STRAGISMO DI STATO - Archivio Guerra Politica
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<strong>STRAGISMO</strong> <strong>DI</strong> <strong>STATO</strong><br />
(Opera, 10 ottobre 2007)<br />
Ignorata dai telegiornali, pubblicata nelle pagine interne dei quotidiani di regime la notizia che la Procura<br />
della Repubblica di Brescia ha chiesto il rinvio a giudizio per concorso nella strage del 28 maggio 1974, in<br />
piazza della Loggia, di Pino Rauti, ex segretario nazionale del Movimento sociale italiano, e del generale dei<br />
carabinieri Francesco Delfino, è passata pressoché inosservata. Il terrorismo mediatico attende la loro<br />
sicura assoluzione, non importa se per insufficienza di prove, per pubblicare titoli ed articoli in prima pagina<br />
e dare spazio nei telegiornali ai protagonisti perché si presentino all’opinione pubblica come perseguitati<br />
della magistratura che, in realtà, da un lato li incrimina e, dall’altro, li assolve. Non ci interessa attendere<br />
l’esito del processo per mettere in rilievo che nelle inchieste per le stragi degli anni Settanta alla sbarra ci<br />
sono sempre andati uomini dello Stato democratico e antifascista. E’, questa, una costante che nessuno ha<br />
interesse ad evidenziare per ovvi riflessi che potrebbe comportare sulla ricostruzione della storia postbellica<br />
e, in modo particolare, di quello che viene ancora oggi spacciato come “terrorismo nero”.<br />
In realtà, i fatti, le prove, i personaggi coinvolti ci dicono che si è trattato effettivamente di terrorismo, ma<br />
bianco, a stelle e a strisce, bianco-celeste come i colori della bandiera di Israele, mai “nero” inteso come<br />
fascista o nazionalsocialista. La strage del 12 dicembre 1969 non vede oppositori politici coinvolti, ma solo<br />
personaggi che servivano lo Stato e gli interessi della Nato, degli Stati uniti e di Israele. Certo, la condanna<br />
del generale Gianadelio Maletti, responsabile dell’Ufficio “D” del Sid, preposto alla sicurezza interna, e del<br />
capitano Antonio Labruna, sempre in forza al servizio segreto militare, per favoreggiamento nei confronti di<br />
Marco Pozzan, Giorgio Freda, Giovanni Ventura ecc. avrebbe dovuto rendere evidente a chiunque la<br />
matrice della strage tanto più che a smentire le fole giudiziarie e giornalistiche sugli ufficiali “infedeli” e<br />
“collusi” con i fascisti, c’è di fatto che Maletti è rimasto generale e Labruna è andato in pensione con il<br />
grado di colonnello, senza mai essere stato sospeso del servizio. Senza contare che è stato il “compagno”<br />
Gerardo D’Ambrosio a salvare sul piano giudiziario il commissario capo Antonino Allegra, capo dell’Ufficio<br />
politico della Questura di Milano, il prefetto Umberto Federico D’Amato, direttore dell’Ufficio affari<br />
riservati del ministero degli Interni, ed altri loro colleghi, dall’accusa di favoreggiamento nei confronti del<br />
loro collega Giorgio Freda, e dei suoi soci, prosciogliendoli incredibilmente per prescrizione di reato ed<br />
amnistia. Perché a “proteggere” il nazista d’Israele Giorgio Freda si sono messi tutti gli apparati di sicurezza<br />
dello Stato, non uno escluso. Per giustificare questo comportamento non basta il fatto che Freda fosse un<br />
informatore del Sid né imputato insieme a lui ci fosse l’agente del Sid Guido Giannettini, giornalista de “Il<br />
Secolo d’Italia”, e Pino Rauti, capo del centro “Ordine Nuovo” e collaboratore dello Stato maggiore della<br />
Difesa nonché giornalista del quotidiano democristiano “Il Tempo” di Roma. Singolari “nazisti” ai quali, nel<br />
tempo, via via si sono affiancati sul banco degli imputati il “fascista” Stefano Delle Chiaie e Massimiliano<br />
Fachini, Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi, solo per citarne alcuni. Delle Chiaie legato al principe Junio Valerio<br />
Borghese, dipendente da James Jesus Angleton e dai servizi segreti israeliani, a torto mai imputato per la<br />
strage di piazza Fontana. Massimiliano Fachini, amico di Edgardo Beltrametti, già componente del Comitato<br />
centrale del Movimento sociale italiano e collaboratore del Sid e dello Stato maggiore difesa, nonché in<br />
rapporti con il capitano Antonio Labruna. Carlo Maria Maggi, fedelissimo di Pino Rauti, sposato alla figlia di<br />
un esponente della comunità ebraica di Venezia, ma dirigente di “Ordine nuovo”, l’unica organizzazione<br />
post-bellica ad adottare come motto quello delle SS germaniche, “Il nostro onore si chiama fedeltà”.<br />
Strano, un ebreo ad honorem che milita sotto le bandiere del Terzo Reich!<br />
Sono emersi i collegamenti fra Maggi ed i servizi segreti israeliani, ma nessuno ci ha fatto caso, come tutti<br />
fingono ancora oggi di credere che Carlo Digilio, il tecnico delle stragi, sia stato anch’egli “fascista”.Invece<br />
no. Carlo Digilio era figlio d’arte. Suo padre, Michelangelo Digilio, ufficiale della Guardia di finanza, aveva<br />
iniziato a collaborare con l’Intelligence service britannico a Creta, nel 1942, tradendo il proprio paese in<br />
guerra. Aveva, poi, aderito alla Rsi su disposizione del Comitato di liberazione nazionale veneto, e infine,<br />
era stato discriminato per essere “infiltrato” a destra dai servizi segreti militari italiani. Suo figlio, Carlo<br />
Digilio, ha proseguito l’attività del padre di informatore e provocatore per conto dello Stato. Delfo Zorzi, sul<br />
conto del quale sono emersi i rapporti con il ministero degli Interni e, in maniera specifica, con il prefetto<br />
Antonio Sampaoli Pignocchi. Ma non c’è solo piazza Fontana.
