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Danno e responsabilità - Ipsoa

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OPINIONI<br />

DANNO E RESPONSABILITA’•ANNO XI<br />

CAUSALITÀ CONCORRENTE<br />

di Francesco Parisi e Vincy Fon 701<br />

CADUTE NEI VILLAGGI TURISTICI E RESPONSABILITÀ DEL TOUR OPERATOR<br />

di Marco Bona 713<br />

MANUTENZIONE DELLE STRADE E RESPONSABILITÀ DELLA P.A.<br />

di Luca Christian Natali 723<br />

GIURISPRUDENZA<br />

Itinerari della giurisprudenza<br />

LA RESPONSABILITÀ DELLA P.A. PER I DANNI DA ANIMALI SELVATICI<br />

a cura di Roberto Foffa 731<br />

Legittimità<br />

PUBBLICITÀ INGANNEVOLE, INIBITORIA COLLETTIVA E G.O.<br />

Cassazione civile, sez. un., 28 marzo 2006, n. 7036, ord. 737<br />

commento di Roberto Conti 739<br />

LE SEZIONI UNITE E L’EQUA RIPARAZIONE PER LA LUNGHEZZA DEI PROCESSI<br />

Cassazione civile, sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28507 745<br />

Cassazione civile, sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28508 747<br />

commento di Alberto Venturelli 749<br />

ASPETTATIVE “LEGITTIME” DEI CONGIUNTI E DANNO RISARCIBILE<br />

Cassazione civile, sez. III, 12 settembre 2005, n. 18092 753<br />

commento di Federica Giazzi 754<br />

Merito<br />

ADELANTE... MA CON GIUDIZIO! (DUE SENTENZE GENOVESI SUL NUOVO DANNO NON PATRIMONIALE)<br />

Tribunale di Genova 23 gennaio 2006 759<br />

Tribunale di Genova 7 marzo 2006 760<br />

commento di Patrizia Ziviz 762<br />

RESPONSABILITÀ DELL’ORGANIZZATORE SPORTIVO PER LANCIO DI FUMOGENI<br />

Tribunale di Torino 11 novembre 2004 767<br />

commento di Angelo Maietta 773<br />

Amministrativa<br />

LA C.D. “PREGIUDIZIALE AMMINISTRATIVA” ED IL MURO DI GOMMA DI PALAZZO SPADA<br />

Consiglio di Stato, sez. V, 1° luglio 2005, n. 3679 781<br />

Consiglio di Stato, sez. IV, 28 luglio 2005, n. 4008 784<br />

commento di Giuseppe Micari 787<br />

Osservatorio di legittimità<br />

SOMMARIO<br />

a cura di Antonella Batà e Angelo Spirito 793<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 699


700<br />

DANNO E RESPONSABILITA’•ANNO XI<br />

Osservatorio sulla giustizia amministrativa<br />

a cura di Gina Gioia 798<br />

INTERVENTI<br />

IN BIBLIOTECA<br />

a cura di Cristina Amato 803<br />

INDICI<br />

INDICE DEGLI AUTORI 809<br />

INDICE CRONOLOGICO DEI PROVVEDIMENTI 809<br />

INDICE ANALITICO 809<br />

<strong>Danno</strong><br />

e <strong>responsabilità</strong><br />

Problemi di <strong>responsabilità</strong> civile<br />

e assicurazioni RIVISTA MENSILE<br />

DI GIURISPRUDENZA E DOTTRINA<br />

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REDAZIONE<br />

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DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

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<strong>Danno</strong><br />

IPSOA Redazione e <strong>responsabilità</strong><br />

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Ripartizione di <strong>responsabilità</strong><br />

Causalità concorrente<br />

di FRANCESCO PARISI (1) e VINCY FON (2)<br />

Introduzione<br />

Nella maggior parte dei regimi di <strong>responsabilità</strong>, se nessuna<br />

delle parti è in colpa, il danno è sopportato interamente<br />

dalla vittima (se il sistema è basato sulla colpa)<br />

oppure è trasferito interamente sul danneggiante (se il<br />

sistema è di <strong>responsabilità</strong> oggettiva). Le regole giuridiche<br />

esistenti non forniscono soluzioni chiare per ripartire<br />

il danno tra una vittima incolpevole un danneggiante<br />

incolpevole (3).<br />

Gli studiosi di law and economics hanno fornito convincenti<br />

criteri logici per individuare i casi in cui sarebbe<br />

efficiente lasciare allocate alcune perdite là dove<br />

cadono (ad es. lasciare il danno della vittima non compensato),<br />

e quelli in cui invece l’efficienza imporrebbe<br />

di spostare la perdita a carico del danneggiante. Ma,<br />

come ha lamentato Calabresi, è stato dato poco rilievo<br />

all’idea di distribuire la perdita tra un danneggiante incolpevole<br />

e una vittima innocente in base al loro contributo<br />

causale relativo nella produzione del danno (4).<br />

In anni recenti, alcune autorità giurisdizionali hanno<br />

riesumato il dimenticato paradigma della ripartizione<br />

causale della <strong>responsabilità</strong> in casi in cui i tradizionali<br />

elementi soggettivi di un illecito risultavano inapplicabili<br />

o mancavano di fornire una risposta soddisfacente.<br />

Durante la metà degli anni ottanta il tema della ripartizione<br />

causale del danno fu anche discusso nella letteratura<br />

giuridica ed economica (Landes e Posner, 1983;<br />

Rizzo e Arnold, 1980 e 1986; Kaye e Aickin, 1984;<br />

Wright, 1985; e Kruskal, 1986). La maggior parte di<br />

questi lavori si proponeva di individuare sistemi appropriati<br />

per valutare il contributo causale quando sono<br />

all’opera più concause. Ma, come hanno criticamente<br />

rilevato Kaye e Aickin (1984, p. 205), non è stato svi-<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

Come ha osservato Calabresi (1996), nessuna riflessione è stata fatta, nella letteratura giuridica ed economica<br />

recente, sull’idea di distribuire un danno da incidente tra un danneggiante incolpevole e una vittima<br />

innocente sulla base del contributo causale relativo delle parti nella produzione del danno. Questo criterio<br />

di ripartizione della <strong>responsabilità</strong>, che chiamiamo comparative causation, è l’oggetto di questo lavoro.<br />

Per prima cosa, esporremo una breve storia intellettuale del principio di causalità concorrente e ne<br />

forniremo un modello economico positivo. Allo scopo di identificare le caratteristiche strutturali della regola,<br />

considereremo innanzi tutto una regola di causalità concorrente “pura”, dove la <strong>responsabilità</strong> è allocata<br />

in base al principio di causalità, indipendentemente dalla colpa delle parti. Il modello economico<br />

mette in luce alcune caratteristiche interessanti della regola, ma svela anche i limiti di tale criterio di <strong>responsabilità</strong><br />

rispetto ai livelli di prevenzione e attività che induce. Nel seguito dell’articolo, estenderemo<br />

il modello economico per considerare il funzionamento della regola di causalità concorrente in congiunzione<br />

con le regole di <strong>responsabilità</strong> per colpa (negligence). L’applicazione della regola di causalità concorrente<br />

in un regime di <strong>responsabilità</strong> per colpa produce un sistema di incentivi che nessuna delle regole<br />

di <strong>responsabilità</strong> conosciute è in grado di fornire.<br />

luppato nessun modello sistematico per stimare l’effetto<br />

di una ripartizione causale del danno sugli incentivi<br />

delle parti con riguardo alla scelta di livelli di precauzione<br />

e attività. L’analisi in termini di efficienza degli<br />

effetti di quel paradigma di <strong>responsabilità</strong> che abbiamo<br />

chiamato “causalità concorrente” è appunto l’oggetto del<br />

presente lavoro.<br />

La sezione 1 presenta una breve storia intellettuale del<br />

criterio di causalità concorrente e fornisce una rassegna<br />

della moderna riscoperta di tale paradigma di <strong>responsabilità</strong>.<br />

La sezione 2 sviluppa un modello economico positivo<br />

di causalità concorrente pura, nel quale la responsa-<br />

Note:<br />

(1) Professore Ordinario di Analisi Economica del Diritto Privato, Università<br />

degli Studi di Milano; Professor of Law, George Mason School of<br />

Law & Director, Law and Economics Program.<br />

(2) Asssociate Professor, George Washington University, Department of<br />

Economics. Vorremmo ringraziare il Professor Giampaolo Frezza per avere<br />

incoraggiato e portato avanti la traduzione di questo articolo e Eleonora<br />

Melato per la sua generosa e valida assistenza nel completamento<br />

della versione italiana di questo scritto. Ringraziamo anche Erin Ruane<br />

Karsman per la sua valida assistenza nella ricerca e Robert D. Cooter per<br />

le illuminanti conversazioni durante i primi sviluppi di questo progetto.<br />

(3) La ripartizione del danno ha luogo generalmente, dove vige una regola<br />

di comparative negligence, quando entrambe le parti hanno mancato<br />

di soddisfare lo standard minimo di precauzioni con la loro condotta: vedi<br />

G. Schwartz (1978); Cooter and Ulen (1986); e Rubinfeld (1987).<br />

(4) Nel suo discorso al Sesto Congresso Annuale della American Law &<br />

Economics Association, tenutosi a Chicago il 10 e 11 maggio 1996, Guido<br />

Calabresi ha suggerito la comparative causation come un fertile campo di<br />

ricerca. Invece di determinare chi è in colpa, le corti dovrebbero attribuire<br />

la <strong>responsabilità</strong> ad ognuna delle parti in relazione al grado di contributo<br />

causale che ciascuna di esse ha apportato alla verificazione dell’incidente.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 701


702<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

bilità è posta a carico delle parti sulla base del loro rispettivo<br />

apporto causale nella produzione del danno, indipendentemente<br />

dalla colpa. Vengono considerati gli<br />

effetti della regola sugli incentivi. Il modello mette in luce<br />

alcune caratteristiche interessanti della regola e svela<br />

i suoi limiti nel produrre livelli efficienti di precauzioni e<br />

attività, sia per il danneggiante che per la vittima. Nella<br />

sezione 3, la causalità concorrente viene applicata congiuntamente<br />

alla regola di <strong>responsabilità</strong> per colpa (negligence).<br />

Il modello economico di questa regola ci consente<br />

di valutare i vantaggi e i limiti del principio di causalità<br />

concorrente, fornendo una spiegazione dell’emersione<br />

e dell’effettivo campo di applicazione della regola in<br />

sistemi giuridici storici e contemporanei. La sezione 4<br />

conclude con qualche considerazione sul dilemma della<br />

ripartizione causale dei danni.<br />

1. Ascesa e declino della causalità concorrente<br />

nella Tort law<br />

In questa sezione, esporremo una breve storia intellettuale<br />

del criterio di causalità concorrente, offrendo alcuni<br />

esempi storici e moderni del principio di compensazione,<br />

e del suo corollario pratico: il principio di ripartizione<br />

causale della <strong>responsabilità</strong>. Da ora in poi ci riferiremo<br />

all’applicazione di questi principi come al criterio di<br />

causalità concorrente.<br />

1.1 Origini della ripartizione causale del danno<br />

nella disciplina europea dell’illecito civile<br />

Il problema della ripartizione delle perdite tra parti incolpevoli<br />

è stato a lungo discusso nella teoria giuridica.<br />

Gli studiosi di diritto del quattordicesimo secolo e gli<br />

esponenti dell’umanesimo giuridico del quindicesimo<br />

secolo furono i primi a considerare esplicitamente il<br />

problema (5). Più tardi, nel corso del diciassettesimo secolo,<br />

alcuni giuristi della scuola del diritto naturale, come<br />

Hugo Grotius (1583-1645) e Samuel Pufendorf<br />

(1632-1694), rivisitarono criticamente il principio romanistico<br />

della colpa secondo il quale chi commette un<br />

illecito civile è responsabile per i danni che ha provocato<br />

solo se è in colpa. Questi studiosi misero in discussione<br />

l’assunto implicito nel principio della colpa, chiedendosi<br />

per quale motivo la vittima, persino nel caso in<br />

cui non abbia colpa, dovesse sopportare perdite causate<br />

da altri, e formularono un paradigma alternativo di <strong>responsabilità</strong><br />

conosciuto come principio di compensazione.<br />

La tensione tra il principio della colpa e il principio<br />

di compensazione divenne evidente negli scritti giurisprudenziali<br />

di Hugo Grotius, il quale prese in considerazione<br />

le implicazioni pratiche di questi criteri alternativi<br />

di <strong>responsabilità</strong>. L’opera di Grotius è permeata<br />

dalla consapevolezza che la non rimproverabilità (in<br />

termini di colpa) di un’azione deve essere considerata<br />

separatamente dalle conseguenze dell’azione stessa.<br />

Grotius propose di abbandonare il principio della colpa<br />

e di accogliere invece il principio di compensazione,<br />

suggerendo che, in mancanza di colpa, non c’è ragione<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

di addossare la perdita sulla vittima innocente, così come<br />

non c’è nessuna valida ragione per spostarla in capo<br />

al danneggiante (6).<br />

Sotto molti aspetti, l’opera di Grotius è esemplificatrice<br />

del disagio degli studiosi del diciassettesimo secolo<br />

nel rapportarsi agli esistenti paradigmi di <strong>responsabilità</strong>,<br />

che accoglievano un approccio rigido e dicotomico<br />

(del tipo “o tutto o niente”) al problema della ripartizione.<br />

Anche quando i danni non possono essere ripartiti<br />

sulla base delle rispettive colpe delle parti (ad<br />

esempio perché nessuna delle parti è in colpa e la perdita<br />

non può essere divisa sulla base della comparative<br />

negligence), ragioni di equità potrebbero richiedere che<br />

il danno venga ripartito tra le parti. In questo contesto,<br />

Grotius osservò che, secondo le leggi vigenti in molti<br />

paese al tempo in cui scriveva (prima dell’anno 1625),<br />

i danni erano di solito divisi tra le parti quando nessuna<br />

delle due poteva dirsi negligente o quando si presentavano<br />

difficoltà nel decidere quale delle due fosse<br />

in colpa nel caso di specie (Grotius, 1625, 2.17.21). In<br />

quelle situazioni, nozioni di ripartizione causale fornivano<br />

una valida base per la divisione delle perdite tra le<br />

parti.<br />

Qui di seguito, prenderemo in considerazione le alterne<br />

fortune di questo criterio di ripartizione causale del danno.<br />

Da ora in poi faremo riferimento ad esso come al criterio<br />

di causalità concorrente.<br />

1.2 La travagliata evoluzione della causalità concorrente<br />

nella disciplina moderna dell’illecito civile<br />

Le dottrine storiche di compartive causation che emersero<br />

ai tempi di Grotius, lasciarono poche tracce nelle successive<br />

raccolte di regole sull’illecito civile. L’idea di una<br />

ripartizione equa delle perdite tra parti non negligenti<br />

non fu condivisa dai giuristi successivi, come Domat<br />

(1625-1696) e Pothier (1699-1772), e fu conseguentemente<br />

ignorata dalle codificazioni europee, che rimasero<br />

basate esclusivamente sul principio classico della colpa<br />

(ad es. art. 1382 del codice civile francese del 1804;<br />

paragrafo 823 del BGB tedesco del 1900, ecc.). Chiunque<br />

causi per sua colpa un danno ad altri è tenuto a risarcire<br />

il danno. In mancanza di colpa - o della prova<br />

della colpa - il danno resta dove cade, senza alcuno spazio<br />

per ripartizioni causali delle perdite o per altre forme<br />

di ridistribuzione equitativa della <strong>responsabilità</strong>.<br />

Nonostante l’abbandono della dottrina storica della causalità<br />

concorrente da parte dei moderni codici europei, negli<br />

ultimi decenni la dottrina della causalità concorrente è<br />

Note:<br />

(5) Per una più completa analisi storica dell’evoluzione di questi criteri di<br />

<strong>responsabilità</strong> nell’Europa medievale, vedi Parisi (1992).<br />

(6) Il criterio di ripartizione causale del danno era un corollario importante,<br />

e probabilmente inevitabile, dell’approccio equitativo di Grotius<br />

alla <strong>responsabilità</strong>. In un passaggio del suo De Iure Belli ac Pacis, Grotius<br />

(1625, 2.17.13) esaminò alcuni casi in cui il legame tra colpa e <strong>responsabilità</strong><br />

non poteva considerarsi chiaramente determinato.


stata riscoperta in molte giurisdizioni. Alcuni sviluppi<br />

sono decisamente notevoli, soprattutto se si considera<br />

quante limitazioni le corti di Civil law si trovano ad affrontare<br />

quando cercano di introdurre nuovi principi<br />

giuridici in aree consolidate del diritto, quale appunto<br />

l’area dell’illecito civile.<br />

La Francia e la Germania hanno adottato criteri di ripartizione<br />

causale fin dall’ottocento (Prentice, 1995, n.<br />

4). L’attuale giurisprudenza francese continua a riconoscere<br />

una base causale di ripartizione della <strong>responsabilità</strong><br />

(Palmer, 1988, p. 1327). La Cour de Cassation francese,<br />

la corte suprema francese, applica tutte le regole di <strong>responsabilità</strong><br />

su base causale, e in molte circostanze non<br />

riconosce la colpa della vittima indipendentemente da<br />

criteri di imputazione causale. Così, ad esempio, “l’impatto<br />

causale” della condotta negligente delle parti diventa<br />

un fattore rilevante per ripartire i danni in un sistema<br />

di <strong>responsabilità</strong> per colpa.<br />

A causa dell’influenza della giurisprudenza di Civil law, il<br />

principio di causalità concorrente si è esteso ben oltre l’Europa.<br />

Tradizionalmente, le corti giapponesi sono impegnate<br />

a trovare soluzioni eque ai casi difficili. I criteri di<br />

contribuzione causale forniscono una valida base per<br />

un’allocazione equa dei danni nei casi di illecito civile.<br />

Con la ripartizione causale, può essere ottenuta una divisione<br />

equa delle perdite, laddove i criteri tradizionali di<br />

<strong>responsabilità</strong> porterebbero a soluzioni del tipo “o tutto o<br />

niente” (Yu, 2000; Yoshisha, 1999). Gli sviluppi giuridici<br />

in Europa si sono anche concentrati sull’applicazione<br />

di questo criterio di <strong>responsabilità</strong> nel campo della diritto<br />

ambientale. La Hoge Raadi, la corte suprema olandese,<br />

ha applicato negli anni ottanta i principi di causalità<br />

concorrente ad una serie di casi di <strong>responsabilità</strong> per danni<br />

ambientali (7).<br />

In anni recenti, la regola di causalità concorrente è emersa<br />

anche negli Stati Uniti fra sistemi basati sulla colpa o<br />

sulla <strong>responsabilità</strong> oggettiva. La riscoperta del concetto<br />

da parte delle corti americane è comunque guidato da<br />

più pragmatiche necessità. La causalità concorrente col<br />

tempo è stata applicata in casi in cui era difficile valutare<br />

la colpa (ad es. <strong>responsabilità</strong> di persone incapaci,<br />

ecc.) o in cui sembrava comunque opportuno ripartire la<br />

perdita tra il danneggiante e la vittima sulla base di un<br />

criterio di imputazione causale (ad es. danni causati congiuntamente<br />

da individui incolpevoli) (8).<br />

Queste applicazioni storiche e dottrinali condividono<br />

un fondamento metodologico comune, che consiste nell’uso<br />

del principio di causalità per ripartire il danno tra<br />

parti incolpevoli. Nella sezione 2, prenderemo in considerazione<br />

un modello economico di causalità concorrente<br />

in cui le parti rispondono sulla base del principio di causalità,<br />

indipendentemente dalla colpa. Ci riferiamo a<br />

questo regime come a “causalità concorrente pura” (9).<br />

Studieremo gli effetti di questa regola sugli incentivi delle<br />

parti con riguardo alla scelta di livelli di precauzioni e<br />

attività. Nella sezione 3, considereremo una seconda,<br />

più complessa, versione del modello di causalità concor-<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

rente, utilizzato congiuntamente ad una regola di <strong>responsabilità</strong><br />

per colpa (negligence). Sotto questo regime, la <strong>responsabilità</strong><br />

è primariamente ripartita sulla base della<br />

colpa, e solo residualmente sulla base del principio di<br />

causalità. Quando solo una parte è in colpa, la <strong>responsabilità</strong><br />

è posta interamente in capo al soggetto negligente.<br />

Quando entrambe le parti sono in colpa o quando nessuna<br />

delle due lo è, la perdita è invece divisa tra le parti<br />

sulla base del loro rispettivo contributo causale nella<br />

produzione del danno. Ci riferiremo a questo secondo<br />

regime di causalità concorrente come a “causalità concorrente<br />

in un regime di negligence”.<br />

2. Un modello di causalità concorrente pura<br />

La presente sezione si prefigge lo scopo di analizzare un<br />

modello economico di causalità concorrente. Si assume<br />

che le parti debbano sopportare una perdita proporzionale<br />

al loro contributo causale alla produzione del danno,<br />

indipendentemente dalla loro colpa. Tre elementi<br />

contribuiscono a determinare il costo sociale complessivo<br />

degli incidenti: il costo del danno, il costo dell’adozione<br />

di misure di prevenzione, ed il costo della riduzione<br />

del livello di attività da parte dei soggetti interessati.<br />

Tali costi sono determinanti per l’analisi economica delle<br />

regole di <strong>responsabilità</strong>. I benefici sociali che maturano<br />

quando le parti si impegnano in attività che comportano<br />

l’assunzione di rischi si considerano come pienamente<br />

internalizzati dagli agenti.<br />

Stabiliamo la seguente notazione che useremo nel seguito.<br />

Con w(z,x) denotiamo la funzione di beneficio<br />

privato, definita come il reddito atteso dal danneggiante<br />

che ha intrapreso un livello di attività z con precauzioni<br />

x. Con il pedice si indica la derivata della funzione<br />

rispetto ad una delle sue variabili. L’aumento delle misure<br />

di prevenzione, determinando un costo per il danneggiante,<br />

determina, altresì, una diminuzione dei suoi<br />

benefici; per questa ragione assumiamo che w x < 0 e w xx<br />

, < 0, per ogni z (assumendo che la funzione w sia derivabile<br />

due volte). Il livello di attività incrementa i benefici<br />

sino ad un determinato punto; quindi w z è inizialmente<br />

positivo ma successivamente negativo, con w<br />

Note:<br />

(7) Per ulteriori riferimenti alle tendenze giapponesi e olandesi, vedi Yu<br />

(2000) e Hondius (1999).<br />

(8) Per alcune analisi di recenti applicazioni giudiziali del paradigma di<br />

comparative causation, vedi Gershonowitz (1986) e Clark (1989).<br />

(9) Alcuni studiosi hanno assimilato la nozione di comparative causation<br />

ad un sistema di <strong>responsabilità</strong> oggettiva comparativa. Palmer (1988)<br />

suggerisce che si debba riconoscere che la <strong>responsabilità</strong> oggettiva possa<br />

essere utilizzata come una scala mobile, invece che come un punto di riferimento<br />

esatto. Vista da questa prospettiva, il principio di causalità può<br />

anche essere considerato come un continuum e quando cause multiple<br />

contribuiscono a produrre un dato danno (es. attività del danneggiante e<br />

attività della vittima, pluralità di danneggianti, ecc.) la comparative causation<br />

diventa un potenziale strumento per ripartire le perdite tra le parti<br />

che contribuiscono alla causazione. Vedi anche Parisi e Frezza (1998a e<br />

1998b).<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 703


704<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

che assume il suo massimo in zp (x), con wzz < 0 (10).<br />

Poiché w è decrescente in x, | wx | rappresenta il costo<br />

marginale relativo all’assunzione di precauzioni ulteriori.<br />

Chiaramente, wz rappresenta il beneficio marginale<br />

relativo al livello di precauzioni z, cioè la variazione del<br />

beneficio in relazione alla variazione del solo livello di<br />

precauzioni.<br />

Consideriamo ora la funzione b(u,y). Sia b la funzione di<br />

beneficio privato della vittima, ove u rappresenta il livello<br />

di attività e y il livello di precauzioni della vittima. Assumiamo<br />

che b abbia proprietà simli alla funzione di beneficio<br />

privato del danneggiante: by < 0 e byy < 0 per ogni<br />

u, bu è inizialmente positivo ma successivamente negativo,<br />

con b che assume il massimo in up (y) e uyy < 0. Anche<br />

in questo caso, l’incremento delle precauzioni rappresenta<br />

un costo per la vittima, mentre un incremento del livello<br />

di attività nell’intervallo rilevante (11) determina<br />

un aumento dei benefici per la vittima stessa.<br />

Sia D(x,y) il danno atteso relativo al livello di attività<br />

intrapreso, ove il livello delle precauzioni riduce il costo<br />

degli incidenti attesi ad un tasso decrescente, ed i livelli<br />

di precauzione adottati dalle due parti siano succedanei:<br />

Dx < 0, Dy < 0, Dxx < 0, Dyy < 0 e Dxy < 0(12). Assumiamo<br />

che i danni totali siano zuD(x,y) (13). Dato che all’aumentare<br />

delle precauzioni x, D decresce, |zuDx| può<br />

essere inteso come il beneficio marginale (sociale) di un<br />

incremento di precauzioni x.<br />

Volgiamo ora la nostra attenzione al nesso di causalità.<br />

Si noti che esso può essere influenzato da molteplici variabili,<br />

inclusi il livello di attività delle parti ed il livello<br />

delle precauzioni adottate. Ad esempio, diminuendo il<br />

livello di attività oppure aumentando l’adozione di misure<br />

di precauzione da parte del soggetto agente, un incidente<br />

si verifica più difficilmente (14). Il nostro modello<br />

considera il caso generale in cui il comportamento di<br />

entrambi i soggetti possa potenzialmente contribuire a<br />

causare il danno. Denominiamo causal imput la contribuzione<br />

causale individuale delle parti alla verificazione<br />

dell’incidente. Tali imputs dipendono positivamente dal<br />

livello di attività e dal livello delle precauzioni: c I<br />

(z,x) e<br />

c v<br />

(u,y), ove gli apici I e V si riferiscono rispettivamente al<br />

danneggiante (injurerh) e alla vittima (victim) (15). Assumiamo<br />

inoltre che e .<br />

Questo significa che minore è il livello di attività intrapreso<br />

da una parte, minore sarà il corrispondente apporto<br />

causale all’accadimento dell’incidente. Per contro,<br />

maggiore è l’adozione di misure di precauzione di una<br />

parte, minore sarà la contribuzione causale al danno.<br />

Come diffusamente dibattuto nella letteratura economica,<br />

il causal imput di ciascuna parte non dovrebbe essere<br />

valutato isolatamente, perché bisogna tenere conto che in<br />

alcuni casi gli imputs causano l’incidente interagendo in<br />

modo additivo, mentre in altri casi essi lo causano interagendo<br />

moltiplicativamente, o ancora possono rilevarsi situazioni<br />

in cui essi interagiscono in modo misto (Landes e<br />

Posner, 1983; Rizzo e Arnold, 1980 e 1986; Kaye e<br />

Aickin, 1984; Wright, 1985; e Kruskal, 1986) (16).<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

Prenderemo in considerazione i casi in cui i causal imputs<br />

siano complementari o sostitutivi. Il caso di “causal imputs<br />

complementari” è descritto da un rapporto causale<br />

di tipo moltiplicativo: il fattore di causalità totale è dato<br />

dalla moltiplicazione dei causal imputs (17). Il caso di<br />

“causal imputs sostitutivi” è descritto da un rapporto causale<br />

di tipo additivo: il fattore di causalità totale è dato<br />

dalla somma dei causal imputs (18). In entrambi i casi, il<br />

Note:<br />

(10) I segni delle derivate seconde in questo modello seguono la letteratura<br />

(vedi Shavell, 1987; Landes e Posner, 1987; e Miceli 1997). In generale,<br />

si assume che le condizioni sufficienti di secondo ordine sono rispettate<br />

per quanto concerne il nostro modello.<br />

(11) In presenza di costi marginali crescenti e benefici decrescenti, non si<br />

può escludere in astratto l’esistenza di attività che generino un beneficio<br />

netto negativo. Ma tali casi vanno esclusi dal contesto della presente analisi<br />

in quanto si potrà fare affidamento sulla razionalità del soggetto agente<br />

al fine di limitare il livello di attività ad un range corrispondente a valori<br />

positivi.<br />

(12) I nostri risultati non dipendono dall’assunzione che i livelli di precauzioni<br />

delle due parti siano succedanei. Nella letteratura questa assunzione<br />

è invece stata adottata, condizionandone i risultati di molti modelli<br />

di precauzione bilaterale, vedi ad es. Miceli (1997, p. 18).<br />

(13) Il prodotto dei livelli di attività zu segue la formulazione di Shavell<br />

(1980a) nei quali si assume implicitamente che i livelli di attività delle<br />

parti abbiano un rapporto di complementarità nella creazione di un rischio.<br />

(14) In generale, il nesso di causalità è qualcosa che viene influenzato da<br />

ciascuna delle parti, ma che nessuna di esse controlla pienamente. Ad<br />

esempio, precauzioni addizionali o un livello di attività ridotto rendono<br />

più difficile per le parti “causare” un incidente, ma si assume che nessun<br />

valore certo e finito di precauzione o attività porti la possibilità di causazione<br />

del danno a 0.<br />

(15) Questa formulazione racchiude il caso di altri particolari regimi di <strong>responsabilità</strong><br />

nei quali il danno è ripartito sulla base di fattori (ad es. le rispettive<br />

quote di mercato) che sono legati al livello di attività delle parti.<br />

Nel prosieguo del lavoro, considereremo quindi il criterio di comparative<br />

causation come rappresentativo di questa più ampia classe di regimi di <strong>responsabilità</strong>.<br />

Nonostante differenti denominazioni (ad es. comparative<br />

causation, comparative strict liability, market share liability, ecc.) possano forse<br />

descrivere meglio il regime di <strong>responsabilità</strong> risultante da questi diversi<br />

casi, da un punto di vista economico si ottengono risultati qualitativamente<br />

simili.<br />

(16) Una regola di comparative causation valuta generalmente il potenziale<br />

causale di differenti comportamenti o le potenziali fonti di danno in relazione<br />

ad eventi che si sono già verificati. Alcuni studiosi hanno considerato<br />

il problema e hanno formulato modelli pratici per l’accertamento<br />

comparativo del nesso di causalità. Vedi, per esempio, Martin (1989) e<br />

Pearl (2000). Se mancano informazioni sull’effettiva causazione, l’applicazione<br />

della comparative causation non può che basarsi su informazioni<br />

probabilistiche (ad es. la verosimile incidenza di una data condotta sulla<br />

probabilità che si verifichi un dato incidente, ecc.).<br />

(17) Strassfeld (1992) osserva che questo approccio necessita di essere<br />

provato, così come accade per le leggi scientifiche e le generalizzazioni<br />

statistiche, storiche e psicologiche. In altre parole, le analisi di comparative<br />

causation richiedono che venga provata sia la divisibilità del danno sofferto,<br />

sia la presenza di cause sostitutive ad una o più cause.<br />

(18) Quando le cause sono evidenti e gli effetti causali sono additivi, è facile<br />

ripartire la <strong>responsabilità</strong> sulla base del contributo causale. Strassfeld<br />

(1992, p. 937 e 941-944) sostiene che la ripartizione causale nei casi di imputs<br />

additivi permette alla corte di considerare ciascuna delle cause separatamente,<br />

facilitando un paragone più funzionale. Dove è possibile, l’importanza<br />

di ogni singola causa nel caso di specie dovrebbe essere determinata<br />

sulla base del suo effettivo apporto o impatto causale, piuttosto che<br />

su informazioni meramente statistiche.


fattore di causalità varia su una scala moltiplicata per il<br />

danno totale.<br />

Occorre anche precisare che, nel nostro modello di causalità<br />

concorrente pura, la vittima ed il danneggiante si dividono<br />

il costo del danno sulla base del loro rispettivo<br />

contributo causale al danno, indipendentemente dalla<br />

colpa.<br />

Consideriamo ora gli effetti della regola di divisione della<br />

<strong>responsabilità</strong> sugli incentivi delle parti, analizzando<br />

dapprima il caso di “casual imputs complementari” e successivamente<br />

il caso di “causal imputs sostitutivi”.<br />

2.1 Causal imputs complementari<br />

Consideriamo, innanzi tutto, l’ipotesi in cui i comportamenti<br />

delle parti siano complementari nella causazione<br />

del danno ed assumiamo una relazione causale di<br />

tipo moltiplicativo data dal prodotto degli imputs:<br />

c I<br />

(z,x)c v<br />

(u,y).<br />

Si tratta ora di individuare l’ottimo sociale, e cioè di trovare<br />

quella “configurazione” delle variabili in gioco z, x,<br />

y, u che rende massimo il valore dei benefici delle due<br />

parti, alla quale si devono sottrarre i costi da sostenere in<br />

relazione ai danni (rappresentati dal secondo addendo<br />

che compare nella massimizzazione). L’ottimo sociale è<br />

quindi dato da:<br />

.<br />

I punti di ottimo sociale sono dati dalle seguenti relazioni<br />

del primo ordine, in cui abbiamo soppresso gli argomenti<br />

delle funzioni:<br />

Ciascuna equazione esprime la condizione di standard ottimale<br />

in base alla quale il beneficio marginale sociale<br />

eguaglia il costo marginale sociale (19). In particolare,<br />

l’equazione (1) indica che il beneficio marginale sociale<br />

dell’attività posta in essere dal danneggiante eguaglia il<br />

costo marginale sociale (SMCz nel seguito) del suo livello<br />

di attività (20). Il primo termine di SMCZ trae origine<br />

dal fatto che un aumento del livello di attività del<br />

danneggiante incrementa la probabilità di accadimento<br />

del danno; mentre il secondo termine denota che un incremento<br />

del livello di attività z incrementa il danno atteso.<br />

Entrambi gli effetti relativi all’incremento di z sono<br />

socialmente rilevanti, dal momento che essi incrementano<br />

il costo sociale degli incidenti.<br />

Siccome tutte le derivate parziali dell’equazione (2) sono<br />

negative, esprimiamo tutti i termini in valore assoluto<br />

per potere mettere a confronto in modo più diretto la<br />

loro grandezza. L’equazione (2) sta ad indicare che, al livello<br />

dell’ottimo sociale, il costo privato marginale delle<br />

precauzioni adottate dal danneggiante dovrebbe egua-<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

gliare il beneficio marginale conseguente all’incremento<br />

di tali precauzioni. Il beneficio marginale sociale conseguente<br />

all’incremento delle precauzioni (SMBx nel seguito)<br />

si compone di due parti. La prima è afferente all’impatto<br />

delle precauzioni sulla causazione dell’incidente;<br />

la seconda afferisce all’impatto delle precauzioni sui<br />

danni totali.<br />

In un regime di causalità concorrente pura, le porzioni di<br />

danno sopportato dal danneggiante e dalla vittima sono<br />

rispettivamente<br />

Occorre sottolineare che ogni misura di danno è influenzata<br />

dalla scelta delle parti relativa alla adozione di<br />

precauzioni e del livello di attività. Così, maggiore è la<br />

precauzione adottata da un soggetto, minore sarà la misura<br />

del danno ad esso imputabile. Allo stesso modo, minore<br />

è il livello di attività intrapreso dalla parte, minore<br />

sarà la misura del danno che essa deve sopportare (21).<br />

Sotto un tale regime di <strong>responsabilità</strong>, il problema di ottimizzazione,<br />

riguardante un potenziale danneggiante,<br />

sarà dato da:<br />

Le seguenti condizioni del primo ordine, in cui le funzioni<br />

coinvolte appaiono senza i loro argomenti, caratterizzano<br />

i livelli di z e x, dati u e y scelti dal danneggiante<br />

(22):<br />

Confrontando (5) e (1), il membro sinistro di entrambe<br />

rappresenta il beneficio marginale relativo al livello<br />

di attività. Notiamo, inoltre, che ogni termine del<br />

membro destro di (5) rappresenta una frazione dei due<br />

Note:<br />

(19) Assumiamo che le condizioni di secondo ordine valgano per questo<br />

problema di ottimizzazione sociale.<br />

(20) Questa equazione implica wz (z * ,x * ) > 0, che a sua volta implica z *<br />

< zp (x * ).<br />

(21) Questo modello può essere facilmente adattato allo scopo di analizzare<br />

il funzionamento della market share liability e dei criteri di <strong>responsabilità</strong><br />

ad essa collegati, come la <strong>responsabilità</strong> basata sugli outputs industriali,<br />

sul chilometraggio annuale, ecc. Nei recenti casi giurisprudenziali,<br />

l’imputazione di <strong>responsabilità</strong> fondata sulla base di “quote di mercato”<br />

non è inusuale. Questo accade spesso quando la vittima non può identificare<br />

un danneggiante specifico, ma può comunque identificare la classe di<br />

prodotti che ha causato il danno (vedi per es. Sindell v. Abbott Laboratories,<br />

607 P.2d 924 (Cal.); Hymowitz v. Lilly, 73 NY2d 487). Nella valutazione<br />

della <strong>responsabilità</strong> in questi casi, i convenuti sono ritenuti responsabili<br />

in proporzione alle rispettive quote di mercato nella vendita di un<br />

determinato prodotto. Questo mette in luce una forte analogia con la nostra<br />

regola ipotetica, dove il danno è allocato tra due parti sulla base delle<br />

loro rispettive quote di attività.<br />

(22) Assumiamo che le condizioni di secondo ordine valgano per questo<br />

problema di ottimizzazione privata.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 705


706<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

termini del membro destro di (1). Perciò il costo marginale<br />

privato relativo al livello di attività del danneggiante<br />

è minore rispetto al corrispondente costo marginale<br />

sociale. A ciò consegue che i potenziale danneggianti<br />

intraprenderanno un elevato livello di attività,<br />

maggiore rispetto all’ottimo sociale; in altre parole, la<br />

scelta privata del livello di attività del danneggiante<br />

zCS, è maggiore dell’ottimo sociale z *<br />

< zCS, perché i potenziali<br />

danneggianti si aspettano di dividere il danno<br />

con le vittime.<br />

Confrontiamo ora le equazioni (6) e (2).<br />

Il membro sinistro di (2) e di (6) rappresenta il costo<br />

marginale delle precauzioni intraprese dal danneggiante.<br />

Il membro destro di (6), cioè il beneficio marginale relativo<br />

all’incremento del livello di precauzioni, rappresenta,<br />

anche in questo caso, una frazione del corrispondente<br />

beneficio marginale sociale, il membro destro di<br />

(2), poiché ogni componente del beneficio marginale<br />

privato rappresenta una frazione della corrispondente<br />

componente del beneficio marginale sociale. Laddove il<br />

beneficio marginale privato sia minore rispetto al beneficio<br />

marginale sociale, il potenziale danneggiante intraprenderà<br />

un livello di precauzioni minore rispetto a<br />

quello socialmente desiderabile. In altre parole, il livello<br />

delle precauzioni del danneggiante, xCS, è minore rispetto<br />

all’ottimo sociale xCS < x *<br />

, dato che il potenziale<br />

danneggiante non internalizza pienamente il beneficio<br />

marginale sociale relativo al livello di attività da egli intrapreso.<br />

Per ragioni simili, in un regime di causalità concorrente<br />

pura, anche la vittima intraprende un livello di precauzioni<br />

minori rispetto all’ottimo ed un elevato livello di<br />

attività, senza avere riguardo alle scelte poste in essere<br />

dal potenziale danneggiante (23). L’equilibrio in regime<br />

di causalità concorrente pura risulta dalle descritte scelte<br />

strategiche di vittima e danneggiante, relative alla adozione<br />

di misure di precauzione e di un determinato livello<br />

di attività (24). Gli incentivi privati inducono ogni<br />

soggetto a scegliere livelli non adeguati di precauzioni e<br />

livelli eccessivi di attività, dato che entrambi i soggetti<br />

coinvolti si attendono di dividere una porzione di danno<br />

con l’altra parte.<br />

2.2 Causal imputs sostitutivi<br />

Analizziamo ora il caso, alternativo a quello precedentemente<br />

descritto, ove le azioni delle parti possono essere<br />

considerate quali inputs sostitutivi nella produzione del<br />

danno. Illustriamo tale ipotesi con una relazione causale<br />

di tipo additivo. Il nesso di causalità dell’incidente è determinato<br />

dalla somma dei casual imputs delle parti c I<br />

(z,x)<br />

+ c v<br />

(u,y).<br />

In tale ipotesi, l’ottimo è dato da:<br />

.<br />

I livelli di ottimo sociale, sono dati dalle seguenti condizioni<br />

del primo ordine, in cui le funzioni appaiono senza<br />

i loro argomenti:<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

Come nel caso precedente, il costo marginale sociale<br />

relativo al livello di attività delle parti si compone di<br />

due elementi. Il primo trae origine dalla circostanza per<br />

cui un incremento nei livelli di attività fa crescere la<br />

probabilità con cui un incidente può verificarsi. Il secondo<br />

si giustifica tenuto conto che un incremento del<br />

livello di attività può anche incrementare il danno atteso.<br />

Allo stesso modo, il beneficio marginale sociale delle<br />

precauzioni poste in essere dalle due parti si compone di<br />

due elementi: uno trae origine dall’impatto delle precauzioni<br />

sul nesso di causalità e l’altro dal conseguente decremento<br />

della facilità di accadimento del danno.<br />

Il problema del danneggiante è dato allora dal seguente<br />

problema di massimizzazione:<br />

.<br />

Ciò equivale a:<br />

.<br />

.<br />

La scelta privata del danneggiante è caratterizza dalle seguenti<br />

condizioni:<br />

.<br />

Comparando l’equazione (11) con la condizione di ottimo<br />

sociale (7), osserviamo che solo i secondi termini<br />

dei membri destri di queste due equazioni sono diversi.<br />

In particolare, il secondo termine del membro destro di<br />

(11) è parte del secondo termine del membro destro di<br />

(7). A ciò consegue che, come nella ipotesi precedente,<br />

il danneggiante internalizzerà solo una parte del costo<br />

marginale sociale relativo alla sua attività, e, conseguentemente,<br />

intraprenderà un eccessivo livello di attività.<br />

Allo stesso modo, il secondo termine del membro<br />

sinistro di (12) è più piccolo del secondo termine<br />

del membro destro di (8). Ciò suggerisce che il danneggiante<br />

internalizzerà solo una parte del beneficio<br />

marginale relativo al suo livello di precauzioni, e, conseguentemente,<br />

intraprenderà un ridotto livello di precauzioni.<br />

Note:<br />

(23) Miceli (1997, p. 28-29) osserva che se le parti non possono sopportare<br />

simultaneamente la piena <strong>responsabilità</strong> in equilibrio, esse non possono<br />

essere indotte a scegliere livelli ottimali di attività.<br />

(24) Questa similarità nella posizione delle parti, rende superflua la loro<br />

classificazione come “vittima” o “danneggiante”, dato che entrambe sopportano<br />

una perdita in caso di incidente.<br />

.


OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

In questo regime, la vittima razionalmente intraprenderà<br />

un livello di precauzioni minori rispetto a quelle ottimali<br />

e porrà in essere un eccessivo livello di attività.<br />

Queste strategie sono dominanti e vengono adottate indipendentemente<br />

dalle scelte, riguardanti le precauzioni<br />

ed il livello di attività, poste in essere dal danneggiante.<br />

Ne consegue che l’equilibrio del regime di causalità concorrente,<br />

nella ipotesi di casual imputs sostitutivi è qualitativamente<br />

simile all’equilibrio trovato nel caso di casual<br />

imputs complementari: entrambi i soggetti pongono<br />

in essere un livello di precauzioni non adeguato ed un<br />

eccessivo livello di attività a causa del fatto che ciascuna<br />

parte si aspetta di dividere il danno con l’altra.<br />

3. Causalità concorrente pura<br />

e regimi tradizionali di <strong>responsabilità</strong><br />

Rivolgiamo ora la nostra attenzione alle differenze fra il<br />

modello di causalità concorrente pura ed altri regimi di <strong>responsabilità</strong>.<br />

Compariamo, innanzitutto, la regola di<br />

causalità concorrente con i regimi di negligence.<br />

I vari regimi basati sulla colpa, come negligence, comparative<br />

negligence e contributory negligence si riverberano in<br />

modo simile sui livelli di precauzioni e attività delle parti.<br />

Considereremo quindi questi sistemi congiuntamente,<br />

riferendoci ad essi generalmente come a “regimi basati<br />

sulla negligenza” ed etichetteremo i valori che ad essi si<br />

riferiscono con una N in basso. Secondo la strategia del<br />

danneggiante di Nash, in tutti i regimi basati sulla negligenza,<br />

la vittima è incentivata a sopportare, all’equilibrio,<br />

l’intera perdita/costo del danno. Ciò induce la vittima ad<br />

adottare un livello efficiente di precauzioni: yN = y *<br />

.<br />

Simmetricamente, la descritta situazione induce il potenziale<br />

danneggiante ad adottare un livello efficiente di<br />

precauzioni allo scopo di evitare che su di lui ricada l’intera<br />

<strong>responsabilità</strong> primaria: xN = x *<br />

(25).<br />

In un regime di causalità concorrente, il ragionamento è<br />

diverso.<br />

Le parti saranno tenute a fronteggiare una <strong>responsabilità</strong><br />

piena solo nel limitato caso in cui il nesso di causalità riconducibile<br />

all’altro soggetto sia uguale a zero - scenario,<br />

questo ultimo, difficilmente realizzabile tenuto conto dei<br />

valori marginali positivi dell’attività posta in essere da<br />

entrambe le parti.<br />

La descritta aspettativa di <strong>responsabilità</strong> parziale delle<br />

parti diluisce gli incentivi relativi alla adozione di un livello<br />

ottimale di precauzioni: xCS < xN = x *<br />

e yCS < yN = y *<br />

regime di causalità concorrente, rappresenta un miglioramento<br />

rispetto al livello di equilibrio nei regimi basati<br />

sulla negligence: zCS < zN. Ciò è determinato dal fatto che<br />

il danneggiante internalizzerà parte del beneficio che<br />

scaturisce dalla riduzione del suo livello di attività. Questo<br />

miglioramento avviene a spesa del livello di attività<br />

della vittima, visto che nel vigore della causalità concorrente<br />

la vittima non sopporta più l’intero danno all’equilibrio:<br />

u<br />

,<br />

laddove (CS) in basso si riferisce ai livelli di x e y indotti<br />

da una regola di causalità concorrente pura.<br />

Una diluizione di incentivi del tutto similare si verifica<br />

con riguardo al livello di attività delle parti. In questo caso,<br />

tuttavia, i risultati della causalità concorrente non saranno<br />

necessariamente influenzati dai descritti effetti relativi<br />

ai regimi basati sulla colpa. Invero, in un regime di<br />

causalità concorrente ciascuna parte si aspetta di dividere<br />

il danno con l’altra, sebbene la aspettativa di <strong>responsabilità</strong><br />

sia minore rispetto al valore del danno totale. Come<br />

conseguenza, il livello di attività del danneggiante, in un<br />

*<br />

= uN < uCS .<br />

Conclusioni simmetriche possono ottenersi confrontando<br />

la regola di causalità concorrente pura con una regola di<br />

<strong>responsabilità</strong> oggettiva (strict liability) che operi congiuntamente<br />

alla contributory negligence.<br />

Identifichiamo i valori ottenuti nel vigore di tale ultimo<br />

regime con la lettera S in basso.<br />

In questo regime, entrambe le parti affrontano incentivi<br />

ottimali relativi nell’adozione delle precauzioni. Nel vigore<br />

della causalità concorrente pura, tenuto conto della<br />

aspettativa di <strong>responsabilità</strong> parziale delle parti, gli incentivi<br />

attraverso i quali intraprendere precauzioni ottimali<br />

saranno diluiti: xCS < xS = x *<br />

e yCS < yS = y *<br />

. Una simile<br />

diluizione si verifica anche negli incentivi relativi al livello<br />

di attività delle parti.<br />

In conclusione, la nostra comparazione fra un regime di<br />

causalità concorrente pura ed i regimi tradizionali, rileva la<br />

debolezza del regime di causalità concorrente. Diversamente<br />

dalle regole tradizionali di <strong>responsabilità</strong>, che inducono<br />

entrambe le parti ad adottare un livello ottimo<br />

di precauzioni, la causalità concorrente pura genera un livello<br />

subottimale di incentivi relativi alle precauzioni, e<br />

diluisce, piuttosto che concentrarli su una o sull’altra<br />

parte, gli incentivi relativi al livello di attività.<br />

4. Causalità concorrente<br />

in un regime di negligence<br />

Come abbiamo osservato sopra, la causalità concorrente<br />

emerge storicamente nell’ambito di sistemi giuridici basati<br />

sulla colpa, in risposta alla persuasione che, in assenza<br />

di colpa, non c’è valida ragione per lasciare che il danno<br />

ricada in capo alla vittima innocente, così come nessuna<br />

valida ragione sussiste per operare uno spostamento<br />

del danno in capo al danneggiante.<br />

La ripartizione del danno tra parti incolpevoli, in applicazione<br />

del cosiddetto principio di compensazione, fu<br />

quindi affermata invocando criteri di divisione causale<br />

delle perdite. In quelle prime applicazioni, la regola di<br />

causalità concorrente fu invocata in situazioni di precauzioni<br />

bilaterali, in sistemi basati sulla negligence (26). Le<br />

Note:<br />

(25) Vedi, ad es. Shavell (1987), Landes e Posner (1987) e Miceli (1997).<br />

(26) La regola di comparative causation emerse inizialmente in sistemi giuridici<br />

di Civil law che fondavano la <strong>responsabilità</strong> sulla colpa e che in genere<br />

seguivano il criterio di comparative negligence per ripartire il danno tra<br />

parti negligenti. I sistemi di Civil law adottarono una regola di comparative<br />

negligence in tempi molto più risalenti rispetto ai sistemi di Common<br />

law. Vedi Parisi (1992).<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 707


708<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

formulazioni originali del principio di compensazione<br />

permettevano l’uso del criterio di causalità concorrente<br />

solo nelle situazioni in cui né il danneggiante né la vittima<br />

potessero essere rimproverate di negligenza. Quindi<br />

il principio di causalità concorrente operava solo come<br />

una regola residuale di <strong>responsabilità</strong> in presenza di parti<br />

incolpevoli, evitando così l’allocazione dicotomica<br />

della <strong>responsabilità</strong> (del tipo “o tutto o niente”) generata<br />

dalle regole tradizionali (27).<br />

In questa sezione, operiamo una estensione del modello<br />

economico di causalità concorrente pura per considerare<br />

la regola di causalità concorrente quando opera congiuntamente<br />

ad una regola di <strong>responsabilità</strong> basata sulla colpa.<br />

Ci riferiamo a questo regime come a “causalità concorrente<br />

in un regime di negligence”, perché qui la causalità<br />

concorrente è applicata insieme alle regole convenzionali<br />

di negligence. Prima di presentare il modello, considereremo<br />

le difficoltà che si presentano quando si tratta<br />

di combinare regole di negligence con regole di ripartizione<br />

del danno che utilizzano variabili causali.<br />

4.1 Soglie non identificabili e la problematica definizione<br />

delle regole di ripartizione del danno<br />

Per indurre entrambe le parti a scegliere livelli ottimali<br />

di precauzioni e attività deve essere creato un punto<br />

di discontinuità nelle curve di <strong>responsabilità</strong> delle parti<br />

stesse. Per quanto riguarda il livello di precauzioni,<br />

questo si ottiene in genere identificando un livello di<br />

precauzioni socialmente ottimo ed utilizzando tale livello<br />

come linea di confine tra diligenza e negligenza.<br />

Landes e Posner (1987, p. 70-71) e Gilles (1992) suggeriscono<br />

che le corti tengano in considerazione i livelli<br />

di attività nello stabilire la sussistenza della negligenza<br />

ogni volta che ciò sia possibile. Ma nessuna soglia<br />

basata sull’individuazione di un livello di attività<br />

ottimale è generalmente invocata dalle regole di <strong>responsabilità</strong><br />

come meccanismo di allocazione della <strong>responsabilità</strong><br />

(28).<br />

Questa omissione è dovuta alla difficoltà di individuare<br />

un valore critico che sia in grado di marcare il limite tra<br />

livelli di attività efficienti e livelli di attività inefficienti.<br />

In assenza si una tale soglia critica, nessuna discontinuità<br />

nella <strong>responsabilità</strong> attesa delle parti può essere creata.<br />

La difficoltà di specificare livelli di attività ottimali è dovuta<br />

al fatto che il valore di tale attività può essere individuato<br />

solo considerando le informazioni private delle<br />

parti (29). Diversamente dal livello ottimale di precauzioni,<br />

che dipende in larga misura dal costo oggettivo<br />

della precauzione e dalla gravità attesa del danno, il livello<br />

ottimale di attività si basa su valori che sono più<br />

difficili da determinare per un organo giudicante terzo rispetto<br />

alle parti, dal momento che includono il valore<br />

soggettivo dell’individuo che intraprende l’attività creatrice<br />

di rischio (o che deve sopportare il rischio) (30). In<br />

assenza di una soglia critica è difficile indurre entrambe<br />

le parti ad internalizzare il pieno costo sociale dei rispettivi<br />

livelli di attività all’equilibrio.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

4.2 Un modello di causalità concorrente<br />

in un regime di negligence<br />

Proponiamo ora un modello di causalità concorrente che<br />

opera unitamente ad una regola di negligence. In questo<br />

regime, le parti dividono i danni solo quando non è individuata<br />

nessuna negligenza unilaterale. Quando il<br />

danneggiante o la vittima sono unilateralmente negligenti,<br />

l’intera perdita è sopportata dalla parte in colpa.<br />

Nel caso invece in cui le parti siano entrambe negligenti<br />

o entrambe diligenti, la divisione del danno seguirà la<br />

regola della causalità concorrente. Questo sistema conserva<br />

alcune delle caratteristiche essenziali dei tradizionali<br />

regimi di negligence, ma consente la ripartizione del danno<br />

attraverso la causalità concorrente, intesa come un<br />

mezzo residuale per distribuire le perdite.<br />

Dal momento che, come abbiamo evidenziato nella precedente<br />

sezione, sia l’ipotesi di causal substitutes sia quella<br />

di causal complements generano incentivi di equilibrio<br />

simili, concentreremo la nostra attenzione sul caso di<br />

causal complements.<br />

La scelta privata del danneggiante è la seguente:<br />

.<br />

Simile sarà la scelta privata della vittima: laddove la vittima<br />

sia diligente ed il danneggiante negligente, la vittima<br />

riceverà piena compensazione del danno subito. Se<br />

le parti sono entrambe negligenti o diligenti, esse si divideranno<br />

il danno secondo il principio della causalità<br />

concorrente. Se la vittima è negligente ed il danneggiante<br />

diligente, la vittima sopporterà il danno totale<br />

senza ottenere alcuna compensazione.<br />

Note:<br />

(27) Quando nessuna delle parti è in colpa, il criterio di comparative negligence<br />

non consente la ripartizione della perdita tra le parti. In un simile<br />

scenario, l’intero danno è sopportato dalla vittima.<br />

(28) Se lo standard dovuto di comportamento efficiente per il danneggiante<br />

e per la vittima potesse essere formulato anche con riguardo al livello<br />

di attività ottimale, allora le regole di <strong>responsabilità</strong> potrebbero indurre<br />

livelli ottimali di precauzioni e di attività per entrambe le parti (Miceli,<br />

1997). L’emersione storica di regole di comparative causation riflette<br />

parzialmente le difficoltà che si incontrano nell’implementazione di tale<br />

regola ideale.<br />

(29) Miceli (1997, p. 28) sostiene che lo sforzo di calcolare livelli ottimali<br />

di attività è proibitivamente costoso per le corti. Di conseguenza, la negligenza<br />

viene fatta dipendere solo dal livello di precauzioni adottato.<br />

(30) Questa difficoltà è evidente anche nella formulazione matematica<br />

del problema. Diversamente dal problema del livello di precauzioni, generalmente<br />

modellato come un problema di minimizzazione, l’analisi delle<br />

situazioni in cui entra in gioco anche il livello di attività è generalmente<br />

riformulata come un problema di massimizzazione. Questo è dovuto<br />

alla necessità di tener conto del valore privato (e sociale) del livello di<br />

attività. Se il problema fosse formulato come un problema di minimizzazione<br />

dei costi, il livello di attività ottimale sarebbe sempre uguale a 0. Ma<br />

soluzioni estreme di questo tipo saranno in genere indesiderabili, dal momento<br />

che le attività creatrici di rischio creano anche benefici privati e<br />

sociali.


Consideriamo ora il comportamento delle parti. Occorre<br />

notare che le parti non sono mai indotte ad ottenere<br />

un livello di precauzioni maggiori rispetto a quello<br />

ottimale perché il beneficio marginale privato delle<br />

precauzioni non eccede mai il beneficio marginale sociale.<br />

Consideriamo, innanzitutto, il caso in cui il danneggiante<br />

adotti il suo livello di precauzioni aspettandosi un<br />

comportamento negligente della vittima. Il danneggiante<br />

ha due opzioni. Può scegliere di essere negligente, dividendo<br />

la <strong>responsabilità</strong> con la vittima sulla base della<br />

regola della causalità comparata. Alternativamente, può<br />

evitare di essere considerato responsabile, adottando il<br />

livello di precauzioni dovuto. Tale ultima scelta produce<br />

un beneficio uguale alla differenza fra la piena <strong>responsabilità</strong><br />

e la <strong>responsabilità</strong> parziale.<br />

Si noti che, a prescindere dalla scelta relativa alle precauzioni<br />

posta in essere da parte delle vittima, il danneggiante<br />

non internalizzerà pienamente l’intero beneficio<br />

sociale delle precauzioni. A ciò consegue, in rapporto all’ottimo<br />

sociale, che gli incentivi privati relativi alla<br />

adozione di precauzioni risulteranno indeboliti. Ciò, a<br />

sua volta, apre alla possibilità che il danneggiante adotti<br />

precauzioni minori rispetto a quelle dovute. Diversamente<br />

dai regimi basati sulla negligence, dove il livello<br />

dovuto di precauzioni consente al danneggiante di internalizzare<br />

totalmente il beneficio sociale delle precauzioni,<br />

in questo caso, le strategie relative ad un comportamento<br />

diligente non sono dominanti per il danneggiante.<br />

Occorre ancora notare che, sebbene non dominante, la<br />

scelta del livello dovuto di precauzioni è una possibile<br />

strategia di Nash per il danneggiante. Raggiungendo il<br />

livello dovuto di precauzioni, una parte può ottenere<br />

uno di questi due benefici. Di fronte ad una controparte<br />

negligente, la parte può ottenere la differenza tra l’assenza<br />

di <strong>responsabilità</strong> e una <strong>responsabilità</strong> parziale. Di<br />

fronte ad una controparte diligente, la parte otterrà la<br />

differenza tra una <strong>responsabilità</strong> parziale e la piena <strong>responsabilità</strong>.<br />

Se questi benefici attesi dell’adozione del<br />

livello dovuto di precauzioni superano il costo addizionale<br />

delle precauzioni, allora la parte eviterà razionalmente<br />

la negligenza adottando il livello dovuto di precauzioni.<br />

Una logica simile caratterizza la strategia di precauzioni<br />

della vittima. Come risultato della combinazione delle<br />

strategie delle parti, possono essere ottenuti equilibri<br />

multipli. Riferendoci all’equilibrio dei livelli di precauzione<br />

in un regime di causalità concorrente in un regime di<br />

negligence come a xCN e yCN, possiamo concludere che xCN ≤ x *<br />

e yCN ≤ y *<br />

.<br />

Come la regola di causalità concorrente pura, la causalità<br />

concorrente in un regime di negligence induce le parti ad<br />

adottare un livello di attività superiore all’ottimo sociale.<br />

Denotando l’equilibrio dei livelli di attività con i simboli<br />

zCN e uCN , si ha che zCN > z *<br />

e uCN > u *<br />

.<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

Come mostra la figura 1, se rapportata con gli altri regimi<br />

tradizionali di <strong>responsabilità</strong>, la causalità concorrente<br />

determina l’adozione di un livelo di attività da parte del<br />

danneggiante che è maggiore rispetto a quello determinato<br />

sotto un regime standard basato sulla negligenza,<br />

z CN < z N, e questo a spese del livello di attività della vittima,<br />

u CN > u N. Inoltre la causalità concorrente determina<br />

per la vittima l’adozione di un livello di attività superiore<br />

rispetto a quello che si determinerebbe nel vigore di<br />

un regime basato sulla <strong>responsabilità</strong> oggettiva, u CN > u S,<br />

e questo a spese del livello di attività del danneggiante,<br />

z CN > z S.<br />

Ancora una volta, questi risultati sono dovuti al fatto<br />

che, a differenza degli altri regimi di <strong>responsabilità</strong>, in un<br />

regime di causalità comparata le parti si attendono di dividere,<br />

fra loro, la <strong>responsabilità</strong> attesa.<br />

Assente la c.d. <strong>responsabilità</strong> residuale, in un regime di<br />

<strong>responsabilità</strong> oggettiva e contributory negligence, le vittime<br />

pongono in essere un livello di attività fino a quando<br />

raggiungono l’ottimo privato: u N = u p.<br />

In un regime di negligence, i danneggianti pongono in<br />

essere un livello di attività fino al punto in cui il beneficio<br />

marginale privato è uguale a zero: z N = z p. La figura<br />

1 compara questi punti, u S e z N, con i livelli di attività<br />

indotti dalla regola di causalità concorrente, u CN e<br />

z CN.<br />

4.3 Sintesi dei risultati: causalità concorrente<br />

in azione<br />

Avendo riguardo ai livelli di precauzioni, la regola di<br />

causalità concorrente, che opera congiuntamente ad un<br />

regime basato sulla negligence, può indurre sia la vittima<br />

sia il danneggiante ad adottare il livello ottimale. Ciò<br />

costituisce un miglioramento rispetto alla regola di causalità<br />

concorrente pura, ove entrambe le parti sono indotte<br />

ad adottare un livello di precauzioni subottimale.<br />

Con riguardo ai livelli di attività, entrambe le versioni di<br />

causalità concorrente non inducono le parti ad adottare i<br />

livelli di ottimo sociale.<br />

A ben vedere, simili difficoltà nell’adozione dei livelli di<br />

attività ottimi, non sono precipue della sola causalità<br />

concorrente. Come è ben noto, gli incentivi alla adozione<br />

dei livelli ottimi di attività sono propri della sola parte<br />

che sopporta l’intero costo del danno in equilibrio.<br />

Tenuto conto che non è possibile, per entrambi le parti,<br />

sopportare l’intero costo del danno in equilibrio, i siste-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 709


710<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

mi tradizionali di <strong>responsabilità</strong> non forniscono incentivi<br />

per l’adozione di livelli ottimo di attività, concentrandoli<br />

interamente sull’una o sull’altra parte. La causalità<br />

concorrente differisce dai sistemi tradizionali perché entrambe<br />

le parti sono tenute a sopportare una porzione<br />

positiva di danno in equilibrio. Ciò produce una distribuzione<br />

degli incentivi relativi ai livelli di attività tra le<br />

parti, piuttosto che una concentrazione. Come risultato,<br />

in entrambe le versioni analizzate di causalità concorrente,<br />

il livello di attività scelto da una parte cresce a spese<br />

dell’altra.<br />

La tabella che segue sintetizza le scelte del danneggiante<br />

e della vittima in equilibrio nel vigore di quattro regimi<br />

di <strong>responsabilità</strong>.<br />

La comparazione evidenziata nella tabella che segue<br />

mette in risalto i meriti, ed i rispettivi limiti, delle regole<br />

di divisione alternativa del danno con riguardo ai casi di<br />

precauzioni bilaterali.<br />

I risultati riportati nella tabella forniscono una ben precisa<br />

chiave di lettura della causalità concorrente.<br />

Se adottata congiuntamente ai tradizionali regimi di <strong>responsabilità</strong><br />

basati sulla negligence, la applicazione della<br />

causalità concorrente può mantenere pieni gli incentivi riguardanti<br />

la adozione di misure di precauzione; distribuendo,<br />

nel contempo, il livello di attività fra le parti,<br />

x - precauzioni del danneggiante<br />

y - precauzioni della vittima<br />

z - livello di attività del danneggiante<br />

u - livello di attività della vittima<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

essa produce l’effetto di diminuire il livello di attività intrapreso<br />

dalle parti.<br />

Si creano, in sintesi, degli incentivi che nessuna altra regola<br />

di <strong>responsabilità</strong> produce, dato che nel vigore dei<br />

tradizionali regimi di <strong>responsabilità</strong> il danno residuale è<br />

sempre concentrato sull’una o sull’altra parte.<br />

In entrambe le applicazioni, la ripartizione del danno e<br />

la conseguente diluizione degli incentivi per i livelli di<br />

attività potrebbero aumentare i benefici netti totali ma<br />

potrebbero anche non farlo. Ancora, la creazione di tali<br />

incentivi potrebbe rappresentare un costo, dato che l’applicazione<br />

della regola di causalità concorrente in un regime<br />

di negligence potrebbe compromettere gli incentivi<br />

alla precauzione. La causalità concorrente può anche avere<br />

l’effetto di esacerbare i costi amministrativi, dato che<br />

la necessità di accertare il contributo causale relativo<br />

delle parti e la necessità dare comunque una soluzione<br />

alle cause anche nelle situazioni in cui nessuna delle parti<br />

è in colpa (31).<br />

Nota:<br />

(31) Questo aspetto dell’aumento dei costi amministrativi relativi alla decisione<br />

delle cause era già stato messo in luce da Epstein (1980, p. 134-<br />

137) e Landes e Posner (1980, p. 530) i quali hanno sostenuto che per la<br />

normale decisione dei casi di <strong>responsabilità</strong> civile debba essere utilizzata<br />

una regola di causalità semplice.<br />

(*) in alto si riferisce alle ipotesi di ottimo sociale<br />

(S) in basso si riferisce al regime di <strong>responsabilità</strong> oggettiva che opera congiuntamente alla contributory negligence<br />

( N ) in basso si riferisce ai regimi basati sulla negligence<br />

( CS ) in basso si riferisce alla causalità concorrente pura<br />

( CN ) in basso si riferisce alla causalità concorrente che opera congiuntamente ad un regime basato sulla negligence.


Le considerazioni precedenti aiutano a spiegare il peculiare<br />

sviluppo storico delle dottrine di causalità concorrente.<br />

In retrospettiva, possiamo ora comprendere perché<br />

le prime applicazioni di questa regola si ritrovano in<br />

situazioni concernenti perdite sostanziali (es. casi di<br />

omicidio scusabile o di collisioni di navi documentati<br />

nel diciassettesimo secolo). Inoltre, possiamo ora comprendere<br />

perché la regola ha continuato ad essere applicata<br />

in aree del diritto nelle quali il beneficio ottenibile<br />

dal miglioramento del livello di attività delle parti può<br />

giustificare l’aumento dei costi amministrativi delle decisioni<br />

(es. casi di diritto ambientale), o nelle quali la<br />

forma limitata di <strong>responsabilità</strong> prodotta dalla regola è<br />

resa necessaria da ragioni di equità o di opportunità politica<br />

(es. <strong>responsabilità</strong> internazionale di Stati sovrani).<br />

Ancora, la ripartizione degli incentivi per i livelli di attività<br />

tra le parti risolve il coordination problem che altre<br />

regole invece creerebbero, quando è problematico etichettare<br />

una parte come danneggiante piuttosto che<br />

come vittima (es. nelle collisioni marittime in cui non<br />

c’è colpa e le perdite sono di entrambe le parti). Infine,<br />

il risultato della ripartizione del danno in equilibrio può<br />

promuovere una allocazione ottimale del rischio tra<br />

agenti avversi al rischio, nei casi in cui non è facile assicurarsi.<br />

La ripartizione del danno può anche minimizzare<br />

la distorsione di incentivi derivante da una <strong>responsabilità</strong><br />

limitata a causa di insolvenza quando i danneggianti<br />

si trovano a fronteggiare perdite potenziali di alto<br />

livello.<br />

5. Conclusione: il dilemma della ripartizione<br />

causale del danno<br />

Tutte le regole in cui siano coinvolte precazioni bilaterali<br />

si devono rapportare con un comune dilemma. Un aumento<br />

del livello di precauzioni o una riduzione del livello<br />

di attività di una parte rende meno facile l’accadimento<br />

di un incidente. Ma allo stesso tempo, le precauzioni<br />

adottate da una parte rendono l’incidente di più<br />

difficile verificazione anche per l’altra parte. Non esiste<br />

in tort law un meccanismo facilmente attuabile e incidente<br />

sui costi che induca la vittima e il danneggiante ad<br />

internalizzare costi e benefici del loro comportamento in<br />

tutte le dimensioni.<br />

A dispetto di questo problema ontologico comune, abbiamo<br />

mostrato in questo lavoro che esiste un’importante<br />

differenza qualitativa tra il funzionamento delle tradizionali<br />

regole di <strong>responsabilità</strong> e l’allocazione del danno<br />

effettuata sulla base del contributo causale all’evento<br />

dannoso. In tutti i tradizionali regimi di <strong>responsabilità</strong>,<br />

una parte si trova a sostenere l’intera perdita in equilibrio.<br />

In assenza di condotte colpevoli delle parti, in vigenza<br />

di un regime di <strong>responsabilità</strong> per colpa la vittima<br />

sopporta l’intero danno derivato dall’incidente, mentre<br />

nel vigore di un regime di <strong>responsabilità</strong> oggettiva è il<br />

danneggiante a dover sopportare l’intera perdita. Questo<br />

aspetto dei regimi tradizionali di <strong>responsabilità</strong> è all’origine<br />

dei tentativi storici di formulare criteri alternativi di<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

<strong>responsabilità</strong> che potessero consentire di dividere tra<br />

parti incolpevoli il danno derivato dall’incidente.<br />

Il principio di causalità concorrente evita l’imposizione<br />

dell’intera perdita su una parte incolpevole. Questo però<br />

pone un differente ordine di problemi. In un regime di<br />

causalità concorrente, a causa della difficoltà di identificare<br />

livelli di causazione socialmente ottimali e il rispettivo<br />

contributo causale delle parti all’incidente, le parti dividono<br />

tra loro la <strong>responsabilità</strong> residuale e la ripartizione<br />

attesa del danno in equilibrio. Gli incentivi alla minimizzazione<br />

dei livelli di attività seguono l’allocazione<br />

della <strong>responsabilità</strong> residuale. Di conseguenza la causalità<br />

concorrente porta ad una diluizione degli incentivi per la<br />

scelta del livello di attività. In un regime di causalità concorrente<br />

pura, sono inoltre diluiti anche gli incentivi per<br />

all’adozione di livelli di precauzione adeguati.<br />

Se combinata con standard di <strong>responsabilità</strong> basati sulla<br />

colpa, la causalità concorrente aumenta la possibilità<br />

che le parti adottino livelli efficienti di precauzioni,<br />

mantenendo la ripartizione del danno in equilibrio.<br />

Inoltre, questa regola divide tra le parti gli incentivi residuali<br />

al controllo dei livelli di attività. La performance<br />

complessiva della regola dipende quindi dalle sinergie e<br />

complementarietà tra le attività delle parti. Dal punto<br />

di vista pratico, l’adozione di una regola di causalità concorrente<br />

in un regime di negligence implicherà costi amministrativi<br />

maggiori, data la necessità di valutare sia la<br />

sussistenza della negligenza che il contributo causale relativo,<br />

e la necessità di decidere cause che non darebbero<br />

luogo a lite nel vigore delle regole tradizionali di <strong>responsabilità</strong>.<br />

Queste conclusioni aiutano a comprendere il limitato<br />

successo storico dei paradigmi di causalità concorrente.<br />

Laddove appaia opportuno ripartire il danno tra le parti,<br />

la causalità concorrente potrebbe rappresentare uno strumento<br />

giuridico migliore della maggior parte degli altri<br />

regimi di <strong>responsabilità</strong>, nei quali la ripartizione del danno<br />

non potrà attendersi in un equilibrio di Nash. Quindi<br />

l’applicazione ex ante di una regola di causalità concorrente<br />

può risultare più allettante quando le parti sono altamente<br />

avverse al rischio e quando non è possibile assicurarsi.<br />

Inoltre, i paradigmi di causalità concorrente possono<br />

rappresentare una via pragmatica per allocare la <strong>responsabilità</strong><br />

tra parti incolpevoli quando risultati dicotomici<br />

(del tipo “o tutto o niente”) non siano politicamente<br />

o diplomaticamente praticabili. Infine, la causalità<br />

concorrente, ripartendo gli incentivi alla riduzione del<br />

livello di attività, può ridurre i costi netti in presenza di<br />

costi marginali crescenti relativi alla riduzione dei livelli<br />

di attività. Nonostante questi vantaggi, l’aumento dei<br />

costi amministrativi delle decisioni spiega il limitato<br />

successo della causalità concorrente come criterio generale<br />

di <strong>responsabilità</strong> civile.<br />

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Premessa: cadute e scivoloni nelle attività<br />

del “tempo libero” (art. 2051 c.c.)<br />

I casi delle cadute (all’inglese tripping and slipping cases)<br />

di clienti su pavimenti, scale e superfici consimili di alberghi,<br />

ristoranti, centri commerciali e sportivi, negozi,<br />

supermercati, piscine ed altri luoghi che potremmo<br />

definire genericamente del “tempo libero” (1) sono<br />

stati affrontati da decenni in lungo ed in largo dalla<br />

giurisprudenza nostrana sia di merito e sia di legittimità,<br />

ed oggi il regime di <strong>responsabilità</strong> tendenzialmente<br />

prediletto dalle corti risulta quello disciplinato<br />

dall’art. 2051 c.c. (2). Sia qui sufficiente menzionare i<br />

seguenti casi in cui questa norma ha trovato applicazione:<br />

- caduta da una pedana posta in prossimità della<br />

cassa di un bar (3); - scivolamento su di una foglia di<br />

insalata sul pavimento di un negozio di frutta e verdura<br />

(4); - caduta a causa del pavimento di un negozio<br />

bagnato e cosparso di segatura umida (5); - ruzzolone<br />

provocato da liquidi versati sulla pavimentazione di<br />

un supermercato (6); - caduta per una buca presente<br />

sul campo da tennis (7). Che questa disposizione codicistica<br />

si presti a casi di questo tipo emerge altresì da<br />

decisioni intervenute con riferimento a fattispecie sostanzialmente<br />

analoghe, ancorché non aventi per oggetto<br />

la <strong>responsabilità</strong> di gestori di attività commerciali,<br />

alberghiere o ad uso sportivo: ad esempio, il caso<br />

della caduta provocata dal sollevamento della copertura<br />

antiscivolo di una rampa del palazzetto dello sport<br />

di un Comune (8) e la vicenda del chicco d’uva sul pavimento<br />

di un’aula scolastica (9).<br />

Inoltre, a sostegno della soluzione imperniata sull’art.<br />

2051 c.c. per la gestione della <strong>responsabilità</strong> civile in<br />

queste fattispecie, si pone ora un precedente piuttosto<br />

recente ed eloquente della Suprema Corte, intervenuta<br />

in un’azione di risarcimento danni esperita da una clien-<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

Cose in custodia<br />

Cadute nei villaggi turistici<br />

e <strong>responsabilità</strong> del tour operator<br />

di MARCO BONA<br />

Il contributo tratta della <strong>responsabilità</strong> civile del tour operator ai sensi degli artt. 93 e 96 del novello Codice<br />

dei Consumatori per i casi di cadute occorse in strutture alberghiere e villaggi/complessi turistici nell’ambito<br />

di vacanze “tutto compreso”. In particolare, viene analizzato il regime di <strong>responsabilità</strong> applicabile<br />

in questi casi e si evidenzia l’analogia intercorrente tra l’art. 96 del Codice dei Consumatori e l’interpretazione<br />

giurisprudenziale e dottrinale dell’art. 2051 c.c.<br />

Note:<br />

(1) Per delle panoramiche sulle <strong>responsabilità</strong> ed i contratti nelle attività<br />

e negli spazi del “tempo libero”, cfr. AA.VV., Tempo libero, vol. VIII, in I<br />

nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, a cura di P. Cendon, Torino,<br />

2004; P.G. Monateri - M. Bona - R. Ambrosio - M. Ambrosio - F.G. Pizzetti,<br />

Responsabilità e danni nelle attività del tempo libero, in P.G. Monateri -<br />

M. Bona - U. Oliva - F. Peccenini - P. Tullini, Il danno alla persona, Torino,<br />

2000, tomo II, 525; G. Ciurnelli - S. Monticelli - G. Zuddas, Il contratto<br />

d’albergo, il contratto di viaggio, i contratti del tempo libero, Milano,<br />

1994.<br />

(2) Per delle eccezioni all’orientamento maggioritario cfr., ad esempio,<br />

Cass., sez. III, 25 aprile 2004, n. 3808, in Resp. civ., 2005, 407. Nella specie,<br />

la Suprema Corte, già intervenuta sulla vicenda con l’affermazione<br />

del principio per cui la <strong>responsabilità</strong> dell’art. 2051 c.c. presuppone che il<br />

danno prodotto dalla cosa in custodia derivi da un dinamismo intrinseco<br />

alla medesima, non essendo sufficiente che la stessa abbia svolto un ruolo<br />

puramente passivo nella causalità del danno (Cass., sez. III, 13 maggio<br />

1997, n. 4196, in Giur. it., 1998, 1382, con nota di F.G. Pizzetti) ha confermato<br />

la decisione del giudice, cui aveva rimesso la controversia, il quale<br />

aveva negato la <strong>responsabilità</strong> del gestore di un bar per la caduta effettuata<br />

dal cliente sulla scala di collegamento del bar alla toilette, dovuta<br />

alla presenza di una salvietta sporca di gelato.<br />

(3) Trib. Biella 1° giugno 2005, G.U. Carli, inedita.<br />

(4) Cass., sez. III, 8 aprile 1997, n. 3041, in Giur. it., 1998, 1382. Nella<br />

specie, la Suprema Corte aveva sostenuto che il custode è presunto responsabile<br />

dei danni provocati dalla cosa custodita - da intendersi nella<br />

sua unitarietà, se costituita da una pluralità di beni, sì che l’obbligo di vigilanza<br />

e controllo riguarda l’universitas rerum, composta da ciascun bene<br />

che vi appartiene - pur se essa non è intrinsecamente pericolosa, ma diviene<br />

nociva in conseguenza di un processo dannoso provocato da elementi<br />

esterni, a meno che il custode dimostri che il danno è derivato da<br />

caso fortuito, ivi compresi il fatto del terzo e la colpa del danneggiato (nel<br />

caso di specie, la Corte cassò la sentenza del giudice del merito che aveva<br />

escluso, ai sensi dell’art. 2051 c.c., la <strong>responsabilità</strong> del gestore di un negozio<br />

in cui una cliente era scivolata su una foglia di insalata).<br />

(5) Cass., sez. III, 27 marzo 1972, n. 987, in Resp. civ. e prev., 1972,<br />

547.Cfr., altresì, App. Genova 17 febbraio 1977, in Giur. merito, 1978, 20<br />

(pavimento bagnato di una banca).<br />

(6) Cass., sez. III, 15 novembre 1996, n. 10015, in Riv. circolaz. e trasp.,<br />

1997, I, 86.<br />

(7) Cass., sez. III, 28 ottobre 1995, n. 11264, in Riv. dir. sport., 1996, 87;<br />

in Arch. civ., 1996, 755. Sul punto e sull’applicazione dell’art. 2051 c.c.<br />

nel campo dei danni da attività sportive, cfr. M. Bona - A. Castelnuovo -<br />

P.G. Monateri, La <strong>responsabilità</strong> civile nello sport, Milano, 2002, 53 ss., 211-<br />

212.<br />

(8) Cass., sez. III, 1° ottobre 2004, n. 19653, in Resp. civ. e prev., 2005,<br />

377.<br />

(9) Cass., sez. III, 20 maggio 1998, n. 5031, in Giur. it., 1999, 713.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 713


714<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

te di un albergo scivolata su dei residui di verdura cotta<br />

che, non rimossi dal personale presente, insistevano sul<br />

pavimento della sala di ristorazione (10): in questa sentenza<br />

i giudici di legittimità, capovolgendo - verosimilmente<br />

in via definitiva - il loro precedente orientamento<br />

(11), hanno riconosciuto l’applicabilità dell’art. 2051<br />

c.c. al caso di specie, affermando che «tale norma …<br />

non richiede necessariamente che la cosa sia suscettibile<br />

di produrre danni per sua natura, cioè per un suo intrinseco<br />

potere, in quanto, anche in relazione alle cose prive<br />

di un dinamismo proprio, sussiste il dovere di custodia e<br />

controllo, allorquando il fortuito o il fatto dell’uomo<br />

possano prevedibilmente intervenire, come causa esclusiva<br />

o come concausa, nel processo obiettivo di produzione<br />

dell’evento dannoso, eccitando lo sviluppo di un<br />

agente, che conferisce alla cosa l’idoneità al nocumento»<br />

(12).<br />

Ciò posto, nella prassi delle corti - soprattutto quelle<br />

di primo grado - controversie aventi per oggetto le cadute<br />

di clienti in esercizi destinati al “tempo libero”,<br />

ancorché frequenti, sono comunque ancora lungi dall’essere<br />

scontate (13): esse, infatti, si giocano tutte<br />

non solo in fatto, ma anche molto in punta di diritto,<br />

e gli esiti - purtroppo spesso difficili da prevedere per<br />

chi agisce in giudizio - sono affidati alle valutazioni<br />

della realtà delle cose che, caso per caso, i giudici del<br />

merito effettuano in applicazione dell’art. 2051 c.c. In<br />

particolare, le risposte delle corti possono variare notevolmente<br />

a seconda del peso che viene attribuito a<br />

profili quali, da un lato, la visibilità dell’insidia/trabocchetto<br />

agli occhi del danneggiato e, dall’altro lato, la<br />

prevedibilità, da parte del custode, dello sviluppo causale<br />

dell’evento dannoso. Va soprattutto osservato che<br />

in questo ambito l’allocazione delle possibili disattenzioni<br />

del danneggiato (elemento esterno rispetto alla res)<br />

costituisce in tutta evidenza una delle principali variabili<br />

nella gestione dell’art. 2051 c.c.: chi entra in un<br />

bar, o chi attraversa una sala di ristorazione oppure chi<br />

si muove tra gli scaffali di un supermercato oppure ai<br />

bordi di una piscina o gioca su di un campo di tennis<br />

deve tenersi il danno per il semplice fatto di non essersi<br />

avveduto di gradini posizionati in modo infelice o<br />

per non essersi accorto della presenza di altri fattori di<br />

rischio (residui di ortaggi, macchie d’olio, pavimenti<br />

bagnati, assenza di listelli antiscivolo, sassi sporgenti,<br />

buche, ecc.) tali da rendere scivolosa o comunque insidiosa<br />

la superficie calpestabile? Oppure è il gestore di<br />

siffatti esercizi commerciali o sportivi a dover farsi carico<br />

per intero, a prescindere cioè dalla disattenzione<br />

della vittima, di tutti quegli eventi di danno sprigionatisi<br />

da una dinamica causale su cui sarebbe potuto<br />

intervenire?<br />

Ciò succintamente posto circa il nocciolo del problema<br />

che si pone alle corti nell’applicazione dell’art. 2051 c.c.<br />

in questo particolare ambito, si può fare mente locale,<br />

quale esempio per meglio comprendere la questione, ad<br />

un caso deciso dal Tribunale di Biella nel 2005 (14): co-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

sì come accertato in seno all’istruttoria, la cliente era caduta<br />

mentre si accingeva a pagare la propria consumazione<br />

nei pressi della cassa posizionata all’inizio del bancone<br />

del bar in prossimità della porta d’ingresso, nello<br />

specifico andando ad inciampare in un gradino, alto alcuni<br />

centimetri, posto a breve distanza dalla cassa (a circa<br />

un metro e mezzo). Il convenuto si era difeso sostenendo<br />

come la danneggiata avesse agito imprudentemente<br />

in quanto quest’ultima avrebbe dovuto avvedersi<br />

del gradino, visibile, illuminato dalla luce solare e contraddistinto<br />

da un colore diverso nonché dalla presenza<br />

di un’alzata in ottone. La strategia della difesa era quindi<br />

chiara: imputare per intero il danno al fatto della vittima.<br />

Orbene, il Tribunale ha ritenuto non provato, ex art.<br />

2051 c.c., il caso fortuito, proprio ragionando in termini<br />

di prevedibilità, da parte del custode della res, della sequenza<br />

causale dell’evento di danno. Infatti, ha addebitato<br />

il danno al convenuto, rilevando in particolare «la<br />

caratteristica intrinsecamente pericolosa del gradino»,<br />

atteso che lo stesso si trovava in una posizione critica, essendo<br />

situato vicino alla cassa, «luogo in cui i clienti evidentemente<br />

rivolgono la propria attenzione sia al cassiere<br />

sia al compimento delle operazioni materiali del pagamento,<br />

potendo considerarsi del tutto normale che l’avventore<br />

(il quale non è tenuto a conoscere l’esatta<br />

conformazione dei luoghi) in tale momento non si avveda<br />

del gradino posto immediatamente davanti o dietro<br />

ai propri piedi». Nello specifico, sul punto in piena li-<br />

Note:<br />

(10) Cass., sez. III, 4 agosto 2005, n. 16373.<br />

(11) Cfr., ancora da ultimo, Cass., sez. III, 25 aprile 2004, n. 3808, cit. (vedi<br />

supra nota n. 2). Cfr., inoltre, Cass., sez. III, 1° giugno 1995, n. 6125, in<br />

Mass. giur. it., 1995. In questa decisione affermarono che la presunzione<br />

di <strong>responsabilità</strong> a carico di chi abbia una cosa in custodia, prevista dall’art.<br />

2051 c.c., avrebbe riguardato solo i danni cagionati dalla cosa medesima<br />

per sua intrinseca natura o per la insorgenza in essa di agenti dannosi<br />

e, pertanto, non avrebbe potuto trovare applicazione nella diversa ipotesi<br />

di danno che non fosse derivato dalla cosa in sé, ma da comportamenti<br />

dolosi o colposi del detentore della cosa (nella specie, l’attore aveva<br />

riportato danni scivolando sul pavimento di un albergo, con pavimento<br />

in gomma zigrinata, riservato ai carrelli ed al relativo personale di manovra).<br />

(12) Si osservi incidentalmente che questo principio, nel campo della <strong>responsabilità</strong><br />

degli albergatori, potrebbe condurre all’applicazione dell’art.<br />

2051 c.c. anche in tutta un’altra serie di casi di danni ai clienti diversi dalla<br />

classica fattispecie della caduta. Ad esempio, si potrebbe pervenire a sostenere,<br />

quanto alla <strong>responsabilità</strong> dell’albergatore (e, di conseguenza, del<br />

tour operator nell’ipotesi in cui il pernottamento abbia avuto luogo in occasione<br />

di un viaggio organizzato), la <strong>responsabilità</strong> ex art. 2051 c.c. per i<br />

danni da “legionellosi”, sviluppandosi infatti il batterio della legionella sia<br />

negli impianti di condizionamento e sia negli impianti idrosanitari (ad<br />

esempio, tubazioni, serbatoi di accumulo, valvole e rubinetti, soffioni di<br />

docce, doccette di vasche, vasche, bidet). Sul rischio che discende per i<br />

clienti di alberghi dalla legionella, cfr. World Health Organization, International<br />

travel and health, Geneva, 2005, 61; EWGLINET e EWGLI, European<br />

Guidelines for Control and Prevention of Travel Associated Legionnaires’Disease,<br />

2003.<br />

(13) Sul tema, cfr. da ultimo G.G. Greco - D.M. Pasanisi - B. Ronchi, I<br />

danni da cose in custodia, Milano, 2004.<br />

(14) Trib. Biella 1° giugno 2005, G.U. Carli, cit.


