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NEWS N. 25 - The Venice International Foundation

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THE VENICE INTERNATIONAL FOUNDATION – LUGLIO 2011 – <strong>NEWS</strong> LETTER NO. <strong>25</strong><br />

Ca’ Rezzonico, Dorsoduro 3144 – 30123 Venezia tel. & fax +39 041 2774840 e-mail veniceinter@tin.it www.venicefoundation.org<br />

Giovani dal lungo passato<br />

FRANCA COIN, presidente <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong><br />

Vecchi e giovani di quindici anni! È scontato dire che mi<br />

sembra ieri ma, è vero, il tempo è volato, con gioie immense<br />

e a volte qualche dispiacere, ma sempre con la<br />

grande passione derivata soprattutto dal sostegno morale e dall’entusiasmo<br />

di tanti amici che hanno dato con generosità, fiducia e<br />

amore per la nostra Venezia.<br />

[1-2] <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong> festeggia<br />

quindici anni di attività. In alto la<br />

prima opera restaurata: l’affresco il<br />

Mondo Novo di Giandomenico<br />

Tiepolo conservato a Ca’ Rezzonico e, a<br />

destra, l’ultimo intervento conservativo:<br />

i dipinti parietali di Mariano Fortuny<br />

nell’atelier di Palazzo Fortuny.<br />

Vecchi e giovani perché abbiamo attraversato tante fasi, cercando<br />

sempre di essere in armonia con i tempi che continuano a cambiare<br />

con una velocità sempre più difficile da inseguire. La <strong>Venice</strong><br />

ha cercato sempre di essere attenta a questi cambiamenti, sempre<br />

cercando di non perdere la propria identità.<br />

Identità è la parola magica che sta pervadendo il mondo in un<br />

momento in cui sembra che non esista più nemmeno la geografia:<br />

è stata quasi abolita nella scuola, i confini si sono dilatati, cambiati<br />

o quasi cancellati. Ecco perché Venezia è sempre di più il<br />

simbolo di un’identità accogliente per storia e tradizione, ecco<br />

perché abbiamo il dovere di trasmettere al meglio questa tradizione.<br />

Solo attraverso la conoscenza possiamo permetterci di essere<br />

giovani pur essendo vecchi di storia e di cultura e non si finisce<br />

mai di imparare.<br />

La <strong>Venice</strong> occupa i miei pensieri più felici, mi fa meditare e attraverso<br />

la meditazione cerco di non perdere di vista la vita quotidiana<br />

osservando la gente, osservando anche le cose più semplici che<br />

mi accompagnano nei pensieri di vita, con un coinvolgimento che<br />

mi pervade fino al più profondo del mio essere: sono particolar-<br />

1<br />

mente attenta all’ambiente che non finisce mai di stupirmi, di sorprendermi,<br />

a volte con gioia, a volte con grande dolore. Il camminare<br />

in solitudine mi aiuta, non solo per Venezia ma anche intorno<br />

a Venezia, nel suo territorio influenzato dalla storia di questa grande<br />

civiltà che a volte traspare ancora intatta, anche se spesso soffocata<br />

da delitti irreparabili.<br />

Qualche giorno fa guidavo per andare ad Asolo, dopo aver cercato<br />

di uscire da Piazzale Roma in grande fermento per la nuova<br />

viabilità. Anche guidare mi fa bene, mi rilassa, strano a dirsi, e con<br />

la radio accesa mi è anche capitato di perdere un po’ la strada e mi<br />

sono ritrovata a Treviso sui viali<br />

alberati, bellissimi, che contornano<br />

la città. Viali solcati da<br />

ruscelli, sia a destra che a sinistra.<br />

Freno di scatto al passaggio<br />

di un’anatra con quattro<br />

anatroccoli dondolanti dietro la<br />

madre che attraversano sulle<br />

strisce pedonali. Una scena bellissima<br />

rimasta impressa nei<br />

[3] Germano reale attraversa la strada<br />

sulle strisce pedonali.<br />

miei occhi e nel mio cuore perché si può sempre imparare. Se anche<br />

“le oche” hanno imparato ad attraversare la strada in città, sulle<br />

strisce bianche, non possiamo noi imparare a vivere seguendo le<br />

regole, rispettando la natura, l’evoluzione delle cose e le diverse<br />

culture che si stanno mescolando? Quale città migliore di Ve n e z i a<br />

per comunicare al mondo che si può essere giovani avendo centinaia,<br />

migliaia di anni di storia e vivere in armonia con i tempi.<br />

La <strong>Venice</strong> da sempre è interprete consapevole del privilegio che<br />

le è stato assegnato e ha costantemente cercato e cercherà di svolgere,<br />

con delicatezza e determinazione, la missione di supporto alla<br />

grandezza mondiale di Venezia. Ecco perché il Premio Cotisso<br />

<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong> quest’anno viene assegnato al Maestro Mario<br />

Brunello, violoncellista di fama internazionale.<br />

Una frase presa da una<br />

raccolta di poesie di Gianni Clerici<br />

mi conduce da qualche tempo “Chi<br />

è in grado di sentire il suono del colo -<br />

re può vivere felice difeso dal dolore”.<br />

Aggiungerei di mio “Chi è in<br />

grado di sentire il colore del suono può<br />

vivere felice difeso dal dolore”. Ecco,<br />

questo è Mario Brunello!<br />

[4] Mario Brunello, Premio Cotisso <strong>Venice</strong><br />

<strong>Foundation</strong> 2011.<br />

Associazione riconosciuta<br />

con decreto no. 41/13.300-D<br />

del 12.07.1999<br />

della Giunta Regionale del Veneto<br />

Programma UNESCO<br />

Comitati Privati Internazionali<br />

per la Salvaguardia di Venezia


Tra. Edge of Becoming<br />

Museo Fortuny, fino al 27 novembre<br />

La mostra, curata nei minimi dettagli, espone oltre trecento<br />

opere esplorando i collegamenti trasversali tra luoghi, storia,<br />

patrimonio creativo ed esperienza universale. Seguendo la<br />

scia della trilogia delle mostre precedentemente ospitate a Palazzo<br />

Fortuny – Artempo nel 2007, Academia nel 2008 e In-finitum nel<br />

2009 – Tra. Edge of Becoming raccoglie la ricca eredità di Mariano<br />

Fortuny, le ispirazioni wabi di Axel Vervoordt, le riflessioni del<br />

pensatore economista Bernard Lietaer, dello scienziato Eddie de<br />

Wolf e dell’architetto Tatsuro Miki (Taro), con lo scopo di creare<br />

un’esperienza estetica, intellettuale e illuminante per incoraggiare<br />

il visitatore a guardare il mondo attraverso l’arte. I quattro piani di<br />

Palazzo Fortuny si sono trasformati quindi in un percorso espositivo<br />

dove il dialogo e l’interazione tra le opere, il visitatore e lo spazio<br />

stesso sono di fondamentale importanza.<br />

All’interno dell’esposizione sono visibili<br />

opere di alcuni degli artisti più importanti<br />

al mondo tra cui Auguste Rodin, Marina<br />

Abramovic, Lucio Fontana, Miquel Barceló,<br />

Anish Kapoor, Fernand Léger e Antoni Tápies.<br />

Altri artisti – quali Massimo Bartolini,<br />

Maurizio Donzelli, Fernando Garbelotto,<br />

Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Dominique<br />

Stroobant, Hiroshi Sugimoto, Kimsooja,<br />

Günther Uecker, Giorgio Vigna e<br />

Carl Michael von Hausswolff – sono<br />

presenti con opere realizzate appositamente<br />

per questa mostra e per<br />

questo luogo. La mostra offre inoltre<br />

la possibilità di visitare spazi del palazzo<br />

aperti al pubblico per la prima<br />

volta: tre sale laterali del secondo<br />

piano e l’atelier di Mariano Fortuny<br />

al primo piano che conserva il modello<br />

del Teatro delle Feste e i dipinti<br />

parietali il cui recentissimo restauro<br />

è stato finanziato dagli associati di<br />

<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>.<br />

[5-6] Il Teatro delle Feste e, a<br />

sinistra, Anish Kapoor, Portrait<br />

of Light Picture of Space,<br />

1993.<br />

Il titolo della mostra – Tra – è stato scelto per i suoi tanti significati.<br />

In primo luogo può essere letto al contrario per formare<br />

la parola art. Come preposizione il suo significato è “nel mezzo” e<br />

“all’interno” ed evoca allo stesso modo qualcosa che va oltre o in<br />

avanti. Tra è poi parte di molte parole di uso comune del Sanscrito<br />

quali mantra, tantra, yantra; mantra significa “veicolo o strumento<br />

del pensiero” ovvero l’uomo pensante, mentre<br />

tantra è l’antico sistema di conoscenza<br />

che collega l’energia sessuale e cosmica e,<br />

infine, yantras sono i segni e i disegni che<br />

fungono da canali conduttori della guarigione<br />

energetica.<br />

Tr a mette in relazione l’idea di purificazione<br />

[7] Donna “tau tau”, XIX secolo, courtesy Gallerie<br />

Pascassio-Manfredi, Parigi.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

2<br />

attraverso una trasformazione rituale<br />

e creativa. Costituisce anche lo spazio<br />

tra due dimensioni ed evidenzia<br />

il momento di passaggio verso nuove<br />

esperienze. In questo senso Tr a s i<br />

collega anche alla nozione giapponese<br />

di m a che indica il vuoto, uno spazio<br />

positivo tra due oggetti. Il sottotitolo<br />

della mostra, Edge of Becoming (soglia del divenire), si riferisce<br />

invece al vuoto che conduce ai possibili poteri dell’energ i a .<br />

In Tr a le opere respirano all’unisono<br />

in un clima di vivace<br />

fiducia. I loro legami intimi<br />

espandono il loro potere affettivo<br />

e cognitivo attraverso lo spazio<br />

che le ospita. Tr a valorizza le<br />

loro relazioni segrete, la capacità<br />

di riverberare il significato, il lo-<br />

ro potere di creare un’eco. Attraverso<br />

affinità elettive, la mostra<br />

propone un’ipotesi morfologica<br />

per rivelare l’iconologia degli in-<br />

[9] Pieter De Hooch, A Woman<br />

Seated by a Window..., 1680 circa,<br />

courtesy van Haeften Gallery, Londra.<br />

tervalli. Attraverso la sincronia Tr a esplora il potere delle migrazioni<br />

simboliche per dissolvere le frontiere. E i sensi, la mente e le<br />

emozioni si sveglieranno e si dirigeranno verso un nuovo divenire.<br />

Diversi temi emergono in questa<br />

esposizione e sono tutti collegati<br />

al concetto di Tra: vi è la<br />

soglia della percezione visiva<br />

nella pittura, la relazione tra<br />

l’individuo e il suo spazio fisico<br />

– tra il vuoto e il pieno, l’aperto<br />

[10] Michael Borremans, Red Hand,<br />

Green Hand, 2010, Zeno X Gallery.<br />

[8] Hiroshi Sugimoto, Lightning Fields,<br />

2009, courtesy of Axel Vervoordt.<br />

e il chiuso – oppure il tema del<br />

fascino degli spazi architettonici<br />

o la dimensione della rappresentazione<br />

teatrale. Emergono sim-<br />

boli e figure, come ad esempio Giano, dio delle porte, dei passaggi,<br />

della relazione tra passato e presente ma anche luoghi, figure e<br />

opere che sono espressione dell’intersezione e dell’interconnessione<br />

tra culture diverse.<br />

Anche la musica ha il suo spazio a Palazzo Fortuny: la musicista<br />

e compositrice belga Mireille Cappelle ha creato appositamente<br />

per Tr a un’architettura sonora ispirata dalle idee e dai concetti<br />

che animano l’esposizione con la convizione – come afferma Cappelle<br />

– che le architetture sonore sono destinate<br />

a esistere in spazi che vibrano all’unisono<br />

e rappresentano una riflessione uditiva<br />

per tutto ciò che è presente. Ogni visitatore<br />

che entra in questo spazio diviene<br />

parte di questa architettura con la sua respirazione,<br />

le sue parole, i suoi passi.<br />

[11] Torso Dvaravati, VII-VIII secolo, Vervoordt<br />

<strong>Foundation</strong>.


Julian Schnabel<br />

Museo Correr, fino al 27 novembre<br />

Il percorso espositivo di Julian Schnabel. Permanently Becoming<br />

and the Architecture of Seeing presenta oltre quaranta opere che<br />

ripercorrono la carriera dell’artista dagli anni settanta a oggi,<br />

considerato un fenomeno americano a tutto tondo. La retrospettiva<br />

illustra la sua poetica fortemente ispirata a Jackson Pollock e Cy<br />

Twombly ma basata anche sulla tradizione europea e mediterranea<br />

che ricorda lo stile dei vecchi maestri spagnoli e italiani – come El<br />

Greco e Tintoretto – e che interpreta rimandi letterari e culturali,<br />

antichi e moderni da Omero a Eschilo, all’arte dei grandi maestri,<br />

da Giotto a Goya, da Antoni Gaudí a Pablo Picasso.<br />

Pittore, scultore e regista di fama internazionale, Schnabel si<br />

contraddistingue per la sua stupefacente capacità metamorfica e la<br />

travolgente forza espressiva che comunica attraverso le sue opere.<br />

Un talento nato dalla pittura che lo porta a sondare più campi artistici<br />

e a cimentarsi nel mondo del cinema dove riesce come ottimo<br />

regista. La sua produzione cinematografica è strettamente correlata<br />

alla produzione artistica al punto che i suoi film possono essere considerati<br />

un naturale proseguimento della sua vena pittorica.<br />

Solitamente noto come il pittore<br />

dei plate paintings, Schnabel in realtà<br />

ha utilizzato una serie infinita di<br />

supporti e materiali variegati per la<br />

realizzazione delle sue opere passando<br />

dal velluto alla tela cerata, da<br />

pezzi di legno provenienti da tutto il<br />

mondo a vele, fotografie, tappeti, teloni<br />

e in generale a qualunque su-<br />

perficie piatta che ispiri i suoi processi<br />

creativi. Verso la fine degli anni<br />

ottanta Schnabel comincia a prediligere<br />

grandi formati. Tale maestosità,<br />

benché a volte letta dalla cri-<br />

[12] Portrait of Anh in a Mars<br />

Violete Room, 1988, collezione<br />

Anh Duong.<br />

tica come un mero tentativo di impressionare lo spettatore, nasce<br />

in realtà dalla volontà dell’artista di creare un collegamento con gli<br />

imponenti dipinti del passato commissionati dallo Stato o dalla<br />

Chiesa e con i big paintings dell’America del dopoguerra.<br />

La mostra si apre con lo straordinario Painting for Malik Joyeux<br />

and Bernard o del 2006, alto più di sei metri, posizionato nello splendido<br />

scalone neoclassico del Museo Correr. In questa opera l’artista<br />

unisce la sua passione per l’arte e la regia a un’altra grande passione<br />

della sua vita: il surf. L’acqua e il surf sono usati come metafore della<br />

libertà. Il tema del mare è ricorrente nei suoi dipinti e nei suoi<br />

film; la vastità del soggetto porta l’artista a dipingere su supporti<br />

molto grandi in grado di inglobare lo spettatore all’interno dell’esperienza<br />

visiva come accade al cinema. Nel suo grande capolavoro<br />

<strong>The</strong> Sea, realizzato in Amagansett<br />

nel 1981 utilizzando frammenti<br />

di cocci di vasi messicani,<br />

questa volta il mare diventa evocativo<br />

della morte, un cammino<br />

[13] <strong>The</strong> Sea, 1981, courtesy <strong>The</strong><br />

Brant <strong>Foundation</strong>, Greenwich, CT.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

3<br />

verso la fine, da cui si percepisce una parvenza di sconfitta, di affogamento,<br />

andando a creare un’immagine di dissesto culturale.<br />

In mostra non mancano altri plate paintings, i celeberrimi dipinti<br />

realizzati sulle superfici di frammenti di ceramica, che hanno<br />

rappresentato un considerevole momento di svolta nel percorso pittorico<br />

del maestro e un’importante innovazione nel panorama artistico<br />

degli anni ottanta.<br />

Altro aspetto molto importante<br />

della sua opera è senza dubbio quello<br />

autobiografico che ritroviamo nei<br />

numerosi ritratti di amici o familiari<br />

tra i quali Portrait of Olatz d e l<br />

1993 che ritrae la sua ex moglie;<br />

Portrait of Father Pete Jacobs del 1997<br />

amico di Schnabel, fino al ritratto<br />

della sua attuale compagna P o r t r a i t<br />

of Rula del 2010. La grandiosità di<br />

questi dipinti sta nella capacità di<br />

evocare perfettamente le personalità<br />

dei soggetti e le loro peculiarità.<br />

Svariate le fonti ispiratrici di Schnabel<br />

nelle cui opere ritroviamo mol-<br />

tissime allusioni letterarie, rimandi storici e<br />

riferimenti musicali. Come la scritta BE Z,<br />

che compare in Arrowhead (Bez) del 2010<br />

dipinta sopra un’immagine di Shiva in un<br />

paesaggio esotico, che non ha alcuna allusione<br />

a rimandi religiosi e si riferisce a un noto<br />

personaggio rock di Manchester, il “ballerino”<br />

Mark Berry degli Happy Mondays.<br />

Altra particolare tecnica utilizzata da<br />

Schnabel consiste nell’ingrandire fotografie<br />

poetiche ed evocative sulle quali interviene con tocchi di colore e<br />

macchie generate dalle condizioni atmosferiche. Come nelle straordinarie<br />

opere Salivars del 2009 che hanno come sfondo scatti di<br />

paesaggi dei dintorni della sua casa al mare e del suo studio a Montauk,<br />

nella punta più a nord di Long Island, risalenti agli anni cinquanta.<br />

In mostra anche i cinque dipinti intitolati <strong>The</strong> Atlas Moun -<br />

tains che rappresentano le montagne del<br />

nord Africa tra il Mediterraneo e il Sahara.<br />

Su una tela catramata alta tredici metri divisa<br />

da fasce bianche l’artista ha fissato briglie<br />

rosse e pennacchi nordafricani per evocare<br />

paesaggi di un tempo passato su arazzi<br />

macchiati e invecchiati dalle intemperie.<br />

Queste opere testimoniano il forte interesse<br />

per le carte geografiche che diventano un altro<br />

supporto sui cui Schnabel esprime la sua<br />

arte. Nascono così le Navigation Drawings,<br />

una serie di opere dipinte su mappe nauti-<br />

[14-15] Portrait of Rula, 2010,<br />

e, a sinistra, Arrowhead (Bez),<br />

2010, collezione Sperone e Voena.<br />

[16] <strong>The</strong> Atlas<br />

Mountains II, 2008.<br />

che vintage, esempio di un’arte inclusiva delle cose che sono comuni<br />

e inconsuete allo stesso tempo.<br />

Nei primi quadri di Schnabel come Jack the Bellboy del 1975,<br />

Procession (for Jean Vigo) del 1979 o Saint Sebastian. Born in 1951<br />

sempre del 1979, esposti in mostra, il figurativo prevale sull’astratto<br />

in maniera netta come se l’artista avesse abbandonato la poetica<br />

stravagante e provocatoria.


Barry X Ball.<br />

Portraits and Masterpieces<br />

Ca’ Rezzonico, fino all’11 settembre<br />

La mostra presenta una ventina di installazioni<br />

distribuite sui tre piani<br />

del museo: ritratti di personalità del<br />

mondo dell’arte realizzati in marmi inconsueti<br />

e spesso ispirati alla ritrattistica antica<br />

e le prime tre sculture della serie Masterpie -<br />

ces. Di queste, Purity ed Envy sono state tratte<br />

per mezzo della scansione digitale in 3D<br />

dai marmi omonimi di Antonio Corradini e<br />

di Giusto Le Court esposti nel museo, mentre<br />

Sleeping Hermaphrodite rielabora il celebre<br />

Ermafrodito del Louvre, opera romana del<br />

periodo ellenistico su un letto realizzato dal<br />

giovane Bernini.<br />

[18-19] Envy, 2008-2010 e Giusto Le Court,<br />

L’invidia, 1670 circa, Venezia, Ca’ Rezzonico.<br />

[17] Portrait of Laura<br />

Mattioli Rossi, 2000-<br />

2005.<br />

Queste sculture mostrano<br />

una straordinaria<br />

trasformazione<br />

del modello origina -<br />

rio sia nell’uso di<br />

marmi inconsueti –<br />

come l’onice iraniano<br />

o la calcite americana<br />

“Golden Honeycomb”<br />

– sia nel<br />

trattamento delle<br />

superfici, o nell’ela-<br />

borazione a tutto tondo della sostanziale frontalità delle immagini<br />

veneziane, per citare solo alcuni degli aspetti più evidenti.<br />

Fin dall’inizio della sua attività artistica<br />

nei primi anni ottanta, Barry X Ball ha concepito<br />

il suo lavoro come una risposta contemporanea<br />

a grandi capolavori del passato:<br />

dai dipinti toscani a fondo oro del XIV secolo<br />

alla scultura egizia, dall’arte ellenistica<br />

a Bernini. Egli non intende misurarsi con le<br />

opere antiche per replicarle, ma trarne ispirazione<br />

per sfidarne la bellezza, la forza<br />

espressiva e la qualità formale.<br />

Le installazioni di Barry X Ball presenti<br />

a Ca’ Rezzonico tendono a<br />

creare una sincronia tra le opere contemporanee<br />

e l’allestimento delle sale<br />

in modo da esaltare la qualità dei<br />

dettagli e dei singoli pezzi, sottolineare<br />

cromie e forme comuni, guardare<br />

all’antico con uno sguardo contemporaneo<br />

e vedere ancora una radice<br />

antica a fondamento dell’arte<br />

contemporanea.<br />

[20-21] Purity, 2008-2009 e, in alto,<br />

Sleeping Hermaphrodite, 2008-2010.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

4<br />

Pier Paolo Calzolari<br />

Ca’ Pesaro, fino al 30 ottobre<br />

Nell’androne longheniano, nella facciata sul Canal Grande<br />

e al secondo piano sono esposte venticinque opere realizzate<br />

da Pier Paolo Calzolari tra il 1968 e oggi: una rara<br />

opportunità di osservare la pluralità della sua opera e la capacità<br />

dell’artista di coniugare i linguaggi formali più diversi. Dai primi<br />

lavori di metà degli anni sessanta fino a oggi Calzolari ha infatti seguito<br />

un processo di ricerca complesso sotto il segno del pluralismo,<br />

evitando ogni forma di ripetizione che non fosse legata alle<br />

esigenze del reale. Per la continua capacità di rigenerarsi negli oltre<br />

quarant’anni della sua carriera è oggi considerato uno degli artisti<br />

più inventivi e vivaci della sua generazione.<br />

Nato nel 1943, Calzolari realizza nel 1966-67 l’opera-performance<br />

Il filtro e benvenuto all’angelo nel suo studio di Palazzo Bentivoglio<br />

a Bologna ed è fra gli artisti che espongono al Deposito<br />

d’Arte Presente di Torino in una delle iniziative inaugurali dell’Arte<br />

Povera. Nascono in questi anni le sue<br />

prime sculture ghiaccianti – la Struttura<br />

ghiacciante del 1990 è esposta a Ca’ Pesaro<br />

sulla facciata antistante il Canal Grande – e<br />

il lavoro intitolato Casa ideale che riunisce<br />

opere di tipologie diverse che l’artista realizza<br />

fattivamente a partire da un suo testo<br />

scritto con valore programmatico. La prossi-<br />

[22-23] Scalea, 1970-<br />

1999 e, a destra, Letto<br />

etrusco, 2001.<br />

mità con gli altri artisti dell’Arte Povera si<br />

manifesta nell’esigenza affermata da Calzolari<br />

di un’orizzontalità d’ispirazione francescana<br />

che porta a una rielaborazione dei rapporti<br />

fra arte, esistente e natura. L’utilizza-<br />

zione di materiali poveri – come foglie di tabacco, margarina, petali<br />

dell’albero di Giuda, muschio,<br />

piombo, ghiaccio, neon dalla luce<br />

evanescente – testimoniano il desiderio<br />

di duttilità non convenzionale<br />

dell’artista la cui purezza espressiva<br />

e formale è sempre legata al passaggio<br />

del tempo e al processo di trasformazione<br />

della materia.<br />

A volte conservatrice ma spesso irriverente, intimamente attenta<br />

alla disciplina dell’arte ma capace d’ironia, l’opera di Calzolari si<br />

è nutrita del temperamento nomade dell’artista i cui continui spostamenti<br />

tra grandi città, o località più remote, hanno generato una<br />

visione dell’arte come luogo di trasformazione o di mutamento dalla<br />

pittura alla scultura, dalle performance alla danza, dalle installazioni<br />

ai video. Da ormai venticinque anni l’artista si è appartato nel<br />

Montefeltro dove prosegue la sua ricerca.<br />

La mostra permette di percorrere con rapidi sguardi l’avventura<br />

di un artista scontroso ma attentissimo<br />

al palpitare della storia, passando<br />

dai lievissimi tracciati luminosi<br />

ai più recenti e stupefacenti sali<br />

neri combusti.<br />

[24] Senza titolo, 2010.


Anita Sieff. Psyche<br />

Ca’ Pesaro, fino al 21 agosto<br />

pervasivo nei video sperimentali di Anita Sieff è<br />

Amore, entità che l’artista definisce come l’invisibile mo-<br />

L’elemento<br />

tore di ogni cosa in quanto principio di integrazione. L’indagine<br />

che l’artista ci sottopone in questa installazione audio-video<br />

– ospitata nella sala dieci – si misura con il mito di Eros e Psiche<br />

per esplorare la natura del sensibile che può solo essere scoperta sviluppando<br />

una diversa attenzione. L’intento di Sieff è, da una parte,<br />

mettere in gioco l’apparente egemonia dell’esperienza del vedere<br />

ponendo in risalto la percezione attraverso il sentire, l’invisibile come<br />

parametro, dall’altra, investigare la dimensione della sincronicità<br />

in quanto sostiene che, sia nello stato psichico interiore che in<br />

quello fisico, esteriore, si esprima la stessa realtà. “La realtà è cibernetica<br />

e ottuplice, comprende corpo e mente, spaziotempo e cyberspazio”<br />

è quanto si afferma nel video. È un’indagine nella natura<br />

della dimensione percettiva e si situa in quello spazio indefinito<br />

che sfugge alla razionalità della mente.<br />

Nel far risaltare la differenza tra visibile e sensibile-invisibile<br />

l’artista sottolinea la difficoltà che l’essere umano ha di prestare attenzione<br />

a ciò che rimanda all’essenza delle cose e la sua incapacità<br />

di fidarsi di ciò che si dischiude<br />

come un più vero e ampio significato.<br />

L’installazione video e audio<br />

si ispira al viaggio di Psyche<br />

nell’Ade e lo svela come viaggio<br />

nell’inconscio, una dimensione<br />

dove il sé, Psiche, scopre il pro-<br />

[<strong>25</strong>-26] Due scene di Psyche. prio valore “essenziale” e quindi<br />

la sua implicita volontà di essere<br />

proiettata nel mondo. Eros ne è il principio di germinazione.<br />

Trovare se stessi e il coraggio di scegliere, anche se questo significa<br />

fare un viaggio negli inferi, o nell’inconscio, diventa quindi il<br />

modo per riannodare con la propria origine e per emanciparsi.<br />

La ricerca artistica di Anita Sieff pone sempre in primo piano<br />

l ’ u rgenza dell’incontro con il proprio destino personale, in quanto<br />

implicita destinazione. Psiche viene accompagnata dalla propria<br />

famiglia in lutto su un’altura da<br />

cui lei, vestita da sposa, si allontanerà<br />

con coraggio, incedendo<br />

con un bellissimo abito nuziale<br />

verso l’ignoto, fino a sparire alla<br />

loro vista. Sarà questa esperienza<br />

assolutamente anomala e<br />

personale a consentirle di incontrare Eros e di riunirsi con la propria<br />

natura divina nel matrimonio sacro.<br />

Il video apre con la dichiarazione ”Non vedere non significa necessariamente<br />

non sapere” e rimanda all’infinita complessità della<br />

psicologia umana di azzerare il dispositivo di verifica razionale<br />

mentale per farsi attraversare dall’esperienza del conoscere.<br />

Le riprese di questo viaggio negli inferi sono state realizzate a<br />

Ca’ Pesaro utilizzando come sfondo il ciclo Il Poema della Vita Uma -<br />

na (La Luce, Le Tenebre, L’Amore, La Morte e Cariatidi) realizzato da<br />

Giulio Aristide Sartorio per il Salone Centrale all’Esposizione di<br />

Venezia del 1907.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

5<br />

Miniartextil & Ruth Adler Schnee<br />

Palazzo Mocenigo, fino al 28 agosto<br />

Torna nel portego al primo piano di Palazzo Mocenigo, per<br />

il sesto anno consecutivo, la Fiber Art, forma espressiva<br />

contemporanea, in cui si utilizzano, in tutte le possibili accezioni<br />

e materiali, il filo, la fibra, il tessuto, con un’autonomia del<br />

tutto nuova, oggi attualizzata da strutture e iconografie in continua<br />

evoluzione. In mostra cinquantaquattro minitessili, selezionati<br />

tra gli oltre quattrocento progetti finalisti del concorso 2010,<br />

che ha visto gli artisti confrontarsi sul tema “Un giorno di felicità”,<br />

liberamente tratto dai racconti del Premio Nobel Isaac Bashevic<br />

Singer. I minitessili, opere che non superano i venti centimetri di<br />

lato, sono stati individuati da una giuria internazionale.<br />

Accanto ai minitessili trovano<br />

spazio sette installazioni di grandi<br />

dimensioni: Tappeti di preghiera d i<br />

Gabriella Crisci, Celestial Knights<br />

Vi r g o della lituana Jurate Kazakeviciute<br />

e Pianure Notturn del duo argentino<br />

Toba Toba. Suggestive le<br />

installazioni degli italiani Raffaele<br />

Penna con Il volo e di Resi Girardel-<br />

lo D a n a e ’s Oracle. Gli artisti Dario<br />

Zeruto e Hélène Genvrin hanno invece<br />

creato il libro-scultura C a s c a d a,<br />

costituito da 550 pagine di carta di<br />

cotone mentre Anna Paola Cibin ha<br />

[27-28] Antra Augustinovica,<br />

High Noon e, in basso, Threads<br />

di Ruth Adler Schnee.<br />

realizzato un arazzo di grandi dimensioni intitolato Il viaggio, ispirato<br />

alle ambientazioni descritte ne Il Milione da Marco Polo.<br />

L’edizione veneziana della mostra conclude il percorso itinerante<br />

di Miniartextil 2010 che, dopo essere stata inaugurata a Como,<br />

lo scorso autunno è stata allestita a Parigi e a Milano.<br />

Ruth Adler Schnee. A Passion for Color è una mostra di tessile moderno<br />

disegnato dall’artista tedesco-americana – approdata a Detroit<br />

dopo la fuga dalla Germania nazista – che ha dedicato la sua<br />

intera carriera alla ricerca e alla creazione di tessuti dalle molteplici<br />

forme, trame e combinazioni di colori. Formatasi originariamente<br />

come architetto, Ruth Adler Schnee applica disegni architettonici<br />

all’industria del tessile. Dal 1995 Adler Schnee – che ora ha ottantotto<br />

anni – lavora per creare sia nuovi disegni per tessuti da<br />

tappezzeria che per reinterpretare, tradurre e produrre industrialmente<br />

il suo progetto per tessuti dai colori brillanti stampati a mano<br />

negli anni quaranta e cinquanta.<br />

La mostra presenta tessili originali stampati a mano e nuove<br />

stoffe tessute accompagnate da schizzi e citazioni dell’artista; include<br />

anche il film documentario, <strong>The</strong> Radiant Sun: Ruth Adler<br />

Schnee, diretto dalla regista Terri Sarris, oltre a una struttura di piastre<br />

di vetro per mosaico creata<br />

dall’artista con la collaborazione<br />

della fornace veneziana di Angelo<br />

Orsoni, famosa per la sua biblioteca<br />

del colore, passione che<br />

accomuna gli Orsoni all’artista<br />

americana.


La 54. Biennale di Venezia<br />

Giardini e Arsenale, fino al 27 novembre<br />

Distribuita su diecimila metri quadri tra il Padiglione Centrale<br />

ai Giardini e l’Arsenale, la Biennale 2011 forma un<br />

unico percorso espositivo con ottantatré artisti da tutto il<br />

mondo di cui trentadue giovani nati dopo il 1975 e trentadue pre -<br />

senze femminili. Quattro partecipanti sono stati invitati a creare<br />

dei parapadiglioni, strutture scultoree realizzate ai Giardini e all’Arsenale<br />

per ospitare il lavoro di altri artisti che, oltre a favorire<br />

nuove forme di collaborazione, rendono più dinamico il percorso<br />

espositivo. La curatrice Bice Curiger<br />

ha inoltre incoraggiato l’avvicinamento<br />

reciproco degli artisti della<br />

mostra e quelli delle partecipazioni<br />

nazionali ponendo a tutti cinque domande<br />

sui temi dell’identità e del-<br />

[29] Paolo Baratta e Bice Curiger,<br />

rispettivamente presidente e<br />

curatore della Biennale.<br />

l’appartenenza: 1. La comunità artistica<br />

è una nazione? 2. Quante nazioni<br />

ci sono dentro di lei? 3. Dove<br />

si sente a casa? 4. Che lingua parlerà<br />

il futuro? 5. Se l’arte fosse uno Stato,<br />

cosa direbbe la sua Costituzione? Le risposte, pubblicate nel catalogo,<br />

riproducono le voci degli artisti e disegnano una mappa dell’immaginario<br />

collettivo contemporaneo.<br />

Tre opere di Tintoretto fanno parte di ILLUMInazioni: l’Ultima<br />

cena (proveniente dalla Basilica di San Giorgio Maggiore), il Trafu -<br />

gamento del corpo di San Marco e la<br />

Creazione degli animali ( e n t r a m b i<br />

conservate presso le Gallerie dell’Accademia).<br />

Le tre tele, concesse in<br />

prestito dalla Soprintendenza per il<br />

Polo Museale Veneziano, sono esposte<br />

nella sala grande del Padiglione<br />

Centrale ai Giardini. “L’arte di Tintoretto<br />

– evidenzia Bice Curiger – è<br />

eterodossa e sperimentale e si distin-<br />

gue per un marcato trattamento della<br />

luce. La presenza di questi dipinti<br />

alla Biennale deriva dalla convinzione<br />

che, con la loro immediatezza<br />

pittorica, possano rivolgersi ancora<br />

oggi a un pubblico contemporaneo”.<br />

[30] Jacopo Tintoretto,<br />

Trafugamento del corpo di San<br />

Marco, 1562-1566, Venezia,<br />

Gallerie dell’Accademia.<br />

La mostra, come di consueto, è affiancata nei padiglioni ai Giardini,<br />

all’Arsenale e nel centro storico di Venezia, da ottantanove<br />

Partecipazioni Nazionali, numero record per la Biennale Arte (erano<br />

settantasette nel 2009). Il Padiglione Italia all’Arsenale, organizzato<br />

dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è curato da<br />

Vittorio Sgarbi mentre il Padiglione Venezia ai Giardini, che presenta<br />

il video artista Fabrizio Plessi con l’opera Mari verticali, è curato<br />

da Renzo Dubbini.<br />

Le nazioni presenti per la prima volta sono Andorra, Arabia<br />

Saudita, Bangladesh, Haiti. Altri paesi partecipano quest’anno dopo<br />

una lunga assenza: India (1982), Congo (1968), Iraq (1990),<br />

Zimbabwe (1990), Sudafrica (1995), Costa Rica (1993, poi con<br />

l’IILA), Cuba (1995, poi con l’IILA). Sono trentasette gli Eventi<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

6<br />

collaterali proposti da enti e istituzioni internazionali che allestiscono<br />

le loro mostre in vari luoghi della città.<br />

Per il presidente Paolo Baratta la Biennale è come una macchina<br />

del vento. Ogni due anni scuote la foresta, scopre verità nascoste,<br />

dà forza e luce a nuovi virgulti, mentre pone in diversa prospettiva<br />

i rami conosciuti e i tronchi antichi. La Biennale è un<br />

grande pellegrinaggio dove nelle opere degli artisti e nel lavoro dei<br />

curatori si incontrano le voci del mondo che ci parlano del loro e<br />

del nostro futuro. L’arte è qui intesa come attività in continua evoluzione.<br />

