01.06.2013 Views

sommario - Ipsoa

sommario - Ipsoa

sommario - Ipsoa

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

S.p.a.<br />

Gruppi<br />

di società<br />

Liquidazione<br />

S.r.l.<br />

DIRITTO SOCIETARIO<br />

SOMMARIO<br />

Modifica dell’atto costitutivo prima dell’iscrizione<br />

Cass. civ., sez. I, 1 dicembre 2011, n. 25703<br />

commento di Fernando Platania 741<br />

Abuso nell’attività di direzione e coordinamento e violazione dei principi di corretta gestione societaria<br />

e imprenditoriale<br />

Trib. Milano, sez. VIII, 2 febbraio 2012<br />

commento di Enrico Erasmo Bonavera 746<br />

I poteri dei liquidatori di società di capitali<br />

Trib. Milano, sez. VIII, 26 maggio 2011<br />

commento di Leonardo Di Brina 761<br />

La cessione di quote del capitale della s.r.l.<br />

di Vincenzo Salafia 775<br />

DIRITTO DEI MERCATI FINANZIARI<br />

Strumenti Il diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede<br />

finanziari Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065<br />

commento di Edoardo Guffanti 779<br />

Reati tributari<br />

DIRITTO PENALE COMMERCIALE<br />

L’irrilevanza penale dell’elusione tributaria<br />

di Fabio Fasani 791<br />

PROCESSO, ARBITRATO E MEDIAZIONE<br />

Tribunale Le sezioni specializzate in materia d’impresa<br />

delle imprese D.L. 24 gennaio 2012, n. 1<br />

commento di Paolo Celentano 805<br />

Società Tutela cautelare ante causam e sospensione della delibera assembleare<br />

di capitali Trib. Milano, sez. VIII, ord., 23 aprile 2012<br />

commento di Domenico Dalfino 830<br />

OSSERVATORIO<br />

Le Società<br />

Anno XXXI<br />

GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ<br />

acuradiVincenzo Carbone e Romilda Giuffré 835<br />

GIURISPRUDENZA DI MERITO<br />

acuradiAlessandra Stabilini 837<br />

GIURISPRUDENZA PENALE DELL’IMPRESA<br />

acuradiMarco Maria Scoletta 841<br />

CONSOB<br />

acuradiFederico Venturini 847<br />

Le Società 7/2012 739


Le Società<br />

Anno XXXI<br />

FISCALE<br />

acuradiMassimo Gabelli 852<br />

COMUNITARIO<br />

acuradiSilvia Olivieri 858<br />

INDICE<br />

Indice Autori<br />

Indice Cronologico<br />

Indice Analitico<br />

COMITATO PER LA VALUTAZIONE<br />

F. Annunziata, C. Consolo, G. Guizzi, M. Lamandini, S. Menchini, F. Mucciarelli, A. Pericu, A. Perrone, C. Piergallini, S. Rossi<br />

Mensile di diritto e pratica commerciale<br />

societaria e fiscale<br />

EDITRICE<br />

Wolters Kluwer Italia S.r.l.<br />

Strada 1, Palazzo F6<br />

20090 Milanofiori Assago (MI)<br />

INDIRIZZO INTERNET<br />

http://www.ipsoa.it/lesocieta<br />

DIRETTORE RESPONSABILE<br />

Giulietta Lemmi<br />

REDAZIONE<br />

Isabella Viscardi, Ines Attorresi, Nadia D’Antoni<br />

REALIZZAZIONE GRAFICA<br />

Wolters Kluwer Italia S.r.l.<br />

FOTOCOMPOSIZIONE<br />

Sinergie Grafiche s.r.l.<br />

20090 Rozzano - Via Pavese, 1/3 - Tel. 02/57789422<br />

STAMPA<br />

GECA s.p.a. - Via Magellano, 11<br />

20090 Cesano Boscone (MI)<br />

L’elaborazione dei testi, anche se curata con<br />

scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche<br />

responsabilità per eventuali errori o inesattezze<br />

PUBBLICITÀ:<br />

db Consulting srl Event & Advertising<br />

via Leopoldo Gasparotto 168 - 21100 Varese<br />

tel. 0332/282160 - fax 0332/282483<br />

e-mail: info@db-consult.it<br />

www.db-consult.it<br />

Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 452<br />

del 28 novembre 1981<br />

Per informazioni in merito<br />

a contributi, articoli ed argomenti trattati, scrivere o<br />

telefonare a:<br />

Casella Postale 12055 - 20120 Milano<br />

telefono (02) 82476.005 (02) 82476.674<br />

telefax (02) 82476.079<br />

e-mail: redazione.lesocieta.ipsoa@wki.it<br />

Tariffa R.O.C.: Poste Italiane Spa - Spedizione in<br />

abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27<br />

febbraio 2004, n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano<br />

Iscritta nel Registro Nazionale della Stampa<br />

con il n. 3353 vol. 34 foglio 417 in data 31 luglio 1991<br />

Iscrizione al R.O.C. n. 1702<br />

ABBONAMENTI<br />

Gli abbonamenti hanno durata annuale, solare:<br />

gennaio-dicembre; rolling 12 mesi dalla data di<br />

sottoscrizione, e si intendono rinnovati, in assenza di<br />

disdetta da comunicarsi entro 60 gg. prima della data<br />

di scadenza a mezzo raccomandata A.R. da inviare a<br />

Wolters Kluwer Italia S.r.l. Strada 1 Pal. F6 Milanofiori<br />

20090 Assago (MI).<br />

Servizio Clienti: tel. 02-824761 - e-mail:<br />

servizioclienti.ipsoa@wki.it<br />

Compresa nel prezzo dell’abbonamento l’estensione<br />

on line della Rivista consultabile all’indirizzo<br />

www.ipsoa.it/lesocieta<br />

ITALIA<br />

Abbonamento annuale: E 235,00<br />

Abbonamento annuale + Monografia: E 271,00<br />

ESTERO<br />

Abbonamento annuale: E 470,00<br />

MAGISTRATI e UDITORI GIUDIZIARI - sconto del<br />

30% sull’acquisto dell’abbonamento annuale alla<br />

rivista, applicabile rivolgendosi alle Agenzie <strong>Ipsoa</strong> di<br />

zona (www.ipsoa.it/agenzie) o inviando l’ordine via<br />

posta a Wolters Kluwer Italia S.r.l., Strada 1 Pal. F6,<br />

20090 Assago (MI) o via fax al n. 02-82476403 o<br />

rivolgendosi al Servizio Informazioni Commerciali al n.<br />

02-82476794.<br />

Nell’ordine di acquisto i magistrati dovranno allegare<br />

fotocopia del proprio tesserino identificativo attestante<br />

l’appartenenza alla magistratura e dichiarare di essere<br />

iscritti all’Associazione Nazionale Magistrati.<br />

MODALITÀ DI PAGAMENTO<br />

— Versare l’importo sul C/C/P n. 583203 intestato a<br />

WKI S.r.l. Gestione incassi - Strada 1, Palazzo F6,<br />

Milanofiori<br />

863<br />

Per informazioni su gestione abbonamenti, numeri<br />

arretrati, cambi d’indirizzo, ecc., scrivere o<br />

telefonare a:<br />

IPSOA Servizio Clienti<br />

Casella postale 12055 – 20120 Milano<br />

telefono (02) 824761 – telefax (02) 82476.799<br />

Servizio risposta automatica:<br />

telefono (02) 82476.999<br />

oppure<br />

— Inviare assegno bancario/circolare non trasferibile<br />

intestato a Wolters Kluwer Italia S.r.l.<br />

Indicare nella causale del versamento il titolo della<br />

rivista e l’anno di abbonamento.<br />

Prezzo copia: E 23,00<br />

Arretrati: prezzo dell’anno in corso<br />

all’atto della richiesta<br />

Sono disponibili le annate arretrate rilegate<br />

al prezzo di E 230,00<br />

DISTRIBUZIONE<br />

Vendita esclusiva per abbonamento<br />

Il corrispettivo per l’abbonamento a questo periodico<br />

è comprensivo dell’IVA assolta dall’editore ai sensi<br />

e per gli effetti del combinato disposto dell’art. 74<br />

del D.P.R. 26/10/1972, n. 633 e del D.M.29/12/1989<br />

e successive modificazioni e integrazioni.<br />

Egregio abbonato,<br />

ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, Lainformiamo<br />

che i Suoi dati personali sono registrati su database<br />

elettronici di proprietà di Wolters Kluwer Italia S.r.l., con sede<br />

legale in Assago Milanofiori Strada 1-Palazzo F6, 20090 Assago<br />

(MI), titolare del trattamento e sono trattati da quest’ultima<br />

tramite propri incaricati. Wolters Kluwer Italia S.r.l. utilizzerà i<br />

dati che La riguardano per finalità amministrative e contabili. I<br />

Suoi recapiti postali e il Suo indirizzo di posta elettronica saranno<br />

utilizzabili, ai sensi dell’art. 130, comma 4, del D.Lgs. n.<br />

196/2003, anche a fini di vendita diretta di prodotti o servizi<br />

analoghi a quelli oggetto della presente vendita. Lei potrà in<br />

ogni momento esercitare i diritti di cui all’art. 7 del D.Lgs. n.<br />

196/2003, fra cui il diritto di accedere ai Suoi dati e ottenerne<br />

l’aggiornamento o la cancellazione per violazione di legge, di<br />

opporsi al trattamento dei Suoi dati ai fini di invio di materiale<br />

pubblicitario, vendita diretta e comunicazioni commerciali e di<br />

richiedere l’elenco aggiornato dei responsabili del trattamento,<br />

mediante comunicazione scritta da inviarsi a: Wolters Kluwer<br />

Italia S.r.l. - PRIVACY - Centro Direzionale Milanofiori Strada 1-<br />

Palazzo F6, 20090 Assago (MI), o inviando un Fax al numero:<br />

02.82476.403.<br />

740 Le Società 7/2012


Atto costitutivo<br />

Modifica dell’atto costitutivo<br />

prima dell’iscrizione<br />

Cassazione Civile, Sez. I, 1 dicembre 2011, n. 25703 - Pres. D. Plenteda - Est. R. Rordorf - Mare<br />

s.a.s. di V.E. & C. c. Jolly Fashion s.r.l.<br />

Società - Società di capitali - Società a responsabilità limitata - Atto costitutivo - Modificazioni - Anteriori all’iscrizione -<br />

Validità - Condizioni<br />

(Cod. civ. art. 2463)<br />

La deliberazione assembleare di una s.r.l. con cui sia stato approvato un aumento di capitale anteriormente all’iscrizione<br />

della società nel Registro delle imprese è inesistente, in quanto emanata da un’assemblea ancora<br />

priva della possibilità giuridica di deliberare, e, tuttavia, la manifestazione di volontà dei soci unanime e plenaria<br />

e risultante dalla sottoscrizione dell’atto da parte di ciascuno può essere apprezzata come espressione di<br />

un patto volto a modificare l’importo del capitale sociale e la conseguente attribuzione delle quote ai soci e,<br />

quindi, come una convenzione modificativa dell’atto costitutivo, a condizione che risultino osservati i requisiti<br />

di sostanza e di forma prescritti per tale atto, con la conseguenza che la non ancora avvenuta iscrizione della<br />

società nel Registro delle imprese non condiziona la validità di detta convenzione modificativa, sia pure destinata<br />

ad assumere efficacia dopo l’iscrizione della società (massima ufficiale).<br />

La Corte (omissis).<br />

3.1.1. La prima di tali prospettazioni - che riecheggia ancora<br />

adesso nel primo motivo del ricorso - è fondata sul<br />

rilievo secondo cui l’atto di conferimento immobiliare<br />

compiuto dal sig. B. in favore della Jolly Fashion, essendo<br />

intervenuto a seguito di un aumento di capitale sociale<br />

deliberato prima ancora che la società fosse iscritta<br />

nel Registro delle imprese, avrebbe dovuto esser considerato<br />

nullo, se non addirittura giuridicamente inesistente,<br />

o comunque inefficace. S’intuisce che l’interesse in base<br />

al quale questa tesi è prospettata dalla società che all’epoca<br />

conduceva in locazione l’immobile conferito è di<br />

tipo riflesso: sembrerebbe riposare sulla convinzione che,<br />

venuto meno il conferimento giuridicamente viziato,<br />

emergerebbe in sua vece la realtà di un trasferimento di<br />

proprietà dell’immobile direttamente intervenuto tra il<br />

conferente e coloro che si erano successivamente resi acquirenti<br />

della relative quote sociali. Donde la possibilità<br />

di far valere il diritto di prelazione spettante al conduttore,<br />

a norma della L. n. 392/1978, art. 38 oppure, in<br />

sua vece, il diritto di riscatto.<br />

Sennonché, anche a prescindere dalla maggiore o minore<br />

condivisibilità delle conseguenze che dalla pretesa invalidità<br />

del conferimento in società si vorrebbero trarre,<br />

non può farsi a meno di ricordare come, all’esito di in<br />

una diversa causa tra altre parti, ma riguardante proprio<br />

quel medesimo conferimento, questa corte ebbe ad affermare<br />

che, quantunque la deliberazione assembleare di<br />

una società a responsabilità limitata con cui sia stato approvato<br />

un aumento di capitale anteriormente all’iscri-<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

zione della società nel Registro delle imprese sia da considerare<br />

inesistente, in quanto emanata da un’assemblea<br />

ancora priva della possibilità giuridica di deliberare, la<br />

manifestazione di volontà unanime e plenaria dei soci risultante<br />

dalla sottoscrizione dell’atto da parte di ciascuno<br />

ben può essere apprezzata come espressione di un patto<br />

volto a modificare l’importo del capitale sociale e la conseguente<br />

attribuzione delle quote ai soci e, quindi, come<br />

una convenzione modificativa dell’atto costitutivo, a<br />

condizione che risultino osservati i requisiti di sostanza e<br />

di forma prescritti per tale atto, con la conseguenza che<br />

la non ancora avvenuta iscrizione della società nel Registro<br />

delle imprese non condiziona la validità di detta<br />

convenzione modificativa, sia pure destinata ad assumere<br />

efficacia dopo l’iscrizione della società (Cass. 5 giugno<br />

1999, n. 5533).<br />

Ovviamente, siffatta statuizione non ha valore di giudicato<br />

nella presente causa, ma non v’è ragione di discostarsi<br />

dal principio di diritto in essa enunciato, al quale<br />

del resto nessuna obiezione è mossa nel ricorso: principio<br />

che è certamente applicabile anche alla fattispecie qui<br />

in esame in cui si verte della validità proprio del medesimo<br />

atto col quale il sig. B. ebbe a trasferire alla Jolly Fashion<br />

la proprietà dell’immobile in contestazione.<br />

Ne consegue che, essendo fuori discussione sia l’osservanza<br />

nel caso di specie dei suddetti requisiti di forma<br />

della convenzione di cui si tratta, sia la successiva iscrizione<br />

della società nel Registro delle imprese e la presa<br />

in carico da parte di essa dell’immobile trasferitole, la<br />

Le Società 7/2012 741


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

modificazione dell’atto costitutivo conseguente al conferimento<br />

si è prodotta.<br />

È poi appena il caso di aggiungere che non v’è ragione per<br />

discostarsi neanche dall’altro principio in passato enunciato<br />

da questa corte, neppure esso contestato dalla ricorrente<br />

nel presente giudizio, secondo cui le disposizioni in tema di<br />

prelazione e riscatto dettate dalla cit. L. n. 392/1978, artt.<br />

38 e 39 non sono applicabili all’ipotesi di trasferimento del<br />

IL COMMENTO<br />

di Fernando Platania<br />

pacchetto azionario della società locatrice nel cui patrimonio<br />

sia compreso l’immobile oggetto del diritto di prelazione<br />

vantato dal conduttore (si vedano Cass. 29 settembre<br />

2005, n. 19160, Cass. 21 luglio 2000, n. 9592, e Cass. 23<br />

luglio 1998, n. 7209; nonché, nell’analoga materia del diritto<br />

di prelazione e di riscatto spettante all’affittuario di<br />

fondi rustici, Cass. 26 gennaio 2010, n. 1523).<br />

(omissis).<br />

L’Autore, richiamando i principi già elaborati dalla giurisprudenza onoraria in sede di omologazione degli atti<br />

costitutivi delle società di capitali, concorda con l’orientamento della Cassazione, in altre occasioni espresso,<br />

favorevole alla possibilità di introdurre modifiche allo statuto ed all’atto costitutivo anche prima dell’iscrizione<br />

nel Registro delle imprese, purché assunte da tutti i soci e con la forma dell’atto pubblico. Viene, quindi,<br />

esaminata la disciplina giuridica applicabile, prima dell’iscrizione, al contratto di società ed agli altri atti<br />

che i soci possono compiere prima dell’inizio della piena operatività degli organi sociali.<br />

I precedenti nella giurisprudenza onoraria<br />

La Cassazione torna, con la sentenza annotata,<br />

su un argomento che la giurisprudenza onoraria era<br />

solita affrontare, non infrequentemente, in sede di<br />

omologa degli atti costitutivi, allorquando un soggetto,<br />

appositamente delegato dai soci, provvedeva<br />

a modificare l’atto costitutivo o lo statuto in base<br />

alle indicazioni che il Tribunale aveva formulato in<br />

sede di esame (1). Ritenendosi, tuttavia, che l’intervento<br />

del delegato potesse operare al solo scopo<br />

di adeguare lo statuto alle inderogabili disposizioni<br />

di legge, la giurisprudenza (2) aveva espressamente<br />

escluso che il mandatario potesse intervenire autonomamente<br />

su aspetti sui quali la volontà dei soci<br />

poteva atteggiarsi in vario modo; in tali casi, l’adeguamento<br />

dello statuto o dell’atto costitutivo doveva<br />

essere necessariamente effettuato dai soci con<br />

deliberazione unanime, assunta secondo le stesse<br />

forme previste per la costituzione della società.<br />

Com’è ovvio, le modifiche all’atto costitutivo,<br />

operate dal delegato nei casi in cui si doveva procedere<br />

ad adeguamenti obbligati, ovvero dai soci,<br />

quando fosse necessaria, invece, una nuova manifestazione<br />

di volontà, intervenivano prima dell’iscrizione<br />

dell’atto costitutivo presso il Registro delle<br />

imprese.<br />

Proprio muovendo dagli stessi principi, la giurisprudenza<br />

onoraria aveva espressamente ammesso<br />

la possibilità di modificare l’atto costitutivo prima<br />

dell’iscrizione anche per introdurre, indipendentemente<br />

da ogni sollecitazione del tribunale, cambia-<br />

menti nell’atto costitutivo o nello statuto. Così, si<br />

era ritenuto ammissibile (3) che la società modificasse<br />

la denominazione sociale originariamente prescelta<br />

quando la stessa potesse ingenerare confusione<br />

con altra società, ed anche (4) che i soci, con le<br />

stesse forme dell’atto costitutivo, ed in applicazione<br />

Note:<br />

(1) Trib. Milano 6 maggio 1982, in questa Rivista,1982, 10,<br />

1156: «La delega conferita dall’assemblea dei soci all’amministratore,<br />

in forza della quale si consente a quest’ultimo di apportare<br />

all’atto soggetto ad omologazione le opportune correzioni<br />

che - senza decidere sugli elementi essenziali della manifestazione<br />

di volontà negoziale in esso contenuta - permettano di ottenere<br />

l’iscrizione nel Registro delle imprese, eliminando i fattori<br />

di invalidità ravvisati dall’Autorità giudiziaria, non può produrre<br />

effetti oltre il procedimento di omologazione in vista del quale è<br />

stata conferita».<br />

(2) App. Trento 28 maggio 1997, in questa Rivista, 1997, 12,<br />

1411: «La delega, deliberata dall’assemblea dei soci di una s.r.l.<br />

in favore del presidente della stessa, ad apportare alla delibera<br />

di riduzione del capitale per esuberanza le modifiche eventualmente<br />

richieste dall’autorità giudiziaria in sede di omologazione,<br />

pur se conferita senza limiti, proprio per la sua genericità, va circoscritta<br />

alle sole clausole in ordine alle quali la volontà contrattuale<br />

non ha che da determinarsi in un unico senso, in forza di<br />

norme interpretative. Non è, infatti, possibile conferire al delegato<br />

il potere di introdurre da solo quelle modifiche che richiedono<br />

una manifestazione discrezionale di volontà da parte dell’assemblea<br />

nell’ambito delle opzioni che la legge consente».<br />

(3) App. Trento 18 febbraio 2000, in questa Rivista, 2000, 9,<br />

1100, con nota di G. Zagra: «Dalle norme concernenti i contratti<br />

pluraterali (applicabili anche al contratto di società) deriva la possibilità<br />

di procedere, da parte dei contraenti, a tutte le modifiche<br />

dell’atto sia su loro stessa iniziativa sia, su sollecitazione dell’autorità<br />

giudiziaria».<br />

(4) Cass. 5 giugno 1999, n. 5533, che ha giudicato sulla stessa<br />

vicenda oggetto di esame nella sentenza annotata.<br />

742 Le Società 7/2012


delle specifiche norme, potessero procedere ad operazioni<br />

di conferimento di beni in natura, così modificando<br />

l’atto costitutivo già stipulato.<br />

Alla base di tale orientamento v’era la considerazione<br />

che il contratto societario, esattamente come<br />

i contratti plurilaterali, potesse essere oggetto di<br />

modifica da parte di tutti i contraenti secondo le<br />

regole ordinarie, non costituendo ostacolo l’inoperatività<br />

degli organi sociali fino a quando la società<br />

non avesse acquisito, con l’iscrizione nel Registro<br />

delle imprese, la personalità giuridica.<br />

L’attuale disciplina<br />

Anche alla luce delle modifiche nel frattempo<br />

intervenute all’art. 2331 c.c., i principi prima esposti<br />

conservano integrale validità.<br />

Come in passato, infatti, l’iscrizione nel Registro<br />

delle imprese costituisce il momento di acquisizione<br />

della personalità giuridica, di nascita dell’ente e,<br />

conseguentemente, dell’inizio della piena operatività<br />

degli organi sociali.<br />

Ma l’atto costitutivo, prima dell’iscrizione, è pur<br />

sempre sottoposto alle regole generali dei contratti<br />

plurilaterali applicabili al contratto di società.<br />

Quindi, ancorché l’ipotesi possa apparire solo di<br />

scuola, le regole ordinarie in tema di nullità od annullabilità<br />

dei contratti (e non quelle speciali dettate<br />

dall’art. 2332 c.c.) trovano integrale applicazione<br />

quando, prima dell’iscrizione nel Registro delle<br />

imprese, taluno dei soci impugni l’atto costitutivo;<br />

solo dopo l’iscrizione nel Registro delle imprese, infatti,<br />

può trovare applicazione la speciale disciplina<br />

giuridica dell’art. 2332 c.c. diretta a tutelare i soggetti<br />

che hanno avuto rapporti (5) con la società.<br />

L’eventuale declaratoria di nullità o di annullabilità<br />

dell’atto non iscritto seguirebbe, pertanto, le regole<br />

generali ed in particolare quella dell’art. 1446 c.c.<br />

sull’annullamento parziale di un contratto plurilaterale<br />

o l’altra, dell’efficacia integralmente retroattiva<br />

degli effetti della nullità; i soci, una volta dichiarata<br />

la nullità del contratto sociale, contrariamente a<br />

quanto previsto dall’art. 2332 c.c., non sarebbero<br />

pertanto tenuti ad eseguire i versamenti promessi<br />

(ed anzi avrebbero diritto ad ottenere in restituzione<br />

le somme già versate in banca) e verrebbe conseguente<br />

meno anche l’obbligo per il giudice di nominare<br />

un liquidatore della società.<br />

Non sarebbe probabilmente neppure impossibile<br />

ipotizzare un’azione cautelare, strumentale all’esercizio<br />

dell’azione di nullità o di annullabilità, volta<br />

ad inibire al notaio, pendendo il relativo giudizio,<br />

l’iscrizione nel Registro delle imprese dell’atto costi-<br />

tutivo al fine di evitare l’applicazione della speciale<br />

disciplina dell’art. 2332 c.c. e, soprattutto, l’attribuzione<br />

all’ente della personalità giuridica malgrado<br />

l’esistenza di vizi nel procedimento costituivo.<br />

Il nuovo testo dell’art. 2331 c.c. conferma l’idoneità<br />

dell’atto costitutivo, ancora non iscritto, a<br />

produrre effetti giuridici allorquando specifica che<br />

esso perda efficacia, se entro novanta giorni dalla<br />

stipulazione dell’atto costitutivo o al rilascio delle<br />

autorizzazioni previste, l’iscrizione non abbia luogo.<br />

E del resto lo stesso articolo regola e disciplina<br />

gli effetti degli atti compiuti in nome e per conto<br />

della società prima della sua iscrizione nel Registro<br />

delle imprese prevedendo da un lato che, per le<br />

operazioni compiute in nome della società prima<br />

dell’iscrizione, siano illimitatamente e solidalmente<br />

responsabili verso i terzi i soggetti che hanno agito<br />

(ed anche il socio unico) e dall’altro che la società<br />

sia tenuta a rispondere delle obbligazioni contratte<br />

in suo nome dai soci prima della costituzione quando<br />

siano state approvate dai suoi organi successivamente<br />

alla iscrizione (oppure quando necessarie).<br />

Tra gli altri effetti della stipula v’è certamente<br />

anche quello (6) dell’irrevocabilità del consenso<br />

espresso dai fondatori e, pertanto, l’impossibilità di<br />

recedere singolarmente.<br />

La stipula dell’atto impone al notaio ed all’amministratore<br />

di procedere all’iscrizione dell’atto nel<br />

Registro delle imprese (a meno che non siano ancora<br />

pervenute le autorizzazioni previste da talune<br />

leggi); correlativamente l’omissione di tale adempimento<br />

se permette ai soci di procedere essi stessi all’iscrizione,<br />

fa sorgere in capo agli stessi, non solo,<br />

il diritto a rivalersi sul patrimonio della società per<br />

le spese sostenute per la iscrizione ma anche quello<br />

di richiedere agli amministratori il risarcimento dei<br />

danni che fosse loro derivato dall’iscrizione tardiva<br />

dell’atto (si pensi all’impossibilità di partecipare ad<br />

una gara di appalto che avrebbe potuto far aumentare<br />

il valore delle azioni).<br />

Merita anche di essere ricordato che relativamente<br />

ad una specifica e piuttosto particolare fattispecie<br />

(7), l’Agenzia delle Entrate, con propria risoluzione<br />

del 20 marzo 2002, n. 93/E, ha ritenuto<br />

che, per essere considerata impresa in attività ai<br />

Note:<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

(5) G.F. Campobasso, Diritto Commerciale, Torino, 2009, 2,<br />

170.<br />

(6) G. Zagra nota a App. Trento 18 febbraio 2000, in questa Rivista,<br />

2000, 9, 1100.<br />

(7) Di cui dà conto F. Tassinari nella nota a commento a Trib.<br />

Bolzano 19 gennaio 2002, in Notariato, 2002, 5, 485.<br />

Le Società 7/2012 743


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

sensi della L. 18 ottobre 2001, n. 383, fosse sufficiente<br />

che una società di capitali avesse stipulato,<br />

entro il 25 ottobre 2001, l’atto costitutivo in forma<br />

pubblica.<br />

Le modifiche dell’atto costitutivo ed altre<br />

operazioni<br />

Il nuovo testo dell’art. 2331 c.c. considera solidalmente<br />

ed illimitatamente responsabili, per le obbligazioni<br />

contratte prima della costituzione della<br />

società con coloro che hanno agito, i soci che, anche<br />

con atto diverso dall’atto costitutivo, abbiano<br />

deciso ed autorizzato il compimento dell’operazione.<br />

È, quindi, espressamente previsto che alcuni o<br />

tutti i soci possano manifestare una volontà sia in<br />

forma collettiva (pur non avente la forza ed il valore<br />

di una delibera assembleare) sia individuale che<br />

produca l’effetto di renderli corresponsabili verso i<br />

terzi dell’atto compiuto da altri (indipendentemente<br />

dalla successiva iscrizione della società nel Registro<br />

delle imprese).<br />

Tra le novità più significative introdotte nell’art.<br />

2331 c.c. dalla riforma v’è poi l’abolizione del divieto<br />

di vendere le azioni e le quote prima dell’iscrizione<br />

della società (essendo stato confermato,<br />

invece, il divieto di offerta al pubblico delle azioni<br />

di società non ancora iscritta).<br />

Se in precedenza, pertanto, la stessa vendita delle<br />

azioni era da considerarsi vietata, oggi, l’alienazione<br />

delle azioni prima della costituzione della società<br />

deve ritenersi valida, ancorché produttiva di<br />

effetti solo obbligatori e non reali posto che l’oggetto<br />

del negozio necessariamente va considerato esistente<br />

solo al momento della costituzione della società<br />

(momento dal quale possono essere emesse le<br />

azioni). Il socio che abbia alienato le sue azioni prima<br />

della costituzione, deve, però, considerarsi socio<br />

fondatore e risponde dell’obbligo di versare la parte<br />

di capitale ancora non liberata in conformità all’art.<br />

2355 c.c. anche se egli abbia cessato di far parte<br />

della compagine sociale addirittura prima dell’iscrizione<br />

della società nel Registro delle imprese.<br />

L’esigenza di procedere ad adattamenti dell’atto<br />

costitutivo, inoltre, potrebbe inevitabilmente derivare<br />

dall’eventuale rifiuto di uno degli amministratori<br />

o dei sindaci di accettare la nomina.<br />

Anche in questo caso non potrebbe essere precluso<br />

ai soci di intervenire con una manifestazione<br />

di volontà integrativa di quella espressa in occasione<br />

della stipula dell’atto costitutivo.<br />

Né vi possono esser dubbi circa il requisito di<br />

forma da seguire in tutti i casi in cui l’intervento<br />

modificativo incidesse, per un qualsiasi aspetto, sull’atto<br />

costitutivo e sullo statuto. Per la regola generale<br />

secondo cui la modifica di un contratto deve<br />

avvenire secondo le stesse forme previste per la stipula<br />

del contratto, ogni modifica dovrebbe necessariamente<br />

avvenire con le forme dell’atto pubblico<br />

ad opera di tutti i soci ed essere altresì soggetto all’iscrizione<br />

nel Registro delle imprese unitamente<br />

all’atto costitutivo.<br />

Il principio è chiaramente espresso dal legislatore<br />

nell’art. 2335 c.c. in tema di costituzione della società<br />

per pubblica sottoscrizione che prevede che la<br />

modifica delle condizioni stabilite nel programma<br />

costituivo della società possa avvenire solo con il<br />

consenso unanime di tutti i sottoscrittori (manifestato<br />

nell’atto costitutivo della società da redigersi in<br />

forma pubblica con l’intervento dei sottoscrittori).<br />

Più complessa è l’ipotesi in cui l’intervento dei<br />

soci non determini, invece, un’effettiva modifica<br />

dell’atto costitutivo e dello statuto.<br />

Come già indicato, ai sensi dell’art. 2331 c.c. la<br />

responsabilità per gli atti compiuti in nome della<br />

società prima della costituzione si estende ai soci<br />

che, anche con atto separato, abbiano deciso, autorizzato<br />

e consentito il compimento dell’operazione.<br />

In tali casi, non potendosi utilizzare il sistema collegiale<br />

(perché prima della costituzione della società,<br />

l’assemblea non può validamente costituirsi) ritengo<br />

che la manifestazione di società non solo non<br />

debba provenire da tutti i soci ma anche solo da taluni<br />

e che non debba neppure essere sottoposta ad<br />

una qualche forma particolare, ben potendo l’autorizzazione,<br />

il consenso o la decisione essere assunta<br />

con qualsiasi forma, anche oralmente.<br />

Ancora più complesso è il caso di vendita di<br />

azioni subordinata dai patti sociali ad una qualche<br />

forma autorizzativa da parte dei soci o di organi sociali.<br />

Chi ha trattato espressamente l’argomento (8) ha<br />

concluso che la mancata iscrizione nel Registro delle<br />

imprese della società non possa essere considerata di<br />

ostacolo all’assunzione da parte degli organi sociali<br />

della delibera autorizzativa ritenendosi in particolare<br />

che sarebbe incongruo e penalizzante per il socio<br />

ammettere la vendita delle azioni solo se liberamente<br />

effettuabile e negarla se subordinata all’assenso degli<br />

organi sociali (ancora non operanti).<br />

Tuttavia, tale conclusione non appare totalmen-<br />

Nota:<br />

(8) P. Guida, Riflessi notarili del nuovo art. 2331 del Codice Civile,<br />

inNotariato, 2003, 4, 417.<br />

744 Le Società 7/2012


te condivisibile; in particolare non mi sembra che,<br />

prima dell’iscrizione, possa legittimamente essere assunta<br />

una qualche delibera da parte dell’organo amministrativo,<br />

anche soltanto al fine di autorizzare il<br />

trasferimento azionario, costituendo l’iscrizione della<br />

società imprescindibile presupposto per l’assunzione<br />

da parte dell’organo amministrativo di una<br />

valida delibera.<br />

Probabilmente diversa soluzione potrebbe essere<br />

ammessa quando il trasferimento delle azioni fosse<br />

subordinato all’assenso dell’assemblea dei soci. Mi<br />

sembra possibile, infatti, che la volontà assembleare<br />

possa essere sostituita da una manifestazione di volontà<br />

da parte di tutti i soci ancorché non assunta<br />

nelle forme (evidentemente impossibili) dell’assemblea<br />

ma attraverso una manifestazione negoziale<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

(anche non in forma pubblica); invero, poiché l’assenso<br />

di tutti soci al trasferimento della partecipazione<br />

prima della costituzione della società, non<br />

comporta una modifica statutaria o dell’atto costitutivo,<br />

non si vede la necessità di rispettare la stessa<br />

forma occorrente per le ipotesi di modifica, anche<br />

minima, dell’atto costitutivo, potendo la manifestazione<br />

di volontà di tutti i soci, conseguentemente,<br />

emergere in ogni modo; né appare necessaria l’adozione<br />

della delibera assembleare a tutela della posizione<br />

della società (che non può essere titolare di<br />

un interesse alla limitazione della circolazione delle<br />

azioni prima dell’acquisizione della personalità giuridica),<br />

posto che prima dell’iscrizione, i soli soggetti<br />

tutelati dalle norme sulla limitazione alla circolazione<br />

delle azioni, sono i soci.<br />

Le Società 7/2012 745


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

Gruppi di società<br />

Abuso nell’attività di direzione<br />

e coordinamento e violazione<br />

dei principi di corretta gestione<br />

societaria e imprenditoriale<br />

Tribunale di Milano, Sez. VIII, 2 febbraio 2012 - Pres. E. Riva Crugnola - Rel. Mambriani - G. e altri<br />

c. Policlinico San Donato s.p.a. e altri<br />

Società controllante - Attività di direzione e coordinamento - Illiceità - Condizioni<br />

(Cod. civ. art. 2497)<br />

L’attività di direzione e coordinamento, di per sé legittima, assume, ai sensi dell’art. 2497 c.c., i connotati dell’antigiuridicità<br />

quando sia esercitata da parte di società controllante nell’interesse imprenditoriale proprio o<br />

altrui, dunque estraneo a quello della società soggetta alla sua direzione/coordinamento, e in violazione dei<br />

principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società sottoposte ad essa.<br />

Società controllante - Attività di direzione e coordinamento - Delibera di accantonamento degli utili - Violazione dei principi<br />

di corretta gestione societaria e imprenditoriale - Non sussiste<br />

(Cod. civ. art. 2497)<br />

Non può ravvisarsi violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società controllata<br />

nell’accantonamento degli utili di esercizio, effettuato in esecuzione di delibera assembleare di questa,<br />

non impugnata dai soci.<br />

Società controllante - Attività di direzione e coordinamento - Legittimità - Limiti<br />

(Cod. civ. art. 2497)<br />

La valutazione circa la legittimità dell’attività di direzione e coordinamento esercitata dalla controllante non dipende<br />

dall’uso che questa faccia dei vantaggi ottenuti attraverso il suo esercizio, ma dalle modalità con cui sono<br />

ottenuti quei vantaggi (se in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale) e dall’evenienza<br />

che, in caso di scorretto esercizio di quell’attività, ne siano derivati danni alla controllata.<br />

Il Tribunale (omissis).<br />

(omissis).<br />

II) Le domande proposte dagli attori.<br />

Gli attori - azionisti di minoranza di ICZ (G.G. per il<br />

3,991 % del capitale e Averla s.p.a. per lo 0,727%) -<br />

hanno chiamato in giudizio gli odierni convenuti chiedendo<br />

l’accertamento della loro responsabilità ex art.<br />

2497 c.c. e, per l’effetto, la loro condanna al risarcimento<br />

del danno provocato dalla controllante Policlinico S.<br />

Donato, nell’esercizio della sua attività di direzione e<br />

coordinamento su ICZ, al valore ed alla redditività delle<br />

loro partecipazioni ‘‘da quantificarsi: a) in misura pari al-<br />

la frazione, pro quota, di partecipazione degli esponenti<br />

al capitale sociale degli Istituti Clinici Zucchi s.p.a., del<br />

maggior importo di interessi che sarebbe dovuto dalla<br />

capogruppo Policlinico San Donato alla Società applicando<br />

al finanziamento erogato da quest’ultima alla società<br />

a partire dal 2005 i tassi di mercato; a detto importo<br />

andrà sommato - sempre a titolo di risarcimento -<br />

l’ammontare di utili degli Istituti Clinici Zucchi s.p.a.<br />

non distribuiti ai soci G.G. e Averla s.p.a. negli esercizi<br />

2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2008; alla somma così risultante<br />

andrà ulteriormente sommato l’importo corrispondente<br />

al minor valore della partecipazione degli<br />

746 Le Società 7/2012


odierni attori derivante dalla sproporzionata concentrazione<br />

di rischio di credito sulla controllante - per via del<br />

finanziamento erogato - senza alcuna garanzia a supporto;<br />

b) in quelle diverse somme maggiori o minori che il<br />

Tribunale riterrà dovute anche facendo ricorso, se del<br />

caso, ad una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c.’’.<br />

Gli attori chiedevano altresì, in conseguenza dell’accoglimento<br />

della prima domanda, l’accertamento e la dichiarazione<br />

del proprio diritto di recesso da ICZ ex art.<br />

2497 quater, comma 1, lett. b, c.c.<br />

A supporto delle domande, gli attori sottoponevano al<br />

Tribunale una serie complessa e articolata di allegazioni,<br />

al cui interno, però, ben se ne possono individuare due<br />

che fungono da asse portante di ogni altra.<br />

La prima (A) è costituita dall’addebito a Policlinico di<br />

avere, abusando del suo potere di direzione e coordinamento,<br />

drenato liquidità da ICZ nel periodo 2004-2008<br />

a condizioni sperequate e ‘‘fuori mercato’’ e la seconda<br />

(B), strumentale alla prima, è di avere imposto, nello<br />

stesso periodo, una ‘‘costante ed irragionevole strategia<br />

di accantonamento degli utili di esercizio maturati da<br />

ICZ, in via strumentale all’alimentazione del transito di<br />

liquidità’’.<br />

La prima allegazione è poi specificata con l’affermazione<br />

che:<br />

– (A1) Policlinico non avrebbe corrisposto interessi a<br />

ICZ come corrispettivo al finanziamento predetto;<br />

– (A2) in ogni caso gli interessi contabilizzati erano inferiori<br />

a quelli che Policlinico avrebbe pagato se si fosse<br />

procurato le medesime somme presso enti finanziatori<br />

quali banche o società finanziarie di altro tipo;<br />

– (A3) la restituzione delle somme non sarebbe stata garantita<br />

né sarebbe stata ‘‘a vista’’.<br />

A tali fondamentali allegazioni, se ne sono accompagnate<br />

altre secondarie, e segnatamente: - del ‘‘drenaggio’’ di<br />

risorse finanziarie di cui si discute non sarebbe stata data<br />

chiara rappresentazione nei bilanci di ICZ; - ICZ avrebbe<br />

potuto\dovuto più utilmente destinare le somme destinate<br />

al finanziamento di Policlinico al proprio ‘‘core<br />

business’’ ovvero distribuirle come dividendi; - il finanziamento<br />

di ICZ a Policlinico sarebbe stato utilizzato a<br />

scopo speculativo e, segnatamente, per l’acquisto, da<br />

parte di società diversamente collegate ma comunque facenti<br />

capo a G.R., di un cospicuo pacchetto di azioni<br />

RCS Mediagroup s.p.a. che si sarebbe risolto in perdita.<br />

III) Infondatezza delle domande attoree.<br />

È preliminare alla valutazione della fondatezza delle allegazioni<br />

in fatto, quella dell’inquadramento giuridico che<br />

delle medesime è stato offerto da parti attrici.<br />

Queste, peraltro solo in memoria conclusionale, hanno<br />

ricostruito la norma espressa dall’art. 2497, comma 1,<br />

c.c. affermando che dal riferimento operato «nel tracciare<br />

i contorni dell’attività vietata alla società capogruppo,<br />

al suo agire ‘‘nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui’’,<br />

deve trarsi la conclusione secondo cui presupposto<br />

base (necessario ma non sufficiente) di liceità della direzione<br />

e coordinamento di altre imprese è il perseguimento,<br />

da parte della società suddetta, negli atti posti in essere<br />

con le società figlie, di un interesse imprenditoriale<br />

di gruppo. Può dirsi con ciò chiarito, pertanto, che di<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

fronte all’avvenuto compimento di un atto di direzione<br />

societaria ... questo non possa in nessun modo considerarsi<br />

lecito allorché non ne consti il coerente, preciso e<br />

specifico inserimento in un programma rivolto al perseguimento<br />

di un vantaggio economico all’impresa ‘‘di<br />

gruppo’’ concretamente esercitata».<br />

La dottrina avrebbe perciò «negato la legittimità di atti<br />

insuscettibili di arrecare vantaggi ‘‘all’interesse di gruppo’’<br />

e rivolti invece al mero interesse della controllante».<br />

Sussisterebbe, cioè un ‘‘requisito minimo’’ od una ‘‘precondizione’’<br />

della liceità dell’attività di direzione e coordinamento,<br />

costituita dal «razionale perseguimento di<br />

un vantaggio (di gruppo e, dunque, di tutte le società in<br />

esso coinvolte)».<br />

Si tratterebbe di una precondizione della legittimità dell’attività<br />

di direzione e coordinamento necessaria - in<br />

quanto, in mancanza, tale attività diverrebbe già solo<br />

per questo illegittima e foriera di responsabilità - ma non<br />

sufficiente, poiché anche «la direttiva della società controllante<br />

che pur persegua un interesse di gruppo, ma leda<br />

la ‘‘corretta gestione societaria e imprenditoriale’’ della<br />

singola società ‘‘di gruppo’’ è fonte diretta di responsabilità».<br />

Addirittura ‘‘il requisito del rispetto della corretta gestione<br />

imprenditoriale della controllata impone infatti alla<br />

capogruppo una valutazione ex ante della possibilità di<br />

un vantaggio specifico della controllata in una data operazione<br />

oggetto di direzione, non bastando la dimostrazione<br />

del perseguimento dell’interesse del gruppo nel suo<br />

complesso’’.<br />

Il Tribunale non condivide siffatta interpretazione del<br />

dato normativo, tra l’altro all’evidenza animata da un intento<br />

di ribaltamento dell’onere probatorio che, in queste<br />

azioni, incombe in parte preponderante sull’attore (v.<br />

postea).<br />

In realtà già da una piana lettura della norma - oltre che<br />

da evidenti considerazioni sia di natura economicoaziendalistica<br />

(il gruppo si costituisce per ottimizzare risorse<br />

organizzative, abbattere costi, ampliare quote di<br />

mercato, sfruttare economie di scala, organizzare sinergie,<br />

ecc., situazioni tutte che, per essere realizzate, richiedono<br />

un’attività di direzione e coordinamento) sia di natura<br />

costituzionale (art. 41, comma 1, cost.: ‘‘L’attività economica<br />

privata è libera’’) - si evince che il dato da cui<br />

partire per esaminare la norma è che l’attività di direzione<br />

e coordinamento è in se stessa legittima.<br />

Dal che si desume che non esistono precondizioni o requisiti<br />

di legittimità, che siano previsti dalla norma in<br />

questione, la quale designa invece solo i limiti di quella<br />

liceità, cioè casi e situazioni in cui essa, in presenza di<br />

determinate circostanze, diviene illegittima.<br />

Cioè i requisiti stabiliti dall’art. 2497, comma 1, c.c. sono<br />

requisiti e presupposti della responsabilità derivante<br />

da illegittimo esercizio di quell’attività, non certo - declinati<br />

al contrario - requisiti della sua legittimità.<br />

Dunque l’inciso ‘‘agiscono nell’interesse proprio o altrui’’<br />

va letto in corrispondenza con il disposto dell’ultimo periodo<br />

dello stesso comma (‘‘Non vi è responsabilità<br />

quando il danno risulta mancante alla luce del risultato<br />

Le Società 7/2012 747


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

complessivo dell’attività di direzione e coordinamento<br />

ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni<br />

a ciò dirette’’) e determina la liceità di ogni operazione<br />

compiuta nell’esercizio di attività di direzione e<br />

coordinamento che sia economicamente neutra per la<br />

controllata, cioè o non dannosa o dannosa quando il<br />

danno sia compensato da vantaggi di gruppo o eliso da<br />

specifiche operazioni di segno opposto.<br />

Ciò significa che quell’inciso non può essere né isolato<br />

dall’immediato prosieguo del testo (‘‘agiscono nell’interesse<br />

proprio o altrui in violazione dei principi di corretta<br />

gestione societaria e imprenditoriale’’) né scaravoltato<br />

facendogli assumere surrettiziamente valenza di autonomo<br />

requisito di liceità dell’attività di direzione e coordinamento.<br />

L’inciso, dunque, non può esser letto nel senso che la<br />

controllante ‘‘non deve agire nell’interesse proprio’’ o,<br />

addirittura ‘‘deve agire nell’interesse del gruppo o nell’interesse<br />

della società del gruppo etero-diretta’’.<br />

La norma va invece letta nel suo complesso come concessiva<br />

della possibilità che la controllante agisca anche<br />

nell’esclusivo interesse proprio, purché non rechi danno<br />

alle controllate o i danni causati siano adeguatamente<br />

compensati, sicché, l’attività di coordinamento dia, per<br />

le controllate, un risultato almeno neutro.<br />

Si tratta appunto dell’individuazione del ‘‘punto di equilibrio’’<br />

tra interessi della controllante e delle controllate<br />

come sintetico requisito di liceità dell’attività in questione,<br />

cui, nell’interpretare la norma, si è riferita autorevole<br />

dottrina.<br />

Del resto l’interpretazione qui non condivisa, facendo<br />

assurgere l’interesse di gruppo o l’interesse delle controllate<br />

a requisito di liceità dell’attività di direzione e coordinamento,<br />

acuirebbe notevolmente le difficoltà ed incertezze<br />

applicative che la norma comunque presenta: si<br />

pensi all’estrema difficoltà di individuare l’interesse di<br />

gruppo; alla valenza da riconoscere ai conflitti tra gli interessi<br />

delle controllate tra loro; al difficile rapporto logico\giuridico<br />

tra il configurato requisito di liceità ed il<br />

requisito di illiceità cioè la violazione dei principi di corretta<br />

gestione.<br />

Conviene allora attestarsi sull’interpretazione che già<br />

questo Tribunale ha fornito della norma che ci occupa,<br />

che vede entrambi gli elementi - l’azione della controllante<br />

nell’interesse proprio o altrui e la violazione dei<br />

principi di corretta gestione - come componenti della<br />

complessa fattispecie che designa la responsabilità della<br />

controllante verso le controllate: ‘‘In questo quadro assumono<br />

rilevanza: - la condotta, cioè l’esercizio, da parte<br />

di una società, di attività di direzione e coordinamento<br />

nei confronti di altre; - l’antigiuridicità della condotta,<br />

cioè l’esercizio di quell’attività nell’interesse imprenditoriale<br />

proprio o altrui, dunque estraneo a quello della società<br />

soggetta alla sua direzione\coordinamento, e in<br />

violazione dei principi di corretta gestione societaria e<br />

imprenditoriale delle società sottoposte ad essa; - l’evento<br />

dannoso, ovvero il pregiudizio arrecato al valore od<br />

alla redditività della partecipazione; - il nesso di causalità<br />

tra condotta ed evento. Tutti tali elementi, essendo<br />

costitutivi della responsabilità della società controllante,<br />

devono essere provati dal socio della controllata, in base<br />

ai principi generali, potendo la convenuta esimersi dalla<br />

responsabilità solo provando che l’inadempimento non<br />

le è imputabile’’ (Trib. Milano, sez. VIII, 17 giugno<br />

2011, r.g. 83454\2009).<br />

Tanto premesso, va valutata la fondatezza delle allegazioni<br />

attoree.<br />

La domanda relativa all’omessa distribuzione degli utili<br />

va considerata per prima, se non altro per seguire un ordine<br />

logico nella trattazione delle questioni, in quanto,<br />

secondo le deduzioni attoree, proprio l’accantonamento<br />

degli utili avrebbe consentito l’illecito drenaggio di risorse<br />

finanziarie che costituisce il punto focale degli addebiti<br />

mossi ai convenuti.<br />

Occorre altresì ricordare, tuttavia, che l’omessa distribuzione<br />

degli utili, nella prospettiva attorea, costituisce<br />

un’autonoma voce di danno e, segnatamente, un autonomo<br />

addebito di diminuzione del valore e della redditività<br />

della partecipazione causata in tesi dall’illecito esercizio<br />

dell’attività di direzione e coordinamento.<br />

La domanda è infondata per una considerevole serie di<br />

ragioni in diritto ed in fatto.<br />

Sul piano del diritto occorre considerare per un verso<br />

che, come più volte sottolineato da parti convenute, il<br />

socio non ha diritto alla distribuzione di dividendi.<br />

La società, ed in particolare l’assemblea ha un potere sovrano<br />

in proposito, salvo il limite dell’esercizio abusivo<br />

del voto da parte del socio maggioritario.<br />

La problematica, come noto, si colloca nel quadro del<br />

principio di esecuzione in buona fede, da parte dei soci,<br />

del contratto di società, sicché, in questa materia, non si<br />

può adombrare né la configurazione di un rapporto tra la<br />

società ed un soggetto che non sia socio, né una responsabilità<br />

extracontrattuale.<br />

Ciò posto, non si può che condividere l’assunto di parti<br />

convenute secondo cui la questione della distribuzione<br />

degli utili attiene all’esercizio del diritto di voto del socio<br />

in assemblea, non invece all’esercizio del potere di<br />

direzione e coordinamento.<br />

In questo senso emerge e si apprezza quel potere come<br />

di natura essenzialmente gestoria, dunque, almeno tendenzialmente,<br />

altro e distinto rispetto alle deliberazioni<br />

assembleari ed all’esercizio del diritto di voto in quella<br />

sede.<br />

Ciò significa, anzitutto, che il socio di minoranza della<br />

società controllata non può censurare sub specie di illecito<br />

esercizio dell’attività di direzione e coordinamento<br />

una decisione che è di stretta competenza dell’assemblea<br />

della medesima società, quando, come in questo caso, il<br />

controllo sussiste in ragione di una partecipazione maggioritaria.<br />

Egli dovrà invece, qualora intenda ottenere tutela risarcitoria<br />

a mente dell’art. 2377, comma 4, c.c., spiegare<br />

un’azione che espliciti la relativa causa petendi - ovvero<br />

l’abuso di maggioranza da parte della società controllante<br />

- ed il relativo petitum - gli utili illecitamente non corrisposti<br />

-, azione in mancanza della quale la tutela richiesta<br />

non può che essere ritenuta infondata.<br />

Va considerato, al riguardo, che legittimato passivo dell’azione<br />

ex art. 2377 c.c. non è esclusivamente la società,<br />

748 Le Società 7/2012


ma anche il socio abusante - come tale autore dell’inadempimento<br />

-, sicché, in caso di accertamento della responsabilità,<br />

entrambi i legittimati passivi saranno tenuti<br />

in solido al risarcimento, producendosi così una situazione<br />

identica a quella che l’odierno attore vorrebbe configurare<br />

a diverso titolo, con evidente duplicazione di tutele,<br />

inutile ed elusiva del disposto del citato art. 2377.<br />

È quasi superfluo osservare che, nel caso di specie, gli attori<br />

hanno dichiaratamente agito ex art. 2497, comma 1,<br />

c.c. senza mai nemmeno menzionare né l’art. 2477, comma<br />

4, c.c., né le singole delibere in ipotesi causative di<br />

danno, né l’addebito di abuso di maggioranza nell’esercizio<br />

del voto e chiedendo la corresponsione degli utili<br />

non a titolo risarcitorio diretto, ma sub specie di risarcimento<br />

del danno al valore ed alla redditività della loro<br />

partecipazione.<br />

Il secondo aspetto, direttamente collegato al primo, è<br />

che, non impugnata la deliberazione assemblare che dispone<br />

l’accantonamento degli utili di esercizio, dunque<br />

divenuta stabile la decisione della società non si vede<br />

come costruire ex post una violazione dei principi di<br />

corretta gestione societaria da parte della controllante,<br />

che, semmai, commetterebbe una violazione nel caso<br />

opposto, cioè se imponesse in qualche modo una distribuzione<br />

di dividendi in contrasto con il deliberato assembleare.<br />

Quel che si vuol dire, dunque, non è che la mancata distribuzione<br />

di utili da parte della controllante sia materia<br />

di per sé estranea all’esercizio dell’attività di direzione e<br />

coordinamento, ma che, divenute incontestabili - dunque<br />

di legittimità non più discutibile - le delibere che,<br />

esercizio per esercizio, hanno impedito la distribuzione<br />

degli utili, è arduo configurare un’attività direttiva che,<br />

a causa della non distribuzione, possa predicarsi come illegittima.<br />

Non si vede, cioè, come costruire in questo<br />

caso la violazione dei principi di corretta gestione societaria<br />

ed imprenditoriale a fronte da un lato di passate delibere<br />

cui il socio minoritario è stato acquiescente e, dall’altro,<br />

del potere di quel socio di reagire immediatamente<br />

a fronte di future analoghe decisioni ipoteticamente<br />

abusive e di ottenere la stessa tutela risarcitoria che qui<br />

si vorrebbe vantare ex art. 2497 c.c.<br />

Dirimente conseguenza delle superiori considerazioni è<br />

che la mancata distribuzione degli utili della controllata<br />

non può costituire il fondamento di una richiesta di risarcimento<br />

del danno al valore o alla redditività della<br />

partecipazione causata dall’illegittimo esercizio del potere<br />

di direzione e coordinamento da parte della controllante<br />

che sia socio di maggioranza.<br />

Tanto premesso in diritto, va aggiunto che le prospettazioni<br />

attoree sono infondate anche in fatto, per avere<br />

ICZ distribuito utili in misura significativa negli esercizi<br />

considerati.<br />

Anzitutto va sottolineato che Policlinico S. Donato assumeva<br />

il controllo di ICZ nell’anno 2002, quando la<br />

società, negli anni precedenti, aveva conseguito o scarsi<br />

utili o perdite anche considerevoli.<br />

Dall’anno 2002, al contrario, la società registra utili in<br />

costante e notevole incremento: E 63.770 nel 2003; E<br />

196.154 nel 2004; E 1.887.163 nel 2005; E 2.070.638<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

nel 2006; E 1.970.577 nel 2007; E 2.152.239 nel 2008;<br />

E 2.997.606 nel 2009.<br />

Orbene, pur a fronte di accantonamenti ingenti, la società<br />

ha comunque distribuito, in quel periodo, utili per<br />

somme tutt’altro che trascurabili e, segnatamente, circa<br />

E 980.000 nel 2007 ed E 1.054.000 nel 2009.<br />

Per questo aspetto, dunque, non si rinviene, nell’attività<br />

di direzione e coordinamento svolta da Policlinico nei<br />

confronti di ICZ, violazione di principi di corretta gestione<br />

societaria o imprenditoriale.<br />

L’addebito fondamentale di responsabilità mosso dagli<br />

attori ai convenuti è di avere ‘‘drenato’’ liquidità da ICZ<br />

verso Policlinico S. Donato, con danno per la controllata<br />

ed illecito vantaggio per la controllante, danno da<br />

quantificarsi ‘‘in misura pari alla frazione ... del maggior<br />

importo di interessi che sarebbe stato dovuto dalla capogruppo<br />

Policlinico San Donato alla Società applicando<br />

al finanziamento erogato da quest’ultima alla prima a<br />

partire dal 2005 i tassi di mercato’’.<br />

La domanda è infondata e non può essere accolta.<br />

Anzitutto si è accertato e, per vero, è sostanzialmente<br />

pacifico che, dall’anno 2005, cioè da quando la società<br />

inizia a generare utili consistenti, fu acceso un rapporto<br />

di conto corrente la cui evoluzione evidenzia crescenti<br />

saldi a credito di ICZ. I depositi di ICZ sul conto risultano<br />

infatti di 3, 5 milioni di euro nel 2005, scesi a 3 milioni<br />

di euro nel 2006, per assumere invece dimensioni<br />

rilevanti nel 2007 (oltre 17 milioni di euro) e nel 2008<br />

(oltre 29,5 milioni di euro).<br />

Risulta altresì che, con lettera indirizzata da ICZ a Policlinico<br />

il 22 ottobre 2009, la prima ebbe a richiedere il<br />

rimborso della cospicua somma di E 15.000.000, e che<br />

tale richiesta venne positivamente riscontrata con lettera<br />

del Policlinico del 27.10.2009 (doc. 6 ICZ). L’ingente<br />

somma richiesta risulta dunque essere stata messa a disposizione<br />

di ICZ entro pochi giorni.<br />

Per effetto di tale restituzione, il saldo del conto a credito<br />

di ICZ risulta essere sceso a poco più di 12 milioni di<br />

euro al 31 dicembre 2009.<br />

Occorre, in proposito, sottolineare alcune circostanze in<br />

ordine all’aspetto formale del rapporto in questione.<br />

Anzitutto esso è stato formalizzato sin dall’inizio, mediante<br />

contatto concluso con lettera in data 1.8.2005<br />

(doc. 7 ICZ). Successivamente le parti hanno concordato<br />

e si sono comunicate i tassi di interesse applicati<br />

(doc. 7-11 ICZ). Gli interessi sono poi stati regolarmente<br />

conteggiati e fatturati da ICZ al Policlinico e capitalizzati<br />

(doc. 12 ICZ). Gli interessi di competenza di ciascun<br />

esercizio sono poi stati compresi tra i ratei attivi e<br />

di ciò è stato dato atto nella nota integrativa di ciascun<br />

bilancio.<br />

Sul piano formale, dunque, non emergono situazioni irregolari<br />

od opacità nella rappresentazione della conclusione<br />

e nell’esecuzione del rapporto.<br />

Il piano sostanziale concerne invece la tipologia del rapporto<br />

e la misura degli interessi corrisposti da Policlinico<br />

a ICZ sulle somme depositate sul conto dalla seconda.<br />

Quanto alla prima questione gli attori hanno contestato<br />

trattarsi di un rapporto ‘‘a vista’’. La contestazione non<br />

può essere condivisa: anzitutto, almeno dall’anno 2007,<br />

Le Società 7/2012 749


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

il finanziamento di cui si discute è transitato dalla voce<br />

di bilancio ‘‘immobilizzazioni finanziarie’’ dello stato patrimoniale<br />

alla voce ‘‘attivo circolante’’ del conto economico;<br />

in secondo luogo quando ICZ ha chiesto il rimborso<br />

di ben 15 milioni di euro - cioè oltre la metà delle<br />

giacenze -, la somma le è stata corrisposta nel giro di pochi<br />

giorni, cioè in tempi tipici - considerata l’entità della<br />

somma e la disciplina delle valute normalmente applicata<br />

dalle banche - dei rapporti a vista.<br />

Quanto alla misura degli interessi, è provato che Policlinico<br />

ebbe a corrispondere a ICZ un tasso di mercato,<br />

cioè, fino al 1 agosto 2008 il Tasso Ufficiale di Riferimento<br />

e, da quella data, il tasso Euribor a 6 mesi (doc.<br />

32, 33 ICZ).<br />

Parti convenute hanno poi dimostrato che l’interesse<br />

percepito dalla controllata è sempre stato superiore a<br />

quello attivo che essa avrebbe percepito depositando in<br />

banca la propria liquidità, nonostante gli interessi attivi<br />

percepiti sui depositi, in quanto società facente parte del<br />

Gruppo Policlinico S. Donato, fossero superiori a quelli<br />

di mercato (prospetto doc. 13 ICZ). È stato altresì dimostrato<br />

che il tasso attivo riconosciuto da Policlinico ad<br />

ICZ è stato altresì superiore a quello passivo pagato da<br />

ICZ in un periodo (il quarto trimestre 2008) in cui, eccezionalmente,<br />

la società ebbe a ricorrere al finanziamento<br />

bancario per circa 4 milioni di euro. Ciò spiega<br />

appunto perché era in ogni caso convenuto ad ICZ ricorrere<br />

al finanziamento bancario piuttosto che ritirare<br />

la corrispondente somma dal conto in essere con Policlinico<br />

al fine di soddisfare il suo fabbisogno. In ogni caso<br />

tale circostanza è stata spiegata nel corso dell’assemblea<br />

di ICZ del 18.5.2009, senza che i soci di minoranza avessero<br />

a sollevare obiezioni (doc. 18 C att.).<br />

Parti attrici hanno contestato in modo generico ed apodittico<br />

il prospetto suddetto, che invece trova fondamento<br />

da un lato nelle risultanze dai doc. 7-12 ICZ (tassi<br />

attivi riconosciuti da Policlinico ad ICZ per le somme<br />

depositate sul conto corrente in essere), dall’altro nelle<br />

risultanze dei doc. 40 e 41 ICZ (tassi attivi e passivi desunti<br />

dagli estratti conto 2007 e 2008 relativi ai rapporti<br />

di ICZ con le banche di cui era cliente).<br />

In ogni caso il consulente di parte di ICZ, Prof. Nova,<br />

ha dimostrato in modo inoppugnabile e non specificamente<br />

contraddetto da controparte che i tassi corrisposti<br />

da Policlinico erano superiori ai tassi mediamente riconosciuti<br />

dalle banche sui depositi delle imprese in conto<br />

corrente, al rendimento medio annuo dei BOT, al rendimento<br />

medio dei fondi di liquidità (p. 25 s. rel. CTP nova,<br />

doc. 42 ICZ).<br />

In realtà, la correttezza di tali allegazioni di parti convenute,<br />

è implicitamente riconosciuta dagli stessi attori<br />

che, invece di contestarle nel merito, hanno inteso fondare<br />

la domanda su una peculiare e stravagante accezione<br />

di ‘‘tassi di mercato’’.<br />

Invero, secondo parti attrici, ‘‘il parametro per determinare<br />

se l’operazione conclusa con il Policlinico S. Donato<br />

s.p.a. sia stata ‘‘prezzata’’ a valori di mercato non può<br />

consistere (come vorrebbero parti avversarie) in una<br />

‘‘ideale transazione’’ tra gli Istituti Clinici Zucchi s.p.a. -<br />

nel ruolo di finanziatore (ruolo che usualmente appartie-<br />

ne a una banca o a un intermediario finanziario non<br />

bancario) - ed altra società commerciale analoga a Policlinico<br />

S. Donato s.p.a. Proprio per questa ragione un<br />

indice di valutazione ragionevole circa la coerenza ‘‘di<br />

mercato’’ dell’operazione finanziaria in discussione è rappresentato,<br />

già in prima battuta, dalla misura dei tassi di<br />

interesse che una banca (o un intermediario non bancario)<br />

avrebbe applicato a un simile rapporto (esattamente<br />

in termini inversi rispetto a quelli artatamente proposti<br />

dai convenuti). Siffatto parametro ... significa in modo<br />

chiaro la sperequazione delle condizioni del rapporto in<br />

questione: che crea un oggettivo vantaggio per il Policlinico<br />

S. Donato ... e un netto pregiudizio per Istituti Clinici<br />

Zucchi s.p.a., delineando la profonda scorrettezza<br />

della condotta tenuta dalla controllante. La differenza<br />

esistente tra i ‘‘tassi di mercato’’ mediamente applicati<br />

per finanziamenti di tipo analogo a quello concesso dalla<br />

Società al Policlinico e il tasso effettivamente applicato<br />

nell’ambito di tale finanziamento rappresenta, dunque,<br />

una ‘‘voce positiva’’ per il patrimonio della controllante<br />

e una ‘‘voce negativa’’ per il patrimonio della controllata<br />

e, di conseguenza, per il valore delle partecipazioni dei<br />

soci di minoranza di quest’ultima...’’.<br />

La prospettazione attorea è priva di fondamento già in<br />

astratto e, per certi aspetti, addirittura paradossale.<br />

Qui parti attrici fanno questione di danno al valore ed<br />

alla redditività della partecipazione.<br />

In questa prospettiva affermare che il danno è pari alla<br />

differenza tra i tassi passivi che Policlinico S. Donato<br />

non ha pagato grazie al finanziamento concesso da ICZ<br />

e gli interessi attivi corrisposti dal medesimo Policlinico,<br />

pare francamente contraddittorio.<br />

Anzitutto al vantaggio - qui sub specie di risparmio di un<br />

costo - che una parte contrattuale trae dall’adempimento<br />

dell’obbligazione di controparte non corrisponde automaticamente<br />

il pregiudizio dell’altra. Anzi, in genere,<br />

corrispondono vantaggi per entrambe, sebbene diversamente<br />

distribuiti.<br />

E questo è ovvio per la evidente ragione che, in quanto<br />

tali, le parti contrattuali sono diverse e ciascuna di esse<br />

ha caratteristiche, obiettivi e bisogni diversi, sicché dallo<br />

stesso bene ciascuna può trarre utilità diverse. Del resto,<br />

se il valore di una cosa pur oggetto di scambio fosse lo<br />

stesso per tutti probabilmente nemmeno esisterebbe l’economia.<br />

Nel caso di specie, parti attrici, per giungere a dimostrare<br />

un pregiudizio - sub specie di mancato guadagno - per<br />

ICZ, avrebbero dovuto dimostrare nel concreto che,<br />

qualora ICZ avesse instaurato un identico rapporto di<br />

conto corrente con altra società commerciale avrebbe<br />

goduto di tassi di interesse attivi superiori a quelli corrisposti<br />

da Policlinico. Ma parti attrici si sono ben guardate<br />

dal far ciò, probabilmente nella consapevolezza di<br />

non poter provare un fatto che ben difficilmente sarebbe<br />

potuto accadere. Del resto parti attrici si sono ben guardate<br />

anche solo dal tentare di dimostrare che ICZ avrebbe<br />

potuto altrimenti investire quelle somme con un<br />

maggior guadagno a parità di condizioni del rapporto<br />

(investimenti a breve, prontamente liquidabili, sostanzialmente<br />

privi di rischio).<br />

750 Le Società 7/2012


La prospettazione attorea assume poi caratteri paradossali,<br />

laddove da un lato - nel momento in cui vorrebbe valutare<br />

la congruità dei tassi attivi ottenuti - intende sottolineare<br />

che Policlinico non è una banca (sicché non<br />

potrebbe riconoscere i tassi attivi riconosciuti dalle banche)<br />

e, dall’altro, vorrebbe (erroneamente) equiparare i<br />

maggiori tassi ottenibili da ICZ a quelli corrisposti alle<br />

banche dai loro clienti.<br />

Facile replicare che se Policlinico non è una banca,<br />

nemmeno ICZ lo è, ma, mentre Policlinico correttamente<br />

assume come riferimento il tasso che una banca pagherebbe<br />

a ICZ nel caso il conto corrente fosse stato instaurato<br />

con la stessa (nell’ipotesi, del tutto ragionevole,<br />

che quello avrebbe potuto essere il corrispondente impiego<br />

alternativo delle somme corrisposte) riconoscendone<br />

peraltro uno superiore, gli attori erroneamente assumono<br />

- ed in alcun modo dimostrano - che ICZ avrebbe<br />

altrimenti potuto lucrare un tasso pari a quello che le<br />

banche ottengono per i finanziamenti che erogano ai loro<br />

clienti.<br />

Queste osservazioni trovano conforto definitivo nell’analisi<br />

condotta dal CTP di parte ICZ Prof. Nova alle pag.<br />

22 e s. della sua relazione (doc. 42 att.).<br />

È poi il caso di notare come la erronea prospettiva attorea<br />

sinora illustrata si coniughi nell’altrettanto erronea<br />

interpretazione data dell’art. 2497, comma 1, c.c.: parti<br />

attrici, non potendo provare il danno emergente od il<br />

lucro cessante per la controllata e quindi il danno indiretto<br />

alla loro partecipazione, hanno avuto bisogno di<br />

distorcere il dato normativo per giungere ad affermare<br />

che il vantaggio ottenuto dalla controllante a seguito di<br />

un’operazione che sia effetto di attività di direzione e<br />

coordinamento rende di per sé illegittima e dannosa<br />

quell’attività e quindi determina una responsabilità eun<br />

diritto al risarcimento della controllata.<br />

In questo quadro, la erronea equiparazione tra vantaggio<br />

- sub specie di riduzione di un costo - ottenuto dalla controllante<br />

e pregiudizio per la controllata si risolve nella<br />

carenza di fondamento delle deduzioni attoree in ordine<br />

alla sussistenza dei requisiti della responsabilità ex art.<br />

2497, comma 1, c.c.: circa la ‘‘violazione dei principi di<br />

corretta gestione societaria e imprenditoriale’’ delle società<br />

controllate, manca sinanco la enunciazione del<br />

principio che si vorrebbe violato, a fronte dell’impossibilità<br />

di affermare che sia di per sé illegittima l’attivazione,<br />

da parte della controllante, di un servizio di tesoreria (v.<br />

postea) mediante accensione di conto corrente in cui le<br />

rimesse della controllata sono remunerate al tasso Euribor<br />

a 6 mesi; manca altresì ogni prova sia in ordine al<br />

nesso causale di quella condotta con un presunto pregiudizio<br />

al valore ed alla redditività delle partecipazioni di<br />

cui sono titolari gli attori, sia in ordine all’esistenza stessa<br />

di quel pregiudizio.<br />

Parti convenute hanno adeguatamente giustificato esistenza<br />

ed andamento del conto corrente di cui si discute.<br />

Non occorre dilungarsi oltremodo in proposito, sia perché<br />

- considerata la legittimità intrinseca del rapporto e<br />

l’assenza di danno - si tratta di argomento scarsamente<br />

rilevante, sia perché le scelte operate in proposito dagli<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

