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Storia Della Mineralogia Antica. I. La Mineralogia... - Accademia ...

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Rend. Fis. Acc. Lincei<br />

s. 9, v. 16:227-295 2005)<br />

STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I.<br />

LA MINERALOGIA A BISANZIO NEL XI SECOLO D.C.:<br />

I POTERI INSITI NELLE PIETRE SECONDO MICHELE PSELLO<br />

Memoria *) di ANNIBALE MOTTANA<br />

ABSTRACT.ÐHistory of ancient Mineralogy. I. Greek mineral science in 11 th century's AD Byzantium: the powers<br />

of stones according to Michael Psellus. A new, full Italian translation is given of Michael Psellus'«On the powers of<br />

stones». This short text is cosidered to be the testimony of all knowledge on minerals surviving at Byzantium during<br />

the second half of 11 th century, as it draws information from much older scientific texts, such as Xenocrates of<br />

Ephesus' Lithognomon and Dioscorides of Anazarba's «On medical matter», both written ca. 50-70 AD and<br />

summarized by the elder Pliny in his mighty encyclopedia. The former treatise did not reach us but for quotations by<br />

<strong>La</strong>tin, Greek and Arab writers; by contrast, the latter one is still existant, as it was used as the textbook on<br />

pharmacology in most European universities till well into the 17 th century. Psellus briefly summarizes information<br />

on 24 stones he claims to be experienced of, and adds of his own only a few suggestions on their beneficial powers.<br />

His recipes are still free of the alchemical magics typically imbuing contemporaneous Arabic science, and recall some<br />

dubious therapeutical practices that Graeco-roman medical science had inherited from Chaldean and Egyptian<br />

experience. There is nothing added of the Christian tradition attached to stones. Therefore, Psellus'text actually<br />

uncovers the state of art of mineral understanding at the end of the «rationalistic» phase of Byzantine Renaissance<br />

843-1025) i.e., just a few decades before most if not all sound Greek scientific tradition was lost under the ruin of the<br />

Byzantine civilisation that followed the conquest of the city by the crusaders 1204). Moreover, Psellus'work helps<br />

clarifying the role that Greek texts had in the development of mineral studies in medieval western Europe, before the<br />

entry of Arabic science which prompted its independent scientific revolution.<br />

KEY WORDS: Mineralogy; Gemmology; Medicine; Minerals; Gemstones.<br />

RIASSUNTO. Ð Sulla base di una nuova traduzione direttamente dal greco dell'operetta di Michele Psello «Sulle<br />

proprietaÁ delle pietre», ed inoltre di informazioni sull'autore e dello studio sulle sue fonti, eÁ valutato lo stato di<br />

sviluppo delle scienze mineralogiche a Costantinopoli alla fine del XI secolo d.C., al termine della grande stagione<br />

della Rinascenza Bizantina 843-1025) e prima del definitivo collasso della civiltaÁ bizantina conseguente alla quarta<br />

crociata 1204). Per quanto rimasto incompleto quasi un abbozzo), il trattato di Psello dimostra che in quel periodo<br />

le nozioni sui minerali si rifacevano ancora alle conoscenze empiriche accumulate dagli scienziati ellenistici,<br />

fondandosi in particolare su compilazioni del periodo greco-romano come il Lithognomon di Senocrate da Efeso,<br />

scritto all'inizio dell'era volgare. Queste nozioni erano giaÁ in larga parte note anche nell'Europa occidentale per<br />

effetto della riduzione in latino dell'opera di Senocrate eseguita da Plinio il Vecchio. Esse erano integrate a Bisanzio<br />

con credenze sull'efficacia dei poteri terapeutici delle pietre rifacentisi non tanto al De materia medica di Dioscoride<br />

d'Anazarba, pure scritto all'inizio dell'era volgare, quanto piuttosto a superstizioni tra mediche e magiche ereditate<br />

da autori mediorientali ed egiziani d'etaÁ greco-romana, che avevano proposto l'utilizzo delle pietre per prevenire e<br />

proteggere dai malanni, oltre che per il loro benefico influsso astrale. Mancano evidenze di significativi influssi della<br />

tradizione mistica giudeo-cristiana relativa alle pietre bibliche e non c'eÁ neppure traccia della magia alchemica, che<br />

svilupperaÁ invece la sua influenza sulla <strong>Mineralogia</strong> europea a partire dalle traduzioni dall'arabo e continueraÁ a<br />

mantenerla sensibile per vari secoli a venire, fino a quando l'Occidente di lingua latina saraÁ maturato al punto da<br />

essere in grado di esprimere la sua propria rivoluzione scientifica.<br />

*) Presentata nella seduta del 16 dicembre 2005.


228 A. MOTTANA<br />

1. INTRODUZIONE: LO STATO DELLE CONOSCENZE SUI MINERALI IN EUROPA<br />

ALL'INIZIO DEL SECONDO MILLENNIO<br />

«There is no reliable published survey of the lapidary writings between late antiquity and<br />

the late eleventh century» Kitson, 1978: p. 9). Questa affermazione di un profondo<br />

conoscitore della letteratura medievale pone un serio problema per chiunque voglia<br />

tracciare lo sviluppo storico della <strong>Mineralogia</strong> come scienza dalle origini ai tempi<br />

moderni. In realtaÁ, il problema eÁ incomparabilmente maggiore: c'eÁ, infatti, una quasi<br />

totale carenza di informazioni su tutto lo sviluppo culturale europeo durante l'alto<br />

Medioevo tra VI e XI secolo d.C., con l'eccezione, ovviamente, di cioÁ che riguarda la<br />

religione. Alcuni accantonano questa realtaÁ ricordando che, nei periodi bui seguiti alle<br />

invasioni barbariche, la cultura si era ridotta a mera ripetizione di alcune nozioni<br />

elementari, spesso mal comprese Bischoff, 1951), altri addirittura sostengono che il<br />

declino era iniziato giaÁ al termine dell'ellenismo Russo, 1996) ed era stato motivato dalla<br />

scarsa inclinazione dei Romani per la speculazione innovativa Stahl, 1991); in tutti<br />

prevale l'opinione che la ripresa culturale europea fu rallentata e rinviata nel tempo a<br />

causa della diffusa inerzia spirituale indotta dalle previsioni millenaristiche.<br />

Quale che sia la ragione, eÁ incontestabile che la nostra conoscenza dello stato della<br />

cultura, ed in particolare della scienza, durante tutto l'alto Medioevo eÁ molto ridotta<br />

RicheÂ, 1972; Irigoin, 1975; Haren, 1985). <strong>La</strong> ripresa culturale europea eÁ ben documentata<br />

solo a partire dal XII sec. e ha potuto avere inizio e poi consolidarsi soprattutto grazie<br />

ad un trasferimento di cultura che all'Europa di lingua latina provenne dagli Arabi<br />

attraverso la penisola iberica islamizzata «al-Andalus»: Vernet, 1999) 1 ). Fu questo<br />

trasferimento da Sud verso Nord ad innescare il rinnovamento culturale mettendo a<br />

disposizione degli studiosi medievali e, tramite loro, all'emergente ceto mercantile laico)<br />

una parte della cultura greca antica: quella cultura che era andata dispersa nella sua parte<br />

migliore e innovativa durante i periodi piuÁ bui dell'alto Medioevo.<br />

In realtaÁ, la ripresa culturale europea, dopo il crollo dell'impero romano d'Occidente,<br />

fu un lento processo quasi millenario, in atto giaÁ da molto prima del XII sec., molto<br />

complesso e difficilmente delimitabile tanto nel tempo quanto nello spazio. Non eÁ infatti<br />

vero che l'alto Medioevo fu un periodo di decadenza completa. Una qualche forma di<br />

sopravvivenza della grande cultura antica si ebbe, anche se in tempi diversi e in aree<br />

marginali, come nella penisola iberica e nelle isole britanniche. Analogamente, non eÁ del<br />

tutto vero che la ripresa sia stata conseguenza solo dell'influsso culturale arabo. Il<br />

trasferimento di cultura dalla Spagna islamizzata l'acceleroÁ senz'altro Vernet, 1999),<br />

poiche riguardava non solo la cultura greca classica ed ellenistica VI-I sec. a.C.), nella<br />

forma rielaborata in epoca greco-romana I sec. a.C. - VI sec. d.C.) in particolare in Siria,<br />

in Palestina e in Egitto, ma anche quella sviluppatasi qui in forma sincretica dopo la<br />

conquista islamica VIII-XI sec. d.C.), grazie a contributi provenienti dalla Mesopotamia<br />

1 )E Á questa la tesi ben motivata, ma avanzata in modo quasi provocatorio, di Haskins 1927). Secondo lui in<br />

Europa si ebbe un «Rinascimento del XII secolo» che precedette e per molti versi anticipoÁ , condizionandolo,<br />

quello poi verificatosi a cavallo dei secoli XV e XVI che era stato definito giaÁ dal Burckhardt, 1860).


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 229<br />

e dalla Persia Ullmann, 1972a), dall'India Finot, 1896) e perfino da regioni asiatiche mai<br />

toccate dalla cultura greco-romana. Tuttavia, alla ripresa culturale europea in generale<br />

contribuõÁ anche, seppure in modo limitato, il travaso diretto di cultura greca, sia classica<br />

sia ellenistica sia bizantina, che avvenne da Est verso Ovest: in pratica, da Costantinopoli,<br />

centro dell'impero d'Oriente, verso un'Europa ormai etnicamente mista latinogermanica,<br />

ma culturalmente ancora uniformemente di lingua latina, sede di un nuovo<br />

impero che si proponeva come erede del demolito impero d'Occidente.<br />

Inizialmente, nel periodo dei torbidi religiosi a Bisanzio VII-IX sec. d.C.), tale travaso<br />

fu scarsissimo, anche a causa di una cesura prodottasi tra le due parti dell'antico impero<br />

romano dopo che le invasioni germaniche prima e quelle arabe poi avevano espulso<br />

dall'Occidente i rappresentanti del solo impero sopravvissuto e ne avevano quindi<br />

rimosso l'influenza culturale residua. Solo in alcune zone marginali erano rimaste alcune<br />

isole di grecitaÁ Apulia, Calabria, Sicilia). In Sicilia, in particolare, la breve dominazione<br />

araba lascioÁ sopravvivere la tradizione greca, mai obliterata totalmente durante l'impero<br />

romano e rivitalizzata, anzi, nei tre secoli della diretta dominazione bizantina Irigoin,<br />

1975; Tramontana, 1999).<br />

GiaÁ all'inizio del XI sec., peroÁ , le repubbliche marinare avevano cominciato ad essere<br />

molto attive nei loro rapporti commerciali con Bisanzio. Grazie a loro comincioÁ cosõÁ<br />

anche il trasferimento diretto di cultura dal mondo greco del levante a quello latino. In<br />

particolare, Venezia inizioÁ un commercio librario, reso possibile dai privilegi che le furono<br />

concessi da Alessio I Comneno con una crisobulla 1082), che portoÁ allo sviluppo di<br />

conoscenze di ogni genere. CioÁ avvenne in un momento ca. 1115) quasi altrettanto<br />

precoce del trasferimento dal mondo islamico mediato attraverso gli Arabi e gli Ebrei di<br />

Spagna. Lo dimostrano i casi di Giovanni Afflacio, Giacomo da Venezia e Stefano<br />

d'Antiochia. L'influsso diretto duroÁ almeno fino al 1230 ca., vale a dire fino a Michele<br />

Scoto, passando per momenti molto significativi, come dimostrano le traduzioni di<br />

Eugenio l'Emiro e di Enrico Aristippo Tramontana, 1999: pp. 35-37). Tuttavia, non<br />

ebbe ne lo spessore culturale ne l'effetto generale e per conseguenza l'ampia diffusione)<br />

di quello indiretto, mediato dagli arabi e dagli ebrei, proveniente dalla Spagna e da<br />

Toledo in particolare, dove operoÁ , tra gli altri, Gherardo da Cremona, il cui ruolo per la<br />

rinascita culturale europea eÁ primario Vernet, 1999: p. 171), anche se eÁ ora dimenticato<br />

dai piuÁ . Va sottolineato, in questo panorama sommario dei motivi della ripresa culturale<br />

europea all'inizio del basso Medioevo, che tutto cioÁ che di culturale riuscõÁ a passare da<br />

Bisanzio verso Occidente non riguardoÁ soltanto la grecitaÁ classica, che era stata quasi<br />

totalmente sopraffatta da una cristianizzazione particolarmente settaria, quanto piuttosto<br />

la sua elaborazione in senso cristiano e quelle innovazioni che a Bisanzio erano arrivate dal<br />

lontano Oriente ancora attraverso gli Arabi e che lõÁ erano state assimilate e perfezionate<br />

durante qualcuna delle brevi stagioni di rinascenza culturale che caratterizzarono<br />

l'impero bizantino durante la sua lunga e irreversibile decadenza Kazhdan, 1995: p. 54).<br />

Accanto alla cultura in generale, anche alla Scienza avvenne di riprendere a svilupparsi<br />

dopo l'anno 1000 e, soprattutto, dopo il XII secolo. Allora, anzi, essa assunse un ruolo<br />

veramente rilevante nella rifondazione culturale dell'Europa latina Grant, 1996): forse il<br />

ruolo piuÁ importante che essa abbia mai avuto prima della rivoluzione scientifica del XVII


230 A. MOTTANA<br />

sec. e della conseguente rivoluzione industriale. In particolare, le scienze mineraria e<br />

mineralogica si erano ridotte, dopo che le invasioni barbariche ebbero fatto crollare<br />

l'impero nell'Europa occidentale, ad una semplice ripetizione d'attivitaÁ sperimentali di<br />

livello poco piuÁ che artigianale, trasmesse quasi solamente attraverso un rapporto<br />

d'apprendistato. Tra le nozioni pratiche tramandate vi erano alcune tecniche metallurgiche<br />

che coinvolgevano l'uso o il riuso dei minerali metallici, poiche non cessoÁ mai lo<br />

sfruttamento dei giacimenti piuÁ importanti, anche se su piccola scala. Inoltre, non solo le<br />

gemme continuarono ad essere cercate ed usate, ma non mancoÁ l'applicazione di qualche<br />

tecnica volta al loro abbellimento artificiale, basata quindi su una conoscenza mineralogica<br />

pratica sõÁ, ma non del tutto elementare.<br />

Tutto cioÁ, peroÁ, costituisce tecnica artigiana, non scienza mineralogica. L'interesse<br />

per uno studio piuÁ approfondito dei minerali, che pure ci fu perche ne sono<br />

testimonianza le trascrizioni di trattati greci e romani e la realizzazione di compendi,<br />

fu scarso dovunque. Le stesse nozioni riguardo alle pietre preziose, per esempio,<br />

rimasero sempre confinate ad una ripetitiva descrizione letteraria, con relativa<br />

interpretazioneallegorica,delledodicigemmedel«razionale»,valeadiredelpettorale<br />

del sommo sacerdote ebreo descritto nell'Esodo 28.17-21; 39.10-13) 2 ), oppure di<br />

quelle citate nell'Apocalisse 21.19-20) come costituenti di prestigio delle strutture<br />

della cittaÁ di Dio <strong>La</strong>dner, 1942; Jart, 1970). Pure, da questa giustificazione religiosa<br />

nacque una tradizione di lapidari cristiani che duroÁ oltre un migliaio di anni Baisier,<br />

1936; Meier, 1977; Friess, 1980). Il primo autore di questa serie eÁ, probabilmente,<br />

Epifanio ca. 308/315-405), vescovo di Costanza a Cipro, la cui elaborazione allegorica<br />

delle dodici gemme ci eÁ pervenuta solo frammentaria in greco GuÈ nther, 1898: pp.<br />

743-773), ma eÁ integrabile grazie a varie antiche versioni ed epitomi: una latina P.F.<br />

Foggini, 1743 in Dindorf, 1862: pp. 143-223) e altre in varie lingue orientali tra cui la<br />

siriana, georgiana, armena e copta Blake, 1934) 3 ).<br />

Tolta di mezzo questa ripetitiva, quasi pedissequa, serie di descrizioni delle gemme<br />

bibliche in chiave allegorica, per tutto l'alto Medioevo vi sono solo pochissime e<br />

saltuarie prove documentarie di un interesse colto, che vada al di laÁ del superficiale.<br />

Solo due autori, in sostanza, hanno un certo spessore culturale: in ambito latino<br />

2 ) Nove di queste pietre sono citate in Ezechiele 28.13) come oggetti a decoro per l'uomo nel paradiso<br />

terrestre, concessigli da Dio e successivamente revocatigli dopo la caduta.<br />

3 ) Fanno parte della tradizione lapidaria cristiana anche gli Stromata di Clemente d'Alessandria ca.<br />

145/150 - ca. 211/215), in cui sette pietre del pettorale sono interpretate come rappresentanti le sette sfere<br />

planetarie 5.37, StaÈhlin e FruÈ chtel, 1960: pp. 351-356) e la Clavis di Melitone, vescovo di Sardi morto ca.<br />

190) che eÁ la descrizione di un tesoro fatto di gemme e di metalli, di chiara derivazione ellenistica percheÂ<br />

contiene elementi magici e astrologici, di ciascuno dei quali eÁ peroÁ data l'interpretazione allegorica in senso<br />

cristiano. <strong>La</strong> Clavis ci eÁ peroÁ pervenuta solo in traduzione latina Pitra, 1884: t. II, pp. 6-154) e per molti eÁ un<br />

apocrifo medievale. <strong>La</strong> tradizione mineralogica greca d'ispirazione cristiana ha un seguito in epoca bizantina<br />

con la Quaestio XL di Anastasio il Sinaita, nel VII sec. d.C., e con il Chronicon che peroÁ contiene solo un<br />

elenco) di Giorgio Monaco, nel IX sec. Entrambi questi autori apportarono piccole variazioni alla<br />

nomenclatura usata nella Bibbia dei Settanta che si rifletteranno anche su Psello e poi, soprattutto, su<br />

Teodoro Meliteniote DoÈ lger, 1919: p. 89).


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 231<br />

Isidoro 4 ) ca. 560-636), vescovo di Siviglia, e in ambito greco Fozio 5 ) ca. 810 - ca. 893),<br />

patriarca di Costantinopoli. Manca a tutt'oggi, almeno per l'ambito greco, l'evidenza di<br />

una ricerca pratica, che certamente vi fu perche nessun impero avrebbe potuto reggersi<br />

tanto a lungo se non avesse convenientemente utilizzato una risorsa primaria quali i prodotti<br />

delle miniere. Sono note, peroÁ , solo rielaborazioni erudite della grande tradizione<br />

antica, del tipo di enciclopedie come la Suda 6 ), per compilare le quali, tuttavia, si era<br />

prima resa necessaria la trascrizione degli scritti dal rotolo di papiro al codice in<br />

pergamena Cavallo, 1975; Mango, 1998), perpetuandone cosõÁ la conservazione fino a<br />

quando i testi su questo nuovo supporto scrittorio non vennero a cadere nelle mani degli<br />

studiosi occidentali che fioccarono a depredarli nell'effimero impero latino d'Oriente 7 ).<br />

CioÁ che avvenne a Costantinopoli nel 1204 e dopo esce, peroÁ , dalle considerazioni che<br />

voglio sviluppare in questa nota, sia in ordine di tempo sia nel tipo d'influsso che ebbe<br />

sulla cultura europea occidentale, ormai volgente al XIII sec. e all'Umanesimo.<br />

Nella seconda metaÁ del XI sec., proprio poco prima di quell'anno 1100 da cui prende<br />

inizio, almeno formalmente, il «Rinascimento del XII secolo», si presentano due notevoli<br />

eccezioni allo stato di letargo in cui era caduto lo studio sui minerali in Europa. In ambito<br />

culturale di tradizione e di lingua latina la figura d'eccezione eÁ Marbodo, vescovo di<br />

Rennes ca. 1035-1123), autore 8 ), tra il 1062 e il 1081, di un Liber lapidum seu de gemmis<br />

che ebbe amplissima risonanza per almeno quattro secoli; in quello di tradizione e di<br />

lingua greca l'uomo d'eccezione eÁ Michele Psello.<br />

4 ) Un intero libro delle Etymologiarum libri XX eÁ dedicato alle pietre t. XVI: De lapidibus et metallis), di cui<br />

un capitolo riguarda quelle piuÁ insigni. Si tratta sempre di brevissime definizioni, ma eÁ quanto di meglio gli<br />

studiosi di lingua latina medievali poterono disporre per almeno mezzo millennio.<br />

5 )<strong>La</strong>Bibliotheca in parte pubblicata ora in italiano: Wilson, 1992) contiene vari riferimenti a metalli e<br />

gemme magnete, smeraldo, oro ecc.) e ad autori antichi che li avevano studiati Dioscoride, Galeno, Oribasio).<br />

Contiene anche alcuni particolari curiosi ricavati da opere ora perdute, come ad esempio quelle di Ctesia di<br />

Cnido, medico alla corte del re di Persia dal 405 al 397 a.C.<br />

6 ) L'enciclopedia Suda X sec.) eÁ piena di termini minerari anche antichissimi e di riferimenti alle gemme e<br />

ai minerali descritti in varie opere soprattutto ellenistiche e greco-romane Adler, 1928-38). Anche il filone di<br />

studi che usa le pietre come farmaci o come amuleti per ottenere la guarigione i cosiddetti «lapidari medici»)<br />

ebbe un certo numero di seguaci bizantini Aetio d'Amida, nel VI sec.; Paolo d'Egina, nel VII sec.; uno pseudo-<br />

Dioscoride e uno pseudo-Ippocrate tra il VII e il X sec.: cf. Wellmann, 1935; Wirbelauer, 1937), ma si trattoÁ<br />

sempre e solo di rielaborazioni piuÁ o meno fantasiose dell'opera di Dioscoride Peri+ y= lhQ i$ atrikh* Q De materia<br />

medica: Wellmann, 1907-14; cf. Mattioli, 1557), la cui conoscenza a Bisanzio tra VI e XVII sec. ci eÁ assicurata dal<br />

fatto che era lõÁ conservato il celebre codice miniato che si trova ora a Vienna Mazal, 1998; Mottana, 2002).<br />

7 ) Massimo tra questi fu Guglielmo da Moerbeke ca. 1215-1286). <strong>La</strong> sua grande attivitaÁ, che corona,<br />

emendandola, tutta l'attivitaÁ di traduzione svolta tra il 1100 e il 1275 nell'Europa di lingua latina, fu peroÁ<br />

conseguenza del fatto che gli Scolastici duecenteschi in primis Tommaso d'Aquino) non si accontentavano piuÁ<br />

di cioÁ che era loro pervenuto attraverso la mediazione araba e volevano tornare alla fonte greca, cioeÁ all'originale,<br />

anche per meglio chiarirsi cioÁ che essi giaÁ conoscevano tramite i commentatori arabi ed ebrei e che, piuÁ o meno<br />

ingenuamente, ritenevano essere stato da loro frainteso, quando non alterato, laÁ dove ne riscontravano disaccordi<br />

con la rivelazione cristiana.<br />

8 ) PiuÁ propriamente: versificatore, poiche il suo testo eÁ il rifacimento in esametri anche se notevolmente<br />

modificato) di una versione latina dell'antico lapidario di Damigerone-Evace, scritto in greco all'inizio dell'era<br />

volgare e pervenutoci solo in tarde versioni latine in prosa Halleux e Schamp, 1985).


232 A. MOTTANA<br />

Questi due personaggi sono contemporanei, ma vanno tenuti nettamente distinti tra<br />

loro, tanto piuÁ che non esiste neppure la minima evidenza che uno sapesse dell'esistenza<br />

dell'altro. Nessuno dei due fu un ricercatore in senso moderno, ne un erudito di<br />

conoscenza eccelsa. Tuttavia, per quanto modesti possano apparire nella valutazione di<br />

uno scienziato moderno, Marbodo e Psello sono due fari di luce nel buio generale del loro<br />

secolo. Proprio per le loro contemporaneitaÁ e analogia, infatti, le opere che hanno scritto<br />

sono in grado di fornirci un quadro dello stato delle conoscenze, degli interessi e dello<br />

sviluppo della cultura e della scienza in due aree molto distanti dell'Europa medievale e<br />

solo pochi decenni prima dell'influsso culturale proveniente dall'area araba. Che manchi<br />

questo influsso eÁ facilmente comprensibile per Marbodo, che viveva in un'area isolata<br />

della Francia centrale lontano dalla Spagna e dalla Sicilia; lo eÁ di meno per Psello, dato che<br />

esistevano relazioni continue tra l'impero bizantino e il mondo islamico, fosse esso il<br />

califfato oppure uno dei tanti sultanati in cui questo si era frazionato Geanakoplos, 1979;<br />

Felix, 1981).<br />

In altra sede sto studiando l'opera e l'attivitaÁ di Marbodo. In questa mi concentreroÁ<br />

su Psello. In entrambi i casi ± ovviamente ± limiteroÁilmioesamealcontributoapportato<br />

alla scienza dei minerali, senza entrare in alcuna valutazione delle numerose altre opere<br />

di poesia religiosa che resero celebre l'uno, ne di quelle di filosofia e politica che fecero<br />

emergere l'altro. Nel caso di Psello, questa precisazione eÁ particolarmente opportuna,<br />

perche ilsuotestopiuÁ importante sulle pietre eÁ giaÁ stato oggetto recentemente di due<br />

studi a carattere interpretativo: il primo ne daÁ una lettura in chiave teologica Galigani,<br />

1980: p. 16) e il secondo tende a metterne in evidenza il contenuto di carattere medico<br />

Volk, 1990: p. 137). Prima peroÁ di questi due aspetti, che pure sono senz'altro presenti<br />

nell'opera di Psello sulle pietre, considero non tanto opportuno, quanto assolutamente<br />

indispensabile affrontarne lo studio da un punto di vista materiale o, se si preferisce,<br />

sostanziale, vale a dire strettamente mineralogico: bisogna cercare di individuare che<br />

composto naturale fosse effettivamente quello che Psello voleva descrivere e al quale<br />

voleva poi attribuire risvolti medico-farmacologici e/o significati traslati. Condivido,<br />

infatti, l'ormai antica opinione dello Hiller 1931: p. 376): fin tanto che l'identificazione<br />

di una pietra non eÁ suffragata dall'esame oggettivo di fonti sicure non puoÁ essere<br />

considerata altro se non un'ipotesi di lavoro e questa puoÁ diventare fonte di speculazioni<br />

fantastiose.<br />

Il programma che mi sono posto non vuole affatto essere un tentativo di colmare la<br />

lacuna denunciata dal Kitson 1978), ma cerca solo di delimitarla con l'esame dettagliato<br />

di due opere di riferimento, scritte entrambe ad uno dei suoi due estremi temporali:<br />

quello a noi piuÁ vicino. In altre parole, intendo esaminare lo stato della scienza dei<br />

minerali nell'Europa cristiana alla fine del XI sec., prima dell'ingresso delle nuove<br />

conoscenze provenienti dalla Spagna arabizzata: conoscenze, queste, formatesi in parte<br />

su lontane premesse comuni a tutta l'Europa cristiana, perche derivate dalla speculazione<br />

greca rielaborata dal mondo greco-romano, in parte distinte ed autonome, che l'Islam<br />

aveva sviluppato direttamente oppure aveva mutuato da culture che non avevano avuto<br />

contatti con quella greco-romana.


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 233<br />

2. MICHELE PSELLO: UN PERSONAGGIO ESTREMAMENTE CONTROVERSO<br />

Costantino Psello Kriaras, 1968), divenuto e rimasto noto nei secoli come Michele dal<br />

nome che s'era scelto nel farsi monaco quando, caduto in disgrazia per motivi politici,<br />

dovette rifugiarsi per un breve periodo nel monastero della Bella Fonte sul Monte Olimpo<br />

di Bitinia luglio 9 ) 1054 - fine 1055), nacque in un sobborgo di Costantinopoli all'inizio<br />

del 1018 10 ) e morõÁ in luogo e in data non ancora ben chiariti e compresi in un intervallo di<br />

tempo incredibilmente lungo: tra 1078 e 1097 11 ).<br />

E Á generalmente ammesso che egli fu la massima personalitaÁ culturale della seconda<br />

fase dell'Umanesimo bizantino: quel periodo di transizione tra la fine della dinastia<br />

Macedone e il consolidarsi di quella Comnena che fu di crisi politica profonda per<br />

l'impero, ma che coincise con un risveglio culturale cosõÁ intenso da far parlare perfino di<br />

un pre-Rinascimento, se non di un vero e proprio Rinascimento Bizantino Browning,<br />

1975; Guillou, 1978; Criscuolo, 1981; Ostrogorsky, 1993; Kazhdan, 1995: p. XV). Lo<br />

afferma Psello stesso: «Quella sapienza che trovai morente ± per quanto stava, almeno, ai<br />

suoi cultori ± io ravvivai con le mie sole forze ... sprezzando la pedanteria delle disquisizioni<br />

correnti, volli saperne di piuÁ ...» XronograWi* a, Cronografia, 6.37, t. I, p. 285).<br />

9 ) Oppure piuÁ in laÁ, a dicembre o verso la fine dell'anno: sicuramente dopo il 24 luglio 1054 e prima dell'11<br />

gennaio 1055 Criscuolo, 1990: p. 22).<br />

10 ) Il luogo di nascita eÁ sicuro perche lo dice lui stesso Sathas, 1875: t. V, n. 135, p. 378; cf. Criscuolo, 1990:<br />

p. 166): una casa presso il monastero di Narsete Ta+ Narsoy& , Joannou, 1951: p. 285), alla periferia occidentale<br />

di Costantinopoli nel quartiere di Pege presso la porta urbica Gautier, 1976), vale a dire, piuÁ precisamente, nel<br />

settore periferico compreso tra le mura costruite da Costantino e quelle, piuÁ potenti e durature, di Teodosio II<br />

Mango, 1978: p. 18, cartina n. 1).<br />

11 ) Anno e luogo di morte sono stati oggetto di lunghe controversie e non sono ancora pienamente<br />

concordati. Le due date sopra riportate, che sono tanto lontane tra loro da parere inaffidabili, debbono essere<br />

considerate solo come due estremi possibili dovuti a scarsezza di dati. In funzione loro cambia anche il luogo.<br />

Inizialmente, l'Usener 1876) propose che egli sia vissuto almeno fino al 1092 e, poco dopo, il Sonny 1894) precisoÁ<br />

che morõÁ nel 1096 o 1097 in un monastero lontano, nel quale s'era ritirato o era stato confinato) dopo che il regime<br />

dei Comneni era definitivamente subentrato a quello dei Duca: in quegli anni, infatti, egli avrebbe scritto la<br />

prefazione ai Dioptra di Filippo Monotropo, che sono datati appunto 1096. Poi, e per un lungo periodo, eÁ prevalsa<br />

l'opinione del Seger 1893), basata sull'identificazione con Psello di un certo Michele oriundo di Nicomedia di cui<br />

parla il cronista contemporaneo Michele Attaliate, che era stato ucciso durante un tumulto nell'aprile-maggio 1078<br />

Gautier, 1966: p. 170; Volk, 1990). Altri, invece, lo hanno ritenuto vivo nell'aprile 1081 al momento<br />

dell'accessione al trono di Alessio I Comneno, per il quale avrebbe pronunciato un discorso augurale Polemis,<br />

1965; deVries-van der Velden, 1996). Ultimamente, lo Schminck 2001) ha riesaminato un trattato di cronologia<br />

d'incerto autore e i documenti ad esso connessi che lo attribuiscono a Psello, pubblicati dalla Redl 1927-30: pp.<br />

255-256), li ha messi a confronto con le lettere di Psello nn. 117 e 228 pubblicate da Kurtz e Drexl 1941: t. II)eha<br />

concluso, con molta verosimiglianza, che il luogo dove egli morõÁ fu il monastero della Bella Fonte sul Monte<br />

Olimpo di Bitinia in cui egli si sarebbe ritirato dopo il definitivo rientro nella vita monastica), mentre la data della<br />

sua morte eÁ da circoscrivere tra l'autunno 1092 precisamente dopo il 14 settembre, che eÁ espressamente citato in<br />

quel lavoro) e l'inverno 1092/93 in ogni caso prima della Pasqua, che nell'anno 1093 fu il 27 marzo). Tutta la<br />

controversia non ha, in ogni modo, importanza ai fini di questo studio perche sembra certo che Psello non abbia<br />

piuÁ svolto alcuna attivitaÁ di carattere filosofico, storico o scientifico dopo il 1075 ca. Sathas, 1874: t. I, p.CVI),<br />

essendosi egli spontaneamente distaccato per dedicarsi solo a soggetti d'interesse religioso. Il suo ritiro fu tanto<br />

precipitoso e definitivo che egli lascioÁ incompleta perfino la sua opera principale, alla quale affidava la memoria del<br />

suo operato: la Cronografia Dario Del Corno in Michele Psello, 1984: t. I, p.XXXVI)!


