e prendo la cornetta.<br />
«Il dottor Colombo?»<br />
«Sì».<br />
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Miracolo! No, non perché per la prima volta qualcuno mi chiama dottor Colombo, ma<br />
perché mi stanno telefonando dall‟ingresso automezzi. Mi tocca riprendere il foglio e<br />
recitare titolo, nome della persona e targa dell‟auto per ognuno, mentre una guardia grida<br />
all‟altra quello che dico. Altro che le barzellette sui carabinieri. Ed entrano il primo, il<br />
secondo, il terzo e il quarto ma sul quinto abbiamo un problema: non corrisponde l‟auto,<br />
mentre tutto il resto sì. Dico di muoversi sugli altri e qui tutto combacia fra quello che io<br />
dico e quello che loro si trovano di fronte, perciò il problema stava probabilmente solo sugli<br />
elenchi che avevano. A questo punto chiedo di richiamarmi passati dieci minuti e mi lancio<br />
al telefono con il consolato del personaggio ancora bloccato. Nel giro di breve raggiungo<br />
chi di dovere e domando spiegazioni. Banalmente: errori di spelling sulla targa, “b”<br />
diventate “d” e una “s” rocambolescamente diventata “6”. Va bene, va bene, problema<br />
risolto.<br />
La questione è che in questo ufficio io da solo non posso fare miracoli, serviva minimo<br />
un‟altra persona e non solo per darmi il cambio ai pasti. Che nervi, la solita gente che<br />
punta al risparmio. Adesso sono io incazzato nero, altro che Flavia. Ecco che mi<br />
richiamano dalla guardiola, io spiego la situazione e quindi anche l‟ultimo reietto viene<br />
fatto entrare. «Oh, comunque ve la prendete voi la responsabilità!» mi dice il tizio al<br />
telefono, non Nando ma probabilmente un imparentato. Sì, sì, ce la prendiamo noi la<br />
responsabilità, dai, avanti, far passare e via una rottura di coglioni per il dottor Colombo.<br />
Ma poi chi l‟ha detto a loro che son dottore? Come l‟avran capito che sono dottore? Sarà<br />
una presa per il culo o che qui tutti si fan chiamare dottore? O che da laggiù quando<br />
chiamano quassù danno a tutti del dottore per riverenza automatica? Mah…<br />
Chiamo Flavia per dire che la situazione si è sbloccata, ma adesso è lei col telefono<br />
occupato. Provo con Roberto, mi risponde dicendomi che Flavia stava giusto tentando di<br />
chiamarmi, io gli do la buona novella e lo sento tirare un sospiro di sollievo mentre sposta<br />
il cellulare e mette al corrente anche la nostra cara dama. Faccio pure in tempo a dirgli<br />
che quassù le acque sono molto agitate, salvo poi essere mollato in fretta visto che<br />
l‟inaugurazione incombe. Va bene, ridiamo il via alla processione. Però fermi un attimo, qui<br />
ormai è mezzogiorno e c‟è da chiamare il celebre Pedretti per decidere in merito alle liste<br />
d‟attesa. Facciamolo.<br />
«Pronto»<br />
«Sì, salve signor Pedretti, sono <strong>Matt</strong>ia, lavoro per Flavia e Roberto»<br />
Dopo essersi scandalizzato per il fatto che io gli abbia dato del lei, mi dice: «Verrò su<br />
appena possibile. Sto avendo dei problemi con gli allacciamenti della corrente di diversi<br />
espositori». Ottimo direi, il buon Pedretti sembra fare al caso mio, mi spiace solo che avrà<br />
un‟ulteriore dose di noie dopo avermi incontrato. E sì, c‟è gente che ha problemi e io mi<br />
permetto di esclamare «Ottimo!»: sto proprio diventando uno squalo egoista, un vero<br />
manager. Basta che ci sia chi può risolvere i miei cazzi che del resto me ne infischio, per<br />
me a quel punto è tutto ottimo, con anche un arrogantissimo punto esclamativo. E siamo<br />
solo al secondo giorno.<br />
Avanti un altro, un altro e poi altri due assieme, finché mentre accompagno questi alla<br />
porta vedo una specie di ciclone sbraitante puntare il corridoio. Uno schizzato di non<br />
precisata provenienza che sventolando un foglio come fosse una molotov cerca con lo<br />
sguardo la targa dell‟ufficio designato per il tumulto. Vedo che guarda sopra la mia testa e<br />
poi: «Flavia, c‟est vous Flavia?!». Letteralmente con lo sguardo omicida.<br />
«Non, c‟est pas moi mais je travaille pour elle». Specifico, come dire che ambasciator non<br />
porta pena: non sono io Flavia, ma comunque lavoro per lei. Tralasciamo che sono<br />
maschio e quello è un nome da donna, non mettiamo i puntini sulle “i”.<br />
48
«J‟ai payé, j‟ai payé, c‟est pas vrai que j‟ai pas payé!». Insiste sul dire che ha pagato,<br />
come se io conoscessi per filo e per segno la sua situazione, mentre invece nemmeno so<br />
chi sia.<br />
Gli dico di calmarsi un attimo e di aspettare in fila, che tutti se la stanno educatamente<br />
facendo, ma questo non ci sente. Ha il veleno negli occhi e impreca un po‟ in francese e<br />
un po‟ in una lingua ostrogota che qualcuno in coda però evidentemente capisce, dato che<br />
due uomini si staccano e si avvicinano parlandogli, con l‟evidente intenzione di calmarlo.<br />
C‟è poco da fare, il tizio è fuori controllo, un cavallo da rodeo. Si forma rapidamente un<br />
capannello di gente degli uffici e di gente in fila, come fosse per metà una rissa da godersi<br />
a bordo ring e per metà una situazione in cui dover saltare addosso in massa a uno<br />
squilibrato prima che estragga un mitra e faccia una carneficina. Io cerco di scorgere se<br />
nel mentre ci sia qualcuno della sicurezza a cui fare un cenno. Negativo, un cazzo di<br />
nessuno. Vorrei vedere cosa farebbe in questo momento il solerte Nando, giusto per<br />
capire se è più Chuck Norris o Commissario Winchester.<br />
Quando le fiamme divampano, l‟unica è usare l‟estintore. O almeno provarci, in attesa dei<br />
pompieri. E l‟estintore umano non può essere altri che il sottoscritto. Allora, come stazza<br />
siamo uguali, non sono di fronte a sproporzioni bibliche come in Ken il Guerriero, dove di<br />
frequente uno dei contendenti era grande quanto una falange dell‟altro. Non che io voglia<br />
menar le mani, ma c‟è da contemplare che lo voglia lui. E‟ una scena da “Mezzogiorno di<br />
fuoco”: il corridoio è il nostro saloon, tutti ci stanno guardando e questo gringo ha qualcosa<br />
da ridire sulla proprietaria. Tocca quindi a me difendere l‟onore di colei che mi sta<br />
spianando la strada per la ricchezza e far capire a questo tizio che non si passa da Fiera<br />
Town piantando grane e uscendone indenni. Nossignore! Faresti meglio a tornartene da<br />
dove sei venuto, forestiero, perché ora capirai di aver trovato pane per i tuoi denti.<br />
Avanzo verso colui che oggi ha deciso di digerire piombo, così che fra il mio naso e il suo<br />
ci sia una spanna o pressoché. Il Padreterno gli ha regalato degli occhi acuti, peccato non<br />
abbia fatto così col cervello. Ma è pur sempre vero che ogni uomo ha un motivo per<br />
perdere le staffe, a volte. Magari era anche lui un bravo cowboy, ma successe qualcosa.<br />
Già, succede sempre qualcosa (ormai nella mia testa parlo con la voce di John Wayne).<br />
Ogni bestia indomita va riportata alla calma e qui tocca a me farlo. Ho già mosso tre passi<br />
in avanti e non sono il tipo da muoverne indietro. Non mi piace chi non sa andare alla fine<br />
di quello che ha cominciato.<br />
A questo punto faccio una cosa del tutto normale: gli spiego che non è la maniera di agire<br />
e che se continua a dar di matto “qualcuno” chiamerà la sicurezza, così che sarà spedito<br />
fuori dai cancelli in meno di dieci minuti, perdendo la possibilità di fare quello per cui ha<br />
transumato fin qui dal suo Paese. Insomma, lui è salito sbraitando per una questione di<br />
soldi e io lo tocco su quelli che non incasserà se prosegue su questa linea. Chi ha<br />
orecchie da mercante, di fronte a frasi come queste orecchie da mercante evita di farle.<br />
Dalla rivolta alla calma in un minuto: do pacatamente uno sguardo al foglio che impugna,<br />
lo indirizzo verso l‟ufficio contabilità (che fortunatamente è altrove, almeno avrà chance di<br />
sbollirsi nella scampagnata) e la questione è risolta. Alla mia sinistra, uno stuolo di<br />
colleghe capitanato da Marilena mi guarda con la faccia da “Oh, mio eroe!”; alla mia<br />
destra, la fila della gente che ancora devo sentire si ricompone. Avanti il prossimo, quindi.<br />
Ah, nota al margine: nessuno mi aveva autorizzato a minacciare di estromissione gli<br />
espositori. Vabè, Maradona la chiamerebbe “mano de Dios”.<br />
Dopo una mezz‟oretta di udienze ecco che arriva il famigerato Pedretti. A porte chiuse<br />
quindi, per la gioia della gente in fila, cominciamo la puntata aziendale di “Chi l‟ha visto”:<br />
Pedretti parte con una mossa a sorpresa, estraendo una mappa dettagliatissima dei<br />
padiglioni che mi dice aver aggiornato dopo un giro di ricognizione appena concluso.<br />
49
Fantastico, grazie a degli arrivi freschi freschi scriviamo un numero di OK che ci permette<br />
di scendere a quota cinque. Tra questi ne noto uno che sulla mappa di Pedretti è<br />
sottolineato in rosso e chiedo come mai.<br />
«Porca puttana…». Così parlò Pedretti.<br />
«Cosa?»<br />
«Questo stand non lo possiamo dar via, perché il tizio è uno dei pochi che ha già fatto il<br />
saldo completo»<br />
«Almeno i soldi ci sono» dico io, mostrandomi incline alla massimizzazione del profitto<br />
come piace alle aziende.<br />
«Questa va discussa con Flavia e Roberto»<br />
«Perché?»<br />
«Perché noi di vuoto non lasciamo niente». Accidenti, pareggio con gol da antologia per<br />
Pedretti sulla massimizzazione: vendere anche il già venduto.<br />
A questo punto contattiamo rapidamente i primi quattro in lista d‟attesa e questi esultano<br />
uno per uno: più che una pioggia di ringraziamenti, un‟alluvione. Su richiesta di Pedretti do<br />
anche direttive molto strette in quanto a modalità di pagamento e tempi di allestimento, ma<br />
questi sempre che ringraziano, ringraziano e ringraziano. Accetterebbero di tutto in questo<br />
momento. Dico anche ad ognuno di mandare un delegato in ufficio da me come prima<br />
cosa una volta sul posto, autorizzandoli a saltare qualsiasi fila al grido di “Waiting list”, lista<br />
d‟attesa. E giù ancora ringraziamenti su ringraziamenti, come non esistessero altre parole<br />
al mondo, con me sempre più ad interrogarmi su quali prodigi faccia questo evento a chi vi<br />
partecipa, visto che dalle reazioni sembra ancora una volta di aver regalato ad un bulimico<br />
un ingresso alla fabbrica di Willy Wonka.<br />
Pedretti a questo punto si congeda, lasciandomi il compito di discutere coi due capoccia il<br />
da farsi per lo stand in sospeso ed avvisarlo in seguito. Io, prima di riprendere con le<br />
udienze manco fossi Mastella a Ceppaloni la domenica mattina, azzanno uno dei miei due<br />
panini, quello al formaggio. Per stasera, se il cielo mi concede un minuto, mi resta quello<br />
al cotto. Neanche le due del pomeriggio e già mi sembra di essere uscito da un<br />
pentathlon, con per di più ancora otto ore davanti. Speriamo che finisca come ieri, con<br />
un‟oretta abbonata e una fuga disperata verso sessanta preziosissimi minuti di sonno<br />
extra.<br />
Una volta rifocillato proseguo con una migliore visione del mondo finché, evidentemente<br />
appesantiti (per non dire freschi di rutto) sopraggiungono Flavia e Roberto, l‟immagine<br />
della sazietà, visione che mi riporta a sentirmi un perfetto denutrito. Senza degnare di uno<br />
sguardo la gente in fila chiudono la porta e si adagiano su due sedie come sprofondassero<br />
in poltrona dopo un‟abbuffata natalizia. Io vedendoli raggianti m‟informo su come sia<br />
andata la mattinata, sentendomi declamare il menù del pranzo più che il numero di incontri<br />
o eventuali notizie di rilievo. Li lascio sfogare, concedo loro di esternare cotanta gioia<br />
nonostante sia seccato giusto-una-punta da quanto mostrino inesistente interesse per le<br />
mie sorti alimentari. Si fa quindi il mio turno di parlare e faccio un resoconto della giornata<br />
di fuoco finora trascorsa, sciorinando fatti e fattacci con le annesse soluzioni<br />
appositamente come fossero quisquiglie, roba da niente, vento fresco, desideroso di<br />
vedere che effetto faccia. Roberto mostra più coinvolgimento, Flavia invece non batte<br />
ciglio se non per chiedermi se ce l‟abbia fatta a intendermi con tutti. Domanda spiattellata<br />
in maniera arrogante e senza un concreto perché, ma io lascio cadere seguendo la regola<br />
del “beneficio del dubbio nei confronti del capo”, inedita variante con molta, ma molta, ma<br />
molta più elasticità rispetto alle situazioni extraprofessionali.<br />
Selezionato quindi il mio unico interlocutore per i prossimi minuti, mi appresto ad affrontare<br />
il caso “Al-Haddad: il disperso pagante”, mentre Flavia parte in direzione toilette senza<br />
proferir parola, con me a chiedermi se abbia realizzato di essere stata sconveniente o se<br />
50
le sia partito un ponte per colpa dell‟ultimo dei tre bignè che si è sparata dopo il rientro.<br />
Alla facciazza mia e senza offrire, naturalmente. Comincio a capire perché, seppur con<br />
tutte le sfumature, mi erano state ventilate certe frasi al briefing. Ecco, se c‟è una cosa che<br />
fatico a farmi risultare come rugiada sulla pelle sono proprio le persone così, quella gente<br />
lunatica che ti spinge a fermentare pian piano finché finisci a chiedere se “per caso” ci sia<br />
qualcosa che non va, per sentirti dire verbalmente di no mentre con tutto ciò che verbale<br />
non è ti vengono inviati chiari segnali di tempesta. Vedremo se toccherà arrivare a tal<br />
punto, ma per ora preferisco sperare in lune propizie fino a quando il mio compito non sarà<br />
assolto. In fondo non ce ne vogliono molte. Poi che se la sorbiscano quelli che ci lavorano<br />
assieme tutto l‟anno.<br />
«Roberto, qui abbiamo un problema di cui c‟è da far sapere a Pedretti cosa si decide»<br />
«Cioè?»<br />
«Questo tizio, Al-Haddad, è uno dei pochi che aveva già pagato tutto, ma non è arrivato»<br />
«E cazzo…». Roberto si adombra.<br />
«Peggio che peggio, è uno di quelli con cui non ci si riesce ad intendere per via della<br />
lingua»<br />
«Quindi non si sa nulla di cosa ne sia „sto qui?»<br />
«No, niente. Anche all‟e-mail nessuna risposta»<br />
«Anche?». Gli vedo una scintilla nell‟occhio.<br />
«Eh sì»<br />
«Senti, allora tu dì a Pedretti che ne mettiamo dentro un altro e via. Perché noi di vuoto<br />
non lasciamo niente».<br />
Se poc‟anzi avevo pensato che questa potesse essere la sparata di uno un po‟ troppo<br />
aggressivo nell‟intendere gli affari, ora che la sento per la seconda volta e da una seconda<br />
bocca comincio a pensare sia invece il mantra aziendale. Non è la mia filosofia, ma io non<br />
sono qui per lanciare crociate equo-solidali, quindi mentre anche Roberto parte sulla via<br />
della toilette –questo pranzo dev‟essere stato davvero sostanzioso- io balzo al telefono<br />
con Pedretti, capisco che genere di nome in lista d‟attesa contattare e via. Quando<br />
entrambi i miei boss ritornano dalla gita ai servizi igienici, la faccenda è sbrigata. Quasi<br />
colti di sorpresa da cotanta rapidità, ecco che per bocca di Flavia mi viene concessa una<br />
pausa caffè mentre loro si smazzeranno le udienze con quelli fuori dalla porta. Uscendo<br />
noto meno gente di prima, rientrando poi dopo un quarto d‟ora ne noto solo uno in attesa e<br />
due dentro. Vabè, dopotutto sono in due, mi dico. Vabè, poi sono anche esperti, aggiungo.<br />
Poi non essendoci una terza scrivania e per non interrompere nessuno, resto in disparte<br />
ma comunque con occhi e orecchie sulla conversazione. Non che ci sia molto però,<br />
perché il trattamento è l‟immagine della sbrigatività, il che non è per forza un male se non<br />
fosse in questo caso per la palpabile attitudine in stile “Non sono qui per te” (Roberto) e<br />
“Ricordati chi sei, suddito” (Flavia). Ci rimango abbondantemente basito, dicendomi come<br />
per darmi conforto che magari con questi due specifici espositori sia davvero il caso di<br />
usar tali maniere. Non posso giudicare essendo entrato a conversazione avviata, ma<br />
sicuro è che a prescindere ci vuole un bel pelo sullo stomaco a porsi con questo tipo di<br />
sfacciataggine. Io non ce la farei a far così. Ma soprattutto, sarei autorizzato a far così?<br />
Prendo l‟iniziativa di sentire sulla porta cos‟abbia bisogno l‟ultimo disgraziato: disguidi coi<br />
pass. Lo indirizzo all‟ufficio corretto e il problema per noi è uno in meno.<br />
Dio che giornata, questa sì che è una maratona. Ho anche perso la cognizione del<br />
tempo…ed era effettivamente meglio averla persa visto che, da come m‟informa lo<br />
schermo del computer, sono poco più che le tre del pomeriggio. Bene, mi manca solo una<br />
cosa come una normale giornata di lavoro di un bancario e poi me ne posso tornare a<br />
casa: sei ore e trenta.<br />
51
Una e mezza parte con Flavia a dettarmi una lettera di ringraziamento alle rappresentanze<br />
diplomatiche presenti all‟inaugurazione. Scrivi, cancella, riscrivi, punto e a capo, lascia una<br />
riga vuota: sembra il dettato delle elementari, o meglio sembriamo maresciallo e appuntato<br />
per come lei cammina a mento alto su e giù per l‟ufficio mentre mi detta una missiva che<br />
muta una dozzina di volte, si evolve e s‟involve modifica dopo modifica. Novanta minuti<br />
per riempire nemmeno una facciata, Times New Roman 12.<br />
Il resto del tardo pomeriggio è contraddistinto dalle visite di rito degli espositori che dalla<br />
lista d‟attesa si sono aggiudicati il posto. Uno sparuto gruppetto messi tutti assieme, infatti<br />
bastano le dita di una mano per contarli, ma accade comunque qualcosa di significativo:<br />
ognuno di questi bussando alla porta chiede di “Mister Colombo”, con grandi sorrisi,<br />
vigorose strette di mano e in ogni caso un piccolo presente. Per me. Mi trovo quindi al<br />
centro di una situazione in prima battuta gratificante, ma dal secondo momento in poi di<br />
notevole imbarazzo: l‟ultima ruota del carro, senza volerlo, ha un riflettore puntato addosso<br />
e l‟aureola da benefattore in testa. Il tutto avviene per un motivo semplice e lineare, cioè<br />
che con questi elementi ci ho parlato io. Quello che però viene mal digerito da qualcuno<br />
(donna, corporatura minuta, età avanzata, pronunciata passione per i bignè) è che non vi<br />
sia menzione per nessun altro. Io sono ben consapevole che i risultati ottenuti durante<br />
questa fiera siano frutto di un lavoro pregresso di cui io non faccio parte –e ci<br />
mancherebbe, son qui da due giorni- perciò faccio del mio meglio per allargare la visuale a<br />
questi espositori e spostare l‟attenzione su Flavia, captando quanto la regina desideri<br />
essere adulata. Roberto non è un problema, ha preso a fare su e giù coi padiglioni e<br />
anche quando capita nel mezzo di una situazione del genere non sembra curarsene.<br />
Flavia invece potrebbe azzannare e nonostante i miei sforzi per ridirezionare sorrisi e<br />
ringraziamenti, una volta esauriti questi incontri capisco benissimo quanto astio stia<br />
covando nei miei confronti. Roba da fumo dalle narici, il che mi fa sentire molto a disagio<br />
soprattutto perché baratterei tutte le dimostrazioni di gratitudine ricevute -per quanto sia<br />
sempre bello sentirsi apprezzati- coi pranzi e le cene di cui lei dispone o magari anche<br />
solo con un pass parcheggio come il suo, prendendomi più sostanza e lasciando a lei<br />
l‟onore d‟essere la “première dame” alla quale tutti s‟inchinano. Tanto io settimana<br />
prossima me ne torno da dove sono venuto e l‟importante non è quanti regalini da far<br />
vedere alla mamma riuscirò ad incamerare, ma quanto positivo sarà il resoconto che<br />
arriverà a Damiano. Per questo che ci tengo a lavorare bene. Dunque pochi fronzoli: che<br />
mi si lasci pure nell‟ombra e risplendano di luce eterna coloro che per questo evento<br />
lavorano dodici mesi l‟anno. E‟ giusto così. Se però mi è concesso un appunto, Flavia<br />
dovrebbe anche fare uno più uno ed evitare di prendersela come fosse un caso di lesa<br />
maestà. Piccola donna, grande ego.<br />
«Purtèm pascienza», direbbe mia nonna: portiamo pazienza.<br />
Esattamente come ieri, arriviamo in una fascia oraria in cui l‟ambiente si fa tranquillo. Non<br />
manca molto prima che il mio bis di capi parta per la cena, ma mentre Roberto è ancora<br />
impegnato coi padiglioni, Flavia, dopo qualche parola scambiata sulla porta con le<br />
colleghe che dirigono gli altri uffici, si riaccomoda alla scrivania, controlla un quarto d‟ora le<br />
sue e-mail, dopodiché siamo entrambi senza nulla da fare e nella stanza si condensa uno<br />
strano silenzio. Dura una decina di minuti, mentre io cerco di guardare ovunque,<br />
controllare e ricontrollare cose già sistemate, riassettare la scrivania, temperare le matite,<br />
rimettere il cappuccio alle penne, riporre gli evidenziatori nel cassetto in ordine cromatico e<br />
verificare che le rotelle sotto le sedie girino a dovere. Tutto per un semplice motivo: evitare<br />
che si finisca a guardarsi in faccia. Finite le opzioni, però, entro davvero in circa centoventi<br />
secondi d‟immobilità, con lo sguardo fisso alla porta come a pregare che qualcuno bussi,<br />
che Roberto torni o che Flavia venga nuovamente chiamata a conversare da una qualsiasi<br />
collega.<br />
52
Tutto d‟un tratto, dal nulla:<br />
«<strong>Matt</strong>ia, tu sei di CL?»<br />
«No».<br />
E sul di silenzio in cui ripiombiamo cala anche un gelo siberiano. Ma che domanda è?<br />
Cosa vuole sapere adesso? E me l‟avrà chiesto perché è di CL e considera un infedele chi<br />
non lo è, oppure perché non è di CL e le sta sulle palle chi lo è? Eh?<br />
Di qualunque parrocchia (è proprio il caso di dirlo) Flavia sia o non sia, sicuro è che una<br />
domanda del genere è fatta per innalzare il conflitto. Per fare conversazione c‟erano<br />
parecchie altre opzioni.<br />
Dopo poco, ecco rientrare Roberto. Aggiorna direttamente Flavia ed indirettamente anche<br />
me sulle ultime novità, dopodiché comunica a Nostra Signora che è stato indetto un<br />
meeting dal direttore generale prima di cena, cosa che richiede un pre-meeting della<br />
direzione espositori fra un quarto d‟ora. Flavia sembra colta di sorpresa, ma non tanto da<br />
quello che c‟è da fare, quanto dal dover incontrare il direttore generale senza aver<br />
occasione di sentirsi al top della presentabilità, come quelle donne di paese che se non<br />
riescono a passare dalla parrucchiera il sabato hanno difficoltà ad andare in chiesa la<br />
domenica. Scheggiando quindi lei e la sua trousse verso i bagni, ho occasione di rimanere<br />
solo con Roberto, che dopo avermi chiesto come stia andando ha altro da dirmi.<br />
«Comunque fra ieri e oggi hai lavorato veramente bene, bravo»<br />
«Grazie Roberto. Cerco di fare il meglio che posso». So di non eccedere in originalità, ma<br />
il sorriso che mi viene compensa in gentilezza.<br />
«Io l‟avevo detto che ci voleva uno con le palle. Il casino con il pazzo di stamattina<br />
soprattutto l‟hai gestito alla grande, non è da tutti. Gli anni scorsi ci sono state persone che<br />
di fronte ad episodi del genere sono scoppiate in lacrime. Sono contento che Damiano ti<br />
abbia inserito nel team».<br />
Seguitamente, Roberto mi domanda nel dettaglio cosa io abbia studiato all‟università.<br />
Parliamo cinque-sei minuti, ma significativi. Mi fa piacere abbia lanciato questa<br />
chiacchierata e mi verrebbe anche da chiedergli in merito alla strana uscita di Flavia su<br />
CL. Ma alla fine evito: che ci s‟intenda non vuol dire che ci sia confidenza, quindi glisso<br />
giusto un secondo prima di aprir bocca e rischiare di compromettermi.<br />
Una volta salpati gli eroi per il trittico pre-meeting, meeting e cena, vengo lasciato in una<br />
“no man‟s land” manco fossi Hevia con la cornamusa asturiana. Con l‟udito che mi si affina<br />
nel silenzio comincio a captare persone che chiacchierano in maniera rilassata, così esco<br />
in corridoio, faccio una visita a Marilena, mi unisco al gruppetto e nel giro di dieci minuti ci<br />
ritroviamo ancora una volta tutti assieme noi dell‟agenzia. Si fa conversazione, ogni tanto<br />
a qualcuno suona il telefono ma principalmente vige calma piatta. Salta fuori che c‟è chi è<br />
la prima volta che lavora in fiera, chi invece è d‟esperienza come Marilena e chi sta nel<br />
mezzo; chi è di Milano, chi abita a due passi dalla fiera e chi come me si deve fare una<br />
vasca per arrivarci; chi studia, chi sta cercando lavoro e chi proprio come lavoro a tempo<br />
pieno fluttua di evento in evento al servizio di Damiano o di altri. Insomma, un team ben<br />
variegato, ognuno cordiale con l‟altro e nel mentre il tempo passa. Ogni tanto butto<br />
l‟occhio sul corridoio come fossi un radar a caccia d‟intrusi, ma credo proprio che nessuno<br />
dei capi miei o degli altri si farà vedere fino a dopo cena. Passato un certo orario, noi<br />
dell‟agenzia siamo più guardiani del faro che altro.<br />
Fattasi la fame di una certa imponenza per tutti quanti, mi tocca rinunciare a qualsiasi<br />
turnazione per la pizza, la focaccia o la piadina che sia. Ancora di vedetta e abbandonato,<br />
stasera ho però un degno panino al cotto pronto ad immolarsi per la mia sopravvivenza.<br />
Tutti si mostrano apprensivi nei miei confronti, ma come ovvio dico di non preoccuparsi,<br />
53
che sono a posto così. Padrone della situazione, azzanno la mia cena facendo briciole<br />
ovunque mentre mi concedo una comoda navigata in Internet a puro scopo personale. In<br />
amore, in guerra e anche in pausa, tutto è lecito.<br />
Sulla cresta dell‟onda dei fattacci miei tiro le ventuno e dieci e mentre a casa mi starei<br />
gustando “Spetteguless” o “I nuovi mostri”, ecco che rientra la velona locale con al seguito<br />
l‟intero manipolo di capi e capetti. Chiudo le finestre spalancate sui miei affari, mi metto<br />
sull‟attenti e una volta sopraggiunto anche Roberto ecco che la cricca si disperde, tutti<br />
verso i propri uffici, sorridenti e pieni come portaombrelli in Scozia. Quando la porta si<br />
chiude, si palesa un odore di grigliata intenso tanto quanto quello di una canna accesa a<br />
un concerto dal tizio a fianco. Se prima ero soddisfatto e calmo, adesso con questi aromi<br />
che svampano non posso che immaginare immensi girarrosto, grasso che gronda, fiamme<br />
che abbrustoliscono la carne fuori e la lasciano al sangue dentro, contorni di patate al<br />
forno, camerieri con le braccia doloranti per il peso delle portate…<br />
Sennonché un rutto di Roberto, contenuto ma pur sempre una fialetta al vino marcio, mi<br />
riporta alla realtà, nonostante il sogno rimanga incastonato in due dita abbondanti di<br />
acquolina. Ormai so che restano solo scampoli della partita odierna, ma si parte per un<br />
confronto a tre sull‟andamento generale e sulle proiezioni per i giorni a seguire. Roba di<br />
rito, ma prende comunque mezz‟ora con Flavia che poi si alza, impugna il cappotto e dice:<br />
«Bene, possiamo andare». Sissignora.<br />
«<strong>Matt</strong>ia, chiudi tu fra un quarto d‟ora, allora?». E io che pensavo che la frase precedente<br />
includesse anche me.<br />
«Ehm, sì sì, Flavia».<br />
«Carico come oggi, domani, eh!» mi dice Roberto, cercando di riparare in simpatia al tiro<br />
mancino della sciura.<br />
«Tranquillo» e gli allargo il sorriso anch‟io.<br />
«Ciao <strong>Matt</strong>ia, buona serata»<br />
«Ciao Flavia». E buona serata dove, sui mezzi?<br />
Lascio scivolare l‟ultimo quarto d‟ora nel silenzio più totale. Fiera chiusa al pubblico già<br />
dalla mezza e tutti col solo pensiero di andare a casa, quindi totale inutilità della mia<br />
presenza.<br />
Ventuno e cinquantanove, arriva in corridoio una guardia giurata mentre sto spegnendo il<br />
computer e impugnando lo zaino. «Si chiude!» esclama, con la voce squillante e la<br />
cadenza infastidita di chi vuole redarguire i drogati di lavoro.<br />
Giorni 3-4-5: motori avanti tutta<br />
Si procede a cannone. Mi sento come un treno a vapore inarrestabile verso la meta,<br />
ingranaggi semplici ma meccanismi perfetti, sudore e risultati, il minimo di carbone e il<br />
massimo di distanza percorsa. Perché il segreto è sempre la qualità della locomotiva.<br />
-Il gentilissimo Signor Colombo-<br />
Nel corso della tre giorni s‟instaura un rapporto idilliaco con gli espositori, che mi frutta<br />
regali e proposte di ogni sorta: oltre che una quantità industriale di cioccolatini, frutta e<br />
pietanze tipiche da tutto il mondo, ricevo proposte di lavoro come interprete agli stand per<br />
le cui ottime retribuzioni sarei tentato di fare ciao ciao con la manina a Flavia. Inoltre, un<br />
paio di uomini d‟affari franco-senegalesi coi quali salta fuori del mio impegno in campo<br />
musicale, addirittura m‟invitano nella loro città con un persuasivo e scioccante «<strong>On</strong><br />
organise un petit show pour toi et après…il y aura aussi des femmes», cioè vogliono farmi<br />
esibire dal vivo e poi mi dicono che ci saranno anche delle donne, con tanto di occhiolini e<br />
inequivocabili gesti con le mani. Non me ne voglia nessuno, io per primo mi trovo in<br />
imbarazzo di fronte a sparate del genere. Cioè, suonare all‟estero? Oh cavoli!<br />
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Quel che succede segue comunque una dinamica molto semplice: io ascolto, prendo nota<br />
delle esigenze e segnalo a chi di dovere. Nulla di eccezionale, faccio solo il necessario e<br />
lo guarnisco con della –dovuta, credo bene- cortesia. Altri, evidentemente, no.<br />
«Buongiorno, c‟è il gentilissimo Signor Colombo?», «Ah, ringrazi il Signor Colombo che è<br />
stato gentilissimo», «Farò arrivare un presente per il Signor Colombo, è proprio<br />
gentilissimo»...<br />
-Colombo, vaffanculo!-<br />
Diametralmente opposti sono gli episodi di sfanculamento, per giunta multilingua. Tutti<br />
avvengono nella terza giornata e arrivano da parte di espositori in lista d‟attesa che non<br />
hanno ottenuto un posto, chi imbufalito, chi in lacrime per i soldi buttati al vento per visti,<br />
biglietti d‟aereo, trasporti vari, eccetera. «Lo sapevano benissimo che non c‟era nulla di<br />
garantito», ribatte Flavia ogni volta. Io, in versione sacco da boxe telefonico, rimango<br />
dubbioso sui termini in cui questo “nulla di garantito” sia stato venduto. Che questa sia una<br />
tana di vecchie volpi è cosa ormai nota.<br />
-L’odio-<br />
Fra me e Flavia finisce come nel film di Kassovitz ed esaurita la caduta, arriva<br />
l‟atterraggio. Stranamente le dinamiche sono l‟inverso della norma: caduta relativamente<br />
breve e atterraggio invece eterno, come se la prima fosse proiettata in fast forward e il<br />
secondo in slow motion.<br />
Nelle relazioni esterne all‟ufficio, chi meglio le lecca il culo sopravvive e chi invece no se la<br />
vede grama. I regalini e le moine la esaltano e simmetricamente tutto ciò che non<br />
contempla salamelecchi finisce per renderla caustica. Ogni riverenza mancata è per lei un<br />
casus belli, l‟iscrizione della tal persona sul libro nero.<br />
Nelle relazioni interne all‟ufficio, con me è presto detto: sufficienza a pioggia e grandinate<br />
di cafoneria di quando in quando. Con Roberto invece le cose sono diverse, ma nemmeno<br />
più di tanto: a parole tutto normale, ma la chiave di lettura è da trovarsi in certi particolari<br />
silenzi. Poi ritorniamo sempre al celebre avvertimento che proprio Roberto mi aveva<br />
lanciato al briefing, parole che all‟inizio mi erano suonate superflue ma delle quali ora<br />
comprendo appieno la valenza.<br />
Nelle relazioni di corridoio, cioè quelle con gli altri uffici e i relativi membri, si vede invece<br />
una creatura diversa, come prevedibile. E‟ purtroppo nel copione di tutte le arpie da<br />
azienda, nei film come nella realtà, l‟essere cerbero nei propri due metri quadri e al<br />
contempo recitare la parte del Nobel per la Pace al di fuori di essi, coi pari ruolo e<br />
naturalmente coi superiori. Certamente solo io, Roberto e chi al mio posto è passato gli<br />
anni scorsi sappiamo con che genere di persona abbiamo a che fare; gli altri invece<br />
devono scegliere se credere ad una recita o ad eventuali reportage. Fiction o cronaca,<br />
insomma.<br />
Per tutto questo mix di atteggiamenti, arrivo al punto in cui mi è inevitabile smettere di<br />
coltivare il giardino zen, con la sua sabbietta e la sua cascatina. Essere professionali vuol<br />
dire adempiere al proprio compito e di sicuro su questo io non manco. Ciò per cui invece<br />
sviluppo intolleranza è la parte supina del concetto di professionalità, quella regola non<br />
scritta per cui dei superiori bisogna subirsi gli scleri anche se immotivati e nei toni della<br />
maleducazione. C‟è una zona nel rapporto lavorativo che interseca la sfera personale di<br />
ciascuno e ciò avviene quando vengono toccati i tasti –naturalmente per chi ce li ha-<br />
dell‟etica e del rispetto. Per esempio, in quanto ad etica un comunista dovrebbe evitare di<br />
lavorare in ambiti dove la caccia al profitto regna sovrana; in quanto al rispetto, invece,<br />
ognuno dovrebbe andare a prendersi il proprio caffè senza ordinare ad altri di farlo, a<br />
meno che non sia nel contratto. Seguendo questo ragionamento, Flavia urta la mia etica<br />
per come conduce qualsivoglia relazione professionale e manca di rispetto nei miei<br />
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confronti in un abile concatenarsi di maniere implicite ed esplicite. Il difetto della mia<br />
flessibilità è che non raggiunge i novanta gradi e già da una buona ventina prima comincia<br />
a far suonare l‟allarme. Ed è così che ad ogni goccia di veleno di Flavia, ad un certo punto<br />
comincio a farne corrispondere una mia. Mai verbalmente, mai compromettendo il mio<br />
operato, ma di certo per fermare un mezzo d‟assalto non si può usare una manciata di<br />
coriandoli.<br />
-Carramba che sorpresa!-<br />
Il terzo giorno risuscitò da morte. Ma non salì al cielo, salì all‟ufficio.<br />
Mi trovo un documento piantato in mano così dal nulla assieme ad altre carte col logo<br />
della “nostra” società, lo stesso che aveva messo in crisi le diottrie dello sceriffo Nando.<br />
Quello che mi sembra un sordomuto, capisco invece consultando il passaporto perché non<br />
proferisca parola, così come che razza di bomba stia per deflagrare: signore e signori,<br />
direttamente dal Maghreb, da laddove il Mediterraneo bacia l‟Africa, dalle terre in cui i<br />
tramonti hanno il colore del fuoco…il signor Al-Haddad!<br />
Subito prendo il telefono e faccio partire una chiamata.<br />
«Dimmi <strong>Matt</strong>ia»<br />
«Roberto, indovina chi ho qui? Al-Haddad»<br />
«Cosa?!». E per poco non sputa le tonsille.<br />
Dieci minuti dopo sia lui che Flavia arrivano in ufficio con gli occhi sgranati e le facce da<br />
morto in casa. Al-Haddad è seduto comodo comodo sulla sedia, isolato nel suo<br />
monolinguismo, probabilmente convinto che sia arrivato il comitato d‟accoglienza in suo<br />
onore, mentre invece la situazione è ben diversa.<br />
Io, come ai tempi delle scuole le poche volte che non ero coinvolto in qualche casino,<br />
appoggio la schiena alla sedia e mi appresto a godermi il dramma. Stavolta è pure bello<br />
grosso. Mantra aziendale „sta gran fava, «noi di vuoto non lasciamo niente». Mo‟ voglio<br />
vedervi!<br />
A parte i sorrisi e le strette di mano, i miei due testano che davvero il malcapitato non<br />
comprenda un accidente di italiano e passano quindi ad interagire fra loro senza peli sulla<br />
lingua. Al-Haddad nel mentre chissà a cosa pensa, probabilmente crede ci siano ritardi col<br />
tappeto rosso per condurlo al suo stand, inconsapevole che il tappeto rosso si potrebbe<br />
anche organizzare, ma un po‟ più difficile è far levare da là dentro la persona che si è<br />
insediata pagando. Ci sarebbe proprio da mettere in sottofondo Renato Zero con<br />
“Triangolo”, visto che nessuno l‟aveva considerato eppure ora è qui bell‟e fatto: su un lato<br />
il tandem Flavia-Roberto, sull‟altro l‟ormai star Al-Haddad e sul terzo un imprenditore<br />
ancora ignaro del tutto, che si starà beatamente promuovendo al padiglione, con magari la<br />
radio sintonizzata a caso che passa “Su di noi” del buon Pupo. Invece, altro che nemmeno<br />
una nuvola…<br />
Vie d‟uscita non ce ne sono. Viene convocato anche Pedretti e dopo qualche ulteriore<br />
minuto di camera di consiglio dove se ne sentono di ogni, Al-Haddad viene appioppato a<br />
me assieme al compito di andare a cercare qualcuno fra gli espositori che possa salire a<br />
fare da interprete. Lui un genio -e non della lampada- a venire senza nessuno che lo<br />
supporti dal punto di vista linguistico, ma certo furbi pure i compari miei a non prendersi<br />
pure una persona che parli arabo, con tutti i clienti che hanno di quei Paesi (e con me<br />
senza spalla per i cambi ai pasti, ribadiamo). Quindi vado, peregrino in cerca di un‟anima<br />
pia e rientro ben dopo la mezz‟ora impostami come tempo di campo libero dai i maghi<br />
della doppia vendita. Il comitato tiene il colpo di genio segreto e riparte con Al-Haddad alla<br />
volta dei padiglioni. Chissà lui come si sente importante, scortato a destra e a manca dalle<br />
alte cariche.<br />
Dopo un‟ora circa, ecco Flavia e Roberto di ritorno.<br />
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«Quindi?»<br />
«E‟ andata». Naturalmente è Roberto a rispondermi.<br />
«Grande!». Con una falsità totale, devo ammettere. Mi sarebbe piaciuto vedere i capi nel<br />
guano. Come abbiano fatto esattamente non è dato sapere. Presumo Pedretti abbia risolto<br />
con carta millimetrata e fantasia da bricolage.<br />
E ancora lavoro, lavoro e lavoro. Incontri, telefonate, problemi da risolvere, traduzioni,<br />
panini da casa, cioccolate alla macchinetta, guardie scettiche sul pass, albe viste sulla via<br />
della stazione e tramonti persi in un ufficio senza finestre.<br />
Il congedo della penultima sera non so perché ma odora di vigilia di Natale, di quasi fine<br />
scuola. Passo il tragitto verso casa a chiedermi come mai, dopo aver fatto una decina di<br />
fermate di metropolitana chiacchierando con Marilena, ridendo del più e del meno.<br />
Giorno 6: è Natale (o l’ultimo giorno di scuola?)<br />
Non essendo giornata d‟apertura al pubblico si attacca alle nove e mezza e dopo un tour<br />
de force a sonno rateizzato la differenza si sente. Abbigliamento informale, prospettive<br />
rilassate soprattutto per i piedi, spacco il minuto e mi lascio dietro alcuni colleghi che<br />
intravedo coi rispettivi superiori al bar a piano terra, dove figurano anche Flavia e, a<br />
sorpresa, Damiano. Tiro dritto e salgo in ufficio, lasciandoli a quella che ha tutta l‟aria di<br />
essere una colazione premio.<br />
Aprendo la porta dell‟ufficio vedo Marilena sbucare in corridoio.<br />
«Ma abbiamo fatto i monelli?»<br />
«Perché?»<br />
«Noi niente colazione premio?»<br />
«Eh?»<br />
«Sì Mari, ho visto giù al bar tutti o quasi, capi inclusi»<br />
«No allora…è per la Messa di congedo»<br />
«Ossignore!»<br />
E ci sorridiamo a vicenda con gli occhi furbi. Marilena sa cogliere le battute sottili, mi piace<br />
questa cosa.<br />
Riprendiamo i discorsi abbandonati in metropolitana ieri sera e tra una chiacchiera e l‟altra<br />
consumiamo i nostri pagani minuti parlando di viaggi, studi e sport. Io bado bene a non<br />
toccare l‟argomento musica, perché per qualche strano effetto ne sono così coinvolto da<br />
non volerlo esporre a una collega, ed entrambi non facciamo menzione a nulla che possa<br />
lambire la sfera amorosa. Io sono single, quindi c‟è poco da dire, ma lei? Niente è scontato<br />
quando una donna non si sbottona in tal senso.<br />
Una volta che le anime pie tornano dalla funzione, si dà inizio ad una giornata che<br />
assomiglia sì al Natale, ma più dal punto di vista degli elfi visto che c‟è da impacchettare<br />
tutto per il rinvio in sede centrale. Elenchi, brochure, cancelleria varia, stampanti e<br />
computer: tutti lavorano con tutti e il campo è perfettamente sgombero da impicci. Pausa<br />
pranzo globale, dopodiché meeting per i pezzi da novanta. E‟ alla fine di questo che<br />
Damiano convoca tutti noi dell‟agenzia e ci fa un discorso conclusivo. Emerge che<br />
abbiamo lavorato bene e che i capi sono soddisfatti. Al termine, mentre torniamo tutti ai<br />
nostri uffici per vedere il da farsi, mi prende da parte e mi carica una dose di complimenti<br />
personalizzata.<br />
«<strong>Matt</strong>ia, bravo. Mi hanno parlato molto bene di te»<br />
«Grazie! Meno male, ho cercato di fare più che potevo»<br />
«Avevi una posizione cruciale. Partivi pure svantaggiato, diciamo, visto che prima avevano<br />
avuto la stessa persona per tre anni e sai com‟è, quando c‟è un rapporto di fiducia<br />
consolidato…»<br />
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«Capisco, capisco»<br />
«Ma alla fine hai fatto meglio di quanto si aspettassero»<br />
«Bene, bene». Ma chi avrà sciorinato tante belle parole sul mio conto?<br />
«Ma invece ascolta, con Flavia non c‟è stato un gran feeling, vero?». Eccoci al punto, ti<br />
pareva.<br />
«Damiano, in tutta sincerità, la signora è fatta alla sua maniera, per così dire». Devo<br />
difendermi a dovere, perché qui si capisce subito che lei si è lamentata. «Potrei citarti una<br />
decina di episodi in cui mi ha trattato come una pezza da piedi». Poi calo l‟asso: «Ma in<br />
fondo, che fin dal briefing io sia stato praticamente messo in guardia da Roberto vuol dire<br />
parecchio…»<br />
«Non ti preoccupare, non ti preoccupare. L‟importante è che hai lavorato bene»<br />
«Quindi Damiano, guardando avanti», colgo l‟occasione d‟oro di averlo qui in diretta, «altre<br />
fiere o cose del genere a cui lavorare ce ne sono?»<br />
«Sì sì, lasciami fare l‟occhio e poi ci sentiamo»<br />
«Benissimo, grazie mille»<br />
«Grazie a te, <strong>Matt</strong>ia».<br />
Ritorno in ufficio e trovo Roberto, per un altro dialogo.<br />
«Allora <strong>Matt</strong>ia…»<br />
«Dimmi»<br />
«Cosa farai adesso?»<br />
«Guarda, momentaneamente è difficile da dire. Lavorerò ancora per Damiano mentre<br />
continuerò con colloqui vari e altre cose mie»<br />
«Quindi stai cercando lavoro?»<br />
«Sì»<br />
«Allora fai una cosa, tu mandami il tuo CV che poi qui ci penso io».<br />
Ottimo, cavoli. Allora è vero che è piaciuto come ho lavorato! Rispondo affermativamente<br />
e ringrazio per la proposta. Riflettendoci nei minuti a seguire capisco quale territorio fertile<br />
io abbia a disposizione con questa storia delle fiere: ogni volta nuove realtà con cui<br />
mettermi in mostra e tentare un passo avanti tramite un‟entrata privilegiata, già introdotto e<br />
soprattutto già testato. Qui davvero ho trovato un trampolino d‟eccezione.<br />
Mentre Roberto torna ad altri incontri e incontrini da ultimo giorno, io mi trasferisco a fare<br />
l‟aiutante di Babbo Natale negli altri due uffici, dove chissà come mai hanno ancora un bel<br />
po‟ di roba da inscatolare.<br />
Una cazzata via l‟altra –oggi ce lo si può decisamente permettere- tiriamo quasi le diciotto,<br />
allorché sento il telefono squillare nel mio ufficio. Vado di corsa ed è Roberto che mi<br />
chiede se abbia voglia di andare a cena con loro. Ringrazio ma rifiuto, ufficialmente per<br />
questioni di trasporti complicati per rincasare dal ristorante sui Navigli che mi menziona,<br />
ma di fatto anche per evitare di dovermi intrattenere con Flavia. Mi viene quindi concesso<br />
di andare a casa.<br />
Ma Flavia, appunto: sto per far comparire il “The End” su questo schermo, ho il suo<br />
numero di cellulare sottomano ma cosa faccio, la chiamo o non la chiamo? Allora, sì o no?<br />
Lascio vincere l‟orgoglio, facendomi passare in testa un paio di episodi topici di questi<br />
giorni più una proiezione mentale di come potrebbe essere umiliante sentirmi trattare con<br />
sufficienza anche un secondo prima di uscire. Egualmente, anche la più rosea delle<br />
previsioni, cioè quella di una reciproca leccata di culo, mi mette la nausea. Quindi via, il<br />
mio servizio l‟ho fatto.<br />
Faccio un giro di saluti a baci e abbracci tenendo Marilena per ultima, chiedendole<br />
«Sigaretta?» come per lanciarle un segnale di richiesta di privacy, visto che lei fuma ma io<br />
no. C‟incamminiamo all‟esterno verso la metropolitana, con lei che mi fa vedere che si è<br />