organi amministrativi di Policlinico e di ICZ rientrano<br />

appieno nei confini della discrezionalità imprenditoriale,<br />

insindacabile in questa sede giudiziaria.<br />

In ogni modo, essi traggono origine dalla necessità di<br />

impiegare in modo adeguato (richiamo a vista e remunerazione<br />

maggiore di quella derivante da altri impieghi<br />

concretamente disponibili) le ingenti risorse finanziarie<br />

a disposizione di ICZ in vista della futura attuazione di<br />

una serie di interventi di ristrutturazione ed adeguamento<br />

sia delle strutture che degli impianti tecnologici dei<br />

presidi di Monza e di Carate Brianza, interventi previsti<br />

per legge.<br />

Tale necessità è stata soddisfatta con l’accensione del<br />

conto corrente di cui si discute, istituito secondo le linee<br />

di politica generale di gestione del gruppo che fa capo al<br />

Policlinico S. Donato, che contempla la realizzazione di<br />

un servizio di tesoreria a mezzo del quale le controllate<br />

possono depositare la loro liquidità su un conto corrente<br />

in essere con la controllante, remunerato ad un tasso di<br />

interesse vantaggioso per entrambe le parti, comunque<br />

superiore a quello bancario, rimanendo le somme immediatamente<br />

esigibili.<br />

Dall’altro lato, la cogenza degli obblighi di investimento<br />

gravanti sulla società è stata ampiamente provata con il<br />

riferimento alle sue fonti normative, indicate nella L. n.<br />

801/1997 e nelle Delibere Regionali di attuazione<br />

(D.G.R. n. VI/38133 del 1998, n. 7/13306 del 2003, n.<br />

VIII/6226 del 19 dicembre 2007).<br />

Parti convenute, in particolare ICZ, hanno sottolineato<br />

per un verso che i costi per la realizzazione di tali interventi<br />

sono stati stimati tra i 23,1 ed i 26,6 milioni di euro<br />

- dati risultanti dalla relazione sulla gestione allegata<br />

al bilancio 2009 - e, per altro verso, che, in relazione alla<br />

tumultuosa successione degli strumenti normativi predetti<br />

ed all’incertezza sull’accoglimento delle numerose<br />

proroghe richieste (da ICZ come da tutti gli altri operatori<br />

del settore), le somme in conto corrente sono state<br />

accumulate allorquando l’esecuzione degli interventi<br />

strutturali pareva più prossima (anni 2007 e 2008), per<br />

essere poi smobilizzate (si veda la distribuzione di utili<br />

negli anni 2008 e 2009 e il rimborso di 15 milioni di euro<br />

nel 2009) quando sono stati più chiari da un lato i<br />

costi degli interventi, dall’altro i tempi degli stessi, essendo<br />

nel frattempo intervenuta una proroga per la loro<br />

attuazione sino al 2010. Di tali decisioni si trova ampia<br />

e chiara notizia nei bilanci e nelle relazioni allegate relativi<br />

a tutti gli esercizi coinvolti (dal 2006 al 2009).<br />

Gli attori hanno inteso censurare un’asserita opacità che<br />

avrebbe caratterizzato i bilanci di ICZ nella rappresentazione<br />

del rapporto di conto corrente di cui si discute, in<br />

violazione degli artt. 2497 bis comma 5, 2428 commi 2<br />

e 3 c.c., in particolare per non essere indicate le ‘‘modalità<br />

di regolamentazione del rapporto finanziario in questione,<br />

ad iniziare dalle condizioni di tasso applicate’’.<br />

La censura è infondata in fatto e inammissibile in diritto.<br />

A fronte di tale addebito, parti convenute hanno prodotto<br />

i bilanci, corredati da note integrative e relazioni<br />

di gestione, dai quali risultano - per vero con dettaglio<br />

progressivamente sempre maggiore con il crescere delle<br />

Le Società 7/2012 751


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

somme ivi depositate ed a seguito della denunzia ex art.<br />

2408 c.c. proposta da parte degli stessi soci di minoranza<br />

nell’agosto 2008 - sia le caratteristiche sia l’andamento<br />

del conto.<br />

La censura è poi inammissibile perché non se ne apprezza<br />

l’interesse sottostante rispetto alla domanda risarcitoria<br />

proposta, non essendosi in alcun modo chiarito l’effetto<br />

dannoso che si sarebbe prodotto per ICZ quand’anche<br />

essa fosse fondata.<br />

A maggior ragione sono inammissibili altre più specifiche<br />

censure mosse da parti attrici non già alla rappresentazione<br />

dei rapporti con la controllante, ma direttamente<br />

alla chiarezza, verità e correttezza del bilancio di ICZ,<br />

laddove esse si dilungano sull’asserita contraddizione tra<br />

la presenza in bilancio di un ‘‘fondo adeguamento immobili,<br />

impianti ed attrezzature’’ e la dedotta necessità di<br />

instaurare il rapporto di conto corrente per far fronte a<br />

tali spese.<br />

A prescindere dalla considerazione di merito, dedotta<br />

dai convenuti, secondo cui si deve distinguere l’appostazione<br />

del fondo in bilancio e l’adeguato e razionale impiego<br />

della liquidità disponibile nelle more di interventi<br />

nel contempo molto onerosi, sempre imminenti ma via<br />

via prorogati dall’amministrazione competente, la deduzione<br />

è inammissibile oltre che per i motivi già indicati<br />

anche perché si risolve schiettamente in un’impugnativa<br />

di bilancio rispetto alla quale i soci qui agenti non sono<br />

legittimati (art. 2434 bis c.c.).<br />

Nella parte in cui è utilizzato per sostenere la tesi della<br />

carenza di motivazione circa l’omessa distribuzione degli<br />

utili (omissis), l’argomento resta in ogni caso irrilevante<br />

a fronte delle considerazioni già svolte sul punto.<br />

In altra e aggiuntiva prospettazione, il valore delle partecipazioni<br />

degli attori sarebbe stato pregiudicato ‘‘per via<br />

della sproporzionata concentrazione di rischio attuata<br />

tramite il finanziamento della controllante, anche in ragione<br />

dell’assenza di qualsivoglia ‘‘garanzia’’ a presidio<br />

della restituzione dello stesso’’.<br />

Si tratta di un addebito generico, del tutto astratto, da<br />

un lato perché non sono indicati in modo chiaro e specifico<br />

gli elementi che indurrebbero a dubitare della solvibilità<br />

di Policlinico S. Donato, dall’altro perché non è<br />

chiarito il legame causale tra la concentrazione del rischio<br />

e la diminuzione del valore della partecipazione.<br />

In proposito correttamente è stato osservato da controparti<br />

che il riconoscimento di interessi incorpora la remunerazione<br />

del rischio che si assume l’investitore, sicché<br />

la richiesta di ulteriori somme a titolo di presunto<br />

danno integra un’indebita duplicazione delle spettanze<br />

dell’investitore medesimo.<br />

In ogni caso, anche parti attrici hanno riconosciuto che<br />

il gruppo sanitario di cui fa parte ICZ è ‘‘leader assoluto<br />

all’interno del sistema sanitario lombardo’’, e, a fronte di<br />

ciò, stanno i dati di bilancio del Policlinico, decisamente<br />

positivi e tali da farne ‘‘un debitore altamente solvibile’’,<br />

rispetto al quale il rischio di credito in capo ad ICZ ben<br />

può dirsi limitatissimo, pur in assenza di garanzie (omissis).<br />

Le considerazioni di parti attrici circa l’alto indebitamento<br />

di Policlinico verso le controllate non assumono<br />

particolare rilievo, atteso che tali debiti originano da<br />

risorse che le stesse controllate hanno veicolato verso<br />

Policlinico, che ne ha la disponibilità e che ne costituiscono<br />

la contropartita. È invece reale la considerazione<br />

dell’alto indebitamento di Policlinico verso Velcafin,<br />

anche dovuto all’operazione RCS, ma non è stata sollevata<br />

alcuna osservazione in ordine alla sua corretta rappresentazione<br />

in bilancio, sicché è al risultato finale del<br />

bilancio stesso che deve aversi riguardo, e trattasi sempre<br />

di risultati molto positivi (omissis).<br />

Tali considerazioni, già di per sé convincenti, hanno<br />

avuto un riscontro pratico-fattuale allorquando ICZ ha<br />

richiesto la restituzione della somma di E 15 milioni nell’ottobre<br />

2009: la somma, pari ad oltre il 50 % dell’investimento,<br />

le è stata corrisposta nel volgere di pochi giorni.<br />

Gli attori hanno altresì addebitato, più o meno chiaramente,<br />

a Policlinico ed a G.R. di avere utilizzato il finanziamento<br />

ottenuto da ICZ per operazioni speculative,<br />

risoltesi in perdita, relative all’acquisto - a mezzo di altre<br />

società (Pandette Finanziaria s.p.a.) - di un consistente<br />

pacchetto azionario di RCS Media Group s.p.a.<br />

L’addebito è volto in qualche modo a corroborare l’affermazione<br />

secondo cui i denari versati da ICZ nel conto<br />

intrattenuto con Policlinico sarebbero stati utilizzati ‘‘a<br />

vantaggio proprio o di terzi’’ .<br />

Così inteso, tuttavia, a ben vedere, esso è inammissibile<br />

poiché da un lato l’inciso di cui all’art. 2497, comma 1,<br />

c.c. deve essere inteso con riferimento alle operazioni<br />

compiute nell’esercizio ed in esecuzione dell’attività di<br />

direzione e coordinamento, non già - e non sarebbe possibile,<br />

considerato che le società del gruppo mantengono<br />

intatta la loro soggettività giuridica - con riferimento all’uso<br />

che dei vantaggi (in tesi indebitamente) ottenuti la<br />

controllante faccia. Proprio in ragione della perdurante<br />

distinta soggettività giuridica delle società del gruppo, è<br />

possibile affermare la natura fisiologica dell’utilizzo a proprio<br />

vantaggio, da parte della capogruppo, delle utilità<br />

conseguite attraverso l’esercizio dell’attività di direzione<br />

e coordinamento.<br />

Ovvero: la legittimità\illegittimità dell’attività di direzione<br />

e coordinamento non dipende dall’uso che la controllante<br />

faccia dei vantaggi ottenuti attraverso il suo<br />

esercizio, ma dalle modalità con cui sono ottenuti quei<br />

vantaggi (se in violazione dei principi di corretta gestione<br />

societaria ed imprenditoriale) e dall’evenienza che, in<br />

caso di scorretto esercizio di quell’attività, ne siano derivati<br />

danni alla controllata e, quindi, al valore ed alla<br />

redditività delle partecipazioni dei soci di minoranza.<br />

Ne consegue che i soci di minoranza della società controllata<br />

agenti in responsabilità ex art. 2497, comma 1,<br />

c.c. nei confronti della controllante non hanno interesse<br />

(dunque non sono legittimati) a sindacare l’utilizzo che<br />

la controllante faccia delle sue risorse.<br />

Ciò è tanto vero che la situazione disegnata dalla norma<br />

è esattamente opposta: è semmai la controllante che,<br />

provata l’illegittimità dell’esercizio dell’attività di direzione<br />

e coordinamento, dovrà provare che il danno alla<br />

controllante ‘‘risulta mancante ... ovvero integralmente<br />

eliminato ...’’.<br />

752 Le Società 7/2012


In ogni caso l’addebito in questione è anche infondato<br />

in fatto.<br />

Anzitutto non è provato che Policlinico, per finanziare<br />

la propria controllante Velcafin s.p.a. nel corso del 2008<br />

- finanziamento che avrebbe consentito a Velcafin di<br />

sottoscrivere l’aumento di capitale di Eurotec s.p.a., così<br />

da permetterle di rinunciare ad un credito di circa E 85<br />

milioni verso Pandette Finanziaria e, quindi, a quest’ultima<br />

di svalutare la partecipazione in RCS Media Group<br />

s.p.a. in ragione del significativo e durevole calo di valore<br />

di mercato della partecipazione -, abbia utilizzato le<br />

somme versate da ICZ sul conto di cui si discute.<br />

In secondo luogo ICZ ha addotto, a dimostrazione dell’assenza<br />

di nesso di causalità tra l’operazione incriminata<br />

e gli addebiti qui considerati, una significativa discrasia<br />

logica e cronologica tra i fatti: l’operazione risoltasi nel<br />

finanziamento di Pandette Finanziaria s.p.a. è avvenuta<br />

nell’anno 2008; il conto corrente di cui si discute è stato<br />

acceso tre anni prima ed aveva raggiunto un saldo a credito<br />

di ICZ di ben 17 milioni di euro nell’anno 2007,<br />

quando la predetta operazione non era nemmeno alle viste.<br />

Si può aggiungere che, in ogni caso, negli anni 2008<br />

e 2009 si registra una considerevole distribuzione di utili<br />

ai soci di ICZ e, nel 2009, un ingentissimo rimborso (i<br />

già citati 15 milioni di euro) ad ICZ.<br />

Si tratta di circostanze che fanno dubitare dell’esistenza<br />

del nesso che parti attrici vorrebbero instaurare, viepiù<br />

perché non specificamente contraddette.<br />

Infine gli attori prospettano un danno derivante da<br />

omesso reinvestimento degli utili nell’attività economica<br />

tipica svolta da ICZ.<br />

La domanda è infondata.<br />

In questo caso il Tribunale non può che far proprie le<br />

precise e concludenti considerazioni svolte in proposito<br />

dai convenuti:<br />

– la domanda attorea implica un inammissibile sindacato<br />

sulle scelte gestorie della società;<br />

– non corrisponde ad alcuna legge economica l’idea che<br />

ad ogni maggiore investimento aggiuntivo corrisponde-<br />

IL COMMENTO<br />

di Enrico Erasmo Bonavera<br />

rebbe un maggiore rendimento, vigendo invece la regola,<br />

specialmente valida rispetto ad un business maturo e<br />

ben sviluppato, del rendimento decrescente degli investimenti<br />

aggiuntivi;<br />

– la società opera in regime di accreditamento, sicché le<br />

prestazioni erogate dalla società oltre i limiti previsti nelle<br />

convenzioni apposite non sono remunerate e la decisione<br />

dell’ulteriore sviluppo o meno del business in regime<br />

puramente privatistico rientra del tutto nella piena<br />

discrezionalità imprenditoriale;<br />

– la pretesa dei soci di distribuzione degli utili confligge<br />

con quella, di tenore logicamente opposto, di reinvestimento<br />

degli stessi nell’attività tipica;<br />

– soprattutto, lo stesso consulente di parti attrici ha riconosciuto<br />

che, nel periodo fatto oggetto di censura, cioè<br />

proprio da quando ICZ è entrata a far parte del gruppo<br />

Policlinico S. Donato, la società ha conseguito una redditività<br />

‘‘fuori dell’ordinario’’, sicché se ‘‘si applicassero i<br />

medesimi numeri alla cassa supplementare verrebbero risultati<br />

stratosferici’’; dunque non par possibile ritenere<br />

che l’esistenza del conto corrente di cui si discute abbia<br />

sottratto risorse ad un ipotetico ancor maggiore sviluppo<br />

aziendale, che è e rimane una mera supposizione.<br />

In conclusione, non avendo parti attrici provato né l’illegittimità<br />

dell’attività di direzione e coordinamento<br />

svolta da Policlinico S. Donato - per non avere individuato<br />

alcuna violazione di principi di corretta gestione<br />

societaria o imprenditoriale - né un danno derivante dall’esercizio<br />

di detta attività, le relative domande debbono<br />

essere respinte.<br />

Deve altresì essere rigettata la domanda di parti attrici di<br />

accertamento del loro diritto al recesso da ICZ ai sensi<br />

dell’art. 2497 quater, comma 1, lett. b), c.c.<br />

Invero, non pronunciandosi la condanna di Policlinico<br />

S. Donato ai sensi dell’art. 2497 c.c., non sussiste, nel<br />

caso di specie, il presupposto che, ai sensi della norma<br />

invocata dai soci attori, fonderebbe il loro diritto al recesso.<br />

(omissis).<br />

L’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento rappresenta un fatto naturale e fisiologico, di per sé<br />

legittimo, che richiede, tuttavia, che siano prefissati i limiti oltrepassati i quali una tale attività diviene illegittima<br />

e fa sorgere la responsabilità di colui che, per tal modo, ne abusa. La condotta della società controllante<br />

assume i connotati dell’antigiuridicità qualora quell’attività sia esercitata nell’interesse imprenditoriale proprio<br />

o altrui, dunque estraneo a quello della società soggetta alla sua direzione/coordinamento, e in violazione<br />

dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società sottoposta ad essa.<br />

La fattispecie<br />

La sentenza in commento è stata pronunciata<br />

dal Tribunale di Milano nell’ambito del giudizio<br />

promosso da alcuni soci (di minoranza) di una so-<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

cietà controllata nei confronti della società controllante,<br />

della stessa società controllata e di alcuni<br />

componenti gli organi amministrativi e di controllo<br />

di entrambe le società, al fine di fare accertare<br />

Le Società 7/2012 753


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

la responsabilità di costoro ai sensi dell’art. 2497<br />

c.c. e di ottenerne la condanna al risarcimento del<br />

danno, provocato dalla controllante nell’esercizio<br />

della sua attività di direzione e coordinamento, al<br />

valore ed alla redditività delle loro partecipazioni,<br />

nonché al fine di fare accertare la legittimità del<br />

loro recesso ai sensi dell’art. 2497 quater, comma1,<br />

lett. b), c.c.<br />

Dalla lettura della motivazione della sentenza in<br />

commento, si evince che gli attori hanno, in particolare,<br />

ravvisato l’abuso da parte della società controllante<br />

del potere di direzione e coordinamento<br />

esercitato, sia per avere essa ‘‘drenato’’ liquidità in<br />

proprio favore dalla società controllata a condizioni<br />

sperequate, sia per avere imposto a quest’ultima<br />

una strategia di accantonamento degli utili di esercizio.<br />

La fattispecie portata all’attenzione del tribunale<br />

ha così consentito ad esso di approfondire interessanti<br />

questioni in tema di responsabilità per l’esercizio<br />

dell’attività di direzione e coordinamento di società,<br />

e in particolare di soffermarsi sui limiti di legittimità<br />

di detta attività.<br />

Il quadro normativo<br />

Mediante l’introduzione di un apposito Capo IX,<br />

intitolato alla Direzione e coordinamento di società, il<br />

legislatore della riforma del diritto societario<br />

(D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) non ha, in effetti,<br />

inteso dare una disciplina del fenomeno dei gruppi<br />

di società, néha proposto per essi una definizione<br />

normativa. Ed anzi, nella relazione di accompagnamento<br />

al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (di riforma<br />

del diritto delle società di capitali) ha voluto precisare<br />

che non è parso opportuno dare o richiamare<br />

una qualunque nozione di gruppo in quanto le definizioni<br />

esistenti sono funzionali a problemi specifici<br />

e, per ciò stesso, inadatte a contemplare il fenomeno<br />

nel suo complesso, in ragione, vieppiù, dell’incessante<br />

evoluzione del fenomeno nella realtà economica.<br />

Il legislatore si è, invero, limitato a fare riferimento<br />

all’attività che caratterizza le finalità perseguite<br />

dal gruppo, vale a dire l’attività di direzione e<br />

coordinamento, per regolare alcuni aspetti di essa,<br />

tra i quali riveste particolare rilievo quello della responsabilità,<br />

prevista dall’art. 2497 c.c., che può<br />

conseguirne, a determinate condizioni, a carico sia<br />

delle società o degli enti che la esercitano, sia dei<br />

soggetti che abbiano comunque preso parte al fatto<br />

lesivo. Tale intervento normativo è risultato, in<br />

particolare, tanto più necessario, atteso che, in as-<br />

senza di qualsiasi riferimento legislativo, le soluzioni<br />

offerte erano risultate insoddisfacenti.<br />

In quest’ottica, il legislatore, lungi dal regolare<br />

o definire il fenomeno dei gruppi di società, ha introdotto,<br />

mediante formule dai contorni invero<br />

ancora generici, dei parametri cui, almeno tendenzialmente,<br />

ancorare la responsabilità delle società<br />

controllanti e dei soggetti che abbiano agito per<br />

esse, al fine di dare tutela sia ai titolari di quote di<br />

partecipazione (di minoranza) delle società controllate,<br />

sia ai terzi creditori delle società appartenenti<br />

al gruppo contro i possibili abusi della società<br />

controllante.<br />

Sicché - e, del resto, la stessa relazione d’accompagnamento<br />

testé citata non ha mancato di sottolinearlo<br />

- l’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento<br />

rappresenta un fatto naturale e fisiologico,<br />

di per sé legittimo, che non implica il riconoscimento<br />

o l’attribuzione di particolari poteri; ma, al<br />

contempo, richiede che siano prefissati i limiti oltrepassati<br />

i quali una tale attività diviene illegittima<br />

e fa sorgere la responsabilità di colui che, per tal<br />

modo, ne abusa.<br />

I limiti alla liceità dell’attività di direzione<br />

e coordinamento<br />

La sentenza in commento del Tribunale di Milano<br />

fa propri questi principi ed afferma «che l’attività<br />

di direzione e coordinamento è in se stessa legittima»,<br />

sicché «non esistono precondizioni o requisiti<br />

di legittimità, che siano previsti dalla norma in<br />

questione, la quale designa invece solo i limiti di<br />

quella liceità, cioè casi e situazioni in cui essa, in<br />

presenza di determinate circostanze, diviene illegittima».<br />

Ne discende, per quanto attiene alla distribuzione<br />

dell’onere probatorio tra le parti, che non<br />

è la società controllante (che assumerà nel processo<br />

la veste di convenuto) a dover dimostrare la legittimità<br />

dell’attività di direzione e coordinamento da<br />

essa svolta, bensì l’attore a dover fornire la prova<br />

dell’antigiuridicità delle concrete modalità di esercizio<br />

della stessa. Coerentemente con tale impostazione,<br />

la prova dovrà avere ad oggetto: «- la condotta,<br />

cioè l’esercizio, da parte di una società, di attività<br />

di direzione e coordinamento nei confronti di altre;<br />

- l’antigiuridicità della condotta, cioè l’esercizio di<br />

quell’attività nell’interesse imprenditoriale proprio<br />

o altrui, dunque estraneo a quello della società soggetta<br />

alla sua direzione/ coordinamento, e in violazione<br />

dei principi di corretta gestione societaria e<br />

imprenditoriale delle società sottoposte ad essa; -<br />

l’evento dannoso, ovvero il pregiudizio arrecato al<br />

754 Le Società 7/2012


valore o alla redditività della partecipazione; - il<br />

nesso di causalità tra condotta ed evento» (1).<br />

La sentenza in commento si è soffermata sull’esame<br />

soltanto dei due primi elementi (e cioè, la condotta<br />

e la sua antigiuridicità), avendo rilevato che,<br />

nella fattispecie, non era riscontrabile alcun abuso<br />

da parte della società controllante del potere di direzione<br />

e coordinamento esercitato, fatto consistere<br />

dagli attori sia per avere essa ‘‘drenato’’ liquidità in<br />

proprio favore dalla società controllata a condizioni<br />

sperequate, sia per avere imposto a quest’ultima<br />

una strategia di accantonamento degli utili di esercizio.<br />

L’accertamento circa l’esercizio<br />

della attività di direzione e coordinamento<br />

Innanzi tutto, l’esercizio dell’attività di direzione<br />

e coordinamento costituisce il presupposto per l’operatività<br />

della norma in esame. Il compito dell’interprete<br />

consiste, dunque, in primo luogo, nel verificare<br />

se, nella singola fattispecie, sussista l’esercizio<br />

di detta attività.<br />

Come si è rilevato, il legislatore non ha inteso<br />

dare supporto all’interprete mediante precise definizioni<br />

normative: ciò vale anche per la nozione di<br />

attività di direzione e coordinamento, per la quale,<br />

peraltro, soccorre la presunzione (semplice, la quale<br />

consente dunque la prova contraria) di cui all’art.<br />

2407 sexies c.c., secondo cui tale situazione ricorre<br />

in capo alla «società o ente tenuto al consolidamento<br />

dei loro bilanci o che comunque la controlla<br />

ai sensi dell’articolo 2359».<br />

Al fine di ovviare al silenzio normativo, si è così<br />

precisato, in dottrina, che «per attività di direzione<br />

e coordinamento deve intendersi l’esercizio di una<br />

pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo<br />

idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa,<br />

cioè sulle scelte strategiche e operative di carattere<br />

finanziario, industriale, commerciale che attengono<br />

alla conduzione degli affari sociali» (2). E,<br />

nella stessa ottica, in giurisprudenza è stato statuito<br />

che «l’attività di direzione e coordinamento è un<br />

quid pluris rispetto al mero esercizio del controllo,<br />

in quanto espressione di un potere di ingerenza più<br />

intenso, consistente nel flusso costante di istruzioni<br />

impartite dalla società controllante e trasposte all’interno<br />

delle decisioni assunte dagli organi della<br />

controllata, involgenti momenti significativi della<br />

vita della società, quali, a titolo di esempio, le scelte<br />

imprenditoriali, il reperimento dei mezzi finanziari,<br />

le politiche di bilancio, la conclusione di contratti<br />

importanti ed altro» (3).<br />

In concreto, qualora non sussista la situazione di<br />

cui all’art. 2407 sexies c.c., che dà luogo - come detto<br />

- ad una presunzione semplice dell’esistenza dell’attività<br />

di direzione e coordinamento, questa potrà<br />

venire dimostrata fornendo la prova delle direttive<br />

trasmesse dalla società controllante a quella controllata.<br />

Si tratterà, peraltro, di una prova non sempre<br />

agevole, poiché i canali di trasmissione delle direttive<br />

impartite potrebbero non lasciare tracce documentali.<br />

In tal caso, l’esistenza di rapporti contrattuali tra<br />

le parti (rilevanti ai sensi dell’art. 2497 septies c.c.)<br />

che diano all’una il potere di imporre all’altra una<br />

determinata struttura finanziaria o una determinata<br />

politica di mercato potrà rivelarsi rivelatrice dell’attività<br />

di direzione e coordinamento (4): a tal fine,<br />

occorrerà peraltro, pur sempre, individuare specifiche<br />

clausole contrattuali che diano a un contraente<br />

il potere di interferire sulle decisioni rilevanti dell’altro<br />

contraente (5).<br />

In special modo, anche in assenza di rapporti<br />

contrattuali, un elemento sintomatico dell’esistenza<br />

di tale rapporto tra le due società (controllante e<br />

controllata) può essere rinvenuto nell’identica (o,<br />

quanto meno, parzialmente identica) composizione<br />

degli organi amministrativo e di controllo delle due<br />

società (6): così è avvenuto, in particolare, nella<br />

fattispecie su cui è intervenuta la pronuncia in<br />

commento del Tribunale di Milano, nella quale -<br />

come si evince dalla motivazione - lo stesso soggetto<br />

rivestiva la qualità di presidente del consiglio di<br />

amministrazione di entrambe le società, controllan-<br />

Note:<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

(1) In questi termini, già Trib. Milano 17 giugno 2011, in questa<br />

Rivista, 2011, 1099; e nello stesso senso anche la sentenza qui<br />

in commento.<br />

(2) P. Montalenti, Direzione e coordinamento nei gruppi societari:<br />

principi e problemi, inRiv. soc., 2007, 321.<br />

(3) Trib. Palermo 15 giugno 2011, in Foro it., 2011, 3184, spec.<br />

c. 3187; nello stesso senso, già Trib. Pescara 16 gennaio 2009,<br />

in questa Rivista, 2010, 683, con il commento di V. Zanelli, Contratto<br />

di franchising ed abuso di direzione e coordinamento contrattuale.<br />

(4) Si veda, al riguardo, V. Zanelli, Contratto di franchising ed<br />

abuso di direzione e coordinamento contrattuale, cit., in sede di<br />

commento a Trib. Pescara 16 gennaio 2009, in questa Rivista,<br />

2010, 689, ove la sentenza, in particolare, si sofferma (694 s.)<br />

sull’esame di indici rivelatori dell’attività di direzione e coordinamento<br />

contrattuale.<br />

(5) V. Zanelli, op. cit., 695.<br />

(6) Così, Trib. Verona 13 luglio 2007, in questa Rivista, 2008,<br />

1385, con il commento di E. Civerra, Conflitto di interessi di amministratori<br />

di società soggetta ad attività di direzione e coordinamento.<br />

Le Società 7/2012 755


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

te e controllata, e almeno due dei sindaci concorrevano<br />

a formare il collegio sindacale delle stesse.<br />

L’antigiuridicità dell’attività di direzione<br />

e coordinamento<br />

In presenza dell’esercizio dell’attività di direzione<br />

e coordinamento, occorre poi verificare se la condotta<br />

della società controllante sia legittima, o se,<br />

invece, risultando superati i limiti posti dalla norma,<br />

ricorra la responsabilità della stessa ed eventualmente<br />

dei soggetti che abbiano agito per essa.<br />

Si tratta, dunque, di accertare l’antigiuridicità della<br />

condotta della società controllante, e «cioè l’esercizio<br />

di quell’attività nell’interesse imprenditoriale<br />

proprio o altrui, dunque estraneo a quello della società<br />

soggetta alla sua direzione/ coordinamento, e<br />

in violazione dei principi di corretta gestione societaria<br />

e imprenditoriale delle società sottoposte ad<br />

essa» (7).<br />

Occorre quindi, perché operi la responsabilità<br />

della società controllante, il concorso, con riferimento<br />

all’atto o alla decisione assunti dalla società<br />

controllata, di due elementi, espressamente previsti<br />

dalla norma:<br />

(a) l’esercizio dell’attività suddetta nell’interesse<br />

imprenditoriale proprio o altrui, e<br />

(b) la violazione dei principi di corretta gestione<br />

societaria e imprenditoriale della società controllata.<br />

Si tratta, tuttavia, di requisiti dai contorni quanto<br />

mai labili e imprecisi.<br />

Il requisito dell’esercizio della attività<br />

di direzione e coordinamento nell’interesse<br />

imprenditoriale proprio o altrui<br />

Ciò vale, in primo luogo, per il requisito dell’esercizio<br />

dell’attività di direzione e coordinamento<br />

nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui. Con esso<br />

si «ha riguardo ad una vera e propria ipotesi di conflitto<br />

di interessi, tra quello proprio della società capogruppo<br />

e quello della società controllata» (8):<br />

sicché «la finalità ‘‘soggettiva’’ di perseguire il proprio<br />

interesse, contrapposto a quello della società<br />

gestita, rende ‘‘scorretta’’ la gestione» (9).<br />

Al fine di consentire una più agevole identificazione<br />

della ricorrenza, in concreto, del requisito in<br />

parola, il legislatore ha introdotto (art. 2497 ter<br />

c.c.) per le decisioni delle società soggette ad attività<br />

di direzione e coordinamento l’obbligo di analitica<br />

motivazione e di «puntuale indicazione delle ragioni<br />

e degli interessi la cui valutazione ha inciso<br />

sulla decisione». Si vuole, per tal modo, rendere<br />

possibile ex post l’individuazione degli interessi che<br />

hanno indotto gli organi gestionali ad assumere determinate<br />

decisioni; ed in particolare, quelle «decisioni<br />

che nessun organo sociale di una società indipendente<br />

assumerebbe, ma che si rendono legittime<br />

entro una società di gruppo, perché dirette a realizzare<br />

quella particolare dimensione dell’interesse sociale<br />

che è presente solo nelle società di gruppo,<br />

per effetto della quale l’interesse sociale si realizza<br />

grazie alla realizzazione dell’interesse di gruppo. Ma<br />

la norma esige che questi superiori interessi, determinanti<br />

la decisione, siano puntualmente indicati<br />

per consentire un sindacato sulla loro rispondenza<br />

ad un interesse di gruppo, e perciò riferibile anche<br />

alla controllata e non invece all’interesse esclusivo<br />

della sola controllante o di altra società del gruppo»<br />

(10).<br />

È stato al riguardo altresì sottolineato che «la<br />

motivazione espressa dell’operazione contrastante<br />

con l’interesse sociale dovrà focalizzare in modo<br />

analitico ed esauriente il contesto complessivo entro<br />

il quale va a collocarsi l’operazione, dando conto<br />

anche della probabilità che l’apparente contrasto<br />

... possa essere compensato da vantaggi che, appunto,<br />

l’appartenenza al gruppo è in grado di determinare<br />

in favore della stessa etero gestita» (11). A tal<br />

fine, particolare rilievo potrà assumere l’indicazione<br />

di eventuali vantaggi compensativi derivanti dall’operato<br />

dell’amministratore, che si riflettono sulla<br />

società in conseguenza della sua appartenenza al<br />

gruppo ed idonei a neutralizzare, in tutto o in parte,<br />

il pregiudizio cagionato direttamente alla società<br />

amministrata (12).<br />

Il precetto di cui al citato art. 2497 ter, che im-<br />

Note:<br />

(7) Trib. Milano 17 giugno 2011, in questa Rivista, 2011, 1099;<br />

e, negli stessi identici termini, si veda anche la sentenza qui in<br />

commento.<br />

(8) A. Di Majo, La responsabilità per l’attività di direzione e coordinamento<br />

nei gruppi di società, inGiur. comm., 2009, I, 537, ivi<br />

547.<br />

(9) A. Di Majo, op. loc. citt.<br />

(10) Così F. Galgano, Direzione e coordinamento di società, in<br />

Commentario Scialoja - Branca, Bologna - Roma, 2005, 136.<br />

(11) E. Civerra, Conflitto di interessi di amministratori di società<br />

soggetta ad attività di direzione e coordinamento, cit., in questa<br />

Rivista, 2008, 1390, in sede di commento a Trib. Verona 13 luglio<br />

2007.<br />

(12) Così definiti già da Cass. 24 agosto 2004, n. 16707, in questa<br />

Rivista, 2005, 164, con il commento di G. Ciampoli, I ‘‘vantaggi<br />

compensativi’’ nei gruppi di società. Cfr. anche in tema<br />

Trib. Roma 5 febbraio 2008, in questa Rivista, 2009, 491, con il<br />

commento di V. Scognamiglio, Vantaggi compensativi nel gruppo<br />

di società.<br />

756 Le Società 7/2012


pone l’analitica motivazione e la puntuale indicazione<br />

delle ragioni e degli interessi coinvolti, è di<br />

per sé privo di sanzione diretta. Ma la violazione di<br />

esso - e cioè l’omissione dell’analitica motivazione<br />

e della puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi<br />

coinvolti - ben potrebbe indurre l’interprete<br />

a ritenere che sia stato perseguito dalla capogruppo<br />

un interesse imprenditoriale proprio o altrui, ovvero<br />

a non considerare eventuali vantaggi compensativi<br />

non evidenziati dagli amministratori della controllata,<br />

e dunque a ritenere sussistente il requisito<br />

suddetto, così da farne conseguire quale sanzione,<br />

in presenza degli altri requisiti richiesti dall’art.<br />

2497 c.c., la responsabilità a carico della società<br />

controllante e di coloro che abbiano comunque<br />

preso parte al fatto lesivo.<br />

(Segue): rapporti con le disposizioni in tema<br />

di interesse degli amministratori<br />

L’attenzione della dottrina si è altresì soffermata<br />

sulla relazione esistente tra questa norma e l’art.<br />

2391 c.c., in tema di «interessi degli amministratori»:<br />

se cioè gli adempimenti previsti da ciascuna di<br />

tali norme siano tra loro concorrenti ovvero alternativi.<br />

Pare preferibile la seconda soluzione, in ragione<br />

del rilievo che «le prescrizioni di cui all’art.<br />

2391, comma 1, c.c., sono efficaci quando il conflitto<br />

è episodico, non quando queste situazioni sono,<br />

per così dire, ‘‘normali’’. In altri termini, la disposizione<br />

... è stata pensata con riferimento ad una<br />

‘‘società autonoma’’ e non ad una ‘‘società di gruppo’’,<br />

con l’inevitabile conseguenza che risulta funzionale<br />

al primo modello di società (società cd.<br />

autonoma), ma non al secondo (società appartenente<br />

ad un gruppo)» (13).<br />

La violazione dei principi di corretta<br />

gestione societaria e imprenditoriale<br />

Inoltre, la disposizione richiede, per l’operatività<br />

della responsabilità, che l’atto e/o la decisione assunti<br />

dalla società controllata, dettati - come testé<br />

rilevato - dal perseguimento di un interesse imprenditoriale<br />

proprio della società controllante o di altra<br />

società del gruppo, concretino la «violazione dei<br />

principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale»<br />

della società controllata.<br />

Innanzi tutto, il riferimento fatto dalla norma alla<br />

‘‘violazione’’ di principi suggerisce che la responsabilità<br />

che ne deriva (nel concorso degli altri requisiti<br />

di legge) è pur sempre una responsabilità per<br />

colpa (14).<br />

Sicché, èonere dell’attore fornire «la prova della<br />

sussistenza di comportamenti di ‘‘abuso’’ (nel significato<br />

‘‘tipizzato’’ dall’art. 2497 c.c.) di quella posizione<br />

..., i soli suscettibili di convertire quella situazione<br />

- di per sé non illecita nel contesto della vigente<br />

disciplina codicistica (perché espressione della<br />

autonomia privata e della libertà di iniziativa<br />

economica privata) - nella condotta ‘‘non iure’’ causativa<br />

... del danno di cui si pretenda il risarcimento»<br />

(15).<br />

L’individuazione dei principi di corretta gestione<br />

societaria e imprenditoriale (la cui violazione dà<br />

luogo a responsabilità) èvolutamente rimessa - come<br />

avverte la stessa relazione d’accompagnamento<br />

alla legge di riforma del 2003 - a dottrina e giurisprudenza:<br />

una siffatta scelta è, del resto, considerata<br />

coerente sia con la natura del fenomeno, connotato<br />

da diverse variabili e dal suo continuo evolversi,<br />

sia con la stessa funzione che tale clausola svolge<br />

(16).<br />

È stato peraltro evidenziato il rischio, per tal modo,<br />

«di aprire una fase di oscillazioni interpretative<br />

non opportuna, anche alla luce della delicatezza<br />

della materia regolamentata, che costituisce uno<br />

dei settori più ‘‘caldi’’ del diritto societario, in cui<br />

la composizione della dialettica fra gli interessi del<br />

gruppo di controllo e delle minoranze risulta particolarmente<br />

complessa» (17).<br />

(Segue): l’applicabilità della business<br />

judgment rule<br />

Un primo tema di confronto, nel tentativo di in-<br />

Note:<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

(13) U. Tombari, Riforma del diritto societario e gruppo di imprese,<br />

inGiur. comm., 2004, I, 61, spec. 77. Nello stesso senso,<br />

cfr. F. Galgano, op. loc. citt.; E. Civerra, op. cit., secondo il quale<br />

«l’art. 2391 c.c. sembra costruito per ‘‘difendere’’ la società da<br />

interessi concretamente non sociali, mentre l’appartenenza ad<br />

un gruppo non può che riflettersi positivamente sullo stesso<br />

concetto di ‘‘interesse sociale’’ da leggersi ‘‘in combinato disposto’’<br />

con quello della capogruppo e delle altre società partecipanti»<br />

(ivi, 1391).<br />

(14) Cfr., ad esempio, Trib. Palermo 15 giugno 2011, cit., secondo<br />

cui «lo schema di responsabilità che ne discende non è quello<br />

oggettivo, ma, piuttosto, quello colposo nascente dalla violazione<br />

dei canoni generali di correttezza e buona fede imprenditoriali,<br />

tali da configurare una forma di ‘‘abuso’’ derivante dall’esercizio<br />

del potere di direttiva e di istruzione, preordinato volutamente<br />

a soddisfare interessi propri della stessa capogruppo o di<br />

altri soggetti, interni o esterni al gruppo, in condizione sfavorevoli<br />

o pregiudizievoli per la società controllata».<br />

(15) In questi termini, Trib. Pescara 16 gennaio 2009, cit.<br />

(16) Cfr. M.T. Brodasca, Sub art. 2497 c.c., in Codice civile commentato.<br />

I codici ipertestuali, Milano, 2009, 5881.<br />

(17) R. Sacchi, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento<br />

nella riforma delle società di capitali, inGiur. comm., 2003, I,<br />

661, spec. 663.<br />

Le Società 7/2012 757


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

dividuare i criteri identificativi della clausola generale<br />

in parola, attiene all’applicabilità alla fattispecie<br />

della c.d. business judgment rule: se, cioè, il giudice,<br />

nel verificare, in concreto, se vi sia stata violazione<br />

dei principi di corretta gestione societaria e<br />

imprenditoriale, possa sindacare il merito delle scelte<br />

compiute dagli amministratori. Così, in particolare,<br />

in giurisprudenza, è stato affermato che, anche<br />

in subiecta materia, «èpreclusa al giudice la valutazione<br />

del merito di quelle scelte ove queste siano<br />

state effettuate con la dovuta diligenza nell’apprezzamento<br />

dei loro presupposti, delle regole di scienza<br />

ed esperienza applicate e dei loro possibili risultati,<br />

essendo consentito al giudice soltanto di sanzionare<br />

le scelte negligenti, o addirittura insensate, macroscopicamente<br />

ed evidentemente dannose ex ante»<br />

(18); per contro, in dottrina, non è considerato<br />

«irragionevole che la business judgment rule non<br />

operi in presenza di rapporti infragruppo, quando,<br />

dato il maggior rischio di comportamenti opportunistici,<br />

si tratta di verificare il rispetto del duty of<br />

loyalty (e non semplicemente del duty of care)»<br />

(19). Certamente - come è stato pur autorevolmente<br />

rilevato - «il confine tra la regola giuridica<br />

e la business judgment rule rischia ... di farsi qui<br />

pericolosamente labile» (20): e l’analisi delle soluzioni<br />

giurisprudenziali intervenute sul tema inevitabilmente<br />

finisce per dare conferma all’opinione così<br />

espressa.<br />

In ogni caso, deve essere obbiettivo degli interpreti<br />

ancorare i limiti di un siffatto giudizio ai criteri<br />

sin qui recepiti dalla giurisprudenza in materia di<br />

responsabilità degli amministratori di singole società,<br />

«sforzandosi di distinguere le conseguenze della<br />

naturale alea di ogni attività d’impresa da quelle<br />

della mancanza colpevole di diligenza e del mancato<br />

rispetto di regole codificate di buona amministrazione»<br />

(21).<br />

In quest’ottica, è stato segnalato che «i principi<br />

di corretta gestione dell’impresa riguardano la preventiva<br />

raccolta delle informazioni di mercato prima<br />

dell’avvio di nuove operazioni, la valutazione<br />

dell’entità e della natura dei rischi connessi, le possibilità<br />

di finanziamento dell’operazione e previsione<br />

del rapporto fra rischi, costi e benefici immediati<br />

e futuri» (22).<br />

(Segue): la decisione sulla distribuzione<br />

degli utili<br />

In particolare, viene ravvisata la violazione dei<br />

principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale<br />

qualora, ad esempio, la società capogruppo<br />

ometta di provocare, nell’assemblea della controllata,<br />

l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2446<br />

o all’art. 2447 c.c., e, nonostante la perdita del capitale<br />

della controllata, lasci che questa prosegua<br />

nella sua attività; o, ancora, qualora essa induca la<br />

controllata ad assumere rischi impropri, ponendo in<br />

essere operazioni esorbitanti dal proprio oggetto sociale<br />

o trasgredendo alle modalità imposte per il<br />

suo conseguimento (23).<br />

Nella fattispecie sottoposta al suo esame, il Tribunale<br />

di Milano ha escluso che la questione della<br />

distribuzione degli utili nella società controllata<br />

rientri nell’ambito dell’esercizio del potere di direzione<br />

e coordinamento, e che quindi la relativa<br />

decisione possa concretare violazione dei principi<br />

di corretta gestione societaria e imprenditoriale, in<br />

quanto essa attiene all’esercizio del diritto di voto<br />

in assemblea. La sentenza rileva, in proposito, che<br />

i rimedi accordati al socio con riguardo ad una siffatta<br />

deliberazione consistono nella impugnazione<br />

della stessa e nella domanda di risarcimento del<br />

danno ai sensi del quarto comma dell’art. 2377<br />

c.c.; e che, divenuta stabile la decisione assembleare<br />

in difetto di impugnazione, dovrebbe semmai<br />

configurarsi violazione dei principi di corretta<br />

gestione societaria e imprenditoriale qualora venisse<br />

imposto un comportamento in contrasto con<br />

quanto deliberato.<br />

La soluzione non pare condivisibile. Non vi è infatti,<br />

a mio giudizio, ragione per escludere che l’esercizio<br />

del potere di direzione e coordinamento e<br />

la violazione dei principi di corretta gestione societaria<br />

e imprenditoriale che può conseguire nell’ambito<br />

dell’esercizio di tale potere possano essere identificati<br />

anche in atti di competenza dell’assemblea<br />

dei soci che la società controllante, detentore della<br />

maggioranza nell’assemblea della società controllata,<br />

può imporre a quest’ultima.<br />

La norma non consente un’interpretazione a tal<br />

punto restrittiva, tale da limitarne la rilevanza ai<br />

soli atti gestionali di competenza degli amministratori.<br />

Note:<br />

(18) Trib. Milano 17 giugno 2011, cit.<br />

(19) R. Sacchi, op. loc. citt.<br />

(20) R. Rordorf, I gruppi nella recente riforma del diritto societario,<br />

in questa Rivista, 2004, 538, spec. 542.<br />

(21) R. Rordorf, op. loc. citt.<br />

(22) V. Salafia, La responsabilità della holding verso i soci di minoranza<br />

e le controllate, in questa Rivista, 2004, 5, spec. 9 s.<br />

(23) F. Galgano, op. cit., 106 s.<br />

758 Le Società 7/2012


Al contrario, in dottrina è stato evidenziato che,<br />

mentre l’art. 2393 c.c. si rivolge ad un solo organo<br />

della società, e precisamente ai suoi amministratori,<br />

l’art. 2497 c.c. «si rivolge ... alla stessa ‘‘società o<br />

ente’’ che esercita l’attività di direzione e coordinamento,<br />

e perciò detta criteri di comportamento per<br />

tutti gli organi sociali, inclusa l’assemblea» (24).<br />

Né va dimenticato che il rimedio previsto dall’art.<br />

2497 c.c. non è consentito ai soli soci della<br />

società controllata, ma anche ai creditori di questa<br />

che, per effetto degli atti posti in essere in violazione<br />

dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale,<br />

possano avere subito un pregiudizio<br />

conseguente alla lesione cagionata mediante tali atti<br />

all’integrità del patrimonio sociale. Costoro non<br />

sono certamente legittimati ad impugnare le relative<br />

deliberazioni di assemblea; sicché, opinando nel<br />

senso suggerito dalla sentenza qui in commento, essi<br />

si troverebbero senza tutela in caso di violazione<br />

dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale<br />

attuata mediante decisioni assembleari: ciò<br />

che, invece, il legislatore ha voluto evitare mediante<br />

la previsione della responsabilità, anche nei loro<br />

confronti, per abuso del potere di direzione e coordinamento.<br />

Né può, a mio giudizio, trarsi argomento in senso<br />

contrario dal fatto che i soci verrebbero a cumulare<br />

l’esercizio di due distinti rimedi, poiché, in ogni caso,<br />

diversi ne sarebbero i presupposti: l’abuso del diritto<br />

di voto nell’azione ex art. 2377 c.c.; l’abuso<br />

del potere di direzione e coordinamento nell’azione<br />

ex art. 2497 c.c.<br />

Altra situazione che può dare luogo all’insorgere<br />

di contenzioso circa la violazione dei principi di<br />

corretta gestione societaria e imprenditoriale concerne<br />

i rapporti economici tra società controllante<br />

e società controllata, qualora - come dedotto nella<br />

vicenda che ha dato luogo alla pronuncia qui in<br />

commento - la prima risulti destinataria di finanziamenti<br />

da parte della seconda. Non pare dubbio,<br />

tuttavia, che la valutazione circa la conformità dei<br />

flussi finanziari ai principi di corretta gestione societaria<br />

e imprenditoriale debba prescindere dalla<br />

considerazione dell’impiego fattone da parte della<br />

beneficiaria. In altre parole, il parametro della conformità<br />

ai principi di corretta gestione societaria e<br />

imprenditoriale non va riferito - come correttamente<br />

statuito dal Tribunale di Milano - all’uso che la<br />

controllante abbia fatto dei vantaggi ottenuti attraverso<br />

l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento,<br />

bensì alle modalità con le quali tali vantaggi<br />

sono stati ottenuti; sicché, ai fini dell’esercizio<br />

dell’azione di cui all’art. 2497 c.c., non rileva, ad<br />

esempio, se la società controllante abbia impiegato<br />

i finanziamenti ricevuti in operazioni esorbitanti<br />

dal suo oggetto sociale.<br />

Sotto diverso profilo, tuttavia, a seconda delle<br />

modalità di impiego da parte della società controllante<br />

delle risorse finanziarie così ottenute, potrà<br />

ravvisarsi l’esistenza di vantaggi compensativi in favore<br />

della società controllata.<br />

Il dibattito circa la natura contrattuale<br />

o extracontrattuale della responsabilità<br />

della capogruppo<br />

La sentenza in commento non ha invece preso<br />

posizione sulla delicata e dibattuta questione se siffatta<br />

responsabilità abbia natura contrattuale o extra-contrattuale,<br />

cui, pure, pare opportuno, per<br />

completezza di esposizione, dedicare alcune note.<br />

L’orientamento giurisprudenziale maggioritario<br />

vi ravvisa, sulla scorta della considerazione espressa<br />

in proposito nella relazione di accompagnamento<br />

alla riforma, un caso di responsabilità extracontrattuale,<br />

senza che si abbia ad operare distinzioni tra<br />

l’azione del socio e quella accordata al creditore sociale<br />

(25).<br />

E in dottrina è stato altresì rilevato che la norma<br />

ricalca lo schema della responsabilità da fatto illecito<br />

di cui all’art. 2043 c.c., mediante la specificazione<br />

dell’estremo del ‘‘fatto colposo’’ posto in essere<br />

dalla holding, che qui consiste nella violazione dei<br />

principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale,<br />

e l’identificazione del ‘‘danno ingiusto’’ cagionato<br />

ai soci o ai creditori della controllata, consistente,<br />

quanto ai primi, nella lesione del diritto<br />

alla redditività e al valore della partecipazione sociale<br />

e, quanto ai secondi, nella lesione della loro<br />

garanzia patrimoniale (26).<br />

Con pari autorevolezza è stato peraltro sostenuto,<br />

sempre in dottrina (27), che la responsabilità<br />

Note:<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

(24) In questi termini, F. Galgano, op. loc. citt., il quale perviene<br />

quindi - come si è testé ricordato - a configurare la violazione<br />

dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale anche<br />

con riguardo all’omessa adozione da parte dell’assemblea<br />

della società controllata dei provvedimenti, in ipotesi, imposti<br />

dagli artt. 2446 e 2447 c.c.<br />

(25) Trib. Palermo 15 giugno 2011, cit.; Trib. Pescara 16 gennaio<br />

2009, cit. Cfr. anche Trib. Napoli 26 maggio 2008, in Fall.,<br />

2008, 1435, con il commento di O. Cagnasso, La qualificazione<br />

della responsabilità per la violazione dei principi di corretta gestione<br />

nei confronti dei creditori della società eterodiretta, ma<br />

con riferimento all’azione esercitata dai creditori della società<br />

eterodiretta.<br />

(26) F. Galgano, op. it., 95.<br />

(27) Cfr., in particolare, R. Sacchi, op. cit., 668.<br />

Le Società 7/2012 759


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

per abuso dell’attività di direzione e coordinamento<br />

vada qualificata come contrattuale, sul rilievo che<br />

l’affermazione di legittimità dell’attività di direzione<br />

unitaria implica un potere-dovere in ordine alla<br />

stessa.<br />

Merita, infine, di essere segnalato un orientamento<br />

intermedio, secondo cui occorre distinguere<br />

se l’azione è esercitata dai creditori della società<br />

controllata ovvero dai soci di essa: nel primo caso,<br />

la responsabilità che ne deriva ha natura aquiliana;<br />

nel secondo caso, invece, ha natura contrattuale,<br />

sul rilievo che «l’obbligo di correttezza a carico del<br />

predetto capogruppo, la cui violazione potenzialmente<br />

genera responsabilità, non può certo ... essere<br />

inteso come volto solo a tutela della società soggetta<br />

all’attività di direzione e coordinamento, ma<br />

è palesemente diretto anche alla specifica salvaguardia<br />

delle posizioni soggettive dei soci (ed in<br />

specie di quelli minoritari) di tale società» (28):<br />

orientamento al quale lo stesso tribunale di Milano<br />

ha, in un recente passato (29), mostrato adesione.<br />

Non vi è dubbio che la questione non riveste<br />

importanza secondaria, non foss’altro perché interferisce<br />

con l’ambito dell’onere della prova. In effet-<br />

ti, configurandosi la responsabilità in parola «come<br />

extracontrattuale, chi intende farla valere deve dimostrare<br />

che vi sono effettivamente stati degli specifici<br />

inputs nella gestione della società diretta e<br />

coordinata e può dolersi solo dei danni che siano<br />

casualmente riconducibili a questi inputs» (30); per<br />

contro, chi si pronuncia per una responsabilità contrattuale<br />

perviene ad una «inversione dell’onere<br />

della prova, nel senso che, dimostrata la derivazione<br />

di un danno da una operazione avvenuta in circostanza<br />

di esercizio di attività di direzione e coordinamento,<br />

spetti alla società che esercita tale attività<br />

dimostrare che la stessa corrisponde a principi<br />

di corretta gestione societaria e imprenditoriale»<br />

(31).<br />

Note:<br />

(28) R. Rordorf, op. cit., 545.<br />

(29) Trib. Milano 17 giugno 2011, cit.<br />

(30) R. Sacchi, op. cit., 669.<br />

(31) M. Rescigno, Eterogestione e responsabilità nella riforma<br />

societaria fra aperture e incertezze: una prima riflessione, in<br />

questa Rivista, 2003, 336.<br />

760 Le Società 7/2012


Liquidazione<br />

I poteri dei liquidatori di società<br />

di capitali<br />

Tribunale di Milano, Sez. VIII, 26 maggio 2011 - Pres. E. Riva Crugnola - Rel. F. Fiecconi - Softrade<br />

com s.r.l. c. A.B. ed altri<br />

Società - Società di capitali - Liquidatori - Poteri - Ambito della competenza gestoria<br />

(Cod. civ. artt. 2487, 2489)<br />

La sfera di operatività dei liquidatori delle società di capitali non è limitata ad atti meramente liquidatori, ma si<br />

estende anche ad attività più propriamente gestorie, seppure in un’ottica conservativa; ai liquidatori deve perciò<br />

essere riconosciuta una competenza gestoria ampia che li rende arbitri nel gestire i tempi, i modi e le condizioni<br />

della realizzazione dell’attivo sociale, con le uniche limitazioni che possono derivare dall’atto costitutivo<br />

o dalla delibera dell’assemblea che li nomina.<br />

Società - Società di capitali - Liquidatori - Poteri - Interessi dei soci e dei creditori<br />

(Cod. civ. artt. 2484 ss., 2487, 2489, 2491)<br />

Qualora, nella fase di liquidazione di una società di capitali, le ragioni dei creditori non siano state ancora soddisfatte,<br />

la finalità di soddisfazione dei crediti è preminente su quella di realizzazione dello scopo sociale o di<br />

immediata utilità per la liquidazione; pertanto, l’interesse dei soci al migliore realizzo dei beni può ricevere una<br />

compressione a fronte di quello dei creditori di vedere soddisfatti i propri crediti.<br />

Società - Società di capitali - Liquidatori - Responsabilità<br />

(Cod. civ. artt. 2392 ss., 2476, 2489)<br />

Il compito di liquidatore deve essere assolto con la specifica cura e con la particolare attenzione che sono richieste<br />

nel mondo degli affari; pertanto, nel giudizio di accertamento della responsabilità del liquidatore al<br />

Giudice, come per qualsiasi giudizio sul comportamento umano che implica ampia discrezionalità professionale<br />

e decisionale, è preclusa la valutazione del merito delle scelte gestionali del liquidatore allo stesso modo di<br />

quanto avviene per il giudizio sulla responsabilità degli amministratori (c.d. business judgment rule).<br />

@Il testo integrale della sentenza è disponibile su: www.ipsoa.it/lesocieta<br />

