Tra le metamorfosi dell'impiegato - AT Casa - Corriere della Sera
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2 Mode e Modi Merco<strong>le</strong>dì 16 Apri<strong>le</strong> 2008 <strong>Corriere</strong> <strong>della</strong> <strong>Sera</strong><br />
IN PRIMO P IANO<br />
Il luogo di lavoro è lo<br />
scenario di gran parte<br />
<strong>della</strong> nostra vita ed<br />
ha ispirato <strong>le</strong>tteratura<br />
e cinema. Ora anche<br />
nell’arredo diventa<br />
il laboratorio di una<br />
società più f<strong>le</strong>ssibi<strong>le</strong><br />
Si presenta «pallidamente pulito, pietosamente rispettabi<strong>le</strong>,<br />
irrimediabilmente desolato», eppure anche<br />
Bart<strong>le</strong>by lo scrivano incarna il nuovo che avanza, la classe<br />
degli impiegati moderni. Il personaggio uscito dalla<br />
penna di Herman Melvil<strong>le</strong> e i col<strong>le</strong>tti bianchi metropolitani<br />
nascono nella New York di metà Ottocento, quando<br />
il te<strong>le</strong>fono e l’ascensore stanno cambiando per sempre<br />
organizzazione, ritmi e rapporti lavorativi. Man mano<br />
che funzioni e gerarchie si concentrano aumenta l’efficienza,<br />
e insieme l’insicurezza e la solitudine di chi occupa<br />
i piani bassi. D’accordo, è mil<strong>le</strong> e mil<strong>le</strong> volte meglio<br />
fare il copista per un avvocato di Wall Street che sgobbare<br />
in una fabbrica di cande<strong>le</strong>, ma anche la vita d’ufficio<br />
assomiglia sempre di più a una catena di montaggio.<br />
La storia dell’impiegato, cominciata nel<strong>le</strong> polverose<br />
burocrazie statali <strong>della</strong> vecchia Europa, si rinnova tra il<br />
vetro e l’acciaio al di là dell’Oceano: «Alla fine del XIX<br />
secolo sorgono il terziario e gli apparati amministrativi<br />
del<strong>le</strong> grandi fabbriche: è così che si forma la classe impiegatizia<br />
newyorchese — spiega Raimonda Riccini, direttore<br />
del corso di laurea in Design del prodotto all’Università<br />
Iuav di Venezia —. Gli uffici, una volta costruiti<br />
accanto ai luoghi di produzione, si delocalizzano per svilupparsi<br />
in vertica<strong>le</strong> nei grattacieli di Manhattan». La parola<br />
d’ordine è sfruttare al massimo gli spazi, ed ecco<br />
allora stanzoni immensi e sovraffollati, con i bordi del<strong>le</strong><br />
scrivanie separate soltanto da un pugno di centimetri.<br />
L’immagine simbolo di questa piccola rivoluzione è rappresentata<br />
da decine e decine di dattilografe che, disposte<br />
in fi<strong>le</strong> paral<strong>le</strong><strong>le</strong> come a scuola, ticchettano incessantemente<br />
sul<strong>le</strong> macchine da scrivere.<br />
È proprio la macchina da scrivere a favorire l’ingresso<br />
del<strong>le</strong> donne in quello che è sempre stato il regno degli<br />
Le rego<strong>le</strong><br />
del santo<br />
uomini: nel 1890 <strong>le</strong> stenografe e <strong>le</strong> dattilografe negli uffici<br />
sono il 60 per cento, nel 1900 salgono al 77 per cento,<br />
vent’anni più tardi raggiungono il 90 per cento. «L’emancipazione<br />
— continua Riccini — è pagata a caro prezzo:<br />
il rumore non dà tregua, battere ore e ore sui tasti per<br />
anni è una fatica logorante. E, soprattutto, i ruoli di comando<br />
restano saldamente in mano ai maschi».<br />
<strong>Tra</strong> gli anni ’40 e ’50, quando fanno la loro comparsa i<br />
calcolatori, per <strong>le</strong> donne <strong>le</strong> cose rischiano persino di farsi<br />
ancor più complicate. Anche il cinema se ne accorge:<br />
ne «La segretaria quasi privata», siamo nel ’57, Katharine<br />
Hepburn, ragazza dalla prodigiosa memoria, dirige<br />
l’ufficio informazioni di una grande azienda ma un ingegnere,<br />
Spencer <strong>Tra</strong>cy, vorrebbe tanto sostituirla con un<br />
computer. Nella commedia è d’obbligo il lieto fine coi<br />
fiori d’arancio, nella realtà non tutte <strong>le</strong> segretarie riescono<br />
a tenere il passo con l’innovazione tecnologica facendosi<br />
impalmare dal capoufficio.<br />
Intanto l’Italia, dal canto suo, non tiene il passo con<br />
l’America. Certo, si assiste a ventate di modernità come<br />
nel grattacielo Pirelli a Milano e all’Olivetti di Ivrea , ma<br />
per lo più nel nostro Paese continua a prosperare il mo-<br />
Scenari di un secolo<br />
Stanzoni immensi e affollati di dattilografe, arredi che<br />
sottolineano la differenza tra «il capo» e i fantozzi.<br />
Poi arrivano il comfort, l’ergonomia, l’ufficio volante<br />
L’ufficio del futuro, transitorio e adattabi<strong>le</strong> può diventare<br />
un potente strumento di motivazione per gli individui<br />
che lo vivono. Rendendoli più aperti ai cambiamenti<br />
dello ottocentesco, dove solo il<br />
direttore ha l’ufficio persona<strong>le</strong> e<br />
la scrivania è uno status symbol<br />
— più grande, più potere — da al<strong>le</strong>stire<br />
con foto familiari e souvenir<br />
del<strong>le</strong> vacanze. È il tragico mondo di<br />
Fantozzi, fatto di poltrone in pel<strong>le</strong> umana,<br />
di mitici ultimi piani con musiche ce<strong>le</strong>stiali<br />
e acquari in cui nuotano i dipendenti.<br />
Alla metà degli anni Sessanta esplode però<br />
l’età dell’oro del design italiano: «Il risultato è più qualità<br />
estetica per tutti, un principio democratico che irrompe<br />
in un universo gerarchico e tradizionalista — racconta<br />
Riccini —. Cambia l’idea del prestigio, <strong>le</strong> linee guida<br />
diventano il comfort e l’ergonomia. L’ufficio si trasforma<br />