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fatta un taglietto chiudendo un pacco, io che la prendo per i fondelli dandole della vittima,<br />
lei che mi dà uno schiaffo sulla spalla e poi ci guardiamo in faccia. Due secondi di silenzio,<br />
poi il silenzio lo rompiamo perché sta parlando troppo.<br />
All‟imbocco della scalinata della metro ci diamo un abbraccio e un bacio sulla guancia, con<br />
la ferma, implicita volontà di non incappare in discorsi che sappiano di conclusione.<br />
Passato l‟attimo del bacio sulla guancia, le tengo una mano dietro la schiena e lei me ne<br />
tiene una salda sul braccio. L‟altra sua mano impugna già l‟accendino e fra indice e medio<br />
la Merit che si accenderà sulla via del ritorno agli uffici. Mentre la mia mano libera<br />
accarezza il dorso della sua, siamo sicuramente sotto l‟occhio di qualche telecamera. Tre<br />
secondi dopo, qualche schermo in qualche sala di sorveglianza proietta improvvisamente<br />
un non preventivato, ma tanto atteso, attimo.<br />
59
9<br />
PASSARE DAL VIA<br />
Un paio di giorni d‟assestamento sono necessari, come fosse un weekend ma in mezzo<br />
alla settimana, dopodiché attendendo novità da Damiano riprendo in mano le redini delle<br />
solite manovre di ricerca generale. Nel mentre strappo un mese al calendario e anche per<br />
il mio ufficio casalingo siamo in ottobre. Sulla proposta di inviare il CV a Roberto, a mente<br />
fredda mi ritrovo abbastanza scettico: ha senso fare domanda in un posto dove avrei già<br />
una nemica dal giorno zero, per di più in una posizione di rilievo? Mettiamo la questione<br />
da parte per il momento, che fra nuove fiere e nuovi colloqui è facile trovi altre occasioni.<br />
Riaprendo le e-mail ieri sera ho trovato una richiesta di contatto da parte di un‟agenzia<br />
interinale della zona, con la quale mi ero fatto vivo subito dopo la laurea per aggiornare il<br />
mio status. Vi ero iscritto sin da circa fine liceo ma da parte loro non è mai arrivato nulla.<br />
Chissà stavolta, invece. Quando le interinali spuntavano come funghi, nel raggio di cinque<br />
chilometri da casa mi ero registrato a tutte o quasi, una buona dozzina. Sembrava<br />
dovessero essere la rivoluzione dell‟impiego, io però non ci ho mai tirato fuori niente: mi si<br />
diceva ogni volta che se fossi stato un operaio specializzato in qualche ambito o se avessi<br />
avuto un titolo di studio in più avrei avuto diverse possibilità, ma messo com‟ero messo<br />
purtroppo c‟era poco da fare. Non ero «né carne, né pesce», come mi sentivo ripetere. Poi<br />
c‟erano volte che davvero avevo di meglio da fare che andare a scaricare divani per venti<br />
ore su due giorni a quattro Euro l‟ora. Adesso invece, essendomi laureato, qualcosa<br />
dovrebbe cambiare.<br />
Nel corso di una telefonata rapidissima mi viene detto di passare quando voglio per «fare<br />
due chiacchiere e sentire la proposta». Non perdo tempo in ulteriori domande perché le<br />
interinali si sa che altro non dicono, quindi salto in macchina e vado.<br />
Giunto in sede, siccome la persona con cui devo parlare è occupata in un colloquio, vengo<br />
invitato ad accomodarmi e a riempire un formulario, munito di penna a sfera aziendale.<br />
Riempio la prima pagina e alla fine, spazientito da questi soliti, eterni convenevoli guardo<br />
le altre tre e vedo che non è altro che il formulario on-line in versione cartacea, lo stesso<br />
già compilato tempo addietro. Mi alzo e vado dalla signorina che mi ha accolto. Sì, con<br />
una velata supponenza, ma la gente si deve dare una svegliata.<br />
«Scusi, ma questo non è mica come il vostro formulario on-line?»<br />
«Sì»<br />
«Eh, allora guardi che io sono già nel vostro database»<br />
«Ah sì?»<br />
«Sì. Provi a dare un occhio per sicurezza. <strong>Matt</strong>ia Colombo»<br />
«Ehm…ehm…ehm…»<br />
«L‟ho aggiornato qualche mese fa, dopo il nuovo titolo di studio»<br />
«Eccolo. Sì, ce l‟ho»<br />
«Allora devo per forza compilare anche questo?»<br />
«Ehm…no, può lasciare stare allora»<br />
«Grazie». Ma svegliamoci, per la miseria. E la penna gliela frego per vendetta.<br />
Resto cinque minuti a girarmi i pollici –sempre meglio che compilare formulari inutili- e<br />
vengo quindi chiamato nell‟ufficio della manager. Dopo un excursus generale sulla mia<br />
situazione, i miei studi, le mie aspirazioni professionali e addirittura i miei interessi<br />
personali, arriviamo al succo della faccenda.<br />
«Benissimo <strong>Matt</strong>ia. Vedo che lei è una persona sveglia, quindi penso proprio che la<br />
proposta che ho faccia al caso suo»<br />
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«Mi dica» e le faccio un sorriso.<br />
«La proposta riguarda un‟azienda che produce ceramiche. Le può piacere l‟ambito?»<br />
«Beh, l‟ambito in sé per me è relativo, dipende la mansione»<br />
«Certo, certo. Comunque quest‟azienda produce dalle piastrelle ai vasi, eccetera». E<br />
chissenefrega, andiamo al punto, vorrei dirle.<br />
«OK», scandisco invece.<br />
«Avremmo pensato a lei per un percorso d‟inserimento graduale che le permetterà di<br />
crescere nell‟azienda conoscendone la sostanza alla perfezione»<br />
«Bene»<br />
«E le prospettive sono poi quelle di un ruolo dirigenziale a svilupparsi negli anni, che però<br />
come base richiede una preparazione solida, che non può che maturare tramite<br />
l‟esperienza specifica»<br />
«Capisco. Condivido fra l‟altro, l‟esperienza è sempre un fattore chiave. Pur da laureato,<br />
so comunque che il pezzo di carta non presuppone che io possa saper fare un mestiere<br />
bene da subito»<br />
«Mi fa piacere trovarla d‟accordo». Sorrisone da parte sua.<br />
«Ci mancherebbe. Comunque scusi se l‟ho interrotta, mi diceva del periodo preparatorio.<br />
Giusto in merito, in tutta franchezza, le dico subito che se parliamo di stage non retribuiti o<br />
cose del genere non sono interessato»<br />
«No, nulla del genere»<br />
«Meno male»<br />
«Quello che noi e l‟azienda abbiamo pensato è un periodo di sei mesi, rinnovabile<br />
comunque in caso di necessità, in magazzino».<br />
Io ci rimango talmente incredulo da dover chiedere conferma: «In magazzino…in che<br />
veste, scusi?». Chissà mai io non m‟immagini qualcosa.<br />
Palese l‟imbarazzo suo: «Eh…come magazziniere».<br />
Io sbuffo un sorriso stranito, inarco il sopracciglio con la bocca semiaperta e un attimo<br />
dopo ribatto seccato: «Ma ascolti un attimo, io mi presento dopo aver aggiornato il<br />
curriculum con una laurea e mi proponete di fare il magazziniere?»<br />
Questa, spiazzata dal mio scatto di nervi, si ritrae un secondo e cerca di rattoppare: «Ma è<br />
un ruolo d‟inserimento, serve per capire com‟è l‟azienda»<br />
«Ma se poi mi vogliono in ufficio, non è meglio tenermi sei mesi in formazione direttamente<br />
lì spiegandomi i vari processi, invece che mettermi a fare il facchino?»<br />
Ormai non ci sono più scuse, il trucco c‟è e si vede. Una di quelle storie narratemi da amici<br />
che ci sono già passati prima: loro hanno clienti con posti vacanti e gli preme solo trovare<br />
uno da piazzare, poi i tempi delle promesse si allungano, si allungano, si allungano, fin<br />
quando per legge non possono più rinnovarti il contratto e allora avanti il prossimo.<br />
Scommetto che il futuro ruolo dirigenziale neanche esiste, è come il coniglio finto per i cani<br />
alle corse. Maledetta puttana, men che meno ora che ho altre porte aperte ti sto ad<br />
ascoltare per questo magazzino di merda pieno di tazze di cessi. Affanculo, mi hai fatto<br />
pure venire qui di corsa per „sta stronzata. Dentro sono un vulcano in eruzione.<br />
«Senta, non perdiamo tempo in due. Se l‟azienda vede il mio CV e mi vuole per un ruolo<br />
adatto da subito, bene. Altrimenti niente»<br />
«Ehm, sì…ne parlerò con loro». Ma taci, che tanto non è vero.<br />
«Comunque, io a posizioni di manovalanza non sono interessato. Segnatevelo nel<br />
database, sempre per evitare di perdere tempo, sia io che voi»<br />
«Certo, certo», con l‟aria di quella che ha preso un pugno in faccia.<br />
Qui non è il fatto di aver buttato un‟ora, è molto di più. Non ho buttato solo quella, io<br />
nell‟attesa ho pure buttato tempo fantasticando, facendo mente locale su come gestirmi,<br />
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lasciandomi salire anche quel po‟ di comprensibile eccitazione. Ma quando mai capita che<br />
chiami un laureato a colloquio per un posto in magazzino, per di più cercando di rifilare la<br />
sola delle prospettive dirigenziali? Ma chi è lo scemo che ci crede? Ma anche fosse vero<br />
che l‟azienda ha piani del genere, che razza di gente la tiene in piedi quest‟azienda?<br />
Sveglia cicci, che qui è finito il tempo della gavetta che parte dai sotterranei. Robe del<br />
genere c‟erano trenta e passa anni fa, quando ha iniziato mio padre a lavorare, quando in<br />
paese la metà della gente smetteva di studiare dopo la terza media e andava a fare il<br />
garzone in bottega. Gli stessi tempi in cui già un diplomato sembrava un alieno, una<br />
creatura superiore. “Il ragioniere”, “Il geometra”, “Ecco il ragionier Barzaghi”, “Senta, signor<br />
geometra…”. Ora di ragionieri e geometri ce ne sono derrate, navi cargo stracolme,<br />
talmente tanti che chiamarli per titolo sarebbe più generico che far riferimento alle<br />
casalinghe di Voghera e ai braccianti lucani.<br />
Furibondo per la presa in giro me ne torno a casa e mi concentro un po‟ sul da farsi per la<br />
radio e per il magazine, che ho due interviste da tradurre al più presto e altre su cui<br />
lavorare in seguito. Pagasse appena appena nella fascia della decenza tutta „sta roba, non<br />
batterei ciglio e ci lavorerei dodici ore ogni giorno, invece ogni mese che pubblico<br />
qualcosa per due monete mi tocca chiamare cinquanta volte in contabilità ed accertarmi<br />
che partano le procedure, poi tutto si congela per novanta giorni e poi tocca ancora<br />
saettare un paio di telefonate. La radio invece non parliamone nemmeno, è già un<br />
miracolo poterla fare.<br />
Ecco che mi arriva invece una mail dell‟ufficio contabilità di Damiano, dove mi si chiede di<br />
confermare i dati personali e gli estremi per il pagamento. Cinque minuti ed è tutto fatto.<br />
Da quanto annunciano, i soldi mi arriveranno a giorni. Questo sì che è parlare.<br />
Il martedì seguente, nove di ottobre, mi trovo l‟accredito sul conto ma qualcosa non torna.<br />
Ci dev‟essere sicuramente un errore. Per questo e anche per sapere dei prossimi incarichi<br />
mi lancio al telefono con “D come dinamico”, non senza una certa agitazione. Al cellulare<br />
suona occupato, quindi opto per il fisso aziendale. Il centralinista devia la chiamata e dopo<br />
mezzo minuto di musichette da vecchia Sip, ci siamo.<br />
«Ciao Damiano, sono <strong>Matt</strong>ia»<br />
«Ciao caro, dimmi tutto. Ho due minuti, però»<br />
«Faccio svelto, no problem: oltre a sapere per quando c‟è ancora lavoro…»<br />
«Ti chiamo fra qualche giorno, stiamo pianificando»<br />
«OK, quindi altra questione: mi sa che hanno sbagliato a farmi l‟accredito»<br />
«Perché?»<br />
«Il bonifico è di cinquecentoventidue Euro. A parte suonarmi strana la cifra non tonda,<br />
diviso fa ottantasette al giorno»<br />
«Ehm…no <strong>Matt</strong>ia, ti confermo che è corretto. E‟ stato così per tutti»<br />
«Ah…», e qui mi ritrovo spaesato come quando senti un botto in macchina e non capisci<br />
se ti abbiano centrato, se ti sia scoppiata una gomma o cos‟altro. Resto come sotto shock,<br />
con poche parole. «Ah, va bene, risolto allora» è tutto quello che timidamente mi esce,<br />
come fossi stato su una giostra convinto che a girare fosse il mondo anziché io. Smentito,<br />
tenuto quindi a scusarmi, ma ancora non del tutto convinto: eppur si muove.<br />
Rimango pensieroso per un po‟. Son quasi ottanta Euro in meno. Nell‟interezza non<br />
sembra chissà che tragedia ma ad un secondo pensiero realizzo che è più o meno come<br />
se mi avessero scippato un giorno di lavoro. Insomma, non mi lascia bene questa<br />
manovrina. A cena ne parlo coi miei, i quali non possono che ascoltare senza sapere<br />
esattamente cosa rispondere, dopodiché per unire l‟utile al dilettevole decido di fare un<br />
colpo di telefono a Marilena. La prima telefonata dopo la fiera. E‟ salita una coltre di<br />
timidezza dopo il “saluto” che ci siamo scambiati.<br />
«<strong>Matt</strong>ia!»<br />
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«Ciao Mari, tutto bene?»<br />
«Abbastanza. Tu?»<br />
«Bene, bene, grazie». In realtà avrei dovuto optare anch‟io per un abbastanza.<br />
«Ti sei riposato?»<br />
«Sì, ho avuto tempo…purtroppo. Non è che piova lavoro da queste parti»<br />
«Ah…ma dai, che qualcosa arriverà. Ma coi colloqui, invece?»<br />
«Ne ho avuto uno che è stato una farsa, lasciamo perdere e speriamo bene per i prossimi.<br />
Che arrivino, soprattutto. Invece, ascolta, prima di far due chiacchiere volevo chiederti una<br />
cosa un filo delicata»<br />
«<strong>Matt</strong>ia, stai tranquillo: gli spermatozoi non passano attraverso i jeans!»<br />
«Marilena, ma dico! Ha-ha, non entriamo in questioni da “Cioè”, se no non ne usciamo più!<br />
Scherzi a parte, in tutta confidenza ti volevo dire che oggi ho avuto un interscambio<br />
abbastanza dubbio con Damiano»<br />
«Del tipo?»<br />
«Mi son trovato cinquecentoventidue Euro di bonifico, mentre lui mi aveva parlato di circa<br />
cento al giorno. Pensavo ci fosse un errore, ma mi ha detto di no. Tutto normale, secondo<br />
te? Sono ottantasette al giorno»<br />
«<strong>Matt</strong>ia…con Damiano spesso è così»<br />
«Allora era andata proprio di culo a me la prima volta, che mi ero trovato pure un bonus.<br />
Ma vabè, lo so, là si vendeva e stavolta no»<br />
«Ma anche dove si vende non è sempre domenica»<br />
«Vabè, ma a parte tutto, devo prenderla come regola che lui prometta tot e poi arrivi di<br />
meno?»<br />
«Non come regola assoluta, ma capita. Io ormai non ci faccio più caso, mi preventivo in<br />
automatico un dieci per cento in meno»<br />
«Ma scusa, che maniere sono? A me non fa rimanere mica bene una cosa del genere»<br />
«Anche a me all‟inizio dava fastidio, ma <strong>Matt</strong>ia, guarda che in fin dei conti loro pagano più<br />
di altre agenzie. Io ho lavorato per diversi e credimi, Damiano è il meglio che puoi avere a<br />
parte lavorare direttamente per gli espositori. Quelli sì che pagano, ma perché la cosa è<br />
senza intermediari»<br />
«Logico. Che tu c‟abbia fatto l‟abitudine è un altro discorso però, a me cose del genere<br />
non piacciono, faccio fatica a digerirle. Cazzo, dimmi quello che mi dai e basta, tanto poi ci<br />
arriviamo comunque al punto, no? E allora…»<br />
«Poi ci fai il callo, <strong>Matt</strong>ia, non ti preoccupare».<br />
Poi ci fai il callo? Ma che voglia di mandarla affanculo!<br />
La conversazione prosegue per altri sentieri, si smette di parlare di lavoro, ma a me<br />
rimane un nervoso latente in merito alla sua reazione al sapor di vaselina. Avrò anch‟io la<br />
stessa mentalità fra qualche anno? Mi starà bene farmi soavemente pigliare per i fondelli,<br />
entrare nel giro delle frasi di circostanza, delle risposte di rito, delle strette di mano<br />
fraudolente, dei sorrisi di gomma? Che Dio me ne scampi.<br />
Rimaniamo che mi manderà dei contatti a cui pensa possa girare il mio CV e la telefonata<br />
si conclude. Mi avrà fatto girare le scatole, fosse mia sorella le avrei dato un calcio nel<br />
sedere dopo quel paio di frasi da “tanto va così”, ma già anche solo il gesto di volermi<br />
passare dei contatti dimostra che persona sia. Poi con la battuta sullo sperma ha fatto<br />
centro.<br />
Nessuna menzione al bacio, invece. Lei sicuramente penserà lo stesso. A me intanto non<br />
resta che guardarmi un film con Pozzetto trovato a caso su una TV locale, intrattenuto solo<br />
in parte dato che con la testa sono abbondantemente altrove. Nessuna tragedia, solo un<br />
bicchiere di scetticismo in circolo.<br />
63
10<br />
MATURARE<br />
Il telefono che squilla mi distrae dal contemplare i cachi spuntati sull‟albero dei nostri<br />
confinanti. Si prospetta un grande autunno, per loro ma anche un po‟ per noi grazie al<br />
ramo che oltrepassa la rete.<br />
Ogni volta che vedo un numero sconosciuto ho quell‟attimo di sussulto, so che quasi<br />
sicuramente è lavoro. Infatti trattasi di un inedito Enrico, mai sentito, mai visto e mai<br />
nominatomi. Evidentemente però qualcuno fra Damiano e Gerardo gli ha fatto il mio nome.<br />
«…stiamo lanciando questa nuova branca dell‟agenzia dedicata alle promozioni. Mi hanno<br />
detto che sei uno brillante e ti piace lavorare in mezzo alla gente»<br />
«Dimmi pure». Con voce brillante, da uno a cui piace lavorare in mezzo alla gente.<br />
«E‟ una cosa un po‟ diversa dalle fiere, quindi dimmi se ti piace o no, non sei obbligato»<br />
«Guarda, le fiere sono il mio primo obiettivo, ma all‟occorrenza sono sempre aperto a<br />
valutare dell‟altro»<br />
«Ecco, qui per i ragazzi si parla di promozioni di prodotti gastronomici o finanziari»<br />
«Cioè?»<br />
«Tipo un certo formaggio o certe carte di credito»<br />
«Hmm…»<br />
«In contesti come le piazze, i centri commerciali, i mercati…»<br />
«Ho capito. Guarda Enrico, in tutta sincerità ti dico che non sono cose che m‟interessano<br />
granché. Il fatto è che mi sono laureato, quindi senza disprezzare quello che tu mi proponi<br />
penso comunque che le fiere con Damiano siano tutt‟altro ambiente. Quello che hai per le<br />
mani tu l‟avrei fatto senza problemi durante gli studi, ora sono in una posizione diversa»<br />
«Capisco»<br />
«Comunque la cosa potrebbe interessare ad alcuni miei amici, nel caso te li dirotto»<br />
«Perfetto, grazie mille allora».<br />
Recito anch‟io il mio grazie e la telefonata si conclude. In occasioni del genere mi torna<br />
sempre in mente una mia professoressa dell‟università, quella del corso di traduzione e<br />
interpretariato. Fra le nozioni per essere dei buoni interpreti ci aveva anche detto di<br />
puntare a far riconoscere la nostra professionalità. L‟esempio era stato lampante, semplice<br />
e vero, una di quelle storie di vissuto contro cui non si può obiettare. Più che su cosa fare,<br />
verteva su cosa non fare: «Ricordatevi che voi siete lì come interpreti, non come servetti.<br />
Anche se non c‟è nulla da fare e ve lo chiedono, non tocca a voi svuotare i cestini o<br />
andare a prender l‟acqua per tutti. L‟imbianchino a casa non vi pulisce il gabinetto mentre<br />
aspetta che si asciughi la vernice, no?». Ottimo il messaggio esplicito, ma anche quello<br />
implicito: chi si abbassa è perduto, fai il servetto un minuto e te lo faran fare sempre.<br />
Quindi qui la cosa si trasla alla mia cara agenzia: vai a vender formaggio una volta e sei<br />
marchiato a oltranza. No grazie, questa dev‟essere una strada verso l‟alto, non una<br />
spalmata generale da factotum. Che mi chiamino quando hanno bisogno un esperto in<br />
lingue.<br />
Il giorno dopo, altra telefonata ma personaggio noto: Gerardo.<br />
«Pronto»<br />
«Ciao Alessandro, scusa se ti disturbo, eh…»<br />
«Gerardo, sono <strong>Matt</strong>ia»<br />
«Ah sì, scusa, scusa, <strong>Matt</strong>ia»<br />
«Non c‟è problema. Ma volevi parlare con me?»<br />
«Sì, sì, ho sbagliato solo il nome, scusa, scusa»<br />
64
Sbrigato il siparietto, eterno e ridicolo come in precedenza, Gerardo mi propone dei turni<br />
da mezza giornata che però mi renderebbero automaticamente indisponibile per Damiano.<br />
«Guarda Gerardo, son partite le fiere e Damiano mi ha detto che presto lavorerò ancora».<br />
Messaggio chiaro, in più non ho nemmeno il problema di dover tener nascosto qualcosa<br />
visto che l‟agenzia è sempre una. Gerardo balbetta e, per tenere fede al copione, non mi<br />
resta che dargli l‟imbeccata di chiamare Alessandro. «Grazie, grazie, e scusa il disturbo<br />
eh, scusa». Ti assolvo dai tuoi peccati, Gerardo, vai in pace. Già che ci sono mando un<br />
SMS ad Alessandro, dicendogli sia di questa conversazione che di quella con Enrico. Ad<br />
Alessandro sì che sta bene fare il factotum. Con un figlio in arrivo vorrei ben vedere,<br />
correrei anch‟io ovunque.<br />
Traduco un‟intervista, nel mentre il magazine esce in edicola con tre miei articoli, nel<br />
mentre coordino il calendario ospiti in radio, nel mentre continuo a scrivere pezzi per il mio<br />
disco e ad organizzare le collaborazioni. Lavoratore saltuario? Non mi pare proprio.<br />
L‟unico diversivo che mi concedo è la palestra. Spesso nemmeno esco durante il weekend<br />
perché al computer una cosa tira l‟altra e scollinata una cert‟ora non ha più senso portar<br />
fuori l‟auto. «Vedrai che poi ti succederà tutto in un colpo solo. Ironia della sorte! Quel che<br />
si semina si raccoglie!». I cavalli di battaglia di mia mamma corrono liberi per le infinite<br />
praterie della mia testa.<br />
Intanto passano i giorni, a piccole manciate ma passano. E‟ metà ottobre, i cachi<br />
diventano timidamente sempre più arancioni, sempre meno rocciosi nell‟inesorabile marcia<br />
verso l‟abbandono del verde e l‟acquisizione di un‟eccezionale polposità. Ogni giorno li<br />
contemplo e ancora una volta mentre sono nell‟atto il telefono suona: è Damiano, mi<br />
propone tre giornate ad un convegno.<br />
«Abbiamo bisogno di personale multilingua per un congresso europeo. Ti va?»<br />
«Certo, che giorni precisamente?»<br />
«Da dopodomani. Mercoledì-venerdì»<br />
«OK, benissimo. Ascolta, in quanto a retribuzione, invece?»<br />
«Sui 140 netti al giorno»<br />
«Accipicchia!». Ma sarà vero?<br />
«Eh sì, ai congressi pagano molto bene, ma c‟è da essere impeccabili».<br />
Applicando il “teorema di Marilena” scalo un dieci per cento e rimane comunque una bella<br />
cifra: centoventisei al giorno. Orario dalle sette alle venti, stavolta anche in zona<br />
favorevole coi parcheggi. Briefing? Nemmeno.<br />
Il martedì sbrigo un paio di faccende inclusa la lavanderia per il mio completo elegante e il<br />
mercoledì alle sei e cinquantacinque sono sulla porta assieme ad un manipolo di<br />
compagni d‟avventura, una buona quindicina, e Damiano in veste di cerimoniere. Si parte.<br />
E c‟è poco da dire: tre giorni e si finisce. Piazzato fuori da una sala, ad un banco<br />
informazioni improvvisato a dire un buongiorno ogni tanto, nonché la direzione per bagni e<br />
guardaroba. Una noia di lavoro, un ambiente sterile a livello di contatti e un solo evento da<br />
ricordare: la lite coi parcheggiatori abusivi la seconda mattina. Volevano venti Euro per la<br />
giornata su un parcheggio libero, io li ho fronteggiati a muso duro ma delle due carte da<br />
giocare la sola buona è stata minacciare di venirli a prendere con il personale della<br />
sicurezza in caso di danni all‟auto; sul fatto del mandargli i vigili, invece, ci hanno riso<br />
sopra. Una guardia giurata, dopo aver assistito alla scena, mi ha spiegato che una multa<br />
da ottocento Euro una volta ogni tanto non li spaventa certo, quando in una giornata ne<br />
intascano almeno altri mille. Io pensavo come minimo li si portasse in centrale degli<br />
elementi del genere, in modo da vanificargli la missione. Invece no, sono io che devo<br />
capire come gira il mondo: due australopitechi con la pettorina “Parking” svoltano il mese<br />
in un paio di giorni, alla faccia mia e della guardia giurata, del mio pezzo di carta e del suo<br />
giubbotto antiproiettili.<br />
65
Poi capita così, che nella mattina del sabato un lavoratore saltuario si alza, va alla finestra<br />
e stropicciandosi gli occhi scopre che mentre era al lavoro i merli hanno preso d‟assalto i<br />
cachi. Prima di tutti e prima del tempo.<br />
66
11<br />
LETTERE DA UN ALTRO UNIVERSO (PARTE SECONDA)<br />
Penultimo lunedì di ottobre, da oltralpe giungono notizie via e-mail. L‟account è bello pieno<br />
oggi, ma comincio da questa visto che so che sarà intrattenitiva. Per i problemi, invece,<br />
attivarmi prima delle nove e trenta mi fa digerire male la colazione.<br />
Salut, mon cher!<br />
Allora, che si dice laggiù, sei già diventato ricco a suon di<br />
fiere?<br />
Io qui dopo il primo mese mi sento di poterlo dire a gran voce:<br />
Italia vaffanculo! Il master è una figata: tanta pratica, poche<br />
balle e soprattutto siamo al massimo in classe in 14…mica in 200<br />
come a Milano.<br />
Tra parentesi, ti lascio in allegato una traduzione che devo<br />
consegnare come primo parziale. Dalle un occhio e dimmi per<br />
piacere cosa ne pensi, trovi sia il testo originale che la mia<br />
versione.<br />
Lo studentato dove sto è in centro a Ginevra. Si sta bene, non è<br />
nemmeno sovraffollato. Prenditi un biglietto del treno e vieni a<br />
trovarmi appena puoi!<br />
Parlando in generale, qui c‟è da stare attenti a quanti soldi<br />
escono. E‟ cara la vita, forse però tramite l‟università il<br />
prossimo semestre mi prendo un lavoretto, visto che avrò pochi<br />
corsi.<br />
Novità lì così, invece? E‟ un po‟ che mia mamma non va dalla<br />
panettiera, quindi il gossip scarseggia. Mio fratello però sembra<br />
si sia trovato un tipella che fa danza. Chiedi a tua cugina se sa<br />
qualcosa, è una di quelle che fan lezione con lei…se è una di<br />
quelle buzzicone che escono vicino alle scuole, fammelo sapere che<br />
il Gio‟ mi sente!<br />
Allora aspetto il tuo parere sulla traduzione. La devo consegnare<br />
dopodomani.<br />
Bisous.<br />
La‟<br />
Lara respira un‟aria decisamente diversa dalla mia e non è un fatto di polveri sottili, anche<br />
se credo avrebbe la meglio anche su quello.<br />
Prendo una ventina di minuti per guardare la sua traduzione, ristrutturo un paio di frasi e<br />
secondo me ci siamo. Metto da parte per una rilettura a posteriori.<br />
Dando un‟occhiata ad altre e-mail fresche d‟arrivo, ce ne sono diverse di siti e sitarelli vari<br />
a cui mi sono iscritto per pubblicare annunci di ricerca di lavoro. Nessuna notifica di<br />
risposta, solo pubblicità, ma d‟altra parte si sa che non ci si può aspettare molto di diverso:<br />
sono quelli come me che devono andare a sondare gli annunci di chi offre un posto.<br />
Procedo quindi nel compito giornaliero e dopo una spulciata generale invio cinque CV,<br />
compito che mi assorbe fino all‟ora di pranzo nel cercare di adattarli il meglio possibile alle<br />
diverse situazioni. Poi c‟è l‟immancabile lettera di presentazione: guai a non farla, ma<br />
67
ormai sono diventato come i venditori porta a porta, con formule consolidate e quel po‟ di<br />
freestyle a seconda che la massaia di turno sia mora o bionda, o finta bionda.<br />
Mentre mangiamo, mio papà salta fuori con una bella idea.<br />
«Dovresti andare a parlare con le associazioni di artigiani che ci sono qui in zona. Solo qui<br />
in paese ne abbiamo due. Lasciagli il curriculum che magari qualcuno cerca, oppure ti<br />
metti disponibile per le fiere, cose del genere»<br />
«E bravo papà, questa sì che è una bella idea. Ma tu non conosci nessuno in particolare in<br />
questi posti?»<br />
«Qui così sì, è tutta gente di paese»<br />
«Ma secondo te in che maniera rompo il ghiaccio: telefono, mando un‟e-mail?»<br />
«Ma va‟, vai là subito e basta. Passi dentro e scambi due parole. Son tutti dei legnamé».<br />
Son tutti dei falegnami, mi dice.<br />
«Finito il telegiornale cerco dove sono, allora».<br />
Mi connetto ad Internet e trovo i due indirizzi qui in paese. Domani ci vado. Poi mi perdo a<br />
cercare altre associazioni di artigiani e commercianti della zona, stanandone una decina.<br />
Forse forse che questa sia una buona porta per interagire con le aziende, anziché le<br />
interinali o i cestini della carta dei vari uffici del personale.<br />
Mentre il pomeriggio cala, ricontrollo il file per Lara e glielo spedisco. Passata mezz‟ora,<br />
ecco una sua e-mail.<br />
Grazie mille, sei un mago!<br />
Corro che devo uscire. Vado con un paio di compagne sul lungolago,<br />
mangiamo una pizza, poi ci sono diversi locali carini in zona.<br />
Baci baci<br />
La‟<br />
Lara va a godersi il lungolago, il mago invece va a fare un po‟ di sport e in seguito<br />
trascorre la serata in relax ascoltando alcuni nuovi arrivi per la radio. Ieri abbiamo<br />
registrato una bella puntata, domani che andiamo in onda me la riascolterò volentieri. Per<br />
intanto già lavoro per quella della prossima settimana. Lavoro? Me lo chiedo spesso se io<br />
stia effettivamente lavorando. La discriminante non è il fatto che io mi diverta con la radio,<br />
ma che lo stia facendo senza che ci sia un ritorno economico. Però non è un hobby, no di<br />
certo, non c‟è abbastanza cazzeggio intrinseco per definirlo tale, siamo troppo organizzati,<br />
troppo dediti per definirci radioamatori. Presumo sarà il futuro a dire ciò che siamo ora io e<br />
i miei due compagni d‟avventura: se fra dieci anni saremo su un‟emittente nazionale,<br />
avremo lavorato; se saremo al bar a raccontarlo alla cameriera, potremo solo dire che ce<br />
l‟avevamo come hobby, che eravamo degli appassionati. Ironico che un‟unica cosa possa<br />
essere chiamata con un nome o con l‟opposto in sola dipendenza dal suo destino anziché<br />
dalla sua sostanza.<br />
Nessuna traccia di un Pozzetto, né di un Calà, né di un Dorelli in TV. Vabè, siamo ancora<br />
in prima serata. Meglio continuare a tenere le cuffie e al primo calo andare a nanna, che in<br />
Brianza la mattina comincia presto e domani sarà questo il mio campo d‟azione.<br />
68
12<br />
LA NUOVA BESTIA<br />
Dopo tempo immemore mi ritrovo a far colazione coi miei, ore sette e dieci. Un po‟<br />
prestino per il mio programma odierno, in effetti: prima delle nove e un quarto è meglio<br />
non piombare in ufficio a nessuno. Tocca rallentare.<br />
Seguitamente ad una scarica di Oro Saiwa pucciati in un tazzone di tè e una mezz‟oretta<br />
sul divano a guardarmi un TG e un vecchio telefilm, viene però l‟ora di prepararsi. Look<br />
casual. Sì esatto, perché in Brianza a presentarsi in giacca e cravatta senza<br />
appuntamento sono solo tre categorie di persone: i venditori di aspirapolveri, gli agenti<br />
immobiliari e i truffatori. Meglio non far agitare i miei prossimi interlocutori già da fuori la<br />
vetrata, perciò maglione azzurro, camicia bianca sotto con primo bottone slacciato e ai<br />
piani bassi la premiata ditta Levi‟s e Stan Smith. Preciso così. Ah, e via l‟orecchino, che<br />
per gli over-cinquanta di queste latitudini «è da drogato» (che poi diversi dei loro figli dalla<br />
faccia così pulita spazzino più neve che una ruspa a Cortina è un altro discorso).<br />
Pronti, via: al primo obiettivo ci arrivo a piedi, verso gli altri mi muovo in macchina. Il<br />
mezzogiorno mangio fuori, un panino volante in un centro commerciale, scegliendo con<br />
orgoglio di evitare catene a stelle e strisce. Li chiamano pure ristoranti ora, nemmeno più<br />
fast-food. Che vergogna.<br />
Rincaso infine sul gong dell‟ora di cena, così non mi resta che fare un resoconto della<br />
giornata ai miei, a bocca tranquillamente piena.<br />
«…un po‟ con tutti la stessa storia, insomma. Ah, papà, ti saluta il tizio del consorzio qui in<br />
piazza. Mi ha chiesto se facevi ancora l‟intagliatore»<br />
«Il Minotti?»<br />
«Sì, quello lì»<br />
«Saran vent‟anni che non scambiamo due parole. Quando aveva la ditta gli facevo del<br />
lavoro, poi lui s‟è levato dalla società e ha cominciato col consorzio. Da lì ci siamo persi»<br />
«Vabè, tornando al punto: lui come gli altri da cui son passato son stati tutti gentili. Ci ho<br />
messo una ventina di minuti ad incontro. Superficialmente parlando direi che la giornata è<br />
andata bene, tutti hanno preso i miei dati, il curriculum eccetera»<br />
«C‟è un però?»<br />
«Si, è una sensazione mia tirate le somme. Io quello che ho spiegato è molto semplice:<br />
sono laureato, parlo cinque lingue e cerco lavoro. Una via classica è quella del chiedervi<br />
se fra le aziende che rappresentate ce n‟è qualcuna alla ricerca di una figura come me, un<br />
esperto linguistico; un‟altra strada è invece quella di offrire servizi come libero<br />
professionista, il che può avvenire per fiere, trasferte, traduzioni generiche e mille altre<br />
cose»<br />
«Mi sembra una buona idea»<br />
«E ho anche specificato che per quando fanno, ad esempio, le fiere con la collettiva intera<br />
e una figura di supporto per ogni singola azienda finirebbe con l‟essere fuori budget<br />
rispetto alle esigenze effettive, io potrei costituire un team con elementi di competenze<br />
simili alle mie, tre-quattro persone, per lavorare a rotazione per tutte le quindici-venti realtà<br />
presenti nell‟area che il consorzio affitta. Facendo così il costo sarebbe leggero perché<br />
diviso fra tutti, ma avrebbero comunque le spalle coperte. Insomma, come per dire: tra il<br />
tutto e il niente, vi fornisco la via di mezzo»<br />
«Questo è più un due piccioni con una fava, ed è anche un‟idea imprenditoriale»<br />
«Ecco, un embrione di agenzia, nel caso ingranasse. Il fatto è però che parlandone ho<br />
avuto la sensazione che mi guardassero come una bestia mai vista prima, manco fosse<br />
saltato fuori lo Yeti. A me sembrava una cosa ideale da proporre a un consorzio»<br />
69
«Magari ci devono solo ragionare sopra», interviene mia mamma.<br />
«Infatti», dice mio papà in supporto.<br />
«Può darsi, per carità. Vedremo. Ora per lo meno mi sono presentato e diversi mi han<br />
detto che ci risentiremo presto per approfondire. E‟ stato un buon approccio, ma<br />
chiaramente piombando così inaspettato li avrò presi in contropiede»<br />
«Ancora però non mi sembri convinto. Non fasciarti la testa prima del tempo, aspetta e<br />
vedrai». I cavalli di battaglia di mia mamma stanno uscendo dalla stalla.<br />
«Non è quello. E‟ l‟altra faccenda che mi ha fatto scattare lo scetticismo su tutto quanto,<br />
quella più semplice: al di là della cortesia di facciata, mi sono sembrati tutti senza<br />
cognizione su che tipo di figure siano ricercate dalle aziende che rappresentano. Parlo di<br />
quelli da assumere proprio. Probabilmente non è compito loro, ma di certo un lavoro del<br />
genere ho visto che nemmeno le interinali lo fanno. Chissà a chi diamine tocca. CV ne ho<br />
mandati una marea direttamente alle aziende, ora sto procedendo con le varie entità che<br />
gravitano attorno, ma ancora qui è il deserto dei Tartari. Sembra che selezionare il<br />
personale non sia compito di nessuno»<br />
«Stai facendo tutto giusto, ti stai aprendo più porte. Il periodo non è dei migliori, quindi<br />
bisognerà aspettare un momento». Mio papà.<br />
«Son più di sei mesi che aspetto…»<br />
«Oh, dai, cosa sono sei mesi quando bisogna cercar lavoro? C‟è gente che ci mette anche<br />
un anno». Mia mamma.<br />
«Il punto è che fatico a credere che in un contesto come il nostro, dove tutti hanno<br />
problemi con le lingue straniere ma lo stesso devono fare affari con l‟estero, io che posso<br />
far comodo a molti sia ancora qui ai blocchi di partenza. Non mi sono mica laureato in<br />
Scienza delle Merendine»<br />
«E‟ solo questione di tempo, questione di tempo». Il coro dei miei, con l‟eco.<br />
La conversazione sfuma con me che insindacabilmente rimango perplesso, e parecchio.<br />
Più ci rifletto, più credo che la giornata abbia avuto due facce, la classica maschera bianca<br />
e liscia sopra che nasconde i connotati reali sotto, ma forse sto solo degenerando perché<br />
avverto non poca pressione. La frase di mia mamma sulla gente che ci mette anche un<br />
anno per trovare lavoro mi ha risollevato un filo, ma sono ad ogni modo a metà strada.<br />
Posso dire che ho davanti una porzione di tempo uguale a quella avuta finora, come<br />
anche mi tocca constatare che metà del tempo a mia disposizione è evaporato senza le<br />
attese rivoluzioni. Che io ora stia cominciando ad ingranare con Damiano è cosa buona,<br />
ma il risvolto della medaglia è aver mandato in giro un numero spropositato di CV e<br />
sentirmi come ad averli lanciati fuori da una finestra, in mano a nessuno.<br />
Ecco, ecco, idea: devo decidermi a telefonare. Sarà una cosa poco simpatica ma qui c‟è<br />
da farsi sentire, i coglioni li si può anche rompere due minuti, c‟è il mio futuro in ballo. E‟ la<br />
prima volta da quando mi sono laureato che mi sento così teso; so che c‟è da portar<br />
pazienza, come dicono i miei, e la porterò perché comunque non si può fare altrimenti,<br />
però se un periodo di transizione è paragonabile ad un ponte, io oggi questo ponte l‟ho<br />
sentito tremare. Chiaramente non è solo la giornata trascorsa, sono i mesi trascorsi. Non<br />
mi resta che fare un bel respiro e procedere facendomi coraggio. Alternative? Niente.<br />
Concludo la giornata armandomi di numeri di telefono, un altro lavoraccio che mi costringe<br />
a recuperare tutte le e-mail spedite, risalire ai siti delle aziende, cercare fra i loro contatti e<br />
in alcuni casi aiutarmi anche con gli elenchi telefonici on-line. Parecchi non mostrano altro<br />
che formulari o numeri di servizio clienti, perciò nisba, ma comunque programmo un bel<br />
mucchietto di telefonate per il mio segretario. Che poi sono sempre io.<br />
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Dopo otto ore e mezza di sonno do il via ad un‟altra mattinata. In questo caso<br />
decisamente una delle meno desiderabili, visto quel che m‟ha lasciato da fare il mio capo.<br />
Che poi sono sempre io.<br />
Parto all‟arrembaggio, essendomi inoltre preventivamente diviso i numeri da chiamare fra<br />
Brianza, Milano nord, Milano centro città, Milano sud, Como e Varese. Le prime tre sono le<br />
zone più ambite a livello logistico, le altre sono seconde scelte soprattutto in quanto per<br />
me problematiche da raggiungere, al punto che se vi trovassi lavoro dovrei contemplare<br />
l‟affitto di un appartamento in prossimità sin da subito, oppure accettare di passare fra le<br />
tre e le quattro ore ogni giorno incolonnato nel traffico o su e giù dai mezzi pubblici.<br />
Procediamo per gradi, sarebbe da scemi non farlo.<br />
La maratona telefonica, passata per il banco ristoro del mezzogiorno con zucchero in<br />
zollette e Gatorade, si conclude nel tardo pomeriggio. Come apertura dei dialoghi sciorino<br />
un‟introduzione apparentemente improvvisata, ma in realtà studiata nei minimi dettagli.<br />
Vale la pena analizzarla:<br />
“Pronto, buongiorno. Io nel corso degli ultimi mesi¹ ho sottoposto il mio curriculum alla<br />
vostra azienda. Gentilmente², non avendo ancora ricevuto risposta³ volevo sapere se<br />
fosse 4 possibile parlare un minuto 5 con chi si occupa della selezione del personale, prima<br />
di tutto per accertarmi che la mia documentazione l‟abbiate 6 effettivamente ricevuta… 7<br />
¹ Per suonare né troppo recente, né troppo sepolto nel tempo. Se uno chiama due giorni dopo aver mandato<br />
il CV fa la figura dello scassaminchia iperteso, mentre se chiama dopo un anno ne esce come un cretino che<br />
non ha capito di essere già stato scartato.<br />
² Una parola educata apre sempre una porta in più.<br />
³ E’ giunto il tempo di fare gli stronzetti: mettiamola giù come se fossero in difetto loro, quasi come a<br />
chiamare fosse un cliente che lamenta un disservizio.<br />
4 Congiuntivo: denota il livello culturale e assieme mostra i muscoli dialettici di cui si è dotati, incutendo nel<br />
subconscio dell’interlocutore una buona dose di timore reverenziale, con conseguente incremento della sua<br />
mansuetudine.<br />
5 Carta della credibilità. A dire «un secondo» si appare come quelli che chiedono un dito per prendersi il<br />
braccio. E specie al telefono, di soggetti del genere ce ne sono troppi.<br />
6 Promemoria del punto 3.<br />
7 Facciamo irrompere un “sovraproblema” che potrebbe impedire ad ambo le parti (perciò azienda inclusa:<br />
punto fondamentale) di ottenere qualcosa d’importante. Ancora una volta manipoliamo senza scrupoli il<br />
subconscio dell’interlocutore, che avvertendo di essere il SOLO E UNICO a poter risolvere la situazione farà<br />
tutto il possibile per accaparrarsi le lodi dei superiori. Come ultimo atto lasciamo cadere la conversazione,<br />
sfruttando un vuoto comunicativo creato ad arte come implicito invito a procedere.<br />
A tale introduzione, atta a massimizzare le chance di risvolti positivi (o meglio a contenere<br />
al massimo le negative), seguono tre macrotipi di risposta.<br />
1: La secca<br />
«Guardi, mi spiace ma purtroppo non siamo autorizzati ad inoltrare questo tipo di<br />
chiamate. Scriva un‟e-mail».<br />
2: La lunga<br />
«Sì, attenda in linea, prego…». E dopo quattro minuti d‟attesa: «Guardi, mi spiace ma<br />
purtroppo non siamo autorizzati ad inoltrare questo tipo di chiamate. Scriva un‟e-mail»<br />
3: L’assist(ente)<br />
«Sì, attenda in linea, prego…». E dopo un minuto d‟attesa: «Le passo l‟assistente».<br />
Io sfrutto il dai-e-vai del centralino applicando un riadattamento della precedente<br />
introduzione. Il dialogo si conclude generalmente con me invitato «per sicurezza» a<br />
spedire di nuovo tutto quanto, ma con l‟utile novità di un indirizzo e-mail legato ad una<br />
specifica persona.<br />
71
“La secca” e “la lunga”, oltre ad essere inutili, sono purtroppo anche le risposte a cui mi<br />
trovo di fronte più spesso. Le interazioni con assistenti o presunti tali sono invece brevi ma<br />
aggiungono un tassello significativo alla mia manovra, che completo poi nella semplice<br />
mossa del “forward” della prima e-mail. Ciò che però mi lascia perplesso è non riuscire<br />
mai, aziende grandi o medie o piccole, a parlare direttamente con chi seleziona il<br />
personale, che in un modo o nell‟altro c‟è, anche se magari non coinvolto full-time in<br />
queste faccende. Quello che mi rimane è perciò l‟idea di una situazione generale pari a<br />
una rete a maglie impenetrabili, dietro le quali la persona che sempre, o una volta all‟anno,<br />
o una volta ogni lustro si occupa di tale compito è custodita gelosamente, protetta come<br />
fosse il bambino d‟oro. Come accidenti si fa a trovare un posto di lavoro? Con chi si deve<br />
parlare? Come si aggancia l‟anello mancante fra uomo e occupazione? Ma soprattutto: a<br />
chi le faccio queste domande?<br />
Non facciamo i ridicoli, in Comune a parlare con l‟assistente sociale non ci vado, che non<br />
sono un disagiato in cerca di sussidi; idem non ho intenzione di rivolgermi a quegli<br />
pseudo-sportelli informativi delle biblioteche, delle scuole e dei centri giovanili,<br />
principalmente per motivi di ordine pubblico: se la masnada di obiettori che piazzano in tali<br />
postazioni risultasse saperne più di tutte le persone che ho interpellato ultimamente, potrei<br />
compiere un gesto estremo oppure, per disperazione, iniziare a credere alla prossimità<br />
dell‟apocalisse.<br />
L‟apocalisse: ecco che le Sacre Scritture mi vedono libero e mi alzano un alley-oop<br />
ecclesiastico, sperando che sul collegamento io piazzi una schiacciata alla LeBron James<br />
rivolgendomi in parrocchia per un‟intermediazione fra anime pie, classica manovra di<br />
paese. Niente invece, questo passaggio lo lascio planare oltre la linea di fondo, nemmeno<br />
salto. Vaffanculo a „ste ciellinate, sarebbe come andare a canestro dopo un antisportivo<br />
non contestatomi. E transitandomi per la mente tale congrega, ecco un nuovo<br />
suggerimento per un tiro da tre punti verso…Roberto e Flavia.<br />
Palla in mano, difensori scansati con maestria, piedi e busto perfettamente direzionati: qui<br />
l‟azione è pulita. Che faccio, tiro?<br />
72
13<br />
LA NOTTE DELLE STREGHE<br />
Guardare il sedile del passeggero e sentirsi un cretino. Ma che cazzo…<br />
Mantello scuro, bastone e in più cipria e matita nera fregate a mia mamma. Mi tocca fare il<br />
vampiro stasera.<br />
Mi sciroppo mezz‟ora di superstrada fra una contemplativa autoironia e il contagiri del<br />
nervoso che sale. Bocciate le mie idee del maniaco sessuale e di un più canonico Gomez<br />
Addams. Per che cosa? Per la grande originalità del Conte Dracula. Avrò solo un miliardo<br />
di cloni attorno, sai che gusto.<br />
Parcheggio e cerco di citofonare. Mille nomi, maremma maiala, e pure i codici. Milanesi<br />
del menga.<br />
«Sì?»<br />
«Buonasera, cercavo una vergine a cui succhiare del sangue»<br />