Il Tribunale (omissis).<br />

2) I principi di diritto applicabili alla presente fattispecie.<br />

Il presente procedimento trova le proprie norme di riferimento<br />

negli artt. 2489 c.c. (1) e 2491 c.c. (2), le quali<br />

Note:<br />

(1) Art. 2489 c.c.: Poteri, obblighi e responsabilità dei liquidatori:<br />

Salvo diversa disposizione statutaria, ovvero adottata in sede di<br />

nomina, i liquidatori hanno il potere di compiere tutti gli atti utili<br />

per la liquidazione della società.<br />

I liquidatori debbono adempiere i loro doveri con la professionalità<br />

e diligenza richieste dalla natura dell’incarico e la loro responsabili-<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

tà per i danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri è disciplinata<br />

secondo le norme in tema di responsabilità degli amministratori.<br />

(2) Art. 2491 c.c.: Poteri e doveri particolari dei liquidatori: Se i<br />

fondi disponibili risultano insufficienti per il pagamento dei debiti<br />

sociali, i liquidatori possono chiedere proporzionalmente ai soci i<br />

versamenti ancora dovuti.<br />

I liquidatori non possono ripartire tra i soci acconti sul risultato della<br />

liquidazione, salvo che dai bilanci risulti che la ripartizione non incide<br />

sulla disponibilità di somme idonee alla integrale e tempestiva soddisfazione<br />

dei creditori sociali; i liquidatori possono condizionare la<br />

ripartizione alla prestazione da parte del socio di idonee garanzie.<br />

I liquidatori sono personalmente e solidamente responsabili per<br />

i danni cagionati ai creditori sociali con la violazione delle disposizioni<br />

del comma precedente.<br />

Le Società 7/2012 761


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

disciplinano poteri, obblighi e responsabilità dei liquidatori,<br />

disegnando un nuovo sistema rispetto al passato, sia<br />

da un punto di vista strutturale, in quanto le società di<br />

capitali vengono ora dotate di una disciplina loro propria<br />

che supera il precedente richiamo a norme in materia<br />

di poteri e doveri dei liquidatori di società di persone,<br />

sia da un punto di vista sostanziale, poiché il legislatore<br />

del 2003 non limita più la sfera di operatività dei liquidatori<br />

ad atti meramente liquidatori, ma la estende anche<br />

ad attività più propriamente gestorie, seppure in<br />

un’ottica conservativa.<br />

In relazione all’estensione dei poteri dei liquidatori, posto<br />

che a costoro viene riconosciuta una competenza gestoria<br />

ampia che li rende arbitri nel gestire i tempi, i modi<br />

e le condizioni della realizzazione dell’attivo sociale,<br />

con le uniche limitazioni che possono derivare dall’atto<br />

costitutivo o dall’assemblea che li nomina, si rende necessario<br />

stabilire il limite entro il quale tali poteri gestori<br />

possono essere esercitati. Uno degli elementi discriminanti<br />

ai fini dell’individuazione di questo confine è rappresentato<br />

dalla valutazione comparativa degli interessi<br />

dei soci e dei creditori. Sia i soci, sia i creditori hanno<br />

interesse alla realizzazione del massimo attivo, ma quel<br />

che è certo è che i secondi possono far pesare un interesse<br />

prevalente alla più rapida liquidazione del patrimonio<br />

societario, liquidazione specificatamente finalizzata al<br />

soddisfacimento dei propri crediti. Sicché, nell’ipotesi di<br />

conflitto tra i due interessi, dovrà inevitabilmente prevalere<br />

quello dei creditori sociali.<br />

Per quanto riguarda il regime della responsabilità, questo<br />

continua ad essere ancorato a quello degli amministratori<br />

di società di capitali, sia pure con una più specifica indicazione<br />

del canone oggettivo di comportamento cui<br />

debbono uniformarsi i liquidatori (v. art. 2489 c.c. «...<br />

debbono adempiere i loro doveri con la professionalità e<br />

diligenza richieste dalla natura dell’incarico ...»). Quindi<br />

il compito di liquidatore deve essere assolto con la specifica<br />

cura e con la particolare attenzione che sono richieste<br />

nel mondo degli affari. E nel caso di inadempimento<br />

degli obblighi correlati a detta funzione i liquidatori sono<br />

tenuti a rispondere verso la società, verso i creditori<br />

sociali, verso i singoli soci o verso i singoli terzi secondo,<br />

rispettivamente, quanto previsto dagli artt. 2392-2393<br />

c.c., dall’art. 2394 c.c. e dall’art. 2395 e, per quanto riguarda<br />

il liquidatore di s.r.l., secondo le regole dell’art.<br />

2476 c.c.<br />

Considerato quindi che i liquidatori sono in tutto e per<br />

tutto organi della società e ne gestiscono il patrimonio a<br />

questo particolare fine essi possono definirsi a tutti gli effetti<br />

come gli amministratori della liquidazione. Nelle<br />

vesti di amministratori della liquidazione, fonte del loro<br />

generale dovere d’agire secondo la professionalità e la diligenza<br />

richieste dalla natura dell’incarico, in mancanza<br />

di altra e diversa disposizione programmatica statutaria o<br />

assembleare o giudiziale, soccorre la previsione normativa<br />

di cui all’art. 2489, comma 1, c.c. secondo la quale<br />

essi sono vincolati a «... compiere tutti gli atti utili per<br />

la liquidazione della società», dove l’utilità per la liquidazione<br />

è da intendersi proprio come strumentalità dell’atto<br />

al raggiungimento degli obiettivi della liquidazio-<br />

ne, nel senso di massimizzare la realizzazione del patrimonio<br />

sociale nel più breve tempo possibile, onde pagare<br />

i creditori sociali e distribuire l’eventuale residuo ai<br />

soci.<br />

In caso di inadempimento di tale dovere sorge la relativa<br />

responsabilità che, secondo un’opinione prevalente, è di<br />

tipo contrattuale rilevando (i) la conformità del regime<br />

giuridico della responsabilità a quello degli amministratori<br />

e, sopratutto, (ii) la fonte normativa prima evidenziata.<br />

Resta pertanto a carico del liquidatore l’onere di<br />

provare la non imputabilità asémedesimo del fatto dannoso,<br />

mentre rimane a carico della controparte che abbia<br />

proposto l’azione di responsabilità la prova dell’inadempimento<br />

e del nesso di causalità fra il comportamento<br />

inadempiente il danno verificatosi (3).<br />

Nel giudizio di accertamento della responsabilità del liquidatore<br />

al Giudice, come per qualsiasi giudizio sul<br />

comportamento umano che implica ampia discrezionalità<br />

professionale e decisionale, è preclusa la valutazione<br />

del merito delle scelte gestionali del liquidatore allo stesso<br />

modo di quanto avviene per il giudizio sulla responsabilità<br />

degli amministratori (c.d. business judgment rule)<br />

(4). Pertanto anche questo limite deve essere tenuto<br />

presente ove si debba considerare la bontà o meno di<br />

scelte gestorie operate dal liquidatore nell’ambito dell’esercizio<br />

dei propri poteri.<br />

3) La domanda del socio Softrade s.r.l.<br />

Il liquidatore A.B. è chiamato a rispondere del risarcimento<br />

del danno causato sia alla società in liquidazione<br />

(For Value s.r.l. in liquidazione) sia al socio Softrade<br />

com, socio al 50% della società in liquidazione. Per gli<br />

stessi fatti sono chiamati a rispondere anche i soci<br />

A.G.R. e M.M. unitamente alla società Value + s.r.l. di<br />

neo costituzione che ha acquisito il marchio e l’azienda<br />

della società in liquidazione: con provvedimento della<br />

Corte d’Appello al liquidatore erano state revocate le<br />

funzioni esercitate nell’interesse della società For Value<br />

s.r.l. in liquidazione in sede di riforma del provvedimento<br />

camerale del tribunale che, invece, su ricorso di Softrade<br />

com, aveva respinto la domanda di revoca giudicando<br />

infondati i rilievi di grave inadempimento professionale<br />

mossi in occasione della cessione d’azienda. Nei<br />

confronti della socia M. la domanda è stata rinunciata<br />

con accettazione di quest’ultima a spese compensate:<br />

pertanto deve rilevarsi l’estinzione del giudizio ai sensi<br />

dell’art. 306 c.p.c. solo nei confronti di quest’ultima.<br />

Note:<br />

(3) V. Cass. n. 3652/1977; o Trib. di Napoli 3 giugno 2004, secondo<br />

il quale l’accertamento della responsabilità del liquidatore<br />

è condizionata al positivo assolvimento dell’onere probatorio<br />

gravante sul creditore, il quale, nel caso di specie, era tenuto a<br />

dimostrare l’esistenza di una massa attiva del bilancio finale di liquidazione<br />

sufficiente a soddisfare il proprio credito, che invece<br />

risultava distribuito ai soci, oppure l’imputabilità della mancanza<br />

di attivo, da destinarsi al pagamento dei debiti, alla condotta colposa<br />

o dolosa del liquidatore.<br />

(4) Cass. n. 18231/2009; Cass. n. 5718/2004; Cass. 16 gennaio<br />

1982, n. 280; Cass. n. 9252/1977; Trib. Milano 10 febbraio<br />

2000, in Giur. comm., 2001, II 326.<br />

762 Le Società 7/2012


La vicenda prende le mosse dalla cessione del software<br />

‘‘In Vita’’ destinato alla gestione dei settori assicurativi e<br />

bancari del ramo vita e costituente l’unico asset aziendale<br />

della società For Value s.r.l. in liquidazione. All’epoca<br />

dei fatti la società era stata sciolta e messa in liquidazione<br />

con provvedimento giudiziale in seguito a un dissidio<br />

insanabile sorto tra i soci. Il liquidatore B. era stato nominato<br />

liquidatore dal tribunale di Milano in data 19<br />

maggio 2006 a seguito della constatata impossibilità di<br />

funzionamento dell’organo assembleare, ai sensi dell’art.<br />

2484, comma 1, n. 3, c.c. e dell’art. 2486 c.c.<br />

In questa sede processuale, ove si discorre della responsabilità<br />

del liquidatore per i medesimi fatti che ne hanno<br />

causato la revoca giudiziale dalle funzioni, ci si limita a<br />

mettere a fuoco le ragioni fondanti detta revoca, le quali<br />

per l’attrice fungono da medesimo presupposto dell’azione<br />

sociale svolta dal socio della s.r.l. ai sensi dell’art.<br />

2476 c.c. Difatti il nucleo centrale della responsabilità<br />

addebitata al liquidatore si concentra nella vicenda collegata<br />

alla cessione dell’azienda, con il relativo software,<br />

avvenuta in data 16 novembre 2006 in favore della società<br />

Value + s.rl., di cui erano soci i detentori della restante<br />

quota del 50% della società in liquidazione. Si assume<br />

infatti che l’azienda sia stata ceduta a una società<br />

costituita appena 21 giorni prima dai soci ed ex amministratori<br />

di For Value s.r.l. in liquidazione proprio al fine<br />

di favorire i soci ‘‘dissenzienti’’ e portatori di contrapposti<br />

interessi rispetto a quelli di Softrade. Pertanto si trattava<br />

di una società che, non avendo una struttura imprenditoriale<br />

consolidata, non dava sufficienti garanzie<br />

per il mantenimento dei contratti in corso con i clienti<br />

della cedente.<br />

In quell’occasione il liquidatore aveva preferito l’offerta<br />

formulata da quest’ultima società, del valore nominale di<br />

E 500.000,000, accettando un corrispettivo effettivo di<br />

E 377.000,00, detratti i debiti che sarebbero rimasti<br />

quindi da pagare da parte della società in liquidazione e<br />

senza subentro nei crediti ammontanti in E 247.000,00<br />

che pure sono rimasti alla liquidazione, in luogo di quella<br />

dell’attrice Softrade del valore di E 800.000, 00 con<br />

accollo dei suddetti debiti e crediti.<br />

In considerazione delle ragioni della domanda di cui sopra,<br />

pertanto, il Tribunale ritiene preliminare trattare le<br />

assorbenti e prevalenti considerazioni di diritto e di fatto<br />

in merito alla sussistenza o meno degli elementi di responsabilità<br />

in capo al liquidatore convenuto, alla luce<br />

dei parametri normativi sopra richiamati. La responsabilità<br />

del liquidatore, infatti, costituisce il presupposto della<br />

chiamata in corresponsabilità dei soci e della società<br />

acquirente, nonché dell’azione di annullamento del contratto<br />

stipulato in presunto conflitto d’interessi: questi<br />

ultimi, infatti, sono tutti argomenti che, unitamente alle<br />

eccezioni preliminari sollevate in merito alla legittimità<br />

o meno della chiamata in giudizio di questi soggetti e alla<br />

legittimazione attiva della società attrice nei loro confronti,<br />

debbono essere affrontati compiutamente solamente<br />

nel caso in cui venisse affermata la responsabilità<br />

del liquidatore per il negozio di cessione d’azienda messo<br />

in discussione.<br />

Dopo aver messo a fuoco il nucleo centrale della presen-<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

te azione di responsabilità, deve preliminarmente osservarsi<br />

come quest’ultima non possa essere riunita ad altra<br />

precedentemente pendente tra il liquidatore e la società<br />

For Value in merito alla debenza o meno della parcella<br />

richiesta dal liquidatore alla società in ragione delle prestazioni<br />

rese fino alla data della revoca delle funzioni,<br />

posto che si tratta di controversia avente diverso oggetto.<br />

Si deve infatti prendere principalmente in considerazione<br />

che al liquidatore sostanzialmente in questa sede<br />

viene addebitato un comportamento di generale mala gestio<br />

nel quale si iscrive anche la percezione di un acconto<br />

sulle prestazioni rese; nell’altra sede processuale invece<br />

si discute sul diritto al compenso per la prestazione<br />

comunque effettuata. Pertanto le considerazioni in fatto<br />

e in diritto sono del tutto diverse e, in ogni caso, la riunione<br />

dei due giudizi per connessione non si rende opportuna<br />

in ragione del diverso stato in cui versano le<br />

due controversie.<br />

4) Le ragioni della revoca per giusta causa disposta dalla<br />

Corte d’Appello e le ragioni contrarie affermate dal Tribunale<br />

nelle prime cure del ricorso per volontaria giurisdizione.<br />

Secondo la Corte d’Appello, ai fini della revoca per giusta<br />

causa proposta sulla base dell’art. 2487, comma 4,<br />

c.c., il liquidatore ha violato i principali obblighi previsti<br />

dalla legge a carico del medesimo, e in particolare quelli<br />

della diligenza professionale, di perseguire il massimo<br />

realizzo, della trasparenza nella corretta informazione dei<br />

soci, tutti obblighi rappresentati dagli artt. 2489, comma<br />

2, c.c. e 2487, comma 1, lett. c), c.c. In particolare al liquidatore<br />

si addebita il fatto di aver venduto l’azienda<br />

societaria a un prezzo enormemente più basso rispetto all’altra<br />

offerta ricevuta, anche inferiore alla stima peritale<br />

dal medesimo acquisita, e di avere inoltre sistematicamente<br />

negato la visione di documenti societari non fornendo<br />

informazioni circa lo svolgimento della gestione<br />

degli affari sociali.<br />

La Corte ha quindi ritenuto che nel caso di specie non<br />

venisse direttamente in esame la valutazione di merito<br />

sull’offerta più conveniente, trattandosi di scelta che indubbiamente<br />

competeva al discrezionale esercizio dei poteri<br />

conferiti al liquidatore, ma si trattasse di valutare se<br />

e in che modo (an e quomodo) il liquidatore avesse diligentemente<br />

svolto i suoi compiti, indagine che tuttavia<br />

di necessità ripropone il tema delle offerte e dei comportamenti<br />

che hanno segnato lo svolgersi del procedimento<br />

di selezione dell’offerta più conveniente.<br />

Su questo assunto sarebbe quindi emerso, a sostegno delle<br />

ragioni del socio Softrade:<br />

1) che il liquidatore ha accettato non l’offerta di Softrade<br />

che pure era palesemente più vantaggiosa di quella<br />

formulata dalla società acquirente, ma quella contemplante<br />

un prezzo di gran lunga più basso;<br />

2) che il liquidatore ha gestito la procedura di gara con<br />

un’inspiegabile precipitazione senza che ve ne fosse, invero,<br />

la necessità, e senza dare modo ai contendenti di<br />

esprimere fino al massimo delle proprie potenzialità e<br />

con la maggiore chiarezza possibile le condizioni delle offerte;<br />

3) che il liquidatore ha evitato di far svolgere preventi-<br />

Le Società 7/2012 763


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

vamente una stima del coacervo aziendale oggetto di<br />

vendita;<br />

4) che il liquidatore ha consegnato a Softrade la parte<br />

residua di completamento della documentazione che essa<br />

aveva richiesto solo dopo aver accettato l’offerta dell’altra<br />

concorrente e non prima;<br />

5) che il liquidatore ha in vario modo impedito che sulle<br />

condizioni delle offerte si formassero criteri di valutazione<br />

condivisi o quanto meno trasparenti;<br />

6) che il liquidatore non ha considerato che Softrade<br />

era una florida società già operativa da alcuni anni,<br />

mentre la società acquirente era una società appena costituita,<br />

con il solo capitale legale minimo e senza alcuna<br />

operatività pregressa;<br />

7) che dall’offerta di Softrade non potesse evincersi che<br />

questa avesse escluso di garantire la cedente, avendo il<br />

liquidatore tutto l’agio e il tempo di porre in chiaro l’importanza<br />

di tale condizione, mentre il liquidatore ha evitato<br />

di farlo accelerando incomprensibilmente i tempi di<br />

perfezionamento della cessione: in ogni caso il rischio di<br />

inadempimento dei contratti collegati al software da parte<br />

di Softrade era collegato alla clausola di risoluzione<br />

del contratto (mediante put) stipulato con il committente<br />

Eurovita per un importo massimo di E 220.000,00<br />

ampiamente coperto dal maggior prezzo offerto da Softrade.<br />

La Corte d’Appello così riformava il provvedimento di<br />

rigetto del Tribunale che invece, sulla base di diverse argomentazioni<br />

in diritto e dando enfasi ad altri elementi<br />

fattuali, aveva ritenuto non sussistere i motivi per disporre<br />

la revoca giudiziale delle funzioni.<br />

Il Tribunale in particolare aveva ritenuto:<br />

1) che il liquidatore aveva ricevuto ampio mandato dall’assemblea<br />

per procedere alla liquidazione pura e semplice<br />

della società mediante la vendita dei beni di proprietà,<br />

l’incasso dei crediti, il pagamento dei debiti e della<br />

suddivisione dell’eventuale residuo dei soci oppure la<br />

cessione dell’azienda a un soggetto terzo interessato al<br />

proseguimento dell’attività cui dare seguito l’incasso dei<br />

crediti, il pagamento dei debiti e della suddivisione dell’eventuale<br />

residuo ai soci;<br />

2) che il liquidatore aveva scelto la modalità liquidatoria<br />

per la quale lo stesso socio Softrade aveva espresso preferenza<br />

in sede di offerta, escludendo solo la parte di vendita<br />

dei debiti e crediti che il liquidatore preferiva gestire<br />

direttamente ed evidentemente nell’interesse della società<br />

atteso che, in caso di cessione dei debiti, quest’ultima<br />

sarebbe rimasta comunque obbligata in solido (salvo un<br />

improbabile liberazione da parte del creditore) per il caso<br />

di inadempimento dell’acquirente;<br />

3) che la realizzazione al meglio dell’attività liquidatoria<br />

non poteva misurarsi solo in termini di prezzo di realizzo<br />

ma doveva essere valutata alla luce di tutti criteri che<br />

possono far ritenere conveniente una determinata offerta<br />

in determinate condizioni: certamente nella specie dovevano<br />

essere tenute in debita considerazione le garanzie<br />

offerte dall’aspirante acquirente non solo agli effetti dell’effettivo<br />

pagamento del prezzo, ma anche dell’adempimento<br />

dei contratti in essere che tramite la cessione dell’azienda<br />

sarebbero stati ceduti, per evitare ragionevol-<br />

mente che la società dovesse esser chiamata a risponderne<br />

ai sensi dell’art. 2558 s (5). comma c.c.;<br />

4) che nel corso della stessa assemblea del 13 ottobre<br />

2006 convocata dal liquidatore per relazionare sull’attività<br />

di cessione dell’azienda solo i due soci R. e M. si<br />

erano proposti come acquirenti dell’azienda tramite una<br />

società neo-costituita ed in quell’occasione era già stato<br />

rappresentato che il liquidatore aveva ritenuto più conveniente<br />

per la società rivolgersi a un esperto non per<br />

avere una relazione di stima dell’azienda ma per ottenere<br />

una valutazione di congruità della proposte che avesse<br />

ricevuto;<br />

5) che delle offerte ricevute il liquidatore risulta aver dato<br />

conto nell’assemblea del 10 novembre 2006 per la quale<br />

aveva preparato apposita relazione. Su richiesta dei soci<br />

l’assemblea era stata riaggiornata al 14 novembre 2006,<br />

ove si sarebbe dovuto valutare anche l’offerta successivamente<br />

inviata da Softrade tramite un suo delegato;<br />

6) che in riferimento all’offerta solo in ultimo presentata<br />

da Softrade, dal liquidatore venivano espressamente richieste<br />

puntuali garanzie in ordine alla capacità dell’acquirente<br />

di garantire la continuazione dei rapporti inerenti<br />

l’azienda stessa (6): a queste richieste puntuali il<br />

socio Softrade riferiva che avrebbe fatto pervenire al più<br />

presto al liquidatore le proprie considerazioni (7). Tuttavia,<br />

nonostante fosse stato indicato un termine di 24<br />

ore (8) agli offerenti per ottenere le specificazioni richieste<br />

per iscritto, a termine scaduto Softrade faceva pervenire,<br />

solo in data 15 novembre e alle ore 12:46 - dunque<br />

fuori tempo massimo - la comunicazione che l’offerta di<br />

Note:<br />

(5) Così nel testo originale.<br />

(6) V. copia del verbale assembleare del 14 novembre 2006 sub<br />

doc. n. 13 fascicolo dell’attrice Softrade: «Il presidente continua<br />

osservando che, sebbene l’offerta di Softrade com s.r.l. sia<br />

enunciata quale incondizionata, egli ritiene necessario portare a<br />

conoscenza della stessa dei seguenti elementi:<br />

– esistenza di una contestazione mossa da Context Solutions<br />

s.r.l. (la cui consistenza è documentata dalla lettera dello studio<br />

Triberti e Colombo del 18 ottobre 2006, che è consegnata ai<br />

presenti in forma riservata e confidenziale ed è allegata al presente<br />

verbale sotto la lettera B;<br />

– esistenza di una contestazione mossa da Eurovita Assicurazione<br />

s.p.a. (la cui consistenza è documentata dalla comunicazione<br />

e-mail del 25 ottobre 2006, che è consegnata ai presenti<br />

in forma riservata e confidenziale ed è allegata al presente verbale<br />

sotto la lettera C;<br />

– sospensione dell’esecuzione dei contratti con CNP Capitalia<br />

Vita s.p.a. ed Eurovita Assicurazioni s.p.a. a far data dal 1 novembre<br />

2006;<br />

– avvenuta scadenza dei contratti di collaborazione a progetto<br />

con A R. e M. M.;<br />

– avvenuta scadenza dei contratti di collaborazione con la società<br />

Connexio s.r.l.».<br />

(7) Ibidem: «... prende la parola il socio Softrade com s.r.l. il quale<br />

prende atto di quanto sopra e si riserva di comunicare al Liquidatore<br />

entro brevissimo termine le proprie considerazioni».<br />

(8) Ibidem: «Il Liquidatore prende atto di tutto quanto sopra e richiede<br />

che eventuali novità giungano dagli offerenti entro 24<br />

ore dal termine dell’assemblea.<br />

Nessuno chiede la parola e il Presidente dichiara chiusa l’odierna<br />

riunione alle ore 11.55.»<br />

764 Le Società 7/2012


pagamento del prezzo sarebbe stata corredata da fideiussione<br />

a prima richiesta e che l’acquisto doveva intendersi<br />

comprensivo di debiti e crediti e che per il resto si<br />

confermava la proposta come descritta in precedenza;<br />

7) che l’impatto economico dell’eventuale recesso dell’acquirente<br />

dai contratti in essere, o di un eventuale suo<br />

inadempimento, aveva quindi avuto un peso non trascurabile<br />

per la scelta dell’acquirente, tanto più considerando<br />

che al momento della valutazione Softrade risultava<br />

non aver depositato i bilanci degli ultimi due esercizi<br />

(2004 e 2005), con ciò dimostrando incapacità di corretto<br />

funzionamento e di dar conto della solidità patrimoniale<br />

e finanziaria proprio agli effetti dei rischi che il<br />

liquidatore doveva valutare;<br />

8) che quanto al diritto di informazione del socio il liquidatore<br />

aveva messo a disposizione tutti i documenti<br />

richiesti, sia nel corso di due ispezioni sia attraverso le risposte<br />

fornite ad apposite domande (cfr. doc. n. da 22 a<br />

25 di parte convenuta B.) .<br />

5) Le valutazioni di questo Tribunale sul tema della responsabilità<br />

del liquidatore B.<br />

Vi è da osservare, preliminarmente, come sia da respingere<br />

l’affermazione attorea in base alla quale il pronunciamento<br />

di revoca del liquidatore emanato dalla Corte<br />

d’appello, con le motivazioni sopra analizzate, costituisca<br />

un giudicato interno ai fini della decisione della presente<br />

controversia. In sede di volontaria giurisdizione infatti si<br />

sono operate valutazioni dei contrapposti interessi al fine<br />

precipuo di garantire il buon governo della liquidazione<br />

societaria da parte di un soggetto imparziale e competente.<br />

Le statuizioni contenute in un provvedimento di volontaria<br />

giurisdizione, non avente forma di sentenza,<br />

non hanno mai carattere vincolante in termini di giudicato,<br />

anche implicito, trattandosi di provvedimenti interinali<br />

e ordinatori (di tipo amministrativo) che non incidono<br />

sulle singole posizioni soggettive, volendo essi regolare<br />

solo interessi di rilievo pubblico e generale. Pertanto<br />

il giudice in fase contenziosa, dovendo invece disporre<br />

dei diritti delle parti, non è certamente vincolato<br />

dalle argomentazioni svolte nell’ambito di un procedimento<br />

non idoneo a incidere sui diritti soggettivi, potendo<br />

semmai tenerne conto solo al fine di svolgere una<br />

più compiuta valutazione delle singole posizioni soggettive<br />

in contesa.<br />

I principi di diritto affermati dalla Corte d’Appello, per<br />

quanto astrattamente corretti in tema di descrizione dei<br />

doveri generalmente gravanti sul liquidatore di società<br />

di capitali, in termini di buona amministrazione e di<br />

buon governo societario, tuttavia, non paiono sufficientemente<br />

rappresentativi di tutte le considerazioni che<br />

vengono normalmente richieste al liquidatore allorché<br />

deve effettuare una scelta del percorso per ottenere il<br />

migliore realizzo dell’attività da liquidare.<br />

Da un lato, infatti, occorre considerare che i principi affermati<br />

in relazione alla responsabilità del liquidatore devono<br />

essere orientati secondo un’ interpretazione delle<br />

norme che regolano la fase di liquidazione delle società<br />

di capitali che tenga conto della finalità di soddisfazione<br />

dei crediti che si pone come preminente su ogni altra<br />

eventuale finalità di realizzazione dello scopo sociale o di<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

immediata utilità, ove si dimostri che le ragioni dei creditori<br />

non siano state ancora soddisfatte. Difatti, in questa<br />

fase l’interesse dei soci al migliore realizzo dei beni<br />

può ricevere una compressione a fronte di quello dei creditori<br />

di vedere soddisfatti i propri crediti: e tra queste<br />

obbligazioni rientrano anche quelle di vedere garantita<br />

la residuale possibilità di prosecuzione ed esecuzione dei<br />

contratti in essere con l’azienda oggetto della cessione a<br />

fini liquidatori, soprattutto allorquando ci si deve confrontare<br />

con contratti di prestazione di servizi a durata<br />

continuativa, come nel caso in questione.<br />

Nel caso che ci occupa, in particolare, si trattava di dovere<br />

dare massima garanzia ai creditori sociali - i committenti<br />

del software costituente l’unico asset di valore<br />

della società - di dover fornire una corretta installazione<br />

e manutenzione del software creato con l’apporto prevalente<br />

dei due soci (odierni convenuti) le cui prestazioni<br />

personali, per effetto dei dissidi sociali interni nati con<br />

la società attrice (la finanziatrice della società), non erano<br />

più in grado di essere assicurate. La fase della liquidazione,<br />

pertanto, considerando il solo interesse della stessa<br />

società, doveva essere tesa a massimizzare il valore complessivo<br />

del patrimonio aziendale al fine del soddisfacimento<br />

delle ragioni dei creditori sociali, e non solo a velocizzare<br />

la fase di mera monetizzazione degli assets costituenti<br />

il suo patrimonio: la realizzazione di quest’ultimo<br />

scopo, come correttamente osservato dal Tribunale in<br />

sede di volontaria giurisdizione, era a rischio se i creditori<br />

avessero successivamente fatto valere le ragioni correlate<br />

a un eventuale inadempimento delle obbligazioni da<br />

parte della società acquirente, ai sensi dell’art. 2558 c.c.<br />

che stabilisce la responsabilità solidale della società cedente.<br />

Un’interpretazione in tal senso, in termini di doveri e<br />

poteri del liquidatore, si ricava non solo dalle norme che<br />

governano la fase di liquidazione (art. 2487 c.c.) in funzione<br />

del suo miglior realizzo, ma anche da quelle che<br />

stabiliscono il principio generale della postergazione delle<br />

ragioni dei soci rispetto a quelle dei creditori (2491<br />

c.c.). La forza dispositiva di tale principio si evince certamente<br />

laddove la norma di cui all’art. 2491 c.c., al secondo<br />

comma, dispone che il liquidatore non può ripartire<br />

tra i soci acconti sul risultato della liquidazione, salvo<br />

che dai bilanci risulti che la ripartizione non incida<br />

sulla disponibilità di somme idonee all’integrale tempestiva<br />

soddisfazione dei creditori sociali; un’interpretazione<br />

in tal senso si offre anche quando si considera che la<br />

medesima norma dispone che i liquidatori possono condizionare<br />

la ripartizione alla prestazione da parte del socio<br />

di idonee garanzie.<br />

Non pare pertanto irragionevole che il liquidatore, nell’esercizio<br />

dei suoi ampi poteri discrezionali offerti dal tenore<br />

delle norme citate, abbia preferito l’opzione della<br />

cessione dell’azienda (con scorporo dei crediti e dei debiti<br />

pregressi maturati) in favore della società neocostituita<br />

dai due soci che avevano le qualità professionali adeguate<br />

per portare a termine i contratti in corso, salvaguardando<br />

così ogni suo potere di controllo sulle posizioni<br />

attive e passive già maturate al fine di evitare eventuali<br />

onerose rivendicazioni dei creditori sociali dopo il pas-<br />

Le Società 7/2012 765


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

saggio dell’azienda nelle mani di terzi soggetti. Ragionando<br />

quindi anche solo in astratto, in riferimento alle<br />

norme richiamate, il difficile compito di bilanciamento<br />

tra gli opposti interessi in gioco ha richiesto al liquidatore<br />

un’attenta valutazione tanto dei limiti temporali della<br />

continuazione dell’attività d’impresa, quanto dei limiti<br />

di prezzo per la cessione d’azienda: bilanciamento che il<br />

liquidatore sembra avere fatto indicendo una gara tra gli<br />

offerenti e sottoponendo le offerte alla valutazione di un<br />

esperto.<br />

Dall’altro lato, l’indagine sugli esiti finali della liquidazione<br />

conduce a porre l’attenzione non solo ai valori numerici<br />

e monetari di puro profitto e di immediato realizzo<br />

dei cespiti aziendali, ma anche al rilievo dei contrapposti<br />

interessi che eventualmente si frappongono nella<br />

fase della scelta, con ciò per nulla affidata al solo giudizio<br />

prognostico e inevitabilmente soggettivo del liquidatore.<br />

Pertanto, qualora possa in ipotesi emergere anche il<br />

semplice sospetto che il ricavato di negozi immediatamente<br />

disponibili possa non risultare in futuro sufficiente<br />

ai fini della soddisfazione dei crediti sociali attuali e<br />

futuri, secondo questa ampia prospettiva, sarebbe pur<br />

sempre nella facoltà del liquidatore di subordinare la<br />

prevista operazione di liquidazione dei cespiti aziendali<br />

alla prestazione di idonee garanzie di riparazione da parte<br />

del socio o terzo beneficiario.<br />

Da quanto sopra si ricava, come logico corollario, che il<br />

contesto nell’ambito del quale viene effettuato il lavoro<br />

di stima del liquidatore, delimitante lo spazio del suo libero<br />

arbitrio, implica necessariamente l’esistenza di un<br />

rischio strutturale. Si può infatti giungere a valutazioni<br />

‘‘ragionevoli’’ che tuttavia possono prima facie apparire<br />

non oggettive o assolutamente corrette. Molti infatti sono<br />

i fattori che possono giocare ex post a favore o sfavore<br />

della procedura di liquidazione e che possono essere considerati<br />

variabili indipendenti rispetto sia all’operato del<br />

liquidatore, sia alla realtà dell’azienda da liquidare. Prima<br />

di tutto incide il ‘‘mercato’’ di riferimento che, nelle<br />

situazioni delle piccole medie imprese è spesso caratterizzato<br />

da pochi elementi numerici di confronto e, potenzialmente,<br />

da una forte situazione di asimmetria informativa<br />

tra il liquidatore, soprattutto se di nomina giudiziale,<br />

e i potenziali acquirenti di parte o di tutte le attività<br />

aziendali, i quali solitamente sono operatori che agiscono<br />

in quel particolare mercato. Ne segue che, per definizione,<br />

il mercato di riferimento non è intrinsecamente<br />

‘‘efficiente’’ e i prezzi in esso determinati dipendono fortemente<br />

dalle caratteristiche dei singoli operatori che di<br />

volta in volta vi si affacciano. Il meccanismo dell’asta<br />

competitiva cerca di assorbire e risolvere questa criticità.<br />

Tuttavia le difficoltà, anche psicologiche, dell’adesione<br />

di terzi estranei a detto meccanismo ne riducono la potenziale<br />

efficacia.<br />

Conviene pertanto evidenziare che il liquidatore, pur<br />

dovendo agire in un contesto alquanto incerto e scivoloso<br />

dato dalla mancanza di prospettive di continuità dell’azienda<br />

gestita da una società in stato di scioglimento,<br />

tuttavia deve esprimere necessariamente una sola valutazione,<br />

dovendo privilegiare anche in termini probabilistici<br />

l’ipotesi, tra quelle che si affacciano, che ragione-<br />

volmente risulta realizzabile in concreto ai fini di una<br />

pronta e sicura liquidazione. Non pare pertanto corretto<br />

considerare plausibile uno stravolgimento ex post della<br />

prospettiva di indagine che avalli la possibilità di giudicare<br />

la bontà del lavoro svolto dal liquidatore in funzione<br />

di parametri di misurazione ex ante semplicemente<br />

non considerabili, in quanto esplicitamente indicativi di<br />

un rischio di insuccesso.<br />

Si sottolinea dunque come la valutazione sull’operato<br />

del liquidatore non possa trascurare che i liquidatori sono<br />

sempre primariamente responsabili nei confronti dei<br />

creditori sociali per i danni eventualmente subìti per effetto<br />

della violazione degli obblighi di cautela e di conservazione<br />

dei loro interessi loro imposti, vale a dire qualora<br />

essi siano rimasti insoddisfatti a causa dell’erronea<br />

valutazione della sufficienza delle somme disponibili o<br />

della mancata pretesa da parte dei soci delle opportune<br />

cautele, come stabilito espressamente al terzo comma<br />

dell’art. 2491 c.c.<br />

Analizzando il caso che ci occupa sotto questo particolare<br />

prisma, si tratta dunque di valutare la responsabilità<br />

del liquidatore alla luce del comportamento ipoteticamente<br />

esigibile alle condizioni date al tempo del lancio<br />

dell’iniziativa di vendita dell’azienda, condivisa da tutti i<br />

soci, tenendo conto di tutte le problematiche del caso<br />

presenti all’epoca, di cui lo stesso liquidatore ha dimostrato<br />

di tenere conto informandone sufficientemente<br />

l’assemblea dei soci ad ogni passo. Va infatti tenuto presente<br />

che il liquidatore, nello svolgere le sue mansioni,<br />

incontra, come un qualsiasi altro amministratore di società<br />

di capitali, il limite della c.d. business judgement rule,<br />

il quale implica che non siano posteriormente sindacabili<br />

condotte che, per quanto astrattamente produttive<br />

di un decremento patrimoniale per la società, dimostrino<br />

di essere state il portato di comportamenti assunti in<br />

adesione del canone di corretto comportamento professionale<br />

come sopra meglio descritto, tenendo conto delle<br />

circostanze valutabili al tempo del contestato inadempimento.<br />

In punto di fatto è appurato che i soci convenuti, acquirenti<br />

(per il tramite della società neocostituita) del software<br />

costituente l’asset fondamentale della società, fossero<br />

coloro che avevano ideato il software e come tali, fossero<br />

gli unici in grado di dare garanzie per i creditori (i<br />

clienti dell’azienda) di continuità e di esecuzione dei<br />

contratti in corso; il socio Softrade, di contro, era una<br />

società all’epoca non in regola con i conti e non ugualmente<br />

in grado di dare garanzie di puntuale adempimento<br />

dei contratti, non facendo capo a un socio persona fisica<br />

con uguali capacità professionali, ma solo a un capitale<br />

minimo non in grado di dare sufficienti garanzie per<br />

i creditori. Per questo motivo era più che giustificata la<br />

pretesa di ricevere da parte del socio offerente specifiche<br />

garanzie in proposito, mentre risulta incontestabile che<br />

detta richiesta sia stata evasa tardivamente da parte del<br />

legale della società proponente, in toni alquanto laconici<br />

ed evasivi, denotanti quindi l’effettivo ‘‘peso’’ di detta<br />

garanzia nell’economia del negozio di cessione di azienda<br />

da stipulare.<br />

Così ragionando, si mette in evidenza come il miglior<br />

766 Le Società 7/2012


ealizzo di un prezzo, anche con accollo di debiti e crediti<br />

da parte della società acquirente, in mancanza dell’ulteriore<br />

garanzia di adempimento delle obbligazioni contrattuali,<br />

non avrebbe dato al liquidatore piena certezza<br />

di soddisfacimento delle preminenti ragioni dei creditori<br />

della società, la quale - essendosi avviata verso una liquidazione<br />

e la cessazione dell’attività - avrebbe perso ogni<br />

potere contrattuale nei confronti dei suoi originari creditori<br />

in caso di inadempimento delle obbligazioni da parte<br />

della società acquirente.<br />

E, allora, alle condizioni date, quale garanzia di adempimento<br />

è riuscita a fornire la società Softrade esclusa? Essa<br />

si è limitata a ribadire la maggiore forza della sua offerta<br />

in termini di migliore prezzo e di acquisto di crediti<br />

e debiti, già ritenuta insufficiente. Nulla di più. E si aggiunga<br />

la considerazione che il liquidatore, allora, si doveva<br />

confrontare con una società che da due anni non<br />

presentava i bilanci all’approvazione dell’assemblea e<br />

aveva un capitale ridotto, oltre ad appartenere ad una<br />

holding estera. Ai fini liquidatori, pertanto, occorreva aggiungere<br />

anche questi elementi di incertezza che obiettivamente<br />

innalzavano in concreto il rischio di mancato<br />

raggiungimento del buon fine della cessione e compromettevano<br />

una celere ed efficiente chiusura della fase liquidatoria.<br />

Tutti i suddetti elementi rappresentavano quindi, secondo<br />

la visuale di un accorto liquidatore, fattori di rischio<br />

da valutare seriamente ai fini liquidatori, posto che la<br />

vendita al meglio dell’asset societario significava anche e<br />

soprattutto concludere un negozio al minore rischio<br />

d’impresa in fase liquidatoria: tra i compiti del liquidatore<br />

avveduto, infatti, vi sono quelli di consentire la valorizzazione<br />

massima dell’azienda ai fini liquidatori e, tra<br />

questi, non è da sottovalutare anche la necessità per la<br />

società di evitare inutili trascinamenti e ricadute negative<br />

delle cessioni delle aziende che, se implicanti rischi<br />

di azioni di rivalsa dei creditori ceduti non soddisfatti, rischiano<br />

di tenere aperte per anni procedure liquidatorie<br />

innalzandone i costi e diminuendone l’effettivo realizzo<br />

anche per gli stessi soci.<br />

Nella situazione data, pertanto, si trattava non solo di<br />

garantire un buon realizzo dei cespiti attivi ai fini della<br />

ripartizione dell’attivo tra i soci, ma soprattutto di salvaguardare<br />

l’esigenza di soddisfacimento delle ragioni dei<br />

creditori che, all’epoca, proprio in ragione della situazione<br />

di stallo creatasi all’interno della società a cagione<br />

delle liti tra i due nuclei d’interessi dei soci, non confidavano<br />

più sulla reale capacità dell’impresa di mantenere<br />

fede agli impegni presi, come pacificamente attestato<br />

in atti (v. le diffide dei creditori (9)). Un realizzo immediato<br />

in termini puramente monetari della cessione di<br />

azienda doveva quindi necessariamente essere confrontato<br />

col margine di maggior rischio o di imprevedibilità<br />

dei maggiori oneri futuri in termini di possibili ragioni<br />

creditorie che, in mancanza di ulteriori garanzie da parte<br />

del socio finanziatore, sarebbero state in grado finanche<br />

di neutralizzare l’apparente risultato positivo immediatamente<br />

ottenuto con la vendita in termini di immediata<br />

liquidità. Il socio finanziatore, pertanto, in assenza dell’offerta<br />

di adeguate garanzie di adempimento delle ob-<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

bligazioni sociali che andava ad accollarsi, non era nelle<br />

condizioni soggettive (né lo ha dimostrato nel corso del<br />

giudizio) di potere offrire garanzie di adempimento dei<br />

contratti stipulati coi committenti della società rispetto<br />

ai soci prestatori d’opera che, pur corrispondendo un minore<br />

prezzo, essi stessi offrivano quali ideatori e manutentori<br />

del software.<br />

Non si trattava, quindi, solo di dovere valorizzare l’apporto<br />

dei soci prestatori d’opera ai fini della valutazione<br />

della congruità della cessione al prezzo da questi offerto,<br />

in modo da assicurare non solo il soddisfacimento delle<br />

pretese nascenti dai contratti rimasti parzialmente inadempiuti<br />

a causa della situazione di stallo creatasi a causa<br />

del dissidio interno tra i soci, ma anche di considerare<br />

il valore aggiunto portato dai medesimi che si proponevano<br />

come gli unici soggetti in grado di portare a termine<br />

i contratti ancora in essere e di mantenere i committenti,<br />

consentendo pertanto una serena e celere chiusura<br />

della fase liquidatoria. Su questo ultimo punto, giova ripeterlo,<br />

la società Softrade ha solo riferito di essere in<br />

grado di offrire garanzie. Ma, come si è anzidetto, non si<br />

trattava di esserlo veramente, ma di dimostrarlo al liquidatore:<br />

cosa che non è stata fatta. Anzi gli indici offerti<br />

da Softrade al riguardo, dal punto di vista del liquidatore<br />

‘‘accorto e avveduto’’, erano quelli di una società a capitale<br />

di rischio minimo e con i conti non a posto da due<br />

anni.<br />

Le suesposte valutazioni risultano di rilievo assorbente<br />

sulle altre possibili considerazioni in ordine alla regolarità<br />

e correttezza della procedura seguita dal liquidatore<br />

nella raccolta delle offerte e nella loro progressiva valu-<br />

Nota:<br />

(9) V. doc. n. 8 del fascicolo del convenuto Bignami, diffida Eurovita<br />

inviata per e-mail a firma della sig. N. del 6 novembre<br />

2006: «... Relativamente alla Sua, (riferito al liquidatore Bignami),<br />

ultima comunicazione inerente la sospensione delle attività<br />

di assistenza presso di noi, purtroppo non è più sufficiente la<br />

speranza di una pronta soluzione, in quanto è dal mese di Settembre<br />

che attendiamo le conseguenze della possibile acquisizione<br />

di ForValue, sia per il buon esito del progetto che per i necessari<br />

sviluppi futuri (ad esempio la definizione del contratto di<br />

manutenzione). Per tutto ciò sopra descritto ulteriori 10 giorni di<br />

ritardo e la contemporanea sospensione delle attività di progetto<br />

ci pongono in seria difficoltà per il raggiungimento dell’obbiettivo<br />

di fine anno che Lei ben conosce.<br />

Le comunichiamo quindi che, in mancanza di rapide comunicazioni<br />

da parte Sua che sblocchino la situazione, ci vedremo costretti<br />

ad adire prontamente alle vie legali»; v. altresì doc. n. 12<br />

del fascicolo del convenuto Bignami: « ... Siamo con la presente<br />

a ricordarLe:<br />

– la mancanza di risposta alle nostre e-mail sulla situazione del<br />

software installato (Applicativo Labatt)<br />

– la reiterata mancanza agli impegni da lei presi in termini di<br />

tempi di chiusura della liquidazione<br />

– la conseguente mancanza di reintegro del gruppo di lavoro così<br />

come da contratto stabilito<br />

– la situazione di elevato rischio per la gestione del portafoglio<br />

della compagnia, alla quale siamo giunti a causa di quanto sopra<br />

ricordato.<br />

È nostra intenzione attivarci con le azioni che riterremo più opportune<br />

per salvaguardare gli interessi della nostra compagnia»,<br />

e-mail datata 16 novembre 2006 a firma del dott. S. direttore<br />

dei sistemi informativi di CNP Capitalia Vita s.p.a.<br />

Le Società 7/2012 767


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

tazione. Pur tuttavia, sul quomodo dell’operato del liquidatore,<br />

in senso a lui favorevole si deve aggiungere che:<br />

non risulta che il liquidatore sia stato affrettato e precipitoso<br />

nello scegliere i il migliore offerente proprio perché<br />

le proposte sono state sempre vagliate in sede assembleare<br />

e si è dato tempo ai candidati offerenti di dare<br />

prova dei requisiti richiesti dallo stesso liquidatore, mentre<br />

l’offerta di Softrade è stata sicuramente tardiva e lacunosa;<br />

il mandato dato al perito prof. M.V., ai fini della valutazione<br />

della congruità delle offerte, teneva conto delle offerte<br />

presentate per tempo e delle garanzie in concreto<br />

ricevute, data l’aleatorietà di una valutazione astratta<br />

dell’azienda soprattutto in assenza di un mercato di riferimento<br />

al di là delle offerte presentate: la società Softrade<br />

infatti ritiene apoditticamente che la sua offerta corrispondeva<br />

al prezzo di mercato ma, come si è visto, la valutazione<br />

non può essere riferita solo a questo dato, del<br />

tutto incerto in termini astratti e oggettivi, ma alle garanzie<br />

date dagli offerenti e all’affidabilità generale dei<br />

contraenti;<br />

il giudizio affidato in concreto al perito ex post era del<br />

tutto giustificato dalla mancanza di un mercato diverso<br />

dalle offerte ricevute, posto che lo stesso liquidatore era<br />

un professionista in grado di valutare ex ante la congruità<br />

delle offerte rispetto a un supposto valore di mercato, e<br />

tale si è dimostrato in ogni fase del procedimento di offerta<br />

di vendita dell’azienda;<br />

la perizia (perizia R.) offerta a supporto delle sue ragioni<br />

da Softrade indica il valore della società in E<br />

2.200.000,00 alla data di inizio dell’attività di liquidazione,<br />

senza specificarne né la data di riferimento né la pertinenza<br />

di una così ampia valutazione in relazione alla<br />

necessità di vendita della sola azienda: difatti azienda e<br />

società sono concetti ed istituti ben diversi sia nella disciplina<br />

codicistica che nella materia economica e aziendalistica;<br />

inoltre, la valutazione di un’azienda si fa sempre<br />

in riferimento alle concrete risultanze del mercato<br />

dei potenziali acquirenti, mentre la valutazione di una<br />

società fa riferimento al valore di mercato delle partecipazioni<br />

detenute dei soci; si consideri poi che all’interno<br />

del complesso aziendale oggetto della proposta cessione<br />

non era ricompresa l’opera degli ideatori del software, e<br />

ciò per espressa volontà di questi ultimi manifestata al liquidatore<br />

dall’inizio fino al momento di cessione dell’azienda;<br />

IL COMMENTO<br />

di Leonardo Di Brina<br />

la valutazione della società di consulenza Value & Partners<br />

in oltre tre milioni di euro per l’intero compendio<br />

societario è ugualmente inattendibile per le stesse ragioni<br />

di cui sopra, e anche risalente nel tempo (30 maggio<br />

2005), trattandosi di una proposta in bozza di acquisto<br />

di quote della società del tutto generica e priva di data<br />

certa, con valutazioni collegate a consistenti aumenti di<br />

capitale mai avvenuti nella realtà;<br />

le richieste di garanzia del liquidatore non erano certamente<br />

oziose e pretestuose nella situazione di inadempimento<br />

alle obbligazioni sociali in cui versava la società;<br />

la società Softrade non ha chiesto una proroga del termine<br />

ultimo indicato dal liquidatore per presentare le garanzie,<br />

limitandosi a ritenere valide e soddisfacenti le garanzie<br />

prestate;<br />

il fatto che i due soci competitori, preferiti a Softrade,<br />

fossero legati ai clienti della società in forza di separati<br />

contratti di assistenza e manutenzione non dimostra di<br />

per sé che essi abbiano agito in conflitto d’interessi, bensì<br />

solamente che essi erano in grado già solo per questo<br />

di offrire maggiori garanzie di esecuzione dei contratti in<br />

corso;<br />

l’esaurimento dei contratti in corso sono poi andati effettivamente<br />

a favore della società in liquidazione, e non<br />

della società acquirente (tale posta attiva vale da sola E<br />

240.000,00);<br />

la stipula di un esonero di responsabilità da parte del liquidatore<br />

nel corso del mandato ricevuto certamente<br />

non costituisce un’implicita ammissione di responsabilità,<br />

trattandosi di una clausola di stile non valevole a<br />

esonerarlo dalla responsabilità per fatti illeciti specifici.<br />

Mancando ogni elemento di responsabilità in capo al liquidatore<br />

per la cessione di azienda, viene conseguentemente<br />

meno ogni interesse a ottenere una pronuncia anche<br />

sulle questioni di legittimazione attiva dell’attore riguardo<br />

alle collegate ulteriori domande svolte nei confronti<br />

della società che ha acquisito l’azienda (azione di<br />

annullamento del contratto concluso in conflitto d’interessi)<br />

e sulle azioni risarcitorie svolte nei confronti dei<br />

soci convenuti in corresponsabilità. le suddette domande,<br />

infatti, presuppongono l’accertamento di un danno<br />

sociale conseguente alla condotta del liquidatore che, in<br />

realtà, non si è realizzato.<br />

(omissis).<br />

La sentenza del Tribunale di Milano tocca il delicato tema della latitudine dei poteri del liquidatore di società<br />

di capitali, individuando gli interessi correlati alla vicenda liquidativa e i criteri di giudizio circa la sua responsabilità,<br />

con riguardo agli atti gestori non immediatamente funzionali alla realizzazione dell’attivo sociale secondo<br />

il criterio della massimizzazione del risultato per i soci.<br />

768 Le Società 7/2012


Premessa<br />

Il Tribunale di Milano ha pronunciato la sentenza,<br />

qui commentata, in esito all’azione di responsabilità,<br />

promossa nei confronti dell’ex liquidatore<br />

dalla società in liquidazione e dal socio (al 50%) ai<br />

sensi dell’art. 2476 c.c., per il risarcimento del danno<br />

causato dalla vendita del marchio e dell’azienda<br />

(costituita, in sostanza, da un software, unico asset<br />

aziendale) della società medesima ad un prezzo ritenuto<br />

non conveniente. Il tema cruciale della controversia<br />

(che aveva determinato anche la revoca<br />

giudiziale del liquidatore, per gli stessi fatti, posti a<br />

base dell’azione di responsabilità) riguarda la circostanza<br />

che la cessione sia avvenuta in favore di una<br />

società costituita appena 21 giorni prima da altri<br />

soci (ed ex amministratori) della società in liquidazione,<br />

per un corrispettivo (E 500.000,00) inferiore<br />

rispetto a quello offerto dall’attrice (E 800.000,00),<br />

ma con diversa modalità di accollo di debiti e crediti.<br />

La preferenza era stata accordata in base a considerazioni<br />

attinenti all’esigenza di soddisfare l’interesse<br />

di altra impresa, creditrice dei servizi erogati<br />

dalla società in liquidazione.<br />

Nel trattare in via preliminare i profili attinenti<br />

alla sussistenza della responsabilità in capo al liquidatore<br />

convenuto (profili ritenuti pregiudiziali rispetto<br />

alle altre domande svolte nel giudizio), il<br />

Tribunale ha ritenuto che, nella fase di liquidazione,<br />

ai liquidatori è riconosciuta una competenza gestoria<br />

ampia che li rende arbitri nello scegliere i<br />

tempi, i modi e le condizioni della realizzazione dell’attivo<br />

sociale, con le uniche limitazioni che possono<br />

derivare dall’atto costitutivo o dalla deliberazione<br />

dell’assemblea che li nomina. Uno dei criteri<br />

guida dell’azione dei liquidatori è rappresentato dalla<br />

valutazione comparativa degli interessi dei soci e<br />

dei creditori. Ad avviso del Tribunale, sia i soci sia<br />

i creditori hanno interesse alla realizzazione del<br />

massimo attivo, ma i secondi avrebbero un interesse<br />

prevalente alla più rapida liquidazione del patrimonio<br />

societario, mentre i primi potrebbero pretendere<br />

che la dismissione dei beni sociali avvenga<br />

con modalità che tengano prioritariamente presenti<br />

le esigenze di miglior soddisfacimento dei propri<br />

crediti. Sicché, nell’ipotesi di conflitto tra i due interessi,<br />

dovrà inevitabilmente prevalere quello dei<br />

creditori sociali.<br />

La sentenza reputa che «la finalità di soddisfazione<br />

dei crediti» si ponga «come preminente su ogni<br />

altra eventuale finalità di realizzazione dello scopo<br />

sociale o di immediata utilità, ove si dimostri che le<br />

ragioni dei creditori non siano state ancora soddi-<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

sfatte». In conseguenza, «l’interesse dei soci al migliore<br />

realizzo dei beni può ricevere una compressione<br />

a fronte di quello dei creditori di vedere soddisfatti<br />

i propri crediti». Tra i creditori sociali meritevoli<br />

di ricevere la massima garanzia in fase liquidativa<br />

il Tribunale colloca «i committenti del software<br />

costituente l’unico asset di valore della società».<br />

La prevalenza dell’interesse dei creditori rispetto<br />

a quello dei soci è desunta dal principio generale<br />

della postergazione delle ragioni dei soci rispetto a<br />

quelle dei creditori, che «si evince certamente laddove<br />

la norma di cui all’articolo 2491 c.c., al secondo<br />

comma, dispone che il liquidatore non può<br />

ripartire tra i soci acconti sul risultato della liquidazione,<br />

salvo che dai bilanci risulti che la ripartizione<br />

non incida sulla disponibilità di somme idonee<br />

all’integrale tempestiva soddisfazione dei creditori<br />

sociali», disponendo altresì che i liquidatori possono<br />

condizionare la ripartizione alla prestazione da<br />

parte del socio di idonee garanzie.<br />

A queste considerazioni, specificamente attinenti<br />

alla ponderazione degli interessi coinvolti nella fase<br />

liquidativa, il Tribunale fa seguire l’osservazione<br />

che il sindacato sulla responsabilità del liquidatore,<br />

per lo svolgimento delle sue mansioni, incontra, al<br />

pari di quanto avviene per gli amministratori, il limite<br />

della c.d. business judgement rule, «il quale implica<br />

che non siano posteriormente sindacabili condotte<br />

che, per quanto astrattamente produttive di<br />

un decremento patrimoniale per la società, dimostrino<br />

di essere state il portato di comportamenti assunti<br />

in adesione del canone di corretto comportamento<br />

professionale (...) tenendo conto delle circostanze<br />

valutabili al tempo del contestato inadempimento».<br />

Alla luce di queste considerazioni, il Tribunale<br />

ha respinto l’azione di responsabilità, ritenendo che<br />

il liquidatore avesse correttamente adempiuto i suoi<br />

doveri gestori, nel prescegliere la soluzione che, pur<br />

non facendo conseguire nell’immediato il miglior<br />

prezzo realizzabile, forniva tuttavia maggior garanzia<br />

di adempimento delle obbligazioni contrattuali,<br />

dando al liquidatore piena certezza di soddisfacimento<br />

delle preminenti ragioni dei creditori della<br />

società.<br />

La sentenza delinea la gerarchia degli interessi<br />

coinvolti nella fase liquidativa della società di capitali<br />

secondo una graduatoria che sembrerebbe<br />

anteporre i diritti dei creditori (il cui oggetto sia<br />

una somma ovvero, come nel caso in esame, un facere)<br />

rispetto a quelli dei soci almigliorrealizzo<br />

dei beni sociali. Il valore dell’affermazione di prin-<br />

Le Società 7/2012 769


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

cipio, tuttavia, è nel contesto della motivazione<br />

temperato dal fatto che, in ultima analisi, anche<br />

quel criterio gerarchico è comunque espressione<br />

del principio generale del perseguimento di un più<br />

proficuo risultato di liquidazione, al riparo dai rischi<br />

che la disgregazione dell’azienda sociale potrebbe<br />

determinare.<br />

Appare interessante, sotto questo profilo, osservare<br />

come, accanto a quelli tradizionalmente catalogati,<br />

la sentenza commentata sembri identificare<br />

anche altri interessi di creditori (titolari di rapporti<br />

in corso di esecuzione), cui l’immediata dissoluzione<br />

del compendio aziendale o la sua sollecita alienazione,<br />

potrebbe risultare nociva, pervenendo ad<br />

un’affermazione di principio della prevalenza dell’interesse<br />

dei creditori rispetto a quello dei soci,<br />

con postergazione delle ragioni dei secondi rispetto<br />

a quelle dei primi. Principio immanente che la sentenza<br />

desume da norme in materia di liquidazione<br />

(art. 2491 c.c.) che ne sarebbero l’emersione.<br />

Ma - come già osservato - il rilevato criterio gerarchico<br />

appare piuttosto un obiter dictum che un<br />

principio dotato di effettivo valore decisorio, considerato<br />

che quel criterio confluisce comunque nel<br />

generale e consueto canone di corretto comportamento<br />

professionale, che disciplina la condotta sia<br />

degli amministratori sia del liquidatore, alla luce<br />

del quale quei Giudici hanno positivamente valutato<br />

il comportamento del liquidatore e, conseguentemente,<br />

hanno respinto l’azione proposta nei suoi<br />

confronti.<br />

Gli interessi implicati nella liquidazione<br />

delle società di capitali<br />

L’affermazione, sia pur incidenter tantum, di una<br />

gerarchia di interessi e di una loro comparativa valutabilità<br />

in sede di liquidazione fornisce lo spunto<br />

per un’analisi del tema, alla luce delle innovazioni<br />

introdotte dalla riforma del diritto societario.<br />

La sentenza tocca profili che hanno da tempo attratto<br />

l’attenzione della dottrina, la quale non ha<br />

mancato di rilevare la molteplicità degli interessi<br />

sottesi al verificarsi di un evento produttivo dello<br />

scioglimento della società, allo svolgimento della<br />

procedura di liquidazione del patrimonio sociale e<br />

all’approdo dell’ente alla definitiva sua estinzione.<br />

A questi momenti della parabola societaria sono<br />

egualmente interessati, sia pure in prospettive diverse<br />

e talvolta potenzialmente contrapposte, i soci,<br />

i creditori particolari dei soci ed i creditori della società,<br />

senza che vi rimangano poi estranei interessi<br />

pubblici (1).<br />

Con riferimento alla disciplina societaria previgente,<br />

si era rilevato che l’interesse più ‘‘diretto’’<br />

fosse quello dei soci ad una liquidazione spedita<br />

e soprattutto quanto più proficua possibile,<br />

in connessione del generale intento lucrativo,<br />

che caratterizza l’investimento delle risorse (e,<br />

conseguentemente, il loro disinvestimento, una<br />

volta esaurita la vicenda societaria). Parallelamente,<br />

i creditori sociali hanno interesse a che,<br />

determinandosi lo scioglimento della società,<br />

questa cessi di operare, e con ciò di «rischiare»,<br />

nonché ad ottenere una pronta e proficua monetizzazione<br />

di ogni suo avere, al fine di onorare tutti<br />

i suoi impegni (2).<br />

Si era avvertito che, mentre per la generalità dei<br />

creditori la dissoluzione liquidativa dell’organizzazione<br />

aziendale della società è sostanzialmente indifferente<br />

(qualora la conservazione del compendio<br />

non appaia funzionale ad una più rapida e proficua<br />

alienazione dei beni sociali), possono tuttavia sussistere<br />

categorie di creditori, la cui posizione è tale<br />

da indurli a nutrire diversa attesa riguardo a quella<br />

vicenda dissolutiva: a questa categoria appartengono<br />

i lavoratori dipendenti della società, in genere<br />

interessati a che la liquidazione non si apra e non si<br />

svolga a discapito dell’organizzazione aziendale provocandone<br />

quella disgregazione che - indifferente<br />

per i soci e per i loro creditori, come pure per gli altri<br />

creditori sociali - per essi significa invece la perdita<br />

del posto di lavoro (3).<br />

Queste prime notazioni consentono di rilevare<br />

come l’indicazione di principio, che emerge dalla<br />

disposizione menzionata dal Tribunale di Milano<br />

(4), debba essere calata nel più ampio universo<br />

delle norme che regolano i poteri dei liquidatori,<br />

Note:<br />

(1) In questi termini, v. Niccolini, Interessi pubblici e interessi<br />

privati nella estinzione della società, Milano, 1990, 23.<br />

(2) Niccolini, Interessi pubblici e interessi privati, cit., 24, il quale<br />

richiama altresì, a questo riguardo, un generale interesse «pubblico»<br />

a che la liquidazione abbia luogo speditamente, giacché<br />

la condizione in cui versa la società che, sciolta, non procede alla<br />

liquidazione, o la cui liquidazione non segna progresso alcuno,<br />

costituisce una situazione irregolare che sarebbe interesse generale<br />

eliminare.<br />

(3) Cfr. Weigmann, La liquidazione delle società davanti al giudice<br />

del lavoro, Milano, 1985, passim.<br />

(4) L’art. 2491, comma 2, in vero, potrebbe prestarsi ad una opposta<br />

lettura, ove si ponga mente al fatto che nella distribuzione<br />

di acconti sul risultato della liquidazione (sia pur accompagnata<br />

dalla prestazione di idonee garanzie) potrebbe ravvisarsi una sostanziale<br />

attenuazione della posizione dei creditori rispetto a<br />

quella dei soci, per l’oggettivo incremento del rischio di un loro<br />

mancato soddisfacimento, intrinsecamente connesso all’anticipato<br />

soddisfacimento (sia pur parziale) dell’interesse dei primi.<br />

770 Le Società 7/2012


per tener conto dell’intera gamma delle istanze<br />

coinvolte nella liquidazione.<br />

Con la riforma del diritto societario, le innovazioni<br />

normative hanno riacceso il dibattito circa<br />

l’assetto degli interessi ai quali deve ispirarsi la gestione<br />

della società in sede di liquidazione. Pur<br />

sottolineandosi che la gestione nella fase liquidativa<br />

è svolta, non meno che in quella attiva, nell’interesse<br />

esclusivo del soci, tuttavia il soddisfacimento<br />

di questo interesse è normativamente subordinato<br />

alla soddisfazione di quello dei creditori sociali<br />

(5), potendo i soci appropriarsi esclusivamente<br />

del risultato netto della gestione, che naturalmente<br />

presuppone l’integrale soddisfacimento dei<br />

debiti della società. Nella fase di liquidazione,<br />

dunque, la priorità degli interessi dei creditori assume<br />

rilevanza logica, in quanto i soci in tanto<br />

possono realizzare il loro interesse, in quanto si sia<br />

già realizzato quello dei creditori. Il che riverbera i<br />

suoi effetti sul piano cronologico e procedimentale,<br />

caratterizzando la gestione liquidatoria, che si<br />

rivela diretta alla cura degli interessi dei soci e di<br />

essi soltanto (6).<br />

I poteri dei liquidatori di società di capitali<br />

Nel trasporre il ragionamento dal piano meramente<br />

funzionale a quello della disciplina, la sentenza<br />

rileva che il giudizio circa il corretto esercizio<br />

dell’attività gestoria in fase liquidativa implica la<br />

valutazione della latitudine dei poteri del liquidatore,<br />

allorché - come nel caso esaminato dal Tribunale<br />

- a lui venga contestato di aver esorbitato dai<br />

suoi poteri, per aver tenuto conto di una più ampia<br />

sfera di interessi rispetto a quella dei soci ed al loro<br />

interesse alla massima realizzazione dei beni sociali.<br />

Il tema è quindi essenzialmente quello di definire,<br />

alla stregua del dato positivo, quale sia il canone<br />

del comportamento professionale del liquidatore,<br />

entro il quale si collochi il contemperamento di<br />

quegli interessi.<br />

La riforma del diritto societario ha indubbiamente<br />

innovato il profilo gestorio della liquidazione.<br />

L’art. 2489 c.c., eliminato il discusso divieto di<br />

nuove operazioni (7), attribuisce ai liquidatori il<br />

potere di compiere «tutti gli atti utili per la liquidazione<br />

della società», salvo diversa disposizione fornita<br />

dai soci, in sede statutaria o di delibera di nomina<br />

(8). Ma il nuovo enunciato normativo sembra<br />

aver solo spostato l’angolo prospettico della dialettica<br />

tra le diverse dimensioni gestorie (sintetizzato,<br />

dalla previgente disciplina, nel binomio operazioni<br />

nuove e operazioni che tali non sono), forse<br />

anche aggravandola con norme, di cui non sempre<br />

è agevole armonizzare il valore precettivo.<br />

Se da un canto l’art. 2489, comma 1, sembrerebbe<br />

richiedere, per integrare il canone liquidativo,<br />

l’individuazione del requisito dell’«utilità», anche<br />

al fine di stabilire se esso coincida con quello della<br />

«necessità» di cui all’art. 2278, richiamato dal previgente<br />

art. 2452, comma 2, d’altra parte, il coordinamento<br />

con l’art. 2487, comma 1, lett. c) impone<br />

una ben più complessa valutazione, perché la norma<br />

parrebbe riservare all’assemblea dei soci il potere<br />

di autorizzare il compimento di determinate attività,<br />

quali la cessione totale o parziale dell’azienda<br />

nonché la conservazione del valore dell’impresa, ivi<br />

compreso il suo esercizio provvisorio (ma nei soli limiti<br />

degli atti «necessari»). Il che, in definitiva, riverbera<br />

i suoi effetti sul concetto stesso di «liquidazione»,<br />

che potrebbe diversamente atteggiarsi secondo<br />

che la sfera degli atti utili comprenda oppure<br />

no quelli, la cui attuazione sia - in ipotesi - subordinata<br />

all’autorizzazione assembleare; non solo, ma<br />

quella sfera potrebbe essere anche influenzata dalla<br />

ricostruzione dei poteri attribuiti dall’assemblea, la<br />

cui autorizzazione potrebbe non estendersi ad attività<br />

che, pur funzionali alla conservazione e alla più<br />

proficua liquidazione del complesso aziendale, non<br />

siano tuttavia strettamente «necessarie» ai fini di<br />

una più proficua cessione in blocco.<br />

La ridondante formulazione dell’art. 2487, comma<br />

2, lett. c) è parsa conferire all’assemblea un penetrante<br />

ruolo conformativo del potere gestorio dei<br />

liquidatori, con la previsione di una delibera che<br />

delinei i criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione,<br />

conferendo anche ai liquidatori specifici<br />

poteri, con particolare riguardo alla cessione dell’azienda<br />

sociale, di rami di essa, ovvero anche di<br />

singoli beni o diritti, o blocchi di essi, nonché alla<br />

specificazione degli atti necessari per la conservazione<br />

del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio<br />

provvisorio, anche per singoli rami, in funzione<br />

del migliore realizzo. Ciò ha indotto, in particolare,<br />

il dubbio se, in assenza di un previo pronun-<br />

Note:<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

(5) Su questi temi, v. in particolare Ferri jr, La gestione di società<br />

in liquidazione, inRiv. dir. comm., 2003, I, 421 ss.<br />

(6) Così Ferri jr, La gestione di società in liquidazione, cit., 423.<br />

(7) Per riferimenti all’ampio dibattito circa i poteri dei liquidatori,<br />

nel vigore dell’abrogata disciplina v. Di Brina, La responsabilità<br />

per le nuove operazioni successive allo scioglimento delle società<br />

per azioni, Milano, 1996.<br />

(8) Sull’articolazione dei poteri dei liquidatori cfr. Rossi A., Sub<br />

art. 2489, in A. Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società,<br />