così in un sistema componibi<strong>le</strong>: grandi superfici in<br />
cui i muri portanti sono sostituiti da interpareti e <strong>le</strong> scrivanie<br />
possono venir assemblate per ogni esigenza». È il<br />
trionfo del terziario, con l’informatica che crea continuamente<br />
nuove funzioni e trasforma senza sosta quel<strong>le</strong><br />
vecchie: gli arredi, esattamente come il lavoro, sono f<strong>le</strong>ssibili,<br />
duttili, interscambiabili. Tutto ciò si chiama open<br />
space , spesso organizzato in<br />
una serie di iso<strong>le</strong>: la redazione<br />
di un quotidiano ne è un esempio<br />
perfetto.<br />
Alla fine degli anni ’90, con<br />
l’avvento del pc, a Los Ange<strong>le</strong>s<br />
si tenta di invertire quel processo<br />
di accentramento iniziato<br />
un secolo prima dirottando<br />
nel<strong>le</strong> case una parte del lavoro<br />
d’ufficio. Il te<strong>le</strong>lavoro dovreb-<br />
Finzione e realtà<br />
Sopra, Paolo Villaggio e<br />
Anna Mazzamauro nel<br />
film Fantozzi. Nel tondo:<br />
Renato Rascel in una<br />
scena di «Policarpo<br />
ufficia<strong>le</strong> di scrittura»<br />
be abbattere i costi e l’inquinamento. L’esperimento<br />
non funziona, il gruppo è più produttivo dei singoli col<strong>le</strong>gati<br />
a distanza. Bastano comunque una manciata di anni<br />
per accorgersi che portati<strong>le</strong> e cellulare hanno cambiato<br />
ancora una volta <strong>le</strong> carte in tavola: anche il vagone di<br />
un treno o la sala d’aspetto di un aeroporto possono all’occorrenza<br />
trasformarsi in un piccolo ufficio. «Oggi,<br />
con il diffondersi di palmari e wire<strong>le</strong>ss, si è ormai rotta<br />
l’antica equazione un col<strong>le</strong>tto bianco ugua<strong>le</strong> una postazione<br />
di lavoro — continua Riccini —. Non si parla più<br />
infatti di scrivania bensì di sistema-scrivania: l’ufficio<br />
hi-tech è un vero e proprio porto di mare, dove lo stesso<br />
spazio è usato da soggetti diversi in tempi diversi. Tutto<br />
è essenzia<strong>le</strong>, minimal, spersonalizzato».<br />
Certo, per i manager, i capiufficio del terzo mil<strong>le</strong>nnio,<br />
è più faci<strong>le</strong> godere di tutta la libertà e la creatività offerte<br />
dal progresso tecnologico. I nipotini di Bart<strong>le</strong>by devono<br />
invece fare i conti con l’altra faccia <strong>della</strong> f<strong>le</strong>ssibilità. E<br />
non sono pochi a trovarsi a rimpiangere quel posto fisso<br />
che faceva di Fantozzi, nonostante tutto, un uomo mostruosamente<br />
felice.<br />
OGGETTI& SEMANTICA<br />
Scrivanie, carrelli, paraventi: tutto è soft e nomade<br />
P ossiamo<br />
cambiare! Questo il motto<br />
che riportano lucide targhe, color<br />
oro, onnipresenti per i corridoi, <strong>le</strong> stanze,<br />
gli ascensori, i bagni del quartier genera<strong>le</strong><br />
di una nota multinaziona<strong>le</strong> giapponese.<br />
Quel richiamo insistente è emb<strong>le</strong>matico<br />
<strong>della</strong> condizione del lavoratore contemporaneo:<br />
cambiare sempre per adattarsi<br />
ad un lavoro anch’esso mutevo<strong>le</strong> e<br />
fluido. Anche il sistema ufficio sembra interpretare<br />
questa incessante mutevo<strong>le</strong>zza<br />
del<strong>le</strong> condizioni e dell’operatività del<br />
lavoro. Ma cosa cambia nel lavoro? E come<br />
si trasformano i luoghi che lo ospitano?<br />
Oggi non è (quasi) più possibi<strong>le</strong> pensare<br />
a sé stessi nello stesso posto di lavoro<br />
per 30 o 40 anni. Non è precariato ma<br />
scelta consapevo<strong>le</strong> finalizzata a cercare<br />
stimoli e occasioni di crescita continui. E<br />
questo rende meno praticabi<strong>le</strong> l’uso, un<br />
tempo convenzione, di colonizzazione<br />
degli spazi assegnati al singolo impiegato.<br />
Non solo: la ricerca continua dell’individuo,<br />
per crescere e migliorare, richiede<br />
luoghi di lavoro attrattivi. Non solo belli,<br />
quanto capaci di poter dare oltre che rice-<br />
UFFICIO<br />
<strong>Tra</strong> <strong>le</strong> <strong>metamorfosi</strong> dell’impiegato<br />
DI FABIO CUTRI<br />
vere e diventare, essi stessi, veri e propri<br />
luoghi di apprendimento (con tutto ciò<br />
che comporta, progettualmente, questa<br />
dimensione). Un altro fenomeno in crescita<br />
esponenzia<strong>le</strong> è quello del<br />
networking: si lavora sempre più in team<br />
composti da impiegati interni ed esterni,<br />
funzionari di altre imprese, freelancer,<br />
esperti, ricercatori universitari. Un processo<br />
aggregativo che, spesso, sopravvive<br />
al progetto, realizzando network permanenti<br />
ed informali — interni ed esterni all’organizzazione<br />
che li ha attivati — nei<br />
quali emerge una vera e propria economia<br />
del baratto: scambiarsi conoscenze e<br />
competenze per sciogliere i dubbi <strong>della</strong><br />
quotidianità (del lavoro e non solo). Un<br />
DI FRANCESCO ZURLO<br />
buon argomento per chi si occupa di design<br />
dell’interazione e dei servizi.<br />
Recenti ricerche ri<strong>le</strong>vano che oggi più<br />
del 70% del<strong>le</strong> attività viene svolto in gruppo:<br />
l’intelligenza relaziona<strong>le</strong> (dell’individuo<br />
come del<strong>le</strong> organizzazioni) diventa<br />
pilota del cambiamento. La centralità <strong>della</strong><br />
relazione guida una rivoluzione che<br />
tende a valorizzare <strong>le</strong> cosiddette soft skills<br />
degli individui, cioè la loro capacità di<br />
adattarsi al<strong>le</strong> situazioni, di interpretare i<br />
contesti, di affrontare l’ignoto, di confrontarsi<br />
