SILENZIO DI TOMBA - Archivio Guerra Politica
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<strong>SILENZIO</strong> <strong>DI</strong> <strong>TOMBA</strong><br />
(Opera, luglio 2001)<br />
Poche decine di spettatori hanno accolto con un applauso la lettura della sentenza di condanna nei<br />
confronti di Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni, ritenuti responsabili della strage di piazza<br />
Fontana del 12 dicembre 1969 a Milano, insieme a Carlo Di Gilio, il pentito ‘graziato’ con il riconoscimento<br />
della prescrizione del reato. Un applauso che si è levato e si è spento all’interno dell’aula bunker della Corte<br />
di assise di Milano, mentre qualcuno rideva e qualcuno piangeva senza nemmeno sapere perché.<br />
Fuori dell’aula, il silenzio che ha accolto la condanna dei quattro collaboratori degli apparati di sicurezza<br />
dello Stato, è stato rotto soltanto da qualcuno dei loro avvocati, oggi esponenti del governo e della<br />
maggioranza: il sottosegretario Taormina, per Maggi; il presidente della commissione Giustizia della<br />
Camera dei deputati, Pecorella, per Zorzi. Le interessate dichiarazioni dei due avvocati hanno suscitato la<br />
reazione dei loro avversari politici e di qualche magistrato che ha riscoperto, in questo caso, la difesa<br />
dell’indipendenza della magistratura contro le interferenze del governo.<br />
Nessuno ha difeso la sentenza della Corte di assise di Milano. Nessuno ha osato affermare che questa<br />
sentenza rappresenta un contributo, sia pure parziale, alla verità. Hanno fatto di peggio: hanno preso le<br />
distanze dalla sentenza. L’ex comunista Piero Fassino ha dichiarato al quotidiano “La Repubblica”: “Non lo<br />
so se è stata fatta giustizia”…I giornalisti, in prima fila quelli de “La Repubblica”, hanno seguito l’esempio:<br />
dalla menzogna ‘sparata’ nei titoli (“Tre neofascisti condannati per la strage”) alla reticenza negli articoli,<br />
debitamente purgati da qualsiasi riferimento che potesse far comprendere ai lettori l’importanza della<br />
sentenza di condanna dei quattro informatori degli apparati segreti italiani e stranieri.<br />
Non ci basta la pronuncia della sentenza di condanna che riconosce la responsabilità individuale di quattro<br />
individui, già noti per le loro attività al servizio della strategia del terrore varata dallo Stato negli anni<br />
Sessanta. Non può bastarci, perché se verità ha voluto affermare la Corte di assise di Milano, lo scopriremo<br />
alla lettura delle motivazioni che dovranno spiegare quale fu, secondo questi giudici, il movente che armò<br />
la mano degli stragisti il 12 dicembre 1969. Fino a quel momento è prematuro parlare di affermazione della<br />
verità: si potrà parlare di riconoscimento parziale della verità che, sempre, è servito alla magistratura per<br />
occultare –quindi negare- la verità sulle responsabilità dello Stato nella ‘strategia della tensione’.<br />
Ultimo esempio, in ordine di tempo, ci proviene proprio dalla sentenza di condanna di Carlo Maria Maggi,<br />
Amos Spiazzi ed altri per concorso, con Gianfranco Bertoli, nella strage del 17 maggio 1973 alla Questura di<br />
Milano.<br />
Riconosciuta la responsabilità della banda stragista, i giudici hanno scritto una pagina mendace per indicare<br />
il movente inventando, su suggerimento del pubblico ministero, un attentato contro il ministro degli Interni<br />
e presidente del Consiglio Mariano Rumor, ‘colpevole’ di aver decretato lo scioglimento del movimento<br />
politico ‘Ordine nuovo’. I silenzi, le reticenze sulla sentenza emessa il 30 giugno 2001 a carico di Carlo Maria<br />
Maggi e dei suoi complici mettono in crisi proprio questa impostazione giudiziaria che, nel migliore dei casi,<br />
processa e a volte condanna gli autori materiali di azioni stragiste e, contestualmente, stravolge il movente<br />
inventandone uno che scagioni da ogni responsabilità lo Stato ed i suoi apparati e, soprattutto, la sua classe<br />
politica.<br />
Sono più di trent’anni che la magistratura italiana assolve questo compito, senza provare vergogna o<br />
rimorso. Anzi, proprio sulla menzogna sempre scritta e sottoscritta nelle sue sentenze la magistratura ha<br />
preteso di rappresentare la ‘parte sana’ dello Stato, quella che contro tutti ha cercato la verità e, sia pure<br />
parzialmente, è riuscita ad affermarla.<br />
La pretesa che una parte dello Stato, che il potere repressivo dello Stato possa contrapporsi al potere<br />
esecutivo ed ai suoi apparati militari e di polizia, è una leggenda che è stata alimentata, in totale malafede,<br />