234 A. MOTTANA<br />

Personalmente, peroÁ, egli eÁ sempre visto come un personaggio dalle molte facce, un<br />

cortigiano privo di scrupoli, un ambiguo campione di trasformismo, un politico spregiudicato,<br />

ma poco capace ± insomma: il prototipo negativo dell'intellettuale senza convinzioni radicate,<br />

teso solo a salvaguardare se stesso e il proprio stile di vita comodo e brillante in una societaÁ<br />

superficiale e in un paese mal governato avviato alla catastrofe Kazhdan, 1995: p. 49). Tutto<br />

cioÁ gli sarebbe derivato da un senso d'inferioritaÁ acquisito durante l'infanzia 12 ): egli rimase,<br />

infatti, orfano di padre appena adolescente e, essendo di famiglia modesta, fu costretto a sforzi<br />

estremi per emergere. Anche dopo essere emerso, poco piuÁ che ventenne, dovette sottoporsi a<br />

difficili equilibrismi per consolidare e mantenere le posizioni raggiunte e tutto questo ebbe<br />

luogo durante un trentennio in cui si succedettero vari imperatori, le congiure di palazzo e gli<br />

scontri coi patriarchi furono continui, avvenne lo scisma definitivo tra cattolici ed ortodossi 24<br />

luglio 1054, Michel, 1954: p. 430) e si verificoÁ la disastrosa sconfitta di Manzikert, inflitta dai<br />

turchi a Romano IV Diogene 26 agosto 1071, Gautier, 1966: p. 157), che pose fine per sempre<br />

al ruolo di potenza dominante d'Oriente che l'impero bizantino aveva faticosamente<br />

riconquistato grazie alle brillanti campagne di Basilio II il Bulgaroctono 976-1025).<br />

Perfino i suoi critici piuÁ aspri, peroÁ, riconoscono a Psello un'erudizione ampia e versatile<br />

sia nella patristica sia nei classici, una grande capacitaÁ d'insegnamento e un notevole acume<br />

filosofico. Inoltre, sono concordi nell'ammettere taluni quasi a malincuore; e.g., TheÂodorideÁs,<br />

1963: p. 448; Anastasi, 1968: p. 53; Ostrogorsky, 1993: p. 3000 13 ); Kazhdan, 1995:<br />

p. 163) che, a differenza della maggior parte dei suoi contemporanei, il suo interesse per le<br />

scienze della natura, intese come via per conoscere la vera causa degli eventi senza ricorrere al<br />

miracolo, fu sincero e duraturo. Egli sarebbe, dunque, il maggior esponente e quasi il vero<br />

campione del cosiddetto «razionalismo bizantino»! Questo suo razionalismo si<br />

manifesterebbe non solo nel cercare spiegazioni semplici a fatti che sembrano misteriosi<br />

Praechter, 1931: p. 12), ma nell'assumere toni ironici, spesso addirittura sarcastici, tutte le<br />

volte che si trovava a riportare informazioni raccolte da altri che non lo convincevano e che<br />

non trovavano, a suo giudizio, una spiegazione logica Volk, 1990: p. 451).<br />

In sostanza, il giudizio che su Psello danno gli studiosi oscilla tra due estremi<br />

veramente lontanissimi tra loro: se quello piuÁ positivo lo valuta, appunto, come il<br />

campione del razionalismo bizantino, per quello piuÁ negativo egli «non eÁ altro se non<br />

un compilatore di altri compilatori» J. Freind, 1727; tradotto da come eÁ riportato da<br />

Volk, 1990: p. 453, nota 24). In una posizione intermedia, ma sostanzialmente sul<br />

negativo, eÁ l'opinione di coloro che ritengono che egli sia un poligrafo, abile sõÁ nella<br />

compilazione, ma ancor piuÁ abile nel volgarizzare 14 ) quanto ha raccolto e sunteggiato in<br />

12 ) Nel primo Novecento, sotto l'influsso della psicanalisi freudiana, c'eÁ chi vi ha visto l'effetto di un<br />

complesso edipico Del Medico, 1932). Quale fosse la valutazione che Psello aveva di se stesso emerge<br />

chiaramente dalle pagine conclusive del suo encomio per la madre Criscuolo, 1990: pp. 214-220).<br />

13 ) Ne riporto qui la frase che rappresenta l'essenza del suo pensiero: «Psello aveva con l'antica cultura un<br />

rapporto particolare, piuÁ diretto, e allo stesso tempo piuÁ profondo. Lo studio dei neoplatonici non gli bastava,<br />

egli studiava direttamente le fonti originarie, studioÁ e fece conoscere Platone. Egli fu il piuÁ grande filosofo<br />

bizantino e il primo grande umanista».<br />

14 ) Ora si direbbe: «un divulgatore», con tutto cioÁ di buono e di cattivo che il termine comporta.


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 235<br />

una forma chiara ed immediatamente percettibile dai suoi lettori. Egli, quindi, sarebbe da<br />

apprezzare sõÁ, ma solo per la forma e non per il contenuto originale dei suoi scritti.<br />

Tra le numerosissime opere di Psello, che nella Patrologia graeca occupano quasi per<br />

intero un grosso volume Migne, 1864: t. CXXII, coll. 477-1186) e che, saltuariamente,<br />

ancora sono scoperte e pubblicate, eÁ abbastanza frequente incontrare riferimenti ai<br />

minerali ed al loro trattamento, talora con qualche allusione alle loro relazioni con<br />

l'alchimia, una forma di studio delle sostanze che, allora, era nelle fasi iniziali e che,<br />

quindi, presentava aspetti altamente ipotetici. Le principali opere di questo tipo sono la<br />

Crisopea Peri+ xrysopoii* aQ o De auri fabrica oppure De auri conficiendi ratione: Albini,<br />

1988; cf. Bidez, 1928: pp. 1-43), un breve trattato in forma di lettera indirizzata a Michele<br />

Cerulario 15 ) patriarca di Costantinopoli dal 1043 all'8 novembre 1058) che descrive<br />

varie ricette per fabbricare l'oro, ma in cui si accenna anche, di sfuggita, ai minerali e ai<br />

composti chimici da essi derivati giacinto, smeraldo, perla, berillo, cinabro, allume,<br />

sale 16 )) come di cose ben note al suo lettore, e la stessa Cronografia Michele Psello,<br />

1984), dove l'interesse curioso soprattutto per le gemme eÁ messo in evidenza come un<br />

carattere generale dell'allora dominante aristocrazia di corte, oltre che della famiglia<br />

imperiale.<br />

In aggiunta ± o, forse, a chiarimento ± dei riferimenti sparsi nelle opere di cui sopra,<br />

Psello scrisse anche alcuni brevi testi specifici sui minerali che sono chiaramente opere di<br />

compilazione e che rappresentano, quindi, il frutto delle sue molteplici, voraci e non<br />

sempre abbastanza meditate letture. In essi l'influsso dell'alchimia non eÁ piuÁ evidente,<br />

anche se qua e laÁ contengono pregiudizi di tipo ermetico d'origine tardo greco-romana.<br />

Il principale di questi trattatelli eÁ ilPeri+ li* uvn dyna* mevn De lapidum virtutibus), che<br />

fu scritto dopo che egli lascioÁ il monastero per la prima volta, quindi dopo il 1055. <strong>La</strong> data<br />

della composizione non eÁ meglio precisabile a meno di non riuscire ad identificare con<br />

esattezza a chi fu dedicato. L'operetta eÁ, infatti, un tipico esempio di lettera didascalica ed<br />

eÁ indirizzata ad un «tu» che eÁ stato identificato dal Ruelle 1889: p. 266) e dal Bidez 1928:<br />

p. 73) di nuovo in Michele Cerulario che come s'eÁ visto sopra) era un esperto di pietre<br />

preziose e d'alchimia e che aveva, tra l'altro, spiccate preferenze per le forme delle pietre,<br />

una forte inclinazione per il loro uso e perfino una capacitaÁ manuale nel trattarle 17 ).<br />

15 ) L'identificazione del destinatario eÁ probabile, ma non eÁ del tutto sicura. L'umanista Domenico<br />

Pizimenti, il primo a pubblicare questo trattato e a tradurlo in latino 1573), pensava che fosse indirizzata a<br />

Michele Sifilino, patriarca di Costantinopoli dal 1064 al 1075, equivocando peroÁ sul nome da lui assunto quando<br />

aveva abbracciato lo stato monastico, che era Giovanni. CosõÁ riporta ancora una recente traduzione in francese<br />

Anonyme, 1993: pp. 129-143). Non ci sono peroÁ prove che quell'austero ecclesiastico avesse le stesse curiositaÁ<br />

alchemiche che il Cerulario, invece, aveva ampiamente dimostrato. Per il Ruelle 1889: p. 264), quindi, non c'eÁ<br />

dubbio che la lettera sia stata indirizzata al Cerulario nei primi anni del suo patriarcato e che sia un lavoro<br />

giovanile di Psello che, infatti, vi afferma: «j'eÂtais alors un eÂpheÁbe ou meÃme encore moins aÃge» Anonyme, 1993:<br />

p. 132).<br />

16 ) Mi limito qui a riportare i termini usati da Psello, praticamente traslitterandoli; quanto al loro significato<br />

effettivo in senso mineralogico moderno, rinvio al commento.<br />

17 )E Á la ba* nayson te* xnhn di cui lo loda Psello nella lettera n. 11 Sathas, 1875: t. V, pp. 241-245; Volk,<br />

1990: p. 130, nota 4).


236 A. MOTTANA<br />

Psello gli aveva giaÁ reso un omaggio cortigiano dedicandogli la Crisopea ed inoltre almeno<br />

due altri brevi lavori: uno d'argomento abbastanza simile Peri+ parado* jvn a$ koysma* tvn:<br />

De incredibilibus lectionibus: Duffy, 1992: n. 32, pp. 109-113; Musso, 1977 18 )) e un altro<br />

dedicato alla pratica della predizione degli eventi, tanto divinatoria quanto in relazione<br />

alla mantica aruspicina Peri+ v$ moplatoskopi* aQ kai+ oi$ vnoskopi* aQ: De scapularum et<br />

avium inspectione: Duffy, 1992: n. 33, pp. 113-116; Hercher, 1853). Tuttavia, Psello non<br />

esitoÁ ad attaccarlo, quando le ragioni politiche lo richiesero, componendo una veemente<br />

requisitoria Accusatio in Michaelis Coerularium o Accusatio patriarchae: Kurtz e Drexl,<br />

1936: t. I, pp. 232-328; cf. Bidez, 1928: pp. 71-89) in cui era anche usato come capo<br />

d'accusa proprio il suo interesse per la fabbricazione dell'oro, interpretato come prova<br />

certa del suo coinvolgimento nella magia alchimistica. Questa requisitoria, peroÁ , non fu<br />

mai pronunciata da Psello poiche il patriarca venne a morire 21 gennaio 1059) un mese<br />

circa dopo essere stato deposto da un sinodo appositamente convocato: molto<br />

tempestivamente, quindi, per l'imperatore Isacco I Comneno che, arrivato al potere tre<br />

anni dopo lo scisma del 24 luglio 1054 voluto proprio dal Cerulario e in pieno accordo<br />

con lui, che l'aveva anzi sostenuto nel complotto organizzato per detronizzare Michele VI<br />

Strationico e, quindi, l'aveva incoronato 1 settembre 1057), se ne era trovato quasi subito<br />

in rotta aperta per aver tentato di rimpinguare l'esausto erario statale attingendo alle<br />

ricchezze della chiesa. In questa circostanza con l'imperatore si allineoÁ il compiacente<br />

cortigiano Psello, con il quale l'autoritario patriarca aveva giaÁ avuto forti dissapori, fino al<br />

punto di costringerlo a fare un'umiliante professione di fede Michel, 1954: pp. 429-433;<br />

Garzya, 1966-67) e addirittura abbandonare la corte per rifugiarsi nel monastero 19 ). Se,<br />

quindi, il dedicatario del De lapidum virtutibus fosse davvero il Cerulario, la data di<br />

composizione del trattatello andrebbe compresa tra il luglio/dicembre 1054 monacazione<br />

di Psello) e la fine del 1057 quando si guastarono le relazioni tra patriarca e<br />

imperatore). Dopo questa data Psello non aveva piuÁ ragioni per ingraziarsi il Cerulario;<br />

anzi, pote liberamente rifarsi su di lui per le accuse di eresia che gli aveva fatte e ribatterle<br />

elencando le ragioni dello stato contro quelle della chiesa Criscuolo, 1991).<br />

Attaccandolo, inoltre, Psello poteva anche liberarsi di una possibile accusa di complicitaÁ<br />

o almeno di compiacenza) con lui per le pratiche alchemiche e mantiche di cui egli stesso<br />

l'aveva informato.<br />

18 ) Il Musso 1977) ritiene, peroÁ , che il dedicatario di questa raccolta di nozioni paradossali sia il suo<br />

allievo alla scuola superiore di corte Michele Duca, diventato poi imperatore col nome di Michele VII vedi<br />

oltre).<br />

19 ) Quello, appunto, della Bella Fonte sul Monte Olimpo, dove egli aveva assunto il nome di Michele<br />

Joannou, 1951: p. 285). Dopo il suo ritorno a Costantinopoli, e dopo un primo periodo di rientro a corte<br />

durante il quale perfino pronuncioÁ ± sfrontatamente ± l'elogio del Cerulario venuto a morire, Psello fu di nuovo<br />

confinato, questa volta nel monastero di Narsete Joannou, 1951: pp. 286-287), per ordine del patriarca<br />

Costantino Licudi dicembre 1058 - agosto 1063), suo buon amico, ma inflessibile nell'esigerne la buona<br />

condotta. Vi fu trattato duramente per aver cercato di venir meno ai suoi doveri monastici e ci rimase fino<br />

all'elezione del nuovo patriarca Michele Sifilino gennaio 1064), altro suo grande amico, ma piuÁ accomodante e<br />

piuÁ sensibile ai suoi problemi personali Criscuolo, 1975).


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 237<br />

Fig. 1. ± Miniatura rappresentante Michele Psello, vestito da monaco, che impartisce istruzioni all'imperatore<br />

Michele VII Duca, giaÁ suo studente, in un manoscritto greco del XII-XIII sec. d.C. conservato al Monastero del<br />

Pantocratore sul Monte Athos.<br />

Il Galigani 20 ) pp. 26-28) ritiene, peroÁ, che il dedicatario del trattatello possa piuttosto<br />

essere Michele VII Duca, imperatore dal 1071 al 1078, oppure, piuÁ probabilmente, suo zio:<br />

il cesare Giovanni, fratello dell'imperatore Costantino X Duca 1059-1067). Il primo era<br />

stato allievo della scuola superiore di filosofia del palazzo imperiale di cui Psello era stato<br />

direttore fig. 1). Il maestro gli dedicoÁ vari trattati su argomenti di interesse soprattutto<br />

scientifico e.g., De omnifaria doctrina,oDidaskali* a pantodaph+ kai+ pa* nte a$ nagkaista* th<br />

e$ ne< kato+ ne$ nenh* konta pro+ Q toi& Qte* ssarsi keWalai* siQ uevroyme* nh: Mussini, 1990);<br />

inoltre, in vari punti della Cronografia ne mise in evidenza i vasti interessi culturali e.g.,<br />

7.c 4, t. II, pp. 362-377). Col secondo, Psello ebbe un lungo scambio di lettere Migne,<br />

1864: t. CXXII, coll. 1169-1186), che il cesare accuratamente fece raccogliere in un volume<br />

Leib, 1950). In una di esse Psello parla di oro, ambra, zaffiro, giacinto e altre pietre diverse<br />

per colori e proprietaÁ Migne, 1864: t. CXXII, col. 1181a; cf. Gautier, 1986: pp. 135-136)<br />

20 ) L'edizione critica del Galigani 1980), che eÁ di riferimento per questo commento vedi oltre), saraÁ d'ora<br />

in poi citata solo per pagine, senza indicazione della data di pubblicazione.


238 A. MOTTANA<br />

e in un'altra approva la sua predilezione per le cose belle, tra cui segnale perle, zaffiro e<br />

giacinto Kurtz e Drexl, 1941: t. II, ep. 231, pp. 276-278). Giovanni Duca era quindi un<br />

cultore di <strong>Mineralogia</strong> oppure, se non proprio di essa, almeno di Gemmologia, che ne eÁ<br />

una parte non trascurabile. Se l'ipotesi del Galigani fosse giusta, la composizione del<br />

trattato dovrebbe scivolare in avanti di alcuni anni: per quanto egli confermi il suo giudizio<br />

e ± piuÁ avanti ± ne faccia risalire la composizione al periodo tra il 1055 e il 1078 Galigani,<br />

1980: p. 30), appare probabile che si debba andare a dopo il 1059, quando Isacco I<br />

Comneno fu rovesciato e Costantino X Duca salõÁ al potere coinvolgendovi il fratello, e a<br />

non molto piuÁ in laÁ del 1070 21 ), quando i due Duca furono distratti da qualsiasi tipo di<br />

studi dalla necessitaÁ di curare l'attivitaÁ politica in una situazione che, per loro, stava<br />

rapidamente deteriorandosi e che ne porteraÁ all'emarginazione.<br />

Che il destinatario sia Giovanni Duca, come pensava il Galigani, oppure Michele<br />

Cerulario, come ± dopo aver discusso questa ed altre ipotesi ± torna ancora a concludere<br />

ultimamente il Volk 1990: p. 134), che liquida piuttosto bruscamente il trattatello come<br />

un lavoro giovanile privo d'originalitaÁ 22 ), il De lapidum virtutibus rappresenta, in ogni<br />

caso, uno valido specchio della cultura mineralogica bizantina del XI sec., intrisa di<br />

nozionismo e astratta dalla pratica, ma molto interessata alle pietre preziose come oggetto<br />

d'esibizione e attenta anche alle loro possibili applicazioni mediche, pur restando sempre<br />

vigile, peroÁ , a non lasciarsi coinvolgere in questioni di tipo magico che potessero portare a<br />

un'accusa di irreligiositaÁ.<br />

Il De lapidus virtutibus eÁ, comunque, solo un piccolo contributo all'interno di una serie<br />

di studi che fecero di Psello un cultore appassionato di Medicina, pur non essendo un<br />

medico professionale ne diventando mai un esperto approfondito del settore, anche se<br />

questi studi egli perseguõÁ per tutta la vita Volk, 1990: pp. 455-459). E Á anche una prova<br />

del suo persistente interesse per la Scienza dei minerali, che eÁ confermato dagli altri suoi<br />

scritti minori. Talvolta questo suo interesse si estese anche agli usi magici delle pietre,<br />

come traspare dalla sua interazione col Cerulario e soprattutto da alcuni passi del De<br />

incredibilibus lectionibus, a lui dedicato vedi sopra). Questo libretto eÁ fatto tutto di<br />

notizie curiose ed eÁ frutto di una compilazione dagli autori piuÁ disparati. In particolare,<br />

Psello vi riferisce che Teucro di Babilonia un astrologo vissuto alla fine del I sec. a.C.)<br />

aveva scritto un libro sulle figure e immagini da incidere nei castoni degli anelli per<br />

21 ) Psello ci fornisce i ritratti dei due personaggi nelle ultime pagine della sua Cronografia 7.c 1-11: t. II, pp.<br />

362-377; 7.c 16-17: t. II, pp. 382-385), che sono aggiuntive e probabilmente scritte di getto senza troppo<br />

meditare. Le espressioni che egli usa sono adulatorie, ma la sostanza eÁ spregiativa per entrambi. <strong>La</strong> loro totale<br />

inadeguatezza, inoltre, risulta chiaramente dalle vicende storiche, che in breve tempo 1067-1078 d.C.) videro la<br />

definitiva destituzione della dinastia Duca ed il ritorno dei Comneni, con un completo cambiamento di regime:<br />

dal predominio dell'oligarchia burocratica della capitale con i suoi «eunuchi e oratori di palazzo» Kazhdan,<br />

1995: p. 49) a quello dell'aristocrazia provinciale ben dotata di terre, con milizie ereditarie che su di esse<br />

risiedevano e che per esse erano disposti a combattere, anche contrapponendosi ai mercenari di palazzo, per<br />

altro poco invogliati al rischio perche l'erario li lasciava spesso senza paga.<br />

22 ) Con cioÁ , il Volk non fa altro che confermare un'icastica valutazione negativa giaÁ espressa dal Wellmann<br />

1935: p. 437, «aÈusserst duÈ rftig»).


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 239<br />

stornare le disgrazie e vi descrive vari materiali artificiali derivati dal trattamento di<br />

minerali e.g., nitro, litargirio, calcanto, sandracca, allume): tra questi, anche imitazioni di<br />

gemme frutto di contraffazione e.g., giacinto, smeraldo, sardonica). Sono sommariamente<br />

descritti anche piccoli esperimenti da eseguirsi a fuoco e.g., su oro, piombo e<br />

stagno) e semplici reazioni chimiche e.g.: il ferro combinato con la sandracca reagisce<br />

facilmente con aceto in cui sia stato dissolto zolfo). Psello, infine, indugia a descrivere il<br />

diffuso uso della pietra gagate per verificare la condotta delle donne, dimostrandosi con<br />

cioÁ pronto a trasmettere insulsi pregiudizi, quando vuole affascinare un uditorio sempre<br />

morbosamente interessato a un tale argomento.<br />

Simili notizie curiose si trovano anche in una lettera a Costantino, un nipote del<br />

patriarca Michele Cerulario Sathas, 1876-94: t. V, ep.86,p.326),dovePselloperoÁ<br />

giunge anche a una affermazione che merita di essere riportata come testimonianza<br />

conclusiva della sua filosofia della natura: «Ci sono forze e proprietaÁ comuni agli<br />

animali, alle pietre ed alle erbe che sono straordinarie e che non sono ancora ben<br />

conosciute da tutti». In questo contesto, non si puoÁ non ricordare che l'interesse di<br />

Psello per la natura non si limitoÁ ai minerali, ma spazioÁ anche su argomenti geologici e<br />

meteorologici come comete, tuoni e terremoti Duffy, 1992: nn. 25-30, pp. 92-106).<br />

Tuttavia, non saraÁ inutile riportare anche un'altra sua affermazione, contenuta<br />

nell'autobiografia giovanile e quindi databile all'inizio del 1055 Criscuolo, 1990:<br />

28d rr. 1786-1790), relativa a quella che egli chiama «arte ieratica»: «Ho appreso che si<br />

attribuiscono poteri ineffabili a pietre ed erbe, ma ne ho respinto decisamente l'inutile<br />

uso. Detesto gli amuleti, il diamante e il corallo; irrido alle pietre cadute dal cielo»<br />

traduzione di Ugo Criscuolo, 1990: pp. 217).<br />

3. METODO DI STUDIO E BASI DOCUMENTARIE<br />

L'opera dello studioso di storia della Scienza antica dipende in modo decisivo da<br />

quella del filologo: non eÁ, infatti, neÂopportunone ragionevole studiare il contenuto<br />

scientifico di un testo se questo non eÁ stato anzitutto stabilito nella sua forma piuÁ<br />

corretta da un competente nella tradizione dei manoscritti e nel linguaggio, e non<br />

soltanto di quello proprio dell'autore quanto di tutto quello dell'epoca in cui il testo eÁ<br />

stato scritto. Tutto cioÁ eÁ compito ± indubbiamente ± del filologo. Tuttavia, spesso il<br />

filologo non si accontenta di stabilire il testo, ma va oltre ed allora dimostra di non<br />

essere sempre in grado di unire ad un testo rigoroso dal punto di vista linguistico<br />

formale un'altrettanta rigorosa interpretazione. CioÁ avviene non solo nella redazione<br />

del commento, ma soprattutto quando al testo, che egli stesso ha studiato, collazionato<br />

ed edito con grande acribia, il filologo allega una traduzione che, pur rigorosa nei<br />

termini, non eÁ quasi mai indenne da incomprensioni ed errori scientifici.<br />

In realtaÁ, accertare cioÁ che uno scienziato antico voleva comunicare e, da qui, stabilire<br />

lo stato di sviluppo di una determinata branca della Scienza al momento in cui l'autore<br />

scriveva non eÁ, e non deve essere, ne fine ne compito del filologo. Questo lavoro, infatti,<br />

spetta ad un altro tipo di studioso: lo storico della Scienza, appunto, meglio ancora se<br />

esperto della disciplina di cui tratta. A titolo d'esempio, voglio ricordare un intoppo con


240 A. MOTTANA<br />

cui mi sono dovuto cimentare nel corso di un mio studio su Teofrasto come metallurgista<br />

Mottana, 2001: pp. 144 e 211-214). <strong>La</strong> corretta ricostruzione, da parte di filologi, di un<br />

termine che era stato malamente trascritto nei manoscritti pykno* tetoQ, pyknoÂtetos, al<br />

posto del traÂdito pikro* tetoQ, pikroÂtetos) ha certamente migliorato il contenuto scientifico<br />

dell'originale, ma il fatto che essi abbiano poi tradotto il vocabolo con «densitaÁ», con il<br />

significato che essa ha normalmente Montanari, 1995: p. 1766), quando invece in un<br />

contesto mineralogico antico sta ad indicare la «compattezza» 23 ) del materiale, ha creato<br />

un notevole problema per la comprensione del ragionamento logico che Teofrasto voleva<br />

sviluppare e questa incomprensione, inizialmente e per un po', si eÁ riverberata anche su<br />

di me). Ho potuto correggermi solo dopo un attento esame di confronto con altri testi di<br />

Teofrasto e di Aristotele.<br />

Per questo motivo, dunque, ritengo utile specificare di quali testi mi sono avvalso in<br />

questo studio che, come ho giaÁ detto, intende sviscerare un momento nella storia delle<br />

scienze mineralogiche, ma per poterlo fare non puoÁ correre il rischio di essere<br />

pregiudicato da una scelta malfatta sotto l'aspetto filologico del materiale da analizzare.<br />

Se, infatti, ho interpretato male il testo, di sicuro eÁ colpa mia, ma se colui che ha operato<br />

male eÁ il filologo che ha ricostruito il testo sul quale mi sono basato, la colpa dell'errore<br />

storico che l'interpretazione comporteraÁ non puoÁ gravare tutta solo su di me: va per lo<br />

meno condivisa.<br />

Per il De lapidum virtutibus, mi sono avvalso dell'edizione critica curata da Pierpaolo<br />

Galigani 24 ), anche se non eÁ la piuÁ recente in ordine di tempo, essendo poi apparsa<br />

l'edizione del Duffy 1992: n. 34, pp. 116-119). L'edizione del Galigani eÁ la quinta a<br />

partire dall'editio princeps di Philippe Jacob de Maussac Maussacus, 1615: pp. 345-357;<br />

fig. 2). A parere del Galigani, l'edizione del Maussac, giaÁ viziata all'origine da una scelta<br />

23 ) Il Montanari 1995: p. 1766), per vero dire, fornisce anche per il lemma pykno* thQ la traduzione<br />

«compattezza», ma con riferimento alle formazioni militari. DensitaÁ, comunque, nel significato scientifico, eÁ<br />

tutt'altra cosa g cm -3 ).<br />

24 ) L'edizione critica del Galigani eÁ basata sulla recensio disettedei15codicidaluivisionatip.71),a<br />

due dei quali egli ha attribuito maggior peso. Il primo eÁ ilParisinus graecus 1630 P), bombicino della seconda<br />

metaÁ del XIV sec. probabilmente proprio della metaÁ), conservato nella BibliotheÁqueNationaledeFrancedi<br />

Parigi; il trattato occupa le cc. 224r-226r di un codice miscellaneo ed eÁ accompagnato da due altri scritti di<br />

Psello; eÁ lo stesso codice che il Duffy indica con Q e considera procul dubio optimus 1992: p. XXV) eche<br />

quindi usa in modo pressoche esclusivo.IlsecondoeÁil<strong>La</strong>urentianus LXX 5 L) cartaceo della metaÁ delXIV<br />

sec. non oltre il terzo quarto), conservato nella Biblioteca Mediceo-<strong>La</strong>urenziana di Firenze alla quale<br />

pervenne da Creta prima del 1495; il trattato occupa le cc. 196v-197 ed eÁ accompagnato da due altri testi di<br />

Psello diversi da quelli parigini), pur essendo il codice nel suo complesso dedicato alle storie d'Appiano. Il<br />

Duffy eÁ a conoscenza anche di questo codice, ma non sembra considerarlo fondamentale, anzi nel suo<br />

stemma lo pone allato 1992: p. XXIV). Il Galigani inoltre afferma pp. 51-56) di avere visionato ben 15 altri<br />

codici contenenti il trattato ed anzi ne ricostruisce lo stemma p. 63), che differisce da quello del Duffy nel<br />

delinearequattroramiditradizioneinveceditre.Sostiene,peroÁ, di non aver voluto tenere conto di un buon<br />

numero di loro poiche li considera tutti deteriores p. 23). Tra questi include, in particolare, quello ora<br />

perduto che era servito per l'editio princeps, che ritiene dovesse essere molto vicino al codice Berolinensis<br />

graecus 204, del XV-XVI sec., ancora disponibile, che fa parte di una tradizione indipendente tanto da P<br />

quanto da L.


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 241<br />

Fig. 2. ± <strong>La</strong> prima pagina dell'editio princeps del De lapidum virtutibus libellus di Michele Psello, posta da<br />

Philippe Jacob de Maussac in appendice a un volume miscellaneo da lui stampato a Tolosa nel 1615. Il testo eÁ<br />

alle pp. 345-357 del volume miscellaneo che inizia col De fluviis dello Pseudo-Plutarco pp. 1-96), seguito dal<br />

Liber de fluminibus di Vibio Sequestre pp. 97-126) e da note di commento ad entrambi pp. 127-333). Il trattato<br />

di Psello, in greco a sinistra) e in latino a destra, nella traduzione del Maussac) eÁ su due colonne parallele ed eÁ<br />

preceduto da una lettera di presentazione a Gilberto Gualmino pp. 337-343) e seguito da castigationes pp. 358-<br />

361). Segue infine pp. 361-375) un'appendice su note di Arpocrazione.<br />

poco felice del manoscritto di riferimento, sarebbe stata poi o semplicemente ricopiata<br />

oppure migliorata solo di pochissimo dalle quattro edizioni 25 ) che seguirono, mentre la<br />

25 ) In ordine di tempo, sono dovute a: Bernard Bernardus, 1745: pp. 1-45), Ideler 1841: pp. 244-247),<br />

Migne 1864: t. CXXII, coll. 887-900) e de MeÂly e Ruelle 1898: t. II. 1, pp. 201-204). Il Duffy, che le menziona


242 A. MOTTANA<br />

Fig. 3. ± Frontespizio dell'edizione critica di Pierpaolo Galigani del testo di Michele Psello, seguita in questo<br />

studio per la traduzione e per il commento.<br />

sua sarebbe stata eseguita con le migliori e piuÁ aggiornate procedure. Il Duffy, invece, che<br />

pure non commenta su questo punto, conferma che la sua edizione si rifaÁ sostanzialmente<br />

a quella dell'Ideler 1841: pp. 244-247) il quale peroÁ , secondo il Galigani 1980: p. 67),<br />

non voleva fare un'edizione critica ma solo raccogliere quanti piuÁ testi poteva in una<br />

miscellanea di testi medici. Rebus sic stantibus, ho deciso di condurre la mia traduzione ed<br />

interpretazione sulla base del testo greco edito dal Galigani 1980: pp. 71-76, fig. 3),<br />

tutte e che cita anche quella del Galigani 1992: p. XXV), precisa che il Bernard fig. 5) ha ripreso quella del<br />

Maussac con poche emendationes, che l'Ideler e il Migne hanno copiato il Bernard senza particolari modifiche, e<br />

che de MeÂly e Ruelle hanno seguito l'Ideler collazionandolo con Q e, in parte, con un codice tardivo: il<br />

Monacensis graecus 105.


