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In caso di mancato racapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito<br />

MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA<br />

OTTOBRE MISSIONARIO<br />

Testimoni<br />

di Dio<br />

PRIMO PIANO<br />

I volti futuri<br />

del Medio Oriente<br />

ATTUALITÀ<br />

Intervista a Moni Ovadia<br />

Straniero fra gli stranieri<br />

ANNO XXV<br />

SETTEMBRE<br />

OTTOBRE<br />

2011 8<br />

FOCUS<br />

Nell’Ucraina<br />

che cambia<br />

Rivista promossa dalla Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46), art. 1, comma 2, DCB Roma • Euro 2,50


MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA<br />

Trib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica.<br />

Editore: Associazione Amici della Propaganda Missionaria (APM)<br />

Presidente (APM): GIOVANNI ATTILIO CESENA<br />

La rivista è promossa dalla Fondazione Missio, organismo pastorale della CEI.<br />

Direttore responsabile: GIULIO ALBANESE<br />

Redazione: Miela Fagiolo (Redattrice), Chiara Pellicci, Ilaria De Bonis.<br />

Segreteria: Emanuela Picchierini.<br />

Redazione e Amministrazione: Via Aurelia, 796 - 00165 Roma.<br />

Abbonamenti: 06 66502632.<br />

Hanno collaborato a questo numero: Agenzia Fides, Agenzia Misna,<br />

Francesca Romana Albanese, Chiara Anguissola, Asianews,<br />

Marco Bendettelli, Francesco Ceri<strong>ott</strong>i, Franz Coriasco, Riccardo Cristiano,<br />

Ludovico D’Attilia, Francesca Lancini, Luca Moscatelli, Angelo Paoluzi,<br />

Ambrogio Spreafico.<br />

Progetto grafico e impaginazione: Alberto S<strong>ott</strong>ile.<br />

Foto di copertina: Archivio Missio/Amedeo Cristino.<br />

Foto: Afp Photo / Genya Savilov, Afp Photo/ Sergei Supinsky , Afp Photo /<br />

Mario Laporta, Afp Photo / Khaled Desouki, Afp Photo / Simon Maina,<br />

Afp Photo / Roberto Schmidt, Archivio CUM, Archivio Missio,<br />

Comboni Press, Marco Benedettelli, Maurizio Buscarino, Imaginechina,<br />

Filippo Ivardi, Notimex, Lia Pasqualino, Pino Settanni, Josè Soccal.<br />

Vignetta: Valerio De Luca.<br />

Abbonamento annuale: Individuale € 25,00; Collettivo € 20,00;<br />

Benemerito € 30,00; Estero € 40,00.<br />

Modalità di abbonamento: versamento su C.C.P. 70031968 intestato a<br />

Popoli e Missione oppure bonifico bancario intestato a Popoli e Missione<br />

Cod. IBAN IT 57 K 07601 03200 000070031968<br />

Stampa: Abilgraph srl - Via Ottoboni, 11 - 00159 Roma<br />

Manoscritti e fotografie anche se non pubblicati non si restituiscono.<br />

Mensile associato alla FeSMI e all’USPI, Unione Stampa Periodica Italiana.<br />

Chiuso in tipografia il 13-09-2011<br />

Supplementi elettronici di Popoli e Missione:<br />

MissioNews (www.missioitalia.it)<br />

La Strada (www.mgm.operemissionarie.it)<br />

INTENZIONI SS. MESSE<br />

Fondazione Missio<br />

Sezione Pontificie Opere Missionarie<br />

Via Aurelia, 796 - 00165 Roma<br />

Don Giovanni Attilio Cesena, Direttore<br />

Dr. Tommaso Galizia, Vice Direttore<br />

Don Valerio Bersano, Segretario Nazionale dell’Opera per la Propagazione<br />

della Fede (C.C.P. 63062723)<br />

Don Amedeo Cristino, Segretario Nazionale dell’Opera di S. Pietro Apostolo<br />

(C.C.P. 63062772) e della Pontificia Unione Missionaria (C.C.P. 63062525)<br />

Segretario Nazionale dell’Opera dell’Infanzia Missionaria (C.C.P. 63062632)<br />

Alessandro Zappalà, Segretario Nazionale Missio Giovani<br />

(C.C.P. 63062855)<br />

Numeri telefonici PP.OO.MM.<br />

Segreteria di Direzione 06 6650261<br />

Amministrazione 06 66502628/9<br />

P. Opera Propagazione della Fede 06 66502626/7<br />

P. Opera S. Pietro Apostolo 06 66502621/2<br />

P. Opera Infanzia Missionaria 06 66502644/5/6<br />

P. Unione Missionaria 06 66502674<br />

Missio Giovani 06 66502640<br />

Opera Apostolica 06 66502641<br />

Fax 06 66410314<br />

“Popoli e Missione”<br />

Centralino 06 6650261<br />

Direzione e Redazione 06 66502623/4<br />

Segreteria 06 66502678<br />

Settore abbonamenti 06 66502632<br />

Fax 06 66410314<br />

Indirizzi e-mail<br />

Presidente Missio presidente@missioitalia.it<br />

Direttore Missio direttore@missioitalia.it<br />

Tesoriere Missio tesoriere@missioitalia.it<br />

Segreteria Missio segreteria@missioitalia.it<br />

Propagaz. della Fede popf@operemissionarie.it<br />

S. Pietro Apostolo pospa@operemissionarie.it<br />

Infanzia Missionaria poim@operemissionarie.it<br />

Unione Mission. Clero pum@operemissionarie.it<br />

Opera Apostolica operaapostolica@operemissionarie.it<br />

Missio Giovani giovani@missioitalia.it<br />

Popoli e Missione (Redazione) <strong>popoli</strong>e<strong>missione</strong>@operemissionarie.it<br />

Popoli e Missione (Direttore) giulio.albanese@missioitalia.it<br />

Abbonamenti abbonamenti@operemissionarie.it<br />

Amministrazione amministrazione@operemissionarie.it<br />

amministrazione@missioitalia.it<br />

Servizio informatico servizioinformatico@missioitalia.it<br />

l Missionari e i Sacerdoti delle giovani Chiese ringraziano per l’invio di offerte per la celebrazione di Sante Messe, anche Gregoriane. La Direzione<br />

delle Pontificie Opere Missionarie raccomanda questo gesto di carità e di comunione con chi serve la Chiesa nei luoghi di prima evangelizzazione.<br />

Sul ccp n. 63062855 specificare: SS. MESSE PER I MISSIONARI · BANCA ETICA - CONTO FONDAZIONE DI RELIGIONE MISSIO - CIN I -<br />

ABI 05018 - CAB 03200 - c/c115511 - Cod. IBAN IT 55 I 05018 03200 000000115511<br />

PER AIUTARE I MISSIONARI E LE GIOVANI CHIESE<br />

La Fondazione MISSIO, costituita il 31 gennaio 2005 dalla Conferenza Episcopale Italiana, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto (Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22<br />

febbraio 2006, è abilitata a ricevere Eredità e Legati anche a nome e per conto delle Pontificie Opere Missionarie. Queste le formule da usare:<br />

PER UN LEGATO<br />

· di beni mobili<br />

«... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia<br />

796, a titolo di Legato la somma di €... (o titoli, polizze, ecc.) per i fini istituzionali<br />

dell'Ente».<br />

· di beni immobili<br />

«... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia<br />

796, l'immobile sito in ... per i fini istituzionali dell'Ente».<br />

PER UNA EREDITÀ<br />

«... nomino mio erede universale la Fondazione di Religione MISSIO, con sede<br />

a Roma in Via Aurelia 796, lasciando ad essa tutti i miei beni (oppure specificare<br />

quali) per i fini istituzionali dell'Ente. Così dispongo annullando ogni mia<br />

precedente disposizione testamentaria».<br />

È possibile ricorrere al testamento semplice nello forma di scrittura privata o condizione che<br />

sia interamente scritto a mano dal testatore, in maniera chiara e leggibile. È necessario inoltre<br />

che la s<strong>ott</strong>oscrizione autografo posto allo fine delle disposizioni contenga nome e cognome<br />

del testatore oltre alla indicazione del luogo, del giorno, mese e anno in cui il testamento<br />

viene scritto.<br />

Per ogni chiarimento si può consultare un notaio di fiducia o l'Amministrazione di MISSIO (tel. 06 66502629; e-mail: amministrazione@missioitalia.it)


EDITORIALE<br />

Senza Testimoni<br />

non c’è<br />

Missione<br />

di GIULIO ALBANESE<br />

giulio.albanese@missioitalia.it<br />

Èsempre più evidente la necessità<br />

di modelli autorevoli a cui<br />

guardare, trovandone conforto<br />

e ispirazione. Viviamo, d’altronde, in<br />

una società globalizzata che ammette<br />

cinicamente la separazione tra la<br />

cosiddetta enunciazione dei principi e<br />

la testimonianza degli stessi. Un’impostazione<br />

diffusa a macchia d’olio e in<br />

netto contrasto con il dettato evangelico:<br />

«Non chi dice “Signore, Signore”<br />

ma chi fa la volontà del Padre mio<br />

entrerà nel Regno dei cieli».<br />

Intendiamoci, il tema è davvero sc<strong>ott</strong>ante<br />

ed esige un serio discernimento<br />

da parte di tutti, anche di noi cattolici.<br />

Forse mai come oggi è necessario<br />

operare nell’ambito della società civile<br />

- e dunque anche nelle nostre comunità<br />

- un sincero esame di coscienza<br />

rispetto alle proprie responsabilità. In<br />

effetti, è molto facile dare corda al<br />

flatus vocis, disquisendo per ore e ore<br />

sulla sfera sacrosanta dei valori: dalla<br />

vita, alla famiglia; dalla sussidiarietà<br />

alla solidarietà… quando poi le nostre<br />

scelte e la nostra cond<strong>ott</strong>a di vita sono<br />

orientate su ben altri versanti. A cosa<br />

serve affermare retoricamente il celebre<br />

trittico “Dio, patria e famiglia”, se<br />

poi il Signore in questione non è quello<br />

dei Vangeli, ma una sorta di perso-<br />

naggio ideato a nostra immagine e<br />

somiglianza. Ecco perché come cristiani,<br />

in virtù del battesimo, dobbiamo<br />

prendere sempre più coscienza del<br />

mandato missionario per la causa del<br />

Regno di Dio. Da questo punto di vista,<br />

disponiamo di un valore aggiunto che<br />

non hanno altre agenzie educative.<br />

Sono i nostri missionari e missionarie<br />

che operano nelle giovani Chiese e a<br />

cui abbiamo dedicato, come redazione,<br />

il dossier di questo numero di<br />

Popoli e Missione dal titolo: “Testimoni<br />

di Dio”.<br />

Un tema a cui Missio, in quanto organismo<br />

pastorale della Cei, ha dedicato<br />

l’Ottobre Missionario. Lungi da ogni<br />

strumentalizzazione, sarebbe forviante<br />

pensare che la Missione con la “M”<br />

maiuscola, costituisca uno specchietto<br />

per le allodole in tempi di crisi. L’intento<br />

è decisamente un altro: quello di<br />

affermare che non esiste migliore maestro<br />

del testimone in un mondo che è<br />

sempre più terra di <strong>missione</strong> a tutte le<br />

latitudini. Basti pensare a uomini del<br />

calibro di monsignor Guido Maria Conforti,<br />

fondatore dei Saveriani, o di<br />

padre Clemente Vismara, del Pime, che<br />

Benedetto XVI ha deciso di elevare<br />

all’onore degli altari (il primo come<br />

santo il secondo come beato); »<br />

(Segue a pag. 2)<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

1


2<br />

Indice<br />

(segue da pag. 1)<br />

per non parlare di tanti altri testimoni<br />

che hanno dato la vita per l’evangelizzazione<br />

dei <strong>popoli</strong> come monsignor<br />

Cesare Mazzolari, recentemente<br />

scomparso a Rumbek, nel Sud Sudan.<br />

Un indirizzo il loro che ci spinge a<br />

ribadire la centralità della testimonianza<br />

cristiana, senza cui non c’è<br />

<strong>missione</strong>.<br />

Pagina 4:<br />

Giovane egiziano ferito negli scontri<br />

di piazza Tahrir.<br />

Pagina 53:<br />

“Testimoni di Dio”, il DVD che la<br />

Fondazione Missio, dedica alla<br />

Giornata Missionaria Mondiale 2011.<br />

INIZIATIVA<br />

MISSIO- L’UNITALSI<br />

La Fondazione Missio e l’Unitalsi<br />

- Unione nazionale italiana trasporto<br />

ammalati a Lourdes e santuari<br />

internazionali - impegnata dal<br />

1903 nel campo della pastorale<br />

della salute, hanno avviato insieme<br />

una campagna di promozione della<br />

rivista Popoli e Missione a favore<br />

dei pellegrini che si recano a Lourdes.<br />

Una copia omaggio del nostro<br />

mensile farà compagnia ai pellegrini<br />

in viaggio, che sfogliando le<br />

pagine del giornale, potranno<br />

apprezzarne i contenuti missionari<br />

e magari… decidere di abbonarsi.<br />

Continuando, attraverso Popoli e<br />

Missione, a restare aggiornati sulle<br />

realtà dell’evangelizzazione nel<br />

mondo.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

EDITORIALE<br />

1 _ Senza Testimoni<br />

non c’è Missione<br />

di Giulio Albanese<br />

PRIMO PIANO<br />

4 _ I volti futuri del Medio Oriente<br />

Il diritto ad un nuovo<br />

arabismo<br />

di Riccardo Cristiano<br />

ATTUALITÀ<br />

10 _ Intervista a Moni Ovadia<br />

Straniero fra gli stranieri<br />

di Chiara Pellicci<br />

FOCUS<br />

16 _ Nell’Ucraina che cambia<br />

Ascesa di una<br />

giovane Chiesa<br />

di Ilaria De Bonis<br />

18 _ Kiev divisa<br />

tra Bruxelles e Mosca<br />

di Ilaria De Bonis<br />

SCATTI DAL MONDO<br />

21 _ Emergenza umanitaria nel<br />

Corno d’Africa<br />

a cura di Emanuela Picchierini<br />

4<br />

MARE NOSTRUM<br />

DENTRO E FUORI<br />

24 _ Al confine tra Siria e Turchia<br />

La legge della fuga<br />

di Marco Benedettelli<br />

DOSSIER<br />

27 _ Italia missionaria<br />

La carica dei diecimila<br />

di Ilaria De Bonis<br />

32 _ Intervista a don Gianni Cesena<br />

La <strong>missione</strong>?<br />

Tante voci<br />

per parlare di Dio<br />

di Miela Fagiolo D’Attilia<br />

36 _ L’ABC dell’evangelizzazione<br />

di Miela Fagiolo D’Attilia<br />

53


Copertina:<br />

Missionario a Nakwamoru in Kenya.<br />

Pagina 10:<br />

Moni Ovadia, poliedrico<br />

artista bulgaro, di origine ebraica e<br />

naturalizzato italiano.<br />

Pagina 16:<br />

Monsignor Svyatoslav Schevchuk,<br />

nuovo arcivescovo di Kiev, Ucraina.<br />

Pagina 27:<br />

Uno dei diecimila missionari italiani<br />

impegnati nel mondo.<br />

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ<br />

39 _ Maître à penser<br />

La maledizione<br />

dei Narco<br />

di Angelo Paoluzi<br />

41 _ Shalom Salam<br />

Una sorgente per Dio<br />

di Chiara Pellicci<br />

42 _ L’altra edicola<br />

Cina e Brics,<br />

un altro as<strong>sett</strong>o<br />

di Francesca Lancini<br />

45 _ News not in the news<br />

a cura delle Agenzie<br />

Fides, Misna, AsiaNews<br />

48 _ Posta dei missionari<br />

Il coraggio di dire si<br />

a cura di Chiara Pellicci<br />

RUBRICHE<br />

50 _ Libri<br />

150 anni di storia<br />

e di fede<br />

di Chiara Anguissola<br />

50 _ La primavera che cambiò<br />

il Medio Oriente<br />

di F.R.A.<br />

Foto di Pino Settanni<br />

51 _ Seguendo<br />

Karol<br />

di F.R.A.<br />

51 _ Dimmi cosa mangi…<br />

di L.D.A.<br />

52 _ Musica<br />

TERRAKOTA<br />

Il mondo<br />

fatto a pezzi<br />

di Franz Coriasco<br />

53 _ Ciak dal mondo<br />

Fare memoria<br />

della <strong>missione</strong><br />

di Miela Fagiolo D’Attilia<br />

FONDAZIONE MISSIO<br />

54 _ Testimoni di Dio:<br />

non solo uno slogan<br />

Uomini e donne<br />

che vivono<br />

per sempre<br />

di Luca Moscatelli<br />

56 _ Vita di Missio<br />

A servizio<br />

della <strong>missione</strong><br />

di Chiara Pellicci<br />

16<br />

62 _ Intenzioni<br />

missionarie<br />

La bellezza<br />

del Vangelo<br />

di Francesco Ceri<strong>ott</strong>i<br />

63 _ Inserto PUM<br />

Noi Chiesa,<br />

sacramento<br />

di unità<br />

di Ambrogio Spreafico<br />

27<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

3


PRIMO PIANO I volti futuri del Medio Oriente<br />

Le rivolte arabe hanno sgretolato<br />

la cortina di ferro mediorientale:<br />

è stato un vero e proprio 1989,<br />

nel quale la società civile ha svolto<br />

il ruolo che svolse all’epoca in Polonia<br />

il movimento di Solidarnosc.<br />

A dar la spallata ai regimi però non<br />

sono stati né i partiti, né personalità<br />

politiche carismatiche.<br />

Questa rivoluzione è figlia della l<strong>ott</strong>a<br />

per la dignità di una generazione<br />

araba moderna che chiede diritto<br />

di cittadinanza.<br />

Spetta ora alle minoranze cristiane non<br />

avallare le pretese di regimi indifendibili<br />

che ancora resistono, col pretesto di una<br />

fantomatica minaccia islamica.<br />

4 POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011


Il diritto<br />

ad un nuovo<br />

arabismo<br />

di RICCARDO CRISTIANO<br />

specchiere@gmail.com<br />

Un giovane e umile venditore ambulante tunisino, Muhammad<br />

Bouazizi, dopo l’ingiusta confisca dei suoi ortaggi si è<br />

dato fuoco pur di non tollerare il sopruso patito. Asmaa,<br />

una ragazza velata d’Egitto, ha chiamato i suoi coetanei a manifestare<br />

in piazza at-Tahrir. La signora Nawal al-Shariff, trentenne<br />

saudita, dopo essere stata arrestata per il reato di “guida dell’automobile”<br />

ha messo il filmato su internet, invitando le altre saudite a<br />

sfidare il divieto. I bambini di Daraa, la piccola cittadina del Sud<br />

della Siria, hanno soltanto scritto sulle mura di scuola lo slogan che<br />

da gennaio incendia le capitali arabe «il popolo vuole la caduta del<br />

regime». Gli aguzzini del sistema imposto circa mezzo secolo fa ai<br />

siriani li hanno torturati e a quel punto anche in Siria il muro della<br />

paura è caduto.<br />

Citato tantissime volte per spiegare la violenza del mondo mediorientale,<br />

il Corano forse può servire anche per capire quanto va<br />

accadendo in questo 2011. Nella sura “Il Tuono” infatti si legge: «In<br />

verità mai Allah muta le condizioni di un popolo finché esso non<br />

le muta da sé». E in Tunisia, Egitto, Libia, Bahrain, Yemen, Siria, »<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

5


PRIMO PIANO<br />

Arabia Saudita, notiamo che sono cittadini,<br />

non leader o “Nuovi Profeti”, a<br />

guidare le rivolte. Musulmani e cristiani<br />

hanno respinto il teorema della<br />

divisione del mondo tra il ‘bene’ e il<br />

‘male’, cioè l’ideologia che ha sorretto<br />

in questi decenni di inverno arabo i<br />

diversi totalitarismi,<br />

sia alleati che nemici<br />

dell’Occidente. Questa<br />

volta infatti la sollevazione<br />

non è contro il<br />

dispotismo colonialista,<br />

ma contro quello<br />

autoprod<strong>ott</strong>o.<br />

Si è sgretolata così la<br />

cortina di ferro mediorientale.<br />

Si tratta di un<br />

vero e proprio 1989<br />

mediorientale nel quale<br />

la società civile e i<br />

giovani hanno svolto il<br />

ruolo di Solidarnosc,<br />

una Solidarnosc diffusa, senza leader<br />

e transnazionale. E la globalizzazione<br />

non è stata certo un fattore ininfluente.<br />

Come non sorprendersi infatti, rendendosi<br />

conto che in questi mesi, per<br />

la prima volta dalla fine della seconda<br />

guerra mondiale, gli arabi ci sono<br />

apparsi simili a noi: usano Facebook,<br />

internet, gli smartphone, e mettono<br />

su YouTube i video che i governanti<br />

non vogliono siano trasmessi.<br />

MESSAGGI NEL WEB<br />

Scrivono i loro messaggi in arabo ma<br />

anche in inglese, leggono i siti informativi<br />

nella loro lingua ma anche in<br />

inglese, si sentono cittadini del villaggio<br />

globale e ne parlano l’idioma, molto<br />

spesso meglio di noi italiani (almeno<br />

di quelli della mia generazione).<br />

Non è solo tecnologico il ruolo che la<br />

globalizzazione ha svolto nell’89 arabo,<br />

basti pensare al peso che l’adesione<br />

al Wto (World trade organization)<br />

ha avuto nel modificare le abitudini e<br />

le dimensioni della famiglia tradizionale<br />

anche in molti Paesi del Golfo.<br />

Senza dubbio il network globale di<br />

6 POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

idee, informazioni, scambi culturali,<br />

immagini e dirette televisive che si è<br />

costruito sopra, s<strong>ott</strong>o e attorno ai pietrificati<br />

regimi mediorientali dimostra<br />

di tutta evidenza che questo 2011 ha<br />

abbattuto soprattutto un’idea, diffusa<br />

tanto in Oriente quanto in Occidente.<br />

Un’idea che il presidente siriano<br />

Bashar al-Assad e quello francese,<br />

Nicolas Sarkozy, avevano espresso<br />

compiutamente.<br />

Quando venne eletto Presidente della<br />

Repubblica Araba di Siria, probabilmente<br />

già perfettamente consapevole<br />

A sinistra:<br />

Il Cairo (Egitto). Soldati<br />

egiziani fronteggiano<br />

i manifestanti dietro<br />

il filo spinato.<br />

S<strong>ott</strong>o:<br />

Profughi siriani diretti ad<br />

un accampamento di<br />

fortuna nei pressi di Idlib,<br />

città al confine con la<br />

Turchia.


di essere stato chiamato a guidare un<br />

regime non riformabile, Bashar al-<br />

Assad nel suo discorso di insediamento,<br />

nel giugno del 2000 disse: «Noi non<br />

possiamo applicare a noi stessi la<br />

democrazia di altri. Le democrazie<br />

occidentali, per esempio, sono il<br />

prod<strong>ott</strong>o di una lunga storia<br />

che ha generato<br />

usi e costumi,<br />

quelli che caratterizzano<br />

l’attuale<br />

cultura delle<br />

società occidentali.<br />

Noi dobbiamo<br />

avere la nostra<br />

peculiare esperienzademocratica,<br />

che sgorga<br />

dalla nostra storia,<br />

cultura e<br />

civiltà e che<br />

risponde ai bisogni<br />

delle nostre<br />

società e della<br />

nostra realtà».<br />

Un concetto che<br />

venne ripreso<br />

I volti futuri del Medio Oriente<br />

Nella foto:<br />

Giovani libici a Bengasi utilizzano internet e i<br />

social network per scambiarsi informazioni.<br />

dal presidente francese Nicolas Sarkozy<br />

quando si recò in visita di Stato a<br />

Damasco, nel <strong>sett</strong>embre del 2008. Tra i<br />

pochi ad obiettare, allora, ci fu il noto<br />

dissidente siriano Michel Kilo, che<br />

ricordò all’ambasciatore francese che<br />

proprio il suo Paese, qualche tempo<br />

addietro, aveva prod<strong>ott</strong>o e diffuso nel<br />

mondo l’idea dei diritti umani universali.<br />

Assad e Sarkozy, invece, si appellavano<br />

a quella peculiarità dei ‘diritti umani<br />

islamici’, o ‘asiatici’, per dirla in una<br />

lingua più diffusa, il cinese. Ora accade<br />

che le piazze arabe abbiano dato ragione<br />

a Kilo e torto ad Assad e Sarkozy.<br />

REGIMI TIRANNICI<br />

Perché il tratto comune dei regimi<br />

caduti o in via di crollo era proprio questo,<br />

il negare la dignità umana dei propri<br />

‘sudditi’, come il solo Gheddafi ha<br />

avuto l’onestà di affermare. Oltre che<br />

tirannici quei regimi erano anche la<br />

‘cupola’ di veri e propri ‘Stati mafia’<br />

all’interno dei quali erano nate col<br />

tempo società nuove, incompatibili.<br />

Dunque più che rivolte del pane quelle<br />

a cui abbiamo assistito sono vere e »<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

