28.05.2013 Views

Intermedio ritmo e movimento 1.pdf - Omero

Intermedio ritmo e movimento 1.pdf - Omero

Intermedio ritmo e movimento 1.pdf - Omero

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Lezione 1<br />

PRIME DEFINIZIONI DI RITMO E MOVIMENTO<br />

La danza in tutte le sue forme non può essere esclusa da una<br />

nobile educazione; danzare con i piedi, con le idee, con le<br />

parole, e devo aggiungere che bisogna esser capaci di danzare<br />

con la penna?<br />

Friedrich Nietzsche<br />

Benvenuti al corso di narrativa proposto dalla Scuola <strong>Omero</strong><br />

e intitolato Ritmo e <strong>movimento</strong>. Scopo del corso è quello di<br />

riuscire a farvi produrre, poco alla volta, dei testi letterari<br />

compiuti in cui risuonino e agiscano il <strong>ritmo</strong> e il <strong>movimento</strong><br />

più congeniali alle vostre voci narrative. Prima di entrare nel<br />

vivo del laboratorio è bene darvi un minimo di istruzioni per il<br />

suo uso. Intanto vi anticipiamo che la scelta dei testi letterari<br />

inseriti nelle sette lezioni che seguono è caduta spesso su autori<br />

vicini ai nostri giorni. Autori che noi di Scuola <strong>Omero</strong><br />

consideriamo, con una formula un po’ azzardata, “i classici di<br />

domani”. Ossia autori e testi che, se letti tra dieci, venti,<br />

trent’anni e oltre, crediamo possano mantenere inalterata la<br />

loro bontà letteraria. Abbiamo deciso di portare diversi esempi<br />

della narrativa attuale perché è proprio con questa narrativa che<br />

si può equivocare più facilmente sulla “presa” e sull’efficacia<br />

del <strong>ritmo</strong> e del <strong>movimento</strong>. In molti casi l’attualità letteraria<br />

può essere cattiva consigliera e far risultare orecchiabile e<br />

interessante ciò che in realtà è assemblato con tagli narrativi<br />

pieni di scorciatoie e astuzie stilistiche. Pensiamo perciò che,<br />

isolando dal frastuono del presente delle voci uniche e<br />

originali, possiamo dare un contributo a tutti gli appassionati di<br />

narrativa proponendo dei nostri punti di riferimento artistico.


Crediamo che poi, una volta fatta l’esperienza sulle narrazioni<br />

recenti, possiate risalire con bella autonomia ai classici del<br />

passato (presenti in buon numero nel nostro corso) per affinare<br />

ulteriormente le proprie capacità di <strong>ritmo</strong> e <strong>movimento</strong>. Altra<br />

indispensabile avvertenza sull’utilizzo del corso riguarda gli<br />

esercizi assegnati alla fine di ogni lezione. Questi esercizi<br />

possono sembrare azzardati e spericolati. Beh, forse lo sono.<br />

Però pensiamo che la loro miscela di rischio e fantasia sia<br />

appropriata per liberare, senza riserve, ogni vostra voglia e<br />

sentimento espressivo. D’altronde più elementi della vostra<br />

personalità farete sprigionare dalle composizioni assegnate e<br />

più se ne arricchirà la vostra stessa scrittura.<br />

Prime definizioni di <strong>ritmo</strong><br />

Il <strong>ritmo</strong> e il <strong>movimento</strong> in narrativa si possono definire<br />

come l’insieme dei passi, più o meno rapidi e più o meno<br />

intricati, che l’autore compie attraverso le trame, i personaggi e<br />

gli ambienti delle sue storie.<br />

Il <strong>ritmo</strong> è l’aspetto più elementare da isolare in una<br />

narrazione. Semplificando, si può dire che il <strong>ritmo</strong> ha a che<br />

vedere con le scelte dell’autore rispetto al proprio modo di<br />

periodare. È chiaro che periodi lunghi, carichi di aggettivi e<br />

avverbi, pieni di subordinate e con pochi punti fermi, portino la<br />

narrazione a un <strong>ritmo</strong> lento e articolato. Per contro è anche<br />

evidente che un’impostazione narrativa fatta di tanti periodi<br />

brevi, composti solo di proposizioni principali, asciugati di<br />

aggettivi e avverbi, spinga il racconto a un <strong>ritmo</strong> cadenzato e<br />

brevilineo. Fin qui tutto troppo facile come primo tentativo di<br />

definizione di <strong>ritmo</strong>. È ora di complicarci un po’ la vita. Il<br />

<strong>ritmo</strong> nella narrazione è dato anche da una serie di parti del<br />

discorso combinate tra loro che concorrono a dargli un corpo e


quindi a innalzare o ad abbassare la velocità di fruizione<br />

narrativa e di conseguenza a segnare l’intero scorrere ritmico di<br />

un testo. Queste parti possono essere: la complessità o<br />

semplicità dell’intreccio; l’altezza o la bassezza delle<br />

disquisizioni dei personaggi; il multilinguismo o al contrario<br />

l’uso di una lingua omogenea e compatta; la scelta di una<br />

lingua letteraria raffinata o invece di una lingua media; la<br />

specializzazione tecnica di un testo o la sua genericità; i<br />

continui cambi di <strong>ritmo</strong> narrativo o invece la costanza della<br />

cadenza; ecc. Su tutto però è fondamentale che l’autore provi il<br />

massimo piacere nell’esprimere proprio quel particolare <strong>ritmo</strong><br />

che si forma nelle sequenze date dalle sue parole. Se l’autore<br />

per primo prova delle belle sensazioni nell’attaccare una storia<br />

con un certo passo anche al lettore arriverà la spinta ad<br />

abbandonarsi all’andamento ritmico del tutto.<br />

Prime definizioni di <strong>movimento</strong><br />

Il <strong>movimento</strong> è dato dall’insieme dei rapporti che si creano<br />

tra il <strong>ritmo</strong> e la trama, tra il senso della storia e l’arco di<br />