dagli stessi politici di governo e di opposizione, dai giornalisti, molti dei quali sul libro paga degli apparati<br />
dello Stato, dai magistrati stessi, alcuni dei quali hanno addirittura fatto carriera sulle interviste rese a<br />
centinaia a giornali e televisioni per raccontare il loro coraggio nell’affrontare le trame oscure dei servizi<br />
segreti, salvo poi ricevere in regalo un appartamento blindatissimo a spese del contribuente, proprio da<br />
quei servizi segreti che in televisione – e solo in quella - affermavano di aver combattuto. Tralasciamo<br />
queste figure meschine di omuncoli e magistrati dei quali ci occuperemo dettagliatamente quando
scriveremo la vera storia dell’impegno giudiziario contro la verità, per tornare all’argomento trattato: il<br />
silenzio sulla sentenza del 30 giugno 2001.<br />
Le ragioni già possono intravedersi in quello che abbiamo appena rilevato sulla sentenza, emessa sempre<br />
da una Corte di assise di Milano su suggerimento del rappresentante della Procura diretta da Gerardo<br />
D’Ambrosio, sulla strage del 17 maggio 1973 (sentenza 11 marzo 2000, presidente Ezio Siniscalchi). Cosa ha<br />
voluto affermare Gerardo D’Ambrosio, ed ha accettato supinamente ed acriticamente, la Corte di assise di<br />
Milano nel giudizio contro Carlo Maria Maggi, Amos Spiazzi ed i loro complici in quella strage? Che una<br />
‘cellula stragista’ operante nel Veneto aveva inteso colpire in Mariano Rumor il responsabile dello<br />
scioglimento del movimento politico ‘Ordine nuovo’ diretto da Clemente Graziani. Una ‘cellula’ che poteva<br />
contare sull’infedeltà di qualche appartenente agli apparati dello Stato, addirittura alle forze armate<br />
italiane, come Amos Spiazzi, ma del tutto autonoma, svincolata dai suoi dirigenti romani –Pino Rauti, Giulio<br />
Maceratini, Paolo Signorelli- e ovviamente, non inserita organicamente –se pur non ufficialmente-<br />
nell’organigramma dei servizi segreti italiani, americani, israeliani. Insomma una banda ‘nazifascista’,<br />
assetata di sangue, capace di elaborare una strategia stragista per il gusto dell’orrore, che ha agito in odio<br />
alla democrazia e allo Stato.<br />
Questa è la verità della Procura della repubblica di Milano e di Gerardo D’Ambrosio, fatta incautamente<br />
propria dai giudici della Corte di assise di Milano. Una ‘verità’ che si ritrova puntualmente, con qualche<br />
sfumatura di poco conto, in tutte le sentenze emesse dalla magistratura italiana in un trentennio.<br />
Una ‘verità’ che equivale ad una menzogna di Stato. Una ‘verità’ che la condanna di Carlo Maria Maggi,<br />
Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni, per la prima volta, fa vacillare mettendo a nudo la consapevolezza con la<br />
quale la magistratura italiana, compatta, ha costruito, alimentato, imposto la sua menzogna, necessaria per<br />
coprire le responsabilità dello Stato e del regime, dei vertici politici, militari e di sicurezza e degli apparati di<br />
sicurezza della Nato e degli Stati uniti. Menzogna affermata, ricorrendo a tutti i mezzi, in nome della ‘ragion<br />
di Stato’.<br />
La condanna di Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni e quella, sia pure virtuale, di Carlo Di<br />
Gilio è difatti suscettibile di scoprire quel filo rosso sangue che parte dal 12 dicembre 1969 e giunge fino al<br />
2 agosto 1980, che collega la prima e l’ultima strage. Tante sono le caselle che lo Stato è riuscito, fino ad<br />
oggi, a lasciare vuote nel mosaico della strategia del terrore, prima, e in quella del depistaggio, ancora in<br />
corso, dopo.<br />
Alcune, però, sono state riempite, nonostante tutto.<br />
Fermo restando che al novero dei responsabili materiali della strage di piazza Fontana, mancano gli<br />
‘avanguardisti’ del Sid e dell’ufficio Affari riservati del ministero degli Interni, confidenti vari, i personaggi<br />
ora conosciuti e la cui responsabilità è stata riconosciuta e ufficialmente affermata sono:<br />
-Giorgio Freda, informatore del Sid;<br />
-Giovanni Ventura, informatore del Sid;<br />
-Carlo Maria Maggi, informatore di una molteplicità di servizi italiani e stranieri;<br />
-Delfo Zorzi, informatore dell’ufficio Affari riservati;<br />
-Giancarlo Rognoni, informatore del Sid e dei carabinieri;<br />
-Carlo Di Gilio, informatore del Sid e dei servizi segreti militari americani.<br />
Come depistatori delle indagini sulla strage del 12 dicembre 1969 emergono i nomi di:<br />
-Gianadelio Maletti, generale dell’Esercito italiano, responsabile del reparto ‘D’ del Sid;<br />
