CANTA NAPOLI - Egea Distribution
CANTA NAPOLI - Egea Distribution
CANTA NAPOLI - Egea Distribution
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www.mondomix.com<br />
primavera 2011<br />
www.mondomix.com<br />
10<br />
musiche e culture nel mondo<br />
GRATUITO primavera 2010<br />
AMBROGIO SPARAGNA<br />
ORCHESTRA POPOLARE ITALIANA<br />
N o a<br />
caNta Napoli<br />
ALI FARKA TOURE • ELENA LEDDA • SQUILIBRI • BRASILE IN MUSICA<br />
Tango . Persia . Roberto De Simone . Dakar . Bob Marley . Recensioni<br />
07
Sommario<br />
Mondomix Italia — n°10 primavera 2011<br />
04 EDITORIALE<br />
05 / 13 ATTUALITÀ<br />
05 - ATTUALITÀ-SEI DOMANDE A<br />
MIRCO MENNA<br />
SEBASTIANO BELL'ARTE<br />
06 - ATTUALITÀ-BABELE<br />
07 - ATTUALITÀ-PROFILI<br />
07 - MAHMOUD AHMED<br />
08 - ROBERTO DE SIMONE<br />
09 - TROBAIRITZ D'OC<br />
10 - MASSIMO FERRANTE<br />
12 - MARTIN CARTHY<br />
13 - ENRIQUE MORENTE<br />
14 / 21 MUSICA<br />
14 - TANGO<br />
17 - I TANGHI DI PINA<br />
18 - TANGO NEGRO TRIO<br />
20 - NOA<br />
23 / 39 360°<br />
23 - DAKAR<br />
28 - SUONI PERSIANI<br />
30 - RAMIN SADIGHI<br />
31 - VISIONI PERSIANE<br />
34 - CHENNAI<br />
35 - RENNES<br />
36 - CULTURA POPOLARE<br />
37 - MANRESA<br />
38 - THE STREET FOODIE<br />
40 / 50 RECENSIONI<br />
40 - AFRICA<br />
42 - AMERICHE<br />
43 - EUROPA<br />
44 - FUSION<br />
46 - ASIA<br />
48 - LIBRI<br />
49 - VISIONI<br />
50 - LA WORLD MUSIC CHE NON SAPEVAMO DI AVERE<br />
Periodico gratuito<br />
Editore FM2<br />
Direttore responsabile Luca Rastello<br />
Redazione Elisabetta Sermenghi, Renzo Pognant, David Valderrama, Luca Vergano<br />
redazione@mondomix.com<br />
Hanno collaborato Antonello Lamanna, Ciro De Rosa, Cristina Amodeo, Eddy Cilia,<br />
Emanuele Enria, Enrico Verra, Fabrizio Giuffrida, Fulvio Luciani, Gian Franco Grilli,<br />
Giancarlo Susanna, Giovanni De Zorzi, Giulio Cancelliere, Joelle Caimi, Luisa Perla, Mauro<br />
Zanda, Paola Valpreda, Paolo Ferrari, Piercarlo Poggio, V. Ramnarayan, Valerio Corzani<br />
Pubblicità redazione@mondomix.com<br />
Impaginazione Chiara Tappero / Volumina info@volumina.net<br />
Redazione Corso Moncalieri 331, 10133 Torino (nuovo recapito)<br />
Stampa Ages Arti Grafiche Corso Traiano 124, 10127 Torino<br />
Registrazione al tribunale di Torino n° 49 del 9 luglio 2008 (periodico culturale)<br />
Il logo e il marchio Mondomix sono registrati e di esclusiva proprietà di Mondomix Media SAS. Il<br />
logo e il marchio Mondomix in Italia sono licenziati in esclusiva a FM2.<br />
Solo Mondomix Media SAS e i suoi licenziatari possono utilizzare il logo Mondomix in pubblicazioni,<br />
pubblicità e materiali promozionali.<br />
11<br />
Mahmoud Ahmed<br />
14<br />
Tango<br />
23<br />
Dakar<br />
31<br />
Persia<br />
47<br />
Lalgudi GJR Krishnan<br />
50<br />
Bob Marley - Catch A Fire<br />
Lillo Miccichè
04 Mondomix.com<br />
eDITORIALE<br />
Fuoco e fiamme.<br />
Mentre andiamo in stampa in Nord Africa e Medio Oriente si levano alte le fiamme, bandiere bruciate, grida di giubilo, di<br />
dolore e di sofferenza.<br />
Il mondo come lo abbiamo conosciuto sta cambiando, ancora una volta.<br />
Un nuovo ’89. Un altro muro sta cadendo.<br />
Speranze stanno nascendo.<br />
Il Nord del mondo, noi, a livello di governi e istituzioni è preoccupato solo a difendere i propri confini, il proprio recinto da<br />
fantomatici fondamentalisti e/o epocali invasioni barbariche.<br />
Il massacro libico agli occhi del nostro Potere significa solo fondamentalismo o immigrazione clandestina.<br />
E le radici cristiane per le quali si è sempre pronti a battersi quando conviene?<br />
Sotto terra a riposare. Siamo in inverno. No?<br />
Siamo solo un piccola rivista musicale ma ogni tanto ci piacerebbe essere qualcos’altro.<br />
Il caso ha voluto che l’Iran (il prossimo?) luogo in cui sotto la cenere brucia una forte spinta di cambiamento occupi largo<br />
spazio in questo numero. Il cinema e la musica. Un modo per saperne di più di questa terra culla della nostra storia e<br />
civiltà.<br />
Noa Canta Napoli. La città dell’immondizia, ormai ridotta a simbolo e pattumiera di questo nostro paese. Ma Napoli è<br />
stata anche altro, molto altro. Da Vico a Croce, da Eduardo a De Simone (vedi pagina 8) a Carosone a Nino D’Angelo. È<br />
bello che una grande cantante internazionale dedichi un progetto alla musica di questa città.<br />
Ogni tanto bisogna fermarsi a ricordare da dove veniamo.<br />
Lo hanno fatto a Dakar dove in uno sfavillìo di luci, suoni e colori si è tenuto il Festival Mondial Des Arts Negres. Anche<br />
l’Africa, ogni tanto, si ricorda di cosa è, da dove viene e dove può andare.<br />
E poi ci vuole passione. E Tango. Ecco, cerchiamo di indicare una possibile via a questa che più che una danza è una<br />
filosofia di vita.<br />
E certamente anche molto altro, ma questa volta vi lasciamo il piacere della scoperta.<br />
Anche questo numero oltre alla versione in PDF scaricabile gratuitamente dal sito www.Mondomix.com e disponibile<br />
nella versione interattiva sperimentale sul sito www.mondomix.com con link ad esempi, musicali, negozi online e altro.<br />
Venite a trovarci.<br />
Anche se ci riteniamo assolti siamo pur sempre coinvolti<br />
(libero adattamento da Fabrizio De Andrè)<br />
La redazione<br />
redazione@mondomix.com<br />
Mirco Menna<br />
Cantante e compositore<br />
Che cosa stai ascoltando in questo periodo?<br />
Rumori, alcuni consueti ed altri allarmanti, Gheddafi che<br />
dice resterò fino alla morte, le canzoni di Sanremo mio<br />
malgrado, e per rifarmi le orecchie Jacques Brel che è<br />
meno vecchio di Vecchioni. E Macareu, de Los Gaiteros<br />
de Lisboa.<br />
Quali sono i tuoi dischi preferiti?<br />
Quelli, con tutto il rispetto per la filologia, commistionati<br />
nei “generi”, nel carattere melodico armonico, nei suoni,<br />
nelle liriche: ma sempre radicati nell’“etno”, o folk come si<br />
diceva un tempo e come preferisco dire. Nel popolare, che<br />
è un concetto in continua mutazione.<br />
Due esempi tra tutti: Creuza de ma per quella invenzione di<br />
un “tradizionale” inesistente eppure ben credibile (e per le<br />
parole formidabili, nel suono e nel senso), e Soy Gitano, del<br />
Camaron de la Isla con la London Simphony Orchestra.<br />
Qual’è il musicista che ammiri di più?<br />
Quello che condivide il suo talento e non se la tira. Fermo<br />
restando il talento, certo.<br />
Con chi ti piacerebbe collaborare, se si creasse l’occasione?<br />
Mah, domanda difficile… Con le persone che ammiro (vedi<br />
sopra) ma non necessariamente con musicisti, comunque.<br />
Con Alessandro Robecchi, per dire un nome a me caro, o<br />
con il Gruppo delle Ocarine di Budrio che è dalle parti di<br />
casa mia.<br />
Quali concerti ricordi con più piacere?<br />
Alcuni dove io stavo sul palco.<br />
Uno dei Police e uno di Pino Daniele a Bologna all’inizio<br />
degli Ottanta. Michel Camilo in provincia di Ferrara verso la<br />
fine degli Ottanta. Peppe Barra, e Trilok Gurtu con gli Arché<br />
tra i Novanta e i Duemila.<br />
E poi molti “minori”, straordinari concerti di straordinari<br />
amici, tutta gente che poi si trova a suonare nei miei dischi,<br />
che bello.<br />
Hai artisti giovani che conosci o ascoltato e che ci<br />
consigli di seguire?<br />
La mia amica Silvia Donati che è, come molti di noi,<br />
un’artista giovane di lunghissima esperienza. Una cantante<br />
che supera il canto, diciamo così. Ha appena ultimato un<br />
bellissimo lavoro con Sandro Gibellini nuovo di zecca,<br />
mentre rispondo non ha ancora nemmeno un titolo.<br />
Sei domande a<br />
10 PRIMAVERA 2011 10 PRIMAVERA 2011<br />
05<br />
Che cosa stai ascoltando in questo periodo?<br />
Ascolto sempre tutto, dalla musica classica al jazz. Ad<br />
esempio a pranzo ho ascoltato l’Offerta Musicale di Bach,<br />
questa sera ho ascoltato Chet Baker.<br />
Quali sono i tuoi dischi preferiti?<br />
Ho ascoltato tantissima musica sinfonica, operistica e jazz.<br />
Tra le opere La Bohème di Puccini e Cavalleria Rusticana<br />
di Mascagni, come musica sinfonica la sinfonia Dal<br />
Nuovo Mondo di Antonin Dvorak e Sherazade di Rimsky<br />
KorsaKov. Tra i dischi jazz quello che ho ascoltato di più è<br />
Kind of Blue di Miles e il celebre quartetto di Mulligan con<br />
Baker alla tromba. Tra i cantanti italiani… De Andrè e Pino<br />
Daniele.<br />
Qual’è il musicista che ammiri di più?<br />
Il musicista che ammiro di più è Chet Baker. Altri sono<br />
Paquito D’ Rivera, Arturo Sandoval ecc…<br />
Con chi ti piacerebbe collaborare, se si creasse l’occasione?<br />
Mi piacerebbe collaborare con Caparezza. Le sue canzoni<br />
e il suo stile li trovo molto vicino alla banda.<br />
Quali concerti ricordi con più piacere?<br />
Se ci si riferisce a concerti in cui ho partecipato ricordo<br />
con piacere Il concerto che ho fatto con la Banda Ionica<br />
al Regio di Torino, con la Banda di Avola e Mirco Menna<br />
a Maison Musique di Rivoli e al Teatro Greco di Siracusa<br />
con l’Orchestra Sinfonica di Washington diretta da Mitslav<br />
Rostropovich. Se invece debbo pensare a concerti di altri<br />
ricordo, allo stadio di Caltanissetta, Pino Daniele con Pat<br />
Metheny.<br />
Hai artisti giovani che conosci o ascoltato e che ci<br />
consigli di seguire?<br />
Ho avuto modo di ascoltare al Tenco una ragazza, Carlotta.<br />
Fantastica. Poi conosco Beatrice Campisi, si è esibita con<br />
Banda di Avola al MEI e so che sta cercando di far uscire<br />
un suo lavoro discografico. È giovane e ha un buon gusto<br />
musicale.<br />
Titolo ...e l'italiano ride<br />
Etichetta Felmay / <strong>Egea</strong><br />
Online www.mircomenna.com<br />
Sebastiano<br />
Bell' Arte<br />
Compositore, musicista,<br />
direttore della Banda di Avola
6 Mondomix.com / ATTUALITÀ<br />
FELMAY<br />
Drop Out<br />
and Tune In<br />
di Valerio Corzani<br />
Timothy Leary, 1il padre della cultura 2 psichedelica, diceva:<br />
“Drop Out and Tune In”, stacca la spina dal mondo e<br />
sintonizzati con te stesso. Una dimensione spirituale che<br />
ha il suo fascino e il suo perché anche senza l’ausilio<br />
dell’LSD e delle filosofie orientali. “Unplugged” in effetti<br />
è diventata una parola chiave delle società tecnologiche<br />
d’inizio millennio. Tenere la spina staccata, o meglio trovare<br />
il coraggio di staccarla, è una delle grandi scommesse della<br />
7<br />
8<br />
civiltà odierna. Prendersi una pausa da tutte le “connessioni”<br />
dalle quali dipendiamo. Staccare momentaneamente i fili<br />
che ci legano al mondo, che spesso ci aiutano a vivere<br />
meglio e ancora più spesso finiscono per opprimerci e<br />
congestionare i nostri “voli”. C’è di mezzo anche la “moda”<br />
ovviamente: le nuove spiritualità, l’ecologismo snob, le<br />
bevande diet (o più semplicemente idiot), il tabacco light<br />
e tutte le varie 9menate<br />
di cui i nostri 10 rotocalchi televisivi<br />
si appropriano prontamente. Ma scava scava, se si va a<br />
fondo, è indubbio che l’esigenza che muove la patina di<br />
queste mode è scossa da un impeto autentico, sincero.<br />
Succede anche nella musica, un ambito nel quale si è<br />
dovuto scavare con pazienza. Aspettare la fine degli anni<br />
novanta e lo spegnersi del malinteso new age (chitarre<br />
morbide, melodie 11 alla melassa etc…), 12 lasciar decantare<br />
XP• Mondomix marzo 2010 4-03-2010 13:25 Pagina 2<br />
ly<br />
w.felmay.it<br />
FELMAY<br />
P Felmay 2009<br />
felmay<br />
16<br />
18<br />
EGEA<br />
10 PRIMAVERA distributore esclusivo 2011<br />
per l’Italia<br />
1 2<br />
17<br />
19<br />
FELMAYTRADIZIONE&INNOVAZIONE<br />
Babele<br />
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il flusso trendy del cosiddetto new-acoustic mouvement<br />
d’inizio millennio (quando a staccare la spina si sono<br />
catapultati in troppi), prepararsi all’arrivo di un’essenza più<br />
autentica. Chiamiamola pure ancora unplugged, ma non<br />
come definizione di stile, piuttosto come pura “esigenza”.<br />
Anche solo come semplice optional potrebbe ricoprire una<br />
funzione importante e piacevole - come la cartina della<br />
Rizla che ti avvisa che sei a “dieci dalla fine del pacchetto”<br />
(e dio solo sa quanto è utile quell’avviso…) - ma qui c’è<br />
3 4 5 6<br />
dell’altro, qualcosa più del galateo, qualcosa più di una<br />
gentilezza, sonora e non. Staccare la spina dai vincoli<br />
della tecnologia è una sorta di boccaglio che ti permette<br />
di gustare appieno il tuo personalissimo snorkeling<br />
biografico e culturale. Ascoltare il suono purissimo delle<br />
voci bulgare o la filigrana aguzza delle corde vocali di<br />
Dona Dimitru Siminică equivale a partire alla scoperta del<br />
Rio delle Amazzoni in canoa o attraversare l’Islanda coi<br />
racchettoni da sci. Rivalutare il suono avvolgente di un<br />
pianoforte acustico può diventare un’avventura estrema,<br />
mentre riscoprire il calibro del rumore puro (provocato da<br />
un tamburo o da un bidone) è un altro esercizio di grande<br />
coraggio un-plugged. Un’estensione della percezione che<br />
utilizza antenne analogiche o meglio, biologiche: minerali,<br />
vegetali, animali.<br />
Potete partire da Souad Massi o da Stephan Micus, dal<br />
Dem Trio o dalla Vegetable Orchestra... non ha molta<br />
importanza. L’importante è che dopo il salutare tuffo<br />
neoacustico, non perdiate la curiosità del riattaccare la<br />
spina per ascoltare anche una cumbia elettrificata, Mercan<br />
Dedé o i Konono No.1...<br />
13 14 15<br />
FELMAYTRADIZIONE&INNOVAZIONE<br />
thiopiques<br />
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3 4 5 6<br />
«Sto ascoltando dal mio Monferrato […] questo magnifico disco degli Yo Yo Mundi<br />
dedicato a queste terre (loro e mie).<br />
[…] Su questi antichi sobbalzi in due quarti e tre quarti, gli Yo Yo hanno lavorato<br />
con eccellenti orchestrazioni che infiammano e corteggiano la scatola magica, la<br />
fisarmonica, torre di Babe e regina di Saba.»<br />
(Paolo Conte)<br />
20 21 22 23 24<br />
25<br />
7<br />
8<br />
Yo Yo Mundi<br />
Munfrâ<br />
Trobairitz d'Oc<br />
vol. 1 - L'age d'or de la vol. 5 - Tigrigna Music vol. 10 - Tezeta - Ethiopian vol. 15 - Europe meets<br />
musique ethhiopenne 1970-75<br />
Blues and Ballads<br />
Ethiopia - Jump to Addis<br />
moderne 1969-1975<br />
Trobairitz d’Oc voci<br />
Valeria Benigni<br />
vol. 6 - Mahmoud Ahmed vol. 11 - Alèmu Aga - The vol. 16 - Asnaqètch Wèrqu<br />
Paola Lombardo<br />
vol. 2 - Azmaris urbains<br />
Almaz 1973<br />
Harp Lo of King mau David Claudio d'amor<br />
Carboni The Lady sax with the Krar<br />
1. Colorina de ròsa Tradizionale 3.47<br />
des annèes 90<br />
2. La cançon e la pluma Valeria Benigni / Gaël Princivalle 2.52<br />
3. La femme d’un tambour Tradizionale vol. 12 - Konso Music vol. 2.29 17 - Tlahoun Gèssèssè<br />
4. Lo mau d’amor Tradizionale 4.22<br />
vol. 3 - L'age d'or de la<br />
9 vol. 7 - Mahmoud 10 Ahmed<br />
5. Lo rossinhòu messatgier Tradizionale 4.25<br />
& Songs<br />
6. Intro luerda Claudio Carboni 1.12<br />
7. La femna luerda Tradizionale 3.13<br />
musique ethiopienne Erè mèla mèla 1975<br />
vol. 18 - Asguèbba !<br />
8. Miton Paola Lombardo 2.31<br />
Una formazione originale, due voci e sassofono, 9. Serpol che Paola Lombardo da nuova / Sergio Berardo vita 4.01 ad un<br />
moderne 1969-1975<br />
vol. 13 - The Golden 10. Sinfonia de Margòt Paola Lombardo vol. 1.45 19 - Mahamoud Ahmed<br />
vol. 8 - Swinging Addis<br />
repertorio 11. La masurca de Sant popolare Andiòu Tradizionale / Charlon secolare.<br />
Rieu 2.46<br />
12. Minon-minauna Tradizionale 2.44<br />
Seventies - Ethiopian 13. L’aiga de Groove<br />
ròca Tradizionale 4.07 1974 - Alèmyè<br />
vol. 4 - Mulatu Astatke 1969-1974 La musica Occitana come 14. A stacada non d’Brelh, l'avete valsa finala Tradizionale mai 3.25sentita.<br />
1-02-2011 12:04:43<br />
Ethio Jazz & Musique<br />
vol. 14 - Gètatchèw Mèkurya vol. 20 - Either Orchestra &<br />
Instrumentale, 1969-1974 vol. 9 - Alèmayehu Eshété<br />
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trobairitz d’oc<br />
occitany<br />
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world music<br />
11 12 13 14 15<br />
vol. 21 - Emahoy Tsegué<br />
& Maryam Guèbrou<br />
Piano Solo<br />
vol. 22 - Alèmayèhu Eshèté<br />
1972/1974<br />
vol. 23 - Orchestra Ethiopia<br />
vol. 24 - L'age d'or de la<br />
musique ethiopienne<br />
moderne 1969-1975<br />
vol. 25 - Modern Roots<br />
1971/1975<br />
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P Felmay 2009<br />
2010<br />
fy 8180<br />
Le origini<br />
Di origine gurage, ceppo etnico minoritario radicato<br />
nel Sud Ovest del paese, Mahmoud si arrangia da<br />
ragazzino con un mestiere che davvero più blues si<br />
muore: lustrascarpe, per le velleità da City e da capitale<br />
notturna della “swingin’Addis”. Quel mondo lo seduce, e<br />
la maniera più semplice di metterci piede è farsi assumere<br />
in un locale. Gli riesce con l’Arizona Club: basti il nome<br />
per farsi un’idea dell’aria cosmopolita che si respirava<br />
nella capitale negli anni compresi tra il 1955 e il 1974,<br />
quelli dell’ottimismo e dello swing, delle tentazioni latine<br />
e dell’eredità melodica italiana, dei ricami di scuola araba<br />
e del soul di fonte americana. Lì Ahmed parte dal basso, è<br />
una sorta di factotum addetto alle pulizie, alle riparazioni,<br />
alla tinteggiatura. Ma canta bene, molto. La proprietà<br />
se ne accorge, e tra il 1960 e il 1961 gli offre le prime<br />
chance di esibirsi di fronte al pubblico. Il tempo di onorare<br />
l’appuntamento con Sua Maestà, mancato di poche ore<br />
nel 1941, è maturo: nel 1962 il ventunenne Mahmoud viene<br />
aggregato alla Imperial Bodyguard Band, fiore all’occhiello<br />
del paese non solo per blasone regale.<br />
i favoLosi anni 70<br />
Ascoltare le quattordici tracce del volume 26 della collana<br />
Éthiopiques, curato come sempre con rigore, passione<br />
e ricchezza di informazioni dal direttore Francis Falceto<br />
per Buda Musique, illumina quanti, come noi occidentali,<br />
sono abituati a vedere le guardie del corpo come persone<br />
lontane dall’idea stessa d’arte, quanto estranee alle<br />
dinamiche innovative. La voce di Ahmed, carica di soul,<br />
d’Oriente e swing, colori e sapori senza passaporto,<br />
è scortata da arrangiamenti stupefacenti. Il periodo in<br />
questo caso è l’ultimo col sodalizio imperiale, ma il succo<br />
non cambia; in assenza di capitali privati, come spesso<br />
accade nel Sud del Mondo, lo stato (radio, bande militari,<br />
balletti ufficiali) è stato per molti lustri l’unico riferimento<br />
affidabile sotto il profilo della qualità dei materiali. Oltre<br />
al cd, testimone però del periodo 1972 – 1974, la serie<br />
ha dedicato alla star di Addis altre due monografie, né<br />
potrebbe essere altrimenti: Falceto non fa mistero di<br />
dovere a Mahmoud l’idea stessa dell’impresa discografica<br />
etiope, il cui germe nacque in seguito all’ascolto di una<br />
sua vecchia cassetta.<br />
Profili<br />
Mahmoud Ahmed<br />
Voce dall'Etiopia<br />
di Paolo Ferrari<br />
È il 5 maggio 1941. A bordo dell’Alfa Romeo del colonnello inglese Wingate, Sua Maestà il Negus Hailé Selassié I<br />
percorre le strade di Addis Abeba tra due ali di folla festante: sconfitta, l’Italia si è ritirata. Il dominio di Roma sull’Abissinia<br />
è finito, e l’Inghilterra riconsegna il trono al suo alleato etiope. Tre giorni dopo, l’8 maggio, nella stessa città nasce Alemye<br />
Mahmoud Ahmed. I destini dell’Imperatore e del neonato si sfiorano; le loro strade si incroceranno ventuno anni dopo.<br />
aLLa conquista deL mondo<br />
Prima dei suoi studi e delle sue pubblicazioni, l’unico album<br />
di musica etiope noto all’Occidente era Ère Mèla Mèla,<br />
gioiello pubblicato nel 1975 come riuscito esame di maturità<br />
dopo l’uscita dalla Imperial Bodyguard Band, meritoriamente<br />
proposto in Europa nel 1986 dalla Crammed e rilanciato, con<br />
le estensioni e le note in stile Éthiopiques, come volume 7 del<br />
percorso, dopo un sesto ellepi intitolato Almaz, incisioni con<br />
la Ibex Band parallele all’ultimo periodo imperiale. Ère Mèla<br />
Mèla: il disco decisivo nell’anno della morte di Hailé Selassié,<br />
ancora un incrocio fatale. Il più “americano” e internazionale<br />
dei dischi di Ahmed resta Alèmyé, targato 1974 e al centro del<br />
volume 19 della saga Falceto, con soluzioni esplicitamente<br />
soul. Se altre tracce dell’uomo danno soddisfazione nei cd<br />
3, 8 e 10 della collana, farciti di 45 giri delle varie epoche, è<br />
bene ricordare l’attualità di Mahmoud Ahmed, tra i pochissimi<br />
artisti etiopi (con Aster Aweke, però migrata negli States,<br />
con Gigi, aiutata da sodalizio con Bill Laswell, e con l’icona<br />
rock Mulatu Astatqe) entrati nell’Olimpo della musica africana<br />
di peso globale. Ecco allora l’Award per la World Music,<br />
conferitogli nel 2007 da BBC Radio 3, e un maturo Live In<br />
Paris, messo in circolazione nel 1998 dalla Long Distance.<br />
Éthiopiques intanto annuncia l’imminente pubblicazione di<br />
Shèkla, ultimo vinile pubblicato dal cantante nel 1978 sulla<br />
propria etichetta Mahmoud Records prima di arrendersi al<br />
formato cassetta. Meno seducente, ma più economico e<br />
adatto a filtrare tra la gente negli anni bui della censura. Tra<br />
storia e futuro, il presente di Mahmoud Ahmed si chiama<br />
attualità permanente.<br />
Online www.budamusique.com<br />
Ethiopiques volume 6<br />
Buda / <strong>Egea</strong><br />
Ethiopiques volume 7<br />
Buda / <strong>Egea</strong><br />
Ethiopiques volume 26<br />
Buda / <strong>Egea</strong><br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
7
8 Mondomix.com / ATTUALITÀ<br />
Con queste note dolenti sulla scomparsa di una cultura<br />
millenaria che già trent’anni fa era in declino si apre il<br />
nuovo lavoro di Roberto De Simone, Son sei sorelle.<br />
Compositore, scrittore, regista teatrale, drammaturgo<br />
e musicologo, De Simone è stato la mente della Nuova<br />
Compagnia di Canto Popolare, che fonda nel 1967 assieme<br />
a Giovanni Mauriello, Eugenio Bennato e Carlo d'Angiò.<br />
Grazie a ricerche sul campo nei luoghi dove in quegli anni<br />
le tradizioni ancora sopravvivono, e allo studio delle fonti<br />
scritte che descrivono forme poetico-musicali del passato,<br />
come strambotti, villanelle e laudi, De Simone e la NCCP<br />
sviluppano un ricco repertorio musicale che sarà poi<br />
alla base di opere teatrali come La cantata dei pastori e<br />
La gatta Cenerentola del 1976. In quegli anni De Simone<br />
incide i repertori musicali incontrati durante le sue ricerche,<br />
chiedendo agli interpreti tradizionali di eseguirle in studio.<br />
Il frutto di quelle registrazioni viene pubblicato nel 1979 in<br />
un cofanetto di sette LP, La tradizione in Campania, ormai<br />
da lungo tempo esaurito.<br />
La tradizione in campania<br />
Son sei sorelle ripropone quelle preziose registrazioni in<br />
studio, con l’aggiunta di numerose altre effettuate sul<br />
campo, raddoppiando di fatto la durata dell’edizione del<br />
1979: “si tratta di nastri incisi proprio nel momento rituale<br />
delle feste, magari privi di perfezione tecnica, ma ricchi di<br />
una coralità dirompente, di una verità espressiva, di uno<br />
spessore rituale, religioso, rappresentato al massimo”.<br />
Ed effettivamente da questi CD emergono brani di rara<br />
intensità, eseguiti da cantatori e suonatori che avevano<br />
profonda conoscenza della loro tradizione, per averla<br />
vissuta tutta una vita nel suo contesto originario, al di<br />
fuori di qualsiasi intenzione spettacolare o tentazione<br />
di protagonismo. Cantatori e suonatori il cui ruolo era<br />
riconosciuto dalla comunità per l’altissimo livello che essi<br />
avevano raggiunto: Antonio Torre, Giovanni Coffarelli, Rosa<br />
Nocerino, Giulia Ciletti, per citarne solo alcuni. Musica<br />
rurale, eseguita nei momenti e nei contesti prescritti e non<br />
Son sei sorelle<br />
Rituali e canti<br />
della tradizione in Campania<br />
di Fabrizio Giuffrida<br />
“Saranno queste registrazioni la celebrazione dell’assenza. Ma<br />
saranno, esse, la cartina di tornasole per evidenziare le innumerevoli<br />
mistificazioni e contraddizioni, operate in nome di un mondo estinto?”<br />
occasionalmente, secondo il capriccio dell’interprete. È<br />
questo il segno dell’autenticità del canto, sigillo di verità di<br />
un’emozione espressa tramite una ritualità e una sacralità<br />
che purtroppo scompaiono con la morte di questi grandi<br />
esecutori. Emozione e intensità che traspaiono anche dalle<br />
splendide foto scattate da Mimmo Jodice, riportate sulla<br />
copertina dei singoli CD e del volume.<br />
musica e testo<br />
Son sei sorelle rovescia il consueto rapporto esistente in<br />
questo tipo di pubblicazioni: di solito il centro del progetto<br />
è il libro, “corredato” da uno o più dischi “illustrativi”. Qui<br />
è l’esatto contrario: il testo è un prezioso commento alla<br />
musica contenuta nei CD, vera protagonista di quest’opera<br />
di De Simone. Il libro si apre con una sezione dedicata alla<br />
descrizione degli strumenti, delle forme poetiche e delle<br />
forme musicali esistenti in area campana, fornendo gli<br />
elementi di base per un ascolto consapevole dei dischi. La<br />
seconda sezione, che da sola costituisce il 90 % del testo,<br />
è un’analisi approfondita dei singoli brani, con indicazione<br />
di interpreti, data e luogo dell’incisione, seguita dalla<br />
trascrizione e traduzione dei testi cantati. In un arco di<br />
tempo che va dal 1973 al 2003, De Simone ha raccolto<br />
testimonianze sonore in buona parte del territorio campano,<br />
spaziando dai canti sul tamburo, ai lamenti funebri, dalle<br />
fronne ai canti di lavoro, dalle tarantelle ai canti religiosi. In<br />
appendice, quattro articoli che De Simone ha scritto per<br />
il quotidiano Il Mattino, nei quali constata dolorosamente<br />
la scomparsa di tradizioni che aveva documentato negli<br />
anni ’70, come il pellegrinaggio a Montevergine, ma<br />
scopre anche con entusiasmo il perdurare di altre, come<br />
a Montemarano, dove la processione resiste, malgrado<br />
tutto.<br />
Titolo Son sei sorelle.<br />
Rituali e canti della tradizione in Campania<br />
Etichetta Squilibri<br />
Online www.squilibri.it<br />
Profili 09<br />
Le Trovatrici D’Oc(ccitania)<br />
Trobairitz d'Oc alle prese con il mal d'amore<br />
di Ciro De Rosa<br />
Dopo aver esordito nel 2007 con Margot voupadançar,<br />
album che ha riscosso ampi consensi di critica di settore,<br />
soprattutto in Francia, le “trovatrici” del XXI secolo Paola<br />
Lombardo e Valeria Benigni, attive come duo vocale<br />
dal 2004, si riconfermano come una delle proposte più<br />
significative di quel variegato universo sonoro che si<br />
riconosce nella area culturale occitanica. Lo mau d‘amor è<br />
frutto del loro incontro con il soffio dei sassofoni di Claudio<br />
Carboni, pilastro di Banditaliana.<br />
trobairitz<br />
In lingua occitana trobairitz significa per l’appunto trovatrici.<br />
Le due cantanti sono state ammaliate dalle gentildonne<br />
poetesse d’epoca medievale che componevano nell’idioma<br />
d’oc. Valeria, di formazione jazzistica, è divenuta la voce<br />
degli alfieri della musica occitanica d’Italia Lou Dalfin,<br />
Paola ha un lungo un percorso artistico di matrice folk.<br />
Quest’ultima ci dice: “La lingua occitana è molto sonora,<br />
con fonemi che sono veramente piacevoli da cantare. La<br />
osserviamo e la studiamo, cercando di cogliere i colori e le<br />
diversità delle varie parlate. Pur vivendo a Torino, ai piedi<br />
delle valli occitane, abbiamo acquisito familiarità con una<br />
lingua che non è quella natìa respirando l’atmosfera delle<br />
valli e ascoltato i vinili di ricerca e riproposta di questo<br />
repertorio”.<br />
Le Trobairitz d’Oc non attingono al repertorio duecentesco<br />
della grande poesia in lingua d’oc, matrice della tradizione<br />
lirica dell’Europa moderna, ma riprendono materiali<br />
trasversali, riconducibili agli ultimi due secoli, dalla<br />
Linguadoca al Delfinato, fino alla piemontese Val Chisone.<br />
In questo album, inoltre, si cimentano nella composizione<br />