nea con la giurisprudenza della Cassazione (15), il Tribunale<br />

ha escluso che fosse ascrivibile alla danneggiata «un<br />

utilizzo della cosa improprio o imprevedibile», posto che<br />

quest’ultima era caduta in conseguenza di una condotta<br />

del tutto normale, cioè mentre stava attendendo ad una<br />

banalissima operazione, quale il pagare alla cassa.<br />

Precedenti come quello del Tribunale di Biella e come<br />

gli altri citati evidenziano invero una linea di tendenza<br />

della giurisprudenza nostrana sufficientemente chiara: le<br />

eventuali disattenzioni dei clienti, quali elementi esterni<br />

alla res, tendenzialmente non rilevano, allorquando questi<br />

soggetti abbiano tenuto un comportamento “normale”<br />

(cioè prevedibile dal custode) (16) e, soprattutto, laddove<br />

la potenzialità dannosa della res, anche con riferimento<br />

alle persone “sbadate”, sia presumibile da parte<br />

del custode (17). In altri termini, l’idoneità della cosa a<br />

produrre un danno in capo ad una persona disattenta assorbe<br />

la “normale” e prevedibile distrazione della vittima.<br />

Ciò, a ben osservare, risulta pienamente conforme alla<br />

ratio dello schema di <strong>responsabilità</strong> di cui all’art. 2051<br />

c.c., che, essendo a “carattere oggettivo”, si gioca interamente<br />

sull’estraneità o meno della relazione di custodia<br />

nello sviluppo della sequenza causale (18): per rilevare<br />

quale prova liberatoria il fatto del danneggiato deve risultare<br />

del tutto imprevedibile, eccezionale o, perlomeno,<br />

anomalo, ossia occorre che il collegamento custoderes<br />

non rilevi nella spiegazione dell’evento dannoso cui<br />

ha partecipato la vittima con il suo comportamento attivo<br />

od omissivo, senza che sia in alcun modo dirimente il<br />

profilo dell’eventuale diligenza del custode.<br />

Venendo ora al tema oggetto del presente contributo,<br />

occorre allora domandarsi se la tutela del danneggiato in<br />

seno alla <strong>responsabilità</strong> ex art. 2051 c.c. venga a modificarsi<br />

in qualche modo nel caso in cui la caduta abbia<br />

avuto luogo in un villaggio turistico oppure in un albergo<br />

o in altra struttura consimile durante il soggiorno della<br />

vittima nell’ambito di un “pacchetto turistico” rilevante<br />

ai sensi decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 111<br />

(Attuazione della direttiva n. 90/314/CEE concernente i<br />

viaggi, le vacanze ed i circuiti «tutto compreso»), disciplina<br />

oggi confluita negli articoli dal 82 a 100 del Codice dei<br />

Consumatori, di cui al decreto legislativo 6 settembre<br />

2005, n. 206 (19).<br />

È evidente che il custode della struttura turistica (ossia il<br />

proprietario o il gestore) può essere chiamato a rispondere<br />

secondo i criteri sopra citati (cioè in base all’art.<br />

2051 c.c.) (20). Tuttavia, è altresì chiaro che in molti casi<br />

- soprattutto laddove l’incidente si sia verificato all’estero<br />

- per certo all’attore, essendo del resto la disciplina<br />

speciale proprio finalizzata ad avvantaggiare il consumatore<br />

sotto questo profilo, convenga agire contro l’organizzatore<br />

del pacchetto turistico: il tour operator è il soggetto<br />

decisamente più a portata di mano (nella stragrande<br />

maggior parte dei casi con sede nello stato del consumatore<br />

ed evocabile nel foro di quest’ultimo) e, solitamente,<br />

pure con maggiori garanzia di solvibilità. Occor-<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

re pertanto chiedersi come si atteggi la <strong>responsabilità</strong> del<br />

tour operator nel caso di cadute occorse nelle strutture di<br />

ricezione poste a disposizione del cliente nell’ambito del<br />

pacchetto di viaggio. È una <strong>responsabilità</strong> assimilabile a<br />

quella che discende dall’art. 2051 c.c. oppure il regime<br />

operante per l’accertamento dell’an debeatur si differenzia<br />

da quello codicistico?<br />

La tesi, che si verrà ora ad esporre, è che in realtà non ricorrano<br />

distinzioni sostanziali tra la <strong>responsabilità</strong> di cui<br />

all’art. 2051 c.c. e la <strong>responsabilità</strong> speciale del tour operator:<br />

per chi riporta una lesione dell’integrità psicofisica<br />

(o per i suoi congiunti) in un villaggio turistico o altre<br />

strutture ove si svolgono le attività previste nel pacchetto<br />

turistico concordato, agire contro il custode della res<br />

oppure nei confronti del tour operator non comporta alcuna<br />

variazione a livello di tutela, o, perlomeno, differenze<br />

sensibili. Per l’appunto si può ben ipotizzare che<br />

art. 96 decreto legislativo n. 206/2005 = art. 2051 c.c.<br />

La <strong>responsabilità</strong> del tour operator<br />

per danno alla persona negli artt. 93 e 96<br />

del Codice dei Consumatori: natura, esonero,<br />

prova liberatoria e analogia<br />

tra il regime speciale e l’art. 2051 c.c.<br />

Norme fondamentali, sino all’entrata in vigore del Codi-<br />

Note:<br />

(15) Cfr. ancora, da ultimo, Cass., sez. III, 15 ottobre 2004, n. 20334, in<br />

questa Rivista, 2005, 210; Cass., sez. III, 4 novembre 2003, n. 16527, in<br />

www.altalex.com.<br />

(16) In ordine alla nozione di “comportamento normale”, cfr., tra le decisioni<br />

più recenti, Cass., sez. III, 10 agosto 2004, n. 15429, che ha specificato<br />

come anche un’utilizzazione estranea alla naturale destinazione della<br />

cosa divenga prevedibile dal custode laddove largamente diffusa in un<br />

determinato ambiente sociale.<br />

(17) Proprio in applicazione di questa regola operazionale si può spiegare<br />

la recente sentenza della Corte di Cassazione in P. c. Soc. La Rinascente<br />

Upim, che - con riferimento ad un ricorso avverso il rigetto di domanda di<br />

risarcimento dei danni sul presupposto che, nel mentre la danneggiata si<br />

trovava nei locali di un grande magazzino e si apprestava all’acquisto di un<br />

rossetto, era caduta a causa di un gradino «nascosto dalla continuità dello<br />

stand», procurandosi gravi lesioni - ha confermato la sentenza del giudice<br />

di merito, considerandola adeguatamente motivata, sia sotto il profilo<br />

della <strong>responsabilità</strong> per custodia ex art. 2051 c.c., in ordine alla quale<br />

aveva ravvisato l’evento in questione sostanzialmente attribuibile alla<br />

scarsa attenzione prestata dalla danneggiata, ritenendo la minore prontezza<br />

ed acutezza visiva presumibilmente connessa all’età avanzata della<br />

medesima - settantenne al momento del fatto - non ostativa alla tempestiva<br />

percezione dell’ostacolo; sia avuto riguardo all’art. 2043 c.c., essendo<br />

dall’istruttoria espletata in prime cure emerso il difetto di prova in ordine<br />

ad un comportamento colposo del grande magazzino, non risultando dimostrata<br />

la mancata adeguata segnalazione del gradino, e, quindi, la sussistenza<br />

del dedotto “trabocchetto”, Cass., sez. III, 10 maggio 2005, n.<br />

9754, in Giust. civ. Mass., 2005, fasc. 5.<br />

(18) Sul punto, cfr. ancora da ultimo Cass., sez. III, 4 agosto 2005, n.<br />

16373, cit.<br />

(19) Per una prima analisi delle modifiche introdotte dal Codice del<br />

Consumo alla disciplina sui servizi turistici, cfr. A.M. Mancaleoni, Prime<br />

note in margine al Codice del consumo, in Diritto del turismo, 2005, 391-392.<br />

(20) In questo senso, cfr. ancora da ultimo Trib. Torino, sez. IV, 6 dicembre<br />

2005, n. 7882, G.U. Grillo, inedita (caduta di una cliente in un villaggio<br />

turistico).<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 715


716<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

ce dei Consumatori (21) (23 ottobre 2005), erano l’art. 14<br />

(“Mancato o inesatto adempimento”: «1. In caso di mancato<br />

o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte<br />

con la vendita del pacchetto turistico l’organizzatore e il<br />

venditore sono tenuti al risarcimento del danno, secondo<br />

le rispettive <strong>responsabilità</strong>, se non provano che il<br />

mancato o inesatto adempimento è stato determinato<br />

da impossibilità della prestazione derivante da causa a<br />

loro non imputabile. 2. L’organizzatore o il venditore che<br />

si avvale di altri prestatori di servizi è comunque tenuto<br />

a risarcire il danno sofferto dal consumatore, salvo il diritto<br />

di rivalersi nei loro confronti») e l’art. 17 (“Esonero<br />

di <strong>responsabilità</strong>”: «1. L’organizzatore ed il venditore sono<br />

esonerati dalla <strong>responsabilità</strong> di cui agli articoli 15 e 16,<br />

quando la mancata o inesatta esecuzione del contratto è<br />

imputabile al consumatore o è dipesa dal fatto di un terzo<br />

a carattere imprevedibile o inevitabile, ovvero da un<br />

caso fortuito o di forza maggiore. 2. L’organizzatore o il<br />

venditore apprestano con sollecitudine ogni rimedio utile<br />

al soccorso del consumatore al fine di consentirgli la<br />

prosecuzione del viaggio, salvo in ogni caso il diritto al<br />

risarcimento del danno nel caso in cui l’inesatto adempimento<br />

del contratto sia a questo ultimo imputabile»).<br />

Queste norme, senza modificazioni, sono oggi state sostituite<br />

rispettivamente dall’art. 93 (“Mancato o inesatto<br />

adempimento”) e dall’art. 96 (“Esonero di <strong>responsabilità</strong>”)<br />

del Codice dei Consumatori, che, come già si è anticipato<br />

sopra, ha assorbito per intero la precedente disciplina di<br />

cui al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 111.<br />

Ciò debitamente posto, pare opportuno soffermarsi succintamente<br />

sullo schema logico-giuridico che governa il<br />

regime di <strong>responsabilità</strong> che discende dalle sopra menzionate<br />

norme.<br />

Indubbiamente, la ratio del regime di <strong>responsabilità</strong> dell’organizzatore<br />

di viaggi, di cui al decreto legislativo n.<br />

111/1995 (cfr., in particolare, l’art. 17, oggi sostituito<br />

dall’art. 96 del decreto legislativo n. 206/2005), è primariamente<br />

imperniata - in una chiara ottica di facilitazione<br />

della tutela risarcitoria del consumatore nel suo Paese<br />

di origine - sull’allocazione in capo al tour operator della<br />

<strong>responsabilità</strong> per i danni occorsi al consumatore, ciò<br />

ogniqualvolta l’evento dannoso sia disceso dalla violazione<br />

o di “obblighi” che dovevano essere “eseguiti da lui<br />

stesso” oppure da obblighi che dovevano essere eseguiti<br />

“da altri prestatori di servizi” (intervenuti nell’ambito dell’esecuzione<br />

del pacchetto turistico), “fatto salvo il diritto<br />

dell’organizzazione e/o del venditore di rivalersi presso questi<br />

altri prestatori di servizi” (così il comma 1 dell’art. 5 della<br />

Direttiva del Consiglio CEE 13 giugno 1990, n. 90/314;<br />

cfr., inoltre, oggi art. 93, comma 2, del decreto legislativo<br />

n. 206/2005). In altri termini, tolto il caso che sia stato<br />

violato un obbligo direttamente gravante sul tour operator,<br />

l’interprete - come ad esempio laddove il consumatore<br />

lamenti un danno alla persona per caduta nel<br />

villaggio turistico - si trova dinanzi ad un’ipotesi tipica di<br />

<strong>responsabilità</strong> vicaria, assimilabile, nella sua logica e peraltro<br />

stante la comune natura contrattuale, allo schema di<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

cui all’art. 1228 c.c., quest’ultima da considerarsi nel nostro<br />

codice sicuramente il modello per eccellenza della<br />

<strong>responsabilità</strong> contrattuale vicaria.<br />

Stando pertanto a questo particolare regime di <strong>responsabilità</strong>,<br />

che - è bene rilevarlo - si differenzia nella sua lettera<br />

da quello di cui all’art. 1228 c.c. in quanto, diversamente<br />

da quest’ultima disposizione (22), non opera alcun<br />

espresso riferimento al dolo o alla colpa del terzo che<br />

partecipa alla realizzazione dei servizi garantiti nell’ambito<br />

del pacchetto turistico (23), il tour operator risponde<br />

contrattualmente anche per le condotte causalmente imputabili<br />

al proprietario e/o gestore del villaggio turistico<br />

oppure ad altri soggetti incaricati di servizi previsti nel<br />

contratto.<br />

Orbene, questa particolare <strong>responsabilità</strong> vicaria, come<br />

espressamente specificato dall’art. 96 (“Esonero di <strong>responsabilità</strong>”)<br />

del sopra menzionato decreto legislativo n.<br />

206/2005 (già art. 17 del d.lgs. n. 111/1995) e come pure<br />

desumibile, a monte, dall’art. 5, comma 2, della direttiva<br />

CEE n. 90/314 (24), è esclusa solo laddove il tour<br />

operator dimostri, avendone l’onere probatorio, che «la<br />

mancata o inesatta esecuzione del contratto» alternativamente:<br />

➣ è dipesa «da un caso fortuito o forza maggiore»;<br />

➣ «è dipesa dal fatto di un terzo a carattere imprevedibile<br />

o inevitabile» (laddove per “terzo” occorre necessariamente<br />

intendere, in base a quanto specificato dall’art.<br />

5, comma 2, della direttiva CEE n. 90/314, «un terzo<br />

estraneo alla fornitura delle prestazioni previste dal contratto»);<br />

➣ oppure «è imputabile al consumatore» (fatto della<br />

vittima).<br />

A questo punto, è agevole osservare da questa tripartizione<br />

come di fatto l’art. 96 riproduca, sotto ogni profilo e<br />

quasi alla lettera (fatta eccezione per l’aggiunta della fattispecie<br />

della “forza maggiore”), una clausola di esonero<br />

Note:<br />

(21) Pubblicato in G.U. n. 235 dell’8 ottobre 2005 (Suppl. Ord. n. 162).<br />

(22) L’art. 1228 c.c., come noto, sancisce che «il debitore che nell’adempimento<br />

dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei<br />

fatti dolosi o colposi di costoro».<br />

(23) Il punto è stato rilevato in dottrina da G. Silingardi e F. Morandi, La<br />

tutela del turista nella disciplina comunitaria, in Quaderno n. 28 - Riv. giur. circolaz.<br />

e trasp., 1997, 71. Si osservi tuttavia che il richiamo alla colpa del<br />

prestatore di servizi compare espressamente all’art. 5, comma 2, della direttiva<br />

CEE n. 90/314 (cfr. nota successiva).<br />

(24) «2. Per quanto riguarda i danni arrecati al consumatore dall’inadempimento<br />

o dalla cattiva esecuzione del contratto, gli Stati membri prendono<br />

le misure necessarie affinché l’organizzatore e/o il venditore siano<br />

considerati responsabili, a meno che l’inadempimento o la cattiva esecuzione<br />

non siano imputabili né a colpa loro né a colpa di un altro prestatore<br />

di servizi in quanto: - le mancanze constatate nell’esecuzione del contratto<br />

sono imputabili al consumatore, - tali mancanze sono imputabili a<br />

un terzo estraneo alla fornitura delle prestazioni previste dal contratto e<br />

presentano un carattere imprevedibile o insormontabile, - tali mancanze<br />

sono dovute a un caso di forza maggiore come definito all’articolo 4, paragrafo<br />

6, secondo comma, punto ii), o ad un avvenimento che l’organizzatore<br />

e/o il venditore non potevano, con tutta la necessaria diligenza,<br />

prevedere o risolvere».


in tutto e per tutto assimilabile a quella elaborata dalla<br />

giurisprudenza e dalla dottrina nostrane con riferimento<br />

all’art. 2051 c.c. (25): in altri termini, quanto perlomeno<br />

all’impostazione dell’esonero da <strong>responsabilità</strong> e, quindi,<br />

al regime della prova liberatoria, il legislatore comunitario<br />

(26) e, in seno di implementazione della direttiva, soprattutto<br />

il legislatore nazionale hanno prodotto una<br />

norma coincidente, quasi alla perfezione, con la regola<br />

giurisprudenziale e dottrinale messa a punto dalle corti<br />

nostrane in seno all’interpretazione dell’art. 2051 c.c.<br />

Se ciò è indubbiamente vero per la prova liberatoria, tuttavia,<br />

esaminando l’approccio all’an debeatur nel suo<br />

complesso, va qui rilevato come in realtà non vi sia una<br />

perfetta coincidenza tra la <strong>responsabilità</strong> oggettiva di cui<br />

all’art. 2051 c.c. e la strict liability di cui al regime speciale<br />

di <strong>responsabilità</strong> discendente dalla direttiva CEE n.<br />

90/314 (27). Una ben sostanziale coincidenza sussiste<br />

però tra il regime discendente dal combinato disposto<br />

dagli art. 93 e 96 del d.lgs. n. 206/2006 e quello di cui all’art.<br />

2051 c.c. Infatti, mentre la direttiva in questione,<br />

pur allontanandosi sensibilmente dallo schema classico<br />

della fault liability, ha mantenuto riferimenti alla “colpa”<br />

ed alla “diligenza”, il legislatore italiano, nell’adozione<br />

della direttiva, si è indubbiamente accostato ad un modello<br />

di <strong>responsabilità</strong> oggettiva, in tutto e per tutto parificabile<br />

al regime di cui all’art. 2051 c.c. In tutta evidenza<br />

il legislatore nostrano ha optato per un regime di<br />

<strong>responsabilità</strong> più favorevole al consumatore rispetto allo<br />

schema di protezione minima adottato, a fini di armonizzazione,<br />

dal legislatore comunitario (28), ancorché<br />

non particolarmente divergente. Sta di fatto che, come<br />

recentemente rilevato dalla giurisprudenza con riferimento<br />

agli artt. 14 e 17 del d.lgs. n. 111/1995 (29), nel<br />

nostro ordinamento «la <strong>responsabilità</strong> dell’organizzatore<br />

e venditore di viaggi tutto compreso è una <strong>responsabilità</strong><br />

oggettiva, con la conseguenza che egli è responsabile anche<br />

nel caso di condotta incolpevole».<br />

A prescindere comunque da queste questioni di rapporti<br />

tra disciplina comunitaria e normativa interna, dallo<br />

spaccato sin qui illustrato e, nello specifico, dagli elementi,<br />

che compongono la prova liberatoria nel regime<br />

in esame, risulta del tutto evidente come la clausola di<br />

esonero dettata dall’art. 96, per la sua coincidenza con<br />

l’art. 2051 c.c., sia da interpretarsi, anche per evidenti ragioni<br />

sistematiche, tenendo in ogni caso in debita considerazione<br />

i principi elaborati dalle nostre corti con riferimento<br />

al regime di <strong>responsabilità</strong> disciplinato per l’appunto<br />

dall’art. 2051 c.c. È, invero, esattamente in questa<br />

convergenza che vanno ricercate le soluzioni da percorrere<br />

nel delineare la <strong>responsabilità</strong> del tour operator per i<br />

danni da cadute accusati dai clienti nei villaggi delle vacanze<br />

“tutto compreso”.<br />

L’art. 96 del decreto legislativo n. 206/2005<br />

letto alla luce della giurisprudenza<br />

sull’art. 2051 c.c.<br />

Come si è illustrato sopra, l’art. 96 del d.lgs. n. 206/2005,<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

come già la disciplina interna precedente, distingue tra<br />

diverse ipotesi di prova liberatoria: a) caso fortuito e/o<br />

forza maggiore; b) fatto del terzo; c) fatto del danneggiato.<br />

a) Caso fortuito o forza maggiore<br />

L’art. 96 del d.lgs. n. 206/2005, come già il suo precedente<br />

art. 17 del d.lgs. n. 111/1995, distingue espressamente<br />

tra “caso fortuito” e “forza maggiore”. Quest’ultima compariva<br />

già all’art. 5, comma 2, della direttiva n. 90/314,<br />

che per l’appunto distingue tra, da un lato, “forza maggiore”<br />

(definita all’art. 4, paragrafo 6, secondo comma, punto<br />

ii, quale categoria comprendente le «circostanze esterne<br />

a chi le adduce, anormali e imprevedibili, le cui conseguenze<br />

non si sarebbero potute evitare nonostante<br />

ogni diligenza impiegata») e, dall’altro lato, «avvenimento<br />

che l’organizzatore e/o il venditore non potevano,<br />

con tutta la necessaria diligenza, prevedere o risolvere».<br />

Viceversa, l’etichetta “caso fortuito”, complice l’assenza<br />

di un suo corrispondente esatto nei sistemi di common<br />

law (30) (dei quali il legislatore comunitario ha tenuto<br />

debito conto), non compariva nella direttiva n.<br />

90/314 ed è stata inserita solo successivamente dal legislatore<br />

italiano nella trasposizione della direttiva comunitaria<br />

in seno all’ordinamento interno.<br />

La situazione, dunque, è sostanzialmente la seguente:<br />

➣ nella direttiva comunitaria, così come in diverse nor-<br />

Note:<br />

(25) Cfr. ex plurimis sulla prova liberatoria ex art. 2051 c.c.: P.G. Monateri,<br />

Manuale della <strong>responsabilità</strong> civile, Torino, 2001, 401 ss.; G. Alpa, La <strong>responsabilità</strong><br />

civile, Milano, 1999, 695 ss.<br />

(26) Cfr. però quanto segue.<br />

(27) In particolare, si può invero osservare un elemento di divergenza tra,<br />

da un lato, il testo originario di cui all’art. 5, comma 2, della direttiva n.<br />

90/314 e, dall’altro lato, gli artt. 93 e 96 del d.lgs. n. 206/2005 e la consueta<br />

interpretazione dell’art. 2051 c.c.: nel primo caso, infatti, compare<br />

espressamente il riferimento alla “colpa” ed alla “diligenza” dell’organizzatore<br />

o dei prestatori di servizi di cui il tour operator si è avvalso; questo riferimento,<br />

invece, non compare né all’art. 93 né all’art. 96 del d.lgs. n.<br />

206/2005; inoltre, nell’ambito dell’art. 2051 c.c., come già si notava sopra,<br />

è esclusa l’operatività dell’istituto della colpa, al punto che si afferma<br />

tradizionalmente che l’art. 2051 c.c. configura un regime di <strong>responsabilità</strong><br />

oggettiva. Proprio muovendo da queste considerazioni in ordine all’art. 5,<br />

comma 2, della direttiva n. 90/314 la dottrina straniera è pervenuta ad affermare<br />

che, se per certo il legislatore comunitario ha adottato un regime<br />

di <strong>responsabilità</strong> non inquadrabile nella fault liability, pur tuttavia esso non<br />

è neppure qualificabile alla stregua di una <strong>responsabilità</strong> oggettiva assoluta<br />

(«…falls some way short of full strict liability»), D. Grant & S. Mason,<br />

Holiday Law, 3rd ed., London, 2003, 139. Pur divergendo dalla disciplina<br />

comunitaria (ancorché in modo non particolarmente significativo), la<br />

normativa italiana, che ha adottato la direttiva, dovrebbe risultare perfettamente<br />

legittima e compatibile con la direttiva stessa, posto che si accetti<br />

la tesi di fondo per cui il legislatore comunitario, in base al principio<br />

di sussidiarietà, fissa unicamente dei canoni minimi di protezione, ai quali<br />

i legislatori nazionali possono derogare nella direzione di una maggiore<br />

tutela nel caso di specie del consumatore.<br />

(28) Sul punto cfr. nota precedente.<br />

(29) Trib. Torino, sez. IV, 6 dicembre 2005, n. 7882, cit.<br />

(30) F. de Franchis, Dizionario giuridico - Law Dictionary, vol. 2, Milano,<br />

1996, 483.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 717


718<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

mative nazionali che la hanno attuata (31), si distingue<br />

tra forza maggiore (eventi fuori dal controllo del debitore,<br />

anormali e imprevedibili, dalle conseguenze inevitabili<br />

nonostante ogni diligenza impiegata) ed eventi semplicemente<br />

imprevedibili, sebbene l’impiego di tutta la diligenza<br />

necessaria: la distinzione, come facilmente intuibile,<br />

è invero molto labile, praticamente ai limiti dell’inafferrabile,<br />

ancorché si potrebbe di contro osservare come<br />

forse il legislatore comunitario si sia sforzato di distinguere,<br />

senza purtroppo riuscirci, a differenziare tra i<br />

concetti dell’inevitabilità (forza maggiore) e dell’imprevedibilità<br />

(il secondo caso);<br />

➣ nella normativa nazionale, invece, la distinzione tra i<br />

due casi appare sulla carta più netta, distinguendosi tra<br />

due etichette diverse: per l’appunto, “caso fortuito” (che<br />

immediatamente fa scattare nell’interprete il riferimento<br />

all’art. 2051 c.c.) e “forza maggiore”.<br />

Vi è a questo punto, però, da domandarsi quale distinzione<br />

intercorra in effetti nel nostro ordinamento tra<br />

queste due categorie e quali esiti comporti siffatta bipartizione<br />

sul piano concreto.<br />

Invero, tenuto conto del dato per cui la nozione di “caso<br />

fortuito” si è affrancata del tutto dalla colpa e si gioca sull’elemento<br />

della sua estraneità alla sequenza causale controllabile<br />

dal custode (ancora da ultimo con riferimento<br />

all’art. 2051 c.c. la Cassazione ha affermato che «il limite<br />

della <strong>responsabilità</strong> risiede nell’intervento di un fattore<br />

(il caso fortuito) che attiene non ad un comportamento<br />

del responsabile, ma alle modalità di causazione<br />

del danno» e che «la rilevanza del fortuito concerne il<br />

profilo causale» (32)), anche la distinzione tra questa e<br />

la nozione di “forza maggiore” (vis cui resisti non potest) risulta<br />

a sua volta in larga misura e nella maggior parte dei<br />

casi impercettibile: la situazione della nostra legislazione,<br />

dunque, non dovrebbe diversificarsi da quella comunitaria<br />

e di altre discipline nazionali.<br />

Del resto, quanto ai confini tra la fattispecie del “caso<br />

fortuito” e il concetto di “forza maggiore” (33), tuttora<br />

oggetto di controversie sia in giurisprudenza e sia in dottrina,<br />

si può osservare come, se per un primo e più risalente<br />

indirizzo, invero minoritario, la distinzione tra le<br />

due fattispecie si sarebbe dovuta giocare sui rapporti di<br />

queste con la culpa, di contro in base ad un secondo<br />

orientamento, considerato maggioritario e che anche risulta<br />

conforme alla giurisprudenza sul “caso fortuito” rilevante<br />

ai sensi dell’art. 2051 c.c., alla differenza terminologica<br />

in questione non corrisponderebbe una reale<br />

distinzione di ordine concettuale, giacché entrambe le<br />

locuzioni starebbero ad indicare «fattori causali (dell’impossibilità<br />

della prestazione) estranei ai rischi tipicamente<br />

collegati ad una certa attività d’impresa e al suo concreto<br />

svolgimento» (34), e cioè si riferirebbero ad eventi<br />

che non solo non possono prevedersi, ma che non possono<br />

neppure in alcun modo evitarsi.<br />

Se proprio si volesse distinguere tra forza maggiore e caso<br />

fortuito, si potrebbe ad esempio sostenere che la prima<br />

consiste in una “situazione di intollerabile violenza o repen-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

tinità”, esterna alla sfera del tour operator o del prestatore<br />

di servizi, dalle conseguenze inevitabili nonostante “la più<br />

accurata diligenza” (35), mentre il secondo si concretizzerebbe<br />

in una situazione - sempre estranea alla sfera di<br />

controllo del debitore e, dunque, indipendente dalla diligenza<br />

impiegata dal medesimo - imprevedibile, a prescindere<br />

dalla sua particolare vis. Da un lato, il caso fortuito<br />

si caratterizzerebbe per l’elemento dell’imprevedibilità,<br />

dall’altro lato, tenuto anche conto di una risalente<br />

decisione della Suprema Corte (36), la forza maggiore<br />

sarebbe imperniata sulla nozione di inevitabilità (37).<br />

Tuttavia, è chiaro che siffatta distinzione non è di fatto<br />

necessaria e non contribuisce più di tanto a fare chiarezza.<br />

La situazione sarebbe comunque assimilabile a quella<br />

delineata dal legislatore comunitario.<br />

In definitiva, tenuto altresì conto che la giurisprudenza<br />

associa imprevedibilità e inevitabilità entro la nozione<br />

del caso fortuito, si potrebbe allora ben considerare i due<br />

termini in questione alla stregua di un’autentica endiadi,<br />

cioè come perfettamente assimilabili (38).<br />

Ciò posto e, come ora argomentato, potendosi ben trattare<br />

entrambe le categorie insieme, si può osservare come<br />

la giurisprudenza intervenuta con riferimento all’art.<br />

2051 c.c. abbia avuto modo di chiarire che per “caso fortuito”<br />

si intende un fattore estraneo, sul piano causale,<br />

alla sfera soggettiva del custode ed idoneo ad interrompere<br />

il nesso causale tra, da un lato, la res, riconducibile<br />

al convenuto medesimo che su di essa esercita un effettivo<br />

potere (implicante il controllo e l’uso della stessa), e,<br />

Note:<br />

(31) Cfr., ad esempio, per il Regno Unito «The Package Travel, Package<br />

Holidays and Package Tours Regulation 1992», che all’art. 15, paragrafo 2,<br />

lettera c, distingue tra: (i) «unusual and unforeseeable circumstances beyond<br />

the control of the party by whom this exception is pleaded, the consequences of<br />

which could not have been avoided even if all due care had been exercised»; (ii)<br />

«an event which the other party to the contract or the supplier of services, even<br />

with all due care, could not foresee or forestall». Sull’interpretazione di tale<br />

disposizione cfr. D. Grant & S. Mason, Holiday Law, cit., 279 ss.<br />

(32) Cass., sez. III, 4 agosto 2005, n. 16373, cit.<br />

(33) Per una sintesi sulla questione relativa alla distinzione tra le due fattispecie,<br />

cfr. F. Cafaggi e P. Iamiceli, La colpa, in La <strong>responsabilità</strong> civile, a<br />

cura di P. Cendon, Torino, 1998, vol. IX, 270-272.<br />

(34) Così F. Realmonte, Caso fortuito e forza maggiore, in Dig. disc. priv.,<br />

Torino, 1988, 255; cfr., ad esempio, nello stesso solco già G. Bonilini, Responsabilità<br />

degli albergatori, in Nuove leggi civ. comm., 1979, 137 e G. Cottino,<br />

Caso fortuito e forza maggiore, in Enc. dir., VI, Milano, 1960, 379. Cfr.<br />

in questa direzione ancora da ultimo: G. Gulletta, Rapina in albergo: contenuto<br />

e limiti dell’esimente per forza maggiore, in Diritto del turismo, 2004,<br />

337.<br />

(35) Le espressioni virgolettate sono tratte da M. La Torre, La <strong>responsabilità</strong><br />

dell’albergatore. Spunti ricostruttivi, in Diritto del turismo, 2003, 326.<br />

(36) «La forza maggiore, che costituisce un avvenimento contro cui non<br />

è possibile lottare, va posta in relazione al concetto di inevitabilità ed irresistibilità<br />

che è al di fuori di ogni ragionevole imprevedibilità», Cass. 6<br />

marzo 1962, n. 428, in Foro it., 1962, I, 662.<br />

(37) Sul punto cfr. F. Cafaggi e P. Iamiceli, La colpa, cit., 270.<br />

(38) In questa direzione, ancorché non espressamente, cfr. Trib. Torino,<br />

sez. IV, 6 dicembre 2005, n. 7882, cit.


dall’altro lato, l’evento dannoso (39). In altri termini,<br />

come del resto noto e costantemente affermato in giurisprudenza<br />

(40), il “caso fortuito”, ai fini dell’esonero di<br />

<strong>responsabilità</strong>, necessita di avere per oggetto un fatto eccezionale,<br />

totalmente imprevedibile ed inevitabile da parte<br />

del soggetto chiamato in giudizio a rispondere del danno;<br />

ossia, per la configurabilità dell’esimente del caso<br />

fortuito rileva unicamente la dimostrazione dell’esistenza<br />

di una causa esterna alla sfera del convenuto, la quale abbia<br />

cagionato autonomamente l’evento dannoso e sul verificarsi<br />

della quale il medesimo soggetto non aveva alcuna<br />

“signoria” (41).<br />

Orbene, ciò illustrato, non pare sussistano elementi per<br />

pervenire ad una differente nozione di “caso fortuito” in<br />

seno all’applicazione dell’art. 96 del d.lgs. n. 206/2005,<br />

laddove la fattispecie da esaminare coincida con una di<br />

quelle soggette all’art. 2051 c.c.<br />

La giurisprudenza, che si è occupata di casi di cadute entro<br />

il regime di cui agli artt. 14 e 17 dell’abrogato d.lgs. n.<br />

111/1995, ha invero mostrato di concepire la nozione di<br />

“caso fortuito” esattamente in questi termini, cioè secondo<br />

un modello indistinguibile da quello di cui all’art.<br />

2051 c.c.<br />

Il riferimento è in particolare al recente precedente del<br />

Tribunale di Torino (42), che ha affrontato per l’appunto<br />

il caso del danno alla persona occorso ad un’ospite di<br />

un club vacanze nell’ambito di un viaggio organizzato.<br />

Nella specie, la cliente, mentre si recava a cena, era rovinata<br />

al suolo a causa della sporgenza di un ciottolo fuoriuscito<br />

dalla pavimentazione di un viottolo acciottolato<br />

situato nell’area ristorazione del club, peraltro scarsamente<br />

illuminato. Orbene, il tribunale, nel riconoscere<br />

la <strong>responsabilità</strong> del tour operator ex artt. 14, 15 e 17 del<br />

d.lgs. n. 111/1995 per il fatto riconducibile al club, ha ritenuto<br />

non provato il caso fortuito, osservando che la<br />

caduta della cliente - da imputarsi al fatto che questa,<br />

conversando con dei conoscenti, non si era accorta della<br />

presenza della sporgenza in questione - costituiva una<br />

circostanza prevedibile («una disattenzione imputabile<br />

al fatto di parlare con amici è perfettamente prevedibile<br />

in vacanza»). Invero, il tribunale ha eccessivamente<br />

concentrato ogni sua attenzione sulla prevedibilità da<br />

parte dei gestori del club della distrazione della cliente e<br />

non già sul dato, ben più oggettivo, della sporgenza del<br />

ciottolo e della possibilità di prevedere che da tale fuoriuscita<br />

potesse derivare un danno in capo ad un ospite<br />

del villaggio: del tutto evidente, infatti, è che una caduta<br />

siffatta, a prescindere da eventuali disattenzioni della<br />

vittima, possa ben considerarsi un evento evitabile, cioè<br />

non estraneo alla sequenza casuale (sporgenza del ciottolo<br />

(caduta) su cui un club ha ogni possibilità di intervenire,<br />

ad esempio con opportune e pronte manutenzioni<br />

o con idonee segnalazioni (ad esempio, una corretta<br />

illuminazione dell’area) oppure, a monte, con la scelta di<br />

una pavimentazione (ad esempio, piastrelle antiscivolo)<br />

più sicura per una località di mare e, nello specifico, per<br />

un club vacanze. La prova del caso fortuito incombente<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

sul tour operator, pertanto, in casi siffatti dovrebbe consistere<br />

nella dimostrazione dell’estraneità del club allo sviluppo<br />

della sequenza causale, certamente non ravvisabile<br />

laddove l’evento dannoso sia derivato da un utilizzo<br />

normale delle strutture (ad esempio, passeggiare per il<br />

club disquisendo con amici) e lo stesso sia prevedibile ed<br />

evitabile (ad esempio, attraverso una corretta manutenzione<br />

delle superfici, il controllo sulla sicurezza delle<br />

strutture, la segnalazione, anche tramite ad esempio un<br />

adeguato sistema di illuminazione, di eventuali irregolarità).<br />

b) Fatto del terzo<br />

Sul punto va debitamente ricordato che, come già si è<br />

posto in luce sopra, nel regime di <strong>responsabilità</strong>, di cui<br />

all’art. 96 del d.lgs. n. 206/2005, il “terzo” è una persona,<br />

fisica o giuridica, ben distinta dal “prestatore di servizi” di<br />

cui si avvale il tour operator entro il pacchetto turistico<br />

“tutto compreso”: se il fatto è imputabile al “prestatore di<br />

servizi”, di esso ne risponde l’organizzatore del viaggio<br />

tutto compreso.<br />

Nella stessa direzione, giurisprudenza ormai costante afferma<br />

che non provoca effetti liberatori ai sensi dell’art.<br />

2051 c.c. il fatto del terzo cui il custode abbia delegato o<br />

attribuito l’assolvimento di suoi obblighi (43).<br />

Note:<br />

(39) Cfr., ancora da ultimo, in questo senso Cass., sez. III, 4 agosto 2005,<br />

n. 16373, cit.<br />

(40) Cfr, ad esempio, ex multis Cass., sez. III, 20 novembre 1998, n. 11749,<br />

in Resp. civ. e prev., 1999, 733.<br />

(41) Pare qui opportuno ricordare come la giurisprudenza, in applicazione<br />

di questi principi, abbia ritenuto tali da non costituire un “caso fortuito”<br />

i seguenti fattori produttivi di eventi dannosi: - gradino di circa cinque<br />

centimetri di altezza posto in prossimità della cassa di un bar (Trib.<br />

Biella 1° giugno 2005, G.U. Carli); - tanica che ingombrava la carreggiata<br />

di un’autostrada (Cass., sez. III, 13 gennaio 2003, n. 298, in Arch. giur.<br />

circolaz., 2003, 1114); - residui di verdura cotta su un pavimento della sala<br />

da pranzo di un albergo (Cass., sez. III, 4 agosto 2005, n. 16373); - pozze<br />

d’acqua formatesi da infiltrazioni provenienti dalla volta della galleria<br />

di un’autostrada (Trib. Roma 2 dicembre 2003, in Arch. giur. circolaz.,<br />

2004, 299); - sollevamento della copertura antiscivolo di una rampa del<br />

palazzotto dello sport di un comune (Cass., sez. III, 1° ottobre 2004, n.<br />

19653, in Resp. civ. e prev., 2005, 377); - anomalie viarie consistenti in<br />

rappezzi del manto stradale comunale (App. Genova 15 febbraio 2002,<br />

inedita); - cordolo di un’aiuola spartitraffico non segnalato (Trib. Torino,<br />

sez. VIII, 15 maggio 2002, Est. Pio, in www.dannoallapersona.it); - disfacimento<br />

dell’asfalto ricoprente la base di pietra di un gradino di un ponte di<br />

Venezia (Trib. Venezia, sez. III, 12 maggio 2003, in www.dannoallapersona.it);<br />

- dislivello di un tombino posto sul marciapiede (Trib. Milano 1°<br />

febbraio 2001, in Riv. giur. Polizia, 2002, 59); - chicco d’uva sul pavimento<br />

dell’aula scolastica (Cass., sez. III, 20 maggio 1998, n. 5031, in Giur. it.,<br />

1999, 713); - foglia di insalata in un negozio di frutta e verdura (Cass., sez.<br />

III, 8 aprile 1997, n. 3041, ivi, 1998, 1382); - resti di gelato sparsi su una<br />

scala (Cass., sez. III, 2 aprile 1997, n. 2867, ibidem, 1382); - pavimento bagnato<br />

cosparso di segatura umida (Cass., sez. III, 27 marzo 1972, n. 987, in<br />

Resp. civ. e prev., 1972, 547); - liquidi versati in un supermercato (Cass.,<br />

sez. III, 15 novembre 1996, n. 10015, in Riv. circolaz. e trasp., 1997, I, 86).<br />

(42) Trib. Torino, sez. IV, 6 dicembre 2005, n. 7882, cit.<br />

(43) Cfr., ex plurimis, Cass., sez. III, 21 maggio 1996, n. 4673, in Foro it.,<br />

1997, I, 1597. Nello specifico della <strong>responsabilità</strong> del tour operator cfr.<br />

Trib. Roma, sez. XIII, 3 settembre 2002, in Contratti, 2004, 81.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 719


720<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

La regola è dunque molto semplice: il “fatto del terzo” libera<br />

il tour operator solo laddove il terzo non coincida<br />

con il “prestatore di servizi” (o suoi dipendenti o collaboratori<br />

o terzi di cui quest’ultimo si è avvalso) ed il fatto si<br />

collochi esternamente alla sfera d’azione del club.<br />

c) Fatto della vittima<br />

Quando ed in quale misura il “fatto della vittima” può<br />

incidere sulla <strong>responsabilità</strong> del tour operator?<br />

Come si è osservato sopra trattando della <strong>responsabilità</strong><br />

ex art. 2051 c.c., in seno a questo regime la questione degli<br />

effetti liberatori del fatto del danneggiato trova, tendenzialmente<br />

e con l’eccezione dei casi in cui prevalgono<br />

logiche di policy of law diverse (44), una sua precisa<br />

soluzione giurisprudenziale nell’affermazione per cui la<br />

condotta della vittima è tale da liberare il custode unicamente<br />

nei casi in cui essa sia estranea al novero di eventi<br />

sui quali quest’ultimo può intervenire. Nello specifico,<br />

si è affermato che il fatto del danneggiato, per poter svolgere<br />

effetti interruttivi del nesso causale, deve porsi «come<br />

unica ed esclusiva causa dell’evento di danno, sì da<br />

privare dell’efficienza causale e da rendere giuridicamente<br />

irrilevante il precedente comportamento dell’autore<br />

dell’illecito» (45). Detto in altri termini, il fattore produttore<br />

del danno e riconducibile alla res, per essere<br />

oscurato integralmente dal fatto della vittima, deve costituire<br />

una “mera occasione”, e cioè deve esserci piena<br />

autonomia, sul piano causale, del fatto del danneggiato<br />

rispetto al fatto imputato al responsabile oppure ai terzi<br />

di cui quest’ultimo si è avvalso nello svolgimento della<br />

prestazione.<br />

La giurisprudenza, sempre con riferimento all’art. 2051<br />

c.c., ha inoltre ritenuto, come già rilevato sopra, che il<br />

fatto della vittima possa assurgere a caso di esonero solo<br />

ove «il contatto con la cosa provochi un danno per l’abnorme<br />

comportamento del danneggiato» (46): la condotta<br />

imputabile al danneggiato rileva, ai fini della prova<br />

liberatoria, solo se “eccezionale”, non già quando essa<br />

è “prevedibile” da parte del custode (47).<br />

Rimane infine un dato ormai in via di consolidamento<br />

nella giurisprudenza nostrana sull’art. 2051 c.c.: una volta<br />

verificata l’assenza di un caso fortuito, la visibilità o<br />

meno del fattore produttivo del danno o della situazione<br />

di pericolo possa rilevare al massimo ai fini dell’individuazione<br />

di un eventuale fatto, esclusivo o concorsuale,<br />

imputabile, per colpa, alla vittima (48), fermo restando<br />

che la prova di un siffatto comportamento, necessariamente<br />

a connotazione colposa, grava sul convenuto, ciò<br />

anche ai sensi dell’art. 2697, comma 2, c.c.<br />

Tutti questi concetti non sono invero difficili da maneggiare,<br />

laddove il fatto della vittima si presenti inequivocabilmente<br />

doloso oppure colposo (nel caso della colpa<br />

ciò accade quando la condotta tenuta dal danneggiato<br />

abbia chiaramente violato una qualche precisa indicazione<br />

circa lo standard di condotta che lo stesso avrebbe<br />

dovuto tenere nel rapportarsi alla res dalla quale è disceso<br />

il danno: ad esempio, la persona lesa non ha tenuto<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

conto di un divieto di accesso alla res, posta comunque<br />

l’imprevedibilità ed inevitabilità della violazione).<br />

Diversa e più delicata, invece, può risultare la questione<br />

in esame laddove il fatto imputabile alla vittima sia tale<br />

da ammontare ad una mera disattenzione o leggerezza.<br />

Come si è osservato sopra, sul punto specifico la giurisprudenza<br />

è venuta ad affermare la regola per cui l’idoneità<br />

della res a cagionare un pregiudizio in capo ad una<br />

persona distratta assorbe la normale e prevedibile disattenzione<br />

della vittima (49). Inoltre, come prospettato dalla<br />

Cassazione nel caso della caduta su una buca insistente<br />

su un campo di tennis (50), il “legittimo affidamento sulla<br />

idoneità” della res può giustificare la disattenzione del<br />

danneggiato.<br />

Se la distrazione normale e prevedibile, in applicazione a<br />

questi principi, non potrà mai rilevare quale prova liberatoria,<br />

tuttavia il problema delle disattenzioni o delle<br />

leggerezze persiste con riferimento al concorso di colpa<br />

(art. 1227, primo comma, c.c.). È invero proprio nell’applicazione<br />

dell’istituto del concorso di colpa che si possono<br />

registrare i problemi maggiori.<br />

A quest’ultimo riguardo è chiaro che gli esiti delle controversie<br />

dipendano ampiamente da come i giudici interpretano<br />

la realtà.<br />

Perfetto esempio di ciò è proprio il sopra menzionato caso<br />

deciso dal Tribunale di Torino (51) con riferimento<br />

Note:<br />

(44) Il riferimento è qui in particolare al c.d. «principio di auto<strong>responsabilità</strong>»,<br />

che è stato talvolta applicato dalle corti all’evidente fine di alleggerire<br />

la <strong>responsabilità</strong> della P.A. per i danni cagionati da buche e altre insidie<br />

insistenti sulle strade. Sul punto si rinvia amplius a M. Bona, Buche<br />

sulle strade urbane: spunti per un nuovo modello di <strong>responsabilità</strong> dei comuni,<br />

in Resp. civ. e prev., 2005, 419 ss.<br />

(45) Così Cass., sez. III, 3 dicembre 2002, n. 17152, in Arch. giur. circolaz.<br />

sin. strad., 2003, 109. Cfr., altresì, ex plurimis Cass., sez. III, 28 ottobre<br />

1995, n. 11264, in questa Rivista, 1996, 74, con nota di G. Ponzanelli, Chi<br />

risponde dei danni causati da una buca nel campo da tennis?. Si osservi che,<br />

sia pure con riferimento alle attività pericolose (ma la ratio è sostanzialmente<br />

la medesima), la Cassazione è già da tempo orientata nel ritenere<br />

che il fatto del danneggiato sia idoneo ad escludere la <strong>responsabilità</strong> del<br />

danneggiante, soltanto quando, nell’ambito del rapporto di causalità materiale,<br />

esso abbia operato in modo da rendere, per la sua efficienza, giuridicamente<br />

irrilevante la relazione tra attività pericolosa e danno («Il fatto<br />

del danneggiato o del terzo può produrre effetti liberatori solo se per la<br />

sua incidenza e rilevanza sia da escludere, in modo certo, il nesso causale<br />

tra attività pericolosa e l’evento e non già quando costituisce elemento<br />

concorrente nella produzione del danno», Cass., sez. III, 21 novembre<br />

1984, n. 5960, in Foro it., Rep. 1984, voce Responsabilità civile, n. 106;<br />

Cass. 1° giugno 1968, n. 1647, in Foro it., 1968, I, 1760; Cass., sez. III, 9<br />

maggio 1967, n. 937, in Giur. it., 1967, I, 1839).<br />

(46) Cass., sez. III, 4 novembre 2003, n. 16527, in www.altalex.com.<br />

(47) Così Cass., sez. III, 28 ottobre 1995, n. 11264, cit.<br />

(48) Cfr., ad esempio, Trib. Termini Imerese 10 maggio 2001, in Arch.<br />

giur. circolaz., 2001, 836; sul punto cfr., da ultimo, M. Bona, Buche sulle<br />

strade urbane: spunti per un nuovo modello di <strong>responsabilità</strong> dei comuni, cit.,<br />

412 ss.<br />

(49) Cass., sez. III, 28 ottobre 1995, n. 11264, cit.<br />

(50) Cass., sez. III, 28 ottobre 1995, n. 11264, cit.<br />

(51) Trib. Torino, sez. IV, 6 dicembre 2005, n. 7882, cit.


alla <strong>responsabilità</strong> del tour operator. La vittima, la quale,<br />

come si è già visto sopra, era caduta a causa di un sasso<br />

sporgente dalla pavimentazione, è stata, infatti, ritenuta<br />

rea di avere indossato, mentre si recava a cena presso il<br />

ristorante posto al centro del villaggio vacanze, delle<br />

«calzature con tacco alto, calzature inidonee in relazione<br />

alla pavimentazione esistente, pavimentazione da lei conosciuta,<br />

considerando che erano ormai alcuni giorni<br />

che si trovava nel villaggio e che, quindi, era tale da<br />

comportare l’uso di scarpe adeguate, uso assolutamente<br />

esigibile sulla base della diligenza dell’uomo medio». Tale<br />

gravissimo peccato, pur nella consapevolezza del magistrato<br />

che «non può dirsi fatto del tutto imprevedibile<br />

che le persone in vacanza indossino tale tipo di calzature»,<br />

ha comportato un concorso di colpa della vittima,<br />

individuato dal rigoroso tribunale nella misura del 20%<br />

(«determinato in misura minima», quasi per magnanimità<br />

del giudicante nei confronti dell’incauta signora).<br />

Tralasciando qui che nel caso di specie non era affatto<br />

pacifico che la vittima effettivamente calzasse al momento<br />

del sinistro degli “zatteroni” o delle “scarpe alte”<br />

o addirittura delle scarpe normali (52), è evidente come<br />

la lettura da parte del giudicante della realtà delle cose<br />

sia un fattore determinante. Ma è evidente che spesso<br />

tale interpretazione del mondo reale può spingersi, come<br />

nel caso di specie, a risultati esecrabili sia agli occhi del<br />

profano (53) e sia a quelli del giurista. Su quest’ultimo<br />

versante, infatti, non può certo essere configurata alla<br />

stregua di una condotta colposa della vittima la circostanza<br />

che questa, tra l’altro trovandosi al mare, indossasse<br />

delle calzature tipicamente da mare oppure, come<br />

normalissimo per una signora, delle scarpe “alte” (certo<br />

non con i tacchi a spillo). A meno di assumere che camminare<br />

per un club vacanze sia tanto pericoloso e abnorme<br />

da imporre in capo alle clienti l’adozione di particolari<br />

cautele anche in relazione al tipo di scarpe indossate<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

(ma a questo punto - elemento sfuggito al tribunale - il<br />

club avrebbe dovuto informare la propria clientela dello<br />

stato di dissesto o, comunque, di rischio delle proprie<br />

aree calpestabili), evidentemente il passeggio in un club<br />

vacanze (nel caso di specie effettuato su un viale in prossimità<br />

dell’area ristorazione) non può essere considerata<br />

un’attività che richieda alcuna particolare calzatura, fatta<br />

al massimo eccezione per i bordi della piscina o un<br />

molo. Infatti, non ci troviamo dinanzi ad un’attività<br />

sportiva (ad esempio, non si può pretendere di andare in<br />

ciabatte a cavallo, oppure sciare sugli sci con degli scarponi<br />

fuori misura), né dinanzi a particolari attività lavorative<br />

(certo il vigile del fuoco non potrà andare a spegnere<br />

un incendio in scarpe da ginnastica, oppure il muratore<br />

non potrà salire sulle impalcature con degli zoccoli).<br />

Affinché una condotta possa rilevare ai fini del concorso<br />

di colpa, essa deve necessariamente contraddistinguersi<br />

per la sua illiceità, antigiuridicità, e certo non si<br />

può ravvisare un fatto illecito nell’avere indossato una<br />

calzatura (scarpa comoda), a prima vista, assimilabile alla<br />

generica e variegata categoria delle “scarpe alte”.<br />

Note:<br />

(52) Come si legge nel testo della sentenza, solo un teste indicato di parte<br />

convenuta aveva dichiarato che si trattava di «una scarpa alta», mentre<br />

gli altri testi non ricordavano che tipo di calzature indossasse la vittima.<br />

Tuttavia, giacché una teste - amica della vittima - aveva dichiarato<br />

che la danneggiata era solita portare tacchi alti per compensare la sua statura<br />

da “nano”, il tribunale ha concluso come «logicamente» si dovesse<br />

ritenere che la stessa indossasse siffatte calzature in vacanza, «durante le<br />

cene», «tenuto conto che è assolutamente inverosimile che in vacanza la<br />

stessa non indulgesse all’uso delle scarpe con il tacco».<br />

(53) Cfr., ad esempio, A. Custodero, Cade in vacanza con gli zatteroni - il<br />

villaggio paga ma con lo sconto, in La Repubblica - Torino Cronaca, 3 febbraio<br />

2006, IX, che ha definito la sentenza in questione «singolare» in quanto<br />

«criminalizza il comportamento più normale e diffuso fra le donne durante<br />

il periodo estivo al mare (camminare con gli zatteroni …)».<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 721


Introduzione<br />

L’individuazione della regola risarcitoria da applicare all’ipotesi<br />

dei danni subiti dagli utenti a causa della difettosa<br />

od omessa manutenzione delle strade è problema<br />

tuttora dibattuto (1).<br />

Bisogna premettere che lo Stato e gli enti pubblici sono<br />

tenuti alla manutenzione delle strade di loro appartenenza,<br />

ma pur sempre nell’esercizio della discrezionalità,<br />

nella scelta dei mezzi e delle modalità di organizzazione<br />

del servizio di custodia e manutenzione, di cui gode<br />

la Pubblica Amministrazione. Ovviamente, è comune<br />

alla discrezionalità tecnica anche il limite del neminem<br />

laedere, sancito in via generale dall’art. 2043 c.c.<br />

Tuttavia, la riconduzione dell’organizzazione del sistema<br />

viario e della sua manutenzione alla categoria della discrezionalità<br />

tecnica, prima ancora che sotto il profilo<br />

dei limiti posti al suo esercizio da parte della Pubblica<br />

Amministrazione, rileva sotto il profilo della sua stessa<br />

sindacabilità.<br />

Non è invocabile in relazione alle valutazioni di carattere<br />

tecnico il profilo di meritevolezza della scelta della<br />

Pubblica Amministrazione come convenienza e correttezza<br />

dell’agire amministrativo che si sottrae al sindacato<br />

del giudice amministrativo o ordinario (2): fatta eccezione<br />

per l’ipotesi che la giurisdizione del primo sia,<br />

eccezionalmente, estesa al merito. Quindi, se dalla cattiva<br />

manutenzione di una strada pubblica deriva un<br />

danno ingiusto agli utenti della strada (chiunque essi<br />

siano), l’Amministrazione è tenuta al risarcimento del<br />

danno.<br />

Ma, se non esistono attualmente dubbi sull’esistenza di<br />

un obbligo risarcitorio, problematica appare la qualificazione<br />

giuridica di siffatta <strong>responsabilità</strong>. Risulta controverso,<br />

infatti, se la <strong>responsabilità</strong> della Pubblica Amministrazione<br />

discenda dalla regola generale dell’art. 2043<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ DELLA P.A.<br />

Custodia e manutenzione<br />

Manutenzione delle strade<br />

e <strong>responsabilità</strong> della P.A.<br />

di LUCA CHRISTIAN NATALI<br />

L’Autore, dopo una breve premessa sull’obbligo delle P.A. di manutenzione delle strade, affronta il<br />

problema dell’individuazione della norma applicabile ai danni derivanti agli utenti dai sinistri stradali.<br />

In particolare, considera prima l’orientamento che tende all’applicazione dell’art. 2043 c.c., e<br />

poi quello più recente e prevalente favorevole, invece, all’applicazione dell’art. 2051 c.c., quale norma<br />

che regola la <strong>responsabilità</strong> aggravata per i danni derivanti da cose in custodia. Al contempo, focalizza<br />

la sua attenzione su alcuni concetti-nodo della evoluzione giurisprudenziale in tema, come<br />

l’insidia stradale. Inoltre, il commento tratta l’onere probatorio ex art. 2051, soprattutto il “caso fortuito”,<br />

e il rapporto di presunta incompatibilità fra l’art. 2043 e l’art. 1227 c.c. nell’ipotesi di insidia<br />

stradale.<br />

o dalla regola speciale di <strong>responsabilità</strong> aggravata ex art.<br />

2051 (3).<br />

L’orientamento tradizionale individua il fondamento<br />

Note:<br />

(1) In dottrina, sull’argomento, ex pluribus, v.: Laghezza, Responsabilità<br />

della P.A. per insidia e trabocchetto, commento a Cass., sez. III, 23<br />

luglio 2003, n. 11446 e Giud. di Pace di Roma 15 novembre 2003, in<br />

questa Rivista, 2004, 1085 ss.; Id., Responsabilità contrattuale della società<br />

di gestione dell’autostrada e applicabilità dell’art. 2051 c.c., commento<br />

a Cass., sez. III, 13 gennaio 2003, n. 298, ivi, 2003, 613 ss.; Id.,<br />

Responsabilità della P.A. per omessa manutenzione delle strade: la prospettiva<br />

dell’analisi economica del diritto, commento a Cass. 20 luglio<br />

2002, n. 10641 e Trib. Monza, sez. I, 22 ottobre 2001, ivi, 2002, 1208<br />

ss.; Id., Il nesso di causalità ed i limiti di applicabilità dell’art. 2051 c.c.<br />

con riferimento alla rete autostradale, commento a App. Ancona 14<br />

gennaio 2002, ibidem, 763 ss.; Id., La presunzione di <strong>responsabilità</strong> dell’art.<br />

2051 c.c. non opera nei confronti della P.A., commento a Cass.<br />

13 febbraio 2002, n. 2074, Cass. 21 dicembre 2001, n. 16179, Cass.<br />

5 luglio 2001, n. 9092 e Cass. 12 giugno 2001, n. 7938, ibidem, 626<br />

ss.; Alpa-Bessone, La <strong>responsabilità</strong> civile, 3 ed., II, Milano, 2001; Alpa-Ruffolo,<br />

La <strong>responsabilità</strong> della pubblica amministrazione, in Bessone,<br />

Casi e questioni del diritto privato, 8 ed., IX, t. 1, Milano, 2000, 206;<br />

Id., I poteri discrezionali della pubblica amministrazione, in Riv. giur. circolaz.<br />

e trasp., 1982, 876; Rapelli, Proprietà pubblica delle strade e presunzione<br />

di <strong>responsabilità</strong> della pubblica amministrazione, ivi, 1999, 733;<br />

Vitale, La <strong>responsabilità</strong> della pubblica amministrazione per la custodia di<br />

beni demaniali e concorso di colpa del danneggiato, in Giust. civ., 1997,<br />

1711; Gioia, Insidia e trabocchetto: una figura sintomatica della <strong>responsabilità</strong><br />

civile, in questa Rivista, 1997, 704; Pelia, La <strong>responsabilità</strong> per i<br />

danni cagionati da cose in custodia: nozione e applicabilità alla pubblica<br />

amministrazione, in Resp. civ. e prev., 1996, 729; Casetta, Responsabilità<br />

civile, III. Responsabilità civile della pubblica amministrazione, in<br />

Enc. Giur. Treccani, XXVI, Roma, 1991.<br />

(2) La diversità e l’irriducibilità della discrezionalità tecnica alla discrezionalità<br />

amministrativa, con ciò che ne consegue in termini di sindacato<br />

giurisdizionale, sono state sancite autorevolmente da Adunanza Plenaria<br />

599/99.<br />

(3) Il quale - anche secondo Cass., sez. III, 10 agosto 2004, n. 15429, in<br />

questa Rivista, 2005, 725 ss., con nota di Laghezza, Uso improprio del bene<br />

e <strong>responsabilità</strong> del custode - prevede un’ipotesi di <strong>responsabilità</strong> oggettiva.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 723


724<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ DELLA P.A.<br />

della <strong>responsabilità</strong> della Pubblica Amministrazione<br />

nella clausola generale, disciplinata dall’art. 2043 c.c.,<br />

che impone alla P.A. il rispetto della norma primaria e<br />

fondamentale del neminem laedere (4).<br />

L’applicabilità dell’art. 2043 c.c.<br />

Il dibattito sulla stessa ammissibilità di una <strong>responsabilità</strong><br />

della Pubblica Amministrazione, relativamente alla<br />

manutenzione delle strade, ai sensi dell’art. 2043 c.c., si<br />

sviluppa già nei primi del Novecento. Inizialmente, la<br />

tesi prevalente afferma l’ir<strong>responsabilità</strong> della Pubblica<br />

Amministrazione per i danni subiti dagli utenti a causa<br />

dell’uso delle strade pubbliche.<br />

Tale posizione si fonda sul carattere discrezionale dell’attività<br />

amministrativa che, in quanto tale, non può<br />

fondare in capo al privato posizioni di diritto soggettivo.<br />

Solo negli anni Venti prende ad affermarsi l’idea<br />

della possibile <strong>responsabilità</strong> della Pubblica Amministrazione,<br />

anche rispetto ad un’attività a carattere discrezionale<br />

(5). Quindi, progressivamente, la giurisprudenza<br />

amplia ulteriormente la sfera della <strong>responsabilità</strong><br />

della Pubblica Amministrazione, dando risalto a due limiti:<br />

1) la violazione delle norme precauzionali contenute in<br />

leggi, regolamenti e norme tecniche quale limite ’interno’alla<br />

discrezionalità della Pubblica Amministrazione<br />

(c.d. limite normativo);<br />

2) e, in più, il principio del neminem laedere, quale limite<br />

’esterno’alla stessa.<br />

Precisamente è Cass., sez. un., 30 aprile 1929 (6) a enunciare<br />

tale principio nei confronti della Pubblica Amministrazione,<br />

stabilendo che: «Il cittadino non ha azione<br />

contro la Pubblica Amministrazione per il modo in cui<br />

ha provveduto alla costruzione e manutenzione di una<br />

strada aperta al pubblico, ma l’azione è proponibile se all’amministrazione<br />

sia imputabile la inosservanza di una<br />

norma di legge o di regolamento oppure di un fatto o di<br />

un’omissione costituente delitto o quasi delitto». In particolare,<br />

quando lo stato apparente e quello effettivo differiscono,<br />

si verifica la c.d. “sorpresa” o “insidia”, la quale<br />

determina la <strong>responsabilità</strong> della Pubblica Amministrazione<br />

per la violazione del principio generale del neminem<br />

laedere, «che vieta a chiunque di compiere atti o<br />

fatti che hanno potenza di far male altrui». Ebbene, tale<br />

principio si concretizza nel dovere per la Pubblica Amministrazione<br />

di non creare e nel divieto di mantenere<br />

situazioni diverse da quelle apparenti. Tale vicenda giurisprudenziale<br />

si viene, perciò, a contraddistinguere per<br />

la configurazione di una <strong>responsabilità</strong> per colpa generica<br />

conseguente alla presenza sulla strada della suddetta<br />

“sorpresa”.<br />

Quest’indirizzo interpretativo è oggi seguito da parte della<br />

giurisprudenza e della dottrina (7), che escludono l’applicazione<br />

dell’art. 2051 e della presunzione di colpa ivi<br />

sancita, sulla base di due elementi fattuali:<br />

– l’estensione territoriale del bene oggetto del controllo<br />

(strade, autostrade, strade ferrate);<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

– la conseguente pratica impossibilità di una vigilanza<br />

adeguata.<br />

Elementi, questi, che sarebbero incompatibili con la<br />

configurazione di una situazione di custodia e, dunque,<br />

con l’applicazione dell’art. 2051 c.c.<br />

La violazione del principio del neminem laedere comporta<br />

la <strong>responsabilità</strong> della Pubblica Amministrazione, ma<br />

- come statuisce Cass. 13 febbraio 2002, n. 2067 - «a<br />

condizione che venga provata l’esistenza di una situazione<br />

insidiosa caratterizzata dalla non visibilità e dalla non<br />

prevedibilità del pericolo».<br />

Devono, dunque, sussistere, congiuntamente, due elementi:<br />

1) quello “oggettivo”, dato dalla non visibilità del pericolo<br />

ex re (c.d. ’sorpresa’)<br />

2) quello “soggettivo”, dell’imprevedibilità del pericolo,<br />

cioè dell’impossibilità, nonostante il comportamento<br />

prudente e diligente, di accorgersi tempestivamente del<br />

pericolo così da evitarlo.<br />

In assenza di uno di questi elementi, non può configurarsi<br />

un’insidia; dunque, l’evento dannoso va considerato<br />

evitabile, e, qualora si verifichi, va imputato a negligenza,<br />

imprudenza o imperizia del danneggiato. In applicazione<br />

di questa regola, la Pubblica Amministrazione<br />

deve adoperarsi per non creare o per rimuovere quelle situazioni<br />

di pericolo occulto o insidia che possono porsi<br />

quali cause determinative di un danno ingiusto per l’utente.<br />

La giurisprudenza di legittimità, nel ritenere applicabile<br />

la norma in questione, presuppone la riconduzione dell’illecito<br />

della Pubblica Amministrazione alla <strong>responsabilità</strong><br />

extracontrattuale anche quando il bene sia oggetto<br />

di un rapporto concessorio. Ciò - secondo Cass., sez.<br />

un., 7 agosto 2001, n. 10893 (8) - poiché il pagamento<br />

del pedaggio da parte dell’utente autostradale non determina<br />

la nascita di un rapporto di tipo contrattuale,<br />

Note:<br />

(4) Così: Cass. 13 febbraio 2002, n. 2067, in Giust. civ., 2003, 1354 ss.,<br />

con nota di Masci; Cass. 5 luglio 2001, n. 9092; Cass. 12 giugno 2001, n.<br />

7938; Cass. 18 maggio 2000, n. 6463, in Foro it., 2000, I, 3253; Cass. 22<br />

aprile 1999, n. 3991, in Arch. giur. circ., 1999, 899; Cass. 4 dicembre 1998,<br />

n. 12314, in Giur. it., 1999, 1362, con nota di Tarocco, e in Arch. giur.<br />

circ., 1999, 204; Cass. 16 giugno 1998, n. 5989, ivi, 1998, 1007; Cass. 12<br />

novembre 1997, n. 11162; Cass. 20 agosto 1997, n. 7742, ivi, 1997, 983;<br />

Cass. 28 luglio 1997, n. 7062, ibidem, 977, e in Resp. civ. e prev., 1998, 414;<br />

Cass. 28 aprile 1997, n. 3630, in Arch. giur. circ., 1997, 688; Cass. 11 agosto<br />

1995, n. 8863; Cass. 18 settembre 1986, n. 5677.<br />

(5) Si esprime a favore di una siffatta collocazione cronologica del mutamento<br />

di concezione giurisprudenziale anche Sciuto, Insidia stradale e <strong>responsabilità</strong>,<br />

in Riv. dir. civ., 2001, 303.<br />

(6) In Foro it., 1929, I, 998.<br />

(7) Mantini, Circolazione stradale (Disciplina amministrativa), in Enc.<br />

Giur., VI, Roma, 1988, 5; Alibrandi, Sinistri connessi alla manutenzione delle<br />

strade e <strong>responsabilità</strong> della pubblica amministrazione, in Arch. giur. circ.,<br />

1986, 770; Comporti, Presunzioni di <strong>responsabilità</strong> e pubblica amministrazione<br />

verso l’eliminazione di privilegi ingiustificati, in Foro it., 1985, I, 1502 ss.<br />

(8) In Giur. it., 2002, 1065; in Arch. giur. circ., 2001, 911; in Foro it., Rep.<br />

2001, voce Responsabilità civile, n. 369.


ma viene a risolversi in una prestazione pecuniaria imposta<br />

all’utente per poter usufruire di un pubblico servizio<br />

(9).<br />

Accanto al generico inquadramento come prestazione<br />

oggetto di imposizione da parte di un atto autoritativo,<br />

per la quale l’art. 23 Cost. sancisce il principio di legalità,<br />

altre pronunce (Cass. 385/69 e Cass. 2943/70) si esprimono<br />

in termini di ’tassa’, dovuta per la prestazione di<br />

un pubblico servizio consistente nella messa a disposizione<br />

dell’autostrada. Questa qualificazione sembra presupporre<br />

il carattere autonomo del pedaggio rispetto a una<br />

qualunque manifestazione di capacità contributiva che<br />

si riscontri nel caso concreto, in quanto costituisce principio<br />

generale di diritto tributario che l’imposta, commisurata<br />

all’entità del presupposto impositivo, è suscettibile<br />

di diversa quantificazione in dipendenza dell’entità di<br />

questo, mentre la tassa prescinde dalla presenza di una<br />

manifestazione di capacità contributiva (10).<br />

Un secondo orientamento minoritario, pur partendo da<br />

una qualificazione in termini di <strong>responsabilità</strong> extracontrattuale,<br />

giunge invece ad aderire alla regola speciale di<br />

cui all’art. 2051 e, pertanto, alla <strong>responsabilità</strong> derivante<br />

da cose in custodia. Sicché, a carico della Pubblica Amministrazione,<br />

vi sarebbe non solo un obbligo di manutenzione<br />

ma anche un obbligo di custodia, e conseguentemente<br />

andrebbe applicato l’art. 2051. Tale principio,<br />

in particolare, è stato affermato rispetto alla <strong>responsabilità</strong><br />

dei Comuni, osservando che dalla proprietà pubblica<br />

dell’ente sulle strade all’interno del perimetro comunale<br />

o anche nelle immediate vicinanze, discende non<br />

solo l’obbligo di manutenzione (11), ma anche quello di<br />

custodia. Quale conseguenza, si è tratta l’applicazione,<br />

anche nei confronti di questi enti, della presunzione di<br />

<strong>responsabilità</strong> sancita dall’art. 2051 c.c. (12).<br />

La giurisprudenza di legittimità (13), generalmente, fa<br />

discendere l’applicazione dell’art. 2043 o dell’art. 2051 e,<br />

dunque, l’individuazione del criterio d’imputazione della<br />

<strong>responsabilità</strong> dalla concreta possibilità di vigilanza da<br />

parte della Pubblica Amministrazione sull’area stradale.<br />

Suddetta possibilità di vigilanza, a sua volta, può essere<br />

influenzata da vari possibili fattori, quali: la concreta dimensione<br />

dell’area interessata, le caratteristiche stesse<br />

del bene, il fatto del terzo, ecc.<br />

Va detto che, per il giudice di legittimità, il danno risarcibile<br />

varia a seconda del tipo di fattori producenti l’insidia.<br />

In particolare:<br />

1) per i fattori immanenti alla res e che concernono le<br />

modalità di costruzione o di gestione della stessa, la Pubblica<br />

Amministrazione risponderebbe senza alcune limitazione;<br />

2) per i fattori accidentali, invece, si dovrebbe verificare<br />

se la Pubblica Amministrazione abbia potuto eliminare<br />

o segnalare adeguatamente la situazione di insidia, sulla<br />

base di quella diligenza nell’attività di vigilanza e custodia<br />

cui è tenuta.<br />

Precisamente, secondo Cass., sez. III, 13 gennaio 2003,<br />

n. 298 (14): «[…]non pare revocabile in dubbio che la<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ DELLA P.A.<br />

possibilità o l’impossibilità di un continuo ed efficace<br />

controllo e di una costante vigilanza - dalle quali rispettivamente<br />

dipendono l’applicabilità o la non applicabilità<br />

dell’art. 2051. c.c. - non si atteggiano univocamente<br />

in relazione ad ogni tipo di strada. E ciò non solo in relazione<br />

alla loro estensione, ma anche alle loro caratteristiche,<br />

alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che le connotano,<br />

agli strumenti che il progresso tecnologico volta<br />

a volta appresta e che, in larga misura, condizionano anche<br />

le aspettative della generalità degli utenti.<br />

Nell’applicazione del principio, occorre peraltro distinguere<br />

le situazioni di pericolo immanentemente connesse<br />

alla struttura o alle pertinenze dell’autostrada, da quella<br />

provocata dagli stessi utenti ovvero da una repentina<br />

e non specificamente prevedibile alterazione dello stato<br />

della cosa, che pongano a repentaglio l’incolumità degli<br />

utenti e l’integrità del loro patrimonio. Mentre, invero,<br />

per le situazioni del primo tipo, l’uso generalizzato e l’estensione<br />

della res costituiscono dati in via generale irrilevanti<br />

in ordine al concreto atteggiarsi della <strong>responsabilità</strong><br />

del custode, per quelle del secondo tipo dovrà configurarsi<br />

il fortuito tutte le volte che l’evento dannoso<br />

presenti i caratteri della imprevedibilità e della inevitabilità;<br />

come accade quando esso si sia verificato prima<br />

che l’ente proprietario o gestore, nonostante l’attività di<br />

controllo e la diligenza impiegata al fine di garantire un<br />

intervento tempestivo, potesse rimuovere o adeguatamente<br />

segnalare la straordinaria situazione di pericolo<br />

determinatasi, per difetto del tempo strettamente necessario<br />

a provvedere».<br />

Dunque, si va delineando la tendenza alla “relativizzazione”<br />

del criterio dell’estensione del bene, prima assun-<br />

Note:<br />

(9) V.: Cass., sez. un., 7 agosto 2001, n. 10893, cit.; Cass., 4 dicembre<br />

1998, n. 12314, cit. Le S.U., in particolare, formulano il principio per cui<br />

«la <strong>responsabilità</strong> del proprietario o di un concessionario di un’autostrada<br />

nei confronti del conducente di un autoveicolo ha natura extracontrattuale,<br />

in quanto il pagamento del pedaggio non determina la nascita di un<br />

rapporto contrattuale, ma si risolve in una prestazione pecuniaria imposta<br />

all’utente per poter usufruire di un pubblico servizio».<br />

(10) In tal senso statuiscono altre pronunce, le quali configurano l’entità<br />

monetaria pagata dal fruitore dell’autostrada come corrispettivo dell’utilizzo<br />

del servizio messo a disposizione e consistente nella possibilità di percorrimento<br />

dell’autostrada in condizioni di sicurezza. V., ex ceteribus: Cass.<br />

pen., sez. un., 9 luglio 1997, n. 7738, pronunciatesi in sede di composizione<br />

del contrasto giurisprudenziale sulla configurabilità del reato di insolvenza<br />

fraudolenta nei confronti di chi transiti lungo la rete autostradale a<br />

bordo di un autoveicolo col proposito di non pagare il relativo pedaggio,<br />

stabilendo che esso abbia natura di corrispettivo per l’utilizzazione dell’autostrada<br />

e non di tributo.<br />

(11) Come stabilito dall’art. 5 r.d. 15 novembre 1993, n. 2506.<br />

(12) Così statuiscono: Cass. 20 novembre 1998, n. 11749, in Resp. civ. e<br />

prev., 1999, 733, con nota di Rapelli; Cass. 22 aprile 1998, n. 4070; Cass.<br />

21 maggio 1996, n. 4673, in Foro it., 1997, I, 1597, con nota di Laghezza;<br />

e in Arch. giur. circ., 1996, 729.<br />

(13) V. Cass., sez. un., 7 agosto 2001, n. 10893, cit.<br />

(14) In questa Rivista, 2003, 609, con nota di Laghezza, Responsabilità contrattuale<br />

della società di gestione dell’autostrada e applicabilità dell’art. 2051<br />

c.c.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 725


726<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ DELLA P.A.<br />

to, insieme al carattere generale e diretto della fruizione,<br />

a carattere ostativo della <strong>responsabilità</strong> ex art. 2051.<br />

Non può, cioè, considerarsi ancora valido, secondo tale<br />

orientamento, il criterio, per il quale non sarebbe applicabile<br />

alla Pubblica Amministrazione l’art. 2051, ma<br />

l’art. 2043, quando il bene, demaniale (come le autostrade<br />

o le strade di maggiore lunghezza) (15) o anche<br />

patrimoniale - per la sua notevole estensione o perché<br />

oggetto di utilizzazione generale e diretta da parte di terzi<br />

- non consenta una vigilanza e un controllo idonei a<br />

evitare la creazione di situazioni di pericolo (16).<br />

In applicazione di tale criterio, la Suprema Corte esclude,<br />

appunto, la <strong>responsabilità</strong> per danni da cose in custodia<br />

in base all’art. 2051, nei confronti della Pubblica<br />

Amministrazione proprietaria dell’autostrada o anche<br />

del concessionario della medesima (17), trattandosi di<br />

beni evidentemente così estesi da non poter essere agevolmente<br />

controllati.<br />

Tuttavia, questo meccanismo d’imputazione della <strong>responsabilità</strong><br />

della Pubblica Amministrazione crea un’ingiustificata<br />

disparità di trattamento fra custode pubblico<br />

e custode privato, e tra utenti della strada privata e utenti<br />

delle strade demaniali, sicché nascono dubbi sulla legittimità<br />

costituzionale dello stesso.<br />

Sotto l’aspetto processuale, il privilegio risulta di facile<br />

intuizione se si considera come la differente concezione<br />

normativa incide sulla questione della distribuzione<br />

dell’onere della prova. Infatti, se si propende per<br />

l’applicazione dell’art. 2043, chi agisce nei confronti<br />

della Pubblica Amministrazione deve provare la situazione<br />

di insidia o trabocchetto, consistente nella non<br />

visibilità e nella non prevedibilità della situazione di<br />

pericolo.<br />

Se, invece, si applica l’art. 2051, il danneggiato può limitarsi<br />

a dimostrare l’evento dannoso e il nesso di causalità<br />

con la cosa nella titolarità, o comunque nella sfera di<br />

controllo e d’ingerenza della Pubblica Amministrazione,<br />

e da cui è derivato il danno, restando a carico della Pubblica<br />

Amministrazione la prova del caso fortuito.<br />

Sul contrasto si pronuncia la Corte Costituzionale, con<br />

una sentenza (15 maggio 1999 n. 156) (18) interpretativa<br />

di rigetto. Il giudice delle leggi, nel rigettare la questione<br />

di costituzionalità degli artt. 2051-1227 c.c., in relazione<br />

alle disposizioni costituzionali di cui agli artt. 3,<br />

24, 97 Cost., pare recepire l’interpretazione operata dal<br />

secondo orientamento, il quale ammette l’applicazione<br />

dell’art. 2051, nel caso di un bene demaniale, che, pur<br />

oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cives, e<br />

che, pur esteso, consente l’esercizio di un controllo continuo<br />

ed efficace tale da evitare l’insorgenza di cause di<br />

pericolo per i terzi.<br />

Il giudice costituzionale, rifuggendo soluzioni di tipo<br />

astratto e formalistico, ritiene che la “notevole estensione<br />

del bene” e l’“uso generale e diretto” da parte dei terzi<br />

costituiscono solo meri indici dell’impossibilità d’un<br />

esercizio concreto del potere di controllo e di vigilanza<br />

sul bene medesimo. Essa dovrebbe essere individuata<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

non sulla base del riferimento puro e semplice alla natura<br />

demaniale e all’estensione del bene, ma ad esito dell’indagine<br />

specifica e concreta in relazione al caso singolo.<br />

Inoltre, secondo la Corte, l’indagine va condotta secondo<br />

un criterio di “normalità” fondato sull’osservazione<br />

della realtà e sull’elaborazione, a partire da essa, di regole<br />

orientative che possano guidare l’accertamento del<br />

giudice. Solo l’elevata probabilità o la certezza della verificazione<br />

di un certo effetto o conseguenza pregiudizievole<br />

in dipendenza da una condotta accostabile a quella<br />

concretamente realizzata dalla Pubblica Amministrazione<br />

e dai suoi organi potrà portare a formulare un giudizio<br />

di <strong>responsabilità</strong> nei confronti della prima.<br />

Tuttavia, sulla base della ratio dell’art. 2051, la Corte Costituzionale<br />

si preoccupa di precisare ambito applicativo<br />

e limiti della disposizione. E sancisce che, anche nei confronti<br />

della Pubblica Amministrazione, al ricorrere di<br />

determinate condizioni, è applicabile il criterio d’imputazione<br />

relativo al rapporto di custodia fra il responsabile<br />

e la cosa che ha dato luogo al danno o al pericolo. Pertanto,<br />

quale significativo corollario, siffatto criterio andrebbe<br />

applicato anche quando non venga in rilievo un<br />

bene di estensione particolarmente ridotta oppure nell’esclusiva<br />

disponibilità della Pubblica Amministrazione.<br />

Nonostante tali aperture, la sentenza del giudice costituzionale<br />

non pare offrire significativi argomenti per la soluzione<br />

di alcuni importanti problemi applicativi.<br />

Note:<br />

(15) Ma tale impostazione fa riferimento a tutti i beni del demanio stradale,<br />

fluviale, lacustre, ferroviario, aventi una estensione notevole: così<br />

Cass. 27 marzo 1972, n. 976, in Foro it., 1972, I, 2021 e in Resp. civ. e prev.,<br />

1972, 386, a cui si ispirano molte pronunce successive. V. anche Franzoni,<br />

La <strong>responsabilità</strong> oggettiva, I, Il danno da cose e da animali, in I grandi<br />

orientamenti della giurisprudenza civile e commentata, diretto da Galgano,<br />

Padova, 1988, 439.<br />

(16) Prima delle Sezioni Unite, si erano espresse nel medesimo senso anche:<br />

Cass. 26 gennaio 1999, n. 699, in questa Rivista, 1999, 873, con nota<br />

di Laghezza, Trabocchetto e <strong>responsabilità</strong> della P.A.: Corte costituzionale e<br />

Cassazione a confronto; e in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1999, 737; Cass. 4<br />

dicembre 1998, n. 12314, cit.; Cass. 16 giugno 1998, n. 5990, in questa<br />

Rivista, 1998, 1092; Cass. 27 dicembre 1995, n. 13114, in Resp. civ. e prev.,<br />

1996, 773; Cass. 21 gennaio 1987, n. 526, in Foro it., 1987, I, 786; Cass. 4<br />

aprile 1985, n. 2319, ivi, 1986, I, 1976; Cass. 20 marzo 1982, n. 1817;<br />

Cass. 20 gennaio 1982, n. 943, in Resp. civ. e prev., 1983, 234.<br />

(17) Cass. 13 gennaio 2003, n. 298: «Per le autostrade, contemplate dall’articolo<br />

2 del vecchio e del nuovo codice della strada e per loro natura<br />

destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, l’apprezzamento<br />

relativo alla effettiva “possibilità” del controllo alla stregua degli<br />

indicati parametri non può che indurre a conclusioni in via generale affermative,<br />

e dunque a ravvisare la configurabilità di un rapporto di custodia<br />

per gli effetti di cui all’articolo 2051 c.c.». In tal senso, v.: Cass. 30 luglio<br />

2002, n. 11250, in www.altalex.com; Cass. 13 maggio 2002, n. 6087,<br />

in Mass. Foro it., 2002; Cass, sez. un., 7 agosto 2001, n. 10893, cit.; Cass.<br />

4 dicembre 1998, n. 12314, cit.; Cass. 9 febbraio 1981, n. 800, in Arch.<br />

circ., 1984, 94; Pret. Trani 11 aprile 1990, in Arch. circ., 1991, 851.<br />

(18) In questa Rivista, 1999, 871, con nota di Laghezza, cit.; in Amm. it.,<br />

1999, 1075; in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1999, 501; in Giust. civ., 1999, I,<br />

1927; in Cons. Stato, 1999, II, 693; in Arch. giur. circ., 1999, 775, con nota<br />

di Pelizzari; in Dir. e tecnica circolaz. e assic. obblig., 1999, 217.