sviluppo dei periodi. Se il <strong>movimento</strong> funziona, ossia se<br />

l’autore rispetta e centra le proporzioni tra le parti<br />

drammaturgiche (e cioè l’autore riesce a trovare un giusto<br />

rapporto tra incipit, centro e finale di storia) non è però ancora<br />

detto che l’aspetto ritmico sia ben realizzato. È il caso della<br />

prima stesura del Talento di Mister Ripley di Patricia<br />

Highsmith. Ecco cosa ci dice in proposito la grande scrittrice<br />

americana di gialli:<br />

“Ho cominciato a scrivere il libro con un umore bucolico e<br />

sembrava procedere bene. Ma a pagina 75 cominciai a sentire<br />

che la mia prosa era rilassata come me, direi quasi flaccida, e<br />

che un’atmosfera rilassata non era quella adatta per il signor


Ripley. Decisi di stracciare tutto e ricominciare da capo, sia<br />

mentalmente che fisicamente in bilico sul bordo della sedia,<br />

perché Ripley è questo tipo di giovanotto – un giovanotto in<br />

bilico sulla sedia, se pure si siede.”<br />

Al contrario, se il <strong>ritmo</strong> funziona, non è detto che l’autore<br />

riesca nell’obiettivo di dare il giusto sviluppo drammaturgico<br />

alla storia. Se l’autore si incanta a seguire un <strong>ritmo</strong>, le sonorità,<br />

la lingua che usa e non fa procedere nei modi e nei tempi giusti<br />

la storia, il senso del discorso e le sue connessioni col <strong>ritmo</strong><br />

potrebbero spezzarsi portando fuori sintonia il <strong>movimento</strong><br />

generale della composizione.<br />

Sul <strong>ritmo</strong> che va a discapito del senso della storia ecco<br />

quello che ci scrive Lu Ji ne L’arte della scrittura, scritto nel<br />

III° secolo d.C.:<br />

“A volte ritmi e armonie dominano e lo scrittore si lascia<br />

sedurre. E il cattivo musicista suona più forte per nascondere le<br />

imperfezioni. I falsi sentimenti sono uno schiaffo in pieno volto<br />

alla grazia.”<br />

Insomma, dopo questi primi ragionamenti, ci si può<br />

arrischiare a dire che <strong>ritmo</strong> e <strong>movimento</strong> sono uno il riflesso<br />

dell’altro. Il <strong>ritmo</strong> rappresenta la parte più primitiva, più<br />

intuitiva e lirica di uno scrittore. Il <strong>movimento</strong> è l’elaborazione<br />

più mediata e articolata di una serie di elementi che partono dal<br />

<strong>ritmo</strong> fino ad arrivare al significato profondo che si vuole dare<br />

alla storia. Il vero problema, per amalgamare al meglio tutte le<br />

parti che compongono il <strong>movimento</strong> della narrazione, sta nel<br />

trovare equilibrio tra le parti pulsanti e interne della storia e<br />

quelle formali esterne. Ecco alcune riflessioni d’autore sul<br />

rapporto tra le diverse parti narrative:


Italo Calvino<br />

“Il mio lavoro di scrittore è stato teso fin dagli inizi a<br />

inseguire il fulmineo percorso dei circuiti mentali che catturano<br />

e collegano punti lontani dello spazio e del tempo. Nella mia<br />

predilezione per l'avventura e la fiaba cercavo sempre<br />

l'equivalente di un'energia interiore, di un <strong>movimento</strong> della<br />

mente. Ho puntato sull'immagine, e dal <strong>movimento</strong> che<br />

l'immagine scaturisce naturalmente, pur sempre sapendo che<br />

non si può parlare d'un risultato letterario finché questa<br />

corrente dell'immaginazione non è diventata parola. Come per<br />

il poeta, la riuscita sta nella felicità dell'espressione verbale,<br />

che in qualche caso potrà realizzarsi per folgorazione<br />

improvvisa, ma che di regola vuol dire una paziente ricerca del<br />

mot juste, della frase in cui ogni parola è insostituibile,<br />

dell'accostamento di suoni e di concetti più efficace e denso di<br />

significato. Sono convinto che scrivere prosa non dovrebbe<br />

essere diverso dallo scrivere poesia; in entrambi i casi è ricerca<br />

di un'espressione necessaria, unica, densa, concisa,<br />

memorabile.”<br />

Ecco ora un altro contributo sulle relazioni esistenti tra parti<br />

narrative diverse che possono dare <strong>movimento</strong> e vita a<br />

un’opera letteraria:<br />

Marcel Proust<br />

“Quel che noi chiamiamo ‘realtà’ è un certo rapporto tra<br />

quelle sensazioni e i ricordi che ci circondano<br />

simultaneamente, rapporto unico che lo scrittore deve ritrovare,<br />

se vuol concatenare per sempre nella sua frase i due termini<br />

differenti. In una descrizione possiamo elencare indefinitamente<br />

gli oggetti presenti nel luogo descritto; ma la verità<br />

comincerà solo quando lo scrittore avrà preso due oggetti


differenti, ne avrà stabilito il rapporto e lo avrà saldato con gli<br />

anelli necessari dello stile; o meglio, come la vita stessa,<br />

quando, riaccostando una qualità comune a due sensazioni, ne<br />

avrà liberato l'essenza comune, riunendole insieme, per<br />

sottrarle alle contingenze del tempo, in una metafora.”<br />

Inevitabilmente con Calvino e Proust sono entrati in ballo (a<br />

proposito di <strong>ritmo</strong> e <strong>movimento</strong>) concetti letterari decisivi<br />

come la scelta della parola giusta e la capacità di mettere in<br />

contatto narrativo oggetti molto diversi tra loro. Ma il <strong>ritmo</strong> e il<br />

<strong>movimento</strong> in un testo scritto lo trasmettono anche altri fattori,<br />

solo apparentemente più superficiali, come ad esempio la<br />

disposizione delle parole sulla pagina. Ecco cosa ci dice<br />

Stephen King a proposito del <strong>ritmo</strong> e del “colpo d’occhio” che<br />

la nostra scrittura è in grado di offrire al lettore:<br />

“Aprite un libro di narrativa a caso e guardate un paio di<br />

pagine. Osservatene la composizione, le righe tipografiche, i<br />

margini, e soprattutto gli spazi bianchi dove cominciano e<br />

finiscono i paragrafi. Siamo in grado di giudicare senza leggere<br />

se il libro che abbiamo scelto sarà facile o difficile, giusto? I<br />

libri facili hanno molti paragrafi brevi, in special modo<br />

paragrafi di dialogo che possono essere di solo una o due<br />

parole in tutto, e un sacco di spazio bianco. Sono ariosi come i<br />

coni gelato della Daury Queen. I libri difficili, quelli pieni di<br />

idee, narrazione o descrizioni, hanno un aspetto più ponderoso.<br />

Un’aria densa. I paragrafi sono importanti per come appaiono<br />

quasi quanto per quel che dicono; sono manifesti. È la cadenza<br />

ritmica del racconto a stabilire dove ciascuno comincia e<br />

finisce. Io sono pronto ad affermare che è il paragrafo e non la<br />

frase l’unità di base della scrittura, il luogo dove si fonda la<br />

coerenza e le parole hanno la possibilità di diventare qualche<br />

cosa di più di semplici vocaboli. Se deve esserci un momento


di accelerazione, esso si manifesta a livello di paragrafo.<br />

Bisogna imparare a usarlo bene se si vuole scrivere bene.<br />

Questo significa molto esercizio: bisogna imparare il <strong>ritmo</strong>.”<br />