-Antonio La Bruna, capitano dei carabinieri, in forza al servizio segreto militare.<br />
La tentata strage contro i treni che portavano gli operai a Reggio Calabria il 20-21 ottobre 1972:<br />
-Stefano Delle Chiaie, riconosciuto con altri colpevole ma prosciolto per prescrizione di reato, perché<br />
cercare di far saltare treni passeggeri non è ‘strage’, non in Italia quando si tratta di persone come Delle<br />
Chiaie, non per la magistratura italiana.<br />
La mancata strage del 7 aprile 1973 sul treno Torino-Roma:<br />
-Giancarlo Rognoni, confidente dei carabinieri;<br />
-Nico Azzi, suo degno collega;<br />
-Mauro Marzorati, suo degno collega;
-Francesco De Min, suo degno collega.<br />
La strage del 17 maggio 1973:<br />
-Gianfranco Bertoli, confidente del Sifar-Sid;<br />
-Carlo Maria Maggi, vedi sopra;<br />
-Amos Spiazzi, generale dell’Esercito italiano, in forza al servizio ‘I’ e poi confidente del Sisde;<br />
-Francesco Neami, collega di Carlo Maria Maggi.<br />
Fra i depistatori:<br />
-Giancarlo Pajetta, componente della direzione nazionale del Pci;<br />
-Carlo Malagugini, idem;<br />
-magistrato di Milano non identificato.<br />
(Referente del Pci al ministero degli Interni, in stretto contatto con Pajetta, era il prefetto Umberto<br />
Federico D’Amato, come doverosamente si segnala).<br />
La strage di Bologna del 2 agosto 1980:<br />
-Valerio Fioravanti, collegato a Carlo Maria Maggi;<br />
-Francesca Mambro, collegata a Carlo Maria Maggi.<br />
Depistatori:<br />
-Pietro Musumeci, generale dei carabinieri, in forza al Sismi;<br />
-Giuseppe Belmonte, colonnello dell’Esercito italiano, in forza al Sismi;<br />
-Licio Gelli, esponente dell’organizzazione atlantica denominata P2 e confidente del Sid-Sismi;<br />
-Francesco Pazienza, agente del Sismi.<br />
Conviene ricordare che indiziati di reato per la strage di Brescia sono Carlo Maria Maggi e, come<br />
depistatore, il generale dei carabinieri Francesco Delfino. E segnalare che la strage sul treno ‘Italicus’ fu<br />
l’esatta ripetizione della mancata strage organizzata da Giancarlo Rognoni sul treno Torino-Roma del 7<br />
aprile 1973.<br />
Questi i risultati raggiunti sul piano giudiziario, per quanto riguarda le responsabilità nell’esecuzione<br />
materiale delle stragi e nei depistaggi in oltre un trentennio di indagini e di processi. Pochi, ma sufficienti<br />
per scuotere le certezze di quanti consideravano chiuso il capitolo sugli ‘anni di piombo’ organizzati dallo<br />
Stato e dalla Nato, con la complicità dei servizi segreti israeliani, alla luce della condanna di Carlo Maria<br />
Maggi, Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni, per la strage di piazza Fontana.<br />
E i primi a paventare le conseguenze di una condanna che è stata ottenuta solo per l’esclusivo impegno<br />
personale del sostituto procuratore della repubblica Massimo Meroni - non del procuratore della<br />
repubblica Gerardo D’Ambrosio- sono proprio i magistrati che in tutti questi anni si sono impegnati, talora<br />
con zelo, a ricercare gli autori materiali dei fatti di strage e a negare le responsabilità dello Stato e del<br />
regime, inventando moventi tanto più falsi quanto più propagandati dall’apparato di informazione e<br />
disinformazione dello Stato come rispondenti al vero. Ora, per Gerardo D’Ambrosio ed i suoi colleghi l’unica<br />
difesa è il silenzio. E, difatti, D’Ambrosio ha taciuto. Non ci sono state esternazioni, stavolta, per dire che<br />
‘giustizia è fatta’ e per vantarsi di avere finalmente trovato la verità sull’attentato stragista del 12 dicembre<br />
1969. Un silenzio rassicurante per gli imputati condannati, per i loro avvocati difensori, per lo Stato…<br />
perché sottolinea una volta di più quello che già sta agli atti di questo processo: il tentativo di bloccarlo<br />
facendolo trasferire a Catanzaro; il rifiuto di seguire gli atti; l’attacco ai testimoni che, nel caso di chi scrive,<br />
si è elevato ad autentico linciaggio che ha poi indotto, per aver oltrepassato i limiti della decenza, il<br />
sostituto procuratore Grazia Pradella a dismettere la veste di pubblico ministero nel processo di piazza<br />
Fontana, tanto evidente era il favore fatto agli imputati, al di là delle intenzioni…Il timore dei D’Ambrosio,<br />
dei Pomarici, dei Casson, delle Pradelle è dettato dalla consapevolezza che, questa volta, tutti i moventi di<br />
volta in volta inventati per spiegare ora questa strage ora quest’altra, devono confluire necessariamente in<br />
uno solo, quello che ha ispirato la strage di piazza Fontana e quelle mancate a Milano e a Roma il 12<br />
dicembre 1969.
