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Recensioni 155<br />
aristotelici. La sentenza è intesa non come insieme di obiettivi linguistici, come<br />
nell’ellittica pagina della Poetica, ma in quanto «insieme delle figure retoriche che<br />
concretano la grandezza e sublimazione dell’epico» (p. 67), ovvero come sinonimo<br />
di ‘retorica del sublime’, còlta nelle sue varie articolazioni: figure d’espressione<br />
(tropi); figure di parola, figure di pensiero; figure grammaticali; figure metriche. Il<br />
linguaggio, che coincide con l’elocutio, comprende, invece, le «forme linguistiche,<br />
lessico e grammatica (suoni, forme, costrutti), in cui è atteggiata la sententia» (p.<br />
191).<br />
Vitale propone così il fortunato binomio critico ‘lingua e stile’, ma ovviamente,<br />
nella sua prospettiva di storico della lingua, si concentra soprattutto sulla<br />
lingua: la maggiore estensione della sezione dedicata all’Elocuzione (pp. 189-859)<br />
rispetto a quella sulla Sentenza (pp. 65-188) salta subito agli occhi. Nella Premessa<br />
veniamo informati circa la genesi della ricerca. Inizialmente propenso a studiare<br />
l’evoluzione linguistica dalla Gerusalemme liberata alla Gerusalemme conquistata,<br />
lo studioso riferisce di aver avvertito la necessità di fissare preliminarmente le<br />
costanti del linguaggio poetico della prima Gerusalemme. Che tale lacuna fosse<br />
sensibile non v’è dubbio, né solo dal punto di vista degli storici della lingua.<br />
Nel suo recente profilo sulla lingua poetica italiana (Roma, Carocci, 2001), Luca<br />
Serianni ha disapprovato l’avventatezza di certe prese di posizione critiche, assunte<br />
senza che siano chiari gli usi linguistici del poeta in esame e del suo contesto:<br />
rilevando alcune incongruenze espresse da interpreti anche illustri, come ad esempio<br />
Fredi Chiappelli, sulla lingua e lo stile di Tasso, lo stesso Serianni ha, fra l’altro,<br />
ricordato che «una valutazione in sede letteraria di materiali linguistici dovrebbe<br />
essere sottratta a qualsiasi impressionismo e avere sempre presenti i dati puntuali<br />
relativi all’uso dell’autore e ai suoi modelli».<br />
Ebbene, la perlustrazione analitica procurata da Vitale in questi due tomi –<br />
una sistematica ‘tassonomia (linguistica e retorica) del Tasso’ (se è consentito il<br />
gioco di parole) – si rende indispensabile non solo agli storici della lingua e, nella<br />
fattispecie, della lingua poetica (en pendant con l’analisi linguistica del Canzoniere<br />
petrarchesco proposta dallo stesso Vitale nel 1996), ma anche agli storici della<br />
letteratura, cui viene offerto un prezioso strumento di consultazione per sfuggire<br />
all’impressionismo critico e ragionare sopra dati puntuali, che vengono diligentemente<br />
messi in relazione agli usi di Tasso e dei suoi modelli linguistici.<br />
Che la sperimentazione retorica e linguistica di Tasso epico – ma anche di<br />
molto Tasso lirico – ambisca alla retorica del sublime, alla cosiddetta gravitas, è<br />
cosa nota. Se Leonardo Salviati, fedele alla lezione del Bembo, avrebbe proclamato,<br />
in un brano celebre degli Avvertimenti sopra la lingua del «Decameron» (1584), che<br />
la lingua poetica è «quasi un altro idioma diverso dalla prosa», Tasso diciottenne,<br />
prima ancora di comporre il poema, aveva già scritto nei Discorsi dell’arte poetica,<br />
che il poeta epico, specie quando «ragiona in sua persona», ha licenza di esprimersi<br />
«molto sovra l’uso comune e quasi con un’altra mente e con un’altra lingua»<br />
(ed. Poma, p. 42). Questo significa che, mentre la lingua poetica formalizzata da<br />
Bembo su base toscana era di per se stessa un codice ‘diverso’ rispetto a quello<br />
della prosa, secondo Tasso, come ricorda Vitale in una breve introduzione (La<br />
lingua dell’epico come lingua «molto sovra l’uso comune»), la lingua epica deve<br />
essere addirittura ‘straniante’. Tasso epico, in altre parole, si propone di forzare