Dopo 116 anni di vita della Biennale la forma della mostra<br />

attuale è quella definita in modo compiuto nel 1999 e confermata<br />

e perfezionata negli anni successivi. Dico questo – continua<br />

Baratta – perché è proprio a partire da quell’anno che alla mostra<br />

organizzata per padiglioni si affianca in modo netto e distinto la<br />

mostra che il curatore nominato dalla Biennale deve organizzare come<br />

mostra internazionale, con un compito chiaro non dovendo egli<br />

farsi carico della selezione del Padiglione Italia.<br />

ILLUMInazioni – ILLUMInations<br />

BICE CURIGER, curatrice dell’esposizione<br />

Che cos’è una Biennale? Su quale pubblico può contare?<br />

Qual è il ruolo della curatrice? Se la 54. Esposizione Internazionale<br />

d’Arte della Biennale di Venezia reca il titolo IL -<br />

LUMInazioni la speranza è anche quella di gettare luce sull’istituzione<br />

stessa. In tale contesto si individuano punti di forza latenti e non<br />

riconosciuti, ma anche convenzioni che vale la pena sfidare. ILLU -<br />

MInazioni si incentra sulla luce, un tema classico nell’arte strettamente<br />

legato a Venezia. Al contempo, mettendo in rilievo il finto<br />

suffisso “nazioni”, il titolo non subisce solo un’estensione semantica<br />

fino al mondo del reale e all’interno delle dimensioni sociopolitiche,<br />

ma sottolinea il rimando alla situazione particolare della<br />

Biennale di Venezia con i suoi padiglioni nazionali. Lontana dalla<br />

definizione conservatrice del concetto di “nazione”, l’arte ha il potenziale<br />

di sperimentare nuove forme di “comunità”, di negoziare<br />

differenze e affinità in maniera esemplare per il futuro.<br />

Parlare di nazioni implica anche che si parli di frontiere, come<br />

mostra Omer Fast nei suoi sconcertanti lavori cinematografici, o<br />

Sigmar Polke che in Polizeischwein si prende<br />

gioco di una guardia di frontiera – emblema<br />

dell’autorità statale – con umorismo anarchico.<br />

In IL L U M Inazioni ci si rivolgerà anche<br />

a un altro territorio di frontiera, quello tra<br />

la modernità e la storia passata. Alla 54.<br />

Esposizione è stato inserito anche un grande<br />

maestro del passato: Tintoretto, il pittore<br />

[31] Sigmar Polke,<br />

Polizeischwein.<br />

della luce. La sua arte è sotto molteplici<br />

aspetti eterodossa e sperimentale ma, invece<br />

di indagare sulle analogie superficialmente<br />

formali che potrebbero sussistere fra Ti n t o-<br />

retto e l’arte contemporanea, si fa riferimento a un’energia pittorica<br />

assolutamente “anticlassica”. Un’energia che si nutre anche della<br />

frizione provocata dal fatto che un pittore della tradizione sia finito<br />

in un contesto attuale. In IL L U M Inazioni alcuni artisti si riferi-


[32-33] Monica Bonvicini, 15 Steps to the<br />

Virgin, 2011, courtesy Galerie Hetzler,<br />

Berlino. In basso, Urs Fischer, Untitled,<br />

2011.<br />

scono direttamente a Tintoretto nelle<br />

loro opere, come ad esempio Nicholas<br />

Hlobo (che cita la Creazione degli animali), Monica Bonvicini<br />

(che si è ispirata all’ampia scalinata della Presentazione della Ve r g i n e<br />

conservata alle Gallerie dell’Accademia di Venezia), James Tu r r e l l<br />

(nella colorazione) e Christopher Wool (i cui<br />

quadri mostrano che l’artista osserva da anni<br />

con attenzione i dipinti del Ti n t o r e t t o ) .<br />

Con Urs Fischer viene aggiunto alla Biennale<br />

un ulteriore pezzo di storia dell’arte. L’ a rtista<br />

ha infatti riprodotto la famosa scultura<br />

del Giambologna, Il ratto delle Sabine, sotto<br />

forma di una colossale candela per farla bruciare<br />

lentamente nel corso dell’esposizione e<br />

abbandonarla al suo annientamento.<br />

Oggi la Biennale di Venezia è a ogni modo il luogo del mondo<br />

dove si incontrano sia le cerchie degli artisti sedentari che quelle<br />

degli artisti migranti, un teatro dove occorre negoziare che cosa dovranno<br />

essere in futuro la cultura e l’arte in un mondo globalizzato,<br />

quali valori meriteranno di essere difesi e da quali bisognerà<br />

prendere le distanze. Nuove comunità di artisti si sono costituite,<br />

come ad esempio Birdhead, un duo cinese che nelle foto sismografiche<br />

scattate in grandi quantità documenta la propria esposizione<br />

soggettiva in uno spazio urbano in rapido mutamento. Nei suoi lavori,<br />

Mai-Thu Perret ha inserito riferimenti continui a momenti<br />

storici di collettività femminile.<br />

La pittura di Das Institut (Kerstin<br />

Brätsch e Adele Röder) si<br />

presenta quale megainstallazione<br />

nella tonalità del pop iperattivo.<br />

Il gruppo artistico Gelitin<br />

ha progettato nel Giardino delle<br />

Ve rgini all’Arsenale un’azione<br />

di fusione del vetro come evento<br />

comunitario che coinvolge amici,<br />

pubblico e musicisti.<br />

[34-35] Gelitin, Some Like it Hot,<br />

2011 e, in basso, il parapadiglione di<br />

Song Dong.<br />

La mostra stessa costituisce un’opportunità per fornire impulsi<br />

di avvicinamento tra gli artisti chiamati a creare grandi strutture<br />

scultoree: i parapadiglioni. Song<br />

Dong, Monika Sosnowska,<br />

Oscar Tuazon e Franz West sono<br />

stati invitati a dar forma a un<br />

parapadiglione ciascuno, in modo<br />

da potere ospitare al suo interno<br />

le opere di altri artisti. In<br />

questo modo, nel percorso espositivo, si incontrano condensazioni<br />

e intrecci di espressioni artistiche. A differenza della consueta “narrazione”<br />

additiva, che dispone una accanto all’altra le opere di singoli<br />

artisti nell’ambito di mostre collettive, i parapadiglioni mirano<br />

a dinamizzare la presentazione. Sono sorte così nuove forme di<br />

collaborazione tra gli artisti, come nel caso del parapadiglione di<br />

Tuazon, che ospita al suo interno un’opera di Asier Mendizabal,<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

7<br />

mentre Ida Ekblad utilizza le<br />

pareti esterne come sfondo pittorico<br />

del suo intervento. Franz<br />

West presenta a Venezia la ricostruzione<br />

della cucina della sua casa di Vienna. Le opere dei suoi<br />

amici artisti che sono lì solitamente esposte compaiono ora sui muri<br />

esterni della struttura mentre all’interno Dayanita Singh presenta<br />

la proiezione Dream Vi l l a.<br />

L’avvicinamento reciproco degli artisti è stato ricercato attraverso<br />

un ulteriore intervento curatoriale, elaborando cinque domande<br />

relative alla tematica dell’identità che sono state poste sia<br />

agli artisti dell’Esposizione Internazionale, sia a quelli dei padiglioni<br />

nazionali.<br />

Tornando al titolo, il richiamo alla luce è evidente in molte<br />

opere in mostra. James Turrell crea uno spazio luminoso, un mare<br />

di luce colorata in cui i concetti spaziali di vicinanza e lontananza<br />

si dileguano. Con Philippe Parreno<br />

e Jack Goldstein sono poi<br />

rappresentati in IL L U M In a z i o n i<br />

quegli artisti di una generazione<br />

successiva che tramite il soggetto<br />

della luce si sono rivolti<br />

anche alla realtà dei mass media.<br />

Inoltre, è scontato che in<br />

IL L U M Inazioni la fotografia rappresenti<br />

un tema particolare,<br />

con Luigi Ghirri, Annette<br />

Kelm o Elad Lassry.<br />

[36] Dayanita Singh, Dream Villa<br />

Slideshow, 2010.<br />

[37-38] Philippe Parreno, Marquee,<br />

2011 e, in basso, Loris Gréaud, <strong>The</strong><br />

Geppetto Pavilion, 2011.<br />

Un gran numero di artisti in mostra attinge all’enorme bacino<br />

dei miti popolari o della cultura di massa che si sono impossessati<br />

di noi. Sulle opere di Katharina Fritsch, Loris Gréaud, Peter Fischli<br />

e David Weiss, Cindy Sherman, Rashid Johnson o Christian Marclay<br />

influisce forse anche quella<br />

“ispirazione materialistica, antropologica”<br />

che Walter Benjamin<br />

ha collegato “all’illuminazione<br />

profana” nel suo saggio sul<br />

Surrealismo.<br />

In IL L U M Inazioni si incontrano a più riprese chiari rinvii alle origini<br />

e alla familiarità. Nicholas Hlobo ha aggiunto alle sue sculture<br />

una traccia sonora in cui egli stesso intona un canto di una tribù<br />

africana cantato da sua madre, mentre Song Dong porta a Ve n e z i a<br />

la casa ultracentenaria dei suoi genitori. Il tema della dimensione<br />

familiare si ritrova anche nei parapadiglioni, dove la casa, la cucina,<br />

è esposta in senso figurato a molteplici impulsi di rovesciamento, a<br />

una corrente d’aria che la apre all’ignoto. Si intitola O t h e r s l ’ i n t e rvento<br />

di Maurizio Cattelan che riproduce un’opera già esposta alla<br />

Biennale nel 1997. Dalle travi<br />

del Padiglione Centrale oltre<br />

duemila piccioni osservano i visitatori,<br />

un’immagine oppri-<br />

[39] Maurizio Cattelan, Others,<br />

2011.


mente e minacciosa di cui ci si potrebbe accorgere solo dopo un po’<br />

di tempo. Che cosa rappresentano questi piccioni incombenti sulla<br />

testa dei presenti? Di che tipo di intrusi o di estranei si tratta? Il tema<br />

dell’estraneità riveste infatti un ruolo non trascurabile nella mostra.<br />

Nella storia dell’arte non è stata forse assegnata una certa condizione<br />

di emarginazione già a Tintoretto, anche se riconosciuto come<br />

grande innovatore? Guy de Cointet, Jeanne Nathalie Wi n t s c h ,<br />

Gedewon e pure Llyn Foulkes sono<br />

in questo senso estranei interessanti.<br />

Gli emarginati ispiratori acquisiscono<br />

rilievo mettendo in discussione le<br />

certezze del discorso m a i n s t r e a m<br />

orientato al consenso. Eppure oggi,<br />

in una cultura che non ha uno ma<br />

molti centri, non è proprio questo<br />

uno dei modelli di base che si delinea<br />

nella contrapposizione tra arte<br />

[40] Llyn Foulkes, Where Did I<br />

Go Wrong?, 1991, collection of<br />

Ivan Moskowitz, Chicago.<br />

occidentale e non occidentale?<br />

ILLUMInazioni presenta un’arte attuale,<br />

plasmata da gesti che tendono<br />

verso una collettività e riferiscono al<br />

contempo di un’identità frammen-<br />

tata, di relazioni temporanee e di oggetti in cui è inscritta la transitorietà.<br />

Se l’aspetto comunicativo è cruciale per le idee che sottostanno<br />

a ILLUMInazioni, esso è manifesto nell’arte che spesso dichiara<br />

e ricerca la vicinanza con la natura pulsante della vita. Tale aspetto<br />

è più importante che mai oggi, in quest’epoca in cui il nostro<br />

senso della realtà è messo profondamente in discussione dai mondi<br />

virtuali e simulati. Questa Biennale fa anche riferimento alla fede<br />

nell’arte e nel suo potenziale. Gli artisti lavorano senza reti di protezione,<br />

mettendo in dubbio le loro idee e cercando sempre di fare<br />

del proprio meglio, e chi lavora con loro non può evitare di esserne<br />

ispirato.<br />

PADIGLIONE ITALIA. L’ARTE NON È COSA NOSTRA<br />

La partecipazione italiana alla 54. Esposizione Internazionale<br />

d’Arte quest’anno ha tutti i caratteri dell’eccezionalità. Il curatore<br />

del padiglione, Vittorio Sgarbi, ha infatti elaborato un progetto<br />

concepito con un criterio originale: gli oltre duecento artisti in<br />

esposizione sono stati indicati da scrittori, poeti, registi, uomini di<br />

pensiero chiamati a far parte di un comitato tecnico scientifico. Gli<br />

intellettuali – individuati tra le personalità di riconosciuto prestigio<br />

internazionale, volutamente non critici d’arte – hanno espresso<br />

la loro preferenza, motivandone la scelta, con risultati sorprendenti.<br />

La mostra degli artisti italiani nel Padiglione Italia del 2011 è<br />

un avvenimento senza precedenti dal momento che Sgarbi, in ragione<br />

della sua poliedrica personalità, ha voluto conferirgli una dimensione<br />

del tutto inconsueta. Il progetto, anche in considerazione<br />

del 150° dell’Unità d’Italia, intende<br />

infatti documentare lo stato<br />

dell’arte italiana contemporanea.<br />

La ricognizione vasta quan-<br />

[41] Pablo Echaurren, Finché morte<br />

non ci unisca, 2009.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

8<br />

[42] Gaetano Pesce, L’Italia in croce,<br />

2011, courtesy Cassina Triennale Design<br />

Museum.<br />

to rigorosa degli artisti italiani viventi<br />

e operanti negli ultimi dieci<br />

anni consente di conoscere la produzione<br />

artistica contemporanea secondo<br />

un criterio rivoluzionario.<br />

Vittorio Sgarbi ha ideato e coordinato un vasto lavoro di ricerca<br />

sugli artisti contemporanei offrendo la più ampia possibilità di<br />

vedere, sapere e conoscere. La scelta è coraggiosa, inusuale e titanica,<br />

ma è anche la più utile per avere una visione della produzione<br />

artistica, non forzatamente e unicamente filtrata dal gusto personale<br />

del critico o del curatore.<br />

Il progetto curatoriale riserva inoltre un ruolo importante al<br />

150° anniversario dell’Unità d’Italia prevedendo numerose e importanti<br />

iniziative speciali tra cui le esposizioni promosse nelle regioni<br />

italiane. Il progetto si completa con la presenza delle venti<br />

Accademie di Belle Arti d’Italia che hanno selezionato i loro promettenti<br />

allievi. All’interno dell’Arsenale è esposto anche il Museo<br />

della Mafia, portato da Salemi a Venezia, che offre il leit-motif dell’esposizione:<br />

L’arte non è cosa nostra.<br />

EVENTI COLLATERALI<br />

Anastasia Khoroshilova<br />

Starie Novosti (Old News) [fino al 27 novembre]<br />

Biblioteca Zenobiana del Temanza, Dorsoduro 1602<br />

Installazione di nove lightbox fotografici. L’opera riflette sulla natura<br />

instabile della memoria sociale. Si basa sulla documentazione e ricerca del -<br />

l’artista Anastasia Khoroshilova a Beslan, località diventata universal -<br />

mente nota per uno dei più crudeli atti terroristici dell’ultimo decennio.<br />

Anton Ginzburg<br />

At the Back of the North Wind [fino al 27 novembre]<br />

Palazzo Bollani, Castello 3647<br />

Sculture di grandi dimensioni, un’installazione video, fotografie e opere su<br />

carta documentano un viaggio alla ricerca di Hyperborea, mitica terra del -<br />

l’età dell’oro. Dal nord-ovest americano, per continuare a San Pietroburgo<br />

e concludersi nel nord della Russia, dove si trovano i gulag.<br />

Ascension [fino al 27 novembre]<br />

Isola di San Giorgio Maggiore, Basilica di San Giorgio<br />

“In Ascension ciò che mi interessa è l’idea dell’immaterialità che diviene<br />

un oggetto”, afferma Anish Kapoor, autore delle opere. Spiritualità e spet -<br />

tacolarità fanno di quest’opera un esempio di ricerca artistica contempora -<br />

nea che non si accontenta di stupire, ma vuole avviare riflessioni su tema -<br />

tiche delicate e attuali.<br />

Call the Witness. Roma Pavilion [fino al 9 ottobre]<br />

UNESCO, Palazzo Zorzi, Castello 4930<br />

La mostra si evolve nel tempo attraverso testimonianze – opere d’arte,<br />

p e r f o r m a n c e, dialoghi e conversazioni di e con artisti, filosofi e politici –<br />

e considera la situazione dei rom e la loro arte come emblematica del mondo<br />

contemporaneo, e medita su un futuro di speranza nel segno della solidarietà.


Catalogna e Isole Baleari a Venezia.<br />

Mabel Palacin: 180º [fino al 30 ottobre]<br />

Magazzino del Sale n. 2, Dorsoduro 266<br />

Il titolo – 180° – fa riferimento al rapporto che nel cinema si stabilisce fra<br />

telecamera e spettatore. Sovrapponendo cinema, fotografia e video, il proget -<br />

to riflette sulla natura multiforme dell’immagine, il suo carattere non uni -<br />

voco e il ruolo dell’utente nella costruzione di narrative diverse.<br />

Concilio. Stefano Cagol [fino al 27 novembre]<br />

Chiesa di San Gallo, San Marco 1103<br />

Cosa ha a che fare Cuba con New York? Il concilio di Trento col patto di<br />

Schengen? Le convergenze parallele di Aldo Moro con le piramidi? In mo -<br />

stra ossimori inediti sono innescati da azioni di segnalazione e dialogo che<br />

– in video e installazioni – investono confini politici, naturali, mentali.<br />

Cracked Culture? <strong>The</strong> Quest for Identity in Contemporary<br />

Chinese Art [fino al 15 settembre]<br />

Convento del Santo Spirito, Dorsoduro 460 e Palazzo Giustinian,<br />

Dorsoduro 1012<br />

Gli artisti cinesi di oggi vivono un intenso conflitto fra oriente e occidente,<br />

tradizione e modernità. La nuova arte cinese cerca di rivelare il suo volto<br />

più autentico in un confronto con spazi e scenari artistici di Venezia.<br />

Cristiano Pintaldi. Lucid Dreams [fino al 31 ottobre]<br />

Ex Cantiere Navale, Castello 40<br />

Come e da chi è modellata la nostra percezione della realtà? L’ingannevo -<br />

le “verità” veicolata dai sistemi di potere attraverso i media è il tema cen -<br />

trale della mostra, sviluppato attraverso opere pittoriche che riproducono la<br />

stessa scomposizione tripartita dei monitor televisivi e informatici.<br />

Days of Yi [fino al 27 novembre]<br />

Spiazzi, Castello 3865<br />

Il racconto del viaggio dell’artista Yi Zhou dalle visioni giovanili sulla<br />

natura e i disastri universali, attraverso i momenti di transizione e la ri -<br />

cerca d’identità fino al raggiungimento della luce e della speranza, grazie<br />

alla comprensione di se stessa e del futuro nel mondo adulto.<br />

Dmitri Prigov [fino al 15 ottobre]<br />

Università Ca’ Foscari, Dorsoduro 3246<br />

Attraverso una poetica egoista, fragile e trasparente, Prigov si manifesta<br />

sia come manipolatore testuale sia come vittima del linguaggio. Da mi -<br />

gliaia di disegni, installazioni e video emergono mondi di sogno e morte,<br />

angeli e mostri, sangue e una visione che domina tutto.<br />

Dropstuff.eu [fino al 31 luglio]<br />

Riva Ca’ di Dio, campo Sant’Angelo e campo San Vio<br />

Rete di schermi urbani per le arti digitali e interattive che offre una piat -<br />

taforma per l’arte interattiva e i giochi artistici nelle piazze pubbliche, sui<br />

treni e nelle stazioni della metropolitana, in musei, scuole, biblioteche, isti -<br />

tuti d’arte e tramite il sito internet www.dropstuff.eu.<br />

Federico Díaz. Outside Itself [fino al 30 settembre]<br />

Nappa 90, Arsenale Novissimo<br />

Progetto site-specific con sculture di dati assemblate da macchine robotiz -<br />

zate dal loro concepimento fino alla realizzazione. Migliaia di sfere, che<br />

rappresentano fotoni individuali, composte e messe insieme dai robot. Outside<br />

itself rappresenta la luce, che non è razionale ma estatica.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

9<br />

Frog-topia Hong-kornucopia [fino al 27 novembre]<br />

Arsenale, Castello 2126<br />

Frog King, artista e performer cinese di primaria importanza, ha adottato<br />

come simbolo e alter ego una rana. Frog-topia è una costruzione mentale in<br />

cui colloca i suoi valori artistici. L’artista usa Frog-topia come espediente<br />

per trascendere le convenzioni artistiche insite in tutti i mezzi di espressione.<br />

Future Generation Art Prize @ <strong>Venice</strong> [fino al 7 agosto]<br />

Palazzo Papadopoli, San Polo 1364<br />

È un premio internazionale d’arte contemporanea per scoprire, riconoscere e<br />

sostenere a lungo termine una generazione futura di artisti under 35. Con<br />

i suoi diciannove artisti che operano in diciasette diverse nazioni nei cinque<br />

continenti, il premio propone una rassegna globale sulla nuova generazione.<br />

Future Pass [fino al 6 novembre]<br />

Abbazia di San Gregorio, Dorsoduro 172<br />

Palazzo Mangilli-Valmarana, Cannaregio 4392<br />

Oltre cento artisti, asiatici e non, che offrono una panoramica sulla nuova<br />

estetica proveniente dall’Asia interpretando la loro relazione con il resto del<br />

mondo: un possibile accesso al futuro, all’insegna della cultura digitale del<br />

XXI secolo, dell’eclettismo e della contaminazione di generi e discipline.<br />

Glasstress 2011 [fino al 27 novembre]<br />

Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Palazzo Cavalli Franchetti,<br />

San Marco 2847, Berengo Centre for Contemporary Art and<br />

Glass, campiello della Pescheria a Murano, giardino Wake Forest<br />

University, Dorsoduro 700<br />

Il complesso rapporto che, in un’epoca che si ritiene sia andata oltre il mo -<br />

dernismo, lega arte, design e architettura. Il tema è affrontato attraverso<br />

sculture in vetro di importanti artisti internazionali e oggetti-scultura di<br />

designer la cui ricerca formale è condizionata dalla funzione d’uso.<br />

Il banchetto di Chun-te [fino al 10 ottobre]<br />

Scoletta dei Battioro e Tiraoro, Santa Croce 1980<br />

La personale dell’artista taiwanese Hsieh Chun-te comprende ventuno foto -<br />

grafie di grande formato, un’installazione e una performance teatrale cu -<br />

linaria poiché l’artista è stato responsabile di uno dei migliori ristoranti<br />

del mondo. La sua opera indaga la relazione tra vita, morte e desiderio.<br />

Karla Black [fino al 27 novembre]<br />

Palazzo Pisani a Santa Marina, Cannaregio 6103<br />

È sospesa tra energia e massa questa personale di quasi-oggetti nuovi di zec -<br />

ca. La spoglia vastità di materiale e colore puri – polverizzati, atomizza -<br />

ti, accumulati, stratificati, sostenuti, sospesi e riversati sul pavimento – of -<br />

fre un’esperienza viscerale d’assorbimento nel mondo materiale.<br />

Koen Vanmechelen. Nato a Venezia [fino al 27 novembre]<br />

Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Palazzo Loredan,<br />

San Marco 2945<br />

Il cuore dell’installazione è una banca dati genetica delle diverse razze in<br />

seno alla quale un ricercatore scientifico svolgerà una ricerca indipendente<br />

sulla diversità biologica e culturale. Ai visitatori è consentito l’accesso ai<br />

risultati della ricerca.<br />

Lech Majewski. Bruegel Suite [fino al 27 novembre]<br />

Chiesa di San Lio, Castello 5661 e campo San Pantalon,<br />

Dorsoduro 3711


Attraverso un arazzo digitale intessuto di strati di prospettiva, fenomeni<br />

atmosferici e atti di violenza lo spettatore entra nel mondo di Pieter Brue -<br />

gel. I maestri del passato incontrano la tecnologia del computer. In una for -<br />

ma ispirata all’Andata al Calvario di Bruegel due sacrifici, uno anoni -<br />

mo, l’altro mitico, vengono proiettati su entrambi i lati dell’altare.<br />

Menglong. Oscurità [fino al 9 settembre]<br />

Sala San Tommaso, Castello, campo San Giovanni e Paolo<br />

Nelle spettacolari opere di tre artisti, che spaziano dalla pittura al video e<br />

alla tridimensionalità, si celano tormenti e ansie individuali accompagna -<br />

ti da sfumature di cupa malinconia. Le storie dei singoli soggetti si mi -<br />

schiano con quelle della collettività cercando, attraverso l’arte, di fare luce<br />

sugli spazi d’ombra e di illuminare l’oscurità.<br />

Mobility & Memory [fino al 27 novembre]<br />

Arsenale, Castello 2126/A<br />

Terza partecipazione del Macau Museum of Art. In un ambiente in rapi -<br />

do cambiamento come possiamo gestire i nostri valori culturali e il nuovo<br />

impatto?<br />

Montebello. Megachromia [dal 3 al 30 settembre]<br />

Casino Venier, San Marco 4939<br />

La mostra presenta un nuovo concetto dell’artista francese Roger de Monte -<br />

bello: un tentativo di unire le potenzialità della pittura e della fotografia<br />

rovesciando i ruoli tradizionali delle due arti, per rendere un omaggio con -<br />

temporaneo alla pittura.<br />

Neoludica. Art Is a Game 2011-1966 [fino al 27 novembre]<br />

Scuola dei Laneri, Santa Croce 131<br />

Centro Culturale Candiani, Mestre<br />

L’arte è un gioco, diceva Duchamp. I videogiochi sono un’arte e hanno un<br />

impatto sociale determinante. L’evento, esclusivo in prima mondiale, inten -<br />

de promuovere l’opera scientifica del progetto GameArtGallery, scanda -<br />

gliando le connessioni tra videogiochi-arti visive-musica-cinema.<br />

One of a Thousand Ways to Defeat Entropy [fino al 27 novembre]<br />

Nappa 89, Arsenale Novissimo<br />

Una collettiva di respiro internazionale sull’entropia che presenta nuove in -<br />

stallazioni degli artisti Alexander Ponomarev, Hans Op de Beeck, Adrian<br />

Ghenie e Ryoichi Kurokawa.<br />

Passage 2011.<br />

An Actionistic, Transalpine Drama [fino all’11 settembre]<br />

Scuola dell’Angelo Custode, Cannaregio 4448<br />

A mani nude gli artisti trascineranno attraverso le Alpi una barca co -<br />

struita da loro stessi. La missione è caratterizzata da uno sforzo sisifeo il<br />

cui obiettivo apparente è far salpare la barca nella laguna in tempo utile<br />

per la Biennale, per celebrare infine la vittoria dell’arte sulla natura in un<br />

viaggio trionfale lungo il Canal Grande. Oppure fallire miseramente.<br />

Personal Structures [fino al 27 novembre]<br />

Palazzo Bembo, San Marco 4785<br />

Ventotto artisti di dodici diversi paesi di cinque continenti uniti in una<br />

combinazione straordinaria: artisti affermati affiancati da artisti la cui<br />

opera è meno conosciuta. Enunciando con forza il proprio credo, ogni arti -<br />

sta espone nuove opere d’arte in un suo spazio esclusivo, site specific, o la -<br />

vori nuovi provenienti direttamente dal suo studio.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

10<br />

Pino Pascali.<br />

Ritorno a Venezia / Puglia Arte Contemporanea<br />

[fino al 1 agosto]<br />

Palazzo Michiel dal Brusà, Cannaregio 4391/A<br />

Premio alla Scultura nel 1968, Pascali torna a Venezia con una mostra<br />

di opere poco conosciute dal grande pubblico e alcune inedite, correlata a un<br />

progetto espositivo in più sezioni, saggio della recente attività artistica e<br />

culturale in Puglia, tra innovazione e scoperta del territorio.<br />

Rebel [fino al 27 novembre]<br />

Isola della Certosa<br />

Il film installazione – creato da James Franco in collaborazione con Dou -<br />

glas Gordon, Harmony Korine, Paul McCarthy, Ed Ruscha, Aaron<br />

Young e Dominic Sidhu – è biografia, diario, narrazione e documentario<br />

al tempo stesso. La premessa concettuale del film unisce il fascino mitico del<br />

cinema e dell’arte contemporanea ponendosi come ode interrogativa all’ico -<br />

nografia di Hollywood.<br />

Round the Clock [fino al 30 ottobre]<br />

Spazio <strong>The</strong>tis, Arsenale Novissimo<br />

Dialogo tra arte ed ecosistemi sostenibili ed esposizione di artisti interna -<br />

zionali che, mediante l’energia delle opere – fotografie, installazioni, video,<br />

sculture –, allacciano percorsi e attraversano tentativi con materiali come<br />

carta, cartone, cenere, plastica, plexiglass, ferro, vetro, acqua, tessuto.<br />

<strong>The</strong> Future of a Promise [fino al 20 novembre]<br />

Magazzino del Sale n. 5, Dorsoduro 263<br />

Esposizione di riferimento degli artisti contemporanei di punta del mondo<br />

arabo, la mostra analizza le promesse sociopolitiche e culturali che defini -<br />

scono oggi il mondo arabo ed esamina il modo in cui gli artisti selezionati<br />

si rapportano con l’incertezza in uno scenario in rapida evoluzione.<br />

<strong>The</strong> Heard and the Unheard.<br />

Soundscape Taiwan [fino al 27 novembre]<br />

Palazzo delle Prigioni, Castello 4209<br />

Le opere di Wang Hong-Kai e Su Yu-Hsien e un Sound Library/Bar, una<br />

campionatura di suoni non-mainstream, sia storici che contemporanei, di<br />

origine taiwanese. Il suono non funge solo da contenuto ma anche da me -<br />

tafora di azione politica, dando inizio a un’esperienza di narrazioni udi -<br />

tive stratificate che si mescolano in contesti “globali-locali”.<br />

Tim Davies [fino al 27 novembre]<br />

Ludoteca Santa Maria Ausiliatrice, Castello 450<br />

Opere nuove e recenti in un’installazione multimediale che comprende lavo -<br />

ri tridimensionali, opere su carta e video site-responsive. I vari media<br />

trovano coerenza nella comune indagine di strutture costruite e temi sociopolitici.<br />

<strong>Venice</strong> in <strong>Venice</strong>. Glow and Reflection.<br />

<strong>Venice</strong> California Art from 1960 to the Present<br />

[fino al 31 luglio]<br />

Palazzo Contarini dagli Scrigni, Dorsoduro 1057/C<br />

“Gli artisti di <strong>Venice</strong>, California, che hanno creato cose basandosi su una<br />

visione assolutamente unica: l’arte. Non si basano sulla vostra auto, la vo -<br />

stra casa, il vostro cielo, la vostra donna, le vostre lacrime, la vostra ango -<br />

scia, il vostro tormento, o qualsiasi altro riferimento alla condizione uma -<br />

na” (Billy Al Bengston).


Fondazione Prada<br />

a Ca’ Corner della Regina<br />

Ca’ Corner della Regina, fino al 2 ottobre<br />

offre una lettura dell’approccio culturale della<br />

Fondazione Prada – creata nel 1993 da Miuccia Prada e<br />

L’esposizione<br />

Patrizio Bertelli per diffondere l’arte contemporanea –<br />

senza imporre un’interpretazione tematica e univoca del materiale<br />

artistico e museale presentato. Le singole installazioni e presenze<br />

sono quindi da considerarsi esempi che testimoniano i diversi<br />

aspetti dell’identità, passata e futura, della Fondazione. Esse comprendono<br />

una selezione della collezione, un anticipo di future collaborazioni<br />

e il progetto di Rem Koolhaas per la nuova sede permanente<br />

della Fondazione a Milano, di cui sono presentati i modelli<br />

in scala del complesso architettonico che aprirà nel 2013.<br />

Partendo dalla collezione raccolta nel corso degli anni, l’apertura<br />

dello spazio della Fondazione Prada a Ca’ Corner della Regina,<br />

curato da Germano Celant, si caratterizza per una molteplicità<br />

aperta di presenze e interventi prodotti in dialogo scientifico con<br />

musei come <strong>The</strong> State Hermitage Museum di San Pietroburgo, la<br />

Fondazione Musei Civici di Venezia, il Mathaf Arab Museum of<br />

Modern Art e <strong>The</strong> Museum of Islamic Art di Doha, nonché per la<br />

lettura creativa di artisti contemporanei quali Thomas Demand oppure<br />

teorici come Marco Giusti e Nicholas Cullinan.<br />

Negli ambienti di Ca’ Corner della Regina – palazzo costruito<br />

tra il 1724 e il 1728 da Domenico Rossi e considerato il primo<br />

esempio di architettura che introduce<br />

parametri dominanti non barocchi<br />

– sono presenti le imponenti sculture<br />

di Anish Kapoor, Michael Heizer<br />

e Jeff Koons che dal piano terra al<br />

primo piano nobile formano, intrecciate<br />

a importanti opere di Wa l t e r<br />

De Maria, John Baldessari, Charles<br />

R a y, Tom Friedman, Domenico<br />

Gnoli, Damien Hirst, Louise Bourgeois,<br />

Blinky Palermo, Bruce Nau-<br />

[43] Anish Kapoor, Void Field, man, Pino Pascali, Donald Judd,<br />

1989.<br />

Francesco Vezzoli e Maurizio Cattelan,<br />

l’intero percorso architettonico.<br />

La mostra documenta, con progetti speciali e inediti, il dialogo<br />

in costruzione con istituzioni museali internazionali, instaurando<br />

uno scambio creativo tra le loro collezioni e gli interventi degli artisti<br />

contemporanei. Per questa ragione Thomas Demand è stato<br />

invitato a dialogare con importanti materiali provenienti dai Musei<br />

Civici di Venezia, mentre si è chiesto a Jean-Paul Engelen, direttore<br />

del Public Art Program dell’Arabic Museum of Modern Art<br />

di Doha in Qatar, di stabilire un ponte linguistico tra un reperto<br />

storico, proveniente dal Museum of Islamic Art, e il lavoro dell’artista<br />

contemporanea Buthayna Ali, e a <strong>The</strong> State Hermitage di San<br />

Pietroburgo di presentare inedite ceramiche del XVIII secolo in parallelo<br />

con l’opera di Jeff Koons Fait d’Hiver (1988). A Nicholas<br />

Cullinan, curatore dell’<strong>International</strong> Modern Art per la Tate Modern<br />

di Londra il compito di attraversare la collezione offrendo una<br />

sua lettura del periodo dell’arte italiana dal 1952 al 1964 che comprende<br />

opere di Alberto Burri, Enrico Castellani, Lucio Fontana,<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

11<br />

[44] Lucio Fontana, Concetto<br />

spaziale. La fine di Dio, 1963.<br />

Elogio del dubbio<br />

Francesco Lo Savio, Piero Manzoni,<br />

Salvatore Scarpitta e Mario<br />

Schifano.<br />

Un insieme quindi di presentazioni<br />

e di contenuti trasversali<br />

che sono testimonianza dell’intreccio<br />

fluido tra moderno e<br />

contemporaneo, tracce di un futuro<br />

percorso per le attività della<br />

Fondazione Prada.<br />

Punta della Dogana, fino al 31 dicembre 2012<br />

La mostra propone un percorso tematico sulla forza e sulla fragilità<br />

della condizione umana. Appoggiandosi a opere intensamente<br />

emblematiche degli anni sessanta, l’esposizione,<br />

che si sviluppa sino a comprendere i lavori più contemporanei, tende<br />

a celebrare il dubbio nei suoi aspetti più dinamici, ovvero la sua<br />

forza nello sfidare i pregiudizi, le convinzioni, le certezze. L’idea è<br />

di aprire il campo a tutti gli interrogativi possibili per valicare i limiti<br />

che ognuno di noi si pone, tentando di reinventare lo sguardo<br />

che abbiamo su noi stessi e sul mondo che ci circonda.<br />

Ogni artista è presentato nell’ambito di uno spazio dedicato e<br />

tuttavia aperto agli altri, grazie alle trasparenze e ai passaggi propri<br />

di quel luogo. Questa continua connessione contribuisce a<br />

creare un originale confronto tra i differenti punti di vista espressi<br />

(radicali, impegnati, sensibili, insolenti…). La mostra rende testimonianza<br />

anche del livello di coinvolgimento degli artisti nella<br />

realizzazione delle opere site specific, in particolar modo con i lavori<br />

di Julie Mehretu e Tatiana Trouvé, e della partecipazione attiva<br />

di alcuni di loro alla selezione delle opere.<br />

L’approccio minimale delle sculture<br />

di Donald Judd, situate all’ingresso<br />

in mostra, tende a fondere l’estetica<br />

nella sensazione, mentre i<br />

trofei deviati di Maurizio Cattelan e<br />

David Hammons, divenuti ormai<br />

emblematici della prima sala di<br />

Punta della Dogana, tentano di afferrare<br />

il senso di questa insopprimi-<br />

[45] Donald Judd, Untitled,<br />

1989.<br />

bile voglia di possesso, segno esteriore di un certo potere.<br />

In un’altra sequenza, Roxys di Edward Kienholz, prima installazione<br />

dell’artista e caposaldo della storia dell’arte contemporanea,<br />

pone l’interrogativo sulle pulsioni inespresse dell’uomo. L’artista<br />

getta una luce cruda su certe realtà attraverso la riproduzione di<br />

una casa di tolleranza, mostrandone<br />

la brutalità. Con lo stesso<br />

spirito, Paul McCarthy porta<br />

uno sguardo ironico sui clichés<br />

della donna-oggetto e dell’uomo-conquistatore.<br />

[46] Sala con opere di Paul McCarthy.