7


8<br />

PRIMO PIANO<br />

proprie rivolte per la dignità umana. La<br />

<strong>ott</strong>erranno?<br />

Alcuni, con secca efficacia, hanno<br />

risposto così: «Senza il pane non c’è<br />

dignità». E il punto di questo discorso è<br />

chiaro. Partite dalle grandi aree urbane,<br />

dai giovani e dai ceti medi, queste<br />

rivolte contro gli ‘Stati mafia’ degli<br />

Assad o dei Mubarak o dei Ben Ali o<br />

degli Ali Saleh, per affermarsi devono<br />

necessariamente <strong>ott</strong>enere miglioramenti<br />

economici. Tra i risultati indiscutibili<br />

del regime di Hosni Mubarak, ad<br />

esempio, c’è la crescita esponenziale del<br />

numero di egiziani che vivono con<br />

meno di due dollari al giorno, cioè s<strong>ott</strong>o<br />

la soglia di povertà estrema. Possono<br />

essere queste le condizioni per costruire<br />

la democrazia egiziana?<br />

Il dato economico sarà decisivo, e il<br />

crollo delle rimesse dei lavoratori egiziani<br />

espatriati (e ora rientrati) o del<br />

turismo certo non aiuterà. In un’area<br />

incredibilmente sprovvista di infrastrutture<br />

transnazionali (un lascito dell’epoca<br />

coloniale) il cammino sarà lungo<br />

e difficilissimo. I segnali non incoraggianti<br />

già sono emersi in Egitto,<br />

dove la diffusa preoccupazione per la<br />

stabilità ha spinto molti elettori ad<br />

accettare elezioni che appaiono frettolose<br />

e regolate in modo da avvantaggiare<br />

chi è già organizzato.<br />

Ma in Tunisia, dove i tunisini hanno<br />

fatto tre rivoluzioni (una contro Ben Alì<br />

e due contro governi troppo compromessi<br />

con il tiranno rimosso), molti<br />

oggi temono la lontananza del voto,<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

nell’attesa del quale le forze ostili al<br />

cambiamento ricorrano alla violenza<br />

per impaurire l’opinione pubblica e<br />

quella internazionale. Sono i gruppi<br />

salafiti, terroristi fomentati dall’Arabia<br />

Saudita e da Ben Ali, cioè da coloro che<br />

per fermare la democrazia e le riforme,<br />

cercano di impaurire il mondo con lo<br />

spettro della ‘violenza islamista’, che<br />

sgozza missionari in Tunisia e aggredisce<br />

i copti in Egitto.<br />

NUOVE LEADERSHIP<br />

In entrambi questi Paesi il successo dei<br />

partiti di ispirazione islamica ci sarà, ma<br />

non andrà considerato come un successo<br />

dei salafiti, non necessariamente.<br />

Molto dipenderà da quale leadership<br />

prevarrà in ciascun partito islamico.<br />

Quale volto avrà la Nahda tunisina del<br />

rimpatriato Ghannuchi? Quello che<br />

plaude all’attuale, avanzatissimo diritto<br />

di famiglia o quello opposto? La stessa<br />

domanda vale ovviamente per l’Egitto,<br />

dove nella Fratellanza Musulmana c’è<br />

un chiaro confronto-scontro tra vecchi<br />

e giovani, e non solo.<br />

Ma è un errore pensare che la partita si<br />

giochi in così poco tempo, che tutto si<br />

deciderà entro quest’anno. Certo,<br />

sarebbe preferibile partire con il piede<br />

giusto, ma la partita innescata dalle<br />

rivolte arabe produrrà i suoi veri risultati<br />

politici in tempi medi, quindi c’è un<br />

importante lavoro politico-culturale da<br />

portare avanti. E qui il ruolo delle<br />

minoranze cristiane diventa essenziale.<br />

Il mondo arabo in questo 2011 vive un<br />

momento storico decisivo, simile a<br />

quello che si determinò con il disfacimento<br />

dell’Impero <strong>ott</strong>omano. Gli “Stati<br />

mafia” portano giù, in fondo al mare<br />

della storia, anche gli attuali “Stati<br />

nazione”, nei quali non esistendo diritti<br />

di cittadinanza la crisi significa anche<br />

crisi dello Stato. Sembrano riprendere<br />

significato e senso le appartenenze<br />

etniche, tribali, visto che quelle statuali<br />

non ne hanno più da 50 o 60 anni.<br />

Libia e Sudan sembrano entità già<br />

superate, l’Iraq, la Siria e il Bahrain lo<br />

potrebbero essere presto. E lo Yemen?<br />

Non sta certo a noi occidentali difendere<br />

o attaccare gli attuali confini, ma<br />

alcuni timori “compl<strong>ott</strong>isti” sono comprensibili:<br />

qualcuno nel vecchio Occi


Sopra:<br />

Egiziano prega accanto a un carro<br />

armato in piazza Tahrir, al Cairo.<br />

S<strong>ott</strong>o:<br />

Ribelle libico sul tetto del check point della<br />

città di Gualish, a Sud della capitale Tripoli,<br />

teatro di accesi scontri tra i dissidenti e le<br />

forze lealiste a Gheddafi.<br />

dente ha pensato un rias<strong>sett</strong>o mediorientale<br />

con una miriade di staterelli<br />

tanto omogenei su base confessionale<br />

quanto ininfluenti sul piano politico e<br />

commerciale (mille produttori di petrolio<br />

non preoccupano quanto preoccuperebbe<br />

un produttore solo). Nella<br />

galassia fondamentalista altri invece<br />

sognano l’esatto opposto, un non<br />

più irrealistico super-Paese, che<br />

nasca nel rispetto dei legami<br />

famigliari (oggi transnazionali).<br />

Uno Stato che loro presentano,<br />

o pensano, come la vecchia comunità<br />

dei fedeli.<br />

Ma quando i fatti mettono in discussione<br />

una realtà occorrono fatti, idee, per<br />

difenderla. E i cristiani oggi possono<br />

difendere il senso degli attuali Statinazione.<br />

Ma non rimanendo aggrappati<br />

ai vecchi tiranni, nel timore che il<br />

futuro sia peggiore del presente. Quei<br />

patriarchi che difendono l’ordine dato<br />

nel timore ‘dei fondamentalisti’ pensano<br />

al ‘timore di sparire’ ma in realtà<br />

vivono il “timore di esistere”, per dirla<br />

con il teologo Jean Corbon. Le loro<br />

comunità non possono che “vivere pienamente<br />

il dramma delle loro società”.<br />

IL RUOLO DEI GOVERNI<br />

E il principale contributo che possono<br />

dare alla costruzione di un futuro diverso,<br />

e migliore, non è certo quello di<br />

offrirsi come difensori di indifendibili<br />

despoti, ma come teorici delle nuove<br />

fedeltà che dovrebbero essere alla base<br />

degli Stati-nazione messi in discussione<br />

dalla perversione del Novecento: non<br />

esiste un futuro per i cristiani del Medio<br />

Oriente senza ciò che serve per rianimare<br />

gli Stati-nazione, e cioè i diritti di<br />

cittadinanza, la partecipazione di ogni<br />

individuo e di ogni comunità alla definizione<br />

e ricostruzione della casa<br />

comune. Da dove vengono i giovani che<br />

oggi chiedono “dignità”? Dal buio senza<br />

speranze delle cellule di Al Qaeda? O,<br />

I volti futuri del Medio Oriente<br />

seguendo il ragionamento del gesuita<br />

Paolo Dall’Oglio, dalle speranze tradite<br />

dei loro nonni comunisti e dei loro<br />

genitori convinti che l’Islam è soluzione?<br />

È con questi ‘nipoti’ e ‘figli’ che i<br />

cristiani del Medio Oriente hanno un<br />

futuro in ‘comune’, non con i regimi.<br />

Infatti, il vero problema su cui si è<br />

schiantato il vecchio paradigma politico<br />

mediorientale è questo: le “fedeltà<br />

illegittime” che hanno costituito l’anima<br />

degli Stati-mafia non bastano più.<br />

Oggi occorrono nuove fedeltà per salvare<br />

appartenenze e identità che altrimenti<br />

non avrebbero più senso. Queste<br />

fedeltà si chiamano “diritti di cittadinanza”.<br />

I cristiani del Medio Oriente se resteranno<br />

nascosti dietro i satrapi mediorientali<br />

nel timore di un futuro peggiore<br />

daranno un drammatico contributo<br />

all’estinzione della loro presenza plurimillenaria<br />

in Medio Oriente. Se sceglieranno<br />

invece di guidare culturalmente<br />

questa sfida appena iniziata, potrebbero<br />

risultare decisivi a salvare se stessi e i<br />

propri Paesi.<br />

Un grande intellettuale arabo cristiano,<br />

Samir Frangieh, ha scritto un appello<br />

sul quotidiano libanese an-Nahar. Per<br />

Frangieh la sfida è costruire Stati nei<br />

quali «si riconoscono diritti ai soli cittadini,<br />

senza discriminazioni, ma allo stesso<br />

tempo si forniscono garanzie per le<br />

comunità. Nascerà di qui un nuovo arabismo,<br />

l’arabismo del vivere insieme,<br />

che non sarà altro che il figlio dell’arabismo<br />

originario dell’Andalusia, dove<br />

hanno vissuto e con-vissuto per secoli<br />

musulmani, cristiani ed ebrei in armonia,<br />

umana, culturale e religiosa».<br />

La suggestione è fortissima: l’ ‘arabismo<br />

del vivere insieme’ dovrebbe consentire<br />

di istituire un sistema regionale, partecipando<br />

effettivamente alla definizione<br />

del nuovo ordine mondiale, dovrebbe<br />

offrire un nuovo modello per il Medio<br />

Oriente, ‘L’Oriente del vivere insieme’,<br />

basato sull’iniziativa di pace araba che<br />

ha promosso uno Stato palestinese<br />

indipendente.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

9


10<br />

ATTUALITÀ Intervista a Moni Ovadia<br />

Straniero<br />

fra gli<br />

Nella foto:<br />

Una scena dello spettacolo Oylem Goylem<br />

con cui Moni Ovadia si è imposto al grande pubblico.<br />

Foto di Maurizio Buscarino<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

stranieri


Mentre il mondo pone di nuovo attenzione alla<br />

questione israelo-palestinese, Moni Ovadia - attore,<br />

scrittore, cantastorie yiddish, poeta, musicista,<br />

cantante – racconta in questa intervista tutta la<br />

pesantezza di un conflitto che non accenna a<br />

concludersi. Nato in Bulgaria, italiano di nazionalità<br />

ed ebreo di origine, Ovadia è convinto che la pace si<br />

realizzerà se gli israeliani sapranno riscoprire le loro<br />

origini e impareranno a vivere sulla propria terra da<br />

stranieri fra stranieri.<br />

di CHIARA PELLICCI<br />

c.pellicci@missioitalia.it<br />

Nelle tante foto che lo ritraggono<br />

sulla scena di un teatro o<br />

davanti a un interlocutore, il<br />

suo sguardo va oltre, mette a fuoco in<br />

lontananza. I suoi occhi hanno una<br />

forza che penetra e scruta, quasi a<br />

voler carpire in un istante tutto quello<br />

che osservano. Anche a tu per tu, nell’incontro<br />

che con disponibilità ci offre<br />

per un’intervista a Popoli e Missione<br />

nel suo appartamento di Milano, Moni<br />

Ovadia – nato nel 1946 in Bulgaria da<br />

una famiglia ebraico-sefardita e trasferitosi<br />

nella città lombarda all’età di<br />

tre anni - sembra attratto da qualcosa che le pareti della stanza non<br />

possono contenere.<br />

Effettivamente per uno che è ora cantastorie yiddish, ora poeta, ora<br />

attore, ora musicista, ora cantante, ora tutto questo insieme ad altro,<br />

non è difficile spaziare con la mente dove ancora le parole non arrivano.<br />

E infatti la conversazione scivola subito sul contenuto del suo ultimo<br />

libro - già, è anche scrittore – intitolato “Il Popolo dell’esilio” (a cura<br />

di Alessio Aringoli, Editori riuniti) da cui scaturisce un concetto esplosivo:<br />

quello della fratellanza universale come specificità dell’ebraismo, in<br />

netta contrapposizione al nazionalismo.<br />

Moni Ovadia è seduto, ma i movimenti, l’espressione del viso e il tono di<br />

voce sanno di teatro, luogo abituale per l’attore impostosi al grande<br />

pubblico sin dal 1993 con lo spettacolo Oylem Goylem, che in yiddish<br />

significa “Il mondo è scemo”. Sul palco della sua cucina,<br />

intorno a un tavolo gigante che invita alla convivialità,<br />

tiene l’attenzione, modula il volume delle parole, alza<br />

l’intensità della voce e l’abbassa, come sul più naturale<br />

dei palcoscenici. »<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

11


12<br />

ATTUALITÀ<br />

Sopra:<br />

Il cimitero ebraico nella valle di Giosafat<br />

(la valle del Giudizio) a Gerusalemme.<br />

Al centro:<br />

Un insediamento israeliano in<br />

Cisgiordania abitato da coloni ebrei.<br />

A destra:<br />

Ebrei in preghiera al Muro occidentale del<br />

Tempio, unico luogo sacro di<br />

Gerusalemme per l’ebraismo.<br />

Perché il messaggio dell’universalismo<br />

dovrebbe essere peculiare degli<br />

ebrei?<br />

«Tutto il libro della Genesi, prima di<br />

Abramo, parla di esseri umani e non di<br />

ebrei. Gli ebrei arrivano dopo Abramo.<br />

Quindi la Bibbia si fonda sull’idea di<br />

umanità, non di ebraismo. L’ebraismo<br />

è un modo particolare di incarnare il<br />

messaggio monoteista (quello cristiano<br />

un altro, quello musulmano un<br />

altro ancora). Tutti gli uomini discendono<br />

da uno soltanto: ciò è fondamentale<br />

per la pace, perché nessuno<br />

possa dire: “Il mio progenitore era<br />

meglio del tuo”. Ancora, nella Genesi<br />

c’è scritto: “Abramo, in te si benediranno<br />

tutte le famiglie della terra”.<br />

Questa è la benedizione universalista.<br />

L’ebraismo è la prima fede della storia<br />

dell’umanità che dichiara che il Dio<br />

dell’ebreo è il Dio di tutta l’umanità».<br />

Ma allora nella Bibbia come si spiega<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

l’elezione degli ebrei a popolo prescelto<br />

da Dio?<br />

«L’elezione si spiega non perché gli<br />

ebrei sono carini, ma perché sono una<br />

massa di schiavi, schiuma della terra,<br />

esuli; sono uomini e donne che accolgono<br />

quel messaggio di Dio (per i credenti<br />

“lo accolgono”, per me “lo inventano”,<br />

cioè mettono un Dio nel cielo)<br />

che dichiara che il popolo eletto sono<br />

gli ebrei non in quanto tali ma in quanto<br />

stranieri, sbandati, privi di un’origine<br />

comune, quindi rappresentano l’universalità<br />

umana, il meticciato. Da qui non<br />

si può che salire e raccogliere tutta<br />

l’umanità: infatti il Dio del monoteismo<br />

è il Dio di tutti. Anche il riposo sabbatico<br />

è esteso a tutta l’umanità: “Ti riposerai<br />

tu, tua moglie, lo straniero che<br />

abita presso di te, la tua serva e il tuo<br />

servo, i tuoi animali, la pianta, la<br />

zolla”… è l’universalità estesa al pianeta.<br />

Il riposo sabbatico è una sorta di<br />

dignità universalista. La fratellanza universale<br />

è un’intuizione poderosa dell’ebraismo.<br />

Gli ebrei però sono esseri<br />

umani come tutti gli altri e all’interno<br />

del movimento monoteista ebraico si<br />

inseriscono anche i nazionalisti».<br />

Se è vero che l’ebraismo incarna l’universalismo,<br />

dove si collocano gli ebrei<br />

fondamentalisti che per occupare<br />

quella terra che “Dio ha dato loro”<br />

negano quotidianamente quella fra-<br />

tellanza universale che invece dovrebbero<br />

incarnare? Pensiamo, per esempio,<br />

agli ebrei di Hebron, città palestinese<br />

completamente s<strong>ott</strong>o assedio<br />

per la presenza di pochi fondamentalisti<br />

che l’hanno in pugno…<br />

«Contrariamente a quanto pensano gli<br />

antisemiti, gli ebrei sono uomini come<br />

tutti gli altri: sono straordinari come<br />

certi uomini e fanno schifo come altri;<br />

esistono anche i fascisti ebrei e i fanatici<br />

ebrei… è normale. L’ala monarchica<br />

prese il sopravvento anche ai tempi di<br />

Samuele. Nel capitolo 8 gli ebrei chiedono<br />

a Samuele di eleggere un re: qui<br />

si sente forte il dolore di Dio di fronte<br />

al desiderio del suo popolo di essere<br />

come gli altri. Il Padre eterno dice: “Va<br />

bene, Samuele, ungi un re per gli ebrei<br />

ma avvertili che porterà via i giovani<br />

più vigorosi per farsi la sua guardia personale,<br />

le ragazze più belle per farsi le<br />

sue profumiere, le vigne migliori per<br />

regalarle ai suoi ministri; ridurrà i suoi<br />

sudditi in condizione di servitù”.<br />

Samuele va a riferire, ma gli ebrei<br />

rispondono che vogliono un re. Quando<br />

Samuele comunica al Padre eterno la<br />

decisione del suo popolo, il Santo<br />

Benedetto dice: “Va bene, va bene,<br />

Samuele, fai come ti dicono gli ebrei -<br />

la voce dell’attore si fa greve, i toni si<br />

abbassano - e non te la prendere perché<br />

non è con te che ce l’hanno, ma<br />

con me - qui sussurra, con le parole che


a fatica gli escono dalla bocca, quasi a<br />

descrivere tutta la sofferenza di Dio -<br />

perché non vogliono che regni su di<br />

loro”. In questa vicenda – ora prosegue<br />

a voce alta, tuonante - la dimensione<br />

“terra” e il nazionalismo prevalgono su<br />

tutto».<br />

«Perché è santa una terra?» chiede<br />

Ovadia al suo interlocutore. E si risponde:<br />

«Non solo per la santità del popolo<br />

che la abita, ma per la capacità del suo<br />

popolo di essere straniero a casa propria,<br />

praticando un’economia di giustizia<br />

verso tutti».<br />

Quindi oggi Israele non è santa?<br />

«Ma per l’amor di Dio! Nonostante<br />

venga chiamata sempre così, non lo è<br />

affatto. Fossi il direttore di un giornale,<br />

direi ai miei giornalisti: “Questo termine<br />

non lo voglio più sentire applicato<br />

all’oggi”. Nella situazione attuale c’è il<br />

delirio della terra, il delirio nazionalista».<br />

Nel suo libro, afferma che i palestinesi<br />

sono gli ebrei del mondo arabo. E<br />

gli ebrei dovrebbero sforzarsi di<br />

diventare i palestinesi del mondo<br />

occidentale. Che significa?<br />

«È una provocazione, un paradosso che<br />

intende dire: oggi i palestinesi vivono<br />

s<strong>ott</strong>o occupazione, dispersi nei campi<br />

profughi, in enormi difficoltà. Sono i<br />

più strumentalizzati, i più abbando- »<br />

Intervista a Moni Ovadia<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

13


14<br />

ATTUALITÀ<br />

IL POPOLO DELL’ESILIO<br />

Oltre 200 pagine di «opinioni e libere riflessioni su<br />

ebraismo, conflitto israelo-palestinese e dintorni».<br />

Così lo stesso autore, Moni Ovadia, descrive il suo<br />

ultimo libro “Il popolo dell’esilio” curato da Alessio<br />

Aringoli per i tipi di Editori Riuniti. Nell’ “Avvertenza<br />

per il lettore” Ovadia vuole mettere in guardia perché<br />

sa che le sue parole possono essere esplosive,<br />

innovative, dirompenti. Parlando ad un ebreo<br />

dice: «Quella terra non ti è stata donata perché tu<br />

diventassi un fanatico nazionalista, ma anzi, proprio<br />

affinché tu dimostrassi che l’unico modo per costruire la pace è essere un<br />

popolo che sa vivere sulla sua terra da straniero fra gli stranieri». Una lettura che<br />

merita, per approfondire, comprendere, sognare. C.P.<br />

nati, i più dimenticati… per questo dico<br />

che sono gli ebrei del mondo arabo. Gli<br />

ebrei dovrebbero sforzarsi di diventare i<br />

palestinesi del mondo occidentale, nel<br />

senso che dovrebbero ritrovare quello<br />

spirito di quando essi stessi erano i<br />

paria dell’Occidente. All’epoca in tanti<br />

dicevano: “Se gli ebrei hanno questo è<br />

perché se lo meritano, perché sono<br />

avidi, controllano l’economia del<br />

S<strong>ott</strong>o:<br />

Ad Hebron, città palestinese considerata luogo<br />

santo dagli ebrei fondamentalisti, i coloni<br />

israeliani hanno occupato i piani superiori degli<br />

edifici arabi. Si noti la spazzatura gettata dalle<br />

finestre sulla rete di protezione, come segno di<br />

disprezzo verso i palestinesi che a piano terra<br />

hanno i negozi del suq.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

mondo, ecc.”. Adesso dei palestinesi<br />

dicono lo stesso: “Se stanno così è perché<br />

se lo meritano: hanno Hamas, gli<br />

attentati, ecc.”. Dire così era sbagliato<br />

allora come oggi. Ma la cosa che più mi<br />

colpisce è che gli ebrei non li vedono<br />

proprio i palestinesi: vecchi, donne,<br />

bambini, ore e ore davanti ai check<br />

point, la miseria, la fame, lo sradicamento<br />

degli ulivi… eppure gli ebrei non<br />

li vedono – la voce dell’attore diventa<br />

quasi un grido - perché hanno dimenticato<br />

chi sono e si attaccano al totem<br />

della sicurezza, pietra filosofale e giustificatoria<br />

di ogni porcheria».<br />

In nome della sicurezza si giustifica<br />

tutto…<br />

«Esatto. Ma la sicurezza è una cosa<br />

troppo seria per farne questo. Nessuno<br />

dice agli israeliani che non hanno diritto<br />

alla sicurezza, anzi. Però dentro i<br />

loro confini. Io sono contrario ai muri,<br />

ma se gli israeliani dentro la Linea<br />

Verde (i confini dello Stato d’Israele<br />

prima del 1967, ndr) vogliono costruirsi<br />

un muro di nove metri, facciano: è<br />

casa loro. Nessuno dirà che sono stati<br />

violati i diritti umani e le risoluzioni<br />

delle Nazioni Unite. D’altronde lo Stato<br />

d’Israele non è nato grazie ad una risoluzione<br />

Onu? Allo stesso modo si devono<br />

rispettare anche le altre risoluzioni…<br />

Hamas c’è, è vero, ma va coinvolta<br />

nella trattativa di pace, perché la pace<br />

si fa con i nemici. È da Sharon in avanti<br />

che questi governi reazionari mentono:<br />

dicono che vogliono interlocutori<br />

credibili, ma in realtà non vogliono lo<br />

Stato palestinese. Non ci dimentichiamo,<br />

invece, che la Torah dice che la<br />

vera casa dell’ebreo è la sukka, la<br />

capanna del deserto: bisogna ritrovare<br />

lo spirito di quella casa, precaria, aperta,<br />

accogliente. Invece gli israeliani<br />

sono blindati in un bunker».<br />

Perché oggi in Israele sono pochi gli<br />

ebrei contrari all’occupazione?<br />

«In Israele molti sarebbero favorevoli<br />

ad una pace con i palestinesi, ma non<br />

la considerano una priorità. A poca<br />

distanza c’è ancora chi minaccia, fa<br />

proclami antisemiti, provoca: con


Ahmadinejad che una volta a <strong>sett</strong>imana<br />

gioca sulle viscere, giustamente la<br />

maggioranza dice: “Sì, è vero, dovremmo<br />

fare la pace; però i missili arrivano<br />

e poi che succederà?”. Ma in Israele c’è<br />

anche chi ha una visione molto lucida:<br />

Haaretz è un quotidiano israeliano,<br />

pubblicato da un editore israeliano, su<br />

cui scrivono giornalisti israeliani come<br />

Gideon Levy, che parla apertamente di<br />

governo segregazionista nei confronti<br />

dei palestinesi, o Amira Hass, unica corrispondente<br />

israeliana dai Territori<br />

occupati. In confronto a loro, io sono<br />

un moderato. Inoltre ci sono anche<br />

tanti gruppi pacifisti».<br />

Però sono tutti politicamente schierati<br />

a sinistra. Invece l’occupazione non<br />

è una questione politica, è una questione<br />

umana.<br />

«Sono d’accordo, ma allo stato attuale<br />

gli israeliani non trovano un rappresentante<br />

politico che possa portarli verso<br />

una pace possibile… Se gli israeliani<br />

identificassero un interlocutore credibile,<br />

intelligente, che capisse la loro<br />

storia, le cinque guerre, la paura del<br />

terrorismo, che proponesse loro una<br />

forma di pace vera, sicuramente la<br />

maggioranza lo seguirebbe. Purtroppo<br />

in questo momento la società israeliana<br />

è narcotizzata dal totem della sicurezza<br />

e anche dal fatto che la classe politica<br />

israeliana è un po’ più mediocre di<br />

quella italiana. Ma in Israele Haaretz<br />

continua ad essere pubblicato, ci sono<br />

gruppi pacifisti ed anche gruppi di<br />

refusenik, che non hanno una collocazione<br />

politica. E poi c’è Avraham Burg<br />

che ha scritto il libro “Sconfiggere<br />

Hitler. Per un nuovo universalismo e<br />

umanesimo ebraico”: è stato presidente<br />

della Knesset (il parlamento israeliano,<br />

ndr), fondatore del partito religioso<br />

nazionale, presidente dell’Agenzia<br />

ebraica e del Movimento sionista mondiale,<br />

ma nel suo libro critica pesantemente<br />

il nazionalismo. Però ha ragione,<br />

oggi tutto questo è minoritario in<br />

Israele. Bisogna tenere conto che il<br />

Paese è nato da poco, è<br />

cresciuto nelle guerre, ha<br />

una recente memoria<br />

dolorosa e drammatica,<br />

ha molta paura e ancora<br />

qualcuno – come<br />

Ahmadinejad - dice che<br />

non ha legittimità all’esistenza.<br />

E poi ci sono<br />

quelli che da Gaza lanciano<br />

i missili a caso sulla<br />

popolazione: un atto da<br />

condannare. Israele non<br />

è l’Italia. Con Netanyau<br />

non ci sarà la pace. Ma se<br />

verrà fuori un politico<br />

credibile, la pace si farà».<br />

C’è da aspettarsi una<br />

primavera israeliana,<br />

visto il vento nuovo che<br />

sta soffiando in Medio<br />

Oriente?<br />

«Le cose cominciano<br />

senza che ce ne accorgiamo.<br />

L’avremmo mai detto che sarebbe<br />

scoppiata questa gentile rivoluzione<br />

araba? No. L’avremmo detto che sarebbe<br />

caduto il muro di Berlino? No.<br />

Dipenderà da come si sviluppa la primavera<br />

nel mondo arabo: se si avvieranno<br />

processi davvero democratici,<br />

allora Israele sarà messo in condizione<br />

di reagire. Ma già il fatto che siano<br />

caduti dittatori come Mubarak, che<br />

facevano comodo all’Occidente e ad<br />

Israele, è positivo».<br />

Alcuni sostengono che il governo<br />

israeliano non voglia un accordo con i<br />

palestinesi perché in condizioni di<br />

pace si perderebbe quella coesione<br />

sociale che oggi tiene unito il Paese<br />

contro il nemico…<br />

«C’è della verità in questo, una verità<br />

inconscia. Se scoppia la pace, tempo 25<br />

anni, la metà degli ebrei lascerà Israele,<br />

perché la dimensione della diaspora è<br />

insita nel popolo ebraico. L’ebreo ha<br />

due dimensioni dentro di sé: la terra e<br />

la diaspora. C’è una frase bellissima di<br />

Intervista a Moni Ovadia<br />

Moni Ovadia, attore, scrittore,<br />

cantastorie yiddish, poeta,<br />

musicista, cantante, nato in<br />

Bulgaria, italiano di nazionalità<br />

ed ebreo di origine.<br />

Foto di Pino Settanni<br />

Franz Rosenzweig, il più grande filosofo<br />

ebreo-tedesco del Novecento, che<br />

dice: “Per il popolo eterno la patria non<br />

diviene mai sua in tal senso; a lui non è<br />

concesso incanaglirsi a casa propria,<br />

ma mantiene sempre l’indipendenza di<br />

un viaggiatore [...] La terra è sua, nel<br />

senso più profondo, proprio soltanto<br />

come terra della sua nostalgia, come<br />

terra santa. E per questo, diversamente<br />

da quanto accade agli altri <strong>popoli</strong>, la<br />

piena proprietà della sua terra gli viene<br />

contestata, egli stesso è soltanto uno<br />

straniero ed un meteco sulla sua<br />

terra”».<br />

«Però – riprende dopo una brevissima<br />

pausa - palestinesi ed ebrei si somigliano<br />

così tanto che il loro incontro<br />

dovrebbe essere la cosa più logica e<br />

normale. Purtroppo interessi di potere,<br />

paure e fragilità degli uomini combinano<br />

disastri. Il rabbino marocchino<br />

Jonas Ashkenazi diceva che un buon<br />

musulmano e un buon ebreo si assomigliano<br />

come due gocce d’acqua. Ne<br />

sono fermamente convinto anch’io».<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