«Ha-ha, cretino! Sali, dai». In realtà la battuta me l‟ha troncata a metà, non doveva finire<br />
così. E devo pure risuonare.<br />
«Sì?». Come se niente fosse, stesso tono di prima.<br />
«Ehm, scusa, ma dove?»<br />
«Oh che palle! Scendo io, va‟».<br />
Clic. Giù il citofono. E lo sa benissimo che mi sta facendo incazzare, lo fa apposta. Ci<br />
prova pure gusto.<br />
«Ué sveglione, son qui, nè!». Sbuca dopo un paio di minuti da chissà quale porta sul retro.<br />
«Mari, io prima di fine serata ti butto in un fosso!». Faccio il finto incazzato, lasciando<br />
trasparire che in fondo scherzo.<br />
«Ma mica volevi succhiarmi il sangue?». Sorride, con la sua battutina carina. Ora la<br />
sistemo io.<br />
«Veramente cercavo una vergine».<br />
Uh-uh, la signorina accusa il colpo. Un secondo di silenzio la tradisce, così come anche<br />
l‟unica parola che dopo quello riesce a proferire: “Sss…stronzo!”. E si sa che quando una<br />
donna dice «stronzo»…dice «stronzo». Neanche il tempo di contare fino a due e abbiamo<br />
le labbra appiccicate. Mi piacciono le sue braccia attorno al collo e la maniera in cui con le<br />
mani mi tocca la testa, è delicata ma salda allo stesso tempo, ha uno stile tutto suo.<br />
«Muoviti strega, che mi devi ancora truccare». Saliamo.<br />
Eccomi quindi nel mondo di Marilena, una casa condivisa con altre due ragazze. Due<br />
universitarie, mi dice, senza alcun nesso con lei, nel senso che non è un appartamento di<br />
tre amiche a un certo punto votatesi alla vita indipendente in città.<br />
«Io sono l‟ultima arrivata»<br />
«Ma ti era proprio necessario levarti da casa?»<br />
«Da Cremona a qui son più di ottanta chilometri, non ce la facevo a farla tutti i giorni avanti<br />
e indietro». Ah ecco, Cremona. A me era rimasto in testa che fosse di Crema, sarà che ho<br />
degli amici là e ogni volta associo tutto a quello.<br />
«Ma scusa, Crema e Cremona quanto distano precisamente?»<br />
«Una quarantina di chilometri»<br />
«Alla faccia, pensavo meno. E Crema è in provincia di Cremona?»<br />
«Sì»<br />
«Mi sembrate uno scioglilingua»<br />
«Scemo. Vieni qui, chiudi gli occhi che ti devo mettere la cipria».<br />
73
Vengo autorizzato a riaprirli ad opera conclusa: bianco cadaverico come preventivabile,<br />
delle righe in faccia con un rossetto rosso che secondo Marilena sono «macchie di<br />
sangue», rossetto viola livido sulle labbra, matita nera attorno agli occhi e finto neo sotto<br />
l‟occhio destro. E perché „sto neo?<br />
Senza che il quesito trovi risposta, partiamo alla volta delle Colonne di San Lorenzo,<br />
trovando un carnaio e lottando per un parcheggio con auto cariche di mummie, zombi e<br />
pirati. Al quarto tentativo trovo un buco dietro Piazza Vetra, chiaramente in divieto e<br />
chiaramente per metà sul marciapiede. Se stasera il Comune mandasse in giro i vigili a far<br />
contravvenzioni, domani la povertà in Somalia potrebbe essere risolta devolvendo gli<br />
introiti. Ma c‟è da star tranquilli, invece, perché quella che si scatena a Milano nelle notti di<br />
movida sembra una vera e propria sommossa popolare contro la viabilità e non c‟è<br />
maniera che quattro sventurati armati di biro e blocchetti riescano a far granché mentre la<br />
circonvallazione sembra il circuito di Monza, le strade del centro sono invase da sciami di<br />
motorini che ci manca solo viaggino in orizzontale sui muri, ad un incrocio su tre c‟è un<br />
tamponamento e Ticinese e limitrofi sembrano una Piazza S. Pietro (alcolizzata) il giorno<br />
dell‟”habemus papam”.<br />
Si parte con un giro di birre con alcuni amici di Marilena che ci hanno raggiunto, incluse un<br />
quattro-cinque facce già intraviste in fiera. Mi viene spiegato che dopo diversi anni di<br />
lavoro ormai c‟è un nucleo storico che indipendentemente dall‟agenzia o dalla<br />
manifestazione di turno si ritrova sempre lì, anche se le mansioni oscillano di volta in volta.<br />
C‟è chi una settimana sposta divani e quella dopo lo vedi in ufficio, c‟è chi ad un giro fa la<br />
hostess e al seguente è in segreteria generale e così via. Il bello di questo è che si<br />
familiarizza senza farsi condizionare dai ruoli, cosa che invece non è certamente avvenuta<br />
nell‟indimenticabile sessione estiva al fortino finanziario di Milano sud. Non mi sarei mai<br />
potuto trovare fuori da lì a brindare con quei miei coetanei come sto facendo ora con<br />
questi, e là sapevo perfettamente con che tipo di figure mi relazionavo, mentre qui potrei<br />
essere di fronte a gente che domani si laurea in Ingegneria Aerospaziale, o in Economia, o<br />
in Legge ed oggi è a fare carico-scarico o il punto informazioni, oppure semplicemente c‟è<br />
chi è nella sua dimensione in quello che fa e svolge un compito terra a terra.<br />
Nessunissimo problema: nell‟aria non c‟è discriminazione, a me basta questo. Affanculo<br />
invece quelle impiegatine da recupero crediti con la puzza sotto il naso e il buono pasto<br />
come status-symbol.<br />
Finite un paio di birre a testa siamo ben amalgamati, circondati da gente in borghese e<br />
gente in maschera in egual proporzione, accompagnati dal suono dei bonghi, divertiti da<br />
un paio di giocolieri a centro piazza ed accerchiati da folate di nebbia dalla fragranza<br />
esotica. Le Colonne hanno sempre un‟atmosfera a sé stante, colorata, caotica, scapigliata,<br />
anarchica, in una città che in ogni altro dove, da via Montenapoleone a Gratosoglio, salta<br />
dallo snob al popolare senza vie intermedie.<br />
Facciamo meno di trenta metri e scendiamo in una piccola discoteca, uno dei luoghi storici<br />
di Milano da quanto mi dice la strega Marilena. Niente è mio qui dentro, non la musica,<br />
non l‟ambiente, ma lo stesso lasciarmi andare mi viene automatico, saltare nel fiume e<br />
seguire la corrente. Come va, va. Mi sembra di fare una doccia gelida sotto una cascata<br />
mentre quasi andavo a fuoco. Il resto è in superficie, il buono e il cattivo, la mia casella email,<br />
la mia laurea, il curriculum, la radio, la palestra. Tutto. Tutto fuori.<br />
Passo tre ore così, fra una cazzata e l‟altra, una ragnatela posticcia e l‟altra, cento streghe<br />
e cento vampiri, un maniaco sessuale e un Gomez Addams a cui faccio i complimenti,<br />
quattro chiacchiere a voce altissima con ognuna delle nuove conoscenze del gruppo e poi<br />
via, luci su e via tutti.<br />
74
Sono quasi le quattro e dopo una decina di minuti di convenevoli con gli altri io e Marilena<br />
c‟incamminiamo. Saliti in auto, niente multe sotto il tergicristallo. A me è colato tutto il<br />
trucco per la calura e sotto i vestiti il sudore va raffreddandosi. Mari regge meglio, è solo<br />
un filo spettinata ma anche quello le dona. Le orecchie piano piano smettono di fischiare,<br />
mentre si guida verso casa sua ad un cinquanta all‟ora costante che è più per prender<br />
tempo che per fare i bravi cittadini.<br />
«Ti sei divertito?»<br />
«Non s‟è visto? Metti una mano qua» e le faccio sentire il sudore freddo sulla schiena.<br />
«Mamma mia, sei gelato!»<br />
«Sudo abbastanza io, ma là sotto faceva un caldo infernale. Ai tempi in cui ancora si<br />
poteva fumare nei locali comunque non avrei resistito così tanto, me ne sarei uscito<br />
lacrimante a metà serata. Se c‟è stata una legge decente, è stata quella»<br />
«Sì, davvero, lo dico anche io che fumo. A proposito, ora una bella sigarettina ci sta<br />
proprio»<br />
«Strega, sulla mia macchina non credo proprio…»<br />
«Ma dai, abbasso un po‟ il finestrino»<br />
«No dai, per piacere, che poi l‟odore che rimane mi fa venir la nausea. E poi ho intenzione<br />
di baciarti fra poco, non farti trovare col sapore di posacenere». Le sorrido e le strizzo<br />
l‟occhio, lei ricambia il sorriso e gli occhi le brillano. Passa circa un chilometro di silenzio,<br />
con entrambi sovrappensiero.<br />
«Dimmi dove devo andare qui»<br />
«Dritto, dritto»<br />
«Indicami tu, mi son dimenticato che strada abbiamo fatto prima»<br />
«OK. Dritto anche alla prossima rotonda, per intanto»<br />
«Questa settimana lavori?»<br />
«Sì, da martedì a domenica»<br />
«Per Damiano?»<br />
«No, per una cooperativa ma sempre in fiera»<br />
«Una cooperativa? E che differenza c‟è con un‟agenzia?»<br />
«Pagano qualcosa meno, ma il resto è uguale. Per me poi che sono in partita IVA non<br />
cambia proprio nulla»<br />
«Ma che incarico hai?»<br />
«Promoter, stavolta. Già mi fan male le gambe a pensare a quando dovrò stare in piedi sui<br />
tacchi»<br />
«Che orario fai?»<br />
«Sono da un espositore, quindi dieci-venti»<br />
«A confronto della scorsa sembran poche»<br />
«Infatti. Ma tu con Damiano poi?»<br />
«Dopo il convegno che ho fatto siam rimasti che mi chiama appena c‟è da qualcosa»<br />
«Io lavoro per lui settimana prossima»<br />
«Ah sì?». Involontariamente sussulto. Ho il terrore di essere stato tagliato fuori.<br />
«Sì, questa è proprio la fiera con la quale avevo cominciato, quella per gli sposi»<br />
«Io potrei gestire benissimo qualche stand per addii al celibato. Spogliarelliste che saltan<br />
fuori dalla torta e tutte quelle robe lì. Sai che bomba?»<br />
«Ha-ha! E tu cosparso di panna montata? Gira, gira a destra qui»<br />
«OK. Comunque, facendo i seri adesso, io non ho ancora ricevuto nessuna chiamata da<br />
Damiano, pensi voglia dir qualcosa? Sono un po‟ preoccupato, già non è che mi piova<br />
lavoro…»<br />
«Non so che dire così per così, ma se vuoi indago. Comunque magari ti chiama in<br />
settimana»<br />
«Può essere, può essere. Non è uno da larghi anticipi con me, a quanto ho visto. Qui?»<br />
75
«Dritto. Al prossimo semaforo a destra»<br />
«Damiano comunque quando l‟avevo rincontrato quest‟estate mi sembrava preso bene sul<br />
darmi parecchi incarichi. A questo punto credevo avrei già lavorato molto di più»<br />
«Dipende da diversi fattori, guarda. Il tipo di evento, le richieste del cliente e anche chi ha<br />
già lavorato ad una manifestazione piuttosto che un‟altra. Ad esempio, tu s‟è visto che hai<br />
lavorato bene per Flavia e Roberto, quindi l‟anno prossimo sarai il primo ad essere<br />
contattato per quella posizione». OK, comincio a vederci più chiaro su come funzionano le<br />
cose.<br />
«Flavia e Roberto…ma sai che appunto Roberto mi ha chiesto di fargli avere il mio CV?<br />
Parallelamente, da una domanda sibillina di Damiano ho capito che Flavia sì è lamentata»<br />
«E perché mai?»<br />
«Quando ha passato il segno io ho cominciato a rispondere. Oh Mari, ne avevo i coglioni<br />
pieni a un certo punto. Nasce e muore tutto in meno di una settimana, ma quando sei lì<br />
dentro quattordici ore al giorno o pressoché, non hai molta voglia di farti pigliare per il<br />
culo»<br />
«Flavia è una particolare, io l‟avevo già capito gli anni addietro pur non avendo mai<br />
lavorato direttamente per lei. Seconda a sinistra»<br />
«Ecco, allora non sono totalmente scemo io»<br />
«Ma no che non sei scemo. Bello il mio vampiro!», con tanto di pizzicotto prolungato sulla<br />
guancia. «Gira, gira, gira qui a sinistra che ci siamo»<br />
«Va bene! E calma, stregaccia!». Duecento metri e parcheggiamo sotto il suo palazzo.<br />
«Sali che ti strucco, dai»<br />
«Come no, guarda che ho capito tutto: tu vuoi solo abusare del mio corpo»<br />
«Smettila, cretino!». E ci baciamo mezzo minuto.<br />
«Hai proprio un buon sapore quando non fumi». Scendiamo dall‟auto.<br />
«Oh grazie. Ma ora una me l‟accendo!». Io sollevo benevolmente gli occhi al cielo.<br />
Schiacciato il mozzicone sotto il suo stivale, via dentro e sei piani d‟ascensore.<br />
Lei a struccarsi ci mette due minuti, poi è il mio turno. Batuffoli di cotone, latte detergente,<br />
chiudi gli occhi-apri gli occhi, aspetta e poi ripeti finché non è sparito tutto. Tre passate.<br />
Dev‟essere una vitaccia esser Vladimir Luxuria.<br />
Mi dice quindi di saltare in doccia, che il sudore freddo rischia di farmi prendere un<br />
accidente. Lei esce, io mi spoglio mentre mando in temperatura l‟acqua. Sentirla poi quasi<br />
scottare fra le scapole è una gran sensazione. Ma ancora meglio è dopo un minuto sentirsi<br />
sfiorare il collo con un dito.<br />
Avevo sentito la porta riaprirsi.<br />
76
14<br />
UN LUNGO SONNO<br />
Suona il cellulare. Mezzogiorno. Mia mamma.<br />
Bocca impastata, palpebre anestetizzate, disorientamento totale.<br />
«Buongiorno! Io sono a casa fra mezz‟ora, puoi cominciare a metter su l‟acqua?»<br />
«Eh? Ah…va bene». In realtà è il mio subconscio che parla, io non ho facoltà di intendere<br />
e di volere.<br />
Dopo un lasso di tempo imprecisato mi sento una mano sulla spalla.<br />
«Sono qui»<br />
«Eh? Ah…va bene». Questo mio subconscio c‟è da dire che è monofrase.<br />
«Oh diamine, che ritmi che hai preso. Ti sei addormentato ancora tardi?».<br />
Sì, ed è un mese che lo faccio. Dovrei comprarmi dei cioccolatini e festeggiare.<br />
Cazzate a parte, c‟ha ragione eccome. Novembre mi si è fulminato in questa maniera. Da<br />
Halloween in poi è stato un disastro e non c‟entra Mari, c‟entra che mi pare d‟esser finito in<br />
una città fantasma. Tutti spariti e io in giro come uno scemo a cercare un‟anima viva che<br />
offra lavoro. Ma qui la vita fuori c‟è eccome: c‟è mia mamma che è appena rincasata e c‟è<br />
mio papà che invece ha ancora davanti mezza giornata in magazzino, giusto per fare due<br />
esempi pronta consumazione. Allora cambio la metafora: mi sembra di essere uno che sta<br />
musicando un concerto ad una platea di sordomuti, che né sentono, né possono dirmi<br />
alcunché.<br />
Ricapitoliamo gli avvenimenti di novembre: mi sono arrivati i soldi del congresso da parte<br />
di Damiano e come volevasi dimostrare è valso il “teorema di Marilena”, con per giunta un<br />
Euro in meno per scendere ad una cifra tondeggiante, centoventicinque, che a volerla<br />
pensar tutta magari è stata messa lì proprio per evitare una mia ulteriore chiamata al grido<br />
di «C‟è un errore». La chiamata al caro milanés però l‟ho fatta lo stesso, solo non subito e<br />
con fondamentalmente il mio quesito originale, il «Quando si lavora?». La questione<br />
danari l‟ho bypassata, oramai la sonata s‟è capita anche se mi rende la bocca secca dal<br />
nervoso. E fuochi d‟artificio, pirotecnia della minchiata da parte del Signor Damiano. I fatti<br />
si sono svolti più o meno così:<br />
«Damiano, molto semplicemente volevo sapere in quanto ad incarichi»<br />
«Eh, <strong>Matt</strong>ia, guarda, la questione fondamentalmente è una»<br />
«Dimmi». Io già che pensavo a conseguenze relative agli attriti con Flavia, invece no.<br />
«Il punto è che piazzare ragazzi è difficile». Con una dozzina di effe.<br />
«In che senso?»<br />
«Eh, nel senso che le richieste sono altre»<br />
«Ma per che ambito?»<br />
«Agli stand in particolare, ma un po‟ dappertutto»<br />
«Me n‟ero accorto in effetti che noi ragazzi siamo in sottonumero. Però, ad esempio,<br />
guarda quanti eravamo al convegno»<br />
«Ma lì chiedevano espressamente degli steward. Ai congressi è vero, ma alle fiere è<br />
l‟opposto, come hai visto»<br />
«Quindi convegni in vista, magari?»<br />
«No, niente fino ad almeno dopo le Feste»<br />
«Azz…ma toglimi una curiosità, se possibile: maschio o femmina, alto o basso, io si può<br />
dire sia una figura a sé stante, no? Non so tu normalmente con chi ti gestisca, ma nelle tre<br />
volte complessive che ho lavorato per te in vita mia non ho visto nessun altro così ferrato<br />
con le lingue straniere»<br />
77
«Eh lo so, lo so»<br />
«Ma allora scusa, com‟è possibile che per uno come me, che oltretutto ha anche fatto dei<br />
corsi d‟interpretariato veri e propri, non salti fuori un‟occasione, una sola anche, in<br />
un‟intera fiera?»<br />
«Ritorniamo al solito punto: mi chiedono ragazze nel novantanove per cento dei casi»<br />
«Vabè, quindi i ragazzi?»<br />
«Per lo più io li metto in facchinaggio, squadre tecniche, allestimento-disallestimento.<br />
Roba del genere, insomma, non penso che tu…».<br />
Non pensa che io, Damiano non pensa che io. Grazie al cazzo, a poter scegliere. Già al<br />
momento di quella conversazione la prospettiva mi stava cambiando, ma grazie a due<br />
contatti da parte di Marilena lì per lì non mi sono lasciato trascinare dallo sconforto per<br />
mendicare un ruolo da monta-smonta, sempre per la solita regola del “fai il servetto un<br />
minuto e te lo faran fare sempre”. Una volta chiamate invece le due responsabili delle<br />
agenzie indicatemi, nello sconforto mi ci sono tuffato a candela. Stessa identica storia: non<br />
m‟avesse il Padreterno equipaggiato di sifone sarei andato bene, invece allo stato dei fatti<br />
mi sono solo potuto attaccare…e l‟ironia della sorte è atroce, per come il detto solitamente<br />
si conclude.<br />
E ora sì, permettetemi: ce l‟ho con le donne. Ne ho il diritto. Qui il mio cervello è<br />
discriminato per via del mio sesso. Si sente sempre parlare del contrario, delle quote rosa,<br />
degli sforzi delle casalinghe, delle donne nell‟esercito, ma scusate: me lo faranno al TG1-<br />
o per lo meno al TG4 o a Studio Aperto- un bel servizio perché io sono stato una rarità<br />
maschile in un ambiente femminile lavorando per Flavia e Roberto? Ora che la cosa è<br />
stata sottolineata, sento di potermi meritare uno di quei servizi sul “casalingo” o sul<br />
“mammo” di turno che fanno ogni tanto. Perché quando si dice “sessismo” lo si pensa<br />
sempre in sfavore della donna? E‟ come il fatto che ogniqualvolta si menzioni “razzismo” si<br />
pensi alla discriminazione perpetrata da un bianco a discapito di un nero. Ma c‟è anche il<br />
contrario, mi sembra il caso di dire. No?<br />
E allora mettete delle fottute quote azzurre per „sti lavori in fiera. Io voglio lavorare, sono<br />
laureato e al momento è mio papà che è operaio a mettermi il pane in tavola. E‟ assurdo.<br />
A ben pensarci, però, non me la posso prendere nemmeno con le donne: probabilmente<br />
me la devo prendere con gli uomini che impongono alle agenzie di fornire loro delle donne.<br />
Se già ai tempi del liceo invidiavo le mie compagne che potevano arrotondare come nulla<br />
facendo le baby-sitter o dando ripetizioni, qui la cosa si riaccade. Per carità, condivido<br />
anch‟io una divisione dei ruoli, identici non siamo e ci sono cose per cui le donne sono<br />
generalmente più indicate degli uomini e viceversa. Ma generalmente. Questo<br />
“generalmente” è grande come una casa. Voi mettetemi in fila tutte le donne che lavorano<br />
in fiera in una posizione che potrei ricoprire io (quindi non pretendo di fare l‟indossatrice di<br />
bikini, ci mancherebbe) e se tutte hanno capacità migliori delle mie io me ne starò zitto e<br />
andrò a casa. Ma se anche solo una non offre quello che offro io a livello di capacità,<br />
voglio il suo dannato posto e che se ne vada a casa lei.<br />
Mi vien voglia di rifarmi su Marilena con lo sciopero delle coccole. L‟atroce vendetta.<br />
A volte mi chiedo se io sia troppo pignolo, troppo freddamente logico o semplicemente<br />
troppo cagacazzo, ma a mia detta queste sono le pari opportunità, mica le possibilità per<br />
l‟uomo e per la donna sparse a macchia di leopardo. Sui CV dovrebbero segretare il nome<br />
e il sesso per i lavori di competenza pura. Non sto cercando di fare la modella per la<br />
Wonderbra, io voglio lavorare affinché la gente che ha esigenza di comunicare possa<br />
comprendersi e per questo non serve essere una bella figa. Chi afferma il contrario fa<br />
della discriminazione sessuale e come tale, senza scherzi, lede i miei diritti al pari di come<br />
venivano lesi quelli degli afroamericani che dovevano sedere in fondo agli autobus o a cui<br />
78
veniva vietato l‟accesso ad alcuni locali. La gente non s‟immagina quanto discorsi del<br />
genere davvero influenzino la vita di tutti i giorni. La nostra, s‟intende, mica quella delle<br />
“altre forme di vita” cantate dai Bluvertigo. Facciamo un passettino indietro: quando<br />
Roberto se n‟era uscito con «Io l‟avevo detto che ci voleva uno con le palle», davvero<br />
intendeva che ci voleva uno coi testicoli e la causa è il maschilismo dilagante in parecchie<br />
culture degli espositori con cui avevamo a che fare. Molti non solo non considerano<br />
autorevoli le donne, ma proprio non ci vogliono avere a che fare, non vedono altro<br />
interlocutore che l‟uomo per le questioni lavorativo-gestionali. E qui semplice per tutti<br />
additare, scandalizzarsi, indignarsi, gridare alla barbarie. Un po‟ meno facile è avere la<br />
finezza intellettuale per cogliere il problema quando applicato in senso contrario.<br />
Adesso invece torniamo sul pianeta Terra, laddove i soldi a fine mese vanno fatti saltar<br />
fuori. Un bar? No, sfortunatamente credo proprio di aver perso quella possibilità, non sono<br />
riuscito a svezzarmi e l‟investimento ha ora perso ogni valenza pratica. E‟ rimasta solo<br />
quella nominale: ho fatto un corso. Di fronte a gestori di una certa professionalità varrebbe<br />
zero, con gli altri nemmeno serviva fare il corso, se è per quello. Risultato: all‟atto pratico<br />
avrei fatto meglio a non spendere soldi, ma ovvio che a priori non potevo saperlo. Peccato<br />
per l‟investimento non adeguatamente messo a frutto, ma meglio aver mosso un passo,<br />
per lo meno posso dire di averci provato. Quindi ora? Beh, quando urge rimpinguare le<br />
tasche non ho altra soluzione: tocca chiamare “Mister Scusa-Scusa”, il principe della gaffe,<br />
il salvagente umano Gerardo. Che almeno mi getti un bracciolo.<br />
Rubrica, lettera “G”, nome individuato, chiamata, connesso.<br />
«Pronto»<br />
«Gerardo ciao, sono <strong>Matt</strong>ia, ti disturbo?»<br />
«Ehm, ehm…ciao. No, ehm, tranquillo». Questo non ha capito chi cavolo sono.<br />
«Ci metto un attimo, comunque: volevo sapere se hai incarichi da propormi in qualche<br />
reception o simile da qui a dopo le Feste»<br />
«Ah!», ecco che ha capito con chi sta parlando. «Allora, ti dico subito di sì: ho delle cose<br />
per tutto il periodo natalizio in centro a Milano. C‟è uno che mi va in vacanza nella<br />
reception di una residenza universitaria. Torna giù al paese, sai, quelle robe lì…»<br />
«Di quanti giorni parliamo?»<br />
«Due settimane»<br />
«Turni come?»<br />
«Da otto ore, sette e trenta/quindici e trenta o quindici e trenta/ventitré e trenta a seconda<br />
dei giorni»<br />
«Va bene, va bene. Per me più ore sono, meglio è. Natale però?»<br />
«No, no, quel giorno niente e neanche il trentuno e l‟uno. Quelli me le fa un altro tizio»<br />
“Ah. Eventualmente non era un problema su capodanno, ma meglio così. Quindi,<br />
insomma, siam d‟accordo?»<br />
«Sì sì, guarda, mi hai fatto anche un gran piacere, che già ero lì che scleravo perché non<br />
sapevo chi contattare. Tu m‟avevi detto che eri preso con le fiere»<br />
«Sì, è vero, ma in questa fase sono libero». Stiamo vaghi.<br />
«Bene, allora facciamo un turno di formazione entro il venti e poi mi cominci il ventidue?»<br />
«A posto, fammi sapere tu. Una cosa, in quanto a compenso c‟è qualche differenza?»<br />
«No, sempre lo stesso, otto netti l‟ora. Poi mi fai il conto a fine mese e ti faccio pagare il<br />
seguente».<br />
«Ascolta, essendo solo una quindicina di giorni ma su due mesi differenti, non possiamo<br />
fare che ti mando un conto unico e mi paghi entro fine gennaio?»<br />
«Ah…sì, non mi sembra un gran problema. Lo faccio presente in contabilità, poi tu<br />
ricordaglielo, nè».<br />
79
Insomma, eccoci. Piano d‟emergenza azionato, bonjour tristesse. C‟è di buono che mi<br />
entreranno un migliaio di Euro circa, c‟è di cattivo che i piani d‟emergenza si chiamano tali<br />
proprio per le circostanze in cui li si mette in moto. Non è come buttar giù un bicchiere<br />
d‟acqua, non ho alzato la cornetta a cuor leggero. Tutt‟altro: a Gerardo posso anche far<br />
sentire la voce squillante, ma quello che mi gira per la testa è l‟opposto del sorridente.<br />
Novembre è stato il mese che ha sancito un passo indietro, uno scatto mentale volto al<br />
regresso duro da digerire per me che sono disposto a sudare come un maratoneta purché<br />
si proceda col segno “+”. Invece in questo primo lunedì dicembrino mi viene in mente una<br />
frase letta anni fa su una rivista di pallacanestro, probabilmente in un‟intervista a Dino<br />
Meneghin: «Il vero campione non si vede da come celebra la vittoria, ma da come vive la<br />
sconfitta». Oggi posso dire che alla sconfitta sto reagendo, cercando prima di tutto di far<br />
quadrare i conti, ma mi ci è voluto un mese per risalire: una settimana di «qualcosa<br />
arriverà», due settimane d‟attesa, una settimana di disillusione fino al giorno del cambio di<br />
andatura. “Paso doble” lo chiamerebbero, il doppio passo, perché ora ho istituito il sentiero<br />
del lavoro salvagente: da una parte picchio duro per far quello che vorrei, dall‟altra quando<br />
non si muove nulla toccherà chiamar Gerardo. Meglio che stare in miniera, ma per l‟ego è<br />
comunque come scendere sottoterra.<br />
Uno sguardo al calendario mi fa ragionare sul fatto che la giornata di formazione sia<br />
meglio anticiparla il più possibile, in modo da potermi poi gestire senza nulla in mezzo<br />
finché prendo servizio. Richiamo Gerardo, ne esce che posso andare questo giovedì, in<br />
«giacca e cravatta, sì sì <strong>Matt</strong>ia, per forza». In più: «Senti, facciamo una bella cosa almeno<br />
siam coperti: fai due turni di formazione, almeno vedi sia l‟apertura che la chiusura. Scusa<br />
eh se te lo chiedo, scusa, e mica te li devi fare nella stessa giornata, eh, fai tu come vuoi».<br />
Tranquillo Gerardo, finché paghi io vado. Giacca e cravatta incluse.<br />
Stasera, invece, Mari vorrebbe venire a vedere come funziona la trasmissione. M‟è<br />
toccato dirglielo, non aveva più senso fare il vago o il misterioso come fosse un‟estranea.<br />
Le si è aperto un mondo: «Ma tu sei pieno di sorprese!» m‟ha detto, pretendendo un<br />
resoconto dettagliato sull‟intera faccenda. Ho prosciugato una bottiglia d‟acqua nel<br />
farglielo, senza comunque sbilanciarmi troppo sull‟album in arrivo: tutto ciò che sa in<br />
merito è che sto registrando diverse nuove cose. Ora il gioco comincia ad intensificarsi e<br />
ad ogni spiraglio possibile sarò in studio da Daniele. Le ultime volte ho dovuto mollare il<br />
colpo prima del previsto perché la gola mi andava in fiamme, speriamo ciò non voglia dire<br />
guai alle corde vocali.<br />
E il mio CV è sempre lì sul desktop. A tratti mi parla:<br />
«Allora, mi mandi o no?»<br />
«A chi?»<br />
«Dai, non fare il finto tonto»<br />
«Touché»<br />
«Allora?»<br />
«Non lo so, sono indeciso, guarda…»<br />
«Ma che cazzo te ne frega? M‟hai mandato a destra e a manca e stavolta che c‟han<br />
davvero voglia di leggermi tu sei qui che titubi?»<br />
«Titubo, titubo»<br />
«Finiscila di prendere per il culo, sei tu che vuoi che parli forbito»<br />
«Per ora mi sembri più uno scaricatore di porto»<br />
«Ma cosa c‟entra, sto parlando con te, alla tua maniera. Ho un‟ottima capacità<br />
relazionale»<br />
«Fai poco il simpatico, che ci metto un attimo a cancellarti»<br />
«Figurati, c‟hai messo un pezzo a farmi e aggiornarmi»<br />
80
“Io t‟ho creato, io ti distruggo, caro mio. Comunque ascolta, te lo dico chiaramente: ci<br />
fosse solo in mezzo Roberto saresti già stato spedito da un‟eternità. Il problema è Flavia»<br />
«Non t‟ho mai visto così indeciso, ragazzino».<br />
Start, spegni computer, spegni. Silenzio, grazie.<br />
Sto davvero impazzendo.<br />
81
15<br />
PROMEMORIA: PASSARE RICEVITORIA<br />
La giacca e la cravatta, le indicazioni stradali seguite alla lettera, il citofono e il cancello<br />
che si apre senza che alcuna voce chieda chi sono. E il parcheggio interno, ah che bello.<br />
L‟edificio è grigio cenere e non ha l‟aria di brillare per il lusso. Io che m‟ero sempre chiesto<br />
che tipo d‟ambiente fossero queste famigerate residenze universitarie, in questo sei<br />
dicembre sto per scoprirlo. Ricordo un paio di compagni di liceo –non fuori sede, ma per lo<br />
meno fuori mano- organizzatissimi coi colloqui per una stanza in posti del genere, tesi<br />
perché c‟era una stretta selezione. Tanta domanda, poca offerta. «Ma almeno poi hai tutto<br />
lì pronto e sei a due passi dalla facoltà» dicevano, a me che non capivo come mai tanto<br />
affanno. Da un lato non avevano tutti i torti: evitare la giungla degli affitti in nero è una<br />
scelta che fa guadagnare in salute, Claudia docet. Chissà lei come sta, fra l‟altro, e in che<br />
situazione è. Promemoria: contattare Claudia.<br />
Due porte a vetri e sono nell‟atrio, dove subito scorgo quella che sarà la mia postazione e<br />
presumibilmente il mio indottrinatore. A colpo d‟occhio noto due cose: l‟atmosfera<br />
fatiscente del luogo e il fatto che questo tizio sia vestito in maglione e jeans. E io no.<br />
«Buongiorno, sono qui per il turno di formazione, mi manda il signor Gerardo»<br />
«Chi?»<br />
«Gerardo, dell‟agenzia»<br />
«Ah, l‟agenzia ti manda! Allora te sei quello che deve sostituire a Zio Nino? Eh, se ne<br />
scende a Natale, „sto culattone…»<br />
«Ehm», io impietrito, «non conosco il nome della persona»<br />
«Sì, sì, è lui, te lo dico io. Vieni dentro, vieni». Apre quindi la porta della reception con due<br />
giri di chiave. Santa miseria, questo sta dentro barricato a doppia mandata, in un antro che<br />
pare un ufficio postale. «Alla faccia, che eleganza, oh!»<br />
«Mi è stato chiesto», giustificandomi per aver capito d‟essere troppo in tiro. Affanculo<br />
Gerardo, manco m‟avesse inviato al Parlamento Europeo. Invece guarda qui, „sto posto<br />
saran vent‟anni che non becca una mano di bianco. E nemmeno una spolverata decente,<br />
viste le ragnatele negli angoli del soffitto. Casino ovunque, mobilia laccata bianca<br />
sbeccata in più punti, briciole sulla scrivania e -dettaglio superfluo- computer<br />
dell‟anteguerra, di quelli color crema, nemmeno bianchi, con uno schermo pesante tanti<br />
chili quanti il numero dei pollici.<br />
Ogni lezione ha un‟introduzione. Logico.<br />
Taddeo monopolizza l‟introduzione su sé stesso. La sua vita intera per quaranta minuti,<br />
dalla nascita in Sardegna all‟ultima multa a Milano per transito in zona pedonale. Era con<br />
l‟auto dietro il Duomo. Era dai tempi in cui “Il ragazzo di campagna” era sbarcato in città<br />
col trattore che nessuno aveva osato tanto, con la differenza che Taddeo non è Artemio:<br />
Taddeo è reale.<br />
Ha anche un sito, mi dice, Taddeo.<br />
«Oh, vieni a vedere mo‟!», urlando. Io a meno di un metro. «Aspetta che ci devo entrare,<br />
allora, il sito è…»<br />
Taddeo ha una casella e-mail, semplicemente. La apre per farmi vedere che da un paio di<br />
giorni ha in piedi una faida con qualcuno che non ha la sua stessa visione in ambito<br />
politico, praticamente «un coglionazzo che quando ho scritto mi ha risposto che dico<br />
stronzate. Perché io sai cos‟ho fatto?»<br />
«No, cos‟hai fatto?». Interesse di plastica.<br />
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«Eh, io ho letto che c‟era una notizia su quei bastardi del governo, allora io che c‟ho il sito<br />
sono entrato e gli ho lasciato una scritta». Tradotto: ha commentato un articolo<br />
registrandosi al portale con la propria e-mail.<br />
«E cosa?»<br />
“Guarda, guarda!”, e cerca per un lungo minuto, ansioso di mostrarmi quale svampante<br />
protesta alla Jan Palach abbia imbastito. «Ecco, ecco! Leggi, tè!»<br />
Leggo.<br />
Basta! E la solita zolfa!!!<br />
Oltre una facciata vacillante mi sbriciolo dalle risa. Non mi succedeva dai tempi del liceo,<br />
alla seconda canna.<br />
Da questo punto in avanti vedo tutto offuscato, lento, a fotogrammi. Come fossi fatto. E<br />
solo un‟ora fa arrivavo. Mi perdo il perché e il per come della faida con questo tizio, mentre<br />
la “solita zolfa” mi rimbomba in testa come un eco interminabile, uno scoppio a ripetizione,<br />
una Harley che spalanca il gas in zona del silenzio.<br />
Mi riprendo dopo un lasso di tempo imprecisato, quando Taddeo mi dà una pacca sulla<br />
gamba da sotto il tavolo e lo sento ricomporsi.<br />
«E che cazzo vuole questo adesso?» sussurra nella sua parlata meccanica. Poi, ad alta<br />
voce: «Salve direttore!»<br />
«Buonasera Taddeo, buonasera». Cazzo, già le sei e mezza. «Abbiamo un ospite, vedo».<br />
Gli sorrido: «Buonasera, piacere, sono <strong>Matt</strong>ia»<br />
«E‟ quello dell‟agenzia lui», s‟intromette a gamba tesa Taddeo, «che deve sostituire a Zio<br />
Nino».<br />
«Eh, che giovanotto elegante!». E mi becco pure un buffetto da quest‟uomo anziano, sui<br />
settanta, abbastanza malconcio.<br />
Uno, due, tre.<br />
Porca puttana, questa no! Lancio un‟occhiata fra lo stupito e il carbonizzante a Taddeo,<br />
che sicuramente ha scoreggiato. Il direttore imbocca la porta verso il suo ufficio e il mio<br />
maestro per la giornata mi si rivolge a voce bassa.<br />
«L‟hai sentita, eh?». E ridacchia.<br />
«Eh, sì…”. Evito qualsiasi commento, mi tocca anche star nel mio.<br />
«C‟ha addosso una puzza da maledetti il vecchio, fa dentro e fuori dall‟ospedale», e<br />
ridacchia ancora. Io ho un sussulto e stavolta mi tocca dire mea culpa. In effetti l‟olezzo è<br />
salito quando il direttore mi si è avvicinato e per di più come scoreggia avrebbe avuto una<br />
fragranza inedita. Era proprio più odore di morto.<br />
Promemoria: stare a distanza dal direttore.<br />
Taddeo, forse come da programma o forse voglioso di farsi captare attivo dal suo capo,<br />
passa a illustrarmi le faccende concrete. Mi spiega come è organizzata la bacheca con le<br />
chiavi delle stanze, come tenere il registro presenze tanto sul cartaceo quanto sul<br />
computer e come gestire il quadro elettrico.<br />
Il direttore se ne va. Taddeo lo saluta a vuoto e correda il tutto con un «Meno male che è<br />
andato fuori dai coglioni, chissà che cazzo voleva. Oh, la mangi una pizza?». Rispondo di<br />
sì, lui tira fuori un volantino, diamo un‟occhiata e chiama. Rimessa a posto la cornetta,<br />
chiedo se per il telefono ci sia qualcosa di particolare che io debba sapere. Mi risponde<br />
che si fa lo zero per prendere la linea quando si vuol chiamare, dopodiché m‟informa che<br />
in fascia serale ci sono parecchie telefonate per i ragazzi da parte dei genitori. Immagino<br />
ci sia da deviarle in camera ma mi viene detto di no.<br />
«Eh, mo‟ sono cazzi…mi tocca spiegarti una roba lunga»<br />
83
«Dai, intanto che aspettiamo la pizza». Cioè, mi hai raccontato la tua vita fino a quante<br />
Winx c‟ha tua figlia e adesso ti scoccia spiegarmi una parte del lavoro?<br />
«Ehm, ehm…». Lo vedo che cerca disperato di organizzare le idee. «Ehm, faccio fatica a<br />
spiegartelo a parole»<br />
«In qualche maniera dobbiamo», gli sorrido io, benevolo.<br />
«Ehm, allora, lo vedi qua?». Diamine, fa davvero fatica. Per metà mi fa ridere e per metà<br />
pena. «No, no, già se parto così finiamo male. Te lo devo far vedere» e gli s‟illumina il<br />
volto.<br />
Parte il teatro.<br />
Mi mima tutto: «Tu fai finta che suona il telefono…driiin, driiin». I telefoni non fanno più<br />
così dall‟Ottantanove, fra parentesi. «E rispondi. Dici: pronto, residenza universitaria. Poi<br />
loro ti dicono: sono la mamma di…Guglielmini. Allora tu dici: sì signora, un attimo che<br />
glielo chiamo».<br />
Dal lato della scrivania sbuca fuori un microfono. Non l‟avevo notato, o meglio credevo<br />
fosse un cimelio dei tempi andati. Taddeo lo accende e si sente un colpo risuonare in tutto<br />
l‟edificio. «Guglielmini! Guglielmiiiniii!!!». Altro colpo, microfono spento dopo un fracasso<br />
cane. «Devi gridare, mi raccomando, che questi sono un branco di addormentati».<br />
Sbuca un tizio dal corridoio. Allarmato dalle grida al microfono, penso io. «Niente niente,<br />
vai vai» gli dice Taddeo. «Chi è?», chiedo io. «Guglielmini», mi risponde lui.<br />
Stento a credere a quel che sto vivendo. Mi sento salire una vampata di calore, sudo<br />
freddo in un secondo, mi si contraggono gli addominali e a questo punto lascio andare una<br />
mastodontica, imperiale risata. «Eh, fa ridere pure a me con quei capelli!». Ma io non rido<br />
certo per quelli.<br />
Nonostante le mie lacrime agli occhi, la performance continua: «Dai, dai che fra poco ci<br />
arriva la pizza. Allora, tu sei al telefono con la mamma di Guglielmini e gli hai detto che ora<br />
passi la chiamata? Sì, quindi adesso io faccio Guglielmini e tu fai me, che poi puoi essere<br />
anche te se sei di turno, anzi che devi essere te quando sei di turno. Quindi io faccio lui e<br />
tu fai te che lavori, OK?». Delirio totale. Queste risate mi valgono come dieci serie di<br />
panca inclinata. «Devi schiacciare questo, ricordati» ed esce dalla porta di corsa<br />
dirigendosi a fondo corridoio, sette metri più in là, in una cabina telefonica da Pensione<br />
Mariuccia. «Io entro qui adesso», a squarciagola, «guardami! Allora in quel momento tu<br />
schiacci il bottone che manda la chiamata. Schiaccia, schiaccia!». Non mi resta che<br />
simulare di schiacciare il bottone. «Driiin, driiin! Lo senti che suona? Driiin, Driiin!»,<br />
naturalmente arriva tutto dalla sua bocca, «e a questo punto lui, se non è sordo, risponde<br />
a sua mamma: pronto mamma! Sì ciao, tutto bene. Mi sono fatto le seghe tutto il giorno!».<br />
Più decibel di un aeroplano, e io vorrei tanto avere una videocamera perché a raccontarla<br />
non ci crederà nessuno. «Poi lui quando ha finito dice: ciao mamma, sì, ti voglio bene<br />
mamma, ciao ciao. E riattacca. Capito?».<br />
Qui scemo io a chiedere se la procedura sia la medesima anche per inoltrare chiamate<br />
all‟amministrazione. Altro giro di imitazioni, con la voce roca e quasi stridula del direttore e<br />
un‟introduzione alle segretarie che fa capire quanto poco gli vadano a genio.<br />
Per me, nel frattempo, ennesima serie di addominali e rinnovata rosicata per non essere in<br />
possesso di microcamere da servizio delle Iene.<br />
Arriva il fattorino con le pizze e due lattine in omaggio, paghiamo, apriamo i cartoni sulla<br />
scrivania e cominciamo a mangiare. Io a questo punto appendo la giacca e sfilo la<br />
cravatta, ora più che mai d‟intralcio. Taddeo risponde in pieno al detto “parla come mangi”,<br />
infatti mangia come parla, in un trionfo di classe degno di un orango a tavola. Nel mentre<br />
cominciano a rientrare diversi residenti, che chiedono la chiave e se ne vanno coi<br />
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polpastrelli grondanti d‟olio infarinato. Taddeo ha usato il tovagliolo per soffiarsi il naso e<br />
ora maneggia tutto senza pulirsi.<br />
Noto che molti di quelli che entrano fremono con un imprecisato qualcosa sulla punta della<br />
lingua, che reprimono però una volta avvistato un soggetto ignoto (io) alla destra del padre<br />
padrone. D‟un tratto varca la soglia un trio.<br />
«Ridicoli!», esclama Taddeo a bocca piena.<br />
«Ridicolo, ridicolo!». Rispondono al fuoco in coro.<br />
«Ridicoli, uno per uno, ridicoli!»<br />
«Taci, stai zitto, sfigato!»<br />
«Brutti ricchioni, pugnettari!». Dopodiché, rivolgendosi a me, rimasto paralizzato: «Ci<br />
salutiamo sempre così. Cazzo vuoi dire a degli interisti? Oh, ma tu chi tifi?».<br />
Io, riprendendomi dal siparietto: «Mah, guarda, non è che m‟interessi granché il calcio.<br />
Sono molto più per il basket»<br />
«Eh, tu vuo‟ fa l‟americano, eh?»<br />
«Mi piace anche quello italiano». Non stiamo a spiegargli più di tanto.<br />
«Invece io tifo la Juve, perché da bambino…» e via una digressione post-cena delle<br />
peggiori per me, che davvero ne ho le palle piene di sentir parlare di calcio ovunque.<br />
Ripercorriamo la passione di Taddeo per la Vecchia Signora, con nel mentre altri soggetti<br />
a transitare per le chiavi. Saluti di rito sempre molto coloriti, con ad un certo punto la<br />
scoperta della giornata: qui dentro alloggiano solo maschi.<br />
«E sì, qui è solo per ragazzi, se no sai che bordello? Quattro fighe qui farebbero smettere<br />
di studiare tutti quanti, e poi te li senti te i genitori che chiamano e dicono: mio figlio torna<br />
la sera e invece di ripassare la lezione corre ancora dietro alla figa, ma che cazzo vi<br />
paghiamo a fare?».<br />
Io a questo punto sento -non so perché- di voler esplicitare la mia opinione: «Ma scusa,<br />
sarà mica il collegio responsabile dei risultati di chi alloggia»<br />
«No, però tu devi capire che la maggioranza di quelli che ci sono vengono messi qui dai<br />
genitori perché sono degli irresponsabili. Metti in un appartamento a questi? Lasci in giro a<br />
questi? Finisce che arrivano a fine anno che non hanno fatto un cazzo. Allora i genitori<br />
chiamano un posto come questo, pagano un mucchio di soldini ma c‟hanno il figlio che è<br />
come in collegio: qui non esci quando vuoi, c‟hai due sere a settimana; qui non inviti i tuoi<br />
amici a fumarti gli spinelli, perché gli amici al massimo stanno due ore e nelle sale comuni;<br />
e qui non torni ubriaco tutte le sere, perché alla prima che succede chiamano i tuoi e alla<br />
seconda ti becchi un calcio nel culo e sei in mezzo alla strada».<br />
Alt, alt, alt un secondo. Annuisco in silenzio ma dentro di me c‟è un‟esondazione di<br />
pensieri in merito: in primo luogo non stiam parlando di liceali, ma di studenti universitari;<br />
secondo aspetto, stiamo parlando di maggiorenni. Cazzo, con un genitore che deposita<br />
qui il figlio –o più che altro con un figlio che si lascia depositare qui dal genitore- siamo<br />
prossimi alla caserma, se non alla carcerazione, se non ad un sequestro di persona<br />
legalizzato. Io non mi capacito: gli anni di università, il completamento della crescita, il<br />
processo di responsabilizzazione di una persona, il fare nuove esperienze, come diamine<br />
combaciano con questo? Letteralmente ciò vuol dire piazzare il figlio in università tramite<br />
un atto di sfiducia: ti reputiamo così cretino da doverti mettere attorno delle guardie; e in<br />
parallelo ci sono dei ventenni così smidollati da non riuscire a gestirsi se non ficcati in un<br />
ambiente inquadrato, pari a dei muli che sanno tirare il carretto ma non sanno dove<br />
diamine andare se non c‟è un cocchiere a direzionarli.<br />
Lasciamo perdere i casi estremi da un lato e dall‟altro, cioè quelli della gente con qualche<br />
problema serio o quelli di coloro che hanno preferito perderci in libertà piuttosto che finire<br />
in un quartieraccio a dividere casa con chissà chi. Ma qui la fetta principale non può<br />
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davvero che essere una, cioè quella che mi ha descritto Taddeo, cioè quella per cui posti<br />
del genere sono stati creati: i rincoglioniti.<br />
E così mentre in America si va al college a chiavare anche sui lampadari, in Italia si va al<br />
collegio a farsi tenere sotto chiave. Un film porno contro il Libro Cuore: alla fine sempre la<br />
laurea, ma in mezzo giusto un pelo di differenza.<br />
Inizio a capire bene dove sono finito e non posso fare a meno di continuare su una<br />
traiettoria d‟opinione negativa quando comincia l‟andirivieni di ragazzi a chiedere «Per<br />
favore, le racchette da ping-pong», o «Per favore, il Forza 4» o qualche altra cavolata. E<br />
stiamo parlando di gente che ha all‟incirca la mia età, mica di quattordicenni. Rinchiusi con<br />
fuori Milano, che al di là della nebbia ha locali, mostre e vernissage da visitare, concerti,<br />
centri sportivi con mille corsi diversi, squadre di alto profilo per tutti gli sport principali,<br />
eccetera. E questi no, rinchiusi con lo svago dei giochi da tavolo sfruttano la città in cui si<br />
sono trasferiti al venti per cento, se va bene. Solo poco più di un paio passano a firmare<br />
per uscire e via che consumano una delle due possibilità settimanali. Ma chissà che<br />
vergogna finire a dire a qualche compagno di università «Ehm, no, stasera non posso…ho<br />
finito i permessi al collegio». A vent‟anni suonati, quando tutti gli altri si sono guadagnati la<br />
possibilità di autogestirsi e la sfruttano al meglio.<br />
Fattasi oramai sera avanzatissima, vengo guidato per un giro di ricognizione dove Taddeo<br />
deve richiamare all‟ordine a suon di francesismi un quartetto sul punto di lanciarsi<br />
secchiate d‟acqua, dopodiché ci dirigiamo a controllare che tutte le porte e le finestre dei<br />