La questione della violenza di gruppo è approcciata da una figura<br />

“tutelare”, Marcel Broodthaers, che con Décor propone la messa<br />

in scena dei resti del teatro delle nostre guerre, mentre un giovane<br />

artista, Thomas Houseago, presentato qui per la prima volta,<br />

riprende l’idea della figura umana nella sua assurdità.<br />

Al limite tra solidità e straordinaria<br />

fragilità, Well and Tr u l y<br />

(2010) di Roni Horn propone<br />

un’esperienza fisica che scuote<br />

tutte le certezze identitarie. Il<br />

gruppo dei nove corpi giacenti<br />

di Maurizio Cattelan All ( 2 0 0 8 )<br />

[47-49] Roni Horn, Well and Truly,<br />

2010 e, a destra, Maurizio Cattelan,<br />

All, 2008. In basso, Thomas Schütte,<br />

Weeping Woman, 2009.<br />

invita alla riflessione sull’annientamento<br />

dell’individualità<br />

nella morte. Sorta di prolungamento di queste domande esistenziali,<br />

le installazioni di Chen Zhen affrontano<br />

le nozioni di tradizione, esilio,<br />

sopravvivenza. Proseguendo,<br />

Thomas Schütte, con le sue fantomatiche<br />

figure, prende in esame la complessità<br />

delle relazioni tra lo spazio<br />

privato, soggettivo, e lo spazio pubblico,<br />

inevitabilmente politico.<br />

L’eccezionale insieme di Sigmar Polke, Axial Age, che a Punta<br />

della Dogana sembra aver trovato la propria naturale dimensione,<br />

si appoggia a riferimenti classici per bruciarne la temporalità.<br />

Riappropriandosi dell’esposizione<br />

storica e iconica di Marcel Duchamp,<br />

Sturtevant propone invece<br />

un dibattito sulla questione dell’originalità,<br />

dell’aura e del potere (mascolino)<br />

dell’oggetto come opera<br />

d’arte. E la nozione di oggetto e del<br />

suo statuto nell’arte è successivamente<br />

affrontata nella serie Popeye di<br />

Jeff Koons, attraverso la proposta in<br />

chiave pop di una vita ideale, oppure,<br />

secondo tutt’altre modalità, nelle<br />

[50-51] Subodh Gupta, E tu,<br />

Duschamp?, 2009 e, in basso,<br />

Tatiana Trouvé, Appunti per<br />

una costruzione, 2011.<br />

opere di Subodh Gupta, che si interroga sul mondo globale e multiculturale<br />

nel quale viviamo.<br />

La grande sala centrale di Punta della Dogana, il Cubo, accoglie<br />

una delle due produzioni appositamente commissionate per la mostra,<br />

quella di Julie Mehretu. L’artista ha realizzato due grandi quadri,<br />

che si nutrono di un lungo lavoro di ricerca sulla storia della<br />

città di Venezia, sulla sua architettura e le sue radici, ma anche sulla<br />

storia dell’arte e della filosofia<br />

rinascimentale. L’altra opera appositamente<br />

concepita e prodotta<br />

per l’esposizione è quella di<br />

Tatiana Trouvé. Catalizzando<br />

l’attenzione sulla nozione di lavoro,<br />

sulla percezione di “fuori”<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

12<br />

e “dentro”, sulle tracce del tempo, l’artista si è appropriata del solo<br />

spazio che ricorda la destinazione d’uso iniziale della Dogana da<br />

Mar (luogo di entrata e di uscita delle merci), ripensato come luogo<br />

di passaggio delle sue stesse opere e dei loro fantasmi.<br />

Adel Abdessemed affronta le conseguenze dei gesti o delle riflessioni,<br />

spesso politiche, traducendo in “opera” le questioni della<br />

nostra epoca mentre a Sturtevant è affidato il compito dell’ultima<br />

parola, alla fine del percorso, con un ambiente ispirato a Felix Gonzalez-Torres<br />

e il video Finite Infinite (2010), che mostra un cane la<br />

cui corsa sfrenata rinvia ad alcune delle nostre vane ossessioni.<br />

All’esterno dell’edificio, la scultura di Thomas Schütte, Vater<br />

Staat (lo Stato Padre, 2010), posta proprio dinanzi all’ingresso di<br />

Punta della Dogana, si contrappone simbolicamente al Boy with<br />

Frog (2009) di Charles Ray, instaurando un ideale dialogo sul tema<br />

dell’illusione del potere e della trasmissione<br />

(del potere, della conoscenza,<br />

dell’esperienza...). Fuori percorso,<br />

particolare rilevanza hanno<br />

nel progetto curatoriale le due sale<br />

del Torrino di Punta della Dogana,<br />

in un rimando dialogico tra le opere<br />

della collezione e la città, come<br />

omaggio al potere simbolico della<br />

Serenissima: il vestito da sposa so-<br />

speso nell’aria di David Hammons Forgotten Dream (2000) e il grande<br />

cuore magenta di Jeff Koons Hanging Heart (1994/2006).<br />

Il mondo vi appartiene<br />

Palazzo Grassi, fino al 31 dicembre<br />

[52] Jeff Koons, Hanging Heart,<br />

1994-2006.<br />

La mostra invita a esplorare gli universi di artisti di differenti<br />

origini e propone una riflessione sui ritmi vertiginosi degli<br />

sconvolgimenti del mondo moderno, nutriti dal nomadismo,<br />

dal cosmopolitismo e dal meticciato. Tende ad allargare il<br />

campo delle conoscenze possibili, per offrire una lettura originale<br />

della società contemporanea.<br />

Provenienti dai quattro angoli del mondo – dalla Cina al Sudafrica,<br />

dalla Francia al Giappone, dall’Italia all’Iraq, dagli Stati Uniti<br />

alla Russia – i quaranta artisti presenti propongono tutti posizioni<br />

singolari sui grandi stravolgimenti del mondo, sulle esasperazioni<br />

che ne conseguono e sulle speranze che questi portano. La<br />

mostra si articola infatti intorno ai grandi temi della storia presente<br />

– dalla disintegrazione dei simboli sino alla tentazione per il ripiegamento<br />

su se stessi e l’isolamento, passando per l’attrattività<br />

della violenza o della spiritualità in un modo tormentato e globalizzato.<br />

Ogni artista è presentato in uno spazio dedicato ma tuttavia<br />

aperto agli altri, grazie ai passaggi e alle prospettive proprie del<br />

luogo. Due opere emblematiche segnalano le due grandi direzioni<br />

della mostra: il grande avvoltoio di Sun Yuan & Peng Yu, Waiting,<br />

come metafora di minacce, paure e predatori e L’homme pressé di<br />

Thomas Houseago, simbolo della fede nel potere stesso dell’uomo.<br />

Sviluppandosi nello spazio dell’atrio del palazzo, C o n t a m i n a t i o n,<br />

2008-2010, di Joana Vasconcelos, rappresenta le porosità e le interazioni<br />

inevitabili tra le culture di un ambiente globale con un’e-


splosione di elementi e di colore:<br />

quasi un inno al meticciato. Un meticciato<br />

che va dalla disintegrazione<br />

dei modelli e delle utopie passate<br />

agli esempi della caduta di uno stile<br />

di società in Iran con Farhad Moshiri,<br />

dalla tortura mediatizzata di Ahmed<br />

Alsoudani, dal persistere della<br />

perplessità ingenua e spontanea negli<br />

uomini con la scultura di Friedrich<br />

Kunath, dalla monumentalità<br />

fuori moda delle grandi figure co-<br />

[53-54] Ahmed Alsoudani,<br />

Untitled, 2010 e, a sinistra,<br />

David Hammons, Black Mohair<br />

Spirit, 1971.<br />

muniste di Zhang Huan, dal denudamento della ricca cultura africana<br />

e afro-americana con El Anatsui e David Hammons, dalla minaccia<br />

terrorista con l’opera di Huang Yo n g<br />

Ping, dall’apocalisse annunciatrice di un<br />

mondo post-umano con Loris Gréaud e<br />

Matthew Day Jackson, dalla realtà delle situazioni<br />

di vita e delle utopie crollate con<br />

Cyprien Gaillard, dall’obsolescenza della società<br />

turistica con Yto Barrada, dal peso del<br />

passato sovietico con Adrian Ghenie, Sislej<br />

Xhafa, Sergey Bratkov e Boris Mikhailov,<br />

dalla responsabilità individuale con Philippe Perrot, dal ritorno alla<br />

natura grezza con Zeng Fanzhi, Nicholas Hlobo, Yang Jiechang.<br />

[55-57] Boris Mikhailov, Lukiri, 1971-1985 e, a destra, Philippe Perrot,<br />

Assèchement des zones humides, 2008. In basso, fotogramma da Democrazy<br />

di Francesco Vezzoli, 2007.<br />

Il viaggio continua con l’impossibile rappresentazione del mondo,<br />

in compagnia di Bruly Bouabré e Alighiero Boetti, sottolineata<br />

dall’assenza di spontaneità come pure dalla realtà mediatica con<br />

Jonathan Wateridge e David<br />

Claerbout, e Francesco Vezzoli,<br />

dal fallimento del reale con le<br />

sculture di Urs Fischer, dalla<br />

fragilità e dalla povertà con le<br />

opere di Sigmar Polke, dalla decomposizione dell’idea simbolica di<br />

famiglia con Charles Ray, dalla precarietà della condizione femminile<br />

con le pitture di Marlene Dumas, dalla solitudine e dall’impotenza<br />

dell’uomo con Giuseppe Penone, dall’assenza di rottura nella<br />

storia con Takashi Murakami, dal decoro come riferimento sociale<br />

con Rudolf Stingel, dal bisogno di humour e di umiltà con Maurizio<br />

Cattelan e infine da un’esperienza spirituale con Lee Ufan.<br />

Questa esposizione trascende le origini culturali, le generazioni<br />

e le diverse epoche. La specificità dell’architettura di Palazzo Grassi<br />

accentua le proposte offrendo una visione quasi panoramica delle<br />

opere esposte, grazie alla quale si rende possibile una infinita varietà<br />

di esperienze artistiche.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

13<br />

Ileana Sonnabend. Un ritratto italiano<br />

Peggy Guggenheim Collection, fino al 2 ottobre<br />

Considerata tra le più grandi galleriste nel panorama artistico<br />

contemporaneo del secondo Novecento, Ileana Sonnabend<br />

(1914-2007) creò con lungimiranza anche un’eccezionale<br />

collezione privata. La mostra presenta una selezione di opere<br />

provenienti dalla sua collezione il cui filo conduttore è l’Italia:<br />

lavori di artisti italiani e internazionali, la cui arte rimanda alla cultura,<br />

alle tradizioni e ai paesaggi del nostro paese.<br />

Ileana Schapira nasce a Bucarest nel 1914. Il padre è un uomo<br />

d’affari di successo e consulente economico del re Carol II di Romania.<br />

Nel 1932 Ileana conosce Leo Krausz (successivamente Castelli)<br />

che sposa l’anno<br />

dopo, nel 1935 si<br />

trasferiscono a Parigi,<br />

dove aprono una<br />

galleria d’arte insieme<br />

a René Drouin,<br />

per poi emigrare a<br />

New York nel 1941. [58] Andy Warhol, Ileana Sonnabend, 1973.<br />

Mentre Leo Castelli<br />

si arruola nell’esercito americano, Ileana studia alla Columbia University,<br />

dove conosce Michael Sonnabend, che sposerà nel 1959. Tra<br />

gli anni quaranta e cinquanta i coniugi Castelli cominciano a collezionare<br />

opere d’arte, tra cui spiccano i lavori di Piet Mondrian e<br />

Jackson Pollock, e nel 1957 aprono la loro prima galleria a New<br />

York. Insieme scoprono ed espongono le opere di Jasper Johns e<br />

Robert Rauschenberg cominciando così a promuovere un nuovo<br />

genere di arte, iniziando dal Neodada<br />

e dalla Pop Art (Roy Lichtenstein,<br />

Andy Warhol, Claes Oldenburg<br />

e James Rosenquist). Nel 1962<br />

Michael e Ileana Sonnabend aprono<br />

a Parigi la Galerie Ileana Sonn-<br />

[59] James Rosenquist, Sliced<br />

Bologna, 1968.<br />

abend, dove espongono i lavori di<br />

artisti americani e di alcuni giovani<br />

italiani, a cominciare da Mario Schifano<br />

(1963) e Michelangelo Pistolet-<br />

to (1964), seguiti poi da Gilberto Zorio, Mario Merz, Giovanni<br />

Anselmo (1969), Jannis Kounellis (1972) e altri ancora.<br />

Nel 1970 Ileana apre una galleria a New York che l’anno seguente<br />

trasferisce a SoHo, insieme alla Galleria Castelli, stimolando<br />

così una sorta di “migrazione” della scena artistica contemporanea<br />

newyorkese. La galleria di SoHo viene inaugurata con una<br />

performance di Gilbert & George, oggi celeberrima. Attraverso la<br />

galleria e il collezionismo, Ileana continua a scoprire i nuovi movimenti<br />

emergenti europei e americani, Minimalismo, Arte Povera,<br />

Arte Concettuale, Transavanguardia, performance, Neo-espressionismo,<br />

Neo-geo e la nuova fotografia, ampliando una reputazione<br />

fondata sulla conoscenza approfondita dell’arte, sul desiderio del<br />

“nuovo”, sul carattere internazionale della galleria.<br />

Michael e Ileana Sonnabend stringono un forte legame con l’Italia<br />

e in particolare con Venezia. A partire da due soggiorni: a Roma<br />

nel 1960, durante il quale entrano in contatto con la Scuola di<br />

Piazza del Popolo e con il mercante d’arte Plinio de Martiis, e a Ve-


nezia nel 1962, dove diventano amici di artisti,<br />

critici e galleristi, creano una fitta rete<br />

di amicizie italiane, tra cui spiccano i nomi<br />

di Gian Enzo Sperone, Germano Celant,<br />

Achille Bonito Oliva, Giuseppe e Giovanna<br />

Panza, e contatti con molti altri artisti di cui<br />

Ileana avrebbe esposto le opere tra Parigi e<br />

New York. Ileana svolge, insieme a Leo Castelli<br />

e Alan Solomon, un ruolo fondamentale<br />

nel portare Robert Rauschenberg alla<br />

Biennale di Venezia del 1964, dove l’artista<br />

vince il Gran premio della Pittura, evento<br />

cruciale nella sua carriera, nella storia della<br />

Biennale di Venezia e nell’arte contemporanea<br />

europea e americana più in generale.<br />

Ileana Sonnabend. Un ritratto italiano presenta oltre sessanta opere<br />

di oltre cinquanta artisti, selezionati da Antonio Homem, direttore<br />

della Sonnabend Gallery di New York, e figlio adottivo della<br />

collezionista. Tra i lavori in mostra un ritratto di Ileana di Andy<br />

Warhol, opere legate all’Italia di Rauschenberg e Cy Twombly, lavori<br />

di artisti italiani come Tano Festa, Lucio Fontana, Mimmo Rotella,<br />

Schifano e Piero Manzoni, opere di artisti americani ispirate<br />

alla cultura italiana (come per esempio Jim Dine, James Rosenquist,<br />

John Baldessari), di artisti dell’Arte Povera (Zorio, Anselmo,<br />

Calzolari, Jannis Kounnelis, Merz),<br />

di vari fotografi internazionali (tra<br />

cui Bernd e Hilla Becher, Candida<br />

Höfer, Hiroshi Sugimoto, Max Becher<br />

e Andrea Robbins), e molti altri<br />

sia italiani (Giulio Paolini, Luigi<br />

Ontani) che internazionali (Bruce<br />

[61] Max Becher e Andrea<br />

Robbins, <strong>Venice</strong> Las Vegas,<br />

Bridge of Sighs, 2010.<br />

[60] Robert<br />

Rauschenberg, Untitled<br />

(Gift to Ileana<br />

Sonnabend), 1996.<br />

Nauman, Anselm Kiefer, Philip<br />

Haas, Rona Pondick). La mostra va<br />

oltre le tematiche strettamente legate<br />

alla nostra terra per indagare diversità,<br />

originalità, nonché brillan-<br />

tezza della carriera di Ileana quale promotrice e collezionista di talenti<br />

artistici emergenti.<br />

Marisa Merz.<br />

Non corrisponde eppur fiorisce<br />

Fondazione Querini Stampalia, fino al 18 settembre<br />

Una ventina di lavori che esprimono il carattere intimo e visionario<br />

della poetica di Marisa Merz – disegni, tecniche<br />

miste su carta e compensato, sculture di argilla cruda dipinta<br />

e di filo di rame – dialogano, creando relazioni imprevedibili<br />

e significative, con alcune opere esposte nel museo, dai ritratti alle<br />

sacre conversazioni, sino ai racconti<br />

mitologici. Sono esposte soprattutto<br />

le opere realizzate negli ultimi anni,<br />

[62] Opera di Marisa Merz e Palma il<br />

Vecchio, Paola Priuli, 1527-1528.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

14<br />

focalizzate sul disegno, tracciato a grafite su tela o a pastello e cera<br />

su cartone, in uno stile sintetico e a volte evanescente; disegni spesso<br />

arricchiti da frammenti ritagliati e riattaccati altrove, impronte,<br />

aggiunte di puntine o graffette, fogli sovrapposti, brandelli di<br />

scotch che conferiscono al lavoro fragilità e provvisorietà.<br />

Il tema del volto, uno dei più significativi<br />

dell’opera di Marisa Merz, diventa centrale<br />

in questa mostra per rappresentare<br />

una traccia dello spirito umano, emerg e n t e<br />

nel momento unico e infinito del suo apparire.<br />

Composte da fugaci linee arabescate, le<br />

fisionomie delineate dall’artista si distaccano<br />

da qualsiasi contesto sociale o narrativo,<br />

rivelando configurazioni di segni astratti<br />

che sfidano le espressioni di identità individuale,<br />

fissandosi in uno stato di sospensione<br />

del tempo.<br />

[63] Senza titolo,<br />

2009.<br />

Agendo all’interno di una logica universale, il lavoro di Marisa<br />

Merz esprime il senso della continuità dell’operare artistico, che<br />

prosegue e si sviluppa superando le limitazioni contingenti di spazio<br />

e tempo ed è testimoniato dall’incontro tra le opere contemporanee<br />

e quelle del passato nel museo. In particolare, l’incontro con<br />

La presentazione al tempio di Giovanni Bellini, assume uno speciale<br />

significato: nel piccolo ambiente che lo accoglie, una sorta di costellazione,<br />

costituita da otto triangoli in filo di rame lavorato a<br />

maglia, si dispone sul pavimento e cresce sulla parete secondo un<br />

andamento a spirale, come una scultura organica che prolifera nello<br />

spazio. Questa è una delle due opere storiche di Marisa Merz, un<br />

lavoro frutto di una sapienza meticolosa e manuale che pur nella<br />

sua leggerezza e semplicità scardina luoghi e tempi differenti, facendoli<br />

vivere dentro un’unica dimensione.<br />

Nel salotto di Jappelli una piccola testina in argilla cruda è appoggiata<br />

su un cavalletto di ferro davanti allo specchio, che non riflette<br />

il supporto e la testina pare galleggiare nel vuoto dentro uno<br />

spazio sospeso e impalpabile, come alla ricerca di un’identità impossibile<br />

da trovare. Lo specchio rappresenta una soglia, un confine<br />

tra materiale e immateriale, figura e astrazione, presente e passato:<br />

un luogo di passaggio, fluido e disponibile agli attraversamenti.<br />

Tutta l’opera di Marisa Merz nasce e abita su questa soglia<br />

e le sue sculture dal poco volto, soggette a una sorta di condizione<br />

prefigurale, ne sono un significativo esempio. Richiede di alzare lo<br />

sguardo l’opera che sostituisce l’antica sovrapporta del museo: è un<br />

volto che sembra riaffiorare forse solo per pochi istanti da una nube<br />

di oro e azzurro, con gli occhi rivolti verso l’alto e le mani, applicate<br />

a collage, sembrano supplici al cielo o pronte a librarsi in<br />

volo. Spesso l’opera di Marisa Merz vive di una sua fragilità e provvisorietà:<br />

un’agire instabile che la trasforma in un’epifania disposta<br />

a essere colta solo per un istante per poi scomparire.<br />

Scarpette, l’altro lavoro storico presente nella mostra, è realizzato<br />

in filo di nylon lavorato a maglia e trasformato da un sapere artigianale<br />

ispirato alla dimensione femminile e domestica: la sua taglia<br />

è la misura del piede dell’artista che in questo modo ha dato<br />

forma alla sua impronta e dunque corpo alla sua ombra. La teca trasparente<br />

custodisce così i valori della levità e dell’inconsistenza.<br />

Un’operazione concettuale simile si ritrova nella testina in terracotta<br />

esposta ancora in questa sala, la cui forma è data dall’impronta<br />

della mano dell’artista lasciata sulla materia cruda.


VENEZIA. ARTI DECORATIVE &<br />

ART I G I A N AT O ART I S T I C O OG G I<br />

speciale a cura di CI N Z I A BO S C O L O


La bottega dell’arte oggi<br />

ANNA FORNEZZA<br />

Da circa quattro anni ho il privilegio di frequentare le botteghe<br />

artigiane di Venezia, ho il privilegio di incontrare<br />

i maestri di quei mestieri che, mi piace dire, aiutano a vivere<br />

la quotidianità. Ho il privilegio di apprezzare le capacità dei<br />

nostri fabbri, falegnami, calzolai, fornai, orafi, costruttori di barche<br />

in legno, forcole e remi, maestri vetrai, scalpellini.<br />

Trentacinque aziende si sono lasciate convincere e hanno collaborato<br />

con grande disponibilità a un progetto didattico – ampiamente<br />

illustrato a p. 39 – aprendo le loro botteghe ai nostri bambini,<br />

agli uomini e alle donne di<br />

domani, per farsi conoscere non<br />

come tanti “Geppetto” in via<br />

d’estinzione ma come i nostri<br />

veri traghettatori nel futuro. In<br />

loro infatti vive la nostra storia,<br />

la nostra tradizione, la nostra<br />

lingua, in una parola la nostra<br />

civiltà veneziana. Un progetto<br />

didattico ideato nella convinzione<br />

di poter investire nel futuro<br />

migliore per tutti, quello che<br />

mette in primo piano l’uomo,<br />

l’uomo artifex che lavora con<br />

passione per raggiungere sem-<br />

pre il risultato migliore, attraverso studio e abilità manuali.<br />

La scelta di questi mestieri e non di altri – magari di carattere<br />

più artistico come la lavorazione delle maschere o del vetro a lume<br />

– nasce dalla triste constatazione che oggi sono purtroppo quelli in<br />

maggiore sofferenza. Essendo per loro natura volti a soddisfare la<br />

domanda della popolazione stabile, hanno avvertito fortemente la<br />

diminuzione inesorabile della popolazione residente in centro storico<br />

e il conseguente adattamento, sotto gli occhi di tutti, dello<br />

stesso centro storico alla monocultura turistica la cui aggressività<br />

ha creato da tempo una nuova base economica.<br />

Un interessante studio del 2003, curato da Enrico Vettore e<br />

promosso dalla Confartigianato di Venezia in collaborazione con la<br />

Facoltà di Economia di Ca’ Foscari, mette in luce la reale situazione<br />

delle attività artigianali nella città di Venezia. Qualche dato significativo<br />

vale la pena di essere evidenziato: nel 1963 si contavano<br />

ben 1042 attività artigianali a servizio della persona (come, ad<br />

esempio, il parrucchiere o l’estetista), nel 1976 scendono a 888, nel<br />

1992 diventano<br />

581, nel 2002 l’indagine<br />

ha contato<br />

371 aziende. Vedia-<br />

[66] Toponomastica legata alle attività artigiane<br />

veneziane: il termine pistor significa fornaio.<br />

[64-65] Pagina precedente: punzoni e<br />

fregi ottocenteschi per la decorazione su<br />

cuoio della legatoria Polliero.<br />

In alto, la bottega di remi e forcole di<br />

Paolo Brandolisio.<br />

mo ora nel concreto<br />

alcune categorie: i<br />

panificatori dai 56<br />

del 1963 scendono a<br />

31 nel 2002, i calzolai da 98 nel 1963 scendono a 12 nel 2002; i<br />

falegnami da 101 nel 1963 a 45 nel 2002; orafi e argentieri da 61<br />

nel 1963 si riducono a 31 nel 2002. Purtroppo dal 2002 a oggi i<br />

numeri indicano sempre un trend negativo.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

16<br />

Interessante è anche passare dalla<br />

visione d’insieme del centro storico a<br />

quella particolare sui singoli sestieri.<br />

Cannaregio e Castello risultano essere<br />

quelli con maggiore concentrazione<br />

di imprese artigiane non solo perché<br />

sono i più estesi e i più popolati<br />

ma anche perché sono le zone in cui<br />

sono fortemente radicate le tradizioni<br />

popolari e salvaguardate le esigenze<br />

degli abitanti. A San Polo invece [67] L’orafo in campo San Tomà.<br />

l’artigianato è caratterizzato dalla<br />

vena artistica incontrando così le aspettative della massa turistica<br />

che percorre solitamente il Centro Storico.<br />

Ma quali sono le sensazioni e le “confidenze” raccolte in questi<br />

anni di frequentazione con i maestri artigiani? Appartiene a tutti<br />

una pesante sensazione di sofferenza. Per la mancanza di lavoro?<br />

Anche, ma non solo. I nostri artigiani sono talmente pieni di risorse<br />

che, nonostante i tempi difficili, imboccano nuove strade di mercato,<br />

inventano nuovi prodotti, puntano alla qualità come garanzia<br />

dei loro prodotti. È invece proprio la sopravvivenza stentata del loro<br />

mestiere in quanto tale che li affligge. Troppo penalizzati dalla<br />

burocrazia, dalla legislazione che impone norme di sicurezza sempre<br />

maggiori e botteghe ampie dove lavorare con affitti insostenibili,<br />

per non dire delle spese previdenziali<br />

e assicurative per far crescere<br />

un giovane apprendista. Tu t t o<br />

questo e altro ancora minaccia l’esistenza<br />

di queste attività. In due anni<br />

[68] Lesine, strumenti del<br />

calzolaio per forare il cuoio.<br />

di frequentazione periodica non mi è<br />

mai capitato di trovare nella medesima<br />

bottega lo stesso garzone dell’ultima<br />

visita. Di solito l’abbandono<br />

avviene perché il giovane si accorge di dover lavorare molto e con<br />

fatica senza una congrua retribuzione e dall’altra parte il titolare si<br />

trova a dover pagare molto per un apprendista che non lo sostiene<br />

nell’attività. E pensare che un tempo le famiglie pagavano i maestri<br />

ai quali affidare i loro figli perché imparassero un mestiere!<br />

Nonostante tutto ho potuto ancora felicemente constatare la<br />

trasmissione del lavoro da padre in figlio e da parte di quest’ultimo<br />

l’assunzione della gestione<br />

tecnologica e innovativa dell’attività,<br />

sempre comunque diretta<br />

dall’insostituibile esperienza paterna.<br />

Sono in particolare i fabbri<br />

a continuare ancora oggi storie<br />

familiari di lavoro artigiana-<br />

le che durano da secoli e per<br />

qualcuno sempre nello stesso<br />

luogo di allora, come nel caso<br />

della bottega dei Tenderini al<br />

ponte del Soccorso a Dorsoduro.<br />

[69] Taddeo Tenderini gestisce la sua<br />

bottega di fabbro col figlio Marco.<br />

Abilità manuali accompagnate a progettualità, conoscenza delle<br />

materie prime, instancabilità nel ripetere tecniche di lavorazione,<br />

dedizione al lavoro senza limiti di tempo e di fatica, sono componenti<br />

del DNA di questi uomini che oggi trovano anche altre applicazioni.<br />

Per esempio nel sostenere l’attività del restauratore co-


[70-72] La pala d’argento della chiesa di<br />

San Salvador e, in basso, l’intervento degli<br />

argentieri durante il restauro.<br />

me felicemente avvenuto nel corso<br />

del recente restauro della pala d’argento<br />

di San Salvador. La mano del<br />

restauratore ha trovato forza e ragione<br />

nell’esperienza dell’argentiere di oggi che è diventato consigliere<br />

in virtù di una pratica quotidiana legata al fare, ma anche integratore<br />

di parti mancanti per restituire completezza a un oggetto non solo<br />

artistico ma anche sacro.<br />

La bottega artigiana soffre della mancanza di richiesta privata e<br />

di committenza. È innegabile che sia venuta meno in molti di noi la<br />

voglia di desiderare oggetti diversi dai modelli dettati dalla moda,<br />

dalla pubblicità o dal personaggio del momento. Sempre meno fanno<br />

parte del nostro patrimonio, nel senso di cose di casa, un gioiello<br />

disegnato apposta per una ricorrenza, un abito o un mobile su misura.<br />

Anche il prodotto alimentare fresco non è più purtroppo al centro<br />

della nostra tavola, sia perché effettivamente un prodotto artigianale<br />

costa di più di quello industriale o da grande magazzino, sia<br />

perché stiamo perdendo – e forse le nuove generazioni non ce l’hanno<br />

già più – il valore del prodotto unico, dell’oggetto che dura nel<br />

tempo, che si può aggiustare, che identifica personalmente e non<br />

rende tutti uguali.<br />

Ecco quindi che la bottega di oggi non soffre soltanto per la scarsa<br />

circolazione di denaro ma anche per i cambiamenti culturali e mentali.<br />

Tanti artigiani “fai da te” hanno svalutato l’operato delle maestranze<br />

per scelta, per passione, per tradizione; tanti scaffali ben forniti<br />

e a portata di mano hanno soppiantato o evitato le “lungaggini”<br />

dei rapporti umani che per forza di cose bisogna creare tra committente<br />

e artefice per giungere al risultato cercato e voluto.<br />

In questi termini diventa difficile anche indirizzare la scelta lavorativa<br />

di un ragazzo, fargli capire che lavorando con le sue mani e con<br />

la sua fantasia otterrà anche soddisfazione e gratificazione economica,<br />

certo con tempi più lunghi e con qualche sacrificio. La scuola e la famiglia<br />

dovrebbero, senza preconcetti mentali, prospettare anche questa<br />

strada al pari di un orientamento verso un impiego lavorativo in<br />

campo scientifico o culturale. Il futuro di questi ragazzi percorrerà<br />

una solida e ben connessa “strada carraia” lungo la quale si svolgerà<br />

per l’appunto la loro carriera, un percorso professionale costruito nel<br />

tempo e lineare, a differenza dei lavori di oggi, spesso casuali, che richiedono<br />

un ventaglio molto ampio di competenze.<br />

È innegabile quindi che si respiri all’interno delle botteghe una<br />

grande tristezza ma si continui a lavorare con impegno e piacere perché<br />

artigiani lo si è nell’animo e con questa ricchezza si superano e si<br />

supereranno le difficoltà contingenti continuando a essere ancora quei<br />

civilizzatori celebrati da Omero nel suo inno a Efesto capaci di usare<br />

contemporaneamente la mano e il pensiero per un bene collettivo.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

17<br />

La magia del legno dorato e intagliato*<br />

NICOLÒ SCIBILIA<br />

Sono circa venticinque le botteghe che ancora operano nel settore<br />

del legno dorato. Un numero sicuramente inferiore rispetto<br />

ai decenni passati, ma comunque non modestissimo.<br />

Un tessuto fragile ma attivo, quello del legno, che molto ha risentito<br />

del ridimensionamento del mercato, del cambio del gusto dei<br />

clienti, dell’arrivo massiccio di produzioni industriali, della fine<br />

dei grandi restauri. Vi è quasi una completa perdita “dell’identità<br />

di mestiere” dovuta non solo alla fine delle corporazioni vere e proprie<br />

ma anche a una destrutturazione della “bottega”, intesa come<br />

il “luogo del mestiere”, dove si concentrano relazioni, conoscenze,<br />

pratiche, riti. Il tratto più grave di questa situazione è la difficoltà<br />

di far crescere degli apprendisti, a parte i pochi figli d’arte. Il pericolo<br />

è ben chiaro: interrompere la linea di trasmissione delle conoscenze<br />

con il conseguente oblio di saperi che questo fatto comporterebbe.<br />

Una perdita che, allora sì, sarebbe irreparabile.<br />

Tra gli artigiani ancora attivi nel settore del legno vogliamo<br />

presentare tre testimonianze, esemplificative di diverse tipologie di<br />

operato: intaglio di mobili, intaglio per imbarcazioni e restauro<br />

delle dorature.<br />

BRUNO BARBON è un intagliatore con propria bottega nel sestiere<br />

di San Polo, nei pressi di campo San Tomà. Di origine trevigiana,<br />

ha compiuto il proprio apprendistato nella propria città in<br />

una bottega artigiana e, contemporaneamente, il suo maestro lo<br />

spinge a frequentare i corsi serali per<br />

artigiani all’Istituto d’Arte locale<br />

per approfondire la conoscenza del<br />

disegno e della storia dell’arte. Terminato<br />

l’apprendistato, Bruno si<br />

sposta a Venezia nel 1959 con l’intento<br />

di specializzarsi ulteriormente<br />

e il confronto con gli artigiani veneziani<br />

consolida la sicurezza nelle<br />

[73-74] Bruno Barbon mentre<br />

intaglia e, a destra, una sua<br />

cornice prima della doratura.<br />

proprie capacità così ben presto decide<br />

di mettersi in proprio assieme a<br />

un giovane socio veneziano. Per un<br />

decennio lavorano prevalentemente<br />

su commissione di botteghe di lac-<br />

catori, doratori e falegnamerie, che prendono grosse commissioni e<br />

poi le ridistribuiscono tra i vari artigiani, ma il calo della richiesta<br />

di mobili in stile degli anni settanta<br />

provoca la chiusura di molte aziende<br />

che avevano monopolizzato la produzione<br />

a Venezia. Questo, da un lato,<br />

porta alla fine delle grosse commissioni<br />

ma, dall’altro, determina<br />

l’aumento delle richieste da parte<br />

dei privati che si rivolgono direttamente alle piccole botteghe, garantendo<br />

maggiori margini di guadagno al singolo artigiano.<br />

La drastica riduzione della domanda della classe media negli<br />

anni ottanta – che fino a quegli anni aveva garantito commissioni<br />

continuative di mobili, in particolare specchiere e camere da letto<br />

intagliate in stile Sette-Ottocento – e il cambiamento del gusto che<br />

fa precipitare la richiesta di mobili laccati in stile veneziano, porta


a una svolta nell’utilizzo di essenze<br />

diverse, prevalentemente del legno<br />

di noce, invece del tradizionale cirmolo<br />

(pino cembro), nella costruzione<br />

di sedie, cassettoni, consolle. Il legno<br />

di cirmolo, infatti, è più tenero<br />

e lavorabile, ma non presenta la colorazione<br />

e la venatura del noce, esteticamente<br />

più prezioso in un mobile lasciato al naturale e<br />

non laccato. Probabilmente il cambiamento del<br />

gusto è derivato soprattutto dall’avvento delle<br />

laccature industriali, eseguite con vernici sintetiche,<br />

con risultati meno raffinati e duraturi rispetto<br />

alle tecniche tradizionali. È il calo della<br />

qualità – afferma Bruno Barbon – ad aver portato<br />

a una riduzione della richiesta e non viceversa.<br />

Oggi Bruno Barbon è uno dei pochi intagliatori<br />

ancora rimasti a eseguire sculture a mano, come i moretti veneziani,<br />

veri pezzi unici a fronte di una produzione a macchina<br />

molto diffusa in città.<br />

MARZIO DE MIN, bellunese trasferito a Venezia alla fine degli<br />

anni ottanta per frequentare l’università, è laureato in Storia veneta.<br />

Proprio l’interesse per i mestieri della tradizione veneziana lo<br />

porta a frequentare un corso di intaglio nella bottega di Danilo<br />

Mazzon a San Barnaba che fa parte del Progetto Fenice, volto a formare<br />

artigiani per la ricostruzione degli interni del teatro veneziano,<br />

distrutto nell’incendio del 1996. Il ritardo nell’inizio dei lavori<br />

nel teatro lo portano a cercare altri sbocchi professionali: si rivolge<br />

allo squero di Franco “Crea” alla<br />

Giudecca, specializzato nella costruzione<br />

di imbarcazioni tradizionali<br />

veneziane, che gli commissiona<br />

l’intaglio di due portèle da gondola.<br />

Era la sua prima vera commissione e<br />

le realizza quasi in un mese (oggi le<br />

farebbe in non più di quattro giorni...).<br />

Le due portelle hanno successo<br />

e vengono vendute subito: inizia co-<br />

[75-76] Consolle in lavorazione e, in basso,<br />

un tipico moretto veneziano.<br />

[77-78] Portella da gondola e, in<br />

basso, particolare di una testa<br />

leonina scolpita.<br />

sì una collaborazione che dura tuttora e che coinvolge anche altri<br />

squeri; l’intaglio su gondola, attualmente, rappresenta la parte maggiore<br />

del suo lavoro: in dieci anni d’attività ha lavorato su un’ottantina<br />

di gondole e sandoli.<br />

I soggetti dell’intaglio su gondola, decisi in accordo con il<br />

cliente, rappresentano per lo più motivi legati alla tradizione marinaresca,<br />

come sirene e creature marine,<br />

o quella veneziana, come paesaggi<br />

lagunari. Di frequente compare<br />

il leone di San Marco, rappresentato<br />

sia come moèca, ovvero in prospettiva<br />

frontale come nell’iconografia<br />

classica, oppure laterale, come<br />

nel vessillo della Repubblica marinara. Lo stile dell’ornato è quasi<br />

sempre barocco o del Settecento veneziano, più raramente liberty.<br />

Marzio si è dedicato anche in altre produzioni: dai lavori d’in-<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

18<br />

[79-81] Cornice a motivi floreali e, in basso, la polena.<br />

taglio per interni di imbarcazioni non veneziane<br />

alla modellazione di cornici per quadri<br />

nello stile classico del Settecento veneziano<br />

e di specchiere con motivi vegetali e floreali<br />

che sembrano invadere liberamente la superficie<br />

dello specchio. Si è anche cimentato<br />

nell’intaglio a tutto tondo, scolpendo alcune<br />

figure di Cristo e polene montate su basamento<br />

e utilizzate come<br />

elemento d’arredo.<br />

Marzio vive e lavora tra<br />

Venezia e Belluno, dove<br />

ha il proprio laboratorio.<br />

Gli piacerebbe avere una<br />

bottega a Venezia ma le<br />

spese esorbitanti purtroppo non glielo permettono,<br />

quindi lavora direttamente presso gli<br />

squeri che gli commissionano gli intagli.<br />

RI N O SA M B O, veneziano del 1936, è uno dei più anziani artigiani<br />

del restauro e della doratura ancora in attività. La sua formazione<br />

risale alla Scuola d’Arte ma egli afferma che tutto quello che<br />

sa l’ha imparato “in bottega”. Il primo apprendistato lo conduce infatti<br />

nella bottega di Antonio Porto a San Polo che realizza soprattutto<br />

cornici, dal pezzo grezzo fino alla doratura finale, qui si occupa<br />

in particolare di intaglio e doratura. Dopo cinque anni di lavoro<br />

gli si presenta la grande occasione:<br />

Giuseppe Gancini, decoratore e professore<br />

alla Scuola d’Arte, gli propone<br />

di lavorare nella sua bottega a<br />

Santo Stefano. Qui Rino ha la possibilità<br />

di cimentarsi in importanti restauri<br />

in case private, soprattutto di<br />

nobili veneziani. Un lavoro dal quale<br />

impara come gestire anche proget-<br />

[82-83] Restauro delle dorature del<br />

Museo Correr e, in basso, della<br />

Sala del Senato a Palazzo<br />

Ducale.<br />

ti molto impegnativi. Nel biennio<br />

1964-65 collabora infatti all’arredamento<br />

di molte ville in costa Smeralda:<br />

sono gli anni della nascita di<br />

Porto Rotondo e Porto Cervo, il lavoro<br />

abbonda e lo stile Settecento<br />

veneziano va molto di moda.<br />

Alla morte di Gancini, nel 1966, Rino continua da solo l’attività<br />

in campo Santo Stefano. Gli esordi non sono facili: l’acqua alta<br />

quell’anno distrugge tutto quello che ha nella bottega ma, nonostante<br />

le difficoltà, arriva il primo lavoro importante: un soffitto decorato<br />

di sessanta metri quadri crollato<br />

in seguito a una festa. È la prima<br />

volta che Rino affronta un lavoro<br />

così impegnativo da solo: i timori<br />

sono molti, ma ne esce bene, più sicuro<br />

delle sue capacità.<br />

Nel 1979 iniziano i grandi restauri<br />

a Palazzo Ducale e Rino lavora<br />

sulle parti in legno dorato nella<br />

Scala d’Oro, nell’atrio d’ingresso,


[84-85] Restauri a Palazzo Ducale e, in<br />

basso, nella villa La Rotonda di Palladio.<br />

nella sala del Senato, della Bussola,<br />

del Capo inquisitore, dei Tre capi,<br />

dell’Armeria, dello Scrutinio: interventi<br />

impegnativi ma appassionanti. Lavora in molte chiese – Redentore,<br />

Sant’Eufemia, San Fantin, San Salvador, Malamocco – intervenendo<br />

soprattutto su torciere<br />

dorate, altari, battisteri; in vari palazzi<br />

e recentemente anche in due<br />

edifici palladiani: villa Pisani a Lonigo<br />

e villa Capra Valmarana detta<br />

“La Rotonda” a Vicenza.<br />

Rino, da cinquant’anni sulla piazza, afferma con forza che dovrebbe<br />

esserci una scuola per i fioi (ragazzi), in modo che possano<br />

imparare il mestiere e continuare a “custodire” questa città. Ricordando<br />

il proprio apprendistato, cita spesso le parole del suo maestro<br />

Gancini: “Ricòrdite Rino, quando ti credi de essere bon a lavorar<br />

ti gà ancora da imparar!”.<br />

Livio De Marchi e le “cose” di legno*<br />

MARZIO DE MIN<br />

La bottega di Livio De Marchi si trova in salizada San Samuele<br />

vicino Palazzo Grassi. Parliamo di bottega perché Livio<br />

De Marchi ci tiene a precisare che non è un atelier né uno<br />

showroom: lui si sente ed è un artigiano e dell’artigiano vuole conservare<br />

l’umiltà. La sua storia professionale inizia alla fine degli anni<br />

cinquanta quando lavora come garzone nella bottega di Vittorio<br />

Biasotto a San Stin. Un garzone che – come egli stesso ricorda –<br />

iniziava la mattina aprendo la bottega, facendo le pulizie e sbrigando<br />

le commissioni per il maestro. Poco alla volta iniziava a intagliare<br />

piccoli pezzi, rubando con “l’ocio” (l’occhio) l’arte dal maestro<br />

e spesso, alla mattina, apriva la bottega con largo anticipo per<br />

poter intagliare qualche pezzo suo, in attesa dell’arrivo del titolare.<br />

Livio parla con affetto di Biasotto che non fu solo un datore di<br />

lavoro ma un vero maestro, che lo seppe consigliare e indirizzare,<br />

anche se talvolta si lamentava che il giovane allievo, pur promettente,<br />

aveva la tendenza a voler fare spesso di testa sua. Un’altra<br />

persona alla quale ritiene di dover essere grato è Sandro Barbon, che<br />

divenne successivamente socio di Biasotto, e che lo stimolò sempre<br />

a cercare di migliorare e lo aiutò a completarsi tecnicamente.<br />

Dopo cinque anni di bottega e di contemporanea frequenza della<br />

Scuola d’Arte, nel 1961, a 18 anni, Livio decide di mettersi in<br />

proprio. Inizialmente la tipologia di lavoro è quella classica dell’intagliatore<br />

veneziano: intagli su cornici e mobili per le grandi falegnamerie<br />

e per i privati. Livio ricorda che, all’epoca, le giovani<br />

coppie di futuri sposi dovevano ordinare la camera da letto intagliata<br />

con un anno di anticipo.<br />

Nel 1975, dopo un grave evento luttuoso, decide di abbandonare<br />

il lavoro di intagliatore classico per dedicarsi alla scultura. Il<br />

taglio è netto e le difficoltà, anche economiche, non mancano. Nella<br />

bottega dove prima esponeva le cornici barocche ora compaiono<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

19<br />

[86-87] Una “scultura cimiteriale”<br />

e, a destra, una giacca in noce.<br />

maschere e figure deformate che lui<br />

definisce “sculture cimiteriali”. Accanto<br />

a queste, sono molte le copie<br />

di statue di soggetto religioso, i cui<br />

modelli De Marchi fotografa nelle<br />

chiese cittadine. È in questo periodo<br />

che inizia a ispirarsi per le sue sculture<br />

anche agli oggetti che lo circondanonella<br />

vita quotidiana:<br />

prima<br />

la frutta, poi<br />

mille altri<br />

oggetti, dai papillon agli ombrelli. Livio<br />

sorride divertito ricordando i sorrisi scettici<br />

dei colleghi di fronte ai suoi lavori e l’incredulità<br />

dei clienti nello scoprire che quei<br />

cappelli e portafogli, così realistici, erano<br />

realizzati in legno.<br />

Nel 1982 gli viene commissionata una scultura per un albergo<br />

di Venezia che possa diventare argomento di conversazione mentre<br />

gli ospiti si trovano nel silenzio<br />

imbarazzato degli ascensori. Livio<br />

allora realizza un giornale in<br />

legno, con tanto di articoli scritti,<br />

da appendere alla parete dell’ascensore.<br />

Il successo dell’idea<br />

porta ad altri lavori interessanti<br />

come una serie di sei spugne in<br />

[88] Realizzazione della grande spugna marmo, di un paio di metri di<br />

in marmo.<br />

diametro, da porre attorno alla<br />

piscina di un magnate saudita.<br />

Il traffico di barche a motore e il conseguente moto ondoso, che<br />

trasforma il Canal Grande in un’autostrada, gli suggeriscono, negli<br />

anni ottanta, l’idea per una nuova<br />

serie di opere: le auto in legno<br />

che navigano sull’acqua, come<br />

una provocazione scherzosa<br />

(ma non troppo). Alla fine degli<br />

anni novanta la continua ricerca<br />

lo porta a confrontarsi con altri<br />

materiali della tradizione veneziana.<br />

Nel 1998 nascono i palloncini<br />

in vetro soffiato e poi gli<br />

abbinamenti vetro-legno poiché il vetro gli permette di esprimere<br />

il colore e la trasparenza, cosa che il legno consente solo in parte.<br />

* Articoli tratti da Con il legno e con<br />

l’oro, a cura di Giovanni Caniato, 2009,<br />

Cierre Edizioni, Sommacampagna (VR).<br />

[89-91] L’automobile in legno<br />

perfettamente navigabile e, in basso, i<br />

tubetti di colore in legno e vetro e i<br />

palloncini di vetro.