Criticabilità dell’orientamento giurisprudenziale<br />

In giurisprudenza, si può ravvisare una certa evoluzione<br />

riguardo all’applicabilità dell’art. 2043, per cui i concetti<br />

di “insidia” e “trabocchetto” non sono più meri esempi<br />

di condotta colposa della Pubblica Amministrazione,<br />

ma costituiscono una condicio sine qua non (19) per la<br />

configurazione della <strong>responsabilità</strong> della Pubblica Amministrazione.<br />

Tuttavia, siffatta interpretazione è criticabile,<br />

in quanto idonea a determinare la trasformazione<br />

della fattispecie in altro da sé e non in una semplice sottoipotesi<br />

della previsione di cui all’art. 2043, perché rispetto<br />

a quest’ultima del tutto diversa ne è la struttura.<br />

Le figure del trabocchetto e dell’insidia divengono, dunque,<br />

requisiti essenziali, la cui sussistenza va dimostrata<br />

per poter configurare un danno ingiusto e, quindi, risarcibile,<br />

da parte della Pubblica Amministrazione. Così,<br />

non rientrerebbero nell’area di punibilità tutti gli altri<br />

possibili comportamenti, che, pur imputabili alla colpa<br />

della Pubblica Amministrazione, non si concretizzino<br />

nel produrre o nel non eliminare una situazione di insidia.<br />

In tal modo, si restringe molto l’area di <strong>responsabilità</strong><br />

della Pubblica Amministrazione che viene a coincidere<br />

sostanzialmente con la sola situazione di “insidia”.<br />

Ne derivano due conseguenze criticabili:<br />

– l’alterazione ingiustificata del dettato normativo e del<br />

relativo precetto;<br />

– l’attribuzione di un ingiusto privilegio alla Pubblica<br />

Amministrazione.<br />

Dell’alterazione interpretativa dell’art. 2043 sembra<br />

consapevole la citata pronuncia del giudice delle leggi,<br />

atta a fornirne la corretta interpretazione (20). In realtà,<br />

però, la sentenza non va al di là di una ricognizione della<br />

funzione svolta dalla elaborazione giurisprudenziale<br />

dell’insidia senza chiarire se tale ipotesi esaurisca o meno<br />

l’ambito di applicabilità della norma.<br />

Il concetto di “insidia stradale”, nell’ottica della Corte,<br />

costituisce una figura sintomatica della colpa della Pubblica<br />

Amministrazione, elaborata sulla base di una valutazione<br />

di normalità, ossia - potrebbe dirsi - della normale<br />

e ragionevole concatenazione causale di fatti ed eventi,<br />

e soprattutto tale da agevolare l’adempimento dell’onere<br />

probatorio da parte del civis danneggiato. Infatti,<br />

questi, per provare la <strong>responsabilità</strong> della Pubblica Amministrazione,<br />

potrebbe limitarsi a dedurre in giudizio e<br />

dimostrare l’insidia (così come il danno subito), mentre<br />

la Pubblica Amministrazione dovrebbe provare l’impossibilità<br />

di rimuovere con le misure idonee la situazione di<br />

pericolo venutasi a determinare.<br />

Invero, per certi versi, non è condivisibile neanche la tesi<br />

giurisprudenziale accolta dalla Corte Costituzionale,<br />

con la sentenza n. 156/99. Preliminarmente, va detto<br />

che questa sentenza non ha innovato sostanzialmente<br />

l’interpretazione più recente del giudice di legittimità, limitandosi<br />

a escludere che la stessa sia in contrasto con la<br />

Costituzione. Inoltre, essa, in quanto avente natura meramente<br />

interpretativa, consente di formulare legittimamente<br />

anche altre interpretazioni. Si deve poi eviden-<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ DELLA P.A.<br />

ziare che l’orientamento giurisprudenziale in questione<br />

lascia, in verità, spazio a varie critiche.<br />

L’applicazione dell’art. 2051 ai soli casi in cui le caratteristiche<br />

del bene, demaniale o patrimoniale, possano<br />

consentire una vigilanza e un controllo idonei ad evitare<br />

l’insorgenza di situazioni di pericolo, determina una<br />

deroga ai principi generali non giustificabile, neppure<br />

con il fine di evitare oneri finanziari per la Pubblica Amministrazione.<br />

Come già da altri affermato (21), è possibile ritenere che<br />

l’art. 2051 individui, in capo ad un soggetto, un’ipotesi di<br />

<strong>responsabilità</strong> oggettiva, fondata sulla circostanza che<br />

questi ne è il titolare formale e che ha la disponibilità<br />

materiale, oltre che giuridica.<br />

Tale ragionamento trova conferma in quanto statuito<br />

dalle Sezioni Unite, per le quali la stessa lettera della<br />

norma («Ciascuno è responsabile del danno cagionato<br />

dalle cose che ha in custodia») consente di affermare la<br />

sufficienza del rapporto di custodia fra il responsabile e la<br />

cosa che ha dato luogo all’evento lesivo (22). Tale termine<br />

- ricorda la sentenza in esame - né presuppone, né<br />

implica un obbligo di custodire che, invece, contrassegna<br />

tipicamente contratti tipici come quello di deposito.<br />

La norma, infatti, fa riferimento soltanto a una situazione<br />

di fatto (23) e, soprattutto, a un concetto che va interpretato<br />

«in termini ampi e dinamici, volti ad individuare<br />

una relazione funzionale fra la cosa e il soggetto<br />

chiamato a custodirla».<br />

Ciò detto, non si può accettare la tesi giurisprudenziale<br />

che, pur sostenendo l’applicabilità dell’art. 2051 ai beni<br />

Note:<br />

(19) Tanto che in dottrina si è affermato che «Le Corti hanno creato una<br />

vera e propria fattispecie distinta di <strong>responsabilità</strong> della P.A. che viene denominata<br />

insidia»: Monateri, La <strong>responsabilità</strong> civile, in Trattato di diritto civile,<br />

diretto da Sacco, III, Torino, 1998, 842 ss.<br />

(20) In particolare, si afferma: «Ebbene, in questo quadro, la nozione<br />

d’insidia stradale viene a configurarsi come una sorta di figura sintomatica<br />

di colpa, elaborata dall’esperienza giurisprudenziale, mediante ben<br />

sperimentate tecniche di giudizio, in base ad una valutazione di normalità,<br />

col preciso fine di meglio distribuire tra le parti l’onere probatorio,<br />

secondo un criterio di “semplificazione analitica” della fattispecie generatrice<br />

della <strong>responsabilità</strong> in esame. Se e in quanto il danneggiato provi<br />

l’insidia, può e deve essere affermata la <strong>responsabilità</strong> della Pubblica<br />

Amministrazione, salvo che questa, a sua volta, provi di non aver potuto<br />

rimuovere - adottando le misure idonee - codesta situazione di pericolo,<br />

i cui elementi costitutivi il giudice ha comunque il compito di individuare<br />

in modo specifico (fra l’altro precisando gli standards di diligenza<br />

connessi alla visibilità e prevedibilità nonché all’evitabilità del pericolo<br />

stesso, in relazione all’uso della strada), onde accertare in definitiva se ricorrano,<br />

a stregua delle peculiarità del caso, le condizioni richieste dall’art.<br />

2043 c.c.».<br />

(21) In questo senso Masci, cit., 1363: «Questa norma delinea, infatti,<br />

una <strong>responsabilità</strong> fondata esclusivamente sul rapporto oggettivo intercorrente<br />

tra la cosa e il custode, al quale è riconosciuta come unica prova<br />

liberatoria quella della dimostrazione del caso fortuito».<br />

(22) Tale conferma giurisprudenziale della natura oggettiva dell’art. 2051<br />

c.c. è ribadita da Masci, cit., 1363.<br />

(23) Cass., sez. un., 11 novembre 1991, n. 12019, in Giust. civ., 1992, I,<br />

41; in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, 81, con nota di Alpa; in Giur. it.,<br />

1991, I, 1, 2218, con nota di Corradi; in Foro it., 1993, I, 922.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 727


728<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ DELLA P.A.<br />

demaniali in presenza della possibilità di un controllo effettivo,<br />

la nega rispetto alle ipotesi nelle quali risulti impossibile<br />

l’adempimento dell’obbligo di controllo<br />

(24).<br />

Comunque, a prescindere dal carattere reale o solo eventuale<br />

di queste difficoltà in rapporto alle varie caratteristiche<br />

della rete viaria, non pare comunque tollerabile<br />

che profili e questioni meramente tecniche e operative,<br />

peraltro attinenti alla discrezionalità della Pubblica Amministrazione,<br />

possano giovare a superare il principio di<br />

presunzione della colpa, finalizzato al superiore interesse<br />

dell’incolumità personale dei cives che siano utenti della<br />

medesima.<br />

L’inquadramento dell’ipotesi in questione nella <strong>responsabilità</strong><br />

oggettiva e, dunque, nella presunzione di <strong>responsabilità</strong>,<br />

e non di colpa, può consentire di superare i suddetti<br />

limiti alla tutela del cittadino danneggiato (25).<br />

Riguardo al profilo oggettivo, dovrebbe, dunque, essere<br />

irrilevante la concreta possibilità di controllo, la quale,<br />

invece, viene a riguardare il profilo soggettivo della colpa.<br />

Sicché chi ha commesso il danno potrebbe provare<br />

l’impossibilità del controllo e della vigilanza sul bene solo<br />

dimostrando il caso fortuito, quale circostanza non in<br />

grado di escludere la colpa, ma di interrompere il nesso<br />

di causalità fra condotta e evento.<br />

Il caso fortuito nell’onere probatorio<br />

ex art. 2051 c.c.<br />

Occorre adesso meglio indagare questo concetto. Secondo<br />

alcuni, nel caso fortuito, potrebbe rientrare anche l’estensione<br />

del bene (26), ma, secondo la dottrina prevalente,<br />

sarebbe necessaria la prova di una circostanza specifica<br />

e puntuale, con la conseguenza che, laddove la<br />

medesima non fosse conosciuta, resterebbe a carico del<br />

danneggiante-custode la causa ignota (27).<br />

Appare preliminare l’analisi del dato testuale che sembrerebbe<br />

avallare la tesi esposta per ultima con il richiedere<br />

una prova liberatoria particolarmente gravosa (28).<br />

Ciò ha indotto, come già evidenziato, parte della dottrina<br />

a ricostruire l’art. 2051 come ipotesi di <strong>responsabilità</strong><br />

oggettiva in antitesi alla diversa ricostruzione, posta a<br />

fondamento delle riflessioni fin qui svolte (29). Se si seguisse<br />

questa ricostruzione, costituirebbe prova liberatoria<br />

della Pubblica Amministrazione la mera dimostrazione<br />

della diligente attività di vigilanza e di controllo cui<br />

la medesima è tenuta in quanto fatto idoneo a far presumere<br />

l’intervento del cosiddetto caso fortuito.<br />

Quale correttivo del rigore della soluzione interpretativa<br />

di matrice oggettiva, il riferimento al caso fortuito è stata<br />

interpretato in modo tale da ampliarne la portata operativa,<br />

sino a ricomprendervi la forza maggiore, anche se<br />

essi costituiscono concetti totalmente diversi (in particolare,<br />

l’imprevedibilità viene a caratterizzare il solo caso<br />

fortuito). In tal ultimo, si sono fatti confluire anche il<br />

fatto del terzo o la condotta dello stesso danneggiato<br />

(30), qualora la medesima si presenti quale causa esclusiva<br />

del danno e non quale mera circostanza attenuatri-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

ce della <strong>responsabilità</strong> (31). Al riguardo, si deve sottolineare<br />

come sia oscillante e affatto univoca la posizione<br />

della giurisprudenza che dalla ricostruzione dell’art. 2051<br />

quale ipotesi di <strong>responsabilità</strong> colposa ma, al contempo,<br />

presunta, non trae un corollario, quasi necessario, ossia<br />

la possibilità, ai fini della prova contraria, di dimostrare<br />

l’uso della diligenza richiesta dall’attività di vigilanza e<br />

custodia. In tal senso, si afferma che «siffatta presunzione<br />

di colpa comporta che il custode, per andare esente<br />

da <strong>responsabilità</strong>, debba fornire la prova del ’caso fortuito’,<br />

al quale va equiparata la ’causa estranea’, comprensiva<br />

altresì del fatto dello stesso danneggiato, sempre che<br />

questo abbia, nel determinismo dell’evento dannoso,<br />

una autonoma efficienza causale e presenti carattere di<br />

inevitabilità rispetto alla sfera d’azione del custode»<br />

(32).<br />

Il rapporto fra l’art. 2051 e l’art 1227 c.c.<br />

Come sottolineato da talune pronunce giurisprudenziali<br />

(33), la tesi della presunta incompatibilità dell’art. 2043<br />

e dell’art. 1227 c.c., nell’ipotesi, elaborata in via interpretativa,<br />

della insidia o trabocchetto, trae fondamento<br />

da presupposti teorici criticabili e superabili.<br />

La sussistenza di un ostacolo non visibile e imprevedibile<br />

tale da innescare la serie causale che determina la causazione<br />

del danno precluderebbe logicamente che il<br />

Note:<br />

(24) Bronzetti, Casi tipici di <strong>responsabilità</strong> della pubblica amministrazione, Padova,<br />

1997, 155-156.<br />

(25) Masci, La <strong>responsabilità</strong> della pubblica amministrazione per difettosa manutenzione<br />

di strade: un difficile inquadramento, in Giust. civ., I, 2003, 1358<br />

ss.<br />

(26) Pelia, La <strong>responsabilità</strong> per i danni cagionati da cose in custodia, cit., 731;<br />

Vitale, La <strong>responsabilità</strong> civile della p.a. per i danni derivanti da beni pubblici al<br />

vaglio della Corte Costituzionale: un’occasione sfumata, in. Giust. civ., 1997,<br />

655, nota 24.<br />

(27) Monateri, La <strong>responsabilità</strong> civile, in Trattato di diritto civile, diretto da<br />

Sacco, III, Torino, 1998, 1038.<br />

(28) Si esprime nel medesimo senso Masci, cit., 157.<br />

(29) Così: Trimarchi, Rischio e <strong>responsabilità</strong> oggettiva, Milano, 1961,193 ss;<br />

Spallarossa, <strong>Danno</strong> cagionato da cose in custodia, in La <strong>responsabilità</strong> civile,<br />

IV, in Giur. sistem. dir. civ. e comm. (Bigiavi), Torino, 1987, 531 ss.<br />

(30) V. Bronzetti, cit., 158.<br />

(31) Sulla rilevanza del comportamento del danneggiato si vedano: Cass.<br />

22 agosto 1989, n. 3737, in Rep. Giust. civ., 1989, II, 3318, n. 42; Cass. 26<br />

aprile 1994, n. 3957, in Arch. civ., 1995, 303; Cass. 25 maggio 1994, n.<br />

5083, ibidem, 463. Secondo la Corte di Cassazione (Cass. 10 agosto 2004,<br />

n. 15429, con nota di Laghezza, cit.), posto che, in tema di danno cagionato<br />

da cose in custodia, l’art. 2051 c.c. prevede un’ipotesi di <strong>responsabilità</strong><br />

oggettiva, costituisce caso fortuito l’utilizzazione impropria del bene,<br />

ossia estranea alla sua naturale destinazione e con carattere di imprevedibilità.<br />

Nel caso di specie, si trattava di lesioni subite da un minore in conseguenza<br />

della caduta di una macchina per la distribuzione di oroscopi sistemata<br />

all’esterno di una sala giochi.<br />

(32) Cass. 9 febbraio 1994, n. 1332, in Arch. civ., 1994, 1322.<br />

(33) Cass., sez. III, 3 dicembre 2002, n. 17152, in questa Rivista, 2003,<br />

497, con nota di M. Malavasi, Responsabilità della P.A. per insidia o trabocchetto<br />

e concorso di colpa del danneggiato.


danneggiato possa concorrere alla causazione del fatto<br />

con una condotta negligente o disattenta: la ricorrenza<br />

di una colpa del danneggiato escluderebbe che possa<br />

ravvisarsi la condizione dell’imprevedibilità della situazione<br />

di insidia. La conclusione sembrerebbe rispondere<br />

ad una considerazione logica: la condotta colposa del<br />

danneggiato esclude la non rimproverabilità della situazione<br />

rischiosa.<br />

Tale orientamento, condiviso dalla sentenza dalla Corte<br />

Costituzionale n. 156/99, si fonda su una discutibile concezione<br />

dell’art. 1227 c.c., in base alla quale siffatta norma<br />

sarebbe espressione del più generale principio di auto<strong>responsabilità</strong>,<br />

che preclude a qualunque soggetto di<br />

proporre istanze risarcitorie e, in genere, di tutela, quando<br />

lo si possa rimproverare rispetto alla causazione del<br />

danno stesso. Lo stesso giudice costituzionale, nella sentenza<br />

citata, afferma il principio di auto<strong>responsabilità</strong><br />

dell’utente della strada che si traduce in «un onere di<br />

particolare attenzione nell’esercizio dell’uso ordinario diretto<br />

del bene demaniale per salvaguardare la propria incolumità»<br />

(34).<br />

Ma proprio tale concezione può dirsi superata dalle seguenti<br />

considerazioni.<br />

L’art. 1227, comma 1, c.c. inerisce al profilo causale, ossia<br />

alla serie causale che porta alla produzione del danno<br />

e nella quale può inserirsi con efficacia concorrente il<br />

fatto del danneggiato.<br />

Ebbene, non può non richiamarsi al riguardo la distinzione<br />

operabile fra causalità materiale, quale relazione<br />

causale tra la condotta del danneggiante e l’evento naturalistico,<br />

a cui sarebbe applicabile l’art. 40 c.p., e causalità<br />

giuridica, inerente invece alla relazione fra evento e<br />

danno. Solo a questo profilo sarebbe applicabile la disposizione<br />

dell’art. 1223 c.c., che è stato interpretato<br />

estensivamente come ricomprensivo anche di conseguenze<br />

indirette e mediate, purché esse si presentino come<br />

effetto naturale e prevedibile dell’illecito secondo l’id<br />

quod plerumque accidit. A venire applicata, dunque, è la<br />

teoria della causalità adeguata, che esclude la rilevanza<br />

di qualunque antecedente causale della condotta, anche<br />

a prescindere da una oggettiva idoneità alla produzione<br />

dell’evento: risultato cui perviene la tesi tradizionale della<br />

condicio sine qua non.<br />

Il fatto colposo del danneggiato, concorrente alla produzione<br />

del danno, pare potersi inquadrare proprio nell’ambito<br />

della causalità e specificamente della causalità<br />

giuridica. Il medesimo può porsi, oltre che come fattore<br />

idoneo a incidere, elidendolo, sul rapporto di causalità<br />

fra condotta del danneggiante ed evento, anche quale<br />

mera circostanza di attenuazione e limitazione del danno<br />

risarcibile. Ciò, chiaramente, ogniqualvolta il fatto del<br />

terzo non abbia un’efficienza causale tale da porsi quale<br />

esclusiva causa del danno, interrompendo la serie causale<br />

innescata dal danneggiante, sub specie di Pubblica<br />

Amministrazione.<br />

Tale ricostruzione, tra l’altro, pare trovare conferma nella<br />

seguente riflessione.<br />

OPINIONI•RESPONSABILITÀ DELLA P.A.<br />

In particolare, può dirsi che, se si accogliesse la menzionata<br />

tesi dell’incompatibilità fra l’art 2043 e l’art. 1227<br />

c.c., si dovrebbe pervenire alla conclusione che la colpa<br />

del danneggiato (35) esclude quella della Pubblica Amministrazione,<br />

il che è anche logicamente inammissibile<br />

in quanto non vi sono preclusioni razionali alla loro coesistenza.<br />

Quest’ultima, infatti, corrisponde a una regola<br />

generale, secondo la quale danneggiante e danneggiato<br />

possono essere entrambi in colpa, e le conseguenze dannose<br />

della colpa della Pubblica Amministrazione possono<br />

essere aggravate dal contestuale comportamento del<br />

danneggiato (36). Per esemplificare, basti pensare all’ipotesi<br />

di un automobilista che subisca un incidente stradale,<br />

a causa di un’insidia sulla carreggiata, viaggiando,<br />

tuttavia, ben al di sopra del limite di velocità.<br />

Note:<br />

(34) In Cass., sez. III, 3 dicembre 2002, n. 17152, cit., si stabilisce testualmente:<br />

«Che poi, una volta acclarata in tal modo la <strong>responsabilità</strong> della<br />

Pubblica Amministrazione, di regola risulti inapplicabile l’art. 1227, comma<br />

1, c.c., dipende da evidenti ragioni di incompatibilità logica fra un<br />

possibile concorso di colpa del danneggiato e la stessa nozione d’insidia,<br />

essendo questa contraddistinta appunto dai caratteri dell’imprevedibilità<br />

e dell’inevitabilità del pericolo».<br />

(35) Così Cass., sez. III, 3 dicembre 2002, n. 17152, cit.: «Se infatti si sostenesse<br />

che il solo concorso del fatto colposo del danneggiato già in<br />

astratto esclude una <strong>responsabilità</strong> della P.A., si giungerebbe a ritenere<br />

che l’unico elemento soggettivo rilevante nella fattispecie è quello del<br />

danneggiato, nel senso che, se esso è stato diligente, vi è <strong>responsabilità</strong><br />

della p.a. in presenza dell’insidia stradale, mentre, se esso è stato colposo,<br />

la <strong>responsabilità</strong> della p.a. è esclusa».<br />

(36) In tal senso v.: Vitale, La <strong>responsabilità</strong> della pubblica amministrazione<br />

per la custodia di beni demaniali e concorso di colpa del danneggiato, cit., 1716.<br />

In argomento, v. anche Salvi, Responsabilità extracontrattuale (diritto vigente),<br />

in Enc. Dir., XXXIX, Milano, 1988, 1254 ss.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 729


La materia della <strong>responsabilità</strong> della Pubblica Amministrazione<br />

per i danni causati dalla fauna selvatica è oggetto<br />

di un annoso contrasto tra dottrina (1) e giurisprudenza,<br />

della cui evoluzione si tracceranno ora, schematicamente,<br />

i punti essenziali, fino ai più recenti sviluppi.<br />

Il dibattito ha una data di nascita: il 27 dicembre 1977,<br />

giorno di promulgazione della rivoluzionaria legge-quadro<br />

sulla caccia n. 968/77 (oggi assorbita ed abrogata dalla<br />

legge sulla caccia n. 157/92). In base all’art. 1, «la fauna<br />

selvatica italiana costituisce patrimonio indisponibile<br />

dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità<br />

nazionale». Dopo essere stati, per secoli, res nullius (2),<br />

gli animali selvatici divenivano patrimonio indisponibile<br />

dello Stato, ex art. 826 c.c. (3). La legge sulla caccia n.<br />

157/92, riformando la materia, ha, poi, individuato<br />

l’Amministrazione responsabile in quella regionale, cui<br />

sono state attribuite funzioni di controllo, gestione e tutela<br />

degli animali selvatici, nonché il generale compito<br />

di evitare che con il loro comportamento arrechino danni<br />

a terzi.<br />

Nel regime anteriore al 1977, nessuno poteva essere<br />

chiamato a rispondere dei danni provocati da una bestia<br />

selvatica: si riteneva comunemente che questi danni<br />

non fossero risarcibili, in base alla considerazione, indirettamente<br />

ricavata dall’art. 923 c.c. e dal t.u. sulla caccia<br />

approvato con r.d. 5 giugno 1939, n. 1016, che gli<br />

animali selvatici appartenessero al genere delle res nullius,<br />

«in quanto non sottomessi ed addomesticati dall’uomo<br />

e privi dell’attitudine di ritornare nel luogo riservato<br />

per la loro cura e custodia» (4). Poiché la riforma rendeva<br />

gli animali selvatici, almeno formalmente proprietà<br />

dello Stato, si delineò la possibilità di ottenere un risarcimento,<br />

ed ebbe inizio il dibattito sulla natura della <strong>responsabilità</strong><br />

delle pubblica amministrazione.<br />

Secondo la dottrina maggioritaria (5) e la prevalente<br />

giurisprudenza di merito (6), la <strong>responsabilità</strong> dell’Amministrazione<br />

competente (che può essere, a seconda<br />

dei casi, la Regione, oppure l’ente di gestione del parco<br />

naturale per gli animali ivi ospitati, oppure ancora il<br />

Comune per gli animali rientranti nella sua competenza<br />

in materia di pubblica igiene e sanità, come i cani<br />

randagi) si colloca nell’alveo dell’art. 2052 c.c.: lo Stato<br />

(o, meglio l’Amministrazione competente), proprietario<br />

della fauna, è tenuto a rispondere dei danni da essa<br />

provocati, in base al generale principio ubi commoda, ibi<br />

incommoda. Alcuni autori (7) si sono dimostrati favorevoli<br />

a questa soluzione, anche per evitare che, come accade<br />

con l’art. 2051 c.c. in materia di <strong>responsabilità</strong> del-<br />

ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA<br />

La <strong>responsabilità</strong> della P.A.<br />

per i danni da animali selvatici<br />

a cura di ROBERTO FOFFA<br />

l’ente proprietario della strada, l’inapplicabilità della<br />

norma si traduca in un ingiustificato privilegio per la<br />

P.A., unico proprietario a non rispondere dei danni provocati<br />

dall’animale secondo il criterio di imputazione<br />

Note:<br />

(1) Tra i numerosi contributi dottrinali si segnalano: Guarda, Automobilisti<br />

danneggiati dalla fauna selvatica: regole di <strong>responsabilità</strong> e piani di indennizzo<br />

no-fault, in questa Rivista, 2004, 1181; Bitetto, Danni provocati da<br />

animali selvatici: chi ne risponde e perché?, ivi, 2003, 273; Maresca, Gli uccelli<br />

e l’uva: le sezioni unite tornano sugli animali famelici, ivi, 1999, 1096; Caputi,<br />

commento a Cass. 27.10.1995, n. 11173, in Foro it., 1996, I, 564; Centofanti,<br />

commento a Cass. 12.8.1991, ivi, 1992, I, 1795; Franzoni, La Responsabilità<br />

oggettiva, vol. II, Padova, 1988; Di Giovine, La RC per i danni<br />

causati da animali, in La Responsabilità Civile, a cura di Cendon, vol. XI,<br />

Torino, 1998; Palmieri, Ripopolamento di cinghiali e danni alle colture, in<br />

Dir. giur. agr., 1980, 227; Ventrella, <strong>Danno</strong> cagionato da animali: fondamento<br />

della <strong>responsabilità</strong> ed individuazione dei soggetti responsabili, in Giust.<br />

civ., 1978, 741; Cendon, Commento alla legge 27 dicembre 1977, in Nuove<br />

leggi civili, 1979, 462; Castagnaro, Osservazioni sul criterio di imputazione<br />

della <strong>responsabilità</strong> per i danni prodotti dalla fauna selvatica, in Giur. it., 2000,<br />

1594; Di Ciommo, Il cinghiale carica, nessuno risponde: brevi appunti sulla<br />

(ir)risarcibilità dei danni causati da animali selvatici, in questa Rivista, 2000,<br />

397; Resta, La p.a. e i danni cagionati dalla fauna selvatica, ivi, 1996, 592;<br />

Comporti, Presunzioni di <strong>responsabilità</strong> e pubblica amministrazione: verso l’eliminazione<br />

di privilegi ingiustificati, in Foro it., 1985, I, 1497.<br />

(2) Ai sensi del r.d. 5 giugno 1939, n. 1016, art. 2, comma 1.<br />

(3) La prima pronuncia in merito fu probabilmente Trib. Cuneo 12 gennaio<br />

1979, in Giur. merito, 1982, 373; v. anche Trib. Cagliari 1° febbraio<br />

1980, in Giust. civ., 1980, I, 2301.<br />

(4) Così Cass. 12 agosto 1991, n. 8788, in Giur. it., 1992, I, 1, 1795. Si segnala<br />

anche, per la singolarità, la previsione dell’art. 9, legge n. 1332/53,<br />

che sanciva l’irrisarcibilità assoluta di qualunque danno provocato da uccelli<br />

rapaci.<br />

(5) Franzoni, cit., 547; Ronco, Il cinghiale e l’automobile, in Giur. it., 2001,<br />

1634; Maresca, cit., 1100; Bitetto, cit., 279; Ventrella, cit., 744.<br />

(6) Giud. pace Perugia 27 aprile 1999, in Rass. giur. umbra, 1999, 788;<br />

Trib. Perugia 28 giugno 1996, ivi, 1997, 27; Trib. Perugia 11 dicembre<br />

1995, in Foro it., 1997, I, 315; Trib. Firenze 13 maggio 1994, in Arch. giur.<br />

circolaz. sin., 1995, 46; Giud. pace Città di Castello 30 dicembre 1998, in<br />

Foro it., Rep. 2000, voce Responsabilità civile, n. 349; Trib. Perugia 11 dicembre<br />

1995, in Foro it., 1997, I, 315; Pret. Ceva 22 marzo 1988, in Foro<br />

it., Rep. 1989, voce cit., n. 150, ed anche, per esteso, in Giur. agr. it., 1989,<br />

110, con nota adesiva di Masini, Sulla <strong>responsabilità</strong> civile dello Stato per i<br />

danni cagionati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole, ai sensi dell’art.<br />

2052 c.c.; Pret. Cosenza 5 luglio 1988, in Foro it., 1988, I, 3629.<br />

(7) Si segnalano i contributi di Castagnaro, Osservazioni sul criterio di imputazione<br />

della <strong>responsabilità</strong> per i danni prodotti dalla fauna selvatica, in Giur.<br />

it., 2000, 1594; Di Ciommo, Il cinghiale carica, nessuno risponde: brevi appunti<br />

sulla (ir)risarcibilità dei danni causati da animali selvatici, in questa Rivista,<br />

2000, 397; Resta, La p.a. e i danni cagionati dalla fauna selvatica, ivi,<br />

1996, 592; Franzoni, La <strong>responsabilità</strong> oggettiva, I, cit., 547; Comporti, Presunzioni<br />

di <strong>responsabilità</strong> e pubblica amministrazione: verso l’eliminazione di<br />

privilegi ingiustificati, in Foro it., 1985, I, 1497; Bitetto, commento a Cass.<br />

24.9.2002, n. 13907, ivi, 2003, I, 157 (con relativi richiami).<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 731


732<br />

ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA<br />

dell’art. 2052 c.c. (8). La giurisprudenza di merito, sul<br />

punto è costante,dalle prime sentenze pretorili (9) fino<br />

alle pronunce più recenti («Per i danni cagionati ai privati<br />

dalla fauna selvatica, che ai sensi della legge 27 dicembre<br />

1977, n. 968 appartiene al patrimonio indisponibile<br />

dello Stato, la p.a. è responsabile a norma dell’art.<br />

2052 c.c.» (10)).<br />

Dottrina minoritaria ha invece individuato nei danni<br />

provocati dalla fauna selvatica un’ipotesi di <strong>responsabilità</strong><br />

aquiliana “pura”, da valutare secondo i principi generali<br />

dell’art. 2043 c.c. (11). Questa tesi è stata sposata<br />

dalla giurisprudenza, assolutamente pacifica, della<br />

Suprema Corte, che non ha ritenuto di modificare la<br />

propria posizione “storica” neppure dopo la riforma del<br />

1977. Già affermata dalla sentenza S.U. n. 3764/1956<br />

(12), l’inapplicabilità dell’art. 2052 alla P.A. è stata ribadita<br />

nei cinquant’anni successivi, fino alle recentissime<br />

sentenze 14241/04 (13) e 24895/05 (14) La motivazione<br />

di tutte queste sentenze, più o meno, è sempre<br />

la stessa: «Il danno cagionato dalla fauna selvatica,<br />

che ai sensi della legge 968 del 1977 appartiene alla categoria<br />

dei beni patrimoniali indisponibili dello Stato,<br />

non è risarcibile in base alla presunzione stabilita nell’articolo<br />

2052 del c.c., inapplicabile con riguardo alla<br />

selvaggina, il cui stato di libertà è incompatibile con un<br />

qualsiasi obbligo di custodia da parte della PA, ma solamente<br />

alla stregua dei principi generali della <strong>responsabilità</strong><br />

extracontrattuale di cui all’articolo 2043 del<br />

c.c., anche in tema di onere della prova» (15); o, ancora,<br />

«La <strong>responsabilità</strong> civile conseguente al danno a cose<br />

o persone provocato da animali selvatici deve essere<br />

valutata alla stregua non già del criterio specifico previsto<br />

dall’art. 2052 c.c. il quale si riferisce esclusivamente<br />

alla proprietà o custodia di animali domestici,<br />

bensì dei principi generali sul risarcimento per fatto illecito»<br />

(16). Secondo la Suprema Corte, infatti, l’art.<br />

2052 c.c. è utilizzabile solo per danni provocati da animali<br />

domestici, o, quanto meno, ridotti in cattività, sui<br />

quali sia concretamente esercitabile un controllo effettivo<br />

e continuativo. Data l’assenza, in capo al soggetto<br />

pubblico responsabile per gli animali selvatici, di specifici<br />

poteri giuridici e fattuali di uso, governo e controllo<br />

dell’animale, capaci di limitare la potenzialità dannosa,<br />

l’art. 2052 c.c. risulta inapplicabile al caso in esame:<br />

«Il danno cagionato dalla fauna selvatica non è risarcibile<br />

in base alla presunzione stabilita nell’art. 2052<br />

c.c., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici,<br />

ma soltanto alla stregua dei principi generali<br />

sanciti dall’art. 2043 c.c., anche in tema di onere della<br />

prova» (17).<br />

L’interpretazione è condivisa da quella parte di dottrina<br />

che non individua, nella fattispecie, una situazione di<br />

custodia (ossia di disponibilità giuridica e di fatto, con<br />

relativo potere/dovere di controllo e vigilanza sull’animale),<br />

presupposto della <strong>responsabilità</strong> ex art. 2052 c.c.<br />

(18). L’interesse pubblico alla tutela della fauna selvatica<br />

comporta, infatti, il mantenimento della fauna in li-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

bertà; ma un animale selvatico è, per definizione, ingovernabile,<br />

e l’unico modo di sorvegliarlo continuativamente<br />

sarebbe ridurlo in cattività (19). Lo Stato, pertanto,<br />

va considerato un proprietario sui generis, non assimilabile<br />

al responsabile civile individuato dall’art.<br />

2052. La presunzione di <strong>responsabilità</strong> prevista da questa<br />

norma, secondo la Cassazione e la dottrina citata, si connetterebbe<br />

necessariamente con la presenza di concreti<br />

poteri di sorveglianza e controllo; per tutte queste ragioni,<br />

la norma non risulta utilizzabile per i danni causati da<br />

animali selvatici.<br />

I giudici di merito hanno tentato di attaccare questa situazione,<br />

ritenuta foriera di ingiusti privilegi alla P.A.,<br />

invocando l’illegittimità costituzionale dell’art. 2052<br />

c.c., nella parte in cui non prevede la <strong>responsabilità</strong> della<br />

Pubblica Amministrazione per i danni provocati dalla<br />

Note:<br />

(8) Lapidario Maresca, Gli uccelli e l’uva: le sezioni unite tornano sugli animali<br />

famelici, cit., 1100: «Se la necessità di lasciare libera la fauna selvatica<br />

di crescere e riprodursi è certamente espressione di civiltà, non assumersi<br />

il peso dell’intera reintegrazione per i danni provocati dagli animali<br />

selvatici è sintomo d’ir<strong>responsabilità</strong>, che si traduce in un ingiustificato<br />

privilegio». Si segnala anche l’isolata posizione dell’autore del presente<br />

commento in ordine alla possibile applicabilità dell’art. 2051 c.c., potendosi<br />

configurare in capo alla P.A. una vera e propria <strong>responsabilità</strong> da cose<br />

in custodia: Foffa, Cinghiali e conflitti di giurisdizione, in questa Rivista,<br />

2005, 290.<br />

(9) Pret. Ceva 22 marzo 1988, in Dir. e giur. agr., 1989, 110: «Lo Stato, in<br />

quanto proprietario della fauna selvatica, è responsabile dei danni da essa<br />

cagionati alle produzioni agricole, ai sensi dell’art. 2052 c.c.».<br />

(10) Trib. Cagliari 7 settembre 2000, in Riv. giur. sarda, 2002, 113.<br />

(11) Garri, La <strong>responsabilità</strong> civile della Pubblica Amministrazione, Torino,<br />

2000, 432 ss.<br />

(12) In Giust. civ., 1957, I, 675.<br />

(13) Cass. 27 luglio 2004, n. 14241, in Resp. civ. e prev., 2005, 697.<br />

(14) Di prossima pubblicazione su questa Rivista.<br />

(15) Così la citata Cass. 27 luglio 2004, n. 14241.<br />

(16) Così l’efficace Cass. 12 agosto 1991, n. 8788, in Giur. it., 1992, I, 1,<br />

1795. Sulla stessa linea, ex plurimis, Cass. 14 febbraio 2000, n. 1638, in<br />

questa Rivista, 2000, 397; Cass. 13 dicembre 1999, n. 13956, in Giur. it.,<br />

2000, 1594; Cass. 15 marzo 1996, n. 2192, in Foro it., 1996, I, 1216, con<br />

osservazioni di M. Caputi, e in questa Rivista, 1996, 591. Si riportano anche<br />

alcune pronunce di merito sulla medesima linea: Giud. pace Torino 8<br />

marzo 2001, in Giur. it., 2001, 1634; Giud. pace Asti 10 luglio 1999, in<br />

Dir. e giur. agr. e amb., 2001, 61, con nota di Carmignani, Fauna: danno e<br />

<strong>responsabilità</strong>; Trib. Firenze 13 maggio 1994, in Foro it., Rep. 1995, voce<br />

Responsabilità civile, n. 184.<br />

(17) Così la citata Cass. 24895/05.<br />

(18) Il primo ad escludere la <strong>responsabilità</strong> dello Stato fu Cendon, Protezione<br />

e tutela della fauna e disciplina della caccia. L. 27 dicembre 1977 n. 968,<br />

in Nuove leggi civ., 1979, 462. Sulla stessa linea Gazzoni, Manuale di diritto<br />

privato, Napoli, 2000, 691; Alpa - Bessone - Zeno-Zencovich, I fatti illeciti,<br />

in Trattato di diritto privato a cura di Rescigno, Torino, 1995, 357; Jannarelli,<br />

La <strong>responsabilità</strong> civile, in Istituzioni di diritto privato a cura di Bessone,<br />

Torino, 1995, 935.<br />

(19) In questo senso Cendon, Protezione e tutela della fauna e disciplina della<br />

caccia, cit., 462; Comporti, Presunzioni di <strong>responsabilità</strong> e pubblica amministrazione:<br />

verso l’eliminazione di privilegi ingiustificati, cit., 846; Bitetto,<br />

Danni provocati da animali selvatici: chi ne risponde e perché?, cit., 276; Agnino,<br />

commento a Cass. 29.9.2000, in Foro it., 2001, I, 1651.


fauna selvatica (20). La Corte Costituzionale, tuttavia,<br />

ha condiviso l’orientamento della Cassazione, rigettando<br />

tutte le questioni di costituzionalità sin qui sollevate<br />

(21). Secondo la Consulta, infatti, il danno da fauna selvatica<br />

rappresenta un’eclatante eccezione al principio<br />

ubi commoda, ibi incommoda, giustificata dal fatto che lo<br />

Stato non diventerebbe proprietario degli animali selvatici<br />

per utilizzarli o usufruirne in un qualunque modo (e<br />

quindi per trarne i commoda), ma unicamente per proteggerli<br />

e tutelarli, nell’interesse comune ed a spese della<br />

collettività. Pertanto, l’art. 2052 c.c. (Corte cost. n.<br />

4/2001) «è applicabile solo in presenza di danni provocati<br />

da animali domestici, mentre per quelli cagionati da<br />

animali selvatici si applica invece l’art. 2043 c.c.: infatti,<br />

nel caso in cui il danno è arrecato da un animale domestico<br />

(o in cattività), è naturale conseguenza che il soggetto<br />

nella cui sfera giuridica rientra la disponibilità e la<br />

custodia di questo si faccia carico dei pregiudizi subiti da<br />

terzi secondo il criterio di imputazione ex art. 2052 c.c.,<br />

laddove i danni prodotti dalla fauna selvatica, e quindi<br />

da animali che soddisfano il godimento dell’intera collettività,<br />

costituiscono un evento puramente naturale di<br />

cui la comunità intera deve farsi carico secondo il regime<br />

ordinario e solidaristico di imputazione della <strong>responsabilità</strong><br />

civile ex art. 2043 c.c.».<br />

L’applicazione dell’art. 2043 c.c. agli enti pubblici comporta,<br />

però, difficoltà probatorie considerevoli, il più delle<br />

volte insormontabili (22), con conseguente frustrazione,<br />

quasi sistematica, delle pretese risarcitorie. Infatti,<br />

(Cass. n. 10008/2003) «In tema di <strong>responsabilità</strong> extracontrattuale,<br />

il danno cagionato dalla fauna selvatica<br />

non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall’art.<br />

2052 c.c., inapplicabile per la natura stessa degli<br />

animali selvatici, ma soltanto alla stregua dei principi<br />

generali sanciti dall’art. 2043 c.c., anche in tema di onere<br />

della prova, e perciò richiede l’individuazione di un<br />

concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente<br />

pubblico» (23). Identificare una specifica e concreta<br />

condotta dolosa o colposa della P.A., consistente nel<br />

non aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il<br />

danno, da cui è derivato un danno ingiusto, è, nella stragrande<br />

maggioranza dei casi, impresa a di poco improba.<br />

Tuttavia, dopo decenni di rarissime condanne ex art.<br />

2043 c.c. (24), dovute alle difficoltà probatorie, la più<br />

recente giurisprudenza ha segnato alcune aperture rilevanti.<br />

Si ricorda, anzitutto, la schematica quanto efficace<br />

sentenza n. 13907/2002 (25), che, utilizzando il precetto<br />

generale del neminem laedere, ha finito per imputare<br />

la <strong>responsabilità</strong> per i danni cagionati dalla fauna<br />

selvatica al soggetto pubblico che ne ha la cura e la custodia,<br />

qualora non sorvegli le manifestazioni di intemperanza<br />

della stessa, omettendo di adempiere al proprio<br />

dovere di vigilanza: «Alle Regioni compete l’obbligo di<br />

predisporre tutte le misure idonee ad evitare che gli animali<br />

selvatici arrechino danni a persone o a cose e, pertanto,<br />

nell’ipotesi (corrispondente al caso in esame) di<br />

danno provocato dalla fauna selvatica ed il cui risarci-<br />

ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA<br />

mento non sia previsto da apposite norme, la Regione<br />

può essere chiamata a rispondere in forza della disposizione<br />

generale contenuta nell’art. 2043 c.c.». Affermando<br />

che la <strong>responsabilità</strong> della P.A. sussiste ogni volta<br />

che non adotta tutte le cautele necessarie per impedire<br />

che gli animali selvatici di sua proprietà cagionino<br />

danni, la Cassazione, in sostanza, ha ribaltato l’onere<br />

probatorio del danneggiato. Di recente, la Suprema<br />

Corte si è spinta oltre. La sentenza n. 24895/2005 ha<br />

posto l’accento sul fatto che «alle Regioni compete<br />

l’obbligo di predisporre tutte le misure idonee» ad evitare<br />

i danni; se questi si verificano ed il risarcimento<br />

non è previsto da apposite norme, si produce <strong>responsabilità</strong><br />

ex art. 2043 c.c. Viene ribadita, ed anzi, si potrebbe<br />

dire, formalizzata, l’inversione dell’onere probatorio.<br />

Tocca, infatti, alla Regione dimostrare la propria diligente<br />

condotta; non è molto chiaro in che modo possa<br />

farlo, atteso che, una volta che il danno si è verificato,<br />

non si vede chi possa sostenere di aver adottato misure<br />

idonee ad evitarlo.<br />

Questa nuova linea interpretativa pone la P.A. nelle medesime<br />

difficoltà probatorie cui fino ad oggi si è dibattuto<br />

il danneggiato. Per uscirne, è obbligata a fornire la<br />

prova che l’evento era assolutamente imprevedibile ed<br />

inevitabile, oppure che è derivato da un fatto del danneggiato<br />

o da fattori esterni ed incontrollabili: in sostanza,<br />

a fornire la prova del caso fortuito. Il meccanismo<br />

presuntivo ideato dalla Cassazione fa, però, sorgere seri<br />

dubbi in ordine alla reale applicazione dell’art. 2043 c.c.<br />

Infatti, nonostante il formale richiamo alla norma, sembra<br />

delinearsi una vera e propria presunzione di <strong>responsabilità</strong>,<br />

costruita sulla scorta della previsione legislativa<br />

(quella contenuta nella legge sulla caccia 157/92) che<br />

impone alla Regione obblighi che potrebbero ben definirsi<br />

di custodia. E questo sembra aprire interessanti pro-<br />

Note:<br />

(20) Ordinanze di rimessione: Giud. pace Bologna 23 luglio 1999, in Foro<br />

it., Rep. 2000, voce Caccia e protezione della fauna, n. 9; Giud. pace Ceva<br />

27 aprile 2000, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 2000, 798.<br />

(21) Corte cost., ordinanze n. 4 del 4 gennaio 2001 e nn. 581 e 579 del 29<br />

dicembre 2000, tutte in Foro it., 2001, I, 377.<br />

(22) Argutamente sottolineati da Bitetto, Danni provocati da animali selvatici:<br />

chi ne risponde e perché?, cit., 276 e Maresca, Gli uccelli e l’uva: le sezioni<br />

unite tornano sugli animali famelici, cit., 1098.<br />

(23) Cass. 24 giugno 2003, n. 10008, in questa Rivista, 2004, 325.<br />

(24) Tra cui l’inedita Conc. Boiano 18 aprile 1995, confermata da Cass.<br />

13956/99, cit., e Giud. pace Novafeltria 11 settembre 1999, in Giud. pace,<br />

2000, 106. La recente sentenza del Giudice di pace di Pontedecimo 11<br />

novembre 2004, in Foro it., 2005, I, 1970, desta qualche perplessità sotto<br />

il profilo dell’applicazione del 2043 («In caso di danni cagionati dalla fauna<br />

selvatica, non è applicabile alla pubblica amministrazione lo speciale<br />

regime di <strong>responsabilità</strong> previsto dall’art. 2052 c.c., nondimeno, l’amministrazione<br />

può essere ritenuta responsabile ove non abbia adottato misure<br />

adeguate al fine di evitare che la selvaggina fuoriesca dal proprio ambiente<br />

e provochi danni a terzi»), ma si connota per una motivazione lucida<br />

ed accurata.<br />

(25) Cass. 24 settembre 2002, n. 13907, in Foro it., 2003, I, 157, con nota<br />

di Bitetto.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 733


734<br />

ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA<br />

spettive operative sia per l’art. 2052 c.c. che per il più generale<br />

art. 2051 c.c. (26).<br />

Il risarcimento dei danni alle colture<br />

Grosse novità giurisprudenziali si sono registrate sul risarcimento<br />

dei danni provocati dalla fauna selvatica,<br />

nonché dall’esercizio della caccia, alle colture.<br />

Prima della legge sulla caccia del 1977 nessun risarcimento<br />

era ipotizzabile, per le ragioni già esposte. L’art. 6,<br />

lettera g), della legge 968/77 stabilì invece, in modo<br />

molto innovativo, l’obbligo delle regioni di promulgare<br />

«norme che fissino i criteri per la determinazione degli<br />

indennizzi in favore dei conduttori dei fondi, per la liquidazione<br />

degli effettivi danni alle produzioni da parte<br />

della selvaggina», anche se nei soli territori destinati al<br />

ripopolamento e nelle zone protette.<br />

La prima pronuncia significativa a riguardo fu la sentenza<br />

delle Sezioni Unite n. 2246/1983 (27), che negò la<br />

sussistenza di qualunque diritto risarcitorio in capo all’agricoltore<br />

danneggiato. Le norme di legge erano, infatti,<br />

dirette agli organi della P.A. e dovevano considerarsi, secondo<br />

la tradizionale distinzione amministrativistica<br />

(28), norme di azione e non di relazione: vale a dire, norme<br />

che non tutelano direttamente il cittadino, ma dirette<br />

al diverso scopo, di pubblico interesse, di tutela della<br />

fauna selvatica. Secondo la Cassazione, in queste ipotesi<br />

non poteva riscontrarsi alcun illecito da parte dell’Amministrazione,<br />

la cui attività era, anzi, imposta dalla legge<br />

e si connotava per l’esercizio di un potere ampiamente<br />

discrezionale (29). Di conseguenza, la posizione del<br />

privato veniva degradata al rango di interesse legittimo,<br />

tutelato mediante indennizzi forfetari e comunque privo<br />

di tutela risarcitoria; la giurisdizione, ovviamente, spettava<br />

al giudice amministrativo.<br />

L’indirizzo descritto rimase stabile per un decennio, finché<br />

il disposto dell’art. 1, legge 157/92 ampliò la portata<br />

dell’originaria previsione legislativa. In forza di detta<br />

norma, «le regioni a statuto ordinario provvedono ad<br />

emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di<br />

tutte le specie della fauna selvatica in conformità alla<br />

presente legge, e sono, inoltre, titolari della funzione di<br />

pianificazione faunistico-venatoria (art. 10), coordinando<br />

le funzioni delle amministrazioni provinciali». È,<br />

inoltre, compito delle Regioni istituire, ex art. 26 legge<br />

157/92, uno speciale fondo «per far fronte ai danni non<br />

altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e<br />

alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla<br />

fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall’attività<br />

venatoria».<br />

L’aumento delle aree protette sul territorio statale aveva,<br />

inoltre, portato all’emanazione della “legge quadro sulle<br />

aree protette” n. 394/91, il cui art. 15 prevede un meccanismo<br />

indennitario analogo a quello della citata legge<br />

sulla caccia. La legge 394/91, disciplinando specificamente<br />

l’ipotesi di danno che l’ente di gestione delle aree<br />

protette è tenuto a indennizzare in quanto provocato<br />

dalla fauna selvatica affidata alla sua tutela e custodia, si<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

pone come lex specialis rispetto alla legge sulla caccia.<br />

Le nuove norme statali, nonché le normative regionali<br />

emanate in loro applicazione, portarono ad un rinnovato<br />

dibattito sulla posizione del danneggiato e, di conseguenza,<br />

sull’individuazione del giudice competente.<br />

A riassumere i termini del dibattito ed i contrasti giurisprudenziali<br />

ha provveduto la stessa Suprema Corte,<br />

con la pronuncia S.U. n. 559/2000 (30): «hanno qualificato<br />

in termini di diritto soggettivo la pretesa del<br />

privato le sentenze di questa C.S. nn. 5501/91,<br />

11173/95 e 7301/97 (31) (tutte relative alla pregressa<br />

legge quadro 27.12.1977, n. 968 ed alla legislazione regionale<br />

rispettivamente, della Lombardia del Veneto e<br />

della Toscana), n. 12901/98 (32) (relativa invece al<br />

Parco lombardo della Valle del Ticino di cui all’art. 15<br />

legge quadro n. 394/91) e n. 587/99 S.U. (33) (relativa<br />

alla legge quadro 11.2.1992, n. 157 ed alla legislazione<br />

regionale della Lombardia); per contro è stata affermata<br />

la natura di interesse legittimo relativamente a pretese<br />

risarcitorie avanzate nell’ambito del Parco naturale<br />

della Maremma (Cass. 20.3.1983, n. 2246 (34)) e<br />

del Parco nazionale d’Abruzzo (Cass. 23.11.1995, n.<br />

12106 (35))».<br />

A favore della tesi dell’interesse legittimo deponevano<br />

la definizione di “indennità” della somma corrisposta al<br />

danneggiato e la giurisdizione del giudice amministra-<br />

Note:<br />

(26) Per approfondimenti sul punto, si rimanda al nostro commento alla<br />

sentenza 24985/05, di prossima pubblicazione su questa Rivista.<br />

(27) Cass. 29 marzo 1983, n. 2246, in Foro it., 1983, I, 2500.<br />

(28) Ideata da Guicciardi, La giustizia amministrativa, Padova, 1942, (ristampa,<br />

Padova, 1994), 30 ss.<br />

(29) Franzoni, La <strong>responsabilità</strong> oggettiva, cit., 551, rimarca che in questi<br />

casi non poteva nemmeno parlarsi di danno ingiusto.<br />

(30) Cass., sez. un., 10 agosto 2000, n. 559, in Dir. e giur. agr., 2002, 37;<br />

un elenco analogo si trova anche nella più recente Cass. 27 luglio 2004,<br />

n. 14241, cit.<br />

(31) Rispettivamente in Dir. giur. agr., 1992, 94; in Foro it., 1996, I, 564<br />

ed in Dir. giur. agr., 1999, 49.<br />

(32) In Riv. giur. amb., 1999, 504.<br />

(33) In questa Rivista, 1999, 1096.<br />

(34) In Giur. it., 1984, I, 1, 137.<br />

(35) In Foro it., 1996, I, 564. Cfr. anche Cass., sez. un., 8 ottobre 1985, n.<br />

4861, in Giust. civ. Mass., 1985, 10, che in materia affine (danni causati<br />

da animali selvatici oggetto di iniziative di ripopolamento) parla esplicitamente<br />

di <strong>responsabilità</strong> da fatto lecito: «Il proprietario di un fondo agricolo,<br />

che venga incluso in una zona di ripopolamento della selvaggina<br />

protetta costituita dalla amministrazione provinciale a norma e nel vigore<br />

del r.d. 5 giugno 1939, n. 1016, non può esperire azione risarcitoria davanti<br />

al giudice ordinario, per il danno che sia derivato alla produzione<br />

agraria per effetto del moltiplicarsi della selvaggina in detta zona, vertendosi<br />

in tema di atti leciti compiuti dalla pubblica amministrazione nell’esercizio<br />

di poteri conferitile dalla legge a difesa di interessi generali, ed in<br />

relazione ai quali l’art. 54 del citato decreto, (come sostituito dall’art. 33<br />

del d.P.R. 10 giugno 1955, n. 987) nel contemplare una possibilità d’indennizzo,<br />

senza fissarne misure e modalità, costituisce in favore del privato<br />

una posizione di mero interesse legittimo, tutelabile dinanzi al giudice<br />

amministrativo, a fronte del provvedimento ministeriale determinativo<br />

dell’indennizzo».


tivo, stabilita da alcune delle leggi regionali (36). Nonché,<br />

ovviamente, le tradizionali considerazioni sul potere<br />

discrezionale dell’Amministrazione e sulla natura<br />

pubblicistica dell’interesse tutelato. Sentenze come la<br />

12901/98 (37) erano arrivate ad affermare che «La<br />

qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo<br />

delle posizioni giuridiche configurabili a favore<br />

degli interessati relativamente ai ristori conseguibili<br />

per i pregiudizi arrecati dalla fauna selvatica alle colture<br />

agricole non è automaticamente correlata alla ubicazione<br />

- all’esterno o all’interno delle zone di protezione<br />

- dei fondi danneggiati, e deve invece attribuirsi<br />

essenziale rilievo al concreto atteggiarsi della disciplina<br />

positiva», dove per disciplina positiva s’intende “legge<br />

regionale”. Questa inammissibile situazione d’incertezza<br />

arrivava a determinare fenomeni di forum shopping:<br />

per lo stesso danno, in una regione risultava competente<br />

il giudice ordinario, ed in un’altra quello amministrativo.<br />

La recente sentenza S.U. n. 5417/04 (38), emanata in<br />

sede di regolamento di giurisdizione, con un ampio e<br />

pregevole ragionamento ha segnato un vero e proprio<br />

arresto della materia. Secondo questa pronuncia, resa<br />

in un’ipotesi di applicazione della legge-quadro sulle<br />

aree protette e della relativa normativa regionale, «la<br />

domanda di risarcimento dei danni provocati alle coltivazioni<br />

dalla fauna selvatica appartiene alla giurisdizione<br />

del giudice ordinario, perché fondata sull’art. 15<br />

della “legge quadro” sulle aree protette n. 394 del 1991;<br />

la norma, infatti, prevede, senza margini di discrezionalità,<br />

l’obbligo dell’ente parco di indennizzare i danni<br />

provocati dalla fauna selvatica del parco nel termine di<br />

novanta giorni dal loro verificarsi». Secondo le Sezioni<br />

Unite, la legge-quadro stabilisce un vero e proprio diritto<br />

soggettivo al risarcimento, appartenente alla cognizione<br />

per materia del giudice ordinario. Non sembra,<br />

peraltro, impossibile estendere il principio anche<br />

alla legge sulla caccia, che rispetto alla legge sulle aree<br />

protette si pone in un chiaro rapporto species-genus. In<br />

ogni caso, viene superato di slancio uno dei tradizionali<br />

argomenti invocati dai fautori dell’interesse legittimo,<br />

ossia che nella legge-quadro (ma anche nella legge<br />

sulla caccia ed in quasi tutte le leggi regionali) si parli<br />

di “indennizzo” e non “risarcimento del danno”: «I termini<br />

indennizzo o indennità indicano in generale una<br />

posizione giuridica che deve essere riparata nello stesso<br />

modo del risarcimento del danno propriamente detto.<br />

Indennizzo o indennità, infatti, si riferiscono ad una<br />

prestazione, per conseguire la quale la legge ha già attribuito<br />

all’interessato una tutela per equivalente monetario.<br />

In questo caso, il diritto da diritto al bene si<br />

trasforma in diritto all’indennizzo e parlare d’interesse<br />

legittimo non è corretto. Cosa diversa dal riconoscimento<br />

del diritto al bene è la liquidazione della somma<br />

dovuta, che la P.A. può determinare secondo criteri<br />

che l’interessato può chiedere di verificare attraverso il<br />

ricorso al giudice ordinario, come è avvenuto nella spe-<br />

ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA<br />

cie». Risulta di particolare interesse quest’ultimo inciso:<br />

la liquidazione della somma dovuta da parte della<br />

P.A. non è considerata esercizio di un vero e proprio<br />

potere discrezionale, come avevano costantemente ritenuto<br />

le pronunce precedenti.<br />

Secondo questa innovativa sentenza, il termine “indennizzo”<br />

non si lega automaticamente all’esercizio di un<br />

potere discrezionale della P.A. ed ad una posizione di interesse<br />

legittimo in capo al privato. Anzi, nel caso in<br />

esame, l’an dell’obbligazione risarcitoria non è in alcun<br />

modo contestabile: il danneggiato pertanto vanta un<br />

credito risarcitorio, quando animali protetti danneggiano<br />

le colture, ledendo una sua posizione di diritto soggettivo<br />

(39). Le Sezioni Unite puntualizzano che le<br />

conclusioni raggiunte derivano dall’applicazione della<br />

legge 394/91 e non di normative regionali applicate da<br />

altre pronunce richiamate nel ricorso. Tuttavia la leggequadro,<br />

la legge sulla caccia n. 157/1992 e le singole leggi<br />

regionali, ove emanate, presentano tutte lo stesso<br />

meccanismo: l’ente a ciò designato - Provincia, Parco,<br />

Regione - istituisce un fondo al fine di indennizzare i<br />

conduttori di aziende agricole che ne facciano richiesta<br />

documentata, e normalmente il Consiglio regionale regolamenta<br />

la utilizzazione ed il funzionamento dei fondi<br />

stessi. Si tratta di un vero e prorio piano di no-fault,<br />

che dovrebbe rendere quasi scontato l’accoglimento<br />

delle domande di risarcimento, la Cassazione in passato<br />

aveva negato che il privato fosse titolare di un vero e<br />

Note:<br />

(36) Ad esempio, nella sentenza 1232/00, cit. si legge che «L’indennizzo<br />

in favore dei proprietari di fondi danneggiati dalla fauna selvatica, nella<br />

disciplina posta dall’art. 57 legge reg. Emilia Romagna n. 20 del 1987 e<br />

dagli art. 10 e 26 della legge n. 157 del 1992, ha natura di contributo indennitario<br />

nei limiti consentiti dalla capienza dell’apposito fondo regionale,<br />

con la conseguenza che, in mancanza anche di criteri predeterminati<br />

di liquidazione, sussiste un potere discrezionale dell’Amministrazione<br />

pubblica almeno con riguardo al "quantum" dell’indennizzo da erogare;<br />

ne consegue che la controversia inerente al riconoscimento ed alla liquidazione<br />

di detto indennizzo, ricollegandosi a interessi legittimi, rientra<br />

nella giurisdizione del giudice amministrativo».<br />

(37) Cass., sez. un., 30 dicembre 1998, n. 12901, in Riv. giur. amb., 1999,<br />

504.<br />

(38) In questa Rivista, 2005, 290, con nota di Foffa, Cinghiali e conflitti di<br />

giurisdizione.<br />

(39) Di diritto soggettivo all’indennizzo parla esplicitamente anche Cass.,<br />

sez. un., 16 maggio 1991, n. 5501, in Dir. giur. agr., 1992, 94. Di credito risarcitorio,<br />

ma fondato sull’art. 2043 c.c., parla la sentenza della Pretura di<br />

Salerno del 18 dicembre 1996, in Giur. merito, 1997, 829. Di estremo interesse<br />

è l’applicazione in questa materia dell’art. 1227 c.c.: la Suprema<br />

Corte (Cass. 9 aprile 1996, n. 3250, in Dir. giur. agr., 1996, 518) ritiene<br />

che rientri nell’ordinaria diligenza del creditore porre in essere tutte quelle<br />

contromisure tese ad evitare il danno che non possano ritenersi «gravose,<br />

eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici».<br />

Tra le misure ritenute eccedenti l’ordinaria diligenza rientra anche la recinzione<br />

dell’intero fondo. La sentenza in esame, inoltre, precisa che l’eventuale<br />

previsione di poteri limitativi dell’indennizzo all’interno del Regolamento<br />

dell’Ente Parco non porta a conclusioni difformi, in quanto «si<br />

tratta di poteri che sono volti a circoscrivere la sola liquidazione del danno<br />

e non interferiscono sull’esistenza del diritto al risarcimento». Nemmeno<br />

la liquidazione del risarcimento, tuttavia, appare discrezionale, dato<br />

che avviene in base a criteri fissi e predeterminati.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 735


736<br />

ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA<br />

proprio credito risarcitorio (40). Questa interpretazione<br />

non è condivisibile, ed infatti la sentenza 5417/04 se ne<br />

distacca nettamente. Il privato vanta un diritto soggettivo<br />

al risarcimento, ma non solo: questo risarcimento<br />

deve essere integrale. Altrimenti, il danneggiato può<br />

adire il giudice ordinario per contestare l’applicazione<br />

dei criteri di liquidazione da parte della P.A. Non sembra,<br />

peraltro, esservi spazio per alcuna indagine in ordine<br />

alla colpevolezza della P.A. Il privato deve unicamente<br />

dimostrare il danno subito e rivolgersi al fondo<br />

regionale; se ritiene insufficiente il risarcimento ottenuto,<br />

può rivolgersi al giudice ordinario. Risulta difficile<br />

continuare a sostenere che il privato sia titolare di un<br />

mero interesse legittimo.<br />

Va, comunque, precisato che anche in questo campo è<br />

possibile la l’applicazione dell’art. 2043 c.c. all’Amministrazione,<br />

qualora il danno possa considerarsi ingiusto,<br />

come precisa, da ultimo, la sentenza 14241/04<br />

(41): «Il ristoro del danno non altrimenti risarcibile arrecato<br />

alla produzione agricola dalla fauna selvatica deve<br />

essere richiesto nei confronti della Regione, a norma<br />

dell’art. 26 l. 11 febbraio 1992, n. 157…Detta forma di<br />

compensazione dell’interesse leso (qualificata dalle leggi<br />

regionali talvolta come risarcimento e talvolta come<br />

indennizzo) non rientra nell’ipotesi di <strong>responsabilità</strong><br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

aquiliana, non trattandosi di danno ingiusto, non potendosi<br />

tuttavia escludere in astratto che, allorché tale<br />

danno abbia i caratteri dell’ingiustizia, di esso debba rispondere<br />

l’autore secondo i principi propri della <strong>responsabilità</strong><br />

aquiliana».<br />

Note:<br />

(40) Ad esempio, nella citata pronuncia n. 559/00 si legge che la legge regionale<br />

«non prevede affatto che il risarcimento debba essere pieno ed integrale,<br />

o che quanto meno debba avvenire in misura fissa e percentuale,<br />

ed attribuisce invece all’Amministrazione margini di discrezionalità: come<br />

si desume dalla istituzione di un apposito fondo dalla relativa e - evidentemente<br />

- non illimitata dotazione finanziaria, dalla composizione del<br />

comitato (di natura non squisitamente tecnico-ricognitiva), dall’intervallo<br />

temporale (cinque mesi) tra il compimento delle verifiche (queste,<br />

sì, meramente tecniche) e la successiva liquidazione, ed infine anche dai<br />

"criteri" per la determinazione del risarcimento», concludendo perciò che<br />

«impropriamente il legislatore statale abbia impiegato il termine "risarcimento",<br />

trattandosi, al contrario - come esattamente precisa l’art. 49 della<br />

citata legge regione Puglia - di un mero indennizzo correlato, da un lato,<br />

alle esigenze di pubblico interesse connesse alla tutela… della fauna<br />

selvatica, e, dall’altra, all’assenza di ogni profilo di illegittimità nella condotta<br />

dell’amministrazione peraltro tenuta al ristoro in osservanza di un<br />

obbligo di solidarietà che impone di non sacrificare a dette esigenze i contrapposti<br />

interessi del proprietario o conduttore del fondo, i quali sono riconosciuti<br />

con norme di azione che lasciano all’amministrazione margini<br />

di discrezionalità».<br />

(41) Cass. 27 luglio 2004, n. 14241, cit.


Ritenuto in fatto<br />

... Omissis...<br />

GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI CONSUMATORI<br />

Giurisdizione<br />

Pubblicità ingannevole,<br />

inibitoria collettiva e G.O.<br />

CASSAZIONE CIVILE, Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 7036, ord.<br />

Pres. Carbone - Rel. Amatucci - P.G. Martone (conf.) - Associazione Movimento Consumatori c. Education<br />

Scuola & Lavoro S.a.s.<br />

Pubblicità ingannevole - Associazione dei consumatori - Azione inibitoria - Giurisdizione del giudice ordinario -<br />

Sussistenza.<br />

(Legge 30 luglio 1998, n. 281, artt. 1, 3, 5; d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74, art. 7; d.lgs. 25 febbraio 2000, n.<br />

67, art. 5)<br />

Spetta alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia promossa da un’associazione dei consumatori<br />

iscritta nell’elenco di cui all’art. 5 legge n. 281/1998 per ottenere la cessazione di un messaggio<br />

pubblicitario ingannevole, risultando tale rimedio giurisdizionale concorrente con quello che l’art.<br />

7 d.lgs. n. 74/1992, come sostituito dall’articolo 5 d.lgs. n. 67/2000, attribuisce all’Autorità Garante<br />

per la Concorrenza ed il Mercato.<br />

Considerato in diritto<br />

1. Va pregiudizialmente rilevato che il regolamento è<br />

ammissibile in quanto, come costantemente affermato<br />

da queste Sezioni Unite (ex multis, nn. 14070/03,<br />

17078/03, 8212/05, 16603/05), la proposizione del regolamento<br />

preventivo di giurisdizione non è preclusa<br />

dalla circostanza che il giudice adito per il merito abbia<br />

provveduto su una richiesta di provvedimento<br />

cautelare, pur se ai fini della pronuncia abbia risolto in<br />

senso negativo una questione attinente alla giurisdizione,<br />

ovvero sia intervenuta pronunzia sul reclamo<br />

avverso il provvedimento cautelare, in quanto il provvedimento<br />

reso sull’istanza cautelare non costituisce<br />

sentenza e la pronunzia sul reclamo mantiene il carattere<br />

di provvisorietà proprio del provvedimento cautelare.<br />

2. Deve poi osservarsi preliminarmente che, alla stregua<br />

del principio posto dall’art. 5 c.p.c., secondo il quale la<br />

giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo<br />

alla legge vigente al momento della proposizione della<br />

domanda, non assume rilievo che tutte le norme che<br />

vengono in considerazione non siano più vigenti dall’entrata<br />

in vigore del decreto legislativo 6 settembre<br />

2005, n. 206 (recante “Codice del consumo, a norma<br />

della L. 29 luglio 2003, n. 229, art. 7”), il cui art. 146 ha<br />

abrogato il d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74, la L. 30 luglio<br />

1998, n. 281 ed il d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 67; ed i cui<br />

artt. 139 e 140 prevedono, peraltro, la legittimazione<br />

delle associazioni dei consumatori e degli utenti inserite<br />

nell’elenco di cui all’art. 137 di agire innanzi al tribunale<br />

per la tutela degli interessi collettivi.<br />

3. La questione posta col regolamento va risolta nel senso<br />

della sussistenza della giurisdizione del Giudice ordinario<br />

a conoscere della domanda, con la quale l’associazione<br />

dei consumatori attrice, inserita nell’elenco di cui<br />

alla L. n. 281 del 1998, art. 5, aveva domandato l’inibizione<br />

degli atti di pubblicità ingannevole e la condanna<br />

della società che li aveva posti in essere al risarcimento<br />

del danno.<br />

Il d.lgs. n. 74 del 1992, art. 7, (recante “Attuazione della<br />

direttiva 84/450/CEE, come modificata dalla direttiva<br />

97/55/CE in materia di pubblicità ingannevole e comparativa”),<br />

come sostituito dal d.lgs. n. 67 del 2000, art. 5<br />

(recante “Attuazione della direttiva 97/55/CE, che modifica<br />

la direttiva 84/450/CEE, in materia di pubblicità<br />

ingannevole e comparativa”), sotto la rubrica “tutela<br />

amministrativa e giurisdizionale” prevede, al comma 14<br />

(introdotto con d.lgs. n. 67 del 2000 e che non compariva<br />

nel testo originario), che «per la tutela degli interessi<br />

collettivi dei consumatori e degli utenti derivanti dalle<br />

disposizioni del presente decreto si applica la L. 30 luglio<br />

1998, n. 281, art. 3» (recante “Disciplina dei diritti dei<br />

consumatori e degli utenti”).<br />

Tale disposizione stabilisce, al primo comma, che le associazioni<br />

dei consumatori e degli utenti inserite nell’elenco<br />

di cui all’articolo 5 sono legittimate ad agire a tutela<br />

degli interessi collettivi richiedendo al Giudice<br />

competente tutto quanto nella specie domandato dall’associazione<br />

attrice.<br />

Ora, che per “Giudice competente” non possa intendersi<br />

l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 737


738<br />

GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI CONSUMATORI<br />

direttamente discende dal rilievo che l’Autorità istituita<br />

dalla L. 10 ottobre 1990, n. 287 non è un Giudice, com’è<br />

stato in ogni sede correttamente ritenuto (Corte di giustizia,<br />

sentenza 31 maggio 2005, in causa C-53/03; Cons.<br />

Stato, sez. 6, 23 aprile 2002, n. 2199), ma un’Amministrazione<br />

dello Stato ad ordinamento autonomo (Cons.<br />

Stato, sez. 1, 25 ottobre 2000, n. 260).<br />

Né un’interpretazione della norma che si risolva nel riconoscimento<br />

alle associazioni dei consumatori della<br />

possibilità di chiedere la tutela inibitoria all’Autorità ovvero<br />

al “Giudice competente” appare in contrasto con le<br />

norme comunitarie in materia di pubblicità ingannevole.<br />

La citata direttiva 84/54/CEE prevede infatti, all’art.<br />

4, comma 1, che i mezzi da apprestare dagli Stati membri<br />

«per combattere la pubblicità ingannevole e garantire<br />

l’osservanza delle disposizioni in materia di pubblicità<br />

comparativa nell’interesse sia dei consumatori che dei<br />

concorrenti e del pubblico in generale» possono comportare<br />

la possibilità, per persone o organizzazioni aventi<br />

un legittimo interesse di «(a) promuovere un’azione<br />

giudiziaria contro tale pubblicità e/o (b) sottoporre tale<br />

pubblicità al giudizio di un’autorità amministrativa competente<br />

a giudicare in merito ai ricorsi...». Agli Stati<br />

membri era dunque data la possibilità di prevedere forme<br />

di tutela affidate sia in via esclusiva all’autorità amministrativa,<br />

sia in via esclusiva all’autorità giudiziaria, sia all’una<br />

“e” all’altra.<br />

Conclusione questa ulteriormente avallata dal disposto<br />

dell’art. 7 della stessa direttiva, il quale prevede che essa<br />

non si oppone al mantenimento o all’adozione da parte<br />

degli Stati membri di disposizioni che abbiano lo scopo<br />

di garantire una più ampia tutela, in materia di pubblicità<br />

ingannevole, dei consumatori, delle persone che<br />

esercitano un’attività commerciale, industriale, artigianale<br />

o professionale, nonché del pubblico in generale. E<br />

va soggiunto che la L. n. 281 del 1998, art. 1, comma 2<br />

bis, (nel testo aggiunto dal d.lgs. 23 aprile 2001, n. 224,<br />

art. 1) prevede che la legge si applichi nelle ipotesi di<br />

violazioni degli interessi collettivi dei consumatori contemplati<br />

nelle direttive europee di cui all’allegato; allegato<br />

che, fra le tante, menziona anzitutto la direttiva cui<br />

si sta facendo riferimento, attuata con d.lgs. 25 gennaio<br />

1992, n. 74.<br />

4. Non appare poi dubitabile che il “Giudice competente”<br />

cui si riferisce la L. n. 281 del 1998, art. 3, debba essere<br />

individuato, in mancanza di diversa disciplina, in<br />

quello ordinario, in relazione alla natura di diritto soggettivo<br />

(sia pure collettivo) dell’interesse tutelato, non<br />

essendo configurabili ipotesi di subordinazione di tale interesse<br />

a quello generale, con conseguente qualificazione<br />

della situazione giuridica tutelata come interesse legittimo.<br />

La stessa L. 30 luglio 1988, n. 281 qualifica del resto come<br />

fondamentale il diritto dei consumatori e degli utenti<br />

«ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità»<br />

(art. 1, comma 2, lett. e).<br />

5. Va infine osservato che non appare irragionevole -<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

come ritenuto dal tribunale - la diversità di trattamento<br />

tra il singolo consumatore, che può rivolgersi solo all’Autorità<br />

Garante della Concorrenza e del Mercato per<br />

richiedere l’inibizione degli atti di pubblicità ingannevole<br />

(ex d.lgs. n. 74 del 1992, art. 7, come sostituito dal<br />

d.lgs. n. 67 del 2000, art. 5), e le associazioni dei consumatori<br />

e degli utenti iscritte nell’elenco di cui s’è detto,<br />

che per la tutela inibitoria degli interessi collettivi possono<br />

rivolgersi sia alla predetta Autorità (ai sensi dell’art.<br />

7 citato) che al giudice ordinario (ex L. n. 281 del<br />

1998, art. 3).<br />

Per un verso, invero, è stato chiarito che gli interessi<br />

diffusi (in quanto pertinenti alla sfera soggettiva di più<br />

individui in relazione alla loro qualificazione o in quanto<br />

considerati nella loro particolare dimensione) sono<br />

“adespoti” e possono essere tutelati in sede giudiziale<br />

solo in quanto il legislatore attribuisca ad un ente esponenziale<br />

la tutela degli interessi dei singoli componenti<br />

una collettività, che così appunto assurgono al rango<br />

di interessi “collettivi”. Per altro verso, l’esclusione dell’accesso<br />

dei singoli alla tutela giudiziale appare giustificata<br />

dall’esigenza di evitare che una pluralità indefinita<br />

di interessi identici sia richiesta con un numero indeterminato<br />

di iniziative individuali seriali miranti agli<br />

stessi effetti, con inutile aggravio del sistema giudiziario<br />

e conseguente dispersione di una risorsa pubblica; e<br />

con frustrazione, inoltre, dell’effetto di incentivazione<br />

dell’aggregazione spontanea di più individui in un<br />

gruppo esponenziale, il che, soprattutto in sistemi cui è<br />

ignota la tutela dei diritti individuali omogenei da parte<br />

di singoli (invece tipica delle class actions, nelle quali<br />

il costo del processo non è però sopportato in proprio<br />

dall’attore), vale anche ad equilibrare l’entità delle risorse<br />

che ciascuna parte ha interesse ad investire nella<br />

controversia.<br />

... Omissis...


GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI CONSUMATORI<br />

La pronunzia delle Sezioni Unite in tema di giurisdizione<br />

del giudice ordinario per le azioni collettive<br />

intentate per contrastare la pubblicità ingannevole<br />

si colloca in una fase assai delicata per la tutela degli<br />

interessi consumeristici. E ciò non solo per le difficoltà<br />

connesse alla fase di trapasso dalla legge n.<br />

281/1998 al Codice del consumo, ma più in generale<br />

per la necessità di offrire al consumatore intercettato<br />

da messaggi ingannevoli una tutela forte attraverso<br />

le organizzazioni che sono portatrici di interessi<br />

della categoria.<br />

Un’associazione di consumatori promuove innanzi al<br />

tribunale di Torino un’azione giudiziaria volta ad inibire<br />

l’uso di una pubblicità ingannevole, innestando nel corso<br />

del procedimento una richiesta di tutela cautelare. Il giudice<br />

monocratico dichiarò inammissibile il ricorso per essere<br />

il giudice ordinario carente di giurisdizione, osservando<br />

che, vertendosi in ipotesi di pubblicità ingannevole, i provvedimenti<br />

richiesti avrebbero potuto essere adottati solo<br />

dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.<br />

Malgrado il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. proposto dall’associazione,<br />

il tribunale in composizione collegiale confermava<br />

la decisione impugnata, ritenendo che l’articolo 7<br />

del d.lgs. 74/1992 riserva la tutela in materia di pubblicità<br />

ingannevole all’AGCM, avverso le cui decisioni è ammesso<br />

solo il ricorso al giudice amministrativo.<br />

Né poteva avere rilievo, secondo il giudicante, il comma<br />

14 dello stesso articolo - introdotto dall’articolo 5 del<br />

d.lgs. 67/2000 - nella parte in cui richiama l’art. 3 della legge<br />

281/1998. Tale disposizione, contenendo un generico riferimento<br />

al “giudice competente” innanzi al quale proporre<br />

la tutela collettiva, non poteva essere interpretata in modo<br />

da derogare alla previsione contenuta nell’art. 7, comma<br />

13, d.lgs. 74/1992, che fa salva la giurisdizione del giudice<br />

ordinario in materia di atti di concorrenza sleale e, quanto<br />

alla pubblicità comparativa, per gli atti compiuti in violazione<br />

della legge sul diritto di autore, del marchio d’impresa,<br />

di denominazioni di origine riconosciute e protette in<br />

Italia e di altri segni distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti.<br />

Da qui la conclusione che in tema di pubblicità<br />

ingannevole le associazioni dei consumatori devono rivolgersi<br />

esclusivamente all’Autorità garante ed in sede giurisdizionale<br />

innanzi al Tar.<br />

D’altro canto, ad orientare verso tali conclusioni<br />

concorrevano ragioni di eguaglianza, posto che una soluzione<br />

diversa avrebbe attribuito alle associazioni consumeristiche<br />

una posizione di vantaggio rispetto ai singoli<br />

consumatori ed agli imprenditori, assegnando solo alle<br />

prime la scelta se adire o il giudice ordinario o l’Autorità<br />

ed invece imponendo ai secondi di «seguire la regola del-<br />

IL COMMENTO<br />

di Roberto Conti<br />

la ripartizione tra le due giurisdizioni in base all’oggetto<br />

del contendere».<br />

L’ente esponenziale degli interessi consumeristici,<br />

piuttosto che proseguire un giudizio di merito nel quale difficilmente<br />

si sarebbe potuta ottenere dal tribunale una soluzione<br />

diversa da quella propugnata nella fase cautelare,<br />

decideva di proporre regolamento preventivo di giurisdizione.<br />

D’altronde, non essendo il provvedimento reso sull’istanza<br />

cautelare equiparabile ad una sentenza e risultando<br />

la pronunzia sul reclamo dotata di quello stesso carattere di<br />

provvisorietà proprio del provvedimento cautelare, tale<br />

scelta, almeno in rito, appariva ineccepibile, come non ha<br />

mancato di sottolineare la pronunzia in esame.<br />

Inoltre, un fumus favorevole alla fondatezza nel merito<br />

della prospettazione dell’associazione, favorevole alla<br />

giurisdizione ordinaria, si coglieva già prima della definizione<br />

del procedimento incidentale innanzi alle Sezioni Unite,<br />

allorché il Sostituto Procuratore Generale, nelle sue<br />

conclusioni scritte, chiedeva che fosse ritenuta la giurisdizione<br />

del giudice ordinario; ciò perché il riferimento all’art.<br />

3 legge n. 281/1998, contenuto nell’art. 7 d.lgs. n. 74/1992,<br />

lasciava ritenere che fosse appunto il giudice ordinario a<br />

dovere conoscere delle azioni collettive promosse dalle associazioni.<br />

Né ostava a tale conclusione l’eventuale diversità<br />

di trattamento tra le associazioni ed i singoli, in quanto<br />

la natura collettiva dell’interesse tutelato poteva giustificare,<br />

sul piano della ragionevolezza, la scelta del legislatore.<br />

Orbene, le Sezioni Unite hanno condiviso le conclusioni<br />

della Procura Generale, chiarendo, in via preliminare,<br />

che rispetto alla lite in esame non poteva trovare applicazione<br />

il nuovo Codice del consumo che aveva abrogato<br />

(art. 146, d.lgs. 206/2005) il d.lgs. 74/1992, la legge<br />

281/1998 ed il d.lgs. 67/2000, dovendo ai fini della giurisdizione<br />

considerarsi il quadro normativo vigente all’atto della<br />

proposizione della domanda (art. 5 c.p.c.) (1).<br />

Decisivo è stato ritenuto il già ricordato art. 7 d.lgs.<br />

74/1992 come sostituito dall’articolo 5 d.lgs. 67/2000.<br />

Tale disposizione, sotto la rubrica “Tutela amministrativa<br />

e giurisdizionale” prevede, al comma 14 che «per la<br />

tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli<br />

utenti derivanti dalle disposizioni del presente decreto si<br />

applica l’articolo 3 della legge 281/98»; disposizione,<br />

quest’ultima, che legittima le associazioni consumeristiche<br />

iscritte nell’elenco di cui all’articolo 5 ad agire a tutela<br />

degli interessi collettivi richiedendo al giudice competente<br />

i provvedimenti inibitori del caso.<br />

Orbene, secondo le Sezioni Unite per “giudice<br />

competente” non può certo intendersi l’Autorità Ga-<br />

Nota:<br />

(1) Va solo ricordato che nel nuovo Codice del consumo il sistema di tutela<br />

in tema di pubblicità è disciplinato dagli artt. 26 e 27 che hanno sostituito<br />

la normativa abrogata.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 739


740<br />

GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI CONSUMATORI<br />

rante della Concorrenza e del Mercato che tale non è<br />

mai stato ritenuta, né dalla Corte di Giustizia, né dal<br />

Consiglio di Stato che, anzi, l’aveva qualificata come<br />

un’Amministrazione dello Stato ad ordinamento autonomo<br />

(2). Tale conclusione non poteva nemmeno dirsi<br />

in contrasto con il quadro comunitario dei principi in tema<br />

di pubblicità ingannevole.<br />

Infatti, la normativa comunitaria - dir. 84/54/CEE -<br />

ha previsto la tutela alternativa o concorrente di autorità<br />

amministrative e/o giurisdizionali purché venga garantita<br />

in termini di effettività la lotta alla pubblicità ingannevole.<br />

Concetto che le Sezioni Unite esprimono in termini<br />

tanto chiari quanto significativi: «...Agli Stati<br />

membri era dunque data la possibilità di prevedere forme<br />

di tutela affidate sia in via esclusiva all’autorità amministrativa,<br />

sia in via esclusiva all’autorità giudiziaria, sia all’una<br />

“e” all’altra».<br />

A ciò si aggiungeva, poi, l’ulteriore riserva per i singoli<br />

Stati, garantita dall’art. 7 della stessa direttiva, di approntare<br />

livelli di tutela superiori a quelli minimi fissati a<br />

livello comunitario, non poteva nemmeno dubitarsi che<br />

il “giudice competente” cui si riferisce l’articolo 3 della<br />

legge 281/98 dovesse essere individuato in quello ordinario.<br />

L’interesse fatto valere dall’associazione, del resto,<br />

andava sussunto nella categoria del diritto soggettivo e<br />

non certo in quella dell’interesse legittimo. Del resto, la<br />

natura collettiva di tale interesse, non faceva venir meno<br />

la sua natura di diritto, vieppiù confermata dalla stessa<br />

legge n. 281/1998 che, qualificando come fondamentale<br />

il diritto dei consumatori e degli utenti «ad un’adeguata<br />

informazione e ad una corretta pubblicità», costituiva<br />

ulteriore conferma della correttezza della soluzione<br />

propugnata.<br />

Non è stata nemmeno ritenuta convincente la<br />

preoccupazione, palesata nel corso della fase cautelare,<br />

circa una presunta disparità di trattamento in danno dei<br />

singoli consumatori i quali, riconoscendo alle associazioni<br />

consumeristiche la facoltà di adire il giudice ordinario<br />

per chiedere l’azione collettiva, sarebbero privati di tali<br />

possibilità. Tale diversità di trattamento tra il singolo,<br />

che può rivolgersi solo all’Autorità garante per richiedere<br />

l’inibizione degli atti di pubblicità ingannevole e le associazioni<br />

dei consumatori, legittimate a promuovere<br />

l’azione inibitoria sia alla predetta Autorità (ai sensi dell’articolo<br />

7 cit.) che al giudice ordinario (ex art. 3 della<br />

legge 281/98) si giustifica in ragione della diversa consistenza<br />

delle posizioni giuridiche in contestazione.<br />

Secondo la Corte, la natura stessa dell’interesse collettivo<br />

azionato dall’associazione, che è l’ordinamento a<br />

riconoscere a determinati enti, legittimandoli alla tutela<br />

giurisdizionale rendeva la norma interna compatibile col<br />

quadro costituzionale, anche considerando che la proposizione<br />

seriale ed indefinita di azioni individuali innanzi<br />

al giudice ordinario avrebbe prodotto un «inutile aggravio<br />

del sistema giudiziario e conseguente dispersione di<br />

una risorsa pubblica» con ulteriore «frustrazione…dell’effetto<br />

di incentivazione dell’aggregazione spontanea di<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

più individui in un gruppo esponenziale». Per tali ragioni,<br />

collegate indiscutibilmente anche al fatto che il costo<br />

della lite individuale sarebbe stato a carico del singolo<br />

consumatore, mancando un sistema di tutela dei diritti<br />

individuali omogenei da parte di singoli - che invece è<br />

proprio delle class actions - il sistema interno appariva<br />

equilibrato ed immune da vizi di costituzionalità.<br />

Un precedente di merito (conforme):<br />

Trib. Roma 30 gennaio 2004<br />

Le Sezioni Unite non possono dirsi antesignane dei<br />

principi contenuti nella sentenza in commento.<br />

Già sulla pagine di questa Rivista avevamo - quasi<br />

due anni addietro - favorevolmente commentato la presa<br />

di posizione del tribunale di Roma (3) che, accogliendo<br />

la domanda inibitoria cautelare proposta da due associazioni<br />

consumeristiche nei confronti di un gestore di<br />

telefonia cellulare che si era fatto promotore di una campagna<br />

pubblicitaria relativa a telefonini di c.d. terza generazione<br />

ritenuta ingannevole perché priva di informazioni<br />

ritenute essenziali per il consumatore, aveva ritenuto<br />

la piena compatibilità della tutela inibitoria resa<br />

dal G.O. con i provvedimenti già concretamente adottati<br />

nei confronti del gestore dall’Autorità Garante della<br />

Concorrenza e del Mercato e dal Comitato di controllo<br />

previsto dal Codice di Autodisciplina pubblicitaria. Laddove,<br />

infatti, il comportamento dell’imprenditore si<br />

ponga in contrasto con i “diritti fondamentali” del consumatore<br />

e dell’utente sanciti dall’art. 1 legge n.<br />

281/1998 non poteva dirsi impedito al giudice di intervenire<br />

per impedire, attraverso l’azione inibitoria, la protrazione<br />

delle violazioni. A tali conclusioni si era giunti<br />

rilevando che i meccanismi procedurali attivati in precedenza<br />

dalle stesse associazioni consumeristiche erano<br />

concorrenti con il procedimento dinanzi al giudice ordinario<br />

che si basa sulla valutazione di norme a tutela dei consumatori<br />

che si aggiungono alle ulteriori tutele già azionate dinanzi<br />

ai soggetti giuridici suindicati. Ciò sempreché l’azione<br />

collettiva sia promossa da un’associazione consumeristica<br />

legittimata ai sensi dell’art. 5 legge n. 281/1998, potendosi<br />

rinvenire i giusti motivi di urgenza nel pericolo<br />

di reiterazione dei messaggi pubblicitari decettivi, sempre<br />

perdurante malgrado gli ordini di desistenza e la sospensione<br />

della campagna pubblicitaria adottati rispettivamente<br />

dall’Autorità garante e dal Comitato di controllo.<br />

Ora, non può sfuggire che la soluzione espressa dal<br />

giudice capitolino fa il paio con quella delle Sezioni Unite<br />

anche nella parte in cui sottolinea il carattere fondamentale<br />

dei diritti fondamentali riconosciuti ai consuma-<br />

Note:<br />

(2) Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199, in Foro it., 2002, III, 482;<br />

Cons. Stato n. 260/99.<br />

(3) V. Trib. Roma 30 gennaio 2004, in questa Rivista, 2004, 873 ss., con<br />

nota di Conti, Inibitoria collettiva, pubblicità ingannevole e ritardi del vettore<br />

aereo.


GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI CONSUMATORI<br />

tori ed alle associazioni, fra i quali spicca quello «ad una<br />

adeguata informazione e ad una corretta pubblicità»<br />

(art. 1, comma 2, lettera c), legge n. 281/1998).<br />

Alcune brevi considerazioni:<br />

l’Autorità garante non è giurisdizione<br />

Si è detto che il giudice di legittimità ha negato il carattere<br />

giurisdizionale dell’Autorità Garante argomentando<br />

sulla base di due precedenti resi l’uno dalla Corte di Giustizia<br />

e l’altro dal Consiglio di Stato.<br />

In particolare, Corte giust. CE 31 maggio 2005, in<br />

causa C-53/03, Synetairismos Farmakopoion Aitolias &<br />

Akarnanias e a. è stata chiamata a valutare se l’Autorità<br />

Garante per la Concorrenza greca - Epitropi Antagonismou -<br />

fosse legittimata a proporre questioni pregiudiziali ai sensi<br />

dell’art. 234 CE che, come è noto, riserva tale facoltà alle<br />

giurisdizioni nazionali di merito.<br />

Va premesso che la giurisprudenza comunitaria ha individuato<br />

una serie di criteri quali l’origine legale dell’organo,<br />

il suo carattere permanente, il fatto che applichi regole<br />

di diritto, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, la sua indipendenza,<br />

la natura contraddittoria del procedimento e il<br />

carattere giurisdizionale della sua pronuncia. Sulla base di<br />

tali principi la Corte di Giustizia ha escluso il carattere giurisdizionale<br />

di tale autorità e, conseguentemente, la propria<br />

competenza a decidere i quesiti pregiudiziali sollevati. Nel<br />

contesto della motivazione di tale pronunzia, ci si accorge<br />

che la Corte abbia valutato le caratteristiche ed i poteri riconosciuti<br />

a tale Autorità garante, in particolare sottolineando<br />

che: a) il Ministero per lo sviluppo greco poteva in<br />

qualche modo verificare la legittimità delle decisioni assunte<br />

da tale Autorità; b) la revoca o l’annullamento della<br />

nomina dei membri dell’Autorità non era soggetta a particolari<br />

garanzie; c) ai sensi della legislazione greca il presidente<br />

di detto organo, da un lato, è competente per il coordinamento<br />

e la determinazione dell’indirizzo generale del<br />

segretariato e, dall’altro, è il superiore gerarchico del personale<br />

del medesimo segretariato ed esercita su di esso il potere<br />

disciplinare; d) l’Autorità per la Concorrenza greca, organo<br />

decisionale, presentando un nesso funzionale con il<br />

suo segretariato, organo d’istruzione su proposta del quale<br />

essa decide, non si distingue nettamente, come terzo, dall’organo<br />

statale che, a causa del suo ruolo, può essere equiparato<br />

ad una parte nell’ambito del procedimento in materia<br />

di concorrenza; e) l’Autorità per la Concorrenza, lavorando<br />

in stretta collaborazione con la Commissione europea,<br />

può da questa essere privata della propria competenza<br />

ai sensi dell’art. 11, n. 6, del regolamento (CE) del Consiglio<br />

16 dicembre 2002, n. 1/2003. Tali elementi hanno<br />

quindi indotto la Corte di Giustizia ad escludere che il procedimento<br />

avviato dinanzi a tale Autorità garante potesse<br />

risolversi in una pronuncia di carattere giurisdizionale.<br />

Merita tuttavia di essere precisato che tale soluzione<br />

era stata avversata dall’Avvocato generale Jacobs che, nelle<br />

sue conclusioni depositate il 28 ottobre 2004, aveva invece<br />

ritenuto di poter riconoscere a tale Autorità i parametri<br />

necessari per ritenerla “giurisdizione” ai sensi dell’art.<br />

234 (4). Ed in effetti, in passato il giudice comunitario aveva<br />

dichiarato ricevibile una domanda di pronuncia pregiudiziale<br />

presentata da un’Autorità per la Concorrenza - Tribunal<br />

de Defensa de la Competencia spagnolo - il quale possedeva<br />

molte delle caratteristiche dell’Autorità garante ellenica<br />

per la concorrenza (5). Anch’esso era un organo a<br />

carattere permanente istituito con legge allo scopo di applicare<br />

le regole di concorrenza con un procedimento in<br />

contraddittorio. Anch’esso interveniva a seguito di un rapporto,<br />

presentato nel caso di specie da un organo separato.<br />

Ciò si intende sottolineare solo perché il precedente<br />

evocato dalle Sezioni Unite si inserisce in un panorama<br />

giurisprudenziale comunitario ricco di contraddizioni e di<br />

contrasti, come è reso palese dalle conclusioni rese dall’Avvocato<br />

generale Dàmaso Ruiz-Jarabo Colomer nella causa<br />

C-17/00, François de Coster, il quale così si esprimeva:<br />

«…La giurisprudenza, lungi dall’offrire un quadro di riferimento<br />

sicuro, presenta un panorama confuso e incoerente,<br />

che determina un’incertezza generale. La frequente divergenza<br />

tra le soluzioni proposte dagli avvocati generali e le<br />

pronunce della Corte testimonia l’incertezza giuridica che<br />

circonda la nozione di organo giurisdizionale di uno Stato<br />

membro». Era lo stesso Avvocato generale a ricordare che<br />

«…la prima vittima della situazione è stata proprio la Corte,<br />

che si è espressa in modo oscillante circa la natura di or-<br />

Note:<br />

(4) V. Conclusioni, cit.: «…Alla luce delle due perplessità di cui sopra, la<br />

posizione della Commissione per la concorrenza mi appare essere in preciso<br />

equilibrio. La Commissione si colloca, a mio parere, quasi a metà<br />

strada tra gli organi giurisdizionali e quelli amministrativi aventi talune<br />

caratteristiche giurisdizionali. Tutto sommato, però, ritengo che essa abbia<br />

caratteristiche giurisdizionali sufficienti a qualificarla organo giurisdizionale<br />

nel senso di cui all’art. 234 CE. Quanto alla perizia giuridica di tale<br />

organo, si osservi che, oltre ai due riservati espressamente ai giuristi, altri<br />

due posti spettano a persone di autorità riconosciuta con esperienza in<br />

materia di diritto dell’economia nazionale e comunitario e di politica della<br />

concorrenza. I membri dell’organo sono poi definiti nel provvedimento<br />

di rinvio persone di autorità riconosciuta e di esperienza nel diritto della<br />

concorrenza. Ciò considerato, e atteso che i membri della Commissione<br />

per la concorrenza sono esplicitamente tenuti ad un esercizio dei loro<br />

doveri conforme a legge, sono convinto che il ristretto numero di posti riservati<br />

ad avvocati e giudici non esclude di per sé il carattere giurisdizionale<br />

del detto organo. Sarebbe peraltro lecito attendersi una percentuale<br />

più bassa di giuristi in senso stretto in un organo giurisdizionale preposto<br />

ad un settore tecnicamente così complesso come il diritto della concorrenza,<br />

dove, oltre alle qualificazioni giuridiche, è necessaria anche un’esperienza<br />

di economia e di commercio. Quanto ai legami strutturali tra la<br />

Commissione per la concorrenza e il suo Segretariato, ritengo che essi<br />

non siano così marcati da prevalere sugli altri fattori denotanti lo status<br />

giurisdizionale. Anzitutto, non trovo probabile che l’esercizio di poteri disciplinari<br />

sul Segretariato da parte del Presidente influisca sullo svolgimento<br />

di una data indagine. Poi, anche a condividere l’opinione contraria,<br />

mi sembra che per garantire una separazione a livello operativo nel<br />

corso delle indagini sia sufficiente il contraddittorio assicurato dalla Commissione<br />

per la concorrenza, il quale risulta offrire adeguate possibilità a<br />

tutte le parti di svolgere osservazioni, assicurando in tal modo l’adozione<br />

di una decisione finale equa».<br />

(5) Corte giust. CE 16 luglio 1992, causa n. C-67/91, Asociación Española<br />

de Banca Privada e a. (in Racc., 1992, I-4785), in cui la Corte si è pronunciata<br />

su varie questioni pregiudiziali sottopostele dal Tribunal de Defensa de<br />

la Competencia spagnolo che, incorporato nel Ministero dell’Economia,<br />

non fa parte del potere giudiziario, e le cui decisioni sono sempre impugnabili<br />

dinanzi ai giudici amministrativi.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 741


742<br />

GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI CONSUMATORI<br />

gano giurisdizionale di molti organi che le hanno deferito<br />

questioni pregiudiziali, talvolta senza spiegare i motivi che<br />

l’hanno indotta a pronunciarsi in un senso o nell’altro».<br />

Sembra tuttavia indiscutibile - ed in linea con quanto<br />

ritenuto dal Consiglio di Stato nei due precedenti ricordati<br />

dalle Sezioni Unite (6) - che l’Autorità garante non<br />

sia né direttamente né indirettamente un giudice nazionale<br />

(7). Tale conclusione, del resto, trova conferma diretta<br />

nel nuovo Codice del consumo che all’art. 139, comma 2,<br />

conferisce agli organismi pubblici indipendenti la legittimazione<br />

ad esperire l’azione inibitoria di cui all’art. 140, nei<br />

confronti di atti o comportamenti lesivi per i consumatori del<br />

proprio Paese. È palese, dunque, che l’Autorità garante che<br />

può assumere la qualità di parte nell’ambito di un’azione<br />

inibitoria non può essere considerata giurisdizione. Esce<br />

così rafforzato il convincimento che l’Autorità Garante<br />

per la Concorrenza italiana si qualifica in termini di assoluta<br />

specificità rispetto agli organi amministrativi dai quali,<br />

tuttavia, non perde tuttavia ogni contatto. D’altra parte,<br />

tale soluzione si armonizza con quanto espresso dal giudice<br />

di legittimità a proposito dell’Autorità garante della<br />

privacy (8).<br />

La tutela inibitoria in tema di pubblicità<br />

e la dir. 2005/29/CE in materia<br />

di pratiche commerciali abusive<br />

Bene hanno fatto le Sezioni Unite a chiarire che la riconosciuta<br />

giurisdizione ordinaria in tema di inibitoria collettiva<br />

si pone in linea con l’ordinamento comunitario. Così<br />

come corretto è stato il richiamo alla dir. 84/54/CEE in tema<br />

di pubblicità ed alle regole imposte ai fini della tutela individuale<br />

e collettiva ivi fissate, nelle quali viene demandata<br />

in modo inequivoco ai singoli Stati la scelta delle modalità<br />

di protezione dei diritti garantiti a livello comunitario.<br />

Ma tali conclusioni meritano qualche riflessione ulteriore.<br />

Esse, in buona sostanza, sembrano confermare quel<br />

trend particolarmente avvertito nell’ordinamento interno<br />

volto a collegare quasi naturalmente la tutela inibitoria all’autorità<br />

giudiziaria, soprattutto quando la natura della situazione<br />

giuridica soggettiva da tutelare gode di una particolare<br />

rilevanza nell’ordinamento. In questa direzione spinge,<br />

del resto - e le Sezioni Unite ne danno atto - la rilevanza<br />

della protezione del consumatore - espressa dapprima<br />

dall’art. 1 della legge n. 281/1998 ed ora dall’art. 1 del Codice<br />

del consumo attraverso il rinvio espresso alla fonte costituzionale<br />

ed ai principi contenuti nel Trattato CE (9) - .<br />

E tuttavia, nell’ordinamento comunitario tale equazione<br />

non si coglie in maniera definita, risultando invece<br />

particolarmente approfondita, in quella sede, la tematica in<br />

ordine al contenuto delle azioni inibitorie. Appare così corretto<br />

affermare che nella sede comunitaria, anche in ragione<br />

delle disarmonie riscontrate all’interno dei diversi<br />

orientamenti, si ammette, in linea di principio, che tale<br />

strumento di tutela possa essere adeguatamente attuato anche<br />

da autorità non giurisdizionali.<br />

Il problema è stato lucidamente esposto dalla dottrina<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

(10) sottolineandosi che «dalla disciplina comunitaria provengono<br />

indicazioni che sollecitano una maggiore flessibilità<br />

del modello, nel senso che le direttive sovente suggeriscono<br />

di ampliare la cerchia degli organi di valutazione della<br />

fattispecie e di definizione delle controversie».<br />

Ecco che la soluzione prescelta dal giudice di legittimità<br />

si muove all’interno dei confini tracciati dall’ordinamento<br />

comunitario anche se non manca di sottolineare un<br />

quasi connaturale feeling tra giudice ordinario e tutela collettiva.<br />

Parimenti significativo è risultato il riferimento - operato<br />

dalla pronunzia in esame - alla norma di chiusura che<br />

Note:<br />

(6) Si è del resto ritenuto che riconoscere nell’ambito dei procedimenti<br />

antitrust «il diritto al contraddittorio ed alla difesa per le parti private non<br />

implica certo il contestuale riconoscimento della natura para-giurisdizionale<br />

dell’organo alla cui competenza quei procedimenti sono attribuiti»<br />

(Cons. Stato, sez. VI, 12 febbraio 2001, n. 652, in Cons. Stato, 2001, I,<br />

258; Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199, cit.).<br />

(7) Clarich, Garanzia del contraddittorio nel procedimento, Intervento tenuto<br />

al Convegno su “Le Autorità amministrative indipendenti”, in memoria di<br />

Vincenzo Caianiello, Roma, Palazzo Spada, 9 maggio 2003, in www.giustizia-amministrativa.it:<br />

«…La tesi ora sommariamente enunciata tende in<br />

definitiva a qualificare le Autorità indipendenti (o almeno alcune di esse<br />

e in special modo l’Autorità garante della concorrenza e del mercato), come<br />

organi “paragiurisdizionali”, espressione controversa, criticata talora<br />

in modo radicale come una “sofisticazione dialettica impropria”. Secondo<br />

la stessa giurisprudenza ordinaria e amministrativa, formatasi su casi riguardanti<br />

le Autorità indipendenti, l’ordinamento “non conosce un tertium<br />

genus tra amministrazione e giurisdizione» e dunque nel sistema costituzionale<br />

non vi è «una figura di paragiurisdizionalità a sé stante”. Nello<br />

stesso senso si è ritenuto che riconoscere, in particolare nell’ambito dei<br />

procedimenti antitrust, il diritto al contraddittorio ed alla difesa per le<br />

parti private non implica il contestuale riconoscimento della natura paragiurisdizionale<br />

dell’organo alla cui competenza quei procedimenti sono<br />

attribuiti. V. sul tema Tesauro, Esiste un ruolo paragiurisdizionale dell’Autorità<br />

Antitrust nella promozione della concorrenza?, in Le autorità indipendenti<br />

e il buon funzionamento dei mercati, a cura di Kostoris - Padoa Schioppa,<br />

Milano, 2002, 169.<br />

(8) V. Cass. 20 maggio 2002, n. 7341, in Foro it., 2002, 2680, con nota di<br />

M. Granieri, Il Garante dei dati personali ed il baricentro (sbilanciato) della tutela<br />

forte dei diritti della personalità, che, con specifico riferimento alla natura<br />

ed al ruolo della Autorità Garante della privacy ed ai rapporti di quest’ultima<br />

con la giurisdizione, ha ritenuto che «l’ordinamento anzitutto non<br />

conosce un tertium genus tra amministrazione e giurisdizione, alle quali la<br />

Costituzione riserva rispettivamente, per distinguerne e disciplinarne le attività,<br />

gli artt. 111 e 97. Non vi è nel sistema costituzionale una figura di<br />

paragiurisdizionalità a se stante, distinta dalle due predette, ma piuttosto<br />

con l’uso di tale termine descrittivo si suole diffusamente indicare organi<br />

pubblici dotati di poteri la cui collocazione ha suscitato dubbi. (...) l’art.<br />

102 della Costituzione stabilisce che la funzione giurisdizionale è esercitata<br />

da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento<br />

giudiziario. Quindi al secondo comma vieta l’istituzione di giudici speciali<br />

e straordinari. (...) il ricorso al Giudice ordinario in opposizione al provvedimento<br />

del Garante non può essere inteso che come primo rimedio giurisdizionale<br />

disposizione del soggetto che si pretende leso dall’atto del Garante.<br />

Il Garante partecipa al giudizio di impugnativa di un suo atto quale<br />

sia stato il procedimento che lo ha preceduto per far valere davanti al giudice<br />

lo stesso interesse pubblico in funzione del quale essa è predisposto».<br />

(9) Su tali questioni sia consentito il rinvio a Conti, Il nuovo codice del<br />

consumo. Una svolta epocale nella tutela del consumatore e del mercato. Spunti<br />

sul rilievo costituzionale e sovranazionale della tutela consumeristica, in<br />

www.ilquotidianogiuridico.it.<br />

(10) Cuffaro, La tutela dei diritti, in Trattato di diritto privato europeo, a cura<br />

di Lipari, Milano, 2002, IV, 692.


GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI CONSUMATORI<br />

consente in ogni caso ai singoli Stati di apprestare gradi di<br />

tutela più elevati rispetto a quelli - minimali - fissati nel testo<br />

comunitario. In quella prospettiva, pertanto, l’avere attribuito<br />

alle associazioni consumeristiche il potere di azionare<br />

la tutela collettiva in materia pubblicitaria innanzi al<br />

giudice ordinario - oltre che davanti all’Autorità di Concorrenza<br />

- non produceva alcun vulnus al diritto di matrice<br />

comunitario che aveva anzi lasciato spazio alle legislazioni<br />

nazionali per ulteriormente approfondire una tutela<br />

solo armonizzata in materia di pubblicità e non ancora<br />

uniformata.<br />

Occorre a questo punto chiedersi se la soluzione resa<br />

dalle Sezioni Unite potrà rimanere valida dopo l’attuazione<br />

della recente dir. 2005/29/CE in tema di pratiche commerciali<br />

sleali. Tale strumento normativo, che si applica a tutte<br />

le transazioni delle imprese con il consumatore nei casi<br />

in cui questo viene influenzato da una pratica commerciale<br />

sleale il cui intento è quello di influire sulle decisioni di<br />

natura commerciale dei consumatori relative a prodotti,<br />

completa la tutela già offerta a proposito della pubblicità<br />

ingannevole e armonizza interamente la normativa vigente<br />

in questo settore.<br />

Nello spirito generale di tale direttiva (11) risulta assai<br />

ridotto il potere conferito ai singoli Stati di aumentare il<br />

livello di tutela in favore del consumatore. Anzi, la modifica<br />

dell’art. 7 della dir. 84/450/CEE operata dall’art. 14 dir.<br />

2005/29/CE ha inciso profondamente proprio sul potere<br />

degli Stati di ampliare le forme di tutela in materia di pubblicità<br />

in favore dei consumatori, ammettendole solo quando<br />

è diretto a salvaguardare gli interessi dei soli professionisti<br />

e concorrenti. Se è quindi vero che la direttiva in esame,<br />

proseguendo sulla linea sperimentata, sul versante giurisprudenziale,<br />

a proposito della <strong>responsabilità</strong> da prodotto<br />

difettoso - cfr. Corte giust. CE 25 aprile 2002, Commissione<br />

c. Francia e Commissione c. Grecia - non autorizza, in generale,<br />

i singoli Paesi ad approntare una tutela maggiormente<br />

favorevole al consumatore, non per questo la soluzione divisata<br />

dalle Sezioni Unite sembra destinata, una volta attuata<br />

la dir. 2005/29/CE, a rimanere lettera morta.<br />

Ed infatti, l’impianto generale della direttiva in tema<br />

di pubblicità - ha pure ricordato Cass. 7036/2006 - resta immutato<br />

e con esso la possibilità di scelta dei singoli Stati in<br />

ordine a quali mezzi - giurisdizionali o amministrativi - si<br />

debba ricorrere e se le azioni giudiziarie possano essere promosse<br />

singolarmente o congiuntamente contro più professionisti<br />

- art. 4, par. 1, dir. 84/450/CEE - .<br />

In questa prospettiva la possibilità di attribuire alle associazioni<br />

dei consumatori una tutela giudiziaria aggiuntiva<br />

innanzi al giudice ordinario non sembra vulnerare né la lettera<br />

né lo spirito della normativa sovranazionale.<br />

Anzi, rispetto alle preoccupazioni palesate dal giudice<br />

torinese - e comunque disattese dalla Corte di Cassazione -<br />

circa un deficit di ragionevolezza della disposizione interna<br />

nella parte in cui garantisce solo alle associazioni dei consumatori<br />

una tutela poziore rispetto a quella attribuita ai<br />

singoli consumatori, è appena il caso di rammentare che la<br />

disparità di trattamento, anche se esistente, non avrebbe<br />

comunque giustificato l’abrogazione della normativa, riguardando<br />

l’ipotizzato vulnus non le associazioni consumeristiche,<br />

che appunto tale tutela si erano viste attribuire, ma<br />

semmai quei soggetti (id est i singoli consumatori) che non<br />

potevano godere di una simile forma di tutela.<br />

Ma, a prescindere da tale considerazione, emerge in<br />

modo evidente, se almeno si limita l’analisi ai rapporti fra<br />

tutela individuale e tutela collettiva degli interessi consumeristici,<br />

che il riconoscimento aggiuntivo di tale forma di<br />

tutela si giustifica non solo in ragione dello spessore contenutistico<br />

dell’interesse collettivo sotteso alla legittimazione<br />

dell’associazione inserita negli elenchi ministeriali, ma anche<br />

della maggiore effettività della tutela inibitoria collettiva.<br />

Più volte è stato sottolineato come l’interesse collettivo,<br />

non coincidendo con la somma dei singoli interessi<br />

dei consumatori, guarda ad una prospettiva superindividuale<br />

che merita attenzione e tutela superiori rispetto a<br />

quella individuale proprio perché è tale strumento ad essere<br />

nella maggior parte dei casi quello più idoneo a conferire<br />

una tutela effettiva al consumatore.<br />

Tali affermazioni fanno il paio con una sempre maggiore<br />

attenzione delle giurisdizioni sul tema della tutela degli<br />

interessi consumeristici patrocinata dalle associazioni<br />

di consumatori. Basti, all’uopo ricordare la recente presa di<br />

posizione del Consiglio di Stato in punto di legittimazione<br />

delle associazioni a ricorrere contro i provvedimenti dell’Autorità<br />

Antitrust in materia di pubblicità ingannevole.<br />

In tale contesto, il giudice amministrativo ha chiarito che<br />

il ruolo delle associazioni dei consumatori non può essere<br />

limitato alla presentazione di una richiesta all’Autorità<br />

amministrativa volta ad ottenere l’inibitoria di una pubblicità<br />

ingannevole, ma si estenda anche alla possibilità di<br />

contestare in giudizio il mancato intervento dell’Autorità<br />

garante. Ciò perché una diversa interpretazione condurrebbe,<br />

sotto il profilo interno, a non rendere effettiva la tutela<br />

giurisdizionale dei consumatori e delle relative associazioni<br />

rappresentative e, sul fronte comunitario, ad un<br />

contrasto con le menzionate disposizioni della direttiva n.<br />

450/84 del Consiglio. Si è così concluso che le associazioni<br />

dei consumatori sono legittimate, a tutela degli interessi<br />

dei consumatori che rappresentano, a contestare in giudizio<br />

il provvedimento con cui l’Autorità garante ritiene<br />

non ingannevole un determinato messaggio pubblicitario<br />

- cfr. Cons. Stato n. 280/2005 - . Si tratta, all’evidenza, di<br />

un’ulteriore risultato prodotto dall’avvento del principio<br />

di effettività della tutela giurisdizionale, principio immanente<br />

al sistema e che riceve protezione a livello costituzionale,<br />

laddove è desumibile da diverse disposizioni (artt.<br />

24, 103, 111 e 113 Cost.), le quali assicurano tutela integrale<br />

alla situazione soggettiva del privato, ed è tipico dell’ordinamento<br />

di uno Stato democratico - così, testualmente<br />

Cons. Stato n. 3865/04 -<br />

Nota:<br />

(11) Per un primo commento, volendo, v. Conti, Direttiva 2005/29/CE:<br />

pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, in www.ilquotidianogiuridico.it.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 743


744<br />

GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI CONSUMATORI<br />

D’altra parte, la capacità pervasiva della tutela inibitoria<br />

collettiva (12), sganciata dall’iniziativa individuale e<br />

come tale idonea a produrre effetti ben maggiori rispetto a<br />

quelli che il singolo consumatore potrebbe sperare di ottenere<br />

attraverso la protezione individuale, è essa stessa motivo<br />

che già ne giustifica l’esistenza sia innanzi all’autorità<br />

indipendente che davanti al giudice ordinario.<br />

È dunque seguendo questa attenzione alla dimensione<br />

superindividuale dell’interesse collettivo che le Sezioni<br />

Unite, utilizzando l’espressione “diritto soggettivo (sia pure<br />

collettivo)” per descrivere la posizione dell’associazione dei<br />

consumatori che agisce in via inibitoria innanzi al G.O. per<br />

eliminare una pubblicità illecita, colgono insieme le problematicità<br />

di una definizione che - prima nell’art. 1 della<br />

legge n. 281/1998 ed ora nell’art. 2 del Codice del consumo<br />

- accomuna “i diritti e gli interessi individuali e collettivi”,<br />

sotto la rubrica diritti dei consumatori, poi attribuendo ai soli<br />

consumatori ed utenti i diritti fondamentali fra i quali appunto<br />

contempla quello ad una corretta pubblicità.<br />

In realtà, le argomentazioni espresse dal giudice di legittimità<br />

confermano la correttezza del principio che riconduce<br />

all’interesse collettivo posizioni giuridiche soggettive volta<br />

a volta sussumibili nell’ambito dei diritti soggettivi o degli<br />

interessi legittimi (13), rappresentando l’interesse collettivo<br />

la dimensione superindividuale di quelle posizioni che il<br />

codice del consumo ha voluto proteggere, appunto, sia in<br />

forma individuale che collettiva.<br />

La Corte, proseguendo il proprio iter motivazionale,<br />

ha così descritto in modo mirabile l’interesse collettivo fin<br />

dal suo nascere allorché ha riconosciuto che «gli interessi<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

diffusi (in quanto pertinenti alla sfera soggettiva di più individui<br />

in relazione alla loro qualificazione o in quanto<br />

considerati nella loro particolare dimensione) sono “adespoti”<br />

e possono essere tutelati in sede giudiziale solo in<br />

quanto il legislatore attribuisca ad un ente esponenziale la<br />

tutela degli interessi dei singoli componenti una collettività,<br />

che così appunto assurgono al rango di interessi “collettivi”».<br />

Ed è proprio su questa china che la Cassazione sottolinea<br />

come l’incremento delle azioni individuali seriali innanzi<br />

al G.O. avrebbe l’effetto di frustrare l’incentivazione<br />

all’aggregazione spontanea di più individui in un gruppo<br />

esponenziale.<br />

Si tratta di un’affermazione matura e al passo con i<br />

tempi che va condivisa.<br />

Anche se essa, pur attenta all’assenza attuale di un sistema<br />

di class actions che lasci indenne il singolo dai costi<br />

del processo per ottenere il danno propagatosi in un numero<br />

rilevante di volte nei confronti di soggetti diversi, non<br />

deve essere letta come esclusione del potere inibitorio individuale<br />

nell’ambito generale della tutela dei diritti del consumatore.<br />

Tema che, per la sua complessità, meriterà un’analisi<br />

particolareggiata.<br />

Note:<br />

(12) Armone, La tutela inibitoria, in Trattato di diritto privato europeo, a cura<br />

di Lipari, Milano, 2003, IV, 719 ss.<br />

(13) Polidori, La tutela collettiva dei consumatori nei confronti dei gestori di<br />

servizi pubblici, op. cit.


Svolgimento del processo<br />

... Omissis...<br />

Motivi della decisione<br />

Con il primo motivo viene denunciata la violazione e la<br />

falsa applicazione dell’art. 6, n. 1, della Convenzione per<br />

la salvaguardia dei diritti dell’uomo ratificata con la legge<br />

4 agosto 1955, n. 848, in relazione all’art. 360 c.p.c.,<br />

n. 3, e si contesta l’affermazione secondo cui solo dalla<br />

data di entrata in vigore della legge n. 89 del 2001 sarebbe<br />

sorto il diritto all’equa riparazione, prima non esistente<br />

nel vigente sistema positivo, con la conseguente<br />

esclusione della legittimazione degli eredi alla proposizione<br />

della domanda di equo indennizzo per l’eccessiva<br />

durata di un processo instaurato dal loro dante causa prima<br />

di tale data.<br />

La questione è stata sinora decisa in senso negativo dalla<br />

giurisprudenza di questa Corte la quale ha considerato<br />

che la legge n. 89 del 2001 contempla senza limitazioni<br />

temporali le violazioni del canone di ragionevole durata<br />

del processo verificatesi dopo la ratifica della Convenzione<br />

dei diritti dell’uomo, ma che, in assenza di una<br />

espressa previsione di retroattività della norma interna<br />

costitutiva del diritto all’equo indennizzo, resta esclusa la<br />

nascita di tale diritto in capo a un soggetto deceduto prima<br />

della sua entrata in vigore e, conseguentemente, la<br />

sua trasmissibilità agli eredi (Cass. 11 dicembre 2002, n.<br />

17650; 14 gennaio 2003, n. 360); e ciò anche se la parte,<br />

poi deceduta, avesse già proposto ricorso alla Corte di<br />

Strasburgo in quanto la fattispecie riparatoria prevista<br />

GIURISPRUDENZA•EQUA RIPARAZIONE<br />

Irragionevole durata del processo<br />

Le Sezioni Unite e l’equa riparazione<br />

per la lunghezza dei processi<br />

CASSAZIONE CIVILE, Sez. Un., 23 dicembre 2005, n. 28507<br />

Pres. Carbone - Rel. Ugo - P.M. Iannelli (conf.) - C. S. C. c. Presidenza del Consiglio dei Ministri<br />

Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali - Processo equo - Termine ragionevole - Diritto<br />

all’equa riparazione - Trasmissibilità iure hereditario - Ammissibilità.<br />

(Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 2)<br />

Il fatto costitutivo del diritto all’indennizzo attribuito dall’art. 2 legge 24 marzo 2001, n. 89 coincide<br />

con la violazione dell’art. 6 Convenzione europea per i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, di<br />

immediata rilevanza nel diritto interno.<br />

Di conseguenza, il diritto all’equa riparazione del pregiudizio derivato dalla non ragionevole durata del<br />

processo verificatosi prima dell’entrata in vigore della legge 24 marzo 2001, n. 89 va riconosciuto dal<br />

giudice nazionale anche in favore degli eredi della parte che abbia introdotto prima di tale data il giudizio<br />

del quale si lamenta la non ragionevole durata, col solo limite che la domanda di equa riparazione<br />

non sia stata già proposta alla Corte di Strasburgo e che questa si sia pronunciata sulla sua ricevibilità.<br />

dalla normativa comunitaria non costituiva un diritto<br />

azionabile dinanzi a un giudice diverso da quello europeo.<br />

Tali considerazioni trovavano un ulteriore elemento<br />

di conferma nel rilievo che la norma transitoria della<br />

legge n. 89 del 2001, art. 6 aveva natura di norma sostanziale<br />

e non processuale e non prevedeva alcun traslatio<br />

iudicii ma consentiva unicamente una circoscritta e limitata<br />

applicazione retroattiva del nuovo istituto dell’equa<br />

riparazione con riferimento ai soli giudizi per i quali<br />

si fosse già avuto il tempestivo deposito del ricorso dinanzi<br />

alla Corte di Strasburgo e non fosse ancora intervenuta<br />

una dichiarazione di ricevibilità del ricorso stesso<br />

(Cass. 4 aprile 2003, n. 5264).<br />

Ciò premesso, merita accoglimento l’invito a riconsiderare<br />

la fondatezza di tale orientamento interpretativo,<br />

contenuto nell’ordinanza di rimessione, sulla base dell’evoluzione<br />

della giurisprudenza delle Sezioni Unite le<br />

quali, con le sentenze in data 26 gennaio 2004, nn.<br />

1339, 1340 e 1341 hanno identificato il fatto costitutivo<br />

prefigurato dalla legge n. 89 del 2001, art. 2 proprio nel<br />

mancato rispetto del termine ragionevole di durata del<br />

processo stabilito dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia<br />

dei diritti dell’uomo, e hanno negato, conseguentemente,<br />

che la fattispecie prevista dalla norma interna<br />

assumesse connotati diversi da quelli stabiliti dalla<br />

Convenzione, rispetto alla quale essa andrebbe considerata<br />

non già costitutiva del diritto all’equa riparazione<br />

per la non ragionevole durata del processo, bensì unicamente<br />

istitutiva della via di ricorso interno, prima inesistente,<br />

diretta ad assicurare una tutela pronta ed efficace<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 745


746<br />

GIURISPRUDENZA•EQUA RIPARAZIONE<br />

alla vittima della violazione del canone di ragionevole<br />

durata del processo in attuazione del disposto dell’art. 13<br />

della Convenzione il quale stabilisce il diritto a un ricorso<br />

effettivo davanti a un’istanza nazionale il cui esperimento<br />

preventivo opera, a norma dell’art. 35 Convenzione<br />

citata, come condizione di procedibilità del ricorso<br />

alla Corte di Strasburgo che, ai sensi dell’art. 34 Convenzione<br />

citata, era proponibile in via immediata e diretta<br />

prima dell’introduzione del ricorso negli ordinamenti<br />

nazionali.<br />

Va ricordato al riguardo che l’art. 1 della Convenzione<br />

stabilisce che le Parti Contraenti riconoscono ad ogni<br />

persona soggetta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà<br />

definiti dal titolo primo della Convenzione, tra i quali è<br />

compreso il diritto ad un processo equo e di durata ragionevole<br />

(art. 6 citato), che dev’essere tutelato attraverso il<br />

ricorso a un’istanza nazionale (art. 13 citato), la cui introduzione<br />

nell’ordinamento vigente è avvenuta tardivamente,<br />

solo a seguito del moltiplicarsi delle condanne nei<br />

confronti dello Stato in sede comunitaria per il pregiudizio<br />

derivante dalla non ragionevole durata dei processi.<br />

La legge 4 agosto 1955, n. 648, provvedendo a ratificare<br />

e rendere esecutiva la Convenzione, ha introdotto nell’ordinamento<br />

interno i diritti fonda mentali, aventi natura<br />

di diritti soggettivi pubblici, previsti dal titolo primo<br />

della Convenzione e in gran parte coincidenti con quelli<br />

già indicati nell’art. 2 Cost., rispetto al quale il dettato<br />

del la Convenzione assume una portata confermativa ed<br />

e semplificativa (Corte cost. 22 ottobre 1999, n. 388).<br />

La natura immediatamente precettiva delle norme convenzionali<br />

a seguito di ratifica dello strumento di diritto<br />

internazionale è stata già del resto riconosciuta esplicitamente<br />

dalla giurisprudenza di questa Corte che ha affermato<br />

l’avvenuta abrogazione della r.d.l. 31 maggio 1946,<br />

n. 511, art. 34, comma 2, nella parte in cui escludeva la<br />

pubblicità della discussione della causa nel giudizio disciplinare<br />

a carico di magistrati per contrasto con la regola<br />

della pubblicità delle udienze sancito dall’art. 6 della<br />

Convenzione che pone precisi limiti alla discussione<br />

della causa a porte chiuse (SS.UU. 10 luglio 1991, n.<br />

7662); parimenti ha riconosciuto il carattere di diritto<br />

soggettivo fondamentale, insopprimibile anche dal legislatore<br />

ordinario, al diritto all’imparzialità del giudice<br />

nell’amministrazione della giustizia, con richiamo all’art.<br />

6 della Convenzione (Cass. 26 marzo 2002, n. 4297), e,<br />

infine, ha espressamente riconosciuto la natura sovraordinata<br />

alle norme della Convenzione sancendo l’obbligo<br />

per il giudice di disapplicare la norma interna in contrasto<br />

con la norma pattizia dotata di immediata precettività<br />

nel caso concreto (Cass. 19 luglio 2002, n. 10542).<br />

Deve essere quindi superato l’orientamento secondo cui<br />

la fonte del riconoscimento del diritto all’equa riparazione<br />

dev’essere ravvisata nella sola normativa nazionale<br />

(Cass. 26 luglio 2002, n. 11046; 8 agosto 2002, n. 11987;<br />

22 novembre 2002, n. 16502; 10 aprile 2003, n. 5664; 10<br />

settembre 2003, n. 13211) e ribadito il principio che il<br />

fatto costitutivo del diritto all’indennizzo attribuito dal-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

la legge nazionale coincide con la violazione della norma<br />

contenuta nell’art. 6 della Convenzione, di immediata<br />

rilevanza nel diritto interno.<br />

Né appare meritevole di consenso la distinzione adombrata<br />

in sede di discussine orale, tra diritto ad un processo<br />

di ragionevole durata, introdotto dalla Convenzione<br />

per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (o addirittura ad<br />

essa preesistente - come valore costituzionalmente protetto),<br />

e diritto all’equa riparazione, che sarebbe stato introdotto<br />

solo con la legge n. 89 del 2001, in quanto la tutela<br />

assicurata dal giudice nazionale non si discosta da<br />

quella precedentemente offerta dalla Corte di Strasburgo,<br />

alla cui giurisprudenza è tenuto a conformarsi il giudice<br />

nazionale (SS.UU. 26 gennaio 2004, n. 1340).<br />

Da ciò consegue che il diritto all’equa riparazione del pregiudizio<br />

derivato dalla non ragionevole durata del processo<br />

verificatosi prima dell’entrata in vigore della legge n. 89<br />

del 2001 va riconosciuto dal giudice nazionale anche in<br />

favore degli eredi della parte che abbia introdotto prima di<br />

tale data il giudizio del quale si lamenta la non ragionevole<br />

durata, col solo limite che la domanda di equa riparazione<br />

non sia stata già proposta alla Corte di Strasburgo e<br />

che questa si sia pronunciata sulla sua ricevibilità.<br />

L’accoglimento del primo motivo di ricorso non preclude<br />

l’esame del secondo motivo, avente natura autonoma,<br />

con il quale si lamenta il vizio di motivazione su un<br />

punto decisivo della controversia con riferimento all’affermazione,<br />

posta a fondamento della statuizione di rigetto<br />

della domanda di equa riparazione per l’eccessiva<br />

durata dei processi pen denti dinanzi al giudice amministrativo,<br />

secondo cui la mancata o tardiva presentazione<br />

dell’istanza di prelievo escluderebbe la permanenza di un<br />

interesse alla decisione in capo al ricorrente, non essendo<br />

dato riscontare l’esistenza di una presunzione generale<br />

in tal senso.<br />

Va premesso al riguardo che nel sistema vigente prima<br />

dell’entrata in vigore della legge n. 205 del 2000 - al quale<br />

deve farsi riferimento per i giudizi dei quali si lamenta<br />

nella specie la non ragionevole durata - il processo amministrativo<br />

richiede, dopo il deposito del ricorso, un solo<br />

necessario, infungibile impulso di parte costituito dalla<br />

presentazione nei due anni dal deposito del ricorso (o<br />

dall’ultimo atto della procedura quando venga ordinata<br />

un’attività istruttoria o la causa sia stata cancellata dal<br />

ruolo) di un’apposita istanza di fissazione, in mancanza<br />

della quale la causa si estingue per perenzione; una volta<br />

presentata tale istanza, infatti, il processo è dominato dal<br />

potere di iniziativa del giudice e non costituisce, perciò,<br />

adempimento necessario l’istanza di prelievo del ricorso<br />

dal ruolo, prevista dal r.d. n. 642 del 1907, art. 51, comma<br />

2, che ha il solo fine di fare dichiarare il ricorso urgente<br />

onde ottenerne la trattazione anticipata sovvertendo<br />

l’ordine cronologico di iscrizione delle domande<br />

di fissazione dell’udienza di discussione.<br />

Orbene, con riferimento al problema dell’individuazione<br />

del momento iniziale dal quale decorre la durata del<br />

procedimento amministrativo instaurato prima dell’en-


trata in vigore della legge n. 205 del 2000 la giurisprudenza<br />

prevalente afferma che esso coincide con quello<br />

della presentazione dell’istanza di prelievo, ritenendo<br />

sufficiente a tal fine l’onere posto a carico del ricorrente<br />

di avvalersene per trarre il ricorso da una condizione di<br />

quiescenza e ottenerne l’effettiva trattazione, in considerazione<br />

del fatto che la legge n. 89 del 2001, art. 2, comma<br />

2 esclude l’addebitabilità all’Amministrazione dei<br />

tempi imputabili alla negligente condotta della parte<br />

che non si sia avvalsa dello strumento acceleratorio posto<br />

a sua disposizione, sicché solo dalla momento della<br />

presentazione di tale istanza il decorso del tempo potrebbe<br />

considerar si parametro esclusivo di valutazione del<br />

comportamento del giudice adito al fine di valutare la<br />

ragionevolezza della durata del processo (Cass. 5 novembre<br />

2002, n. 15445; 14 novembre 2002, n. 15992; 17<br />

aprile 2003, n. 6180; 1° dicembre 2004, n. 22503).<br />

A tale interpretazione si contrappone un orientamento<br />

minoritario secondo cui la mancata presentazione dell’istanza<br />

di prelievo non può influire sul calcolo dei termini<br />

del processo, ma potrebbe incidere unicamente sulla<br />

determinazione dell’entità dell’equa riparazione spettante<br />

con riferimento al dettato dell’art. 2056 c.c. richiamato<br />

nella legge n. 89 del 2001, art. 2, che a sua volta richiama<br />

l’art. 1227 c.p.c., il quale al comma 2, esclude il<br />

risarcimento dei danni che il danneggiato avrebbe potuto<br />

evitate usando l’ordinaria diligenza, col risultato che<br />

la durata irragionevole del processo, ancorché accertata,<br />

non potrebbe porsi esclusivamente a carico dello Stato<br />

(Cass. 6 marzo 2003, n. 3347).<br />

GIURISPRUDENZA•EQUA RIPARAZIONE<br />

Va segnalato che successivamente alla ordinanza di rimessione<br />

degli atti al Primo Presidente, è intervenuta<br />

una nuova pronuncia (Cass. 13 dicembre 2004, n.<br />

23187) con la quale, in adesione all’orientamento ripetutamente<br />

espresso dalla giurisprudenza della Corte di<br />

Strasburgo, ha già proceduto alla revisione dell’interpretazione<br />

sinora prevalente affermando che la lesione del<br />

diritto ad una ragionevole durata del processo va riscontrata,<br />

anche per le cause proposte davanti al giudice amministrativo,<br />

con riferimento al periodo di tempo decorso<br />

dall’instaurazione del procedimento, senza che su di<br />

esso possa incidere la mancata o ritardata presentazione<br />

dell’istanza di prelievo.<br />

Tale interpretazione, che ha incontrato il con senso delle<br />

decisioni che si sono succedute sulla questione in esame<br />

(Cass. 21 settembre 2005, n. 18759; 12 ottobre 2005, n.<br />

19801), merita ulteriore conferma in considerazione del<br />

fatto - evidenziato nella motivazione della citata pronuncia<br />

- che la presenza di strumenti sollecitatori non sospende<br />

né differisce il dovere dello Stato di pronunciare<br />

sulla domanda, né implica il trasferimento sul ricorrente<br />

della <strong>responsabilità</strong> per il superamento del termine ragionevole<br />

per la definizione del giudizio, salva restando la<br />

valutazione del comportamento della parte al solo fine<br />

dell’apprezzamento dell’entità del lamentato pregiudizio.<br />

In conclusione il ricorso merita accoglimento e conseguentemente<br />

il decreto impugnato dev’essere cassato<br />

con rinvio della causa ad altro giudice il quale si conformerà<br />

ai principi di diritto innanzi enunciati.<br />

... Omissis...<br />

CASSAZIONE CIVILE, Sez. Un., 23 dicembre 2005, n. 28508<br />

Pres. Carbone - Rel. Ugo - P.M. Iannelli (conf.) - C. P. c. Ministero della Giustizia<br />

Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali - Processo equo - Termine ragionevole - <strong>Danno</strong><br />

patrimoniale - Spese giudiziarie sostenute davanti alla Corte europea di Strasburgo - Equa riparazione - Inammissibilità.<br />

(Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 2)<br />

In mancanza di un’espressa previsione di diritto intertemporale che disciplini le spese di un ricorso divenuto<br />

irricevibile per effetto della sopravvenuta introduzione di un mezzo di tutela dinanzi al giudice<br />

nazionale, l’esigenza di assicurare un’effettiva protezione alla parte pregiudicata da un processo di<br />

eccessiva durata non costituisce ragione sufficiente per estendere l’equo indennizzo dei danni patrimoniali<br />

sino a comprendere in tale categoria anche gli esborsi sostenuti per il ricorso dinanzi alla Corte<br />

di Strasburgo.<br />

Svolgimento del processo<br />

... Omissis...<br />

Motivi della decisione<br />

Va disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi proposti<br />

contro la medesima sentenza.<br />

Con il quarto motivo di ricorso - l’unico sottoposto all’esame<br />

delle Sezioni Unite - si denuncia il vizio di omessa<br />

motivazione in ordine alla richiesta di rimborso delle<br />

spese sostenute dal ricorrente per la proposizione del ricorso<br />

dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo,<br />

che sarebbe stata respinta senza alcun esame delle argomentazioni<br />

spese a sostegno della domanda di indennizzo<br />

dei danni patrimoniali tra i quali non potrebbero non<br />

comprendersi tali esborsi.<br />

L’ordinanza della sezione remittente, nel considerare la<br />

questione, richiama l’orientamento pressoché costante<br />

della giurisprudenza di legittimità che ha negato il rim-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 747


748<br />

GIURISPRUDENZA•EQUA RIPARAZIONE<br />

borso delle spese giudiziali sostenute per il ricorso inizialmente<br />

presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo<br />

(Cass. 20 dicembre 2002, n. 18139; 3 gennaio 2003,<br />

n. 4; 17 aprile 2003, n. 6163; 9 gennaio 2004, n. 123; 5<br />

agosto 2004, n. 15106) e contesta le affermazioni poste a<br />

suo fondamento secondo cui, da un lato, esse non sarebbero<br />

conseguenza immediata e diretta della durata irragionevole<br />

del processo e non potrebbero per ciò considerarsi<br />

danno patrimoniale indennizzabile, e, dall’altro,<br />

il giudice nazionale non avrebbe titolo per liquidare le<br />

spese giudiziali relative ad un processo instaurato dinanzi<br />

alla Corte europea in mancanza di alcun rapporto di<br />

continuità con quello introdotto dinanzi ad esso.<br />

Si osserva nell’ordinanza di rimessione che le due fasi sono<br />

strettamente coordinate e finalizzate al medesimo risultato<br />

e che l’effettiva protezione accordata al diritto ad<br />

un processo di ragionevole durata non troverebbe adeguata<br />

salvaguardia se dovessero definitivamente restare a<br />

carico del ricorrente le spese sostenute per il ricorso proposto<br />

al giudice sovranazionale, il quale accorda costantemente<br />

il rimborso delle spese giudiziali in caso di accoglimento<br />

della domanda di indennizzo, domanda che è<br />

stata proposta negli stessi termini al giudice nazionale secondo<br />

quanto prescritto dalla sopravvenuta legge 24<br />

marzo 2001, n. 89.<br />

L’esigenza di assicurare una effettiva protezione alla parte<br />

pregiudicata da un processo di eccessiva durata - recentemente<br />

sottolineata da queste Sezioni Unite che<br />

hanno ribadito la necessità di una interpretazione della<br />

normativa nazionale conforme alla giurisprudenza della<br />

Corte di Strasburgo sino al limite della questione di costituzionalità<br />

nei confronti delle norme che si ponessero<br />

in contrasto insuperabile con l’art. 6 della Convenzione<br />

per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (sentt. n. 1338 e<br />

1339 del 26 gennaio 2004) - non costituisce, tuttavia,<br />

ragione sufficiente per estendere l’equo indennizzo dei<br />

danni patrimoniali sino a comprendere in tale categoria<br />

anche gli esborsi sostenuti per il ricorso dinanzi alla Corte<br />

di Strasburgo.<br />

Va considerato al riguardo che le spese giudiziali sopportate<br />

dalla parte vittoriosa vengono poste a carico del soccombente<br />

non già a titolo di ristoro del pregiudizio derivante<br />

dalla non ragionevole durata del processo, previo<br />

accertamento delle condizioni richieste dalla legge, bensì<br />

sulla base della mera soccombenza in giudizio (art. 91<br />

c.p.c.), indipendentemente cioè da ogni valutazione del<br />

suo comportamento nel processo com’è con fermato dal<br />

rilievo che al rimborso delle spese giudiziali è tenuto anche<br />

il soccombente contumace. Gli esborsi sostenuti a<br />

titolo di spese giudiziali non costituiscono perciò conseguenza<br />

immediata e diretta della eccessiva durata del<br />

processo, posta a fondamento della domanda di equo indennizzo<br />

come fatto generatore del danno, ma vengono<br />

rimborsati unicamente in dipendenza della vittoria in<br />

giudizio la quale comporta l’esclusione di ogni aggravio<br />

economico per la parte vittoriosa, tenuta unicamente all’anticipo<br />

delle spese necessarie (art. 90 c.p.c.).<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

Il giudice nazionale non ha quindi alcun titolo per liquidare<br />

le spese di un ricorso presentato al giudice sovranazionale,<br />

dinanzi al quale non ha mai avuto inizio alcun<br />

processo, poiché, per il principio di sussidiarietà sancito<br />

dall’art. 35 della Convenzione - nel testo sostituito dal<br />

Protocollo n. 11, adottato in data 11 maggio 1994 e in<br />

vigore in Italia dal 1° novembre 1998 - la Corte di Strasburgo<br />

non può essere adita se non dopo l’esaurimento<br />

delle vie di ricorso interne che sono state introdotte con<br />

la legge n. 89 del 2001, cosicché la domanda di indennizzo<br />

proposta dinanzi al giudice nazionale non è strutturata<br />

come una prosecuzione di quella pendente dinanzi<br />

alla Corte di Strasburgo ma costituisce l’atto iniziale di<br />

un giudizio il cui esaurimento costituisce condizione di<br />

ricevibilità della domanda che potrà essere proposta alla<br />

Corte di Strasburgo nel caso in cui la parte non abbia ricevuto<br />

un indennizzo adeguato dal giudice nazionale.<br />

Né vale obbiettare che il giudice sovranazionale liquida<br />

costantemente a favore della parte vittoriosa le spese di<br />

assistenza e difesa in giudizio, ancorché non obbligatorie<br />

in considerazione del fatto che la parte può agire personalmente<br />

prescindendo da qualsiasi difesa tecnica, poiché,<br />

qualora dopo la presentazione della domanda sia<br />

stata introdotta una via di ricorso interna, il ricorso alla<br />

Corte di Strasburgo viene respinto, in quanto irricevibile<br />

ai sensi dell’art. 35, n. 4 della Convenzione, con una<br />

statuizione che non contiene alcuna pronuncia di rimborso<br />

delle spese giudiziali.<br />

Da ciò consegue che, allo stato della normativa vigente,<br />

in mancanza di una espressa previsione di diritto intertemporale<br />

che disciplini le spese di un ricorso divenuto<br />

irricevibile per effetto del la sopravvenuta introduzione<br />

di un mezzo di tutela dinanzi al giudice nazionale, la censura<br />

in esame non può trovare accoglimento, dovendo<br />

confermarsi la perdurante validità dell’interpretazione<br />

univoca della giurisprudenza innanzi richiamata.<br />

Il rigetto del quarto motivo del ricorso principale comporta<br />

la restituzione degli atti alla sezione remittente per<br />

l’esame degli ulteriori motivi del ricorso principale, nonché<br />

del ricorso incidentale.<br />

... Omissis...


Continua l’opera di restatement delle Sezioni Unite<br />

in tema di equa riparazione per l’irragionevole durata<br />

del processo. L’esigenza di garantire al ricorrente<br />

ex lege Pinto un trattamento identico a quello<br />

riconosciutogli dalla Corte europea di Strasburgo<br />

giustifica l’estensione del rimedio anche a favore<br />

degli eredi della parte che abbia introdotto il giudizio<br />

del quale si lamenta la non ragionevole durata<br />

e sia deceduta prima dell’entrata in vigore della<br />

legge Pinto.<br />

Qualora, invece, abbia trovato applicazione l’art. 6<br />

legge Pinto, il giudice italiano non potrà liquidare<br />

le spese giudiziali relative al procedimento europeo<br />

interrotto, dal momento che queste non possono essere<br />

considerate danno patrimoniale connesso all’irragionevole<br />

durata del processo.<br />

Le Sezioni Unite tornano a precisare l’ambito di operatività<br />

della legge Pinto, dopo che, poco più di due anni fa<br />

(1), furono chiamate a prendere posizione sulla controversa<br />

questione della prova del danno non patrimoniale derivante<br />

dall’irragionevole durata di un processo.<br />

Nonostante la diversità delle fattispecie concrete analizzate<br />

in questa occasione, concernenti, rispettivamente,<br />

la trasmissibilità iure hereditario del diritto al risarcimento e<br />

il danno patrimoniale, è agevole riscontrare il medesimo<br />

principio ispiratore già affermato nei primi interventi del<br />

gennaio 2004 e volto a garantire un’interpretazione del rimedio<br />

ex lege Pinto più conforme al modello di riferimento<br />

europeo, rappresentato dalla giurisprudenza della Corte di<br />

Strasburgo.<br />

Ciò è giustificato dalle origini storiche del rimedio interno,<br />

nato proprio per assicurare un ristoro economico a<br />

coloro che, subendo un pregiudizio per l’eccessiva lunghezza<br />

dei tempi di amministrazione della giustizia, lamentano<br />

la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, riconosciuto<br />

dall’art. 6 CEDU e, fino al 2001, tutelato esclusivamente<br />

dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (2).<br />

Proprio questa (3), recentemente, ha riconosciuto la<br />

possibilità, per il ricorrente italiano ex lege Pinto, di ottenere<br />

a Strasburgo una pronuncia correttiva, quando questi abbia<br />

subito un trattamento qualitativamente o quantitativamente<br />

inferiore a quello che gli sarebbe stato assicurato<br />

qualora avesse presentato domanda direttamente al giudice<br />

europeo.<br />

Le Sezioni Unite vogliono, quindi, evitare che una rigida<br />

applicazione del rimedio interno determini soluzioni<br />

significativamente divergenti da quelle proprie della Corte<br />

europea e apra la strada a nuove condanne dell’Italia a causa<br />

della cattiva amministrazione della giustizia.<br />

Per fare questo, si mostrano pronte a superare anche la<br />

GIURISPRUDENZA•EQUA RIPARAZIONE<br />

IL COMMENTO<br />

di Alberto Venturelli<br />

formulazione letterale della disposizione normativa, che,<br />

perlomeno per la prima ipotesi qui esaminata, sembrerebbe<br />

giustificare soluzioni divergenti da quelle pacificamente affermate<br />

a Strasburgo.<br />

Note:<br />

(1) Cfr. Cass., sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1338, in questa Rivista, 2004,<br />

499 ss., con nota di A. Venturelli, Legge Pinto: per le Sezioni Unite la prova<br />

del danno è in re ipsa; in Foro it., 2004, I, 693 ss., con nota di P. Gallo; in<br />

Giur. it., 2004, 944 ss., con nota di A. Didone, La Cassazione, la legge Pinto<br />

e la Corte europea dei diritti dell’uomo: sepolti i contrasti; e in Corr. giur.,<br />

2004, 609 ss., con nota di R. Conti, CEDU e diritto interno: le Sezioni Unite<br />

si avvicinano a Strasburgo sull’irragionevole durata dei processi; Cass., sez.<br />

un., 26 gennaio 2004, n. 1339, in Guida al dir., 6/2004, 16 ss., con nota di<br />

E. Sacchettini, Un’attività di difficile realizzazione pratica che mette a repentaglio<br />

le casse dello Stato; in questa Rivista, 2004, 507; in Giur. it., 2004, 949<br />

ss.; in Giust. civ., 2004, I, 910 ss., con nota di F. Morozzo della Rocca, Durata<br />

irragionevole del processo e presunzione di danno non patrimoniale; e in<br />

Corr. giur., 2004, 615 ss.; Cass., sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1340, in Guida<br />

al dir., n. 6/2004, 20 ss.; in questa Rivista, 2004, 507; in Foro it., 2004, I,<br />

699 ss.; in Giur. it., 2004, 952 ss., con nota di M. Fasciglione, Verso un allineamento<br />

della Suprema Corte alle posizioni della Corte di Strasburgo in tema<br />

di durata ragionevole del processo (ivi, 1147 ss.); in Giust. civ., 2004, I, 912<br />

ss.; e in Corr. giur., 2004, 617 ss.; Cass., sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1341,<br />

in questa Rivista, 2004, 508. Alle Sezioni Unite si è subito uniformata<br />

Cass. 11 maggio 2004, n. 8896, in Guida al dir., n. 21/2004, 84 ss., con nota<br />

di R. Filoia, Il patema d’animo è una conseguenza normale della durata irragionevole<br />

del processo. Più complessa si presenta, invece, la possibilità di<br />

utilizzare le soluzioni prospettate dalle Sezioni Unite per la risarcibilità del<br />

danno non patrimoniale sofferto da una persona giuridica: cfr., pur nella<br />

diversità delle soluzioni affermate, Cass. 2 luglio 2004, n. 12110, in questa<br />

Rivista, 2005, 977 ss., con nota di A. Venturelli, Legge Pinto: per le persone<br />

giuridiche la prova del danno non patrimoniale non è in re ipsa; e in La<br />

Resp. civ., 2005, 624 ss. (ma ivi erroneamente datata 10 marzo 2004), con<br />

nota di V. Giorgianni, Il risarcimento del danno non patrimoniale alle persone<br />

giuridiche; Cass. 30 settembre 2004, n. 19647, in Giust. civ., 2005, I, 59<br />

ss., con nota di R. Giordano, Ancora contrasti tra la giurisprudenza interna e<br />

quella della Corte di Strasburgo sull’equa riparazione dei danni per irragionevole<br />

durata del processo: il problema dei pregiudizi non patrimoniali subiti dagli enti;<br />

Cass. 30 agosto 2005, n. 17500, in questa Rivista, 2006, 153 ss., con nota<br />

di M.V. De Giorgi, Risarcimento del danno morale ex legge Pinto alle persone<br />

giuridiche per le sofferenze patite dai componenti; e in Resp. civ. e prev.,<br />

2006, 281 ss., con nota di C. Pasquinelli, Legge Pinto ed irragionevole durata<br />

del processo. La Cassazione ammette il danno morale per gli enti collettivi.<br />

(2) Cfr. E. Dalmotto, Diritto all’equa riparazione per l’eccessiva durata del<br />

processo, in Misure acceleratorie e riparatorie contro l’irragionevole durata dei<br />

processi. Commento alla legge 24 marzo 2001, n. 89, a cura di S. Chiarloni,<br />

Torino, 2002, 68 ss.; G. Romano - D.A. Parrotta - E. Lizza, Il diritto ad un<br />

giusto processo tra Corte internazionale e Corti nazionali. L’equa riparazione<br />

dopo la legge Pinto, Milano, 2002, 1 ss.; A. Didone, Equa riparazione e ragionevole<br />

durata del giusto processo, Milano, 2002, 19 ss.; Id., La Cassazione,<br />

la legge Pinto e la Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. trim. dir. e proc.<br />

civ., 2004, 193 ss.; F. Petrolati, I tempi del processo e l’equa riparazione per la<br />

durata non ragionevole (la c.d. «legge Pinto»), Milano, 2005, 6 ss.<br />

(3) Cfr. Corte eur. dir. uomo 27 marzo 2003, in Foro it., 2003, IV, 361 ss.;<br />

e in Guida al dir., n. 27/2003, 104. La decisione è ampiamente commentata<br />

anche da V. Esposito, Il non ragionevole contrasto del giudice italiano<br />

con quello di Strasburgo sulla ragionevole durata del processo, in Corr. giur.,<br />

2004, 363 ss.; O. Porchia, La ragionevole liquidazione del danno per irragionevole<br />

durata dei procedimenti tra conformità alla giurisprudenza europea e margine<br />

di autonomia del giudice interno, in Contr. e impr. Europa, 2004, 538 ss.; L.<br />

Marigo, La Cassazione italiana ad una svolta dopo il caso Scordino?, in Nuova<br />

giur. civ. comm., 2004, II, 221 ss.; E. Falletti, Si ricompone il contrasto tra la<br />

Corte di Strasburgo e la giurisprudenza italiana sull’effettività del rimedio interno<br />

previsto dalla legge Pinto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005, 209 ss.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 749


750<br />

GIURISPRUDENZA•EQUA RIPARAZIONE<br />

Equa riparazione per processi instaurati<br />

prima dell’entrata in vigore della legge Pinto<br />

e trasmissibilità iure hereditario<br />

del diritto all’indennizzo<br />

Nel primo caso esaminato, il ricorrente ex lege Pinto è<br />

un erede della parte che ha instaurato il procedimento amministrativo<br />

avente durata irragionevole.<br />

Il de cuius era deceduto prima del 18 aprile 2001, data<br />

di entrata in vigore della legge Pinto, e non aveva presentato<br />

ricorso al giudice europeo perché il procedimento giudiziario<br />

era ancora pendente.<br />

L’erede, riassunta la causa amministrativa, a tutt’oggi<br />

non ancora conclusa, aveva subito dopo presentato domanda<br />

di equa riparazione, lamentando un danno non patrimoniale<br />

per la complessiva durata della controversia; il<br />

giudice di primo grado aveva però respinto la richiesta, osservando<br />

che mancava nella fattispecie qualsiasi profilo di<br />

illiceità, perché la durata della controversia poteva considerarsi<br />

irragionevole solo valutando anche la posizione del<br />

de cuius, che però non vantava alcun diritto alla riparazione,<br />

essendo deceduto prima che lo stesso diritto fosse riconosciuto<br />

dall’ordinamento.<br />

Le Sezioni Unite rigettano tale prospettazione, sottolineando<br />

che il rimedio ex lege Pinto deve considerarsi una<br />

mera prosecuzione, in un’ottica giudiziale interna, della tutela<br />

già accordata a Strasburgo prima del 18 aprile 2001,<br />

sicché l’erede può far valere la complessiva durata irragionevole<br />

della controversia anche quando questa sia stata instaurata<br />

da un soggetto deceduto prima dell’entrata in vigore<br />

della legge Pinto.<br />

Viene, quindi, superato l’orientamento giurisprudenziale<br />

(4), finora pacifico, che nega la trasmissibilità iure hereditario<br />

del diritto all’equa riparazione quando l’apertura<br />

della successione sia antecedente alla data di entrata in vigore<br />

della legge Pinto perché - stando all’orientamento in<br />

questione - solo con tale rimedio sarebbe stato espressamente<br />

riconosciuto nell’ordinamento italiano un ristoro<br />

economico per la durata irragionevole del processo.<br />

Le Sezioni Unite pervengono a tale esito attraverso<br />

una significativa forzatura della disposizione normativa:<br />

stante l’assenza di una norma che affermi la generale efficacia<br />

retroattiva del diritto all’equa riparazione, bisognerebbe<br />

concludere che il suddetto diritto sussiste soltanto a partire<br />

dal 18 aprile 2001 e che il danno risarcibile è solo quello<br />

maturato proprio da tale data (5).<br />

Una siffatta conclusione trova una parziale deroga<br />

nell’art. 6 legge Pinto, che consente a coloro che, prima<br />

dell’entrata in vigore della legge stessa, abbiano presentato<br />

domanda di riparazione alla Corte europea di sospendere il<br />

relativo giudizio, riassumendolo davanti al giudice italiano,<br />

«qualora non sia intervenuta una decisione sulla ricevibilità<br />

da parte della predetta Corte europea».<br />

La disposizione lascia chiaramente intendere che le<br />

cause attivate prima del 18 aprile 2001 possono comunque<br />

essere decise - necessariamente nello stesso modo con cui<br />

l’avrebbe fatto il giudice europeo - davanti alle corti italiane.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

Il presupposto per la sua operatività è, però, quello della<br />

previa, tempestiva proposizione del ricorso al giudice europeo.<br />

Poiché nel caso in esame il ricorso a Strasburgo non<br />

era stato presentato, né poteva più esserlo stante il superamento<br />

del termine previsto dallo stesso art. 6, il rigetto della<br />

richiesta di equa riparazione sembrerebbe l’unica soluzione<br />

conforme con il dettato normativo della legge Pinto.<br />

Le Sezioni Unite, invece, giungono ad affermare l’incondizionata<br />

operatività del rimedio perché ritengono trasmissibile<br />

iure hereditario non il diritto all’equa riparazione,<br />

ma soltanto il diritto alla ragionevole durata del processo,<br />

già riconosciuto e tutelato, con immediata forza precettiva,<br />

dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo e dalla<br />

giurisprudenza di Strasburgo (6).<br />

In questa prospettiva, l’entrata in vigore della legge<br />

Pinto assumerebbe soltanto una valenza processuale, determinando<br />

il mutamento dell’organo giudiziario competente<br />

per le relative controversie, ma non inciderebbe sulla legittimazione<br />

dell’erede connessa alla successione di un diritto<br />

Note:<br />

(4) Cfr. Cass. 26 luglio 2002, n. 11046, in questa Rivista, 2002, 1114 ss.,<br />

con nota di G. Ponzanelli, L’«equa riparazione» del danno secondo la legge<br />

Pinto: l’intervento della Cassazione e della Corte d’appello di Milano sulla vicenda<br />

Saevecke; in Guida al dir., n. 33/2002, 54; e in Giust. civ., 2003, I,<br />

695 ss.; Cass. 8 agosto 2002, n. 11987, in Giur. it., 2002, 2039 ss., con nota<br />

di A. Didone, La Cassazione e l’equa riparazione per irragionevole durata<br />

del processo; in Giust. civ., 2002, I, 2393; in Riv. dir. int., 2002, 1105; in<br />

Dir. & giust., n. 32/2002, 18; in Foro it., 2003, I, 848 ss., con nota di P.<br />

Gallo, Il danno da irragionevole durata del processo fra diritto interno e giurisprudenza<br />

europea; e in Resp. civ. e prev., 2003, 355; Cass. 22 novembre<br />

2002, n. 16502, in Arch. civ., 2003, 989; e in Gius, 2003, 568 s.; Cass. 11<br />

dicembre 2002, n. 17650, in Arch. civ., 2003, 1078; in Gius, 2003, 829; e<br />

in Arch. giur. circ., 2003, 990; Cass. 3 gennaio 2003, n. 10, in Nuova giur.<br />

civ. comm., 2003, I, 605 ss., con nota di D. Chindemi, La prova del danno<br />

non patrimoniale da irragionevole durata del processo; Cass. 14 gennaio 2003,<br />

n. 360, in Foro amm., 2003, 52; e in Arch. civ., 2003, 1260 s.; Cass. 4 aprile<br />

2003, n. 5264, in Gius, 2003, 1828 s.; in Giust. civ., 2003, I, 892 ss.; e in<br />

Arch. civ., 2004, 286 ss.<br />

(5) Cfr. G. Cricenti, Massime non consolidate sulla <strong>responsabilità</strong> da irragionevole<br />

durata del processo, in questa Rivista, 2002, 694: «la durata irragionevole<br />

di un processo è un fatto che prima della legge n. 89 del 2001 non<br />

era stato sottoposto dall’ordinamento italiano ad un giudizio di valore:<br />

prima di quella data non vi era alcuna norma che si ponesse come criterio<br />

di valutazione di quel fatto». Similmente, A. Converso, Il fatto generatore<br />

del danno nella legge 24 marzo 2001, n. 89, in Rass. dir. civ., 2003, 1072:<br />

«la legge […] dispone solo per i fatti generatori di danno maturatisi posteriormente<br />

alla sua entrata in vigore, pur se la durata del processo sia antecedente<br />

a quella data. Il danno, tuttavia, non può che essere limitato al<br />

periodo decorrente fra il 18 aprile 2001 ed il momento di maturazione del<br />

diritto. La durata del processo nel periodo di previdenza della legge n. 89<br />

del 2001 entra bensì in linea di conto per la determinazione dell’irragionevole<br />

durata, mentre l’indennizzabilità comprende solo il periodo posteriore».<br />

In giurisprudenza, cfr. App. Torino 12 novembre 2001, in Giur. it.,<br />

2002, 742 ss., con nota di A. Ronco, Sull’ambito temporale di applicazione<br />

degli artt. 2 e seguenti della legge 24 marzo 2001, n. 89.<br />

(6) La medesima conclusione era già stata affermata, isolatamente, da<br />

App. Genova 17 luglio 2002, in Giur. merito, 2003, 2165 ss., con nota di<br />

F. Longo, Applicabilità della legge Pinto alle procedure fallimentari e trasmissibilità<br />

agli eredi del diritto di chiedere la riparazione, che, pur provenendo dal<br />

medesimo giudice e presentando la stessa data del provvedimento di primo<br />

grado cassato dalla sentenza in epigrafe, attiene ad una fattispecie del<br />

tutto diversa.


già attribuito al dante causa né modificherebbe le caratteristiche<br />

della tutela riconosciuta prima del 2001.<br />

La dottrina (7) aveva già prospettato e confutato tale<br />

soluzione, osservando che le sentenze della Corte europea<br />

non hanno un’immediata efficacia vincolante per i giudici<br />

interni, dal momento che operano sulla base di un Trattato<br />

internazionale che obbliga soltanto gli Stati contraenti<br />

e non crea situazioni giuridiche soggettive direttamente<br />

invocabili - a livello interno - dai cittadini di questi<br />

stessi Stati (8); precise indicazioni desumibili dalla formulazione<br />

letterale della legge Pinto, inoltre, caratterizzerebbero<br />

in senso aquiliano il rimedio ivi disciplinato e - proprio<br />

per questo - ne impedirebbero l’equiparazione con<br />

quello europeo (9).<br />

Una siffatta tesi, però, per quanto maggiormente rispettosa<br />

del dettato normativo, sembra ormai destinata ad<br />

essere superata dalla ben più rilevante necessità di evitare il<br />

“ritorno a Strasburgo” delle controversie in esame: l’esigenza<br />

equitativa di garantire un trattamento identico a quello<br />

riconosciuto davanti al giudice europeo e, soprattutto, di<br />

evitare nuove condanne internazionali dell’Italia determina<br />

un’interpretazione della legge 24 marzo 2001, n. 89 sempre<br />

più lontana dalla sua formulazione letterale.<br />

Il danno patrimoniale e le spese processuali<br />

del giudizio davanti alla Corte di Strasburgo<br />

Si è già osservato che l’art. 6 legge 24 marzo 2001, n.<br />

89 ammette la translatio iudicis dal giudice europeo a quello<br />

italiano delle cause instaurate a Strasburgo prima dell’entrata<br />

in vigore della legge stessa e per le quali non sia intervenuta<br />

una dichiarazione di ricevibilità.<br />

Dal momento che l’accoglimento del ricorso presentato<br />

al giudice di Strasburgo comportava la condanna dello<br />

Stato italiano al pagamento delle relative spese processuali<br />

(10), nella seconda sentenza ci si chiede se queste possano<br />

essere considerate danno patrimoniale risarcibile ex lege<br />

Pinto, nel caso in cui il ricorrente abbia utilizzato la possibilità<br />

riconosciutagli dal già citato art. 6.<br />

Le Sezioni Unite, conformandosi al costante orientamento<br />

giurisprudenziale (11), sostengono la tesi negativa,<br />

osservando che il danno patrimoniale ex lege Pinto è solo<br />

quello causalmente connesso all’irragionevole durata del<br />

processo e non può comprendere altri pregiudizi determinati<br />

dall’attivazione dei mezzi di tutela riconosciuti dall’ordinamento.<br />

La conclusione non è smentita neppure considerando<br />

che la tutela giurisdizionale assicurata in Italia deve essere<br />

identica a quella riconosciuta a Strasburgo: tale principio,<br />

infatti, opera solo con riferimento all’indennizzo ottenibile<br />

per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo<br />

e non può essere invocato laddove, come nel caso di specie,<br />

le spese da rimborsare trovino la loro unica causa nel<br />

concorso di rimedi giurisdizionali invocati dal ricorrente e,<br />

segnatamente, nella sua decisione di procedere, una volta<br />

presentata domanda avanti al giudice europeo, all’attivazione<br />

del rimedio interno.<br />

Le ragioni che hanno determinato la scelta del ricor-<br />

GIURISPRUDENZA•EQUA RIPARAZIONE<br />

rente inducono, però, ad analizzare più attentamente il rapporto<br />

tra i procedimenti giudiziali europeo e interno.<br />

A tale proposito, le Sezioni Unite non considerano<br />

con la dovuta attenzione che la parte è stata indotta ad abbandonare<br />

la causa già instaurata a Strasburgo dal timore<br />

che, in virtù della sopravvenuta entrata in vigore della legge<br />

Pinto, il ricorso fosse dichiarato inammissibile perché<br />

presentato senza aver esaurito le vie di tutela riconosciute<br />

dall’ordinamento interno.<br />

La Corte europea (12), infatti, contravvenendo al<br />

Note:<br />

(7) Cfr. G. Cricenti, op. cit., 694 s.; A. Converso, op. cit., 1073 s. Contra,<br />

invece, A. Ronco, Disposizioni finali, in Misure acceleratorie e riparatorie<br />

contro l’irragionevole durata dei processi, cit., 394 s.<br />

(8) Cfr. R. Martino, Sul diritto all’equa riparazione in caso di violazione del<br />

termine ragionevole del processo (legge 24 marzo 2001, n. 89), in Riv. dir.<br />

proc., 2001, 1073 s., secondo il quale solo attraverso il richiamo dell’art. 6<br />

CEDU operato dall’art. 2 legge 24 marzo 2001, n. 89 il diritto alla ragionevole<br />

durata del processo e la giurisprudenza della Corte europea hanno<br />

assunto carattere di diritto interno.<br />

(9) Sostengono la qualificazione in termini risarcitori del rimedio ex lege<br />

Pinto G. Ponzanelli, «Equa riparazione» per i processi troppo lenti, in questa<br />

Rivista, 2001, 570; Id., Prime applicazioni della legge Pinto, ibidem, 968; Id.,<br />

Prova del danno non patrimoniale ed irrilevanza del danno esistenziale, ivi, 2003,<br />

271; R. Martino, op. cit., 1077; G. Mammone, La legge sull’equa riparazione<br />

per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, in Giust. civ.,<br />

2002, II, 397 s.; F. Longo, L’art. 2 della legge Pinto: indennizzo o risarcimento?,<br />

in Giur. it., 2003, 276 s.; V. Barela, Il diritto ad un giusto processo: <strong>responsabilità</strong><br />

e profili riparatori, in Nuova giur. civ. comm., 2003, II, 150; F. Morozzo<br />

Della Rocca, L’equa riparazione per irragionevole durata del processo nelle prime<br />

decisioni della Cassazione, in Giust. civ., 2003, I, 705. Ritengono invece<br />

che il rimedio sia qualificabile in termini indennitari e costituisca un’obbligazione<br />

derivante dalla legge C. De Rose, Equa riparazione per i processi<br />

troppo lunghi: la legge 24 marzo 2001, n. 89 e la sua derivazione europea, in<br />

Cons. Stato, 2001, II, 459; S. Izar, Prime applicazioni giurisprudenziali della legge<br />

n. 89/2001 (c.d. legge Pinto) sulla <strong>responsabilità</strong> dello Stato per violazione del<br />

termine ragionevole del processo, in Resp. civ. e prev., 2002, 971; A. Didone,<br />

Equa riparazione e ragionevole durata del giusto processo, cit., 36 ss.; G. Colonna,<br />

La liquidazione del danno nella legge Pinto, in Giur. it., 2003, 198.<br />

(10) Sulle caratteristiche del giudizio avanti alla Corte europea dei diritti<br />

dell’uomo cfr., per tutti, G. Romano - M.G. Pellegrini, I ricorsi alla Commissione<br />

e alla Corte europea dei diritti dell’uomo, Milano, 1997, 30 ss.; I. Lai,<br />

La durata ragionevole del procedimento nella giurisprudenza della Corte europea<br />

sino al 31 ottobre 1998, in Riv. dir. proc., 1999, 549 ss.; A. Cittarello, La<br />

durata ragionevole del processo: criteri di valutazione della «ragionevolezza»<br />

elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ed ordinamento italiano, in<br />

Riv. it. dir. pubbl. com., 2003, 145 ss.<br />

(11) Cfr. Cass. 20 dicembre 2002, n. 18139, in Arch. civ., 2003, 1372;<br />

Cass. 3 gennaio 2003, n. 4, ibidem, 1260; e in Giur. boll. legisl. tecnica,<br />

2003, 479; Cass. 17 aprile 2003, n. 6163, in Guida al dir., n. 26/2003, 51;<br />

in Gius, 2003, 1970; e in Arch. civ., 2004, 286; Cass. 9 gennaio 2004, n.<br />

123, in Guida al dir., n. 8/2004, 55; in Arch. civ., 2004, 1348; e in Gius,<br />

2004, 2362; Cass. 5 marzo 2004, n. 4508, in Giur. it., Rep. 2004, voce<br />

Danni in materia civile e penale, n. 24; Cass. 5 marzo 2004, n. 4512, ibidem,<br />

n. 25; Cass. 11 giugno 2004, n. 11086, in Guida al dir., n. 29/2004, 66;<br />

Cass. 9 luglio 2004, n. 12664, ivi, n. 39/2004, 65; Cass. 5 agosto 2004, n.<br />

15106, in Arch. loc., 2005, 42; Cass. 21 gennaio 2005, n. 1334, in Guida<br />

al dir., n. 7/2005, 49.<br />

(12) Cfr. Corte eur. dir. uomo 6 settembre 2001, in Guida al dir., n.<br />

38/2001, 13 ss., con note di I. Tricomi, Cala il sipario sui risarcimenti a Strasburgo:<br />

per la lunghezza dei processi si decide in Italia; di M. Scalabrino, Con<br />

la competenza diretta delle Corti d’Appello il cittadino perde un’opportunità<br />

contro lo Stato; e di E. Sacchettini, Non si può giustificare con la carenza di<br />

strutture il ritardo nell’amministrazione della giustizia; e in Dir & giust., n.<br />

36/2001, 46.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 751


752<br />

GIURISPRUDENZA•EQUA RIPARAZIONE<br />

principio generale secondo cui tempus regit actum, ha affermato<br />

che i ricorsi provenienti dall’Italia possono essere dichiarati<br />

ricevibili solo se sia stata presentata domanda ex lege<br />

Pinto, a nulla rilevando che il procedimento davanti al<br />

giudice europeo sia stato instaurato prima dell’entrata in vigore<br />

della normativa nazionale (13).<br />

Il diritto concesso al ricorrente dal citato art. 6 ha così<br />

assunto i contorni di un vero e proprio onere, il cui adempimento<br />

rappresenta condizione necessaria per assicurarsi<br />

una tutela effettiva (14).<br />

In questa prospettiva, l’indennizzo delle spese processuali<br />

determinate dal procedimento europeo potrebbe essere<br />

ottenuto richiamando soltanto il principio della soccombenza<br />

che, nell’ordinamento interno, individua il soggetto<br />

obbligato all’esborso in colui che, dal punto di vista<br />

sostanziale, ha perso la causa, prescindendo dall’accertamento<br />

dell’illiceità della sua condotta (15).<br />

Non occorrerebbe, in altri termini, identificare tale<br />

pregiudizio con il danno patrimoniale connesso all’irragionevole<br />

durata del processo, ma sembrerebbe sufficiente riconsiderare<br />

le spese processuali in un’ottica unitaria, comprensiva<br />

anche di quelle sostenute nella prima fase della<br />

procedura e non liquidate dal giudice europeo in virtù della<br />

sopravvenuta entrata in vigore della disciplina interna.<br />

Le Sezioni Unite rifiutano tale soluzione sottolineando<br />

la differente natura dei due procedimenti, per i quali valgono<br />

diverse norme, tanto che solo davanti alle corti d’appello<br />

italiane l’assistenza legale è obbligatoria, mentre il ricorso<br />

presentato a Strasburgo può anche essere redatto personalmente<br />

dalla parte e spedito per posta.<br />

L’osservazione, senza dubbio esatta, sembrerebbe,<br />

però, idonea solo ad escludere, ai fini della determinazione<br />

del rimborso, tutte quelle spese solitamente sostenute<br />

avanti ad un giudice italiano, ma assenti nella fattispecie<br />

esaminata: la differente natura dei procedimenti confermerebbe<br />

soltanto che il rimborso in esame comprende voci diverse<br />

da quelle ordinariamente valutate da un giudice italiano<br />

(16).<br />

Quanto, invece, alla diversità di organi giurisdizionali,<br />

la separazione strutturale prospettata dal Supremo Collegio<br />

mal si concilia con le caratteristiche del giudizio ex art. 6,<br />

nel quale la tempestiva attivazione del procedimento innanzi<br />

al giudice europeo costituisce una condizione di procedibilità,<br />

un presupposto processuale necessario per la corretta<br />

instaurazione della causa interna (17).<br />

A tale proposito, le Sezioni Unite si limitano a sottolineare<br />

che «la domanda di indennizzo proposta dinanzi al<br />

giudice nazionale non è strutturata come una prosecuzione<br />

di quella pendente dinanzi alla Corte di Strasburgo, ma costituisce<br />

l’atto iniziale di un giudizio il cui esaurimento costituisce<br />

condizione di ricevibilità della domanda che potrà<br />

essere proposta alla Corte di Strasburgo nel caso in cui la<br />

parte non abbia ricevuto un indennizzo adeguato».<br />

In realtà, il ricorso già presentato alla Corte europea<br />

svolge un ruolo del tutto prioritario perché la validità dell’atto<br />

iniziale del procedimento instaurato in Italia è subordinata<br />

proprio all’indicazione della data di presentazione di<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

tale ricorso, la quale incide anche sui relativi termini di<br />

proposizione (18).<br />

La soluzione prospettata dalle Sezioni Unite, inoltre,<br />

determina un trattamento ingiustamente diverso rispetto a<br />

quello assicurato a tutti gli altri ricorrenti ex lege Pinto, i<br />

quali possono ricevere un integrale rimborso delle spese<br />

processuali; la piena applicazione del principio della soccombenza<br />

sarebbe preclusa solo a coloro che sono stati costretti,<br />

in virtù di un elemento imprevedibile nel momento<br />

in cui hanno attivato la procedura innanzi al giudice europeo,<br />

ad adire anche quello italiano.<br />

Del rischio di una siffatta disparità di trattamento si<br />

accorgono, peraltro, le stesse Sezioni Unite, le quali auspicano,<br />

al termine della sentenza che si commenta, l’intervento<br />

di una «espressa previsione di diritto intertemporale<br />

che disciplini le spese di un ricorso divenuto irricevibile per<br />

effetto della sopravvenuta introduzione di un mezzo di tutela<br />

dinanzi al giudice nazionale».<br />

Forse una più ragionata applicazione della regola processuale<br />

della soccombenza avrebbe consentito alla Cassazione<br />

di non ritenere necessario tale intervento.<br />

Note:<br />

(13) Tale risultato era peraltro già prefigurato nella Relazione al disegno di<br />

legge presentato dal senatore Pinto, nella quale si osserva che «la norma<br />

transitoria […] è redatta in modo tale da offrire il meccanismo riparatorio<br />

anche a quei processi già pendenti presso la Commissione europea dei diritti<br />

dell’uomo, che non abbiano raggiunto lo stadio della ricevibilità. Ciò<br />

consentirà alla Commissione, che impone a chi ricorre a Strasburgo l’onere<br />

del previo esaurimento dei ricorsi interni, di eliminare dai propri<br />

ruoli numerosi ricorsi, invitando i ricorrenti a rivolgersi al meccanismo<br />

nazionale così creato».<br />

(14) Cfr. C. Consolo, Disciplina “municipale” della violazione del termine di<br />

ragionevole durata del processo: strategie e profili critici, in Corr. giur., 2001,<br />

570; R. Martino, op. cit., 1090, testo e note 58 e 59; A. Didone, Equa riparazione<br />

e ragionevole durata del giusto processo, cit., 64 s.; D. Amadei, Note<br />

critiche sul procedimento per l’equa riparazione dei danni da durata irragionevole<br />

del processo, in Giust. civ., 2002, II, 42; G. Romano - D.A. Parrotta<br />

- E. Lizza, op. cit., 20 s.; P.L. Nela, L’art. 6 della legge Pinto: una norma provvisoria<br />

preposta al definitivo coordinamento fra tutela sopranazionale e tutela<br />

nazionale, in Misure acceleratorie e riparatorie contro l’irragionevole durata dei<br />

processi, cit., 384 s.; M. Giorgetti, L’equa riparazione per la durata irragionevole<br />

del processo, Bergamo, 2003, 63 ss.; F. Petrolati, op. cit., 176.<br />

(15) Sul tema, cfr., per tutti, C. Mandrioli, Diritto processuale civile16, I,<br />

Torino, 2004, 341 s.<br />

(16) Sottolineano la criticabile diversità delle spese processuali tra i due<br />

procedimenti R. Martino, op. cit., 1083; D. Amadei, op. cit., 35 s.<br />

(17) Cfr. C. De Rose, op. cit., 463.<br />

(18) In questo caso, infatti, non opera la regola generale disposta dall’art.<br />

4 legge 24 marzo 2001, n. 89, ai sensi del quale il ricorso deve essere presentato<br />

entro sei mesi dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione<br />

sul procedimento avente durata irragionevole, ma la domanda deve essere<br />

formulata entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge Pinto,<br />

termine peraltro prorogato al 18 aprile 2002 dal decreto legge 12 ottobre<br />

2001, n. 370, convertito nella legge 14 dicembre 2001, n. 432.


Svolgimento del processo<br />

... Omissis...<br />

Motivi della decisione<br />

1. Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano violazione<br />

e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1223,<br />

2697, 2727, 2729 c.c., 112, 115 e 116 c.p.c., nonché<br />

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; la<br />

corte di merito - sostengono - ha ritenuto che l’attività<br />

di agente di commercio svolta dalla vittima abbia ridotto<br />

le prestazioni di madre e di moglie, malgrado la natura,<br />

l’entità, l’imprescindibilità ed insostituibilità delle<br />

medesime; al contrario, l’attività svolta dalla donna<br />

nell’ambito familiare può concorrere con qualsiasi altra<br />

senza per questo subire riduzione; inoltre la corte di merito<br />

ha confermato apoditticamente la sentenza di primo<br />

grado nei punti che concernono la misura del reddito<br />

figurativo di casalinga della vittima (lire 5.453.000<br />

annue), la quota di reddito che la stessa avrebbe destinato<br />

alla famiglia (metà invece di due terzi); non ha<br />

considerato che nella valutazione del danno che la morte<br />

di un genitore produce ai figli occorre tenere conto<br />

anche dei risparmi che nel corso degli anni il genitore<br />

avrebbe costituito con la parte di reddito non destinata<br />

a se medesimo ed alla famiglia; ha escluso che i redditi<br />

di lavoro autonomo siano suscettibili di incrementi costanti.<br />

2. Il motivo è fondato e va accolto nei limiti che risultano<br />

da quanto segue.<br />

2.1. In caso di morte della casalinga, i congiunti conviventi<br />

hanno diritto al risarcimento del danno subito per<br />

la perdita delle prestazioni attinenti alla cura ed assistenza<br />

da essa fornite.<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

<strong>Danno</strong> da morte della casalinga<br />

Aspettative “legittime”<br />

dei congiunti e danno risarcibile<br />

CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 12 settembre 2005, n. 18092<br />

Pres. Duva - Rel. Durante - P.M. Russo (diff.) - C. c. Assitalia S.p.A. ed altri<br />

Risarcimento danni - Casalinga esercitante anche un’attività di lavoro dipendente o autonomo - Decesso - Perdita delle<br />

prestazioni domestiche erogate dalla donna in favore di congiunti - <strong>Danno</strong> diretto risentito dai familiari - Risarcibilità -<br />

Liquidazione - Criteri.<br />

(c.c. artt. 2043, 2056)<br />

Nel caso di morte di una casalinga, a seguito del fatto illecito di un terzo, i congiunti hanno diritto<br />

non solo al risarcimento del danno per la perdita di prestazioni di carattere domestico, ma anche al ristoro<br />

delle aspettative successorie lese, costituite dai futuri risparmi che la donna avrebbe potuto accantonare<br />

a favore dei figli, svolgendo, fuori dall’ambiente familiare, un’attività di lavoro autonomo.<br />

Tali prestazioni, benché non produttive di reddito, sono<br />

valutabili economicamente, facendo riferimento al criterio<br />

del triplo della pensione sociale (Cass. 10.9.1998,<br />

n. 8970) o sulla base del reddito di una collaboratrice familiare<br />

con gli opportuni adattamenti per la maggiore<br />

ampiezza di compiti della casalinga (Cass. 6.9.1997, n.<br />

10923).<br />

Tuttavia, ove quest’ultima svolga anche attività lavorativa<br />

retribuita alle dipendenze di terzi o lavoro autonomo,<br />

occorre tenere conto dell’incidenza di ciò in termini<br />

di riduzione dell’attività di assistenza e cura dei familiari,<br />

da stabilire nella sua entità secondo il prudente apprezzamento<br />

del giudice con riferimento alle peculiarità<br />

della fattispecie concreta.<br />

2.2. È solo in base ad un calcolo ipotetico che cambia in<br />

funzione di svariati elementi che, in difetto di prova certa,<br />

è possibile stabilire la quota di reddito che il defunto<br />

avrebbe destinato alla famiglia.<br />

In dottrina si osserva che, attesa la varietà degli elementi,<br />

la liquidazione del risarcimento avviene in sostanza in<br />

modo equitativo.<br />

La giurisprudenza ha elaborato soluzioni per i casi più ricorrenti,<br />

stabilendo in pratica, delle presunzioni che non<br />

sono vincolanti, sicché il giudice può liberamente discostarsene.<br />

2.3. Come questa Corte ha avuto occasione di affermare,<br />

il raggiungimento della maggiore età o della idoneità<br />

al lavoro produttivo da parte dei figli non segna un limite<br />

invalicabile alla risarcibilità del danno derivato<br />

dalla morte del genitore, attesa l’aspettativa dei figli di<br />

beneficiare degli eventuali risparmi del defunto (ex plurimis<br />

Cass. 14.7.2003, n. 11003; Cass. 21.11.1995, n.<br />

12020).<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 753


754<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

2.4. Nella liquidazione del danno futuro per la morte di<br />

un congiunto, il giudice deve tenere conto non solo del<br />

reddito della vittima al momento del sinistro, ma anche<br />

degli incrementi di guadagno che presentino un rilevante<br />

grado di probabilità; mentre per il rapporto di lavoro<br />

dipendente gli incrementi sono più agevolmente prevedibili<br />

sulla base dell’id quod plerumque accidit (Cass.<br />

6.10.1994, n. 8177; Cass. 4.2.1993, n. 1384), altrettanto<br />

non può dirsi per il lavoro autonomo (come quello di<br />

agente di commercio) o più in generale per le libere attività,<br />

dato che gli incrementi possono anche difettare e,<br />

comunque, sono per la loro aleatorietà solo eventuali<br />

(Cass. 25.6.1981, n. 4137).<br />

2.5. Alla stregua dei principi sopra esposti, la corte di<br />

merito non è meritevole di censura per avere: 1) ridotto<br />

il contributo che la defunta dava ed avrebbe continuato<br />

a dare in termini di assistenza e cura dei familiari<br />

in una misura che tiene conto dell’interferenza dell’attività<br />

di lavoro autonomo; 2) fissato in concreto e non in<br />

astratto il reddito figurativo concernente l’attività di casalinga;<br />

3) stabilito la quota di reddito che la defunta<br />

avrebbe destinato alla famiglia nella metà, spiegando<br />

che pure il marito contribuiva con il proprio reddito alle<br />

esigenze familiari; 4) escluso la possibilità di incrementi<br />

reddituali in considerazione dell’aleatorietà dei<br />

guadagni.<br />

Merita, viceversa, censura per non essersi data carico<br />

della questione relativa al se la defunta avrebbe costituito<br />

nel corso degli anni risparmi con la parte di reddito<br />

destinata a se medesima, facendone beneficiare i figli alla<br />

sua morte.<br />

3. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano violazione<br />

e falsa applicazione degli artt. 1223, 1224,<br />

1226, 2059 c.c., 112 c.p.c., nonché vizi di motivazione<br />

(art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), sostenendo che la corte di<br />

merito non si è pronunciata sul motivo, secondo il<br />

quale il tribunale avrebbe dovuto liquidare il danno<br />

Il commento si sofferma sulla ratio della risarcibilità<br />

delle aspettative successorie violate, approfondendo<br />

la nozione di aspettativa legittima, in relazione<br />

ad altre fattispecie di ristoro riconosciute a titolo<br />

di perdita di chance o in qualità di danno meramente<br />

patrimoniale.<br />

La controversia trae origine dalla richiesta di risarcimento<br />

dei danni proposta dai familiari di una donna, agente<br />

di commercio, deceduta a seguito del fatto illecito di un<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

IL COMMENTO<br />

di Federica Giazzi<br />

morale in base alle tabelle da esso stesso elaborate e rivalutarlo<br />

almeno alla stregua degli indici ISTAT, e<br />

non ha tenuto conto delle tabelle vigenti all’epoca<br />

della sua pronuncia nonché della rivalutazione monetaria<br />

per il periodo compreso tra la prima e la seconda<br />

pronuncia.<br />

4. Il motivo è infondato tranne che per quanto attiene<br />

alla rivalutazione monetaria successiva.<br />

4.1. Va rilevato in proposito che, contrariamente a<br />

quanto dedotto dai ricorrenti, la corte di merito ha esaminato<br />

il motivo di appello nella parte concernente<br />

l’applicazione delle tabelle e lo ha rigettato in base a due<br />

rationes decidendi (il tribunale ha applicato le tabelle vigenti<br />

all’epoca della decisione ed ha fatto uso di poteri<br />

equitativi) autonomamente idonee a sorreggere la decisione,<br />

una delle quali non censurata, con conseguente<br />

inammissibilità (per difetto di interesse) della censura<br />

relativa all’altra.<br />

4.2. Il non avere esaminato lo stesso motivo nella parte<br />

concernente la rivalutazione monetaria rimane privo di<br />

rilevanza, avendo il tribunale liquidato il danno con riferimento<br />

ai valori monetari del tempo della decisione<br />

che rappresenta uno dei sistemi di determinazione della<br />

rivalutazione (Cass. 8.4.2003, n. 5503).<br />

4.3. Invece, la corte di merito ha omesso di disporre la rivalutazione<br />

della somma liquidata per il periodo intercorrente<br />

tra la decisione di primo grado e quella di appello,<br />

così come avrebbe dovuto persino di ufficio, ove<br />

fosse mancata la richiesta, trattandosi di debito di valore<br />

(ex plurimis Cass. 24.6.2003, n. 10022), sicché la censura<br />

riguardante il punto va accolta.<br />

5. Pertanto, la sentenza impugnata va cassata in relazione<br />

alle censure accolte con rinvio per nuovo esame sulla<br />

base dei principi di cui sopra e pronuncia sulle spese del<br />

giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte d’appello<br />

di Lecce.<br />

... Omissis...<br />

terzo, per la perdita di prestazioni, tuttavia, rese dalla stessa<br />

in qualità di casalinga.<br />

La censura mossa dai ricorrenti nei confronti della<br />

Corte d’appello di Lecce si articola in due specifiche doglianze,<br />

riguardanti l’an e il quantum damni, ritenuti inadeguati<br />

rispetto ai principi consolidati dalla giurisprudenza in<br />

materia.<br />

Come emerge dalla ricostruzione operata dai ricorrenti<br />

in sede di impugnazione, i giudici di merito si erano, infatti,<br />

limitati a liquidare a favore dei congiunti il danno<br />

emergente legato alla perdita di cure e prestazioni rese dalla<br />

vittima entro l’ambiente domestico, diminuito in pro-


porzione al lavoro svolto, trascurando, al contrario, il lucro<br />

cessante costituito dai risparmi da essa eventualmente accantonati<br />

a favore dei figli (1). In tale prospettiva, pertanto,<br />

i familiari lamentano come, in seno all’ormai pacifico riconoscimento<br />

del danno per morte della casalinga (2), sia<br />

stato, oltremodo, ridotto il pregiudizio risarcibile e sia stato,<br />

altresì, negato il ristoro alla lesione dell’aspettativa dei figli<br />

a beneficiare dei risparmi che la donna avrebbe conservato<br />

a loro vantaggio.<br />

La Suprema Corte, accogliendo parzialmente il ricorso,<br />

ribadisce un principio già enunciato dalla pregressa giurisprudenza<br />

(3), consistente nell’attribuzione di una valenza<br />

di danno contra jus alla lesione di aspettative c.d. legittime<br />

dei familiari. Con la pronuncia in commento, giudica,<br />

infatti, congruo il quantum damni per quel che concerne il<br />

ristoro della perdita di assistenza domestica, sottolineando<br />

come le prestazioni rese in casa siano, comunque, ridotte<br />

dall’attività di lavoro autonomo esercitata dalla vittima<br />

fuori dall’ambiente familiare; censura, invece, le decisioni<br />

di merito per non aver considerato nella liquidazione del ristoro<br />

i risparmi che la donna avrebbe, in prospettiva, potuto<br />

accantonare per i figli.<br />

In punto di diritto, la questione sottoposta all’attenzione<br />

della Corte di Cassazione concerne, quindi, il risarcimento<br />

di un danno “futuro”, subito da parte dei congiunti<br />

di persona deceduta, privati di utilità economiche<br />

di cui beneficiavano e di cui avrebbero beneficiato negli<br />

anni a venire. L’aspetto interessante della vicenda riguarda<br />

proprio la qualificazione di un diritto al risarcimento<br />

che non trova fondamento nella lesione di una situazione<br />

soggettiva - sia essa diritto assoluto, diritto di credito, diritto<br />

reale o interesse legittimo - bensì in un’aspettativa di<br />

fatto a godere dei risparmi della vittima e fondata sul vincolo<br />

familiare intercorrente tra i congiunti e la casalinga<br />

(4).<br />

Secondo la motivazione della pronuncia in commento,<br />

la rilevanza giuridica di tale aspettativa presenta, peraltro,<br />

un duplice fondamento che affonda le proprie radici,<br />

da un lato, nel sentimento affettivo intercorrente tra i familiari,<br />

dall’altro, nell’istituto della successione necessaria<br />

previsto dal codice civile (5), risultando, in tal modo, meritevole<br />

di protezione.<br />

L’assai rara produzione giurisprudenziale sul tema,<br />

nondimeno, rivela come l’individuazione dell’an damni avvenga<br />

attraverso il ricorso a criteri di natura sostanzialmente<br />

metagiuridica, ora legati alla coscienza sociale, ora legati a<br />

norme di relazione tra privati, tali da legittimare la speranza<br />

del conseguimento di un utile futuro in virtù del rapporto<br />

con la vittima. Tali canoni, del resto, secondo l’impostazione<br />

della giurisprudenza, riposano su principi di ordine<br />

costituzionale che presiedono alla liquidazione del danno<br />

emergente, conseguente alla perdita diretta dell’insostituibile<br />

presenza della defunta come moglie e madre (6), a garanzia<br />

della razionalità e fondatezza della reintegrazione<br />

dell’aspettativa.<br />

Di non minore importanza è, inoltre, il problema - affrontato<br />

dalla sentenza - connesso alla quantificazione del<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

Note:<br />

(1) Il momento decisivo per distinguere tra danno emergente e lucro cessante<br />

è quello in cui si verifica l’evento dannoso. Se il fatto lesivo sottrae<br />

una qualche utilità che già c’era si è prodotto un danno emergente; se, al<br />

contrario, preclude l’acquisizione di utilità future si è verificato un lucro cessante.<br />

Per una ricognizione sul tema, Franzoni, L’illecito, Milano, 2004, 55 ss.<br />

(2) La valutazione della risarcibilità delle aspettative c.d. legittime dei<br />

congiunti oggetto della pronuncia in esame si innesta nel quadro di più<br />

ampio respiro del riconoscimento di un danno a favore di quei soggetti<br />

che non percepiscono un reddito monetizzato, ma solamente figurativo.<br />

È, quindi, opportuno ricordare che, a seguito di un vivace dibattito, la giurisprudenza<br />

ha, da tempo, riconosciuto anche alla casalinga un danno patrimoniale<br />

per diminuzione o perdita della capacità lavorativa specifica<br />

perché, seppur priva di un’occupazione remunerata, svolge un’attività suscettibile<br />

di valutazione economica. La rilevanza giuridica del lavoro domestico<br />

si evince, peraltro, da diverse branche dell’ordinamento che spaziano<br />

dal diritto di famiglia (artt. 143 e 230 bis c.c.), al diritto previdenziale<br />

(legge 3 dicembre 1999, n. 493), alla stessa Costituzione che agli artt.<br />

4 e 37 prevede e garantisce la tutela di qualunque forma di lavoro, benché<br />

in assenza di un reddito monetizzato. In virtù dei principi enunciati, viene,<br />

pertanto, concesso un ristoro sia alla casalinga, iure proprio, sia ai congiunti,<br />

iure proprio e - in caso di decesso successivo alle lesioni - iure hereditatis,<br />

facendo, appunto, ricorso alla figura del reddito figurativo, invocabile<br />

laddove l’attività lavorativa non possa essere immediatamente rapportata<br />

a unità monetaria. Nel caso in cui, al contrario, la donna - oltre<br />

all’attività di casalinga - svolga un lavoro remunerato, la liquidazione del<br />

danno subirà una riduzione in proporzione al reddito effettivamente percepito.<br />

Sull’argomento, Cass. 11 dicembre 2000, n. 15580, in questa Rivista,<br />

2001, 587, con nota di Maninetti, Sempre risarcibile il danno patrimoniale<br />

per diminuzione della capacità lavorativa della casalinga; Cass. 12 settembre<br />

2000, n. 12022 e Cass. 11 agosto 2000, n. 10725, ibidem, 946, con<br />

nota di Pellerito, Ancora guidelines della Cassazione sul danno biologico;<br />

Cass. 26 ottobre 1998, n. 10629, in Foro it., 1998, 3109, con nota di Di<br />

Ciommo, Circolazione dei veicoli e danno al trasportato; in Gazz. giur., 1998,<br />

48; in Giust. civ., 1998, I, 2716; in Guida al dir., 1998, 68, con nota di Martini,<br />

Il soggetto trasportato a titolo di cortesia è considerato estraneo alla circolazione;<br />

Cass. 6 novembre 1997, n. 10923, in questa Rivista, 1998, 234, con<br />

nota di Violante, In tema di danno patrimoniale ad una casalinga; Trib. Treviso<br />

11 aprile 1996, in Resp. civ. e prev., 1996, 958; Cass. 3 novembre<br />

1995, n. 11453, ibidem, 961, con nota di Miotto, Il danno alla persona della<br />

casalinga e quello dei suoi prossimi congiunti; Cass. 22 novembre 1991, n.<br />

12546, in Giur. it., 1992, 1036; in dottrina: Bargelli, Il danno alla casalinga,<br />

in questa Rivista, 2002, 1085; Pietropaoli, Il danno patrimoniale della casalinga,<br />

in Il dir. lav., 2001, 400; Carbonaro, La questione del risarcimento del<br />

danno patrimoniale della casalinga: la Cassazione al bivio tra azzeramento delle<br />

categorie del danno alla persona e loro reinterpretazione, in Resp. civ. e prev.,<br />

2001, 612; Settesoldi, Il risarcimento del danno alla persona della casalinga, in<br />

questa Rivista, 2000, 1095; Miotto, <strong>Danno</strong> emergente dei prossimi congiunti<br />

per la perdita di prestazioni di lavoro casalingo: la Cassazione torna sul tema della<br />

prova del danno patrimoniale, in Resp. civ. e prev., 1999, 84; Ziviz, Lavoro<br />

domestico e danno patrimoniale, ivi, 1998, 74.<br />

(3) Cass. 14 luglio 2003, n. 11003, in Dir. e giust., 2003, 48, con nota di<br />

Riccobene, Il danno patrimoniale agli eredi; in Resp. civ. e prev., 2003, 1049,<br />

con nota di Facci, La Cassazione ed il risarcimento del danno c.d. terminale;<br />

Cass. 21 novembre 1995, n. 12020, in questa Rivista, 1996, 519; in Resp.<br />

civ. e prev., 1996, 639, con nota di Bastianon, Morte di libero professionista<br />

a seguito di sinistro non stradale e liquidazione del danno patrimoniale (da lucro<br />

cessante) a favore dei congiunti; Cass. 25 giugno 1981, n. 4137, in Giust.<br />

civ., 1981, 2213, con nota di Alpa, <strong>Danno</strong> alla persona, aspettative legittime,<br />

criteri del risarcimento; in Foro it., 1981, I, 2951, con nota di Jannarelli, Sulla<br />

quantificazione giudiziale del danno per la morte del congiunto; in Riv. giur.<br />

circolaz. e trasp., 1981, 1053; nonché in Arch. civ., 1981, 631.<br />

(4) Cass. 21 novembre 1995, n. 12020, cit.; Ass. Genova 18 marzo 1982,<br />

in Giur. it., 1983, 68, con nota di Raineri, Convivente della vittima e costituzione<br />

di parte civile nel processo per omicidio.<br />

(5) Cass. 25 giugno 1981, n. 4137, cit.<br />

(6) Sull’evoluzione dei criteri di selezione delle situazioni giuridicamente<br />

rilevanti, cfr. Sbisà, Il risarcimento del danno alla convivente more uxorio, in<br />

