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CANTA NAPOLI - Egea Distribution

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www.mondomix.com<br />

primavera 2011<br />

www.mondomix.com<br />

10<br />

musiche e culture nel mondo<br />

GRATUITO primavera 2010<br />

AMBROGIO SPARAGNA<br />

ORCHESTRA POPOLARE ITALIANA<br />

N o a<br />

caNta Napoli<br />

ALI FARKA TOURE • ELENA LEDDA • SQUILIBRI • BRASILE IN MUSICA<br />

Tango . Persia . Roberto De Simone . Dakar . Bob Marley . Recensioni<br />

07


Sommario<br />

Mondomix Italia — n°10 primavera 2011<br />

04 EDITORIALE<br />

05 / 13 ATTUALITÀ<br />

05 - ATTUALITÀ-SEI DOMANDE A<br />

MIRCO MENNA<br />

SEBASTIANO BELL'ARTE<br />

06 - ATTUALITÀ-BABELE<br />

07 - ATTUALITÀ-PROFILI<br />

07 - MAHMOUD AHMED<br />

08 - ROBERTO DE SIMONE<br />

09 - TROBAIRITZ D'OC<br />

10 - MASSIMO FERRANTE<br />

12 - MARTIN CARTHY<br />

13 - ENRIQUE MORENTE<br />

14 / 21 MUSICA<br />

14 - TANGO<br />

17 - I TANGHI DI PINA<br />

18 - TANGO NEGRO TRIO<br />

20 - NOA<br />

23 / 39 360°<br />

23 - DAKAR<br />

28 - SUONI PERSIANI<br />

30 - RAMIN SADIGHI<br />

31 - VISIONI PERSIANE<br />

34 - CHENNAI<br />

35 - RENNES<br />

36 - CULTURA POPOLARE<br />

37 - MANRESA<br />

38 - THE STREET FOODIE<br />

40 / 50 RECENSIONI<br />

40 - AFRICA<br />

42 - AMERICHE<br />

43 - EUROPA<br />

44 - FUSION<br />

46 - ASIA<br />

48 - LIBRI<br />

49 - VISIONI<br />

50 - LA WORLD MUSIC CHE NON SAPEVAMO DI AVERE<br />

Periodico gratuito<br />

Editore FM2<br />

Direttore responsabile Luca Rastello<br />

Redazione Elisabetta Sermenghi, Renzo Pognant, David Valderrama, Luca Vergano<br />

redazione@mondomix.com<br />

Hanno collaborato Antonello Lamanna, Ciro De Rosa, Cristina Amodeo, Eddy Cilia,<br />

Emanuele Enria, Enrico Verra, Fabrizio Giuffrida, Fulvio Luciani, Gian Franco Grilli,<br />

Giancarlo Susanna, Giovanni De Zorzi, Giulio Cancelliere, Joelle Caimi, Luisa Perla, Mauro<br />

Zanda, Paola Valpreda, Paolo Ferrari, Piercarlo Poggio, V. Ramnarayan, Valerio Corzani<br />

Pubblicità redazione@mondomix.com<br />

Impaginazione Chiara Tappero / Volumina info@volumina.net<br />

Redazione Corso Moncalieri 331, 10133 Torino (nuovo recapito)<br />

Stampa Ages Arti Grafiche Corso Traiano 124, 10127 Torino<br />

Registrazione al tribunale di Torino n° 49 del 9 luglio 2008 (periodico culturale)<br />

Il logo e il marchio Mondomix sono registrati e di esclusiva proprietà di Mondomix Media SAS. Il<br />

logo e il marchio Mondomix in Italia sono licenziati in esclusiva a FM2.<br />

Solo Mondomix Media SAS e i suoi licenziatari possono utilizzare il logo Mondomix in pubblicazioni,<br />

pubblicità e materiali promozionali.<br />

11<br />

Mahmoud Ahmed<br />

14<br />

Tango<br />

23<br />

Dakar<br />

31<br />

Persia<br />

47<br />

Lalgudi GJR Krishnan<br />

50<br />

Bob Marley - Catch A Fire<br />

Lillo Miccichè


04 Mondomix.com<br />

eDITORIALE<br />

Fuoco e fiamme.<br />

Mentre andiamo in stampa in Nord Africa e Medio Oriente si levano alte le fiamme, bandiere bruciate, grida di giubilo, di<br />

dolore e di sofferenza.<br />

Il mondo come lo abbiamo conosciuto sta cambiando, ancora una volta.<br />

Un nuovo ’89. Un altro muro sta cadendo.<br />

Speranze stanno nascendo.<br />

Il Nord del mondo, noi, a livello di governi e istituzioni è preoccupato solo a difendere i propri confini, il proprio recinto da<br />

fantomatici fondamentalisti e/o epocali invasioni barbariche.<br />

Il massacro libico agli occhi del nostro Potere significa solo fondamentalismo o immigrazione clandestina.<br />

E le radici cristiane per le quali si è sempre pronti a battersi quando conviene?<br />

Sotto terra a riposare. Siamo in inverno. No?<br />

Siamo solo un piccola rivista musicale ma ogni tanto ci piacerebbe essere qualcos’altro.<br />

Il caso ha voluto che l’Iran (il prossimo?) luogo in cui sotto la cenere brucia una forte spinta di cambiamento occupi largo<br />

spazio in questo numero. Il cinema e la musica. Un modo per saperne di più di questa terra culla della nostra storia e<br />

civiltà.<br />

Noa Canta Napoli. La città dell’immondizia, ormai ridotta a simbolo e pattumiera di questo nostro paese. Ma Napoli è<br />

stata anche altro, molto altro. Da Vico a Croce, da Eduardo a De Simone (vedi pagina 8) a Carosone a Nino D’Angelo. È<br />

bello che una grande cantante internazionale dedichi un progetto alla musica di questa città.<br />

Ogni tanto bisogna fermarsi a ricordare da dove veniamo.<br />

Lo hanno fatto a Dakar dove in uno sfavillìo di luci, suoni e colori si è tenuto il Festival Mondial Des Arts Negres. Anche<br />

l’Africa, ogni tanto, si ricorda di cosa è, da dove viene e dove può andare.<br />

E poi ci vuole passione. E Tango. Ecco, cerchiamo di indicare una possibile via a questa che più che una danza è una<br />

filosofia di vita.<br />

E certamente anche molto altro, ma questa volta vi lasciamo il piacere della scoperta.<br />

Anche questo numero oltre alla versione in PDF scaricabile gratuitamente dal sito www.Mondomix.com e disponibile<br />

nella versione interattiva sperimentale sul sito www.mondomix.com con link ad esempi, musicali, negozi online e altro.<br />

Venite a trovarci.<br />

Anche se ci riteniamo assolti siamo pur sempre coinvolti<br />

(libero adattamento da Fabrizio De Andrè)<br />

La redazione<br />

redazione@mondomix.com<br />

Mirco Menna<br />

Cantante e compositore<br />

Che cosa stai ascoltando in questo periodo?<br />

Rumori, alcuni consueti ed altri allarmanti, Gheddafi che<br />

dice resterò fino alla morte, le canzoni di Sanremo mio<br />

malgrado, e per rifarmi le orecchie Jacques Brel che è<br />

meno vecchio di Vecchioni. E Macareu, de Los Gaiteros<br />

de Lisboa.<br />

Quali sono i tuoi dischi preferiti?<br />

Quelli, con tutto il rispetto per la filologia, commistionati<br />

nei “generi”, nel carattere melodico armonico, nei suoni,<br />

nelle liriche: ma sempre radicati nell’“etno”, o folk come si<br />

diceva un tempo e come preferisco dire. Nel popolare, che<br />

è un concetto in continua mutazione.<br />

Due esempi tra tutti: Creuza de ma per quella invenzione di<br />

un “tradizionale” inesistente eppure ben credibile (e per le<br />

parole formidabili, nel suono e nel senso), e Soy Gitano, del<br />

Camaron de la Isla con la London Simphony Orchestra.<br />

Qual’è il musicista che ammiri di più?<br />

Quello che condivide il suo talento e non se la tira. Fermo<br />

restando il talento, certo.<br />

Con chi ti piacerebbe collaborare, se si creasse l’occasione?<br />

Mah, domanda difficile… Con le persone che ammiro (vedi<br />

sopra) ma non necessariamente con musicisti, comunque.<br />

Con Alessandro Robecchi, per dire un nome a me caro, o<br />

con il Gruppo delle Ocarine di Budrio che è dalle parti di<br />

casa mia.<br />

Quali concerti ricordi con più piacere?<br />

Alcuni dove io stavo sul palco.<br />

Uno dei Police e uno di Pino Daniele a Bologna all’inizio<br />

degli Ottanta. Michel Camilo in provincia di Ferrara verso la<br />

fine degli Ottanta. Peppe Barra, e Trilok Gurtu con gli Arché<br />

tra i Novanta e i Duemila.<br />

E poi molti “minori”, straordinari concerti di straordinari<br />

amici, tutta gente che poi si trova a suonare nei miei dischi,<br />

che bello.<br />

Hai artisti giovani che conosci o ascoltato e che ci<br />

consigli di seguire?<br />

La mia amica Silvia Donati che è, come molti di noi,<br />

un’artista giovane di lunghissima esperienza. Una cantante<br />

che supera il canto, diciamo così. Ha appena ultimato un<br />

bellissimo lavoro con Sandro Gibellini nuovo di zecca,<br />

mentre rispondo non ha ancora nemmeno un titolo.<br />

Sei domande a<br />

10 PRIMAVERA 2011 10 PRIMAVERA 2011<br />

05<br />

Che cosa stai ascoltando in questo periodo?<br />

Ascolto sempre tutto, dalla musica classica al jazz. Ad<br />

esempio a pranzo ho ascoltato l’Offerta Musicale di Bach,<br />

questa sera ho ascoltato Chet Baker.<br />

Quali sono i tuoi dischi preferiti?<br />

Ho ascoltato tantissima musica sinfonica, operistica e jazz.<br />

Tra le opere La Bohème di Puccini e Cavalleria Rusticana<br />

di Mascagni, come musica sinfonica la sinfonia Dal<br />

Nuovo Mondo di Antonin Dvorak e Sherazade di Rimsky<br />

KorsaKov. Tra i dischi jazz quello che ho ascoltato di più è<br />

Kind of Blue di Miles e il celebre quartetto di Mulligan con<br />

Baker alla tromba. Tra i cantanti italiani… De Andrè e Pino<br />

Daniele.<br />

Qual’è il musicista che ammiri di più?<br />

Il musicista che ammiro di più è Chet Baker. Altri sono<br />

Paquito D’ Rivera, Arturo Sandoval ecc…<br />

Con chi ti piacerebbe collaborare, se si creasse l’occasione?<br />

Mi piacerebbe collaborare con Caparezza. Le sue canzoni<br />

e il suo stile li trovo molto vicino alla banda.<br />

Quali concerti ricordi con più piacere?<br />

Se ci si riferisce a concerti in cui ho partecipato ricordo<br />

con piacere Il concerto che ho fatto con la Banda Ionica<br />

al Regio di Torino, con la Banda di Avola e Mirco Menna<br />

a Maison Musique di Rivoli e al Teatro Greco di Siracusa<br />

con l’Orchestra Sinfonica di Washington diretta da Mitslav<br />

Rostropovich. Se invece debbo pensare a concerti di altri<br />

ricordo, allo stadio di Caltanissetta, Pino Daniele con Pat<br />

Metheny.<br />

Hai artisti giovani che conosci o ascoltato e che ci<br />

consigli di seguire?<br />

Ho avuto modo di ascoltare al Tenco una ragazza, Carlotta.<br />

Fantastica. Poi conosco Beatrice Campisi, si è esibita con<br />

Banda di Avola al MEI e so che sta cercando di far uscire<br />

un suo lavoro discografico. È giovane e ha un buon gusto<br />

musicale.<br />

Titolo ...e l'italiano ride<br />

Etichetta Felmay / <strong>Egea</strong><br />

Online www.mircomenna.com<br />

Sebastiano<br />

Bell' Arte<br />

Compositore, musicista,<br />

direttore della Banda di Avola


6 Mondomix.com / ATTUALITÀ<br />

FELMAY<br />

Drop Out<br />

and Tune In<br />

di Valerio Corzani<br />

Timothy Leary, 1il padre della cultura 2 psichedelica, diceva:<br />

“Drop Out and Tune In”, stacca la spina dal mondo e<br />

sintonizzati con te stesso. Una dimensione spirituale che<br />

ha il suo fascino e il suo perché anche senza l’ausilio<br />

dell’LSD e delle filosofie orientali. “Unplugged” in effetti<br />

è diventata una parola chiave delle società tecnologiche<br />

d’inizio millennio. Tenere la spina staccata, o meglio trovare<br />

il coraggio di staccarla, è una delle grandi scommesse della<br />

7<br />

8<br />

civiltà odierna. Prendersi una pausa da tutte le “connessioni”<br />

dalle quali dipendiamo. Staccare momentaneamente i fili<br />

che ci legano al mondo, che spesso ci aiutano a vivere<br />

meglio e ancora più spesso finiscono per opprimerci e<br />

congestionare i nostri “voli”. C’è di mezzo anche la “moda”<br />

ovviamente: le nuove spiritualità, l’ecologismo snob, le<br />

bevande diet (o più semplicemente idiot), il tabacco light<br />

e tutte le varie 9menate<br />

di cui i nostri 10 rotocalchi televisivi<br />

si appropriano prontamente. Ma scava scava, se si va a<br />

fondo, è indubbio che l’esigenza che muove la patina di<br />

queste mode è scossa da un impeto autentico, sincero.<br />

Succede anche nella musica, un ambito nel quale si è<br />

dovuto scavare con pazienza. Aspettare la fine degli anni<br />

novanta e lo spegnersi del malinteso new age (chitarre<br />

morbide, melodie 11 alla melassa etc…), 12 lasciar decantare<br />

XP• Mondomix marzo 2010 4-03-2010 13:25 Pagina 2<br />

ly<br />

w.felmay.it<br />

FELMAY<br />

P Felmay 2009<br />

felmay<br />

16<br />

18<br />

EGEA<br />

10 PRIMAVERA distributore esclusivo 2011<br />

per l’Italia<br />

1 2<br />

17<br />

19<br />

FELMAYTRADIZIONE&INNOVAZIONE<br />

Babele<br />

www.felmay.it<br />

il flusso trendy del cosiddetto new-acoustic mouvement<br />

d’inizio millennio (quando a staccare la spina si sono<br />

catapultati in troppi), prepararsi all’arrivo di un’essenza più<br />

autentica. Chiamiamola pure ancora unplugged, ma non<br />

come definizione di stile, piuttosto come pura “esigenza”.<br />

Anche solo come semplice optional potrebbe ricoprire una<br />

funzione importante e piacevole - come la cartina della<br />

Rizla che ti avvisa che sei a “dieci dalla fine del pacchetto”<br />

(e dio solo sa quanto è utile quell’avviso…) - ma qui c’è<br />

3 4 5 6<br />

dell’altro, qualcosa più del galateo, qualcosa più di una<br />

gentilezza, sonora e non. Staccare la spina dai vincoli<br />

della tecnologia è una sorta di boccaglio che ti permette<br />

di gustare appieno il tuo personalissimo snorkeling<br />

biografico e culturale. Ascoltare il suono purissimo delle<br />

voci bulgare o la filigrana aguzza delle corde vocali di<br />

Dona Dimitru Siminică equivale a partire alla scoperta del<br />

Rio delle Amazzoni in canoa o attraversare l’Islanda coi<br />

racchettoni da sci. Rivalutare il suono avvolgente di un<br />

pianoforte acustico può diventare un’avventura estrema,<br />

mentre riscoprire il calibro del rumore puro (provocato da<br />

un tamburo o da un bidone) è un altro esercizio di grande<br />

coraggio un-plugged. Un’estensione della percezione che<br />

utilizza antenne analogiche o meglio, biologiche: minerali,<br />

vegetali, animali.<br />

Potete partire da Souad Massi o da Stephan Micus, dal<br />

Dem Trio o dalla Vegetable Orchestra... non ha molta<br />

importanza. L’importante è che dopo il salutare tuffo<br />

neoacustico, non perdiate la curiosità del riattaccare la<br />

spina per ascoltare anche una cumbia elettrificata, Mercan<br />

Dedé o i Konono No.1...<br />

13 14 15<br />

FELMAYTRADIZIONE&INNOVAZIONE<br />

thiopiques<br />

www.felmay.it<br />

new<br />

new<br />

3 4 5 6<br />

«Sto ascoltando dal mio Monferrato […] questo magnifico disco degli Yo Yo Mundi<br />

dedicato a queste terre (loro e mie).<br />

[…] Su questi antichi sobbalzi in due quarti e tre quarti, gli Yo Yo hanno lavorato<br />

con eccellenti orchestrazioni che infiammano e corteggiano la scatola magica, la<br />

fisarmonica, torre di Babe e regina di Saba.»<br />

(Paolo Conte)<br />

20 21 22 23 24<br />

25<br />

7<br />

8<br />

Yo Yo Mundi<br />

Munfrâ<br />

Trobairitz d'Oc<br />

vol. 1 - L'age d'or de la vol. 5 - Tigrigna Music vol. 10 - Tezeta - Ethiopian vol. 15 - Europe meets<br />

musique ethhiopenne 1970-75<br />

Blues and Ballads<br />

Ethiopia - Jump to Addis<br />

moderne 1969-1975<br />

Trobairitz d’Oc voci<br />

Valeria Benigni<br />

vol. 6 - Mahmoud Ahmed vol. 11 - Alèmu Aga - The vol. 16 - Asnaqètch Wèrqu<br />

Paola Lombardo<br />

vol. 2 - Azmaris urbains<br />

Almaz 1973<br />

Harp Lo of King mau David Claudio d'amor<br />

Carboni The Lady sax with the Krar<br />

1. Colorina de ròsa Tradizionale 3.47<br />

des annèes 90<br />

2. La cançon e la pluma Valeria Benigni / Gaël Princivalle 2.52<br />

3. La femme d’un tambour Tradizionale vol. 12 - Konso Music vol. 2.29 17 - Tlahoun Gèssèssè<br />

4. Lo mau d’amor Tradizionale 4.22<br />

vol. 3 - L'age d'or de la<br />

9 vol. 7 - Mahmoud 10 Ahmed<br />

5. Lo rossinhòu messatgier Tradizionale 4.25<br />

& Songs<br />

6. Intro luerda Claudio Carboni 1.12<br />

7. La femna luerda Tradizionale 3.13<br />

musique ethiopienne Erè mèla mèla 1975<br />

vol. 18 - Asguèbba !<br />

8. Miton Paola Lombardo 2.31<br />

Una formazione originale, due voci e sassofono, 9. Serpol che Paola Lombardo da nuova / Sergio Berardo vita 4.01 ad un<br />

moderne 1969-1975<br />

vol. 13 - The Golden 10. Sinfonia de Margòt Paola Lombardo vol. 1.45 19 - Mahamoud Ahmed<br />

vol. 8 - Swinging Addis<br />

repertorio 11. La masurca de Sant popolare Andiòu Tradizionale / Charlon secolare.<br />

Rieu 2.46<br />

12. Minon-minauna Tradizionale 2.44<br />

Seventies - Ethiopian 13. L’aiga de Groove<br />

ròca Tradizionale 4.07 1974 - Alèmyè<br />

vol. 4 - Mulatu Astatke 1969-1974 La musica Occitana come 14. A stacada non d’Brelh, l'avete valsa finala Tradizionale mai 3.25sentita.<br />

1-02-2011 12:04:43<br />

Ethio Jazz & Musique<br />

vol. 14 - Gètatchèw Mèkurya vol. 20 - Either Orchestra &<br />

Instrumentale, 1969-1974 vol. 9 - Alèmayehu Eshété<br />

Felmay • strada roncaglia16 • 15033 san germanoAL • italy<br />

FELMAY<br />

ph. +39 0142 50577 fax +39 0142 50780 info@felmay.itwww.felmay.it Negus of Ethiopian Sax Guests - Live in Addis<br />

fi le under<br />

trobairitz d’oc<br />

occitany<br />

italy<br />

world music<br />

11 12 13 14 15<br />

vol. 21 - Emahoy Tsegué<br />

& Maryam Guèbrou<br />

Piano Solo<br />

vol. 22 - Alèmayèhu Eshèté<br />

1972/1974<br />

vol. 23 - Orchestra Ethiopia<br />

vol. 24 - L'age d'or de la<br />

musique ethiopienne<br />

moderne 1969-1975<br />

vol. 25 - Modern Roots<br />

1971/1975<br />

felmay distribuzioni • vendita per corrispondenza • richiedete il catalogo<br />

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P Felmay 2009<br />

2010<br />

fy 8180<br />

Le origini<br />

Di origine gurage, ceppo etnico minoritario radicato<br />

nel Sud Ovest del paese, Mahmoud si arrangia da<br />

ragazzino con un mestiere che davvero più blues si<br />

muore: lustrascarpe, per le velleità da City e da capitale<br />

notturna della “swingin’Addis”. Quel mondo lo seduce, e<br />

la maniera più semplice di metterci piede è farsi assumere<br />

in un locale. Gli riesce con l’Arizona Club: basti il nome<br />

per farsi un’idea dell’aria cosmopolita che si respirava<br />

nella capitale negli anni compresi tra il 1955 e il 1974,<br />

quelli dell’ottimismo e dello swing, delle tentazioni latine<br />

e dell’eredità melodica italiana, dei ricami di scuola araba<br />

e del soul di fonte americana. Lì Ahmed parte dal basso, è<br />

una sorta di factotum addetto alle pulizie, alle riparazioni,<br />

alla tinteggiatura. Ma canta bene, molto. La proprietà<br />

se ne accorge, e tra il 1960 e il 1961 gli offre le prime<br />

chance di esibirsi di fronte al pubblico. Il tempo di onorare<br />

l’appuntamento con Sua Maestà, mancato di poche ore<br />

nel 1941, è maturo: nel 1962 il ventunenne Mahmoud viene<br />

aggregato alla Imperial Bodyguard Band, fiore all’occhiello<br />

del paese non solo per blasone regale.<br />

i favoLosi anni 70<br />

Ascoltare le quattordici tracce del volume 26 della collana<br />

Éthiopiques, curato come sempre con rigore, passione<br />

e ricchezza di informazioni dal direttore Francis Falceto<br />

per Buda Musique, illumina quanti, come noi occidentali,<br />

sono abituati a vedere le guardie del corpo come persone<br />

lontane dall’idea stessa d’arte, quanto estranee alle<br />

dinamiche innovative. La voce di Ahmed, carica di soul,<br />

d’Oriente e swing, colori e sapori senza passaporto,<br />

è scortata da arrangiamenti stupefacenti. Il periodo in<br />

questo caso è l’ultimo col sodalizio imperiale, ma il succo<br />

non cambia; in assenza di capitali privati, come spesso<br />

accade nel Sud del Mondo, lo stato (radio, bande militari,<br />

balletti ufficiali) è stato per molti lustri l’unico riferimento<br />

affidabile sotto il profilo della qualità dei materiali. Oltre<br />

al cd, testimone però del periodo 1972 – 1974, la serie<br />

ha dedicato alla star di Addis altre due monografie, né<br />

potrebbe essere altrimenti: Falceto non fa mistero di<br />

dovere a Mahmoud l’idea stessa dell’impresa discografica<br />

etiope, il cui germe nacque in seguito all’ascolto di una<br />

sua vecchia cassetta.<br />

Profili<br />

Mahmoud Ahmed<br />

Voce dall'Etiopia<br />

di Paolo Ferrari<br />

È il 5 maggio 1941. A bordo dell’Alfa Romeo del colonnello inglese Wingate, Sua Maestà il Negus Hailé Selassié I<br />

percorre le strade di Addis Abeba tra due ali di folla festante: sconfitta, l’Italia si è ritirata. Il dominio di Roma sull’Abissinia<br />

è finito, e l’Inghilterra riconsegna il trono al suo alleato etiope. Tre giorni dopo, l’8 maggio, nella stessa città nasce Alemye<br />

Mahmoud Ahmed. I destini dell’Imperatore e del neonato si sfiorano; le loro strade si incroceranno ventuno anni dopo.<br />

aLLa conquista deL mondo<br />

Prima dei suoi studi e delle sue pubblicazioni, l’unico album<br />

di musica etiope noto all’Occidente era Ère Mèla Mèla,<br />

gioiello pubblicato nel 1975 come riuscito esame di maturità<br />

dopo l’uscita dalla Imperial Bodyguard Band, meritoriamente<br />

proposto in Europa nel 1986 dalla Crammed e rilanciato, con<br />

le estensioni e le note in stile Éthiopiques, come volume 7 del<br />

percorso, dopo un sesto ellepi intitolato Almaz, incisioni con<br />

la Ibex Band parallele all’ultimo periodo imperiale. Ère Mèla<br />

Mèla: il disco decisivo nell’anno della morte di Hailé Selassié,<br />

ancora un incrocio fatale. Il più “americano” e internazionale<br />

dei dischi di Ahmed resta Alèmyé, targato 1974 e al centro del<br />

volume 19 della saga Falceto, con soluzioni esplicitamente<br />

soul. Se altre tracce dell’uomo danno soddisfazione nei cd<br />

3, 8 e 10 della collana, farciti di 45 giri delle varie epoche, è<br />

bene ricordare l’attualità di Mahmoud Ahmed, tra i pochissimi<br />

artisti etiopi (con Aster Aweke, però migrata negli States,<br />

con Gigi, aiutata da sodalizio con Bill Laswell, e con l’icona<br />

rock Mulatu Astatqe) entrati nell’Olimpo della musica africana<br />

di peso globale. Ecco allora l’Award per la World Music,<br />

conferitogli nel 2007 da BBC Radio 3, e un maturo Live In<br />

Paris, messo in circolazione nel 1998 dalla Long Distance.<br />

Éthiopiques intanto annuncia l’imminente pubblicazione di<br />

Shèkla, ultimo vinile pubblicato dal cantante nel 1978 sulla<br />

propria etichetta Mahmoud Records prima di arrendersi al<br />

formato cassetta. Meno seducente, ma più economico e<br />

adatto a filtrare tra la gente negli anni bui della censura. Tra<br />

storia e futuro, il presente di Mahmoud Ahmed si chiama<br />

attualità permanente.<br />

Online www.budamusique.com<br />

Ethiopiques volume 6<br />

Buda / <strong>Egea</strong><br />

Ethiopiques volume 7<br />

Buda / <strong>Egea</strong><br />

Ethiopiques volume 26<br />

Buda / <strong>Egea</strong><br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