15


16<br />

FOCUS Nell’Ucraina che cambia<br />

Ha appena 40 anni, è<br />

nato a Leopoli, nel Nordovest<br />

dell’Ucraina.<br />

Ordinato sacerdote nel<br />

1994, è stato eletto a<br />

capo della Chiesa<br />

cattolica di rito<br />

bizantino il 24 marzo<br />

scorso. Monsignor<br />

Svyatoslav Schevchuk,<br />

arcivescovo di Kiev,<br />

parla in quest’intervista<br />

della rinascita della<br />

Chiesa greco-cattolica.<br />

Ascesa<br />

di una<br />

giovane<br />

Chiesa<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

di ILARIA DE BONIS<br />

i.debonis@missioitalia.it<br />

Le vocazioni religiose ‘esplodono’<br />

oggi in Ucraina come mai negli<br />

ultimi 50 anni. Un nuovo spirito<br />

di libertà e di condivisione soffia sulle<br />

giovanissime comunità cattoliche della<br />

Chiesa di rito bizantino, per anni al bando<br />

nell’ex repubblica sovietica e legalizzate<br />

nuovamente solo a partire dal 1989.<br />

«Le nostre più consistenti ordinazioni<br />

sacerdotali sono arrivate nel periodo<br />

immediatamente successivo al crollo


dell’impero sovietico: questa Chiesa<br />

martire è riuscita a sopravvivere in un<br />

clima di violenza e di repressione inaudita,<br />

alimentando il desiderio di vivere.<br />

Sappiamo che quando qualcosa viene<br />

proibita o è vietata dalla legge, attrae<br />

ancora di più, soprattutto se si tratta<br />

della religione».<br />

A parlare è monsignor Svyatoslav Schevchuk,<br />

nuovo arcivescovo di Kiev, appena<br />

nominato capo dei cattolici d’Oriente di<br />

rito bizantino, dopo le dimissioni del suo<br />

predecessore, il cardinal Lubomyr Husar<br />

che ha 77 anni.<br />

Monsignor Schevchuk, nato nel 1970 a<br />

Striy nella regione di Leopoli, dove fino<br />

al 2005 ha avuto sede la Chiesa dello scisma<br />

d’Oriente, è stato ordinato sacerdote<br />

solo nel 1994. E meno di 17 anni dopo<br />

già siede ai vertici di quella struttura che<br />

oggi conta migliaia di fedeli, ma che ha<br />

sofferto per decenni le persecuzioni del<br />

regime sovietico.<br />

Svyatoslav Schevchuk ci accoglie negli<br />

uffici del collegio greco-cattolico di<br />

Roma dov’è in visita ufficiale. Parliamo<br />

anche dei rapporti con l’altra grande<br />

Chiesa d’Oriente, quella ortodossa del<br />

Patriarcato di Mosca.<br />

«L’età media dei nostri sacerdoti non<br />

arriva a 35 anni – spiega monsignor<br />

Svyatoslav con un’incredibile semplicità<br />

nei modi e gli occhi che sorridono sempre<br />

- ma la loro giovinezza non è solo<br />

anagrafica, è quella tipica di una fede<br />

che è stata repressa troppo a lungo».<br />

Per anni la preghiera, gli insegnamenti<br />

evangelici e il catechismo sono stati nel<br />

mirino di uno Stato che perseguitava la<br />

fede: «Erano allora le nonne, le mamme,<br />

le famiglie a tramandare la religione cattolica<br />

ai figli».<br />

Questo entusiasmo contagioso del giovane<br />

Patriarca si percepisce ancora di più<br />

quando descrive una comunità oggi<br />

all’apice di un nuovo fervore: «È una<br />

Chiesa giovane anche perché sta vivendo<br />

una seconda vita: si riaprono i conventi,<br />

si costruiscono le chiese, viviamo<br />

nel pieno di una rinascita».<br />

Non a caso il Primate cattolico ha indi-<br />

rizzato la sua prima lettera pastorale ai<br />

giovani, spiegando: «La Chiesa ha bisogno<br />

della vostra spontaneità e della<br />

vostra apertura intuitiva alla realtà di<br />

Dio, presente tra noi. Siete voi le voci<br />

con cui la Chiesa accoglie il suo Re».<br />

Schevchuk non parla però volentieri dell’attuale<br />

situazione politica ucraina,<br />

dove ancora i rapporti tra Stato e Chiesa<br />

rimangono piuttosto travagliati. Di rado<br />

nomina il presidente ucraino Victor<br />

Yanukovich, che pure da quando è salito<br />

al potere è fonte di forti preoccupazioni<br />

per i cattolici d’Oriente di rito bizantino<br />

perché ha sempre favorito la Chiesa<br />

ortodossa russa, di cui fa parte. Lo cita<br />

però per notare che: «Finalmente si è<br />

avviato un dialogo costruttivo anche<br />

con il nostro presidente, che ha incontrato<br />

il ‘Consiglio delle Chiese di tutta<br />

l’Ucraina’ il 21 aprile scorso». Tuttavia<br />

subito puntualizza: «Noi mai siamo stati<br />

Chiesa dello Stato, semmai Chiesa nello<br />

Stato».<br />

Il Patriarca dimostra una saggezza che<br />

va ben oltre i suoi 40 anni: è nato nel<br />

periodo della dittatura comunista ma<br />

aveva appena 19 anni quando è crollata.<br />

Si è formato in un clima di rinascita culturale<br />

e sociale, nonostante le criticità<br />

del nazionalismo. Oggi non a caso pone<br />

di continuo l’accento sull’importanza del<br />

dialogo e dell’ecumenismo tra le comunità<br />

cristiane d’Oriente. È pacato nei<br />

toni, ma allo stesso tempo trasmette<br />

grande energia.<br />

«Sfortunatamente la metropolia di Kiev<br />

è oggi divisa – racconta – e i suoi figli<br />

che appartengono alle quattro Chiese<br />

tradizionali di Ucraina portano ancora<br />

nel cuore il residuo di eventi storici dolorosi<br />

e delle ingiustizie sofferte».<br />

L’Ucraina è in effetti complessa dal punto<br />

di vista confessionale: oltre agli ortodossi<br />

fedeli a Mosca, troviamo gli<br />

ortodossi ucraini indipendenti e quelli<br />

A sinistra: Monsignor Svyatoslav<br />

Schevchuk, nuovo arcivescovo di Kiev.<br />

A fianco: Il cardinale<br />

Lubomyr Husar.<br />

legati al patriarcato ecumenico di<br />

Costantinopoli; i cattolici latini di etnia<br />

polacca e, infine, i cattolici bizantini<br />

vicini al Papa. La metropolia greco-cattolica<br />

di rito bizantino si mantiene in<br />

stretta comunione con la Chiesa di<br />

Roma ma è considerata in quest’ambito<br />

sui iuris: riconosce cioè l’autorità del<br />

Papa, i dogmi e il catechismo cattolico<br />

ma segue un rito differente.<br />

«Ho imparato da Giovanni Paolo II – ha<br />

detto Schevchuk subito dopo la sua<br />

investitura – la visione ecumenica che<br />

passa attraverso i rapporti personali,<br />

capaci di far cadere muri, pregiudizi e<br />

divisioni».<br />

E pur non entrando nel merito della<br />

situazione geo-politica del suo Paese<br />

ripete spesso: «Noi non smetteremo mai<br />

di difendere gli indifesi e la dignità della<br />

persona umana perchè non abbiamo<br />

paura. Mai abbiamo avuto paura».<br />

Nonostante i problemi interni alla nazione<br />

Ucraina, (il deficit di democrazia è<br />

stato avvertito a più riprese e a tutti i<br />

livelli dalla società, dopo il fallimento<br />

della Rivoluzione Arancione) l’arcivescovo<br />

afferma: «Noi cattolici non siamo mai<br />

stati così liberi come in questi ultimi 20<br />

anni».<br />

Ma pur sempre una libertà a rischio perchè<br />

parziale e governata da un discutibile<br />

Stato di diritto.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

17


18<br />

FOCUS<br />

Kiev<br />

divisa tra<br />

Bruxelles<br />

e Mosca<br />

L’istituto americano Freedom House ha<br />

declassato l’Ucraina da Paese democratico a<br />

‘parzialmente democratico’. Lo Stato<br />

multietnico lascia ancora molto a desiderare<br />

quanto a libertà politiche e diritti<br />

fondamentali. Ma forse l’esigenza di<br />

avvicinarsi all’Unione Europea e stipulare<br />

accordi commerciali con i 27 Paesi<br />

membri, potrebbe condurre<br />

ad interessanti aperture.<br />

di ILARIA DE BONIS<br />

i.debonis@missioitalia.it<br />

Kiev si mantiene ancora fedele a<br />

Mosca, gravitando come sempre<br />

nell’area russa, ma comincia a<br />

guardare con crescente interesse a Bruxelles.<br />

È infatti con l’Unione Europea<br />

che l’attuale governo ucraino potrebbe<br />

ben presto stipulare accordi vantaggiosi<br />

in ambito economico e commerciale,<br />

in cambio di maggiori garanzie democratiche.<br />

L’‘europeizzazione’ di Kiev non<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

è però un passaggio immediato.<br />

Mentre negozia con i funzionari europei<br />

i termini di un trattato per la creazione<br />

di un’area di libero scambio con i 27<br />

Stati membri (Deep and Comprehensive<br />

Free Trade Agreement), il presidente<br />

ucraino Victor Yanukovich guarda<br />

ancora ad Est e rinnova con il premier di<br />

Mosca gli accordi di Kharkiv sulle concessioni<br />

di scorte di gas dalla Russia<br />

all’Ucraina, stipulati ad aprile del 2010.<br />

L’ex premier Julia Timoshenko, molto<br />

amata dal popolo, affronta invece un<br />

processo per via di altri accordi sul gas<br />

giudicati svantaggiosi per Kiev.<br />

Sono in corso insomma triangolazioni<br />

diplomatiche complesse, da seguire con<br />

pazienza nell’ex repubblica sovietica.<br />

Nel frattempo si tenta di sciogliere la<br />

tensione interna relativa al rapporto tra<br />

lo Stato e le Chiese (l’Ucraina è uno Stato<br />

multi-confessionale a maggioranza<br />

ortodossa, dove però le confessioni religiose<br />

non hanno tutte pari dignità).<br />

Qualcosa infatti si sta muovendo.<br />

Yanukovich - finora piuttosto sbilancia-


to a favore della Chiesa<br />

ortodossa del Patriarcato di<br />

Mosca - ha incontrato il 21<br />

aprile scorso i rappresentanti<br />

di tutte le Chiese ucraine<br />

(All-Ukrainian Council of<br />

Churches and Religious<br />

Organizations, cui aderiscono<br />

anche musulmani, luterani,<br />

ortodossi e cattolici). Su<br />

richiesta del Consiglio d’Europa<br />

ha discusso dell’opportunità<br />

di modificare in senso<br />

estensivo la legge sulla libertà<br />

di coscienza e di religione,<br />

ad<strong>ott</strong>ata dal parlamento nell’aprile<br />

del 1991 agli albori dell’indipendenza<br />

da Mosca. Ma le<br />

sue parole non sono bastate a rassicurare<br />

i capi religiosi che preferirebbero<br />

non mutare la legge.<br />

«Esistono minacce alla libertà di fede<br />

nel senso di veder favorita una denominazione<br />

piuttosto che un’altra o di<br />

veder aumentata l’influenza governativa,<br />

inclusa quella fiscale, della sfera<br />

religiosa del Paese» scrive l’Istituto per<br />

la Libertà religiosa di Kiev.<br />

DEFICIT DI DEMOCRAZIA E RISCHI<br />

DI UN NUOVO 1989<br />

Ma quello confessionale non è l’unico<br />

tasto sensibile per la società civile<br />

ucraina: vari istituti di ricerca trovano<br />

che il livello di democraticità dell’ex<br />

repubblica sovietica lasci ancora molto<br />

a desiderare.<br />

Anzi peggiora, secondo gli analisti della<br />

Ong americana Freedom House.<br />

Così l’Ucraina è stata declassata già<br />

qualche tempo fa da democratica a<br />

‘parzialmente democratica’: il deficit<br />

di libertà è elevato e il tasso di democraticità<br />

è sceso nel 2011 a 4,61 punti,<br />

su una scala di valori che va da uno a<br />

<strong>sett</strong>e (dove <strong>sett</strong>e è il punteggio più<br />

basso).<br />

Freedom House ha azzardato anche un<br />

parallelismo tra i corr<strong>ott</strong>i regimi arabi<br />

in disfacimento e gli attuali governi<br />

post-sovietici ancora fedeli a Mosca.<br />

Lasciando intravedere la possibilità di<br />

un nuovo 1989.<br />

Si sente il bisogno di «significative<br />

riforme», tanto più che «i regimi stanno<br />

andando nella direzione sbagliata e<br />

corrono il rischio di condividere il<br />

destino delle loro controparti in Egitto,<br />

Tunisia e Siria», si legge in un<br />

report del 2011.<br />

Il quadro politico anche in Ucraina in<br />

effetti riassume l’iter di una presidenza<br />

travagliata con l’affermarsi di una<br />

compagine politica discutibile, supportata<br />

da uno scarsissimo consenso<br />

popolare. Da quando ha raggiunto<br />

Nell’Ucraina che cambia<br />

l’indipendenza dall’Unione Sovietica<br />

nel 1991, l’Ucraina ha tenuto cinque<br />

elezioni presidenziali (l’ultima nel<br />

2010) e cinque parlamentari (l’ultima<br />

nel 2007). L’ultima nel febbraio del<br />

2010 si è conclusa con la vittoria dell’ex<br />

primo ministro Viktor Yanukovich,<br />

la cui precedente vittoria nel 2004 era<br />

naufragata a causa delle accuse di frode<br />

e per l’avvio delle proteste popolari,<br />

sfociate poi nella nota Rivoluzione<br />

Arancione. In quell’occasione la Corte<br />

Suprema era stata costretta ad invalidare<br />

i risultati. E la Timoshenko era<br />

diventata premier.<br />

Poi nel corso del suo nuovo incarico<br />

Yanukovich ha ribaltato molte delle<br />

riforme costituzionali approvate nel<br />

2004, riportando indietro il Paese di<br />

qualche anno.<br />

AREA DI LIBERO SCAMBIO<br />

E APERTURE AD OVEST<br />

Queste evidenti falle nel sistema<br />

democratico potrebbero essere forse<br />

ridimensionate se l’Ucraina deci- »<br />

A sinistra<br />

L’attuale presidente ucraino Victor<br />

Yanukovich.<br />

Sopra:<br />

I sostenitori dell’ex premier Julia<br />

Timoshenko manifestano in piazza.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

19


20<br />

FOCUS<br />

desse di seguire un percorso più<br />

trasparente. Come accennato,<br />

importanti sviluppi prendono piede<br />

nelle relazioni di vicinato Ue-<br />

Europa orientale. La trattativa<br />

diplomatica per la creazione di<br />

un’area commerciale di libero<br />

scambio a fiscalità di vantaggio<br />

(o defiscalizzata) prevede ad<br />

esempio anche una convergenza<br />

con l’Europa su questioni<br />

che vanno dall’ambiente alle<br />

politiche energetiche; dai<br />

diritti di proprietà intellettuale<br />

a quelli commerciali. Ed<br />

include riferimenti alla democrazia e<br />

alla good governance. Il governo di<br />

Yanukovich negozia seriamente, perché<br />

comprende bene che all’Ucraina<br />

non sarà consentito di aderirvi se non<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE_OTTOBRE 2011<br />

S<strong>ott</strong>o:<br />

Piazza dell’Indipendenza (Maidan<br />

Nezalezhnosti) a Kiev, Ucraina.<br />

dimostrando di possedere valide credenziali.<br />

Il presidente è molto interessato<br />

ai rapporti di buon vicinato con<br />

l’Unione Europea, tanto che il suo<br />

primo viaggio all’estero da presidente<br />

lo ha fatto a Bruxelles e non a Mosca.<br />

Qualcuno fa sapere che Yanukovich<br />

vorrebbe esser ricordato «come l’uomo<br />

che ha cond<strong>ott</strong>o l’Ucraina in<br />

Europa».<br />

Ma la domanda da porsi in futuro è:<br />

come reagirà la Russia se Kiev nei<br />

prossimi mesi dovesse decisamente<br />

rivolgersi più ad Occidente che a<br />

Oriente?<br />

A partire dalla religione (il metropolita<br />

Kirill, capo della Chiesa russo-ortodossa<br />

di Mosca è il più assiduo frequentatore<br />

delle alte sfere ucraine);<br />

per finire con le questioni prettamente<br />

commerciali, una relazione più salda<br />

tra Unione Europea e Ucraina<br />

romperebbe equilibri geo-politici<br />

consolidati tra Russia e Ucraina. E ne<br />

creerebbe di nuovi. Certamente a tutto<br />

vantaggio di una società civile<br />

stanca di soprusi, desiderosa di maggior<br />

libertà e di rispetto. A discapito<br />

però di accordi commerciali, ritorni<br />

economici e concessioni (come quella<br />

sul gas) che finora Mosca ha ‘elargito’<br />

a Kiev in cambio di una fedeltà<br />

incondizionata.


SCATTI DAL MONDO EMERGENZA UMANITARIA<br />

DEL CORNO D’AFRICA<br />

Bambini attendono la loro razione di<br />

cibo in una scuola di Lolkuta in Kenya.<br />

La carestia che ha colpito il Corno d’Africa è un fenomeno<br />

aberrante e ingiustificabile. Sono oltre 14 milioni le persone<br />

che rischiano di soccombere per inedia e pandemie. Eppure,<br />

per chi conosce quelle terre come i nostri missionari, non si<br />

tratta di una vera e propria “emergenza” dettata dalla contingenza,<br />

ma di una “costante” del degrado umano. Infatti, per<br />

quanto possano esservi variazioni meteorologiche stagionali, vi<br />

sono anche altri fattori di tipo geopolitico che non vanno s<strong>ott</strong>aciuti,<br />

quali ad esempio l’assenza di uno stato di diritto in<br />

Somalia, determinato da un’accesa conflittualità, per non parlare<br />

della mancanza di sicurezza per la gente. Inoltre, la scarsità<br />

o addirittura l’assenza dei cosiddetti servizi primari in molti<br />

Paesi della regione – sia nell’ambito della sanità, come delle<br />

comunicazioni e della gestione delle acque – acuisce la soffe-<br />

A cura di EMANUELA PICCHIERINI e GIULIO ALBANESE<br />

renza delle popolazioni autoctone. Sta di fatto che l’allarme lanciato<br />

dalle organizzazioni umanitarie non può essere inteso<br />

all’insegna dell’attimo fuggente, quasi fosse un modo per appagare<br />

le coscienze. Non possiamo continuare a passare da<br />

un’emergenza all’altra dimenticando che la vera sfida nelle relazioni<br />

“Nord – Sud” è il rilancio di una cooperazione che tenga<br />

conto non solo degli effetti, ma anche delle cause del s<strong>ott</strong>osviluppo.<br />

Il punto di partenza per ogni serio ragionamento dovrebbe<br />

essere l’affermazione sacrosanta dei diritti inviolabili della<br />

persona umana, andando al di là del tradizionale “intervento<br />

tampone”. Sarebbe pertanto più pertinente parlare di globalizzazione<br />

dei diritti: dalla prassi della salute, all’istruzione; dai<br />

beni materiali, alla partecipazione politica e alla coesione sociale.<br />

La posta in gioco è alta se si considera che la visione »<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

21


22<br />

SCATTI DAL MONDO<br />

Rifugiati somali nel campo profughi di Kobe in Etiopia.<br />

A causa della siccità che ha colpito la regione migliaia di<br />

somali sono fuggiti nella vicina Etiopia. Molti di loro stremati<br />

dalla carestia sono morti lungo la strada.<br />

attuale della cooperazione è contrassegnata molto spesso dall’efficientismo<br />

occidentale secondo cui tutto deve uniformarsi<br />

allo schema concepito a tavolino dagli esperti del <strong>sett</strong>ore. Un<br />

indirizzo che ha generato, proprio per colpa di questo centralismo<br />

decisionale, un fenomeno aberrante, quello dello sradicamento<br />

degli interventi umanitari dal territorio, con la complicità<br />

dei donatori internazionali. È importante invece spingersi oltre<br />

l’approccio paternalistico, tipico di certa propaganda assistenziale<br />

che acuisce a dismisura la dipendenza dei Paesi del Sud<br />

del mondo. Non basta neanche concepire gli interventi trasferendo<br />

da un continente all’altro l´enciclopedia dei saperi e delle<br />

conoscenze, ma occorre avere il coraggio di promuovere la<br />

crescita integrale della persona e delle comunità riconoscendone<br />

i diritti inalienabili. Non dimentichiamo che la povertà è un<br />

processo di esclusione determinato dalle ineguaglianze di un<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011


EMERGENZA UMANITARIA DEL CORNO D’AFRICA<br />

sistema strutturale incentrato sui privilegi di pochi, negando il<br />

primato dell’uomo creato a immagine somiglianza di Dio. Ben<br />

vengano i summit contro la fame, ma a condizione che non si<br />

riducano alla solita colletta nei confronti di chi invece invoca<br />

giustizia. Finché a dettare le regole del gioco non sarà la politica,<br />

soggetti come il Capital World Investors, indicato nel 2009<br />

come il più potente controllore di titoli azionari sulle borse globali,<br />

faranno il bello e il cattivo tempo. Stiamo parlando di chi<br />

detiene anche la quota maggiore, oltre il 12% della azioni, delle<br />

due principali agenzie di rating, Moody’s e Standard & Poor’s<br />

che tanto stanno facendo per minare la credibilità degli Stati<br />

europei, acuendo peraltro la divaricazione tra ricchi e poveri a<br />

tutte le latitudini. Non basta perciò sfamare le bocche nel Sud<br />

del mondo, occorre anche riformare, in funzione anti speculativa,<br />

un’economia globalizzata protesa alla massimizzazione dei<br />

profitti a vantaggio di uno sparuto manipolo di nababbi.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

23


24<br />

MARE NOSTRUM<br />

DENTRO E FUORI<br />

La legge<br />

della fuga<br />

di MARCO BENEDETTELLI<br />

<strong>popoli</strong>e<strong>missione</strong>@operemissionarie.it<br />

Secondo la Lega siriana per i diritti<br />

dell’uomo, dall’inizio delle proteste<br />

contro il presidente Bashar<br />

al-Assad, le vittime fra i civili sono state<br />

più di 2.200. Dinnanzi al montare<br />

della repressione, per molti l’unica alternativa<br />

è stata la fuga. Non solo in Turchia.<br />

Anche in Libano, dove negli ultimi<br />

mesi hanno trovato la salvezza più di<br />

duemila famiglie. L’esodo è iniziato<br />

quando le truppe di Bashar al-Assad,<br />

guidate dal fratello minore Maher, 43<br />

anni, detto ‘il duro’, hanno avviato ‘delle<br />

azioni di bonifica’ contro i focolai di<br />

ribellione scoppiati nella cittadina di Jifs<br />

al Shugur, vicina al confine della Turchia.<br />

Operazioni che, dalla città, hanno<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

Sopra:<br />

Turchia. Il campo<br />

profughi di Yayladagi,<br />

uno dei cinque allestiti<br />

dalla Mezza Luna Rossa<br />

turca per accogliere i<br />

siriani in fuga.<br />

A fianco:<br />

La tendopoli di Reyhanli.<br />

allargato il loro raggio d’azione in tutta<br />

la campagna intorno dove decine di<br />

migliaia di contadini hanno abbandonato<br />

le loro case. In circa 10mila sono<br />

stati accolti nei cinque campi profughi<br />

allestiti con celerità dalla Mezza Luna<br />

Rossa, (la Croce Rossa dei Paesi islamici).<br />

Sono tensostrutture oppure dormitori<br />

ricavati da fabbriche dismesse.<br />

Due campi sono stati aperti a Yayladagi<br />

Al confine tra Siria e Turchia<br />

e un altro a Reyhanli, proprio a un passo<br />

dal confine. Altre due tendopoli si<br />

trovano più all’interno della regione, nei<br />

paesi di Altinouzu e Boynuyogun.<br />

La visita ai campi è preclusa ai giornalisti.<br />

L’esercito turco ha appeso teli di<br />

nylon su tutte le grate divisorie che<br />

delimitano l’area delle tendopoli per<br />

impedire qualsiasi contatto tra i rifugiati<br />

e gli esterni. Un giovane agricoltore


Hanno abbandonato i villaggi, i campi, gli animali<br />

nelle stalle. Dalla Siria del Nord continuano a fuggire<br />

famiglie di profughi che scavalcano la cortina che li<br />

divide dalla Turchia. Dalla regione di Idlib si sono<br />

rifugiati in quella di Hatay, il lembo più meridionale<br />

della Turchia. Migliaia di persone sono ammassate<br />

in accampamenti di emergenza a ridosso della<br />

frontiera, pronte ad abbandonare il loro Paese. In un<br />

clima di terrore che ha gettato l’area in una grave<br />

emergenza umanitaria.<br />

dagli occhi azzurri spiega, attraverso le<br />

sbarre di ferro di Yayladagi, di essere<br />

sfollato proprio da Jifs al Shugur con<br />

tutta la sua famiglia. Alcuni bambini si<br />

assiepano dietro di lui, e scandiscono<br />

cori contro il loro attuale presidente:<br />

«Assad, vattene, vattene!».<br />

Dentro, all’ombra di qualche muricciolo,<br />

le donne siedono in circolo, avvolte da<br />

stoffe colorate. Lo sguardo è teso per la<br />

preoccupazione, nella fuga hanno<br />

abbandonato la casa e tutte le loro cose.<br />

I bambini giocano fra le macerie dell’ex<br />

tabacchificio, altri piccoli si divertono<br />

sugli scivoli e le altalene del parco giochi.<br />

Neonati e ragazzini sono ovunque.<br />

Per due terzi, gli abitanti dei campi sono<br />

proprio donne e bimbi. Sui cancelli dei<br />

campi si accalcano in continuazione<br />

gruppi di turchi che vengono a portare il<br />

loro saluto ai parenti siriani rifugiati nei<br />

campi. Attendono con le buste cariche<br />

di b<strong>ott</strong>iglie di bibite, pane e scatole di<br />

cibo offerte in dono ai propri familiari<br />

divenuti, da un giorno all’altro, profughi.<br />

I legami di sangue sono infiniti fra le<br />

famiglie che vivono sui due lati del confine.<br />

Entrambe le popolazioni sono sunnite<br />

e ancora 70 anni fa Hatay era una<br />

regione siriana. La gente veste allo stesso<br />

modo, riesce a parlare la stessa lingua,<br />

condivide lo stesso identico orizzonte.<br />

I profughi non possono uscire dai campi.<br />

Secondo la legge non sono ancora<br />

rifugiati politici e sono sprovvisti di<br />

documenti per girare liberamente in<br />

Turchia. Nei registri compilati dalle<br />

autorità turche viene annotato solo il<br />

nome proprio, e il cognome con le iniziali<br />

puntate.<br />

Tutto ciò per tranquillizzarli e rendere<br />

più deboli le possibili tracce dell’espatrio.<br />

«Molti temono che, una volta tornati,<br />

potrebbero essere presi di mira dalla<br />

polizia segreta e puniti per aver<br />

abbandonato il Paese. È per questo che<br />

cerchiamo di rendere il più anonimo<br />

possibile il loro passaggio in Turchia»,<br />

spiega Emre Manav, coordinatore del<br />

foreign office turco. Ed è per questo che<br />

molti dei rifugiati non vogliono farsi<br />

fotografare in volto. Hanno paura di<br />

essere riconosciuti in patria. Negli ospedali<br />

del campo di Yayladagi da giorni<br />

sono ricoverati giovani feriti negli scontri<br />

da arma da fuoco con l’esercito. In<br />

alcune interviste girate da un attivista<br />

siriano all’interno del campo di Yayladagi<br />

e pubblicate in internet, si ascoltano<br />

dei feriti distesi sulle brandine raccontare<br />

delle violenze di Assad. Alcuni ex soldati<br />

spiegano di essere divenuti disertori<br />

dopo aver ricevuto l’ordine di sparare<br />

sulla gente. Altri uomini mostrano le<br />

loro ferite e raccontano di essere stati<br />

selvaggiamente picchiati durante le<br />

manifestazioni nelle loro città. Nessuno<br />

ha ancora fatto richiesta di asilo politico.<br />

Tutti sperano di tornare presto in<br />

Siria, per poter badare ai campi e alle<br />

proprie cose. E in molti hanno già deciso<br />

di farlo, bisogna solo inoltrare una<br />

richiesta formale. Nel giro di un mese,<br />

giorno dopo giorno, intere famiglie<br />

sono tornate a casa. Alla fine dello scorso<br />

mese di giugno i profughi nei campi<br />

erano 11mila, un mese dopo, a luglio, il<br />

loro numero è sceso a 8.500. Il 21 giugno<br />

Bashar al-Assad ha concesso una<br />

sorta di amnistia per chi si è pubblicamente<br />

opposto al regime e poi, attraverso<br />

la propaganda messa in circolo<br />

dalle tv di Stato, ha promesso un paternalistico<br />

perdono a chi ha abbandonato<br />

il Paese.<br />

Ma la situazione resta del tutto fluida,<br />

anche perché non ci sono solo i profughi<br />

accolti nei campi turchi. Migliaia<br />

di uomini e donne che vivono a »<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

25


26<br />

MARE NOSTRUM<br />

DENTRO E FUORI<br />

ridosso del confine in campi di emergenza,<br />

nascosti nella boscaglia, pronti a<br />

scappare oltre il filo spinato che divide<br />

i due Paesi. Secondo le stime della Mezza<br />

Luna Rossa, sono circa 10mila i contadini<br />

sfollati fra le colline. Sono divisi<br />

in piccoli gruppi, di 50, 60, 200 persone.<br />

I primi insediamenti si sono formati<br />

ad aprile scorso. Mille di loro vivono<br />

direttamente a ridosso dei <strong>sett</strong>e chilometri<br />

di frontiera che si snodano tra il<br />

paese di Güveççi e la base militare di<br />

Topraktutan, più a Sud, pronti a saltare<br />

il filo spinato. Ogni giorno, all’ora di<br />

pranzo, gli operatori della Mezza Luna<br />

Rossa passano, attraverso <strong>sett</strong>e punti di<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

smistamento, a fornire acqua potabile e<br />

cibi già preparati ai siriani che, dall’altra<br />

parte, attendono l’evolversi degli<br />

eventi. «Il numero degli sfollati cambia<br />

di volta in volta. In molti tornano in<br />

dietro, nei loro paesi abbandonati, per<br />

nutrire il bestiame. Altri, esasperati, da<br />

un’ora all’altra decidono di entrare in<br />

Turchia», racconta Fabio Torretta, 29<br />

anni, emergency manager del team<br />

internazionale della Croce Rossa, arrivato<br />

per monitorare la situazione.<br />

I siriani che scavalcano il confine si<br />

ritrovano sulla strada ghiaiata che lambisce<br />

il filo spinato, e lì sono subito raccolti<br />

dai minibus turchi e poi accompa-<br />

A fianco:<br />

Bambini giocano tra le<br />

fabbriche dismesse che<br />

ospitano il campo<br />

profughi di Yayladagi.<br />

S<strong>ott</strong>o:<br />

Profughi siriani ospitati a<br />

Reyhanli, il campo<br />

profughi al confine tra la<br />

Siria e la Turchia.<br />

Al confine tra Siria e Turchia<br />

gnati nei campi profughi. «In molti<br />

degli accampamenti qualcuno ha issato<br />

una bandiera turca, in segno di gratitudine<br />

verso il governo di Erdogan che sta<br />

prestando loro assistenza. Ma i più tesi<br />

sono proprio i militari turchi. Ormai la<br />

situazione è da guerra di nervi», spiega<br />

ancora Fabio.<br />

Dopo l’assalto al villaggio siriano di<br />

Khirbet al Joz, a ridosso del confine, gli<br />

autocarri siriani si sono spinti a un passo<br />

dalla Turchia e hanno messo in fuga<br />

più di 1.000 profughi che si erano<br />

accampati sulla linea di frontiera. Dinnanzi<br />

all’avanzata delle truppe di<br />

Damasco, anche Ankara ha mobilitato il<br />

proprio esercito. Plotoni di militari sono<br />

scesi in strada a piantonare gli incroci e<br />

a scrutare l’orizzonte e le mosse del<br />

vicino. Davanti al paesino <strong>ott</strong>omano di<br />

Güveççi è visibile a occhio nudo un piccolo<br />

accampamento oltreconfine, dove<br />

la casa di un agricoltore è diventata un<br />

punto di ritrovo di siriani fuggiaschi.<br />

Parliamo con un giovane fuoriuscito,<br />

Nazir.<br />

«È stato come uno tsunami. Siamo<br />

scappati di corsa – racconta - ma la<br />

mia famiglia è rifugiata nel campo di<br />

Yayladagi. Mio fratello, di 23 anni, è<br />

scomparso un venerdì, dopo aver partecipato<br />

a una manifestazione anti<br />

Assad. Non ne ho più notizie da troppe<br />

<strong>sett</strong>imane».