in lingua occitana, senz’altro una svolta rispetto all’esordio<br />
costellato di brani tradizionali. “Per ora i nostri brani sono<br />
legati al vissuto individuale, sia per la musica che per i<br />
testi”, aggiunge Paola. “Le canzoni sono state scelte prima<br />
di andare in studio, dove abbiamo apportato modifiche<br />
se sentivamo la vocina che ci diceva: 'Magari suona<br />
meglio così…!' Ricordo che il primo incontro con Claudio<br />
è avvenuto a casa sua sull’Appennino, per l’occasione<br />
avevamo portato un abbozzo del primo brano Colorin de<br />
ròsa, un tradizionale che ci ha rapito quando lo abbiamo<br />
ascoltato dalla voce di Rosina De Peira. Lui, che è un<br />
entusiasta di natura, ha iniziato a buttare giù qualche nota<br />
con il baritono. Le cose sono più o meno proseguite così<br />
per gli altri brani... Per la maggior parte dei brani abbiamo<br />
lavorato insieme, in alcuni casi invece chi aveva già in<br />
mente l’architettura della canzone ha portato le parti”.<br />
Se Claudio Carboni ha conosciuto la musica occitana<br />
suonando con Patrick Vaillant e incontrato, tramite<br />
Riccardo Tesi, il repertorio del gran cantore Jean-Marie<br />
Carlotti, quali sono i punti di riferimento occitanici di Paola<br />
e Valeria? “Per l’audacia e la fantasia ci hanno ispirato i<br />
Lo Còr de la Plana, per l’innovazione nella tradizione i<br />
Perlimpinpin Folk e Patrick Vaillant, per l’espressività e il<br />
calore vocale Rosina e Martina De Peira”.<br />
daL duo aL trio<br />
Tra i pregi di Lo Mau d‘Amor, l’abilità che hanno i tre artisti<br />
di interagire secondo modalità assolutamente inusitate.<br />
Claudio Carboni ha raccolto la sfida con curiosità ed<br />
entusiasmo: “Quello che ho cercato di fare è di plasmare<br />
il mio linguaggio, adattandolo ai brani, creando un gioco<br />
di affinità e di contrasti che sfocia in quella che veramente<br />
io intendo per world music. Non scimmiotto gli strumenti<br />
abituali di questa musica, ma cerco di inserire quella<br />
che è la mia dialettica musicale nella poesia di queste<br />
splendide melodie”. I sax soprano e baritono incrociano<br />
superbamente la compattezza vocale delle due cantanti<br />
che si avvalgono qua e là di percussioni e del battito delle<br />
mani. Gli strumenti di Carboni sono ora rinforzo ritmico ora<br />
terza voce, diventano controcanto o morbido appoggio<br />
su cui ricamano le splendide ugole. Tutto ciò, mettendo<br />
sempre al centro il suono d’insieme. Lasciamo ancora la<br />
parola a Claudio: “Col baritono eseguo parti più ritmiche<br />
e incalzanti, quasi come se fosse una batteria. Mi piace<br />
utilizzare molto anche lo slap, così che non si senta la<br />
mancanza di altri strumenti anche nei brani di maggior<br />
groove. Col soprano diventiamo una sorta di trio vocale,<br />
la voce del sax dialoga e contrasta con le voci e si prende<br />
spesso la libertà di improvvisare”.<br />
Le tracce<br />
Le quattordici tracce iniziano con la già citata Colorina<br />
de ròsa, dove il sax sottolinea il canto o agisce da<br />
controcanto ritmico. Atmosfere morbide jazzate in La<br />
cançon e la pluma, musicata da Valeria Benigni su testo<br />
di Gael Princivalle. Nel tradizionale La famme d’un tambur,<br />
storia del suonatore di tamburo che preferisce i piaceri<br />
dell’osteria ai doveri familiari, le voci incalzanti trovano<br />
sponda facile nel guizzo ritmico e nello slancio melodico<br />
del sax. Si libra piacevole e leggiadro Lo mau d’amor,<br />
distinto dalla solarità dei sassofoni che ora ornano le voci<br />
ora si producono in terza voce. L’accompagnamento<br />
lirico del pianoforte impreziosisce il canto trovadorico<br />
Lo rossinhòu messatgier. Dopo il bel solo introduttivo di<br />
Carboni parte La femna luerda, versione occitana della<br />
Maria Giuana piemontese. Miton è un gustoso elogio<br />
della zuppa di contadini e pastori fatta con latte e pane<br />
raffermo del giorno prima. Si parla del timo serpillo dal<br />
quale si produce un distillato, in Serpol, siglata da Paola<br />
Lombardo su liriche di Sergio Berardo, dai passaggi vocali<br />
che riprendono i modi del canto sardo. Sinfonia de Margòt<br />
richiama il disco di debutto. Ancora gioco di incastri<br />
sonori ne La masurca de Sant Andiòu, col sax di Claudio<br />
che si ritaglia un gustoso assolo. I tamburi a cornice sono<br />
protagonisti nella ninna nanna percussiva Minon-minauna<br />
che profuma di Mediterraneo, mentre nella scottish L’aiga<br />
de ròca il trio divide la scena con gli archi di Santa Vittoria,<br />
protagonisti di sequenze bartokiane. Finale col tradizionale<br />
A stacada d’brelh, dove il sax soprano oscilla tra sognante<br />
impronta garbarekiana e valzer di sapore appenninico.<br />
Titolo Lo mau d’amor<br />
Etichetta Felmay / <strong>Egea</strong><br />
Online www.felmay.it<br />
10 PRIMAVERA 2011 10 PRIMAVERA 2011
10 Mondomix.com / ATTUALITÀ<br />
Sei in piena tournée con tutta la band, come sta andando?<br />
La tournée è già partita da un pezzo e sta andando molto<br />
bene, se consideriamo che è iniziata questa estate. Le<br />
tappe ora diminuiscono sia perchè in questo periodo vivo<br />
a Napoli e quindi diventa tutto problematico, e sia perchè<br />
in inverno la richiesta di live entra in una specie di letargo<br />
stagionale. Nel disco ci sono molte collaborazioni artistiche<br />
importanti come quelle con Antonello Paliotti, Lutte Berg,<br />
Lello Petrarca, Enrico del Gaudio Angelo De Falco insieme<br />
agli E Zezi. Attualmente, però, sto presentando Jamu con<br />
delle riduzioni del gruppo: in duo, o trio, a seconda del<br />
club in cui suono.<br />
In Jamu c’è una sorta di sintesi della tua esperienza<br />
artistica, come nasce l’idea di questo nuovo viaggio<br />
nel Sud Italia, è nostalgia o voglia di scoprire altro?<br />
Le mie ricerche sono sempre legate un po’ al territorio,<br />
quindi prendo qualcosa dalla mia terra, dalla mia Calabria<br />
dalla zona dell’Alto Cosentino, e poi ascolto molti<br />
vecchi nastri e dischi introvabili che non hanno nessuna<br />
distribuzione. È un materiale interessante, fonte non<br />
esclusiva delle mie produzioni musicali.<br />
Quando si crea un nuovo lavoro, si pensa sempre ad una<br />
struttura, e la mia idea è stata quella di un viaggio nei<br />
repertori musicali poco esplorati, un viaggio intimo nei suoni<br />
e nelle storie di un’Italia che rischia di essere dimenticata, e<br />
dove un patrimonio culturale molto vasto rischia di essere<br />
sminuito e snaturato. Creare per me significa appunto<br />
ascoltare la propria sensibilità e lasciarsene guidare. Jamu<br />
è un progetto basato su un attento e accurato lavoro di<br />
recupero e rielaborazione di brani editi ed inediti in vario<br />
modo reperiti, in cui metto in evidenza la ricerca di un<br />
equilibrio fra tradizione e modernità.<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
Il folksinger in cerca<br />
di forme poetiche<br />
Intervista a Massimo Ferrante sul nuovo cd<br />
Jamu: sonorità tradizionali del Sud Italia<br />
di Antonello Lamanna<br />
Ai due successi discografici U Ciucciu del 2005 e Ricùordi del 2006 ora si aggiunge Jamu il nuovo lavoro di Massimo<br />
Ferrante distribuito dalla Felmay. Jamu in calabrese significa “andiamo” che rimanda in un certo senso a “come on”,<br />
uno dei riff più famosi del blues di Chicago. Ferrante è un affermato musicista calabrese che vive a Napoli dagli anni<br />
Settanta, e da allora ha assimilato tutto di questa terra: la sensibilità, la creatività, e la versatilità qualità con le quali è<br />
riuscito ad appropriarsi di una cultura antica attraverso la sua anima popolare. Dodici brani incastonati tra due parti di<br />
una nota poesia di Ignazio Buttitta, Lingua e dialettu, tramutata in canzone grazie all’arrangiamento e ai corposi interventi<br />
strumentali di Antonello Paliotti. Il resto del disco si gusta brano dopo brano come un piacevole mosaico sonoro. Lo<br />
abbiamo raggiunto telefonicamente mentre era impegnato in una delle sue presentazioni del nuovo disco.<br />
Ci puoi fare un esempio?<br />
Mi riferisco a un recupero importante che ho voluto inserire<br />
in questo disco: la Strina du judeo, un canto calabrese<br />
tradizionale atipico proposto con un bel arrangiamento di<br />
Lutte Berg alla chitarra elettrica, di Lello Petrarca al basso<br />
e di Enrico Del Gaudio alla batteria. Le strine sono canti<br />
augurali eseguiti durante il periodo natalizio, ma questa che<br />
ho raccolto a Joggi (in provincia di Cosenza) si caratterizza<br />
invece per i toni provocatori e caustici verso tutti, e in<br />
particolare verso le istituzioni.<br />
In tutti i tuoi dischi, e soprattutto in questo, si nota la<br />
ricerca di forme musicali originali e poco conosciute,<br />
come mai questa scelta?<br />
É una battaglia che combatto da molti anni. Diffido molto e<br />
ho sempre mantenuto una certa distanza da certe tendenze<br />
modaiole che si consumano velocemente e che offuscano<br />
il vero patrimonio musicale tradizionale. Mi interessano<br />
le forme dei dialetti calabresi e i diversi aspetti legati alle<br />
minoranze linguistiche che fanno parte della nostra identità<br />
culturale. Non inseguo mode, ma tento di far emergere<br />
forme musicali poco conosciute. Nel Sud non ci sono solo<br />
le tarantelle, le tammurriate e le pizziche.<br />
So che stai lavorando ad un interessante progetto, di<br />
che si tratta?<br />
Si, ci sto lavorando da diverso tempo. Dopo gli impegni<br />
per la tournée del disco in Italia, vorrei dedicarmi a formare<br />
una corposa band popolare di fiati, zampogne, tamburelli,<br />
per presentarla all’estero.<br />
Titolo Jamu<br />
Etichetta Felmay / <strong>Egea</strong><br />
Online www.felmay.it<br />
Profili<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
11
12 Mondomix.com / MUSICA<br />
Martin Carthy<br />
Il re del folk inglese<br />
di Giancarlo Susanna<br />
Il secondo folk revival inglese, letteralmente esploso nella<br />
seconda metà degli anni ’60, ha dimostrato come non solo<br />
fosse possibile riprendere la tradizione in modo corretto e<br />
credibile, ma anche scrivere canzoni nuove usando quel<br />
linguaggio poetico e musicale. Forse qualche intellettuale<br />
conservatore considerò con sufficienza cantautori come<br />
Nick Drake, John Martyn, Allan Taylor e Sandy Denny o<br />
gruppi come i Pentangle e i Fairport Convention, ma quello<br />
che questi giovani musicisti facevano non era poi così<br />
distante dal lavoro prezioso del grande (e severo) padre del<br />
folk revival britannico Ewan MaColl, che nel 1973 aveva<br />
vinto il prestigioso premio Ivor Novello con la sua The<br />
First Time I Ever Saw Your Face. È quasi inutile ricordare<br />
quanto fosse difficile in quegli anni seguire tutto quel che<br />
accadeva oltremanica, ma il fascino di certi dischi – da<br />
Liege & Lief dei Fairport a Basket of Light dei Pentangle,<br />
per citarne appena un paio - era troppo forte per chi aveva<br />
avuto l’occasione di scoprirli.<br />
La scoperta<br />
Il primo album di Martin Carthy che acquistai è un’antologia<br />
della serie This is… della Philips. Si intitola The Bonny<br />
Black Hare and Other Songs e sulla copertina c’è un bel<br />
disegno della bella lepre nera protagonista dell’omonima<br />
canzone. Lo trovai nel ‘74 nell’unico negozio romano che<br />
all’epoca aveva dischi d’importazione. Qualche mese<br />
dopo partii per il mio primo viaggio a Londra e fu all’ombra<br />
della Roundhouse, a Camden, in uno dei tanti club che<br />
all’epoca richiamavano piccole schiere di appassionati,<br />
che assistetti a un suo concerto. Carthy era già una<br />
star del folk revival. Famoso per una lunga e brillante<br />
collaborazione con il violinista Dave Swarbrick e per la<br />
sua decisiva presenza nei primi Steeleye Span, aveva la<br />
dote più importante dei performer solitari: il carisma. Fu<br />
preceduto dai “residents” del club e tenne un concerto<br />
bellissimo. Mi colpì non solo per la voce e per lo stile<br />
chitarristico, ma anche perché utilizzò un diapason per<br />
accordare la sua Martin e per prendere l’intonazione giusta<br />
nei pezzi solo vocali. In Italia non avevo mai visto e sentito<br />
niente del genere. Noi non avevamo nessuno che fosse in<br />
grado di riproporre la tradizione in un modo tanto efficace.<br />
Due anni dopo lo rividi, sempre a Londra: la serata fu<br />
aperta come consuetudine dai “residents”, ma prima del<br />
set di Carthy cantarono anche i Watersons, il quartetto<br />
solo vocale formato da Mike Waterson e dalle sue sorelle<br />
Lal e Norma, cui si aggiunse, al posto di John Harrison, lo<br />
stesso Carthy.<br />
La carriera<br />
Nato il 21 maggio del 1941 a Hatfield, nell’Hertfordshire,<br />
Carthy cominciò a coltivare il suo amore per la musica<br />
cantando nel coro della scuola e studiando pianoforte e<br />
trombone. Come molti giovani inglesi (compresi i Beatles),<br />
Carthy fu contagiato dalla moda dello skiffle e mentre<br />
lavorava come stage manager per alcune compagnie<br />
teatrali fece le sue prime esperienze come chitarrista nei<br />
club dell’area di Londra. Fu un concerto di Sam Larner,<br />
un anziano pescatore e folksinger di Norfolk, a spingerlo<br />
verso il revival. Da allora la sua vicenda artistica non ha<br />
conosciuto soste.<br />
Con i Thameside Four e in duo con il prodigioso Dave<br />
Swarbrick, con gli Steeleye Span (in cui suonava anche la<br />
chitarra elettrica) e la Albion Country Band, con i Watersons,<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
i fenomenali Brass Monkey (insieme a John Kirkpatrick) e<br />
i Waterson Carthy (essenzialmente un trio con la moglie<br />
Norma Waterson e la figlia Eliza Carthy), Martin ha lasciato<br />
un segno indelebile nel “suono” inglese.<br />
Già ai tempi del duo con Swarbrick e dei suoi dischi da<br />
solo – Carthy è un chitarrista dallo stile inconfondibile,<br />
percussivo ed essenziale – la sua musica aveva influenzato<br />
personaggi immensamente più noti di lui come Bob Dylan<br />
e Paul Simon. Con quest’ultimo, che si era appropriato<br />
senza mai dichiararlo dell’arrangiamento di Scarborough<br />
Fair, ha avuto una controversia durata decenni e conclusa<br />
con una rappacificazione solo in tempi recenti. Nominato<br />
dalla Regina Elisabetta “Member of the British Empire”,<br />
Martin Carthy è giustamente considerato come uno dei più<br />
importanti e influenti folksinger della sua generazione.<br />
Online www.watersoncarthy.com<br />
Martin Carthy<br />
Signs of Life<br />
Topic, 1998<br />
Waterson Carthy<br />
Common Tongue<br />
Topic, 1997<br />
Brass Monkey<br />
Sound & Rumour<br />
Topic, 1998<br />
Martin Carthy<br />
The Carthy Chronicles<br />
Box antologico di 4 cd, Free Reed, 2001<br />
Il giorno di Natale avrebbe compiuto sessantotto anni<br />
ma il destino ha voluto che la vita del cantante flamenco<br />
Enrique Morente si fermasse prima. Alla notizia della sua<br />
scomparsa, lo scorso tredici dicembre, una profonda<br />
commozione ha attraversato in lungo e in largo la Penisola<br />
Iberica. Basti leggere i titoli dei principali quotidiani<br />
spagnoli: l’ultimo poeta flamenco titolava El Mundo, morte<br />
di uno sciamano per El Pais, o il cantante che rinnovò il<br />
flamenco per il quotidiano Publico. Ma è a Granada che il<br />
tributo popolare al suo illustre cittadino è diventato pianto<br />
collettivo con oltre seimila persone accorse alla camera<br />
ardente in un susseguirsi di amici, di vicini di casa, di<br />
parenti e di colleghi di una vita andati a salutare per l’ultima<br />
volta il maestro. Quando la figlia Estrella, su versi di Lorca,<br />
ha intonato l’ultimo saluto recitando Il pianto della chitarra,<br />
un brivido ha scosso l’intera sala.<br />
L'apprendistato<br />
La sua storia artistica ha inizio presto, quando appena<br />
quindicenne viaggia a Madrid facendo da apripista a<br />
tanti altri artisti, da Camaron a Paco de Lucia, alle sorelle<br />
Utrera, soltanto per citarne alcuni. Nel fermento musicale<br />
e artistico della capitale Enrique muoverà i primi passi da<br />
interprete e conoscerà i maestri del tempo Don Antonio<br />
Chacón e Pepe de la Matrona.<br />
Più ancora delle sue innate qualità, del registro vocale<br />
e della capacità di affinare il canto, sarà la curiosità e il<br />
desiderio di imparare e di esplorare nuove strade a offrire<br />
la chiave del successo al cantante granadino. A differenza<br />
della spontanea e vulcanica bravura di Camaron, Enrique<br />
Morente sarà sempre un artista dedito alla ricerca e al<br />
perfezionamento quasi maniacale della propria opera.<br />
iL successo<br />
Il successo non tarda ad arrivare. Già nel 1964 viaggia a<br />
New York e Washington, l’anno successivo è in tournée<br />
europea; ingaggiato presso i prestigiosi tablaos Zambra<br />
e Caffé de Chinitas si guadagna l’ammirazione di un<br />
pubblico esperto ed esigente. Con il primo premio al<br />
Festival di Malaga e la pubblicazione del primo album,<br />
Cante flamenco, arriva anche la notorietà al grande<br />
pubblico. Gli anni successivi saranno caratterizzati dal<br />
sodalizio musicale con il chitarrista Manolo Sanlucar che<br />
gli consentirà di qualificare maggiormente la propria opera<br />
e lo porterà a concepire ambiziosi spettacoli dal vivo<br />
come Andalucia hoy nel 1981 o il monumentale El loco<br />
romantico basato sul Chisciotte de la Mancha presentato<br />
a Granada nel 1988. Gli anni novanta si apriranno con<br />
la pubblicazione di Misa flamenca, prima di una serie di<br />
opere dedicate al conterraneo Federico Garcia Lorca.<br />
Profili<br />
Enrique Morente<br />
l’ultimo profeta flamenco<br />
S c o m p a r s o a l l ’ e t à d i 6 7 a n n i u n o d e i m a s s i m i e s p o n e n t i<br />
della canzone andalusa<br />
di David Valderrama<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
13<br />
iL maestro<br />
Insieme ai tanti successi personali non va dimenticato<br />
il grande impegno profuso dall’artista in favore della<br />
diffusione del flamenco a livello internazionale e del<br />
sostegno ai giovani talenti. La sua naturale curiosità l’ha<br />
condotto a esplorare e spingere il flamenco dove nessuno<br />
aveva mai osato. E l’ha fatto non per compiacere se stesso<br />
ma perché convinto e della versatilità e della necessità<br />
di aggiornare il flamenco al proprio tempo. Ad esempio,<br />
Morente è arrivato a tentare esperimenti stravaganti come<br />
suonare con la rock band underground dei Sonic Youth o a<br />
promuovere incontri con musicisti africani e latinoamericani.<br />
D’altronde, al costante impegno per la ricerca artistica ha<br />
sempre affiancato una forte propensione alla ribellione. In<br />
un’occasione andò a cantare a Parigi nella sede dell’allora<br />
esiliato partito comunista spagnolo, anni dopo accettò di<br />
cantare di fronte al re Juan Carlos e gli dedicò una canzone<br />
repubblicana.<br />
L’ultima intervista rilasciata al settimanale Vanity Fair, poco<br />
prima di morire, è un commuovente ritratto di Enrique e<br />
di sua figlia, la cantante Estrella Morente, vera erede del<br />
cantante andaluso. La morte di Enrique Morente giunge<br />
a meno di un mese dal riconoscimento del flamenco,<br />
da parte dell’UNESCO, quale Patrimonio Culturale<br />
Immateriale dell’Umanità. Un bel congedo per un artista<br />
che a quest’arte ha dedicato la vita.<br />
Online www.enriquemorente.com<br />
Cante flamenco<br />
Hispavox<br />
Omega<br />
Acqua<br />
Homaje a D. Antonio Chacon<br />
Emi
14 Mondomix.com / MUSICA<br />
Guida minima al TangoTanghi a ritroso<br />
di Emanuele Enria<br />
È la vita condensata in tre minuti. C’è chi lo racconta così<br />
un tango. Una interpretazione estetica della vita, direbbe il<br />
poeta Horacio Ferrer, magazzino in cui si sono accumulati,<br />
in azzardoso e tumultuoso stivaggio, esseri umani, stili di<br />
vita, modi d’amare un dio o un altro, modi di fare il pane,<br />
l’amore, il commercio e le case.<br />
origini<br />
Nato pellegrino tra le rive del Rio de la Plata, mescolando<br />
nella sua ibridazione, figlia dell’immigrazione di fine<br />
Ottocento in Sud America, la voce italiana, spagnola,<br />
tedesca, ebrea, polacca (e qui non si può non prestare<br />
subito orecchio alla voce rauca e inconfondibile di Roberto<br />
Goyeneche accompagnata dal bandoneon di Annibal<br />
Troilo) all’Africa degli schiavi presenti soprattutto in<br />
Uruguay. È la sua stessa parola a dircelo: tango, come il<br />
battito delle percussioni, come il suono del tamburo (tangò<br />
venivano chiamati) nel candombe, come il luogo in cui<br />
danzavano su questi ritmi (Tangò), fino al nome del Dio<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
Xangó, il Dio guerriero secondo il culto afroamericano degli<br />
Orixa. Senza tralasciare il tango andaluz. Sarà Juan Carlos<br />
Caceres a rievocare mirabilmente nel suo Tango Negro del<br />
2003 questa parte negra del tango, ricercandone il suono<br />
che facevano i tre tamburi, tambor piano, tambor chico,<br />
tambor repique: borocotò-borocotò-borocotò-chaschás.<br />
Candombe che diventa milonga, milonga che si tuffa<br />
dentro il più ampio universo che oggi chiamiamo tango, tra<br />
generi, stili, nuovi meticciaggi.<br />
iL bandoneon<br />
I suoi albori con la voce dei payadores, i cantastorie,<br />
accompagnati da chitarra, flauto e violino. Il viaggio di uno<br />
strumento come il bandoneon, creato in Germania intorno<br />
al 1835, ad opera probabilmente di un tale Heinrich Band,<br />
per sostituire l’organo delle chiese di campagna, che<br />
finisce invece nella Pampa, trasportato forse per la prima<br />
volta da un marinaio brasiliano di nome Bartolo, forse da<br />
un inglese di nome Moore o semplicemente venduto da un<br />
immigrato tedesco in una balera. Storie dentro una storia<br />
che fanno capire perché oggi tango sono anche le parole<br />
di Paolo Conte, innamorato di queste cavalcate mitiche tra<br />
il caso, il nome di un perfetto sconosciuto e gli afrori di un<br />
luogo. È quella sua massima: “Così come la lucertola è il<br />
riassunto del coccodrillo, il tango è il riassunto della vita”.<br />
La solitudine della Pampa, i quartieri di Buenos Aires,<br />
Montevideo danno a uno strumento nato in Germania,<br />
il bandoneon, la giusta tonalità. Come se il canto<br />
dell’Europa, ormai imbalsamato nelle sue macerie, avesse<br />
avuto bisogno di partire ancora una volta per cantare la<br />
sua nostalgia, che oggi non è più soltanto “un pensiero<br />
triste che si balla” come lo definiva il più sublime paroliere<br />
del tango, Enrique Santos Discepolo, ma è anche, e di<br />
nuovo, ritmo, gioia, sensualità, danza nell’apertura delle<br />
sue sfumature, dei luoghi in cui il tango si ferma: Giappone<br />
o Turchia, Inghilterra come Finlandia. E dei generi con cui<br />
si incontra.<br />
iL tango<br />
Per questo è da salutare con gioia l’uscita del libro di<br />
Elisa Guzzo Vaccarino, Il tango, edito da L’Epos, che<br />
riesce finalmente a leggerne, grazie alla sua enorme<br />
competenza come critico di danza, ballerina lei stessa di<br />
tango, la complessità contemporanea, fornendo quei punti<br />
di contatto che ancora mancavano per capire come entri<br />
anche in un balletto di Bejart, di Pina Bausch, nella musica<br />
elettronica così come nella psicanalisi.<br />
Gli anni Venti Trenta sono legati alla voce di Carlos Gardel,<br />
l’usignolo del tango, che incide alcuni dei brani più celebri<br />
della storia del tango, come Volver, Mi Buenos Aires<br />
Querido, dando alla sua voce quel qualcosa che Horacio<br />
Ferrer paragona al chamuyo, termine lunfardo che indica il<br />
corteggiamento con le parole.<br />
Si contano qualcosa come millesettecento autori e<br />
centomila registrazioni, di cui settantamila realizzate<br />
tra il 1902 e il 1995, prima dell’era digitale. Il rischio<br />
è che molte di queste vadano perdute: per questo il<br />
musicista e compositore Ignacio Varchuasky ha costituito<br />
l’associazione Tango Via (www.tangovia.org) con cui le<br />
trasferisce da disco in formato digitale contattando i vari<br />
collezionisti e possessori.<br />
Se in Europa dici tango, si pensa subito al genio di Astor<br />
Piazzola, mentre c’è invece tutto un ascolto da percorrere<br />
tra le grandi orchestre, elaborazione del sexteto tipico<br />
(bandoneones, violini, pianoforte, contrabbasso) che<br />
appare dai primi decenni del ’900 in poi e tocca la sua<br />
epoca d’oro negli Anni Trenta Quaranta: quella di Osvaldo<br />
Fresedo (e quella chicca che è la versione di Vida mia con<br />
Dizzy Gillespie alla tromba), Juan D’Arienzo, Rodolfo<br />
Biagi, Francisco Canaro, fino a quegli autentici giganti<br />
che sono Annibal Troilo, non a caso maestro anche di<br />
Piazzola, Osvaldo Pugliese e Carlos Di Sarli. Senza<br />
tralasciare l'armonica di Hugo Diaz.<br />
Difficile davvero fare una scelta dentro a un repertorio<br />
OSVALDO PUGLIESE<br />
From Argentina to the world<br />
Emi<br />
Il pianista Osvaldo Pugliese ci porta<br />
con la sua orchestra a toccare<br />
le vertigini della sua epressività<br />
poliritmica. Cambi di tempo,<br />
impetuose accelerazioni, pause come<br />
respiri. Un capolavoro assoluto<br />
FRANCISCO CANARO<br />
Poema<br />
Suramusic<br />
Musicista autodidatta, nato dal<br />
nulla, ha sofferto molto riuscendo<br />
poi a giungere alla vetta con una<br />
produzione quasi sconfinata. È<br />
considerato uno dei capisaldi della<br />
tradizione, con un’orchestra che<br />
arriva a superare i 50 elementi.<br />
CARLOS DI SARLI<br />
100 años<br />
RCA Victor<br />
La pura eleganza di un’orchestra<br />
come questa, tra ritmo e melodia,<br />
regala le più belle versioni di Bahia<br />
Blanca, Don Juan, Verdemar<br />
JUAN D'ARIENZO<br />
Instrumental Vol. 1<br />
BMG<br />
Scoppiettante. Era bellissimo da<br />
vedere mentre dirigeva come un<br />
indemoniato il coro di bandoneon<br />
della sua orchestra. Da ballare,<br />
camminare, una musica che marca<br />
il passo con precisione millimetrica<br />
OSVALDO FRESEDO<br />
Rendezvous porteno<br />
Acqua Records<br />
Uno dei grandi maestri della prima<br />
generazione, riconoscibile per un<br />
suono allegro, ritmato, nel suo<br />
incontro con la tromba di Dizzy<br />
Gillespie. Una versione di Vida mia<br />
che rimarrà in eterno.<br />
Tango<br />
così vasto. Ringrazio Dario Moffa e<br />
la sua associazione Essentia (www.<br />
tangosensibile.it/chi_siamo.php),<br />
che propone interessantissimi corsi<br />
di tango e ascolto della musica, per<br />
aver accettato di “giocare” con me a<br />
comporre questa selezione. Da abbinare<br />
alla lettura di:<br />
Elisa Guzzo Vaccarino, Il tango,<br />
L’Epos, Palermo, 2010<br />
ANNIBAL TROILO<br />
Yo soy el tango<br />
BMG<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
15<br />
ANNIBAL TROILO PICHUCO<br />
ROBERTO GOYENECHE<br />
El gordo y el polaco<br />
DBN<br />
Il bandoneon per eccellenza, quello di Annibal Troilo,<br />
detto el Pichuco, forse il musicista che più di tutti ha<br />
saputo far uscire da questo strumento quell’inconfondibile<br />
lamento, come recita uno dei tanghi più celebri, Quejas<br />
de bandoneon. Da ascoltare sia con la sua orchestra che<br />
mentre accompagna la voce grumosa e sotterranea di<br />
Roberto Goyeneche.<br />
HUGO DIAZ<br />
Tangos<br />
Acqua Records<br />
L’armonica di Hugo Diaz che<br />
reinterpreta i più celebri tanghi di<br />
Gardel, da Volver a Arrabal amargo,<br />
Melodia de arrabal, Por una<br />
cabeza. Accompagnata da piano,<br />
contrabbasso e chitarra è una<br />
musica che sorprende chiunque ancora non lo conosca.<br />
ASTOR PIAZZOLLA<br />
Libertango<br />
Gold collection<br />
Una carrelata da brivido dei classici<br />
piazzoliani. Da Fuga y mysterio,<br />
Adiós Nonino a Jeanne y Paul, uno<br />
dei pezzi più belli in assoluto del<br />
genio di Piazzola.<br />
JUAN CARLOS CACERES<br />
Tocá Tango<br />
Discos CNR<br />
Il viaggio che compie Caceres da<br />
anni verso le radici africane del<br />
tango arriva qui a toccare la parte<br />
più nera del suo lavoro, grazie<br />
all’attenzione che dedica alla parte<br />
ritmica. Non a caso il titolo prende<br />
spunto dai tamburi del candombe.