costruttivamente con gli altri. Tali<br />
aspetti hanno una natura<strong>le</strong> corrispondenza<br />
nei luoghi dell’informalità: gli angoli<br />
bar, i salottini del<strong>le</strong> pause, i social hub<br />
dei grandi palazzi del lavoro. Non dimen-<br />
ticando, comunque, l’esigenza di nesting,<br />
il nido dove poter svolgere la propria<br />
attività individua<strong>le</strong>.<br />
Al<strong>le</strong> soft skills corrispondono soft solutions,<br />
soluzioni arredative transitorie, opportunisticamente<br />
f<strong>le</strong>ssibili secondo gli<br />
spazi, che pescano nell’archivio semantico<br />
e tipologico dell’exhibit temporaneo e<br />
interpretano il repertorio del nomadismo:<br />
oggetti <strong>le</strong>ggeri e trasformabili, ruote<br />
e carrelli, postazioni condivise e accessibili,<br />
quinte e picco<strong>le</strong> scenografie. Piccoli<br />
container satellite, su ruote, che vengono<br />
connessi all’occorrenza a tavoli «hub», colonie<br />
di accessori che estendon o superfici<br />
e archivi, separé in tessuto che separano<br />
visivamente e istituiscono, temporaneamente,<br />
«territori» privati per team e microgruppi.<br />
È soft anche il materia<strong>le</strong>, con<br />
la diffusione di tessuti tecnici, ma anche<br />
con soluzioni — palpebre di protezione,<br />
«ombrelli» segna<strong>le</strong>tici, tende e paraventi<br />
— che non hanno più nulla dell’immagine<br />
solida e materica di pochi anni fa, trasformando<br />
il paesaggio fluido del lavoro<br />
in un moderno e tecnologico accampamento<br />
di nomadi.<br />
Le soft solutions non sono solo oggetti<br />
(mobili e comp<strong>le</strong>menti) ma un mix di prodotti<br />
e servizi, sistemi che integrano gli<br />
strumenti del lavoro (il computer in primis)<br />
e soft-qualities del progetto: la luce,<br />
il suono, gli odori, i colori. Queste soluzioni<br />
al<strong>le</strong>stitive possono (e potranno sempre<br />
più nel futuro) realizzare veri e propri uffici<br />
palinsesto, programmati come una sca<strong>le</strong>tta<br />
te<strong>le</strong>visiva, per pensare al<strong>le</strong> diverse fasce<br />
<strong>della</strong> giornata (come già fa la luce che<br />
segue i bioritmi modulando la propria intensità<br />
e il proprio colore), in funzione<br />
dell’uso, del<strong>le</strong> attività che si realizzano,<br />
dell’esigenza di lavoro individua<strong>le</strong>, in<br />
coppia, col<strong>le</strong>ttivo. L’ufficio transitorio e<br />
soft, f<strong>le</strong>ssibi<strong>le</strong> e adattabi<strong>le</strong>, può diventare<br />
un potente strumento di motivazione per<br />
gli individui che lo vivono. Con ciò compensando<br />
i maggiori sforzi di progetto, di<br />
al<strong>le</strong>stimento e finanziari. E rendendo la<br />
persona, potenzialmente, più disponibi<strong>le</strong><br />
al cambiamento.<br />
Francesco Zurlo è professore associato<br />
di disegno industria<strong>le</strong>, dipartimento<br />
INDACO del Politecnico di Milano
Mode e Modi Merco<strong>le</strong>dì 16 Apri<strong>le</strong> 2008 <strong>Corriere</strong> <strong>della</strong> <strong>Sera</strong><br />
L’E VOLUZIONE<br />
Officina contabilità<br />
Uno degli uffici contabilità dello<br />
stabilimento Fiat al Lingotto, nel 1923. Il<br />
persona<strong>le</strong> è tutto al femmini<strong>le</strong>, indossa<br />
una specie di «divisa» e il lavoro è<br />
ripetitivo e spersonalizzato<br />
Voglio la privacy<br />
Dopo la rivoluzione degli open space<br />
negli anni ’70, per garantire un minimo di<br />
privacy agli impiegati <strong>le</strong> aziende<br />
produttrici di mobili inventano dei separé<br />
attrezzati che isolano un tavolo dall’altro<br />
Anticonformisti<br />
La redazione di un giorna<strong>le</strong>, in una foto<br />
del 1994. L’ambiente di lavoro è caotico<br />
e f<strong>le</strong>ssibi<strong>le</strong>, l’abbigliamento<br />
è improntato a criteri di comodità<br />
persona<strong>le</strong> del tutto informali<br />
LA V ETRINA<br />
Le novità<br />
C apita che spesso, pensando al lunedì, venga da piangere.<br />
Tornare in ufficio, che fatica! Già il tardo pomeriggio<br />
<strong>della</strong> domenica si immagina il giorno dopo: la sveglia<br />
che suonerà prestissimo, la lunga settimana davanti, la giornata<br />
scadenzata da orari e impegni. Non più liberi.<br />
Ufficio: amore e odio, successo e insuccesso. Umano. Alti<br />
e bassi fanno parte del Dna del<strong>le</strong> persone. È che è tra quel<strong>le</strong><br />
quattro mura che la società (di nome e di fatto) chiede<br />
che un lui o una <strong>le</strong>i diano sempre (ah, illusione!) il meglio:<br />
in idee, creatività, produzione, efficienza. Come è possibi<strong>le</strong><br />
che accada, però? Se l’ambiente è squallido, angusto, buio,<br />
vecchio...? Questo devono aver pensato <strong>le</strong> nuove generazioni<br />
di architetti. Aggiungendo: non è importante, forse, per<br />
rendere meglio, per stare meglio, starci bene tra quel<strong>le</strong> pareti?<br />
Sentirsi gratificati anche dall’ambiente, provare sensazioni<br />
positive. Che spesso, molto più di quanto si creda, dipendono<br />
appunto dall’arredamento, dagli oggetti, dai colori<br />
del<strong>le</strong> pareti, dal<strong>le</strong> luci, dalla posizione dei mobili.<br />
Così ecco che ora l’attenzione dei grandi designer si concentra<br />
proprio su questi spazi. Non per nulla 20 mila metri<br />
quadri del Salone del Mobi<strong>le</strong> sono dedicati al<strong>le</strong> nuove proposte<br />
per l’ufficio presentate da ben 160 marchi. E la novità<br />
