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Scuola Primaria G. Falcone: Sangue

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SANGUE<br />

Il sangue è un tessuto formato da una sospensione di cellule speciali in un<br />

liquido chiamato plasma.<br />

In un uomo adulto, il sangue costituisce circa 1/12 del peso corporeo e<br />

corrisponde a 5-6 litri.<br />

Il 55 % del sangue è costituito da plasma, il 45 % da cellule.<br />

Il sangue svolge numerose ed importanti funzioni.<br />

Per mezzo dell'emoglobina contenuta negli eritrociti, esso trasporta<br />

l'ossigeno ai vari tessuti e ne preleva l'anidride carbonica (CO 2 ).<br />

Esso trasporta sostanze nutritive (amminoacidi, zuccheri, sali minerali) e<br />

raccoglie le particelle escrete che verranno eliminate attraverso il filtro renale.<br />

Il sangue trasporta inoltre ormoni, enzimi e vitamine.<br />

Regola il pH e la composizione elettrolitica dei liquidi interstiziali in ogni parte<br />

del corpo<br />

Esso presiede anche alla difesa dell'organismo attraverso l'azione di<br />

fagocitosi da parte dei leucociti, il potere battericida del siero e mediante la<br />

risposta immunitaria di cui sono protagonisti i linfociti<br />

(http://www.funsci.com/fun3_it/sangue/sangue.htm).


Il plasma<br />

Il plasma ha densità poco più alta di quella<br />

dell'acqua proprio perché è formato per più del 90%<br />

proprio da acqua, nella quale sono disciolte<br />

numerose sostanze: proteine, ormoni, sostanze<br />

nutritive (glucosio, vitamine, amminoacidi, lipidi),<br />

gas (diossido di carbonio, ossigeno), ioni (sodio,<br />

cloruro, calcio, potassio, magnesio) e sostanze di<br />

rifiuto come l'urea. Le sostanze presenti in quantità<br />

maggiore sono le proteine, principalmente di tre tipi:<br />

le albumine, con importanti funzioni osmotiche;<br />

le globuline, che trasportano i grassi e sono essenziali nei processi<br />

immunitari. Esse includono: le immunoglobuline: chiamate anche anticorpi,<br />

attaccano le proteine estranee e gli agenti patogeni;<br />

le proteine vettrici, le quali trasportano ioni e ormoni che altrimenti<br />

potrebbero passare attraverso il filtro renale. Sia alle albumine che alle<br />

globuline si possono attaccare lipidi, quali i trigliceridi, gli acidi grassi o il<br />

colesterolo che non sono solubili in acqua. Le globuline coinvolte nel<br />

trasporto dei lipidi sono chiamate lipoproteine.<br />

il fibrogeno, fondamentale nella coagulazione del sangue.<br />

Le proteine plasmatiche contribuiscono a mantenere costantemente a 7,4 il<br />

pH del sangue (funzione tampone); per l'organismo, inoltre, esse<br />

rappresentano una riserva di proteine importante e, soprattutto,<br />

immediatamente disponibile.


Gli elementi figurati<br />

Le maggiori componenti cellulari del sangue sono i globuli rossi, i globuli<br />

bianchi e le piastrine.<br />

I globuli rossi<br />

Come altri elementi del sangue, i globuli rossi vengono prodotti nel midollo<br />

delle ossa brevi o piatte (ala iliaca, sterno, corpi vertebrali) nonché nelle<br />

epifisi di omero e femore). I globuli rossi, o eritrociti, rappresentano un po'<br />

meno della metà del volume totale del sangue (40% per la donna e 45% per<br />

l'uomo). La forma di un globulo rosso ricorda quella che si ottiene<br />

schiacciando una pallina di plastilina tra pollice e indice. Tale forma<br />

biconcava garantisce una superficie maggiore di quella di una cellula sferica<br />

di uguale volume, ciò esalta la capacità della cellula di assorbire e cedere<br />

ossigeno attraverso la sua membrana.


Una delle caratteristiche più appariscenti dei globuli rossi è il colore rosso,<br />

dovuto al pigmento emoglobina, una grossa molecola proteica contenente<br />

ferro, che rappresenta circa un terzo del peso della cellula. Non meno del<br />

97% dell'ossigeno trasportato dal sangue è fissato nell'emoglobina e per il<br />

resto sostanzialmente è composto da una membrana plasmatica e da un<br />

citoscheletro.<br />

La molecola di emoglobina raccoglie l'ossigeno dove la concentrazione è<br />

elevata, come nei capillari dei polmoni, e lo cede dove la concentrazione è<br />

bassa, in altri tessuti del corpo. Ceduto l'ossigeno, una parte dell'emoglobina<br />

si combina con il diossido di carbonio prodotto dal metabolismo cellulare e<br />

ritorna ai polmoni.


Grazie all'emoglobina, il nostro sangue può trasportare una quantità di<br />

ossigeno 70 volte superiore a quella che sarebbe possibile se l'ossigeno fosse<br />

semplicemente disciolto nel plasma.<br />

Legando a sé l'ossigeno, l'emoglobina subisce una lieve modificazione di<br />

forma che ne altera il colore. Infatti il sangue deossigenato è di colore<br />

marrone-rosso scuro, ma appare bluastro attraverso la cute, mentre il sangue<br />

ossigenato è di colore rosso ciliegia<br />

(http://www.benessere.com/salute/atlante/sangue.htm).


Varianti dell'emoglobina<br />

Esistono centinaia di diverse emoglobine mutanti in tutta la popolazione<br />

umana. Molte di queste forme mutanti sono dannose e danno origine a<br />

patologie. Altre sono "neutre" e non sembra arrechino ai portatori nè<br />

vantaggi nè svantaggi.<br />

L' emoglobina S<br />

La più nota mutazione è quella che porta alla formazione di HbS<br />

(emoglobina dell'anemia falciforme). Questa variante è così<br />

denominata dalla forma che i globuli rossi assumono a basse<br />

concentrazioni di O 2 .<br />

La forma a falce degli eritrociti, che li rende estremamente fragili,<br />

è conseguenza della polimerizzazione dell' HbS in carenza di<br />

ossigeno in lunghe fibre.<br />

La tasca idrofobica in EF è accessibile<br />

solo nelle forme deossi: ciò spiega perchè<br />

i portatori eterozigoti per l' anemia<br />

falciforme vadano incontro a crisi in<br />

situazioni di relativa scarsità di ossigeno<br />

(come il aeroplano).