locali comuni siano ben chiuse. Finito il tour tocca annotare le presenze totali e fare la<br />
conta di quelli in libera uscita, che sono solo sei su centodieci. Ed è giovedì sera.<br />
A trenta minuti dalla mezzanotte, il turno si conclude. Notifico a Taddeo che l‟indomani<br />
sarò lì la mattina per la formazione sulle procedure d‟apertura. Lui ridacchia e mi dice che<br />
mi beccherò «la banda al gran completo». Io fra me e me mi dico che dopo un solista del<br />
genere posso reggere qualsiasi altra cosa. A guardare indietro ora, Giuliano e Mario mi<br />
sembrano due lord inglesi e il posto dove lavoravo un castello nello Yorkshire.<br />
Passando a rapidi convenevoli, mi viene chiesto cosa farò nel weekend. Rispondo che<br />
non ho piani.<br />
«Come non hai piani?! No no, invece io con la mia famiglia organizzo sempre qualcosa.<br />
Ho appena fatto anche il Telepass»<br />
«Ah sì?»<br />
«Eh sì, a noi piace viaggiare: ogni fine settimana facciamo un centro commerciale!»<br />
«A‟ Lonely Planet…ma vaffanculo!». Lo penso e basta, non lo dico. Saluto e vado.<br />
La mattina dopo eccomi in largo anticipo, come di prassi ogni volta che c‟è da venire a<br />
Milano con lo spauracchio dell‟ora di punta. Il parcheggio interno e i ribaltabili rimediano<br />
alla levataccia, senza comunque che ci sia granché da aspettare perché fattesi quasi le<br />
sette e trenta è ora di varcare la soglia. Fra me e me ripenso ancora a ieri e a Taddeo.<br />
Promemoria: stasera raccontare agli altri (sperando che ci credano).<br />
Entro con una certa confidenza e vedo un uomo grassottello, semi-calvo e con gli occhiali<br />
che alza lo sguardo e mi sorride.<br />
«Buongiorno, lei è qui per la formazione vero?»<br />
«Buongiorno! Esattamente». Stupito da cotanta efficienza entro in reception, oggi<br />
comodamente in camicia, maglione e jeans, il mio “must” per tutte le occasioni informali<br />
ma composte. «Informatissimo, eh?» gli dico.<br />
«Ho solo trovato un nota di Taddeo». La vedo sul tavolo:<br />
Viene ragazzo agenzia ha fare formazione<br />
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Altra perla.<br />
«Eh, il mio caro collega ha qualche problemino con la grammatica», dice il mio nuovo<br />
maestro. Scopro dopo un attimo e una stretta di mano blanda che si chiama Giovanni.<br />
“Senta, senta, ma lei di dov‟è? Lei è un lumbard!» Mi dice.<br />
«Abito a mezz‟ora da qui in direzione nord. Traffico permettendo, s‟intende. E tu?».<br />
Proviamo simpaticamente ad abbattere questo ridicolo muro del “lei”, che per quanto non<br />
freschissimo nell‟aspetto Giovanni di certo non tocca i quaranta.<br />
«Io a un‟ora e mezza da qui, ma in direzione sud e coi mezzi. Non ho la macchina, non<br />
sono mica fortunato come lei!». Messaggio non ricevuto.<br />
«Sono fortunato ad avere i miei che possono prestarmela, semmai. Altrimenti dovevo<br />
muovermi anch‟io coi mezzi e ci avrei messo lo stesso tempo tuo». Aggettivo possessivo<br />
pronunciato in maniera marcata, come a rinvitare a rompere le forme di cortesia.<br />
«Ha-ha, certo che lei è una sagoma!». Ancora.<br />
«Perché?». Stupito, non ho detto niente di che. O no?<br />
«He-he, lei ha notato subito l‟errore di Taddeo. Ho visto che ha strabuzzato gli occhi!»<br />
«Vabè, l‟è minga catif». Non è cattivo, gli dico in dialetto lombardo. Questa mia<br />
dimestichezza con l‟idioma dei nonni galvanizza Giovanni.<br />
«He-he, he-he! Ma senta, senta, lei di dov‟è? Di Cermenate-Lentate-Minoprio-Fino<br />
Mornasco?»<br />
«Alla faccia che conoscenza, Giovanni!». Comincio ad avere una certa sensazione, ma<br />
non mi sbilancio nemmeno con me stesso.<br />
«He-he, io ne so, ne so! Ho amici a Cadorago».<br />
«Più o meno siamo dalle mie parti. Grosso modo»<br />
«Senta, senta: ma ieri lei ha incontrato il direttore? Ha-ha!».<br />
E qui si parte con un‟imitazione da record in cui il povero vecchio viene demolito su tutti i<br />
fronti, canzonato dalla voce all‟olezzo transitando per la forte miopia. Non è neanche<br />
passato un quarto d‟ora che già sento le fitte agli addominali. Anche oggi. La sensazione<br />
era giusta: questo è un covo di fenomeni.<br />
Meno di un minuto e mi si accende la lampadina, in virtù di uno dei promemoria: non ho<br />
una videocamera vera e propria ma ho il cellulare, quindi fuori quello. Con la<br />
conversazione che inaspettatamente vira su argomenti soft-porno, do il ciak e parto con<br />
un‟intervista senza peli sulla lingua. Giovanni s‟irrigidisce un attimo ma capisco ciò non<br />
accada per le domande, bensì solo per l‟ansia da obiettivo. Gli chiedo come abbia fatto a<br />
diventare un idolo per i giovani, come gestisca il suo losco giro di pretendenti e cosa<br />
significhi per lui aver sfondato nel mondo dell‟hard. Tutte uscite senza senso, a cui<br />
comunque lui prontamente risponde con un sottile umorismo fra il timido e il sagace.<br />
Tentenna, balbetta, quasi arrossisce ma un secondo dopo non si trattiene e spiattella la<br />
risposta colorita, per poi quasi ritrarsi, ma in fondo godendo.<br />
Noto che si è portato un libro, lo scruto meglio e vedo che è l‟Eneide, quindi devio su<br />
quello e lo faccio parlare. Tutto d‟un tratto mi si trasforma in una specie di Benigni con la<br />
Divina Commedia e comincia a narrarmi di Eurialo e Niso e il loro “pius amor”, ma dopo<br />
meno di due minuti la passione del suo racconto viene interrotta dal telefono della<br />
reception che prende a suonare. Mentre l‟osservo che parla metto via il cellulare e rifletto,<br />
sbalordito, su quanto rapidamente abbia saputo tirar fuori riferimenti e commenti in merito<br />
ad un‟opera letteraria che non è roba per tutti, non è letteratura da ombrellone. Una volta<br />
riappoggiata la cornetta mi dice che il direttore ha avvisato che non sta bene e quindi oggi<br />
ci sarà il vice, che però ci metterà un po‟ per arrivare da Varese.<br />
Tento di ritornare su Virgilio ma non c‟è possibilità: Giovanni sembra aver eletto in me un<br />
compagno di giochi e, come succede con quei bimbi che vanno su di giri quando lo zio<br />
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passa a trovarli, ora sono obbligato ad assistere al migliore dei suoi show. Al grido di<br />
«Senta, senta, ma a lei piace…» e ogni volta un personaggio diverso, Giovanni sforna una<br />
serie di imitazioni di Paolo Villaggio in Fantozzi, Adriano Celentano, quel Silvio Berlusconi<br />
da “Mi consenta/Si contenga”, Maurizio Costanzo, Vittorio Sgarbi, Beppe Grillo, Cossiga e<br />
Scalfaro. Tre minuti circa da un «Adesso, adesso le faccio…» all‟altro, per un totale di una<br />
buona mezz‟ora di cabaret intervallata da qualche saltuario episodio di residenti che<br />
consegnano le chiavi ed escono. Ciò che c‟interrompe definitivamente è l‟arrivo delle<br />
segretarie, alle quali stringo la mano e spiego il perché della mia presenza. A vederle così<br />
sembrano due persone assolutamente normali, cosa che mi porta a pensare che il fatto<br />
che a Taddeo non vadano a genio avvenga principalmente perché Taddeo non va a genio<br />
a loro. Il che, oltretutto, non impone nemmeno di arrovellarsi sul come mai. Da qui in poi<br />
Giovanni si ricompone, si ridimensiona al punto di farmi venire in mente la dolce signora<br />
Minù, che nel cartone animato d‟improvviso diventava piccola quasi quanto un cucchiaino<br />
da caffè. Tempo cinque minuti ed arrivano anche le donne delle pulizie, che cominciano<br />
proprio dalla reception e costringono noi due a sgomberare. Giovanni m‟illustra le varie<br />
procedure d‟inizio giornata, praticamente le stesse viste per la chiusura ma fatte al<br />
contrario, dopodiché comincia una lunga mattinata di ordinaria amministrazione: gente<br />
avanti e indietro, operai per riparazioni varie, qualche telefonata da passare e nulla più. Il<br />
mio Cicerone è diventato l‟immagine della compostezza ma l‟energia che prima aveva nel<br />
fare le imitazioni ora la pone tutta sul pettegolezzo. Il bersaglio prediletto è il famigerato<br />
Zio Nino.<br />
«Senta senta, ma anche lei quando sarà qui la sera si farà un paio di birrette?»<br />
«Ma scherziamo? A che pro?»<br />
«He-he, ma non vuol essere un degno sostituto allora?»<br />
«E se son degno o no lo decidiamo con l‟etilometro?»<br />
«He-he, ma lei non sa quanto beve Zio Nino!»<br />
«Allora dovreste chiamarlo Zio Vino»<br />
«Ha-ha! Ma lei è proprio una sagoma!»<br />
Io sarò proprio una sagoma, ma certo che voi tre fate un bel quadretto di staff ora che ho<br />
scoperto che il personaggio che sostituirò è un mezzo alcolizzato. «Se ne scende a<br />
Natale» aveva detto Taddeo, ma credo convenga verificare se scenderà in bassitalia o in<br />
cantina per qualche bottiglia, perché nel secondo caso potrebbe trattenersi più del<br />
previsto.<br />
Conquistato un momento di tranquillità vengo introdotto al compito principe della<br />
mattinata, ossia controllare le riprese notturne della telecamera a circuito chiuso sul<br />
cancello al fine d‟individuare ingressi sospetti oppure, in ottica più da Gestapo, verificare<br />
l‟eventuale stato di ebbrezza dei vari Franti e Garrone e riferire alle alte cariche. «La prima<br />
volta vengono convocati, la seconda fanno la valigia», nulla che io già non sappia nelle<br />
parole del mio tondeggiante istruttore. Il più del filmato scorre a “10x”, rallentiamo sui sei<br />
ingressi ma a questo giro tutto regolare. Leggo della delusione negli occhi di Giovanni,<br />
niente colpi di scena oggi nella sua telenovela preferita. Io, nel mentre, sono sempre più<br />
allibito per il regime orwelliano a cui centodieci “speranze per il futuro” hanno deciso di<br />
sottomettersi.<br />
A mezzogiorno meno cinque il mio sensei mi offre un caffè alla macchinetta. Una volta<br />
riaccomodatici in postazione, eccolo che in uno scatto inaspettato posa il bicchiere e si<br />
mette composto sulla sedia, con la schiena bella dritta: «Buongiorno signor Castoldi». Io<br />
alzo lo sguardo e vedo quest‟uomo elegantissimo, un metro e novanta, l‟immagine<br />
dell‟autorità ma soprattutto –finalmente- l‟immagine della normalità. Ricambia il saluto di<br />
Giovanni, entra in reception, ci presentiamo rapidamente e poi se ne va in ufficio. Ecco il<br />
vicedirettore. Da qui in avanti non vola una mosca, Giovanni persino ripone nel cassetto i<br />
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settimanali che sfogliavamo entrambi nei momenti più placidi. Ora in faccia sua c‟è<br />
un‟espressione inequivocabile, uno striscione che risponde «No, non possiamo» ad ogni<br />
mia eventuale domanda, un tatuaggio di timore come se si aspettasse una bacchettata<br />
sulle mani al minimo sgarro. Ad un certo punto m‟irrigidisco anch‟io, dubbioso se davvero<br />
ci sia da cagarsi in mano così tanto per Castoldi. Dopo un paio di minuti a riflettere, però,<br />
decontraggo le spalle tornando sul pianeta Terra e ricordandomi chi sono: un signor<br />
nessuno, o meglio un dottor nessuno, ma di certo umanamente parlando né un Giovanni,<br />
né un Taddeo, né tantomeno uno Zio Nino. Mentalmente è qui che tiro le somme di due<br />
turni lunghissimi, non in quanto a ore ma a livello di sensazioni: un fenomeno ieri, uno che<br />
oggi mi aveva fatto una migliore impressione ma che poi si è rivelato degno del suo<br />
collega, un alcolista non-anonimo, un direttore con un piede nella fossa e un manipolo di<br />
sciagurati come alloggiati. Mi monta lo squallore. Solo Castoldi si distacca completamente<br />
dal resto, ma non me ne viene comunque in tasca nulla; anzi, spero solo che non mi<br />
prenda per uno dei suoi soliti personaggi da reception perché al primo gesto di<br />
supponenza di sicuro non mi metto a tremare come il pulcino Giovanni. Sia chiaro da<br />
subito soprattutto a Castoldi che io qui ci sono finito per sbaglio, sbaglio della vita, e quindi<br />
al più presto intendo levare le tende. Una manciata di settimane fa interagivo con<br />
imprenditori e diplomatici di tutto il mondo, lo sappia Castoldi e se lo tenga bene a mente<br />
ogni volta che penserà di dirmi anche solo una sillaba. Perché voglio vedere oltre il bel<br />
vestito e il metro e novanta cosa può vantare Castoldi, facendo il vice in questo cesso di<br />
posto.<br />
Poveraccio, me la prendo con lui senza un perché. Senza dubbio i miei pensieri iracondi<br />
sono uno sfogo della frustrazione accumulata non solo ed esclusivamente nelle ultime<br />
ventiquattro ore, sebbene queste siano state “particolari” per usare un eufemismo.<br />
Tiro le tre del pomeriggio senza neanche aver mangiato il tramezzino che mi ero portato<br />
da casa, mentre Giovanni zitto zitto avrà pranzato durante una delle sue gite al bagno,<br />
badando bene a non far briciole sulla tazza per non essere passibile di tortura medievale.<br />
Chissà cosa gli gira in quella testa.<br />
In una manciata di minuti mi sistemo, saluto il temibile Castoldi e le segretarie, dopodiché<br />
ringrazio Giovanni «per avermi insegnato l‟arte».<br />
«Oh, ma si figuri signor Colombo!»<br />
«Giovanni, dammi del tu se ci rivediamo, mi raccomando»<br />
«He-he, va bene…come fra gente di paese!»<br />
«D‟altra parte è da lì che vengo. E buona lettura dell‟Eneide»<br />
«Ma questa l‟ho già letta mille volte, è che ora c‟ho l‟esame per l‟abilitazione ad<br />
insegnante. Io mica resto qui a vita, voglio fare il professore!»<br />
«Auguri». In tutti i sensi.<br />
Sulla via di casa ripercorro ciò che ho visto, dicendomi ripetutamente che non può essere<br />
vero. Per fortuna ho un video nel cellulare che lo testimonia, altrimenti finirei col credere di<br />
aver sognato tutto.<br />
E se davvero fosse stato un sogno, a quest‟ora mi fermerei alla prima ricevitoria a<br />
giocarmi sulla ruota di Milano la serie 22-23-14-48.<br />
O‟ pazzo, „o scemo, o‟ mbriaco…e o‟ muorto che „pparla.<br />
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16<br />
ALL’IMPROVVISO UN CONOSCIUTO<br />
Mi sveglio ridendo. Chissà se avrò sghignazzato anche nel sonno.<br />
Durante il weekend la performance video di Giovanni ha spopolato ed è stata il<br />
lasciapassare della credibilità per raccontare ai miei amici l‟intera storia. L‟ilarità non<br />
toccava certi livelli da tempo immemore e qualcuno mi ha anche chiesto di passargli il file<br />
tramite Bluetooth, in veste di rimedio tempestivo contro i momenti di depressione. Per la<br />
serie “aprire in caso d‟emergenza”. Io però ho lasciato perdere con la scusa della<br />
dimensione, cinque megabyte abbondanti causa l‟alta qualità (con un tale personaggio di<br />
fronte non ho badato a pixel). In realtà è meglio limitare manovre di condivisione, che da lì<br />
a Youtube il passo è breve…e finisce che qualcuno fa successo. E io in tutta risposta mi<br />
becco una denuncia. E perdo il lavoro. Non scherziamo.<br />
Con un gioioso nulla da fare all‟orizzonte, decido di dedicare la giornata a quel che più mi<br />
piace, così dopo la colazione e un rapido controllo della casella di posta -piena solo di<br />
cavolate- aggiorno i piani di battaglia inerenti al completamento del mio disco. Tutto<br />
sommato sono messo bene, diciamo che manca solo un quindici per cento di registrazioni,<br />
poi sarà la volta di ciò che non gestirò io direttamente, vale a dire mixaggio, grafica del CD<br />
e videoclip del singolo. Già che sono qui ad account aperto scrivo un messaggio al tecnico<br />
del suono di Milano che si occuperà del primo aspetto, così come uno al creativo delle mie<br />
parti che si prenderà cura degli altri due. In entrambi i casi è solo un ricontrollare le loro<br />
agende per farmi l‟occhio su che tempi dare a me stesso e che prospettive ricomunicare a<br />
loro. Un gioco d‟incastri multipli, insomma.<br />
Mentre invio la seconda e-mail, il cellulare mi vibra e vedo sul display il nome di Gerardo.<br />
«Pronto, ciao Ales…eh, scusa, <strong>Matt</strong>ia, ciao. Scusa se ti disturbo, scusa eh, ma sono<br />
proprio nella cacca». Oltre la raffinata metafora salta fuori che s‟è ammalato il tristemente<br />
noto Zio Nino e alla residenza universitaria c‟è da coprire quasi certamente tutta la<br />
settimana da domani pomeriggio. Casino schivato per un pelo, visto che stasera sono<br />
impegnato con la trasmissione, e incarico accettato. Gerardo mi annuncia inoltre che «Ad<br />
un certo punto, non so quando, ma questa settimana ci vedremo perché la residenza è un<br />
cliente nuovo e non ho ancora incontrato direttamente il responsabile. Mi tocca una visita<br />
di cortesia, ma almeno anche io e te ci conosciamo, finalmente». Dopodiché una frangia di<br />
ringraziamenti e scuse per il disturbo, quindi la chiamata si conclude. Va bene Gerardo, ci<br />
vediamo in settimana.<br />
Il lunedì prosegue sciolto che è un piacere, fra le risposte incoraggianti alle due e-mail<br />
inviate in relazione al disco, un‟ottima sessione in palestra e la felicità di aggiungere delle<br />
ore di lavoro al resoconto mensile che compilerò per l‟agenzia. A livello di cifre a questo<br />
giro si mette bene. Comunicandolo però a tavola vedo sì dei sorrisi da parte dei miei, ma<br />
anche un‟espressione di compassione per questo figlio raggiante per una settimana extra<br />
in un posto fatiscente, ottenuta per giunta grazie alla cattiva salute di un‟altra persona. A<br />
me sinceramente in questo momento interessa poco, so bene che non è la più rosea delle<br />
situazioni ma quel che conta è ficcare qualche monetina in più nel porcellino, poi sul resto<br />
faremo i filosofi a pancia un po‟ più piena. Sono positivo oggi, non senza che mi salga una<br />
punta di timore su cosa mi stia succedendo dentro per essere sorridente al centro di<br />
questa cornice.<br />
Via, andiamo in studio ora e vediamo di mettere in piedi una bella puntata per il<br />
programma, non pensiamo ad altro. Hic et nunc mi basta questo e poi la giornata è da<br />
doppio pollice su.<br />
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Si fa martedì e alle quindici e venticinque varco la soglia del fortino. Saluto rapido Taddeo,<br />
che non vede l‟ora di sfrecciare in qualche zona vietata a bordo della sua station wagon, e<br />
prendo posizione con tanto di settimanale al mio fianco per una sfogliata generale.<br />
Compare Castoldi, scompare la rivista; scompare Castoldi, riappare la rivista.<br />
D‟un tratto si palesa un uomo con un sostanzioso pizzetto, si avvicina al vetro della<br />
reception e mi si rivolge: «Ciao, tu sei <strong>Matt</strong>ia, vero?». Et voilà Gerardo, arrivato anche<br />
molto prima di quanto il suo «in settimana» mi aveva indotto a pensare. «Eh, oggi ero con<br />
l‟acqua alla gola ma poi m‟è saltato un incontro. Senti, mi annunci al direttore per<br />
piacere?». In assenza del buon settantenne non mi resta che interpellare Castoldi,<br />
dopodiché senza che mi sia chiaro il motivo vengo invitato a sedermi in ufficio con loro.<br />
Nella sala vige uno strano silenzio, uno strato di ghiaccio che tanto Gerardo quanto<br />
Castoldi sembrano reciprocamente riluttanti a rompere, il primo di certo per riverenza e il<br />
secondo di certo per un‟oncia di supponenza. I gesti di entrambi sono molto lenti, un<br />
condimento dei secondi mentre l‟uno attende che l‟altro faccia la prima mossa, finché con<br />
una battuta a caso, un originale «Che freddo che fa oggi», intervengo io e sblocco la<br />
situazione. Gerardo ha occasione di dire che voleva venire in scooter ma poi ha preferito<br />
usare i mezzi per paura di prendersi un accidente, Castoldi chiede se gli vada un caffè per<br />
riscaldarsi e la conversazione parte. Risolto.<br />
Per poco, perché Gerardo è un continuo tentennare e sembra più badare a girare il<br />
cucchiaino nel caffè portatogli dalla segretaria che a condurre la conversazione col cliente<br />
in maniera dovuta. Non guarda in faccia Castoldi che per frazioni di secondo, quindi ritorna<br />
sulla sua tazzina, chiaramente per timidezza. Io che dopo un paio di minuti capisco<br />
perfettamente che figura di merda stia rimediando, comincio ad intervenire. Nel giro di una<br />
manciata di frasi sono il perno della conversazione: io spiego a Castoldi come lavora<br />
l‟agenzia fra fiere, reception, promozioni commerciali, eccetera; dopodiché io spiego a<br />
Gerardo, sottoforma di rassicurazioni sulla capacità di svolgere il mio compito qui dentro,<br />
che cosa sia richiesto nella residenza universitaria a livello di mansioni ordinarie. Finito il<br />
colloquio dopo una ventina di minuti, capisco due cose: Gerardo ha fatto una figura<br />
penosa, invece Castoldi ha inteso che ho poco da spartire con le altre persone che gli<br />
girano in reception, sia per come ho gestito i discorsi, sia perché fra le poche parole<br />
scucite da Gerardo ci sono stati diversi elogi per il mio operato in fiera, dove «questo<br />
ragazzo ci dà una mano enorme perché parla le lingue». Usciamo dall‟ufficio che nulla è<br />
come prima: Gerardo sa che gli ho salvato il culo e che me ne deve una; Castoldi si fida<br />
meno del previsto dell‟agenzia e più del previsto di me; io so di aver guadagnato punti su<br />
entrambi, cosa che attendo di scoprire se e come potrà portarmi vantaggi.<br />
Il turno prosegue discretamente fluido, sebbene l‟esser da solo per la prima volta mi faccia<br />
tendere ad una minore rapidità in virtù di una maggiore attenzione su quel che faccio.<br />
Arrivo ad ogni modo verso l‟ora di cena con due quotidiani e due settimanali letti in larga<br />
parte, quindi si fa tempo tanto di ordinare una bella pizza quanto di iniziare a gestire i<br />
rientri serali fra chiavi che riconsegno, cambi di moneta per le macchinette e già qualche<br />
richiesta per elettrizzanti giochi di società e materiale da ping-pong. Castoldi ad un certo<br />
punto butta dentro la testa e si congeda con un inaspettato «Buona serata, io salgo in<br />
camera». E chi lo sapeva che gli toccasse pure pernottare? Bella prospettiva di “Milano by<br />
night”, fortunello. Scommetto comunque che con lui nel posto stasera nessuno progetterà<br />
gavettoni: la riverenza dei ragazzi nei suoi confronti si nota da un miglio, sembrano tutti dei<br />
cucciolotti cortesi quando lo incrociano. Matematico che sia lui quello che in caso di sgarri<br />
ha l‟incarico di dare il celebre «calcio nel culo» agli ospiti.<br />
Una volta che il fattorino mi lascia la tonno e cipolla, capisco con lo scorrere dei minuti di<br />
aver sbagliato qualcosa. La pizza finisco a consumarla fredda fra una chiave riconsegnata<br />
e l‟altra e comprendo che in futuro sarà meglio battere sul tempo l‟ondata madre dei rientri<br />
oppure posticipare finché non ne mancheranno che cinque o sei. Con l‟occhio all‟orologio<br />
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scopro che il flusso si placa qualche minuto prima delle ventuno, orario inusuale per il mio<br />
stomaco, come del resto però anche le diciotto. Ma per mangiare tranquillo c‟è poco da<br />
scegliere, o una sponda o l‟altra.<br />
Un giorno dopo l‟altro finisco a lavorare addirittura fino al martedì successivo, con nulla se<br />
non mare piatto e un cambio di turno con Giovanni al fine di riuscire a registrare per la<br />
radio.<br />
Manca una settimana a Natale. Ora andrò tre sere di fila in studio da Daniele e vedrò<br />
anche di sbrigare quanto serve per piazzare dei regali sotto l‟albero. Grazie al malanno<br />
prolungato di Zio Nino posso permettermi un braccino meno corto del solito e con piacere<br />
anche un pensiero per Marilena. In realtà non so se nei suoi piani ci sia o meno un<br />
pacchettino per me. Siamo in quella fase dove non si capisce bene cosa siamo e che<br />
misure dobbiamo prendere l‟uno con l‟altra, visibilmente impacciati nella gestione delle<br />
comunicazioni, delle proposte di uscita e di tutto il carrozzone. Tanto meglio però che si<br />
proceda coi piedi di piombo, centimetro dopo centimetro, anziché abbozzare salti in lungo<br />
senza avere le gambe pronte.<br />
E non è incuria maschilista il fiondarmi in studio per tutte e tre le mie prossime serate<br />
libere. Nemmeno si pone il problema, lei in fiera sta lavorando senza sosta.<br />
92
17<br />
L’EVENTO DELL’ANNO<br />
Niente vestito elegante o particolari accorgimenti: solo sciarpa, guanti e un bel maglione<br />
pesante. Non si richiedono smancerie, la chiave è la sostanza. Sostanza come per le<br />
fettazze di panettone e i tazzotti di vin brulé che gli Alpini offriranno una volta terminata la<br />
Messa. E pur non essendo io un oratoriano o un Papa-boy, stasera non c‟è maniera di<br />
farmi saltare la funzione perché questo è il vero evento dell‟anno. Ci vedi quelli che da<br />
dopo le medie non incroci praticamente mai, guardi un po‟ i cambiamenti delle fisionomie,<br />
le variazioni nello stile, alla fine scambi due parole e con qualcuno finisci a tirar tardi<br />
davanti ad una birra. E‟ un misto di curiosità paesana e sana voglia di rincontrare vecchie<br />
conoscenze a spingermi verso un contesto particolare, che si distacca completamente dal<br />
resto delle volte in cui si mette il naso fuori di casa da queste parti, con facce prestabilite<br />
peregrinanti verso mete straconsumate. Stasera no, invece, e pure il baretto all‟angolo,<br />
quello in cui di solito non entrerei nemmeno a svuotare la vescica in deflagrazione, brilla di<br />
luce propria e di una quantità di clientela tale da far credere al gestore che davvero<br />
stanotte sia sceso il Messia, proprio sul suo locale. La notte di Natale anche il peggior<br />
barista di paese ha motivo di recitare un Gloria.<br />
Quindi eccomi qui, nove e un quarto post-cena, fuori in largo anticipo diretto da Lara, sia<br />
per fare gli auguri alla sua famiglia, sia perché lei in un paio di SMS mi ha fatto capire di<br />
non essere del mio stesso parere sul rivedere facce del passato. E‟ la prima cosa su cui la<br />
punzecchio una volta datole un abbraccio e scambiati un paio di convenevoli coi suoi.<br />
«Tu comunque comincia a pensare cosa metterti, perché stasera vieni a Messa». Ebbene<br />
sì, a Natale sono anch‟io pescatore di uomini.<br />
«Ma non ci penso neanche!»<br />
«Scusa, perché? Ci si fa tutti due risate, una fettazza di panettone di quelle tagliate giù da<br />
boscaiolo e poi si va a bere qualcosa»<br />
«Pensa te! Io me ne vado all‟estero per tagliare i ponti con qui e tu credi che c‟abbia voglia<br />
di uscire stasera?»<br />
Ecco il punto. Da un certo lato la invidio, visto che da come prosegue la conversazione si<br />
capisce bene quanto felice sia di aver trovato una nuova prospettiva. Ora come ora Lara<br />
dell‟Italia ha un rigetto a tutto campo, spaziante dall‟università alle facce che girano in<br />
Stazione Centrale: «A Milano ho dovuto aspettare dieci minuti mio papà e c‟era d‟aver<br />
paura. Pieno di gentaglia. Mi son messa il portafoglio nella tasca interna della giacca, così<br />
anche se m‟avessero fregato la borsa ci avrei perso solo una trousse e poco altro».<br />
Le rido in faccia, ma non perché stia dicendo falsità o ingigantendo un‟inezia. La risata è<br />
per sbeffeggiare il suo timore, ma mentre mi esce con uno sfiato di sufficienza rifletto e<br />
comprendo quanto lo sbaglio sia mio. E‟ giusto il suo scandalizzarsi, certe situazioni non<br />
andrebbero tollerate. Nemmeno io le tollero su un piano teorico, ma nel concreto ci faccio<br />
lo slalom, ci convivo dandomi poi in occasioni come queste l‟aria del sopravvissuto, del<br />
tenebroso da due soldi d‟innanzi alla damigella spaventata. Perché è vero che lascia quel<br />
pizzico d‟orgoglio il sapersi districare nella Milano notturna, come un moderno Sigfrido dei<br />
Nibelunghi pronto a sguainare la spada per trafiggere draghi e nemici. Intanto, però,<br />
quando mi capita di passare in Centrale ho gli occhi ben aperti e mai il portafoglio a zonzo.<br />
Giustiziere della notte non lo sono ancora, è inutile fare il figo.<br />
«Son qui da ieri e già non vedo l‟ora di tornar su, guarda»<br />
«Beh, grazie per esserti sacrificata per noi mortali». Il resto della famiglia si fa una risata.<br />
«Finiscila di far la Regina Elisabetta, adesso. Dimmi un po‟ dell‟università»<br />
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«Benissimo, guarda, sono davvero contenta. Confermo quello che ti dicevo: funziona tutto<br />
come una macchina perfetta. C‟è da darsi da fare, specie adesso che arriviamo in zona<br />
esami, ma quello che s‟impara lo senti proprio. Fai le tue domande, ti stanno dietro…».<br />
La conversazione s‟impenna e mi sento raccontare per filo e per segno come funziona il<br />
suo nuovo ateneo. Sbalorditivo, dall‟ufficio alloggi alla bacheca lavoro tramite la quale, fra<br />
l‟altro, ha trovato già un impiego per il secondo semestre, quando avendo un solo corso<br />
potrà tranquillamente prendersi un part-time da venti ore la settimana, il massimo<br />
concesso agli studenti. Mi dice che ha giusto ricevuto la lettera di conferma: società di<br />
marketing, reparto comunicazione italiana, contratto a tempo determinato, tre mesi con<br />
possibilità di prolungamento, l‟equivalente di millecinquecento Euro al mese in busta. Per<br />
una studentessa, in cima alle varie agevolazioni di cui già gode, è un trattamento da<br />
signora. Ah, nota al margine: retta universitaria per lei pari a zero. Zero!<br />
Mentre cado in estasi sento parole come «denuncia dei redditi», «parametri studenti<br />
stranieri» e, seppur perdendo i dettagli, capisco perfettamente che non sia stata né<br />
un‟estrazione alla lotteria, né una qualche furbata da commercialista italiano. Tutto<br />
regolare. Io sprofondato nel divano, un uomo tramutatosi in timpano che ascolta, ascolta e<br />
ascolta storie di ordinaria amministrazione di un mondo lontano. Lontano quattro ore<br />
d‟auto. Più ne sento, meno del me stesso attuale ho voglia di rivelare, sebbene stia<br />
parlando con Lara. O forse proprio perché sto parlando con Lara. «Sto continuando con le<br />
reception», nessun accenno allo squallore della discarica giovanile in cui staziono,<br />
«vediamo come si mette con le fiere dopo le Feste. Nel mentre attendo risposte per i CV<br />
che ho sparso». Laconico, e ancora di più sul capitolo musica: «Con la radio bene come<br />
sempre. Se invece intendi proprio musica mia, mi sto dando da fare». Per me è già<br />
scucirmi a sufficienza far capire che non sono con le mani in mano, perciò una volta<br />
esplicitato quello svicolo a più non posso sul resto. Solo su un‟altra cosa sono così<br />
riservato: la sfera amorosa. Percepisco la gestazione su entrambi i fronti come la<br />
costruzione di un castello di sabbia, dove nonostante la cura certosina basta un‟onda o un<br />
colpo di vento a vanificare tutto. Quindi non voglio spettatori dei miei cantieri aperti.<br />
Guardo l‟orologio e sono le undici passate. Tento l‟ultimo assalto ma Lara non ne vuol<br />
sentire, tira fuori mille scuse. Così, scoccata la mezza, rinnovo gli auguri a tutta la famiglia<br />
e imbocco l‟uscita. Due minuti per raggiungere la chiesa, venti per trovare parcheggio,<br />
quasi una decina di attesa silenziosa all‟interno e infine si parte per sessanta precisi di<br />
Messa, impreziosita dai prodigi della cantoria e del presepe vivente dei bambini delle<br />
elementari. Troppo peccatore per la comunione, trascorro il tempo fra la recita puramente<br />
labiale delle dovute parti e un‟acuta osservazione della platea. Aggregatomi ad un trio che<br />
nel quadro delle mie relazioni sociali è eccessivo definire amici ma sminuente etichettare<br />
come semplici conoscenti, ci si ritrova poi sul piazzale in un trionfo di mondanità paesana,<br />
fra ex compagni di scuola, vicini di casa, cugini di tutti i gradi, vigili urbani fuori servizio,<br />
bulli dei tempi ora tramutati in padri di famiglia, zoccolette delle medie che furono con<br />
adesso il fidanzato sottobraccio, preti mancati, vecchi compagni di squadra e chi più ne ha<br />
più ne metta. Tutti in movimento circolare fra le due macrosezioni del piazzale, vale a dire<br />
l‟area “public relations” e la ben più ambita area ristoro, patrocinata da Alpini di diverse<br />
generazioni che secondo lo schema del «vün a mi, vün a ti» 1 elargiscono le celebri<br />
fettazze di panettone e i famigerati tazzotti di vin brulé, sospinti da un‟ebbra generosità<br />
mano nella mano con un‟allegria che solo il Natale regala.<br />
Come preventivato, risalendo le dovute cricche e parentele arrivo a Claudia. Entrambi<br />
sapevamo che senza bisogno di prendere accordi ci saremmo trovati, così come ora<br />
sappiamo che è giunto il momento di fare due chiacchiere in privato. Nell‟uscire dalla calca<br />
1 “Uno a me, uno a te”, dialetto lombardo<br />
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facciamo ancora auguri a destra e a manca e non ci facciamo mancare un‟altra fettazza di<br />
panettone tagliata a motosega. Dirigendoci verso la macchina, in quanto al conversare<br />
non sappiamo esattamente come partire ma la brina si scioglie in fretta quando le chiedo<br />
un aggiornamento generale sull‟università.<br />
«Torno in Cina qualche mese». Io ci rimango come uno che chiede a un altro se faccia<br />
ancora jogging e si sente rispondere che andrà alle Olimpiadi.<br />
«Accidenti! Pensa che volevo sapere di com‟eri messa con l‟affitto…»<br />
«Diciamo che le cose sono collegate, in qualche maniera»<br />
«Cioè?»<br />
«L‟autunno è stato un pasticcio».<br />
Da qui parte un racconto dove, metaforicamente parlando, tre buche sul percorso fanno<br />
cappottare il veicolo.<br />
Per darmi un quadro limpido mi fa un riassunto che parte da molto indietro, fra cose a me<br />
ben cristallizzate nella memoria ed altre mai completamente raccontatemi. Come le mie<br />
orecchie sentono, la prima buca è stata quella della rottura definitiva col proprietario di<br />
casa, che evidentemente non pago dei numeri pre-estivi ha imposto nella seconda parte<br />
dell‟anno regole dittatoriali come la tassa sugli ospiti «con nel mirino soprattutto il fidanzato<br />
di una mia coinquilina che veniva a trovarla il fine settimana» e un supplemento<br />
manutenzioni per «una messa a punto della caldaia in vista dell‟inverno, la sostituzione del<br />
frigorifero e, tanto per gradire, l‟imbiancatura di tutto l‟appartamento…non certo richiesta<br />
da noi». Ne è conseguita una tavola rotonda il cui verdetto è stato un check-out collettivo:<br />
«Abbiamo quasi finito oramai, possiamo farcela anche senza stare per forza qui» è stato il<br />
pensiero delle due per cui, in fondo in fondo, stare a Bologna era poco di più che uno<br />
sfizio, dato che una è di Cervia e l‟altra di Parma, mi racconta Claudia. «La terza, che<br />
invece era al secondo anno ma con gli esami nemmeno a metà del primo, ha colto la palla<br />
al balzo per prendersi un anno sabbatico e decidere cosa fare della sua vita. Almeno così<br />
ha detto». Perciò, chiudendo il cerchio: «Cosa potevo fare? Dovevo sbattermi a cercare<br />
altre tre persone e nel mentre battagliare il tiranno? Mi sono trovata costretta a stare<br />
anch‟io al gioco dell‟abbandono di massa, che in fondo non mi è dispiaciuto perché è quel<br />
che si merita uno che affitta in nero e fa pure lo stronzo».<br />
Dopo una marcia indietro verso la terra natia, seconda buca: «Non ho resistito nemmeno<br />
tre settimane, poi fra libri di cinese che facevo una fatica enorme a reperire e il trambusto<br />
generale ho visto che non riuscivo a concentrarmi. A parte capire che non ce l‟avrei fatta a<br />
laurearmi entro fine anno, mi sono decisa a chiamare il mondo intero a Bologna, proprio<br />
dal primo all‟ultimo numero in rubrica, e una mia conoscente ha parlato con la sua<br />
coinquilina che mi ha ceduto il letto. Tanto dormiva dal suo ragazzo quasi ogni sera e,<br />
stringi stringi, l‟idea di vedersi rimborsato l‟affitto le piaceva non poco». Se non che, terza<br />
ed ultima buca: «A inizio dicembre questa è tornata a reclamare il suo posto, scusandosi<br />
tanto ma dicendomi che lei e il ragazzo avevano riflettuto a fondo e per la convivenza i<br />
tempi non erano ancora maturi, eccetera eccetera. Insomma, mentre negoziavo di poter<br />
restare fino alla conclusione delle lezioni, che in fondo era roba di dieci-quindici giorni, ho<br />
ripensato alla Cina».<br />
«Ma così per sfizio?», intervengo io.<br />
«Ehm…no, no»<br />
«Ma fammi capire una cosa: che utilità c‟è in una manovra del genere?»<br />
«Allora, se posso essere sincera io non ce la faccio più e né a Bologna, né qui ho un posto<br />
dove concentrarmi in santa pace»<br />
«Vabè, ma scusami», la interrompo, «concretamente tu cosa diamine devi fare ancora per<br />
finire?»<br />
95
«Stai calmo! Adesso ti spiego: la tesi l‟ho praticamente ultimata; verso metà gennaio<br />
scendo per un esame e assieme vado a colloquio con la mia relatrice, alla quale nel<br />
frattempo spedirò via e-mail una versione presumibilmente definitiva. Se lei approva sono<br />
a posto da quel lato: la tesi vado a stamparla e la consegno in segreteria il giorno dopo,<br />
fine della storia»<br />
«Scusa, ma non la devi discutere?»<br />
«No, da noi quella della triennale si consegna approvata dal relatore e basta»<br />
«Bella cazzata. Cerimonia a parte, secondo me trovarsi ad esporre davanti ad una<br />
commissione è un passo fondamentale»<br />
«Ma basta! Oh cavoli, sempre a far commenti tu!». Risata di entrambi. «Comunque<br />
ascoltami fino alla fine adesso: se mi fossi laureata a settembre, come avevo sempre<br />
pensato, sarei partita con la specialistica immediatamente. Quello era il piano originale.<br />
Invece, per come son finite le cose, sono ferma in una terra di mezzo. Se tutto va bene,<br />
vado in Cina a cuor leggero e mi concentro sulla lingua; se invece avrò ancora da<br />
aggiustare la tesi oppure, più probabile, farò una pessima apparizione al prossimo esame<br />
-che ho lasciato per ultimo perché bestia nera del triennio, mica a caso- me ne sto in Cina<br />
con la testa sul necessario e il vantaggio di far pratica linguistica giorno per giorno. E<br />
credimi, col cinese ce n‟è bisogno come l‟acqua potabile»<br />
«Chiaro, chiaro, non obietto!». Ridiamo tutti e due.<br />
Dopo un laconico «Poi l‟anno prossimo vedrò se fare la specialistica o meno», la<br />
conversazione si ribalta ed è il mio turno di riassumere gli ultimi mesi. La corsa ad ostacoli<br />
di Claudia mi fa sentire meno imbarazzato nel dare al resoconto delle mie vicissitudini<br />
lavorative il colore che merita: marrone. Vengo anche preso in giro per le ultimissime e,<br />
sebbene avvenga in senso bonario, non ci rimango molto bene. Per me è questione della<br />
massima delicatezza. Fra una caricatura e l‟altra, mi calo un chewing-gum e dopo una<br />
botta di menta in bocca mi faccio serio.<br />
«Forse dovrei partire anch‟io». E sotto quel forse giace una spinta che nemmeno io mi<br />
aspettavo prima di pronunciare queste precise parole.<br />
«E dove andresti, a Londra?»<br />
«No, lì rischierei di rimanerci per sempre. Ho un conto in sospeso col tedesco, prima»<br />
«Come io ce l‟ho col cinese?»<br />
«All‟incirca. Se non lo risollevo alla svelta lo perdo. Otto anni di studio»<br />
«Eh, ma con la musica come faresti? Perché fai ancora tutto, vero?»<br />
«E‟ proprio quello il punto. Sì, faccio ancora tutto. Fra non molto pubblicherò anche un<br />
album». Accidenti, serata delle grandi rivelazioni.<br />
«Davvero?! Complimenti! Racconta, racconta!»<br />
«Facciamo che parlerò coi fatti, OK? Preferisco». Cenno d‟intesa. «Comunque il nodo è la<br />
radio, non posso piantare i ragazzi di punto in bianco. A Daniele, quello con cui anche ho<br />
fatto il primo disco, avevo accennato l‟idea tempo addietro, poco prima che mi laureassi,<br />
ed effettivamente avevamo convenuto che se uno comincia a levarsi, poi tutto il<br />
programma se ne va a scatafascio in breve. E‟ vero d‟altronde, ognuno ha il suo ruolo: se<br />
ne andasse lui, ad esempio, addio studio per registrare e selezionatore musicale in un<br />
colpo solo»<br />
«Ma con tutto il rispetto, finché non è il vostro lavoro vero e proprio nessuno può porre<br />
limiti alla libertà degli altri, no?»<br />
«E‟ vero in linea di principio, come anche è vero che non è un lavoro. Ma noi l‟abbiamo<br />
preso come tale, sono anni che ci sbattiamo e nell‟ambiente si è creato un bel seguito. Tu<br />
mi potrai anche vedere come il solito coglione», sorriso reciproco, «ma guarda che<br />
qualcosa di buono qualitativamente parlando lo stiamo combinando. Parti con la passione,<br />
fai un tentativo, la cosa a te piace farla, a diversa gente piace ascoltarla e chi fa quella<br />
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musica ti cerca per promuoversi. Unito al fatto che l‟offerta di trasmissioni del genere<br />
scarseggia, non penso sia illecito credere di avere una chance»<br />
«No, no, giusto»<br />
«Quindi si procede fino all‟ultima goccia. Solitamente tiriamo un bilancio ogni anno prima<br />
della pausa estiva. Ti dirò cosa ne uscirà alla prossima, perché comunque è vero quello<br />
che dici sul non potersi limitare a vicenda, lo sappiamo anche noi. Diciamo che se la<br />
stagione parte, però, è per esser fatta da cima a fondo e da metà settembre al luglio<br />
successivo si tiene giù la testa».<br />
Parcheggiati di fronte a casa sua parliamo e parliamo ancora, finché d‟un tratto accendo il<br />
cruscotto e vedo che è tardi. Domani c‟è il pranzo coi parenti e non posso tirare<br />
mezzogiorno a letto. Saluto Claudia, ci lasciamo con un «A presto» ma in fondo lo so che<br />
non ci vedremo prima dell‟estate. Sì, una chiamata o un messaggio al mio compleanno e<br />
poi via verso la stagione calda, senza fermate. Fai la brava e in bocca al lupo per la Cina,<br />
allora.<br />
Si fanno le tre passate mentre riporto la macchina in garage. Aria secca ma cielo aperto,<br />
non sarà un bianco Natale.<br />
Vibra il cellulare, SMS: «Buon Natale tesoro, un bacio da Roma».<br />
«Buon Natale Mari, goditi la città e la nipotina!». E‟ con la famiglia a casa della sorella, che<br />
ha partorito da poco. M‟era del tutto uscito di mente quando qualche pomeriggio fa, nella<br />
fretta, le sono andato a prendere una pashmina e un paio di guanti.<br />
Scarterà in ritardo il pacchetto ma poco male, l‟inverno è ancora lungo.<br />
97
18<br />
FESTE DI LAVORO<br />
Ma chissenefrega. Davvero chissenefrega.<br />
Circondato da discorsi tipo «Domani da mia zia mi sfondo d‟arrosto» e «Stasera mio<br />
cugino pasticcere mi porta un Sacher a tre piani», mi isolo in quello che ora è un<br />
tristissimo e solitario eremo polveroso. Il direttore è in ferie, Castoldi è in ferie, le<br />
segretarie sono in ferie e le donne delle pulizie sono a mezzo servizio, con unicamente il<br />
dovere di pulire i bagni comuni. Ma soprattutto, sul centinaio abbondante di alloggiati solo<br />
nove hanno il piacere di passare le Feste qui: otto studenti extraeuropei e il tutor.<br />
Manco sapevo chi fosse prima di vederlo palesarsi a Santo Stefano, mogio come un cane<br />
bastonato. Antonio, di Melfi, ventotto anni e mi dà del lei. Frena frena, che sono pure più<br />
piccolo di te: lascia perdere le forme di cortesia e dimmi cosa ti tedia, giovane lucano.<br />
Quel che lo tedia lo scopro piano piano, in cinque sere in cui le sue visite nel mio antro si<br />
protraggono sempre di più. Un ragazzo genuino, abbondantemente fuori corso ma<br />
lodevole al tempo stesso semplicemente per il fatto di non aver mollato. Madre con una<br />
piccola lavanderia gestita assieme alla sorella e padre che s‟arrangia come può dopo<br />
un‟ernia al disco rimediata in cantiere, Antonio una volta finita ragioneria ha lavorato due<br />
anni part-time in uno studio commercialista mentre sei sere a settimana stava in pizzeria.<br />
«Più soldi con le mani che col diploma», commenta. Però, proprio per non vanificare il<br />
tempo sui banchi «che giù da noi è comunque un privilegio, sai quanti degli amici miei se<br />
ne sono andati a lavorare a sedici anni?», ha voluto metter via il più possibile per potersi<br />
permettere l‟università. Ci arriviamo la seconda sera, dopo una prima fondamentalmente<br />
rapida e di chiacchiere superficiali. Quindi Economia e Commercio, lento ma in fondo<br />
inesorabile, e ora gli mancano cinque esami più la tesi per finire la magistrale. «Il prossimo<br />
Natale niente panettone, comunque», nel senso che vuole laurearsi e poi cambiare aria,<br />