Cosa indusse queste appendici degli apparati segreti dello Stato e della Nato, da Ordine nuovo al Fronte<br />
nazionale al Msi, a partecipare all’operazione che nell’arco di 10 mesi, a partire dal febbraio 1969, sfocia<br />
negli attentati stragisti del 12 dicembre 1969? La risposta l’abbiamo sempre data, la verità l’abbiamo<br />
sempre affermata - ricavandone un linciaggio senza fine da parte, per primi, dei magistrati italiani - e che<br />
trova ancora una volta conferma: la necessità di giungere alla proclamazione dello stato di emergenza.<br />
Dagli attentati rimasti senza colpevoli, verificatisi a Roma nel mese di marzo del 1969, a quelli dell’aprile del<br />
1969 a Padova compiuti da Freda e dai suoi colleghi, alla mancata strage alla stazione ferroviaria di Milano<br />
ed alla Fiera campionaria il 25 aprile 1969, alla mancata strage delle bombe sui treni del 9 agosto 1969, in<br />
una escalation fatale e programmata, fino alla strage del 12 dicembre 1969 a Milano e a quelle mancate di<br />
Roma e di Milano, il fine era soltanto uno: consentire a Giuseppe Saragat, al presidente del Consiglio,<br />
Mariano Rumor, ai vertici militari, di proclamare lo stato di emergenza, di sospendere temporaneamente le<br />
garanzie costituzionali, di assumere quei provvedimenti legislativi necessari ad arrestare l’avanzata<br />
elettorale del Partito comunista, e quelli repressivi ritenuti indispensabili per cancellare i gruppi di<br />
ispirazione marxista dalla vita politica del Paese, per giungere alla formazione di una maggioranza<br />
governativa e parlamentare che andasse dai socialdemocratici ai missini, escludendo socialisti e comunisti.<br />
Un programma conosciuto a livello politico. Su questo pericolo farà leva il ministro del Lavoro Carlo Donat<br />
Cattin, parlando con i sindacalisti il 19 novembre 1969 (giorno della morte dell’agente di Ps Annarumma a<br />
Milano) per spronarli a concludere le trattative relative ai contratti nazionali dei metalmeccanici: “Ci disse –<br />
ricorderà poi Giorgio Benvenuto- che eravamo ormai alla vigilia dell’ora X, che il golpe era alle porte, che<br />
bisognava affrettarsi a mettere un coperchio sulla pentola che bolliva se si voleva evitare l’arrivo dei<br />
colonnelli”. Al ‘golpe’ in atto, penserà il segretario nazionale della Democrazia cristiana Arnaldo Forlani,<br />
quando concorderà con il segretario provinciale del suo partito a Milano di sentirsi telefonicamente ogni<br />
mezzora, subito dopo la strage di piazza Fontana. Temeva, Forlani, che le truppe ed i carabinieri<br />
procedessero all’occupazione manu militari delle città, ecco perché la necessità di sentirsi ad intervalli di<br />
tempo brevissimi e regolari.<br />
Una verità che la magistratura nega da 32 anni!<br />
Una verità che la condanna di Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni rafforza nel momento<br />
stesso in cui i tre ed il ‘tecnico delle stragi’, Carlo Di Gilio, si palesano come confidenti dei servizi di sicurezza<br />
non solo italiani ma addirittura americani ed israeliani. E questa realtà, di conseguenza, induce anche il più<br />
sprovveduto degli italiani a chiedersi per quali oscure ed inspiegabili ragioni i servizi militari americani,<br />
quelli israeliani e quelli italiani non hanno fermato a tempo una banda di ‘nazifascisti’ assassini che<br />
complottavano contro la democrazia.<br />
Una domanda che ha una sola risposta: che i Maggi, i Freda, i Rognoni, i Delle Chiaie, i Borghese, gli<br />
Almirante non costituivano un agglomerato di nostalgici del fascismo e del nazismo, ma i subalterni di<br />
regimi politici anticomunisti nei quali aspiravano ad assumere un rilievo sempre maggiore, inserendosi in<br />
maggioranze parlamentari ed occupando posti di responsabilità a livello governativo. Nella naturale<br />
suddivisione dei compiti e delle gerarchie, i quadri inferiori si impegnavano sul piano organizzativo ed<br />
operativo così che, in modo specifico, ‘Ordine nuovo’ si è configurato nel tempo come una vera e propria<br />
agenzia del terrore con compiti informativi ed operativi che non rispondevano a dettami ideologici, bensì<br />
alle esigenze dei servizi di sicurezza italiani e stranieri per i quali lavorava. Un’agenzia del tipo ‘Aginter<br />
Press’, guidata da Yves Marie Guillon, che aveva il suo capo indiscusso in Pino Rauti ed il centro operativo<br />
nel Veneto, affidato alla guida del fedelissimo di Rauti, Carlo Maria Maggi.<br />
Per questa ragione, mentre gli esponenti ed i militanti di altri gruppi dell’estrema destra appaiono in certi<br />
episodi e non in altri, senza una linea di vera continuità nella storia del terrore organizzato, il gruppo<br />
veneto-lombardo che fa capo a Carlo Maria Maggi e risponde a Pino Rauti è presente lungo tutto l’arco di<br />
tempo nel quale si sviluppa la strage destabilizzante dello Stato che riesce in questo modo a stabilizzare il<br />
quadro politico. Non ‘cellule nere’ quindi, ma agenzia dei Servizi che opera nell’ambito di una strategia<br />
preordinata, sotto la supervisione dei servizi segreti italiani che ne seguono l’attività, la utilizzano, la<br />
proteggono.<br />
Dinanzi a questa realtà sconvolgente, la magistratura italiana riesce ad inventare ‘cellule naziste’ slegate fra<br />