Il sangue, ricco di emazie falciformi, diventa più denso e rallenta la sua corsa,<br />

soprattutto verso i distretti periferici dell’organismo dove i vasi sono<br />

piccolissimi e i globuli rossi rigidi non riescono a passare. Ciò porta ad una<br />

ulteriore carenza di ossigeno con due conseguenze:<br />

le falci, rigide, aderiscono facilmente alle pareti dei vasi, formando così un<br />

tappo che occlude il vaso. L’occlusione impedisce l’afflusso di sangue,<br />

producendo alterazioni irreversibili delle zone di tessuto interessato (per<br />

esempio può provocare un infarto).<br />

La mancanza di ossigeno interessa gli organi dove il flusso del sangue è più<br />

lento (milza, fegato, rene, ossa) o quelli dove ce n'è più bisogno (muscoli,<br />

cervello,placenta).<br />

Il sintomo immediato delle crisi vaso-occlusive è il dolore. Se le crisi<br />

colpiscono ripetutamente lo stesso organo, col tempo si può arrivare anche a<br />

lesioni gravi.


L'emoglobina nelle fasi della vita<br />

Nell’adulto la maggior parte dell’ emoglobina [Hb] ha due catene Alfa [α] e due<br />

catene Beta [β]; una piccola percentuale di Hb adulta (2,5%) è formata da due<br />

catene Alfa [α] e due Delta [δ] emoglobina indicata perciò come HbA2<br />

Nel feto l'emoglobina ha due catene Alfa [α] e due catene Gamma [γ].<br />

L'emoglobina fetale [HbF] sottrae Ossigeno al sangue materno placentare. In<br />

pratica l'emoglobina del feto è capace di "ciucciare" quanto più ossigeno è<br />

possibile dall'emoglobina della madre. Nel neonato l’HbF è sostituita dalla<br />

forma adulta presente negli eritrociti neosintetizzati.


Talassemie<br />

I difetti genici riguardanti l'emoglobina, in cui una o più catene non sono<br />

prodotte o lo sono in quantità insufficiente danno origine a condizioni<br />

patologiche dette talassemia.<br />

α-talassemia: nel cromosoma umano sono presenti due copie di geni per la<br />

catena a, per cui un individuo può avere 4, 3, 2, 1 o 0 copie del gene a. Solo<br />

quando almeno tre geni non siano funzionali si ha l' α-talassemia. I bassi<br />

livelli di HbA sono in parte compensati dalla formazione di emoglobine<br />

anomale quali l'HbH (β4) e l'emoglobina di Bart (γ4), che però non sono<br />

proteine allosteriche e quindi non rilasciano sufficiente ossigeno ai tessuti.<br />

Quando tutte e 4 le copie di geni a non sono funzionanti il feto produce solo<br />

l'emoglobina di Bart (β4) che però diminuisce verso la nascita: la carenza di<br />

emoglobina porta alla morte in utero.<br />

β-talassemia (tipo di microcitemia): nell'omozigote non si ha produzione di<br />

catene β che vengono sostituite dalle catene γ, per cui l' emoglobina presente<br />

è quella fetale. I β-talassemici non raggiungevano nel passato neanche la<br />

maturità sessuale (ora con le cure ormonali si). Gli eterozigoti, avendo un<br />

gene per le catene β producono HbA in quantità normali: anche nell' adulto<br />

sono presenti tracce di HbF.


Microcitemia<br />

Il portatore di beta microcitemia ha ereditato da uno solo dei suoi genitori il<br />

gene per la microcitemia. Il gene sano ereditato dall’altro genitore consente<br />

una produzione di globuli rossi e di emoglobina che lo rendono a tutti gli<br />

effetti una persona sana. Tuttavia i globuli rossi del microcitemico hanno<br />

alcune caratteristiche tipiche, rilevabili dall’esame dello striscio di sangue<br />

periferico e dell’emocromo. I globuli rossi sono più piccoli del normale (da<br />

cui il termine microcitemia) e hanno una discreta disomogeneità di forma;<br />

sono di numero aumentato, mentre l’emoglobina è lievemente ridotta.<br />

il portatore di microcitemia non ha alcun problema clinico e non deve<br />

effettuare alcuna terapia, eccettuato un supplemento vitaminico di acido<br />

folico che il pediatra potrà prescrivere periodicamente. Il vero pericolo è<br />

soltanto per i figli.<br />

La microcitemia infatti si trasmette dai genitori ai figli come carattere<br />

dominante al momento del concepimento senza saltare generazioni. Se un<br />

portatore di microcitemia sposa un soggetto normale, i figli saranno<br />

microcitemici o normali, ma tutti sani. Se un microcitemico invece sposa un<br />

altro microcitemico potranno nascere figli normali, figli microcitemici e figli<br />

malati di anemia mediterranea.


Avere ereditato da entrambi i genitori portatori sani di microcitemia il gene<br />

della beta microcitemia, determina una condizione clinica gravissima, fin dai<br />

primi mesi di vita, detta anemia mediterranea o morbo di Cooley o Talassemia<br />

Maior.<br />

Il bambino è pallido, cresce poco, è estremamente anemico e necessita di<br />

trasfusioni di concentrati di globuli rossi, che dovrà proseguire<br />

periodicamente ogni 15-20 giorni per tutta la vita. Con una adeguata terapia<br />

trasfusionale e di supporto che tende a limitare al massimo i problemi da<br />

accumulo di ferro dovuti alla frequenza delle trasfusioni e con le opportune<br />

terapie ormonali eventualmente necessarie il bambino riesce a crescere<br />

regolarmente e a svolgere le normali attività. Sarà però sempre dipendente<br />

dalla terapia trasfusionale e di supporto.<br />

L’unica possibilità di guarigione al giorno d’oggi è data dalla possibilità di<br />

effettuare un trapianto di midollo allogenico, legata alla disponibilità di un<br />

donatore familiare compatibile o di altra fonte di cellule staminali e alle<br />

condizioni cliniche del paziente.<br />

La terapia genica, che consisterebbe nell’introduzione nel patrimonio genico<br />

del paziente del gene per la sintesi delle catene dell’emoglobina, è invece<br />

ancora estremamente lontana da qualunque applicazione clinica.


PERCHE’ SI E’ DIFFUSA LA MALATTIA<br />

La mappa riporta la distribuzione e l’incidenza del gene S nel Vecchio Mondo.<br />

La più alta concentrazione si ha nell’Africa Equatoriale.<br />

In questi anni lo studio della struttura del nostro patrimonio genetico (DNA) ci<br />

ha permesso di individuare le regioni dove è comparsa l’emoglobina S e come<br />

da queste regioni si è propagata. Lo studio del gene ß, che si trova allogato<br />

nel cromosoma 11, ha evidenziato che il gene S si accompagna quasi<br />

costantemente a 5 sequenze diverse (aplotipi), ciascuna caratteristica di una<br />

determinata area geografica. Queste osservazioni hanno fatto supporre che la<br />

mutazione sia apparsa circa 4000 anni fa in tempi diversi in almeno 4 aree<br />

distinte dell’Africa: Senegal, Benin, Bantù, Cameroon ed in India. Da queste<br />

regioni gli scambi commerciali ed i fenomeni migratori fin dalla preistoria ne<br />

hanno favorito la diffusione nel Bacino del Mediterraneo e specie dopo il 1600,<br />

con il commercio degli schiavi, nel Nuovo Mondo.<br />

La comparsa del gene S non è stato probabilmente un capriccio della natura,<br />

ma una difesa verso l’infezione malarica. Ciò ha permesso che nelle zone<br />

endemiche si realizzasse una selezione naturale che ha mantenuto elevate le<br />

concentrazioni del gene drepanocitico. Il parassita della malaria non riesce a<br />

vivere nel globulo rosso contenente Hb S, pertanto il portatore di<br />

drepanocitosi supera meglio del soggetto sano l’infezione malarica, malattia<br />

che ancora oggi in alcune zone dell’Africa costituisce un importante causa di<br />

morte.


