Tra le metamorfosi dell'impiegato - AT Casa - Corriere della Sera
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6 Mode e Modi Merco<strong>le</strong>dì 16 Apri<strong>le</strong> 2008 <strong>Corriere</strong> <strong>della</strong> <strong>Sera</strong><br />
IN PRIMO P IANO<br />
Sei personaggi, sei modi di interpretare<br />
e vivere il luogo <strong>della</strong> rif<strong>le</strong>ssione, <strong>della</strong><br />
creatività e del lavoro: i loro racconti<br />
LA PUBBLICITARIA<br />
L’open space <strong>della</strong> mente<br />
e l’isola felice del caffé<br />
Il mio studio? Innanzitutto è un<br />
posto di lavoro che sento mio e<br />
mi rispecchia in pieno. Il fatto di essere<br />
in centro, a Milano, mi consente<br />
di spaziare con la vista fino al Castello<br />
Sforzesco, per esempio, e di ritrovare<br />
un simbolo, un segna<strong>le</strong> di<br />
quell’ understatement tutto milanese<br />
e tipico <strong>della</strong> nostra filosofia lavorativa.<br />
Si comunica e si producono<br />
idee in un ambiente piacevo<strong>le</strong>, minimal,<br />
dal<strong>le</strong> tinte chiare, essenziali. Solo<br />
gli armadi, gialli o viola, tradiscono<br />
l’ambiente. Anche i tavoli (quello<br />
su cui lavoro è a forma di stella a<br />
tre punte), collocati in questo<br />
open-space <strong>della</strong> mente, non sono<br />
tradizionali, con forme a incastro,<br />
triangolari, che sembrano quasi<br />
combinarsi tra loro. Tutto intorno ci<br />
sono sedie, grigie, con <strong>le</strong> rotel<strong>le</strong>,<br />
sparse un po’ dappertutto. Perché?<br />
Ma ogni angolo deve essere facil-<br />
‘<br />
Mi capita di<br />
lavorare,<br />
dipingere,<br />
scrivere in<br />
qualsiasi stanza<br />
<strong>della</strong> casa<br />
Gillo Dorf<strong>le</strong>s<br />
Nato a Trieste nel 1910,<br />
è un critico d’arte, un<br />
pittore e un filosofo.<br />
È stato docente di<br />
Estetica al<strong>le</strong> università di<br />
Trieste e di Milano<br />
L’AVVOC<strong>AT</strong>O<br />
GILLO DORFLES<br />
Spoglio, comodo e «fuori» <strong>le</strong>gge<br />
M usica<br />
jazz o classica in sottofondo, massaggi rilassanti,<br />
perché somatizzo troppo sui muscoli<br />
del corpo, e una tisana giusta per una giusta causa. Il<br />
lavoro dell’avvocato è un po’ come quello dello sportivo:<br />
bisogna vo<strong>le</strong>rsi bene ed evitare cali di tensione inaspettati.<br />
Il mio studio però, se non fosse per il fatto che<br />
è a due passi dal Tribuna<strong>le</strong>, non ha nulla del classico<br />
ambiente dell’uomo di <strong>le</strong>gge. Non ho scrivanie immense,<br />
biblioteche imponenti e poltrone in pel<strong>le</strong>. Questo<br />
spazio, per renderlo veramente mio, l’ho arredato<br />
proiettandovi i miei stati d’animo, ogni angolo rispecchia<br />
la mia personalità. L’unico vezzo che mi sono<br />
concessa è la libreria in sti<strong>le</strong> anni Settanta: adoro il vintage,<br />
la comodità (per questo sia per la mia sedia che<br />
per i miei clienti ho scelto <strong>le</strong> ergonomiche Stokke) e la<br />
mente raggiungibi<strong>le</strong>, così come i<br />
computer, App<strong>le</strong> e rigorosamente<br />
bianchi, devono essere sempre a<br />
portata di mano e di creatività. Del<br />
resto, quando si è trattato di progettare<br />
il luogo in cui trascorro, insieme<br />
con i miei collaboratori, gran<br />
parte <strong>della</strong> giornata, c’è stata una richiesta<br />
ben precisa: creare uno spazio<br />
in cui il flusso del<strong>le</strong> persone venisse<br />
facilitato, con poche connotazioni;<br />
già produciamo segni e non<br />
abbiamo certo bisogno di viverci<br />
dentro. Dopo un po’, è norma<strong>le</strong>,<br />
scatta una sorta di assuefazione professiona<strong>le</strong>;<br />
meglio distendersi e staccarsi<br />
da un sovraffollamento simbolico.<br />
Ecco, per <strong>le</strong> nostre piacevoli<br />
pause c’è la nostra piccola isola felice:<br />