16 Mondomix.com / MUSICA<br />
E non vi fossero bastati…<br />
AA VV<br />
The Tango Lesson<br />
Sony Classical<br />
Un modo facile per avere un piccolo<br />
riassunto di alcuni dei più bei tanghi da<br />
ballare ed ascoltare. Colonna sonora del<br />
film Lezioni di Tango di Sally Potter, regala all’ascolto il<br />
valzer Amor y celos di D’Arienzo, la Yumba di Pugliese,<br />
Quejas de bandoneón di Troilo e molto altro.<br />
ASTOR PIAZZOLLA / HORACIO FERRER<br />
Edición crítica: en persona<br />
RCA Victor<br />
La poesia di Horacio Ferrer recitata dallo<br />
stesso e accompagnata dal bandoneon<br />
di Astor Piazzolla. Poesia per le orecchie<br />
e il cuore, oltre che una lezione di musicalità tra voce e<br />
strumento.<br />
AA VV<br />
Sulle rive del tango<br />
Microcosmodischi<br />
Una compilation composta di tanghi per<br />
così dire “involontari”. Il disco è un viaggio<br />
che inizia da Napoli e tocca le sponde<br />
dell’America Latina, Sicilia, Sardegna, dei Balcani, ma è<br />
capace di trovare spunti anche in Norvegia e in Polonia.<br />
Un viaggio che racchiude esperienze e generi musicali<br />
molto diversi tra loro.<br />
RICARDO TANTURI Y SU ORQUESTA TÍPICA<br />
Tangos de mi ciudad<br />
BMG<br />
Pianista, direttore e compositore, la<br />
produzione di Tanturi è sempre associata<br />
ai suoi cantanti, in questo caso la voce<br />
di Alberto Castello. Una piacevolissima carrellata di<br />
tanghi, milonghe e vals da parte di uno dei maestri della<br />
tradizione.<br />
ASTOR PIAZZOLLA / GERRY MULLIGAN<br />
Reuníon cumbre<br />
Music Hall<br />
Il connubio tra Astor Piazzolla e Gerry<br />
Mulligan è quanto di più straordinario<br />
potesse produrre l’incontro tra due generi<br />
musicali: tango e jazz. Ne nasce una musica che affonda,<br />
all’interno di due voci così importanti come quella del<br />
bandoneon e del sax baritono, il tango dentro il ritmo<br />
sincopato del jazz, senza tralasciare gli impeti sonori di<br />
uno Stravinskij<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
RODOLFO BIAGI<br />
La Orquesta Y Sus Cantores<br />
Emi<br />
Un altro maestro della tradizione. La<br />
semplicità delle melodie al suo massimo<br />
livello, meravigliosi sono i suoi vals.<br />
Inconfondibile il suo piano che dialoga con l’orchestra, un<br />
vero ballo tra gli strumenti.<br />
ENRIQUE RODRIGUEZ<br />
Tangos con Armando Moreno<br />
Emi<br />
Ha una grandissima produzione. Quella con<br />
Armando Moreno sembra rappresentare<br />
al meglio il suo timbro, la sua sonorità,<br />
un’orchestra all’unisono incentrata sulla melodia degli<br />
strumenti e la voce del cantante.<br />
GOTAN PROJECT<br />
La revancha del Tango<br />
XL,<br />
Inutile negarlo. C’è un prima e dopo Gotan<br />
Project. Un autentico rinnovamento del<br />
tango attraverso la musica elettronica<br />
attuata da un gruppo di musicisti, quasi<br />
tutti residenti a Parigi, che ha dimostrato che si poteva<br />
riesplorare l’intero repertorio del tango e le sue radici con<br />
un linguaggio nuovo.<br />
DANIEL MELINGO<br />
Santa Milonga<br />
Mañana<br />
Inconfondibile la voce di Melingo. Il suo<br />
Narigon è una delle milonghe più eccitanti,<br />
africane, suburbane. Ma è tutto l’album<br />
a disegnare una perfetta ricerca tra la<br />
sonorità urbana, il ritmo africano e l’uso del lunfardo nel<br />
cantato.<br />
TITA MERELLO<br />
Milongón Porteño, da Grandes del Tango 40<br />
Pattaya<br />
Una delle figure femmili più importanti<br />
e rappresentative dei primi decenni del<br />
Novecento (che ha vissuto fino in fondo,<br />
essendo morta solo nei primi anni del Duemila) a Buenos<br />
Aires. Attrice e cantante, la sua è un’interpretazione quasi<br />
giocosa, gorgheggiante, di tanghi in cui c’è sempre chi<br />
scappa, si lamenta o si vanta. Come nella milonga Se<br />
dice de mi, dove per una volta a giocare la parte dello<br />
“spaccone” è una donna.<br />
Wilfried Krüger<br />
Uno dei primi giorni di luglio del 2009 Pina Bausch se ne<br />
è andata all’improvviso. La sua compagnia, il Wuppertaler<br />
Tanztheater, silenziosamente preparata a quel momento,<br />
ha continuato con grande amore e coraggio a portare in<br />
giro per il mondo l’universo bauschiano: “..Certe cose si<br />
possono dire con le parole, altre con i movimenti. Ma ci<br />
sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole,<br />
completamente perduti e disorientati, non si sa più che<br />
fare. A questo punta comincia la danza, e per motivi del<br />
tutto diversi dalla vanità… Si deve trovare un linguaggio<br />
– con parole, con immagini, movimenti, atmosfere – che<br />
faccia intuire qualcosa che esiste in noi da sempre”, aveva<br />
detto la stessa Pina Bausch durante il discorso per la<br />
laurea ad honorem assegnatale dall’Università di Bologna<br />
nel 1999.<br />
iL metodo<br />
Dopo i primi lavori ancora legati al linguaggio della danza<br />
tradizionale (e comunque già straordinari), con una musica<br />
che ha una storia da raccontare (Ifigenia in Tauride, Orfeo<br />
ed Euridice, le Sacre du Printemps) svilupperà, dal 77’ in<br />
poi, il suo celebre metodo di improvvisazioni che nascono<br />
da domande, tante domande, evocazioni, che ad ogni<br />
nuova creazione, pone ai suoi ballerini: di che cosa hai<br />
paura? Che cos’è la primavera? Tenerezza. Presentati.<br />
Cosa fai quando ti piace qualcuno? A cui ogni ballerino<br />
risponde con parole e gesti, consegnando parte del suo<br />
vissuto personale a Pina. Solo lei sa dove vuole arrivare<br />
ogni volta. “...Le domande che poniamo ci conducono<br />
a esperienze che sono molto più antiche, che non<br />
appartengono soltanto alla nostra cultura e al qui e ora. È<br />
come se ritornasse a noi una conoscenza che da sempre<br />
ci appartiene, ma della quale non siamo più consapevoli<br />
e contemporanei. Ci fa ricordare qualcosa che è comune<br />
a tutti noi”. La musica è parte di questa scatola magica,<br />
deve evocare paesaggi, sentimenti, stati d’animo. Non è la<br />
stessa dall’inizio delle prove fino allo spettacolo compiuto,<br />
ma va componendosi pian piano, per assemblaggio,<br />
montaggio, estrazione di tutto il materiale sonoro che è<br />
stato raccolto. Questo significa che i ballerini non provano<br />
su una musica già stabilita, ma che musica e danza sono<br />
come due compagni che si cercano e si scoprono nel<br />
tempo della creazione.<br />
un incontro<br />
Mi è sembrato doveroso rendere un piccolo omaggio a Pina<br />
Bausch andando ad incontrare Matthias Burkert e Andreas<br />
Eisenschneider durante il passaggio del Wuppertaler<br />
Tanztheater a Montecarlo, nel mese di dicembre, mentre<br />
riportava in scena Cafè Muller, creato nel lontano 1978,<br />
il solo dove Pina Bausch abbia anche danzato, e Le<br />
Sacre du Printemps. Sono loro i volti che hanno dato ad<br />
ogni spettacolo le musiche: un lavoro da antropologo,<br />
musicologo, artigiano, artista. Un autentico viaggio nelle<br />
musiche del mondo, soprattutto da quando la compagnia ha<br />
iniziato a lavorare su invito nei vari paesi, creando spettacoli<br />
ispirati ai luoghi: come Viktor a Roma, Palermo Palermo,<br />
Wiesenland all’Ungheria, Masurca Fogo a Lisbona, Agua<br />
al Brasile, Nefés alla Turchia, e ancora.<br />
Tango<br />
I tanghi di Pina<br />
U n p i c c o l o v i a g g i o t r a l e m u s i c h e d e g l i<br />
spettacoli di Pina Bausch e il suo<br />
Wuppertaler Tanztheater<br />
di Emanuele Enria<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
17<br />
un pò di tango<br />
Dentro questa ampissima scelta, mi piace ricordare<br />
quanto il tango sia stato un “luogo” preferenziale (a cui<br />
ha anche dedicato un intero spettacolo, Bandoneon)<br />
in cui Pina Bausch ha esplorato la possibilità di incontro<br />
tra individui, tra uomo e donna, attraverso un codice<br />
di gesti, camminate, abbracci. Nel 1978 porta in scena<br />
Kontakthof, un lavoro che riproporrà poi nella versione<br />
con intepreti di età over 60 e in una terza versione con<br />
ragazzi sotto i 18 anni, documentata poeticamente nel<br />
recente documentario Les reves dansant di Anne Linsel<br />
et Rainer Hoffmann (e a breve da un lavoro più ampio di<br />
Wim Wenders). Rimangono, come in un film di Fellini, quei<br />
motivetti di tutto lo spettacolo. La melanconica melodia<br />
estratta dal film il Terzo Uomo di Carol Reed e composta<br />
da Anton Karas, suonatore di zither. O i tanghi tedeschi<br />
di Juan Llosas, come Oh, Fräulein Grete, Blonde Claire...<br />
Ascoltandoli, sembrerà di entrare sempre in quel mondo<br />
che ci ha regalato Pina Bausch, dove anche una semplice<br />
carezza è già danza.<br />
Online www.pina-bausch.de/en/index.php<br />
www.juanllossas.de/Discher%20CD1.htm<br />
Angelos Giotopoulos
18 Mondomix.com / MUSICA<br />
"Borocotó, borocotó, chas chas,… Tango negro, tango<br />
negro, los tambores no suenan más,… los gringos fueron<br />
cambiando tu manera de bailar". In questi versi ritmati<br />
di Tango Negro, brano lievemente ritoccato per il nuovo<br />
album No Me Rompas Las Bolas, c’è tutta l’essenza e<br />
l’estetica dell’audace ed eretico progetto del poliedrico<br />
Juan Carlos Cáceres, pianista, trombonista, compositore,<br />
cantautore e leader del Tango Negro Trio che punta:<br />
primo, a dimostrare la facciata invisibile del tango, quella<br />
nera, dimenticata, con il tambor africano in cattedra<br />
(omaggiato anche in Suena el tambor e Toca tango,<br />
tracce 1 e 13) scomparso, assieme ad altri elementi con<br />
l’estinzione della popolazione afroargentina, e sostituito<br />
da tonalità e timbriche occidentali (dei gringos = europei)<br />
come recitano i versi suddetti; secondo, a valorizzare altri<br />
protagonisti della regione rioplatense, tra Buenos Aires e<br />
Montevideo, come murga, candombe, milonga, habanera,<br />
musiche europee e il rapporto che intercorre con le altre<br />
espressioni popolari afro-americane.<br />
iL tango negro<br />
Il terzo CD appena pubblicato – davvero dirompente, fin<br />
dal titolo, a quattro anni di distanza da La Vuelta del Malon<br />
e a sei da Tango Negro Trio - colpisce più che mai il centro<br />
del bersaglio estetico che l’artista argentino, residente a<br />
Parigi dal 1968, va ricercando da molto tempo. E stavolta<br />
il maestro Cáceres scuote sia i tangueros più ortodossi, sia<br />
la moltitudine di semplici appassionati o musicisti (tra cui<br />
anche tanti cultori di sound latino, credetemi), gente che<br />
non aveva mai saputo di altre verità o conoscenze sul tango<br />
oltre quelle imperanti e inossidabili ricevute attraverso il<br />
mito di Carlos Gardel, Osvaldo Pugliese, il nuevo tango<br />
del bandoneonista Astor Piazzolla, quello elettronico dei<br />
Gotan Project, eccetera. Così il tango, che un tempo parlò<br />
e ritmò mandinga, congo e mina, l’indomabile e combattivo<br />
cantautore - oltre che jazzista - porteño lo fa nuovamente<br />
rivivere in queste quindici coinvolgenti tracce mediante<br />
l’originale racconto storico-sociale, cantato e musicato<br />
in chiave milonguera (il punto di partenza dei suoi viaggi)<br />
e incrociato con altri linguaggi. Una specie di itinerario<br />
sonoro camaleontico, in cui è facile perdersi perché l’opera<br />
si trasforma di continuo, assorbendo le diverse modalità<br />
ritmico-melodico-armoniche imbarcate lungo la infinita<br />
navigazione del Tango Negro Trio, che arriva a toccare le<br />
foci caraibiche dova sbocca il Mississippi con le tinte jazz<br />
del trombone di Cáceres intersecate dall’accordeon nella<br />
malinconica Camila (tr.11).<br />
i caraibi<br />
Difficile a volte stabilire i punti di confine dell’indagine<br />
musicale, ma la sintassi, gli accenti e i ritmi incorporati nel<br />
Hace unos meses decidimos emprender la realizacion del 3 CD del TANGO<br />
solido concetto milonguero che si distaccano NEGRO TRIO. A con la iniciativa un y bajo la ruolo<br />
supervision de Hideto “Panchito” 1 Suena el tambor<br />
3.53<br />
Nishimura, desde Japon una nueva experiencia.<br />
2 Mandinga milonga<br />
4.05<br />
Con nuevos temas y algunos clasicos de nuestro repertorio.<br />
3 No me rompas las bolas 4.43<br />
importante in questo progetto provengono Siguiendo con la dalla propuesta de la reivindicacion scuola de los ritmos olvidados, 4 La Maga<br />
3.15<br />
nuevos sonidos y una fuerte impronta milonguera han mantenido latente 5 Paso el tiempo<br />
4.24<br />
la linea comenzada hace anos en pro de hacer conocer un repertorio inedito<br />
afrocubana, con i cicli ritmici di clave, di cascara rumbera<br />
6 Que milonga mi amor 3.48<br />
en el ambito de la musica rioplatense.<br />
7 En Paris me quedo<br />
4.15 JUAN CARLOS CACERES<br />
El tango, la milonga, la habanera, la murga, y el candombe representan las<br />
8 Quemaste todo (solo piano) 2.20 MARCELO RUSSILLO<br />
formas emblematicas de la cultura urbana de Buenos Aires y Montevideo,<br />
e montuno. Figurazioni e concetti che el trio TANGO esercitano NEGRO TRIO se siente comprometido una con esa estetica.<br />
9 Tango negro<br />
3.50 CARLOS el tero BUSCHINI<br />
Quiero agradecer la participacion de Melingo, Tero, Marcelo, Javier, Olivier, 10 Sudacas<br />
3.30 feat<br />
Natalio, Martin y Alejandrito. musicos comprometidos en la difusion de 11 Camila<br />
4.29 Javier Girotto<br />
sorta di dittatura nella musica popolare nuestra cubana, musica en el mundo. poi, per<br />
12 Murga cruel<br />
3.06 David Pecetto<br />
J C Caceres. 13 Toca tango<br />
2.51 Olivier Manoury<br />
estensione, nell’afrocuban-jazz (oggi latin jazz), modalità<br />
14 La Pulpera de Santa Lucia 2.46 Alejandro Caraballo<br />
info & comments<br />
bonus track<br />
Martin Bruhn<br />
+39- 437 - 434 8130<br />
15 Plaza de Mayo<br />
4.10 Natalio Mangalavite<br />
tangonegrotrio@gmail.com<br />
adottate anche da altre scuole afrolatine e non solo. E<br />
www.myspace.com/tangonegrotrio<br />
Titolo No Me Rompas Las special guest Bolas<br />
DANIEL MELINGO<br />
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FELMAY<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
Daniel Melingo courtesy Mañana<br />
recorded at<br />
4ur studio - Angera Italy by Davide Primiceri<br />
Orfeo studio - Buenos Aires, Argentina by Edgar Gonzales<br />
mixed & mastered at<br />
R&R studio - Civitavecchia Italy by Max Rosati<br />
supervision by Hideto panchito Nishimura<br />
cover image Juan Carlos Caceres<br />
photos Francesco Truono<br />
produced by Tango Negro Trio & Ass. Cult. Musica dei Popoli<br />
ph.+39 ph.+39 0142 0142 50577 0142 ph.+39 50577 fax +39 0142 fax fax 0142 +39 50577 +390142 50780 0142 fax 50780 +39 50780 info@felmay.it 0142 info@felmay.it 50780www.felmay.it info@felmay.it www.felmay.it<br />
www.felmay.it<br />
No Me Rompas<br />
Las Bolas<br />
Tango Negro Trio<br />
di Gian Franco Grilli<br />
di No Me Rompas Las Bolas. Un disco che suona diverso<br />
da quelli precedenti, che miscela con equilibrio il sound<br />
serioso del tango con l’allegria caraibica, in modo marcato<br />
e in modo sorprendente per il sabor gioioso di Girotto (di<br />
solito il suo linguaggio è più triste, ma stupendo) con la<br />
vibrante voce del sax baritono che contrappunta il canto<br />
nel cadenzato calypso-son di Que Milonga mi amor (tr. 6).<br />
Latin jazz<br />
Che dire ancora, che il timoniere Cáceres va avanti con la<br />
forza di un fiume in piena che a mio avviso lo porta dritto<br />
e in modo deciso nel comparto molto variegato del jazz<br />
latino, e in cui i progetti di Tango Negro Trio meritano di<br />
stare e per le ragioni poc’anzi descritte, e per le strutture<br />
jazzistiche disegnate dal piano del leader, e per le articolate<br />
spirali e i ricami dell’inconfondibile sassofonista Javier<br />
Girotto, e per il solido groove del multipercussionista<br />
uruguaiano Marcelo Russillo e del bassista Carlos “el tero”<br />
Buschini, binomio fisso della band che si destreggia alla<br />
grande tra le più diverse sonorità del mondo. Un esempio,<br />
tra i tanti, che tutti possiamo ascoltare qui, è il raffinato<br />
incastro ritmico creato con due diversi disegni di cascara<br />
(tipico della rumba), volta a sollecitare l’elegante piano e a<br />
stimolare la narrazione vocale che guida Sudacas (tr.10),<br />
composizione dedicata agli argentini, cileni e uruguaiani<br />
esiliati in Spagna (ma non solo) negli anni Settanta, quando<br />
il “Sudamerica era triste e stava piangendo”.<br />
Per concludere. Alla realizzazione di questo album hanno<br />
contribuito numerosi ospiti di ottimo livello, tra i quali, oltre<br />
al già citato Javier Girotto, l’eccellente improvvisatore e<br />
bandoneonista David Pecetto e l’ex rocker, polistrumentista,<br />
Daniel Melingo, oggi considerato il moderno ambasciatore<br />
del tango-canción con vocalità che scende tra i registri più<br />
profondi, virile, un artista che ricorda un po’ Tom Waits e<br />
Nick Cave.<br />
Unico neo di questo affascinante disco (altrimenti<br />
sarebbe perfetto) è la mancanza di un booklet, con i testi<br />
e qualche dettaglio informativo in più, sul tango negro e<br />
sulla distribuzione degli strumenti impiegati nei vari pezzi.<br />
La completezza ci aiuta a saperne di più su sonorità che<br />
meritano di essere riscattate, e che speriamo altri giovani<br />
sappiano poi continuare le ricerche dell’ultrasettantenne<br />
pianista e cantante argentino che piace a buona parte del<br />
pubblico nostrano per la somiglianza con Paolo Conte, ma<br />
se la mettiamo così ogni tanto spunta anche il Bongusto<br />
che fa Fred!<br />
P Felmay 2009<br />
P Felmay 2009<br />
P Felmay 2009<br />
Tango Negro Trio No Me Rompas Las Bolas fy 8175<br />
P Felmay 2009<br />
fi le under<br />
tango negro trio<br />
italy<br />
world music<br />
ph.+39 ph.+39 0142 ph.+39 ph.+39 0142 50577 0142 0142 50577 fax 50577 0142 +39 fax fax +39 0142 fax +39 50577 +39 +39 0142 50780 0142 0142 50780 fax 50780 info@felmay.it 50780 +39 info@felmay.it 0142www.felmay.it 50780 www.felmay.it<br />
info@felmay.itwww.felmay.it P Felmay 2009<br />
P Felmay 2009<br />
PP Felmay Felmay 2009 2009<br />
P Felmay 2009<br />
P Felmay 2011<br />
Tango Negro Trio No Me Rompas Las Bolas fy 8175<br />
P Felmay 2009<br />
special guest<br />
DANIEL MELINGO speaking voice<br />
Tango Negro Trio<br />
JUAN CARLOS CACERES piano, voice, trombon<br />
MARCELO RUSSILLO drums, percussion<br />
CARLOS el tero BUSCHINI bass<br />
feat<br />
Javier Girotto sax<br />
David Pecetto bandoneon, accordeon<br />
Olivier Manoury accordina<br />
Alejandro Caraballo bombo murguero<br />
Martin Bruhn cajon<br />
Natalio Mangalavite choir<br />
Tango Negro Trio<br />
No Me Rompas Las Bolas<br />
8175 digipack.indd 1 18-11-2010 18:27:18<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
19
20 Mondomix.com / MUSICA<br />
NOA <strong>CANTA</strong> <strong>NAPOLI</strong><br />
Intervista alla cantante israeliana simbolo del pacifismo internazionale<br />
di David Valderrama<br />
Noa, al secolo Achinoam Nini, è una delle cantanti più celebri d’Israele e contemporaneamente una delle artiste di fama<br />
internazionale più impegnate in favore della causa del popolo palestinese. Lo confermano il suo costante impegno in<br />
favore della Pace e le sue tante dichiarazioni che lancia costantemente dal suo blog. Per questo ha ottenuto grandi<br />
riconoscimenti internazionali e nel 2007 il Presidente della Repubblica Napolitano l’ha insignita del Cavalierato della<br />
Repubblica.<br />
Nata a Tel Aviv da una famiglia di origini yemenite è cresciuta tra New York - dove attualmente vive insieme al marito e ai<br />
tre figli - e Israele, dove a diciassette anni si trasferì per prestare servizio militare. Dotata di una voce vellutata e cristallina<br />
e di una genuina quanto instancabile volontà di sperimentare e conoscere culture, stili, generi, ha all’attivo tredici dischi in<br />
studio e una infinità di collaborazioni. La sua carriera artistica è legata a doppio filo con quella del compositore, arrangiatore<br />
e produttore israeliano Gil Dor. E a giudicare dal successo ottenuto Gil è un vero e proprio portafortuna.<br />
Nel 1997 debutta in Italia prestando la sua voce nella canzone portante della colonna sonora del film La vita è bella di<br />
Roberto Benigni e nel 2006 partecipa al Festival di Sanremo in duo con Carlo Fava, ottenendo il Premio della Critica.<br />
Oggi, quasi a restituzione del calore e l’affetto che il pubblico le ha sempre riservato nel nostro Paese, torna con un nuovo<br />
incantevole album: Noapolis. Un’opera che da prova della disinvolta versatilità che da sempre la contraddistingue e che l’ha<br />
portata a studiare con rigore il vernacolo partenopeo. Il disco è un vero e proprio tributo alla canzone classica napoletana e<br />
include brani indimenticabili come, tra gli altri, Era de maggio e Torna a Surriento. Gli arrangiamenti, a firma di Gil Dor e dei<br />
napoletani Solis String Quartet, sembrano un vestito di seta confezionatole su misura.<br />
L’abbiamo raggiunta a poche settimane dall’uscita italiana del disco ed è emersa una conversazione a tutto tondo sulla sua<br />
musica, sugli affetti ma anche sulla questione mediorientale e sulla necessità di uno scatto d’orgoglio per la bella Napoli…<br />
Ai tanti riconoscimenti artistici ricevuti si sono anche<br />
aggiunte numerose onorificenze pubbliche per il tuo<br />
impegno in favore della Pace e il dialogo interreligioso.<br />
In particolare, nel 2007, il Presidente Giorgio Napolitano,<br />
ti ha insignita del Cavalierato della Repubblica. Cosa<br />
comporta un simile impegno?<br />
Sono molto orgogliosa di essere Cavaliere della<br />
Repubblica italiana. L’Italia è diventata da oltre quindici<br />
anni la mia seconda casa, amo profondamente il vostro<br />
Paese e la vostra cultura. Detto questo, devo dire che i<br />
riconoscimenti non sono così importanti per me. É più<br />
importante la mia attività e il mio impegno. Mi onora<br />
sapere che attraverso il mio ruolo di artista possa catturare<br />
l’attenzione della gente per cercare di trasmettere quelle<br />
idee e quei valori in cui credo...<br />
Credo nell’importanza della comunicazione e della<br />
compassione, nel sogno della pace e nella strada da<br />
imboccare per raggiungerla.<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
La tua partecipazione, nel maggio del 2009, al 54°<br />
Eurofestival come rappresentante di Israele e le tue<br />
dure prese di posizione contro Hamas sono state<br />
accompagnate da dure critiche da parte di esponenti<br />
del mondo arabo e del pacifismo israeliano. Come<br />
rispondi a queste prese di posizione?<br />
Sono molto orgogliosa di aver partecipato all’Eurofestival<br />
insieme alla mia collega israelo-palestinese Mira Awad.<br />
La nostra canzone, There must be another way, ha<br />
avuto un forte impatto su migliaia e migliaia di persone<br />
in tutto il mondo e tantissime sono le lettere ricevute di<br />
apprezzamento e sostegno. Per quanto riguarda la mia<br />
posizione su Hamas posso dire che sono e resto contro<br />
Hamas rimanendo una grande sostenitrice della necessità<br />
di aiutare il popolo Palestinese nella sua missione per<br />
l’Indipendenza, l’autodeterminazione e la pace. Se credete<br />
potete leggere sul mio blog un mio intervento intitolato<br />
“alcuni chiarimenti sulla mia infamante lettera durante la<br />
guerra di Gaza del 2009”. Credo che lì troverete le risposte<br />
a questa domanda.<br />
Sarei felice se voleste leggere altri articoli del mio blog,<br />
anche più recenti, come “life” o “an important petition..”<br />
Parliamo del tuo nuovo album, Noapolis. Com’è nata<br />
l’idea di interpretare i grandi classici della canzone<br />
napoletana?<br />
Ho incominciato a cantare canzoni napoletane tanti<br />
anni fa, chiudendo alcuni concerti in Italia. La prima<br />
canzone che ho arrangiato insieme a Gil Dor è stata<br />
Torna Surriento, si sono poi aggiunte I’te Vurria Vasà e<br />
Santa Lucia Lontana. É stato un modo per ringraziare<br />
il pubblico italiano per l’affetto e il supporto che ci<br />
dimostrava ad ogni esibizione. La reazione del pubblico<br />
è stata straordinariamente positiva. Alcuni anni più tardi<br />
abbiamo ricevuto una proposta da Caserta per dare vita<br />
a un progetto su canzoni napoletane in compagnia del<br />
Solis String Quartet con cui stavamo già lavorando. Il<br />
quartetto Solis ha quindi arricchito il nostro repertorio<br />
con altre canzoni e con degli arrangiamenti meravigliosi.<br />
Gil Dor aggiunse nuovi arrangiamenti e tradusse i brani<br />
in ebraico, così nacque il disco Napoli - Tel Aviv. Ora,<br />
finalmente, abbiamo registrato le canzoni in dialetto<br />
napoletano originale e il risultato, Noapolis, è davanti a<br />
voi.<br />
Come ha fatto una madrelingua inglese a diventare<br />
una perfetta “scugnizza” napoletana capace di<br />
interpretare alla perfezione brani come I’te Vurria<br />
Vasà o Torna a Surriento?<br />
Grazie assai! Beh, innanzitutto ricordo che sono una<br />
madrelingua inglese che parla un ebraico dal background<br />
yemenita! Quindi un mix di culture è già nel mio DNA. A<br />
parte questo, ho un buon orecchio musicale capace di<br />
cogliere le sfumature del linguaggio e ottimi amici come<br />
Solis, Pompeo Bennincasa, Lauro Attardi, Massimo<br />
Torrefranca e tanti altri che mi hanno aiutato a migliorare<br />
il mio dialetto, tutt’altro che perfetto. Ma, al di la di tutto,<br />
sono l’amore e il rispetto ad avermi aiutato. Ai miei occhi<br />
sono questi gli elementi più importanti. Il grande amore<br />
e il profondo rispetto che nutro per queste canzoni, per i<br />
loro creatori, per la gente di Napoli e dell’Italia intera.<br />