loro, ognuna delle quali agisce per fini propri e con moventi ogni volta diversi coincidenti solo nel fine<br />
ultimo di minare le basi della democrazia italiana. E questa colossale ‘bufala’, i D’Ambrosio ed i suoi colleghi<br />
sono riusciti a scriverla in tutte le loro sentenze ed ordinanze e requisitorie, cogliendo allori e complimenti,
imperversando dalle pagine dei giornali e dei teleschermi, senza mai disturbare i vertici politici e militari<br />
italiani che della ‘verità’ di questi giudici hanno usato, abusato e riso.<br />
Gerardo D’Ambrosio tace. E fa bene.<br />
La strage di piazza Fontana a Milano accadde il 12 dicembre 1969. Lui le indagini le rivolse solo a Padova,<br />
alla ‘cellula nera’ indicata da Giancarlo Stiz, giudice istruttore di Treviso, amico di Giulio Andreotti.<br />
Democristiano l’ambiente nel quale maturò la strage, in Veneto, democristiano l’avviso che indirizzò sulla<br />
banda di Freda e Ventura le indagini della magistratura, a partire dalle dichiarazioni di Guido Lorenzon.<br />
Particolari troppo difficili da cogliere per Gerardo D’Ambrosio, al quale è sempre sfuggita una caratteristica<br />
tutta cattolica e democristiana che è la capacità di sfruttare, al proprio interno per le proprie faide ed i fini<br />
di poteri di questo o quell’esponente di partito, i propri stessi misfatti…Ma, conveniamolo, se troppo<br />
complessa era questa realtà per un piccolo giudice istruttore qual era Gerardo D’Ambrosio, non era difficile<br />
collegare la mancata strage del 7 aprile 1973 sul treno Torino-Roma, a quella del 12 dicembre 1969. Nella<br />
storia delle omissioni giudiziarie, delle ‘sviste’, dei depistaggi resi possibili o direttamente attuati dalla<br />
magistratura italiana, la cecità di Gerardo D’Ambrosio e del suo collega Emilio Alessandrini lascia sgomenti.<br />
Quel 7 aprile 1973, viene colto in flagranza di reato, mentre è intento a far saltare un treno passeggeri, Nico<br />
Azzi, collega di Giancarlo Rognoni. Azzi tace il tempo necessario per constatare che, viste le circostanze del<br />
suo arresto (si era fatto esplodere il detonatore fra le gambe), nessun intervento dall’alto può salvarlo, così<br />
parla, rivela, accusa. Per la prima volta in Italia, una banda di stragisti può essere identificata e perseguita.<br />
Esponente di punta del Movimento sociale italiano, Giancarlo Rognoni è anche dirigente del gruppo ‘La<br />
Fenice’ e legatissimo a Pino Rauti, Paolo Signorelli e Carlo Maria Maggi.<br />
Gerardo D’Ambrosio non vede, non sente, non comprende. Indaga sulla strage di piazza Fontana, annovera<br />
fra i suoi imputati Pino Rauti, sa che le stragi di Milano, il 12 dicembre 1969, avrebbero dovuto essere<br />
almeno due, una alla Banca dell’agricoltura e l’altra alla Banca commerciale. Dovrebbe immaginare che<br />
qualcuno a Milano aveva fornito indicazioni e appoggio logistico ai veneti Giorgio Freda e Giovanni Ventura,<br />
ma non riesce a vedere un possibile collegamento fra Giancarlo Rognoni e Pino Rauti, entrambi ex<br />
ordinovisti ora missini, entrambi accusati di strage, con chiamata di correità diretta il primo, indiziato di<br />
reato su chiamata di Marco Pozzan e Giorgio Freda, il secondo.<br />
Gerardo D’Ambrosio non vede, non sente, non capisce. E’ troppo arduo evidentemente ritenere che<br />
sarebbe giusto indagare a fondo su un gruppo stragista individuato a Milano per scoprire le eventuali<br />
connessioni con la strage del 12 dicembre 1969. L’abituale frequentatore della caserma dei carabinieri di<br />
via Moscova, il ‘carabiniere onorario’ Giancarlo Rognoni che, insieme ad i suoi colleghi, si esercita nel<br />
varesotto con le tute mimetiche fornite dalla ‘Benemerita’, non attira l’attenzione di Gerardo D’Ambrosio.<br />
A dire il vero, Rognoni, primo esponente di Ordine nuovo e del Movimento sociale italiano (quello di<br />
Almirante, Servello e Ignazio La Russa, attuale capo gruppo al Senato di ‘Alleanza nazionale’) ad essere<br />
condannato, con sentenza passata in giudicato, per strage, per aver tentato di compiere un massacro<br />
facendo saltare un treno passeggeri, gode di ottimi e solidi appoggi da sempre, anche oggi. I /giornalisti/ di<br />
“Repubblica” ad esempio, non osano ricordare né il suo curriculum vitae né la frequentazione dei<br />
carabinieri né la condanna per tentata strage. Il lettore di “Repubblica”, l’ascoltatore dei telegiornali non<br />
deve sapere che il ‘carabiniere onorario’ Giancarlo Rognoni non è stato condannato per la strage di piazza<br />
Fontana solo perché lo ha tirato in ballo un pentito, trent’anni dopo, e perché è risultato che lavorasse<br />
come impiegato, il 12 dicembre 1969, alla Banca commerciale di Milano dov’era stata deposta una bomba<br />
poi inesplosa –e la strage era fallita miracolosamente- ma perché nel suo passato ha già una condanna per<br />
tentata strage e può essere definito per quello che è: uno stragista /contiguo all’/ Arma dei carabinieri, allo<br />
Stato, non un ‘eversore nero’, ma uno dei tanti civili a disposizione del Comando generale dei carabinieri e<br />
dei Servizi segreti militari e civili.<br />
Ma c’è di peggio.<br />
Il piano predisposto nella primavera del 1973 per giungere alla proclamazione dello stato di emergenza era<br />
la mera, identica, testuale ripetizione di quello attuato il 12 dicembre 1969. La strage, prima, gli incidenti<br />