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 243<br />

Fig. 4. ± Frontespizio del testo miscellaneo edito da John M. Duffy in cui sono raccolti gli scritti di Michele Psello<br />

relativi ad argomenti scientifici di tipo mineralogico al n. 34 il De lapidum virtutibus ealn.35ilDe succino).<br />

considerandolo il piuÁ moderno e affidabile, trascurando quello del Duffy 1992) come<br />

privo di un'adeguata recensio ed essenzialmente documentario. <strong>Della</strong> traduzione del<br />

Galigani 1980: pp. 77-80) e del suo commento pp. 83-121) mi sono anche avvalso come<br />

guida linguistica. Confermo che non sono un filologo e che quindi mi considero inadatto


244 A. MOTTANA<br />

Fig. 5. ± Frontespizio del volume di Jean Etienne Bernard in cui, per la prima volta 1745), il testo di Michele<br />

Psello viene stampato da solo. Il titolo stesso, tuttavia, riconosce che si tratta sostanzialmente, di una ristampa del<br />

testo edito da Philippe Jacob de Maussac 1615).<br />

ad esprimere una valutazione di qualitaÁ, eppure asserisco che ritengo valido il lavoro<br />

complessivo di un grecista come il Galigani, cosicche solo in pochi punti mi sono sentito<br />

autorizzato ad apportare variazioni alla sua versione. Lo stile della mia traduzione eÁ<br />

letterale, quasi pedissequo, peroÁ eÁ indiscutibilmente mio, cosõÁ come mio e originale eÁ<br />

l'intero commento, che si discosta notevolmente da quello del Galigani, proprio perche io<br />

sono un mineralista e intendo fare valere la mia competenza in questo campo.<br />

Per completare il quadro delle conoscenze mineralogiche di Psello, prenderoÁ in


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 245<br />

considerazione anche le citazioni di minerali sparse in altre sue opere. Esse sono frutto<br />

non di una sua scelta indirizzata a fini scientifici, ma sono inserite in contesti variabili a<br />

seconda delle circostanze. Tra le altre sue opere, richiamo l'attenzione in particolare sul<br />

Peri+ h$ le* ktroy o De succino, edito dal Duffy 1992: n. 35, pp. 119-120; fig. 4). Si tratta di<br />

un breve testo sicuramente di Psello il cui titolo fa pensare ad un contenuto mineralogico<br />

che poi non viene confermato dall'analisi del testo. <strong>La</strong> sua edizione eÁ basata su tre dei<br />

quattro i codici esistenti sostanzialmente indipendenti tra loro e tutti piuttosto tardi) e<br />

tiene conto anche dell'estratto dell'Indika di Ctesia riportato da Fozio n. 72, Wilson,<br />

1992: pp. 137-148) per la parte citata da Psello, che eÁ stata anche edita dal Maas 1924).<br />

4. L'AMBIENTE CULTURALE DI PSELLO<br />

Nessun pensatore, scientifico o umanistico che sia, eÁ avulso dal proprio tempo e, per<br />

quanto innovativo possa poi essere, riflette anzitutto lo stato delle conoscenze della<br />

propria epoca, nella misura in cui egli stesso era stato in grado di impadronirsene. Questo<br />

fatto risulta proporzionale non solo alle sue capacitaÁ personali, ma anche al suo<br />

inserimento nei circoli culturali dell'epoca ed alla sua capacitaÁ di accedere alle fonti.<br />

Ottimale fu, quindi, la situazione in cui pote maturare la cultura di Psello. Egli crebbe<br />

nell'ambiente fervido della Rinascenza bizantina, che era allora molto piuÁ ricco di quello<br />

occidentale tanto nella cultura patristica quanto nell'attenzione rivolta ai classici antichi.<br />

A Costantinopoli, capitale dell'unico impero erede diretto di quello romano, non era mai<br />

cessata, infatti, la trasmissione della cultura classica pagana, soprattutto greca, neppure<br />

nei periodi piuÁ bui della «crisi iconoclastica» 711-843) ed anzi, terminata questa crisi, le<br />

biblioteche erano state sistematicamente riordinate e rifornite per tutto il periodo che fu,<br />

a tutti gli effetti, l'etaÁ d'oro dell'impero bizantino 843-1025: Ostrogorsky, 1993) 26 ).<br />

Nato quasi al termine di questa etaÁ felice, quando l'estenuata dinastia Macedone con vari<br />

artifici, anche matrimoniali, sembrava ancora riuscire a resistere all'urto della burocrazia<br />

di corte prima e dell'aristocrazia militare poi, Psello pote avvalersi nel periodo della sua<br />

formazione di quanto di meglio e di piuÁ completo si era conservato della cultura<br />

antica 27 ), sia nella biblioteca imperiale sia in quella del patriarcato, e lo fece.<br />

Egli stesso ci attesta, in quella che a tutti gli effetti eÁ la sua prima autobiografia<br />

Encomium in matrem o $ Egkv* mion t|& mhtri* : Criscuolo, 1990), di avere letto tutti gli scritti<br />

su cui aveva potuto mettere le mani giaÁ prima di entrare al servizio del governo imperiale e<br />

26 ) Attente e dettagliate panoramiche sulla situazione culturale a Bisanzio nelle fasi successive alla crisi<br />

iconoclastica e precedenti o contemporanee all'epoca di Psello si trovano nel volume composito coordinato da<br />

Guillou 1978). PiuÁ brevi, ma molto acute, sono le osservazioni bibliologiche di Wilson 1993).<br />

27 ) A metaÁ del secolo precedente Costantino VII Porfirogenito 913-959) aveva disposto un'azione di<br />

raccolta e trascrizione, anche se spesso ridotta ad excerpta per motivi sia di costo sia di comodo, di una serie di<br />

scritti scientifici di vario argomento, con il chiaro fine pratico di attuare un programma didattico utile a continuare<br />

la favorevole congiuntura economica che aveva caratterizzato il periodo in cui alla guida effettiva dello stato fu il<br />

suo collega Romano I Lecapeno 920-944) e che aveva permesso a questi una serie straordinaria di successi militari.<br />

CosõÁ, in effetti, avvenne: prima con Niceforo II Foca 963-969) e poi con Basilio II 976-1025) il Bulgaroctono.


246 A. MOTTANA<br />

di aver continuato a documentarsi sulle fonti originarie, con una ben maggiore mole di<br />

materiale a disposizione, anche dopo che, appena venticinquenne 1043), era stato<br />

nominato segretario personale dell'imperatore Costantino IX Monomaco e, poco dopo<br />

1045), «console dei filosofi» y% patoQ tv& nWiloso* Wvn), vale a dire direttore della sezione di<br />

filosofia della ricostituita alta scuola di formazione dei funzionari della capitale, strutturata<br />

secondo il sistema del trivio e del quadrivio Wolska-Conus, 1976, 1979; Anastasi, 1979).<br />

Tuttavia, l'effettiva consistenza libraria delle biblioteche costantinopolitane sia di quella<br />

imperiale, sia di quella patriarcale, sia di quelle, piuÁ piccole, ma non meno importanti, dei<br />

numerosi monasteri) ci eÁ sconosciuta, o meglio: ci eÁ conosciuta solo in forma sporadica per<br />

alcuni testi fortunosamente arrivati fino a noi Wilson, 1993). In particolare, mancano<br />

inventari librari paragonabili a quelli dell'Europa latina contemporanea, forse a causa del<br />

saccheggio effettuato dai Crociati nel 1204, e sono disponibili solamente alcuni inventari di<br />

raccolte private Lemerle, 1977) e monastiche Wilson, 1993).<br />

Possiamo, quindi, solo congetturare che Psello avesse certamente accesso a tutta la<br />

letteratura greca classica e cristiana di cui attualmente disponiamo e, probabilmente, a<br />

parecchio di piuÁ . Sicuramente, ad esempio, egli poteva leggere per intero le opere di<br />

quegli scrittori bizantini che stavano allora redigendo gli excerpta dei testi antichi e i loro<br />

commenti a questi testi, cioeÁ molto di piuÁ di cioÁ che ci eÁ poi arrivato per tradizione diretta.<br />

Non vi erano state, infatti, fino ad allora a Costantinopoli quelle discontinuitaÁ culturale e<br />

linguistica che si resero inevitabili, anche per motivi etnici, nell'Occidente latino e vi<br />

favorirono la nascita e lo sviluppo dei particolarismi locali Irigoin, 1975; Mango, 1981).<br />

Un ulteriore, importante elemento di valutazione dell'ambiente culturale in cui Psello<br />

era maturato deriva dall'aver coscienza che non esiste nessuna prova che egli conoscesse o<br />

meno il latino Renauld, 1920), mentre eÁ certo che non lo amava e che non gli voleva<br />

riconoscere la supremazia sul greco neppure nel settore del diritto, di cui non poteva<br />

misconoscere la derivazione romana Anastasi, 1974).<br />

Passando alle possibili fonti delle sue conoscenze mineralogiche e alchemiche, in<br />

particolare per quanto riguarda l'uso terapeutico dei minerali, al termine del De lapidum<br />

virtutibus Galigani, 1980: p. 76, [Z] rr. 118-119 28 )), Psello menziona tre pensatori<br />

presocratici che, a suo dire, s'interessarono di minerali: Anassagora, Empedocle e<br />

Democrito. Non si tratta, peroÁ , delle sue fonti, bensõÁ di tre nomi d'effetto. Difatti, negli<br />

scarsi frammenti delle loro opere che ci sono pervenuti, l'interesse dei tre presocratici per<br />

la parte solida della Terra appare scarsissimo, sovrastato com'eÁ, in tutti loro, da quello ± di<br />

portata piuÁ generale e piuÁ consono al loro modo di pensare ± sull'essenza stessa del<br />

mondo naturale Diels e Krantz, 1966 12 , 1981).<br />

<strong>La</strong> fonte di Psello potrebbe, allora, essere il quarto autore che egli cita [Z], r. 120) e<br />

28 ) Il testo greco del Galigani eÁ diviso in capoversi in tutto 24, pari al numero delle pietre descritte) con in<br />

piuÁ un passo d'inizio e uno di fine, questi due notevolmente piuÁ lunghi degli altri. Tutti sono numerati secondo<br />

righe consecutive 124 in tutto). Io faroÁ riferimento agli uni con un numero [n.]), fuorche ai due passi iniziale e<br />

finale, ai quali per comoditaÁ ho assegnato le lettere [A] e [Z], e alle altre con l'indicazione della riga r.), sempre<br />

secondo l'opportunitaÁ.


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 247<br />

verso il quale egli usa un'espressione di rispetto: Alessandro d'Afrodisia, il commentatore<br />

d'Aristotele attivo ad Atene tra la fine del II e l'inizio del III sec. d.C. Ad Alessandro si<br />

riconosce ora il merito della seconda rinascita d'interesse per le dottrine peripatetiche,<br />

dopo la prima loro divulgazione che eÁ legata all'edizione degli scritti acroamatici curata da<br />

Andronico da Rodi I sec. a.C.). Alessandro, peroÁ,eÁ anche colui che fu responsabile di un<br />

sostanziale travisamento di quelle dottrine, perche fece prevalere l'aspetto della «filosofia<br />

prima» su quello dello studio organico della natura che era stato il fondamentale motivo<br />

delle divergenze ± e conseguente separazione ± tra Aristotele e Platone Moraux, 1973-84,<br />

2000). L'opera di Alessandro d'Afrodisia ci eÁ pervenuta in misura ben maggiore di quella<br />

dei tre presocratici, ma la <strong>Mineralogia</strong> che contiene eÁ del tutto trascurabile e non poteva<br />

non esserlo, non solo perche gli interessi dell'autore erano altri, ma anche percheÂ<br />

Aristotele stesso aveva preso in considerazione i minerali solo alla fine del III libro dei<br />

Meteorologica 378a13-378b6) 29 ), molto brevemente e senza entrare in particolari,<br />

promettendo di farlo nel libro successivo oppure, forse, in un'opera apposita. Questa<br />

trattazione approfondita non compare ne nel IV libro, che pure contiene numerosi spunti<br />

che hanno fatto parlare di un Aristotele «precursore della Chimica dei minerali»<br />

Multhauf, 1958), ne nelle altre sue opere, mentre figura tra quelle di Teofrasto De<br />

lapidibus: cf. Mottana e Napolitano, 1997), altra opera di cui Alessandro era ben a<br />

conoscenza perche ne fornisce alcuni dettagli esplicativi Mottana, 2001: pp. 178-179),<br />

ma che non commenta estesamente in nessuno dei suoi libri. In conclusione, quindi,<br />

anche il nome di Alessandro d'Afrodisia eÁ usato da Psello come falsa fonte: quanto di<br />

mineralogico eÁ contenuto nelle sue opere arrivate fino a noi non trova riscontro nel De<br />

lapidum virtutibus.<br />

A furia di indagare, tuttavia, i commentatori moderni hanno trovato nel trattato di Psello<br />

un riferimento indiretto che li ha ben indirizzati nella loro ricerca della fonte effettiva da lui<br />

taciuta. Quando Psello descrive le proprietaÁ del carbonchio n. 4), motiva perche nonne<br />

riporti nessuna di tipo farmacologico con il fatto che ne erano prive le sue fonti e chiama<br />

queste cosõÁ: oi< liuognv* moneQ r. 27), cioeÁ «i conoscitori di pietre». A questo nome si rifaÁ il<br />

titolo di un trattato Liuognv* mvn) che, secondo Origene 30 )Commentarii in Psalmos, 118,<br />

127, in Pitra, 1884: p. 341), era stato scritto da Senocrate, cioeÁ dello stesso autore di cui<br />

Origene si era servito per la descrizione dell'isola Topazio 31 ) nel Mar Rosso e della pesca<br />

29 ) Alessandro li analizza dettagliatamente nei suoi in Aristotelis Meteorologicorum libros commentaria, che<br />

ci sono pervenuti integralmente Hayduck, 1899; Coutant, 1936; Smet, 1968).<br />

30 ) Anche due padri della chiesa latina dimostrano di conoscere Senocrate. Girolamo, probabilmente riprendendo<br />

Origene, riferisce «de Xenocrate, qui scripsit super lapidum gemmarumque naturis» Commentarii in Amos<br />

propheta, 3.7: Migne, 1857: t. XXV, col. 1075) e ne riporta, nella sua traduzione latina, venti righe di descrizione del<br />

diamante dove ± correttamente dal punto di vista etimologico ± propone di tradurre il nome greco con indomitum!)<br />

che appaiono molto simili a quelle di Plinio. Ambrogio Expositio in psalmum CXVIII, s. 16, c. 41-42: Migne, 1857:<br />

t. XV, coll. 1438-1439) riporta una descrizione della scoperta della gemma nell'isola Topazion sic!) checontiene<br />

particolari mancanti tanto in Origene quanto in Girolamo e che sono, quindi, derivati da lui direttamente dall'opera<br />

di Senocrate, che poteva leggere, conoscendo egli bene il greco Buecheler, 1885: p. 305, nota 1).<br />

31 ) Attualmente Zabargad, in passato chiamata anche isola di San Giovanni Cadiou, 1937): 23ë37'N,<br />

36ë12'E, cioeÁ a ca. 50 km a W dell'asse del bacino. Plinio 35.39), sull'autoritaÁ di Giuba, cita un'isola Topazo


248 A. MOTTANA<br />

delle perle Commentarii in Matthaeum, 10.7: Migne, 1857: t. XIII, coll. 848-849; cf. Girod,<br />

1970).<br />

L'identificazione di questo Senocrate eÁ oscura e molto dibattuta, anche se ora<br />

Kudlien, 1967; Ullmann, 1974) eÁ prevalentemente identificato col figlio di Zenone<br />

originario di Efeso vivente al tempo in cui Plinio il Vecchio scriveva la sua Naturalis<br />

Historia 37.37 32 )), cioeÁ poco prima del 77 d.C. Plinio lo cita spesso: non solo nel suo<br />

primo libro in posizione preminente tra le fonti straniere per quanto riguarda il libro 37,<br />

ma anche piuÁ oltre, in questo libro, ripetutamente, quando fa riferimento a vari minerali<br />

cristallo di rocca: 37.25; ambra: 37.37, 37.40; sarda: 37.173) e, una volta, ad una roccia<br />

ossidiana: 36.197). Il nome di Senocrate, peroÁ, non compare nella descrizione che egli fa<br />

proprio del carbonchio 37.92-98). L'Oehmichen 1880), che fu il primo a sostenere che<br />

la fonte di Psello eÁ il trattato di Senocrate, crede, tuttavia, di riconoscere in certe frasi<br />

usate da Plinio una stretta corrispondenza linguistica con quelle di Psello e interpreta<br />

tutto cioÁ , appunto, con la comune derivazione da Senocrate Galigani, 1980: p. 98).<br />

L'importanza di Senocrate per Plinio eÁ generalmente ammessa non solo dagli autori<br />

antichi greci, latini e arabi), ma anche da quasi tutti i commentatori moderni e.g.,<br />

Buecheler, 1885; Cadiou, 1937; Jaeger, 1948; Girod, 1970). L'argomento del contendere<br />

eÁ, semmai, chi fosse esattamente il Senocrate da cui Psello 33 ) trasse le sue informazioni<br />

sui minerali, che sono in prevalenza di tipo farmacologico Hohlweg, 1988).<br />

L'identificazione eÁ, infatti, resa complicata dal fatto che Plinio cita ripetutamente anche<br />

un altro Senocrate, medico, di Afrodisia, vissuto a Roma ai tempi di Augusto e Tiberio,<br />

autore di varie opere di farmacologia, in nessuna delle quali, tuttavia, sembra che egli<br />

abbia fatto uso di minerali, ma piuttosto di erbe officinali, sia coltivate 20.155, 20.218,<br />

20.227, 21.181, 22.72, 22.87) sia spontanee 27.89). Eppure eÁ proprio verso questo<br />

Senocrate d'Afrodisia che s'indirizzarono importanti studiosi, tra cui il Wellmann 1907:<br />

p. 629, 1935: pp. 86-87), lo Ziegler 1967: col. 1529, n. 7) e, recentemente, anche il<br />

Galigani 1980: pp. 41-45), con una serie di argomenti che peroÁ non appaiono persuasivi e<br />

per i quali rimando ai loro lavori 34 ). Ora, infatti, eÁ dato per scontato che la fonte di Plinio<br />

per i minerali sia il Senocrate di Efeso e non quello d'Afrodisia Kudlien, 1967: col. 1531,<br />

n. 8; Halleux e Schamp, 1985: p. XIX).<br />

Quale che sia il Senocrate che eÁ fonte di Psello, il suo trattato eÁ attualmente perduto,<br />

sic!) nel mar Rosso, peroÁ solo come luogo in cui si rinvengono allo stato naturale ocra e sandracca, due sostanze<br />

che non erano allora importate a Roma.<br />

32 ) Le numerosi citazioni di quest'opera che seguiranno, per libro e per capoverso, sono sempre riferite<br />

all'edizione bilingue in cinque volumi diretta da G.B. Conte, con la collaborazione di A. Barchiesi, G. Ranucci e<br />

altri, per la Giulio Einaudi Editore 1982-88).<br />

33 ) Che Psello conoscesse bene almeno un Senocrate non eÁ messo in discussione da nessuno: egli stesso lo<br />

cita, infatti, come esempio di compostezza filosofica nella sua Cronografia 7.47, t. II, p. 239). Non si tratta peroÁ<br />

del Senocrate mineralogista, bensõÁ dell'allievo di Platone, originario di Calcedonia, che fu a capo dell'<strong>Accademia</strong><br />

dal 338 al 313 a.C.<br />

34 ) Plinio cita anche un terzo Senocrate, di Atene, scultore e pittore e autore di trattati sulle due arti, ma<br />

questo non ha sicuramente niente a che fare con Psello.


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 249<br />

ma eÁ stato per lungo tempo il testo di riferimento sulle pietre per gli autori di lingua greca.<br />

Non solo, infatti, egli eÁ sovente citato, ma informazioni tratte dal suo lavoro sono<br />

riconoscibili nelle opere di scrittori greci molto diversi tra loro, come Epifanio, il giaÁ citato<br />

vescovo del IV sec., ed Aetio d'Amida, il medico del VI sec. Olivieri, 1935-50). Il trattato<br />

di Senocrate eÁ sicuramente rimasto a lungo disponibile agli studiosi bizantini: tutto fino al<br />

XII sec., quando eÁ ancora citato da Giovanni Tzetze Leone, 1968), e poi, almeno in<br />

parte, fino al XIV sec., quando Teodoro Meliteniote, un vescovo poeta attivo tra il 1360 e<br />

il 1388 DoÈ lger, 1934), lo utilizzoÁ per la sua descrizione delle pietre preziose che decorano<br />

il letto d'argento e d'oro della Saggezza DoÈ lger, 1919; Wellmann, 1935; SchoÈ nauer,<br />

1996: pp. 5-20). Nel trattato di Senocrate le pietre erano descritte in ordine alfabetico e<br />

questo ordine si ritrova anche sia in Psello solo per le prime 18 pietre) sia in Plinio che<br />

peroÁ ne traspone alcune dando la precedenza a quelle di maggiore valore venale).<br />

Non eÁ, inoltre, da escludere che ci sia pervenuta un'ulteriore parte del trattato di<br />

Senocrate, anche se rielaborata e probabilmente molto alterata nel corso della tradizione,<br />

se eÁ fondata un'ipotesi che eÁ stata avanzata dal Wirbelauer 1937). A suo parere i<br />

Kerygmata [ $OrWe* vQ liuika+ ] khry* gmata), che sono un riassunto in prosa effettuato nel<br />

IV sec. d.C. del <strong>La</strong>pidario orfico o Lihica [$OrWe* vQ] Liuika* 35 )), avrebbero subito, nella<br />

loro parte finale capitoli dal 26 al 53: Halleux e Schamp, 1985: pp. 166-177; cf. Bianco,<br />

1992: pp. 123-135) e in un momento ancora piuÁ tardo, ma imprecisato, della loro<br />

tradizione, la contaminazione da parte di un altro lapidario, a sua volta risultante dalla<br />

fusione, effettuata nel II sec. d.C., di due lapidari piuÁ antichi: uno magico e uno<br />

astrologico. Questa seconda sezione dei Kerygmata vale a dire del suddetto lapidario<br />

composito) eÁ attribuita, in un codice della fine del XIV secolo Vaticanus graecus 578) in<br />

cui ha il titolo Peri+ li* uvn, a tali Socrate e Dionisio, non meglio noti. Nel nome del primo<br />

il Wirbelauer 1937: p. 42) ha creduto di riconoscere la corruzione del nome Senocrate. In<br />

effetti, parecchi punti toccati nella parte finale dei Kerygmata si ritrovano non solo nei<br />

testi di vari scrittori greci tardi inclusi i giaÁ ricordati Epifanio e Teodoro), ma anche nel<br />

libro 37 dell'enciclopedia di Plinio, che eÁ sicuramente precedente alla data presunta della<br />

fusione dei diversi pezzi dei Kerygmata.<br />

Rimane, tuttavia, un punto oscuro: non vi eÁ mai una corrispondenza esatta tra i punti<br />

trattati nel lapidario detto di Socrate e Dionisio e i sicuri frammenti di Senocrate che si<br />

sono conservati in arabo. Il trattato di questi, infatti, pote essere consultato, estesamente<br />

copiato e tradotto a Costantinopoli nel XII sec. dal medico andaluso AbuÅ Ja'far Ahmad<br />

ibn Muhammad al-G Ç aÅfiqõÅ 36 ) morto in Spagna nel 1165 d.C.). In arabo, quindi, eÁ stato<br />

35 ) Si tratta di un poema greco della prima metaÁ del II sec., sul quale ritorneremo piuÁ avanti.<br />

36 ) L'Ullmann 1972a: p. 52, nota 27) riporta questa affermazione del Wellmann 1935: p. 447), ma con<br />

una nota di dissenso di cui fornisce la spiegazione solo nel lavoro successivo Ullmann, 1972b: p. 63): la prima<br />

citazione di Senocrate da lui rinvenuta Ullmann, 1972b: fr. 4, p. 58) eÁ in un'opera di ar-RaÅzõÅ Rhazes), morto nel<br />

923 d.C. Ullmann ne deduce che una traduzione araba almeno parziale del libro di Senocrate doveva essere stata<br />

eseguita giaÁ nel IX sec. e conferma tutto cioÁ nel lavoro ancora seguente Ullmann, 1973: p. 62), datando tale<br />

traduzione al passaggio tra VIII e IX sec. d.C. Il Volk 1990: p. 135), invece, riferisce la traduzione come opera<br />

del solo al-GaÅfiqõÅ, precisando che il suo trattato aveva il titolo De simplicibus medicinalibus. Non sono riuscito a


250 A. MOTTANA<br />

possibile identificare ed estrarre numerosi lunghi frammenti Ullmann, 1972a, b, 1973) da<br />

confrontare con le citazioni greco-latine. Il problema resta aperto, dunque, ma appare<br />

probabile che il trattato di Senocrate, che Psello conosceva, contenesse informazioni, che<br />

ora si ritrovano nel lapidario di Socrate e Dionisio, oppure fosse stato utilizzato da<br />

Dionisio ± se pur fu lui ± come fonte parziale della sua compilazione, non senza avergli<br />

fatto esplicito riconoscimento nel titolo. <strong>La</strong> versione attualmente disponibile storpia il<br />

nome della fonte, forse involontariamente o forse per darsi maggior credito col<br />

richiamarsi al celebre filosofo del IV sec. a.C.<br />

Oltre che ai conoscitori di pietre, all'inizio del De lapidum virtutibus Psello fa esplicita<br />

critica «dei dogmatici» tv& n dogmatikv& n: [A] r. 3), ai quali attribuisce il difetto della<br />

prope* teia, vale a dire «precipitazione» o volubilitaÁ o temerarietaÁ: sono queste le<br />

accezioni alternative del termine). Non si tratta quindi di una fonte d'informazione, ma<br />

di un riferimento ad un metodo d'analisi scientifica. Il medesimo termine, con la stessa<br />

polemica accusa, ricorre infatti in Sesto Empirico ca. 180-220 d.C.) per indicare filosofi<br />

di varie scuole come «quelle di Aristotele, di Epicuro, degli stoici e altre» Adversus<br />

mathematicos, IX. 49, 331; Bury, 1933) e anche «di Empedocle ... Democrito ...<br />

Anassagora» Hypotiposes pyrrhonicae, I. 20, 177 e III. 2, 280; Bury, 1949), quindi<br />

praticamente di tutte le tendenze filosofiche greche fuorche di quella scettica nella quale si<br />

identificava. Di tutte, Sesto Empirico attacca i criteri di classificazione e le tecniche di<br />

dimostrazione. Per Psello, che era un platonico Zervos, 1919), tacciare un pensatore di<br />

precipitazione non era certo un cantarne la lode! Proprio alla critica di Sesto Empirico dei<br />

metodi di definizione adottati da certi filosofi egli doveva percioÁ pensare al momento di<br />

dare inizio al suo trattatello: infatti, s'affretta a dichiarare di avere verificato tutto cioÁ che<br />

esporraÁ in seguito e di aver volutamente tralasciato una serie di pietre di cui conosce solo il<br />

nome e che non gli era mai capitato di vedere e provare. L'affermazione eÁ importante,<br />

poiche dovrebbe confermare il comportamento «scientifico» di Psello, ma va presa con<br />

beneficio d'inventario: ben poche delle «virtuÁ » 37 ) che egli poi attribuiraÁ alle pietre, che<br />

pure dice essere le piuÁ comuni e piuÁ sperimentate, possono trovare conferma in un<br />

contesto scientifico moderno. Per tutte vale o l'effetto «placebo» oppure la suggestione,<br />

grazie alla quale si svilupperaÁ quella pseudoscienza, ancora viva e vegeta, che saraÁ<br />

chiamata Litoterapia FuÈ hner, 1902; Riddle, 1970).<br />

<strong>La</strong> fonte del De succino altro breve testo di Psello dall'attraente titolo mineralogico) eÁ<br />

sicuramente il libro di Ctesia sull'India $ Indika* ), che forse egli poteva ancora consultare<br />

in originale, ma che piuÁ probabilmente confrontoÁ con l'estratto contenuto nella<br />

Bibliotheca di Fozio Wilson, 1992), un trattato che gli era certamente familiare, percheÂ<br />

rintracciare tale testo ne nell'originale Kitab al-adwiyya al-mufrada, stampato al Cairo nel 1932) ne in traduzione:<br />

dispongo solo degli estratti tradotti dall'Ullmann 1972a: p. 99, 1972b: pp. 53-55, 1973: pp. 67-73).<br />

37 ) Non nascondo la mia difficoltaÁ a tradurre dyna* meiQ, che Maussac ha tradotto con virtutes: «virtuÁ »eÁ<br />

banale ed eÁ in ogni caso un latinismo), «proprietaÁ» ha un significato preciso nella scienza moderna non<br />

esattamente riconducibile a quello antico; forse «poteri attivi» eÁ il termine che si avvicina di piuÁ a cioÁ che Psello<br />

intendeva quando enunciava il giovamento che le pietre potevano dare a chi le portava, che non era solo di tipo<br />

medico, terapeutico e profilattico, ma anche aveva l'effetto di influire sul comportamento altrui.


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 251<br />

opera di un patriarca per molti versi precursore del Michele Cerulario di cui egli era<br />

sodale. <strong>La</strong> Bibliotheca fu concepita da Fozio come compendio di tutte le sue letture e<br />

consiste in 279 schede 38 ) che egli afferma di aver dovuto compilare in gran fretta essendo<br />

in attesa di partire per un'ambasceria da cui poteva forse non tornare. Conseguentemente,<br />

eÁ piuttosto disordinata, alternando passi brevi a lunghi, autori religiosi e profani, e<br />

selezionando argomenti molti diversi tra loro, anche nello stesso testo che recensisce. Nel<br />

caso della scheda n. 72, che recensisce tutta l'opera di Ctesia, Fozio seleziona anzitutto<br />

35b-45a) il testo che tratta della storia dei Persiani 39 )Persika* ), per passare poi 45a-<br />

50a) alla descrizione dell'India $ Indika* ), che Ctesia aveva affrontata non su basi storiche,<br />

ma naturalistiche, nella maggior parte dei casi fantasiose e bramose di stupire.<br />

Nelle altre opere di Psello figurano accidentalmente indicazioni di fonti diverse e<br />

talvolta piuÁ interessanti, anche se per vari motivi inaffidabili. Ad esempio, egli fa esplicito<br />

riferimento a Teofrasto nella sua Accusatio patriarchae Bidez, 1928: p. 86), ma lo<br />

paragona a Zosimo 40 ) e gli attribuisce interessi per l'alchimia che il fedele interprete<br />

di Aristotele, suo successore alla guida del Peripato, non poteva avere Mottana, 2001:<br />

p. 188). Questi nomi lasciati cadere quasi a caso sono forme sfrontate di sostenere le<br />

proprie idee con autorevoli autori del passato, non piuÁ rintracciabili comunemente nelle<br />

biblioteche; esse erano diventate prassi comune dei compilatori proprio durante la<br />

decadenza culturale seguita alla dissoluzione dell'impero romano Holmyard, 1957:<br />

p. 28).<br />

Riassumendo: che Psello abbia come fonte primaria della sua cultura mineralogica<br />

uno o piuÁ autori classici che arrivano fino al periodo greco-romano eÁ palese e che il<br />

principale di questi sia Senocrate eÁ probabile. Quale sia questo Senocrate eÁ oggetto di<br />

discussione, ma si tratta senz'altro dello stesso che fu anche la fonte di Plinio e,<br />

indicativamente, quello che ci eÁ stato conservato parzialmente, anche se corrotto e<br />

modificato, da Aetio d'Amida, da Socrate e Dionisio e nei Kerygmata, oltre che in una o<br />

piuÁ traduzioni in arabo. Tutto cioÁ inserisce la cultura mineralogica di Psello nella migliore<br />

tradizione della scienza greca tab. I), anche se piuttosto tarda e, in una certa misura,<br />

alterata rispetto a quella ellenistica, quando la genialitaÁ scientifica greca raggiunse il suo<br />

massimo fulgore. Ovviamente, la scienza di partenza era totalmente priva di connotazioni<br />

38 ) Comprendono in tutto le recensioni di 386 libri, poiche ognuna scheda si riferisce ad un autore e non ad<br />

un'opera Wilson, 1992: p. 27): 239 sono testi teologici e 147 laici. Nel trarre le conclusioni, al termine della sua<br />

intera opera, Fozio asserisce di avere «esclusi quelli il cui uso e la cui pratica consentono di esercitare le varie arti<br />

e scienze» Wilson, 1992: p. 461), ricordandoci quindi che i suoi interessi erano eruditi e non pratici.<br />

39 ) Omette percioÁ i primi sei libri, sulle vicende dell'Assiria, che peroÁ sono stati tramandati da Diodoro<br />

Siculo Bibliotheca historica, 2.1-32), e prosegue sunteggiando i residui 17 libri in dieci lunghi capoversi. Per<br />

contro, relazionando sull'India, ne sunteggia l'unico libro in ben dieci dei suoi capoversi. Il diverso trattamento<br />

indica, chiaramente, un diverso tipo d'interesse da parte di Fozio e lascia pensare che quanto riporta sull'India<br />

corrisponda molto piuÁ da vicino all'originale perduto Momigliano, 1931). Un breve passo 48b) sembra<br />

addirittura trascritto direttamente dall'originale, avendo per soggetto un «io» che non puoÁ essere altri se non<br />

Ctesia stesso Wilson, 1992: p. 145, nota 2).<br />

40 ) Alchimista alessandrino del III-IV sec. d.C., eÁ il primo autore greco di trattati alchemici di cui<br />

possediamo parte degli scritti autentici.