Attualmente il gene S si riscontra con maggiore frequenza nei paesi dove<br />

l’immigrazione di persone di origine africana o mediterranea è stata più<br />

intensa come nelle Americhe, Canada, Australia e più recentemente nel Nord<br />

Europa.<br />

In Italia fino agli anni '50 il gene S era proprio delle popolazioni meridionali e<br />

dei siciliani, negli anni successivi, l’emigrazione interna ne ha favorito la<br />

diffusione in altre regioni d'Italia e soprattutto nelle città del Nord più<br />

industrializzate. In Sicilia l'incidenza del gene S è del 2%, raggiungendo in<br />

alcune zone picchi del 13%.


In questi ultimi anni stiamo assistendo ad una nuova fase migratoria che<br />

interessa tutte le regioni italiane, anche se le regioni maggiormente<br />

interessate sono quelle del Centro-Nord dove gli immigrati costituiscono il 3%<br />

della popolazione residente. In Italia sono presenti più di 2 milioni di<br />

immigrati, che nei prossimi anni sicuramente raddoppieranno; molti di loro<br />

sono originari da regioni ad alta prevalenza di emoglobinopatie, pertanto la<br />

distribuzione e la presenza della malattia drepanocitica è destinata ad<br />

aumentare ed infatti trovare soggetti con malattia drepanocitica tra gli<br />

immigrati è un’evenienza sempre più frequente, anche in regioni dove la<br />

malattia era quasi sconosciuta.


Adulto<br />

L'emoglobina nell'adulto è di tipo HbA 96% α2β2, HbA2 α2δ2 3% e HbF α2γ2<br />

1%<br />

Il valore diagnostico dell'emoglobina<br />

Per gli adulti il valore dev'essere compreso tra 12,0 e 16,0 g/dL per le donne, e<br />

tra 13,2 e 17,5 g/dL per gli uomini. Per i bambini può considerarsi normale il<br />

valore minimo di 10 g/dl. Nel caso in cui siano sottoposti a chemioterapia il<br />

valore può scendere considerevolmente ed in questo caso vi è la necessità di<br />

procedere ad una trasfusione di sangue.(http://images.google.it/imgres?<br />

imgurl=http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/ba/Hemoglo<br />

bin_t-r_state_ani.gif/180px-Hemoglobin_tr_state_ani.gif&imgrefurl=http://it.itpedia.sfilar.com/wiki/<strong>Sangue</strong>&h=135&w=18<br />

0&sz=34&hl=it&start=41&usg=__HNTkhdejiWzqWmbGy3MdlWersq4=&tbnid=<br />

DUeZIe7rxUO-zM:&tbnh=76&tbnw=101&prev=/images%3Fq%3Dglobulo<br />

%2Brosso%2Bstruttura%26start%3D40%26gbv%3D2%26ndsp%3D20%26hl<br />

%3Dit%26sa%3DN)


I globuli rossi, come anche le piastrine, sono gli unici elementi dell'organismo<br />

privi di nucleo. Per tale ragione non sono in grado di replicarsi né di produrre<br />

proteine.<br />

Un globulo rosso immesso nella corrente circolatoria ha una vita media di<br />

circa 4 mesi (115-120 giorni) prima di venire fagocitato da macrofagi localizzati<br />

soprattutto a livello della milza. Queste cellule svolgono la cosiddetta<br />

funzione della "eritrocateresi". I globuli rossi giovani sono in grado di<br />

rimodellarsi e sopravvivere senza subire danni, superando perciò il "filtro"<br />

esistente a livello della milza.<br />

Il numero dei globuli rossi del sangue si mantiene costante grazie a un<br />

meccanismo di feedback negativo, al quale partecipa l'ormone eritropoietina.<br />

L'eritropoietina viene messa in circolo dai reni in risposta a una carenza di<br />

ossigeno, quale si può verificare per esempio ad alta quota o in seguito a una<br />

perdita di sangue. L'ormone sollecita il midollo osseo ad accelerare la sintesi<br />

di nuove cellule. Quando il livello di ossigeno nei tessuti torna a valori<br />

adeguati, la produzione di eritropoietina viene inibita, e il tasso di produzione<br />

dei globuli rossi ritorna nella norma.


GRUPPO SANGUIGNO<br />

Quando si dice che una persona ha il sangue di gruppo A si vuole intendere<br />

che sui suoi globuli rossi è presente una sostanza denominata antigene A. Se<br />

invece una persona ha il sangue di gruppo B si vuole intendere che sui suoi<br />

globuli rossi è presente una sostanza denominata antigene B. Ci sono poi<br />

persone che hanno il gruppo AB: questo vuole dire che sui suoi globuli rossi<br />

sono presenti sia l'antigene A che l'antigene B. Infine se un soggetto è di<br />

gruppo 0 (zero) vuol dire che sui suoi globuli rossi non sono presenti ne'<br />

l'antigene A ne' l'antigene B.<br />

Queste sostanze sono prodotte, o non prodotte nel caso del gruppo 0, in<br />

quanto sui due cromosomi n. 6 sono presenti le istruzioni per effettuare tale<br />

processo. Dato che i cromosomi sono presenti a coppie identiche, trasmessi<br />

uno dal padre e uno dalla madre, è possibile che nello stesso individuo siano<br />

presenti sia l'antigene A che l'antigene B, oppure l'antigene A su un<br />

cromosoma 6, mentre sull'altro nulla (gruppo 0). Questo fa si che vi siano<br />

varie combinazioni in base al gruppo sanguigno dei genitori.


Tipo di globulo<br />

rosso<br />

Tipo di anticorpo<br />

Tipo di antigene<br />

gruppo A gruppo B gruppo AB gruppo 0<br />

Antigene A Antigene B Antigene<br />

AB<br />

Nessun<br />

Antigene


del Padre della Madre del Figlio<br />

00 00 00<br />

00 0A A0 - 00<br />

00 AA A0<br />

00 0B B0 - 00<br />

00 BB B0<br />

A0 A0 AA - A0 - 00<br />

AA A0 AA - A0<br />

AA AA AA<br />

A0 B0 AB - A0 - B0 - 00<br />

AA B0 AB - A0<br />

A0 BB AB - B0<br />

AA BB AB<br />

B0 B0 BB - B0 - 00<br />

B0 BB BB - B0<br />

BB BB BB<br />

00 AB A0 - B0<br />

A0 AB AA - AB - A0 - B0<br />

AA AB AA - AB<br />

B0 AB AB - BB - A0 - B0<br />

BB AB AB - BB<br />

AB AB AA - AB - BB


Ognuno di questi gruppi sanguigni viene suddiviso ulteriormente in due categorie dal<br />

fattore Rhesus (riscontrato anche in certe scimmie della specie Macacus Rhesus,<br />

da cui derivano le iniziali), che indica la presenza di particolari agglutinine nel<br />

sangue. Il fattore Rhesus può essere positivo (Rh+) o negativo (Rh -).