Adesso è tempo di entrare concretamente in una narrazione<br />

per vedere da vicino quali strategie, relative a <strong>ritmo</strong> e<br />

<strong>movimento</strong>, possa adottare uno scrittore in un racconto breve.<br />

L’esempio scelto è il bellissimo racconto Bullet in the brain,<br />

Una pallottola nel cervello, di Tobias Wolff, pubblicato il 25<br />

settembre 1995 sul The New Yorker Magazine, e poi nella<br />

raccolta intitolata The night in question, 1996, Proprio quella<br />

notte, ed. Einaudi Stile libero, 2001, traduzione di Laura<br />

Noulian, pag. 217-223.<br />

Il <strong>ritmo</strong> e il <strong>movimento</strong> nel racconto “Una<br />

pallottola nel cervello”<br />

Sul racconto Una pallottola nel cervello c’è un aneddoto<br />

tutto di marca omerica (nel senso della nostra scuola di<br />

scrittura <strong>Omero</strong>) che, pur correndo il rischio di risultare troppo<br />

autoreferenziali, pensiamo valga la pena di raccontare in questa<br />

sede. Se non altro perché questo racconto è davvero esemplare<br />

nel mostrarci quanto il <strong>ritmo</strong> e il <strong>movimento</strong> siano tra gli<br />

elementi decisivi di quel patto ideale che in ogni nuova<br />

produzione letteraria si viene a creare tra scrittore e lettore. Un<br />

giorno del febbraio 2001 Fabio Cozzi, collaboratore di vecchia<br />

data della nostra rivista web www.omero.it, ci invia per posta<br />

elettronica la segnalazione di un libro di racconti appena usciti<br />

per la collana Stile Libero della Einaudi e scritti da un certo<br />

Tobias Wolff, autore americano contemporaneo. L’articolo<br />

naturalmente era inviato alla nostra redazione con lo scopo di<br />

essere pubblicato su <strong>Omero</strong>.it. All’arrivo della mail, contenente<br />

ampie parti del racconto Una pallottola nel cervello, mi


trovavo per caso davanti al computer col mio amico e direttore<br />

di <strong>Omero</strong>.it Paolo Restuccia e così per deformazione<br />

professionale abbiamo deciso di leggerci subito la novità<br />

letteraria, abbandonando ogni nostra altra attività. Dopo aver<br />

assaporato, si fa per dire, le prime 20-30 righe del racconto ci<br />

siamo guardati con la stessa espressione tra l’idiota e<br />

l’amareggiato che hanno i lettori quando si stanno<br />

domandando, con un libro appena comprato in mano, “ma chi e<br />

perché ha pubblicato ciò?”. Ora, per ricreare la nostra stessa<br />

situazione di partenza, ecco anche per voi, amici lettori, le<br />

prime righe del racconto di Wolff. Ci si rivedrà tra qualche riga<br />

per scambiarci le prime impressioni:<br />

Una pallottola nel cervello<br />

Anders non riuscì ad arrivare in banca che qualche istante<br />

prima della chiusura, ragion per cui ovviamente c'era una fila<br />

che non finiva più e lui si ritrovò blocato dietro due donne la<br />

cui stupida e rumorosa conversazione gli urtò subito i nervi. In<br />

ogni caso, la sua disposizione d'animo non era mai delle<br />

migliori. Anders era un critico letterario noto per l'elegante e<br />

noncurante ferocia con cui stroncava qualsiasi libro gli<br />

capitasse di recensire.<br />

Con una coda che ancora doppiava il corrimano, uno<br />

dei cassieri, una donna, espose la targhetta CHIUSO davanti al<br />

suo sportello e si ritirò in fondo alla banca, si appoggiò a una<br />

scrivania e iniziò a chiacchierare animatamente con un altro<br />

impiegato che intanto maneggiava delle carte. Le due donne<br />

davanti ad Anders interruppero la conversazione e guardarono<br />

con odio la cassiera. - Oh, gentile la signorina, - disse una. Poi<br />

si girò verso Anders e aggiunse, sicura del suo appoggio: -


Ecco un esempio di quella cortesia per cui questa banca va<br />

famosa.<br />

Anders aveva sviluppato un suo personale e<br />

violentissimo odio verso la cassiera, ma immediatamente lo<br />

rivolse sulla presuntuosa e piagnucolosa donnetta davanti a lui.<br />

– Oh, in che mondo viviamo, - disse. - Quante tragiche<br />

ingiustizie! Se non ti amputano la gamba sbagliata, se non ti<br />

bombardano il paesello natio, ti chiudono lo sportello sotto il<br />

naso!<br />

Lei non si lasciò scoraggiare. - Non ho detto che era una<br />

tragedia - ribatté. - Dico solo che è un pessimo modo di trattare<br />

i clienti.<br />

- È imperdonabile - rimbeccò Anders. - In Cielo ne<br />

prenderanno nota.<br />

Il <strong>ritmo</strong> e il <strong>movimento</strong> nel primo atto<br />

Ecco, quella che avete adesso è proprio la stessa espressione<br />

nebbiosa che Paolo Restuccia e io abbiamo avuto nel febbraio<br />

2001 dopo aver letto l’incipit del racconto di Wollf. Perché ci<br />

troviamo in questo stato? Perché il <strong>movimento</strong> del primo atto è<br />

dominato da una fiacchezza di senso disarmante. I personaggi<br />

sono costretti all’immobilismo tipico di una fila che non scorre<br />

per il cattivo servizio di una banca. Ci viene riferita dall’autore,<br />

in terza persona, la solita sequenza di scaramucce verbali che si<br />

sviluppano in queste situazioni di stress. Solo uno scrittore che<br />

sa quanto forte sarà lo sviluppo del suo racconto può rischiare<br />

un attacco così flebile nei confronti del lettore. Lettore che<br />

continua a leggere, e così facemmo io e Paolo, solo sulla<br />

fiducia. Fiducia nel nostro collaboratore e pure, bisogna<br />

confessarlo, nell’Einaudi che ha pubblicato il libro. Un lettore<br />

comune non può credere che la storia che hanno pubblicato e<br />

che sta leggendo sia solo in quello che sta scorrendo sotto i<br />

suoi occhi, ormai già da qualche riga. E però non c’è nessun


segnale di sviluppo possibile. Solo un colpo esterno potrebbe<br />

sollevarne l’interesse. D’altronde il racconto non si intitola<br />

Una pallottola nel cervello? Ma il <strong>ritmo</strong> finora è blando e<br />