Venezia a “pezzi”...<br />

gli intarsi lignei del Signor Blum<br />

FRANCESCA BAMPA<br />

La fine degli anni settanta ha visto nascere a Venezia molti piccoli<br />

laboratori artigiani dove giovani ragazzi hanno trovato<br />

motivi comuni per unirsi ed esprimere la loro creatività fabbricando<br />

oggetti con le loro abilità manuali. Anche il gruppo che ha<br />

dato vita alla società artigiana Signor Blum è nato in quegli anni e,<br />

dopo un inizio in cui la bottega ha prodotto oggetti in materiali diversi<br />

– canapa per tende in macramè, ceramica dipinta a mano, tessuti<br />

a telaio, legno per piccoli puzzle a due o tre pezzi – ha scelto in<br />

modo definitivo e tuttora valido il legno come materiale d’elezione.<br />

Nei primi anni – oltre alla produzione di giochi per bambini<br />

formati da pezzi sagomati di legno tagliato a traforo e poi colorato,<br />

marionette in compensato, burattini<br />

intagliati in cirmolo – gli artigiani<br />

del Signor Blum hanno collaborato<br />

con alcuni artisti veneziani:<br />

per Ludovico De Luigi sono stati<br />

realizzati i prototipi in legno, serviti<br />

poi per creare le cere e da queste<br />

i multipli bronzei, delle sculture<br />

[92-93] Il prototipo in legno del Finestra del Casanova e Cavallo San<br />

Cavallo San Marco di Ludovico M a r c o; di quest’ultimo la Galleria<br />

De Luigi e, in basso, le marionette<br />

Ravagnan commissionò poi cento<br />

dei Balli plastici di Fortunato<br />

esemplari realizzati in compensato<br />

Depero.<br />

marino a strati sovrapposti e autografati<br />

dallo stesso De Luigi.<br />

La bottega artigiana fu impegnata all’inizio del 1980 nella ricostruzione,<br />

guidata dal regista Enzo Cogno per conto del teatro La<br />

Fenice e l’Autunno Musicale di Como, delle marionette dei Balli<br />

p l a s t i c i di Fortunato Depero.<br />

L’opera futurista andò in scena a<br />

Como nel settembre dello stesso<br />

anno ed è stata riproposta nel<br />

2010, a trent’anni di distanza,<br />

con le stesse marionette costruite<br />

appositamente da Signor<br />

Blum su disegni e quadri del<br />

grande artista dell’avanguardia futurista.<br />

Il gruppo originario formato da quattro soci si era nel frattempo<br />

ampliato fino a contare nove elementi in tutto. A metà degli anni<br />

ottanta la bottega originaria di calle lunga San Barnaba si arricchiva<br />

di altre unità locali decentrando il lavoro nei diversi laboratori,<br />

prima in campo San Zulian, a due passi da San Marco, e poi,<br />

all’apertura di Palazzo Grassi sotto la gestione<br />

della famiglia Agnelli, in salizada San Samuele.<br />

Con la crescita della domanda la bottega artigiana<br />

allargava anche la propria produzione: dai<br />

giochi per bambini, sempre presenti in catalogo,<br />

si passava a un prodotto più raffinato come<br />

le vedute veneziane, trompe l’œil con paesaggi<br />

immaginari, riproduzioni di particolari tratti<br />

[94] Riproduzione di un dettaglio architettonico veneziano.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

20<br />

[95-96] Particolare del dipinto Mostra del<br />

rinoceronte di Pietro Longhi, conservato a<br />

Ca’ Rezzonico e, in basso, la riproduzione in<br />

legno intarsiato.<br />

dai quadri di Pietro Longhi conservati<br />

a Ca’ Rezzonico, imitazioni delle<br />

architetture palladiane dai disegni<br />

di Vincenzo Scamozzi. Ma non solo,<br />

si realizzavano infatti anche riproduzioni<br />

fedeli di palazzi sul Canal Grande come la Ca’ d’Oro o Palazzo<br />

Dario, oppure particolari delle facciate come nel caso di palazzo<br />

Vendramin Calergi, Da Lezze, Pesaro, Foscari e molti altri.<br />

La duttilità nel modo di lavorare della bottega ha sempre lasciato<br />

ampi margini alla realizzazione delle richieste della clientela:<br />

dal laboratorio sono usciti molti lavori realizzati per alberghi e<br />

aziende veneziane e per anni sono<br />

stati esportati pannelli e oggetti in<br />

legno negli Stati Uniti, in Giappone,<br />

in Francia e in Germania. La tecnica<br />

adottata nella quasi totalità del-<br />

la produzione è la stessa usata nel<br />

passato per le decorazioni a intarsio:<br />

il disegno viene tagliato a traforo seguendo<br />

le linee tracciate dalla matita;<br />

ogni pezzo di legno, sia grande<br />

che piccolo, corrisponde a una parte precisa del soggetto intero. A<br />

differenza quindi del più conosciuto puzzle a tessere, dove ogni elemento<br />

è simile agli altri, le composizioni a incastro prodotte dagli<br />

artigiani del Signor Blum sono particolari poiché i pezzi che li<br />

compongono hanno dimensioni diversissime: dalla piccola finestra<br />

al grande cielo di sfondo, dal piccolo gatto al grande palazzo.<br />

Altra particolarità della lavorazione del legno è la sua colorazione;<br />

negli anni il colore delle composizioni è passato dalle tonalità<br />

del legno – mogano, palissandro, noce – alle tinte brillanti delle<br />

composizioni attuali. Oggi i colori sono esclusivamente acquerelli<br />

per tutti i prodotti a incastro, siano essi giochi o pannelli decorativi;<br />

anche le vernici sono diluite ad acqua poiché la società ha<br />

messo in primo piano l’ecosostenibilità e la sicurezza dei manufatti,<br />

che spesso attraggono un pubblico di più piccoli.<br />

Negli anni la bottega artigiana ha perso parte dei suoi componenti,<br />

senza però perdere la sua identità. Le attuali tre socie che oggi<br />

creano e producono gli oggetti di Signor Blum lavorano ancora<br />

con lo stesso spirito e lo stesso impegno che ha caratterizzato l’inizio<br />

dell’attività della bottega<br />

nella speranza che, pur nel cambiamento<br />

che la città subisce da<br />

anni con la chiusura delle attività<br />

artigiane e l’apertura di negozi<br />

di s o u v e n i r t u tti<br />

uguali, si pos-<br />

sa continuare a<br />

creare con le<br />

proprie mani<br />

qualcosa di<br />

particolare e<br />

u n i c o .<br />

[97] Il legno viene tagliato con la<br />

traforatrice seguendo le linee del<br />

disegno tracciate in precedenza.<br />

[98-99] La riproduzione del campanile<br />

di San Marco inserito tra la chiesa dei<br />

Miracoli e dei Frari. A sinistra, il<br />

profilo del doge Giovanni Mocenigo<br />

ispirato al dipinto di Gentile Bellini.


Il metallo nell’apparato decorativo<br />

della gondola<br />

ALESSANDRO ERVAS<br />

Nell’arte applicata veneziana i metalli hanno sempre occupato<br />

spazi di rilievo in tutti gli ambiti decorativi:<br />

dalle facciate dei palazzi alle imbarcazioni, dai mobili<br />

alle ferramenta per porte e finestre con finiture ricercate e mai<br />

scontate. Sino alla prima metà del Novecento infatti fabbri e fonditori<br />

tenevano il passo con gli<br />

illustri esempi dei loro predecessori,<br />

mantenendo il gusto del<br />

particolare e la raffinatezza del<br />

disegno che per secoli gli artigiani<br />

veneziani avevano saputo<br />

tramandare e affinare. Nel se-<br />

[100-101] Bottega di fabbro di inizio<br />

Novecento e, a destra, particolare di<br />

una grata decorata.<br />

condo dopoguerra la realtà veneziana<br />

mutò radicalmente e il<br />

destino delle arti applicate divenne<br />

tutt’altro che roseo: chiusa<br />

definitivamente la Biennale<br />

delle Arti Applicate di Venezia i mestieri artigiani vennero relegati,<br />

anno dopo anno, alla condizione di pura manovalanza al servizio<br />

della manutenzione spiccia<br />

piuttosto che alla creazione di manufatti<br />

decorativi. Il mutare dei gusti<br />

e la difficoltà degli artigiani ad<br />

adeguarsi a nuovi stili, oltre all’indifferenza<br />

verso le tecniche tradizionali<br />

dei nuovi progettisti, ha portato<br />

a un’inesorabile declino di tutta<br />

la filiera legata alla lavorazione dei<br />

metalli e purtroppo non solo a questi e non solo a Ve n e z i a .<br />

Il colpo di grazia che ha definitivamente sancito la fine di millenni<br />

di storia è stato inferto paradossalmente proprio con la legge<br />

speciale per Venezia, la 171/73, che vietava e vieta l’uso di combustibili<br />

solidi all’interno del centro storico. Un’interpretazione assolutamente<br />

restrittiva ha portato addirittura a obbligare gli ultimi<br />

fabbri rimasti a smantellare le forge delle loro secolari fucine con il<br />

risultato di soffocare sul nascere ogni e qualsiasi possibilità di trasmissione<br />

di competenze alle generazioni più giovani con la complicità<br />

indifferente delle istituzioni. Va da sé che per una questione<br />

di sopravvivenza i fabbri all’interno del centro storico hanno dovuto<br />

sempre più modificare il loro operato, passando dall’antico<br />

ruolo di costruttori e ideatori al ruolo di manutentori e di carpentieri,<br />

perdendo “l’anima” che era sempre stata la peculiarità degli<br />

artigiani veneziani e che li distingueva per capacità e leggiadria.<br />

Ben pochi sono riusciti a resistere a questo epocale disfacimento<br />

del tessuto artigianale della società veneziana, e non senza sacrifici.<br />

Alcune ditte si sono trasferite in terraferma, oppure al Lido<br />

(come le ditte Bertoldini e Gianola) o alla Giudecca (ditta Psalidi),<br />

dove i maggiori spazi acquisiti hanno permesso di differenziare la<br />

produzione così da far fronte a commesse di varia natura. Tra le ditte<br />

rimaste in centro storico, pur specializzate in lavori di manutenzione<br />

comunque importantissimi e indispensabili in una città come<br />

Venezia, e che mantengono un occhio verso la tradizione, spic-<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

21<br />

ca la pluricentenaria bottega<br />

Tenderini in fondamenta del<br />

Soccorso a Dorsoduro, mentre a<br />

continuare una tradizione iniziata<br />

nel 1913 c’è la fonderia Valese<br />

a Cannaregio, ultima rimasta<br />

in centro storico. Quel che è<br />

certo è che l’Arte Decorativa in [102] L’interno della fonderia Valese.<br />

metallo, così come veniva intesa<br />

sino agli anni trenta del Novecento, e persino insegnata all’Istituto<br />

d’Arte con un’apposita sezione, è ormai un lontano ricordo soprattutto<br />

per quanto riguarda l’architettura e l’arredamento.<br />

Oggigiorno se vogliamo cercare una produzione artistica specificatamente<br />

veneziana per un uso veneziano dobbiamo rivolgerci al<br />

mondo delle imbarcazioni e della gondola in particolare. La gondola<br />

infatti è ancora un’opera corale, dove i singoli artigiani intervengono<br />

non sulla base del disegno prestabilito di un progettista<br />

ma sulla base di disegni tradizionali o di proprie interpretazioni<br />

che rendono unica ogni imbarcazione. La battaglia intrapresa in<br />

questi ultimi anni per la salvaguardia della gondola non significa<br />

infatti difendere l’imbarcazione in quanto tale bensì questo insieme<br />

unico di specificità artigiane che nella gondola tradizionale trovano<br />

l’ultima eco delle Arti Decorative di un tempo e l’espressione<br />

di un modus operandi che affonda le sue radici sin dal tempo delle<br />

cattedrali gotiche.<br />

È di metallo il fero da prua della gondola che è diventato un<br />

simbolo della città quasi quanto il leone marciano, e di metallo<br />

(oggi inossidabile) è anche il<br />

fero da pope, cioè la decorazione<br />

a poppa di dimensioni<br />

contenute ma dal disegno<br />

più variabile di quanto non<br />

possa esserlo il ferro a prua.<br />

La sua forma infatti può variare<br />

sulla base del gusto del gondoliere e del- [103-104] Il ferro da<br />

l’estro dell’artigiano. Di ottone fuso sono le de- pope e, a sinistra,<br />

corazioni dei pusioi, i braccioli a fianco delle se- quello da prua.<br />

dute, come anche il porta fanale e una serie di<br />

accessori e decorazioni minori ma pur sempre importanti.<br />

[105-107] Il bracciolo e, a sinistra, il porta fanale.<br />

In basso, il motto e i nomi dei familiari incisi sul trasto.<br />

Sul metallo sono anche incisi il motto del gondoliere o i nomi<br />

della moglie e dei figli che la tradizione vuole posti su una fascia posta<br />

superiormente al trasto de pro -<br />

v a, cioè quella parte della gondola<br />

dove inizia la prua e dove viene<br />

posto lo sportello in legno intagliato,<br />

in genere frutto della libertà<br />

creativa dell’intagliatore in<br />

quanto parte libera dai vincoli<br />

formali esistenti sulle altre parti.


I ferri di prua oggi vengono fabbricati<br />

pressoché tutti in acciaio<br />

inossidabile, qualcuno in alluminio<br />

e rari sono in ferro; negli ultimi anni la forma slanciata dei<br />

ferri di fine Ottocento sta lasciando il passo a forme più tozze e meno<br />

sottili sulle estremità, tuttavia è ancora in uso decorare la pala<br />

con incisioni che riportino<br />

stemmi e decorazioni di<br />

pregio. Come per tutta la<br />

gondola, il perché delle forme<br />

si perde nel tempo ma è<br />

comunque ravvisabile storicamente<br />

una continua evoluzione<br />

anche per i ferri. Attualmente<br />

vengono realizzati per la maggior parte con sistemi moderni<br />

tramite fresatura e/o saldatura di lastre tagliate, l’unica ditta<br />

a fabbricare i ferri con il metodo tradizionale della forgiatura è la<br />

Ervas a Preganziol in provincia di Treviso, suo, ad esempio, è il ferro<br />

della gondola reale conservata in Palazzo Ducale, riproduzione<br />

fedele di un ferro da gondola granda in sostituzione dell’originale<br />

rubato anni addietro. L’uso di tecniche tradizionali, lungi dall’essere<br />

un’operazione nostalgica, permette di realizzare le forme con<br />

maggiore libertà e raggiungere risultati formali altrimenti difficilmente<br />

ottenibili con metodi moderni.<br />

Nel campo delle fusioni a risaltare maggiormente nella gondola<br />

sono i cavallini in ottone che sorreggono i cordoni dei braccioli<br />

fabbricati con la tecnica della fusione a staffa e rifiniti a mano uno<br />

per uno. Le forme sono quelle<br />

della tradizione consolidatasi tra<br />

Otto e Novecento e di cui la<br />

fonderia Valese conserva i mo-<br />

[111-112] Cavallino di ottone realizzato<br />

dalla fonderia Valese e, a destra,<br />

elemento decorativo del bracciolo.<br />

[108-110] Ferri da prua realizzati da<br />

Tenderini e, in basso, due esempi di<br />

decorazione sulla pala del ferro.<br />

delli tramandati da generazioni di fonditori. La forma di fusione<br />

viene costruita con sabbia pressata all’interno di appositi telai di legno<br />

(staffe) dove viene impresso il negativo della forma da ottenere<br />

usando il modello dell’opera.<br />

La sinuosità delle forme degli ottoni e dei ferri della gondola,<br />

disegnati magistralmente da anonimi artigiani, rimanda ai tempi<br />

in cui gli scultori si ispiravano ancora ai modelli classici della natura<br />

e alla leggiadria del corpo femminile, spiccando contrapposti<br />

alla squadrata rigidità del moderno design. Non a caso infatti lo<br />

squerariol Nedis Tramontin definiva le sue gondole “creature”, a<br />

sottolineare l’importanza di quanto l’azione creativa sia intrinsecamente<br />

legata all’esecuzione materiale di questo complesso organismo<br />

che chiamiamo gondola.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

22<br />

L’antica arte del battiloro*<br />

NICOLÒ SCIBILIA<br />

La storica azienda “Mario Berta Battiloro” a Cannaregio, in<br />

quella che fu la bottega di Tiziano, è gestita oggi dalla figlia<br />

Sabrina Berta e da Marino Menegazzo, maestro battitore<br />

nonché marito di Sabrina. Il nome dell’azienda è tuttora quello registrato<br />

nel 1969, dopo che Mario aveva rilevato da due suoi cugini<br />

la ditta “Rivani Alberto”, fondata nel 1926 dalla zia di Mario<br />

che decise, anziché confezionarne solo<br />

i “libretti”, di produrre anche la<br />

foglia d’oro e per questo chiamò un<br />

maestro torinese affinché istruisse i<br />

propri figli – i cugini di Mario Berta<br />

– sul metodo settecentesco della<br />

battitura della foglia d’oro.<br />

Nonostante le intestazioni sempre<br />

al maschile dell’azienda, la linea<br />

di trasmissione e la gestione dell’a-<br />

zienda è stata quasi sempre al femminile:<br />

prima la zia che iniziò a produrre<br />

la foglia d’oro, poi la moglie<br />

di un cugino di Mario, infine Sabri-<br />

na, erede di Mario. A proseguire la tradizione in futuro sarà probabilmente<br />

Eleonora, figlia di Sabrina e Marino, che già lavora come<br />

tagliaoro. I laboratori di battiloro sono sempre stati costruiti sull’unione<br />

fra forza maschile e gentilezza femminile: la bravura del<br />

battitore è nulla senza le tagliaoro che riquadrano le foglie e confezionano<br />

i “libretti” da mettere in vendita. Ancora oggi tutti i dipendenti<br />

dell’azienda sono donne, ma il maestro battiloro è un uomo,<br />

Marino, entrato in azienda nel 1976 a ventidue anni come apprendista<br />

di Mario Berta, dopo aver conseguito un diploma di perito<br />

metallurgico che, negli anni, gli ha permesso di ampliare l’offerta<br />

dell’azienda anche agli ori legati.<br />

Il metodo di battitura è lo stesso in uso<br />

nel Settecento. L’oro, dopo essere stato fuso,<br />

viene laminato in strisce poi tagliate in piccoli<br />

quadrati, ancora piuttosto spessi, che<br />

vengono inseriti tra fogli di carta perg a m i-<br />

no. Questi vengono battuti una prima volta<br />

quindi le singole foglie vengono di nuovo<br />

tagliate in quattro e posizionate in astucci<br />

che vengono battuti dal maestro per più di<br />

un’ora, con martelli che vanno dai tre agli<br />

[113] Giovanni Grevembroch,<br />

B a t t i l o r o, da Gli abiti dei<br />

v e n e z i a n i, Venezia, Museo Correr.<br />

[114-118] Crogiuoli per<br />

fusione e, a sinistra,<br />

realizzazione della<br />

lamina che poi, tagliata<br />

a quadrati, viene<br />

inserita tra fogli di carta<br />

pergamino. In basso, il<br />

taglio dei fogli e la<br />

battitura a martello.<br />

otto chili. Completata<br />

la battitura, le<br />

foglie vengono poi<br />

ripassate alle t a g l i a o -<br />

r o che le confezionano<br />

nei “libretti”<br />

pronti per la vendita.


[119] Martelli per battitura di diversi<br />

pesi.<br />

“La cosa più difficile è tenere il<br />

martello nel modo giusto” dice<br />

Marino Menegazzo. Il polso e il<br />

braccio devono essere in linea e<br />

la mano deve scivolare sul manico,<br />

in modo da sfruttare il peso e<br />

il rimbalzo sul pacchetto. Solo<br />

così si può lavorare per ore con<br />

martelli di tale peso. Il numero<br />

dei colpi viene contato in modo che la foglia si allarghi uniformemente<br />

e il pacchetto viene fatto girare con un ritmo cadenzato, evitando<br />

che il metallo si surriscaldi troppo. Anche il tempo meteorologico<br />

influenza il lavoro del battioro modificandone la resa finale:<br />

con l’alta pressione la foglia si elettrizza, con la bassa la foglia tende<br />

ad appiccicarsi per l’umidità.<br />

Anche le tagliaoro devono imparare a maneggiare la foglia, anzi<br />

a “respirarla”. La foglia è infatti talmente sottile che non la si può<br />

quasi toccare; il respiro serve per distenderla, tagliarla e posizionarla<br />

nei libretti. “Se le tagliaoro respirano male la rovinano, ne<br />

fanno un rotolino inservibile” spiega Sabrina, aggiungendo che le<br />

loro ragazze sono un valore enorme per l’azienda: ognuna ha impiegato<br />

anni di lavoro quotidiano per arrivare a conoscere così bene<br />

il mestiere.<br />

[120-123] Tre fasi del lavoro delle tagliaoro: stesura del foglio con l’aiuto di<br />

bacchette, taglio del foglio e suo inserimento tra le pagine del libretto.<br />

In basso, utilizzo della foglia d’oro per la doratura.<br />

La foglia d’oro artigianale è il risultato di un procedimento lungo<br />

e faticoso ma è indubbiamente diversa da quella industriale. La<br />

sua consistenza è più morbida, allo sguardo è meno metallica e più<br />

naturale. È una foglia più “antica”, caratteristica fondamentale se si<br />

devono fare restauri e integrazioni poiché la differenza fra vecchio e<br />

nuovo risulta impercettibile. E tra i clienti non mancano i cuochi<br />

che usano la foglia d’oro puro per decorare piatti oppure la abbinano<br />

al cioccolato e perfino alle grappe.<br />

Oggi l’azienda produce vari tipi di fogli: dai più sottili usati<br />

soprattutto per i mosaici ai più spessi ideali per esterni, fogli sia di<br />

ori purissimi che di leghe di vario tipo, in circa diciassette variazioni<br />

di colore, in combinazione con<br />

oro, argento o rame. La foglia d’oro<br />

di Mario Berta è stata usata sulle<br />

lampade della basilica e sull’angelo<br />

del campanile di San Marco, sulla<br />

nuova palla d’oro della Punta della<br />

Dogana e sulla corona e sulla croce<br />

della basilica di Lourdes. Certo la<br />

concorrenza della foglia industriale è<br />

spesso imbattibile perché costa meno.<br />

“Ma la nostra foglia d’oro ha<br />

un’anima”, dice Marino, aprendosi<br />

in un sorriso.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

23<br />

L’oreficeria veneziana<br />

dei negozi-laboratorio<br />

LAURA VANTAGGI<br />

Fin dall’antichità l’uomo ha considerato i gioielli oggetti fondamentali<br />

per le più svariate ragioni: come status symbol per<br />

ribadire la propria posizione economica, oppure elemento<br />

scaramantico contro la superstizione,<br />

ma anche per soddisfare il proprio<br />

gusto estetico. Si suppone che<br />

l’oro venisse utilizzato già nel 3000<br />

a.C. e i primi a utilizzare questo metallo<br />

fossero comunità mediorientali.<br />

Venezia, godendo di una posizione<br />

strategica, per anni è stata il collegamento<br />

tra oriente e occidente e<br />

ha accolto nel suo porto non solo le<br />

merci ma anche le diverse culture.<br />

L’influenza orientale sull’arte orafa<br />

veneziana ha prodotto meravigliosi<br />

oggetti in stile bizantino mentre ti-<br />

[124] Insegna dell’Arte degli oresi,<br />

Venezia, Museo Correr.<br />

picamente veneziane sono la produzione della filigrana e la tecnica<br />

dello sbalzo. Le maggiori dimostrazioni della maestria orafa si possono<br />

ancora oggi ammirare nelle chiese presenti in città.<br />

Le tecniche odierne sono evoluzioni e sperimentazioni della<br />

millenaria tradizione orafa. Oggi, come allora, le tecniche di lavorazione<br />

e gli strumenti di base dei metalli non sono infatti cambiati<br />

di molto, al massimo c’è stato un ammodernamento delle attrezzature<br />

che permettono agli orafi un’esecuzione più precisa del gioiello.<br />

Il banco da lavoro tradizionale<br />

con cassetti ha sostituito la<br />

pelle o il cuoio usati per raccogliere<br />

la polvere durante la fase<br />

di lavorazione mentre le saldature<br />

che venivano fatte a “bocca”<br />

con i vecchi bunsen – dispositivi<br />

in ottone simili a rubinetti dai<br />

[1<strong>25</strong>] Gli strumenti dell’orafo.<br />

quale fuoriusciva una fiamma<br />

regolabile che, per mezzo di un<br />

soffietto, permetteva all’orafo di saldare – sono stati sostituiti da<br />

saldatrici elettriche o dal laser.<br />

Se nell’antichità il gioiello era una dimostrazione di ricchezza e<br />

posizione sociale, oggi questo non è più vero: la società è in evoluzione<br />

ed esistono altri canoni per affermare la propria posizione nella<br />

società. Se per molte occasioni il gioiello è stato soppiantato da<br />

quelli che vengono chiamati “oggetti del desiderio” che non hanno<br />

nulla a che vedere con la millenaria arte orafa, è pur sempre vero<br />

che nei momenti più significativi dell’uomo – matrimonio, fidanzamento,<br />

nascita di un figlio, anniversario – il gioiello non è possibile<br />

sostituirlo con null’altro. Ma anche in quest’ambito il cambiamento<br />

è in corso e la clientela è sempre più esigente e informata sul<br />

prodotto. Questo sta portando a un moderno concetto anche nel<br />

campo orafo da artigiano a designer e artista.<br />

Il gioiello realizzato oggi dall’artigianato orafo veneziano è il<br />

frutto di diverse componenti: la ricerca di nuovi materiali, la modernizzazione<br />

delle linee, lo studio di un ammodernamento del


[126] Fiore in filo d’oro realizzato ad ago<br />

per Costantini Gioielli con la stessa tecnica<br />

del merletto di Burano.<br />

“vecchio” stile per incontrare i gusti<br />

di una clientela sempre più esigente.<br />

Il gioiello infatti non è più semplicemente<br />

un oggetto da indossare prodotto con materiali pregiati ma<br />

contribuisce a comunicare la propria personalità, oggi è un mezzo<br />

di comunicazione dell’essere. L’artigiano deve essere quindi sempre<br />

aggiornato e saper comunicare il proprio stile e le tecniche che conosce<br />

esponendo in vetrina oggetti che rappresentino il proprio carattere<br />

e lo stile dell’azienda e che attirino la clientela che finirà per<br />

identificarsi con i gioielli che vede.<br />

Che il settore orafo veneziano non goda in<br />

questo momento della rigogliosità dei secoli<br />

passati è sotto gli occhi di tutti; basti pensare<br />

al glorioso Sottoportego degli Oresi ai<br />

piedi del ponte di Rialto – luogo in cui sono<br />

sorte le prime taglierie di diamanti – che<br />

oggi ha negozi di tutt’altre categorie merceologiche<br />

o a tutti quei negozi che hanno<br />

sostituito le gioiellerie con prodotti di più<br />

veloce smercio. Che il mestiere dell’orafo sia<br />

difficile da intraprendere per i giovani lo di-<br />

[127] Rialto: ex oreficeria<br />

oggi negozio di scarpe.<br />

mostra la chiusura della sezione oreficeria<br />

all’Istituto Statale d’Arte e inoltre i maestri<br />

orafi hanno grosse difficoltà ad assumere apprendisti<br />

a cui tramandare il mestiere a cau-<br />

sa dei numerosi adempimenti burocratici.<br />

Fortunatamente si possono ancora ammirare nelle vetrine dei<br />

negozi vere e proprie opere di maestria legate alla grande tradizione.<br />

Il laboratorio-negozio di Luigi Costantini<br />

in salizada San Lio, che ha mantenuto<br />

uno stile “vecchia scuola”, produce tutt’oggi<br />

le spille a “moretto”, nate nella tradizione<br />

orafa veneziana per scongiurare gli attacchi<br />

via mare dei “mori” (saraceni e mussulmani)<br />

e che negli anni hanno subito, grazie<br />

alla fantasia degli artigiani, variazioni nelle<br />

forme e nei materiali. La fantasia, la maestria<br />

e la lunga esperienza di questo artigiano<br />

lo ha invogliato a produrre negli ultimi<br />

anni un pezzo unico davvero originale: un<br />

moretto da tavolo alto circa trenta centimetri<br />

con base in lapislazzulo, corpo e turbante<br />

in argento e oro, il tutto arricchito con<br />

pietre preziose.<br />

[128] Grande moretto<br />

realizzato da Luigi<br />

Costantini.<br />

Completamente di diverso stile, sia negli arredi che nella produzione,<br />

è il laboratorio Costantini Gioielli sito anch’esso nel cuore<br />

della città, ai piedi del ponte della<br />

Fava, che oltre alla classica produzione<br />

di gioielli – solitari, fedine a<br />

giro, pendenti e orecchini – ha negli<br />

[129] Collana a cerchi d’oro di Costantini<br />

Gioielli.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

24<br />

ultimi anni sviluppato e affinato una tecnica di finitura estremamente<br />

caratteristica e identificativa che viene eseguita con una punta<br />

al diamante. Il negozio ha un laboratorio a vista di modo che,<br />

grazie a vetrine molto ampie, chiunque possa fermarsi ad ammirare<br />

l’artigiano mentre lavora e apprezzarne l’esecuzione.<br />

Gioielli caratterizzati da linee assolutamente<br />

geometriche sono prodotti dal laboratorio<br />

Laberintho nei pressi di campo San<br />

Polo. I due giovani soci, Marco Venier e Davide<br />

Visentin, hanno<br />

saputo modificare e<br />

sviluppare nel tempo<br />

un gusto per la<br />

gioielleria moderna:<br />

una loro caratteristica<br />

è l’uso del mosaico<br />

classico – ricavando<br />

micro parti di pietre dure ottenute per<br />

rottura – e applicato a oggetti precedentemente preparati.<br />

Infine non si può non ricordare l’azienda<br />

Frollo, l’unica gioielleria-laboratorio sita<br />

sul ponte di Rialto che vanta una tradizione<br />

secolare e che nel tempo ha saputo affermarsi<br />

mantenendo uno stile classico con un gusto<br />

raffinato e divenuto famoso per il commercio<br />

di diamanti.<br />

I moretti veneziani*<br />

LAURA NOVELLO<br />

[130-132] Anello a<br />

mosaico e, a sinistra,<br />

laboratorio di<br />

Laberintho. In basso,<br />

spilla di diamanti della<br />

gioielleria Frollo.<br />

della gioielleria veneziana racchiude da sempre in sé il<br />

fascino immutabile dei richiami storici e leggendari che si<br />

L’arte<br />

susseguono nei delicati contorni di un gioiello che possa<br />

racchiudere la magia di Venezia, città d’acqua e di terra: un simbolo<br />

emblematico è la costante creazione nei secoli del moretto veneziano,<br />

un prezioso gioiello creato dalle abili mani degli orafi veneziani<br />

che rievoca la figura orientale del personaggio più volte ritratto<br />

nella pittura del Cinquecento nei dipinti di Carpaccio.<br />

Nel corso dei secoli il moretto è stato più volte reinterpretato<br />

nelle ascendenze di stile barocco, sino alle più moderne rivisitazioni<br />

degli anni cinquanta da quasi tutti i grandi gioiellieri del mondo<br />

spaziando in molteplici decorazioni. La sottile linea della rievocazione<br />

di un’evidente venezianità, si materializza ancor oggi, oltre<br />

all’indiscusso moretto, in altri preziosi che ripropongono attraverso<br />

un universo di spille, collane, fermagli, orecchini, bracciali in<br />

scala ridotta minuziosi ed eleganti oggetti<br />

che rappresentano la migliore tradizione<br />

orafa veneziana, quale oggetto souvenir che<br />

fa rivivere architetture gotiche, cappelli da<br />

gondoliere in oro con inserzioni di brillanti,<br />

le conchiglie e le stelle di mare accanto ai<br />

bellissimi ippocampo portafortuna.<br />

[133] Spilla moretto realizzata da Luigi Costantini.