7


8 Mondomix.com / ATTUALITÀ<br />

Con queste note dolenti sulla scomparsa di una cultura<br />

millenaria che già trent’anni fa era in declino si apre il<br />

nuovo lavoro di Roberto De Simone, Son sei sorelle.<br />

Compositore, scrittore, regista teatrale, drammaturgo<br />

e musicologo, De Simone è stato la mente della Nuova<br />

Compagnia di Canto Popolare, che fonda nel 1967 assieme<br />

a Giovanni Mauriello, Eugenio Bennato e Carlo d'Angiò.<br />

Grazie a ricerche sul campo nei luoghi dove in quegli anni<br />

le tradizioni ancora sopravvivono, e allo studio delle fonti<br />

scritte che descrivono forme poetico-musicali del passato,<br />

come strambotti, villanelle e laudi, De Simone e la NCCP<br />

sviluppano un ricco repertorio musicale che sarà poi<br />

alla base di opere teatrali come La cantata dei pastori e<br />

La gatta Cenerentola del 1976. In quegli anni De Simone<br />

incide i repertori musicali incontrati durante le sue ricerche,<br />

chiedendo agli interpreti tradizionali di eseguirle in studio.<br />

Il frutto di quelle registrazioni viene pubblicato nel 1979 in<br />

un cofanetto di sette LP, La tradizione in Campania, ormai<br />

da lungo tempo esaurito.<br />

La tradizione in campania<br />

Son sei sorelle ripropone quelle preziose registrazioni in<br />

studio, con l’aggiunta di numerose altre effettuate sul<br />

campo, raddoppiando di fatto la durata dell’edizione del<br />

1979: “si tratta di nastri incisi proprio nel momento rituale<br />

delle feste, magari privi di perfezione tecnica, ma ricchi di<br />

una coralità dirompente, di una verità espressiva, di uno<br />

spessore rituale, religioso, rappresentato al massimo”.<br />

Ed effettivamente da questi CD emergono brani di rara<br />

intensità, eseguiti da cantatori e suonatori che avevano<br />

profonda conoscenza della loro tradizione, per averla<br />

vissuta tutta una vita nel suo contesto originario, al di<br />

fuori di qualsiasi intenzione spettacolare o tentazione<br />

di protagonismo. Cantatori e suonatori il cui ruolo era<br />

riconosciuto dalla comunità per l’altissimo livello che essi<br />

avevano raggiunto: Antonio Torre, Giovanni Coffarelli, Rosa<br />

Nocerino, Giulia Ciletti, per citarne solo alcuni. Musica<br />

rurale, eseguita nei momenti e nei contesti prescritti e non<br />

Son sei sorelle<br />

Rituali e canti<br />

della tradizione in Campania<br />

di Fabrizio Giuffrida<br />

“Saranno queste registrazioni la celebrazione dell’assenza. Ma<br />

saranno, esse, la cartina di tornasole per evidenziare le innumerevoli<br />

mistificazioni e contraddizioni, operate in nome di un mondo estinto?”<br />

occasionalmente, secondo il capriccio dell’interprete. È<br />

questo il segno dell’autenticità del canto, sigillo di verità di<br />

un’emozione espressa tramite una ritualità e una sacralità<br />

che purtroppo scompaiono con la morte di questi grandi<br />

esecutori. Emozione e intensità che traspaiono anche dalle<br />

splendide foto scattate da Mimmo Jodice, riportate sulla<br />

copertina dei singoli CD e del volume.<br />

musica e testo<br />

Son sei sorelle rovescia il consueto rapporto esistente in<br />

questo tipo di pubblicazioni: di solito il centro del progetto<br />

è il libro, “corredato” da uno o più dischi “illustrativi”. Qui<br />

è l’esatto contrario: il testo è un prezioso commento alla<br />

musica contenuta nei CD, vera protagonista di quest’opera<br />

di De Simone. Il libro si apre con una sezione dedicata alla<br />

descrizione degli strumenti, delle forme poetiche e delle<br />

forme musicali esistenti in area campana, fornendo gli<br />

elementi di base per un ascolto consapevole dei dischi. La<br />

seconda sezione, che da sola costituisce il 90 % del testo,<br />

è un’analisi approfondita dei singoli brani, con indicazione<br />

di interpreti, data e luogo dell’incisione, seguita dalla<br />

trascrizione e traduzione dei testi cantati. In un arco di<br />

tempo che va dal 1973 al 2003, De Simone ha raccolto<br />

testimonianze sonore in buona parte del territorio campano,<br />

spaziando dai canti sul tamburo, ai lamenti funebri, dalle<br />

fronne ai canti di lavoro, dalle tarantelle ai canti religiosi. In<br />

appendice, quattro articoli che De Simone ha scritto per<br />

il quotidiano Il Mattino, nei quali constata dolorosamente<br />

la scomparsa di tradizioni che aveva documentato negli<br />

anni ’70, come il pellegrinaggio a Montevergine, ma<br />

scopre anche con entusiasmo il perdurare di altre, come<br />

a Montemarano, dove la processione resiste, malgrado<br />

tutto.<br />

Titolo Son sei sorelle.<br />

Rituali e canti della tradizione in Campania<br />

Etichetta Squilibri<br />

Online www.squilibri.it<br />

Profili 09<br />

Le Trovatrici D’Oc(ccitania)<br />

Trobairitz d'Oc alle prese con il mal d'amore<br />

di Ciro De Rosa<br />

Dopo aver esordito nel 2007 con Margot voupadançar,<br />

album che ha riscosso ampi consensi di critica di settore,<br />

soprattutto in Francia, le “trovatrici” del XXI secolo Paola<br />

Lombardo e Valeria Benigni, attive come duo vocale<br />

dal 2004, si riconfermano come una delle proposte più<br />

significative di quel variegato universo sonoro che si<br />

riconosce nella area culturale occitanica. Lo mau d‘amor è<br />

frutto del loro incontro con il soffio dei sassofoni di Claudio<br />

Carboni, pilastro di Banditaliana.<br />

trobairitz<br />

In lingua occitana trobairitz significa per l’appunto trovatrici.<br />

Le due cantanti sono state ammaliate dalle gentildonne<br />

poetesse d’epoca medievale che componevano nell’idioma<br />

d’oc. Valeria, di formazione jazzistica, è divenuta la voce<br />

degli alfieri della musica occitanica d’Italia Lou Dalfin,<br />

Paola ha un lungo un percorso artistico di matrice folk.<br />

Quest’ultima ci dice: “La lingua occitana è molto sonora,<br />

con fonemi che sono veramente piacevoli da cantare. La<br />

osserviamo e la studiamo, cercando di cogliere i colori e le<br />

diversità delle varie parlate. Pur vivendo a Torino, ai piedi<br />

delle valli occitane, abbiamo acquisito familiarità con una<br />

lingua che non è quella natìa respirando l’atmosfera delle<br />

valli e ascoltato i vinili di ricerca e riproposta di questo<br />

repertorio”.<br />

Le Trobairitz d’Oc non attingono al repertorio duecentesco<br />

della grande poesia in lingua d’oc, matrice della tradizione<br />

lirica dell’Europa moderna, ma riprendono materiali<br />

trasversali, riconducibili agli ultimi due secoli, dalla<br />

Linguadoca al Delfinato, fino alla piemontese Val Chisone.<br />

In questo album, inoltre, si cimentano nella composizione<br />

in lingua occitana, senz’altro una svolta rispetto all’esordio<br />

costellato di brani tradizionali. “Per ora i nostri brani sono<br />

legati al vissuto individuale, sia per la musica che per i<br />

testi”, aggiunge Paola. “Le canzoni sono state scelte prima<br />

di andare in studio, dove abbiamo apportato modifiche<br />

se sentivamo la vocina che ci diceva: 'Magari suona<br />

meglio così…!' Ricordo che il primo incontro con Claudio<br />

è avvenuto a casa sua sull’Appennino, per l’occasione<br />

avevamo portato un abbozzo del primo brano Colorin de<br />

ròsa, un tradizionale che ci ha rapito quando lo abbiamo<br />

ascoltato dalla voce di Rosina De Peira. Lui, che è un<br />

entusiasta di natura, ha iniziato a buttare giù qualche nota<br />

con il baritono. Le cose sono più o meno proseguite così<br />

per gli altri brani... Per la maggior parte dei brani abbiamo<br />

lavorato insieme, in alcuni casi invece chi aveva già in<br />

mente l’architettura della canzone ha portato le parti”.<br />

Se Claudio Carboni ha conosciuto la musica occitana<br />

suonando con Patrick Vaillant e incontrato, tramite<br />

Riccardo Tesi, il repertorio del gran cantore Jean-Marie<br />

Carlotti, quali sono i punti di riferimento occitanici di Paola<br />

e Valeria? “Per l’audacia e la fantasia ci hanno ispirato i<br />

Lo Còr de la Plana, per l’innovazione nella tradizione i<br />

Perlimpinpin Folk e Patrick Vaillant, per l’espressività e il<br />

calore vocale Rosina e Martina De Peira”.<br />

daL duo aL trio<br />

Tra i pregi di Lo Mau d‘Amor, l’abilità che hanno i tre artisti<br />

di interagire secondo modalità assolutamente inusitate.<br />

Claudio Carboni ha raccolto la sfida con curiosità ed<br />

entusiasmo: “Quello che ho cercato di fare è di plasmare<br />

il mio linguaggio, adattandolo ai brani, creando un gioco<br />

di affinità e di contrasti che sfocia in quella che veramente<br />

io intendo per world music. Non scimmiotto gli strumenti<br />

abituali di questa musica, ma cerco di inserire quella<br />

che è la mia dialettica musicale nella poesia di queste<br />

splendide melodie”. I sax soprano e baritono incrociano<br />

superbamente la compattezza vocale delle due cantanti<br />

che si avvalgono qua e là di percussioni e del battito delle<br />

mani. Gli strumenti di Carboni sono ora rinforzo ritmico ora<br />

terza voce, diventano controcanto o morbido appoggio<br />

su cui ricamano le splendide ugole. Tutto ciò, mettendo<br />

sempre al centro il suono d’insieme. Lasciamo ancora la<br />

parola a Claudio: “Col baritono eseguo parti più ritmiche<br />

e incalzanti, quasi come se fosse una batteria. Mi piace<br />

utilizzare molto anche lo slap, così che non si senta la<br />

mancanza di altri strumenti anche nei brani di maggior<br />

groove. Col soprano diventiamo una sorta di trio vocale,<br />

la voce del sax dialoga e contrasta con le voci e si prende<br />

spesso la libertà di improvvisare”.<br />

Le tracce<br />

Le quattordici tracce iniziano con la già citata Colorina<br />

de ròsa, dove il sax sottolinea il canto o agisce da<br />

controcanto ritmico. Atmosfere morbide jazzate in La<br />

cançon e la pluma, musicata da Valeria Benigni su testo<br />

di Gael Princivalle. Nel tradizionale La famme d’un tambur,<br />

storia del suonatore di tamburo che preferisce i piaceri<br />

dell’osteria ai doveri familiari, le voci incalzanti trovano<br />

sponda facile nel guizzo ritmico e nello slancio melodico<br />

del sax. Si libra piacevole e leggiadro Lo mau d’amor,<br />

distinto dalla solarità dei sassofoni che ora ornano le voci<br />

ora si producono in terza voce. L’accompagnamento<br />

lirico del pianoforte impreziosisce il canto trovadorico<br />

Lo rossinhòu messatgier. Dopo il bel solo introduttivo di<br />

Carboni parte La femna luerda, versione occitana della<br />

Maria Giuana piemontese. Miton è un gustoso elogio<br />

della zuppa di contadini e pastori fatta con latte e pane<br />

raffermo del giorno prima. Si parla del timo serpillo dal<br />

quale si produce un distillato, in Serpol, siglata da Paola<br />

Lombardo su liriche di Sergio Berardo, dai passaggi vocali<br />

che riprendono i modi del canto sardo. Sinfonia de Margòt<br />

richiama il disco di debutto. Ancora gioco di incastri<br />

sonori ne La masurca de Sant Andiòu, col sax di Claudio<br />

che si ritaglia un gustoso assolo. I tamburi a cornice sono<br />

protagonisti nella ninna nanna percussiva Minon-minauna<br />

che profuma di Mediterraneo, mentre nella scottish L’aiga<br />

de ròca il trio divide la scena con gli archi di Santa Vittoria,<br />

protagonisti di sequenze bartokiane. Finale col tradizionale<br />

A stacada d’brelh, dove il sax soprano oscilla tra sognante<br />

impronta garbarekiana e valzer di sapore appenninico.<br />

Titolo Lo mau d’amor<br />

Etichetta Felmay / <strong>Egea</strong><br />

Online www.felmay.it<br />

10 PRIMAVERA 2011 10 PRIMAVERA 2011


10 Mondomix.com / ATTUALITÀ<br />

Sei in piena tournée con tutta la band, come sta andando?<br />

La tournée è già partita da un pezzo e sta andando molto<br />

bene, se consideriamo che è iniziata questa estate. Le<br />

tappe ora diminuiscono sia perchè in questo periodo vivo<br />

a Napoli e quindi diventa tutto problematico, e sia perchè<br />

in inverno la richiesta di live entra in una specie di letargo<br />

stagionale. Nel disco ci sono molte collaborazioni artistiche<br />

importanti come quelle con Antonello Paliotti, Lutte Berg,<br />

Lello Petrarca, Enrico del Gaudio Angelo De Falco insieme<br />

agli E Zezi. Attualmente, però, sto presentando Jamu con<br />

delle riduzioni del gruppo: in duo, o trio, a seconda del<br />

club in cui suono.<br />

In Jamu c’è una sorta di sintesi della tua esperienza<br />

artistica, come nasce l’idea di questo nuovo viaggio<br />

nel Sud Italia, è nostalgia o voglia di scoprire altro?<br />

Le mie ricerche sono sempre legate un po’ al territorio,<br />

quindi prendo qualcosa dalla mia terra, dalla mia Calabria<br />

dalla zona dell’Alto Cosentino, e poi ascolto molti<br />

vecchi nastri e dischi introvabili che non hanno nessuna<br />

distribuzione. È un materiale interessante, fonte non<br />

esclusiva delle mie produzioni musicali.<br />

Quando si crea un nuovo lavoro, si pensa sempre ad una<br />

struttura, e la mia idea è stata quella di un viaggio nei<br />

repertori musicali poco esplorati, un viaggio intimo nei suoni<br />

e nelle storie di un’Italia che rischia di essere dimenticata, e<br />

dove un patrimonio culturale molto vasto rischia di essere<br />

sminuito e snaturato. Creare per me significa appunto<br />

ascoltare la propria sensibilità e lasciarsene guidare. Jamu<br />

è un progetto basato su un attento e accurato lavoro di<br />

recupero e rielaborazione di brani editi ed inediti in vario<br />

modo reperiti, in cui metto in evidenza la ricerca di un<br />

equilibrio fra tradizione e modernità.<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

Il folksinger in cerca<br />

di forme poetiche<br />

Intervista a Massimo Ferrante sul nuovo cd<br />

Jamu: sonorità tradizionali del Sud Italia<br />

di Antonello Lamanna<br />

Ai due successi discografici U Ciucciu del 2005 e Ricùordi del 2006 ora si aggiunge Jamu il nuovo lavoro di Massimo<br />

Ferrante distribuito dalla Felmay. Jamu in calabrese significa “andiamo” che rimanda in un certo senso a “come on”,<br />

uno dei riff più famosi del blues di Chicago. Ferrante è un affermato musicista calabrese che vive a Napoli dagli anni<br />

Settanta, e da allora ha assimilato tutto di questa terra: la sensibilità, la creatività, e la versatilità qualità con le quali è<br />

riuscito ad appropriarsi di una cultura antica attraverso la sua anima popolare. Dodici brani incastonati tra due parti di<br />

una nota poesia di Ignazio Buttitta, Lingua e dialettu, tramutata in canzone grazie all’arrangiamento e ai corposi interventi<br />

strumentali di Antonello Paliotti. Il resto del disco si gusta brano dopo brano come un piacevole mosaico sonoro. Lo<br />

abbiamo raggiunto telefonicamente mentre era impegnato in una delle sue presentazioni del nuovo disco.<br />

Ci puoi fare un esempio?<br />

Mi riferisco a un recupero importante che ho voluto inserire<br />

in questo disco: la Strina du judeo, un canto calabrese<br />

tradizionale atipico proposto con un bel arrangiamento di<br />

Lutte Berg alla chitarra elettrica, di Lello Petrarca al basso<br />

e di Enrico Del Gaudio alla batteria. Le strine sono canti<br />

augurali eseguiti durante il periodo natalizio, ma questa che<br />

ho raccolto a Joggi (in provincia di Cosenza) si caratterizza<br />

invece per i toni provocatori e caustici verso tutti, e in<br />

particolare verso le istituzioni.<br />

In tutti i tuoi dischi, e soprattutto in questo, si nota la<br />

ricerca di forme musicali originali e poco conosciute,<br />

come mai questa scelta?<br />

É una battaglia che combatto da molti anni. Diffido molto e<br />

ho sempre mantenuto una certa distanza da certe tendenze<br />

modaiole che si consumano velocemente e che offuscano<br />

il vero patrimonio musicale tradizionale. Mi interessano<br />

le forme dei dialetti calabresi e i diversi aspetti legati alle<br />

minoranze linguistiche che fanno parte della nostra identità<br />

culturale. Non inseguo mode, ma tento di far emergere<br />

forme musicali poco conosciute. Nel Sud non ci sono solo<br />

le tarantelle, le tammurriate e le pizziche.<br />

So che stai lavorando ad un interessante progetto, di<br />

che si tratta?<br />

Si, ci sto lavorando da diverso tempo. Dopo gli impegni<br />

per la tournée del disco in Italia, vorrei dedicarmi a formare<br />

una corposa band popolare di fiati, zampogne, tamburelli,<br />

per presentarla all’estero.<br />

Titolo Jamu<br />

Etichetta Felmay / <strong>Egea</strong><br />

Online www.felmay.it<br />

Profili<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

11


12 Mondomix.com / MUSICA<br />

Martin Carthy<br />

Il re del folk inglese<br />

di Giancarlo Susanna<br />

Il secondo folk revival inglese, letteralmente esploso nella<br />

seconda metà degli anni ’60, ha dimostrato come non solo<br />

fosse possibile riprendere la tradizione in modo corretto e<br />

credibile, ma anche scrivere canzoni nuove usando quel<br />

linguaggio poetico e musicale. Forse qualche intellettuale<br />

conservatore considerò con sufficienza cantautori come<br />

Nick Drake, John Martyn, Allan Taylor e Sandy Denny o<br />

gruppi come i Pentangle e i Fairport Convention, ma quello<br />

che questi giovani musicisti facevano non era poi così<br />

distante dal lavoro prezioso del grande (e severo) padre del<br />

folk revival britannico Ewan MaColl, che nel 1973 aveva<br />

vinto il prestigioso premio Ivor Novello con la sua The<br />

First Time I Ever Saw Your Face. È quasi inutile ricordare<br />

quanto fosse difficile in quegli anni seguire tutto quel che<br />

accadeva oltremanica, ma il fascino di certi dischi – da<br />

Liege & Lief dei Fairport a Basket of Light dei Pentangle,<br />

per citarne appena un paio - era troppo forte per chi aveva<br />

avuto l’occasione di scoprirli.<br />

La scoperta<br />

Il primo album di Martin Carthy che acquistai è un’antologia<br />

della serie This is… della Philips. Si intitola The Bonny<br />

Black Hare and Other Songs e sulla copertina c’è un bel<br />

disegno della bella lepre nera protagonista dell’omonima<br />

canzone. Lo trovai nel ‘74 nell’unico negozio romano che<br />

all’epoca aveva dischi d’importazione. Qualche mese<br />

dopo partii per il mio primo viaggio a Londra e fu all’ombra<br />

della Roundhouse, a Camden, in uno dei tanti club che<br />

all’epoca richiamavano piccole schiere di appassionati,<br />

che assistetti a un suo concerto. Carthy era già una<br />

star del folk revival. Famoso per una lunga e brillante<br />

collaborazione con il violinista Dave Swarbrick e per la<br />

sua decisiva presenza nei primi Steeleye Span, aveva la<br />

dote più importante dei performer solitari: il carisma. Fu<br />

preceduto dai “residents” del club e tenne un concerto<br />

bellissimo. Mi colpì non solo per la voce e per lo stile<br />

chitarristico, ma anche perché utilizzò un diapason per<br />

accordare la sua Martin e per prendere l’intonazione giusta<br />

nei pezzi solo vocali. In Italia non avevo mai visto e sentito<br />

niente del genere. Noi non avevamo nessuno che fosse in<br />

grado di riproporre la tradizione in un modo tanto efficace.<br />

Due anni dopo lo rividi, sempre a Londra: la serata fu<br />

aperta come consuetudine dai “residents”, ma prima del<br />

set di Carthy cantarono anche i Watersons, il quartetto<br />

solo vocale formato da Mike Waterson e dalle sue sorelle<br />

Lal e Norma, cui si aggiunse, al posto di John Harrison, lo<br />

stesso Carthy.<br />

La carriera<br />

Nato il 21 maggio del 1941 a Hatfield, nell’Hertfordshire,<br />

Carthy cominciò a coltivare il suo amore per la musica<br />

cantando nel coro della scuola e studiando pianoforte e<br />

trombone. Come molti giovani inglesi (compresi i Beatles),<br />

Carthy fu contagiato dalla moda dello skiffle e mentre<br />

lavorava come stage manager per alcune compagnie<br />

teatrali fece le sue prime esperienze come chitarrista nei<br />

club dell’area di Londra. Fu un concerto di Sam Larner,<br />

un anziano pescatore e folksinger di Norfolk, a spingerlo<br />

verso il revival. Da allora la sua vicenda artistica non ha<br />

conosciuto soste.<br />

Con i Thameside Four e in duo con il prodigioso Dave<br />

Swarbrick, con gli Steeleye Span (in cui suonava anche la<br />

chitarra elettrica) e la Albion Country Band, con i Watersons,<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

i fenomenali Brass Monkey (insieme a John Kirkpatrick) e<br />

i Waterson Carthy (essenzialmente un trio con la moglie<br />

Norma Waterson e la figlia Eliza Carthy), Martin ha lasciato<br />

un segno indelebile nel “suono” inglese.<br />

Già ai tempi del duo con Swarbrick e dei suoi dischi da<br />

solo – Carthy è un chitarrista dallo stile inconfondibile,<br />

percussivo ed essenziale – la sua musica aveva influenzato<br />

personaggi immensamente più noti di lui come Bob Dylan<br />

e Paul Simon. Con quest’ultimo, che si era appropriato<br />

senza mai dichiararlo dell’arrangiamento di Scarborough<br />

Fair, ha avuto una controversia durata decenni e conclusa<br />

con una rappacificazione solo in tempi recenti. Nominato<br />

dalla Regina Elisabetta “Member of the British Empire”,<br />

Martin Carthy è giustamente considerato come uno dei più<br />

importanti e influenti folksinger della sua generazione.<br />

Online www.watersoncarthy.com<br />

Martin Carthy<br />

Signs of Life<br />

Topic, 1998<br />

Waterson Carthy<br />

Common Tongue<br />

Topic, 1997<br />

Brass Monkey<br />

Sound & Rumour<br />

Topic, 1998<br />

Martin Carthy<br />

The Carthy Chronicles<br />

Box antologico di 4 cd, Free Reed, 2001<br />

Il giorno di Natale avrebbe compiuto sessantotto anni<br />

ma il destino ha voluto che la vita del cantante flamenco<br />

Enrique Morente si fermasse prima. Alla notizia della sua<br />

scomparsa, lo scorso tredici dicembre, una profonda<br />

commozione ha attraversato in lungo e in largo la Penisola<br />

Iberica. Basti leggere i titoli dei principali quotidiani<br />

spagnoli: l’ultimo poeta flamenco titolava El Mundo, morte<br />

di uno sciamano per El Pais, o il cantante che rinnovò il<br />

flamenco per il quotidiano Publico. Ma è a Granada che il<br />

tributo popolare al suo illustre cittadino è diventato pianto<br />

collettivo con oltre seimila persone accorse alla camera<br />

ardente in un susseguirsi di amici, di vicini di casa, di<br />

parenti e di colleghi di una vita andati a salutare per l’ultima<br />

volta il maestro. Quando la figlia Estrella, su versi di Lorca,<br />

ha intonato l’ultimo saluto recitando Il pianto della chitarra,<br />

un brivido ha scosso l’intera sala.<br />

L'apprendistato<br />

La sua storia artistica ha inizio presto, quando appena<br />

quindicenne viaggia a Madrid facendo da apripista a<br />

tanti altri artisti, da Camaron a Paco de Lucia, alle sorelle<br />

Utrera, soltanto per citarne alcuni. Nel fermento musicale<br />

e artistico della capitale Enrique muoverà i primi passi da<br />

interprete e conoscerà i maestri del tempo Don Antonio<br />

Chacón e Pepe de la Matrona.<br />

Più ancora delle sue innate qualità, del registro vocale<br />

e della capacità di affinare il canto, sarà la curiosità e il<br />

desiderio di imparare e di esplorare nuove strade a offrire<br />

la chiave del successo al cantante granadino. A differenza<br />

della spontanea e vulcanica bravura di Camaron, Enrique<br />

Morente sarà sempre un artista dedito alla ricerca e al<br />

perfezionamento quasi maniacale della propria opera.<br />

iL successo<br />

Il successo non tarda ad arrivare. Già nel 1964 viaggia a<br />

New York e Washington, l’anno successivo è in tournée<br />

europea; ingaggiato presso i prestigiosi tablaos Zambra<br />

e Caffé de Chinitas si guadagna l’ammirazione di un<br />

pubblico esperto ed esigente. Con il primo premio al<br />

Festival di Malaga e la pubblicazione del primo album,<br />

Cante flamenco, arriva anche la notorietà al grande<br />

pubblico. Gli anni successivi saranno caratterizzati dal<br />

sodalizio musicale con il chitarrista Manolo Sanlucar che<br />

gli consentirà di qualificare maggiormente la propria opera<br />

e lo porterà a concepire ambiziosi spettacoli dal vivo<br />

come Andalucia hoy nel 1981 o il monumentale El loco<br />

romantico basato sul Chisciotte de la Mancha presentato<br />

a Granada nel 1988. Gli anni novanta si apriranno con<br />

la pubblicazione di Misa flamenca, prima di una serie di<br />

opere dedicate al conterraneo Federico Garcia Lorca.<br />

Profili<br />

Enrique Morente<br />

l’ultimo profeta flamenco<br />

S c o m p a r s o a l l ’ e t à d i 6 7 a n n i u n o d e i m a s s i m i e s p o n e n t i<br />

della canzone andalusa<br />

di David Valderrama<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

13<br />

iL maestro<br />

Insieme ai tanti successi personali non va dimenticato<br />

il grande impegno profuso dall’artista in favore della<br />

diffusione del flamenco a livello internazionale e del<br />

sostegno ai giovani talenti. La sua naturale curiosità l’ha<br />

condotto a esplorare e spingere il flamenco dove nessuno<br />

aveva mai osato. E l’ha fatto non per compiacere se stesso<br />

ma perché convinto e della versatilità e della necessità<br />

di aggiornare il flamenco al proprio tempo. Ad esempio,<br />

Morente è arrivato a tentare esperimenti stravaganti come<br />

suonare con la rock band underground dei Sonic Youth o a<br />

promuovere incontri con musicisti africani e latinoamericani.<br />

D’altronde, al costante impegno per la ricerca artistica ha<br />

sempre affiancato una forte propensione alla ribellione. In<br />

un’occasione andò a cantare a Parigi nella sede dell’allora<br />

esiliato partito comunista spagnolo, anni dopo accettò di<br />

cantare di fronte al re Juan Carlos e gli dedicò una canzone<br />

repubblicana.<br />

L’ultima intervista rilasciata al settimanale Vanity Fair, poco<br />

prima di morire, è un commuovente ritratto di Enrique e<br />

di sua figlia, la cantante Estrella Morente, vera erede del<br />

cantante andaluso. La morte di Enrique Morente giunge<br />

a meno di un mese dal riconoscimento del flamenco,<br />

da parte dell’UNESCO, quale Patrimonio Culturale<br />

Immateriale dell’Umanità. Un bel congedo per un artista<br />

che a quest’arte ha dedicato la vita.<br />

Online www.enriquemorente.com<br />

Cante flamenco<br />

Hispavox<br />

Omega<br />

Acqua<br />

Homaje a D. Antonio Chacon<br />

Emi


14 Mondomix.com / MUSICA<br />

Guida minima al TangoTanghi a ritroso<br />

di Emanuele Enria<br />

È la vita condensata in tre minuti. C’è chi lo racconta così<br />

un tango. Una interpretazione estetica della vita, direbbe il<br />

poeta Horacio Ferrer, magazzino in cui si sono accumulati,<br />

in azzardoso e tumultuoso stivaggio, esseri umani, stili di<br />

vita, modi d’amare un dio o un altro, modi di fare il pane,<br />

l’amore, il commercio e le case.<br />

origini<br />

Nato pellegrino tra le rive del Rio de la Plata, mescolando<br />

nella sua ibridazione, figlia dell’immigrazione di fine<br />

Ottocento in Sud America, la voce italiana, spagnola,<br />

tedesca, ebrea, polacca (e qui non si può non prestare<br />

subito orecchio alla voce rauca e inconfondibile di Roberto<br />

Goyeneche accompagnata dal bandoneon di Annibal<br />

Troilo) all’Africa degli schiavi presenti soprattutto in<br />

Uruguay. È la sua stessa parola a dircelo: tango, come il<br />

battito delle percussioni, come il suono del tamburo (tangò<br />

venivano chiamati) nel candombe, come il luogo in cui<br />

danzavano su questi ritmi (Tangò), fino al nome del Dio<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

Xangó, il Dio guerriero secondo il culto afroamericano degli<br />

Orixa. Senza tralasciare il tango andaluz. Sarà Juan Carlos<br />

Caceres a rievocare mirabilmente nel suo Tango Negro del<br />

2003 questa parte negra del tango, ricercandone il suono<br />

che facevano i tre tamburi, tambor piano, tambor chico,<br />

tambor repique: borocotò-borocotò-borocotò-chaschás.<br />

Candombe che diventa milonga, milonga che si tuffa<br />

dentro il più ampio universo che oggi chiamiamo tango, tra<br />

generi, stili, nuovi meticciaggi.<br />

iL bandoneon<br />

I suoi albori con la voce dei payadores, i cantastorie,<br />

accompagnati da chitarra, flauto e violino. Il viaggio di uno<br />

strumento come il bandoneon, creato in Germania intorno<br />

al 1835, ad opera probabilmente di un tale Heinrich Band,<br />

per sostituire l’organo delle chiese di campagna, che<br />

finisce invece nella Pampa, trasportato forse per la prima<br />

volta da un marinaio brasiliano di nome Bartolo, forse da<br />

un inglese di nome Moore o semplicemente venduto da un<br />

immigrato tedesco in una balera. Storie dentro una storia<br />

che fanno capire perché oggi tango sono anche le parole<br />

di Paolo Conte, innamorato di queste cavalcate mitiche tra<br />

il caso, il nome di un perfetto sconosciuto e gli afrori di un<br />

luogo. È quella sua massima: “Così come la lucertola è il<br />

riassunto del coccodrillo, il tango è il riassunto della vita”.<br />

La solitudine della Pampa, i quartieri di Buenos Aires,<br />

Montevideo danno a uno strumento nato in Germania,<br />

il bandoneon, la giusta tonalità. Come se il canto<br />

dell’Europa, ormai imbalsamato nelle sue macerie, avesse<br />

avuto bisogno di partire ancora una volta per cantare la<br />

sua nostalgia, che oggi non è più soltanto “un pensiero<br />

triste che si balla” come lo definiva il più sublime paroliere<br />

del tango, Enrique Santos Discepolo, ma è anche, e di<br />

nuovo, ritmo, gioia, sensualità, danza nell’apertura delle<br />

sue sfumature, dei luoghi in cui il tango si ferma: Giappone<br />

o Turchia, Inghilterra come Finlandia. E dei generi con cui<br />

si incontra.<br />

iL tango<br />

Per questo è da salutare con gioia l’uscita del libro di<br />

Elisa Guzzo Vaccarino, Il tango, edito da L’Epos, che<br />

riesce finalmente a leggerne, grazie alla sua enorme<br />

competenza come critico di danza, ballerina lei stessa di<br />

tango, la complessità contemporanea, fornendo quei punti<br />

di contatto che ancora mancavano per capire come entri<br />

anche in un balletto di Bejart, di Pina Bausch, nella musica<br />

elettronica così come nella psicanalisi.<br />

Gli anni Venti Trenta sono legati alla voce di Carlos Gardel,<br />

l’usignolo del tango, che incide alcuni dei brani più celebri<br />

della storia del tango, come Volver, Mi Buenos Aires<br />

Querido, dando alla sua voce quel qualcosa che Horacio<br />

Ferrer paragona al chamuyo, termine lunfardo che indica il<br />

corteggiamento con le parole.<br />

Si contano qualcosa come millesettecento autori e<br />

centomila registrazioni, di cui settantamila realizzate<br />

tra il 1902 e il 1995, prima dell’era digitale. Il rischio<br />

è che molte di queste vadano perdute: per questo il<br />

musicista e compositore Ignacio Varchuasky ha costituito<br />

l’associazione Tango Via (www.tangovia.org) con cui le<br />

trasferisce da disco in formato digitale contattando i vari<br />

collezionisti e possessori.<br />

Se in Europa dici tango, si pensa subito al genio di Astor<br />

Piazzola, mentre c’è invece tutto un ascolto da percorrere<br />

tra le grandi orchestre, elaborazione del sexteto tipico<br />

(bandoneones, violini, pianoforte, contrabbasso) che<br />

appare dai primi decenni del ’900 in poi e tocca la sua<br />

epoca d’oro negli Anni Trenta Quaranta: quella di Osvaldo<br />

Fresedo (e quella chicca che è la versione di Vida mia con<br />

Dizzy Gillespie alla tromba), Juan D’Arienzo, Rodolfo<br />

Biagi, Francisco Canaro, fino a quegli autentici giganti<br />

che sono Annibal Troilo, non a caso maestro anche di<br />

Piazzola, Osvaldo Pugliese e Carlos Di Sarli. Senza<br />

tralasciare l'armonica di Hugo Diaz.<br />

Difficile davvero fare una scelta dentro a un repertorio<br />

OSVALDO PUGLIESE<br />

From Argentina to the world<br />

Emi<br />

Il pianista Osvaldo Pugliese ci porta<br />

con la sua orchestra a toccare<br />

le vertigini della sua epressività<br />

poliritmica. Cambi di tempo,<br />

impetuose accelerazioni, pause come<br />

respiri. Un capolavoro assoluto<br />

FRANCISCO CANARO<br />

Poema<br />

Suramusic<br />

Musicista autodidatta, nato dal<br />

nulla, ha sofferto molto riuscendo<br />

poi a giungere alla vetta con una<br />

produzione quasi sconfinata. È<br />

considerato uno dei capisaldi della<br />

tradizione, con un’orchestra che<br />

arriva a superare i 50 elementi.<br />

CARLOS DI SARLI<br />

100 años<br />

RCA Victor<br />

La pura eleganza di un’orchestra<br />

come questa, tra ritmo e melodia,<br />

regala le più belle versioni di Bahia<br />

Blanca, Don Juan, Verdemar<br />

JUAN D'ARIENZO<br />

Instrumental Vol. 1<br />

BMG<br />

Scoppiettante. Era bellissimo da<br />

vedere mentre dirigeva come un<br />

indemoniato il coro di bandoneon<br />

della sua orchestra. Da ballare,<br />

camminare, una musica che marca<br />

il passo con precisione millimetrica<br />

OSVALDO FRESEDO<br />

Rendezvous porteno<br />

Acqua Records<br />

Uno dei grandi maestri della prima<br />

generazione, riconoscibile per un<br />

suono allegro, ritmato, nel suo<br />

incontro con la tromba di Dizzy<br />

Gillespie. Una versione di Vida mia<br />

che rimarrà in eterno.<br />

Tango<br />

così vasto. Ringrazio Dario Moffa e<br />

la sua associazione Essentia (www.<br />

tangosensibile.it/chi_siamo.php),<br />

che propone interessantissimi corsi<br />

di tango e ascolto della musica, per<br />

aver accettato di “giocare” con me a<br />

comporre questa selezione. Da abbinare<br />

alla lettura di:<br />

Elisa Guzzo Vaccarino, Il tango,<br />

L’Epos, Palermo, 2010<br />

ANNIBAL TROILO<br />

Yo soy el tango<br />

BMG<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

15<br />

ANNIBAL TROILO PICHUCO<br />

ROBERTO GOYENECHE<br />

El gordo y el polaco<br />

DBN<br />

Il bandoneon per eccellenza, quello di Annibal Troilo,<br />

detto el Pichuco, forse il musicista che più di tutti ha<br />

saputo far uscire da questo strumento quell’inconfondibile<br />

lamento, come recita uno dei tanghi più celebri, Quejas<br />

de bandoneon. Da ascoltare sia con la sua orchestra che<br />

mentre accompagna la voce grumosa e sotterranea di<br />

Roberto Goyeneche.<br />

HUGO DIAZ<br />

Tangos<br />

Acqua Records<br />

L’armonica di Hugo Diaz che<br />

reinterpreta i più celebri tanghi di<br />

Gardel, da Volver a Arrabal amargo,<br />

Melodia de arrabal, Por una<br />

cabeza. Accompagnata da piano,<br />

contrabbasso e chitarra è una<br />

musica che sorprende chiunque ancora non lo conosca.<br />

ASTOR PIAZZOLLA<br />

Libertango<br />

Gold collection<br />

Una carrelata da brivido dei classici<br />

piazzoliani. Da Fuga y mysterio,<br />

Adiós Nonino a Jeanne y Paul, uno<br />

dei pezzi più belli in assoluto del<br />

genio di Piazzola.<br />

JUAN CARLOS CACERES<br />

Tocá Tango<br />

Discos CNR<br />

Il viaggio che compie Caceres da<br />

anni verso le radici africane del<br />

tango arriva qui a toccare la parte<br />

più nera del suo lavoro, grazie<br />

all’attenzione che dedica alla parte<br />

ritmica. Non a caso il titolo prende<br />

spunto dai tamburi del candombe.