Il tuo legame con Napoli parte da lontano, nel 2006 hai<br />
pubblicato Napoli-Tel Aviv. Cosa unisce il mezzogiorno<br />
d’Italia alla cultura ebraica?<br />
Tantissime cose.. L’essere entrambi di piccole dimensioni,<br />
con una popolazione non troppo grande che ha patito per<br />
le guerre, le conquiste e altre tragedie come la povertà,<br />
l’oppressione e le epidemie rimanendo sempre ottimisti.<br />
Uno spirito che rifiuta la morte! Si tratta di genti che hanno<br />
dovuto emigrare, attraversando il mare alla ricerca di un<br />
futuro migliore e che hanno conservato ostinatamente la<br />
propria cultura ovunque la vita li portasse, arricchendo<br />
quelle società che li accettava. Quell’inguaribile<br />
romanticismo, quella nostalgia per la propria Patria e quel<br />
raro senso dell’umorismo che si sviluppa dalla sofferenza.<br />
Tutto questo unisce le nostre culture.<br />
Oltre alla presenza del tuo inseparabile amico e<br />
musicista Gil Dor, in questo album collabori con il<br />
quartetto napoletano Solis String Quartet. Raccontaci<br />
di questo sodalizio…<br />
I Solis sono degli incredibili musicisti e delle persone<br />
meravigliose. Il loro stile è inimitabile. Loro ci hanno<br />
proposto una selezione di canzoni stupende che non<br />
conoscevamo prima. Insieme a loro abbiamo scelto il<br />
repertorio che più ci interessava e, insieme a Gil, hanno<br />
fatto degli arrangiamenti unici e meravigliosi.<br />
Noa<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
21<br />
Parliamo di Napoli. L’emergenza rifiuti, i numerosi<br />
scandali, la mala vita organizzata hanno ammaccato<br />
l’immagine di questa città. Credi che la musica possa<br />
contribuire al suo riscatto? E come?<br />
La musica, come ogni arte, è l’elevazione dello spirito<br />
sopra la materia. È il culto della bellezza, della purezza,<br />
dell’integrità e dell’indipendenza espressiva. Di certo<br />
il popolo di Napoli ha bisogno ora più che mai di tutto<br />
questo. Ma, al tempo stesso, invito il popolo di Napoli, a<br />
me tanto caro, a prendere il proprio destino in mano senza<br />
lasciarlo a quelle forze che minacciano di distruggere<br />
questa stupenda città.<br />
L’anno scorso è nata Yum, la tua terza figlia. É difficile<br />
conciliare la vita familiare con gli impegni lavorativi?<br />
Si, è molto difficile ma fortunatamente sono circondata<br />
da tante persone che mi aiutano: da mio marito, ai miei<br />
genitori, ai colleghi e gli amici. Per i miei bambini darei<br />
volentieri la mia vita..<br />
Diamo spazio ai sogni nel cassetto. Quali sono i<br />
progetti o le collaborazioni che vorresti realizzare in<br />
futuro?<br />
In realtà è molto semplice. Il mio desiderio è di continuare<br />
a produrre musica e di farlo sempre con il cuore, di vedere<br />
crescere i miei figli sani e felici e di poter essere presente,<br />
cantando, al momento della firma ufficiale del trattato di<br />
Pace tra Israele e Palestina. Inshallah!<br />
Prima di congedarci ci racconti qualche aneddoto<br />
della tua carriera?<br />
Ce ne sono tanti... Quello che posso dirvi è che sono stata<br />
molto fortunata al di la delle mie personali convinzioni e<br />
che fino ad ora la mia vita è stata molto interessante e<br />
piena di amore e di avventure. Per saperne di più dovrete<br />
attendere la mia biografia ufficiale che la casa editrice<br />
Rizzoli sta preparando e che verrà pubblicata alla fine<br />
dell’anno.<br />
Titolo Napoli - Tel Aviv<br />
Etichetta Sud Music / <strong>Egea</strong><br />
Online www.noasmusic.com
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P Felmay 2009<br />
P Felmay 2009<br />
PP Felmay Felmay 2009 2009<br />
P Felmay 2009<br />
P Felmay 2011<br />
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P Felmay 2011<br />
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FELMAY FELMAY<br />
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P Felmay 2011<br />
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10<br />
fy 8171<br />
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P Felmay 2009<br />
Tango Negro Trio<br />
JUAN CARLOS CACERES piano, voice, trombon<br />
MARCELO RUSSILLO drums, percussion<br />
CARLOS el tero BUSCHINI bass<br />
feat<br />
Javier Girotto sax<br />
David Pecetto bandoneon, accordeon<br />
Olivier Manoury accordina<br />
Alejandro Caraballo bombo murguero<br />
Martin Bruhn cajon<br />
Natalio Mangalavite choir<br />
felmay<br />
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vol. 1 - L'age d'or de la<br />
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P Felmay 2009<br />
18-11-2010 18:27:18<br />
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«Il mio lavoro di ricerca si<br />
Chaiyya Chaiyya<br />
1<br />
radica profondamente nel mio<br />
patrimonio culturale. Sono<br />
estremamente 2 affascinato dalla 3<br />
vitalità della cultura popolare<br />
argentina»<br />
4<br />
Trombe e sassofoni, le melodie<br />
degli hits attuali e classici della<br />
5 6<br />
filmografia di Bollywood, la voce di<br />
Rafaqat Ali Khan. Un piacere.<br />
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flamenco.<br />
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BLACK HISTORY IN ACTION<br />
FESTIVAL MONDIAL DES ARTS NEGRES<br />
testo di Mauro Zanda<br />
foto di Joelle Caimi<br />
«Questo festival è la celebrazione di ciò che siamo oggi in quanto africani e figli della diaspora, ma anche un simposio su<br />
ciò che saremo tra 20 o 30 anni. This is history in action».<br />
Non teme i toni enfatici il drammaturgo afro-britannico<br />
Kwame Kwei-Armah - coordinatore artistico del Festival<br />
Mondial des Arts Negres - nel tracciare un profilo storicista<br />
dell’attesa terza edizione. L’epocale kermesse panafricana,<br />
dopo 44 anni, è tornata infatti lo scorso dicembre nel luogo<br />
in cui venne originariamente concepita dal presidentepoeta<br />
Leopold Sedar Senghor: Dakar, Senegal. Sette<br />
miliardi di euro spesi, 6000 artisti coinvolti, delegazioni<br />
provenienti da 80 paesi del mondo. Un evento sontuoso,<br />
non c’è dubbio. A ben guardare, non solo in termini storici<br />
o numerici; rappresentazione ipertrofica e ambiziosa<br />
di un’Africa differente, fiera e programmaticamente<br />
“rinascimentale”.<br />
Per questo ritorno in grande stile, la rassegna ha scelto<br />
infatti uno sguardo contemporaneo, legato con orgoglio alle<br />
proprie radici, ma rivolto senza troppa nostalgia alla forza<br />
propulsiva del qui e ora africano. Un fermento culturale,<br />
artistico e in parte economico, che per molti prefigura<br />
ormai un autentico rinascimento. Uno sguardo rivolto<br />
scientemente all’intera diaspora, sorta di internazionalismo<br />
nero che ha visto coinvolti anche artisti e intellettuali cubani,<br />
afro-americani e brasiliani; quest’ultimi ospiti d’onore di un<br />
Les Go de Koteba<br />
Festival che – tra le altre cose – anticipava l’apertura del<br />
Centro de Música Negra a Salvador de Bahia, prevista per<br />
luglio 2011.<br />
È un carattere inscritto nel suo Dna sin dalla prima edizione,<br />
1966, che ospitava Duke Ellington, Clementina de Jesus<br />
e il grande capoeirista bahiano Mestre Pastrinha; così<br />
come nella seconda, FESTAC 77 a Lagos, che vide tra i<br />
suoi protagonisti Stevie Wonder e Gilberto Gil. Altri<br />
due aspetti rilevanti sono stati il taglio multidisciplinare,<br />
e la dislocazione multifocale. Fedele alla sua vocazione<br />
universalista, la kermesse ha inteso infatti raccontare la<br />
contemporaneità delle arti nere nella sua accezione più<br />
ampia. E così, accanto al potentissimo vettore musicale,<br />
hanno goduto di piena cittadinanza anche moda,<br />
letteratura, poesia, cinema, design, arte visuale e urbana,<br />
architettura tradizionale, artigianato, danza, teatro, nuove<br />
tecnologie e sport (con la mitica lotta senegalese in prima<br />
fila). Una giostra d’espressività nera a 360°, completamente<br />
gratuita, che non poteva che prender forma secondo una<br />
disposizione a macchia di leopardo che ha invaso tutta la<br />
città, ma anche la vicina Isola di Gorèe e la celeberrima<br />
Saint Louis, località turistica a circa 4 ore a Nord di Dakar.<br />
10 PRIMAVERA 2011
24 Mondomix.com / 360°<br />
Per ovvie ragioni di sintesi, in questa sede ci limiteremo a<br />
menzionare solo i luoghi principali che hanno animato le<br />
tre settimane: in primis la Place de l’Obélisque nel quartiere<br />
popolare della Medina dove - dal principe mandingo Salif<br />
Keita al giovane Seun Kuti, passando per il pioniere del<br />
reggae africano Alpha Blondy - si sono alternati tutti o<br />
quasi i grandi nomi della musica africana; con il pieno di<br />
presenze (oltre 100.000) fatto registrare durante la sera del<br />
29 dicembre, che ha sfoderato una micidiale coppia d’assi<br />
come Youssou N’Dour (nato proprio a Medina), e il profeta<br />
del conscious reggae Tiken Jah Fakoly, tornato a Dakar<br />
dopo circa due anni e mezzo d’interdizione, all’indomani<br />
di una controversia con le autorità senegalesi che ha finito<br />
per etichettarlo persona non grata.<br />
In mezzo a tanta grandeur, il pubblico - appassionato e<br />
partecipe come non ci capitava di vedere da tempo – ha<br />
inevitabilmente incarnato un meraviglioso spettacolo in sé:<br />
giovani e giovanissimi fan pronti a cantare ogni strofa, a<br />
ballare ogni singolo passo di danza, a godere fino all’ultimo<br />
respiro quei benedetti giorni di festa. Un misto di gioia,<br />
sfogo ed esuberante follia che non si è mai tradotto in un<br />
attimo di tensione, sempre alimentato piuttosto dall’amore<br />
smodato di chi, da troppo tempo, conosce figure di<br />
riferimento sempre e solo in ambito musicale.<br />
Altro luogo cardine attorno al quale si sono tenuti concerti,<br />
mostre e performance di danza tradizionale è stata la<br />
Maison de la Culture Douta Seck, anch’essa a Medina;<br />
in particolare val la pena segnalare un paio di eventi:<br />
lo spettacolare contest di danza e percussioni sabar e,<br />
soprattutto, la strepitosa installazione audio/video sulla<br />
storia della musica nera curata dai nostri fratelli maggiori<br />
di Mondomix Francia; un percorso interattivo che muoveva<br />
dalle icone nere di ogni tempo e luogo, raccontava nel<br />
dettaglio la musica africana (attraverso una scelta di tipo<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
geografico e antropologico), e approdava infine in un<br />
non-luogo animato dai frutti prelibati dei sincretismi afrodiasporici.<br />
Un excursus altamente suggestivo pensato e<br />
realizzato in sinergia con i partner senegalesi e brasiliani,<br />
che si trasferirà presto armi e bagagli proprio nel nascente<br />
Centro de Música Negra a Salvador de Bahia.<br />
Impossibile non citare poi la Biscuiterie nel quartiere Grand<br />
Dakar, ex fabbrica di biscotti riconvertita in stile berlinese a<br />
centro polifunzionale underground, con ristorante, musica<br />
e mostre permanenti. Proprie queste ultime - al di là dello<br />
spazio musicale, trasformato durante le tre settimane in<br />
una vetrina sui nuovi stili urbani, comprese performance di<br />
slam poetry – hanno rappresentato la principale attrattiva<br />
del posto: afro-design da adattamento creativo, visual arts,<br />
esposizioni fotografiche e brillanti installazioni letterarie<br />
hanno di fatto costituito l’epicentro culturale dell’intero<br />
Festival. Che però prevedeva anche l’area cinema a Place<br />
du Souvenir lungo la Corniche ouest, e un importante stage<br />
musicale presso il Monumento de la Renaissance Africaine,<br />
totalmente appannaggio dei Black Virtuoses; lì il 27<br />
abbiamo assistito ad una serata realmente speciale che ha<br />
visto alternarsi dapprima il balafonista ivoriano Aly Keita,<br />
poi il delizioso quartetto afro-jazz di Toumani Diabate e<br />
infine l’immenso Sekou ‘Diamond Fingers’ Diabate,<br />
chitarrista fondatore dei leggendari Bembeya Jazz, che<br />
assieme ad un pirotecnico quintetto (3 chitarre, basso e<br />
batteria) ha dato vita all’esibizione forse più divertente,<br />
geniale e trascinante dell’intera rassegna musicale; un<br />
concentrato di perizia tecnica, istrionismo teatrale ed<br />
improvvisi cambi di registro che ha letteralmente finito<br />
per infiammare la folla, fino a poco prima impietrita suo<br />
malgrado da un’improvvisa ventata d’aria gelida.<br />
Rinascimento africano si diceva. Più o meno il sottotesto<br />
esplicito di questa terza, sfarzosa edizione del Festival.<br />
Salif Keita<br />
Uno slogan d’impatto, va da sé; di certo a forte rischio<br />
retorico. All’interno delle mille round-table aperte sul tema,<br />
però, se ne è provato a discutere anche in seri termini<br />
economici. In particolare si è mostrato particolarmente<br />
fiducioso l’economista egiziano Samir Amin, direttore del<br />
Third World Forum, che ha sostenuto con forza la «crescita<br />
dolce e costante» del motore economico continentale<br />
e ribadito con assoluta convinzione l’idea che l’Africa<br />
rivestirà un ruolo di primaria importanza negli scenari<br />
mondiali prossimi venturi.<br />
Dunque tutti contenti, tutto perfettamente calibrato e<br />
riuscito? Ad onor del vero, no. Con un presidente a dir poco<br />
ingombrante come Abdoulaye Wade - 84 anni, fama da<br />
boss e prossimo alla terza candidatura - le polemiche non<br />
mancano mai. Perché è vero che il Senegal rappresenta<br />
una delle governance africane storicamente più stabili, ma<br />
è altrettanto vero che nella classifica della corruzione di<br />
Transparency è piazzato decisamente male: quota 105 su<br />
178 Paesi. Un paese che vive attorno alla soglia di povertà<br />
(740 euro l’anno di reddito procapite) e che, dinanzi alla<br />
maestosa opulenza dispiegata dalla macchina del Festival,<br />
ha giustamente chiesto conto dei costi di quest’abile<br />
operazione di marketing culturale. Il presidentissimo, dal<br />
canto suo, si è affannato più volte a sottolineare che una<br />
Dakar<br />
25<br />
Seun Kuti<br />
parte di essi era stata coperta dagli sponsor privati e che<br />
c’era comunque stato un importante indotto turistico;<br />
ovviamente magnificato e amplificato ogni ora all’unisono<br />
dalle generose tv di Stato. La cosa però, a conti fatti, si è<br />
rivelata solo parzialmente vera, perché di turisti in giro se ne<br />
sono visti pochini e le stanze negli alberghi sono sembrate<br />
per lo più disponibili durante tutte e tre le settimane. Tutto<br />
ciò non ci esime però dall’esprimere, seppur dall’esterno,<br />
un concetto netto, senza perifrasi: l’assoluto bisogno di<br />
siffatti azzardi culturali. Lo necessita il resto del mondo,<br />
intrappolato in una visione dell’Africa troppo spesso<br />
artefatta o manichea, tutta fame, carestie, povertà e carità<br />
pelose; lo necessitano forse gli africani stessi, logorati nel<br />
migliore dei casi da politiche di aggiustamento strutturale<br />
che han finito tutt’al più per conservare l’esistente. C’è<br />
bisogno di rilanci spavaldi e forse anche un po’ incoscienti<br />
per ricordare al globo intero l’ineluttabile centralità africana:<br />
le sue incommensurabili ricchezze culturali, l’inesauribile<br />
fucina di talenti, l’influenza diretta o indiretta che il<br />
continente continua ad esercitare su artisti d’ogni risma e<br />
luogo. Certi che non passeranno altri 23 anni per assistere<br />
alla quarta edizione, curiosi di capire se si tradurranno in<br />
realtà i rumours che oggi indicano nel Brasile la prossima<br />
casa mondiale delle arti nere.<br />
10 PRIMAVERA 2011
26 Mondomix.com<br />
Abruzzo<br />
Gong (Pescara)<br />
Basilicata<br />
Shibuya (Matera)<br />
Hobby Music (Potenza)<br />
Calabria<br />
Il Pentagramma (Crotone)<br />
Campania<br />
Top Dischi Di Minicozzi Luigi (Benevento)<br />
Juke Box (Caserta)<br />
Casa Del Disco (Faenza – Ra)<br />
Diapason (Napoli)<br />
Tattoo Records (Napoli)<br />
Disclan (Salerno)<br />
Idea Disco (Sorrento – Na)<br />
Emilia Romagna<br />
Disco Frisco (Bologna)<br />
Max Records (Modena)<br />
Folk Studio (Ravenna)<br />
Discoland (Reggio Emilia)<br />
Friuli Venezia Giulia<br />
Musicatelli (Pordenone)<br />
Vilevich Fausto (Trieste)<br />
Angolo della Musica (Udine)<br />
Lazio<br />
Arion Z (Roma)<br />
Gelmar Novamusa (Roma)<br />
L'Allegretto (Roma)<br />
Discoteca Laziale (Roma)<br />
Libreria Mel Bookstore (Roma)<br />
Liguria<br />
Music Store (Genova)<br />
Jazzanto (Genova)<br />
Casa Del Disco (Rapallo – Ge)<br />
Lombardia<br />
Cavalli Strumenti Musicali (Castrezzato – Bs)<br />
F.Lli Frigerio (Como)<br />
Carù (Gallarate – Va)<br />
Buscemi Dischi (Milano)<br />
La Cerchia (Milano)<br />
Libreria Carla Sozzani (Milano)<br />
Norma Libri (Milano)<br />
Casa Del Disco (Varese)<br />
Marche<br />
Musiquarium (Porto Sant'elpidio - AP)<br />
Dove trovare Mondomix<br />
Piemonte<br />
Costanzo (Casale M.to – Al)<br />
Musica (Cuneo)<br />
Pace Music (Nizza Mto – At)<br />
Merula Marco (Roreto Di Cherasco - Cn)<br />
Onde (Torino)<br />
Puglia<br />
Centro Musica (Bari)<br />
Youm! Youmusic (Lecce)<br />
Sicilia<br />
Graffagnini Distribuzione (Catania)<br />
Magic Music (Ragusa)<br />
Sardegna<br />
Alta Fedeltà (Cagliari)<br />
Travelling Music (Oristano)<br />
Toscana<br />
Alberti (Firenze)<br />
Twisted (Firenze)<br />
Materiali Sonori (San Giovanni Valdarno – Ar)<br />
Discolaser (Siena)<br />
Trentino Alto Adige<br />
Altri Suoni (Bolzano)<br />
Diapason Music Point (Rovereto – Tn)<br />
Umbria<br />
<strong>Egea</strong> Store (Perugia)<br />
Mipatrini 1962 (Perugia)<br />
Valle d'Aosta<br />
Il Disco (Aosta)<br />
Veneto<br />
Discoteca Pick Up (Bassano del Grappa – Vi)<br />
Drop Sound (Conegliano - Tv)<br />
Disco Frisco (Treviso)<br />
Gabbia (Padova)<br />
Musical Box (Portogruaro – Ve)<br />
Mezzoforte (Treviso)<br />
Saxophone (Vicenza)<br />
10 PRIMAVERA 2011 10 PRIMAVERA 2011<br />
27<br />
Bari Via Melo, 119<br />
Bologna Via Ugo Bassi 1/2<br />
Brescia C.so Zanardelli 3<br />
Catania Via S. Euplio 38<br />
Firenze Via Brunelleschi 8R<br />
Genova Via Fieschi 20 r<br />
Mestre Centro Le Barche P.zza XXVII Ottobre 1<br />
Milano Piazza Piemonte 1<br />
Milano C.so Buenos Aires 33/35<br />
Milano Via Ugo Foscolo 3 (Gall. Vitt. Emanuele II)<br />
Monza Via Azzone Visconti, 1<br />
Napoli Via Santa Caterina a Chiaia, 23<br />
Padova Piazza Garibaldi 1<br />
Roma Via del Corso 506<br />
Roma Galleria A. Sordi, Piazza Colonna 31/35<br />
Roma Largo Torre Argentina, 7/11<br />
Roma Viale G. Cesare, 88<br />
Roma C. Comm.le Forum Termini<br />
Roma Viale Marconi 184,186,188,190,192,194<br />
Roma Viale Libia 186<br />
Roma Via Camilla 8/C<br />
Salerno C.So Vittorio Emanuele I, 230<br />
Salerno C.so Vittorio Emanuele 131/133<br />
Torino Piazza C.L.N. 251<br />
Firenze Via San Quirico 165 (Campi Bisenzio)<br />
Genova Via XX Settembre, 46/R<br />
Milano Via della Palla, 2<br />
Napoli Via Luca Giordano, 59<br />
Roma Via Alberto Lionello, 201<br />
Torino Via Roma, 56<br />
Torino Shopville Le Gru<br />
Verona Via Cappello, 34<br />
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digitale interattiva di<br />
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28 Mondomix.com / 360° Persia<br />
Suoni Persiani<br />
di Giovanni De Zorzi<br />
La musica e la poesia sono state nei millenni il fiore<br />
della cultura di lingua persiana, di riferimento in un’area<br />
geoculturale che va dal Caucaso al mondo ottomano/turco<br />
sino all’Asia centrale, ai territori afgani e indopakistani, alla<br />
Cina nord occidentale.<br />
Per poter entrare in quest’area si consiglia al viaggiatore<br />
di non farsi confondere da due cartelli stradali: “Iran”<br />
e “Persia”. Il primo nasce poco fa, il 22 Marzo 1935, e<br />
non porta molto lontano: in quei tempi ribattezzare “Iran”<br />
il paese noto sin dal VII a.C. come “Persia” (Fars) aveva<br />
soprattutto un valore politico; ricollegarsi alle remote genti<br />
indoeuropee dette “arie” o “ariane” (ârya), giunte dalla<br />
piana indogangetica verso il terzo millennio a.C., significava<br />
invece voler ritornare alle proprie “origini”, mitiche e<br />
mitizzate, per ricominciare giovani e forti lasciando da<br />
parte il lungo passato culturale “persiano” finito il giorno<br />
prima. Qualcosa di simile era successo quando nel 1923<br />
la Turchia si ribattezzava Turkiye Cumhuryieti rifacendosi<br />
alle antiche genti turche (türk) d’origine centroasiatica,<br />
cancellando d’un solo colpo il suo plurisecolare passato<br />
ottomano. In entrambi i casi, però, le arti si erano formate<br />
durante il periodo persiano, oppure ottomano. Ora, benché<br />
da alcuni decenni gli iraniani definiscano la loro musica<br />
come “musica iraniana”, generalmente si considera più<br />
corretto parlare di musica, di poesia, di calligrafia, di<br />
miniatura “persiana”, integrando eventualmente il termine<br />
con “iraniano” ad indicare gli svolgimenti post-1935 e la<br />
contemporaneità.<br />
Come per le tradizioni musicali di quelle società che gli<br />
antropologi definiscono “società complesse”, anche per<br />
la musica persiano/iraniana si distinguono oggi alcune<br />
correnti principali che questa guida minima può solo<br />
indicare come farebbe una Lonely Planet: la raffinata<br />
tradizione di musica “classica”, “colta” (dastgâhi, radifî);<br />
i generi e le composizioni sorte per animare gli incontri<br />
spirituali dei dervisci (samâ, zekr); i repertori “della<br />
moschea”; la tradizione delle zurkhâne; le tradizioni<br />
“regionali” o “etniche”; la musica urbana leggera (motrebî)<br />
e il vitalissimo “pop” sviluppatosi nella diaspora iraniana<br />
di Los Angeles (losanjelesî), importato e consumato più o<br />
meno di nascosto in Iran.<br />
La tradizione cLassica<br />
La musica classica persiana viene detta “del radîf” (radîfî),<br />
termine che significa “sistema, struttura, ordinamento” ed<br />
indica l’ordinamento sistematico dello sparso materiale<br />
melodico preesistente di tradizione orale. Un simile<br />
ordinamento iniziò verso la seconda metà del XIX secolo,<br />
quando alcuni grandi maestri formularono il proprio<br />
particolare radîf nel quale sistematizzavano le molte melodie<br />
dette gushe (“sezione”), giunte loro dal proprio maestro, in<br />
un sistema di dodici/quattordici modi musicali detti dastgâh<br />
e avâz. Di solito si trova il termine radîf accompagnato dal<br />
nome del maestro al quale si deve la raccolta, preceduto dal<br />
nome dello specifico dastgâh adottato, che può contenere<br />
dalle 10 alle 60 gushe. Si avrà, ad esempio: dastgâh-e<br />
Shur, radîf di Sabâ; dastgâh-e Mahûr, radîf di Aqâ Hossein<br />
Qoli, e così via.<br />
Tra i leggendari maestri vanno ricordati ‘Ali Akbar Farahâni<br />
(m. 1857), famoso suonatore di liuto târ, i suoi due figli<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
Hoseyn Qoli (m. 1915) e Mirzâ ‘Abdollâh (1845-1918)<br />
insieme a suo fratello Aqâ Gholâm Hoseyn che li educò<br />
dopo la sua prematura scomparsa. Tra i maestri della<br />
generazione seguente vanno ricordati Darvish Khân (1872-<br />
1926) e Abolhasan Sabâ (1902-1957). La loro scuola fu<br />
continuata da Hâjji Aqâ Mohammad Irâni (1871-1971),<br />
Yusof Forutan (1901-1979), Musâ Ma‘rufi (1889-1964), Nur<br />
‘Ali Borumand (?-1976), Dariush Talâ‘i (n. 1952). Come per<br />
la maggioranza delle tradizioni musicali classiche sorte in<br />
area islamica, anche nel radîf è fondamentale il concetto di<br />
“forma ciclica”, o di “suite” così che in un concerto i vari<br />
brani sono inanellati fra loro.<br />
tradizioni dei dervisci<br />
Nel IX secolo d.C., tra i circoli di dervisci che si riunivano<br />
nella vicina Baghdad, nasceva un particolare tipo di<br />
incontro cerimoniale detto samâ (audizione, ascolto,<br />
concerto spirituale) assai diffuso ancor oggi tra le molte<br />
confraternite sufi che percorrono il mondo islamico. Durante<br />
i primi samâ si ascoltava soprattutto la cantillazione del<br />
Corano in uno stato di profondo raccoglimento interiore. In<br />
quest’atmosfera sospesa, per diversi motivi gradualmente<br />
l’ascolto si spostò sulla poesia e sul suono di strumenti<br />
musicali ascoltati “con un altro orecchio”, come avrebbe<br />
detto più tardi Mowlana Jalâl ud-Dîn Rûmî (1207-1273).<br />
Da un simile ascolto potevano nascere stati alterati di<br />
coscienza sui quali si sofferma la trattatistica. Nella<br />
concezione sufi sviluppatasi nei secoli il samâ è gadhâ-yi<br />
rûh, (“nutrimento dello spirito”) e la pratica della musica<br />
è una via di affinamento interiore. Al di fuori di singole<br />
confraternite, l’estetica della musica persiana è sempre<br />
permeata dal sufismo (tasavvof) sin dagli stessi testi<br />
cantati, prevalentemente composti su temi di carattere<br />
erotico/mistico.<br />
Oltre al samâ l’altra grande tradizione sonora diffusa tra<br />
i dervisci è lo zekr (arabo classico dhikr) traducibile con<br />
“ricordo, ripetizione, menzione”. Nel corso dei secoli<br />
all’interno di ogni confraternita si venne formando un<br />
proprio autonomo e particolare tipo di zekr, vocale (jâhri)<br />
o silente (khâfi), individuale o collettivo, caratterizzato<br />
da determinate sequenze di nomi divini, inframmezzati<br />
da invocazioni, preghiere, canti, poesie e spesso<br />
accompagnati da strumenti musicali. Vanno ricordati gli<br />
specifici repertori per il samâ e per lo zikr sorti in seno a<br />
confraternite quali la qâdiriyya o gli ‘Ahl-i Haqq, entrambe<br />
centrate nel Kurdistan iraniano, oppure tra i qalandari del<br />
Baluchistan.<br />
tradizioni “deLLa moschea”<br />
Repertori vocali come la recitazione del Corano oppure il<br />