Riv. trim. dir. e proc. civ., 1965, 1222.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 755


756<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

danno (7), che, pur conservando la propria matrice equitativa,<br />

esige il ricorso a parametri di carattere oggettivo, in<br />

grado di incanalare entro schemi logici la monetizzazione<br />

del pregiudizio subito dai familiari. Secondo tale ottica, la<br />

durata probabile della vita e i guadagni percepiti dalla donna,<br />

fondati sull’esistenza di un reddito e sul suo possibile incremento<br />

grazie al lavoro autonomo assurgono a linee guida<br />

nel procedimento di liquidazione del danno e forniscono<br />

un valido criterio di valutazione del giudizio equitativo,<br />

soggetto, comunque, all’obbligo di motivazione.<br />

Aspettativa legittima, perdita di chance<br />

o danno “meramente” patrimoniale?<br />

La pronuncia in esame non è, peraltro, esente da profili<br />

critici. Solamente sporadiche pronunce hanno, infatti,<br />

affrontato l’annosa questione della risarcibilità delle aspettative,<br />

quale forma di danno futuro, privilegiando il dibattito<br />

inerente alla reintegrazione della perdita di chance (8).<br />

Il ristoro di un pregiudizio futuro si scontra, invero,<br />

con l’esigenza di un danno certo, dimostrabile nel suo concreto<br />

ammontare e causalmente riconducibile all’evento<br />

dannoso. Con il risarcimento della perdita di chance, la giurisprudenza<br />

ha raggiunto un equilibrio tra la necessità di<br />

non frustrare aspettative future - suscettibili di realizzazione<br />

secondo un criterio probabilistico - e il dovere logico-giuridico<br />

di non violare il principio di certezza del danno.<br />

La nozione di chance enucleata dalla giurisprudenza -<br />

quale entità suscettibile di valutazione economica secondo<br />

un criterio prognostico, distinta dalla mera aspettativa di<br />

fatto - è, infatti, utile non solo per risolvere il problema dell’accertamento<br />

(an), ma anche della liquidazione del danno<br />

(quantum). Il concetto di chance, infatti, a livello lessicale<br />

corrisponde all’occasione, all’opportunità, alla probabilità<br />

di conseguire un determinato obiettivo o traguardo,<br />

che abbia un risvolto di carattere patrimoniale, vantaggioso<br />

per chi usufruisca, appunto, di tale possibilità. La chance,<br />

dunque, è interesse meritevole di protezione molto vicino<br />

all’interesse o all’aspettativa legittima.<br />

Sotto il profilo del quantum damni, peraltro, come anticipato,<br />

lo stesso concetto di chance fornisce un criterio utile<br />

per la determinazione del ristoro: tale perdita, infatti, costituisce<br />

un danno economicamente valutabile, secondo<br />

criteri probabilistici di carattere aritmetico, connaturati alla<br />

stessa nozione di chance, in grado di offrire al Giudice un<br />

metodo valido per la quantificazione del danno.<br />

Differente, invece, è l’ipotesi del riconoscimento di un<br />

risarcimento per la lesione di “aspettative successorie”. La<br />

pronuncia in esame, uniformandosi al precedente orientamento<br />

sul tema, qualifica l’aspettativa di fatto dei congiunti<br />

di godere dei risparmi futuri della vittima quale aspettativa<br />

legittima, equiparando implicitamente il pregiudizio subito<br />

dai familiari ad una perdita di chance.<br />

In realtà, come la più recente dottrina (9) ha sottolineato,<br />

le ipotesi di perdita di chance sono state, in un certo<br />

qual modo, tipizzate dalla giurisprudenza e ricondotte a<br />

quattro categorie “istituzionali”, quali l’avanzamento di<br />

carriera nel rapporto di lavoro, l’attività professionale del<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

medico e dell’avvocato, la perdita della possibilità di nascere<br />

sano, gli interessi meritevoli di tutela del cittadino lesi da<br />

comportamenti illegittimi della P.A., con conseguente<br />

esclusione dell’interpretazione analogica o estensiva del<br />

concetto di aspettativa risarcibile.<br />

L’aspettativa legittima, qualificata come situazione di<br />

attesa di un beneficio futuro considerato probabile in relazione<br />

a disposizioni di legge o negozi giuridici (10), presuppone,<br />

peraltro, un giudizio prognostico sul suo effettivo verificarsi<br />

in presenza di effetti prodromici e preparatori rispetto<br />

a quelli finali e definitivi propri del conseguimento<br />

dell’utilità.<br />

Per quel che concerne la pronuncia in commento, al<br />

contrario, non si comprende quale sia la ratio e il fondamento<br />

giuridico del riconoscimento della risarcibilità di<br />

aspettative - quelle successorie - che, seppur qualificate legittime,<br />

parrebbero più affini alle aspettative di fatto.<br />

Affermare la legittimità delle pretese successorie dei<br />

figli nei confronti dei genitori significa, infatti, ammettere<br />

indirettamente la sussistenza di un obbligo in capo ai genitori<br />

di conservare il patrimonio per la futura eredità dei<br />

congiunti (11). In realtà, la disciplina delle successioni mira<br />

a salvaguardare, in primis, la libertà del de cuius di disporre<br />

dei propri averi e solo successivamente protegge la categoria<br />

dei c.d. legittimari da possibili abusi o violazioni conseguenti<br />

alla redazione di un testamento (12). Tale tutela,<br />

peraltro, non contrasta con la possibilità offerta al genitore<br />

Note:<br />

(7) Per una ricognizione sui criteri di valutazione economica del danno<br />

alla persona: Jannarelli, Il risarcimento del danno alla persona e l’analisi economica<br />

del diritto, in Foro it., 1979, 250. Quanto alle valutazioni di opportunity<br />

cost svolte dalla giurisprudenza, si segnala Trib. Treviso 6 aprile<br />

2000, in Arch. circ., 2001, 43.<br />

(8) Sull’argomento, ex multis, Faella, Sulla risarcibilità della perdita di chance,<br />

in Foro it, 2004, I, 155; Monticelli, Responsabilità civile e perdita di chance:<br />

alcune considerazioni a margine dell’esperienza italiana e francese, in Giust.<br />

civ., 2004, II, 295; Severi, Perdita di chance e danno patrimoniale risarcibile,<br />

ivi, 2003, 28; Monticelli, Responsabilità civile e perdita di chance: breve<br />

storia di una lesione (in)visibile, in Nuova giur. civ. comm., 2003, 873; Suppa,<br />

<strong>Danno</strong> da perdita di chance ed onere probatorio, in Giur. it., 2003, I,<br />

1782; Rossetti, Il danno da perdita di chance, in Riv. giur. circolaz. e trasp.,<br />

2000, 662; Pontercorvo, La <strong>responsabilità</strong> per perdita di chance, in Giust.<br />

civ., 1997, II, 447; Brocchiola, Perdita di una chance e certezza del danno,<br />

in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1976, 55.<br />

(9) Feola, Il danno da perdita di chance, Napoli, 2004, 10 ss.; Ponzanelli, La<br />

quantificazione del danno da perdita di chance per telegramma spedito, ma non<br />

consegnato, in questa Rivista, 2005, 169; Bitetto, Chance perduta come fonte<br />

di danno per mancato rispetto delle regole. Ma quanto vale un’occasione?<br />

Sulla risarcibilità del danno in caso di perdita di occasioni di lavoro, ivi, 2002,<br />

393; Susca, Il risarcimento da perdita di chance, in Urb. e app., 2002, 703;<br />

Cavallaro, Risarcimento del danno da perdita di chance, in Studium iuris,<br />

2001, 573; Musy, Aspettative minori, in Giur. it., 1994, 769.<br />

(10) Franzoni, L’illecito, cit., 893 ss; Pelosi, Aspettativa di diritto, in Dig. disc.<br />

priv., Torino, 1987, I, 465; Scognamiglio, Aspettativa, in Enc. dir., Milano,<br />

1958, III, 226.<br />

(11) Unica voce contraria in dottrina, De Cupis, Aspettativa legittima e risarcimento<br />

del danno, in Giust. civ., 1983, 104.<br />

(12) Per tutti Mengoni, Successioni per causa di morte, Milano, 1992; Azzariti,<br />

Successioni dei legittimari e successioni dei legittimi, Torino, 1989; Azzariti,<br />

Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1979.


di consumare pienamente i propri beni e risparmi per esigenze<br />

personali, escludendo la configurabilità di un diritto<br />

in capo ai figli o qualsivoglia eredi legittimi di conseguire<br />

un lascito. Ne consegue, pertanto, che l’aspettativa dei<br />

congiunti della vittima di ereditare non possa essere pacificamente<br />

considerata legittima, potendosi, altrimenti, qualificare<br />

come aspettativa di fatto, ex se priva di tutela giuridica,<br />

in quanto afferente al mondo dei desideri e delle mere<br />

speranze.<br />

Un orientamento del tutto minoritario della dottrina<br />

tenta, invece, di giustificare il risarcimento delle aspettative<br />

successorie, ricorrendo alla dubbia e controversa categoria<br />

del danno “meramente” patrimoniale, suscettibile di ristoro<br />

ogni qualvolta non vi sia lesione di una situazione giuridica<br />

soggettiva, bensì di un interesse di fatto (13). Il richiamo<br />

sembrerebbe, tuttavia, fuorviante alla luce dell’opinione<br />

consolidata dalla dottrina maggioritaria (14) sulla<br />

nozione di danno “meramente” patrimoniale (15).<br />

Tale danno, infatti, di origine giurisprudenziale, pur<br />

venendo riconosciuto e risarcito in fattispecie eterogenee<br />

(16), si configura come pregiudizio attuale e presente, diversamente<br />

dalla perdita di chance o dalla lesione di aspettative<br />

legittime, consistenti in un danno futuro, fondato sulla<br />

probabilità - successivamente frustrata - della realizzazione<br />

di un evento favorevole (17). Alla stregua della perdita di<br />

chance, del resto, anche il danno “meramente” patrimoniale<br />

è stato liquidato in ipotesi estranee alla figura delle aspettative<br />

successorie, ma standardizzate dalla giurisprudenza,<br />

quali, appunto, la lesione della libertà negoziale (18), la <strong>responsabilità</strong><br />

per false informazioni (19) e i c.d. cables case,<br />

caratterizzati dall’interruzione di energia elettrica alle attività<br />

produttive da parte di terzi (20). L’analisi della giurisprudenza<br />

richiamata ha, però, permesso di rilevare la difficoltà<br />

dell’interprete di ricondurre il danno meramente patrimoniale<br />

entro i parametri fissati dall’art. 2043 c.c., vale a<br />

dire la certezza e l’ingiustizia del danno e il nesso di causalità<br />

tra la condotta e l’evento, quale imprescindibile rapporto<br />

di consequenzialità tra il fatto lesivo e la perdita subita<br />

(21), con conseguente perplessità della dottrina in ordine<br />

alla legittimità di un siffatto ristoro (22).<br />

L’assimilazione del risarcimento delle aspettative lese<br />

al danno meramente patrimoniale proposta dalla voce minoritaria<br />

della dottrina non pare, dunque, appropriata, presentando<br />

le figure richiamate aspetti problematici differenti<br />

in ordine al tempo, al modus e alla ratio del ristoro.<br />

Brevi conclusioni<br />

Nel motivare il risarcimento dell’aspettativa lesa, la<br />

Suprema Corte compie un ragionamento sostanzialmente<br />

tautologico, richiamandosi all’orientamento precedente<br />

che aveva, invece, legittimato il ristoro del pregiudizio subito<br />

con riferimento alla disciplina della successione necessaria<br />

e alla rilevanza dei legami familiari. Ad un’analisi più<br />

approfondita, tuttavia, la qualificazione dell’aspettativa<br />

successoria dei congiunti come legittima non pare suffragata<br />

da solidi riferimenti normativi, né sembra trovare<br />

conforto nei principi generali dell’ordinamento, che ave-<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

vano ammesso la risarcibilità della perdita di chance. Nemmeno<br />

il breve excursus in tema di danno meramente patrimoniale,<br />

del resto, pare utile per conferire legittimità al ristoro<br />

delle aspettative violate.<br />

Occorre, però, sottolineare come la costruzione dog-<br />

Note:<br />

(13) Riccobene, Il danno patrimoniale, cit., 52. L’autrice sottolinea come la<br />

risarcibilità delle aspettative successorie venga ammessa dal giudice sulla<br />

base di un giudizio di meritevolezza di una situazione di fatto, non tutelata<br />

a priori dall’ordinamento e, perciò, equiparabile al danno meramente<br />

patrimoniale.<br />

(14) Maggiolo, Risarcimento della pura perdita patrimoniale, Milano, 2003,<br />

2 ss.; Tortorano, Il danno meramente patrimoniale, Torino, 2001, 99 e 169;<br />

Pietrobon, Illecito e fatto illecito inibitoria e risarcimento, Padova, 1998, 81<br />

ss.; Ponzanelli, Il risarcimento del danno meramente patrimoniale nel diritto<br />

italiano, in questa Rivista, 1998, 729. Di non minor interesse sono, peraltro,<br />

i contributi del diritto comparato che permettono di assimilare il concetto<br />

di danno meramente patrimoniale alla figura ondivaga del pure economic<br />

loss proprio dei sistemi di common law. Si segnala, a tal proposito,<br />

Gordley, On the history of the idea that Tort Liability does not extend to Pure<br />

Economic Loss, non pubblicato, Berkeley, 1999; Bussani, Pure Economic<br />

Loss in Europe, Cambridge, 2003.<br />

(15) È, peraltro, doveroso rilevare che in seno alla dottrina prevalente<br />

non mancano prese di posizione individuali, volte a contrastare l’ammissibilità<br />

nell’ordinamento italiano del danno meramente patrimoniale, ex<br />

se assolutamente generico ed inconsistente. Franzoni, Dei fatti illeciti, in<br />

Commentario Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1993, 215; Castronovo,<br />

La nuova <strong>responsabilità</strong> civile, Milano, 1997, 103.<br />

(16) Pedrazzi, Responsabilità del tipografo per “incauta stampa”: nesso di causalità<br />

e danno meramente patrimoniale, in questa Rivista, 2000, 432; Musy,<br />

Taglio di cavi elettrici: il danno meramente patrimoniale, ibidem, 2000, 170.<br />

(17) La richiesta di risarcimento del danno per le aspettative mancate è<br />

sempre subordinata alla valutazione dell’esistenza di un interesse giuridicamente<br />

tutelato al verificarsi di un fatto futuro, diversamente dal danno<br />

meramente patrimoniale che, al contrario, viene riconosciuto quale danno<br />

attuale, in ipotesi di assenza di situazioni soggettive giuridicamente rilevanti.<br />

Sul punto Cass. 22 aprile 1993, n. 4725, in Dir. e prat. lav., 1993,<br />

26; Torresi, Il ‹‹danno da perdita di chance›› tra contratto e torto: diritto all’integrità<br />

patrimoniale? <strong>Danno</strong> meramente patrimoniale?, in Giur. it., 1999,<br />

2073; Busnelli, Perdita di una chance e risarcimento del danno risarcibile, in<br />

Foro it., 1965, 47.<br />

(18) Cass. 4 maggio 1982, n. 2765, in Giust. civ., 1982, 1745, con nota di<br />

Di Majo, Ingiustizia del danno e diritti non nominati.<br />

(19) Cass. 10 febbraio 1996, n. 1030, in questa Rivista, 1996, 171, con nota<br />

di Carbone, La Camera di Commercio risponde per false attestazioni.<br />

(20) Cass. 14 maggio 1999, n. 4762, in questa Rivista, 2000, 167, con nota<br />

di Musy, Taglio di cavi, cit.<br />

(21) Ponzanelli, Il risarcimento del danno meramente patrimoniale, cit., 732.<br />

L’autore individua, peraltro, tre possibili circostanze che possono essere<br />

qualificate come danno meramente patrimoniale, ovvero: 1) perdita di<br />

profitto diversa dalla lesione del diritto di proprietà o della persona, equiparabile<br />

al lucro cessante solo se si presenti come conseguenza immediata<br />

e diretta dell’evento dannoso; 2) pregiudizio in cui difettino i presupposti<br />

di certezza del danno, qualificabile, pertanto, come non-danno; 3)<br />

lesione di interesse irrilevante per l’ordinamento e quindi non ingiusto ai<br />

sensi dell’art. 2043 c.c. In tutti e tre i casi è dubbia la configurabilità di un<br />

ristoro ai sensi del 2043 c.c. o per mancanza del requisito di certezza o per<br />

assenza dell’ingiustizia.<br />

(22) Ponzanelli, Il risarcimento del danno meramente patrimoniale, cit., 732.<br />

Nella propria indagine, l’autore - interrogandosi sull’ammissibilità e la legittimità<br />

di un simile ristoro - si è, persino, spinto a ipotizzare come la figura<br />

di danno meramente patrimoniale possa essere stata introdotta dalla<br />

giurisprudenza al fine di aggirare la rigida previsione dell’art. 2059 c.c. e<br />

così riconoscere una sorta di pregiudizio non patrimoniale.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 757


758<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

matica della nozione di aspettativa operata dalla dottrina<br />

non presenti caratteristiche omogenee, ma connoti come<br />

aspettativa situazioni di “attesa” ora dotate di tutela giuridica,<br />

ora sottoposte a termine o condizione sospensiva, ora<br />

considerate effetti preliminari di un negozio ad efficacia differita,<br />

lasciando all’interprete ampi margini per l’attività di<br />

ricostruzione esegetica del concetto. E proprio entro tali<br />

margini, si è inserito quel filone giurisprudenziale che ha dichiarato<br />

l’ammissibilità del risarcimento dell’aspettativa<br />

successoria, privilegiando un’interpretazione di aspettativa<br />

affine alla nozione di chance, suscettibile di ristoro ai sensi<br />

dell’art. 2043 c.c.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

Compete, nondimeno, alla dottrina evidenziare i rischi<br />

di una possibile espansione dell’art. 2043 c.c. che, pur<br />

configurandosi come clausola aperta, non può essere così<br />

estesa da ricomprendere ogni aspettativa che vittima e congiunti<br />

si sarebbero proposti di realizzare, precedentemente<br />

all’evento dannoso. In assenza di un chiaro dettato normativo,<br />

la ricostruzione esegetica del concetto di aspettativa è,<br />

peraltro, indispensabile, per selezionare situazioni degne di<br />

protezione e per individuare i confini di una norma, l’art.<br />

2043 c.c., che seppur generale, costituisce un valido indice<br />

di meritevolezza di pregiudizi risarcibili, tra le diverse ipotesi<br />

di danno futuro.


Svolgimento del processo<br />

... Omissis...<br />

GIURISPRUDENZA•DANNI NON PATRIMONIALI<br />

<strong>Danno</strong> esistenziale<br />

Adelante... ma con giudizio!<br />

(Due sentenze genovesi sul nuovo<br />

danno non patrimoniale)<br />

TRIBUNALE DI GENOVA 23 gennaio 2006<br />

Giud. Vidali - C. M. c. Telecom Italia S.p.A<br />

Danni in materia civile - Danni non patrimoniali - Inadempimento del gestore telefonico - <strong>Danno</strong> esistenziale - Sussiste.<br />

(c.c. artt. 2043, 2059)<br />

Il disagio patito dal professionista - a seguito del cattivo funzionamento del centralino del proprio<br />

studio, provocato dai lavori effettuati dal gestore telefonico per l’installazione della linea ISDN - è risarcibile<br />

quale danno esistenziale.<br />

Motivi della decisione<br />

Ritiene parte attrice sia stata dimostrata la fondatezza<br />

delle pretese fatte valere in giudizio in quanto la fondatezza<br />

del ricorso da sé proposto era stata riconosciuta dalla<br />

stessa controparte, che si era resa subito disponibile ad<br />

eseguire gli interventi tecnici necessari.<br />

Sussisteva inoltre il requisito del periculum in mora, essendo<br />

evidente l’irreparabile pregiudizio che poteva esserne<br />

derivato allo studio di un professionista.<br />

Essa aveva patito gravi disagi nell’esplicazione della propria<br />

professione, trovando difficoltà a organizzare le<br />

chiamate di clienti, e ciò per lungo tempo.<br />

La stessa istruttoria aveva dimostrato che l’attrice, prima<br />

di ottenere nuovamente la linea funzionante inclusa l’I-<br />

SDN per cui già pagava il canone, aveva dovuto attendere<br />

il dicembre 2002.<br />

Anche il teste addotto da controparte aveva ammesso<br />

l’inadempienza di Telecom.<br />

L’impossibilità di quantificare il danno in via analitica,<br />

in particolare trattandosi di un danno di natura esistenziale,<br />

ne imponeva la liquidazione d’ufficio in via equitativa.<br />

Rileva per contro parte convenuta che parte attrice non<br />

abbia provato il protrarsi del malfunzionamento del centralino<br />

telefonico e la propria <strong>responsabilità</strong> per non<br />

aver provveduto alla riparazione del guasto.<br />

Essa si era dichiarata fin da subito disponibile a consentire<br />

il funzionamento del servizio, adoperandosi per la risoluzione<br />

di problemi tecnici di competenza di altri soggetti,<br />

come internet.<br />

Nessuna prova era poi stata fornita dei danni patiti, e sa-<br />

rebbe di conseguenza impossibile la quantificazione della<br />

perdita subita e del mancato guadagno.<br />

A fronte di un procedimento radicato per il merito conseguente<br />

all’esaurito cautelare dovranno anzitutto esaminarsi<br />

i requisiti di tale procedimento certamente ricorrenti<br />

in quel caso, seppure non esaminati per la sopravvenuta<br />

cessazione della materia del contendere.<br />

Ed invero Telecom si era resa disponibile a por rimedio<br />

al pregiudizio patito dalla ricorrente, con ciò riconoscendo<br />

da subito l’altrui buon diritto.<br />

Quanto al periculum va tenuto presente che l’episodio di<br />

mal funzionamento aveva riguardato dapprima entrambe<br />

le linee telefoniche e poi specificamente quella della<br />

segretaria.<br />

Trattandosi di studio professionale legale appare implicito<br />

ed evidente il danno patito sia per lo svolgimento ordinario<br />

del lavoro che per i necessari contatti con la<br />

clientela.<br />

La mancanza di un filtro telefonico attuato dalla segretaria<br />

e l’impossibilità di rispondere quando il professionista<br />

era impegnato fuori studio avevano senza dubbio arrecato<br />

un danno alla titolare che certamente ne aveva patito<br />

pregiudizio in termini di immagine e di funzionalità<br />

della propria attività.<br />

Peraltro, in assenza di una qualsiasi prova offerta circa l’esistenza<br />

di un danno patrimoniale, ciò che qui rileva come<br />

danno certamente patito è il profilo del danno esistenziale.<br />

Non v’è dubbio che l’attrice sia stata fortemente pregiudicata<br />

dal disagio patito per ben quattro mesi di non avere<br />

o entrambe o una linea, quella della segretaria, attiva,<br />

avendo con ciò in buona parte vanificato il sollievo di<br />

coadiuvarsi di una collaboratrice, appunto.<br />

Anche la conseguente necessità di insistere, comprensibilmente,<br />

quasi ogni giorno per ottenere il ripristino della<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 759


760<br />

GIURISPRUDENZA•DANNI NON PATRIMONIALI<br />

linea, il non riuscire ad attuare un ragionevole metodo di<br />

lavoro con conseguente dispendio di tempo ed energie,<br />

non possono che concretarsi in una sofferenza morale, in<br />

un disagio psichico configurabili come danno esistenziale.<br />

È infatti pacifico che l’attrice, prima di ottenere una linea<br />

integralmente funzionante ha dovuto attendere dal<br />

2/7/2002 al 20/12/2002.<br />

Né vi è prova, come sostenuto dalla convenuta, che il<br />

danno sia imputabile ad altri soggetti, poste sia le iniziali<br />

e perduranti ammissioni, sia la confessione esplicitata<br />

Svolgimento del processo<br />

... Omissis...<br />

Motivi della decisione<br />

La domanda risarcitoria non può trovare accoglimento<br />

per le seguenti ragioni.<br />

Com’è dato di intendere dalle precedenti premesse, il<br />

nodo del contendere nell’odierno processo è rappresentato<br />

dalla legittimazione attiva delle parti attrici - eredi<br />

testamentarie dell’anziana sig.ra P., travolta dal motociclo<br />

delle parti convenute mentre attraversava la Via Prà<br />

l’8.9.2002 e deceduta l’indomani - ad ottenere il risarcimento<br />

del danno morale e di tipo esistenziale per la perdita<br />

di una persona, ad essi affettivamente legata alla<br />

stregua di uno stretto parente.<br />

In realtà, meglio sarebbe dire che la questione si sostanzia<br />

nell’individuazione nel sistema del risarcimento del<br />

danno alla persona di una regola che consenta il riconoscimento<br />

del diritto a risarcimento, quindi il problema<br />

non è tanto di “legittimazione sostanziale”, quanto piuttosto<br />

di proponibilità giuridica dell’azione risarcitoria<br />

per l’esistenza nell’ordinamento di una tutela differenziata<br />

e qualificata delle parti attrici rispetto al fatto lesivo in<br />

esame, certamente per loro doloroso dal punto di vista<br />

affettivo-psicologico.<br />

Si ritiene che la recente teorica del danno da lesione di<br />

interessi costituzionalmente protetti, recepita e messa a<br />

fuoco dalla III Sezione della Corte di Cassazione nelle<br />

note decisioni n. 8827 e 8828 del 2003, a cui anche questo<br />

Tribunale ha dato impulso con la questione di costituzionalità<br />

dell’art. 2059 c.c. risolta, in termini conformi<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

dal dipendente P. che ha ammesso che i richiesti interventi<br />

«non ci furono».<br />

Appare dunque solo risarcibile l’alterazione peggiorativa<br />

della qualità della vita patita, gli strascichi negativi dell’evento<br />

pregiudizievole, che andrà equitativamente liquidata<br />

nella misura di euro 500,00 per ogni mese, con<br />

esclusione di qualsiasi danno patrimoniale.<br />

Sono dunque riconoscibile all’attrice complessivi euro<br />

2.000,00.<br />

... Omissis...<br />

TRIBUNALE DI GENOVA 7 marzo 2006<br />

Giud. Braccialini - P. M. P. e A. P. c. A. Di M., M. A. C. e Trieste e Venezia - Genertel Assicurazioni S.p.A.<br />

Danni in materia civile - Danni non patrimoniali - Morte della vittima - Legittimazione delle vittime secondarie - Lesione<br />

del rapporto para-familiare - Sussiste in caso di comunione materiale e morale.<br />

(c.c. artt. 2043, 2059)<br />

La legittimazione al risarcimento dei danni morali ed esistenziali conseguenti alla morte della vittima<br />

di un incidente stradale spetta esclusivamente a coloro i quali risultino legati al soggetto deceduto da<br />

un rapporto caratterizzato da una comunione materiale e morale, poiché solo in tale ipotesi - e non<br />

già a fronte di un semplice rapporto di amicizia - ricorre la lesione di un legame para-familiare costituzionalmente<br />

tutelato dagli artt. 29 e 30 Cost.<br />

alla lettura costituzionalmente orientata di tale norma,<br />

costituisca un utile ed ormai assodato punto di partenza<br />

per esaminare anche l’odierno caso.<br />

Nel primo citato arresto della Cassazione, parlando proprio<br />

del danno da perdita di un congiunto, variamente<br />

definito nella giurisprudenza di merito (danno edonostico,<br />

da perdita del congiunto, danno esistenziale, ecc.),<br />

ma sempre con l’identico significato di perdita del rapporto<br />

affettivo e di sostegno morale con un prossimo<br />

congiunto, si legge quanto segue: «L’interesse fatto valere<br />

nel caso di danno da uccisione di congiunto è quello<br />

alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca<br />

solidarietà nell’ambito della famiglia, alla inviolabilità<br />

della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici<br />

della persona umana nell’ambito di quella peculiare<br />

formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela<br />

e ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost.<br />

Si tratta di interesse protetto, di rilievo costituzionale,<br />

non avente natura economica, la cui lesione non apre la<br />

via ad un risarcimento ai sensi dell’art. 2043, nel cui ambito<br />

rientrano i danni patrimoniali, ma ad un risarcimento<br />

(o meglio: ad una riparazione) ai sensi dell’art.<br />

2059, senza il limite ivi previsto in correlazione all’art.<br />

185 c.p. in ragione della natura del valore inciso, vertendosi<br />

in tema di danno che non si presta ad una valutazione<br />

monetaria di mercato.<br />

Il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto,<br />

consistente nella perdita del rapporto parentale, si colloca<br />

quindi nell’area dell’art. 2059 in raccordo con le suindicate<br />

norme della Costituzione.<br />

Il suo risarcimento postula tuttavia la verifica della sussi-


GIURISPRUDENZA•DANNI NON PATRIMONIALI<br />

stenza degli elementi nei quali si articola l’illecito civile<br />

extracontrattuale definito dall’art. 2043. L’art. 2059 non<br />

delinea una distinta figura di illecito produttiva di danno<br />

non patrimoniale, ma, nel presupposto della sussistenza<br />

di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell’illecito<br />

civile, consente, nei casi determinati dalla legge,<br />

anche la riparazione di danni non patrimoniali<br />

(eventualmente in aggiunta a quelli patrimoniali nel caso<br />

di congiunta lesione di interessi di natura economica<br />

e non economica).<br />

Per quanto concerne il nesso di causalità, va rilevato<br />

che, nel caso in cui la perdita del rapporto parentale sia<br />

determinata dall’uccisione di un congiunto, il medesimo<br />

fatto (uccisione di una persona) lede in pari tempo situazioni<br />

giuridiche di soggetti diversi legati da un vincolo<br />

parentale.<br />

L’evento naturale “morte” non causa soltanto l’estinzione<br />

della vita della vittima primaria, che subisce il massimo<br />

sacrificio del relativo diritto personalissimo, ma causa<br />

altresì, nel contempo, l’estinzione del rapporto parentale<br />

con i congiunti della vittima, che a loro volta subiscono<br />

la lesione dell’interesse alla intangibilità della sfera<br />

degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà<br />

che connota la vita familiare.<br />

Si ripropone, in questo caso, il fenomeno della propagazione<br />

intersoggettiva delle conseguenze di un medesimo<br />

fatto illecito…».<br />

Va premesso che si sta discutendo di un danno non patrimoniale<br />

che nella specie non discenderebbe da una<br />

rapporto di parentela, ma da un rapporto di amicizia che<br />

si qualificava al punto di diventare un vincolo quasi parentale<br />

(così definito in citazione) e quasi famigliare (così<br />

definito in comparsa conclusionale).<br />

A tutta prima si potrebbe obiettare - e tale obiezione<br />

sembra implicita nelle difese dei convenuti - che deve<br />

escludersi la risarcibilità del rapporto amicale, perché a<br />

ciò osta la prevedibilità della propagazione del danno in<br />

relazione alla cd. “causalità giuridica” disciplinata dall’art.<br />

1223 c.c. per quanto riguarda i danni “immediatamente<br />

e direttamente” risarcibili. Se infatti all’autore<br />

dell’illecito mortale può contestarsi che egli ben poteva<br />

rappresentarsi, quale normale conseguenza dell’uccisione,<br />

la lesione degli interessi morali e materiali della cerchia<br />

dei prossimi congiunti, o comunque in danno di<br />

una “famiglia” più o meno “di nuovo conio” in cui la vittima<br />

fosse inserita, più difficile - se non impossibile - diventa<br />

la prevedibilità dell’infinita catena di relazioni interpersonali<br />

ed amicali che obiettivamente il sinistro<br />

travolge, e che sarebbero tutte astrattamente tutelabili,<br />

se non si riuscisse a fissare un ancoraggio costituzionale e<br />

certo alle pretese risarcitorie.<br />

Orbene, volutamente non si è posta la causa in immediata<br />

decisione a norma dell’art. 187 c.p.c., come chiedevano<br />

le parti convenute, in attesa di leggere le complete<br />

deduzioni di prova dei coniugi P., per la ragione che<br />

un iniziale equivoco tra una situazione “para-parentale”<br />

e “para-famigliare” poteva discendere da un’imprecisio-<br />

ne lessicale, e solo esaminando le prove offerte sarebbe<br />

stato possibile comprendere l’esatta portata della domanda<br />

risarcitoria.<br />

Ciò posto, la lettura delle articolate e circostanziate deduzioni<br />

di prova sottoposte con la citazione iniziale e con<br />

le memorie istruttorie autorizzate è emblematica perché<br />

conferma i limiti di impostazione della domanda iniziale:<br />

ove mai dimostrate per intero, infatti, le prove offerte<br />

dai coniugi P. confermerebbero al più l’esistenza di una<br />

sincera amicizia tra le parti attrici e la più anziana sig.ra<br />

P., amicizia che si sostanziava in servizi domestici (cap. 9<br />

della citazione), frequentazioni reciproche (cap. 10-16),<br />

assistenza materiale (dei P. alla P.), condivisione di momenti<br />

di felicità (la laurea della figlia degli attori, cap.<br />

17) e di dolore (il lutto per la perdita di un amico comune,<br />

cap. 19). Ma non è possibile, rispetto alle circostanze<br />

capitolate globalmente valutate, parlare di fatti dimostrativi<br />

di una vera e propria comunione morale e materiale<br />

tra le tre persone in questione, o di un comune progetto<br />

condiviso, come avviene in una famiglia, anche<br />

per difetto dei fondamentali requisiti della coabitazione<br />

e della vicendevolezza delle prestazioni di assistenza materiale<br />

e morale.<br />

Il rapporto delle parti attrici con la defunta sig.ra P., sulla<br />

base delle stesse prospettazione probatorie dei P., non<br />

poteva essere assimilato a quello che si instaura con i<br />

“nonni adottivi”, le persone anziane e sole che in base a<br />

precedenti rapporti di amicizia e conoscenza, o per effetto<br />

di politiche promozionali delle amministrazioni locali,<br />

vengono inserite in determinate famiglie con le quali<br />

alla fine si viene a consolidare un sodalizio realmente<br />

“para-famigliare”, con condivisione delle esperienze di<br />

vita, stabilità del rapporto, qualificazione affettiva ed un<br />

certo qual grado di esclusività, rispetto al semplice rapporto<br />

di amicizia.<br />

Il fatto è che non ogni lutto - per quanto indubbiamente<br />

doloroso dal punto di vista psicologico - si traduce in<br />

un danno risarcibile, se l’evento lesivo non si sostanzia<br />

nella compromissione di un diritto fondamentale riconosciuto<br />

a livello costituzionale: per questo, al di là degli<br />

insufficienti sforzi per delimitare per via normativa l’area<br />

delle vittime secondarie circoscrivendola ai prossimi<br />

congiunti entro certi gradi di parentela (v. ad esempio il<br />

d.d.l. approvato dal Consiglio dei Ministri il 4.6.1999),<br />

ciò che conta è individuare il riferimento costituzionale<br />

per la “tipizzazione” del danno non patrimoniale, l’ancoraggio<br />

costituzionale del rapporto leso, secondo la richiamata<br />

ed in parte sopra trascritta concezione costituzionalmente<br />

orientata dell’art. 2059 c.c.<br />

Nel caso che ne occupa, è di tutta evidenza che il cardine<br />

costituzionale del danno da lutto non possono che essere<br />

gli artt. 29 e 30 della Costituzione, che riconoscono<br />

i diritti inviolabili delle persone nell’ambito della famiglia<br />

quale cellula primigenia della società civile. In tali<br />

fondamentali disposizioni, si riconosce ed attribuisce un<br />

valore fondante al progetto di vita in comune insito nell’istituto<br />

famigliare, e da ciò immediatamente discende<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 761


762<br />

GIURISPRUDENZA•DANNI NON PATRIMONIALI<br />

la risarcibilità - altrimenti incomprensibile - dei danni<br />

patiti dai superstiti: una trama esplicativa del danno ingiusto,<br />

per inciso, già efficacemente sviluppata da questo<br />

stesso tribunale nella nota sentenza dell’1.7.1982, in<br />

causa Capelli c. Unione Subalpina, con cui è stata introdotta<br />

la prima tabella liquidatoria “a forcella” per i danni<br />

dei prossimi congiunti.<br />

Lo sforzo cui è chiamato l’interprete attualmente, dopo<br />

il chiarimento concettuale apportato dalle decisioni della<br />

III Sezione Civile della Cassazione e dalla Corte Costituzionale,<br />

è diventato quello di capire che cosa sia -<br />

oggi - la famiglia, stridendo con il comune sentire una<br />

protezione risarcitoria per gli eventi luttuosi accordata<br />

alla sola famiglia fondata sul matrimonio e non ad altre<br />

comunità umane che - ove manchi la famiglia nucleare<br />

- ne riproducano l’intensità degli affetti, quella reale “comunione<br />

materiale e morale” che è la più felice definizione<br />

della famiglia e che è contenuta, per singolare antitesi,<br />

non già nelle norme codicistiche sul matrimonio,<br />

ma nell’articolo di esordio della L. 898 del 1970 sul divorzio.<br />

Ecco dunque la necessità di valorizzare quel “progetto di<br />

vita in comune” che si registra nelle convivenze di fatto,<br />

al di là delle contingenti polemiche di questi giorni;<br />

ma anche, ad esempio, nella vita in comunità umane<br />

relativamente chiuse e stabili in cui maturi un rapporto<br />

interpersonale tra i componenti che vada oltre la soglia<br />

amicale o della colleganza: si pensi all’uccisione di un<br />

Diametralmente opposto nelle due pronunce del Tribunale<br />

di Genova il modo di affrontare il problema<br />

dei danni non patrimoniali. Mentre la prima sentenza<br />

sviluppa un ragionamento che prescinde dalla<br />

svolta interpretativa del 2003, la seconda tiene<br />

conto degli esiti di tale mutamento provvedendo a<br />

formulare regole integrative con riguardo al profilo<br />

della legittimazione delle vittime secondarie.<br />

Un triennio è oramai trascorso da quel fatidico maggio<br />

in cui la Cassazione (1), seguita a ruota dalla Corte Costituzionale<br />

(2), ha intrapreso un’opera di totale revisione<br />

delle regole risarcitorie applicate al settore dei danni non<br />

patrimoniali. La svolta - accolta dalle corti di ogni ordine e<br />

grado, fin dal primo momento, come un giro di boa definitivo<br />

- ha inaugurato una stagione in cui la materia dei pregiudizi<br />

non economicamente valutabili è stata sottoposta<br />

ad un’operazione di progressiva rilettura. Le sentenze “gemelle”,<br />

nell’innescare il volano del cambiamento, hanno<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

IL COMMENTO<br />

di Patrizia Ziviz<br />

religioso inserito in una congregazione religiosa, alla<br />

quale egli dedicasse l’intera esistenza e dalla quale ricevesse<br />

servizi, assistenza, motivazione di vita; che fosse<br />

insomma, ed in difetto di prossimi congiunti, la sua famiglia.<br />

Ecco perché - lo si ribadisce - si è attesa la formulazione<br />

delle prove per poter esprimere un compiuto giudizio<br />

sulle sorti della domanda interposta dai coniugi P., una<br />

volta chiarito che rapporto amicale, rapporto “quasi parentale”<br />

e “parafamigliare” non sono parole in libertà o<br />

distinzioni di lana caprina, ma situazioni e relazioni interpersonali<br />

profondamente diverse che segnano il discrimine<br />

tra la risarcibilità o meno del danno da lutto: e<br />

da tali deduzioni istruttorie si è ricavato esclusivamente<br />

il convincimento di un apprezzabile rapporto affettivo<br />

tra i coniugi P. e la P., ma non proprio di una “comunione<br />

di vita morale e materiale” tra le persone interessate.<br />

Per tali ragioni, va respinta la domanda attrice prima ancora<br />

di doversi procedere all’esame delle concrete <strong>responsabilità</strong><br />

per l’investimento da cui è derivato il decesso<br />

dell’anziana pedone, per mancanza nel sistema di una<br />

norma che riconosca il diritto al risarcimento del danno<br />

da perdita di un congiunto a favore di chi, pur affettivamente<br />

legato alla vittima, non intrattenesse con quest’ultima<br />

una relazione caratterizzata da un comune progetto<br />

di vita comune e condiviso, assimilabile per solidità<br />

al rapporto famigliare.<br />

... Omissis...<br />

Note:<br />

(1) Il riferimento richiama le famose sentenze “gemelle” del maggio 2003:<br />

v. Cass. 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828, in Resp. civ. e prev., 2003, 675,<br />

con note di Cendon, Anche se gli amanti si perdono l’amore non si perderà.<br />

Impressioni di lettura su Cass. 8828/2003, di Bargelli, <strong>Danno</strong> non patrimoniale<br />

e interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. e di Ziviz,<br />

E poi non rimase nessuno; in questa Rivista, 2003, 816, con note di Busnelli,<br />

Chiaroscuri d’estate. La Corte di Cassazione e il danno alla persona, di<br />

Ponzanelli, Ricomposizione dell’universo non patrimoniale: le scelte della Corte<br />

di Cassazione e di Procida Mirabelli di Lauro, L’art. 2059 c.c. va in paradiso;<br />

in Corr. giur., 2003, 1017, con nota di Franzoni, Il danno non patrimoniale,<br />

il danno morale: una svolta per il danno alla persona; in Foro it.,<br />

2003, I, 2272, con nota di Navarretta, Danni non patrimoniali: il dogma infranto<br />

e il nuovo diritto vivente.<br />

(2) V. Corte cost. 11 luglio 2003, n. 233, in Giur. it., 2003, 1777, con nota<br />

di Cendon - Ziviz, Vincitori e vinti (..dopo la sentenza n. 233/2003 della<br />

Corte costituzionale); in Resp. civ. e prev., 2003, 1036, con nota di Ziviz, Il<br />

nuovo volto dell’art. 2059 c.c.; in questa Rivista, 2003, 939, con note di Bona,<br />

Il danno esistenziale bussa alla porta e la Corte costituzionale apre (verso il<br />

“nuovo” art. 2059 c.c.), di Cricenti, Una diversa lettura dell’art. 2059 c.c., di<br />

Ponzanelli, La Corte costituzionale si allinea con la Corte di Cassazione, di Procida<br />

Mirabelli di Lauro, Il sistema di <strong>responsabilità</strong> civile dopo la sentenza della<br />

Corte Costituzionale n. 233/03, di Troiano, L’irresistibile ascesa del danno non<br />

patrimoniale; in Foro it., 2003, 2272, con nota di Navarretta, La Corte costituzionale<br />

e il danno alla persona in fieri; in Giur. it., 2004, 723, con nota di<br />

Cassano, La <strong>responsabilità</strong> civile con due (belle?) gambe, e non più zoppa.


GIURISPRUDENZA•DANNI NON PATRIMONIALI<br />

bensì fondato i pilastri strutturali sopra ai quali edificare le<br />

nuove indicazioni operative, ma - nel contempo - hanno<br />

lasciato aperto lo spazio per successivi interventi giurisprudenziali<br />

volti a precisare una serie di dettagli indispensabili<br />

a definire la fisionomia finale che dovrà assumere un sistema<br />

aquiliano costituzionalmente reinterpretato.<br />

Decisivi - da questo punto di vista - appaiono i passi in<br />

avanti mossi quanto al primo profilo coinvolto dal mutamento<br />

interpretativo: vale a dire quello riguardante l’individuazione<br />

delle voci non patrimoniali da ricondurre sotto<br />

l’egida di un art. 2059 c.c. costituzionalmente rivisitato.<br />

Spiccano, infatti, i progressi registrati rispetto alle generiche<br />

affermazioni contenute nelle pronunce gemelle, dove i<br />

giudici di legittimità - dopo aver riconosciuto al concetto di<br />

danno non patrimoniale un’ampiezza tale da travalicare i<br />

ristretti limiti del pregiudizio di carattere morale - si limitavano<br />

ad affermare che non sarebbe «proficuo ritagliare all’interno<br />

di tale generale categoria specifiche figure di danno».<br />

Diversamente riterrà la Consulta, nella sentenza del<br />

luglio 2003, procedendo ad una dettagliata identificazione<br />

delle voci da ricondurre all’area non patrimoniale attraverso<br />

una tripartizione che distingue le figure del danno morale,<br />

del danno biologico e del «danno (spesso definito in<br />

dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante<br />

dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti<br />

alla persona» (3). Successivamente la Cassazione -<br />

nel tentativo di attribuire a questa terza area di danno una<br />

precisa identità - si mostrerà, in alcuni casi (4), particolarmente<br />

ferma nel sostenere l’impossibilità, per i danni non<br />

patrimoniali diversi da quello morale e quello biologico, di<br />

raggiungere una definizione unitaria; in tale logica, quei<br />

pregiudizi si ritengono conformati ad un ventaglio ampio<br />

quanto quello degli interessi della persona costituzionalmente<br />

rilevanti (5). Tale posizione verrà successivamente<br />

abbandonata in favore dell’individuazione - anche per questa<br />

terza area di danno - di un riferimento unico, rappresentato<br />

dalla figura del danno esistenziale (6): i giudici di<br />

legittimità sono perciò pervenuti a differenziare le varie ripercussioni<br />

non economiche patite dalla vittima attraverso<br />

la distinzione tra compromissioni interne, di carattere psicologico/sofferenziale,<br />

risarcibili come danno morale, e ripercussioni<br />

che coinvolgono al sfera esterna, riflettendosi<br />

sulla sfera di realizzazione dell’individuo, qualificabili come<br />

tali nei termini di danno esistenziale (7). Una conclusione<br />

del genere trova conferma in una recentissima decisione<br />

delle Sezioni Unite (8), ove si afferma a chiare lettere che<br />

«il danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente<br />

emotiva ed interiore (propria del danno morale), ma oggettivamente<br />

accertabile del pregiudizio, attraverso la prova<br />

di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate<br />

se non si fosse verificato l’evento dannoso» (9).<br />

Meno approfondite, fino ad oggi, appaiono invece le<br />

indicazioni giurisprudenziali che possono trarsi con riguardo<br />

al secondo versante lungo il quale si è inverta la svolta<br />

interpretativa del 2003: quello riguardante i margini di risarcibilità<br />

riconosciuti alla categoria del danno non patrimoniale<br />

complessivamente intesa. Sotto questo aspetto, è<br />

noto come le sentenze gemelle abbiano perorato una lettura<br />

dell’art. 2059 c.c. tale da garantire ai danni non patrimoniali<br />

- ampiamente intesi (quali pregiudizi di carattere morale,<br />

biologico ed esistenziale) - una tutela estesa, oltre ai<br />

casi esplicitamente determinati dalla legge, alle ipotesi in<br />

cui venga leso un valore della persona costituzionalmente<br />

garantito. Ora, sul significato pratico da attribuire a tale formula<br />

non sembrano registrarsi indicazioni particolarmente<br />

meditate. La prospettiva più diffusa appare quella secondo<br />

cui il rinvio previsto dalla norma andrebbe integrato attraverso<br />

il riferimento alla lesione di qualunque diritto avente<br />

valenza costituzionale (10): conclusione, questa, che è stata<br />

applicata in maniera pressoché automatica dalle corti,<br />

senza interrogarsi - da una parte - intorno ai profili di incostituzionalità<br />

che l’applicazione della stessa viene a porre<br />

Note:<br />

(3) Il riferimento alla categoria del danno esistenziale da parte della Consulta<br />

rimane confinato tra parentesi, mentre utilizza direttamente tale figura<br />

la Cassazione penale in una sentenza di poco successiva: v. Cass.<br />

pen., sez. IV, 22 gennaio 2004, n. 2050, in Resp. civ. prev., 2004, 68, con<br />

note di Macrì, Interessanti spunti giurisprudenziali in materia di riparazione<br />

per ingiusta detenzione e per errore giudiziario e di Ziviz, <strong>Danno</strong> non patrimoniale:<br />

uno e trino; in Foro it., 2004, 138; in Giur. it., 2004, 1034, con nota<br />

di Cendon, Caso Barillà: perché sì al danno esistenziale, secondo la Cassazione<br />

penale; in Nuova giur. civ. comm., 2004, I, 567, con nota di Pellecchia,<br />

Anni sette, mesi cinque e giorni dieci…: i danni da ingiusta detenzione tra risarcimento<br />

e indennizzo ed in questa Rivista, 2004, 966, con nota di Ponzanelli,<br />

Gli «esistenzialisti» dopo la svolta del 2003 e la sentenza della Cassazione<br />

penale sul caso Barillà.<br />

(4) V. ad esempio, Cass. 29 luglio 2004, n. 14488, in Foro it., 2004, 3327,<br />

con nota di Bitetto, Il diritto a “nascere sani”; in Resp. civ. e prev., 2004,<br />

1348, con nota di Gorgoni, La nascita va accettata senza “beneficio d’inventario”?.<br />

(5) È stato, in particolare, sottolineato che, ai fini dell’applicazione dell’art.<br />

2059 c.c., «non può farsi riferimento ad una generica categoria di<br />

’danno esistenziale’(dagli incerti e non definiti confini), poiché attraverso<br />

questa via si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità,<br />

sia pure attraverso l’individuazione dell’apparente tipica figura<br />

categoriale del danno esistenziale»: così Cass. 25 luglio 2005, n. 15022, in<br />

Resp. civ. e prev., 2006, 91, con nota di Cendon, Segreti e bugie; in Dir. e<br />

giust., 2005, n. 40, 48, con nota di M. Rossetti, <strong>Danno</strong> esistenziale: fine di<br />

un incubo. Quella gramigna infestava i tribunali.<br />

(6) V. Cass. 4 ottobre 2005, n. 19354, in Resp. e risarcim., 2006, 63, con<br />

nota di Ziviz; in Resp. civ., 2006, 222, con nota di Rossi.<br />

(7) Qui la Suprema Corte sancisce un chiaro ed esplicito riconoscimento<br />

del danno esistenziale come categoria del sistema, cui si accompagna la<br />

rivendicazione - da parte dei giudici di legittimità - quanto al ruolo svolto<br />

dalla Cassazione ai fini dell’elaborazione della figura in questione.<br />

(8) V. Cass., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572, in Resp. civ. e prev., 2006,<br />

n. 6, con nota di Bilotta; in Dir. e giust., 2006, n. 17, 12, con nota di Cimaglia<br />

e Meucci.<br />

(9) Nettamente orientato a configurare nei termini di danno esistenziale<br />

la posta da affiancare ai danni morali e biologici è apparso anche il Consiglio<br />

di Stato: v. Cons. Stato 16 marzo 2005, n. 1096, in Resp. e risarcim.,<br />

2005, 63, con nota di Nunziata, Nella categoria dei “non patrimoniali” anche<br />

i pregiudizi riferiti alla persona e Cons. Stato 18 gennaio 2006, n. 125, in<br />

Resp. e risarcim., 2006, 81, con nota di Maiello, Una lesione quantificata dai<br />

giudici con il criterio equitativo di liquidazione.<br />

(10) In tal senso v., da ultimo, le stessa sentenza delle Sezioni Unite n.<br />

6752/2006 cit., dove si riconosce che, al di là dei casi esplicitamente previsti<br />

di ristoro del danno non patrimoniale - tra i quali viene annoverato<br />

anche l’art. 2087 c.c. - appare necessario verificare se l’interesse leso risulti<br />

protetto a livello costituzionale.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 763


764<br />

GIURISPRUDENZA•DANNI NON PATRIMONIALI<br />

(11) e senza tener conto - dall’altra parte - che sostanzialmente<br />

diverse apparivano, all’interno delle sentenze gemelle,<br />

le modalità di attivazione del filtro rappresentato<br />

dalla garanzia costituzionale (12).<br />

Ci troviamo, perciò, davanti ad un quadro in cui risultano<br />

essere stati tracciati i tratti essenziali del panorama,<br />

ma il paesaggio attende di essere dipinto e completato attraverso<br />

la progressiva opera interpretativa dei giudici. Un<br />

ausilio determinante, da questo punto di vista, viene ad essere<br />

fornito dagli stessi i giudici di merito: chiamati - da un<br />

lato - ad applicare in maniera coerente le regole che appaiono<br />

aver assunto una struttura definitiva, e - dall’altro<br />

lato - ad interrogarsi di fronte alle lacune ed ai vuoti ancora<br />

presenti, tracciando soluzioni compatibili con le linee<br />

guida lungo le quali si è sviluppata la svolta interpretativa.<br />

È sotto questo aspetto, allora, che ci proponiamo di analizzare<br />

le due sentenze dei giudici genovesi: i quali, pur affrontando<br />

problematiche diverse, sono chiamati entrambi a calare<br />

la soluzione prospettata in seno al nuovo sistema di ristoro<br />

del danno non patrimoniale.<br />

La necessaria distinzione tra le varie voci<br />

non patrimoniali del danno<br />

Il primo caso concerne la richiesta risarcitoria rivolta<br />

alla Telecom, con riguardo ai danni patiti da un professionista<br />

a seguito dei lavori di installazione della linea ISDN e<br />

del conseguente cattivo funzionamento - protrattosi per alcuni<br />

mesi - del centralino dello studio. Il professionista, lamentando<br />

di aver patito gravi disagi nell’esplicazione della<br />

propria attività, per la difficoltà nell’organizzare le chiamate<br />

dei clienti, chiede il risarcimento del relativo pregiudizio<br />

- qualificato nei termini di danno esistenziale - da liquidarsi<br />

in via equitativa.<br />

Il tribunale sottolinea come la situazione illustrata<br />

renda evidente il danno patito nella funzionalità dell’attività<br />

del professionista: pregiudizio che - in assenza di qualsiasi<br />

prova circa l’esistenza di un danno patrimoniale - si ritiene<br />

possa essere liquidato esclusivamente sotto il profilo<br />

del danno esistenziale. Nell’ambito di tale figura vengono,<br />

perciò, fatti confluire il disagio psichico e la sofferenza risentiti<br />

dal professionista per non aver potuto giovarsi del<br />

filtro telefonico esercitato dalla segretaria e per il conseguente<br />

dispendio di tempo ed energie protrattosi per quasi<br />

sei mesi. Il giudice conclude, perciò, condannando il gestore<br />

telefonico ad un risarcimento pari a 500 euro mensili, in<br />

corrispondenza all’alterazione della qualità della vita subita<br />

dal professionista a seguito del disservizio.<br />

Nell’interrogarsi quanto alla coerenza di una soluzione<br />

del genere con le nuove regole tracciate in materia di danno<br />

non patrimoniale, l’interprete si trova a dover formulare<br />

un giudizio negativo. La sensazione che si ricava è, in effetti,<br />

quella di un verdetto poco approfondito intorno a<br />

questioni che, pure, appaiono fondamentali: prima fra tutte,<br />

quella relativa alla natura della <strong>responsabilità</strong> posta a carico<br />

del convenuto. Si tratta, come ben si può comprendere,<br />

di un profilo che assume indubitabile rilevanza sul piano<br />

operativo; basti pensare che - in materia di <strong>responsabilità</strong><br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

da inadempimento - opera la limitazione del ristoro per i<br />

danni imprevedibili e che appare controversa la questione<br />

se debba o meno estendersi anche a tale ambito la norma di<br />

cui all’art. 2059 c.c.<br />

Non solo: anche le categorie di danno che vengono<br />

concretamente applicate dal tribunale paiono assumere una<br />

veste indeterminata e sfuggente, quasi a manifestare una più<br />

generale mancanza di chiarezza in ordine alla tassonomia da<br />

applicare ai pregiudizi non economicamente valutabili. Il<br />

giudice parte da una descrizione del pregiudizio subito dal<br />

professionista in termini strettamente economici, in quanto<br />

correlati alle ripercussioni negative subite dalla funzionalità<br />

della relativa attività lavorativa; salvo constatare poi - in assenza<br />

della prova di una concreta ripercussione di ordine patrimoniale<br />

- la necessità di agganciare la richiesta risarcitoria<br />

esclusivamente ai profili di ordine esistenziale. La prima<br />

impressione, allora, è quella che il danno esistenziale venga<br />

utilizzato come una sorta di salvagente risarcitorio, cui ancorare<br />

il ristoro di risvolti negativi concretasi, in verità, nella<br />

dimensione economica. A tale riguardo, bisogna allora rilevare<br />

che il giudice avrebbe ben potuto riconoscere la ricorrenza<br />

di un pregiudizio di carattere patrimoniale anche<br />

in assenza della dimostrazione di una contrazione del reddito:<br />

e riferirsi, ad esempio, alla quota della retribuzione inutilmente<br />

corrisposta alla segretaria per mansioni di filtro telefonico<br />

rese impossibili dal disservizio ovvero al maggior<br />

aggravio di ore lavoro determinatosi in capo allo stesso professionista<br />

a seguito di tali disfunzioni.<br />

Passando, poi, all’esame delle modalità concrete attraverso<br />

le quali viene applicata la figura del danno esistenziale,<br />

si tratta di osservare come il tribunale finisca per identificare<br />

i risvolti negativi da ricondurre a tale voce essenzialmente<br />

nei termini di disagio e sofferenza. Sono questi, in effetti,<br />

i profili che risultano valorizzati nella motivazione,<br />

laddove si sottolinea che la complessiva situazione creata<br />

dal disservizio telefonico non può «che concretarsi in una<br />

sofferenza morale, in un disagio psichico configurabili come<br />

danno esistenziale». Tali considerazioni evidenziano,<br />

allora, un sconfinamento della categoria nei territori che -<br />

invece - devono essere ascritti al danno morale: ogni forma<br />

di ripercussione negativa che si manifesti nella sfera interna<br />

del soggetto, quale compromissione di ordine psichico<br />

ed emotivo, dovrà necessariamente essere qualificata in<br />

questi termini, e non già come danno esistenziale. L’uso improprio<br />

di quest’ultima figura non risulta, peraltro, temperato<br />

dal riferimento finale - operato dal giudice - all’alterazione<br />

peggiorativa della qualità della vita della vittima, re-<br />

Note:<br />

(11) Due le questioni.: (a) come giustificare - alla luce del principio di<br />

uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. - una diversità di trattamento tra<br />

danni patrimoniali e non patrimoniali; (b) sempre alla luce dello stesso<br />

principio, quali canoni di ragionevolezza richiamare per un sistema il<br />

quale prevede che la riparazione del danno non patrimoniale venga strutturata<br />

attraverso il rinvio ad una serie di casi i quali non appaiono legati<br />

da alcun filo comune.<br />

(12) V. Ziviz-Bilotta, <strong>Danno</strong> esistenziale: forma e sostanza, in Resp. civ. e<br />

prev., 2004, 1314 ss.


GIURISPRUDENZA•DANNI NON PATRIMONIALI<br />

stando tale richiamo del tutto generico ed imprecisato.<br />

Quando si parla di danno esistenziale, si tratta di constatare<br />

modificazioni oggettive che si verificano nella realtà<br />

esterna, sul piano dei fatti, incidendo in maniera negativa<br />

su una o più attività realizzatrici della vittima; mentre, nella<br />

vicenda illustrata, non emerge in alcun modo la considerazione<br />

di tali aspetti pregiudizievoli.<br />

La necessaria distinzione tra danno morale e danno esistenziale<br />

va ribadita in maniera ancor più netta oggi, alla luce<br />

del nuovo sistema. Nel momento in cui entrambe le figure<br />

sono state ricondotte sotto l’ombrello della medesima<br />

regola risarcitoria, appare infatti priva di senso qualsiasi operazione<br />

tendente al travaso di contenuti pregiudizievoli da<br />

una voce all’altra. Chiamare le cose con il loro nome - e<br />

quindi parlare di danno morale laddove l’obiettivo sia quello<br />

di procedere al ristoro di ripercussioni aventi carattere<br />

emotivo/interno - appare, del resto, necessario al fine di evitare<br />

che possa essere attuata una sorta di “demonizzazione”<br />

del danno esistenziale. Spesso la critica di tale figura è stata,<br />

infatti, prospettata dagli interpreti a fronte di sentenze dal<br />

contenuto poco condivisibile, dove tuttavia l’utilizzo della<br />

figura trovava un riscontro puramente nominalistico (13),<br />

mentre in realtà i riflessi risarcitori cui si offriva ristoro assumevano<br />

il carattere di disagio e sofferenza della vittima (14).<br />

Una volta riportata ogni specifica dimensione pregiudizievole<br />

all’esatta categoria di riferimento, resta affidato<br />

all’interprete il compito di verificare la ricorrenza dei presupposti<br />

di risarcibilità quanto alla specifica voce di danno<br />

presa in considerazione. Anche questo profilo rimane,<br />

però, del tutto in ombra nella pronuncia in oggetto. Qui -<br />

una volta constatata la ricorrenza del pregiudizio non patrimoniale<br />

nei termini sopra descritti - si procede automaticamente<br />

al ristoro dello stesso, senza che il giudice si ponga il<br />

problema di qualificare il tipo di <strong>responsabilità</strong> imputata al<br />

convenuto ed interrogarsi, di conseguenza, sull’applicabilità<br />

dei limiti risarcitori previsti dall’art. 2059 c.c. Sembra<br />

quasi che il ragionamento del tribunale sia venuto dipanandosi<br />

alla luce della logica vigente nel sistema precedente<br />

a quello tratteggiato dalla svolta del 2003: soltanto in<br />

una prospettiva di quel genere, infatti, troverebbe giustificazione<br />

il mancato riscontro circa l’applicabilità - quanto al<br />

pregiudizio concretamente risarcito - dei limiti di cui all’art.<br />

2059. Allora, infatti, il danno esistenziale (così come il<br />

danno biologico) risultava sottratto ad una norma destinata<br />

a governare esclusivamente i pregiudizi di carattere morale,<br />

sicché nessun interrogativo doveva porsi l’interprete<br />

quanto all’attivazione del filtro costituzionale ai fini della<br />

risarcibilità dello stesso. Non adeguatamente motivata, al<br />

contrario, appare la soluzione adottata, alla luce delle regole<br />

attualmente operanti ai fini della riparabilità del danno<br />

non patrimoniale complessivamente inteso (15).<br />

I danni non patrimoniali delle vittime secondarie:<br />

la lesione del legame para-familiare<br />

Ben più consapevole circa la necessità di tener conto<br />

del nuovo assetto risarcitorio appare invece la seconda pronuncia<br />

in commento, riguardante la richiesta di ristoro dei<br />

danni correlati ad un’ipotesi di decesso della vittima di un<br />

incidente stradale. La novità del caso riguarda il fatto che a<br />

domandare l’attivazione del rimedio aquiliano sono non<br />

già i familiari della vittima, bensì una coppia di coniugi legata<br />

alla donna deceduta da un radicato legame affettivo.<br />

La constatazione di partenza del tribunale è quella secondo<br />

cui, in linea con l’unanime orientamento giurisprudenziale,<br />

deve escludersi la risarcibilità dei danni derivanti<br />

dalla lesione del semplice rapporto amicale, sulla base dell’applicazione<br />

dell’art. 1223 c.c.: se, infatti, il danneggiante<br />

può rappresentarsi quale normale conseguenza dell’uccisione<br />

la lesione degli interessi dei prossimi congiunti, non altrettanto<br />

accade per quanto concerne la violazione dell’infinita<br />

catena di relazioni interpersonali ed amicali incise<br />

dalla morte della vittima. Soltanto la lesione di un legame<br />

avente natura familiare giustifica, in quest’ottica, una fondata<br />

pretesa risarcitoria. Il giudice riconosce - altresì - apertamente<br />

come la questione debba essere affrontata alla luce<br />

della rilettura costituzionalmente orientata dell’art.<br />

2059 c.c. fornita dalle sentenze gemelle del 2003. Una delle<br />

stesse, del resto, risulta essersi pronunciata proprio sulla<br />

specifica questione del danno da uccisione, rilevando come<br />

l’evento morte sia tale da provocare non solo la lesione del<br />

diritto alla vittima del soggetto deceduto, ma anche la violazione<br />

dell’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti<br />

reciproci e della solidarietà che connota la vita familiare.<br />

In accordo con tali indicazioni, il tribunale afferma che<br />

- ai fini della protezione aquiliana delle vittime secondarie -<br />

la morte deve aver provocato la compromissione di un diritto<br />

fondamentale riconosciuto a livello costituzionale. Per<br />

quanto riguarda - in particolare - il danno da lutto, il riferimento<br />

costituzionale viene individuato negli artt. 29 e 30<br />

della Costituzione; norme, queste in cui «si riconosce ed attribuisce<br />

un valore fondante al progetto di vita insito nell’istituto<br />

famigliare». A questo punto il giudice procede ad<br />

un’indicazione ulteriore, sottolineando come la protezione<br />

risarcitoria non spetti esclusivamente alla famiglia legittima<br />

(16), ma debba senz’altro essere estesa alle altre comunità<br />

Note:<br />

(13) V. Ziviz-Bilotta, op. cit., 1308.<br />

(14) Si veda, ad esempio, l’utilizzo della categoria del danno esistenziale<br />

quale riferimento per la situazione di frustrazione patita dalle vittime dell’inadempimento<br />

di un contratto di viaggio tutto compreso in Giud. pace<br />

Casoria 8 settembre 2005, in questa Rivista, 2006, 432, con nota di D.<br />

Farace, <strong>Danno</strong> esistenziale da mancata vacanza?.<br />

(15) Per l’attivazione del filtro costituzionale a fronte dei danni patiti per<br />

lo stress correlato a disservizi del gestore telefonico, v. Giud. pace Pozzuoli<br />

21 luglio 2004, in Resp. e risarcim., 2005, n. 10, 30.<br />

(16) La sussistenza di un rapporto di parentela non giustifica, del resto, di<br />

per sé sola, la legittimazione del congiunto al risarcimento dei danni non<br />

patrimoniali. A tale riguardo è stato affermato (v. Cass. 23 giugno 1993,<br />

n. 6938, in Resp civ. e prev., 1994, 72) che «la risarcibilità dei danni morali<br />

per la morte di un congiunto causata da un atto illecito penale postula,<br />

oltre all’esistenza del rapporto di parentela, il concorso di ulteriori<br />

circostanze atte a far ritenere che la morte del familiare abbia comportato<br />

la perdita di un effettivo sostegno morale. Il legislatore chiaramente non<br />

può aver inteso estendere la tutela, in materia, ad una cerchia (talvolta<br />

(segue)<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 765


766<br />

GIURISPRUDENZA•DANNI NON PATRIMONIALI<br />

umane che riproducano la medesima intensità di affetti, attraverso<br />

la sussistenza di una comunione materiale e morale<br />

tra i soggetti appartenenti al gruppo. È questa, allora, un’affermazione<br />

particolarmente importante, in quanto il tribunale<br />

non si limita qui a riconoscere protezione aquiliana alle<br />

situazioni familiari di fatto - in accordo con le indicazioni<br />

giurisprudenziali che hanno visto un progressivo riconoscimento<br />

giuridico per questi legami (17) - ma appare disposto<br />

ad attribuire a tali rapporti rilevanza costituzionale. Tale<br />

qualità dell’interesse del familiare di fatto viene, in effetti, ritenuta<br />

essenziale al fine di poter riconoscere la risarcibilità<br />

dei danni non patrimoniali conseguenti alla relativa lesione;<br />

vediamo perciò che, senza porsi specifici interrogativi sul<br />

punto, il giudice accoglie quella diffusa visione - cui si è fatto<br />

cenno in precedenza - secondo cui i casi cui rimanda l’art.<br />

2059 c.c. comprendono anche le ipotesi di lesione dei diritti<br />

della persona costituzionalmente garantiti.<br />

Lo sforzo interpretativo del tribunale si dispiega, in<br />

particolare, sul versante della verifica circa la sussistenza<br />

nel caso di specie di un legame di carattere para-familiare<br />

tra la vittima del sinistro e i danneggiati. L’esame delle circostanze<br />

concretamente dedotte dalle parti porterà il giudice<br />

ad escludere tale eventualità, non essendo stato provata<br />

l’esistenza di quella «vera e propria comunione morale e<br />

materiale» necessaria a qualificare un rapporto di carattere<br />

familiare (18); si rileva, in particolare, il difetto circa la ricorrenza<br />

dei fondamentali requisiti di coabitazione e vicendevolezza<br />

delle prestazioni di assistenza materiale e morale.<br />

Un confronto specifico, volto ad escludere l’esistenza di un<br />

rapporto di carattere familiare nel caso di specie, viene effettuato<br />

con riguardo alla situazione dei nonni adottivi: vale<br />

a dire le persone anziane e sole che vengono inserite all’interno<br />

di nuclei familiari con i quali si crea «condivisione<br />

delle esperienze di vita, stabilità del rapporto, qualificazione<br />

affettiva ed un certo qual grado di esclusività» (19).<br />

Ci troviamo, in questo caso, davanti ad una decisione<br />

esemplare. Non solo il tribunale appare capace di calare<br />

correttamente la soluzione accolta nel quadro delle nuove<br />

regole applicate in materia di danno non patrimoniale; il<br />

giudice appare altresì conscio della necessità di procedere<br />

all’integrazione di tale sistema lungo un versante non ancora<br />

approfondito - quello della lesione dei legami para-familiari<br />

- e esplica ogni sforzo necessario al fine di tratteggiare<br />

in maniera chiara ed armoniosa la regola che dovrà<br />

essere applicata per risolvere tale questione. Ben vengano,<br />

allora, pronunce di questo tipo: capaci di delineare in maniera<br />

sempre più precisa e coerente il complesso panorama<br />

del sistema di ristoro dei danni non patrimoniali.<br />

Note:<br />

(segue nota 16)<br />

indeterminata) di persone che, pur avendo perduto un affetto, non hanno<br />

una posizione qualificata perché venga in considerazione la perdita di<br />

un sostegno morale concreto»; sicché, qualora si tratti di nonni, sarà necessario<br />

dimostrare la ricorrenza di qualche ulteriore presupposto, ad<br />

esempio la convivenza, che possa rivelare la perdita di un valido e concreto<br />

sostegno morale.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

(17) Sul punto la giurisprudenza appare comunque aperta alla tutela: v.,<br />

ad esempio, con riguardo alla protezione del coniuge di fatto, Cass. 24<br />

marzo 1994, n. 2988, in Giust. civ., 1994, I, 1849; in Giur. it., 1995, I, 1,<br />

1366; in Resp. civ. e prev., 1995, 564. L’estensione della protezione ai familiari<br />

di fatto viene riconosciuta dalla stessa Corte Costituzionale, la<br />

quale afferma che la protezione della vittima secondaria ha luogo «in base<br />

ad uno stretto rapporto familiare (o parafamiliare, come la convivenza<br />

more uxorio)»: v. Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372, in Foro it., 1994, I,<br />

3297, con nota di Ponzanelli, La Corte costituzionale e il danno da morte; in<br />

Giust. civ., 1994, I, 3029, con nota di Busnelli, Tre punti esclamativi, tre<br />

punti interrogativi, un punto e a capo e ivi, 1995, I, 887, con nota di Coco,<br />

La risarcibilità del danno biologico nella giurisprudenza della Corte costituzionale;<br />

in Resp. civ. e prev., 1994, 976, con note di Scalfi, L’uomo, la morte e<br />

la famiglia, di Giannini, La vittoria di Pirrone e di Navarretta, Dall’esperienza<br />

del danno biologico da morte all’impianto dogmatico sul danno alla persona:<br />

il giudizio della Corte costituzionale; in Nuove leggi civ. comm., 1995, 415,<br />

con nota di De Giorgi, Il danno biologico a causa di morte secondo la Corte<br />

costituzionale; in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 406, con nota di Ziviz,<br />

<strong>Danno</strong> biologico e morte della vittima: equivoci vecchi e nuovi; in Giur. cost.,<br />

1994, 3129 e ibidem, 4127, con nota di Amato, Il nuovo cammino del danno<br />

biologico da morte: il trauma affettivo e un danno non patrimoniale.<br />

(18) L’esistenza di «una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole<br />

assistenza materiale e morale» rappresenta il presupposto indispensabile a<br />

qualificare il rapporto di fatto quale legame para-familiare: così, con riguardo<br />

ai coniugi di fatto, afferma Cass. 29 aprile 2005, n. 8976, inedita.<br />

(19) In generale, con riguardo alla legittimazione ad agire dei nonni per<br />

la morte del nipote, v. Cass. 15 luglio 2005, n. 15019, in Guida al dir.,<br />

2005, n. 42, 54, con nota di Parrotta, La perdita definitiva del rapporto parentale<br />

“mina” la piena esplicazione della persona; in Resp. civ. e prev., 2006,<br />

n. 5, con nota di Mascia.


Svolgimento del processo<br />

... Omissis...<br />

Motivi<br />

Non vi sono questioni in rito. L’ampia istruttoria condotta<br />

in corso di causa ha condotto ad appurare con elevato<br />

grado di certezza lo svolgimento dei fatti, che possono<br />

essere sintetizzati come segue:<br />

... Omissis...<br />

Verso le ore 20 (orario desumibile in parte dalla deposizione<br />

dell’attore, in parte dal verbale di sommarie dichiarazioni<br />

dal medesimo rese nell’immediatezza dei fatti<br />

alla Polizia, contenuto nel fascicolo penale, in parte<br />

dall’orario di ingresso al Pronto Soccorso, indicato nelle<br />

ore 20,40), dal secondo anello superiore, da un punto<br />

collocato dai testi F. e P. all’interno della curva Nord occupata<br />

dai tifosi juventini, viene lanciato, insieme ad altri,<br />

un fumogeno che urta al capo l’attore e cade davanti,<br />

alle sue gambe. Mentre gli amici si danno in qualche<br />

modo alla fuga o saltano indietro, il C., impedito a muoversi<br />

a causa della gamba, si china in avanti nel tentativo<br />

di afferrare l’ordigno onde allontanarlo da sé, ma, in<br />

tale attimo, esso esplode, lesionandogli gravemente la<br />

mano destra, così come risulta dalla documentazione<br />

medica prodotta dalla parte attrice ed è stato confermato<br />

dalla CTU medico-legale disposta in corso di lite.<br />

La parte convenuta non ha invece provato che, così come<br />

eccepito, il sig. C. si sia lesionato da solo nel maneggiare<br />

un ordigno esplosivo dal medesimo portato seco.<br />

Benché infatti la sede anatomica attinta e la curiosa<br />

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

Attività pericolosa<br />

Responsabilità dell’organizzatore<br />

sportivo per lancio di fumogeni<br />

TRIBUNALE DI TORINO 11 novembre 2004<br />

G.U. Salvetti - C. c. Juventus S.p.A.<br />

Responsabilità civile - Attività pericolosa - Fattispecie - Caso fortuito - Insussistenza.<br />

(c.c. art. 2050)<br />

L’attività organizzativa di una partita di calcio di seria A va qualificata come attività pericolosa.<br />

Responsabilità civile - Attività pericolosa - Caso fortuito - Insussistenza.<br />

(c.c. art. 2050)<br />

Il comportamento di un tifoso che in occasione di una partita di calcio di serie A provoca un danno ad<br />

un altro tifoso con il lancio di un ordigno fumogeno, non può essere considerato fatto del terzo e,<br />

quindi, caso fortuito, ai fini dell’esonero della <strong>responsabilità</strong> per attività pericolosa della società organizzatrice<br />

della partita.<br />

coincidenza che tutti i tifosi romanisti feritisi prima dell’inizio<br />

di quella partita, abbiano subito lesioni alle mani<br />

(e, segnatamente i tifosi giallorossi De B. A., De V. A.),<br />

con versione dei fatti identica a quella del C., abbiano<br />

indotto gli inquirenti a denunciare a piede libero anche<br />

il C. per illecita detenzione di materiale esplodente, il<br />

procedimento penale è poi stato archiviato per insufficienza<br />

di elementi probatori a suo carico ed i testi escussi<br />

nel presente processo civile, che di per sé non possono<br />

dirsi inattendibili solo perché amici dell’attore e tifosi<br />

giallorossi, hanno escluso un ruolo attivo del medesimo.<br />

Non consta inoltre che alcuno del gruppo di coloro che<br />

erano arrivati con il C. sia stato arrestato o sottoposto ad<br />

indagini per fattispecie di reato, nella medesima occasione.<br />

I danni allegati dall’attore, cagionati in via immediata e<br />

diretta (c.d. causalità materiale) dall’illecita condotta<br />

penalmente rilevante di un qualche tifoso, presumibilmente<br />

juventino, purtroppo non identificato, risultano<br />

pertanto causalmente ricollegabili anche alla presenza<br />

del danneggiato all’interno dello stadio in qualità di<br />

spettatore della partita di calcio organizzata dalla Juventus<br />

F.C. S.p.A.<br />

Occorre, a questo punto, verificare se tali danni possano<br />

altresì essere considerati eziologicamente dipendenti, secondo<br />

il criterio della causalità giuridica, dall’attività di<br />

organizzazione della partita intesa come evento-spettacolo,<br />

posta in essere dalla Società convenuta.<br />

Sembra infatti ovvio sottolineare che la fattispecie dedotta<br />

in causa nulla ha a che fare con l’evento sportivo<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 767


768<br />

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

calcistico, in sé e per sé considerato né con le regole ed i<br />

rischi del gioco del calcio per i calciatori.<br />

II ragionamento che seguirà, tuttavia, deve limitarsi a<br />

prendere in considerazione unicamente gli aspetti rilevanti<br />

in relazione all’impostazione giuridica della causa<br />

configurata dall’attore che in citazione e con la memoria<br />

ex art. 183 u.c. c.p.c. si è richiamato alla normativa in tema<br />

di illecito extracontrattuale e in particolare all’art.<br />

2050 c.c. (già implicitamente invocato in citazione con<br />

il riferimento alla qualità di organizzatrice dell’incontro<br />

della società).<br />

Su tale qualificazione la parte convenuta ha mosso unicamente<br />

contestazioni nel merito.<br />

Ci si muove pertanto esclusivamente nel campo dell’illecito<br />

extracontrattuale, segnatamente della <strong>responsabilità</strong><br />

da attività pericolosa, restando precluso ogni richiamo<br />

alla <strong>responsabilità</strong> contrattuale, non dedotta<br />

entro il termine di decadenza di cui all’art. 183 u.c.<br />

c.p.c, decadenza che non può essere sanata, cosicché le<br />

osservazioni della difesa attorea formulate per la prima<br />

volta in comparsa conclusionale circa gli aspetti contrattuali<br />

della vicenda sono inammissibili, senza facoltà<br />

per il giudicante di modificare d’ufficio il titolo della domanda.<br />

Il Giudice non dispone, nell’ambito del suo potere di<br />

qualificazione giuridica del rapporto su cui la domanda è<br />

fondata, del potere di alterare il petitum o la causa petendi<br />

(cfr. Cass. civ. sez. II, 10.6.1998, n. 5719), poiché altrimenti<br />

si incorre nella violazione del principio di corrispondenza<br />

fra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art.<br />

112 c.p.c. (cfr. Cass. civ, sez. II, 3.1.2002, n. 26; sez. III,<br />

15.5.2001, n. 6712).<br />

L’art. 2043 c.c. richiede, com’è noto, la prova a carico integrale<br />

del danneggiato della sussistenza di tutti gli elementi<br />

dell’illecito ed anche dell’elemento psicologico.<br />

In tema di art. 2050 c.c. è noto il tradizionale orientamento<br />

giurisprudenziale secondo cui può considerarsi<br />

pericolosa ogni attività per cui particolari disposizioni legislative<br />

impongano obblighi di cautela, ma anche quelle<br />

aventi in sé una pericolosità intrinseca da accertare in<br />

concreto sulla base della sua natura, delle caratteristiche<br />

dei mezzi adoperati o per la sua spiccata potenzialità offensiva.<br />

Il giudizio di pericolosità dev’essere dato secondo il criterio<br />

c.d. della «prognosi postuma» ovvero sulla base dell’esame<br />

delle circostanze di fatto che si presentavano note<br />

al titolare dell’attività ex ante in base alle sue conoscenze<br />

e competenze specifiche (cfr. Cass. civ., sez III,<br />

30.10.2002, n. 15288). Il requisito della pericolosità va<br />

altresì valutato tenendo conto della probabilità statistica<br />

di eventi dannosi, dell’entità dei danni ragionevolmente<br />

prevedibili e della natura intrinseca dei mezzi impiegati<br />

per lo svolgimento dell’attività.<br />

La ratio di tale norma può identificarsi con la necessità di<br />

fornire un’equa tutela ai cittadini di fronte ad attività<br />

che, pur legittime e consentite dall’ordinamento, siano<br />

di per sé potenzialmente lesive ed in grado di provocare<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

danni, tutela che si esplica nell’addossare sul soggetto<br />

che trae guadagno dalla gestione dell’attività il rischio.<br />

Si ritiene, tradizionalmente, che l’attività debba costituire<br />

la causa del sinistro e non la semplice occasione del<br />

medesimo e che pertanto non sia pericolosa quell’attività<br />

nella quale la pericolosità insorge per un fatto esterno<br />

(cfr. Cass. civ., sez I, 9.12.1996, n. 10951) anche del<br />

terzo o per il caso fortuito. Benché, nel caso di specie, sia<br />

pacifico che il rischio per l’incolumità degli spettatori di<br />

una partita di calcio non derivi né dall’incontro come<br />

evento sportivo né dallo spettacolo in sé e per sé, bensì<br />

dalle attività perturbatrici violente poste in essere dai<br />

gruppi di tifosi facinorosi fuori ed all’interno dello stadio<br />

e dunque, a rigore, la pericolosità insorga proprio «per un<br />

fatto esterno» costituito dalla condotta illecita di taluni<br />

spettatori, l’attuale diffusione, costanza ed abitualità di<br />

tali atti di teppismo in tutte le partite di calcio professionistico,<br />

l’elevata e notoria frequenza statistica del fenomeno<br />

che confina con la certezza, nonché l’estrema violenza<br />

e la gravità dei danni fisici e materiali che spesso ne<br />

derivano consentono di affermare, in linea con due autorevoli<br />

precedenti della giurisprudenza di merito, che<br />

fattività di. organizzazione di un incontro di calcio rientri<br />

nell’ambito di applicazione dell’art. 2050 c.c. (cfr. Tribunale<br />

Milano, sez VII civ., 11.6.1998-21.9.1998, n.<br />

10037/98 Berutti c. Milan A.C. S.p.A., in <strong>Danno</strong> e resp.,<br />

1999, 234, con nota di De Marzo; C. Appello Milano<br />

18.5.2001 che conferma tale sentenza, in Foro pad.,<br />

2002, 205) e Tribunale di Torino, G.U. Dr. Carbone<br />

29.11.1999-19.01.2000, Mocco c. Juventus S.p.A.).<br />

In un simile contesto, infatti, non appare più possibile<br />

distinguere nettamente fra attività pericolosa intrinsecamente<br />

ed attività normalmente non nociva ma occasionalmente<br />

pericolosa a causa del comportamento di terzi<br />

estranei alla sfera organizzativa della società: gli atti di<br />

teppismo e di vandalismo da parte dei tifosi facinorosi e<br />

dei clubs di «ultras» che sopportano tutte le squadre di<br />

calcio di serie A assurgono infatti al rango di sistematica,<br />

prevedibile e costante fonte di danno per chi partecipi<br />

alla manifestazione in qualità di spettatore (e spesso anche<br />

per gli stessi calciatori e per gli addetti delle Forze<br />

dell’Ordine).<br />

In altri termini si può dire che dall’esercizio dell’attività<br />

di organizzazione di un incontro di calcio del campionato<br />

italiano in presenza di pubblico ed i danni all’incolumità<br />

fisica o alle cose degli spettatori sussiste un rapporto<br />

di sequenza costante, secondo un calcolo di regolarità<br />

statistica basato sull’esperienza, per cui un evento dannoso<br />

del tipo di quello occorso al Sig. C., si presenta come<br />

una conseguenza normale dell’antecedente.<br />

L’attività in questione può tuttavia dirsi pericolosa anche<br />

in considerazione dell’esistenza di plurima normativa<br />

volta a regolamentare gli aspetti organizzativi e di tutela<br />

dell’incolumità pubblica con imposizione di speciali<br />

cautele (si veda, ad esempio, il d.m. 25.8.1989 in tema di<br />

norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio di impianti<br />

sportivi, tutto improntato sulla consapevolezza


della pericolosità estrema delle manifestazioni agonistiche,<br />

la legge 13.12.1989, n. 401, il d.l. 22.12.1994, n.<br />

717 e la più recente normativa penale finalizzata proprio<br />

alla prevenzione e repressione della violenza negli stadi).<br />

La delicatezza degli aspetti organizzativi della partita Juventus-Roma<br />

oggetto di causa, in particolare, emerge in<br />

tutta evidenza, senza bisogno di commenti ulteriori, dal<br />

testo dell’ordinanza n. 1183/01 della Questura di Torino<br />

Ufficio di Gabinetto sez. I - Ordine e Sicurezza Pubblica<br />

acquisita ex art. 213 c.p.c. riguardante il dispiegamento e<br />

la dislocazione del servizio d’Ordine all’interno dello<br />

Stadio e in città, il ricevimento e la scorta ai gruppi di<br />

tifosi giallorossi in arrivo, il controllo dei biglietti, l’orario<br />

di apertura degli ingressi, le perquisizioni, la distinzione<br />

degli accessi riservati alle opposte tifoserie, l’assegnazione<br />

ed il controllo del settore riservato agli ospiti, la<br />

bonifica dei cassonetti della spazzatura e dei parcheggi,<br />

ecc.<br />

Se si pensa che, come dichiarato dal teste L. della Questura,<br />

in occasione di quella partita era previsto l’arrivo<br />

di circa 10.000 tifosi romanisti, di cui meno di 4000 dotati<br />

di regolare biglietto per il settore loro riservato, l’enormità<br />

del dispiegamento di forze, il dispendio di denaro<br />

pubblico e mezzi e la difficoltà di gestione dell’apparato<br />

organizzativo ne risultano ancor più confermati.<br />

Più che la predisposizione del servizio d’ordine per un<br />

evento sportivo pare trattarsi di una strategia militare a<br />

prevenzione di un attacco bellico o terroristico!<br />

La stessa parte convenuta, del resto, sembra avere implicitamente<br />

riconosciuto la pericolosità delle partite per il<br />

pubblico, proprio con riferimento agli aspetti logistici ed<br />

organizzativi, allorché ha trasmesso alla Questura di Torino<br />

la lettera 1.2.1991 (doc. 9, il cui ricevimento è stato<br />

confermato dal Vicario del Questore di Torino dr. S.<br />

L., sentito come teste) con cui la Società ha segnalato alla<br />

Questura alcune problematiche e conseguenti suggerimenti<br />

al fine proprio di prevenire fatti violenti all’interno<br />

dello stadio, dando atto che era ripreso l’arrivo a<br />

Torino di molti tifosi delle squadre ospiti sia in treno che<br />

in pullman privi di biglietti e che, come conseguenza costante,<br />

si verificava il tentativo abusivo dei facinorosi di<br />

entrare allo stadio e di introdurvi, malgrado i controlli,<br />

attraverso le sbarre del recinto fiscale, vari oggetti atti all’offesa.<br />

Il teste O. R., ex responsabile dirigente della Juventus,<br />

sentito presso lo stadio ha in merito dichiarato che tale<br />

lettera si riferiva agli eventi calcistici aventi luogo a Torino<br />

in generale e non solo a quello Juventus/Roma. Ne<br />

discende la certa applicabilità dell’art. 2050 c.c.<br />

Nel merito, attesa la natura e le modalità del sinistro occorso<br />

al sig. C., che è stato attinto da un fumogeno esplosivo<br />

lanciato da un livello superiore a quello ove il medesimo<br />

si trovava e proveniente dal settore occupato dai<br />

tifosi bianconeri, confinante con quello destinato ai romanisti,<br />

rilevano specificamente i seguenti aspetti logistici:<br />

1) controlli e perquisizioni dei tifosi agli ingressi; 2)<br />

sistema di separazione delle tifoserie avversarie; 3) collo-<br />

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

cazione dei tifosi giallorossi all’interno dello stadio; 4)<br />

servizio d’ordine interno; 5) cautele volte ad evitare l’introduzione<br />

di abusivi, armi ed oggetti pericolosi tramite<br />

il recinto esterno dello stadio; 6) cautele volte ad evitare<br />

che i tifosi collocati nel primo anello, più ampio di<br />

quelli superiori, fossero destinatari dei lanci e delle sassaiole<br />

da parte dei tifosi collocati più in alto.<br />

Molti degli elencati aspetti risultano essere stati diligentemente<br />

presi in considerazione dalla Società, sulla base<br />

del protocollo di intervento stabilito dalla Pubblica Autorità<br />

di cui all’ordinanza n. 1183/2001 della Questura di<br />

Torino.<br />

È stato provato, in particolare, che la Società ha comunicato<br />

tempestivamente, in data 30.4.2001 alla Direzione<br />

SIAE, alla Croce Rossa Italiana, alla Questura, al Prefetto,<br />

al Comando dei Vigili del Fuoco, alla Digos ed alla<br />

Polizia Municipale di Torino la data ed il luogo dell’evento<br />

sportivo (cfr. docc. da 1 a 8 di parte convenuta),<br />

che ha scrupolosamente rispettato, l’ordine della Pubblica<br />

Autorità di riservare alla tifoseria ospite i tre anelli del<br />

settore Est 3 e del primo anello del Sotto-Settore Est 3,<br />

con delimitazione degli spalti e di tali settori con strutture<br />

fisse e transennamene mobili, in allora costituiti da<br />

griglie metalliche (cfr. interpello C. e dichiarazioni del<br />

tecnico AEM F., vedi foto digitali n. 103-0397, 103-<br />

0399, 103-0400 IMG), solo ora affiancate da barriere di<br />

vetro o plexiglass fatte apporre successivamente su ordine<br />

della Questura di Torino allo scopo di impedire i contatti<br />

fisici fra le opposte tifoserie (cfr. dichiarazioni O., L.<br />

e fotografie digitali cit.).<br />

Risulta altresì che la Juventus S.p.A. ha venduto ai tifosi<br />

romanisti solamente il numero di biglietti espressamente<br />

indicato dalle Pubbliche Autorità, più elevato del<br />

solito, proprio al fine di garantire la concentrazione degli<br />

ospiti in un solo settore e non farli infiltrare in mezzo agli<br />

juventini, nonché che ha predisposto il consueto servizio<br />

di ordine interno a mezzo di proprie «maschere» tuttavia<br />

non abilitate, in quanto soggetti privati, a perquisire<br />

o ispezionare il pubblico, né a sequestrare oggetti, ma<br />

solamente a controllare i tagliandi di ingresso ed a coadiuvare<br />

i poliziotti presenti nello stadio nella vigilanza<br />

sul rispetto delle prescrizioni di sicurezza, senza disporre<br />

di alcun potere coercitivo.<br />

È bene precisare subito che nel 2001 la società non era<br />

proprietaria della struttura, locata dal Comune di Torino<br />

e che, come società sportiva, aveva «piena giurisdizione»<br />

solamente su quanto accadeva sul campo di calcio e<br />

negli spogliatoi (cfr. testi L. ed O.).<br />

Nessun potere aveva (allora come adesso) in merito alla<br />

tutela dell’ordine pubblico, tutela riservata per legge alle<br />

Forze di Polizia.<br />

... Omissis...<br />

Si evince poi dal tenore dell’ordinanza della Questura<br />

acquisita che, in occasione della partita de qua la costruzione<br />

di adeguati sbarramenti di separazione delle due<br />

tifoserie, il mantenimento di un’adeguata zona di rispetto<br />

al primo anello fra il settore Est e la curva Nord, non-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 769


770<br />

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

ché il punteggiamento della balconata del livello Est 1<br />

ed Est 2 al fine di prevenire il lancio degli oggetti da parte<br />

dei tifosi bianconeri sulla tifoseria ospite presente al<br />

primo anello, non coperta dalle balconate superiori (cfr.<br />

riscontro fotogr. digitali 103-0395 Img e 103-0398 IMG)<br />

era espressamente demandato ad un reparto della Polizia<br />

di Stato (cfr. ordinanza Questura 5.5.2001 pag. 16).<br />

In concreto, non è noto come sia entrato allo Stadio delle<br />

Alpi l’ordigno che fu lanciato contro il sig. C., e cioè<br />

se esso sia stato introdotto da un tifoso non perquisito all’ingresso<br />

(la perquisizione avveniva infatti a cura esclusivamente<br />

delle Forze dell’Ordine ed a «campione») o se<br />

sia stato passato dall’esterno attraverso il c.d. recinto fiscale,<br />

costituito solamente da sbarre e dunque non protetto<br />

integralmente da una barriera fissa.<br />

La sassaiola ed i lanci verificatisi copiosamente prima<br />

dell’inizio della partita, testimoniata dai due amici del C.<br />

escussi e dalle videoriprese, rendono evidente che tutto<br />

l’apparato di protezione si è rivelato insufficiente ad impedire<br />

gli eventi di questo tipo.<br />

Questo rilievo di per sé non implica in re ipsa la sussistenza<br />

di una colpa concreta della Società organizzatrice<br />

ex art. 2043 c.c. e nemmeno il fallimento automatico<br />

della prova liberatoria di cui all’art. 2050 c.c. richiesta<br />

alla medesima, perché altrimenti, per qualsiasi<br />

evento lesivo, la sua verificazione renderebbe impossibile<br />

fornire una qualsiasi prova liberatoria (c.d. probatio<br />

diabolica). Tale prova non può nemmeno limitarsi al<br />

caso fortuito.<br />

Nello specifico, se il fallimento delle misure di protezione<br />

fosse dovuto esclusivamente ad una lacuna del sistema<br />

di perquisizione o all’insufficienza del numero di poliziotti<br />

dislocati nella «zona di rispetto» e ai lati del settore<br />

riservato agli ospiti, il difetto non sarebbe imputabile<br />

alla Società qui convenuta, trattandosi di attività di<br />

tutela pubblica interdetta ai suoi dipendenti e dunque<br />

addebitabile, eventualmente, esclusivamente alla Questura<br />

competente ed in ultimo allo Stato.<br />

Nel nostro caso, invece, si deve avere riguardo anche all’oggettiva<br />

dimostrata insufficienza e non integrità del<br />

recinto fiscale esterno, così come alla mancanza di ripari<br />

orizzontali fissi o mobili che ostacolassero i lanci reciproci<br />

di oggetti fra tifosi avversari e dunque, in generale, all’inadeguatezza<br />

delle strutture dello Stadio delle Alpi,<br />

nel 2001, ad impedire gli eventi dannosi del tipo di quello<br />

che si è verificato ai danni dell’attore, con i seguenti<br />

rilievi:<br />

1) è stato illustrato testimonialmente che lo Stadio era<br />

di proprietà del Comune, che la Società lo affittava di<br />

volta in volta, previa approvazione della Commissione<br />

Provinciale di Vigilanza, di cui fa parte anche la Questura,<br />

riguardante l’agibilità, la conformità normativa e l’idoneità<br />

alla sicurezza degli spettatori, che la Juventus<br />

non poteva intervenire in alcun modo in modifica delle<br />

strutture, nemmeno apponendo barriere verticali fisse,<br />

ma che poteva al più rendersi: promotrice di richieste<br />

destinate al Comune, suscettibili di approvazione, tutta-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

via, sia da parte del Comune che della Commissione di<br />

Vigilanza (cfr. testi L. ed O.);<br />

2) è stato altresì provato documentalmente (doc. 9 di<br />

parte convenuta) è per testi chela Società calcistica,<br />

avendo ben presente il rischio connesso con le suddette<br />

lacune strutturali, ha inviato alla Questura la lettera<br />

1.2.2001 con cui faceva presente l’inadeguatezza del recinto<br />

esterno sia con riferimento all’altezza che alle<br />

sbarre, nonché la limitata altezza del separatore tra il<br />

settore Ospiti (Est 3) e la Curva Nord ed il Settore Est<br />

1-2, indicata come causa del fitto e reciproco lancio di<br />

razzi, petardi, bottigliette d’acqua, eccetera e proponeva<br />

di adottare alcune misure cautelative, fra cui la chiusura<br />

con fogli di lamiera dello zoccolo fino alla cima del<br />

recinto fiscale, l’innalzamento del recinto di delimitazione<br />

dei suddetti settori ed il posizionamento di reti<br />

apposite (gabbia totale) che impedissero o limitassero<br />

il lancio fra i settori (gabbie mobili che secondo l’attore<br />

sono talvolta utilizzate in altri stadi italiani), la collocazione<br />

di un secondo recinto opacizzato fra i due settori.<br />

A tale missiva non è nemmeno stata fornita risposta.<br />

Ed allora, senza entrare nel merito della possibilità tecnica<br />

di contemporanea adozione di tutte queste misure all’interno<br />

dello Stadio delle Alpi in rapporto alla sua tipologia<br />

architettonica (secondo il dr. L. ed il sig. O., ad<br />

esempio, la gabbia mobile sarebbe ancora più pericolosa<br />

per l’incolumità pubblica, potendo cadere per effetto di<br />

pressioni o movimenti di massa sugli stessi spettatori e i<br />

ripari fissi non sarebbero compatibili con le caratteristiche<br />

progettuali della struttura) si può tuttavia escludere<br />

la sussistenza di una <strong>responsabilità</strong> colposa ex art. 2043<br />

c.c. in capo alla convenuta, dal momento che ha dimostrato<br />

di avere diligentemente seguito, nell’organizzazione<br />

dell’incontro di calcio, tutte le prescrizioni normative<br />

e dell’Autorità di P.S. e di avere agito con idonea prudenza<br />

nel richiedere la facoltà di ulteriori interventi, facoltà<br />

negatale senza sua colpa. La Società era altresì in<br />

possesso di tutte le autorizzazioni pubbliche e del giudizio<br />

di idoneità dello Stadio alla partita e certa del dispiegamento<br />

del servizio d’ordine.<br />

Ma l’art. 2050 ne pretende un qualcosa in più, dal momento<br />

che la prova a discarico ivi richiesta riguarda l’effettiva<br />

adozione di «tutte le misure idonee ad evitare il<br />

danno», secondo le conoscenze proprie della Società ex<br />

ante.<br />

È dunque doveroso chiedersi se la Società avrebbe potuto<br />

e dovuto, oltre a quanto ha dimostrato di avere fatto,<br />

invio della lettera compresa, fare ancora qualcos’altro.<br />

A fronte del mancato accoglimento delle proprie legittime<br />

richieste e stante la prevedibilità concreta del pericolo,<br />

così come risulta dal documento n. 9 proveniente<br />

dalla Juventus, si ritiene che la società avrebbe potuto e<br />

dovuto, in occasione di una partita così a rischio, senza<br />

rinunciare, naturalmente, a far disputare l’incontro, ricorrere<br />

ad una struttura diversa dallo Stadio delle Alpi,<br />

la quale, in allora, così come rilevato anche dal G.U. dr.