Il moretto è un piccolo capolavoro d’arte<br />

minore; seducente e irresistibile al tempo<br />

stesso; con la testa avvolta da un turbante<br />

che intreccia smalti e pietre dure e preziose<br />

è resistito finora a tutte le mode diventando<br />

così un oggetto da collezionare visto la varietà<br />

delle grandezze, i colori e gli accostamenti delle pietre preziose<br />

che esso contiene. Un grande classico della tradizione orafa<br />

veneziana è il modello realizzato con brillanti, perle, coralli, rubini,<br />

con inserzioni a forma di fiore di pietre di zaffiro. Il materializzarsi<br />

di questa miniatura non potrebbe avvenire se si prescindesse<br />

dall’atmosfera che regna a Venezia, città che sa ancora unire lo<br />

straordinario intreccio fra arte e creatività. Durante il carnevale oltre<br />

al gioiello moretto si indossano anche altri monili, come le spille<br />

“manina” in oro e brillanti e le “mascherine baute veneziane”<br />

completamente in oro bianco e giallo.<br />

Le gioiellerie più celebri che riproducono ancor oggi questi piccoli<br />

capolavori si trovano quasi tutte nel cuore di Venezia, nella<br />

piazza San Marco e vicino all’Ala Napoleonica del Museo Correr. La<br />

famiglia Nardi, ad esempio, è da tre generazioni attiva in città e<br />

crea gioielli, come documenta un libretto<br />

che, oltre a narrare la storia dell’azienda,<br />

parla dei personaggi celebri che hanno indossato<br />

molte loro creazioni: da Liz Taylor a<br />

Grace Kelly, dallo scrittore Ernest Hemingway<br />

ad Arthur Rubinstein, ai reali di<br />

Grecia, sino a Elton John. “Siamo gioiellieri<br />

a tutto tondo secondo quel concetto più<br />

tradizionale che vede la figura del gioielliere<br />

ricoprire molteplici ruoli: artista, artigiano,<br />

imprenditore, commerciante, conoscitore di gemme e metalli<br />

preziosi”. Concetto condiviso pienamente anche da Giovanni Nuvoletti<br />

Perdomini che di preziosi se ne intendeva e che ricordava in<br />

uno scritto per il libro di Nardi: “agli interrogativi degli ammiratori<br />

di quei delicati capolavori che sono superbi moretti veneziani,<br />

libellule, scarabei e pidocchi ho sempre risposto: li ha fatti Nardi!”.<br />

Poco più in là anche il negozio di Codognato<br />

propone moretti realizzati in pietre preziose<br />

accanto ad altri oggetti a firma Fabergé,<br />

Cartier o Tiffany. Centosessant’anni<br />

ha l’antica gioielleria Missiaglia con le sue<br />

splendide vetrine vicinissime al caffè Quadri.<br />

Qui, accanto ai gioielli più sfavillanti e<br />

raffinati, i moretti spiccano tra orologi, perle<br />

e un curiosissimo<br />

oggetto: un bellissimo macina<br />

pepe in argento a forma di carciofo<br />

che fa bella mostra di sé sulle<br />

più belle tavole del mondo, da quel-<br />

le veneziane a quelle di Buckingham<br />

Palace, sino a quelle dei magnati<br />

dell’industria americana.<br />

[134-135] Moretto della gioielleria Nardi e, in basso,<br />

Grace Kelly con una spilla moretto.<br />

[136-137] Macina pepe e, a<br />

sinistra, moretto di Missiaglia.<br />

* tratto da Corriere della Sera, 27 marzo 2000. Per gentile concessione.<br />

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<strong>25</strong><br />

Gioielli di vetro: le perle veneziane<br />

CRISTINA BEDIN<br />

Come il vetro sia arrivato in Laguna è ancora oggi un mistero;<br />

quello che è certo è che le prime vere e proprie perle di<br />

vetro prodotte a Venezia furono i grani da rosario, perle a<br />

imitazione del cristallo di rocca che venivano utilizzate per le corone<br />

da preghiera. Storia e leggenda si fondono nell’attribuire a Maria<br />

Barovier, figlia del noto vetraio Angelo, la creazione della rosetta,<br />

la perla costituita da una canna di vetro multistrato molata e<br />

forata – antesignana delle perle che furono utilizza -<br />

te da veneziani, tedeschi, francesi e olandesi per<br />

scambi commerciali in tutto il<br />

mondo –, a pieno titolo la prima<br />

canna murrina costruita in Laguna.<br />

[138] Perle rosetta.<br />

Pare che la prima rosetta abbia visto<br />

la luce sul finire del Quattrocento.<br />

Da quel momento, considerato il successo dell’invenzione, quantità<br />

impressionanti di perle prodotte a Venezia percorsero gli oceani e i<br />

continenti e vennero usate al posto del denaro per acquistare materiali<br />

di grande valore come oro, avorio, pellicce, olio di palma.<br />

Il periodo d’oro per la produzione<br />

delle perle destinate allo scambio va<br />

dalla metà dell’Ottocento al 1920<br />

circa. Durante questo lasso di tempo<br />

nascono, dall’abilità degli artigiani<br />

veneziani, perle di vetro di grande<br />

bellezza, famosissime nel mondo del<br />

[139] Collana di perle piumate. collezionismo e dell’antiquariato<br />

con nomi quali French Ambassador,<br />

King Bead, Cornalina d’Aleppo, French Cross, Medecine Man,<br />

Lewis & Clark, Piumata, Eye Bead.<br />

Con le cannucce di murrina incassate<br />

in un nucleo vetroso o semplicemente<br />

fuse insieme, nasce anche una<br />

perla altrettanto famosa: la millefiori.<br />

Al finire della prima guerra mon-<br />

diale le perle di scambio, sostituite<br />

dal denaro, perdono la loro funzione<br />

originaria e divengono sempre più<br />

ornamento, oggetto d’arte, gioiello e<br />

le tecniche di produzione si fanno<br />

più raffinate con l’utilizzo di foglia<br />

d’oro e d’argento. Fiorato, Sommerso,<br />

Soffiato sono i nomi dei piccoli<br />

capolavori di vetro in voga fin dall’inizio<br />

del Novecento e conosciuti in<br />

tutto il mondo.<br />

[140-141] Collana di perle<br />

millefiori e, in basso, perle fiorato<br />

con filigrana di metà anni<br />

settanta.<br />

Negli anni settanta le perle di scambio sono riscoperte dagli<br />

hippies americani durante i loro viaggi in Africa e denominate l o v e<br />

b e a d s, perle dell’amore. Il rinnovato interesse per le antiche perle veneziane<br />

dà origine a un fenomeno di proporzioni mondiali. Le perle<br />

iniziano nuovamente ad attraversare i continenti per essere proposte<br />

nelle aste internazionali. E, come per qualsiasi “oggetto del desiderio”,<br />

anche le perle iniziano a essere imitate e sul mercato compaiono<br />

innumerevoli contraffazioni di provenienza, per lo più, orientale.


[142-143] Perlere al lavoro negli anni<br />

trenta e, a destra, realizzazione di una<br />

perla a lume<br />

In che modo viene perpetuata<br />

oggi questa tradizione plurisecolare?<br />

L’arte delle perle di vetro<br />

è ancora viva a Venezia e a Murano?<br />

E ancora, quali sono le<br />

perle di vetro che possiamo vedere<br />

a Venezia, a Murano e un<br />

po’ ovunque nel mondo? Fortunatamente<br />

in Laguna è ancora<br />

molto forte il legame con la storia,<br />

le tradizioni e l’arte che Venezia<br />

ha prodotto durante i se-<br />

coli. Da qualche anno un gruppo di<br />

designers veneziani e stranieri, riuniti<br />

attorno a ¿Do You Bead? Venezia<br />

Art Jewelry Showcase, sta promuovendo<br />

mediante incontri ed<br />

eventi il rilancio, la conoscenza storica<br />

e artistica e la ricerca di nuove<br />

forme di design da applicare alle<br />

perle e ai gioielli creati con il vetro.<br />

Pur rimanendo altissima l’attenzione degli appassionati e dei<br />

collezionisti nei confronti delle antiche perle di vetro, la continua<br />

ricerca, la sperimentazione e il cambiare della moda hanno comportato<br />

un’evoluzione di gusto e modalità di produzione che, pur mantenendo<br />

le radici nella tradizione, danno origine a nuove forme e<br />

decorazioni. Il design contemporaneo adotta motivi sempre più minimalisti;<br />

le decorazioni “a merletto” eseguite con filamenti di vetro,<br />

con le cannucce di filigrana, a pestaccio, vengono sostituite da<br />

decori optical, da pasta di vetro monocromatica – una reminiscenza<br />

degli anni settanta che si accorda alla moda dei giorni nostri –,<br />

da piccole figure chiamate microsculture, da medaglioni di vetro,<br />

da fusioni di murrine e perle antiche, da composizioni intricate fatte<br />

di conterie o di perle antiche frammiste a perle v i n t a g e.<br />

Le vetrerie che continuano la produzione a Venezia e Murano<br />

non sono molte e la maggioranza delle perle di vetro presenti in<br />

città proviene dall’estero. Poche sono anche le persone che, lavorando<br />

al lume, realizzano perle che si discostano da un modello basico:<br />

la perla con i puntini in rilievo. Esiguo è anche il numero dei<br />

designer in grado di realizzare veri e propri pezzi d’arte che emozionino<br />

e trasmettano sensazioni, così come accade quando si ammira<br />

un dipinto. Le perle dai nomi fantasiosi del XIX secolo non<br />

vengono più prodotte, eccezione<br />

fatta per le millefiori che Ercole<br />

Moretti realizza seguendo gli<br />

antichi metodi di lavorazione<br />

insieme a squisite perle di vetro<br />

dai motivi geometrici e medaglioni<br />

di cannuccia murrina.<br />

Costantini Glassbeads invece<br />

accosta alle conterie (le minuscole<br />

e coloratissime perline di<br />

vetro amatissime in Africa e da-<br />

[144] Perle etniche di Costantini<br />

Glassbeads.<br />

gli indiani d’America) la produzione di sceniche perle al lume a<br />

imitazione delle pietre semi-preziose.<br />

SU V Venetian Beads realizza perle con decori di grande raffinatezza:<br />

piccoli fiori avvolti da uno strato di vetro trasparente, mosai-<br />

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26<br />

[145-146] Perle di SUV Venetian Beads<br />

e, in basso, quelle di Muriel Balensi.<br />

co di cannucce di vetro antiche,<br />

“pennellate” di foglia oro che ripetono<br />

sul vetro i motivi dei dipinti<br />

di Klimt. Muriel Balensi<br />

crea invece perle contemporanee<br />

con la tecnica del “sommerso”,<br />

un nucleo di pasta di vetro colorata<br />

avvolto da uno strato di vetro<br />

trasparente per dare l’impressione<br />

che il colore si trovi<br />

sotto la superficie dell’acqua.<br />

Perle soffiate con riflessi cangianti e madreperlacei e dal design<br />

contemporaneo sono realizzate a Murano dalla vetreria Marina e Susanna<br />

Sent e da Andrea Giubelli<br />

mentre le antiche conterie sono<br />

utilizzate da Attombri e Ve n etian<br />

Dreams per complesse e affascinanti<br />

creazioni che reinterpretano<br />

in chiave contemporanea<br />

[147-148] Collare di perle big soap delle<br />

sorelle Sent e, a sinistra, le conterie<br />

utilizzate da Venetian Dreams.<br />

l’arte della tessitura e del ricamo<br />

con le perline. Microsculture, disegnate<br />

con incredibile cura del<br />

dettaglio ed enorme creatività da<br />

Matelda Bottoni nel suo studio<br />

veneziano, sono magistralmente interpretate e realizzate da alcuni<br />

artisti del vetro tra cui Cristina Sfriso. La contemporaneità si fonde<br />

con la storia: intere collezioni di antiche perle di scambio veneziane,<br />

di perle v i n t a g e e contemporanee, unite a fusioni di vetro antico ed<br />

elementi stilizzati, danno forma a collane e bracciali di grande impatto<br />

emotivo presso l’atelier L’Opera al Bianco di Ve n e z i a .<br />

[149-150] Microscultura di Matelda Bottoni e, a destra, dettaglio di una collana<br />

de L’Opera al Bianco.<br />

Una storia di cinque secoli quella delle perle di vetro; un’arte<br />

spesso considerata a torto minore che, al contrario, ha prodotto piccoli<br />

tesori, che testimonia il modificarsi del gusto e delle mode, che<br />

ha accresciuto e accresce tuttora la fama di Venezia e che è anche<br />

oggetto di studio da parte di antropologi e appassionati del mondo<br />

intero. Oggi le perle di vetro veneziane, che tanta parte hanno avuto<br />

nel passato artistico, culturale ed economico della nostra città, si<br />

spogliano del loro ruolo di moneta e amuleto trasformandosi in<br />

gioiello prezioso e proseguono il loro lungo cammino attraverso<br />

epoche, stili e culture diverse proiettandosi verso il futuro.


Impressionismo di vetro.<br />

Le murrine di Antonio Dei Rossi<br />

FRANCA PISTELLATO<br />

Aquanto pare la fortuna della murrina è legata allo strano<br />

destino che vede impegnate attorno a essa più generazioni<br />

della stessa casata. Così accadde per Giovanni Battista<br />

Franchini e il figlio Giacomo, per Vincenzo Moretti e il figlio Luigi,<br />

per Giovanni Barovier e il nipote Giuseppe e sta accadendo oggi<br />

con Mario Dei Rossi e il figlio Antonio.<br />

Nel 1989, a <strong>25</strong> anni, Antonio segue il lavoro del padre in for -<br />

nasa (fornace) ogni volta che può. Dal 1989 al 1999, anno in cui<br />

Antonio si cimenta con la sua prima murrina (Perla), Mario produce<br />

sessanta composizioni dai temi più disparati: quelli classici come<br />

Il Gallo di Murano e Il Pavone di barovierana memoria ma soprattutto<br />

la riproduzione di opere<br />

dei grandi maestri della pittura che<br />

costringe Mario Dei Rossi a perfezionare<br />

la tecnica di composizione a<br />

freddo, utilizzata in precedenza da<br />

Luigi Moretti. Con l’utilizzo di canne<br />

sottili, quasi quanto le vette (fili)<br />

[151] Mario e Antonio Dei Rossi. dei perlai, la “tavolozza” si amplia<br />

sensibilmente e permette sfumature<br />

infinitesimali sempre più fedeli alla cromia del dipinto originale.<br />

Antonio riprende la tecnica del padre perfezionandola ulteriormente.<br />

I suoi soggetti iniziali, per lo più ispirati al mondo animale<br />

e floreale, sono trattati come dipinti impressionisti: amalgamando<br />

colori che l’occhio ricondurrà alla coerenza timbrica dell’immagine<br />

originale a lavoro concluso. Le murrine di Antonio<br />

Dei Rossi sono quindi oggetti da apprezzare sia nella loro completezza<br />

che nei particolari con la lente d’ingrandimento. Ma Antonio,<br />

a differenza del padre, è un irrequieto e per indole è portato<br />

a cercare nuovi traguardi sia concettuali<br />

che tecnici. La murrina diventa veicolo,<br />

pretesto, ricerca, punto di partenza<br />

per nuove creazioni. Dal punto<br />

di vista squisitamente tecnico,<br />

l’uso del cristallo trasparente, per<br />

esempio, diventa strumento per rappresentare<br />

in miniatura l’aria contenuta<br />

nel R o s o n e – un particolare di Palazzo<br />

[152-153] Murrine con cristallo:<br />

sopra Rosone di Palazzo<br />

Ducale, 2010 e, a destra,<br />

Mosca, 2011.<br />

2000 e nella M o s c a del 2009 oltre a rendere<br />

tali insetti non più soggetto di un’opera<br />

ma oggetto reale che si posa su<br />

un supporto visibile. Antonio effettua<br />

anche una ricerca sui gradi di<br />

opacità di uno stesso colore come nel<br />

caso dell’accostamento di diversi<br />

bianchi per il piumaggio dell’A i r o n e<br />

B i a n c o del 2010.<br />

Ducale creato nel 2010 – e suggerire<br />

l’originario spessore del muro;<br />

oppure è usato per riprodurre in forma<br />

iper realista il cangiantismo vibratile<br />

delle ali nella L i b e l l u l a d e l<br />

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27<br />

[154] Collier San Marco in oro e quattro<br />

murrine, 2003.<br />

Ma la murrina è solo il punto di<br />

partenza. Attorno ad essa Antonio<br />

Dei Rossi fa crescere il gioiello in cui<br />

è incastonata e di cui diventa senso e<br />

fuoco. Non già come le “spille per signora” di Franchini o le reinterpretazioni<br />

decorative di Pietro Bigaglia ma restituendole la nobiltà<br />

di pietra preziosa. È il caso dello splendido collier San Marco<br />

del 2003 su cui campeggiano, in una posizione assolutamente inusuale<br />

ma perfettamente coerente con il suo significato, quattro<br />

murrine che ritraggono i cavalli in bronzo della balconata della Basilica.<br />

Oppure del geniale Z e b r a s del 2004 in cui si rincorre, mantenendo<br />

la mobilità del branco, una teoria di<br />

nove zebre. Ma ritorna anche Il Pavone,<br />

come se l’apice dell’opera di Giuseppe<br />

Barovier fosse per gli artisti della murrina<br />

una chiave di volta, una citazione<br />

doverosa, una sfida con cui cimentarsi.<br />

In questo caso Antonio Dei Rossi prepara,<br />

come i precedenti maestri, delle<br />

murrine separate rispettivamente per la<br />

testa e per le piume e ne ottiene una mur-<br />

rina unica raccordandole in una composizione<br />

a freddo. E dalle singole<br />

canne ottiene anche i cammei della<br />

collana P a v o n e<br />

del 2003,<br />

in cui è evidente il rimando alla struttura<br />

della coda del volatile. Il paradosso<br />

in quest’arte “seriale” è l’ottenimento<br />

di una “serie di pezzi unici”,<br />

ciascuno diverso dagli altri per piccole<br />

variabili; questo ci dà solo in parte l’idea<br />

del valore dei gioielli di Antonio.<br />

Se c’è un l e i t m o t i v nell’opera di Antonio Dei Rossi, lo si ritrova<br />

nella ricerca della sintesi e nell’estrema pulizia del segno e della<br />

struttura. Assomigliano infatti ad h a i k u<br />

giapponesi i versi che Dei Rossi pone a<br />

corona di alcune opere. Versi in cui si<br />

rincorrono assonanze e consonanze<br />

impregnate dell’immagine che direttamente<br />

o di rimando stanno evocando.<br />

È il caso dello spettacolare L e o n e<br />

del 2004 fuso in avventurina o della delicatissima<br />

Rosa rosa del 2005 o del filo d’o-<br />

ro che tesse, senza soluzione di continuità,<br />

la montatura di versi che racchiude<br />

il R a g n o del 2006.<br />

[155-156] Murrina del pavone<br />

di Giuseppe Barovier e, a<br />

sinistra, fusione di murrine di<br />

Antonio Dei Rossi.<br />

[157] Murrina del leone con<br />

poesia, 2006.<br />

In dodici anni di attività Antonio Dei Rossi ha al suo attivo ottantatré<br />

composizioni. L’ultima, creata in coincidenza con i 150 anni<br />

dell’Unità d’Italia, è dedicata a Vittorio Emanuele II, soggetto<br />

celeberrimo e citazione tanto ardimentosa quanto doverosa già noto<br />

nelle miniature di Giacomo Franchini (1860) e Luigi Moretti<br />

(1888) e che, non meno delle due precedenti, costituirà una sfida temeraria<br />

per i futuri artisti che con questa tecnica si cimenteranno.


La tradizione dei goti v e n e z i a n i<br />

CINZIA BOSCOLO<br />

Dai colori sgargianti e gioiosi oppure tenui come il loro<br />

possibile contenuto, decorati a freddo e a caldo, cilindrici<br />

panciuti o assimetrici, tutti comunque senza piede e<br />

stelo, ecco i goti de fornasa, i tipici bicchieri veneziani che grande<br />

successo stanno riscuotendo negli ultimi anni.<br />

Sono quelli che normalmente si definiscono bicchieri di uso<br />

quotidiano e che, nella leggenda muranese, si dice siano nati dall’idea<br />

di un maestro vetraio di Murano che pensò di usare il materiale<br />

vetroso di fine giornata affinché ogni vetraio si facesse un bicchiere<br />

proprio da utilizzare poi all’interno della fornace dove il bere<br />

era frequente. Ognuno realizzava<br />

quindi a suo modo, col vetro che<br />

aveva a disposizione, il suo g o t o p e rsonale<br />

e solo quello del maestro aveva<br />

in genere anche il manico. Una<br />

tradizione tutta muranese, quella<br />

del g o t o, che tuttora si mantiene viva<br />

nelle famiglie di Murano che li<br />

usano quotidianamente, e che è fonte<br />

di ispirazione per molti giovani [158] Goto del maestro con manico.<br />

artisti e designer.<br />

Marie Brandolini, parigina di nascita ma ormai veneziana a tutti<br />

gli effetti, al suo arrivo in Laguna subisce il fascino dell’antica arte<br />

vetraria e la magia della materia<br />

vetro. Comincia quindi un<br />

assiduo rapporto con le fornaci<br />

di Murano e, dopo un lungo e<br />

tenace apprendistato, inizia a<br />

creare per il suo marchio Laguna<br />

B i primi goti variopinti, ricchi<br />

di murrine e canne di vetro, caratterizzati<br />

da una decorazione<br />

astratta e molto divertente.<br />

Col tempo, affinate le tecniche<br />

e ampliate le suggestioni,<br />

Marie sperimenta anche altre<br />

composizioni tradizionali della<br />

vetraria muranese, come la filigrana<br />

e le canne accostate, e le<br />

utilizza per realizzare nuove tipologie<br />

di bicchieri che denomina<br />

Berlingot, Filigrana, Zanfirico,<br />

Fantasia, Margherite, Laguna<br />

Flowers, spesso completate<br />

con le relative caraffe.<br />

[159-161] La lavorazione e, in basso,<br />

alcuni esemplari dei goti di Marie.<br />

[162] Caraffe della linea Berlingot<br />

ispirate alle caramelle provenzali.<br />

Un esempio di rivisitazione dei g o t i si ritrova nella produzione<br />

esclusiva e sofisticata di Giberto Arrivabene Valenti Gonzaga per la<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

28<br />

Venetian Design in cui Ve n e z i a<br />

si fa fonte principale di ispirazione<br />

e di collegamento con le<br />

cromie orientali, la classicità del<br />

Rinascimento e l’estro fantasioso<br />

dello stile barocco. Emblematici<br />

della sua cifra stilistica sono i<br />

suoi goti palazzo che realizza con<br />

le stesse tecniche incisorie in uso<br />

in Laguna fin dal Settecento e in<br />

cui riproduce le architetture di<br />

alcuni tra i più bei palazzi veneziani: si va dalle suggestioni gotiche<br />

di Palazzo Ducale al gotico fiorito della Ca’ d’Oro, dalle bifore rinascimentali<br />

di Palazzo Spinelli alle serliane di Palazzo Grimani.<br />

[164-166] Il goto ispirato all’architettura rinascimentale di Palazzo Corner<br />

Spinelli e quello che riprende il motivo ornamentale della facciata della Ca’ d’Oro.<br />

Anche Giordana Naccari, che gestisce un raffinato e ricercato<br />

negozio di vetro e modernariato – l’Angolo del Passato – vicino all’Università<br />

di Ca’ Foscari, da oltre vent’anni ha dato vita, in stretta<br />

collaborazione col fratello Andrea,<br />

maestro vetraio, a una linea<br />

di g o t i, unici nella decorazione.<br />

I motivi e i colori delle sue<br />

creazioni variano continuamente<br />

a seconda del materiale disponi-<br />

bile nelle varie fornaci, esattamente<br />

in linea con la tradizione<br />

che ha visto nascere i goti de for -<br />

n a s a. In effetti Giordana, nata a<br />

Murano, tra i g o t i ci è cresciuta:<br />

ricorda infatti che da sempre nella sua famiglia ognuno aveva il<br />

proprio g o t o realizzato dal padre vetraio. Un materiale recuperato<br />

dalla lavorazione in fornace è anche<br />

il c o t i s s o di pasta di vetro che, una<br />

volta frammentato e rifuso, Giordana<br />

utilizza per donare ai decori dei<br />

suoi g o t i un melange di colori improbabili<br />

su una base di vetro soffiato<br />

leggero e scaldato dalla foglia d’oro<br />

o d’argento. Estremamente raffinate ed eleganti sono quindi le<br />

composizioni che Giordana crea per la tavola abbinando leggerissimi<br />

bicchieri classici a forma esagonale<br />

dalla tenue cromia beige<br />

con questi originali g o t i m u l t icolore<br />

mai uguali a se stessi se<br />

non nello spirito che li crea.<br />

[169] Un goto abbinato ai classici<br />

bicchieri soffiati a forma esagonale.<br />

[163] Giberto Arrivabene segue la fase<br />

di incisione dei suoi bicchieri.<br />

[167-168] I goti disegnati da Giordana<br />

e realizzati dal fratello Andrea. A<br />

sinistra, un cotisso di pasta di vetro.


Le donne “ci fanno le scarpe”...<br />

Le c a l e g h e r e del XXI secolo<br />

CRISTINA BELTRAMI<br />

Esistono botteghe a Venezia –<br />

ancora poche a dire il vero –<br />

colme di forme in legno,<br />

trincetti, martelli, pegole, lesine,<br />

stoffe e pellami appesi ovunque: sono<br />

gli eredi degli antichi c a l e g h e r i, i<br />

calzolai. Sarebbe però il caso di riferirsi<br />

al femminile – le eredi – in<br />

quanto tutte donne: Daniela Ghezzo,<br />

Gabriele Gmeiner e Giovanna Za- [170] Forme di legno per scarpe.<br />

nella, due veneziane e un’austriaca.<br />

Daniela Ghezzo crea nei leggendari spazi dell’atelier di Rolando<br />

Segalin, maestro – più o meno diretto – di tutte le tre. Ha cominciato<br />

come “tuttofare”, a soli sedici<br />

anni, dotata di una naturale curiosità<br />

e un’eccezionale manualità che le<br />

hanno permesso di raccogliere l’eredità<br />

del burbero Segalin. Ispirata<br />

dall’arte “vera”, che Daniela distin-<br />

gue da quella applicata, ricerca<br />

l’eleganza e la cura del<br />

dettaglio in ogni manufatto.<br />

Guarda al mondo dell’arte anche Giovanna Zanella che realizza<br />

vere sculture da indossare, sperimentando anche materiali inusuali<br />

come le plastiche, i nylon e i vetri. Giovanna infatti, dopo<br />

una formazione da modellista, comincia a disegnare abiti, borse,<br />

[173-174] Le scarpe di Giovanna Zanella.<br />

[171-172] Rolando Segalin,<br />

maestro indiscusso delle nuove<br />

“caleghere” veneziane e, a sinistra,<br />

la produzione di Daniela Ghezzo.<br />

cappelli ma soprattutto scarpe perché non trova sul mercato i modelli<br />

che soddisfino in primis se stessa. La passione si trasforma in<br />

professione e da undici anni cuce calzature dalle forme futuribili,<br />

ironiche, sorprendenti e colorate quanto lo spazio che la ospita.<br />

Parte dal concetto di scultura d’uso anche Gabriele Gmeiner<br />

che, operando solo su misura e dopo un attento studio e una profonda<br />

conoscenza del cliente, vive l’oggetto-scarpa come una forma di<br />

ritratto dello stesso. Austriaca di nascita, Gabriele ha appreso il<br />

mestiere sia a Venezia da Segalin che in Giappone, e quando sperimenta<br />

– come nel caso di una scarpa in velluto Bevilacqua lavora-<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

29<br />

to a rilievo come la pelle di un alligatore – lo fa sempre nel segno<br />

della tradizione.<br />

Pur nelle inevitabili differenze, esistono dei tratti in comune<br />

tra le tre botteghe: la fascinazione per le produzioni pre-industriali,<br />

testimonianze di una raffinatezza appartenuta a un’epoca difficilmente<br />

eguagliabile. L’ispirazione viene dalle sete preziose del<br />

Settecento, dalle fogge bizzarre dell’Ottocento fino agli anni venti<br />

del secolo scorso in cui si affermarono i primi designer che traghettarono<br />

la calzatura verso l’industrializzazione. La ricerca dei<br />

materiali non può che essere scrupolosa: i pellami sono rigorosamente<br />

italiani per Daniela Ghezzo; talvolta inconsueti per Giovanna<br />

Zanella e ancora più complicata è la “caccia” per Gabriele<br />

Gmeiner che acquista pellami francesi, mentre il cuoio per le suole<br />

lo fa arrivare dalla Germania, ove le assicurano un bagno di quercia<br />

tanina di dodici mesi, e il cordovan da Chicago.<br />

Mettono la stessa passione nel confezionare una scarpa da uomo<br />

quanto da donna anche se, inutile negarlo, la scarpa su misura ormai<br />

è quasi esclusivamente maschile. Salvo le eccezioni di eccentrici<br />

dandy del nostro secolo o capricciose star, le donne sono infatti<br />

più soggette ai mutamenti della moda ed è un peccato perché gli<br />

accessori femminili in generale concedono vezzi – e dunque divertimento<br />

– maggiori. Dare forma fisica a ogni richiesta, a ogni visione,<br />

è una sfida che solo un grande artigiano può ancora raccogliere:<br />

talvolta realizzando la creatura della propria fantasia, come<br />

nel caso di Giovanna Zanella, altre volte assecondando la follia di<br />

ricchi clienti che chiedono piccole – costosissime – scarpe su misura<br />

anche per i figli in rapida crescita.<br />

Chi strabuzza gli occhi di fronte al prezzo deve forse riflettere un<br />

momento sull’oggetto che sta acquistando; un connubio di ricerca<br />

dei materiali, salvaguardia della tradizione,<br />

ore di lavoro scansite da passaggi<br />

imprescindibili: la presa delle<br />

misure e la realizzazione della forma,<br />

il taglio della tomaia e della pelle, la<br />

giuntatura dei pellami, l’imbastitura,<br />

la cucitura, la montatura della<br />

suola e la costruzione del tacco, la<br />

cura delle finiture, e un tempo di almeno<br />

dieci giorni di forma; a quel<br />

punto non resta che la lucidatura. La<br />

sfida più grande resta comunque l’e-<br />

[175-176] Scarpe su misura e, a sinistra,<br />

il laboratorio di Gabriele Gmeiner.<br />

[177-178] Applicazione del tacco col<br />

martello “battichiodo” e, a<br />

sinistra, scarpe di velluto e<br />

passamaneria in stile Settecento.<br />

leganza; l’eleganza dell’oggetto<br />

ma anche di una città<br />

che riesce a mantenere vive<br />

le proprie tradizioni.


La versatilità della carta<br />

CRISTINA GREGORIN<br />

Nel corso del XIII secolo la carta si diffonde in tutta Italia<br />

come supporto di testi e immagini. Fabbricata da una<br />

polpa di cotone ottenuta da stracci frollati, macerati nell’acqua,<br />

passati nella calce e poi lasciati essiccare, la carta si rivela<br />

molto meno costosa della pergamena e da subito svolge un ruolo<br />

fondamentale nello sviluppo culturale<br />

e commerciale del medioevo. Se<br />

la carta di ottima qualità viene usata<br />

per la diffusione di testi antichi e<br />

moderni di filosofia, astronomia e<br />

letteratura, quella di qualità inferiore,<br />

ottenuta da stracci colorati (detti<br />

brunelli) viene utilizzata da mercanti<br />

e banchieri per registrare transazioni,<br />

spese, pesi e misure, permettendo<br />

così di tenere sempre il controllo<br />

su tutta l’attività finanziaria.<br />

In campo artistico, pittori, scultori e [179] Produzione della carta.<br />

architetti, utilizzando dei fogli a<br />

buon mercato per la “brutta copia”, possono ripensare e modificare<br />

le loro idee perfezionando sempre più il progetto a vantaggio dell’opera<br />

finale.<br />

La sua funzionalità la rende subito molto ricercata e alle prime<br />

cartiere di Fabriano ne seguono molte altre in tutta la penisola. Venezia<br />

però non fu mai un centro di produzione poiché non disponeva<br />

delle necessarie peculiarità ambientali – aria non troppo secca<br />

né troppo umida per far asciugare bene la carta, la presenza di una<br />

sorgente d’acqua pura per la macerazione e di un fiume navigabile<br />

per il trasporto dei materiali e del prodotto finito – fu invece centro<br />

fiorente di smistamento verso l’estero e i territori d’Oltremare<br />

e soprattutto di consumo. In particolare l’industria editoriale – che<br />

alla fine del Quattrocento, con l’invenzione della stampa, è la prima<br />

in Europa per numero di edizioni – e quella delle arti grafiche<br />

richiedono una grande quantità di carta ponendo così le premesse<br />

per una maggiore organizzazione del lavoro, che da attività artigianale<br />

e familiare diviene quindi manifatturiera, sviluppandosi in<br />

strutture organizzate con operai specializzati nelle varie fasi.<br />

Gli artigiani trovano sempre maggiori applicazioni per l’utilizzo<br />

della carta sia nel campo dell’arredamento, con scatole di ogni<br />

forma, ventagli, paraventi, mappamondi ecc., che in quello teatrale,<br />

soprattutto grazie alle realizzazione in cartapesta di fregi, statue<br />

e intere macchine sceniche. Famosissime rimasero le celebrazioni in<br />

onore della visita di Enrico III, futuro re di Francia, per le quali Palladio<br />

fu incaricato di costruire un enorme tempio greco e un arco romano<br />

in legno e cartapesta, visibili in un quadro di Andrea Vi c e ntino<br />

a Palazzo Ducale. L’oggetto di carta più popolare rimane però<br />

la maschera che nel Settecento,<br />

quando il carnevale durava sei<br />

mesi all’anno, dà luogo a una<br />

[180] Arco in cartapesta per la visita di<br />

Enrico III a Venezia nella tela di<br />

Andrea Vicentino a Palazzo Ducale.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

30<br />

[181] La larva, la maschera che completa la<br />

bauta, il celebre travestimento utilizzato<br />

durante il carnevale.<br />

grande fantasia nella sua elaborazione<br />

anche se la più usata rimane l’inquietante<br />

l a r v a, la maschera bianca<br />

indossata insieme alla cosiddetta b a u t a formata da tabarro, zendale<br />

e tricorno, utilizzata soprattutto per celare la propria identità.<br />

Ancora oggi, accanto a una massiccia produzione industriale per<br />

testi e documenti, continua a esistere un artigianato d’arte dove il<br />

materiale, con il suo spessore e le diverse qualità come morbidezza<br />

o ruvidità, cessa di essere solo un supporto per divenire un’esperienza<br />

tattile a sé stante. Venezia conta ancora alcuni artigiani di grande<br />

talento, appassionati conoscitori del materiale e di tecniche che<br />

hanno affinato nel corso di lunghi anni di esercizio e di sperimentazione:<br />

un patrimonio di conoscenze che nessuna scuola può dare.<br />

Fernando Masone, attraverso<br />

una lunga ricerca personale, si è<br />

specializzato nella tecnica dell’altorilievo<br />

eseguita con il pennino<br />

che l’ha portato a indagare<br />

non solo tutte le possibilità del<br />

[182-183] Produzione della carta e, in<br />

basso, lavorazione ad alto rilievo.<br />

materiale ma anche delle tecniche<br />

di scrittura e delle differenti<br />

proprietà del segno date da ogni<br />

pennino. Per i suoi lavori, che<br />

spaziano dai gioielli alle lampade, dai quaderni d’artista agli album<br />

fotografici, si fabbrica da solo una carta cotone particolare che gli<br />

permette, in base all’oggetto che vuole realizzare,<br />

di scegliere il formato e lo spessore<br />

più adatti. I soggetti dei rilievi, di ispirazione<br />

classica, ricordano delicatissimi cammei<br />

della tradizione napoletana, mentre il colore<br />

che predilige è senz’altro il bianco tanto che<br />

nel suo immacolato negozio di Santa Maria<br />

Mater Domini si è invitati a indossare dei<br />

guanti prima di toccare i delicati oggetti.<br />

Il colore domina invece nel negozio di carte marmorizzate di Alberto<br />

Valese a San Stefano. Una lunga ricerca filologica, numerosi<br />

soggiorni in Turchia e lo studio appassionato di testi antichi lo hanno<br />

condotto a rivitalizzare questa antica tecnica di origine persiana,<br />

dove la carta assume dei colori screziati a imitazione delle venature<br />

del marmo. La tecnica si diffuse dapprima nell’impero Ottomano e<br />

nel corso del Seicento raggiunse<br />

l’Europa. Il pregio di questa lavorazione<br />

è l’unicità di ogni esemplare: il<br />

foglio di carta viene appoggiato velocemente<br />

su alcuni colori posti in<br />

sospensione su di una superficie liquida.<br />

Ogni volta, sia per i movimenti<br />

della mano dell’artigiano che<br />

per quelli anche impercettibili del-<br />

[184-185] Alberto Valese realizza la sua<br />

carta: in alto la preparazione del colore e, a<br />

destra, la carta è poggiata sui colori.


[186] Un foglio di carta marmorizzata.<br />

l’acqua, si formano diversi segni e<br />

forme sulla carta. Per Valese il perfezionamento<br />

della tecnica è andato di<br />

pari passo con una grande creatività<br />

sia nell’elaborazione di nuovi motivi che nell’applicazione del materiale,<br />

dalle carte colorate o per corrispondenza, agli oggetti di legatoria<br />

e arredo.<br />

A testimoniare l’eredità della straordinaria maestria dei legatori<br />

del passato rimangono a Venezia pochissime realtà tra cui quelle<br />

di Paolo Olbi e Renato Polliero. Entrambi i laboratori, oltre a<br />

produrre carte marmorizzate e splendidi oggetti da studio e ufficio,<br />

sono tra gli ultimi in città capaci di restaurare un libro antico<br />

con perizia e competenza ed entrambi si servono di tecniche manuali<br />

e materiali tradizionali: pelli conciate al vegetale, pennini,<br />

rotelle e punzoni possibilmente fatti a mano. Nonostante ciò le<br />

due legatorie si distinguono nel gusto e nello stile.<br />

Polliero riproduce a mano delle<br />

vecchie carte italiane conosciute come<br />

carte di Varese o dei Remondini<br />

di Bassano, molto popolari nella Venezia<br />

del Settecento mentre Olbi<br />

predilige carte in stile floreale degli<br />

anni venti e motivi veneziani o italiani<br />

che trae da stampe antiche e<br />

che riproduce con tecnica serigrafica<br />

per mezzo di un torchio tipografico<br />

del primo Novecento. Polliero è spe-<br />

cializzato nella doratura della pelle,<br />

una tecnica che richiede estrema<br />

precisione e una capacità di concentrazione<br />

che si prolunga per molte<br />

ore. Olbi collabora anche con altri<br />

artigiani realizzando rilegature con<br />

inserti di marmo, vetro o argento.<br />

La bottega di Polliero ai Frari ricorda lo spazio intimo di un artigiano<br />

medievale; quella di Olbi, al piano terra di un palazzo cinquecentesco<br />

a San Francesco della Vigna – sempre a rischio acqua<br />

alta – l’atmosfera di una stamperia<br />

rinascimentale. Al piano nobile Olbi<br />

vorrebbe organizzare dei corsi, volti<br />

a studiosi e a coloro che sono interessati<br />

ad apprendere il mestiere, su<br />

quelle che sono le diverse fasi nella<br />

fabbricazione di un libro: dalla stam-<br />

[189-190] La stamperia di Olbi e,<br />

a destra, i suoi prodotti in carta.<br />

[187-188] Renato Polliero mentre<br />

decora il dorso di un libro e, a<br />

sinistra, oggettistica in carta.<br />

pa al taglio delle pagine, alla legatura<br />

e alla rilegatura finale. La sua passione<br />

per la diffusione di un lavoro<br />

profondamente connaturato alla sto-<br />

ria della civiltà veneziana cozza purtroppo contro le costanti complicazioni<br />

burocratiche e non trova quel supporto da parte di enti<br />

che dovrebbero essere preposti a sostenere attività<br />

imprenditoriali e culturali in città.<br />

Ma la carta è anche altro. Nel<br />

laboratorio di Guerrino Lovato,<br />

uno dei più geniali mascareri<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

31<br />

[191-192] I calchi e, a destra, la<br />

maschera del medico della peste.<br />

veneziani, si è circondati da una<br />

grande quantità di facce beffarde, irriverenti<br />

comiche o terribili, tratte<br />

dalla Commedia dell’Arte, dalla storia<br />

e dalla mitologia, ma anche dal<br />

mondo di oggi. Qui, tra calchi, gessi<br />

e colori, si ritrova tutto il sapore<br />

del passato, dove materiali e tecniche<br />

sono quelli tradizionali; niente<br />

piume, paillettes o lustrini. Anche<br />

l’iridescente volto di Marilyn Mon-<br />

roe, interpretato attraverso Andy Warhol, è in realtà rapportato<br />

allo spirito del passato: una scultura ben fatta come<br />

modello su cui viene formata la maschera di cartapesta<br />

e la decorazione solo con il colore. A<br />

Lovato si deve il recupero della maschera<br />

del medico della peste; un tempo<br />

oggetto funzionale indossato dai medici per proteggersi da quel<br />

che si pensava essere un’aria ammorbata, con un lungo becco in cui<br />

si inserivano erbe medicinali per filtrarla. La protezione è stata trasformata<br />

in una maschera di carnevale: un modo per irridere al male<br />

e tenere lontana ogni sorta di catastrofe. Molte le sue opere di richiamo<br />

internazionale: dal presepe eseguito con Giorgio Spiller per<br />

conto del Comune di Parigi, al monumentale Cristo rinascimentale<br />

realizzato per la visita del Papa a Brescia, ai calchi per i bassorilievi<br />

della cavea della Fenice dopo l’incendio<br />

del 1996, ai lavori per Zeffirelli e Kubrik.<br />

[193-195] Come creare una maschera: modellare il soggetto in creta per fare il calco<br />

in gesso, riempire il calco con carta bagnata, estrarre la maschera quando asciutta.<br />

Purtroppo anche Lovato, come molti artisti artigiani di Venezia,<br />

è stato costretto a chiudere la sua bottega. La concorrenza di negozi<br />

che vendono maschere industriali ed estranee alla tradizione<br />

veneziana (semmai più rispondenti a un certo gusto attuale per l’eccessivo)<br />

fa perdere non solo di visibilità i prodotti della storia della<br />

città ma anche il loro valore.<br />

I quasi seicento calchi di Guerrino saranno esposti e costituiranno<br />

il nucleo del Museo del carnevale. Purtroppo non a Venezia<br />

che non ha trovato spazio per questo museo bensì a Malo nel vicentino:<br />

un’altra occasione perduta per la nostra città! La questione<br />

più importante che Lovato pone da anni, e che vale per tutto l’artigianato<br />

d’arte, è se si deve sempre cedere alla legge di mercato o<br />

si possa invece salvaguardare l’immagine di Venezia anche attraverso<br />

un controllo sui prodotti che vengono venduti come tradizione<br />

locale. Effettivamente per le migliaia di visitatori giornalieri<br />

è sempre più arduo distinguere gli oggetti attraverso i quali è cresciuta<br />

la tradizione culturale della<br />

città dai souvenir internazionali nel<br />

gusto e nella fattura.<br />

[196] Il laconico cartello di chiusura.