perché di questa città si è stancato. Anche io, ed è qui che decollano le nostre<br />
conversazioni. Le direzioni sono due: “Milano ti odio” e “Gossip locale”.<br />
-Milano ti odio-<br />
Il discorso è semplice: ci sta sul piloro la superficialità di una città votata all‟immagine.<br />
Capitale della moda un paio di palle, questa semmai è la capitale dei pecoroni.<br />
Antonio parla, io sottoscrivo: «In Corso Como ci ho messo piede una volta e mi è bastata.<br />
Tutti con „sto mito dei locali dei calciatori, dei vip, delle modelle…ma che cagata. Il sabato<br />
sera che ci siamo andati, e ti parlo dei miei primi periodi a Milano, eravamo io e cinque<br />
compagni di facoltà, tre ragazze e due ragazzi. E la camicia, e la scarpa elegante, e<br />
questo, e quello, in più se non fosse stato che c‟erano le donne saremmo sicuramente<br />
rimasti fuori. Mai vista una stronzata del genere prima, coi buttafuori e i PR che si<br />
atteggiavano manco fossero Dio all‟entrata del Paradiso. E poi cosa trovi? Niente di che,<br />
tanto tu che vip non sei te ne stai fra tutti gli scemi come te che hanno pagato venti Euro<br />
d‟ingresso e ne sganciano quasi altrettanti per un bicchiere pieno di ghiaccio. Mica entri lì<br />
e fai un brindisi con le Veline mentre dai un cinque a Vieri e Maldini. Giù al paese mio tutti<br />
pensano che sia così e pure io prima ci credevo. Ma poi te la sei vista la gente? Tutti<br />
cocainomani e fighe di legno che ti guardano in cagnesco, cose da pazzi. Io dopo quella<br />
sera non c‟ho voluto mettere più piede in situazioni del genere. Abbiamo speso un capitale<br />
girando tutti i tre-quattro posti lì attorno e io come un cretino a sperare sempre che in<br />
quello dopo mi sarei divertito, finalmente. Invece zero».<br />
Dopo un decollo del genere siamo un duetto magnifico che denigra tutta quella presunta<br />
“crème meneghina” degli aperitivi obbligati, delle vasche nel quadrilatero della moda<br />
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giusto per darsi un tono e via dicendo. Il cambio di capitolo lo stabilisco io, quasi<br />
inaspettatamente: «Ma coi ragazzi che stanno qui non fate mai niente?»<br />
-Gossip locale-<br />
«Lasciamo perdere», mi dice. Avverto di aver aperto una diga. «Cazzo <strong>Matt</strong>ia, tu non hai<br />
idea degli sfigati che ci stanno qua dentro».<br />
Io resto in attesa di sapere se, seguendo questo ragionamento, lui s‟includa nella<br />
categoria o cosa. Arriviamo presto al bandolo della matassa, però: «Gente ripigliata ne è<br />
passata veramente poca e nessuno di questi è mai stato così scemo da farsi più di un<br />
anno. Chiariamoci, io sono qui perché faccio il tutor e quel tot di responsabilità che mi<br />
prendo e tempo che dedico sono ricompensati. Qualsiasi cazzata capiti di notte la gente<br />
sveglia me, dal cretino che ha perso la chiave a quello che c‟ha le coliche. Una volta c‟è<br />
stata pure da chiamare la polizia perché era entrato un fuori di testa che tentava di<br />
cacciarsi nelle camere, non ti dico che delirio. E insomma, io in cambio di queste rotture di<br />
palle non pago l‟affitto, che se ci pensi altrove costa sui tre-quattrocento Euro al mese in<br />
stanza con un altro. Io il primo anno e mezzo a Milano l‟ho fatto così, stavo in via<br />
Padova». Commento lampo mio: «Minchia». Riprende lui: «Appunto, minchia davvero.<br />
C‟avevo sottocasa gente che a notte fonda si prendeva a bottigliate, sirene a tutte le ore,<br />
ubriachi che scopavano per strada…un girone dantesco, anzi, più gironi tutti in una via,<br />
guarda. Poi ad un certo punto un amico mi ha parlato di questa cosa e ho fatto domanda,<br />
che fra il levarmi da via Padova e il tenermi in tasca i soldi, credimi, mi ha fatto balzare<br />
dalla gioia. Chiaro che ti rompi le palle, ma per come sono messo io Milano non ha di<br />
meglio da offrirmi». Bene, per me ora un mistero è risolto ma ne rimangono altri, primo fra<br />
tutti se Antonio sia praticamente prigioniero di queste mura. «No, l‟ingegner Castoldi ha<br />
l‟obbligo di dormire qui due sere a settimana e in quelle io sono libero».<br />
Fermi tutti: Castoldi ingegnere?<br />
«Esercita pure, Castoldi. Non credere, non è che lavori qui e basta. Non ti so dire nel<br />
dettaglio che accordo ci sia, ma guarda che non è stupido. Questo posto in poche parole è<br />
in mano a dei clericali che hanno le mani in pasta un po‟ ovunque, come sempre per<br />
quella gente. L‟ingegner Castoldi si sarà fatto i suoi conti, non è mica scemo. Qui dentro la<br />
maggior parte della gente lo rispetta perché lo teme, io lo rispetto e basta. E‟ l‟unico col<br />
cervello, umanamente poi non è una cattiva persona». Castoldi il calcolatore mi mancava,<br />
ma è indubbio che basti vederlo per capire che qui dentro non c‟entri nulla. Sapere che<br />
abbia secondi fini nel fare il leccasottane di certo non gli fa guadagnar punti, ma avere la<br />
conferma che sotto la calotta non abbia dell‟omogeneizzato Plasmon gusto vitello come il<br />
resto della ciurma mi lascia bendisposto, come se in un qualche momento potessi trovarmi<br />
a negoziare con lui una parte nella rapina del secolo.<br />
Il resto Antonio, ormai senza freni, me lo commenta lapidario. Si capisce che ha bisogno di<br />
sfogarsi, in uno dei certamente rari incontri con un normodotato in questo centro per<br />
disagiati. «Allora, te lo dico: Giovanni e Taddeo sono due casi umani, Zio Nino un coglione<br />
colossale». Partono una serie di aneddoti sui tre, fra cui soprattutto le performance<br />
alcoliche dell‟ultimo mi regalano risate da capogiro, fra inni di Mameli al microfono<br />
generale e litigi coi fattorini delle pizzerie a causa di ordinazioni fatte prima della sbronza e<br />
rimosse poi dalla memoria in ostaggio al dio Bacco. «Fuori dalle balle, io non ho ordinato<br />
una mazza!» e cose del genere, con confronti al limite del fisico e minacce reciproche di<br />
chiamare carabinieri, esercito, teste di cuoio, Rambo, al-Qaida, Cavalieri dello Zodiaco,<br />
eccetera.<br />
Aneddoti di annate di reclusione che Antonio una sera dopo l‟altra mi sciorina, nella<br />
cornice di una calma al profumo di zenzero, illuminata da neon giallastri e addobbi<br />
decadenti nell‟atrio. Arriviamo al trenta dicembre e chiudo il primo tempo del mio servizio<br />
in loco. Per l‟indomani c‟è in programma una serata fra amici, nulla di straordinario ma è<br />
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proprio il fatto che sia un nulla di straordinario a piacermi. Una casa sul lago senza troppa<br />
strada da fare, una quindicina di persone fra il nucleo stretto e aggiunte varie, cenone in<br />
proprio e qualche bottiglia di spumante. Chiedo ad Antonio se gli vada di unirsi ma la<br />
risposta è prevedibile: «Sono di servizio, <strong>Matt</strong>ì. Comunque grazie».<br />
100
19<br />
GIOVANI IMPRENDITORI<br />
Roba da non crederci.<br />
Mezzogiorno e mezzo, intanto. Cellulare appena acceso, nuovo messaggio: «Ma ti sei<br />
preso male?». Stai a vedere che adesso ne esco come il malmostoso di turno. Orario due<br />
e ventiquattro, con me già a casa da un pezzo, disconnesso dal mondo, sotto le coperte e<br />
consapevole che qualcuno se ne fosse accorto. E‟ che quando una persona di compagnia<br />
come il sottoscritto improvvisamente non apre più bocca, il silenzio si nota più delle parole.<br />
Dalle undici a mezzanotte poi è stato un giro di lancette interminabile, in attesa di sbrigare<br />
il brindisi e levarmi dalle palle. «Non sono a posto di stomaco» ho estratto dal mazzo delle<br />
scuse, certo che chi stava pianificando di vomitare non avrebbe gradito gli profumassi il<br />
bagno in anticipo.<br />
E sì che la serata era partita bene. Diversi amici, un risotto spettacolare, scaloppine al<br />
limone come secondo, un vino bianco che stranamente ho gradito e via che s‟andava.<br />
Fino al dolce non s‟era nemmeno parlato di lavoro. Di tante cazzate sì, ma non di quello.<br />
Poi è entrato il panettone.<br />
«Ma chi è che ha preso „sta sottomarca? Viva il risparmio, eh!». Inconfutabile voce dal<br />
mucchio.<br />
«Dodici bottiglie di Ferrari e poi „sto coso da un Euro e mezzo?». Giusta osservazione a<br />
rimorchio, ilarità generale.<br />
«Per pietà, no! E‟ lo stesso che per punizione ho rifilato agli operai!».<br />
Questa battuta ha tagliato la sala in due. Anzi, in tre: quelli che si sono messi a ridere,<br />
quelli che hanno taciuto e io che mi sono acceso come un piano cottura. Sull‟uno.<br />
Il fatto stesso che il discorso sia proseguito mi ha fatto realizzare in breve quanto la<br />
composizione del parterre fosse sproporzionata. Solitamente il nostro mix è bilanciato, ieri<br />
invece la maggioranza era per l‟imprenditoria. Imprenditoria dei “figli di”, sia chiaro,<br />
nessuno di fattosi da solo fra i commensali. Semplicemente personaggi con padre, o<br />
nonno, o talvolta bisnonno in veste di originatori. Ma al cambio attuale, comunque giovani<br />
imprenditori: giovani imprenditori oggi soci dopo gli studi (non necessariamente<br />
universitari, non necessariamente ultimati) oppure giovani imprenditori domani soci, dopo<br />
una laurea in parecchi casi solo per vezzo, fra due guanciali, perché tanto un posto è già lì<br />
bell‟e pronto.<br />
A quel punto si è creata una di quelle circostanze in cui alla stessa tavola tengono banco<br />
due conversazioni, coi partecipanti dell‟una e dell‟altra sparpagliati e le voci a sovrapporsi.<br />
Da una parte Gianni e Alessia, i leader delle operazioni da supermercato, a recitare il loro<br />
mea culpa ad una platea assopita e fondamentalmente indulgente, che ha presto deviato<br />
su altro migrando in larga parte sui divani; il resto dei presenti sintonizzati invece sul<br />
battutaro della serata e le sue due spalle. Il mio piano cottura è passato al secondo scatto<br />
grazie alle facce boriose di Andrea il profeta dei salumi, Michele il principe degli impianti<br />
elettrici e, in quota rosa, Carlotta la contessina dei legnami. Quaranta dipendenti il primo,<br />
reparto marketing internazionale dopo studi in Scienze Motorie, azienda fondata dal nonno<br />
materno nel 1949; tre dipendenti il secondo, ragioneria salutata dopo due bocciature, figlio<br />
di un instancabile lavoratore che a suon di giornate da tredici ore gli ha insegnato un<br />
mestiere e messo in mano un futuro; ventitré dipendenti nell‟avvenire della terza, per il<br />
momento incagliata a due esami dalla fine di Psicologia ma serena poiché comunque<br />
vada c‟è papà, che tutti chiamano dottor Pagani sebbene il Pagani dottore non sia e girino<br />
pure strane storie su come nel „92 sia diventato proprietario di questo gioiellino del<br />
tavolame fra i più noti della Lombardia.<br />
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Non è stata però una contrapposizione fra patrizi e plebei, perché al fianco mio, del figlio<br />
dell‟ex artigiano ora magazziniere, con occhi e orecchie sulla conversazione c‟erano mio<br />
cugino il cui padre è medico, Monica che è figlia di un bancario e Raffaele i cui genitori<br />
sono entrambi professori. Insomma, non esattamente “Il Quarto Stato” di Pellizza.<br />
In un‟escalation di massime, il trittico dei saggi si è fregiato di uscite quali:<br />
«Gli operai non hanno bisogno di pensare» (Carlotta, futura presidentessa operaia).<br />
«I problemi veri ce li hanno quelli come noi. Mica i dipendenti, che la sera vanno a casa<br />
senza preoccupazioni» (Andrea e gli introiti milionari di famiglia).<br />
«Se non mi laureo per fine anno, vado da mio papà…e non faccio un cazzo» (Carlotta e la<br />
verve della nuova generazione).<br />
«Lavoro con delle capre» (Michele, premiato studente).<br />
«Gestisco gente che è in ufficio da trent‟anni» (Andrea e i miracoli di Scienze Motorie).<br />
«Ho visto la borsa di Gucci che voglio» (Carlotta, intermezzo).<br />
«Siamo costretti a fare il più possibile in nero» (Andrea e gli introiti milionari di famiglia,<br />
parte seconda).<br />
«Lo dice anche mio papà. Il nostro commercialista però ha trovato un modo per farmi<br />
pagare la retta universitaria più bassa. In culo allo Stato» (Carlotta, perché la vendetta è<br />
un piatto che va servito evaso).<br />
Deliziato come di fronte ai Pensieri di Pascal, il piano cottura mi è andato al massimo ed è<br />
stato un problema gestire l‟incandescenza. Ci ho pensato un paio di volte se fosse il caso<br />
di aprire una delle bottiglie di Ferrari in testa ad Andrea, azzannare alla giugulare Michele<br />
e far sprizzare anabolizzanti ovunque, oppure spalancare la porta e lanciare Carlotta giù<br />
per la strada ghiacciata. Andrea a parte, che conosco solo di striscio, Michele e Carlotta<br />
sono amicizie di vecchia data e solo in casi estremi procederei per rompere in definitiva.<br />
Ieri sera però all‟estremo ci sono arrivati molto vicini e mi ha dato il voltastomaco<br />
constatare quanto siano cambiati. Ai tempi delle medie o delle superiori c‟era sì qualche<br />
differenza, soprattutto in riferimento a Carlotta la cui famiglia ha sempre avuto –e<br />
sfoggiato- un certo tenore di vita, ma la spanna di distanza avvertita con quei discorsi è<br />
stata del tutto inedita. Sia l‟una che l‟altro hanno frequentato scuole statali, entrambi sono<br />
sempre usciti con noi negli stessi baretti, negli stessi piazzali di paese, eccetera. Solo<br />
l‟estate era diversa ai tempi, non tanto per Michele e il suo classico mese in Riviera con la<br />
mamma quanto più per Carlotta, che finiva in certi resort all-inclusive con prezzi da<br />
capogiro, roba che un giorno per la sua famiglia costava come due eventuali settimane in<br />
villeggiatura per la mia. Già, eventuali, perché io di anni senza vacanze ne ho fatti<br />
eccome. Ma ecco, a parte le questioni estive che contavano come un capitolo a parte, non<br />
c‟era nulla che fra noi determinasse conti e contadini. Eravamo tutti un gruppo, facevamo<br />
gruppo. Michele addirittura era quello col fare più da barboncello, sempre col solito paio di<br />
All Star rovinate, gli occhiali da bancarella e le magliette da calcio. Confrontando<br />
un‟ipotetica foto di sette-otto anni fa con un flash di ieri, invece, si rimane impressionati.<br />
Carlotta ha preso la strada a cui a ben vedere era destinata, quella delle spese pazze fra<br />
boutique e centri estetici al fianco della madre, naturalmente col caro Pagani in veste di<br />
sponsor. Michele invece ha passato diverse metamorfosi dai diciassette in poi,<br />
praticamente una a stagione a seconda di quel che decretavano le case di moda. Senza<br />
rendersene conto, nelle sue periodiche contorsioni di stile ci ha regalato risate<br />
impareggiabili con cappotti simil-tappeto d‟orso, scarpe degne d‟un sosia di Elvis, loghi di<br />
griffe visibili quanto un pannello autostradale e via disquisendo, con in più un paio d‟inverni<br />
votati alla tintarella dove mancava poco che a suon di lampade si tirasse fosforescente. Il<br />
primo di noi a lavorare, il primo di noi coi soldi in un‟età dove però non pensi agli<br />
investimenti. Quindi per lui sono state sessioni infinite di sfizi da levarsi: cambi di<br />
102
guardaroba, cambi di cellulare, cambi di tutto il cambiabile. Ora a quanto racconta vuole<br />
cambiare la macchina, che «ha già tre anni». Ed è già la seconda, dopo che quella portata<br />
fuori dal concessionario il giorno stesso della patente è finita accartocciata su un muro di<br />
cinta poco dopo il primo tagliando.<br />
Sarei dovuto andare con Lara dai suoi cugini, o ancora meglio sarebbe stato essere a<br />
Roma con Mari. Invece, un po‟ per non rimangiarmi la parola e un po‟ causa lavoro ho<br />
mantenuto i piani originali.<br />
Certe volte sì, mi chiedo cosa ci facciano tali imbecilli nella mia cerchia d‟amicizie. Non c‟è<br />
una ragione particolare, c‟è solo che si cresce assieme, nello stesso posto, tutti circa della<br />
stessa età, e poi si procede in buona dose per inerzia. Non sono più i periodi delle<br />
espulsioni dalla compagnia, come quando avevamo quattordici anni e si bandiva d‟un<br />
colpo chi scroccava troppe sigarette o troppi passaggi in motorino. E diciamoci anche che<br />
sono stati gli ultimi anni a cambiare determinate persone, mediocri in tutto fuorché -per un<br />
centimetro o un metro- nel potere d‟acquisto, del quale ora hanno preso coscienza e si<br />
fregiano. Non tutti però sono diventati così, infatti la consolazione è aver notato che<br />
almeno un paio di persone si sono focalizzate su altri discorsi appunto per non sollevare<br />
conflitto in una serata di festa. Ho visto Raffaele lasciar perdere, lui che ha la mamma<br />
bidella e il papà cuoco, come anche hanno fatto Fabio e Sara sebbene siano figli di piccoli<br />
e medi imprenditori. Altri invece davvero chiacchieravano per proprio conto sin da dopo il<br />
battutone iniziale e mi chiedo cos‟avrebbero detto se avessero captato il conseguente<br />
simposio della premiata ditta. Avrebbero condiviso? Avrebbero mostrato dissenso?<br />
Sarebbe degenerata la serata?<br />
Per me comunque è stato troppo e una volta sbrigato il più forzato dei brindisi ho fatto in<br />
modo di levare le tende. Perché appunto ora che siamo grandi non si ostracizza più<br />
nessuno, al massimo decidi tu di staccarti e andare per la tua. Così è stato quindi per me,<br />
chissà se solo ieri o da oggi sempre di più.<br />
Nel giro dei saluti di rito mi sono avvicinato all‟angolo dove Michele, nel suo maglione di<br />
cachemire, col fare da imprenditore consumato ancora parlava di lavoro, contratti, ditta di<br />
famiglia: «…comunque Marco, io te lo dico, se ero figlio unico a quest‟ora c‟avevo già in<br />
mano il Porsche».<br />
Che ci vuoi fare Miche‟, così è la vita. E t‟è toccata un‟umile SLK.<br />
103
20<br />
EVENTI<br />
Mascarpone finito, Befana in soffitta, tutti ai posti di combattimento.<br />
Lara è tornata in Svizzera, Marilena a Milano, io in casa fra il tutto e il niente.<br />
Ho un nuovo orologio da tavolo, «E‟ ora di sorridere» dice il quadrante. Sorrido sì quando<br />
lo guardo, è un regalo di Mari. Fortunatamente anche ciò che le ho comprato io sembra<br />
aver fatto centro. Ero un po‟ in tensione, quando si tratta di presenti sono davvero<br />
impacciato.<br />
Mandato concluso ieri sera al gulag universitario, con rispetto a giare da parte di Castoldi<br />
che ha scoperto cosa voglia dire avere un normodotato in reception. «Alla prossima» e un<br />
abbraccio è stato il mio congedo da Antonio, sperando però di rincontrarlo fuori da quelle<br />
mura. Che il nuovo anno ci porti bene.<br />
A me ha già messo parecchio in agenda, visto che nel giro di breve darò finalmente alla<br />
luce il disco e, cosa molto più incombente, questo pomeriggio ho un colloquio.<br />
Nel marasma di CV inviati negli ultimi mesi c‟è stato anche quello messo a punto per una<br />
società di ideazione e pianificazione eventi con sede molto comoda rispetto a casa mia.<br />
Non è cosa nuova che il settore degli eventi eserciti un certo fascino sul sottoscritto, quindi<br />
sin dal clic sul tasto “Invia” del mio account la speranza era quella di essere ricontattato.<br />
Detto, diverse settimane di silenzio, fatto.<br />
E‟ lunedì sette gennaio, le lancette segnano le tredici e cinquantasette e so che ho il<br />
tempo di prepararmi come si deve e poi mettermi in strada. La cartina appena stampata<br />
da Internet mi dà la buona notizia che forse forse non dovrò rimbalzare come la sfera di un<br />
flipper tra un senso unico e un senso vietato, quindi delego a poi le eventuali finezze per<br />
centrare il posto e mi concentro sul vestiario.<br />
Oddio, “concentro” è una parola grossa.<br />
Diciamo che faccio un rapido calcolo mentale e giungo alla conclusione che in una società<br />
di organizzazione d‟eventi c‟è alta probabilità di trovarsi davanti due tipi d‟entità: i rampanti<br />
maschi-lingualunga e le supersciantose.<br />
Opto quindi per l‟eleganza. Senza eccessi ed umilmente “made in outlet”.<br />
Quindici e quindici, parcheggio nelle immediate vicinanze di queste file infinite di<br />
capannoni che compongono la zona industriale della cittadina, inquadro con la<br />
collaborazione di un altro ragazzo lì per il colloquio il portone esatto e via che ci si<br />
addentra.<br />
Già osservando questo tizio qualche conto però non mi torna: è evidentemente più piccolo<br />
di me, ha due-peli-due sotto il mento e complessivamente sembra un Vaporidis allungato<br />
e ristretto. Ma più che da “Notte prima degli esami”, la sua faccia e la sua figura sono da<br />
“Pomeriggio dopo la verifica”. Un passo indietro, scazzo incluso.<br />
Nel risalire una tortuosa scala a chiocciola verso gli uffici penso tra me e me cosa possa<br />
aver frainteso tra lo sguardo svelto dato al sito dell‟azienda e la rapidissima conversazione<br />
telefonica intercorsa, di cui solo una frase mi è sopravvissuta in testa: «La retribuzione,<br />
ehm, è circa settanta Euro a giornata». «Vabè», mi sono detto una volta messo giù il<br />
cordless, «di questi tempi tutto fa brodo».<br />
Facendomi largo nell‟area uffici col fido simil-Vaporidis al mio fianco, scruto e colgo al volo<br />
che non ci sono né rampanti maschi-lingualunga né supersciantose, ma un solo uomo<br />
perso nel monitor del suo PC e due-tre figure femminili di quel tipo che non capisci se<br />
siano impiegate, dirigentelle o bariste salite a portare i cafferini di metà pomeriggio.<br />
104
Mio saluto formale, loro risposta informale. Se io ti do del lei e tu mi dai del tu vuol dire che<br />
hai padronanza del luogo, quindi rimangono in lizza le prime due opzioni e decade la<br />
terza. Comunque, guardando le facce realizzo d‟essere di fronte a mie coetanee; in<br />
secondo luogo presumo visto il contesto scialbo di essere il solo laureato nel raggio di<br />
venti metri e, soprattutto, è lampante che nel posto io sia quello vestito meglio. Decido<br />
perciò di dare anch‟io del tu e mozzar la testa ad ogni sorta di pomposi convenevoli, tanto<br />
apprezzati in altri contesti quanto da me sempre odiati.<br />
Quindici e trenta ormai prossime al rintocco e al contestuale inizio del colloquio di gruppo.<br />
Gruppo composto da me e dal simil-Vaporidis.<br />
Veniamo fatti accomodare in una sala riunioni di circa cinque metri per tre, attorno a un<br />
tavolo con dieci sedie. Ci posizioniamo l‟uno a fianco all‟altro, l‟impiegata ci invita a<br />
compilare un modulo di due facciate e se ne va. «Ci risiamo», dico fra me e me<br />
ricordandomi dell‟episodio all‟interinale, «e stavolta mi tocca da cima a fondo». Dopo le<br />
prime formalità questo si rivela però il formulario delle sorprese, per me in larga parte ma<br />
noto anche per il simil-Vaporidis, nonostante in precedenza mi avesse ventilato di<br />
conoscere già diverse cose sulle possibilità lavorative che ci avrebbero messo sul piatto,<br />
per merito di un suo giro di conoscenze eccetera eccetera.<br />
La prima facciata passa rapida tra dati personali da inserire e loro menzioni generali ad<br />
iniziative quali tour di promozione e varie altre. La seconda è invece interamente dedicata<br />
ad un “Sai già fare?/ Vorresti imparare?”, ma scorrendo con la penna barro una serie di<br />
doppie risposte negative riguardanti mansioni come:<br />
-Trampoliere<br />
-Favole per bambini<br />
-Feste di compleanno<br />
-Micromagia<br />
-Addetto strutture gonfiabili<br />
-Spettacoli in costume<br />
-Megabolle<br />
(…)<br />
No, non so fare „ste cagate e „ste cagate non voglio nemmeno imparare a farle. Scorro<br />
speranzoso che l‟incedere sia un progresso verso argomentazioni più inerenti alla sfera<br />
organizzativa, mia ultima spiaggia ora che sono sceso ben oltre la metà del foglio. Ma ciò<br />
che trovo sono solo menzioni riguardanti attività pseudo artistico-intrattenitive ai confini<br />
dell‟immaginazione. Una soprattutto mi stupisce e decido che tra gli obiettivi della giornata<br />
c‟è anche quello di scoprire di cosa si tratti:<br />
-Finto cameriere<br />
Di stranezze se ne sentono, ma il finto cameriere mi giunge nuovo e soprattutto trovo<br />
stupefacente che sia una figura con una richiesta, cioè che ci sia una domanda da parte<br />
della clientela alla base. Anche senza saperne niente ora come ora, di presupposto<br />
facessi mai il finto cameriere pretenderei di essere pagato più di un non–finto cameriere (o<br />
“cameriere vero” come di certo pretenderanno si dica i rompicoglioni contro le<br />
discriminazioni) in virtù della qualifica aggiuntiva che potrei vantare. Giustamente.<br />
Ormai sul finire della compilazione entra nella stanza un‟altra candidata, agitata poiché in<br />
ritardo, talmente nel panico da rivolgersi a me e Vapo convinta fossimo i titolari. Nel giro di<br />
altri dieci minuti ne sopraggiunge un‟ulteriore. Fattasi ormai una cert‟ora, rientra<br />
l‟impiegata seguita da una collega. S‟inizia col colloquio e capisco quindi che quelle non<br />
sono impiegate ma dirigentelle. O forse no, per selezionare una tale gamma di figure<br />
professionali sarebbero sufficienti anche solo due impiegate, quindi il dubbio permane.<br />
105
Peccato per le bariste comunque assenti, perché sul finto cameriere credo avrebbero<br />
avuto l‟occhio più di altre.<br />
Si comincia con l‟introduzione di rito sull‟azienda e prende parola solo una delle due,<br />
definiamole, “selezionatrici”, quella più cozza. L‟altra si siede sul mobiletto direttamente<br />
alle mie spalle, con me a buttarle l‟occhio ogni tanto grazie ad una vetrinetta che ho di<br />
fronte e in cui la vedo riflessa. E‟ anche carina d‟aspetto, ma già una che si piazza muta su<br />
un mobile e lascia penzolare le gambe come una bambinetta annoiata ad un pranzo coi<br />
parenti perde credibilità. Poi messa ad un colloquio come selezionatrice finisce per<br />
smolecolare l‟immagine dell‟azienda. O per svelarne l‟essenza, ragionamento più sottile.<br />
Entra il solito ritardatario, siparietto classico di ogni colloquio, singolo come di gruppo, ma<br />
essendo fortunatamente solo ai preamboli si evita la pappalardata del “ricominciamo”.<br />
Con le labbra sporche di cioccolato e una cornice d‟acne a guarnire, la cozza comincia ad<br />
addentrarsi nel succo delle mansioni per cui l‟azienda ricerca personale. Io che già avevo<br />
un mezzo dubbio, ora ho la certezza di non avere nulla da spartire. Ciononostante evito di<br />
chiamare time-out e andarmene, sebbene attratto dalla possibilità in termini di risparmio di<br />
tempo, dovendo incontrare un amico categoricamente prima di cena.<br />
E via che si parla di eventi ai centri commerciali, quiz a premi per le famiglie coi carrelli<br />
pieni del sabato pomeriggio, mascheramenti da gnomo o da renna quando arriva Natale e<br />
chi più ne ha -di stronzate- più ne metta. Un delirio reso ancor più barocco dalle fragorose<br />
risate della cozza, le battute da “simpa della cumpa” del ritardatario, gli animali fatti con<br />
palloncini fottutamente stridenti e imitati in maniera imbarazzante da una delle due<br />
ragazze presenti e la topica richiesta: «Ah, specificate sul foglio se siete disposti a vestirvi<br />
o no».<br />
Impassibili di fronte a tutto solo io, la selezionatrice alle mie spalle sempre sul mobile a<br />
ciondolar le gambe e il simil-Vaporidis. Ma in me ribolle un tumulto interiore che contengo,<br />
poi contengo e non contengo, e alla fine non contengo: con la cozza che saltella e<br />
gesticola a mille, l‟impanicata di fronte che mi accorgo assomigliare in maniera clamorosa<br />
a Pollon e le cazzate che volano come UFO in Arizona, sono sulla soglia del non ritorno,<br />
con già i muscoli facciali ipercontratti e una mano davanti alla bocca nel tentativo di<br />
conservare una parvenza d‟interesse e serietà. Ma mi autoinfliggo il colpo di grazia,<br />
degenerando in pensieri perversi su come potenziare il servizio dell‟azienda in merito alle<br />
feste di compleanno, vedendomi già contattare le peggio pornostar per farle bussare alla<br />
porta vestite da poliziotte, oppure offrendo a costo zero un paio d‟amici di quelli sempre<br />
allupati per party piccanti per donne negli “-anta”.<br />
Sicché sbotto. Ma sbotto potente, con le guance che mi si gonfiano alla Louis Armstrong e<br />
il corpo che si protende in avanti per far suonare una di quelle risate che raschiano gola e<br />
palato e si spiaccicano in faccia a chi hai di fronte. Mi salvo in calcio d‟angolo grazie<br />
all‟involontario e perfetto tempismo della cozza, la quale mi precede di un soffio nel<br />
cacciare una battuta. Quindi, in mezzo secondo che noto solo io, si finisce col credere la<br />
mia risata dovuta alla sua strabordante simpatia. In realtà i motivi sono ben altri, e meriti e<br />
colpe vanno attribuiti alla mia mente, la quale ha cominciato a funzionare come palliativo a<br />
quest‟ora agroassurda, irrorandomi di immagini tra il ludico e il sadico per non lasciarmi<br />
preda facile dello sconforto.<br />
In un‟ulteriore manciata di lenti minuti salta fuori che prima di essere resi operativi è<br />
obbligatorio seguire un corso di formazione in partenza l‟indomani e della durata di un paio<br />
di settimane, il cui primo step sarà la manipolazione dei palloncini e il secondo<br />
l‟illustrazione delle dinamiche aziendali e del trattamento lavorativo. Il dilemma che mi<br />
assale è se alle spalle di ciò vi sia una logica aziendale di fatto illogica o se il forgiare<br />
pseudo-barboncini e farfalle da pezzi di gomma gonfiabili sia effettivamente un‟arte tanto<br />
essenziale quanto delicata, la cui iniziazione è perciò da intendersi priorità assoluta. Come<br />
106
se non bastasse, ci viene detto che una volta terminato il corso sarà necessario fare «una<br />
o due giornate di affiancamento a titolo gratuito, per vedere se il lavoro vi piace». Lavoro,<br />
tra l‟altro, da quello che scorgo spulciando l‟opuscolo appena consegnatoci, pagato<br />
mediamente altro che settanta Euro: dieci o quindici in meno e per giunta lordi, con<br />
rimborsi pasto in caso di tour a stento sufficienti per comprare una scatoletta di Whiskas o<br />
un osso di seppia se e venerdì. Sentendomi in un‟altra galassia rispetto alla causa, mi levo<br />
lo sfizio di scrutare pietosamente le facce degli scemi che per un lavoro del genere si<br />
prostreranno alla trafila, per poi finire fra quasi un anno in un centro commerciale camuffati<br />
da elfi, sognando un posto da Babbo Natale con gli scatti d‟anzianità. Per la serie “I have a<br />
dream”.<br />
Cala a questo punto un fatidico attimo di silenzio, il gong muto di ogni incontro mal gestito.<br />
Non c‟è più niente da dirsi e ci si guarda tutti in faccia per un istante. Con un «Bene…è<br />
abbastanza. Chi vuole ora può andare» la cozza decreta la fine dell‟incontro. Io, tutto in<br />
dieci secondi, do un occhio agli altri che non accennano a muoversi, decido di essere colui<br />
che romperà il ghiaccio –sempre perché quello vestito meglio-, rimetto il tappo alla biro<br />
usata per compilare il modulo e dopo un cenno d‟intesa, l‟unico che la cozza possa<br />
ottenere da me nel suo intero decorso esistenziale, saluto con una stretta vigorosa, un<br />
ciao bello marcato e me ne vado.<br />
Sul mio questionario, come da richiesta, la specificazione: disponibile a vestirsi.<br />
Perché anche se alla canna del gas, certe cagate farle nudi è davvero troppo.<br />
Appendice<br />
Per quanto riguarda il finto cameriere, tra un discorso e l‟altro nell‟ultima fase del colloquio<br />
sono riuscito a far cantare la nostra cara amica col cacao sotto i baffi: «Il finto cameriere è<br />
uno che va ai matrimoni o ai compleanni o alle feste e a volte il cliente ci chiede di non dire<br />
nulla, altre volte alla fine viene svelato tutto. Comunque lui va e deve far finta di non saper<br />
fare niente, tipo rovesciare tutto o non capire mai le cose, sbagliare, fare confusione o<br />
robe strane. Una volta ad esempio ce n‟era uno che si era messo a versare il vino con un<br />
colino sotto e tutta la gente che lo guardava come dire “Ma questo che cacchio fa?!”.<br />
Divertentissimo, perché quando poi ad un certo punto si svela che era tutta una finta,<br />
allora spesso e volentieri diventa il beniamino della serata, con tutti che gli fanno i<br />
complimenti, lo invitano a sedersi e ridono “Ha-ha-ha”. Se invece i clienti decidono che<br />
non si deve sapere niente, allora la cosa rimane segreta e tutti poi vanno a casa dicendo<br />
“Oh, ma hai visto quello là cosa combinava?! Ma dove siamo finiti?! Ma che gente c‟è in<br />
giro?! Robe da pazzi!”. Quindi un lavoro un po‟ così, dove tutti ridono perché combini delle<br />
cose che non stanno né in cielo, né in terra…divertentissimo!»<br />
Già, infatti, divertentissi-issi-missimo. Purtroppo però la faccia non si cambia come la<br />
cover a un Nokia. Se vuoi sputtanarti la sola che c‟hai, fallo te, va‟…<br />
107
21<br />
STRATEGIA ISLAM<br />
Raccontare ieri sera ai miei come sia andato il colloquio ha smosso del magma. La<br />
differenza che ho notato nei loro occhi su una vicenda che normalmente più che ilarità non<br />
dovrebbe causare mi ha fatto capire una cosa: qui è passato tempo. E‟ passato tempo e<br />
anche loro cominciano ad interrogarsi. Le disavventure non fanno più così ridere, a tre<br />
mesi circa dall‟anniversario di laurea.<br />
Particolarmente scosso è mio papà a quanto sembra, visto che mentre estraggo dalla<br />
pentola due piatti di pasta al burro in questo mezzogiorno per soli uomini, lo vedo cercare<br />
in tasca finché non salta fuori un biglietto scritto a penna. La sua calligrafia, un numero di<br />
telefono e un nome: Gabriella Ronchi.<br />
«E‟ la direttrice della Conferlegno. La sede è qui in zona, a dieci minuti»<br />
«Roba seria o che?». Dopo ieri mi si permetta lo scetticismo.<br />
«Sì, ehm, sì…». E‟ in imbarazzo, forse il mio tono è stato troppo caustico. «Parliamo del<br />
consorzio più grande d‟Italia per le aziende che trattano legname»<br />
«Bel colpo allora, grazie! Com‟è saltato fuori „sto contatto?»<br />
«La Ronchi la conosco da anni, dove lavoravo prima era di casa. Anche adesso<br />
comunque la si vede spesso venire a parlare coi capi».<br />
«In che maniera mi devo porre con lei, quindi?»<br />
«Beh, come hai già fatto con gli altri tizi: da un lato puoi dire dell‟idea dei servizi linguistici<br />
per fiere eccetera, dall‟altra tieni conto che puoi anche chiedere se sa di qualcuno alla<br />
ricerca di un laureato con determinate caratteristiche. Rappresentando la Conferlegno<br />
conosce tutti, ma davvero tutti»<br />
«Allora pomeriggio la chiamo. Promette bene!».<br />
Sono contento che mio papà abbia preso questa iniziativa. Mi sento orgoglioso, questo<br />
contatto lo considero come un regalo. Un po‟ mi sento anche preso per il culo a dir la<br />
verità, come ad aver ricevuto un pacchetto che giaceva nell‟armadio da mesi. Non potevi<br />
darmelo prima?<br />
Meglio che mai, comunque. Ora metto un po‟ di grana sulla pasta e il mio piatto forte va<br />
giù che è un piacere, un massaggio allo stomaco per entrambi. «Oh pa‟, comunque<br />
guarda che se „sta tizia mi dice di chiamare il Pagani, io la sfanculo al volo!». Risata. Mio<br />
padre è bene al corrente di chi si stia parlando e sebbene oggi lo si canzoni e basta non<br />
era così in passato, quando il dottore degli arricchiti gli aveva promesso un posto di lavoro.<br />
Una vicenda complicata, con l‟ex principale di mio papà che muore durante una scalata<br />
sulla Grigna, la ditta a conduzione familiare allo sbando, il Pagani che si propone di ritirare<br />
tutto ma poi prende solo il legname a prezzo stracciato e si rimangia la parola sul<br />
mantenere la sede e assumere i tre operai. In poche parole entrò dal cancello come<br />
samaritano e ne uscì da sparviero. Non ho mai portato l‟argomento sulla pubblica piazza,<br />
ma sono comunque sei anni che evito accuratamente di metter piede in casa di Carlotta e<br />
di presenziare alla classica grigliata estiva foraggiata da Mister Miliardo. Pensino quel che<br />
vogliono, frega un cazzo. E il Pagani ringrazi il suo dio che mio papà abbia trovato molto in<br />
fretta un altro posto, altrimenti lo sarei andato a prendere per il bavero in quel bar dove<br />
ogni sera fa la star dei Campari offerti. Rispetto ai più anziani un paio di coglioni, con noi<br />
che stavamo pagando il mutuo e io che costavo pure la retta di quel diamine di linguistico<br />
che tanto avevo desiderato.<br />
Un buon pranzo, un paio di risate con mio papà, ma tutta questa storia a riproiettarsi<br />
dentro la mia testa. Sottofondo lieve e fastidioso, come una TV a mezzo volume che,<br />
anche se non lo vuoi, capta la tua attenzione più di chi hai di fronte.<br />
108
Aspetto metà pomeriggio e lancio la chiamata. Ne esce un appuntamento per domani. Mia<br />
mamma rincasa che ormai è ora di cena ed ecco una seconda novità. Davvero si vede<br />
che ieri sera li ho allarmati come mai prima.<br />
«Ho pensato a una cosa»<br />
«Cosa?»<br />
«C‟è questa signora che viene in ambulatorio da diverso tempo. E‟ una che lavora in una<br />
grossa azienda di arredamento qui in zona. Facendo due chiacchiere oggi le ho accennato<br />
di te che ti sei laureato e stai cercando lavoro»<br />
«Arriviamo al dunque». Con mia mamma è sempre necessario invitare a stringere.<br />
«Insomma, mi ha detto che se vuoi puoi farle una telefonata»<br />
«Bene!»<br />
«E io le ho detto che l‟avresti chiamata stasera alle nove»<br />
«Eh?! Mamma, io stasera alle nove sarò da Daniele nel mezzo dei lavori. In studio da lui il<br />
cellulare nemmeno prende!».<br />
Ne esce una discussione accesa, col mio destino comunque segnato fin dalla prima parola<br />
senza che nessuno me lo ripeta. Non mi resta che fare uno squillo a Daniele, spiegare la<br />
situazione e annullare, manovra che mi dà un fastidio immane sia per quello che avevo<br />
programmato di concludere, sia per il bidone che gli devo tirare. Manco avessi un<br />
colloquio con Bill Gates. Ah, e il nome di questa tizia?<br />
«Non lo so», dice mia mamma.<br />
«Stai scherzando?»<br />
«Ehm…Giardi, il marito di cognome fa Giardi»<br />
«Ma lei come si chiama?!»<br />
«Signora Giardi».<br />
Oltre la serata guastata, ora mi tocca pure essere incerto sul nome della persona a cui<br />
devo presentarmi. Mentre sbollisco l‟incazzatura e guardo un TG si fanno le nove.<br />
«Buonasera signora Giardi, sono <strong>Matt</strong>ia. So che si era messa d‟accordo con mia mamma<br />
affinché la chiamassi stasera». Affinché. Forbitissimo. Bella partenza.<br />
«Ah, ciao <strong>Matt</strong>ia!». Suona disponibile. «Dimmi pure, stai cercando lavoro mi diceva tua<br />
mamma, vero?»<br />
«Sì signora, le spiego, la situazione è la seguente: la scorsa primavera mi sono laureato, il<br />
mio percorso di studi è sempre stato improntato sulle lingue straniere fin dalle scuole<br />
medie e ne parlo quattro»<br />
«Ah però, complimenti. Quali?»<br />
«Inglese, tedesco, francese e spagnolo»<br />
«Cinese o russo niente?»<br />
«No…almeno non per ora». Quasi mi sento in colpa.<br />
«Peccato, peccato. Comunque, mi dicevi?»<br />
«I miei studi universitari hanno contemplato anche una base di materie economiche e<br />
giuridiche, come anche una buona dose di materie umanistiche»<br />
«Marketing l‟hai fatto?»<br />
«No, non era in programma. Ho fatto Economia Aziendale e Economia Politica»<br />
«Ah…e quindi, in sostanza, tu cos‟è che vorresti fare?». Questa conversazione comincia a<br />
farsi spigolosa.<br />
«Allora, sinteticamente: io vorrei fornire servizi linguistici alle aziende, ad esempio per le<br />
fiere, da libero professionista; oppure accetterei volentieri anche un posto come, diciamo,<br />
esperto linguistico aziendale o qualcosa di simile. Rendo l‟idea?»<br />
«Accetteresti una posizione come junior account?»<br />
109
«Ehm…dipende un po‟ dalle specifiche». Mi cavo fuori dal guano così, facendo il finto<br />
selettivo. Junior che?<br />
«Saresti disposto a partire?»<br />
«Tendenzialmente sì, poi dipende sempre». Non dalle specifiche, stavolta.<br />
«Perché il nostro CEO sta costituendo un team per tre nuovi sales point negli States».<br />
«Ah, interessante»<br />
«Ed eventualmente ti potrei far presente per quello di Los Angeles»<br />
«Fantastico! Ma tutto questo, all‟incirca, in quanto andrebbe in porto?»<br />
«Se piaci all‟HR senior partiresti fra due settimane».<br />
Come a prendere un vetro in bicicletta. Gomma che sfiata, fine del giro.<br />
Va bene la gavetta, la flessibilità e Los Angeles. Ma qui ho un programma radio per cui mi<br />
sono dato da fare per anni, un disco ormai pronto dopo infinite acrobazie e tutta una serie<br />
di altre piccole e meno piccole cose. Andare negli USA fra due settimane e chiudere di<br />
botto? Stavolta lo dico deciso: no. Ho preso impegni con me stesso e con altri, non posso<br />
uscir di scena in questa maniera.<br />
Con molta educazione ringrazio la signora Giardi, spiego che in questo preciso momento<br />
non me la sento di puntare su un cambiamento così drastico e la telefonata si conclude.<br />
Rimaniamo che mi ricontatterà nel caso si presentassero opportunità presso la casa<br />
madre in Brianza, ma il tono di voce mi fa capire che non ci sentiremo più. Chissà, magari<br />
s‟aspettava andassi almeno a colloquio, o forse il mio tono non è stato dei più gratificanti<br />
di fronte a una chance per la California. Chissà. Io comunque credo di essermi comportato<br />
correttamente nel dichiarare ci fosse subito un problema per me insormontabile. L‟ho fatto<br />
con buone intenzioni, tanto per non far perdere tempo a lei ora che sono le nove e mezza<br />
di sera, quanto per non far perdere tempo al resto dell‟entourage nell‟esaminare la mia<br />
candidatura come junior account (junior che?).<br />
Sebbene il programma della serata mi sia saltato per un nulla di fatto, sono grato a mia<br />
mamma. Voleva aiutarmi.<br />
Mi monta progressivamente un senso di difetto per aver lasciato cadere la proposta, per<br />
non aver anteposto il lavoro a tutto come di costume fra i lombardi. E‟ qualcosa di talmente<br />
radicato nel DNA di queste latitudini che seppure il cuore mi confermi di aver fatto la scelta<br />
giusta, in questo momento mi sento dannatamente biasimabile per non essermi immolato<br />
sull‟altare del lavoro. E se non ricevessi altre proposte per chissà quanto? E se questa<br />
fosse stata la svolta? E se, e se, e se. Avanti così anche dopo aver riportato il succo della<br />
conversazione a mia mamma e averla vista sospirare, non per incolpare me ma perché di<br />
fatto ne è andata buca un‟altra. Io mi ritiro in camera, i post-it mi ricordano che devo<br />
ultimare un articolo per il magazine e la traduzione di un‟intervista per la radio, ma fra<br />
l‟abbattimento e il nervoso che mi vibrano in testa non posso fare altro che mettermi a<br />
letto, spegnere la luce e tirare silenziosamente l‟indomani.<br />
Altro giro, altra corsa. Dopo una notte a rivoltarmi nel letto è ora la mattina di Conferlegno.<br />
Non sono uno che carbura presto ed avere un appuntamento prima delle dieci non gioca a<br />
mio favore. Ad ogni modo faccio il mio ingresso puntuale, forte del mio solito look casual, e<br />
incontro questa donna sulla sessantina che mi si presenta solo per cognome: «Piacere,<br />
Ronchi». Io invece uso il nome.<br />
Il posto non è grande, tutto si svolge in un centinaio di metri quadri, ma l‟ufficio della<br />
Ronchi ne prende quasi la metà. Ho anche io una comoda sedia sulla quale adagiarmi e<br />
passare alla consueta introduzione. Lei mi ascolta con però quel fare di chi ha già in<br />
mente quello che ti vuole dire, e quando prende parola mi fa ben capire che non sia la<br />
prima volta che qualcuno le si rivolge in cerca di un‟idea, un contatto, un dirottamento<br />
verso aziende facenti capo al suo consorzio. In particolare mi descrive le situazioni di tre<br />
110
persone che tramite lei hanno trovato spazio in tre delle più importanti aziende della zona.<br />
Capisco chiaramente che qui in giro funzioni così: le interinali servono a poco se non a<br />
grattare il fondo sottopagati, seminare CV a spaglio è un massimo sforzo da minimi<br />
risultati e quindi è evidente che la via sia quella di essere presentati da qualcuno. Non si<br />
tratta di essere raccomandati, si tratta di essere segnalati: se la Ronchi alza il telefono e<br />
parla di me ho sicuramente molte più possibilità che a sollevare io la cornetta o a<br />