252 A. MOTTANA<br />

TABELLA I. ± Testi greci e latini di riferimento per ricostruire le influenze mineralogiche e mediche su Michele Psello.<br />

Testo Epoca Autore Lingua Riferimento filologico) Note<br />

Esodo III sec. a.C. ? greco traduzione dall'ebraico<br />

Lithognomon I sec. d.C. in. Senocrate<br />

da Efeso<br />

greco vari: vedi nel testo) solo frammenti<br />

De materia medica ca. 50 d.C. Dioscoride<br />

d'Anazarba<br />

greco Wellmann, 1907-14 completo<br />

Naturalis Historia 77 d.C. Plinio<br />

il Vecchio<br />

latino Conte et al., 1988 completo<br />

Apocalisse ca. 95 d.C. Giovanni<br />

da Patmo?)<br />

greco<br />

Lithica II sec. d.C. in. Orfeo greco Halleux e Schamp, 1985 apocrifo rimaneggiato<br />

fino dopo 372<br />

Kerygmata II - XIV sec. d.C. epitomatore greco Halleux e Schamp, 1985 fusione Lithica + Socrate<br />

bizantino<br />

&Dionisio<br />

De lapidibus I - III sec. d.C. Socrate &<br />

Dionisio<br />

greco Halleux e Schamp, 1985 scritto forse in oriente<br />

De fluviis I sec. d.C. Plutarco greco de MeÂly, 1902 apocrifo forse del III -<br />

IV sec.<br />

<strong>La</strong>pidario nautico III sec. d.C.? Astrampsico greco Halleux e Schamp, 1985 apocrifo bizantino<br />

Papyrus holmiensis post 296 d.C. ? greco Halleux, 1981 traduzionedall'egiziano?<br />

De gemmis 396 d.C. Epifanio greco Blake, 1934 ricostruito da frammen-<br />

di Costanza<br />

ti in varie lingue<br />

De lapidibus V - VI sec. d.C. Damigerone<br />

& Evace<br />

latino Halleux e Schamp, 1985 traduzione dal greco<br />

Libri medicinales VI sec. d.C. Aetio<br />

d'Amida<br />

greco Olivieri, 1935-50<br />

Pharmaca simplicia VII sec. d.C. Paolo<br />

d'Egina<br />

greco Heiberg, 1924<br />

s.n. VII - X sec. pseudo- greco de MeÂly e Ruelle, 1898 compilazione di ricette<br />

Dioscoride<br />

di Dioscoride e di Aetio<br />

Ricettario medico VII - X sec. pseudo- greco de MeÂly e Ruelle, 1898 compilazionedidatid'in-<br />

Ippocrate<br />

certa origine<br />

Bibliotheca IX sec. d.C. Fozio greco Wilson, 1992<br />

pietistiche e solo marginalmente fu rivisitata da Psello sotto il punto di vista cristiano di<br />

uno scrittore bizantino, come poi avverraÁ invece nel poema che il Meliteniote compose<br />

quando l'impero era ormai ridotto alla cittaÁ e a pochi avamposti, ma ancora si crogiolava<br />

nell'orgoglio della sua antica tradizione gloriosa.<br />

5. IL TESTO<br />

Del sapientissimo ed eccellentissimo Psello sui poteri delle pietre<br />

[A] Io non mi arrischierei a ricercare per te le cause dei poteri che [sono] nelle pietre, neÂ<br />

imiteroÁ in questa parte la precipitazione dei dogmatici, [pur] potendo inventare molte cose<br />

[nuove] per ciascuna [di esse]. Al contrario, ti sveleroÁi poteri insiti in ciascuna delle pietre da<br />

noi esaminate accuratamente e [in] quelle che noi uomini prediligiamo soprattutto, affincheÂ<br />

tu li usi nei momenti opportuni e [possa] trarre da esse un vantaggio e, percheÂio tralascio le


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 253<br />

pietre a noi ignote [come] l'onocardio e l'olcade e la spongite, e la limoniate e il lincurio, e la<br />

triglite e il trioftalmio, e il socondio e [la] siringite e lo scisto e tutte quante quelle simili, di<br />

cui conosciamo solo i nomi, senza che tuttavia ci capiti in ogni modo di imbatterci in queste,<br />

cominceroÁ da quelle a noi piuÁ conosciute.<br />

[1] Per incominciare il diamante: questo [minerale] ha un aspetto [superficiale] che<br />

tende al vetro ed [eÁ] lucente, eÁforte e difficile a rompersi; portato appeso al collo fa cessare le<br />

febbri semiterzane.<br />

[2] L'ematite: si chiama cosõÁperche inumidita con acqua lascia apparire una superficie<br />

sanguigna; impastata con acqua guarisce le malattie degli occhi.<br />

[3] L'ametista eÁ d'aspetto simile al giacinto nel colore, ma guarisce i mali di testa e<br />

protegge i bevitori di vino, donde [viene] a questa anche il nome.<br />

[4] Il carbonchio ha la genesi nelle Indie, eÁsomigliante ai carboni, e mentre un [tipo] eÁdi<br />

chiarore femminile, un altro eÁinvece un po' piuÁ scuro; osservato contro sole eÁdi colore rosso<br />

cupo, si trova in montagna [poicheÂ] brilla in risposta ai raggi solari, e gli esperti di pietre lo<br />

conoscono di vario colore, peroÁ non ne sanno le proprietaÁ, e [non] dicono [altro] se non solo<br />

che l'antracite proveniente dal [paese dei] Tesproti, quella che ha meno la lucentezza del<br />

fuoco, cura i mali di testa bruciando presso il malato.<br />

[5] L'agata: eÁvariegata nell'aspetto e traslucida; ed eÁora alquanto pallida, ora rosso-ocra<br />

quella simile alla sarda. Cura i flussi dagli occhi e i mali di testa, trattiene anche il flusso delle<br />

donne ed eÁ antidoto all'idropisia umida e tanto grande ad essa eÁ l'intorno della virtuÁ<br />

disseccante che puoÁ perfino assorbire acqua e svuotare il recipiente.<br />

[6] Il berillo: tre [sono] le forme di questa pietra, e di esse una eÁ olivastra nell'aspetto,<br />

una somigliante al mare, una rilucente per effetti di luce e omogenea e splendente da<br />

lontano. Questa pietra, dunque, cura rigiditaÁ e spasimi e dolori degli occhi e itterizia.<br />

[7] <strong>La</strong> galattite, misteriosamente, eÁpiena di latte: donde, infatti, le [viene] anche il nome; e<br />

provoca l'effusione di latte alle donne, e causa dimenticanza delle cose cattive e ricordo delle<br />

cose belle; eÁ rimedio anche alle ferite degli animali feroci, se appesa [al collo].<br />

[8] L'ambra: alcuna eÁindiana, altra eÁligure; sia gli Sciti sia gli Etiopi vivono con essa; e si<br />

trova presso il fiume Eridano. Taluni anche dicono che eÁproprio la lacrima [= secrezione] di<br />

un qualche albero: eÁ, infatti, leggera e brucia come l'incenso e la mastica [di lentisco]. Portata<br />

appesa [al collo], cura la difficoltaÁ di orinare e manda via le febbri e arresta il flusso di<br />

stomaco; e anche spalmata sugli occhi favorisce l'acutezza della vista.<br />

[9] Il diaspro [eÁ] per natura simile al cristallo, un po' piuÁ carico nel colore; e il [tipo]<br />

migliore eÁ quello che si colora lievemente di purpureo, il secondo quello piuÁ simile al<br />

flegma 41 ) e tendente al bianco, e qualcuno eÁ anche simile all'aria; frena i flussi di testa e<br />

scaccia gli incubi, e si oppone a malattie pestilenziali ed epilettiche. C'eÁanche un diaspro che<br />

somiglia a smeraldo, uno somigliante a neve, e un altro ancora rassomigliante a cervello<br />

d'agnello, di cui finora nessuno conobbe il potere.<br />

41 ) Il flegma eÁ uno dei quattro umori fondamentali della medicina antica, riferiti ai quattro elementi<br />

aristotelici sangue = aria; bile gialla = fuoco; bile nera = terra; flegma = acqua). Non eÁ direttamente riconducibile<br />

a nessuna delle secrezioni reali del corpo umano, anche se spesso il termine si trova tradotto con catarro o muco.


254 A. MOTTANA<br />

[10] Il dattilo ideo ha origine nel [monte] Ida di Creta ed eÁ, nella forma, somigliante a<br />

un dito pollice, [mentre] nell'aspetto [eÁ] ferrigno. Questa pietra eÁ la piuÁ giusta di tutte le<br />

pietre: porta infatti a termine le procreazioni generate da unioni giuste, e manda invece in<br />

rovina quelle inique e illegali.<br />

[11] Il cristallo assomiglia ad acqua pura, ma, surriscaldato ad opera del sole, prende<br />

l'aspetto di ametista, e [se l'aspetto] eÁ volto allo scuro diventa simile a diaspro. Questa<br />

[pietra] sfregata tiene lontani i tremiti e gli indebolimenti dei tendini.<br />

[12] <strong>La</strong> licnite: una [varietaÁ] eÁsimile al guscio di una conchiglia, e una diventa purpurea<br />

mentre un'altra eÁ trasparente; appesa al collo cura le cecitaÁ notturne, e frena i flussi degli<br />

occhi [quando eÁ] posta attorno alla fronte in una fettuccia di lino.<br />

[13] <strong>La</strong> pietra magnete eÁnera e pesante e irregolare; e mentre una [varietaÁ] attira il ferro,<br />

un'altra [lo] respinge; sciolta poi con latte fa la vista acuta e cura l'umor nero.<br />

[14] L'onice eÁ piuttosto grande, cosõÁ che gli Indiani [possono] intagliare da qui<br />

anche piedi di letto; sospeso verso i raggi del sole rivela all'interno un molteplice<br />

aspetto: infatti uno [eÁ] nero come il carbone, un [altro] nero scuro, uno carnicino;<br />

disciolto frena visioni notturne, e sfregato daÁ sollievo ai denti che hanno un flusso [=<br />

pus?].<br />

[15] Lo zaffiro arresta i flussi degli occhi [quando eÁ] eÁapplicato attorno alla fronte; cura<br />

ulcerazioni [quando eÁ] bevuto insieme col latte; eÁsia disseccante sia astringente sia contrario<br />

alle febbri acute.<br />

[16] Sardonica: questa pietra ha a metaÁ una traccia bianca; ed eÁ sia d'un solo colore sia<br />

variamente colorata; e mentre quella d'un solo colore cura i flussi degli occhi e [portata]<br />

legata alla vita trattiene lo scivolamento dei feti [= l'aborto], quella variopinta, invece,<br />

[portata] appesa aiuta i malinconici.<br />

[17] <strong>La</strong> selenite: si chiama cosõÁ perche avendo una specie di occhio mostra questo<br />

cresciuto e diminuito insieme con le [fasi] crescenti e calanti della luna.<br />

[18] Lo smeraldo eÁ [di colore] simile al porro e lievemente tendente al dorato e<br />

mostrante anche un po' di colore glauco [= verdazzurro]; e lo generano l'Etiopia e l'Egitto e<br />

la Persia e qualche montagna dell'Attica. Lo stesso, impastato con acqua come cataplasma,<br />

daÁ beneficio ai malati di elefantiasi, e bevuto con acqua frena le perdite di sangue.<br />

[19] Giacinto. Questo genera la [terra] degli Indiani; ed eÁ dell'aspetto del mare; e cura i<br />

gonfiori [dovuti all'aria] e le fratture e fa cessare l'umor nero bevuto con aceto.<br />

[20] Crisolito [eÁ] un antidoto a tutti i malanni degli occhi.<br />

[21] Criselettro: questa [pietra] portata attorno al collo spegne le febbri.<br />

[22] Crisoprasio: questa [pietra] portata attorno ai polsi procura vista acuta, e cura gli<br />

stomaci che soffrono di bruciori ed evacua i gonfiori.<br />

[23] Calazia: questa [pietra] eÁ bianca e dura e simile a un piccolo cristallo. Attaccata<br />

attorno [alla vita?] cura i colpi degli scorpioni.<br />

[24] <strong>La</strong> pietra topazio eÁ trasparente, pressoche identicaalvetro; eÁ generata [in<br />

qualche parte del] golfo Arabico in un'isola di mare aperto, e di giorno non si vede: il<br />

sole, infatti, ne nasconde lo scintillio; mentre di notte brilla da lontano. Ed eÁ trovata<br />

ruvida e irregolare, ma eÁ levigata con strumenti fatti a regola d'arte. Questa [pietra]<br />

tritata e bevuta cura coloro che delirano; ma fa lo stesso anche [se eÁ] appesa [al collo].


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 255<br />

[Z] Di questi poteri [insiti] nelle pietre, molti pensarono di dare le cause: dei saggi<br />

piuÁ antichi Anassagora ed Empedocle e Democrito e di coloro [vissuti] non molto prima<br />

di noi Alessandro d'Afrodisia, uomo dispostissimo a parlare chiaramente su tutte le cose,<br />

persino dei segreti della natura. A te sia [di] bastevole [utilitaÁ] il potere e la forza<br />

[attiva] di ciascuna delle pietre: lascia tra i tesori su [in cielo] le ragioni di loro e le<br />

cause.<br />

6. COMMENTO: NOMI E IDENTITA Á DELLE PIETRE DI PSELLO<br />

Psello espone le pietre secondo un ordine 42 ) che non appare razionalizzabile in alcun<br />

modo, ne secondo le norme dell'epoca ne sulla base dei principi sistematici attuali tab. II): le<br />

prime diciotto pietre che descrive sono in ordine alfabetico pur se con ampie lacune, se le<br />

confrontiamo ± ad esempio ± con le 60 gemme del lapidario di Damigerone ed Evace: cf.<br />

Halleux e Schamp, 1985: pp. 230-290), le ultime cinque in un ordine approssimativamente<br />

inverso rispetto alle ultime lettere dell'alfabeto greco. Tra il primo e il secondo gruppo, inoltre,<br />

mancano i nomi di numerose pietre che pure gli dovevano essere note perche sonocitatein<br />

varie fonti bizantine 43 ). <strong>La</strong> sequenza adottata da Psello non eÁ confrontabile con quelle<br />

contenute in testi greci tardi come quelli attribuiti a Orfeo, Socrate e Dionisio e Damigerone-<br />

Evace e non appare razionalizzabile ne per confronto con la tradizione, ne in nessun'altra<br />

forma. Addirittura, l'ultima pietra descritta il topazio) inizia con la lettera T, che nella chiesa<br />

greca indica la croce e che era usata spesso in chiusura di testi di cui che si voleva affermare la<br />

correttezza sotto l'aspetto della dottrina cristiana 44 ).<br />

Pertanto non vi eÁ alcuna maniera apparente di esporla ora se non ripetendola tal quale<br />

oppure nell'ordine alfabetico esatto. Tuttavia, prima di arrivare a quest'ultimo, che eÁ<br />

comodo e pratico, ma eÁ per se stesso un riconoscimento d'inettitudine, si puoÁ tentare di<br />

avvalersi delle descrizioni contenute nel suo scritto per proporre identificazioni su basi<br />

moderne, almeno per quanto cioÁ eÁ possibile Hiller, 1931). Purtroppo, infatti, le<br />

descrizioni di Psello sono sempre molto concise e in alcuni casi mancano del tutto 45 ).<br />

Di conseguenza, questo processo di razionalizzazione su basi diagnostiche implicheraÁ la<br />

42 ) Psello scriveva mille anni dopo Dioscoride, l'unico scienziato greco a noi noto che abbia tentato di<br />

raggruppare i minerali secondo un ordine logico basato sull'effetto fisiologico della medicina per la quale li<br />

utilizzava e quindi, sostanzialmente, sul catione in essi contenuto e prevalente Riddle, 1985: p. 147). Il metodo di<br />

Dioscoride, puramente empirico ma efficace per la medicina, non fu per niente capito dai suoi successori, che si<br />

affrettarono a produrre una nuova versione del De materia medica secondo l'ordine alfabetico delle piante e dei<br />

minerali. <strong>La</strong> versione alfabetica soppiantoÁ quella originale e fu molto piuÁ diffusa di questa durante tutto il<br />

Medioevo, anche se la fortuna ha voluto che quella originale ci sia stata conservata cf. Mottana, 2002).<br />

43 ) <strong>La</strong> tabella II riporta tra parentesi, dopo le pietre descritte da Psello nel testo in esame, anche quelle che<br />

egli menziona ma non descrive, in questa come pure in altre sue opere.<br />

44 ) Devo questa osservazione, di carattere storico-letterario, ma anche simbolico in senso cristiano secondo<br />

usi a me non familiari, all'acume del Prof. Massimo Peri.<br />

45 ) Mi riferisco, in particolare, alle ultime cinque pietre quelle in ordine alfabetico inverso), delle quali<br />

Psello fornisce solo le presunte proprietaÁ terapeutiche, trascurando completamente le descrizioni dei caratteri<br />

oggettivi.


256 A. MOTTANA<br />

TABELLA II. ± Confronto tra nomenclature mineralogiche: greca di Psello, latina di Plinio, italiana approssimativamente<br />

traslitterata e la relativa interpretazione moderna.<br />

N. Psello Plinio Trascrizione Identificazione<br />

1 a$ da* maQ adamas diamante corindone «leucozaffiro»<br />

2 ai< mati* thQ haematitis ematite ematite<br />

3 a$ me* uysoQ amethystis ametista quarzo «ametista»<br />

4 a> nuraj carbunculus carbonchio corindone «rubino»<br />

5 a$ xa* thQ achates agata quarzo «agata»<br />

6 bh* rylloQ berullus berillo berillo tre varietaÁ)<br />

7 galakti* thQ galactitis galattite zeolite?<br />

8 h> lektron succinum succino, ambra ambra<br />

9 i> aspiQ iaspis diaspro diaspro<br />

10 i$ dai& oQ da& ktyloQ idaeus dactylus dattilo ideo rostro di belemnite<br />

11 kry* stalloQ crystallus cristallo quarzo «cristallo di rocca»<br />

12 lyxyi* thQ lichnis licnite tormalina rossa?<br />

13 ma* gnhQ li* uoQ magnes magnete roccia a magnetite<br />

14 o> vyj onyx onice onice<br />

15 sa* pWeiroQ sappirus zaffiro lapislazzuli<br />

16 sardv* nyj sardonyx sardonica sardonica<br />

17 selhni* thQ selenitis selenite ortoclasio «lunaria»<br />

18 sma* ragdoQ smaragdus smeraldo smithsonite<br />

19 y< a* kinuoQ hyacinthus giacinto zircone rosso<br />

20 xruso* liuoQ chrysolithus crisolito forsterite «crisolito»<br />

21 xrysh* lekroQ chryselectrum criselettro ambra gialla<br />

22 xryso* prasoQ chrysoprasum crisoprasio quarzo «crisoprasio»<br />

23 xalazi* aQ chalazias calazia diamante?<br />

24 topa* zion topazum topazio forsterite «peridoto»<br />

25 anuraki* thQ anthracitis antracite carbone «antracite»<br />

26 o$ noka* rdioQ) onocardia onocardio ?<br />

27 o< lka* Q) Ð olcade ?<br />

28 spoggi* thQ) spongitis spongite spicola di spugna<br />

29 leimvnia* thQ) limoniatis limoniate pietra verde?<br />

30 lygkoy* rioQ) lyncurium lincurio tormalina rossa<br />

31 trigli* thQ) triglitis triglite ?<br />

32 trio* WtalmoQ) triophtalmos trioftalmo onice «triocchiato»<br />

33 soko* ndioQ) socondios socondio quarzo «ametista» rossastro<br />

34 syriggi* thQ) syringitis siringite stalattite<br />

35 sxisto* Q) schistos scisto scisto<br />

36 gaga* thQ) gagates gagate giaietto<br />

generazione di una nuova sequenza di nomi che saraÁ sõÁ impostata e commentata secondo i<br />

principi sistematici moderni, ma saraÁ comunque arbitraria rispetto alla sequenza originale<br />

e ± quasi sicuramente ± agli intendimenti dell'autore.<br />

Ho deciso, comunque, di basarmi su quanto descritto da Psello, di costruire in base a<br />

questo l'identificazione piuÁ oggettiva possibile in termini moderni e di rifarmi al sistema<br />

mineralogico piuÁ recente, che eÁ basato sulla cristallochimica e che, pertanto, non presenta<br />

nessuna relazione scientifica con le conoscenze che potevano avere gli studiosi del XI sec.<br />

d.C. o le loro fonti, ma ha il vantaggio di essere condivisibile da tutti allo stato attuale delle<br />

conoscenze scientifiche. Si tratta della classificazione sistematica impostata da Hugo<br />

Strunz nel 1942, non secondo la versione iniziale, ma secondo la versione attualizzata da<br />

lui stesso Strunz e Nickel, 2001). Su queste stesse basi concettuali si basa, sostan-


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 257<br />

zialmente anche se non ufficialmente, il sistema adottato dalla International Mineralogical<br />

Association I.M.A.) per il riconoscimento delle nuove specie minerali. In base a questa<br />

classificazione, peroÁ , delle pietre descritte da Psello solo 15 risultano essere autentiche<br />

specie minerali; altre quattro sono semplici varietaÁ microcristalline colorate di quarzo, una<br />

eÁ una concrezione e due addirittura sono rocce. Psello descrive, inoltre, almeno due<br />

materiali organici che non rientrano in nessuna classificazione mineralogica moderna e nel<br />

suo elenco piuÁ di una pietra eÁ veramente ardua da classificare, poiche la descrizione che<br />

l'accompagna non solo non eÁ determinante per una identificazione corretta, ma non eÁ<br />

neppure sufficiente per avanzare un'interpretazione approssimativa.<br />

6.1. Diamante = corindone ialino) n. 1, rr. 14-16). Le caratteristiche fisiche indicate<br />

da Psello indicano che, sicuramente, egli non si rifaÁ allo a$ da* maQ o «adamante» di<br />

Platone 46 ) Timaeus, 59b-c), ma che si riferisce piuttosto a una pietra limpida e<br />

trasparente: forse eÁ la stessa dell'attuale, ma a quell'epoca si trattava ancora, piuÁ<br />

probabilmente e come nella maggior parte dei casi citati dagli autori classici, di corindone<br />

ialino, chiamato anche «leucozaffiro» Al2O3-R 3c). Questa gemma presenta le<br />

caratteristiche d'elevata durezza 9 nella scala di Mohs), di tenacitaÁ dovuta all'assenza<br />

di sfaldatura), di trasparenza ed inoltre di buona lucentezza citate da Psello, per cui ha<br />

potuto essere usata, per molto tempo e fino al secolo scorso, come imitazione del<br />

diamante 47 ). <strong>La</strong> sua lucentezza, peroÁ, eÁ nettamente inferiore a quella del diamante, col<br />

risultato che il corindone ialino, anche di ottima qualitaÁ, ha un aspetto vitreo e privo di<br />

fuoco pur se la sua birifrangenza eÁ notevolmente elevata Mottana et al., 1977: n. 65;<br />

Webster, 1994: pp. 101-103).<br />

In un simile contesto oggettivo, quindi, interpreto il termine xroia* in modo diverso<br />

dal Galigani 1980: p. 76): a mio parere Psello non intendeva riferirsi al colore della<br />

pietra 48 ), bensõÁ alla sua apparenza aspetto) esteriore. CosõÁ, del resto, intendevano il<br />

colore i pitagorici Aetio 1, 15, 2, Diels, 1929 2 : p. 313; cf. anche Aristotele, De sensu<br />

439a30: pelle). <strong>La</strong> pietra, quindi, di qualunque specie mineralogica essa sia realmente, eÁ<br />

descritta da Psello come vitrea e lucente senza una specificazione cromatica, anche se il<br />

colore, di fatto, eÁ una delle sue caratteristiche piuÁ immediatamente percettibili. Psello<br />

stesso, nel capitolo del suo zibaldone De omnifaria doctrina Mussini, 1990: § 89)<br />

46 ) Si tratta o di un acciaio Barb, 1969) o di una lega metallica del tipo Fe+PGM = «platinum group<br />

metals») non di origine naturale, ma che residua nel crogiolo dopo il trattamento di raffinazione dell'oro con cui<br />

era in lega Mottana e Napolitano, 1997: p. 178).<br />

47 ) Fino agli anni `50 questi corindoni erano tagliati a brillante oppure a rosetta. Quando non erano fatti<br />

passare per diamanti, essi erano commercializzati come pietra sostitutiva col nome di «zaffiro d'acqua».<br />

48 ) A maggior ragione, quindi, non le attribuisco la specifica di «verde», come nella traduzione del Galigani<br />

1980: p. 77), che non compare nel testo greco: probabilmente il Galigani eÁ stato tratto in inganno dall'aggettivo<br />

y< eli* zoysan, che sta per vitreo traslucido e non per verde bottiglia. Quest'ultima sfumatura non avrebbe nessuna<br />

motivazione ne scientifica ne storica, poiche eÁ molto rara tanto nel corindone quanto nel diamante. Plinio,<br />

accenna alla tonalitaÁ rossastra solo per alcuni diamanti degeneri: forse si trattava quarzi. Volk 1990: p. 139)<br />

traduce «schimmernde Farbe», quindi accetta che Psello parli di colore, ma solo in quanto luccicante.


258 A. MOTTANA<br />

intitolato Peri+ xrvma* tvn ossia «sui colori», definisce il colore come una proprietaÁ<br />

visibile della superficie dei corpi, in cioÁ riferendosi non tanto ai pitagorici 49 ), quanto<br />

piuttosto a Platone Timaeus 67C-68D) di cui era seguace nella filosofia e grande<br />

ammiratore. Nei due rinvii citati dal Galigani 1980: p. 94) a sostegno della sua<br />

traduzione, inoltre, si parla non di xroia* ,madixrv* ma: questo sõÁ, indiscutibilmente, eÁ<br />

il colore e questo, infatti, eÁ il termine usato da Psello quando vuole indicare proprio il<br />

colore r. 95). Plinio si diffonde sul diamante, che considera gemma «regale», cioeÁ quella<br />

di piuÁ alto valore 37.55-61); non fa, peroÁ , riferimento a nessun autore greco e tanto meno<br />

a Senocrate, ne accenna a un suo uso in Medicina. Quanto alle proprietaÁ profilattiche<br />

indicate da Psello, per certo esse non sono tratte da Dioscoride che di diamante non parla<br />

per nulla), ma da un qualche scritto greco tardo e rielaborato in un contesto magico o<br />

asiatico o egizio: ha, infatti, una connotazione chiaramente superstiziosa d'ascendenza<br />

orientale la prescrizione di portare la pietra appesa al collo come un amuleto per farle<br />

sviluppare al meglio la propria efficacia di antidoto contro le febbri malariche. L'Ullmann<br />

1972b: p. 63), infine, richiama l'attenzione su un passo di al-QazwõÅnõÅ 50 ) che, senza citare<br />

la sua fonte, riferisce che il diamante incide l'incudine su cui eÁ colpito col martello quasi<br />

negli stessi termini di Girolamo Commentarii in Amos propheta, 3.7: Migne, 1857: t. XXV,<br />

col. 1075). Questi, come abbiamo giaÁ visto, l'attribuiva a Senocrate. Questa informazione<br />

errata non viene ripresa da Psello: cioÁ puoÁ forse confermare che egli avesse verificato<br />

sperimentalmente che eÁ falsa, vale a dire che egli abbia effettivamente eseguito quei<br />

controlli che afferma nell'introduzione al trattatello r. 5). Il termine a$ da* maQ ricorre in<br />

quasi tutti i lapidari antichi, con varie descrizioni ed accezioni che sembrano indicare piuÁ<br />

una citazione per sentito dire che una conoscenza diretta. Raramente ha implicazioni<br />

mediche, fuorche nel lapidario di Damigerone-Evace 3, Halleux e Schamp, 1985: pp.<br />

238-239) in cui gli si attribuisce il potere di allontanare gli incubi notturni.<br />

6.2. Carbonchio = corindone «rubino»?) n. 4, rr. 23-31). Questo termine antiquato<br />

traspone male) in italiano il carbunculus di Plinio 37.92), che eÁ la traduzione di a> nuraj.<br />

<strong>La</strong> pietra descritta da Psello eÁ di difficile identificazione, anche perche nell'antichitaÁ uno<br />

stesso nome era usato per pietre diverse che avessero tutte l'aspetto di un tizzone ardente,<br />

anche quando non potevano essere confuse tra loro 51 ) per altre proprietaÁ. GiaÁ Plinio,<br />

infatti, distingueva il carbonchio in «maschio» e «femmina» 37.93) sulla base del colore<br />

piuÁ o meno scuro che presentava, e chiaramente intendeva due pietre tra loro diverse. CioÁ<br />

nonostante, eÁ pressoche impossibile un'univoca assegnazione del carbonchio di Psello a<br />

una delle specie mineralogiche attuali: potrebbe trattarsi di un granato piropo o di uno<br />

spinello «balascio» o, ancora, di un corindone Harden, 1960). L'identificazione piuÁ<br />

49 ) Se cosõÁ fosse, eÁ probabile che li conoscesse tramite Plutarco Placita, 1.15), che li cita espressamente.<br />

50 ) Studioso arabo di scienza naturale e di filosofia morto nel 1283 d.C.<br />

51 ) Certe limitazioni di vocabolario, in latino e in greco, non sono rare. Ad esempio: Teofrasto usa il nome<br />

xalko* Q indifferentemente per rame e bronzo, salvo poi precisare il primo con l'aggettivo e$ ryuro* Q, rosso<br />

Mottana, 2001: p. 145); Plinio usa lo stesso sostantivo plumbum per piombo e stagno e per marcare la<br />

distinzione tra i due metalli fa ricorso ad aggettivi: nigrum per il Pb ed album per lo Sn Mottana, 1999: p. 183).