sanguinosi di piazza, dopo.<br />
Nel dicembre 1969, la strage avviene il 12 dicembre 1969, ma i suoi frutti avrebbero dovuto essere raccolti<br />
dal Msi di Giorgio Almirante e Pino Rauti il 14 dicembre 1969, nel corso di una manifestazione a Roma<br />
destinata a degenerare in gravissimi incidenti. Nell’aprile del 1973, la strage doveva avvenire il 7 aprile sul<br />
treno Torino-Roma, attribuita a ‘Lotta continua’, e la manifestazione, organizzata dal Msi di Franco Maria
Servello, Ignazio La Russa e colleghi, il 12 aprile, a Milano. E, difatti, i missini si presenteranno armati di<br />
bombe a mano e di tessere del Pci da abbandonare sul selciato, come scriverà il giorno successivo “Il Secolo<br />
d’Italia”, organo di stampa del Msi, nel tentativo di attribuire ai ‘rossi’ l’omicidio dell’agente di Ps Antonio<br />
Marino.<br />
Il giudice istruttore milanese Gerardo D’Ambrosio non se ne accorge.<br />
I gruppi sono sempre gli stessi: Ordine nuovo ed il Movimento sociale italiano; identici i piani operativi; il<br />
personaggio che in quel momento rappresentava una connessione tra i fatti e i gruppi era l’indiziato di<br />
reato Pino Rauti, ma D’Ambrosio non se ne da conto. E l’agenzia del terrore di Stato può proseguire nella<br />
sua attività, protetta dalla cecità dei magistrati italiani impegnati a favoleggiare di ‘cellule nere’, di<br />
‘nazifascisti’, di ‘servizi deviati’, di ‘ufficiali infedeli’. Naturalmente, questi magistrati faranno tutti una<br />
brillante carriera.<br />
La strage di Bologna del 2 agosto 1980 è la mera ripetizione di un attentato fallito, sempre di tipo stragista,<br />
il 28 agosto 1970 alla stazione ferroviaria di Verona. La banda degli ‘spontaneisti’ del Sismi, i Fioravanti,<br />
Cavallini, Mambro, Soderini ecc. s’installa in Veneto, dove gode il sostegno logistico e la protezione di Carlo<br />
Maria Maggi e dei suoi colleghi. Il 2 agosto 1980, Fioravanti e Mambro s’incontrano a Padova con Carlo Di<br />
Gilio, il ‘tecnico delle stragi’, come riveleranno essi stessi, anni dopo, a scopo difensivo dopo aver<br />
constatato che il ‘pentito’ non li accusava.<br />
Coincidenze? Forse no. Perché qualcuno aveva attivato l’agenzia del terrore, qualche mese prima, il 28<br />
giugno 1980 per l’esattezza. Quel giorno, un ignoto telefona al “Corriere della sera” e racconta che il Dc-9<br />
Itavia abbattuto sul cielo di Ustica la sera prima, era esploso per una bomba a bordo dove, fra i passeggeri,<br />
vi era anche il confidente di Questura e ordinovista Marco Affatigato. Per rendere credibile la sua verità,<br />
l’anonimo telefonista aggiunge che Marco Affatigato aveva al polso un orologio di marca ‘Baume &<br />
Mercier’.<br />
Marco Affatigato su quell’aereo non c’era. La telefonata doveva servire esclusivamente a lanciare la tesi<br />
della bomba che sarebbe, poi, divenuta la verità del Sismi e dell’Aeronautica. Interrogato dai magistrati,<br />
Affatigato dirà che solo Marcello Soffiati poteva conoscere il particolare del suo orologio perché, poco<br />
tempo prima, in un incontro a Nizza lo aveva notato e glielo aveva chiesto in regalo. Chi ha attivato<br />
Marcello Soffiati, confidente del Sisde, dipendente di Amos Spiazzi, informatore dei servizi militari<br />
americani, e intimo amico di Carlo Maria Maggi? Chi ha mosso l’agenzia del terrore? Non potendo, questa<br />
volta, inventare complotti eversivi di stampo nazifascista, la magistratura italiana ha lasciato inevasa la<br />
risposta. Ma si può credere che nemmeno si sia posta la domanda.<br />
D’Ambrosio tace. Per una volta non è apparsa una sua trionfalistica intervista su “Repubblica” e non ha<br />
rilasciato roboanti dichiarazioni al Tg3. E con lui hanno taciuto tutti, meno coloro che per onorari incassati e<br />
da incassare hanno tutto l’interesse a proclamare l’innocenza dei loro assistiti. Gli altri, quando hanno<br />
aperto bocca, hanno chiesto silenzio. Sì, silenzio nel rispetto delle sentenze della magistratura. Due giorni di<br />
gazzarra fra magistrati ed esponenti politici, senza mai entrare nel merito della sentenza della Corte di<br />
assise di Milano, un’intervista all’immancabile Valpreda che ha ironizzato sulla condanna dei tre, ed una a<br />
Carlo Maria Maggi perché potesse affermare la sua innocenza.<br />
Nient’altro. I tromboni del ‘vogliamo la verità’ hanno taciuto. L’imbarazzo è palese, come evidente è<br />
l’attesa e la speranza che in appello la condanna si volga in assoluzione e, allora sì che parleranno tutti per<br />
dire che la verità su piazza Fontana non si potrà mai conoscere, perché i ‘servizi segreti deviati’ hanno<br />
cancellato le tracce, perché il segreto di Stato non è stato abolito, e bla bla bla.<br />
Non parla Gerardo D’Ambrosio. Lui e il suo sostituto, Grazia Pradella, hanno proceduto al linciaggio morale<br />
di chi scrive, ribadito senza vergogna dai giudici della Corte di assise di Milano che ha condannato Maggi,<br />
Spiazzi, Neami e Boffelli per la strage del 17 maggio 1973, solo perché ha affermato che la volontà di<br />
uccidere Mariano Rumor, il 17 maggio 1973, derivava dalla necessità di eliminare l’uomo che, il 12<br />
dicembre 1969, si era rifiutato di proclamare lo stato di emergenza facendo fallire i piani accuratamente<br />