Il carattere Rh+ è dominante, Rh- è<br />

recessivo, quindi durante gli incroci<br />

possono verificarsi tutte le possibilità<br />

mendeliane.<br />

Proprio a questo fattore è dovuta la<br />

eritroblastosi fetale, una grave sindrome<br />

del neonato che può verificarsi quando<br />

una madre Rh- ha un figlio Rh+.<br />

Il fenotipo Rh+ è il più frequente della<br />

nostra popolazione. In altre popolazioni,<br />

per esempio i Baschi, la maggior parte<br />

degli individui è Rh-; questo fatto<br />

costituisce un'eccezione tra le popolazioni<br />

europee e dimostra la diversa origine e<br />

l'isolamento riproduttivo del gruppo etnico<br />

basco.


I GLOBULI BIANCHI (leucociti) sono i responsabili delle difese<br />

immunitarie dell'organismo. Vi sono cinque categorie di globuli bianchi<br />

(linfociti, monociti, neutrofili, basofili e eosinofili) che insieme costituiscono<br />

meno dell'1% delle cellule del sangue. Queste cellule si distinguono l'una<br />

dall'altra in base all'affinità per i coloranti, alle dimensioni e alla forma del<br />

nucleo. Esse svolgono una funzione difensiva contro gli aggressori<br />

provenienti dall'esterno e si avvalgono del sistema circolatorio per<br />

raggiungere il luogo attraverso cui sono penetrati elementi estranei.<br />

linfocita eosinofolo<br />

basofilo<br />

monocita neutrofili


Per esempio, i monociti e i neutrofili usano la rete dei capillari per spostarsi<br />

dove qualche batterio è riuscito a introdursi sfruttando una ferita; giunti a<br />

destinazione filtrano attraverso le pareti dei capillari come minuscole<br />

amebe. Nei tessuti monociti danno origine ai macrofagi, cellule ameboidi<br />

capaci di incorporare particelle estranee. Quindi macrofagi e neutrofili<br />

inglobano i batteri che sono penetrati o altre cellule identificate come<br />

estranee ivi comprese le cellule cancerogene. Così facendo, i globuli<br />

bianchi subiscono una degradazione irreversibile, muoiono e si accumulano<br />

contribuendo a formare quella sostanza bianca nota come "pus",<br />

caratteristica delle zone infette.<br />

I linfociti intervengono nella risposta immunitaria. Il sistema immunitario<br />

consiste di circe duemila miliardi di linfociti. Molti di questi si trovano nel<br />

sangue e nella linfa distribuiti per tutto il corpo; altri si accumulano in<br />

organi specifici, soprattutto il timo, i linfonodi e la milza.


La risposta immunitaria è il risultato delle iterazioni tra diversi tipi di linfociti e<br />

le molecole da essi prodotte. Ci sono infatti due tipi di linfociti : linfociti B e<br />

linfociti T in una fase precoce dello sviluppo embrionale, i linfociti T, in via di<br />

formazione, migrano nel timo (da qui il nome di linfociti T) e si differenziano<br />

nelle forme mature. I linfociti B maturano invece nello stesso midollo osseo<br />

(in inglese bone marrow , da cui proviene il loro nome). I linfociti B e T<br />

svolgono, nella risposta immunitaria, ruoli nettamente diversi; comunque le<br />

risposte che entrambi producono constano di tre fasi fondamentali:<br />

riconoscimento dell'invasore<br />

l'attacco riuscito<br />

la memorizzazione dell'invasore per impedire future infezioni.<br />

Meno abbondanti sono i basofili e gli eosinofili. La produzione di eosinofili è<br />

stimolata da un'infezione parassitaria, in seguito alla quale gli eosinofili<br />

convergono sugli aggressori e li ricoprono di sostanze letali. I basofili<br />

producono composti anticoagulanti e molecole, come l'istamina, che<br />

intervengono nelle reazioni infiammatorie.


LE PIASTRINE non sono cellule intere, bensì frammenti di<br />

megacariociti, grosse cellule presenti nel midollo osseo che formano le<br />

piastrine come gemmazioni citoplasmatiche avvolte dalla membrana; una<br />

volta staccatasi dal megacariocita, le piastrine entrano nel sangue, dove<br />

svolgono un ruolo essenziale nel processo di coagulazione. Analogamente<br />

ai globuli rossi, le piastrine sono prive di nucleo e il loro ciclo vitale è ancora<br />

più breve, compreso tra 10 e 12 giorni.


Le piastrine sono fondamentali quanto altre proteine nella coagulazione del<br />

sangue.<br />

La formazione del coagulo è un processo che ha inizio quando le piastrine,<br />

insieme ad altri fattori contenuti nel plasma, giungono a contatto con una<br />

superficie irregolare, per esempio un vaso sanguigno lesionato.<br />

Le piastrine tendono ad aderire alle superfici irregolari, per cui si accumulano<br />

l'una sull'altra e, se il vaso è di piccolo diametro, lo otturano completamente.<br />

A integrare il meccanismo provvede poi la coagulazione del sangue che<br />

costituisce la più importante delle difese dell'organismo contro le emorragie.<br />

La lesione sulla superficie di un vaso sanguigno non soltanto induce le<br />

piastrine a esercitare le loro capacità adesive, ma anche ad innescare tra le<br />

proteine plasmatiche circolanti una complessa sequenza di eventi che<br />

culminano nella produzione dell'enzima trombina.<br />

La trombina catalizza la trasformazione del fibrogeno, una delle tante proteine<br />

ematiche, in molecole filiformi di fibrina.


Le molecole di fibrina si intrecciano fittamente tra di loro dando origine ad<br />

una sorta di ragnatela proteica che immobilizza la porzione fluida del sangue,<br />

provocandone la solidificazione in una massa gelatinosa. Via via che nella<br />

regnatela restano imprigionati i globuli rossi, la densità del coagulo aumenta.<br />

Le piastrine si attaccano poi al reticolo fibroso ed emanano estroflessioni<br />

appiccicose che si agganciano l'una con l'altra. Si crea così un coagulo<br />

denso e compatto che contrae la ferita ravvicinando le superfici danneggiate<br />

e favorendo la cicatrizzazione.