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 259<br />

comunemente accettata eÁ col «rubino» varietaÁ cromifera di corindone, Al2O3-R 3c, di<br />

colore rosso vivace), ma cioÁ solo per l'aspetto, che Psello precisa esser simile al carbone<br />

ardente, cioeÁ brillante e vivace, perche non eÁ degna di affidamento la sua affermazione che<br />

proviene dalle Indie. E Á ben vero che Ceylon Sri <strong>La</strong>nka) era ed eÁ una delle principali fonti<br />

di «rubini», ma il termine «Indie», giaÁ nell'antichitaÁ classica e, quindi, sicuramente anche<br />

in epoca bizantina), stava a identificare indifferentemente tutti i paesi asiatici meridionali<br />

ad Est della Persia, dove sono estremamente diffusi anche spinelli e granati. CioÁ<br />

premesso, questo passo deve comunque essere analizzato con cura poiche eÁ critico per<br />

l'individuazione della fonte di Psello vedi sopra). Presenta una stretta corrispondenza col<br />

testo di Plinio 37.92-98) e si presume che derivi dalla stessa fonte, e tuttavia Plinio non<br />

accenna a Senocrate, ma riferisce solo che le osservazioni da cui trae il suo racconto sono<br />

di Teofrasto, Callistrato e Archelao. Teofrasto, in realtaÁ, nel descrivere lo a> nuraQ De<br />

lapidibus, II. 18; Mottana e Napolitano, 1997: pp. 180-183 52 )), ne cita tre possibili<br />

provenienze, ma le specifiche che ne daÁ sono abbastanza equivoche e possono adattarsi sia<br />

al granato sia al corindone. Fa eccezione la varietaÁ che egli chiama «milesia» III. 19), che eÁ<br />

sicuramente «rubino» poicheÂ, oltre ad essere incombustibile, si presenta in cristalli<br />

esagonali angolosi. Quanto a Callistrato e Archelao, non sappiamo nulla delle loro<br />

conoscenze fuorche quanto eÁ riportato da Plinio 37.94-95): che i carbonchi presentano<br />

un elevato splendore e un colore variabile dal bianco candido al rosso intenso. E Á<br />

decisamente troppo poco per arrivare a una diagnosi tra le tre specie mineralogiche.<br />

L'analisi del passo di Psello evidenzia, ad ogni buon conto, alcune peculiaritaÁ. Anzitutto,<br />

egli esordisce citando la provenienza della pietra: caso abbastanza raro sette volte nel<br />

corso del trattatello), ma che gli permette, poi, di fare luce sulla differenza che esiste tra il<br />

carbonchio cui fa riferimento e un altro tipo, che gli eÁ simile solo nominalmente: questa<br />

pietra eÁ, infatti, l'antracite nome che dal greco «antrace» eÁ in diretta derivazione), che<br />

proviene da tutt'altra localitaÁ come la Tesprozia Plinio, 37.99). GiaÁ Psello era pienamente<br />

conscio, dunque, che l'antracite eÁ un'altra pietra, perche egli stesso osserva che, in<br />

contrasto al «rubino» che eÁ assolutamente refrattario al calore, essa eÁ combustibile 53 ),<br />

al punto da poter servire per suffumigi contro il mal di testa. Qui sta la seconda peculiaritaÁ<br />

del passo: nella sua citazione del carbonchio p.d. Psello non cita nessuna «virtuÁ » della<br />

pietra o meglio, afferma che non eÁ in grado di farlo perche gli «esperti di pietre» non gliene<br />

forniscono la possibilitaÁ, non essendo loro stessi in grado di precisarne nessuna. Se<br />

l'esperto che fu la sua fonte era effettivamente Senocrate, costui, evidentemente, doveva<br />

aver reperito informazioni sui caratteri esteriori dai tre autori ripresi poi da Plinio, ma non<br />

era a conoscenza ne del «<strong>La</strong>pidario nautico» Halleux e Schamp, 1985: pp. 181-189), rara<br />

opera di chiara derivazione astrologica orientale attribuita ad un mago di nome<br />

52 ) Nel citare Teofrasto, mi riferisco sempre, per il greco, all'edizione critica curata dall'Eichholz 1965) e<br />

per la traduzione italiana a quella effettuata sulla base di questa da Michele Napolitano in Mottana e<br />

Napolitano, 1997). Al mio commento, invece, si riferisce l'eventuale indicazione di pagina che segue.<br />

53 )E Á quindi insostenibile la sua identificazione col «rubino spinello» proposta dal Galigani 1980: p. 100),<br />

perche anche lo spinello rosso eÁ refrattario e incombustibile.


260 A. MOTTANA<br />

Astrampsico 54 ), dove si afferma cap. 1) che il portare il carbonchio impedisce di affogare<br />

in caso di naufragio, ne del Satiricon di Petronio m. 66 d.C.), dove al carbonchio eÁ<br />

attribuita le virtuÁ di evidenziare l'onestaÁ femminile cap. 55). Questa presunta proprietaÁ,<br />

anche se ignota a Senocrate, avrebbe dovuto esserlo a Plinio, che certamente aveva conosciuto<br />

Petronio di persona e ne aveva forse letto il libro, ma poteva non essere mai arrivata a<br />

Costantinopoli all'attenzione di Psello che, per quanto coltissimo, non conosceva la letteratura<br />

latina profana per il semplice fatto che, quasi sicuramente, non intendeva il latino.<br />

6.3. Ematite n. 2, rr. 17-19). <strong>La</strong> mia interpretazione di xroia* nel senso di aspetto<br />

superficiale cf. 6.1) mi condiziona nel dare un significato moderno ai caratteri di questa<br />

pietra cosõÁ come essi sono descritti da Psello e mi porta a conclusioni diverse da quelle del<br />

Galigani 1980: p. 77): non di un'emissione di colore da parte di essa si tratta, se bagnata,<br />

ma di un'evidenziazione del suo colore proprio, che eÁ il rosso, dovuta all'attenuazione<br />

della riflessione diffusa, che si verifica quando l'acqua che impregna la pietra ne livella le<br />

asperitaÁ di superficie, soprattutto se rotta di fresco. E Á ben noto, infatti, che l'ematite eÁ<br />

allocromatica: nera o bruno scura in massa, diventa rosso sangue o rosso ciliegia scuro una<br />

volta ridotta in polvere o alla prova dello striscio: Mottana et al., 1977: n. 66), cosõÁ come eÁ<br />

ben noto che il colore di una lastra di pietra bagnata appare piuÁ vivace di quello della<br />

stessa lastra quando eÁ asciutta. Quanto all'utilitaÁ della sospensione d'ematite<br />

minutamente polverizzata in acqua per la cura delle malattie degli occhi, essa eÁ motivata<br />

forse dal fatto che l'intruglio presenta proprietaÁ astringenti e depurative, come Dioscoride<br />

conferma anche per altre applicazioni De materia medica, 5.126 55 )). Questa<br />

interpretazione eÁ rafforzata dal fatto che anche Senocrate, probabile fonte di Psello, in<br />

un frammento sopravvissuto in arabo che mostra molte corrispondenze con i testi di<br />

Plinio e di Dioscoride fr. 3 in Ullmann, 1972b: pp. 55-58), sostiene che essa serve a<br />

contenere l'orina e come antidoto ai veleno dei serpenti, oltre ad essere efficace contro le<br />

emorragie. Va aggiunto che Senocrate riporta anche alcune osservazioni sull'uso della<br />

«ruggine di ferro» come farmaco fr. 4 in Ullmann, 1972b: p. 58), senza peroÁ rendersi<br />

conto, probabilmente a causa della marcata differenza d'origine del materiale, che si tratta<br />

di ematite polverizzata e mischiata con limonite. Si noti, inoltre, che Psello sembra<br />

conoscere solo una delle numerose indicazioni mediche presenti nel Lithica attribuito a<br />

Orfeo vv. 642-690: Halleux e Schamp, 1985: pp. 117-119; cf. Bianco, 1992: pp. 94-<br />

96) 56 ), appunto la prima: che l'ematite, se «sciolta» in acqua e usata per abluzioni, eÁ utile<br />

54 ) L'esistenza di un mago di questo nome, che sarebbe vissuto a cavallo dell'era volgare, eÁ attestata da<br />

Diogene <strong>La</strong>erzio II sec. d.C.) e dalla Suda X sec.): cf. Halleux e Schamp 1985: p. 183, nota 6). L'opera<br />

pervenutaci eÁ stata, in ogni caso, rielaborata nel testo per un paio di secoli almeno.<br />

55 ) Tutti i miei rinvii a Dioscoride fanno riferimento all'edizione del De materia medica curata dal Wellmann<br />

1906-14), che ho integrato con la traduzione italiana commentata di Pietro Andrea Mattioli 1557). Dove<br />

possibile, ho fatto riferimento alle figure dell'antico codice miniato di Anicia Giuliana Mazal, 1998).<br />

56 ) Non conosce bene neppure quelle riassunte nei Kerygmata, che per questa parte ne sono i derivati 22,<br />

Halleux e Schamp, 1985: p. 164; Bianco, 1992: p. 122). Sulla datazione e sul modo in cui si sono formati i<br />

Kerygmata si veda piuÁ oltre.


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 261<br />

contro le oftalmie. Vale la pena di ricordare, a questo punto, che il Lithica eÁ un poema in<br />

esametri composto prima del II sec. d.C., ma rimaneggiato piuÁ tardi, almeno fino a dopo il<br />

372 d.C. contiene un'allusione alla persecuzione dei filosofi neoplatonici ordinata<br />

dall'imperatore Valente in quell'anno: Halleux e Schamp, 1985: p. 52). Non se ne hanno<br />

tracce sicure in epoca bizantina prima del XII sec., quando fu commentato in vari punti<br />

da Giovanni Tzetze Halleux e Schamp, 1985: p. 68), per cominciare ad essere poi diffuso<br />

realmente solo nel XV sec., ad opera dell'erudito bizantino Demetrio Mosco, fuggiasco in<br />

Italia nel 1470 e vissuto almeno fino al 1517, quando ne pote dare alle stampe l'editio<br />

princeps. Tutta la tradizione manoscritta e quella a stampa successiva dipendono<br />

pesantemente da un intervento che contaminoÁ il poema in modo arbitrario e che si<br />

ritiene sia stato opera, appunto, del Mosco. Fanno eccezione un codice Ambrosianus<br />

B120) e un frammento Vaticanus graecus 915, f. 23r, noto anche come Excerpta<br />

Vaticana), che sono piuttosto tardi e tuttavia precedenti al gruppo di codici sul quale si<br />

basa l'edizione critica Halleux e Schamp, 1985: pp. 82-123). E Á , quindi, solo a titolo<br />

d'ipotesi che Halleux e Schamp 1985: p. 70) sostengono che la trascrizione del poema<br />

dalla scrittura capitale a quella in lettere minuscole sarebbe stata fatta per interessamento<br />

di Psello: l'eventuale testimonianza di cioÁ potrebbe essere, forse, il frammento vaticano<br />

che eÁ dell'inizio del XIV sec.), dei cui otto gruppi di versi rimasti peroÁ solo tre, molto<br />

brevi 5 esametri in tutto), riguardano la parte mineralogica. Anche il codice ambrosiano<br />

manca dell'inizio, ma contiene quasi tutta la parte mineralogica, pur presentando lacune<br />

ed errori che fanno comprendere come l'originale da cui eÁ stato copiato, anche se<br />

malridotto e lacunoso, era giaÁ in minuscole Abel, 1881). L'intervento del Mosco, quindi,<br />

riguarderebbe l'introduzione e una digressione iniziale di natura bucolica con elementi<br />

ermetici, mentre la parte mineralogica sarebbe in gran parte riferibile all'originale antico,<br />

che trasmetteva i segreti del saggio Teodamante 57 ), pieni di implicazioni magiche<br />

orientali, e gli insegnamenti di Eleno, pure essi pieni di poteri divinatori, ma anche di<br />

indicazioni profilattiche soprattutto contro i rischi creati dai serpenti. Delle pietre citate<br />

da Psello, oltre all'ematite, il Lithica di Orfeo menziona agata, galattite, diaspro, cristallo,<br />

licnite, magnete e topazio, suggerendone capacitaÁ terapeutiche molteplici, di cui quasi<br />

nessuna trova peroÁ riscontro in Psello, mentre le descrizioni sono spesso compatibili. Nel<br />

complesso, dunque, che Psello conoscesse il Lithica appare tutt'altro che certo. Se ci si<br />

basa sul breve passo dedicato all'ematite, bisognerebbe peroÁ concludere che Psello o<br />

conosceva poco il libro di Senocrate oppure ne estraeva le notizie mediche a caso. Quanto<br />

ci hanno tramandato gli Arabi fr. 3 in Ullmann, 1972b)eÁ molto di piuÁ : non solo gli usi in<br />

medicina sono molto piuÁ numerosi, ma vi sono indicate applicazioni di tipo magico e<br />

57 ) Figura mitologica, definito figlio di Priamo e per questo diventato oggetto, assieme all'intero poema,<br />

dell'analisi di Giovanni Tzetze, che fu il primo ad attribuirlo ad Orfeo nel suo commento all'Iliade Leone, 1968).<br />

Anche Eleno eÁ figlio di Priamo e ha un ruolo importante nel poema perche usa una pietra per alleviare le<br />

sofferenze di Filottete. Insieme alla metrica ed alla lingua raffinate, queste reminiscenze mitologiche hanno<br />

convinto i commentatori della grande antichitaÁ del poema, cosõÁ che ne hanno attribuito la composizione della<br />

maggior parte quella essenziale) al periodo d'oro dell'epica alessandrina II-III sec. a.C.), pur riconoscendovi<br />

rimaneggiamenti fino al IV sec. d.C.


262 A. MOTTANA<br />

perfino forme d'uso pratico come quella di macinarla sulla cote. Che fosse considerata<br />

utile per la cura delle malattie degli occhi lo conferma il lapidario di Damigerone-Evace<br />

9: Halleux e Schamp, 1985: pp. 245-246), che peroÁ la stima efficace anche per le<br />

emorragie e le prostatiti.<br />

6.4. Magnete = calamita: roccia a magnetite) n. 13, rr. 75-77). Colore, pesantezza e<br />

capacitaÁ di attrarre il ferro rendono immediatamente riconoscibile questa pietra, che non eÁ<br />

un minerale singolo, ma un aggregato di prevalente magnetite Fe 3+ [Fe 2+ Fe 3+ ]O 4-Fd3m)in<br />

una matrice qualsiasi, per lo piuÁ silicea. <strong>La</strong> sua proprietaÁ attrattiva eÁ conosciuta dalla piuÁ<br />

remota antichitaÁ e, secondo Aristotele De anima, I.2, 405a), era giaÁ stata descritta da Talete<br />

VI sec. a.C.), il che, nella visione dei Greci, equivaleva a richiamare i primordi della<br />

Scienza. Psello ne poteva trovare conferma in molti scrittori della grecitaÁ classica ed anche,<br />

per un periodo piuÁ vicino a lui, in Fozio Bibliotheca, 215ë, Wilson, 1992: p. 370). PiuÁ<br />

problematica eÁ invece la sua frase sulla proprietaÁ repulsiva. Il testo indica una contrapposizione<br />

o< me+ ntiQ... o< de+ ), ma non dice tra che cosa. Seguendo il Galigani 1980: p. 79) e il<br />

Volk 1990: p. 144) ho scelto di interpretarla come contrapposizione tra tipi varietaÁ),anche<br />

se cioÁ non ha senso fisico, ma potrebbe trattarsi anche di una contrapposizione di poli,<br />

essendo il magnetismo appunto caratterizzato da due polaritaÁ Wallace, 1996). Il comportamento<br />

magnetico della calamita eÁ stato spiegato solo in epoca moderna e sarebbe<br />

improprio cercare di forzare il testo di Psello a indicarne un'intuizione non altrimenti<br />

documentata da lui neppure in un testo descrittivo di stranezze naturali come il De<br />

incredibilibus lectionibus. <strong>La</strong> denominazione ma* gnhQ li* uoQ usata da Psello non corrisponde<br />

a quella classica magnh& tiQ) ne nella grafia ne nel genere. Sembra essere un'innovazione<br />

lessicale entrata in uso in epoca greco-romana Goltz, 1972: p. 174): eÁ attestata, infatti, a<br />

partire dalla versione in prosa del lapidario orfico 58 )Kerygmata, 11: in Halleux e Schamp,<br />

1985: p. 153) e anche in questa solo come variante alternativa al termine classico e, quindi,<br />

non ancora d'uso generale. Peso notevole e colore bluastro scuro sono le proprietaÁ fisiche<br />

indicate anche da Dioscoride 5.130) e corrispondono a quelle della magnetite p.d., mentre<br />

Plinio che dichiara di trarre le sue notizie su di questa pietra non da Senocrate, ma da<br />

Sotaco 59 )), afferma che il colore del magnete varia dal nero al rosso 36.128). CioÁ implica<br />

che in molte pietre magnetiche della sua epoca la magnetite era frammista ad ematite:<br />

sostiene anche, infatti, che molte presentavano una potere attrattivo da attenuato<br />

«femminile») fino a nullo, come appunto avviene quando varia il rapporto quantitativo<br />

tra magnetite magnetopolare) e ematite diamagnetica). Plinio cita, inoltre, una varietaÁ<br />

argentea di pietra magnete che peroÁ, probabilmente, eÁ steatite, anche se questa non eÁ<br />

magnetica. Questo era, in realtaÁ, il significato originale del termine magnh& tiQ usato da<br />

Teofrasto VII. 41), mentre con h< raklei* ali* uoQ I. 4) egli indicava la calamita. Non ho<br />

riscontrato nessun precedente per l'indicazione di Psello che la pietra eÁ irregolare, ma si<br />

tratta di un carattere macroscopico immediato e quasi ovvio, in un frammento di roccia, che<br />

58 ) Ma non in quella in poesia, che eÁ decisamente piuÁ antica, anche se imprecisata.<br />

59 ) Scrittore vissuto all'epoca dei Diadochi III sec. a.C.) di cui non resta altro che quanto citato da Plinio.


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 263<br />

puoÁ essere frutto di una sua osservazione diretta. Infine, non ho trovato precedenti neppure<br />

per la sua affermazione che esiste una varietaÁ di magnete che respinge il ferro se di varietaÁ si<br />

tratta: vedi sopra), se non un vago accenno in Plinio 20.2 60 )) e nel lapidario di<br />

Damigerone-Evace 30, Halleux e Schamp, 1985: p. 271). Questi due peroÁ gli si<br />

attribuiscono anche molte altre facoltaÁ ben piuÁ favolose, mentre, probabilmente, da parte<br />

di Plinio e di Psello, si tratta di una ripresa d'informazione dalla loro fonte comune,<br />

Senocrate, senza che possiamo esserne certi perche nessun riferimento al magnete figura tra<br />

i frammenti di questi che si sono conservati in arabo. <strong>La</strong> prescrizione di sciogliere il magnete<br />

nel latte per aguzzare la vista si ritrova in Plinio sotto forma di un suo uso per una generica<br />

cura oftalmica 37.130), mentre non ha precedenti a me noti l'utilizzazione del magnete<br />

come rimedio contro l'atrabile. Non eÁ escluso, per queste utilizzazioni in medicina, che la<br />

fonte comune di Plinio e Psello confondesse il magnete in quanto calamita con la steatite<br />

vedi sopra) oppure con un qualche sale di magnesio, forse il carbonato, le cui proprietaÁ<br />

depurative sono note fin dai tempi di Ippocrate Moore, 1834: pp. 115-116): la magnetite,<br />

infatti, non eÁ solubile ne inacquane in soluzioni organiche di nessun tipo Mottana et al.,<br />

1977: n. 54).<br />

6.5.a. Cristallo = «cristallo di rocca» =quarzo ialino) n. 11, rr. 67-70). Il termine<br />

kry* stalloQ significava in origine ghiaccio Aristotele, Meteorologica, I.12: 347b36), ma<br />

fu usato da Teofrasto solo per indicare il quarzo, che egli considerava ghiaccio congelato<br />

oltre ogni limite V.30). Fu ripreso in latino da Plinio crystallus: 37.23) e usato durante<br />

tutto il Rinascimento e l'EtaÁ Moderna, ma, a partire dal primo fondamentale lavoro di<br />

Agricola 1530) 61 ), eÁ stato progressivamente sostituito nella terminologia mineralogica<br />

da «quarzo», nome di derivazione germanica. L'affermazione definitiva di quest'ultimo<br />

nome si deve agli svedesi Johann Gottschalk Wallerius e Torbern Olaf Bergman, alla metaÁ<br />

del Settecento: essi dimostrarono che alcune varietaÁ colorate, fino ad allora considerate<br />

pietre diverse tra loro, erano tutte chimicamente identiche a quella bianca. L'antico<br />

termine greco e latino, quindi, eÁ rimasto in uso solo per il «cristallo di rocca», che eÁ la<br />

varietaÁ incolore e trasparente = ialina) di quarzo. Questo eÁ proprio il tipo descritto da<br />

Psello, anche se non appare ben chiaro a che cosa egli si riferisca quando accenna a<br />

cambiamenti di colore sotto il sole o al buio: nel primo caso potrebbe trattarsi di un<br />

60 ) Il brano recita «ferrum ad se trahente magnete lapide et alio rursus abigente a sese» ... «in suis locis<br />

dicemus paria vel maiora miracula», ma Plinio si scorda poi della promessa e ne fa appena un cenno quando<br />

descrive dettagliatamente la calamita 36.126-130), affermando che la miracolosa proprietaÁ antiloga si verifica<br />

solo in un monte dell'Etiopia. Benche accettata in pieno Rinascimento, l'esistenza della pietra antagonista al<br />

magnete, chiamata theamedes, saraÁ negata con decisione giaÁ da William Gilbert 1600), il fondatore della<br />

moderna scienza del magnetismo Mottana e Napolitano, 1997: pp. 189-190).<br />

61 ) Il vocabolo ricorre, per la prima volta, nella forma «Quertz» che richiama meglio il termine minerario<br />

sassone «Querklufterz»), in un libretto anonimo stampato all'incirca nel 1505 e attribuito a Ulrich RuÈ hlein von<br />

Kalbe, un medico di Freiberg Calbus Freibergius) che di Agricola era amico e collega. Furono Bergman e<br />

Wallerius a imporre la vocalizzazione svedese dell'originario nome sassone, riprendendo per altro quella che era<br />

giaÁ stata la sua vocalizzazione italiana nella traduzione cinquecentesca edita da Michele Tramezzino.


264 A. MOTTANA<br />

riconoscimento del fatto che una lente di quarzo appare infiammarsi quando concentra i<br />

raggi del sole, nel secondo che la trasparenza del minerale eÁ tale da farlo apparire scuro se<br />

il fondo eÁ scuro, ma le espressioni usate da Psello sono comunque equivoche. Inoltre, esse<br />

non trovano riscontro in Plinio che, pur citando qui ripetutamente Senocrate 37.23-29),<br />

ne riferisce solo informazioni su localitaÁ di ritrovamento e su dimensioni dei blocchi.<br />

Senocrate, tuttavia, aveva anche fatto cenno all'uso di strumenti lenti?) di quarzo capaci<br />

di concentrare la luce del sole cosõÁ da accendere paglia, fili, e anche segatura di legno fr. 5<br />

in Ullmann, 1972b: pp. 58-60). Anche Plinio, pur senza citarlo, conferma che il calore<br />

ottenuto con strumenti ottici di quarzo era tale da poter essere usato per cauterizzare le<br />

ferite 37.28). Plinio non parla per niente, invece, delle supposte proprietaÁ terapeutiche<br />

menzionate da Psello, che sono tutte di tipo quasi magico, come giaÁ si deduce<br />

dall'accenno al bisogno di sfregare la pietra 62 ). Esse non compaiono neppure in<br />

Dioscoride, ma devono aver fatto parte di una lunga tradizione, perche prescrizioni<br />

simili si ritrovano nei Lithica di Orfeo v. 190, Abel, 1881: p. 138; Halleux e Schamp,<br />

1985: p. 92) e nei derivati Kerygmata 6, Halleux e Schamp, 1985: p. 146); la stesura di<br />

questi due testi, come si eÁ visto, eÁ riferibile al periodo greco-romano, ma essi riportano<br />

superstizioni sicuramente molto piuÁ antiche. Un manoscritto arabo Ms. Bodl. d. 221) che<br />

Ullmann 1973: p. 62) considera testimone di una prima traduzione del trattato di<br />

Senocrate attribuisce a costui l'informazione che si possono tornire vasi di quarzo simili a<br />

vetro, alcuni dei quali possono poi essere colorati artificialmente Ullmann, 1973: p. 64).<br />

<strong>La</strong> notizia, tecnologicamente importante, non trova riscontro nel testo di Psello.<br />

6.5.b. Ametista = quarzo «ametista») n. 3, rr. 20-22). <strong>La</strong> caratteristica saliente di questa<br />

varietaÁ di quarzo eÁ il colore violetto, con tonalitaÁ e intensitaÁ che da viola rossastro scuro vanno<br />

fino a lilla chiaro quasi rosato Mottana et al., 1977: n. 71). <strong>La</strong> causa del colore viola<br />

dell'ametista eÁ stata identificata nella presenza a livello strutturale di impuritaÁ ioniche di ferro,<br />

senza peroÁ che si sia riusciti finora a stabilire se il centro di colore derivi dalla sostituzione di un<br />

Si 4+ conunFe 4+ , eccitato per effetto di radiazioni ionizzanti, oppure con un Fe 2+ associato a<br />

vacanze Rossman, 1994: p. 443). Psello ne sottolinea l'aspetto simile al giacinto che, nella<br />

varietaÁpiuÁ diffusa nella penisola anatolica e nel Mediterraneo orientale Hyacinthus orientalis),<br />

eÁ rosso-violaceo, anche se talora con una percettibile sfumatura verso l'azzurro. Diverge in cioÁ<br />

da Teofrasto, che descrive l'ametista unicamente come «vinata scura» v. 31; cf. Capelle, 1958:<br />

p. 30). Per valutare correttamente il colore citato da Psello bisogna quindi ricorrere a Plinio.<br />

Dopo aver premesso che l'ametista appartiene alla categoria delle pietre purpuree 37.121) e<br />

che il tipo piuÁ pregevole eÁ quello che ha sul fondo di porpora una certa sfumatura lievemente<br />

rosata combinata con la brillantezza del carbonchio 37.123), egli ne distingue cinque tipi<br />

diversi e tra questi uno di un colore piuÁ chiaro «che sfuma nei giacinti» descendit ad<br />

hyacinthos: 37.122). Poiche la fonte di Plinio per questo argomento eÁ, verosimilmente,<br />

Senocrate, bisogna concludere che sotto il nome d'ametista i Greci cumulassero gemme<br />

62 ) Il quarzo presenta triboelettricitaÁ, ma troppo debole per poter essere usata bene coi mezzi allora a<br />

disposizione.


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 265<br />

diverse tutte tendenzialmente violacee come granati, quarzi, zirconi, ecc. e che stimassero<br />

soprattutto quelle di colore chiaro, forse perche trasparenti. Questa eÁ, in effetti, l'opinione dei<br />

primi gemmologi, che meglio forse di ogni altro erano in grado di percepire le opinioni degli<br />

antichi: e.g., de Boot 1609: pp. 162-166) associa l'ametista in primo luogo al quarzo, ma poi<br />

anche ai giacinti e ai carbonchi e trasferisce, quindi, su di lei anche tutte le incertezze che<br />

comportano le identificazioni di queste pietre q.v.). Sulla leggenda che l'ametista protegga<br />

dall'ubriachezza vi eÁ una lunga tradizione, contro la quale combattevano giaÁ Plinio37.124)e<br />

Plutarco Quaestiones convivales, 3.1: Chirico, 2001), ma che eÁ continuata imperterrita per<br />

tuttoilMedioevoe.g., Alberto Magno, De mineralibus,t.II. 1: Wyckoff, 1967: p. 74) 63 )efino<br />

ai nostri giorni. Quanto alla sua efficacia contro il mal di testa, si tratta chiaramente di un<br />

sintomo collaterale dell'ubriachezza e quindi rientra nel connesso effetto placebo.<br />

6.5.c. Sardonica n. 16, rr. 86-90). Nel nominare questa pietra, anch'essa una varietaÁ<br />

compatta microcristallina di quarzo, Psello di colpo passa a considerare il termine li* uoQ<br />

come femminile h< ), quando prima l'aveva considerato sempre maschile o< ) fuorche in<br />

due casi in cui, per altro, il nome dato alla pietra era un aggettivo che lasciava il sostantivo<br />

sottinteso 64 ). Questo lascia pensare o che abbia cambiato la sua fonte, oppure che giaÁ<br />

fosse implicito, per lui, chiamare sardonica, al femminile, la gemma semipreziosa usata<br />

per la glittica, e sardonice, al maschile, la pietra ± ovviamente di minor qualitaÁ estetica ±<br />

usata per un piuÁ semplice decoro 65 ). <strong>La</strong> proprietaÁ fisica che caratterizza questa pietra,<br />

secondo Psello, eÁ di avere una linea bianca in mezzo, vale a dire una banda di luce dovuta<br />

a riflessione totale che separa le due zone di un fondo disomogeneo, oppure che oscilla su<br />

un fondo omogeneo per effetto di gatteggiamento. Gli aggettivi usati lasciano intendere<br />

che, almeno in questo caso, questo fondo presenta variazioni che sono di colore e non<br />

d'aspetto complessivo. Quanto alle proprietaÁ mediche, esse sono piuÁ o meno le stesse che<br />

saranno indicate per l'onice, con le precisazioni, peroÁ , che la sardonica, per poter portare i<br />

suoi benefici, va portata o appesa presumibilmente al collo o a un arto) oppure cinta in<br />

vita e che i due tipi precedentemente descritti non solo apportano benefici diversi, ma<br />

richiedono un diverso modo di attaccare la pietra al corpo. In pratica, Psello ci comunica<br />

63 ) Non poteva non essere che cosõÁ, perche i rapporti esistenti tra ametista e ubriachezza sono convalidati<br />

da Epifanio, il quale peroÁ li pone in positivo, affermando n. 9 p. 120) che la pietra mista a vino permette di<br />

capire anzitempo il regime invernale dei venti e della pioggia. Per tutte le citazioni di Epifanio faccio riferimento<br />

alla ricostruzione del suo testo sulla base delle versioni tradotte nelle diverse lingue che Blake 1934) stampa alle<br />

pp. 99-122, dopo aver descritto il suo intento alla p. CXXIII.<br />

64 ) I due casi sottintesi riguardano l'ametista e il diaspro. PiuÁ oltre, Psello considereraÁ di genere femminile<br />

anche lo smeraldo, anche in questo caso sottintendendo all'appellativo il sostantivo pietra. Vi eÁ un solo altro caso<br />

di cambiamento di genere: il neutro di h> lektron, ambra.<br />

65 ) Ritengo indispensabile precisare che questa eÁ una mia supposizione. Nell'uso italiano moderno i due<br />

termini spesso si confondono e talvolta si sovrappongono e.g., Devoto e Molayem, 1990: p. 46) ed eÁ del tutto<br />

arbitrario estrapolare cioÁ all'uso bizantino del XI sec. <strong>La</strong> peculiaritaÁ grammaticale, peroÁ, deve avere una qualche<br />

causa: probabilmente ha ragione il Moore 1834, 1978: p. 154, n. 4) quando fa rilevare che anche Plinio usa lo stesso<br />

sistema, sottintendendo gemmae quando usa sardonyches al femminile per riferirsi alle pietre adatte a incisioni per<br />

sigilli 37.86-89) e lapis quando usa onyx al maschile per riferirsi al materiale per vasetti portaunguento 36.61).


266 A. MOTTANA<br />

che la sardonica eÁ efficace solo se eÁ usata come amuleto. Anche i Kerygmata, nella seconda<br />

parte che eÁ riferita al lapidario di Socrate e Dionisio 31), riportano questa pietra come un<br />

talismano e propongono, addirittura, di incidervi l'immagine di Atena portante un cuore<br />

e con vicino un ariete. <strong>La</strong> loro descrizione, anche se manca delle prescrizioni mediche, eÁ<br />

meno breve di quella di Psello ed insiste piuttosto sul fatto che la sardonica puoÁ<br />

presentare venature di vari colori: celeste, miele, nero, biancastro e decisamente bianco<br />

Halleux e Schamp, 1985: pp. 168-169; Bianco, 1992: p. 126). Plinio 37.86-89), invece,<br />

citando vari autori greci 66 ), descrive due tipi principali di sardonica: l'indiana,<br />

trasparente e con uno strato rosso alternato a uno bianco, e l'arabica, non trasparente<br />

e a piuÁ colori su un fondo nero o azzurrognolo. Di entrambi i tipi egli esalta la presenza di<br />

un orlo di luce bianca tra i diversi strati di colore e nota che esso diventa meno netto in<br />

sardoniche di minor pregio come quelle armene. Precisa, inoltre, che questa pietra era<br />

usatissima nella fabbricazione dei sigilli perche la cera, raffreddatasi dopo l'impronta, non<br />

restava aderente all'incisione 37.88). Psello conosceva la sardonica senz'altro bene, da<br />

esperto di letteratura cristiana qual era, perche ne parlano estesamente sia la Bibbia<br />

Esodo 39.10; Apocalisse 21.20) sia Epifanio 1, distinguendola dal sardion = sarda e<br />

affermando che assomiglia a una rapa verde brillante: Blake, 1934: p. 103) 67 ). Ne parla,<br />

inoltre, Luciano da Samosata De dea Syria, 32, Lightfoot, 2003), uno scrittore purista di<br />

quella scuola atticistica della cui ripresa artificiosa, al suo tempo, Psello fu un convinto<br />

sostenitore. Non bisogna, infine, dimenticare Plutarco 68 )De fluviis, 20.4 v. Monte<br />

Drimillo, de MeÂly, 1902: p. 32) che, sull'autoritaÁ di Nicia di Mallo 69 ), afferma che un<br />

infuso di sardonica nell'acqua tiepida fa bene alla vista; questo riferimento sbagliato,<br />

perche nessuna varietaÁ di silice eÁ solubile in acqua ne fredda ne calda) non sembra peroÁ<br />

essere noto a Psello. Non ho trovato nessun riferimento all'uso della sardonica per<br />

prevenire gli aborti o per sostenere i depressi. Tuttavia i Kerygmata 32-36), nel descrivere<br />

l'onice secondo le stesse varietaÁ cromatiche che caratterizzano anche la sardonica 31),<br />

riferiscono che era portato dalle donne incinte perche procura una bella figliolanza, ed<br />

inoltre che conferisce un senso di sicurezza a chi lo porta.<br />

6.5.d. Agata n. 5, rr. 32-37). Psello mette subito in risalto i due caratteri salienti di<br />

questa varietaÁ colorata a zone concentriche di quarzo microcristallino: l'aspetto variegato,<br />

dovuto alle zonature di colore, e lo splendore traslucido. Interpreto in questo modo,<br />

66 ) Nell'edizione da me seguita Conte et al., 1988: p. 795) essi sono Ismenia, Demostrato, Zenotemide e<br />

Sotaco, mentre a Demostrato sostituisce Senocrate quella seguita da Halleux e Schamp 1985: p. 329, n. 8): una<br />

chiara dimostrazione dell'importanza del lavoro dei filologi per indirizzare correttamente quello dello storico<br />

della scienza!<br />

67 ) Anche Giorgio Monaco parla di sardo* nyj in luogo di sa* rdion come risulta invece nella Bibbia dei<br />

Settanta, ma eÁ impossibile verificare se egli si ispira ad Epifanio oppure segue una tradizione testuale diversa.<br />

68 ) Per alcuni studiosi questo testo eÁ apocrifo, ed eÁ opera di uno pseudo-Plutarco attivo nel II-III sec. d.C.<br />

69 ) Autore di un trattato «sulle pietre», d'incerta identificazione e datazione. Probabilmente eÁ lo stesso<br />

citato da Plinio 37.36) per aver proposto una teoria sull'origine dell'ambra che la considerava una secrezione dei<br />

raggi solari.