III, Padova, 2005, 2237.<br />

Le Società 7/2012 771


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

ciamento assembleare, la prosecuzione dell’attività<br />

d’impresa possa considerarsi rientrante nei poteri<br />

dei liquidatori. A favore della tesi negativa (9) militerebbero<br />

rilevanti ragioni esegetiche, sia di carattere<br />

letterale (l’espressa menzione della gestione<br />

provvisoria fra le deliberazioni richieste all’assemblea<br />

nel momento dell’apertura della liquidazione<br />

dall’art. 2487 e non fra i poteri dei liquidatori delineati<br />

dagli artt. 2489 e 2491 e la separata indicazione<br />

dell’esercizio provvisorio rispetto agli «atti necessari<br />

per la conservazione del valore dell’impresa»)<br />

sia d’ordine sistematico (l’obbligo imposto dall’art.<br />

2490, comma 5, di un’indicazione separata<br />

delle poste di bilancio relative alla continuazione<br />

anche parziale dell’attività di impresa «quando sia<br />

prevista» una simile continuazione lascerebbe intendere<br />

che il programma di conduzione della liquidazione<br />

sia un atto esterno alla sfera dei liquidatori)<br />

(10).<br />

Può, per contro, osservarsi, sul piano empirico,<br />

che la prosecuzione dell’attività d’impresa, specie<br />

qualora funzionale alla esecuzione di contratti in<br />

corso, non è solo atto utile ma talvolta finanche<br />

necessario (11) in ragione delle caratteristiche dell’azienda<br />

sociale, la cui mancata gestione potrebbe<br />

compromettere fortemente il valore di avviamento<br />

(allorché, per es., la repentina interruzione della gestione<br />

porterebbe alla risoluzione per inadempimento<br />

di contratti in corso). Sembra, infatti, contrastare<br />

con dati di comune esperienza che in quei casi il<br />

liquidatore (per il solo fatto di non essere stato<br />

autorizzato dall’assemblea al compimento degli atti<br />

«necessari per la conservazione del valore dell’impresa»)<br />

debba procedere all’immediata dissoluzione<br />

dell’azienda sociale, con perdita non solo del valore<br />

di avviamento, ma addirittura con assunzione di responsabilità<br />

per danni a carico della società.<br />

Ciò renderebbe propensi a ritenere che, almeno<br />

in alcune ipotesi, l’ambito della sfera «originaria»<br />

del potere gestorio dei liquidatori (quella, cioè, delineata<br />

dall’art. 2489, comma 1, con il riferimento<br />

agli atti utili) inevitabilmente comprenda alcune<br />

delle attività che, ad una prima lettura dell’art.<br />

2487, sembrerebbero riservate alla competenza<br />

autorizzativa dell’assemblea. Ma la scelta interpretativa<br />

non può che passare dalla considerazione del<br />

tenore testuale delle norme, che superi il contrasto<br />

tra le disposizioni qui considerate, la cui formulazione<br />

potenzialmente antinomica esige un necessario<br />

coordinamento sistematico.<br />

L’impostazione seguita dal Tribunale, secondo la<br />

quale ai liquidatori è riconosciuta una competenza<br />

gestoria ampia che li rende arbitri nel gestire i tem-<br />

pi, i modi e le condizioni della realizzazione dell’attivo<br />

sociale, con le uniche limitazioni che possono<br />

derivare dall’atto costitutivo o dall’assemblea che li<br />

nomina, si colloca nella linea interpretativa secondo<br />

la quale, nel delineare il profilo fisionomico dei<br />

poteri dei liquidatori, occorre muovere dalla norma<br />

dell’art. 2489, che attribuisce ai liquidatori, in assenza<br />

di particolari disposizioni dello statuto o dell’atto<br />

di nomina, una vasta latitudine di poteri gestori,<br />

pur finalizzati alla monetizzazione liquidativa<br />

dei beni, nell’ambito dei quali essi debbono, con<br />

professionale diligenza, attuare la scelta dei criteri e<br />

delle operazioni più idonee ai fini liquidativi (12).<br />

Tra queste si pongono indiscutibilmente alcune<br />

delle attività elencate nell’art. 2487, comma 1, lett.<br />

c), come la cessione di singoli beni o diritti, o blocchi<br />

di essi.<br />

Il dato letterale, quindi, apre la strada ad un ca-<br />

Note:<br />

(9) Niccolini, Gestione dell’impresa nella società in liquidazione:<br />

prime riflessioni sulla riforma, inRiv. soc., 2003, 895 ss. (ed in<br />

G. Scognamiglio (a cura di), Profili e problemi dell’amministrazione<br />

nella riforma delle società, Milano, 2003, 167 ss. e in 60X60,<br />

t. II, Roma, 2010, 795); Id., Sub art. 2489, in Niccolini - Stagno<br />

d’Alcontres (a cura di), Società di capitali - Commentario, III, Napoli,<br />

2004, 1779 ss. il quale ritiene che la prosecuzione dell’attività<br />

d’impresa, nell’ambito della liquidazione, abbia sempre carattere<br />

eccezionale e come tale esiga un pronunciamento dei<br />

soci (pagina 1781). In questo senso, v. Ferri, Manuale di diritto<br />

commerciale, a cura di Angelici e Ferri G.B., Torino, 2010, 508,<br />

secondo il quale i liquidatori possono compiere gli atti finalizzati<br />

alla conservazione del valore dell’impresa, ma solo in quanto a<br />

tal fine necessari e purché i relativi poteri siano stati attribuiti in<br />

sede di nomina; Cottino, Diritto societario, Padova, 2011, 564<br />

s., il quale ritiene che tra gli atti utili possa annoverarsi anche la<br />

continuazione temporanea dell’attività, in quanto vi sia a monte<br />

una pronuncia assembleare; nello stesso senso; cfr. Gliozzi, Istituzioni<br />

di diritto commerciale, Milano, 2003, 162; Facchin, Sub<br />

art. 2489, in Grippo (a cura di), Commentario delle società, II,<br />

Torino, 2009, p. 1146; Sanzo, Scioglimento e liquidazione, in Cagnasso<br />

- Panzani (diretto da), Le nuove società per azioni, Bologna,<br />

2010, 1723.<br />

(10) Niccolini, Sub art. 2489, cit., loc. cit.<br />

(11) Come del resto riconosciuto dallo stesso A., del quale si riferisce<br />

il pensiero: v. Niccolini, op. loc. cit.<br />

(12) Ritiene che, fermo restando il carattere conservativo e non<br />

propulsivo dell’attività dei liquidatori, tutte le operazioni funzionali,<br />

anche indirettamente, alla conservazione o alla valorizzazione<br />

del patrimonio sociale «integreranno senz’altro gli estremi<br />

della ‘‘utilità’’» Parrella, Sub art. 2489, in Sandulli - Santoro (a cura<br />

di), La riforma delle società, 3, Torino, 2003, 278 s.; in senso<br />

conforme, Vaira, Sub artt. 2487-2487 bis, in Cottino (diretto da),<br />

Il nuovo diritto societario, Bologna, 2004, III, 2071 s.; nello stesso<br />

senso v. altresì Sarale, Scioglimento e liquidazione delle società<br />

di capitali, in Cottino - Bonfante - Cagnasso - Montalenti<br />

(diretto da), Il nuovo diritto societario, Commentario, Bologna<br />

2009, 1210 ss., che rileva come l’opposta interpretazione sia<br />

scarsamente congruente con gli obiettivi della riforma; cfr. altresì<br />

Salafia, Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, in<br />

questa Rivista, 2003, 379, il quale ritiene «utili» gli atti diretti alla<br />

conservazione del patrimonio e alla sua conversione in danaro.<br />

772 Le Società 7/2012


povolgimento della prospettiva interpretativa sopra<br />

illustrata: se infatti non può non ammettersi che talune<br />

delle attività, oggetto della delibera prevista<br />

dall’art. 2487, sono già attribuite, in via «originaria»<br />

alla sfera dei liquidatori dall’art. 2489, comma<br />

1, indipendentemente dall’espressa autorizzazione,<br />

si apre la strada ad una diversa articolazione del<br />

rapporto tra le due norme, anche ai fini dell’esercizio<br />

provvisorio: al pari di quegli atti, la gestione<br />

conservativa, ove abbia carattere di attività utile<br />

(ed a fortiori se si presenti come necessaria) rientra<br />

per sua naturale indole tra quelle consentite ai liquidatori<br />

dall’art. 2489, comma 1 (13).<br />

(Segue): l’esercizio provvisorio<br />

Si ripropone, in sostanza, anche nel nuovo regime<br />

una dicotomia tra due profili gestori, che nel sistema<br />

previgente era indicato dall’antitesi tra nuove<br />

operazioni e operazioni conservative (e, quindi,<br />

non nuove).<br />

Sembra, in sostanza, doversi assegnare all’art.<br />

2489, comma 1, ruolo primario nel modellare i<br />

poteri gestori dei liquidatori, relegando la deliberazione<br />

assunta ai sensi dell’art. 2387, comma 1,<br />

lett. c) (o la disposizione statutaria, avente identica<br />

funzione) in posizione suppletiva, idonea ad<br />

integrare quei poteri, eventualmente contenendoli<br />

o estendendoli (pur con il limite della finalità<br />

del migliore realizzo dell’impresa sociale), per<br />

adattarli alle concrete esigenze della compagine<br />

sociale.<br />

Questa linea interpretativa, condivisa dalla sentenza<br />

annotata, si colloca indubbiamente in posizione<br />

di sostanziale continuità con la disciplina previgente,<br />

posto che il richiamo dell’abrogato art.<br />

2452, comma 2, all’art. 2278, comma 1, c.c., consentiva<br />

di ritenere che ai liquidatori competesse, in<br />

difetto di diversa determinazione dei soci, il potere<br />

di vendere «in blocco» i beni sociali e, conseguentemente,<br />

di gestire provvisoriamente l’impresa, per<br />

il tempo necessario ai fini dell’alienazione dell’azienda.<br />

La sentenza del tribunale, in sostanza, sembra<br />

configurare il nuovo assetto dei poteri liquidatori,<br />

pur in assenza del divieto di nuove operazioni<br />

(imposto ai liquidatori mediante il richiamo dell’abrogato<br />

art. 2452, comma 1, all’art. 2279), come<br />

espressione di un compito gestorio dall’ampio contenuto<br />

conservativo, che vincola quindi al compimento<br />

delle operazioni ancora pendenti al momento<br />

dello scioglimento e, pertanto, obbliga i liquidatori<br />

(anche) alla gestione provvisoria finalizzata ad<br />

una progressiva cessazione dell’impresa sociale o<br />

della vendita in blocco dell’azienda.<br />

L’empirica indicazione, dalla quale si è preso<br />

l’avvio, trova quindi riscontro nella disciplina riformata,<br />

la quale consente di delineare secondo una<br />

coerente prospettiva l’assetto dei poteri dei liquidatori.<br />

In mancanza di diversa disposizione statutaria<br />

o assembleare, i liquidatori hanno il potere di compiere<br />

tutti gli atti utili per la liquidazione: l’art.<br />

2489, comma 1, attribuisce ad essi, cioè, quella<br />

competenza gestoria ampia, riconosciuta dal Tribunale<br />

di Milano, che li rende arbitri nel gestire i<br />

tempi, i modi e le condizioni della realizzazione dell’attivo<br />

sociale, ivi compresi gli atti gestori funzionalmente<br />

indirizzati alla definizione non traumatica<br />

dei contratti in corso di esecuzione nonché quelli<br />

compresi nella dimensione conservativa dell’impresa<br />

sociale, qualora la gestione provvisoria appaia,<br />

secondo un ragionevole giudizio probabilistico, indispensabile<br />

al fine di una migliore alienazione in<br />

blocco dell’azienda (14). In questo ambito, il criterio<br />

di diligenza e professionalità posto dall’art.<br />

2489, comma 2 (15).<br />

La deliberazione assembleare concernente<br />

i poteri dei liquidatori<br />

Ciò che appare profondamente innovato è invece<br />

il rapporto dialettico tra il modello gestorio di<br />

base (l’ambito, cioè, degli atti utili alla liquidazione)<br />

Note:<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

(13) Giudica antistorica una lettura dell’art. 2489 che escluda dagli<br />

«atti utili» per la liquidazione l’eventuale continuazione dell’attività<br />

d’impresa Rossi A., Sub art. 2489, cit., 2239.<br />

(14) Nell’ambito degli atti utili vengono sostanzialmente comprese<br />

quelle che la previgente disciplina considerava come «operazioni<br />

non nuove»: v. Di Brina, La responsabilità per le nuove<br />

operazioni successive allo scioglimento delle società per azioni,<br />

cit., passim.<br />

(15) Con riferimento alla responsabilità in fase di scioglimento,<br />

si è ritenuto in giurisprudenza che «l’abrogazione del previgente<br />

art. 2449 c.c. non ha ristretto, bensì ampliato, il perimetro<br />

della responsabilità degli amministratori, in quanto gli attuali<br />

art. 2485 e 2486 c.c. superano il divieto delle sole operazioni<br />

«nuove», riferendosi a qualsiasi danno cagionato alla società,<br />

ai creditori o ai terzi» (Trib. Milano 3 febbraio 2010, in Giur. it.,<br />

2010, 2352, con nota di Aiello). La stessa sentenza ha ritenuto<br />

che «quando la società versi in stato di scioglimento, le trattative<br />

volte a realizzare una partnership con soggetti terzi sono<br />

fonte di responsabilità per gli amministratori ove determinino<br />

la prosecuzione della gestione speculativa, quand’anche finalizzata<br />

alla salvaguardia dell’avviamento aziendale e dei posti<br />

di lavoro». Ritiene che la prospettiva liquidativa ‘‘obbiettivizzi’’<br />

i compiti dei liquidatori e finisce con l’incidere sul loro agire,<br />

concedendo la possibilità di una valutazione giudiziale anche di<br />

merito della loro attività Niccolini, Sub art. 2489, cit., 1782, nota<br />

26. Sul punto, cfr. Parrella, Sub art. 2489, cit.280,RossiA.,<br />

Sub art. 2489, cit., 2239 ss.<br />

Le Società 7/2012 773


Giurisprudenza<br />

Diritto societario<br />

e l’intervento correttivo in sede assembleare ex art.<br />

2487, comma 1, lett. c).<br />

Quell’intervento, da considerare eventuale (16),<br />

assume infatti valenze diverse secondo che sia diretto<br />

ad indicare ai liquidatori la necessità di proseguire<br />

nella gestione conservativa, a ridurla (o escluderla<br />

del tutto) ovvero ad estenderla (17).<br />

L’estensione del potere di ingerenza dell’assemblea<br />

nella sfera gestoria dei liquidatori non annulla<br />

la distinzione dei ruoli, ove siano in gioco interessi<br />

non disponibili da parte dell’assemblea dei soci.<br />

L’indicazione assembleare (e la disposizione statutaria,<br />

che contenesse regole di attuazione del procedimento<br />

liquidativo) dovrebbe, pertanto, essere disattesa<br />

dai liquidatori se contrastasse con il dovere di<br />

conservazione della garanzia patrimoniale della società<br />

nei confronti dei creditori, e quindi idonea a<br />

far assumere ad essi la relativa responsabilità, oppure<br />

se comportasse sostanziali deviazioni dal fine autenticamente<br />

liquidativo del loro ruolo.<br />

Se in gioco è invece il solo interesse dei soci alla<br />

definizione dei criteri di liquidazione della quota, la<br />

deliberazione assembleare può costituire per i liquidatori<br />

un’indicazione vincolante per lo sviluppo della<br />

procedura, ampliando o restringendo il margine<br />

della loro discrezionalità nell’impostazione del pro-<br />

gramma liquidativo e nella sua attuazione, anche<br />

con riguardo a specifiche operazioni ed alle relative<br />

modalità (fino alla determinazione dei poteri e dei<br />

criteri relativi alla cessione di singoli beni o diritti).<br />

La necessaria adesione alle indicazioni dei soci, quindi,<br />

comprime l’ambito della discrezionalità dei liquidatori<br />

con conseguente creazione di un modello gestorio<br />

ibrido, che in fase liquidativa può giungere<br />

(contrariamente a quanto accade per le società per<br />

azioni, in fase di gestione fisiologica) alla condivisione<br />

assembleare della gestione. Fermo restando lo<br />

scopo dissolutivo-estintivo dell’organismo sociale, i<br />

soci possono cioè influenzare l’opera dei liquidatori<br />

nella scelta delle modalità di gestione e vendita dei<br />

beni sociali, indicando come prioritarie le esigenze<br />

di dissoluzione atomistica o, viceversa, aggregata,<br />

con conseguente esercizio provvisorio dell’impresa.<br />

Note:<br />

(16) Con riguardo alla società per azioni, l’art. 2487, comma 1,<br />

lett. c) appare una deroga alla disposizione dell’art. 2364, in materia<br />

di competenze dell’assemblea.<br />

(17) Pur con il limite della preclusione di una ripresa dell’ordinaria<br />

gestione, che significherebbe sostanziale revoca della liquidazione<br />

e dovrebbe quindi essere attuata nel rispetto delle disposizioni<br />

di cui all’art. 2487 ter.<br />

774 Le Società 7/2012


S.r.l.<br />

La cessione di quote del capitale<br />

della s.r.l.<br />

di Vincenzo Salafia<br />

Si prende in esame e si critica la tesi della derogabilità del testo del primo comma dell’art. 2470 c.c. rilevando<br />

qualche effetto negativo che potrebbe derivarne.<br />

Presentazione del problema<br />

Per effetto delle modificazioni introdotte dall’art.<br />

12 quater, L. 28 gennaio 2009, n. 2, il primo comma<br />

dell’art. 2470, intitolato ‘‘Efficacia e pubblicità’’,<br />

dispone che «il trasferimento delle partecipazioni<br />

ha effetto di fronte alla società dal momento del<br />

deposito di cui al successivo comma». Questo stabilisce<br />

che «l’atto di trasferimento, con sottoscrizione<br />

autenticata, deve essere depositato entro trenta<br />

giorni, a cura del notaio autenticante, presso l’ufficio<br />

del Registro delle imprese nella cui circoscrizione<br />

è stabilita la sede sociale».<br />

Le modificazioni hanno, pertanto, sostituito il deposito<br />

dell’atto di cessione nel Registro delle imprese<br />

all’iscrizione nel libro dei soci, che tradizionalmente<br />

nel nostro ordinamento societario costituiva<br />

il fatto dal quale dipendeva l’efficacia del trasferimento<br />

verso la società.<br />

L’intervento innovativo non è stato limitato a disporre<br />

un nuovo sistema regolatore degli effetti dei<br />

trasferimenti delle quote in questione, ma ha proseguito<br />

sancendo la soppressione del libro soci nell’organizzazione<br />

della società a r.l.<br />

Le nuove regole hanno già presentato difficoltà interpretative<br />

soprattutto per quanto riguarda il loro<br />

grado di vincolatività.<br />

Laddove concordemente si è riconosciuta la derogabilità<br />

della norma relativa alla soppressione del libro<br />

soci, contrastanti tesi interpretative sono state<br />

elaborate intorno al grado di efficacia del nuovo testo<br />

del primo comma dell’art. 2470 c.c.<br />

Ne è stata sostenuta da una parte (1) la stessa derogabilità<br />

riconosciuta alla regola delle soppressione<br />

del libro soci; da altra parte (2), invece, se ne è affermata<br />

la natura imperativa.<br />

Opinioni<br />

Diritto societario<br />

La tesi della derogabilità del primo comma<br />

dell’art. 2470 c.c.<br />

La tesi della derogabilità è stata ampiamente ed<br />

acutamente argomentata. Anzitutto, si osserva che<br />

la data del deposito dell’atto di cessione nel Registro<br />

delle imprese non sempre può coincidere con<br />

quella del trasferimento della quota. Se il negozio<br />

fosse sottoposto a condizione sospensiva, come per<br />

esempio al gradimento degli amministratori o dell’assemblea<br />

della società, secondo quanto lo statuto<br />

al riguardo disponesse, l’effetto del trasferimento<br />

dovrebbe necessariamente essere rinviato a quando<br />

il gradimento fosse positivamente espresso.<br />

In secondo luogo, ove l’atto di trasferimento concentrasse<br />

nel cessionario tutto il capitale sociale,<br />

gli amministratori della società dovrebbero farne<br />

dichiarazione al Registro delle imprese entro trenta<br />

giorni dalla data dell’avvenuta concentrazione,<br />

secondo quanto dispone l’art. 2470, comma 4,<br />

c.c. Ugualmente, il quinto comma dello stesso articolo<br />

dispone che gli amministratori devono presentare<br />

al registro imprese la dichiarazione della<br />

ricostituzione della pluralità deisociquandone<br />

abbiano constatato la sopravvenienza. Il termine<br />

per la presentazione della dichiarazione decorre<br />

Note:<br />

(1) Rescio, Soppressione del libro soci: ulteriori riflessioni, nota<br />

a Trib. Verona, Giud. reg. impr.,14 settembre 2009, in questa Rivista,<br />

2009, 1497; Fico, Trasferimento quote di s.r.l.: autentica<br />

notarile e sottoscrizione con firma digitale dell’intermediario abilitato,<br />

in questa Rivista, 2010, 835.<br />

(2) Cfr. obiter dictum in Trib. Verona, decr., Giud. reg. impr., cit,<br />

ed altri autori indicati in nota 2 da Rescio, fra i quali: Massima n.<br />

115 elaborata da Commissione principi uniformi approvata dal<br />

Cons. Naz. Notariato; Nardone - Ruotolo, La soppressione del libro<br />

soci nella s.r.l., in Cons. naz. not. - Studi e materiali, 2,<br />

2009.<br />

Le Società 7/2012 775


Opinioni<br />

Diritto societario<br />

dal momento dell’avvenuta variazione della compagine<br />

sociale e non da quello del deposito nel<br />

registro imprese dell’atto di trasferimento, i cui effetti<br />

interrompono o ricostituiscono la pluralità<br />

dei soci. La legge, cioè, tiene conto del fatto che<br />

l’efficacia del trasferimento potrebbe non coincidere<br />

con la data del deposito del relativo atto nel<br />

registro imprese e rimette, pertanto, agli amministratori<br />

di procedere alla verifica di questa efficacia<br />

prima di predisporre la dichiarazione al Registro<br />

imprese.<br />

In forza di questi argomenti si sostiene che, ove la<br />

società istituisca il libro soci, statutariamente può<br />

disporre che, fermo restando l’adempimento del<br />

preventivo obbligo di deposito nel registro imprese<br />

dell’atto di trasferimento, l’acquirente potrà essere<br />

ammesso all’esercizio dei diritti sociali solo dopo l’iscrizione<br />

dell’atto nel libro soci.<br />

Si riconosce, così, al deposito dell’atto nel Registro<br />

delle imprese l’efficacia di rendere opponibile il trasferimento<br />

alla società e la si rinvia al momento<br />

successivo all’iscrizione del medesimo atto nel libro<br />

soci per quanto riguarda la legittimazione dell’acquirente<br />

all’esercizio dei diritti sociali.<br />

La tesi dell’inderogabilità<br />

La tesi che sostiene l’inderogabilità della nuova<br />

norma fa leva soprattutto sul fatto che il legislatore<br />

non si è avvalso, nella lettera del nuovo testo del<br />

primo comma dell’art. 2470 c.c., della formula «salvo<br />

che l’atto costitutivo disponga diversamente»,<br />

altrove impiegata per salvaguardare l’autonomia<br />

della società nel decidere eventualmente la deroga<br />

dalla regola legale.<br />

In secondo luogo rileva l’esistenza di un interesse<br />

generale alla base della nuova norma, in presenza<br />

del quale la deroga da essa deve stimarsi incompatibile.<br />

Critica della prima tesi<br />

Riconosco, anzitutto, la robustezza delle argomentazioni<br />

della prima tesi che si contrappongono agevolmente<br />

a quelle addotte a sostegno della seconda,<br />

che, ad una prima lettura, possono apparire meno<br />

persuasive in quanto non sostenute da forti argomenti.<br />

Premetto che, a mio giudizio, non riesce facile criticare<br />

la prima delle due tesi esposte, ma intuisco che<br />

forse un approfondimento della lettura della nuova<br />

regolamentazione e l’individuazione delle ragioni<br />

che l’hanno determinato potrebbero fare approdare<br />

a qualche risultato più accettabile.<br />

Inizio col rilevare che il primo comma dell’art.<br />

2470 c.c. non dispone che la data del trasferimento<br />

della partecipazione coincide con la data del relativo<br />

atto nel registro imprese; stabilisce soltanto che<br />

il trasferimento della quota, come oggetto dell’atto<br />

depositato, ha effetto di fronte alla società dal momento<br />

del deposito.<br />

Nel menzionare il trasferimento la norma intende<br />

far riferimento a quello specifico effetto prodotto<br />

dal negozio depositato nel registro imprese.<br />

La data dell’effetto traslativo, proprio del negozio di<br />

trasferimento, non può che dipendere dal contenuto<br />

del negozio, nel senso che gli eventuali ostacoli<br />

frapposti dalle parti alla sua realizzazione mantengono<br />

la propria rilevanza giuridica, anche in presenza<br />

della avvenuta efficacia del negozio di fronte alla<br />

società.<br />

Correttamente la prima delle due tesi in esame riconosce<br />

la compatibilità della nuova norma con il<br />

sistema giuridico relativo alla cessione delle quote<br />

della s.r.l., secondo il quale gli statuti possono subordinarne<br />

l’efficacia traslativa a speciali condizioni<br />

(cfr. art. 2469 c.c.).<br />

Tuttavia, a mio sommesso giudizio, riconoscere<br />

questa compatibilità non comporta direttamente<br />

anche il riconoscimento che l’innovazione legislativa<br />

sarebbe compatibile con una norma statutaria la<br />

quale disponesse la sola subordinazione dell’esercizio<br />

dei diritti sociali alla preventiva iscrizione del<br />

trasferimento nel libro soci.<br />

A me sembra, anzitutto, che questa subordinazione<br />

non riguardi il negozio di cessione, nel senso che<br />

attenga al suo contenuto, ma solo una situazione di<br />

fatto, esterna al negozio, che l’acquirente avrebbe<br />

l’onere di realizzare se vuole essere ammesso all’esercizio<br />

dei diritti sociali. Questa subordinazione,<br />

cioè, èfenomeno diverso dalle clausole che, nell’economia<br />

dell’art. 2469 c.c., possono ostacolare l’efficacia<br />

del negozio di cessione. Le clausole incidono<br />

direttamente sull’efficacia traslativa e, quindi, sulla<br />

sua causa, laddove invece un ostacolo esterno al<br />

negozio, posto da soggetto diverso dalle parti, non<br />

può incidere sull’efficacia traslativa che per disposizione<br />

di legge si realizza, in assenza di impedimenti<br />

interni al negozio, nel momento del deposito dell’atto<br />

nel registro, senza distinzione fra trasferimento<br />

della titolarità della partecipazione ed esercizio<br />

dei relativi diritti.<br />

In secondo luogo, a me pare che non sia sufficiente<br />

ricavare dalla verificata compatibilità della nuova<br />

norma con il sistema della cessione delle quote della<br />

s.r.l., quale si ricava dall’art. 2469 c.c., per dedurne<br />

la legittimità di una clausola statutaria che, in<br />

776 Le Società 7/2012


presenza di una cessione depositata nel registro imprese,<br />

ne postergasse l’efficacia relativa all’esercizio<br />

dei diritti sociali al momento dell’iscrizione nel libro<br />

soci. Non sufficiente perché si tratta di ostacoli,<br />

alla produzione degli effetti del negozio traslativo,<br />

di natura affatto differente; non utilizzabili per sostenere<br />

l’indifferenza del dettato legislativo di fronte<br />

ad una sua deroga, perché laddove le clausole negoziali<br />

incidono sull’efficacia dell’atto e non derogano,<br />

pertanto, dalla norma, gli ostacoli di altra natura<br />

alla stessa efficacia vi derogano, come sopra<br />

detto.<br />

In terzo luogo, penso che non può non darsi il dovuto<br />

rilievo al fatto che il legislatore, pur potendo<br />

limitare il proprio intervento innovatore alle modificazioni<br />

delle regole contenute nell’art. 2470 c.c.,<br />

ha voluto proseguire disponendo anche la soppressione<br />

del libro soci. Questa soppressione era assolutamente<br />

inutile in relazione alla nuova norma del<br />

primo comma dell’art. 2470, in presenza della quale<br />

il libro soci avrebbe conservato la sua fondamentale<br />

funzione di seguire le variazioni dell’originaria composizione<br />

della compagine sociale, sulla base delle<br />

rilevazioni fatte dagli amministratori nel registro<br />

imprese o delle comunicazioni che lo statuto avrebbe<br />

potuto imporre ai soci.<br />

Non sarebbe, pertanto, azzardato, a mio modesto<br />

parere, ritenere che quella soppressione ha voluto<br />

solo rafforzare la volontà di vietare la restaurazione,<br />

in forza dell’autonomia statutaria, del vecchio sistema<br />

della subordinazione dei trasferimenti delle quote<br />

del capitale delle s.r.l. all’iscrizione nel libro soci.<br />

In altri termini con l’eliminazione del libro soci il<br />

legislatore ha voluto, a mio modo di vedere, esprimere<br />

la volontà di sostituire inderogabilmente al<br />

vecchio sistema il nuovo regime di circolazione delle<br />

quote della s.r.l.<br />

Una ricostruzione della volontà legislativa, astraendo<br />

per un momento dalla lettera della nuova norma,<br />

su cui si basa sostanzialmente la seconda delle<br />

due tesi, potrebbe aiutare a risolvere il problema<br />

qui in esame.<br />

A quanto è dato sapere l’innovazione ha avuto essenzialmente<br />

lo scopo di semplificare la procedura<br />

di trasferimento delle quote della s.r.l., il cui baricentro,<br />

costituito dall’iscrizione nel libro soci, rimessa<br />

alla competenza degli amministratori, ne aveva<br />

reso complessa la realizzazione.<br />

Si potrebbe anche aggiungere che questa cosiddetta<br />

semplificazione contribuisce ad eliminare le controversie<br />

che talora in passato hanno accompagnato<br />

l’iscrizione delle cessioni nel libro soci a causa dei<br />

contrasti fra gli acquirenti e gli amministratori, con<br />

Opinioni<br />

Diritto societario<br />

l’effetto di situazioni paradossali nelle quali il cedente,<br />

ormai disinteressato, conservava la legittimazione<br />

all’intervento in assemblea e il cessionario ne<br />

veniva escluso, nonostante il suo evidente interesse.<br />

Se queste fossero state le ragioni giustificatrici dell’innovazione,<br />

penso che non potrebbe agevolmente<br />

negarsene la natura pubblica, nel senso che la rapida<br />

circolazione delle quote della s.r.l. e la riduzione<br />

delle controversie relative all’opposizione dei relativi<br />

effetti alla società corrispondono ad un interesse<br />

generale.<br />

Di conseguenza, si potrebbe argomentare dicendo<br />

che la restaurazione statutaria del vecchio istituto<br />

dell’iscrizione nel libro soci come condizione, sia<br />

pure della sola legittimazione all’esercizio dei diritti<br />

sociali, non farebbe che vanificare il valore dell’innovazione<br />

di recente introdotta. Senza, peraltro<br />

dire, che questa restaurazione verrebbe a limitare<br />

l’ampiezza dell’efficacia del negozio iscritto<br />

senza che dallo stesso registro risulti la limitazione.<br />

La comunicazione al pubblico potrebbe essere amputata<br />

da un intervento degli amministratori della<br />

società, sia pure conforme ad una astratta regola<br />

statutaria ma non soggetto ad iscrizione nel registro<br />

imprese.<br />

Il deposito dell’atto di trasferimento delle partecipazioni<br />

nel Registro delle imprese verrebbe privato<br />

dalla clausola statutaria della sua efficacia o di parte<br />

della sua efficacia senza che di questa privazione vi<br />

sia traccia nello stesso registro, come dovrebbe avvenire<br />

per i fatti modificativi degli effetti relativi<br />

agli atti iscritti. D’altra parte l’ordinamento non offre<br />

al cittadino strumenti che gli consentano, dopo<br />

aver rilevato per mezzo dell’esame dello statuto societario<br />

nel particolare contesto in cui egli si muove,<br />

di verificare se l’iscrizione del cessionario nel libro<br />

dei soci sia avvenuta.<br />

Esame di qualche effetto negativo<br />

del ‘‘nuovo’’ sistema<br />

Quali pregiudizi potrebbero derivare dal riconoscere<br />

che, per effetto della nuova norma contenuta nell’art.<br />

2470 c.c., solo il deposito del negozio di trasferimento<br />

delle quote della s.r.l. nel registro imprese<br />

costituisce l’unica condizione perché la sua efficacia<br />

possa opporsi alla società?<br />

Mi sembra che, se si accetta l’interpretazione sopra<br />

proposta, secondo la quale il deposito consente di<br />

opporre il trasferimento, con tutti gli ostacoli che<br />

alla sua concreta realizzazione le parti hanno posto,<br />

nessun pregiudizio potrebbe derivarne.<br />

Le Società 7/2012 777


Opinioni<br />

Diritto societario<br />

Gli amministratori potranno ugualmente eccepire,<br />

per esempio, il difetto del gradimento, nell’ipotesi<br />

in cui esso, come di consueto accade, non fosse stato,<br />

invece, richiesto dal socio alienante prima della<br />

stipulazione del negozio; con la conseguenza di dover<br />

riconoscere che l’effetto del trasferimento verso<br />

la società, che l’acquirente ricava dal deposito del<br />

negozio nel registro imprese, in tanto potrà essere<br />

concreto in quanto l’efficacia del negozio sia completata<br />

dal gradimento che le parti hanno concordato.<br />

Se il gradimento sarà negato, l’acquirente ha diritto<br />

di chiedere la risoluzione del contratto e l’iscrizione<br />

nel registro imprese come atto incidente direttamente<br />

sull’efficacia del negozio (3). In ogni caso,<br />

pur essendo possibile questa fattispecie, la pratica<br />

dimostra come nella realtà quotidiana essa sia quasi<br />

del tutto assente, perché, come già detto, il gradimento<br />

è inteso dallo stesso socio alienante come<br />

condizione che lo abilita a negoziare la cessione<br />

della quota.<br />

Se, come più di frequente accade, il negozio fosse<br />

stato stipulato senza osservare la procedura di prelazione<br />

in favore degli altri soci, prevista ed imposta<br />

dallo statuto, gli amministratori si troverebbero<br />

in presenza di un negozio invalido, ai cui effetti,<br />

peraltro, non potrebbero sottrarsi se non per<br />

mezzo della sua impugnazione e la richiesta di un<br />

provvedimento cautelare, che ne sospenda l’efficacia.<br />

Nel sistema precedente, sarebbe bastato il rifiuto di<br />

iscrizione nel libro soci per lasciare che la controversia<br />

rimanesse nelle sfere del socio cedente e del<br />

cessionario, mentre la società avrebbe potuto rimanere<br />

alla finestra in attesa che la lite venisse risolta,<br />

salvo che non avesse voluto direttamente promuovere<br />

la controversia o intervenire in quella promossa<br />

dai suoi soci.<br />

Questo vantaggio, che la società avrebbe potuto<br />

conseguire grazie al vecchio sistema di cessione<br />

delle quote del suo capitale, non può non essere<br />

stato valutato dal legislatore e, ciò nonostante, il<br />

rilievo della sua incompatibilità con il nuovo sistema<br />

non ha impedito che l’innovazione venisse disposta.<br />

In conclusione, a me pare che gli argomenti esposti<br />

a sostegno della prima tesi potrebbero essere rafforzati<br />

e divenire risolutivi del problema ove si riuscisse<br />

ad individuare le reali ragioni che hanno indotto<br />

il legislatore a disporre la soppressione del libro soci,<br />

la quale, almeno apparentemente, sembra essere<br />

stata ispirata dall’intento di esprimere meglio la volontà<br />

di vietare alle società interessate di ripristina-<br />

re statutariamente il vecchio sistema di subordinare<br />

gli effetti della cessione alla sua iscrizione nel libro<br />

soci.<br />

Nota:<br />

(3) Cfr. Cass. 13 maggio 2005, n. 19203, in questa Rivista 2006,<br />

992.<br />

778 Le Società 7/2012


Strumenti finanziari<br />

Il diritto di ripensamento<br />

nell’offerta fuori sede<br />

Cassazione civile, Sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065 - Pres. U. Vitrone- Est. M.C. Giancola - P.E. c.<br />

Banca Fideuram s.p.a.<br />

Contratti di borsa - In genere - Contratti fuori sede - Contratto di negoziazione di obbligazioni sulla base di un contrattoquadro<br />

- Art. 30, D.Lgs. n. 58/1998 - Diritto di recesso del cliente - Sussistenza - Esclusione - Fondamento<br />

(D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 30)<br />

La disciplina del recesso, dettata dall’art. 30, comma 6, D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 con riguardo alle offerte<br />

fuori sede concernenti il collocamento di strumenti finanziari, è inapplicabile ai contratti di negoziazione di obbligazioni<br />

eseguiti in attuazione di un contratto-quadro, sottoscritto fra la banca e il cliente, in quanto tali contratti<br />

non costituiscono un servizio di collocamento, che si caratterizza per l’esistenza di un accordo tra l’emittente<br />

(o l’offerente) e l’intermediario collocatore, finalizzato all’offerta ad un pubblico indeterminato di strumenti<br />

finanziari, emessi a condizioni di tempo e prezzo predeterminati, ed, inoltre, il legislatore ha limitato la<br />

tutela dello ‘‘ius poenitendi’’ agli investitori che abbiano definito l’investimento per essere stati raggiunti all’esterno<br />

dei luoghi di pertinenza del proponente e, quindi, siano stati esposti al rischio di assumere decisioni poco<br />

meditate (massima ufficiale).<br />

La Corte (omissis).<br />

5. - Con i motivi di impugnazione P. ha rispettivamente<br />

denunciato:<br />

1) violazione del D.Lgs. n. 58/1998, art. 30, commi 6 e<br />

7, art. 1418 c.c., per il fatto che, contrariamente a quanto<br />

ritenuto dalla Corte territoriale, gli ordini di acquisto<br />

in questione sarebbero configurabili come proposte contrattuali<br />

di mandato;<br />

2) violazione del medesimo art. 30, commi 9 e 7, in<br />

quanto, trattandosi di prodotti finanziari non bancari, si<br />

applicherebbe comunque il disposto del citato art. 30;<br />

3) violazione del detto art. 30, commi 6 e 7, e art. 12<br />

preleggi, poiché sia il sopra richiamato comma 9 dell’art.<br />

30, che l’interpretazione sistematica delle disposizioni in<br />

esame, deporrebbero nel senso che il legislatore avrebbe<br />

attribuito alle dizioni ‘‘contratti di collocamento’’ e ‘‘servizi<br />

di collocamento’’ formulate nell’art. 30 un significato<br />

atecnico, che renderebbe applicabile nel caso di specie<br />

l’obbligo di dare comunicazione all’investitore della<br />

facoltà di recesso, a pena di nullità dell’accordo;<br />

(omissis).<br />

6. a) - I primi tre motivi di impugnazione pongono sotto<br />

diverse angolazioni la medesima questione relativa all’applicabilità<br />

o meno del D.Lgs. n. 58/1998, art. 30,<br />

commi 6 e 7 al caso di specie, e devono pertanto essere<br />

esaminati congiuntamente, stante la connessione fra essi<br />

esistente.<br />

Più precisamente, il citato art. 30 disciplina l’offerta fuori<br />

sede di strumenti finanziari e di servizi e attività di investimento,<br />

prevedendo in particolare, per la parte di in-<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto dei mercati finanziari<br />

teresse, la sospensione per la durata di sette giorni dell’efficacia<br />

dei contratti di collocamento o di gestione di<br />

portafogli individuali eventualmente conclusi (comma<br />

6), nonché la nullità del relativo negozio traslativo, nell’ipotesi<br />

di omessa comunicazione all’investitore del suo<br />

diritto di avvalersi della facoltà di recesso, nell’arco temporale<br />

di sette giorni entro il quale l’efficacia del negozio<br />

rimane sospesa (comma 7).<br />

Rilevano poi, ai fini di interesse in questa sede, il primo<br />

ed il comma 9 dell’articolo in questione. Il primo, infatti,<br />

offre una definizione dell’offerta fuori sede, segnatamente<br />

stabilendo che per essa devono intendersi la promozione<br />

ed il collocamento presso il pubblico: a) di strumenti<br />

finanziari in luogo diverso dalla sede legale di colui<br />

che opera per sollecitare l’investimento; b) di servizi<br />

ed attività di investimento in luogo diverso dalla sede di<br />

colui agisce per la realizzazione del servizio o dell’attività;<br />

il nono precisa infine che l’intero articolo (e pertanto<br />

anche i sopra richiamati commi 6 e 7) si applica anche<br />

ai prodotti finanziari diversi dagli strumenti finanziari,<br />

oltre che a quelli emessi da imprese assicurative.<br />

6. b) - Il problema sottoposto all’attenzione del Collegio<br />

riguarda dunque la correttezza del giudizio formulato dal<br />

giudice del merito in ordine alla qualificazione dell’operazione<br />

per la quale è sorta controversia, e segnatamente<br />

consiste nello stabilire se, con riferimento alla detta qualificazione,<br />

sia o meno condivisibile l’affermata inapplicabilità<br />

della disciplina dettata dal citato art. 30 alla fattispecie<br />

oggetto di esame. In proposito va osservato che<br />

la Corte di Appello, con statuizione incontestata, ha in-<br />

Le Società 7/2012 779


Giurisprudenza<br />

Diritto dei mercati finanziari<br />

nanzitutto rilevato l’estraneità alla materia del contendere<br />

della fattispecie relativa alla gestione di portafogli individuali<br />

conclusi fuori sede (art. 30, comma 1, lett. b),<br />

circostanza da cui discende che l’ipotesi normativa da<br />

prendere in considerazione è esclusivamente quella concernente<br />

il collocamento di strumenti finanziari di cui<br />

all’art. 30, comma 1, lett. a).<br />

6. c) - Nel merito ha poi ritenuto che l’interpretazione<br />

‘‘della normativa primaria e secondaria di riferimento’’<br />

dovesse indurre ad escluderne l’applicabilità ai contratti<br />

di acquisto di ‘‘bond’’ Cirio stipulati con la banca intermediaria,<br />

dei quali nel presente giudizio è stata invocata<br />

la nullità.<br />

In punto di fatto va premesso che la Corte territoriale<br />

ha configurato i detti contratti come negozi attuativi di<br />

un atto quadro sottoscritto dalla banca Fideuram e dall’investitore<br />

P. in data (omissis), per effetto del quale l’istituto<br />

di credito si sarebbe assunto l’incarico di ricevere<br />

gli ordini dell’investitore relativi ai valori mobiliari, e di<br />

dare quindi corso alle conseguenti negoziazioni e sottoscrizioni.<br />

Il connotato saliente del richiamato accordo del (omissis)<br />

sarebbe poi individuabile nella predeterminazione<br />

del contenuto per uno solo dei contraenti, vale a dire la<br />

banca obbligatasi allo svolgimento dell’attività sopra indicata,<br />

essendo viceversa libero l’investitore ‘‘di attivare<br />

l’obbligo di fare della controparte attraverso la sottoscrizione<br />

di ordini’’. Alla luce della ricostruzione ora delineata<br />

la Corte di Appello ha quindi ritenuto che non<br />

fosse riscontrabile nel caso in esame un servizio di collocamento,<br />

essendo questo caratterizzato da un accordo tra<br />

l’emittente (o l’offerente) e l’intermediario collocatore,<br />

finalizzato all’offerta ad un pubblico indeterminato di<br />

strumenti finanziari, emessi a condizioni di tempo e prezzo<br />

predeterminati.<br />

Al contrario, nella specie, l’evocazione in giudizio della<br />

Fideuram sarebbe intervenuta per effetto di contratto di<br />

negoziazione accedente ad un deposito titoli per custodia<br />

ed amministrazione, e quindi sulla base di accordo stipulato<br />

dall’investitore con soggetto determinato e a condizioni<br />

non predeterminate, condizioni che varrebbero ad<br />

escludere, anche in via del tutto astratta ed ipotetica, la<br />

stessa configurabilità di un servizio di collocamento.<br />

7. a) - Osserva il Collegio che l’interpretazione della<br />

Corte di Appello risulta corretta e che il relativo giudizio<br />

deve essere quindi condiviso. Ed infatti depone innanzitutto<br />

nel senso indicato il dato testuale della normativa<br />

oggetto di esame. Al riguardo è stato già evidenziato<br />

come nel D.Lgs. n. 58/1998, art. 30, comma 1 il legislatore<br />

abbia puntualmente delineato la nozione dell’offerta<br />

fuori sede, stabilendo che per essa deve intendersi<br />

la promozione ed il collocamento presso il pubblico<br />

di strumenti finanziari (lett. a) e di servizi e attività di<br />

investimento (lett. b), in luogo diverso dalle sedi proprie<br />

degli operatori proponenti intervenuti.<br />

L’art. 1 del medesimo provvedimento normativo chiarisce<br />

poi cosa debba intendersi per strumenti finanziari<br />

(punto 2) e per servizi e attività di investimento (punto<br />

5), elencando con precisione analitica le diverse ipotesi<br />

da ricomprendere nella due diverse categorie di atti e di<br />

comportamenti, sinteticamente rappresentati, rispettivamente,<br />

con le due distinte nozioni di strumenti e di servizi.<br />

L’art. 30, comma 6 prescrive infine la sospensione di efficacia<br />

dei contratti conclusi fuori sede per la durata di<br />

sette giorni (decorrenti dalla sottoscrizione dell’investitore),<br />

entro i quali questi può esercitare il diritto di recesso,<br />

limitandolo però a quelli di collocamento di strumenti<br />

finanziari o di gestione di portafogli individuali.<br />

È di tutta evidenza, dunque, come non vi sia coincidenza<br />

fra la definizione dell’offerta fuori sede, quale formalizzata<br />

dal legislatore nell’art. 30, comma 1, e l’ambito di<br />

esercizio del diritto di recesso riconosciuto dal comma 6<br />

del medesimo articolo.<br />

Tale diritto è stato infatti stabilito per i contratti di collocamento<br />

di strumenti finanziari conclusi fuori sede<br />

(con esclusione pertanto di quelli soltanto promossi fuori<br />

sede, che viceversa rientrano nella previsione di cui al<br />

comma 1, lett. a), nonché limitatamente a quella parte<br />

dei servizi di investimento che riguarda la gestione di<br />

portafogli individuali e quindi, conclusivamente, in termini<br />

più contenuti e circoscritti rispetto alla fattispecie<br />

dell’offerta fuori sede delineata nel primo comma dell’art.<br />

30.<br />

Ma al di là del dato testuale, che depone inequivocabilmente<br />

nel senso ora delineato, vi è un’ulteriore considerazione<br />

che induce a ritenere che il legislatore abbia deliberatamente<br />

inteso circoscrivere l’esercizio del diritto<br />

di recesso a peculiari ipotesi specificamente determinate,<br />

e non già con riferimento ad una generica attività di collocamento<br />

fuori sede.<br />

Induce invero alla detta conclusione la circostanza che il<br />

legislatore abbia direttamente richiamato nel sesto comma<br />

solo parte del contenuto del comma 1, operando viceversa<br />

una modificazione per il rimanente. L’analiticità<br />

di una disciplina contenuta nel medesimo articolo, con<br />

prescrizioni solo in parte sovrapponibili, consente dunque<br />

di escludere che la diversità del richiamo possa essere<br />

ricondotto a refusi o a imprecisioni terminologiche, e<br />

denota piuttosto la peculiarità dell’intento perseguito<br />

con la formulazione della disposizione in esame.<br />

D’altra parte conferma indiretta della specificità del riferimento<br />

al servizio di collocamento sì trae pure dalla disposto<br />

del D.Lgs. n. 58, art. 1, comma 5, che, nel ricomprendere<br />

tra i servizi di investimento distinte attività di<br />

negoziazione (‘‘Le imprese di investimento possono procedere<br />

all’offerta fuori sede di prodotti diversi dagli strumenti<br />

finanziari e dai servizi e attività d’investimento...’’),<br />

implicitamente presuppone sia la diversità di quest’ultima<br />

rispetto al collocamento, sia l’attenzione posta<br />

dal legislatore nella individuazione delle distinte fattispecie<br />

da sottoporre ad una comune disciplina.<br />

7. b) - Se pertanto il dato testuale conforta l’interpretazione<br />

della normativa offerta dalla Corte di Appello, ad<br />

identiche conclusioni deve pervenirsi in relazione alla<br />

‘‘ratio’’ ispiratrice della disposizione di cui all’art. 30,<br />

comma 6, che riconosce all’investitore il diritto di recesso.<br />

Tale disposizione non costituisce una novità nel nostro<br />

ordinamento, essendo stata preceduta dai diversi inter-<br />

780 Le Società 7/2012


venti normativi succedutisi nel tempo, disciplinanti, con<br />

prescrizioni sul punto non sempre coincidenti, la distribuzione<br />

fuori sede di prodotti finanziari (si intende segnatamente<br />

fare riferimento alla L. 23 giugno 1974, n.<br />

216, alla L. 23 marzo 1983, n. 77, alla L. 2 gennaio<br />

1991, n. 1, al D.Lgs. n. 415/1996).<br />

In ogni modo ai fini che interessano in questa sede occorre<br />

evidenziare come sia stata cura del legislatore, nel<br />

disciplinare l’offerta di prodotti finanziari, di offrire una<br />

più ampia tutela, nell’ambito dei soggetti investitori, a<br />

quella parte di essi che avessero definito l’investimento<br />

in prodotti finanziari non già recandosi presso la sede<br />

dell’offerente, ma al contrario per essere stati da questo<br />

raggiunti all’esterno dei luoghi di pertinenza del proponente.<br />

Il motivo della detta distinzione fra le due diverse categorie<br />

di investitori è intuitivamente apprezzabile, ed è all’evidenza<br />

individuabile nel fatto che colui che si reca<br />

presso l’offerente con l’obiettivo di impiegare un risparmio<br />

ha maturato una propria convinta determinazione<br />

circa l’utilità dell’iniziativa adottata, determinazione viceversa<br />

non necessariamente sussistente - o quanto meno<br />

non sempre sorretta da adeguate certezze - per effetto<br />

della subita iniziativa da parte del venditore.<br />

Con la sospensione, per l’investitore, dell’efficacia della<br />

vendita per un arco temporale di sette giorni il legislatore<br />

ha dunque ritenuto di poter correggere le eventuali<br />

distorsioni negoziali derivanti dall’eventuale effetto ‘‘sorpresa’’<br />

subito dall’acquirente e di assicurare, quindi, un<br />

corretto equilibrio fra le posizioni dei due contraenti. Da<br />

quanto sinora esposto discende dunque che, in tanto<br />

può trovare ragionevole applicazione la disciplina dello<br />

‘‘ius poenitendi’’, in quanto si sia verificata una situazione<br />

in cui il risparmiatore sia stato esposto al rischio di<br />

assumere iniziative e prendere decisioni poco meditate.<br />

In punto di fatto la Corte di Appello, con ricostruzione<br />

non contrastata sotto questo riflesso, ha escluso che nel<br />

caso in esame fosse ravvisabile l’ipotesi sopra delineata,<br />

avendo collegato l’acquisto dei titoli da parte del P. alla<br />

preesistenza di un precedente rapporto intercorso fra le<br />

stesse parti, vale a dire ad un negozio quadro sostanzialmente<br />

assimilabile (per l’aspetto dell’accordo che rileva<br />

in questa sede) ad un contratto di mandato. Il fatto<br />

quindi che l’acquisto dei titoli non sia avvenuto per iniziativa<br />

dell’offerente, ma a seguito di un precedente accordo<br />

di carattere generale fra l’investitore ed il soggetto<br />

delegato per la definizione negoziale, comporta che nella<br />

specie sia ravvisabile una ipotesi di negoziazione, così come<br />

ritenuto dalla Corte di Appello, e non una ipotesi di<br />

collocamento, come sostenuto dal ricorrente.<br />

7. c) - Tale conclusione, d’altro canto è in linea con le<br />

indicazioni fornite al riguardo in via generale dalla Consob.<br />

Ed infatti con comunicazione del 9 luglio 1997 detto ente<br />

ha precisato che il servizio di collocamento è caratterizzato<br />

da un accordo tra emittente (o offerente) e collocatore,<br />

finalizzato all’offerta al pubblico di strumenti finanziari<br />

a condizioni di tempo e prezzo predeterminate,<br />

precisazione poi ulteriormente confortata dall’art. 35 del<br />

Regolamento n. 11522, secondo il quale nel prestare il<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto dei mercati finanziari<br />

servizio di collocamento gli intermediari si attengono alle<br />

disposizioni dell’offerente, al fine di assicurare l’uniformità<br />

delle procedure di offerta.<br />

7. d) - Infine la prospettata interpretazione dell’art. 30,<br />

comma 6 trova ulteriore conforto anche per due ulteriori<br />

ordini di ragioni.<br />

Innanzitutto in considerazione del disposto del comma 6<br />

dell’articolo in questione, che esclude la configurabilità<br />

dell’offerta fuori sede (pur nella sussistenza delle condizioni<br />

indicate nel comma 1) quando questa sia stata effettuata<br />

nei confronti di clienti professionali, così confermando<br />

l’intento di tutela dell’investitore dal rischio<br />

di assumere iniziative poco meditate, non essendo all’evidenza<br />

ravvisabile detto rischio nel caso di offerta ad<br />

operatore di peculiare competenza, in quanto tale non<br />

esposto al rischio di decisioni affrettate ed indotte dalle<br />

subite iniziative dell’altro contraente. Inoltre, in ragione<br />

dell’esigenza di privilegiare una interpretazione che tenga<br />

conto degli effetti eccezionali della disposizione (l’efficacia<br />

dell’accordo è infatti sospesa ex lege per la durata<br />

di sette giorni, termine entro il quale l’investitore può<br />

esercitare il diritto di recesso) e dei riflessi che la stessa è<br />

potenzialmente idonea a determinare. Sotto tale aspetto<br />

si intende evidenziare come il riconoscimento del diritto<br />

di recesso anche nel caso di negoziazione significherebbe<br />

consentire all’investitore, al di fuori delle sopra indicate<br />

ragioni che hanno indotto alla formulazione della disposizione,<br />

di beneficiare del differimento del termine iniziale<br />

di decorrenza del negozio in funzione dell’eventuale<br />

esercizio del detto diritto (fra l’altro non riconosciuto all’altro<br />

contraente), esercizio che, nel caso di preventivo<br />

mandato in favore dell’intermediario per la conclusione<br />

di negozi alle condizioni più favorevoli, ben potrebbe essere<br />

sollecitato anche da motivi di interesse economico,<br />

quali quelli determinati dalla possibilità di concludere<br />

acquisti di maggiore convenienza, per effetto di mutate<br />

situazioni di mercato.<br />

8. - L’inapplicabilità della disciplina relativa al diritto di<br />

recesso all’ipotesi oggetto di esame determina dunque<br />

l’infondatezza dei primi tre motivi di ricorso, rispetto ai<br />

quali giova comunque precisare che è priva di pregio la<br />

doglianza formulata con il primo motivo, secondo cui<br />

nella specie gli acquisti dei titoli non sarebbero stati effettuati<br />

in esecuzione di un pregresso atto quadro, ma sarebbero<br />

stati invece conclusi in relazione a singole ed<br />

autonome proposte contrattuali di mandato.<br />

Al riguardo è infatti sufficiente rilevare che la Corte di<br />

Appello, cui era stata sottoposta identica questione, ha<br />

specificamente motivato sul punto con specifiche argomentazioni<br />

che non sono state oggetto di censura.<br />

Ad identiche conclusioni deve poi pervenirsi per quanto<br />

concerne il secondo motivo, con il quale è stata invocata<br />

l’applicabilità dell’art. 30, comma 9, per il quale la disciplina<br />

dettata in tale articolo si applicherebbe anche ai<br />

prodotti finanziari diversi da quelli indicati nell’art. 100,<br />

comma 1, lett. f), nel cui ambito non sarebbero annoverabili<br />

quelli oggetto della contestata transazione.<br />

Anche nell’ipotesi indicata, infatti, l’applicabilità della<br />

disciplina dettata dall’art. 30 presuppone la configurabilità<br />

di una offerta fuori sede, sicché, una volta escluso<br />

Le Società 7/2012 781


Giurisprudenza<br />

Diritto dei mercati finanziari<br />

che sia stata posta in essere quest’ultima, ne discende<br />

automaticamente l’inconsistenza della relativa richiesta.<br />

Il terzo motivo affronta infine diffusamente la questione<br />

concernente l’interpretazione dell’art. 30, con riferimen-<br />

IL COMMENTO<br />

di Edoardo Guffanti<br />

to alle dizioni ‘‘contratti e servizi di collocamento’’, questione<br />

già affrontata nella precedente esposizione alle cui<br />

argomentazioni quindi si rinvia.<br />

(omissis).<br />

La sentenza qui commentata tocca due differenti tematiche, entrambe di interesse. La Suprema Corte si<br />

pronuncia dapprima sulla definizione del servizio di collocamento e sulla differenza rispetto al servizio di negoziazione<br />

per conto terzi. Tale precisazione è funzionale alla pronuncia sull’ambito di applicazione del diritto<br />

di ripensamento di cui all’art. 30, comma 6, TUF - in relazione alla quale sussiste un contrasto nella giurisprudenza<br />

di merito - che viene limitato al solo servizio di collocamento propriamente detto (oltre che al servizio<br />

di gestione di portafogli).<br />

Premessa<br />

La Corte di cassazione, con la sentenza del 14<br />

febbraio 2012, n. 2065, che qui si annota, chiarisce<br />

che il diritto riconosciuto dall’art. 30, comma 6,<br />

D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (‘‘TUF’’) non si applica<br />

alle compravendite di strumenti finanziari effettuate<br />

in esecuzione di ordini di acquisto impartiti<br />

nell’ambito del servizio di negoziazione per conto<br />

terzi (ora, ‘‘esecuzione di ordini per conto dei clienti’’).<br />

I temi di rilievo, affrontati dalla sentenza, sono<br />

sostanzialmente due: l’individuazione degli elementi<br />

distintivi del servizio di collocamento rispetto al<br />

servizio di negoziazione, e quello dell’effettivo ambito<br />

di applicazione del citato art. 30, comma<br />

6 (1).<br />

In merito al primo profilo, la Suprema Corte,<br />

nel valutare la correttezza del giudizio formulato dal<br />

giudice del merito, ha ritenuto che nel caso in esame<br />

non fosse riscontrabile un servizio di collocamento<br />

«essendo questo caratterizzato da un accordo<br />

tra l’emittente (o l’offerente) e l’intermediario collocatore,<br />

finalizzato all’offerta ad un pubblico indeterminato<br />

di strumenti finanziari, emessi a condizioni<br />

di tempo e prezzo predeterminati». La sentenza<br />

offre, quindi, lo spunto per analizzare la nozione del<br />

servizio di collocamento, contenuta nell’art. 1,<br />

comma 5, TUF, al fine di individuarne i requisiti<br />

tipizzanti.<br />

Con riguardo al secondo profilo, la Corte - muovendo<br />

dalla qualificazione del servizio di collocamento<br />

nel senso sopra riportato - giunge ad affermare<br />

che obbligare l’intermediario a comunicare la<br />

facoltà di recesso a pena di nullità anche nel caso<br />

di contratto di negoziazione varrebbe a «consentire<br />

all’investitore ... di beneficiare del differimento del<br />

termine iniziale di decorrenza del negozio in funzione<br />

dell’eventuale esercizio di detto diritto ..., esercizio<br />

che ... ben potrebbe essere sollecitato anche da<br />

motivi di mero interesse economico». Considerato<br />

che tale conclusione non risulta condivisa da parte<br />

della giurisprudenza di merito - prevalentemente<br />

orientata a sostenere un’interpretazione estensiva<br />

dell’art. 30, comma 6, TUF - la decisione della Suprema<br />

Corte riveste particolare importanza.<br />

Il servizio di collocamento: la nozione<br />

Il primo problema sottoposto all’attenzione della<br />

Suprema Corte riguardava la correttezza del giudizio<br />

formulato dalla Corte di Appello in ordine alla<br />

qualificazione dell’operazione di acquisto, per la<br />

quale era sorta la controversia, quale operazione di<br />

‘‘collocamento’’ ovvero di ‘‘negoziazione’’ di strumenti<br />

finanziari.<br />

L’assenza all’epoca dei fatti di una precisa definizione<br />

legislativa del servizio di collocamento ha indotto<br />

la Suprema Corte a fare riferimento alla pras-<br />

Nota:<br />

(1) Il caso trattato nella sentenza è relativo all’acquisto di ‘‘Cirio<br />

bond’’ a seguito di un’espressa richiesta di un investitore sul<br />

c.d. ‘‘grey market’’. Il contratto di compravendita di tali strumenti<br />

finanziari fu stipulato fuori sede, senza che la banca avesse informato<br />

l’investitore della facoltà di recesso allo stesso riconosciuta<br />

dall’art. 30, comma 6, TUF. L’investitore decise di citare<br />

in giudizio la banca, al fine di ottenere la declaratoria di nullità<br />

del contratto stipulato e la ripetizione dell’indebito. Il giudice di<br />

primo grado riconobbe la pretesa dell’investitore. Successivamente,<br />

la Corte d’Appello accolse il ricorso della banca e considerò<br />

corretta la condotta dell’istituto di credito. In relazione agli<br />

acquisti effettuati sul ‘‘grey market’’, v. Trib. Milano 7 luglio<br />

2010, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, II, 104, con nota di Accettella.<br />

782 Le Società 7/2012


si interpretativa elaborata dalla Consob, secondo la<br />

quale il servizio consisteva nell’offerta a potenziali<br />

investitori di un determinato quantitativo di strumenti<br />

finanziari a condizioni di tempo e prezzo predeterminate,<br />

sulla base di un accordo preventivo<br />

intercorrente tra l’intermediario collocatore ed il<br />

soggetto che emette (o vende) gli strumenti stessi<br />

(2).<br />

La Corte di Appello prima, e la Suprema Corte<br />

poi, fanno propria tale ricostruzione, giungendo ad<br />

affermare che:<br />

a) l’acquisto di strumenti finanziari effettuato da<br />

un investitore «a condizioni non predeterminate»<br />

non può qualificarsi come servizio di collocamento;<br />

b) nel caso in esame era «ravvisabile una ipotesi<br />

di negoziazione, ... e non un’ipotesi di collocamento»,<br />

dato che «l’acquisto dei titoli non è avvenuto<br />

per iniziativa dell’offerente, ma a seguito di un precedente<br />

accordo di carattere generale fra l’investitore<br />

ed il soggetto delegato per la definizione negoziale<br />

(la Banca, ndr.)».<br />

Sebbene la ricostruzione del contenuto del servizio<br />

di collocamento - fatta propria dalla Suprema<br />

Corte - sia stata elaborata dalla Consob antecedentemente<br />

al recepimento della direttiva 2004/39<br />

(c.d. MiFID), essa risulta ancora valida ed è sostanzialmente<br />

in linea con le successive indicazioni interpretative<br />

fornite dalla Commissione Europea, la<br />

quale ha definito il collocamento come il «servizio<br />

prestato a favore di un emittente in virtù del quale<br />

l’intermediario si impegna a collocare presso gli investitori<br />

strumenti finanziari per conto dell’emittente.<br />

Tale servizio - che può essere prestato con o<br />

senza impegno ... - è riferito all’attività di c.d. mercato<br />

primario» (3).<br />

Le interpretazioni dell’Autorità di vigilanza nazionale<br />

e della Commissione Europea pongono in<br />

luce la centralità dell’accordo tra emittente e collocatore<br />

e la conseguente necessità che il collocatore<br />

non sia anche il soggetto offerente (o emittente)<br />

degli strumenti finanziari). In altri termini, uno dei<br />

tratti caratterizzanti il servizio di collocamento era<br />

(ed è) individuabile nell’alterità soggettiva tra collocatore<br />

ed emittente (4). Pertanto, il soggetto che<br />

colloca presso la propria sede legale e/o le proprie<br />

dipendenze gli strumenti finanziari da lui stesso<br />

emessi non prestava (e non presta) il servizio di<br />

collocamento, bensì un’attività che costituisce il<br />

completamento della propria abilitazione all’emissione<br />

ed all’offerta di prodotti finanziari (c.d. collocamento<br />

diretto) (5). Coerentemente, le SGR potevano<br />

(e possono) commercializzare le quote dei<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto dei mercati finanziari<br />

propri OICR (6) senza dover ottenere l’autorizzazione<br />

alla prestazione del servizio di collocamento (7).<br />

Un secondo elemento qualificante il servizio di<br />

collocamento - posto in evidenza dalle ricordate interpretazioni<br />

e ripreso della Suprema Corte - è lo<br />

svolgimento di un’attività promozionale, funzionale<br />

alla realizzazione di un’offerta standardizzata. In proposito,<br />

è pacifico che tale connotato saliente non<br />

venga meno quando l’impegno alla promozione è<br />

assunto nei confronti di un altro collocatore, il quale<br />

a sua volta si è impegnato nei confronti dell’emittente<br />

a porre in essere la sollecitazione e a ricer-<br />

Note:<br />

(2) V. la Comunicazione Consob 9 luglio 1997, n. DAL/97006042,<br />

richiamata dalla successiva Comunicazione n. DI/98094245 del<br />

10 dicembre 1998.<br />

(3) Risposta n. 152 «Placing is the service provided by an investment<br />

firm to an issuer whereby the firm undertakes to place<br />

financial instruments with investors on behalf of the issuer.<br />

Placing can be carried out either on a firm commitment basis or<br />

not depending on the type of commitment that firms undertake<br />

towards the issuer. It refers to services provided by the investment<br />

firm related to primary market activities associated with<br />

the issuance of new instruments (including private equity)» in<br />

http://ec.europa.eu/yqol/index.cfm?fuseaction=question.show&questionId=152.<br />