16 Mondomix.com / MUSICA<br />

E non vi fossero bastati…<br />

AA VV<br />

The Tango Lesson<br />

Sony Classical<br />

Un modo facile per avere un piccolo<br />

riassunto di alcuni dei più bei tanghi da<br />

ballare ed ascoltare. Colonna sonora del<br />

film Lezioni di Tango di Sally Potter, regala all’ascolto il<br />

valzer Amor y celos di D’Arienzo, la Yumba di Pugliese,<br />

Quejas de bandoneón di Troilo e molto altro.<br />

ASTOR PIAZZOLLA / HORACIO FERRER<br />

Edición crítica: en persona<br />

RCA Victor<br />

La poesia di Horacio Ferrer recitata dallo<br />

stesso e accompagnata dal bandoneon<br />

di Astor Piazzolla. Poesia per le orecchie<br />

e il cuore, oltre che una lezione di musicalità tra voce e<br />

strumento.<br />

AA VV<br />

Sulle rive del tango<br />

Microcosmodischi<br />

Una compilation composta di tanghi per<br />

così dire “involontari”. Il disco è un viaggio<br />

che inizia da Napoli e tocca le sponde<br />

dell’America Latina, Sicilia, Sardegna, dei Balcani, ma è<br />

capace di trovare spunti anche in Norvegia e in Polonia.<br />

Un viaggio che racchiude esperienze e generi musicali<br />

molto diversi tra loro.<br />

RICARDO TANTURI Y SU ORQUESTA TÍPICA<br />

Tangos de mi ciudad<br />

BMG<br />

Pianista, direttore e compositore, la<br />

produzione di Tanturi è sempre associata<br />

ai suoi cantanti, in questo caso la voce<br />

di Alberto Castello. Una piacevolissima carrellata di<br />

tanghi, milonghe e vals da parte di uno dei maestri della<br />

tradizione.<br />

ASTOR PIAZZOLLA / GERRY MULLIGAN<br />

Reuníon cumbre<br />

Music Hall<br />

Il connubio tra Astor Piazzolla e Gerry<br />

Mulligan è quanto di più straordinario<br />

potesse produrre l’incontro tra due generi<br />

musicali: tango e jazz. Ne nasce una musica che affonda,<br />

all’interno di due voci così importanti come quella del<br />

bandoneon e del sax baritono, il tango dentro il ritmo<br />

sincopato del jazz, senza tralasciare gli impeti sonori di<br />

uno Stravinskij<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

RODOLFO BIAGI<br />

La Orquesta Y Sus Cantores<br />

Emi<br />

Un altro maestro della tradizione. La<br />

semplicità delle melodie al suo massimo<br />

livello, meravigliosi sono i suoi vals.<br />

Inconfondibile il suo piano che dialoga con l’orchestra, un<br />

vero ballo tra gli strumenti.<br />

ENRIQUE RODRIGUEZ<br />

Tangos con Armando Moreno<br />

Emi<br />

Ha una grandissima produzione. Quella con<br />

Armando Moreno sembra rappresentare<br />

al meglio il suo timbro, la sua sonorità,<br />

un’orchestra all’unisono incentrata sulla melodia degli<br />

strumenti e la voce del cantante.<br />

GOTAN PROJECT<br />

La revancha del Tango<br />

XL,<br />

Inutile negarlo. C’è un prima e dopo Gotan<br />

Project. Un autentico rinnovamento del<br />

tango attraverso la musica elettronica<br />

attuata da un gruppo di musicisti, quasi<br />

tutti residenti a Parigi, che ha dimostrato che si poteva<br />

riesplorare l’intero repertorio del tango e le sue radici con<br />

un linguaggio nuovo.<br />

DANIEL MELINGO<br />

Santa Milonga<br />

Mañana<br />

Inconfondibile la voce di Melingo. Il suo<br />

Narigon è una delle milonghe più eccitanti,<br />

africane, suburbane. Ma è tutto l’album<br />

a disegnare una perfetta ricerca tra la<br />

sonorità urbana, il ritmo africano e l’uso del lunfardo nel<br />

cantato.<br />

TITA MERELLO<br />

Milongón Porteño, da Grandes del Tango 40<br />

Pattaya<br />

Una delle figure femmili più importanti<br />

e rappresentative dei primi decenni del<br />

Novecento (che ha vissuto fino in fondo,<br />

essendo morta solo nei primi anni del Duemila) a Buenos<br />

Aires. Attrice e cantante, la sua è un’interpretazione quasi<br />

giocosa, gorgheggiante, di tanghi in cui c’è sempre chi<br />

scappa, si lamenta o si vanta. Come nella milonga Se<br />

dice de mi, dove per una volta a giocare la parte dello<br />

“spaccone” è una donna.<br />

Wilfried Krüger<br />

Uno dei primi giorni di luglio del 2009 Pina Bausch se ne<br />

è andata all’improvviso. La sua compagnia, il Wuppertaler<br />

Tanztheater, silenziosamente preparata a quel momento,<br />

ha continuato con grande amore e coraggio a portare in<br />

giro per il mondo l’universo bauschiano: “..Certe cose si<br />

possono dire con le parole, altre con i movimenti. Ma ci<br />

sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole,<br />

completamente perduti e disorientati, non si sa più che<br />

fare. A questo punta comincia la danza, e per motivi del<br />

tutto diversi dalla vanità… Si deve trovare un linguaggio<br />

– con parole, con immagini, movimenti, atmosfere – che<br />

faccia intuire qualcosa che esiste in noi da sempre”, aveva<br />

detto la stessa Pina Bausch durante il discorso per la<br />

laurea ad honorem assegnatale dall’Università di Bologna<br />

nel 1999.<br />

iL metodo<br />

Dopo i primi lavori ancora legati al linguaggio della danza<br />

tradizionale (e comunque già straordinari), con una musica<br />

che ha una storia da raccontare (Ifigenia in Tauride, Orfeo<br />

ed Euridice, le Sacre du Printemps) svilupperà, dal 77’ in<br />

poi, il suo celebre metodo di improvvisazioni che nascono<br />

da domande, tante domande, evocazioni, che ad ogni<br />

nuova creazione, pone ai suoi ballerini: di che cosa hai<br />

paura? Che cos’è la primavera? Tenerezza. Presentati.<br />

Cosa fai quando ti piace qualcuno? A cui ogni ballerino<br />

risponde con parole e gesti, consegnando parte del suo<br />

vissuto personale a Pina. Solo lei sa dove vuole arrivare<br />

ogni volta. “...Le domande che poniamo ci conducono<br />

a esperienze che sono molto più antiche, che non<br />

appartengono soltanto alla nostra cultura e al qui e ora. È<br />

come se ritornasse a noi una conoscenza che da sempre<br />

ci appartiene, ma della quale non siamo più consapevoli<br />

e contemporanei. Ci fa ricordare qualcosa che è comune<br />

a tutti noi”. La musica è parte di questa scatola magica,<br />

deve evocare paesaggi, sentimenti, stati d’animo. Non è la<br />

stessa dall’inizio delle prove fino allo spettacolo compiuto,<br />

ma va componendosi pian piano, per assemblaggio,<br />

montaggio, estrazione di tutto il materiale sonoro che è<br />

stato raccolto. Questo significa che i ballerini non provano<br />

su una musica già stabilita, ma che musica e danza sono<br />

come due compagni che si cercano e si scoprono nel<br />

tempo della creazione.<br />

un incontro<br />

Mi è sembrato doveroso rendere un piccolo omaggio a Pina<br />

Bausch andando ad incontrare Matthias Burkert e Andreas<br />

Eisenschneider durante il passaggio del Wuppertaler<br />

Tanztheater a Montecarlo, nel mese di dicembre, mentre<br />

riportava in scena Cafè Muller, creato nel lontano 1978,<br />

il solo dove Pina Bausch abbia anche danzato, e Le<br />

Sacre du Printemps. Sono loro i volti che hanno dato ad<br />

ogni spettacolo le musiche: un lavoro da antropologo,<br />

musicologo, artigiano, artista. Un autentico viaggio nelle<br />

musiche del mondo, soprattutto da quando la compagnia ha<br />

iniziato a lavorare su invito nei vari paesi, creando spettacoli<br />

ispirati ai luoghi: come Viktor a Roma, Palermo Palermo,<br />

Wiesenland all’Ungheria, Masurca Fogo a Lisbona, Agua<br />

al Brasile, Nefés alla Turchia, e ancora.<br />

Tango<br />

I tanghi di Pina<br />

U n p i c c o l o v i a g g i o t r a l e m u s i c h e d e g l i<br />

spettacoli di Pina Bausch e il suo<br />

Wuppertaler Tanztheater<br />

di Emanuele Enria<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

17<br />

un pò di tango<br />

Dentro questa ampissima scelta, mi piace ricordare<br />

quanto il tango sia stato un “luogo” preferenziale (a cui<br />

ha anche dedicato un intero spettacolo, Bandoneon)<br />

in cui Pina Bausch ha esplorato la possibilità di incontro<br />

tra individui, tra uomo e donna, attraverso un codice<br />

di gesti, camminate, abbracci. Nel 1978 porta in scena<br />

Kontakthof, un lavoro che riproporrà poi nella versione<br />

con intepreti di età over 60 e in una terza versione con<br />

ragazzi sotto i 18 anni, documentata poeticamente nel<br />

recente documentario Les reves dansant di Anne Linsel<br />

et Rainer Hoffmann (e a breve da un lavoro più ampio di<br />

Wim Wenders). Rimangono, come in un film di Fellini, quei<br />

motivetti di tutto lo spettacolo. La melanconica melodia<br />

estratta dal film il Terzo Uomo di Carol Reed e composta<br />

da Anton Karas, suonatore di zither. O i tanghi tedeschi<br />

di Juan Llosas, come Oh, Fräulein Grete, Blonde Claire...<br />

Ascoltandoli, sembrerà di entrare sempre in quel mondo<br />

che ci ha regalato Pina Bausch, dove anche una semplice<br />

carezza è già danza.<br />

Online www.pina-bausch.de/en/index.php<br />

www.juanllossas.de/Discher%20CD1.htm<br />

Angelos Giotopoulos


18 Mondomix.com / MUSICA<br />

"Borocotó, borocotó, chas chas,… Tango negro, tango<br />

negro, los tambores no suenan más,… los gringos fueron<br />

cambiando tu manera de bailar". In questi versi ritmati<br />

di Tango Negro, brano lievemente ritoccato per il nuovo<br />

album No Me Rompas Las Bolas, c’è tutta l’essenza e<br />

l’estetica dell’audace ed eretico progetto del poliedrico<br />

Juan Carlos Cáceres, pianista, trombonista, compositore,<br />

cantautore e leader del Tango Negro Trio che punta:<br />

primo, a dimostrare la facciata invisibile del tango, quella<br />

nera, dimenticata, con il tambor africano in cattedra<br />

(omaggiato anche in Suena el tambor e Toca tango,<br />

tracce 1 e 13) scomparso, assieme ad altri elementi con<br />

l’estinzione della popolazione afroargentina, e sostituito<br />

da tonalità e timbriche occidentali (dei gringos = europei)<br />

come recitano i versi suddetti; secondo, a valorizzare altri<br />

protagonisti della regione rioplatense, tra Buenos Aires e<br />

Montevideo, come murga, candombe, milonga, habanera,<br />

musiche europee e il rapporto che intercorre con le altre<br />

espressioni popolari afro-americane.<br />

iL tango negro<br />

Il terzo CD appena pubblicato – davvero dirompente, fin<br />

dal titolo, a quattro anni di distanza da La Vuelta del Malon<br />

e a sei da Tango Negro Trio - colpisce più che mai il centro<br />

del bersaglio estetico che l’artista argentino, residente a<br />

Parigi dal 1968, va ricercando da molto tempo. E stavolta<br />

il maestro Cáceres scuote sia i tangueros più ortodossi, sia<br />

la moltitudine di semplici appassionati o musicisti (tra cui<br />

anche tanti cultori di sound latino, credetemi), gente che<br />

non aveva mai saputo di altre verità o conoscenze sul tango<br />

oltre quelle imperanti e inossidabili ricevute attraverso il<br />

mito di Carlos Gardel, Osvaldo Pugliese, il nuevo tango<br />

del bandoneonista Astor Piazzolla, quello elettronico dei<br />

Gotan Project, eccetera. Così il tango, che un tempo parlò<br />

e ritmò mandinga, congo e mina, l’indomabile e combattivo<br />

cantautore - oltre che jazzista - porteño lo fa nuovamente<br />

rivivere in queste quindici coinvolgenti tracce mediante<br />

l’originale racconto storico-sociale, cantato e musicato<br />

in chiave milonguera (il punto di partenza dei suoi viaggi)<br />

e incrociato con altri linguaggi. Una specie di itinerario<br />

sonoro camaleontico, in cui è facile perdersi perché l’opera<br />

si trasforma di continuo, assorbendo le diverse modalità<br />

ritmico-melodico-armoniche imbarcate lungo la infinita<br />

navigazione del Tango Negro Trio, che arriva a toccare le<br />

foci caraibiche dova sbocca il Mississippi con le tinte jazz<br />

del trombone di Cáceres intersecate dall’accordeon nella<br />

malinconica Camila (tr.11).<br />

i caraibi<br />

Difficile a volte stabilire i punti di confine dell’indagine<br />

musicale, ma la sintassi, gli accenti e i ritmi incorporati nel<br />

Hace unos meses decidimos emprender la realizacion del 3 CD del TANGO<br />

solido concetto milonguero che si distaccano NEGRO TRIO. A con la iniciativa un y bajo la ruolo<br />

supervision de Hideto “Panchito” 1 Suena el tambor<br />

3.53<br />

Nishimura, desde Japon una nueva experiencia.<br />

2 Mandinga milonga<br />

4.05<br />

Con nuevos temas y algunos clasicos de nuestro repertorio.<br />

3 No me rompas las bolas 4.43<br />

importante in questo progetto provengono Siguiendo con la dalla propuesta de la reivindicacion scuola de los ritmos olvidados, 4 La Maga<br />

3.15<br />

nuevos sonidos y una fuerte impronta milonguera han mantenido latente 5 Paso el tiempo<br />

4.24<br />

la linea comenzada hace anos en pro de hacer conocer un repertorio inedito<br />

afrocubana, con i cicli ritmici di clave, di cascara rumbera<br />

6 Que milonga mi amor 3.48<br />

en el ambito de la musica rioplatense.<br />

7 En Paris me quedo<br />

4.15 JUAN CARLOS CACERES<br />

El tango, la milonga, la habanera, la murga, y el candombe representan las<br />

8 Quemaste todo (solo piano) 2.20 MARCELO RUSSILLO<br />

formas emblematicas de la cultura urbana de Buenos Aires y Montevideo,<br />

e montuno. Figurazioni e concetti che el trio TANGO esercitano NEGRO TRIO se siente comprometido una con esa estetica.<br />

9 Tango negro<br />

3.50 CARLOS el tero BUSCHINI<br />

Quiero agradecer la participacion de Melingo, Tero, Marcelo, Javier, Olivier, 10 Sudacas<br />

3.30 feat<br />

Natalio, Martin y Alejandrito. musicos comprometidos en la difusion de 11 Camila<br />

4.29 Javier Girotto<br />

sorta di dittatura nella musica popolare nuestra cubana, musica en el mundo. poi, per<br />

12 Murga cruel<br />

3.06 David Pecetto<br />

J C Caceres. 13 Toca tango<br />

2.51 Olivier Manoury<br />

estensione, nell’afrocuban-jazz (oggi latin jazz), modalità<br />

14 La Pulpera de Santa Lucia 2.46 Alejandro Caraballo<br />

info & comments<br />

bonus track<br />

Martin Bruhn<br />

+39- 437 - 434 8130<br />

15 Plaza de Mayo<br />

4.10 Natalio Mangalavite<br />

tangonegrotrio@gmail.com<br />

adottate anche da altre scuole afrolatine e non solo. E<br />

www.myspace.com/tangonegrotrio<br />

Titolo No Me Rompas Las special guest Bolas<br />

DANIEL MELINGO<br />

booking europe<br />

contact for Asia<br />

ora questi elementi di grammatica musicale www.cultureworks.at afro-latino-<br />

NPO Tiempo Iberoamericano Japan Etichetta Felmay / <strong>Egea</strong><br />

+ 43 - 664 -5132367<br />

ph 81-92-762-4100 fax 81-92-762-4104<br />

All tracks Buschini / Caceres<br />

except 9,10,11,12,13 Caceres; 8,15 Buschini; 14 Maciel / Blomberg<br />

+43 - 1- 5223522<br />

santiago@tiempo.jp www.tiempo.jp<br />

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FELMAY<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

Daniel Melingo courtesy Mañana<br />

recorded at<br />

4ur studio - Angera Italy by Davide Primiceri<br />

Orfeo studio - Buenos Aires, Argentina by Edgar Gonzales<br />

mixed & mastered at<br />

R&R studio - Civitavecchia Italy by Max Rosati<br />

supervision by Hideto panchito Nishimura<br />

cover image Juan Carlos Caceres<br />

photos Francesco Truono<br />

produced by Tango Negro Trio & Ass. Cult. Musica dei Popoli<br />

ph.+39 ph.+39 0142 0142 50577 0142 ph.+39 50577 fax +39 0142 fax fax 0142 +39 50577 +390142 50780 0142 fax 50780 +39 50780 info@felmay.it 0142 info@felmay.it 50780www.felmay.it info@felmay.it www.felmay.it<br />

www.felmay.it<br />

No Me Rompas<br />

Las Bolas<br />

Tango Negro Trio<br />

di Gian Franco Grilli<br />

di No Me Rompas Las Bolas. Un disco che suona diverso<br />

da quelli precedenti, che miscela con equilibrio il sound<br />

serioso del tango con l’allegria caraibica, in modo marcato<br />

e in modo sorprendente per il sabor gioioso di Girotto (di<br />

solito il suo linguaggio è più triste, ma stupendo) con la<br />

vibrante voce del sax baritono che contrappunta il canto<br />

nel cadenzato calypso-son di Que Milonga mi amor (tr. 6).<br />

Latin jazz<br />

Che dire ancora, che il timoniere Cáceres va avanti con la<br />

forza di un fiume in piena che a mio avviso lo porta dritto<br />

e in modo deciso nel comparto molto variegato del jazz<br />

latino, e in cui i progetti di Tango Negro Trio meritano di<br />

stare e per le ragioni poc’anzi descritte, e per le strutture<br />

jazzistiche disegnate dal piano del leader, e per le articolate<br />

spirali e i ricami dell’inconfondibile sassofonista Javier<br />

Girotto, e per il solido groove del multipercussionista<br />

uruguaiano Marcelo Russillo e del bassista Carlos “el tero”<br />

Buschini, binomio fisso della band che si destreggia alla<br />

grande tra le più diverse sonorità del mondo. Un esempio,<br />

tra i tanti, che tutti possiamo ascoltare qui, è il raffinato<br />

incastro ritmico creato con due diversi disegni di cascara<br />

(tipico della rumba), volta a sollecitare l’elegante piano e a<br />

stimolare la narrazione vocale che guida Sudacas (tr.10),<br />

composizione dedicata agli argentini, cileni e uruguaiani<br />

esiliati in Spagna (ma non solo) negli anni Settanta, quando<br />

il “Sudamerica era triste e stava piangendo”.<br />

Per concludere. Alla realizzazione di questo album hanno<br />

contribuito numerosi ospiti di ottimo livello, tra i quali, oltre<br />

al già citato Javier Girotto, l’eccellente improvvisatore e<br />

bandoneonista David Pecetto e l’ex rocker, polistrumentista,<br />

Daniel Melingo, oggi considerato il moderno ambasciatore<br />

del tango-canción con vocalità che scende tra i registri più<br />

profondi, virile, un artista che ricorda un po’ Tom Waits e<br />

Nick Cave.<br />

Unico neo di questo affascinante disco (altrimenti<br />

sarebbe perfetto) è la mancanza di un booklet, con i testi<br />

e qualche dettaglio informativo in più, sul tango negro e<br />

sulla distribuzione degli strumenti impiegati nei vari pezzi.<br />

La completezza ci aiuta a saperne di più su sonorità che<br />

meritano di essere riscattate, e che speriamo altri giovani<br />

sappiano poi continuare le ricerche dell’ultrasettantenne<br />

pianista e cantante argentino che piace a buona parte del<br />

pubblico nostrano per la somiglianza con Paolo Conte, ma<br />

se la mettiamo così ogni tanto spunta anche il Bongusto<br />

che fa Fred!<br />

P Felmay 2009<br />

P Felmay 2009<br />

P Felmay 2009<br />

Tango Negro Trio No Me Rompas Las Bolas fy 8175<br />

P Felmay 2009<br />

fi le under<br />

tango negro trio<br />

italy<br />

world music<br />

ph.+39 ph.+39 0142 ph.+39 ph.+39 0142 50577 0142 0142 50577 fax 50577 0142 +39 fax fax +39 0142 fax +39 50577 +39 +39 0142 50780 0142 0142 50780 fax 50780 info@felmay.it 50780 +39 info@felmay.it 0142www.felmay.it 50780 www.felmay.it<br />

info@felmay.itwww.felmay.it P Felmay 2009<br />

P Felmay 2009<br />

PP Felmay Felmay 2009 2009<br />

P Felmay 2009<br />

P Felmay 2011<br />

Tango Negro Trio No Me Rompas Las Bolas fy 8175<br />

P Felmay 2009<br />

special guest<br />

DANIEL MELINGO speaking voice<br />

Tango Negro Trio<br />

JUAN CARLOS CACERES piano, voice, trombon<br />

MARCELO RUSSILLO drums, percussion<br />

CARLOS el tero BUSCHINI bass<br />

feat<br />

Javier Girotto sax<br />

David Pecetto bandoneon, accordeon<br />

Olivier Manoury accordina<br />

Alejandro Caraballo bombo murguero<br />

Martin Bruhn cajon<br />

Natalio Mangalavite choir<br />

Tango Negro Trio<br />

No Me Rompas Las Bolas<br />

8175 digipack.indd 1 18-11-2010 18:27:18<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

19


20 Mondomix.com / MUSICA<br />

NOA <strong>CANTA</strong> <strong>NAPOLI</strong><br />

Intervista alla cantante israeliana simbolo del pacifismo internazionale<br />

di David Valderrama<br />

Noa, al secolo Achinoam Nini, è una delle cantanti più celebri d’Israele e contemporaneamente una delle artiste di fama<br />

internazionale più impegnate in favore della causa del popolo palestinese. Lo confermano il suo costante impegno in<br />

favore della Pace e le sue tante dichiarazioni che lancia costantemente dal suo blog. Per questo ha ottenuto grandi<br />

riconoscimenti internazionali e nel 2007 il Presidente della Repubblica Napolitano l’ha insignita del Cavalierato della<br />

Repubblica.<br />

Nata a Tel Aviv da una famiglia di origini yemenite è cresciuta tra New York - dove attualmente vive insieme al marito e ai<br />

tre figli - e Israele, dove a diciassette anni si trasferì per prestare servizio militare. Dotata di una voce vellutata e cristallina<br />

e di una genuina quanto instancabile volontà di sperimentare e conoscere culture, stili, generi, ha all’attivo tredici dischi in<br />

studio e una infinità di collaborazioni. La sua carriera artistica è legata a doppio filo con quella del compositore, arrangiatore<br />

e produttore israeliano Gil Dor. E a giudicare dal successo ottenuto Gil è un vero e proprio portafortuna.<br />

Nel 1997 debutta in Italia prestando la sua voce nella canzone portante della colonna sonora del film La vita è bella di<br />

Roberto Benigni e nel 2006 partecipa al Festival di Sanremo in duo con Carlo Fava, ottenendo il Premio della Critica.<br />

Oggi, quasi a restituzione del calore e l’affetto che il pubblico le ha sempre riservato nel nostro Paese, torna con un nuovo<br />

incantevole album: Noapolis. Un’opera che da prova della disinvolta versatilità che da sempre la contraddistingue e che l’ha<br />

portata a studiare con rigore il vernacolo partenopeo. Il disco è un vero e proprio tributo alla canzone classica napoletana e<br />

include brani indimenticabili come, tra gli altri, Era de maggio e Torna a Surriento. Gli arrangiamenti, a firma di Gil Dor e dei<br />

napoletani Solis String Quartet, sembrano un vestito di seta confezionatole su misura.<br />

L’abbiamo raggiunta a poche settimane dall’uscita italiana del disco ed è emersa una conversazione a tutto tondo sulla sua<br />

musica, sugli affetti ma anche sulla questione mediorientale e sulla necessità di uno scatto d’orgoglio per la bella Napoli…<br />

Ai tanti riconoscimenti artistici ricevuti si sono anche<br />

aggiunte numerose onorificenze pubbliche per il tuo<br />

impegno in favore della Pace e il dialogo interreligioso.<br />

In particolare, nel 2007, il Presidente Giorgio Napolitano,<br />

ti ha insignita del Cavalierato della Repubblica. Cosa<br />

comporta un simile impegno?<br />

Sono molto orgogliosa di essere Cavaliere della<br />

Repubblica italiana. L’Italia è diventata da oltre quindici<br />

anni la mia seconda casa, amo profondamente il vostro<br />

Paese e la vostra cultura. Detto questo, devo dire che i<br />

riconoscimenti non sono così importanti per me. É più<br />

importante la mia attività e il mio impegno. Mi onora<br />

sapere che attraverso il mio ruolo di artista possa catturare<br />

l’attenzione della gente per cercare di trasmettere quelle<br />

idee e quei valori in cui credo...<br />

Credo nell’importanza della comunicazione e della<br />

compassione, nel sogno della pace e nella strada da<br />

imboccare per raggiungerla.<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