richiamo alla preghiera (azan) non sono considerati “canto”<br />
e ancor meno “musica” dai religiosi. Per quanto riguarda la<br />
sofisticata, melodizzata, recitazione del Corano gli studiosi<br />
adoperano allora il termine “cantillazione”, ad indicare una<br />
pratica che sta tra canto e recitazione. Nell’Islam iraniano<br />
la cantillazione coranica è stata il modello estetico di<br />
riferimento per ogni tipo di “canto” secolare e molti tra i<br />
maggiori cantanti professionisti ebbero una formazione<br />
iniziale come qâri‘ (“recitatore coranico”) o proseguirono<br />
parallelamente questa loro attività.<br />
Particolari ed esclusivi della tradizione sciita sono<br />
alcuni rituali come la Rowzeh, ciclo lirico di carattere<br />
devozionale dedicato agli episodi di martirio dei primi<br />
imam sciiti, eseguiti da cantori specialisti, durante incontri<br />
che si tengono all’interno di moschee o in case private<br />
e che conducono i presenti a forti stati emozionali. Più<br />
complesso e articolato è il “dramma sacro” ta‘ziyeh, nel<br />
quale vengono ripercorsi (e rivissuti) alcuni episodi relativi<br />
al martirio dell’Imam Hossein, eseguiti da gruppi di devoti<br />
o da compagnie di cantori e musicisti professionisti<br />
La tradizione deLLe zurkhâne<br />
Zurkhâne significa letteralmente “casa della Forza” e<br />
indica un luogo paragonabile al ginnasio del mondo greco<br />
ellenistico, nel quale gli atleti si impegnano ancor oggi in<br />
esercizi ginnici e in arti marziali di remota tradizione. Gli<br />
esercizi sono tutti ritmati da un tamburo “a calice” zarb più<br />
grande del normale detto zarb-e zurkhâne. Sullo strumento<br />
si accompagna un cantore (morshed) depositario di un<br />
patrimonio di versi provenienti dalla poesia medioevale e<br />
dall’epica preislamica.<br />
Le tradizioni etniche o “regionaLi”<br />
Nell’attuale Iran esistono numerosi gruppi etnici, spesso<br />
nomadi, e le musiche regionali sono strettamente correlate<br />
con le molte lingue parlate. La lingua persiana (farsi) non è<br />
l’unica lingua indoeuropea parlata in Iran: vi sono le lingue<br />
kurde Sorani e Kurmanji e il Baluch. Molte sono le lingue<br />
turche: tra esse l’azero, assai diffuso nel Nord Ovest del<br />
paese, ai confini con l’Azerbaijan, così come la lingua dei<br />
Qashqa’i, tribù che vivono nell’Iran centrale, o quella dei<br />
turkmeni, che vivono tra il Mar Caspio e il Khorasan. A<br />
prescindere dalle rispettive lingue, questi gruppi etnici<br />
sono legati al concetto di “area” più che di nazione, e<br />
vivono al di là, o al di qua, di dati confini sorti in tempi<br />
recenti. La musica dei Baluchi, ad esempio, risuona tra<br />
Iran e Pakistan; quella del Khorasan tra Afghanistan<br />
e Iran nordorientale. Le musiche dei kurdi d’Iran sono<br />
comuni con quelle dei kurdi di Turchia, Siria, Armenia e<br />
Iraq. Trasversale alle svariate culture musicali regionali è<br />
la presenza del cantastorie/bardo/trovatore detto spesso<br />
ashıq (“amante, folle d’amore”).<br />
Di recente le tradizioni “etniche” - vive, ritmate, colorate<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
29<br />
e dai contenuti “leciti” - hanno conosciuto una vera e<br />
propria moda, così che per la prima volta nella storia vi<br />
sono registrazioni e Festival interamente dedicati a questi<br />
generi. Strumenti musicali dei repertori “regionali” vengono<br />
ora accolti negli ensembles di musica classica, con effetti<br />
curiosi che solo il tempo saprà valutare.<br />
La musica urbana Leggera (motrebî) e iL LosanjeLesî<br />
Sin dai primi decenni del 1900 nacque un “genere urbano<br />
leggero” detto motrebî di gran successo sino alla rivoluzione<br />
islamica del 1979 che lo considerò “riprovevole”. Da allora<br />
sino a pochi anni fa l’Iran ha infatti esercitato una stretta<br />
censura sulla musica che nasceva all’interno del paese<br />
così come sulle musiche che giungevano dall’estero, con<br />
punte paradossali sull’import/export di strumenti musicali.<br />
Oggi il mercato musicale sembra essere più aperto, o<br />
forse più permeabile, nonostante rimangano vive forti<br />
censure verso generi come l’hard rock, il rap o certo pop.<br />
Una prova di questa permeabilità è data dalla diffusione<br />
in Iran di un genere nato tra le comunità della diaspora<br />
iraniana negli USA come quella di Los Angeles. Di fronte<br />
all’invasione della canzone losanjelesî in Iran, via etere o<br />
tramite la rete, si è finito per autorizzare la produzione di<br />
una “musica per i giovani” che è tutta “Made in Iran”, ma<br />
con testi “corretti” secondo i canoni esposti qui a fianco<br />
da Sadighi, che lasciano il tempo che trovano mentre tutto<br />
scorre e muta sull’amato altipiano.<br />
Iran. Les maîtres de la musique<br />
traditionnelle, Volume 1<br />
Ocora Radio France<br />
Iran. Les maîtres de la musique<br />
traditionnelle, Volume 2<br />
Ocora Radio France<br />
Iran. Les maîtres de la musique<br />
traditionnelle, Volume 3<br />
Ocora Radio France<br />
Iran. Mohammad Reza Shadjarian.<br />
Musique classique Persane<br />
Ocora Radio France<br />
Iran. Bardes du Khorassan<br />
a cura di Ameneh Youssefzadeh<br />
Ocora Radio France<br />
Jean During<br />
Musiche d’Iran.<br />
La tradizione in questione<br />
Ricordi / BMG
30 Mondomix.com / 360° Persia<br />
Chiacchierando con Ramin Sadighi<br />
di Giovanni De Zorzi<br />
Quando e com è nata l’etichetta Hermes?<br />
La musica è sempre stata la mia occupazione principale;<br />
avendo un padre musicista, Fereydoun Sadighi, posso dire<br />
di aver cominciato sin dall’infanzia. Più tardi, notando come<br />
l’intera industria discografica di qui fosse concentrata solo<br />
sulla musica classica persiana, su quella Folk e sul Pop,<br />
mi sono reso conto di come esistesse una vasta area di<br />
musiche che semplicemente non avevano la possibilità<br />
di raggiungere un pubblico. Pensando che il tesoro<br />
musicale persiano potesse essere un ottimo trampolino<br />
per sperimentazioni e approcci nuovi, mi sono tuffato, e<br />
invece di fare musica io stesso ho cominciato a cercare<br />
di facilitare gli altri. Ho cominciato nel 1999 esponendo la<br />
mia visione ai molti amici musicisti; l’idea piaceva a tutti e<br />
con quegli amici collaboro ormai da molti anni. Ci fu anche<br />
un forte incoraggiamento da parte dei musicisti amici di<br />
mio padre. Insomma: molti di quelli che collaborano con<br />
la Hermes sono miei amici oppure artisti che provengono<br />
dalla cerchia di mio padre.<br />
Quali sono i generi musicali che intende registrare?<br />
Difficile da dire. Direi che so solo cosa non voglio fare:<br />
Pop, musica classica persiana e Folk. Il resto è campo<br />
aperto. Se oltre al lato estetico vogliamo comprendere<br />
negli obiettivi anche l’aspetto amministrativo, allora direi<br />
che l’obiettivo è quello di proteggere i diritti dei musicisti<br />
e facilitarli nell’essere creativi in un contesto gioioso.<br />
Ma altri direbbero che più che altro facciamo musica<br />
d’avanguardia…<br />
D’avanguardia?<br />
Sì, so bene che il termine è stato usato e logorato nelle<br />
maniere più diverse, ma non saprei descrivere altrimenti<br />
quello che facciamo. Il nostro slogan è: “Musica per la<br />
Musica” ed è l’unica cosa in cui credo. Per sperimentazione<br />
intendo il cercare di non fare musica classica persiana<br />
standard ma, invece, tentare nuove interpretazioni che<br />
possono accogliere influenze jazz, musica moderna,<br />
cercare commistioni, fusioni…<br />
Com’è la vita di un’etichetta nell’Iran contemporaneo?<br />
Ci sono regole che rendono il fare musica una cosa molto<br />
burocratica! E talvolta problematica. Dalla rivoluzione<br />
islamica in poi per pubblicare un disco serve un permesso<br />
che dev’essere accordato dal Dipartimento per la Musica<br />
del Ministero della Cultura. Per poter pubblicarlo devi<br />
innanzitutto spedire il lavoro al comitato. Se danno il loro<br />
benestare, ti viene data una licenza di stampa e puoi<br />
passare alle fasi successive: stampa e distribuzione. I<br />
criteri fondamentali per la commissione giudicatrice del<br />
Ministero sono quattro, e sono connessi soprattutto con la<br />
musica vocale: i contenuti del testo non devono offendere<br />
la religione; non devono offendere il governo; non devono<br />
essere troppo erotici e non possono essere cantati da<br />
una voce di donna (…ma se la melodia viene cantata da<br />
due donne, o da un coro misto di uomini e donne allora<br />
è lecito!...) Naturalmente nei decenni c’è stata una grande<br />
battaglia su questo punto, ma il governo proibisce ancor<br />
oggi alle cantanti di cantare in pubblico: non chiedermene<br />
la ragione, non la sappiamo nemmeno noi! Al di là della<br />
censura, l’altra grande guerra è quella di tutte le altre<br />
etichette del mondo: il mercato, le basse percentuali di<br />
guadagno e la pirateria…pensa che l’Iran non ha firmato<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
nessuna delle norme sul diritto d’autore…la pirateria<br />
è davvero il problema maggiore. È triste come proprio il<br />
settore governativo del mercato sia quello che beneficia<br />
maggiormente di questa situazione lacunosa: le emittenti<br />
nazionali (in Iran non ci sono emittenti private) usano<br />
musica senza autorizzazione e senza pagare diritti.<br />
Com’è la situazione musicale nell’Iran contemporaneo?<br />
Creativa e in movimento. All’inizio non pensavo che ci<br />
fosse un simile entusiasmo tra i musicisti persiani per la<br />
sperimentazione, ma oggi la scena è davvero carica e<br />
anche l’interesse all’estero sta crescendo.<br />
Chi sono tra i giovani i solisti e gli interpreti che<br />
preferisci?<br />
Nella mia lista di musicisti favoriti ci sono: Peyman<br />
Yazdanian, Hooshyar Khayam, Martin Shamoonpour,<br />
Ankido Darash, Ali Boustan e Christophe Rezai.<br />
Visioni Persiane<br />
Agit prop all’iraniana<br />
di Enrico Verra<br />
Iran 1979: sotto i colpi della rivoluzione komeinista cade il<br />
regime dello Scià.<br />
Nel 1980 la neonata repubblica teocratica lancia la<br />
rivoluzione culturale per affermare il sogno, totalizzante, di<br />
una cultura islamica, nazionale e indipendente, in radicale<br />
opposizione alle tendenze filo occidentali che avevano<br />
caratterizzato il regime di Reza Pahlavi.<br />
A partire dalla fine degli anni 80 il cinema iraniano, prodotto<br />
dalle strutture pubbliche dello stato degli ayatollah, conosce<br />
uno sviluppo e un successo senza precedenti sul piano<br />
internazionale. Non c’è festival, da Berlino a Cannes, a<br />
Venezia, che non selezioni e premi i film della new wave<br />
iraniana. Nomi del calibro di Abbas Kiarostami, Dariyush<br />
Mehrijui, Moshen e Samira Makhmalbaf, Jafar Panahi<br />
diventano i nuovi idoli della cinefilia internazionale.<br />
Nel dibattito teologico sulle arti figurative che caratterizza<br />
il mondo mussulmano, l’islam sciita iraniano, a differenza<br />
dell’islam sunnita dei paesi arabi, ritiene che nel Corano<br />
non ci sia esplicita proibizione di creare immagini di esseri<br />
umani. Inoltre molti religiosi sciiti rivendicano una specificità<br />
nazionale che affonda le sue radici nella straordinaria cultura<br />
figurativa persiana e nella tradizione della miniatura.<br />
Per lo stato iraniano il cinema diventa così lo strumento<br />
ideale per dare visibilità al nuovo ordine islamico,ordine<br />
che il vecchio regime “ateo” e “immorale” aveva rinnegato.<br />
Il sogno della dirigenza komeinista è quindi l’invenzione e<br />
la diffusione massiccia di un cinema che non è lo specchio<br />
antropologico della società, ma la proiezione ideale della<br />
società iraniana.<br />
Abbas Kiarostami<br />
censure<br />
La rivoluzione komeinista, per dare visibilità al suo nuovo<br />
ordine ha bisogno di produrre un cinema islamico che non<br />
esiste da nessuna parte e impone al cinema il diritto di<br />
cittadinanza in cambio della sua islamizzazione.<br />
Questo si traduce in una sola parola: censura. O meglio,<br />
censure, perché investe ogni fase della realizzazione di un<br />
film, dalla sua scrittura alla sua uscita in sala.<br />
La sceneggiatura deve essere sottoposta al vaglio di<br />
specifiche commissioni per poter essere finanziata e<br />
realizzata. Sul set membri della polizia di controllo dei<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
31<br />
costumi verificano che un uomo non stia per troppo tempo,<br />
e da solo, vicino a una donna, nemmeno per ragioni<br />
professionali, che non discutano, che non ridano.<br />
La rigida separazione dei sessi impone una sala trucco per<br />
gli uomini e una per le donne, un truccatore per gli attori e<br />
una truccatrice per le attrici.<br />
Davanti alla cinepresa non si possono riprendere le donne<br />
senza velo e quindi è quasi impossibile girare scene con<br />
donne in interni, perché in casa le donne stanno a capo<br />
scoperto. Non si possono inquadrare contatti fisici di<br />
nessun genere tra uomo e donna perché, se nella finzione<br />
sono ad esempio marito e moglie, nella realtà i due attori<br />
che li interpretano non sono consanguinei.<br />
Si arriva al surreale con lo scandalo che suscitò nel<br />
regime la premiazione di Kiarostami a Cannes quando<br />
la Deneuve lo baciò consegnandoli la Palma d’Oro. Un<br />
contatto inamissibile secondo le regole correnti in Iran,<br />
con l’aggravante di essere stato ripreso dalle telecamere di<br />
mezzo mondo.<br />
E da un paradosso all’altro va fatto notare che, nelle sale<br />
cinematografiche iraniane, anche nei momenti di più forte<br />
contrasto con il satana americano hanno continuato ad<br />
essere proiettati i western hollywoodiani. Il western è il<br />
cinema americano per eccellenza ma agli ayatollah andava<br />
benissimo: è molto maschile e le donne non solo hanno ruoli<br />
secondari ma sono sempre castigatissime.<br />
Ovviamente il controllo sulla vita privata degli attori è<br />
fortissimo.<br />
E quando il film arriva in sala i manifesti che lo promuovono<br />
non devono avere figure femminili in primo piano. La sala,<br />
poi, è divisa, come i ristoranti, in un settore per uomini e<br />
in uno per donne accompagnate da un consanguineo. Non<br />
sono previste donne sole. Un rappresentante della polizia<br />
islamica circola con una pila nel buio della sala di proiezione<br />
per verificare che non si realizzino strani contatti tra i<br />
sessi…<br />
Attraverso la censura lo stato si concentra sui comportamenti<br />
e sull’apparenza fisica, una generazione di registi di<br />
grande talento si è trovata ad inventare un proprio stile e<br />
un linguaggio confrontandosi e scontrandosi con i limiti<br />
imposti dalla censura. Sono nate così specifiche immagini e<br />
particolari modi di raccontare che sono diventati il marchio<br />
di fabbrica della nuova ondata iraniana..<br />
strategie<br />
Il sistema politico iraniano è un sistema bicefalo. Accanto<br />
agli elementi classici (parlamento, presidente della<br />
repubblica, governo) c’è una Guida della rivoluzione, figura<br />
con una vocazione di orientamento spirituale, il cui peso<br />
politico supera enormemente quello attribuitogli dalla<br />
costituzione. Questo crea un parallelismo di poteri, dai piani<br />
alti dello stato fino alle più lontane ramificazioni. Parallelismo<br />
che si traduce nella costituzione di una serie di organi e<br />
gruppi islamici, che verificano ossessivamente la conformità<br />
dei comportamenti, in tutti gli ambiti, pubblici e privati, ai<br />
dettati dell’islam. Una vera e propria polizia esecutiva del<br />
verbo della guida. Esempio di questo dualismo è il controllo<br />
sul cinema che è diviso tra il Ministero della Cultura e<br />
dell’Orientamento Islamico, statale, e il Gran Consiglio della<br />
Rivoluzione Culturale alle dirette dipendenze della guida.<br />
Ovviamente ogni istituzione cerca di difendere la propria
32 Mondomix.com / 360°<br />
autonomia rispetto all’altra e questo contrasto ha permesso<br />
l’apertura di spazi di confronto e opposizione atipici in un<br />
sistema autoritario<br />
Di fronte a una censura imperante , sfruttando abilmente<br />
i contrasti istituzionali, spesso si è potuto avere da un<br />
istituzione il denaro e l’autorizzazione a realizzare un film<br />
che un’altra aveva proibito.<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
Jafar Panahi<br />
jafar panahi<br />
Queste strategie nel corso degli anni, in contemporanea con<br />
lo sclerotizzarsi del sistema, hanno spinto la situazione a un<br />
punto di rottura.<br />
I successi internazionali si sono rivelati, per la repubblica<br />
islamica, un inatteso strumento diplomatico da sfruttare a<br />
fondo per dare un immagine diversa dell’Iran all’estero, al<br />
punto che film proibiti in patria erano scaltramente inviati<br />
a rappresentare il paese nei festival internazionali. Ma ora<br />
la maggior parte degli autori iraniani sono stati costretti<br />
all’esilio per poter continuare a esprimersi. Il grande cinema<br />
porta con sè lo spettro della libertà, spettro diventato troppo<br />
ingombrante e terrificante per Ahmadinejad e Khamenei.<br />
Al punto tale che il 10 Marzo 2010 i servizi di sicurezza<br />
hanno arrestano il più interessante e provocatorio dei registi<br />
iraniani contemporanei Jafar Panahi voce e cinepresa<br />
dell’opposizione “verde” iraniana.<br />
Panhai è il regista che più di tutti ha sfruttato il suo stile per<br />
giocare a rimpiattino con la censura.<br />
Esordisce con Il Palloncino Bianco nel ’95, su sceneggiatura<br />
di Kiarostami e si aggiudica subito la Camera d’Or al festival<br />
di Cannes.<br />
Razieh, una bambina di sette anni, riceve dalla madre dei<br />
soldi per comprare un pesce rosso con cui festeggiare il<br />
capodanno, ma lungo la strada tra casa e il negozio perde<br />
il denaro in un tombino. Il film racconta la lotta per riuscirlo<br />
a recuperare. Comincia 85 minuti prima dello scoccare<br />
dell’anno nuovo, dura 85 minuti ed è ritmato da questo<br />
angosciante conto alla rovescia.<br />
Ma l’angoscia che il film racconta dietro l’apparente<br />
leggerezza è quella della controllatissima quotidianità<br />
iraniana in cui la bambina porta una boccata di liberatoria<br />
e anarchica aria fresca. Scegliere come protagonista una<br />
bambina è un perfetto escamotage per dribblare lacci<br />
e lacciuoli della censura. Una bambina può permettersi<br />
un’infinità di cose proibite a una donna adulta. A cominciare<br />
dal vestito: una gonna rossa (colore vietatissimo dalla<br />
censura perché troppo sensuale ) e sopra il ginocchio che si<br />
oppone alle lunghe e informi tuniche nere cui sono obbligate<br />
le donne. È un cinema del sottinteso che usa l’infanzia come<br />
alibi per parlare degli adulti.<br />
Ma il non detto del primo film diventa l’urlato de Il Cerchio,<br />
il film con cui Panahi si aggiudica il Leone d’Oro a Venezia<br />
nel 2000.<br />
Nel cinema iraniano c’è ovviamente una difficoltà di<br />
costruzione del personaggio femminile. Le donne sono<br />
il proibito per eccellenza e tuttavia hanno i ruoli principali<br />
in più di metà dei film prodotti in Iran ultimi venti anni.<br />
Per superare la censura i registi si sono trovati obbligati a<br />
costruirle come personaggi assolutamente positivi e questo<br />
ha finito per trasformarle nel motore dei racconti, facendo di<br />
loro delle protagoniste.<br />
Ma Panahi va oltre e attraverso la storia di otto donne, quasi<br />
tutte uscite dal carcere, redige un crudo e straordinario<br />
racconto sulla maledizione che è nascere donna in Iran. Tutto<br />
girato in esterni e in luoghi pubblici perché Panahi si rifiuta di<br />
filmare la surreale situazione delle donne coperte dal velo in<br />
casa propria. È un film di fughe continue. Sempre di corsa:<br />
contro il tempo (bus da prendere o aborto da fare) e contro<br />
gli ostacoli (poliziotti da evitare, barriere amministrative da<br />
superare) in uno stato di tensione emotiva quasi intollerabile.<br />
La cinepresa di Panahi non si posa mai su niente. Resta<br />
incollata alle sue protagoniste che ansiogenamente sono<br />
sempre intente a scappare da qualcosa. Arriva come una<br />
ventata d’aria fresca la spavalderia dipinta sul viso della<br />
prostituta che chiude il film.<br />
Una spavalderia che nasce tutta dallo stile con cui è girato.<br />
I dispositivi della censura preventiva iraniana mostrano,<br />
come in altri sistemi autoritari, una grande attenzione alla<br />
sceneggiatura e trascurano il potere evocatore dell’immagine<br />
filmata. La censura ha cercato di regolamentare l’immagine<br />
della donna sullo schermo ma Panahi è giunto attraverso il<br />
suo stile a restituire la sensualità del corpo femminile.<br />
Come conseguenza bloccano sine die l’uscita del film che a<br />
tutt’oggi è stato visto in Iran solo in rare proiezioni private.<br />
Genere classico del cinema iraniano nato dopo la rivoluzione<br />
komeinista è il dramma sociale che con realismo duro e<br />
spesso sordido evoca i temi legati alla miseria in cui lo scià<br />
aveva lasciato il paese.<br />
Questo realismo non sembra fatto per glorificare il regime<br />
nonostante caratterizzi film prodotti dallo Stato. Ma la<br />
rivoluzione si è fatta a nome dei diseredati (mostaz’afân)<br />
e sarebbe stato politicamente scorretto fare film sui ceti<br />
benestanti..<br />
Come conciliare diseredati e ottimismo politico? È una<br />
contraddizione irrisolvibile che Panahi sfrutta a suo<br />
vantaggio per realizzare Oro Rosso nel 2003, film che è<br />
il suo capolavoro. Sceneggiato da Kiarostami, un po’ film<br />
noir nel suo prendere spunto da un episodio di cronaca<br />
nera, un po’ Taxi Driver per come racconta la solitudine nel<br />
mondo (iraniano) contemporaneo è costruito come un lungo<br />
flash back. Il film inizia con la fine: una tragica rapina in una<br />
gioielleria in cui Hussein, il protagonista, resta imprigionato<br />
da una grata attivata dal sistema antifurto e si uccide<br />
Attore non professionista, afflitto da leggeri disturbi mentali,<br />
il protagonista ha qualcosa di Thelonius Monk: un berretto<br />
sempre schiacciato in testa, un fisico grassoccio da adultobambino,<br />
un’attitudine di opposizione muta al mondo e<br />
all’ingiustizia. Proletario dei quartiere poveri di Teheran,<br />
vive consegnando pizze a domicilio nelle zone ricche della<br />
città. Con il suo stile peculiare Panahi non molla un attimo il<br />
pedinamento del suo protagonista e ci obbliga a un viaggio<br />
incubo nelle disfunzioni dell’Iran contemporaneo. Portando<br />
pizze Hussein intravede al di là degli usci l’opulenza di una<br />
borghesia nascente che fa in casa quello che gli è proibito<br />
fuori. Tipica schizofrenia iraniana uno spazio pubblico<br />
costantemente controllato e uno spazio privato in cui si<br />
leggono i libri proibiti, si vedono i film occidentali comprati<br />
al mercato nero e si fa festa. Ma ciò che Hussein vede non<br />
gli piace per nulla. Vede il fallimento delle illusioni di una<br />
rivoluzione che aveva promesso il riscatto dei diseredati.<br />
Vede il paradosso di un sistema sclerotizzato che cerca di<br />
fare rispettare un ordine assurdo a una società, anche in Iran,<br />
ormai totalmente dominata dal denaro. Vede il disprezzo dei<br />
ricchi verso i poveri.<br />
Con il procedere del film nasce una formidabile empatia<br />
Persia<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
33<br />
esistenziale tra lo spettatore e il protagonista. Arriviamo a<br />
condividere un sentimento di ingiustizia e solitudine senza<br />
via d’uscita.<br />
L’unica uscita possibile è una rapina fallimentare. E non<br />
resta che spararsi.<br />
Jafar Panahi più in là non poteva andare. Il film viene<br />
totalmente proibito in Iran e Panahi gira il suo ultimo<br />
lavoro praticamente in clandestinità, realizzando in video<br />
una sceneggiatura diversa rispetto a quella che aveva<br />
consegnato alle autorità: Off Limits<br />
Otto giugno 2006 partita di qualificazione per i mondiali di<br />
calcio: Iran contro Bahrein.<br />
Le donne non possono entrare nello stadio. Quelle che<br />
riescono ad infiltrarsi clandestinamente vengono acciuffate<br />
e trattenute in una sorta di recinto costruito a ridosso dello<br />
stadio stesso sotto l’occhio vigile di alcuni soldati. Scandito<br />
dalla cronaca della partita che si svolge a pochi metri da<br />
loro ma che non possono vedere il film racconta il rapporto<br />
che si costruisce tra questo manipolo di donne e i soldati<br />
che le tengono in arresto. Donne ben diverse da quelle del<br />
Cerchio, donne che non accettano la loro condizione e<br />
cercano di ribellarsi. Donne di un possibile Iran futuro.<br />
Ultima tappa della coraggiosa ribellione di un regista.<br />
Il dieci marzo 2010 Panahi è arrestato sotto l’accusa di<br />
attentare alla sicurezza dello stato. Dichiara ai giudici :<br />
“Non capisco il delitto di cui sono accusato. Se queste<br />
accuse sono vere, non sono solo io a essere processato,<br />
ma la coscienza sociale e artistica del cinema iraniano, un<br />
cinema che cerca di tenersi al di là del bene e del male, un<br />
cinema che non giudica, né si arrende al potere o denaro,<br />
ma cerca di riflettere onestamente un’immagine realistica<br />
della società.”<br />
Il 20 dicembre 2010 Jaffar Panahi è stato condannato a 6<br />
anni di carcere e al divieto di dirigere, scrivere e produrre<br />
film, viaggiare e rilasciare interviste sia all’estero che<br />
all’interno dell’Iran per 20 anni.