predisposti, sul piano interno ed internazionale, da chi aveva vagheggiato di creare una democrazia<br />
autoritaria che fermasse l’avanzata del Partito comunista e fosse affidabile per gli Stati uniti e la Nato.<br />
Una verità bruciante per magistrati che hanno fatto carriera e colto allori, affermandone una sempre<br />
contrapposta, quella dei nazifascisti che hanno ucciso in odio alla democrazia. Alla verità di chi scrive, il<br />
D’Ambrosio e la Pradella hanno contrapposto la ‘verità’ miserrima di un progetto omicidiario per punire<br />
Mariano Rumor di aver decretato lo scioglimento del movimento politico Ordine nuovo. La sentenza di
condanna di Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni ripropone, invece, la fondatezza della<br />
verità affermata da chi scrive, solo e contro tutti. D’Ambrosio se ne rende conto, anche se spera che la<br />
motivazione della sentenza non recepisca il movente della proclamazione dello stato di emergenza al quale<br />
pervenire, mediante le stragi ed i morti in piazza, il 12-14 dicembre 1969, ed escluda quindi una<br />
corresponsabilità nel piano (non nella strage) di Mariano Rumor. Se così sarà, Gerardo D’Ambrosio parlerà,<br />
farà interviste, commenterà compiaciuto la capacità della sua Procura di giungere alla verità. E parleranno<br />
tutti gli italici ed abituali tromboni.<br />
In caso contrario, se per un evento eccezionale ed irrepetibile la Corte di assise di Milano affermerà la<br />
verità anche sul movente della strage, dovrà continuare a tacere /almeno fino/ all’appello ed a una<br />
sentenza assolutoria.<br />
Da quanto tempo, in Italia, è scomparsa ogni forma di opposizione? Forse, da quando i vertici del Partito<br />
comunista italiano, informati dal conte Pietro Loredan, seppero in anticipo dell’attentato a Mariano Rumor<br />
programmato per il 17 maggio 1973, e lasciarono che si compisse. Fecero di peggio: continuarono a<br />
depistare le indagini e… ricevettero il segretissimo onore, nell’autunno del 1973, di poter avere i sospirati<br />
contatti con i funzionari della Cia distaccati presso l’Ambasciata degli Stati uniti a Roma. Da quel momento,<br />
i vertici del Partito comunista assaporarono il gusto del doppio gioco e del tradimento. Scoprirono che<br />
sostenere e coprire le responsabilità dello Stato, della Nato, degli americani e degli israeliani pagava in<br />
termini politici perché garantiva della loro affidabilità atlantica. Patrioti in Russia, fedeli a Mosca, poco gli è<br />
sempre interessato, anche in passato degli italiani i cui interessi non stavano a cuore a chi aveva sempre<br />
ritenuto prevalenti quelli dell’Unione sovietica.<br />
L’area giudiziaria che al Partito comunista si rifaceva, l’apparato propagandistico del partito, quello politico<br />
e parlamentare portano intera la responsabilità di aver coperto la verità, di aver inventato i ‘servizi deviati’<br />
e le ‘infedeltà’ individuali di questo o quell’ufficiale (tanto che oggi è rimasto quasi il solo.. Armando<br />
Cossutta a cianciare di ‘servizi deviati’), nella speranza di ricevere dagli Stati uniti e dalla Nato il piatto di<br />
lenticchie rappresentato dalla loro partecipazione al governo…Hanno utilizzato i familiari delle vittime delle<br />
stragi, suggerendo loro i comportamenti da tenere, le richieste da fare, le ‘ricostruzioni’ storico-giudiziarie<br />
alle quali attenersi, imponendo soprattutto il rispetto per le sentenze della magistratura.<br />
Non per tutte. Sarà proprio Walter Veltroni a guidare la carica di coloro che affermeranno l’innocenza di<br />
Valerio Fioravanti e Francesca Mambro per la strage di Bologna del 2 agosto 1980, certi che l’associazione<br />
dei familiari delle vittime non avrebbe avuto il coraggio di contestare l’operato suo e dei vertici dei Ds. Così,<br />
difatti, è stato. Quindi, il rispetto per le sentenze della magistratura è limitato a quelle che fanno comodo.<br />
Le altre si possono anche contestare, o svilire, come nel caso della condanna di Maggi, Zorzi e Rognoni,<br />
dalla quale i Ds prendono le distanze affermando, con Piero Fassino, che non sanno “se è stata fatta<br />
giustizia o no”.<br />
Maggi, Zorzi e Rognoni possono ben sperare. Questa è la linea assunta dall’opposizione, quella stessa che a<br />
furia di mentire, depistare, portare sugli altari i magistrati che fanno lo stesso, calunniare chi dice la verità,<br />
ha finito per ridare il governo a Silvio Berlusconi, condannato per corruzione. L’inesistente, fasulla<br />
‘opposizione’ del Pci, poi Pds, quindi Ds, e di tutta la sinistra –anche quella che si è autodefinita<br />
‘antagonista’- ha determinato la creazione della leggenda di un potere giudiziario che si contrappone agli<br />
altri poteri dello Stato nello specifico campo della ricerca della verità sulla strategia del terrore e delle<br />
stragi. Quello che un tempo, questa stessa sinistra definiva come ‘il cane da guardia’ del sistema<br />
democristiano e clericale, quell’Ordine giudiziario che intasava i tribunali di operai e studenti imputati di<br />
tutto che si poteva loro imputare, tanto da suscitare perfino la reazione sdegnata dell’allora ministro del<br />
Lavoro Carlo Donat Cattin, dal 1973 ne ha fatto il potere giusto, illuminato, che bisogna sostenere nella sua<br />