una macchina da caffè Illy per<br />
un ottimo espresso; e non lo dico<br />
perché si tratta di uno dei nostri<br />
clienti.<br />
Il mio ufficio<br />
‘<br />
ANNAMARIA TESTA<br />
Uno spazio con<br />
poche<br />
connotazioni dove<br />
è faci<strong>le</strong> il flusso<br />
del<strong>le</strong> persone<br />
Annamaria Testa<br />
È nata a Milano nel 1953,<br />
pubblicitaria con la<br />
società «Progetti nuovi».<br />
È autrice di diversi saggi<br />
sulla comunicazione<br />
e la creatività<br />
Vespa. Perché l’ho scelta? Quasi per caso: passeggiavo<br />
per Lodi quando ho notato in vetrina questo mobi<strong>le</strong><br />
circolare, tutto nero, un colore che adoro, l’intero studio<br />
è giocato sul contrasto bianco e nero, oltre al ciliegio<br />
che ricopre porte, scrivania e parquet. Le pareti sono<br />
bianche e gli unici quadri che ho deciso di appendere<br />
sono due stampe cui sono molto <strong>le</strong>gata, in cui è<br />
illustrato il ce<strong>le</strong>bre Processo di Frine, dove l’avvocato<br />
non esita a denudare l’imputata pur di convincere la<br />
corte.<br />
Ecco, io ho spogliato il mio studio di inutili fronzoli,<br />
rendendo essenzia<strong>le</strong>, al massimo riempiendolo di<br />
piante che curo personalmente, e rispettando una frase<br />
che conservo sulla mia scrivania: «La justice consiste<br />
à rendre l’injustice acceptab<strong>le</strong>».<br />
IL PROFESSORE<br />
L’unica «voce» <strong>della</strong> stanza è il piano<br />
L o<br />
spazio dove sono in questo momento, e per<br />
lunghe ore <strong>della</strong> mia giornata, lo definirei un<br />
non-studio. Non sono né designer né architetto,<br />
posso dire di non avere un luogo privi<strong>le</strong>giato: mi<br />
capita di lavorare, dipingere, scrivere in qualsiasi<br />
stanza <strong>della</strong> mia casa. Gli oggetti intorno, come la<br />
lampada di Castiglioni, i mobili di Magistretti, la<br />
scultura di Giò Pomodoro sul tavolo, potrebbero<br />
far credere il contrario, invece si trovano lì casualmente;<br />
fanno parte di quel disordine inconcepibi<strong>le</strong>:<br />
accumulo di libri, carte, giornali, inviti al<strong>le</strong> mostre.<br />
Non esistono rego<strong>le</strong> precise nel mio lavoro, orari<br />
fissi: sono tutto fuorché un professionista. Il pianoforte?<br />
Lo suono quando ne ho voglia ed è l’unica<br />
«voce» <strong>della</strong> stanza; ci mancherebbe altro, viviamo<br />
già nella «civiltà del rumore», come ho scritto nel<br />
‘<br />
Per renderlo<br />
veramente mio<br />
l’ho arredato<br />
proiettandovi i<br />
miei stati<br />
d’animo<br />
Caterina Malavenda<br />
Nata a Messina nel 1955.<br />
È un avvocato,<br />
specializzata in diritto di<br />
cronaca e in prob<strong>le</strong>matiche<br />
giuridiche riguardanti<br />
la professione giornalistica<br />
mio ultimo libro «Horror P<strong>le</strong>ni». Del resto, lo stesso<br />
discorso può essere applicato agli oggetti e alla<br />
loro moltiplicazione inarrestabi<strong>le</strong>. È chiaro che qui<br />
va fatta una necessaria distinzione. Esistono oggetti<br />
che nel corso del tempo si sono trasformati in veri<br />
e propri feticci, e altri che il loro quoziente artistico<br />
non lo raggiungeranno mai. Per me è importante<br />
avere di qua e di là, mentre si lavora, del<strong>le</strong> cose<br />
piacevoli. Mi guardo intorno, come in questi giorni<br />
in cui sto lavorando alla catalogazione genera<strong>le</strong> di<br />
tutte <strong>le</strong> mie opere pittoriche, e ritrovo i miei compagni<br />
di viaggio, i quadri degli artisti appesi al<strong>le</strong> pareti<br />
o sul<strong>le</strong> menso<strong>le</strong> <strong>della</strong> stanza, senza dei quali non<br />
sarei il pittore che mi sento d’essere oggi. Da Fontana<br />
a Consagra, da Nunzio a Castellani, ci sono un<br />
po’ tutti: un piacere per la fantasia e l’immaginazione.<br />
C<strong>AT</strong>ERINA<br />
MALAVENDA