ITALIA MISSIONARIA<br />

La carica dei<br />

diecimila<br />

Èun esercito di quasi 10mila inviati. Quelli che non si arrendono,<br />

resistono alla secolarizzazione che avanza e alla crisi<br />

vocazionale. Affrontano un’inversione di ruoli tra Chiese sorelle<br />

che fa saltare antichi schemi e rinomina le priorità. Sono laici,<br />

fidei donum, religiosi, suore, ma anche membri di congregazioni<br />

missionarie, vescovi e nunzi apostolici. Tutti italiani e tutti in <strong>missione</strong>.<br />

Nelle lontane terre d’Asia, America Latina, Africa, Oceania<br />

e nella vicina Europa.<br />

A cavallo di uno tsunami economico e culturale che sempre più<br />

ridisegna le categorie di ricchezza e povertà, i nostri missionari<br />

oggi attraversano un periodo difficile.<br />

Si interrogano sui limiti geografici e sulle nuove dimensioni teologiche<br />

dell’andare ad gentes. Scoprono frontiere prima inesplorate,<br />

vivono con meno protagonismi rispetto al passato, l’età<br />

media si è alzata a 63 anni. Ma confermano un impegno che<br />

richiede decisamente più coraggio, perché va oltre il tempo e la<br />

storia.<br />

D O S S I E R<br />

di Ilaria De Bonis<br />

i.debonis@missioitalia.it<br />

COME CAMBIA E CHE<br />

OBIETTIVI HA LA MISSIONE<br />

ITALIANA DEL XXI SECOLO?<br />

TRASFORMAZIONI EPOCALI,<br />

NUOVE PRIORITÀ, VECCHIE<br />

FRONTIERE: LA SFIDA<br />

DELL’EVANGELIZZAZIONE<br />

NEL MONDO GLOBALIZZATO.<br />

«Oggi i giovani ci ammirano, ci stimano ma non ci imitano –<br />

ammette Alberto Pelucchi, vicario generale dei padri Comboniani<br />

- La solitudine, l’incomprensione, il l<strong>ott</strong>are possono anche far<br />

paura. Il mondo è più frantumato, l’immagine da esploratori e da<br />

eroi non tiene più e accettare di ritornare nelle retrovie non è<br />

facile».<br />

Ma chi è il missionario del terzo millennio? E chi è stato in passato?<br />

Personaggio epico ed eroico, iconograficamente riconoscibile<br />

dalla lunga barba bianca, esploratore di mondi esotici, fino ai<br />

primi anni del ‘900 andava a battezzare, a convertire, a salvare<br />

anime.<br />

Curava gli ammalati, assisteva gli orfani, i poveri e di fatto affrontava<br />

pericoli con l’urgenza di ‘salvare’ chi il Dio cristiano non lo<br />

aveva mai neppure sentito nominare. Poche erano a quel tempo<br />

le sfumature, pochissimi i dubbi nell’annunciare verità ‘assolute’.<br />

«I nostri anziani, e lo dico con grande rispetto e stima, partivano<br />

per terre lontane con l’idea di andare per gli altri. Io parto »<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

27


28<br />

ITALIA MISSIONARIA<br />

NELLA FOTO: Padre Filippo Ivardi, comboniano, missionario in Ciad.<br />

invece per vivere con gli altri, perché <strong>missione</strong> è sempre reciprocità<br />

– dice Filippo Ivardi, 38 anni, appena ordinato tra i comboniani<br />

in Ciad - Per scoprire insieme il Dio che era già presente<br />

molto prima che arrivassimo noi... Oggi <strong>missione</strong> è incontro,<br />

senza voler convertire o avere l’ansia di battezzare. La mia spiritualità<br />

è il Vangelo, ma per altri è il Corano».<br />

Eppure, anziché attrarre vocazioni la <strong>missione</strong> continua a perder<br />

pezzi. Perché?<br />

NUMERI E CRISI VOCAZIONALE<br />

Inutile nasconderselo: il numero totale dei missionari italiani già<br />

da qualche tempo è in calo. Se nei primi anni ‘90, ancora sulle<br />

orme del Concilio Vaticano II, aveva raggiunto il record delle<br />

20mila presenze (un trend in ascesa che durava dal 1934), alla<br />

fine del 2008 il numero era sceso a poco più di 10mila. Stando<br />

ai dati degli archivi storici nel 1934 l’Italia aveva 4.013 missionari<br />

nei territori di <strong>missione</strong>, 7.713 nel 1943, 10.523 nel 1954,<br />

16.000 negli anni ’80, più di 20mila nel 1991.<br />

Cosa è accaduto dunque dopo?<br />

Alla decrescita non troppo felice hanno contribuito diversi fattori:<br />

certamente il fisiologico calo demografico in Italia; una cri-<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

si vocazionale dettata da un’incalzante secolarizzazione e dalla<br />

delusione dei più giovani verso le istituzioni. Ma anche una certa<br />

prudenza dei vescovi – ci fa notare più di un missionario –<br />

che tendono a rimandare le partenze temendo vocazioni giovanili<br />

non sempre solidissime.<br />

«È la paura che tutto si perda – confida don Alberto Brignoli,<br />

dell’Ufficio Nazionale per la Cooperazione Missionaria tra le<br />

Chiese della Cei e fidei donum in America Latina – Risponde ai<br />

criteri di una pastorale di conservazione», comprensibile in un<br />

mondo in trasformazione totale. E in crisi d’identità.<br />

«La ricchezza del Vangelo è anche quella di poter distribuire e<br />

condividere questa parola – sostiene don Alberto - È l’aprirsi al<br />

dialogo con l’altro. Queste cose le ha capite bene il Concilio nel<br />

1962 ma noi nel 2011 stiamo rallentando parecchio… Di conseguenza<br />

nasce la paura d’andare e ci si rinchiude nelle sagrestie».<br />

Inoltre, come scrive, il giornalista Raniero La Valle: «Il<br />

Concilio parla di un solo popolo di Dio. Non ci sono i pagani da<br />

una parte e i cristiani dall’altra». Perché non c’è mai stata un’interruzione<br />

del rapporto di Dio con l’uomo: ecco allora che la<br />

<strong>missione</strong> si trasforma in un incontro alla pari per condividere la<br />

scoperta del Vangelo.


Se e dove questa dimensione si offusca, i più giovani scelgono<br />

volentieri altre strade. Tanto più che chi vuole prevalentemente<br />

vivere con i ‘poveri’ e realizzare progetti di sviluppo in contesti<br />

diocesani, oggi, da laico, ha diverse alternative.<br />

I dati dicono che il numero dei missionari laici è in costante<br />

aumento (erano 788 in totale nel 2008), mentre si ass<strong>ott</strong>iglia di<br />

anno in anno quello dei religiosi e delle religiose in <strong>missione</strong>.<br />

«La visione immediata che se ne ha è quella di un vaso che si<br />

svuota da una parte e si riempie dell’altra », dice ancora don<br />

Alberto Brignoli.<br />

AD VITAM, RELIGIOSI,<br />

FIDEI DONUM E LAICI<br />

Secondo i numeri forniti dalla Cimi (Conferenza degli istituti<br />

missionari) alla fine del 2008 erano circa 2.100 i membri italiani<br />

degli 11 istituti maschili e femminili che ne fanno parte (Pontificio<br />

Istituto Missioni Estere, Società Missioni Africane, Comboniani,<br />

Padri Bianchi, Verbiti, Saveriani, Missionari della Consolata,<br />

Nostra Signora degli Apostoli, Francescane Missionarie<br />

di Maria, Mariste e Suore dell’Immacolata).<br />

Molto diversa è anche l’età dei laici in <strong>missione</strong> rispetto a quella<br />

dei religiosi: da una recente ricerca emerge che il 58,6% dei<br />

laici è s<strong>ott</strong>o i 40 anni e meno di uno su quattro ha superato la<br />

soglia dei 50 anni. Il 55,7% è composto da donne e il 60% è<br />

coniugato.<br />

Entrando nel dettaglio del nostro universo missionario, a parti-<br />

CIMI- CONFERENZA DEGLI<br />

ISTITUTI MISSIONARI ITALIANI<br />

La Conferenza degli Istituti missionari in Italia è<br />

composta dagli Istituti di origine italiana - Pime,<br />

Missionarie dell'Immacolata, Missionari e Missionarie<br />

Comboniane, Missionari e Missionarie della Consolata,<br />

Missionari Saveriani, Missionarie di Maria (Saveriane)<br />

- e da alcuni istituti di origine non italiana, ma presenti<br />

e operanti in Italia come: Missionari d'Africa (Padri<br />

Bianchi), Società Missioni Africane (Sma), Missionarie<br />

di Nostra Signora degli Apostoli, Missionari Verbiti,<br />

Missionarie Mariste, Francescane Missionarie di Maria.<br />

Negli anni, la Cimi ha promosso numerose campagne<br />

di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, tra cui “Mai<br />

senza l’altro” del 2008 e “Non possiamo tacere” del<br />

giugno 2010 in favore dell’accoglienza ai rom e ai<br />

migranti, “Aiutateci a riconoscerci come patrimonio<br />

delle vostre diocesi” del 2009 e molte altre.<br />

D O S S I E R<br />

re dalle quattro categorie che lo rappresentano appieno, si<br />

intravede però anche la grande potenzialità che vibra ancora<br />

oggi sulla missio ad gentes.<br />

Forse la più epica delle figure rimane quella degli istituti missionari<br />

ad vitam. Uomini e donne che vivono ai margini, tra guerre<br />

dimenticate e degradate periferie urbane; nei pressi di enormi<br />

discariche a cielo aperto o nei villaggi sperduti dell’Africa<br />

Sub-sahariana, attenti alle necessità primarie e spirituali dei<br />

poveri. Ma anche qui i numeri calano: ad esempio, i Comboniani<br />

italiani nel 1983 erano oltre 1.200, oggi sono circa 800. E<br />

l’età media è oltre i 60 anni.<br />

Mentre quelli del Pime sono oggi 495 di cui 392 italiani. Ma nel<br />

1983 erano 653 in totale.<br />

Segue la categoria degli istituti religiosi aventi missioni: dai<br />

Francescani, ai Salesiani, ai Gesuiti che pur non possedendo un<br />

carisma esclusivamente missionario hanno interpretato la <strong>missione</strong><br />

come dimensione evangelica primaria. Sulle orme del loro<br />

fondatore, i figli di don Bosco, ad esempio, in tutta l’America<br />

Latina svolgono oggi un lavoro intenso di promozione umana<br />

ed istruzione; lavorano con i ragazzi di strada, costruiscono università<br />

e scuole professionali. Per loro l’educazione è la chiave<br />

dello sviluppo.<br />

Altrettanto affascinante è la figura del fidei donum, ideata nel<br />

1957 da Pio XII che gli dedica un’intera enciclica. È il sacerdote<br />

ordinato in una diocesi locale italiana che accetta di partire<br />

in <strong>missione</strong>, su volere del vescovo, per un certo periodo di »<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

29


30<br />

ITALIA MISSIONARIA<br />

NELLA FOTO: Suore e laiche insieme in aiuto dei bambini kenioti.<br />

tempo. Quando il Papa scrive, pensando in modo particolare<br />

all’Africa, in realtà le prime partenze erano già state orientate<br />

verso il continente latino-americano: si andava anche per<br />

accompagnare i migranti in particolare nelle grandi città dell’Argentina,<br />

del Brasile e Venezuela.<br />

«Numericamente oggi si registra un calo rispetto al passato –<br />

spiega don Alberto Brignoli - se fino a 25 anni fa potevamo<br />

contare su un numero di circa 800 fidei donum italiani, l’80%<br />

dei quali in America Latina, oggi sono circa 500 di cui il 65% in<br />

America Latina».<br />

Valorizzare il sacerdote che rientra è fondamentale, anche perché<br />

le parrocchie italiane non somigliano più a quelle degli anni<br />

‘80: «Ritornare è spesso dura: non ci si riconosce più nella veste<br />

attuale della propria Chiesa d’origine. Gli oratori sono più vuoti,<br />

i giovani non riempiono più le chiese». Ma la grande ricchezza<br />

del missionario diocesano resta: è quella d’aver conosciuto a<br />

fondo realtà ecclesiali differenti che possono arricchire la nostra<br />

fede o animare quella delle comunità dei migranti in Italia.<br />

Infine, abbiamo, come accennato, la figura del missionario laico,<br />

incaricato di portare avanti progetti di sviluppo e di aiutare<br />

nell’opera di evangelizzazione della diocesi locale. Secondo gli<br />

ultimi dati i missionari laici raggiungono oggi quota 790: il<br />

45,7% parte da solo; tra gli sposati il 38,6% del campione decide<br />

di partire in <strong>missione</strong> con il coniuge, mentre il 15,7% ha con<br />

sé anche dei figli.<br />

Guardando alla nazione di destinazione degli intervistati, si<br />

nota che è diretto in Africa il 55,7% dei laici, mentre nel continente<br />

latino-americano va il 38,6% del campione. Il Brasile<br />

rimane comunque la nazione preferita, accogliendo il 27,1% dei<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

laici. Seguono, come Paesi di destinazione, Camerun ed Etiopia.<br />

Il 37,1% di questi missionari ha meno di 30 anni, mentre il<br />

28,6% ha un’età compresa tra 31 e 35 anni. Tra le attività svolte,<br />

prevale l’aiuto e il sostegno ai religiosi che coinvolge i due<br />

terzi dei partenti; il lavoro per progetti di pastorale parrocchiale<br />

ordinaria riguarda il 9% dei laici.<br />

MODERNITÀ DELLE CONGREGAZIONI<br />

«Qualunque cosa si faccia, la domanda è sempre: quando tu te<br />

ne vai altri riusciranno a portare avanti questo progetto o senza<br />

i tuoi soldi crolla tutto? Siamo lì per contribuire a fondare la<br />

Chiesa locale e far in modo che un domani questa possa prendere<br />

in mano la gestione».<br />

A parlare è padre Daniele Mazza, 34 anni, Pime in Thailandia.<br />

Daniele pone l’accento sulla ‘cooperazione’ e la reciprocità: «<br />

Io la vocazione l’ho sentita già a 14-15 anni – racconta - C’era<br />

inizialmente il desiderio vago di aiutare gli altri».<br />

Poi è subentrata un’altra consapevolezza: «Oggi per me <strong>missione</strong><br />

è un cammino di Chiese: è un gruppo di persone che si<br />

mettono assieme e intraprendono un percorso».<br />

Simile la visione dei Padri Comboniani: « In Africa la prima cosa<br />

da fare è ascoltare, conoscere e togliersi i sandali. Oggi la<br />

nostra sfida è quella della formazione delle coscienze dei giovani<br />

leader comunitari, perché siano loro i protagonisti del<br />

cambiamento che sogniamo», dice Ivardi. L’aiuto allora è tutt’altro<br />

che assistenzialismo.<br />

Dal diario di un comboniano in Kenya: «È stata una Pasqua<br />

speciale, quella di quest’anno a Korogocho. Nell’anfiteatro<br />

davanti alla grande discarica di Nairobi c’erano più di duemila


COS’È LA FESMI<br />

Sono 42 le riviste missionarie della Fesmi, la<br />

Federazione stampa missionaria italiana, l’organismo<br />

di studio e collaborazione tra le testate che da anni anima<br />

campagne di sensibilizzazione sui problemi dei Paesi del<br />

Sud del mondo e per la promozione del bene comune.<br />

Dopo la mobilitazione per “Notizie, non gossip”, la campagna<br />

sull’equità delle tariffe postali e la più recente sull’<br />

“Acqua bene comune”, la Fesmi è impegnata a stimolare la<br />

collaborazione delle Riviste missionarie italiane, per dare<br />

risonanza alla voce dei missionari nella società, scegliendo<br />

di volta in volta modalità e strumenti per denunciare le<br />

violazioni dei diritti fondamentali dell'uomo. Da un lato, la<br />

Federazione punta all'unità ideale di finalità e di lavoro dei<br />

membri e dall'altro si caratterizza per la differenziazione e<br />

autonomia di impostazione e di gestione degli stessi. Il<br />

nuovo coordinatore della Fesmi è padre Gigi Anataloni,<br />

direttore della rivista “Missioni della Consolata”.<br />

persone. Tutta la n<strong>ott</strong>e tra danze, preghiere e battesimi. Credo<br />

siamo sulla strada giusta».<br />

È evidente che le trasformazioni sociali e i nuovi strumenti di<br />

comunicazione spingono oggi ad arricchire i contenuti: il missionario<br />

è sempre più attento alla dimensione geopolitica del<br />

mondo e agli squilibri globali: l’annuncio del Vangelo arriva<br />

anche tramite i nuovi media, internet e i social network: «In<br />

questi anni, non poche persone mi hanno chiesto perché un<br />

missionario debba fare il giornalista – scrive padre Giulio Albanese<br />

in ‘Il mondo capovolto’ – Perché la <strong>missione</strong> è innanzitutto<br />

e soprattutto comunicazione di una ‘buona notizia’! Sono<br />

convinto che i missionari facciano veramente notizia. Non solo<br />

quando sono perseguitati».<br />

Andare in <strong>missione</strong> è stare dentro i movimenti della società<br />

civile: «Oggi la questione della finanza mondiale e dell’ambiente<br />

sono centrali – spiega ancora Ivardi - Se non lo capiamo<br />

noi come Chiesa e come cristiani siamo fuori dal tempo e<br />

non attraiamo più nessuno. Vedo in Italia una Chiesa stanca.<br />

Che non rischia, si ripiega su se stessa e finisce per non essere<br />

più credibile».<br />

NUOVE FRONTIERE E CHIESE<br />

LOCALI PROTAGONISTE<br />

D’altra parte, fa notare ancora don Alberto Brignoli, «grazie<br />

all’incremento delle vocazioni locali, questa è sempre meno<br />

una Chiesa bianca», composta cioè di suore e padri occidentali,<br />

ma piuttosto una Chiesa missionaria locale dal volto africano,<br />

asiatico, indiano. Un tempo a ricevere l’annuncio «era una<br />

comunità molto incerta, appena nata, ma adesso ha le sue<br />

D O S S I E R<br />

strutture, i suoi preti, i suoi vescovi, le sue priorità…», concorda<br />

padre Alberto Pelucchi.<br />

«Oggi io parto perché ne ho bisogno come uomo e cristiano –<br />

confessa Ivardi - Per lasciarmi trasformare dalla gente che incontro,<br />

dai volti che Dio mi mette sul cammino. In altre parole per<br />

essere finalmente me stesso, cioè dare il meglio di me».<br />

Dunque, ruoli che si invertono e Chiese che cooperano. Tant’è<br />

che anche l’Europa diventa ‘territorio di <strong>missione</strong>’: si va (o si<br />

rimane) per assistere migranti, profughi, perseguitati da guerre<br />

interne e da disordini geopolitici. Perfino l’Italia, dove i disagi<br />

patiti dall’immigrato si sovrappongono a quelli del nuovo povero,<br />

è diventata obiettivo di <strong>missione</strong>.<br />

Ne è un esempio il lavoro di padre Alex Zanotelli, comboniano,<br />

che di ritorno dalle miserie della discarica di Korogoko, in Kenya,<br />

si è dedicato ai poveri dei quartieri popolari di Napoli e si batte<br />

per diritti come quello all’acqua bene comune.<br />

In ogni caso la <strong>missione</strong> è e rimane principalmente legata ad<br />

un’umanità decentrata, senza chance di far sentire la propria<br />

voce, ma sempre più artefice della propria liberazione.<br />

È possibile certo essere missionari in Europa, ma si deve ancora<br />

e sempre avere a cuore di partire «verso quelle urgenze che oggi<br />

si chiamano Africa, baraccopoli, indios, slum, periferie urbane,<br />

degrado, necessità di giustizia. C’è bisogno dappertutto di gridare<br />

il Vangelo con la propria vita».<br />

Perché l’uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai<br />

maestri, più all’esperienza che alla d<strong>ott</strong>rina. E, come scrive Paolo<br />

VI nell’Evangelii Nuntiandi: l’uomo cerca Dio «attraverso vie<br />

inaspettate», sentendone «dolorosamente il bisogno», tanto da<br />

esser divenuto soggetto non più oggetto di <strong>missione</strong>.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

31


32<br />

ITALIA MISSIONARIA<br />

INTERVISTA A DON GIANNI CESENA<br />

LA MISSIONE? TANTE VOCI<br />

PER PARLARE DI DIO<br />

Nel mondo contemporaneo non si può<br />

continuare a vivere la <strong>missione</strong> secondo<br />

vecchi schemi. Il pregiudizio nei confronti<br />

di mondi distanti rappresenta un ostacolo<br />

per l’evangelizzazione. Ed ecco che la sfida<br />

di oggi si gioca all’insegna dell’ascolto,<br />

del dialogo e dell’inculturazione.<br />

T estimoniare<br />

di Miela Fagiolo D’Attilia<br />

m.fagiolo@missioitalia.it<br />

Dio non è solo l’eccellenza<br />

di vite di ordinaria santità ma<br />

il compito di ogni battezzato che, in<br />

occasione della Giornata Missionaria<br />

Mondiale, è chiamato a ricordare esempi<br />

di umanità, amore e servizio che<br />

restano vivi nel tempo. Sono proprio i<br />

“Testimoni di Dio” evocati dallo slogan<br />

di quest’anno ad aprire grandi interrogativi<br />

sulla evangelizzazione ad gentes nell’epoca<br />

della globalizzazione. Per sfogliare<br />

il grande libro della <strong>missione</strong>,<br />

abbiamo chiesto a don Gianni Cesena,<br />

direttore della Fondazione Missio, di aiutarci<br />

a leggere i nuovi capitoli che l’evangelizzazione<br />

sta scrivendo in tutti gli<br />

angoli della terra, grazie ad un concerto<br />

di voci che, tra sussurri e grida, hanno<br />

molto da raccontare. Spiega infatti Don<br />

Cesena: «Da un certo punto di vista la<br />

<strong>missione</strong> in Italia è tutt’altro che afona:<br />

ovunque ci si giri si vedono iniziative,<br />

convegni, concerti, viaggi, raccolte fondi.<br />

Questo anche nell’ambito tradizionale<br />

dei missionari italiani e non solo tra gli<br />

organismi di volontariato, con o senza<br />

ispirazione religiosa. Un’osservazione<br />

meno superficiale fa però vedere come<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

tra organismi missionari<br />

si faccia fatica a<br />

raggiungere una lettura<br />

univoca della realtà. Le<br />

novità sono tali e tante<br />

che i missionari più<br />

sperimentati e generosi<br />

non sempre le accolgono:<br />

educati alla stabilità della loro scelta<br />

vocazionale non sempre vedono, per<br />

esempio, l’invio di laici per due o tre anni<br />

come fatto autenticamente missionario.<br />

Anche il rispetto per le scelte delle Chiese<br />

locali in cui operano è difficile. Le<br />

strade sulle quali oggi il Signore ci fa<br />

camminare non sono migliori o peggiori<br />

delle precedenti: sono diverse, insolite<br />

e, quindi, meritevoli di essere meglio<br />

studiate e comprese».<br />

Sullo sfondo dei nuovi orizzonti missionari,<br />

come si concilia la tradizione<br />

col bisogno di aderire ai cambiamenti<br />

della società?<br />

«Tra i fenomeni emergenti c’è quello dell’incremento<br />

di laici e laiche missionari,<br />

legati non solo a progetti di sviluppo, ma<br />

inviati dalle diocesi e non raramente dai<br />

movimenti e direttamente impegnati in<br />

percorsi di evangelizzazione. Le Chiese<br />

in Italia sono sempre state molto gene-<br />

Don Gianni Cesena, direttore della Fondazione Missio<br />

(organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana-CEI)<br />

rose. Hanno inviato nel tempo migliaia di<br />

missionari – uomini e donne, sacerdoti,<br />

religiosi e religiose, laici – in vari Paesi<br />

del mondo. Dobbiamo custodire la<br />

memoria di queste partenze e incoraggiare<br />

nuove relazioni con le giovani<br />

Chiese che oggi sono autenticamente<br />

sorelle e compagne di strada sulla via<br />

dell’evangelizzazione e dell’annuncio».<br />

In che modo la diversità di identità<br />

delle istituzioni che animano la <strong>missione</strong><br />

in Italia diventa sinergia di servizio<br />

all’evangelizzazione?<br />

«Dal 2005 la Conferenza Episcopale Italiana<br />

ha istituto la Fondazione Missio<br />

come organismo pastorale incaricato di<br />

promuovere, specialmente nelle diocesi<br />

e nelle parrocchie, la dimensione ad<br />

gentes. Missio è quindi l’organismo che<br />

rappresenta a nome dei vescovi italiani


LA MISSIONE IN CIFRE<br />

l’impegno missionario delle loro comunità.<br />

Missio, raccogliendo la funzione<br />

degli organismi in essa rappresentati –<br />

la Direzione nazionale delle Pontificie<br />

Opere Missionarie, l’Ufficio nazionale<br />

per la Cooperazione Missionaria tra le<br />

Chiese della Cei, il Cum di Verona per la<br />

formazione – cura i tre aspetti fondamentali<br />

di una pastorale missionaria ad<br />

gentes: l’animazione missionaria delle<br />

parrocchie, degli adulti e delle famiglie,<br />

dei giovani e dei ragazzi; la cooperazione<br />

con le Chiese sorelle attraverso lo<br />

scambio di persone e di beni materiali e<br />

spirituali; la formazione di tutti coloro<br />

che partono verso altri Paesi e altre culture,<br />

e riflettono su un eventuale impegno<br />

missionario ad gentes».<br />

Come è cambiato il rapporto tra le<br />

Chiese di invio dei missionari con le<br />

cosiddette “giovani Chiese”? Anche il<br />

modo di fare <strong>missione</strong> è oggi molto<br />

D O S S I E R<br />

FONDO DI SOLIDARIETÀ E CONTRIBUTI<br />

L’<br />

Italia ogni anno devolve al mondo<br />

missionario – in base a<br />

quanto raccolgono le diocesi italiane<br />

tramite Missio - una considerevole<br />

cifra, in parte rappresentata nel Fondo<br />

Universale di Solidarietà (Fus) delle<br />

Pontificie Opere Missionarie.<br />

Il Fus attinge dalle comunità cristiane<br />

di tutti i continenti e garantisce aiuti<br />

regolari a più di mille circoscrizioni<br />

ecclesiastiche.<br />

Il contributo italiano al Fondo nel<br />

2010 è stato pari a 12 milioni e<br />

900mila euro, leggermente in calo<br />

rispetto all’anno precedente quando<br />

aveva superato i 13 milioni di euro e<br />

al 2006 quando era a quota 15 milioni<br />

di euro.<br />

«Tutti gli aiuti italiani che convergono<br />

verso le Pontificie Opere Missionarie<br />

non arrivano da canali istituzionali e<br />

governativi - precisa Tommaso Galizia,<br />

vicedirettore della Fondazione<br />

Missio - ma sono libere offerte dei<br />

fedeli e delle parrocchie».<br />

Ai contributi per le missioni, come si<br />

accennava, vanno poi aggiunti quelli<br />

raccolti in autonomia dagli istituti<br />

missionari e dalle singole diocesi per<br />

i loro fidei donum; e quelli che la<br />

Conferenza Episcopale Italiana, tramite<br />

il Comitato per gli Interventi Caritativi,<br />

attinge dall’8 per mille. Questi<br />

ultimi sono fondi destinati esclusivamente<br />

a progetti di ‘promozione<br />

sociale’ nei Paesi in via di sviluppo.<br />

L’Italia rimane comunque ai primi<br />

posti nella classifica mondiale quanto<br />

a generosità dei fedeli: con 19 milioni<br />

e 600mila dollari era terza nel<br />

NELLA FOTO: Celebrazione eucaristica a Wansokou, villaggio nel nord del Benin.<br />