battaglia per la verità ostacolata dai poteri ‘cattivi’, che gli oppongono il ‘segreto di Stato’ e gli negano la<br />
collaborazione per smascherare i nazifascisti stragisti.<br />
Una menzogna che ha finito per rivolgersi contro coloro che la sostengono, perché lo stesso schema<br />
applicato alla lotta per la corruzione ha messo in evidenza, viceversa, la parzialità di una magistratura che,<br />
come al solito, ha visto la corruzione da una sola parte, ed anche in quella parte solo in alcuni settori, così<br />
che il sistema è rimasto immutato; anzi si è rafforzato per reazione naturale, comprensibile pur se non<br />
giustificabile, dinanzi ad ‘eroi’ giudiziari alla Antonio Di Pietro ed ai suoi metodi di inquisizione che<br />
prevedevano la galera ad oltranza per chi non ‘parlava’, la violazione sistematica del segreto istruttorio, le<br />
‘soffiate’ ai giornalisti e, di converso, l’appariscente rifiuto di indagare sul conto dell’ex Partito comunista,
sui suoi finanziamenti, sulle tangenti da esso percepite, sulla corruzione di cui era impregnato alla pari degli<br />
altri partiti. A poco a poco, sono cadute le illusioni sul potere giudiziario in quei cittadini che alla fine hanno<br />
mandato in Parlamento i corrotti e gli imputati di associazione mafiosa ma hanno trombato il Di Pietro;<br />
meno che nel campo della ricerca della verità sul ‘terrorismo’ nero e rosso, sul terrorismo, senza virgolette,<br />
di Stato. Qui, la leggenda creata dal Partito comunista e gruppi di sinistra ancora resiste. Ancora, si crede<br />
che il ‘cane da guardia’ si possa rivoltare e mordere la mano del padrone.<br />
Il Partito comunista che aveva creduto di poter divenire Stato e si è ritrovato ad essere una sagrestia, che<br />
ha gestito il potere governativo per fare quello che hanno sempre fatto i democristiani, forse peggio, è<br />
ormai cancellato dalla storia e dalla memoria. Il regime si è rafforzato. Oggi esibisce un plurinquisito,<br />
condannato per corruzione come presidente del Consiglio, al quale gli ‘oppositori’ si rivolgono con<br />
deferenza promettendo di essere bravi in questi cinque anni, di non fare opposizione preconcetta e,<br />
intanto, hanno votato a favore del documento sul G8.<br />
Il regime non ha più oppositori: questa è la vera tragedia dell’Italia.<br />
E’ normale quindi, che i servi di ogni livrea si affannino a coprire ogni verità che possa far vacillare il<br />
sistema, e la prima, la più significativa è quella relativa agli anni del terrore, alla strategia della<br />
destabilizzazione per stabilizzare, alla vera questione morale del Paese.<br />
Togliere alla magistratura e ad un branco –nemmeno numeroso- di giornalisti specializzati il monopolio<br />
della ‘verità’ sulla strategia della tensione, leggere le sentenze senza rispetto, cogliendo quello che di vero e<br />
di falso in esse è contenuto, convincersi che mai la magistratura italiana oserà affermare la responsabilità<br />
dello Stato italiano e dei suoi alleati atlantici nella ‘guerra politica’ che hanno condotto sul nostro territorio,<br />
limitandosi nel migliore dei casi ad affermare la responsabilità degli autori materiali e mentendo, spesso<br />
spudoratamente, sulle motivazioni, rappresenterebbe il primo passo per giungere alla verità. Fare tabula<br />
rasa delle favole, delle leggende, dei luoghi comuni che si sono stratificati in tutti questi anni sulla volontà<br />
dell’Ordine giudiziario di ridare al Paese verità e dignità, costituisce il prologo indispensabile per accettare<br />
una verità che oramai, nonostante tutto, molti italiani riconoscono come l’unica vera, quella che vede sul<br />
banco degli imputati la classe politica e dirigente dagli anni Sessanta ad oggi…<br />
Avere la capacità di collegare il passato al presente è la premessa per proiettarsi verso il futuro. Non basta<br />
contestare i partecipanti al G8 per le infamie che stanno perpetrando oggi, dimenticando quelle passate,<br />
quasi che riguardassero altre storie, altri paesi, altri popoli. Il servile ossequio della classe dirigente italiana,<br />
sia essa di centrodestra o di centrosinistra, nei confronti degli Stati uniti d’America va contestato anche<br />
sulla base di ciò che il predominio americano ed il servilismo italiano hanno prodotto in questo Paese.<br />
Piazza Fontana non è lontana. I genocidi dei popoli, in modo vario e differenziato attuati dagli Stati uniti e<br />
dai loro alleati della Nato, in varie parti del mondo con la distruzione dell’ambiente, l’inquinamento, le<br />
sanzioni economiche, le guerre aperte, non deve far dimenticare quella che, tecnicamente, hanno definito<br />
‘guerra a bassa intensità’ scatenata in Italia negli anni Sessanta e protratta per oltre un ventennio.<br />
<strong>Guerra</strong> non ancora conclusa, perché ancora priva di verità, perché la verità continua ad essere negata dal<br />
potere politico e giudiziario, uniti come sempre nella difesa dei propri privilegi e ben deciso a mantenere il<br />
silenzio sulle proprie colpe. Non ci saranno Tribunali internazionali per i crimini commessi in Italia nell’arco<br />
di un ventennio, perché questi sono riservati ai nemici dell’America e della Nato, ma la giustizia potrà<br />
egualmente essere fatta riscoprendo che ribellarsi ad un regime liberticida è un diritto e, prima ancora, un<br />
dovere.<br />
Vincenzo Vinciguerra