senza scossoni. Arriviamo persino a chiederci stizziti se la<br />

pallottola nel cervello non ce l’abbia per caso chi ha scritto il<br />

racconto. Per sperare in migliori sviluppi futuri della storia ci<br />

attacchiamo come disperati ad alcuni indizi che Wolff ci<br />

mostra. L’autore spende diversi periodi, descrittivi e ritardanti<br />

l’avvio della storia, per ritrarre il carattere indisponente di<br />

Anders (“la sua disposizione d’animo non era mai delle<br />

migliori”) e i tic professionali tipici del suo mestiere (“era un<br />

critico letterario noto per l’elegante e noncurante ferocia con<br />

cui stroncava qualsiasi libro gli capitasse di recensire”). Queste<br />

sono le sole note originali dell’inizio che possano far sperare in<br />

uno scarto drammatico. Davvero poca roba. Troppo poca per<br />

esser vera. E allora? C’era il rischio concreto che per una volta<br />

Paolo Restuccia rispedisse al mittente l’articolo di un nostro<br />

collaboratore di valore. Comunque ci siamo rituffati con<br />

coraggio nel racconto di Wolff come farete voi adesso. Ci si<br />

rivede alla fine del secondo atto.<br />

…Una pallottola nel cervello<br />

Lei si succhiò le guance, ma fissò lo sguardo oltre le<br />

spalle di lui e non disse niente. Anders si accorse che l'altra, la<br />

sua amica, stava sbarrando gli occhi guardando nella medesima<br />

direzione. E a quel punto i cassieri interruppero ciò che stavano<br />

facendo, e i clienti piano piano si girarono tutti e il silenzio<br />

calò nella banca. Due uomini che indossavano impeccabili abiti<br />

blu e avevano passamontagna neri in testa si erano piazzati ai<br />

lati della porta. Uno dei due rapinatori teneva una pistola<br />

premuta contro la nuca dell'agente della vigilanza. L'agente


aveva gli occhi chiusi, e le labbra gli tremavano. L'altro<br />

rapinatore era armato con un fucile a canna mozza. - Zitti! -<br />

gridò l'uomo con la pistola, benché nessuno avesse fiatato. - Se<br />

solo uno di voi cassieri si azzarda a premere l'allarme, qui siete<br />

tutti carne morta. Afferrato l'idea?<br />

I cassieri annuirono.<br />

- Ma bravo! - disse Anders. - Carne morta -<br />

Si girò verso la donna che gli stava davanti.<br />

- Magnifica sceneggiatura, eh? Ecco la dura poesia delle<br />

classi socialmente pericolose che ti colpisce come un tirapugni.<br />

La donna lo guardò con gli occhi dilatati.<br />

Quello col fucile a canna mozza diede uno spintone<br />

all'agente costringendolo a inginocchiarsi. Passò il fucile al suo<br />

compagno e con uno strattone afferrò i polsi dell'agente, gli tirò<br />

le braccia dietro la schiena e gli bloccò le mani con un paio di<br />

manette. Poi lo fece ruzzolare a terra con un calcio fra le<br />

costole. Riprese il fucile e si avvicinò alla porta di sicurezza in<br />

fondo al banco. Era un uomo basso e pesante, si muoveva con<br />

particolare lentezza, quasi torpidamente. - Apritegli! - gridò il<br />

suo compare. Il rapinatore col fucile varcò la porta di sicurezza<br />

e lentamente passò davanti ai vari cassieri, porgendo a ciascuno<br />

di essi una busta di plastica. Quando arrivò davanti allo<br />

sportello vuoto, lanciò un'occhiata a quello con la pistola, il<br />

quale disse:<br />

- Di chi è quel posto?<br />

Anders guardò la cassiera. Lei si portò una mano alla<br />

gola e si girò verso l'uomo con cui prima chiacchierava. Lui<br />

annuì. - Mio, - disse lei.<br />

- E allora muoviti culona e riempi la borsa.<br />

- Ecco - disse Anders alla donna davanti a lui - giustizia<br />

è fatta.<br />

- Ehi! Furbone! T'ho detto forse di parlare?<br />

- No - disse Anders.


- Allora chiudi quella fogna.<br />

- Sentito? - disse Anders. - «Furbone». È una battuta de<br />

I Killer.<br />

- Per l'amor di Dio, stia zitto, - gli disse la donna.<br />

- Ehi, tu, sei sordo o cosa? - L'uomo con la pistola si<br />

avvicinò ad Anders e gli piantò l'arma nella pancia.<br />

- Pensi che gioco?<br />

- No - rispose Anders, ma la canna della pistola gli<br />

faceva il solletico come fosse un ditone puntato e gli venne la<br />

ridarella. Per bloccarla si costrinse a fissare il rapinatore negli<br />

occhi, che erano chiaramente visibili dietro i buchi del<br />

passamontagna: azzurro pallido, cerchiati di rosso, infiammati.<br />

Gli batteva la palpebra destra. L'uomo alitò una zaffata<br />

penetrante come ammoniaca che sconvolse Anders più di tutto<br />

quanto era successo fino a quel momento, e avvertì un acuto<br />

disagio quando quello lo pungolò di nuovo con la pistola.<br />

- Ti piaccio, furbone? - gli disse. - Hai voglia di<br />

ciucciarmi l'uccello?<br />

- No - disse Anders.<br />

- Allora piantala di allumare.<br />

Anders si mise a guardare le scarpe del rapinatore, erano<br />

lucide con la mascherina lunga.<br />

- Non giù. Su! - Gli ficcò la pistola sotto il mento e spinse<br />

verso l'alto finché Anders non ebbe gli occhi rivolti al soffitto.<br />

Il <strong>ritmo</strong> e il <strong>movimento</strong> nel secondo atto<br />

Adesso farvi riemergere dalla lettura è proprio un colpo<br />

basso. Il <strong>ritmo</strong> e il <strong>movimento</strong> del racconto hanno preso il<br />