EMOFILIA<br />

È una malattia congenita ed ereditaria, che consiste nella mancanza o nella<br />

carenza di una proteina del sangue (fattore di coagulazione VIII, IX, VII),<br />

fondamentale nel processo di coagulazione. Colpisce una persona su<br />

20.000. In Italia gli emofilici sono circa 3.000, ai quali vanno aggiunti pazienti<br />

con alcune patologie della coagulazione affini come la carenza di von<br />

Willebrand, per un totale di 6.000 persone.<br />

I problemi tipici dell'emofilia sono le emorragie nelle articolazioni che<br />

tendono a reiterarsi nella stessa sede e provocano gravi invalidità<br />

irreversibili. I problemi più gravi sono però le emorragie interne.<br />

L'emofilia viene trasmessa da donne<br />

sane ma portatrici, le quali possono<br />

mettere al mondo, con uguale<br />

probabilità, figli sani o emofilici e<br />

figlie portatrici o meno.<br />

Malattia legata al cromosoma X


Fina dagli anni '60 le manifestazioni della malattia venivano trattate con<br />

trasfusioni di sangue intero o plasma, la parte proteica del sangue (i cosidetti<br />

crioprecipitati).<br />

A partire dall'inizio degli anni '70 si resero disponibili i concentrati di fattori<br />

della coagulazione, che permisero un più efficace controllo delle emorragie. Si<br />

tratta di prodotti biologici (sono detti infatti emoderivati).<br />

Dagli anni '90 sono comparsi nel mercato nuovi tipi di prodotti detti<br />

ricombinanti perchè da ingegneria genetica e quindi non derivati del sangue<br />

che hanno permesso di non trasmettere eventuali infezioni contratte quando<br />

ancora non si conoscevano i virus dell'epatite C o quello dell'HIV che<br />

comunque oggi sono improbabili anche con gli emoderivati che sono trattati al<br />

calore ed eliminano qualsiasi presenza di eventuali virus.<br />

Per quanto riguarda l'emofilia, peraltro, i recenti avanzamenti nel campo<br />

dell'ingegneria genetica fanno sperare in una non lontana possibilità di<br />

guarigione da questa malattia.


IMMUNITA’<br />

-immunità naturale (o innata)<br />

-immunità acquisita (o specifica)<br />

L’IMMUNITA’ NATURALE è costituita da una serie di meccanismi di difesa non<br />

specifici, evoluzionisticamente antichi, presenti fin dalla nascita di un<br />

individuo. Questi sono presenti già prima dell’esposizione all’antigene e<br />

rappresentano la prima vera barriera di difesa dell’organismo agli agenti<br />

patogeni.<br />

I componenti principali dell’immunità innata sono:<br />

-le barriere fisico-chimiche quali la pelle, la mucosa vaginale (il cui pH<br />

impedisce la crescita di batteri), la mucosa bronchiale (caratterizzata da muco<br />

e cellule ciliate), la mucosa nasale, la saliva e le lacrime (contenenti lisozima)<br />

alcune proteine ematiche, tra cui i componenti del sistema del complemento<br />

ed altri mediatori dell’infiammazione<br />

-le cellule fagocitiche (macrofagi) ed altri leucociti ad attività citotossica<br />

naturale (natural killer)<br />

-fattori solubili, cioè sostanze che agiscono su altre cellule come ad esempio<br />

le citochine prodotte dai macrofagi tra cui INF a - INF b.<br />

L’immunità innata è immediata (0-96 h), altamente efficiente e non ha memoria<br />

immunologica.


4 macrofagi<br />

Un macrofago si<br />

allunga verso alcuni<br />

batteri (Foto di Lennart<br />

Nilsson, Karolinska Inst.,<br />

Stoccolma)


L’IMMUNITA’ SPECIFICA agisce in senso specifico, ossia per ogni tipo di<br />

stimolo viene innescata una risposta che vale per quello stimolo e non per<br />

altri. Questa specificità evita le risposte non necessarie.<br />

Ha memoria immunologica e i tempi di risposta sono relativamente lunghi (da<br />

96 h in poi).<br />

I componenti dell’immunità specifica sono i linfociti ed i loro prodotti, gli<br />

anticorpi. L’immunità specifica può essere di due tipi :<br />

-umorale (mediata da anticorpi). Le cellule responsabili dell’immunità umorale<br />

sono i linfociti B. Tale immunità può essere trasferita in soggetti non<br />

immunizzati (vergini) mediante plasma o siero. Costituisce un meccanismo di<br />

difesa nei confronti di microbi extracellulari e delle loro tossine, dal momento<br />

che gli anticorpi possono legarsi a tali agenti ed eliminarli<br />

-cellulo-mediata (mediata dai linfociti T). Le cellule responsabili dell’immunità<br />

cellulo-mediata sono i linfociti T. Tale immunità può essere trasferita in<br />

individui vergini mediante linfociti T prelevati da un individuo immunizzato. E’<br />

indispensabile per la difesa contro microrganismi intracellulari, come virus e<br />

batteri, che proliferano all’interno delle cellule dell’ospite e quindi risultano<br />

essere inaccessibili agli anticorpi, ma accessibili ai linfociti T specifici che<br />

determinano la loro morte.<br />

Sono indispensabili entrambe le immunità specifiche


ANTIGENE<br />

Qualunque sostanza che, venendo a contatto con un organismo, è in grado di<br />

stimolare in questo la produzione di anticorpi specifici e di scatenare una<br />

risposta del sistema immunitario.<br />

In realtà, qualsiasi sostanza estranea a un organismo agisce da antigene.<br />

L'organismo riconosce la sostanza antigenica dalla presenza di particolari<br />

molecole, di natura perlopiù proteica, lipidica o glicoproteica (nel caso di<br />

carboidrati legati a proteine). Queste molecole si trovano anche sulla<br />

superficie di tutte le cellule; molecole proteiche formano il rivestimento dei<br />

virus. Per tale motivo, i batteri, i virus, le cellule di un tessuto trapiantato<br />

agiscono da antigene nei confronti dell'organismo con cui essi entrano in<br />

contatto e sono responsabili dei fenomeni di difesa immunitaria e del rigetto.<br />

Agiscono da antigeni anche tossine prodotte da vari organismi, come batteri,<br />

insetti, piante e rettili, e farmaci.