La tua partecipazione, nel maggio del 2009, al 54°<br />

Eurofestival come rappresentante di Israele e le tue<br />

dure prese di posizione contro Hamas sono state<br />

accompagnate da dure critiche da parte di esponenti<br />

del mondo arabo e del pacifismo israeliano. Come<br />

rispondi a queste prese di posizione?<br />

Sono molto orgogliosa di aver partecipato all’Eurofestival<br />

insieme alla mia collega israelo-palestinese Mira Awad.<br />

La nostra canzone, There must be another way, ha<br />

avuto un forte impatto su migliaia e migliaia di persone<br />

in tutto il mondo e tantissime sono le lettere ricevute di<br />

apprezzamento e sostegno. Per quanto riguarda la mia<br />

posizione su Hamas posso dire che sono e resto contro<br />

Hamas rimanendo una grande sostenitrice della necessità<br />

di aiutare il popolo Palestinese nella sua missione per<br />

l’Indipendenza, l’autodeterminazione e la pace. Se credete<br />

potete leggere sul mio blog un mio intervento intitolato<br />

“alcuni chiarimenti sulla mia infamante lettera durante la<br />

guerra di Gaza del 2009”. Credo che lì troverete le risposte<br />

a questa domanda.<br />

Sarei felice se voleste leggere altri articoli del mio blog,<br />

anche più recenti, come “life” o “an important petition..”<br />

Parliamo del tuo nuovo album, Noapolis. Com’è nata<br />

l’idea di interpretare i grandi classici della canzone<br />

napoletana?<br />

Ho incominciato a cantare canzoni napoletane tanti<br />

anni fa, chiudendo alcuni concerti in Italia. La prima<br />

canzone che ho arrangiato insieme a Gil Dor è stata<br />

Torna Surriento, si sono poi aggiunte I’te Vurria Vasà e<br />

Santa Lucia Lontana. É stato un modo per ringraziare<br />

il pubblico italiano per l’affetto e il supporto che ci<br />

dimostrava ad ogni esibizione. La reazione del pubblico<br />

è stata straordinariamente positiva. Alcuni anni più tardi<br />

abbiamo ricevuto una proposta da Caserta per dare vita<br />

a un progetto su canzoni napoletane in compagnia del<br />

Solis String Quartet con cui stavamo già lavorando. Il<br />

quartetto Solis ha quindi arricchito il nostro repertorio<br />

con altre canzoni e con degli arrangiamenti meravigliosi.<br />

Gil Dor aggiunse nuovi arrangiamenti e tradusse i brani<br />

in ebraico, così nacque il disco Napoli - Tel Aviv. Ora,<br />

finalmente, abbiamo registrato le canzoni in dialetto<br />

napoletano originale e il risultato, Noapolis, è davanti a<br />

voi.<br />

Come ha fatto una madrelingua inglese a diventare<br />

una perfetta “scugnizza” napoletana capace di<br />

interpretare alla perfezione brani come I’te Vurria<br />

Vasà o Torna a Surriento?<br />

Grazie assai! Beh, innanzitutto ricordo che sono una<br />

madrelingua inglese che parla un ebraico dal background<br />

yemenita! Quindi un mix di culture è già nel mio DNA. A<br />

parte questo, ho un buon orecchio musicale capace di<br />

cogliere le sfumature del linguaggio e ottimi amici come<br />

Solis, Pompeo Bennincasa, Lauro Attardi, Massimo<br />

Torrefranca e tanti altri che mi hanno aiutato a migliorare<br />

il mio dialetto, tutt’altro che perfetto. Ma, al di la di tutto,<br />

sono l’amore e il rispetto ad avermi aiutato. Ai miei occhi<br />

sono questi gli elementi più importanti. Il grande amore<br />

e il profondo rispetto che nutro per queste canzoni, per i<br />

loro creatori, per la gente di Napoli e dell’Italia intera.<br />

Il tuo legame con Napoli parte da lontano, nel 2006 hai<br />

pubblicato Napoli-Tel Aviv. Cosa unisce il mezzogiorno<br />

d’Italia alla cultura ebraica?<br />

Tantissime cose.. L’essere entrambi di piccole dimensioni,<br />

con una popolazione non troppo grande che ha patito per<br />

le guerre, le conquiste e altre tragedie come la povertà,<br />

l’oppressione e le epidemie rimanendo sempre ottimisti.<br />

Uno spirito che rifiuta la morte! Si tratta di genti che hanno<br />

dovuto emigrare, attraversando il mare alla ricerca di un<br />

futuro migliore e che hanno conservato ostinatamente la<br />

propria cultura ovunque la vita li portasse, arricchendo<br />

quelle società che li accettava. Quell’inguaribile<br />

romanticismo, quella nostalgia per la propria Patria e quel<br />

raro senso dell’umorismo che si sviluppa dalla sofferenza.<br />

Tutto questo unisce le nostre culture.<br />

Oltre alla presenza del tuo inseparabile amico e<br />

musicista Gil Dor, in questo album collabori con il<br />

quartetto napoletano Solis String Quartet. Raccontaci<br />

di questo sodalizio…<br />

I Solis sono degli incredibili musicisti e delle persone<br />

meravigliose. Il loro stile è inimitabile. Loro ci hanno<br />

proposto una selezione di canzoni stupende che non<br />

conoscevamo prima. Insieme a loro abbiamo scelto il<br />

repertorio che più ci interessava e, insieme a Gil, hanno<br />

fatto degli arrangiamenti unici e meravigliosi.<br />

Noa<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

21<br />

Parliamo di Napoli. L’emergenza rifiuti, i numerosi<br />

scandali, la mala vita organizzata hanno ammaccato<br />

l’immagine di questa città. Credi che la musica possa<br />

contribuire al suo riscatto? E come?<br />

La musica, come ogni arte, è l’elevazione dello spirito<br />

sopra la materia. È il culto della bellezza, della purezza,<br />

dell’integrità e dell’indipendenza espressiva. Di certo<br />

il popolo di Napoli ha bisogno ora più che mai di tutto<br />

questo. Ma, al tempo stesso, invito il popolo di Napoli, a<br />

me tanto caro, a prendere il proprio destino in mano senza<br />

lasciarlo a quelle forze che minacciano di distruggere<br />

questa stupenda città.<br />

L’anno scorso è nata Yum, la tua terza figlia. É difficile<br />

conciliare la vita familiare con gli impegni lavorativi?<br />

Si, è molto difficile ma fortunatamente sono circondata<br />

da tante persone che mi aiutano: da mio marito, ai miei<br />

genitori, ai colleghi e gli amici. Per i miei bambini darei<br />

volentieri la mia vita..<br />

Diamo spazio ai sogni nel cassetto. Quali sono i<br />

progetti o le collaborazioni che vorresti realizzare in<br />

futuro?<br />

In realtà è molto semplice. Il mio desiderio è di continuare<br />

a produrre musica e di farlo sempre con il cuore, di vedere<br />

crescere i miei figli sani e felici e di poter essere presente,<br />

cantando, al momento della firma ufficiale del trattato di<br />

Pace tra Israele e Palestina. Inshallah!<br />

Prima di congedarci ci racconti qualche aneddoto<br />

della tua carriera?<br />

Ce ne sono tanti... Quello che posso dirvi è che sono stata<br />

molto fortunata al di la delle mie personali convinzioni e<br />

che fino ad ora la mia vita è stata molto interessante e<br />

piena di amore e di avventure. Per saperne di più dovrete<br />

attendere la mia biografia ufficiale che la casa editrice<br />

Rizzoli sta preparando e che verrà pubblicata alla fine<br />

dell’anno.<br />

Titolo Napoli - Tel Aviv<br />

Etichetta Sud Music / <strong>Egea</strong><br />

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JUAN CARLOS CACERES piano, voice, trombon<br />

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CARLOS el tero BUSCHINI bass<br />

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Javier Girotto sax<br />

David Pecetto bandoneon, accordeon<br />

Olivier Manoury accordina<br />

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«Il mio lavoro di ricerca si<br />

Chaiyya Chaiyya<br />

1<br />

radica profondamente nel mio<br />

patrimonio culturale. Sono<br />

estremamente 2 affascinato dalla 3<br />

vitalità della cultura popolare<br />

argentina»<br />

4<br />

Trombe e sassofoni, le melodie<br />

degli hits attuali e classici della<br />

5 6<br />

filmografia di Bollywood, la voce di<br />

Rafaqat Ali Khan. Un piacere.<br />

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interpretata in un modo originale<br />

di origini spagnole. Una serie di<br />

20 ed innovativo. 21 22 23 brani 24 originali nel più puro 25 stile<br />

flamenco.<br />

8-07-2010 10:45:17<br />

Ustad Shujaat Husain<br />

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Dil 8<br />

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Nuovo CD del più comunicativo<br />

ed affascinante musicista del Nord<br />

India di oggi.<br />

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A sound from the Black Sea<br />

Uno dei pochi, se non l'unico, CD<br />

Da Samarcanda a Costantinopoli<br />

11 disponibile 12 sul nostro mercato 13 14 15<br />

che illustra la musica del Tulum,<br />

Brani della Tradizione Classica<br />

cornamusa del Mar Nero. Una<br />

Ottomana e Persiana interpretati<br />

piccola scoperta.<br />

da un ensemble arricchito dalla<br />

voce di Sepideh Raissadat<br />

Opposite People<br />

17<br />

The Music of Fela Kuti<br />

11 classici del compositore<br />

nigeriano in versioni originali,<br />

sorprendentemente fresche<br />

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vol. 7 - Mahmoud Dopo le Ahmed intense esplorazioni & Songs del<br />

Erè mèla mèla repertorio 1975 balcanico i Tri Muzike<br />

coniugano in questo vol. nuovo 13 - CD The la Golden<br />

vol. 8 - Swinging tradizione Addis dell’Est con Seventies quella - della Ethiopian Groove<br />

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1972/1974<br />

vol. 17 - Tlahoun Gèssèssè<br />

Un elogio vol. laico 23 - al Orchestra libero Ethiopia<br />

vol. 18 - Asguèbba ! territorio<br />

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del’anima,<br />

24 - L'age<br />

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vol. 19 - Mahamoud Ahmed<br />

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BLACK HISTORY IN ACTION<br />

FESTIVAL MONDIAL DES ARTS NEGRES<br />

testo di Mauro Zanda<br />

foto di Joelle Caimi<br />

«Questo festival è la celebrazione di ciò che siamo oggi in quanto africani e figli della diaspora, ma anche un simposio su<br />

ciò che saremo tra 20 o 30 anni. This is history in action».<br />

Non teme i toni enfatici il drammaturgo afro-britannico<br />

Kwame Kwei-Armah - coordinatore artistico del Festival<br />

Mondial des Arts Negres - nel tracciare un profilo storicista<br />

dell’attesa terza edizione. L’epocale kermesse panafricana,<br />

dopo 44 anni, è tornata infatti lo scorso dicembre nel luogo<br />

in cui venne originariamente concepita dal presidentepoeta<br />

Leopold Sedar Senghor: Dakar, Senegal. Sette<br />

miliardi di euro spesi, 6000 artisti coinvolti, delegazioni<br />

provenienti da 80 paesi del mondo. Un evento sontuoso,<br />

non c’è dubbio. A ben guardare, non solo in termini storici<br />

o numerici; rappresentazione ipertrofica e ambiziosa<br />

di un’Africa differente, fiera e programmaticamente<br />

“rinascimentale”.<br />

Per questo ritorno in grande stile, la rassegna ha scelto<br />

infatti uno sguardo contemporaneo, legato con orgoglio alle<br />

proprie radici, ma rivolto senza troppa nostalgia alla forza<br />

propulsiva del qui e ora africano. Un fermento culturale,<br />

artistico e in parte economico, che per molti prefigura<br />

ormai un autentico rinascimento. Uno sguardo rivolto<br />

scientemente all’intera diaspora, sorta di internazionalismo<br />

nero che ha visto coinvolti anche artisti e intellettuali cubani,<br />

afro-americani e brasiliani; quest’ultimi ospiti d’onore di un<br />

Les Go de Koteba<br />

Festival che – tra le altre cose – anticipava l’apertura del<br />

Centro de Música Negra a Salvador de Bahia, prevista per<br />

luglio 2011.<br />

È un carattere inscritto nel suo Dna sin dalla prima edizione,<br />

1966, che ospitava Duke Ellington, Clementina de Jesus<br />

e il grande capoeirista bahiano Mestre Pastrinha; così<br />

come nella seconda, FESTAC 77 a Lagos, che vide tra i<br />

suoi protagonisti Stevie Wonder e Gilberto Gil. Altri<br />

due aspetti rilevanti sono stati il taglio multidisciplinare,<br />

e la dislocazione multifocale. Fedele alla sua vocazione<br />

universalista, la kermesse ha inteso infatti raccontare la<br />

contemporaneità delle arti nere nella sua accezione più<br />

ampia. E così, accanto al potentissimo vettore musicale,<br />

hanno goduto di piena cittadinanza anche moda,<br />

letteratura, poesia, cinema, design, arte visuale e urbana,<br />

architettura tradizionale, artigianato, danza, teatro, nuove<br />

tecnologie e sport (con la mitica lotta senegalese in prima<br />

fila). Una giostra d’espressività nera a 360°, completamente<br />

gratuita, che non poteva che prender forma secondo una<br />

disposizione a macchia di leopardo che ha invaso tutta la<br />

città, ma anche la vicina Isola di Gorèe e la celeberrima<br />

Saint Louis, località turistica a circa 4 ore a Nord di Dakar.<br />

10 PRIMAVERA 2011


24 Mondomix.com / 360°<br />

Per ovvie ragioni di sintesi, in questa sede ci limiteremo a<br />

menzionare solo i luoghi principali che hanno animato le<br />

tre settimane: in primis la Place de l’Obélisque nel quartiere<br />

popolare della Medina dove - dal principe mandingo Salif<br />

Keita al giovane Seun Kuti, passando per il pioniere del<br />

reggae africano Alpha Blondy - si sono alternati tutti o<br />

quasi i grandi nomi della musica africana; con il pieno di<br />

presenze (oltre 100.000) fatto registrare durante la sera del<br />

29 dicembre, che ha sfoderato una micidiale coppia d’assi<br />

come Youssou N’Dour (nato proprio a Medina), e il profeta<br />

del conscious reggae Tiken Jah Fakoly, tornato a Dakar<br />

dopo circa due anni e mezzo d’interdizione, all’indomani<br />

di una controversia con le autorità senegalesi che ha finito<br />

per etichettarlo persona non grata.<br />

In mezzo a tanta grandeur, il pubblico - appassionato e<br />

partecipe come non ci capitava di vedere da tempo – ha<br />

inevitabilmente incarnato un meraviglioso spettacolo in sé:<br />

giovani e giovanissimi fan pronti a cantare ogni strofa, a<br />

ballare ogni singolo passo di danza, a godere fino all’ultimo<br />

respiro quei benedetti giorni di festa. Un misto di gioia,<br />

sfogo ed esuberante follia che non si è mai tradotto in un<br />

attimo di tensione, sempre alimentato piuttosto dall’amore<br />

smodato di chi, da troppo tempo, conosce figure di<br />

riferimento sempre e solo in ambito musicale.<br />

Altro luogo cardine attorno al quale si sono tenuti concerti,<br />

mostre e performance di danza tradizionale è stata la<br />

Maison de la Culture Douta Seck, anch’essa a Medina;<br />

in particolare val la pena segnalare un paio di eventi:<br />

lo spettacolare contest di danza e percussioni sabar e,<br />

soprattutto, la strepitosa installazione audio/video sulla<br />

storia della musica nera curata dai nostri fratelli maggiori<br />

di Mondomix Francia; un percorso interattivo che muoveva<br />

dalle icone nere di ogni tempo e luogo, raccontava nel<br />

dettaglio la musica africana (attraverso una scelta di tipo<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

geografico e antropologico), e approdava infine in un<br />

non-luogo animato dai frutti prelibati dei sincretismi afrodiasporici.<br />

Un excursus altamente suggestivo pensato e<br />

realizzato in sinergia con i partner senegalesi e brasiliani,<br />

che si trasferirà presto armi e bagagli proprio nel nascente<br />

Centro de Música Negra a Salvador de Bahia.<br />

Impossibile non citare poi la Biscuiterie nel quartiere Grand<br />

Dakar, ex fabbrica di biscotti riconvertita in stile berlinese a<br />

centro polifunzionale underground, con ristorante, musica<br />

e mostre permanenti. Proprie queste ultime - al di là dello<br />

spazio musicale, trasformato durante le tre settimane in<br />

una vetrina sui nuovi stili urbani, comprese performance di<br />

slam poetry – hanno rappresentato la principale attrattiva<br />

del posto: afro-design da adattamento creativo, visual arts,<br />

esposizioni fotografiche e brillanti installazioni letterarie<br />

hanno di fatto costituito l’epicentro culturale dell’intero<br />

Festival. Che però prevedeva anche l’area cinema a Place<br />

du Souvenir lungo la Corniche ouest, e un importante stage<br />

musicale presso il Monumento de la Renaissance Africaine,<br />

totalmente appannaggio dei Black Virtuoses; lì il 27<br />

abbiamo assistito ad una serata realmente speciale che ha<br />

visto alternarsi dapprima il balafonista ivoriano Aly Keita,<br />

poi il delizioso quartetto afro-jazz di Toumani Diabate e<br />

infine l’immenso Sekou ‘Diamond Fingers’ Diabate,<br />

chitarrista fondatore dei leggendari Bembeya Jazz, che<br />

assieme ad un pirotecnico quintetto (3 chitarre, basso e<br />

batteria) ha dato vita all’esibizione forse più divertente,<br />

geniale e trascinante dell’intera rassegna musicale; un<br />

concentrato di perizia tecnica, istrionismo teatrale ed<br />

improvvisi cambi di registro che ha letteralmente finito<br />

per infiammare la folla, fino a poco prima impietrita suo<br />

malgrado da un’improvvisa ventata d’aria gelida.<br />

Rinascimento africano si diceva. Più o meno il sottotesto<br />

esplicito di questa terza, sfarzosa edizione del Festival.<br />

Salif Keita<br />

Uno slogan d’impatto, va da sé; di certo a forte rischio<br />

retorico. All’interno delle mille round-table aperte sul tema,<br />

però, se ne è provato a discutere anche in seri termini<br />

economici. In particolare si è mostrato particolarmente<br />

fiducioso l’economista egiziano Samir Amin, direttore del<br />

Third World Forum, che ha sostenuto con forza la «crescita<br />

dolce e costante» del motore economico continentale<br />

e ribadito con assoluta convinzione l’idea che l’Africa<br />

rivestirà un ruolo di primaria importanza negli scenari<br />

mondiali prossimi venturi.<br />

Dunque tutti contenti, tutto perfettamente calibrato e<br />

riuscito? Ad onor del vero, no. Con un presidente a dir poco<br />

ingombrante come Abdoulaye Wade - 84 anni, fama da<br />

boss e prossimo alla terza candidatura - le polemiche non<br />

mancano mai. Perché è vero che il Senegal rappresenta<br />

una delle governance africane storicamente più stabili, ma<br />

è altrettanto vero che nella classifica della corruzione di<br />

Transparency è piazzato decisamente male: quota 105 su<br />

178 Paesi. Un paese che vive attorno alla soglia di povertà<br />

(740 euro l’anno di reddito procapite) e che, dinanzi alla<br />

maestosa opulenza dispiegata dalla macchina del Festival,<br />

ha giustamente chiesto conto dei costi di quest’abile<br />

operazione di marketing culturale. Il presidentissimo, dal<br />

canto suo, si è affannato più volte a sottolineare che una<br />

Dakar<br />

25<br />

Seun Kuti<br />

parte di essi era stata coperta dagli sponsor privati e che<br />

c’era comunque stato un importante indotto turistico;<br />

ovviamente magnificato e amplificato ogni ora all’unisono<br />

dalle generose tv di Stato. La cosa però, a conti fatti, si è<br />

rivelata solo parzialmente vera, perché di turisti in giro se ne<br />

sono visti pochini e le stanze negli alberghi sono sembrate<br />

per lo più disponibili durante tutte e tre le settimane. Tutto<br />

ciò non ci esime però dall’esprimere, seppur dall’esterno,<br />

un concetto netto, senza perifrasi: l’assoluto bisogno di<br />

siffatti azzardi culturali. Lo necessita il resto del mondo,<br />

intrappolato in una visione dell’Africa troppo spesso<br />

artefatta o manichea, tutta fame, carestie, povertà e carità<br />

pelose; lo necessitano forse gli africani stessi, logorati nel<br />

migliore dei casi da politiche di aggiustamento strutturale<br />

che han finito tutt’al più per conservare l’esistente. C’è<br />

bisogno di rilanci spavaldi e forse anche un po’ incoscienti<br />

per ricordare al globo intero l’ineluttabile centralità africana:<br />

le sue incommensurabili ricchezze culturali, l’inesauribile<br />

fucina di talenti, l’influenza diretta o indiretta che il<br />

continente continua ad esercitare su artisti d’ogni risma e<br />

luogo. Certi che non passeranno altri 23 anni per assistere<br />

alla quarta edizione, curiosi di capire se si tradurranno in<br />

realtà i rumours che oggi indicano nel Brasile la prossima<br />

casa mondiale delle arti nere.<br />

10 PRIMAVERA 2011


26 Mondomix.com<br />

Abruzzo<br />

Gong (Pescara)<br />

Basilicata<br />

Shibuya (Matera)<br />

Hobby Music (Potenza)<br />

Calabria<br />

Il Pentagramma (Crotone)<br />

Campania<br />

Top Dischi Di Minicozzi Luigi (Benevento)<br />

Juke Box (Caserta)<br />

Casa Del Disco (Faenza – Ra)<br />

Diapason (Napoli)<br />

Tattoo Records (Napoli)<br />

Disclan (Salerno)<br />

Idea Disco (Sorrento – Na)<br />

Emilia Romagna<br />

Disco Frisco (Bologna)<br />

Max Records (Modena)<br />

Folk Studio (Ravenna)<br />

Discoland (Reggio Emilia)<br />

Friuli Venezia Giulia<br />

Musicatelli (Pordenone)<br />

Vilevich Fausto (Trieste)<br />

Angolo della Musica (Udine)<br />

Lazio<br />

Arion Z (Roma)<br />

Gelmar Novamusa (Roma)<br />

L'Allegretto (Roma)<br />

Discoteca Laziale (Roma)<br />

Libreria Mel Bookstore (Roma)<br />

Liguria<br />

Music Store (Genova)<br />

Jazzanto (Genova)<br />

Casa Del Disco (Rapallo – Ge)<br />

Lombardia<br />

Cavalli Strumenti Musicali (Castrezzato – Bs)<br />

F.Lli Frigerio (Como)<br />

Carù (Gallarate – Va)<br />

Buscemi Dischi (Milano)<br />

La Cerchia (Milano)<br />

Libreria Carla Sozzani (Milano)<br />

Norma Libri (Milano)<br />

Casa Del Disco (Varese)<br />

Marche<br />

Musiquarium (Porto Sant'elpidio - AP)<br />

Dove trovare Mondomix<br />

Piemonte<br />

Costanzo (Casale M.to – Al)<br />

Musica (Cuneo)<br />

Pace Music (Nizza Mto – At)<br />

Merula Marco (Roreto Di Cherasco - Cn)<br />

Onde (Torino)<br />

Puglia<br />

Centro Musica (Bari)<br />

Youm! Youmusic (Lecce)<br />

Sicilia<br />

Graffagnini Distribuzione (Catania)<br />

Magic Music (Ragusa)<br />

Sardegna<br />

Alta Fedeltà (Cagliari)<br />

Travelling Music (Oristano)<br />

Toscana<br />

Alberti (Firenze)<br />

Twisted (Firenze)<br />

Materiali Sonori (San Giovanni Valdarno – Ar)<br />

Discolaser (Siena)<br />

Trentino Alto Adige<br />

Altri Suoni (Bolzano)<br />

Diapason Music Point (Rovereto – Tn)<br />

Umbria<br />

<strong>Egea</strong> Store (Perugia)<br />

Mipatrini 1962 (Perugia)<br />

Valle d'Aosta<br />

Il Disco (Aosta)<br />

Veneto<br />

Discoteca Pick Up (Bassano del Grappa – Vi)<br />

Drop Sound (Conegliano - Tv)<br />

Disco Frisco (Treviso)<br />

Gabbia (Padova)<br />

Musical Box (Portogruaro – Ve)<br />

Mezzoforte (Treviso)<br />

Saxophone (Vicenza)<br />

10 PRIMAVERA 2011 10 PRIMAVERA 2011<br />

27<br />

Bari Via Melo, 119<br />

Bologna Via Ugo Bassi 1/2<br />

Brescia C.so Zanardelli 3<br />

Catania Via S. Euplio 38<br />

Firenze Via Brunelleschi 8R<br />

Genova Via Fieschi 20 r<br />

Mestre Centro Le Barche P.zza XXVII Ottobre 1<br />

Milano Piazza Piemonte 1<br />

Milano C.so Buenos Aires 33/35<br />

Milano Via Ugo Foscolo 3 (Gall. Vitt. Emanuele II)<br />

Monza Via Azzone Visconti, 1<br />

Napoli Via Santa Caterina a Chiaia, 23<br />

Padova Piazza Garibaldi 1<br />

Roma Via del Corso 506<br />

Roma Galleria A. Sordi, Piazza Colonna 31/35<br />

Roma Largo Torre Argentina, 7/11<br />

Roma Viale G. Cesare, 88<br />

Roma C. Comm.le Forum Termini<br />

Roma Viale Marconi 184,186,188,190,192,194<br />

Roma Viale Libia 186<br />

Roma Via Camilla 8/C<br />

Salerno C.So Vittorio Emanuele I, 230<br />

Salerno C.so Vittorio Emanuele 131/133<br />

Torino Piazza C.L.N. 251<br />

Firenze Via San Quirico 165 (Campi Bisenzio)<br />

Genova Via XX Settembre, 46/R<br />

Milano Via della Palla, 2<br />

Napoli Via Luca Giordano, 59<br />

Roma Via Alberto Lionello, 201<br />

Torino Via Roma, 56<br />

Torino Shopville Le Gru<br />

Verona Via Cappello, 34<br />

Consulta la versione<br />

digitale interattiva di<br />

Mondomix Italia<br />

da www.mondomix.com


28 Mondomix.com / 360° Persia<br />

Suoni Persiani<br />

di Giovanni De Zorzi<br />

La musica e la poesia sono state nei millenni il fiore<br />

della cultura di lingua persiana, di riferimento in un’area<br />

geoculturale che va dal Caucaso al mondo ottomano/turco<br />

sino all’Asia centrale, ai territori afgani e indopakistani, alla<br />

Cina nord occidentale.<br />

Per poter entrare in quest’area si consiglia al viaggiatore<br />

di non farsi confondere da due cartelli stradali: “Iran”<br />

e “Persia”. Il primo nasce poco fa, il 22 Marzo 1935, e<br />

non porta molto lontano: in quei tempi ribattezzare “Iran”<br />

il paese noto sin dal VII a.C. come “Persia” (Fars) aveva<br />

soprattutto un valore politico; ricollegarsi alle remote genti<br />

indoeuropee dette “arie” o “ariane” (ârya), giunte dalla<br />

piana indogangetica verso il terzo millennio a.C., significava<br />

invece voler ritornare alle proprie “origini”, mitiche e<br />

mitizzate, per ricominciare giovani e forti lasciando da<br />

parte il lungo passato culturale “persiano” finito il giorno<br />

prima. Qualcosa di simile era successo quando nel 1923<br />

la Turchia si ribattezzava Turkiye Cumhuryieti rifacendosi<br />

alle antiche genti turche (türk) d’origine centroasiatica,<br />

cancellando d’un solo colpo il suo plurisecolare passato<br />

ottomano. In entrambi i casi, però, le arti si erano formate<br />

durante il periodo persiano, oppure ottomano. Ora, benché<br />

da alcuni decenni gli iraniani definiscano la loro musica<br />

come “musica iraniana”, generalmente si considera più<br />

corretto parlare di musica, di poesia, di calligrafia, di<br />

miniatura “persiana”, integrando eventualmente il termine<br />

con “iraniano” ad indicare gli svolgimenti post-1935 e la<br />

contemporaneità.<br />

Come per le tradizioni musicali di quelle società che gli<br />

antropologi definiscono “società complesse”, anche per<br />

la musica persiano/iraniana si distinguono oggi alcune<br />

correnti principali che questa guida minima può solo<br />

indicare come farebbe una Lonely Planet: la raffinata<br />

tradizione di musica “classica”, “colta” (dastgâhi, radifî);<br />

i generi e le composizioni sorte per animare gli incontri<br />

spirituali dei dervisci (samâ, zekr); i repertori “della<br />

moschea”; la tradizione delle zurkhâne; le tradizioni<br />

“regionali” o “etniche”; la musica urbana leggera (motrebî)<br />

e il vitalissimo “pop” sviluppatosi nella diaspora iraniana<br />

di Los Angeles (losanjelesî), importato e consumato più o<br />

meno di nascosto in Iran.<br />

La tradizione cLassica<br />

La musica classica persiana viene detta “del radîf” (radîfî),<br />

termine che significa “sistema, struttura, ordinamento” ed<br />

indica l’ordinamento sistematico dello sparso materiale<br />

melodico preesistente di tradizione orale. Un simile<br />

ordinamento iniziò verso la seconda metà del XIX secolo,<br />

quando alcuni grandi maestri formularono il proprio<br />

particolare radîf nel quale sistematizzavano le molte melodie<br />

dette gushe (“sezione”), giunte loro dal proprio maestro, in<br />

un sistema di dodici/quattordici modi musicali detti dastgâh<br />

e avâz. Di solito si trova il termine radîf accompagnato dal<br />

nome del maestro al quale si deve la raccolta, preceduto dal<br />

nome dello specifico dastgâh adottato, che può contenere<br />

dalle 10 alle 60 gushe. Si avrà, ad esempio: dastgâh-e<br />

Shur, radîf di Sabâ; dastgâh-e Mahûr, radîf di Aqâ Hossein<br />

Qoli, e così via.<br />

Tra i leggendari maestri vanno ricordati ‘Ali Akbar Farahâni<br />

(m. 1857), famoso suonatore di liuto târ, i suoi due figli<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