Carbone nella più volte menzionata sentenza, riguardante<br />

un’identica fattispecie, era una «struttura oggettivamente<br />

priva di sufficienti caratteristiche di sicurezza,<br />

nella quale all’indubbio pregio architettonico non corrisponde<br />

adeguata funzionalità nella preclusione di un fenomeno<br />

- il lancio degli oggetti dei settori prossimi e da<br />

quelli sovrastanti - dal quale non si può prescindere, in<br />

quanto prevedibile, nella ripartizione delle tribune e nella<br />

stessa strutturazione dell’impianto».<br />

Non risulta infatti provata in causa la sussistenza di un<br />

vincolo contrattuale stabile che legasse con vincolo obbligatorio<br />

la Juventus al Comune di Torino per l’utilizzo<br />

dello Stadio delle Alpi per tutte le partite, anzi, i testi O.<br />

e L. indicati dalla stessa Juventus hanno dichiarato che<br />

la società acquisiva i diritti sullo Stadio volta per volta.<br />

Dunque soltanto ovvii e presumibilmente rilevanti interessi<br />

economici (la Juventus attualmente è una<br />

S.p.A. con fini di lucro), nonché le prassi sportive hanno<br />

impedito alla Società di utilizzare stadi diversi presenti<br />

sul territorio nazionale maggiormente dotati sul<br />

piano della sicurezza, in occasione delle partite più a rischio,<br />

come quella disputata fra la Juventus e la Roma<br />

(squadre entrambe i cui rispettivi supporters ed ultras<br />

sono notoriamente particolarmente virulenti e nemici<br />

fra loro) il 6.5.2001, che era una partita «a rischio 3»<br />

(cfr. teste dr. L.).<br />

Ma gli interessi economici debbono soccombere a fronte<br />

dell’esigenza primaria del diritto degli spettatori alla<br />

propria incolumità fisica ed alla tutela della salute, che è<br />

un bene costituzionalmente garantito.<br />

Non si ritiene pertanto che la Juventus F.C. abbia fornito<br />

la prova liberatoria richiesta dall’art. 2050 c.c., la cui<br />

ratio è proprio, come s’è già detto, quella di contemperare<br />

gli interessi (economici) del soggetto che esercita una<br />

determinata attività pericolosa con l’interesse preminente<br />

della tutela dell’incolumità delle persone e delle<br />

cose tramite la voluta scelta di porre il rischio dei danni<br />

derivanti da tale attività su coloro che ne traggono lucro.<br />

La parte convenuta deve pertanto rispondere di tutti i<br />

danni provati in causa, patiti dal sig. C. in occasione del<br />

sinistro de quo.<br />

Necessitano tuttavia alcune premesse.<br />

Per quanto concerne la natura e l’entità delle conseguenze<br />

risarcibili, infatti, le recenti innovazioni giurisprudenziali<br />

in tema di danno biologico, morale ed esistenziale<br />

rendono opportuna una rivisitazione della materia<br />

ed una nuova classificazione delle, singole voci di<br />

danno, optando i Giudici di merito di questa sezione per<br />

l’adeguamento ai principi di diritto sanciti dalla Consulta<br />

e dalla Corte di Cassazione, sebbene non a Sezioni<br />

Unite.<br />

La S.C. sezione III civile, infatti, con le note sentenze<br />

nn. 7281, 7282 e 7283/03, in fattispecie riguardanti danni<br />

da circolazione da veicoli e da attività pericolose, con<br />

particolare riferimento ai prossimi congiunti della vittima<br />

principale dei sinistri, ha superato i tradizionali limiti<br />

risarcitori prima ricondotti all’art. 2059 c.c. ed è giun-<br />

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

ta a riconoscere la risarcibilità del danno morale ogniqualvolta<br />

sia ravvisabile in astratto una fattispecie di reato,<br />

pur nei casi di colpa presunta e non accertata in concreto<br />

civilisticamente.<br />

Con le successive sentenze sempre della III Sez. Civ. n.<br />

8827 e 8828 dal 31.5.2003, la Cassazione, confermando<br />

tale orientamento, ha affermato l’estensione della nozione<br />

di «danno non patrimoniale «inteso come danno da<br />

lesione di valori inerenti alla persona» e non più solo come<br />

«danno morale soggettivo», e richiesto il ristoro anche<br />

dell’irreversibile perdita di un prossimo congiunto<br />

all’interno del nucleo parentale garantito e protetto dalla<br />

Carta Costituzionale.<br />

A sua volta la Corte Costituzionale con la sentenza<br />

11.7.2003, n. 233, aderendo a tale orientamento, ha ritenuto<br />

tramontata «la tradizionale affermazione secondo<br />

cui il danno non patrimoniale riguardato dall’art.<br />

2059 c.c. si identificherebbe con il c.d. danno morale<br />

soggettivo» ha impostato concettualmente le categorie<br />

del danno in modo nuovo, sostituendo alla vecchia tripartizione<br />

1) danno patrimoniale 2) danno biologico 3)<br />

danno morale, un sistema bipolare costituito da:<br />

1) danno patrimoniale (danno emergente, lucro cessante);<br />

2) danno non patrimoniale (inteso come ogni danno<br />

di natura non patrimoniale derivante da lesione di<br />

valori inerenti alla persona) nel quale fa rientrare il danno<br />

biologico (ovvero la lesione dell’integrità fisica e psichica<br />

della persona) ed il danno morale in senso lato, inteso<br />

come il riflesso soggettivo del danno, che a sua volta<br />

ricomprende il c.d. danno morale in senso stretto (o<br />

patema d’animo transeunte) e il danno c.d. esistenziale o<br />

alla vita di relazione (incidente sulle esplicazioni della<br />

personalità nelle formazioni sociali, famiglia, ecc. in rapporto<br />

a interessi costituzionalmente rilevanti).<br />

Le due sentenze della S.C. n. 8827 e 8828/2003, peraltro,<br />

oltre a richiedere che il danno c.d. «esistenziale» sia<br />

allegato e provato, suggeriscono anche criteri per la liquidazione<br />

delle varie voci del danno patrimoniale, richiamando<br />

il criterio equitativo ex artt. 1226 e 2056 c.c.<br />

e consentendo il cumulo fra danno morale in senso stretto<br />

e danno esistenziale (o alla vita di relazione), ma precisando<br />

che, in caso di duplice liquidazione, il quantum<br />

per il danno morale puro andrà contenuto, stante la «sua<br />

più limitata funzione di ristoro della sofferenza contingente<br />

che gli va riconosciuta» e l’opportunità di un «giusto<br />

equilibrio fra le varie voci che concorrono a determinare<br />

il complessivo risarcimento».<br />

Non viene prescritto invece alcun sistema tabellare predeterminato<br />

di liquidazione.<br />

A questo punto il vecchio sistema risarcitorio tabellare<br />

seguito da questa Sezione per il danno non patrimoniale,<br />

parzialmente inadeguato alla nuova classificazione,<br />

viene integrato come segue:<br />

1) i danni all’integrità psicofisica della persona, intesi come<br />

meri danni anatomo-funzionali valutabili con accertamento<br />

medico-legale, si ritengono ristorabili in base<br />

agli ordinari criteri di liquidazione adottati dalla giuri-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 771


772<br />

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

sprudenza di questa Sezione a far tempo dal maggio dell’anno<br />

2004 espressi in euro, riferiti alla data odierna (criteri<br />

aggiornati annualmente sulla base degli indici di svalutazione<br />

della moneta), con valutazione equitativa rigorosa<br />

dell’età del danneggiato per un abbattimento o un<br />

aumento del valore del «punto» tabellare entro il 50%;<br />

2) invalidità temporanee, i valori intermedi degli scaglioni<br />

relativi all’invalidità temporanea vengono calcolati<br />

con criteri di progressività rispetto ai due parametri<br />

tabellari estremi, sempre secondo le vecchie tabelle;<br />

3) i riflessi oggettivi del danno biologico, apprezzabili<br />

principalmente tramite accertamento medico legale (incidenza<br />

su sport, attività fisiche, maggior usura al lavoro,<br />

ecc.) sono valutati mediante eventuale incremento ulteriore<br />

dei valori di cui al precedente paragrafo, fino al<br />

50%;<br />

4) il danno morale in senso stretto inteso come il mero<br />

«patema d’animo» viene liquidato, per lesioni sofferte<br />

dallo stesso danneggiato, nella percentuale ricompresa<br />

fra 1/4 e 1/2 di quanto liquidato a titolo di danno biologico<br />

(sommatoria del danno da invalidità permanente<br />

con quello da invalidità temporanea), per lesioni sofferte<br />

da un congiunto o per perdita del congiunto, invece,<br />

in via equitativa, secondo le specifiche condizioni, come<br />

dalle vecchie tabelle di questa Sezione;<br />

5) il danno esistenziale (o di vita di relazione) che ora ricomprende<br />

anche alcune voci che in precedenza venivano<br />

liquidate tramite il sistema del c.d. «punto pesante»<br />

verrà liquidato, qualora sorretto da rigorosa istruttoria,<br />

con una percentuale variabile fra 1/6 e 1/3 del danno<br />

morale.<br />

Tutti i valori del danno morale in senso lato permangono,<br />

ovviamente incrementabili o diminuibili fino al<br />

50% in considerazione delle particolarità oggettive e<br />

soggettive del caso, fra cui l’età delle parti, le modalità<br />

della fattispecie che ha dato corso al danno, le caratteristiche<br />

peculiari dei rapporti parentali, e, segnatamente,<br />

la natura ed intensità dei legami affettivi, ecc.<br />

Si precisa che si è ritenuto di calcolare il danno morale in<br />

senso stretto come percentuale del danno biologico nel<br />

suo complesso e non più solo con riferimento alla mera<br />

invalidità permanente, in considerazione dell’accento<br />

puntato dalla citata giurisprudenza sulla centralità del<br />

danno rispetto all’elemento soggettivo dell’autore del fatto,<br />

e dunque della necessità di tenere conto della sofferenza<br />

dei danneggiati conseguente ai ricoveri, all’impossibilità<br />

di muoversi ed ai periodi di inabilità parziale.<br />

Si conferma, infine, che i criteri riguardanti le invalidità<br />

temporanee e quelle permanenti persistono a trovare applicazione<br />

con riferimento:<br />

– alle fattispecie relative a sinistri concernenti la circolazione<br />

di veicoli avvenuti anteriormente all’entrata in vigore<br />

della legge 5.3.2001, n. 57, indipendentemente dall’entità<br />

del danno biologico;<br />

– alle fattispecie relative a sinistri concernenti la circolazione<br />

di veicoli avvenuti posteriormente all’entrata in<br />

vigore della legge 5.3.2001, n. 57 dalle quali sia derivato<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

un danno biologico pari o superiore al 10%; a tutte le altre<br />

ipotesi di <strong>responsabilità</strong> contrattuale o extracontrattuale<br />

non concernenti la circolazione di veicoli.<br />

In applicazione di tali criteri, il danno all’integrità fisica<br />

patito da C. W., viene così quantificato, sulla base dell’esito<br />

della CTU medico-legale disposta in corso di causa,<br />

le citi risultanze adottate dal CTU in accordo con il<br />

CTP di parte convenuta (mentre parte attrice non ha<br />

nominato alcun CTP), in quanto, logiche, tecniche ed<br />

adeguatamente motivate, si condividono:<br />

– invalidità temporanea totale in regime di ricovero<br />

ospedaliero (100%): giorni 2, per complessivi curo<br />

104,4; invalidità temporanea parziale (50%): giorni 50,<br />

per complessivi curo 1044;<br />

– invalidità temporanea minima (25%): giorni 4.0, per<br />

complessivi curo 417,6;<br />

– postumi permanenti (consistenti in esiti di trauma da<br />

scoppio con lesioni plurime alla mano destra) - amputazione<br />

del II dito e plurime fratture a carico del pollice, III<br />

e IV dito della, mano medesima ritenuti liquidabili, in<br />

considerazione dell’età e di ogni altra circostanza suscettibile<br />

di essere assunta a parametro di determinazione,<br />

nella misura di curo 2.200 a punto, con aumento a 2.300<br />

a punto in applicazione del c.d. «punto pesante» tenuto<br />

conto della riscontrata incidenza della menomazione, in<br />

termini di maggior disagio, sulle attività della:vita che richiedono<br />

la presa a pugno con sforzo della mano destra<br />

in soggetto destrimane: 26%, per complessivi curo<br />

59.800. Non è stata riscontrata maggior usura in relazione<br />

ad eventuale attività lavorativa confacente al titolo<br />

di studio del C.<br />

Danni morali, ritenuti liquidabili attesa l’antigiuridicità<br />

penale, per lo meno astratta, in linea con le citate sentenze<br />

della Cassazione, della condotta generatrice del sinistro<br />

e in considerazione del grado di afflizione che ne è<br />

derivato, da valutarsi non elevatissimo, sia in considerazione<br />

del mancato accertamento della colpa concreta sia<br />

valutato il contesto in cui è avvenuto il fatto in complessivi<br />

curo 20.455,33 riferiti alla data odierna.<br />

Non è, invece, suscettibile di liquidazione alcunché a titolo<br />

di danno patrimoniale.<br />

L’attore non ha infatti documentato alcuna spesa medica<br />

e, in assenza di riscontro medico-legale sull’incapacità<br />

lavorativa specifica, non è liquidabile nemmeno questa<br />

voce di danno.<br />

Il sig. C. era del resto disoccupato al momento del sinistro<br />

e non ha comunque provato che dai postumi derivanti<br />

del sinistro sia conseguita in concreto una diminuzione<br />

dei suoi redditi o della capacità di guadagno.<br />

I danni complessivamente suscettibili di risarcimento<br />

ammontano pertanto ad curo 61.366 per danno biologico<br />

e ad curo 20.455,33 per danno morale corrispondenti<br />

- previa devalutazione di tali componenti di danno<br />

non patrimoniale liquidate con riferimento ai parametri<br />

odierni - a complessivi curo 76.194,45 alla data del fatto.<br />

Trattandosi di una forma di risarcimento per equivalente<br />

e in assenza di specifica prova sull’entità del pregiudi-


zio sofferto dalla parte creditrice, si ritiene - conformemente<br />

alla costante giurisprudenza di legittimità - di liquidare<br />

il danno emergente in via equitativa attraverso<br />

la rivalutazione del capitale secondo gli indici ISTAT<br />

(cosi da reintegrarne il valore iniziale, compensando la<br />

successiva perdita del potere d’acquisto della moneta) ed<br />

il lucro cessante, anch’esso in via equitativa, attraverso<br />

l’attribuzione degli interessi nella misura del tasso legale,<br />

i quali, al fine di evitare l’ingiustificata locupletazione<br />

la sentenza in commento (ri)afferma la <strong>responsabilità</strong><br />

delle società di calcio ai sensi dell’art. 2050 c.c.<br />

con una motivazione sviluppata in chiave giureconomica;<br />

l’autore, pur condividendo la ricostruzione<br />

sistematica, pone in rilievo come, nella vicenda in<br />

esame, il Tribunale abbia applicato la norma in maniera<br />

eccessivamente restrittiva senza effettuare<br />

una ponderata valutazione in ordine alla effettiva<br />

possibilità di fornire la prova liberatoria richiesta<br />

dal precetto codicistico.<br />

Un nuovo assalto alla “cittadella” del diritto dello<br />

sport si compie con la sentenza in commento (1); il caso riguarda<br />

il risarcimento dei danni chiesto ed ottenuto da un<br />

tifoso per le lesioni personali subite durante lo svolgimento<br />

della partita di calcio Juventus - Roma, disputatasi allo Stadio<br />

“delle Alpi” di Torino, allorché, assistendo alla gara, sugli<br />

spalti, era stato oggetto del lancio di un ordigno fumogeno<br />

proveniente dalla opposta tifoseria, che lo aveva dapprima<br />

colpito ad una gamba e poi, gli era esploso in mano,<br />

nel vano tentativo di allontanarlo, provocandogli l’amputazione<br />

del secondo dito dx e fratture multiple esposte alla<br />

mano destra.<br />

Il danneggiato adduceva, altresì, l’inevitabilità dell’evento<br />

atteso che non era potuto scappare perché aveva la<br />

gamba ingessata per un precedente infortunio invocando la<br />

<strong>responsabilità</strong> della società ospitante (la Juventus) quale<br />

organizzatrice dell’incontro.<br />

La domanda del tifoso è stata accolta dal tribunale adito<br />

mediante il ricorso alla <strong>responsabilità</strong> per esercizio di attività<br />

pericolosa ex art. 2050 c.c.<br />

La vicenda ha, da subito, suscitato numerose polemiche<br />

in ordine alla <strong>responsabilità</strong> per l’accaduto ed in particolare<br />

con riguardo alla sicurezza degli stadi di calcio, nonché<br />

alla sorveglianza che compete agli “addetti ai lavori”.<br />

La <strong>responsabilità</strong> civile nello sport<br />

Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale intorno alla<br />

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

IL COMMENTO<br />

di Angelo Maietta<br />

della parte creditrice, vengono calcolati sul capitale originario<br />

rivalutato anno per anno anziché, come precedentemente<br />

affermato in giurisprudenza, sul capitale già<br />

integralmente rivalutato.<br />

In base a tali parametri i danni risultano liquidabili, alla<br />

data della pronuncia della presente sentenza in curo<br />

90.119,40, di cui curo 76.194,45 per capitale, curo<br />

5.626,81 per rivalutazione ed curo 8.298,14 per interessi.<br />

... Omissis...<br />

<strong>responsabilità</strong> civile nello sport ha avuto, negli anni, notevoli<br />

spunti argomentativi che sembravano essere giunti ad<br />

una condizione di equilibrio nel senso di affermare una “attenuazione”<br />

dei profili risarcitori dovuti ad alcune peculiarità.<br />

In particolare è stato sostenuto che, di là dall’ipotizzare<br />

una autonoma collocazione sistematica della <strong>responsabilità</strong><br />

sportiva (2), il profilo in questione deve essere valutato<br />

case by case (3), a seconda dello sport praticato e degli elementi<br />

di fatto emergenti dalle condotte poste in essere.<br />

Il tratto distintivo fondamentale si è avuto tra una <strong>responsabilità</strong><br />

degli atleti per i danni cagionati ad altri atleti<br />

o a terzi durante una gara, da una <strong>responsabilità</strong> degli “altri<br />

soggetti” dello sport per i danni agli atleti o a terzi estranei<br />

Note:<br />

(1) Per un primo commento alla sentenza in esame si veda M. Grassani,<br />

La <strong>responsabilità</strong> risarcitoria dell’organizzatore dell’evento sportivo - il caso Juventus,<br />

in Riv. dir. ed econ. sport, 2005, n. 2, 119 ss.<br />

(2) Sostiene tale tesi A. Scialoja, voce Responsabilità sportiva, in Dig. civ.,<br />

XVII, Torino, 1998, 410 ss. secondo cui «l’opportunità di un’autonoma<br />

considerazione, nel campo del diritto, del concetto di <strong>responsabilità</strong> sportiva<br />

va forse ricercata ponendo l’accento non tanto sul termine “<strong>responsabilità</strong>”,<br />

le cui specifiche qualificazioni, per forza di cose, non possono divergere<br />

da quelle codificate se non nell’ambito importante, ma sostanzialmente<br />

circoscritto, di un’attività di interpretazione, ma piuttosto sul<br />

concetto di “attività sportiva” e sui diversi significati che può assumere<br />

questa espressione». L’Autore ritiene che i fattori che connoterebbero la<br />

<strong>responsabilità</strong> sportiva siano «in primo luogo i principi informatori dell’ordinamento<br />

sportivo, ai quali vanno ricondotte tutte le attività legate<br />

al mondo dello sport e nei quali queste ultime trovano la loro ragion d’essere:<br />

l’agonismo come estrinsecazione dell’attività, la lealtà competitiva,<br />

la probità, la rettitudine, il disinteresse degli atleti, l’assenza di stimoli<br />

concorrenziali nello svolgimento dell’attività - la cosiddetta “manifestazione<br />

disinteressata” - il principio della <strong>responsabilità</strong> oggettiva. Questi<br />

fondamenti, ai quali si conforma la <strong>responsabilità</strong> sportiva in senso stretto,<br />

acquistano una precisa valenza anche in tema di <strong>responsabilità</strong> sportiva<br />

in senso lato».<br />

In chiave critica, nel senso di negare autonomia alla <strong>responsabilità</strong> sportiva,<br />

G. Alpa, La <strong>responsabilità</strong> civile in generale e nell’attività sportiva, in Riv.<br />

dir. sport, 1984, 471 ss.<br />

(3) L’esigenza di un approccio casistico nella valutazione della <strong>responsabilità</strong><br />

sportiva è sostenuta da S. Sica, Lesioni cagionate in attività e sistema<br />

delle <strong>responsabilità</strong>, in Corr. giur., 2000, 743.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 773


774<br />

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

alla competizione; in particolare, per il primo profilo, dopo<br />

un vivace dibattito in ordine alle possibili cause di esclusione<br />

della <strong>responsabilità</strong> rinvenibili ora nella scriminante<br />

dell’esercizio di un diritto (4), ora nel paradigma del rischio<br />

accettato o del consenso dell’avente diritto (5), si era giunti<br />

a ritenere non punibili le condotte produttive di danno<br />

allorché le stesse fossero commesse nell’esercizio della attività<br />

sportiva finché la giurisprudenza, con un vero e proprio<br />

revirement (6), ha trovato un punto di equilibrio stabilendo<br />

che la scriminante non codificata del rischio sportivo non<br />

opera automaticamente quando venga praticata l’attività<br />

sportiva ma subisce una mitigazione nel momento in cui<br />

quest’ultima diventa la mera occasione per porre in essere<br />

un’attività illecita, generatrice di danno.<br />

Non è dato, nell’economia del presente lavoro, trattare<br />

quest’ultimo profilo rimandando ad altre letture sul tema<br />

(7), dovendoci, invece soffermare sui profili di <strong>responsabilità</strong><br />

che, nell’ambito delle considerazioni inerenti alla vicenda<br />

in esame, riguarda la <strong>responsabilità</strong> degli “altri soggetti”<br />

dello sport e, in particolare, delle società di calcio.<br />

(Segue): la <strong>responsabilità</strong> delle società sportive<br />

Il problema della <strong>responsabilità</strong> civile delle società<br />

sportive va visto sotto un duplice angolo visuale: un primo<br />

aspetto riguarda il principio generale del naeminem laedere<br />

di cui all’art. 2043 c.c., un secondo rilievo richiama l’attenzione<br />

dell’interprete alle c.d. <strong>responsabilità</strong> speciali (8) ed<br />

in particolare alle previsioni di cui agli artt. 2049 (9) e 2050<br />

c.c. (10).<br />

Le ragioni che hanno spinto la dottrina e la giurisprudenza<br />

a richiamare i canoni dell’“oggettività” riposano, da<br />

un lato, nella obiettiva difficoltà di individuazione del responsabile<br />

di un comportamento cagionevole di danno<br />

(11), in occasione di un evento sportivo (si pensi, come al<br />

caso di specie, al lancio di oggetti in campo dagli spalti),<br />

dall’altro in un principio ispirato al favor victimae e tendente<br />

ad una più veloce ed efficace azione risarcitoria.<br />

Note:<br />

(4) La prospettiva di valutazione indicata è stata sostenuta, tra gli altri, da<br />

V. Cavallo, L’esercizio del diritto nella teoria generale del reato, Napoli, 1939,<br />

passim; R. Pannain, Violazione delle regole del giuoco e delitto sportivo, in Arch.<br />

pen., II, 1962, 670; I. De Sanctis, Il problema della liceità penale della violenza<br />

sportiva, ivi, I, 1967, 90, nonché C. Caianiello, L’attività sportiva nel<br />

diritto penale, in Riv. dir. sport, 1975, 273 e P. Nuvolone, I limiti taciti della<br />

norma penale, Padova, 1972, 181. Per completezza espositiva, interessante<br />

appare l’argomentazione sostenuta da R. Bettiol, Diritto penale, Padova,<br />

1976, 349 per il quale «quando si abbia a soddisfare un dato interesse<br />

che si ritiene proprio della collettività si può anche assumere il rischio<br />

della lesione di un interesse individuale all’integrità fisica. È la legge stessa<br />

ad assumere il rischio attraverso la disciplina dell’attività sportiva».<br />

In giurisprudenza si rinviene una isolata pronuncia favorevole a tale tesi<br />

del Trib. Bari 22 maggio 1963, in Arch. pen., 1965, II, 71.<br />

La teoria dell’esercizio del diritto è stata criticata da V. Frattarolo, La <strong>responsabilità</strong><br />

civile per le attività sportive, Milano, 1984, 34 perché, secondo<br />

l’Autore, la scriminante opererebbe solo per l’attività sportiva svolta in<br />

competizioni ufficiali organizzate dal C.O.N.I. o, per esso, dalle Federazioni<br />

sportive, mentre ne resterebbero escluse le competizioni libere.<br />

(5) Su tale specifico punto si veda T. Delogu, La teoria del delitto sportivo,<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

in Ann. dir. e proc. pen., 1932, 1297 nonché F. Chiarotti, La <strong>responsabilità</strong><br />

penale nell’esercizio dello sport, in Riv. dir. sport, 1959, 237 e G. Marini, Violenza<br />

sportiva, in Noviss. dig. it., XX, Torino, 1975, 982 nonché R. Rampioni,<br />

Sul c.d. “delitto sportivo”: limiti di applicazione, in Riv. it. dir. e proc.<br />

pen., 1975, 660. In giurisprudenza, seppur con alcune sfumature, ex multiis<br />

Cass. pen., sez. V, 30 aprile 1992, in Giust. pen., 1993, II, 279 secondo<br />

cui «in ipotesi di comportamento produttivo di lesioni tenuto da un partecipante<br />

ad una gara sportiva nel corso di un’azione di gioco, opera, quale<br />

causa di giustificazione atta ad elidere l’antigiuridicità della condotta, il<br />

consenso della parte lesa. Tale consenso crea un’area di "rischio consentito",<br />

in stretta connessione con l’esercizio della attività sportiva, non delimitata<br />

dall’assoluto rispetto del regolamento sportivo, ma operante in<br />

un più ampio ambito del rischio connesso ad azioni di gioco che, pur contrarie<br />

alle regole, possano ritenersi normale comportamento dei contendenti;<br />

deve quindi trattarsi di una ipotesi nella quale sia esclusa la specifica<br />

finalità di ledere, e non sia coscientemente posta a repentaglio l’incolumità<br />

fisica dell’avversario».<br />

(6) Cfr. Cass. 21 febbraio 2000, n. 1951, in Corr. giur., 2000, 740 secondo<br />

cui «durante una competizione sportiva, la condotta lesiva tenuta da<br />

un giocatore ai danni dell’avversario in violazione delle specifiche regole<br />

del gioco, disattendendo quei doveri di lealtà verso gli altri competitori<br />

che dovrebbero essere la caratteristica di qualsiasi sportivo, non rientra<br />

nell’ambito applicativo della causa di giustificazione atipica o non codificata<br />

dell’esercizio della c.d. violenza sportiva, ed è penalmente perseguibile<br />

a titolo di colpa grave o dolo a seconda che il fatto si verifichi nel corso<br />

dei una azione di gioco per finalità attinenti alla competizione e la violazione<br />

delle regole sia dovuta all’ansia di risultato ovvero che la gara sia<br />

soltanto l’occasione dell’azione lesiva o quest’ultima sia immediatamente<br />

diretta ad intimorire l’avversario ed a dissuaderlo dall’opporre qualsiasi<br />

contrasto oppure a punirlo per un fallo involontario subito».<br />

(7) Sia consentito il rinvio ad A. Maietta, Lesioni personali cagionate durante<br />

una gara di calcio:un vulnus all’autonomia dell’ordinamento sportivo, in<br />

Nuova giuri. civ. comm, 2004, 682.<br />

(8) In termini generali sulle c.d. <strong>responsabilità</strong> speciali si rinvia, per tutti,<br />

a S. Sica, La <strong>responsabilità</strong> per danno da circolazione, in AA.VV., Le <strong>responsabilità</strong><br />

"speciali": modelli italiani e stranieri, Napoli, 1994, 183 ss.; Id., La <strong>responsabilità</strong><br />

civile tra struttura, funzione e “valori”, in Resp. civ. e prev., 1994,<br />

543 ss.; G. Alpa - M. Bessone - V. Zeno-Zencovich, I regimi speciali di <strong>responsabilità</strong>,<br />

in Trattato Rescigno, Torino, 1999, 336 ss.<br />

(9) In tal senso Cass. 8 gennaio 2003, n. 85, in Resp. civ. e prev., 2003, 765<br />

per la quale «nell’esercizio di attività sportiva a livello professionistico, le<br />

società sportive (o la Federazione, con riferimento a sinistri avvenuti nello<br />

svolgimento di competizioni delle squadre nazionali) sono tenute a tutelare<br />

la salute degli atleti - nel caso di specie, calciatore - sia attraverso la<br />

prevenzione degli eventi pregiudizievoli della loro integrità psicofisica, sia<br />

attraverso la cura degli infortuni e delle malattie che possono trovare causa<br />

nei rilevanti sforzi caratterizzanti la pratica professionale di uno sport,<br />

potendo essere chiamate a rispondere in base al disposto degli art. 1218 e<br />

2049 c.c. dell’operato dei propri medici sportivi e del personale comunque<br />

preposto a tutelare la salute degli atleti ed essendo comunque tenute,<br />

come datore di lavoro del calciatore, ad adottare tutte le cautele necessarie,<br />

secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l’integrità fisica<br />

del lavoratore, tenuto conto in particolare del fatto che le cautele a tutela<br />

della salute cui è tenuto il datore di lavoro devono parametrarsi alla<br />

specifica attività svolta dallo sportivo professionista ed alla sua particolare<br />

esposizione al rischio di infortuni».<br />

(10) Cfr. M. Buoncristiano, La <strong>responsabilità</strong> oggettiva delle società sportive:<br />

problemi, limiti e prospettive, in Giur. it., 1998, IV, 159 ss.; G. De Marzo, Responsabilità<br />

civile dell’organizzatore di competizioni sportive e art. 205 c.c., in<br />

Riv. dir. sport., 1992, 268 ss.; Id., Organizzazione di partite di calcio e attività<br />

pericolosa, in questa Rivista, 1999, 234-238; P. Dini, L’organizzatore e le competizioni:<br />

limiti della <strong>responsabilità</strong>, in Riv. dir. sport, 1971, 416-430; G. Giannini,<br />

La <strong>responsabilità</strong> civile degli organizzatori di manifestazioni sportive, ivi,<br />

1986, 277 ss.; R. Scognamiglio, In tema di <strong>responsabilità</strong> della società sportiva<br />

ex art. 2049 c.c. per illecito del calciatore, in Dir. e giur., 1963, 81-89.<br />

(11) In tal senso R. Frau, La <strong>responsabilità</strong> civile sportiva, in La <strong>responsabilità</strong><br />

civile - Responsabilità extracontrattuale, in Il diritto privato nella giurisprudenza,<br />

a cura di Cendon, X Torino, 1998, 359, il quale definisce «acrobatica»<br />

la possibilità di una prova liberatoria a carico delle società sportive.


La vicenda in esame, sembra aver adottato con puntualità<br />

lo schema richiamato, ritenendo che non può non<br />

qualificarsi come pericolosa l’attività di organizzazione di<br />

una competizione sportiva, di guisa che pertinente è il richiamo<br />

alla norma dell’art. 2050 c.c. (12).<br />

La sentenza in commento, con una lunga e ragionata<br />

motivazione, ha fondato la <strong>responsabilità</strong> della Juventus ai<br />

sensi dell’art. 2050 c.c., incentrando, però, il discorso in<br />

una prospettiva di analisi economica del diritto (13) o, se si<br />

preferisce, avendo riguardo alla dinamica dei costi e benefici<br />

che derivano dal mondo dello sport ed in particolare da<br />

quello del calcio, ovvero dal particolare rilievo che l’interesse<br />

economico derivante dalla pratica dello sport, assume<br />

fino al punto di sacrificare o, comunque, non tenere in primaria<br />

considerazione ulteriori aspetti di prevenzione e tutela<br />

dei terzi.<br />

La vicenda “Juventus” e l’art. 2050 c.c.<br />

La pronuncia in esame, come detto, ha affermato la<br />

<strong>responsabilità</strong> della Juventus Calcio, argomentando intorno<br />

all’art. 2050 c.c.; la norma, com’è noto dispone che<br />

«chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di una<br />

attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi<br />

adoperati, è tenuto al risarcimento se non prova di aver<br />

adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno».<br />

Il ricorso alla richiamata disposizione induce ad alcune<br />

riflessioni che, di là dai profili riparatori di cui si dirà in<br />

seguito, lasciano l’interprete se non basito quanto meno<br />

perplesso. Invero, il richiamo all’art. 2050 c.c., fatto proprio<br />

dal magistrato torinese pone un primo “punto nodale” di<br />

partenza: l’attività organizzativa di una partita di calcio, ovvero<br />

di una manifestazione sportiva in senso lato è da qualificarsi<br />

come attività pericolosa (14).<br />

La questione non può non aprire uno squarcio nel<br />

quadro normativo che promuove lo sport in ogni sua forma<br />

ritenendolo meritevole di considerazione in quanto momento<br />

formativo della società civile né può tacersi che<br />

quello che appare, prima facie, un momento ludico e di festa,<br />

rischia di diventare, per contro, una sorta di “addestramento<br />

alla difesa personale” atteso che, se andare allo stadio<br />

per assistere ad un incontro di calcio postula assumere il<br />

rischio di ledere la propria incolumità personale, il paradosso<br />

si presenta inevitabile.<br />

Questo ragionamento vale se ci poniamo nella veste<br />

dello spettatore; se, invece, proviamo ad assumere il ruolo<br />

del soggetto che organizza l’evento, ci si rende subito conto<br />

come il ricorso giurisprudenziale all’art. 2050 c.c. si risolve,<br />

di fatto, nella impossibilità pratica di fornire qualsiasi elemento<br />

di esclusione della <strong>responsabilità</strong> in capo alla società<br />

sportiva nel caso in cui si produca un danno atteso che, se<br />

“tutte le misure idonee ad evitare il danno” fossero state tali,<br />

il danno non si sarebbe prodotto; apertis verbis, se c’è danno<br />

in occasione di un incontro di calcio, c’è <strong>responsabilità</strong><br />

in capo a chi lo ha organizzato, salvo a fornire la prova liberatoria<br />

(15).<br />

Le richiamate considerazioni vengono alla luce proprio<br />

leggendo la motivazione del giudice torinese. Invero,<br />

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

nonostante il tribunale abbia rilevato come «la società ha<br />

scrupolosamente rispettato l’ordine della Pubblica Autorità di riservare<br />

alla tifoseria ospite i tre anelli del settore Est 3 e del primo<br />

anello del Sotto Settore Est 3…che la Juventus ha venduto<br />

ai tifosi romanisti solamente il numero di biglietti espressamente<br />

indicato dalle Pubbliche Autorità…che ha predisposto il consueto<br />

servizio di ordine interno a mezzo proprie “maschere”…per<br />

coadiuvare i Poliziotti presenti nello stadio nella vigilanza sul rispetto<br />

delle prescrizioni di sicurezza» purtuttavia, la condanna<br />

della società non si è fatta attendere atteso che «l’art. 2050<br />

c.c. pretende un qualcosa in più, dal momento che la prova a discarico<br />

ivi richiesta riguarda l’effettiva adozione di “tutte le misure<br />

idonee ad evitare il danno” secondo le conoscenze proprie<br />

della società ex ante».<br />

La contraddizione motivazionale è evidente: da un lato<br />

si plaude alla efficienza delle cautele poste in essere dalla<br />

Juventus in occasione di un incontro classificato “a rischio”<br />

(già tale affermazione indurrebbe a riflettere sul significato<br />

di sport), dall’altro, con uno slancio proteso al favor victimae<br />

si giunge ad interrogarsi su cosa «avrebbe potuto e dovuto, ol-<br />

Note:<br />

(12) Cfr. B. Bertini, La <strong>responsabilità</strong> sportiva, Milano, 2002, 120 ss.<br />

(13) L’analisi economica del diritto si scinde, essenzialmente, in due principali<br />

correnti di pensiero: da un lato G. Calabresi, The costs of Accident,<br />

New York-London, 1970, 68 ss. che incentra la propria analisi sui criteri<br />

di general e specific deterrence; dall’altro R. Posner, A theory of neglicence, in<br />

1 J. Leg. Stud., 1979, 29 ss., che, al contrario, ritiene che l’efficienza allocativa<br />

debba essere raggiunta seguendo le regole di mercato.<br />

Una critica a tale orientamento è fatta da G. Alpa, Colpa e <strong>responsabilità</strong><br />

nella elaborazione di Richard Posner, in La <strong>responsabilità</strong> civile nei sistemi di<br />

common law, a cura di F. Macioce, Padova, 1989, 377 ss.<br />

(14) In tal senso Trib. Ascoli Piceno 13 maggio 1989, in Riv. dir. sport,<br />

1989, 489 secondo cui «l’attività calcistica e la gestione di uno stadio costituiscono<br />

attività pericolose, ciò imponendo l’adozione di particolari misure<br />

idonee ad evitare il verificarsi di eventi dannosi nei confronti del pubblico»;<br />

contra Trib. Firenze 15 dicembre 1989, in Arch. civ., 1990, 923, il<br />

quale ha ritenuto «inapplicabile al calcio in costume la disciplina della <strong>responsabilità</strong><br />

di cui all’art. 2050 c.c. dato che non può ritenersi che tale attività<br />

sportiva sia di per sé pericolosa; pertanto, se alla partita si sovrappone<br />

una rissa, questa resta concettualmente e giuridicamente distinta dalla<br />

manifestazione ufficiale e non è pertanto ipotizzabile la <strong>responsabilità</strong> oggettiva<br />

per le conseguenze dannose dell’incidente, del comitato di gestione<br />

della manifestazione». Nello stesso filone interpretativo si pone App.<br />

Milano 30 marzo 1990, in Riv. dir. sport, 1990, 495, la quale ritiene che sussumere<br />

la fattispecie nel paradigma di cui all’art. 2050 c.c. sia un fuor d’opera<br />

atteso che l’attività prestata dalla società calcistica non è definibile<br />

“pericolosa” né per natura né per i mezzi adoperati.<br />

(15) Cfr. Cass. 4 maggio 2004, n. 8457 secondo cui «in tema di illecito<br />

aquiliano, perché rilevi il nesso di causalità tra un antecedente e l’evento<br />

lesivo deve ricorrere la duplice condizione che si tratti di un antecedente<br />

necessario dell’evento, (nel senso che questo rientri tra le conseguenze<br />

normali ed ordinarie del fatto), e che l’antecedente medesimo non sia poi<br />

neutralizzato, sul piano eziologico, dalla sopravvenienza di un fatto di per<br />

sé idoneo a determinare l’evento. Ne consegue che, anche nell’ipotesi in<br />

cui l’esercente dell’attività pericolosa non abbia adottato tutte le misure<br />

idonee ad evitare il danno, realizzando quindi una situazione astrattamente<br />

idonea a fondare una sua <strong>responsabilità</strong> ex art. 2050 c.c., la causa<br />

efficiente sopravvenuta che abbia i requisiti del caso fortuito (eccezionalità<br />

ed oggettiva imprevedibilità) e sia idonea, da sola, a causare l’evento,<br />

recide il nesso eziologico tra quest’ultimo e l’attività pericolosa, producendo<br />

effetti liberatori anche quando sia attribuibile al fatto del danneggiato<br />

stesso o di un terzo».<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 775


776<br />

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

tre a quanto ha dimostrato di aver fatto, la società», rinvenendo<br />

questo ulteriore dovere (corsivo dell’A.), nella decisione<br />

da parte della Juventus di «ricorrere ad una struttura diversa<br />

dallo Stadio delle Alpi» poiché la stessa, al tempo della gara,<br />

era «una struttura priva di oggettive caratteristiche di sicurezza,<br />

nella quale l’indubbio pregio architettonico non corrisponde adeguata<br />

preclusione di un fenomeno - il lancio di oggetti dei settori<br />

prossimi e da quelli sovrastanti - dal quale non si può prescindere,<br />

in quanto prevedibile, nella ripartizione delle tribune e nella<br />

stessa strutturazione dell’impianto».<br />

La probatio diabolica richiesta dal giudice torinese<br />

non può essere condivisa. Invero, la norma dell’art. 2050<br />

c.c. nell’ascrivere una <strong>responsabilità</strong> oggettiva in capo al<br />

soggetto che esercita una determinata attività, considerata<br />

ex ante come pericolosa, consente, altresì, al medesimo<br />

soggetto di liberarsi da tale presunzione fornendo la<br />

prova liberatoria di aver adottato le misure idonee ad<br />

evitare il danno; id est, è evidente che il giudizio, in termini<br />

di <strong>responsabilità</strong>, si sposta sulla verifica degli strumenti<br />

di prevenzione posti a presidio dell’incolumità dei<br />

soggetti interessati, ma pur sempre, a giudizio di chi scrive,<br />

in una ottica di bilanciamento di interessi contrapposti<br />

ed in applicazione del canone ad impossibilia nemo tenetur<br />

(16).<br />

La giurisprudenza, tranne qualche isolato precedente<br />

(17), e la dottrina maggioritaria hanno escluso che l’organizzazione<br />

di una partita di calcio sia da annoverarsi tra i casi<br />

di esercizio di attività pericolosa (18), per la qual cosa,<br />

nella vicenda in esame non poteva formarsi un giudizio di<br />

pericolosità basato sul criterio della c.d. prognosi postuma<br />

(19) ovvero sull’esame delle circostanze di fatto che si presentavano<br />

note al titolare dell’attività in base alle sue conoscenze<br />

e competenze specifiche, anche perché proprio in<br />

virtù dei timori conosciuti, l’attività di precauzione è stata<br />

tutt’altro che superficiale. Ma, quand’anche volesse accedersi<br />

a tale ricostruzione sistematica, il giudizio sulla <strong>responsabilità</strong><br />

non può prescindere da valutazioni di oggettiva<br />

possibilità che mitighino la corsa alla “giustizia a tutti i<br />

costi” (20).<br />

Nella sentenza oggetto di commento si rinviene esattamente<br />

tale ultimo elemento volitivo da parte del giudicante,<br />

il quale, si ripete, dopo aver analiticamente elencato<br />

tutte le misure preventive adottate dalla società Juventus,<br />

si è spinto al di là di ogni ragionevole argomentazione ricorrendo<br />

ad una impostazione giureconomica della <strong>responsabilità</strong>.<br />

Infatti, il giudicante conclude l’iter motivazionale che<br />

sembrava assolvere la convenuta società, argomentando<br />

che «soltanto ovvii e presumibilmente rilevanti interessi economici<br />

(la Juventus è una S.p.A. con fini di lucro), nonché le<br />

prassi sportive hanno impedito alla società di utilizzare stadi diversi<br />

presenti sul territorio nazionale maggiormente dotati sul<br />

piano della sicurezza, in occasione delle partite più a rischio, come<br />

quella disputata tra la Juventus e la Roma…Ma gli interessi<br />

economici debbono soccombere a fronte della esigenza primaria<br />

del diritto degli spettatori alla propria incolumità fisica ed alla tutela<br />

della salute che è un bene costituzionalmente garantito».<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

Il discorso è sicuramente suggestivo se non andasse,<br />

però, a comprimere anche un altro valore costituzionale,<br />

quello della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost.<br />

che, però, nella ratio decidendi del magistrato deve soccombere<br />

dinanzi alla incolumità fisica ed alla tutela della salute,<br />

quasi ad operare una sorta di classificazione della meritevolezza<br />

degli interessi costituzionalmente garantiti.<br />

Non solo; le conclusioni a cui giunge il tribunale<br />

mostrano la corda sotto un ulteriore profilo che consiste<br />

nel non tenere nella dovuta considerazione l’elemento<br />

probabilistico della fattispecie; apertis verbis, si riscontra<br />

superficialità nel giudicante allorché lo stesso ritiene<br />

quasi jus receptum il fatto che se la Juventus avesse disputato<br />

la gara in un altro stadio maggiormente sicuro, il<br />

danno si sarebbe potuto evitare: e quali sono i canoni statistici<br />

che conducono a tale conclusione? Siamo nell’alveo<br />

del probabile e non nel novero delle certezze, così<br />

come è accaduto per lo Stadio delle Alpi, per cui ciò che<br />

è successo a Torino sarebbe potuto accadere ovunque se,<br />

a seguire il magistrato, la partita era di quelle «a c.d. rischio<br />

3».<br />

Analogamente, non può trascurarsi un’ulteriore circostanza<br />

rinvenibile nel fatto che, le società di calcio, assumo-<br />

Note:<br />

(16) Sembra aderire a questa prospettiva ricostruttiva A. Manfredi, Responsabilità<br />

del Presidente della società sportiva e dei dipendenti della società stessa<br />

per danni subiti da alcuni spettatori a causa della condotta illecita di altri tifosi,<br />

in Riv. dir. sport, 1989, 498 il quale sostiene preliminarmente che «in punto<br />

di diritto, invero, attività pericolosa non è certo qualsivoglia manifestazione<br />

della vita da cui scaturisce una semplice “possibilità” di pericolo, ma<br />

quella attività che per la sua stessa natura ha una evidente potenzialità “intrinseca”<br />

di danno, a prescindere da eventuali interventi esterni e devianti»<br />

e poi continua affermando che «laddove non è possibile ravvisare una<br />

diretta partecipazione al fatto degli organizzatori, attraverso specifiche<br />

condotte, gli illeciti commessi dagli spettatori in occasione di manifestazioni<br />

sportive sono imputabili solo agli esecutori materiali».<br />

(17) Trib. Ascoli Piceno 13 maggio 1989, in Riv. dir. sport, 1989, 489.<br />

(18) Trib. Milano 21 marzo 1988, in Riv. dir. sport, 1989, 68; Trib. Firenze<br />

15 dicembre 1989, in Arch. civ., 1990, 923; App. Milano 30 marzo<br />

1990, in Riv. dir. sport, 1990, 495; in dottrina, P.G. Monateri, Il danno alla<br />

persona, Torino, 2000, 550; A. Manfredi, Responsabilità del Presidente<br />

della società sportiva, cit., 498; P. Dini, L’organizzatore e le competizioni:limiti<br />

della <strong>responsabilità</strong>, in Riv. dir. sport, 1971, 421; secondo quest’ultimo<br />

Autore «la pericolosità dello sport può essere valutata solo con un concetto<br />

negativo: le discipline sportive non sono pericolose in senso “assoluto”<br />

quando siano praticate con mezzi tecnici propri, in luogo adatto, da<br />

atleti esperti. Ed al contrario, ogni attività sportiva può considerarsi pericolosa<br />

in senso “relativo” se attuata con mezzi tecnici non propri, in luogo<br />

non adatto, da atleti inesperti. Di guisa che tale pericolosità è inversamente<br />

proporzionale ai mezzi tecnici usati, al luogo di esercizio, alla preparazione<br />

di un atleta impegnato in una competizione».<br />

Contra G. De Marzo, Responsabilità civile dell’organizzatore di competizioni<br />

sportive nei confronti degli spettatori:clausola generale di <strong>responsabilità</strong> ex art.<br />

2050 c.c., in Riv. dir. sport, 1992, 268 per il quale «le c.d. intemperanze dei<br />

tifosi negli stadi rappresentano un rischio creato (s’intende in maniera<br />

del tutto involontaria) dall’attività di organizzazione di incontri calcistici:<br />

rischio che in quelle sedi si connota per una potenzialità dannosa elevatissima,<br />

attesa la concentrazione negli stadi di migliaia di persone».<br />

(19) Cfr. Cass. 30 ottobre 2002, n. 15288, in Giust. civ. Mass., 2002,<br />

1856; Cass. 12 maggio 2005, n. 10027.<br />

(20) Aderisce a tale impostazione M. Sanino, Diritto Sportivo, Padova,<br />

2002, 455.


no una <strong>responsabilità</strong> di tipo contrattuale (21) con i propri<br />

tifosi che sottoscrivono l’abbonamento per l’intero campionato<br />

di calcio, laddove il sinallagma si perfeziona allorché la<br />

società riconosce il “diritto al posto” e lo spettatore paga il<br />

prezzo, configurando l’ipotesi di un contratto innominato di<br />

spettacolo (22); ora, se la Juventus avesse deciso di disputare<br />

l’incontro in altro Stadio (sempre che tale scelta fosse stata<br />

possibile senza violare il regolamento della Federazione<br />

Italiana Giuoco Calcio (23) e sempre che ci fosse stata la<br />

possibilità di trovare uno stadio che avesse potuto ospitare<br />

una partita di tale importanza), la stessa non avrebbe sicuramente<br />

potuto rispettare i propri obblighi contrattuali assunti<br />

con la vendita degli abbonamenti e nessuna circostanza<br />

l’avrebbe esonerata da una pletora di azioni per inadempimento<br />

contrattuale non potendosi invocare, nel caso di specie,<br />

le esimenti di cui alla forza maggiore, al caso fortuito od<br />

al fatto del terzo (24), proprio perché, come sostiene il tribunale<br />

torinese, i rischi erano prevedibili.<br />

Ed allora quid juris? L’interprete che approccia la pronuncia<br />

in esame e condivide l’impostazione giureconomica<br />

della stessa non può non offrire spunti alla riflessione sul tema.<br />

(Segue): il concorso di colpa della vittima<br />

Com’è noto, importante dottrina (25), ha osservato<br />

che «il tratto distintivo della colpa è l’esistenza di un livello<br />

di diligenza che esonera dalla <strong>responsabilità</strong> - cioè l’esistenza<br />

di un livello di prevenzione che esonera dal risarcimento<br />

del danno. Una tale impostazione risponde al quesito<br />

che in questo modo se taluno è stato diligente, la sua<br />

azione non può considerarsi biasimevole per cui va esonerato<br />

da <strong>responsabilità</strong>.<br />

Tale ragionamento, in termini economici, è diverso<br />

ma ugualmente persuasivo: la ragione dell’esistenza di un livello<br />

di diligenza che esonera il danneggiante è quella di indurre<br />

le vittime ad essere diligenti. Ciò avviene perché esiste<br />

una <strong>responsabilità</strong> complementare per il danno che viene<br />

traslata dal danneggiante alla vittima quando il primo è<br />

stato diligente. La vittima potenziale razionale risponderà a<br />

tale traslazione di costi attesi adottando delle prevenzioni<br />

onde minimizzare tale <strong>responsabilità</strong> complementare».<br />

In termini di <strong>responsabilità</strong> oggettiva, invece, di strict<br />

liability, la vittima non deve sopportare alcuna <strong>responsabilità</strong><br />

complementare per cui la stessa non avrà il bisogno di<br />

adottare delle misure per diminuire l’occorrenza o la gravità<br />

degli incidenti, assumendo una posizione di favore rispetto<br />

alla prova dell’evento.<br />

In tale contesto argomentativo, non può condividersi<br />

il ragionamento del tribunale in termini di <strong>responsabilità</strong><br />

oggettiva in chiave giureconomica (26) atteso che il giudizio<br />

di prevedibilità o di probabilità dell’evento deve essere<br />

bilateralmente considerato proprio perché la classificazione<br />

della gara come “a rischio” assurgeva a rango di fatto notorio<br />

(27), la cui conoscenza non poteva essere ricondotta<br />

soltanto alla società ma anche ai tifosi tutti, di entrambi le<br />

squadre.<br />

Expressis verbis, la intrinseca pericolosità dell’evento,<br />

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

se da un lato avrebbe dovuto indurre, e di fatto così è accaduto,<br />

la Juventus ad adottare tutte le cautele necessarie a<br />

prevenire incidenti, dall’altro, anche le vittime potenziali<br />

(i tifosi), avrebbero dovuto adottare un principio di auto<strong>responsabilità</strong><br />

od anche di autoprotezione in relazione all’evento<br />

stesso.<br />

Più chiaramente, nella ricostruzione fattuale dell’accadimento<br />

dannoso, si è avuto modo di verificare che il<br />

tifoso romanista è rimasto ferito perché non era in condizioni<br />

di scappare atteso che aveva una gamba ingessata a<br />

causa di un precedente infortunio; ebbene, tale circostanza<br />

non avrebbe dovuto indurre la vittima ad avere una con-<br />

Note:<br />

(21) G. Giannini, La <strong>responsabilità</strong> civile degli organizzatori di manifestazioni<br />

sportive, in Riv. dir. sport, 1986, 277 ss. secondo cui «verso gli spettatori paganti<br />

l’organizzatore ha una <strong>responsabilità</strong> di natura contrattuale a seguito<br />

dell’obbligazione assunta di fornire loro attraverso il corrispettivo dell’acquisto<br />

del biglietto una prestazione (lo svolgimento della manifestazione)».<br />

(22) G. Stipo, La <strong>responsabilità</strong> civile nell’esercizio dello sport, in Riv. dir.<br />

sport, 1961, 44. Più specificamente, sul contratto innominato di spettacolo<br />

si veda V. D’Antonio, Billionaire senza regalo: sul contratto di festa, in<br />

questa Rivista, 2005, 1134 ss.<br />

(23) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 maggio 2001, n. 2546 secondo cui «il potere<br />

della Federazione Italiana Gioco Calcio di emanare norme organizzative<br />

dell’attività sportiva - in cui deve farsi rientrare anche l’ammissione<br />

ai campionati - si estende anche ai profili economici e gestionali oltre<br />

che a quelli meramente tecnici» per la qual cosa è sottratto all’arbitrio<br />

della società di calcio la gestione dell’incontro in uno stadio o in un altro.<br />

(24) Cfr. in tal senso ex multis Cass. 22 marzo 1996, n. 2487 in Arch. giur.<br />

circ., 1996, 815; in Foro it., 1997, I, 1601; in Dir. trasp., 1997, 503, con<br />

nota di Mastandrea; in Giust. civ. Mass., 1996, 409; in questa Rivista,<br />

1996, 652; in Contratti, 1996, 577, con nota di Tincani; in questa Rivista,<br />

1997, 595, con nota di Chiarolla.<br />

(25) P.G. Monateri, Costo e Prevenzione degli incidenti, in G. Alpa - P.<br />

Chiassoni - A. Pericu - F. Pulitini - S. Rodotà - F. Romani, Analisi Economica<br />

del Diritto Privato, Milano, 1998, 288.<br />

(26) In precedenza, ma in un contesto differente, si è avuto modo di osservare<br />

come questa soluzione appariva convincente; in tal senso, sia consentito<br />

il rinvio a A. Maietta, Cartelli pubblicitari nello stadio e <strong>responsabilità</strong><br />

delle società sportive: il caso Giampà, in questa Rivista, 2005, 337. Purtuttavia,<br />

nella vicenda in commento, la prospettiva deve necessariamente essere<br />

rivista alla luce delle argomentazioni svolte.<br />

(27) Cfr. Cass. 31 maggio2005, n. 11609 secondo cui «Il fatto notorio,<br />

derogando al principio dispositivo ed a quello del contraddittorio e dando<br />

luogo a prove non fornite dalle parti e relative a fatti da esse non vagliati<br />

e controllati, dev’essere inteso in senso rigoroso, cioè come fatto acquisito<br />

con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile,<br />

e non quale evento o situazione oggetto della mera conoscenza del<br />

singolo giudice. Conseguentemente, per aversi fatto notorio occorre, in<br />

primo luogo, che si tratti di un fatto che si imponga all’osservazione ed alla<br />

percezione della collettività, di modo che questa possa compiere per<br />

suo conto la valutazione critica necessaria per riscontrarlo, sicché al giudice<br />

non resti che constatarne gli effetti e valutarlo soltanto ai fini delle<br />

conseguenze giuridiche che ne derivano; in secondo luogo, occorre che si<br />

tratti di un fatto di comune conoscenza, anche se limitatamente al luogo<br />

ove esso è invocato, o perché appartiene alla cultura media della collettività,<br />

ivi stanziata, o perché le sue ripercussioni sono tanto ampie ed immediate<br />

che la collettività ne faccia esperienza comune anche in vista<br />

della sua incidenza sull’interesse pubblico che spinge ciascuno dei componenti<br />

della collettività stessa a conoscerlo. Anche il fatto tecnico, sia<br />

pure a livelli semplicizzati, può diventare notorio, allorquando la collettività<br />

sia periodicamente sensibilizzata sul punto dalla stampa e dagli altri<br />

mezzi di comunicazione di massa o da altre forme pubblicitarie».<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 777


778<br />

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

dotta più diligente, magari non recandosi allo stadio od anche<br />

scegliendo un settore differente? Il concorso della vittima<br />

nella produzione del danno (28), secondo il principio di<br />

regolarità causale sancito dall’art. 41, comma 2, c.p. (29), è<br />

da sempre riconosciuto dalla giurisprudenza come causa se<br />

non di esclusione quanto meno di graduazione della <strong>responsabilità</strong>,<br />

per cui bene avrebbe fatto il giudice di prime<br />

cure a valorizzare tale aspetto proprio in ragione della platealità<br />

dell’evento che tutti attendevano e che, come lo<br />

stesso magistrato afferma, «emerge in tutta evidenza senza<br />

bisogno di commenti ulteriori».<br />

(Segue): il ruolo delle Forze di Polizia<br />

Un ulteriore aspetto non considerato dalla lunga motivazione<br />

della pronuncia in esame riguarda il ruolo delle<br />

Forze di Polizia nel contesto degli incidenti allo stadio o<br />

fuori di esso.<br />

Giova precisarsi che l’aumento negli ultimi anni di<br />

episodi di violenza in occasione di manifestazioni sportive<br />

ha indotto il legislatore ad emanare provvedimenti significativi<br />

tendenti a prevenire la violenza negli stadi.<br />

Il decreto legge n. 162 del 17 agosto 2005 recante “Ulteriori<br />

misure per contrastare i fenomeni di violenza in occasione<br />

di competizioni sportive” (30) rafforza l’impianto normativo<br />

in questione già disciplinato con la legge n. 88 del 24 aprile<br />

2003 (31), nonché con il decreto del Ministero dell’Interno<br />

del 6 giugno 2005 recante norme in materia di videosorveglianza<br />

(32), tagliandi nominativi (33) e sicurezza<br />

negli stadi (34), introducendo una disciplina di controlli e<br />

prevenzioni utili ad evitare episodi di violenza.<br />

Il precetto normativo, com’è noto, deve essere fatto<br />

osservare dai soggetti a ciò deputati, ergo le Forze di Polizia,<br />

cui compete il presidio dell’ordine pubblico, non essendo<br />

consentito alla vigilanza privata tale potere repressivo.<br />

Orbene, tornando alla vicenda che ci occupa, la Juventus<br />

ha mostrato la propria diligenza, anche extra ordinem<br />

se si considera che una partita di calcio non dovrebbe<br />

essere un incontro di guerriglia, comunicando per tempo<br />

alla Questura, alla Prefettura, ai Vigili del Fuoco quali potevano<br />

essere i rischi connessi alla organizzazione dell’evento<br />

sportivo, all’uopo chiedendo l’adozione delle misure<br />

precauzionali necessarie con il dispiego delle forze dell’ordine,<br />

coadiuvate anche da guardie private.<br />

In tale contesto, si innesta una ulteriore causa di giustificazione<br />

o, se si preferisce, una chiara esimente in capo<br />

alla società convenuta poiché la stessa, in ottemperanza alle<br />

vigenti disposizioni, ha posto in essere «tutte quelle attività<br />

idonee ad evitare il danno» che l’art. 2050 c.c. richiede,<br />

per la qual cosa, non può sottacersi che la <strong>responsabilità</strong><br />

per omesso controllo sui fumogeni o sugli oggetti introdotti<br />

nello stadio andava ascritta alle Forze dell’Ordine secondo<br />

l’opinione corrente della dottrina (35) e della giurisprudenza<br />

(36) più attenta sul tema dell’art. 2043 c.c. poiché<br />

Note:<br />

(28) Cfr. Cass. 28 marzo 1997, n. 2763.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

(29) Sul punto si veda Cass. 15 gennaio 2003, n. 484 secondo cui «in<br />

virtù del principio di regolarità causale, tutti gli antecedenti in mancanza<br />

dei quali un determinato evento dannoso non si sarebbe verificato debbono<br />

ritenersi causa del medesimo, salvo che non si accerti, ai sensi dell’art.<br />

41, secondo comma, cod. pen., applicabile anche nel giudizio civile,<br />

che la causa prossima sia stata da sola idonea a produrla; accertato il concorso<br />

delle cause nella produzione dell’evento, la graduazione delle <strong>responsabilità</strong><br />

ai fini del risarcimento dei danni deve essere effettuata avendo<br />

esclusivamente riguardo al loro grado di incidenza eziologia ed alla<br />

gravità della colpa di ciascuno dei concorrenti».<br />

(30) In G.U. 18 agosto 2005, n. 91.<br />

(31) In G.U. 24 aprile 2003, n. 88.<br />

(32) Il testo del decreto in materia di videosorveglianza prevede che debbano<br />

essere realizzati sistemi di videosorveglianza in tutti gli impianti con<br />

capienza superiore a 10.000 unità; è prevista, inoltre, la registrazione di<br />

tutto l’evento, compreso l’eventuale ingresso dei tifosi prima della gara<br />

per preparare le coreografie. La registrazione è disponibile per 7 giorni dopo<br />

l’incontro e le società organizzatrici dell’incontro sono responsabili<br />

della conservazione dei dati adottando le misure di sicurezza prescritte. Le<br />

medesime società sono tenute a porre i supporti ed i relativi dati a disposizione<br />

dell’Autorità Giudiziaria e di Pubblica Sicurezza o di loro delegati<br />

all’uopo espressamente designati. Dopo il settimo giorno di conservazione,<br />

i dati non utilizzati devono essere cancellati.<br />

(33) Il testo del decreto in materia di tagliandi di accesso prevede che le<br />

società organizzatrici di competizioni riguardanti il gioco del calcio sono<br />

responsabili della emissione, distribuzione, vendita e cessione dei titoli di<br />

accesso agli impianti sportivi ove tali competizioni si disputano. La maggiore<br />

novità del decreto consiste nel fatto che i titoli di accesso devono<br />

essere numerati e devono recare le generalità dell’utilizzatore, l’indicazione<br />

del posto assegnato, la società che organizza la gara, il nome e l’ubicazione<br />

ove la gara si disputa, nonché il periodo di validità, il numero progressivo<br />

di rilascio, l’indicazione precisa del varco di ingresso allo stadio,<br />

l’accettazione da parte dello spettatore delle norme del regolamento di<br />

accesso tra cui anche la possibilità di essere sottoposti a controlli sulla persona<br />

e nelle borse o contenitori al seguito. Ciascun titolo di accesso dovrà<br />

riportare stampato, con tecniche anticontraffazione, un codice realizzato<br />

con caratteri riconoscibili otticamente ed un codice bi-dimensionale,<br />

o altro sistema leggibile tramite lettori di prossimità, ove siano registrati,<br />

oltre alle informazioni di cui sopra, anche, in maniera sicura e protetta,<br />

ovvero firmate digitalmente e cifrate, l’identità del titolare (nome,<br />

cognome, data e luogo di nascita, residenza), nonché gli estremi del ricevitore<br />

o cedente (denominazione, ragione sociale, sede legale); tali dati,<br />

relativi ai soli titoli di accesso effettivamente venduti o ceduti, dovranno<br />

essere trasferibili automaticamente ad una banca dati accessibile al sistema<br />

di controllo degli accessi.<br />

(34) Il provvedimento legislativo è stato ritenuto ammissibile dal Garante<br />

per la protezione dei dati personali con il parere espresso in data 4 maggio<br />

2005; in particolare, sulla videosorveglianza il Garante ha stabilito<br />

che questo tipo di controllo rispetta i principi di liceità e necessità in ragione<br />

dei reiterati disordini e degli episodi di violenza verificatisi di recente.<br />

Proporzionata risulta, ad esempio, la conservazione delle immagini<br />

per non più di una settimana. Anche le modalità di ripresa che consentono<br />

l’individuazione di singoli spettatori, appaiono proporzionate e<br />

non eccedenti rispetto agli scopi prefissati. Per altri dispositivi e tecniche<br />

di ripresa particolari, attualmente non previsti, sarà invece necessaria una<br />

verifica preliminare del Garante. La registrazione audio riguarda solo l’audio<br />

complessivo dell’evento calcistico. La previsione dei sistemi di videosorveglianza<br />

riguarda solo gli impianti sportivi di capienza superiore alle<br />

diecimila unità e ad eventi calcistici. Sui tagliandi nominativi, invece, il<br />

Garante non ha ancora preso posizione netta rinviando l’emissione del<br />

proprio parere all’esito di pertinenti valutazioni da parte delle Autorità<br />

competenti sulla effettiva necessità dell’utilizzo di biglietti nominativi.<br />

(35) È di tale avviso A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli,<br />

1989, 1171; G. Alpa, Responsabilità civile e danno, Bologna, 1991,<br />

441.<br />

(36) Cfr. Corte Conti, sez. giur. Marche, 2 agosto 2001, n. 752 secondo<br />

cui «deve affermarsi la <strong>responsabilità</strong> amministrativa del funzionario della<br />

Polizia di Stato il quale, preposto alla sicurezza pubblica in uno stadio<br />

(segue


anche la P.A., nell’esercizio dei suoi poteri, è tenuta al rispetto<br />

delle regole di diligenza e prudenza (37).<br />

Nella motivazione della sentenza in commento, invece,<br />

alcuna rilevanza è stata data a tale profilo, pur avendo<br />

avuto l’istruttoria processuale come protagonisti alcuni<br />

esponenti delle Forze dell’Ordine; orbene, non può tacersi<br />

come il ricorso alle Forze di Polizia debba essere considerato<br />

una risorsa scriminante in punto di <strong>responsabilità</strong>,<br />

ancor più se si tiene conto che l’attività connotata da<br />

intrinseca pericolosità può essere frenata solo con strumenti<br />

di coercizione che non solo peculiari dei soggetti<br />

privati.<br />

Id est, non si può condividere l’opinione del magistrato<br />

torinese in argomento atteso che la società Juventus<br />

aveva ampiamente e con notevole intervallo di tempo, apprestato<br />

tute quelle misure cautelari idonee a sfuggire la<br />

colpa presunta dell’art. 2050 c.c. (38); d’altra parte, il ricorso<br />

a tale precetto normativo, dovrebbe in ogni caso, dopo<br />

aver appurata l’adozione di tutte le misure ragionevolmente<br />

(corsivo dell’A.) ipotizzabili, essere depurato dalla<br />

sua connotazione in senso oggettivo della <strong>responsabilità</strong><br />

ivi prevista, dando la possibilità al soggetto che, ex ante,è<br />

ritenuto responsabile, di poter fornire quella prova liberatoria<br />

che la stessa norma prevede senza incorrere nel rischio<br />

di far diventare il dettato normativo una mera frase<br />

di stile che si risolve, in concreto, in una probatio diabolica,<br />

se non si ritiene di dare una ragionevole definizione delle<br />

“misure idonee ad evitare il danno”, ovvero una definizione<br />

correlata ai reali poteri del soggetto che, in caso contrario,<br />

rimane tenuto al risarcimento pur non avendo, effettivamente<br />

(corsivo dell’A.) i mezzi a sua disposizione onde<br />

prevenire il fatto lesivo.<br />

Rilievi conclusivi<br />

L’analisi condotta attraverso l’esame, seppur superficiale,<br />

della sentenza in commento, pone in evidenza la circostanza<br />

che una società di calcio o, comunque, qualsiasi<br />

soggetto organizzi una manifestazione sportiva, giace sotto<br />

la spada di Damocle della propria <strong>responsabilità</strong> oggettiva<br />

o per colpa presunta (che, nei fatti oggetto di commento,<br />

finisce per coincidere con la prima); tale impostazione sistematica<br />

è finalizzata alla moltiplicazione delle proprie risorse<br />

per poter prevenire incidenti o le intemperanze dei<br />

tifosi.<br />

La dottrina, a volte, ha aderito a tale modello ritenendo<br />

che se una società si avvantaggia del supporto dei propri<br />

sostenitori deve sopportarne anche i costi per le intemperanze<br />

dei medesimi (39) in applicazione del canone ubi<br />

commoda ibi incommoda, altre volte, invece, ha criticato tale<br />

impostazione sul presupposto che, in ambito sportivo, attesa<br />

la presenza del vincolo di giustizia, è preclusa alla società<br />

sportiva l’azione di regresso civile nei confronti dei responsabili<br />

del fatto dannoso (40).<br />

In realtà, l’aumento degli episodi di violenza negli stadi<br />

che, come si diceva innanzi, ha indotto il legislatore a<br />

predisporre alcune leggi ad hoc, ha profondamente mutato<br />

il ruolo e la funzione dello sport e ragionando in punto di<br />

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

<strong>responsabilità</strong> civile ha fatto si ché si passasse da una no land<br />

law ad una strict liability business oriented, ovvero ad una <strong>responsabilità</strong><br />

oggettiva o per colpa presunta che trova la sua<br />

giustificazione causale ex ante sul presupposto della dimensione<br />

dell’interesse economico e sul ruolo assunto dalle società<br />

di calcio ovvero allorché vi sia coincidenza ed identità<br />

«del centro di interesse e di profitto tra l’operato del responsabile<br />

subiettivo e la sfera d’azione del responsabile<br />

obiettivo» (41).<br />

Il caso Juventus dimostra come oggi «…purtroppo<br />

nel mondo dello sport calcistico regna sovrano il principio<br />

della <strong>responsabilità</strong> oggettiva, esasperato al punto che<br />

la società incolpevole paga in ogni caso il fio delle intemperanze<br />

degli spettatori senza che alcun rapporto causale<br />

esista fra il comportamento della società ed il fatto del terzo;<br />

ciò anche se, invertendo l’onere della prova, la società<br />

dimostra di aver fatto il possibile per evitare il gesto dannoso<br />

o pericoloso posto in essere dal singolo o dalla folla…»<br />

(42).<br />

Note:<br />

(segue nota 36)<br />

durante lo svolgimento di una manifestazione sportiva, abbia omesso di<br />

coordinare i necessari controlli e attivare le conseguenti misure di cautela,<br />

al fine di prevenire l’insorgere e il diffondersi nelle tribune di incendi<br />

causati da comportamenti prevedibili dei tifosi».<br />

(37) Contra C.A.F. 3 luglio 1978, in Riv. dir. sport, 1979, 434 per la quale<br />

esiste l’impossibilità di prevenzione dei disordini da parte delle Forze dell’Ordine<br />

data l’enorme sproporzione tra numero degli addetti e numero<br />

degli spettatori e sulla obiettiva estrema difficoltà di individuare i responsabili<br />

nella moltitudine del pubblico.<br />

(38) In tema di <strong>responsabilità</strong> per esercizio di attività pericolosa, la letteratura<br />

è copiosa; tra gli altri, si vedano G. Alesii, Introduzione alla valutazione<br />

delle attività rischiose, Torino, 1997, passim; M. Antinozzi, Responsabilità<br />

per lo svolgimento di attività pericolose, in Dir. e prat. assicur., 1989, 573;<br />

S. Balzaretti, Cumulo di <strong>responsabilità</strong> ex art. 2050 e 2051 c.c. ed intervento<br />

del soccorritore, in Resp. civ. e prev., 1996, 693; Id., L’esercizio di attività pericolosa<br />

negli orientamenti della giurisprudenza, ibidem, 62; M. Bessone, I problemi<br />

di interpretazione dell’art. 2050 c.c. e gli obiter dicta della giurisprudenza,<br />

in Giur. merito, 1983, 1059; Id., La nozione giurisprudenziale di "svolgimento"<br />

delle attività pericolose, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1982, 812; Id.,<br />

La nozione di "pericolo" e il principio di <strong>responsabilità</strong> per i danni causati da attività<br />

pericolosa, ibidem, 855; R. Zuccaio, Sulla <strong>responsabilità</strong> per l’esercizio di<br />

attività pericolose, in Giur. it., 2001, 2275.<br />

(39) Cfr. A. Manfredi, Considerazioni in tema di <strong>responsabilità</strong> oggettiva e sua<br />

compatibilità con l’ordinamento giuridico generale, in Riv. dir. sport, 1980, 59.<br />

(40) Cfr. F. Pagliara, Ordinamento giuridico sportivo e <strong>responsabilità</strong> oggettiva,<br />

in Riv. dir. sport, 1989, 60. L’Autore sottolinea come la ratio della <strong>responsabilità</strong><br />

oggettiva, dal punto di vista dell’ordinamento sportivo, poggia<br />

sulla necessità di conseguire con immediatezza lo scopo che lo sport si<br />

prefigge: cioè il conseguimento del risultato sportivo attraverso la regolarità<br />

della gara. La natura di tale <strong>responsabilità</strong> non è di ordine punitivo<br />

ma soltanto di giusto equilibrio dei valori sportivi che determinano il risultato<br />

sportivo; la sanzione sportiva non è rivolta a colpire soggettivamente<br />

la società sportiva, bensì a mutare oggettivamente una situazione<br />

di fatto verificatasi contro e nonostante le regole sportive. Tanto è vero<br />

che la società che ne subisce (indirettamente) le conseguenze non può rivalersi<br />

sull’autore del fatto (contrariamente a quanto si verifica nella legislazione<br />

statale).<br />

(41) Cfr. C.A.F. 30 gennaio 1985, in Riv. dir. sport, 1985, 556.<br />

(42) Cfr. Pret. Palermo 22 gennaio 1970, in V. Frattarolo, Lo sport nella<br />

giurisprudenza, Milano, 1995, 592.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 779


780<br />

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITÀ CIVILE<br />

La prospettiva segnalata non può non destare preoccupazioni,<br />

non tanto e non solo per l’impalcatura sistematica<br />

su cui viene fondato il giudizio di <strong>responsabilità</strong>, quanto<br />

piuttosto sulla applicazione pratica dello stesso; apertis<br />

verbis, se da un lato il criterio della colpa presunta o della <strong>responsabilità</strong><br />

oggettiva consente una velocizzazione della riparazione<br />

del danno ed una più semplice individuazione<br />

del responsabile, dall’altro si corre il rischio, tutt’altro che<br />

eventuale, di un sistema risarcitorio che non ammette prova<br />

liberatoria proprio perché qualsiasi misura di prevenzione<br />

o cautela adottata viene giudicata inidonea se comunque<br />

il danno si produce.<br />

La vicenda in esame palesa esattamente tale stato di<br />

cose, accentuato dal fatto che, nell’indagine pratica, il giudice<br />

di merito ha condotto una istruttoria tutta protesa a<br />

fondare un giudizio di <strong>responsabilità</strong> sulla società convenuta,<br />

senza tenere nel giusto e doveroso conto, il modus agendi<br />

dei responsabili materiali del fatto (43), la condotta della<br />

vittima e di altri soggetti, quali ad esempio le forze dell’ordine,<br />

cui pure competeva l’adozione di una diligenza<br />

media per i primi e qualificata per le seconde.<br />

Invero, a parere dello scrivente, non basta qualificare<br />

l’attività di organizzazione di una partita di calcio come pericolosa<br />

per fondare un giudizio di <strong>responsabilità</strong> ma vanno<br />

indagate, case by case, le oggettive risultanze dei fatti che, in<br />

qualche modo possano fornire la possibilità della prova liberatoria<br />

cui l’art. 2050 c.c. da ingresso, quali ad esempio il<br />

concorso di colpa della vittima nella causazione del fatto o<br />

nella omessa prevenzione di cautele idonee a non produrre<br />

il medesimo, il ruolo delle forze dell’ordine, il comportamento<br />

dei tifosi agenti.<br />

Tale indagine non può essere esclusa ex ante atteso<br />

che, oggi, le moderne tecnologie in materia di videosorveglianza<br />

e di identificazione dei soggetti che si recano allo<br />

stadio con il biglietto nominativo, consentono una più facile<br />

e rapida individuazione dei responsabili degli incidenti<br />

sui quali dovrà ricadere la <strong>responsabilità</strong>, anche civile, del<br />

loro illecito comportamento.<br />

Lo stato dell’arte in materia di prevenzione, pertanto,<br />

impone una rivisitazione della funzione della <strong>responsabilità</strong><br />

oggettiva o per colpa presunta, in ambito sportivo, la cui ratio<br />

ispiratrice, finalizzata ad una velocizzazione del risarcimento<br />

e ad un favor victimae, non appare più convincente<br />

per l’evoluzione delle possibilità accertative delle <strong>responsabilità</strong>,<br />

«risultando ingiuste ed ingiustificate, soprattutto in<br />

relazione alle gravi conseguenze economiche, le severe sanzioni<br />

comminate alle società in riscontro della <strong>responsabilità</strong><br />

oggettiva» (44).<br />

In conclusione, pur apprezzando lo sforzo motivazionale<br />

fornito dal giudice di prime cure, la pronuncia in commento<br />

non può costituire un leading case atteso che, seguire<br />

una scia così tratteggiata, significherebbe, da un lato dotare<br />

di immunità i responsabili degli episodi di violenza negli<br />

stadi e, dall’altro, svilire lo sport del suo significato più nobile<br />

di momento promozionale della vita del singolo e collocarlo<br />

in un sistema business oriented, laddove il rapporto<br />

costs and benefits finisce per giustificare una applicazione<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

selvaggia di un sistema risarcitorio di strict liability pur in assenza<br />

di specifica relazione causale tra condotta materiale,<br />

evento e danno.<br />

Sarebbe, pertanto, auspicabile una rimeditazione dell’istituto<br />

della <strong>responsabilità</strong> ex artt. 2049 e 2050 c.c. in ambito<br />

sportivo mediante una ponderata valutazione da effettuarsi<br />

caso per caso, della effettiva e ragionevole (corsivo dell’A.)<br />

possibilità in capo alle società calcistiche di poter prevenire<br />

gli eventi produttivi di danno realizzando, in concreto,<br />

quella opportunità di fornire la prova di «aver adottato<br />

tutte le misure idonee» per evitare il danno senza un<br />

giudizio precostituito fondato su logiche economiche che<br />

non sempre forniscono le risposte giuste in un settore dove,<br />

probabilmente, soluzioni ultime non saranno mai facilmente<br />

rinvenibili.<br />

Note:<br />

(43) Suggerisce tale indagine dalla quale si ritiene di non poter prescindere<br />

C.A.F. 5 agosto 1971, in Riv. dir. sport, 1971, 3.<br />

(44) Cfr. A. Parisi, Responsabilità civile e penale negli sport ad alto rischio, in<br />

P. Stanzione - S. Sica, Professioni e <strong>responsabilità</strong> civile, Bologna, 2006, 949.


Fatto e diritto<br />

1. Viene in decisione l’appello interposto dal Consorzio<br />

per la Zona Industriale di Macomer (d’ora innanzi,<br />

“Consorzio”) avverso la sentenza, specificata in epigrafe,<br />

di accoglimento del ricorso proposto dalla Secit<br />

S.p.A. (in prosieguo, “Secit”) contro gli atti relativi alla<br />

gara per l’affidamento dei lavori inerenti l’ampliamento<br />

dell’impianto di trattamento dei rifiuti solidi urbani<br />

del bacino della costa nord-occidentale della Sardegna.<br />

2. Nel giudizio così promosso si è costituita la Secit, contestando<br />

tutte le difese avversarie e concludendo per<br />

l’integrale reiezione del gravame.<br />

3. All’udienza pubblica dell’8.2.2004 parti e causa sono<br />

state assegnate in decisione.<br />

4. L’appello è infondato.<br />

5. Per una compiuta esposizione delle ragioni del decidere<br />

occorre ripercorrere brevemente la vicenda sulla quale<br />

s’innesta la presente controversia, siccome riferita nella<br />

narrativa della decisione appellata.<br />

Al riguardo giova precisare che:<br />

– la Secit, insieme ad altre imprese, venne invitata alla<br />

licitazione privata bandita dal Consorzio per l’affidamento<br />

dei lavori inerenti l’ampliamento dell’infrastruttura<br />

sunnominata;<br />

– nella lettera d’invito, ricevuta dalla società appellata il<br />

16.12.1994, era previsto che le offerte dovessero giungere<br />

alla stazione appaltante entro il giorno 29 dello stesso<br />

mese e che le imprese interessate avrebbero dovuto presentare<br />

tutta la documentazione indicata nel foglio recante<br />

“modalità di partecipazione alla gara”;<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

Termine di prescrizione<br />

La c.d. “pregiudiziale amministrativa”<br />

ed il muro di gomma<br />

di Palazzo Spada<br />

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 1° luglio 2005, n. 3679<br />

Pres. Iannotta - Est. Carlotti - Consorzio per la zona industriale di Macomer c. Secit S.p.A. ed Ecologia<br />

S.p.A.<br />

Atto amministrativo - Termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno per equivalente monetario - Necessità<br />

del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento - Esclusione - Pregiudiziale amministrativa - Necessità.<br />