2009, dopo Usa (che aveva devoluto<br />

al Fus ben 56 milioni e 900mila dollari)<br />

e Spagna (28 milioni e 500mila<br />

dollari). Veniva invece prima di Germania<br />

(circa 12 milioni), Francia (7<br />

milioni e 400mila dollari) e Inghilterra-Galles<br />

(4 milioni e 900mila dollari).<br />

Infine il trend senz’altro da registrare<br />

è quello che vede i Paesi tradizionalmente<br />

donatori diminuire con gli anni<br />

il proprio contributo, mentre alcuni di<br />

quelli che non rientrano certamente<br />

nella categoria dei ‘ricchi’, incrementare<br />

considerevolmente l’impegno al<br />

Fondo di Solidarietà. Tra questi spiccano<br />

Burkina Faso, Romania ed Etiopia<br />

che, con notevole sforzo, nel<br />

2009 avevano più che triplicato il<br />

proprio sostegno economico.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

33


34<br />

ITALIA MISSIONARIA<br />

NELLA FOTO: La piccola chiesa di Bafoussan, cittadina del Camerun.<br />

diverso rispetto a quello di qualche<br />

decennio fa…<br />

«Il Concilio Vaticano II (anticipato fin dal<br />

1957 dall’enciclica Fidei Donum) pone<br />

le Chiese locali al centro dell’attività missionaria.<br />

Questo vale non solo per le<br />

nostre Chiese europee, ma anche per<br />

quelle degli altri continenti. Da qui l’enfasi<br />

sull’animazione missionaria con il<br />

servizio meritorio delle Pontificie Opere<br />

Missionarie, il ruolo degli Uffici e dei<br />

Centri missionari diocesani che a nome<br />

del vescovo esercitano un vero e proprio<br />

ministero della <strong>missione</strong> a favore<br />

della propria Chiesa e di tutte le Chiese,<br />

la responsabilità ultima del vescovo nell’inviare<br />

e nell’accogliere il personale<br />

apostolico, il confronto e l’interdipendenza<br />

dei programmi pastorali all’interno<br />

della stessa comunità e tra comunità<br />

di diversi continenti, l’edificazione di un<br />

volto di Chiesa capace di collaborare in<br />

spirito di condivisione e non con progetti<br />

fatti a tavolino».<br />

Nella ridefinizione della geopolitica<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

del nuovo millennio, nella rete dei<br />

flussi migratori dal Sud al Nord del<br />

mondo, in mezzo a rivoluzioni economiche<br />

e politiche che influenzano intere<br />

aree del pianeta, quali sono le sfide<br />

più urgenti per i missionari?<br />

«L’interdipendenza mondiale – la cosiddetta<br />

globalizzazione – e le migrazioni<br />

hanno intrecciato in maniera sempre più<br />

stretta legami tra <strong>popoli</strong>, culture e religioni<br />

nella vita quotidiana delle persone.<br />

Ciò che una volta era un incontro piuttosto<br />

esotico e non intaccava certezze né<br />

stili di vita di un popolo, oggi è consueto.<br />

Una vera educazione non solo per i<br />

bambini, ma anche per gli adulti, non<br />

solo per la gente del popolo, ma per le<br />

stesse nostre classi dirigenti, non può<br />

prescindere oggi dalla considerazione<br />

della mondialità».<br />

E le nuove generazioni? Come guardano<br />

alla <strong>missione</strong> e alla testimonianza<br />

dei missionari?<br />

«Il tema dei giovani ci sorprende se pen-<br />

siamo ai numeri: le vecchie popolazioni<br />

occidentali non sono paragonabili alle<br />

giovani popolazioni dei Paesi emergenti.<br />

In Africa, come in Asia, come in America<br />

Latina è possibile ascoltare o incontrare<br />

giovani che vogliono porre le mani<br />

ben salde sul timone del loro futuro,<br />

senza dare spazio a compromessi o<br />

imbrogli: la recente “primavera del Nordafrica”<br />

ne è stata solo una prova generale.<br />

Per i nostri pochi giovani d’altra parte,<br />

pensare a una vocazione definitiva è una<br />

sfida umanamente inarrivabile, mentre<br />

oscillano tra il sentirsi cittadini del mondo<br />

e il cercare garanzie per mantenere i<br />

privilegi del mondo ricco a cui appartengono».<br />

Cambia lo stile della <strong>missione</strong>. Quali<br />

sono le nuove parole dell’annuncio?<br />

«Certo, non è questo il mondo per cui la<br />

missio ad gentes è stata progettata 100,<br />

50 o anche solo dieci anni fa. Di fronte<br />

a tanti elementi di cambiamento non


possiamo continuare con i vecchi schemi<br />

di etnia, cultura o geografia per definire<br />

la <strong>missione</strong>. Anche l’insistenza sulla<br />

“nuova evangelizzazione” in Europa –<br />

ben descritta da Giovanni Paolo II nella<br />

Redemptoris Missio – può creare equivoci<br />

se non si riflette sulla <strong>missione</strong> della<br />

Chiesa come fu fin dalle origini, ossia<br />

semplicemente l’offerta del Vangelo alla<br />

libertà dell’uomo in ogni angolo del<br />

mondo».<br />

Come deve calibrare la Chiesa il suo<br />

impegno istituzionale di fronte a questi<br />

scenari in trasformazione?<br />

«La maturazione di una diffusa mentalità<br />

missionaria ha bisogno di una cultura<br />

corrispondente che può nascere solo da<br />

percorsi di comunione, evitando di mortificare<br />

la profezia ma anche di produrre<br />

nuovi moralismi e coniugando carisma<br />

NELLA FOTO: In <strong>missione</strong> a sostegno delle famiglie in Papua Nuova Guinea.<br />

e istituzione. Per fare questo occorre<br />

correggere le visioni distorte della <strong>missione</strong><br />

(proselitismo, assistenzialismo,<br />

efficientismo, neocolonialismo, unilateralità)<br />

e tornare con lo sguardo a Gesù e<br />

al suo modo di evangelizzare. Un cammino<br />

di questo tipo non può essere fatto<br />

da soli e va sollecitato a tutti i soggetti<br />

della <strong>missione</strong>, a partire dalla Chiesa<br />

locale. È quanto promuoviamo anche a<br />

livello nazionale nell’ambito di Missio».<br />

Quale indicazione ci viene dalla Giornata<br />

Missionaria Mondiale che ha<br />

come slogan “Testimoni di Dio”?<br />

«Ci troviamo di fronte a una fase critica<br />

per la Chiesa e il mondo missionario:<br />

negli ultimi tempi siamo stati amareggiati<br />

da alcune vere e proprie “controtestimonianze”.<br />

Resta però una verità di<br />

fondo: i missionari sono i testimoni di<br />

D O S S I E R<br />

Dio, con le loro opere, le parole, la vita,<br />

la vocazione, la dedizione. Nessuno tuttavia<br />

è veramente “testimone di Dio” se<br />

non s<strong>ott</strong>olinea la provenienza della sua<br />

scelta proprio e solo da Dio, il Dio della<br />

misericordia e dell’amore che vuole la<br />

salvezza di ogni uomo. I missionari non<br />

devono presentare il proprio volto a<br />

coloro a cui vanno ad annunciare il Vangelo,<br />

ma il volto di Cristo e l’abbraccio<br />

del Padre. Se non l’hanno sperimentato<br />

per primi essi stessi, tante loro azioni<br />

saranno forse meritevoli per la storia ma<br />

poco efficaci per quanto riguarda il cammino<br />

del Vangelo. Infine ricordiamo che<br />

essere testimoni di Dio è il compito di<br />

ogni battezzato. Che si parta o no per<br />

terre lontane, ciò che risuona presso il<br />

cuore di Dio non sono le grandi opere,<br />

ma l’umile testimonianza di ogni battezzato».<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

35


36<br />

ITALIA MISSIONARIA<br />

IN OLTRE 40 ANNI DI<br />

ATTIVITÀ AL CUM -<br />

CENTRO UNITARIO<br />

MISSIONARIO DI<br />

VERONA, COME SPIEGA<br />

IL DIRETTORE DON<br />

MAURIZIO CUCCOLO -<br />

SONO PASSATI OLTRE<br />

SEIMILA RELIGIOSI,<br />

SUORE E LAICI PER<br />

FREQUENTARE I CORSI<br />

DI PREPARAZIONE<br />

PRIMA DELLA<br />

PARTENZA PER LA<br />

MISSIONE. PER<br />

MOLTISSIMI<br />

MISSIONARI, SONO<br />

MOMENTI DI GRAZIA<br />

STRAORDINARIA. LA<br />

PRESENZA, AD OGNI<br />

CORSO, DI RELIGIOSI E<br />

RELIGIOSE DI ALTRI<br />

CONTINENTI, INVIATI<br />

DAI LORO ISTITUTI IN<br />

AMERICA LATINA,<br />

IN AFRICA, IN ASIA,<br />

O PRESENTI NELLA<br />

CHIESA ITALIANA,<br />

CONTRIBUISCE<br />

AD APRIRE<br />

ALL’UNIVERSALITÀ<br />

DEL VANGELO E A<br />

SPERIMENTARE IL<br />

CRESCERE DELLA<br />

FRATERNITÀ TRA<br />

CHIESE SORELLE.<br />

Don Maurizio Cuccolo,<br />

direttore del Centro Unitario<br />

Missionario - CUM.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

L’ABC<br />

dell’evangelizzazione<br />

di Miela Fagiolo D’Attilia<br />

m.fagiolo@missioitalia.it<br />

Il documento della Cei “Comunione e comunità missionaria” s<strong>ott</strong>olineava già nel<br />

1986 che “la <strong>missione</strong> non è opera di navigatori solitari”. E nemmeno improvvisati,<br />

viene da aggiungere, guardando all’importante lavoro di formazione svolto dalla Fondazione<br />

Cum- Centro unitario missionario di Verona che, s<strong>ott</strong>o l’egida della Fondazione<br />

Missio, prepara i partenti “ad gentes”. Don Maurizio Cuccolo, dal 2007 direttore<br />

del Cum, ci parla della formazione alla <strong>missione</strong>, con l’intensità di chi ha vissuto la <strong>missione</strong><br />

in prima persona, come fidei donum in Zambia dal 1989 al 2000. Classe 1954,<br />

don Maurizio, racconta ai nostri lettori la storia di questa istituzione che da 40 anni è<br />

così importante per il servizio dei missionari: «Inaugurato nel 1964 come sede del<br />

seminario per l’America latina, già in quell’anno viene organizzato dal Ceial (Comitato<br />

episcopale italiano per l’America Latina) il primo corso per sacerdoti diocesani in<br />

partenza per alcune diocesi latino americane. Due anni dopo la partecipazione è aperta<br />

anche alle religiose ai laici e ancora oggi i corsi si ripetono regolarmente».<br />

A distanza di un pugno di anni iniziano i corsi per i partenti verso l’Africa e l’Asia, con


il coordinamento dei quattro Istituti missionari italiani. Per<br />

questo filone viene scelta la sigla Ceias (Centro Ecclesiale<br />

Italiano per l’Africa e l’Asia), diretto dall’Ufficio Nazionale<br />

Missionario. È nel 1988 che la Cei delibera la costituzione<br />

del Centro Unitario per la cooperazione tra le Chiese nel<br />

quale convergono il Ceial per l’America latina, il Ceiaf per<br />

l’Africa e il Ceias per l’Asia. Nel complesso, spiega, don Cuccolo:<br />

«Il Cum non è la somma delle realtà precedenti ma un<br />

organismo di convergenza, nel rispetto delle particolarità<br />

della <strong>missione</strong> in ciascun continente. Infatti nel dicembre<br />

1997 la Cei costituisce la Fondazione Cum con un proprio<br />

statuto che dal 2005 coordina la sua attività di formazione<br />

con l’impegno più ampio della Fondazione di religione Missio.<br />

Finalità di questo organismo pastorale della Chiesa italiana<br />

è il sostegno alla dimensione missionaria della comunità<br />

ecclesiale, con particolare attenzione alla missio ad<br />

gentes attraverso il coordinamento unitario delle seguenti<br />

realtà che già operano a livello nazionale nell’ambito della<br />

<strong>missione</strong>: l’Ufficio nazionale per la cooperazione missionaria<br />

tra le Chiese, la Direzione nazionale delle Pontificie opere<br />

NELLA FOTO: Religiosi, suore e laici prendono parte ad uno dei corsi del CUM.<br />

D O S S I E R<br />

missionarie, e appunto il Cum».<br />

Dal 1970 ad oggi i missionari - religiosi, suore e laici - passati<br />

al Cum sono più di seimila. Ai corsi di formazione partecipano<br />

i missionari “rientrati”, un modo intelligente per<br />

trasmettere l’esperienza della <strong>missione</strong> a chi si appresta a<br />

partire (circa 80). Per molti aspetti il Cum è punto di osservazione<br />

privilegiato per comprendere esigenze e nuovi stili<br />

di <strong>missione</strong>, come s<strong>ott</strong>olinea il direttore don Cuccolo: «L’età<br />

media dei corsisti è salita oggi intorno ai 45 anni (rispetto ai<br />

32 di 20 anni fa), mentre è aumentato il numero di corsisti<br />

stranieri appartenenti a congregazioni italiane che partono<br />

per una nuova <strong>missione</strong> in un nuovo continente e la partecipazione<br />

dei laici. Va fatta chiarezza sul fatto che nei corsi<br />

del Cum mancano gli Istituti missionari e i grandi ordini e<br />

congregazioni aventi <strong>missione</strong>. Certamente sono molte le<br />

spiegazioni che si possono dare, non ultime la carenza di<br />

vocazioni missionarie ad vitam e la realtà di comunità internazionali<br />

che esigono la formazione del missionario sul<br />

posto. Tuttavia, il carattere ecclesiale del corso di formazione<br />

richiede, per sua natura, l’apporto della competen- »<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

37


38<br />

ITALIA MISSIONARIA<br />

SUAM: ANIMAZIONE E FORMAZIONE<br />

Il Segretariato Unitario di Animazione Missionaria - Suam è stato<br />

costituito a Frascati nell’ <strong>ott</strong>obre 1971 per desiderio dei missionari<br />

del Pime, dei Comboniani e delle Comboniane, dei Saveriani e delle<br />

Saveriane, dei missionari/e della Consolata per rispondere ad un bisogno<br />

di unità e di comunione tra le forze missionarie presenti e operanti<br />

nella Chiesa italiana. Il Suam è un organismo di comunione e collaborazione<br />

tra istituti e altre realtà missionarie presenti in Italia per l’animazione<br />

della <strong>missione</strong> ad gentes a livello regionale e nazionale. Ha<br />

come suoi referenti ufficiali la CIMI per gli Istituti missionari e i responsabili<br />

delle altre realtà missionarie (associazioni anche laicali che<br />

fanno parte del Segretariato) e opera per promuovere iniziative e<br />

momenti di animazione formativi per gli operatori di animazione missionaria<br />

ad gentes presenti sul territorio nazionale.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

D O S S I E R<br />

za e dell’esperienza di chi da secoli è impegnato<br />

con la <strong>missione</strong> ad gentes».<br />

Tante tipologie diverse di partenti si ritrovano a<br />

passare nella aule del Cum. Come superare le<br />

diversità di bisogni formativi, culturali e spirituali,<br />

nella condivisione dell’unico anche se<br />

multiforme impegno missionario?<br />

Don Cuccolo risponde con l’esperienza di tanti<br />

anni di lavoro: «La comunione, sorgente e fine<br />

della <strong>missione</strong>, presuppone una circolazione di<br />

doni maturati nelle singole realtà missionarie in<br />

ordine all’invio. Le piccole congregazioni impegnate<br />

da pochi decenni con la <strong>missione</strong> ad<br />

gentes possono, infatti, arricchirsi dell’esperienza<br />

degli istituti missionari, per esempio in<br />

ordine alla inculturazione del Vangelo, alle<br />

comunità internazionali, alla collaborazione<br />

con le Chiese locali, alla spiritualità missionaria».<br />

Oggi i criteri della formazione dei partenti sono<br />

cambiati a misura dei nuovi orizzonti della <strong>missione</strong><br />

del terzo millennio. Infatti, l’impianto dei<br />

corsi si basa sempre più su alcuni principi fondamentali,<br />

come spiega don Maurizio: « Il missionario<br />

deve verificare i motivi del suo andare,<br />

ma deve anche conoscere la storia, la cultura,<br />

la situazione sociale e politica, i progetti del<br />

Paese dove intende andare. Il Cum propone<br />

un’azione educativa capace di formare alla<br />

pazienza dei tempi lunghi, che permettono di<br />

formare all’umiltà di chi è consapevole di essere<br />

ospite, collaboratore provvisorio, straniero.<br />

Esperti di varie discipline e i documenti delle<br />

Chiese che si trovano nel Centro di documentazione<br />

“Oscar Romero” offrono strumenti utili<br />

per entrare nella cultura del popolo a cui si va».<br />

L’annuncio non è più prerogativa dei cristiani di<br />

alcuni Paesi, e non consiste più nell’affidare un<br />

territorio particolare ad un Istituto missionario<br />

o ad una congregazione religiosa perché vi faccia<br />

sorgere delle comunità cristiane. Oggi, in<br />

quasi tutti i Paesi del mondo, anche se esigua,<br />

esiste una comunità cristiana, un vescovo,<br />

alcuni preti e, almeno, un piccolo gruppo di cristiani,<br />

impegnati a trasmettere la Buona Notizia.<br />

Nella maggioranza dei casi, i missionari non<br />

vanno a fondare delle comunità cristiane, piuttosto<br />

vanno a mettersi al servizio di comunità<br />

cristiane esistenti, così come i preti e le suore<br />

di altri Paesi vengono in Italia per mettersi al<br />

servizio delle nostre comunità».


MAÎTRE À PENSER Droga e criminalità<br />

La maledizione<br />

di ANGELO PAOLUZI<br />

angelopaoluzi@tiscali.it<br />

Sino a quando il prefisso ‘narco’<br />

descriverà, nell’immaginario<br />

collettivo, l’attuale situazione<br />

del Messico? ‘Narcoterrorismo’, ‘narcotraffico’,<br />

‘narcobusiness’, ‘narcostato’,<br />

‘narcoelezioni’: è il lessico corrente<br />

per un Paese (il secondo per<br />

popolazione dell’America Latina)<br />

impegnato da cinque anni nella ‘narcoguerra’<br />

dichiarata dal presidente<br />

Felipe Calderòn e che sino a ora ha<br />

dato pochi risultati. Dei quali il più<br />

negativo consiste in una cifra: da<br />

40mila a 65mila morti ammazzati<br />

(fra loro un migliaio di bambini). Il<br />

governo afferma che è una strage<br />

interna fra i clan della criminalità<br />

organizzata; l’opinione pubblica non<br />

dei Narco<br />

ne è affatto convinta, perché soltanto<br />

in cinque casi su 100 si è appurato,<br />

attraverso indagini e sentenze, chi<br />

fossero le vittime degli omicidi. E<br />

intanto la ‘nota roja’, come un macabro<br />

bollettino di guerra, continua a<br />

registrare ogni giorno il rosario dei<br />

caduti.<br />

La gente è stanca. L’economia risente<br />

delle condizioni di tensione. Chi può<br />

fugge: secondo calcoli approssimativi<br />

sono espatriate centinaia di migliaia di<br />

persone, per lo più clandestinamente<br />

verso gli Stati Uniti, che hanno eretto<br />

una barriera di 3mila chilometri lungo<br />

Nella foto:<br />

Il sequestro di un<br />

consistente quantitativo<br />

di droga da parte<br />

dell’esercito messicano.<br />

il confine (i 161 del malfamato muro<br />

di Berlino diventano uno scherzo) per<br />

impedire gli ingressi. Anche questi<br />

passaggi rendono agli organizzatori –<br />

cioè alla delinquenza comune – <strong>sett</strong>e<br />

miliardi di dollari l’anno, causando<br />

6mila morti, fra i quali donne e bambini.<br />

La Chiesa messicana ha denunciato,<br />

a questo proposito, il rapimento<br />

o il sequestro di 20mila migranti per<br />

ognuno degli ultimi anni.<br />

La società civile chiede conto delle<br />

carenze del potere e cerca di reagire. A<br />

maggio e giugno scorsi, con l’appoggio<br />

della Chiesa (la Conferenza »<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

39


40<br />

MAÎTRE À PENSER Droga e criminalità<br />

episcopale ha diffuso sulla situazione<br />

un severo documento), si sono organizzate<br />

due carovane della pace.<br />

La prima, lungo un percorso di 85 chilometri<br />

sino a Città del Messico, è stata<br />

accompagnata dal vescovo di Santillo,<br />

monsignor José Raùl Vera Lopez; la<br />

seconda, dal 4 all’11 giugno con una<br />

grande partecipazione popolare, ha<br />

attraversato tutto il Paese, da Cuernavaca<br />

a Ciudad Juarez. Qui – in una città<br />

definita per la terza volta in tre anni<br />

come ‘la più pericolosa del mondo’ – è<br />

stato firmato, presente l’arcivescovo di<br />

Cuernavaca, monsignor Alfonso Cortés<br />

Contreras, il ‘patto nazionale per la<br />

pace’.<br />

All’insegna dello slogan ‘Mai più un<br />

morto’, e mentre in 12 altre città si<br />

svolgevano analoghe manifestazioni,<br />

Nella foto:<br />

Un ufficiale statunitense sorveglia la barriera<br />

lunga 3 mila chilometri che segna il confine<br />

tra gli Stati Uniti e il Messico.<br />

Il muro è stato eretto dagli USA per impedire<br />

gli espatri clandestini dei messicani.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

gli iniziatori della marcia sono stati<br />

ricevuti dal presidente Calderòn, cui<br />

hanno rimproverato la soluzione di forza<br />

che ha prod<strong>ott</strong>o tante vittime senza<br />

dare risultati. A capo della delegazione<br />

c’era lo scrittore e poeta cattolico Javier<br />

Sicilia, il cui figlio era stato ucciso pochi<br />

mesi prima con altri ragazzi – tutti<br />

assolutamente estranei al mondo della<br />

droga – da un commando di criminali.<br />

Non si tratta, è stato detto, di fare una<br />

guerra ma di predisporre le condizioni<br />

per far funzionare la giustizia, eliminare<br />

la corruzione diffusa a tutti i livelli,<br />

impedire il lavaggio del denaro sporco,<br />

preparare un migliore futuro per i giovani.<br />

Le risposte del potere non sono<br />

sembrate soddisfacenti: a <strong>sett</strong>embre si è<br />

svolto un incontro per impostare una<br />

strategia comune. Sta di fatto che gli<br />

affari del narcotraffico coinvolgono<br />

mezzo milione di persone per un giro di<br />

interessi tra i 15 e i 25 miliardi di dollari.<br />

Nessuno, in Messico, si sente oggi al<br />

sicuro. Lo scontro militare dei cartelli<br />

distrugge con conseguenze devastanti<br />

il tessuto civile, la corruzione ha guadagnato<br />

le stesse forze dell’ordine e l’esercito<br />

che dovrebbero combattere la criminalità.<br />

Sono un migliaio i vescovi e<br />

preti minacciati; amministratori e dirigenti<br />

politici vengono abbattuti per le<br />

strade; funzionari di polizia si dimettono<br />

nel timore di essere uccisi; dal 1987<br />

sono 107 i giornalisti assassinati. Ma<br />

ognuno ha le sue colpe. Dagli Stati Uniti<br />

che, principali destinatari del flusso di<br />

droga, erigono la barriera anti-immigrati,<br />

viene però l’85% delle armi (la cui<br />

lobby negli Usa è molto potente) agli<br />

agguerritissimi squadroni della morte,<br />

per un valore di nove miliardi di dollari.<br />

Gli alunni delle scuole medie sono stati<br />

coinvolti in un test che li invitava a illustrare<br />

graficamente la situazione del<br />

loro Paese: il 95% ha risposto con disegni<br />

che descrivevano la violenza. In un<br />

appello rivolto, dopo la morte del figlio,<br />

dallo scrittore Jorge Sicilia ai suoi concittadini<br />

si implorava: «È tempo di restituire<br />

la dignità alla nostra nazione». Ci<br />

si riuscirà con le marce della pace e della<br />

giustizia?


UNA SORGENTE PER DIO<br />

di Chiara Pellicci<br />

c.pellicci@missioitalia.it<br />

Soprattutto in questo periodo, dopo l’afa estiva, il paesaggio delle dolci colline<br />

intorno al Lago di Tiberiade sembra assolutamente brullo. Certo, non mancano<br />

le intensive coltivazioni israeliane a palmeti e altri alberi da frutto, ma guardando il<br />

paesaggio nel suo insieme, oltre le distese agricole, prevale il marrone bruciato dal<br />

sole. Di luogo desertico parla anche il Vangelo, che ambienta proprio qui l’episodio<br />

della moltiplicazione dei pani e dei pesci (vedi Mt 14, 13-15).<br />

Ma un pellegrino attento, che non si accontenta di fermarsi all’apparenza, in quest’area<br />

può scorgere la sorpresa di un particolare: una sorgente dall’acqua che sgorga<br />

rigogliosa a pochi passi dalla riva del lago, in un luogo oggi chiamato Tabga.<br />

Nell’arsura del paesaggio, ecco un angolo che dona vita e trasforma il deserto in<br />

un’area verde e rigogliosa. Sembra un’anomalia della natura, eppure già all’epoca di<br />

Gesù qui c’era questa sorgente. Il Vangelo della moltiplicazione dei pani e dei pesci,<br />

infatti, oltre a descrivere un luogo desertico, parla anche di “erba verde”: si precisa,<br />

infatti, che la folla fu fatta sedere a gruppetti su un manto erboso (vedi Mc 6, 39).<br />

Particolare strano in un ambiente arido, a meno che non ci sia una sorgente che<br />

garantisca abbondanza d’acqua.<br />

Oggi come allora il paesaggio è rimasto quello: un angolo di vegetazione rigogliosa<br />

in un luogo desertico, grazie alla presenza di una fonte. Il parallelo storico è confermato<br />

da numerosi studi archeologici: al tempo di Gesù, il luogo in cui oggi sgorga la<br />

sorgente custodita nel giardino delle Suore francescane missionarie del Cuore immacolato<br />

di Maria, era chiamato Ma-Gadan, cioè “acque di fortuna” e gli studiosi hanno<br />

appurato che le sorgenti che rendevano verde il luogo arido erano ben <strong>sett</strong>e, tanto<br />

che in alcuni documenti storici l’area viene definita in greco “Heptapegon”, cioè delle<br />

<strong>sett</strong>e sorgenti.<br />

Ma l’autenticità del luogo non è garantita solo dalla presenza di sorgenti e dalla corrispondenza<br />

tra oggi e duemila anni fa. È assicurata soprattutto da quanto è accaduto<br />

in due millenni di storia e da quanto è giunto fino a noi. Si deve ad una pellegrina<br />

di nome Egeria la certezza dell’ubicazione dei luoghi sacri: nel 383 d. C. visitò i luoghi<br />

di Gesù e annotò in un diario con dovizia di dettagli e particolari tutto ciò che<br />

vedeva. I suoi scritti sono stati ritrovati nei secoli successivi e hanno garantito l’autenticità<br />

e la veridicità della sacralità dei luoghi: si è infatti riscontrata una corrispondenza<br />

tra i siti che dopo secoli venivano considerati “sacri”, e pertanto venerati, e<br />

quelli che alla sua epoca, nei primi secoli dopo Cristo, erano già diventati meta di pellegrini.<br />

Proprio a Tabga Egeria descrive una roccia sulla quale Gesù aveva posato i<br />

pani, poi moltiplicati: già all’epoca era diventata l’altare di una piccola chiesa. I resti<br />

di questo luogo sacro, costruito intorno al 350 d. C., sono visibili anche oggi all’interno<br />

della chiesa attuale.<br />

Indipendentemente dalla storia, dagli edifici costruiti, poi distrutti e riedificati, la fonte<br />

di Tabga per duemila anni non ha mai smesso di garantire la sacralità di quel luogo.<br />

Anch’essa, con la semplicità dell’acqua, è stata ed è tuttora una sorgente testimone<br />

di Dio.<br />

Shalom Salam<br />

In alto:<br />

A pochi metri dalle sponde del Lago di<br />

Tiberiade sgorga la sorgente che un tempo era<br />

chiamata Ma-Gadan, cioè “acqua di fortuna”.<br />

Oggi è custodita nel giardino delle Suore<br />

francescane missionarie del Cuore immacolato<br />

di Maria a Tabga.<br />

Sopra:<br />

La fontana di Tabga in ricordo delle <strong>sett</strong>e<br />

sorgenti che rendevano verde il luogo desertico<br />

dove Gesù moltiplicò i pani e i pesci.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

41


42<br />

L’altra<br />

edicola<br />

CINA E BRICS,<br />

UN ALTRO ASSETTO<br />

Nella foto:<br />

Panoramica del quartiere degli<br />

affari a Pechino, Cina.<br />

LA NOTIZIA<br />

NUOVI POTERI ECONOMICI<br />

RIDISEGNANO IL MONDO:<br />

REPUBBLICA POPOLARE CINESE,<br />

BRASILE, RUSSIA, INDIA,<br />

SUDAFRICA SALGONO ALLA<br />

RIBALTA. UN BIG FIVE CHE SI<br />

PRESENTA ANCORA INFORMALE,<br />

DESTINATO PERÒ A<br />

CONDIZIONARE LA FINANZA,<br />

L’ECONOMIA E LA POLITICA<br />

INTERNAZIONALE.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

di FRANCESCA LANCINI<br />

francescalancini@gmail.com<br />

L’<br />

economia che cresce più velocemente al mondo.<br />

Uno dei maggiori esportatori che sa attrarre investimenti<br />

stranieri da record. La crisi finanziaria<br />

globale l’ha colpita in modo pesante solo inizialmente, ma<br />

poi è stata fra le prime economie a riprendersi. Lo scorso<br />

febbraio è diventata ufficialmente la seconda potenza<br />

economica mondiale, superando il Giappone, che aveva<br />

mantenuto questa posizione per 40 anni. Rimane il Paese<br />

che produce e consuma più carbone, e che spende miliardi<br />

di dollari per <strong>ott</strong>enere rifornimenti energetici stranieri.<br />