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 267<br />

infatti, privilegiando il significato modificatore del prefisso dia* = trans, attraverso) su<br />

quello esplicito nel verbo a$ glai* zv = far risplendere), lo hapax che il Galigani 1980: p.<br />

101) preferisce tradurre con «brillante». In realtaÁ, molte agate, soprattutto se di colore<br />

chiaro, sono traslucide, ma non brillano, a meno che non siano state lucidate molto bene<br />

fino a riflettere la luce secondo alcuni angoli visuali. Infatti, i microcristalli di quarzo o di<br />

calcedonio da cui sono costituite possono avere uno splendore vitreo o grasso, ma mai<br />

subadamantino; inoltre essi tendono a diffondere la luce, piuÁ che a rifletterla. Le varietaÁ<br />

descritte da Psello sono due: una definita, genericamente, pallida, che potrebbe<br />

corrispondere alla cerachates di Plinio 37.139) e all'agata bianca descritta da Epifanio<br />

8, Blake, 1934: p. 119); un'altra, detta rossastra, che eÁ simile alla sarda, anch'essa<br />

descritta da Epifanio. Non riscontro il terzo tipo menzionato dal Galigani 1980: p. 101).<br />

Teofrasto V. 31) e Plinio 37.86-89 e 37.139-142) erano stati molto piuÁ dettagliati nelle<br />

loro descrizioni, il secondo arrivando a distinguerne ben otto tipi. Le indicazioni mediche<br />

che Psello fa seguire sono tutte basate sull'assunto che l'agata abbia proprietaÁ disseccanti<br />

e arrivano all'estremo da voler far credere che essa sia in grado perfino di prosciugare<br />

l'acqua dai recipienti. Certe virtuÁ favolose si trovano riportate da Plinio, anche in forma<br />

esagerata, ma solo una di esse ha un qualche riferimento con le affermazioni di Psello: che<br />

il mettere in bocca un'agata farebbe passare la sete 37.140). Esse vengono invece riprese<br />

dai Lithica orfici 610-641) e dai Kerigmata, in questi sia nella parte che eÁ il riassunto dei<br />

precedenti 21), sia in quella che eÁ riferita al lapidario di Socrate e Dionisio 39); in<br />

quest'ultima, anzi, sono ancor piuÁ enfatizzati gli effetti mirabolanti, che sarebbero<br />

particolarmente efficaci in una pietra in cui sono incise invocazioni ermetiche 70 ). Vi eÁ peroÁ<br />

una contraddizione palese tra il lapidario di Socrate e Dionisio e la descrizione di Psello:<br />

l'agata viene da loro indicata come tutta di colore citrino, mentre Psello e Plinio la<br />

considerano sempre variegata oppure, piuttosto, tipicamente rossa, probabilmente per<br />

effetto di impuritaÁ disseminate di finissimi ossidi di ferro Rossman, 1994: p. 460). L'agata<br />

che si ritrova oggi eÁ quasi sempre incolore o pallida e diventa vistosamente colorata per<br />

effetto di un trattamento per irraggiamento o per impregnazione con coloranti chimici.<br />

Maggiori corrispondenze si hanno tra Psello e il lapidario di Damigerone-Evace 17,<br />

Halleux e Schamp, 1985: p. 255): anche in questo l'agata, il cui colore eÁ indicato come<br />

quello della pelle del leone, eÁ indicata come utile contro i morsi dei serpenti e degli scorpioni.<br />

6.5.e. Onice n. 14, rr. 78-82). <strong>La</strong> descrizione che ne daÁ Psello, se spogliata del<br />

particolare quasi folcloristico dell'uso che ne farebbero gli Indiani di farne piedi torniti<br />

per i loro letti 71 ), appare piuttosto confusa, in quanto mette insieme due tipi diversi di<br />

materiale. Da un lato, essa si riferisce indiscutibilmente all'attuale onice p.d., che eÁ una<br />

70 ) Il nome da incidere eÁ ia* xv, che eÁ interpretato o come i> akxoQ = Iacco = Bacco/Dioniso oppure come<br />

corruzione di IahveÂ, il dio degli ebrei diventato gran dio della magia Halleux e Schamp, 1985: p. 331, nota 5).<br />

71 ) Sarebbe interessante poter confermare che questa parte del testo di Psello deriva da Ctesia, poicheÂ<br />

potrebbe confermare la sua conoscenza diretta del testo di questo autore antico. Infatti, non c'eÁ traccia di un tale<br />

uso nella recensione degli Indika scritta da Fozio Wilson, 1992: n. 72). Su questo problema, giaÁ affrontato dal<br />

Maas 1924), vedi oltre.


268 A. MOTTANA<br />

roccia traslucida, composta da un aggregato di quarzo in minuti cristalli, pigmentato in<br />

modo da formare bande alterne scure e chiare che si prestano all'intaglio di cammei.<br />

Questa stessa eÁ la descrizione che ne daÁ Plinio nel libro che dedica alle gemme 37.90-91),<br />

anche se ammette una variabilitaÁ di colori piuÁ ampia. Dall'altro lato e completamente<br />

diversa eÁ la posizione di Dioscoride, secondo il quale l'onice eÁ una varietaÁ di alabastrite<br />

grigiastra 5.135). Anche questa descrizione trova conferma in Plinio, ma nel libro<br />

dedicato ai marmi 36.59-61). Descrivendo qui l'onice d'Arabia, egli anzitutto ne fa<br />

risaltare la disponibilitaÁ in pezzi di grosse dimensioni, adatti persino per tornirci giare o<br />

colonne, oltre che in frammenti piuÁ piccoli adatti per piedi di letti e di sedie; subito dopo,<br />

poi, informa che, quando era usato per fare piccoli recipienti per profumi, un suo nome<br />

alternativo era «alabastrite» e qui afferma che eÁ di colore chiaro, da bianco a miele, con<br />

venature a spirale e non traslucide. <strong>La</strong> descrizione di Psello, dunque, mette insieme i due<br />

tipi di onice e sembra cercare di conciliare una dicotomia terminologica che continua<br />

ancor oggi Webster, 1994: p. 382): all'onice p.d., che eÁ quello bianco e nero siliceo, l'uso<br />

comune infatti contrappone ± con un termine errato, ma ormai prevalente nell'economia<br />

di mercato ± il «marmo onice» o «alabastro onice», un calcare giallastro d'origine<br />

concrezionare di cui una volta il principale fornitore era l'Egitto e ora eÁ il Pakistan. In<br />

realtaÁ, il problema era nato molto prima di Psello, quando o> nyj si sostituõÁ all'originario<br />

o$ ny* xion, usato da Teofrasto V. 31) per il materiale siliceo. CioÁ avvenne durante il tardo<br />

Ellenismo, ma fu adottato nella Bibbia dei Settanta e.g., Iob 28.16) e divenne cosõÁ un<br />

precedente inoppugnabile per tutta la cultura cristiana 72 ). Tuttavia, anche nella cultura<br />

pagana la sostituzione era in corso, come dimostrano anzitutto Dioscoride e poi il<br />

lapidario di Socrate e Dionisio 32-36, Halleux e Schamp, 1985: pp. 169-171), che indulge<br />

piuÁ sulle figure da incidere sulle diverse pietre per massimizzarne l'effetto che sulla<br />

caratterizzazione delle pietre stesse. Anzi, forse proprio perche l'onice eÁ un materiale<br />

omogeneo e duro che si presta particolarmente bene all'incisione, ne descrive ben cinque<br />

tipi sempre chiamandolo, peroÁ, o$ nyxi* thQ = onicite, come se fosse una roccia e non un<br />

minerale) sulla base di una gamma cromatica che va dal nero al bianco e a ciascuno<br />

attribuisce proprietaÁ sia mediche, sia sociali.<br />

6.5.f. Crisoprasio n. 22, rr. 105-107). Attualmente il crisoprasio eÁ considerato una<br />

varietaÁ non di quarzo, ma di calcedonio, che del quarzo eÁ una delle varietaÁ microcristalline<br />

piuÁ omogenee. Il suo colore eÁ variabile da verde-oliva a verde-mare pallido; eÁ traslucido,<br />

ma non trasparente perche presenta una struttura fibrosa e, talora, eÁ anche concresciuto<br />

con tridimite e/o cristobalite. Il crisoprasio ora in commercio si rinviene solitamente in<br />

giacimenti di minerali di nichelio, un metallo che all'epoca di Psello ancora non si<br />

conosceva. <strong>La</strong> ragione del suo colore eÁ fatta risalire alla presenza di minutissime inclusioni<br />

72 ) Tra questi Epifanio, che descrive due tipi di onice 12, Blake, 1934: pp. 121-122): uno rosso e duro<br />

adatto per scavarvi bicchieri, e uno piuÁ chiaro, giallastro, simile al marmo. Dal contesto, sembrerebbe che egli<br />

inclini per non considerare vero onice questa seconda pietra, ma si guarda bene dallo svalutarla, anzi ne esalta<br />

l'uso nei vasi sacri.


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 269<br />

o di silicati idrati di nichelio oppure di bunsenite NiO-Fm3m), perche i suoi spettri nel<br />

visibile mostrano sempre la banda d'assorbimento del Ni 2+ Rossman, 1994: p. 458). <strong>La</strong><br />

descrizione di Psello eÁ assolutamente insufficiente a confermare che il suo crisoprasio era<br />

lo stesso del nostro, ma cioÁ appare piuÁ che probabile, non tanto per ragioni scientifiche,<br />

quanto storiche. <strong>La</strong> prima testimonianza di questo termine in greco eÁ, infatti, nella<br />

Apocalisse 21.20), un testo che ha condizionato tutta la tradizione cristiana e quindi<br />

anche bizantina. Va tuttavia osservato che in greco esistevano altri termini quali prasi& tiQ<br />

e pra* sion per indicare pietre verdi chiare e quindi con aspetto e significato analogo. Il<br />

primo, uno hapax di Teofrasto VI. 37), sta ad indicare una pietra verdastra non meglio<br />

specificata. Il secondo, riportato dal Lithica orfico vv. 755-757), eÁ riferito a una pietra cui<br />

sono attribuite grandi proprietaÁ salutari anche loro non specificate. A definire il<br />

chrysoprasos come una pietra differente e piuÁ pregiata del semplice prasius eÁ Plinio<br />

37.113), che ne evidenzia il colore sfumante dal verde topazio intendendo il verde-oliva<br />

caratteristico del peridoto: q.v.) al giallo oro, mentre in altro luogo 37.77), pur<br />

ricordando che alcuni lo considerano una pietra a se stante, fa del crisoprasio una varietaÁ<br />

verde pallida del berillo, differente, perche piuÁ pallida, sia dallo «smeraldo» sia dal<br />

«crisoberillo». Plinio eÁ stato interpretato nei modi piuÁ diversi dai commentatori moderni,<br />

i quali concordare solo su un punto: che il nostro crisoprasio non eÁ il crisoprasio degli<br />

antichi, qualunque cosa esso fosse. Conviene lasciare in sospeso questo problema 73 )e<br />

richiamare l'attenzione sul fatto che Psello propone il crisoprasio per uso esclusivo come<br />

amuleto e per malanni molto generici, tra cui ± come egli sempre fa con le pietre verdi ±<br />

per quelli degli occhi.<br />

6.5.g. Diaspro n.9,rr.54-61).E Á notevole che Psello riconosca che il materiale di cui eÁ fatta<br />

questa roccia sia affine al quarzo e che se ne differenzi solo per il colore che eÁ molto variabile e<br />

che ora sappiamo essere dovuto alla presenza di finissimi granuli di diversi minerali colorati<br />

distribuiti in modo irregolare, cosõÁ da pigmentare la massa silicea a zone e nei colori piuÁ diversi,<br />

Rossman, 1994: p. 460). I colori indicati da Psello sono solo alcuni tra i tanti: dal rosso vivace<br />

della porpora al bianco candido della neve passando per una tonalitaÁ grigio-cerulea che si puoÁ<br />

assimilare all'aria), dal verde dello smeraldo al giallastro del muco. Egli descrive, infine, un tipo<br />

particolare per la sua tessitura, che presenta strati contorti e zonature cosõÁ da simulare le<br />

circonvoluzioni del cervello ma perche proprio d'agnello?). Tutte queste caratteristiche,<br />

fuorche il colore purpureo e l'ultima, sulle circonvoluzioni, si ritrovano in Plinio 37.115), in<br />

cioÁ confermando che egli si avvale della stessa fonte di Psello 74 ). Tuttavia, eÁ notevole che<br />

proprio queste due ultime caratteristiche non siano citate dagli arabi fr. 12: Ullmann, 1973: p.<br />

70): se ne puoÁ arguire, infatti, che il testo di Senocrate di cui si avvaleva Psello aveva subito una<br />

73 ) Ricette per contraffare il crisoprasio cosõÁ come lo smeraldo ed altri minerali) si trovano nel Papyrus<br />

holmiensis 64, Halleux, 1981: p. 127), ma non se ne ritrova traccia in Psello, che probabilmente non conosceva<br />

questa tipo di attivitaÁ banausica d'origine egizia.<br />

74 ) Qui Plinio peroÁ non cita Senocrate ne nessun altro autore. Non cita neppure Teofrasto, che pure fa un<br />

accenno alla policromia del diaspro IV. 27, Mottana e Napolitano, 1997: p. 162).


270 A. MOTTANA<br />

contaminazione durante la trasmissione, poiche non appare probabile che potesse essere piuÁ<br />

completo di quello a disposizione di Plinio e del traduttore arabo del IX sec. E Á da notare che<br />

anche Plinio si avvale nella sua descrizione del diaspro di fonti ulteriori, perche non solo cita i<br />

tipi,leprovenienzeeleoriginiororacitateduedellequali±IndiaeCipro±siritrovanoanche<br />

negli autori arabi), ma vi aggiunge altri tipi ancora 37.115-116), che solo in parte coincidono<br />

con quelli riferiti da Dioscoride 5.142). Quanto alle facoltaÁ d'interesse medico, che Plinio non<br />

riporta, quelle indicate da Pisello sono quasi le stesse indicate da Dioscoride: Psello, anzi, non<br />

solo le riprende, ma le completa. Tuttavia, non pare che Psello abbia consultato solo<br />

Dioscoride, poicheÂ, se lo avesse fatto, ne avrebbe certamente estratto anche il riferimento<br />

all'uso del diaspro come amuleto, che per Dioscoride eÁ inconsueto, mentre per Psello eÁ<br />

abituale. Inoltre, le citazioni arabe di Senocrate fr. 12) attribuiscono al diaspro la capacitaÁ di<br />

facilitare il parto, che ne Plinio ne Psello prendono in considerazione. Costituisce una novitaÁ<br />

esclusiva di Psello il diaspro «cervello d'agnello», che non eÁ menzionato ne da Plinio ne da<br />

Dioscoride neÂ, a mia conoscenza, da nessun altro autore. Il Galigani 1980: p. 109) suggerisce<br />

che egli l'abbia dedotto da una fonte magica non specificata, ma io sono piuttosto propenso a<br />

considerarlo la conferma di una sua osservazione diretta: a nessun buon osservatore ± e Psello<br />

senz'altroloera±puoÁ sfuggire che la maggior parte delle rocce eÁ disomogenea e presenta<br />

tessiture particolari e che i diaspri lo sono piuÁ di ogni altra, sia per la loro natura di depositi<br />

silicei d'origine chimica impregnati da pigmenti coloranti diversi, sia percheÂ, nel corso della<br />

loro maturazione da opale a calcedonio a quarzo Knauth, 1994), essi sono soggetti a forti<br />

contrazioni di volume che si manifestano sotto forma tanto di pieghe e contorsioni, quanto di<br />

fratture scomposte che, spesso, li rendono simili a brecce. Inoltre, i singoli frammenti variegati<br />

che compongono la breccia diasprigna possono essere cementati tra loro da altro materiale<br />

siliceo di colore diverso, aumentando cosõÁ la policromia dell'insieme. Consideratane<br />

l'eccezionale varietaÁ dicoloreedidisegno,nonc'eÁ affatto da stupirsi se persino la fantasia<br />

dei Greci si sia esaurita prima di trovare un'applicazione medica per ciascun tipo di diaspro. A<br />

differenza di Psello, Epifanio 6, Blake, 1934: pp. 113-114) considera un tipo di diaspro verde<br />

simile allo smeraldo e ne fa osservare non solo la presenza nelle miniere di Cipro, ma anche<br />

l'affinitaÁ con quella che egli chiama la «ruggine del rame» = malachite). Cita poi altre varietaÁ:<br />

una rossa e una bianca e una chiazzata di bianco e di verde.<br />

6.6. Smeraldo = smithsonite) n. 18, rr. 94-98). Lo «smeraldo» eÁ per noi una varietaÁ di<br />

berillo, esattamente la varietaÁ colorata di verde per le tracce di cromo trivalente Cr 3+ che<br />

sostituisce l'alluminio Al presente nella formula q.v.). Non era cosõÁ, invece, per gli antichi,<br />

se non in casi speciali: per loro, difatti, qualsiasi pietra verde, purche sufficientemente<br />

trasparente, era uno «smeraldo» Porzig, 1936). CioÁ appare evidente in Teofrasto, quando<br />

tra gli smeraldi giaÁ distingue da un lato le pietre piccole e dure in cui intagliare sigilli I. 8) e<br />

dall'altro quelle che si sciolgono in acqua I. 4), possono essere rinvenute in blocchi e<br />

servono per saldare l'oro IV. 24-27): queste seconde sono, indubbiamente, malachite.<br />

Plinio 37.62-75) cita ben 12 varietaÁ di smeraldo e solo per una, proveniente dall'India<br />

37.76), riconosce che ha una natura molto simile a quella del berillo. Altre tre, peroÁ, sono<br />

descritte in modo tale che potrebbero esserlo Meadows, 1945): sono quelle provenienti<br />

dalla Scizia, dalla Battriana e dall'Egitto 37.65). Tutti gli altri tipi, trovati nelle miniere di


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 271<br />

rame o d'argento, sono riferibili o a malachite Cipro) o a smithsonite Attica) o a turchese<br />

Persia) o, addirittura, a porfirite serpentinizzata <strong>La</strong>conia). Psello non recepisce tutte le<br />

provenienze citate da Plinio, ma solo le tre agli estremi della Terra e quella nei monti<br />

dell'Attica. Quest'ultima menzione riporta immediatamente alla descrizione di Plinio e alla<br />

smithsonite Zn[CO 3]-R 3c), minerale caratteristico della miniera di Torico citata appunto<br />

da lui 37.70). Psello, per altro, non fornisce sue osservazioni dirette, ma cita dati che aveva<br />

letti in una qualche fonte forse Senocrate, vista la forte somiglianza coi passi di Plinio),<br />

perche ai suoi tempi da tempo non esisteva nell'Attica nessuna estrazione mineraria<br />

Conophagos, 1980); tuttavia i suoi dati sono sufficientemente precisi per rendere<br />

l'identificazione sicura. Secondo Plinio la smithsonite, anche se brillante, oltre ad avere<br />

un colore verde piuttosto chiaro che puoÁ assumere tonalitaÁ azzurrognole, eÁ fragile al punto<br />

da poter essere facilmente polverizzata per farne un impiastro o per essere dispersa in<br />

sospensione nel vino; infine, essa eÁ fotosensibile e quindi si scolora alla luce del sole<br />

coprendosi di macchie scure 37.70). Rispetto a quanto riportato da Plinio, Psello eÁ piuÁ<br />

selettivo, ma ne conferma certi particolari con grande precisione. Viceversa, in Plinio non<br />

figura nessuna conferma delle proprietaÁ terapeutiche citate da Psello, che non sono<br />

neppure le stesse riportate in due frammenti di Senocrate conservatisi in arabo frr. 6 e<br />

7, Ullmann, 1972b: pp. 60-62). Essi sono comunque utili perche permettono di escludere<br />

assolutamente che lo smeraldo di Psello abbia niente a che fare col nostro: insistono infatti<br />

sul fatto che eÁ solubile in aceto forte, in acqua fredda e calda e perfino nel latte e nel burro<br />

sciolto), quando eÁ ben noto che il silicato non lo eÁ. Inoltre, le proprietaÁ farmacologiche che<br />

gli attribuiscono, tutte essenzialmente connesse col fatto di essere astringente, si adattano<br />

bene a un carbonato come la smithsonite. Sotto questo aspetto, invece, non aiuta la<br />

descrizione contenuta nel lapidario di Socrate e Dionisio 26, Halleux e Schamp, 1985:<br />

p. 166), che si trova ripetuta quasi alla lettera in quello di Damigerone-Evace 6, Halleux e<br />

Schamp, 1985: pp. 241-242). Essa eÁ, infatti, piena di prescrizioni occultistiche di derivazione<br />

orientale, come incisioni da apportare alla pietra e montature particolari, per effetto<br />

delle quali il portatore di uno smeraldo diventerebbe gradito a tutti. Il solo punto di<br />

incontro tra Socrate e Dionisio, da un lato, e Plinio, dall'altro, eÁ l'accenno a Nerone e questo<br />

eÁ troppo vago per mettere i due in relazione di dipendenza; in ogni caso, se pure entrambi<br />

l'avevano derivato da Senocrate, questo aneddoto non ha poi riscosso l'attenzione di Psello,<br />

che viveva in un'epoca troppo lontana dai fatti per sentirsene coinvolto. Epifanio 3, Blake,<br />

1934: pp. 105-110), invece, essendo piuÁ antico ancora ricorda, chiamandolo Neroniano e<br />

Domiziano, il tipo verde e brillante, che era importato dall'India, e passa poi a descrivere la<br />

celebri miniere egiziane dell'isola sul Mar Rosso di fronte a Berenice, con cioÁ mostrando che<br />

il suo smeraldo non era altro se non «peridoto» q.v.). Inoltre accenna ad un uso magico<br />

dello smeraldo: predire il futuro dalle riflessioni che presenta la sua superficie speculare.<br />

6.7.a. Topazio = forsterite «peridoto») n. 24, rr. 110-116). Questa pietra eÁ talmente<br />

ben caratterizzata da Psello che non eÁ assolutamente possibile dissentire dalla conclusione<br />

di Ruska 1912: p. 134, nota 1) che «la [sua] traduzione con topazio eÁ in ogni caso<br />

sbagliata». Non rimane, in effetti, nessuno spazio per le incertezze di Ullmann 1973:<br />

pp. 71-73) che, discutendo la traduzione del termine arabo zabargÆad con cui topa* zion eÁ


272 A. MOTTANA<br />

tradotto nel fr. 14 tramandatoci dal manoscritto bodleiano, vuole lasciare spazio ad altre<br />

identificazioni come berillo, crisolito, smeraldo e perfino topazio. Psello afferma che la<br />

pietra eÁ trasparente con lucentezza vitrea, poco visibile alla luce diurna diretta, ma<br />

riflettente quella notturna diffusa, irregolare nella forma e non particolarmente dura<br />

cosõÁ da poter essere sagomata e levigata: tutte queste proprietaÁ fisiche non si adattano al<br />

topazio attuale, ma descrivono perfettamente la varietaÁ di olivina forsterite Mg2[SiO4]-<br />

Pbnm, colorata da una modesta percentuale di Fe 2+ sostitutivo del Mg, alla quale i<br />

gemmologi assegnano in alternativa i nomi «peridoto», se predomina il verde oliva<br />

Cipriani e Borelli, 1984: n. 18), oppure «crisolito» se predomina il giallo verdastro<br />

Cipriani e Borelli, 1984: n. 18.1, vedi oltre). Ma cioÁ che soprattutto toglie ogni possibilitaÁ<br />

d'equivoco eÁ il fatto che egli le assegni come luogo di provenienza un'isola al largo nel Mare<br />

Arabico l'odierno Mar Rosso). A ZabargÆad non esiste topazio, ma solo olivina, eppure eÁ<br />

proprio questa l'isola in cui da tempo immemorabile gli antichi estraevano la loro gemma<br />

verde preferita: eÁ un'inevitabile conclusione accettata da tutti che il termine topazio ha<br />

cambiato di significato nel tempo, anche se gli autori sono discordi su chi stia all'origine di<br />

questo cambiamento semantico 75 ). Le prescrizioni mediche suggerite da Psello<br />

confermano la fragilitaÁ della pietra triturare il topazio p.d., che ha durezza 8, non sarebbe<br />

una cosa facile! mentre eÁ cosa semplice tritare l'olivina, che ha durezza 6, pur se eÁ priva di<br />

sfaldatura). Il fr. 14 di Senocrate tramandato dagli arabi contiene due prescrizioni mediche<br />

di tipo magico: intagliare sulla pietra una nave e portarla poi all'anulare della mano sinistra<br />

proteggerebbe dall'elefantiasi e appoggiarla sul ventre avvolta in un panno faciliterebbe il<br />

parto. Nessuna di queste viene ripresa da Psello. <strong>La</strong> pietra eÁ appena citata come<br />

«trasparente» dal lapidario orfico in versi, mentre nei Kerygmata Halleux e Schamp,<br />

1985: pp. 151-152) eÁ anche detta dura, compatta, traslucida e verde, nelle due intensitaÁ<br />

«maschio» e «femmina», riprendendo cosõÁ affermazioni di Plinio 37.127) che derivano,<br />

probabilmente, da Senocrate poiche corrispondono ai frammenti greci di questo relativi<br />

all'isola nel Mar Rosso Cadiou, 1937). I Kerygmata continuano con prescrizioni magiche<br />

incisioni di dei) che favorirebbero la cura dei mali agli occhi. Andando del tutto<br />

controcorrente, Epifanio 2, Blake, 1934: pp. 104-105) descrive invece col nome di<br />

topazio una gemma completamente diversa, rosso-brillante, simile al calcedonio, che<br />

sfregata sulla pietra molare trasuda senza perdere peso un liquido bianco usato per curare<br />

le malattie degli occhi o, bevuto, contro l'avvelenamento da alghe tossiche.<br />

6.7.b. Crisolito = forsterite «crisolito») n. 20, r. 102). <strong>La</strong> concisissima frase di Psello<br />

non ci fornisce nessun dato reale, ma solo l'opportunitaÁ di un'induzione: se eÁ efficace<br />

75 ) Fu forse il de Boot nel 1609, poiche il testo principale della seconda edizione rivista dal Toll 1636 2 :p.<br />

207) riporta: «De Topasio veterum, ac Chrysopatio, qui hodie Chrysolitus appellatur». Nelle sue note a commento<br />

1636 2 : pp. 207-209) il Toll ricapitola l'uso dei termini suddetti da parte di vari autori medievali, le loro<br />

etimologie, i caratteri e l'origine sempre riferendosi a Plinio e discute, in particolare, quale fosse il nome vero<br />

dell'isola, basandosi soprattutto sul commento a Solino che interpreta Plinio) fatto dal Salmasio, cioeÁ dall'erudito<br />

francese Claude Saumaise 1588-1653). L'inversione di significato tra topazio e crisolito si riflette ± ovviamente ±<br />

sul significato antico di quest'ultima pietra vedi oltre) ed anche su quello del crisoprasio vedi sopra).


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 273<br />

contro i problemi di vista, il crisolito che egli intende eÁ, probabilmente, verde, come tutte<br />

le altre pietre citate a questo fine. Bisogna quindi ricorrere ad altri autori da cui trarre<br />

informazioni utili. CioÁ risulta possibile perche il crisolito eÁ tra le pietre citate dalla Bibbia<br />

Esodo, 28.20, 39.13; Apocalissi, 21.20), un testo di riferimento che non poteva far difetto<br />

nella memoria di uno studioso bizantino come Psello. Purtroppo, peroÁ , le gemme della<br />

Bibbia non sono altro che nomi privi di qualsiasi descrizione, talche le numerose<br />

identificazioni che sono state proposte sono, almeno in questo caso, tutte ipotetiche<br />

cf. Bacci, 1587, 1603; Jart, 1970). Plinio 37.126), al solito, appare il rinvio piuÁ sicuro: per<br />

lui il crisolito eÁ una pietra trasparente con fulgore dorato. <strong>La</strong> descrizione si adatta bene<br />

alla varietaÁ «crisolito» dell'olivina forsterite contenente Fe 2+ , che ha un colore gialloverdastro<br />

tanto piuÁ smorto quanto minore eÁ il tenore di Fe 2+ . Anche le concise parole del<br />

lapidario di Socrate e Dionisio 37, Halleux e Schamp, 1985: p. 171, «limpido, tralucente,<br />

trasparente, dorato») corrispondono alle caratteristiche della gemma attuale, mentre il<br />

suggerimento di incidervi un'immagine di Afrodite per ottenere favore rientra nel tardo<br />

atteggiamento magico alessandrino. Quest'inclinazione al magico si riscontra anche nel<br />

lapidario di Damigerone-Evace 47-48, Halleux e Schamp, 1985: p. 282) che cita due<br />

varietaÁ di crisolito, per una delle quali propone l'uso come amuleto: trapanato e appeso al<br />

braccio sinistro tramite setole d'asino passanti nel foro, il crisolito allontanerebbe i<br />

demoni.<br />

6.8. Giacinto n. 19, rr. 99-101). Identificare questa pietra sulle base delle due<br />

scarne informazioni fornite da Psello l'origine dall'India e il colore pari a quello del<br />

mare) non eÁ possibile e tuttavia una tradizione risalente a uno dei padri della<br />

<strong>Mineralogia</strong> moderna, Jean-Baptiste Rome de l'Isle 1783), accetta che il giacinto degli<br />

antichi sia l'attuale zircone, Zr[SiO4]-P4/mm, cheperse eÁ incolore, ma assume un<br />

colore rossastro piuÁ o meno scuro quando eÁ metamittico. <strong>La</strong> tradizione antica eÁ<br />

particolarmente confusa a proposito di questa pietra. Plinio, che pure dovrebbe<br />

derivare dalla medesima fonte di Psello, afferma che ha lo stesso colore violaceo<br />

dell'ametista, ma piuÁ pallido 37.125); inoltre afferma che proviene dall'Etiopia<br />

37.126). Ogni altra informazione riferibile a Senocrate tramandata dagli arabi fr. 8<br />

in Ullmann, 1972b: p. 62) ne trascura le proprietaÁ fisiche fuorche ilcolorecheeÁdato<br />

come rosso. Non aiutano le brevi frasi del lapidario di Socrate e Dionisio 27, Halleux e<br />

Schamp, 1985: p. 166) che, di nuovo, la pongono in relazione col mare. NeÂ, d'altra<br />

parte, sono utili i riferimenti contenuti nell'Antico Testamento Esodo, 39.11) e<br />

nell'Apocalisse 21.19): Psello li conosceva di sicuro, ma poteva trarne solo l'idea<br />

dell'importanza del giacinto tra le gemme, e nulla sulle sue proprietaÁ. CioÁcheiGreci<br />

intendevano essere il colore del mare non eÁ mai stato ben chiarito Capelle, 1958),<br />

mentre invece il colore del giacinto, in questo stesso trattatello 5.5.b), appare essere<br />

per Psello piuÁ rosso-violaceo che blu-marino, forse anche per una reminiscenza<br />

omerica 76 ). CioÁ nonostante, va osservato che nel lapidario di Socrate e Dionisio 27,<br />

76 ) A nove anni Psello sapeva a memoria tutta l'Iliade Criscuolo, 1990: p. 169)!