recapitare un‟e-mail al medesimo destinatario. Pur se ci fosse l‟identico bisogno di avere<br />
uno come me a bordo, tramite la Ronchi le probabilità di successo s‟impennano. Anche se<br />
di fatto non mi conosce e potrei essere qui a condirla d‟aria fritta. Lei conosce mio papà e<br />
tale fattore mi ha portato in questo ufficio, qualcun altro conosce lei e tale fattore mi può<br />
portare in un altro ufficio. E così via, perciò sta tutto nell‟avere la fortuna del beccare<br />
l‟anello di congiunzione migliore passo dopo passo. In base a ciò, il prossimo livello della<br />
mia strategia dovrebbe essere andare a spremere tutti, dagli zii ai vicini di casa, per far<br />
saltare fuori l‟amico degli amici che conosce Tizio e Caio. Peccato che con mosse del<br />
genere io sia rimasto più che scottato proprio col primo lavoro, reperito ai tempi del liceo<br />
tramite mia mamma che parlò a mio zio, mio zio che parlò alla sua futura sposa e la futura<br />
sposa che parlò a dei suoi conoscenti: il tutto per passare mezza estate a sentirmi<br />
epitetare nelle maniere peggiori del vocabolario brianzolo e subire alla fine anche lo<br />
smacco di una retribuzione minore di quelle da semaforo. Un dramma che ebbe l‟ultimo<br />
atto proprio al pranzo di nozze di mio zio, dove con poche ma mirate parole freddai il mio<br />
schiavista, giunto al tavolo per la beffa estrema: «Ué <strong>Matt</strong>ia, allora, li ha già finiti tutti i<br />
soldi?». E credeva di far ridere, invece lo rimandai al posto con la coda fra le gambe e la<br />
faccia paonazza. Mio zio e sua moglie, a posteriori informati di quello scambio di freddure,<br />
addirittura si mostrarono in disappunto per la mia reazione. Invece di ringraziarmi per non<br />
aver trasformato il ricevimento nuziale in un film di Bud Spencer.<br />
Capii molte cose da quella vicenda, fra cui il rischio del coinvolgere parenti e compari nelle<br />
mie ricerche di lavoro. E chissà se per pura sopravvivenza tale rischio mi troverò costretto<br />
a doverlo correre di nuovo. Già ora che i miei genitori si sono messi in mezzo mi sento<br />
come a maneggiare vetro soffiato.<br />
La Ronchi procede con parecchie divagazioni professionali, interessanti in sé ma del tutto<br />
accessorie all‟incontro. Dopodiché, avendo di fronte una persona coi tentacoli su un<br />
numero molto alto di aziende, comincio spiegando la mia proposta dei servizi per fiere,<br />
congressi, traduzione ed interpretariato, eccetera. «Non lo so, <strong>Matt</strong>ia. Ormai si fa tutto in<br />
inglese e l‟inglese lo sanno tutti», mi sento dire. Mi permetto di obiettare.<br />
In primo luogo, se solo ieri sera mi è stato chiesto se avessi studiato cinese o russo vuol<br />
dire che non c‟è esigenza di parlare solo l‟inglese. Non che non lo sapessi già, perché s‟è<br />
visto ampiamente in fiera e in mille ulteriori situazioni quanto non si viva solo di quello. E<br />
poi l‟altra grande fandonia è che tutti conoscano l‟inglese: tutti conoscono due parole<br />
d‟inglese, ma già doverle mettere assieme sensatamente taglia fuori metà della<br />
popolazione. Figuriamoci quel che viene poi.<br />
Chiaramente la Ronchi si becca la versione cordiale della mia opinione, ma se la sua è la<br />
voce dell‟industria del legno italiana siamo messi maluccio. Avrebbero così bisogno d‟aiuto<br />
da non rendersene nemmeno conto, ma mentre continuano senza volerci sentire da<br />
questo orecchio la mia utilità non viene compresa. E senza pagnotta ci resto io prima che<br />
loro.<br />
Promessa un‟e-mail con curriculum in PDF e un riassunto «su questa tua idea dei servizi»<br />
che si è già capito non andrà da nessuna parte, sulla via di casa decido di completare il<br />
tour di Maometto che va alla montagna con un‟improvvisata all‟associazione degli artigiani<br />
dell‟ex-legnamé Minotti. Altro giro, altro consorzio.<br />
111
Ci ricavo un caffè e poco più. Fa sempre bene rinfrescare la memoria alla gente ma<br />
adesso come adesso non c‟è nulla da mungere. «In caso di bisogno ti abbiamo in mente<br />
eccome, Colombo. Non ci sono tante persone come te qui in giro a parte le due interpreti<br />
con cui collaboriamo da anni». Maledetta madre natura, m‟hai fatto troppo giovane. E<br />
tantomeno le tue montagne vengono a me.<br />
A casa adesso, in tempo per metter su la pasta al burro. Per tutti e tre stavolta.<br />
Messaggio di Daniele: «Se stasera vuoi passa in studio, sono libero». Avanti: a questa<br />
montagna ci vado e me la prendo.<br />
112
22<br />
CIAK, SI GIRA<br />
Grande tour stamattina: vasca fino in Porta Genova a Milano, dopodiché vasca all‟indietro<br />
verso il set. Finalmente ci siamo, nelle ultime due settimane il disco è stato ultimato e oggi<br />
si gira il video del singolo. A pochi minuti dal mio debutto di fronte agli obiettivi non ho per<br />
nulla il fare spavaldo da star. Sono infatti preoccupato di arrivare con le occhiaie per colpa<br />
di questo sforzo mattutino e firmare il mio debutto con una faccia da Zio Fester.<br />
Ore otto e quindici dell‟ultimo sabato di gennaio, quattro frecce in sosta vietata e mano che<br />
sventola verso il primo elemento da recuperare. Cellulare che mi squilla dopo un attimo e<br />
aggancio la seconda persona. Inversione a “U” cento per cento illegale, strombazzata a<br />
dei pedoni troppo sicuri dei propri diritti sulle strisce e via rapidi verso la superstrada. Con<br />
me a bordo A.B. e Guenda, rispettivamente il soul-singer underground più versatile dello<br />
Stivale e una giovane fotomodella studentessa di recitazione. Il primo lo conosco da un<br />
paio d‟anni e oggi è presente in virtù della partecipazione ai ritornelli; la seconda invece mi<br />
conosce di persona da meno di due minuti, semaforo arancione incluso, ed è forse bene<br />
che sollevi il piede dall‟acceleratore prima che mi chieda di farla scendere.<br />
Come cavalieri d‟altri tempi, io e A.B. facciamo il necessario per coinvolgere Guenda e<br />
farla sentire da subito parte della ciurma. E‟ stata molto gentile ad accettare la mia<br />
squattrinata proposta, nonché estremamente corretta nel presentarsi stamattina.<br />
Sinceramente era l‟aspetto che più mi preoccupava, ma ora che è sul sedile posteriore<br />
posso tirare un sospiro di sollievo. Per ringraziarla alla mia maniera, rispondo al suo<br />
«Allora, avevo tanta concorrenza?» con un pittoresco resoconto del “Cercasi ragazza<br />
acqua e sapone per videoclip musicale” lanciato poco prima di Natale nei forum delle<br />
università milanesi.<br />
«Guenda guarda, ti dico solo che mai più metterò un titolo del genere a un annuncio»<br />
«Perché?!»<br />
«Perché ho scoperto quanto il concetto di ragazza acqua e sapone sia “flessibile” per<br />
l‟universo femminile»<br />
«Hai ricevuto tante risposte all‟annuncio?»<br />
«Il punto non è quante, ma che tipo»<br />
«Racconta!». Ci sta prendendo gusto.<br />
Quel che ho testato è che non esiste ragazza sul globo terracqueo che non si reputi acqua<br />
e sapone. Dal fenotipo Gerini-Jessica di “Viaggi di nozze” lo si è fatto strano fino a<br />
candidature dimostranti quanto la variegata umanità dei provini dei reality non sia<br />
l‟invenzione di perversi autori. E le foto inviatemi, poi: cresime, comunioni, fuori fuoco,<br />
controluce, dimensioni da icone sul desktop e via discorrendo. Di tutto.<br />
«Per questo, Guenda, che alla fine ho avuto pochi dubbi. Sinceramente parlando eravate<br />
in lizza tu e un‟altra ragazza emiliana che studia qui. Siete state le uniche a presentarvi<br />
nella dovuta maniera e a farmi avere foto che si potessero chiamare tali. Lascia perdere<br />
che fossero scatti da book perché effettivamente entrambe fate le modelle, ma la<br />
differenza di base è stata potermi fare un‟idea di che persone foste. Negli altri casi c‟è<br />
mancato solo che m‟arrivasse qualcuna immortalata in immersione con la muta da sub».<br />
Ora le devo un complimento: «Vi ho incontrate entrambe, tu e quest‟altra ragazza, ma alla<br />
fine ti ho scelta perché mi hai fatto subito capire che saresti venuta a letto con me». Un<br />
secondo di silenzio. Risata mia e di A.B. ed ecco che dopo averla vista nel retrovisore<br />
sgranare gli occhi e impallidire, Guenda capisce la mia voglia d‟ilarità e si lascia andare.<br />
Iniziazione ultimata, ora è davvero parte di questo team. Passando al serio le dico che la<br />
vera differenza è la sua esperienza con la recitazione, garanzia di avere di fronte una<br />
113
persona con diverse modalità d‟espressione e che soprattutto non diventi un blocco di<br />
ghiaccio davanti alle macchine da presa. Proprio per questo aspetto ho evitato di<br />
coinvolgere Mari, per la quale comunque i weekend sono problematici da gestire visto che<br />
anche oggi lavora. Abbiamo giusto fatto in tempo a passare un paio d‟ore assieme ieri<br />
sera che era il mio compleanno, ma abbiamo dovuto chiudere sul presto visti gli impegni<br />
mattutini. E a proposito di compleanno, le due crostate che ho nel bagagliaio rischiano di<br />
essere andate in briciole grazie alla mia guida stile Bo & Luke. Me n‟ero del tutto<br />
dimenticato, impreco fra me e me arrivando a destinazione.<br />
Giro di presentazioni varie e c‟è tempo anche per un bel caffè mentre aspettiamo il<br />
cameraman e l‟aiuto regista. Max è il capo delle operazioni e la sua compagna Elisa cura<br />
gli allestimenti grazie ad un occhio da artista e uno da donna, fattore sempre<br />
fondamentale. Scopro con piacere che il borsone coi miei cambi ha fatto da cuscino alle<br />
torte, ancora commestibili.<br />
Tempo un quarto d‟ora e ci siamo tutti. Giù una fetta di crostata a testa con tanti auguri a<br />
me da parte della truppa, quindi Max e il suo braccio destro Nicola svelano il piano<br />
d‟azione: ci gestiremo fra un ambiente neutro, lo stesso appartamento in cui ci troviamo<br />
ora e un parco a cinque minuti d‟auto. Mentre Guenda viene lasciata in standby a sfogliare<br />
Cosmopolitan e a far due chiacchiere con Elisa, io e A.B. veniamo condotti in uno spazio<br />
di una ventina di metri quadri completamente bianco. Ci siamo, il pezzo parte in sottofondo<br />
ed è ora che sfoderi le mie migliori espressioni. Mezz‟ore di prove davanti allo specchio,<br />
facce cool e facce da culo, ricordarsi una mimica e ricordarsi di evitarne un‟altra,<br />
all‟occorrenza anche video col cellulare per avere l‟idea del piccolo schermo. L‟ultima<br />
settimana l‟ho passata così, sentendomi ripetutamente un deficiente ma in qualche modo<br />
convinto che passarci attraverso fosse lo scotto da pagare per non bucare lo schermo con<br />
smorfie da ebete. In realtà, finché il video non sarà ultimato non c‟è verdetto. Speriamo<br />
bene.<br />
Ciak dopo ciak dopo ciak passiamo all‟appartamento, dove entra in azione anche Guenda,<br />
infine con due auto ci dirigiamo al parco, location più critica in quanto soggetta alla luce<br />
naturale e soprattutto a qualche possibile curioso. Troviamo un buon angolo di prato con<br />
alberi e, a parte un paio di riprese fermate per cani sguinzagliati e un pensionato<br />
ficcanaso, tutto fila liscio. E‟ una bella giornata, soleggiata e pure clemente nella<br />
temperatura per essere fine gennaio. Niente condensa quando respiriamo, niente guance<br />
rosse, solo Guenda soffre una minima il freddo e quando si ricontrolla il girato le devo dare<br />
il mio giubbetto. Per scelta d‟immagine abbiamo preferito non imbottirci con cappotti e<br />
piumini, optando per uno stile primo-primaverile che però in alcuni momenti mette in<br />
difficoltà lei che è più freddolosa.<br />
Col calar del sole rientriamo alla base, riguardiamo tutte le riprese della giornata e per mio<br />
sollievo non sembro avere piazzato contorsioni maxillofacciali da Spud di “Trainspotting”.<br />
Prendendo in giro Guenda millantando una necessaria scena di nudo, optiamo per<br />
sfruttare anche la domenica in modo da avere più materiale possibile e soprattutto il<br />
contributo di un ulteriore cameraman.<br />
Sbriciolando avanzi delle mie crostate, passiamo ai saluti e ci diamo appuntamento<br />
all‟indomani. Io, dopo aver riaccompagnato non in Porta Genova ma direttamente a casa<br />
sia A.B. che Guenda, opto per rientrare, cenare leggero e dirigermi a letto. Devo riposare<br />
la pelle. Santo cielo, ho già manie da teen-idol.<br />
Comunque bella giornata. Buona la prima.<br />
Otto e un quarto ancora, Porta Genova ancora, ma senza quattro frecce. A.B. mi salta in<br />
macchina con un cappuccino del take-away e sprofonda nel sedile. Scruto l‟orizzonte<br />
calmo della domenica mattina. Due minuti, tre minuti, quattro minuti. Io fuori dalla<br />
114
macchina, cellulare che parte per raggiungere l‟orecchio. Neanche il tempo che A.B.<br />
finisca la domanda che io sono già nel panico.<br />
“Ma a che or..”<br />
“Porca puttana, ha il cellulare staccato!”<br />
“Cazzo…casa ce l‟hai?”<br />
“Ovvio che no. L‟unica è tentar da Internet, alla disperata”<br />
“Allora chiamo Marta a casa e glielo dico. Hai la mail o andiamo di Facebook?<br />
“Facebook. La mail era strana, non me la ric…”. Chiamata in entrata.<br />
“<strong>Matt</strong>ia ciao, sto uscendo adesso, scusa”<br />
“Mannaggia Guenda, m‟hai fatto perder tre anni di vita! OK comunque, quanto ci metti?”<br />
“Venti minuti”<br />
“Dai, d‟accordo. Non fermarti a guardar vetrine, mi raccomando”.<br />
Mentre recupero gli anni persi dallo spavento andando anch‟io a prendermi un<br />
cappuccino, chiamo Max per avvisarlo del ritardo. Errore: Max stava ancora dormendo.<br />
Beh, buongiorno signor regista, tu ed Elisa avete giusto il tempo di docciarvi e far<br />
colazione prima che arriviamo.<br />
Passa un‟ora e ci siamo. Citofoniamo e si entra. All‟appello mancano ancora i due<br />
cameramen, quello di ieri e quello nuovo. Mentre Elisa commenta con Guenda alcune<br />
riviste di design sorseggiando un caffè, A.B. fa ascoltare a Max qualche suo pezzo<br />
discutendo di possibili video. Mi fa piacere esser il trait d‟union fra due persone così<br />
talentuose: Max può ottenere più esposizione oltre che ulteriori entrate, A.B. video ben fatti<br />
a costi contenuti. Io invece ho l‟occasione di fare due chiacchiere con Nicola, che si è<br />
rivelato essere più un regista in seconda che solo un assistente. Ci conoscevamo già per<br />
vie traverse, perché anche lui fa il mio stesso genere di musica e ha pure una buona<br />
nomea. Parliamo però di lavoro e tocca a me svelare la prima carta, con panoramica sul<br />
casino generale dell‟essermi laureato già da un bel pezzo ma trovarmi ancora<br />
praticamente a spasso. Farcisco la pietanza con racconti di fiere e di reception, tenendoci<br />
a sottolineare –più per me stesso che per il mio interlocutore- quanto le seconde mi<br />
servano solo come tampone. Si ride un po‟, ma l‟umorismo termina quando è la sua volta<br />
di vuotare il sacco. Non mi è chiaro se si sia diplomato o se gli manchi pure quel pezzo di<br />
carta, ma sapendo che negli ultimi anni ha vissuto a Perugia credo sia più plausibile che ci<br />
sia andato per scopi universitari variati nel mezzo. Di due cose sono comunque sicuro:<br />
Nicola non è laureato, ma Nicola è un ragazzo in gamba. Non che per essere in gamba si<br />
debba avere una laurea, però parliamoci chiaro: essere nati negli Ottanta, italiani, e oggi<br />
non avere quel pezzo di carta significa nella maggior parte dei casi non avere un cervello<br />
nemmeno da diploma (anche se poi diversi passano l‟esame di maturità grazie al fare<br />
pseudo-umanitario delle commissioni), oppure aver compiuto la scelta kamikaze del non<br />
intraprendere o portare a termine un percorso universitario. Cause di forza maggiore che<br />
giustifichino l‟interruzione della rotta verso una triennale sono più uniche che rare.<br />
Ad un ragazzo in gamba, quindi, qualcosa dev‟essere successo. Su questo però Nicola<br />
soprassiede, dicendomi solo che da qualche mese è tornato a stare coi suoi, a pochi<br />
minuti da Varese. Ora lavora nel magazzino di una grande industria di solventi chimici.<br />
L‟unico italiano del reparto.<br />
Da quanto riporta emerge un‟immagine di bestialità. Gola che brucia, occhi che lacrimano,<br />
Legge 626 e mani livide. Bidoni da sollevare, muletto, bancali, cartellino, folate d‟acido.<br />
Emicranie, busta paga, schiena rotta, tuta antiabrasione. Straordinari, mille Euro. «Se sei<br />
qui è perché hai dei problemi. Tienili fuori» fu la frase di benvenuto del caposquadra.<br />
A questo punto Nicola scende nei dettagli, ma non lo seguo più. Sono bloccato tra ciò che<br />
mi ha riportato e il vederlo qui, oggi e ieri, che indica, consiglia, motiva, si confronta e cita<br />
115
attute e nozioni tecniche di capolavori del cinema da “Roma città aperta” a “Fa la cosa<br />
giusta”.<br />
Mentre annuisco ritmicamente per mascherare la disattenzione, cerco di capire cosa io<br />
possa fare per dargli una mano. Dieci video con Max? Non ho i soldi. Portare dieci amici<br />
da Max? Non ho dieci amici che facciano al caso. Dare a Nicola il numero di Damiano o<br />
Gerardo? Qui mi blocco: la più sensata delle opzioni, ma non posso. L‟ho già fatto con<br />
Alessandro ed erano tempi diversi, credevo avrei spiccato il volo a breve. Invece sono<br />
ancora qui, impantanato senza scadenza, dipendente dalle loro chiamate, che mi<br />
abbevero alla loro fonte. E‟ uno schiaffo secco comprendere che se tentassi di aiutare<br />
Nicola finirei rischiando d‟inguaiarmi. Non posso dividere la brioche come quando un<br />
amico alle elementari si scordava la merenda. Fuori fa freddo, oggi nel mondo dei Duemila<br />
e oggi nel mondo degli adulti. Vita tua può voler dire mors mea e allora, fratello, ti guardo<br />
come fossi me stesso, quell‟identico me stesso lasciato in disparte, che non riesce a<br />
collocarsi, che non trova un appiglio. E il dolore più grande, credimi, è non poterti<br />
soccorrere. Tu però vai, corri, sputa sangue e spacca tutto, perché sei come me, anzi sei<br />
me, quindi me lo dice l‟istinto, la voce del cuore unita al cervello, che non meriti nulla di<br />
tutto questo. Potessi ti darei, ma non posso. E non serve pregare, non serve un “in bocca<br />
al lupo”; servono opportunità, soldi, contatti, favori se è il caso. Io sono bloccato, di pietra,<br />
una statua pericolante e non c‟è mano che possa tenderti senza rischiare di ritrovarmi in<br />
pezzi. Tu però, fratello, corri. Corri come vorrei dire a me stesso di correre, come vorrei<br />
vedere me stesso correre.<br />
Devo andare in bagno e sciacquarmi la faccia per riprendermi.<br />
Al ritorno il team si completa e nel giro di breve si parte con la seconda giornata sul set.<br />
Scorre tutto alla perfezione, ognuno fa il suo. Rispetto a ieri siamo tutti più amalgamati.<br />
Girassimo un video al mese saremmo una macchina da guerra.<br />
Tra un ciak e l‟altro si mangia qualcosa, si scambiano pareri sugli argomenti più disparati,<br />
si scherza anche. Nel tardo pomeriggio le riprese si dichiarano concluse ed ora a Max<br />
serviranno grosso modo tre settimane per il montaggio e l‟elaborazione grafica. Non c‟è<br />
problema, con quel poco che posso mettere sul piatto capisco bene che debba dare<br />
precedenza ad altro, e dopotutto io non ho necessità fulminea di avere il video. Nel mentre<br />
ritirerò il disco dalla stamperia, preparerò i comunicati per TV, radio, siti e riviste e tradurrò<br />
il tutto anche in inglese per alcuni contatti mediatici internazionali. E‟ solo l‟inizio, insomma.<br />
Spazio per la noia non ce n‟è.<br />
Ci scambiamo tutti un abbraccio e una stretta di mano guardandoci negli occhi. E‟ stata<br />
una due giorni molto positiva, ora non mi resta che riaccompagnare Guenda e A.B. e poi<br />
potrò rilassarmi di fronte alla mia classica pizza domenicale. A domani ci pensiamo<br />
domani, per intanto teniamoci in tasca la soddisfazione di oggi e di ieri. «Stai per svoltare»<br />
direbbe qualcuno, io invece non dico niente.<br />
Si naviga a vista, marinai. E si rema intanto, si rema e basta.<br />
116
23<br />
FUCK YOU, PAY ME!<br />
Non mi erano mai giunte belle voci in merito, ma tant‟è. Le lingue ho studiato e le lingue<br />
vediamo di far fruttare. Insegnare, perché no?<br />
Di consegnare ripetizioni a domicilio storicamente non ho mai avuto voglia: i maschi che<br />
non c‟azzeccano sono in generale delle belle teste di legno, le ragazze invece dei discreti<br />
cessi (quelle in grazia di Dio le ho viste spesso sistemarsi facendo le moine al prof di<br />
turno…e poco importava se di un‟altra materia, tutto faceva brodo in consiglio di classe).<br />
Dulcis in fundo, la Corte Suprema delle Mamme Petulanti sarebbe capace di mandare al<br />
patibolo anche il rettore di Oxford in caso di ulteriori disfatte per la creatura. „Sti gran cazzi.<br />
Invece così la sonata cambia: scuola d‟inglese privata, situazione che dovrebbe espormi<br />
meno in prima persona e potenzialmente offrirmi i mezzi per fare bene, essendo la<br />
soddisfazione del cliente il motore di tutto. Per questo all‟annuncio sul forum dei miei excolleghi<br />
studenti ho risposto al volo, nonostante la vaghezza del testo e il nome d‟impresa<br />
mai sentito, quindi nessuna garanzia preventiva in un settore talvolta dimora di furbetti.<br />
Così mi ritrovo ora, a distanza di ventiquattr‟ore e fresco di doccia in palestra, con<br />
illuminato sul display un SMS “Ti ho cercato” risalente alle diciassette e quarantasette.<br />
Credo proprio sia dovuto alla chiamata di chi penso, visto il numero che identifica. Son<br />
passati cinquanta minuti, tentiamo lo stesso anche se col classico orario d‟ufficio siamo ai<br />
supplementari.<br />
Suona libero.<br />
«Ellò, langueig scul institut…». Sì, vabbè dai, chiudiamo „sta pantomima che c‟hai 02 di<br />
prefisso e siamo in Italia.<br />
«Sì salve, ho trovato una vostra chiamata circa un‟ora fa ma avevo il cellulare spento,<br />
presumo che comunque mi cercaste per la risposta che ho dato al vostro annuncio sul<br />
f…».<br />
«Sìunattimochelepassosubitolaresponsabile!». Neanche il tempo di chiudere la mia frase e<br />
capire la sua mitragliata di sillabe che già la chiamata è in viaggio verso un altro<br />
apparecchio. Sono stupito, pare che fossero tutti lì in trepidazione ad aspettare che<br />
ritelefonassi.<br />
«Hello»<br />
«Hello, I‟ve just seen your missed call». Stavolta non si scappa.<br />
Nonostante la mia interlocutrice si presenti dopo pochi secondi con un nome sì<br />
internazionale, ma un cognome decisamente meridionale, la sua parlata è credibilissima e<br />
so che mi conviene stare al gioco, perché di fatto è già partito il colloquio. Coi contenuti<br />
viaggio sciolto, faccio solo un po‟ d‟attenzione alla pronuncia e cerco di mantenere un<br />
registro accurato mentre mi tocca riassumerle tutta la mia storia in materia anglosassone,<br />
dalla prima media alla prima pinta, arrivando all‟università e giustificando inoltre perché a<br />
tredici anni feci una vacanza studio in Irlanda anziché in Inghilterra. Alla proposta di fissare<br />
un incontro in sede temporeggio con la scusa del dovermi fare l‟occhio in agenda e le<br />
assicuro una mia e-mail, concludendo così la telefonata conscio d‟aver retto bene ma di<br />
fronte al classico bivio: se cercano un madrelingua han capito che non lo sono, se cercano<br />
uno che l‟inglese lo sappia han capito che vado bene.<br />
L‟indomani scrivo l‟e-mail (sempre in inglese, questa è la prova scritta) come azione<br />
inaugurale della mia mattinata al computer, ponendo però prima della disponibilità per<br />
l‟incontro una serie di quesiti fondamentali sulla posizione offerta, capitolo di non poco<br />
conto rimasto avvolto da una coltre di denso fumo di Londra nell‟esame orale del giorno<br />
precedente.<br />
117
Arriva la risposta e qui comincia la saga. Purtroppo quando se n‟è già vista qualcuna si sa<br />
che, in generale e non solo sul lavoro, la gente si rivela sui soldi: quando scarseggiano, le<br />
reticenze spuntano come funghi in un bosco dove non c‟è ombra di chiarezza, ma solo<br />
chiarezza che ci sia dell‟ombra.<br />
Mi mantengo politically correct in un ulteriore messaggio. Giunge la risposta ed esaurisco<br />
il fair play: dolcezza, mo‟ si gioca all‟italiana. Ma col cazzo il catenaccio, tutti su e tiriamo<br />
pure per le maglie.<br />
A farmi imbufalire è la sua risposta al mio suggerimento di essere più trasparente in merito<br />
al tipo d‟incarico e al livello di retribuzione, poiché mancassero i presupposti sarebbe<br />
inutile incontrarsi: «Thirty minutes for a job interview is never a waste of time». Per te che<br />
sei lì comoda in ufficio, magari, mezz‟ora per un colloquio non è mai una perdita di tempo;<br />
per me che invece vengo da fuori e dovrei passarmi un‟intera mattina nel traffico, la cosa<br />
cambia un bel po‟.<br />
Le lascio quindi lo sfizio di giocare in casa sotto il profilo linguistico, ma le faccio ben<br />
capire che la palla è mia con un‟e-mail sotto il segno del “chissenefrega come va a finire”,<br />
in cui nell‟idioma di Geri Halliwell controbatto senza remore.<br />
Carissima,<br />
vivendo a venticinque chilometri da Milano, questa mezz‟ora mi<br />
richiederebbe tutta la mattinata…e ciò la renderebbe sì uno spreco<br />
di tempo qualora le condizioni di base per questo (misterioso)<br />
lavoro non corrispondessero a ciò che vado cercando. Nonostante le<br />
conversazioni, non so nemmeno quale potrebbe essere il mio<br />
incarico: insegnante? Tutor? Presidente? Uomo delle pulizie?<br />
Se il colloquio è, come dice, «per conoscersi», propongo allora<br />
che si vada a fare un bell‟happy hour assieme: sono molto più<br />
simpatico al di fuori degli ambienti di lavoro e sono sicuro sia<br />
lo stesso anche per Lei.<br />
Quindi, a Lei la scelta: mi può far sapere le informazioni di base<br />
prima del colloquio, oppure può decidere dove andare per questo<br />
happy hour.<br />
Cordialmente.<br />
I casi sono due, mi sono detto fin da quando lo schizzo di una risposta simile era partito: o<br />
non si fa più viva, o finisce che s‟innamora.<br />
Tempo un giorno e si fa viva, col suo nome che svetta in cima alla mia posta in arrivo e io<br />
che prima di cliccare m‟immagino di tutto, da una possibile scenata da donna in carriera<br />
stizzita ad una sottomissione in stile Mariangela Melato in “Travolti da un insolito<br />
destino…”.<br />
Leggo e noto con piacere che finalmente cade il velo di mistero attorno al tipo d‟incarico,<br />
che è di personal tutor. Dopo questa fitta corrispondenza però mi sembra il minimo e anzi,<br />
eccola di nuovo utilizzare la scusa delle informazioni che non le sono ancora giunte per<br />
quanto riguarda nemmeno il compenso, ma almeno la fascia su cui ci si andrebbe ad<br />
assestare. Rincara inoltre la dose attraccando in una caletta rigogliosa di moralismo,<br />
tenendoci a ricordarmi che la società che rappresenta è internazionale, prestigiosa, con<br />
dei criteri di reclutamento del personale estremamente selettivi, improntati su un iter di più<br />
incontri e bla, bla, bla.<br />
Stòòòp!<br />
Il personaggio di Raffaella Pavone Lanzetti ha definitivamente scassato la minchia, così<br />
Giannini abbandona il set stracciando il copione e gettando ai fichi d‟India i panni del rude<br />
118
marinaio. Tanto la trama è già stabilita e levandosi dalle scatole ora si fa solo la grazia di<br />
evitare la figura del boccalone fissata di lì a poche scene.<br />
Infatti indago sul forum nei due giorni successivi e da altri utenti emerge la verità: sei Euro<br />
l‟ora, lordi. Costo del personal tutor per il cliente? Trenta l‟ora, netti.<br />
Bye bye, baby.<br />
119
24<br />
A LUCI SPENTE<br />
«Mari, non sono molto in vena. Possiamo rimandare a domani?»<br />
«<strong>Matt</strong>ia, ma che succede?»<br />
Che succede mi chiedi, Mari? Ti dico niente di grave, che poi ti spiegherò ma di non<br />
preoccuparti, mentre ti saluto alla svelta e vado a letto, sperando tu non ci sia rimasta<br />
troppo male. Mi manca solo questo per finire completamente a terra.<br />
Domani, Mari, ti racconterò che in questi ultimi giorni sono andato a ritirare i CD in<br />
stamperia e che Max mi ha avvisato che gli ci vorrà un filo più del previsto per ultimare il<br />
video, ma sta venendo molto bene. Probabilmente mi abbraccerai forte, poi mi farai un<br />
sorriso dei tuoi, grande, radioso come sempre, come quando ti facevo le battute al lavoro.<br />
Il lavoro, appunto.<br />
Mari, siamo al venti di febbraio, è un mese e mezzo che non mi gira un incarico. E anche<br />
quando qualcosa m‟arriva, sai bene di cosa si tratta. Mi sto innervosendo al punto di non<br />
riconoscermi, mi sta maturando dentro una rabbia carica di sarcasmo, di arroganza,<br />
sprezzante. E‟ che ormai non so nemmeno dove trovare la pazienza. Magari in qualche<br />
dove dell‟ego c‟è uno scomparto per le emergenze, come la cassetta del pronto soccorso<br />
che i miei nonni avevano in bagno di fianco allo specchio. Ci fosse qualcosa del genere,<br />
l‟aprirei di scatto e farei razzia; però non c‟è niente, oppure non riesco a trovare niente, e<br />
mentre mi ripeto frasi sentite alla TV tipo «Toccato il fondo, si risale» mi sento come se in<br />
questo caso un fondo non ci fosse. Da bambino fantasticavo su cosa potesse succedere<br />
ad un astronauta caduto fuori dalla navetta, conseguenza dei filmati che vedevo nei<br />
telegiornali.<br />
«Nonna, quanto è grande lo spazio?»<br />
«Cucciolo, è infinito».<br />
E se allora non riuscivo a capacitarmi del peso della parola infinito, oggi mi sento proprio<br />
come un astronauta che cade e va sempre più lontano dalla navetta, dalla Terra, da tutto.<br />
Con il cosmo che lo inghiotte, col nero che lo prende. Lento, senza fondo. Anche se si<br />
vedono le stelle.<br />
Mi dirai che le cose cambieranno, Mari, ma io finirò col pensare che non ti sia rimasta in<br />
bocca altra frase. A te come ai miei, come se tutto per natura fosse destinato a risolversi,<br />
come se tutti i conti fossero destinati a tornare.<br />
Sto perdendo la percezione dell‟oggettivo, Mari. Domani te lo dirò che mi ero fatto bene<br />
l‟occhio sui risparmi e ancora tutto è come previsto, ma tirare fuori i milleduecento Euro<br />
per le copie dell‟album, vedermeli uscire di mano, non sapermeli più sul conto mi ha fatto<br />
quasi girar la testa. Grazie al cielo esiste la matematica, altrimenti sapere che fra qualche<br />
giorno dovrò a Max circa la stessa cifra mi leverebbe il fiato. Più che quanto ho dovuto<br />
lavorare per questi soldi, m‟importa quanto tempo ho dovuto aspettare per averli. Quante<br />
telefonate, quanti viaggi avanti e indietro con Milano e quante rinunce, da un secondo paio<br />
di scarpe a un po‟ più di svago. Avessi la certezza, o almeno l‟abitudine di un‟entrata<br />
mensile come nel tuo caso, Mari credimi, sarei ben più tranquillo. Invece anche quando<br />
lavoro non so mai cosa m‟aspetta poi. Nei miei panni il presente pesa il doppio.<br />
A questo punto mi dirai, ne sono certo, che dopotutto ho sempre chiuso i bilanci in attivo.<br />
Ti darò ragione, ma c‟è una cosa che ancora non ti ho raccontato.<br />
La sera in cui tornavo dalla stamperia avevo in auto quaranta scatole piene di CD.<br />
Guidavo in maniera attentissima, perché ci vuole poco a rompere le custodie. A un paio di<br />
minuti da casa mia c‟è un baretto che ha cambiato almeno una decina di gestori da<br />
120
quando ero ragazzino. Non mi è mai stato chiaro se ciclicamente questi giudicassero<br />
insufficienti le entrate o cos‟altro, ma è più probabile che una volta capito che tipo di<br />
clientela si erano procurati volessero solo levarsi di torno. Capisci cosa intendo.<br />
Ecco, e di nessuno di quei clienti m‟importa, per nessuno di quei tizi provo invidia. Sarei<br />
scemo ad invidiare gente che si fotte l‟anima al videopoker e cerca di rifarsi spingendo un<br />
po‟ di fumo a dei quattordicenni. Poca roba quella. Girano individui di ogni tipo in quel<br />
posto, dai disperati, la bassa manovalanza, fino a quelli che li comandano, coi quali si sa<br />
che è meglio non avere problemi. Nessuno di loro m‟interessa, però. Nessuno tranne uno:<br />
il Greco. Lo chiamano così per la carnagione scura e i lineamenti spigolosi, che lo fanno<br />
sembrare un personaggio da anfora ellenica. E‟ di buona famiglia, ha sempre vissuto in<br />
una bella casa, i suoi genitori vanno a messa tutte le domeniche. Non aveva bisogno<br />
d‟infilarsi in certe storie, ma l‟ha fatto. Mi chiederai qual è il punto, Mari. Ti spiegherò allora<br />
che mentre passavo di fianco a quel bar c‟era il Greco che fumava una sigaretta, vestito<br />
fottutamente bene, con un paio di scarpe e un giaccone che a inizio inverno mi sarei<br />
voluto prendere io. Invece niente, ero andato anche in alcuni negozi ma i cartellini<br />
avevano parlato chiaro: troppi soldi. E nei tre lunghi secondi in cui scivolavo via sull‟auto di<br />
mia mamma, il Greco se ne stava lì, lui e l‟ennesima bionda che gli sta appresso. Ti<br />
chiederò di perdonarmi per il cliché della bionda, Mari. Non m‟interessa la sua donna, non<br />
la conosco, spero non mi darai del sessista o nemmeno la butterai sulla gelosia perché sai<br />
che non è il caso. Guardiamola da un‟altra prospettiva: il Greco è un bel ragazzo, si veste<br />
con stile, ha un mucchio di agganci, guida una Z3 e ha una fidanzata bellissima,<br />
probabilmente straniera, sicuramente una modella. Ritratto di un vincente, no? Bene, il<br />
punto è che il Greco si è aperto porte su porte non grazie allo studio, non grazie a una<br />
laurea, non grazie ad una passione tramutata in lavoro o ad un‟intuizione geniale.<br />
Semplicemente grazie alla coca. Chili di coca, scatole di coca. Chissà se avrà provato<br />
anche lui a girare con quaranta scatole in macchina. Beh, sicuramente no: è impossibile<br />
con la sua due posti.<br />
Ha qualche anno più di me, ma di sicuro non tocca i trenta. E guarda cos‟ha in mano,<br />
guarda come la gente gli sta attorno. Ha cominciato portando un po‟ d‟erba ai compagni di<br />
classe in prima superiore ed ora non c‟è privé che conti, in città come in provincia, in cui<br />
non si tiri la sua coca. E vai di vestiti, e vai di cene, e vai di BMW. S‟è fatto qualcosa come<br />
due anni dentro ma non gliene è fregato nulla. Una volta a piede libero ha ricominciato con<br />
le stesse manovre, gli stessi giri, le stesse facce. Gli stessi soldi.<br />
E allora, Marilena, scusami ma una cosa te la vorrò chiedere, nonostante tu a questo<br />
punto proverai un senso di repulsione verso il mio discorso se non verso la mia persona<br />
intera: io perché non mando affanculo tutto quanto, tutto, da questi cazzo di CD alla radio,<br />
dalla laurea a quel fottuto mensile che tarda sempre a pagarmi due spicci, eh? Magari<br />
invece di perdere tempo per la gloria, per l‟arte o per mandare CV alle aziende dovrei fare<br />
domanda dal Greco. Perché no? Qualche potenziale consumatore lo conosco anch‟io,<br />
specie nel giro della musica, dove la gente sembra si sia stancata di fumare marijuana e<br />
basta, perché non fa più notizia, non fa più bohème come una volta. Una bella botta di<br />
bamba per tutti, loro hanno il nuovo vezzo per sentirsi ribelli e io mi metto in tasca un paio<br />
di centoni a sera. Pulito, senza strafare come il Greco. Cinquecento Euro a weekend mi<br />
bastano, duemila al mese. Le troie se le prenda tutte lui, così come le bottiglie nei privé, a<br />
me non interessano. Poi Mari, dimmi una cosa: ma se i nostri nonni e bisnonni trafficavano<br />
tabacco fra l‟Italia e la Svizzera e oggi di quegli spalloni conserviamo una visione quasi<br />
romantica, di innocenti ladri di mele, io perché dovrei sentirmi un criminale, una piaga<br />
sociale se spinto dalla stessa fame decidessi di oltrepassare il valico della legalità e<br />
piazzare un po‟ di bianca nel naso di chi la desidera? La cercherebbero comunque quella<br />
roba, la prenderebbero comunque, ma da altre mani. E allora tanto meglio che finiscano a<br />
me quei soldi anziché ad un altro, perché rimane chiaro che io non vorrei mica campare a<br />
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vita in questa maniera. Magari mi ci sistemerei per le cose basilari, una macchina senza<br />
che sia come quella del Greco, vestiti senza che siano come quelli del Greco; tutto ad un<br />
livello meno appariscente, ma più cose di quelle che ho ora, finendola di gravare sulle<br />
spalle dei miei e levandomi qualche sano sfizio ogni tanto. Una buona volta senza questa<br />
maledetta sensazione di acqua alla gola con la quale mi sveglio e mi addormento ogni<br />
giorno. Che male c‟è? Che male ci sarebbe, Mari?<br />
Facciamo così, te lo dico io stesso che male ci sarebbe. Quando ancora facevo le<br />
elementari, all‟ultimo piano della mia palazzina era arrivata una nuova famiglia. Figlio più o<br />
meno della mia età adesso, padre e madre della stessa età dei miei adesso. Mia mamma<br />
era stata subito amichevole, mentre mio papà, che conosceva quel cinquantenne obeso e<br />
con gli occhiali alla Funari per le voci che giravano in paese, ci avvertì di limitarci ai saluti e<br />
nulla più. «Cortesia sì, confidenza no», ci disse.<br />
Una mattina d‟autunno, alle otto meno venti ero pronto per andare a scuola e uscito dal<br />
portone aspettavo che mio papà portasse fuori la macchina. Vedendo che ci metteva più<br />
del solito m‟incamminai verso i garage, bloccandomi alla vista di un carabiniere col mitra.<br />
Lo vidi fare un cenno d‟intesa col capo e dopo un attimo arrivò mio padre. Mi misi la<br />
cintura senza farmelo ripetere, quella volta. Subito dopo chiesi come mai c‟erano i<br />
carabinieri, ma non vi era risposta precisa in quella circostanza.<br />
Il giorno dopo fu il quotidiano locale a informarci: «Venticinquenne arrestato per spaccio».<br />
Il resto erano dettagli. Il nome, il cognome, l‟indirizzo, una foto della via.<br />
«Papà, era uno spacciatore! Ma a me non sembrava cattivo, mi salutava sempre»<br />
“Non è detto che fosse cattivo, infatti. E‟ suo papà quello che non va bene, che sta in<br />
piazza dalla mattina alla sera. E‟ uno che beve e che ha parecchi debiti, a quanto pare.<br />
Chissà, magari quel ragazzo l‟ha fatto per cercare di aiutare la famiglia ed è finito male. E<br />
pensa la sua mamma adesso come starà, con un marito del genere e un figlio in<br />
prigione».<br />
Fu un discorso molto chiaro per un bambino, la prova è quanto nitidamente me lo ricordi.<br />
E a una quindicina d‟anni di distanza mi trovo ancora a pensare a sua mamma, a quella<br />
signora bionda che sorrideva salutandomi sulle scale ma al secondo sguardo che le davo<br />
sembrava sempre triste. Oggi so cos‟era quel riflesso opaco nei suoi occhi azzurri.<br />
E allora, Mari, facciamo che non ti dirò niente di tutti questi pensieri quando ci vedremo. Mi<br />
basta ripensare a quella mamma per rivedere la mia, come anche te, come anche mio<br />
papà e tutte le persone che mi vogliono bene. La paura che un riflesso opaco nei vostri<br />
occhi possa essere colpa mia basta a calmarmi. Fossi solo magari mi lancerei, andrei a far<br />
mio tutto quel che c‟è senza remore, senza etica, con una voracità da cane randagio, la<br />
bava alla bocca, la rabbia in corpo, i morsi come religione.<br />
Ma penso ai vostri occhi ed è per voi che mi trattengo. Solo per voi.<br />
122
25<br />
ARCOBALENO<br />
Se gli dei stanno giocando a dadi sulla mia testa, a questo giro ho vinto io. Lo so, lo so,<br />
«Certi giorni il sole batte anche sul culo di un cane» direbbe Sidney Deane, ma ci si può<br />
fare poco quando un minchione-coglionazzo come Billy Hoyle è in zona magica. Lo<br />
giudicavano per il cappello messo all‟indietro, i calzini grigi e il look funky-deficient, ma lui<br />
aveva la fortuna che hanno gli irlandesi…solo che non era irlandese.<br />
Io sono Billy Hoyle, oggi. Ne ho azzeccate quattro di fila.<br />
La prima è avere il video in mano. Versione definitiva. I mille e qualcosa Euro meglio spesi<br />
della mia vita. Ora, mentre finalizzo gli accordi per mandare l‟album in distribuzione, lo<br />
sottoporrò ad un paio di realtà mediatiche di punta sperando ne esca qualcosa di speciale.<br />
Hoyle ne azzeccò anche una quinta, la storia è con me.<br />
Seconda: Gerardo mi ha chiamato per propormi un incarico continuativo, tre giorni a<br />
settimana in un‟altra residenza universitaria. E terza: sono riuscito a spillargli dodici Euro<br />
netti l‟ora, novantasei a turno. Lui era disperato e io un bel millino pulito pulito al mese me<br />
lo metto in tasca, al netto della benzina, della tangenziale e delle pizze che ordinerò.<br />
Infine, quarta: come un segnale alieno giunto dopo anni di ricerche, ho ricevuto una<br />
chiamata da Damiano con offerta di lavoro per l‟ufficio stampa di una delle fiere più<br />
importanti dell‟anno. Da domani a domenica. Stessa paga giornaliera che prenderò con<br />
Gerardo, con però due-tre ore a volta in più sul gobbo. Quindi proporzionalmente pagato<br />
meno che da Gerardo, ma se c‟è una cosa che mi suona bene è “ufficio stampa”. Dopo<br />
l‟esperienza con l‟ambiente di Flavia e Roberto, stavolta la missione mi è chiara dal primo<br />
minuto: entrare e propagarsi. Ogni contatto utile deve diventare mio. Già dal briefing a cui<br />
mi appresto a correre dovrei capire qualcosa in più su come muovermi.<br />
Passa il briefing in una bella sala conferenze del centro, passa una serata piacevole da<br />
A.B. che per la prima volta visiona il video, passano la notte, il risveglio e il viaggio ed ecco<br />
che mi ritrovo alla fiera, già con l‟elmetto calato, pronto a tutto come un lagunare.<br />
Il primo giorno se ne va senza infamia e senza lode. Senza ruoli, anche. Tutti concentrati<br />
sui press-kit, da imbastire elemento per elemento come una sorpresa da ovetto Kinder. In<br />
seguito, le ultime due ore vengono spese a ricontrollare liste d‟inviti ad addetti stampa in<br />
modo d‟avere un‟idea delle realtà nazionali ed internazionali con cui s‟interagirà.<br />
Il secondo giorno mi viene servita una colazione amara. Tre team leader dell‟azienda<br />
organizzatrice c‟illustrano le aree di competenza per il supporto all‟ufficio stampa: controllo<br />
accessi, accrediti, accoglienza e assistenza alla direzione. Certo che sarei finito in<br />
quest‟ultima mi ritrovo invece piazzato nella prima, con tanto di obliteratrice elettronica in<br />
mano.<br />
Ci rimango sbalordito, al punto di prendere da parte Damiano e chiedergli se ci sia<br />
qualche errore. Magari sugli elenchi uno scambio <strong>Matt</strong>ia-<strong>Matt</strong>eo, che ne so, oppure delle<br />
specifiche non fornite sul mio conto. Insomma: ufficio stampa di un evento internazionale e<br />
io mi ritrovo a obliterare tesserini?<br />
«No no, tutto in ordine», mi dice. Passo un momento d‟ebollizione, poi penso ai soldi che<br />
ci sono in ballo, alle spese che ho avuto ultimamente e decido di solcare il tempo sulle ali<br />
del menefreghismo. Prendiamola come una noia pagata. Bip-bip, oblitererò, sperando di<br />
non incrociare nessuno di mia conoscenza.<br />
Ci ritroviamo a venti minuti dall‟apertura ufficiale io e i miei due nuovi colleghi, con l‟ordine<br />
di non far passare «nemmeno il Presidente della Repubblica, ragazzi, perché qui sarà un<br />
delirio. Gireranno anche dei furbetti di testate non accreditate. Ricordatevi bene: chi è<br />
123
senza il nostro pass non entra. E nessuno prima delle dieci. A dopo». Parola della<br />
direttrice di qualcosa.<br />
Nell‟aria c‟è frenesia. Ho la sensazione che alcune informazioni importanti non ci siano<br />
state date, non ho un quadro molto chiaro su come si muova la giostra. Tuttavia capita<br />
sempre quando si è in un ambiente e in un ruolo con cui non si ha ancora familiarizzato,<br />
perciò non sto a dannarmi. Ricordiamoci sempre dove sono finito: bip-bip, bip-bip. Non c‟è<br />
un gran margine di qualità del servizio che si possa offrire, dunque rilassiamoci.<br />
Due minuti dopo mi s‟avvicina una donna sui trentacinque, che per come si pone mi fa<br />
scattare al volo un campanello d‟allarme. Carissima, tu forse mi prendi per un uccellabile<br />
ragazzetto da controllo accessi, ma siccome sono anch‟io un mezzo giornalista conosco<br />
bene gli espedienti per intrufolarsi ad eventi a cui non si è invitati. Sebbene avverta un<br />