Il suo mercato mediatico è il più grande del pianeta, come<br />

pure la sua popolazione di internauti: 420 milioni, nono-


stante controlli e censure. Così la BBC tratteggia il profilo<br />

della Cina, cercando di sintetizzare il suo potere economico<br />

in continua espansione. Ma è lo stesso network britannico<br />

a evidenziare le contraddizioni: «La disparità economica<br />

fra la Cina urbana e i suoi hinterland rurali è tra le<br />

più alte al mondo. Negli ultimi decenni molti poveri abitanti<br />

delle campagne si sono riversati nelle città orientali,<br />

che hanno giovato di un boom edilizio. Un malcontento<br />

sociale si manifesta in proteste di contadini e operai. La<br />

corruzione, che affligge ogni livello della società, è un problema<br />

urgente da risolvere».<br />

La Repubblica Popolare, in bilico fra Nord e Sud del mondo,<br />

è anche il membro più importante dei Brics, l’acronimo<br />

coniato nel 2001 da Jim O’ Neill, guru di Goldman Sachs, e<br />

che poi si è trasformato in un gruppo effettivo di cinque<br />

nazioni che stringono accordi fra loro: Brasile, Russia,<br />

India, Cina e da qualche mese anche il Sudafrica. Si tratta<br />

di alcune fra le più importanti potenze emergenti, che rappresentano<br />

un quarto del territorio globale e oltre il 40%<br />

della sua popolazione.<br />

CINA, LUCI E OMBRE<br />

Ma quanto cresce la Cina? Sono in molti a domandarselo,<br />

soprattutto all’interno dei più autorevoli giornali economici,<br />

ora che Pechino deve fare i conti con un Indice dei<br />

Prezzi al Consumo, il maggior indicatore dell’inflazione,<br />

del 6,4% (a giugno scorso). I prezzi degli alimenti (in particolare<br />

del maiale, componente base della dieta) e di altri<br />

beni continuano ad aumentare, ma l’agenzia di stampa<br />

statale Xinhua cerca di tranquillizzare riportando che la<br />

banca centrale ha finora aumentato i tassi di interesse per<br />

tre volte nella prima metà del 2011. Lo sviluppo cinese non<br />

è una strada senza ostacoli, ma un collasso sarebbe improbabile.<br />

Lo dice l’inviato dell’Economist, che si firma R.A.,<br />

dopo due <strong>sett</strong>imane di viaggio: «I fondamenti dell’economia<br />

cinese sono più resistenti di quanto gli americani credano».<br />

A preoccupare sono appunto l’inflazione e i problemi<br />

strutturali: l’imprenditoria privata che sta crescendo, ma<br />

non sempre coincide con gli obiettivi del partito unico al<br />

potere. Secondo il reporter non ci sarebbe inoltre un piano<br />

di difesa per un’eventuale futura recessione che avviene<br />

in ogni ciclo economico, ma gran parte dei cinesi resteranno<br />

convinti che quella tracciata dal governo sia una via<br />

verso la prosperità. R.A. spiega così il boom edilizio: «I<br />

lavoratori stanno comprando nuove abitazioni o veicoli,<br />

ricorrendo però ai risparmi, non all’indebitamento. Sarebbe<br />

sbagliato sostenere che il mercato degli immobili opera<br />

allo stesso modo di quello americano e presenta le stesse<br />

vulnerabilità».<br />

Per il giornalista, il <strong>sett</strong>ore manifatturiero continua a essere<br />

importantissimo, malgrado la de-industrializzazione in<br />

atto sulle coste. Esso, tuttavia, non riesce ad assorbire tutta<br />

l’immensa forza lavoro disponibile, vero carburante della<br />

locomotiva cinese, che dunque viene impiegata in servizi<br />

di ogni tipo.<br />

BBC news, invece, preferisce evidenziare i lati oscuri di<br />

questa crescita grazie a un’analisi di Damian Tobin, studioso<br />

della School of Oriental and African Studies : «L’emergere<br />

di una classe media, associata ad alti livelli di risparmi<br />

individuali e bassi livelli di debito, offre una prova<br />

seducente del nuovo benessere cinese. Tuttavia, dietro<br />

questi titoli, è evidente che se la crescita economica ha<br />

creato vasta ricchezza per alcuni, ha anche amplificato le<br />

disparità fra ricchi e poveri».<br />

La distribuzione della ricchezza è diseguale soprattutto fra<br />

campagne e città: «Il gap – continua Tobin – è cresciuto<br />

continuamente dal 1978». E poi insiste: «Persino dopo »<br />

Nella foto:<br />

Lavoratrici presso un’industria<br />

calzaturiera nella provincia di Jiangxi.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

43


44<br />

L’altra edicola<br />

tre decadi di rapida crescita, la Cina resta un’economia<br />

principalmente rurale. Nonostante l’urbanizzazione incessante,<br />

il 50,3% della popolazione vive in campagna».<br />

Un dato più roseo e sorprendente è però fornito dal Financial<br />

Times, secondo cui una forte crescita rurale non compare<br />

nelle statistiche ufficiali, ma risulta da una sua indagine:<br />

dai 250 ai 300 milioni di cinesi si sono trasformati da<br />

consumatori di beni e servizi di prima necessità a compratori<br />

di beni e servizi non essenziali.<br />

BRICS<br />

L’ingresso del Sudafrica conferma la leadership cinese che<br />

è riuscita a favorire il suo partner economico africano per<br />

Nella foto:<br />

Raccolta del tè<br />

nella provincia di Guizhou.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

motivi politici e strategici. Dalla prospettiva Brics si valuta<br />

come si stanno muovendo i nuovi equilibri internazionali,<br />

con la Cina come demiurgo. Secondo Il Sole 24 Ore, i Brics<br />

mirano ai vertici (alcuni appena rinnovati) delle istituzioni<br />

finanziarie. Avrebbero, infatti, appoggiato la nomina della<br />

francese Christine Lagarde come direttrice del Fondo<br />

Monetario dopo aver <strong>ott</strong>enuto contropartite, come la scelta<br />

del cinese Zhu Min a vicedirettore. La corsa per la Fao,<br />

inoltre, è stata vinta dal brasiliano José Graziano, padre del<br />

programma Fame zero.<br />

«I Brics sono più di un acronimo», dice a Limes Andrea Goldstein,<br />

economista dell’Ocse, organizzazione per la cooperazione<br />

e lo sviluppo economico di cui fanno parte i Paesi<br />

a livello alto e medio-alto di Pil. «Sono la metafora di una<br />

nuova geografia economica, del sopravvento della sfera<br />

economico-finanziaria sulla politica, e dei costi e delle<br />

opportunità che apre la globalizzazione». L’Italia, però,<br />

sarebbe in ritardo nel riconoscere il ruolo dei Brics: «L’Italia<br />

si è accostata ai Brics con molto ritardo rispetto ad altri<br />

Paesi occidentali, e paga la scarsa presenza - anche a livello<br />

di personale diplomatico – e la scarsa capacità di fare<br />

sistema-Paese».<br />

Il cambiamento in corso è epocale. Quando ci fu il primo<br />

summit dei Brics nel 2009, Martin Hutchinson scrisse su<br />

Asia Times un articolo che s<strong>ott</strong>olineava i «pericoli della<br />

multipolarità»: «Una delle cose che ci ha protetti finora da<br />

un ripetersi della Grande Depressione è stata l’unipolarità<br />

dell’economia globale, dominata dagli Stati Uniti. Dal<br />

1945 gli Usa nel complesso hanno giocato un ruolo benigno,<br />

promuovendo il libero mercato e i liberi movimenti di<br />

capitali, perché non si sentivano molto minacciati da altri<br />

grandi poteri economici».<br />

Col nuovo millennio, però, è cominciato un declino per<br />

l’economia statunitense, mascherato fino al 2007 da una<br />

crescita esplosiva dei servizi finanziari e dei beni immobiliari.<br />

E’ allora che i Bric (il Sudafrica non c’era ancora) si<br />

sono riuniti per la prima volta al fine di coordinare le loro<br />

risposte rispetto alle mosse di politica economica degli<br />

Usa, concentrandosi soprattutto sulle politiche monetarie<br />

e le difficoltà del dollaro. «Un mondo multipolare – conclude<br />

Hutchinson – sarà più protezionista e più nazionalista».<br />

E poi aggiunge: «Si potrà stabilire un sistema monetario<br />

globale che fornisca una vera scorta di valuta, senza l’inflazione<br />

incessante che ha tormentato il regno del dollaro».<br />

Infine, un’ultima nota precauzionale: «Per definizione<br />

la multipolarità è più esposta ai conflitti; ci sono molte<br />

cose su cui scontrarsi e manca una forza egemone che<br />

mantenga la pace. Il 1914 non è accaduto per caso».


NEWS<br />

I l<br />

Centro indonesiano di musica<br />

liturgica, PusatMusikLiturgi, compie<br />

40 anni e inaugura una serie di iniziative.<br />

Fra di esse, la pubblicazione<br />

del libro intitolato The wheel of liturgical<br />

music, una guida per i praticanti<br />

di questo genere di musica. Il logo<br />

NOT IN THE NEWS<br />

a cura delle Agenzie Fides, Misna, AsiaNews<br />

PAKISTAN<br />

Punjab: scuola d’inglese<br />

per i ragazzi di strada<br />

«N on abbiamo più scuse: se soltanto l’1% di noi si occupasse di un ragazzo<br />

di strada, in 10 anni avremmo 1,8 milioni di persone istruite in più.<br />

E 10 anni volano: pensate se il 2% di noi si mobilitasse…».<br />

A parlare è padre John Maxwell, sacerdote cattolico e fondatore della Saint<br />

John Education System, una scuola d’inglese per ragazzi di strada nel distretto<br />

di Layyah, provincia del Punjab. Bambini che chiedono l’elemosina, puliscono<br />

le strade, o vendono giornali ai semafori: il sacerdote ha creato la scuola per<br />

offrire loro un’alternativa possibile, partendo proprio dall’istruzione.<br />

Nel marzo di quest’anno, la Pakistan Education Task Force ha pubblicato un<br />

rapporto sull’emergenza educativa in Pakistan, dove si evidenzia un tasso di<br />

scolarizzazione bassissimo per via di politiche governative inefficaci. Ma più<br />

dell’85% dei ragazzi intervistati desidera «un miglior grado di istruzione», e<br />

oltre il 90% ritiene che l’istruzione serva a «formare esseri umani migliori». Per<br />

rispondere alle necessità la Saint John Education System vuole espandersi in<br />

tutto il Pakistan ed educare i bambini che non hanno possibilità ma vogliono<br />

studiare. (Asianews)<br />

INDONESIA<br />

Musica sacra<br />

inculturata<br />

scelto per pubblicizzare l’evento è una<br />

nave. «Abbiamo deciso di scegliere<br />

una nave come simbolo per celebrare<br />

il 40esimo anniversario. Una nave che<br />

sta ancora navigando nel grande oceano<br />

per cercare di inculturare al suo<br />

meglio la musica liturgica», ha dichiarato<br />

il presidente del Pml, padre Karl<br />

Edmund Priersj, sacerdote di origine<br />

tedesca. Promuovere l’inculturazione<br />

della musica indonesiana nella liturgia<br />

è un servizio tra i più importanti compiuti<br />

finora dal Centro. In effetti sono<br />

Notizie nel cas<strong>sett</strong>o<br />

BURUNDI<br />

DIRITTI UMANI E PACE<br />

A BUJUMBURA<br />

Utilizzare i nuovi mezzi di comunicazione<br />

sociale come strumento di tras<strong>missione</strong><br />

dei diritti umani, educare ai diritti nelle lingue<br />

locali, difendere la dignità della persona, promuovere<br />

la pace, la riconciliazione, la giustizia e<br />

la solidarietà: sono i principali impegni assunti<br />

dai partecipanti al primo ‘Seminario sul diritto<br />

internazionale dei diritti umani alla luce della d<strong>ott</strong>rina<br />

sociale della Chiesa’, tenuto a Bujumbura,<br />

capitale del Burundi.<br />

Il seminario – spiegano gli organizzatori, in particolare<br />

il Forum internazionale dell’Azione cattolica<br />

– ha riunito esponenti delle Commissioni<br />

giustizia e pace, dell’Azione cattolica, vescovi,<br />

sacerdoti, religiosi e numerosi laici, allo scopo<br />

di creare un quadro di formazione sulla tematica<br />

dei diritti umani. La messa di conclusione dei<br />

lavori è stata celebrata da monsignor Franco<br />

Coppola, nunzio apostolico in Burundi, che ha<br />

attirato l’attenzione dei partecipanti sulla ‘credibilità’<br />

che si deve guadagnare<br />

chi, come cristiano,<br />

lavora nel campo<br />

dei diritti umani.<br />

All’incontro hanno partecipato<br />

rappresentanti<br />

del Burundi, del Rwanda,<br />

della Repubblica<br />

democratica del Congo<br />

e dell’Unione europea.<br />

(Misna)<br />

40 anni che le composizioni del Centro<br />

risuonano nelle chiese indonesiane.<br />

Proprio per ricordare questi 40 anni di<br />

attività una celebrazione particolare è<br />

stata officiata nel quartier generale<br />

del Pml a Yogyakarta.<br />

L’arcivescovo di Semarang Johannes<br />

Pujasumarta e il capo della Provincia<br />

indonesiana dei gesuiti, padre Riyo-<br />

Mursantosj hanno officiato la messa,<br />

mentre veniva eseguita una performance<br />

speciale di musica e danza<br />

sacra. (Asianews)<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

45


46<br />

NEWS<br />

NOT IN THE NEWS<br />

Nuovo Superiore generale della Consolata<br />

Èpadre Stefano Camerlengo il nuovo superiore generale dei missionari<br />

della Consolata, eletto dal XII Capitolo generale a Roma.<br />

Nella sua scheda di presentazione capitolare, padre Camerlengo<br />

parla del ruolo del missionario nel contesto di un mondo in mutazione<br />

come quello in cui viviamo: «Non è facile oggi, nel mondo attuale,<br />

guidare un Istituto internazionale, saper leggere i segni dei tempi<br />

a livello mondiale ed essere profetici per il futuro. Il missionario deve<br />

essere ponte tra le culture e, soprattutto tra la Chiesa e la società in<br />

cambiamento». Padre Camerlengo ribadisce anche lo stile che<br />

dovrebbe animare l’azione del missionario della Consolata di oggi,<br />

auspicandosi che tutte le scelte siano fatte in nome della <strong>missione</strong>,<br />

nel rispetto delle persone e senza mai dimenticarsi che gli ‘ultimi’<br />

sono sempre i primi destinatari dell’annuncio del Regno. Nato l’11<br />

giugno 1956 a Morrovalle (Mc), padre Camerlengo ha compiuto gli<br />

GIAPPONE<br />

Impegno per le vittime dello tsunami<br />

vescovi del Giappone hanno indirizzato una lettera a tutti i fedeli del Paese,<br />

I in relazione allo tsunami e al terremoto dell’11 marzo 2011. Il documento si<br />

intitola “Verso il recupero dopo la tragedia del terremoto nel Nord-est del<br />

Giappone” e ricorda che il sisma e lo tsunami hanno distrutto case, industrie,<br />

campi e porti; il problema della contaminazione radioattiva è<br />

grandissimo, e molte persone sono state obbligate a vivere<br />

in rifugi di fortuna.<br />

I presuli hanno discusso della situazione nella<br />

loro Assemblea e hanno deciso di «collaborare<br />

al recupero di tutte le zone devastate».<br />

Il documento afferma: «Fino a questo<br />

momento la Chiesa cattolica ha indirizzato<br />

gli aiuti attraverso la Caritas<br />

Japan. Ma senza dubbio, osservando<br />

la grandezza del disastro<br />

abbiamo deciso che l’aiuto che<br />

daremo al recupero sarà d’ora<br />

in avanti una forma concreta<br />

attraverso tutte le diocesi del<br />

Giappone. Per questo desideriamo<br />

che tutti i sacerdoti, religiosi<br />

e tutti i nostri fratelli e<br />

sorelle nella fede si uniscano in<br />

forma stabile a questo appello<br />

che facciamo», chiedendo «a<br />

tutti i nostri fratelli del Giappone<br />

e del resto del mondo preghiere e<br />

aiuto, e che camminino insieme a<br />

noi». (Asianews)<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

studi teologici a Torino e<br />

Roma, presso l’Università<br />

Gregoriana, ed è stato ordinato<br />

sacerdote il 19 marzo<br />

1984 a Wamba, nell’attuale<br />

Repubblica Democratica del<br />

Congo. In questo Paese,<br />

padre Camerlengo ha lavorato<br />

a più riprese, impegnandosi<br />

in attività pastorale, formativa<br />

e come Superiore regionale.<br />

Il 10 maggio 2005, durante l’XI Capitolo generale celebratosi a<br />

San Paolo (Brasile), era stato eletto vice superiore generale, incarico<br />

che ha svolto durante questi ultimi sei anni. (Misna)<br />

SRI LANKA<br />

LA CHIESA EDUCA<br />

A COMUNICARE<br />

E ASCOLTARE<br />

Nella comunicazione da parte dei cattolici<br />

ci deve essere una «differenza riconoscibile<br />

e ammirevole», che con saggezza<br />

e spiritualità renda l’uomo un comunicatore<br />

e un ascoltatore corretto. È una delle piste<br />

affrontate in occasione della Giornata mondiale<br />

delle comunicazioni sociali. Il tema era<br />

‘Verità, proclamazione e autenticità della vita<br />

nell’era digitale’. Seminaristi di San Aloysius,<br />

sacerdoti e suore cattolici e personalità dei<br />

media si sono incontrati presso la Jubilee<br />

Hall dell’arcidiocesi. Per padre CyrilGamini<br />

Fernando, ex direttore del Catholic<br />

Communication Centre della diocesi di<br />

Colombo, l’urgenza più importante è «sviluppare<br />

le menti, i cuori e le attitudini di chi<br />

ha a che fare con le nuove tecnologie», perché<br />

«esistono molti corsi per imparare come<br />

gestire e lavorare con i nuovi strumenti».<br />

Padre Sujeewa Athukorala ha aggiunto: «È<br />

essenziale insegnare questo ai più giovani,<br />

perché possano comprendere cosa è buono<br />

e cosa non lo è». Alla fine dell’incontro la<br />

Com<strong>missione</strong> arcidiocesana per le comunicazioni<br />

sociali ha lanciato un cd sulla<br />

Passione di Cristo, dal titolo «Sii positivo. La<br />

pace inizia con un sorriso». (Asianews)


VATICANO<br />

AIDS, al Sud<br />

del mondo<br />

servono<br />

antiretrovirali<br />

«L’<br />

accesso alle terapie antiretrovirali continua ad<br />

essere fuori della portata di molti dei Paesi più<br />

poveri e deboli. Nei Paesi di medio e basso salario, circa<br />

15 milioni di persone convivono con l’Hiv o con<br />

l’Aids ma soltanto poco più di 5 milioni hanno accesso<br />

ai farmaci salva vita di cui necessitano»: è sulle iniquità<br />

dell’accesso alle cure che ha voluto insistere la<br />

delegazione del Vaticano all’incontro convocato dall’Assemblea<br />

generale dell’Onu. Un appuntamento<br />

organizzato a 30 anni dalla scoperta del virus da immunodeficienza umana (Hiv)<br />

all’origine della malattia che colpisce circa 33 milioni di persone. La Chiesa cattolica<br />

è molto attiva nell’assistenza alle persone colpite dal virus, in particolare nel Sud<br />

del mondo. Monsignor Francis Assisi Chullikatt, Osservatore permanente della<br />

Santa Sede all’Onu, aveva definito l’Aids «una delle più grandi tragedie dei nostri<br />

tempi» e s<strong>ott</strong>olineato che le persone colpite sono «parte della famiglia umana».<br />

Monsignor Chullikatt ha ricordato che non solo la Chiesa si è impegnata nell’assistenza,<br />

ma anche nella ricerca di risposte all’emergenza che fossero basate su valori.<br />

Un impegno coronato da successi, soprattutto in Africa, grazie a programmi<br />

basati sull’esclusione di comportamenti a rischio e basate sulla dignità della persona.<br />

Capi di stato, gruppi della società civile, organizzazioni di l<strong>ott</strong>a contro l’Aids e<br />

attivisti di una trentina di Paesi hanno preso parte ai tre giorni di lavoro della conferenza<br />

a New York. La dichiarazione finale,<br />

approvata in conclusione, prevede l’intento di<br />

raddoppiare il numero di pazienti curati con<br />

antiretrovirali entro il 2015, per arrivare a raggiungere<br />

la soglia di 15 milioni di persone.<br />

L’impegno è anche quello di sradicare la tras<strong>missione</strong><br />

del virus da madre a figlio, di<br />

dimezzare i decessi di malati affetti anche da<br />

tubercolosi e di aumentare le misure preventive<br />

per le popolazioni più vulnerabili. (Misna)<br />

COREA<br />

Una messa per il dialogo<br />

O ltre<br />

20mila cattolici sudcoreani hanno partecipato alla messa per la pace<br />

organizzata dalla Conferenza episcopale del Sud. La funzione ha avuto lo<br />

scopo principale di «chiedere la fine delle ostilità che stanno dividendo ancora di<br />

più la penisola coreana». La messa è stata la prima di questo tipo degli ultimi <strong>ott</strong>o<br />

anni: fra i presenti anche il ministro per l’Unificazione di Seoul, Hyun In-take.<br />

Parlando ai fedeli riuniti presso la zona demilitarizzata, al confine con il Nord, il<br />

vescovo di Chunchon, Luca KimWoon-hoe ha detto: «Stiamo affrontando la crisi<br />

peggiore mai verificatasi dalla divisione della Corea. Dobbiamo riprendere il dialogo<br />

e gli scambi intercoreani, per superare la fase della sfida militare. Dobbiamo<br />

tornare a rispettarci l’un l’altro». La messa si è chiusa con un lungo applauso.<br />

Il presule, presidente della Com<strong>missione</strong> episcopale per la riconciliazione del<br />

popolo coreano, aggiunge anche: il compito dei cattolici del Sud «è pensare a quei<br />

fratelli al di là del confine che vengono lasciati morire di fame. Abbiamo bisogno<br />

non di una politica passiva di sopportazione, ma di un atteggiamento attivo. Non<br />

dobbiamo mai scordarci che siamo apostoli di pace». (Asianews)<br />

Notizie nel cas<strong>sett</strong>o<br />

FILIPPINE<br />

Mindanao:<br />

raccolta per<br />

musulmani poveri<br />

P er<br />

rinsaldare il dialogo islamo- cristiano,<br />

i giovani del movimento di Silsilah<br />

hanno organizzato una raccolta di giocattoli<br />

e vestiti per 80 bambini musulmani della<br />

piccola isola di Saint Cruz al largo di Zamboanga<br />

(Mindanao). L’iniziativa rientra nel<br />

programma del Silpeace, che ogni anno<br />

coinvolge giovani cristiani e musulmani in<br />

seminari e attività caritatevoli nelle aree più<br />

povere della regione a maggioranza islamica.<br />

Vanessa Andico, coordinatrice del programma,<br />

spiega che i giovani hanno impiegato<br />

una <strong>sett</strong>imana per raccogliere fra la<br />

popolazione di Zamboanga vestiti e giocattoli<br />

donati da persone caritatevoli di<br />

entrambe le fedi. Grazie a questa iniziativa<br />

la popolazione sa di non essere isolata dal<br />

mondo e i giovani volontari del Silpeace<br />

hanno la possibilità di vivere un’esperienza<br />

di amicizia e carità.<br />

Fondato da padre Sebastiano D’Ambra<br />

(Pime), Silsilah propone da oltre 20 anni<br />

progetti e iniziative come la Conferenza<br />

dei vescovi e degli ulema (Bishop ulema<br />

forum) e corsi di formazione per giovani<br />

cristiani e musulmani. In questi anni il<br />

movimento è divenuto un punto di riferimento<br />

per la riconciliazione in atto fra<br />

governo filippino e ribelli islamici Moro.<br />

(Asianews)<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

47


48<br />

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Posta dei missionari<br />

Ilcoraggio<br />

a cura di<br />

CHIARA PELLICCI<br />

c.pellicci@missioitalia.it di<br />

Il telefono squilla. Speriamo che<br />

non sia una delle tante comunicazioni<br />

per promozioni telefoniche.<br />

«Pronto, pronto… hello, pronto…», una<br />

voce distante sussurra qualcosa: «Josè,<br />

sei tu?». È suor Agnese Grones dal Pakistan.<br />

«Sì, sì, sono io!» rispondo alzando<br />

il mio tono di voce e sperando che<br />

questo possa contribuire alla migliore<br />

riuscita della conversazione.<br />

Succede una cosa strana quando ti telefona<br />

un missionario: da un lato capisci<br />

che questa persona probabilmente<br />

ha dovuto fare un grande sforzo per<br />

poterti chiamare, visto che non sempre<br />

si ha facile accesso ad una linea<br />

telefonica e i costi sono alti, quindi<br />

punteresti sulla sintesi della conversa-<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

dire sì<br />

zione… dall’altro, vorresti farti raccontare<br />

tutto e tu raccontare le novità. La<br />

voce non è troppo chiara e non sempre<br />

riesco a sentire la frase completa,<br />

alcune parole però mi descrivono la<br />

difficoltà della situazione che sta vivendo<br />

suor Agnese. Cerco in mezzo alle<br />

carte un foglietto dove poter scrivere,<br />

una matita è la prima cosa che mi<br />

passa tra le mani. Ascolto con attenzione,<br />

cerco di cogliere ogni cosa che<br />

mi dice e cerco di essere diretto nelle<br />

domande: i secondi passano e non<br />

vorrei farle spendere troppo. «Pronto,


non ti sento più… Pronto…». Si conclude<br />

la telefonata dopo poco più di<br />

un minuto. Mi rimane sulla scrivania<br />

questo foglietto, con alcune parole:<br />

attentato, quello lì (testuali parole<br />

per non pronunciare il nome proprio<br />

della persona e quindi essere intercettati),<br />

persecuzioni, sempre peggio,<br />

torno a giugno.<br />

Sulla scrivania, a fianco del mio foglietto,<br />

il quotidiano “Avvenire” non è<br />

stato ancora aperto ma sulla prima<br />

pagina il titolo principale riporta:<br />

“Spezzata la voce dei deboli” e nel<br />

sommario: «In Pakistan un commando<br />

di terroristi assassina il ministro<br />

Bhatti, paladino delle minoranze e in<br />

l<strong>ott</strong>a contro la legge sulla blasfemia».<br />

Mi rendo conto di quanto vicino sia a<br />

me questo evento, non solo come<br />

concittadino di suor Agnese che vive<br />

la realtà pakistana, ma soprattutto<br />

come cristiano. Un’immagine, però,<br />

più di tutte mi ritorna alla mente: i<br />

seminaristi cattolici.<br />

In Pakistan ebbi la fortuna di partecipare<br />

ad una celebrazione eucaristica<br />

dove erano presenti anche alcuni se-<br />

In alto a sinistra:<br />

Seminaristi in preghiera durante<br />

una celebrazione eucaristica alla<br />

periferia di Karachi (Pakistan), dove<br />

si trova uno dei seminari cattolici<br />

sostenuti dalla Pontificia Opera<br />

di San Pietro Apostolo.<br />

Sopra:<br />

Baghdad (Iraq). Cristiani iracheni<br />

ispezionano la cattedrale siro-cattolica di<br />

Sayidat al-Najat (Nostra Signora della<br />

Salvezza) dopo l’assalto da parte di un<br />

gruppo di estremisti islamici.<br />

A sinistra:<br />

La cattedrale di San Patrizio<br />

a Karachi in Pakistan.<br />

minaristi della diocesi di Karachi.<br />

Umanamente, con che coraggio possono<br />

affrontare una scelta di questo<br />

tipo? Già è difficile essere cristiani in<br />

un Paese come il Pakistan, ma scegliere<br />

di essere prete mi risulta veramente<br />

difficile da comprendere. Quando si fa<br />

una scelta come questa, la si fa con<br />

una speranza, un sogno. Qual è il sogno<br />

di questi seminaristi? Essere preti<br />

di una minoranza sempre s<strong>ott</strong>o il mirino<br />

del terrorismo? Di una comunità<br />

che è destinata ad ass<strong>ott</strong>igliarsi ogni<br />

giorno di più? Di una realtà che domani<br />

forse non esisterà più?<br />

Ricordo che don Robert, per un anno<br />

missionario in Niger, mi raccontò che<br />

mentre era in Belgio venne a visitarlo<br />

un monaco iracheno. Durante la cena<br />

il suo volto si coprì di lacrime mentre<br />

chiedeva aiuto per portare in Europa<br />

l’ultima zia rimastagli. Il resto della<br />

famiglia era stato ucciso la sera prima<br />

a Baghdad.<br />

Qualche giorno fa scopro che il panorama<br />

per i cristiani in Iraq è peggiore<br />

che per chiunque altro. Padre Bashar<br />

Warda, redentorista, parla dell’aumento<br />

della disoccupazione tra i cristiani,<br />

delle confische arbitrarie delle<br />

proprietà di famiglie a Baghdad e<br />

Mosul, delle violazioni della libertà<br />

religiosa e di pensiero, di rapimenti,<br />

attentati e minacce di stampo confessionale.<br />

«Approfittano di noi –<br />

continua – perché non godiamo dell’appoggio<br />

di nessuna forza esterna,<br />

né possediamo una nostra milizia;<br />

sanno che l’unica cosa che possiamo<br />

fare è lanciare appelli e denunce, così<br />

la politica va avanti ormai convinta<br />

che la nostra comunità sia destinata<br />

ad estinguersi entro pochi anni». In<br />

mondi come questi qualche giovane<br />

ha ancora il coraggio di dire il suo sì a<br />

un Dio che vedono crocifisso ogni<br />

giorno.<br />

Josè Soccal<br />

Centro missionario diocesano<br />

di Belluno-Feltre<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

49


LIBRI<br />

50<br />

150 anni di<br />

storia e di fede<br />

Le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia danno la<br />

possibilità di portare alla luce pagine di storia nazionale<br />

poco conosciuta. In particolare quella dei rami maschile<br />

e femminile della congregazione dei Salesiani di Don Bosco<br />

e delle Figlie di Maria Ausiliatrice: il lavoro di 30mila religiosi<br />

e religiose è oggi racchiuso in due volumi che colmano<br />

un notevole vuoto storico. Don Bosco parlava sempre dell’impegno<br />

educativo di formare «dei buoni cristiani e degli<br />

onesti cittadini». I volumi permettono una precisa ricomposizione<br />

storica con dati, studi, saggi e ricerche, documentando<br />

non solo i fatti conosciuti da tutti ma dando «il giusto<br />

rilievo a quelle figure e istituzioni che finora erano rimaste<br />

a margine degli interessi degli studiosi». Per oltre 40<br />

anni Don Bosco si prodigò a favore della gioventù, prima<br />

nelle carceri, poi negli orfanotrofi, negli oratori, nei collegi;<br />

promosse le “opere di carità”, ampliando la rete di esperienze<br />

e iniziative assistenziali, educative e scolastiche in<br />

tutta Italia. Il modello salesiano ha raggiunto centinaia di<br />

migliaia di giovani del ceto popolare; il servizio dei religiosi<br />

ha supportato il giovane Stato italiano contribuendo alla<br />

formazione dei suoi cittadini. Diceva Don Bosco: «La cari-<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