Hoseyn Qoli (m. 1915) e Mirzâ ‘Abdollâh (1845-1918)<br />

insieme a suo fratello Aqâ Gholâm Hoseyn che li educò<br />

dopo la sua prematura scomparsa. Tra i maestri della<br />

generazione seguente vanno ricordati Darvish Khân (1872-<br />

1926) e Abolhasan Sabâ (1902-1957). La loro scuola fu<br />

continuata da Hâjji Aqâ Mohammad Irâni (1871-1971),<br />

Yusof Forutan (1901-1979), Musâ Ma‘rufi (1889-1964), Nur<br />

‘Ali Borumand (?-1976), Dariush Talâ‘i (n. 1952). Come per<br />

la maggioranza delle tradizioni musicali classiche sorte in<br />

area islamica, anche nel radîf è fondamentale il concetto di<br />

“forma ciclica”, o di “suite” così che in un concerto i vari<br />

brani sono inanellati fra loro.<br />

tradizioni dei dervisci<br />

Nel IX secolo d.C., tra i circoli di dervisci che si riunivano<br />

nella vicina Baghdad, nasceva un particolare tipo di<br />

incontro cerimoniale detto samâ (audizione, ascolto,<br />

concerto spirituale) assai diffuso ancor oggi tra le molte<br />

confraternite sufi che percorrono il mondo islamico. Durante<br />

i primi samâ si ascoltava soprattutto la cantillazione del<br />

Corano in uno stato di profondo raccoglimento interiore. In<br />

quest’atmosfera sospesa, per diversi motivi gradualmente<br />

l’ascolto si spostò sulla poesia e sul suono di strumenti<br />

musicali ascoltati “con un altro orecchio”, come avrebbe<br />

detto più tardi Mowlana Jalâl ud-Dîn Rûmî (1207-1273).<br />

Da un simile ascolto potevano nascere stati alterati di<br />

coscienza sui quali si sofferma la trattatistica. Nella<br />

concezione sufi sviluppatasi nei secoli il samâ è gadhâ-yi<br />

rûh, (“nutrimento dello spirito”) e la pratica della musica<br />

è una via di affinamento interiore. Al di fuori di singole<br />

confraternite, l’estetica della musica persiana è sempre<br />

permeata dal sufismo (tasavvof) sin dagli stessi testi<br />

cantati, prevalentemente composti su temi di carattere<br />

erotico/mistico.<br />

Oltre al samâ l’altra grande tradizione sonora diffusa tra<br />

i dervisci è lo zekr (arabo classico dhikr) traducibile con<br />

“ricordo, ripetizione, menzione”. Nel corso dei secoli<br />

all’interno di ogni confraternita si venne formando un<br />

proprio autonomo e particolare tipo di zekr, vocale (jâhri)<br />

o silente (khâfi), individuale o collettivo, caratterizzato<br />

da determinate sequenze di nomi divini, inframmezzati<br />

da invocazioni, preghiere, canti, poesie e spesso<br />

accompagnati da strumenti musicali. Vanno ricordati gli<br />

specifici repertori per il samâ e per lo zikr sorti in seno a<br />

confraternite quali la qâdiriyya o gli ‘Ahl-i Haqq, entrambe<br />

centrate nel Kurdistan iraniano, oppure tra i qalandari del<br />

Baluchistan.<br />

tradizioni “deLLa moschea”<br />

Repertori vocali come la recitazione del Corano oppure il<br />

richiamo alla preghiera (azan) non sono considerati “canto”<br />

e ancor meno “musica” dai religiosi. Per quanto riguarda la<br />

sofisticata, melodizzata, recitazione del Corano gli studiosi<br />

adoperano allora il termine “cantillazione”, ad indicare una<br />

pratica che sta tra canto e recitazione. Nell’Islam iraniano<br />

la cantillazione coranica è stata il modello estetico di<br />

riferimento per ogni tipo di “canto” secolare e molti tra i<br />

maggiori cantanti professionisti ebbero una formazione<br />

iniziale come qâri‘ (“recitatore coranico”) o proseguirono<br />

parallelamente questa loro attività.<br />

Particolari ed esclusivi della tradizione sciita sono<br />

alcuni rituali come la Rowzeh, ciclo lirico di carattere<br />

devozionale dedicato agli episodi di martirio dei primi<br />

imam sciiti, eseguiti da cantori specialisti, durante incontri<br />

che si tengono all’interno di moschee o in case private<br />

e che conducono i presenti a forti stati emozionali. Più<br />

complesso e articolato è il “dramma sacro” ta‘ziyeh, nel<br />

quale vengono ripercorsi (e rivissuti) alcuni episodi relativi<br />

al martirio dell’Imam Hossein, eseguiti da gruppi di devoti<br />

o da compagnie di cantori e musicisti professionisti<br />

La tradizione deLLe zurkhâne<br />

Zurkhâne significa letteralmente “casa della Forza” e<br />

indica un luogo paragonabile al ginnasio del mondo greco<br />

ellenistico, nel quale gli atleti si impegnano ancor oggi in<br />

esercizi ginnici e in arti marziali di remota tradizione. Gli<br />

esercizi sono tutti ritmati da un tamburo “a calice” zarb più<br />

grande del normale detto zarb-e zurkhâne. Sullo strumento<br />

si accompagna un cantore (morshed) depositario di un<br />

patrimonio di versi provenienti dalla poesia medioevale e<br />

dall’epica preislamica.<br />

Le tradizioni etniche o “regionaLi”<br />

Nell’attuale Iran esistono numerosi gruppi etnici, spesso<br />

nomadi, e le musiche regionali sono strettamente correlate<br />

con le molte lingue parlate. La lingua persiana (farsi) non è<br />

l’unica lingua indoeuropea parlata in Iran: vi sono le lingue<br />

kurde Sorani e Kurmanji e il Baluch. Molte sono le lingue<br />

turche: tra esse l’azero, assai diffuso nel Nord Ovest del<br />

paese, ai confini con l’Azerbaijan, così come la lingua dei<br />

Qashqa’i, tribù che vivono nell’Iran centrale, o quella dei<br />

turkmeni, che vivono tra il Mar Caspio e il Khorasan. A<br />

prescindere dalle rispettive lingue, questi gruppi etnici<br />

sono legati al concetto di “area” più che di nazione, e<br />

vivono al di là, o al di qua, di dati confini sorti in tempi<br />

recenti. La musica dei Baluchi, ad esempio, risuona tra<br />

Iran e Pakistan; quella del Khorasan tra Afghanistan<br />

e Iran nordorientale. Le musiche dei kurdi d’Iran sono<br />

comuni con quelle dei kurdi di Turchia, Siria, Armenia e<br />

Iraq. Trasversale alle svariate culture musicali regionali è<br />

la presenza del cantastorie/bardo/trovatore detto spesso<br />

ashıq (“amante, folle d’amore”).<br />

Di recente le tradizioni “etniche” - vive, ritmate, colorate<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

29<br />

e dai contenuti “leciti” - hanno conosciuto una vera e<br />

propria moda, così che per la prima volta nella storia vi<br />

sono registrazioni e Festival interamente dedicati a questi<br />

generi. Strumenti musicali dei repertori “regionali” vengono<br />

ora accolti negli ensembles di musica classica, con effetti<br />

curiosi che solo il tempo saprà valutare.<br />

La musica urbana Leggera (motrebî) e iL LosanjeLesî<br />

Sin dai primi decenni del 1900 nacque un “genere urbano<br />

leggero” detto motrebî di gran successo sino alla rivoluzione<br />

islamica del 1979 che lo considerò “riprovevole”. Da allora<br />

sino a pochi anni fa l’Iran ha infatti esercitato una stretta<br />

censura sulla musica che nasceva all’interno del paese<br />

così come sulle musiche che giungevano dall’estero, con<br />

punte paradossali sull’import/export di strumenti musicali.<br />

Oggi il mercato musicale sembra essere più aperto, o<br />

forse più permeabile, nonostante rimangano vive forti<br />

censure verso generi come l’hard rock, il rap o certo pop.<br />

Una prova di questa permeabilità è data dalla diffusione<br />

in Iran di un genere nato tra le comunità della diaspora<br />

iraniana negli USA come quella di Los Angeles. Di fronte<br />

all’invasione della canzone losanjelesî in Iran, via etere o<br />

tramite la rete, si è finito per autorizzare la produzione di<br />

una “musica per i giovani” che è tutta “Made in Iran”, ma<br />

con testi “corretti” secondo i canoni esposti qui a fianco<br />

da Sadighi, che lasciano il tempo che trovano mentre tutto<br />

scorre e muta sull’amato altipiano.<br />

Iran. Les maîtres de la musique<br />

traditionnelle, Volume 1<br />

Ocora Radio France<br />

Iran. Les maîtres de la musique<br />

traditionnelle, Volume 2<br />

Ocora Radio France<br />

Iran. Les maîtres de la musique<br />

traditionnelle, Volume 3<br />

Ocora Radio France<br />

Iran. Mohammad Reza Shadjarian.<br />

Musique classique Persane<br />

Ocora Radio France<br />

Iran. Bardes du Khorassan<br />

a cura di Ameneh Youssefzadeh<br />

Ocora Radio France<br />

Jean During<br />

Musiche d’Iran.<br />

La tradizione in questione<br />

Ricordi / BMG


30 Mondomix.com / 360° Persia<br />

Chiacchierando con Ramin Sadighi<br />

di Giovanni De Zorzi<br />

Quando e com è nata l’etichetta Hermes?<br />

La musica è sempre stata la mia occupazione principale;<br />

avendo un padre musicista, Fereydoun Sadighi, posso dire<br />

di aver cominciato sin dall’infanzia. Più tardi, notando come<br />

l’intera industria discografica di qui fosse concentrata solo<br />

sulla musica classica persiana, su quella Folk e sul Pop,<br />

mi sono reso conto di come esistesse una vasta area di<br />

musiche che semplicemente non avevano la possibilità<br />

di raggiungere un pubblico. Pensando che il tesoro<br />

musicale persiano potesse essere un ottimo trampolino<br />

per sperimentazioni e approcci nuovi, mi sono tuffato, e<br />

invece di fare musica io stesso ho cominciato a cercare<br />

di facilitare gli altri. Ho cominciato nel 1999 esponendo la<br />

mia visione ai molti amici musicisti; l’idea piaceva a tutti e<br />

con quegli amici collaboro ormai da molti anni. Ci fu anche<br />

un forte incoraggiamento da parte dei musicisti amici di<br />

mio padre. Insomma: molti di quelli che collaborano con<br />

la Hermes sono miei amici oppure artisti che provengono<br />

dalla cerchia di mio padre.<br />

Quali sono i generi musicali che intende registrare?<br />

Difficile da dire. Direi che so solo cosa non voglio fare:<br />

Pop, musica classica persiana e Folk. Il resto è campo<br />

aperto. Se oltre al lato estetico vogliamo comprendere<br />

negli obiettivi anche l’aspetto amministrativo, allora direi<br />

che l’obiettivo è quello di proteggere i diritti dei musicisti<br />

e facilitarli nell’essere creativi in un contesto gioioso.<br />

Ma altri direbbero che più che altro facciamo musica<br />

d’avanguardia…<br />

D’avanguardia?<br />

Sì, so bene che il termine è stato usato e logorato nelle<br />

maniere più diverse, ma non saprei descrivere altrimenti<br />

quello che facciamo. Il nostro slogan è: “Musica per la<br />

Musica” ed è l’unica cosa in cui credo. Per sperimentazione<br />

intendo il cercare di non fare musica classica persiana<br />

standard ma, invece, tentare nuove interpretazioni che<br />

possono accogliere influenze jazz, musica moderna,<br />

cercare commistioni, fusioni…<br />

Com’è la vita di un’etichetta nell’Iran contemporaneo?<br />

Ci sono regole che rendono il fare musica una cosa molto<br />

burocratica! E talvolta problematica. Dalla rivoluzione<br />

islamica in poi per pubblicare un disco serve un permesso<br />

che dev’essere accordato dal Dipartimento per la Musica<br />

del Ministero della Cultura. Per poter pubblicarlo devi<br />

innanzitutto spedire il lavoro al comitato. Se danno il loro<br />

benestare, ti viene data una licenza di stampa e puoi<br />

passare alle fasi successive: stampa e distribuzione. I<br />

criteri fondamentali per la commissione giudicatrice del<br />

Ministero sono quattro, e sono connessi soprattutto con la<br />

musica vocale: i contenuti del testo non devono offendere<br />

la religione; non devono offendere il governo; non devono<br />

essere troppo erotici e non possono essere cantati da<br />

una voce di donna (…ma se la melodia viene cantata da<br />

due donne, o da un coro misto di uomini e donne allora<br />

è lecito!...) Naturalmente nei decenni c’è stata una grande<br />

battaglia su questo punto, ma il governo proibisce ancor<br />

oggi alle cantanti di cantare in pubblico: non chiedermene<br />

la ragione, non la sappiamo nemmeno noi! Al di là della<br />

censura, l’altra grande guerra è quella di tutte le altre<br />

etichette del mondo: il mercato, le basse percentuali di<br />

guadagno e la pirateria…pensa che l’Iran non ha firmato<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

nessuna delle norme sul diritto d’autore…la pirateria<br />

è davvero il problema maggiore. È triste come proprio il<br />

settore governativo del mercato sia quello che beneficia<br />

maggiormente di questa situazione lacunosa: le emittenti<br />

nazionali (in Iran non ci sono emittenti private) usano<br />

musica senza autorizzazione e senza pagare diritti.<br />

Com’è la situazione musicale nell’Iran contemporaneo?<br />

Creativa e in movimento. All’inizio non pensavo che ci<br />

fosse un simile entusiasmo tra i musicisti persiani per la<br />

sperimentazione, ma oggi la scena è davvero carica e<br />

anche l’interesse all’estero sta crescendo.<br />

Chi sono tra i giovani i solisti e gli interpreti che<br />

preferisci?<br />

Nella mia lista di musicisti favoriti ci sono: Peyman<br />

Yazdanian, Hooshyar Khayam, Martin Shamoonpour,<br />

Ankido Darash, Ali Boustan e Christophe Rezai.<br />

Visioni Persiane<br />

Agit prop all’iraniana<br />

di Enrico Verra<br />

Iran 1979: sotto i colpi della rivoluzione komeinista cade il<br />

regime dello Scià.<br />

Nel 1980 la neonata repubblica teocratica lancia la<br />

rivoluzione culturale per affermare il sogno, totalizzante, di<br />

una cultura islamica, nazionale e indipendente, in radicale<br />

opposizione alle tendenze filo occidentali che avevano<br />

caratterizzato il regime di Reza Pahlavi.<br />

A partire dalla fine degli anni 80 il cinema iraniano, prodotto<br />

dalle strutture pubbliche dello stato degli ayatollah, conosce<br />

uno sviluppo e un successo senza precedenti sul piano<br />

internazionale. Non c’è festival, da Berlino a Cannes, a<br />

Venezia, che non selezioni e premi i film della new wave<br />

iraniana. Nomi del calibro di Abbas Kiarostami, Dariyush<br />

Mehrijui, Moshen e Samira Makhmalbaf, Jafar Panahi<br />

diventano i nuovi idoli della cinefilia internazionale.<br />

Nel dibattito teologico sulle arti figurative che caratterizza<br />

il mondo mussulmano, l’islam sciita iraniano, a differenza<br />

dell’islam sunnita dei paesi arabi, ritiene che nel Corano<br />

non ci sia esplicita proibizione di creare immagini di esseri<br />

umani. Inoltre molti religiosi sciiti rivendicano una specificità<br />

nazionale che affonda le sue radici nella straordinaria cultura<br />

figurativa persiana e nella tradizione della miniatura.<br />

Per lo stato iraniano il cinema diventa così lo strumento<br />

ideale per dare visibilità al nuovo ordine islamico,ordine<br />

che il vecchio regime “ateo” e “immorale” aveva rinnegato.<br />

Il sogno della dirigenza komeinista è quindi l’invenzione e<br />

la diffusione massiccia di un cinema che non è lo specchio<br />

antropologico della società, ma la proiezione ideale della<br />

società iraniana.<br />

Abbas Kiarostami<br />

censure<br />

La rivoluzione komeinista, per dare visibilità al suo nuovo<br />

ordine ha bisogno di produrre un cinema islamico che non<br />

esiste da nessuna parte e impone al cinema il diritto di<br />

cittadinanza in cambio della sua islamizzazione.<br />

Questo si traduce in una sola parola: censura. O meglio,<br />

censure, perché investe ogni fase della realizzazione di un<br />

film, dalla sua scrittura alla sua uscita in sala.<br />

La sceneggiatura deve essere sottoposta al vaglio di<br />

specifiche commissioni per poter essere finanziata e<br />

realizzata. Sul set membri della polizia di controllo dei<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

31<br />

costumi verificano che un uomo non stia per troppo tempo,<br />

e da solo, vicino a una donna, nemmeno per ragioni<br />

professionali, che non discutano, che non ridano.<br />

La rigida separazione dei sessi impone una sala trucco per<br />

gli uomini e una per le donne, un truccatore per gli attori e<br />

una truccatrice per le attrici.<br />

Davanti alla cinepresa non si possono riprendere le donne<br />

senza velo e quindi è quasi impossibile girare scene con<br />

donne in interni, perché in casa le donne stanno a capo<br />

scoperto. Non si possono inquadrare contatti fisici di<br />

nessun genere tra uomo e donna perché, se nella finzione<br />

sono ad esempio marito e moglie, nella realtà i due attori<br />

che li interpretano non sono consanguinei.<br />

Si arriva al surreale con lo scandalo che suscitò nel<br />

regime la premiazione di Kiarostami a Cannes quando<br />

la Deneuve lo baciò consegnandoli la Palma d’Oro. Un<br />

contatto inamissibile secondo le regole correnti in Iran,<br />

con l’aggravante di essere stato ripreso dalle telecamere di<br />

mezzo mondo.<br />

E da un paradosso all’altro va fatto notare che, nelle sale<br />

cinematografiche iraniane, anche nei momenti di più forte<br />

contrasto con il satana americano hanno continuato ad<br />

essere proiettati i western hollywoodiani. Il western è il<br />

cinema americano per eccellenza ma agli ayatollah andava<br />

benissimo: è molto maschile e le donne non solo hanno ruoli<br />

secondari ma sono sempre castigatissime.<br />

Ovviamente il controllo sulla vita privata degli attori è<br />

fortissimo.<br />

E quando il film arriva in sala i manifesti che lo promuovono<br />

non devono avere figure femminili in primo piano. La sala,<br />

poi, è divisa, come i ristoranti, in un settore per uomini e<br />

in uno per donne accompagnate da un consanguineo. Non<br />

sono previste donne sole. Un rappresentante della polizia<br />

islamica circola con una pila nel buio della sala di proiezione<br />

per verificare che non si realizzino strani contatti tra i<br />

sessi…<br />

Attraverso la censura lo stato si concentra sui comportamenti<br />

e sull’apparenza fisica, una generazione di registi di<br />

grande talento si è trovata ad inventare un proprio stile e<br />

un linguaggio confrontandosi e scontrandosi con i limiti<br />

imposti dalla censura. Sono nate così specifiche immagini e<br />

particolari modi di raccontare che sono diventati il marchio<br />

di fabbrica della nuova ondata iraniana..<br />

strategie<br />

Il sistema politico iraniano è un sistema bicefalo. Accanto<br />

agli elementi classici (parlamento, presidente della<br />

repubblica, governo) c’è una Guida della rivoluzione, figura<br />

con una vocazione di orientamento spirituale, il cui peso<br />

politico supera enormemente quello attribuitogli dalla<br />

costituzione. Questo crea un parallelismo di poteri, dai piani<br />

alti dello stato fino alle più lontane ramificazioni. Parallelismo<br />

che si traduce nella costituzione di una serie di organi e<br />

gruppi islamici, che verificano ossessivamente la conformità<br />

dei comportamenti, in tutti gli ambiti, pubblici e privati, ai<br />

dettati dell’islam. Una vera e propria polizia esecutiva del<br />

verbo della guida. Esempio di questo dualismo è il controllo<br />

sul cinema che è diviso tra il Ministero della Cultura e<br />

dell’Orientamento Islamico, statale, e il Gran Consiglio della<br />

Rivoluzione Culturale alle dirette dipendenze della guida.<br />

Ovviamente ogni istituzione cerca di difendere la propria


32 Mondomix.com / 360°<br />

autonomia rispetto all’altra e questo contrasto ha permesso<br />

l’apertura di spazi di confronto e opposizione atipici in un<br />

sistema autoritario<br />

Di fronte a una censura imperante , sfruttando abilmente<br />

i contrasti istituzionali, spesso si è potuto avere da un<br />

istituzione il denaro e l’autorizzazione a realizzare un film<br />

che un’altra aveva proibito.<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

Jafar Panahi<br />

jafar panahi<br />

Queste strategie nel corso degli anni, in contemporanea con<br />

lo sclerotizzarsi del sistema, hanno spinto la situazione a un<br />

punto di rottura.<br />

I successi internazionali si sono rivelati, per la repubblica<br />

islamica, un inatteso strumento diplomatico da sfruttare a<br />

fondo per dare un immagine diversa dell’Iran all’estero, al<br />

punto che film proibiti in patria erano scaltramente inviati<br />

a rappresentare il paese nei festival internazionali. Ma ora<br />

la maggior parte degli autori iraniani sono stati costretti<br />

all’esilio per poter continuare a esprimersi. Il grande cinema<br />

porta con sè lo spettro della libertà, spettro diventato troppo<br />

ingombrante e terrificante per Ahmadinejad e Khamenei.<br />

Al punto tale che il 10 Marzo 2010 i servizi di sicurezza<br />

hanno arrestano il più interessante e provocatorio dei registi<br />

iraniani contemporanei Jafar Panahi voce e cinepresa<br />

dell’opposizione “verde” iraniana.<br />

Panhai è il regista che più di tutti ha sfruttato il suo stile per<br />

giocare a rimpiattino con la censura.<br />

Esordisce con Il Palloncino Bianco nel ’95, su sceneggiatura<br />

di Kiarostami e si aggiudica subito la Camera d’Or al festival<br />

di Cannes.<br />

Razieh, una bambina di sette anni, riceve dalla madre dei<br />

soldi per comprare un pesce rosso con cui festeggiare il<br />

capodanno, ma lungo la strada tra casa e il negozio perde<br />

il denaro in un tombino. Il film racconta la lotta per riuscirlo<br />

a recuperare. Comincia 85 minuti prima dello scoccare<br />

dell’anno nuovo, dura 85 minuti ed è ritmato da questo<br />

angosciante conto alla rovescia.<br />

Ma l’angoscia che il film racconta dietro l’apparente<br />

leggerezza è quella della controllatissima quotidianità<br />

iraniana in cui la bambina porta una boccata di liberatoria<br />

e anarchica aria fresca. Scegliere come protagonista una<br />

bambina è un perfetto escamotage per dribblare lacci<br />

e lacciuoli della censura. Una bambina può permettersi<br />

un’infinità di cose proibite a una donna adulta. A cominciare<br />

dal vestito: una gonna rossa (colore vietatissimo dalla<br />

censura perché troppo sensuale ) e sopra il ginocchio che si<br />

oppone alle lunghe e informi tuniche nere cui sono obbligate<br />

le donne. È un cinema del sottinteso che usa l’infanzia come<br />

alibi per parlare degli adulti.<br />

Ma il non detto del primo film diventa l’urlato de Il Cerchio,<br />

il film con cui Panahi si aggiudica il Leone d’Oro a Venezia<br />

nel 2000.<br />

Nel cinema iraniano c’è ovviamente una difficoltà di<br />

costruzione del personaggio femminile. Le donne sono<br />

il proibito per eccellenza e tuttavia hanno i ruoli principali<br />

in più di metà dei film prodotti in Iran ultimi venti anni.<br />

Per superare la censura i registi si sono trovati obbligati a<br />

costruirle come personaggi assolutamente positivi e questo<br />

ha finito per trasformarle nel motore dei racconti, facendo di<br />

loro delle protagoniste.<br />

Ma Panahi va oltre e attraverso la storia di otto donne, quasi<br />

tutte uscite dal carcere, redige un crudo e straordinario<br />

racconto sulla maledizione che è nascere donna in Iran. Tutto<br />

girato in esterni e in luoghi pubblici perché Panahi si rifiuta di<br />

filmare la surreale situazione delle donne coperte dal velo in<br />

casa propria. È un film di fughe continue. Sempre di corsa:<br />

contro il tempo (bus da prendere o aborto da fare) e contro<br />

gli ostacoli (poliziotti da evitare, barriere amministrative da<br />

superare) in uno stato di tensione emotiva quasi intollerabile.<br />

La cinepresa di Panahi non si posa mai su niente. Resta<br />

incollata alle sue protagoniste che ansiogenamente sono<br />

sempre intente a scappare da qualcosa. Arriva come una<br />

ventata d’aria fresca la spavalderia dipinta sul viso della<br />

prostituta che chiude il film.<br />

Una spavalderia che nasce tutta dallo stile con cui è girato.<br />

I dispositivi della censura preventiva iraniana mostrano,<br />

come in altri sistemi autoritari, una grande attenzione alla<br />

sceneggiatura e trascurano il potere evocatore dell’immagine<br />

filmata. La censura ha cercato di regolamentare l’immagine<br />

della donna sullo schermo ma Panahi è giunto attraverso il<br />

suo stile a restituire la sensualità del corpo femminile.<br />

Come conseguenza bloccano sine die l’uscita del film che a<br />

tutt’oggi è stato visto in Iran solo in rare proiezioni private.<br />

Genere classico del cinema iraniano nato dopo la rivoluzione<br />

komeinista è il dramma sociale che con realismo duro e<br />

spesso sordido evoca i temi legati alla miseria in cui lo scià<br />

aveva lasciato il paese.<br />

Questo realismo non sembra fatto per glorificare il regime<br />

nonostante caratterizzi film prodotti dallo Stato. Ma la<br />

rivoluzione si è fatta a nome dei diseredati (mostaz’afân)<br />

e sarebbe stato politicamente scorretto fare film sui ceti<br />

benestanti..<br />

Come conciliare diseredati e ottimismo politico? È una<br />

contraddizione irrisolvibile che Panahi sfrutta a suo<br />

vantaggio per realizzare Oro Rosso nel 2003, film che è<br />

il suo capolavoro. Sceneggiato da Kiarostami, un po’ film<br />

noir nel suo prendere spunto da un episodio di cronaca<br />

nera, un po’ Taxi Driver per come racconta la solitudine nel<br />

mondo (iraniano) contemporaneo è costruito come un lungo<br />

flash back. Il film inizia con la fine: una tragica rapina in una<br />

gioielleria in cui Hussein, il protagonista, resta imprigionato<br />

da una grata attivata dal sistema antifurto e si uccide<br />

Attore non professionista, afflitto da leggeri disturbi mentali,<br />

il protagonista ha qualcosa di Thelonius Monk: un berretto<br />

sempre schiacciato in testa, un fisico grassoccio da adultobambino,<br />

un’attitudine di opposizione muta al mondo e<br />

all’ingiustizia. Proletario dei quartiere poveri di Teheran,<br />

vive consegnando pizze a domicilio nelle zone ricche della<br />

città. Con il suo stile peculiare Panahi non molla un attimo il<br />

pedinamento del suo protagonista e ci obbliga a un viaggio<br />

incubo nelle disfunzioni dell’Iran contemporaneo. Portando<br />

pizze Hussein intravede al di là degli usci l’opulenza di una<br />

borghesia nascente che fa in casa quello che gli è proibito<br />

fuori. Tipica schizofrenia iraniana uno spazio pubblico<br />

costantemente controllato e uno spazio privato in cui si<br />

leggono i libri proibiti, si vedono i film occidentali comprati<br />

al mercato nero e si fa festa. Ma ciò che Hussein vede non<br />

gli piace per nulla. Vede il fallimento delle illusioni di una<br />

rivoluzione che aveva promesso il riscatto dei diseredati.<br />

Vede il paradosso di un sistema sclerotizzato che cerca di<br />

fare rispettare un ordine assurdo a una società, anche in Iran,<br />

ormai totalmente dominata dal denaro. Vede il disprezzo dei<br />

ricchi verso i poveri.<br />

Con il procedere del film nasce una formidabile empatia<br />

Persia<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

33<br />

esistenziale tra lo spettatore e il protagonista. Arriviamo a<br />

condividere un sentimento di ingiustizia e solitudine senza<br />

via d’uscita.<br />

L’unica uscita possibile è una rapina fallimentare. E non<br />

resta che spararsi.<br />

Jafar Panahi più in là non poteva andare. Il film viene<br />

totalmente proibito in Iran e Panahi gira il suo ultimo<br />

lavoro praticamente in clandestinità, realizzando in video<br />

una sceneggiatura diversa rispetto a quella che aveva<br />

consegnato alle autorità: Off Limits<br />

Otto giugno 2006 partita di qualificazione per i mondiali di<br />

calcio: Iran contro Bahrein.<br />

Le donne non possono entrare nello stadio. Quelle che<br />

riescono ad infiltrarsi clandestinamente vengono acciuffate<br />

e trattenute in una sorta di recinto costruito a ridosso dello<br />

stadio stesso sotto l’occhio vigile di alcuni soldati. Scandito<br />

dalla cronaca della partita che si svolge a pochi metri da<br />

loro ma che non possono vedere il film racconta il rapporto<br />

che si costruisce tra questo manipolo di donne e i soldati<br />

che le tengono in arresto. Donne ben diverse da quelle del<br />

Cerchio, donne che non accettano la loro condizione e<br />

cercano di ribellarsi. Donne di un possibile Iran futuro.<br />

Ultima tappa della coraggiosa ribellione di un regista.<br />

Il dieci marzo 2010 Panahi è arrestato sotto l’accusa di<br />

attentare alla sicurezza dello stato. Dichiara ai giudici :<br />

“Non capisco il delitto di cui sono accusato. Se queste<br />

accuse sono vere, non sono solo io a essere processato,<br />

ma la coscienza sociale e artistica del cinema iraniano, un<br />

cinema che cerca di tenersi al di là del bene e del male, un<br />

cinema che non giudica, né si arrende al potere o denaro,<br />

ma cerca di riflettere onestamente un’immagine realistica<br />

della società.”<br />

Il 20 dicembre 2010 Jaffar Panahi è stato condannato a 6<br />

anni di carcere e al divieto di dirigere, scrivere e produrre<br />

film, viaggiare e rilasciare interviste sia all’estero che<br />

all’interno dell’Iran per 20 anni.