certo spirito di solidarietà nei tuoi confronti, considerandoti una collega più che coloro che<br />
mi circondano, non posso fare altro che attenermi alle direttive: «Guardi signora, qui è<br />
ancora tutto off-limits fino alle dieci. Non posso esserle d‟aiuto». Sorride, ringrazia e se ne<br />
va.<br />
«No, scusa?!». Il mio collega.<br />
«Che c‟è?». Mio sorriso spaesato.<br />
«Ma tu a una giornalista rispondi così? Che quella poi scrive un articolo dove questa fiera<br />
ci fa una figura pessima solo perché tu…».<br />
Solo perché io cosa?! Sono esterrefatto. Lui va avanti.<br />
Nove e tre quarti e mi sto beccando una lavata di capo gratuita. Signorino, datti una<br />
calmata che:<br />
a) potresti dire la stessa cosa in maniera molto più gentile;<br />
b) forse ti sei dimenticato quello che ci hanno appena detto;<br />
c) ho una certa esperienza nel filtrare i rompicoglioni (chiedere a Flavia e Roberto);<br />
d) ci scommetto un caffè corretto Falqui che tu è la prima volta che lavori. In fiera e forse<br />
anche in vita tua.<br />
Mi tocca rimetterlo al suo posto in maniera secca. E‟ questione si sopravvivenza con tipi<br />
del genere: «Tu non ti preoccupare e bada al tuo, che so quello che faccio. E se qualcuno<br />
viene a dir qualcosa, la responsabilità me la prendo io». Seconda ebollizione della<br />
giornata e nuovo record: non m‟era mai capitato di scazzare con un collega, per di più così<br />
rapidamente.<br />
Nel mentre si fanno le tanto attese dieci. Vedo che alle mie spalle tutti sono in postazione,<br />
dopo minuti e minuti con gente a correre da un capo all‟altro. Ecco che cominciano ad<br />
arrivare i primi giornalisti, tutti con il pass. Saluto, bip-bip, saluto, bip-bip.<br />
Mi calmo gradatamente fra un‟obliterata e l‟altra, nel mentre i miei due colleghi scoprono di<br />
avere conoscenze comuni molto vicine e si gettano in un fitto dialogo sulle note di «Ah, ma<br />
allora tu sei quello che…». Io faccio levitare l‟anima fuori dall‟edificio. Bip-bip, bip-bip.<br />
A mezzogiorno meno un quarto capisco tocchi a me affrontare l‟argomento pausa pranzo:<br />
«Ragazzi, avete esigenze particolari per la pausa?». Ecco che scendono dal pero,<br />
neanche ci pensavano. Prima fiera per entrambi, non solo per il Signorino.<br />
Nella volontà di un gesto di carineria, lascio loro la possibilità di decidere. Silenzio per un<br />
paio di minuti, buongiorno, bip-bip, buongiorno, bip-bip, e arriva il responso: «Andiamo alle<br />
dodici e trenta».<br />
Andiamo? Eccoli Mimì e Cocò, premi Nobel per l‟arguzia: siamo qui in tre e pensate di<br />
potervi levar di torno in due?<br />
Dichiarato vano il tentativo di maieutica socratica, si fa palese il mio dovere d‟impugnare le<br />
redini: «Ragazzi, ci possiamo anche prendere tre quarti d‟ora a testa ma ognuno deve<br />
andare per suo conto, altrimenti la postazione resta troppo scoperta. Per quanto mi<br />
124
iguarda, io avrei esigenza di staccare attorno all‟una e mezza, voi fatevi pure l‟occhio su<br />
cosa volete fare e poi ci gestiamo». Pulito verso di loro, efficace verso me stesso. Fossi<br />
stato il Signorino avrei invece sventolato la mano a indice teso, uscendomene con un «No<br />
scusate?! E voi pensate di potervela svignare così assieme? Che i giornalisti poi scrivono<br />
un articolo dove questa fiera ci fa una figura pessima solo perché voi…». Quasi scoppio a<br />
ridere immaginandomelo.<br />
Bip-bip, bip-bip. Tutto procede placido e scoccato mezzogiorno e mezzo il primo va in<br />
pausa. Naturalmente il Signorino.<br />
Quarantatrè minuti e rieccolo. Due per una tappa ai servizi ed esaurisce il tempo a sua<br />
disposizione. Per lo meno è stato puntuale.<br />
A questo punto è l‟una e un quarto e, dopo un cenno d‟intesa con l‟altro collega, in pausa<br />
ci vado io. Mando un SMS a Mari e nel giro di dieci minuti la raggiungo. Il lato positivo di<br />
questa fiera è che ci sia anche lei, seppur non al mio fianco come quella fatidica volta.<br />
La aspetto su una panchina, la vedo arrivare, apriamo i nostri panini caserecci e mi chiede<br />
come stia andando. Scartiamo quindi anche la notiziona di questo pranzo: m‟hanno messo<br />
ad obliterare pass.<br />
Quasi non ci crede, poi però alla conclusione ci arriviamo in fretta: chissenefrega, son<br />
sempre soldi. Lei è molto più svelta di me nel formulare questo tipo di ragionamenti, io<br />
invece ancora sogno un incarico dove le mie capacità vengano messe all‟opera e<br />
conseguentemente retribuite. Ma vivo a Fantasilandia, a quanto pare. Ci godiamo un sole<br />
che sa già di primavera, nei quindici inaspettati gradi di una giornata che sarebbe stato<br />
bello poter trascorrere in una gita fuori porta. Mari mi calma i nervi senza nemmeno aver<br />
intenzione di farlo.<br />
I suoi reportage della mattinata sono di ordinaria amministrazione. Sta lavorando come<br />
hostess per un espositore e soprattutto senza intermediazione, il che significa non pochi<br />
soldi in più. «Una volta, lavorando allo stand di un cliente tramite agenzia, mi è capitata in<br />
mano la fattura per il mio servizio. Ero impressionata: vedere quanto un‟azienda sia<br />
disposta a sborsare mi ha aperto gli occhi sul valore di mercato di quello che faccio».<br />
Questo fu uno dei primi discorsi che fece per darmi una visione più chiara sull‟ambiente<br />
fiere-congressi-eventi. Chiaro ad entrambi che le agenzie non stiano in piedi ad aria fritta e<br />
che comunque facciano un lavoro utile tanto per i clienti quanto per chi come noi riceve<br />
incarichi, ma allo stesso tempo è indiscutibile che riuscire ad eliminare i tramiti sia la<br />
miglior via, perché ci sono quasi il doppio dei soldi in ballo.<br />
Break piacevole, ma tre quarti d‟ora passano in fretta. Ritorno al mio ovile e l‟ultimo di noi<br />
va a prendere fiato. Bip-bip, bip-bip: tra me e il Signorino solo questo suono, non una<br />
parola. Tanti giornalisti avanti e indietro ma nessun problema coi loro pass, tutto lineare.<br />
Buongiorno, bip-bip, buongiorno, bip-bip. Ogni tanto qualche visitatore disperso che non ci<br />
resta che dirottare verso la reception generale al piano di sotto, poi ancora bip-bip, bip-bip<br />
finché il buongiorno deve modificarsi in buonasera. Tra me e l‟altro collega, Raffaele, di<br />
tanto in tanto si scambiano due parole mentre invece il Signorino ha deciso di tenermi il<br />
muso a oltranza. Non cambierà nulla della mia vita, ma un tale atteggiamento m‟indispone.<br />
Non c‟è mai stato posto di lavoro in cui non abbia avuto un rapporto cordiale coi colleghi,<br />
persino con individui di stampo circense come Taddeo.<br />
Ma bip-bip dopo bip-bip tiriamo le nove senza che nulla cambi. Scatta il rompete le righe e<br />
io non penso ad altro che Marilena, è un bel premio di fine giornata averla qui. Cinque<br />
minuti e ci troviamo all‟uscita.<br />
«Sicuro che vai a casa, allora?»<br />
«Facciamo che mi fermo domani e dopo, OK?. Un quarto elemento in una casa con un<br />
solo bagno è una bomba ad orologeria in settimana”<br />
“Hai ragione. Sabato e domenica invece ci alziamo solo io e te all‟alba”.<br />
125
Terzo giorno di lavoro, secondo di obliteratrice.<br />
La mattina passa tutto sommato tranquilla. Io come sempre carburo lento, Raffaele opera<br />
con discrezione, il Signorino irradia la folla con la sua cortesia di gommapiuma. Come a<br />
porgere un ramoscello d‟ulivo, gli lascio la soddisfazione di decidere in merito alla pausa<br />
pranzo e mi adatto di conseguenza su quando trovarmi con Mari. Finiamo a pranzare alle<br />
due e un quarto ma male non ci fa, visto che la giornata è lunga.<br />
Rientro giusto in un momento di calma piatta, al punto che gli altri due si stanno godendo<br />
caffè e chiacchiere appoggiati ad uno dei due banchetti con sgabello che abbiamo in<br />
dotazione. Io saluto e mi accomodo al secondo, distante circa quattro metri e mezzo,<br />
all‟altra estremità dell‟ingresso agli uffici.<br />
Ci trovo una rivista di fotografia. Presumendo sia l‟involontario cadeau di qualche<br />
giornalista smemorato, decido di darle una sfogliata.<br />
«Stai attento che è d‟importazione. Costa un sacco di soldi». O porco cane, e chi se<br />
l‟aspettava fosse del Signorino? La ripongo in un millisecondo, ma decido che è giunta<br />
l‟ora d‟incalzarlo e vedere se mai ci sia una via per cessare le ostilità e impostare almeno<br />
un quieto vivere.<br />
«T‟interessi di fotografia?»<br />
«E‟ una storia lunga»<br />
«Ah sì?». Bastardo, non ti mollo. «Io ho un amico che è veramente bravo, studia a Brera»<br />
«Beh, ma Brera non è certo un gran posto»<br />
«Dici?». Eh già, che vuoi che siano due secoli e mezzo di storia? «Allora ne mastichi in<br />
argomento, no?»<br />
«Beh, guarda che io sono qui in fiera per puro caso». Come no, tesoro, diciamo tutti così.<br />
«Io sono fotografo. Settimana prossima me ne torno a fare i book di moda col mio prof<br />
dell‟istituto, a cinquecento Euro l‟uno. Minimo».<br />
Amico mio, per quanto tu ti stia dando un tono e per quanto a scatola chiusa io non possa<br />
verificare quel che fai, sicuramente una discreta cazzata la stai sparando. Ti pare che se<br />
veramente tu avessi un fiorente business fotografico, ora saresti qui a fare bip-bip con<br />
quell‟arnese? Non diciamoci eresie, magari sarai pure bravo qualitativamente ma se sei<br />
qui oggi è poco ma sicuro che col cash stai compromesso al pari del sottoscritto. Potrei<br />
mettermi anch‟io a raccontare a destra e a manca che sto per uscire con un disco, che ho<br />
da poco girato un video, che faccio radio, scrivo per un mensile eccetera eccetera. Invece<br />
me ne sto zitto e oblitero „sta montagna di tesserini senza far commedie. E la sai una<br />
cosa? Fossi tu un po‟ più umile, come tutte le persone con cui ho collaborato finora,<br />
probabilmente ti proporrei di unire le forze per qualche progetto. Invece guarda, io sto<br />
bene con chi sto, fronte fotografico incluso; tu stattene pure col tuo prof dell‟istituto, se<br />
prendi i soldi che dici e con la frequenza che vuoi lasciar credere. Ma di nuovo, mi sembri<br />
un Ammiraglio Boom col cannone caricato a cazzate e a me tocca reggere „sto banchetto<br />
come a casa Banks facevano con la mobilia.<br />
La giornata non riserva granché d‟altro. Bip-bip, bip-bip. Subito dopo la chiusura partono<br />
un paio di risate in merito prima con Marilena e poi al telefono con Teo.<br />
«Ah, quindi secondo questo fenomeno Brera non è un gran posto?»<br />
«Teo, io t‟avviso: molla tutto finché sei in tempo!»<br />
«Eh, sarà meglio. Chiedigli per favore qual è il suo grande istituto. Spero mi accettino!».<br />
Parola di uno che ha appena vinto un concorso internazionale.<br />
Il penultimo giorno si apre con un‟aria frescolina che ieri io e Mari non ci saremmo<br />
aspettati. Cambio di mese e «marzo marzo pazzerello», come mio papà ripete ogni anno,<br />
inaugura lanciando il primo scherzo.<br />
126
Com‟è, come non è, in postazione salta fuori un computer con tanto di connessione<br />
Internet. Quando arrivo io il Signorino vi è appollaiato di fronte tutto indaffarato, con<br />
Raffaele a fianco a dargli retta ad intermittenza. Saluto ma vengo considerato trasparente,<br />
sicché dopo un «No, ma questo è uno scandalo, davvero! Non ho parole…io vado a farlo<br />
presente», guardo il Signorino addentrarsi in area stampa e imboccare il corridoio verso la<br />
direzione. Chiedo spiegazioni a Raffaele pensando sia successo qualche pasticcio, o sia<br />
arrivato qualche reclamo, o qualcuno –magari una giornalista sui trentacinque- ci abbia<br />
sassato dalle colonne di un giornale perché rimbalzato da un mascalzone del controllo<br />
accessi. Invece, mentre mi avvicino allo schermo e scorgo delle foto, mi sento rispondere<br />
un «No, vabè, niente di che, è che lui è uno che se la prende per „ste cose. Obiettivamente<br />
guarda, guarda qui, lui saprebbe far di meglio». Praticamente cosa succede? Il Signorino<br />
ha aperto il sito dell‟azienda organizzatrice, ha visto diverse foto scattate in questi giorni<br />
dal fotografo ufficiale, non le ha trovate di suo gusto ed è andato a reclamare. Siamo<br />
davvero al non plus ultra, mai avrei immaginato potesse raggiungere un tale picco.<br />
Mentre passano i minuti e lui non si vede, avendo la ghiotta occasione di documentarmi<br />
sul suo conto mi approprio del computer e sbircio. Pur senza aver la competenza di<br />
giudicare i dettagli devo ammettere una cosa: il Signorino tira fuori degli scatti niente male,<br />
sebbene Teo, che è sempre la mia bocca della verità in materia, storcerebbe il naso per il<br />
«troppo Photoshop e troppa poca naturalezza»; il fotografo ufficiale di questa<br />
manifestazione, invece, viene da pensare non sia nemmeno un fotografo. «Vedi qui?», mi<br />
sottolinea Raffaele, avvicinatosi negli ultimi attimi, «Questa luce che entra di lato e lascia<br />
questa specie di striscia è un errore da dilettanti». Mi spiega un altro paio di cose con<br />
calma e a domanda risponde che no, lui non è fotografo ma è un fotoamatore che si è<br />
educato col tempo. Ecco, il suo parere lo ascolto volentieri: è pacato, umile ma ben<br />
circostanziato in quel che addita. «Io capisco il suo punto di vista», prosegue, «perché dà<br />
fastidio a chiunque veder gente meno brava che fa carriera. Però adesso mi pare proprio<br />
stia esagerando, vuol parlare coi direttori. Ma me l‟avevan detto i miei amici che è uno<br />
così…».<br />
Dopo un buon quarto d‟ora il contestatore è di ritorno. Spiaccica due parole con fare<br />
baldanzoso ma è meno loquace del preventivato. Bip-bip, bip-bip, proseguiamo nel nostro<br />
dovere giornaliero. Si arriva in zona pranzo e prima parte Raffaele, poi parto io per il<br />
classico rendezvous con Mari ma senza più tiepida brezza primaverile, infine è la volta del<br />
Signorino.<br />
Ad un certo punto mi sento toccare sulla spalla. Mi giro: uomo sulla quarantina, completo<br />
grigio, tesserino della società organizzatrice e, particolare che mi fa strabuzzare gli occhi,<br />
cappello stile imbianchino in testa, fatto con carta di giornale.<br />
«Mi manda la direzione»<br />
«Prego?»<br />
«Per l‟apprendistato. Sono l‟incompetente!».<br />
In un decimo di secondo mi è chiaro quel che è successo.<br />
Lancio uno sguardo a Raffaele e lo vedo che quasi si copre la faccia dalla vergogna. Il<br />
fatto che però un uomo di quarant‟anni si presenti con questo fare da buffone mi dà<br />
fastidio quanto l‟insolenza fuori luogo del Signorino. Abbasso la serranda a cotanta<br />
messinscena chiarendo che il responsabile del misfatto è in pausa e nessuno di noi due<br />
c‟entra. «Ah…», il tizio vacilla per la schioppettata a vuoto e si toglie il Corriere dalla testa,<br />
«comunque dite al vostro amico che se vuole una sfida io sono disponibile, mi trova in<br />
ufficio». O Giustiziere della Nikon, ma sei scemo?<br />
A parte il fatto che -rifletto fra me e me- non so quanto gli convenga, ma è questa una<br />
maniera adulta di reagire? Dio mi scampi dall‟arrivare a quarant‟anni voglioso di fare il<br />
bullo con gente più giovane di venti.<br />
127
Finisce che addirittura mi scaldo in difesa di colui che fino a poco fa avrei voluto espellere<br />
tramite i condotti fognari. Ma quest‟uomo fatto e finito, sfiorante il metro e novanta,<br />
probabilmente padre di famiglia, che è appena ripartito per il corridoio e fra un attimo<br />
annuncerà ai colleghi che è stato mancato il bersaglio, quanto cazzo è stupido?<br />
Sicuramente abbastanza da farmi soffermare a riflettere. Dalla mia idea di quello che<br />
dovrebbe essere un uomo maturo di cervello, le opzioni sensate in una situazione del<br />
genere ritengo non possano essere che due: lasciar cadere, nella consapevolezza del<br />
proprio valore e senza tempo da sprecare in bazzecole con un ragazzino; oppure, con un<br />
gesto eccezionalmente raro, con quella mentalità che davvero in pochi hanno, invitare la<br />
persona ad un dialogo pacifico, educativo, dove con la forza delle buone maniere la si<br />
mette all‟angolo e oltre alla lezione d‟umiltà le si dà anche una chance di riscatto. Imparai<br />
questo a sedici anni, nei periodi in cui muovevo i primi passi con la musica e una<br />
compagna di classe mi parlò di un trentenne collega di sua mamma che faceva quel<br />
genere. Risposi in maniera stupida, con frasi da ragazzetto succube della TV tipo «Ma da<br />
dove saltan fuori questo e la sua combriccola? Mai sentiti da nessuna parte, ma che cazzo<br />
voglion fare…». Credevo la questione fosse morta lì, ma la mia compagna riportò a sua<br />
mamma, che a sua volta riportò al collega, che riportò al resto del gruppo. Nel giro di<br />
qualche giorno ricevetti un messaggio, una breve lettera passata di mano in mano, dove i<br />
ragazzi m‟invitavano a fare un salto da loro nel weekend «anche se non ci hai mai sentiti<br />
da nessuna parte». Ci andai, col capo cosparso di cenere per la figuraccia d‟apertura, e ne<br />
uscì una bella esperienza: prima volta che entravo in uno studio di registrazione, prima<br />
volta che potevo parlare con qualcuno di ciò che mi appassionava. Successivamente<br />
andai con loro anche ad un paio di live. Col tempo ci perdemmo di vista, ma il loro<br />
tendermi la mano anziché mandarmi affanculo (come di fatto avrei meritato) fu un regalo<br />
che ancora oggi apprezzo. Un grande insegnamento sotto il profilo umano.<br />
Quindi poche storie: non sto completamente a Fantasilandia. Grazie al cielo che ogni tanto<br />
dal vissuto mi giunge la riprova.<br />
Una dozzina di minuti e, ignaro di tutto, ricompare il Signorino. Lo vedo dalla distanza<br />
procedere a passo clacchettante, altezzoso nella sua taglia napoleonica. Mento all‟insù,<br />
sopracciglio leggermente inarcato. E tanto basta per rinfrescarmi la memoria su chi per<br />
qualche minuto ho pure pensato di difendere.<br />
«Guarda che t‟han cercato da dentro»<br />
«E chi?». Con sufficienza da direttore generale.<br />
«Il fotografo», gli risponde Raffaele.<br />
«Ah…». Eccolo che perde colore. «Ehm, e sapete perché?». Finto come l‟ecopelle.<br />
Gli facciamo un sunto del siparietto. Nel mentre gli si materializzano in volto le stesse<br />
smorfie di chi si è preso un mattone sull‟alluce ma vuol far creder sia un nonnulla. «Cioè,<br />
ma è un vostro scherzo cretino questo?». E no caro, ti piacerebbe ma è tutto vero. «Tsè,<br />
vabbè, guarda te che gente che c‟è in giro. Io non so…». Invece tu sai eccome, Signorino.<br />
Scorrono intensi minuti in cui appollaiato sullo sgabello, faccia nel computer e colorito<br />
latteo il nostro si estranea dai doveri obliteratori. Raffaele ed io suppliamo alla temporanea<br />
secessione e gettandogli un occhio di tanto in tanto lo vedo farmi pena come una rosa che<br />
appassisce. Da regina del giardino a materiale da cassonetto. Gli s‟affloscia pure il ciuffo e<br />
per come si è seduto gli s‟è arricciata una gamba dei pantaloni, neri, abbastanza per far<br />
intravedere un calzino, arcobaleno. In un altro momento avrebbe difeso abrasivamente la<br />
sua scelta di stile, sminuendo i miei cotone/tinta unita con la medesima asprezza utilizzata<br />
per declassare Brera. Ma non ora che è vulnerabile, che è immerso in un altro mondo.<br />
«Ma...era molto arrabbiato?». Così, d‟un tratto.<br />
128
Io e Raffaele ci guardiamo, come a chiederci se sia necessario rispondere. «Te l‟abbiamo<br />
detto, più che altro voleva sfotterti». Minuto di silenzio. Bip-bip, bip-bip.<br />
«Beh, io ci vado a parlare»<br />
«Ma lascia perdere», gli replica Raffaele.<br />
«No no, io ci vado. Non voglio malintesi sul posto di lavoro»<br />
«Ma tanto mica devi tornare a fare i book da settimana prossima?». Stoccata da dieci e<br />
lode. E che mi si lasci questa soddisfazione dopo quanto ho pazientato.<br />
Convinto delle proprie idee nonostante gli inviti a desistere, sgambetta in corridoio, si<br />
ferma dalle ragazze dell‟accoglienza, si fa indicare e prosegue verso la meta.<br />
Dopo una decina di minuti è di nuovo fra noi. La faccia è quella di uno che preferirebbe<br />
non ricevere domande.<br />
«Allora?». Ormai gliele sto rendendo tutte. Fingo addirittura una voce così genuina da<br />
farmi schifo da solo.<br />
«Beh…ci siamo chiariti. In effetti, errore mio: quelle foto sono da reportage. Quand‟è così<br />
cambia tutto».<br />
E la striscia di luce che mi diceva Raffaele? E gli altri particolari? E lo scandalo? E<br />
soprattutto, non l‟avevi considerato prima?<br />
Caro Signorino, diciamoci la verità, quelle foto non sorprendono nemmeno un profano<br />
come me. Dai adesso però, su su, non giriamoci attorno: tu il primo errore che hai fatto è<br />
stato pensare di poter guadagnare punti infamando una persona che nel bene o nel male<br />
gode della fiducia della direzione; secondo, una volta messo all‟angolo hai cercato la via di<br />
fuga più breve: il lecchinaggio. Mi spiace non aver assistito alle fasi salienti della soap, ma<br />
sono pressoché certo sia stato un fattore di simmetrie: quanto più ti sei scaldato nella<br />
prima dipartita, quanto più sei stato ghiacciato nella seconda. Da +40° a -40°. Chissà che<br />
show del «Ma io non intendevo…». Pessimo, pessimo Signorino, perché se almeno avessi<br />
battagliato saresti stato sì un arrogante, ma un arrogante che crede nelle proprie idee. E<br />
non mi saresti piaciuto comunque ma t‟avrei trovato in qualche modo interessante, perché<br />
talvolta l‟arroganza è la faccia maleducata della genialità. Invece così per come è finita sei<br />
un semplice vigliacco.<br />
Quel che rimane del turno scorre regolare. Bip-bip, bip-bip. Con persino una certa pace<br />
nell‟aria, poiché la lingua di uno di noi è stata neutralizzata.<br />
Una volta fuori sono copiose risate con Mari e poi non posso lasciare a secco Teo in<br />
merito alle disavventure odierne dell‟enfant prodige.<br />
La serata da Marilena passa come fosse un classico fine giornata di una coppia che<br />
lavora. Anche il risveglio sa di buono, nonostante sia presto, nonostante sia domenica,<br />
nonostante quel che mi han messo a fare. Se solo avere un lavoro mi regala questa<br />
sensazione, figuriamoci come mi sentirei in qualcosa che mi piace.<br />
Su questa riflessione passo l‟intera giornata, senza comunque che mi prenda alcun senso<br />
di nostalgia nei confronti di quel che domani, di questo, non avrò più.<br />
Bip-bip, arriva sera. Bip-bip, tanti saluti.<br />
129
26<br />
SOGNO E SON DESTO<br />
Tre settimane dopo aver lasciato l‟obliteratrice elettronica, la primavera ha ufficialmente<br />
fatto il suo ingresso e stesso mi aspetto faccia a breve anche la mia consueta, tanto cara<br />
allergia.<br />
L‟ultima ventina di giorni è stata un grande salto mortale con mille avvitamenti nel mezzo.<br />
E‟ nato il bimbo di Alessandro, un bel maschietto di nome Edoardo, e al neo-papà ho<br />
coperto alcuni turni in modo che potesse dovutamente accudire moglie e new entry; ho<br />
cominciato il famigerato incarico continuativo con Gerardo, in un altro luogo di umano<br />
crepuscolo; infine, e mai dulcis in fundo fu per me più dulcis, l‟album è ufficialmente stato<br />
pubblicato, così come anche il video. E lo dicevo che la storia era dalla mia: Billy Hoyle ne<br />
centrò una quinta, io idem. Ho raggiunto un buonissimo accordo di distribuzione nazionale<br />
per il CD, il che vuol dire averlo sugli scaffali non solo dei negozi specializzati nel mio<br />
genere, ma anche dei megastore generalisti e delle grandi catene; assieme, e questo è il<br />
vero colpo, il video è entrato in rotazione TV. E non su un canale a caso, bensì uno che<br />
calamita la massa. Basta vedere che al primissimo passaggio, che io di preciso nemmeno<br />
sapevo quando sarebbe avvenuto, dopo trenta secondi avevo al telefono un vecchio<br />
amico vittima della mia consueta riservatezza circa le imprese musicali: «Oh, stronzo, ma<br />
non m‟avevi mica detto niente! Stavo bevendo il caffè e c‟era il video dei Negramaro, poi<br />
sei saltato fuori te…mamma mia, spettacolo! Raccontami tutto». A questa chiamata ne<br />
sono seguite altre nel corso di ulteriori passaggi, che in realtà per uno nella mia posizione<br />
non superano mai i quattro-cinque al giorno, ma è già qualcosa. Anzi, è un ottimo risultato.<br />
Nessuno ci sperava, credevamo infatti saremmo rimasti confinati ad Internet ed eravamo<br />
pronti a regolarci tranquillamente di conseguenza, ma tanto io quanto A.B. avevamo<br />
chiaro che non andasse lasciato nulla d‟intentato. E l‟audacia ci ha ricompensati. Lui negli<br />
ultimi giorni è anche stato riconosciuto per strada. Niente autografi o richieste di foto, non<br />
ci siamo certo risvegliati Paolo Maldini, ma fa piacere vedere che qualcosa può cambiare.<br />
Inoltre, dal mio lato ho anche una buona dose d‟orgoglio per aver già dimostrato a coloro<br />
che hanno collaborato tanto al singolo quanto all‟album di saper fare le cose per bene e<br />
che pure se la moneta manca ci sono altri frutti da raccogliere impegnando del tempo con<br />
me. Guenda, ad esempio, poteva tranquillamente dormire fino a tardi quel weekend,<br />
invece ora passa in TV quel tot di volte al giorno ed ha una nuova voce nel curriculum che<br />
sicuramente la mette un passo più avanti di prima; Max, situazione simile, poteva bene<br />
riposarsi o magari evitare di farmi un prezzo di favore, ma ha guadagnato un tipo di<br />
esposizione che finora non aveva avuto e che da oggi in poi potrà utilizzare a suo<br />
vantaggio coi prossimi clienti.<br />
Altra novità dell‟ultima manciata di giorni è che, volente o nolente, sono stato costretto a<br />
far visita al commercialista di mia mamma. Essendo che già con quello che c‟è in<br />
programma solo con Gerardo passerò molto presto la soglia per la ritenuta d‟acconto, ho<br />
dovuto farmi consigliare sul da farsi. In realtà io intendevo solo in termini di partita IVA, ma<br />
insieme all‟apertura di quella con regime dei minimi il dottor commercialista, combinando<br />
dialetto lombardo e parlata accelerata, ci ha tenuto a consigliarmi anche sul da farsi nella<br />
vita.<br />
«Téé…vacheadessbisògnarimbucasimanic, nèè» 1<br />
«Lo so, lo so». Come se finora fossi stato in spiaggia coi racchettoni.<br />
«Perchèvardachemicugnusilatuamama…lasèsemperfadauncüinscì» 2<br />
1 “Mio caro, guarda che adesso sarà necessario rimboccarsi le maniche, capisci?”<br />
2 “Perché guarda che io conosco tua mamma…si è sempre fatta un culo così”<br />
130
«Lo so, lo so». Pensi davvero di venire tu a insegnarmelo?<br />
«E, alura, sü sü Colombo, vacheadessasascherzapüü nèè» 3<br />
«Lo so, lo so». Accidenti, e io che invece mi stavo divertendo…<br />
Giusto conclusa la seduta psicanalitica arrivavo per la quarta volta a prestare servizio nella<br />
nuova, tristerrima residenza universitaria. In tre settimane trascorse dietro il vetro della<br />
reception ho già assistito ad una discreta quantità di episodi.<br />
In primo luogo, il turno di formazione a fianco dell‟uomo di fiducia locale mi ha lasciato<br />
basito. Nemmeno quarantott‟ore dopo aver abbandonato obliteratrice elettronica e<br />
Signorino ho avuto la proverbiale sensazione di essere passato dalla padella alla brace.<br />
Preparato mentalmente ad imbattermi in un Taddeo o in un Giovanni, mi sono invece<br />
trovato al cospetto di una creatura del tutto nuova. Come a ribadirmi che il gelato non<br />
esiste solo fragola e fiordilatte, ecco che la vita m‟inviava un omino brizzolato con la fissa<br />
dei numeri, un John Nash della Pianura Padana, “a beautiful mind”. Assaporando i suoi<br />
infiniti calcoli delle presenze e i suoi ossessivi conteggi delle chiavi ad ogni entrata e uscita<br />
dei centocinquantaquattro residenti, ho capito che tramite questo individuo una forza<br />
superiore voleva ricordarmi che in gelateria è sempre, ancora disponibile quel gusto<br />
ignobile che anche il gelataio caccia nell‟angolo, reietto, e il cui cestello è sempre pieno<br />
raso, intatto, vergine. Un gusto pastoso, pesante, assetante come il sale, ma pur sempre<br />
un sapore, pur sempre un prodotto, e che data la scarsa richiesta a maggior ragione ogni<br />
tanto va forzato in gola a qualcuno: la zuppa inglese.<br />
Per me quel primo turno è stato una vaschetta da due chili, zuppa inglese.<br />
Più addizioni e sottrazioni che in tutta la quarta elementare, ogni venti minuti controlli<br />
incrociati fra bacheca chiavi e registri, conta e riconta, guarda che nessuno esca senza<br />
notificare, «Meno male che siamo in due, così posso andare in bagno tranquillo», silenzio<br />
di tomba, un occhio ai monitor e uno all‟atrio, strabismo indotto, sudore freddo. In una<br />
parola: panico. Io, allibito, potevo vedere i numeri uscirgli dalla testa, dal naso, dalle<br />
orecchie, dalla pelle. Trasudava aritmetiche, pronostici fallaci, terrore degli sbagli pure<br />
nell‟esattezza matematica. E prima che arrivassi io, questo lo costringeva alla costipazione<br />
turno natural durante. Il tutto per una procedura necessaria solo in due momenti: inizio e<br />
fine giornata. Gliel‟ho anche suggerito, ma ha seccamente ribattuto che «è sempre meglio<br />
essere sicuri». L‟ho dunque abbandonato ai suoi deliri, che ha sospeso solo per<br />
concedersi una cena a base di riso scotto e vinaccio portati da casa. Sono addirittura<br />
uscito dalla stanza con una scusa per non cadere vittima dell‟olezzo che il suo intero pasto<br />
emanava, osservandolo mentre fagocitava bocconi e sorsi quasi strozzandosi, ingobbito,<br />
assumendo fattezze da Gremlins.<br />
Per il resto, il direttore è un uomo tranquillo mentre il suo braccio destro un cafone di prima<br />
categoria. Identico è il tandem dei tutor, con uno molto cordiale e l‟altro con fare da<br />
guardia carceraria. In quanto ai residenti, ancora una volta si tratta solo di maschi, ancora<br />
una volta di parecchi casi umani, ma la novità è che per rimpinguare le casse di questo<br />
posto vengono accolti anche diversi quaranta-cinquantenni, lavoratori, alcuni dei quali non<br />
perdono l‟occasione di ritornare ragazzini e propinare scherzi a persone di cui potrebbero<br />
essere genitori. Le due vittime predilette dell‟edificio sono un ventottenne della Napoli<br />
bene, versione vesuviana del Ragionier Filini, e un agrigentino con strane fisse sul<br />
culturismo e l‟abbigliamento da zarro milanese. Bersagliati in primo luogo dai propri<br />
conterranei, i due portano rispettivamente i soprannomi di “O‟ miele” e “Sbilancere”. Il<br />
secondo basta vederlo per capire come mai, visto che probabilmente allena la parte destra<br />
del corpo col doppio dei chili che usa per la sinistra, uscendone con una postura da piano<br />
3 “E, allora, dai dai Colombo, guarda che adesso non si scherza più, capito?”<br />
131
inclinato; il nomignolo affibbiato al primo invece mi è stato riportato nacque durante una<br />
sua notte di mal di pancia, quando il vicino di stanza scoprendolo dolorante in bagno si<br />
propose di preparagli un tè zuccherato, ricevendo con voce salemmiana la risposta «Nun<br />
fare chill‟ ca risparmia. O‟ sacc‟ c‟o tieni, mettic‟ o‟ miele!». E mentre il siculo nel suo fare<br />
sgangherato ma bonario mi suscita simpatia, il partenopeo e il suo atteggiamento da<br />
baronetto sono una grossa tentazione verso l‟offrire appoggio ai tiri mancini della<br />
Compagnia degli Scherzi. Mi hanno già chiesto se possa fornire loro le chiavi di scorta per<br />
piazzargli dei piccioni in camera, ma sinceramente preferisco non avere un morto di<br />
crepacuore sulla coscienza. Che poi il miele appiccica pure.<br />
Ma l‟episodio finora maestro si è verificato giusto durante il mio ultimo turno questa<br />
settimana.<br />
Uno dei residenti con cui scambio due parole ogni tanto è entrato in reception, mi ha<br />
piazzato un libro in mano e mi ha detto: «Leggi». Io che stavo finendo la pizza avevo poca<br />
voglia di lasciar raffreddare l‟ultima fetta, specie per dare attenzione a questo ragazzo, il<br />
quale dalla simpatia delle prime battute è progressivamente passato a prendersi una<br />
confidenza che io certo non gli ho concesso. Fame quindi, cena sul tavolo e dente<br />
leggermente avvelenato.<br />
Per pura cortesia ho dato un‟occhiata. Leggevo, ma era roba di ingegneria e io non ho<br />
basi né per capirla a fondo, né eventualmente per apprezzarla. Girando pagina ho notato<br />
con sollievo trattarsi di un capitolo lungo in realtà poco più che sessanta righe. Un<br />
paragrafone, diciamo. Felice di poter arrivar presto al bandolo della matassa, ma al tempo<br />
stesso deluso da quella paginetta e mezza propinatami a cena in corso e sicuramente<br />
priva di rivoluzioni, non ho potuto che agire di conseguenza.<br />
«Tutto qui?». Eh, d‟altronde…<br />
«Ma hai visto bene?!». Seccato.<br />
«Visto bene cosa?». Seccato anch‟io.<br />
«Qui, no? E svegliati…». Pagina indietro, polpastrello a battere sulla parte alta. Tasso<br />
d‟insolenza verso il picco. Io vicino alle cattive maniere.<br />
«Eh…e allora?». In realtà a questo punto sono giunto a capire cosa volesse farmi notare.<br />
«E‟ il mio nome quello lì. Questo è un estratto della mia tesi»<br />
«Complimenti». Con giustificata aria di sufficienza.<br />
«Vabbè, va‟…dimmelo così! Arrivaci te a fare una cosa del genere, poi ne parliamo».<br />
E girando le spalle se n‟è andato.<br />
Passando all‟ultima fetta di pizza, ormai meno che tiepida, potevo avvertire di stare<br />
diventando come una lattina di Sprite agitata con insistenza. Sentivo un miliardo di<br />
bollicine sgomitare per uscire e gridargli: «O pezzo d‟imbecille, ma come ti permetti? E tu<br />
lo sai invece che ho un disco nei negozi e pure un video che gira in televisione? No che<br />
non lo sai, perché in „sto tugurio dove soggiorni c‟avete una TV da dividervi in mille<br />
disgraziati e l‟unica cosa che vi guardate è il calcio, perché per il resto litigate su tutto.<br />
Quindi nemmeno saprai, fra qualche giorno, che mi hanno pure appena intervistato nel<br />
miglior programma di settore in Italia. Dieci minuti di parlato più passaggio del video, dicesi<br />
quasi un quarto d‟ora dedicato a me in un programma da sessanta minuti. E lo sai poi che<br />
non finisce mica qui? Le recensioni che stanno uscendo sono molto buone e sono su<br />
riviste con migliaia di lettori. E c‟è dell‟altro che si sta muovendo, come c‟è anche altro che<br />
faccio da anni. Allora arrivaci te a fare non una, ma una serie di cose del genere, poi ne<br />
parliamo. Idiota».<br />
Ma ho lasciato andare un rutto e le bollicine si sono estinte nell‟aria.<br />
132
D‟altra parte cosa si può replicare a uno così? Si fosse posto in maniera differente gli avrei<br />
stretto la mano e fatto i complimenti, perché piccolo o grande è sempre un traguardo<br />
raggiunto con l‟impegno. Come nel il mio caso. Poco importa se poi ne parla la tele o ne<br />
parla l‟università o non ne parla nessuno. E‟ il prima, il percorso verso la meta che<br />
racchiude la sostanza, che fa la differenza. Anzi, metà della differenza. L‟altra metà è<br />
come il risultato s‟interpreta.<br />
E una volta m‟imbatto in un messia fotografico, e dopo qualche settimana in un profeta<br />
dell‟ingegneria. E io sempre zitto sul mio conto.<br />
Sempre zitto perché anche se ne parlassi, cadrebbe tutto nel vuoto. Persone del genere<br />
sono troppo prese da sé stesse per aver la finezza di comprendere i risultati altrui.<br />
Nemmeno sanno dare misura ai propri.<br />
E sempre zitto perché comunque è con incarichi da menomato e in posti infimi che mi<br />
guadagno la pagnotta. Potrò anche saltar fuori in TV dopo i Negramaro, ma i Negramaro<br />
non sono certo all‟opera per Gerardo e Damiano quando non li si vede.<br />
Quindi <strong>Matt</strong>ia, da un lato stanno succedendo delle belle cose ma dall‟altro sei ancora a<br />
terra. E sistemato non lo sei in nulla. E anche marzo è agli sgoccioli.<br />
Come su ogni ring, sei a un colpo dalla svolta quanto a un colpo dall‟essere mandato giù.<br />
Pensa solo a tenere duro e lascia perdere gli altri.<br />
Parlo a me stesso nei pensieri di un sabato soleggiato, fuori. Finisco di rispondere alle email<br />
di amici vari che si felicitano per l‟album e i relativi sviluppi. Lara, la finalmente<br />
dottoressa Claudia, ex compagni d‟università, di liceo, delle medie, delle squadre dove ho<br />
giocato così come anche sconosciuti che mi hanno visto o sentito da una parte o dall‟altra.<br />
Qualcuno nella mia posizione li chiamerebbe “fans”, a me invece fa ridere solo il pensarmi<br />
pronunciare quella parola. L‟unica cosa che nessuno mi toglie, finisse anche tutto in<br />
questo momento, è l‟orgoglio per aver raggiunto un obiettivo.<br />
Ed esco in bici, che fa poco artista. E vado a prendermi un gelato, che fa poco star. Ma ho<br />
i miei mille Euro al mese, dopotutto, quindi che si festeggi.<br />
Fuori da un minuto, già mi pizzica il naso. Accidenti: allergia.<br />
133
27<br />
BERE GRATIS<br />
Mi ci è voluta una settimana di ritiro spirituale per tornare presentabile. Un ringraziamento<br />
particolare lo devo alla pioggia, che ad ogni scroscio ha dato alle mie vie respiratorie un<br />
sollievo incredibile. Per il resto antistaminici, specie al lavoro oltre che in vista delle notti, le<br />
quali altrimenti sarebbero finite regolarmente in bianco.<br />
Uscito dallo stato di licantropia bronchiale e dalla clausura che una volta all‟anno mi ritrovo<br />
imposta, nell‟ultima manciata di giorni ho potuto accettare alcuni degli inviti per un caffè,<br />
per un aperitivo, per un amaro, per una birra, per qualsiasi cosa di liquido che conoscenti<br />
di ogni sorta mi hanno proposto. Ne ho avuti per tutti i pasti tranne la colazione, che<br />
comunque preferisco sempre fare a casa col mio consueto tazzone di tè e la mia dozzina<br />
abbondante di biscotti.<br />
Il motivo di cotanti inviti tutti assieme è chiaramente correlato a quel che sta accadendo<br />
col disco. Negli ultimi giorni ho pure scoperto l‟efficacia dei media locali, dopo che il<br />
quotidiano cardine della mia provincia mi ha dedicato mezza pagina con tanto di foto. Nel<br />
circuito paesano (cioè panetteria, pasticceria, alimentari, ufficio postale e rivenditori di<br />
sanitari) mia mamma è stata eletta dalle circostanze mia portavoce ufficiale. Dopo essermi<br />
sentito dire cose tipo «Ti saluta l‟idraulico» e «Han detto i panettieri di fermarti se passi»,<br />
incerto se fossero cordialità o velate minacce l‟ho istruita sul rispondere sempre «Grazie<br />
mille, riferirò. Ma in questo periodo è sempre via», che fa molto Cremonini in tour e, a<br />
scanso d‟equivoci, evita di farmi finire infornato a duecento gradi e con un tubo su per il<br />
culo.<br />
Facendo quindi sempre il gesto di estrarre il portafoglio ma di fatto mai pagando, fino ad<br />
oggi che è il quattro di aprile ho avuto una decina di tête-à-tête. Quando sorpassavano i<br />
cinque minuti ho sempre fatto in modo di spostare il baricentro della conversazione verso<br />
l‟altra persona, perché davvero a parlare di me oltre una certa soglia provo imbarazzo.<br />
Avessi fatto i milioni probabilmente mi scioglierei più facilmente. Il problema è che per ciò<br />
che mi sta succedendo gli altri sono molto più esaltati di quanto lo sia io e probabilmente<br />
credono che i milioni sia prossimo a farli.<br />
Nel più dei casi, comunque, sono riuscito nel mio intento e si è finiti a parlare d‟altro. Vita<br />
in generale, visioni di vita in generale.<br />
Vittorio, il vecchio amico che per primo mi ha contattato e praticamente annunciato lo<br />
sbarco del video in TV, l‟ho incontrato in una caffetteria. Cappuccino al tavolo, posto<br />
tranquillo e lunga chiacchierata. Spettando a me i primi minuti, imbastendogli un resoconto<br />
di tutte le varie mosse legate alla musica in stile “istruzioni per l‟uso” ho preso coscienza di<br />
quanto realmente ho fatto. E‟ stato come riassumere un romanzo a puntate tutto d‟un fiato<br />
e mettendo vicini i punti salienti ne sono rimasto sbalordito io per primo, come ad aver<br />
viaggiato l‟Italia in lungo e in largo ma vederla per la prima volta su Google Maps.<br />
Vittorio invece, quando finalmente sono riuscito a farlo parlare di sé, mi ha aggiornato sulla<br />
situazione con gli studi. E‟ maggiore di me di un anno ma ancora gli manca un semestre<br />
per la triennale in Scienze Politiche. Insomma, deve passare quattro esami nella sessione<br />
estiva e poi galoppare con la tesi. Se va così si laurea per fine anno, «…altrimenti mi sa<br />
che a „sto giro mollo del tutto». Non il più raggiante dei prospetti comunque vada, visto che<br />
anche nella migliore delle ipotesi non continuerà con una magistrale. Da un lato rischia di<br />
rimanere unicamente con la maturità scientifica in mano, dall‟altra sì con una laurea ma<br />
uscendone da figura incompleta. E lo sapeva bene che con ciò che s‟è scelto o puntava ai<br />
cinque anni, o era persino inutile iniziare. Invece il quadro non è roseo, perché al di là del<br />
valore nominale del pezzo di carta non gli rimarrebbe granché in più da mettere sul piatto<br />
in ambito lavorativo.<br />
134
«Sì, ma tanto a me non me ne frega niente, guarda. Io voglio un lavoro routinario,<br />
ripetitivo, dove impari una cosa, fai sempre quella e non hai rotture di scatole». Io attonito.<br />
In quell‟esternazione c‟era il vecchio Vittorio, inserito però nel mondo degli adulti. Quel<br />
ragazzo buono, per carità, ma indolente; lo stesso che, nel suo metro e novantaquattro,<br />
per il basket aveva il fisico ma non la grinta. Gregario a vita, ieri in campo e oggi non solo.<br />
E con quella chiacchierata ho messo una pietra sopra. Non alla persona, ma alla speranza<br />
che ad un certo punto potesse centrare qualcosa. E‟ sempre stato un tipo diligente,<br />
dopotutto, e io pensavo che alla lunga questa caratteristica potesse ripagarlo come può<br />
succedere ad un eterno ma costante secondo nel motociclismo, che pur non vincendo<br />
alcuna gara alla fine vince il titolo.<br />
Trattasi però di possibilità infinitesimali, storie da colmo. M‟è toccato capirlo, come anche<br />
capire che non c‟è speranza per il buon vecchio “Vic”, quello più da passaggi che da tiri, di<br />
rivelarsi colui che decide la partita.<br />
Per la serie “provincia by night” invece, mentre ero fuori con altri in una delle ultime sere<br />
mi sono imbattuto al bancone con tale Mirko, personaggio noto a tutti e che riscuote<br />
parecchi consensi fra la folla. Uno di quei tipi belli ma non bellissimi, alti ma non altissimi e<br />
con due cose: i vestiti e la parlantina. Punto.<br />
Non ci siamo mai stati antipatici, ma nemmeno simpatici. Quindi non avevo altra<br />
intenzione che prendere da bere e unirmi al resto del gruppo. Se non che, mentre mi era<br />
arrivata dal barman una caipiroska alla fragola e stavo rovistando nel portafoglio, è<br />
sopraggiunta una voce da destra: «Lascia, offro io!».<br />
Per norma di cortesia ho tentato di dissuaderlo ringraziando, ma già sapevo non ci fossero<br />
alternative. Quindi cannuccia giù, primo sorso, mescolata per mischiare ghiaccio e<br />
zucchero ed ero pronto a sciropparmelo.<br />
«Come va, allora?». Mirko, non farmi commuovere, è la prima volta che me lo chiedi.<br />
«Tutto a posto, te?»<br />
«Regolare, regolare. Ué, ma ho visto il video, eh! Oh: complimenti». Mirko, sto per<br />
chiederti un fazzoletto.<br />
«Grazie, mi fa piacere. Ma dov‟è che l‟hai visto?»<br />
«In Internet»<br />
«Ah, perché sai che sta girando anche in tele, no?»<br />
«Ma va?!»<br />
«Sì, un quattro-cinque volte al giorno. Comunque dopodomani sera alle dieci e mezza c‟è<br />
la replica di un programma dove m‟hanno intervistato. Se sei in casa buttagli un occhio,<br />
magari».<br />
E quando gli ho detto il nome del canale, ancora un po‟ gli cadeva il Cuba.<br />
Io che però pensavo di delegare la sua curiosità alla TV, per la serie “Trovi tutto lì. Ciao”,<br />
sbagliavo di grosso. Avrei dovuto tacere, parlare solo ed esclusivamente in conseguenza<br />
di quel che sollevava lui. Invece, per una volta, visto che non poteva esserci momento<br />
migliore, ho voluto levarmi lo sfizio di far perdere un po‟ di vera bava dalla bocca a uno<br />
che la bocca se l‟è sempre riempita di stronzate, in questo fazzoletto di terra,<br />
quest‟acquitrino sociale incuneato fra due province dove -non mi capacito ancora come-<br />