34 Mondomix.com / 360° Chennai / Rennes<br />
La stagione musicale di Chennai<br />
Per orientarsi in quella che è forse la più ricca stagione<br />
musicale del mondo.<br />
di V. Ramnarayan<br />
Tutto cominciò nel 1927 come parte dell’Incontro Annuale<br />
dell’Indian National Congress che quell’anno si tenne nella<br />
città a quei tempi chiamata Madras e che oggi è Chennai.<br />
Alcuni dei principali leader del partito nazionalista pensarono<br />
che fosse venuto il momento di introdurre ai delegati la<br />
grande tradizione musicale della regione, conosciuta come<br />
musica Carnatica. Venne imbastito il programma di una<br />
settimana durante la quale i migliori cantanti e strumentisti<br />
del tempo tennero diversi concerti ognuno dei quali aveva<br />
una durata di almeno tre ore. Quella serie di concerti portò<br />
alla nascita della Stagione Musicale della Music Academy di<br />
Madras ed ha continuato ad aumentare, in quantità e durata,<br />
fino a raggiungere l’odierna edizione che prevede due<br />
settimane di incontri e dimostrazioni ogni mattino e quattro<br />
concerti al giorno i quali, seguendo un ordine crescente<br />
di importanza e anzianità degli artisti, vanno dal primo<br />
pomeriggio fino a sera. Inoltre molte altre organizzazioni<br />
chiamate sabhas (letteralmente congregazioni), si sono<br />
aggiunte alla Music Academy ed oggi la famosa Stagione<br />
Musicale di Chennai inizia ai primi di novembre e dura quasi<br />
due mesi distribuendosi in molteplici locali della città e del<br />
suo circondario.<br />
gLi strumenti<br />
Il tipico concerto di musica Carnatica dura<br />
approssimativamente due ore e mezza. Un concerto vocale<br />
– l’evento più comune – presenta un cantante, uomo o<br />
donna, a volte un duo di cantanti, accompagnato da un<br />
violinista, seduto alla sinistra, e uno o più percussionisti,<br />
posti alla destra. Lo strumento a percussione più<br />
importante è un tamburo cilindrico, il mridangam, posto<br />
orizzontalmente di fronte al musicista.<br />
Il ghatam, una vaso di terracotta e la kanjira, piccolo<br />
tamburello a cornice, completano il gruppo. Il numero<br />
degli strumenti sul palco può variare ma il mridangam è<br />
obbligatorio. Il formato standard minimo del gruppo è<br />
costituito da voce-violino-mridangam.<br />
Mentre il violino occidentale si è adattato con successo<br />
alla musica Carnatica, altri strumenti molto popolari come<br />
il nagaswaram, un lungo oboe di legno, la veena, strumento<br />
a corde, il venu, flauto di bambù, sono da considerarsi tipici<br />
dell’India. Questi strumenti solisti non accompagnano i<br />
cantanti e per quanto la musica strumentale abbia nel corso<br />
degli anni perso popolarità, strumenti occidentali come<br />
chitarra, mandolino, clarinetto e sassofono compaiono<br />
sempre più spesso nei concerti anche se sono ben lungi<br />
dall’aver raggiunto il livello di diffusione del violino.<br />
Tutti i musicisti sul palco stanno seduti, a gambe incrociate,<br />
in genere su cuscini. Un concerto comprende sia musica<br />
composta che improvvisata dando la possibilità a ciascun<br />
musicista sul palco di mostrare la sua creatività durante le<br />
varie fasi del programma musicale.<br />
iL repertorio<br />
Oggi il programma di un concerto di musica Carnatica<br />
inizia con un varnam, una breve composizione con un testo<br />
ed una parte di vocalizzi (sol-fa) cantata a diverse velocità.<br />
Seguono alcune composizioni conosciute come kritis o<br />
kirtanas, canzoni in genere di contenuto devozionale o<br />
spirituale in Sanscrito o in una delle lingue dell’India del<br />
Sud, generalmente in Telugu (lingua dell’Andhra Pradesh).<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
T. M. Krishna<br />
Ciascuna di queste composizioni contiene elementi<br />
improvvisati incluse elaborazioni senza parole del raga,<br />
variazioni su una singola riga del testo o combinazioni<br />
ripetute delle sillabe sol-fa.<br />
Tutte queste componenti creative sono rese in misura<br />
più estesa nella composizione principale del concerto,<br />
la cui durata può superare l’ora, e che offre anche al<br />
percussionista (o ai percussionisti) la possibilità di mostrare<br />
la sua (loro) maestria tecnica e creatività in assolo non<br />
accompagnati da voce o violino.<br />
La composizione è spesso seguita da quello che i puristi<br />
considerano il piatto forte della musica Carnatica, il ragamtanam-pallavi,<br />
che è costituito da musica completamente<br />
improvvisata.<br />
Brani più leggeri seguono il corpo principale del programma<br />
o il ragam-tanam-pallavi ed il concerto termina con un<br />
mangalam, un brano conclusivo di buon auspicio.<br />
december season<br />
La Stagione di Dicembre (December Season), come<br />
continua ad esser chiamata malgrado la sua durata<br />
trascenda questo limite temporale, è il momento in cui gli<br />
appassionati locali ma anche gli Indiani- non-Residenti<br />
(NRI) che ogni inverno arrivano a frotte a Chennai,<br />
corrono di sala in sala per assistere ad uno o più kutcheri<br />
(la definizione locale dei concerti di musica Carnatica)<br />
organizzati con logistica e programmazione più che<br />
collaudate. La competizione fra le sabhas per presentare<br />
la miglior musica Carnatica al pubblico della città crea una<br />
sorta di frenesia di programmi che porta una buona parte<br />
dei musicisti ad esibirsi ogni giorno durante la stagione<br />
del festival. Unico deterrente la temperatura, fresca<br />
secondo qualsiasi standard e piuttosto ingannevole, con la<br />
raucedine che purtroppo può colpire in qualsiasi momento<br />
provocando diverse cancellazioni.<br />
Le cucine chiudono in molte case. Non c’è tempo per<br />
cucinare o per pulire, neppure durante la sosta fra un<br />
concerto e l’altro, se poi si tiene conto dei deliziosi<br />
manicaretti ed aromatici pranzi disponibili presso i punti<br />
di ristoro organizzati nelle varie parti della città, cucinare<br />
diventa superfluo.<br />
C’è un considerevole eccitamento nell’aria, questa è<br />
l’occasione per artisti affermati, come per i nuovi arrivati,<br />
di dare il meglio di sé e del proprio repertorio, a volte<br />
preparando programmi speciali per l’occasione.<br />
Molte sabhas conferiscono premi e riconoscimenti agli<br />
artisti o agli insegnanti più affermati. Il Sangita Kalanidhi,<br />
conferito dalla Music Academy, è sicuramente il più<br />
prestigioso e paragonabile all’Oscar.<br />
Ogni quotidiano aggiunge supplementi speciali per<br />
l’occasione mentre i canali televisivi estendono la loro<br />
copertura degli eventi principali ed alcuni organizzano<br />
addirittura a loro volta dei concerti.<br />
La critica<br />
I critici, sempre pronti a stroncare o esaltare questo<br />
o quel musicista, oggi si trovano di fronte degli artisti<br />
colti, estremamente preparati tecnicamente, in grado di<br />
controbattere alle critiche ricevute.<br />
Il pensiero che accomuna la maggior parte dei critici è<br />
che oggi la musica Carnatica sia viva e che goda di ottima<br />
salute anche se a fungere da contraltare permane tuttavia<br />
una schiera di nostalgici che continua a lamentare la<br />
scomparsa dei grandi miti del passato.<br />
Fra i musicisti stessi le opinioni sullo stato attuale della<br />
musica Carnatica sono divergenti. Alcuni di loro parlano<br />
dei «bei tempi in cui i rasika (appassionati) erano veramente<br />
seri e competenti e non frequentavano i concerti solo per<br />
moda come invece accade oggi visto che ormai quel tipo<br />
di pubblico non esiste più», mentre altri sostengono che<br />
«oggi il pubblico è più esigente. Ci sostiene tutto l’anno a<br />
fare bene, a dare il nostro meglio».<br />
Coloro che hanno preso parte a una o più edizioni<br />
della Stagione Musicale di Chennai saranno d’accordo<br />
nell’affermare che oggi in India non esiste nulla di<br />
paragonabile a questa manifestazione sia per il<br />
livello musicale che per la grande varietà e lo spirito<br />
particolarmente festaiolo che la caratterizza. Forse<br />
addirittura a livello mondiale non esiste oggi qualcosa di<br />
Les Transmusicales<br />
di Paolo Ferrari<br />
Mai si erano visti tanti live extra anglosassoni né<br />
riconducibili strettamente al rock e alla techno nel festival<br />
bretone giunto alla 32° edizione. Buon segno, il concetto<br />
di «musiche attuali» su cui si basa la kermesse da 50.000<br />
persone per 95 concerti si amplia. E il gusto ci guadagna. A<br />
fine manifestazione, tutti concordano sull’eleggere Oy, un<br />
ragazza proveniente dal Ghana via Svizzera, a rivelazione:<br />
tra giocatoli trasformati in strumenti, suoni tradizionali e<br />
digitali il suo show è frizzante e seducente. Come pure dal<br />
Ghana arriva Blitz The Ambassador: un rapper residente a<br />
New York, è vero; ma nel cui set irrompono l’hi-life di casa,<br />
citazioni esplicite di Miriam Makeba e Fela Kuti, adrenalina<br />
e consapevolezza. Mélange sontuoso anche quello dei<br />
Donso, che dal Mali portano gli ngoni da incrociare alla<br />
black statunitense più sanguigna, senza house per turisti<br />
35<br />
simile in quanto a dimensione e diversità. Anche questo fa<br />
di Chennai una destinazione per eccellenza sia per il turista<br />
che per quegli Indiani residenti all’estero che provano<br />
nostalgia della loro immensa cultura.<br />
Dove Chennai, India<br />
Quando novembre - dicembre 2011<br />
Online www.sruti.com<br />
tra i piedi. C’è da riflettere. E da ballare la Colombia<br />
analogica di Bomba Estereo, come pure la cumbia<br />
digitale, tellurica dei Systema Solar. Scortati dal kuduro<br />
di Mpula, persino, con l’Angola touch a soppiantare lo<br />
storico french locale. Ma non è finita, perché con i Dengue<br />
Fever il funk reggae americano è inopinatamente cantato<br />
in khmer dalla cambogiana Chhom Nimol, tra le stelle<br />
indipendenti del festival. Ci sarebbero anche i Filewile,<br />
ma che siano in parte sudafricani lo si evince solo dalla<br />
lingua; e la Phenomenal Handclap Band, debole però<br />
rispetto agli Antibalas di cui è cugina prima. Un consiglio,<br />
infine, al gruppo pop inglese Egyptian Hip Hop: vadano al<br />
Cairo a suonare il loro indie neo rave di maniera, magari là<br />
l’ingiustificata strafottenza del nome che hanno scelto sarà<br />
più apprezzata.<br />
Dove Rennes, Francia<br />
Quando dicembre 2011<br />
Online www.lestrans.fr<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
U. Srinivas
36 Mondomix.com / 360° Manresa<br />
La giornata nazionale della Rete<br />
Italiana di Cultura Popolare<br />
di Luisa Perla<br />
La cultura popolare ci ricorda chi siamo, la nostra identità,<br />
rappresenta un patrimonio di alto valore, è storia viva,<br />
l’anima dei luoghi e delle persone, memoria collettiva<br />
delle tradizioni e delle radici che tessono l’esistenza e la<br />
peculiarità di un territorio. In un mondo dove tutto è veloce<br />
e molti aspetti della vita sono insicuri il 13 dicembre ci<br />
fermiamo e ritroviamo noi stessi, riscopriamo il piacere di<br />
raccontarci storie e di vivere emozioni forse dimenticate…<br />
13 dicembre 2010<br />
4° Giornata nazionale della rete italiana di cultura popolare<br />
Durante il giorno di Santa Lucia riaccendiamo le luci sulla<br />
cultura popolare: migliaia di persone, che sono alla base di<br />
una rinata volontà, scelgono di sostenere la salvaguardia<br />
delle proprie identità e della cultura che la esprime, nel<br />
continuo confronto con le altre. La Rete Italiana di Cultura<br />
Popolare è un organismo di soggetti locali che svolge un<br />
lavoro di sistema, e che, nel rispetto delle singole peculiarità,<br />
attua politiche culturali nazionali ed internazionali, nelle<br />
quali i territori condividono azioni, risorse e valori in<br />
progetti comuni, creando sinergie tra soggetti diversi. La<br />
Rete Italiana svolge contemporaneamente attività di studio<br />
e ricerca, di progettazione e programmazione di azioni<br />
mirate alla individuazione, tutela e valorizzazione, nel solco<br />
della modernità, delle tradizioni e delle diverse espressioni<br />
di socialità culturale. La Rete è dunque una realtà, un<br />
punto di riferimento essenziale per chi voglia affrontare in<br />
Italia il tema della cultura popolare. Proteggere ciò che è<br />
particolare, attraverso la sua comunicazione e fruizione,<br />
attraverso il sistema di “territori in rete” (che non ha eguali<br />
in Italia), per veicolare quei saperi che vengono spesso<br />
trasmessi solo oralmente, ma al tempo stesso farlo uscire<br />
dall’isolamento intessendo relazioni che costruiscono un<br />
sistema. Di più. Non solo valorizzare saperi volatili, ma<br />
affermare la Cultura dei territori, il rispetto per i Maestri<br />
del sapere popolare, il rinnovato interesse dei giovani<br />
per la Tradizione: adoperarsi affinché si affermi una vera<br />
globalizzazione delle diversità culturali. In un luogo in cui i<br />
saperi si sono sedimentati, reinventati, sovrapposti a quelli<br />
di molti altri, il compito della Rete è quello di comunicare<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
portando in piazza e in ogni luogo d’Italia danze, musiche,<br />
teatro, artigianato ed enogastronomia per rappresentare,<br />
trasmettere alcuni principi della tradizione, che in sé<br />
avevano già il germe del “tradimento”. Il tradimento è un<br />
modello positivo nella costruzione di un rapporto con la<br />
propria o qualsivoglia radice: nel momento in cui un “attore”<br />
riporta al pubblico un racconto o un canto, ometterà alcuni<br />
particolari e ne includerà altri, lo trasformerà in una sua<br />
personale interpretazione. Diversa la grana della voce e<br />
diversa la fisicità di chi agisce.<br />
Lunedi 13 Dicembre in Italia si riaccendono le luci....<br />
Proclamata la “Giornata Nazionale della Rete Italiana di<br />
Cultura Popolare” il 13 Dicembre è una giornata di festa<br />
e di feste, nel quale si celebra la cultura popolare e nel<br />
quale si illumina la Tradizione attraverso la sua tutela, la<br />
reinterpretazione e l’innovazione. Associazioni, artisti,<br />
scuole, musei, enti locali, biblioteche e singoli cittadini,<br />
tutta la cultura in rete non solo virtuale, si attivano sul<br />
proprio territorio. Ogni manifestazione si unisce alla miriadi<br />
di espressioni organizzate e distribuite sull’intera penisola<br />
italiana, lanciando un forte messaggio per la valorizzazione<br />
di una componente fondamentale del nostro patrimonio<br />
culturale: La Cultura Popolare e i beni immateriali.<br />
Molteplici eventi in contemporanea ramificati in tutta Italia<br />
evocano, raccontano e registrano rituali, comportamenti,<br />
prodotti dell’immaginario ed espressività, a dimostrazione<br />
di come la cultura popolare sia radicata ai territori, con<br />
usi, costumi, tradizioni che mutano da area ad area. Ma<br />
nell’insieme c’è vitalità, c’è relazione, un unicum dei saperi<br />
popolari. Incontri, spettacoli, racconti, poesie, musiche<br />
e danze in musei, biblioteche e una miriade di spazi di<br />
Piemonte, Toscana, Veneto, Lazio, Abruzzo, Campania,<br />
Puglia e Sicilia. Una vivacissima giornata che unisce<br />
zampogne, pupi, poeti a braccio, arpe celtiche e courente<br />
occitane.<br />
Online www.facebook.com/profile.php?id=1796947704<br />
XIII Fira Mediterrània<br />
di Paolo Ferrari<br />
Per metà dedicata alla musica e per il resto atomizzata<br />
tra teatro, circo, attività pedagogiche e turistiche, la Fiera<br />
Mediterranea invade la cittadina catalana a una sessantina<br />
di chilometri da Barcellona con l’appeal del festival folk di<br />
livello europeo e la forza fisica della sagra di paese. Una<br />
miscela che conquista fin dal primo assaggio, quando<br />
si attraversano gli stand gastronomici e artigianali per<br />
raggiungere il teatro Kursaal, sede dei live di punta che<br />
fanno regolarmente registrare il tutto esaurito.<br />
È lì che sfilano due delle tre regine del festival: venerdì<br />
sale sul palco la palestinese Rim Banna, combattiva<br />
nei contenuti a favore del suo popolo, magnetica nella<br />
presenza scenica, impeccabile nelle esecuzioni vocali<br />
ma un po’ penalizzata da arrangiamenti innocui; sabato<br />
sale in cattedra Franca Masu, che incanta scalza con la<br />
sua Sardegna di casa in Catalogna, con un soul senza<br />
passaporto che si tinge di jazz, swing, lirica e trova nel<br />
piano di Mark Harris un formidabile compagno di viaggio<br />
sorretto dal contrabbasso di Salvatore Maltana e dalle<br />
percussioni di Roger Soler. La terza sovrana la incontriamo<br />
giovedì all’aeroporto di El Prat, da cui raggiunge con noi il<br />
gruppo per lo show della sera stessa. È l’algerina Hasna<br />
El Becharia, e il suo concerto nel tendone più suggestivo<br />
per collocazione, sulla Plaça del Milcentenari, si presenta<br />
diviso in due. La prima parte sciorina blues arabo, con la<br />
chitarra elettrica tra le mani della signora; il secondo tempo<br />
sale verso la trance, con la sciantosa a dettare il ritmo sul<br />
guembri e la sontuosa ballerina del gruppo scesa in mezzo<br />
al pubblico per guidare le danze. Lo stesso spazio compete<br />
venerdì sera alla sempre convincente Amsterdam Klezmer<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
37<br />
Band, il cui rodato set non ha problemi a sganciarsi dal<br />
Danubio e dal Mare del Nord per immergersi nel bacino<br />
del Mediterraneo. Scenario comune anche a Moussu T<br />
E Lei Jovents, vecchi animali notturni per nulla intimoriti<br />
all’idea di esibirsi sabato notte alle 2, e che gigioneggiano<br />
mischiando i brani del disco più recente a quelli dei tre<br />
precedenti, ormai classici a tutti gli effetti della nuova<br />
canzone d’autore glocal europea.<br />
Questa cittadina a saliscendi di 75.000 abitanti, dominata<br />
da monumenti imponenti come la Basilica di Santa Maria<br />
de la Seu e la Cova in cui visse Sant’Ignazio di Loyola, è in<br />
realtà un paese dei balocchi per i bambini. Ci sono giochi<br />
ovunque, e 1.300 scolari partecipano alle attività ludico<br />
educational della Fiera. Né mancano i piccoli spettatori<br />
al live pomeridiano di Mimmo Epifani & Epifani Barbers,<br />
catapultati con pizzica e mandolino sul palco dell’area<br />
gastronomica. Tra birre artigianali e crocchette di baccalà,<br />
il loro set conquista un’audience trasversale; ci sono<br />
curiosi, ballerini d’istinto e gran feeling diffuso, mentre<br />
sotto il profilo artistico piace l’utilizzo contemporaneo<br />
di fisarmonica e organetto diatonico. Tra le glorie locali,<br />
guidate dallo scontato bagno di folla per Miquel Gil, la vera<br />
sorpresa sono gli itineranti Residual Gurus, riciclatori di<br />
materiali in disuso che con i loro strumenti inediti giocano<br />
alla riproduzione meccanica dei ritmi techno.<br />
Il resto è Loggia Professionale, ovvero stand, contatti,<br />
presentazioni, incontri. Lì ci imbattiamo nello spazio<br />
M.E.I., kermesse nostrana sempre più attenta alla galassia<br />
world, come pure nell’edizione numero 44 del colombiano<br />
Festival de la Leyenda Vallenata, spettacolare kermesse<br />
di organetti diatonici in programma a Valledupar dal 26 al<br />
30 aprile 2011. Nonché nel lancio in grande stile dei suoi<br />
targati Baleari e in un meccanismo della Fira Mediterrania<br />
molto apprezzato dai delegati: gli iscritti sono obbligati a<br />
richiedere i biglietti gratuiti spettacolo per spettacolo, in<br />
modo che ciascun promoter sappia quali degli operatori<br />
presenti hanno scelto il suo artista e possa contattarli in<br />
futuro per feedback, proposte e nuovi progetti.<br />
Dove Manresa, Spagna<br />
Quando 3-6 novembre 2011<br />
Online www.firamediterrania.cat
38 Mondomix.com<br />
Un incontro piccante<br />
di Luca Vergano<br />
illustrazioni Cristina Amodeo<br />
Per favore, mi porta un’altra ciotola di peperoncino?<br />
Non sono ancora arrivate le prime portate che Shujaat ha<br />
già finito una ciotola di peperoncino. Qualche cucchiaio<br />
accompagnato da nuvole di drago, altri accompagnati<br />
soltanto da schiocchi di labbra di piena soddisfazione. Non<br />
male, penso, ma non così sorprendente visto che il titolo di<br />
un suo disco è Ammoré (sic) e in copertina è raffigurato un<br />
grande cuore fatto di peperoncini.<br />
Non posso farci niente – mi dice – mi piace mangiare<br />
speziato. Sono cresciuto così, la cucina di casa nostra era<br />
molto speziata, persino per le abitudini indiane.<br />
Un istante dopo Shujaat è di nuovo immerso nella<br />
conversazione. Al tavolo ci sono Renzo, che sta producendo<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
il suo disco, Fabio (che si occupa della registrazione),<br />
Federico, che sul disco suonerà le tabla e che si rivolge<br />
come ogni allievo deve fare chiamando Shujaat guruji.<br />
Loro parlano di raga, di tempi, battono le dita sul tavolo e<br />
contano. Io continuo ad osservare affascinato la quantità<br />
di peperoncino che Shujaat continua ad ingurgitare.<br />
Shujaat suona il sitar, per capirci quello strumento a corde<br />
che a un certo punto l’hippie Franchino sfoggia in Fantozzi<br />
Subisce Ancora. Solo che, a differenza di Franchino,<br />
Shujaat proviene da una delle dinastie di musicisti classici<br />
più famose ed importanti dell’India, addirittura risalente al<br />
musicista di corte dell’imperatore Moghul Akhbar, attorno<br />
1600. Lui stesso è un Ustad, un maestro. Un po’ come<br />
essere a tavola con Benedetti Michelangeli, ecco.<br />
A tavola però il peso di tutta questa<br />
dinastia scompare. Ustad Shujaat è<br />
molto molto divertente, in un modo<br />
asciutto e anche un pò sarcastico.<br />
Qualche tempo fa gli è stato<br />
presentato un ragazzo italiano che<br />
suona il sitar e che si era esibito in<br />
Vaticano.<br />
Shujaat stringendogli la mano lo<br />
guarda e gli dice, estremamente<br />
serio, So, I am classic sitarist and you<br />
are pope sitarist. C’è voluto un attimo<br />
per tutti per capire la battuta. Ma<br />
poi c’era gente a cui il peperoncino<br />
usciva dal naso, dal ridere.<br />
Ovviamente il peso della dinastia<br />
si sente quando Ustad Shujaat si<br />
siede e comincia a registrare. Non<br />
capisco niente di musica indiana,<br />
ho l’approccio contadinesco mi<br />
piace/non mi piace. Ma lui è davvero<br />
entusiasmante. Per la sua capacità<br />
di rendere i lunghissimi brani tipici di<br />
questa musica qualcosa che passa<br />
alla velocità della luce, per la sua<br />
capacità di far seguire una dietro<br />
l’altra frasi morbide, estremamente<br />
melodiche. Come uno che spiega il<br />
Mahabarata ad un bambino senza che<br />
il linguaggio semplice ne diminuisca<br />
di un grammo la forza poetica.<br />
Nel frattempo arrivano i piatti e su<br />
ogni raviolo cinese Ustad Shujaat<br />
mette due cucchiaiate di peperoncino.<br />
Ne aggiunge persino sul pollo in<br />
agrodolce, che già aveva specificato<br />
desiderare very spicy.<br />
Improvvisamente capisco perché<br />
mi faccia così sorridere la sua<br />
propensione al peperoncino. Il<br />
maestro mi ricorda moltissimo il<br />
personaggio di un libro che ho appena<br />
finito, il detective Vish Puri. Vish Puri,<br />
della Investigatori Privatissimi Ltd. ha<br />
una passione notevole per il cibo, grande classico della<br />
letteratura poliziesca. Ma è in altre cose che Ustad Shujaat<br />
e Vish Puri si assomigliano.<br />
Anche il detective Vish Puri ha una grande cultura classica.<br />
Anche Vish Puri tende ad una certa pinguedine. E anche<br />
Vish Puri adora il peperoncino, in particolare la qualità<br />
Naga Morich, che sembra essere quella più piccante del<br />
mondo. Non so se Ustad Shujaat li coltivi sul tetto di casa<br />
sua come Vish Puri. Ma non oso del tutto chiederglielo.<br />
D’altronde nessuno chiederebbe a Benedetti Michelangeli<br />
se mangia la caponata come Montalbano, no? Però gli<br />
chiedo delle spezie.<br />
Le spezie in India ovviamente hanno un valore igienico<br />
altissimo – dice. Aiutano a conservare il cibo, aiutano a<br />
digerire meglio, aiutano a stare bene in un posto che a<br />
livello climatico è molto difficile.<br />
Ma la questione è ancora più ampia a quanto pare. Shujaat<br />
si rivela abbastanza ferrato e in grado di approfondire il<br />
discorso gastronomico. Ovviamente senza interrompere<br />
di mangiare, aggiungendo cucchiaiate di peperoncino su<br />
ogni piatto.<br />
Anche il mangiare seduti con la schiena dritta, come viene<br />
insegnato fin da bambini, è per far sì che la digestione<br />
incominci immediatamente. E poi tutte le regole su cosa<br />
mangiare in quale stagione… L’alimentazione è una<br />
questione complessa in una cultura complessa come<br />
quella indiana, mi dice mentre avvicina alla bocca una<br />
cucchiaiata di riso.<br />
Effettivamente, mentre ero ad Ahmedabad qualcuno mi<br />
aveva detto, ad esempio, che è meglio non mangiare<br />
cibo fritto nella stagione dei monsoni. Perché l’umidità<br />
e i cambi di tempo improvvisi rendono estremamente<br />
difficile digerire i cibi più pesanti. Io ovviamente me ne ero<br />
guardato bene adorando in maniera smodata i Samosa<br />
ed essendo curioso di assaggiare le ricette di uova degli<br />
eunuchi raccontate nel capitolo uno. Ma Ustad Shujaat di<br />
questa regola sembra non saperne niente.<br />
Questa cosa non l’ho mai sentita – dice – ma potrebbe<br />
essere. D’altronde ogni stato ha le sue particolarità<br />
culturali.<br />
E non solo ogni stato, mi sembra. Gli chiedo del curry,<br />
che qui molti considerano una spezia mentre è in realtà<br />
un metodo di cottura basato su una miscela di spezie, che<br />
addirittura cambia di casa in casa.<br />
Sì è vero! E a casa mia era sempre molto piccante.<br />
Non ne dubitavo, a dire il vero, ma mi trattengo dal dirlo.<br />
Però questo mi dà qualche indizio sul perché della scarsa<br />
attrattiva della cucina italiana nei confronti degli indiani.<br />
Scarso entusiasmo riscontrato più di una volta, soprattutto<br />
quella volta che, ad Ahmedabad, io e altri italiani<br />
decidemmo di ringraziare la nostra amica Mansi – che<br />
aveva cucinato per noi strepitose Aloo Paratha e altre cose<br />
buonissime – con la più tradizionale delle spaghettate.<br />
Eravamo persino riusciti a trovare il parmigiano, anche se<br />
quello già grattuggiato.<br />
Buono – aveva detto Mansi, molto gentile ma poco<br />
convincente.<br />
Sei sicura? - le abbiamo chiesto – non sembri così<br />
contenta…<br />
The Street Foodie<br />
È solo che è un po’… tasteless (insipido).<br />
So long, orgoglio italo-centrico.<br />
Quando lo racconto a Shujaat, si mette a ridere. Sì,<br />
probabilmente è vero – dice.<br />
Anche mio padre amava magiare molto speziato – mi dice<br />
quando la discussione al tavolo si sposta dalla musica.<br />
Il cibo a casa nostra ha sempre avuto un forte valore<br />
simbolico. Mia madre cucinava moltissimo quando mio<br />
padre tornava dalle tournée, cucinava quando riceveva<br />
qualche riconoscimento particolare. E ovviamente cucinava<br />
nelle grandi occasioni.<br />
Ma allora qual è il suo piatto preferito?<br />
39<br />
Il Biryani che faceva mia madre. Era il piatto delle occasioni<br />
più speciali. Da piccolo quando sentivo che si avvicinava<br />
il momento di mettersi a tavola. Ancora adesso non sono<br />
riuscito a trovare nessuno che riuscisse a rendere la carne<br />
così saporita, così morbida. Si scioglieva in bocca.<br />
Ecco. La cucina di mammà. E mentre Ustad Shujaat<br />
si alza per ritornare in studio di registrazione penso al<br />
titolo del suo disco. E penso che forse, sarebbe stato più<br />
appropriato That’s Amoré.<br />
Cosa The Street Foodie è un progetto di Luca Vergano e<br />
Cristina Amodeo. Luca scrive e Cristina illustra.<br />
Online www.thestreetfoodie.com<br />
Chi Shujaat suona, canta, viaggia, compone. Potete leggerel<br />
la recensione di Dil, il suo ultimo CD, a pagina 46<br />
Dove Il ristorante in cui è avvenuta questa conversazione è a<br />
Torino, si chiama La Via Della Seta ed è molto buono, non il<br />
solito cinese convenzionale..<br />
10 PRIMAVERA 2011
40 Mondomix.com / RECENSIONI<br />
mA r i o lu c i o<br />
Kreol<br />
Lusafrica / IRD<br />
Recensioni<br />
Harry Belafonte, Pablo Milanés,<br />
Cesaria Evora, Toumani Diabate,<br />
Teresa Salgueiro, Milton Nascimento, Mario Canonge,<br />
Ralph Thamar, Awa Sangho, Gorée Afro Djembé. Questa<br />
la lista dei partecipanti al viaggio del musicista, autore,<br />
avvocato e parlamentare di Capo Verde che in diciassette<br />
tracce, maturate lungo 92.482 chilometri, cuce Africa e<br />
Sudamerica nell’ideale cerniera lampo culturale, sonora e<br />
umana dell’Oceano Atlantico. Al grande mare, Matrimonio<br />
dell’Umanità, è dedicato l’ambizioso colossal, esaltazione<br />
della natura creola delle persone e delle cose come<br />
moltiplicatore di ispirazione e opportunità. Un concept album<br />
limpido negli intenti e, ovviamente, assai articolato nello<br />
svolgimento. Si resta a bocca aperta di fronte all’incanto<br />