34 Mondomix.com / 360° Chennai / Rennes<br />

La stagione musicale di Chennai<br />

Per orientarsi in quella che è forse la più ricca stagione<br />

musicale del mondo.<br />

di V. Ramnarayan<br />

Tutto cominciò nel 1927 come parte dell’Incontro Annuale<br />

dell’Indian National Congress che quell’anno si tenne nella<br />

città a quei tempi chiamata Madras e che oggi è Chennai.<br />

Alcuni dei principali leader del partito nazionalista pensarono<br />

che fosse venuto il momento di introdurre ai delegati la<br />

grande tradizione musicale della regione, conosciuta come<br />

musica Carnatica. Venne imbastito il programma di una<br />

settimana durante la quale i migliori cantanti e strumentisti<br />

del tempo tennero diversi concerti ognuno dei quali aveva<br />

una durata di almeno tre ore. Quella serie di concerti portò<br />

alla nascita della Stagione Musicale della Music Academy di<br />

Madras ed ha continuato ad aumentare, in quantità e durata,<br />

fino a raggiungere l’odierna edizione che prevede due<br />

settimane di incontri e dimostrazioni ogni mattino e quattro<br />

concerti al giorno i quali, seguendo un ordine crescente<br />

di importanza e anzianità degli artisti, vanno dal primo<br />

pomeriggio fino a sera. Inoltre molte altre organizzazioni<br />

chiamate sabhas (letteralmente congregazioni), si sono<br />

aggiunte alla Music Academy ed oggi la famosa Stagione<br />

Musicale di Chennai inizia ai primi di novembre e dura quasi<br />

due mesi distribuendosi in molteplici locali della città e del<br />

suo circondario.<br />

gLi strumenti<br />

Il tipico concerto di musica Carnatica dura<br />

approssimativamente due ore e mezza. Un concerto vocale<br />

– l’evento più comune – presenta un cantante, uomo o<br />

donna, a volte un duo di cantanti, accompagnato da un<br />

violinista, seduto alla sinistra, e uno o più percussionisti,<br />

posti alla destra. Lo strumento a percussione più<br />

importante è un tamburo cilindrico, il mridangam, posto<br />

orizzontalmente di fronte al musicista.<br />

Il ghatam, una vaso di terracotta e la kanjira, piccolo<br />

tamburello a cornice, completano il gruppo. Il numero<br />

degli strumenti sul palco può variare ma il mridangam è<br />

obbligatorio. Il formato standard minimo del gruppo è<br />

costituito da voce-violino-mridangam.<br />

Mentre il violino occidentale si è adattato con successo<br />

alla musica Carnatica, altri strumenti molto popolari come<br />

il nagaswaram, un lungo oboe di legno, la veena, strumento<br />

a corde, il venu, flauto di bambù, sono da considerarsi tipici<br />

dell’India. Questi strumenti solisti non accompagnano i<br />

cantanti e per quanto la musica strumentale abbia nel corso<br />

degli anni perso popolarità, strumenti occidentali come<br />

chitarra, mandolino, clarinetto e sassofono compaiono<br />

sempre più spesso nei concerti anche se sono ben lungi<br />

dall’aver raggiunto il livello di diffusione del violino.<br />

Tutti i musicisti sul palco stanno seduti, a gambe incrociate,<br />

in genere su cuscini. Un concerto comprende sia musica<br />

composta che improvvisata dando la possibilità a ciascun<br />

musicista sul palco di mostrare la sua creatività durante le<br />

varie fasi del programma musicale.<br />

iL repertorio<br />

Oggi il programma di un concerto di musica Carnatica<br />

inizia con un varnam, una breve composizione con un testo<br />

ed una parte di vocalizzi (sol-fa) cantata a diverse velocità.<br />

Seguono alcune composizioni conosciute come kritis o<br />

kirtanas, canzoni in genere di contenuto devozionale o<br />

spirituale in Sanscrito o in una delle lingue dell’India del<br />

Sud, generalmente in Telugu (lingua dell’Andhra Pradesh).<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

T. M. Krishna<br />

Ciascuna di queste composizioni contiene elementi<br />

improvvisati incluse elaborazioni senza parole del raga,<br />

variazioni su una singola riga del testo o combinazioni<br />

ripetute delle sillabe sol-fa.<br />

Tutte queste componenti creative sono rese in misura<br />

più estesa nella composizione principale del concerto,<br />

la cui durata può superare l’ora, e che offre anche al<br />

percussionista (o ai percussionisti) la possibilità di mostrare<br />

la sua (loro) maestria tecnica e creatività in assolo non<br />

accompagnati da voce o violino.<br />

La composizione è spesso seguita da quello che i puristi<br />

considerano il piatto forte della musica Carnatica, il ragamtanam-pallavi,<br />

che è costituito da musica completamente<br />

improvvisata.<br />

Brani più leggeri seguono il corpo principale del programma<br />

o il ragam-tanam-pallavi ed il concerto termina con un<br />

mangalam, un brano conclusivo di buon auspicio.<br />

december season<br />

La Stagione di Dicembre (December Season), come<br />

continua ad esser chiamata malgrado la sua durata<br />

trascenda questo limite temporale, è il momento in cui gli<br />

appassionati locali ma anche gli Indiani- non-Residenti<br />

(NRI) che ogni inverno arrivano a frotte a Chennai,<br />

corrono di sala in sala per assistere ad uno o più kutcheri<br />

(la definizione locale dei concerti di musica Carnatica)<br />

organizzati con logistica e programmazione più che<br />

collaudate. La competizione fra le sabhas per presentare<br />

la miglior musica Carnatica al pubblico della città crea una<br />

sorta di frenesia di programmi che porta una buona parte<br />

dei musicisti ad esibirsi ogni giorno durante la stagione<br />

del festival. Unico deterrente la temperatura, fresca<br />

secondo qualsiasi standard e piuttosto ingannevole, con la<br />

raucedine che purtroppo può colpire in qualsiasi momento<br />

provocando diverse cancellazioni.<br />

Le cucine chiudono in molte case. Non c’è tempo per<br />

cucinare o per pulire, neppure durante la sosta fra un<br />

concerto e l’altro, se poi si tiene conto dei deliziosi<br />

manicaretti ed aromatici pranzi disponibili presso i punti<br />

di ristoro organizzati nelle varie parti della città, cucinare<br />

diventa superfluo.<br />

C’è un considerevole eccitamento nell’aria, questa è<br />

l’occasione per artisti affermati, come per i nuovi arrivati,<br />

di dare il meglio di sé e del proprio repertorio, a volte<br />

preparando programmi speciali per l’occasione.<br />

Molte sabhas conferiscono premi e riconoscimenti agli<br />

artisti o agli insegnanti più affermati. Il Sangita Kalanidhi,<br />

conferito dalla Music Academy, è sicuramente il più<br />

prestigioso e paragonabile all’Oscar.<br />

Ogni quotidiano aggiunge supplementi speciali per<br />

l’occasione mentre i canali televisivi estendono la loro<br />

copertura degli eventi principali ed alcuni organizzano<br />

addirittura a loro volta dei concerti.<br />

La critica<br />

I critici, sempre pronti a stroncare o esaltare questo<br />

o quel musicista, oggi si trovano di fronte degli artisti<br />

colti, estremamente preparati tecnicamente, in grado di<br />

controbattere alle critiche ricevute.<br />

Il pensiero che accomuna la maggior parte dei critici è<br />

che oggi la musica Carnatica sia viva e che goda di ottima<br />

salute anche se a fungere da contraltare permane tuttavia<br />

una schiera di nostalgici che continua a lamentare la<br />

scomparsa dei grandi miti del passato.<br />

Fra i musicisti stessi le opinioni sullo stato attuale della<br />

musica Carnatica sono divergenti. Alcuni di loro parlano<br />

dei «bei tempi in cui i rasika (appassionati) erano veramente<br />

seri e competenti e non frequentavano i concerti solo per<br />

moda come invece accade oggi visto che ormai quel tipo<br />

di pubblico non esiste più», mentre altri sostengono che<br />

«oggi il pubblico è più esigente. Ci sostiene tutto l’anno a<br />

fare bene, a dare il nostro meglio».<br />

Coloro che hanno preso parte a una o più edizioni<br />

della Stagione Musicale di Chennai saranno d’accordo<br />

nell’affermare che oggi in India non esiste nulla di<br />

paragonabile a questa manifestazione sia per il<br />

livello musicale che per la grande varietà e lo spirito<br />

particolarmente festaiolo che la caratterizza. Forse<br />

addirittura a livello mondiale non esiste oggi qualcosa di<br />

Les Transmusicales<br />

di Paolo Ferrari<br />

Mai si erano visti tanti live extra anglosassoni né<br />

riconducibili strettamente al rock e alla techno nel festival<br />

bretone giunto alla 32° edizione. Buon segno, il concetto<br />

di «musiche attuali» su cui si basa la kermesse da 50.000<br />

persone per 95 concerti si amplia. E il gusto ci guadagna. A<br />

fine manifestazione, tutti concordano sull’eleggere Oy, un<br />

ragazza proveniente dal Ghana via Svizzera, a rivelazione:<br />

tra giocatoli trasformati in strumenti, suoni tradizionali e<br />

digitali il suo show è frizzante e seducente. Come pure dal<br />

Ghana arriva Blitz The Ambassador: un rapper residente a<br />

New York, è vero; ma nel cui set irrompono l’hi-life di casa,<br />

citazioni esplicite di Miriam Makeba e Fela Kuti, adrenalina<br />

e consapevolezza. Mélange sontuoso anche quello dei<br />

Donso, che dal Mali portano gli ngoni da incrociare alla<br />

black statunitense più sanguigna, senza house per turisti<br />

35<br />

simile in quanto a dimensione e diversità. Anche questo fa<br />

di Chennai una destinazione per eccellenza sia per il turista<br />

che per quegli Indiani residenti all’estero che provano<br />

nostalgia della loro immensa cultura.<br />

Dove Chennai, India<br />

Quando novembre - dicembre 2011<br />

Online www.sruti.com<br />

tra i piedi. C’è da riflettere. E da ballare la Colombia<br />

analogica di Bomba Estereo, come pure la cumbia<br />

digitale, tellurica dei Systema Solar. Scortati dal kuduro<br />

di Mpula, persino, con l’Angola touch a soppiantare lo<br />

storico french locale. Ma non è finita, perché con i Dengue<br />

Fever il funk reggae americano è inopinatamente cantato<br />

in khmer dalla cambogiana Chhom Nimol, tra le stelle<br />

indipendenti del festival. Ci sarebbero anche i Filewile,<br />

ma che siano in parte sudafricani lo si evince solo dalla<br />

lingua; e la Phenomenal Handclap Band, debole però<br />

rispetto agli Antibalas di cui è cugina prima. Un consiglio,<br />

infine, al gruppo pop inglese Egyptian Hip Hop: vadano al<br />

Cairo a suonare il loro indie neo rave di maniera, magari là<br />

l’ingiustificata strafottenza del nome che hanno scelto sarà<br />

più apprezzata.<br />

Dove Rennes, Francia<br />

Quando dicembre 2011<br />

Online www.lestrans.fr<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

U. Srinivas


36 Mondomix.com / 360° Manresa<br />

La giornata nazionale della Rete<br />

Italiana di Cultura Popolare<br />

di Luisa Perla<br />

La cultura popolare ci ricorda chi siamo, la nostra identità,<br />

rappresenta un patrimonio di alto valore, è storia viva,<br />

l’anima dei luoghi e delle persone, memoria collettiva<br />

delle tradizioni e delle radici che tessono l’esistenza e la<br />

peculiarità di un territorio. In un mondo dove tutto è veloce<br />

e molti aspetti della vita sono insicuri il 13 dicembre ci<br />

fermiamo e ritroviamo noi stessi, riscopriamo il piacere di<br />

raccontarci storie e di vivere emozioni forse dimenticate…<br />

13 dicembre 2010<br />

4° Giornata nazionale della rete italiana di cultura popolare<br />

Durante il giorno di Santa Lucia riaccendiamo le luci sulla<br />

cultura popolare: migliaia di persone, che sono alla base di<br />

una rinata volontà, scelgono di sostenere la salvaguardia<br />

delle proprie identità e della cultura che la esprime, nel<br />

continuo confronto con le altre. La Rete Italiana di Cultura<br />

Popolare è un organismo di soggetti locali che svolge un<br />

lavoro di sistema, e che, nel rispetto delle singole peculiarità,<br />

attua politiche culturali nazionali ed internazionali, nelle<br />

quali i territori condividono azioni, risorse e valori in<br />

progetti comuni, creando sinergie tra soggetti diversi. La<br />

Rete Italiana svolge contemporaneamente attività di studio<br />

e ricerca, di progettazione e programmazione di azioni<br />

mirate alla individuazione, tutela e valorizzazione, nel solco<br />

della modernità, delle tradizioni e delle diverse espressioni<br />

di socialità culturale. La Rete è dunque una realtà, un<br />

punto di riferimento essenziale per chi voglia affrontare in<br />

Italia il tema della cultura popolare. Proteggere ciò che è<br />

particolare, attraverso la sua comunicazione e fruizione,<br />

attraverso il sistema di “territori in rete” (che non ha eguali<br />

in Italia), per veicolare quei saperi che vengono spesso<br />

trasmessi solo oralmente, ma al tempo stesso farlo uscire<br />

dall’isolamento intessendo relazioni che costruiscono un<br />

sistema. Di più. Non solo valorizzare saperi volatili, ma<br />

affermare la Cultura dei territori, il rispetto per i Maestri<br />

del sapere popolare, il rinnovato interesse dei giovani<br />

per la Tradizione: adoperarsi affinché si affermi una vera<br />

globalizzazione delle diversità culturali. In un luogo in cui i<br />

saperi si sono sedimentati, reinventati, sovrapposti a quelli<br />

di molti altri, il compito della Rete è quello di comunicare<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

portando in piazza e in ogni luogo d’Italia danze, musiche,<br />

teatro, artigianato ed enogastronomia per rappresentare,<br />

trasmettere alcuni principi della tradizione, che in sé<br />

avevano già il germe del “tradimento”. Il tradimento è un<br />

modello positivo nella costruzione di un rapporto con la<br />

propria o qualsivoglia radice: nel momento in cui un “attore”<br />

riporta al pubblico un racconto o un canto, ometterà alcuni<br />

particolari e ne includerà altri, lo trasformerà in una sua<br />

personale interpretazione. Diversa la grana della voce e<br />

diversa la fisicità di chi agisce.<br />

Lunedi 13 Dicembre in Italia si riaccendono le luci....<br />

Proclamata la “Giornata Nazionale della Rete Italiana di<br />

Cultura Popolare” il 13 Dicembre è una giornata di festa<br />

e di feste, nel quale si celebra la cultura popolare e nel<br />

quale si illumina la Tradizione attraverso la sua tutela, la<br />

reinterpretazione e l’innovazione. Associazioni, artisti,<br />

scuole, musei, enti locali, biblioteche e singoli cittadini,<br />

tutta la cultura in rete non solo virtuale, si attivano sul<br />

proprio territorio. Ogni manifestazione si unisce alla miriadi<br />

di espressioni organizzate e distribuite sull’intera penisola<br />

italiana, lanciando un forte messaggio per la valorizzazione<br />

di una componente fondamentale del nostro patrimonio<br />

culturale: La Cultura Popolare e i beni immateriali.<br />

Molteplici eventi in contemporanea ramificati in tutta Italia<br />

evocano, raccontano e registrano rituali, comportamenti,<br />

prodotti dell’immaginario ed espressività, a dimostrazione<br />

di come la cultura popolare sia radicata ai territori, con<br />

usi, costumi, tradizioni che mutano da area ad area. Ma<br />

nell’insieme c’è vitalità, c’è relazione, un unicum dei saperi<br />

popolari. Incontri, spettacoli, racconti, poesie, musiche<br />

e danze in musei, biblioteche e una miriade di spazi di<br />

Piemonte, Toscana, Veneto, Lazio, Abruzzo, Campania,<br />

Puglia e Sicilia. Una vivacissima giornata che unisce<br />

zampogne, pupi, poeti a braccio, arpe celtiche e courente<br />

occitane.<br />

Online www.facebook.com/profile.php?id=1796947704<br />

XIII Fira Mediterrània<br />

di Paolo Ferrari<br />

Per metà dedicata alla musica e per il resto atomizzata<br />

tra teatro, circo, attività pedagogiche e turistiche, la Fiera<br />

Mediterranea invade la cittadina catalana a una sessantina<br />

di chilometri da Barcellona con l’appeal del festival folk di<br />

livello europeo e la forza fisica della sagra di paese. Una<br />

miscela che conquista fin dal primo assaggio, quando<br />

si attraversano gli stand gastronomici e artigianali per<br />

raggiungere il teatro Kursaal, sede dei live di punta che<br />

fanno regolarmente registrare il tutto esaurito.<br />

È lì che sfilano due delle tre regine del festival: venerdì<br />

sale sul palco la palestinese Rim Banna, combattiva<br />

nei contenuti a favore del suo popolo, magnetica nella<br />

presenza scenica, impeccabile nelle esecuzioni vocali<br />

ma un po’ penalizzata da arrangiamenti innocui; sabato<br />

sale in cattedra Franca Masu, che incanta scalza con la<br />

sua Sardegna di casa in Catalogna, con un soul senza<br />

passaporto che si tinge di jazz, swing, lirica e trova nel<br />

piano di Mark Harris un formidabile compagno di viaggio<br />

sorretto dal contrabbasso di Salvatore Maltana e dalle<br />

percussioni di Roger Soler. La terza sovrana la incontriamo<br />

giovedì all’aeroporto di El Prat, da cui raggiunge con noi il<br />

gruppo per lo show della sera stessa. È l’algerina Hasna<br />

El Becharia, e il suo concerto nel tendone più suggestivo<br />

per collocazione, sulla Plaça del Milcentenari, si presenta<br />

diviso in due. La prima parte sciorina blues arabo, con la<br />

chitarra elettrica tra le mani della signora; il secondo tempo<br />

sale verso la trance, con la sciantosa a dettare il ritmo sul<br />

guembri e la sontuosa ballerina del gruppo scesa in mezzo<br />

al pubblico per guidare le danze. Lo stesso spazio compete<br />

venerdì sera alla sempre convincente Amsterdam Klezmer<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

37<br />

Band, il cui rodato set non ha problemi a sganciarsi dal<br />

Danubio e dal Mare del Nord per immergersi nel bacino<br />

del Mediterraneo. Scenario comune anche a Moussu T<br />

E Lei Jovents, vecchi animali notturni per nulla intimoriti<br />

all’idea di esibirsi sabato notte alle 2, e che gigioneggiano<br />

mischiando i brani del disco più recente a quelli dei tre<br />

precedenti, ormai classici a tutti gli effetti della nuova<br />

canzone d’autore glocal europea.<br />

Questa cittadina a saliscendi di 75.000 abitanti, dominata<br />

da monumenti imponenti come la Basilica di Santa Maria<br />

de la Seu e la Cova in cui visse Sant’Ignazio di Loyola, è in<br />

realtà un paese dei balocchi per i bambini. Ci sono giochi<br />

ovunque, e 1.300 scolari partecipano alle attività ludico<br />

educational della Fiera. Né mancano i piccoli spettatori<br />

al live pomeridiano di Mimmo Epifani & Epifani Barbers,<br />

catapultati con pizzica e mandolino sul palco dell’area<br />

gastronomica. Tra birre artigianali e crocchette di baccalà,<br />

il loro set conquista un’audience trasversale; ci sono<br />

curiosi, ballerini d’istinto e gran feeling diffuso, mentre<br />

sotto il profilo artistico piace l’utilizzo contemporaneo<br />

di fisarmonica e organetto diatonico. Tra le glorie locali,<br />

guidate dallo scontato bagno di folla per Miquel Gil, la vera<br />

sorpresa sono gli itineranti Residual Gurus, riciclatori di<br />

materiali in disuso che con i loro strumenti inediti giocano<br />

alla riproduzione meccanica dei ritmi techno.<br />

Il resto è Loggia Professionale, ovvero stand, contatti,<br />

presentazioni, incontri. Lì ci imbattiamo nello spazio<br />

M.E.I., kermesse nostrana sempre più attenta alla galassia<br />

world, come pure nell’edizione numero 44 del colombiano<br />

Festival de la Leyenda Vallenata, spettacolare kermesse<br />

di organetti diatonici in programma a Valledupar dal 26 al<br />

30 aprile 2011. Nonché nel lancio in grande stile dei suoi<br />

targati Baleari e in un meccanismo della Fira Mediterrania<br />

molto apprezzato dai delegati: gli iscritti sono obbligati a<br />

richiedere i biglietti gratuiti spettacolo per spettacolo, in<br />

modo che ciascun promoter sappia quali degli operatori<br />

presenti hanno scelto il suo artista e possa contattarli in<br />

futuro per feedback, proposte e nuovi progetti.<br />

Dove Manresa, Spagna<br />

Quando 3-6 novembre 2011<br />

Online www.firamediterrania.cat


38 Mondomix.com<br />

Un incontro piccante<br />

di Luca Vergano<br />

illustrazioni Cristina Amodeo<br />

Per favore, mi porta un’altra ciotola di peperoncino?<br />

Non sono ancora arrivate le prime portate che Shujaat ha<br />

già finito una ciotola di peperoncino. Qualche cucchiaio<br />

accompagnato da nuvole di drago, altri accompagnati<br />

soltanto da schiocchi di labbra di piena soddisfazione. Non<br />

male, penso, ma non così sorprendente visto che il titolo di<br />

un suo disco è Ammoré (sic) e in copertina è raffigurato un<br />

grande cuore fatto di peperoncini.<br />

Non posso farci niente – mi dice – mi piace mangiare<br />

speziato. Sono cresciuto così, la cucina di casa nostra era<br />

molto speziata, persino per le abitudini indiane.<br />

Un istante dopo Shujaat è di nuovo immerso nella<br />

conversazione. Al tavolo ci sono Renzo, che sta producendo<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