sopravvento su ogni scetticismo iniziale. E in effetti dall’inizio<br />

della rapina in poi Paolo e io procedemmo velocissimi nella<br />

lettura, correndo rapidi incontro al finale. Cosa è successo di<br />

così eclatante nell’esposizione del racconto? Il <strong>ritmo</strong> del


acconto si fa concitato e viene accelerato di botto dall’arrivo<br />

improvviso di due rapinatori. Il nostro Anders non abbandona<br />

il suo atteggiamento caustico e distaccato neppure in presenza<br />

dei due criminali. E qui il <strong>movimento</strong> del racconto raggiunge di<br />

colpo un apice di tensione molto forte. Il lettore teme per la<br />

vita di Anders e spera che riesca a dominare il suo sistema<br />

“linguistico” di sputasentenze per non vederlo incappare nelle<br />

reazioni incontrollate di rapinatori pronti a tutto. Il <strong>ritmo</strong> si fa<br />

serrato e il <strong>movimento</strong> frenetico. Il periodare si essicca e si<br />

scandisce su un’andatura molto abbreviata rispetto all’incipit.<br />

L’esposizione del testo si fa tesa per una serie di scene che<br />

riprendono azioni e dialoghi di tono violento. Ma il senso dello<br />

svolgimento del racconto viene inceppato da Anders che non<br />

riesce a smettere il punto di vista del critico letterario e i suoi<br />

atteggiamenti da recensore perpetuo. Infatti, coerentemente col<br />

suo sferzante sguardo analitico, Anders giudica le frasi del<br />

rapinatore come dozzinali e rubate a vecchie sceneggiature di<br />

film di serie B.<br />

È straordinario che il <strong>ritmo</strong> continui velocissimo nei tempi<br />

esagitati di una rapina mentre intanto Anders ne fraziona e ne<br />

ritarda l’andamento con una spinta di anticlimax devastante per<br />

lui, ma anche per la storia che scorre. L’effetto è tragicomico.<br />

Si va pericolosamente verso un “controsenso” che non<br />

promette, per Anders, nulla di buono. Il <strong>movimento</strong> si inceppa,<br />

e quando questo accade di regola si sorride. Ma qui si sorride<br />

con gli occhi dilatati dalla paura. Perché il clima del racconto è<br />

comunque di taglio realistico.<br />

E ora dritti filati verso il terzo atto. Tutti sperando<br />

assurdamente nella salvezza del protagonista, Anders, che, con<br />

tutta la carica dell’antipatia da critico letterario dell’universo<br />

mondo che si ritrova, alla fine è riuscito a generare in noi<br />

comunque un’attrazione autentica per la sua verità narrativa.


…Una pallottola nel cervello<br />

Anders non aveva mai prestato molta attenzione a quella<br />

parte della banca, un vecchio pomposo salone coi pavimenti,<br />

gli sportelli e i pilastri di marmo, e una decorazione di ricci<br />

dorati sopra gli sportelli dei cassieri. Il soffitto a cupola era<br />

affrescato con delle figure mitologiche alla cui bruttezza<br />

polputa e togata Anders aveva rivolto un'occhiata molti anni<br />

prima e dopo di allora aveva sempre evitato di osservare.<br />

Adesso non aveva altra scelta che esaminare attentamente<br />

l'opera del pittore. Era persino peggiore di quanto ricordasse,<br />

intrisa della solennità più falsa e ridondante. L'artista<br />

conosceva due o tre trucchi del mestiere e li usava e li riusava<br />

senza misura, il rosa della parte bassa delle nuvole aveva una<br />

certa freschezza, amorini e fauni non lesinavano sguardi schivi<br />

ed esitanti. Il soffitto era gremito di scene drammatiche; quella<br />

che attirò l'attenzione di Anders raffigurava Zeus ed Europa,<br />

che il pittore rappresentava con un toro che adocchiava una<br />

giumenta di là da un mucchio di fieno. Per rendere sensuale la<br />

giumenta, il pittore le aveva smussato i fianchi in maniera<br />

suggestiva e aveva munito gli occhi di lunghe ciglia socchiuse<br />

dalle quali essa contemplava il toro con appassionato<br />

gradimento. Il toro aveva l'aria compiaciuta e le sopracciglia<br />

inarcate. Se ci fosse stato un fumetto che gli usciva dalla bocca,<br />

dentro ci sarebbe stato scritto: «Hurrah».<br />

- Di che ghigni, furbone?<br />

- Di niente.<br />

- Pensi che sono comico? Pensi che sono una specie di<br />

pagliaccio?<br />

- No.<br />

- Pensi che mi puoi prendere per il culo?<br />

- No.


- Tu prendimi per il culo, e diventi storia. Capischi?<br />

Anders scoppiò a ridere. Si coprì la bocca con entrambe le<br />

mani e disse: - Scusa, scusa - e dopo sbuffò fra le dita senza<br />

potersi più trattenere e ripeté: - Capischi! Oh, Dio, capischi, -<br />

e fu a quel punto che l'uomo con la pistola alzò l'arma e gli<br />

sparò dritto nella testa.<br />

Il <strong>ritmo</strong> e il <strong>movimento</strong> nel terzo atto e nel primo<br />

finale<br />

Eccolo là. È successo. Il nostro Anders è andato fino in<br />

fondo. Non si è fermato neanche sotto la minaccia di una<br />

pistola. In realtà era lui che con la sua visione critica del<br />

mondo teneva sotto scacco i rapinatori e tutti gli altri.<br />

Compresi noi lettori. E ci dispiace che sia finita qui. Anche<br />

perché come vecchi voyeur implacabili speravamo che la scena<br />

di tensione parossistica tra Anders e i rapinatori durasse di più<br />

e presentasse altre varianti con situazioni di tortura psicologica.<br />

Ma non è questo l’intento di Wolff e lo vedremo. Il suo non<br />

vuole essere un racconto centrato sul confronto sadico tra<br />

violenza fisica e violenza intellettuale. O almeno non un<br />

racconto che parla solo di quello. In questo terzo atto il<br />

massimo dell’anticlimax avviene quando il nostro Anders con<br />

la pistola puntata sotto il mento è costretto a guardare il soffitto<br />

a cupola della banca. La descrizione, attraverso il suo sguardo<br />

di critico, fa sì che l’azione della rapina svanisca ai suoi come<br />

ai nostri occhi di lettori. E il risultato finale è la fuoriuscita di<br />

un sogghigno da parte di Anders, divertito dallo scarso livello<br />

artistico dell’affresco sul soffitto, che in verità è più simile al<br />

soggetto di un fumetto che a un affresco. Il sogghigno si<br />

sprigiona dalla faccia di Anders come fosse un colpo di pistola.<br />

Il rapinatore colpito si incazza a morte, gli spara e lo ammazza.<br />

Il <strong>movimento</strong> del racconto qui sarebbe finito e con esso il <strong>ritmo</strong>