sta pure nel nome: dopo 14 edizioni di onorato servizio <strong>della</strong><br />
bienna<strong>le</strong> internaziona<strong>le</strong> del mobi<strong>le</strong> per ufficio (ex Emu),<br />
oggi si parla di SaloneUfficio con tanto di concorso a macrotema<br />
trasversa<strong>le</strong>, «Ufficio Fabbrica Creativa, Work in Progress»,<br />
cui parteciperanno 30 aziende, e la mostra «Michelangelo<br />
Pisto<strong>le</strong>tto & Citta<strong>della</strong>rte» dove si tratta la creatività<br />
dell’ufficio in maniera inedita.<br />
Comunque sia e da qualsiasi parte lo si guardi, l’ufficio è<br />
ormai visto come un luogo da vivere con serenità, capace<br />
di dare persino sensazioni di benessere. Un proseguimento<br />
<strong>della</strong> casa, insomma. Una continuità di piacevo<strong>le</strong>zze che<br />
vanno dal divano alla poltrona, dalla lampada alla libreria<br />
allo studio degli interni a 360˚. Perché <strong>le</strong> domande chiave<br />
F<strong>le</strong>ssuose<br />
Scrivanie<br />
ergonomiche,<br />
morbide<br />
e accoglienti<br />
in materiali e tinte<br />
antistress utilizzabili<br />
da più lati. Disegnate<br />
da Della Rovere<br />
IL BENESSERE<br />
DEL LUNEDÌ<br />
Colori definiti<br />
Tonalità decise ma rassicuranti per il blocco da<br />
ufficio «More» di Martex. Un contenitore con<br />
scrivania incorporata da inserire in grandi spazi<br />
<strong>Tra</strong>sparenze<br />
Pareti di cristallo<br />
per il Natural<br />
Office del<br />
gruppo Fantoni,<br />
che punta su<br />
«Climacustic»<br />
innovativa<br />
tecnologia<br />
fono-assorbente<br />
Luci soffuse, pareti di cristallo, mobili fonoassorbenti, bonsai<br />
Le aziende propongono una vita lavorativa più «soddisfacente»<br />
DI PAOLA BULBARELLI<br />
sono due: quanto influisce la progettazione di un ambiente<br />
di lavoro sulla produttività dell’individuo? E ancora: come<br />
si può rendere lo spazio confortevo<strong>le</strong> e idoneo a favorire<br />
quell’attività creativa considerata fonte di vantaggio competitivo?<br />
Da alcune ricerche del Commission for Architecture<br />
and the Built Environment, ente governativo ing<strong>le</strong>se, è<br />
emerso che lo spazio di lavoro è responsabi<strong>le</strong> per il 25% <strong>della</strong><br />
soddisfazione dei lavoratori e il 5% del<strong>le</strong> performance,<br />
mentre un’analisi pubblicata da Economy di Ta<strong>le</strong>nt Manager<br />
spiega che il primo strumento con il qua<strong>le</strong> l’azienda favorisce<br />
i suoi dipendenti è la cura degli ambienti di lavoro.<br />
Una cura davvero estrema che al SaloneUfficio trova la sua<br />
massima espansione e inventiva. Lo Studiomonti, il gruppo<br />
Una dependance <strong>della</strong> casa<br />
Fantoni, Revo di Ma<strong>le</strong>rba hanno studiato nei minimi particolari<br />
cosa significhi il benessere in ufficio traducendolo in<br />
proposte a dir poco avveniristiche. S’è pensato proprio a<br />
tutto. Atmosfere rilassate, temperature perfettamente bilanciate,<br />
isolamento acustico, fono-assorbimento (Climacustic),<br />
luci soffuse e filtrate, ricercatezza dei materiali, pareti<br />
di cristallo. Non mancano cucine attrezzate secondo <strong>le</strong> rego<strong>le</strong><br />
più ferree dello star bene: chissà che non si lavori con<br />
più passione con i forni per cottura al vapore, piastre per<br />
cucinare senza grassi, cel<strong>le</strong> frigorifere per vini e formaggi. E<br />
se si vuo<strong>le</strong> esagerare c’è pure la Spa. Il segreto è sentirsi a<br />
casa anche in ufficio. Ecco CBox Dieffebi, un mobi<strong>le</strong> contenitore<br />
con sei profumazioni in sintonia con i colori <strong>della</strong><br />
superficie esterna che si diffondono nell’ambiente per un<br />
benessere psicofisico da respirare ogni giorno e Cbook la<br />
Ecologica<br />
Simone D’Auria<br />
ha progettato<br />
«Ecobulb»,<br />
lampada<br />
impermeabi<strong>le</strong><br />
con <strong>le</strong>d interno<br />
<strong>della</strong> durata<br />
di 15 anni<br />
L’idea è ricreare comfort e abitudini domestiche. Così<br />
c’è chi presenta cucine attrezzate per cibi senza grassi<br />
e mobili dal<strong>le</strong> profumazioni in sintonia con i colori<br />
Metalli <strong>le</strong>ggeri<br />
L’alluminio è tagliato al laser nella libreria<br />
«CBook» ultraresistente di Dieffebi<br />
Cuoio capitonnee<br />
La nuova seduta per ufficio «Oxford» di Poltrona<br />
Frau. Design classico tendente al moderno<br />
3<br />
libreria in alluminio tagliata a laser.<br />
Della Rovere ha disegnato <strong>le</strong><br />
scrivanie ergonomiche utilizzabili<br />
da ogni lato accoglienti e morbide,<br />
Sagsa ha puntato sui cromatismi,<br />
Frau si presenta con<br />
«Oxford», una strepitosa poltrona<br />
in pel<strong>le</strong> lavorata a «capitonnee» e<br />
con «Antropovarius Office», una<br />
seduta con vertebre in acciaio e lamine<br />
in fibra di carbonio. «Eco<br />
Bulb», invece, sono <strong>le</strong> lampade riciclate<br />
di Simone D'Auria, presentate da Sportmax, ecocompatibili,<br />
water resistant, con <strong>le</strong>d interno <strong>della</strong> durata di<br />
15 anni. C’è pure il pezzo limited edition disegnato da Paolo<br />
Pininfarina: la scrivania "Luna Gold" creata con polveri<br />
micronizzate d’oro 24 carati. E per il momento di vero relax<br />
ecco il «bonsai del manager» del maestro giardiniere Giampiero<br />
Galli: fornito con particolari forbicine finisce sul<strong>le</strong><br />
scrivanie dei dirigenti più impegnati per un sicuro attimo<br />
di «stacco» menta<strong>le</strong>.