tà operosa non è qualcosa di<br />

estraneo o di separato dalla<br />

storia civile, politica, sociale e<br />

culturale». Anche l’opera delle<br />

Figlie di Maria Ausiliatrice,<br />

quasi 14mila religiose dal<br />

1872 al 2010, è sempre stata<br />

al servizio delle fasce più<br />

bisognose della società italiana<br />

«coniugando il sistema<br />

educativo salesiano con le<br />

risorse femminili e con le esigenze dell’educazione della<br />

donna e dell’infanzia». Oggi le Fma proseguono nel loro<br />

impegno educativo, missionario e sociale continuando a<br />

creare «un ponte tra la Chiesa e i diversi ambiti di vita:<br />

famiglia, scuola, strada, mondo del lavoro, tempo libero,<br />

volontariato». Chiara Anguissola<br />

La primavera che cambiò il Medio Oriente<br />

Riccardo Cristiano,<br />

giornalista vaticanista,<br />

corrispondente dai<br />

Paesi arabi, impegnato<br />

per Radio Rai da una<br />

decina d’anni, firma questo<br />

volume intitolato<br />

“Caos Arabo” che raccoglie<br />

cronache ed<br />

inchieste di giornalisti<br />

indipendenti promotori<br />

della l<strong>ott</strong>a alla libertà di<br />

stampa e attenti testimoni<br />

delle guerre nel bacino mediterraneo<br />

ed in Medio Oriente. Difficile s<strong>ott</strong>rarsi al<br />

sano contagio che le sue parole di cronista,<br />

reporter di frontiera, riescono a<br />

Francesco M<strong>ott</strong>o<br />

SALESIANI DI DON BOSCO<br />

IN ITALIA<br />

Grazia Loparco<br />

e Maria Teresa Spiga<br />

FIGLIE DI MARIA<br />

AUSILIATRICE IN ITALIA<br />

DONNE NELL’EDUCAZIONE<br />

Las - Roma<br />

Riccardo Cristiano<br />

CAOS ARABO<br />

Edizioni Mesogea - € 19,00<br />

trasmettere sulle realtà di<br />

città indebolite e private<br />

del loro legittimo processo<br />

di evoluzione e progresso<br />

civile come Beirut,<br />

Damasco, Daraa,<br />

dove la “rivoluzione” è<br />

scoppiata dopo l’arresto<br />

di 20 bambini che scrivevano<br />

sui muri, vittime dell’ingordigia<br />

di regimi autoritari padroni non solo dell’economia<br />

ma usurpatori delle<br />

coscienze e degli animi s<strong>ott</strong>omessi del-<br />

la povera gente. Una lezione quella<br />

di Cristiano che va oltre la retorica,<br />

che scuote il buon senso ed<br />

il giudizio dei benpensanti, come<br />

nel caso di Iman, Ahlam e Najla, tre<br />

ragazze che arrivano a morire per via<br />

delle orrende consuetudini e delle norme<br />

sociali in Paesi dove la società è<br />

maschilista e patriarcale. In questi territori<br />

si assiste impotenti alla privazione<br />

dei diritti civili, i familiari spesso affittano<br />

i corpi femminili delle loro bambine.<br />

Sono Paesi in cui la legge spesso punisce<br />

la maternità come fosse una colpa.<br />

Questa raccolta di inchieste denuncia le<br />

storture di società chiuse e <strong>ott</strong>use.<br />

F.R.A.


Seguendo Karol<br />

I l<br />

Filippo Anastasi<br />

IN VIAGGIO CON UN SANTO<br />

Edizioni Messaggero Padova<br />

€ 15,00<br />

tributo di Filippo Anastasi, ‘In<br />

viaggio con un santo’ è un originale<br />

pamphlet dedicato al Giovanni<br />

Paolo II, il primo Papa ricordato<br />

come un vero e proprio cittadino<br />

del mondo. L’autore - giornalista<br />

e scrittore, responsabile di più<br />

testate di informazione religiosa, inviato<br />

del Messaggero, conduttore e caporedattore<br />

del TG1, vicedirettore del TG2<br />

- ha avuto modo di partecipare ad<br />

alcuni dei numerosi viaggi apostolici,<br />

se ne contano una cinquantina, oltre i<br />

confini italiani. Giovanni Paolo II è stato<br />

in assoluto il Papa che ha percorso<br />

Dimmi cosa<br />

mangi…<br />

C ome<br />

si distingue un uovo che proviene da un allevamento<br />

intensivo da uno deposto in un allevamento a<br />

cielo aperto? Quali sono i vari nomi per segnalare la presenza<br />

nei cibi di grassi idrogenati, estremamente dannosi per la<br />

salute? “Quello che le etichette non dicono, guida per uscire<br />

sani dal supermercato” è un invito ad allargare il proprio<br />

bagaglio culturale, a chiedersi se riusciamo a ‘leggere’ ciò<br />

che le etichette dei prod<strong>ott</strong>i alimentari oggi ci dicono. Il libro<br />

ha per protagonista il ‘signor no’, che insieme alla moglie<br />

Nina si interroga, girando nel supermercato, sui prod<strong>ott</strong>i che<br />

quotidianamente troviamo sulle nostre tavole, resistendo<br />

anche a qualche richiesta fin troppo golosa dei piccoli figli.<br />

L’opera di Pierpaolo Corradini, giornalista free-lance, è<br />

un’utilissima guida per conoscere veramente ciò che man-<br />

la distanza chilometricamaggiore<br />

rispetto ai<br />

suoi predecessori,sinceramente<br />

motivato<br />

da un obiettivo a<br />

lui caro: il progettomissionario<br />

che ha caratterizzato<br />

ogni<br />

giorno del suo<br />

pontificato, quello di portare il Vangelo<br />

a tutte le genti costruendo un ponte tra<br />

nazioni, <strong>popoli</strong> e religioni. È stato il<br />

grande Karol, che ha voluto e saputo<br />

capire ed interpretare tutte le lingue, il<br />

Papa che ha colto in ogni cultura,<br />

anche in quelle apparentemente più<br />

lontane dal cristianesimo, le radici<br />

comuni che rendono gli uomini e le<br />

giamo e quali sono gli additivi<br />

più diffusi tra gli scaffali dei<br />

supermercati. Per tutelare la<br />

propria salute e quella dei<br />

familiari, è necessaria una<br />

nuova consapevolezza, un<br />

saper ‘fare la spesa 2.0’, in un<br />

panorama di offerte troppo<br />

spesso lontane dalla loro originale<br />

naturalezza, in un’Italia<br />

che ha sempre inteso il mangiar<br />

bene come un’espressione<br />

tipica della propria cultura.<br />

Ironico e coinvolgente, il testo<br />

si divide in nove capitoli e ha<br />

inoltre un’ampia appendice<br />

che dettaglia le normative italiane<br />

ed europee, gli aspetti<br />

tecnici e scientifici e le ricer-<br />

donne di ogni civiltà e condizione fratelli<br />

e sorelle. Polonia, Romania, Regno<br />

Unito, Messico, Brasile, la Cuba di<br />

Fidel Castro, le Afriche, città come<br />

Nuova Delhi o Sarajevo, sono la storia<br />

civile, religiosa e moderna di un’umanità<br />

a cavallo tra due millenni, durante i<br />

quali abbiamo assistito alla liberazione<br />

dell’ex cortina di ferro. Anastasi, con<br />

gli scatti ufficiali presi negli incontri con<br />

capi di Stato e autorità, a bordo dell’aereo<br />

papale, confuso con lo staff della<br />

compagnia aerea Alitalia, ha saputo<br />

ritrarre il vero volto di Giovanni Paolo II.<br />

Uno sguardo sempre in rapporto con i<br />

fedeli, gioioso ed emozionato. Continuamente<br />

alla ricerca, portato a vedere<br />

e capire sia le masse oceaniche di<br />

fedeli che gli scettici, i perseguitati, gli<br />

intimoriti, sue amate creature al pari di<br />

tutti gli altri. F.R.A.<br />

Pierpaolo Corradini<br />

QUELLO CHE<br />

LE ETICHETTE<br />

NON DICONO<br />

Edizioni Emi - € 13,00<br />

che internazionali, per avere più informazioni su temi come<br />

Ogm, biologico, coloranti e tabelle nutrizionali. L.D.A.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

LIBRI<br />

51


MUSICA<br />

52<br />

TERRAKOTA<br />

Il mondo<br />

fatto a pezzi<br />

U n<br />

gruppo interessante, questo<br />

ensemble, mezzo portoghese<br />

(come base operativa e creativa) e<br />

mezzo angolano (per radici culturali).<br />

Abbiamo parlato più volte in queste<br />

pagine di world-music, una scuola<br />

espressiva stilisticamente assai variegata<br />

che, se da un lato è espressione<br />

inconfutabile della globalizzazione in<br />

atto nella post-modernità, dall’altro ne<br />

rappresenta al meglio tutte le opportunità<br />

potenzialmente positive e certi<br />

ideali di fraternità così spesso vilipesi<br />

dai diktat delle lobbies economiche e<br />

del potere.<br />

Ebbene, i Terrakota ne rappresentano<br />

una delle espressioni più originali e pittoresche.<br />

Non solo per i succitati background,<br />

ma anche perché in questo<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

loro nuovissimo World Massala, fresco<br />

di stampa per la Ojo, ne rilanciano ulteriormente<br />

il concetto, aprendo il loro<br />

sound su orizzonti ancora più vasti. Un<br />

vero e proprio patchwork (meno<br />

modernista, ma non meno intrigante di<br />

quelli proposti da un Manu Chao, per<br />

intendersi). Tra gli undici frammenti<br />

echeggiano sonorità perennemente<br />

mutanti, che guardano sempre più lontano:<br />

spaziando sul Brasile, diversi Paesi<br />

africani, i Caraibi (dalla Giamaica a<br />

Cuba, passando per la Guinea) e addirittura<br />

il Rajasthan indiano.<br />

Multiculturalismo di suoni e di ritmi lontani<br />

secoli e migliaia di chilometri tra<br />

loro, ma capaci di coabitare armoniosamente<br />

in un album che ha nella<br />

genuinità non artefatta, e nella passione<br />

per la musica come strumento universale<br />

di fratellanza, la sua primaria<br />

ragion d’essere. E la sua avvincente<br />

bellezza.<br />

Il massala è una delle spezie indiane più<br />

note ed apprezzate al mondo. E mirabilmente<br />

speziata appare anche questa<br />

crociera sonora che proprio dall’India<br />

diparte (da quella tradizionale a quella<br />

post-moderna di Bollywood) per poi<br />

costeggiare mille altre sponde, arric-<br />

chendosi ad ogni fermata di sempre<br />

nuovi sapori.<br />

Fuor di metafora, è un lavoro non frutto<br />

di strategie studiate a tavolino, ma di<br />

esperienze vissute sul campo e sperimentate<br />

sulla propria pelle (come in Illegal,<br />

dove la cantante Rumi racconta della<br />

sua attesa di un permesso di soggiorno).<br />

Il <strong>sett</strong>etto ha ospitato musicisti gitani,<br />

percussionisti africani, e solisti fascinosi<br />

come la star bollywoodiana Vasundhara<br />

Das, il rapper cubano Cuban<br />

Kamar e il cantautore angolano Paolo<br />

Flores. Un gustoso pinzimonio insomma:<br />

perfetto anche per far sopravvivere i<br />

colori e calori dell’estate nelle brume di<br />

questo nuovo autunno.<br />

Franz Coriasco<br />

f.coriasco@tiscali.it


Cosa rappresentano i missionari<br />

nell’immaginario collettivo? Cosa<br />

pensa di loro la gente? Basta fermare<br />

qualcuno per la strada, all’uscita di una<br />

scuola o tra i banchi del mercato per<br />

ascoltare le risposte più varie. Eroi<br />

silenziosi o sconosciuti sparsi nel mondo,<br />

i missionari restano delle persone<br />

che, attraverso la loro scelta, sono la<br />

testimonianza vivente del Vangelo portato<br />

ad gentes.<br />

È dedicato infatti ai “Testimoni di Dio” il<br />

video promosso dalla Fondazione Missio<br />

per la Giornata Missionaria Mondiale<br />

2011 e realizzato da Tv 2000, di cui<br />

sono autori padre Giulio Albanese,<br />

direttore di Popoli e Missione e Antonio<br />

Soviero che ne firma anche la regia.<br />

Autorevoli personaggi del mondo della<br />

cultura, del volontariato, religiosi di oggi<br />

e di ieri, rappresentanti di istituzioni raccontano<br />

le numerose peculiarità del<br />

servizio dei missionari tra tutti i <strong>popoli</strong><br />

della terra.<br />

Tra le personalità intervistate, Elisabetta<br />

Belloni, Direttore generale della cooperazione<br />

allo sviluppo del Ministero degli<br />

esteri italiano, che s<strong>ott</strong>olinea: «In tutti i<br />

viaggi che ho effettuato ho avuto modo<br />

di incontrare missionari che operano<br />

concretamente sul terreno, soprattutto<br />

nel <strong>sett</strong>ore sanitario e soprattutto in<br />

Africa».<br />

Padre Albanese ci conduce attraverso<br />

Fare<br />

memoria<br />

della<br />

<strong>missione</strong><br />

questa inchiesta sul missionario<br />

del terzo millennio, passando<br />

attraverso luoghi significativi<br />

per la storia della <strong>missione</strong><br />

dal Palatino al Colosseo dove i<br />

primi martiri della cristianità<br />

hanno pagato la fede a prezzo<br />

della propria vita. Anche oggi la<br />

lista dei missionari uccisi nelle<br />

zone a rischio del pianeta è<br />

sempre più lunga, forse proprio<br />

perché, come spiega lo<br />

storico Franco Cardini: «Il missionario<br />

è per definizione un<br />

uomo di pace e se si confronta<br />

con la violenza lo fa nella misura<br />

in cui l’accetta dagli altri.<br />

Quindi il missionario può<br />

diventare martire, una parola di<br />

origine greca che significa testimone».<br />

Vivere alla luce del Vangelo significa<br />

lasciarsi interrogare dalle sfide dei tempi<br />

che viviamo, quella dell’accoglienza<br />

a chi bussa alla nostra porta innanzitutto,<br />

come ricorda suor Elisa Kidanè,<br />

comboniana: «Un albero si riconosce<br />

soprattutto dai frutti delle radici cristiane<br />

del Vecchio continente, in particolare<br />

dalla capacità dell’accoglienza. In<br />

questo momento abbiamo il dovere di<br />

aprire i cuori e le menti per mostrare a<br />

chi arriva da lontano che Dio si prende<br />

cura di questa gente attraverso gli<br />

uomini e le donne di buona volontà».<br />

Le voci della <strong>missione</strong> nell’era della globalizzazione<br />

hanno echi che vengono<br />

dal passato. Padre Rino Benzoni, superiore<br />

generale dei Saveriani, ricorda la<br />

figura del fondatore, monsignor Conforti<br />

che a 80 anni dalla morte viene proclamato<br />

santo. La modernità di questo<br />

grande missionario viene accostata nel<br />

video al ricordo del Beato Clemente<br />

Vismara, detto anche l’apostolo della<br />

Birmania, ricordato da padre Piero<br />

Gheddo, che della sua causa di beatificazione<br />

è stato postulatore.<br />

Miela Fagiolo D’Attilia<br />

m.fagiolo@missioitalia.it<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

CIAK DAL MONDO<br />

53


54<br />

FONDAZIONE MISSIO<br />

Nel mese che la Chiesa<br />

dedica alla Missione, in<br />

vista della 85esima<br />

Giornata missionaria<br />

mondiale che si celebra<br />

domenica 23 <strong>ott</strong>obre,<br />

pubblichiamo un<br />

approfondimento del<br />

tema scelto da Missio<br />

per l’Ottobre<br />

missionario: “Testimoni<br />

di Dio”. Perchè non<br />

resti solo uno slogan.<br />

di LUCA MOSCATELLI<br />

<strong>popoli</strong>e<strong>missione</strong>@operemissionarie.it<br />

Nel Vangelo, il Figlio rende<br />

testimonianza al Padre, e<br />

questo è assai noto. Forse<br />

meno conosciuto è il fatto che anche<br />

il Padre rende testimonianza al Figlio.<br />

In due punti strategici del suo racconto<br />

– all’inizio e nello snodo decisivo a<br />

metà – l’evangelista Marco fa risuonare<br />

prima dal cielo che si apre sopra<br />

il battesimo di Gesù, e poi da dentro<br />

una nube che è scesa sul monte della<br />

trasfigurazione, queste parole: «Tu sei<br />

il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il<br />

mio compiacimento» (Marco 1,11);<br />

«Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!»<br />

(Marco 9,7). In entrambi i casi<br />

la voce dice l’amore per il Figlio. La<br />

prima volta rivolgendosi al Figlio, la<br />

seconda ai suoi discepoli; nel primo<br />

testo scendendo dal cielo squarciato,<br />

nel secondo uscendo da una nube,<br />

cioè da un pezzo di cielo sceso sulla<br />

cima di un monte fino a toccare la<br />

terra… Queste due testimonianze che<br />

il Padre rende al Figlio tracciano un<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE- OTTOBRE 2011<br />

Uomini e<br />

cammino discendente, che si incarna,<br />

e trovano il loro compimento alla fine<br />

(altro luogo assolutamente simbolico<br />

della narrazione) nell’esclamazione<br />

del centurione s<strong>ott</strong>o la croce, il quale<br />

visto Gesù morire in quel modo disse:<br />

«Davvero quest’uomo era Figlio di<br />

Dio!» (Marco 15,39). Il centurione ha<br />

visto morire Gesù come un Figlio che<br />

confida nel Padre, e gli rende testimonianza.<br />

Pur essendo romano e pagano<br />

riconosce la presenza di Dio nella<br />

morte di questo uomo e attesta che<br />

proprio lì ha capito la paternità di Dio<br />

e la fraternità universale di tutti gli<br />

uomini. Perciò il cielo che ha parlato<br />

due volte alla fine del racconto può<br />

tacere, perché ormai da quel venerdì<br />

santo nel quale il Figlio si è donato<br />

per amore la voce che riconoscerà la<br />

figliolanza divina del Nazareno sarà<br />

umana, una voce che appartiene alla<br />

terra.<br />

Nel Vangelo il linguaggio della testimonianza<br />

esprime dunque l’amore, e<br />

questo è un primo grande elemento di<br />

riflessione: solo chi riconosce di essere<br />

amato da Dio, e si impegna a<br />

ricambiare questo amore, conosce il<br />

Signore e può essere in verità suo<br />

testimone; e d’altra parte, solo Dio<br />

può accreditare i suoi testimoni, attestando<br />

a sua volta che essi, amandolo,<br />

lo conoscono davvero poiché a loro<br />

egli si dona in pienezza. Se stiamo,<br />

dunque, al testo del Vangelo non


donne<br />

che vivono<br />

per sempre<br />

dovrebbero esserci dubbi: siamo stati<br />

scelti per amore al fine di continuare<br />

nella storia la testimonianza che Gesù<br />

ha reso al Padre.<br />

‘Testimoni di Dio’ dice allora l’identità<br />

dei cristiani e il centro della <strong>missione</strong><br />

che è loro affidata. Tuttavia ‘testimone’<br />

è il nome di una relazione, dove<br />

colui che si rende disponibile a testimoniare<br />

sa di essere chiamato a mettere<br />

in primo piano non se stesso bensì<br />

colui che testimonia. Insomma nella<br />

frase ‘Testimoni di Dio’ l’accento<br />

deve cadere su Dio, non sul testimone.<br />

È questo che caratterizza<br />

il testimone cristiano in quanto<br />

la sua parola e la sua esistenza<br />

rimanda ad un Altro.<br />

E qui siamo richiamati a un<br />

secondo elemento di riflessione:<br />

la nostra testimonianza<br />

vuole attirare l’attenzione<br />

su di noi, cioè prima<br />

di tutto e soprattutto<br />

sulla Chiesa, oppure su<br />

Dio? Anche quando il testimone<br />

fosse chiamato a<br />

imprese grandiose, la sua<br />

testimonianza resterebbe<br />

un rimando al suo Maestro e<br />

Signore. Altrimenti non<br />

sarebbe testimonianza cristiana.<br />

Ma se la testimonianza è un<br />

rimando al volto di Dio, quale<br />

volto la <strong>missione</strong> cristiana deve testimoniare<br />

al mondo? Senz’altro il volto<br />

Testimoni di Dio: non solo uno slogan<br />

di un Padre, che per amore si fa povero,<br />

servo, umile, paziente e misericordioso.<br />

Immensamente, incomprensibilmente,<br />

meravigliosamente misericordioso. I<br />

testimoni di questo Padre non potranno<br />

che riconoscersi figli nel Figlio<br />

Gesù, grati di essere stati accolti senza<br />

merito e impegnati ad annunciare<br />

a tutti la fraternità universale alla<br />

quale siamo da sempre destinati. E se<br />

per questo annuncio di amore dovessimo<br />

essere odiati e alla fine perfino<br />

uccisi, rinunceremo a qualsiasi vendetta<br />

morendo con parole di perdono<br />

sulle labbra, quelle stesse imparate da<br />

Gesù nel momento del suo dono<br />

supremo: «Padre, perdona loro perché<br />

non sanno quello che fanno» (Luca<br />

23,34).<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE- OTTOBRE 2011<br />

55


56<br />

VITA DI MISSIO<br />

di CHIARA PELLICCI<br />

c.pellicci@missioitalia.it<br />

Non è per gli addetti ai lavori, né<br />

per gli esperti, né per pochi<br />

intimi. È per tutti: ragazzi, giovani,<br />

famiglie, consacrati. La <strong>missione</strong><br />

non lascia fuori nessuno, dal momento<br />

in cui si è stati battezzati. Impegna<br />

ciascuno per ciò che può dare, a<br />

seconda dell’età, condizioni fisiche,<br />

scelte di vita fatte. Lo sa bene Missio,<br />

l’organismo pastorale della Conferenza<br />

episcopale italiana a cui è affidata<br />

l’animazione delle comunità, la formazione<br />

di chi sceglie l’ad gentes e la<br />

cooperazione missionaria tra le Chiese.<br />

In <strong>ott</strong>obre, mese che la Chiesa universale<br />

dedica in particolar modo all’im-<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE- OTTOBRE 2011<br />

A servizio<br />

della<br />

<strong>missione</strong><br />

pegno per l’evangelizzazione, la sezione<br />

di Missio che promuove l’animazione<br />

missionaria è più che mai attenta a<br />

mettere strumenti, attività, proposte,<br />

risorse a servizio di tutti: le Pontificie<br />

Opere Missionarie – il cui scopo, ricordato<br />

da Giovanni Paolo II nella<br />

Redemptoris Missio, è quello di «promuovere<br />

lo spirito missionario universale<br />

in seno al popolo di Dio» - si mettono<br />

a servizio della <strong>missione</strong>.<br />

NON È MAI TROPPO PRESTO<br />

PER ESSERE MISSIONARI<br />

Si può essere protagonisti della <strong>missione</strong><br />

da <strong>ott</strong>o a 14 anni, anche senza partire<br />

per luoghi misteriosi o lasciare<br />

casa, genitori, fratelli, amici. Come? Lo<br />

insegna la Pontificia Opera dell’Infanzia<br />

Missionaria (Poim), che<br />

accompagna i ragazzi attraverso testimonianza,<br />

gioco, preghiera, condivisione<br />

perché diventino missionari in<br />

famiglia, a scuola, in parrocchia e<br />

negli altri luoghi di incontro con i coetanei.<br />

La Poim non svolge attività separate<br />

dagli altri gruppi ecclesiali o dalle altre<br />

associazioni cristiane, ma si pone al<br />

loro servizio, come stimolo all’azione<br />

missionaria. Volendo, il parroco può<br />

scegliere di costituire un gruppo di<br />

ragazzi missionari, con il proprio<br />

nome e i propri impegni concreti, ma i<br />

ragazzi che vi faranno parte avranno<br />

l’impegno di continuare a partecipare<br />

alla catechesi parrocchiale e agli altri


Anche tu come Gesù<br />

Ricalca lo slogan della prossima Giornata Missionaria dei Ragazzi, il titolo del<br />

sussidio annuale 2011/2012 che la Poim ha preparato per animatori, parroci,<br />

insegnanti, catechisti. “Anche tu come Gesù” è l’invito che viene fatto ad ogni<br />

bambino perché possa vivere come il Maestro, ovvero alla sua maniera, testimone<br />

in prima persona dell’amore misericordioso di Dio. Essere come Gesù<br />

significa porsi con ricorrenza una domanda: cosa avrebbe fatto Lui in questa<br />

determinata situazione? Un quesito con cui i più giovani possono confrontarsi,<br />

affinché diventino i protagonisti della loro vita.<br />

Il sussidio propone cinque schede tematiche, legate ad altrettante azioni che<br />

caratterizzano chi intende vivere come il Maestro: ascoltare, dialogare, incontrare,<br />

condividere, annunciare. Ogni scheda tematica è composta da una riflessione<br />

sulla Parola di Dio - proposta da Don Gianni Cesena, direttore delle Pontificie<br />

Opere Missionarie -, da una testimonianza<br />

che mette in luce un aspetto del volto misericordioso<br />

del Padre, da un esplicito riferimento<br />

ad un continente del quale si presenta il<br />

relativo Progetto del Fondo di Solidarietà.<br />

servizi di evangelizzazione offerti loro<br />

dalla realtà ecclesiale.<br />

Gli strumenti che la Poim offre a bambini<br />

e pre-adolescenti sono: la newsletter<br />

<strong>sett</strong>imanale dal titolo “Il Vangelo<br />

a fumetti”, che invita alla preghiera<br />

con la Parola della domenica,<br />

illustrata in bianco e nero perché i<br />

ragazzi possano colorarla e leggerla<br />

con attenzione; il Diario di bordo del<br />

Ragazzo Missionario, un quaderno<br />

che aiuta a pregare, sprona all’annuncio,<br />

invita alla solidarietà con i bambini<br />

dei Paesi più bisognosi, apre a nuove<br />

amicizie con la “Festa dei ragazzi a<br />

colori”; alcuni gadget come la Matita<br />

missionaria o i palloncini; i Progetti<br />

del Fondo di Solidarietà della Pontifi-<br />

cia Opera della Santa Infanzia (Posi), ai<br />

quali contribuiscono con generosità<br />

tutti i bambini del mondo; il materiale<br />

per la Giornata Missionaria dei<br />

Ragazzi, tra cui la Novena di Natale e<br />

l’attività dei Seminatori di stelle.<br />

Periodicamente la Poim organizza<br />

anche eventi nazionali per rendere i<br />

ragazzi protagonisti della <strong>missione</strong> in<br />

una particolare occasione (per esempio:<br />

nel recente Anno Paolino) e si fa<br />

promotrice di un incontro annuale di<br />

approfondimento e confronto per gli<br />

animatori impegnati nel proporre la<br />

<strong>missione</strong> ai più piccoli.<br />

Maggiori informazioni sul sito<br />

www.poim.it<br />

DAI GIOVANI PER I GIOVANI<br />

Si chiama Movimento Giovanile Missionario<br />

(Mgm) o, più semplicemente,<br />

Missio Giovani il servizio di pastorale<br />

missionaria delle Pontificie Opere Missionarie<br />

svolto dai giovani per i giovani.<br />

L’Mgm opera nella Chiesa locale,<br />

all’interno del Centro missionario diocesano<br />

e in collaborazione con gli altri<br />

<strong>sett</strong>ori della pastorale diocesana: non<br />

vive da estraneo, ma svolge il suo servizio<br />

nelle e per le comunità locali, per<br />

gli altri movimenti, associazioni e<br />

organismi ecclesiali, tenendo l’attenzione<br />

sempre alta sull’anima missionaria<br />

della Chiesa.<br />

L’Mgm è un’agorà per adolescenti e<br />

giovani che vogliono maturare nella<br />

vita cristiana e partecipare alla <strong>missione</strong><br />

universale della Chiesa; è un’occasione<br />

di formazione missionaria per<br />

conoscere gli altri <strong>popoli</strong>, scegliere<br />

uno stile di vita evangelico, scoprire la<br />

propria chiamata come sacerdote,<br />

consacrato, laico o famiglia; è un luogo<br />

di “vita comunitaria” per con- »<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE- OTTOBRE 2011<br />