274 A. MOTTANA<br />

Halleux e Schamp, 1985: p. 166) la pietra eÁ raccomandata come salvaguardia contro le<br />

tempeste in mare. Epifanio 4, Blake, 1934: pp. 110-111), che eÁ categorico nel definire<br />

il giacinto di colore rosso-brillante, diverge da tutti gli autori greci poiche riportapoi<br />

informazioni che coincidono esattamente con quelle che negli altri sono relative allo<br />

a> nuraj. Di fronte a questa marcata incoerenza tra le fonti antiche, in passato si sono<br />

cimentati sul problema ottimi conoscitori di gemme: de Boot 1636 2 :p.161)suggerõÁ<br />

che il giacinto di Plinio era ametista, mentre l'ametista di questi sarebbe un granato, e<br />

trova in cioÁ il consenso di Moore 1834: p. 170), il quale peroÁ fa anche notare che il<br />

Salmasio, associandone il nome al persiano yacut, ne proponeva l'identificazione col<br />

rubino; Rome de l'Isle 1783: II, p. 282) lo riteneva uno zircone rosso-aranciato vedi<br />

sopra); King 1867: p. 242) privilegiandone la tonalitaÁ sull'azzurro lo considerava<br />

zaffiro. In conclusione, il giacinto in generale e quello di Psello in particolare rimane<br />

un'incognita, mentre dai frammenti di Senocrate Ullmann, 1972b: fr. 8, p. 62) si puoÁ<br />

evincere che veniva creduto efficace anche per mitigare o addirittura espellere il veleno<br />

che fosse stato ingerito mescolato col vino.<br />

6.9. Berillo n. 6, rr. 38-42). Anche delle caratteristiche fisiche esteriori di questa pietra<br />

eÁ precisato solo il colore e, sulla base di questo, ne sono anzi distinte tre varietaÁ: gialloolivastra<br />

la prima, che potrebbe essere quella ora indicata come «eliodoro» Cipriani e<br />

Borelli, 1984: p. 146) 77 ); azzurro-verdastra la seconda, che eÁ la «acquamarina», relativamente<br />

comune e, in ogni caso, ben nota anche ora 78 ) e, infine, a raggi di luce su un fondo<br />

omogeneamente chiaro e brillante la terza. Quest'ultima descrizione si adatta sia ai rari<br />

«berilli asteriati», sia al piuÁ comune berillo «occhio di gatto» Webster, 1994: p. 166), in<br />

cui l'effetto di gatteggiamento sembra dovuto alla presenza di minute bolle gassose bifasi<br />

Webster, 1994: p. 1036). Tutte e tre queste varietaÁ appartengono alla stessa specie<br />

mineralogica il cui nome eÁ, ancora oggi, berillo Be3Al2[Si6O18]-P6/mcc). L'eliodoro eÁ<br />

piuttosto raro, l'acquamarina abbastanza diffusa e l'occhio di gatto decisamente raro in<br />

Europa, ma frequente in India 79 ). Plinio 37.76-80) cita tutte e tre queste varietaÁ,<br />

purtroppo introducendo anche due nomi «crisoberillo» e «crisoprasio») che sono stati<br />

poi reimpiegati per altri minerali e, pertanto, costituiscono un'ulteriore fonte di<br />

fraintendimento ricorrente. Ne cita poi altre tre varietaÁ, di cui un paio sono in realtaÁ<br />

quarzo, che giaÁ allora era tinto per contraffare la pregiata gemma originale. Quanto alle<br />

77 ) <strong>La</strong> precisazione di Psello, che dice il colore essere «simile a quello dell'olio» [ovviamente d'oliva],<br />

permette di precisare che si tratta della varietaÁ «eliodoro», essendo tutti gli altri berilli francamente gialli meno<br />

pregiati, con l'eccezione di quelli giallo schietto della varietaÁ «aureo».<br />

78 ) Il colore tipico della «acquamarina» eÁ indicato attualmente come «azzurro cielo intenso limpido»<br />

Webster, 1994: p. 161), ma sono ammesse sfumature sul verde azzurrastro, con totale esclusione peroÁ di<br />

sfumature sul giallo Borelli e Cipriani, 1984: p. 142).<br />

79 ) Non posso concordare col Galigani p. 103) che identifica ± seppure dubitativamente ± la terza varietaÁ<br />

col «crysoberillio» sic). Il crisoberillo BeAl2O4-Pbnm), infatti, presenta sõÁ una varietaÁ gialla che puoÁ essere<br />

gatteggiante «cimofane»), ma eÁ estremamente piuÁ duro e molto piuÁ pesante = denso) del berillo, oltre che<br />

piuttosto raro: non puoÁ essere assolutamente confuso con esso.


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 275<br />

proprietaÁ mediche che Psello attribuisce al berillo, si tratta solo di indicazioni vaghe e<br />

generiche, fuorche l'ultima: contro l'itterizia. Nel lapidario nautico 3, Halleux e Schamp,<br />

1985: p. 188) il berillo, trasparente, brillante e color del mare, protegge coloro che<br />

viaggiano per mare, mentre in quello di Damigerone-Evace 35, Halleux e Schamp, 1985:<br />

p. 276) eÁ d'aspetto oleoso e va usato scolpito col segno di una locusta per il male d'occhi.<br />

Epifanio 11, Blake, 1934: p. 121) accenna appena a tre varietaÁ di berillo, sottolineando<br />

quella bianca, che ha un debole splendore simile a una nube, che diventa vitreo se la pietra<br />

eÁ vista contro sole.<br />

6.10. Selenite = ortoclasio «pietra di luna») n. 17, rr. 91-93). <strong>La</strong> descrizione di Psello<br />

ricalca esattamente quelle di Plinio 37.181) e di Damigerone-Evace 36, Halleux e<br />

Schamp, 1985: p. 277). Mentre, peroÁ , il primo ha l'accortezza di inserire la clausola<br />

dubitativa «si verum est» e non aggiunge altro se non che eÁ bianco-diafana come la luna<br />

con lo splendore del miele, i secondi rilevano che eÁ simile al diaspro, solida, pesante, e che<br />

giova nell'amore e nelle cause giudiziarie. Da cioÁ si ricava che la selenite descritta da Psello<br />

non ha nulla a che fare con l'attuale, che eÁ una varietaÁ in grandi lastre trasparenti di gesso<br />

Ca[SO 4].2H 2O-C2/c), e che, piuttosto, eÁ da identificare con la «pietra di luna» o<br />

«lunaria», una varietaÁ di feldspato a prevalente ortoclasio K[AlSi3O8]-C2/m)<br />

caratterizzata da un magnifico gioco di luce sul bianco-azzurrognolo che ricorda il<br />

bagliore della luna piena Webster, 1994: p. 271). Causa di questo gioco eÁ la presenza<br />

di un'intima alternanza, a scala microscopica, di lamelle di albite e d'ortoclasio, che<br />

provoca la diffusione della luce all'interno della pietra combinandone gli effetti di<br />

rifrazione, riflessione e interferenza in modo tale per cui essi emergano intensificati sulla<br />

sua faccia anteriore. L'effetto eÁ tanto migliore quanto piuÁ le lamelle alterne di albite e<br />

ortoclasio sono sottili e la pietra eÁ tagliata con il piano visuale parallelo al piano degli strati<br />

alterni. E Á corretto che essa sia solida ha durezza 6) e simile al diaspro eÁ un silicato), ma<br />

non eÁ particolarmente pesante ha densitaÁ 2,56-2,59 g/cm 3 ). Quanto alle sue proprietaÁ nei<br />

rapporti umani, Psello non si pronuncia 80 ) e, quindi, non lo faroÁ neppure io. Noto, per<br />

altro, che il nome eÁ stato usato da Dioscoride 5.141), come sinonimo di «afroseleno», per<br />

una pietra candida e leggera, quindi con un significato del tutto diverso e molto piuÁ<br />

prossimo al nostro gesso.<br />

6.11. Zaffiro = lapislazzuli) n. 15, rr. 83-85). L'identificazione dello «zaffiro» dei<br />

Greci con il lapislazzuli non eÁ mai stata messa in discussione: a partire da Teofrasto I.<br />

8) essa eÁ sicura ed eÁ confermata da Plinio 37.120) che peroÁ , riconoscendone la<br />

struttura non omogenea, non eÁ d'accordo con il suo predecessore greco sul fatto che sia<br />

adatta alla glittica. Psello, quindi, sapendo che eÁ ben nota, non si preoccupa neppure di<br />

descrivere questa pietra, ma passa subito alle sue proprietaÁ medicinali, anzitutto con<br />

una prescrizione di tipo magico amuleto contro le malattie degli occhi) poi<br />

80 ) Il Galigani 1980: p. 57, nota 25) interpreta questa assenza di indicazioni terapeutiche in altro modo:<br />

sarebbe dovuta ad una caduta testuale verificatasi nel capostipite stesso della tradizione manoscritta.


276 A. MOTTANA<br />

suggerendone l'uso per le malattie degli occhi, in parte richiamando Dioscoride<br />

5.139), in parte contraddicendolo non accenna ad un suo uso come antidoto contro<br />

il morso degli scorpioni, anche se cioÁ era stato confermato da Galeno: De simplicium<br />

medicamentorum facultatibus, 9). Psello passa poi subito dopo a descrivere due<br />

proprietaÁ legate alla natura fisica stessa del lapislazzuli: di essere disseccante ed<br />

astringente, come effettivamente avviene per uno dei suoi due minerali costitutivi 81 )<br />

la lazurite, Na6Ca2Al6Si6O24[SO4),S,Cl,OH)]2-P 43n, appartenente al gruppo dei<br />

feldspatoidi) e anche per l'altro, la pirite FeS 2-Pa3) che, essendo un solfuro, ha zolfo<br />

libero attivo in virtuÁ della tensione superficiale. Resta poi da vedere se tutto cioÁ serva<br />

realmente contro le febbri acute. Completamente diverso eÁ lo zaffiro descritto da Epifanio<br />

5, Blake, 1934: p. 112), che eÁ scuro e simile a porfido, da bere macinato e misto a latte per<br />

curare scabbia e tumori. Il lapidario di Damigerone-Evace si dilunga alquanto su questa<br />

gemma 14, Halleux e Schamp, 1985: pp. 250-252) che considera una prerogativa dei re,<br />

ma fornisce soprattutto prescrizioni di carattere magico che richiedono, per un uso<br />

corretto, che su di essa siano incise varie figure.<br />

6.12. Galattite = una zeolite?) n. 7, rr. 43-46). Identificare questa pietra eÁ impossibile<br />

e perfino voler azzardare una proposta qualsiasi eÁ temerario. L'idea del Galigani che si<br />

tratti di «una specie di quarzo lattiginoso, del colore e del gusto del latte» p. 104) eÁ<br />

insostenibile: esiste un quarzo che eÁ latteo nell'aspetto a causa di minute inclusioni fluide,<br />

ma eÁ privo di gusto, come tutti i biossidi di silicio che sono totalmente insolubili. <strong>La</strong><br />

descrizione di Psello trova corrispondenza in Plinio 37.162) e in Dioscoride 5.132),<br />

mentre tanto nei Lithica vv. 191-229) e nei Kerygmata 2) quanto nel lapidario di<br />

Damigerone-Evace 34, 76) sono elencate lunghe serie di mirabolanti virtuÁ . Caratteristica<br />

comune a queste descrizioni eÁ che la galattite, pressata o strofinata, spiccerebbe un liquido<br />

bianco dolciastro simile al latte. Dioscoride e Plinio, inoltre, la danno di colore grigiocenere<br />

oppure striata di bianco e rosso. Sulla base di queste proprietaÁ non eÁ facile<br />

azzardare una proposta: non convincono le identificazioni col «chalk» = calcare bianco<br />

farinoso: Riddle, 1977: p. 72), ne col gesso Bianco, 1992: p. 194), neÂ, tanto meno, con un<br />

borato sodico come suggerito anticamente da John Kidd e negato giaÁ dal Moore, 1834: p.<br />

100). Potrebbe trattarsi, piuttosto, di un minerale del gruppo delle zeoliti 82 ). Questi<br />

minerali, oltre a dare aggregati leggeri e porosi di aspetto terroso, spesso striati per effetto<br />

di impuritaÁ, hanno la caratteristica di assorbire o rilasciare acqua con molta facilitaÁ Klein<br />

e Hurbult, 1985: pp. 462-463), e questa, in molte specie, eÁ carica di sali, soprattutto<br />

81 ) Nel lapislazzuli, che eÁ una roccia e non un minerale, possono esser presenti, anche se in quantitaÁ minori,<br />

altri feldspatoidi cancrinite, noseana, sodalite) ed inoltre calcite, diopside, biotite, ecc. come accessori eventuali<br />

Webster, 1994: p. 341). <strong>La</strong> loro presenza non modifica in modo sostanziale cioÁ che lo contraddistingue, che eÁ il<br />

colore blu di fondo picchiettato di giallo oro, caratteristica cromatica che eÁ data dalla prevalenza di lazurite<br />

associata con pirite. L'intensitaÁ di colore ne risulta attenuata «lapis bastardo»), per cui la pietra da un uso come<br />

pietra semi-preziosa passa ad uno ornamentale.<br />

82 ) Questa deve essere stata l'opinione di E.F. Glocker quando, nel 1847, battezzoÁ cosõÁ una zeolite di colore<br />

latteo rinvenuta in Scozia, nel Perthshire, che eÁ poi risultata essere natrolite Clark, 1993: p. 250).


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 277<br />

sodici, costituendo una soluzione salina, quindi lattiginosa, che non eÁ priva di un certo<br />

sapore acidulo. Questa identificazione spiegherebbe anche il verbo bry* v = rigurgito)<br />

usato da Psello, perche l'emissione del liquido puoÁ essere brusca, una volta che eÁ stata<br />

raggiunta una certa pressione. Tuttavia, essa certo non spiega le misteriose facoltaÁ che<br />

Psello attribuisce alla pietra ed in particolare quella di guarire i morsi delle belve se eÁ<br />

appesa al collo come un amuleto. Non ha una base scientifica la sua presunta capacitaÁ di<br />

favorire la produzione di latte nelle donne; cioÁ eÁ possibile, tuttavia, ma solo come effetto<br />

della suggestione.<br />

6.13.a. Elettro = ambra) n. 8, rr. 47-53). Per quanto non si tratti propriamente di un<br />

minerale, perche non eÁ omogenea, l'ambra eÁ sempre stata considerata tra i corpi naturali<br />

d'interesse gemmologico Webster, 1994 pp. 735-740) ed eÁ riportata in molte<br />

classificazioni mineralogiche, ma non in quelle piuÁ moderne e.g., Strunz e Nickel,<br />

2001). Era talmente ben nota ai bizantini che Psello non la descrive neppure, ma si<br />

limita a citarne cinque provenienze possibili, tre delle quali situate ± e non credo che lo<br />

faccia senza un proposito ± agli estremi del mondo allora conosciuto. Indirettamente,<br />

inoltre, accenna alla sua mitica origine dalle lacrime delle sorelle di Fetonte caduto nel Po<br />

e, tramite un'attenta scelta di parole, riconduce il mito alla realtaÁ: si tratta di gocce di<br />

resina cadute da un qualche albero. Come tutte le resine e qui Psello fa l'esempio ± di<br />

nuovo non a caso, a mio parere ± di un tipo di resina esotico come l'incenso e di uno piuÁ<br />

locale come la gomma del lentisco, la mastica, del cui tipo piuÁ pregiato, raccolto a Chio<br />

Dioscoride, 1.90; Plinio, 12.72), Costantinopoli era allora il piuÁ grande centro di<br />

commercializzazione), l'ambra brucia dando odore. Su questo carattere, peroÁ , Psello<br />

non indugia, per passare subito ai benefici medici che si ottengono non giaÁ bruciando<br />

questo costoso materiale, ma portandolo appeso al corpo oppure spalmandolo, tritato<br />

finemente, sugli occhi. L'intero capitoletto deriva certamente da Senocrate, come<br />

dimostra il confronto con la lunga descrizione di Plinio 37.30-51) in cui il nome di<br />

questo autore eÁ espressamente citato 37.40), ma in cui sono menzionati anche vari altri<br />

autori, tra cui Ctesia.<br />

Proprio dagli IndikaÂdi Ctesia di Cnido, inoltre, Psello ha tratto un intero trattatello o<br />

un brano, che eÁ stato tradito in modo indipendente) dedicato all'ambra, il De succino, la<br />

cui importanza mineralogica eÁ, per altro, minima, anzi non esiste del tutto. Nella<br />

brevissima frase iniziale, infatti, egli afferma che in India l'ambra ha origine dalla resina<br />

stillante da un albero che ricade nelle acque di un fiume, mentre prosegue in tutto il resto<br />

del brano riportando fantasie etnografiche riferibili senz'altro al modo di fare di Ctesia<br />

Maas, 1924; Momigliano, 1931). In India non esiste ambra fossile cioeÁ la nostra ambra<br />

p.d.) e la resina cui viene dato questo nome, ricavata da incisioni effettuate sul tronco di<br />

una conifera dell'Himalaia, eÁ simile a coppale molto indurito: come questo si presenta in<br />

due colori uno chiaro e uno scuro), entrambi dolci e fortemente odorosi senza alcun<br />

bisogno di essere bruciati.<br />

CioÁ che, tuttavia, rende interessante il De succino giaÁ noto, per altro, come tratto da<br />

Ctesia, perche recensito da Fozio: vedi sopra) sono due particolaritaÁ di carattere<br />

filologico: il nome del fiume, che Fozio indicava come y= parxoQ, eÁ spa* baroQ in tutti e


278 A. MOTTANA<br />

quattro i manoscritti di Psello, mentre quello dell'albero da cui cade la resina eÁ jhtako* ra<br />

in Psello e sipaxo* ra o siptaxo* ra in Fozio. Tutto lascia pensare che il manoscritto di<br />

Ctesia da cui uno dei due aveva copiato il brano era corrotto: quello di Psello,<br />

probabilmente, poiche scrive due secoli dopo Fozio. Il confronto testimonia anche, peroÁ,<br />

che a Bisanzio, dopo due secoli, Psello poteva ancora rintracciare un manoscritto di Ctesia<br />

in originale 83 ), per mal ridotto che fosse! Se, infatti, si fosse limitato a copiare dal libro di<br />

Fozio ne avrebbe trascritto anche i nomi secondo l'ortografia di questi.<br />

6.13.b. Criselettro = ambra) n. 21, rr. 103-104). Psello non descrive questa pietra, ma<br />

la indica solo come utile febbrifugo. Stando cosõÁ le cose, occorre fare ricorso a Plinio per<br />

tentarne l'identificazione. Egli usa inizialmente la stessa espressione 37.51) e continua<br />

specificando che eÁ somministrato o tritato nel miele o macinato finemente disciolto in<br />

acqua. Il Galigani 1980: p. 118) e, seguendo lui, il Volk p. 146) identificano questa<br />

pietra con il «citrino» varietaÁ gialla di quarzo), ma il primo riporta anche un passo di<br />

Dioscoride 1.83) in cui la parola eÁ scomposta in xrysoWo* ron h> lektron ambra<br />

ingiallente), suggerendo quindi una varietaÁ di ambra poco diagenizzata che tende a<br />

sciogliersi se eÁ messa a contatto con un solvente. Questa interpretazione soddisfa<br />

senz'altro di piuÁ del citrino, che per la sua natura quarzosa eÁ duro da tritare, difficile<br />

da macinare finemente e, in ogni caso, perde totalmente il proprio colore una volta ridotto<br />

in polvere 84 ), senza neppure rilasciare alcuna tinta al liquido con il quale eÁ messo in<br />

contatto poiche eÁ insolubile.<br />

6.14. Dattilo ideo = rostro di belemnite?) n. 10, rr. 62-66). Psello spende piuÁ parole<br />

per questa pietra che per il diamante, mentre Plinio 37.170) la liquida con una sola frase,<br />

sostanzialmente identica alla prima frase di Psello. Questa prima parte, quindi, eÁ quella<br />

che puoÁ essere ricondotta a Senocrate, loro fonte comune, mentre tutto cioÁ che Psello fa<br />

seguire deve essere ricercato in una qualche sua fonte posteriore, non necessariamente<br />

magica come vorrebbe il Galigani 1980: p. 109). <strong>La</strong> pietra descritta eÁ un fossile, come<br />

riconobbe giaÁ Moore 1834: p. 176): forse eÁ un rostro di belemnite 85 ) Eichholz, 1962: p.<br />

303, nota b), che ha effettivamente la forma di un pollice di grosse dimensioni e che eÁ di<br />

colore ferrigno.<br />

83 ) Per me questa eÁ l'ipotesi piuÁ plausibile: Plinio chiama, infatti, il fiume Hypobarum 37.39), che eÁ una<br />

crasi tra la versione di Fozio e quella di Psello, ma l'albero psittachoras, che eÁ pure una crasi, ma sembra<br />

giustificare piuÁ la prima versione della seconda dal punto di vista ortografico.<br />

84 ) Il quarzo in cristalli di dimensioni anche millimetriche eÁ policromo, ma eÁ sempre allocromatico, poicheÂ<br />

bastano tracce minime di cationi estranei ad eccitarne la colorazione. Questa eÁ peroÁ persa non appena i<br />

frammenti sono ridotti a dimensioni submillimetriche.<br />

85 ) Il nome belemnite eÁ proposto come sinonimo di dattilo ideo giaÁ dal de Boot 1636 2 : p. 476), che ne<br />

riporta sia l'origine da Creta sia la descrizione, sottolineandone la presenza di una cavitaÁ interna continua per<br />

tutta la lunghezza; inoltre, ne daÁ alcune bellissime raffigurazioni tipografiche in bianco e nero p. 477). Il de Boot,<br />

peroÁ, non considera la belemnite un fossile, ma una freccia caduta sulla terra o nella pietra e l'avvicina percioÁ ai<br />

lincuri e ai cerauni. Oltre alla classica localitaÁ di Creta, egli ne riporta anche una nuova presso Lussemburgo p.<br />

479).


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 279<br />

6.15. Licnite = tormalina rossa??) n. 12, rr. 71-74). Se non eÁ un fossile, dato che eÁ<br />

detta simile a un guscio di conchiglia, eÁ una pietra che non puoÁ essere classificata se non<br />

con molte incertezze. Il Wellmann 1935: p. 112), e con lui il Galigani 1980: p. 110),<br />

vorrebbero che si tratti di un «rubino balascio», per via del colore rosso vivo e della<br />

trasparenza 86 ). Il «rubino balascio» dei gemmologi antichi eÁ lo spinello rosso MgAl 2O 4-<br />

Fd3m: Webster, 1994: p. 197), lo stesso cui il Galigani voleva riferire quella pietra che ho<br />

qui suggerito essere antracite. <strong>La</strong> descrizione di Psello, peroÁ, eÁ troppo scarna per<br />

arrischiare un'identificazione, a meno di non volerla integrare con le affermazioni di<br />

Plinio 37.103), che descrive la licnite come simile al carbonchio, ma di colore piuÁ chiaro,<br />

passante dal rosso purpureo al rosso scarlatto, e capace di attrarre pagliuzze e fibre di<br />

papiro se sfregata con le dita. Se eÁ veramente cosõÁ, allora si deve pensare ad una tormalina<br />

rossa, poiche ne gli spinelli ne i corindoni sono caratterizzati da triboelettricitaÁ statica.<br />

Inoltre Plinio afferma che la stessa capacitaÁ attrattiva si manifesta quando la pietra eÁ<br />

scaldata dal sole, e cioÁ sta ad indicarne la piroelettricitaÁ, proprietaÁ questa che eÁ stata<br />

evidenziata in modo scientifico per la prima volta proprio nella tormalina 87 ). <strong>La</strong> pietra eÁ<br />

descritta anche nei Lithica vv. 271-279, Halleux e Schamp, 1985: pp. 96-97) e nei<br />

Kerygmata 7, Halleux e Schamp, 1985: pp. 150-151), ed inoltre, quasi con le stesse<br />

parole, nel lapidario di Damigerone-Evace 28, Halleux e Schamp, 1985: pp. 266-267).<br />

Malgrado tutte queste descrizioni aggiuntive e tutti i dettagli che esse contengono,<br />

l'identificazione rimane insicura. Quanto alle proprietaÁ terapeutiche della licnite, sono<br />

tipicamente di tipo magico. Non basta, infatti, usarla come medicina: bisogna<br />

adornarsene in punti speciali del corpo per goderne gli effetti positivi! Le prescrizioni<br />

di Psello, inoltre, non hanno riscontro in quelle citate dagli autori, se non per<br />

Damigerone-Evace vedi sopra): tutti gli altri preferiscono evidenziarne il comportamento<br />

fisico, che eÁ tipico di una sostanza che acquista elettricitaÁ statica quando eÁ riscaldata, come<br />

appunto la tormalina, tipicamente piroelettrica.<br />

6.16. Calazia = ??) n. 23, rr. 108-109). Bianca, dura e simile ad un quarzetto: queste<br />

tre proprietaÁ non sono sufficienti per determinare cioÁ che Psello chiama xalazi* aQ, ma piuÁ<br />

che sufficienti ad escludere che si tratti della stessa cosa della quasi omofona galaji* aQ 88 )<br />

che le fonti arabe riferiscono a Senocrate fr. 2, Ullmann, 1972b: p. 55; 1973: p. 66). <strong>La</strong><br />

galasia eÁ da loro descritta come leggera, di colore verde porro con una sfumatura<br />

grigiastra e usata per sbiancare i vestiti: eÁ quindi probabile che si tratti di una zeolite 89 ).<br />

86 ) Devoto e Molayem 1990: p. 14 e fig. 3) ritengono addirittura che si tratti di un autentico «rubino», cioeÁ<br />

di corindone rosso vivo.<br />

87 ) <strong>La</strong> prima descrizione eÁ di tale Garmann alla p. 269 del libro Curiose Speculationes bei Schlaflosen<br />

Nachten ± von einem Liebhaber, der Immer Gern Speculirt Chemnitz e Leipzig, 1707). Purtroppo non sono<br />

ancora riuscito a rintracciare questo libro. Lo cito, quindi, di seconda mano.<br />

88 ) Questo eÁ un punto nell'edizione del Galigani che a me risulta incomprensibile. L'edizione del Duffy<br />

infatti registra in apparato p. 119) che il codice <strong>La</strong>urenziano gr. 70, che Galigani afferma essere il suo principale<br />

riferimento L), riporta galaji* aQ in luogo di xalazi* aQ come invece ha il Parisinus gr. 1630 P). Il Galigani<br />

concorda cf. p. 57), ma poi daÁ la preferenza alla versione di quest'ultimo senza fornire alcuna spiegazione.


280 A. MOTTANA<br />

<strong>La</strong> calazia descritta da Psello non corrisponde neppure alla xalazi* thQ del lapidario orfico<br />

e dei Kerygmata 25, Halleux e Schamp, 1985: p. 165), che eÁ anch'essa di colore verde<br />

porro, guarisce dalle febbri e dal morso degli scorpioni e daÁ capacitaÁ divinatoria a chi la<br />

porta. Piuttosto, essa eÁ stata interpretata o come «chicco di grandine» Galigani, 1980: p.<br />

80), probabilmente male interpretando una affermazione di Plinio 37.189) che trova<br />

riscontro in una falsa etimologia che riporta poi Isidoro XVI. 10, 5), oppure come<br />

«diamante» di nuovo mal interpretando il luogo di Plinio), vale a dire come termine<br />

indicante l'autentico minerale di questo nome prima che gli si applicasse quello di a$ da* maQ<br />

sotto l'influenza della ridefinizione di Teofrasto III. 19) o anche in alternativa alla<br />

possibile identificazione col leucozaffiro del termine corrispondente riportato dalla<br />

letteratura medievale 90 ). In realtaÁ, non eÁ possibile identificare questa pietra a meno di<br />

non risolvere prima l'incertezza filologica, ma cioÁ comporta intervenire congiuntamente<br />

su quasi tutti i testimoni mineralogici greci che ci sono pervenuti. Le proprietaÁ fisiche<br />

descritte da Psello, comunque, porterebbero alla seconda alternativa: non eÁ<br />

concettualmente ammissibile, infatti, che un attento osservatore come lui descriva un<br />

chicco di grandine, che eÁ deliquescente, come duro come o piuÁ del quarzo!<br />

6.17. Altre pietre. All'inizio del suo trattatello [A], rr. 8-11), Psello elenca una serie di<br />

nomi di pietre di cui non si occuperaÁ perche non le ha potute sperimentare di persona.<br />

Con ogni probabilitaÁ si tratta di nomi che egli aveva trovato nel Lithognomon di Senocrate<br />

e infatti si ritrovano in Plinio, che ne fa uso), ma che, anche se circolanti nell'ambiente<br />

degli interessati dell'epoca con l'attribuzione di proprietaÁ particolari, egli non era in grado<br />

giaÁ allora di mettere in relazione con nessun oggetto reale. Sono quindi inutili anche al fine<br />

di un riconoscimento scientifico moderno. CioÁ nonostante, conviene riferirli qui, percheÂ<br />

vanno a completare il quadro della <strong>Mineralogia</strong> greca del XI sec. almeno dal punto di<br />

vista nominalistico.<br />

6.17.a. Onocardio. Come pianta eÁ il dipsaco Dioscoride, 3.11 cf. Mazal, 1998: I, 100),<br />

chiamato anche cardo dei lanaioli o scardaccione Dipsacus fullonum L.), affine al cardo,<br />

ma come pietra eÁ menzionata al femminile) solo da Plinio 37.176) tra quelle rare, anzi<br />

eccezionali, perche egli stesso afferma che non se ne sa nulla. In altre parole, Plinio non ne<br />

aveva reperito altra informazione nella sua fonte principale, Senocrate, se non che eÁ simile<br />

al coccum, vale a dire al guscio della cocciniglia europea o falsa cocciniglia = Coccus ilicis<br />

Fabr.), da cui si estraeva il chermes, una sostanza colorante rosso bruna che veniva o usata<br />

cosõÁ oppure serviva da fondo cremisi per la tintura dei tessuti da tingere poi con la<br />

porpora.<br />

89 ) A questa pietra le fonti arabe danno anche come sinonimo mo* roxuoQ, in copto Ullmann, 1972b: p. 55).<br />

Nessuno dei due termini trova riscontro in Psello.<br />

90 ) In neogreco il termine indica, molto semplicemente, il quarzo comunicazione personale del Prof.<br />

Anastassios Kotsakis).