Mode e Modi Merco<strong>le</strong>dì 16 Apri<strong>le</strong> 2008 <strong>Corriere</strong> <strong>della</strong> <strong>Sera</strong><br />
R accontare<br />
IN PRIMO P IANO<br />
Architettura<br />
C<strong>AT</strong>TEDRALI DEL LAVORO<br />
oggi l’architettura dei luoghi del lavoro potrebbe<br />
apparire strano per un’epoca che sta profetizzando<br />
la fine del<strong>le</strong> fabbriche e la scomparsa dell’ufficio verso<br />
una progressiva smaterializzazione dei luoghi tradizionali<br />
<strong>della</strong> produzione. Sembra che il nostro destino immediato<br />
sia quello del te<strong>le</strong>lavoro, isolati e comodi a casa di<br />
fronte al computer, in uno spazio domestico, in rete con il<br />
resto del mondo. Ma l’attualità ci rimanda ben altri scenari:<br />
nella Silicon Val<strong>le</strong>y ad esempio molte del<strong>le</strong> grandi Corporation<br />
hanno deciso di tornare a luoghi in cui potenziare<br />
il contatto umano, con il palmare e il cellulare spento, dove<br />
confrontarsi liberamente, lavorare con piacere grazie a<br />
un ambiente a misura d’uomo, segnato da materiali e luce<br />
natura<strong>le</strong>, gradevo<strong>le</strong> e condiviso con un numero adeguato<br />
di col<strong>le</strong>ghi.<br />
Un progetto dell’architetto bolognese Mario Cucinella<br />
per Uniflair Industries, un’azienda di ricerca veneta, portava<br />
pochi anni fa questo concetto al<strong>le</strong> estreme conseguenze:<br />
un unico spazio lungo più di duecento metri che si affacciava<br />
su di un corti<strong>le</strong> alberato, al centro un tavolo unico<br />
lungo quanto la sala, semplice, forte, unitario. L’ambiente<br />
di lavoro comp<strong>le</strong>tamente in rete, ogni ricercatore con la<br />
possibilità di scegliere dove e con chi, eventualmente, sedersi<br />
a seconda del<strong>le</strong> diverse esigenze e momenti <strong>della</strong> giornata.<br />
Quell’immagine, quasi un al<strong>le</strong>stimento d’arte concettua<strong>le</strong>,<br />
fece il giro del mondo perché oltre alla sua forza iconica,<br />
dimostrava una nuova frontiera del lavoro in team<br />
grazie ad un ambiente diverso e visionario.<br />
Ma questi scenari sono figli di almeno 100 anni di sperimentazione<br />
e ricerca sullo spazio dell’ufficio da parte degli<br />
architetti occidentali.<br />
TRE PUNTI DI VISTA<br />
Atmosfera vellutata<br />
Gli ambienti lavorativi <strong>della</strong><br />
Financial Guaranty<br />
Insurance Company a New<br />
York, realizzati da Emilio<br />
Ambasz (foto in alto)<br />
nel 1983<br />
DI LUCA MOLINARI<br />
Luci indirette<br />
Gli uffici per gli impiegati<br />
nel «Johnson building»<br />
a Racine (Wisconsin)<br />
realizzati nel 1939<br />
da Frank Lloyd Wright<br />
(foto in basso)<br />
Se guardiamo a una immagine di un grande ufficio<br />
americano dell’inizio del secolo scorso tra Chicago<br />
e New York in quei primi, maestosi grattacieli<br />
realizzati grazie all’invenzione dell’ascensore, ci<br />
saremmo trovati di fronte a una immagine molto<br />
semplice: un unico spazio, illuminato dal<strong>le</strong> grandi<br />
finestre perimetrali e organizzato razionalmente<br />
con tanti piccoli box in <strong>le</strong>gno,<br />
in cui erano inserite altrettante<br />
scrivanie per gli impiegati. In fondo,<br />
rialzato su un gradino, la scrivania<br />
del capo-settore addetto al<br />
controllo dell’efficienza azienda<strong>le</strong>.<br />
Era l’immagine di una catena<br />
di montaggio applicata al mondo<br />
dei «col<strong>le</strong>tti bianchi»; sicuramente<br />
più ordinata, pulita, si<strong>le</strong>nziosa<br />
di una fabbrica, ma organizzata<br />
secondo gli stessi principi.<br />
L’architettura moderna offre<br />
tra gli anni Venti e Trenta un ventaglio<br />
di soluzioni formidabili a<br />
questo tema, progettando sia gli<br />
edifici che gli arredi in una visione<br />
unitaria e integrata come per gli<br />
uffici <strong>della</strong> Johnson Wax di Frank<br />
Lloyd Wright a Racine nel Wisconsin,<br />
<strong>le</strong> palazzine di Figini e Pollini per la Olivetti<br />
a Ivrea o i due palazzi per la Montedison<br />
di Giò Ponti a Milano realizzati tra<br />
L’interno del grattacielo <strong>della</strong><br />
sede centra<strong>le</strong> <strong>della</strong> Hong Kong<br />
and Shanghai Bank realizzata<br />
dall’architetto britannico sir<br />
Norman Foster (foto sopra) nel<br />
1986, a Hong Kong<br />
Da santuari del<strong>le</strong><br />
gerarchie<br />
aziendali ad<br />
ambienti<br />
tecnologici<br />
«democratici»:<br />
così i grandi<br />
progettisti hanno<br />
strutturato l’ufficio<br />
Banca hi-tech Work in progress<br />
L’architetto Richard Rogers,<br />
autore del palazzo dei Lloyd<br />
a Londra (in alto). Da qui si è<br />
diffuso il concetto di<br />
postazione di lavoro «ad<br />
isola» perfettamente cablata<br />
5<br />
gli anni Trenta e Cinquanta. Soprattutto nel caso americano<br />
l’immagine è quella potente di una cattedra<strong>le</strong> laica dedicata<br />
al lavoro, mentre nei due casi italiani la scala umana,<br />
una dimensione più calibrata dello spazio sembra prendere<br />
il sopravvento sul culto azienda<strong>le</strong>.<br />
Già a partire dagli anni Sessanta gli spazi sono concepiti<br />
progressivamente per piccoli gruppi di lavoro e pensati per<br />
l’attività individua<strong>le</strong> così come per la possibilità di lavorare<br />
per nuc<strong>le</strong>i variabili; l’architettura cambia e con <strong>le</strong>i gli arredi<br />
sempre più mobili e <strong>le</strong>ggeri, gli oggetti di design col<strong>le</strong>gati<br />
e i materiali per gli spazi interni. Arriviamo agli anni Settanta<br />
e Ottanta, all’architettura high-tech di Norman Foster,<br />