(4) Per questa ragione, l’art. 35 del regolamento Consob n.<br />

11522/98 precisava che gli intermediari, nel prestare il servizio<br />

di collocamento, «si attengono alle disposizioni dettate dall’offerente<br />

o dal soggetto che organizza e costituisce il consorzio di<br />

collocamento».<br />

(5) Comunicazioni Consob n. SGE/RM/94002319 dell’11 marzo<br />

1994 e n. DIN/58349 del 28 luglio 2000, ove si afferma il principio<br />

e si precisa che «gli emittenti possono procedere direttamente<br />

al ‘‘collocamento’’ nei confronti del pubblico delle proprie<br />

azioni (senza necessità quindi di avvalersi di intermediari autorizzati<br />

al servizio di cui all’art. 1, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 58/<br />

1998) ove tale attività sia svolta presso la sede legale e/o le dipendenze».<br />

In senso conforme, Costi - Enriques, Il mercato mobiliare,<br />

Padova, 2004, 243 ss., Annunziata, La disciplina del mercato<br />

mobiliare, Milano, 2010, 94; Renzulli, L’offerta fuori sede,<br />

collocamento e offerta a distanza, in Lener, Diritto del mercato<br />

finanziario, Saggi, Torino, 2011, 260. Qualora, invece, la promozione<br />

e il collocamento avvenga in luogo diverso dalla sede legale<br />

o dalle dipendenze, l’attività si configura come una ‘‘offerta<br />

fuori sede’’ e come tale esercitabile soltanto dagli intermediari<br />

autorizzati, ai sensi dell’art. 30, D.Lgs. n. 58/1998 (v. infra).<br />

(6) In relazione ad una SGR devono considerarsi OICR propri sia<br />

i fondi dalla stessa istituiti (in qualità di SGR promotrice) o gestiti<br />

(in qualità di SGR gestore) sia le SICAV eterogestite ai sensi dell’art.<br />

43 bis TUF.<br />

(7) Sul punto, si osserva che la modifica del TUF operata dal<br />

D.Lgs. n. 164/2007 ed il successivo recente recepimento della<br />

direttiva UCITS IV hanno permesso alle SGR di ‘‘commercializzare’’<br />

anche le quote o azioni di OICR di terzi. Tale l’attività - limitata<br />

alle sole parti di OICR terzi - è volutamente identificata<br />

con una terminologia che non fa riferimento al concetto di collocamento,<br />

ed è disciplinata mediante un rinvio alla regolamentazione<br />

del servizio di collocamento e ricezione ordini. Art. 33,<br />

comma 2, lett. e bis), TUF. Lettera dapprima aggiunta dall’art. 8,<br />

D.Lgs. 17 settembre 2007, n. 164 e poi così modificata dall’art.<br />

1, D.Lgs. 16 aprile 2012, n. 47 che ha sostituito le parole:<br />

‘‘OICR propri o di terzi’’ con le parole: ‘‘OICR di terzi’’.<br />

Le Società 7/2012 783


Giurisprudenza<br />

Diritto dei mercati finanziari<br />

care altri collocatori ‘‘secondari’’. Anche in tale<br />

modello operativo (c.d. collocamento ‘‘verticale’’ o<br />

‘‘a catena’’) è, infatti, presente l’impegno alla promozione,<br />

tipico del servizio di collocamento (8).<br />

Dunque, all’epoca dei fatti il collocamento si caratterizzava<br />

per essere un’attività promozionale -<br />

strumentale alla realizzazione di un’offerta promossa<br />

da un soggetto terzo rispetto al collocatore - volta a<br />

far sottoscrivere/acquistare strumenti finanziari mediante<br />

proposte standardizzate, non negoziate con i<br />

singoli investitori.<br />

La qualificazione del contratto stipulato<br />

con la banca<br />

Muovendo dall’assunto che il servizio di collocamento<br />

si caratterizza per essere un’attività promozionale<br />

volta a far sottoscrivere/acquistare strumenti finanziari<br />

con modalità standardizzate, la Suprema<br />

Corte condivide il giudizio della Corte di Appello,<br />

secondo la quale i contratti di acquisto delle obbligazioni<br />

stipulati tra il cliente e la banca non sono<br />

‘‘contratti di collocamento’’, quanto piuttosto negozi<br />

attuativi di un contratto quadro di negoziazione. La<br />

Suprema Corte qualifica la fattispecie come ‘‘negoziazione<br />

per conto terzi’’ (ora, esecuzione ordini per<br />

conto dei clienti), in considerazione del fatto che gli<br />

acquisti degli strumenti finanziari sono avvenuti sulla<br />

base di «un accordo stipulato dall’investitore con<br />

un soggetto determinato e a condizioni non predeterminate»<br />

e quindi «per effetto di un contratto di<br />

negoziazione accedente ad un deposito titoli per custodia<br />

ed amministrazione». Nell’argomentare la propria<br />

conclusione, la Suprema Corte evidenza che la<br />

negoziazione per conto terzi si differenzia dal collocamento<br />

per le modalità di offerta: mentre nel collocamento<br />

l’offerta degli strumenti finanziari avviene a<br />

condizioni standardizzate e nell’ambito dello svolgimento<br />

di un’operazione di massa (9), nella negoziazione<br />

l’offerta avviene invece secondo condizioni definite<br />

di volta in volta con il cliente. Proprio la presenza<br />

di ‘‘condizioni non predeterminate’’ induce la<br />

Suprema Corte «ad escludere, anche in via del tutto<br />

astratta ed ipotetica, la stessa configurabilità di un<br />

servizio di collocamento».<br />

Al riguardo, si può altresì rilevare che il servizio<br />

di collocamento si distingueva (e si distingue) rispetto<br />

alla negoziazione anche per il fatto che l’intermediario<br />

collocatore offriva necessariamente all’investitore<br />

un investimento (nella forma dell’acquisto<br />

o della sottoscrizione), mentre la negoziazione<br />

può avere ad oggetto anche la vendita di strumenti<br />

finanziari e, quindi, un disinvestimento.<br />

Gli elementi tipizzanti sopra individuati della<br />

fattispecie ‘‘collocamento’’ sono utili anche a tracciare<br />

il confine rispetto ad altri due servizi di investimento:<br />

il servizio di negoziazione in conto proprio<br />

(art. 1, comma 5, lett. a), TUF) ed il servizio<br />

di ricezione e trasmissione di ordini (art. 1, comma<br />

5, lett. e), TUF).<br />

Rispetto al primo servizio, il collocamento (a fermo)<br />

si differenziava proprio per l’esistenza di un accordo<br />

‘‘a monte’’ intercorso con l’emittente, in forza<br />

del quale il collocatore si impegna(va) alla vendita<br />

a terzi degli strumenti finanziari preventivamente<br />

acquistati (o sottoscritti) dall’emittente (10).<br />

Il servizio di collocamento si distingueva, poi,<br />

dalla ricezione e trasmissione di ordini perché l’attività<br />

svolta non era limitata alla mera raccolta degli<br />

ordini ed al loro successivo invio ad altro soggetto<br />

(es. negoziatore) (11), ma includeva anche un’attività<br />

distributiva e di promozione realizzata su incarico<br />

dell’emittente (12). Il raccoglitore di ordini<br />

svolgeva, invece, una funzione ‘‘neutra’’ di passag-<br />

Note:<br />

(8) V comunicazione Consob DIN/1079230 del 19 ottobre 2001.<br />

(9) È possibile che il collocamento avvenga per tranches, e ciascuna<br />

tranche può essere riservata a talune categorie di investitori<br />

soltanto (ad esempio: investitori istituzionali; pubblico indistinto;<br />

dipendenti della società o del gruppo, ecc.), ma nell’ambito<br />

di ciascuna tranche l’operazione si realizzerà comunque a<br />

condizioni uniformi.<br />

(10) Prima del recepimento della MiFID era possibile affermare<br />

con certezza che l’acquisto (sottoscrizione) iniziale non esaurisse<br />

il ruolo del collocatore. V. comunicazione Consob BOR/RM/<br />

93005170 del 21 giugno 1993; comunicazione Consob n. DAL/<br />

97006042 del 9 luglio 1997, nella quale la Commissione esclude<br />

la configurabilità del servizio di collocamento proprio per l’assenza<br />

di un impegno nei confronti dell’emittente o alla successiva<br />

rivendita degli strumenti finanziari precedentemente acquistati.<br />

Nell’attuale quadro normativo anche il solo acquisto a fermo<br />

(underwriting), non seguito dal piazzamento degli strumenti (placing),<br />

potrebbe configurare il servizio di collocamento: così Calandra<br />

Bonaura, La trasparenza nei servizi bancari di investimento,<br />

in Giur. comm., 2008, I, 223. Nello stesso senso, Spada, Il<br />

collocamento, in D’Apice (a cura di), L’attuazione della Mifid in<br />

Italia, Bologna, 2010, 168.<br />

(11) Il servizio di ricezione e trasmissione di ordini, di cui all’art.<br />

1, comma 5, lett. e), TUF, può avere ad oggetto sia strumenti finanziari<br />

trattati sui mercati regolamentati (c.d. ‘‘mercato secondario’’),<br />

sia strumenti finanziari durante la fase di emissione (c.d.<br />

‘‘mercato primario’’). Nel primo caso gli ordini vengono trasmessi<br />

per l’esecuzione ad un negoziatore, nel secondo caso ad un<br />

collocatore.<br />

(12) V. comunicazione Consob n. BOR/RM/94009777 del 26 ottobre<br />

1994 e comunicazione n. DIN/1079230 del 19 ottobre<br />

2001. Nello stesso senso, Spada, op. cit., 171, il quale sottolinea<br />

che la convenzione tra emittente e collocatore contribuisce<br />

la tracciare un precisa linea di demarcazione con il servizio di ricezione<br />

e trasmissione ordini. Conforme, Renzulli, op. cit., 261;<br />

Carozzi - Schiavelli, Il contratto di collocamento fuori sede, in<br />

Gabrielli - Lener (a cura di), I contratti del mercato finanziario, Torino,<br />

2010, 1167.<br />

784 Le Società 7/2012


gio degli ordini, in quanto «si limita(va) a ricevere<br />

e trasmettere gli ordini della clientela, senza svolgere<br />

alcuna attività di promozione o di offerta di valori<br />

mobiliari e senza essere incaricato ... del collocamento<br />

degli stessi» (13).<br />

Nel nostro sistema normativo, anche a seguito<br />

del recepimento delle direttive MiFID, l’elemento<br />

della promozionalità resta un elemento distintivo<br />

del servizio di collocamento rispetto alla ricezione e<br />

trasmissione di ordini. Sebbene a livello comunitario<br />

l’interpretazione del servizio fornita risulti in linea<br />

con la prassi interpretativa della Consob (14)<br />

(v. supra), la Commissione Europea ritiene, da un<br />

lato, che il servizio di ‘‘ricezione e trasmissione ordini’’<br />

sia compatibile con l’attività promozionale e,<br />

dall’altro, che il servizio di collocamento si svolge<br />

esclusivamente sul solo mercato primario, per tale<br />

intendendosi il mercato in cui ha luogo l’offerta di<br />

titoli di nuova emissione. La diretta conseguenza di<br />

tale impostazione è che l’attività prestata dall’intermediario<br />

incaricato di promuovere la sottoscrizione<br />

di quote di OICR (armonizzati) viene qualificata<br />

come ‘‘ricezione e trasmissione di ordini’’, e non<br />

collocamento (15). In tale prospettiva, l’attività<br />

svolta dal distributore - pur avendo un carattere<br />

promozionale - non è qualificabile come collocamento,<br />

poiché le quote dell’OICR (armonizzati) sono<br />

emesse in modo continuativo per far fronte alle<br />

richieste dei sottoscrittori e non sono, quindi, ‘‘collocate’’<br />

o ‘‘sottoscritte’’ sul mercato primario (16).<br />

In sintesi, l’interpretazione comunitaria di ‘‘ricezione<br />

e trasmissione di ordini’’ pare più ampia di quella<br />

nazionale e, quindi, idonea a ricomprendere le<br />

modalità ‘‘distributive’’ di quote di OICR (armonizzati),<br />

nelle quali l’elemento iniziale del processo è<br />

la richiesta del cliente alla quale fa seguito l’emissione<br />

(continuativa) dello strumento da parte della<br />

società-prodotto (17).<br />

Come tutti i servizi di investimento, il collocamento,<br />

per qualificarsi come tale, doveva (e deve<br />

tutt’ora) avere ad oggetto ‘‘strumenti finanziari’’.<br />

Non rientrava, quindi, nella nozione di collocamento<br />

propriamente detta l’attività che avesse ad oggetto<br />

prodotti finanziari diversi dagli strumenti finanziari<br />

(18) o servizi di investimento (19). Discorso<br />

diverso valeva (e vale) relativamente all’ambito di<br />

applicazione delle regole di condotta disciplinanti i<br />

servizi di investimento, dato che ai sensi dell’art. 25<br />

bis TUF tali regole si applicano anche «alla sottoscrizione<br />

ed al collocamento di prodotti finanziari<br />

emessi da banche e da imprese di assicurazioni».<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto dei mercati finanziari<br />

Note:<br />

(13) Comunicazione Consob n. BOR/RM/94009777 del 26 ottobre<br />

1994. Per questa ragione non era riconducibile al servizio di<br />

ricezione e trasmissione ordini l’attività dei c.d. ‘‘collocatori secondari’’<br />

(ossia i collocatori incaricati non direttamente dall’emittente,<br />

ma da altri collocatori) i quali erano impegnati a svolgere<br />

la promozione ed il collocamento (v. supra).<br />

(14) Q&A on MiFID, domanda n. 3.2 «Placing is the service provided<br />

by an investment firm to an issuer whereby the firm undertakes<br />

to place financial instruments with investors on behalf of the<br />

issuer. Placing can be carried out either on a firm commitment<br />

basis or not depending on the type of commitment that firms undertake<br />

towards the issuer. It refers to services provided by the<br />

investment firm related to primary market activities associated<br />

with the issuance of new instruments (including private equity)».<br />

(15) Risposta n. 263 «With respect to the factual scenario submitted,<br />

the service provided to the client by the investment firm normally<br />

constitutes the provision of the services of reception and<br />

transmission of orders as per Annex I, Section A(1) of the MiFID.<br />

In this scenario, which involves the sale of units in an open-ended<br />

collective investment scheme where shares are continually being<br />

issued to satisfy the demand by new investors, the investment<br />

firm does not provide the service of underwriting and/or placing issues<br />

in respect of the issuer». V anche Risposta n. 92 «With respect<br />

to the factual scenario submitted, the service provided to<br />

the client by the investment firm normally constitutes the provision<br />

of the services of reception and transmission or execution of<br />

orders as per Annex I, Section A para (1) of the MiFID. In this scenario,<br />

which involves the sale of units in an open-ended collective<br />

investment scheme where shares are continually being issued to<br />

satisfy the demand by new investors, the investment firm does<br />

not provide the service of underwriting and/or placing issues in respect<br />

of the issuer». In merito alla qualificazione dell’attività di distribuzione<br />

di quote di OICR, Spada, op. cit., 172.<br />

(16) In Italia, attualmente, un investitore può accedere, o essere<br />

orientato, ad un investimento in OICR mediante quattro distinte<br />

modalità, che implicano distinte relazioni negoziali tra gli intermediari<br />

offerenti servizi diversi e gli investitori:<br />

– ricezione e trasmissione di ordini in modalità execution only;<br />

– ricezione e trasmissione di ordini (tout court);<br />

– collocamento;<br />

– consulenza in materia di investimenti.<br />

Vedi, Consob, Quaderno di Finanza, n. 61, 2008, 53.<br />

(17) In occasione del recepimento in Italia della direttiva UCITS IV<br />

(2009/65/CE), Banca d’Italia ha chiarito nel documento di consultazione<br />

che «la normativa di derivazione MiFID - e la lettura interpretativa<br />

che di essa hanno reso nel tempo le autorità comunitarie<br />

e nazionali - ha espressamente consentito, chiarendo una tematica<br />

in passato controversa, la possibilità che un raccoglitore di<br />

ordini trasmetta direttamente all’emittente una richiesta di sottoscrizione<br />

o di rimborso relativa a OICR. In tal caso, ove ne sussistano<br />

i presupposti, il raccoglitore di ordini può operare anche in<br />

modalità execution only». Anche il CESR aveva avuto modo di<br />

pronunciarsi a favore della sottoscrizione di quote di OICR armonizzati<br />

in regime di execution only e, quindi, nell’ambito del servizio<br />

di ricezione ordini (Ref.: CESR/09-963, pag. 67). In relazione<br />

agli OICR non armonizzati, CESR «Q&A MiFID complex and non<br />

complex financial instruments for the purposes of the Directive’s<br />

appropriateness requirements» (Ref.: CESR/09-559).<br />

(18) Costituiva un’eccezione a tale regola il classamento presso il<br />

pubblico di obbligazioni bancarie, che non costituiva la prestazione<br />

del servizio di collocamento di cui al TUF, bensì un’attività di raccolta<br />

del risparmio tra il pubblico disciplinata dal TUB (ferma restando,<br />

ovviamente, l’applicazione della disciplina sull’offerta fuori<br />

sede che, come meglio indicato nel prosieguo, ha un ambito di applicazione<br />

diverso e più ampio rispetto al servizio di collocamento).<br />

(19) Il punto è pacifico in dottrina. In passato, Banca d’Italia aveva<br />

affermato che l’offerta al pubblico presso le proprie sedi di<br />

(segue)<br />

Le Società 7/2012 785


Giurisprudenza<br />

Diritto dei mercati finanziari<br />

L’offerta fuori sede: il diritto<br />

di ripensamento<br />

Dopo aver chiarito che l’acquisto delle obbligazioni<br />

è avvenuto in base ad un contratto di negoziazione<br />

per conto terzi, la Suprema Corte affronta<br />

la seconda questione sottoposta alla sua attenzione<br />

- in relazione alla quale sussiste un contrasto nella<br />

giurisprudenza di merito - e, cioè, se le disposizioni<br />

contenute nell’art. 30, comma 6, TUF, trovino applicazione<br />

solo con riferimento ai contratti di collocamento<br />

di strumenti finanziari (e di gestione di<br />

portafogli individuali), ovvero si applichino indistintamente<br />

a tutti i contratti relativi a servizi di investimento,<br />

ivi compresa la negoziazione per conto<br />

terzi.<br />

In altri termini, alla Suprema Corte viene chiesto<br />

di verificare se vi sia coincidenza fra la definizione<br />

dell’offerta fuori sede, formalizzata dal legislatore<br />

nell’art. 30, comma 1, TUF e l’ambito di esercizio<br />

del diritto di ripensamento riconosciuto dal comma<br />

6 del medesimo articolo.<br />

Com’è noto, il disposto dell’art. 30, comma 6,<br />

TUF riconosce all’investitore il diritto di recesso<br />

dai contratti conclusi fuori sede, da esercitarsi entro<br />

sette giorni dalla data di sottoscrizione. La previsione<br />

- che si riallaccia a norme già previste nella legislazione<br />

previgente (20) - riconosce all’investitore<br />

un vero e proprio jus poenitendi, stabilendo che<br />

«l’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti<br />

finanziari o di gestione di portafogli individuali<br />

conclusi fuori sede è sospesa per la durata di<br />

sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione<br />

da parte dell’investitore (21). Entro detto termine<br />

l’investitore può comunicare il proprio recesso (si<br />

ritiene, in forma libera) senza spese né corrispettivo<br />

...».<br />

Al fine di dirimere la questione, la Suprema<br />

Corte evidenzia come il legislatore nazionale abbia<br />

puntualmente delineato la nozione di offerta fuori<br />

sede al primo comma, stabilendo che per essa debba<br />

intendersi la promozione ed il collocamento presso<br />

il pubblico di strumenti finanziari e di servizi ed attività<br />

di investimento in luogo diverso dalle sedi<br />

proprie degli operatori proponenti intervenuti. Più<br />

in dettaglio, l’art. 30, comma 1, TUF definisce ‘‘offerta<br />

fuori sede’’ la promozione e il collocamento<br />

presso il pubblico di:<br />

a) strumenti finanziari in luogo diverso dalla sede<br />

legale o dalle dipendenze dell’emittente, del proponente<br />

l’investimento o del soggetto incaricato<br />

della promozione o del collocamento;<br />

b) servizi e attività di investimento in luogo di-<br />

verso dalla sede legale o dalle dipendenze di chi<br />

presta, promuove o colloca il servizio (22).<br />

Sebbene l’offerta fuori sede di prodotti o servizi di<br />

terzi richieda, di norma, che l’intermediario sia<br />

autorizzato alla prestazione del servizio di collocamento<br />

(23), il perimetro di tali due attività non<br />

coincide. La definizione di cui all’art. 30, comma 1,<br />

evidenzia con chiarezza che ‘‘offerta fuori sede’’ e<br />

‘‘collocamento’’ hanno un diverso ambito oggettivo<br />

di applicazione, dato che l’offerta fuori sede - diversamente<br />

dal collocamento propriamente detto -<br />

può avere ad oggetto anche servizi di investimento<br />

e prodotti finanziari. Tale elemento non rappresenta,<br />

tuttavia, l’unica diversità intercorrente, in quanto<br />

l’offerta fuori sede è tale soltanto se prestata nei<br />

confronti di clienti al dettaglio (24), laddove, invece,<br />

il servizio di collocamento resta tale anche se<br />

prestato nei confronti di clienti professionali.<br />

Al fine di comprendere in che cosa si concretizzi<br />

propriamente l’offerta fuori sede, due sono gli elementi<br />

della definizione che risultano particolarmen-<br />

Note:<br />

(segue nota 19)<br />

un servizio di gestione individuale fornito da terzi non configura<br />

la prestazione del servizio di collocamento, ferma restando la<br />

necessità di applicare le regole di correttezza e trasparenza nei<br />

confronti dei potenziali investitori, v. Banca d’Italia, Bollettino di<br />

vigilanza, 1999, VI, 4.<br />

(20) V. già l’art. 1/18 ter, L. n. 216/1974 e l’art. 5, L. n. 1/1991.<br />

La disciplina antecedente al TUF aveva peraltro sollevato ampio<br />

dibattito in merito all’effettiva individuazione del dies a quo per il<br />

computo del termine rilevante per il recesso del cliente: v. in<br />

proposito i riferimenti contenuti in Rabitti Bedogni (a cura di),<br />

Sub art. 30, inCommentario al testo unico delle disposizioni in<br />

materia di intermediazione finanziaria, Volume III, Milano, 1998,<br />

245 e ss .... Il TUF supera brillantemente la questione, individuando<br />

il termine nel momento in cui l’investitore sottoscrive il<br />

contratto, ovvero la proposta contrattuale, a seconda delle tecniche<br />

negoziali di volta in volta utilizzate. Sulle modalità per assicurare<br />

all’investitore l’effettivo esercizio del diritto in questione<br />

v. i ‘‘suggerimenti’’ indicati nella comunicazione Consob 23 gennaio<br />

1998, n. DI/98004696.<br />

(21) Si osserva, giustamente, in dottrina che la sospensione riguarda<br />

solo i contratti ‘‘conclusi’’ fuori sede: non anche quelli<br />

semplicemente ‘‘promossi’’ fuori sede, ma poi conclusi presso<br />

la sede dell’intermediario. Ad esempio, se un intermediario svolge<br />

un’attività promozionale presso il domicilio dell’investitore,<br />

ma poi il contratto è concluso in sede, il termine di sospensione<br />

non si applica: Amorosino - Rabitti Bedogni, Manuale di diritto<br />

dei mercati finanziari, Milano 2004, p. 138.<br />

(22) Sul punto, v. Costi - Enriques, Il mercato mobiliare, in Cottino<br />

(diretto da), Trattato di diritto commerciale, Padova, 2004,<br />

47; F. Parrella, La disciplina speciale dell’offerta a distanza di<br />

prodotti finanziari e di servizi di investimento, in Dir. banc. merc.<br />

fin., 2000, 38; Rabitti Bedogni, Sub art. 22, in Capriglio (a cura<br />

di), La disciplina degli intermediari e dei mercati finanziari, Padova,<br />

1997, 187.<br />

(23) Art. 30, comma 3, lett. a), TUF.<br />

(24) Art. 30, comma 2, TUF.<br />

786 Le Società 7/2012


te rilevanti: la nozione di ‘‘pubblico’’ e quella di<br />

‘‘promozione e collocamento’’ (25).<br />

Con riguardo al primo elemento, è utile osservare<br />

che la formulazione letterale della norma permette<br />

di escludere dalla nozione di offerta fuori sede i<br />

casi singoli (od episodici) di contatto con la clientela.<br />

Nessuna indicazione quantitativa può invece<br />

trarsi dallo scarno contenuto dell’art. 30 TUF. Pertanto,<br />

in assenza di precise indicazioni legislative e<br />

regolamentari, l’individuazione della nozione di<br />

‘‘pubblico’’ è rimessa all’interprete, il quale può utilizzare<br />

- quali semplici indicatori presuntivi - i criteri<br />

definiti dalla disciplina regolamentare in materia<br />

di offerte pubbliche di sottoscrizione e vendita<br />

(26).<br />

Quanto al secondo elemento, si sottolinea che<br />

entrambe le attività di promozione edicollocamento<br />

sono rilevanti e, quindi, autonome ai fini della qualificazione<br />

della fattispecie (27). Dunque, è soggetta<br />

alla disciplina in parola non soltanto la ‘‘vendita’’<br />

del servizio/strumento in senso stretto, ma anche<br />

ogni attività semplicemente ‘‘promozionale’’ che sia<br />

finalizzata a tale vendita (28). Al riguardo, si rendono<br />

però necessarie due precisazioni.<br />

In primo luogo, l’offerta fuori sede va tenuta distinta<br />

dalla semplice pubblicità. Più precisamente,<br />

deve ritenersi - conformemente alle indicazioni che<br />

da tempo provengono sia dalla dottrina, sia dalla<br />

prassi interpretativa della Consob (29) - che la<br />

pubblicità sia caratterizzata da una valenza essenzialmente<br />

informativa essendo rivolta al pubblico<br />

in generale, laddove, di contro, l’offerta fuori sede è<br />

un’attività finalizzata alla conclusione di un investimento<br />

all’interno di un rapporto diretto con l’investitore<br />

(30). Tale conclusione è, del resto, coerente<br />

con la finalità necessariamente divulgativa della<br />

pubblicità, che per sua natura è rivolta ad un insieme<br />

indistinto di soggetti. È, invece, assoggettata alla<br />

disciplina in questione l’attività promozionale<br />

ogniqualvolta la stessa si svolga nell’ambito di un<br />

rapporto personalizzato con il potenziale investitore<br />

e sia volta a indurre quest’ultimo all’acquisto di<br />

uno prodotto finanziario ovvero all’adesione ad un<br />

dato servizio di investimento.<br />

In secondo luogo, non rientra nella nozione di<br />

promozione rilevante ai fini dell’art. 30 TUF la c.d.<br />

segnalazione pregi (o segnalazione di clientela), che<br />

secondo il consolidato orientamento della Consob<br />

rientra nell’alveo della pubblicità istituzionale (31).<br />

La segnalazione di clientela è, infatti,un’attività<br />

che è essenzialmente volta a ricercare clienti mediante<br />

l’evidenziazione dei pregi dell’intermediario,<br />

senza riferimenti specifici ai prodotti e servizi<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto dei mercati finanziari<br />

offerti dall’intermediario segnalato. Proprio l’assenza<br />

di specifici riferimenti alle caratteristiche degli<br />

prodotti finanziari (o dei servizi di investimento)<br />

rende lecita l’esclusione di tale attività dalla<br />

nozione di offerta fuori sede, venendo meno la<br />

possibilità che il soggetto contattato possa effettuare<br />

scelte di investimento non adeguatamente<br />

mediate.<br />

Come sopra indicato, la disciplina dell’offerta<br />

fuori sede rileva, nella ricostruzione effettuata dalla<br />

Suprema Corte, ai fini dell’individuazione dell’ambito<br />

di applicazione del diritto di ripensamento. È<br />

noto che tale diritto ha quale obiettivo la tutela<br />

dell’investitore che entri in contatto con l’intermediario<br />

al di fuori delle sedi o dei locali di quest’ultimo;<br />

in una situazione, cioè, nella quale egli non si<br />

è recato di propria iniziativa dall’intermediario per<br />

effettuare un determinato investimento, bensì è stato<br />

sollecitato (e convinto) a realizzare l’operazione<br />

a seguito di un’azione promozionale. Stante il rischio<br />

di assumere decisioni poco mediate, il legislatore<br />

- con la sospensione dell’efficacia dell’operazione<br />

per un arco temporale di sette giorni - ha voluto<br />

assicurare all’investitore il tempo necessario per riflettere<br />

sulle scelte finanziare assunte e correggere,<br />

Note:<br />

(25) Quanto alla nozione di ‘‘sede’’ o ‘‘dipendenza’’ la stessa risulta<br />

dall’art. 2, comma 1, regolamento Consob n. 16190, che la<br />

definisce come «una sede, diversa dalla sede legale dell’intermediario<br />

autorizzato, costituita da una stabile organizzazione di<br />

mezzi e di persone, aperta al pubblico, dotata di autonomia tecnica<br />

e decisionale, che presta in via continuativa servizi o attività<br />

di investimento». Non è dunque corretto ritenere che qualsiasi<br />

‘‘ufficio’’ o ‘‘luogo’’ in cui l’intermediario svolge parte della propria<br />

attività sia identificabile come ‘‘sede’’ o ‘‘dipendenza’’ (con<br />

la conseguenza che l’attività ivi svolta non dovrà sottostare alle<br />

regole dettate per l’attività di offerta fuori sede). È, infatti, necessario<br />

che la sede possegga i requisiti richiesti dall’art. 2, configurandosi<br />

come un luogo in cui l’intermediario presta, attraverso<br />

un’organizzazione stabile di mezzi e di persone, uno o più<br />

servizi di investimento, in locali accessibili al pubblico.<br />

(26) In questo senso, V. Renzulli, op. cit., 243.<br />

(27) La rilevanza autonoma del momento promozionale ai fini<br />

della configurazione della fattispecie ‘‘offerta fuori sede’’ trova<br />

la propria giustificazione nella valenza promozionale delle tecniche<br />

commerciali impiegate. Sul punto, Capriglione, L’ordinamento<br />

finanziario italiano, 2010, Milano, 249.<br />

(28) Specularmente, configura l’attività di offerta fuori sede anche<br />

il mero collocamento non accompagnato da attività promozionale.<br />

(29) V. comunicazioni DCL/DEM/2049613/2002; DI/99031525<br />

del 26 aprile 1999; DI/98017959 del 12 marzo 1998.<br />

(30) V. anche Panoni, Sub art. 30, in Rabitti Bedogni (a cura di),<br />

Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione<br />

finanziaria,cit., p. 249.<br />

(31) V. comunicazioni DAL/RM/96006186 del 25 giugno 1996;<br />

BOR/RM/94002407 del 15 marzo 1994.<br />

Le Società 7/2012 787


Giurisprudenza<br />

Diritto dei mercati finanziari<br />

se del caso, le eventuali errate decisioni derivanti<br />

dall’effetto ‘‘sorpresa’’ subito.<br />

Sebbene il sesto comma precisi (in modo apparentemente<br />

chiaro) che il diritto di recedere entro<br />

sette giorni non trovi applicazione in tutti i casi,<br />

ma soltanto in relazione ai ‘‘contratti di collocamento<br />

di strumenti finanziari’’ o ‘‘di gestione di<br />

portafogli individuali’’ conclusi fuori sede (32), la<br />

portata della disposizione è stata oggetto di diverse<br />

letture e l’esatta interpretazione dell’espressione<br />

‘‘contratti di collocamento’’ ha dato vita ad un dibattito<br />

giurisprudenziale (v. infra).<br />

Il ricorrente - facendo propria la tesi estensiva,<br />

secondo la quale la tutela contenuta nell’art. 30,<br />

comma 6, TUF, troverebbe applicazione non soltanto<br />

con riferimento ai contratti di collocamento<br />

in senso stretto (o di gestione di portafogli individuali),<br />

ma anche a tutti i contratti relativi a servizi<br />

di investimento, ivi compresa la negoziazione - denuncia<br />

la violazione del citato sesto comma nel caso<br />

di specie. Secondo l’opinione del ricorrente, «il<br />

legislatore avrebbe attribuito alle dizioni ‘‘contratti<br />

di collocamento’’ e ‘‘servizi di collocamento’’ formulate<br />

nell’art. 30 un significato atecnico, che renderebbe<br />

applicabile nel caso di specie (negoziazione,<br />

ndr.) l’obbligo di dare comunicazione della facoltà<br />

di recesso, a pena di nullità dell’accordo». In<br />

questa prospettiva, la ricostruzione del servizio prestato<br />

dalla banca al cliente con riferimento all’acquisto<br />

delle obbligazioni (quale servizio di collocamento<br />

o di negoziazione per conto terzi) sarebbe irrilevante,<br />

e la mancata indicazione del diritto di recesso<br />

determinerebbe la nullità delle operazioni di<br />

acquisto degli strumenti finanziari ex art. 30, comma<br />

7, TUF (33).<br />

Ove, invece, si accogliesse l’opposta tesi restrittiva,<br />

che limita la tutela apprestata dal sesto comma<br />

alle sole ipotesi espressamente indicate ed interpretate<br />

in senso tecnico, la qualificazione del servizio<br />

prestato dalla banca come negoziazione renderebbe<br />

l’art. 30, comma 6, inapplicabile. Questa seconda<br />

lettura, che è quella prevalente in dottrina (34), è<br />

stata fatta propria dalla Corte di Appello nella sentenza<br />

impegnata. Al riguardo, si rendono necessarie<br />

alcune riflessioni più approfondite.<br />

La ricostruzione della Corte di cassazione<br />

La Suprema Corte affronta il problema sottoposto<br />

alla sua attenzione, che riguarda la correttezza<br />

del giudizio formulato dal giudice di merito in ordine<br />

all’inapplicabilità di tale disciplina alla fattispecie<br />

oggetto di esame. La Corte giunge ad affermare<br />

la correttezza della lettura restrittiva (35) tramite<br />

un percorso logico e ricostruttivo, che giova qui<br />

riassumere.<br />

Il punto di partenza dell’analisi svolta è il chiaro<br />

richiamo contenuto nel sesto comma ai contratti di<br />

collocamento di strumenti finanziari conclusi fuori<br />

sede (con esclusione pertanto di quelli soltanto promossi<br />

fuori sede) ed al servizio di gestione di portafogli<br />

individuali «e quindi, conclusivamente, in termini<br />

più contenuti e circoscritti rispetto alla fattispecie<br />

dell’offerta fuori sede delineata nel primo<br />

comma dell’art. 30». Dunque, secondo la Suprema<br />

Corte, non vi è coincidenza tra la definizione di offerta<br />

fuori sede di cui al primo comma dell’art. 30 e<br />

il più circoscritto ambito di applicazione del diritto<br />

di ripensamento, precisato nel sesto comma del medesimo<br />

articolo.<br />

Al di là del dato testuale, che secondo la Cassazione<br />

«depone inequivocabilmente nel senso ora<br />

delineato», vi è un’ulteriore considerazione che induce<br />

la Corte a ritenere che l’esercizio del diritto di<br />

recesso sia circoscritto soltanto a specifiche ipotesi,<br />

e non già con riferimento ad una generica attività<br />

di promozione fuori sede. A giudizio della Suprema<br />

Corte, infatti, depone in tal senso «la circostanza<br />

che il legislatore abbia direttamente richiamato nel<br />

comma 6 solo parte del contenuto del comma 1,<br />

operando viceversa una modificazione per il rimanente».<br />

Conferma indiretta di ciò si ritrova nella<br />

Note:<br />

(32) Per completezza, si ricorda che il sesto comma non si applica<br />

alle offerte pubbliche di vendita o di sottoscrizione di azioni<br />

con diritto di voto o di altri strumenti finanziari che permettano<br />

di acquisire o sottoscrivere tali azioni, purché le azioni o gli strumenti<br />

finanziari siano negoziati in mercati regolamentati italiani<br />

o di Paesi dell’Unione Europea. La ragione di tale deroga è riconducibile<br />

alle caratteristiche delle offerte pubbliche e alle connesse<br />

esigenze di carattere procedurale, volte ad assicurare un<br />

efficiente ed ordinato svolgimento di un’operazione che coinvolge<br />

un elevato numero di investitori.<br />

(33) Con riguardo alla necessità che il diritto di recesso sia indicato<br />

nel contratto, v. Trib. Roma 8 giugno 2009, in www.ilcaso.it.<br />

Secondo il Tribunale è nullo per difetto di forma il contratto<br />

che non preveda la clausola di recesso prescritta per le offerte<br />

fuori sede dall’art. 30, comma 6, TUF, e deve considerarsi a tal<br />

fine insufficiente il rinvio al prospetto informativo nel quale detta<br />

clausola di recesso è inserita. V. anche Trib. Bologna 15 aprile<br />

2009, in www.ilcaso.it, ove si afferma che, in ipotesi di collocamento<br />

fuori sede di strumenti finanziari, la mancata indicazione<br />

nei moduli o formulari sottoscritti dall’investitore della facoltà di<br />

recesso determina la nullità non del contratto quadro, bensì dello<br />

specifico ordine impartito dal cliente; Trib. Rimini 18 dicembre<br />

2006, n. 1874, ove si afferma l’importanza della chiarezza e<br />

comprensibilità della clausola.<br />

(34) Renzulli, op. cit., 249.<br />

(35) Nello stesso senso Cass., sez. I, 22 marzo 2012, n. 4564,<br />

in www.ilprocessocivile.com.<br />

788 Le Società 7/2012


formulazione dell’art. 1, comma 5, TUF, che distingue<br />

il servizio di collocamento dalla negoziazione<br />

per conto terzi, il che «implicitamente presuppone<br />

... la diversità di quest’ultima rispetto al collocamento».<br />

Pertanto, a giudizio della Suprema Corte,<br />

il diverso richiamo contenuto nel sesto comma rispetto<br />

a quello contenuto nel primo «denota ... la<br />

peculiarità dell’intento perseguito con la formulazione<br />

della disposizione in esame».<br />

Al dato testuale si sommano, poi, altre ragioni<br />

connesse alla ratio ispiratrice della disposizione di<br />

cui all’art. 30, comma 6, TUF. Tale disposizione è,<br />

secondo la Corte, chiaramente volta ad offrire una<br />

più ampia tutela a quegli investitori che abbiano effettuato<br />

un investimento in strumenti finanziari in<br />

un contesto nel quale il soggetto non ha necessariamente<br />

maturato una propria convinta determinazione<br />

circa l’utilità dell’investimento, e vi è il rischio<br />

che la decisione sia stata assunta in modo affrettato<br />

per effetto della iniziativa commerciale posta<br />

in essere dal promotore finanziario. In tale ottica,<br />

il fatto «che l’acquisto dei titoli non sia avvenuto<br />

per iniziativa dell’offerente, ma a seguito di un<br />

precedente accordo di carattere generale fra l’investitore<br />

ed il soggetto delegato per la definizione negoziale»<br />

comporta che nel caso di specie non sia<br />

ravvisabile una situazione nella quale sia necessario<br />

ribilanciare l’‘‘effetto sorpresa’’, dato che è stato<br />

l’investitore a impartire gli ordini (36) e, quindi, a<br />

prendere l’iniziativa (37).<br />

La conferma che la finalità perseguita dalla norma<br />

(ossia assicurare all’investitore il tempo necessario<br />

per rivalutare le scelte di investimento che non<br />

sono state realizzate di propria iniziativa) sia essenziale<br />

al fine di individuare l’esatto ambito di applicazione<br />

del sesto comma trova conferma, a giudizio<br />

della Suprema Corte, nell’esclusione dei contratti<br />

di collocamento conclusi fuori sede da clienti professionali<br />

(v art. 30, comma 2): è di tutta evidenza,<br />

infatti, che l’investitore professionale non è esposto<br />

al rischio di assumere scelte non consapevoli per effetto<br />

di un’azione commerciale effettuata fuori sede.<br />

Infine, l’interpretazione restrittiva dell’art. 30,<br />

comma 6, risulta preferibile - a giudizio della Corte -<br />

per un’ulteriore ragione: «l’esigenza di privilegiare<br />

una interpretazione che tenga conto degli effetti eccezionali<br />

della disposizione» e «dei riflessi che la<br />

stessa è potenzialmente idonea a determinare». Il riconoscimento<br />

del diritto di recesso anche nel caso<br />

di acquisti effettuati nell’ambito della negoziazione<br />

significherebbe, infatti, «consentire all’investitore, al<br />

di fuori delle sopra indicate ragioni che hanno indotto<br />

alla formulazione della disposizione» di benefi-<br />

Giurisprudenza<br />

Diritto dei mercati finanziari<br />

ciare del differimento del termine iniziale di decorrenza<br />

del contratto di acquisto di strumenti finanziari<br />

e del connesso diritto di recesso, il cui esercizio potrebbe<br />

essere determinato «da motivi di interesse<br />

economico, quali quelli determinati dalla possibilità<br />

di concludere acquisti di maggiore convenienza, per<br />

effetto di mutate situazioni di mercato».<br />

Il diritto di ripensamento nell’intepretazione<br />

giurisprudenziale<br />

Come sopra accennato, la norma di cui all’art.<br />

30, comma 6, è stata oggetto di diverse interpretazioni<br />

giurisprudenziali con riguardo alla sua portata<br />

e, più precisamente, con riguardo all’individuazione<br />

delle tipologie di contratto rientranti tra i ‘‘contratti<br />

di collocamento di strumenti finanziari’’.<br />

Una parte della giurisprudenza di merito ha interpretato<br />

la citata espressione in senso atecnico,<br />

nel chiaro intento di ampliare la portata della norma<br />

di tutela. In tale prospettiva ricostruttiva, il sesto<br />

comma dell’art. 30 TUF conferisce all’investitore<br />

il diritto di ripensamento in relazione a qualunque<br />

contratto concluso fuori sede (38). Il riferimen-<br />

Note:<br />

(36) Sul punto, il considerando 30 della direttiva 2004/39/CE<br />

(‘‘MiFID’’) stabilisce che un servizio dovrebbe essere considerato<br />

come prestato ‘‘su iniziativa del cliente’’ a meno che il cliente<br />

lo richieda in risposta ad una comunicazione personalizzata dall’intermediario<br />

a quel particolare cliente, che contiene un invito<br />

oèintesa a influenzare il cliente rispetto ad uno strumento finanziario<br />

o operazione finanziaria specifici. In questa prospettiva,<br />

il servizio prestato è irrilevante e l’elemento centrale diventa,<br />

appunto, la presenza, o meno, di un’autonoma volontà negoziale<br />

del cliente non sollecitata dall’intermediario. Si potrebbe osservare<br />

che nell’attuale contesto molti intermediari prestano i<br />

servizi di investimento in abbinamento con il servizio di consulenza.<br />

Tale modello relazionale potrebbe ridurre la valenza della<br />

distinzione effettuata dalla Suprema Corte, dato che in entrambi<br />

i casi (i.e. collocamento e esecuzione di ordini) l’investitore effettuerebbe<br />

un investimento dopo aver ricevuto una raccomandazione<br />

personalizzata. In altri termini, il fatto che l’investitore riceva<br />

- fuori sede - una raccomandazione a lui diretta avente ad<br />

oggetto l’acquisto (o la sottoscrizione) di un dato strumento finanziario<br />

rende, forse, meno conclusiva questa parte della motivazione<br />

della Suprema Corte se riferita all’attuale contesto normativo.<br />

(37) Così, Renzulli, op. cit., 249; Santosuosso, Jus poenitendi e<br />

servizi di investimento, in Banca borsa, 2008, 773.<br />

(38) V. Trib. Parma 20 dicembre 2011, n. 1399, in www.dirittobancario.it;<br />

Trib. Bologna 15 aprile 2009, in www.ilcaso.it; Trib.<br />

Modena 6 marzo 2009, ivi; Trib. Forlì 13 gennaio 2009, in Contratti,<br />

2009, 401; Trib. Milano 17 aprile 2007, in Giur. it., 2007,<br />

2815, con nota di Uselli; Trib. Bologna 17 aprile 2007, in www.ilcaso.it;<br />

Trib. Benevento 26 ottobre 2005, in Banca borsa e tit.<br />

cred., 2008, 753; Trib. Rimini 28 aprile 2007, in www.ilcaso.it;<br />

Trib. Roma 20 luglio 2006 e 14 settembre 2006, ivi; Trib. Pescara<br />

9 maggio 2006, in Giur. mer., 2007, 1276, con nota di Viola;<br />

Trib. Parma 17 gennaio 2006, in www.giuemilia.it; Trib. Mantova<br />

10 dicembre 2004, in Contratti, 2005, 604; App. Palermo 2<br />

luglio 2010, in Giur. it., 2010, 868.<br />

Le Società 7/2012 789


Giurisprudenza<br />

Diritto dei mercati finanziari<br />

to letterale al collocamento scolora a favore di una<br />

sua lettura ampia quale generico sinonimo ‘‘di piazzamento<br />

di titoli’’, tale da assegnare uno spatium deliberandi<br />

all’investitore in qualunque ipotesi di conclusione<br />

di contratti fuori sede, ossia in una situazione<br />

nella quale l’investitore non si è recato di<br />

propria iniziativa dall’intermediario per realizzare<br />

una determinata operazione di investimento (e,<br />

quindi, plausibilmente, con una qualche determinazione<br />

in merito all’operazione da realizzare), bensì è<br />

stato sollecitato e convinto a realizzare l’operazione<br />

a seguito di un’azione commerciale da parte di un<br />

promotore finanziario con il rischio di assumere decisioni<br />

poco mediate. Una delle motivazioni ricorrenti<br />

a sostegno della tesi che il termine ‘‘collocamento’’<br />

di cui all’art. 30, comma 6, TUF deve ritenersi<br />

comprensivo di ogni forma di compravendita<br />

e di sottoscrizione (e quindi anche dell’attività di<br />

negoziazione), è che solo tale interpretazione è<br />

compatibile con l’uso promiscuo del termine fatto<br />

dalla norma in connessione sia con gli strumenti finanziari<br />

sia con i servizi di investimento.<br />

A questa lettura ‘‘estensiva’’ se ne è contrapposta<br />

un’altra, la quale, interpretando in modo più rigoroso<br />

il disposto letterale, limita la tutela prevista<br />

dal citato sesto comma ai soli contratti di collocamento<br />

(in senso stretto) di strumenti e prodotti finanziari<br />

ed ai contratti di gestione patrimoniale<br />

(39).<br />

Poco tempo dopo la sentenza in commento,<br />

un’altra sezione della Suprema Corte ha avuto modo<br />

di affrontare lo stesso tema, confermando la correttezza<br />

della lettura restrittiva (40). Anche in questa<br />

occasione, la ricostruzione della Suprema Corte<br />

fa perno sul tenore letterale della norma e su una<br />

lettura sistematica del precetto. La Corte afferma<br />

che, in applicazione del criterio di interpretazione<br />

letterale, «deve ritenersi che laddove l’art. 30, comma<br />

6, TUF si riferisce esclusivamente ai contratti<br />

di collocamento di strumenti finanziari o di gestione<br />

di portafogli individuali intenda dettare una disciplina<br />

peculiare limitata a siffatte tipologie di<br />

contratti con esclusione degli altri elencati all’art.<br />

1, comma 5, TUF» A conferma di tale conclusione,<br />

viene rilevato che:<br />

(a) l’art. 30, comma 6, TUF prende in considerazione<br />

non la sola ipotesi di collocamento di servizi<br />

finanziari, che isolatamente presa potrebbe dare<br />

adito a dubbi circa un suo significato atecnico e generico<br />

sinonimo di piazzamento di titoli, ma anche<br />

l’ipotesi della gestione di portafogli individuali; «il<br />

che sta a significare che il legislatore aveva l’intenzione<br />

ben precisa di limitare l’ipotesi della indica-<br />

zione della clausola di recesso esclusivamente a tali<br />

due tipi di contratto con esclusione degli altri contratti»<br />

(41);<br />

(b) la discrepanza, anche sotto il profilo dei tempi<br />

di attuazione, che esiste tra il servizio di collocamento<br />

degli strumenti finanziari e altri servizi di investimento:<br />

il primo infatti si svolge a condizioni di<br />

prezzo e sovente anche di tempo definite per cui,<br />

stante la stabilità del quadro di riferimento dell’investimento,<br />

l’investitore può utilmente riflettere<br />

nell’arco di sette giorni sulla opportunità della sua<br />

scelta optando eventualmente nel recesso. «Altrettanto<br />

non può dirsi nel caso di contratti di investimento<br />

in cui il valore dei titoli mobiliari è soggetto<br />

a costante mutamento ed in cui, quindi, il prezzo<br />

effettivo di acquisto da parte dell’intermediario non<br />

avverrà mai di regola al prezzo indicato nel contratto<br />

di investimento perché nel lasso di tempo intercorso<br />

tra la stipula di questo e l’acquisto il prezzo<br />

sarà certamente variato» (42).<br />

Note:<br />

(39) App. Brescia 20 giugno 2007, in www.ilcaso.it; Trib. Torino<br />

18 settembre 2007, n. 5930, ivi; Trib. Parma 14 aprile 2007, ivi.<br />

(40) Cass. 22 marzo 2012, n. 4564, in www.ilprocessocivile.com.<br />

(41) Cass. 22 marzo 2012, n. 4564, cit.<br />

(42) Cass. 22 marzo 2012, n. 4564, cit.<br />

790 Le Società 7/2012


Reati tributari<br />

L’irrilevanza penale<br />

dell’elusione tributaria<br />

di Fabio Fasani<br />

Il dibattito concernente la rilevanza penale dell’elusione tributaria deve essere risolto avendo a mente taluni<br />

principi cardine dell’ordinamento penalistico: la frammentarietà el’extrema ratio del diritto penale; la legalità<br />

e l’irretroattività delle fattispecie incriminatrici; la necessaria colpevolezza del soggetto agente. Il rispetto di<br />

questi principi impone di assimilare il concetto di ‘‘fittizietà’’ a quello di ‘‘inesistenza oggettiva’’, con la conseguente<br />

estromissione di qualsiasi forma di elusione tributaria dall’area del penalmente rilevante.<br />

Le recenti aperture giurisprudenziali alla<br />

rilevanza penale dell’elusione tributaria<br />

Dopo sfuggenti obiter dicta (1) e sortite in terreni limitrofi<br />

(2), la Cassazione nell’ultimo anno ha affrontato<br />

con crescente coraggio il tema della rilevanza<br />

penale dell’elusione tributaria. Tale percorso,<br />

dai risultati tanto chiari quanto non condivisibili,<br />

ha preso le mosse dalla sentenza Ledda (3) del marzo<br />

scorso e si è concluso con la recente pronuncia<br />

emessa nel noto caso Dolce&Gabbana (4).<br />

Entrambe le sentenze, pur con diversa consapevolezza<br />

e convinzione, giungono a considerare penalmente<br />

rilevanti, ex art. 4, D.Lgs. n. 74/00, le condotte<br />

elusive del contribuente, ossia quei comportamenti<br />

«privi di valide ragioni economiche, diretti<br />

ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento<br />

tributario, e a ottenere riduzioni d’imposte o<br />

rimborsi, altrimenti indebiti» (5).<br />

Sono molto stringate le ragioni della sentenza Ledda,<br />

anche a causa della natura cautelare della pronuncia<br />

stessa, chiamata a decidere circa la legittimità<br />

di un sequestro preventivo per equivalente.<br />

In tale contesto, i giudici si limitano a valutare la<br />

sussistenza del fumus del delitto di dichiarazione<br />

infedele rispetto al «comportamento dell’indagato<br />

che ha, di fatto, portato alla sottrazione di una rilevante<br />

somma dall’imponibile, attraverso [...] una<br />

complessa operazione, realizzata attraverso un insieme<br />

di condotte ed atti negoziali che, sebbene<br />

tutti di per sé leciti, apparivano finalizzati ad evadere<br />

l’IVA e le imposte sui redditi».<br />

Ebbene, pur vertendosi pacificamente in un caso di<br />

elusione ex art. 37 bis, D.P.R. n. 600/73, la Cassa-<br />

zione ammette l’astratta configurabilità del delitto<br />

in contestazione sulla scorta del semplice ragionamento<br />

che la condotta elusiva, «essendosi risolta in<br />

atti e negozi non opponibili alla amministrazione,<br />

avrebbe comunque comportato una dichiarazione<br />

Note:<br />

Opinioni<br />

Diritto penale societario<br />

(1) Cfr. ad es. Cass. pen., sez. V, del 18 maggio-7 luglio 2006, n.<br />

23730 in Dir. prat. soc., 2007, 62 ss. con nota di I. Caraccioli,<br />

Elusione fiscale e reati tributari: un precedente giudiziario inesistente.<br />

Fra le pieghe di tale sentenza, avente ad oggetto un’ipotesi<br />

di bancarotta fraudolenta, si legge un’affermazione chiara<br />

per quanto non motivata: «[...] Condotta che esula dalla contestazione<br />

e che non assume (trattandosi di elusione) interesse a<br />

fine penale. Del resto questa prassi è stata diffusamente praticata<br />

all’epoca dei fatti, in vista della introduzione di norme antielusive<br />

(la cui violazione, peraltro, in linea di principio, non comporta<br />

conseguenze di ordine penale)».<br />

(2) Si veda, ad esempio, Cass. pen., sez. III, 26 maggio-28 luglio<br />

2010, n. 29724, in Corr. trib., 2011, 2937 ss. con nota di P. Corso,<br />

Abuso del diritto in materia penale: verso il tramonto del<br />

principio di legalità? einGT, 2011, 852 ss. con nota di A. Marcheselli,<br />

Numerosi concreti ostacoli si contrappongono alla punibilità<br />

di elusione fiscale e abuso del diritto. La pronuncia, in un<br />

caso di esterovestizione della residenza fiscale, ritiene ipotizzabile<br />

il reato di omessa dichiarazione, ex art. 5, D.Lgs. n. 74/00,<br />

con riferimento a una società di diritto straniero che possegga<br />

in Italia una stabile organizzazione.<br />

(3) Cass. pen., sez. III, 18 marzo-7 luglio 2011, n. 26723, in<br />

C.E.D. Cassazione.<br />

(4) Cass. pen., sez. II, 22 novembre 2011-28 febbraio 2012, n.<br />

7739, in C.E.D. Cassazione. La sentenza ha già ricevuto numerosi<br />

commenti ed è stata pubblicata in questa Rivista, 2012,<br />

690 ss. con nota di L. Troyer, La rilevanza penale dell’elusione<br />

tra Suprema Corte e Legislatore dopo la sentenza D&G ein<br />

Corr. giur., 2012, 487 ss. con nota di A. D’Avirro, L’elusione entra<br />

‘a torto’ nell’illecito penale tributario.<br />

(5) Così argomentando ex art. 37 bis, D.P.R. 29 settembre<br />

1973, n. 600. Il problema della definizione della condotta elusiva<br />

e quello della sua incidenza sul piano penale sono invero molto<br />

più complessi; a tal proposito si vedano i successivi paragrafi.<br />

Le Società 7/2012 791


Opinioni<br />

Diritto penale societario<br />

infedele, perché nella stessa gli elementi attivi non<br />

sono stati esposti nel loro ammontare effettivo». In<br />

una parola, il sillogismo della Corte è basilare: la<br />

dichiarazione è fedele quando gli elementi attivi e<br />

quelli passivi sono indicati nel loro ammontare effettivo;<br />

gli atti e i negozi elusivi non sono opponibili<br />

alla amministrazione e dunque tamquam non essent;<br />

la dichiarazione che di essi tenga conto è infedele<br />

perché calcola gli elementi attivi e quelli passivi<br />

sulla base di operazioni che non devono essere valutate<br />

a fini tributari (6).<br />

Un maggiore approfondimento è dedicato al tema<br />

dalla sentenza con la quale, nel caso D&G, la Cassazione<br />

ha annullato con rinvio la pronuncia liberatoria<br />

del giudice dell’udienza preliminare meneghino<br />

(7).<br />

In questo contesto, sempre avendo sullo sfondo una<br />

condotta prettamente elusiva (8), la Cassazione articola<br />

in tre motivi la propria posizione di favore rispetto<br />

alla penale rilevanza dell’elusione tributaria.<br />

In primo luogo, i giudici fanno riferimento all’art.<br />

1, lett. f), D.Lgs. n. 74/00 laddove esso indica come<br />

per imposta evasa si intenda «la differenza tra l’imposta<br />

effettivamente dovuta e quella indicata nella<br />

dichiarazione». Tale definizione - a parere della<br />

Cassazione - sarebbe «più che idonea a ricomprendere<br />

l’imposta elusa, che è, appunto, il risultato della<br />

differenza tra un’imposta effettivamente dovuta,<br />

cioè quella della operazione che è stata elusa, e<br />

l’imposta dichiarata, cioè quella autoliquidata sull’operazione<br />

elusiva».<br />

In secondo luogo, a sostegno della penale rilevanza<br />

dell’elusione deporrebbe il contenuto dell’art. 16<br />

D.Lgs. n. 74/00 (9), in base al quale non può acquisire<br />

penale rilevanza la condotta di chi uniformi<br />

il proprio comportamento al parere del «Comitato<br />

per l’applicazione delle norme antielusive». Pare infatti<br />

evidente ai giudici della Suprema Corte che<br />

«detta disposizione induca proprio a ritenere che<br />

l’elusione, fuori dal procedimento di interpello, possa<br />

avere rilevanza penale», conducendo l’interpretazione<br />

contraria alla sostanziale abrogazione della<br />

norma.<br />

In terzo luogo, infine, militerebbe nello stesso senso<br />

anche un argomento di natura politico-criminale.<br />

In particolare, un interesse privilegiato a livello ermeneutico<br />

sarebbe da riconoscere - secondo la Cassazione<br />

- al passaggio dal modello di tutela prodromica<br />

e formale di cui alla L. n. 516/82 al modello<br />

del D.Lgs. n. 74/00, incentrato sul momento dichiarativo<br />

e sulla lesione sostanziale degli interessi<br />

economici dell’erario. In tale ultima ottica, «se il<br />

bene tutelato dal nuovo regime fiscale è la corretta<br />

percezione del tributo, l’ambito di applicazione delle<br />

norme incriminatrici può ben coinvolgere quelle<br />

condotte che siano idonee a determinare una riduzione<br />

o una esclusione della base imponibile», quali<br />

appunto le condotte elusive.<br />

A detta degli stessi giudici di legittimità, basterebbe<br />

una sola accortezza per impedire che questo ampliamento<br />

dell’area di precettività del delitto di dichiarazione<br />

infedele alle condotte elusive possa entrare<br />

in collisione col principio legalità, che la costituzione<br />

italiana proclama con riferimento alla fattispecie<br />

penale e che la giurisprudenza comunitaria incessantemente<br />

ha declamato, anche a livello meramente<br />

tributario, a partire dalla sentenza Halifax<br />

(10). Basterebbe, in particolare, limitare la penale<br />

rilevanza dell’elusione a quelle condotte che<br />

aggirino espresse disposizioni antielusive, in ossequio<br />

al principio secondo cui «non qualunque condotta<br />

elusiva ai fini fiscali può assumere rilevanza<br />

penale, ma sono quella che corrisponde ad una specifica<br />

ipotesi di elusione espressamente prevista dal-<br />

Note:<br />

(6) Il ragionamento - come meglio vedremo in seguito - è condiviso<br />

da una parte della dottrina. Per un’identica impostazione<br />

del problema, si veda subito A. Martini, Reati in materia di finanze<br />

e tributi, in C.F. Grosso - T. Padovani - A. Pagliaro (a cura di),<br />

Trattato di diritto penale, vol. XVII, Milano, 2010, 392 ss. e spec.<br />

400: «Laddove la normativa sancisce il non riconoscimento da<br />

parte dell’amministrazione finanziaria degli effetti favorevoli di<br />

siffatte prassi o la rideterminazione dei corrispettivi alla luce del<br />

valore di mercato delle cessioni operate, afferma altresì un dato<br />

elementare: che la dichiarazione avrebbe dovuto avere contenuti<br />

diversi da quelli che rivela, ovvero che essa deve considerarsi<br />

infedele».<br />

(7) G.I.P. Milano 1-29 aprile 2011 - Giud. Luerti, n. 828/11, in<br />

Riv. dott. comm., 2011, 441 ss. con nota di L. Troyer - A. Ingrassia,<br />

Esclusa nuovamente la tipicità penale dell’elusione. A margine<br />

di un noto caso di presunta esterovestizione tra divieto di<br />

presunzioni legali nel processo penale e libertà di stabilimento e<br />

in Corr. mer., 2011, 967 ss. con nota di G. Lunghini - Va. Valentini,<br />

Irrilevanza penale dell’elusione e inutilizzabilità delle presunzioni<br />

tributarie.<br />

(8) Senza scendere in dettagli, il caso di specie concerne la presunta<br />

esterovestizione dei redditi derivanti dall’utilizzo dei notissimi<br />

marchi di moda, ceduti a una società di diritto lussemburghese.<br />

(9) Art. 16, D.Lgs. n. 74/00 («Adeguamento al parere del Comitato<br />

per l’applicazione delle norme antielusive»): «Non dà luogo<br />

a fatto punibile a norma del presente decreto la condotta di chi,<br />

avvalendosi della procedura stabilita dall’articolo 21, commi 9 e<br />

10, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, si è uniformato ai pareri<br />

del Ministero delle finanze o del Comitato consultivo per<br />

l’applicazione delle norme antielusive previsti dalle medesime<br />

disposizioni, ovvero ha compiuto le operazioni esposte nell’istanza<br />

sulla quale si è formato il silenzio-assenso».<br />

(10) Corte di Giustizia, C-255/02, 21 febbraio 2006, Halifax e a.,<br />

secondo cui la condotta elusiva «non deve condurre ad una sanzione,<br />

per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo<br />

chiaro ed univoco, bensì e semplicemente a un obbligo di<br />

rimborso di parte o di tutte le indebite detrazioni».<br />

792 Le Società 7/2012


la legge». In base a questo approccio, la norma generale<br />

antielusiva, di cui all’art. 37 bis, D.P.R. n.<br />

600/73 rappresenterebbe il ‘‘limite inferiore’’ dell’area<br />

del penalmente rilevante, con la conseguenza di<br />

escludere quantomeno la possibilità di un’ulteriore<br />

penalizzazione, che prenda le mosse dal riconoscimento,<br />

effettuato dalla Cassazione civile, di un generale<br />

principio antielusivo non scritto, fondato sugli<br />

artt. 3 e 53 Cost. (11).<br />

Le facili obiezioni e l’impasse<br />

dell’interpretazione parcellizzata<br />

La sentenza D&G è la prima ad affrontare, in maniera<br />

diretta, il tema della rilevanza penale dell’elusione<br />

tributaria. Ciononostante, essa è destinata a<br />

non soddisfare chi da tempo si aspettava che la Suprema<br />

Corte facesse chiarezza una volta per tutte<br />

sul tema, offrendo finalmente un’impostazione organica<br />

e delle soluzioni convincenti.<br />

Piuttosto che inquadrare il problema in maniera<br />

complessiva ed in chiave realmente penalistica, la<br />

pronuncia in discorso si limita infatti ad elencare le<br />

tre argomentazioni analizzate in precedenza. Come<br />

meglio vedremo in seguito, peraltro, ciascuna di esse<br />

corrisponde semplicemente ad una delle divergenti<br />

opinioni rispetto a tre dei molteplici temi<br />

controversi, su cui si gioca da una dozzina d’anni la<br />

battaglia tra i sostenitori e gli oppositori della rilevanza<br />

penale dell’elusione fiscale (12).<br />

È anomalo, tra l’altro, che la Suprema Corte non<br />

dia nemmeno conto di questo dibattito interpretativo,<br />

cristallizzato già a partire dai primi commenti<br />

successivi all’approvazione del D.Lgs. n. 74/00, e<br />

che soprattutto non dia conto delle opinioni divergenti<br />

che agevolmente permettono di mettere in<br />

discussione ciascuno dei tre argomenti sfruttati in<br />

motivazione.<br />

Partendo dal primo, infatti, va ricordato come esso<br />

faccia riferimento all’art. 1, lett. f), D.Lgs. n. 74/00,<br />

il quale, indicando come imposta evasa «la differenza<br />

tra l’imposta effettivamente dovuta e quella<br />

indicata nella dichiarazione», recherebbe una definizione<br />

talmente ampia da ricomprendere l’imposta<br />

elusa. Se il contribuente si fosse comportato bene e<br />

non avesse realizzato condotte elusive - si dice - è<br />

evidente che più alta sarebbe stata l’imposta autoliquidata,<br />

ossia quella effettivamente dovuta al fisco<br />

(13).<br />

Ebbene, a questa tesi se ne contrappone da sempre<br />

una di segno inverso, secondo la quale l’imposta<br />

elusa non potrebbe essere ricondotta alla definizione<br />

relativa all’imposta evasa. Ciò deriverebbe dal<br />

Opinioni<br />

Diritto penale societario<br />

fatto che l’imposta elusa non è affatto un’imposta<br />

dovuta, quanto piuttosto un’imposta pretesa o comunque<br />

attesa dall’erario. Il contribuente è infatti<br />

tenuto a versare l’imposta autoliquidata in base alle<br />

operazioni (anche elusive) effettuate e dunque effettive,<br />

che hanno determinato i valori della dichiarazione<br />

fiscale. Solo il successivo intervento dell’amministrazione<br />

finanziaria, che disconosca le condotte<br />

elusive, è idoneo a generare un (nuovo) dovere<br />

patrimoniale del contribuente, prima correttamente<br />

appiattito sulle proprie lecite scelte economico-gestionali<br />

(14).<br />

Diversamente ragionando sul punto, si giungerebbe<br />

a quell’effetto paradossale e a quella ‘‘discrasia<br />

deontologica’’ puntualmente rilevati sulle pagine<br />

di questa Rivista: in sede di autoliquidazione dell’imposta<br />

dovuta, il contribuente sarebbe infatti<br />

chiamato a dichiarare il ‘‘falso’’, indicando non gli<br />

elementi attivi e passivi reali, ma quelli ricavabili<br />

dall’ipotetica applicazione delle norme<br />

antielusive (15).<br />

Venendo al secondo argomento, esso si fonda - come<br />

anticipato - sull’interpretazione sistematica dell’art.<br />

16, D.Lgs. n. 74/00, che esclude la punibilità<br />

(16) di chi si sia conformato al parere antielusivo<br />

ottenuto dall’apposito Comitato. Se tale vaglio<br />

preventivo del proprio operato ipoteticamente elusivo,<br />

è idoneo ad escludere, in caso di responso positivo,<br />

la rilevanza penale della condotta del contribuente,<br />

andrebbe da sé che in assenza di tale interpello<br />

(o in presenza di un responso negativo) la<br />

Note:<br />

(11) Il riferimento è alle sentenze del dicembre 2008 della Sezioni<br />

Unite della Cassazione: Cass. civ., sez. un., 23 dicembre<br />

2008, nn. 30055, 30056 e 30057, in Corr. trib., 2009, 411 ss.<br />

(12) Ciò ovviamente con riferimento alla nuova formulazione<br />

della fattispecie in discorso. Per un breve excursus storico circa<br />

il rilievo della problematica sotto la vigenza della vecchia disciplina<br />

legislativa, cfr. A. Lanzi - P. Aldrovandi, Manuale di diritto penale<br />

tributario, Padova, 2011, 163 ss.<br />

(13) Questo ragionamento, ripreso dalla Corte nella sentenza<br />

D&G, era stato già paventato, in fase di prima interpretazione<br />

del dettato normativo, da F. Gallo, Rilevanza penale dell’elusione,<br />

inRass. trib., 2/2001, 325, seguito poi da copiosa dottrina.<br />

(14) Per una chiara esposizione di questo orientamento di segno<br />

inverso, cfr., ex multis, G.M. Flick, Abuso del diritto ed elusione<br />

fiscale:quale rilevanza penale?, inGiur. comm., 2011, 477/I e A.<br />

Marcheselli, Numerosi e concreti ostacoli si contrappongono alla<br />

punibilità di elusione fiscale e abuso del diritto, inGT, 10/<br />

2011, 855 ss.<br />

(15) L. Troyer, La rilevanza penale, cit., 701.<br />

(16) Il termine punibilità è qui utilizzato in senso generico, non<br />

rendendo possibile l’economia del presente lavoro una disquisizione<br />

dogmatica circa la natura della disposizione in oggetto.<br />

Le Società 7/2012 793


Opinioni<br />

Diritto penale societario<br />

condotta elusiva del contribuente stesso ben potrebbe<br />

acquisire rilievo penale (17).<br />

Anche a tal proposito, peraltro, vi è stato chi ha<br />

autorevolmente dimostrato come dall’esistenza di<br />

tale interpello non si possa certo far discendere<br />

l’automatico interesse del diritto penale per (tutte)<br />

le condotte di elusione tributaria. Questa argomentazione<br />

è stata variamente articolata in passaggi che<br />

possono così essere sintetizzati:<br />

i) sarebbe anzitutto la Relazione accompagnatoria<br />

del D.Lgs. n. 74/00 ad escludere la possibilità di ricavare<br />

dall’art. 16 la rilevanza penale delle condotte<br />

elusive, atteso che la stessa relazione espressamente<br />

recita: «la disposizione di cui all’art. 16 è<br />

unicamente di favore per il contribuente, e non<br />

può in alcun modo esser letta, per così dire, ‘‘a rovescio’’,<br />

ossia come diretta a sancire la rilevanza penalistica<br />

delle fattispecie latu sensu elusive non rimesse<br />

alla preventiva valutazione dell’organo consultivo»<br />

(18);<br />

ii) in secondo luogo, il suddetto art. 16 si riferirebbe<br />

ad un’ampia gamma di ipotesi diffuse nella normativa<br />

tributaria, in relazione alle quali può essere<br />

formulato l’interpello, di talché ci si potrebbe forse<br />

interrogare sulla rilevanza penale di talune di esse,<br />

ma non si potrebbe certo concludere per l’indistinta<br />

rilevanza penale dell’elusione. Anche il possibile rilievo<br />

penale di una sola delle ipotesi (elusive o meno),<br />

attratte dall’interpello di cui all’art. 16, darebbe<br />

infatti senso a tale norma, sventando il rischio<br />

dell’interpretatio abrogans (19);<br />

iii) la norma in oggetto, peraltro, avrebbe tutt’altro<br />

significato, costituendo uno specifico e forse superfluo<br />

corollario del principio di rilevanza dell’errore<br />

inevitabile di diritto, in base all’interpretazione dell’art.<br />

5 c.p. fornita dalla Corte costituzionale con la<br />

nota sentenza n. 364/88, secondo cui sarebbe scusabile<br />

l’agente allorquando l’errore sulla norma penale<br />

derivi dalle rassicurazioni ottenute da autorità<br />

amministrative (20);<br />

iv) sarebbe, in ogni caso, inammissibile, stante la<br />

strutturale differenza tra i concetti di evasione ed<br />

elusione, ritenere che il legislatore nel 2000 abbia<br />

voluto risolvere l’annosa disputa circa la rilevanza<br />

penale delle condotte elusive non tramite una norma<br />

chiara e diretta ma tramite l’interpretazione indiretta<br />

e a contrario di una norma di favore qual è<br />

l’art. 16, D.Lgs. n. 74/00 (21).<br />

Quanto al terzo argomento della sentenza D&G,<br />

infine, esso si fonderebbe sulla nuova ratio puniendi<br />

del D.Lgs. n. 74/00, tutta fondata sulla corretta percezione<br />

del tributo da parte dello Stato e dunque ri-<br />

volta a colpire anche i casi di elusione, che proprio<br />

tale percezione compromettono.<br />

Di contro, nell’ambito della medesima impostazione<br />

politico-criminale, vi sono altri autori che hanno<br />

concluso nel senso esattamente opposto, attraverso<br />

motivazioni che appaiono ancor più condivisibili.<br />

V’è infatti chi ha sottolineato la palese frizione<br />

esistente fra questa impostazione sanzionatoria<br />

(ed ampliativa dell’area del penalmente rilevante)<br />

e le «linee guida politico-criminali della riforma<br />

ispirate largamente da un’applicazione [...] del principio<br />

di sussidiarietà ediextrema ratio, che, in controtendenza<br />

rispetto alla pan-penalizzazione della L.<br />

n. 516/1982, intendeva restringere la minaccia criminale<br />

alle ipotesi d’illiceità maggiormente gravi e<br />

lesive degli interessi sostanziali» (22).<br />

Lo sforzo, svolto in questi due paragrafi, di spiegare<br />

sinteticamente le ragioni fondanti e le critiche degli<br />

argomenti utilizzati dalla Suprema Corte, per sancire<br />

la penale rilevanza dell’elusione tributaria, dimostra<br />

la palese inconcludenza di un approccio interpretativo<br />

parcellizzato, che speri di risolvere la questione<br />

facendo perno su puntiformi questioni ermeneutiche,<br />

sistematiche o politico-criminali che siano.<br />

Non si tratta, purtroppo, della sola impostazione<br />

della giurisprudenza di legittimità, posto che sostanzialmente<br />

negli stessi termini si svolgono da sempre<br />

il canto ed il controcanto di quella parte della dottrina<br />

che ha inteso impostare il problema in termini<br />

precipuamente ‘‘tributaristici’’.<br />

L’impostazione tradizionale del problema<br />

in chiave ‘‘tributaristica’’<br />

È assolutamente impossibile, in questa sede, fornire<br />

Note:<br />

(17) Anche questo argomento è ripreso da un longevo filone<br />

dottrinale. Si vedano, ad esempio, sul punto, F. Gallo, Rilevanza,<br />

cit., 321 ss.; G. Flora, Commento a ‘Nuova disciplina dei reati in<br />

materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto’, in Leg.<br />

pen., 2001, 17 s.<br />

(18) Sul punto, cfr. per tutti F. Mucciarelli, Abuso del diritto, elusione<br />

fiscale e fattispecie incriminatrici, in G. Maisto (a cura di),<br />

Elusione ed abuso del diritto tributario, Milano, 2009, 439 ss.<br />

(19) Così, ad es., L. Ramponi, ‘Transfer pricing’ e categorie penalistiche.<br />