(Legge 21 luglio 2000, n. 205, art. 7)<br />

Poiché la pronuncia costituiva del giudice amministrativo integra un elemento indefettibile della specifica<br />

e complessa fattispecie risarcitoria (riconducibile solo per taluni aspetti al paradigma contrattuale),<br />

si deve affermare la vigenza della c.d. "pregiudiziale amministrativa”. Discende da ciò che il<br />

termine prescrizionale cui è sottoposta l’azione risarcitoria decorre dalla pubblicazione del dispositivo<br />

di primo grado, non già dal verificarsi del fatto storico lesivo.<br />

– detto foglio pervenne alla Secit solamente il<br />

19.12.1994;<br />

– ritenendo incongruo il termine assegnato per presentare<br />

l’offerta, la Secit chiese inutilmente al Consorzio<br />

una proroga del detto termine e, quindi, insorse avanti<br />

al T.a.r. isolano, lamentando di non aver potuto partecipare<br />

alla selezione pubblica (poi aggiudicata alla società<br />

Ecologia), a cagione del breve tempo concesso<br />

dall’amministrazione per l’effettuazione dei complessi<br />

adempimenti preliminari, imposti dall’entità economica<br />

dei lavori banditi nonché dalla complessità delle<br />

opere da eseguire (è pertinente osservare in via incidentale<br />

che soltanto due delle quattordici imprese invitate<br />

dal Consorzio riuscirono a presentare un’offerta tempestiva);<br />

– in particolare, la Secit contestò che, nella fattispecie,<br />

sussistessero le condizioni per il ricorso alla procedura accelerata,<br />

prevista e disciplinata dall’art. 15 del d.lgs.<br />

19.12.1991, n. 406;<br />

– il primo giudice, una volta respinta l’eccezione d’improcedibilità<br />

dell’impugnativa sollevata dalle parti intimate<br />

(motivata con riferimento alla sopravvenuta ultimazione<br />

dei lavori in questione), accolse il ricorso promosso<br />

dall’odierna appellata, sotto il profilo dell’eccessiva<br />

brevità del termine stabilito dall’amministrazione per<br />

la ricezione dell’offerta;<br />

– in dettaglio, il Collegio cagliaritano stigmatizzò la<br />

mancanza nella specie delle “ragioni di urgenza” legittimanti<br />

il ricorso alla procedura accelerata.<br />

6. L’appello del Consorzio è affidato ai seguenti motivi di<br />

censura:<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 781


782<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

I. violazione delle norme e dei principi in tema di interesse<br />

ad agire;<br />

II. violazione dell’art. 15 del d.lgs. 19.12.1991, n. 406.<br />

7. Entrambe le censure sono destituite di fondamento.<br />

8. Correttamente, invero, il T.a.r. della Sardegna ha disatteso<br />

l’ulteriore eccezione relativa al preteso difetto<br />

d’interesse della Secit alla coltivazione dell’impugnativa,<br />

stante l’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento<br />

scaturente dall’accoglimento del ricorso nella sua<br />

parte cassatoria.<br />

Al riguardo il primo giudice statuì che, ai fini della verifica<br />

della sussistenza dell’interesse ad agire della Secit,<br />

occorresse unicamente accertare l’astratta proponibilità<br />

dell’azione risarcitoria, rimanendo di converso estraneo<br />

allo specifico scrutinio giurisdizionale ogni altro aspetto<br />

afferente al merito della domanda, ivi inclusa la delibazione<br />

in ordine all’eventuale prescrizione del diritto prospettato.<br />

8.1. L’affermazione merita convinta adesione, considerato<br />

che l’indagine sulla specifica condizione dell’azione,<br />

onere di ogni giudicante, deve esclusivamente concentrarsi<br />

sull’individuazione di un’utilità, obiettivamente<br />

configurabile e non altrimenti conseguibile dalla parte se<br />

non percorrendo la via giudiziaria.<br />

L’investigazione ufficiosa del decidente non può tuttavia<br />

spingersi oltre il confine segnato da tale verifica, pena<br />

l’arbitraria invasione - vieppiù sulla base di valutazioni<br />

incidentali, prognostiche e di tipo ipotetico - di alvei di<br />

cognizione riservati a futuri e distinti giudizi.<br />

Diversamente opinando, infatti, risulterebbe vulnerata<br />

l’inviolabilità del diritto di difesa della parte, non potendo<br />

ammettersene menomazioni arrecate in via indiretta<br />

ed anticipata, mercè il surrettizio aggiramento, attraverso<br />

il sindacato sull’interesse a ricorrere, della regola di<br />

giudizio scolpita dall’art. 112 c.p.c.<br />

8.2. A queste considerazioni d’ordine teorico, si accompagna,<br />

d’altro canto, un’ulteriore considerazione suscitata<br />

dalle peculiari vicende della controversia sottoposta<br />

all’esame del Collegio.<br />

A ben vedere, infatti, tutto il ragionamento difensivo<br />

sviluppato dal Consorzio prende l’abbrivo da un erroneo<br />

punto di partenza; a torto, invero, l’amministrazione appellante<br />

suppone che il dies a quo del termine della prescrizione<br />

dell’azione risarcitoria astrattamente esercitabile<br />

dalla Secit fosse già decorso alla data della decisione<br />

impugnata, perché asseritamente da riconnettersi al momento<br />

della completa esecuzione delle opere affidate.<br />

Vale, di contro, osservare come la pronuncia costitutiva<br />

del giudice amministrativo integri un elemento indefettibile<br />

della specifica e complessa fattispecie risarcitoria<br />

(Cons. Stato, ad. plen., 26.3.2003, n. 4), di talché il termine<br />

a cui si riferisce il Consorzio è iniziato a decorrere,<br />

alla stregua del principio generale ritraibile dall’art. 2935<br />

c.c., a far data dalla pubblicazione del dispositivo della<br />

sentenza impugnata e, quindi, allo stato, esso non è ancora<br />

spirato.<br />

8.3. Non convince, d’altra parte, l’argomento secondo<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

cui la mancata presentazione di un’offerta da parte della<br />

Secit escluderebbe in radice la possibilità di riconoscere<br />

in capo a quest’ultima finanche la legittimazione sostanziale<br />

a pretendere dal Consorzio una qualunque riparazione<br />

economica.<br />

8.4. In realtà, la tesi patrocinata dal Consorzio sottende<br />

un’erronea sovrapposizione tra il concetto di procedimento<br />

e quello di gara: se è indiscutibile che la società<br />

appellata non ebbe a partecipare alla selezione competitiva,<br />

è al contempo altrettanto incontestabile che essa<br />

prese parte al procedimento di licitazione privata indetto<br />

dall’amministrazione appellante, avendo ricevuto la<br />

lettera d’invito: fu insomma la comunicazione dell’invito<br />

alla selezione ad ingenerare nella Secit l’aspettativa di<br />

una gestione della procedura avviata dal Consorzio, pienamente<br />

conformata ai fondamentali canoni di buon<br />

andamento, imparzialità, correttezza e proporzionalità<br />

ed, in via di corollario, la ragionevole previsione di un<br />

sollecito inizio della gara dopo la scadenza del termine<br />

indicato nel relativo avviso (v. il successivo §. 9.8.) o,<br />

quantomeno, di un congruo differimento del termine<br />

per la presentazione delle offerte successivamente stabilito,<br />

considerate le caratteristiche dell’impianto, il valore<br />

dell’opera e, soprattutto, l’espressa richiesta, rivolta a<br />

tutti gli invitati alla competizione, di esperire obbligatoriamente<br />

un preventivo ed “accurato sopralluogo nell’impianto”<br />

(così, testualmente, l’avviso di gara).<br />

Non si comprende, pertanto, come l’appellante possa<br />

negare apoditticamente l’astratta ricorrenza, nella specie,<br />

di tutti gli estremi necessari e sufficienti a configurare<br />

una precisa <strong>responsabilità</strong> della P.A., assimilabile sotto<br />

alcuni aspetti a quella contrattuale (ma non con questa<br />

coincidente), per violazione del duplice interesse<br />

procedimentale a partecipare ad una selezione legittimamente<br />

abbreviata e, comunque, ad ottenere un proporzionato<br />

differimento del termine - eccessivamente breve<br />

- per la presentazione delle offerte.<br />

9. A non miglior fortuna va incontro il secondo mezzo di<br />

gravame, diretto contro l’interpretazione dell’art. 15 del<br />

d.lgs. n. 406/1991, seguita dal Tribunale sardo.<br />

9.1. Per fini espositivi, è opportuno dar conto del tenore<br />

della norma (in seguito abrogata dall’art. 231 del d.P.R.<br />

21.12.1999, n. 554) della cui esegesi si controverte.<br />

9.2. Il primo comma dell’art. 15 del d.lgs. 19.12.1991, n.<br />

406 (Attuazione della direttiva 89/440/CEE, in materia<br />

di procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori<br />

pubblici), dedicato alla “Procedure accelerate”, disponeva:<br />

«Qualora, per ragioni di urgenza, non sia possibile<br />

l’osservanza dei termini di cui all’art. 14, l’amministrazione<br />

aggiudicatrice può stabilire i termini seguenti:<br />

a) un termine di ricezione delle domande di partecipazione<br />

non inferiore a quindici giorni a decorrere dalla data<br />

di spedizione del bando di gara alla Gazzetta Ufficiale<br />

delle Comunità europee;<br />

b) un termine di ricezione delle offerte non inferiore a<br />

dieci giorni dalla data dell’invito».<br />

9.3. Il Tribunale cagliaritano chiarì che le “ragioni d’ur-


genza”, di cui all’anzidetto art. 15, dovevano sostanziarsi<br />

in sopraggiunte circostanze impreviste, tali da rendere<br />

improcrastinabile l’esecuzione dei lavori e da non consentire<br />

il rispetto degli ordinari termini di svolgimento<br />

della selezione.<br />

Inoltre, a detta del primo giudice, il Consorzio avrebbe<br />

dovuto motivare diffusamente la scelta del ricorso alla<br />

procedura abbreviata, onde assolvere all’onere di una<br />

puntuale dimostrazione della concreta sussistenza dei<br />

presupposti eccezionali della relativa situazione legittimante.<br />

9.4. Ad avviso del Collegio, il Tribunale ha ben interpretato<br />

la norma in discorso. Ed invero, l’urgenza rilevante<br />

ai fini dell’art. 15 sunnominato era unicamente<br />

quella derivante da circostanze indipendenti dalla pregressa<br />

condotta amministrativa della stazione appaltante.<br />

9.5. Nel caso di specie, al contrario, il Consorzio giustificò<br />

l’abbreviazione del termine per la presentazione dell’offerta<br />

(in pratica, portato a dieci giorni, alcuni dei quali<br />

ricadenti nel periodo delle festività natalizie), facendo<br />

riferimento, nel contesto dell’avviso di gara, all’«urgenza<br />

di procedere in tempi ristretti alla esecuzione della nuova<br />

linea di termodistruzione causa la insufficiente capacità<br />

di trattamento rifiuti della linea già esistente» e poi,<br />

soltanto in occasione del rigetto dell’istanza di proroga<br />

avanzata dalla Secit, aggiunse che «la mancata aggiudicazione<br />

dei lavori entro il termine del 31.12.94 comporterebbe<br />

la revoca del finanziamento dell’opera da parte<br />

della Comunità Europea e di conseguenza l’impossibilità<br />

di realizzazione dell’intervento».<br />

9.6. Deve ritenersi che nessuna delle giustificazioni addotte<br />

rappresentasse una valida “ragione di urgenza” ai<br />

sensi dell’art. 15 succitato; dagli atti di causa emerge<br />

piuttosto che l’esigenza di affidare rapidamente i lavori<br />

di ampliamento fosse da attribuirsi al ritardo accumulato<br />

dal Consorzio nel compiere le attività prodromiche all’intervento<br />

infrastrutturale in questione.<br />

9.7. Il Consorzio appellante era stato delegato dalla Regione<br />

Sardegna, diretta beneficiaria (giusta il decreto del<br />

Ministro dell’Ambiente 3.8.1993) dei fondi del programma<br />

ENVIREG, all’esecuzione dell’impianto termoinceneritore<br />

fin dall’ottobre del 1993, in forza del decreto<br />

8.10.1993, n. 2560 dell’Assessorato regionale della<br />

difesa e dell’ambiente. Soltanto nel mese di aprile del<br />

1994 - ovvero, dopo un’ingiustificata stasi di circa quattro<br />

mesi - venne tuttavia attivata la prima linea di trattamento<br />

dei rifiuti (si noti bene, già esistente).<br />

9.8. Occorre infine soggiungere che, nell’avviso di gara,<br />

si era indicato il giorno 3.12.2004 quale termine ultimo<br />

per recapitare al Consorzio le richieste di partecipazione<br />

e che, nonostante l’esternata urgenza di provvedere, il<br />

Consorzio si premurò di spedire le lettere d’invito solo<br />

tredici giorni dopo tale data.<br />

9.9. Le riferite premesse inducono a ritenere che la causa<br />

dell’invocata “urgenza” fosse imputabile alla stessa<br />

amministrazione e, segnatamente, all’inerzia da questa<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

immotivatamente serbata nei mesi immediatamente<br />

successivi alla delega ricevuta, pur essendo pienamente a<br />

conoscenza dell’esistenza del termine finale per usufruire<br />

del finanziamento comunitario ottenuto.<br />

Non è stata in alcun modo provata, d’altronde, la circostanza<br />

allegata dall’appellante a giustificazione di tale<br />

indugio, ascritto all’asserita riluttanza dei Comuni della<br />

zona a conferire i propri rifiuti nell’impianto di smaltimento.<br />

9.10. La lentezza con cui l’Amministrazione provveda ad<br />

espletare gli adempimenti di sua spettanza, preliminari<br />

allo svolgimento della gara, non appartiene però al novero<br />

delle ragioni di urgenza menzionate dall’art. 15 del<br />

d.lgs. n. 406/1991 e, pertanto, il Consorzio non avrebbe<br />

potuto far legittimo ricorso alla procedura abbreviata;<br />

ogni diversa interpretazione della disposizione nel senso<br />

suggerito dall’appellante equivarrebbe, del resto, ad<br />

un’indebita traslazione del “rischio dell’amministratore”<br />

a carico degli aspiranti concorrenti, aumentandone in<br />

maniera consistente “l’alea imprenditoriale” per effetto<br />

di un’illegittima diminuzione delle essenziali garanzie<br />

procedimentali loro assicurate dall’ordinamento.<br />

9.11. Analoghe considerazioni valgono anche con riguardo<br />

alla diversa “giustificazione”, incentrata sul pericolo<br />

di perdere il cofinanziamento comunitario.<br />

9.12. Va, quindi, confermata la pronuncia d’annullamento<br />

degli atti di gara per violazione degli artt. 15 del<br />

d.lgs. n. 406/1991 e 3 del d.P.R. 10.1.1991, n. 55 (che, al<br />

comma 5, dispone: «Nel caso di ricorso alle procedure<br />

d’urgenza occorre indicare espressamente nel bando di<br />

gara le relative motivazioni. In ogni caso il ricorso a tali<br />

procedure non è consentito quando le ragioni dell’urgenza<br />

siano addebitabili a fatto proprio dell’Amministrazione»).<br />

10. In conclusione, la sentenza del T.a.r. della Sardegna<br />

ben resiste a tutte le censure dedotte con l’appello e merita<br />

integrale conferma.<br />

... Omissis...<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 783


784<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 28 luglio 2005, n. 4008<br />

Pres. Riccio - Est. Aureli - Regione Campania c. G. A.<br />

Atto amministrativo - Preventiva o contestuale impugnazione del provvedimento amministrativo lesivo - Interpretazione<br />

della sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004 - Necessità.<br />

(Legge 21 luglio 2000, n. 205, art. 7)<br />

Il potere del giudice amministrativo di “disporre” il risarcimento del danno è, nell’attuale ordinamento,<br />

secondo la lettura offerta dalla sentenza della Corte Costituzionale 6 luglio 2004, n. 204, rigorosamente<br />

circoscritto alla sola ipotesi del previo annullamento dell’atto amministrativo. Da ciò discende<br />

che tale potere non possa essere esercitato in caso di annullamento in autotutela del provvedimento<br />

amministrativo lesivo, venendo meno, in tale ipotesi, l’essenziale condizione della consequenzialità<br />

del diritto patrimoniale al risarcimento.<br />

Fatto<br />

Il dott. G. A., con deliberazione della Giunta Regione<br />

Campania n. 7083 del 30 novembre 1992, veniva collocato<br />

al 420° posto della graduatoria interna del personale<br />

di I a qualifica dirigenziale della Regione Campania,<br />

predisposta per l’attuazione dell’art. 6 della l.r. 4 luglio<br />

1991, n. 11, recante norme per il conferimento degli incarichi<br />

dirigenziali relativi ai Servizi in essa individuati.<br />

A seguito di numerosi ricorsi giurisdizionali promossi avverso<br />

il detto atto di approvazione della graduatoria, la<br />

Regione Campania, con deliberazioni 19 giugno 1998,<br />

n. 3779, e 29 ottobre 1998, n. 7317, dando esecuzione a<br />

pronunce di accoglimento del T.a.r. Campania, confermate<br />

dal Consiglio di Stato, provvedeva a redigere ed<br />

approvare una nuova graduatoria, nella quale il dott. G.<br />

veniva collocato al 383° posto, fermo restante il punteggio<br />

originariamente attribuitogli pari a 38 punti.<br />

A far data dal 1° agosto 1995, il dott. G. è stato però collocato<br />

a riposo per raggiunti limiti di età e non ha potuto<br />

conseguentemente beneficiare della nuova e migliore<br />

posizione in graduatoria.<br />

Per tale ragione ha promosso ricorso dinanzi al T.a.r.<br />

Campania chiedendo il risarcimento del danno “morale<br />

e materiale” sofferto a causa dell’errata collocazione nella<br />

originaria graduatoria, consistente nel mancato affidamento<br />

dell’incarico e della funzione dirigenziale, da<br />

quantificare nella misura pari all’indennità di funzione<br />

dirigenziale non corrisposta per un quadriennio, e con<br />

l’obbligo di rideterminare sia il trattamento di fine rapporto<br />

che il trattamento pensionistico.<br />

Con la sentenza meglio descritta in epigrafe il giudice di<br />

primo grado accoglieva il ricorso, ed in particolare:<br />

I. dichiarava la giurisdizione del G.A. per la controversia<br />

in oggetto;<br />

II. affermava la <strong>responsabilità</strong> della Regione Campania<br />

per il danno lamentato dal dott. G., in conseguenza della<br />

mancata attribuzione dell’incarico di dirigente di Servizio<br />

della Regione Campania in quanto;<br />

a) il dott. G. è stato erroneamente collocato al 420° posto<br />

della graduatoria degli idonei piuttosto che al 383°,<br />

per effetto della modifica della graduatoria originaria disposta<br />

dalla Regione Campania in data 29 ottobre 1998,<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

e ciò ha comportato che egli non è stato nominato dirigente<br />

di Servizio a tutto il 31 luglio 1995, data in cui è<br />

andato in pensione.<br />

b) la circostanza che il dott. G. non abbia impugnato la<br />

graduatoria originaria in cui era stato collocato al 420°<br />

posto, per ottenerne l’annullamento, non pregiudica la<br />

possibilità di chiedere ed ottenere la tutela risarcitoria<br />

per i danni consequenziali alla mancata nomina a dirigente<br />

di Servizio, in quanto la suddetta graduatoria risulta<br />

annullata dalla stessa Amministrazione regionale;<br />

c) nel caso di specie sussistono tutti i presupposti, richiesti<br />

dall’art. 2043 del c.c. per il risarcimento del danno;<br />

III. condannava la Regione Campania al risarcimento<br />

del danno subito dal G. per la mancata nomina a dirigente<br />

di Servizio.<br />

È insorta avverso detta decisione la Regione Campania<br />

contestandone, a parte il profilo della giurisdizione, tutto<br />

l’impianto argomentativo, sottolineandone la distanza<br />

da orientamenti della giurisprudenza amministrativa<br />

ormai consolidati.<br />

Parte appellata si è costituita per chiedere il rigetto dell’appello,<br />

eccependone, altresì, la tardività, ed a tal fine<br />

ha depositato l’originale della sentenza impugnata corredata<br />

della eseguita notifica.<br />

La Regione Campania ha replicato con memoria all’eccezione<br />

di tardività depositando, in esecuzione dell’ordinanza<br />

collegiale n. 215 del 18 gennaio 2005, la copia<br />

dell’originale della sentenza impugnata e notificata.<br />

All’udienza odierna il Collegio ha trattenuto la causa per<br />

la decisione.<br />

Diritto<br />

Deve anzitutto essere respinta l’eccezione di tardività<br />

dell’appello.<br />

Dalla copia dell’originale della sentenza impugnata in<br />

atti, si ricava che la notifica di essa è avvenuta il 31 luglio<br />

del 2004.<br />

La copia conforme di detta sentenza risulta essere stata<br />

invero consegnata in data 29 luglio del 2004 dall’avv. S.,<br />

difensore del ricorrente in primo grado, all’ufficio postale<br />

di Napoli-Fuorigrotta per essere notificata alla Regione<br />

Campania per la decorrenza del termine breve.


Non si evince però dalla relata apposta in calce alla copia<br />

detta o da altro punto della sentenza notificata alcuna<br />

nuova elezione di domicilio o comunicazione di variazione<br />

del recapito del difensore notificante, rispetto a<br />

quello di Napoli, via N. n. 22 utilizzato dallo stesso nel<br />

giudizio di primo grado.<br />

Onde nessuna negligenza o errore è imputabile alla Regione<br />

Campania per la notificazione dell’atto d’appello<br />

destinata a detto domicilio e tentata il giorno 11 novembre<br />

2004, non essendo andata a buon fine, come da<br />

relata in calce, poiché il predetto difensore risultava all’Ufficiale<br />

giudiziario competente trasferito altrove.<br />

Di conseguenza, la rinnovazione della notifica al nuovo<br />

recapito del difensore di prime cure sito in Napoli, Viale<br />

A. n. 79, eseguita ai sensi dell’art. 330, comma 1 c.p.c.<br />

non può essere dichiarata tardiva anche se avvenuta dopo<br />

la scadenza del termine breve (Cons. Stato, sez. IV, 30<br />

marzo 2004, n. 1711).<br />

Né varrebbe in contrario osservare che detto nuovo domicilio<br />

è stato, nella specie, indicato dal difensore, utilizzando<br />

il proprio timbro, ponendolo nella parte, dedicata<br />

al mittente, della ricevuta di spedizione della raccomandata<br />

con la quale è stata trasmessa la sentenza, poiché tale<br />

adempimento, giacché effettuato a tutt’altri fini, non<br />

manifesta un’univoca volontà di modificare l’elezione di<br />

domicilio già formalmente effettuata nel corso del giudizio<br />

di primo grado e che pertanto risulta essere il luogo di<br />

notifica del ricorso in appello (Cons. Stato, sez. IV, 1°<br />

marzo 2001, n. 1123).<br />

L’eccezione di tardività dell’appello deve quindi essere<br />

respinta.<br />

La sentenza impugnata, e l’appello che ne contesta integralmente<br />

il suo contenuto, pongono il problema della<br />

“pregiudiziale amministrativa”, concernente, com’è noto,<br />

la necessità o meno che l’azione di risarcimento del<br />

danno per attività illegittima della P.A. sia preceduta<br />

dall’accertamento giurisdizionale dell’illegittimità del<br />

provvedimento e dalla pronuncia del suo annullamento.<br />

Nel caso in esame, la questione si pone essendo pacifico<br />

che il dott. G. ha promosso l’azione di risarcimento del<br />

danno, senza aver prima proposto ricorso avverso la prima<br />

approvazione della graduatoria (deliberazione GR n.<br />

7083/1992; poi annullata in autotutela) che lo vedeva<br />

collocato al 420° posto, in posizione non utile a conseguire<br />

l’incarico dirigenziale, ovvero avverso il<br />

D.P.G.R.C. dell’ottobre del 1994, con cui la Regione<br />

Campania provvedeva alla copertura dei Servizi istituiti,<br />

procedendo alle nomine dei dirigenti scelti all’interno<br />

della anzidetta graduatoria degli idonei.<br />

L’azione risarcitoria del dott. G. si è fondata quindi esclusivamente<br />

sulle deliberazioni (n. 3779 e n. 7317 del<br />

1998) della Regione Campania in forza delle quali, per<br />

effetto dell’annullamento della predetta graduatoria originaria,<br />

egli è stato collocato al 383° posto.<br />

Su tale sopravvenuto annullamento della graduatoria<br />

del 1992 in via di autotutela, il primo giudice, ha sviluppato<br />

tutto il suo ragionamento, individuando in esso il<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

punto per superare le ragioni sulle quali si fonda la tesi<br />

della cd. pregiudiziale amministrativa, che principalmente<br />

risiedono, com’è noto, nel ritenere la tutela risarcitoria<br />

accordata dall’art. 7, comma terzo, l. n.<br />

1034/1971, come introdotto dalla legge n. 205 del 21 luglio<br />

2000, una tutela ulteriore rispetto a quella annullatoria,<br />

e nell’affermazione dell’impossibilità di pervenire<br />

ad una valutazione di “ingiustizia” del danno fintantoché<br />

non venga eliminato il provvedimento amministrativo<br />

da cui il danno è derivato.<br />

Cosicché secondo il giudice di primo grado nella specie<br />

non si pone il problema, pur affrontato dalla giurisprudenza<br />

(Cons. Stato, ad. plen., 26 febbraio 2003, n. 4),<br />

della necessità della previa impugnazione, entro il termine<br />

di decadenza del provvedimento amministrativo lesivo,<br />

come condizione di ammissibilità della domanda risarcitoria<br />

«…poiché l’esercizio del potere di autotutela<br />

sull’atto amministrativo, con il suo conseguente annullamento,<br />

risolve in radice il problema della presunzione<br />

di legittimità dell’atto stesso, ed elimina ogni ostacolo all’esame<br />

della (eventuale) ingiustizia del danno da parte<br />

del giudice. E, a tali fini, non assume alcun rilievo il fatto<br />

che tale annullamento giunga dopo la scadenza del<br />

termine per proporre l’impugnazione, quando l’atto,<br />

cioè, è ormai divenuto inoppugnabile...».<br />

Ciò posto, il Collegio osserva che il risultato a cui è pervenuto<br />

il primo giudice risente verosimilmente dell’anteriorità<br />

della camera di consiglio in cui è stata decisa la<br />

questione in esame (29 gennaio 2004) rispetto alla data<br />

del 6 luglio 2004 in cui è stata pubblicata la nota sentenza<br />

della Corte Costituzionale n. 204.<br />

In questa, il tema della c.d. pregiudiziale amministrativa,<br />

oggetto tuttora di dibattito e di contrasto fra i giudici ordinario<br />

e amministrativo, che appaiono nettamente divisi<br />

sul punto, non viene ex professo affrontato.<br />

Ma emerge, tuttavia, un inquadramento sistematico della<br />

giurisdizione amministrativa che ad avviso del Collegio<br />

non può non aver inciso profondamente anche sulla<br />

visione di aspetti da essa non direttamente toccati, quali<br />

quelli relativi alla tutela risarcitoria per lesione dell’interesse<br />

legittimo, di cui viene comunque ribadita l’appartenenza<br />

alla cognizione del giudice amministrativo.<br />

Nel giudizio della Corte il risarcimento del danno costituisce<br />

soltanto «uno strumento di tutela ulteriore, rispetto<br />

a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da<br />

utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti<br />

della pubblica amministrazione...».<br />

Si tratta quindi di un potere che si affianca a quello d’annullamento,<br />

e pertanto presuppone che la giurisdizione<br />

sia fondata sul presupposto che la posizione soggettiva<br />

azionata sia, pur sempre, di interesse legittimo.<br />

E la giurisdizione del giudice amministrativo che dev’essere<br />

presupposta è quella generale di legittimità sulla<br />

quale si radica anche l’eventuale risarcimento del danno<br />

che ne consegue.<br />

Nel pensiero della Corte il potere risarcitorio «…affonda<br />

le sue radici nella previsione dell’art. 24 Cost…» ed è<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 785


786<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

fondato sulla ratio di evitare «le lungaggini connesse alla<br />

necessità di percorrere il c.d. doppio giudizio per ottenere<br />

la piena soddisfazione delle posizioni soggettive lese»;<br />

di evitare in sostanza che l’interessato per ottenere il risarcimento<br />

del danno debba aggiungere ai gradi della<br />

giurisdizione amministrativa anche gradi della giurisdizione<br />

ordinaria.<br />

Il potere risarcitorio del giudice amministrativo «nell’ambito<br />

della sua giurisdizione», sia essa generale od<br />

esclusiva, può pertanto, riguardare soltanto i «diritti patrimoniali<br />

consequenziali».<br />

Né sembra ipotizzabile la consequenzialità rispetto all’illegittimità<br />

del provvedimento incidentalmente valutata<br />

dal giudice amministrativo adito direttamente con domanda<br />

puramente risarcitoria.<br />

La nozione di «diritto patrimoniale conseguenziale» si<br />

riferisce, ontologicamente, all’annullamento dell’atto o<br />

del provvedimento amministrativo (Cons. Stato, ad.<br />

plen., 26 marzo 2003, n. 4).<br />

Le tesi della consequenzialità come accertamento incidentale<br />

dell’illegittimità da parte del giudice amministrativo<br />

contrasta invero, con il principio processuale secondo<br />

cui per ravvisare un interesse legittimo non è di<br />

certo sufficiente che nell’ambito delle questioni da esaminare<br />

da parte del giudice vi sia anche incidentalmente<br />

quella della legittimità di un atto, essendo invece necessario<br />

che il privato impugni direttamente il provvedimento<br />

autoritativo con cui la Pubblica Amministrazione<br />

ha sacrificato la sua posizione soggettiva prospettabile<br />

come interesse legittimo.<br />

Né per separare il potere di annullamento del giudice<br />

amministrativo dal potere di “disporre” il risarcimento<br />

del danno, gioverebbe qualificare quest’ultimo come<br />

strumento di tutela “conformativa” ulteriore rispetto a<br />

quella demolitoria riconosciutagli dall’ordinamento, posto<br />

che quello conformativo altro non è che un effetto<br />

della tutela demolitoria affidata al giudice quando il<br />

provvedimento impugnato sia emesso dalla Pubblica<br />

Amministrazione.<br />

Quindi il risarcimento del danno è strumento di “completamento”<br />

della tutela che è consentito al giudice concedere,<br />

in via principale, mediante l’annullamento.<br />

E poiché l’interesse legittimo deve essere l’oggetto immediato<br />

ed effettivo del processo, il solo collegamento<br />

indiretto del danno con il provvedimento amministrativo<br />

non giustifica la giurisdizione amministrativa nella<br />

controversia risarcitorie; altrimenti non si potrebbe<br />

nemmeno parlare di lesione dell’interesse legittimo che<br />

processualmente non c’è.<br />

E la legittimità del provvedimento amministrativo è<br />

questione da esaminare non solo per la tutela dell’interesse<br />

legittimo ma anche dell’interesse sostanziale al bene<br />

della vita (diritto al compenso per l’attività lavorativa,<br />

esercizio dell’attività economica, autonomia negoziale,<br />

diritti di libertà) la cui ingiusta lesione determina<br />

la <strong>responsabilità</strong> della pubblica amministrazione ex art.<br />

28 Cost.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

Discende dalle considerazioni che precedono che il potere<br />

del giudice amministrativo di “disporre” il risarcimento<br />

del danno, espressione il cui particolare significato<br />

questa Sezione ha già evidenziato (sent. 200 del 31<br />

gennaio 2005), è nell’attuale ordinamento, secondo la<br />

lettura offerta dalla Corte Costituzionale (n. 204/04), rigorosamente<br />

circoscritto alla sola ipotesi del previo annullamento<br />

dell’atto amministrativo, giacché la ratio<br />

della sua attribuzione, essendo fondata sull’art. 24 Cost.<br />

è quella di evitare a chi ha ottenuto l’annullamento giurisdizionale<br />

dell’atto amministrativo di percorrere tutti i<br />

gradi della giustizia ordinaria per ottenere la piena soddisfazione<br />

delle posizioni soggettive lese.<br />

Il che esclude che tale potere possa essere esercitato in<br />

caso di illegittimità dell’atto incidentalmente valutata<br />

ovvero ritenuta dalla stessa Amministrazione in sede di<br />

ricorso amministrativo, salva ovviamente l’ipotesi del ricorso<br />

straordinario, o di annullamento in autotutela, venendo<br />

meno in tal caso l’essenziale condizione della<br />

consequenzialità del diritto patrimoniale al risarcimento<br />

del danno, ovvero la ratio di evitare che si aggiungano i<br />

gradi della giurisdizione ordinaria a quelli della giurisdizione<br />

amministrativa, nei predetti casi, invero, assenti.<br />

Per quanto sopra considerato l’appello deve quindi essere<br />

accolto.<br />

... Omissis...


Le sentenze in commento ribadiscono la vigenza, nel<br />

nostro ordinamento giuridico, della c.d. “pregiudiziale<br />

amministrativa”, anche sulla base di una lettura<br />

esegetica, certamente non univoca, dell’ordito<br />

argomentativo della sentenza della Corte Costituzionale<br />

n. 204/2004, facendone discendere importanti<br />

conseguenze sul dies a quo di decorrenza del<br />

termine di prescrizione del “diritto” al risarcimento<br />

del danno per equivalente monetario. L’Autore si<br />

propone, in un’ottica critica, di verificare la bontà<br />

del nuovo “dogma” anche alla luce della recente<br />

normativa primaria.<br />

Con le decisioni che si è deciso di chiosare, i Giudici<br />

di Palazzo Spada, ribadiscono un principio oramai e tendenzialmente<br />

cristallizzatosi in materia di pregiudiziale<br />

amministrativa (1), accreditando quella dottrina che sostiene<br />

essere «la stessa interpretazione a creare la regola,<br />

senza subire il vincolo della letteralità del testo e senza ridursi<br />

alle intenzioni soggettive del legislatore (...). È l’interprete<br />

a creare il significato della norma, adattandola<br />

volta a volta al caso concreto, secondo la sua sensibilità e<br />

secondo i valori della società che egli vive e che percepisce<br />

(...)» (2).<br />

Il primo pronunciamento afferma che il termine di<br />

prescrizione del “diritto al risarcimento” (evocando, così,<br />

l’Integritatsinteresse della dottrina tedesca) - locuzione corretta<br />

nell’incedere della motivazione con il riferimento<br />

all’“azione risarcitoria”, in ossequio al recente insegnamento<br />

della giurisprudenza tanto costituzionale quanto di legittimità<br />

(3) - decorre «a far data dalla pubblicazione del dispositivo<br />

della sentenza impugnata», quindi senza necessità<br />

che la sentenza sia passata in giudicato (contrariamente al<br />

tenore letterale dell’art. 2945, comma 2, c.c.), assumendo<br />

in tal modo posizione nell’ambito di una vivace discussione<br />

sul punto specifico; si noti che questo arresto, a differenza<br />

del secondo, non ritiene necessario motivare l’assunto, essendo<br />

sufficiente il riferimento alla sentenza del massimo<br />

Consesso amministrativo n. 4/2003. La problematica della<br />

pregiudizialità ha, allora, un interesse non meramente confinato<br />

alla speculazione dogmatica. Ed infatti, sottacendo<br />

altri aspetti disciplinari che sono senza meno influenzati<br />

dalla soluzione che si voglia offrire al busillis (4), qualora ci<br />

si dovesse, per avventura, persuadere della fondatezza della<br />

tesi della necessaria pregiudizialità amministrativa, in materia<br />

di interessi legittimi, una volta decorsi i termini di decadenza<br />

il ricorso per ottenere il risarcimento dei danni per<br />

equivalente monetario sarebbe dichiarato inammissibile,<br />

poiché si imporrebbe il termine breve di decadenza di sessanta<br />

giorni su quello quinquennale (o decennale, a seconda<br />

di una diversa tesi) di prescrizione valido per azionare la<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

IL COMMENTO<br />

di Giuseppe Micari<br />

pretesa risarcitoria da fatto illecito (5). Ancora, il dies a quo<br />

di decorrenza del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria<br />

dovrebbe essere fissato avuto riguardo alla data di deposito<br />

della sentenza di annullamento del provvedimento<br />

illegittimo da parte del giudice amministrativo, secondo le<br />

Note:<br />

(1) Sulla pregiudiziale amministrativa, limitandoci ad una parte della<br />

dottrina, v. Follieri, Il modello di <strong>responsabilità</strong> per lesione di interessi legittimo,<br />

in Dir. proc. amm., 2006, 22 ss.; Didonna, La tutela civile del giudice<br />

amministrativo, Milano, 2005, 95 ss.; Agnino, Risarcimento del danno e<br />

processo amministrativo, Milano, 2005, 28 ss.; Landi, Pregiudiziale amministrativa<br />

e <strong>responsabilità</strong> da contatto sociale della pubblica amministrazione, in<br />

Riv. trim. app., 2005, 97 ss. In giurisprudenza, nel senso della vigenza del<br />

principio, oltre le sentenze in commento, T.a.r. Marche, Ancona, sez. I,<br />

16 maggio 2006, n. 321, in corso di pubblicazione su Giur. merito, con<br />

nostra nota; Cons. Stato, ad. plen., 30 agosto 2005, n. 4, in Corr. merito,<br />

2005, 1108, con osservazioni di Maddalena; Cons. Stato, sez. IV, 31 gennaio<br />

2005, n. 200, in questa Rivista, 2005, 452 s.; Cons. Stato, ad. plen.,<br />

18 ottobre 2004, n. 10, in Corr. merito, 2005, 364 ss., con osservazioni di<br />

Maddalena. Contrario, seppur con qualche eccezione, l’orientamento<br />

del giudice ordinario (ex coeteris, Cass., sez. lav., 13 aprile 2004, n. 7043,<br />

in Cons. Stato, II, 2004, 1755 s.; Cass., sez. un., ord., 9 marzo 2005, n.<br />

5078, in questa Rivista, 2005, 691 s.; Trib. Milano, sez. IV lav., 22 settembre<br />

2004, in Giur. it., 2005, 182 ss.); sul punto vedasi le recentissime<br />

ordinanze Cass., sez. un., 13 giugno 2006, n. 13659 e 13660, in www.cortedicassazione.it.<br />

(2) Ruggieri, Il giudice e l’evoluzione del sistema delle fonti del diritto, in Dir.<br />

& form., 2005, fasc. 7, 1058.<br />

(3) Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204, in Dir. proc. amm., 2004, 700; Cass.,<br />

sez. un., ord., 31 marzo 2005, n. 6745, in Urb. e app., 2005, 787 s., che ha<br />

ribaltato il precedente assunto contrario di Cass., sez. un., 24 settembre<br />

2004, n. 19200, in Giust. civ., I, 3019 ss., con nostra nota.<br />

(4) E per taluni dei quali ci permettiamo di rinviare a Micari, Ancora<br />

sulla c.d. “pregiudiziale amministrativa” in tema di risarcimento del danno<br />

(nota a Cass., sez. un., ord., 26 maggio 2004, n. 10180), in Giust. civ.,<br />

2005, I, 2143, nt. 19. Ancora, si pensi: al riparto di giurisdizione, potendosi<br />

ipotizzare che quella risarcitoria costituisca una giurisdizione<br />

per connessione del giudice amministrativo (Lipari, I tempi del procedimento<br />

amministrativo, certezza dei rapporti, interesse pubblico e tutela dei<br />

cittadini, in Dir. amm., 2003, 354), il che giustifica l’assunto secondo il<br />

quale, in caso di non impugnazione del provvedimento amministrativo<br />

lesivo, la iurisdictio si radica in capo al giudice di diritto comune: alla necessità,<br />

o meno, di richiedere, al fine della verifica della sussistenza dell’illecito,<br />

la colpa di apparato (Caringella, Corso di diritto amministrativo,<br />

Milano, 2004, 510 s.); al tipo di rito applicabile (sul punto v. Agnino,<br />

Risarcimento del danno e processo amministrativo, cit., 7 ss.); alla risarcibilità<br />

del danno c.d. “da ritardo” per violazione del termine finale procedimentale,<br />

a prescindere dal riferimento al bene della vita sostanziale<br />

[ci permettiamo di rinviare, sull’argomento, a Micari, Tardività del provvedimento<br />

amministrativo ampliativo e danno non patrimoniale (nota a<br />

T.a.r. Puglia, Lecce, sez. III, 9 settembre 2005, n. 4184) in Corr. merito,<br />

2006, 257]; all’ammissibilità della disapplicazione del provvedimento<br />

amministrativo non impugnato nei termini (Liberati, Il risarcimento del<br />

danno cagionato dalla pubblica amministrazione, Padova, 2005, 403 ss.);<br />

alla possibilità di configurare una <strong>responsabilità</strong> precontrattuale amministrativa<br />

(Chiné, La <strong>responsabilità</strong> precontrattuale della pubblica amministrazione<br />

nell’era della risarcibilità degli interessi legittimi, in Foro amm. -<br />

TAR, 2003, 816 s.).<br />

(5) Lubrano, La pregiudizialità amministrativa ed il danno da ritardo (nota<br />

a T.a.r. Abruzzo 25 febbraio 2003, n. 54), in Foro amm. - TAR, 2003,<br />

2679 ss.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 787


788<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

diverse costruzioni giurisprudenziali (6). Se, invece, dovessimo<br />

optare per la soluzione opposta, il ricorso giurisdizionale<br />

amministrativo non potrebbe essere dichiarato inammissibile<br />

qualora non fosse stato preceduto ovvero accompagnato<br />

dalla impugnazione dalla determinazione amministrativa<br />

lesiva, e l’exordium praescriptionis dovrebbe coincidere con<br />

l’integrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie<br />

illecita, id est con l’emanazione del provvedimento amministrativo,<br />

come recentemente ribadito dalla Corte di<br />

Cassazione con la sentenza 21 ottobre 2005, n. 20454, non<br />

essendo necessario attendere una sentenza caducatoria dello<br />

stesso da parte del giudice amministrativo, magari passata<br />

in giudicato. Riteniamo sia quest’ultima ad essere l’impostazione<br />

maggiormente corretta, alla luce delle considerazioni<br />

che verranno svolte in prosieguo di trattazione.<br />

La seconda sentenza in commento sembra evidentemente<br />

suggestionata dalle indicazioni di una autorevole<br />

dottrina che, esaminando i rapporti intercedenti tra la tematica<br />

della pregiudiziale e le eventuali richieste risarcitorie<br />

collegate al provvedimento di secondo grado destinato<br />

ad incidere sull’originario provvedimento divenuto inoppugnabile<br />

(7), giunge ad affermare, seppur dubitativamente,<br />

che il decorso del termine decadenziale di impugnazione<br />

comporti l’estinzione, sul piano sostanziale, della pretesa<br />

e, con essa, la paralisi processuale di tutti i possibili rimedi<br />

a sua tutela, tra cui quello risarcitorio. Il Consiglio di Stato<br />

scioglie il dubbio che caratterizzava l’ipotesi ricostruttiva<br />

appena esposta e, riformando la sentenza impugnata da noi<br />

commentata in altra sede come esempio di dictum solo formalmente<br />

aderente al dogma della pregiudizialità (8), ha<br />

sancito il principio a mente del quale solo quel ricorrente<br />

che abbia impugnato tempestivamente il provvedimento<br />

amministrativo lesivo è legittimato a chiedere ed ottenere<br />

il risarcimento del danno per equivalente monetario. Se ad<br />

ottenere l’annullamento giurisdizionale sia stato A e non B<br />

(entrambi lesi dal provvedimento amministrativo), B non<br />

potrà chiedere il risarcimento, anche se, a seguito del processo<br />

amministrativo che l’ha vista parte soccombente, la<br />

P.A. provveda in autotutela spontanea, estendendo gli effetti<br />

positivi della sentenza di annullamento a tutti i cointeressati<br />

sebbene oltre la scadenza dei termini decadenziali<br />

di impugnazione, riconoscendo, in questo modo, l’illegittimità<br />

provvedimentale ora per allora anche nei confronti di<br />

B. Si noti che parte della dottrina favorevole alla pregiudizialità<br />

ha escluso dal suo ambito di operatività proprio l’i-<br />

Note:<br />

(6) Nell’ambito della giurisprudenza amministrativa, infatti, la regola della<br />

pregiudizialità amministrativa ha assunto significati diversi (D’Orsogna,<br />

La tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo, in Aa.Vv., Processo amministrativo<br />

e diritto comunitario, Padova, 2003, 661 ss.). In un gruppo di decisioni<br />

si sostiene che il privato debba, entro il termine breve di decadenza,<br />

proporre ricorso al G.A. per l’annullamento del provvedimento e che,<br />

per aspirare ad una pronuncia risarcitoria, debba attendere la decisione di<br />

annullamento. In tale eccezione la regola della pregiudizialità condiziona<br />

addirittura la proponibilità stessa dell’azione risarcitoria ad una precedente<br />

decisone giurisdizionale che abbia annullato il provvedimento lesivo. In<br />

talune pronunce, si fa riferimento alla “sentenza di annullamento” o, genericamente,<br />

all’“annullamento giurisdizionale” del provvedimento<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

(T.a.r. Puglia, sez. II, 7 aprile 2003, n. 1608, in www.giustizia-amministrativa.it,<br />

secondo cui non avrebbe senso gravare la parte dell’onere di proporre<br />

l’azione risarcitoria prima che il giudice possa comunque pronunciarsi su<br />

di essa), senza specificare se, ai fini della domanda di risarcimento, sia necessario<br />

attendere la formazione della regiudicata sulla regiudicanda (T.a.r.<br />

Veneto, sez. III, 19 febbraio 2001, n. 320, in Foro amm., 2001, 1260). In altre<br />

sentenze, tale necessità è stata espressamente esclusa (T.a.r. Campania,<br />

Napoli, sez. I, 4 ottobre 2001, n. 4455, in Dir. & form., 2001, 1044). In altre<br />

ancora tale necessità è stata affermata, ritenendosi che l’exordium praescriptionis<br />

coincida con la data del passaggio in giudicato della pronuncia di<br />

annullamento (T.a.r. Lazio, sez. II, 14 giugno 2001, n. 5244, in I TAR,<br />

2001, I, 2173; T.a.r. Puglia, Bari, sez. II, 18 luglio 2002, n. 3401, in Foro<br />

amm., 2002, 3753; Cons. Stato, ad. plen., 9 febbraio 2006, n. 2, in Dir. e<br />

form., 2006, fasc. 3, 371 ss.) ovvero con quella della «dichiarazione in via<br />

definitiva della illegittimità del provvedimento produttivo di danno»<br />

(T.a.r. Toscana, sez. III, 27 ottobre 2000, n. 2212, in Urb. e app., 2001,<br />

432). Un altro orientamento ritiene che, in caso di ricorso avverso il silenzio<br />

della Pubblica Amministrazione, l’accoglimento della domanda risarcitoria<br />

debba essere subordinata al rilascio del provvedimento favorevole<br />

espresso (T.a.r. Lazio, sez. I, 29 gennaio 2001, n. 668, in I TAR, 2001,<br />

4993). Secondo E. D’Arpe, La “pregiudiziale” di annullamento nel processo<br />

amministrativo, in T.A.R., 2003, II, 464, necessiterebbe il passaggio in giudicato<br />

della sentenza amministrativa di primo grado (per quanto ci è dato<br />

di capire, nel caso di omessa impugnazione), non necessario per quella di<br />

secondo grado. Nella sentenza del Cons. Stato, ad. plen., 26 marzo 2003,<br />

n. 4 (in www.giustizia-amministrativa.it), le diverse accezioni della pregiudizialità<br />

mentovate vengono utilizzate ed accorpate in una regola processuale<br />

unitaria, ma di carattere composito: si è ritenuto, infatti, che l’azione<br />

di risarcimento del danno possa essere proposta tanto unitamente all’azione<br />

di annullamento quanto separatamente, ma che essa è ammissibile solo<br />

a condizione che sia impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo<br />

e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento<br />

(anche, a quanto è dato di comprendere, qualora la sentenza caducatoria<br />

non sia passata in giudicato). Sull’argomento, v. Garofoli, Il processo<br />

risarcitorio innanzi al giudice amministrativo, in AA.VV., Le tecniche di tutela<br />

nel processo amministrativo, Milano, 2006, 564 ss.<br />

(7) Cintioli, Pregiudizialità, autotutela ed altre questioni risarcitorie, in Dir. &<br />

form., 2005, fasc. 1, 3 ss. La tesi di questo Autore ha trovato importanti<br />

consensi in Carigella - Garofali, Giurisprudenza amministrativa 2005, Milano,<br />

2005, 60 (secondo i quali «è quantomeno discutibile che il difetto di<br />

una condizione originaria di carattere processuale, relativa all’ammissibilità<br />

dell’azione risarcitoria, possa essere sanata per effetto di un fattore sopravvenuto<br />

alla verificazione della causa di inammissibilità»), in Tomassetti,<br />

La tutela reintegratoria dell’interesse legittimo, in Dir. proc. amm., 2005,<br />

178 s.; in Ragazzo, L’autotutela amministrativa, Milano, 2006, 95, in Caringella-Ragazzo,<br />

Autotutela e risarcimento del danno: la nebbia è ancora densa,<br />

in Corr. merito, 2006, 651 ss. Tuttavia, ci chiediamo come si possa conciliare<br />

l’affermata estinzione dell’interesse legittimo, a causa dell’inane decorso<br />

del termine decadenziale, con la pacifica possibilità per la Pubblica<br />

Amministrazione di agire in autotutela caducatoria e per il giudice ordinario<br />

di disapplicare il provvedimento amministrativo, anche oltre il termine<br />

di impugnazione (Cass., sez. II, 27 marzo 2003, n. 4538, in Foro it.,<br />

2003, I, 2073 ss.); ed infatti, tanto l’annullamento d’ufficio, quanto la disapplicazione,<br />

presuppongono (quale condicio sine qua non) l’illegittimità<br />

(perdurante) della determinazione amministrativa. Ma l’illegittimità non<br />

può che presupporre la (perdurante) esistenza di una situazione soggettiva<br />

giuridicamente rilevante, quale, ai fini che in questa sede interessano, l’interesse<br />

legittimo; a fronte di un interesse di mero fatto, infatti, non è configurabile<br />

l’illegittimità, ma l’inopportunità del provvedimento. Ed allora,<br />

se il potere di annullamento d’ufficio è esercitabile ben oltre il termine decadenziale<br />

di impugnazione, richiedendo l’illegittimità provvedimentale,<br />

l’interesse legittimo non potrà che reputarsi ancora sussistente.<br />

(8) Micari, La c.d. pregiudiziale amministrativa e l’esercizio del potere di autotutela<br />

della pubblica amministrazione (nota a T.a.r. Campania, Napoli, sez.<br />

III, 15 luglio 2004, n. 10256), in Giur. merito, 2005, 427 ss. La sentenza<br />

del Cons. Stato 18 giugno 2002, n. 3338, in Cons. Stato, 2002, I, 1328,<br />

aveva limitato all’ipotesi di autotutela esercitata entro i termini decadenziali<br />

di impugnazione l’eccezione alla regola della pregiudizialità. La sentenza<br />

riformata dal secondo dei pronunciamenti in commento, invece,<br />

estendeva l’eccezione anche al caso in cui detto potere venisse esercitato<br />

successivamente a quel torno di tempo.


potesi di autotutela caducatoria (9), e che in giurisprudenza,<br />

in relazione all’ipotesi di silenzio, si è sostenuto che,<br />

mancando il provvedimento illegittimo, non si pone un<br />

problema di pregiudizialità, poiché le considerazioni fatte<br />

dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 4/2003 «non appaiono<br />

confacenti» all’ipotesi considerata (10); alla stessa<br />

conclusione dovrebbe pervenirsi nella fattispecie decisa dal<br />

Consiglio di Stato nella sentenza n. 4008, atteso che, com’è<br />

noto, l’annullamento in autotutela ha carattere retroattivo.<br />

D’altro canto, se nella locuzione «diritti patrimoniali consequenziali»<br />

non è specificato rispetto a quale fattispecie,<br />

non possiamo escludere, atteso che la littera legis non pare<br />

ostativa in questo senso, che la consequenzialità possa discendere<br />

da un annullamento disposto in via amministrativa.<br />

Consapevoli che «il discorso non è a bocce ferme ma è<br />

mobile» e che le due giurisdizioni (quella ordinaria e quella<br />

amministrativa) si presentano, allo stato attuale, «l’una<br />

contro l’altra armata», tanto che in dottrina si è paventato<br />

il rischio concreto di un nuovo «feudalesimo giuridico»<br />

(11), riteniamo che l’affermata vigenza della pregiudiziale<br />

amministrativa non possa fondatamente accogliersi alla luce<br />

delle considerazioni che seguiranno.<br />

Ma prima di passare in rassegna gli argomenti che depongono<br />

decisamente per l’autonomia dell’azione risarcitoria<br />

rispetto a quella caducatoria, sembra necessario verificare,<br />

seppur sinteticamente, la tenuta delle argomentazioni<br />

utilizzate dal Consiglio di Stato con la sentenza n.<br />

4008/2005, l’unica delle due sentenze in commento, ripetiamolo,<br />

che tenta una dimostrazione tecnico-giuridica<br />

dell’assunto sostenuto ed applicato nella fattispecie concreta.<br />

Si sostiene che «la nozione di “diritto patrimoniale conseguenziale”<br />

si riferisce, ontologicamente, all’annullamento<br />

dell’atto o del provvedimento amministrativo». Tuttavia,<br />

la locuzione riportata, secondo una parte autorevole della<br />

dottrina, è suscettibile di diverse letture alternative, tutte<br />

razionalmente plausibili (12); l’ontologia, l’essere delle cose,<br />

sembra, allora, evocata più come elemento suggestivo<br />

che come argomento tecnico idoneo a falsificare la contraria<br />

impostazione (il “dover essere”), da noi, come da altri,<br />

proposta. La sentenza continua sostenendo che «la tesi della<br />

consequenzialità come accertamento incidentale dell’illegittimità<br />

da parte del giudice amministrativo contrasta,<br />

invero, con il principio processuale secondo cui per ravvisare<br />

un interesse legittimo non è di certo sufficiente che<br />

nell’ambito delle questioni da esaminare da parte del giudice<br />

vi sia anche incidentalmente quella della legittimità di<br />

un atto, essendo invece necessario che il privato impugni<br />

direttamente il provvedimento autoritativo con cui la Pubblica<br />

Amministrazione ha sacrificato la sua posizione soggettiva<br />

prospettabile come interesse legittimo». In termini<br />

maggiormente esplicativi, l’interesse legittimo sorgerebbe,<br />

allo stato latente, solo nel momento in cui viene emesso il<br />

provvedimento amministrativo illegittimo, concretizzandosi<br />

nell’atto del deposito del ricorso giurisdizionale con cui<br />

si chiede al giudice amministrativo l’annullamento; si opera<br />

in tal modo una identificazione, più o meno consapevole,<br />

tra interesse legittimo ed interesse a ricorrere. E tuttavia,<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

la tesi che intende l’interesse legittimo come mero presupposto<br />

di fatto della legittimazione processuale, sulla base<br />

della distinzione tra norme di azione e norme di relazione<br />

(tesi “processuale”), non è più attuale né accoglibile (13),<br />

poiché, a tacer d’altro, l’interesse legittimo sussiste anche al<br />

di fuori ed indipendentemente dell’agone processuale, in<br />

primis nel procedimento amministrativo precedente all’emanazione<br />

del provvedimento che sarà, eventualmente e<br />

solo successivamente, oggetto di impugnazione, in secundis<br />

nell’ambito dei ricorsi amministrativi. In realtà, attesa la<br />

“storicità” della nozione di interesse legittimo (14), le due<br />

tesi che oggi si contendono il campo sono quelle c.d. della<br />

“qualificazione normativa”, accolta dal leading precedent del<br />

1999, e quella procedimentale accolta da Cass., sez. I, 10<br />

gennaio 2003, n. 157 (15), secondo cui «l’interesse legittimo<br />

si riferisce a fatti procedimentali. Questi a loro volta investono<br />

il bene della vita, che resta però ai margini, come<br />

punto di riferimento storico», introducendo, in tal modo,<br />

alla tematica della <strong>responsabilità</strong> da contatto amministrativo<br />

qualificato, che è stata utilizzata per infrangere il dogma<br />

della pregiudiziale, ma che è stata recentemente ripudiata<br />

da una serie di sentenze del Consiglio di Stato (16), con un<br />

ritorno alla regula aurea dell’art. 2043 c.c., seppur senza motivare<br />

sul punto. Si potrebbe, certo, sostenere che una nozione<br />

di interesse legittimo diversa da quelle oggi adottate<br />

comunemente possa essere legittimamente sostenuta, appunto<br />

per la non fissità storica della stessa, come sembra fare<br />

l’arresto in commento, ma, ci sembra, sia opportuno, a<br />

tal fine, confrontarsi con le critiche che la nozione processuale<br />

ha sollevato, superandole. Ciò non è dato di leggere<br />

Note:<br />

(9) D’Arpe, La “pregiudiziale” di annullamento nel processo amministrativo,<br />

cit., 465 s.; sul punto vedi Cass., sez. un., 23 gennaio 2006, n. 1207, in<br />

corso di pubblicazione su questa Rivista, con nostra nota.<br />

(10) T.a.r. Campania, Salerno, sez. I, 7 febbraio 2005, n. 91, in questa Rivista,<br />

2005, 451 ss.; in terminis Cons. Stato, sez. IV, 18 gennaio 2006, n.<br />

125, in Dir. e giust., 2006, fasc. 7, 98 s.<br />

(11) Di Majo, Tutela risarcitoria: alla ricerca di una tipologia, in Riv. dir. civ.,<br />

2005, 243 s.; Domenichelli, Regolazione e interpretazione nel cambiamento<br />

del diritto amministrativo: verso un nuovo feudalesimo giuridico?, in Dir. proc.<br />

amm., 2004, 1 ss.<br />

(12) Da noi riportata in Micari, Ancora sulla c.d. “pregiudiziale amministrativa”<br />

in tema di risarcimento del danno, cit., 176 ss.<br />

(13) La tesi, elaborata da Guicciardi, Concetti tradizionali e principi ricostruttivi<br />

nella giustizia amministrativa, in Arch. dir. pubbl., 1937, 61, è criticata<br />

da Galli, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1996, 68, e da Caringella,<br />

Corso di diritto amministrativo, t. I, Milano, 2004, 336 s.<br />

(14) Sul punto v. Caranta, Il ritorno dell’ir<strong>responsabilità</strong> (nota a T.a.r. Campania,<br />

Napoli, sez. I, 8 febbraio 2001, n. 603), in Urb. e app., 2001, 674.<br />

(15) In Foro it., 2003, I, 79 ss.<br />

(16) Landi, Pregiudiziale amministrativa e <strong>responsabilità</strong> da contatto sociale<br />

della pubblica amministrazione, cit., 128 ss.; Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio<br />

2005, n. 478, in Foro amm. - C.D.S., 2005, 328 ss.; Cons. Stato, sez. IV,<br />

12 gennaio 2005, n. 45, in Cons. Stato, 2005, 31; Cons. Stato, sez. V, 10<br />

gennaio 2005, n. 32, ibidem, 18 ss. Ma per la costruzione di un modello di<br />

<strong>responsabilità</strong> della Pubblica Amministrazione non assimilabile in tutto<br />

e per tutto agli schemi giuscivilistici, Cons. Stato, sez. VI, 14 marzo 2005,<br />

n. 1047, in Urb. e app., 2005, 1060 ss.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 789


790<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

nella trama argomentativa della sentenza n. 4008. Ma il<br />

passo della sentenza dianzi riportato serve, in realtà, nel ragionamento<br />

del giudice di seconde cure, a giustificare la<br />

propria giurisdizione. Si legge, infatti, qualche rigo dopo,<br />

che «poiché l’interesse legittimo deve essere l’oggetto immediato<br />

ed effettivo del processo, il solo collegamento indiretto<br />

del danno con il provvedimento amministrativo<br />

non giustifica la giurisdizione amministrativa nella controversia<br />

risarcitoria; altrimenti non si potrebbe nemmeno<br />

parlare di lesione dell’interesse legittimo che processualmente<br />

non c’è». L’argomento prova troppo. La Corte Costituzionale,<br />

nella sentenza n. 204/2004, radica la giurisdizione<br />

amministrativa a prescindere dall’esistenza di un<br />

provvedimento amministrativo, fondandola, invece, sull’attività<br />

autoritativa, anche comportamentale quindi.<br />

L’importante è che sussista un interesse legittimo, ed essendo<br />

quello risarcitorio un rimedio a tutela dello stesso, e non<br />

un diritto soggettivo autonomo, non c’è affatto bisogno di<br />

un provvedimento illegittimo e, quindi, della sua impugnazione,<br />

per snidare l’autoritatività dell’actio publica ed affermare,<br />

conseguenzialmente, la giurisdizione amministrativa.<br />

In ultimo, il Consiglio di Stato opera un riferimento al<br />

passo della sentenza costituzionale in cui si evidenzia la ratio<br />

concentrazionistica sottesa al disposto di cui all’art. 24<br />

Cost.; ma anche questo riferimento sembra un fuor d’opera,<br />

poiché tutte le questioni risarcitorie afferenti alle materie<br />

comprese nella giurisdizione amministrativa (anche<br />

quelle che non richiedono la necessaria impugnazione<br />

provvedimentale), rientrano nella stessa giurisdizione. Passiamo,<br />

a questo punto, ad evidenziare elementi argomentativi<br />

contrari, in via generale, alla tesi accolta dalle due sentenze<br />

in commento.<br />

Pregiudiziale contra Constitutionem<br />

Qualora decorressero inutilmente i termini decadenziali<br />

per proporre ricorso giurisdizionale avverso la determinazione<br />

amministrativa lesiva, accedendo alla tesi favorevoli<br />

alla pregiudiziale (tesi smentita anche dalla Corte di<br />

giustizia CE che, dopo un contrario orientamento, a partire<br />

dagli anni ’70 ha sancito l’assoluta autonomia giurisdizionale<br />

dell’azione di <strong>responsabilità</strong> da quella di annullamento<br />

ex art. 230 del Trattato) (17), l’azione risarcitoria<br />

non sarebbe più esperibile, giacché inammissibile, innanzi<br />

all’autorità giurisdizionale amministrativa. Al fine di evitare<br />

un vulnus al principio di pienezza ed effettività di tutela<br />

giurisdizionale, decretato dall’art. 24 Cost., dovrebbe<br />

essere ipotizzabile, allora, come pur è stata autorevolmente<br />

sostenuta (18), la possibilità di azionare la pretesa risarcitoria<br />

innanzi al giudice dei diritto comune. Tuttavia,<br />

questa soluzione sembra cozzare (anche) con il disposto di<br />

cui all’art. 113 Cost. Infatti, e sulla base del recente insegnamento<br />

della Corte Costituzionale, sentenza 204/2004:<br />

a) se è l’interesse legittimo (rectius: la sua lesione) ciò che<br />

si risarcisce ed il risarcimento del danno non assurge al<br />

rango di diritto soggettivo (di credito) autonomo rispetto<br />

alla situazione giuridica soggettiva-base pregiudicata dall’actio<br />

publica; b) se laddove opera la Pubblica Ammini-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

strazione in veste di autorità sussiste interesse legittimo e,<br />

dunque, la giurisdizione del giudice amministrativo; allora<br />

non sarà possibile paventare una residua tutela risarcitoria,<br />

nella materia che ci occupa, in capo al giudice ordinario, il<br />

quale ha giurisdizione solo su questioni involgenti diritti<br />

soggetti perfetti, e non, seguendo i dettami della Grundnorm,<br />

interessi legittimi.<br />

D’altro canto, e sviluppando così il pensiero di certa<br />

letteratura giuridica (19), è stato affermato che quella risarcitoria<br />

non è questione semplicemente connessa a quella<br />

relativa all’annullamento del provvedimento amministrativo<br />

(ciò che, se corrispondente a verità, potrebbe legittimare<br />

la conclusione a mente della quale la giurisdizione ordinaria<br />

si radicherebbe ove detta connessione non venisse<br />

in rilevo, id est nell’ipotesi di danno da provvedimento<br />

inoppugnato entro i termini decadenziali ovvero dopo che<br />

l’annullamento sia stato autonomamente pronunciato dal<br />

giudice amministrativo ovvero dalla stessa amministrazione;<br />

la giurisdizione amministrativa, di contro, dovrebbe essere<br />

adita solo nel caso in cui al ricorso caducatorio si cumulasse<br />

oggettivamente quello risarcitorio per equivalente),<br />

poiché: a) il riferimento letterale «nell’ambito della sua<br />

giurisdizione» di cui all’art. 7 legge 6 dicembre 1971, n.<br />

1034, come novellata, senza ulteriori indicazioni, non<br />

conforta l’opinione che vorrebbe farla derivare dall’atteggiarsi<br />

in concreto di un determinato processo; b) la tesi<br />

contrasta con il principio secondo cui la potestas iudicandi<br />

non è condizionata da ragioni di connessione, precludendo<br />

l’ordinamento che la scelta del giudicante possa dipendere<br />

dalla concreta strategia processuale della parte che agisce in<br />

giudizio; c) la ratio concentrazionistica che è alla base dell’attribuzione<br />

al giudice amministrativo delle controversie<br />

risarcitorie relative a danni cagionati dall’esercizio non corretto<br />

della funzione amministrativa, non sembra compatibile<br />

con una lettura che rimetta alla volontà della parte la<br />

scelta di realizzare, o meno, detta concentrazione. Queste<br />

considerazioni, che rendono inaccoglibile la tesi di chi opina<br />

nel senso della persistenza della giurisdizione ordinaria<br />

nelle ipotesi di giurisdizione di legittimità, pur con esclusione<br />

di quella esclusiva, appaiono vieppiù rilevanti ora che<br />

Note:<br />

(17) Per tutte v. Corte giust. CE 8 marzo 2001, in cause riunite C-397/98<br />

e C-410/98, in Giur. it., 2001, 1947. Contra S. De Felice, Le tecniche di tutela<br />

del giudice amministrativo nei confronti dei comportamenti illeciti della p.a.,<br />

25 s., in www.giustizia-amministrativa.it.<br />

(18) Romano, Giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa dopo la<br />

legge n. 205/2000, in Dir. proc. amm., 2001, 602; Rossetti, <strong>Danno</strong>, risarcimento,<br />

restituzioni, Relazione tenuta all’incontro di studi organizzato dal<br />

C.S.M. a Roma nei giorni 20-22 settembre 2001, “Rapporti tra illecito civile<br />

e illecito penale: l’illecito contrattuale, i reati-contratto ed i reati in<br />

contratto”, inedito.<br />

(19) Contessa, Nuove certezze (e vecchi dubbi) in tema di riparto di giurisdizione<br />

sul risarcimento danni dopo Corte cost. n. 204/2004, cit., 102. Le considerazioni<br />

che seguono sono tratte dalla Relazione di sintesi dei lavori della<br />

commissione di studio istituita dai presidenti della Corte di cassazione e del Consiglio<br />

di Stato per l’approfondimento dei problemi di maggiore rilievo in tema di<br />

riparto di giurisdizione (Roma, 11 dicembre 2003), in Aa.Vv., Trattato di<br />

giustizia amministrativa, Il riparto di giurisdizione**, Milano, 2005, 1585 ss.


sono state fatte proprie, in via generale, dalla Suprema<br />

istanza di nomofilachia (20). In ultima analisi, se è vero<br />

che, secondo un certo orientamento dottrinale seguito dalla<br />

seconda sentenza in commento, il dictum della Consulta<br />

n. 204/2004, già citato, avrebbe rafforzato la tesi della pregiudizialità<br />

amministrativa, sottolineando il carattere accessorio<br />

della tutela risarcitoria rispetto a quella ripristinatorio-adempitiva<br />

propria dell’annullamento (il risarcimento<br />

del danno, in forma specifica o per equivalente, alla stregua<br />

di uno strumento di tutela ulteriore rispetto a quello<br />

classico demolitorio e/o conformativo), altro e diverso<br />

orientamento ritiene il testo della sentenza costituzionale<br />

come limitatosi ad affermare la legittimità costituzionale<br />

della attribuzione alla giurisdizione amministrativa di una<br />

diversa, prima inesistente, e concorrente modalità di tutela<br />

delle lesioni inferte ad interessi legittimi (21).<br />

Influenza della normativa recentemente<br />

sopravvenuta<br />

Ad oggi, esistono quattro dati normativi, succedanei<br />

alla legge n. 205/2000, che potrebbero avallare prima facie<br />

la tesi della permanenza della c.d. “pregiudizialità amministrativa”:<br />

a) l’art. 14, 2 comma, d.lgs. 20 agosto 2002, n. 190;<br />

b) l’art. 43, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, nella versione<br />

risultante dalle modifiche (minimali) apportate con il<br />

d.lgs. n. 302/2002;<br />

c) l’art. 24, comma 4, legge n. 289/2002 (c.d. legge finanziaria<br />

2003), abrogato nel 2003 e reintrodotto dalla legge<br />

Finanziaria n. 266/2005 (22).<br />

In altra sede abbiamo esaminato partitamente questi<br />

disposti normativi (23), per poi concludere come il combinato<br />

disposto degli artt. 24 e 113 Cost. (anche alla luce della<br />

più recente e vincolante giurisprudenza della Corte di<br />

giustizia CE e della Corte europea dei diritti dell’uomo),<br />

non possa che indurre l’interprete: o ad adottare soluzioni<br />

ermeneutiche fortemente restrittive della norma (limitando<br />

il suo ambito di operatività alle sole ipotesi ivi previste),<br />

qualora essa risulti il portato di una scelta cui il legislatore<br />

interno sia stato abilitato in forza di fonti sovranazionali [è<br />

il caso sub a), e delle Direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE];<br />

ovvero, qualora non sia possibile addivenire ad una interpretazione<br />

costituzionalmente e comunitariamente orientata<br />

del disposto normativo, il quale non si ponga quale<br />

concretizzazione di una scelta a cui il legislatore interno sia<br />

stato abilitato come nel caso precedente, ad optare recisamente<br />

per l’illegittimità costituzionale [trattasi dell’ipotesi<br />

sub b)]; ovvero, ancora, prendere atto della littera legis senza<br />

farsi ammaliare da costrutti giuridici quali la pregiudizialità<br />

amministrativa, pena un pericoloso scostamento dai risultati<br />

ermeneutici cui è addivenuta la giurisprudenza sovranazionale<br />

[ci riferiamo all’ipotesi sub c)].<br />

In questa sede ci chiediamo quale rilevanza giuridica<br />

possa assumere, nell’interpretazione della tematica che ci<br />

occupa, l’enunciato legislativo di cui all’art. 21-octies legge<br />

n. 241/1990 qualora il ricorrente intenda chiedere, in una<br />

con la caducazione retroattiva del provvedimento ammini-<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

strativo impugnato, il risarcimento del danno per equivalente<br />

monetario. Si è sostenuto, infatti, che la normativa<br />

sopravvenuta, non avendo intaccato la possibilità di una<br />

tutela risarcitoria dei danni (anche non patrimoniali), garantirebbe<br />

comunque al cittadino una forma di tutela alternativa<br />

rispetto all’annullamento, cosicché costui sarebbe<br />

messo in grado di comunque reagire, in maniera altrettanto<br />

efficiente, al cattivo operato provvedimentale della Pubblica<br />

Amministrazione (24).<br />

Trasponendo in questa sede le letture ermeneutiche di<br />

cui pare suscettibile, sotto questo aspetto, l’art. 21-octies<br />

(25), che preclude, rammentiamo, la possibilità di ottenere,<br />

ricorrendone determinate e prestabilite circostanze,<br />

l’annullamento giurisdizionale del provvedimento amministrativo<br />

solo formalmente e/o proceduralmente illegittimo,<br />

e premesso che il nostro non è soltanto uno Stato di diritto<br />

(in cui, attribuendosi al termine “legge” il significato<br />

di “legge formale ordinaria”, il principio di legalità vale solo<br />

nei confronti dei poteri esecutivo e giudiziario), ma uno<br />

Stato costituzionale di diritto (in cui, attribuendosi al termine<br />

“legge” il significato affatto generico di “legge materiale”,<br />

cioè norma o insieme di norme giuridiche - il c.d.<br />

“diritto oggettivo” -, da qualunque fonte esse provengano,<br />

anche il potere legislativo primario sia vincolato ad esso):<br />

a) si potrebbe sostenere che, poiché il previo annullamento<br />

della determinazione amministrativa asseritamente<br />

illegittima costituisce condizione di ammissibilità della domanda<br />

risarcitoria per equivalente, secondo l’orientamento<br />

assolutamente prevalente della giurisprudenza amministrativa,<br />

come già anticipato, laddove la previa pronuncia<br />

caducatoria sia impedita ex iure positivo, il ricorso necessariamente<br />

accessorio non potrebbe essere preso in considerazione<br />

dal giudice amministrativo (simul stabunt aut simul<br />

cadent, per trasporre in questa sede il brocardo che descrive<br />

il fenomeno sostanziale del collegamento negoziale), il solo,<br />

secondo una recente ordinanza della Suprema istanza di<br />

Note:<br />

(20) Cass., sez. un., ord., 31 marzo 2005, n. 6745, in Urb. e app., 2005,<br />

787 s., con nota di Contessa, Le Sezioni Unite, l’Adunanza Plenaria ed il riparto<br />

in materia risarcitoria: ultimi atti di una infinita historia?. Ma vedi, già<br />

in questo senso, Cass., sez. un., 9 marzo 2005, n. 5709, ibidem, 691 s. Sul<br />

punto, contra, Cass., sez. un., 23 gennaio 2006, n. 1207, cit.<br />

(21) Per i due orientamenti, Carpentieri, La sentenza della Consulta<br />

204/2004 e la pregiudizialità amministrativa, in Urb. e app., 2004, 1121; Elefante,<br />

La pregiudiziale amministrativa alla luce della sentenza n. 204 del 2004<br />

della Corte costituzionale, in Foro Amm. - TAR, 2004, 1951.<br />

(22) Laino, Convenzioni Consip: chi le ignora paga, in Dir. e giust., 2006, fasc.<br />

6, 76.<br />

(23) Micari, La cd. “pregiudiziale amministrativa” in rapporto al diritto sopranazionale,<br />

costituzionale, primario interno (nota a Cons. Stato, sez. V, 1º luglio<br />

2005, n. 3679), in Urb. e app., 2006, 95 ss.<br />

(24) Liberati, Il risarcimento del danno cagionato dalla pubblica amministrazione.<br />

Danni patrimoniali ed anni non patrimoniali. Giurisdizione ordinaria e<br />

giurisdizione amministrativa, cit., 295.<br />

(25) Caringella, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2004, 1764; Liberati,<br />

Il risarcimento del danno cagionato dalla pubblica amministrazione. Danni<br />

patrimoniali e danni non patrimoniali. Giurisdizione ordinaria e giurisdizione<br />

amministrativa, cit., 399 ss.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 791


792<br />

GIURISPRUDENZA•RISARCIMENTO DANNI<br />

nomofilachia, 31 marzo 2005, n. 6745, cit., a possedere la<br />

competenza giurisdizionale sui ricorsi risarcitori, nelle materie<br />

attribuite alla giurisdizione, anche di legittimità, amministrativa.<br />

Se così potesse essere, l’interesse legittimo non potrebbe<br />

godere di alcuna tutela giurisdizionale, tanto demolitoria,<br />

quanto risarcitoria; patente, in questa ipotesi ricostruttiva<br />

del fenomeno giuridico, il contrasto con i disposti<br />

costituzionali che, non solo equiparano i diritti soggettivi<br />

perfetti agli interessi legittimi, ma che assicurano, a questi<br />

ultimi, una tutela giurisdizionale effettiva (artt. 24, 103,<br />

113 Cost.) (26). Si è, comunque, fondatamente obiettato<br />

all’ipotesi ricostruttiva di partenza che la pregiudizialità intanto<br />

può venire in rilievo in quanto il provvedimento possa<br />

essere annullato, con la conseguenza che sembra possibile<br />

reclamare il risarcimento del danno da provvedimento<br />

solo se questo sia stato impugnato nei termini decadenziali<br />

ed annullato; ma questo meccanismo non può operare qualora<br />

sia la legge stessa ad imporre la non annullabilità del<br />

provvedimento amministrativo, poiché la ratio fondante la<br />

pregiudizialità, id est la possibilità di elusione dei termini decadenziali<br />

previsti a pena di inoppugnabilità della determinazione<br />

amministrativa, non può ricorrere nella fattispecie<br />

introdotta dal legislatore;<br />

b) in seconda battuta, sarebbe possibile argomentare<br />

nel senso che la previa impugnazione del provvedimento<br />

amministrativo contra ius non necessariamente risulta teleologicamente<br />

funzionale all’espunzione, dal mondo giuridico,<br />

della determinazione pubblica. In termini maggiormente<br />

esplicativi, si potrebbe sostenere che, purché venga<br />

rispettato il termine decadenziale di impugnazione, anche<br />

se il provvedimento non potrà essere caducato per factum<br />

principis, sarà possibile, ciononostante, richiedere ed ottenere<br />

qualcosa d’altro, scilicet l’equivalente pecuniario della<br />

lesione subita, valutando, solo a questi limitati fini, il vizio<br />

inficiante l’atto in questione (27).<br />

La mancanza di una pronuncia pregiudiziale, pertanto,<br />

non sarebbe in alcun modo ostativa rispetto alla tutela<br />

risarcitoria (28). L’assunto non convince. E valga il vero.<br />

Ammettendo per absurdum la bontà della costruzione dianzi<br />

prospettata, si opererebbe una sostituzione del termine<br />

prescrizionale richiesto ordinariamente per chiedere il risarcimento<br />

dei danni con quello decadenziale, tipico del<br />

processo impugnatorio amministrativo. E tuttavia, la previsione<br />

normativa di termini decadenziali è considerata eccezionale,<br />

ergo di stretta interpretazione tanto da precludere<br />

estensioni analogiche (ex art. 14 disp. prel. c.c.) delle<br />

stesse (29) ad altre ipotesi normative che, nel nostro caso<br />

(risarcimento del danno, a seconda delle ipotesi ricostruttive,<br />

ex art. 1218 o 2043 c.c.), non sono caratterizzate da lacune<br />

normative sul punto. Ancora, qualora accreditassimo<br />

la linea argomentativa or ora prospettata, si introdurrebbe<br />

nella fattispecie risarcitoria, come disciplinata dal codice<br />

civile, un ulteriore elemento condizionante la possibilità di<br />

ottenere giustizia risarcitoria, elemento di cui non risulta<br />

traccia nella littera legis (30). In ultimo, simile indirizzo ermeneutico<br />

andrebbe a cozzare frontalmente con l’assunto<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

fatto proprio dalla Cassazione (31), a mente del quale è necessario<br />

procedere ad una cognizione principaliter del provvedimento<br />

amministrativo impugnato, sì che possa, sulla<br />

quaestio, formarsi la regiudicata; se, però, la caducazione del<br />

provvedimento viene ex lege impedita, del provvedimento<br />

illegittimo impugnato non si potrà che avere una cognizione<br />

meramente incidentale;<br />

c) secondo una terza prospettiva, maggiormente corretta<br />

perché immune dalle critiche dianzi esposte alle altre<br />

due possibili interpretazioni (32), l’art. 21-octies parlerebbe<br />

nel senso della inutilità della previa impugnazione provvedimentale,<br />

id est della pregiudizialità amministrativa, potendo,<br />

in tal caso, accedersi direttamente alla tutela risarcitoria<br />

nummaria (33). Difatti, e ripetendo quanto già accennato,<br />

se la ratio della pronuncia pregiudiziale è quella di<br />

evitare che i rapporti di diritto pubblico non rispondano al<br />

principio di certezza e stabilità, potendo essere messi in discussione<br />

anche oltre i previsti termini decadenziali di impugnazione,<br />

allorquando la pronuncia annullatoria non è<br />

proponibile, non vi è rischio di elusione dei termini per essa<br />

previsti.<br />

Note:<br />

(26) Carigella - Garofali, Giurisprudenza amministrativa 2005, cit., 59.<br />

(27) Sembra propendere per la costruzione ipotizzata nel testo Chieppa,<br />

È possibile optare per il solo risarcimento del danno da provvedimento amministrativo<br />

illegittimo, senza avvalersi degli effetti conformativi del giudicato di annullamento?<br />

(nota a Cons. Stato, sez. VI, 10 novembre 2004, n. 7256), in<br />

Dir. & form., 2005, 383 s.<br />

(28) Liberati, op. cit., 401.<br />

(29) Sul punto, da ultimo, Trib. Trento, ord., 23 luglio 2004, in Foro it.,<br />

2005, 688.<br />

(30) Sul punto si rinvia alle ampie argomentazioni di T.a.r. Marche 23<br />

febbraio 2004, n. 67, in Giur. merito, 2004, 2323, con nostra nota.<br />

(31) Cass., sez. II, 27 marzo 2003, n. 4538, cit.<br />

(32) Per una riflessione maggiormente approfondita su questa proposta<br />

esegetica, ci permettiamo di rinviare a Micari, Considerazioni sulla legittimità<br />

costituzionale del disposto di cui all’art. 21-octies l. n 241/1990: tra logica<br />

di risultato e logica di legalità (nota a T.a.r. Calabria, Reggio Calabria, 16<br />

agosto 2005, n. 1319), in Corr. merito, 2005, 1342 ss.<br />

(33) Carigella - Garofali, op. cit., 59.


Osservatorio di legittimità<br />

a cura di ANTONELLA BATÀ e ANGELO SPIRITO<br />

ASSICURAZIONI<br />

Cassazione civile, sez. un., 5 maggio 2006, n. 10311 -<br />

Pres. Carbone - Rel. Lo Piano - P.M. Maccarone (conf.)<br />

- C. S. c. S. S. e Lloyd Italico S.p.A.<br />

1) In tema di assicurazione obbligatoria della <strong>responsabilità</strong><br />

civile derivante dalla circolazione dei veicoli a<br />

motore o dei natanti, qualora il danneggiato, esercitando<br />

l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore, evochi<br />

in giudizio quest’ultimo ed il responsabile assicurato<br />

e, chiedendo un risarcimento eccedente i limiti del<br />

massimale di assicurazione, proponga, oltre alla domanda<br />

nei confronti dell’assicuratore, anche domanda<br />

contro l’assicurato, le domande medesime si trovano in<br />

rapporto di connessione e reciproca dipendenza, trovando<br />

presupposti comuni nell’accertamento della <strong>responsabilità</strong><br />

risarcitoria dell’assicurato e dell’entità del<br />

danno risarcibile, con la conseguenza che l’impugnazione<br />

della sentenza per un capo attinente a detti presupposti<br />

comuni, da qualunque parte ed in confronto di<br />

qualunque parte proposta, impedisce il passaggio in<br />

giudicato dell’intera pronuncia con riguardo a tutte le<br />

parti.<br />

2) Nel giudizio instaurato ai sensi dell’art. 18 della legge<br />

n. 990 del 1969, sia nel caso in cui sia proposta solo<br />

l’azione diretta, sia nel caso in cui sia stata proposta<br />

anche la domanda di condanna nei confronti del responsabile<br />

del danno, non è possibile pervenire, in base<br />

alle dichiarazioni rese dal responsabile del danno, ad<br />

un differenziato giudizio di <strong>responsabilità</strong> in ordine ai<br />

rapporti tra responsabile e danneggiato, da un lato, e<br />

danneggiato ed assicuratore dall’altro.<br />

Il caso<br />

L’importante pronunzia delle Sezioni Unite della S.C. scaturisce<br />

da un’ordinaria azione di risarcimento del danno da<br />

sinistro stradale, proposta dal danneggiato nei confronti del<br />

danneggiante e dell’assicuratore di quest’ultimo.<br />

Nella fattispecie, il danneggiante ha sottoscritto il c.d.<br />

CID, riconoscendo la sua <strong>responsabilità</strong> nella causazione<br />

del sinistro. Eppure, dalla consulenza svolta e dagli altri accertamenti<br />

compiuti, emergono risultati incompatibili con<br />

quanto affermato dal danneggiante nel CID. Sicché, il giudice,<br />

ritenendo che questo documento vincoli colui che lo<br />

ha sottoscritto ma non l’assicuratore, condanna il primo<br />

ma assolve da <strong>responsabilità</strong> il secondo.<br />

Emergono, allora, due problemi che fino ad ora non erano<br />

stati esaurientemente chiariti dalla giurisprudenza di legit-<br />

GIURISPRUDENZA•SINTESI<br />

timità (tant’è che la terza sezione della Corte rimette la<br />

questione alle Sezioni Unite per una definitiva affermazione<br />

sul punto): 1) se l’impugnazione proposta dal solo assicuratore<br />

impedisca il passaggio in giudicato della sentenza<br />

anche nei confronti dell’assicurato, oppure del solo assicuratore;<br />

2) se la confessione del danneggiante consenta l’emissione<br />

di due diverse pronunzie: di condanna per il danneggiante<br />

e di eventuale assoluzione per l’assicuratore.<br />

La soluzione della Corte di Cassazione ed i collegamenti<br />

giurisprudenziali<br />

Per fornire risposta ai quesiti (risposta contenuta nelle massime<br />

sopra riportate), la sentenza in commento - della quale<br />

si raccomanda l’integrale lettura, in considerazione dell’approfonditissimo<br />

esame della materia - ricostruisce la natura<br />

del rapporto tra danneggiato, assicurato ed assicuratore<br />

ed opera un’attenta disamina delle conseguenze che derivano<br />

dall’unitarietà di siffatto rapporto e, soprattutto, dalla<br />

connessione e dalla reciproca dipendenza delle domande<br />

rivolte dal primo contro il secondo ed il terzo.<br />

IRRAGIONEOLE DURATA DEL PROCESSO<br />

Cassazione civile, sez. I, 13 aprile 2006, n. 8716 - Pres.<br />

Morelli - Rel. Napoleoni - P.M. Sorrentino (diff.) - D. L.<br />

A. c. Ministero della Giustizia<br />

Nel caso in cui la parte che invoca l’indennizzo sia addivenuta,<br />

nella pendenza di un processo di durata irragionevole,<br />

ad una transazione stragiudiziale, il giudice<br />

del merito non può rinvenire in tale vicenda alcun ostacolo<br />

all’accoglimento della domanda, essendo bene ipotizzabile<br />

un diritto all’equa riparazione con riferimento<br />

all’irragionevole protrarsi della controversia per il tempo<br />

anteriore al momento in cui la transazione rifluisce<br />

sul processo con declaratoria di cessazione della materia<br />

del contendere o con provvedimento di estinzione.<br />

Il caso<br />

Il sig. D. propone domanda di equa riparazione, ai sensi della<br />

legge n. 89 del 2001, in relazione ad un giudizio civile che<br />

sostiene essersi irragionevolmente protratto dal 1990 al<br />

2001, concludendosi con una transazione stragiudiziale fra<br />

le parti.<br />

La Corte d’appello respinge la domanda, rilevando che, pur<br />

essendovi stati numerosi rinvii di ufficio, le parti, nelle sedici<br />

udienze effettivamente svoltesi, avevano formulato<br />

una sola volta una richiesta (quella di ammissione di una<br />

consulenza tecnica), essendosi limitate, per il resto, a chie-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 793


794<br />

GIURISPRUDENZA•SINTESI<br />

dere rinvii, spesso dando atto della pendenza di trattative di<br />

bonario componimento. In tale situazione, essendo stata<br />

nella sostanza la vicenda completamente gestita in ambito<br />

stragiudiziale, a prescindere dall’esistenza o meno di un ritardo<br />

nella definizione del processo, non poteva ravvisarsi<br />

l’esistenza di alcun danno né patrimoniale (peraltro neppure<br />

allegato), né morale, dato che il comportamento processuale<br />

delle parti e l’entità degli interessi in gioco (trattandosi<br />

di procedere alla divisione della parte di un fabbricato<br />

cui il ricorrente, proprietario per un quarto, non si era opposto)<br />

escludevano che il protrarsi dell’incertezza circa il<br />

futuro assetto della proprietà comune avesse avuto una<br />

qualche ricaduta sulla vita del ricorrente.<br />

La soluzione della Corte di Cassazione ed i collegamenti<br />

giurisprudenziali<br />

Il ricorso per cassazione proposto dal sig. D. è respinto dalla<br />

S.C., la quale, però, provvede ad emendare la motivazione<br />

del giudice del merito nella parte in cui esclude la configurabilità,<br />

nella specie, di una violazione del diritto alla ragionevole<br />

durata del processo, facendo leva, a tal fine, sulla<br />

duplice circostanza che il processo presupposto si era concluso<br />

con una transazione stragiudiziale e che le parti, nel<br />

corso di esso - pur in presenza di plurimi rinvii d’ufficio -<br />

avevano a loro volta formulato reiterate richieste di rinvio.<br />

In particolare, i giudici di legittimità affermano il principio<br />

enunciato nella massima sopra trascritta, che trova i suoi<br />

precedenti in: Cass., sez. I, 11 marzo 2005, n. 5398; Cass.,<br />

sez. I, 19 febbraio 2003, n. 2478; Cass., sez. I, 24 gennaio<br />

2003, n. 1069.<br />

Quanto, poi, ai rinvii richiesti dalle parti, la Corte ritiene<br />

che essi potevano venire in rilievo ai fini della determinazione<br />

della misura del segmento - all’interno del complessivo<br />

arco temporale del processo - riferibile all’apparato giudiziario,<br />

in relazione al quale deve essere formulata la valutazione<br />

circa la ragionevole durata, ma non già per escludere<br />

sic et simpliciter la sussistenza della violazione.<br />

RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE<br />

Cassazione civile, sez. I, 7 aprile 2006, n. 8229 - Pres.<br />

Losavio - Rel. Rordorf - P.M. Destro (conf.) - ING<br />

Group Società Sviluppo Investimenti Sim S.p.A. c. M. V.<br />

La regola posta dall’art. 14, comma 9, del regolamento<br />

emanato dalla Consob con Delib. n. 5388 del 2 luglio<br />

1991 (vigente all’epoca dei fatti in questione e che fa<br />

obbligo al promotore di ricevere dal cliente esclusivamente:<br />

«1) titoli di credito che assolvono la funzione di<br />

mezzi di pagamento, purché siano muniti di clausola di<br />

non trasferibilità e siano intestati al soggetto indicato<br />

nel prospetto informativo o nel documento contrattuale<br />

ove il prospetto non sia prescritto; 2) titoli di<br />

credito nominativi intestati al cliente e girati a favore<br />

di chi presta il servizio di intermediazione mobiliare offerto<br />

tramite il promotore») è unicamente diretta a<br />

porre un obbligo di comportamento in capo al promo-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

tore e trae la propria fonte da una prescrizione di legge<br />

(legge n. 1/1991, art. 5, comma 8, lett. f) espressamente<br />

volta alla tutela degli interessi del risparmiatore.<br />

Non è perciò logicamente postulato che essa,<br />

viceversa, si traduca in un onere di diligenza posto a<br />

carico di quest’ultimo, tale per cui l’eventuale violazione<br />

di detta prescrizione ad opera del promotore si<br />

risolva in un addebito di colpa (concorrente, se non addirittura<br />

esclusiva) a carico del cliente danneggiato<br />

dall’altrui atto illecito.<br />

Il caso<br />

Il sig. M. convenne in giudizio il sig. V. ed una società finanziaria<br />

per essere risarcito del danno costituito dal fatto<br />

che egli aveva versato ingenti somme di danaro al primo<br />

(promotore finanziario alle dipendenze della seconda) perché<br />

effettuasse investimenti finanziari, ma questo, incassato<br />

il denaro, aveva omesso di farlo. Il risarcimento richiesto<br />

consisteva nelle somme versate, maggiorate del tasso del<br />

14% del quale l’investitore avrebbe beneficiato se le operazioni<br />

fossero state eseguite nei termini stabiliti. Si costituì la<br />

sola società, imputando l’esclusiva <strong>responsabilità</strong> dell’accaduto<br />

all’investitore, per avere egli effettuato i versamenti a<br />

mani del promotore mediante assegni bancari al portatore<br />

e, quindi, in violazione delle condizioni contrattuali che<br />

avrebbero invece imposto l’uso di assegni intestati direttamente<br />

alla società d’intermediazione mobiliare. La convenuta<br />

negò, comunque, di dover rispondere del comportamento<br />

posto in essere dal promotore dopo la cessazione del<br />

rapporto di preposizione, avendo essa fatto tutto quanto<br />

necessario per recuperare la modulistica ed ogni altro materiale<br />

utilizzato dal medesimo promotore nella vigenza del<br />

mandato. Chiese, in via subordinata, che venisse accertato<br />

il concorso di colpa dell’attore nella produzione del fatto lesivo,<br />

e propose domanda di rivalsa nei confronti del sig. V.<br />

per quanto eventualmente essa fosse condannata a risarcire<br />

all’attore.<br />

Il tribunale accolse la domanda del sig. M. nei confronti di<br />

entrambi i convenuti e condannò pure il sig. V. a rivalere la<br />

società di quanto avrebbe dovuto corrispondere all’investitore.<br />

La sentenza fu confermata dalla Corte d’appello, la<br />

quale ritenne che non potesse imputarsi al cliente alcuna<br />

colpa, esclusiva o concorrente, per non aver consegnato al<br />

promotore assegni intestati direttamente alla società d’intermediazione,<br />

in quanto siffatta previsione non figurava in<br />

modo chiaro sulle schede di prenotazione specificamente<br />

riferibili alle operazioni di cui si discute e, soprattutto, in<br />

quanto già in occasione di precedenti investimenti, compiuti<br />

senza inconvenienti tramite il medesimo promotore,<br />

il sig. M. aveva emesso assegni non intestati alla Sim, la<br />

quale tuttavia aveva accettato i relativi pagamenti senza<br />

nulla obiettare. Quanto poi al fatto che, al tempo del secondo<br />

dei due versamenti in questione il sig. V. non era più<br />

promotore della società, la medesima Corte osservò che,<br />

nondimeno, egli era rimasto in possesso della documentazione<br />

precedentemente fornitagli dalla società mandante


ed a questa intestata, della quale si era appunto servito nel<br />

caso di specie: onde a detta società era da imputare l’incolpevole<br />

affidamento del cliente, convinto della permanenza<br />

del rapporto di mandato, non avendo la società d’intermediazione<br />

neppure provveduto ad informare il cliente medesimo<br />

della cessazione di quel rapporto né a ritirare il tesserino<br />

di appartenenza del sig. V. all’albo dei promotori.<br />

Propone ricorso la società, sulla base delle questioni già affrontate<br />

nel merito.<br />

La soluzione della Corte di Cassazione ed i collegamenti<br />

giurisprudenziali<br />

La S.C. rigetta il ricorso, rilevando che la legge n. 1/1991,<br />

art. 5, comma 4 (poi sostituito dal d.lgs. n. 415 del 1996,<br />

art. 23 e quindi dal d.lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 3,<br />

ma ancora applicabile ratione temporis ai fatti di causa) pone<br />

a carico dell’intermediario la <strong>responsabilità</strong> solidale per<br />

gli «eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle<br />

incombenze affidate ai promotori finanziari anche se tali<br />

danni siano conseguenti a <strong>responsabilità</strong> accertata in sede<br />

penale». La <strong>responsabilità</strong> dell’intermediario preponente,<br />

la quale pur sempre presuppone che il fatto illecito del promotore<br />

sia legato da un nesso di occasionalità necessaria all’esercizio<br />

delle incombenze a lui facenti capo, trova la sua<br />

ragion d’essere, per un verso, nel fatto che l’agire del promotore<br />

è uno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvale<br />

nell’organizzazione della propria impresa, traendone<br />

benefici cui è ragionevole far corrispondere i rischi; per altro<br />

verso, ed in termini più specifici, nell’esigenza di offrire<br />

una più adeguata garanzia ai destinatari delle offerte fuori<br />

sede loro rivolte dall’intermediario per il tramite del promotore,<br />

giacché, appunto per le caratteristiche di questo<br />

genere di offerte, più facilmente la buona fede dei clienti<br />

può essere sorpresa. E tale garanzia il legislatore ha inteso<br />

rafforzare, tra l’altro, anche e proprio attraverso un meccanismo<br />

normativo volto a responsabilizzare l’intermediario<br />

nei riguardi dei comportamenti di soggetti - quali sono i<br />

promotori - che l’intermediario medesimo sceglie, nel cui<br />

interesse imprenditoriale essi operano e sui quali nessuno<br />

meglio dell’intermediario è concretamente in grado di esercitare<br />

efficaci forme di controllo.<br />

In questo quadro si collocano, ovviamente, anche le disposizioni<br />

regolamentari che la Consob è stata chiamata a dettare,<br />

in base al disposto della citata legge n. 1/1991, art. 5,<br />

comma 8, ed in particolare quelle menzionate nella lettera<br />

f) di detto comma, ossia le regole che i promotori debbono<br />

osservare «nei rapporti con la clientela al fine di tutelare<br />

l’interesse dei risparmiatori». Tra esse rileva qui, specificamente,<br />

l’art. 14, comma 9, del regolamento emanato dalla<br />

Consob con Delib. n. 5388 del 2 luglio 1991 (vigente all’epoca<br />

dei fatti di causa), che fa obbligo al promotore di ricevere<br />

dal cliente esclusivamente: «1) titoli di credito che assolvono<br />

la funzione di mezzi di pagamento, purché siano<br />

muniti di clausola di non trasferibilità e siano intestati al<br />

soggetto indicato nel prospetto informativo o nel documento<br />

contrattuale ove il prospetto non sia prescritto; 2)<br />

titoli di credito nominativi intestati al cliente e girati a fa-<br />

GIURISPRUDENZA•SINTESI<br />

vore di chi presta il servizio di intermediazione mobiliare<br />

offerto tramite il promotore».<br />

È pacifico, nel caso in esame, che tale disposizione non fu<br />

osservata dal promotore, il quale ebbe a ricevere assegni<br />

emessi dal sig. M. al portatore. Ma quella regola è unicamente<br />

diretta a porre un obbligo di comportamento in capo<br />

al promotore e trae la propria fonte da una prescrizione<br />

di legge (la citata legge n. 1/1991, art. 5, comma 8, lett. f)<br />

espressamente volta alla tutela degli interessi del risparmiatore.<br />

Non è perciò logicamente postulabile che essa, viceversa,<br />

si traduca in un onere di diligenza posto a carico di<br />

quest’ultimo, tale per cui l’eventuale violazione di detta<br />

prescrizione ad opera del promotore si risolva in un addebito<br />

di colpa (concorrente, se non addirittura esclusiva) a carico<br />

del cliente danneggiato dall’altrui atto illecito.<br />

Né il mero fatto che una corrispondente previsione sia<br />

eventualmente inserita nei moduli sottoscritti dal cliente<br />

può mutare la funzione di quella regola e trasformarla, da<br />

obbligo di comportamento del promotore in vista della tutela<br />

dell’investitore, in un onere gravante su quest’ultimo<br />

in funzione della tutela dell’intermediario rispetto ai rischi<br />

di comportamento infedele del promotore. A parte il rilievo<br />

che l’implicito presupposto dal quale muovono tutte le<br />

disposizioni volte a conformare a regole prefissate il comportamento<br />

di intermediari e promotori è proprio l’insufficienza<br />

delle tradizionali forme di autotutela dell’investitore<br />

affidate alla mera sottoscrizione di moduli e formulari, ove<br />

si ammettesse la possibilità per l’intermediario di scaricare<br />

in tutto o in parte sull’investitore il rischio della violazione<br />

di regole di comportamento gravanti sui promotori, si finirebbe<br />

evidentemente per vanificare lo scopo della normativa<br />

che, come s’è visto, per ragioni di carattere generale attinenti<br />

alla tutela degli investitori (e perciò del risparmio),<br />

mira invece proprio a responsabilizzare l’intermediario per<br />

siffatti comportamenti del promotore.<br />

Sulla <strong>responsabilità</strong> dell’intermediario preponente, cfr.<br />

Cass., sez. III, 22 ottobre 2004, n. 20588, la quale afferma<br />

che, ai fini della sussistenza della <strong>responsabilità</strong> della società<br />

di intermediazione mobiliare per i danni arrecati a<br />

terzi dai promotori finanziari nello svolgimento delle incombenze<br />

loro affidate, è sufficiente un rapporto di «necessaria<br />

occasionalità» tra fatto illecito del preposto ed esercizio<br />

delle mansioni affidategli, a nulla rilevando che il comportamento<br />

del promotore abbia esorbitato il limite fissato<br />

dalla società, come si desume dall’art. 2049 c.c., la cui portata<br />

è stata estesa dall’art. 5 quarto comma della legge n.<br />

1/1991. In questo caso, relativo a versamenti per 200 milioni<br />

di lire effettuati tra il 1990 e il 1992 da un risparmiatore<br />

a mani del promotore e affiancati a un primo investimento<br />

per 37 milioni di lire andato a buon fine, la S.C ha<br />

cassato la sentenza di merito che aveva escluso la <strong>responsabilità</strong><br />

della Sim senza considerare che il comportamento<br />

del promotore aveva ingenerato nel cliente l’affidamento<br />

incolpevole che il suo investimento avesse avuto come destinatario<br />

finale la società stessa, restando irrilevanti, nel<br />

regime di cui alle normative citate, le forme seguite dalle<br />

parti per i pagamenti, trattandosi di elementi secondari<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 795