Renzo Piano e Richard Rogers che sembrano avere il<br />
potere demiurgico di riportare umanità in un’architettura<br />
che s’ispira alla macchina e alla tecnologia. Gli uffici per i<br />
Lloyd di Londra disegnati da Rogers nel 1985 inaugurarono<br />
un modo diverso e sostenibi<strong>le</strong> di pensare lo spazio interno<br />
dell’ufficio con un progetto figlio degli open space del<br />
Centre Pompidou. Gli spazi si al<strong>le</strong>ggeriscono, iso<strong>le</strong> di verde<br />
si alternano a spazi mobili e f<strong>le</strong>ssibili di lavoro, luoghi di<br />
ricerca e produzione si alternano a iso<strong>le</strong> per il tempo libero.<br />
Il computer, con un flusso diverso di informazioni e di<br />
modi di operare, plasma indirettamente l’architettura dello<br />
spazio dell’ufficio e dei suoi arredi integrandosi all’idea<br />
di vere e proprie iso<strong>le</strong> interne per il tempo libero come è<br />
stato per un edifico per uffici disegnato dallo studio Bothe,<br />
Richter e Teherani ad Amburgo dove, a fianco degli uffici<br />
sono state realizzate vere e proprie serre/spiagge per il relax<br />
dei dipendenti. L’introduzione del wi-fi porta all’ultima,<br />
in ordine di tempo, micro-rivoluzione dell’ambiente<br />
ufficio con la potenzialità di massima libertà e f<strong>le</strong>ssibilità<br />
indicando il luogo dell'ufficio come una del<strong>le</strong> frontiere che<br />
porterà nei prossimi anni sviluppi inaspettati.<br />
Luca Molinari è critico e professore di Storia dell’architettura,<br />
Seconda Università Napoli
6 Mode e Modi Merco<strong>le</strong>dì 16 Apri<strong>le</strong> 2008 <strong>Corriere</strong> <strong>della</strong> <strong>Sera</strong><br />
IN PRIMO P IANO<br />
Sei personaggi, sei modi di interpretare<br />
e vivere il luogo <strong>della</strong> rif<strong>le</strong>ssione, <strong>della</strong><br />
creatività e del lavoro: i loro racconti<br />
LA PUBBLICITARIA<br />
L’open space <strong>della</strong> mente<br />
e l’isola felice del caffé<br />
Il mio studio? Innanzitutto è un<br />
posto di lavoro che sento mio e<br />
mi rispecchia in pieno. Il fatto di essere<br />
in centro, a Milano, mi consente<br />
di spaziare con la vista fino al Castello<br />
Sforzesco, per esempio, e di ritrovare<br />
un simbolo, un segna<strong>le</strong> di<br />
quell’ understatement tutto milanese<br />
e tipico <strong>della</strong> nostra filosofia lavorativa.<br />
Si comunica e si producono<br />
idee in un ambiente piacevo<strong>le</strong>, minimal,<br />
dal<strong>le</strong> tinte chiare, essenziali. Solo<br />
gli armadi, gialli o viola, tradiscono<br />
l’ambiente. Anche i tavoli (quello<br />
su cui lavoro è a forma di stella a<br />
tre punte), collocati in questo<br />
open-space <strong>della</strong> mente, non sono<br />
tradizionali, con forme a incastro,<br />
triangolari, che sembrano quasi<br />
combinarsi tra loro. Tutto intorno ci<br />
sono sedie, grigie, con <strong>le</strong> rotel<strong>le</strong>,<br />
sparse un po’ dappertutto. Perché?<br />
Ma ogni angolo deve essere facil-<br />
‘<br />
Mi capita di<br />
lavorare,<br />
dipingere,<br />
scrivere in<br />
qualsiasi stanza<br />
<strong>della</strong> casa<br />
Gillo Dorf<strong>le</strong>s<br />
Nato a Trieste nel 1910,<br />
è un critico d’arte, un<br />
pittore e un filosofo.<br />
È stato docente di<br />
Estetica al<strong>le</strong> università di<br />
Trieste e di Milano<br />
L’AVVOC<strong>AT</strong>O<br />
GILLO DORFLES<br />
Spoglio, comodo e «fuori» <strong>le</strong>gge<br />
M usica<br />
jazz o classica in sottofondo, massaggi rilassanti,<br />
perché somatizzo troppo sui muscoli<br />
del corpo, e una tisana giusta per una giusta causa. Il<br />
lavoro dell’avvocato è un po’ come quello dello sportivo:<br />
bisogna vo<strong>le</strong>rsi bene ed evitare cali di tensione inaspettati.<br />
Il mio studio però, se non fosse per il fatto che<br />
è a due passi dal Tribuna<strong>le</strong>, non ha nulla del classico<br />
ambiente dell’uomo di <strong>le</strong>gge. Non ho scrivanie immense,<br />
biblioteche imponenti e poltrone in pel<strong>le</strong>. Questo<br />
spazio, per renderlo veramente mio, l’ho arredato<br />
proiettandovi i miei stati d’animo, ogni angolo rispecchia<br />
la mia personalità. L’unico vezzo che mi sono<br />
concessa è la libreria in sti<strong>le</strong> anni Settanta: adoro il vintage,<br />
la comodità (per questo sia per la mia sedia che<br />
per i miei clienti ho scelto <strong>le</strong> ergonomiche Stokke) e la<br />
mente raggiungibi<strong>le</strong>, così come i<br />
computer, App<strong>le</strong> e rigorosamente<br />
bianchi, devono essere sempre a<br />
portata di mano e di creatività. Del<br />
resto, quando si è trattato di progettare<br />
il luogo in cui trascorro, insieme<br />
con i miei collaboratori, gran<br />
parte <strong>della</strong> giornata, c’è stata una richiesta<br />
ben precisa: creare uno spazio<br />
in cui il flusso del<strong>le</strong> persone venisse<br />
facilitato, con poche connotazioni;<br />
già produciamo segni e non<br />
abbiamo certo bisogno di viverci<br />
dentro. Dopo un po’, è norma<strong>le</strong>,<br />
scatta una sorta di assuefazione professiona<strong>le</strong>;<br />
meglio distendersi e staccarsi<br />
da un sovraffollamento simbolico.<br />
Ecco, per <strong>le</strong> nostre piacevoli<br />
pause c’è la nostra piccola isola felice:<br />
una macchina da caffè Illy per<br />
un ottimo espresso; e non lo dico<br />
perché si tratta di uno dei nostri<br />
clienti.<br />
Il mio ufficio<br />
‘<br />
ANNAMARIA TESTA<br />
Uno spazio con<br />
poche<br />
connotazioni dove<br />
è faci<strong>le</strong> il flusso<br />
del<strong>le</strong> persone<br />