La selettività dell’illecito penale tributario tra disvalore<br />

d’azione e disvalore d’evento, inRiv. trim. dir. pen. econ., 2009,<br />

222 ss.<br />

(20) In questo senso, G. M. Flick, Abuso, cit., 478/I.<br />

(21) Cfr. ancora F. Mucciarelli, Abuso, cit., 441. Così anche L.<br />

Troyer, La rilevanza penale, cit., 698 che denuncia, a tal proposito,<br />

l’inversione metodologica nell’attività ermeneutica della Corte, la<br />

quale ricava da una disposizione di favore il «sintomo di una incriminazione<br />

sulla quale il testo della legge scientemente tace».<br />

(22) L. Ramponi, ‘Transfer pricing’, cit., 218.<br />

794 Le Società 7/2012


una panoramica completa circa gli orientamenti<br />

esistenti in tema di rilevanza penale dell’elusione<br />

tributaria. Si tratta di uno dei temi della modernità<br />

penalistica, in cui maggiori sono le sfumature nelle<br />

impostazioni e nelle soluzioni propugnate dalla letteratura.<br />

Tale caos interpretativo, oltretutto, è accresciuto<br />

dalla circostanza che a cimentarsi sulla<br />

questione sono stati tanto i penalisti quanto i tributaristi,<br />

con la conseguenza che ampiamente divergenti<br />

sono non soltanto le basi concettuali e le<br />

conclusioni operative, ma anche gli strumenti argomentativi<br />

ed i principi di diritto applicati.<br />

Nel tentativo di fare chiarezza, tuttavia, si può correre<br />

il rischio dell’approssimazione e procedere ad<br />

un’operazione di semplificazione e di sintesi che dia<br />

conto delle principali soluzioni interpretative. A tal<br />

fine, conviene senz’altro seguire l’impostazione tradizionale<br />

attraverso le quattro questioni cardine, attorno<br />

cui abitualmente ruotano le argomentazioni<br />

della letteratura che si è occupata dell’argomento:<br />

a) la definizione del concetto di elusione;<br />

b) la scelta della fattispecie penale di riferimento;<br />

c) la definizione del concetto di fittizietà e le conclusioni<br />

in punto di penale rilevanza dell’elusione;<br />

d) lo spiegamento degli argomenti posti a sostegno<br />

di tale decisione.<br />

La nozione di elusione fiscale<br />

Benché - come vedremo (23) - la questione sia a<br />

nostro avviso del tutto irrilevante, la maggior parte<br />

degli autori pongono a fondamento delle proprie<br />

analisi la definizione del concetto di elusione fiscale<br />

e, a tal fine, fanno ovviamente ampio ricorso alla<br />

dottrina tributaristica (24).<br />

A grandi linee, pur nella forte variabilità contenutistica<br />

(25), viene ricordato come l’elusione occupi<br />

uno spazio intermedio fra il risparmio di imposta<br />

(lecito) e l’evasione (illecita). La differenza fra questi<br />

ultimi due istituti starebbe in questi termini: nell’evasione<br />

il contribuente occulterebbe al fisco il<br />

presupposto (già sorto) dell’imposta; nell’elusione,<br />

invece, tramite un utilizzo distorto e malizioso di<br />

negozi giuridici leciti, il contribuente impedirebbe<br />

l’insorgere dello stesso presupposto dell’imposta.<br />

Nell’elusione, l’utilizzo di strumenti leciti sarebbe<br />

distorto poiché il contribuente stesso, in assenza di<br />

valide ragioni economiche, violerebbe lo ‘‘spirito’’<br />

della legge e seguirebbe strade negoziali ‘‘anomale’’<br />

al solo scopo di abbattere l’imposizione fiscale (26).<br />

Con riferimento agli strumenti antielusivi approntati<br />

dall’ordinamento - e non certo a differenze ontologiche<br />

fra le condotte - si distinguono abitualmente<br />

tre differenti tipologie di elusione.<br />

In primo luogo, i casi rispetto ai quali l’ordinamento<br />

ha apprestato specifiche norme antielusive, destinate<br />

a contrastare la sottrazione di materia imponibile<br />

al fisco, mediante criteri di disconoscimento<br />

delle condotte elusive e di cristallizzazione del comportamento<br />

dovuto dal contribuente in particolari<br />

situazioni tipizzate. Si tratta, nello specifico, di casi<br />

ormai notissimi, quali il transfer pricing, ilcost sharing,<br />

il dividend washing ed altri ancora (27).<br />

In secondo luogo, vengono collocate quelle forme<br />

di elusione che non trovano specifiche norme di repressione,<br />

ma che possono essere ricondotte alla generale<br />

clausola antielusiva scritta di cui all’art. 37<br />

bis, D.P.R. n. 600/73, secondo la quale, a determinate<br />

condizioni, «sono inopponibili all’amministrazione<br />

finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche<br />

collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche,<br />

diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti<br />

dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni<br />

di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti» (28).<br />

In terzo luogo, infine, sono annoverate quelle condotte<br />

elusive che sfuggono persino alla clausola generale<br />

di cui all’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/73 e che<br />

potrebbero trovare disapprovazione esclusivamente<br />

alla luce di quel generalissimo principio antielusivo<br />

che - come visto - la Cassazione Civile recentemente<br />

ha ricollegato addirittura agli artt. 3 e 53<br />

della Costituzione (29).<br />

La fattispecie penale di riferimento<br />

La penale rilevanza dell’elusione tributaria, in questi<br />

termini definita, è stata vagliata da copiosa lette-<br />

Note:<br />

Opinioni<br />

Diritto penale societario<br />

(23) V. infra, § La ricerca di un orizzonte penalistico: principi costituzionali,<br />

tecniche normative e interpretazioni sostenibili.<br />

(24) Sul tema, cfr. per tutti G. Maisto (a cura di), Elusione, cit.,<br />

passim.<br />

(25) Più di vent’anni fa, veniva già notato criticamente che «la<br />

stessa nozione di elusione fiscale [...] è ben lontana dall’assumere<br />

un’appagante certezza di contorni, al punto da dover talora<br />

registrare una vera confusione di linguaggi, che rispondono a<br />

impostazioni tra loro differenziate e spesso neppure adeguatamente<br />

motivate» (A. Alessandri, L’elusione fiscale, inRiv. it. dir.<br />

proc. pen, 1990, 1075).<br />

(26) Sulla nozione di elusione, cfr., per tutti, F. Tesauro, Istituzioni<br />

di diritto tributario. 1. Parte generale, 2009, 239 ss.<br />

(27) L’economia del presente lavoro non consente l’approfondimento<br />

di tali istituti, rispetto ai quali si rinvia a A. Martini, Reati,<br />

cit., ed alle fonti ivi citate.<br />

(28) In questo ambito si colloca - come visto - il caso deciso nella<br />

sentenza D&G.<br />

(29) Sul tema, v. M. Beghin, Evoluzione e stato della giurisprudenza<br />

tributaria: dalla nullità negoziale all’abuso del diritto nel sistema<br />

impositivo nazionale, in G. Maisto (a cura di), Elusione,<br />

cit., 39 ss.<br />

Le Società 7/2012 795


Opinioni<br />

Diritto penale societario<br />

ratura, la quale ha prima di tutto dovuto orientarsi<br />

circa la fattispecie penale di riferimento, entro cui<br />

tentare di sussumere i comportamenti del contribuente<br />

elusore.<br />

A tal proposito, il fronte è abbastanza compatto e,<br />

ad eccezione di rare voci che ipotizzano la configurabilità<br />

dell’art. 3, D.Lgs. n. 74/00 (30), la quasi totalità<br />

degli autori ha preso quale parametro di riferimento<br />

il delitto di dichiarazione infedele, previsto<br />

e punito dall’art. 4 del decreto medesimo (31).<br />

La definizione del concetto di fittizietà<br />

e le conclusioni in punto di penale rilevanza<br />

dell’elusione tributaria<br />

La domanda, nell’impostazione tradizionale del problema,<br />

diventa così una sola: l’elusione fiscale è riconducibile<br />

al precetto penale di cui all’art. 4<br />

D.Lgs. n. 74/00 (32)?<br />

Senza inutili divagazioni, peraltro, è di tutta evidenza<br />

come il ricorrere o meno dell’elemento oggettivo<br />

della fattispecie criminosa in questione, posta<br />

la sussistenza degli altri requisiti, si giochi esclusivamente<br />

sul terreno dell’esistenza dell’elemento<br />

costitutivo dell’indicazione di ‘‘elementi passivi fittizi’’.<br />

O meglio, volendo ulteriormente specificare, si<br />

giochi sul terreno dell’estensione da attribuire al<br />

concetto di fittizietà, atteso che i costi generati dalle<br />

operazioni elusive sono indubitabilmente «elementi<br />

passivi» (33).<br />

Sul punto, si confrontano almeno tre categorie di<br />

tesi contrastanti:<br />

i) quelle tesi che considerano fittizi solo i costi oggettivamente<br />

inesistenti, escludendo così la rilevanza<br />

penale di tutte le forme di elusione tributaria;<br />

ii) quelle tesi che, per contro, considerano fittizi<br />

anche i costi solo giuridicamente ‘‘inesistenti’’ perché<br />

non deducibili o comunque indicati in violazione<br />

della normativa tributaria, così sancendo la<br />

penale rilevanza di tutte le forme di elusione;<br />

iii) quelle tesi intermedie, che invece considerano<br />

fittizi solo i costi relativi a determinate tipologie di<br />

condotte elusive, escludendo le altre dall’ambito di<br />

applicazione della fattispecie penale.<br />

i) Secondo le teorie, di cui al primo punto, l’aggettivo<br />

‘‘fittizio’’ potrebbe indicare esclusivamente<br />

quell’elemento passivo che non trova riscontro nella<br />

realtà, cui non corrisponde cioè un esborso monetario<br />

equivalente rispetto al dato indicato nel documento<br />

fiscale.<br />

Secondo tale orientamento, ogni altra questione<br />

tributaristica che può, in ipotesi, viziare l’indicazione<br />

di un costo in dichiarazione (indeducibilità, non<br />

inerenza, mancata aderenza ai criteri valutativi pre-<br />

scritti, etc.) non potrebbe, in ogni caso, incidere<br />

sulla sua esistenza concreta e dunque portare a qualificarlo<br />

come fittizio. Già a livello logico, il fatto<br />

che possa essere considerato indeducibile importa<br />

che un costo effettivamente esista e non sia fittizio.<br />

Fittizio, in breve, significherebbe ‘‘non reale’’ e ciò<br />

non avrebbe nulla a che vedere con il regime fiscale<br />

relativo alla deducibilità, il quale ha natura squisitamente<br />

giuridica. Non potrebbe mai dunque considerarsi<br />

fittizio quell’elemento passivo che la dichiarazione<br />

mutua dalle scritture contabili e dalla<br />

realtà dei fatti.<br />

Conseguentemente, dovrebbe considerarsi illecita<br />

solo in sede extrapenale quella divergenza tra l’essere<br />

della dichiarazione, rispettoso della realtà fattuale,<br />

e il suo ‘‘dover essere’’, ricostruito sulla base dei<br />

criteri indicati nelle leggi tributarie, che avrebbero<br />

imposto una diversa valutazione delle operazioni effettuate<br />

e una conseguente difformità nell’autoliquidazione<br />

dell’imposta da pagare.<br />

Questo approccio - come anticipato - è avallato da<br />

Note:<br />

(30) Si vedano, ad esempio, G. Pezzuto, L’esclusione della punibilità<br />

in caso di adeguamento al parere del Comitato consultivo<br />

per l’applicazione delle norme antielusive, inRass. trib., 2001,<br />

1628; A. Tomassini - A. Tortora, La rilevanza penale dell’elusione<br />

fiscale, inCorr. trib., 2005, 1169 ss. Secondo tali ultimi autori,<br />

le forme di elusione di cui alla prima delle tipologie pocanzi viste<br />

potrebbero essere sussunte entro l’ipotesi di dichiarazione<br />

fraudolenta mediante altri artifici. A tal fine gli autori si riferiscono<br />

espressamente ‘‘all’art. 110 in materia di costi da Paradisi Fiscali<br />

e all’art. 167 in materia di CFC’’. Per analoghe aperture in<br />

questo senso, cfr. P. Venturati - S. Caltabiano, I reati di frode fiscale<br />

nel D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, Pavia, 2003, 117.<br />

(31) «Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione<br />

da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte<br />

sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni<br />

annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare<br />

inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi,<br />

quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento<br />

a taluna delle singole imposte, a euro cinquantamila;<br />

b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione,<br />

anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi,<br />

è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli<br />

elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore<br />

a euro duemilioni».<br />

(32) La letteratura che tenta di fornire una risposta a questa domanda<br />

è - come anticipato - ormai sconfinata. Per un (necessariamente)<br />

parziale quadro bibliografico, si rinvia a L. Troyer - A.<br />

Ingrassia, Il fatto, in quanto integrante fattispecie di natura elusiva,<br />

non è previsto dalla legge come reato: ovvero dell’irrilevanza<br />

penale dell’elusione fiscale. Nota a Tribunale di Catania, sentenza<br />

n. 2741/2009, inRiv. dott. comm., 2010, 887, nt. 18.<br />

(33) Per semplicità, ci si riferirà d’ora innanzi ai soli ‘‘elementi<br />

passivi fittizi’’, dato il loro rilievo statisticamente maggiore in<br />

materia di condotte elusive. Resto inteso che, anche ove non<br />

specificato, il discorso è sempre specularmente estensibile anche<br />

agli «elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo»,<br />

rappresentando questa seconda locuzione l’altra faccia<br />

della medaglia rispetto alla fittizietà degli elementi passivi.<br />

796 Le Società 7/2012


una parte della dottrina (34) e - fino alle sentenze<br />

sopra ricordate - lo era anche della scarsa giurisprudenza<br />

di merito esistente in materia (35).<br />

È evidente come, ragionando in questi termini, nessun<br />

rilievo penale possa essere attribuito alle condotte<br />

elusive, di qualsiasi tipologia esse siano, posto<br />

che, in tutti i casi, gli elementi passivi posti in dichiarazione<br />

dal contribuente non potrebbero affatto<br />

essere considerati fittizi, essendo gli stessi pienamente<br />

corrispondenti alla realtà fattuale e a quanto indicato<br />

nelle scritture contabili di riferimento.<br />

ii) A questo orientamento - come si accennava - se<br />

ne contrappone un altro di segno opposto, che trova<br />

a sua volta conferma in talune voci dottrinarie.<br />

Secondo quest’altra posizione «per elementi passivi<br />

fittizi si devono intendere non solo quelli non esistenti<br />

nella realtà, ma anche quelli che, pur essendo<br />

effettivi, sono indeducibili (per esempio per la<br />

mancanza dei requisiti della competenza o della<br />

inerenza) ai sensi delle disposizioni di legge od ancora<br />

non di competenza di quell’esercizio dovendosi,<br />

indi, parlare di fittizietà dell’elemento passivo<br />

nei casi di mancanza di corrispondenza non solo<br />

con la realtà materiale, [...], ma anche con quella<br />

giuridico-tributaria essendovi una violazione ad essa»<br />

(36).<br />

Così intesa la fittizietà come mera indeducibilità<br />

dei costi, «è evidente che sono fittizi anche quei<br />

costi che non concorrono a formare il reddito non<br />

perché inesistenti, ma perché fiscalmente irrilevanti<br />

come può essere il caso dei costi che derivano da<br />

una condotta elusiva fiscalmente illecita» (37).<br />

Al di là dell’analizzato riscontro dottrinale, le argomentazioni<br />

in parola sono state tra l’altro avallate<br />

da tutte le Circolari della Guardia di Finanza esistenti<br />

sul tema (38).<br />

La menzionata tesi, anche di recente autorevolmente<br />

sostenuta (39), amplia in definitiva il concetto<br />

di fittizietà e vi riconduce anche i casi di elusione,<br />

in cui vengano dedotte componenti negative di<br />

reddito indeducibili, poiché indicate in violazione<br />

della normativa tributaria (norme antielusive specifiche<br />

o clausole antielusive generali).<br />

iii) All’interno dei confini tracciati da queste due<br />

impostazioni estreme, si rinvengono in letteratura<br />

teorie intermedie, che tendono a riconoscere la penale<br />

rilevanza delle condotte elusive del contribuente<br />

solo con riferimento a talune fra le tipologie<br />

di elusione che sono state indicate in precedenza.<br />

A tal proposito, vi è anzitutto chi, analogamente<br />

alla sentenza D&G, si limita ad escludere dall’ambito<br />

della penale rilevanza quelle condotte che sarebbero<br />

poste in essere in violazione del generale prin-<br />

cipio antielusivo non scritto di cui agli artt. 3 e 53<br />

Cost., recentemente riconosciuto dalle Sezioni<br />

Unite Civili. Osservano infatti tali autori che tale<br />

regola sarebbe «non solo generale, ma anche del<br />

tutto generica e, perciò, non in grado di integrare<br />

quei requisiti di tipicità che presiedono alla configurazione<br />

delle fattispecie incriminatrice» In quest’ottica,<br />

il limite minimo della penale rilevanza sarebbe<br />

rappresentato dall’art. 37 bis, il quale, essendo<br />

in grado di disconoscere i vantaggi tributari maturati<br />

dal contribuente elusore, sarebbe altresì «potenzialmente<br />

idoneo ad integrare il profilo oggettivo<br />

del delitto di dichiarazione infedele» (40).<br />

Diversamente, taluni altri autori escludono anche<br />

la penale rilevanza rispetto alle condotte che aggirano<br />

la generale fattispecie antielusiva scritta di cui<br />

all’art. 37 bis, limitando l’area di precettività dell’potesi<br />

delittuosa di dichiarazione infedele ai soli casi<br />

di violazione diretta di specifiche norme antielusive,<br />

quali - come visto - quelle in materia di transfer<br />

pricing, società controllate estere, deduzione dei<br />

costi sostenuti con Paesi in black list ecc. Queste<br />

conclusioni si fondano abitualmente su due riflessioni<br />

aventi ad oggetto la diversa natura della norma<br />

antielusiva generale rispetto alle norme antielusive<br />

specifiche. Anzitutto la prima, al contrario delle<br />

seconde, non genererebbe un illecito (nemmeno<br />

in sede tributaria), ma si limiterebbe a rendere non<br />

opponibili all’amministrazione finanziaria le operazioni<br />

elusive realizzate dal contribuente. In questo<br />

senso, viene ritenuto impossibile che una condotta<br />

ritenuta addirittura lecita in ambito amministrativo<br />

Note:<br />

Opinioni<br />

Diritto penale societario<br />

(34) In questo senso, cfr. ex multis, F. Mucciarelli, Abuso, cit.,<br />

421 ss.; E. Musco - F. Ardito, Diritto penale tributario, Bologna,<br />

2010, 166 ss.; G. Zoppini, La condotta elusiva sotto il profilo della<br />

pena, in Riv. dir. trib., 2002, 594; P. Venturati-S. Caltabiano, I<br />

reati, cit., 19 s.; A. Traversi - S. Gennai, I nuovi delitti tributari,<br />

Milano, 2000, 214.<br />

(35) Si vedano, a tal proposito, i provvedimenti giudiziari citati da<br />

L. Troyer, La rilevanza penale, cit., 693 alle note 13, 14 e 15.<br />

(36) Così G. L. Soana, I reati tributari, Milano, 2009. In senso<br />

analogo, v. anche G. Bersani, L’interpretazione del concetto di<br />

‘‘fittizietà’’ nella dichiarazione fraudolenta e infedele, inDir. pen.<br />

proc., 2003, 373 ss. e D. Stevanato, Gli elementi passivi fittizi<br />

tra inesistenza e indeducibilità del costo, in R. Lupi (a cura di),<br />

AA.VV., Fiscalità d’impresa e reati tributari, Milano, 2000.<br />

(37) F. Gallo, Rilevanza, cit., 321 ss.<br />

(38) Si vedano, ad esempio, la Circolare del Comando Generale<br />

della Guardia di Finanza del 14 aprile 2000 n. 114000, in Il Fisco,<br />

2000, 6230 ss. e, da ultimo, la Circolare 1/2008, Istruzione sull’attività<br />

di verifica del Comando Generale della Guardia di Finanza,<br />

Vol. III, 88 ss.<br />

(39) A. Martini, Reati, cit., 402 ss.<br />

(40) A. Di Amato, Diritto, cit., 549.<br />

Le Società 7/2012 797


Opinioni<br />

Diritto penale societario<br />

possa allo stesso tempo essere considerata penalmente<br />

tipica (41). In secondo luogo, rileva una<br />

parte della letteratura come l’art. 37 bis abbia invero<br />

natura procedimentale e non sostanziale, con la<br />

conseguenza che essa esplicherebbe i propri effetti<br />

non ex ante, come obbligo per il contribuente ad<br />

un’autoliquidazione dell’imposta (virtuale) che non<br />

tenga conto delle pratiche elusive poste in essere,<br />

ma solo ex post, come potere per l’amministrazione<br />

di disconoscere i benefici maturati, rideterminando<br />

la corretta base imponibile (42).<br />

A questo quadro va aggiunta l’opinione di altri<br />

autori che ritengono corretto distinguere addirittura<br />

fra le differenti tipologie di condotte realizzate in<br />

violazione di norme antielusive della medesima specie<br />

(43).<br />

Queste impostazioni intermedie rappresentano, ad<br />

ogni evidenza, ulteriori complicazioni in un quadro<br />

già di per sé torvo e fortemente convulso, che, in<br />

materia di rilevanza penale dell’elusione tributaria,<br />

vede il confronto fra tutte le possibilità interpretative<br />

esistenti.<br />

Gli argomenti posti a conferma<br />

delle differenti impostazioni<br />

Come anticipato, le conclusioni, più o meno approfondite,<br />

cui giungono i diversi autori, vengono motivate<br />

tramite una serie di argomenti tradizionali ricorrenti<br />

- di ‘‘tp giuridici’’ potremmo dire -, i quali,<br />

alternativamente sfruttati in senso inverso, concorrono<br />

a rendere la disputa teorica ormai asfittica.<br />

L’economia del presente lavoro rende superfluo ripercorrere<br />

tale analisi.<br />

Basti notare che, oltre ai tre sfruttati dalla sentenza<br />

D&G (44), esistono numerosi altri tasselli di questo<br />

approccio ermeneutico parcellizzato, quali, ad esempio,<br />

gli argomenti fondati sull’art. 7 (45) e sull’art.<br />

19 (46), D.Lgs. n. 74/00.<br />

La ricerca di un orizzonte penalistico:<br />

principi costituzionali, tecniche normative<br />

e interpretazioni sostenibili<br />

Al di là degli argomenti ambigui e scivolosi, sfruttati<br />

con approccio opposto dai sostenitori di entrambi<br />

gli orientamenti pocanzi considerati, è da ritenere<br />

che l’unico metodo proficuo di procedere sia quello<br />

di spostare e risolvere la questione su di un piano<br />

squisitamente penalistico. Si tratta dell’approccio<br />

già anticipato sulle pagine di questa Rivista (47) e<br />

già sfruttato dalla migliore dottrina (48).<br />

È proprio in questo senso che - a nostro avviso -<br />

perdono qualsiasi interesse le questioni concernenti<br />

la definizione del concetto di elusione tributaria,<br />

così come perde interesse la stessa domanda che la<br />

letteratura da sempre si pone circa la rilevanza penale<br />

dell’elusione medesima.<br />

Il problema in questi termini appare infatti mal posto.<br />

Dal momento che il termine elusione non compare<br />

in alcuna fattispecie penale, infatti, è evidente come<br />

lo stesso concetto possa essere agevolmente tenuto<br />

sullo sfondo dal penalista, così come tutte le<br />

intricate questioni dogmatiche e processuali di cui<br />

esso è foriero (tipologie di elusione, natura delle<br />

norme elusive, liceità dell’elusione ecc.). Il primo<br />

punto fermo è infatti l’assenza, nell’ordinamento<br />

italiano, di una norma penale che colpisca l’elusione<br />

tributaria in quanto tale (49).<br />

Nell’ambito di tutti i ragionamenti sinora esplorati,<br />

solo una resta in definitiva la domanda cardine, cui<br />

occorre dare risposta: il concetto di fittizietà corrisponde<br />

necessariamente ad inesistenza oggettiva (in<br />

rerum natura) degli elementi passivi indicati in dichiarazione<br />

o può anche riguardare i casi di mera<br />

inopponibilità dei medesimi al fisco (50)?<br />

Tale domanda, anzitutto, è la sola meritevole di ri-<br />

Note:<br />

(41) Ragiona, tra gli altri, su questo problema G.M. Flick, Abuso,<br />

cit., 476/I s.<br />

(42) Così, ex multis, Marcheselli, Numerosi, cit., 857 s. L’autore<br />

nota oltretutto come costituirebbe un «dovere sproporzionato»<br />

per il contribuente quello di «individuare lo spirito della legge e<br />

salvaguardarlo dalla lettera della legge stessa, in supplenza del<br />

legislatore».<br />

(43) Si vedano, per esempio, A. Lanzi - P. Aldrovandi, Manuale, cit.,<br />

171 ss. che ritengono penalmente rilevante il fenomeno del transfer<br />

pricing e non anche quello dei costi sostenuti con Paesi a fiscalità<br />

privilegiata e indicati in dichiarazione come elementi passivi.<br />

(44) Si tratta degli argomenti fondati sul concetto di imposta<br />

evasa, sull’art. 16, D.Lgs. n. 74/00 e sulla ratio puniendi del decreto.<br />

Di essi ci si è già occupati in precedenza ai §§ Le recenti<br />

aperture giurisprudenziali alla rilevanza penale dell’elusione tributaria<br />

e Le facili obiezioni e l’impasse dell’interpretazione parcellizzata,<br />

cui si rinvia.<br />

(45) Ripercorrono entrambe le tesi sull’art. 7, D.Lgs. n. 74/00, tra<br />

gli altri, T. Landi, La vexata quaestio della rilevanza penale dell’elusione,<br />

inDir. prat. trib., 2004, 643 ss. e G.D. Toma, Quali risvolti penali<br />

per l’elusione fiscale? Dubbi e perplessità: dallanotitia criminis<br />

all’esimente ex art. 16, D.Lgs. n. 74 del 2000, ivi, 2009, 1027 s.<br />

(46) V. ancora G. M. Flick, Abuso, cit., 479/I s.<br />

(47) L. Troyer, La rilevanza penale, cit., 699 ss.<br />

(48) In questi termini, si vedano, ad esempio, F. Mucciarelli,<br />

Abuso, cit., passim; E. Musco - F. Ardito, Diritto, cit., 170 ss.; G.<br />

M. Flick, Abuso, cit., 480/I ss.<br />

(49) Così, per tutti, E. Musco - F. Ardito, Diritto, cit., 170 che<br />

spiegano anche le ragioni di tale (volontaria) lacuna normativa.<br />

(50) In questi stessi termini, A. Lanzi - P. Aldrovandi, Manuale,<br />

cit., 164.<br />

798 Le Società 7/2012


sposta, atteso che il termine ‘‘fittizio’’ compare invece<br />

all’interno dei delitti dichiarativi di cui al D.Lgs.<br />

n. 74/00, costringendo così l’interprete ad un confronto<br />

ermeneutico. La fittizietà, in particolare,<br />

connota con forza la condotta a forma vincolata<br />

del delitto di dichiarazione infedele, imponendo un<br />

attento interpretativo (51).<br />

E tale domanda, inoltre, è cruciale perché consente<br />

di risolvere ogni questione legata alla possibile rilevanza<br />

penale delle condotte di elusione tributaria:<br />

in tali casi infatti il contribuente non dichiara mai<br />

nulla di difforme dalla realtà dei fatti (52), sicché<br />

solo la tesi dell’identità fittizietà/inopponibilità potrebbe<br />

fornire aperture in senso colpevolista.<br />

A tal proposito, peraltro, occorre prescindere per<br />

un momento dallo scontro scarsamente proficuo<br />

circa l’interpretazione letterale astratta del singolo<br />

termine ‘‘fittizio’’, per dedicarsi ad una sua contestualizzazione<br />

alla luce dei principi cardine dell’ordinamento<br />

penalistico.<br />

Così ragionando, ci si rende conto dell’esistenza di<br />

almeno tre ordini di motivi, capaci di rendere palese<br />

l’irrilevanza penale dell’elusione fiscale e delle situazioni<br />

di c.d. ‘‘abuso del diritto’’ o, per dirla in<br />

termini più corretti alla luce della nuova impostazione,<br />

capaci di identificare il concetto di fittizietà<br />

con quello di inesistenza oggettiva.<br />

Gli argomenti legati ai principi<br />

di frammentarietà ed extrema ratio<br />

del diritto penale<br />

Il primo argomento si fonda sui principi costituzionali<br />

di frammentarietà ed extrema ratio del diritto<br />

penale.<br />

La sanzione penale, in questa luce, dovrebbe essere<br />

selettivamente riservata per le violazioni più gravi<br />

(rispetto ai beni giuridici tutelati), lasciando agli altri<br />

rami dell’ordinamento il dovere di reprimere gli<br />

illeciti ‘‘meno intensi’’ e meno dannosi.<br />

In ambito penal-tributario questa necessità deve ritenersi<br />

confermata dalla riforma del 2000, attraverso<br />

la quale il legislatore ha inteso escludere l’utilizzo<br />

dello strumento penale rispetto a tutte le violazioni<br />

meramente formali, appiattite sulla normativa tributaria,<br />

riservandolo ad un numero esiguo di delitti<br />

particolarmente offensivi e ben connotati nella propria<br />

tipicità, grazie anche all’uso massiccio dello<br />

strumento definitorio.<br />

In quest’ottica, l’interpretazione che associa al concetto<br />

di fittizietà ogni forma di inopponibilità fiscale<br />

stride in maniera irreparabile con i principi menzionati,<br />

posto che essa comporterebbe la pan-penalizzazione<br />

di ogni violazione tributaria. L’effetto<br />

inaccettabile sarebbe quello di considerare penalmente<br />

rilevanti, quantomeno ex art. 4 D.Lgs. 74/<br />

00, salvi i limitati margini relativi alle soglie di punibilità,<br />

tutte le possibili forme di violazione della<br />

normativa tributaria, comportando le medesime<br />

una divergenza tra l’essere ed il dover essere della<br />

dichiarazione.<br />

Questa conclusione è del tutto inaccoglibile e<br />

un’interpretazione costituzionalmente orientata si<br />

impone.<br />

In questo senso è da ritenersi che il concetto di fittizietà<br />

debba essere limitato alle componenti negative<br />

realmente fittizie, perché dichiarate nonostante<br />

la loro inesistenza naturalistica. Tale situazione non<br />

potrebbe per nulla essere accomunata alla dichiarazione<br />

perfettamente limpida e priva di mendacio,<br />

attraverso cui l’imprenditore dichiara con trasparenza<br />

i costi da lui sostenuti, anche se in ipotesi<br />

quantificati e dedotti in dichiarazione in maniera<br />

difforme da quanto prescritto dalle leggi tributarie.<br />

Tale conclusione sarebbe peraltro l’unica in linea<br />

con la Relazione ministeriale al D.Lgs. 74/00, la<br />

quale, anche con riferimento all’art. 4, espressamente<br />

richiede «un minimum di attitudine all’inganno<br />

nei confronti del fisco». Attitudine che<br />

manca completamente nei fenomeni elusivi, ove<br />

«non vi è alcuna artificiosità nel comportamento<br />

materiale, ma solo nella veste giuridica» (53).<br />

Gli argomenti legati ai corollari<br />

del principio di legalità<br />

Il secondo argomento poggia sul principio di legalità<br />

della norma penale e sui corollari del principio<br />

medesimo (54).<br />

È evidente che, interpretando l’elemento normativo<br />

della fittizietà alla luce della disciplina extrapenale<br />

(indeducibile=fittizio), si aprono le porte della<br />

fattispecie penale all’intero ordinamento tributari-<br />

Note:<br />

Opinioni<br />

Diritto penale societario<br />

(51) Cfr., ancora, sul punto, L. Troyer, La rilevanza penale, cit.,<br />

698. L’Autore, richiamando la già citata sentenza del G.I.P. Milano<br />

1-29 aprile 2011 - Giud. Luerti, cit., osserva come l’annichilimento<br />

ermeneutico del vincolo di condotta comporterebbe l’inammissibile<br />

creazione di una differente fattispecie a condotta<br />

libera, di una sorta di ‘‘omicidio fiscale’’, sconosciuto al D.Lgs.<br />

n. 74/00.<br />

(52) Cfr. E. Musco - F. Ardito, Diritto, cit., 172; P. Venturati - S.<br />

Caltabiano, I reati, cit., 115: «Nel caso dell’elusione [...] la fattispecie<br />

imponibile, per effetto di condotte che potremmo anche<br />

definire strumentali e artificiose, non sorge (in tutto o in parte) e<br />

la dichiarazione riporterà una situazione corrispondente al reale».<br />

(53) E. Musco - F. Ardito, Diritto, cit., 173.<br />

(54) Su questi stessi principi si fondano le condivisibili argomentazioni<br />

di L. Troyer, La rilevanza penale, cit., 699 ss.<br />

Le Società 7/2012 799


Opinioni<br />

Diritto penale societario<br />

stico, con la conseguenza di un’evidente ed insanabile<br />

frattura della tipicità propria dell’art. 4, D.Lgs.<br />

n. 74/00 (55).<br />

Il complessivo impianto tributaristico, anche se in<br />

ipotesi previsto interamente da fonti legislative, difetta<br />

palesemente dei requisiti di precisione richiesti<br />

dalla norma penale, essendo colmo di ipotesi valutative,<br />

incerte ed aperte alla discrezionalità degli uffici<br />

accertatori.<br />

Ne seguirebbe l’apertura della fattispecie penale,<br />

per il tramite di un suo elemento normativo (56),<br />

a disposizioni extrapenali imprecise, nate e vissute<br />

in settori giuridici del tutto difformi, retti da principi<br />

e da canoni interpretativi inaccettabili in sede<br />

penale.<br />

Il portato diabolico di questa interpretazione sarebbe<br />

una norma penale in bianco completamente<br />

aperta e destrutturata, destinata a coprire col cappello<br />

del penalmente rilevante ogni ipotesi, anche<br />

incerta, anche imprecisa, di illecito tributario (57).<br />

Questa lesione del principio di legalità appare palpabile<br />

proprio nei casi ‘‘elusivi’’ oggetto della nostra<br />

attenzione, rispetto ai quali è possibile fornire alcune<br />

esemplificazioni.<br />

i) Con riferimento, anzitutto, alle transazioni con<br />

Paesi in black list, si pensi al completo deficit di precisione,<br />

insito nell’irrompere all’interno della fattispecie<br />

penale del comma 11 dell’art. 110 del TUIR;<br />

quello - per intenderci - relativo alle esimenti rispetto<br />

all’ordinaria indeducibilità dei costi sostenuti<br />

con soggetti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata:<br />

«11. Le disposizioni di cui al comma 10 non si<br />

applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano<br />

la prova che le imprese estere svolgono<br />

prevalentemente un’attività commerciale effettiva,<br />

ovvero che le operazioni poste in essere rispondono<br />

ad un effettivo interesse economico e che le stesse<br />

hanno avuto concreta esecuzione. Le spese e gli altri<br />

componenti negativi deducibili ai sensi del primo<br />

periodo sono separatamente indicati nella dichiarazione<br />

dei redditi. L’Amministrazione, prima<br />

di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento<br />

d’imposta o di maggiore imposta, deve notificare<br />

all’interessato un apposito avviso con il quale<br />

viene concessa al medesimo la possibilità di fornire,<br />

nel termine di novanta giorni, le prove predette.<br />

Ove l’Amministrazione non ritenga idonee le prove<br />

addotte, dovrà darne specifica motivazione nell’avviso<br />

di accertamento».<br />

La fittizietà della dichiarazione - e con essa la penale<br />

rilevanza della condotta del contribuente -,<br />

rispetto al collocamento in dichiarazione degli elementi<br />

passivi derivanti dai rapporti predetti, di-<br />

penderebbe, a questa stregua, dalle intricate ed incertissime<br />

condizioni poste dalla norma pocanzi riportata.<br />

Ma come può l’applicazione di una norma penale<br />

dipendere dalla circostanza che siano soddisfacenti<br />

o meno le prove fornite, in contraddittorio con<br />

l’Ufficio accertatore, in riferimento alla circostanza<br />

che «le imprese estere svolgono prevalentemente<br />

un’attività commerciale effettiva’’, ovvero che ‘‘le<br />

operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo<br />

interesse economico e che le stesse hanno avuto<br />

concreta esecuzione»? Dovrebbe il giudice penale<br />

valutare autonomamente questi requisiti, con la<br />

conseguenza di poter giungere a valutazioni opposte<br />

all’Ufficio accertatore, o dovrebbe appiattirsi su tali<br />

valutazioni? La risposta facile relativa all’autonomia<br />

dei giudizi si scontra inevitabilmente con la circostanza<br />

che la norma si riferisce espressamente al dato<br />

probatorio e non a quello sostanziale.<br />

Può forse un elemento normativo della fattispecie,<br />

qual è il concetto di fittizio, trovare, in questo caso,<br />

la propria definizione all’interno di una formula intricata<br />

e fortemente valutativa che contiene termini<br />

e locuzioni quali «prevalentemente», «attività<br />

commerciale effettiva’’ » e «concreta esecuzione»?<br />

La verità è che il citato comma 11 - come la maggior<br />

parte delle ipotesi contenute nel TUIR - nasce<br />

e vive in ambito tributario extrapenale, difettando<br />

completamente dei requisiti di precisione e tassatività<br />

che in ambito penale si impongono.<br />

ii) Lo stesso è da dirsi per la disciplina concernente<br />

il transfer pricing, sol che si pensi al concetto di valore<br />

‘‘normale’’ delle transazioni, determinato alla<br />

luce dell’intricato combinato disposto degli artt. 9 e<br />

110 TUIR, nell’ambito delle svariate modalità di<br />

calcolo conosciute a livello nazionale e transnazionale<br />

(58).<br />

Note:<br />

(55) Così anche A. Lanzi - P. Aldrovandi, Manuale, 170 s.<br />

(56) In generale, sugli elementi normativi della fattispecie, v. L.<br />

Risicato, Gli elementi normativi della fattispecie penale, inStudium<br />

iuris, 2005, 159 ss.<br />

(57) Come giustamente nota L. Ramponi, «Transfer pricing»,<br />

cit., 227, il precetto della dichiarazione infedele si tradurrebbe a<br />

questo punto nel seguente: «chiunque espone un reddito le cui<br />

componenti positive sono inferiori alla misura accertabile come<br />

esatta alla stregua delle norme sostanziali del TUIR, ovvero le<br />

cui componenti negative sono indeducibili alla stregua delle medesime<br />

norme è punito ...».<br />

(58) Per avere anche solo un’idea delle problematiche connesse<br />

alla scelta del metodo di calcolo del prezzo di trasferimento ed<br />

alle conseguenze che tale scelta determina, si vedano, ex multis,<br />

G. Giardina, Transfer Pricing and the Traditional Methods: a<br />

Comparative Analysis, inDir. prat. trib. int., 2002, 719 ss. e, più<br />

(segue)<br />

800 Le Società 7/2012


Non pare necessario riportare testualmente le lunghe<br />

ed intricate disposizioni legislative concernenti<br />

i prezzi di trasferimento, né approfondire i complessi<br />

e contestati metodi di calcolo del valore normale,<br />

per poter affermare la palese e completa carenza di<br />

tassatività di decine di termini e concetti ivi contenuti.<br />

Tali circostanze, peraltro, sono confermate anche a<br />

livello pratico, ove è usuale imbattersi in decine di<br />

calcoli differenti del valore normale, in dipendenza<br />

delle molteplici variabili su cui l’interprete può lavorare,<br />

pur nel pieno rispetto del dettato normativo<br />

(metodo di calcolo, scelta dei comparables, interpretazione<br />

delle linee guida ecc.).<br />

iii) Il medesimo discorso deve essere ripetuto, infine,<br />

anche con riferimento ai contenuti dell’art. 37<br />

bis, D.P.R. n. 600/73, a detta del quale sono inopponibili<br />

all’amministrazione «gli atti, i fatti e i negozi,<br />

anche collegati tra loro, privi di valide ragioni<br />

economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti<br />

previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni<br />

di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti».<br />

L’interpretazione larga del concetto di fittizietà, fatta<br />

propria peraltro anche dalla sentenza D&G, importa<br />

l’irrompere della disposizione appena trascritta<br />

all’interno della norma penale in bianco di cui<br />

all’art. 4, D.Lgs. n. 74/00, con la conseguenza che<br />

fittizio diverrebbe anche l’elemento passivo derivante<br />

da un negozio avente le caratteristiche appena<br />

menzionate.<br />

Anche in questo caso, il completo deficit di precisione/tassatività<br />

in cui incorrerebbe la fattispecie<br />

penale, così ‘‘assemblata’’, è di immediata evidenza<br />

e deriva, tra l’altro:<br />

– dall’aleatorietà della formula negativa e relazionale<br />

«privi di valide ragioni economiche», che imporrebbe<br />

tra l’altro un’inammissibile inversione dell’onere<br />

della prova quale unica alternativa rispetto<br />

alla necessità di ottenere una probatio diabolica da<br />

parte dell’accusa (59);<br />

– dalla caratterizzazione fortemente incerta del fine<br />

che si propone il contribuente, che rimarrebbe quale<br />

unico elemento di tipizzazione (dolo specifico?)<br />

di una condotta altrimenti del tutto lecita (60).<br />

Queste esemplificazioni dimostrano alcuni degli esiti<br />

inaccettabili, in punto di precisione e tassatività,<br />

cui giungerebbe l’identificazione dei concetti di fittizietà<br />

e inopponibilità, tramite l’irrompere dell’intero<br />

ordinamento tributario all’interno di una singola<br />

norma penale generalissima qual è l’art. 4,<br />

D.Lgs. n. 74/00.<br />

In definitiva, non si danno altre possibilità se non<br />

quella di ritenere che il concetto di fittizietà debba<br />

essere autonomamente tipizzato in via restrittiva<br />

nel suo significato di ‘‘inesistente nella realtà’’, secondo<br />

un senso peraltro maggiormente in linea anche<br />

col tenore letterale del termine.<br />

Gli argomenti legati al principio<br />

di colpevolezza e di irretroattività<br />

della norma penale sfavorevole<br />

Il terzo argomento si collega strettamente al precedente<br />

e illumina un’altra caratteristica allarmante<br />

dell’interpretazione che legge l’elemento normativo<br />

della fittizietà come clausola di rinvio all’intero ordinamento<br />

tributario.<br />

Deve essere notato infatti come l’abnormità di tale<br />

approccio interpretativo vada persino al di là della<br />

marcata carenza di precisione del complessivo precetto<br />

penale, così come pocanzi evidenziato.<br />

La notevole gravità di quest’ultima circostanza è infatti<br />

acuita dal rilievo che, ragionando per assurdo<br />

nei termini già indicati, non solo il contribuente si<br />

troverebbe a che fare con normative penalisticamente<br />

imprecise e (sovente) persino difficilmente<br />

comprensibili dal punto di vista letterale, ma si troverebbe<br />

anche a che fare con discipline extrapenali<br />

antielusive che esplicano la loro efficacia solo ex<br />

post, rendendo impossibile che il contribuente stesso<br />

possa conoscere ex ante se l’elemento passivo che<br />

va indicando in dichiarazione, in ossequio alla realtà<br />

economica e fattuale, possa essere ritenuto o meno<br />

fittizio (61).<br />

Sul punto conviene fare chiarezza.<br />

Le disposizioni antielusive - come visto - si preoccupano<br />

esclusivamente di rettificare ex post (ampliandola)<br />

la base imponibile del contribuente sulla<br />

scorta di determinati criteri valutativi. Questa riflessione<br />

è vera in termini pratico-oggettivi a pre-<br />

Note:<br />

(segue nota 58)<br />

Opinioni<br />

Diritto penale societario<br />

di recente, D. Avolio - P. Ruggiero, IAS/IFRS e ‘‘transfer pricing’’:<br />

le differenze nelle valutazioni a ‘‘fair value’’ e ad ‘‘arm’s<br />

lenght", inCorr. trib., 2011, 3719 ss.; S. Mattia - P. Valente, Principi<br />

e criticità nella selezione del metodo per determinare il transfer<br />

pricing, ivi, 2011, 197 ss.<br />

(59) In questo senso, potrebbero addirittura essere ipotizzate<br />

delle carenze anche in punto di determinatezza, intesa quale<br />

possibilità di provare in giudizio uno degli elementi costitutivi<br />

della fattispecie.<br />

(60) Si veda, sul punto, la completa analisi di F. Mucciarelli, Abuso,<br />

cit., 436 ss.<br />

(61) Imposta il problema in questi termini G. Flora, Perché<br />

l’«elusione fiscale» non può costituire reato (a proposito del<br />

«caso Dolce & Gabbana»), inRiv. trim. dir. pen. econ., 2011,<br />

873.<br />

Le Società 7/2012 801


Opinioni<br />

Diritto penale societario<br />

scindere dal problema - già anticipato - circa la natura<br />

delle singole norme antielusive.<br />

Tale disciplina, in altri termini, non modifica ex<br />

ante le ordinarie regole tributarie previste dall’ordinamento,<br />

né altera in alcun modo, sempre ex ante,<br />

la possibilità dell’imprenditore di autodeterminarsi<br />

nella libera realizzazione di determinate operazioni<br />

commerciali.<br />

Con la normativa antielusiva, in pratica, la legge<br />

prevede la (mera) possibilità - il rischio dal lato<br />

dell’imprenditore - che determinati costi relativi ad<br />

operazioni intercorse non vengano riconosciuti o<br />

vengano riconosciuti in misura difforme da quanto<br />

sarebbe avvenuto, in base alle regole ordinarie note<br />

ab origine, qualora gli uffici accertatori non avessero<br />

ravvisato gli estremi di un fenomeno elusivo.<br />

La conclusione del quadro viene da sé.<br />

Fino a quando la base imponibile non viene ex post<br />

rettificata, il quadro offerto dall’imprenditore in dichiarazione<br />

rispecchia pienamente l’ordinario complesso<br />

di disposizioni tributarie che l’imprenditore<br />

medesimo applica ad operazioni perfettamente lecite<br />

e realizzate nell’ambito della propria liberta d’azione<br />

(62).<br />

Ciò comporta non solo un’assenza di fittizietà negli<br />

elementi dichiarati, ma una radicale assenza di<br />

mendacio.<br />

Né pare ragionevole ritenere che una rettifica ex<br />

post della base imponibile possa rendere retroattivamente<br />

fittizio un elemento che al momento della<br />

sua indicazione tale non era.<br />

A questa conclusione inaccettabile osterebbe infatti<br />

un ulteriore corollario dei principi di legalità e colpevolezza,<br />

consistente nell’impossibilità di rimproverare<br />

all’agente una condotta che risultava ex ante<br />

lecita o, comunque, la cui liceità od il cui quantum<br />

di liceità sarebbe dipeso da un successivo ed eventuale<br />

ampliamento della base impositiva.<br />

Quanto esposto sinora appare con chiarezza estrema<br />

nei casi pocanzi analizzati: dal caso del transfer pricing,<br />

ove il valore normale dei prodotti risente necessariamente<br />

delle modalità di calcolo utilizzate ex<br />

post dagli accertatori; al caso dei rapporti con Paesi<br />

a fiscalità privilegiata, ove la valutazione circa la<br />

sussistenza delle esimenti sfugge necessariamente a<br />

priori al contribuente ed è oltretutto connotata da<br />

un’inammissibile inversione dell’onere probatorio;<br />

al caso, ancora, della clausola antielusiva generale,<br />

ove l’assenza di validità delle ragioni economiche<br />

del contribuente dipende da un successivo accertamento<br />

dell’amministrazione finanziaria, che rende<br />

ex post indeducibile ciò che prima lo era.<br />

La tesi che allarga il concetto di fittizietà pare, an-<br />

che da questo punto di vista, inammissibile: un dato<br />

- per definizione - è reale o fittizio in sé e per sé,<br />

non può divenire o non divenire tale a seconda<br />

dell’interpretazione data, in un secondo tempo, al<br />

quadro economico sulla base di un complicato e<br />

(penalmente) impreciso complesso di disposizioni<br />

antielusive.<br />

La conseguenza dell’approccio inverso sarebbe, nei<br />

fatti, quella di creare delle pericolosissime fattispecie<br />

penali ‘‘a formazione progressiva’’, le quali, in<br />

violazione del principio di irretroattività del precetto<br />

penale, sarebbero colmate ex post da un sopravvenuto<br />

giudizio di fittizietà, derivato dalla modifica<br />

amministrativa della base imponibile auto-definita<br />

dal contribuente.<br />

Anche in questo senso, dunque, per ragioni di certezza<br />

del dettato normativo (rectius delle condizioni<br />

di operatività del dettato normativo) e di rimproverabilità<br />

soggettiva della condotta, deve ritenersi<br />

inammissibile un accostamento del concetto di fittizietà<br />

alle normative antielusive.<br />

Conclusioni e prospettive<br />

Le conclusioni sono - a nostro avviso - abbastanza<br />

chiare.<br />

Fino a quando il legislatore non riterrà opportuno<br />

normare la materia in maniera coerente e dettagliata,<br />

i principi cardine dell’ordinamento penalistico<br />

imporranno di interpretare lo scarno concetto di fittizietà,<br />

contenuto nei delitti dichiarativi, come<br />

‘‘inesistenza oggettiva’’, con conseguente esclusione<br />

di ogni forma di elusione dell’area del penalmente<br />

rilevante.<br />

Qualora il legislatore penale decida di cimentarsi in<br />

questa sfida codificatoria, dovrà far sì che ciascuna<br />

fattispecie di reato sia costruita tramite tecniche<br />

normative che garantiscano i suddetti principi e<br />

che segnatamente:<br />

i) disegnino precetti chiari in tutti i loro elementi<br />

oggettivi e soggettivi, specie con riferimento alla<br />

portata degli elementi normativi extrapenali della<br />

fattispecie, la cui definizione dovrà essere ricavabile<br />

dall’ordinamento tributario in maniera precisa ed<br />

univoca, ovvero dovrà essere definita autonomamente<br />

dallo stesso legislatore penale (principio di<br />

precisione);<br />

Nota:<br />

(62) Nota oltretutto Marcheselli, Numerosi, cit., 857 come il<br />

contribuente abbia il preciso obbligo di autoliquidare l’imposta<br />

sulla base delle proprie operazioni elusive e non possa autonomamente<br />

disapplicare tali operazioni e passare all’autoliquidazione<br />

sulla base delle (mai realizzate) operazioni non elusive.<br />

802 Le Società 7/2012


ii) garantiscano la possibilità per il giudice penale,<br />

nell’ambito di un giudizio penale, di provare in maniera<br />

inequivoca, al di là di ogni ragionevole dubbio,<br />

tutti gli elementi della fattispecie penale (principio<br />

di determinatezza);<br />

iii) garantiscano la possibilità per il contribuente di<br />

comprendere in qualsiasi momento, in anticipo rispetto<br />

all’azione, quali siano gli esatti confini di liceità<br />

penale della propria condotta, senza che l’area<br />

di penale rilevanza di un comportamento potenzialmente<br />

elusivo possa essere determinata dall’amministrazione<br />

finanziaria a condotta ormai conclusa<br />

(principi di colpevolezza ed irretroattività della norma<br />

penale).<br />

Qualora questa sfida fosse ritenuta necessaria a livello<br />

politico-criminale, essa dovrà essere affrontata<br />

con notevole impegno e dedizione, posta l’elevatissima<br />

complessità tecnico-giuridica degli argomenti.<br />

In caso contrario, è infatti evidente che qualunque<br />

nuova incriminazione (o modifica delle esistenti)<br />

che intendesse forzare la penale rilevanza delle con-<br />

Opinioni<br />

Diritto penale societario<br />

dotte elusive, in assenza di una meditazione attenta<br />

ed organica, si esporrebbe necessariamente a quelle<br />

veementi censure di costituzionalità, che al momento<br />

sono - a nostro avviso - placate dalla residua<br />

possibilità di interpretare la normativa penale-tributaria<br />

in chiave costituzionalmente orientata.<br />

Pare peraltro, al momento, che il Legislatore si stia<br />

condivisibilmente muovendo in senso opposto rispetto<br />

alla penalizzazione delle condotte elusive. È infatti<br />

del 16 aprile 2012 la legge delega in materia fiscale<br />

(«Schema di disegno di legge delega recante disposizioni<br />

per la revisione del sistema fiscale»), all’interno<br />

della quale l’art. 6 lett. d) testualmente indica quale<br />

principio da seguire nella futura codificazione delegata<br />

quello di «escludere la rilevanza penale dei comportamenti<br />

ascrivibili a fattispecie abusive».<br />

È evidente come questa eventuale presa di posizione<br />

da parte de Legislatore risolverebbe in radice<br />

tutte le questioni sollevate dalla giurisprudenza e<br />

dalla dottrina, nel senso da noi illustrato nelle righe<br />

che precedono.<br />

Le Società 7/2012 803


studi materiali<br />

e<br />

e<br />

Quaderni trimestrali del Consiglio<br />

Nazionale del Notariato<br />

Oggi anche su tablet<br />

La Rivista offre la raccolta periodica dei lavori<br />

approvati dalle Commissioni Studi del<br />

Consiglio Nazionale del Notariato suddivisi<br />

per materie di competenza (civilistici, di impresa,<br />

tributari, esecuzioni immobiliari, informatica<br />

giuridica, comunitari e internazionali), nonché<br />

degli approfondimenti e delle interpretazioni<br />

operative del Consiglio Nazionale.<br />

La sezione Materiali pubblica lavori che, pur<br />

senza costituire studi approvati dal Consiglio<br />

Nazionale, presentano comunque profili di particolare<br />

interesse. In questa sezione sono pubblicati<br />

anche studi e ricerche sulla storia del<br />

notariato.<br />

Una sezione contiene le risposte che l’Ufficio<br />

Studi del Consiglio Nazionale formula a specifici<br />

quesiti di interesse generale.<br />

L’abbonamento alla rivista comprende il<br />

CD-ROM della Raccolta delle annate dal 2008<br />

al 2012<br />

per acquisti e informazioni<br />

• Informazioni Commerciali <strong>Ipsoa</strong><br />

Fax 02.82476403 - Tel. 02.82476794<br />

• Agenzie <strong>Ipsoa</strong> www.ipsoa.it/agenzie<br />

• www.shopwki.it<br />

Y26DU LE


Tribunale delle imprese<br />

Le sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa<br />

Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1 (1)<br />

Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività (2)<br />

(G.U. 24 gennaio 2012, n. 19, Suppl. ord. n. 18)<br />

@Il testo integrale del provvedimento è disponibile su: www.ipsoa.it/lesocieta<br />