eterno della voce di Milton Nascimento, vinificato in purezza<br />
nella liquida Mar di Tarrafal; e ci si culla nel languore di una<br />
Hora de Andorinha sospesa in cielo da Teresa Salgueiro e<br />
Pedro Joia. Affonda nello spirito il Planet con voce narrante<br />
engagé di Harry Belafonte; nuota in onde fresche il Mar<br />
azul, proprio quello, condiviso con la maestra Evora. Vive di<br />
grandi intrecci a tutta corda la Mae Mother di cui è complice<br />
Toumani Diabate; e muore in cielo all’inizio la sontuosa<br />
produzione da messa creola senza strumenti Na Capella.<br />
Quando c’è da infondere brio a Santa Catarina Ossiana o<br />
a Come Black, ecco pronti i disinibiti Gorée Afro Djembé,<br />
dalla memoria lunga. Kreol è un disco che a ogni ascolto<br />
rivela nuovi dettagli, sfumature, colori; non scadrà mai.<br />
Paolo Ferrari<br />
Puoi scaricare gratuitamente il PDF di<br />
Mondomix Italia dal sito<br />
www.mondomix.com<br />
rA b i h Ab o u-Kh A l i l<br />
Trouble In Jerusalem<br />
Enja / <strong>Egea</strong><br />
Un piccolo miracolo quello che si<br />
verificava nel 1996 quando, in archivi<br />
russi, veniva rinvenuto un esemplare di un classico del<br />
cinema muto tedesco, Nathan il saggio, opera del 1922 di<br />
Manfred Noa che era stata messa al bando dal nazismo per<br />
il suo invito alla tolleranza religiosa. Accusata di simpatie<br />
per l’ebraismo, tutte le copie rintracciate venivano distrutte.<br />
Restaurato con il patrocinio di ZDF e Arté, il film è tornato<br />
recentemente a nuova vita anche grazie alle musiche qui<br />
contenute. Non si sarebbe potuto scegliere un autore più<br />
adatto alla bisogna di questo compositore libanese virtuoso<br />
dell’oud, da sempre propenso alla contaminazione della<br />
tradizione mediorientale con influssi europei e di jazz.<br />
Questa immersione in un ambito sinfonico patisce qualche<br />
momento un po’ ingessato, ma nel complesso regala<br />
suggestioni non banali.<br />
Eddy Cilìa<br />
lë K sè n<br />
Burn<br />
Black Eye<br />
Brucia davvero il talento del giovane<br />
cantautore senegalese, in rampa di<br />
lancio per un exploit in Francia e non solo. Da quelle parti<br />
lo sta aiutando la fiducia di Tiken Jah Fakoli, che se lo<br />
porta spesso e volentieri in tour: ovunque pesa l’attestato<br />
di stima di Amadou Bagayoko, la metà maschile della<br />
coppia d’assi Amadou & Mariam, qui presente come ospite<br />
in Massamba, ossessiva progressione in mirabile equilibrio<br />
tra groove da club, profondità blues e ispirazione rurale.<br />
Il ragazzo arriva infatti da un contesto extra urbano, un<br />
villaggio di pescatori dalle parti di Dakar chiamato Ngor;<br />
transitato dalla capitale, è subito approdato a Parigi. Dove<br />
gli incontri sono stati tanti e proficui. Il reggae, innanzitutto:<br />
senza essere un artista di genere, Sèn vi attinge sia per<br />
piglio vocale, a partire dai primi secondi dell’iniziale,<br />
calorosa e radiofonica Life, che per connessione diretta<br />
con la Giamaica, il cui temperamento è rappresentato da<br />
Kiddus I, a sua volta agile nel districarsi in contesti ritmico<br />
melodici spiazzanti come quelli che lo mettono alla prova<br />
in Sa Nitee, intrisa di mala, e Nekaal, addirittura una ballata<br />
acustica il cui approccio rimanda a Buju Banton o Anthony<br />
B. Spalle larghe sotto il profilo della formazione musicale, e<br />
grana vocale di impressionante maturità: Burn è la canzone<br />
giusta, tra sufferin alla Burning Spear e poetica alla Pierre<br />
Aquendengué, per apprezzare il peso specifico di un<br />
ragazzo ben sostenuto in produzione dai Dirty District e da<br />
una band imbottita di ospiti di prima scelta.<br />
Paolo Ferrari<br />
AA VV<br />
Capo Verde Terra d’Amore 2<br />
Microcosmo Dischi / Edel<br />
Capo Verde Terra d’Amore. Basta solo il<br />
titolo per richiamare alla mente suoni e<br />
immagini assolutamente inconfondibili. Voci di morna, voci<br />
dal suono carezzevole che cantano della malinconia vestita<br />
di gioia caratteristica dell’arcipelago. Voci indimenticabili<br />
che abbiamo conosciuto nel corso degli anni fra le quali<br />
spicca, regina incontrastata, quella di Cesaria Evora, ma<br />
anche quelle della giovane Lura e del grande compositore<br />
Teofilo Chantre. Questo album è ricco di collaborazioni<br />
con importanti figure della scena pop nostrana e non solo.<br />
Da Ron (che duetta con Cesaria Evora) a Bruno Lauzi o<br />
al duo Magoni-Spinetti (Musica Nuda). Da Peppino di<br />
Capri a Frankie Hi-Nrg Mc, da Massimo Ranieri a Franca<br />
Masu includendo anche il pianista cubano Omar Sosa e la<br />
cantante polacca Kayah che qui canta in italiano duettando<br />
con Teofilo Chantre. Un ponte musicale fra la melodia<br />
cantata in lingua italiana e i suoni creoli capoverdiani. Se<br />
può essere utile a dischiudere le orecchie ottuse di alcuni<br />
nostri compatrioti ben venga, anche se personalmente non<br />
potremmo mai rinunciare agli originali.<br />
Elisabetta Sermenghi<br />
AFRICA<br />
As m A r A All stA r s<br />
Eritrea Got Soul<br />
Out / Here<br />
10 PRIMAVERA 2011 10 PRIMAVERA 2011<br />
41<br />
musiques et cultures dans le monde<br />
MONDOMIX<br />
Mi ama<br />
Sono pienamente giustificate le ambizioni internazionali<br />
implicite nel titolo dell’album in cui il produttore francese<br />
Bruno Blum fa confluire una ricca messe di fonti di<br />
ispirazione, per un risultato finale multicolore, cosmopolita<br />
e di grande attualità. Tutto con un retrogusto inconfondibile,<br />
quello delle scene reduci da recenti tragedie belliche<br />
e dunque cariche di entusiasmo e motivazioni derivati<br />
dalla sensazione diffusa di essere fuori da un periodo di<br />
surgelamento artistico. Le stelle di questo intraprendente<br />
firmamento indipendente provengono da esperienze<br />
differenti, e il nome del combo lo sottolinea. Non deve<br />
quindi stupire se l’umido e sensuale dub reggae Amajo,<br />
condotto dalla voce di Faytinga, convive senza stridori<br />
con il sanguigno blues Ykre Beini, cantato da Temasgen<br />
Yared, mentre lo spirito da club espresso dal titolo del cd<br />
si esalta nel travolgente funky jazz rap Adunia. Esperienze<br />
trasversali, come del resto la selezione generazionale<br />
operata da Blum sul posto, che spazia da personaggi<br />
di grande esperienza come Brkti Weldeslassie e Ibrahim<br />
Goret ad altri recentemente emersi. Per quanto concerne<br />
la band, Blum ha puntato sulla massima fedeltà al suono<br />
analogico locale, incidendo all’Asmara con ampio utilizzo<br />
di fiati e organo da funky americano. Sotto, brucia il fuoco<br />
di una scuola jazz etiope che dagli Anni Cinquanta ha<br />
pochi rivali nel continente; sopra, il governo dell’Asmara<br />
può essere soddisfatto dell’incarico affidato al produttore<br />
francese per contribuire alla fine dell’isolamento culturale<br />
del paese.<br />
Paolo Ferrari<br />
no u r - e d d i n e<br />
Desert contemporain<br />
Helikonia / <strong>Egea</strong><br />
Autore, multistrumentista (sentir, guimbri,<br />
tbal, dumbak, bouzouki) e vocalist,<br />
Nour-Eddine Fatty incarna in modo originale l’espressione<br />
contemporanea della musica marocchina aperta e attenta al<br />
resto del mondo. Marcato in buona sostanza dalla presenza<br />
della trance gnawa, personificata dal contributo eccellente<br />
del quartetto Gnawa Bambara, il disco si avvale anche<br />
dell’apporto del fiatista Davide Grottelli per indirizzare il<br />
suono verso i territori dell’improvvisazione. È dall’apparente<br />
contrasto tra fissità della tradizione e libertà di movimento<br />
che sgorgano i momenti migliori dell’incisione. Le incursioni<br />
delle tabla di Sanjay Kansa Banik concorrono ad ampliare<br />
il quadro d’insieme. Desert contemporain è un ulteriore<br />
esempio di produzione world, però ben congegnata.<br />
Piercarlo Poggio
42 Mondomix.com / RECENSIONI AMERICHE<br />
EUROPA 43<br />
AA VV<br />
Bossa Nova<br />
Soul Jazz / Family Affair<br />
Puoi scaricare gratuitamente il PDF di<br />
Mondomix Italia dal sito<br />
www.mondomix.com<br />
musiques et cultures dans le monde<br />
MONDOMIX<br />
Mi ama<br />
Può capitare che sia un libretto a fare imperdibile un<br />
prodotto discografico? Con i signori della Soul Jazz<br />
è quasi la norma e non certo perché musicalmente le<br />
loro uscite risultino deficitarie. Al contrario! Pur con<br />
qualche assenza inevitabile (una però è clamorosa)<br />
dovendo comprimere in due CD una storia tanto ricca,<br />
come manuale di bossa nova – presenti da Elis Regina<br />
a Joao Gilberto, da Jorge Ben a Edu Lobo passando<br />
per Sérgio Mendes e Baden Powell, Gilberto Gil e Maria<br />
Bethânia, Vinícius de Moraes e Milton Nascimento –<br />
questo doppio è uno dei migliori immaginabili e dire che<br />
in commercio ce ne sono a decine, o più probabilmente<br />
a centinaia. Nessuno dei quali può però farsi forte di<br />
settantasei pagine di narrazione e analisi minuziose di<br />
come nacque la musica pop brasiliana più sofisticata di<br />
sempre, come conquistò il mondo, perché declinò.<br />
Eddy Cilìa<br />
mA r iA be t h â n iA<br />
Amor, Festa e Devoção ao Vivo<br />
Biscoito Fino / Family Affair<br />
Doppio cd dal vivo per celebrare la più<br />
recente tournée mondiale della sovrana<br />
del Tropicalismo e salutarne al tempo stesso 45 anni di<br />
carriera. E Doppio merito: due cd secchi, senza il solito<br />
pasticcio del cd + dvd; e un recital di classe immortalato<br />
per intero.Va da sè che non sono queste li circostanze in<br />
cui rinvenire aperture verso il futuro o ardite scommesse.<br />
La cantante e discografica carioca incastra nel programma<br />
qualche canzone recente, tratta dai cd complentari<br />
Encanteria e Tua, per dare fiato nella cavalcata di 55 tutoli<br />
a un uragano di classici. Ci sono ovviamente Explode<br />
coração e O que é, o que é, come pure perle del fratello<br />
Caetano Veloso della caratura di Dama do Cassino, Não<br />
identificado e Queixa. Tutto inciso nel corso della data<br />
casalinga del tour, tenuta il 12 e 13 marzo a Rio.<br />
Paolo Ferrari<br />
lA Zu r d A<br />
Acá y Ahora<br />
Pirca - Live Global / Self<br />
Con questo nuovo album, prodotto da<br />
Fabrizio Barbacci, La Zurda si ripropone<br />
alla platea mondiale con un sound più intenso, efficace,<br />
trasversale tra gli stili e senza quelle lievi sbavature che<br />
erano presenti in La Zurda e Para Viajar, i primi due progetti<br />
discografici del giovane gruppo argentino, con il quale il<br />
pubblico italiano ha stabilito un ottimo feeling durante le<br />
varie tournée della band nel Belpaese. Empatia dovuta al<br />
sangue italiano che questi ragazzi hanno ricevuto dai loro<br />
bisnonni emigrati in Sudamerica all’inizio del Novecento?<br />
Forse, ma ciò che colpisce e piace è la modernissima<br />
cifra stilistica di questa formazione, che si caratterizza<br />
per un levare latineggiante molto contagioso, per delle<br />
contaminazioni azzardate mescolando e frullando a ritmo<br />
giusto rock alternativo, rockblues, ska, reggae, world<br />
music, balada, accenti di tango, milonga, chacarera o<br />
versi di bolero latino. Un percorso certamente contromano<br />
che si evince sia dall’ampia sperimentazione di linguaggi<br />
ma anche dal panorama di strumenti impiegati: da quelli<br />
moderni (chitarra elettrica, batteria, piano, effetti hammond,<br />
samples, contrabbasso, fiati) a quelli tipici sudamericani<br />
(cuatro, charango, ronroco, cajón, bombo legüero).<br />
Presente e passato, modernità e tradizione sono gli<br />
ingredienti base amalgamati nella realizzazione di Acá Y<br />
Ahora, un cd che offre un ventaglio musicale molto ampio e<br />
variegato. A mantenere in alto lo spirito di questo piacevole<br />
viaggio ci aiuta Paolo “Pau” Bruni, il cantante dei Negrita<br />
intervenuto a duettare in italiano nello stupendo Como<br />
El Rio (tr. 12, bonus track), un brano acustico energetico<br />
con un refrain che ti conquista e comincia a canticchiarti<br />
in testa “ogni giorno passa e va rubando il nostro tempo<br />
/ tutto scorre e passa come il fiume”. Beh, per un po’<br />
di giorni sei fritto, ti svegli e ti addormenti cantando o<br />
fischiettando questa strepitosa melodia che chiude l’ottimo<br />
Acà y Ahora.<br />
Gian Franco Grilli<br />
ce l s o Fo n s e c A<br />
Voz e Violao<br />
Microcosmo Dischi / Edel<br />
Una voce che canta in una lingua<br />
molto dolce (il portoghese brasiliano) e<br />
il suono della chitarra che l’accompagna. Celso Fonseca<br />
con questo suo nuovo lavoro Voz e Violao (CD + DVD)<br />
riesce a creare un’atmosfera talmente intima che più<br />
che alla registrazione live di un suo concerto tenutosi a<br />
Rio de Janeiro nel settembre 2009, si ha la sensazione<br />
di partecipare ad una serata fra amici con un omaggio ai<br />
successi dei più grandi nomi della musica brasiliana. Una<br />
volta tanto, l’affermato compositore anziché cantare brani<br />
di sua produzione si diverte a rileggere la musica altrui. Dei<br />
diciannove brani presenti, infatti, solo tre sono stati scritti<br />
da lui (Slow Motion Bossa Nova, Sorte e Febre). Pescando<br />
nell’immenso mare delle produzioni brasiliane Fonseca<br />
propone brani di Vinícius Cantuária, Erasmo e Roberto<br />
Carlos, Gilberto Gil e molti altri, oltre a una versione bossa<br />
di The fool on the hill dei Beatles. La colonna sonora ideale<br />
per un uggioso pomeriggio d’inverno.<br />
Elisabetta Sermenghi<br />
AA VV<br />
Calabria 1 strumenti.<br />
Zampogna e doppio flauto<br />
Taranta / Felmay<br />
La riedizione di questo disco, lungamente attesa,<br />
testimonia della prima robusta ricognizione su strumenti<br />
folklorici calabresi, condotta da Tucci, etnomusicologa<br />
e etno-organologa, oltre 30 anni fa. L’originale<br />
LP, corredato di un ricco apparato documentale -<br />
conservato e ampliato nella riedizione -, fu pubblicato<br />
ne I Suoni, collana ideata da Diego Carpitella, uno dei<br />
padri della moderna etnomusicologia. Ascoltare oggi le<br />
zampogne e i doppi flauti suonati da maestri della musica<br />
contadina calabrese dei tardi anni ‘70 e comprenderne<br />
l’orizzonte culturale di riferimento, è esperienza unica e<br />
possibile - in modo consapevole e libero da arcaismi o<br />
esotismi interni - proprio grazie alla riedizione. L’opera è<br />
disponibile anche in forma di libro con CD, pubblicato<br />
da Taranta-Besa.<br />
Daniele Sestili<br />
lA bA n d A d i ru V o d i Pu g l iA<br />
Musica sacra della<br />
Settimana Santa<br />
Enja / <strong>Egea</strong><br />
La scrittura bandistica dell’Italia del<br />
Sud, rivalutata in anni recenti, ha suscitato un inaspettato<br />
interesse nel mondo discografico e festivaliero legato alla<br />
musica world. Gli effetti dell’onda lunga sono percepibili<br />
anche nella presente produzione (tedesca), testimonianza<br />
di un live andato in scena nel 2009 nella basilica di Saint-<br />
Denis. In programma sei marce funebri di Luigi Cirenei e<br />
dei fratelli Antonio e Alessandro Amenduni affidate alle<br />
cure della Banda di Ruvo di Puglia (con Pino Minafra al<br />
flicorno) diretta da Michele di Puppo. Le esecuzioni<br />
sono di alta qualità e non soffrono l’estrapolazione dal<br />
contesto originario della processione. Pathos, emozione e<br />
sentimento del dolore si intersecano e si sovrappongono<br />
senza sosta, innescando quel connubio tra sacro e profano,<br />
spirituale e materia a cui è impossibile restare indifferenti.<br />
Piercarlo Poggio<br />
cA l i cA n t o<br />
Mosaico<br />
Calicanto / Felmay<br />
Sceglie una veste volutamente<br />
sobria, Calicanto, nel presentare il<br />
quattordicesimo lavoro in trent’anni di prestigiosa carriera.<br />
Primi a scavare nelle storiche relazioni sonore tra le<br />
sponde settentrionali dell’Adriatico, con accorto rigore<br />
da ricercatori, ma senza atteggiamento pedantemente<br />
filologico, intenti a riadattare la tradizione senza complessi<br />
(si ascoltino Pairis/Scottish saumonée e soprattutto O fia<br />
mia) ma non inseguendo effimere mode musicali. In più<br />
c’è la forza onirica, simbolica, visionaria di composizioni<br />
che sovente hanno come destinazione la scena teatrale.<br />
Ulteriore grande novità in Mosaico l’incontro riuscito con<br />
l’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta e la scrittura del<br />
compositore Gianluca Baldi. L’iniziale Grechesca, ispirata<br />
a danze adriatiche dei secoli XV e XVI su testo plurilingue,<br />
o la speziata Vento di tramontana/Moresca arcana sono<br />
emblemi di un bel disco di gusto raffinato e fortemente<br />
stratificato sotto il profilo timbrico, contenente liriche<br />
tradizionali o di autori del territorio veneto (Andrea Zanzotto,<br />
Biagio Marin, Hugo Pratt): storie di ieri e di oggi di Venezia,<br />
della laguna, di genti adriatiche e mediterranee.<br />
Ciro De Rosa<br />
Je A n A le s l i e &<br />
si o b hA n miller<br />
Shadows Tall<br />
Greentrax / IRD<br />
Sono alla seconda prova discografica,<br />
dopo l’interessante debutto del 2008, le<br />
due pluripremiate giovani folksinger scozzesi uscite dalla<br />
Royal Scottish Academy Of Music. Isolana delle Orkney<br />
Jeana (voce, violino, Hardanger, piano, armonium), originaria<br />
dell’area di Edimburgo Siobhan (voce, piano, danza). Il duo<br />
si concentra su un repertorio di ballate tradizionali scozzesi<br />
ed irlandesi e di canzoni contemporanee. Non difettano<br />
di personalità vocale le due cantanti, accompagnate da<br />
chitarre, mandolino, contrabbasso e percussioni. Shadows<br />
Tall guadagna pienezza e fantasia negli arrangiamenti, di<br />
piglio quasi sempre energico. Cattura l’apertura di Johnnie<br />
o’ Braidisleys, protagonista il pianoforte. Si prosegue con<br />
i passaggi aggressivi di chitarra elettrica in Trooper and<br />
the Maid. Ancora sequenze vincenti di piano nell’antiwar<br />
song The King’s Shilling e in Alexander, dove splende<br />
l’ugola di Jeana. Armonie vocali perfette in Buttermilk Hill,<br />
ma altrove cala un po’ il tasso di creatività e trapela un<br />
certo accademismo. Segna ancora un picco il medley<br />
strumentale orcadiano The Giant Set, dove svetta il violino,<br />
mentre nelle splendide Who Will Sing Me Lullabies? e The<br />
Great Valerio, rispettivamente firmate da Kate Rusby e<br />
Richard Thompson, restiamo ammaliati dalla superba voce<br />
di Siobhan.<br />
Ciro De Rosa<br />
10 PRIMAVERA 2011 10 PRIMAVERA 2011<br />
musiques et cultures dans le monde<br />
MONDOMIX<br />
Mi ama
44 Mondomix.com / RECENSIONI FUSION<br />
ASIA 45<br />
musiques et cultures dans le monde<br />
MONDOMIX<br />
AA VV<br />
Tradi – Mods vs. Rockers<br />
Crammed / Materiali Sonori<br />
La moderna tradizione dell’arcipelago Konono N° 1<br />
e Kasai Allstars faceva gola a dj, produttori e remixer<br />
di tutto il mondo, per cui l’etichetta titolare dell’onda<br />
Congotronics ha pensato di organizzare la materia in<br />
un’uscita dal titolo un po’ stiracchiato ma dalla sicura<br />
resa emotiva. Ci sono nomi importanti del rinnovamento<br />
conosciuto nelle ultime stagioni dal mondo dei club,<br />
di cui si percepiscono gioia e rispetto nell’affrontare i<br />
manufatti d’Africa: Animal Collective in punta di piedi,<br />
Juana Molina in stile artigianato intergalattico, Skeletons<br />
enfatico nel sottolinearne i pregi ipnotici. Nel secondo<br />
disco, dominano la scena i 10’ di Shackleton su Kasai<br />
Allastars, seguiti da Eye contro Konono; ma in generale<br />
l’assortimento è vario e le soddisfazioni fioccano, non<br />
solo sulla pista da ballo.<br />
Paolo Ferrari<br />
lu i g i cA m P o c c iA<br />
On the way to Damascus<br />
Dodici Lune / IRD<br />
Mi ama<br />
Da millenni la via di Damasco<br />
suggerisce ispirazioni a chi la percorre,<br />
anche solo con la fantasia. Nonostante questi tempi di<br />
disorientamento, restano gli artisti ad indicarci la direzione<br />
e Luigi Campoccia guarda verso est. Dopo avere acquisito<br />
strumenti e metodo dell’occidente, il pianista , tastierista<br />
e compositore toscano, usa gli ampi margini espressivi<br />
del jazz per inserirvi profumi e suoni che riportano ad una<br />
tradizione più antica, quella mediterranea, di cui Damasco è<br />
il simbolo e che affonda le sue radici nelle terre d’oriente. Da<br />
laggiù, dalla Turchia in particolare - Paese che si è sempre<br />
distinto per fattori linguistici, religiosi e sociali dal resto<br />
del Vicino Oriente - giungono il chitarrista Önder Focan (di<br />
formazione montgomeryana) e lo specialista di ney (antico<br />
flauto anatolico) Aziz S. Filiz, i quali adattano le rispettive<br />
tecniche e ispirazioni ad un progetto ibrido (oltre al jazz,<br />
echeggia il tango), contaminato e variegato. Da ascoltare<br />
sorseggiando te alla menta.<br />
Giulio Cancelliere<br />
PA o l o Fr e s u, A Fi l e t tA<br />
co r s i cA n Vo i c e s, dA n i e l e<br />
d i bo n AV e n t u r A<br />
Mistico Mediterraneo<br />
Ecm / Ducale<br />
In Corsica la corale A Filetta rappresenta una delle migliori<br />
espressioni della polifonia isolana. L’ensemble diretto<br />
da Jean-Claude Acquaviva nell’occasione incontra in<br />
campo aperto le improvvisazioni di Paolo Fresu e Daniele<br />
di Bonaventura. L’etnojazz che ne scaturisce è piuttosto<br />
lontano dalle solite forme di crossover e punta con decisione<br />
verso il dettaglio delle coloriture e la cura dei particolari<br />
timbrici. Situazioni ad effetto non ve ne sono: l’interazione<br />
fra le voci incantatorie di A Filetta, il flicorno di Fresu e il<br />
bandoneon di Di Bonaventura è improntata a un’intimità<br />
fatta di ascolti reciproci. E se Mistico Mediterraneo può<br />
per certi versi essere accostato a esempi illustri (Garbarek/<br />
Hilliard, ad esempio) per altri se ne distacca decisamente<br />
in virtù di una maggiore concretezza.<br />
Piercarlo Poggio<br />
re n A u d gA r c íA-Fo n s<br />
Méditerranées<br />
Enja / <strong>Egea</strong><br />
Nato per mischiare musiche e unire<br />
e trascendere mondi il francese (di<br />
origini spagnole e italiane qui orgogliosamente rivendicate)<br />
Renaud García-Fons, “il Paganini del contrabbasso a<br />
cinque corde”, come lo ha soprannominato qualcuno: studi<br />
classici al conservatorio (e prima ancora di entrarvi suonava<br />
pianoforte e chitarra), un flirt con il rock nell’adolescenza, la<br />
passione per il jazz che finisce per prendere il sopravvento<br />
ma è un jazz in sempiterno dialogo con altre musiche.<br />
Principalmente etniche ma non solo, principalmente del<br />
Mediterraneo ma non solo. Qui invece sì ed è un viaggio<br />
straordinariamente fascinoso, che dal punto più a sud della<br />
penisola iberica giunge sino al Bosforo, per poi andare<br />
in Egitto e completare il cerchio tornando a Gibilterra.<br />
Eccellenti i musicisti che si rendono complici del Nostro,<br />
ma è il suo strumento il mattatore.<br />
Eddy Cilìa<br />
le e "s c r At c h" Pe r r Y<br />
Revelation<br />
Politur / <strong>Egea</strong><br />
L’instancabile settantaquattrenne<br />
Lee “Scratch” Perry, una delle ultime<br />
icone del reggae internazionale, nel 2010 è tornato nelle<br />
sale d’incisione per proporci la sua Revelation. Grazie ai<br />
musicisti Steve Marshall e George Clinton il disco è ricco di<br />
arrangiamenti in perfetto stile dub ma l’eclettismo generale<br />
legato a un turbine infinito di parole buttate alla rinfusa non<br />
rende giustizia delle glorie passate del suo autore. Rispetto<br />
al precedente The Mighty Upsetter il vecchio Scratch<br />
sembra aver perso parecchio smalto.<br />
David Valderrama<br />
10 PRIMAVERA 2011 10 PRIMAVERA 2011<br />
ViJ AY iY e r / Pr A s A n n A /<br />
nitin mi t tA<br />
Tirtha<br />
Act<br />
FELMAY<br />
musiques et cultures dans le monde<br />
MONDOMIX<br />
Mi ama<br />
AA VV<br />
The Roots of Chicha 2 –<br />
Psychedelic cumbias<br />
from Peru<br />
Barbès Records / Crammed / Materiali Sonori<br />
Strepitoso secondo volume di cumbias peruviane risalenti<br />
alla fine degli anni sessanta. Questa raccolta, che prende il<br />
nome da un liquore a bassa gradazione alcolica di origine<br />
Inca (Chicha), in realtà non è da considerarsi un sequel<br />
del precedente The roots of Chicha – 2007 ma piuttosto<br />
una integrazione al già pregevole lavoro uscito tre anni<br />
fa. In questo secondo volume, a dispetto delle originali<br />
sonorità amazzoniche, vengono presi maggiormente<br />
in considerazione l’aspetto urbano e le prime influenze<br />
cubane e andine che hanno avuto un ruolo fondamentale<br />
nell’evoluzione di questo tipo di musica. Esplosa alle fine<br />
degli anni sessanta nella città disseminate lungo la parte<br />
amazzonica del Perù, la cumbia amazzonica (poi chicha)<br />
fu un fenomeno profondamente urbano, incorporava<br />
folklore andino, musica creola di discendenza hispanica,<br />
guajira cubana e sintetizzatori moderni. Sedici brani<br />
molto gradevoli e trascinanti che ci condurranno a zonzo<br />
fra epoche e altitudini diverse.<br />
Elisabetta Sermenghi<br />
file under<br />
emin yağci<br />
turkey<br />
world music<br />
Felmay • strada roncaglia 16 • 15033 san germanoAL • italy<br />
ph.+39 0142 50577 fax +39 0142 50780 info@felmay.it www.felmay.it<br />
Lunghissimo, storicamente consolidato<br />
e nondimeno sempre fonte di sorprese il rapporto fra jazz<br />
e musica indiana, “due etichette inadaguate – ricorda Iyer<br />
stesso nelle note di copertina – a racchiudere una massa di<br />
informazioni e un archivio di conoscenze immensi… orizzonti<br />
di possibilità sconfinati”. Pianista di genitori indiani ma nato<br />
e vissuto sempre a New York, Vijay Iyer getta su questi<br />
orizzonti uno sguardo ovviamente precipuo, ben diverso –<br />
per dire – da quello di un John McLaughlin ma per certo<br />
non lo stesso nemmeno del pianista Prasanna, originario<br />
di Madras, o del tablista Nitin Mitta, di Hyderabad. Risiede<br />
probabilmente proprio nel confronto fra sensibilità diverse,<br />
ma capaci di trovare un’armoniosa sintesi, il segreto del<br />
successo di un disco che innesta le spigolosità del bebop<br />
nel contesto di intimismo cameristico che è del raga.<br />
Eddy Cilìa<br />
P Felmay 2011<br />
fy 8173<br />
P Felmay 2009<br />
em i n YA g c i<br />
Tulum.<br />
A sound from the Black Sea<br />
Felmay / <strong>Egea</strong><br />
L’anno si apre per la Felmay con un<br />
disco pionieristico, tutto dedicato ad uno strumento<br />
poco noto e ben poco registrato come la zampogna<br />
(organologicamente un “aerofono a sacco con bordoni”)<br />
tulum, diffusa in Turchia lungo coste del Mar Nero. Il tulum<br />
risuona soprattutto, ma non esclusivamente, tra i Lazi<br />
(Lazlar) gruppo etnico che vive lungo le regioni costiere del<br />
Mar Nero a cavallo tra Turchia e Georgia, in repertori per<br />
la festa e la danza. All’ascolto del primo brano si è colpiti<br />
dalla vicinanza con il mondo macedone, bulgaro, quasi<br />
il tulum fosse un testimone sonante dell’antica Tracia.<br />
Riporta al presente l’energia e l’intensità dello straordinario<br />
performer, cantore e poeta Emin Yagci, spesso affiancato<br />
da altri strumenti tradizionali come il liuto baglama o la viella<br />
kemençe, registrato ad Ankara grazie ad una complessa<br />
iniziativa coordinata da Francesco Martinelli e Cenk Güray<br />
ai quali si devono le esaustive note di copertina.<br />
Giovanni De Zorzi<br />
8173_digipack0236.indd 1 24-11-2010 14:41:04<br />
musiques et cultures dans le monde<br />
MONDOMIX<br />
Mi ama<br />
en s e m b l e mo s h tA q<br />
14 Cheerful Pieces.<br />
Quatorze morceaux pour un<br />
redécollage<br />
Buda Records / Felmay<br />
Nuova, fresca, giovane musica fiorita nello spirito<br />
del radîf classico, così che ritorna alla mente il verso<br />
del poeta Mowlana Jalâl ud-Dîn Rûmî (1207-1273):<br />
“In realtà dal frutto è nato l’albero”. Nella sua chiara<br />
sobrietà si dispiega qui quella naturalezza, elegante<br />
e senza tempo, dalla quale si sono allontanate le<br />
artificiose composizioni di certi gruppi alla ricerca di<br />
“nuovi approcci”. I brani composti dal direttore e solista<br />
Reza Ghassemi rifulgono in due suites – la prima in<br />
Bayat-e Tork, la seconda in Rast Panjgah – grazie ad<br />
un organico insolito: quattro liuti setâr (Ghassemi, Aydin<br />
Bahramlou, Babak Moayedoddin, Sepideh Raissadat)<br />
e il flauto ney haftband suonato da Javid Yahyazadeh.<br />
Su questo tessuto svettano i versi della poesia persiana<br />
classica (Mowlana, Sa’di, Hafez, e il più recente Savoji)<br />
cantati dalla giovane, toccante, magistrale voce di<br />
Sepideh Raissadat.<br />
Giovanni De Zorzi
46 Mondomix.com / RECENSIONI<br />
rAV i sh A n K A r<br />
L’extraordinaire leçon<br />
DVD<br />
FELMAY<br />
Accord Croisés / Ducale<br />
Raffinate e insieme croccanti, le produzioni Accord<br />
Croisés accontentano anche stavolta la clientela. La<br />
nuova proposta è un documento del settembre 2008<br />