C’è la mancata strage al treno Torino-Roma, fallita per l’imperizia di Nico Azzi che si è fatto esplodere il<br />
detonatore al fulminato di mercurio fra le gambe, accusando poi Giancarlo Rognoni ed altri di concorso<br />
nell’azione omicidiaria perché non sono scattate per lui le protezioni statali che, invece, sono state<br />
assicurate agli altri. Stragista mancato, delatore per vendetta, Nico Azzi ha sempre affermato di aver agito<br />
perché volevano un governo dei “colonnelli”, ovvero un “colpo di Stato” militare. Difatti Giancarlo Rognoni<br />
ed i suoi colleghi erano abituali frequentatori del comando della divisione carabinieri “Pastrengo”, così che,<br />
anche in questo caso, parlare di fascisti, peraltro legatissimi a Pino Rauti, all’ebreo ad honorem Carlo Maria<br />
Maggi, a Delfo Zorzi ecc., è semplicemente falso.<br />
Altra strage, quella del 17 maggio 1973, dinanzi alla Questura di Milano, eseguita dal confidente del Sid<br />
Gianfranco Bertoli, criptonimo “Negro”, fatto rientrare di proposito da Israele (guarda caso!) dove si<br />
trovava ufficialmente in vacanza.<br />
Imputati con lui i soliti Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e, in questo caso, il generale di brigata dell’Esercito<br />
Amos Spiazzi. Per carità tutti assolti, come d’abitudine e secondo copione, per insufficienza di prove, ma<br />
sempre insieme Stato e nazisti del Mossad, fascisti del ministero degli Interni e “camerati” del servizio<br />
segreto militare. Amos Spiazzi, che in una nota intervista Elio Massagrande e Clemente Graziani definirono<br />
“amico e camerata” vantandone la collaborazione non solo informativa con il Sid, è l’unico ufficiale delle<br />
Forze armate italiane che ha fatto carriera per meriti giudiziari: indizi di reato, mandati di cattura, avvisi di<br />
garanzia ed ecco che Spiazzi da capitano conclude la sua carriera come generale. Manca la strage<br />
dell’Italicus? Ma no, se l’unico sospettato, Mario Tuti, è stato indicato dall’ex ministro degli Interni, Paolo<br />
Emilio Taviani, come autore della strage e facente parte di un’organizzazione segreta del ministero degli<br />
Interni sulla quale nessuna magistratura ha inteso indagare ma che, certamente, Taviani non aveva ragione<br />
alcuna di inventare tanto da svelarla solo post mortem.<br />
Sulla strage del 2 agosto 1980, alla stazione ferroviaria di Bologna, per ora ci limitiamo a far notare che i<br />
due “spontaneisti” dei Nar Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, all’epoca erano ospiti della cellula<br />
spionistica veneta dei Maggi e dei Digilio. Erano, cioè, logisticamente appoggiati dai servizi segreti italiani e<br />
servizi segreti esteri (americani ed israeliani), in un posto che garantiva loro la massima sicurezza, protetti<br />
com’erano, per fare un nome, da Marcello Soffiati, braccio destro di Carlo Maria Maggi, confidente del<br />
Sisde con il criptonimo “Eolo”.<br />
E su “Eolo”, i due “criminali recuperati alla società”, come si sono autodefiniti Valerio Fioravanti e Francesca<br />
Mambro, la strage di Ustica e di Bologna, torneremo a tempo e a modo.<br />
E ora la strage di Brescia nella quale compaiono come imputati il generale dei carabinieri Francesco Delfino,<br />
l’ufficiale più decorato dell’Arma, il confidente del Sid Maurizio Tramonte, criptonimo “Tritone”, l’autista<br />
del ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani, l’ebreo ad honorem Carlo Maria Maggi, fra gli altri. Una<br />
rapidissima rivisitazione del mondo stragista italiano ci consente di verificare come in esso non abbiamo<br />
mai albergato camerati, ma solo collaboratori, a vario titolo, degli apparati di sicurezza dello Stato e di<br />
quelli esteri ad essi collegati.<br />
Se mai sono esistiti camerati che hanno sbagliato, che hanno creduto in buona fede agli Almirante, ai<br />
Romualdi, ai Borghese, ai Rauti, ai Fini, oggi di fronte alla Storia, al Paese, agli italiani tutti, sono colpevoli<br />