Oggi come allora.<br />

La tessitura delle stoffe operate<br />

DORETTA DAVANZO POLI<br />

Erano centinaia le tessiture per stoffe operate esistenti ancora<br />

in città nel 1792 poi drasticamente ridotte con la caduta<br />

della Serenissima nel 1797 e con la chiusura forzata delle<br />

Corporazioni di Arti e Mestieri imposta<br />

da Napoleone nel 1806. Se nel<br />

1831 ne sopravvivono soltanto nove,<br />

nella seconda metà dell’Ottocento<br />

non ne restano che due: sono le me-<br />

[197] Particolare dell’insegna<br />

dell’Arte dei tessitori di seta.<br />

Venezia, Museo Correr.<br />

desime tuttora attive – che presentiamo<br />

in rigoroso ordine alfabetico –<br />

gloria e vanto della Venezia artigiana<br />

di oggi.<br />

LA TESSITURA BEVILACQUA<br />

Attiva a Venezia nel sestiere di Santa Croce al civico 1320 e riconosciuta<br />

dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, vanta un’invidiabile<br />

tradizione plurisecolare, attestata dalla presenza fin dal<br />

1499 di un antenato, certo Ser Iacomo Bevilacqua tra i sette Zude -<br />

zi di Provedadori (alti funzionari-tessitori della magistratura di controllo<br />

del Veneto Setificio) che in tale anno, appunto, commissionano<br />

a Giovanni Mansueti, grande pittore del Rinascimento veneziano,<br />

allievo dei più celebri Gentile Bellini e Vittore Carpaccio, la<br />

pala devozionale con L’arresto di San Marco per l’altare della Confraternita<br />

dei Tessitori di seta nella chiesa di Santa Maria dei Crociferi,<br />

oggi Gesuiti. I sette nomi dei provveditori preposti all’epoca<br />

compaiono, assieme a firma dell’autore e data, nel cartiglio in<br />

basso, al centro della tela stessa, oggi conservata alla Liechtenstein<br />

Gallery di Vienna.<br />

Lo storico opificio, ritornato fin dal 1875 all’antico splendore,<br />

dopo un periodo di rovinosa decadenza di tutte le Arti provocata<br />

dalla chiusura delle Corporazioni nel 1816 a opera di Napoleone,<br />

diventerà tra fine Ottocento e prima metà del Novecento, una delle<br />

industrie vanto di Venezia, proseguendo nella produzione di velluti<br />

su antichi telai al tiro secondo le regole e con la qualità della<br />

Serenissima. La peculiarità più<br />

importante di tale prestigiosa<br />

manifattura veneziana, a cui nel<br />

2004 è stata dedicata una indimenticabile<br />

esposizione in sala<br />

del Piovego a Palazzo Ducale, è<br />

[198-199] Interni della manifattura<br />

Bevilacqua: in alto i telai al lavoro e,<br />

a destra, il filatoio e l’orditoio.<br />

mente regolamentate dalle mitiche<br />

legislazioni marciane.<br />

Pur proponendo anche decori<br />

contemporanei e innovativi, la<br />

Bevilacqua è in grado di ottenere<br />

velluti e broccati paragonabili<br />

a quelli dell’Antico Regime.<br />

quella di proseguire, con notevoli<br />

sacrifici imprenditoriali,<br />

sulla strada delle riproduzioni<br />

storiche, realizzate con quelle<br />

medesime tecniche così severa-<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

32<br />

Il merito va dato ad Alberto e Rodolfo Bevilacqua e, in particolare<br />

per i recuperi tecnico-artistici, al giovane Emanuele Bevilacqua, figlio<br />

di Mario, che analizzando antichi campioni, studiandone la costruzione<br />

in dettaglio su originali telai al tiro, forgiando personalmente<br />

all’occorrenza pezzi non più rintracciabili sul mercato, segando<br />

e limando, provando e riprovando gli ordimenti su complicatissimi<br />

marchingegni meccanici, è riuscito a tessere un velluto soprarizzo,<br />

considerato virtuosistico perfino dalle tessitorie di metà<br />

Ottocento. Si tratta del velluto<br />

detto delle “sfingi”, su<br />

cui si misurarono le più importanti<br />

ditte del settore serico<br />

ottocentesco, come la<br />

Tassinari & Chatel di Lyon,<br />

nel 1873 circa e poi la Prel-<br />

[200-201] Il telaio per la realizzazione del<br />

velluto soprarizzo e, a sinistra, il velluto<br />

detto dei “leoni”.<br />

le di Parigi. Il disegno, a tutto campo,<br />

di grande impianto modulare<br />

(67x144), di chiara ispirazione barocca,<br />

evidenziato grazie a sfumature<br />

della stessa tonalità che sembrano<br />

differire per la diversa rifrazione della<br />

luce sul vello tagliato e riccio,<br />

rappresenta, all’interno dello svolgersi speculare di tralci vegetali e<br />

serti fioriti, un motivo a grottesche costituito da figure femminili<br />

alate sostenenti un sipario drappeggiato alternato, in alzata, a mensola<br />

architettonica con sfingi e coppa di fiori. Originariamente a<br />

due corpi rosso cupo e rosa, ma anche verde e ocra, su fondo in raso<br />

da otto slegature avorio, oggi viene riproposto in questa seconda<br />

variante.<br />

La voglia di riprenderne la lavorazione è scattata grazie a un importante<br />

committente russo, che si è presentato con un frammento<br />

ottocentesco staccato dalle pareti di una prestigiosa sede governativa,<br />

chiedendone il rifacimento identico, per un considerevole metraggio.<br />

La prova richiesta (e superata) è consistita nella realizzazione<br />

dell’armatura raso del fondo, tutta in seta color avorio, con organzino<br />

(titolo 20-22, a tre capi)<br />

in ordito, sei filati per bobina.<br />

Ma il problema maggiore ha riguardato<br />

l’opera in velluto soprarizzo,<br />

in quanto in fabbrica<br />

non esisteva un telaio in grado<br />

di produrla: da decenni i telai in<br />

[202-203] Preparazione dell’ordito<br />

sull’orditoio verticale e, a destra,<br />

l’ordito ottenuto viene avvolto<br />

sull’orditoio orizzontale.<br />

funzione si avvalevano di c a n t r e<br />

(cassettiere) contenenti da 400 a<br />

800 bobine per altrettanti fili di ordito (per la formazione del vello),<br />

mentre per produrre quella tipologia ne servivano almeno 1600.<br />

Scelti dal committente stesso i fizuoli, i campioncini di ordito<br />

di “pelo”, Emanuele Bevilacqua inizia in giugno del 2010 ad ap-


[204-205] Bobine e contrappesi per mantenere<br />

il filo di seta in tensione. In basso, la<br />

foratura dei cartoni per la realizzazione del<br />

disegno del tessuto.<br />

prontare un telaio, operandovi le necessarie<br />

modifiche: aumentate le dimensioni<br />

della cantra sia in lunghezza<br />

(da 1,50 a 2,90 metri) sia in larghezza,<br />

affinché potesse contenere<br />

12+12 bobine (comunque accorciate,<br />

invece delle consuete 10+10) per<br />

ciascuno degli oltre sessanta ranghi, è poi necessario trovare un pettine<br />

più grande e soprattutto bisogna modificare la macchina Jacquard,<br />

nonché fortificare il “castello” che la regge. Trovata una<br />

macchina “Vincenzi da 1760-1600”, con mollette di ottone ancora<br />

sufficientemente elastiche per spingere gli arpini che accompagnano<br />

gli aghi, tuttavia il cilindro che<br />

doveva trascinare le schede del disegno,<br />

risulta leggermente imberlato e<br />

dunque inservibile. In tessitoria viene<br />

reperito un altro cilindro superstite,<br />

più lungo, che verrà opportunamente<br />

limato alle estremità fino<br />

ad adattarsi alla “nuova” macchina e<br />

collegato ai cartoni del disegno (recuperato<br />

in parte dall’archivio storico<br />

della ditta e riadattato ex novo allo<br />

scopo) che, per le grandi dimensioni<br />

modulari dello stesso, sono<br />

tanto numerosi da fuoriuscire dal perimetro del telaio. Per questa<br />

ragione e per il loro peso di oltre quaranta chili, sarà necessaria<br />

un’ulteriore fortificazione lignea di sicurezza. I ferri esistenti, sia<br />

tubolari che scanalati, per fortuna, anche se per pochi millimetri,<br />

possono essere utilizzati.<br />

Dunque passati tutti i filati di “pelo” entro maglioni e pettine,<br />

si inizia a tessere... Ma la grande struttura non risponde ai comandi:<br />

si imbroglia, s’inceppa, riprende, si blocca. Bisognerà insistere<br />

lungamente per convincere il telaio a mettersi in moto, con testardaggine<br />

e pazienza, lubrificando perfino i fili, accompagnandone<br />

millimetro per millimetro il movimento, in un lavoro di équipe capitanata<br />

da Emanuele e formata da quattro tessitrici: Ilaria, Gloria,<br />

Silvia e Carlotta. A quest’ultima, più forte e decisa, sarà poi affidata<br />

la tessitura: il 4 agosto, circa due mesi dopo l’inizio dell’avventura,<br />

il telaio finalmente si avvia trovando il suo ritmo e procedendo<br />

in maniera continuativa. Quel giorno nascono i primi dieci centimetri<br />

di stoffa, una meraviglia commovente di vero artigianato<br />

artistico veneziano, richiedente una competenza tale in tutte le fasi,<br />

da non essere improvvisabile e dunque molto difficilmente imitabile,<br />

neppure dalle migliori maestranze orientali.<br />

Per concludere, vale la pena ricordare che nel 2010 la tessitura<br />

Bevilacqua è stata scelta (assieme a nove aziende di altri settori) da<br />

Regione, Confindustria e Confartigianato del Veneto per “150 anni<br />

di vita”, per secoli di esperienza, di produzione, di sviluppo individuale<br />

e collettivo, di lavoro, “dando un apporto considerevole nel<br />

processo verso la modernità”. È inoltre in corso l’iscrizione al Registro<br />

delle Imprese Storiche di Ve n e z i a .<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

33<br />

LA TESSITURA RUBELLI<br />

È risaputo che la tessitura Rubelli è l’erede e la diretta continuatrice<br />

della storica ditta di Giovanni Battista Trapolin, che nel<br />

1842, in tempi assai difficili per Venezia, aveva eroicamente ripreso<br />

la fabbricazione dei velluti sopraricci rilevando pure, nel 1858 il<br />

“negozio de oro ed argento falso, cordoni, frange, galloni ed altro”<br />

di proprietà dei Panciera. Nella seconda metà dell’Ottocento le vicende<br />

produttive e commerciali, le prestigiose committenze (aristocrazia,<br />

governi, monarchie, Vaticano),<br />

le partecipazioni alle esposizioni<br />

internazionali, i premi, sono<br />

più o meno simili a quelle della ditta<br />

antagonista, impostasi nel frat-<br />

[206-207] Inserzione pubblicitaria<br />

di inizio 1900 e, a destra, velluto<br />

soprarizzo con margherite e nodo<br />

Savoia, probabile commessa della<br />

Casa Reale.<br />

tempo. Ad esse allude Luigi Sormani<br />

Moretti nel 1881, nel libro La<br />

Provincia di Venezia, monografia stati -<br />

stica-economica-amministrativa, quando<br />

scrive di “due opifici da tessitori”<br />

producenti “velluti lisci e operati, a<br />

disegni in rilievo, detti “sopraricci”, nonché “damaschi broccati”<br />

oltre che “lacci, cordoncini, spinette,<br />

cordoni, galloni, frange, fiocchi,<br />

ghiande e ogni sorte di guernizioni<br />

di seta, di lana e di cotone, commisti<br />

anche ad oro e argento”. Nel<br />

1889 Rubelli arreda con i suoi celebri<br />

soprarizzi la sala centrale della<br />

III Esposizione Internazionale d’Arte<br />

di Venezia e nel 1902 la regina<br />

Margherita commissiona il velluto<br />

soprarizzo a fondo blu, decorato con i simboli dei Savoia; nel 1922<br />

apre l’elegante filiale di Firenze in via Tornabuoni (cui seguiranno<br />

quelle di Roma, Milano e Parigi) e l’anno successivo partecipa alla<br />

I Mostra Internazionale d’Arte Decorativa alla Villa Reale di Monza<br />

esponendo, tra gli altri, un velluto disegnato da Guido Cadorin.<br />

Gli esempi di campionario rimasti mostrano per lo più motivi<br />

decorativi fedelmente ispirati al passato, talora un poco influenzati<br />

prima dallo stile l i b e r t y (si pensi per<br />

esempio a damaschi e velluti su disegni<br />

di Umberto Bellotto e appunto<br />

del Cadorin, come i soprarizzi azzurri<br />

tessuti con oro puro per le carrozze<br />

del treno reale) e poi dal d é c o<br />

(per esempio le stoffe realizzate nel<br />

1928 per la nuova sede dell’Istituto<br />

Nazionale delle Assicurazioni in Roma).<br />

Tra il 1920 e il 19<strong>25</strong> la mani-<br />

[208] Disegno di Umberto Bellotto<br />

per il damasco prodotto per l’INA.<br />

fattura si trasferisce da campo San<br />

Vio, nei pressi dell’Accademia, ai<br />

Gesuiti (zona anticamente abitata,<br />

come s’è detto, dai “testori serici”,<br />

con altare devozionale nella chiesa omonima), da dove usciranno nel<br />

1934 i capolavori tessili disegnati da Gio’ Ponti, Vittorio Zecchin,<br />

Alfredo Carnelutti, esposti alla Biennale Internazionale d’Arte di<br />

Venezia. Nel dopoguerra, l’ascesa economica e sociale porta alla crescita<br />

produttiva e al potenziamento del settore industriale con l’occupazione<br />

di un grande capannone della fabbrica di fiammiferi Saf-


fa; infine, nel 1960,<br />

si invadono anche<br />

gli spazi della manifattura<br />

Trapolin, alla<br />

Madonna dell’Orto,<br />

in cui, all’epoca, erano<br />

ancora in funzione<br />

trenta telai semimanuali.<br />

Dal 1955<br />

[209-210] Telai a mano la ditta è diretta da Alessandro Favaretto,<br />

tradizionali e, a destra, discendente del mitico Lorenzo Rubelli, che<br />

la tessitura di un velluto la porterà a luminosissimi traguardi, tanto<br />

“giardino”.<br />

da meritare nel 2004 l’ambitissima onorificenza<br />

di Cavaliere al merito del Lavoro.<br />

A partire dagli anni settanta l’incremento dei costi di manodopera<br />

e materie prime, nonché, un capovolgimento di gusti e di valori,<br />

determinano una notevole crisi<br />

del settore. Nel 1980 rimangono<br />

soltanto tre tessitrici specializzate su<br />

telai al tiro (contro quindici operaie<br />

ai telai meccanici), che tuttavia lavorano<br />

non mancando qualche richiesta<br />

di riproduzione di tessuti antichi,<br />

soprattutto damaschi, per ritappezzare<br />

le dimore storiche. Si ricorda<br />

tra le altre la bella impresa della<br />

ricostruzione filologica delle stoffe<br />

degli ambienti del Caffè Pedrocchi a<br />

Padova, ma tessuti Rubelli sono pre- [211] Telai meccanici.<br />

senti in molti altri importanti palazzi<br />

veneziani, da Palazzo Ducale (appartamento del doge, di tipo<br />

“classico”) a Palazzo Cavalli Franchetti, sede dell’Istituto Veneto di<br />

Scienze, Lettere e<br />

Arti e oggi ambitissima<br />

sede espositiva<br />

(di tipo innovativo).<br />

Intuita la necessità<br />

di dover estendere<br />

l’attività fuori Venezia,industrializzandola<br />

sempre di più,<br />

si investe in tecnolo-<br />

[212] Stoffe Rubelli nella sala dei Ritratti a Palazzo<br />

Ducale, riconoscibile a destra il Cristo compianto<br />

di Giovanni Bellini.<br />

gie nuove: tra il<br />

1980 e il 2000 l’azienda<br />

entra nella<br />

gestione della storica<br />

ditta “Arte della seta<br />

Lisio” di Firenze e nel 1984 viene rilevata la “Tessitura serica Attilio<br />

Zanchi” di Cucciago (Como).<br />

Nella consapevolezza dell’importanza del design, anche nel tessuto<br />

d’arredo, affidato oggi ad architetti specializzati, si punta molto<br />

anche sulla progettazione e sulla creatività dei decori: ogni fabbrica<br />

ha il suo stilista, interno (con la sua équipe) o esterno, e una<br />

sua immagine di prodotto, supportata dal marchio, analogamente<br />

a quanto avviene nel mondo della moda. Naturalmente ogni anno<br />

vengono presentate nuove collezioni che cambiano radicalmente,<br />

anche se non con i ritmi stagionali del settore abbigliamento. Si<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

34<br />

tratta di un mercato di dimensioni ridotte rispetto a quello della<br />

moda, ma che costituisce un settore di nicchia di secolare tradizione<br />

e grande raffinatezza.<br />

A Venezia la sede centrale è situata nel rinascimentale palazzo<br />

Corner Spinelli, sul Canal Grande, dove è conservata un’importante<br />

collezione di tessuti storici, recuperati nel corso della vita dallo<br />

stesso Cavaliere; mentre a Marghera nell’edificio che fu sede della<br />

fabbrica di saponi e profumi Vidal, si sono trasferiti gli uffici operativi<br />

e tecnici. Nel 1995 la ditta<br />

Rubelli è stata premiata con la “Navetta<br />

d’oro” alla Biennale des Editeurs<br />

di Parigi, per la creatività e in<br />

particolare per il lampasso Mocenigo.<br />

Tra gli impegni più importanti e<br />

prestigiosi degli ultimi anni, sono<br />

[213] Il lampasso Mocenigo e il<br />

premio Navetta d’Oro.<br />

da ricordare la realizzazione delle<br />

tappezzerie per il teatro La Fenice di<br />

Venezia, sotto la supervisione dello<br />

scenografo Pier Luigi Pizzi, nonché<br />

di quelle del Teatro alla Scala di Milano, del San Carlo di Napoli,<br />

del Petruzzelli di Bari e altri ancora. Nel 2005 nell’appartamento<br />

storico e nella quadreria della Fondazione Querini Stampalia si tenne<br />

la mostra Lampassi, damaschi e broccati nei dipinti di Pietro Longhi:<br />

Rubelli interpreta il Settecento veneziano.<br />

Marchi del Gruppo sono: Rubelli Venezia, Dominique Kieffer,<br />

Donghia e Armani Casa Exclusive Textiles by Rubelli, Lisio e Bises<br />

Design. Nonostante ciò, l’avvocato, ci tiene molto a sottolineare<br />

che si tratta di un’azienda a conduzione familiare, in cui è effettivamente<br />

coadiuvato dai figli Andrea, Lorenzo, Nicolò, Matilde.<br />

Mariano Fortuny, l’artista-industriale<br />

che rivive nei suoi tessuti*<br />

PAOLO STEFANATO<br />

Itessuti Fortuny sono più celebri negli Stati Uniti che in Italia,<br />

dove si fabbricano. Sono tele di cotone splendidamente decorate<br />

con colori antichi, ori, argenti, in disegni arabescati che rimandano<br />

alla grande tradizione del Settecento veneziano, del Rinascimento<br />

fiorentino e delle manifatture orientali; sono stoffe<br />

morbide ma corpose, la mano sente i rilievi della stampa e l’occhio<br />

gode della ripetitività mai<br />

uguale dei motivi che si stagliano<br />

su fondi dalle sfumature cangianti.<br />

La loro bellezza per molti<br />

è quasi leggendaria e capita<br />

che qualche americano un po’<br />

troppo sensibile arrivi nella fabbrica<br />

e, nella sala dell’esposizio- [214] La sala delle stoffe.<br />

ne, dia segni di svenimento, colpito<br />

da una variante tessile della sindrome di Stendhal. Sono tele<br />

utilizzate per la decorazione d’interni e arredano le dimore di molte<br />

celebrità e case reali, negli Stati Uniti sono uno status symbol e lo<br />

s h o w r o o m sulla Terza Avenue a New York ha triplicato i suoi spazi<br />

(e a Venezia raddoppiati): il vero lusso non soffre crisi.<br />

La proprietà, da oltre cinquant’anni, è americana, ma la fabbri-


ca continua il suo lavoro con i pacifici<br />

ritmi veneziani, affacciata al Canale<br />

della Giudecca, antica isola industriale<br />

della laguna, proprio a<br />

fianco del Molino Stucky. Tutto è rimasto<br />

fermo agli anni venti, quando<br />

i vecchi laboratori furono spostati<br />

qui per avviare la produzione in serie:<br />

stessi locali, stesse macchine,<br />

[215-216] La sede alla Giudecca e,<br />

in basso, l’interno della fabbrica.<br />

stessi stampi, stessi prodotti di allora. Il computer è entrato negli<br />

uffici nel 2002 e resta confinato alla contabilità. Il processo è filtrato<br />

da una nebbia di mistero: nessuno ha accesso allo stabilimen -<br />

to, se non gli addetti. Le ricette<br />

sono note a quattro persone, ciascuno<br />

per il proprio segmento di<br />

lavoro: se un giorno mancassero<br />

contemporaneamente, i rulli di<br />

stampa resterebbero immobili e<br />

si dovrebbe ricorrere ai documenti<br />

depositati in cassaforte. Segreti gli ingredienti: pigmenti,<br />

colle, fissanti, tutto naturale; segreto il metodo, elaborato da Mariano<br />

Fortuny, che viene realizzato attraverso macchine da lui stesso<br />

concepite e rimaste intatte. Anche il macinino con cui si polverizza<br />

lo zinco è sempre lo stesso esemplare, come sono immutati gli<br />

immensi stendini in legno che permettono a una pezza lunga 120<br />

metri e larga uno e mezzo, di asciugare all’aria, stesa per due, tre<br />

giorni: quando in tutte le fabbriche del mondo da decenni si usano<br />

gli essicatori.<br />

Questa è produzione in serie, ma mai uguale; lo stesso colore,<br />

codificato in catalogo, se usato in giorni diversi appare diverso,<br />

perché la temperatura e l’umidità dell’aria incidono sul risultato e<br />

rendono le tinte più morbide e brillanti. Qualcosa di simile si può<br />

riscontrare forse solo nelle fabbriche di porcellana d’arte, dove l’uscita<br />

dei manufatti dal forno è sempre un’incognita. Finita l’asciugatura,<br />

poi, c’è l’intervento finale: teoricamente è un controllo di<br />

qualità, di fatto è un nuovo passaggio a mano, con pennelli e strumenti<br />

adatti, per ritoccare i disegni e rinvigorirli là dove manca<br />

freschezza. Dall’inizio della produzione di una tela – si tratta di cotone<br />

egiziano a fibra lunga di ottima qualità – alla sua conclusione<br />

si succedono decine di passaggi e trascorrono in tutto, tra lavorazioni<br />

e stasi di riposo, tre, quattro mesi. Il risultato è sempre un<br />

pezzo unico, come la prova d’autore di un’acquaforte: possedere un<br />

tessuto Fortuny – diventi esso un tendaggio, una tappezzeria, un<br />

copriletto – significa possedere un’opera d’arte autentica e, in qualche<br />

modo, irripetibile.<br />

Lo capì perfettamente una grintosa donna americana, Elsie Mc-<br />

Neill, che conobbe Mariano Fortuny e i suoi tessuti negli anni trenta,<br />

nel negozio che egli aveva aperto sugli Champs Elisées, a Parigi.<br />

Ottenne di rappresentarlo negli Stati Uniti, dove si rivelò una<br />

manager efficiente facendo penetrare quelle squisitezze italiane nelle<br />

case del bel mondo, dall’Atlantico al Pacifico, da Washington a<br />

Hollywood. La sua era vera passione, ma sostenuta da eccellenti<br />

abilità di vendita. Negli anni cinquanta fu l’erede naturale della<br />

fabbrica e dei suoi segreti, e lei stessa – morta nel 1994 più che centenaria<br />

e senza figli – scelse accuratamente il proprio successore non<br />

tra quanti premevano per appropriarsi della società, a suon di milioni,<br />

ma nel proprio avvocato, Maged Riad, un egiziano naturaliz-<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

35<br />

zato negli Stati Uniti, che in tanti anni di relazione di fiducia le<br />

aveva dimostrato di esserne degno: uno dei pochi casi al mondo di<br />

stabilimento ceduto non per soldi, ma per merito. E non una, ma<br />

due volte. I patti che reggono l’impresa sono tuttora “da gentiluomini”:<br />

la produzione sarà continuata con la massima fedeltà ai metodi<br />

del fondatore, con le stesse macchine e le stesse ricette, e mai<br />

sarà trasferita da Venezia.<br />

Lo si sarà capito: questa è molto di più di una fabbrica. È l’essenza<br />

stessa, il momento di sintesi, della personalità versatile di un<br />

artista di fama europea, che in questi<br />

tessuti espresse il suo gusto per<br />

l’arte, le sue capacità tecniche, la sua<br />

cultura storica, le sue abilità manuali:<br />

Mariano Fortuny y Madrazo, appunto,<br />

che si pronuncia con l’accenta<br />

sulla u, Fortùny, perché spagnolo<br />

di nascita. Fu pittore, inventore, fotografo,<br />

creatore di moda, disegna-<br />

tore di mobili e di lampade. Fu, non<br />

a caso, amico e socio di Gabriele<br />

D’Annunzio, con il quale condivise<br />

il gusto eclettico e il piacere di un’e-<br />

sistenza estetizzante. In vita, fu celebre soprattutto per un sistema<br />

di illuminazione a cupola capace di simulare la volta celeste nella<br />

scena dei teatri, una sua invenzione industrializzata dalla tedesca<br />

Aeg, che fu installata nelle principali città europee. Come pittore<br />

fu un eclettico dalle abilità virtuosistiche, partecipò regolarmente<br />

alle Biennali e brevettò una sua ricetta di colori a tempera; fu un<br />

designer ante litteram, incisore e acquafortista; come fotografo, raffinatissimo<br />

nel gusto, sperimentò<br />

nuove alchimie di stampa, come stilista<br />

fu conteso da donne del jet set<br />

come Eleonora Duse, la baronessa<br />

Rothschild, Isadora Duncan. Fu una<br />

griffe del tempo, e i suoi abiti richiesti<br />

tra il vecchio e il nuovo continente.<br />

Si fosse concentrato sulla hau -<br />

te couture, si fosse circondato di uo-<br />

[218] Mariano ritrae Dorothy<br />

Gish, sorella di Lillian, una delle<br />

prime star di Hollywood.<br />

[217] Autoritratto di Mariano<br />

Fortuny.<br />

mini d’affari capaci di estrarre dalla<br />

sua genialità il lato imprenditoriale,<br />

avrebbe conquistato la fama di un<br />

Louis Vuitton o di un Christian<br />

Dior. Invece, anche nel successo, re-<br />

stò sempre uno straordinario artigiano, “vittima” delle sue curiosità<br />

e della sua smodata attrazione per la ricerca.<br />

La sua storia è una bellissima avventura intellettuale nella cultura<br />

europea a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Nacque nel<br />

1871, a Granada, e solo tre anni dopo morì improvvisamente suo<br />

padre, Mariano come lui, pittore all’apice della fama. Da Roma, dove<br />

viveva, la famiglia si trasferì a Parigi. Anche il nonno materno,<br />

Federico de Madrazo, era pittore alla corte reale di Spagna, e fin da<br />

bambino il giovane Mariano frequentò, per studio o per amicizia, i<br />

più bei nomi della cultura di quegli anni, da Benjamin Constant,<br />

ad Auguste Rodin, a Giovanni Boldini. Adolescente, con la madre<br />

e la sorella si trasferì a Venezia, la città più ricca di suggerimenti<br />

artistici nel mondo. Prima a Palazzo Martinengo, poi a Ca’ Pesaro<br />

degli Orfei, oggi Palazzo Fortuny, museo a lui dedicato: vi arrivò


diciottenne nelle soffitte, enormi spazi nei quali poteva largheggiare<br />

in esperimenti, poi via via acquistò tutte le proprietà dai 150<br />

residenti, e restaurò la ricca dimora com’era stata nel Settecento.<br />

Mariano morì nel 1949, e la vedova Henriette Negrin, che gli sopravvisse<br />

sette anni, dopo il rifiuto dello Stato spagnolo, donò lo<br />

storico edificio al Comune di Venezia, vincolandolo al nome del<br />

marito. Fu lei, priva di eredi, a scegliere Elsie Mc Neill come prosecutrice<br />

dell’attività della fabbrica.<br />

Proprio nelle grandi soffitte Mariano avviò le prime decorazioni<br />

dei tessuti: l’ispirazione venne dalla collezione della madre, che<br />

questa dovette vendere in un momento di difficoltà economiche. Si<br />

fa risalire al 1907 la messa a punto dei metodi di stampa; il successo<br />

crebbe e nel 1921 fu aperta l’attuale fabbrica alla Giudecca;<br />

socio di capitali fu Giancarlo Stucky, allora titolare del celebre mulino<br />

confinante. L’attività si sviluppò con successo, frenata soltanto<br />

dall’onda lunga della crisi del 1929. Elsie Mc Neill, che la rilanciò<br />

pensando al mercato americano, si fece costruire<br />

un appartamento a fianco dello stabilimento,<br />

sposò un conte veneziano per acquisire<br />

un blasone e si dedicò, fino alla fine,<br />

a una intelligente opera di valorizzazione,<br />

tra arte e business.<br />

Oggi l’azienda è condotta da un giovane ge -<br />

neral manager, Giuseppe Iannò, qui dal<br />

[219] Elsie Mc Neill<br />

ritratta con un delphos.<br />

2007, fedele appassionato della tradizione<br />

che ha tra le mani; i suoi riferimenti sono<br />

Michael e Maurice Riad, i due figli dell’avvocato<br />

Maged. In termini economici non si<br />

tratta di grandi numeri: il valore al pubblico della produzione si<br />

calcola intorno ai 7-8 milioni di euro, all’incirca 20mila metri di<br />

stoffa all’anno, 26 dipendenti che presto diventeranno 28. Il principale<br />

cliente della Fortuny spa di Venezia è la Fortuny Inc. di New<br />

York, la società commerciale della stessa famiglia, che poi diffonde<br />

il prodotto attraverso agenti in tutto il mondo: i profitti si formano<br />

soprattutto lì, Oltreoceano. “Credo di essere l’unico manager in<br />

Europa a non avere obiettivi di vendita, perché i proprietari non me<br />

lo chiedono” scherza Iannò. “Il mio compito è quello di mantenere<br />

altissima la qualità del prodotto e di difendere l’azienda dalle copie”.<br />

In realtà di emulatori-falsari ne esistono numerosi, ed è uno<br />

dei motivi per cui dei tessuti Fortuny non è mai stato pubblicato<br />

un catalogo: “Basta variare un dettaglio, e si eludono le protezioni”<br />

spiega Iannò. “Le nostre referenze sono sessanta in tutto. L’archivio<br />

è fatto di duecento disegni originali, moltissimi sono inediti e li<br />

mettiamo in produzione con parsimonia; una ventina risalgono al<br />

Ventennio, con decorazioni di aquile e fasci littori”. I nomi dei modelli<br />

rendono l’idea del mondo classico e un po’ onirico al quale appartengono:<br />

De’ Medici, Lucrezia, Boucher, Malmaison, Vivaldi,<br />

Caravaggio... Ma è già in programma una collezione nuova, che nasce<br />

anche dalla collaborazione con il Museo Fortuny, ospitato nello<br />

splendido palazzo-residenza e si vanno estendendo le relazioni della<br />

società con collezioni pubbliche e private, specie negli Stati Uniti<br />

e in Spagna, anche con scopi semplicemente culturali, e non di<br />

business, per approfondire la conoscenza di questo strano artista-inventore-industriale,<br />

che aveva l’animo ancorato alle radici della bellezza<br />

e la mente assediata dal mito del progresso.<br />

* pubblicato da Il Giornale, 2 novembre 2009. Per gentile concessione.<br />

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Gli arazzi bizzarri di Liselotte Höhs<br />

DORETTA DAVANZO POLI<br />

Il modo di raccontare pittorico di Liselotte Höhs, veneziana d’adozione,<br />

solo apparentemente semplice, in realtà molto concettuale,<br />

è sintesi geniale di uno stato d’animo, di un ricordo<br />

antico, di un sentimento improvviso. Pretesto ispirativo può essere<br />

un paesaggio esotico, uno scorcio folcloristico, un evento culturale,<br />

un’esperienza quotidiana, un prodotto commerciale, tutti gli animali<br />

sia familiari che allegorici. La tavolozza usata è vivace: colori<br />

decisi accostati in maniera insolita, spesso in contrasto originale. La<br />

resa è assolutamente libera, apparentemente istintiva, non imbrigliata<br />

da pastoie prospettiche né da regole pittoriche.<br />

Il procedimento seguito nella realizzazione di questi “arazzi bizzarri”,<br />

che Liselotte dice appreso in Ghana e nel Benin, è paragonabile<br />

a quello delle tarsie lignee o<br />

marmoree, definito “a commesso”. S i<br />

costruisce una composizione, anche<br />

molto complessa, accostando frammenti<br />

di forme e materiali diversi:<br />

su una o più superfici di fondo, sup-<br />

[220-221] Garibaldi e il re, 1984<br />

e, in basso, Pavone, 1989.<br />

portate da un telo di sostegno, si<br />

vanno progressivamente aggiungendo,<br />

seguendo un determinato progetto<br />

grafico (qualche volta disegna-<br />

to su cartone) le varie “toppe” policrome, precedentemente ritagliate,<br />

applicate con spilli e poi cucite con un semplice sopraggitto.<br />

I differenti frammenti tessili utilizzati, di dimensioni variabili,<br />

mai comuni o banali, ricavati da scampoli sempre preziosi, anche<br />

antichi o comunque tessuti su telai manuali storici (come i lampassi<br />

o i broccati di Bevilacqua o Rubelli), oppure stampati à po -<br />

choir (come i velluti o le sarge di Mariano Fortuny), sono suddivisi<br />

da Liselotte per soggetti: “cieli”, “tetti”, “prati”, “mari”, e così via.<br />

Quando deve rafforzare il simbolismo di un elemento compositivo,<br />

utilizza anche schegge di merletti e di ricami, metalli, vetri,<br />

piccoli oggetti. Alcuni elementi del disegno, imbottiti con cotone<br />

o altro, producono curiosi effetti volumetrici, da bassorilievo, tradendo<br />

le origini austriache dell’artista: fin dal tardo medioevo infatti<br />

è tipica dell’ opus teutonicum,<br />

cioè del modo di ricamare delle<br />

antiche popolazioni germaniche,<br />

la consuetudine tradizionale<br />

all’imbottitura, che rendeva<br />

plasticamente tridimensionali le<br />

agopitture. Completata l’opera,<br />

solitamente di grandi dimensioni<br />

(150x170 cm), si procede alla<br />

rifinitura e alla decorazione dei bordi, nonché alla foderatura definitiva.<br />

Fino ad oggi Liselotte Höhs ha creato una cinquantina di<br />

“tarsie” tessili, che si possono definire anche “mosaici soffici”.<br />

Da qualche anno Liselotte ha iniziato a occuparsi di tappeti, realizzandone,<br />

con la collaborazione di maestranze tibetane, anche di<br />

enormi dimensioni, dai colori inconsueti, raffiguranti motivi ingigantiti<br />

tratti dal repertorio di Mariano Fortuny (con animaletti accoccolati<br />

negli angoli), oppure da fantasmagoriche rappresentazioni<br />

di Venezia, a metà strada tra realtà storica e visione onirica.