visto che Anders è morto. Ma è adesso che Tobias Wollf<br />

compie il suo capolavoro trasformando il <strong>ritmo</strong> e il <strong>movimento</strong><br />

della deflagrazione nel cervello di Anders in un racconto di una<br />

intensità e di una potenza visionaria davvero uniche. Le parole<br />

viaggiano a ritroso nel tempo alla velocità di una pallottola e<br />

alla fine centrano una frase che diventa poesia e che fa<br />

diventare pura lirica l’intera vita del personaggio Anders. Ci<br />

rivediamo più in là con lo sguardo offuscato di lacrime.<br />

…Una pallottola nel cervello<br />

La pallottola fracassò il cranio di Anders, attraversò il cervello,<br />

e uscì dietro l'orecchio destro, spargendo scaglie d'osso nella<br />

corteccia cerebrale, nel corpo calloso, indietro verso i gangli<br />

basali, e in basso fino all'ipotalamo. Ma prima che tutto ciò<br />

accadesse, l'ingresso della pallottola nel cervello innescò una<br />

crepitante catena di trasferimenti di ioni e di neurotrasmissioni.<br />

A causa della sua peculiare origine, questo processo seguì un<br />

tracciato peculiare, riportando casualmente in vita un<br />

pomeriggio estivo di circa quarant'anni prima, che non era mai<br />

stato richiamato alla memoria. Penetrata nel cranio, la<br />

pallottola continuò ad avanzare a una velocità inferiore ai 300<br />

metri al secondo, un <strong>ritmo</strong> pateticamente lento, degno di un<br />

