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corso via internet 07.pdf - Omero

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Corso di narrativa Scrivere raccontia cura della Scuola di scrittura creativa <strong>Omero</strong>Settima lezioneA questo punto del <strong>corso</strong> non c’è nulla di più lontano tra ilclima narrativo che circonda i vostri racconti e il tono diqueste lezioni. Forse siete a un passo dal chiudere laprima stesura del racconto e chissà quale scioglimentointenso e ricco di pathos inonderà le vostre conclusioni.Qui invece si continua, come se nulla fosse accaduto, atrattare temi sempre più laterali rispetto agli argomenticardine dei primi incontri. E sempre, naturalmente, con unatteggiamento morbido e colloquiale. Che contrasto con latensione che aleggia intorno a voi e ai vostri personaggiche stanno ormai chiarendosi il loro destino narrativo!Eppure si è sempre in tempo per un’illuminazione che diauna luce nuova all’impianto narrativo, anche se quasiconcluso.E forse una nuova apertura può arrivare proprio riflettendosu argomenti ritenuti di secondo piano. Però non è certo ilcaso di farsi prendere dalla nevrosi da correzione: daadesso alla decima lezione si rischia di riscrivere il proprioracconto una mezza dozzina di volte e non bisognaarrivare alla saturazione del piacere di scrivere. Lasciatesempre qualche spazio aperto alle correzioni; né troppo, nétroppo poco.Oggi parleremo del monologo e delle considerazioni trasé e sé della voce narrante.Il monologo: verso l’esterno e verso l’interno.Non parliamo qui del monologo interiore o flusso dicoscienza che plasma interamente alcuni capolavori dellanarrativa moderna e contemporanea come per esempioGita al faro di Virginia Woolf, Ulysses di James Joyce,L’urlo e il furore di William Faulkner. Questi sono romanzibasati completamente su un’immedesimazione globale conuno o più personaggi. L’autore entra nei pensieri e, oltre,nell’inconscio dei suoi eroi. Noi invece ci occupiamo di


acconti e per di più, in modo massimamente universale, dinarrazioni che comprendano al loro interno più componentiespressive tra cui anche, quando necessario, frammenti dimonologo. Ecco che allora andiamo a sorprendere deimomenti esemplari di monologo filtrati con grandenaturalezza da alcuni autori che abbiamo imparato aconoscere nelle nostre lezioni precedentiQualche settimana dopo, lei raccontava: “Era un tipo dimezza età. Tutta la sua roba là fuori sullo spiazzo. Sulserio. Ci siamo sbronzati e abbiamo ballato. Nel <strong>via</strong>letto.Oh, mio Dio. Non ridete. Metteva su questi dischi.Guardate il giradischi. Ce lo ha dato il vecchio. E tuttiquesti dischi schifosi. La degnereste di uno sguardo questamerda?”Da Why Don’t You Dance? Perché non ballate? 1974, diRaymond Carver, ed. Garzanti, 1987, pag. 14, traduzionedi Li<strong>via</strong> Manera.Questo racconto, che abbiamo incontrato nella lezione 5sulla descrizione e in quella 6 sul dialogo, torna ancoraprepotentemente sulla ribalta anche per il monologo. Inutiledire che sarà con noi pure a proposito del finale. Quandoun racconto contiene dentro di sé una miniera di ideerisolte con genialità e per di più con uno stile inconfondibileè bene non mollarlo qualunque cosa accada.In 5-6 righe il monologo del personaggio femminile (nelracconto conosciuta solo con l’epiteto “la ragazza”)riassume in una sintesi cinicamente giovanilista l’episodioche ha vissuto qualche settimana prima. Il lettore sa già,perché lo ha letto in un passo precedente, che la ragazzaha ballato nel <strong>via</strong>letto con l’uomo di mezza età, masoprattutto è al corrente che ballando ha avuto unmomento di smarrimento e di perdita di sé:“chiuse gli occhi e poi li riaprì. Premette la faccia contro laspalla dell’uomo. Lo avvicinò ancor di più a sé”.Quindi il tono privo di affetto e indifferente che usa laragazza serve a farsi vedere come “una vera dura” agliocchi del suo gruppo. Ecco che il monologo del


personaggio è qui usato da Carver per modulare versol’ambiguità e la doppiezza il carattere di un personaggioapparso fino ad allora privo di qualità particolari. E’ unmonologo tutto verso l’esterno. Ha la funzione di rivelareal lettore una debolezza attraverso una forza apparente. Ilsilenzio dell’uditorio alla domanda “La degnereste di unosguardo questa merda?” è un silenzio fatto più che altrodella consapevolezza che il personaggio sta nascondendoa se stesso qualcosa di molto intimo e doloroso.Monologo verso l’internoLe domande senza risposta presenti nei monologhi diCarver, come in altri autori del ‘900, mettono in scena inmodo incisivo l’incomunicabilità dei nostri tempi. Invece unmonologo più classico, presente anche nella narrativa delsecolo s<strong>corso</strong>, è quello del personaggio che parla o pensatra sé e sé o addirittura vaneggia in preda a un qualchedelirio.A questo proposito è magnifico il monologo presente nelracconto Le ostriche di Anton Cechov, del 1890, ed.Garzanti, 1993, pag. 37, traduzione di Serena Vitale. E’ unracconto che fa venire in mente le invenzioni di CharlesChaplin intorno alla fame, specie quella del film La febbredell’oro in cui Charlot si cucina e si mangia una scarpa,dissezionandola con cura come fosse uno strano egustosissimo pesce. E così in questo racconto di Cechovun bambino, inebetito dalla fame e vagabondo per le vie diMosca in compagnia del padre disoccupato, leggesull’insegna di una trattoria la parola per lui misteriosa“Ostriche”.“Papà le ostriche sono un cibo magro o grasso?” gli chiedo“Si mangiano vive…” risponde mio padre. “Stanno nelguscio, come le tartarughe, ma è un guscio diviso in due.”… “Che schifo!” sussurro, “che schifo!”ed ecco che parte nella mente del bambino torturato dallafame un monologo-oniricoFaccio una smorfia, ma …ma perché i miei denticominciano a masticare? E’ un animale schifoso,