Merletti contemporanei<br />

DORETTA DAVANZO POLI<br />

Afine Ottocento aristocrazia e politica, con il patrocinio di<br />

Margherita di Savoia, elaborano un progetto per il rilancio<br />

del merletto veneziano: prima a Burano dove, recuperata<br />

un’anziana maestra per insegnare i rudimenti dell’arte, avviano<br />

il 24 marzo 1872 la celebre Scuola, poi se ne aprono altre a Venezia,<br />

nel Litorale, in Terraferma, grazie anche a imprenditori progressisti<br />

come Michelangelo Jesurum, che nel 1905, a Pellestrina,<br />

inaugura un antesignano museo del merletto, il primo in Italia. I<br />

decori preferiti sono tratti dai repertori del passato: si riproducono<br />

tutte le tipologie stilistiche, spesso con una precisione tecnica superiore<br />

alle originali, mentre restano modesti i rinnovamenti grafici<br />

ispirati all’Art Nouveau o al Déco.<br />

L’attività prosegue per decenni grazie alle<br />

generose commissioni dei Reali e ai finanziamenti<br />

privati della famiglia Marcello,<br />

ma il mutare delle mode e la diminuita disponibilità<br />

finanziaria generale, stravolta<br />

dalla grande guerra, porteranno a un inarrestabile<br />

declino. Durante il fascismo i media<br />

(soprattutto le riviste di cucito e ricamo)<br />

continuano a reclamizzare i merletti di Venezia<br />

e di Burano, luoghi in cui si riescono<br />

ancora a realizzare veri capolavori anche grazie<br />

ai disegni innovativi di artisti come Vittorio<br />

Zecchin, Ugo Nebbia, Tomaso Buzzi,<br />

Giulio Rosso, Carlo Dalla Zorza, Romualdo<br />

Scarpa; gli enti nazionali della moda e dei<br />

lavori femminili con folcloristici eventi nazional-popolari<br />

tentano di promuoverne<br />

nuovamente l’immagine. Tuttavia la tendenza<br />

a persistere su modelli iconografici<br />

del passato, l’altissimo costo delle manifatture<br />

rispetto ai pizzi meccanici e chimici, la<br />

concorrenza dei numerosi altri centri produttivi<br />

di altissima qualità sorti in Italia,<br />

renderanno vane tutte le pubblicità e inutili<br />

le rare sovvenzioni del governo.<br />

[224] Cuffia nuziale di merletto<br />

degli anni cinquanta.<br />

[2 2 2 - 2 2 3] La contessa<br />

Andriana Marcello e, in<br />

basso, profusione di<br />

merletti sul principe<br />

Vittorio Emanuele,<br />

ritratto con la regina<br />

Margherita, in una tela<br />

del Museo Correr.<br />

Nel secondo dopoguerra, scomparsi i<br />

clienti importanti, si realizzano accessori<br />

quali colletti, cuffiette, fazzolettini,<br />

incrostazioni per abiti, s o u v e -<br />

nirs (farfalline o fiori-spille, centrini<br />

con vedute stilizzate di piazza San<br />

Marco o del ponte di Rialto), alla<br />

portata di un turismo meno elitario.<br />

Negli anni settanta non esistono più<br />

scuole e i pochi storici negozi di<br />

merletti si limitano a vendere i fon-<br />

di di magazzino, ma soprattutto merci grossolane prodotte in Cina.<br />

Un decennio dopo, però, l’iniziativa di un Consorzio voluto da<br />

un gruppo di enti pubblici e privati, porta nel 1981 all’apertura<br />

del Museo della Scuola, a una serie di mostre tematiche di grande<br />

successo curate da chi scrive, nonché all’organizzazione di corsi<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

37<br />

[2 2 5 - 2 2 6] Merletti contemporanei: in<br />

alto, ventaglio di Lucia Costantini<br />

creato nel 1984 durante il corso di<br />

merletto e, a sinistra, G e o m e t r i e d i<br />

Rosetta Stangherlin, 1996.<br />

teorico-pratici sull’arte del merletto<br />

di Venezia e Burano, tenuti<br />

da anziane e ancora molto<br />

brave maestre superstiti; Pellestrina<br />

si adegua con iniziative<br />

analoghe, esposizioni e s t a g e s. Le<br />

nuove operatrici diffondono a<br />

loro volta l’arte, con cicli di lezioni<br />

organizzati singolarmente<br />

o a gruppi. Si ricordano tra le<br />

diplomate Lucia Costantini (che<br />

sarà invitata a insegnare negli<br />

Stati Uniti, in Giappone, in India), Rosetta Stangherlin, il gruppo<br />

della Cooperativa, le merlettaie del<br />

“corso dei merletti di Burano”, la<br />

Settemari, Cristina Brunello, Grazia<br />

Cardazzo e poi l’Associazione Leon<br />

in Moleca che promuove l’arte a Mestre<br />

e in Terraferma. Accumulati<br />

premi e diplomi onorifici nelle più<br />

importanti manifestazioni internazionali,<br />

per qualche tempo l’insegnamento<br />

entra nelle scuole medie di Burano e nell’Istituto d’Arte<br />

ai Carmini di Ve n e z i a .<br />

Nel 2008 è stato fatto un innovativo seminario intitolato<br />

“Scuola-bottega del merletto di Burano”, finanziato dalla Regione<br />

Veneto e promosso da Confartigianato della Provincia di Venezia,<br />

dalla Fondazione Andriana Marcello, dalla Camera di Commercio e<br />

dall’Istituto Veneto per il lavoro, e organizzato da Con-Ser srl, che<br />

cercava di formare dodici merlettaie imprenditrici di sé stesse. La<br />

formazione è durata otto mesi, per un totale di mille e cento ore,<br />

occupate nell’apprendimento della tecnica, nel suo perfezionamento,<br />

ma anche nello studio di storia dell’arte, di cultura del merletto<br />

(nelle principali tecniche, in particolare di quelle ad ago e a fuselli),<br />

di comunicazione, socializzazione e orientamento alla professione,<br />

lingua inglese, informatica, management. Alla fine soltanto la<br />

metà di loro ha proseguito con buoni risultati su tale strada.<br />

Oggi, dopo un restauro conservativo del palazzetto gotico già<br />

sede della Scuola, di proprietà (così come un notevole quantitativo<br />

di eccezionali merletti ivi realizzati) della Fondazione Andriana<br />

Marcello, il <strong>25</strong> giugno di quest’anno si è riaperto il museo storicodidattico,<br />

che presenta a rotazione i più straordinari esemplari manufatti<br />

a Venezia nei secoli XV-XIX, nonché i capolavori eseguiti<br />

tra fine Ottocento e prima metà del Novecento proprio nel mitico<br />

opificio. Questo serve a diffondere la conoscenza dei merletti fatti<br />

a mano e a permettere a un numero maggiore di persone di riconoscerne<br />

la differenza con quelli fatti a macchina, venduti come autentici<br />

nei negozi di specialità veneziane e perfino utilizzati (complice<br />

l’ignoranza nello specifico) dalle grandi firme su costosissimi<br />

capi di altamoda.<br />

Infine un sogno. Venezia ha una Biennale d’Arte, che fin dall’inizio<br />

aveva dedicato molto intelligentemente un padiglione alle<br />

arti applicate storicamente più importanti: in particolare vetri, tessuti,<br />

merletti, oreficeria e così via. Perché non riaprire tale padiglione<br />

dando di nuovo la giusta meritevole visibilità internazionale<br />

ad arti venezianissime e di straordinaria qualità, come il merletto<br />

e il tessuto?


Stucco e intonaco veneziano.<br />

La tradizione nella contemporaneità<br />

CHIARA TOLIN<br />

Il patrimonio culturale ereditato dal passato ci offre la possibilità<br />

di riscoprire tecnologie, tecniche e accorgimenti ignorati<br />

dalle trattazioni moderne ma che in ambienti storici, nel nostro<br />

caso veneziani, risultano fondamentali per conservare ed esaltare le<br />

peculiarità tecnologiche ed<br />

estetiche dei beni culturali<br />

ed architettonici. L’ i n t e n t o<br />

di recuperare e mantenere<br />

viva la tradizione e l’arte<br />

dello stuccoforte veneziano,<br />

detto anche marmorino, ha<br />

portato l’Unione Stuccatori<br />

Veneziani a svolgere la sua<br />

attività, sia nella decorazione<br />

di interni che nel rivesti-<br />

[227-228] Il sontuoso apparato decorativo in<br />

stucco della sala delle Quattro Porte a<br />

Palazzo Ducale e, a sinistra, la<br />

preparazione delle polveri di marmo per lo<br />

stucco da una stampa del XVI secolo.<br />

mento plastico di esterni, utilizzando<br />

lo stucco, una miscela variabile di<br />

calce aerea e polveri di marmo, che<br />

nelle mani dello stuccatore prende<br />

forma per diventare una superficie<br />

levigata simile al marmo.<br />

Questo tipo di intonaco è un rivestimento di origine antichissima,<br />

conosciuto sicuramente nel mondo greco orientale e in quello<br />

dell’antica Roma: a esso si riferiscono<br />

già i primi trattatisti, Vitruvio<br />

e Plinio, quando parlano di alba -<br />

rium opus, cioè stucco, intonaco bianco.<br />

Il marmorino è stato utilizzato<br />

nella realizzazione di grottesche, capitelli,<br />

paraste, festoni e figure quasi<br />

a tutto tondo e nel rivestimento di<br />

interni e facciate esterne, sia per la<br />

[229] Stesura di un intonaco da sua capacità di adeguarsi a ogni tipo<br />

Della Architettura di Giovanni di linguaggio e stile, sia per la sua<br />

Antonio Rusconi del 1590. qualità di resistenza all’aggressione<br />

delle intemperie.<br />

Nel corso dei secoli gli stuccatori formarono il volto di Venezia<br />

imprimendo quel tono bianco-rosato che ancor oggi si conserva così<br />

forte nell’edilizia antica lagunare. L’opera dello stuccatore riempie<br />

ogni ambiente e lo stucco diventa elegante abbellimento e imitazione<br />

di superfici più nobili, pur essendo un materiale economico.<br />

Nel Novecento però la figura dello stuccatore viene progressivamente<br />

ridimensionata e si perde nel ricambio generazionale: oggi<br />

spesso tutto si riduce alla realizzazione di superfici e intonaci<br />

predisposti per essere eseguiti da operatori non specializzati, utilizzando<br />

materiali di produzione industriale con gli stessi nomi di<br />

quelli della tradizione artigianale.<br />

L’esperienza dell’Unione Stuccatori Veneziani dimostra invece<br />

come sia ancora presente il desiderio da parte di committenti, so-<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

38<br />

prattutto privati, di realizzare all’interno di ambienti ormai scevri<br />

da qualsiasi peculiarità originale rivestimenti e apparati decorativi,<br />

ispirati ai grandi esempi di decorazione veneziana, che valorizzino<br />

le loro residenze creando superfici sia classiche che moderne. Lo<br />

stucco incamera in sé l’eleganza delle forme e la funzionalità necessarie<br />

a soddisfare anche le nuove esigenze dello stile di vita moderno,<br />

in ambienti che vengono studiati nel rispetto delle qualità biodinamiche<br />

delle strutture, del benessere e della salute dell’uomo.<br />

La complessità di queste lavorazioni rende difficile una breve<br />

descrizione della realizzazione di un apparato decorativo in stucco.<br />

Per un apparato classico di solito si comincia con la preparazione di<br />

bozzetti, campionature di forme e di colore, modelli in scala per<br />

creare un progetto armonico che coniughi i desideri e le aspirazioni<br />

della committenza con le dimensioni e la composizione delle superfici<br />

dell’ambiente esistente. Poi in cantiere, stabilite le miscele<br />

degli impasti grazie a prove e<br />

campionature, si stende sulla<br />

muratura il primo strato chiamato<br />

rinzaffo, a base di calce e<br />

inerti a grana grossa, che ha la<br />

peculiarità di far presa anche in<br />

[230-232] Momenti diversi nella<br />

realizzazione di un apparato decorativo<br />

a rilievo in marmorino.<br />

presenza di forte umidità garantendo<br />

la traspirabilità necessaria<br />

in luoghi umidi; di seguito sono<br />

applicati alcuni strati di arriccio<br />

ottenendo uno spessore ruvido, ma spianato, per il successivo strato<br />

di finitura. Su questo intonaco lo stuccatore disegna la decorazione<br />

in scala 1:1 mediante l’ausilio di sagome di cartone o di spolveri<br />

che ha predisposto.<br />

La scelta di utilizzare uno o l’altro metodo dipende dagli elementi<br />

decorativi che andranno poi realizzati: la sagoma dà la possibilità<br />

di definire le curve e le forme di fasce e campiture, mentre<br />

lo spolvero, creato bucando la<br />

carta del disegno-bozzetto con<br />

sequenze di fori lungo ogni linea<br />

da riprodurre, si presta a decorazioni<br />

a stucco con un’alta<br />

concentrazione di dettagli.<br />

[233-235] Fasi di realizzazione di una<br />

decorazione in stucco: in alto la<br />

preparazione del disegno, a destra, lo<br />

spolvero realizzato mediante la<br />

bucatura del bozzetto e, in basso, il<br />

maestro Mario Fogliata durante la<br />

modellazione dell’ornato.<br />

L’esecuzione della finitura si<br />

realizza in più strati lavorati a<br />

fresco a formare un unico monostrato,<br />

suddivisi tra una prima<br />

mano di magro a setacciatura


[236-237] Lisciatura a cazzuolino e, a<br />

destra, gli strumenti dello stuccatore.<br />

calcarea grossa, alcune mani<br />

intermedie di grassa, ricche<br />

di calce con setacciatura media,<br />

e uno strato ultimo di<br />

pulimento a setacciatura<br />

molto fine. L’intonaco, se-<br />

condo la tecnica tradizionale veneziana,<br />

viene lucidato a cazzuolino,<br />

conferendo alla superficie l’aspetto<br />

di una pietra di marmo; la lavorazione<br />

delle superfici si esegue in più giorni, tanti quanti sono i livelli<br />

tra le specchiature. Per ottenere un buon risultato, confrontabile<br />

con quello dei grandi maestri del passato, è necessaria competenza<br />

e lunga esperienza. La perizia nello scegliere il legante e gli inerti<br />

più idonei, la mescola degli impasti e i tempi della loro maturazione<br />

prima dell’utilizzo, la conoscenza delle diverse tecniche di<br />

stesura e dell’uso degli attrezzi, l’esperienza sui supporti e la manualità<br />

possono essere appresi in forma teorica ma resta fondamentale<br />

un lungo apprendistato.<br />

Benvenuti nella mia bottega!<br />

I ragazzi incontrano gli artigiani<br />

ANNA FORNEZZA<br />

Igiovani di oggi – generazione delle “cose già fatte”, “già pronte”<br />

e soprattutto delle “scelte/richieste tutte uguali” per potersi<br />

sentire gruppo, comunità – sono lontani dal riconoscere<br />

l’importanza delle cose realizzate a mano,<br />

create da un desiderio che si fa prima reale<br />

nella mente e poi materiale grazie alla mano<br />

guidata dalla ragione. Sembra un processo<br />

complicato ma in realtà è naturale, solo<br />

che deve essere stimolato da un “non avere”<br />

da un “non riuscire” e quindi dalla necessità<br />

di mettere in moto l’intelligenza e poi la<br />

manualità. L’artigiano è infatti l’uomo arti -<br />

fex che ha permesso il costituirsi di villaggi<br />

[238] Il tagliapietra. prima e città poi e che ha saputo caratterizzare<br />

una civiltà dall’altra.<br />

Far capire ai ragazzi l’importanza di rimettere in moto queste<br />

“emozioni” e poi, anche se non ritroveranno in loro delle vere e proprie<br />

abilità, renderli consapevoli che in una civiltà non possono venir<br />

meno questi artefici per non rischiare di spegnere secoli di storia,<br />

di tradizione, esperienza, intuizioni e applicazioni. Sarebbe come<br />

dare preminenza alle cose<br />

piuttosto che alle persone che<br />

fanno le cose. Far conoscere le<br />

cose del passato per promuovere<br />

le persone di oggi: questo si pre-<br />

[239] Gli alunni incontrano l’arte<br />

fabbrile da Tenderini.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

39<br />

[2 4 0 - 2 4 2] Nella bottega del remer P a o l o<br />

Brandolisio per conoscerne strumenti e<br />

prodotti come le pialle e i remi.<br />

figge il progetto didattico Il me -<br />

stiere dell’artigiano. Benvenuto nel -<br />

la mia bottega! ideato e curato da<br />

ArtSystem, associazione culturale<br />

no profit, accolto e sostenuto<br />

dalla Confartigianato di Venezia<br />

e da alcune istituzioni<br />

pubbliche.<br />

Un’esperienza del tutto inedita<br />

offerta alle scuole elementari,<br />

medie e superiori del distretto<br />

scolastico veneziano per avvicinare<br />

otto mestieri tipici della<br />

nostra tradizione attraverso la disponibilità ad aprire le porte delle<br />

loro botteghe da parte di trentacinque aziende. Fabbri, falegnami,<br />

calzolai, maestri vetrai, fornai, orafi e argentieri, costruttori di barche<br />

in legno, forcole e remi, scalpellini. Per ognuno è stato studiato<br />

un percorso unico come unici sono i loro prodotti, tutti si sono<br />

dimostrati entusiasti di poter avvicinare i giovani che purtroppo<br />

non riescono più a far crescere nelle loro botteghe.<br />

Ogni percorso è stato corredato da materiale didattico, contestualizzato<br />

storicamente e, quando possibile, si è cercato un riscontro<br />

diretto con<br />

la produzione del<br />

passato nei luoghi<br />

della città preposti<br />

alla conservazione.<br />

Sono state fondamentali<br />

pertanto le<br />

collaborazioni con<br />

istituzioni quali il<br />

Centro studi di sto-<br />

[243] Incontro col maestro vetraio alla Scuola del<br />

Vetro Abate Zanetti di Murano.<br />

ria del tessuto e del<br />

costume di Palazzo<br />

Mocenigo, il Museo<br />

del Vetro a Murano,<br />

la Scuola del Vetro Abate Zanetti, il Museo di Ca’ Rezzonico, il<br />

Museo diocesano di arte sacra.<br />

L’attività didattica di ogni singolo mestiere è stata sempre condotta<br />

da operatori specializzati in grado di guidare e mediare la conoscenza<br />

tra i giovani e l’artigiano. Questo particolare approccio ha<br />

dato un valore aggiunto allo stesso uomo artifex che i ragazzi hanno<br />

imparato a capire e soprattutto ad apprezzare per quello che sa<br />

fare: oggetti che durano nel tempo, unici e di utilità comune scardinando<br />

la mentalità corrente delle cose tutte uguali e fatte per<br />

rompersi ed essere ricomperate.<br />

Una sfida oltre che culturale anche educativa che ha riscontrato<br />

un alto gradimento nelle adesioni – quasi duemila bambini/ragazzi<br />

nel 2010, più di duemiladuecento nel 2011 nei quattro mesi<br />

di attività pratica che vanno da febbraio a maggio – e nei giudi-


zi degli insegnanti. Importante nella diffusione del progetto anche<br />

il contributo della stampa locale che ha dato voce alla storia, alla<br />

tradizione, agli artigiani nel contesto economico della città oltre<br />

che ai bambini.<br />

Quest’anno è stato anche lanciato il concorso tra le scuole partecipanti<br />

Disegna l’oggetto che vorresti per tentare di smuovere la fantasia<br />

e la voglia dei nostri giovani<br />

per qualche cosa di nuovo, di<br />

utile o semplicemente bello per<br />

se stessi o la collettività. Anche<br />

questa esperienza ha portato risultati<br />

inattesi non solo dal punto<br />

di vista progettuale e grafico<br />

ma addirittura materiale. Grazie<br />

[244-245] Piccola apprendista calzolaio<br />

e, a sinistra, diverse tipologie di pane<br />

realizzate dagli alunni.<br />

alla pazienza e alla generosità di<br />

un nostro calegher ( c a l z o l a i o ) ,<br />

cinque ragazze di scuola media<br />

sono riuscite con tenacia a progettare<br />

e fare cinque borse in pelle per le quali hanno ottenuto un<br />

riconoscimento speciale da parte dell’organizzazione del progetto.<br />

L’edizione 2011 chiude con la piena soddisfazione dei ragazzi<br />

e dei loro insegnanti ma anche degli stessi artigiani. In particolare<br />

merita segnalare come gli orafi e<br />

gli argentieri abbiano trovato un<br />

luogo ideale per raccontare la loro<br />

storia – e non solo – al Museo Diocesano<br />

d’Arte Sacra di Venezia, unica<br />

realtà veneziana a conservare in<br />

una sala oltre duecento pezzi di suppellettili<br />

sacre preziose databili dal<br />

XIV al XXI secolo. In questo luogo<br />

molti di loro hanno deciso di alle-<br />

[246] Incontro con l’oreficeria.<br />

stire un banco da lavoro con gli<br />

utensili del mestiere, molti appartenuti<br />

ai loro maestri e oggi utili per continuare a non dimenticare.<br />

Fa piacere infine ricordare che quest’anno Il mestiere dell’artigia -<br />

no. Benvenuto nella mia bottega! è stato sostenuto dall’Ufficio Regionale<br />

per la Scienza e la Cultura in Europa dell’UN E S C O per il contributo<br />

offerto da questa iniziativa alla salvaguardia dei mestieri tradizionali<br />

come parte integrante del patrimonio culturale immateriale.<br />

Per saperne di più... libri & siti web<br />

SU L L E ART I DE C O R AT I V E & L’ ART I G I A N AT O ART I S T I C O<br />

•FRANCO BRUNELLO, Arti e mestieri a Venezia, Vicenza 1981.<br />

•MANLIO CORTELAZZO (a cura di), Cultura popolare del Veneto. Arti<br />

e mestieri tradizionali, Milano 1989.<br />

•DORETTA DAVANZO POLI, Le arti decorative a Venezia, Azzano San<br />

Paolo (BG) 1999.<br />

•ELISABETH DRURY, Storia e tecniche delle arti decorative, Novara<br />

1988.<br />

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40<br />

•NORBERT HEYL eCRISTINA GREGORIN, Venezia. Gli artisti arti -<br />

giani, Treviso 2000.<br />

•ANTONIO MANNO, I mestieri di Venezia. Storia, arte e devozione del -<br />

le corporazioni dal XIII al XVIII secolo, Padova 1995.<br />

•MICHELA SCIBILIA, Venezia. Botteghe e dintorni, Treviso 2004.<br />

SU L LE G N O<br />

•GIOVANNI CANIATO (a cura di), L’arte dei remeri. I settecento anni<br />

dello statuto dei costruttori di remi, Verona 2007.<br />

•GIOVANNI CANIATO (a cura di), Con il legno e con l’oro. La Venezia<br />

artigiana degli intagliatori, battiloro e doratori, Verona 2009.<br />

•MARC DE TOLLENAERE, Gondole, Padova, 2009.<br />

•GIANFRANCO MUNEROTTO, La gondola nei secoli. Storia di una con -<br />

tinua trasformazione tra architettura navale e arte, Treviso 2011.<br />

•GILBERTO PENZO, La gondola. Storia, progettazione e costruzione del -<br />

la più straordinaria imbarcazione di Venezia, Venezia 1999.<br />

• www.elfelze.org<br />

SU ME TA L L I & OR E F I C E R I A<br />

•LINA PADOAN URBAN, L’arte dei tira e battiloro, Venezia 1989.<br />

• Oro di Venezia. Splendori dell’oreficeria veneziana e veneta dal Medioe -<br />

vo al Neoclassico fino ai giorni nostri, catalogo della mostra, Venezia<br />

2002.<br />

• www.veneziaoro.org<br />

SU L VE T R O<br />

•PAULINE MARASCUTTO eMARIO STAINER, Perle veneziane, Verona<br />

1991.<br />

• Perle e impiraperle. Un lavoro di donne a Venezia tra Ottocento e Nove -<br />

cento, catalogo della mostra, Venezia 1990.<br />

•GIOVANNI SARPELLON, Miniature di vetro. Murrine 1838-1924,<br />

Venezia 1990.<br />

• http://perle.csaamilano.it<br />

• www.doyoubead.com<br />

SU ST O F F E, ME R L E T T I & CU O I O<br />

• Liselotte Höhs. Arazzi bizzarri, catalogo della mostra, Venezia<br />

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•DORETTA DAVANZO POLI, Il merletto veneziano, Novara 1998.<br />

•DORETTA DAVANZO POLI, Seta & oro. La collezione tessile di Maria -<br />

no Fortuny, Verona 1997.<br />

•DORETTA DAVANZO POLI eSTEFANIA MORONATO, Le stoffe dei ve -<br />

neziani, Venezia 1994.<br />

• Mariano Fortuny, catalogo della mostra, Venezia 1999.<br />

•MARIABIANCA PARIS (a cura di), Manufatti in cuoio. Conservazione e<br />

restauro, Milano 2001.<br />

• www.fioretombolo.net<br />

• www.merlettovenezia.it<br />

SU L L O ST U C C O<br />

•CARLA ARCOLAO, Le ricette del restauro, Venezia 2001.<br />

•MARIO FOGLIATA eMARIA LUCIA SARTOR, L’arte dello stucco. Sto -<br />

ria, tecnica, metodologie della tradizione veneziana, Treviso 2004.<br />

• Lo stucco. Cultura, tecnologia e conoscenza, a cura di Guido Biscontin,<br />

atti del convegno di studi di Bressanone (luglio 2001), Venezia<br />

2001.<br />

• www.unisve.it


Progetto “Sulle Ali degli Angeli”.<br />

Il punto sul restauro del mosaico<br />

ETTORE VIO<br />

Sceso dal cielo, il racconto della Creazione dell’uomo e della<br />

donna evidenzia la loro libertà che li porta fuori dall’Eden<br />

verso una vita di sofferenza, alla quale Dio dà la speranza di<br />

una futura redenzione e salvezza. Per procedere nel restauro l’azione<br />

dei mosaicisti si muove in senso contrario alla narrazione della<br />

Creazione. L’ u o m o ,<br />

dal mondo esterno al<br />

Paradiso, riappare<br />

nelle scene della tentazione,<br />

della trasgressione,<br />

inserito<br />

nel mondo creato<br />

ricco di animali, di<br />

pesci, di uccelli, di<br />

una natura con ogni<br />

genere di piante. Il<br />

lavoro procede verso<br />

le sfere del mondo<br />

celeste. Sembra qua-<br />

[247-249] Parte del mosaico della cupola che<br />

rappresenta il terzo giorno della genesi con la<br />

creazione delle piante e, a sinistra, il primo giorno con<br />

la separazione della luce dalle tenebre.<br />

In basso, il restauro della sommità della cupola.<br />

si che il recupero del<br />

manto musivo della<br />

Genesi, avvenendo a<br />

ritroso del percorso<br />

creativo, sia metafora<br />

del recupero del<br />

Paradiso terrestre,<br />

come promesso da<br />

Dio, attraverso la redenzione<br />

dell’uomo dal peccato realizzata a costo della Passione e<br />

della Morte del Figlio Gesù Cristo.<br />

Le scene, riacquistata la loro vivacità, consolidate, integrate e<br />

ripulite da secolari polveri, cantano il messaggio d’amore leggibile<br />

in ogni scena, in ogni giornata sottolineata dal numero degli angeli,<br />

“coreuti” festanti e partecipi alla gioia della Genesi.<br />

Le immagini illustrano le ultime fasi dell’intervento conservativo<br />

in cui i mosaicisti ormai toccano il cielo. Una speranza è di poter<br />

far brillare le tessere di madreperla dell’aureola e delle vesti di<br />

Dio, aprendo al pubblico la cupoletta della Genesi per la solennità<br />

del Santo Natale 2011, anniversario della nascita del Cristo, che<br />

diede inizio alla Redenzione del mondo promessa da Dio.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

41<br />

La “Missione Fortuny” a favore del<br />

Museo di Palazzo Fortuny<br />

Mariano Fortuny y Madrazo nasce a Granada nel maggio<br />

del 1871 in un ambiente in cui si respira arte: il padre,<br />

Mariano Fortuny y Marsal, era infatti un apprezzato pittore<br />

mentre la madre, Cecilia de Madrazo, discendeva da una famiglia<br />

che contava generazioni di pittori. Rimasto orfano a soli tre anni,<br />

Mariano si trasferisce con la madre a Parigi dove inizia quegli<br />

studi pittorici che proseguirà poi a Venezia, città in cui si trasferirà<br />

diciottenne nel 1889 e che sarà la sua definitiva residenza: qui infatti<br />

scompare nel 1949 all’età di settantotto anni a Palazzo Pesaro<br />

degli Orfei, oggi imprescindibilmente legato alla sua figura e conosciuto<br />

come Palazzo Fortuny.<br />

Celebre per lo più per l’attività tessile – le sue stoffe, i tessuti<br />

stampati e i modelli di abbigliamento sono conosciuti in tutto il<br />

mondo quali sinonimo di eleganza, buon gusto e raffinatezza – Mariano<br />

è però anche scenografo e<br />

inventore di dispositivi illuminotecnici<br />

per il teatro. Al suo<br />

genio e alla sua creatività <strong>Venice</strong><br />

<strong>Foundation</strong> ha deciso di dedicare<br />

il proprio impegno – attraverso<br />

la “Missione Fortuny” –<br />

per salvaguardare e recuperare le [<strong>25</strong>0] Palazzo Pesaro degli Orfei in un<br />

testimonianze che sono ancora disegno ottocentesco di Marco Moro.<br />

conservate nella sua casa veneziana,<br />

oggi trasformata nel Museo di Palazzo Fortuny.<br />

Dei quattro progetti di restauro che <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong> ha deciso<br />

di sostenere grazie a un’operazione di micromecenatismo, due<br />

– il modello del Teatro delle Feste e i dipinti parietali dell’atelier –<br />

sono già conclusi con ottimi risultati come, di seguito, illustra il<br />

professor Stefano Provinciali che ne ha curato l’intervento conservativo.<br />

Gli altri due progetti – il restauro dell’album Disegni teatro<br />

e dei disegni preparatori per tessili – inizieranno a breve, probabilmente<br />

in contemporanea col restauro di un’altra affascinante opera<br />

di Fortuny, anch’essa finanziata da <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>: il modello<br />

per il Teatro di Bayreuth, ideato nel 1903 e conservato nell’atelier.<br />

Il restauro del Teatro delle Feste<br />

STEFANO PROVINCIALI<br />

Il modello del Teatro delle Feste è stato realizzato su una struttura<br />

in legno di supporto sulla quale poggia la cavea e l’architettura<br />

esterna formata da<br />

calchi in gesso. Materiali diversi<br />

sono stati utilizzati per realizzare<br />

altri elementi: la seta e il<br />

cordino di canapa dei velari posti<br />

al di sopra della gradinata; i<br />

lamierini di metallo, il vetro, le<br />

gelatine colorate, i cavi elettrici,<br />

il nastro isolante e le lampade<br />

per costruire il complesso siste-<br />

[<strong>25</strong>1] Il modello del Teatro delle Feste<br />

di Mariano Fortuny.


ma di illuminazione del teatro; i cartoncini sagomati e dipinti con<br />

colori a tempera della scena e delle quinte, ove è raffigurato un<br />

paesaggio alpino.<br />

Lo stato di conservazione dei vari elementi che compongono il<br />

modello appariva differenziato: le parti in legno risultavano in discreto<br />

stato di conservazione, non<br />

erano presenti infatti attacchi da<br />

parte di insetti xilofagi, né fessurazioni;<br />

in buono stato erano pure gli<br />

incastri e gli elementi metallici che<br />

assemblavano i vari componenti. In<br />

cattive condizioni erano invece la<br />

scena in cartone dipinto, la seta e i<br />

cordini dei due velari. Il cartone della<br />

scena risultava deformato e le polveri,<br />

ben adese alla superficie, rende-<br />

vano poco leggibili le parti dipinte; la seta presentava deformazioni,<br />

irrigidimento e lacerazioni. Nella parte alta della cavea risultavano<br />

mancanti gran<br />

parte delle statuine<br />

in gesso del coronamento.<br />

Le parti in<br />

gesso erano molto<br />

degradate presentando<br />

fratture, mancanze<br />

e un diffuso scurimento dovuto a consistenti depositi superficiali.<br />

Molto ossidate le superfici dei conduttori in rame e parti dei<br />

quattro grandi trasformatori elettrici.<br />

Le parti in legno sono state pulite<br />

con microaspiratore e poi trattate<br />

con un prodotto antitarlo e con un<br />

impregnante. Le quinte di cartone<br />

[<strong>25</strong>5-<strong>25</strong>6] La scena in tensione e, a<br />

destra, sul nuovo supporto.<br />

[<strong>25</strong>2-<strong>25</strong>4] Struttura lignea interna.<br />

In basso a sinistra, i danni al<br />

velario e, a destra, una statuina<br />

del coronamento.<br />

della scena sono invece state smontate<br />

e fatte gradualmente distendere<br />

per eliminare le deformazioni. Dopo<br />

la pulitura sono state rimontate su<br />

un supporto di policarbonato opportunamente<br />

sagomato. L’ a p p l i c a z i o n e<br />

del cartone alla lastra trasparente<br />

non è stata ottenuta con collanti ma<br />

utilizzando piccoli magneti per assicurarne<br />

la completa reversibilità nelle<br />

future manutenzioni.<br />

Più complessi e differenziati sono stati gli interventi sulle parti<br />

in gesso: sono state smontate le architetture esterne al fine di raggiungere<br />

più agevolmente le strutture in legno interne e pulirle. Si<br />

è riscontrata una netta differenza del trattamento di qualificazione<br />

superficiale tra le parti interne – cavea, platea e architettura – e le<br />

architetture esterne. Quelle interne alla fine delle operazioni di pu-<br />

[<strong>25</strong>7-<strong>25</strong>9] Smontaggio e pulitura delle parti esterne. A destra, interno della<br />

galleria.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

42<br />

litura, eseguita con saliva sintetica, presentavano una patinatura di<br />

colore giallo chiaro mentre le architetture esterne si presentavano<br />

completamente spatinate e quindi di colore bianco. Si è reso necessario<br />

eseguire pertanto una patinatura ad acquerello per uniformare<br />

le tonalità delle superfici architettoniche. Le statuine in gesso del<br />

coronamento della cavea sono state ricostruite avendo come riferimento<br />

documementale delle foto d’epoca.<br />

Particolarmente complesso è stato il restauro della seta dei velari;<br />

questi, una volta smontati, sono stati puliti dalle polveri con<br />

microaspiratori interponendo tra la<br />

seta e la bocchetta aspirante uno<br />

schermo di tulle montato su telaio;<br />

con acqua e tensioattivo è stata eseguita<br />

la pulitura più profonda; que-<br />

sta operazione è stata effettuata ponendo<br />

la seta su carta assorbente nella<br />

quale migrava il particellato di<br />

deposito durante la pulitura.<br />

[260-261] Pulitura del velario e,<br />

in basso, l’apparato elettrico.<br />

La rimozione delle ossidazioni dalle superfici metalliche è stata<br />

effettuata con un microtrapano; ne è seguito un trattamento con inibitore<br />

di corrosione. Gli impianti<br />

elettrici sono stati puliti e completamente<br />

revisionati; sorprendentemente<br />

molti componenti originali, per<br />

esempio tre dei quattro grandi trasformatori,<br />

hanno ripreso a funzionare;<br />

al quarto si è reso necessario rifare<br />

l’avvolgimento. È stato ripristinato e reso funzionante anche il<br />

ponte con luci colorate posto sopra al boccascena e le scatole circolari<br />

che corrono nella parte alta della cavea e dietro la scena. Si è cercato<br />

di riprodurre in tutti gli apparecchi la stessa intensità di luce e<br />

la stessa temperatura colore che in origine il teatro doveva avere.<br />

Da queste brevi note possiamo comprendere la complessità di<br />

questo intervento conservativo, dovuto sia alla presenza di diversi<br />

materiali impiegati, sia per l’impegno profuso per il ripristino del<br />

funzionamento di tutti gli apparecchi illuminanti. Per questo restauro<br />

sono infatti state necessarie conoscenze e specializzazioni diversificate.<br />

Tuttavia nulla è stato fatto se non sarà prevista un’attenta<br />

e fondamentale manutenzione ordinaria per poter ammirare<br />

in tutta la sua bellezza e per molto tempo ancora questo prezioso<br />

gioiello.<br />

Spettatori virtuali al Teatro delle Feste<br />

Per il restauro del modello del Teatro delle Feste <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong><br />