ghiacciaio, almeno rispetto all'attività frenetica delle sinapsi<br />

attorno al proiettile. Una volta nel cervello, cioè, la pallottola<br />

entrò nel tempo cerebrale, il che diede ad Anders tutto l'agio di<br />

contemplare la scena che, con una frase che lui avrebbe<br />

aborrito, «gli passò davanti agli occhi».<br />

Stabilito che cosa Anders ricordò, occorre forse notare tutto<br />

quello che invece non ricordò. Non si ricordò del primo amore,<br />

Sherry, o di ciò che più di tutto in lei lo aveva fatto impazzire,<br />

prima di piacere, poi di rabbia: la sensualità totalmente


disinibita e specialmente il tono amichevole con cui alludeva al<br />

suo pene, da lei ribattezzato Signor Talpa, snocciolando frasi<br />

come «Ohò, il signor Talpa ha voglia di giocare», o «Vediamo<br />

dove va a nascondersi il signor Talpa!» Anders non si ricordò<br />

di sua moglie, che pure aveva molto amato prima che lei lo<br />

sfinisse con la sua prevedibilità, o di sua figlia, ormai<br />

un’accigliata professoressa di Economia a Dartmouth. Non si<br />

ricordò di quando restava dietro la porta della camera di sua<br />

figlia ad ascoltarla mentre rimbrottava l'orsacchiotto dicendogli<br />

che era stato cattivo e descrivendogli le punizioni davvero<br />

raccapriccianti che avrebbe ricevuto se non si decideva a filare<br />

dritto. Non si ricordò nemmeno uno delle centinaia di versi che<br />

aveva imparato a memoria in gioventù, così da potersi far<br />

venire i brividi a comando: «Silenzioso, in cima a una vetta nel<br />

Darien», o «Mio Dio, ho sentito parlare di questo giorno» o<br />

«Tutti i miei cari? Tutti, dici? Oh, crudele! Tutti?» Non si<br />

ricordò di nessuno di questi versi Anders. Non si ricordò della<br />

madre che in punto di morte, parlando del padre, aveva detto: -<br />

Avrei dovuto pugnalarlo nel sonno.<br />

Non si ricordò del professor Josephs che raccontava ai suoi<br />

studenti come i prigionieri ateniesi in Sicilia fossero stati<br />

liberati se erano capaci di recitare Eschilo, e poi si metteva lì a<br />

recitare Eschilo lui stesso, in greco antico. Anders non ricordò<br />

di come si era sentito pizzicare gli occhi al suono di quelle<br />

parole. Non si ricordò della sorpresa che aveva provato<br />

vedendo il nome di un ex compagno di università sulla<br />

copertina di un romanzo, non molto tempo dopo che si erano<br />

laureati, o il rispetto che aveva provato dopo aver letto quel<br />

libro. Non si ricordò del piacere di provare rispetto per<br />

qualcuno.<br />

E neanche si ricordò di una donna che aveva visto suicidarsi<br />

buttandosi da una finestra del palazzo dirimpetto al suo pochi<br />

giorni dopo la nascita di sua figlia. Non si ricordò di aver


gridato: «Signore, abbi pietà! » Non si ricordò di aver mandato<br />

a bella posta l'auto di suo padre a sbattere contro un albero, o di<br />

essere stato preso a calci nelle costole da tre poliziotti durante<br />

una manifestazione contro la guerra, o di quella volta che si era<br />

svegliato ridendo. Non si ricordò di quando aveva cominciato a<br />

guardare le pile di libri sulla sua scrivania con un misto di noia<br />

e paura, o di quando aveva cominciato a odiare coloro che li<br />

avevano scritti. Non si ricordò di quando tutto quanto aveva<br />

cominciato a ricordargli qualche altra cosa.<br />

Ecco cosa ricordò Anders. Caldo. Un campo di baseball.<br />

Dell'erba gialla, il ronzio degli insetti, lui appoggiato a un<br />

albero mentre i ragazzi del quartiere si radunano per una<br />

partita. Li guarda mentre litigano sulla superiorità del genio di<br />

Mantle o di Mays. È tutta l'estate che dibattono questo tema,<br />

l'argomento è diventato noioso per Anders: opprimente, come<br />

il caldo. Poi arrivano gli ultimi due ragazzi, Coyle e un suo<br />

cugino arrivato dal Mississippi. Anders non ha mai incontrato<br />

il cugino di Coyle prima e non lo vedrà mai più. Gli dice ciao<br />

come fanno tutti gli altri ma poi non fa più caso a lui almeno<br />

finché non hanno diviso il campo e qualcuno chiede al cugino<br />

di Coyle in quale posizione vuole giocare. - Interbase, - dice il<br />

ragazzo. - Interbase è la posizione migliore che ci sono -.<br />

Anders si gira a guardarlo. Vorrebbe sentire il cugino di Coyle<br />

ripetere la frase che ha appena detto, ma è abbastanza sveglio<br />

da capire che è meglio non chiederglielo. Gli altri penserebbero<br />

che fa il cretino, che prende in giro il ragazzo per il suo errore<br />

di grammatica. Ma non è questo, proprio no. È che Anders è<br />

stranamente eccitato, euforico, per quelle tre parole finali, così<br />

totalmente inaspettate, così musicali. Prende il suo posto in<br />

campo come in trance, ripetendole fra sé e sé.<br />

La pallottola è già nel cervello; l'attività cerebrale non potrà<br />

continuare in eterno a superarla in velocità, e niente la fermerà<br />

per incanto. Essa deve seguire la sua traiettoria e uscire dal


cranio trascinando come una cometa la sua coda di memorie, di<br />

speranze, di talento e di amore, nel salone di marmo della<br />

banca. Non ci si può fare niente. Ma per il momento Anders<br />

può ancora avere tempo. Tempo per le ombre che si allungano<br />

sull'erba, tempo perché il cane legato alla catena abbai alla<br />

palla che vola, tempo perché il ragazzo nel campo di destra<br />

picchi la mano nel guanto da baseball annerito dal sudore e<br />

ripeta sommessamente come una cantilena: «La migliore<br />

posizione che ci sono, la migliore posizione che ci sono».<br />

Il <strong>ritmo</strong> e il <strong>movimento</strong> nella coda<br />

Beh, alla fine della lettura Paolo e io eravamo proprio<br />

emozionati. Così come credo siate voi adesso, nonostante<br />

questa lettura guidata e frazionata. Felici di aver letto un<br />

grande racconto. Specialmente perché all’inizio aveva finto<br />

così bene di raccontare cose di poco conto. Ma il titolo, Una<br />

pallottola nel cervello, era lì apposta per invitarci a continuare.<br />

Lo scrittore Tobias Wolff nel racconto riesce a dedicare al<br />

personaggio di Anders i momenti più belli e inaspettati della<br />

sua vita di critico nel lasso di tempo che la pallottola impiega<br />

per attraversargli il cervello. Il <strong>ritmo</strong> diventa quello di un altro<br />

racconto. Il senso pure. Si sta volando sul passaggio<br />

deflagrante della pallottola (come nel volo del barone di<br />

Münchausen a cavallo della palla di cannone) sopra i pensieri<br />

più importanti della vita di Anders. I suoi ricordi più intensi si<br />

accavallano e si elidono veloci, diventano la negazione del<br />

ricordo; un’elencazione di non ricordi. Di tutta una vita di<br />

memorie e fatti autobiografici salienti resta soltanto una scena<br />

estiva rimandata dall’infanzia verso l’età adulta, in questa<br />

assurda morte sul pavimento di marmo di una banca. Il<br />

<strong>movimento</strong> del racconto si fa epico per lo scarto tra la fine<br />

impietosa e pubblica di Anders e la sua attività mnemonica<br />

solitaria che solo lui e il lettore possono seguire. Il <strong>ritmo</strong>


diventa quello ripetuto di una cantilena mantrica impostata sul<br />

non ricordo. E si arriva all’ultima frase che è replicata come<br />

avesse il valore di un verso poetico (che a me chissà perché<br />

ricorda vagamente per il non sense l’assurdo titolo del<br />

Ricevitore nella segale, The Catcher in the Rye, il pescatore<br />

nella segale, del Giovane Holden di John D. Salinger)<br />

nell’ultimo riflesso percepibile della mente di Anders “La<br />

migliore posizione che ci sono, la migliore posizione che ci<br />

sono”. La sua vita e il suo racconto finiscono come uno scherzo<br />

del destino “insieme con” e “attraverso” un refuso.<br />

Meraviglioso percorso di un <strong>ritmo</strong> e di un senso colpiti a morte<br />

dalla pallottola di un criminale da strapazzo. Un <strong>ritmo</strong> e un<br />

senso morti ridacchiando all’infinito su tutti gli errori e i refusi<br />

del mondo. Tutte queste cose Paolo, io e naturalmente il nostro<br />

redattore Fabio Cozzi le abbiamo fatte presenti a Tobias Wolff<br />

in persona il 10 febbraio 2003 quando l’autore di Una<br />

pallottola nel cervello è stato protagonista di un incontro<br />

organizzato dalla Scuola <strong>Omero</strong> insieme alla Casa delle<br />

letterature del Comune di Roma. E Tobias Wolff, autore<br />

stimatissimo dal grande Raymond Carver, quello stesso Wolff<br />

docente di scrittura creativa alla Stanford University e scrittore<br />

con ben tre racconti inseriti nelle antologie della serie Best<br />

American Short Stories, beh Tobias Wolff sorrise<br />

delicatamente sotto i baffi bianchi dicendo in stentato italiano<br />

“Capischio, capischio…”.<br />

Ecco gli esercizi<br />

Esercizio 1<br />

Prendiamo spunto dallo splendido finale del racconto Una<br />

pallottola nel cervello per eseguire il primo esercizio del corso<br />

sul <strong>ritmo</strong> e <strong>movimento</strong>. Per la prossima volta proviamo a