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA<br />

(Omissis).<br />

Titolo I<br />

Concorrenza<br />

Capo I<br />

Norme generali sulle liberalizzazioni<br />

(Omissis).<br />

Art. 2<br />

Tribunale delle imprese<br />

1. Al decreto legislativo 26 giugno 2003, n. 168 sono<br />

apportate le seguenti modificazioni:<br />

a) all’articolo 1:<br />

1) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Istituzione<br />

delle sezioni specializzate in materia di impresa»;<br />

2) al comma 1, le parole: «proprietà industriale ed intellettuale»<br />

sono sostituite dalla seguente: «impresa»;<br />

3) è aggiunto il seguente comma:<br />

«1-bis. Sono altresì istituite sezioni specializzate in<br />

materia di impresa presso i tribunali e le corti d’appello<br />

aventi sede nel capoluogo di ogni regione, ove non esistenti<br />

nelle città di cui al comma 1. Per il territorio compreso<br />

nella regione Valle d’Aosta/Vallé d’Aoste sono<br />

competenti le sezioni specializzate presso il tribunale e la<br />

corte d’appello di Torino. È altresì istituita la sezione<br />

specializzata in materia di impresa presso il tribunale e la<br />

corte d’appello di Brescia. L’istituzione delle sezioni specializzate<br />

non comporta incrementi di dotazioni organiche»;<br />

b) all’articolo 2, il comma 1 è sostituito dal seguente:<br />

«1. I giudici che compongono le sezioni specializzate sono<br />

scelti tra i magistrati dotati di specifiche competenze»;<br />

c) all’articolo 2, comma 2, le parole: «proprietà industriale<br />

ed intellettuale» sono sostituite dalla seguente:<br />

«impresa»;<br />

d) l’articolo 3 è sostituito dal seguente:<br />

«Art. 3. - (Competenza per materia delle sezioni spe-<br />

Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

cializzate) - 1. Le sezioni specializzate sono competenti<br />

in materia di:<br />

a) controversie di cui all’articolo 134 del decreto legislativo<br />

10 febbraio 2005, n. 30, e successive modificazioni;<br />

b) controversie in materia di diritto d’autore;<br />

c) controversie di cui all’articolo 33, comma 2, della<br />

legge 10 ottobre 1990, n. 287;<br />

d) controversie relative alla violazione della normativa<br />

antitrust dell’Unione europea.<br />

2. Le sezioni specializzate sono altresì competenti, relativamente<br />

alle società di cui al Libro V, Titolo V, Capi<br />

V, VI e VII, e Titolo VI, del codice civile, alle società<br />

di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio,<br />

dell’8 ottobre 2001, e di cui al regolamento (CE) n.<br />

1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, nonché alle<br />

stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle società<br />

costituite all’estero, ovvero alle società che rispetto<br />

alle stesse esercitano o sono sottoposte a direzione e<br />

coordinamento, per le cause e i procedimenti:<br />

a) relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti<br />

l’accertamento, la costituzione, la modificazione<br />

o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità<br />

da chiunque promosse contro i componenti<br />

degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore,<br />

il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione<br />

dei documenti contabili societari, nonché contro<br />

il soggetto incaricato della revisione contabile per i<br />

danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti<br />

commessi nei confronti della società che ha conferito<br />

l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, le opposizioni<br />

di cui agli articoli 2445, terzo comma, 2482, secondo<br />

comma, 2447 quater, secondo comma, 2487 ter,<br />

Note:<br />

(1) Il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 è stato convertito con modificazioni<br />

dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, pubblicata in G.U. 24 marzo<br />

2012, n. 71, Suppl. ord. n. 53.<br />

(2) Testo coordinato con le modifiche apportatevi dalla legge di<br />

conversione.<br />

Le Società 7/2012 805


Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

secondo comma, 2503, secondo comma, 2503 bis, primo<br />

comma, e 2506 ter del codice civile;<br />

b) relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali<br />

o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni<br />

sociali o i diritti inerenti;<br />

c) in materia di patti parasociali, anche diversi da<br />

quelli regolati dall’articolo 2341 bis del codice civile;<br />

d) aventi ad oggetto azioni di responsabilità promosse<br />

dai creditori delle società controllate contro le società<br />

che le controllano;<br />

e) relativi a rapporti di cui all’articolo 2359, primo<br />

comma, numero 3), all’articolo 2497 septies e all’articolo<br />

2545 septies del codice civile;<br />

f) relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi<br />

o forniture di rilevanza comunitaria dei quali sia parte<br />

una delle società di cui al presente comma, ovvero quando<br />

una delle stesse partecipa al consorzio o al raggruppamento<br />

temporaneo cui i contratti siano stati affidati, ove<br />

comunque sussista la giurisdizione del giudice ordinario.<br />

3. Le sezioni specializzate sono altresì competenti per<br />

le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione<br />

con quelli di cui ai commi 1 e 2»;<br />

e) l’articolo 4 è sostituito dal seguente:<br />

«Art. 4. - (Competenza territoriale delle sezioni). - 1.<br />

Le controversie di cui all’articolo 3 che, secondo gli or-dinari<br />

criteri di ripartizione della competenza territoriale e<br />

nel rispetto delle normative speciali che le disciplinano,<br />

dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi<br />

nel territorio della regione sono assegnate alla sezione specializzata<br />

avente sede nel capoluogo di regione individuato<br />

ai sensi dell’articolo 1. Alle sezioni specializzate istituite<br />

presso i tribunali e le corti d’appello non aventi sede nei<br />

capoluoghi di regione sono assegnate le controversie che<br />

dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi<br />

nei rispettivi distretti di corte d’appello».<br />

2. All’articolo 33, comma 2, della legge 10 ottobre<br />

1990, n. 287, le parole: «alla corte d’appello competente<br />

per territorio» sono sostituite dalle seguenti: «al tribunale<br />

competente per territorio presso cui è istituita la sezione<br />

specializzata di cui all’articolo 1 del decreto legislativo<br />

26 giugno 2003, n. 168, e successive modificazioni».<br />

3. Dopo il comma 1 bis dell’articolo 13 del testo unico<br />

delle disposizioni legislative e regolamentari in materia<br />

di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente<br />

Decreto Legislativo 27 giugno 2003, n. 168 (3)<br />

della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive<br />

modificazioni, è inserito il seguente:<br />

«1 ter. Per i processi di competenza delle sezioni specializzate<br />

di cui al decreto legislativo 27 giugno 2003, n.<br />

168, e successive modificazioni, il contributo unificato di<br />

cuialcomma1èraddoppiato. Si applica il comma 1 bis».<br />

4. Il maggior gettito derivante dall’applicazione della<br />

disposizione di cui al comma 3 è versato all’entrata del<br />

bilancio dello Stato per essere riassegnato, quanto ad euro<br />

600.000 per ciascuno degli anni 2012 e 2013, alla copertura<br />

degli oneri derivanti dalla istituzione delle sezioni<br />

specializzate in materia di impresa presso gli uffici giudiziari<br />

diversi da quelli nei quali, per effetto dell’articolo<br />

1 del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, sono<br />

state istituite le sezioni specializzate in materia di proprietà<br />

industriale ed intellettuale e, per la restante parte,<br />

al fondo istituito ai sensi dell’articolo 37, comma 10, del<br />

decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni,<br />

dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. A decorrere<br />

dall’anno 2014 l’intero ammontare del mag-gior gettito<br />

viene riassegnato al predetto fondo. Il Ministro dell’economia<br />

e delle finanze è autorizzato ad apportare, con<br />

propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.<br />

5. Al fine di semplificare ed accelerare le procedure relative<br />

alle nuove assunzioni di personale di magistratura<br />

nonché di avvocati e procuratori dello Stato, la riassegnazione<br />

delle entrate prevista dall’articolo 37, commi 10 e<br />

14, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con<br />

modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è effettuata<br />

al netto della quota di risorse destinate alle predette<br />

assunzioni; la predetta quota è stabilita con apposito decreto<br />

del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto<br />

con i Ministri della giustizia e dell’economia e delle finanze.<br />

Le risorse da destinare alle assunzioni corrispondenti alla<br />

predetta quota sono iscritte nello stato di previsione dell’entrata<br />

e in quello dei Ministeri interessati. Il Ministro<br />

dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare,<br />

con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.<br />

6. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano<br />

ai giudizi instaurati dopo il centottantesimo giorno<br />

dalla data di entrata in vigore della legge di conversione<br />

del presente decreto.<br />

(Omissis).<br />

Istituzione di Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale presso tribunali e corti d’appello,<br />

a norma dell’articolo 16 della legge 12 dicembre 2002, n. 273<br />

(G.U. 11 luglio 2003, n. 159)<br />

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA<br />

(Omissis).<br />

Art. 1<br />

Istituzione delle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa (4)<br />

1. Sono istituite presso i tribunali e le corti d’appello<br />

Note:<br />

(3) Testo aggiornato con le modifiche apportatevi dal D.L. 24<br />

gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24<br />

marzo 2012, n. 27.<br />

(4) Rubrica così modificata dall’art. 2, comma 1, lett. a), n. 1),<br />

D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, conv., con modiff., dalla L. 24 marzo<br />

2012, n. 27. La precedente era la seguente: «Istituzione delle<br />

sezioni».<br />

806 Le Società 7/2012


di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli,<br />

Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia sezioni<br />

specializzate in materia di impresa (5), senza oneri aggiuntivi<br />

per il bilancio dello Stato né incrementi di dotazioni<br />

organiche.<br />

1- bis. Sono altresì istituite sezioni specializzate in materia<br />

di impresa presso i tribunali e le corti d’appello<br />

aventi sede nel capoluogo di ogni regione, ove non esistenti<br />

nelle città di cui al comma 1. Per il territorio compreso<br />

nella regione Valle d’Aosta/Vallé d’Aoste sono<br />

competenti le sezioni specializzate presso il Tribunale e<br />

la Corte d’appello di Torino. È altresì istituita la sezione<br />

specializzata in materia di impresa presso il Tribunale e<br />

la Corte d’appello di Brescia. L’istituzione delle sezioni<br />

specializzate non comporta incrementi di dotazioni organiche<br />

(6).<br />

Art. 2<br />

Composizione delle sezioni e degli organi giudicanti<br />

1. I giudici che compongono le sezioni specializzate<br />

sono scelti tra i magistrati dotati di specifiche competenze<br />

(7).<br />

2. Ai giudici delle sezioni specializzate può essere assegnata,<br />

rispettivamente dal presidente del tribunale o<br />

della corte d’appello, anche la trattazione di processi diversi,<br />

purché ciò non comporti ritardo nella trattazione<br />

e decisione dei giudizi in materia di impresa (8).<br />

Art. 3 (9)<br />

Competenza per materia delle sezioni<br />

1. Le sezioni specializzate sono competenti in materia<br />

di:<br />

a) controversie di cui all’articolo 134 del decreto legislativo<br />

10 febbraio 2005, n. 30, e successive modificazioni;<br />

b) controversie in materia di diritto d’autore;<br />

c) controversie di cui all’articolo 33, comma 2, della<br />

legge 10 ottobre 1990, n. 287;<br />

d) controversie relative alla violazione della normativa<br />

antitrust dell’Unione europea.<br />

2. Le sezioni specializzate sono altresì competenti,<br />

relativamente alle società dicuialLibroV,TitoloV,<br />

Capi V, VI e VII, e Titolo VI, del codice civile, alle società<br />

di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 del<br />

Consiglio, dell’8 ottobre 2001, e di cui al regolamento<br />

(CE) n. 1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003,<br />

nonché alle stabili organizzazioni nel territorio dello<br />

Stato delle società costituite all’estero, ovvero alle società<br />

che rispetto alle stesse esercitano o sono sottoposte<br />

a direzione e coordinamento, per le cause e i procedimenti:<br />

a) relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti<br />

l’accertamento, la costituzione, la modificazione<br />

o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità<br />

da chiunque promosse contro i componenti<br />

degli organi amministrativi o di controllo, il liqui-datore,<br />

il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione<br />

dei documenti contabili societari, nonché contro<br />

il soggetto incaricato della revisione contabile per i<br />

Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti<br />

commessi nei confronti della società che ha conferito<br />

l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, le opposizioni<br />

di cui agli articoli 2445, terzo comma, 2482, secondo<br />

comma, 2447 quater, secondo comma, 2487 ter,<br />

secondo comma, 2503, secondo comma, 2503 bis, primo<br />

comma, e 2506 ter del codice civile;<br />

b) relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali<br />

o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni<br />

sociali o i diritti inerenti;<br />

c) in materia di patti parasociali, anche diversi da<br />

quelli regolati dall’articolo 2341 bis del codice civile;<br />

d) aventi ad oggetto azioni di responsabilità promosse<br />

dai creditori delle società controllate contro le società<br />

che le controllano;<br />

e) relativi a rapporti di cui all’articolo 2359, primo<br />

comma, numero 3), all’articolo 2497 septies e all’articolo<br />

2545 septies del codice civile;<br />

f) relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi<br />

o forniture di rilevanza comunitaria dei quali sia parte<br />

una delle società di cui al presente comma, ovvero<br />

quando una delle stesse partecipa al consorzio o al raggruppamento<br />

temporaneo cui i contratti siano stati affidati,<br />

ove comunque sussista la giurisdizione del giudice<br />

ordinario.<br />

3. Le sezioni specializzate sono altresì competenti per<br />

le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione<br />

con quelli di cui ai commi 1 e 2.<br />

Note:<br />

(5) La parola «impresa» è stata sostituita alle parole «proprietà<br />

industriale ed intellettuale» dall’art. 2, comma 1, lett. a), n. 2),<br />

D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, conv., con modiff., dalla L. 24 marzo<br />

2012, n. 27.<br />

(6) Comma aggiunto dall’art. 2, comma 1, lett. a), n. 3), D.L. 24<br />

gennaio 2012, n. 1, conv., con modiff., dalla L. 24 marzo 2012,<br />

n. 27.<br />

(7) Comma così sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. b), d.l. 24<br />

gennaio 2012, n. 1, conv., con modiff., dalla L. 24 marzo 2012,<br />

n. 27. Il suo precedente testo era il seguente: «1. Le sezioni<br />

specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale<br />

sono composte di un numero di giudici non inferiore a sei, scelti<br />

tra i magistrati dotati di specifiche competenze. Le sezioni decidono<br />

in composizione collegiale ai sensi dell’art. 50 bis, comma<br />

1, n. 3), del codice di procedura civile, salve le diverse previsioni<br />

di leggi speciali. Il collegio giudicante è composto da tre magistrati.<br />

Lo svolgimento delle attività istruttorie è assegnato ad un<br />

magistrato componente il collegio».<br />

(8) La parola «impresa» è stata sostituita alle parole «proprietà<br />

industriale ed intellettuale» dall’art. 2, comma 1, lett. c), d.l. 24<br />

gennaio 2012, n. 1, conv., con modiff., dalla L. 24 marzo 2012,<br />

n. 27.<br />

(9) Articolo così sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. d), D.L. 24<br />

gennaio 2012, n. 1, conv., con modiff., dalla L. 24 marzo 2012,<br />

n. 27. Il suo precedente testo era il seguente: «Le sezioni specializzate<br />

sono competenti in materia di controversie aventi ad<br />

oggetto: marchi nazionali, internazionali e comunitari, brevetti<br />

d’invenzione e per nuove varietà vegetali, modelli di utilità, disegni<br />

e modelli e diritto d’autore, nonché di fattispecie di concorrenza<br />

sleale interferenti con la tutela della proprietà industriale<br />

ed intellettuale».<br />

Le Società 7/2012 807


Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

Art. 4 (10)<br />

Competenza territoriale delle sezioni<br />

1. Le controversie di cui all’articolo 3 che, secondo<br />

gli ordinari criteri di ripartizione della competenza territoriale<br />

e nel rispetto delle normative speciali che le disciplinano,<br />

dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari<br />

compresi nel territorio della regione sono assegnate<br />

alla sezione specializzata avente sede nel capoluogo di regione<br />

individuato ai sensi dell’articolo 1. Alle sezioni<br />

specializzate istituite presso i tribunali e le corti d’appello<br />

non aventi sede nei capoluoghi di regione sono assegnate<br />

le controversie che dovrebbero essere trattate dagli uffici<br />

giudiziari compresi nei rispettivi distretti di corte<br />

d’appello.<br />

Art. 5.<br />

Competenze del presidente della sezione specializzata<br />

1. Nelle materie di cui all’articolo 3, le competenze<br />

riservate dalla legge al presidente del tribunale e al presidente<br />

della corte d’appello spettano al presidente delle<br />

rispettive sezioni specializzate.<br />

(Omissis).<br />

Nota:<br />

(10) Articolo così sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. e), D.L. 24<br />

gennaio 2012, n. 1, conv., con modiff., dalla legge 24 marzo<br />

2012, n. 27. Il suo precedente testo era il seguente: «1. Le controversie<br />

di cui all’articolo 3 che, secondo gli ordinari criteri di ri-<br />

IL COMMENTO<br />

di Paolo Celentano<br />

Dal contesto storico, culturale e normativo in cui s’innesta l’istituzione del cd. tribunale delle imprese ai primi<br />

approfondimenti sui problemi, di carattere processuale ed organizzativo, concernenti le sue plurime e variegate<br />

competenze specialistiche, con particolare riguardo a quelle relative alla materia societaria.<br />

I prodromi<br />

Come sovente accade in Italia, un inarrestabile<br />

andamento pendolare sembra caratterizzare anche il<br />

dibattito sui pregi e i difetti della cd. specializzazione<br />

dei giudici; formula, questa, che invero può essere<br />

utilizzata per indicare sia la ripartizione della funzione<br />

giurisdizionale tra più articolazioni organizzative<br />

ciascuna delle quali destinata ad occuparsi soltanto<br />

di una o più specifiche materie, sia il processo di<br />

acquisizione da parte dei singoli magistrati di conoscenze<br />

e capacità particolarmente elevate in una o<br />

più determinate materie.<br />

La crescente complessità del sistema delle fonti del<br />

diritto ed al contempo dei fenomeni che il diritto mira<br />

a regolare, la per lo più assai scadente qualità della<br />

partizione della competenza territoriale e nel rispetto delle disposizioni<br />

normative speciali che le disciplinano, dovrebbero essere<br />

trattate dagli uffici giudiziari di seguito elencati, sono assegnate<br />

alle sezioni specializzate di primo e secondo grado istituite<br />

secondo il seguente criterio:<br />

«a) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Bari,<br />

Lecce, Taranto (sezione distaccata), e Potenza: sono competenti<br />

le sezioni specializzate di Bari;<br />

«b) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Bologna<br />

e Ancona: sono competenti le sezioni specializzate di Bologna;<br />

«c) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Catania,<br />

Messina, Reggio Calabria e Catanzaro: sono competenti<br />

le sezioni specializzate di Catania;<br />

«d) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Firenze<br />

e Perugia: sono competenti le sezioni specializzate di Firenze;<br />

«e) per i territori ricompresi nel distretto di corte d’appello di Genova:<br />

sono competenti le sezioni specializzate di Genova;<br />

«f) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Milano<br />

e Brescia: sono competenti le sezioni specializzate di Milano;<br />

«g) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Napoli,<br />

Salerno e Campobasso: sono competenti le sezioni specializzate<br />

di Napoli;<br />

«h) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Palermo<br />

e Caltanissetta: sono competenti le sezioni specializzate<br />

di Palermo;<br />

«i) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Roma,<br />

L’Aquila, Cagliari e Sassari (sezione distaccata): sono competenti<br />

le sezioni specializzate di Roma;<br />

«l) per i territori ricompresi nel distretto di corte d’appello di Torino:<br />

sono competenti le sezioni specializzate di Torino;<br />

«m) per i territori ricompresi nel distretto di corte d’appello di<br />

Trieste: sono competenti le sezioni specializzate di Trieste;<br />

«n) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Venezia,<br />

Trento e Bolzano (sezione distaccata): sono competenti le<br />

sezioni specializzate di Venezia».<br />

produzione normativa, i progressi della scienza e della<br />

tecnica, la proliferazione di discipline settoriali, gli effetti<br />

della cd. globalizzazione e molti altri fattori che è<br />

pressoché impossibile enumerare e solo alcuni dei<br />

quali di altrettanto intuitiva evidenza concorrono a<br />

rendere sempre più difficile il mestiere del giudicare,<br />

sempre più forte e sentita l’esigenza che i giudici - tuttiigiudici,diogniordineegrado,comesisarebbe<br />

detto una volta - estendano ed affinino progressivamente<br />

ed aggiornino continuamente i loro saperi,<br />

non solo quello giuridico, in modo tale da essere in<br />

grado di fornire una risposta celere e qualitativamente<br />

elevata e dunque adeguata ai tempi alla cd. domanda<br />

di giustizia di cui sono destinatari, eventualmente anche<br />

per contrastarne le ipertrofie e gli abusi.<br />

808 Le Società 7/2012


D’altro canto, è innegabile che il giudice generalista,<br />

eppur peritus peritorum, cioè, almeno tendenzialmente,<br />

onnisciente, è una figura che, per quanto<br />

desiderabile, anche per l’elasticità che è in grado di<br />

conferire all’organizzazione giudiziaria, non trova riscontro<br />

nella realtà e che l’esigenza di avere giudici<br />

professionalmente all’altezza di svolgere con efficienza<br />

ed efficacia i compiti a loro affidati può essere<br />

tanto più facilmente soddisfatta quanto minore è<br />

l’ambito delle conoscenze che lo svolgimento di tali<br />

compiti richiede.<br />

Da qui muove la convinzione, in questo momento<br />

storico assai diffusa, che anche lo ius dicere, visto<br />

come attività volta alla produzione di un servizio<br />

(il cd. servizio giustizia), dovrebbe essere in grado di<br />

fornire risultati migliori, per qualità e quantità, e<br />

pertanto, nella logica economicistica della competizione<br />

tra ordinamenti, di maggior appeal per gli investitori,<br />

se ripartito tra strutture organizzative specializzate<br />

per funzioni omogenee, a loro volta composte<br />

da giudici non già specialisti, bensì specializzati,<br />

cioè che, già dotati di un’ampia e solida preparazione<br />

e di una significativa esperienza di carattere generalista,<br />

abbiano saputo e potuto progressivamente<br />

approfondire la conoscenza teorica e pratica di una<br />

o più particolari materie, magari tra loro contigue,<br />

senza smarrire la capacità di orientarsi nelle più vaste<br />

distese del diritto e della realtà sociale e per<br />

questo di passare ad occuparsi, ove necessario, di altro,<br />

garantendo così la pur necessaria duttilità dell’organizzazione<br />

giudiziaria.<br />

La difficoltà sta piuttosto nel trovare un equilibrio<br />

organizzativo che consenta e valorizzi la specializzazione<br />

ed al contempo ne limiti i non pochi difetti<br />

(1), come, ad esempio, il rischio che la struttura<br />

specializzata e/o i suoi componenti perdano la visione<br />

d’insieme dell’organizzazione, della generalità<br />

delle sue funzioni e del complesso delle sue relazioni<br />

con l’esterno, tendendo a porsi come monadi separate,<br />

incapaci di svolgere adeguatamente altri<br />

compiti ed eccessivamente autoreferenziali, ovvero<br />

finiscano per entrare con altri soggetti dello specifico<br />

settore socio-economico in cui operano in un<br />

rapporto di osmosi pernicioso per la loro terzietà e<br />

la loro indipendenza o per sfuggire ad adeguate verifiche<br />

sull’efficienza e l’efficacia della loro attività<br />

a causa delle difficoltà di comparare i loro, per definizione<br />

peculiari, risultati con quelli delle altre articolazioni<br />

dell’organizzazione giudiziaria (2).<br />

Ma questo equilibrio è un traguardo che in Italia<br />

sembra ancora assai lontano da raggiungere, sia che<br />

si guardi alla complessiva organizzazione della funzione<br />

giurisdizionale, sia che si limiti lo sguardo al<br />

Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

più ristretto ambito della giurisdizione ordinaria,<br />

ancora, come purtroppo ben noto, essenzialmente<br />

legata, a partire dalle sue articolazioni territoriali, ai<br />

modelli organizzativi ereditati dagli Stati preunitari,<br />

che il legislatore, nonostante i ricorrenti proclami,<br />

non è sinora riuscito a riformare organicamente,<br />

preferendo, salvo poche eccezioni, por mano ad interventi<br />

settoriali, estemporanei ed a volte contraddittori.<br />

È infatti evidente che, fino a quando non si riuscirà<br />

a vincere le resistenze - soprattutto di carattere<br />

corporativo e localistico - che strenuamente si oppongono<br />

ad una razionale revisione della distribuzione<br />

territoriale degli uffici giudiziari ed in particolare<br />

alla soppressione della pletora di tribunali (ma<br />

il discorso dovrebbe essere esteso anche a talune<br />

Corti d’Appello) di piccole o piccolissime dimensioni<br />

che caratterizzano la struttura organizzativa<br />

della giurisdizione ordinaria in Italia, l’unico modo<br />

per assecondare la specializzazione sarà quello di<br />

concentrare le competenze nelle materie che si ritiene<br />

più importante che siano trattate da giudici<br />

specializzati negli uffici giudiziari ordinari di più<br />

grandi dimensioni, magari attribuendole a delle sezioni<br />

specializzate di questi uffici, come peraltro<br />

espressamente consentito dal lungimirante secondo<br />

Note:<br />

(1) In considerazione di almeno alcuni dei quali, l’art. 19, D.Lgs.<br />

5 aprile 2006, n. 160, ha introdotto (elevando al rango della normativa<br />

primaria ed estendendo la disciplina già contenuta, in relazione<br />

a talune funzioni, nelle circolari in proposito emanate dal<br />

Consiglio Superiore della Magistratura negli anni immediatamente<br />

precedenti) il divieto di permanenza ultradecennale nel<br />

«medesimo incarico» dei magistrati con funzioni (non direttive<br />

né semidirettive) di primo o di secondo grado ed ora, dopo le<br />

modifiche apportatevi dall’art. 2, L. 30 luglio 2007, n. 111, stabilisce<br />

che i medesimi magistrati non «possono rimanere in servizio<br />

presso lo stesso ufficio svolgendo le medesime funzioni o,<br />

comunque, nella stessa posizione tabellare o nel medesimo<br />

gruppo di lavoro nell’ambito delle stesse funzioni» per un periodo<br />

eccedente quello stabilito, tra un minimo di cinque ed un<br />

massimo di dieci anni «a seconda delle differenti funzioni», dal<br />

Consiglio Superiore della Magistratura con proprio regolamento,<br />

che, poi adottato il 13 marzo 2008, ha individuato come limite<br />

generale quello decennale. Prevalentemente altre sono invece<br />

le ragioni della temporaneità degli incarichi direttivi o semidirettivi,<br />

per i quali gli artt. 45 e 46, D.Lgs. n. 160/2006 fissano una<br />

durata massima di otto anni.<br />

(2) Sul generale tema della specializzazione dei giudici civili, v. il<br />

recente contributo di I. Pagni, Competenze e specializzazioni, in<br />

Tutela dei diritti e «sistema» ordinamentale. Atti del 68 Convegno<br />

Nazionale della Società Italiana degli Studiosi del Diritto Civile, Napoli,<br />

2012, 353 ss., nonché quelli, più risalenti, di: G.B. Nardecchia,<br />

La specializzazione del giudice civile, 2002, in www.movimentoperlagiustizia.it;<br />

G. Civinini, La specializzazione del giudice,<br />

in Quest. giust., 2000, 605 ss.; R. Rordorf, La professionalità dei<br />

magistrati: specializzazione e avvicendamento, inForo it., V, 271<br />

ss.; G. Borrè -G.Petrella,La specializzazione del giudice, inIl<br />

Ponte, 1968,866ss.<br />

Le Società 7/2012 809


Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

comma dell’art. 102 della nostra Costituzione ed a<br />

volte, più o meno direttamente, imposto dalle istituzioni<br />

comunitarie.<br />

Ricorrente è allora - complici anche la pochezza<br />

delle risorse destinate all’organizzazione giudiziaria<br />

ed il divieto costituzionale di istituire giudici straordinari<br />

e nuovi giudici speciali - la tentazione del<br />

nostro legislatore di attribuire a giudici specializzati<br />

solo gli affari giudiziari relativi ad alcune materie,<br />

evidentemente ritenute di maggior importanza sociale,<br />

politica od economica, con l’obiettivo di sottrarli<br />

all’inefficienza ed all’inefficacia che caratterizzano<br />

purtroppo nel nostro Paese la risposta, per così<br />

dire media, alla domanda di giustizia, anche andando<br />

oltre gli specifici obblighi derivanti dalla qualità di<br />

Stato membro dell’Unione (già Comunità) europea.<br />

Il che, per rimanere allo specifico tema qui oggetto<br />

di indagine e dunque alle materie di maggior<br />

interesse per le imprese, è quanto tentò di fare il<br />

Governo già nel corso dell’anno 2000, evidentemente<br />

traendo ispirazione dal precedente delle «sezioni<br />

specializzate per la trattazione delle controversie riguardanti<br />

il brevetto comunitario», istituite presso i<br />

soli Tribunali e le sole Corti d’appello di Torino,<br />

Milano, Bologna, Roma, Bari, Cagliari e Palermo<br />

dall’art. 4, L. 26 luglio 1993, n. 302 (3), come «tribunali<br />

dei brevetti comunitari» di prima e di seconda<br />

istanza competenti sulle controversie in materia di<br />

contraffazione e di validità di brevetti comunitari,<br />

ma di fatto mai entrate in funzione (4).<br />

Il progetto di riforma della disciplina delle società<br />

di capitali e cooperative elaborato dalla cd.<br />

Commissione Mirone e varato dal Governo nel<br />

maggio del 2000 (5) conteneva infatti la proposta<br />

di istituire presso i tribunali delle città sedi di Corte<br />

d’appello (che in Italia sono 26), nonché, eventualmente,<br />

presso le corti d’appello e la Corte di cassazione,<br />

«sezioni specializzate nella trattazione dei procedimenti<br />

che richiedono un elevato grado di conoscenza<br />

dei settori economico e finanziario», individuati, in<br />

buona sostanza, in quelli concernenti le materie del<br />

diritto societario, dell’intermediazione finanziaria,<br />

della concorrenza, dei brevetti e dei segni distintivi<br />

dell’impresa, nonché del diritto fallimentare e delle<br />

altre procedure concorsuali, esclusi i procedimenti<br />

prefallimentari e gli aspetti gestori delle procedure<br />

fallimentari (6). Ma la proposta naufragò miseramente<br />

nel corso dei successivi lavori parlamentari<br />

(7).<br />

Ciò nonostante, l’idea venne un po’ di tempo<br />

dopo ripresa, anche se con ambizioni più limitate,<br />

dal D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, che-sempre<br />

sulla spinta del legislatore comunitario (8) ed in<br />

attuazione dell’art. 16 della legge-delega 12 dicembre<br />

2002, n. 273 - attribuì la competenza in ordine<br />

ai giudizi (9) aventi ad oggetto le controversie in<br />

Note:<br />

(3) Per dare attuazione alla convenzione istitutiva del brevetto<br />

comunitario, che, tra l’altro, prevedeva appunto che ciascuno<br />

degli Stati contraenti designasse come «tribunali dei brevetti comunitari»<br />

«un numero per quanto possibile ridotto di tribunali<br />

nazionali di prima e di seconda istanza» per lo svolgimento delle<br />

funzioni ad essi attribuite.<br />

(4) A causa delle resistenze frapposte da altri Stati all’entrata in<br />

vigore della convenzione istitutiva del brevetto comunitario.<br />

(5) Con il dichiarato obiettivo di dare attuazione alla delega di cui<br />

all’art. 12, L. 3 ottobre 2001, n. 366, che tuttavia, a ben vedere,<br />

non prevedeva modifiche dell’organizzazione giudiziaria così importanti<br />

quanto l’istituzione di sezioni specializzate.<br />

(6) L’art. 11 della proposta di legge-delega elaborata dalla Commissione<br />

Mirone ed approvata dal Consiglio dei Ministri il 26<br />

maggio 2000 stabiliva che nella competenza delle sezioni specializzate<br />

di cui prevedeva l’istituzione nei tribunali sedi di corte<br />

d’appello potessero essere fatti rientrare dal legislatore delegato:<br />

1) i procedimenti in materia di diritto societario, comprese le<br />

controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali<br />

ed ai patti parasociali; 2) tutti o alcuni dei procedimenti nelle materie<br />

disciplinate dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, recante il<br />

testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria,<br />

e dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, recante il testo<br />

unico delle leggi in materia bancaria e creditizia; 3) i procedimenti<br />

in materia di concorrenza, brevetti e segni distintivi dell’impresa;<br />

4) tutti i procedimenti previsti dalla disciplina dell’amministrazione<br />

straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza<br />

e tutte le relative controversie, nonché tutti i procedimenti<br />

connessi e consequenziali, esclusi i procedimenti previsti dal<br />

capo I del titolo IV del D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270; 5) tutte o alcune<br />

delle controversie in materia fallimentare e concorsuale in<br />

genere, con esclusione della dichiarazione di fallimento e delle<br />

competenze gestorie del tribunale fallimentare. Stabiliva inoltre<br />

che il legislatore delegato potesse istituire delle sezioni specializzate<br />

nelle suddette materie ed in quella delle procedure concorsuali<br />

in genere anche presso le corti d’appello e la Corte di<br />

cassazione.<br />

(7) Per le ragioni che sono efficacemente sintetizzate nel dossier<br />

n. 3/2012 dell’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale Forense<br />

dal titolo Giustizia e crisi economica. I diritti non sono merce,<br />

26-27, in www.consiglionazionaleforense.it.<br />

(8) Era infatti da poco entrato in vigore il regolamento (CE) n. 6/<br />

2002 del Consiglio del 12 dicembre 2001, sui disegni o modelli<br />

comunitari, il cui art. 80 impone agli Stati membri dell’Unione europea<br />

di designare nei loro rispettivi territori «un numero per<br />

quanto possibile ridotto di tribunali nazionali di primo e di secondo<br />

grado» per lo svolgimento delle funzioni attribuite dal medesimo<br />

regolamento ai «tribunali dei disegni e modelli comunitari», sulla<br />

falsariga di quanto già da tempo previsto per i «tribunali dei marchi<br />

comunitari» dall’art. 91 del regolamento (CE) n. 40/1994 del<br />

Consiglio del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario.<br />

(9) Iscritti a ruolo (per la prima volta) a partire dal 18 luglio 2003,<br />

secondo quanto affermato da Cass. 1 febbraio 2007, n. 2203, in<br />

Giust. civ., 2007, I, 585, sulla base di quanto disposto dall’art. 6,<br />

comma 1, D.Lgs. n. 168/2003, sebbene questo decreto sia entrato<br />

in vigore solo il successivo 12 luglio 2003. Invece, secondo<br />

Trib. Napoli, sez. spec. propr. ind. e ind., 14 luglio 2004, in Foro<br />

it., 2005, I. 924, le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale<br />

ed intellettuale potevano ritenersi competenti solo in<br />

relazione a giudizi iscritti a ruolo a partire dal 12 luglio 2003, non<br />

(segue)<br />

810 Le Società 7/2012


materia di marchi nazionali, internazionali e comunitari,<br />

di brevetti d’invenzione e di nuove varietà<br />

vegetali, modelli di utilità, disegni e modelli<br />

e di diritto d’autore e di quelle relative a fattispecie<br />

di concorrenza sleale interferenti con la tutela<br />

della proprietà industriale ed intellettuale, alle «sezioni<br />

specializzate in materia di proprietà industriale ed<br />

intellettuale» contestualmente istituite soltanto in<br />

12 dei 165 tribunali ed in 12 delle 26 Corti d’Appello<br />

della Repubblica - cioè nei Tribunali e nelle<br />

Cortid’appellodiBari,Bologna, Catania, Firenze,<br />

Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino,<br />

Trieste e Venezia - e dunque caratterizzate da una<br />

competenza per territorio nella quasi totalità dei<br />

casi più ampia di quella ordinariamente attribuita<br />

agli uffici giudiziari nell’ambito dei quali erano,<br />

sotto il profilo organizzativo, chiamate ad operare,<br />

con le sole eccezioni delle sezioni specializzate delle<br />

Corti d’appello di Genova, Torino e Trieste<br />

(10).<br />

L’ambito della competenza in materia di proprietà<br />

industriale attribuito a queste sezioni venne poi<br />

ridefinito dall’art. 134 del Codice della proprietà industriale<br />

(nel prosieguo c.p.i.), varato con il D.Lgs. 10<br />

febbraio 2005, n. 30 (11), in modo tale da includervi<br />

- superando molte delle perplessità precedentemente<br />

emerse ed accogliendo in parte le istanze<br />

espansionistiche della dottrina industrialistica (12) -<br />

anche i procedimenti concernenti i marchi di fatto,<br />

i segni distintivi diversi dai marchi, le indicazioni<br />

geografiche, le denominazioni d’origine, le topografie<br />

dei prodotti a semiconduttori, le invenzioni dei<br />

lavoratori dipendenti (13) e dei ricercatori delle<br />

università e degli enti pubblici di ricerca e le informazioni<br />

aziendali riservate, i procedimenti in tema<br />

di concorrenza sleale interferenti solo indirettamente<br />

con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale,<br />

le controversie relative alle violazioni della normativa<br />

italiana e comunitaria a tutela della concorrenza<br />

e del mercato (cd. normativa antitrust) afferenti<br />

all’esercizio dei diritti di proprietà industriale (14),<br />

quelle concernenti l’indennità di espropriazione per<br />

scopi di pubblica utilità dei diritti di proprietà industriale<br />

e quelle «in materie» connesse, anche in<br />

senso improprio, con quelle devolute alla cognizione<br />

delle medesime sezioni.<br />

Correlativamente, l’art. 134 c.p.i. estese a tutte<br />

le controversie attribuite alla competenza delle sezioni<br />

specializzate in materia di proprietà industriale<br />

ed intellettuale il (famigerato) cd. rito societario o,<br />

più precisamente, le disposizioni concernenti lo<br />

speciale procedimento di merito a cognizione piena<br />

davanti al Tribunale e le speciali disposizioni con-<br />

Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

cernenti il giudizio d’appello ed il procedimento<br />

cautelare contenute, rispettivamente, nei capi I e<br />

IV del titolo II e nel titolo III del D.Lgs. 17 gennaio<br />

2003, n. 5. Ma la previsione venne in parte<br />

qua dichiarata costituzionalmente illegittima, per<br />

eccesso di delega, con la sentenza della Corte costituzionale<br />

17 maggio 2007, n. 170, con il conseguente<br />

rientro dei processi di competenza delle predette sezioni<br />

specializzate nell’alveo del rito di cognizione<br />

ordinario e del rito cautelare uniforme, fatte salve<br />

le particolarità contenute nelle relative discipline<br />

speciali.<br />

L’integrale sostituzione dell’art. 134 c.p.i. opera-<br />

Note:<br />

(segue nota 9)<br />

potendo riconoscersi alle disposizioni sulla competenza introdotte<br />

dal predetto decreto legislativo efficacia retroattiva (sul tema<br />

v. G. Casaburi, Le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale<br />

ed intellettuale: competenza, rito, organizzazione,<br />

2004).<br />

(10) Secondo l’originario testo dell’art. 4, D.Lgs. n. 168/2003 infatti:<br />

la competenza delle Sezioni specializzate in materia di proprietà<br />

industriale ed intellettuale del Tribunale e della Corte d’appello<br />

di Bari si estendeva ai distretti delle Corti d’Appello di Lecce<br />

e Potenza; quella delle Sezioni specializzate del Tribunale e<br />

della Corte d’Appello di Bologna al distretto della Corte d’Appello<br />

di Ancona; quella delle Sezioni specializzate del Tribunale e<br />

della Corte d’Appello di Catania ai distretti delle Corti d’Appello<br />

di Messina, Reggio di Calabria e Catanzaro; quella delle Sezioni<br />

specializzate del Tribunale e della Corte d’Appello di Firenze al<br />

distretto della Corte d’Appello di Perugia; quella delle Sezioni<br />

specializzate del Tribunale e della Corte d’Appello di Milano al<br />

distretto della Corte d’Appello di Brescia; quella delle Sezioni<br />

specializzate del Tribunale e della Corte d’appello di Napoli ai distretti<br />

delle Corti d’Appello di Salerno e Campobasso; quella delle<br />

Sezioni specializzate del Tribunale e della Corte d’Appello di<br />

Palermo al distretto della Corte d’Appello di Caltanissetta; quella<br />

delle Sezioni specializzate del Tribunale e della Corte d’Appello<br />

di Roma ai distretti delle Corti d’Appello de L’Aquila e di Cagliari;<br />

quella delle Sezioni specializzate del Tribunale e della Corte<br />

d’appello di Venezia al distretto della Corte d’Appello di Trento.<br />

(11) Entrato in vigore il 19 marzo 2005.<br />

(12) Per le quali si vedano L.C. Ubertazzi, Commentario breve<br />

alle leggi sulla proprietà intellettuale e concorrenza, Padova,<br />

2007, 154 ss., e G. Casaburi, Le sezioni specializzate, cit., 11<br />

ss.<br />

(13) Che prima si riteneva rientrassero nella competenza per<br />

materia del tribunale in funzione di giudice del lavoro, ai sensi<br />

del comb. disp. degli artt. 409 e 413 c.p.c. (cfr. Cass. 28 agosto<br />

2006, n. 18595, in Dir. ind., 2007, 335, con nota di Bacchini C.,<br />

La competenza delle sezioni specializzate nelle controversie sulle<br />

invenzioni dei dipendenti).<br />

(14) In tal modo riducendo significativamente l’ambito della<br />

competenza sulle azioni di nullità e di risarcimento del danno<br />

fondate su violazioni della normativa antitrust italiana e sui relativi<br />

provvedimenti cautelari che l’art. 33, comma 2, L. 10 ottobre<br />

1990, n. 287, aveva attribuito alle Corti d’Appello in unico grado<br />

già - come giustamente osservato da I. Pagni, Competenze, cit.,<br />

353 ss. - con la chiara intenzione di concentrare il relativo contenzioso<br />

in pochi uffici giudiziari e di favorire in tal modo la specializzazione<br />

dei relativi giudici.<br />

Le Società 7/2012 811


Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

ta (15) dalla L. 23 luglio 2009, n. 99, ha infine<br />

esteso la competenza delle sezioni specializzate in<br />

materia di proprietà industriale ed intellettuale pure<br />

alle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti<br />

del Consiglio dell’ordine dei consulenti in proprietà<br />

industriale, sempreché, ovviamente, rientranti nella<br />

sfera della giurisdizione del giudice ordinario (16).<br />

Un’infausta sorte era invece finora toccata all’idea<br />

di includere nella competenza delle sezioni specializzate<br />

in materia di proprietà industriale ed intellettuale<br />

le controversie, rientranti nella giurisdizione ordinaria,<br />

in tema di contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o<br />

forniture, lanciata dall’art. 15, D.L. 31 dicembre<br />

2007, n. 248, conv., con modiff., dalla L. 28 febbraio<br />

2008, n. 31, per giustificare la contestuale proroga<br />

al 18 luglio 2008 dell’entrata in vigore (17) del<br />

divieto di devolvere la cognizione di tali controversie<br />

ad arbitri introdotto dall’art. 3, commi 19 e 20,<br />

L. 24 dicembre 2007, n. 244, ma poi, come questo<br />

divieto, mai concretizzatasi ed infine travolta dall’abrogazione<br />

di tale divieto ad opera dell’art. 15, comma<br />

5, D.Lgs. 20 marzo 2010, n. 53 (18).<br />

D’altro canto, sempre in quest’ultimo scorcio<br />

d’anni, uno sbocco diverso dall’ampliamento della<br />

competenza per materia delle sezioni specializzate<br />

in materia di proprietà industriale ed intellettuale o<br />

dalla creazione di un’apposita sezione specializzata è<br />

stato trovato dal legislatore per soddisfare l’esigenza<br />

di concentrare in pochi uffici giudiziari le ccdd.<br />

azioni di classe previste dall’art. 140 bis aggiunto al<br />

Codice del consumo, di cui al D.Lgs. 6 settembre<br />

2005, n. 206, dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, ed<br />

entrato in vigore, dopo aver subito rilevanti modifiche,<br />

solo il 18 gennaio 2010, che sono infatti state<br />

stranamente attribuite, nonostante la loro prevedibilmente<br />

frequente interferenza con le materie delle<br />

privative industriali e della concorrenza, alla competenza,<br />

in primo grado, dei tribunali e, in secondo<br />

grado, delle corti d’appello aventi sede nei capoluoghi<br />

di regione, eccetto che in quelli della Valle<br />

d’Aosta, del Trentino-Alto Adige, del Friuli-Venezia<br />

Giulia, delle Marche, dell’Umbria, dell’Abruzzo,<br />

del Molise, della Basilicata e della Calabria, cioè,<br />

in definitiva, dei soli Tribunali e delle sole Corti<br />

d’appello di Torino, Genova, Milano, Venezia, Bologna,<br />

Firenze, Roma, Napoli, Bari, Cagliari e Palermo<br />

(19).<br />

L’istituzione<br />

Sui descritti antecedenti storico-normativi s’innesta<br />

ora l’operazione approdata alla conversione,<br />

con modificazioni, da parte della L. 24 marzo<br />

2012, n. 27, dell’art. 2, D.L. 24 gennaio 2012, n.<br />

1, e dal legislatore propagandata come volta all’istituzione<br />

dei tribunali delle imprese, cosìingannevolmente<br />

etichettando (20) quelle che altro non sono<br />

che sezioni specializzate di Tribunale e di Corte<br />

d’Appello che, come meglio vedremo appresso, sono<br />

caratterizzate da uno speciale ambito di competenza<br />

territoriale, tendenzialmente più ampio di<br />

quello degli uffici giudiziari in cui sono incardinate,<br />

ma non quanto quello delle vecchie sezioni specializzate<br />

in materia di proprietà industriale ed intellettuale,<br />

giacché di norma coincidente con il<br />

territorio regionale (21), e competenti per mate-<br />

Note:<br />

(15) Anche per superare i dubbi concernenti la sua legittimità<br />

costituzionale per eccesso di delega avanzati da accorta dottrina<br />

(per i quali cfr. G. Casaburi - S. Di Paola, Guida al codice della<br />

proprietà industriale, inForo it., 2005, V, 77).<br />

(16) La previsione dell’art. 221, comma 1, c.p.i., secondo cui tutti<br />

i provvedimenti del Consiglio dell’ordine dei consulenti in proprietà<br />

industriale sono impugnabili dinanzi alla Commissione dei<br />

ricorsi, era stata infatti fortemente ridimensionata dall’interpretazione<br />

datane dalla Corte di cassazione (cfr. Cass., sez. un., 2<br />

maggio 2006, n. 10055, in Giurisdiz. amm., 2006, III, 317), che<br />

aveva ritenuto di dover attribuire a tale rimedio natura amministrativa<br />

e carattere facoltativo, al contempo affermando che i<br />

provvedimenti del Consiglio incidenti su diritti soggettivi, quali,<br />

tra gli altri, quelli di carattere disciplinare, possono essere contestati<br />

innanzi al giudice ordinario.<br />

(17) Poi ulteriormente prorogata: al 31 dicembre 2008 dall’art. 4<br />

bis, comma 12, D.L. 3 giugno 2008, n. 97, conv., con modiff.,<br />

dalla L. 2 agosto 2008, n. 129; al 30 marzo 2009 dall’art. 1 ter,<br />

comma 1, D.L. 23 ottobre 2008, n. 162, conv., con modiff., dalla<br />

L. 22 dicembre 2009, n. 201; al 31 dicembre 2009 dall’art. 29,<br />

comma 1 quinquiesdecies, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207,<br />

conv., con modiff., dalla L: 27 febbraio 2009, n. 14; al 30 aprile<br />

2010 dall’art. 5, comma 4, del 30 dicembre 2009, n. 194, conv.,<br />

con modiff., dalla L. 26 febbraio 2010, n. 25.<br />

(18) Con il quale, in attuazione della direttiva 2007/66/CE dell’11<br />

dicembre 2007, sono state apportate significative modifiche al<br />

Codice dei contratti pubblici varato con il D.Lgs. 12 aprile 2006,<br />

n. 163.<br />

(19) Individuando come giudice di primo grado competente per<br />

materia: per la Valle d’Aosta il Tribunale di Torino; per il Trentino-Alto<br />

Adige e il Friuli-Venezia Giulia il Tribunale di Venezia; per<br />

le Marche, l’Umbria, l’Abruzzo e il Molise il Tribunale di Roma;<br />

per la Basilicata e la Calabria il Tribunale di Napoli.<br />

(20) L’espressione «Tribunale delle imprese», d’altronde, si rinviene<br />

soltanto nella rubrica dell’art. 2, D.L. n. 1/2012, come risultante<br />

dopo la sua conversione, e non trova riscontro nel testo<br />

normativo.<br />

(21) Con le sole eccezioni, come vedremo meglio nel seguito<br />

del corpo del testo: delle sezioni specializzate in materia d’impresa<br />

dei Tribunali e delle Corti d’appello di Brescia, di Catania e<br />

di Milano, i cui ambiti di competenza territoriale coincidono con<br />

quelli dei rispettivi distretti di corte d’appello; delle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa del Tribunale e della Corte d’appello<br />

di Palermo, il cui ambito di competenza territoriale non<br />

comprende il distretto della Corte d’Appello di Catania; delle sezioni<br />

specializzate in materia d’impresa del Tribunale e della Corte<br />

d’appello di Torino, il cui ambito di competenza territoriale si<br />

estende alla Valle d’Aosta.<br />

812 Le Società 7/2012


ia, oltre che sulle controversie già attribuite alle<br />

sezioni specializzate in materia di proprietà industriale<br />

ed intellettuale dal comb. disp. dell’art. 3,<br />

D.Lgs. n. 168/2003 e dell’art. 134 c.p.i., nella sua<br />

ultima versione, su ogni altra controversia concernente<br />

le violazioni della normativa italiana ed europea<br />

a tutela della concorrenza e del mercato (cd.<br />

normativa antitrust), nonché su una serie di controversie<br />

e, più in generale, di procedimenti che<br />

potremmo definire sinteticamente di carattere societario,<br />

ma solo nella misura in cui, anche indirettamente,<br />

in virtù dei rapporti di gruppo, riguardino<br />

- vedremo dopo in qual senso ed entro quali limiti<br />

-societàdi capitali o cooperative o stabili organizzazioni<br />

nel territorio italiano di società costituite<br />

all’estero, nonché sulle controversie in tema di appalti<br />

pubblici di lavori, forniture o servizi di rilevanza<br />

comunitaria affidati ad una di dette società<br />

ovvero ad un consorzio o ad un raggruppamento<br />

temporaneo di imprese di cui faccia parte almeno<br />

una di dette società ovvero una società che esercita<br />

l’attività di direzione e coordinamento o è sottoposta<br />

all’attività di direzione e coordinamento di<br />

una di dette società.<br />

Con l’art. 2, D.L. n. 1/2012, come modificato<br />

dalla legge di conversione n. 27/2012 (22), il<br />

D.Lgs. n. 168/2003 è stato infatti ampiamente rimaneggiato,<br />

in modo tale da farne il collettore delle<br />

norme concernenti l’istituzione, la competenza,<br />

per materia e per territorio, e la composizione di<br />

queste nuove «sezioni specializzate in materia di impresa»<br />

(23), destinate ad entrare concretamente in<br />

funzione il 22 settembre 2012 nei tribunali e nelle<br />

corti di appello aventi sede nei capoluoghi di regione,<br />

eccetto che nel Tribunale di Aosta (il che vale<br />

a dire nei Tribunali e nelle Corti d’appello di Ancona,<br />

Bari, Bologna, Cagliari, Campobasso, Catanzaro,<br />

Firenze, Genova, L’Aquila, Milano, Napoli,<br />

Palermo, Perugia, Potenza, Roma, Torino, Trento,<br />

Trieste e Venezia), nonché nei Tribunali e nelle<br />

Corti d’appello di Brescia e Catania, assorbendo totalmente,<br />

ma soltanto per i procedimenti civili che<br />

saranno instaurati a partire dalla predetta data (24),<br />

anche la competenza delle preesistenti sezioni specializzate<br />

in materia di proprietà industriale ed intellettuale,<br />

che dunque dovranno rimanere in funzione<br />

fino al completo smaltimento dei procedimenti<br />

innanzi ad esse pendenti.<br />

La competenza per materia<br />

Panoramica<br />

Secondo quanto disposto dall’art. 3, D.Lgs. n.<br />

Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

168/2003, come sostituito dall’art. 2, comma 1,<br />

lett. d), D.L. n. 1/2012, conv., con modiff., dalla<br />

L. n. 27/2012, l’ambito della competenza per materia<br />

delle sezioni specializzate in materia d’impresa comprende:<br />

a) le controversie in tema di proprietà industriale<br />

che, ai sensi dell’art. 134 c.p.i., come sostituito dalla<br />

L. 23 luglio 2009, n. 99, già rientravano nella<br />

competenza per materia delle vecchie sezioni specializzate<br />

in materia di proprietà industriale ed intellettuale;<br />

b) le controversie in tema di diritto d’autore, che<br />

pure già rientravano nella competenza per materia<br />

delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale<br />

ed intellettuale;<br />

c) le controversie relative alle violazioni della normativa<br />

a tutela della concorrenza e del mercato (cd.<br />

normativa antitrust) italiana di cui all’art. 33, comma<br />

2, L. 10 ottobre 1990, n. 287, cioè quelle concernenti<br />

le azioni di nullità e di risarcimento del danno<br />

e le relative azioni cautelari fondate su tali violazioni,<br />

già rientranti nella competenza delle Corti<br />

Note:<br />

(22) Invero, nel testo inizialmente presentato dal Governo al Parlamento<br />

per la conversione in legge (che può leggersi anche<br />

sub La società a responsabilità limitata semplificata e il tribunale<br />

delle imprese, in questa Rivista, 2012, 151, con nota di commento<br />

di V. Salafia), l’art. 2, D.L. n. 1/2012 prevedeva soltanto<br />

la modifica della denominazione delle preesistenti sezioni specializzate<br />

in tema di proprietà industriale ed intellettuale in quella<br />

di sezioni specializzate in materia d’impresa ed il contestuale<br />

ampliamento della loro competenza per materia alle azioni di<br />

classe di cui all’art. 140 bis, D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206<br />

(cd. Codice del consumo), a talune controversie di diritto societario,<br />

se riguardanti società per azioni od in accomandita per<br />

azioni, società controllate da società per azioni od in accomandita<br />

per azioni o società controllanti società per azioni od in accomandita<br />

per azioni, ed alle controversie in materia di appalti pubblici<br />

di lavoro, servizi o forniture di cui sia parte una di tali società.<br />

Per un ampio (e critico) commento all’originario testo del d.l.<br />

n. 1 del 2012 si rinvia a G. Casaburi, ‘‘Liberalizzazioni’’ e sezioni<br />

specializzate, inDir. ind., 2012, 11 ss.<br />

(23) Con una tecnica normativa assai singolare e certamente<br />

censurabile, se sol si considera che il d.lgs. n. 168 del 2003 era<br />

e continua ad essere intitolato alla «Istituzione di sezioni specializzate<br />

in materia di proprietà industriale ed intellettuale presso<br />

tribunali e corti d’appello, a norma dell’articolo 16 della legge 12<br />

dicembre 2002, n. 273».<br />

(24) Il sesto comma dell’art. 2, D.L. 14 gennaio 2012, n. 1, come<br />

modificato dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27,<br />

pubblicata nella G.U. della Repubblica Italiana il 24 marzo 2012<br />

ed entrata in vigore il 25 marzo 2012, prevede infatti che le precedenti<br />

disposizioni del medesimo articolo si applichino «ai giudizi<br />

instaurati dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata<br />

in vigore della legge di conversione» del predetto decreto-legge,<br />

cioè dopo il 21 settembre 2012. Il momento dell’instaurazione<br />

di tali giudizi andrà poi, come di consueto, individuato in quello<br />

del deposito del ricorso o della notificazione della citazione, a<br />

seconda del rito.<br />

Le Società 7/2012 813


Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

d’Appello quale giudice di primo ed unico grado di<br />

merito (25);<br />

d) le controversie concernenti la violazione della<br />

normativa antitrust dell’Unione europea;<br />

e) la gran parte delle «cause» e dei «procedimenti»<br />

in materia societaria, ma solo «relativamente alle»<br />

(cioè, per rimanere per il momento neutrali quanto<br />

al significato di quest’avverbio, solo se riguardanti<br />

le) società per azioni, società in accomandita per<br />

azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative,<br />

mutue assicuratrici, società europee, società<br />

cooperative europee, stabili organizzazioni nel<br />

territorio dello Stato italiano di società costituite<br />

all’estero ovvero società che esercitano la direzione<br />

ed il coordinamento o sono sottoposte alla direzione<br />

ed al coordinamento di tali società;<br />

f) i procedimenti relativi a contratti pubblici di appalto<br />

di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria<br />

dei quali sia parte taluna delle predette società, ovvero<br />

quando talune di queste società partecipi al<br />

consorzio o al raggruppamento temporaneo cui i<br />

contratti siano stati affidati;<br />

g) i procedimenti connessi («le cause e i procedimenti<br />

che presentano ragioni di connessione») con<br />

quelli sopra indicati.<br />

Dal che già si ricava:<br />

1) che il nomen che il legislatore ha ritenuto di<br />

attribuire a queste sezioni specializzate non corrisponde<br />

alla loro competenza per materia, che in effetti<br />

è tanto variegata da rendere impossibile ricondurla<br />

ad un denominatore comune (26) e comprende<br />

solo una, prevedibilmente piccolissima, sotto il<br />

profilo numerico, parte dei procedimenti giudiziari<br />

rientranti nella sfera della giurisdizione dell’autorità<br />

giudiziaria ordinaria che interessano più da vicino<br />

le imprese;<br />

2) che i criteri dettati per definire l’ambito di<br />

questa competenza non sono sempre di agevole interpretazione<br />

ed applicazione ed appaiono forieri<br />

pertanto di una perniciosa proliferazione di questioni<br />

in proposito, oltre a rendere alquanto difficoltosa,<br />

almeno nella fase di avvio dell’attività delle sezioni<br />

in considerazione, l’individuazione delle dimensioni<br />

numeriche dei carichi di lavoro da cui<br />

queste saranno gravate e dunque delle risorse umane<br />

e materiali che vi dovranno essere impegnate.<br />

Ma ora proviamo a penetrare un po’ più a fondo<br />

nell’aggrovigliato ordito normativo!<br />

La competenza in tema di proprietà industriale<br />

La competenza in materia di proprietà industriale<br />

(in senso lato) delle sezioni specializzate in materia<br />

d’impresa coincide con quella che l’art. 134<br />

c.p.i., come sostituito dalla L. 23 luglio 2009, n.<br />

99 (27), al quale il nuovo art. 3, comma 1, lett. a),<br />

D.Lgs. n. 168/2003 appunto rinvia, attribuiva alle<br />

vecchie sezioni specializzate in materia di proprietà<br />

industriale ed intellettuale, comprendendo quindi:<br />

a) i procedimenti giudiziari in tema di proprietà industriale<br />

(in senso stretto), vale a dire - giusto quanto<br />

previsto dall’art. 1 c.p.i. - quelli concernenti marchi<br />

(registrati o di fatto), altri segni distintivi, tipici<br />

(come la ditta, la ragione sociale, la denominazione<br />

sociale, l’insegna e l’emblema) ed atipici, indicazioni<br />

geografiche, denominazioni d’origine, disegni,<br />

modelli, invenzioni, modelli d’utilità, topografie dei<br />

Note:<br />

(25) Che la Corte di cassazione ha ritenuto comprensiva anche<br />

delle azioni di carattere risarcitorio o ripetitorio promosse dai<br />

consumatori nei confronti degli imprenditori deducendo una violazione<br />

della normativa antitrust (cfr.: Cass., sez. un., 4 febbraio<br />

2005, n. 2207, in Corr. giur., 2005, 333, con note di I. Pagni, La<br />

tutela civile antitrust dopo la sentenza n. 2207/05: la Cassazione<br />

alla ricerca di una difficile armonia nell’assetto dei rimedi del diritto<br />

della concorrenza, e di M. Negri, Il lento cammino della tutela<br />

civile antitrust: luci ed ombre di un atteso grand arrêt; in<br />

Danno e resp., 2005, 495, con note di B. Inzitari, Abuso da intesa<br />

anticoncorrenziale e legittimazione aquiliana del consumatore<br />

per lesione alla libertà negoziale, e di B. Libonati, Responsabilità<br />

extra contrattuale per violazione di norme antitrust, edinRiv.<br />

dir. comm., 2005, II, 120, con nota di A. Genovese, Risarcimento<br />

del danno in favore del consumatore che conclude il contratto<br />

attuativo di un’intesa vietata: l’intervento delle Sezioni Unite;<br />

Cass. 21 gennaio 2010, n. 993, in CED Cass. civ., rv. 611386;<br />

Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305, in Foro it., 2007, I, 1097; Cass.<br />

13 luglio 2005, n. 14716, in Giur. comm., 2006, 253, con nota di<br />

L. Delli Priscoli, Equilibrio del mercato ed equilibrio del contratto,<br />

ed in Riv. dir. ind., 2006, 241, con nota di G. Dalle Vedove, Le<br />

azioni del consumatore avverso pratiche anticoncorrenziali).<br />

(26) Più serio, anche se alquanto indigesto sotto il profilo mediatico,<br />

sarebbe stato denominarle, pur sempre con un buon margine<br />

di approssimazione concettuale: sezioni specializzate in<br />

materia di proprietà intellettuale (espressione, questa, che, a livello<br />

internazionale, viene comunemente utilizzata secondo<br />

un’accezione comprensiva anche delle privative industriali), tutela<br />

della concorrenza, società di capitali e cooperative ed appalti<br />

pubblici.<br />

(27) Il cui testo aggiornato dispone che: «Sono devolute alle sezioni<br />

specializzate previste dal decreto legislativo 27 giugno<br />

2003, n. 168:<br />

a) i procedimenti giudiziari in materia di proprietà industriale e di<br />

concorrenza sleale, con esclusione delle sole fattispecie che<br />

non interferiscono, neppure indirettamente, con l’esercizio dei<br />

diritti di proprietà industriale, nonché in materia di illeciti afferenti<br />

all’esercizio dei diritti di proprietà industriale ai sensi della legge<br />

10 ottobre 1990, n. 287, e degli articoli 81 e 82 del Trattato<br />

che istituisce la Comunità europea, la cui cognizione è del giudice<br />

ordinario, e in generale in materie che presentano ragioni di<br />

connessione, anche impropria, con quelle di competenza delle<br />

sezioni specializzate;<br />

b) le controversie nelle materie disciplinate dagli articoli 64, 65,<br />

98 e 99 del presente codice;<br />

c) le controversie in materia di indennità di espropriazione dei diritti<br />

di proprietà industriale, di cui conosce il giudice ordinario;<br />

d) le controversie che abbiano ad oggetto i provvedimenti del<br />

Consiglio dell’ordine di cui al capo VI di cui conosce il giudice ordinario».<br />