ha ideato un progetto di micromecenatismo – come<br />

per il soffitto della Sala del Maggior Consiglio a Palazzo<br />

Ducale – offrendo la possibilità di riservare virtualmente il proprio<br />

posto a teatro: Poltronissima Gold € 150<br />

Poltronissima € 100<br />

Poltrona € 70<br />

Palco Centrale € 50<br />

Palco Laterale € 40<br />

Tribuna € 30<br />

Loggione € 10


Oltre ai moltissimi che hanno preferito mantenere l’anonimato e a<br />

quelli che hanno acquisito un posto per farne un regalo o dedicarlo<br />

alla memoria di una persona cara, ecco il nostro parterre di spettatori<br />

mecenati che hanno reso possibile il restauro del modello del<br />

Teatro delle Feste.<br />

James Aguiar<br />

Ketty Alverà<br />

Cristina Antognini<br />

Gianfranco Antognini<br />

Giuliana Armani<br />

Antonio Armellini<br />

Giovanella Armellini<br />

Francesca Balbo di Vinadio<br />

Banca Popolare di Vicenza<br />

Antonio Bassani Antivari<br />

Maria Pia Bassani Antivari<br />

Lorella Bazzini<br />

Daniela Becchini<br />

per Menotti Beffagna<br />

Manfredi e Nally Bellati<br />

Annarita Bertola Perucchini<br />

Edoardo Boato<br />

Riccardo Boato<br />

per Luciana Boni Maccaferri<br />

Milagros Branca di Romanico<br />

Martino Brandolini d’Adda<br />

Giulietta Cescon<br />

Franca Coin<br />

Piergiorgio Coin<br />

Maria Teresa Cornara<br />

Pascale Cornu Pederzani<br />

Delfina Costa<br />

Allegra Cranston<br />

Georgina Cranston<br />

Paola Dal Col<br />

Victoria de Luria Press<br />

Ivana De Marchi Zanon<br />

Alessandra De Marco<br />

Enrico De Marco<br />

per Irma Della Giustina<br />

John Derian<br />

Alberta Ferretti<br />

Margarita Fornieles<br />

per Nora Forsellini<br />

Linda Fresco di Mattia<br />

Elisabetta Ghirardi<br />

Giulio Ghirardi<br />

Maria Vittoria Ghirardi<br />

Gioielleria Pennisi<br />

Francesco Giorgio<br />

Giorgio<br />

Millie Griffiths<br />

Laura e Jimmy Gross<br />

Silvia Guidi<br />

per Roberto Haggiag<br />

Mark Haldeman<br />

Liselotte Höhs<br />

Maurice Kavanagh<br />

Bianca Lanfranchi<br />

Maria Luisa Lanza<br />

per Margherita Laurenzana<br />

Liceo Ginnasio Statale E. Montale<br />

Liliana<br />

Luigi<br />

per Guglielmo Maccaferri<br />

Hugh Malim<br />

Ursula Malim<br />

Lucia Mangiameli<br />

Pinotto e Fiora Marelli<br />

Paola Mazzocato Tomat<br />

MF Conference<br />

Diane Meleski<br />

Giorgio Menegazzo<br />

Rosita e Tai Missoni<br />

Anna Molinari<br />

Franco Molinari<br />

Beatrice Moretti<br />

Pandini<br />

Doretta Panizzut Pes<br />

Claudio Pederzani<br />

Renato Pellicioli<br />

Teresa Pellicioli<br />

Fiorenzo Perucchi<br />

per Ennio Perucchini<br />

Alberto Perucchini Bertola<br />

Rosanna Pirovano<br />

Giampaolo Prearo<br />

Patrizia Prearo<br />

Gaetano Rebecchini<br />

Marilù Rebecchini<br />

Sabrina<br />

Nicolò Sagramoso<br />

Gianni Sagrillo<br />

Vettor e Maria Gabriella<br />

Sammartini<br />

Diana Santalmassi<br />

Giancarlo Santalmassi<br />

Silvia Sattin<br />

Susan Simon<br />

Gabriele Sorbara<br />

Maria Gabriella Sorbara<br />

per il poeta Mario Stefani<br />

Leopold Thun Hohenstein<br />

Matteo e Suzanne Thun<br />

Hohenstein<br />

Ida Titton<br />

Andrea Tomat<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

43<br />

per Vanni Tonini<br />

Camilla Tottolo<br />

Paolo Tottolo<br />

Una Hotels e Resort<br />

Unicredit<br />

<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong><br />

Danilo Villardi<br />

Il “giardino” incantato di Mariano<br />

STEFANO PROVINCIALI<br />

Idipinti che decorano tre pareti dell’atelier di Mariano Fortuny<br />

sono stati da lui stesso eseguiti tra gli anni 1914 e 1940. I loro<br />

supporti sono costituiti da intelaiature in legno fissate alla<br />

muratura; su di esse sono stati fissati e messi in tensione teli di canapa<br />

sui quali sono stati poi incollati fogli di carta da spolvero pesante.<br />

Sulla parete che dà sul cortile, invece, il supporto è stato costruito<br />

con pannelli di compensato; si tratta probabilmente dell’ultima<br />

fase della realizzazione del lavoro.<br />

I dipinti eseguiti con colori a tempera, rappresentano un giardino<br />

con architetture, motivi fitomorfi, animali, satiri, ninfe e paesaggi.<br />

Sono state osservate particolarità<br />

tecniche relative alla<br />

realizzazione dell’opera quali il<br />

disegno preparatorio eseguito<br />

prevalentamente a matita e le<br />

colorazioni delle grandi campiture<br />

eseguite con pigmenti stesi<br />

[262] I dipinti di Mariano Fortuny<br />

nell’atelier.<br />

per Luciano Vistosi<br />

Camilla Zanaria<br />

Mario Zanaria<br />

Elena Zancanaro<br />

Bruno Zanini<br />

Gabriella Zanini<br />

Pierangela Zecchi Borghi<br />

per trasparenza che diventano<br />

sempre più corposi nelle lumeggiature,<br />

nei fogliami e nei motivi<br />

floreali. Il restauro ha portato<br />

alla scoperta di parti dorate, probabilmente eseguite con oro in conchiglia,<br />

che sottolineano le lumeggiature nella parte alta del pannello<br />

centrale e scarsamente visibili dal basso.<br />

La principale alterazione riscontrata sui dipinti era costituita da<br />

una scarsa adesione degli strati di colore al supporto cartaceo; l’osservazione<br />

a luce radente ha evidenziato zone interessate da gravi<br />

distacchi della pellicola pittorica classificabili come sollevamenti a<br />

scaglia e a bolla. Restituire adesione alla pellicola pittorica è stato<br />

pertanto l’intervento prioritario eseguito, poiché il colore distaccato<br />

era in molti casi prossimo alla caduta; operando a luce radente,<br />

si è proceduto con applicazioni di metilcellulosa ammorbidendo le<br />

scaglie di colore la cui riadesione al supporto è stata favorita dall’uso<br />

del termocauterio in grado di accelerare l’evaporazione dell’acqua<br />

presente nel collante.<br />

Gli incarnati della figura femminile adegiata sul festone erano<br />

interessati da un attacco di colonie fungine con formazione di deturpanti<br />

piccole macchie tondeggianti di colore bruno; questa alterazione<br />

microbiologica, presente anche in altre zone dei dipinti, è<br />

stata trattata utilizzando piccoli tamponi di cotone e un idoneo<br />

fungicida, ottenendo un buon risultato anche a livello estetico, con<br />

un miglioramento della lettura del testo pittorico. Ulteriori danni<br />

di origine meccanica sono stati provocati nel tempo da urti, abrasioni<br />

e graffi per scarsa attenzione e utilizzo improprio dell’am-


iente nonché alla mancanza di<br />

manutenzione. Questa tipologia<br />

di alterazioni era localizzata<br />

principalmente nella zona bassa<br />

dei dipinti. I lembi di strappi e<br />

lacerazioni sono stati fatti riaderire<br />

utilizzando carta giapponese<br />

e metilcellulosa. La pulitura,<br />

con pennelli morbidi e piccoli<br />

aspiratori, per la rimozione delle<br />

polveri che offuscavano la<br />

brillantezza delle colorazioni, ha<br />

preceduto gli interventi di presentazione estetica: con colori a tempera<br />

è stata eseguita la velatura delle abrasioni e delle zone dov’era<br />

mancante il colore mentre con colori a pastello sono state integrate<br />

aree dove erano presenti scurimenti.<br />

Sostieni la cultura con una firma.<br />

Destina il Cinque per Mille a Venezia<br />

La legge finanziaria ha previsto anche per l’anno 2011 la destinazione,<br />

in base alla scelta del contribuente, di una quota<br />

pari al CINQUE PER MILLE dell’imposta sul reddito delle persone<br />

fisiche (IRPEF) anche alle associazioni riconosciute.<br />

Il CINQUE PER MILLE (come l’otto per mille) non è una tassa ma<br />

una scelta anonima su come destinare una parte delle proprie imposte<br />

versate coi modelli 730 e UNICO. Il CINQUE PER MILLE non<br />

sostituisce l’otto per mille, si possono scegliere entrambi.<br />

<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong> già dal 2006 è stata inserita tra i soggetti<br />

ammessi al CINQUE PER MILLE. Basta la firma e l’indicazione del nostro<br />

codice fiscale 94037230276 nel primo riquadro (organizzazioni<br />

non lucrative) e il vostro CINQUE PER MILLE sarà destinato a<br />

sostenere Venezia sostenere i suoi Musei<br />

sostenere la sua Cultura<br />

La decisione di attribuire il CI N Q U E P E R MI L L E è anonima pertanto,<br />

non sapendo chi sceglierà <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>, cogliamo l’occasione<br />

per ringraziarvi qui per la generosità e la sensibilità. Grazie.<br />

la tua<br />

firma<br />

9 4 0 3 7 2 3 0 2 7 6<br />

[263] Dipinti dell’atelier sulla parete<br />

verso campo San Beneto.<br />

il nostro<br />

codice<br />

fiscale<br />

[264] Riquadro della scelta del Cinque per Mille nella dichiarazione dei redditi.<br />

Bilancio delle nostre attività nel 2010<br />

FINANZIAMENTI E RESTAURI<br />

• Conclusione dei lavori di restauro alle dorature del soffitto della<br />

Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, finanziati con<br />

il progetto di micromecenatismo “Gleam Team”.<br />

• Proseguimento dei lavori di restauro al mosaico della Cupola<br />

della Creazione, posta nel nartece della Basilica di San Marco,<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

44<br />

finanziati con il progetto “Sulle Ali degli Angeli”.<br />

• Contributo al Polo Museale di Venezia per il concerto del 26<br />

ottobre alle Gallerie dell’Accademia nell’ambito della rassegna<br />

Martedì in arte, promossa dal Ministero per i Beni e le Attività<br />

Culturali. Il duo Alessandro Librio e Angelo Di Minio hanno<br />

“sonorizzato” il museo con un suggestivo concerto per violino e<br />

violoncello realizzando una performance musicale catturando i<br />

rumori delle Gallerie e trasformandoli in composizione barocca<br />

eseguita come concerto itinerante nelle sale.<br />

• Contributo al Polo Museale di Venezia per il concerto del 21<br />

novembre alle Gallerie dell’Accademia nell’ambito della rassegna<br />

Musei in musica, evento nazionale promosso dal Ministero<br />

per i Beni e le Attività Culturali. Il concerto ha visto l’esecuzione<br />

di musiche barocche eseguite al flauto da Marco Rosa Salva<br />

e al clavicembalo da Anne Marie Dragosits.<br />

• Finanziamento di una borsa di studio per l’anno 2010-2011 al<br />

Doppio Master Universitario in Management dei Beni e delle<br />

Attività Culturali (MaBAC).<br />

• Sottoscrizione per l’acquisto di una copia di Calli e canali in Ve -<br />

nezia, ristampa in facsimile in <strong>25</strong>0 esemplari nel centenario della<br />

morte di Ferdinando Ongania, storico editore veneziano.<br />

EVENTI<br />

• Organizzazione della cerimonia per la conclusione del restauro<br />

delle dorature del soffitto della Sala del Maggior Consiglio a<br />

Palazzo Ducale. Alla manifestazione sono intervenuti il Sindaco<br />

Giorgio Orsoni, il direttore dei Musei Civici Veneziani<br />

Giandomenico Romanelli e il professor Wolfgang Wolters.<br />

• O rganizzazione in collaborazione con la Galleria Forni e i Musei<br />

Civici Veneziani della mostra Lunica. Omaggio alla luna, allestita<br />

dal 27 giugno al 18 luglio nel portego del primo piano di<br />

Ca’ Rezzonico Museo del Settecento Veneziano. Nella mostra<br />

sono state esposte opere ispirate alla luna: 18 pastelli di Giorg i o<br />

Tonelli e 18 stampe fotografiche su tela di Marco Alemanno.<br />

• Organizzazione della serata Notte di luna piena svoltasi nel Salone<br />

da Ballo di Ca’ Rezzonico il 26 giugno in occasione dell’anteprima<br />

della mostra Lunica. Nel corso della serata, spettacolo<br />

Note di plenilunio in cui Marco Alemanno ha recitato brani letterari<br />

ispirati alla luna accompagnato al clarinetto da Lucio<br />

Dalla e dal Nu-Ork String Quintet diretto dal maestro Beppe<br />

D’Onghia. Il ricavato dalle liberalità di partecipazione alla serata<br />

è stato interamente destinato al progetto “Missione Fortuny”<br />

per il restauro del modello del Teatro delle Feste realizzato<br />

da Mariano Fortuny nel 1912.<br />

• Organizzazione della Cena Annuale dei Soci di <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong><br />

svoltasi nel Salone da Ballo di Ca’ Rezzonico il 28 agosto.<br />

Il ricavato dalle liberalità di partecipazione alla serata è stato<br />

interamente destinato al progetto “Missione Fortuny” per il restauro<br />

del modello del Teatro delle Feste.<br />

• Organizzazione di visite private a Palazzo Ducale e alle Gallerie<br />

dell’Accademia per un nostro associato.<br />

• Organizzazione di una visita privata in Basilica di San Marco<br />

per <strong>The</strong> Performance <strong>The</strong>atre.<br />

ATTIVITÀ ISTITUZIONALI<br />

• Istituzione e organizzazione della quarta edizione del “Premio<br />

<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>” assegnato al Liceo Ginnasio Statale Eugenio<br />

Montale di San Donà di Piave in occasione della cena an-


nuale dei soci, organizzata nel Salone da Ballo di Ca’ Rezzonico<br />

Museo del Settecento Veneziano il 28 agosto.<br />

• O rganizzazione dell’Assemblea dei Soci svoltasi a Ca’ Rezzonico.<br />

• Ideazione e realizzazione di “Missione Fortuny”, campagna di<br />

raccolta fondi a favore del restauro del modello del Teatro delle<br />

Feste, ideato da Mariano Fortuny nel 1912.<br />

• Istituzione di Contact, network che riunisce gli ex alunni e studenti<br />

del Doppio Master Universitario in Management dei Beni<br />

e delle Attività Culturali (MaBAC), realizzato in collaborazione<br />

con Università Ca’ Foscari Venezia e Escp Europe.<br />

COLLABORAZIONI<br />

• Collaborazione con l’Università Ca’ Foscari Venezia per il patrocinio<br />

al Doppio Master Universitario in Management dei<br />

Beni e delle Attività Culturali (MaBAC) in collaborazione con<br />

l’European School of Management di Parigi.<br />

• Organizzazione della lezione sulle attività di <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong><br />

nel corso dell’inaugurazione del Doppio Master Universitario<br />

in Management dei Beni e delle Attività Culturali (Ma-<br />

BAC) tenuta a Ca’ Foscari.<br />

• Collaborazione con enti e istituzioni per la promozione delle attività<br />

di <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>:<br />

– partecipazione al convegno di Unindustria Treviso L’etica: agi -<br />

re per fare il bene comune, svoltosi a Roncade il 7 maggio.<br />

– partecipazione al convegno Lo sviluppo economico del territorio<br />

attraverso il mecenatismo d’impresa, promosso dal comune di<br />

Chioggia, svoltosi a Chioggia l’8 maggio.<br />

– partecipazione all’undicesima edizione del seminario internazionale<br />

Donna Economia & Potere, promosso dalla Fondazione<br />

Marisa Bellisario, svoltosi a Vicenza il 12 e 13 novembre.<br />

COMUNICAZIONI AI SOCI<br />

• Pubblicazione della News Letter no. 23 (56 pp., 282 immagini)<br />

con servizi su: mostre veneziane, progetti di restauro, attività<br />

di <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong> e uno speciale sul Lido.<br />

• Pubblicazione della News Letter no. 24 (56 pp., 272 immagini)<br />

con servizi su: mostre veneziane, progetti di restauro, attività<br />

di <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong> e uno speciale sulle Arti Decorative.<br />

• Invio agli associati degli inviti alle principali mostre organizzate<br />

dai Musei Civici Veneziani.<br />

• Organizzazione della campagna di rinnovo delle quote associative<br />

per il 2010.<br />

I nostri sostenitori al 21 giugno 2011<br />

Acqua San Benedetto<br />

Valerio e Giovanna Alpi<br />

Fiorella Alvino<br />

Ariston Cavi<br />

Assicurazioni Generali<br />

Annabella Bassani<br />

Antonio e Alessandra Baucina<br />

Maria Denise Benedet<br />

Gilberto e Maria Laura Benetton<br />

Gabriella Berardi<br />

Paola Bissoli<br />

Raffaella Boni Maccaferri<br />

Sandro Boscaini<br />

Maria Laura Boselli<br />

Bracco<br />

Alvise e Daniela Braga Illa<br />

Ennio e Giorgia Brion<br />

Ferdinando Businaro<br />

Giuseppe e Silvia Caivano<br />

Giovanni Caizzi<br />

Paolo e Clara Cantarella<br />

Cantine Fratelli Ferrari<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

45<br />

Maria Carmen Carpinelli Fredella<br />

Roberto e Micaela Celli<br />

Anne Chassaing<br />

Romeo e Annamaria Chiarotto<br />

Glorianda Cipolla<br />

Piergiorgio e Franca Coin<br />

Roberto e Pilar Coin<br />

Carlo e Lina Colaiacovo<br />

Fausto Comiotto<br />

Consorzio Venezia Nuova<br />

Carlalberto e Marylène Corneliani<br />

Corneliani<br />

Emanuela Croce Bonomi<br />

Eva Dalla Venezia<br />

Mita De Benedetti<br />

Nathalie de la Mercier<br />

Diana De Silva Bracco<br />

Olivier Deburaux<br />

Nereo e Giustina Destro<br />

Gerolamo e Roberta Etro<br />

Flavia Faccioli<br />

Mario Ferraro<br />

Alberta Ferretti<br />

Angelo e Sergia Ferro<br />

Fondazione Coin<br />

Giovanna Forlanelli<br />

F r e e p o r t<br />

Futura 5760<br />

Galleria Rizzo<br />

Grafiche Quattro<br />

Grand Hotel et de Milan<br />

Vittorio e Marina Gregotti<br />

Silvia Guidi<br />

Yasunori Gunji<br />

Mirella Haggiag<br />

Hausbrandt Trieste 1892<br />

Hotel Caesar Augustus<br />

Hotel Gritti<br />

Irca<br />

Laboratorio Chimico Farmaceutico<br />

Sella<br />

L’Angolo del Passato<br />

Aleramo e Martina Lanza<br />

Riccardo Lanza<br />

Lanza & Baucina<br />

Raphael Levesque<br />

Mario e Gloria Levoni<br />

Pompeo e Vanda Locatelli<br />

Paolo Lorenzoni<br />

Gino e Franca Lunelli<br />

Susanna Magnabosco<br />

Alissia Mancino<br />

Sergio Marin<br />

Matteo Marzotto<br />

Masi Agricola<br />

Cecilia Matteucci Lavarini<br />

Aldo e Marina Maugeri<br />

Giovanni e Rosangela Mazzacurati<br />

Francesco e Cecilia Merloni<br />

Isabella Meroni Parodi Delfino<br />

Francesco e Annamaria Molinari<br />

Molino Stucky Hilton <strong>Venice</strong><br />

Montecavi<br />

Gianni Monti<br />

Luigi e Liliana Moscheri<br />

Francesca Mozzetti Monterumici<br />

MSC Crociere<br />

Giordana Naccari<br />

PA Consulting<br />

Giorgio e Manola Pandini<br />

Guido e Paola Pennisi<br />

Olivier Perpoint<br />

Paolo e Solange Petrignani<br />

Silvia Pillon<br />

Piero Pinto<br />

Carlo e Laura Poggio<br />

Pomellato Europa<br />

Dario e Annarosa Prunotto<br />

Cesare e Liliana Rimini<br />

Renato Rizzi<br />

Michela Rizzo<br />

Romartificio<br />

Rossana Sacchi Zei<br />

Augusta Sada<br />

Roberto e Matilde Salviato<br />

Carlo e Miretta Sarasso<br />

Miyako Sawai<br />

Renato e Maria Silvia Scapinello<br />

Isabella Seragnoli<br />

Paolo e Patrizia Signorini<br />

Roberto Spada<br />

Carla Spagna D’Orazi<br />

Marina Tabacchi<br />

Vittorio e Tatiana Tabacchi<br />

Marilena Tamaro Signorini<br />

Bebe Tamburini<br />

Tate Corporation<br />

Andrea e Paola Tomat<br />

Giorgio e Paola Tonelli<br />

Marco e Isabella Tottolo<br />

Claudia Trevino Minutti<br />

Cesare Trevisani<br />

Salvatore e Paola Trifirò<br />

Pierfrancesco e Alexa Vago<br />

Philipp Paul Valentini<br />

Giuseppe e Daniela Veronesi<br />

Sandra Vezza<br />

Laura Villani<br />

Adriana Vistosi<br />

Martino e Susi Zanetti<br />

Angelo e Marisa Zegna di<br />

Monterubello<br />

Giovanni Zillo Monte Xillo<br />

Gianfranco e Vittoria Zoppas


Consigli per la lettura<br />

•MARIO BRUNELLO, Fuori con la musica, Rizzoli, 2011, € 18,00.<br />

Portare le suite di Bach sulle Dolomiti, sul monte Fuji, sulle rocce di Ma -<br />

tera, sul Timbain nel Sahara perché quelle musiche hanno qualcosa in co -<br />

mune con le montagne: sono incommensurabili. Queste e tante altre sono le<br />

tappe emozionanti del percorso artistico di Brunello che offre una lettura il -<br />

luminante di brani rievocando luoghi e sensazioni dell’esecuzione.<br />

•ALESSANDRO CECCHI PAONE eUMBERTO VERONESI, Scienza e pace,<br />

Passigli, 2011, € 14,50.<br />

Una riflessione sul tema della pace a partire da contenuti, linguaggi e<br />

obiettivi nuovi che propongono l’adozione del metodo elaborato dalla scien -<br />

za per rifondare la base teorica del pacifismo: è dunque la scienza che può<br />

dimostrare di poter portare soluzioni a situazioni da sempre causa di guer -<br />

ra e, con l’aiuto delle scienze sociali, comprovare non solo la nobiltà ma an -<br />

che la piena convenienza economica del pacifismo.<br />

•JACQUES CHARMELOT, Kerbala, Rizzoli, 2011, € 18,50.<br />

Dove sono finiti i soldi? È l’ultima domanda che si è fatto Ned Rush pri -<br />

ma di scomparire. Quando l’amico Charles si getta sulle sue tracce sa solo<br />

che il giornalista americano stava indagando sulle immense somme spese per<br />

la mai avvenuta “ricostruzione dell’Iraq”. Un’avventura mozzafiato nel<br />

cuore di un Iraq devastato, dominato dalla sete di denaro e di sangue.<br />

•UMBERTO PASTI, Più felice del mondo, Bompiani, 2011, € 15,00.<br />

Tredici incontri – non i più importanti di una vita, bensì quelli che si so -<br />

no presentati spontanei all’appello – attraverso cui si compone una sorta di<br />

autobiografia da cui trapela una felicità indigesta.<br />

•CESARE RIMINI, Forse che no, Editrice San Raffaele, 2011, € 15,00.<br />

Il celebre avvocato milanese, divenuto nel tempo un’icona di savoir faire, di<br />

sobria eleganza temperata dalla dote preziosa dell’ironia, traccia una sor -<br />

ta di “diario minimo” dello stile. Certo non un manuale di buone manie -<br />

re, né un vademecum contro la volgarità, quanto piuttosto una divertita<br />

reminiscenza delle parole della nonna: “Questo non si fa!”.<br />

•VALENTINA RIMINI, L’amore non ha legge, Kowalski, 2011, €<br />

12,00.<br />

Da un mare di storie e colloqui tutti diversi nasce un brillante vademecum<br />

per chi va a convivere, ha un piede sull’altare o sulla porta dello stu -<br />

dio legale. L’autrice, divorzista sui generis, pone domande, solleva que -<br />

stioni, affonda sulle note dolenti e suggerisce come evitare gli errori più in -<br />

sidiosi grazie ai segni premonitori dei primi appuntamenti.<br />

•EMANUELE SEVERINO, Il mio ricordo degli eterni, Rizzoli, 2011, €<br />

18,50.<br />

Dalla filosofia alla musica, dalle battaglie contro i dogmatismi agli af -<br />

fetti più cari: le avventure di vita e di pensiero di uno dei maggiori filoso -<br />

fi italiani del nostro tempo. Tra aneddoti e suggestioni affiora lo sguardo<br />

dell’autore che per la prima volta si posa, delicato e ironico, su frammenti<br />

della sua vita, illuminando via via luoghi, volti ed esperienze.<br />

•GIAN ANTONIO STELLA eSERGIO RIZZO, Vandali, Rizzoli, 2011,<br />

€ 18,00.<br />

In Sicilia il tempio di Apollo resta coperto per undici anni da un’impalca -<br />

tura perché nessuno la smonta, c’è un’intera città di cinquemila case abu -<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

46<br />

sive di cui ottocento al di fuori da ogni norma da non rientrare nei nume -<br />

rosi condoni edilizi, eppure non si è mai vista una ruspa. Sono solo alcuni<br />

dei tanti esempi di come è ridotta una nazione attivamente impegnata a di -<br />

struggere la sua unica vera ricchezza: l’arte, i paesaggi, la bellezza.<br />

•MARIO VARGAS LLOSA, Elogio della lettura e della finzione, Einaudi,<br />

2011, € 8,00.<br />

Un testo toccante e appassionato, che mescola le riflessioni agli aneddoti e si<br />

muove tra storia e ricordo, presentandoci la letteratura come il luogo in cui<br />

convergono il desiderio di fuga e la volontà di cambiamento, l’incanto del<br />

sogno e la caparbietà dell’impegno civile.<br />

Mostre & Esposizioni a Venezia<br />

elencate per data di chiusura e sede espositiva<br />

la redazione non è responsabile delle variazioni dei programmi<br />

• Anita Sieff. Psyche<br />

fino al 21 agosto: da martedì a domenica 10-18<br />

Ca’ Pesaro Galleria Internazionale d’Arte Moderna<br />

Santa Croce 2076, tel. 041-5209070<br />

Approfondimento a p. 5<br />

• Miniartextil e Ruth Adler Schnee<br />

fino al 28 agosto: da martedì a domenica 10-17<br />

Palazzo Mocenigo, Santa Croce 1992, tel. 041 5241614<br />

Approfondimento a p. 5<br />

• Barry X Ball. Portraits and Masterpieces<br />

fino all’11 settembre: da mercoledì a lunedì 10-18<br />

Ca’ Rezzonico, Dorsoduro 3136, tel. 041-2410100<br />

Approfondimento a p. 4<br />

• Penelope’s Labour. Weaving Words and Images<br />

fino al 18 settembre: da mercoledì a lunedì 10-18<br />

Fondazione Cini, Isola di San Giorgio, tel. 041-5289900<br />

La mostra unisce il grande interesse di Vittorio Cini per l’arazzo con l’ar -<br />

te contemporanea e con la rinnovata abilità degli artisti di utilizzare que -<br />

sto mezzo per raccontare storie della realtà in cui viviamo.<br />

• Marisa Merz. Non corrisponde eppur fiorisce<br />

fino al 18 settembre: da martedì a domenica 10-18<br />

Fondazione Querini Stampalia, Castello 5<strong>25</strong>2, tel. 041-2711411<br />

Approfondimento a p. 14<br />

• Modernikon. Arte contemporanea dalla Russia<br />

fino al <strong>25</strong> settembre: da martedì a domenica 10-18<br />

Casa dei Tre Oci, Giudecca 43, tel. 041-2412332<br />

Dopo essere stata presentata alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a<br />

Torino, Modernikon giunge a Venezia con un nuovo allestimento. La mo -<br />

stra esplora una scena giovane e in divenire, presentando le più nuove e in -<br />

teressanti ricerche artistiche di un Paese che solo di recente si è proposto<br />

sulla scena internazionale. Il titolo della mostra fonde il riferimento al<br />

moderno con la più classica delle forme artistiche russe, è una parola sospe -<br />

sa tra presente e passato, tra l’idea di un’immagine che vuol essere nuova e<br />

attuale e, al contrario, la mitologia di un progetto culturale superato.


• Gino De Dominicis. Teoremi figurativi<br />

fino al 30 settembre: lunedì 8:15-14, da martedì a domenica 8:15-19<br />

Ca’ d’Oro, Cannaregio 3932, tel. 0 4 1 -5 2 0 0 3 4 5<br />

Una quarantina di opere ripercorrono la straordinaria carriera di De Do -<br />

minicis che, nell’arco di un trentennio, è stato tra i protagonisti dell’arte<br />

italiana, anche grazie alle p e r f o r m a n c e s alla Biennale nel 1972. Il suo<br />

lavoro si caratterizza per una totale indipendenza sia dalle mode che dai<br />

gruppi; è artista senza bandiere né compromessi, pioniere libero e curioso. In<br />

vita è stato circondato da un alone di mistero, soprattutto per il desiderio<br />

di separare il proprio lavoro dall’omologazione del mondo dell’arte.<br />

• Fondazione Prada_Ca’ Corner della Regina<br />

fino al 2 ottobre: da mercoledì a lunedì 10-18<br />

Ca’ Corner della Regina, Santa Croce 2215<br />

Approfondimento a p. 11<br />

• Ileana Sonnabend. Un ritratto italiano<br />

fino al 2 ottobre: da mercoledì a lunedì 10-18<br />

Peggy Guggenheim Collection, Dorsoduro 701, tel. 0 4 1 - 2 4 0 5 4 1 1<br />

Approfondimento a p. 13<br />

• Jean Fabre. Pietas<br />

fino al 16 ottobre: da martedì a domenica 10-18<br />

Scuola Grande della Misericordia, Cannaregio 3599 701<br />

Cinque grandi sculture in marmo puro e marmo statuario di Carrara tra<br />

cui l’inedita rilettura della P i e t à d i M i c h e l a n g e l o, dal titolo S o g n o<br />

compassionevole (Pietà V), nella quale il Cristo ha il volto dell’artista<br />

stesso e la Madonna quello di un teschio, simbolo della morte. Lungi dal<br />

proporre un messaggio blasfemo o semplicemente provocatorio, l’opera rap -<br />

presenta una “scultura-performativa” che mette in scena i sentimenti di<br />

una madre che vuole sostituirsi al figlio morto.<br />

• Pier Paolo Calzolari<br />

fino al 30 ottobre: da martedì a domenica 10-18<br />

Ca’ Pesaro, Santa Croce 2076, tel. 041-5209070<br />

Approfondimento a p. 4<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> <strong>International</strong> <strong>Foundation</strong><br />

Ca’ Rezzonico, Dorsoduro 3144 – 30123 Venezia<br />

tel. & fax 041-2774840<br />

e-mail veniceinter@tin.it<br />

www.venicefoundation.org<br />

Progetto editoriale, editing, impaginazione e<br />

ricerca iconografica<br />

Cinzia Boscolo<br />

con la collaborazione di Mara Zanette<br />

Correzione bozze<br />

Annabella Bassani, Gregorio Donà dalle Rose,<br />

Giovanni Mineo, Carla Spagna D’Orazi<br />

Stampa<br />

Grafiche Quattro<br />

Santa Maria di Sala (Venezia)<br />

© Copyright 2011<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

Tutti i diritti riservati.<br />

Tutti i numeri della News Letter sono disponibili e<br />

scaricabili gratuitamente in formato pdf dal sito<br />

www.venicefoundation.org/italiano/newsletter.html<br />

La News Letter di <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong> è realizzata grazie<br />

al generoso sostegno e contributo di<br />

Renato e Maria Silvia Scapinello e delle Grafiche Quattro<br />

di Santa Maria di Sala (Venezia).<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

Per i contributi, la <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong> ringrazia<br />

Francesca Bampa, Cristina Bedin, Cristina Beltrami, Cinzia<br />

Boscolo, Franca Coin, Bice Curiger, Doretta Davanzo Poli,<br />

Marzio De Min, Alessandro Ervas, Anna Fornezza, Cristina<br />

Gregorin, Laura Novello, Franca Pistellato, Stefano<br />

Provinciali, Nicolò Scibilia, Paolo Stefanato, Chiara Tolin,<br />

Laura Vantaggi, Ettore Vio.<br />

Si ringraziano inoltre gli artisti, gli artigiani e le aziende che<br />

hanno gentilmente collaborato allo Speciale mettendo a<br />

disposizione materiali informativi e immagini.<br />

Un particolare ringraziamento a Norbert Heyl per le foto.<br />

Per la collaborazione si ringraziano Mieko Ban, Nicola<br />

Benassi, Toto Bergamo, Ilaria Bolognesi, Riccardo Bon, Alexia<br />

Boro, Sara Bossi, Luciano Brollo, Francesca Buonfrate, Elena<br />

Casadoro, Dennis Cecchin, Maria Rita Cerilli, Giorgio<br />

Chiavalin, Cierre Edizioni, Corest, Corriere della Sera,<br />

Mariagiovanna Cosentino, Chiara Costa, Alberto Craievich,<br />

Caterina Croze, Arianna D’Andrea, Sabine Daniel, Roberto<br />

De Feo, Sonia Finzi, Claudio Franzini, Cristina Giussani, Il<br />

Giornale, Elena Maddalena, Marcianum Press, Marta<br />

Monaco, Piero Pazzi, Marjolaine Piccio, Barbara Poli,<br />

Silvana Puppato, Daniele Resini, Sandra Rossi, Silvio Salvo,<br />

Alessandra Santerini, Massimiliano Scarpa, Michela Scibilia,<br />

Anna Sismondini, Annamaria Spiazzi, Chiara Tagliaferro,<br />

Fiorella Tonolotto, Francesca Valente, Antonio Valletta,<br />

Chiara Vian, Edoardo Zambon, Fabio Zane, Claudia Zini e<br />

gli uffici stampa che hanno fornito i materiali per la stesura<br />

dei redazionali sulle mostre.<br />

47<br />

• 54. Esposizione Internazionale d’Arte. ILLUMInazioni<br />

fino al 27 novembre: da martedì a domenica 10-18; aperto anche<br />

lunedì 15 agosto, 31 ottobre e 21 novembre<br />

Giardini e Arsenale, tel. 041-5218828<br />

Approfondimento a p. 6<br />

• Edges of Becoming<br />

fino al 27 novembre: da mercoledì a lunedì 10-18<br />

Museo Fortuny, San Marco 3780, tel. 041-5200995<br />

Approfondimento a p. 2<br />

• Julian Schnabel. Permanently Becoming and the<br />

Architecture of Seeing<br />

fino al 27 novembre: tutti i giorni 10-19<br />

Museo Correr, San Marco 52, tel. 041-2405211<br />

Approfondimento a p. 3<br />

• Anselm Kiefer. Salt of the Earth<br />

fino al 30 novembre: da lunedì a domenica 10:30-18<br />

Magazzini del Sale, Dorsoduro 266, tel. 041-7795503<br />

Il titolo fa riferimento all’interesse di Kiefer per il processo alchemico che<br />

rappresenta l’aspirazione dell’essere umano a una perfezione quasi aurea<br />

dell’esistenza. La mostra consiste in una vetrina, un dipinto e un’installa -<br />

zione dove fotografie di paesaggi vengono esposte su pannelli di piombo so -<br />

spesi che, per un processo di elettrolisi, presentano una patina color verde,<br />

simbolo della speranza e dell’anticipazione dell’unione degli opposti.<br />

• Il mondo vi appartiene<br />

fino al 31 dicembre: da mercoledì a lunedì 10-19<br />

Palazzo Grassi, San Marco 3231, tel. 041-5231680<br />

Approfondimento a p. 12<br />

• Elogio del dubbio<br />

fino al 31 dicembre 2012: da mercoledì a lunedì 10-19<br />

Punta della Dogana, Dorsoduro 2, tel. 041-5231680<br />

Approfondimento a p. 11<br />

Referenze fotografiche<br />

Archivio <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong> nn. 1, 73, 75; Giberto Arrivabene<br />

nn. 163, 164, 166; Biennale nn. 30, 31 e inoltre FBM<br />

Studio 38, Francesco Galli 33-37, 39, 40, Jan Ralske 32,<br />

Giorgio Zucchiati 29; Marie Brandolini nn. 159-162;<br />

Luciano Brollo nn. 71, 72; Mario Brunello n. 4; Alberto<br />

Favaretto n. 64; Fondazione Musei Civici di Venezia nn. 5,<br />

6, 8-28, 95, 266; Fondazione Prada nn. 43, 44; Fondazione<br />

Querini Stampalia (Agostino Osio) nn. 62, 63; Fortuny nn.<br />

214, 215, 219; Claudio Franzini per Museo di Palazzo<br />

Fortuny nn. 6, <strong>25</strong>1, 267; Gioielleria Missiaglia nn. 136,<br />

137; Gioielleria Nardi nn. 134, 135; Laziz Hamani n. 11;<br />

Norbert Heyl nn. 67, 102, 171, 177, 178, 182, 183, 187,<br />

188, 190, 193, 200, 202-205; Marcianum Press n. 70;<br />

Alessandro Moretti per Costantini Glassbeads nn. 143, 144;<br />

Giordana Naccari nn. 158, 167-169; Padiglione Italia nn.<br />

41 (Massimilano Ruta), 42; Palazzo Grassi-Punta della<br />

Dogana nn. 45-57; Peggy Guggenheim Collection nn. 58-61;<br />

Procuratoria di San Marco nn. 247-249, 265; Stefano<br />

Provinciali nn. 2, <strong>25</strong>2-263; Daniele Resini nn. 114-123;<br />

Rubelli nn. 165, 209-213; Marina e Susanna Sent n. 147;<br />

Mark Smith n. 101; Unione Stuccatori Veneziani nn. 228-<br />

237; Alberto Valese nn. 184-186; Mara Zanette nn. 64, 69,<br />

103, 104, 106, 107, 111, 112, 127, 128, 130-133, 191,<br />

194-196.<br />

Le altre immagini sono state gentilmente fornite dagli autori<br />

oppure tratte da pubblicazioni in commercio o siti web.<br />

Chiuso redazionalmente il 21 giugno 2011.


Desidero associarmi a VENICE FOUNDATION come:<br />

SOCIO € 600,00<br />

SOSTENITORE € 3.000,00<br />

BENEMERITO € 6.000,00<br />

Desidero sostenere il progetto:<br />

SULLE ALI DEGLI ANGELI per il restauro del mosaico della<br />

Cupola della Creazione della Basilica di San Marco (p. 41)<br />

MISSIONE FORTUNY per il restauro dell’album Disegni teatro<br />

e dei disegni preparatori per tessili (p. 41)<br />

con un importo di € _______________________________<br />

Effettuerò il mio versamento con:<br />

Bonifico bancario a favore di<br />

THE VENICE INTERNATIONAL FOUNDATION<br />

conto corrente no. 000600032884<br />

presso Unicredit Private Banking, filiale di Feltre<br />

(cin F abi 02008 cab 61114)<br />

coordinate IBAN: IT56 F 02008 61114 000 6000 32884<br />

codice BIC SWIFT: UNCRITM1O20<br />

Assegno bancario NON TRASFERIBILE<br />

intestato a THE VENICE INTERNATIONAL FOUNDATION<br />

spedito con raccomandata o posta prioritaria a<br />

VENICE FOUNDATION<br />

Ca’ Rezzonico, Dorsoduro 3144 – 30123 Venezia<br />

IL MOSAICO DELLA<br />

CUPOLA DELLA CREAZIONE<br />

IN BASILICA DI SAN MARCO<br />

[265-266] La Cupola della Creazione e<br />

l’album Disegni teatro.<br />

<strong>The</strong> <strong>Venice</strong> Internationl <strong>Foundation</strong><br />

Sostieni <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>...<br />

e contribuisci a restaurare...<br />

L’ALBUM<br />

DISEGNI TEATRO<br />

DI MARIANO FORTUNY<br />

Aderisco a VENICE FOUNDATION come:<br />

PERSONA AZIENDA<br />

Nome ________________________________________<br />

Cognome ________________________________________<br />

Azienda ________________________________________<br />

Indirizzo ________________________________________<br />

________________________________________<br />

Città ________________________________________<br />

Provincia ____(______)____ CAP ___________________<br />

Telefono ________________________________________<br />

Fax ________________________________________<br />

Cellulare ________________________________________<br />

E-mail ________________________________________<br />

I DISEGNI PREPARATORI<br />

PER TESSILI<br />

DI MARIANO FORTUNY<br />

[267] Una matrice per stampa su stoffa<br />

realizzata da Mariano Fortuny.<br />

Ca’ Rezzonico, Dorsoduro 3144 – 30123 Venezia tel./fax +39 041 2774840 veniceinter@tin.it www.venicefoundation.org

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