57


58<br />

VITA DI MISSIO<br />

tribuire all’abbattimento dell’indifferenza<br />

e dei pregiudizi, favorire l’incontro<br />

con giovani di religione e culture<br />

differenti, promuovere a livello diocesano,<br />

regionale e nazionale la comunione,<br />

la corresponsabilità e l’impegno<br />

tra le diverse realtà missionarie di<br />

carattere giovanile.<br />

Per realizzare tutto ciò, Missio Giovani<br />

ha messo a punto vari strumenti:<br />

l’esperienza di visita missionaria in<br />

un Paese del Sud del mondo da fare in<br />

estate vivendo insieme ai missionari<br />

italiani presenti in quella realtà; la<br />

Compagni<br />

di viaggio<br />

Sono uomini e donne di<br />

speranza che hanno<br />

lasciato un segno nella<br />

storia del mondo, ma non<br />

sono una categoria a<br />

parte, un’unità di misura<br />

fuori portata per chi si<br />

definisce un “comune<br />

mortale”: i “compagni di<br />

viaggio” sono testimoni,<br />

ma anche e soprattutto<br />

persone come gli altri, che<br />

camminano con la loro gente, uomini e donne che<br />

svolgono le più comuni professioni e lasciano<br />

un’impronta nel cuore della gente che incontrano.<br />

Il sussidio di animazione missionaria 2011/2012<br />

per adolescenti e giovani presenta nove “compagni<br />

di viaggio” con altrettante schede: ciascuna è<br />

costituita da un breve focus sulla vita del testimone,<br />

un brano della Parola di Dio, la presentazione<br />

di un libro per approfondire, una dinamica da vivere<br />

in gruppo e un film per riflettere sull’argomento<br />

proposto.<br />

La parte finale del sussidio espone alcune problematiche<br />

legate alla mondialità che non possono<br />

essere ignorate: per ciascuna di esse si forniscono<br />

strumenti per approfondire l’argomento e<br />

sostenere la relativa campagna (“Abiti puliti”,<br />

“Banche armate”, “Ponti e non muri”, ecc.).<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE- OTTOBRE 2011<br />

scuola di formazione “Missio Edu”,<br />

per approfondire ogni giorno un tema<br />

specifico legato alla missionarietà; tre<br />

week-end di spiritualità missionaria<br />

nell’arco di un anno; la newsletter<br />

<strong>sett</strong>imanale per mantenere un collegamento<br />

costante con chi lo desidera;<br />

canali multimediali, come Facebook,<br />

Twitter e Youtube, indispensabili nella<br />

comunicazione di oggi tra giovani; il<br />

sostegno annuale ad un progetto di<br />

istruzione da realizzare nel Paese meta<br />

dell’esperienza estiva con i proventi<br />

della vendita di “1 quaderno x 2”. Va<br />

inoltre ricordato il Convegno Missionario<br />

Giovanile con frequenza triennale,<br />

occasione per definire gli obiettivi<br />

missionari da realizzare nel triennio<br />

successivo: il prossimo si terrà a Frascati<br />

dal 28 aprile all’1 maggio 2012.<br />

Maggiori informazioni sul sito<br />

www.giovani.missioitalia.it<br />

ADULTI, FAMIGLIE, COMUNITÀ:<br />

SIAMO TUTTI MISSIONARI<br />

“Missio adulti e famiglie” rappresenta<br />

il segretariato nazionale della Pontifi-


Testimoni della Misericordia<br />

Si intitola così il sussidio annuale di animazione<br />

missionaria 2011/2012 dedicato<br />

ad adulti, famiglie e comunità. Al<br />

suo interno è contenuto un percorso in<br />

cinque tappe basate su altrettanti episodi<br />

del Vangelo di Luca: l’incontro di<br />

Gesù con Pietro e i pescatori (Lc 5, 1-<br />

11); la vocazione di Matteo (Lc 5, 27-<br />

32); la guarigione del servo del centurione<br />

(Lc 7, 1-10); l’incontro con<br />

Zaccheo (Lc 19, 1-10); l’episodio del<br />

paralitico guarito (Lc 5, 17-26). Sono<br />

brani scelti per mettere in evidenza cinque<br />

azioni che descrivono la presenza<br />

della Misericordia divina: ascoltare,<br />

accogliere, avere cura, coinvolgersi,<br />

riconciliarsi. Modi in cui Dio rende<br />

capaci di testimoniare il suo Amore<br />

all’umanità intera. Infatti la parola del<br />

missionario – confermata dalla sua vita<br />

pienamente umana – è occasione per<br />

mostrare la Misericordia contenuta nel Vangelo. Don Valerio Bersano, segretario<br />

nazionale della Popf, nel presentare il sussidio s<strong>ott</strong>olinea quale sia la dinamica della<br />

testimonianza: «Nel luogo in cui vivono i cristiani, deve crescere la simpatia per<br />

tutti, l’impegno per la giustizia e per la pace». E aggiunge: «Se comprendiamo<br />

quanto sia prezioso il dono ricevuto, ci impegniamo ad offrirlo a nostra volta». Un<br />

augurio e un invito per tutti: adulti, famiglie e comunità.<br />

cia Opera della Propagazione della<br />

Fede (Popf). Una denominazione che<br />

s<strong>ott</strong>olinea l’appartenenza alla Fondazione<br />

Missio - assieme alle altre Pontificie<br />

Opere Missionarie in Italia - e<br />

la peculiarità della prospettiva pastorale:<br />

l’animazione missionaria di<br />

adulti, famiglie e comunità. La Popf<br />

invita a due tipi di solidarietà: quella<br />

spirituale, con l’offerta della preghiera<br />

e la vicinanza spirituale ai missionari,<br />

e quella materiale, mediante la<br />

raccolta di offerte inviate alle Chiese<br />

di <strong>missione</strong> più povere. Tante le proposte<br />

ideate per l’animazione missionaria:<br />

il Pellegrinaggio ad gentes, un<br />

viaggio di preghiera che conduce<br />

ogni giorno in un Paese del mondo,<br />

per offrire quotidianamente a Dio<br />

un’intercessione per una nazione, per<br />

la sua Chiesa e per quanti hanno dato<br />

la vita per il Vangelo in quella terra:<br />

un calendario e uno schedario, con<br />

365 schede informative sul Paese del<br />

giorno e su tematiche missionarie,<br />

aiutano nella preghiera quotidiana;<br />

l’Atto di Offerta della Sofferenza, da<br />

proporre a quanti sono infermi o<br />

malati: un modo per vivere la propria<br />

vocazione missionaria mediante l’offerta<br />

a Dio delle sofferenze fisiche e<br />

spirituali, attraverso la preghiera<br />

quotidiana per i missionari, sull’esempio<br />

di Santa Teresa di Lisieux; la<br />

promozione della raccolta di oggetti<br />

sacri essenziali ai sacerdoti nelle giovani<br />

Chiese per una celebrazione<br />

liturgica dignitosa: l’iniziativa è pro-<br />

mossa attraverso l’Opera Apostolica,<br />

un servizio interno alla Popf; la raccolta<br />

di fondi a favore delle cosiddette<br />

Chiese di <strong>missione</strong>: un impegno<br />

che si concretizza in particolare con<br />

la celebrazione della Giornata Missionaria<br />

Mondiale, penultima domenica<br />

d’<strong>ott</strong>obre.<br />

Per animare comunità, adulti e famiglie,<br />

l’Opera propone inoltre specifici<br />

sussidi, soprattutto in preparazione<br />

al mese che la Chiesa universale dedicata<br />

alla <strong>missione</strong>. Tra questi si ricorda<br />

il fascicolo “Ottobre Missionario -<br />

Proposte di animazione per adulti e<br />

famiglie” per celebrare con la preghiera<br />

le cinque <strong>sett</strong>imane del mese e<br />

l’ “Animatore Missionario” che raccoglie<br />

gli strumenti di animazio- »<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE- OTTOBRE 2011<br />

59


60<br />

VITA DI MISSIO<br />

Il dono della <strong>missione</strong><br />

Anche la Pum elabora un sussidio annuale di animazione<br />

missionaria: dedicato ai consacrati, vuole<br />

essere uno strumento per vivere la <strong>missione</strong> a partire<br />

dal mandato di Gesù. Quello dell’anno in corso<br />

si intitola “Spezzare pane per tutti i <strong>popoli</strong>, il dono<br />

della <strong>missione</strong>” e parte dall’ascolto della Parola di<br />

Gesù.<br />

Il pane spezzato posto al centro di questo percorso<br />

di riflessione è quel pane quotidiano che i cristiani<br />

invocano ogni giorno nella preghiera del Signore,<br />

sapendo che è allo stesso tempo pane donato<br />

come frutto della terra e della provvidenza di Dio, e<br />

pane ricavato dal sudore del lavoro, dalla fatica delle<br />

relazioni, dalla l<strong>ott</strong>a contro l’ingiusta e la discriminatoria<br />

distribuzione dei beni della terra. Nel percorso<br />

si matura la convinzione che l’eucaristia, così come ogni altro dono della fede,<br />

esprime non una, ma due direzioni: il dono, infatti, si dà e si riceve. Il dono della<br />

<strong>missione</strong> è imbandito sulla tavola del mondo, dove ci si siede con tutti i <strong>popoli</strong><br />

a spezzare pane, a condividere Parola e parole, a raccontare i cammini che portano<br />

a quella mensa per ripartire verso altri fratelli e sorelle.<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE- OTTOBRE 2011<br />

ne per parroci e collaboratori<br />

in vista dell’<strong>ott</strong>obre.<br />

Maggiori informazioni sul<br />

sito www.famiglie.missioitalia.it<br />

CONSACRATI IN RETE<br />

Seminaristi, religiosi e religiose,<br />

sacerdoti, diaconi. Sono<br />

loro i protagonisti della Pontificia<br />

Unione Missionaria<br />

(Pum), l’Opera che si propone<br />

di animare alla <strong>missione</strong> gli uomini e le<br />

donne consacrati a Dio. Un importante<br />

obiettivo della Pum è la formazione<br />

missionaria dei giovani che si preparano<br />

al sacerdozio. Come? Gli strumenti<br />

vanno dal Convegno annuale dei


seminaristi, che è la conclusione di un<br />

percorso iniziato con la visita di un<br />

animatore Pum che stimola i ragazzi a<br />

iniziative di carattere missionario, alla<br />

promozione dei Gruppi di animazione<br />

missionaria (Gamis) all’interno di ciascun<br />

seminario. Ma la Pum non vuole<br />

essere una struttura centrale che da<br />

Roma invia materiale o propone iniziative<br />

a senso unico, vuole piuttosto<br />

essere un punto di raccolta di esperienze<br />

e risorse: strumento principe per<br />

perseguire questo obiettivo è il sito<br />

web, a disposizione di chiunque voglia<br />

renderlo fruibile e utile in modo che si<br />

crei una vera e propria ragnatela con la<br />

sede dell’Opera al centro e i seminari<br />

nei vari snodi della rete.<br />

Le proposte della Pum coinvolgono<br />

anche coloro che si sono già consacrati<br />

al Signore. Tra queste segnaliamo<br />

una newsletter periodica dall’emblematico<br />

titolo “ProVoc@zioni”- scritta<br />

da don Amedeo Cristino, segretario<br />

nazionale - inviata a migliaia di contatti;<br />

la Giornata di spiritualità missionaria<br />

delle religiose, che si celebra<br />

l’1 <strong>ott</strong>obre in occasione della memoria<br />

di Santa Teresa di Lisieux, con la proposta<br />

di una veglia; la Giornata di spiritualità<br />

missionaria dei sacerdoti e dei<br />

religiosi, che si celebra il 3 dicembre,<br />

festa di san Francesco Saverio, con la<br />

proposta di una preghiera centrata sulla<br />

celebrazione eucaristica e sul mandato<br />

missionario.<br />

Infine la Pum propone l’adesione<br />

all’Opera offrendo l’abbonamento al<br />

mensile “Popoli e Missione”, l’itinerario<br />

annuale di catechesi, l’Animatore missionario<br />

(rivista trimestrale per comunità)<br />

e altro materiale prod<strong>ott</strong>o dalle<br />

Pontificie Opere Missionarie.<br />

Maggiori informazioni sul sito<br />

www.pum.operemissionarie.it<br />

CHIUNQUE PER<br />

LE CHIESE SORELLE<br />

C’è una quarta Opera che completa le<br />

Pontificie Opere Missionarie: questa<br />

non si rivolge ad un target particolare<br />

(ragazzi, giovani, famiglie, consacrati),<br />

ma a tutti. Chiunque lo voglia, infatti,<br />

può prendere contatti con la Pontificia<br />

Opera di San Pietro Apostolo (Pospa)<br />

e sostenere le vocazioni sacerdotali in<br />

tutto il mondo. Compito della Pospa,<br />

infatti, è quello di favorire lo sviluppo<br />

delle giovani Chiese di <strong>missione</strong> aiutando<br />

la formazione del personale<br />

apostolico locale. In poco più di cento<br />

anni l’Opera è riuscita a raccogliere<br />

attorno a sé migliaia di persone, accomunate<br />

dallo stesso impegno in favore<br />

dei seminaristi delle Chiese del Sud del<br />

mondo. In particolare, attraverso un<br />

fondo universale di solidarietà, vengono<br />

forniti in maniera regolare i mezzi<br />

economici necessari alla costruzione<br />

dei seminari e al mantenimento dei<br />

seminaristi. Attualmente sono affidati<br />

all’Opera circa 78mila seminaristi<br />

distribuiti in poco meno di mille seminari.<br />

Chi desidera accompagnare il cammino<br />

vocazionale di un giovane africano,<br />

asiatico, latinoamericano o dell’Oceania<br />

fino alla sua ordinazione sacerdotale<br />

può farlo accogliendolo come un<br />

vero e proprio figlio “ad<strong>ott</strong>ivo” attraverso<br />

l’adozione missionaria: si tratta<br />

di pregare in modo speciale per lui e di<br />

sostenerlo con un contributo economico.<br />

Maggiori informazioni sul sito<br />

www.missioitalia.it<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE- OTTOBRE 2011<br />

61


62<br />

FONDAZIONE MISSIO<br />

La bellezza<br />

del Vangelo<br />

SETTEMBRE<br />

Perché le comunità<br />

cristiane sparse nel<br />

continente asiatico<br />

proclamino il Vangelo<br />

con fervore,<br />

testimoniandone<br />

la bellezza con la<br />

gioia della fede.<br />

OTTOBRE<br />

Perché la celebrazione<br />

della Giornata<br />

Missionaria Mondiale<br />

accresca nel popolo<br />

di Dio la passione<br />

per l’evangelizzazione<br />

e il sostegno dell’attività<br />

missionaria con la<br />

preghiera e l’aiuto<br />

economico alle Chiese<br />

più povere.<br />

di FRANCESCO CERIOTTI<br />

ceri<strong>ott</strong>i@chiesacattolica.it<br />

La bellezza e la gioia hanno la<br />

massima espressione in Dio,<br />

nelle tre Divine Persone, e sono<br />

le caratteristiche della vita che i<br />

seguaci del Figlio di Dio fatto uomo,<br />

sono chiamati a vivere già nel cammino<br />

terreno. La gioia della fede, che<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE- OTTOBRE 2011<br />

testimonia la bellezza del Vangelo,<br />

deve abitare il cuore dei credenti per<br />

proclamarla, come suggerisce l’intenzione<br />

di <strong>sett</strong>embre invitando a pregare<br />

perchè le comunità cristiane asiatiche<br />

sappiano comunicarla in quel<br />

grande continente. La fede cristiana<br />

non è malinconia, ma gioia. Vivere la<br />

fede significa diffondere gioia perché<br />

si ha la certezza di essere amati da Dio<br />

e la si comunica. Di fede gioiosa oggi<br />

forse più che in altri tempi c’è tanto<br />

bisogno ovunque, come c’è tanto bisogno<br />

di guardare a Dio con gioia,<br />

sapendo di essere amati da Lui.<br />

Anche la passione per l’evangelizzazione<br />

e l’impegno a realizzarla<br />

o sostenerla ha la sua radice,<br />

il suo fondamento nella<br />

gioia che nasce dalla fede.<br />

La gioia e la fede cristiane<br />

sono comunicative, come<br />

l’amore di cui parla Gesù:<br />

«Come io ho amato voi,<br />

così amatevi anche voi gli<br />

uni gli altri»; non si ama e<br />

non si crede veramente<br />

se prevale l’egoismo del<br />

proprio io che rinchiude<br />

in se stessi.<br />

La preghiera a cui siamo<br />

invitati ci unisce ai fratelli<br />

delle comunità cristiane del<br />

continente asiatico, e ci<br />

rende loro collaboratori nel<br />

diffondere l’amore e la gioia<br />

della fede in Gesù in quell’immenso<br />

territorio. Perché questo<br />

avvenga, occorre che l’amo-<br />

Intenzioni missionarie<br />

Settembre e <strong>ott</strong>obre 2011<br />

re del Figlio di Dio fatto uomo abiti in<br />

grande libertà il nostro cuore.<br />

Pregare secondo le intenzioni di questi<br />

mesi è un impegno ad esaminarci se<br />

viviamo la gioia della fede in Dio e la<br />

bellezza del testimoniarla nel vissuto<br />

quotidiano.


PONTIFICIA UNIONE MISSIONARIA<br />

Noi Chiesa,<br />

sacramento<br />

di unità<br />

di AMBROGIO SPREAFICO<br />

curia@diocesifrosinone.com<br />

La <strong>missione</strong> della Chiesa ha<br />

un carattere universale.<br />

Non ha confini di <strong>popoli</strong>,<br />

di lingue, di culture. Se la <strong>missione</strong><br />

langue in tante situazioni e in tante<br />

realtà che viviamo, ci dobbiamo<br />

chiedere se sentiamo come nostra<br />

questa preoccupazione di universalità<br />

e di singolarità del cristianesimo,<br />

insita fin dall’inizio nella vita<br />

della Chiesa. Infatti, anche se siamo<br />

in un mondo globale, è difficile<br />

condividere uno spirito universale.<br />

Anzi, poiché la globalizzazione<br />

talvolta impaurisce, ci si chiude<br />

facilmente in se stessi, nel proprio<br />

particolare, che può essere un<br />

gruppo, una comunità, un Paese,<br />

una nazione, un’etnia, insomma<br />

qualsiasi realtà che faccia sentire<br />

protetti dalla minaccia di chi è o si<br />

presenta diverso. La spinta al particolarismo<br />

cresce anche nella nostra<br />

vecchia Europa, nonostante essa<br />

abbia raggiunto una certa unità.<br />

Basti pensare solo al nostro Paese,<br />

dove i particolarismi stanno intaccando<br />

un’unità conquistata a fatica<br />

e che senza alcun dubbio ci accomuna.<br />

Fin dall’inizio del cristianesimo ci<br />

furono divisioni e il senso del particolare<br />

talvolta mise in seria difficoltà<br />

questo spirito universale, che<br />

fa di individui separati un solo corpo.<br />

Il capitolo 15 degli Atti degli<br />

Apostoli ci racconta la discussione<br />

di Paolo con i responsabili della<br />

comunità di Gerusalemme, la<br />

comunità madre, circa le modalità<br />

di am<strong>missione</strong> dei pagani alla<br />

comunità cristiana. Un momento<br />

di passaggio significativo, nel quale<br />

la saggezza degli apostoli permise<br />

di rimanere radicati nella tradizione<br />

di Israele senza vanificare la<br />

novità dell’annuncio evangelico e<br />

della salvezza in Cristo morto e<br />

risorto.<br />

La controversia tuttavia non si<br />

risolse definitivamente se nella lettera<br />

ai Galati Paolo rimprovera<br />

Pietro di un doppio comportamento<br />

che metteva in discussione<br />

l’unità della comunità: «Quando<br />

Cefa venne ad Antiochia, mi<br />

INSERTO PUM<br />

opposi a lui a viso aperto perché<br />

aveva torto. Infatti, prima che<br />

giungessero alcuni da parte di Giacomo,<br />

egli prendeva cibo insieme<br />

ai pagani; ma, dopo la loro venuta,<br />

cominciò ad evitarli e a tenersi in<br />

disparte, per timore dei circoncisi»<br />

(2,11-12). È soprattutto nella<br />

comunità di Corinto che la rivendicazione<br />

dell’appartenenza a un<br />

gruppo piuttosto che a un altro<br />

rischia di mettere radicalmente in<br />

pericolo l’unità della comunità.<br />

Gesù, proprio prima della sua passione,<br />

aveva pregato per l’unità dei<br />

discepoli quasi come fosse il suo<br />

testamento: «Non prego solo per<br />

questi, ma anche per quelli che<br />

crederanno in me mediante la loro<br />

parola: perché tutti siano una cosa<br />

sola; come tu, Padre, sei in me e io<br />

in te, siano anch’essi in noi, perché<br />

il mondo creda che tu mi hai mandato.<br />

E la gloria che tu hai dato a<br />

me, io l’ho data a loro, perché »<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE- OTTOBRE 2011<br />

63


64<br />

PONTIFICIA UNIONE MISSIONARIA<br />

siano una cosa sola come noi siamo<br />

una cosa sola. Io in loro e tu in<br />

me, perché siano perfetti nell’unità<br />

e il mondo conosca che tu mi hai<br />

mandato e che li hai amati come<br />

hai amato me» (Gv 17, 20, 23).<br />

Chissà, forse Gesù sentiva come<br />

l’unità di quella piccola comunità<br />

fosse già minacciata dalla divisione.<br />

L’unità influisce in maniera decisiva<br />

sulla <strong>missione</strong> e sulla testimonianza<br />

dei discepoli al mondo.<br />

Gesù prega perché siano una cosa<br />

sola «perché il mondo creda che tu<br />

mi hai mandato». E poi ancora:<br />

«Siano perfetti nell’unità e il mondo<br />

conosca che tu mi hai mandato<br />

e li hai amati come hai amato me».<br />

Insomma, l’unità della comunità, a<br />

qualsiasi livello e in ogni espressione,<br />

non è una cosa in più, un’ag-<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE- OTTOBRE 2011<br />

giunta che può anche non esserci,<br />

ma si costituisce come un elemento<br />

essenziale del nostro essere<br />

discepoli e della crescita della<br />

Chiesa. Gli altri crederanno anche<br />

nella misura in cui noi siamo uniti.<br />

E qui non si tratta solo dell’unità<br />

della diverse Chiese e<br />

comunità cristiane, a cui si è talvolta<br />

relegata l’interpretazione di<br />

questo passo evangelico, ma dell’unità<br />

di ogni comunità in se stessa<br />

e nel suo legame con il corpo<br />

della Chiesa. Per questo è necessario<br />

esaminare la vita delle nostre<br />

comunità, in qualsiasi forma esse<br />

si siano costituite, per chiederci in<br />

quale misura la preoccupazione<br />

dell’unità stia alla base della nostra<br />

preghiera e del nostro essere insieme.<br />

Talvolta prevale, soprattutto<br />

nella vita parrocchiale, un profondo<br />

e radicato individualismo,<br />

per cui la fede è un fatto privato,<br />

che non si incontra che<br />

casualmente con gli altri. Manca<br />

spesso una tensione verso l’unità, e<br />

quindi un impegno per l’unità. Si<br />

accetta con naturalezza che ci siano<br />

gruppi e individui contrapposti,<br />

litigi e fratture insanabili, prepotenze<br />

degli uni sugli altri, spartizioni<br />

di potere e partiti, divisioni<br />

antiche mai sanate. Forse, e bisogna<br />

chiederselo, la crisi della <strong>missione</strong><br />

è determinata anche dalla<br />

scarsa unità che noi testimoniamo.<br />

Mancanza di unità significa mancanza<br />

di amore reciproco, mancanza<br />

di umanità, di calore umano,<br />

di preoccupazione per gli altri,<br />

soprattutto per i poveri e i


isognosi. Significa concentrazione<br />

su sé stessi e sulle proprie pretese,<br />

che si impongono sugli altri,<br />

ambizione e ricerca di ruoli e<br />

posti da occupare. Quindi divisione<br />

e contrapposizione.<br />

Soprattutto, mancanza di unità<br />

significa uno scarso senso del proprio<br />

bisogno del Signore e degli<br />

altri, un individualismo esasperato<br />

che porta a vivere senza gli altri,<br />

un orgoglio di gente che si crede<br />

sicura di sé e disprezza o giudica<br />

gli altri. Si fa da maestri, magari<br />

solo nel proprio cuore, mentre si è<br />

poco figli, gente che ascolta il<br />

Signore anziché se stessa e si lascia<br />

guidare da Lui.<br />

L’apostolo Paolo aveva consapevolezza<br />

di questo pericolo che correvano<br />

le sue comunità. Nella prima<br />

lettera ai Corinzi ne parla chiaramente:<br />

«Vi esorto pertanto, fratelli,<br />

per il nome del Signore nostro<br />

Gesù Cristo, a essere tutti unanimi<br />

nel parlare, perché non vi sia-<br />

no divisioni tra voi, ma siate in<br />

perfetta unione di pensiero e di<br />

sentire. Infatti a vostro riguardo,<br />

fratelli, mi è stato segnalato dai<br />

familiari di Cloe che tra voi vi<br />

sono discordie. Mi riferisco al fatto<br />

che ciascuno di voi dice: ‘Io<br />

sono di Paolo’, ‘Io invece sono di<br />

Apollo’, ‘Io invece di Cefa’, ‘E io<br />

di Cristo’. È forse diviso il Cristo?<br />

Paolo è stato forse crocifisso<br />

per voi? O siete<br />

stati battezzati nel nome<br />

di Paolo?» (1,10-13).<br />

Le divisioni mettono in<br />

discussione radicalmente<br />

la vita della comunità e<br />

il suo stesso fondamento<br />

evangelico. Paolo risponde<br />

a questa situazione<br />

difficile in tutta la lettera,<br />

anche affrontando<br />

situazioni concrete che<br />

avevano portato alla<br />

divisione, come nel capitolo<br />

dieci la questione<br />

dei pasti sacri. Tuttavia è<br />

in particolare nel capitolo<br />

12, quando egli affronta il problema<br />

dei doni spirituali e dei carismi,<br />

che Paolo offre una visione<br />

concreta e insieme profonda dell’unità<br />

della Chiesa.<br />

Qual è la risposta alla diversità<br />

umana, ma anche alla diversità dei<br />

doni e dei ministeri che noi stessi<br />

abbiamo ricevuto da Dio. È il ben<br />

noto brano della Chiesa come un<br />

corpo. Il parlare dell’apostolo è<br />

concreto. Quando in 1 Cor. 12,<br />

Paolo parla della necessità di formare<br />

un unico corpo, non si riferisce<br />

a una prospettiva ideale, ma<br />

reale e concreta.<br />

INSERTO PUM<br />

Il problema di Corinto era l’unità<br />

del corpo, la comunione tra membra<br />

diverse, tra etnie diverse, tra<br />

gente la più differente come origine<br />

sociale e cultura. C’erano militari<br />

e schiavi, commercianti, ebrei,<br />

greci. Dobbiamo abituarci a vedere<br />

oltre queste belle immagini della<br />

prima lettera ai Corinzi la realtà<br />

della comunità. Dio stesso ha<br />

disposto «le membra del corpo in<br />

modo distinto», ma nessuna parte<br />

del corpo può dire di essere autosufficiente<br />

e di non avere bisogno<br />

delle altre parti. Se una mano, una<br />

testa, un occhio dice alle altre<br />

membra: «Non ho bisogno di te»,<br />

quella parte si inaridisce e muore.<br />

Sì, talvolta le comunità si inaridiscono,<br />

e persino si estinguono,<br />

perché ognuno vive per stesso,<br />

come se gli altri non esistessero.<br />

«Dio ha disposto il corpo conferendo<br />

maggiore onore a ciò che<br />

non ne ha, perché nel corpo non<br />

vi sia divisione, ma anzi le varie<br />

membra abbiano cura le une delle<br />

altre. Quindi se un membro soffre,<br />

tutte le membra soffrono<br />

insieme; e se un membro è onorato,<br />

tutte le membra gioiscono con<br />

lui. Ora voi siete corpo di Cristo<br />

e, ognuno secondo la propria parte,<br />

sue membra» (12,24-27).<br />

Viviamo come un corpo, un noi,<br />

un’unità di gente diversa, perché<br />

gli altri vedendo come ci amiamo,<br />

siano conquistati alla fede nel<br />

Signore nostro Gesù Cristo. Così<br />

la Chiesa, e ogni nostra comunità,<br />

potrà davvero essere «sacramento<br />

dell’unità di tutto il genere umano»,<br />

come ha scritto il Concilio<br />

Vaticano II (LG 1).<br />

POPOLI E MISSIONE - SETTEMBRE-OTTOBRE 2011<br />

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