il suo disco, Fabio (che si occupa della registrazione),<br />

Federico, che sul disco suonerà le tabla e che si rivolge<br />

come ogni allievo deve fare chiamando Shujaat guruji.<br />

Loro parlano di raga, di tempi, battono le dita sul tavolo e<br />

contano. Io continuo ad osservare affascinato la quantità<br />

di peperoncino che Shujaat continua ad ingurgitare.<br />

Shujaat suona il sitar, per capirci quello strumento a corde<br />

che a un certo punto l’hippie Franchino sfoggia in Fantozzi<br />

Subisce Ancora. Solo che, a differenza di Franchino,<br />

Shujaat proviene da una delle dinastie di musicisti classici<br />

più famose ed importanti dell’India, addirittura risalente al<br />

musicista di corte dell’imperatore Moghul Akhbar, attorno<br />

1600. Lui stesso è un Ustad, un maestro. Un po’ come<br />

essere a tavola con Benedetti Michelangeli, ecco.<br />

A tavola però il peso di tutta questa<br />

dinastia scompare. Ustad Shujaat è<br />

molto molto divertente, in un modo<br />

asciutto e anche un pò sarcastico.<br />

Qualche tempo fa gli è stato<br />

presentato un ragazzo italiano che<br />

suona il sitar e che si era esibito in<br />

Vaticano.<br />

Shujaat stringendogli la mano lo<br />

guarda e gli dice, estremamente<br />

serio, So, I am classic sitarist and you<br />

are pope sitarist. C’è voluto un attimo<br />

per tutti per capire la battuta. Ma<br />

poi c’era gente a cui il peperoncino<br />

usciva dal naso, dal ridere.<br />

Ovviamente il peso della dinastia<br />

si sente quando Ustad Shujaat si<br />

siede e comincia a registrare. Non<br />

capisco niente di musica indiana,<br />

ho l’approccio contadinesco mi<br />

piace/non mi piace. Ma lui è davvero<br />

entusiasmante. Per la sua capacità<br />

di rendere i lunghissimi brani tipici di<br />

questa musica qualcosa che passa<br />

alla velocità della luce, per la sua<br />

capacità di far seguire una dietro<br />

l’altra frasi morbide, estremamente<br />

melodiche. Come uno che spiega il<br />

Mahabarata ad un bambino senza che<br />

il linguaggio semplice ne diminuisca<br />

di un grammo la forza poetica.<br />

Nel frattempo arrivano i piatti e su<br />

ogni raviolo cinese Ustad Shujaat<br />

mette due cucchiaiate di peperoncino.<br />

Ne aggiunge persino sul pollo in<br />

agrodolce, che già aveva specificato<br />

desiderare very spicy.<br />

Improvvisamente capisco perché<br />

mi faccia così sorridere la sua<br />

propensione al peperoncino. Il<br />

maestro mi ricorda moltissimo il<br />

personaggio di un libro che ho appena<br />

finito, il detective Vish Puri. Vish Puri,<br />

della Investigatori Privatissimi Ltd. ha<br />

una passione notevole per il cibo, grande classico della<br />

letteratura poliziesca. Ma è in altre cose che Ustad Shujaat<br />

e Vish Puri si assomigliano.<br />

Anche il detective Vish Puri ha una grande cultura classica.<br />

Anche Vish Puri tende ad una certa pinguedine. E anche<br />

Vish Puri adora il peperoncino, in particolare la qualità<br />

Naga Morich, che sembra essere quella più piccante del<br />

mondo. Non so se Ustad Shujaat li coltivi sul tetto di casa<br />

sua come Vish Puri. Ma non oso del tutto chiederglielo.<br />

D’altronde nessuno chiederebbe a Benedetti Michelangeli<br />

se mangia la caponata come Montalbano, no? Però gli<br />

chiedo delle spezie.<br />

Le spezie in India ovviamente hanno un valore igienico<br />

altissimo – dice. Aiutano a conservare il cibo, aiutano a<br />

digerire meglio, aiutano a stare bene in un posto che a<br />

livello climatico è molto difficile.<br />

Ma la questione è ancora più ampia a quanto pare. Shujaat<br />

si rivela abbastanza ferrato e in grado di approfondire il<br />

discorso gastronomico. Ovviamente senza interrompere<br />

di mangiare, aggiungendo cucchiaiate di peperoncino su<br />

ogni piatto.<br />

Anche il mangiare seduti con la schiena dritta, come viene<br />

insegnato fin da bambini, è per far sì che la digestione<br />

incominci immediatamente. E poi tutte le regole su cosa<br />

mangiare in quale stagione… L’alimentazione è una<br />

questione complessa in una cultura complessa come<br />

quella indiana, mi dice mentre avvicina alla bocca una<br />

cucchiaiata di riso.<br />

Effettivamente, mentre ero ad Ahmedabad qualcuno mi<br />

aveva detto, ad esempio, che è meglio non mangiare<br />

cibo fritto nella stagione dei monsoni. Perché l’umidità<br />

e i cambi di tempo improvvisi rendono estremamente<br />

difficile digerire i cibi più pesanti. Io ovviamente me ne ero<br />

guardato bene adorando in maniera smodata i Samosa<br />

ed essendo curioso di assaggiare le ricette di uova degli<br />

eunuchi raccontate nel capitolo uno. Ma Ustad Shujaat di<br />

questa regola sembra non saperne niente.<br />

Questa cosa non l’ho mai sentita – dice – ma potrebbe<br />

essere. D’altronde ogni stato ha le sue particolarità<br />

culturali.<br />

E non solo ogni stato, mi sembra. Gli chiedo del curry,<br />

che qui molti considerano una spezia mentre è in realtà<br />

un metodo di cottura basato su una miscela di spezie, che<br />

addirittura cambia di casa in casa.<br />

Sì è vero! E a casa mia era sempre molto piccante.<br />

Non ne dubitavo, a dire il vero, ma mi trattengo dal dirlo.<br />

Però questo mi dà qualche indizio sul perché della scarsa<br />

attrattiva della cucina italiana nei confronti degli indiani.<br />

Scarso entusiasmo riscontrato più di una volta, soprattutto<br />

quella volta che, ad Ahmedabad, io e altri italiani<br />

decidemmo di ringraziare la nostra amica Mansi – che<br />

aveva cucinato per noi strepitose Aloo Paratha e altre cose<br />

buonissime – con la più tradizionale delle spaghettate.<br />

Eravamo persino riusciti a trovare il parmigiano, anche se<br />

quello già grattuggiato.<br />

Buono – aveva detto Mansi, molto gentile ma poco<br />

convincente.<br />

Sei sicura? - le abbiamo chiesto – non sembri così<br />

contenta…<br />

The Street Foodie<br />

È solo che è un po’… tasteless (insipido).<br />

So long, orgoglio italo-centrico.<br />

Quando lo racconto a Shujaat, si mette a ridere. Sì,<br />

probabilmente è vero – dice.<br />

Anche mio padre amava magiare molto speziato – mi dice<br />

quando la discussione al tavolo si sposta dalla musica.<br />

Il cibo a casa nostra ha sempre avuto un forte valore<br />

simbolico. Mia madre cucinava moltissimo quando mio<br />

padre tornava dalle tournée, cucinava quando riceveva<br />

qualche riconoscimento particolare. E ovviamente cucinava<br />

nelle grandi occasioni.<br />

Ma allora qual è il suo piatto preferito?<br />

39<br />

Il Biryani che faceva mia madre. Era il piatto delle occasioni<br />

più speciali. Da piccolo quando sentivo che si avvicinava<br />

il momento di mettersi a tavola. Ancora adesso non sono<br />

riuscito a trovare nessuno che riuscisse a rendere la carne<br />

così saporita, così morbida. Si scioglieva in bocca.<br />

Ecco. La cucina di mammà. E mentre Ustad Shujaat<br />

si alza per ritornare in studio di registrazione penso al<br />

titolo del suo disco. E penso che forse, sarebbe stato più<br />

appropriato That’s Amoré.<br />

Cosa The Street Foodie è un progetto di Luca Vergano e<br />

Cristina Amodeo. Luca scrive e Cristina illustra.<br />

Online www.thestreetfoodie.com<br />

Chi Shujaat suona, canta, viaggia, compone. Potete leggerel<br />

la recensione di Dil, il suo ultimo CD, a pagina 46<br />

Dove Il ristorante in cui è avvenuta questa conversazione è a<br />

Torino, si chiama La Via Della Seta ed è molto buono, non il<br />

solito cinese convenzionale..<br />

10 PRIMAVERA 2011


40 Mondomix.com / RECENSIONI<br />

mA r i o lu c i o<br />

Kreol<br />

Lusafrica / IRD<br />

Recensioni<br />

Harry Belafonte, Pablo Milanés,<br />

Cesaria Evora, Toumani Diabate,<br />

Teresa Salgueiro, Milton Nascimento, Mario Canonge,<br />

Ralph Thamar, Awa Sangho, Gorée Afro Djembé. Questa<br />

la lista dei partecipanti al viaggio del musicista, autore,<br />

avvocato e parlamentare di Capo Verde che in diciassette<br />

tracce, maturate lungo 92.482 chilometri, cuce Africa e<br />

Sudamerica nell’ideale cerniera lampo culturale, sonora e<br />

umana dell’Oceano Atlantico. Al grande mare, Matrimonio<br />

dell’Umanità, è dedicato l’ambizioso colossal, esaltazione<br />

della natura creola delle persone e delle cose come<br />

moltiplicatore di ispirazione e opportunità. Un concept album<br />

limpido negli intenti e, ovviamente, assai articolato nello<br />

svolgimento. Si resta a bocca aperta di fronte all’incanto<br />

eterno della voce di Milton Nascimento, vinificato in purezza<br />

nella liquida Mar di Tarrafal; e ci si culla nel languore di una<br />

Hora de Andorinha sospesa in cielo da Teresa Salgueiro e<br />

Pedro Joia. Affonda nello spirito il Planet con voce narrante<br />

engagé di Harry Belafonte; nuota in onde fresche il Mar<br />

azul, proprio quello, condiviso con la maestra Evora. Vive di<br />

grandi intrecci a tutta corda la Mae Mother di cui è complice<br />

Toumani Diabate; e muore in cielo all’inizio la sontuosa<br />

produzione da messa creola senza strumenti Na Capella.<br />

Quando c’è da infondere brio a Santa Catarina Ossiana o<br />

a Come Black, ecco pronti i disinibiti Gorée Afro Djembé,<br />

dalla memoria lunga. Kreol è un disco che a ogni ascolto<br />

rivela nuovi dettagli, sfumature, colori; non scadrà mai.<br />

Paolo Ferrari<br />

Puoi scaricare gratuitamente il PDF di<br />

Mondomix Italia dal sito<br />

www.mondomix.com<br />

rA b i h Ab o u-Kh A l i l<br />

Trouble In Jerusalem<br />

Enja / <strong>Egea</strong><br />

Un piccolo miracolo quello che si<br />

verificava nel 1996 quando, in archivi<br />

russi, veniva rinvenuto un esemplare di un classico del<br />

cinema muto tedesco, Nathan il saggio, opera del 1922 di<br />

Manfred Noa che era stata messa al bando dal nazismo per<br />

il suo invito alla tolleranza religiosa. Accusata di simpatie<br />

per l’ebraismo, tutte le copie rintracciate venivano distrutte.<br />

Restaurato con il patrocinio di ZDF e Arté, il film è tornato<br />

recentemente a nuova vita anche grazie alle musiche qui<br />

contenute. Non si sarebbe potuto scegliere un autore più<br />

adatto alla bisogna di questo compositore libanese virtuoso<br />

dell’oud, da sempre propenso alla contaminazione della<br />

tradizione mediorientale con influssi europei e di jazz.<br />

Questa immersione in un ambito sinfonico patisce qualche<br />

momento un po’ ingessato, ma nel complesso regala<br />

suggestioni non banali.<br />

Eddy Cilìa<br />

lë K sè n<br />

Burn<br />

Black Eye<br />

Brucia davvero il talento del giovane<br />

cantautore senegalese, in rampa di<br />

lancio per un exploit in Francia e non solo. Da quelle parti<br />

lo sta aiutando la fiducia di Tiken Jah Fakoli, che se lo<br />

porta spesso e volentieri in tour: ovunque pesa l’attestato<br />

di stima di Amadou Bagayoko, la metà maschile della<br />

coppia d’assi Amadou & Mariam, qui presente come ospite<br />

in Massamba, ossessiva progressione in mirabile equilibrio<br />

tra groove da club, profondità blues e ispirazione rurale.<br />

Il ragazzo arriva infatti da un contesto extra urbano, un<br />

villaggio di pescatori dalle parti di Dakar chiamato Ngor;<br />

transitato dalla capitale, è subito approdato a Parigi. Dove<br />

gli incontri sono stati tanti e proficui. Il reggae, innanzitutto:<br />

senza essere un artista di genere, Sèn vi attinge sia per<br />

piglio vocale, a partire dai primi secondi dell’iniziale,<br />

calorosa e radiofonica Life, che per connessione diretta<br />

con la Giamaica, il cui temperamento è rappresentato da<br />

Kiddus I, a sua volta agile nel districarsi in contesti ritmico<br />

melodici spiazzanti come quelli che lo mettono alla prova<br />

in Sa Nitee, intrisa di mala, e Nekaal, addirittura una ballata<br />

acustica il cui approccio rimanda a Buju Banton o Anthony<br />

B. Spalle larghe sotto il profilo della formazione musicale, e<br />

grana vocale di impressionante maturità: Burn è la canzone<br />

giusta, tra sufferin alla Burning Spear e poetica alla Pierre<br />

Aquendengué, per apprezzare il peso specifico di un<br />

ragazzo ben sostenuto in produzione dai Dirty District e da<br />

una band imbottita di ospiti di prima scelta.<br />

Paolo Ferrari<br />

AA VV<br />

Capo Verde Terra d’Amore 2<br />

Microcosmo Dischi / Edel<br />

Capo Verde Terra d’Amore. Basta solo il<br />

titolo per richiamare alla mente suoni e<br />

immagini assolutamente inconfondibili. Voci di morna, voci<br />

dal suono carezzevole che cantano della malinconia vestita<br />

di gioia caratteristica dell’arcipelago. Voci indimenticabili<br />

che abbiamo conosciuto nel corso degli anni fra le quali<br />

spicca, regina incontrastata, quella di Cesaria Evora, ma<br />

anche quelle della giovane Lura e del grande compositore<br />

Teofilo Chantre. Questo album è ricco di collaborazioni<br />

con importanti figure della scena pop nostrana e non solo.<br />

Da Ron (che duetta con Cesaria Evora) a Bruno Lauzi o<br />

al duo Magoni-Spinetti (Musica Nuda). Da Peppino di<br />

Capri a Frankie Hi-Nrg Mc, da Massimo Ranieri a Franca<br />

Masu includendo anche il pianista cubano Omar Sosa e la<br />

cantante polacca Kayah che qui canta in italiano duettando<br />

con Teofilo Chantre. Un ponte musicale fra la melodia<br />

cantata in lingua italiana e i suoni creoli capoverdiani. Se<br />

può essere utile a dischiudere le orecchie ottuse di alcuni<br />

nostri compatrioti ben venga, anche se personalmente non<br />

potremmo mai rinunciare agli originali.<br />

Elisabetta Sermenghi<br />

AFRICA<br />

As m A r A All stA r s<br />

Eritrea Got Soul<br />

Out / Here<br />

10 PRIMAVERA 2011 10 PRIMAVERA 2011<br />

41<br />

musiques et cultures dans le monde<br />

MONDOMIX<br />

Mi ama<br />

Sono pienamente giustificate le ambizioni internazionali<br />

implicite nel titolo dell’album in cui il produttore francese<br />

Bruno Blum fa confluire una ricca messe di fonti di<br />

ispirazione, per un risultato finale multicolore, cosmopolita<br />

e di grande attualità. Tutto con un retrogusto inconfondibile,<br />

quello delle scene reduci da recenti tragedie belliche<br />

e dunque cariche di entusiasmo e motivazioni derivati<br />

dalla sensazione diffusa di essere fuori da un periodo di<br />

surgelamento artistico. Le stelle di questo intraprendente<br />

firmamento indipendente provengono da esperienze<br />

differenti, e il nome del combo lo sottolinea. Non deve<br />

quindi stupire se l’umido e sensuale dub reggae Amajo,<br />

condotto dalla voce di Faytinga, convive senza stridori<br />

con il sanguigno blues Ykre Beini, cantato da Temasgen<br />

Yared, mentre lo spirito da club espresso dal titolo del cd<br />

si esalta nel travolgente funky jazz rap Adunia. Esperienze<br />

trasversali, come del resto la selezione generazionale<br />

operata da Blum sul posto, che spazia da personaggi<br />

di grande esperienza come Brkti Weldeslassie e Ibrahim<br />

Goret ad altri recentemente emersi. Per quanto concerne<br />

la band, Blum ha puntato sulla massima fedeltà al suono<br />

analogico locale, incidendo all’Asmara con ampio utilizzo<br />

di fiati e organo da funky americano. Sotto, brucia il fuoco<br />

di una scuola jazz etiope che dagli Anni Cinquanta ha<br />

pochi rivali nel continente; sopra, il governo dell’Asmara<br />

può essere soddisfatto dell’incarico affidato al produttore<br />

francese per contribuire alla fine dell’isolamento culturale<br />

del paese.<br />

Paolo Ferrari<br />

no u r - e d d i n e<br />

Desert contemporain<br />

Helikonia / <strong>Egea</strong><br />

Autore, multistrumentista (sentir, guimbri,<br />

tbal, dumbak, bouzouki) e vocalist,<br />

Nour-Eddine Fatty incarna in modo originale l’espressione<br />

contemporanea della musica marocchina aperta e attenta al<br />

resto del mondo. Marcato in buona sostanza dalla presenza<br />

della trance gnawa, personificata dal contributo eccellente<br />

del quartetto Gnawa Bambara, il disco si avvale anche<br />

dell’apporto del fiatista Davide Grottelli per indirizzare il<br />

suono verso i territori dell’improvvisazione. È dall’apparente<br />

contrasto tra fissità della tradizione e libertà di movimento<br />

che sgorgano i momenti migliori dell’incisione. Le incursioni<br />

delle tabla di Sanjay Kansa Banik concorrono ad ampliare<br />

il quadro d’insieme. Desert contemporain è un ulteriore<br />

esempio di produzione world, però ben congegnata.<br />

Piercarlo Poggio


42 Mondomix.com / RECENSIONI AMERICHE<br />

EUROPA 43<br />

AA VV<br />

Bossa Nova<br />

Soul Jazz / Family Affair<br />

Puoi scaricare gratuitamente il PDF di<br />

Mondomix Italia dal sito<br />

www.mondomix.com<br />

musiques et cultures dans le monde<br />

MONDOMIX<br />

Mi ama<br />

Può capitare che sia un libretto a fare imperdibile un<br />

prodotto discografico? Con i signori della Soul Jazz<br />

è quasi la norma e non certo perché musicalmente le<br />

loro uscite risultino deficitarie. Al contrario! Pur con<br />

qualche assenza inevitabile (una però è clamorosa)<br />

dovendo comprimere in due CD una storia tanto ricca,<br />

come manuale di bossa nova – presenti da Elis Regina<br />

a Joao Gilberto, da Jorge Ben a Edu Lobo passando<br />

per Sérgio Mendes e Baden Powell, Gilberto Gil e Maria<br />

Bethânia, Vinícius de Moraes e Milton Nascimento –<br />

questo doppio è uno dei migliori immaginabili e dire che<br />

in commercio ce ne sono a decine, o più probabilmente<br />

a centinaia. Nessuno dei quali può però farsi forte di<br />

settantasei pagine di narrazione e analisi minuziose di<br />

come nacque la musica pop brasiliana più sofisticata di<br />

sempre, come conquistò il mondo, perché declinò.<br />

Eddy Cilìa<br />

mA r iA be t h â n iA<br />

Amor, Festa e Devoção ao Vivo<br />

Biscoito Fino / Family Affair<br />

Doppio cd dal vivo per celebrare la più<br />

recente tournée mondiale della sovrana<br />

del Tropicalismo e salutarne al tempo stesso 45 anni di<br />

carriera. E Doppio merito: due cd secchi, senza il solito<br />

pasticcio del cd + dvd; e un recital di classe immortalato<br />

per intero.Va da sè che non sono queste li circostanze in<br />

cui rinvenire aperture verso il futuro o ardite scommesse.<br />

La cantante e discografica carioca incastra nel programma<br />

qualche canzone recente, tratta dai cd complentari<br />

Encanteria e Tua, per dare fiato nella cavalcata di 55 tutoli<br />

a un uragano di classici. Ci sono ovviamente Explode<br />

coração e O que é, o que é, come pure perle del fratello<br />

Caetano Veloso della caratura di Dama do Cassino, Não<br />

identificado e Queixa. Tutto inciso nel corso della data<br />

casalinga del tour, tenuta il 12 e 13 marzo a Rio.<br />

Paolo Ferrari<br />

lA Zu r d A<br />

Acá y Ahora<br />

Pirca - Live Global / Self<br />

Con questo nuovo album, prodotto da<br />

Fabrizio Barbacci, La Zurda si ripropone<br />

alla platea mondiale con un sound più intenso, efficace,<br />

trasversale tra gli stili e senza quelle lievi sbavature che<br />

erano presenti in La Zurda e Para Viajar, i primi due progetti<br />

discografici del giovane gruppo argentino, con il quale il<br />

pubblico italiano ha stabilito un ottimo feeling durante le<br />

varie tournée della band nel Belpaese. Empatia dovuta al<br />

sangue italiano che questi ragazzi hanno ricevuto dai loro<br />

bisnonni emigrati in Sudamerica all’inizio del Novecento?<br />

Forse, ma ciò che colpisce e piace è la modernissima<br />

cifra stilistica di questa formazione, che si caratterizza<br />

per un levare latineggiante molto contagioso, per delle<br />

contaminazioni azzardate mescolando e frullando a ritmo<br />

giusto rock alternativo, rockblues, ska, reggae, world<br />

music, balada, accenti di tango, milonga, chacarera o<br />

versi di bolero latino. Un percorso certamente contromano<br />

che si evince sia dall’ampia sperimentazione di linguaggi<br />

ma anche dal panorama di strumenti impiegati: da quelli<br />

moderni (chitarra elettrica, batteria, piano, effetti hammond,<br />

samples, contrabbasso, fiati) a quelli tipici sudamericani<br />

(cuatro, charango, ronroco, cajón, bombo legüero).<br />

Presente e passato, modernità e tradizione sono gli<br />

ingredienti base amalgamati nella realizzazione di Acá Y<br />

Ahora, un cd che offre un ventaglio musicale molto ampio e<br />

variegato. A mantenere in alto lo spirito di questo piacevole<br />

viaggio ci aiuta Paolo “Pau” Bruni, il cantante dei Negrita<br />

intervenuto a duettare in italiano nello stupendo Como<br />

El Rio (tr. 12, bonus track), un brano acustico energetico<br />

con un refrain che ti conquista e comincia a canticchiarti<br />

in testa “ogni giorno passa e va rubando il nostro tempo<br />

/ tutto scorre e passa come il fiume”. Beh, per un po’<br />

di giorni sei fritto, ti svegli e ti addormenti cantando o<br />

fischiettando questa strepitosa melodia che chiude l’ottimo<br />

Acà y Ahora.<br />

Gian Franco Grilli<br />

ce l s o Fo n s e c A<br />

Voz e Violao<br />

Microcosmo Dischi / Edel<br />

Una voce che canta in una lingua<br />

molto dolce (il portoghese brasiliano) e<br />

il suono della chitarra che l’accompagna. Celso Fonseca<br />

con questo suo nuovo lavoro Voz e Violao (CD + DVD)<br />

riesce a creare un’atmosfera talmente intima che più<br />

che alla registrazione live di un suo concerto tenutosi a<br />

Rio de Janeiro nel settembre 2009, si ha la sensazione<br />

di partecipare ad una serata fra amici con un omaggio ai<br />

successi dei più grandi nomi della musica brasiliana. Una<br />

volta tanto, l’affermato compositore anziché cantare brani<br />

di sua produzione si diverte a rileggere la musica altrui. Dei<br />

diciannove brani presenti, infatti, solo tre sono stati scritti<br />

da lui (Slow Motion Bossa Nova, Sorte e Febre). Pescando<br />

nell’immenso mare delle produzioni brasiliane Fonseca<br />

propone brani di Vinícius Cantuária, Erasmo e Roberto<br />

Carlos, Gilberto Gil e molti altri, oltre a una versione bossa<br />

di The fool on the hill dei Beatles. La colonna sonora ideale<br />

per un uggioso pomeriggio d’inverno.<br />

Elisabetta Sermenghi<br />

AA VV<br />

Calabria 1 strumenti.<br />

Zampogna e doppio flauto<br />

Taranta / Felmay<br />

La riedizione di questo disco, lungamente attesa,<br />

testimonia della prima robusta ricognizione su strumenti<br />

folklorici calabresi, condotta da Tucci, etnomusicologa<br />

e etno-organologa, oltre 30 anni fa. L’originale<br />

LP, corredato di un ricco apparato documentale -<br />

conservato e ampliato nella riedizione -, fu pubblicato<br />

ne I Suoni, collana ideata da Diego Carpitella, uno dei<br />

padri della moderna etnomusicologia. Ascoltare oggi le<br />

zampogne e i doppi flauti suonati da maestri della musica<br />

contadina calabrese dei tardi anni ‘70 e comprenderne<br />

l’orizzonte culturale di riferimento, è esperienza unica e<br />

possibile - in modo consapevole e libero da arcaismi o<br />

esotismi interni - proprio grazie alla riedizione. L’opera è<br />

disponibile anche in forma di libro con CD, pubblicato<br />

da Taranta-Besa.<br />

Daniele Sestili<br />

lA bA n d A d i ru V o d i Pu g l iA<br />

Musica sacra della<br />

Settimana Santa<br />

Enja / <strong>Egea</strong><br />

La scrittura bandistica dell’Italia del<br />

Sud, rivalutata in anni recenti, ha suscitato un inaspettato<br />

interesse nel mondo discografico e festivaliero legato alla<br />

musica world. Gli effetti dell’onda lunga sono percepibili<br />

anche nella presente produzione (tedesca), testimonianza<br />

di un live andato in scena nel 2009 nella basilica di Saint-<br />

Denis. In programma sei marce funebri di Luigi Cirenei e<br />

dei fratelli Antonio e Alessandro Amenduni affidate alle<br />

cure della Banda di Ruvo di Puglia (con Pino Minafra al<br />

flicorno) diretta da Michele di Puppo. Le esecuzioni<br />

sono di alta qualità e non soffrono l’estrapolazione dal<br />

contesto originario della processione. Pathos, emozione e<br />

sentimento del dolore si intersecano e si sovrappongono<br />

senza sosta, innescando quel connubio tra sacro e profano,<br />

spirituale e materia a cui è impossibile restare indifferenti.<br />

Piercarlo Poggio<br />

cA l i cA n t o<br />

Mosaico<br />

Calicanto / Felmay<br />

Sceglie una veste volutamente<br />

sobria, Calicanto, nel presentare il<br />

quattordicesimo lavoro in trent’anni di prestigiosa carriera.<br />

Primi a scavare nelle storiche relazioni sonore tra le<br />

sponde settentrionali dell’Adriatico, con accorto rigore<br />

da ricercatori, ma senza atteggiamento pedantemente<br />

filologico, intenti a riadattare la tradizione senza complessi<br />

(si ascoltino Pairis/Scottish saumonée e soprattutto O fia<br />

mia) ma non inseguendo effimere mode musicali. In più<br />

c’è la forza onirica, simbolica, visionaria di composizioni<br />

che sovente hanno come destinazione la scena teatrale.<br />

Ulteriore grande novità in Mosaico l’incontro riuscito con<br />

l’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta e la scrittura del<br />

compositore Gianluca Baldi. L’iniziale Grechesca, ispirata<br />

a danze adriatiche dei secoli XV e XVI su testo plurilingue,<br />

o la speziata Vento di tramontana/Moresca arcana sono<br />

emblemi di un bel disco di gusto raffinato e fortemente<br />

stratificato sotto il profilo timbrico, contenente liriche<br />

tradizionali o di autori del territorio veneto (Andrea Zanzotto,<br />

Biagio Marin, Hugo Pratt): storie di ieri e di oggi di Venezia,<br />

della laguna, di genti adriatiche e mediterranee.<br />

Ciro De Rosa<br />

Je A n A le s l i e &<br />

si o b hA n miller<br />

Shadows Tall<br />

Greentrax / IRD<br />

Sono alla seconda prova discografica,<br />

dopo l’interessante debutto del 2008, le<br />

due pluripremiate giovani folksinger scozzesi uscite dalla<br />

Royal Scottish Academy Of Music. Isolana delle Orkney<br />

Jeana (voce, violino, Hardanger, piano, armonium), originaria<br />

dell’area di Edimburgo Siobhan (voce, piano, danza). Il duo<br />

si concentra su un repertorio di ballate tradizionali scozzesi<br />

ed irlandesi e di canzoni contemporanee. Non difettano<br />

di personalità vocale le due cantanti, accompagnate da<br />

chitarre, mandolino, contrabbasso e percussioni. Shadows<br />

Tall guadagna pienezza e fantasia negli arrangiamenti, di<br />

piglio quasi sempre energico. Cattura l’apertura di Johnnie<br />

o’ Braidisleys, protagonista il pianoforte. Si prosegue con<br />

i passaggi aggressivi di chitarra elettrica in Trooper and<br />

the Maid. Ancora sequenze vincenti di piano nell’antiwar<br />

song The King’s Shilling e in Alexander, dove splende<br />

l’ugola di Jeana. Armonie vocali perfette in Buttermilk Hill,<br />

ma altrove cala un po’ il tasso di creatività e trapela un<br />

certo accademismo. Segna ancora un picco il medley<br />

strumentale orcadiano The Giant Set, dove svetta il violino,<br />

mentre nelle splendide Who Will Sing Me Lullabies? e The<br />

Great Valerio, rispettivamente firmate da Kate Rusby e<br />

Richard Thompson, restiamo ammaliati dalla superba voce<br />

di Siobhan.<br />

Ciro De Rosa<br />

10 PRIMAVERA 2011 10 PRIMAVERA 2011<br />

musiques et cultures dans le monde<br />

MONDOMIX<br />

Mi ama


44 Mondomix.com / RECENSIONI FUSION<br />

ASIA 45<br />

musiques et cultures dans le monde<br />

MONDOMIX<br />

AA VV<br />

Tradi – Mods vs. Rockers<br />

Crammed / Materiali Sonori<br />

La moderna tradizione dell’arcipelago Konono N° 1<br />

e Kasai Allstars faceva gola a dj, produttori e remixer<br />

di tutto il mondo, per cui l’etichetta titolare dell’onda<br />

Congotronics ha pensato di organizzare la materia in<br />

un’uscita dal titolo un po’ stiracchiato ma dalla sicura<br />

resa emotiva. Ci sono nomi importanti del rinnovamento<br />

conosciuto nelle ultime stagioni dal mondo dei club,<br />

di cui si percepiscono gioia e rispetto nell’affrontare i<br />

manufatti d’Africa: Animal Collective in punta di piedi,<br />

Juana Molina in stile artigianato intergalattico, Skeletons<br />

enfatico nel sottolinearne i pregi ipnotici. Nel secondo<br />

disco, dominano la scena i 10’ di Shackleton su Kasai<br />

Allastars, seguiti da Eye contro Konono; ma in generale<br />

l’assortimento è vario e le soddisfazioni fioccano, non<br />

solo sulla pista da ballo.<br />

Paolo Ferrari<br />

lu i g i cA m P o c c iA<br />

On the way to Damascus<br />

Dodici Lune / IRD<br />

Mi ama<br />

Da millenni la via di Damasco<br />

suggerisce ispirazioni a chi la percorre,<br />

anche solo con la fantasia. Nonostante questi tempi di<br />

disorientamento, restano gli artisti ad indicarci la direzione<br />

e Luigi Campoccia guarda verso est. Dopo avere acquisito<br />

strumenti e metodo dell’occidente, il pianista , tastierista<br />

e compositore toscano, usa gli ampi margini espressivi<br />

del jazz per inserirvi profumi e suoni che riportano ad una<br />

tradizione più antica, quella mediterranea, di cui Damasco è<br />

il simbolo e che affonda le sue radici nelle terre d’oriente. Da<br />

laggiù, dalla Turchia in particolare - Paese che si è sempre<br />

distinto per fattori linguistici, religiosi e sociali dal resto<br />

del Vicino Oriente - giungono il chitarrista Önder Focan (di<br />

formazione montgomeryana) e lo specialista di ney (antico<br />

flauto anatolico) Aziz S. Filiz, i quali adattano le rispettive<br />

tecniche e ispirazioni ad un progetto ibrido (oltre al jazz,<br />

echeggia il tango), contaminato e variegato. Da ascoltare<br />

sorseggiando te alla menta.<br />

Giulio Cancelliere<br />

PA o l o Fr e s u, A Fi l e t tA<br />

co r s i cA n Vo i c e s, dA n i e l e<br />

d i bo n AV e n t u r A<br />

Mistico Mediterraneo<br />

Ecm / Ducale<br />

In Corsica la corale A Filetta rappresenta una delle migliori<br />

espressioni della polifonia isolana. L’ensemble diretto<br />

da Jean-Claude Acquaviva nell’occasione incontra in<br />

campo aperto le improvvisazioni di Paolo Fresu e Daniele<br />

di Bonaventura. L’etnojazz che ne scaturisce è piuttosto<br />

lontano dalle solite forme di crossover e punta con decisione<br />

verso il dettaglio delle coloriture e la cura dei particolari<br />

timbrici. Situazioni ad effetto non ve ne sono: l’interazione<br />

fra le voci incantatorie di A Filetta, il flicorno di Fresu e il<br />

bandoneon di Di Bonaventura è improntata a un’intimità<br />

fatta di ascolti reciproci. E se Mistico Mediterraneo può<br />

per certi versi essere accostato a esempi illustri (Garbarek/<br />

Hilliard, ad esempio) per altri se ne distacca decisamente<br />

in virtù di una maggiore concretezza.<br />

Piercarlo Poggio<br />

re n A u d gA r c íA-Fo n s<br />

Méditerranées<br />

Enja / <strong>Egea</strong><br />

Nato per mischiare musiche e unire<br />

e trascendere mondi il francese (di<br />

origini spagnole e italiane qui orgogliosamente rivendicate)<br />

Renaud García-Fons, “il Paganini del contrabbasso a<br />

cinque corde”, come lo ha soprannominato qualcuno: studi<br />

classici al conservatorio (e prima ancora di entrarvi suonava<br />

pianoforte e chitarra), un flirt con il rock nell’adolescenza, la<br />

passione per il jazz che finisce per prendere il sopravvento<br />

ma è un jazz in sempiterno dialogo con altre musiche.<br />

Principalmente etniche ma non solo, principalmente del<br />

Mediterraneo ma non solo. Qui invece sì ed è un viaggio<br />

straordinariamente fascinoso, che dal punto più a sud della<br />

penisola iberica giunge sino al Bosforo, per poi andare<br />

in Egitto e completare il cerchio tornando a Gibilterra.<br />

Eccellenti i musicisti che si rendono complici del Nostro,<br />

ma è il suo strumento il mattatore.<br />

Eddy Cilìa<br />

le e "s c r At c h" Pe r r Y<br />

Revelation<br />

Politur / <strong>Egea</strong><br />

L’instancabile settantaquattrenne<br />

Lee “Scratch” Perry, una delle ultime<br />

icone del reggae internazionale, nel 2010 è tornato nelle<br />

sale d’incisione per proporci la sua Revelation. Grazie ai<br />

musicisti Steve Marshall e George Clinton il disco è ricco di<br />

arrangiamenti in perfetto stile dub ma l’eclettismo generale<br />

legato a un turbine infinito di parole buttate alla rinfusa non<br />

rende giustizia delle glorie passate del suo autore. Rispetto<br />

al precedente The Mighty Upsetter il vecchio Scratch<br />

sembra aver perso parecchio smalto.<br />

David Valderrama<br />

10 PRIMAVERA 2011 10 PRIMAVERA 2011<br />

ViJ AY iY e r / Pr A s A n n A /<br />

nitin mi t tA<br />

Tirtha<br />

Act<br />

FELMAY<br />

musiques et cultures dans le monde<br />

MONDOMIX<br />

Mi ama<br />

AA VV<br />

The Roots of Chicha 2 –<br />

Psychedelic cumbias<br />

from Peru<br />

Barbès Records / Crammed / Materiali Sonori<br />

Strepitoso secondo volume di cumbias peruviane risalenti<br />

alla fine degli anni sessanta. Questa raccolta, che prende il<br />

nome da un liquore a bassa gradazione alcolica di origine<br />

Inca (Chicha), in realtà non è da considerarsi un sequel<br />

del precedente The roots of Chicha – 2007 ma piuttosto<br />

una integrazione al già pregevole lavoro uscito tre anni<br />

fa. In questo secondo volume, a dispetto delle originali<br />

sonorità amazzoniche, vengono presi maggiormente<br />

in considerazione l’aspetto urbano e le prime influenze<br />

cubane e andine che hanno avuto un ruolo fondamentale<br />

nell’evoluzione di questo tipo di musica. Esplosa alle fine<br />

degli anni sessanta nella città disseminate lungo la parte<br />

amazzonica del Perù, la cumbia amazzonica (poi chicha)<br />

fu un fenomeno profondamente urbano, incorporava<br />

folklore andino, musica creola di discendenza hispanica,<br />

guajira cubana e sintetizzatori moderni. Sedici brani<br />

molto gradevoli e trascinanti che ci condurranno a zonzo<br />

fra epoche e altitudini diverse.<br />

Elisabetta Sermenghi<br />

file under<br />

emin yağci<br />

turkey<br />

world music<br />

Felmay • strada roncaglia 16 • 15033 san germanoAL • italy<br />

ph.+39 0142 50577 fax +39 0142 50780 info@felmay.it www.felmay.it<br />

Lunghissimo, storicamente consolidato<br />

e nondimeno sempre fonte di sorprese il rapporto fra jazz<br />

e musica indiana, “due etichette inadaguate – ricorda Iyer<br />

stesso nelle note di copertina – a racchiudere una massa di<br />

informazioni e un archivio di conoscenze immensi… orizzonti<br />

di possibilità sconfinati”. Pianista di genitori indiani ma nato<br />

e vissuto sempre a New York, Vijay Iyer getta su questi<br />

orizzonti uno sguardo ovviamente precipuo, ben diverso –<br />

per dire – da quello di un John McLaughlin ma per certo<br />

non lo stesso nemmeno del pianista Prasanna, originario<br />

di Madras, o del tablista Nitin Mitta, di Hyderabad. Risiede<br />

probabilmente proprio nel confronto fra sensibilità diverse,<br />

ma capaci di trovare un’armoniosa sintesi, il segreto del<br />

successo di un disco che innesta le spigolosità del bebop<br />

nel contesto di intimismo cameristico che è del raga.<br />

Eddy Cilìa<br />

P Felmay 2011<br />

fy 8173<br />

P Felmay 2009<br />

em i n YA g c i<br />

Tulum.<br />

A sound from the Black Sea<br />

Felmay / <strong>Egea</strong><br />

L’anno si apre per la Felmay con un<br />

disco pionieristico, tutto dedicato ad uno strumento<br />

poco noto e ben poco registrato come la zampogna<br />

(organologicamente un “aerofono a sacco con bordoni”)<br />

tulum, diffusa in Turchia lungo coste del Mar Nero. Il tulum<br />

risuona soprattutto, ma non esclusivamente, tra i Lazi<br />

(Lazlar) gruppo etnico che vive lungo le regioni costiere del<br />

Mar Nero a cavallo tra Turchia e Georgia, in repertori per<br />

la festa e la danza. All’ascolto del primo brano si è colpiti<br />

dalla vicinanza con il mondo macedone, bulgaro, quasi<br />

il tulum fosse un testimone sonante dell’antica Tracia.<br />

Riporta al presente l’energia e l’intensità dello straordinario<br />

performer, cantore e poeta Emin Yagci, spesso affiancato<br />

da altri strumenti tradizionali come il liuto baglama o la viella<br />

kemençe, registrato ad Ankara grazie ad una complessa<br />

iniziativa coordinata da Francesco Martinelli e Cenk Güray<br />

ai quali si devono le esaustive note di copertina.<br />

Giovanni De Zorzi<br />

8173_digipack0236.indd 1 24-11-2010 14:41:04<br />

musiques et cultures dans le monde<br />

MONDOMIX<br />

Mi ama<br />

en s e m b l e mo s h tA q<br />

14 Cheerful Pieces.<br />

Quatorze morceaux pour un<br />

redécollage<br />

Buda Records / Felmay<br />

Nuova, fresca, giovane musica fiorita nello spirito<br />

del radîf classico, così che ritorna alla mente il verso<br />

del poeta Mowlana Jalâl ud-Dîn Rûmî (1207-1273):<br />

“In realtà dal frutto è nato l’albero”. Nella sua chiara<br />

sobrietà si dispiega qui quella naturalezza, elegante<br />

e senza tempo, dalla quale si sono allontanate le<br />

artificiose composizioni di certi gruppi alla ricerca di<br />

“nuovi approcci”. I brani composti dal direttore e solista<br />

Reza Ghassemi rifulgono in due suites – la prima in<br />

Bayat-e Tork, la seconda in Rast Panjgah – grazie ad<br />

un organico insolito: quattro liuti setâr (Ghassemi, Aydin<br />

Bahramlou, Babak Moayedoddin, Sepideh Raissadat)<br />

e il flauto ney haftband suonato da Javid Yahyazadeh.<br />

Su questo tessuto svettano i versi della poesia persiana<br />

classica (Mowlana, Sa’di, Hafez, e il più recente Savoji)<br />

cantati dalla giovane, toccante, magistrale voce di<br />

Sepideh Raissadat.<br />

Giovanni De Zorzi


46 Mondomix.com / RECENSIONI<br />

rAV i sh A n K A r<br />

L’extraordinaire leçon<br />

DVD<br />

FELMAY<br />

Accord Croisés / Ducale<br />

Raffinate e insieme croccanti, le produzioni Accord<br />

Croisés accontentano anche stavolta la clientela. La<br />

nuova proposta è un documento del settembre 2008<br />

realizzato da Frédéric Le Clair: Ravi Shankar a Parigi,<br />

per quello che era stato programmato essere l’addio<br />

del maestro all’Europa. Nella capitale francese, che<br />

lo aveva visto esibirsi in passi di danza a undici anni,<br />

Shankar chiude il cerchio offrendo a un rapito uditorio<br />

una speciale “lezione” sulla musica classica indiana.<br />

Sul palco della Salle Pleyel, ironico e brillante nel<br />

linguaggio, Shankar racconta e spiega differenze e<br />

similitudini sonore tra il nord e il sud del suo paese.<br />

Attorno a lui, a esemplificarne il pensiero, la figlia<br />

Anoushka (sitar), Tanmoy Bose (tabla), Sanjeev Shankar<br />

(shehnai), Ravichandra Kulur (flauto), Sanjay Sharma e<br />

Kenji Ota (tanpura). Il dvd contiene in aggiunta altri due<br />

filmati. In uno viene tratteggiata una rapida biografia<br />

dell’artista mentre nel secondo troviamo sintesi di<br />

concerti presentati di recente al Ravi Shankar Centre di<br />

Nuova Delhi. In tale contesto si segnalano le esibizioni<br />

di Manjiri Asanare-Kelkar, cantante khayal, e dei fratelli<br />

Lalgudi, violinisti carnatici.<br />

Piercarlo Poggio<br />

ho s s e i n Al iZ A d e h<br />

Pejman Hadadi<br />

Hermes Records / <strong>Egea</strong><br />

Hossein Alizadeh (1950) è forse il<br />

più popolare solista (liuti târ e setâr),<br />

compositore e didatta della nuova musica persiana.<br />

La fama gli deriva soprattutto dalle composizioni assai<br />

amate in patria. Monad, invece, è tutto incentrato<br />

sull’improvvisazione e sull’irripetibile, unico, istante senza<br />

tempo che Alizadeh definisce “monade” con termine della<br />

filosofia classica. La registrazione coglie l’incontro con il<br />

più giovane, sensibile e attento percussionista Pejman<br />

Hadadi (1969) avvenuto nella primavera del 2007 in due<br />

sessioni dal vivo: la prima in avâz-e Dashti, la seconda in<br />

avâz-e Isfahan. L’incontro viene poi suddiviso in 15 tracce/<br />

quadri impressionisti dalla mirabile resa sonora (marchio<br />

Hermes). Svincolata dall’aspetto funzionale che essa può<br />

svolgere in una suite, l’improvvisazione dilatata sembra<br />

qui illustrare il motto della Hermes “musica per la musica”<br />

e, allo stesso tempo, il particolare gusto – appassionato,<br />

tutto di chiaroscuri – con il quale Alizadeh si allontana dalla<br />

sobrietà dei classici.<br />

Giovanni De Zorzi<br />

fy 81676<br />

musiques et cultures dans le monde<br />

MONDOMIX<br />

Mi ama<br />

8176 digipack.indd 1<br />

file under<br />

ustad shujaat<br />

husain khan<br />

india<br />

world music<br />

Felmay • stradaroncaglia16 • 15033sangermanoAL • italy<br />

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P Felmay 2011<br />

fy 8176<br />

P Felmay 2009<br />

fy 8165<br />

FELMAY<br />

file under<br />

lalgudi GJR krishnan<br />

anil srinivasan<br />

south india<br />

world music<br />

Felmay • strada roncaglia 16 • 15033 san germanoAL • italy<br />

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ustAd shuJAAt husAin KhAn<br />