perché il silenzio li rende complici consapevoli di una diversione strategica che non ha eguali nella storia<br />
d’Europa. L’inganno che tutti costoro continuano a portare avanti ai danni delle giovani generazioni<br />
avvalorando la coerenza ideologica dei vari Freda, Delle Chiaie, Maggi e soci ne fa dei colpevoli e dei nemici<br />
che continuano a incatenare il paese ai suoi carnefici, lasciati padroni incontrastati del destino di un popolo<br />
che hanno asservito, diviso, lacerato e massacrato senza incontrare mai un’opposizione degna di questo<br />
nome.<br />
La Storia non si scrive nelle aule giudiziarie, per mano di una magistratura che, salvo poche eccezioni, ha<br />
sempre coperto la responsabilità degli uomini dello Stato giungendo fino a negare l’evidenza pur di<br />
addivenire ad assoluzioni per insufficienza di prove, ma è sintomatico e sul piano storico significativo che,<br />
nonostante questo, non c’è strage in cui non compaiono in veste di imputati ufficiali dei carabinieri, dei<br />
servizi segreti, funzionari di polizia.<br />
La verità è che manca il coraggio civile, morale e politico di trarre le conclusioni da tutto quello che è<br />
emerso e che continua inesorabilmente ad emergere, perché si è incapaci di rovesciare le vecchie tavole e<br />
di liberarsi di un passato opprimente di vergogna e di disonore. Un passato che lo Stato ha tutto l’interesse<br />
di presentare come pieno di misteri e di buchi “neri” che non riesce a dissolvere, che si può solo ricordare
attraverso i “ravvedimenti” dei protagonisti, nessuno dei quali si è mai sottratto al pubblico “mea culpa” di<br />
pseudo “terrorista nero” pentito o quasi.<br />
La collaborazione infamante che costoro hanno dato alla Stato negli anni della “guerra a bassa intensità”,<br />
quando si trattava di stabilizzare il Paese per favorire i disegni americani, atlantici ed israeliani, prosegue<br />
ancora oggi sotto una diversa forma, quella dei beneficati dalla legge Zozzini che ha permesso ai pochi finiti<br />
in galera di uscirne per dedicarsi al volontariato in modo da dimostrare che vogliono fare il bene, dopo aver<br />
fatto il male o di perpetuare la loro leggenda dei “nazisti” stampando libri nei quali, come Freda, non<br />
raccontano di aver chiesto con umiltà e deferenza la semi-libertà e di averla ottenuta perché parzialmente<br />
“ravveduto”, ma propagandando idee che essi per primi hanno tradito.<br />
Ma, se questi individui che nella loro esistenza nulla di meglio hanno saputo fare se non il doppio-gioco non<br />
potranno mai agire contro lo Stato, perché sarebbero schiacciati dal peso delle infamie che hanno<br />
commesso, altri, i più giovani, hanno la possibilità di liberarsi di loro e del peso di un passato che non gli<br />
appartiene.<br />
E’ sufficiente leggere con serenità e senza pregiudizi le pagine di una storia che non presenta misteri perché<br />
da essa la responsabilità della classe politica criminale che governa il Paese dal 1943 emerge in tutta la sua<br />
tragica chiarezza.<br />
Dalla strage di Portella della Ginestra, con i rapporti fra Salvatore Giuliano e l’ispettore generale di Ps Ciro<br />
Verdiani, alla strage di Brescia con il generale dei carabinieri Francesco Delfino sul banco degli imputati c’è<br />
una linea di continuità che condanna questo Stato, e con esso i suoi servi comunque camuffati.<br />
Solo prendendone atto si potrà ricreare, dopo oltre sessant’anni, una opposizione che abbia le sue radici<br />
nella storia più bella e più tragica dell’Italia unita, quella del biennio 1943-45, quella della Repubblica<br />
sociale italiana, delle sue Brigate nere, dei suoi reparti combattenti, la sola che ha visto per 600 giorni<br />
garrire al vento un Tricolore sul quale avevano scritto la parola “Onore”.<br />
Quella bandiera e quell’onore che solo la verità ci potrà rendere, questa volta per sempre.<br />
Vincenzo Vinciguerra