SPECIFICITA’: ogni linfocita presenta, sulla sua superficie, un recettore che<br />

riconosce un solo epitopo o determinante dell’antigene (per epitopo o<br />

determinante si intende la porzione, proteica o polisaccaridica, dell’antigene<br />

riconosciuta dall’anticorpo).<br />

DIVERSITA’: ogni individuo possiede un "repertorio linfocitario" costituito<br />

da un numero molto elevato di linfociti per discriminare almeno 10^9 diversi<br />

determinanti antigenici.<br />

MEMORIA: il sistema immunitario risponde ad un particolare antigene<br />

estraneo in maniera più efficace quando è già entrato in contatto con tale<br />

antigene una prima volta. Le risposte immunitarie secondarie sono più<br />

rapide e più intense.<br />

AUTOLIMITAZIONE: tutte le risposte immunitarie normali si esauriscono col<br />

tempo dopo l’eliminazione del patogeno.<br />

DISCRIMINAZIONE del self dal non-self: le cellule del sistema immunitario<br />

sono capaci di riconoscere, rispondere ed eliminare antigeni estranei (nonself)<br />

senza reagire contro i componenti antigenici del proprio stesso<br />

organismo. Quest’ultimo fenomeno prende il nome di "tolleranza". Anomalie<br />

nell’induzione o nel mantenimento della tolleranza portano alla generazione<br />

di risposte immuni verso gli antigeni autologhi provocando malattie<br />

"autoimmuni"


Per risposta primaria si intende la produzione di anticorpi che fa seguito<br />

all'introduzione di un antigene che viene per la prima volta a contatto con<br />

l'organismo ospite. Dopo un periodo di latenza di qualche giorno compaiono in<br />

circolo anticorpi specifici, che aumentano in modo esponenziale fino a<br />

raggiungere la massima concentrazione, che si mantiene tale per un certo<br />

tempo per poi decrescere rapidamente.<br />

Gli anticorpi prodotti sono inizialmente della classe IgM al cui rapido<br />

decrescere fa seguito il parallelo incremento della classe delle IgG. Quando lo<br />

stesso antigene viene nuovamente a contatto con l'organismo ospite si ha la<br />

risposta secondaria, in cui gli anticorpi prevalenti sono della classe IgG e si<br />

evidenzia un andamento nel tempo della concentrazione anticorpale<br />

caratterizzato da un breve periodo di latenza, seguito da un notevole aumento<br />

della concentrazione delle IgG e da una fase di plateau che persiste a lungo<br />

(anni).


Anticorpo legato all’antigene


Esistono 5 classi di Ig: IgG, IgM, IgA, IgD, IgE


IgG: da un punto di vista quantitativo, rappresentano la classe più<br />

importante di Ig del siero umano, infatti costituiscono più dell’80% delle Ig del<br />

siero umano normale. L’IgG è un monomero bivalente ed è l’unica classe ad<br />

oltrepassare la barriera placentare. Sono state distinte 4 sottoclassi : IgG1,<br />

IgG2, IgG3, IgG4<br />

IgA: si trovano nel siero e nelle mucose. Ne esistono due tipi : le sieriche<br />

sono monomeri simili alle Ig e si trovano solo nel siero, le secretorie sono<br />

due volte più grandi delle IgG sieriche, sono dimeri formati da due molecole<br />

di IgA sieriche unite da una b-globulina chiamata componente secretoria.<br />

Queste grandi IgA si trovano nella saliva, nelle lacrime, nel liquido seminale,<br />

nei tratti genito-urinari, gastro-intestinali e nel latte umano. Le IgA secretorie<br />

rappresentano un ottimo mezzo di difesa contro le infezioni.


IgM: è la classe più grande di Ig e la ritroviamo solo nel sangue. L’ IgM è<br />

composta da 5 unità base legate tra loro da ponti S-S a livello delle porzioni<br />

Fc. Una IgM intatta è composta da 10 catene leggere e 10 catene pesanti che<br />

antigenicamente sono specifiche per le IgM. Dopo iniezione dell’antigene, le<br />

IgM sono i primi anticorpi che si ritrovano nel siero, ma poiché la loro sintesi<br />

non si prolunga nel tempo, successivamente prevalgono le IgG.<br />

IgD: sono dei monomeri bivalenti che costituiscono solo l’1% di tutte le Ig<br />

del siero umano. Proprio a causa della loro bassa concentrazione è stato<br />

difficile stabilire quali siano le loro specifiche funzioni; si sa tuttavia che le<br />

IgD sono presenti sulla superficie dei linfociti B, quindi, è stato ipotizzato che<br />

le IgD agiscano da recettori cellulari di superficie nei confronti degli antigeni<br />

permettendo il differenziamento del linfocita B in plasmacellula che a sua<br />

volta sintetizza anticorpi.


IgE: sono dimeri bivalenti responsabili dei comuni fenomeni allergici:<br />

allergie alimentari, al polline, alla polvere, ecc. Esse hanno alcune proprietà<br />

insolite, sono presenti in individui allergici in concentrazione molto più<br />

elevata rispetto ai non allergici, inoltre si trovano legate alla superficie di<br />

mastociti e linfociti circolanti. I mastociti si trovano nel tessuto connettivo<br />

adiacente ai capillari lungo tutto il corpo, infatti, quando un antigene (per es.<br />

il polline) induce la sintesi di IgE, queste si legano alla superficie delle<br />

mastcellule. Una seconda esposizione allo stesso antigene fa sì che le<br />

mastcellule liberino sostanze farmacologicamente attive quali l’ISTAMINA che<br />

scatena vari fenomeni allergici, perché in effetti, la reazione avviene proprio a<br />

livello della superficie della cellula alla quale è fissata l’ IgE.


Per spiegare il meccanismo d’interazione antigene-anticorpo si ricorre<br />

frequentemente all’immagine della chiave-serratura. Di fronte all’agente da<br />

riconoscere, che funziona da serratura, il sistema immunitario ricorre ad un<br />

metodo apparentemente dispendioso, quello di costruire a caso un elevato<br />

numero di chiavi differenti tra le quali ci sarà senza dubbio quella giusta per<br />

aprire la serratura. Tali chiavi sono gli anticorpi naturali che rappresentano il<br />

bagaglio cognitivo del sistema immunitario ed i principali fautori della<br />

resistenza naturale di specie o di razza verso particolari agenti estranei.<br />

L’unione che si instaura tra un antigene ed il corrispondente anticorpo porta<br />

alla formazione di quello che viene definito IMMUNOCOMPLESSO.<br />

Tale unione è altamente specifica. La formazione degli immunocomplessi<br />

determina una serie di eventi effettori finalizzati alla definitiva distruzione o<br />

neutralizzazione dell’antigene. Tali eventi possono essere così<br />

schematizzati:<br />

1. INATTIVAZIONE DELL’ANTIGENE mediante:<br />

-NEUTRALIZZAZIONE (virus, tossine batteriche)<br />

-AGGLUTINAZIONE (antigeni cellulari)<br />

-PRECIPITAZIONE (antigeni solubili)<br />

Con conseguente FAGOCITOSI<br />

2. ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO che determina :<br />

-LISI CELLULARE<br />

-AUMENTO DELL’INFIAMMAZIONE (rilascio di istamina)<br />

-FAGOCITOSI


ALLERGIA<br />

L’allergia è una reazione di difesa eccessiva del sistema immunitario di<br />

fronte a sostanze considerate erroneamente nocive. L’errore avviene nella<br />

prima fase di confronto, cioè la sostanza estranea non solo viene<br />

riconosciuta come non compatibile con l’organismo ma viene anche<br />

"ingigantita" per quanto riguarda la sua pericolosità. Ecco che allora il<br />

sistema immunitario opera da un lato una particolare segnalazione<br />

dell’estraneo nella sua memoria interna e dall’altro costruisce un numero<br />

eccessivo di anticorpi pronti a reagire massicciamente qualora si<br />

ripresentasse un nuovo contatto ( processo di sensibilizzazione ).<br />

Prick test. Questa prova diagnostica è anche chiamata test cutaneo o<br />

cutireazione con allergeni. Si praticano delle "scarnificazioni" non<br />

sanguinanti e non dolorose cutanee di un centimetro sulla faccia interna del<br />

braccio e distanti fra loro almeno due centimetri. Su ognuna si depone una<br />

goccia di soluzione acquosa di differenti sostanze (allergeni). Se c’è<br />

reazione positiva, cioè si è allergici a una o più sostanze, entro 10-20 minuti<br />

si forma un ponfo roseo e pruriginoso là dove l’allergene specifico è stato<br />

deposto.