accontare una scena di grande rapidità e intensità, fisica ed<br />

emotiva, spostando da un certo punto in poi il senso del<br />

racconto, e di conseguenza anche il suo <strong>ritmo</strong> e il suo<br />

<strong>movimento</strong>, in una direzione molto diversa dall’avvio.<br />

Mi spiego meglio: immaginiamo una scena che vede un<br />

furioso alterco tra coniugi, fatto di battute cattive, lancio di<br />

oggetti e altro. D’improvviso, tramite una luce particolare, un<br />

suono lontano, insomma un dettaglio sensoriale, dovete fornire<br />

i presupposti, per uno solo dei personaggi attivi nella scena, di<br />

creare un’associazione mentale interna. Seguendo l’input di<br />

quell’associazione mentale il litigio sparisce o si allontana dal<br />

personaggio e quindi dal racconto e la narrazione si sposta<br />

all’interno dei pensieri e delle emozioni del personaggio stesso.<br />

Prima di scrivere il pezzo vi consiglio di rileggere l’ultima<br />

parte del racconto di Wolff per entrare già in un clima filtrato e<br />

molto interno a un personaggio. Il componimento da realizzare<br />

deve essere lungo minimo 30 righe, massimo 60 (ogni riga 60<br />

battute) ed è importante, per la sua migliore riuscita, che<br />

facciate cadere la scelta su un’azione rappresentata in un punto<br />

di acme emotivo e fisico: un atleta visto nel massimo sforzo<br />

agonistico; un inseguimento con sparatoria; una persona che<br />

assiste a una scena violenta; una ballerina nel pieno della sua<br />

performance; una prova per un lavoro importante; ecc.<br />

Una volta decisa la scena da raccontare e il contesto,<br />

bisogna descrivere la scena nel suo andamento agitato per poi<br />

trovare quell’elemento giusto che faccia scoccare nel<br />

personaggio il suo allontanamento psicologico dall’azione<br />

vissuta. Ovviamente si tratta di scrivere solo una scena,<br />

integralmente o parzialmente, e non un racconto finito.<br />

L’esercizio è importante per testare la capacità di coordinare e<br />

tenere insieme più ritmi e movimenti in un’unica storia.


Esercizio 2<br />

Per 20 righe (sempre da circa 60 battute l’una)<br />

cambiate il punto di vista del personaggio che guarda il soffitto<br />

affrescato della banca nel racconto Una pallottola nel cervello.<br />

Insomma, provate a passare la narrazione da Anders al<br />

rapinatore. In questo modo sarà il rapinatore a guardare il<br />

soffitto e a far girare i suoi pensieri sui contorni di quello stesso<br />

affresco. Col suo linguaggio e col suo carattere, naturalmente.<br />

Per far questo bisognerà allontanarsi dal <strong>ritmo</strong> e dal <strong>movimento</strong><br />

prolisso ed estetizzante di Anders e andare verso quello<br />

sovreccitato, esagitato e gergale del rapinatore. Le immagini e i<br />

pensieri del criminale si possono riportare sia in terza che in<br />

prima persona. L’esercizio è importante per il livello di<br />

immedesimazione, ritmica e di senso, che si riesce a trovare<br />

con un personaggio diverso da quelli già “sfruttati” nel<br />

racconto.<br />

Nelle prime due lezioni del corso si lavorerà soltanto sulle<br />

composizioni assegnate. Dalla terza lezione in poi lavorerete<br />

sull’incipit di un vostro nuovo racconto.<br />

Programma del corso sviluppato in 10<br />

lezioni<br />

Lezione 1<br />

Prime definizioni di <strong>ritmo</strong>. Prime definizioni di<br />

<strong>movimento</strong>. Ritmo e <strong>movimento</strong> nel<br />

racconto Una pallottola nel cervello di Tobias<br />

Wollf.<br />

Esercizi 1 e 2 Composizioni con cambi di <strong>ritmo</strong> e<br />

di senso


Lezione 2<br />

Ritmo e <strong>movimento</strong> nella descrizione. Ritmo e<br />

<strong>movimento</strong> nei racconti La<br />

cena di Clarice Lispector e La morte non è la fine di<br />

David Foster Wallace.<br />

Esercizio 3 Scrivere un brano di pura<br />

descrizione<br />

Lezione 3<br />

Ritmo e <strong>movimento</strong> nel dialogo - prima parte. Ritmo<br />

e <strong>movimento</strong> nei racconti Due<br />

amici di Guy de Maupassant, La cintura da ufficiale<br />

di Sergej Dovlatov, Una vera<br />

bambola di A. M. Homes e nel romanzo di Jerzy<br />

Kosinski Oltre il giardino.<br />

Esercizio 4 Duellare con i dialoghi famosi della<br />

letteratura<br />

Esercizio 5 Gli oggetti ci parlano<br />

Inizio stesura racconto<br />

Lezione 4<br />

Ritmo e <strong>movimento</strong> nel dialogo – seconda parte.<br />

Ritmo e <strong>movimento</strong> nel racconto La<br />

mia vita in un casino del Texas di Charles Bukowski,<br />

nella poesia epica de La maschera di<br />

scimmia di Dorothy Porter, nel romanzo Vita e<br />

opinioni di Tristram Shandy di Laurence<br />

Sterne, nel romanzo epistolare Le relazioni<br />

pericolose di Pierre Choderlos de Laclos,<br />

Esercizio 6 Scegliere due dialoghi tra quelli<br />

presenti nella quarta lezione e proseguirli per<br />

una ventina di battute


Esercizio 7 Trasformare lo scambio epistolare<br />

dei protagonisti de “Le relazioni pericolose”<br />

in un botta e risposta via e mail<br />

Continuare il racconto<br />

Lezione 5<br />

Ritmo e <strong>movimento</strong> nel monologo. Ritmo e <strong>movimento</strong> nei<br />

romanzi Il male oscuro di Giuseppe Berto, Almost blue di<br />

Carlo Lucarelli, Io non ho paura di Niccolò Ammaniti, 54 di<br />

Wu Ming, nella raccolta di finte interviste Brevi interviste con<br />

uomini schifosi di David Foster Wallace.<br />

Esercizio 8 Scrittura di “prima intensità” di un monologo<br />

Continuare il racconto<br />

Lezione 6<br />

Ritmo e <strong>movimento</strong> nel racconto fantastico-surreale. Ritmo<br />

e <strong>movimento</strong> nel racconto Un incrocio di Franz Kafka, nel<br />

racconto epistolare Lettera a una signorina a Parigi di Julio<br />

Cortázar.<br />

Esercizio 9 Scrivere due incipit di massimo 10 righe per<br />

due possibili racconti fantastici.<br />

Esercizio 10 Inventare un animale fantastico<br />

ispirandosi agli esempi<br />

riportati nella sesta lezione e riguardanti gli zoo<br />

fantastici scritti da Jorge<br />

Luis Borges, Marco Papa e Massimo Mongai.<br />

Continuare il racconto<br />

Lezione 7<br />

Ritmo e <strong>movimento</strong> nell’uso delle parole. Ritmo e<br />

<strong>movimento</strong> nel racconto La passeggiata di Tommaso Landolfi,<br />

nel romanzo Il gioco del mondo di Julio Cortázar, negli


Esercizi di stile di Raymond Queneau, nella traduzione degli<br />

Esercizi di stile di Umberto Eco.<br />

Esercizio 11 Descrivere una scena forte, sia dal punto di<br />

vista drammatico che dell’impatto visivo, utilizzando una<br />

lingua inventata da voi, una specie di grammelot o di glíglico.<br />

Finire il racconto

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!