ipugnante, orrendo, eppure lo mangio, lo mangio conavidità, col terrore di scoprirne l’odore e il gusto. Uno l’hogià mangiato e già scorgo gli occhi luccicanti di unsecondo, di un terzo… Mangio anche quelli…Alla finemangio il tovagliolo, il piatto, le soprascarpe di mio padre, ilcartello bianco…Mangio tutto quello che mi capita sotto gliocchi, perché sento che solo mangiando la mia malattiapasserà. Le ostriche hanno uno sguardo terribile, sonoripugnanti, tremo al solo pensarle, ma ho fame! Fame!E poi il monologo del bambino fuoriesce esplodendo nellarealtà circostante. La parola “ostriche” ha preso unsignificato di desiderio-invocazione noto soltanto albambino“Datemi le ostriche! Datemi le ostriche!” un urlo mi sistrappa da dentro il petto; tendo le mani.Considerazioni tra sé e sé della voce narranteCi sono delle parti di un racconto in cui chi conduce lastoria è come soprappensiero ed esprime delleconsiderazioni su quello che sta accadendo. Non si trattadi un vero monologo in cui la propria voce o opinionenaviga in un mondo a parte. Sono osservazioni solitarieche servono a sviluppare il carattere di un personaggioutilizzando elementi interni alla sua personalità e alla suaparticolare visione della realtà circostante. Questi “a parte”pensierosi possono riguardare indifferentemente sia ilprotagonista del racconto che porta la storia in primapersona, ma anche la voce che guida il punto di vista di unracconto in terza persona. Per esempio è magistrale ilmodo di rappresentare i pensieri dei suoi personaggi inCarver. Un modo fatto per lampi attraverso frasi laconiche.(dal racconto Perché non ballate?, 1974, di RaymondCarver, ed. Garzanti, 1987, pag. 9 e seguenti, traduzione diLi<strong>via</strong> Manera)Per il resto, tutto aveva più o meno lo stesso aspetto che incamera da letto – comodino e lampada dalla parte di lui,comodino e lampada dalla parte di lei.La parte di lei, la parte di lui.


A questo pensava mentre sorseggiava il whiskey.E ancoraDi tanto in tanto una macchina rallentava e qualcuno davaun’occhiata. Ma non si fermava nessuno.Gli venne da pensare che neppure lui si sarebbefermato.Sempre più incalzanteBevvero. Ascoltarono un disco. Poi l’uomo ne mise unaltro.Perché non ballate ragazzi? decise di dire, e poi lodisse.“Perché non ballate?”In Carver è così centrale esporre piccole porzioni dipensiero dei suoi personaggi che l’effetto è quello dimostrare essere umani alle prese con tanti minimi nodiesistenziali affrontati col fiato corto.Per Truman Capote la pratica dei tra sé e sé è abbastanzafrequente. Sono talvolta così rapidi e micidiali che nellalettura passano <strong>via</strong> in un breve stordimento. Non è il casodi questa visione interna più distesa e piena di pathos(Appoggiata a un palo di ormeggio, mi si presentava diprofilo: Galatea in contemplazione di distese inesplorate. Ilvento le gonfiava i capelli, la sua testa si girò verso di mecon una leggerezza eterea, come mossa dalla brezza …La luce andava calando. Lei pareva dissolversi con essa,fondendosi col cielo e le nubi, svanendo ancora oltre. Iovolevo alzare la voce superando le strida dei gabbiani erichiamarla: Marilyn! Marilyn, perché tutto doveva andarecome è andato? Perché la vita deve essere un tale schifo?)Truman CapoteDirei…MarilynNon ti sento.Truman CapoteDirei che sei una bellissima bambina.


“Non così” disse lui, riprendendola. Aprì il giaccone e micacciò la busta sotto la maglietta.“Stacci accorto fino alla morte” mi ammonì.“Che diavolo c’è dentro?”“Non ti riguarda. Dagliela a padre Ramponi e basta.”“Diglielo” disse mamma. “Così capirà quant’è importante.”“Tu parli troppo!” ( )Il personaggio al quale fare formulare dei sbrigativi pensieriè il mitico padre di John Fante del racconto Il Dio di miopadre, My Father’s God, 1975, ed. Marcos y Marcos, 1988,pag. 17 e seguenti, traduzione di Francesco Durante.Esercizio 11L’altro esercizio sulla lezione odierna è quello di concedere20 righe di notorietà al personaggio più in ombra, piùsecondario del vostro racconto. Devono essere 20 righe,non di più, in cui il vostro personaggio minore monologa inpiena libertà. Chissà che non vi/ci sorprenda e non acquistipiù peso nella vostra storia.Continuare nella stesura del vostro racconto.

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