ALLERGIE ED INTOLLERANZE<br />

ALIMENTARI<br />

L'allergia alimentare rappresenta l'effetto che hanno sul nostro organismo le<br />

sostanze contenute nei cibi che fanno parte della nostra dieta abituale,<br />

compresi quegli alimenti che assumiamo occasionalmente.<br />

Parlare di allergia significa parlare di una sintomatologia scatenata entro<br />

pochi minuti dall'assunzione di un determinato alimento o gruppo di alimenti<br />

(da 2-3 minuti a 30-120 minuti), la quale mette in azione il nostro sistema<br />

immunitario.<br />

L'allergia alimentare è mediata immunologicamente e i sintomi sono scatenati<br />

dall'assunzione anche di piccole quantità dell'alimento responsabile.<br />

L'Intolleranza alimentare invece agisce in relazione alla quantità di alimenti<br />

non tollerati ingeriti e con un fenomeno di accumulo di cosiddette "tossine"<br />

nell'organismo, tale fenomeno determina l'insorgere di sintomi spesso<br />

sovrapponibili a quelli delle allergie, ma che se ne differenziano in quanto non<br />

interessano il sistema immunitario. L'intolleranza alimentare è sempre legata<br />

alla quantità di alimento assunto, quindi dose-dipendente ed è determinata da<br />

particolari molecole che sono farmacologicamente attive e che sono presenti<br />

negli alimenti, oppure per disfunzioni dell'apparato digerente ad un disturbo<br />

della digestione o delle catene enzimatiche devolute all'assorbimento attivo<br />

dei principali costituenti alimentari.


Uno dei cambiamenti che assumono maggiore importanza è rappresentato<br />

dalla minore incidenza della frequenza dell'allattamento al seno materno:<br />

infatti sostituire il latte materno con altro latte di origine animale o vegetale,<br />

proprio perché nei primi mesi di vita l'apparato gastroenterico del neonato<br />

non ha ancora raggiunto la sua piena maturità funzionale, può creare le<br />

premesse per una sensibilizzazione nei confronti di antigeni alimentari.


Esistono almeno tre tipi di reazioni avverse alimentari:<br />

1. reazioni allergiche propriamente dette dovute a meccanismi<br />

immunologici e dose-indipendenti (mediate dalle Ig E ed IgG).<br />

2. reazioni da intolleranza da deficit enzimatici (es. deficit di lattasi con<br />

intolleranza al latte).<br />

3. reazioni pseudoallergiche dovute a meccanismi extraimmunologici e<br />

dose-dipendenti (farmaci e alimenti liberatori di istamina).


Gli alimenti, stimolando la produzione di IgE specifiche verso antigeni<br />

proteici determinano la comparsa di manifestazioni cliniche diverse che<br />

coinvolgono diversi organi.<br />

Le reazioni più frequenti coinvolgono il cavo orale e il canale digestivo in<br />

genere, ma possono verificarsi sintomi anche a carico di altri organi<br />

bersaglio come la cute e o l’apparato respiratorio.<br />

La conseguenza più temibile dell’allergia alimentare è l’anafilassi che in<br />

alcuni casi può essere scatenata anche da quantità minime di alimento.<br />

Le manifestazioni cliniche possono essere divise in due categorie: IgE<br />

mediate (meccanismi immunitari) e non IgE mediate (meccanismi non<br />

immunitari) IgE Mediate:


Sindrome orale allergica<br />

E’ contraddistinta da sintomi che riguardano soprattutto il cavo orale. Nel<br />

soggetto sensibile appaiono entro pochi minuti o al massimo entro un’ora dal<br />

contatto con il cibo. Sono rappresentati da prurito pungente dell'orofaringe,<br />

comparsa di papule-vescicole nella mucosa ed edema delle labbra. Se il<br />

paziente ingerisce l’alimento possono comparire altri sintomi, come orticaria,<br />

diarrea, vomito. I cibi che più frequentemente causano questa sindrome sono<br />

la frutta e le verdure crude.<br />

Gastroenteropatia acuta<br />

Se il paziente ingerisce l’alimento, a dispetto delle reazioni locali, possono<br />

comparire manifestazioni da contatto con la mucosa gastrointestinale quali<br />

diarrea e vomito o reazioni sistemiche che vanno dall’orticaria all’edema della<br />

glottide. (diarrea, distensione addominale, sindrome peritoneale o<br />

subocclusiva a regressione spontanea in meno di 24 ore).


Sindrome orticaria<br />

E’ certo che orticaria acuta è uno tra i sintomi più comuni delle reazioni da<br />

alimenti. Gli alimenti maggiormente responsabili nell’adulto sono i pesci,<br />

molluschi, frutta secca in generale e arachidi e nei bambini anche latte e<br />

uova.<br />

Manifestazioni respiratorie<br />

Non sono frequenti e comprendono rinite (talora associata a congiuntivite,<br />

sinusite e otite media sierosa) o da asma bronchiale. L’asma da alimenti può<br />

essere causata da meccanismi immunologici ed extra immunologici e<br />

l’allergia IgE mediata è meno comune dell’intolleranza come causa scatenante<br />

di asma. La maggior parte dei casi di asma indotta da cibo, possono essere<br />

osservati nella prima infanzia e possono quindi essere spesso dovuti<br />

all’allergia al latte, anche se paiono in aumento i casi di bambini allergici<br />

all’uovo, farina ed arachidi. L’asma può presentarsi anche inseguito<br />

all’inalazione di alcuni alimenti come farina, soia, spezie, bianco d’uovo e<br />

crostacei. Tale patologia può configurarsi come asma professionale nei<br />

pazienti addetti a queste lavorazioni. In soggetti sensibilizzati l’inalazione dei<br />

vapori di cottura di legumi, pesce e crostacei può dare origine a sintomi<br />

asmatici.