riesce a vendere la sua chiacchiera col medesimo profitto degli antichi colonizzatori che<br />
rifilavano pezzetti di specchio agli indigeni e si vedevano spalancare le porte del villaggio.<br />
Il proseguo della conversazione, in pieno stile Mirko, ha fatto schizzare ai massimi livelli il<br />
ridicolometro. A me, s‟intende. Con gli indigeni avrebbe attecchito in pieno.<br />
Con una sostanziosa premessa voleva farmi credere di essere un estimatore di lunga data<br />
del mio genere, sciorinando pareri su quel paio di casi da alta classifica, sulla diatriba<br />
135
Italia-America e, come ogni finto esperto che si rispetti, sulla piaga degli artisti<br />
underground che «adesso si son venduti, son commerciali».<br />
Questo punto, mentre io posavo il bicchiere, è stato il suo anello di congiunzione verso la<br />
vera vetta del discorso: idee e proposte per lanciarmi nel music-business. Statunitense. Sì:<br />
addirittura. Connessioni a New York, in Florida e a Los Angeles. East Coast, West Coast.<br />
«Adesso chiamo io un paio di persone».<br />
Accidenti, a „sto giro davvero si fa il botto, pensavo di dirgli. «Mirko, ma sai là cosa gliene<br />
frega di uno che fa la roba in italiano?».<br />
Colpito, affondato. Gli si è pure bloccato a metà il sorso che stava tirando, l‟ho visto dalla<br />
cannuccia trasparente. Fine del film, del film di Mirko dove lui, io, i suoi amici americani e<br />
probabilmente Jay-Z o Puff Daddy stappavamo champagne su un jet privato. Eh no,<br />
ahimé non ci sarà mai una foto del genere per il suo Facebook. Sorry, man.<br />
«Oh Mirko, raggiungo gli altri che siam qua assieme. Grazie ancora per il cocktail»<br />
«Ma figurati. Ci becchiamo in giro allora, boss. Fai il bravo!». Pure tu, Mirko.<br />
La bevuta comunque finora più interessante -e più imbarazzante perché ho cercato in tutti<br />
i modi di offrire ma non mi è stato concesso- è stata quella con Stefania, una excompagna<br />
d‟università che abita a pochi minuti da me, nei pressi dell‟indimenticabile<br />
locale del tanguero.<br />
«Così mi racconti del disco» era stato solo un pretesto per incontrarci, dato che da tempo<br />
volevamo scambiare due parole faccia a faccia. Infatti l‟argomento è cambiato dopo<br />
cinque minuti senza che io dovessi nemmeno forzare la mano.<br />
Il nostro primo punto in comune è l‟essere stati ben decisi sul non voler proseguire con la<br />
specialistica del nostro corso di laurea; il secondo è che ci siamo ritrovati in mezzo al<br />
mare, in cerca di una rotta per la terraferma. Nessun rapporto causa-conseguenza: questa<br />
è l‟unica consolazione, come al contempo l‟amara conclusione che non sempre le scelte<br />
giuste portino a progredire. A volte semplicemente evitano si regredisca.<br />
Per uscire dallo stallo c‟è da costruirsi nuovi obiettivi e quello di Stefania mi è stato detto<br />
chiamarsi Madrid.<br />
«Ma non potevi scegliere un‟altra corona da avere sulla testa?» è stata la mia domanda,<br />
intendendo se in questi tempi di crisi non sarebbe stato più saggio optare per l‟Inghilterra.<br />
Ma lei preferisce il sole, mi ha detto, e vuole seguire ciò che più l‟ha appassionata durante<br />
gli studi. Donna dinamica, caparbia, ma sognatrice: chissà a che segno corrisponde<br />
questo profilo. E chissà se il segno poi è davvero il suo.<br />
Mi ha spiegato il possibile piano d‟azione se un paio di pezzi s‟incastreranno a dovere,<br />
dicesi una sistemazione d‟approdo tramite conoscenti di suo fratello e probabilmente un<br />
master in partenza a settembre. «Ma se non mi prendono, comunque mi do un paio di<br />
mesi per vedere se trovo un lavoro che mi piace».<br />
Mentre l‟happy-hour scorreva fra piatti già riempiti due volte a testa, mi sentivo raccontare<br />
dei discorsi fatti ai suoi genitori sul prendersi un periodo di prova del genere: «Gliel‟ho<br />
detto chiaro e tondo che qui l‟ambiente m‟ha stancata. Dovrei chiudermi in uno stage di sei<br />
mesi pregando che poi m‟assumano a progetto? Se devo rischiare di buttar via tempo<br />
così, io piuttosto vado a vedere cosa succede da un‟altra parte. Mal che vada a Natale<br />
torno indietro». «Ma con lo spagnolo a quel punto se non perfetto, quasi», il ragionamento<br />
gliel‟ho concluso io in segno d‟approvazione. E‟ sempre una cosa giusta darsi una chance,<br />
specie quando coerente con un percorso già intrapreso da anni.<br />
E mentre la sentivo parlare, e mentre lasciavamo il tavolo, e mentre ci salutavamo sentivo<br />
dentro un misto di approvazione ed invidia, roba da volerle fare i complimenti e assieme<br />
voler essere al suo posto. Probabilmente la stessa sensazione che hanno nei miei<br />
confronti i vari Vittorio, Mirko e tutti quelli che in questi giorni mi vedono sbucare in TV, su<br />
qualche giornale o che mi vengono a cercare in Internet.<br />
136
Brava Stefania, mi dicevo, tu sì che sei prossima al colpo.<br />
E me lo dico ancora adesso, mentre alle quattro e zeroquattro di questo venerdì<br />
pomeriggio pago un Euro e mezzo per la tangenziale verso il turno conclusivo della<br />
settimana.<br />
Un‟altra persona progetta di andarsene. E io?<br />
137
28<br />
UNA CANDELINA<br />
Mezzogiorno e mezzo, colazione appena finita. Nessuno ha detto niente.<br />
Già, nessuno si ricorda.<br />
Meglio così.<br />
Ho aperto gli occhi alle dieci ma non mi sono alzato che una ventina di minuti fa. Nel<br />
mezzo solo un grande flashback.<br />
Ci siamo, mondo: tutto gira come sempre, lo riconosco, ma per me ogni rumore è diverso<br />
oggi, ogni immagine più lenta.<br />
Il soffitto della mia camera. L‟ultima volta che l‟ho imbiancato con mio papà. La mia<br />
camera. Arredata che avevo sei anni. Nella vecchia casa dormivo in corridoio. La nuova<br />
casa, vuota. Solo la cucina c‟eravamo portati. In salotto quando arrivarono un divano e un<br />
mobiletto d‟accatto ci sentivamo signori. Il mutuo, dieci anni. Le vacanze, poche. L‟ultima<br />
rata estinta, io sedici anni. Fu come uscir di galera. «Che bello, adesso è nostra nostra!».<br />
Una lenta risalita. Il mio liceo. Rette, voti, litigi. Rette. Via poi, fuori. Fuori dalle aule, fuori<br />
dai giudizi, dentro in università, matricola numero tot. Voglia di respiri ampi. Ressa, apnea<br />
come soluzione. Poi un morso al cordone, la nascita, l‟aria. L‟aria, tanta. Poi l‟aria, troppa.<br />
Tempo scaduto: diciotto aprile. Un anno. Fallimento dichiarato.<br />
E questo appartamento mi sembra una reggia, le due utilitarie che abbiamo un lusso<br />
inarrivabile, la spesa che mia mamma ha appena fatto un qualcosa di opulento. So che è<br />
tutto normale, ma è anche tutto eccezionale. Soprattutto per una ragione: io non so se e<br />
quando potrò permettermi altrettanto.<br />
Semplicemente le ho provate tutte, ma non ho tirato su che briciole. La musica sì, meno<br />
male che c‟è, ma è come la Tachipirina con la febbre: abbassa la temperatura ma non è la<br />
soluzione al problema. E c‟è un‟infezione da qualche parte che mi sta portando al collasso.<br />
Anche a fare autocritica non riesco ad incolparmi, a meno che non si decreti che nella vita<br />
abbia fatto tutto -ma proprio tutto- sbagliato. Come ad aver indossato una maglietta<br />
sempre al contrario, con le cuciture e l‟etichetta fuori, in bella vista, e io ignaro del fatto.<br />
Ho letto che quando si finisce travolti da una valanga si perde il senso del sopra e del<br />
sotto e la via più semplice per capire la propria posizione è aprirsi un piccolo antro e<br />
sputare. Ecco, io l‟ho fatto: ho respirato, spremuto le ghiandole e aperto un poco le labbra.<br />
La saliva, in un fiotto schiumoso, è finita dove pensavo: sul mio alluce.<br />
Ma.<br />
C‟è un “ma” che non mi torna. Qualcuno l‟avrà infilato in una bottiglia e gettato in mare<br />
aperto, perché io non riesco davvero a trovare quest‟ultimo tassello del mosaico.<br />
Dev‟essere certamente una formula segreta che sovverte tutte quelle che ho appreso<br />
finora. Tutti i manuali, tutte le dimostrazioni di coloro che sono venuti prima di me. Sui<br />
fondali di qualche dove c‟è un pezzo di carta con l‟algoritmo per rendere i padri del mio<br />
pensiero risibili quanto bambini.<br />
Io più mi guardo, più mi sento una cavia al centro di un esperimento: l‟inversione di<br />
gravità. O probabilmente non sono solo io, è un maneggio su larga scala che sfuggito al<br />
controllo ha capovolto tre quarti della mia generazione. E oggi noi cadiamo verso il cielo.<br />
Dove vado, quindi? In quale biblioteca, in quale laboratorio? Da quale sapiente, da quale<br />
scienziato?<br />
138
Ho girato tutti gli uffici che potevo girare, parlato con tutte le persone con cui potevo<br />
parlare, fatto tutte le telefonate che potevo fare, mandato tutte le carte che potevo<br />
mandare. Come anche giocato tutte le carte che potevo giocare.<br />
E‟ questo mazzo che è maledetto. Ne avrei bisogno uno nuovo.<br />
Nel tormento fino a pomeriggio inoltrato, fattesi le tre e mezza decido di fare una<br />
telefonata inconsueta.<br />
Suona libero tre volte, poi un‟altra, poi rumore di traffico e di cornetta che gracchia. Finché,<br />
finalmente, la voce.<br />
«<strong>Matt</strong>!». Lui mi chiama così.<br />
«Martin! Wie geht‟s, mein Freund?». Dimmi come stai, amico mio.<br />
«Tutto bene, non mi lamento. Sono appena uscito dal lavoro»<br />
«Si sente, si sente che c‟è un bel casino!». Vada per l‟italiano.<br />
«Tu come stai? E la tua famiglia, tutto bene?»<br />
«Loro sì, tutto a posto. Io un po‟ meno, sinceramente»<br />
«Perché, non stai molto bene?»<br />
«Eh, insomma, è una storia lunga. Te la racconterò perché ti devo anche chiedere una<br />
cosa, ma fra cinque minuti mi devo preparare per andare al lavoro»<br />
«Ah, ma l‟hai trovato, allora? Che lavoro fai?»<br />
«No Martin, poi ti spiegherò meglio, ma è un lavoro che faccio solo per prendere due soldi.<br />
Tu col tuo tutto bene, invece?»<br />
«Non c‟è male, come sempre faccio quattro ore ogni giorno. Ora è difficile però, perché<br />
devo finire alla svelta anche il mio…ehm, come si dice in italiano, il mio Magisterarbeit»<br />
«La tesi»<br />
«Ecco sì, la tesi. Il mio professore mi stressa che la vuole avere presto. Forse dovrò<br />
chiedere di ridurre il part-time. Ma sono indeciso, perché se lavoro meno di venti ore a<br />
settimana faccio un po‟ fatica a vivere»<br />
«Consolati va‟, che c‟è chi sta peggio»<br />
«Eh sì, lo so»<br />
«Senti, mi tocca salutarti di già. Vado a prepararmi. Tieni d‟occhio la mail che al massimo<br />
domani ti scrivo. Praticamente ti ho telefonato per avvisarti di questo, ho bisogno un tuo<br />
parere su un‟idea»<br />
«Va bene. Senti, ma quando vieni qui in Germania a trovarmi?»<br />
«Guarda, adesso come adesso devo badare un po‟ al disco. E‟ una fase calda, ma<br />
appena mi rilasso un pochino ci organizziamo. Leggi l‟e-mail, mi raccomando».<br />
Ci salutiamo, quindi mi preparo e mi metto in strada. Settimo venerdì di tangenziale,<br />
dall‟altra parte tutti incolonnati. Io invece entrando in città ho vita facile, scorro fluido.<br />
Solite procedure d‟inizio turno, solita gente che rientra, poi pizza tonno e cipolla alle otto e<br />
tre quarti, viavai d‟ordinaria amministrazione, Sbilancere che torna in camera dopo<br />
l‟allenamento, O‟ miele che vuole scrivere un reclamo al direttore per l‟ennesimo scherzo<br />
subito, gli altri che se la ridono e infine, quando sono ormai le undici, la situazione si<br />
acquieta. Chi è fuori tornerà a notte fonda, chi è dentro è in branda.<br />
Non ho Internet a disposizione, ma un computer sì. Ho portato apposta la mia chiavetta, in<br />
modo da salvare il file e poi spedire appena possibile.<br />
Martin,<br />
Mi ha fatto piacere sentirti. Devi deciderti a crearti un account<br />
su Skype, così facciamo due chiacchiere più spesso!<br />
139
Come ti accennavo per telefono, le cose non vanno benissimo.<br />
Musica a parte, dove davvero non mi aspettavo certi risultati<br />
nonostante siano figli dell‟impegno che ci ho messo, per il resto<br />
è passato proprio oggi un anno dalla mia laurea. Su questo fronte<br />
non ho ottenuto ciò che speravo, proprio per niente.<br />
Mesi fa i miei genitori mi dicevano di portare pazienza, che<br />
poteva volerci anche un anno per fare colloqui e trovare un buon<br />
posto di lavoro. Bene, qui un anno è passato, mi sono dato da fare<br />
al massimo ma non è saltato fuori nulla.<br />
Sai cosa faccio da qualche settimana? Praticamente il portiere in<br />
un dormitorio per studenti. E‟ un impiego tristissimo, ma mi tocca<br />
pure ringraziare il cielo perché altrimenti non avrei nemmeno quel<br />
migliaio di Euro al mese.<br />
Mi hai chiesto quando verrò in Germania. Non ho approfondito il<br />
discorso per il poco tempo che avevo, ma proprio di questo ti<br />
volevo parlare: che ne pensi se tentassi di trasferirmi lì?<br />
Non intendo in casa tua, stai tranquillo! Infatti nel caso<br />
punterei a Berlino. Francoforte la posso tenere come alternativa,<br />
ma pur non essendoci mai stato sono affascinato dalla vostra<br />
capitale. Studiando tedesco per anni, tutte le parti di cultura<br />
hanno avuto la storia del Muro come cardine, quindi mi sento già<br />
un po‟ berlinese per la mole di libri che ho letto.<br />
Ora ci devo pensare bene e in primo luogo devo farmi tutti i<br />
conti, non solo in merito ai soldi. Evito di elencarti i dettagli,<br />
ma ci sono diverse cose che non posso mollare con facilità. Anzi,<br />
può darsi che proprio queste cose alla fine faranno sì che resti<br />
dove sono. Paradossalmente, ciò che di buono sono riuscito a<br />
sviluppare potrebbe essere la mia catena.<br />
Tu comunque dimmi che ne pensi in generale, cioè se vedresti bene<br />
uno come me in Germania in questo momento. Credi che ce la farei a<br />
trovare lavoro? E‟ complicato trovare casa? Mediamente quanto<br />
costa la vita al mese?<br />
Partiamo da qui, dagli aspetti basilari per prendere misura.<br />
Sentiti pure libero di dirmi se per qualche motivo pensi non sia<br />
una buona idea.<br />
Io so solo una cosa: qui non so più cosa inventarmi. Mi vergogno a<br />
dirlo ma è così, quindi prima di dichiararmi del tutto un buono a<br />
nulla vorrei provare un‟alternativa. Perché nonostante le cose non<br />
mi stiano andando bene, sono convinto che il problema principale<br />
non risieda in me.<br />
Attendo tue notizie.<br />
Un abbraccio.<br />
<strong>Matt</strong>ia<br />
140
29<br />
LA POSTA DEL CUORE<br />
La mia casella e-mail ha sempre avuto un discreto da fare. Nulla a che vedere con quegli<br />
account semi-desertici, piazzole di sosta per offerte speciali e barzellette divertentissime<br />
targate “Fw:”. Se ci sono dei criceti a far girar la ruota, hanno sempre dovuto procedere di<br />
buona lena. Da quando è uscito l‟album, però, c‟è stato un cambio sostanziale: più<br />
sintetiche, ma molte più e-mail. E nell‟ingranaggio non dev‟essere stato granché piacevole<br />
trasformarsi da marciatori a duecentometristi seriali. Ringrazierò mandando dei semi di<br />
girasole.<br />
Il primo giorno della nuova settimana porta notizie da parte di Lara.<br />
Ciao artista!<br />
Sottraggo il minor tempo possibile alle tue fan (haha!) solo per<br />
darti gli ultimi aggiornamenti.<br />
Per quanto riguarda i parziali, tutto benissimo: massimo dei voti!<br />
A meno di sconvolgimenti improvvisi (che non ci saranno, mica<br />
siamo in Italia) gli esami andranno giù come un bicchier d‟acqua.<br />
Non sono agitata, questo semestre me lo sono goduto nettamente più<br />
del primo.<br />
Anche col lavoro tutto bene. Deciderò all‟ultimo se prolungare per<br />
luglio-agosto. I Franchi svizzeri combinati alle agevolazioni da<br />
studente sono una benedizione. Non mi manca niente…sapendo quello<br />
che stai passando mi sento quasi in colpa a dirlo. Resto comunque<br />
del parere che tu in questo master saresti stato eccellente.<br />
Pensaci, te lo dico sempre! Nel caso però muoviti, fra poco scade<br />
il termine per la domanda.<br />
L‟unica pecca della Svizzera è che non ti si vede in tele!<br />
Ti saluto adesso, ciao!<br />
Baci<br />
Mentre la mia immagine di quei luoghi diventa ancor di più quella di sconfinate praterie di<br />
quadrifogli, passo oltre e finisco farmi due risate con un messaggio proveniente per inoltro<br />
automatico dalla mia casella dedicata alla musica.<br />
Pezzo di merda, kol tuo fottuto disko nei negozi! la musica non si<br />
vende!!! la musica deve essere gratis kome il sole!!!<br />
Gente kome te ammazza kuello in cui crediamo ma vedrai ke morirai<br />
prima tu della musica xkè se ti trovo ti sistemo io ti faccio<br />
passare la voglia di fare qst minkiate!!!<br />
Risp se hai i koglioni e sappi ke non ho paura di tè!!!<br />
Giusy<br />
Dopo un attimo di titubanza non ho potuto far altro che chiamare A.B. declamando con<br />
enfasi il messaggio della tenera Giusy, che di sicuro ha ammazzato la grammatica italiana<br />
prima che io potessi anche solo pensare di aver fatto qualcosa di spiacevole alla musica.<br />
Dolcissima Giusy, pensa che se sapessi quanto ci ho speso e in generale come sto messo<br />
mi odieresti ancora di più. Dato che evidentemente ragioni al contrario.<br />
141
Il martedì si apre invece radiosamente, grazie a un messaggio con oggetto “Zia Marilena”<br />
e tre nuove foto con lei e la nipotina a Roma. Niente fiere o congressi questa settimana,<br />
ha fatto bene a fare un salto. Sta pure trovando un tempo stupendo, a quanto testimonia lo<br />
scatto dalla terrazza del Pincio.<br />
Novità giungono anche da Oriente.<br />
Ciao cantante, sono Claudia, ti ricordi di me?!<br />
Sperò di sì, ti ho scritto solo pochi giorni fa!<br />
Scherzi a parte <strong>Matt</strong>ia, volevo dirti che è ufficiale: prolungo il<br />
soggiorno. Per il visto è stato un po‟ un casino, evito di<br />
raccontarti la rava e la fava ma ho risolto.<br />
In Italia ci torno in estate a meno che non salti fuori qualcosa<br />
qui tramite dei contatti che mi ha fornito la mia relatrice.<br />
Vediamo, insomma…<br />
Tu tienimi aggiornata sulle tue novità!<br />
Io sto bene comunque, spero anche tu.<br />
Ti abbraccio forte.<br />
Brava Claudia, in bocca al lupo.<br />
Tempo di un caffè e mi concentro su tre e-mail dall‟altro account: una è l‟invito per<br />
un‟ospitata in un programma radio nel sud di Milano, la seconda è una richiesta<br />
d‟intervista per un giornale, la terza mi avvisa che una recensione è stata pubblicata sul<br />
periodico di un quotidiano nazionale. Molto bene, ecco altri mattoncini per la mia<br />
costruzione. Si sta facendo bella altina questa torre.<br />
Giovedì gestisco quelle della mattinata stessa e del giorno prima, che ho voluto passare<br />
via dal computer.<br />
Giusy non ha preso bene il mio ignorarla e m‟ha scagliato una riga secca.<br />
Risp koglione!!!!!!!<br />
Ben più interessante è invece l‟e-mail di Martin, che riporta l‟orario sei e diciannove. Bello<br />
operativo il tedescone, già al computer di primissima mattina.<br />
Ciao <strong>Matt</strong>!<br />
Ho letto quello che mi hai scritto. Mi spiace che per il lavoro le<br />
cose in Italia non vadano bene.<br />
Mia sorella ha abitato 3 anni a Berlino, non te l‟avevo detto? Le<br />
ho parlato e di sicuro può darti dei consigli utili. Mi ha<br />
raccontato che lei pagava la sua stanza in una WG<br />
(Wohngemeinschaft, cioè un appartamento con altre persone) circa<br />
200€/mese e che in totale con 500-600€/mese viveva facendo una<br />
vita normale. Stava a Friedrichshain, che è un quartiere centrale<br />
dove abitano molti giovani. Ora può essere tutto un po‟ più caro<br />
perché è passato del tempo, ma mi ha detto che certamente non sarà<br />
troppo diverso.<br />
Per il lavoro dipende cosa vuoi fare. Come cameriere per<br />
sopravvivere trovi in qualsiasi momento, invece per posizioni “più<br />
importanti” devi sempre cercare e fare diversi colloqui. Si sa che<br />
siamo in un periodo di crisi mondiale e non è facile per nessuno.<br />
142
Comunque di sicuro c‟è differenza con l‟Italia se dove sei tu uno<br />
che è laureato e parla 5 lingue non ha ancora trovato un posto<br />
decente.<br />
Diciamo perciò che resto sul 50-50: il momento non è dei migliori<br />
nemmeno qui, ma tu hai delle caratteristiche certamente<br />
interessanti per un‟azienda.<br />
Puoi contare su di me…specialmente se vieni a Francoforte! Dai,<br />
perché no?<br />
Ci sentiamo quando vuoi! Scusa se non ho risposto subito ma ho<br />
avuto tantissime cose da fare.<br />
Bis bald<br />
Grazie Martin, soprattutto per l‟obiettività. D‟altra parte si sa che situazioni senza rischi non<br />
esistono, specialmente oggi come oggi. Impressionante comunque quanto basso sia il<br />
costo della vita lassù. Per intanto prendo nota e ci ragiono, tengo lì il pensiero anche se di<br />
certo non posso cambiare dall‟oggi al domani né tantomeno da qui a un mese. Ne deve<br />
passare d‟acqua sotto i ponti.<br />
Prima di uscire di casa per il turno del giovedì, trovo anche una breve e-mail di Mari.<br />
Ciao nordico, qui tutto bene. Sono appena tornata da una<br />
passeggiata con la piccola…è davvero stupenda (tranne quando fa il<br />
bisogno grosso!).<br />
So che fra un attimo uscirai per andare al lavoro. Volevo solo<br />
mandarti un saluto e un bacio.<br />
Stasera viene della gente a cena. Mia sorella mi ha detto che ci<br />
tiene io conosca una tizia, tale Donatella. Non mi è chiaro<br />
perché…ma vedrai che sarà come al solito una cavolata delle sue.<br />
Deve sempre fare tutte „ste scene anche per le minime cose, bah!<br />
Se non ci sentiamo dopo, ti aggiorno domani.<br />
Un bacio.<br />
Finite le mie ore di galera retribuita, rientro in uno stato comatoso. Lascio il cellulare<br />
acceso per Mari, ma tocco il letto e mi addormento in un minuto.<br />
La mattina seguente, dieci e mezza, nessun segnale suo sul mio display. Cosa che mai<br />
succede, balzo al computer come primissima azione.<br />
Buongiorno!<br />
Abbiamo mangiato a dismisura ieri, poi alle 11 mi sono<br />
addormentata. Scusa!<br />
Per una volta può essere che mia sorella abbia combinato qualcosa<br />
di buono presentandomi quella tizia. Finché non vado a<br />
rincontrarla oggi però non so, ci dobbiamo vedere a metà<br />
pomeriggio. E‟ una storia lunga, in base a quello che ne esce ti<br />
racconterò.<br />
A proposito, allora domani ti va di venirmi a prendere in stazione<br />
quando arrivo? E‟ una cosa romantica!<br />
143
Arrivo previsto per le 15:30. L‟ho scelto apposta per non farti<br />
alzare presto dato che lavori anche stasera. O meglio, l‟ho scelto<br />
apposta per non farti avere scuse!<br />
Buona giornata, attendo un tuo cenno!<br />
Va bene, accetto il compromesso: dormirò fino a tardi e poi andrò in Centrale. Però<br />
stavolta mi faccio ripagare a massaggi sulla schiena per tutta la serata. La sedia su cui<br />
bivacco al lavoro mi sta distruggendo.<br />
Nella mia casella oggi è necessario che faccia un po‟ di pulizia. Lo spam sta raggiungendo<br />
quote fastidiose, inoltre ci sono diverse newsletter da cui forse dovrei rimuovermi. Sono<br />
sempre un po‟ restio, ma che senso ha riceverle se nemmeno le apro?<br />
Il cardine dei miei dubbi verte su quelle dei siti di lavoro. Mi ricordo che un anno fa le<br />
scandagliavo per filo e per segno, adesso invece mi fanno ridere, maledetti specchietti per<br />
le allodole, e assieme mi faccio pena io per quanta energia e speranza ci consumavo<br />
appresso. Tutti „sti stronzi che cercano gente con “almeno cinque anni d‟esperienza” e<br />
capacità interdisciplinari dalla contabilità al disegno tecnico, passando per la “perfetta<br />
conoscenza di almeno due lingue straniere”. A prendere alla lettera quei mucchi di<br />
cavolate uno non dovrebbe far domanda prima di aver quarant‟anni e tre lauree. Hanno<br />
preso la gente per coltellini svizzeri e vogliono la lama, il cavatappi, la pinzetta, la lima e<br />
l‟apriscatole tutto in uno. Sì sì, via da „ste newsletter, darò una spulciata a quei siti<br />
massimo una volta ogni quindici giorni.<br />
Venti minuti prima di andare al lavoro mi giunge rovente il nuovo sclero di Giusy. E meno<br />
male, mi chiedevo per l‟appunto dove fosse finita. Dopo la lettura del messaggio rido tutta<br />
sera, pensandola sfondare la tastiera nello scrivermi.<br />
Allora hai paura eh, koniglio?!?!?! Lo sapevo, tipiko degli<br />
ipokriti kome tè!!!! Naskonditi naskonditi pure stronzo,<br />
NASKONDITI A VITA!!!!!!!!!!!!!!!<br />
Questa sarà una bella storiella per intrattenere Mari che torna da Roma. Grazie Giusy, ci<br />
risparmierai i soldi del cinema!<br />
144
30<br />
DOBBIAMO PARLARE<br />
Finito il turno sono rientrato a casa stranamente sveglio, riuscendo addirittura a guardare<br />
un film fino quasi alle due. Magie del venerdì sera. La conversazione via SMS che ho<br />
avuto con Mari giusto prima di andare a letto, però, mi ha messo in agitazione. Non riesco<br />
mai a reggere frasi del tipo “Dobbiamo parlare, ma non preoccuparti”, specialmente se<br />
provenienti da persone a cui sono legato sentimentalmente. Divento una bomba di<br />
tensione. Infatti, dopo aver parcheggiato la macchina alla bell‟e meglio, eccomi di fronte al<br />
binario che fremo e tento di dar calci ai piccioni che mi zampettano attorno. Roba che se<br />
passasse la Polfer verrei portato in centrale per accertamenti sull‟abuso di sostanze.<br />
Nel fiume umano che si riversa sulla banchina ci metto centoventi lunghissimi secondi a<br />
individuare Marilena. Le vado incontro a passo sostenuto, mi sorride da trenta metri,<br />
accelero. Mi sembra quasi di sfondare le suole da quanto premo coi talloni.<br />
Ci abbracciamo, forte. Sei secondi, lei non mi lascia. Al settimo mi stacco io, la prendo per<br />
le braccia, la guardo dritta.<br />
«Adesso me lo dici o no che cazzo c‟è?!»<br />
«Oh, ma che maniere!»<br />
«Porca puttana, m‟hai lasciato in agitazione tutte „ste ore, muoviti che son nervoso!»<br />
«Senti, non possiamo arrivare a casa e metterci comodi?»<br />
«Sei incinta? Eh?».<br />
Lei sgrana gli occhi e mi ride in faccia: «Ma va, no!».<br />
Mentre lascio andare metà della tensione accumulata, così come le immagini del<br />
pancione, del pargolo, dei miei da nonni e di me che finisco a implorare di poter pulire<br />
latrine pur di portare a casa il pane, le prendo la valigia e ci dirigiamo di buona lena verso<br />
la macchina. «Rapida Mari, che se passan gli ausiliari m‟inculano, dai!». Metà della<br />
tensione è ancora lì.<br />
Quattro frecce disinserite, via dalle strisce pedonali e finalmente diretti verso casa.<br />
Concentrarmi alla guida mi distoglie dal resto, fatto sta che non apro bocca tutto il tragitto.<br />
«Speriamo che non ci siano in casa quelle rompicoglioni», mi esce in ascensore.<br />
«T‟è tornata la parola?»<br />
«Te l‟ho detto cento volte di non farmi agitare così». Arriviamo al piano, apre la porta,<br />
entriamo.<br />
«Faccio la pipì e una doccia»<br />
«No, tu pisci e vieni in camera!». Sguardo di ghiaccio l‟un l‟altra. Un secondo. Poi lei mi fa<br />
la faccia da bambina redarguita e io rido. Un quarto di tensione però ancora mi bivacca<br />
addosso.<br />
Finalmente ci siamo. Io sono sul letto, lei entra, si sdraia al mio fianco ma tiene una<br />
spanna di distanza più del solito.<br />
«Quindi?»<br />
«Calmati <strong>Matt</strong>ia, niente di grave»<br />
«Ma lo sai che le ho pensate tutte? Tutte! Comunque, arriviamo al punto»<br />
«Allora, partiamo dall‟inizio: te l‟ho detto, no, che l‟altra sera venivano delle persone a<br />
cena?»<br />
«Eh…cos‟è, qualcuno mezzo brillo ha allungato le mani?!»<br />
«Ma va! No, è tutto collegato a quella tizia, quella Donatella che mia sorella ci teneva a<br />
presentarmi e che poi ho rincontrato»<br />
«OK». Tiro un sospiro. Nessun uomo coinvolto. Ma allora cosa diamine c‟è?<br />
145
«Lei è la vicedirettrice di un‟azienda di servizi che lavora con gli aeroporti. Suo padre è il<br />
presidente, la ditta è di famiglia. Sono molto benestanti»<br />
«Va bene, quindi?»<br />
«Mia sorella fa yoga con lei e chiacchierando era saltato fuori che a breve la sua<br />
assistente se ne andrà. Insomma, te la taglio corta: mia sorella ha organizzato la serata<br />
per far sì che c‟incontrassimo»<br />
«Ma questi lavorano anche su Milano?»<br />
«Adesso ci arrivo, aspetta. Quindi giovedì sera abbiamo fatto due chiacchiere informali,<br />
poi ieri pomeriggio sono andata da lei in ufficio. Mi ha presentato anche suo padre. Gira e<br />
rigira, nonostante l‟atmosfera rilassata, è stato un colloquio. Han voluto sapere vita, morte<br />
e miracoli»<br />
«Ma si è arrivati a un dunque o che?»<br />
«Sì, ed è questo di cui ti volevo parlare con calma. L‟azienda è solo a Roma, <strong>Matt</strong>ia»<br />
Mi si blocca il fiato. Tentenno: «Ma…ma quindi ti han presa?». Non capisco se mi stia<br />
dando il benservito o che altro.<br />
«No, non abbiam concluso niente nero su bianco…ma gli sono piaciuta. Ora ci devo<br />
pensare perché se voglio, alla fine dei conti, m‟han fatto intendere che il posto è mio».<br />
Io smetto di guardarla negli occhi e fisso la finestra. Senza che nessuno me l‟abbia detto<br />
mi sento un intruso. Ho la bocca secca e vorrei un bicchiere d‟acqua, ma è come se non<br />
potessi chiederlo, come se fosse scaduto quel tacito permesso grazie al quale in questa<br />
casa ero autorizzato a muovermi come fosse anche un po‟ mia, aprendo i mobiletti, il<br />
rubinetto, sedendomi a tavola senza sentirmi d‟intralcio.<br />
«<strong>Matt</strong>ia, non fare quella faccia, non ho detto che ci vado»<br />
«Mari, non fraintendermi, ma se mi devo levare di torno dillo subito»<br />
«Ma chi ti ha detto una cosa del genere?!»<br />
«Scusa…m‟era sembrato, hai ragione. Ma quindi come stanno messe le cose in termini di<br />
tempo, adesso? E cosa combini con Damiano e i vari altri, molli tutto?»<br />
«Donatella mi ha detto che posso rifletterci un paio di settimane. Le devo far sapere al più<br />
tardi il nove di maggio. La posizione sarà libera da inizio giugno, ma è logico che se io dico<br />
di no devono avere tempo per finalizzare con qualcun altro»<br />
«E‟ chiarissimo che ti vogliano. Ti stan tenendo il posto in caldo, dai…»<br />
«Sì, te l‟ho detto infatti, me l‟han lasciato capire. Di sicuro anche il fatto che mia sorella sia<br />
amica della vice mi ha fatto partire da una posizione diversa»<br />
«Quindi, nel caso, con Milano tagli i ponti?»<br />
«Ci ho pensato alle fiere e tutto il carrozzone, ma ci riflettevo già da tempo: <strong>Matt</strong>ia, non ho<br />
più vent‟anni e nemmeno venticinque. Ho acquisito altre competenze nel mentre, ma la<br />
maggior parte dei lavori che mi arrivano sono in primo luogo per la faccia, perché<br />
insomma…e diciamolo, per una volta: perché non sono un cesso. Passata una certa<br />
soglia però semplicemente non sei più fresca, non sei una diciannovenne. Io non devo<br />
pensare ad ora, devo pensare avanti, a cosa ne sarà fra cinque anni, dieci anni, eccetera.<br />
E una volta che passi i trentatré-trentaquattro ce n‟è una su cinquanta che s‟infila nella<br />
gestione, che diventa una supervisor o roba del genere. Le altre invece rimangono a<br />
spasso o si attaccano ai mariti. Io sinceramente non voglio rischiare quella fine»<br />
«Lo so Mari, ti capisco. Hai ragione»<br />
«E considera un‟altra cosa: mi hanno già accennato che prenderei a ridosso dei duemila al<br />
mese per i primi sei mesi, poi anche qualcosa di più. Son circa gli stessi soldi che faccio<br />
ora ma…»<br />
«Con la malattia, le ferie, i contributi, eccetera eccetera»<br />
«Esatto. A me, ora come ora, se capita un‟influenza finisce che ci smeno una settimana di<br />
lavoro. Cinquecento Euro che non mi entrano non sono uno scherzo».<br />
146
Il ragionamento non fa una piega. Quello che mi lascia a terra è che pare proprio che il<br />
prezzo da pagare saremo noi, io e lei, <strong>Matt</strong>ia e Marilena. Mi sembra già di vederla che se<br />
ne va.<br />
«Mari, io non voglio metterti pressioni, fai quello che senti. Però se hai aspettato di essere<br />
qui per parlarmene, sicuramente hai pensato anche tu a cosa succederà a noi due, come<br />
io sto facendo adesso. O no?»<br />
«Ovvio»<br />
«E cos‟è che pensi, dovremmo darci un taglio e via se decidi di andare?»<br />
«Ma no, non per forza…a meno che tu non voglia»<br />
«Mari, non è quello che voglio o non voglio, è come si mettono le cose se te ne vai. Roma<br />
non è dall‟altra parte del mondo ma non è nemmeno sotto casa»<br />
«Potremmo vederci ogni weekend, però»<br />
«Sì, va bene, per qualche periodo forse, ma poi? Non fraintendermi Mari, non voglio<br />
essere ipocrita: anch‟io quando sento le storie degli altri che si trasferiscono a destra e a<br />
manca e guardo gli studi che ho fatto, mi dico che dovrei andare all‟estero, almeno per un<br />
periodo. Chiedevo a Martin della Germania proprio in questi giorni, anche se poi a guardar<br />
bene non so nemmeno se potrò farla una cosa del genere. Io non sto accusando né te, né<br />
le occasioni che arrivano. Ne piovessero di possibilità del genere, staremmo tutti meglio.<br />
Che sia toccato a te avere qualcosa di concreto sottomano prima che a me è solo<br />
questione di sorte. Sarei potuto essere io quello con una proposta di lavoro altrove, e certo<br />
non avrei gradito d‟essere additato come l‟egoista, come quello che antepone la carriera ai<br />
sentimenti e sfancula la ragazza, eccetera. Lo so che non è così: qui c‟è in ballo la<br />
prospettiva tua come in qualsiasi momento c‟è in ballo la mia. Mari, lungi da me farti<br />
sentire in colpa o cos‟altro, però insomma, capirai che questa notizia al di là di tutto è un<br />
discreto colpo per me».<br />
Annuisce. Le dico che sono troppo confuso ora per ragionare nella dovuta maniera.<br />
Andiamo in cucina a farci un tè e un toast. Ultimo sabato di aprile, il calendario mi ricorda.<br />
Fra due settimane al massimo il dado sarà tratto.<br />
Mangio il toast come se nel mentre fossi in una dimensione parallela. In effetti lo sono,<br />
sono nel passato. Con gli occhi sulla bustina di tè verde strizzata e appoggiata al<br />
tovagliolo ripenso a tutti i bei momenti fra me e Mari. Quella fiera, le sue sigarette, il primo<br />
bacio, la prima volta che ho dormito da lei, i regali di Natale, la sua gioia per la mia<br />
musica. C‟è tanto.<br />
Non siamo quel tipo di coppia da fedine d‟argento, famiglie coinvolte e relazione notificata<br />
su Facebook. Non abbiamo affrettato nulla. Piano piano, ci siamo mossi così, al punto che<br />
voliamo a mezz‟aria. Ma non per inerzia, non per indecisione, non per mancanza di<br />
sentimento. Solo perché questo è il nostro passo, infatti avremmo ancora spazio per<br />
crescere, per andare più in alto. Non so dire di quanto, ma più in alto.<br />
«Tesoro, torniamo di là?». Troppo silenzio, meglio tenerlo in privato prima che qualcuno vi<br />
s‟intrometta.<br />
Torniamo sul letto e ci stringiamo. Le sento la schiena, le braccia, la testa. Riprendo<br />
misura di tutto, come ad azzerare la distanza che ho sentito per l‟intero pomeriggio. La<br />
bacio, riguardo bene come sono fatti i suoi occhi, il colore, le sfumature, il taglio. Stesso<br />
per il viso, le labbra, il naso, le guance. E‟ come conoscerla una nuova volta per la prima<br />
volta. Mi sono spaventato, sono spaventato. Da ieri notte e quegli SMS arrivando ad<br />
adesso lo spavento ha cambiato forma, colore, significato. Ora per due settimane, o forse<br />
meno, comunque finché una decisione non sarà presa, mi sentirò come in un‟incubatrice.<br />
«E se vado, <strong>Matt</strong>ia, sappi che terrò gli occhi aperti anche per te. Sicuro come l‟oro. Magari<br />
persino da Donatella e suo padre cercano uno così come sei tu, chi lo sa!».<br />
147
Ci sorridiamo, ed è quasi ora di cena ma ci addormentiamo, nonostante la luce di questo<br />
tardo pomeriggio nel cuore della primavera gridi come una protesta contro il tramonto.<br />
Vorrei svegliarmi fra cento mesi, Mari, con tutto sistemato, come per magia, come fosse<br />
un risveglio normale dove il peggio è alle spalle, lontano al punto da parlarne con quel<br />
passato remoto che la nostra lingua sta seppellendo. Via, dietro, lungi. Nelle terre del fui,<br />
del fosti e del fummo.<br />
148
31<br />
BACIAMI<br />
Mi sveglio presto, dopo un sonno disturbato. Sette meno venti.<br />
Il sole filtra, ma si capisce che è già un sole diverso.<br />
Mi muovo piano per non svegliare nessuno. Vado in cucina, apro il mobiletto, il rubinetto,<br />
mi siedo a tavola. Il bollitore scalda l‟acqua per il tè.<br />
Guardo l‟orologio a parete, scatto dettato dall‟abitudine. Lo so che ore sono. Poi l‟occhio<br />
mi cade sul calendario: martedì due settembre.<br />
Gli ultimi mesi sono passati muti, ovattati. Testa giù, attenzione solo al ritmo del respiro,<br />
per non perderlo.<br />
Ho girato un altro video, Internet ha risposto molto bene ma la TV non l‟ha accolto. Dal<br />
vivo invece ho avuto tre date: la prima un disastro per cause esterne, le altre due<br />
sufficienti ma nulla di che.<br />
Da lì in avanti ho messo il paraocchi. Dapprima anche doppi turni coi centri universitari,<br />
fino a diciassette ore a giornata, e una volta chiusi per ferie quelli sono passato alla<br />
fotocopia dell‟estate precedente. Ancora a sostituire Mario e poi Giuliano, ancora con le<br />
stesse persone a passarmi di fianco. Ancora ferragosto a casa, gli amici in vacanza, però<br />
nessuna visita a Claudia. Solo lavoro, ore, soldi, sonno, caffè, panini, aria condizionata,<br />
starnuti notturni.<br />
Tutto questo per arrivare ad oggi. Unicamente ad oggi, con un sogno più grande in mente,<br />
col lasciapassare di una scommessa nel portafoglio.<br />
Mi sono preparato per te. Ogni giorno è stato per te. Ogni volta che andavo a Milano era<br />
per te e ogni volta che tornavo temevo non sarei arrivato a questo momento, perché<br />
mentre facevo la tangenziale quasi mi si chiudevano gli occhi dalla stanchezza.<br />
Abbassavo il finestrino e accendevo la radio per restare sveglio. A volte cantavo pure.<br />
Da parecchi mi sono distaccato. Vedono sempre e solo il lato più appariscente delle cose,<br />
il lato più luccicante, e pare che la mia, che sembrava una gran giostra, non abbia acceso<br />
tante luci quante loro se ne aspettavano. O forse non tanto in fretta quanto loro si<br />
aspettavano.<br />
Non ho tutti dalla mia parte per questa scelta, ma in fondo ho quelli che contano. Ho i miei,<br />
compresa mia mamma, per la quale non dev‟essere facile affacciarsi al distacco; ho<br />
Daniele e Miguel, nonché la nuova tecnologia che ci terrà uniti quel che basta per non<br />
dover abbandonare un sogno; infine ho quella manciata di amici con cui mi confido e mi<br />
confronto, alcuni già altrove, i quali ovunque io sia trovano posto.<br />
Mi basta questo per tornare in camera, aprire gli armadi e cominciare a mettere sul letto<br />
quello che scelgo. Nel mentre sento del movimento in casa, nel mentre ti penso.<br />
E‟ stata una battaglia, uno sforzo enorme, in certi momenti digrignavo i denti dalla rabbia,<br />
in altri mi si riempivano gli occhi di lacrime e mi sfidavo a rimandarle indietro. Te lo giuro,<br />
la strada mi è parsa immisurabile. Ma mi sembra già di sentire il tuo profumo, di sorridere,<br />
di respirarti.<br />
Prendo una pausa, saluto i miei prima che vadano al lavoro. Sembra già il saluto, quello<br />
grande, quello lungo. Guardo bene questa casa, guardo la cucina, il salotto, i muri, le foto.<br />
Ogni pezzo un momento, ogni pezzo una gioia nell‟aggiungerlo. Mi siedo sul divano, mi<br />
sdraio, mi allungo, ci resto per un po‟. Mi mancherà, quante notti che ci ho passato. Ma è<br />
giusto che sia così.<br />
Parto per costruire, parto scommettendo, parto per non rimanere un piccolo bonsai<br />
radicato nelle certezze di un vaso che lo tiene ostaggio, di un giardiniere che lo tiene nano.<br />
149
E tu mi dai speranza, me ne dai quel tanto che basta. Mi riempirai i giorni, le notti, mi<br />
aiuterai a ritrovare me stesso facendomi trovare un nuovo me stesso. Sto già riprendendo<br />
colore, sto già riprendendo fiato ma questo voglio che quando arrivo me lo mozzi per un<br />
lungo, eterno secondo. Fammi perdere un battito e poi regalamene uno che ne valga<br />
cento, mille, un milione. Fallo, perché io quel che ricevo ridò due volte. Tu dammi un seme<br />
che io ti porterò il fiore. E mentre questa giornata scorre, scivola, fluisce senza che io<br />
possa fermare il tempo, mi preparo ad un passo che vale quanto la prima corsa di un<br />
puledro, quanto il primo salto di un bambino.<br />
Ricevo telefonate, ascolto le raccomandazioni delle zie, i saluti timidi dei cuginetti, le<br />
parole semplici di mio nonno che lasciò casa che era un ragazzino.<br />
Tu vali questo, tu rappresenti questo. Sei la mia porta per un ciclo che si ripete nelle<br />
generazioni, sei una nuova prospettiva mentre decido cosa verrà con me e cosa no, cosa<br />
varrà e cosa no.<br />
Sei un desiderio, un bisogno, una pretesa, un lusso, l‟essenza: sei tutto fuorché qualcosa<br />
di scontato, tutto fuorché un obbligo. E se assieme sei anche un rischio, ti autorizzo a<br />
mettermi a repentaglio, perché non c‟è avventura senza azzardo. Punto sul tuo numero, ti<br />
strizzo l‟occhio, credo in te. Sii dalla mia se me lo merito, o sii dalla mia perché io sono io.<br />
Perché ti sorrido, perché mi scaldo, perché mi appassiono, perché non cedo, perché tento,<br />
perché mi apro, perché parlo, perché mi dono. Semplicemente: perché amo.<br />
Quindi baciami.<br />
E ora che è passata l‟intera giornata, che ho riorganizzato tutto tre volte, che ho cenato coi<br />
miei fingendo fosse una sera normale, si è fatta ora di andare a letto. Una preventiva<br />
nostalgia fa a spintoni con l‟emozione. Sotto le coperte mi giro e mi rigiro, passa mezz‟ora,<br />
accendo la luce, mi alzo, riapro l‟armadio e decido di portare con me anche un giubbetto<br />
più pesante e un maglione, perché settembre a volte fa gli scherzi e perché dopo<br />
settembre verranno altri mesi. Le cerniere si chiudono di nuovo, prendo la bilancia, peso<br />
tutto una volta ancora.<br />
Venti chili di valigia, dieci di bagaglio a mano. Al limite. Anzi no, sarò in netto sovrappeso.<br />
Avrò a tracolla una borsa stracolma di speranze, del dovere di avere speranze. Non ho<br />
altra scelta se non quella di guardare avanti.<br />
Domani sono da te. Finalmente. Berlino.<br />
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151<br />
L’AUTORE<br />
Nato e cresciuto nella zona fra Milano e Como che porta il nome di Brianza, <strong>Matt</strong>ia Colombo si<br />
è laureato in Mediazione Linguistica seguitamente ad un percorso di studi improntato sulle<br />
lingue straniere e l‟interculturalità sin dalle scuole medie.<br />
Incline alla scrittura già da piccolissimo, ha cominciato negli anni di liceo ad applicarsi<br />
coscienziosamente nella duplice direzione della prosa e dei versi.<br />
Sotto lo pseudonimo di <strong>Matt</strong> <strong>Manent</strong> è attivo da un decennio in ambito musicale (hanno visto<br />
la luce gli EP “Dedalo” e “<strong>On</strong> <strong>the</strong> road”, nonché l‟album “Palestra di vita” e svariate<br />
collaborazioni) ed è stato per anni tanto conduttore radiofonico del programma “Streetbeat”<br />
quanto collaboratore di magazine e realtà mediatiche di vario genere.<br />
Responsabile di colpi di testa come l‟avventura “A longer way home”, è fra i protagonisti di<br />
entrambe le edizioni dell‟antologia di poesia urbana contemporanea “incastRIMEtrici”<br />
(Arcipelago Edizioni) ed ha inoltre preso parte ad eventi nell‟ambito della giovane scena della<br />
slam poetry italiana. Nel 2011 con “Brillante laureato offresi” pubblica il suo primo romanzo e<br />
lancia il relativo blog, col quale ambisce a sviluppare un luogo di dibattito di rilevanza<br />
nazionale per i laureati e le entità attinenti.<br />
Parallelamente, il lato più visibile di una vita spaccata a metà lo trova ad interagire con<br />
l‟instabile contesto del mercato del lavoro attuale. Contratti, mete e situazioni incerte si<br />
avvicendano senza tregua in un ambiente reso pericolante dal più grande terremoto socioeconomico<br />
del dopoguerra.<br />
Maniche rimboccate, testa alta e concretezza sono gli antidoti di un giovane uomo convinto<br />
che «la via della salvezza è la forza di volontà».