796<br />

GIURISPRUDENZA•SINTESI<br />

non idonei a interrompere il nesso di occasionalità necessaria.<br />

RISARCIMENTO DANNI<br />

Cassazione civile, sez. I, 7 aprile 2006, n. 8244 - Pres. De<br />

Musis - Rel. Benini - P.M. Ciccolo (conf.) - Aster S.r.l. c.<br />

Comune di Alassio<br />

In presenza del vincolo estetico-culturale, l’esercizio<br />

dell’attività costruttiva presuppone non solo la concessione<br />

edilizia, di competenza dell’autorità preposta al<br />

controllo delle costruzioni, ma anche il nulla-osta paesaggistico,<br />

rimesso, nel corso del tempo e dell’evoluzione<br />

del concetto di tutela dei valori culturali e<br />

ambientali, alla valutazione dell’autorità statale e, successivamente,<br />

in via di delega o, da ultimo, in virtù di<br />

vero e proprio conferimento di funzioni, dall’autorità<br />

regionale e infine alla stessa autorità comunale per<br />

delega della Regione. Pertanto, l’illegittimità della revoca<br />

della licenza edilizia da parte del Comune non è da<br />

sola sufficiente a far sorgere la <strong>responsabilità</strong> risarcitoria<br />

dell’ente territoriale, allorquando l’attività edificatoria<br />

è irrealizzabile per la mancanza del nulla-osta<br />

paesaggistico.<br />

Il caso<br />

Una società conviene in giudizio il Comune, chiedendone<br />

la condanna al risarcimento per l’illegittima revoca di una<br />

licenza edilizia, annullata dal giudice amministrativo. Sostiene<br />

che, nel corso del procedimento per il rilascio del titolo<br />

abilitativo alla realizzazione di un centro turistico ricreativo,<br />

facendo seguito a comunicazione della Soprintendenza<br />

per i beni ambientali e architettonici, aveva<br />

provveduto a integrare gli elaborati progettuali con le modifiche<br />

indicate, inviando (alla sola Soprintendenza, ma<br />

non al Comune) la documentazione aggiuntiva; l’organo<br />

preposto alla tutela paesaggistica aveva espresso parere favorevole<br />

alla variante prospettata, comunicandolo alla società<br />

interessata ed al Comune; alla fine quest’ultimo aveva<br />

rilasciato la licenza edilizia. Sulla base del titolo, la società<br />

aveva dato inizio ai lavori, finché il Comune non lo<br />

aveva revocato, sul rilievo che il parere della Soprintendenza<br />

era riferito a progetto diverso da quello approvato<br />

dal Comune. Infine, il Consiglio di Stato aveva annullato<br />

l’ordinanza di revoca.<br />

I giudici del merito rigettano la domanda, rilevando che<br />

l’avvenuto annullamento giurisdizionale del provvedimento<br />

di revoca della licenza edilizia non ne dimostrava altro<br />

che l’illegittimità, mentre non erano ravvisabili nella fattispecie<br />

gli estremi dell’illecito civile: il giudice amministrativo<br />

aveva censurato il provvedimento di ritiro del titolo<br />

edilizio, per non aver compiuto la necessaria valutazione in<br />

ordine alla persistenza di un interesse pubblico all’esercizio<br />

del potere di autotutela, senza operare un bilanciamento<br />

con altri interessi e situazioni, sia pure illegittimamente co-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

stituitesi nelle more; non appariva sufficiente a fuorviare le<br />

determinazioni comunali la modifica operata per le sole esigenze<br />

paesaggistiche, dato che il parallelismo tra i controlli<br />

di spettanza del Comune e della Soprintendenza attiene ai<br />

diversi e autonomi settori della tutela del paesaggio e dell’urbanistica,<br />

e nella specie non apparivano violazioni di<br />

carattere urbanistico. L’annullamento della revoca, tuttavia,<br />

valeva solo a restituire la società - secondo il giudice di<br />

secondo grado - nella situazione giuridica della quale era titolare<br />

in virtù del provvedimento abilitativo al compimento<br />

dell’attività edilizia, ovvero alla realizzazione del progetto<br />

originariamente condiviso dalla Commissione comunale,<br />

che però aveva trovato il dissenso della Soprintendenza<br />

per la sua contrarietà ai valori ambientali, e non anche all’attività<br />

edilizia attuabile con modalità rispondenti alle<br />

modificazioni progettuali, di rilevanza sostanziale, introdotte<br />

in adesione alle indicazioni soprintendentizie, ma<br />

non ancora recepite dal Comune, al fine di realizzare il proprio<br />

disegno costruttivo, sarebbe stato necessario il conseguimento<br />

di una variante del provvedimento comunale,<br />

giacché l’eventuale iniziativa in attuazione del titolo comunale,<br />

avrebbe concretato una violazione delle prescrizioni<br />

il cui controllo è demandato alla Soprintendenza. In<br />

sintesi, secondo la Corte d’appello, il fenomeno, oggettivamente<br />

dannoso, non appariva risarcibile difettandovi il<br />

connotato dell’ingiustizia.<br />

La soluzione della Corte di Cassazione ed i collegamenti<br />

giurisprudenziali<br />

La società ha proposto, allora, ricorso per cassazione, rigettato<br />

dalla S.C. sulla base della considerazione che la necessità<br />

di un doppio titolo abilitativo osta alla qualificazione<br />

dello ius aedificandi come facoltà acquisita per effetto del rilascio<br />

della concessione edilizia, ove difetti l’autorizzazione<br />

paesaggistica: e viceversa, ove si sia conseguito il nullaosta<br />

da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, il diritto<br />

all’attività costruttiva non può dirsi consolidato a favore<br />

del proprietario. L’autonomia dei due titoli, in nome<br />

della quale il giudice amministrativo può affermare che il<br />

mancato rilascio del nullaosta non legittima il Sindaco al<br />

ritiro della concessione edilizia, non toglie che l’inizio dei<br />

lavori in zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio<br />

di ambedue i titoli. La revoca della licenza ha bensì privato,<br />

illegittimamente, la società proprietaria, del titolo<br />

edilizio all’attività di trasformazione, ma in virtù delle diverse<br />

sembianze assunte dal programma costruttivo, determinate<br />

dai rilievi della Soprintendenza, quella licenza, che<br />

era ridivenuta operante a seguito dell’annullamento giurisdizionale<br />

della relativa revoca, non legittimava all’attuazione<br />

del programma costruttivo da essa contemplato, di<br />

cui era certa la contrarietà all’ordinamento.<br />

Nessuna utilità, dunque, era riconoscibile al ripristino del<br />

titolo pur illegittimamente revocato dal Sindaco. L’impossibilità<br />

di porre in esecuzione l’iniziativa concepita dal proprietario,<br />

per la trasformazione edilizia finalizzata a rendere<br />

possibile l’esercizio di un’intrapresa commerciale di tipo turistico-ricreativo,<br />

non appare dunque alla S.C. riconducibi-


le al provvedimento di revoca della licenza edilizia, ma all’oggettiva<br />

mancanza dell’unico titolo edilizio abilitante all’attuazione<br />

del programma, che non poteva che essere<br />

quello (non ancora ottenuto) abilitante all’esecuzione del<br />

progetto condiviso dalla Soprintendenza. Il danno lamentato<br />

dalla società ricorrente, e prospettato nei costi di parziale<br />

esecuzione dell’opera e nella spesa necessaria al completamento,<br />

oltre che nel mancato reddito per l’impossibi-<br />

GIURISPRUDENZA•SINTESI<br />

lità di esercizio dell’attività economica, è indubbiamente<br />

plausibile. L’illegittimità della revoca della licenza è un dato<br />

coperto dal giudicato amministrativo. Ma ciò è insufficiente<br />

per l’insorgere della <strong>responsabilità</strong> risarcitoria dell’Amministrazione<br />

comunale, difettando, nel danno evidenziato,<br />

il carattere dell’ingiustizia. L’attività edilizia che<br />

l’illegittima revoca della licenza di costruzione avrebbe precluso<br />

era irrealizzabile, perché contra legem.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 797


798<br />

GIURISPRUDENZA•SINTESI<br />

Osservatorio sulla giustizia<br />

amministrativa<br />

a cura di GINA GIOIA<br />

LA GIURISDIZIONE PER IL RISARCIMENTO<br />

DEL DANNO A SEGUITO DELL’ANNULLAMENTO<br />

DELL’ATTO AUTORITATIVO<br />

T.a.r. Marche, sez. I, 16 maggio 2006, n. 321 - Pres.<br />

Sammarco - Rel. Ranalli - S. c. Ministero dell’Interno<br />

Con ordinanza, il Sindaco di Cerreto d’Esi diffidava il Sig.<br />

S. dal continuare l’attività dell’allevamento avicolo ritenendo<br />

tale attività pericolosa per la salute pubblica. Il Sig.<br />

S. tempestivamente proponeva ricorso avverso l’ordinanza<br />

sindacale al T.a.r. Marche. Il giudice respingeva l’istanza<br />

cautelare, proposta ai sensi dell’art. 21, u. c., della legge n.<br />

1034/1971, istanza che però è successivamente accolta dal<br />

Consiglio di Stato, sez. V, con ordinanza 3 marzo 1995, n.<br />

352. Il T.a.r. accoglieva il ricorso e conseguentemente annullava<br />

l’ordinanza sindacale.<br />

A seguito di tale accoglimento, il Sig. S. conveniva in giudizio<br />

il Comune di Cerreto d’Esi, in persona del Sindaco,<br />

dinanzi al Tribunale di Ancona, sezione di Fermo, onde ottenere<br />

la condanna del Comune stesso al risarcimento dei<br />

danni subiti. Il giudice dichiarava, però, il proprio difetto di<br />

giurisdizione sulla controversia, ritenendo competente il<br />

T.a.r. Marche.<br />

L’attore conveniva, quindi, davanti l’indicato giudice il Ministero<br />

dell’Interno, affinché fosse condannato al risarcimento<br />

del danno patrimoniale subito per l’illegittima adozione<br />

da parte del Sindaco di Cerreto d’Esi dell’ordinanza<br />

annullata dal T.a.r. Marche, ravvisandone la legittimazione<br />

passiva perché si tratta di un’ordinanza ex art. 38, comma 2,<br />

della legge n. 142/1990 (ora art. 50 del d.lgs. n. 267/2000)<br />

e, quindi, adottata dal Sindaco nella sua qualità di Ufficiale<br />

del Governo.<br />

Il Ministero chiedeva la reiezione del ricorso in quanto<br />

infondato, eccependo, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione<br />

del T.a.r., anche ai sensi dell’art. 7 della legge n.<br />

205/2000. Il Sindaco di Cerreto d’Esi avrebbe agito in “carenza<br />

di potere”, per cui la controversia riguarderebbe situazioni<br />

di diritto soggettivo e non di interesse legittimo.<br />

L’attività svolta dal ricorrente sarebbe stata debitamente<br />

autorizzata, la sua inibizione avrebbe inciso su di una posizione<br />

di diritto soggettivo, la cui tutela è riservata al G.O.<br />

Inoltre, il risarcimento dei danni sarebbe, comunque, da<br />

configurarsi come un diritto soggettivo indifferentemente<br />

dalla natura dell’interesse leso.<br />

Sempre sul piano delle eccezioni di rito attenenti i presupposti<br />

processuali, il Ministero rilevava la propria carenza di<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

legittimazione passiva, dal momento che il Sindaco avrebbe<br />

emanato l’ordinanza, poi annullata, in mancanza dei<br />

presupposti di fatto che giustificavano l’esercizio di potestà<br />

extra ordinem.<br />

Il Ministero sollevava, poi, un’eccezione preliminare di merito<br />

circa l’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento,<br />

in quanto la domanda sarebbe stata proposta oltre<br />

il termine quinquennale di cui all’art. 2947 c.c.<br />

Il Collegio ha statuito che l’eccezione di difetto di giurisdizione<br />

è infondata. Evidenzia a tal fine il giudice che, come<br />

si deduce dall’esame della sentenza n. 242/1999 dello stesso<br />

T.a.r., l’ordinanza n. 19/1994 del Sindaco di Cerreto d’Esi è<br />

stata ritenuta illegittima e, quindi, annullata, non perché<br />

emessa in carenza “assoluta” di potere, per cui non era inidonea<br />

ad affievolire in interesse legittimo il diritto soggettivo<br />

del ricorrente a svolgere un’attività produttiva debitamente<br />

autorizzata. L’annullamento è stato basato sul fatto<br />

che il Sindaco aveva illegittimamente esercitato il potere<br />

(autoritativo) conferitogli dall’art. 38, comma 2, legge n.<br />

142/1990. Di un provvedimento amministrativo di natura<br />

autoritativa, sostiene il T.a.r. in motivazione, sono configurabili<br />

solo posizioni di interesse legittimo e non di diritto<br />

soggettivo, così che la posizione lesa è proprio di interesse<br />

legittimo e la conseguente domanda risarcitoria, alla data<br />

della notifica del ricorso in esame, deve ritenersi effettivamente<br />

attribuita al giudice amministrativo, ai sensi dell’art.<br />

7, comma 4, legge n. 205/2000.<br />

Il risarcimento del danno conseguente all’annullamento di<br />

un atto amministrativo illegittimo e lesivo di interessi legittimi<br />

è, a sua volta, un diritto soggettivo; la giurisdizione<br />

amministrativa sussiste ugualmente, anche se non proposta<br />

unitamente al ricorso per l’annullamento dell’atto lesivo.<br />

Infatti, a parte che questa contestualità non è espressamente<br />

richiesta dall’art. 7, comma 4, legge 21 luglio 2000, n.<br />

205, il risarcimento conseguente all’annullamento di un atto<br />

amministrativo, come nel frattempo chiarito dalla Corte<br />

Costituzionale nella nota sentenza n. 204/2004, è uno<br />

“strumento di tutela ulteriore” che “completa” quella prevista<br />

dall’art. 24 della Costituzione: la finalità dell’art. 7,<br />

comma 4, legge n. 205/2000 è, quindi, proprio quella di<br />

modificare il previgente sistema processuale, accentrando<br />

dinanzi ad un unico giudice, cioè quello amministrativo, il<br />

giudizio impugnatorio con quello risarcitorio, quando connesso<br />

e consequenziale.<br />

Anche la seconda eccezione relativa alla carenza di legittimazione<br />

passiva del Ministero dell’Interno è stata dichiarata<br />

infondata. L’ordinanza, infatti, proprio perché adottata


dal Sindaco nella sua qualità di Ufficiale di Governo, non<br />

può ritenersi emessa in “carenza assoluta di potere” e, quindi,<br />

in assenza di qualsiasi nesso con la suindicata qualità.<br />

Dopo il rigetto delle eccezioni di rito, il Tribunale ritiene<br />

che la <strong>responsabilità</strong> per i danni conseguenti all’annullamento<br />

dell’ordinanza n. 19/1994 vada ricondotta a quella<br />

extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c. Cosicché, il diritto<br />

al risarcimento si prescrive, ai sensi dell’art. 2947 c.c., nel<br />

termine di cinque anni dall’evento dannoso. Evidenzia,<br />

però, che, ai sensi dell’art. 2935 c.c., il termine di prescrizione<br />

non decorre se il diritto non può essere ancora esercitato.<br />

Nell’esame del caso concreto tale possibilità è, per il Collegio,<br />

ravvisabile dalla pubblicazione della sentenza n.<br />

242/1999, cioè dal 12 marzo 1999, essendo l’annullamento<br />

dell’atto amministrativo necessariamente pregiudiziale alla<br />

domanda risarcitoria, se emanato in lesione di un interesse<br />

legittimo oppositivo e non essendo nell’anno 1994, allorché<br />

fu proposto il ricorso per l’annullamento dell’ordinanza<br />

n. 19/1994, ancora consentita la possibilità di proporla<br />

contestualmente alla domanda di risarcimento danni.<br />

Al momento in cui il ricorso è stato notificato, non erano<br />

ancora trascorsi cinque anni dalla pubblicazione della sentenza.<br />

Linearmente da tale ragionamento, il T.a.r. ha concluso<br />

per l’infondatezza dell’eccezione con la quale il ricorrente<br />

asseriva la prescrizione del diritto al risarcimento dei<br />

danni.<br />

L’eventuale <strong>responsabilità</strong> extracontrattuale dell’Amministrazione,<br />

da cui scaturisce a carico di questa l’obbligo del risarcimento,<br />

può ammettersi solo in presenza di un suo comportamento,<br />

quanto meno colposo. Il requisito non è stato<br />

ravvisato dai giudici marchigiani a seguito dell’illegittimità<br />

che ha giustificato l’annullamento dell’atto, perché esso<br />

sussiste solo ove «la violazione risulta grave e commessa in<br />

un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimenti<br />

normativi e giuridici tale da palesare la negligenza e<br />

l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento<br />

viziato e, viceversa, negandola quando l’indagine presupposta<br />

conduce al riconoscimento di un errore scusabile»<br />

(cfr., in termini, Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2004, n.<br />

5012), come, ad esempio, in presenza di contrasti giurisprudenziali<br />

o di incertezza del quadro normativo di riferimento<br />

o di complessità della situazione di fatto.<br />

Il Collegio deduce che il comportamento del Sindaco di<br />

Cerreto d’Esi sia stato effettivamente caratterizzato da grave<br />

negligenza, dal momento che ha inibito a tempo indeterminato<br />

l’attività produttiva svolta dal ricorrente senza<br />

affatto considerare l’esito degli accertamenti sanitari disposti<br />

dall’USL, da cui risultava, invece, solo la necessità che<br />

fossero adottate alcune cautele ed accorgimenti per eliminare<br />

l’emissione degli odori nocivi.<br />

In merito al quantum da risarcire, il Tribunale ritiene opportuno,<br />

prima di disporre un’eventuale consulenza tecnica<br />

o di procedere alla diretta determinazione, eventualmente<br />

anche in via equitativa, che l’entità del danno da risarcire,<br />

come consentito dall’art. 7 della legge n. 205/2000,<br />

sia direttamente determinato e proposto dal Ministero dell’Interno.<br />

GIURISPRUDENZA•SINTESI<br />

Accolto il ricorso, il T.a.r. determina i criteri ai quali l’Amministrazione<br />

deve attenersi per calcolare il danno subito<br />

dall’attore. In particolare: 1) quantificazione monetaria del<br />

mancato utile netto d’impresa subito dal ricorrente per il<br />

fermo totale dell’attività di allevamento avicolo svolto nella<br />

sua azienda desunta dalla media degli utili di impresa effettivamente<br />

conseguiti nei due anni antecedenti al 1994;<br />

2) quantificazione del complessivo mancato utile netto<br />

non conseguito per la (eventuale) ridotta attività d’impresa<br />

sino alla data di annullamento dell’ordinanza, a sua volta<br />

desunto per differenza tra la media sopra indicata e l’utile<br />

d’impresa effettivamente conseguito nel periodo stesso;<br />

3) quantificazione della riduzione effettiva dell’avviamento<br />

commerciale dell’azienda desunta con riferimento alle<br />

aziende similari operanti in zona; 4) il danno risarcibile come<br />

sopra accertato e proposto dovrà, inoltre, essere aumentato<br />

degli interessi legali e della rivalutazione monetaria<br />

calcolati dalla scadenza dell’anno di riferimento del mancato<br />

utile e perdita dell’avviamento commerciale, sino alla<br />

data del presumibile pagamento.<br />

LA RISERVA DI PROPORRE L’AZIONE<br />

RISARCITORIA, CUI NON SIA SEGUITO ATTO<br />

NOTIFICATO ALLA CONTROPARTE,<br />

È INAMMISSIBILE<br />

Cons. Stato, sez. IV, 9 maggio 2006, n. 2556 - Pres. Varrone<br />

- Est. Chiappa - Circumvesuviana S.r.l. c. S.I.S.<br />

Thema S.r.l., I.Z.I. S.p.A. e ATI EQC S.r.l. - Euroconsult<br />

La società Circumvesuviana S.r.l. per calcolare il numero<br />

dei viaggiatori delle proprie linee, la stima di elementi caratterizzanti<br />

il trasporto ed il monitoraggio della customer<br />

satisfaction indiceva una procedura aperta per l’affidamento<br />

dell’indagine. Il criterio per l’aggiudicazione del servizio era<br />

quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi<br />

dell’art. 24, lettera b), d.lgs. 17 marzo 1995, n. 158.<br />

Alla gara partecipava anche la società S.I.S. Thema S.r.l. in<br />

qualità di mandataria di un costituendo raggruppamento di<br />

imprese con la società ADACTA. Tale società non veniva<br />

però ammessa alla gara, perché il raggruppamento di imprese<br />

non era stato costituito prima dell’aggiudicazione.<br />

Avverso tale esclusione la predetta società proponeva ricorso<br />

al T.a.r. Campania con il quale chiedeva anche il risarcimento<br />

del danno. Il giudice accoglieva il ricorso ma<br />

non la domanda di risarcimento del danno.<br />

Il giudice di primo grado ha rilevato come negli appalti<br />

aventi ad oggetto i cosiddetti settori esclusi è necessario,<br />

per la partecipazione in forma associata, che prima della<br />

presentazione dell’offerta le imprese riunite abbiano rilasciato<br />

alla capogruppo un mandato collettivo speciale con<br />

rappresentanza e che tale disciplina si distingue da quella<br />

ordinaria in materia di lavori e servizi pubblici (art. 11,<br />

comma 4, d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157), in cui la costituzione<br />

dell’associazione può avvenire anche successivamente<br />

all’aggiudicazione della gara, per la partecipazione alla<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 799


800<br />

GIURISPRUDENZA•SINTESI<br />

quale, dunque, è sufficiente una semplice dichiarazione di<br />

volontà di associarsi in caso di esito favorevole, oltre che la<br />

presentazione dell’offerta in forma congiunta.<br />

Nell’analisi del caso di specie, il T.a.r. ha poi ritenuto che<br />

l’associazione temporanea d’imprese doveva ritenersi effettivamente<br />

costituita per il solo fatto dell’avvenuto rilascio<br />

del mandato collettivo speciale con rappresentanza in favore<br />

della capogruppo, da considerarsi sufficiente ai fini<br />

della costituzione sulla base del chiaro disposto dell’art. 23<br />

d.lgs. n. 158/1995, e che non assumeva comunque rilevanza<br />

la riserva di costituzione dell’associazione in caso di aggiudicazione<br />

(dichiarazione contenuta nel mandato di conferimento<br />

alla capogruppo).<br />

La ricorrente si vede, invece, respinta la domanda di risarcimento<br />

del danno poiché tale richiesta non era stata proposta<br />

nel ricorso principale, ma introdotta solo con memoria<br />

non notificata.<br />

Contro tale sentenza di primo grado, proponeva appello la<br />

Circumvesuviana S.r.l., la quale deduceva il vizio di ultrapetizione<br />

della decisione di primo grado. Sosteneva che il<br />

T.a.r. sarebbe incorso nel vizio di ultrapetizione, avendo ritenuto<br />

l’ATI ricorrente già costituita prima dell’aggiudicazione,<br />

mentre questa aveva solo sostenuto che non serviva<br />

la previa costituzione dell’associazione temporanea di imprese.<br />

Deduceva, inoltre, la violazione dell’art. 23 d.lgs. n.<br />

158/1995, non potendo ritenersi l’ATI costituita prima dell’aggiudicazione.<br />

La S.I.S. Thema S.r.l. proponeva a sua<br />

volta appello incidentale, contestando la statuizione relativa<br />

al risarcimento del danno.<br />

Il giudice di secondo grado ritiene infondato il ricorso, in<br />

merito al vizio di ultrapetizione. Rileva questo che, in primo<br />

grado, la S.I.S. Thema S.r.l. aveva dedotto che l’unico requisito<br />

da tenere in considerazione ai fini dell’ammissione alla<br />

gara fosse il conferimento del mandato collettivo speciale<br />

con rappresentanza ad una delle imprese. Il T.a.r. Campania,<br />

rilevando proprio la sussistenza di tale requisito, aveva accolto<br />

il ricorso, fornendo la propria interpretazione della norma<br />

invocata sempre dalla ricorrente (art. 23 d.lgs. n. 158/1995),<br />

senza, quindi, incorrere nel vizio di ultrapetizione.<br />

Il Collegio ritiene, poi, infondata anche l’ulteriore censura<br />

relativa alla violazione dell’art. 23 d.lgs. n. 158/1995. L’unica<br />

interpretazione della norma, compatibile con la direttiva<br />

93/38/CEE, è quella di ritenere sufficiente ai fini dell’ammissibilità<br />

dell’offerta il conferimento da parte delle imprese<br />

riunite del mandato collettivo speciale con rappresentanza<br />

ad una di esse, qualificata capogruppo, la quale esprima<br />

l’offerta in nome e per conto proprio e delle mandanti.<br />

Per il giudice di primo grado l’esistenza di tale conferimento,<br />

nel caso di specie, è stato ritenuto elemento sufficiente<br />

per ritenere illegittima l’esclusione, a nulla rilevando l’apposizione<br />

della riserva di costituzione dell’associazione in caso<br />

di aggiudicazione. Tale riserva non era, infatti, idonea a travolgere<br />

la chiara volontà manifestata dalle imprese di partecipare<br />

alla gara, conferendo il predetto mandato collettivo.<br />

A seguito di tali rilievi, il Consiglio di Stato, ha ritenuto<br />

che ogni diversa interpretazione, o applicazione, del citato<br />

art. 23 si porrebbe in contrasto con il principio comunita-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

rio, secondo cui non può essere richiesta una forma giuridica<br />

predeterminata per la presentazione delle offerte (art. 33<br />

della direttiva 93/38/CEE). Da ciò conclude per la reiezione<br />

dell’appello principale a cui segue anche quella dell’appello<br />

incidentale proposto dalla SIS Thema S.r.l. con riferimento<br />

alla domanda risarcitoria, rilevando che il T.a.r.<br />

correttamente non ha esaminato tale domanda perché non<br />

proposta con atto notificato alla controparte (la pronuncia<br />

di rigetto della domanda deve intendersi come di inammissibilità<br />

della stessa, non essendo stata esaminata nel merito<br />

la richiesta).<br />

La domanda risarcitoria non è stata proposta con il ricorso<br />

introduttivo del giudizio, in cui la SIS Thema S.r.l. si è solamente<br />

“riservata di chiedere l’accertamento del danno<br />

subito”; né è stata proposta con i motivi aggiunti, in cui è<br />

stata solo confermata tale riserva. L’unico atto con cui tale<br />

domanda è stata effettivamente proposta è una memoria<br />

non notificata e depositata in prossimità dell’udienza di discussione.<br />

È ormai principio consolidato e pacifico quello secondo cui<br />

la domanda risarcitoria può essere proposta anche nel corso<br />

del giudizio per l’annullamento dell’atto che ha causato il<br />

danno, purché con atto notificato alla controparte (e non<br />

con semplice memoria depositata), nel rispetto dei principi<br />

di difesa e del contraddittorio (Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre<br />

2002, n. 6575, in cui è stata ritenuta inammissibile<br />

una domanda risarcitoria formulata con memoria non notificata<br />

in primo grado e poi con il ricorso in appello).<br />

Nessun rilievo merita la riserva di proporre l’azione risarcitoria,<br />

apposta nel ricorso introduttivo, in quanto con tale<br />

riserva la domanda non è stata proposta e la ricorrente non<br />

era quindi esonerata dal proporla con le uniche modalità<br />

consentite (atto, anche di motivi aggiunti, notificato).<br />

Infatti, è pacifico che la domanda risarcitoria possa essere<br />

proposta sia unitamente all’azione di annullamento, sia autonomamente<br />

dopo aver impugnato tempestivamente il<br />

provvedimento illegittimo ed aver coltivato con successo il<br />

relativo giudizio di annullamento (Cons. Stato, ad. plen.,<br />

26 marzo 2003, n. 4); ma tale scelta è rimessa al ricorrente<br />

e quest’ultimo, di conseguenza, non se ne può dolere quando<br />

non abbia ritualmente introdotto in giudizio l’azione risarcitoria.<br />

Né, infine, può essere richiamato il principio del raggiungimento<br />

dello scopo ex art. 156 c.p.c., in quanto non risulta<br />

agli atti alcuna espressa accettazione del contraddittorio su<br />

tale questione, che sia idonea a sanare il vizio della mancata<br />

notificazione della domanda risarcitoria.<br />

In conclusione, la domanda risarcitoria non può quindi essere<br />

esaminata e potrà eventualmente essere riproposta in<br />

separato giudizio.<br />

LESIONE DEL DIRITTO DI DIFESA:<br />

IL RISARCIMENTO DEL DANNO AFFIDATO<br />

ALLA GIURISDIZIONE DEL GIUDICE ORDINARIO<br />

Consiglio di Stato, sez. IV, 14 aprile 2006, n. 2171 -<br />

Pres. Salvatore - Est. Cacace - De M. c. Consiglio di Pre-


sidenza della Giustizia Tributaria e Ministero dell’Economia<br />

e delle Finanze.<br />

Il sig. De M., investito della funzione di Presidente di Sezione<br />

della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso,<br />

proponeva appello al Consiglio di Stato per ottenere<br />

l’annullamento della sentenza n. 506/2003 del T.a.r. Molise,<br />

il quale, investito del ricorso proposto dallo stesso avverso<br />

il provvedimento del Consiglio di Presidenza della<br />

Giustizia Tributaria - con il quale gli è stata inflitta la sanzione<br />

disciplinare della sospensione dalle funzioni per mesi<br />

sei - lo aveva respinto.<br />

L’appellante sostiene ed eccepisce, in via pregiudiziale, il vizio<br />

di violazione, da parte della sentenza impugnata, del<br />

principio del giudice naturale di cui all’art. 25 Cost., affermando,<br />

in ordine al contenuto della stessa, che «le motivazioni<br />

poste a sostegno del rigetto del ricorso sono vaghe e<br />

del tutto prive di qualsiasi fondamento giuridico poiché ricalcano<br />

letteralmente ed in modo visibilmente superficiale<br />

le argomentazioni, generiche ed inconsistenti, formulate<br />

dall’Avvocatura Distrettuale (…) mentre, per altro verso,<br />

dall’organo giudicante non sono state in alcun modo vagliate<br />

le specifiche doglianze e le diverse eccezioni di illegittimità<br />

sollevate dal ricorrente».<br />

Le Amministrazioni intimate, costituitesi in giudizio, chiedevano<br />

la reiezione dell’appello, limitandosi a richiamare<br />

le difese svolte in primo grado.<br />

Con ordinanza pronunciata in Camera di Consiglio, è stata<br />

accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione della<br />

sentenza appellata proposta dal ricorrente ed il Collegio ha<br />

evidenziato che, sebbene l’appellante abbia, nelle more del<br />

giudizio, abbandonato «l’incarico ricoperto da vari decenni<br />

con atto di dimissioni di cui il Consiglio di Presidenza ha<br />

preso atto», non può ritenersi che, per questo, possa considerarsi<br />

in qualche modo venuto meno il suo interesse a ricorrere,<br />

risultando tuttora incisa dal provvedimento in primo<br />

grado impugnato quanto meno la sua sfera morale (la<br />

sanzione disciplinare arrecando un indubbio pregiudizio all’autostima<br />

ed al prestigio del magistrato, anche onorario,<br />

dentro e fuori dell’ambiente di lavoro).<br />

In merito all’eccezione pregiudiziale sollevata, l’attore sostiene<br />

che la sentenza impugnata sia stata emessa in violazione<br />

dell’art. 25, comma 1, Cost., che sancisce il principio<br />

secondo il quale «nessuno può essere distolto dal giudice<br />

naturale precostituito per legge», per essere intervenuto alla<br />

decisione di merito il giudice Gabriele N. «senza alcuna<br />

motivata ragione né giustificazione come relatore ed estensore<br />

della sentenza in luogo dell’originario C.», cui il ricorso<br />

era stato assegnato in sede di esame della domanda incidentale<br />

di sospensione del provvedimento disciplinare impugnato.<br />

Il giudice dell’appello ritiene di non poter accogliere questa<br />

eccezione in particolare poiché, secondo il consolidato<br />

orientamento della Corte Costituzionale, la garanzia del<br />

giudice naturale non è lesa quando il giudice sia designato<br />

in modo non arbitrario né a posteriori, oppure direttamente<br />

dal legislatore in conformità alle regole generali, ovvero<br />

GIURISPRUDENZA•SINTESI<br />

attraverso atti di soggetti, ai quali sia attribuito il relativo<br />

potere nel rispetto della riserva di legge stabilita dall’art. 25,<br />

primo comma, della Costituzione (cfr. ordinanza n. 152 del<br />

2001, ordinanza n. 159 del 2000, sentenza n. 419 del 1998,<br />

ordinanza n. 176 del 1998).<br />

Nessuna violazione di tale principio è posta in essere se l’organo<br />

giudicante risulti istituito sulla base di criteri generali<br />

prefissati per legge (ordinanza n. 159 del 2000), essendo<br />

sufficiente che la legge stessa determini criteri oggettivi e<br />

generali, capaci di costituire un discrimen della competenza<br />

o della giurisdizione di ogni giudice (ordinanza n. 343 del<br />

2001 e ordinanza n. 176 del 1998; v. anche sentenze n. 419<br />

del 1998, n. 217 del 1993 e n. 269 del 1992; ordinanza n.<br />

257 del 1995).<br />

Nel sistema della giustizia amministrativa, così come delineato<br />

dall’art. 103 Cost., dal T.U. Cons. Stato, dal reg.<br />

proc. Cons. Stato e dalla legge T.a.r., la determinazione della<br />

composizione dell’organo giudicante, e quindi la precostituzione<br />

del giudice, avviene sulla base delle disposizioni<br />

di cui agli artt. 51-64 del reg. proc. citato, dalle quali non è<br />

dato, peraltro, ricavare in alcun modo né la régola della immutabilità<br />

(quando l’iter processuale si articoli attraverso<br />

più fasi sequenziali, anche solo eventuali) dell’incardinamento<br />

del ricorso di fronte ad un determinato Collegio, né,<br />

tanto meno, quella della immutabilità, all’interno di tale<br />

iter, del giudice relatore.<br />

L’insussistenza del vizio fatto valere dal ricorrente si desume<br />

dall’incontestata modalità che, nel caso di specie, ha portato<br />

alla formazione del Collegio giudicante ed alla designazione<br />

del relatore, poiché vi ha provveduto l’organo cui la<br />

legge ascrive tale potere (e cioè il Presidente del T.a.r.), individuando<br />

giudici assegnati al T.a.r. medesimo e non essendo<br />

peraltro nemmeno ipotizzabile un condizionamento<br />

della pronuncia cautelare sulla definizione del ricorso (condizionamento<br />

che sembra sotteso alla formulazione della<br />

eccezione all’esame) per questo, il vizio dedotto appare assolutamente<br />

insussistente.<br />

Il ricorrente deduce poi il vizio di decadenza dell’azione disciplinare,<br />

per violazione dell’art. 97 della Costituzione e<br />

degli artt. 1 e 2 della legge n. 241/90, deduzione fondata sull’asserita<br />

«inerzia totale da parte della Presidenza della<br />

Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso, protratta<br />

per un lunghissimo arco di tempo di quasi due anni,<br />

fino alla notifica della delibera di contestazione del Consiglio<br />

di Presidenza».<br />

La censura è, tuttavia, reputata infondata dal giudice dell’appello.<br />

Premette, infatti, che la procedura per la irrogazione di una<br />

sanzione disciplinare ai componenti delle Commissioni<br />

Tributarie è inidonea ad avviare una sequenza procedimentale<br />

assoggettata, quanto ai termini, alla disciplina della<br />

legge n. 241/90 (dal momento che il relativo procedimento<br />

trova fissate le sue scansioni nell’art. 16 del d.lgs. n.<br />

545/92 e, per quanto ivi non contemplato, per effetto del<br />

rinvio contenuto nel comma 7 dello stesso articolo, nelle<br />

disposizioni regolanti il procedimento disciplinare dei magistrati<br />

ordinari); è da notarsi che il comma 1 dell’art. 16 ci-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 801


802<br />

GIURISPRUDENZA•SINTESI<br />

tato stabilisce che «il procedimento disciplinare è promosso<br />

dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Presidente<br />

della Commissione Tributaria regionale nella cui circoscrizione<br />

presta servizio l’incolpato» e che, quanto ai termini,<br />

cui detto atto di impulso è assoggettato, deve ritenersi<br />

applicabile (con gli adattamenti del caso), nel silenzio dell’art.<br />

16 medesimo, l’art. 59 del d.P.R. 16 settembre 1958, n.<br />

916, come modificato dalla legge 3 gennaio 1981, n. 1, che,<br />

dopo avere stabilito (comma sesto) che «l’azione disciplinare<br />

non può essere promossa dopo un anno dal giorno in<br />

cui il Ministro o il Procuratore generale hanno avuto notizia<br />

del fatto che forma oggetto dell’addebito disciplinare»,<br />

dispone (comma settimo) che «la richiesta del Ministro al<br />

Procuratore generale ovvero la richiesta o la comunicazione<br />

del Procuratore generale al Consiglio Superiore della<br />

Magistratura determina a tutti gli effetti l’inizio del procedimento».<br />

In proposito, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione<br />

hanno ritenuto che la tempestività o meno della richiesta<br />

del Ministro di Grazia e Giustizia, in rapporto al termine di<br />

un anno previsto dall’art. 59, comma sesto, del d.P.R. 16<br />

settembre 1958, n. 916 (e successive modificazioni), deve<br />

essere verificata tenendo conto - alla stregua della lettera<br />

della legge e dei principii generali in materia di procedimento<br />

- dalla data della richiesta predetta, in quanto tale<br />

atto, da esternarsi in forma certa e documentale, è sufficiente<br />

a far considerare iniziato il procedimento (v. Cass.,<br />

sez. un., 19 febbraio 1992, n. 2055; Cass., sez. un., 12 novembre<br />

1999, n. 759; da ultimo, Cass., sez. un., 5 luglio<br />

2004, n. 12268).<br />

Applicando tali norme al caso di specie, si conclude che la<br />

richiesta del Presidente della Commissione Tributaria regionale<br />

è del 7 febbraio 2001 e, pertanto, l’azione disciplinare<br />

è stata promossa tempestivamente, atteso che il Presidente<br />

stesso aveva avuto la notizia del fatto, che ha poi<br />

formato oggetto dell’addebito disciplinare, il 6 febbraio<br />

2001.<br />

Con la seconda censura il ricorrente lamenta, fondatamente,<br />

la lesione del diritto di difesa, avendo il Consiglio disposto<br />

il rinvio della trattazione del procedimento de quo, non<br />

avendo potuto l’odierno ricorrente presentarsi a quella precedentemente<br />

stabilita ed a lui regolarmente comunicata,<br />

ad una data differente non dandone alcuna notizia all’interessato,<br />

il quale rimaneva così completamente all’oscuro<br />

della nuova data di discussione e, quindi, privato della facoltà<br />

di parteciparvi per difendersi.<br />

Rileva il Collegio che, in materia di procedimento disciplinare<br />

dei magistrati tributari, la ineludibile garanzia del diritto<br />

di difesa è assicurata, tra l’altro, dal disposto del comma<br />

4 dell’art. 16 citato, che prevede la notifica della data di<br />

discussione almeno 40 giorni prima della discussione, sì che<br />

non è consentito al Consiglio di deliberare senza che all’interessato<br />

sia notificata comunicazione della data della seduta<br />

fissata per la discussione, alla quale l’interessato ha facoltà<br />

di presenziare e nella quale, se presente, ha per ultimo<br />

la parola e può farsi assistere da altro componente di Commissione<br />

Tributaria.<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

È manifesto di conseguenza che la possibilità per l’incolpato<br />

di svolgere l’attività difensiva così attribuitagli dalla norma<br />

non può essere in alcun modo compressa. Nella fattispecie<br />

in esame, l’interessato non può non essere formalmente<br />

informato del rinvio della discussione originariamente<br />

programmata, al fine di lasciare intatte le garanzie riconosciutegli<br />

dal legislatore, che non possono certo risultare<br />

intaccate dalle più varie ragioni (di solito di tipo organizzativo),<br />

che possano aver indotto il Collegio a mutare il<br />

calendario dei suoi lavori.<br />

In particolare, secondo il Consiglio di Stato, il giudice di<br />

primo grado ha erroneamente ritenuto la comunicazione,<br />

fatta dall’interessato in merito all’udienza inizialmente fissata,<br />

di essere impedito da motivi familiari a partecipare alla<br />

stessa, e nella quale quindi si affidava alla decisione del<br />

Collegio, come un atto formale di rinuncia alle garanzie difensive<br />

(pure in teoria ammissibile: v. Cons. Stato, sez. V,<br />

11 febbraio 2005, n. 371). Con tutta evidenza, soprattutto<br />

in relazione alla particolare e decisiva fase del procedimento<br />

in esame, l’impossibilità a partecipare doveva essere considerato<br />

limitatamente alla seduta cui si riferiva, senza preclusione<br />

alcuna del diritto ad una adeguata difesa nel caso<br />

(poi verificatosi) di rinvio della udienza di discussione.<br />

In conclusione, risultando effettivamente violato, nel procedimento<br />

in analisi, il diritto di difesa dell’incolpato il<br />

Consiglio accoglie l’appello del ricorrente.<br />

L’appellante nella sua domanda introduttiva chiedeva,<br />

inoltre, il risarcimento dei danni patrimoniali relativi alla<br />

perdita del compenso mensile fisso e dei compensi variabili<br />

riferiti all’intero periodo di esecuzione della sanzione di<br />

sospensione. La predetta domanda non è ritenuta meritevole<br />

di accoglimento ed, in particolare, è ritenuta inammissibile<br />

per difetto di giurisdizione.<br />

Essa, nello specifico, è stata respinta poiché il Collegio ha<br />

ritenuto che, nel rapporto di mero servizio proprio delle cariche<br />

e degli uffici onorari (quale indubbiamente si configura<br />

quello di giudice tributario), i relativi compensi, lungi<br />

dall’avere una funzione retributiva, hanno natura di rimborsi<br />

spese forfetizzati in relazione alla attività prestata,<br />

mancando la quale (per qualsiasi motivo), gli stessi, in assenza<br />

delle spese corrispondenti all’esercizio dell’ufficio,<br />

non hanno pertanto alcun modo di essere.<br />

La dichiarata inammissibilità per difetto di giurisdizione<br />

deriva dall’oggetto della domanda stessa. Questa è, infatti,<br />

riferita al dedotto danno all’integrità psico-fisica e ad altri<br />

interessi meritevoli di tutela facenti capo alla persona medesima<br />

(danni cc.dd. biologici ed esistenziali). Di norma<br />

(sub specie di diritti inviolabili dell’individuo), la tutela risarcitoria<br />

dei diritti soggettivi esula, nelle materie non devolute<br />

alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,<br />

dalla giurisdizione dello stesso, cui è consentito esaminare<br />

le eventuali richieste risarcitorie consequenziali alla<br />

dichiarazione di illegittimità di un atto amministrativo solo<br />

come strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico<br />

demolitorio e/o conformativo, di posizioni di interesse<br />

legittimo e non certo di diritti soggettivi (v. Corte cost. 6<br />

luglio 2004, n. 204).


In Biblioteca<br />

a cura di CRISTINA AMATO<br />

L’entrata in vigore del codice di consumo (d.lgs. 6 settembre<br />

2005, n. 206) nel quale sono confluite anche le materie della<br />

sicurezza e qualità dei prodotti (artt. 102 ss.), nonché della <strong>responsabilità</strong><br />

del produttore (artt. 114 ss.) ha visto la pubblicazione<br />

di numerosi contributi di prima lettura. Tra questi, è doveroso<br />

segnalare innanzitutto il commento a cura dei ‘padri’<br />

del codice stesso:<br />

Guido Alpa - Liliana Rossi Carleo, Codice del consumo,<br />

ESI, 2005, pp. 1-120.<br />

Tra gli altri:<br />

Gianmaria Ajani - Piercarlo Rossi, Codice dei consumatori,<br />

Giappichelli, 2005, pp. XIII-344.<br />

Enzo M. Tripodi - Ettore Battelli, Codice del consumatore,<br />

<strong>Ipsoa</strong>, 2006, pp. 1-241.<br />

Enzo M. Tripodi - Claudio Belli, Codice del consumo,<br />

Maggioli, 2006, pp. 1-868.<br />

Andrea Lisi, Codice del consumo, CieRre, 2006, pp. 1-<br />

688.<br />

Giuseppe Briganti, Guida al codice del consumo, CieRre,<br />

pp. 1-208.<br />

Aa.Vv., Codice del consumo, Halley, 2006, pp. 1-168<br />

Aa.Vv., Commento al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, in<br />

Le nuove leggi amministrative, Collana diretta da Vittorio<br />

Italia, Giuffrè, 2006.<br />

Carlo Castronovo, La nuova <strong>responsabilità</strong> civile, Giuffrè,<br />

2006, pp. 3-841.<br />

Come promette l’A. nella prefazione, la terza edizione di<br />

un’opera già nota si presenta come l’elaborazione di una<br />

vera e propria teoria della <strong>responsabilità</strong> civile di respiro<br />

ampio e profondo, in cui i diversi temi trattati non si giustappongono,<br />

ma si intersecano in un crescendo argomentativo<br />

che lascia il lettore con il fiato sospeso. Il punto<br />

di partenza non può che essere l’art. 2043 c.c., ma non<br />

la ’clausola generale’cui siamo avvezzi a pensare: è un<br />

2043 riletto attraverso le sue origini europee, e perciò interpretato<br />

in una prospettiva europea. E allora si esalta la<br />

specificità della norma e l’originalità della soluzione: non<br />

è fattispecie che possa essere relegata nell’area delle codificazioni<br />

alla francese; essa è sintesi ed elaborazione del code<br />

civil francese, poiché aggiunge la qualificazione giuridica<br />

di ingiusto (ed ecco che il modello diventa altro da<br />

quello che fu dove era nato) e si avvicina, nella distrazione<br />

generale degli interpreti, al modello tedesco del BGB.<br />

In questa nostra disposizione, insomma, si fondono l’elasticità<br />

del modello francese con le istanze di certezza tedesche,<br />

date dalla nozione, anch’essa originale, di antigiuridicità.<br />

Che non ricalca il canone tedesco di antigiuridicità,<br />

ossia qualificazione non iure della condotta, o assenza<br />

di causa di giustificazione. La nozione di antigiuri-<br />

INTERVENTI<br />

dicità del 2043 c.c. rinvia alla qualificazione della condotta<br />

contra ius, lesione di una situazione giuridicamente<br />

rilevante, sebbene non circoscritta alla violazione di un<br />

diritto soggettivo assoluto. Tornando allora al significato<br />

del 2043: non clausola generale, per l’appunto; ma ‘norma<br />

di portata generale’, della quale non si deve trascurare<br />

la vicinanza con il modello di tipicità. Agile e avvincente<br />

si presenta il discorso intorno all’art. 2059 c.c., norma<br />

stretta e scomoda intorno alla quale si è creato un<br />

convulso e confuso affanno dottrinale e giurisprudenziale<br />

- prima di riscoprire il suo ancoraggio alla violazione di diritti<br />

costituzionalmente garantiti - che ci saremmo potuti<br />

evitare se avessimo guardato indietro alla storia: dalla<br />

quale avremmo appreso che tutti i discorsi intorno al<br />

2059 c.c. deriverebbero dall’aver malamente seguito il<br />

modello tedesco, invece di adottare l’art. 85 del Progetto<br />

italo-francese di codice delle obbligazioni e dei contratti.<br />

Seguendo uno schema ideale di intersezione e dimostrato<br />

che il nostro è un sistema evolutivo degli illeciti tipici<br />

- ove la tipicità consiste nella necessità della lesione di<br />

una situazione soggettiva, secondo una concezione normativa,<br />

e non realistica, del danno - l’A. procede alla verifica<br />

dell’alternativa clausola generale-tipicità, attraverso<br />

la ricostruzione di un punto centrale, la vicenda dei<br />

danni meramente non patrimoniali. In un sistema a<br />

clausola generale puro, e contrariamente a quanto avviene<br />

nel § 826 BGB, per essere giuridicamente rilevante<br />

il danno, non necessita di una lesione di situazione<br />

soggettiva, ma consente una presa diretta tra diminuzione<br />

patrimoniale e rilevanza ad essa riconosciuta dal giudice.<br />

In altri termini: se il nostro fosse un sistema a clausola<br />

generale i danni puramente economici sarebbero<br />

sempre e comunque risarcibili (ma così non è). Da qui,<br />

in progressione, si arriva alla definizione dei limiti della<br />

<strong>responsabilità</strong> civile. Per risarcire il danni puramente<br />

economici si devono ripescare nel sistema situazioni giuridiche<br />

che più propriamente possono dare forma ai conflitti<br />

di interesse. L’argomentazione è chiara: si registra<br />

un eccesso di funzione della <strong>responsabilità</strong> civile, forse<br />

per carenza di consapevolezza critica della dottrina di<br />

fronte alla semplicità essenziale della r.c.; pertanto, il ’vistoso<br />

tracimare’della <strong>responsabilità</strong> aquiliana in territori<br />

non di sua competenza costringe l’interprete a rispolverare<br />

e rivalutare rimedi più propri, che non necessariamente<br />

devono essere costretti nell’alternativa tradizionale<br />

illecito aquiliano/<strong>responsabilità</strong> contrattuale. Caso<br />

emblematico di questa tracimazione è rappresentato dalla<br />

difficoltà di collocazione sistematica della legge n.<br />

287/1990 a tutela della concorrenza, e più precisamente<br />

dell’art. 2, commi 2 e 3, il quale lascerebbe pensare ad<br />

un’ennesima ipotesi di danno ingiusto a carico di chi ab-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 803


804<br />

INTERVENTI<br />

bia subito la pratica monopolistica, mentre - argomenta<br />

ampiamente l’A. - se una <strong>responsabilità</strong> risarcitoria per<br />

danno anch’esso puramente economico dovesse essere<br />

ipotizzabile, essa dovrebbe piuttosto essere sussunta nell’alveo<br />

della <strong>responsabilità</strong> contrattuale.<br />

Il discorso sui confini tra <strong>responsabilità</strong> contrattuale e altre<br />

forme di tutela civile riprende al cap. V, §§ 1 e 2, in cui<br />

l’A. scrive forse le più belle pagine su un argomento del<br />

quale già vanta la paternità: l’obbligazione senza prestazione<br />

e il suo rapporto con la culpa in contraendo. Attraverso<br />

la rilettura delle teorie più autorevoli sulla natura e<br />

sulle fonti della <strong>responsabilità</strong> precontrattuale, si giunge<br />

alla dimostrazione della possibilità di esistenza, ex art.<br />

1173 c.c., di obbligazioni con obblighi altri dall’obbligo di<br />

prestazione. Si teorizza a questo punto l’esistenza di una<br />

<strong>responsabilità</strong> da affidamento, non tertium genus, né <strong>responsabilità</strong><br />

del passante (o peggio <strong>responsabilità</strong> da contatto<br />

sociale, come qualcuno ha tentato di semplificare),<br />

ma «<strong>responsabilità</strong> contrattuale riportata al suo valore semantico:<br />

come <strong>responsabilità</strong> da violazione di obblighi<br />

creati dalla buona fede sulla scorta di un affidamento socialmente<br />

rilevante...» (p. 553). Da qui il discorso si fa<br />

più penetrante: la culpa in contrahendo non è sufficiente a<br />

coprire tutte le situazioni in cui un affidamento si crea, e<br />

ne nasce un’obbligazione senza prestazione: così nel caso<br />

del medico lavoratore subordinato; o dell’insegnante che<br />

presti attività professionale all’interno di un istituto; o<br />

ancora in molte delle variegate ipotesi di informazioni<br />

non veritiere; e anche nel caso di danni cagionati al terzo<br />

di riflesso dall’attività svolta in favore di altri (è il caso<br />

della <strong>responsabilità</strong> da revisione, da prospetto, o dell’intermediario<br />

finanziario). Questo argomentare ricco e<br />

coinvolgente lascia qualche ferito sul campo: il civilista<br />

che abbia per primo riflettuto sulla natura della <strong>responsabilità</strong><br />

da affidamento e sia giunto a conclusioni opposte; il<br />

comparatista che, guardando proprio all’esperienza diversa<br />

del common law, ha in mente che la <strong>responsabilità</strong> da<br />

affidamento in quei sistemi da sempre oscilla tra contratto<br />

e torto, senza ancora trovarvi definitiva collocazione.<br />

Un filo ideale rappresentato dall’oscillazione tra illecito<br />

e contratto traghetta il lettore verso la <strong>responsabilità</strong> del<br />

produttore, qui ancora più ‘europea’: da Winterbottom v.<br />

Wright ai vari modelli di superamento della <strong>responsabilità</strong><br />

contrattuale verso quella extracontrattuale. Molti gli<br />

argomenti coinvolti da questa ricostruzione: l’insufficienza<br />

della colpa e l’insorgere della strict liability; il rapporto,<br />

nel Codice di Consumo attuale, tra artt. 114 ss.<br />

(ove è confluita oggi la materia della <strong>responsabilità</strong> del<br />

produttore) e gli artt. 128-135 (che disciplinano la materia<br />

delle garanzie dei beni di consumo); la risarcibilità<br />

anche del danno non patrimoniale; di nuovo il problema<br />

delle (insufficienti) informazioni e della conseguente<br />

<strong>responsabilità</strong> del produttore; l’assunzione del rischio<br />

e la connessa questione dei danni da fumo.<br />

Ricostruite le teorie dottrinali che cercano un fondamento<br />

teorico in grado di nobilitare la <strong>responsabilità</strong> oggettiva<br />

in un codice colpacentrico, anche riproponendo<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

tesi che dal nuovo mondo hanno tentato di accreditare<br />

culturalmente la r.o., l’A. passa ad un argomento ancora<br />

più complesso, ossia il rapporto tra assicurazione e <strong>responsabilità</strong><br />

civile, e l’assicurazione come alternativa alla<br />

<strong>responsabilità</strong>. Qui l’argomentazione muove dalla necessità<br />

di verificare la relazione tra diritto primo (<strong>responsabilità</strong><br />

civile) e diritti secondi (infortuni sul lavoro);<br />

prospettiva che di nuovo riemerge nella trattazione della<br />

<strong>responsabilità</strong> ambientale.<br />

A chiusura della monumentale monografia viene affrontato<br />

ampiamente il tema del risarcimento del danno in<br />

forma specifica: niente rimane inesplorato, nessuna delusione<br />

per lo studioso avido di conoscenza; anche se,<br />

forse il civilista ne esce livido, e il comparatista umiliato.<br />

Arianna Thiene, Nuovi percorsi della <strong>responsabilità</strong> civile,<br />

Cedam, 2006, pp. 1-311.<br />

Il titolo del libro inganna, poiché lo studio non intende<br />

tracciare possibili nuovi itinerari applicativi delle norme<br />

di <strong>responsabilità</strong> ex art. 2043. Al contrario, l’A. ci accompagna<br />

con abile leggerezza tra i percorsi alternativi all’illecito<br />

aquiliano: i danni puramente economici, l’illecito<br />

concorrenziale, la <strong>responsabilità</strong> da inadempimento<br />

nelle attività professionali (che dalla ‘terra di nessuno’ rifluiscono<br />

nell’alveo originario: il contratto), la <strong>responsabilità</strong><br />

della P.A. Ritorna il tema dell’‘eccesso di funzioni’della<br />

r.c., si sottolinea l’opportunità di potenziare rimedi<br />

specifici e ritagliati sulle singole ipotesi di danneggiamento,<br />

vengono riproposti temi non ancora sufficientemente<br />

noti o scandagliati: la configurabilità di obbligazioni<br />

senza obbligo primario di prestazione; il progressivo<br />

spostamento di attenzione dal danneggiato alla condotta<br />

riprovevole del danneggiante e/o alla giusta rilevanza<br />

da attribuire allo status professionale di quest’ultimo.<br />

Giuseppe Cricenti, Il danno non patrimoniale, Collana<br />

Enciclopedia diretta da P. Cendon, 2° ed., Cedam, 2006,<br />

pp. 1-483.<br />

Protagonista indiscusso negli ultimi dieci anni e non solo<br />

della letteratura giuridica, il danno non patrimoniale viene<br />

riproposto dall’A. non in antitesi al danno patrimoniale,<br />

secondo le definizioni accreditate dalla giurisprudenza,<br />

soprattutto costituzionale, ma come riconoscimento simbolico<br />

del valore attribuito alla persona, e riconoscimento<br />

sul piano sociale dell’ingiustizia della sua violazione.<br />

La tesi di fondo deve rinvenirsi nel superamento del sistema<br />

bipolare, caratterizzato dalla riconduzione del danno<br />

patrimoniale sub art. 2043 c.c., e del danno non patrimoniale<br />

sub art. 2059 c.c., a favore del modello monocentrico,<br />

in cui si esalta la centralità della regola generale<br />

di <strong>responsabilità</strong> (2043 c.c.), sola regola generale che<br />

individua il danno ingiusto, mentre l’art. 2059 c.c. contiene<br />

una regola di tipicità del danno morale soggettivo.<br />

Tuttavia, rispetto al modello monocentrico già proposto<br />

in dottrina, la tesi qui argomentata è che il rinvio dell’art.<br />

2059 alla legge non deve intendersi come limitato alle


sole ipotesi di reato, bensì a tutti i casi espressamente indicati<br />

dal legislatore come meritevoli di una tutela rafforzata<br />

dalla natura punitiva del rimedio risarcitorio; tutela<br />

basata non sulla natura dell’interesse leso, ma sulla riprovevolezza<br />

della condotta. Pertanto, la funzione dell’art.<br />

2059 c.c. non è quella di selezionare i danni non patrimoniali<br />

risarcibili, ma quella di risarcire ulteriormente<br />

taluni danni, anche soggettivi e anche transeunti, insindacabilmente<br />

ma espressamente selezionati dal legislatore.<br />

Nel cap. X, allora, sono elencati i casi di rilevanza legislativa<br />

del danno non patrimoniale anche al di fuori<br />

delle ipotesi di reato (<strong>responsabilità</strong> civile dei magistrati;<br />

lesione del diritto morale d’autore; lesione del nome e<br />

dell’immagine; lite temeraria; concorrenza sleale; violazione<br />

delle norme sul trattamento dei dati personali; irragionevole<br />

durata del processo; licenziamento, demansionamento,<br />

mobbing…). Restano, invece, fuori dal raggio<br />

di applicazione del 2059 c.c. i danni non patrimoniali da<br />

contratto. In queste situazioni rileva, piuttosto, il tipo di<br />

interesse leso: se è dedotto in obligatione un interesse non<br />

patrimoniale il relativo danno, anche non patrimoniale,<br />

si risarcisce automaticamente, ex art. 1218; se il contratto<br />

è, al contrario, diretto a soddisfare un interesse solo patrimoniale,<br />

allora la risarcibilità del danno non patrimoniale<br />

dovrà essere espressamente pattuita.<br />

La lettura dell’art. 2059 come secondo polo interpretativo<br />

di una clausola generale di risarcimento dei danni,<br />

che ha riguardo alla natura costituzionale dell’interesse<br />

leso, si risolverebbe - sempre secondo l’A. - in un’interpretazione<br />

sostanzialmente abrogante della norma citata,<br />

la quale invece chiaramente esprime una riserva di<br />

legge. Ne consegue, perciò, la disapprovazione delle recenti<br />

sentenze rese dalla Corte di Cassazione, prima, e<br />

dalla Corte Costituzionale, poi; tanto inutili (perché o<br />

c’è danno ingiusto, indipendentemente dalla sua qualifica<br />

di patrimoniale o no patrimoniale, e allora il danno è<br />

risarcibile ex art. 2043; o invece occorre il riferimento<br />

espresso della legge) quanto viziate da dogmatismo, visto<br />

che antepongono la predefinizione del danno come patrimoniale<br />

o non patrimoniale alla sua risarcibilità.<br />

Nel sistema così ricostruito è, però, difficile trovare una<br />

giusta collocazione per il danno esistenziale: sicuramente<br />

deve essere sussunto sub art. 2043 c.c., in quanto danno<br />

ingiusto, ma resta il problema di come selezionare gli<br />

interessi rilevanti e giustificarne la quantificazione attraverso<br />

il c.d. metodo differenziale, ossia considerando il<br />

danno esistenziale come saldo tra situazione precedente<br />

e successiva, senza discriminare per censo e posizione sociale,<br />

alla maniera del caso Gennarino. Resta da chiedersi<br />

che ne sia dei pregiudizi temporanei. Si conferma<br />

impossibile la quadratura del cerchio…<br />

Daniela Pajardi - Lucia Macrì - Isabella Merzagora<br />

Betsos, Guida alla valutazione del danno psichico, Giuffrè,<br />

2006.<br />

Il libro si segnala per la prospettiva autenticamente interdisciplinare:<br />

dalla prospettiva psicologica di partenza<br />

INTERVENTI<br />

si apre un percorso di approfondimento riguardante medicina<br />

legale e criminologia. Finalmente il danno biologico<br />

e psico-fisico viene spiegato agli psicologi, in tutte le<br />

sue definizioni e classificazioni: danno psico-fisico, da includere<br />

nella più vasta categoria del danno esistenziale<br />

(del quale se ne ravvisa l’ammissibilità anche alla luce<br />

delle sent. 8827 e 8828 della Cassazione e della sent.<br />

233/2003 della Corte cost.), in quanto pur attenendo alla<br />

psiche non ne rappresenta una patologia (come il<br />

DPTS, o disturbo post-traumatico da stress) ma si risolve<br />

nella riduzione delle attività realizzatrici della persona<br />

e può, perciò, riguardare anche le vittime secondarie.<br />

Spetterebbe, allora, agli esperti di psicopatologia forense<br />

o di psicologia giuridica (non ai giudici o ai medici legali)<br />

la quantificazione del danno esistenziale, e a tal fine se<br />

ne suggeriscono i criteri. Nonostante non siano giuriste,<br />

le AA. sembrano saperne molto di diritto: sottolineano<br />

il rischio di duplicazioni risarcitorie o di eccessivi ampliamenti<br />

della valutazione del danno; riconoscono la<br />

difficoltà dell’accertamento del nesso causale; distinguono<br />

il danno esistenziale anche dal danno psichico minore:<br />

non qualcosa di meno del DPTS, ma qualcosa di<br />

completamente diverso.<br />

Aa.Vv., Studi in onore di Cesare Massimo Bianca, t. IV,<br />

Giuffrè, 2006.<br />

Nel tomo IV di questa importante raccolta di saggi in<br />

onore dell’autorevole civilista sono contenuti - tra gli altri<br />

- molti contributi firmati da altrettanto stimati rappresentanti<br />

della civilistica italiana, sui diversi e attuali<br />

problemi della <strong>responsabilità</strong> civile: amore e sport, ambiente<br />

e sanità, <strong>responsabilità</strong> da informazioni inesatte e<br />

tutela inibitoria.<br />

Maria Grazia Barbatella, Le pene private, Giuffrè, 2006.<br />

Viste così da vicino, le pene private sembrano sostanzialmente<br />

innocue, sia che seguano all’inadempimento<br />

contrattuale, sia che derivino da fatto illecito. In quest’ultimo<br />

caso l’A. non usa perifrasi: la funzione di tali<br />

pene è duplice, ossia compensativa e sanzionatoria al<br />

contempo. Come esempi di pena privata nella <strong>responsabilità</strong><br />

civile sono portati i provvedimenti giudiziali e<br />

l’art. 18 legge n. 349/1986. Di nuovo nessun dubbio: le<br />

pene private da fatto illecito hanno una duplice applicazione:<br />

seguono non solo all’illecito civile ma anche a<br />

quello penale. Non poteva mancare il riferimento ai punitive<br />

damages d’oltreoceano. Questa volta, però, all’interrogativo<br />

circa la loro configurabilità nel nostro ordinamento<br />

non segue una risposta certa e lineare: di sicuro<br />

non se ne può affermare l’incondizionata operatività,<br />

ma neanche è possibile escluderla del tutto.<br />

Guido Alpa (a cura di), Le assicurazioni private, Collana<br />

Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale<br />

fondata da W. Bigiavi, Vol. III, Utet, 2006.<br />

Compendio di proporzioni monumentali sulle assicura-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 805


806<br />

INTERVENTI<br />

zioni: in particolare, nei tomi I e II lo studioso di <strong>responsabilità</strong><br />

civile potrà soddisfare molte curiosità riguardo il<br />

rapporto tra r.c e assicurazioni obbligatorie. In appendice<br />

al tomo III è riprodotto il testo del Codice delle Assicurazioni<br />

Private (d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209) con la<br />

relazione illustrativa.<br />

Antigone Donati - Giovanna Volpe Putzolu, Manuale<br />

di diritto delle assicurazioni, Giuffrè, 2006, pp. 3-264.<br />

Manuale ormai ‘classico’ giunto all’ottava edizione per<br />

ragioni di invecchiamento, dovute all’attuazione di direttive<br />

comunitarie (in particolare, d.lgs. 26 maggio<br />

1997, n. 173), alla disciplina ISVAP (d.lgs. 13 ottobre<br />

1998, n. 373), alla normativa di carattere secondario<br />

(soprattutto Decreti Ministeriali) ed alla incessante evoluzione<br />

dei prodotti del ramo vita. Il libro si segnala perché<br />

lo studioso di <strong>responsabilità</strong> civile non può non tenere<br />

conto dei problemi che legano la r.c. all’assicurazione<br />

obbligatoria.<br />

Alberto Malatesta (a cura di), The Unification of Choice<br />

of Law Rules on Torts and Other Non-Contractual Obligations<br />

in Europe, Cedam, 2006.<br />

In seguito alla proposta del Parlamento Europeo e del<br />

Consiglio sulla regolamentazione della legge applicabile<br />

alle obbligazioni di fonte non contrattuale, nel dicembre<br />

2004 l’Università di Castellanza ha ospitato un Convegno<br />

Internazionale per discutere, appunto, il progetto di<br />

regolamento. Gli Atti del convegno, contenuti in questa<br />

pubblicazione, offrono spunti di riflessione sui diversi<br />

temi trattati nella proposta di regolamento e privi di specifica<br />

Convenzione.<br />

Rosario D’Arrigo, La <strong>responsabilità</strong> del produttore.<br />

Profili dottrinali e giurisprudenziali dell’esperienza italiana,<br />

Collana Il diritto privato oggi, a cura di P. Cendon,<br />

Giuffrè, 2006, pp. 7-270.<br />

Tra i case-book della nota collana curata da P. Cendon<br />

compare una rassegna sulla <strong>responsabilità</strong> del produttore<br />

tutta made in Italy, con un solo rapido cenno finale<br />

alla recente riconduzione di tutta la materia della <strong>responsabilità</strong><br />

del produttore, comprensiva delle disposizioni<br />

in materia di sicurezza e qualità dei prodotti<br />

(d.lgs. 21 maggio 2004, n. 172, attuativo della dir.<br />

2001/95/CE), nel Codice di Consumo. Alla ricostruzione<br />

limpida e ordinata della casistica e delle teorie<br />

pre - e post - direttiva 85/374/CE (e relativo decreto di<br />

attuazione: d.P.R. n. 224/1988) l’A. aggiunge approfondimenti<br />

critici e spunti di riflessione: così, al sistema<br />

misto di <strong>responsabilità</strong> del produttore ancora legato<br />

all’applicazione delle norme del codice civile (in<br />

particolare, artt. 2049 e 2050 c.c.) si affiancherebbe -<br />

oltre alla colpa e alla <strong>responsabilità</strong> oggettiva - la <strong>responsabilità</strong><br />

da affidamento, derivante dall’indiscusso<br />

gap informativo riscontrabile tra il soggetto che ha<br />

ideato e/o messo in produzione dei beni e il consuma-<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

tore. E sempre in un’ottica di approfondimento critico<br />

e di riflessione viene esaminato il concorso o cumulo<br />

tra disciplina extracontrattuale e contrattuale, quest’ultima<br />

un tempo preferita dai giudici ed oggi tornata<br />

alla ribalta a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n.<br />

24/2002, attuativo della dir. 1999/44. Ancora, si ipotizzano<br />

le cause del sostanziale fallimento applicativo della<br />

direttiva europea, ossia: la scarsa capacità di armonizzazione<br />

delle norme ivi contenute - sotto un profilo<br />

formale; nonché le difficoltà di accesso alla giustizia -<br />

sotto un profilo più concreto; e anche qui si tentano<br />

percorsi propositivi: il trapianto delle class actions d’oltre<br />

oceano, e il potenziamento degli obblighi informativi<br />

a carico del produttore. Infine, la vicenda dei danni<br />

da fumo (attivo) fornisce all’A. un’ulteriore occasione<br />

di riflessione critica. Nonostante la chiara fama degli<br />

avvocati nell’ormai noto ‘caso Stalteri’ (App. Roma<br />

7 marzo 2005) sarebbe meglio non considerare detta<br />

sentenza un ‘precedente vincolante’: intanto prudenza<br />

vuole che si attenda il giudizio di Cassazione; e comunque<br />

dalla motivazione emergerebbe una forte aderenza<br />

alle peculiarità del caso concreto, o meglio all’anamnesi<br />

individuale effettuata dalla consulenza tecnica sulla<br />

vittima; ma nessuna svolta sui temi della causalità e del<br />

contenuto degli obblighi di informazione.<br />

Augusto Baldassari - Stefania Baldassarri, La <strong>responsabilità</strong><br />

civile del professionista, Giuffrè, 2006, t. 1<br />

(pp. 5-937); t. 2 (pp. 943-1547).<br />

Compendio teorico-pratico della professione intellettuale,<br />

in cui sono approfonditi tutti gli aspetti del problema:<br />

la nozione e i caratteri della professione intellettuale;<br />

i riferimenti costituzionali, legislativi e giurisprudenziali;<br />

le prospettive di riforma (con particolare riferimento<br />

alla proposta di legge n. 4308/03 e all’esercizio<br />

della professione in forma societaria); le tipologie contrattuali<br />

utilizzabili per l’esercizio della professione (contratto<br />

d’opera, lavoro subordinato, rapporto di pubblico<br />

impiego); l’inadempimento (e la nozione di colpa) e il risarcimento<br />

del danno. Il danno è trattato negli aspetti<br />

comuni ad ogni illecito ipotizzabile a carico del professionista,<br />

sia esso di fonte contrattuale oppure extracontrattuale.<br />

Alla tradizionale distinzione del danno patrimoniale/non<br />

patrimoniale e ai relativi criteri di risarcimento<br />

si affianca il riferimento specifico al danno esistenziale,<br />

del quale si sottolinea l’utilità soprattutto nell’ambito<br />

della <strong>responsabilità</strong> del medico. Viene, perciò,<br />

illustrata in quest’ottica la casistica afferente alla medical<br />

malpractice (danno alla vita sessuale, distruzione del liquido<br />

seminale, nascite indesiderate e errata diagnosi).<br />

Nella parte II, al cap. XIX, viene dedicato ampio spazio<br />

alla <strong>responsabilità</strong> extracontrattuale del professionista,<br />

soprattutto sotto il profilo del cumulo con la <strong>responsabilità</strong><br />

contrattuale. A questa trattazione generale segue l’esame<br />

delle questioni applicative della <strong>responsabilità</strong> civile<br />

riferite alle singole professioni: quelle storiche e tradizionali<br />

(notaio, avvocato, medico, dottore commer-


cialista, farmacista, professionista tecnico); e le altre definite<br />

‘minori’.<br />

Vittorio Pilla, La <strong>responsabilità</strong> civile nella famiglia, Zanichelli,<br />

2006, pp. 1-308.<br />

Il libro vuole sfatare un mito, quello della indifferenza<br />

dei rapporti familiari rispetto alle questioni di risarcibilità<br />

dei diritti/doveri di coniugi e genitori. Distinte le<br />

due ipotesi - <strong>responsabilità</strong> che possono nascere dalla<br />

violazione di obblighi coniugali, e <strong>responsabilità</strong> che invece<br />

possono nascere nel rapporto di filiazione - dalla ricerca<br />

in esame risulta che la violazione degli obblighi<br />

coniugali non si risolve solo nella pronuncia di addebito<br />

(con conseguente perdita del diritto al mantenimento)<br />

e nella perdita dei diritti successori: molti sono, invece,<br />

i profili anche risarcitori, a partire dalla funzione<br />

dell’assegno di divorzio fino alla portata applicativa delle<br />

norme di <strong>responsabilità</strong> civile. Naturalmente, questione<br />

fondamentale è stabilire quando vi sia danno ingiusto:<br />

secondo l’A., accertata la giuridicità dei<br />

diritti/doveri coniugali la loro violazione non può che<br />

configurare un danno ingiusto, fermo restando (ma anche<br />

questa affermazione viene dimostrata) che l’istituto<br />

dell’addebito non può sostituirsi al risarcimento. La teorizzazione<br />

del danno-evento si giustificherebbe con la<br />

particolare natura neo-esistenziale del bene giuridico<br />

protetto (che coincide esattamente con il diritto all’adempimento<br />

dei doveri coniugali del partner): nei rapporti<br />

familiari, si precisa, ciò che conta è la compressione<br />

della sfera giuridica in sé della vittima, a prescindere<br />

dal mutamento in peius della sua ‘agenda’ del vivere<br />

quotidiano. La stessa prospettiva viene applicata al rapporto<br />

di filiazione, in cui la <strong>responsabilità</strong> risarcitoria è<br />

maggiormente comprensibile per il figlio vittima degli<br />

abusi o dell’abbandono del/dei genitori; sempre che, naturalmente,<br />

si accettino le categorie del danno-evento e<br />

la sua natura neo-esistenziale.<br />

Giuseppe Liotta, Attività sportive e <strong>responsabilità</strong> dell’organizzazione,<br />

Jovene, 2005, pp. 1-174.<br />

Lo studio prende avvio da una constatazione, ossia l’esistenza<br />

di regole uniformi vigenti in campo europeo ed<br />

internazionale in materia di attività sportive, ed intende<br />

verificare i limiti di tale uniformità, nonché accertare la<br />

rilevanza di tale fenomeno all’interno del nostro ordinamento<br />

giuridico. L’ambito dell’indagine si estende dall’illecito<br />

civile nello sport ai profili di <strong>responsabilità</strong> dell’organizzatore<br />

di manifestazioni sportive. Di particolare<br />

interesse risulta l’analisi del rapporto tra regole tecniche<br />

emanate delle federazioni sportive e <strong>responsabilità</strong> civile,<br />

soprattutto per ciò che attiene al possibile contenuto<br />

della colpa e alla valutazione dell’antigiuridicità del<br />

comportamento.<br />

Giuseppe Musolino, La <strong>responsabilità</strong> civile nell’appalto,<br />

Cedam, 2006, pp. 3-405.<br />

INTERVENTI<br />

Oltre ad una dettagliata analisi di tutte le problematiche<br />

legate al contratto di appalto (aspetti generali del contratto;<br />

coordinamento tra disciplina generale del contratto<br />

e regole speciali sull’appalto), il libro si segnala per<br />

lo specifico approfondimento, di taglio pratico, della <strong>responsabilità</strong><br />

extracontrattuale dell’appaltatore e del<br />

committente, nonché della nozione di colpa contrattuale<br />

ed extracontrattuale.<br />

Per il professionista<br />

M. Rossetti, Guida pratica per il calcolo di danni, interessi e<br />

rivalutazione, <strong>Ipsoa</strong>, 2006, pp. 1-234.<br />

G. Alpa - V. Mariconda, Codice civile commentato, (3<br />

voll.), <strong>Ipsoa</strong>, 2005 (con CD-Rom).<br />

F. Buzzi - M. Vanini, Guida alla valutazione psichiatrica e<br />

medicolegale del danno biologico di natura psichica, Giuffrè,<br />

2006, pp. VIII-256.<br />

D. Pajardi - L. Macrì - I. Merzagora Betsos, Guida alla<br />

valutazione del danno psichico, Milano, Giuffrè, 2006, pp.<br />

XX-278.<br />

G. Cassano, Rapporti familiari: <strong>responsabilità</strong> civile e danno<br />

esistenziale. Il risarcimento del danno non patrimoniale all’interno<br />

della famiglia, Cedam, 2006, pp. 1-338 (con CD<br />

- Rom).<br />

G. Cassano, Il danno alla persona, (3 voll.), Cedam, 2006<br />

(con CD-Rom).<br />

G. B. Petti, Risarcimento del danno da lesioni micropermanenti.<br />

Le nuove leggi RCA per la liquidazione tabellare, medico<br />

legale e attuariale, Maggioli, 2006, pp. 1-543.<br />

F. Molfese, Il contratto di viaggio e le agenzie turistiche, in I<br />

grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale<br />

collana diretta da F. Galgano, Cedam, 2006, pp. 1-783.<br />

L. O. Atzori - F. R. Fragale - G. Guerrieri - A. Martinelli<br />

- G. Zennaro, Il Testo Unico Ambiente, Edizioni Giuridiche<br />

Simone, 2006, pp. 1 - 592 (sul CD-Rom il testo<br />

completo del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e gli allegati).<br />

M. Criscuolo, La R.C. auto dopo la riforma delle assicurazioni.<br />

Come cambia l’infortunistica stradale dal 1 gennaio<br />

2006, dopo il codice delle assicurazioni, Edizioni Giuridiche<br />

Simone, 2006, pp. 1-192.<br />

M. Hazan, La nuova assicurazione della RCA nell’era del<br />

risarcimento diretto, Giuffrè, 2006, pp. 1-380.<br />

A Garello - D. Piselli - S. Scuto, La <strong>responsabilità</strong> dell’avvocato.<br />

Profili civili, penali e disciplinari, Il Sole 24 Ore<br />

Norme & Tributi, 2006, pp. 1-293 (con CD-Rom).<br />

P. Mariotti - G. Losco, La <strong>responsabilità</strong> professionale.<br />

Compendio giurisprudenziale, Giuffrè, 2005, pp. 3-270.<br />

G. Toscano, Informazione, consenso e <strong>responsabilità</strong> sanitaria,<br />

Giuffrè, 2006, pp. 3-799.<br />

F. Saltarelli - I. Zedda, Il formulario del consumatore. Oltre<br />

160 formule per la tutela del consumatore, La Tribuna,<br />

2006, pp. 1-424 (con CD-Rom).<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 807


INDICE DEGLI AUTORI<br />

Amato Cristina<br />

In Biblioteca................................................................... 803<br />

Batà Antonella<br />

Osservatorio di legittimità............................................. 793<br />

Bona Marco<br />

Cadute nei villaggi turistici e <strong>responsabilità</strong> del tour<br />

operator ....................................................... 713<br />

Conti Roberto<br />

Pubblicità ingannevole, inibitoria collettiva e G.O.... 739<br />

Foffa Roberto<br />

Itinerari della giurisprudenza - La <strong>responsabilità</strong> della<br />

P.A. per i danni da animali selvatici............................. 731<br />

Fon Vincy<br />

Causalità concorrente.................................................... 701<br />

Giazzi Federica<br />

Aspettative “legittime” dei congiunti e danno risarcibile...................................................................................<br />

754<br />

Gioia Gina<br />

Osservatorio sulla giustizia amministrativa.................. 798<br />

Maietta Angelo<br />

Responsabilità dell’organizzatore sportivo per lancio<br />

di fumogeni..................................................................... 773<br />

Micari Giuseppe<br />

La c.d. “pregiudiziale amministrativa” ed il muro di<br />

gomma di Palazzo Spada................................................ 787<br />

Natali Luca Christian<br />

Manutenzione delle strade e <strong>responsabilità</strong> della P.A. 723<br />

Parisi Francesco<br />

Causalità concorrente.................................................... 701<br />

Spirito Angelo<br />

Osservatorio di legittimità............................................. 793<br />

Venturelli Alberto<br />

Le Sezioni Unite e l’equa riparazione per la lunghezza<br />

dei processi...................................................................... 749<br />

Ziviz Patrizia<br />

Adelante... ma con giudizio! (Due sentenze genovesi<br />

sul nuovo danno non patrimoniale)............................. 762<br />

INDICE CRONOLOGICO<br />

DEI PROVVEDIMENTI<br />

Giurisprudenza<br />

Corte di cassazione<br />

Civile<br />

12 settembre 2005, n. 18092, sez. III ........................... 753<br />

23 dicembre 2005, n. 28507, sez. un. ........................... 745<br />

23 dicembre 2005, n. 28508, sez. un. ........................... 747<br />

28 marzo 2006, n. 7036, sez. un., ord. .......................... 737<br />

7 aprile 2006, n. 8229, sez. I ......................................... 794<br />

7 aprile 2006, n. 8244, sez. I ......................................... 796<br />

13 aprile 2006, n. 8716, sez. I ....................................... 793<br />

5 maggio 2006, n. 10311, sez. un. ................................<br />

Tribunale<br />

793<br />

11 novembre 2004, Torino ........................................... 767<br />

23 gennaio 2006, Genova ............................................ 759<br />

7 marzo 2006, Genova ..................................................<br />

Consiglio di Stato<br />

760<br />

1° luglio 2005, n. 3679, sez. V ...................................... 781<br />

28 luglio 2005, n. 4008, sez. IV .................................... 784<br />

14 aprile 2006, n. 2171, sez. IV .................................... 800<br />

9 maggio 2006, n. 2556, sez. IV ...................................<br />

Tribunale amministrativo regionale<br />

799<br />

16 maggio 2006, n. 321, Marche, sez. I ....................... 798<br />

INDICE ANALITICO<br />

INDICI<br />

Assicurazioni<br />

Assicurazione obbligatoria della r.c. e giudizio di <strong>responsabilità</strong><br />

in ordine ai rapporti tra responsabile e<br />

danneggiato, da un lato, e danneggiato ed assicuratore,<br />

dall’altro (Cassazione civile, sez. un., 5 maggio<br />

2006, n. 10311), Osservatorio di legittimità .............. 793<br />

Cose in custodia<br />

Cadute nei villaggi turistici e <strong>responsabilità</strong> del tour<br />

operator, di Marco Bona ................................................. 713<br />

Danni non patrimoniali<br />

Adelante... ma con giudizio! (Due sentenze genovesi<br />

sul nuovo danno non patrimoniale) (Tribunale di Genova<br />

23 gennaio 2006; Tribunale di Genova 7 marzo<br />

2006), con commento di Patrizia Ziviz ........................ 762<br />

Equa riparazione<br />

Le Sezioni Unite e l’equa riparazione per la lunghezza<br />

dei processi (Cassazione civile, sez. un., 23 dicembre<br />

2005, n. 28507; Cassazione civile, sez. un., 23 dicembre<br />

2005, n. 28508), con commento di Alberto Venturelli 745<br />

Il raggiungimento di una transazione stragiudiziale,<br />

nella pendenza di un processo di durata irragionevole,<br />

non osta all’accoglimento della domanda, ben potendo<br />

ipotizzarsi un diritto all’equa riparazione (Cassazione<br />

civile, sez. I, 13 aprile 2006, n. 8716), Osservatorio<br />

di legittimità .................................................................. 793<br />

Giurisdizione<br />

La giurisdizione per il risarcimento del danno a seguito<br />

dell’annullamento dell’atto autoritativo (T.a.r.<br />

Marche, sez. I, 16 maggio 2006, n. 231), Osservatorio<br />

sulla giustizia amministrativa ....................................... 798<br />

Giurisdizione del G.O. per il risarcimento del danno<br />

da lesione del diritto di difesa (Consiglio di Stato, sez.<br />

IV, 14 aprile 2006, n. 2171), Osservatorio sulla giustizia<br />

amministrativa ......................................................... 800<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006 809


810<br />

INDICI<br />

Responsabilità civile<br />

Causalità concorrente, di Francesco Parisi e Vincy Fon 701<br />

Responsabilità dell’organizzatore sportivo per lancio<br />

di fumogeni (Tribunale di Torino 11 novembre 2004),<br />

con commento di Angelo Maietta ................................ 767<br />

In Biblioteca, a cura di Cristina Amato ........................ 803<br />

Responsabilità della P.A.<br />

Manutenzione delle strade e <strong>responsabilità</strong> della P.A.,<br />

di Luca Christian Natali ................................................. 723<br />

La <strong>responsabilità</strong> della P.A. per i danni da animali selvatici,<br />

a cura di Roberto Foffa ....................................... 731<br />

Responsabilità professionale<br />

Obbligo di comportamento in capo al promotore finanziario<br />

e tutela degli interessi dei risparmiatori<br />

(Cassazione civile, sez. I, 7 aprile 2006, n. 8229), Osservatorio<br />

di legittimità ................................................ 794<br />

Risarcimento danni<br />

Aspettative “legittime” dei congiunti e danno risarcibile<br />

(Cassazione civile, sez. III, 12 settembre 2005, n.<br />

18092), con commento di Federica Giazzi .................. 753<br />

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 7/2006<br />

La c.d. “pregiudiziale amministrativa” ed il muro di<br />

gomma di Palazzo Spada (Consiglio di Stato, sez. V, 1°<br />

luglio 2005, n. 3679; Consiglio di Stato, sez. IV, 28 luglio<br />

2005, n. 4008), con commento di Giuseppe Micari<br />

................................................................................ 781<br />

L’illegittimità della revoca della licenza edilizia da parte<br />

del Comune non è da sola sufficiente a far sorgere<br />

la <strong>responsabilità</strong> risarcitoria dell’ente, allorquando<br />

l’attività edificatoria è irrealizzabile per la mancanza<br />

del nulla-osta paesaggistico (Cassazione civile, sez. I, 7<br />

aprile 2006, n. 8244), Osservatorio di legittimità ....... 796<br />

Inammissibilità della riserva di proporre azione risarcitoria<br />

nel caso in cui l’atto non sia stato notificato alla<br />

controparte (Consiglio di Stato, sez. IV, 9 maggio<br />

2006, n. 2556), Osservatorio sulla giustizia amministrativa<br />

............................................................................ 799<br />

Tutela dei consumatori<br />

Pubblicità ingannevole, inibitoria collettiva e G.O.<br />

(Cassazione civile, sez. un., 28 marzo 2006, n. 7036,<br />

ord.), con commento di Roberto Conti ........................ 737

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