Annamaria Testa<br />
È nata a Milano nel 1953,<br />
pubblicitaria con la<br />
società «Progetti nuovi».<br />
È autrice di diversi saggi<br />
sulla comunicazione<br />
e la creatività<br />
Vespa. Perché l’ho scelta? Quasi per caso: passeggiavo<br />
per Lodi quando ho notato in vetrina questo mobi<strong>le</strong><br />
circolare, tutto nero, un colore che adoro, l’intero studio<br />
è giocato sul contrasto bianco e nero, oltre al ciliegio<br />
che ricopre porte, scrivania e parquet. Le pareti sono<br />
bianche e gli unici quadri che ho deciso di appendere<br />
sono due stampe cui sono molto <strong>le</strong>gata, in cui è<br />
illustrato il ce<strong>le</strong>bre Processo di Frine, dove l’avvocato<br />
non esita a denudare l’imputata pur di convincere la<br />
corte.<br />
Ecco, io ho spogliato il mio studio di inutili fronzoli,<br />
rendendo essenzia<strong>le</strong>, al massimo riempiendolo di<br />
piante che curo personalmente, e rispettando una frase<br />
che conservo sulla mia scrivania: «La justice consiste<br />
à rendre l’injustice acceptab<strong>le</strong>».<br />
IL PROFESSORE<br />
L’unica «voce» <strong>della</strong> stanza è il piano<br />
L o<br />
spazio dove sono in questo momento, e per<br />
lunghe ore <strong>della</strong> mia giornata, lo definirei un<br />
non-studio. Non sono né designer né architetto,<br />
posso dire di non avere un luogo privi<strong>le</strong>giato: mi<br />
capita di lavorare, dipingere, scrivere in qualsiasi<br />
stanza <strong>della</strong> mia casa. Gli oggetti intorno, come la<br />
lampada di Castiglioni, i mobili di Magistretti, la<br />
scultura di Giò Pomodoro sul tavolo, potrebbero<br />
far credere il contrario, invece si trovano lì casualmente;<br />
fanno parte di quel disordine inconcepibi<strong>le</strong>:<br />
accumulo di libri, carte, giornali, inviti al<strong>le</strong> mostre.<br />
Non esistono rego<strong>le</strong> precise nel mio lavoro, orari<br />
fissi: sono tutto fuorché un professionista. Il pianoforte?<br />
Lo suono quando ne ho voglia ed è l’unica<br />
«voce» <strong>della</strong> stanza; ci mancherebbe altro, viviamo<br />
già nella «civiltà del rumore», come ho scritto nel<br />
‘<br />
Per renderlo<br />
veramente mio<br />
l’ho arredato<br />
proiettandovi i<br />
miei stati<br />
d’animo<br />
Caterina Malavenda<br />
Nata a Messina nel 1955.<br />
È un avvocato,<br />
specializzata in diritto di<br />
cronaca e in prob<strong>le</strong>matiche<br />
giuridiche riguardanti<br />
la professione giornalistica<br />
mio ultimo libro «Horror P<strong>le</strong>ni». Del resto, lo stesso<br />
discorso può essere applicato agli oggetti e alla<br />
loro moltiplicazione inarrestabi<strong>le</strong>. È chiaro che qui<br />
va fatta una necessaria distinzione. Esistono oggetti<br />
che nel corso del tempo si sono trasformati in veri<br />
e propri feticci, e altri che il loro quoziente artistico<br />
non lo raggiungeranno mai. Per me è importante<br />
avere di qua e di là, mentre si lavora, del<strong>le</strong> cose<br />
piacevoli. Mi guardo intorno, come in questi giorni<br />
in cui sto lavorando alla catalogazione genera<strong>le</strong> di<br />
tutte <strong>le</strong> mie opere pittoriche, e ritrovo i miei compagni<br />
di viaggio, i quadri degli artisti appesi al<strong>le</strong> pareti<br />
o sul<strong>le</strong> menso<strong>le</strong> <strong>della</strong> stanza, senza dei quali non<br />
sarei il pittore che mi sento d’essere oggi. Da Fontana<br />
a Consagra, da Nunzio a Castellani, ci sono un<br />
po’ tutti: un piacere per la fantasia e l’immaginazione.<br />
C<strong>AT</strong>ERINA<br />
MALAVENDA
Mode e Modi Merco<strong>le</strong>dì 16 Apri<strong>le</strong> 2008 <strong>Corriere</strong> <strong>della</strong> <strong>Sera</strong><br />
il mio REGNO<br />
MASSIMILIANO FUKSAS<br />
LA STILISTA<br />
‘<br />
Posacenere<br />
in cuoio,<br />
pennarelli, sigari<br />
e thermos di caffè<br />
sono picco<strong>le</strong> manie<br />
Alberto Bevilacqua<br />
Classe 1934, nato a Parma.<br />
Scrittore, regista, poeta e<br />
sceneggiatore. Il suo primo<br />
successo fu «La califfa»<br />
‘<br />
Detesto <strong>le</strong> scrivanie<br />
o i cassetti: presenze<br />
troppo vincolanti.<br />
Per disegnare basta<br />
il tavolo da riunione<br />
Massimiliano Fuksas<br />
Nato a Roma, ha 64 anni. È uno<br />
degli architetti italiani più<br />
conosciuti all’estero. Suoi la<br />
nuova Fiera di Milano a Rho e<br />
il progetto per il futuro aeroporto<br />
di Shenzhen, in Cina<br />
Rosso a volontà per un’iniezione di energia<br />
U n<br />
terzo <strong>della</strong> mia giornata lo trascorro qui dentro. Anzi,<br />
sarebbe meglio dire che «lo trascorriamo» qui dentro<br />
perché lavoro insieme con i miei collaboratori, facciamo<br />
squadra. D’altra parte, questo open-space è un ufficio privi<strong>le</strong>giato:<br />
se voglio, mi affaccio alla finestra con vista sul campo<br />
da golf Marco Simone con <strong>le</strong> sue ambite 27 buche; un<br />
modo per distrarsi e reggere lo stress. Certo, sarebbe meglio<br />
scendere e giocare. Unica chicca, la mia scrivania, reginetta<br />
tra <strong>le</strong> altre due: è un vecchio tavolo che ho praticamente rubato<br />
dall’ufficio di mio padre, così come la targa con la scritta<br />
«It can be done», un motto del presidente Ronald Reagan<br />
che ho fatto mio. Non mancano mai sulla scrivania cartellina<br />
e pennarello rosso, colore che mi dà energia; non a caso<br />
quel rosso è da sempre il marchio Biagiotti. Basta guardarsi<br />
intorno per accorgersi di quanto rosso ci sia in questo spa-<br />
zio, perfino la cornice di una foto cui tengo molto, appesa<br />
sul muro al<strong>le</strong> mie spal<strong>le</strong>, è rossa: è stata fatta a Shangai, nel<br />