realizzato da Frédéric Le Clair: Ravi Shankar a Parigi,<br />
per quello che era stato programmato essere l’addio<br />
del maestro all’Europa. Nella capitale francese, che<br />
lo aveva visto esibirsi in passi di danza a undici anni,<br />
Shankar chiude il cerchio offrendo a un rapito uditorio<br />
una speciale “lezione” sulla musica classica indiana.<br />
Sul palco della Salle Pleyel, ironico e brillante nel<br />
linguaggio, Shankar racconta e spiega differenze e<br />
similitudini sonore tra il nord e il sud del suo paese.<br />
Attorno a lui, a esemplificarne il pensiero, la figlia<br />
Anoushka (sitar), Tanmoy Bose (tabla), Sanjeev Shankar<br />
(shehnai), Ravichandra Kulur (flauto), Sanjay Sharma e<br />
Kenji Ota (tanpura). Il dvd contiene in aggiunta altri due<br />
filmati. In uno viene tratteggiata una rapida biografia<br />
dell’artista mentre nel secondo troviamo sintesi di<br />
concerti presentati di recente al Ravi Shankar Centre di<br />
Nuova Delhi. In tale contesto si segnalano le esibizioni<br />
di Manjiri Asanare-Kelkar, cantante khayal, e dei fratelli<br />
Lalgudi, violinisti carnatici.<br />
Piercarlo Poggio<br />
ho s s e i n Al iZ A d e h<br />
Pejman Hadadi<br />
Hermes Records / <strong>Egea</strong><br />
Hossein Alizadeh (1950) è forse il<br />
più popolare solista (liuti târ e setâr),<br />
compositore e didatta della nuova musica persiana.<br />
La fama gli deriva soprattutto dalle composizioni assai<br />
amate in patria. Monad, invece, è tutto incentrato<br />
sull’improvvisazione e sull’irripetibile, unico, istante senza<br />
tempo che Alizadeh definisce “monade” con termine della<br />
filosofia classica. La registrazione coglie l’incontro con il<br />
più giovane, sensibile e attento percussionista Pejman<br />
Hadadi (1969) avvenuto nella primavera del 2007 in due<br />
sessioni dal vivo: la prima in avâz-e Dashti, la seconda in<br />
avâz-e Isfahan. L’incontro viene poi suddiviso in 15 tracce/<br />
quadri impressionisti dalla mirabile resa sonora (marchio<br />
Hermes). Svincolata dall’aspetto funzionale che essa può<br />
svolgere in una suite, l’improvvisazione dilatata sembra<br />
qui illustrare il motto della Hermes “musica per la musica”<br />
e, allo stesso tempo, il particolare gusto – appassionato,<br />
tutto di chiaroscuri – con il quale Alizadeh si allontana dalla<br />
sobrietà dei classici.<br />
Giovanni De Zorzi<br />
fy 81676<br />
musiques et cultures dans le monde<br />
MONDOMIX<br />
Mi ama<br />
8176 digipack.indd 1<br />
file under<br />
ustad shujaat<br />
husain khan<br />
india<br />
world music<br />
Felmay • stradaroncaglia16 • 15033sangermanoAL • italy<br />
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P Felmay 2011<br />
fy 8176<br />
P Felmay 2009<br />
fy 8165<br />
FELMAY<br />
file under<br />
lalgudi GJR krishnan<br />
anil srinivasan<br />
south india<br />
world music<br />
Felmay • strada roncaglia 16 • 15033 san germanoAL • italy<br />
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8165 digipack copia.indd 1 22-11-2010 12:45:19<br />
ustAd shuJAAt husAin KhAn<br />
Dil<br />
Felmay / <strong>Egea</strong><br />
Shujaat Husain Khan (1960) è un celebre compositore<br />
e solista di sitar con una sessantina di incisioni<br />
all’attivo. Non dev’essere facile portare sulle spalle una<br />
genealogia come la sua: figlio del leggendario sitarista<br />
Ustad Vilayat Khan, il nonno era Ustad Enayat Khan,<br />
il bisnonno Ustad Imdad Khan, il bis-bisnonno, Ustad<br />
Sahebdad Khan. Tutti esponenti della nobile genealogia<br />
musicale (garana) Imdadkhani. Di questa responsabilità<br />
Shujaat Khan sorride amabilmente sin dalla copertina<br />
interna del mirabile disco articolato in tre brani: i primi<br />
due (Alap e Gat) in Raga Gujiri Todi mentre il terzo, Ek<br />
Prakar, è una ninna nanna toccante ed ispirata in Raga<br />
Todi. Ovunque, le sue improvvisazioni dimostrano uno<br />
stile fluente, articolato e personalissimo. Ogni parametro<br />
dello strumento è padroneggiato, la dinamica va<br />
dall’infrasuono alla strappata e il virtuosismo non è mai<br />
fine a se stesso. L’invenzione è costante e profonda.<br />
Eppure, come se non bastasse, ecco arrivare dal<br />
nulla la sua voce sognante, rotonda e ammaliante su<br />
versi in urdu di ispirazione sufi. Nel disco il maestro è<br />
accompagnato dal tablista Federico Sanesi, ammirato<br />
e lodato dai maestri indiani, faro di riferimento per ogni<br />
musicista italiano che si confronti con una tradizione<br />
orientale.<br />
Giovanni De Zorzi<br />
nAV à en s e m b l e<br />
Hilat<br />
FinisTerre / Felmay<br />
musiques et cultures dans le monde<br />
MONDOMIX<br />
Mi ama<br />
Navà è un Ensemble che riunisce<br />
iraniani e italiani nell’amore per la<br />
musica persiana. Il repertorio del disco è costituito quasi<br />
esclusivamente da nuove composizioni di Pejman Tadayon<br />
(voce, liuti târ, setâr, bamtâr, ‘ud e…calligrafie) che si<br />
ispirano al genere vocale tasnîf, misurato ritmicamente, di<br />
carattere classico/leggero e affine alla “canzone”. Il gruppo<br />
è composto poi da Reza Mohsenipoor (târ, bamtâr),<br />
Hamid Mohsenipoor (tamburo a calice zarb/tombak),<br />
Paolo Modugno (tamburi a cornice daf, dayereh; tamburo<br />
cilindrico dohol) e Martina Pelosi (voce). Ospite in un<br />
brano Shideh Fazaee al daf. I testi provengono dai maestri<br />
della poesia persiana (Hafez, Rumi, Khayyam) e dal più<br />
recente Nima. Registrato a Roma, all’Oasi Studio di Paolo<br />
Modugno, il disco è un ottimo esordio per un Ensemble<br />
nato da poco e a cui si fanno i migliori auguri.<br />
Giovanni De Zorzi<br />
fy 81676<br />
P Felmay 2011<br />
fy 8165<br />
P Felmay 2009<br />
lA l g u d i gJr Kr i s h nA n<br />
& An i l sr i n iVA s A n<br />
Eternal light<br />
Felmay / <strong>Egea</strong><br />
Anil Srinivasan è uno dei più interessanti musicisti dell’India<br />
del Sud. Ha studiato la musica classica Occidentale e è<br />
cresciuto con quella Carnatica (dell’India del Sud), conosce<br />
e risponde ai due oceani musicali.<br />
La sua collaborazione con Sikkil Gurucharan ha creato<br />
molta attenzione e questo CD, Eternal Light, con Lalgudi<br />
Krishnan al violino, è un esempio del livello che Anil ha<br />
raggiunto nell’ambito della musica Carnatica nella sua<br />
forma più classica e nello stesso tempo aperta alle armonia<br />
Occidentali.<br />
ASIA 47<br />
L'incontro fra due strumenti tipici della tradizione classica<br />
occidentale, pianoforte e violino, qui nelle mani di due musicisti<br />
indiani alle prese con un repertorio di musica Carnatica ci ha<br />
spinto a chiedere a due diversi recensori, uno Occidentale e<br />
l'altro Indiano, la loro opinione sul progetto.<br />
Come molti italiani, non sono amico delle lingue straniere.<br />
Cerco di scherzarci su, dicendo che sono rigidamente<br />
monoglotta, ma è una maniera di dissimulare il fastidio per<br />
una cosa che, naturalmente, mi disturba. Tuttavia, sono<br />
attratto dalle situazioni in cui la comunicazione non può<br />
svolgersi secondo il meccanismo abituale. Quando accade,<br />
ho l’impressione di essere in un mondo che non è proprio<br />
quello solito. Cerco di spiegarmi. Una volta un amico voleva<br />
convincermi a presentarmi fingendomi un altro ad un liutaio<br />
che mi aveva promesso un violino che non arrivava mai.<br />
Eravamo ad un punto morto: secondo il liutaio il violino<br />
non era mai quello giusto per me ed io, che di violini invece<br />
ne avrei concupito più d’uno, non mi sentivo di far forza<br />
sulla situazione per il rispetto che avevo per lui. Quel che<br />
sosteneva il mio amico era che se avessi osservato la realtà<br />
con gli occhi di un altro forse avrei intravisto una soluzione.<br />
Il primo brano, Sudhamayi di Muthiah Bhagavatar, nel<br />
raga pentatonico Amritavarshini, che annuncia l’arrivo<br />
della pioggia, inizia con un ciclo armonico punteggiato dal<br />
violino di Lalgudi. La sequenza, per qualche ragione, non<br />
sembra Felmay funzionare •strada – il violino roncaglia di Krishnan 16 •15033 non sanè germano così sciolto AL •italy<br />
FELMAY<br />
come ph. nel +39 resto 0142 dell’album 50577 fax and +39il 0142 piano 50780 è sovraccaricato.<br />
info@felmay.it www.felmay.it<br />
Per fare le cose per bene, suggeriva di fingersi straniero - io,<br />
Quando arrivano al Kriti (composizione) le cose si sono appunto, che parlo solo l’italiano -, e per rendere credibile la<br />
sistemate e il suono diventa accattivante.<br />
recita incominciò, in un incredulo scompartimento di treno,<br />
Il seguente raga, Saramati, è il brano migliore dell’album ad allenarmi a parlare una lingua inventata lì per lì. Buffo, no?<br />
basato sulle ricche armonie di Anil e sul grande controllo Del resto, tutti noi conosciamo anche lingue inconsapevoli.<br />
di che il violino di Lalgudi ha sul raga.<br />
Ho assistito al dialogo tra un bambino così piccolo da non<br />
E’ interessante che il Cd comprenda una rara composizione saper ancora parlare e una bimba appena più grandicella.<br />
di Dandapani Desikar, Arulla vendum. Il violino attraversa La bimba aveva da dirgli non so cosa, il piccolo sgranava gli<br />
la struttura asimmetrica del raga con grande bellezza occhioni, ma non si intendevano. Alla fine la bimba è stata<br />
atterrando al momento e nel modo giusto, e il piano è li, costretta alla resa e ha chiesto aiuto a un terzo, piccolo<br />
insieme a lui sottolineando così perfettamente le peculiarità altrettanto: “Spiegaglielo tu, che parli la sua lingua”. E i<br />
di Saramati.<br />
due, a ruttini e squittii, si sono intesi benissimo. Capirete<br />
Le percussioni Carnatiche tendono a modellare le bene che non potrei nemmeno volendo avere la pretesa di<br />
composizioni con ritmi molto ornati. Scegliendo i leggeri spiegarvi su quale terreno si sia potuta realizzare l’intesa<br />
sussurri della kanjira (percussione simile ad un tamburello) tra un illustre violinista dell’India meridionale, erede di una<br />
di BS Purushottam invece che il rimbombo del più classico tradizione secolare, e un pianista che ha fatto quelli che<br />
mridangam, Anil ha trovato la formula giusta per questo potremmo chiamare “studi regolari”. O, piuttosto, su quale<br />
tipo di musica.<br />
terreno si sia potuta realizzare l’intesa tra i loro strumenti,<br />
In Akhilandeswari , il brano che segue, i tre musicisti che non si erano mai incontrati e che forse hanno guidato i<br />
insieme creano un affascinante ambiente sonoro in cui la loro esecutori. Certo, né l’uno né l’altro, parlo del violinista<br />
melodia a tratti, ma molto raramente, è punteggiata della e del pianista, sono stati in questa occasione quel che<br />
battito della kanjira.<br />
sono abituati ad essere. Solo dopo aver ascoltato il disco<br />
per intero ho letto le note, e ho imparato di aver ascoltato<br />
Il brano successivo, il corposo Meenakshi in raga Purvi composizioni dei più importanti musicisti della tradizione<br />
Kalyan di Muthuswami Dikshitar è preceduto da una breve carnatica. Potevano essere improvvisazioni del violino, per<br />
introduzione (alapana). l’accompagnamento in questa il mio orecchio di musicista classico, sostenute e in un certo<br />
porzione toglie all’alapana la sua caratteristica mancanza senso “spiegate” dalla trama armonica del pianoforte e di<br />
di forma, che costituisce il suo ossigeno. Quando si arriva qualche discreta percussione, racchiuse in un involucro che,<br />
alla composizione (kriti) un senso di fatica si impossessa solo per rassicurare, conserva - o assume - della tradizione<br />
dell’ascoltatore – non c’è abbastanza in termini di varietà occidentale qualche segnale narrativo. Per il resto, non<br />
nell’album da mantenere l’interesse. Molte delle canzoni saprei trovare parole per descrivere il senso di sospensione<br />
sono nello stesso tempo, molti ornamenti sono ripetitivi. di questa musica, che lungo l’ascolto si muove su un<br />
sentiero armonico dolcissimamente arcuato, per le ripetizioni<br />
L’album si conclude con un Thillana in Mishra Maund, continue e mai ossessive, per quel tanto di indulgenza che<br />
composizione del padre di Krishnan, Lalgudi G Jayaraman. mi pare di cogliere nel track 7, che inizia col solo pianoforte<br />
Qui il piano lascia che l’alapana sia più piacevole, leggera. in un’atmosfera notturna quasi da jazz club, a cui il violino<br />
Purtroppo l’accompagnamento del Thillana non sottolinea si unisce rinunciando ad essere la guida e, per una volta,<br />
a dovere la struttura ritmica mancando le giuste cadenze. accompagnando. Non so, e non colgo il senso dell’inizio e<br />
della fine in questa musica che non so se esisteva prima e<br />
Eternal Light si rivela così un album con i suopi momenti se esiterà in futuro, e che mi sembra potrebbe continuare<br />
e cerco solo per la superlativa resa di Arulla Vendum e ancora chissà quanto; io l’ascolterei volentieri.<br />
Akhilandeswari, vale il suo costo<br />
Fulvio Luciani<br />
è un violinista con “studi regolari”. Concepisce la sua<br />
V. Ramnarayan attività come un piccolo e specializzato laboratorio di<br />
Caporedattore di Sruti, ricerca, ed è curioso di tutto. Suona quel che gli piace e lo<br />
la più importante rivista di musica classica indiana<br />
interessa e insegna al Conservatorio di Milano.<br />
10 PRIMAVERA 2011 10 PRIMAVERA 2011<br />
world music<br />
file under<br />
ustad shujaat<br />
husain khan<br />
india<br />
P Felmay 2011<br />
fy 8176<br />
P Felmay 2009
48 Mondomix.com / RECENSIONI LIBRI<br />
VISIONI 49<br />
le d o n n e d i m i o PA d r e<br />
José Eduardo Agualusa<br />
La Nuova Frontiera 2010<br />
370 pp., € 17,50<br />
Una donna portoghese parte per<br />
l’Africa sulle tracce di quello che le<br />
dicono essere il suo vero padre. Un<br />
avventuriero contrabbassista sciupa<br />
femmine, defunto senza per questo<br />
impedire a lettore di innamorarsene<br />
a prima vista. Per contarne i figli, o i<br />
presunti tali, ci va il pallottoliere; per<br />
accogliere l’uragano di sensazioni musicali che flagella i<br />
brevi capitoli occorrerebbe un iPod da 16 giga. Faustino<br />
Manso e lo swing suonato con il suo saggio pianista senza<br />
mani, lo spirito caciarone delle marrabenta mozambicane,<br />
la furia del kuduro angolano che uno dei tre viaggiatori<br />
porta nel cuore dai sound system d’Angola. Le due grandi<br />
ex colonie di Lisbona sono tratti essenziali di questo<br />
romanzo on the road, dove le piste rosse della savana si<br />
alternano ai grandi viali sudafricani, al tratto da guscio<br />
di noce che porta alla Ilha de Moçambique, tappa finale<br />
(preziosa la mappa dettagliata del tour in apertura del<br />
volume) della giovane e lacerata ciurma partita da quello<br />
specchio dell’Africa lusofona che è il Brasile. Tra rapper<br />
ubriachi per le strade di Luanda e inni politici, orchestrine<br />
male in arnese e mito di Casablanca, barzellette sul<br />
contrabbasso e vecchi 78 giri introvabili, la narrazione<br />
scorre attuale e nervosa. Ci si affacciano persino le Brigate<br />
VpS A5-10-10:manchette Rosse, si bevono 25/10/10 cocktail 12:39 energetici, Pagina 1<br />
si cita Bilal; in bilico<br />
Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. DL. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1 CNS/CBPA/TORINO - agosto settembre 2010 - anno XXV - foto: Bilderberg<br />
La sfida alle oligarchie del cibo Credito ai contadini Sovranità alimentare in Italia<br />
DIVORATORI DI FUTURO<br />
Come riappropriarci di quel che mangiamoVpS<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
Volontari per lo sviluppo<br />
La rivista di chi abita il mondo<br />
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VpS<br />
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tra vecchio e nuovo, storia e fiction, guerre civili e civiltà<br />
dell’arrangiarsi, il cinquantenne autore portoghese di natali<br />
angolani balla con maestria su una storia inevitabilmente<br />
intrisa della propria natura intercontinentale.<br />
Paolo Ferrari<br />
ViA g g i e A lt r i V iA g g i<br />
Antonio Tabucchi<br />
I narratori – Feltrinelli 2010<br />
272 pp., € 17,50<br />
Uno strano libro di viaggi che non<br />
parla solo di viaggi in senso stretto<br />
ma soprattutto di emozioni e della loro<br />
perenne trasformazione al contatto con<br />
le situazioni che tocchiamo durante lo<br />
spostamento. Ecco quindi un luogo<br />
apparirci piacevole o inadeguato a<br />
seconda della nostra disposizione<br />
interiore verso l’incontro. Lo stesso<br />
vale anche per le persone o le parole scritte. Un libro per<br />
chi ama curiosare col cuore e con la mente universi attigui<br />
filtrati dalla propria esistenza e perdersi nei meandri delle<br />
suggestioni, dei ricordi e delle assonanze che l’autore<br />
riesce continuamente ad evocare creando, in pratica, un<br />
ulteriore viaggio dentro al viaggio.<br />
Elisabetta Sermenghi<br />
La rivista<br />
di chi abita il mondo<br />
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Cosa trovi in questo numero:<br />
PRIMO PIANO ITALIA AFFAMATA<br />
Latifondi e cementificazione mettono a rischio il Belpaese<br />
REPORTAGE SEMI-LIBERTÀ<br />
Gli effetti dei brevetti sulle sementi<br />
DOSSIER PALATI FINI<br />
La sovranità alimentare in Italia riconquistata dalla società civile<br />
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he r e A F t e r 2010<br />
Regia Clint Eastwood<br />
Sceneggiatura Peter Morgan<br />
Musica Clint Eastwood<br />
Attori Matt Damon, Cécile de France, Bryce Dallas Howard<br />
Jay Mohr, Mylène Jampanoï<br />
Per avere il coraggio di infrangere il tabù per eccellenza<br />
e domandarti e domandarci:‘ma cosa c’è dopo la morte?’<br />
devi essere una leggenda vivente ottantenne che ha diretto<br />
di tutto, dal western al biopic, alla fantascienza epica,<br />
alla tragedia shakespeariana moderna, alla commedia<br />
romantica, al thriller, per citare alcuni dei generi frequentati<br />
dall’Eastwood regista, dal 1971 a oggi. Forse dopo c’è un<br />
altro stato in cui ci ricongiungeremo alle anime dei nostri<br />
cari, non più limitati dal corpo: così sembrano dirci le visioni<br />
premorte di una giornalista (Cécile De France), quelle di un<br />
sensitivo (Matt Damon) o la speranza di parlare col gemello<br />
morto di un bambino. Non ci sono certezze nel vagare e<br />
soffrire dei personaggi, che scoprono che si può contare<br />
solo sulla comprensione e l’amore che ci possiamo dare<br />
l’un l’altro finché siamo vivi. Certo il film è molto di più.<br />
È la straordinaria sequenza in cui viviamo uno tsunami<br />
improvviso con la giornalista Marie e ci sentiamo travolti e<br />
sbattuti contro ogni genere di ostacolo. È il mesto George<br />
che non vorrebbe più sentire i segreti della gente solo<br />
prendendo loro le mani e ricevendo le voci dei loro morti<br />
(come la veggente del bel romanzo di Matteo B. Bianchi<br />
Apocalisse a domicilio). È la storia di Marcus, che ha perso<br />
il fratello, affidato a una nuova famiglia, perché la madre è<br />
tossicodipendente. Ma non temete: Eastwood continua a<br />
saper raccontare i sentimenti con pudore e misura, senza<br />
faciloneria. Questo bel film si interroga con onestà sulle<br />
occasioni perdute nella nostra vita terrena e sulla speranza<br />
nella sopravvivenza dell’anima; su un forse e su quello che,<br />
almeno qui e ora, possiamo cercare di conquistarci.<br />
Paola Valpreda<br />
tFF 28<br />
Il 28esimo Torino Film Festival (diretto da Gianni Amelio)<br />
ha ben colto lo spirito dei nostri difficili tempi: arti<br />
mozzati o personaggi incompleti e dolenti, amputati<br />
psicologicamente, sono elemento comune a tanti film.<br />
I 16 film in concorso, però, sono stati di qualità altalenante.<br />
Si va dalla banalità da fiction televisiva di Henry di Piva,<br />
all’ideuzza da corto strascicata a lungometraggio (Vampires,<br />
mockumentary sulla vita quotidiana dei vampiri) alle storie<br />
già viste e riviste (White Irish Drinkers), a lavori interessanti<br />
come Four Lions (amara commedia su quattro scalcinati<br />
terroristi islamici) o Las marimbas del infierno (docudrama<br />
guatemalteco) fino a due film molto belli: Winter’s Bone<br />
di Debra Granik (che ha vinto) e Portretul luptatorului la<br />
tinerete di Popescu. Il primo è un ritratto di un’America<br />
povera, violenta e brutta, pur con qualche speranza<br />
affidata a una giovane donna e alla solidarietà femminile,<br />
in un desolato Missouri le cui atmosfere ricordano Frozen<br />
River. Il secondo, ambientato nella Romania degli anni<br />
‘50, è una toccante riflessione sul tentativo di mantenere<br />
la dignità umana sotto una dittatura; intercala disposizioni<br />
ufficiali su come spiare tutti i cittadini e utilizzare i delatori<br />
alle avventure di un gruppo di partigiani. Eroi giovani,<br />
belli e coraggiosi, in mezzo a una montagna ostile ma<br />
affascinante, braccati da un intero esercito, consapevoli<br />
che la loro ribellione è destinata alla sconfitta. Uno di loro,<br />
che desidera avere dei figli, dice che non vuole dover<br />
rispondere loro, quando gli chiederanno cosa ha fatto<br />
sotto la dittatura, un umiliante ‘niente’: riflessione che dà<br />
da pensare anche a noi, in tempi e luoghi diversi.<br />
Tra i film non in concorso segnaliamo, oltre a Hereafter , 127<br />
hours di Boyle, sui limiti umani e la spettacolarizzazione, con<br />
James Franco che, bloccato in un canyon da un masso sul<br />
braccio, filma la sua agonia, immaginandosi protagonista<br />
di un talk show; Kaboom di Araki, divertente, autoironica<br />
e rutilante girandola sulla passione e paura americana per<br />
e dei complotti planetari; The Ward di Carpenter, in cui il<br />
maestro riesce a farci tremare con un horror vecchio stile;<br />
Suck di Stefaniuk, con i musicisti di una band disposti per<br />
il successo a diventare vampiri, mentre il roadie fa sparire<br />
i cadaveri (tra gli attori Henry Rollins, Alice Cooper e Moby<br />
come cantante di una band metallara i cui fan gettano<br />
carne cruda sul palco); infine Caterpillar di Wakamatsu, su<br />
un reduce di guerra giapponese che ha perso tutti gli arti,<br />
la parola e l’udito, ridotto a un pezzo di carne e ai suoi<br />
bisogni elementari: sua moglie, indottrinata all’orgoglio<br />
di avere in casa un eroe di guerra, inizia a dubitare della<br />
propaganda patriottica, quella stessa che fa credere ai<br />
Giapponesi che vinceranno la seconda guerra mondiale<br />
fino alla vigilia di Hiroshima.<br />
Paola Valpreda<br />
10 PRIMAVERA 2011
50 Mondomix.com<br />
La World Music che non sapevamo di avere in casa<br />
Catch A Fire<br />
Bob Marley & The Wailers<br />
di Eddy Cilìa<br />
Sui perché della fama globale di Bob Marley ci si interroga<br />
da quando nulla sembrava potesse fermarlo. Questione<br />
certo di canzoni di poesia e innodia straordinarie e di una<br />
presenza scenica rimarchevole, ma soprattutto una faccenda<br />
di carisma. Predicatore sul palco con parole semplici che<br />
tutti potevano comprendere, eppure di una profondità tale<br />
da prestarsi a letture metaforiche. Portatore di una visione<br />
spirituale condivisibile come afflato anche da chi è lontano<br />
dalla fede rasta. Esempio insuperato del levarsi in piedi di<br />
quella parte di pianeta demograficamente dominatrice ed<br />
economicamente e culturalmente prevaricata che domanda<br />
che la sua dignità venga infine riconosciuta. Ecco perché,<br />
in Africa come in Asia o nell’America Latina, Robert Nesta<br />
Marley è un simbolo di riscatto prima ancora che un divo<br />
del pop. Nella nostra parte di mondo alla sua sopravvivenza<br />
hanno contribuito invece il fascino romantico dell’artista<br />
che muore giovane e la trasversalità dell’impatto. A cavallo<br />
fra Settanta e Ottanta Marley era l’unico che metteva tutti<br />
d’accordo: veniva ballato in discoteca ed era amato dai<br />
punk che disprezzavano la dance ed erano stati catturati<br />
dal reggae via Clash, era colonna sonora di feste come di<br />
cortei, interiorizzato da ciascuno come tesoro personale,<br />
eppure capace di riempire gli stadi. Andarono in centomila<br />
ad ascoltarlo a San Siro nell’estate 1980, il suo concerto più<br />
affollato e uno degli ultimi, e chi non c’era non potrà mai<br />
capire appieno l’impatto che ebbe in quegli anni. Nondimeno<br />
l’universalità del messaggio ha trasceso i decenni e chi si<br />
accosta oggi alla sua musica ne può certamente restare<br />
emozionato come chi ne fu stregato in diretta.<br />
Anche avendo l’età giusta, pochi possono però raccontare<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
1) che a fare scoprire loro Marley fu Catch A Fire e, 2), che<br />
accadde proprio nell’anno in cui veniva pubblicato, il 1973.<br />
Il disco in realtà non vendeva che quattordicimila copie in<br />
Gran Bretagna nei primi dodici mesi nei negozi e molte<br />
meno nei restanti paesi europei. Se il patron della Island<br />
Chris Blackwell non avesse avuto una fede assoluta in un<br />
artista che conosceva da ben prima del giorno in cui si era<br />
presentato nel suo ufficio londinese, la storia della popular<br />
music come oggi la conosciamo sarebbe incredibilmente<br />
diversa. Ma Blackwell perseverava. Se Catch A Fire sul<br />
momento vendeva pochino era perché costituiva una<br />
novità che richiedeva tempo per essere metabolizzata.<br />
Se non poteva in compenso che divenire in prospettiva la<br />
pietra d’angolo della leggenda marleyana è perché in esso<br />
gli elementi costitutivi di codesta già ci sono tutti. Ci sono<br />
le canzoni. C’è il suono.<br />
Saggia decisione in ogni caso, quella di Mister Island, di<br />
mettere le mani nel missaggio. Sapeva bene, e Marley<br />
evidentemente concordava, che le platee euro-americane<br />
non erano avezze alle ruvide sonorità giamaicane e che,<br />
dovendo già fare digerire loro la battuta in levare, sarebbe<br />
stato opportuno levigarle, insaporendo nel contempo la<br />
pietanza con le familiari spezie del rock. Se era un piccolo<br />
colpo di genio la pensata di introdurre il cupo paesaggio<br />
di desolazione urbana di Concrete Jungle con un preludio<br />
di gusto psichedelico, che per qualche secondo cela<br />
all’ascoltatore l’incedere reggae, rappresentavano intuizioni<br />
non meno brillanti il sistemare piuttosto avanti le tastiere,<br />
evidenziandone il piglio rhythm’n’blues, e la sovraincisione<br />
di assoli di chitarra nella stessa title-track, nella ninna<br />
nanna Rock It Baby, nella sinuosa e sessualmente<br />
esplicita Stir It Up. Scrematura del repertorio dei cinque<br />
anni precedenti con poco di nuovo in assoluto, l’album<br />
è un’ininterrotta sfilata di classici e il ritratto più accurato<br />
immaginabile, in nove canzoni e trentasei minuti, di quei<br />
Wailers: qui maliziosi e là moralisti; qui evocanti la tragedia<br />
della schiavitù sciorinando gospel su sincopi radenti il funk<br />
(Slave Driver) e là censori su una scansione dondolante<br />
delle drogate lordure di Londra (Kinky Reggae). Quando<br />
non Impressions caraibici (Stop That Train) con l’astuzia<br />
di rubare una linea di basso a Isaac Hayes e un verso ai<br />
Beatles (No More Trouble).<br />
Cuba<br />
10 PRIMAVERA 2011<br />
51
Ossigeno Digital <strong>Distribution</strong><br />
alcune nostre promozioni<br />
Mirco Menna & Banda di Avola<br />
…e l’italiano ride<br />
Best record of 2010 - Mondomix<br />
Bregada Berard<br />
bon nadal occitania<br />
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Paula Morelenbaum<br />
telecoteco<br />
(um s a m b i n h a c h e i o de bossa…)<br />
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Massimo Bubola & Circolo<br />
Sociale del Liscio<br />
ro m a g n a n o s t r a<br />
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Various Artists<br />
tr a n c e gamelan in bali<br />
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Merle-Anne Prins-Jorge<br />
& Raul Colosimo<br />
VoicelinK<br />
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5° Classifica Album Jazz Italia - iTunes<br />
Brusco<br />
l'erb a della gioVinezza<br />
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Mamud Band<br />
opposite people<br />
th e music of fela Kuti<br />
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Lucilla Galeazzi<br />
an c o r a bella ciao<br />
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sir oliVer sK a r dy<br />
Piragna 2° Classifica Album Reggae Italia - iTunes<br />
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Grande Bidello 4° Classifica Album Reggae Italia - iTunes<br />
Gai Saber<br />
an g e l s pastres miracles<br />
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Remo Anzovino<br />
igloo<br />
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Birkin Tree<br />
Virginia<br />
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Gamelan of Central Java<br />
XiV. ritual sounds of seKaten<br />
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Alessio Lega & Rocco Marchi<br />
E ti chiamaron m at ta d i<br />
Gi a n n i nEbbiosi<br />
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