ANAFILASSI<br />

Si tratta di una reazione sistemica grave, un’emergenza medica in cui le<br />

manifestazioni cliniche possono avere un esito fatale senza un trattamento<br />

tempestivo e urgente.<br />

Una particolare forma di anafilassi è quella scatenata dallo sforzo fisico a<br />

differenti livelli preceduto dall’ingestione di cibo a cui il paziente risulta<br />

allergico, alimento che senza il successivo sforzo non provoca reazioni.<br />

I sintomi dovuti allo shock anafilattico sono dovuti all'immunoglobulina E<br />

(IgE) e ad altre anafilatossine che producono istamina e altre sostanze. Tra gli<br />

effetti dell'istamina, ai fini dello shock anafilattico, importanti sono l'effetto<br />

vasodilatatore e i broncospasmi che ostruiscono le vie respiratorie.<br />

Il tempo dal contatto con l'allergene e la manifestazione dei primi sintomi<br />

varia dalla quantità dell'allergene stesso e dalla sensibilità individuale. I<br />

sintomi possono comparire immediatamente o fino a poche ore dopo<br />

l'ingestione o contatto, anche se quest'ultimo caso è piuttosto raro.


Terapia per l’allergia alimentare<br />

La terapia si basa principalmente sull'eliminazione dell'alimento<br />

responsabile una volta che sia individuato.<br />

Il trattamento dietetico deve essere condotto in maniera rigorosa,<br />

escludendo completamente l'alimento e quelli che crociano con esso.<br />

La terapia desensibilizzante per gli alimenti, a differenza che per gli inalanti,<br />

non ha al momento provata efficacia.<br />

La terapia farmacologica prevede la somministrazione di farmaci ad azione<br />

preventiva (sodio cromoglicato) o sintomatica (antistaminici).


CELIACHIA: INTOLLERANZA ALIMENTARE<br />

La celiachia è un’intolleranza permanente al glutine, sostanza proteica<br />

presente in avena, frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale.<br />

Per curare la celiachia, attualmente, occorre escludere dalla dieta alcuni degli<br />

alimenti più comuni, quali pane, pasta, biscotti e pizza, ma anche eliminare le<br />

più piccole tracce di farina da ogni piatto.<br />

Il glutine è una proteina contenuta in alcuni cereali: frumento, farro, orzo,<br />

segale, avena. Seguire una dieta senza glutine significa evitare alimenti<br />

contenenti questi cereali e i loro derivati. Si possono utilizzare invece altri tipi<br />

alimenti quali: riso, mais, miglio, manioca ed altri.<br />

Questo implica un forte impegno di educazione alimentare. Infatti<br />

l’assunzione di glutine, anche in piccole dosi, può causare danni.<br />

La dieta senza glutine, condotta con rigore, è l’unica terapia che garantisce al<br />

celiaco un perfetto stato di salute.


Non sempre la celiachia si presenta in modo palese. Infatti le sue forme<br />

cliniche possono essere molteplici. La forma tipica ha come sintomatologia<br />

diarrea e arresto di crescita (dopo lo svezzamento), quella atipica si presenta<br />

tardivamente con sintomi prevalentemente extraintestinali (ad esempio<br />

anemia), quella silente ha come peculiarità l’assenza di sintomi eclatanti e<br />

quella potenziale (o latente) si evidenzia con esami sierologici positivi ma con<br />

biopsia intestinale normale.<br />

La diagnosi di celiachia si effettua mediante dosaggi sierologici: gli AGA<br />

(anticorpi antigliadina di classe IgA e IgG), gli EMA (anticorpi antiendomisio<br />

di classe IgA). Recentemente è stato messo a punto un nuovo test per il<br />

dosaggio di anticorpi di classe IgA, gli Anti-transglutaminasi.<br />

Per la diagnosi definitiva di celiachia è però indispensabile una biopsia<br />

dell’intestino tenue con il prelievo di un frammento di tessuto, dall’esame<br />

istologico del quale è possibile determinare l’atrofia dei villi intestinali.


Le dermatiti da contatto, a volte chiamate anche eczemi da contatto, si<br />

dividono in due sottogruppi: le dermatiti irritative da contatto (DIC) e le<br />

dermatiti allergiche da contatto (DAC). Dagli studi statistici si evince che<br />

l’80% delle dermatiti da contatto è di tipo irritativo mentre il restante 20% è<br />

di natura allergica.<br />

Nelle dermatiti da contatto la cute diventa pruriginosa, eritematosa e con<br />

piccole vescicole che spesso desquamano (eczemi). Quando la dermatite<br />

persiste per molto tempo tende a cronicizzare e si osserva una riduzione<br />

dell’eritema e la cute appare secca, lichenificata e con piccole ragadi.<br />

Sebbene le lesioni cutanee possano essere identiche, rendendo difficile<br />

distinguere le dermatiti fra loro, i meccanismi alla base delle dermatiti da<br />

contatto irritative (DIC) sono molto diversi da quelle delle forme allergiche<br />

(DAC). Le prime, infatti, sono espressione dell’azione tossica diretta<br />

(irritazione) delle sostanze che vengono a contatto con la pelle. Esse<br />

possono manifestarsi anche al primo contatto dell’agente irritante con la<br />

cute.<br />

Le dermatiti allergiche da contatto, invece, prevedono una più o meno<br />

prolungata esposizione ad una sostanza sensibilizzante. Quest’ultima, ad<br />

una successiva esposizione, viene riconosciuta in maniera “specifica” dal<br />

nostro sistema immunitario che, nel tentativo di difenderci, attiva una serie<br />

di meccanismi infiammatori responsabili della dermatite. Le sostanze<br />

chimiche finora descritte come in grado di provocare una reazione cutanea<br />

allergica sono più di 3.000.


La diagnosi delle dermatiti da contatto da cosmetici – Il patch-test.<br />

Lo specialista Allergologo o Dermatologo può sospettare una dermatite<br />

da contatto in base alle caratteristiche delle lesioni cutanee ed alla storia<br />

di esposizione a sostanze irritanti o allergizzanti. Per dimostrare la<br />

sensibilizzazione allergica da parte di una sostanza sospettata in base<br />

alla storia del paziente si ricorre al patch-test. Tale test viene effettuato<br />

apponendo sulla cute del paziente (generalmente sulla schiena) dei<br />

cerotti (patch) contenenti gli allergeni sospettati. Tali cerotti verranno<br />

rimossi dopo due-tre giorni dall’applicazione. La lettura del test deve<br />

essere effettuata da medici con provata esperienza nell’interpretazione<br />

dei risultati. E’ bene sapere che il paziente non deve sottoporsi al test<br />

durante la fase acuta della dermatite, non deve aver applicato o assunto<br />

cortisonici o immunosoppressori nelle due settimane precedenti il test<br />

ed è preferibile non si sia esposto a radiazioni UV (solari o artificiali) nel<br />

mese precedente il test, perché "spengono" il sistema immunitario della<br />

pelle e possono rendere il risultato falsamente negativo.

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