2004, ci sono io e Jean Todt <strong>della</strong> Ferrari, un mio mito. La<br />
filosofia di lavoro sta tutta nella confusione che regna sovrana<br />
sul<strong>le</strong> tre scrivanie, fa parte del mio modo d'essere: librerie<br />
stracariche, cartel<strong>le</strong> e faldoni sparsi dovunque, conservo<br />
tutto e vado pazza per gli oggetti non preziosi in senso assoluto<br />
ma che mi permettono di lavorare al meglio. Ho la sindrome<br />
<strong>della</strong> tartaruga e qualche volta faccio impazzire i miei<br />
collaboratori, ma nessuna tensione tra noi, anzi se accade<br />
ricorro ai due antidoti; o ci ritroviamo tutti in cucina per una<br />
pausa caffè, una cioccolata calda, giusto per stemperare gli<br />
animi e ripartire tutti insieme, oppure mi apparto in un angolo<br />
dove ho piazzato il te<strong>le</strong>visore. È il mio piccolo segreto:<br />
non possono perdermi neanche una puntata di Beautiful.<br />
L’ARCHITETTO<br />
ALBERTO BEVILACQUA<br />
Un tavolo sul<strong>le</strong> rovine del passato<br />
L o<br />
studio per me è un’abitudine, un luogo<br />
d’incontro, uno spazio che appartiene all’esistenza.<br />
Questo di Roma poi — rispetto agli altri<br />
di Parigi e Francoforte — lo sento più mio, sono<br />
a mio agio tra modelli, progetti, grandi disegni e<br />
ricerche di emozioni continue e soprattutto essenziali<br />
per un creatore: una sorta di non luogo.<br />
Fuori di qui, c’è il centro di Roma. Si può dire<br />
che lavorando e spostandoci all’interno del nostro<br />
laboratorio, passeggiamo sul<strong>le</strong> rovine del<br />
passato. E poi Roma è una città importante per<br />
un architetto, sta sempre lì a ricordarti, e ammonirti,<br />
di non montarti la testa, di stare comunque<br />
con i piedi per terra. Io per altro, detesto avere<br />
una scrivania, dei cassetti: presenze troppo vincolanti.<br />
Per disegnare (col pennarello perché, ri-<br />
‘<br />
La filosofia di lavoro sta<br />
tutta nel disordine che<br />
regna sovrano: cartel<strong>le</strong><br />
ovunque e scrivanie e<br />
librerie stracariche<br />
LO SCRITTORE<br />
Lavinia Biagiotti Cigna<br />
Romana, ha 29 anni. Stilista,<br />
vice presidente del Gruppo<br />
Biagiottico, si occupa del<br />
settore Bambino. Dal 2004 è<br />
consigliere <strong>della</strong> Camera<br />
naziona<strong>le</strong> <strong>della</strong> Moda<br />
LAVINIA BIAGIOTTI<br />
In compagnia del disordine<br />
Il posacenere in cuoio, i pennarelli<br />
colorati in fila, gli accendini perfettamente<br />
allineati sulla scrivania, i<br />
sigari olandesi Ritmeester e l’immancabi<strong>le</strong><br />
thermos con la tazza di caffè.<br />
Sono <strong>le</strong> mie picco<strong>le</strong> manie, irrinunciabili,<br />
soprattutto quando sono particolarmente<br />
ispirato, in pieno tunnel<br />
narrativo. Persino il tavolo ha<br />
una sua storia: mi fa compagnia da<br />
almeno venticinque anni, apparteneva<br />
a un prete di Guastalla — dal<strong>le</strong><br />
mie parti — il qua<strong>le</strong> riuscì a salvarsi<br />
dai bombardamenti dell’ultima guerra<br />
mondia<strong>le</strong> nascondendosi sotto il<br />
tavolo. Forse perché impaurito o<br />
non so che cosa, ho scoperto che sotto<br />
c’è tutta una serie di iscrizioni e<br />
incisioni che con il codice sacerdota<strong>le</strong><br />
sembrano entrarci poco. Un mistero,<br />
certo. Di quelli che piacevano<br />
tanto al mio amico Gustavo Roll, autore<br />
del quadro incompiuto, al<strong>le</strong><br />
mie spal<strong>le</strong>, dove Gustavo è la Madon-<br />
7<br />
PAGINE A CURA DI PEPPE AQUARO<br />
spetto alla matita, scivola meglio sul foglio) è sufficiente<br />
il tavolo da riunione cui sono particolarmente<br />
affezionato: lo abbiamo disegnato alla fine<br />
degli anni Novanta, in acciaio, senza rinforzi,<br />
e con quattro piedi. Vo<strong>le</strong>vamo progettarne uno<br />
che assomigliasse a un tavolo e basta, si vede,<br />
no? La parte superiore è ricoperta da lino<strong>le</strong>um,<br />
rigorosamente rosso, lo stesso colore che ho utilizzato<br />
per la Fiera di Milano. Le sedie attorno al<br />
tavolo, come in tutti e tre i piani dello studio, sono<br />
Panton, frutto dell’ingegno di Jean Prouve,<br />
un grande. <strong>Tra</strong> gli oggetti cui sono più affezionato<br />
ci sono <strong>le</strong> tazze da tè, sperimentate da noi nel<strong>le</strong><br />
varie fasi di studio; stessa cosa per <strong>le</strong> sedie<br />
Bea, progettate da me e mia moglie Doriana (nella<br />
foto) per la Luxy.<br />
na, mentre io sono il bambino, simbolo<br />
<strong>della</strong> mia fede nel<strong>le</strong> forze paral<strong>le</strong><strong>le</strong>.<br />
I libri mi circondano in un perfetto<br />
disordine, assoluto e voluto;<br />
l’idea che qualcuno possa entrare e<br />
toccare <strong>le</strong> mie cose mentre non ci sono,<br />
mi terrorizza. Una volta è capitato:<br />
la mia domestica aveva deciso di<br />
riordinarmi i libri seguendo l’ordine<br />
alfabetico del<strong>le</strong> edizioni: de<strong>le</strong>terio!<br />
Se giro lo sguardo verso la mia destra<br />
(lo studio è all’interno di un attico),<br />
sono sovrastato dalla bel<strong>le</strong>zza<br />
del cielo romano, bizzarro, che cambia<br />
colore vio<strong>le</strong>ntemente. Mi diverte,<br />
al mattino presto, questa piccola<br />
guerra di luce tra il Cupolone al centro<br />
dell’orizzonte, e il Gasometro —<br />
dall’altra parte <strong>della</strong> città — tutto metallico<br />
che rif<strong>le</strong>tte, quasi rubandoli<br />
al tetto di san Pietro, i raggi del mattino.<br />
C’è tutto Belli, tutta la filosofia<br />
del poeta romanesco: il popolo che<br />
sbeffeggia il potere.