Dil<br />

Felmay / <strong>Egea</strong><br />

Shujaat Husain Khan (1960) è un celebre compositore<br />

e solista di sitar con una sessantina di incisioni<br />

all’attivo. Non dev’essere facile portare sulle spalle una<br />

genealogia come la sua: figlio del leggendario sitarista<br />

Ustad Vilayat Khan, il nonno era Ustad Enayat Khan,<br />

il bisnonno Ustad Imdad Khan, il bis-bisnonno, Ustad<br />

Sahebdad Khan. Tutti esponenti della nobile genealogia<br />

musicale (garana) Imdadkhani. Di questa responsabilità<br />

Shujaat Khan sorride amabilmente sin dalla copertina<br />

interna del mirabile disco articolato in tre brani: i primi<br />

due (Alap e Gat) in Raga Gujiri Todi mentre il terzo, Ek<br />

Prakar, è una ninna nanna toccante ed ispirata in Raga<br />

Todi. Ovunque, le sue improvvisazioni dimostrano uno<br />

stile fluente, articolato e personalissimo. Ogni parametro<br />

dello strumento è padroneggiato, la dinamica va<br />

dall’infrasuono alla strappata e il virtuosismo non è mai<br />

fine a se stesso. L’invenzione è costante e profonda.<br />

Eppure, come se non bastasse, ecco arrivare dal<br />

nulla la sua voce sognante, rotonda e ammaliante su<br />

versi in urdu di ispirazione sufi. Nel disco il maestro è<br />

accompagnato dal tablista Federico Sanesi, ammirato<br />

e lodato dai maestri indiani, faro di riferimento per ogni<br />

musicista italiano che si confronti con una tradizione<br />

orientale.<br />

Giovanni De Zorzi<br />

nAV à en s e m b l e<br />

Hilat<br />

FinisTerre / Felmay<br />

musiques et cultures dans le monde<br />

MONDOMIX<br />

Mi ama<br />

Navà è un Ensemble che riunisce<br />

iraniani e italiani nell’amore per la<br />

musica persiana. Il repertorio del disco è costituito quasi<br />

esclusivamente da nuove composizioni di Pejman Tadayon<br />

(voce, liuti târ, setâr, bamtâr, ‘ud e…calligrafie) che si<br />

ispirano al genere vocale tasnîf, misurato ritmicamente, di<br />

carattere classico/leggero e affine alla “canzone”. Il gruppo<br />

è composto poi da Reza Mohsenipoor (târ, bamtâr),<br />

Hamid Mohsenipoor (tamburo a calice zarb/tombak),<br />

Paolo Modugno (tamburi a cornice daf, dayereh; tamburo<br />

cilindrico dohol) e Martina Pelosi (voce). Ospite in un<br />

brano Shideh Fazaee al daf. I testi provengono dai maestri<br />

della poesia persiana (Hafez, Rumi, Khayyam) e dal più<br />

recente Nima. Registrato a Roma, all’Oasi Studio di Paolo<br />

Modugno, il disco è un ottimo esordio per un Ensemble<br />

nato da poco e a cui si fanno i migliori auguri.<br />

Giovanni De Zorzi<br />

fy 81676<br />

P Felmay 2011<br />

fy 8165<br />

P Felmay 2009<br />

lA l g u d i gJr Kr i s h nA n<br />

& An i l sr i n iVA s A n<br />

Eternal light<br />

Felmay / <strong>Egea</strong><br />

Anil Srinivasan è uno dei più interessanti musicisti dell’India<br />

del Sud. Ha studiato la musica classica Occidentale e è<br />

cresciuto con quella Carnatica (dell’India del Sud), conosce<br />

e risponde ai due oceani musicali.<br />

La sua collaborazione con Sikkil Gurucharan ha creato<br />

molta attenzione e questo CD, Eternal Light, con Lalgudi<br />

Krishnan al violino, è un esempio del livello che Anil ha<br />

raggiunto nell’ambito della musica Carnatica nella sua<br />

forma più classica e nello stesso tempo aperta alle armonia<br />

Occidentali.<br />

ASIA 47<br />

L'incontro fra due strumenti tipici della tradizione classica<br />

occidentale, pianoforte e violino, qui nelle mani di due musicisti<br />

indiani alle prese con un repertorio di musica Carnatica ci ha<br />

spinto a chiedere a due diversi recensori, uno Occidentale e<br />

l'altro Indiano, la loro opinione sul progetto.<br />

Come molti italiani, non sono amico delle lingue straniere.<br />

Cerco di scherzarci su, dicendo che sono rigidamente<br />

monoglotta, ma è una maniera di dissimulare il fastidio per<br />

una cosa che, naturalmente, mi disturba. Tuttavia, sono<br />

attratto dalle situazioni in cui la comunicazione non può<br />

svolgersi secondo il meccanismo abituale. Quando accade,<br />

ho l’impressione di essere in un mondo che non è proprio<br />

quello solito. Cerco di spiegarmi. Una volta un amico voleva<br />

convincermi a presentarmi fingendomi un altro ad un liutaio<br />

che mi aveva promesso un violino che non arrivava mai.<br />

Eravamo ad un punto morto: secondo il liutaio il violino<br />

non era mai quello giusto per me ed io, che di violini invece<br />

ne avrei concupito più d’uno, non mi sentivo di far forza<br />

sulla situazione per il rispetto che avevo per lui. Quel che<br />

sosteneva il mio amico era che se avessi osservato la realtà<br />

con gli occhi di un altro forse avrei intravisto una soluzione.<br />

Il primo brano, Sudhamayi di Muthiah Bhagavatar, nel<br />

raga pentatonico Amritavarshini, che annuncia l’arrivo<br />

della pioggia, inizia con un ciclo armonico punteggiato dal<br />

violino di Lalgudi. La sequenza, per qualche ragione, non<br />

sembra Felmay funzionare •strada – il violino roncaglia di Krishnan 16 •15033 non sanè germano così sciolto AL •italy<br />

FELMAY<br />

come ph. nel +39 resto 0142 dell’album 50577 fax and +39il 0142 piano 50780 è sovraccaricato.<br />

info@felmay.it www.felmay.it<br />

Per fare le cose per bene, suggeriva di fingersi straniero - io,<br />

Quando arrivano al Kriti (composizione) le cose si sono appunto, che parlo solo l’italiano -, e per rendere credibile la<br />

sistemate e il suono diventa accattivante.<br />

recita incominciò, in un incredulo scompartimento di treno,<br />

Il seguente raga, Saramati, è il brano migliore dell’album ad allenarmi a parlare una lingua inventata lì per lì. Buffo, no?<br />

basato sulle ricche armonie di Anil e sul grande controllo Del resto, tutti noi conosciamo anche lingue inconsapevoli.<br />

di che il violino di Lalgudi ha sul raga.<br />

Ho assistito al dialogo tra un bambino così piccolo da non<br />

E’ interessante che il Cd comprenda una rara composizione saper ancora parlare e una bimba appena più grandicella.<br />

di Dandapani Desikar, Arulla vendum. Il violino attraversa La bimba aveva da dirgli non so cosa, il piccolo sgranava gli<br />

la struttura asimmetrica del raga con grande bellezza occhioni, ma non si intendevano. Alla fine la bimba è stata<br />

atterrando al momento e nel modo giusto, e il piano è li, costretta alla resa e ha chiesto aiuto a un terzo, piccolo<br />

insieme a lui sottolineando così perfettamente le peculiarità altrettanto: “Spiegaglielo tu, che parli la sua lingua”. E i<br />

di Saramati.<br />

due, a ruttini e squittii, si sono intesi benissimo. Capirete<br />

Le percussioni Carnatiche tendono a modellare le bene che non potrei nemmeno volendo avere la pretesa di<br />

composizioni con ritmi molto ornati. Scegliendo i leggeri spiegarvi su quale terreno si sia potuta realizzare l’intesa<br />

sussurri della kanjira (percussione simile ad un tamburello) tra un illustre violinista dell’India meridionale, erede di una<br />

di BS Purushottam invece che il rimbombo del più classico tradizione secolare, e un pianista che ha fatto quelli che<br />

mridangam, Anil ha trovato la formula giusta per questo potremmo chiamare “studi regolari”. O, piuttosto, su quale<br />

tipo di musica.<br />

terreno si sia potuta realizzare l’intesa tra i loro strumenti,<br />

In Akhilandeswari , il brano che segue, i tre musicisti che non si erano mai incontrati e che forse hanno guidato i<br />

insieme creano un affascinante ambiente sonoro in cui la loro esecutori. Certo, né l’uno né l’altro, parlo del violinista<br />

melodia a tratti, ma molto raramente, è punteggiata della e del pianista, sono stati in questa occasione quel che<br />

battito della kanjira.<br />

sono abituati ad essere. Solo dopo aver ascoltato il disco<br />

per intero ho letto le note, e ho imparato di aver ascoltato<br />

Il brano successivo, il corposo Meenakshi in raga Purvi composizioni dei più importanti musicisti della tradizione<br />

Kalyan di Muthuswami Dikshitar è preceduto da una breve carnatica. Potevano essere improvvisazioni del violino, per<br />

introduzione (alapana). l’accompagnamento in questa il mio orecchio di musicista classico, sostenute e in un certo<br />

porzione toglie all’alapana la sua caratteristica mancanza senso “spiegate” dalla trama armonica del pianoforte e di<br />

di forma, che costituisce il suo ossigeno. Quando si arriva qualche discreta percussione, racchiuse in un involucro che,<br />

alla composizione (kriti) un senso di fatica si impossessa solo per rassicurare, conserva - o assume - della tradizione<br />

dell’ascoltatore – non c’è abbastanza in termini di varietà occidentale qualche segnale narrativo. Per il resto, non<br />

nell’album da mantenere l’interesse. Molte delle canzoni saprei trovare parole per descrivere il senso di sospensione<br />

sono nello stesso tempo, molti ornamenti sono ripetitivi. di questa musica, che lungo l’ascolto si muove su un<br />

sentiero armonico dolcissimamente arcuato, per le ripetizioni<br />

L’album si conclude con un Thillana in Mishra Maund, continue e mai ossessive, per quel tanto di indulgenza che<br />

composizione del padre di Krishnan, Lalgudi G Jayaraman. mi pare di cogliere nel track 7, che inizia col solo pianoforte<br />

Qui il piano lascia che l’alapana sia più piacevole, leggera. in un’atmosfera notturna quasi da jazz club, a cui il violino<br />

Purtroppo l’accompagnamento del Thillana non sottolinea si unisce rinunciando ad essere la guida e, per una volta,<br />

a dovere la struttura ritmica mancando le giuste cadenze. accompagnando. Non so, e non colgo il senso dell’inizio e<br />

della fine in questa musica che non so se esisteva prima e<br />

Eternal Light si rivela così un album con i suopi momenti se esiterà in futuro, e che mi sembra potrebbe continuare<br />

e cerco solo per la superlativa resa di Arulla Vendum e ancora chissà quanto; io l’ascolterei volentieri.<br />

Akhilandeswari, vale il suo costo<br />

Fulvio Luciani<br />

è un violinista con “studi regolari”. Concepisce la sua<br />

V. Ramnarayan attività come un piccolo e specializzato laboratorio di<br />

Caporedattore di Sruti, ricerca, ed è curioso di tutto. Suona quel che gli piace e lo<br />

la più importante rivista di musica classica indiana<br />

interessa e insegna al Conservatorio di Milano.<br />

10 PRIMAVERA 2011 10 PRIMAVERA 2011<br />

world music<br />

file under<br />

ustad shujaat<br />

husain khan<br />

india<br />

P Felmay 2011<br />

fy 8176<br />

P Felmay 2009


48 Mondomix.com / RECENSIONI LIBRI<br />

VISIONI 49<br />

le d o n n e d i m i o PA d r e<br />

José Eduardo Agualusa<br />

La Nuova Frontiera 2010<br />

370 pp., € 17,50<br />

Una donna portoghese parte per<br />

l’Africa sulle tracce di quello che le<br />

dicono essere il suo vero padre. Un<br />

avventuriero contrabbassista sciupa<br />

femmine, defunto senza per questo<br />

impedire a lettore di innamorarsene<br />

a prima vista. Per contarne i figli, o i<br />

presunti tali, ci va il pallottoliere; per<br />

accogliere l’uragano di sensazioni musicali che flagella i<br />

brevi capitoli occorrerebbe un iPod da 16 giga. Faustino<br />

Manso e lo swing suonato con il suo saggio pianista senza<br />

mani, lo spirito caciarone delle marrabenta mozambicane,<br />

la furia del kuduro angolano che uno dei tre viaggiatori<br />

porta nel cuore dai sound system d’Angola. Le due grandi<br />

ex colonie di Lisbona sono tratti essenziali di questo<br />

romanzo on the road, dove le piste rosse della savana si<br />

alternano ai grandi viali sudafricani, al tratto da guscio<br />

di noce che porta alla Ilha de Moçambique, tappa finale<br />

(preziosa la mappa dettagliata del tour in apertura del<br />

volume) della giovane e lacerata ciurma partita da quello<br />

specchio dell’Africa lusofona che è il Brasile. Tra rapper<br />

ubriachi per le strade di Luanda e inni politici, orchestrine<br />

male in arnese e mito di Casablanca, barzellette sul<br />

contrabbasso e vecchi 78 giri introvabili, la narrazione<br />

scorre attuale e nervosa. Ci si affacciano persino le Brigate<br />

VpS A5-10-10:manchette Rosse, si bevono 25/10/10 cocktail 12:39 energetici, Pagina 1<br />

si cita Bilal; in bilico<br />

Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. DL. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1 CNS/CBPA/TORINO - agosto settembre 2010 - anno XXV - foto: Bilderberg<br />

La sfida alle oligarchie del cibo Credito ai contadini Sovranità alimentare in Italia<br />

DIVORATORI DI FUTURO<br />

Come riappropriarci di quel che mangiamoVpS<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

Volontari per lo sviluppo<br />

La rivista di chi abita il mondo<br />

www.volontariperlosviluppo.it<br />

VpS<br />

è social: Ci trovi anche su<br />

Facebook e Twitter!<br />

tra vecchio e nuovo, storia e fiction, guerre civili e civiltà<br />

dell’arrangiarsi, il cinquantenne autore portoghese di natali<br />

angolani balla con maestria su una storia inevitabilmente<br />

intrisa della propria natura intercontinentale.<br />

Paolo Ferrari<br />

ViA g g i e A lt r i V iA g g i<br />

Antonio Tabucchi<br />

I narratori – Feltrinelli 2010<br />

272 pp., € 17,50<br />

Uno strano libro di viaggi che non<br />

parla solo di viaggi in senso stretto<br />

ma soprattutto di emozioni e della loro<br />

perenne trasformazione al contatto con<br />

le situazioni che tocchiamo durante lo<br />

spostamento. Ecco quindi un luogo<br />

apparirci piacevole o inadeguato a<br />

seconda della nostra disposizione<br />

interiore verso l’incontro. Lo stesso<br />

vale anche per le persone o le parole scritte. Un libro per<br />

chi ama curiosare col cuore e con la mente universi attigui<br />

filtrati dalla propria esistenza e perdersi nei meandri delle<br />

suggestioni, dei ricordi e delle assonanze che l’autore<br />

riesce continuamente ad evocare creando, in pratica, un<br />

ulteriore viaggio dentro al viaggio.<br />

Elisabetta Sermenghi<br />

La rivista<br />

di chi abita il mondo<br />

Reportage e notizie dai cinque continenti, progetti di<br />

solidarietà, ricerca volontari delle associazioni, proposte<br />

di turismo alternativo, viaggi responsabili e molto altro...<br />

Sfoglia anche online il nostro numero speciale su<br />

alimentazione e agricoltura: dalle sfide italiane a<br />

quelle mondiali, con esempi e indicazioni pratiche<br />

per passare dall’idea di sicurezza alimentare (avere<br />

cibo) a quella di sovranità alimentare<br />

(avere il controllo su come procurarselo).<br />

Cosa trovi in questo numero:<br />

PRIMO PIANO ITALIA AFFAMATA<br />

Latifondi e cementificazione mettono a rischio il Belpaese<br />

REPORTAGE SEMI-LIBERTÀ<br />

Gli effetti dei brevetti sulle sementi<br />

DOSSIER PALATI FINI<br />

La sovranità alimentare in Italia riconquistata dalla società civile<br />

Per copia omaggio 011/8993823 redazione@volontariperlosviluppo.it<br />

Per ricevere la rivista tutto l’anno il contributo è di 28 Euro, da versare sul ccp 37515889 intestato a: Volontari per lo Sviluppo, Corso Chieri 121, Torino<br />

he r e A F t e r 2010<br />

Regia Clint Eastwood<br />

Sceneggiatura Peter Morgan<br />

Musica Clint Eastwood<br />

Attori Matt Damon, Cécile de France, Bryce Dallas Howard<br />

Jay Mohr, Mylène Jampanoï<br />

Per avere il coraggio di infrangere il tabù per eccellenza<br />

e domandarti e domandarci:‘ma cosa c’è dopo la morte?’<br />

devi essere una leggenda vivente ottantenne che ha diretto<br />

di tutto, dal western al biopic, alla fantascienza epica,<br />

alla tragedia shakespeariana moderna, alla commedia<br />

romantica, al thriller, per citare alcuni dei generi frequentati<br />

dall’Eastwood regista, dal 1971 a oggi. Forse dopo c’è un<br />

altro stato in cui ci ricongiungeremo alle anime dei nostri<br />

cari, non più limitati dal corpo: così sembrano dirci le visioni<br />

premorte di una giornalista (Cécile De France), quelle di un<br />

sensitivo (Matt Damon) o la speranza di parlare col gemello<br />

morto di un bambino. Non ci sono certezze nel vagare e<br />

soffrire dei personaggi, che scoprono che si può contare<br />

solo sulla comprensione e l’amore che ci possiamo dare<br />

l’un l’altro finché siamo vivi. Certo il film è molto di più.<br />

È la straordinaria sequenza in cui viviamo uno tsunami<br />

improvviso con la giornalista Marie e ci sentiamo travolti e<br />

sbattuti contro ogni genere di ostacolo. È il mesto George<br />

che non vorrebbe più sentire i segreti della gente solo<br />

prendendo loro le mani e ricevendo le voci dei loro morti<br />

(come la veggente del bel romanzo di Matteo B. Bianchi<br />

Apocalisse a domicilio). È la storia di Marcus, che ha perso<br />

il fratello, affidato a una nuova famiglia, perché la madre è<br />

tossicodipendente. Ma non temete: Eastwood continua a<br />

saper raccontare i sentimenti con pudore e misura, senza<br />

faciloneria. Questo bel film si interroga con onestà sulle<br />

occasioni perdute nella nostra vita terrena e sulla speranza<br />

nella sopravvivenza dell’anima; su un forse e su quello che,<br />

almeno qui e ora, possiamo cercare di conquistarci.<br />

Paola Valpreda<br />

tFF 28<br />

Il 28esimo Torino Film Festival (diretto da Gianni Amelio)<br />

ha ben colto lo spirito dei nostri difficili tempi: arti<br />

mozzati o personaggi incompleti e dolenti, amputati<br />

psicologicamente, sono elemento comune a tanti film.<br />

I 16 film in concorso, però, sono stati di qualità altalenante.<br />

Si va dalla banalità da fiction televisiva di Henry di Piva,<br />

all’ideuzza da corto strascicata a lungometraggio (Vampires,<br />

mockumentary sulla vita quotidiana dei vampiri) alle storie<br />

già viste e riviste (White Irish Drinkers), a lavori interessanti<br />

come Four Lions (amara commedia su quattro scalcinati<br />

terroristi islamici) o Las marimbas del infierno (docudrama<br />

guatemalteco) fino a due film molto belli: Winter’s Bone<br />

di Debra Granik (che ha vinto) e Portretul luptatorului la<br />

tinerete di Popescu. Il primo è un ritratto di un’America<br />

povera, violenta e brutta, pur con qualche speranza<br />

affidata a una giovane donna e alla solidarietà femminile,<br />

in un desolato Missouri le cui atmosfere ricordano Frozen<br />

River. Il secondo, ambientato nella Romania degli anni<br />

‘50, è una toccante riflessione sul tentativo di mantenere<br />

la dignità umana sotto una dittatura; intercala disposizioni<br />

ufficiali su come spiare tutti i cittadini e utilizzare i delatori<br />

alle avventure di un gruppo di partigiani. Eroi giovani,<br />

belli e coraggiosi, in mezzo a una montagna ostile ma<br />

affascinante, braccati da un intero esercito, consapevoli<br />

che la loro ribellione è destinata alla sconfitta. Uno di loro,<br />

che desidera avere dei figli, dice che non vuole dover<br />

rispondere loro, quando gli chiederanno cosa ha fatto<br />

sotto la dittatura, un umiliante ‘niente’: riflessione che dà<br />

da pensare anche a noi, in tempi e luoghi diversi.<br />

Tra i film non in concorso segnaliamo, oltre a Hereafter , 127<br />

hours di Boyle, sui limiti umani e la spettacolarizzazione, con<br />

James Franco che, bloccato in un canyon da un masso sul<br />

braccio, filma la sua agonia, immaginandosi protagonista<br />

di un talk show; Kaboom di Araki, divertente, autoironica<br />

e rutilante girandola sulla passione e paura americana per<br />

e dei complotti planetari; The Ward di Carpenter, in cui il<br />

maestro riesce a farci tremare con un horror vecchio stile;<br />

Suck di Stefaniuk, con i musicisti di una band disposti per<br />

il successo a diventare vampiri, mentre il roadie fa sparire<br />

i cadaveri (tra gli attori Henry Rollins, Alice Cooper e Moby<br />

come cantante di una band metallara i cui fan gettano<br />

carne cruda sul palco); infine Caterpillar di Wakamatsu, su<br />

un reduce di guerra giapponese che ha perso tutti gli arti,<br />

la parola e l’udito, ridotto a un pezzo di carne e ai suoi<br />

bisogni elementari: sua moglie, indottrinata all’orgoglio<br />

di avere in casa un eroe di guerra, inizia a dubitare della<br />

propaganda patriottica, quella stessa che fa credere ai<br />

Giapponesi che vinceranno la seconda guerra mondiale<br />

fino alla vigilia di Hiroshima.<br />

Paola Valpreda<br />

10 PRIMAVERA 2011


50 Mondomix.com<br />

La World Music che non sapevamo di avere in casa<br />

Catch A Fire<br />

Bob Marley & The Wailers<br />

di Eddy Cilìa<br />

Sui perché della fama globale di Bob Marley ci si interroga<br />

da quando nulla sembrava potesse fermarlo. Questione<br />

certo di canzoni di poesia e innodia straordinarie e di una<br />

presenza scenica rimarchevole, ma soprattutto una faccenda<br />

di carisma. Predicatore sul palco con parole semplici che<br />

tutti potevano comprendere, eppure di una profondità tale<br />

da prestarsi a letture metaforiche. Portatore di una visione<br />

spirituale condivisibile come afflato anche da chi è lontano<br />

dalla fede rasta. Esempio insuperato del levarsi in piedi di<br />

quella parte di pianeta demograficamente dominatrice ed<br />

economicamente e culturalmente prevaricata che domanda<br />

che la sua dignità venga infine riconosciuta. Ecco perché,<br />

in Africa come in Asia o nell’America Latina, Robert Nesta<br />

Marley è un simbolo di riscatto prima ancora che un divo<br />

del pop. Nella nostra parte di mondo alla sua sopravvivenza<br />

hanno contribuito invece il fascino romantico dell’artista<br />

che muore giovane e la trasversalità dell’impatto. A cavallo<br />

fra Settanta e Ottanta Marley era l’unico che metteva tutti<br />

d’accordo: veniva ballato in discoteca ed era amato dai<br />

punk che disprezzavano la dance ed erano stati catturati<br />

dal reggae via Clash, era colonna sonora di feste come di<br />

cortei, interiorizzato da ciascuno come tesoro personale,<br />

eppure capace di riempire gli stadi. Andarono in centomila<br />

ad ascoltarlo a San Siro nell’estate 1980, il suo concerto più<br />

affollato e uno degli ultimi, e chi non c’era non potrà mai<br />

capire appieno l’impatto che ebbe in quegli anni. Nondimeno<br />

l’universalità del messaggio ha trasceso i decenni e chi si<br />

accosta oggi alla sua musica ne può certamente restare<br />

emozionato come chi ne fu stregato in diretta.<br />

Anche avendo l’età giusta, pochi possono però raccontare<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

1) che a fare scoprire loro Marley fu Catch A Fire e, 2), che<br />

accadde proprio nell’anno in cui veniva pubblicato, il 1973.<br />

Il disco in realtà non vendeva che quattordicimila copie in<br />

Gran Bretagna nei primi dodici mesi nei negozi e molte<br />

meno nei restanti paesi europei. Se il patron della Island<br />

Chris Blackwell non avesse avuto una fede assoluta in un<br />

artista che conosceva da ben prima del giorno in cui si era<br />

presentato nel suo ufficio londinese, la storia della popular<br />

music come oggi la conosciamo sarebbe incredibilmente<br />

diversa. Ma Blackwell perseverava. Se Catch A Fire sul<br />

momento vendeva pochino era perché costituiva una<br />

novità che richiedeva tempo per essere metabolizzata.<br />

Se non poteva in compenso che divenire in prospettiva la<br />

pietra d’angolo della leggenda marleyana è perché in esso<br />

gli elementi costitutivi di codesta già ci sono tutti. Ci sono<br />

le canzoni. C’è il suono.<br />

Saggia decisione in ogni caso, quella di Mister Island, di<br />

mettere le mani nel missaggio. Sapeva bene, e Marley<br />

evidentemente concordava, che le platee euro-americane<br />

non erano avezze alle ruvide sonorità giamaicane e che,<br />

dovendo già fare digerire loro la battuta in levare, sarebbe<br />

stato opportuno levigarle, insaporendo nel contempo la<br />

pietanza con le familiari spezie del rock. Se era un piccolo<br />

colpo di genio la pensata di introdurre il cupo paesaggio<br />

di desolazione urbana di Concrete Jungle con un preludio<br />

di gusto psichedelico, che per qualche secondo cela<br />

all’ascoltatore l’incedere reggae, rappresentavano intuizioni<br />

non meno brillanti il sistemare piuttosto avanti le tastiere,<br />

evidenziandone il piglio rhythm’n’blues, e la sovraincisione<br />

di assoli di chitarra nella stessa title-track, nella ninna<br />

nanna Rock It Baby, nella sinuosa e sessualmente<br />

esplicita Stir It Up. Scrematura del repertorio dei cinque<br />

anni precedenti con poco di nuovo in assoluto, l’album<br />

è un’ininterrotta sfilata di classici e il ritratto più accurato<br />

immaginabile, in nove canzoni e trentasei minuti, di quei<br />

Wailers: qui maliziosi e là moralisti; qui evocanti la tragedia<br />

della schiavitù sciorinando gospel su sincopi radenti il funk<br />

(Slave Driver) e là censori su una scansione dondolante<br />

delle drogate lordure di Londra (Kinky Reggae). Quando<br />

non Impressions caraibici (Stop That Train) con l’astuzia<br />

di rubare una linea di basso a Isaac Hayes e un verso ai<br />

Beatles (No More Trouble).<br />

Cuba<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

51


Ossigeno Digital <strong>Distribution</strong><br />

alcune nostre promozioni<br />

Mirco Menna & Banda di Avola<br />

…e l’italiano ride<br />

Best record of 2010 - Mondomix<br />

Bregada Berard<br />

bon nadal occitania<br />

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Paula Morelenbaum<br />

telecoteco<br />

(um s a m b i n h a c h e i o de bossa…)<br />

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Massimo Bubola & Circolo<br />

Sociale del Liscio<br />

ro m a g n a n o s t r a<br />

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Various Artists<br />

tr a n c e gamelan in bali<br />

home page - Mondadori Shop<br />

Merle-Anne Prins-Jorge<br />

& Raul Colosimo<br />

VoicelinK<br />

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5° Classifica Album Jazz Italia - iTunes<br />

Brusco<br />

l'erb a della gioVinezza<br />

1° Classifica Singoli Reggae Italia - iTunes<br />

Mamud Band<br />

opposite people<br />

th e music of fela Kuti<br />

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Lucilla Galeazzi<br />

an c o r a bella ciao<br />

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sir oliVer sK a r dy<br />

Piragna 2° Classifica Album Reggae Italia - iTunes<br />

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Grande Bidello 4° Classifica Album Reggae Italia - iTunes<br />

Gai Saber<br />

an g e l s pastres miracles<br />

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Remo Anzovino<br />

igloo<br />

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Birkin Tree<br />

Virginia<br />

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Gamelan of Central Java<br />

XiV. ritual sounds of seKaten<br />

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Alessio Lega & Rocco Marchi<br />

E ti chiamaron m at ta d i<br />

Gi a n n i nEbbiosi<br />

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