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 281<br />

6.17.b. Olcade. Propriamente si tratta di una nave da carico Montanari, 1995: p.<br />

1381), ma nell'uso che ne fa qui Psello che richiama un'iscrizione del III sec. a.C. trovata<br />

a Delo: cf. Galigani, 1980: p. 90) dovrebbe trattarsi di una qualsiasi pietra usata come<br />

zavorra. Questo termine eÁ l'unico non rintracciabile in Plinio.<br />

6.17.c. Spongite. Come afferma Plinio 36.143, 37.182), si tratta delle parti dure forse<br />

le spicole) presenti nelle spugne che venivano indicate come cura per le vesciche e che<br />

erano chiamate anche tecoliti percheÂ, bevute col vino, rompevano i calcoli renali<br />

Dioscoride, 5.144; Aetio, 2.19; cf. Olivieri, 1935, I, p. 162).<br />

6.17.d. Limoniate.E Á una pietra verde, che Plinio trovava citata dalle sue fonti, ma non<br />

conosceva direttamente e percioÁ ipotizzava essere lo stesso dello smeraldo 37.172).<br />

6.17.e. Lincurio. Questa pietra era incognita allo stesso Teofrasto V. 28) che per<br />

primo la descrisse con grande dettaglio. Sulla base dei suoi dati, si eÁ sbizzarrita la fantasia<br />

dei commentatori 91 ), inclusa la mia, che mi ha portato ad identificarla con un tipo di<br />

ambra Mottana e Napolitano, 1977: p. 203) prima di rendermi conto di quanto fosse piuÁ<br />

aderente alla descrizione teofrastea l'antica identificazione con una tormalina rossa<br />

avanzata dal Watson 1759: p. 396). Mi ha colpito particolarmente come questo autore,<br />

che scriveva quando ancora erano d'avanguardia talune osservazioni sperimentali che ora<br />

non si eseguono piuÁ , essendo ritenute superate dalle misure strumentali, faccia notare<br />

come la tormalina, a differenza dell'ambra, attragga non solo la paglia e i fiocchi di lana,<br />

ma anche sottili lamine di metallo: mostri cioeÁ proprietaÁ polari oltre che<br />

elettrostatiche 92 ).<br />

6.17.f. Triglite. Sarebbe una pietra preziosa Montanari, 1995: p. 2031) rossastra<br />

striata di un colore simile alla triglia Plinio, 37.187), da cui prenderebbe il nome.<br />

91 ) Un problema particolare si eÁ posto a coloro che hanno voluto commentare il «lapidario cristiano», vale<br />

a dire le pietre del pettorale e della cittaÁ di Dio. Il ligy* rion figura, infatti, nella Vecchio Testamento tradotto dai<br />

Settanta Esodo, 39.10), ma non compare nel Nuovo Testamento, scritto direttamente in greco, dove figura<br />

invece lo y< akinuo* Q Apocalisse, 21.20). Anastasio il Sinaita risolve la discrepanza testuale sostituendo nel suo<br />

commento il primo termine col secondo.<br />

92 ) Nel suo commento ai libri 36 e 37 di Plinio, l'Eichholz 1962: pp. 262-264) si lancia in una delle tante<br />

identificazioni azzardate di cui danno prova i letterati quando scrivono di minerali: il lincurio potrebbe, secondo<br />

lui, essere hessonite, per il colore, essenzialmente, perche egli stesso ammette che la hessonite non presenta<br />

proprietaÁ elettromagnetiche sic: avrebbe dovuto scrivere elettrostatiche!). <strong>La</strong> hessonite eÁ una varietaÁ gialloambrata<br />

della grossularia, un granato comune, inconfondibile con la tormalina e improponibile come identica al<br />

lincurio per una serie lunghissima di ragioni cf. Mottana et al., 1977)! E Á un peccato che il Galigani 1980: p. 91)<br />

si sia fatto portavoce dell'errore dell'Eichholz ed eÁ un bene che il Volk 1990: p. 138, nota 43) non l'abbia<br />

seguito, ma abbia piuttosto attirato l'attenzione sulla lunga fama usurpata da questo nome nella letteratura<br />

medievale raccolta dalla Meier 1977). L'intera storia del lincurio eÁ stata recentemente rivista dal Walton 2001),<br />

che fa risaltare da un lato la sua implausibilitaÁ come oggetto reale, dall'altro l'ostinata persistenza della letteratura<br />

lapidaria nel riproporre per 1200 anni di seguito il nome di oggetti non verificabili.


282 A. MOTTANA<br />

Un'analoga, breve descrizione si ha nel lapidario di Damigerone-Evace 65, Halleux e<br />

Schamp, 1985: p. 287), che precisa che essa eÁ pesante, dura e presenta macchie biancastre<br />

su un fondo di colore simile a quello della triglia.<br />

6.17.g. Trioftalmo. Questa pietra preziosa Montanari, 1995: p. 2035), secondo Plinio<br />

37.186), eÁ un tipo di onice in cui si riconoscono tre occhi umani contemporaneamente, il<br />

che eÁ possibile con un materiale concrezionare di deposizione chimica, ovviamente se<br />

tagliato secondo una direzione opportuna.<br />

6.17.h. Socondio. Secondo Plinio 37.122) eÁ il tipo di ametista di un colore che eÁ il piuÁ<br />

simile al fiore di giacinto ed avrebbe derivato il suo nome proprio dal nome indiano del<br />

fiore socon).<br />

6.17.i. Siringite. Sarebbe una pietra simile alla sezione tra i due nodi di una cannuccia<br />

Plinio, 37.182), cioeÁ lunga e stretta con un foro all'interno. Potrebbe trattarsi, quindi, di<br />

una piccola stalattite.<br />

6.17.l. Scisto. Per Dioscoride 5.127) eÁ una pietra colore zafferano proveniente<br />

dall'Iberia 93 ) che eÁ scissile o fissile), sgretolabile e che ha le stesse proprietaÁ dell'ematite,<br />

anche se un po'attenuate. Viene usata per le fratture e per le infiammazioni degli occhi.<br />

Plinio 36.147), citando Sotaco come fonte, afferma che eÁ un tipo di ematite che, bevuto,<br />

blocca le emorroidi. Entrambi gli autori concordano che si tratta di una semplice pietra e<br />

non di una gemma. <strong>La</strong> fissilitaÁ e il colore scuro, che diventa grigio in polvere, sono<br />

confermati dal lapidario di Damigerone-Evace 64, Halleux e Schamp, 1985: p. 287).<br />

6.17.m. Gagate. Non compare nel De lapidum virtutibus, maeÁ citato da Psello nel De<br />

incredibilibus lectionibus Musso, 1977; cf. Volk, 1990: pp. 208-222) come una pietra<br />

mirabile che, se tenuta stretta nella mano sinistra, permette ad una donna di sgravarsi<br />

rapidamente. Questo potere eÁ mutuato da Aetio d'Amida 2.24, Olivieri, 1935: I, 164, 27-<br />

28) ed eÁ totalmente ignorato nell'abbondante letteratura greca precedente. Per tutti si<br />

tratta di una speciale varietaÁ di lignite chiamata anche «ambra nera») proveniente dalla<br />

Lidia. In particolare, il gagate eÁ rappresentato a colori in una miniatura del celebre codice<br />

viennese di Dioscoride Mottana, 2002). Nello stesso libro Psello ne cita un'altra<br />

proprietaÁ ancora piuÁ fantasiosa: se il suo fumo, indirizzato contro l'addome di una<br />

ragazza, non si accende quando lei lo allontana con un soffio, cioÁ sta ad indicare che la<br />

ragazza eÁ vergine. Viceversa, col fumo del gagate sarebbe possibile verificare se uno<br />

schiavo ha il mal caduco, secondo quanto afferma il lapidario di Damigerone-Evace 20,<br />

Halleux e Schamp, 1985: pp. 258-259).<br />

93 ) Impossibile dire se si tratta della Spagna oppure della Georgia.


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 283<br />

7. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI<br />

L'esame complessivo del Peri+ li* uvn dyna* mevn De lapidum virtutibus) dimostra che<br />

il trattatello eÁ stato impostato da Psello sotto forma di compilazione erudita in cui<br />

profondere tutte le informazioni di cui disponeva sul possibile impiego delle pietre in<br />

medicina, nel presupposto non solo di mettersi in buona luce per la sua disponibilitaÁ<br />

presso il suo corrispondente che ± non dimentichiamolo ± era o un alto prelato, come<br />

Michele Cerulario, oppure un alto funzionario della casa imperiale, come uno qualsiasi<br />

dei membri della famiglia Duca), ma anche di dare una efficace dimostrazione del suo<br />

grado di cultura. <strong>La</strong> medicina, infatti, era allora considerata una parte importante del<br />

curriculum formativo di un uomo colto e Psello non solo non se ne sottraeva, ma volentieri<br />

vi si dedicava, anche per migliorare per quanto possibile le sue conoscenze a vantaggio<br />

suo e dei suoi cari Volk, 1990).<br />

Tuttavia, l'esame dimostra anche che il trattatello rimase allo stato di abbozzo: eÁ<br />

sbilanciato nella forma, parziale nei contenuti e sbrigativo nell'esposizione, pur essendo<br />

completo di introduzione e di conclusione. Non si tratta, quindi, di un frammento residuo<br />

di una composizione piuÁ completa che non ci eÁ pervenuta per una lacuna nella tradizione,<br />

ma di un'imbastitura entro la quale piuÁ tardi, forse, Psello avrebbe incorporato altri passi,<br />

piuÁ estesi, dedicati a ciascuna pietra: uno di questi passi potrebbe essere lo stesso De<br />

succino che, cosõÁ com'eÁ, eÁ esso stesso un frammento, senza capo ne coda e ben poco<br />

interessante dal punto di vista mineralogico, ma eÁ esauriente nel suo contenuto<br />

informativo. Nell'assunto, quindi, che il De succino debba essere considerato un brano<br />

che, alla lunga, avrebbe dovuto essere inserito in un De lapidum virtutibus piuÁ completo,<br />

non appare azzardato congetturare che almeno una parte delle notizie meravigliose<br />

contenute nel De incredibilibus lectionibus, oppure nel De omnifaria doctrina o in un altro<br />

testo pselliano che mostri simili incongruenze di stesura e completezza, sarebbero<br />

confluite anch'esse in un trattato finale, completo ed esauriente, che peroÁ non vide la<br />

luce o perche Psello morõÁ oppure perche i casi della sua vita turbolenta lo portarono a un<br />

certo punto ad abbandonare gli studi di filosofia naturale per dedicarsi solo a quelli di<br />

teologia.<br />

Gli argomenti che posso addurre a sostegno di questa congettura sono molteplici.<br />

7.1. Quanto alle dimensioni, il trattatello di Psello descrive solo 24 pietre 94 ): molto<br />

meno, cioeÁ, di quante erano note ai Greci secondo la testimonianza di Plinio, e per lo piuÁ<br />

in termini d'estrema brevitaÁ 2-5 righe; delle 24 descrizioni ben 12 consistono nel solo<br />

nome seguito dai due punti e da una scarna frasetta), ad eccezione di quattro carbonchio,<br />

elettro, diaspro e topazio) su cui egli si dilunga un poco di piuÁ . Per alcune pietre, poi, non<br />

tanto di brevitaÁ si tratta, quanto piuttosto di secchezza, anche d'informazione. Psello,<br />

94 ) In realtaÁ sono 25 cf. tab. II), poiche l'antracite non ha nulla a che fare con lo «antrace», pur essendo<br />

descritta nello stesso capitoletto carbonchio, n. 4: q.v.). Non contando i nomi all'inizio, di cui Psello stesso<br />

ammette di non sapere niente, e prese assieme le diverse varietaÁ di quarzo, il numero di descrizioni di pietre<br />

indipendenti si riduce a 17.


284 A. MOTTANA<br />

infatti, si limita a far seguire al nome della pietra una sola proprietaÁ di rilevanza medica,<br />

senza nulla di piuÁ , e tanto meno cerca di descrivere come si presenti la pietra 95 ).<br />

Vi sono, anzi, evidenti discrepanze interne nel trattamento dell'informazione: le prime<br />

18 pietre, in una rigorosa sequenza alfabetica, sono descritte con un accenno di ordine e<br />

di larghezza; le ultime sono elencate un po'a caso e sono liquidate con una riga di testo, ad<br />

eccezione dell'ultimissima vale a dire proprio di quella che piuÁ di tutte viola l'ordine<br />

alfabetico). Anche per le pietre che nomina solamente, ma che non descrive, Psello adotta<br />

un ordine strano, di cui non intendo il significato recondito, se pure c'eÁ: sono sempre<br />

appaiate nell'iniziale greca 2 O, 2 L, 2 T) e nella costruzione della frase fuorche quelle<br />

che iniziano per X, ma anche per questa lettera dopo la prima pietra, isolata, ne seguono,<br />

nettamente staccate da essa, 3 di seguito: in tutto, quindi, le pietre che iniziano con X sono<br />

2+2, vale a dire il doppio di quelle che iniziano con L, o con O, o con T 96 ).<br />

7.2. Quanto alla finalitaÁ del trattato, esse sono espresse chiaramente in apertura. Psello<br />

afferma di aver effettuato la sua ricerca sulle virtuÁ delle pietre affinche il suo interlocutore<br />

possa servirsene e trarne vantaggio nei momenti critici. A noi non resta che osservare che<br />

il destinatario avrebbe potuto trarre un vantaggio piuttosto limitato, se l'informazione<br />

ricevuta si fosse limitata alle scarne parole contenute nell'abbozzo che ci eÁ pervenuto!<br />

Tutto lascia pensare o che Psello l'abbia integrato oralmente, oppure che intendesse<br />

completare il trattato in altro momento. Va valutato, comunque, come mai Psello non<br />

attribuisca i presunti benevoli influssi delle pietre alla volontaÁ divina, come avrebbe fatto<br />

un qualsiasi altro scrittore della sua epoca, ma espressamente dichiari che non vuole<br />

pronunciarsi in merito ed anzi suggerisca al suo interlocutore di goderne i vantaggi senza<br />

cercarne la causa, cosõÁ che essa rimanga serbata cioeÁ nascosta) tra i tesori superni. Psello<br />

dimostra in cioÁ di essere un «razionalista» Praechter, 1931) cauto nelle sue conclusioni,<br />

convinto che il buon risultato della cura sarebbe dipeso dalla sua favorevole accettazione<br />

da parte del curato e non incline ad esporsi su un argomento di possibile frizione con la<br />

dottrina ufficiale della chiesa. Tuttavia, dal complesso dell'esposizione, credo di poter<br />

dedurre che Psello credeva realmente nelle virtuÁ terapeutiche delle pietre e che desiderava<br />

farne partecipe l'altro ± chiunque egli sia ± come se si trattasse di un autentico tesoro,<br />

contribuendo cosõÁ alla favorevole accettazione psicologica della cura grazie all'effetto<br />

placebo cf. Thorndike, 1923).<br />

7.3. Resta infine da valutare la qualitaÁ scientifica del testo. Psello riprende Senocrate<br />

95 ) Alcune frasi brevissime, prive di articoli e di verbi, sembrano piuÁ un appunto frettoloso che un brano,<br />

anche succinto, di un testo scientifico meditato.<br />

96 ) Questo mio indulgere a cercare simmetrie nascoste nella stesura puoÁ apparire forse fuori luogo<br />

soprattutto dopo che mi sono sbilanciato nell'affermare che considero il trattatello un semplice abbozzo), ma si<br />

adatta bene a quanto eÁ stato messo in luce Renauld, 1920) sullo stile del nostro filosofo, che eÁ spiccatamente<br />

letterario, come del resto usuale al suo tempo, quando letteratura e scienza non presentavano ne la divaricazione<br />

di contenuti ne la specializzazione verbale che rende oggi la scienza ostica ai lettori normali. Si veda anche l'uso<br />

che Psello fa della lettera T M. Peri, comunicazione personale).


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 285<br />

della cui competenza mineralogica poco sappiamo malgrado tutti gli sforzi che sono stati<br />

fatti di enuclearne i frammenti dai testi di Plinio e di autori posteriori), ma sicuramente lo<br />

rielabora su varie basi, inclusa quella della competenza addizionale che gli deriva dal suo<br />

genuino interesse per la Scienza in generale e per i minerali in particolare. Egli afferma,<br />

infatti, di avere controllate assieme al suo interlocutore tutte le pietre sulle quali scrive r.<br />

4) e di trascurare quelle di cui ha appreso sõÁ il nome, ma alle quali non ha mai avuto<br />

occasione di trovarsi di fronte. Se la prima affermazione eÁ importante, poiche potrebbe<br />

spiegare come mai il trattatello sia cosõÁ povero nella descrizione dell'aspetto fisico delle<br />

diverse pietre, che i due avevano viste insieme, la seconda lo eÁ ancora di piuÁ . Una simile<br />

affermazione di principio eÁ, infatti, sorprendente per uno scrittore bizantino di un'epoca<br />

nota non solo per la sua diffusa rinascita culturale, ma anche per le sue gravi forme di<br />

saccenteria e dogmatismo e.g., Browning, 1975; Kazhdan, 1995). E Á , peroÁ , una precisa<br />

caratteristica di tutta l'azione di Psello Kazhdan, 1995: p. 163) e pertanto ne qualifica<br />

positivamente anche il trattato.<br />

Possiamo, quindi, essere certi che egli aveva esaminato con cura e conosceva<br />

direttamente il materiale di cui tratta, anche se poi le informazioni che ne daraÁ sulle<br />

proprietaÁ curative saranno il frutto delle sue letture forse Aetio d'Amida, forse Paolo<br />

d'Egina, piuÁ probabilmente entrambi, che derivano le loro conoscenze dalla tradizione<br />

ippocratica e galenica), quando non un'ereditaÁ di fantasie Hohlweg, 1988). Appare<br />

molto strana, in questo contesto, la scarsissima corrispondenza esistente tra il testo di<br />

Psello e il De materia medica di Dioscoride, un trattato che era sicuramente sopravvissuto<br />

a Bisanzio e che godeva di amplissima notorietaÁ Wellmann, 1907-14). Non trovo altra<br />

spiegazione se non congetturando che il manoscritto disponibile a Psello era l'attuale<br />

Codex medicus graecus 1 Mazal, 1998), magnificamente scritto e miniato, ma privo del<br />

libro 5 che contiene la parte mineralogica, che vi eÁ sostituito dalla parafrasi di Eutecnio<br />

Mottana, 2002). Questa circostanza potrebbe aver fatto sõÁ che Psello non si curasse di<br />

citare altri autori se non Senocrate, il cui testo gli era a portata di mano nella sua interezza.<br />

A dimostrazione di cioÁ stanno anche le fortissime divergenze che esistono tra il libretto di<br />

Psello e quello di Epifanio, un autorevole autore cristiano che egli non poteva non<br />

menzionare almeno per i vari frammenti sopravvissuti in greco, anche se il suo intero<br />

contenuto non gli era noto percheÂ, se certamente egli non conosceva il latino anzi: lo<br />

rifiutava), a maggior ragione eÁ improbabile che conoscesse il georgiano o l'armeno 97 ).<br />

97 ) Gli archivi filosofici attribuiscono a Psello un discepolo georgiano: JoanaÈ Petrizi, autore di un<br />

commento alla logica di Aristotele in cui eÁ fatto ampio uso del sillogismo Iremadze, 2004). Non lo credo<br />

probabile, non tanto per l'evidente disparitaÁ di indirizzo tra i due Psello era un neoplatonico: cf. Ostrogorsky,<br />

1993: p. 3000; Criscuolo, 1990: pp. 67-69), quanto piuttosto per motivi di cronologia relativa. JoanaÈ Petrizi noto<br />

tra i filosofi col nome latinizzato di Johannes Aeropageli), nato nel 1055 ca., studioÁ effettivamente a Bisanzio e<br />

tornoÁ in patria solo verso la fine del secolo, invitato dal re Dawitt Davide II, il Costruttore: 1089-1125) a dirigere<br />

l'accademia scientifica da lui fondata a Gelati presso Kutaisi, che a quel tempo era la capitale della Georgia. Qui<br />

morõÁ nel 1130 ca. Se fosse stato veramente allievo di Psello, allora la data di composizione del De lapidum<br />

virtutibus dovrebbe essere spostata a non prima del 1070/1075 quasi all'estremo superiore supposto dal<br />

Galigani, 1980: p. 30, che peroÁ considero azzardato), ma solo a condizione che si spieghi perche il giovane allievo


286 A. MOTTANA<br />

Le brevi descrizioni dei caratteri estrinseci delle singole pietre fatte da Psello hanno,<br />

dunque, un reale contenuto oggettivo, poiche corrispondono al risultato dell'osservazione,<br />

che non eÁ altro se non il vero riconoscibile 98 ). <strong>La</strong> frase finale del trattatello<br />

«lascia ... le cause tra i tesori su in cielo»: [Z], rr. 123-124) ribadisce la razionalitaÁ di<br />

Psello come studioso. Egli suggerisce, infatti, di mantenersi sul concreto e di non provare<br />

ad elucubrare motivazioni di sorta per le proprietaÁ efficaci che pur afferma essere presenti<br />

in certe pietre. In cioÁ , Psello si dimostra degno erede dello spirito scientifico greco, che eÁ<br />

concreto piuÁ e prima di essere astratto: un vero discepolo di Teofrasto. Costui inizia,<br />

infatti, il suo De lapidibus con la dichiarazione di aderire pienamente alla teoria aristotelica<br />

sulla natura e genesi delle pietre e dei metalli, ma subito dopo comincia a mettere in<br />

discussione alcune delle proprietaÁ che il suo maestro aveva attribuite a questi materiali,<br />

distinguendo nettamente tra quelle che egli stesso aveva verificato e quelle che gli sono<br />

state riferite da altri ad esempio, per la pietra che ha la capacitaÁ di generare, egli afferma:<br />

«ammesso che esista davvero»: I. 5). Passa quindi a descrivere per prime quelle proprietaÁ<br />

che egli considera certe, benche si osservino bene su poche e ben precise sostanze:<br />

comportamento al riscaldamento e resistenza alla combustione II. 1-17, III. 18-22), e<br />

continua poi con altre descrizioni dirette ed immediate, senza indulgere ne in<br />

elucubrazioni ne in teorizzazioni, intercalando anzi il suo dire, a seconda dei casi, con<br />

indicazioni esplicative tangibili del tipo «come la qui presente [steatite]» VII. 41),<br />

oppure con aperti suggerimenti ad essere cauti nell'accettare un'informazione II. 10, IV.<br />

27, VII. 46, ecc.).<br />

A ben vedere, dunque, Psello segue la linea tracciata da Teofrasto, pur affermandola<br />

in maniera piuÁ concisa. Non puoÁ quindi, non apparire strano che egli non citi Teofrasto<br />

tra le autoritaÁ cui fa riferimento [Z], rr. 118-120), tanto piuÁ che non esiteraÁ ad usarne il<br />

nome nell'Accusatio patriarchae, attribuendogli competenze alchemiche che uno<br />

scienziato ellenistico non poteva assolutamente avere Mottana, 2001: pp. 188-189).<br />

Posso solo avanzare un'ipotesi a giustificazione di questo suo comportamento: che egli<br />

non avesse allora a portata di mano il Peri+ li* uvn 99 ) e che non ritenesse opportuno farvi<br />

non abbia dato nessun aiuto al suo maestro ritraducendo per lui in greco quelle parti del trattato di Epifanio che<br />

si erano conservate integre in georgiano. In realtaÁ, la presenza del Petrizi alla scuola di Psello, se confermata,<br />

sarebbe un ottimo argomento in favore di una datazione del trattatello precedente al suo arrivo.<br />

98 ) Il riconoscimento dei minerali sulla base di proprietaÁ estrinseche caratteri esterni), quali peso, colore,<br />

lucentezza e ruvidezza, eÁ in uso tuttora, almeno nella prassi empirica comune, e ha mantenuto valore scientifico<br />

fino alla metaÁ dell'Ottocento, quando le analisi chimiche e cristallografiche su cui si basa la determinazione<br />

oggettiva moderna erano inadeguate e la procedura universale per il riconoscimento dei minerali era, ancora,<br />

quella stabilita a suo tempo da A.G. Werner 1774).<br />

99 ) Ho mostrato in un altro lavoro Mottana, 2001) che il testo teofrasteo non ha avuto una trasmissione<br />

regolare nel tempo. Dopo essere stato citato nell'VIII sec. da un Eliodoro poeta non meglio identificato), fu<br />

ripreso per la prima volta in greco dal patriarca di Istanbul diventata turca) Gennadio II alla metaÁ del XV sec.<br />

Tra i due si interpone l'evidenza concreta rappresentata dal primo manoscritto pervenutoci, il Vaticanus graecus<br />

1302, che eÁ datato al XIII sec. cf. Mottana e Napolitano, 1997: p. 222). Il fatto che di Teofrasto parli abbastanza<br />

estesamente l'enciclopedia Suda, del X sec., non eÁ probante, perche le opere botaniche che lo resero famoso<br />

ebbero una diffusione piuÁ ampia ed una trasmissione piuÁ costante della sua unica opera mineralogica.


STORIA DELLA MINERALOGIA ANTICA. I. LA MINERALOGIA A BISANZIO ... 287<br />

riferimento a memoria in un testo di carattere tecnico, mentre non esiteraÁ poi a farlo in<br />

uno di carattere polemico; in alternativa: che tra l'impostazione del De lapidum virtutibus<br />

1055 o poco piuÁ tardi) e la stesura dell'Accusatio patriarchae inizio 1058) egli si sia<br />

procurato materiale teofrasteo idoneo alla sua invettiva 100 ).<br />

7.4. Passiamo, da ultimo, alla fortuna del De lapidum virtutibus. Psello non contribuõÁ<br />

per nulla allo sviluppo di una scienza mineralogica bizantina, come invece gli era riuscito<br />

per la filosofia. <strong>La</strong> sua operetta non ebbe nessuna diffusione al di fuori di Costantinopoli<br />

o, se pure fu conosciuta, rimase lettera morta per lungo tempo 101 ). L'unico testo della<br />

successiva letteratura bizantina che prenda in considerazione pietre e minerali eÁ, infatti,<br />

del XIV sec. Si tratta del complesso, concettoso e lungo poema del vescovo astronomo<br />

Teodoro Meliteniote Sti* xoi toy Melithniv* toy ei$ Qth+ n SvWrosy* nhn, oltre 200 versi del<br />

quale consistono nella elencazione delle 224 gemme che ornano il letto della Saggezza.<br />

Esse sono elencate puntigliosamente, ma sono descritte in un modo talmente conciso da<br />

configurare uno «Steinkatalog» SchoÈ nauer, 1996), piuÁ che contribuire alla conoscenza<br />

effettiva del loro aspetto e delle loro proprietaÁ. Inoltre, le 24 pietre che sono in comuni col<br />

De lapidum virtutibus non sembrano tanto dipendere dall'operetta di Psello, quanto<br />

piuttosto riferirsi direttamente alla sua fonte, cioeÁ al testo di Senocrate vedi sopra).<br />

Al di fuori di Bisanzio, la fortuna di Psello come autore di testi mineralogici fu ancora<br />

minore, malgrado il fatto che egli avesse affrontato pietre e minerali nelle loro virtuÁ<br />

curative avrebbe dovuto facilitarne l'inserimento nella fiorente tradizione medica<br />

medievale, che nelle universitaÁ proseguõÁ ininterrotta fino al XVII sec. Accadde cosõÁ a<br />

Dioscoride Riddle, 1985) che fu molto presto tradotto in latino V sec.) e, tra gli autori di<br />

lingua latina, a Marbodo di Rennes e Ildegarda di Bingen Riddle, 1970, 1977).<br />

Tuttavia Psello, trascurato dai medici che lo confrontavano con altre, ben piuÁ<br />

importanti figure, non fu completamente dimenticato e, dopo un mezzo millennio, con<br />

l'inizio della rivoluzione scientifica nel XVII secolo, tornoÁ ad essere consultato dagli<br />

specialisti di gemme e minerali. Quando Adriaan Toll, nella sua riedizione commentata<br />

del fondamentale manuale gemmologico del de Boot 1636 2 ), cita nelle note l'autoritaÁ di<br />

Psello per affermare che «adamantem febres semitertianas suspensum, aut alligatum<br />

restinguere» t. 2, cap. IV, p. 127), che il berillo curerebbe «convulsiones, oculorum<br />

dolores & icterum» t. 2, cap. LXXI, p. 216) e cosõÁ via 102 ), afferma di fare cioÁ perche da<br />

poco tempo e per primo il Maussac aveva divulgato, tradotto in latino e corretto il testo di<br />

Psello p. 127). Si noti: il Toll prende in considerazione tutte le pietre citate da Psello, ma<br />

non modifica il testo originario del de Boot: lo integra in nota. CosõÁ facendo, riconosce<br />

100 ) Si trattava, comunque, di testi apocrifi, se Psello puoÁ ritenere in base ad essi di porre Teofrasto in secondo<br />

piano rispetto a Zosimo, un alchimista di Panopoli in Egitto vissuto nel III-IV sec. d.C. Mottana, 2001: p. 188).<br />

101 ) Non si puoÁ escludere che sia stato lo stesso Psello a tarparle le ali: dopo il 1058 egli aveva tutto<br />

l'interesse a far passare sotto silenzio un lavoro che aveva dedicato al Cerulario e, inoltre, conteneva nozioni<br />

interpretabili come irreligiose ± la sua stessa accusa da lui stesso lanciata al povero patriarca in disgrazia!<br />

102 ) Il latino eÁ del Toll, non del Maussac. Questi, ad esempio, scriveva «auruginem» e non «icterum» p.<br />

349).


288 A. MOTTANA<br />

una certa autoritaÁ ad un autore che de Boot non poteva conoscere, poiche la prima<br />

edizione a stampa di Psello Maussacus, 1615) era posteriore alla stesura del suo 1609) e<br />

che uno studioso successivo non poteva piuÁ ignorare. Il Toll, che probabilmente non<br />

conosceva il greco, si avvalse della traduzione latina di cui Maussac aveva corredato la sua<br />

editio princeps 103 ) e tramite questa inserõÁ tempestivamente quanto discusso da Psello<br />

nella tradizione mineralogica europea.<br />

Successivamente, il nome di Psello non compariraÁ piuÁ in opere scientifiche, neppure<br />

in quelle di Stenone e Bertolino, dalle cui scoperte prende inizio la <strong>Mineralogia</strong> moderna,<br />

ma il suo contributo, benche sottaciuto, non potraÁ piuÁ essere disconosciuto. Il suo nome<br />

non eÁ svanito neppure ora, pur rimanendo confinato nei piuÁ specializzati trattati di storia<br />

della Scienza, che peroÁ o impietosamente qualificano il suo trattatello come «eine ganz<br />

wertlose Kompilation aus aÈlteren Werken» Mieleitner, 1922: p. 477) oppure non esitano<br />

a liquidarlo ancor piuÁ sbrigativamente Wellmann, 1935: p. 437; Volk, 1990: p. 134).<br />

RINGRAZIAMENTI<br />

L'elaborazione e la pubblicazione di questo lavoro non sarebbero stati possibili se non avessi ricevuto un<br />

contributo della Commissione per i Musei naturalistici ed i Musei della Scienza dell'<strong>Accademia</strong> col quale<br />

affrontare le spese di viaggi per la consultazione e la riproduzione di testi di difficile reperimento. Devo molto,<br />

inoltre, alla cortesie di altri che mi hanno facilitato in varie maniere: il Prof. Massimo Peri del Dipartimento di<br />

Scienze dell'AntichitaÁ dell'UniversitaÁ di Padova che ha anche verificato la mia traduzione dal greco bizantino, la<br />

Prof.ssa Carla Triulzi che ha verificato le mie traduzioni dal latino e dal greco classico, il Prof. Dr. Friedrich<br />

Seifert della Bayerische Akademie der Wissenschaften che mi ha procurato le altrimenti irreperibili pubblicazioni<br />

dell'Ullmann, il Prof. Anastassios Kotsakis per chiarimenti sulla terminologia mineralogica neogreca e le<br />

Dott.sse Anna Capecchi ed Enrica Schettini Piazza della Biblioteca Corsiniana. <strong>La</strong>st but not least, ricordo la<br />

perfetta organizzazione della Green Library della Stanford University che mi ha facilitato la consultazione di<br />

molti libri rari e di alcune pubblicazioni antiche. Un sincero grazie, per finire, alla Dott.ssa Gianna Benigni per<br />

l'attenta opera di preparazione per la stampa di un testo irto di difficoltaÁ. Di quanto resta di scorretto o di poco<br />

chiaro, quindi, mi devo assumere piena responsabilitaÁ.<br />

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103 ) Parlava invece varie lingue Gilberto Gaulmino, cui il Maussac dedicoÁ il suo libro 1615: p. 341), e tra<br />

esse il greco. CioÁ nonostante, saggiamente, il Maussac ritenne opportuno integrare su colonne parallele il testo<br />

greco di Psello con la traduzione latina fatta da lui stesso, ben sapendo che solo cosõÁ poteva assicurare all'opera<br />

una certa diffusione tra gli studiosi europei.


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della celeste Gierusalemme: con un sommario dell'altre pietre pretiose. Discorso dell'alicorno, et delle sue<br />

singolarissime virtuÁ. Et della gran bestia detta alce da gli antichi. Roma, appresso Giouanni Martinelli, nella<br />

stamparia di Vincenzo Accolti, in Borgo novo. rist.: Le 12 pietre preziose: le quali per ordine di Dio nella<br />

santa legge adornavano il manto del gran sacerdote: secondo la interpretazione di S. Ieronimo e S. Epifanio<br />

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Pervenuta il 2 marzo 2005,<br />

in forma definitiva il 10 marzo 2005.<br />

Dipartimento di Scienze Geologiche<br />

UniversitaÁ degli Studi di Roma Tre<br />

<strong>La</strong>rgo S. Leonardo Murialdo, 1 - 00146 ROMA<br />

mottana@geo.uniroma3.it

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