814 Le Società 7/2012


prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate<br />

(28) e nuove varietà vegetali;<br />

b) i procedimenti giudiziari concernenti fattispecie di<br />

concorrenza sleale interferenti, sia pur indirettamente,<br />

con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale, escluse<br />

dunque le fattispecie di concorrenza sleale cd. pura,<br />

con tutte le difficoltà che si frappongono ad una<br />

precisa distinzione delle prime dalle seconde, stante<br />

la genericità del concetto di interferenza, per di più<br />

indiretta, cui ha fatto ricorso il legislatore e che la<br />

Corte di cassazione ha cercato di precisare (29) affermando<br />

che si ha interferenza tra fattispecie di<br />

concorrenza sleale e tutela della proprietà industriale<br />

sia nei casi in cui la domanda di concorrenza<br />

sleale si presenta come accessoria a quella di tutela<br />

della proprietà industriale, sia in quelli in cui ai fini<br />

della decisione sulla domanda di repressione della<br />

concorrenza sleale o di risarcimento dei danni da<br />

concorrenza sleale debba incidentalmente verificarsi<br />

se i comportamenti che la parte assume di concorrenza<br />

sleale interferiscano con un diritto di<br />

esclusiva, sicché la competenza delle sezioni specializzate<br />

va negata nei soli casi in cui la denunciata<br />

condotta concorrenziale non interferisca con la tutela<br />

della proprietà industriale, non richieda cioè<br />

neanche indirettamente l’accertamento della esistenza<br />

di un diritto di proprietà industriale (30);<br />

c) i procedimenti giudiziari relativi alle violazioni della<br />

cd. normativa antitrust italiana ed europea afferenti<br />

all’esercizio dei diritti di proprietà industriale, ovviamente<br />

se rientranti nella sfera della giurisdizione ordinaria;<br />

d) le controversie concernenti le invenzioni dei lavoratori<br />

dipendenti e dei ricercatori delle università e degli<br />

enti pubblici di ricerca di cui agli artt. 64 e 65<br />

c.p.i. (31);<br />

e) le controversie in tema di indennità di espropriazione<br />

per scopi di pubblica utilità dei diritti di proprietà<br />

industriale, sempreché ovviamente devolute al giudice<br />

ordinario, e dunque probabilmente escluse<br />

quelle concernenti l’indennità di espropriazione<br />

delle invenzioni industriali, che, giusto quanto disposto<br />

dall’art. 133, comma 1, lett. h), del Codice<br />

del processo amministrativo approvato con il<br />

D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (32), dovrebbero ricadere<br />

nell’orbita della giurisdizione esclusiva dei tribunali<br />

amministrativi regionali e del Consiglio di<br />

Stato (33);<br />

f) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti<br />

del Consiglio dell’ordine dei consulenti in proprietà industriale<br />

incidenti su diritti soggettivi (34), come, ad<br />

esempio, quelli di natura disciplinare;<br />

g) le controversie «in generale in materie che pre-<br />

Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

sentano ragioni di connessione, anche impropria, con<br />

quelle di competenza delle sezioni specializzate».<br />

Quest’ultimo gruppo di controversie attribuite<br />

già alle sezioni specializzate in materia di proprietà<br />

industriale ed intellettuale ed ora alle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa merita qualche più<br />

specifica considerazione.<br />

La relativa previsione - considerata anche la sua<br />

collocazione, per così dire, topografica nell’ambito<br />

dell’art. 134, comma 1, lett. a), c.p.i. - potrebbe invero<br />

essere interpretata come volta ad attrarre nella<br />

competenza delle sezioni specializzate in materia di<br />

proprietà industriale ed intellettuale le cause che,<br />

pur non rientrando di per sé nella competenza per<br />

materia di tali sezioni, presentano ragioni di connessione,<br />

anche (oggettiva) impropria (35), con cause<br />

invece di competenza di tali articolazioni organizzative<br />

della giurisdizione ordinaria in quanto rientranti<br />

nell’orbita dei procedimenti in materia di proprietà<br />

industriale, compresi quelli concernenti fattispecie<br />

di concorrenza sleale o violazioni della disciplina antitrust,<br />

nazionale o comunitaria, interferenti con l’esercizio<br />

di diritti di proprietà industriale, precedentemente<br />

indicati alle lett. a), b) e c).<br />

Ma la sua formulazione letterale, considerata<br />

unitamente a quanto s’è detto in ordine alla sua<br />

Note:<br />

(28) Come definite dall’art. 98 c.p.i.<br />

(29) Con esiti insoddisfacenti secondo G. Casaburi, ‘‘Liberalizzazioni’’,<br />

cit., 4.<br />

(30) Cfr.: Cass. 18 maggio 2010, n. 12153, in CED Cass. civ., rv.<br />

613661; Cass. 19 giugno 2008, n. 16744, in Riv. dir. ind., 2009,<br />

II, 329, con nota di M. Filippelli, La concorrenza sleale interferente<br />

con i diritti di proprietà industriale ed intellettuale alla luce<br />

dei recenti interventi della Corte di Cassazione.<br />

(31) Cfr. la precedente nota n. 23.<br />

(32) Che, più precisamente, attribuisce alla giurisdizione esclusiva<br />

dei giudici amministrativi generali «le controversie aventi ad<br />

oggetto i decreti di espropriazione per causa di pubblica utilità<br />

delle invenzioni industriali» senza eccettuare espressamente<br />

quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione della relativa<br />

indennità di espropriazione, a differenza di quanto fanno le<br />

previsioni di cui alle precedenti lettere f) e g) dello stesso primo<br />

comma dell’art. 133 c.p.a.<br />

(33) Fatti salvi i forti dubbi di legittimità costituzionale che quest’ultima<br />

previsione - ovvero l’interpretazione che nel corpo del<br />

testo se n’è sommariamente proposta - suscita in considerazione<br />

sia dei limiti della delega in esecuzione della quale il Governo<br />

l’ha introdotta (contenuta nell’art. 44, L. 18 giugno 2009, n. 69),<br />

sia dei principi più volte affermati dalla Corte costituzionale a<br />

partire dalla sentenza 5 luglio 2004, n. 204, riguardo ai limiti costituzionali<br />

degli interventi legislativi che estendano la sfera della<br />

giurisdizione amministrativa generale alle controversie concernenti<br />

diritti soggettivi.<br />

(34) Cfr. la precedente nota n. 26.<br />

(35) Cioè anche per la semplice identità delle questioni, di diritto<br />

o di fatto, dalla cui soluzione dipende la loro decisione.<br />

Le Società 7/2012 815


Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

collocazione topografica, sembra autorizzarne una<br />

lettura diversa e per certi versi ben più ampia (36),<br />

giacché fa riferimento ai procedimenti «in materie<br />

che presentano ragioni di connessione, anche impropria,<br />

con quelle» (cioè con le materie) di competenza<br />

delle suddette sezioni specializzate, non già ai<br />

procedimenti che presentano ragioni di connessione,<br />

anche impropria, con quelli rientranti nella<br />

competenza per materia di tali sezioni, così lasciando<br />

abbastanza chiaramente trasparire l’intenzione<br />

del legislatore di incidere direttamente sulla competenza<br />

delle sezioni specializzate in modo tale da<br />

estenderla ai procedimenti in materie connesse, anche<br />

in senso improprio, con la materia della proprietà<br />

industriale, a prescindere dalla loro connessione<br />

con altri procedimenti pendenti; ed il sospetto<br />

è ora rafforzato dal testo del nuovo terzo comma<br />

dell’art. 3, D.Lgs. n. 168/2003, che dispone l’attrazione<br />

alla competenza delle sezioni specializzate in<br />

materia d’impresa delle cause e dei procedimenti<br />

che presentano ragioni di connessione con quelli<br />

che rientrano direttamente nell’ambito di tale competenza<br />

in forza dei precedenti due commi del medesimo<br />

articolo e che sarebbe, almeno in parte, inutile<br />

se la «connessione» cui fa riferimento la previsione<br />

di cui all’art. 134, comma 1, lett. a), c.p.i. dovesse<br />

intendersi come connessione tra procedimenti<br />

e non già tra materie.<br />

Pare allora plausibile concludere che: il rinvio<br />

dell’art. 3, comma 1, lett. a), D.L. n. 1/2012, come<br />

convertito dalla L. n. 27/2012, all’art. 134 c.p.i.,<br />

vale ad attribuire alla competenza delle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa (così come attribuiva<br />

alla competenza delle sezioni specializzate in materia<br />

di proprietà industriale ed intellettuale) anche<br />

le controversie in materie connesse, anche in senso<br />

improprio, con le (sole) materie rientranti nella<br />

competenza più propriamente industrialistica di<br />

dette sezioni (cioè quelle che abbiamo in precedenza<br />

individuato facendo riferimento ai procedimenti<br />

in tema di proprietà industriale in senso stretto ovvero<br />

concernenti fattispecie di concorrenza sleale o<br />

di violazioni della normativa antitrust, interna e/o<br />

europea, interferenti, almeno indirettamente, con<br />

l’esercizio dei diritti di proprietà industriale); il terzo<br />

comma del predetto art. 3 invece attribuisce alla<br />

competenza delle sezioni specializzate in materia<br />

d’impresa tutti i procedimenti, in qualsivoglia materia,<br />

connessi in senso proprio (cioè per il titolo e/o<br />

l’oggetto) con procedimenti rientranti nella competenza<br />

per materia delle medesime sezioni, compresi<br />

quelli che vi rientrano per connessione, anche impropria,<br />

delle relative materie con quelle comprese<br />

nella competenza in tema di proprietà industriale<br />

in senso stretto attribuita a dette sezioni.<br />

Il problema pare allora quello di stabilire quali<br />

siano le «materie» che presentano ragioni di connessione,<br />

anche impropria, con la materia della<br />

proprietà industriale. Ma non è certo questa la sede<br />

per provare ad affrontarlo.<br />

La competenza in tema di diritto d’autore<br />

Le nuove sezioni specializzate in materia d’impresa<br />

sono destinate ad assorbire anche le «controversie<br />

in materia di diritto d’autore», che già il precedente<br />

art. 3, D.Lgs. n. 168/2003 attribuiva alle sezioni<br />

specializzate in materia di proprietà industriale<br />

ed intellettuale e che devono ritenersi comprensive<br />

di tutte le azioni che hanno per oggetto l’accertamento<br />

o si fondano sull’esistenza di diritti, morali e<br />

patrimoniali, sulle opere protette dagli artt. da 2575<br />

a 2583 c.c. e dalla fondamentale, anche se più volte<br />

modificata, L. 22 aprile 1941, n. 633, cioè sulle<br />

opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono<br />

alla letteratura, alla musica, alle arti figurative,<br />

all’architettura, al teatro ed alla cinematografia,<br />

qualunque ne sia la forma di espressione, nonché<br />

sui programmi per elaboratore e sulle banche di<br />

dati che per la scelta o la disposizione del materiale<br />

costituiscono una creazione intellettuale dell’autore<br />

(37), purché, ovviamente, rientranti nell’orbita<br />

della giurisdizione ordinaria (38).<br />

Note:<br />

(36) Ma non tanto quanto vorrebbe parte autorevole della dottrina<br />

(per la quale cfr. L.C. Ubertazzi, Commentario, cit., 160 ss.),<br />

secondo cui la previsione normativa in considerazione varrebbe<br />

ad attrarre alla competenza delle sezioni specializzate in materia<br />

di proprietà industriale ed intellettuale (e dunque ora a quella<br />

delle sezioni specializzate in materia d’impresa) anche le materie<br />

connesse con quella del diritto d’autore, in modo da far coincidere<br />

l’ambito della competenza di tali sezioni con quello dei diritti<br />

tutelati dalla WIPO (World Intellectual Property Organization)<br />

o, per i pochi non esterofili rimasti, OMPI (Organizzazione Mondiale<br />

della Proprietà Intellettuale).<br />

(37) Secondo la definizione datane dagli artt. 1 e 2, L. n. 641/<br />

1933.<br />

(38) Come in sostanza ritenuto di recente da Cass. 23 febbraio<br />

2012, n. 2777, in CED Cass. civ., rv. 621575, concludendo per<br />

la competenza delle sezioni specializzate in materia di proprietà<br />

industriale ed intellettuale in ordine alla controversia derivante<br />

dall’azione esercitata nei confronti della SIAE per la ripetizione<br />

dell’indebito pagamento di diritti per l’utilizzazione economica di<br />

opere musicali. Rientra invece nella sfera della giurisdizione tributaria<br />

- secondo Cass., sez. un., 26 gennaio 2011, n. 1780 - l’azione<br />

esercitata nei confronti della SIAE per la ripetizione dell’indebito<br />

pagamento del costo dei contrassegni da apporre, ai sensi<br />

dell’art. 181 bis, L. n. 633/1941, sui supporti non cartacei contenenti<br />

programmi per elaboratore, opere multimediali o altre<br />

opere o parti di opere dell’ingegno protette e destinati ad essere<br />

messi in commercio.<br />

816 Le Società 7/2012


Posta la presumibile intenzione del legislatore di<br />

far riferimento alla nostrana accezione della materia<br />

del diritto d’autore, è però prevedibile che verrà a<br />

riproporsi in relazione alle sezioni specializzate in<br />

materia d’impresa il problema dell’estensione della<br />

competenza delle sezioni specializzate in materia di<br />

proprietà industriale ed intellettuale ai ccdd. diritti<br />

connessi al diritto d’autore o, più precisamente, di<br />

quei diritti che non rientrano tra quelli sulle opere<br />

dell’ingegno di cui agli artt. 1 e 2, L. n. 633/1941 e<br />

tuttavia pure sono considerati a livello internazionale<br />

(39) come oggetto della tutela riservata alla<br />

proprietà intellettuale; problema, questo, la cui soluzione<br />

dipende soprattutto dall’individuazione della<br />

portata della previsione contenuta nell’art. 134,<br />

comma 1, lett. a), c.p.i. in ordine alla competenza<br />

di tali sezione sulle materie connesse e che dunque<br />

pare, alla stregua di quel che s’è sommariamente<br />

detto in precedenza, che debba esser risolto negativamente.<br />

La competenza sulle controversie in tema<br />

di violazioni della normativa antitrust interna<br />

e/o di quella europea<br />

Opportunamente il D.L. n. 1/212, come risultante<br />

dalla legge di conversione n. 27/2012, ha incluso<br />

nella competenza delle sezioni specializzate in materia<br />

d’impresa tutte le controversie in tema di violazioni<br />

della normativa a tutela della concorrenza e<br />

del mercato, cioè della cd. normativa antitrust, interna<br />

o comunitaria (40), anche se non afferenti all’esercizio<br />

dei diritti di proprietà industriale, in tal<br />

modo risolvendo il problema dell’individuazione<br />

delle fattispecie concernenti le violazioni di tale<br />

normativa invece afferenti all’esercizio dei diritti di<br />

proprietà industriale che erano le sole attribuite<br />

dall’art. 134 c.p.i. alla competenza delle sezioni specializzate<br />

in materia di proprietà industriale ed intellettuale<br />

(41).<br />

Conseguentemente ha modificato il secondo<br />

comma dell’art. 33. L. 10 ottobre 1990, n. 287, che<br />

attribuiva alla Corte d’Appello quale giudice di primo<br />

ed unico grado di merito la competenza sulle<br />

azioni di nullità e di risarcimento del danno e le<br />

domande cautelari fondate sulla violazione delle disposizioni<br />

della stessa legge nazionale concernenti<br />

la tutela della concorrenza e del mercato che costituiscono<br />

l’ossatura fondamentale della normativa<br />

italiana antitrust, nonché - secondo quanto ormai<br />

pacifico in giurisprudenza (42) - le azioni di risarcimento<br />

del danno o di ripetizione dell’indebito (e le<br />

correlative azioni cautelari) esercitate dai consuma-<br />

Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

tori nei confronti degli imprenditori responsabili<br />

della violazione di tali disposizioni.<br />

È rimasta ferma invece la giurisdizione esclusiva<br />

dei tribunali amministrativi regionali e del Consiglio<br />

di Stato sulle controversie aventi ad oggetto i<br />

provvedimenti, anche di carattere sanzionatorio,<br />

purché non inerenti ai rapporti d’impiego privatizzati,<br />

adottati dall’Autorità garante della concorrenza<br />

e del mercato (43).<br />

La competenza in materia societaria<br />

Generalità<br />

È facilmente prevedibile che il grosso degli affari<br />

giudiziari da cui saranno gravate le nuove sezioni<br />

specializzate in materia d’impresa sarà costituito da<br />

quelli che possiamo sinteticamente, anche se giocoforza<br />

approssimativamente, individuare come concernenti<br />

la materia societaria, cioè, secondo il lungo<br />

ed a tratti pedante, ma certamente non esaustivo e<br />

comunque utile, elenco che ne fa il secondo comma<br />

del nuovo art. 3, D.Lgs. n. 168/2003 (ricalcando<br />

in buona parte quello contenuto nell’abrogato<br />

(44) art. 1, D.Lgs. n. 5/2003 per individuare le<br />

controversie da trattarsi facendo applicazione delle<br />

disposizioni processuali introdotte da quest’ultimo<br />

decreto legislativo, cioè dei ccdd. riti societari)<br />

(45), i procedimenti, di carattere contenzioso o<br />

di volontaria giurisdizione (in tal complessivo senso<br />

dovendo essere interpretata l’espressione «le cause e<br />

Note:<br />

(39) In particolare dagli accordi TRIPS e da quello istitutivo dell’OMPI<br />

o WIPO (v. amplius L.C. Ubertazzi, Commentario, cit.,<br />

161).<br />

(40) I rapporti tra la normativa antitrust nazionale e quella comunitaria<br />

sono disciplinati dal regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio<br />

del 16 dicembre 2002, alla cui stregua dunque le sezioni<br />

specializzate in materia d’impresa sono destinati a diventare a<br />

pieno titolo i giudici cui è affidata l’applicazione diretta in ambito<br />

nazionale anche della normativa dell’Unione europea.<br />

(41) Cfr. F. Santagada, Sezioni specializzate per l’impresa, accelerazione<br />

dei processi e competitività delle imprese, inwww.judicium.it,<br />

2012, 10 ss.<br />

(42) V. la giurisprudenza citata nella precedente nota n. 35.<br />

(43) V. art. 133, lett. l), c.p.a.<br />

(44) Com’è noto, dall’art. 54, L. 18 giugno 2009, n. 69.<br />

(45) Alla dottrina ed alla giurisprudenza relative al quale (per una<br />

panoramica sui cui orientamenti si rinvia a F. Carpi-M. Taruffo (a<br />

cura di), Commentario breve al codice di procedura civile, 2009,<br />

2616 ss., ed a M. Montanaro, Sub art. 1, in G. Arieta - F. De<br />

Santis (a cura di), Commentario dei processi societari, 2007, 15<br />

ss.) può dunque farsi, in linea di massima, riferimento anche<br />

per la soluzione di molte delle questioni interpretative che pone<br />

il secondo comma dell’art. 3, D.Lgs. n. 168/2003.<br />

Le Società 7/2012 817


Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

i procedimenti» utilizzata dal legislatore (46)), compresi<br />

quelli di impugnazione di lodi arbitrali (47):<br />

a) «relativi a rapporti societari», ivi esplicitamente<br />

compresi quelli che si prenderanno partitamente in<br />

considerazione fra poco;<br />

b) «relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali<br />

o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni<br />

sociali o i diritti inerenti»;<br />

c) «in materia di patti parasociali, anche diversi da<br />

quelli regolati dall’articolo 2341 bis del codice civile»;<br />

d) «aventi ad oggetto azioni di responsabilità promosse<br />

dai creditori delle società controllate contro le società<br />

che le controllano»;<br />

e) «relativi a rapporti di cui all’articolo 2359, primo<br />

comma, numero 3), all’articolo 2497 septies e all’articolo<br />

2545 septies del codice civile».<br />

Tutti gli anzidetti procedimenti giudiziari rientrano<br />

però nella competenza delle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa solo «relativamente» alle società<br />

per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità<br />

limitata, alle società cooperative, alle mutue<br />

assicuratrici, alle società europee (48), alle società<br />

cooperative europee (49) ed alle stabili organizzazioni<br />

nel territorio italiano delle società costituite<br />

all’estero, ovvero alle società (evidentemente di<br />

persone e di nazionalità italiana) sottoposte all’attività<br />

di direzione e coordinamento o che esercitano<br />

l’attività di direzione e coordinamento di società<br />

per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità<br />

limitata, di società cooperative o di mutue assicuratrici,<br />

di società europee o cooperative europee<br />

o di una società costituita all’estero (50), cioè non<br />

già per il semplice fatto di aver tra le parti una delle<br />

predette società, ma solo qualora queste siano, per<br />

così dire, il loro oggetto, anche indiretto, come, ad<br />

esempio, nel caso della controversia derivante dall’azione<br />

volta ad ottenere l’annullamento per vizi<br />

del consenso di un patto parasociale concluso tra<br />

persone fisiche per esercitare un’influenza dominante<br />

su una società per azioni.<br />

Il che trova conferma nella diversa formulazione<br />

della lett. f) dello stesso secondo comma del novellato<br />

art. 3, D.Lgs. n. 168/2003, che, come si vedrà<br />

in seguito, per definire la competenza delle sezioni<br />

specializzate in materia di impresa in tema di contratti<br />

pubblici di appalto fa riferimento ai procedimenti<br />

relativi a quei contratti che abbiano ad oggetto<br />

appalti affidati ad una delle suddette società<br />

ovvero ad un consorzio o ad un raggruppamento<br />

temporaneo di imprese del quale faccia parte una<br />

delle suddette società.<br />

Pare pertanto già a questo punto evidente che la<br />

competenza ‘‘societaria’’ di queste nuove sezioni<br />

specializzate, sebbene tenda ad escludere dalla sua<br />

orbita le controversie che riguardino soltanto società<br />

di persone, risulta dotata di una vis expansiva<br />

davvero notevolissima, di cui è difficile valutare oggi<br />

- ed il legislatore certamente non ha valutato -<br />

appieno la portata.<br />

I procedimenti relativi a rapporti societari<br />

I procedimenti relativi a rapporti societari comprendono,<br />

a loro volta, per espressa indicazione del<br />

legislatore:<br />

1) ovviamente, quelli «concernenti l’accertamento,<br />

la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un<br />

rapporto societario»;<br />

2) «le azioni di responsabilità da chiunque promosse»<br />

- e dunque, deve ritenersi, pure quelle promosse<br />

dal curatore del fallimento, dal commissario liquidatore<br />

e dal commissario straordinario, nel caso in<br />

cui le società danneggiate siano sottoposte a fallimento,<br />

a liquidazione coatta amministrativa o ad<br />

amministrazione straordinaria (51) - «contro i com-<br />

Note:<br />

(46) Cfr., nello stesso senso: A. Motto, Gli interventi legislativi<br />

sulla giustizia civile del 2011 e 2012, 2012, in www.judicium.it<br />

(visto il 21.5.2012), 28; F. Santagada, Sezioni, cit., 13.<br />

(47) Fermo restando che le impugnazioni per nullità dei lodi arbitrali<br />

rituali nelle materie di competenza delle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa dovranno essere trattate in primo ed<br />

unico grado, salvo ovviamente l’eventuale successivo ricorso alla<br />

Corte di cassazione, dalle sezioni specializzate di corte d’appello<br />

territorialmente competenti.<br />

(48) Di cui al regolamento n. 2157/2001 (CE) del Consiglio dell’8<br />

ottobre 2001.<br />

(49) Di cui al regolamento n. 1435/2003 (CE) del Consiglio del<br />

22 luglio 2003.<br />

(50) Deve però ritenersi che, affinché possa rilevare ai fini dell’individuazione<br />

del giudice competente, l’esercizio dell’attività<br />

di direzione e coordinamento di una società di capitali o cooperativa,<br />

italiana od europea, o di una società estera da parte della<br />

società di persone cui il procedimento si riferisce o la sottoposizione<br />

di quest’ultima all’attività di direzione e coordinamento di<br />

una delle predette società debba risultare dal registro delle imprese<br />

secondo quanto disposto dall’art. 2497 bis c.c., salvo che<br />

si provi che i terzi che siano parti del procedimento ne erano comunque<br />

a conoscenza al momento della domanda giudiziale,<br />

giusto quanto in generale previsto a proposito dell’efficacia delle<br />

iscrizioni nel registro delle imprese dall’art. 2193 c.c.<br />

(51) Il che conferma che le azioni di responsabilità in questione,<br />

se promosse o proseguite dal curatore del fallimento della società<br />

danneggiata, si sottraggono alla cd. vis attractiva del foro<br />

fallimentare, cioè alla competenza del tribunale che ha dichiarato<br />

il fallimento per le azioni da questo derivanti prevista dall’art.<br />

24 l.fall., come peraltro dovrebbe già ricavarsi dalla considerazione<br />

che tali azioni non derivano dal fallimento della società, essendo<br />

le medesime che, qualora il fallimento della società non<br />

fosse dichiarato, potrebbero essere esercitate dalla stessa società<br />

o dai suoi creditori. Invero, quel che, nelle fattispecie in<br />

considerazione, deriva dal fallimento non sono le azioni, ma solo<br />

la legittimazione del curatore ad esercitarle in luogo della società<br />

e/o dei suoi creditori.<br />

818 Le Società 7/2012


ponenti degli organi amministrativi o di controllo,<br />

il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente<br />

preposto alla redazione dei documenti contabili<br />

societari, nonché contro il soggetto incaricato della<br />

revisione contabile per i danni derivanti da propri<br />

inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti<br />

della società che ha conferito l’incarico e nei<br />

confronti dei terzi danneggiati» (52);<br />

3) le opposizioni dei creditori delle società per azioni,<br />

in accomandita per azioni od a responsabilità limitata<br />

contro le deliberazioni sociali di riduzione del capitale<br />

sociale mediante liberazione dei soci dai versamenti ancora<br />

dovuti o mediante il rimborso del capitale ai soci,<br />

di cui agli artt. 2445, comma 3, e 2482, comma 2,<br />

c.c.;<br />

4) le opposizioni dei creditori delle società per azioni<br />

od in accomandita per azioni contro le deliberazioni sociali<br />

di costituzione di patrimoni destinati in via esclusiva<br />

a specifici affari, di cui all’art. 2447 quater, comma<br />

2, c.c.;<br />

5) le opposizioni dei creditori delle società per<br />

azioni, in accomandita per azioni od a responsabilità<br />

limitata, delle società cooperative e delle mutue<br />

assicuratrici contro le deliberazioni sociali di revoca<br />

dello stato di liquidazione, di cui all’art. 2487 ter,<br />

comma 2, c.c.;<br />

6) le opposizioni dei creditori o dei possessori di obbligazioni<br />

delle società partecipanti ad una fusione od<br />

una scissione societaria contro la deliberazione o decisione<br />

sociale della fusione o della scissione, di cui agli<br />

artt. 2503, comma 2, 2503 bis, comma 1, e 2506 ter<br />

c.c.<br />

Ma queste esplicitazioni, dichiaratamente non<br />

esaustive, unitamente ad una piana interpretazione<br />

dell’ampia portata semantica dell’espressione «rapporti<br />

societari», inducono a ritenere rientranti nell’ambito<br />

della competenza societaria delle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa anche: i procedimenti<br />

relativi al recesso od all’esclusione dei soci; i procedimenti<br />

di cui all’art. 2409 c.c.; le opposizioni dei<br />

creditori alle trasformazioni eterogenee delle società<br />

di capitali loro debitrici ovvero alle trasformazioni<br />

eterogenee in società di capitali dei consorzi, delle<br />

società consortili, delle comunioni d’azienda, delle<br />

associazioni riconosciute e delle fondazioni loro debitrici,<br />

di cui all’art. 2500 novies, comma 2,<br />

c.c. (53); ogni impugnativa da parte dei soci, degli<br />

amministratori o dei sindaci delle deliberazioni o<br />

decisioni degli organi sociali che non importino<br />

modificazioni dell’atto costitutivo; le azioni di responsabilità<br />

promosse, ai sensi dell’art. 2497, comma<br />

1, c.c., dai soci di società sottoposte all’attività<br />

di direzione e coordinamento di altri enti nei con-<br />

Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

fronti di questi ultimi; le impugnative delle decisioni<br />

degli arbitratori cui sia affidata la risoluzione di<br />

contrasti sulla gestione delle società a norma dell’art.<br />

37, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5; le controversie<br />

tra il socio di una cooperativa e quest’ultima<br />

«relative alla prestazione mutualistica» (54).<br />

Fortemente dubbia sembra invece l’inclusione<br />

nello spettro delle controversie in considerazione di<br />

quelle promosse dall’amministratore, dal liquidatore<br />

o dal sindaco nei confronti della società per il pagamento<br />

(o la determinazione) dei propri compensi,<br />

la cui causa petendi è, a ben vedere, costituita dal<br />

rapporto contrattuale, che pare difficile definire,<br />

stricto iure, societario, piuttosto che dal (distinto)<br />

rapporto organico (ed eventualmente, nel caso dell’amministratore<br />

e del liquidatore unici, persino di<br />

totale immedesimazione) tra tali soggetti e la società<br />

(55); ed analoghi dubbi potrebbero investire le<br />

controversie concernenti la revoca per giusta causa<br />

degli organi amministrativi o di controllo o dei li-<br />

Note:<br />

(52) Tra le quali dovrebbero rientrare tutte quelle di cui agli artt.<br />

2392, 2393, 2394, 2394 bis, 2395 e 2476, comma 1, 3, 4, 5 e 6,<br />

c.c.<br />

(53) Conf. A. Motto, Gli interventi, cit., 28, nota n. 78.<br />

(54) Che il secondo comma dell’art. 5, L. 3 aprile 2001, n. 142,<br />

come modificato dall’art. 9, comma 1, L. 14 febbraio 2003, n.<br />

30, attribuisce alla «competenza del tribunale ordinario», anche<br />

quando la prestazione mutualistica si risolva nella prestazione di<br />

un’attività lavorativa (cfr. Cass. 6 dicembre 2010, n. 24692, in<br />

Riv. it. dir. lav., 2011, II, 1206, con nota di M. Vincieri, Sulla dibattuta<br />

questione dell’applicabilità del rito ordinario alle controversie<br />

tra soci lavoratori e cooperative).<br />

(55) Spunti in tal senso possono ricavarsi in particolare da Cass.,<br />

sez. un., 14 dicembre 1994, n. 10680 (in Giust. civ., 1995, I,<br />

2473), e dalla conforme prevalente giurisprudenza della Sezione<br />

lavoro della Corte di cassazione, secondo cui il rapporto (evidentemente<br />

di natura contrattuale) tra l’amministratore (almeno<br />

quello di società di capitali o cooperative) e la società va qualificato<br />

come un rapporto di lavoro parasubordinato rientrante nell’orbita<br />

dell’art. 409 c.p.c., tenendolo distinto da quello di immedesimazione<br />

organica, con la conseguente attrazione della controversia<br />

concernente il compenso od il rimborso delle spese al<br />

primo spettante per la propria attività nell’ambito di quelle di<br />

competenza del giudice del lavoro e da trattarsi secondo il rito<br />

del lavoro (cfr.: Cass., sez. lav., 20 febbraio 2009, n. 4261, in Foro<br />

it., 2009, I, 3386; Cass., sez. lav., 29 marzo 2001, n. 4662, in<br />

Notiz. giur. lav., 2001, 519; Cass., sez. lav., 14 febbraio 2000, n.<br />

1662, in CED Cass. civ., rv. 533866; Cass. 17 giugno 1995, n.<br />

6901, in CED Cass. civ., rv. 492920). Ma in opposto senso si<br />

muovono Cass., sez. I, 12 settembre 2008, n. 23557 (in CED<br />

Cass. civ., rv. 605348), secondo cui il rapporto di immedesimazione<br />

organica esistente tra l’amministratore e la società da costui<br />

amministrata esclude che le sue funzioni siano riconducibili<br />

ad un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata<br />

e continuativa, nonché Cass., sez. I, 1 aprile 2009, n. 7961<br />

(in CED Cass. civ., rv. 607490, e Cass., sez. lav., 26 febbraio<br />

2002, n. 2861, in questa Rivista, 2002, 1371), secondo cui è lo<br />

stesso rapporto di immedesimazione organica dell’amministratore<br />

(nella specie, di una società cooperativa) con la società che<br />

va qualificato come di lavoro autonomo.<br />

Le Società 7/2012 819


Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

quidatori delle società di capitali o cooperative, almeno<br />

nei casi in cui la revoca non sia fondata sulla<br />

responsabilità di tali organi nei confronti per l’inosservanza<br />

degli obblighi sugli stessi incombenti per<br />

legge o statuto.<br />

Non è sempre semplice poi includere nel novero<br />

dei procedimenti «relativi a rapporti societari»<br />

nemmeno molti di quelli che gli abrogati artt. 29 e<br />

33, D.Lgs. n. 5/2003 stabilivano che dovessero essere<br />

trattati nelle forme camerali di cui agli artt. 25 e<br />

ss. dello stesso decreto legislativo (56) e rimasti privi<br />

di una propria speciale disciplina processuale dopo<br />

l’abrogazione di tali articoli ad opera della L. n.<br />

69/2009, venendo così, almeno quelli di carattere<br />

non unilaterale, paradossalmente risucchiati nell’alveo<br />

della disciplina del processo ordinario di cognizione,<br />

che mal si attaglia al loro contenuto ed alla<br />

loro funzione.<br />

Solo alcuni di tali procedimenti invero si rintracciano<br />

tra quelli specificamente elencati nella<br />

lett. a) del secondo comma del nuovo art. 3, D.Lgs.<br />

n. 168/2003 e ciò potrebbe essere letto come un indice<br />

della volontà del legislatore di non attribuire<br />

alla competenza delle sezioni specializzate in materia<br />

d’impresa quelli ivi non espressamente menzionati.<br />

Ma se, come sembra più plausibile, l’intenzione<br />

del legislatore era quella di fare delle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa il polo d’attrazione di<br />

tutti gli affari giudiziari che coinvolgono le società<br />

di capitali o cooperative, di diritto italiano od europeo,<br />

e le società estere in quanto tali, e non in ragione<br />

dell’attività d’impresa da loro svolta, cioè, in<br />

sintesi, di tutti gli affari la cui trattazione implica<br />

necessariamente la risoluzione di, più o meno complesse,<br />

questioni di diritto societario, pare ragionevole<br />

propugnare un’interpretazione dell’espressione<br />

«rapporti societari» tanto ampia da poter comprendere<br />

tutte le controversie in cui si faccia questione<br />

dei compensi e delle spese o della cessazione, per<br />

qualsiasi ragione, dalla carica degli amministratori,<br />

dei liquidatori e dei sindaci e tutti i procedimenti<br />

già cameralizzati dagli abrogati artt. 29 e 33, D.Lgs.<br />

n. 5/2003.<br />

In ogni caso problematico pare pure il regolamento<br />

di confini tra la competenza delle sezioni<br />

specializzate in considerazione e quelle del giudice<br />

del registro delle imprese e del tribunale da cui dipende<br />

l’ufficio del registro delle imprese, che tuttavia<br />

dovrebbero prevalere su quella della prima in<br />

considerazione della loro natura funzionale.<br />

Nota:<br />

(56) Cioè i procedimenti aventi ad oggetto: la designazione dell’esperto<br />

stimatore del valore dei conferimenti di beni in natura<br />

o di crediti, di cui all’art. 2343, comma 1, c.c.; la designazione<br />

dell’esperto stimatore del valore dei beni o dei crediti che la società<br />

intenda acquistare dai propri promotori, fondatori, soci od<br />

amministratori, di cui all’art. 2343 bis, comma 2, c.c.; la nomina<br />

del rappresentante comune dei comproprietari di un’azione o di<br />

una quota di partecipazione ad una società a responsabilità limitata<br />

che non vi abbiano provveduto, di cui agli artt. 2347, comma<br />

1, 2436, comma 4, e 1105, ultimo comma, c.c.; la nomina<br />

del rappresentante comune degli obbligazionisti cui non abbia<br />

provveduto l’assemblea degli obbligazionisti, di cui all’art. 2417,<br />

comma 2, c.c.; l’omologazione delle deliberazioni concernenti<br />

modifiche statutarie la cui iscrizione nel registro delle imprese<br />

non sia stata chiesta dal notaio verbalizzante, di cui all’art. 2436,<br />

co. 4, c.c.; la nomina dell’esperto stimatore del valore di liquidazione<br />

delle azioni del socio receduto, di cui all’art. 2437 ter,<br />

comma 6, c.c.; la designazione dell’esperto o degli esperti stimatori<br />

della congruità del rapporto di concambio delle azioni o<br />

delle quote delle società partecipanti ad una fusione, di cui all’art.<br />

2501 sexies, commi 3 e 4, c.c.; la designazione dell’esperto<br />

stimatore del valore del patrimonio della società cooperativa<br />

di cui sia stata deliberata la trasformazione, di cui all’art. 2545<br />

undecies, comma 2, c.c.; la nomina e (forse) la revoca per giusta<br />

causa del liquidatore o dei liquidatori delle società di persone<br />

(ovviamente che esercitino l’attività di direzione e coordinamento<br />

o siano sottoposte all’attività di direzione e coordinamento di<br />

una società di capitali o cooperativa, italiana o europea, o di una<br />

società straniera), in caso di disaccordo tra i soci, di cui all’art.<br />

2275 c.c.; la convocazione dell’assemblea a richiesta dei soci di<br />

una società per azioni cui ingiustificatamente non abbiano provveduto<br />

gli organi amministrativi o di controllo, di cui all’art.<br />

2367, comma 2, c.c.; l’approvazione della revoca per giusta causa<br />

dei sindaci, di cui all’art. 2400, comma 2, c.c.; i provvedimenti<br />

previsti dall’art. 2409 c.c. o, rispettivamente, dal comb. disp.<br />

degli artt. 2545 quinquiesdecies e 2409 c.c. in caso di gravi irregolarità<br />

nella gestione di una società per azioni o di una società<br />

cooperativa; l’opposizione dei creditori sociali alla deliberazione<br />

di riduzione del capitale di una società per azioni in conseguenza<br />

della liquidazione delle azioni del socio receduto, di cui all’art.<br />

2437 quater, ultimo comma, c.c.; l’opposizione dei creditori sociali<br />

alla deliberazione di riduzione del capitale sociale mediante<br />

liberazione dei soci dai versamenti ancora dovuti o mediante il<br />

rimborso del capitale sociale ai soci, di cui all’art. 2445, commi<br />

3 e 4, c.c.; la riduzione del capitale sociale per perdite caso prevista<br />

dall’art. 2446, comma 2, c.c., per quel che concerne le società<br />

per azioni, e dall’art. 2482 bis, commi 4 e 5, c.c., per quel<br />

che concerne le società a responsabilità limitata; l’opposizione<br />

dei creditori sociali alla deliberazione della costituzione di un patrimonio<br />

destinato ad uno specifico affare, di cui all’art. 2447<br />

quater, comma 2, c.c.; l’accertamento dell’avvenuto scioglimento<br />

di una società di capitali, di cui all’art. 2485, comma 2, c.c.; la<br />

convocazione dell’assemblea per l’adozione dei provvedimenti<br />

concernenti la liquidazione delle società di capitali o, nel caso in<br />

cui l’assemblea non si costituisca o non deliberi, l’adozione di<br />

tali provvedimenti e la revoca per giusta causa dei liquidatori<br />

delle società di capitali, di cui all’art. 2487, commi 2 e 4, c.c.;<br />

l’opposizione dei creditori sociali alla deliberazione di revoca dello<br />

stato di liquidazione delle società di capitali, di cui all’art. 2487<br />

ter, commi 2, c.c.; l’opposizione dei creditori alle trasformazioni<br />

eterogenee delle società di capitali loro debitrici ovvero alle trasformazioni<br />

eterogenee in società di capitali dei consorzi, delle<br />

società consortili, delle comunioni d’azienda, delle associazioni<br />

riconosciute e delle fondazioni loro debitrici, di cui all’art. 2500novies,<br />

comma 2, c.c.; l’opposizione dei creditori delle società<br />

partecipanti ad una fusione contro la deliberazione o decisione<br />

sociale della fusione, di cui all’art. 2503, comma 2, c.c.; la cancellazione<br />

dal registro delle imprese della società iscrittavi in<br />

mancanza delle autorizzazioni eventualmente necessaria o sulla<br />

base di autorizzazioni invalide, di cui all’art. 223 quater, comma<br />

2, disp. att. c.c.<br />

820 Le Società 7/2012


I procedimenti relativi al trasferimento<br />

di partecipazioni sociali<br />

La categoria dei procedimenti «relativi al trasferimento<br />

delle partecipazioni sociali o ad ogni altro<br />

negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali<br />

o i diritti inerenti» è tanto ampia da risultare idonea<br />

a comprendere anche procedimenti che ben<br />

poco potrebbero avere a che fare con la materia societaria,<br />

come, per far solo qualche esempio, quello<br />

avente ad oggetto l’azione di divisione giudiziale di<br />

un patrimonio nel quale vi sia una partecipazione<br />

sociale o l’impugnativa di un testamento con cui si<br />

disponga di diritti d’opzione (57).<br />

Pone inoltre il problema di stabilire se includa<br />

anche le azioni di cui il negozio avente ad oggetto<br />

partecipazioni sociali o diritti inerenti a partecipazioni<br />

sociali non costituisce né il petitum né la causa<br />

petendi, se non indirettamente (come, ad esempio,<br />

nel caso dell’azione di regresso esercitata nei confronti<br />

del proprio condebitore solidale da chi abbia<br />

acquistato insieme ad altri una quota di una società<br />

a responsabilità limitata pagandone da solo l’intero<br />

prezzo), anche se la soluzione negativa pare preferibile<br />

in considerazione dei pericoli di un’eccessiva e<br />

peraltro dai confini assai incerti espansione della<br />

competenza societaria delle sezioni specializzate in<br />

materia d’impresa che si annidano nell’opposta soluzione.<br />

I procedimenti in materia di patti parasociali<br />

I procedimenti in materia di patti parasociali di<br />

competenza delle sezioni specializzate in materia<br />

d’impresa comprendono, per esplicita indicazione<br />

del legislatore, anche quelli in materia di patti parasociali<br />

diversi da quelli regolati dall’art. 2341 bis<br />

c.c., cioè anche di patti parasociali ccdd. atipici, lasciando<br />

all’interprete il difficilissimo compito di individuarli.<br />

Nel loro novero vanno tuttavia presumibilmente<br />

comunque inclusi i «patti strumentali ad accordi di<br />

collaborazione nella produzione o nello scambio di beni<br />

o servizi e relativi a società interamente possedute dai<br />

partecipanti all’accordo» che l’ultimo comma del predetto<br />

articolo sottrae espressamente alla disciplina<br />

dei patti parasociali contenuta nei precedenti due<br />

commi.<br />

È invero difficile negare natura parasociale a<br />

questi patti, una volta che li si tenga distinti dagli<br />

accordi di collaborazione cui sono funzionalmente<br />

collegati, che, significativamente, la lett. c) del secondo<br />

comma del nuovo art. 3, D.Lgs. n. 168/2003<br />

non menziona, a differenza della lett. c) dell’abrogato<br />

art. 1, D.Lgs. n. 5/2003, che li assimilava<br />

Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

espressamente ai patti parasociali ai fini dell’applicazione<br />

dei ccdd. riti societari ai procedimenti ad<br />

essi relativi, e che dunque vanno invece di per sé<br />

esclusi dalla competenza in materia societaria delle<br />

sezioni specializzate in materia d’impresa (58).<br />

I procedimenti aventi ad oggetto azioni<br />

di responsabilità promosse dai creditori delle società<br />

controllate contro le società che le controllano<br />

L’espressa attribuzione alla competenza delle sezioni<br />

specializzate in materia d’impresa dei procedimenti<br />

«aventi ad oggetto azioni di responsabilità<br />

promosse dai creditori delle società controllate contro<br />

le società che le controllano» può far sorgere il<br />

dubbio che la competenza di dette sezioni non valga<br />

per le altre azioni di responsabilità rientranti nell’orbita<br />

dell’art. 2497 c.c., cioè quelle promosse dai<br />

creditori o dai soci o dal curatore del fallimento o<br />

dal commissario liquidatore o dal commissario<br />

straordinario delle società che, sebbene eventualmente<br />

non controllate da altre società nel senso indicato<br />

dall’art. 2359, commi 1 e 2, c.c., sono sottoposte<br />

all’altrui attività di direzione e coordinamento<br />

nei confronti delle società o degli altri enti che<br />

tale attività esercitano.<br />

L’attribuzione della competenza sui procedimenti<br />

relativi a queste altre azioni al tribunale individuato<br />

secondo gli ordinari crediti anziché alle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa costituirebbe però<br />

una stranezza di cui non si riuscirebbe a comprendere<br />

le ragioni, sicché un’interpretazione sistematica<br />

e costituzionalmente orientata dovrebbe bastare<br />

ad escluderla.<br />

I procedimenti relativi ai rapporti di gruppo<br />

I procedimenti «relativi a rapporti di cui all’articolo<br />

2359, primo comma, numero 3), all’articolo<br />

2497 septies e all’articolo 2545 septies del codice civile»<br />

vanno individuati in quelli aventi ad oggetto<br />

domande fondate o destinate ad incidere sui rapporti:<br />

tra le società che sono sotto l’influenza dominante<br />

di un’altra società in virtù di particolari vincoli<br />

contrattuali con essa e la società che in tal modo<br />

le controlla; tra la società o l’ente che esercita<br />

Note:<br />

(57) O addirittura quello avente ad oggetto l’istanza dei genitori<br />

di autorizzazione alla vendita di una partecipazione sociale del figlio<br />

minore d’età, se non dovesse ragionevolmente darsi la prevalenza<br />

alle natura funzionale della competenza attribuita al giudice<br />

tutelare.<br />

(58) Salvo poi eventualmente ricadere nelle altre aree della competenza<br />

per materia delle sezioni specializzate in materia di impresa.<br />

Le Società 7/2012 821


Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

attività di direzione e coordinamento di altre società<br />

sulla base di un contratto con queste ultime o di<br />

clausole dei loro statuti e queste ultime società; tra<br />

le società cooperative appartenenti ad un gruppo<br />

cooperativo paritetico.<br />

Lo scopo della previsione di cui all’art. 3, comma<br />

2, lett. e), D.Lgs. n. 168/2003 è dunque quella di<br />

estendere la competenza delle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa ai procedimenti relativi a tali<br />

rapporti, evidentemente sul presupposto della difficoltà<br />

di inquadrarli nei procedimenti relativi a<br />

«rapporti societari», nell’ambito dei quali invece ricadono<br />

certamente quelli relativi a rapporti infragruppo<br />

più intensi di quelli considerati da detta<br />

previsione.<br />

La competenza in materia di contratti pubblici<br />

di appalto<br />

Ripescando un’idea più volte, come s’è detto, accarezzata<br />

in passato, il legislatore ha attribuito alle<br />

sezioni specializzate in materia d’impresa la competenza<br />

anche sui procedimenti «relativi a contratti<br />

pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di<br />

rilevanza comunitaria» (59) dei quali sia parte una<br />

società per azioni, in accomandita per azioni od a<br />

responsabilità limitata, una società cooperativa,<br />

una mutua assicuratrice, una società europea, una<br />

società cooperativa europea od una società costituita<br />

all’estero ovvero un consorzio o l’impresa capogruppo<br />

mandataria di un raggruppamento temporaneo<br />

d’imprese del quale faccia parte una di dette società,<br />

purché, ovviamente, rientranti nella sfera<br />

della giurisdizione ordinaria.<br />

Si tratta dunque delle controversie su diritti soggettivi<br />

concernenti la fase dell’esecuzione dei predetti<br />

contratti di appalto, fatta eccezione per quelle<br />

relative al divieto di rinnovo tacito ed all’applicazione<br />

della clausola di revisione del prezzo nei contratti<br />

ad esecuzione continuata o periodica e dell’adeguamento<br />

dei prezzi, che sono dall’art. 133, lett.<br />

e), c.p.a. devolute alla giurisdizione esclusiva dei<br />

tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di<br />

Stato, insieme a tutte quelle, anche di carattere risarcitorio,<br />

concernenti la fase dell’affidamento dei<br />

lavori, dei servizi e delle forniture o relative a provvedimenti<br />

di carattere sanzionatorio dell’Autorità<br />

di vigilanza.<br />

Peraltro, le controversie su diritti soggettivi derivanti<br />

dall’esecuzione dei suddetti contratti pubblici<br />

di appalto, anche quelle che rientrano nella giurisdizione<br />

amministrativa esclusiva, possono essere e<br />

di fatto spesso sono devolute, a norma dell’art. 241,<br />

D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (cd. Codice degli ap-<br />

palti pubblici), ad un arbitrato rituale, il cui lodo<br />

può essere impugnato per nullità ai sensi dell’art.<br />

829 c.p.c. dinanzi alla corte d’appello territorialmente<br />

competente e dunque, dal 22 settembre<br />

2012, potrà essere impugnato innanzi alla sezione<br />

specializzata in materia d’impresa della corte d’appello<br />

territorialmente competente qualora si riferisca<br />

ad una controversia insorta in relazione all’esecuzione<br />

di un contratto pubblico d’appalto di lavori,<br />

servizi o forniture di rilevanza comunitaria affidato<br />

ad una società di capitali o cooperativa, italiana<br />

od europea, ovvero ad una società di diritto straniero<br />

con una stabile organizzazione nel territorio<br />

italiano oppure ad una società che esercita o subisce<br />

l’attività di direzione e di coordinamento di una<br />

delle predette società o ad un consorzio o ad un<br />

raggruppamento temporaneo di imprese di cui faccia<br />

parte almeno una delle predette società.<br />

Potrebbe dunque accadere che, in subiecta materia,<br />

il contenzioso che affluirà alle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa delle corti d’appello sia,<br />

anche numericamente, più importante di quello da<br />

cui saranno gravate le sezioni specializzate dei tribunali.<br />

La competenza sui procedimenti connessi<br />

Il terzo comma del nuovo art. 3, D.Lgs. n. 168/<br />

2003, con una previsione che sembra in contrasto<br />

con la vocazione specialistica delle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa, include infine nella competenza<br />

di tali sezioni anche «le cause e i procedimenti<br />

che presentano ragioni di connessione con quelli<br />

di cui ai commi 1 e 2», cioè con quelli che abbiamo<br />

in precedenza passato in rassegna, utilizzando il rapporto<br />

di connessione tra procedimenti (o, meglio,<br />

tra le domande giudiziali) non già come ragione di<br />

una soltanto eventuale deroga degli ordinari criteri<br />

di attribuzione della competenza, ma direttamente<br />

come uno speciale criterio inderogabile di attribu-<br />

Note:<br />

(59) Le soglie di rilevanza comunitaria degli appalti ovviamente<br />

variano nel tempo. Attualmente, per effetto del regolamento<br />

della Commissione dell’Unione europea n. 1251 del 20 novembre<br />

2011, a partire dal 18 gennaio 2012, le soglie di rilevanza comunitaria<br />

degli appalti pubblici sono fissate negli importi di: E<br />

5.000.000 per gli appalti e le concessioni di lavori pubblici; E<br />

130.000 per gli appalti pubblici di forniture e di servizi aggiudicati<br />

dalle autorità governative centrali nei settori ordinari; E 200.000<br />

per gli appalti pubblici di forniture e di servizi aggiudicati dalle altre<br />

stazioni appaltanti nei settori ordinari; E 400.000 per gli appalti<br />

pubblici di forniture e servizi nei settori speciali; E 200.000<br />

per gli appalti pubblici di forniture aggiudicati dal Ministero della<br />

difesa, aventi ad oggetto prodotti non menzionati nell’allegato V<br />

al Codice degli appalti pubblici.<br />

822 Le Società 7/2012


zione della competenza per materia (60), e ponendo<br />

immediatamente il problema di stabilire:<br />

1) quali siano i rapporti di connessione tra procedimenti<br />

da considerare rilevanti ai predetti fini;<br />

2) quali siano i limiti della vis attractiva della<br />

competenza delle sezioni specializzate in materia<br />

d’impresa.<br />

Ebbene, quanto al primo punto, va ricordato che<br />

il primo comma dell’art. 1, D.Lgs. n. 5/2003, che<br />

certamente costituisce il prototipo normativo tenuto<br />

in considerazione dal legislatore per definire la<br />

competenza delle sezioni specializzate in materia<br />

d’impresa, disponeva l’estensione dei ccdd. riti societari<br />

introdotti dal medesimo decreto legislativo<br />

ai soli procedimenti connessi ai sensi degli artt. 31,<br />

32, 33, 34, 35 e 36 c.p.c. con quelli direttamente<br />

assoggettati a tali riti, escludendo dunque, secondo<br />

il classico argumentum a contrario, la rilevanza dei<br />

rapporti di connessione tra procedimenti di minor<br />

intensità, cioè dei rapporti di connessione oggettiva,<br />

propria od impropria, non qualificata o di connessione<br />

meramente soggettiva (61).<br />

Il riferimento da parte del terzo comma del nuovo<br />

art. 3, D.Lgs. n. 168/2003 a non meglio specificate<br />

«ragioni di connessione» potrebbe pertanto essere<br />

ritenuto un indice della volontà del legislatore di<br />

attrarre alla competenza delle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa tutti i procedimenti in qualsiasi<br />

modo connessi con quelli di competenza di tali<br />

sezioni.<br />

Una siffatta conclusione sarebbe però in chiaro<br />

contrasto con la ratio dell’istituzione delle sezioni<br />

specializzate in materia d’impresa, che induce ad<br />

escludere che il legislatore abbia inteso riferirsi anche<br />

alla connessione meramente soggettiva, di cui<br />

all’art. 104, comma 1, c.p.c. (62).<br />

Più equilibrata pare pertanto una soluzione che<br />

includa nella competenza delle sezioni specializzazione<br />

in materia d’impresa solo e tutti i procedimenti<br />

oggettivamente connessi, anche in senso improprio,<br />

con quelli di cui ai primi due commi del<br />

nuovo art. 3, D.Lgs. n. 168/2003.<br />

Quanto poi alla questione dei limiti della competenza<br />

per connessione delle sezioni specializzate in<br />

materia d’impresa, deve ritenersi che la vis attractiva<br />

di tale competenza sia destinata a prevalere su tutti<br />

i criteri che attribuiscono i procedimenti connessi<br />

alla competenza per materia o per territorio di altro<br />

giudice, dovendo cedere solo di fronte alle ipotesi<br />

di competenza funzionale, come, ad esempio, quella<br />

del giudice del registro delle imprese ovvero quella<br />

del tribunale in ordine al procedimento per la dichiarazione<br />

di fallimento (63) od ancora quella del<br />

Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

giudice delegato al fallimento o del tribunale innanzi<br />

al quale pende la procedura fallimentare in<br />

ordine ai procedimenti endofallimentari.<br />

Entro questi limiti, la domanda giudiziale connessa<br />

con una domanda di competenza delle sezioni<br />

specializzate in materia d’impresa potrà essere cumulativamente<br />

proposta con quest’ultima alla sezione<br />

specializzata territorialmente competente e, anche<br />

se poi separata dalla seconda, non potrà essere<br />

rimessa al giudice competente a conoscerla secondo<br />

gli ordinari criteri di competenza; qualora invece<br />

sia stata separatamente proposta alla medesima sezione<br />

specializzata, potrà essere riunita all’altra,<br />

sempreché non vi ostino ragioni processuali; qualora<br />

infine sia stata separatamente proposta al giudice<br />

competente a conoscerla secondo gli ordinari criteri<br />

di competenza in un momento in cui era già pendente<br />

innanzi alla competente sezione specializzata<br />

in materia d’impresa - e, deve ragionevolmente ritenersi,<br />

nello stesso grado - il procedimento avente<br />

ad oggetto la domanda cui è connessa, dovrà essere<br />

oggetto da parte del giudice adito di una dichiarazione<br />

d’incompetenza in favore della predetta sezione<br />

specializzata.<br />

La competenza per territorio<br />

Come s’è anticipato, la competenza territoriale<br />

delle sezioni specializzate in materia d’impresa è<br />

tendenzialmente più ampia di quella dei tribunali e<br />

delle corti d’appello in cui tali sezioni sono incardinate<br />

sotto il profilo organizzativo ed al contempo<br />

meno ampia di quella delle vecchie sezioni specializ-<br />

Note:<br />

(60) Con la conseguenza che, giusto quanto disposto dall’art. 5<br />

c.p.c., la sua esistenza andrà verificata con riferimento al momento<br />

della proposizione della domanda giudiziale connessa e<br />

farà sorgere la competenza in ordine a questa domanda della<br />

sezione specializzata in materia d’impresa territorialmente competente<br />

in ordine all’altra domanda; competenza che rimarrà ferma<br />

anche nel caso in cui i due procedimenti non siano poi riuniti<br />

ovvero quello avente ad oggetto la domanda giudiziale rientrante<br />

nella competenza, per così dire, naturale delle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa sia in qualsiasi modo definito.<br />

(61) Per una chiara classificazione dei vari tipi di rapporti di connessione<br />

tra cause si rinvia a G. Balena, Istituzioni di diritto processuale<br />

civile, 2011, 164 ss.<br />

(62) Verso analoga conclusione sembra orientato A. Motto, Gli<br />

interventi, cit., 29, che però nutre dubbi, sia pur di minor spessore,<br />

anche sull’attrazione alla competenza delle sezioni specializzate<br />

delle cause connesse oggettivamente in senso improprio<br />

- cioè per la semplice identità delle questioni, di fatto o di diritto,<br />

da cui dipendono - con quelle di competenza di dette sezioni.<br />

(63) Sulla quale sia consentito il rinvio a P. Celentano, Sub Art.<br />

9. Competenza, in A. Nigro - M. Sandulli - V. Santoro (a cura di),<br />

La legge fallimentare dopo la riforma, 2010, 89, nota 2.<br />

Le Società 7/2012 823


Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

zate in materia di proprietà industriale ed intellettuale,<br />

giacché, di norma, coincide con l’ambito del<br />

territorio regionale.<br />

Fanno infatti eccezione a questa regola soltanto:<br />

le Sezioni specializzate in materia d’impresa dei Tribunali<br />

e delle Corti d’Appello di Brescia, di Catania<br />

e di Milano, i cui ambiti di competenza territoriale<br />

coincidono con quelli dei rispettivi distretti di<br />

Corte d’Appello; le Sezioni specializzate in materia<br />

d’impresa del Tribunale e della Corte d’Appello di<br />

Palermo, dal cui ambito di competenza territoriale<br />

va escluso il distretto della Corte d’Appello di Catania;<br />

le Sezioni specializzate in materia d’impresa<br />

del Tribunale e della Corte d’Appello di Torino, il<br />

cui ambito di competenza territoriale si estende alla<br />

Valle d’Aosta.<br />

Ciò è quanto si ricava dal pur assai contorto testo<br />

dell’art. 4, D.Lgs. n. 168/2003, come modificato<br />

dall’art. 2, comma 1, lett. e), D.L. n. 1/2012, conv.,<br />

con modiff., dalla L. n. 27/2012, che stabilisce che<br />

le controversie che rientrano nella competenza per<br />

materia delle sezioni specializzate in questione<br />

«che, secondo gli ordinari criteri di ripartizione della<br />

competenza territoriale e nel rispetto delle normative<br />

speciali che le disciplinano, dovrebbero essere<br />

trattate dagli uffici giudiziari compresi nel territorio<br />

della regione sono assegnate alla sezione specializzata<br />

avente sede nel capoluogo di regione individuato<br />

ai sensi dell’articolo 1», mentre «alle sezioni<br />

specializzate istituite presso i tribunali e le corti<br />

d’appello non aventi sede nei capoluoghi di regione<br />

sono assegnate le controversie che dovrebbero essere<br />

trattate dagli uffici giudiziari compresi nei rispettivi<br />

distretti di corte d’appello», ma va letto in correlazione<br />

con l’art. 1 dello stesso D.Lgs. n. 168/<br />

2003, pure modificato, che in definitiva prevede l’istituzione<br />

di tali sezioni presso tutti i tribunali e le<br />

corti d’appello aventi sede nei capoluoghi di regione,<br />

tranne Aosta, nonché presso i Tribunali e le<br />

Corti d’Appello di Brescia e Catania, per un totale<br />

di 21 sezioni specializzate in materia d’impresa, contro<br />

le 12 sezioni specializzate in materia di proprietà<br />

industriale ed intellettuale.<br />

Va inoltre segnalato che l’art. 194 c.p.i. attribuisce<br />

espressamente: al Presidente della Sezione specializzata<br />

del Tribunale di Roma la competenza alla<br />

designazione, in caso di disaccordo tra le parti, del<br />

terzo componente del collegio di arbitratori cui lo<br />

stesso articolo affida (64) la determinazione dell’indennità<br />

di espropriazione dei diritti di proprietà industriale<br />

non concordata tra le parti; alla medesima<br />

Sezione specializzata del Tribunale di Roma la competenza<br />

(in primo grado) sulle impugnazioni delle<br />

determinazioni conseguentemente adottate dal predetto<br />

collegio.<br />

Il rapporto con le altre articolazioni<br />

organizzative del medesimo ufficio<br />

giudiziario<br />

Il legislatore non ha ritenuto di risolvere la questione<br />

che pare tuttora irrisolta in relazione alla rilevanza<br />

della competenza di ciascuna sezione specializzata<br />

in materia di proprietà industriale ed intellettuale<br />

nei rapporti con le altre sezioni dello<br />

stesso ufficio giudiziario e che dunque può agevolmente<br />

prevedersi che si riproporrà in termini pressappoco<br />

identici per le sezioni specializzate in materia<br />

d’impresa.<br />

Diffusa è infatti, soprattutto in dottrina e nella<br />

giurisprudenza di merito, l’opinione (65) che le sezioni<br />

specializzate in materia di proprietà industriale<br />

ed intellettuale costituiscano delle semplici articolazioni<br />

interne degli uffici giudiziari in cui sono istituite,<br />

assimilabili alle sezioni cui sono affidate le<br />

controversie in materia di lavoro e di previdenza ed<br />

assistenza sociale ovvero alle sezioni cui sono affidate<br />

le procedure fallimentari, sicché i loro rapporti<br />

con le altre sezioni dei medesimi uffici giudiziari<br />

non rileverebbero come rapporti di competenza in<br />

senso proprio (o tecnico), ma atterrebbero solo alla<br />

Note:<br />

(64) Con previsione di cui potrebbe non infondatamente sospettarsi<br />

l’illegittimità costituzionale ove si ritenga che l’arbitraggio<br />

collegiale sia sostanzialmente assimilabile ad un arbitrato obbligatorio<br />

ex lege, che la Corte costituzionale ha più volte affermato<br />

in contrasto con l’art. 24, comma 1, Cost. (cfr., ad es., Corte<br />

cost. 8 giugno 2005, n. 221).<br />

(65) Per la quale cfr.: Trib. Milano 1 giugno 2009, in Dir. ind.,<br />

2011, 233, con nota di G. Ciccone, Sezioni specializzate e sezioni<br />

ordinarie: questioni di competenza o di ripartizione interna?;<br />

Trib. Torino 24 aprile 2008, in Foro it., 2009, I, 1285; Trib. Milano<br />

13 luglio 2006, in Dir. ind., 2006, 582; U. Scotti, Le sezioni specializzate<br />

in materia di proprietà industriale ed intellettuale. Osservazioni<br />

relative ad alcune questioni processuali, inGiur. mer.,<br />

2003, IV, 2614 ss.; G. Casaburi, Le sezioni specializzate, cit., 35<br />

ss.; Idem, Il giudice della proprietà industriale (ed intellettuale).<br />

Sezioni specializzate: competenza e rito dal D.Lgs. n. 168 del<br />

2003 al Codice, inRiv. dir. ind., 2005, I, 201; M. Scuffi, La competenza<br />

per materia e per territorio delle sezioni specializzate, in<br />

Dir. ind., 2006, 78; A. Giussani, Le sezioni specializzate per la<br />

proprietà industriale ed intellettuale e l’art. 25 Cost., in A. Giussani,<br />

Saggi sulle tutele dell’impresa e dall’impresa, 2007, 10;<br />

Idem, Questioni di competenza in senso stretto e in senso lato<br />

nella disciplina delle sezioni specializzate in materia di proprietà<br />

industriale ed intellettuale, ivi, 19 ss. Contra, Cass. 14 giugno<br />

2010, n. 14251, in Dir. ind., 2011, 229; Cass. 25 settembre<br />

2009, n. 20690, ivi, 2010, 50; Trib. Bologna 22 giugno 2010, ivi,<br />

2011, 230; L.C. Ubertazzi, Le sezioni specializzate in materia di<br />

proprietà intellettuale, inRiv. dir. ind., 2003, I., 219; I.M. Prado,<br />

Sezione specializzata e assegnazione della causa, inDir. ind.,<br />

2006, 582 ss.<br />

824 Le Società 7/2012


distribuzione degli affari all’interno di tali uffici, e<br />

le parti non sarebbero legittimate ad insorgere contro<br />

l’erronea attribuzione di un procedimento rientrante<br />

nella competenza della sezione specializzata<br />

ad un’altra sezione dello stesso ufficio giudiziario né<br />

contro l’erronea attribuzione alla sezione specializzata<br />

di un procedimento non rientrante nella sua<br />

competenza, ma potrebbero solo sollecitare il potere-dovere<br />

ufficioso dei giudici e del capo dell’ufficio<br />

di rispettare le ccdd. previsioni tabellari (66).<br />

Quest’opinione ha di recente ricevuto l’avallo<br />

dell’ultima pronunzia nota sul tema della Corte di<br />

cassazione (67), che, ribaltando il proprio precedente<br />

orientamento (68), senza peraltro nemmeno<br />

citarlo, ha fondato la sua conclusione sul rilievo,<br />

espressamente indicato come «decisivo», che - secondo<br />

quanto allora disposto dall’art. 2, comma 2,<br />

D.Lgs. n. 168/2003 (il cui testo è però rimasto sostanzialmente<br />

immutato, per quel che qui rileva,<br />

dopo la modifica apportatavi dal D.L. n. 1/2012,<br />

come convertito dalla L. n. 27/2012) - «ai giudici<br />

delle sezioni può essere assegnata, rispettivamente,<br />

dal presidente del tribunale o della corte d’appello,<br />

anche la trattazione di processi diversi, purché ciò<br />

non comporti ritardo nella trattazione dei giudizi in<br />

materia di proprietà industriale ed intellettuale»<br />

(ed ora «in materia di impresa»), facendo di tali sezioni<br />

specializzate delle «sezioni ‘‘miste’’ in cui possono<br />

essere trattate sia materie riguardanti la competenza<br />

esclusiva in materia di proprietà industriale<br />

che cause ordinarie rientranti nella normale sfera di<br />

competenza del tribunale».<br />

Conforterebbero tale conclusione - secondo questo<br />

recente arresto della Suprema Corte - il rilievo<br />

che anche l’art. 413 c.p.c. e l’art. 24 l.fall. fanno riferimento<br />

al concetto di «competenza» per individuare,<br />

rispettivamente, le cause attribuite al cd. giudice<br />

del lavoro ed al cd. tribunale fallimentare (e -<br />

la stessa Corte verosimilmente sottintende - ciò nonostante<br />

non si dubita che le questioni concernenti<br />

la ripartizione degli affari tra le sezioni cui sono affidate<br />

le controversie in materia di lavoro (69) o<br />

quelle che derivano dal fallimento (70) e le altre<br />

sezioni del medesimo ufficio giudiziario non attengono<br />

alla competenza in senso tecnico), mentre<br />

(71) opposta conclusione vale per le sezioni specializzate<br />

agrarie poiché queste sono composte anche<br />

da giudici non togati.<br />

Tutti gli argomenti sopra esposti appaiono però<br />

assai deboli e recessivi di fronte alle considerazioni<br />

- alcune delle quali già espresse dalle precedenti e<br />

contrarie pronunzie della Corte di cassazione sul tema<br />

(72) e tutte indubbiamente valide anche per le<br />

Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

sezioni specializzate in materia d’impresa - che, unitariamente<br />

considerate, militano invece univocamente<br />

per la configurazione delle sezioni specializzate<br />

in materia di proprietà industriale ed intellettuale<br />

ed ora anche delle sezioni specializzate in materia<br />

di impresa, nonché dei loro presidenti, come<br />

organi giudiziari costituenti articolazioni organizzative<br />

di più complessi uffici giudiziari ma dotati di<br />

una propria competenza in senso tecnico:<br />

a) il legislatore ricorre senza esitazioni al termine<br />

o comunque al concetto di «competenza» per delimitare<br />

l’ambito dei poteri giurisdizionali attribuiti<br />

proprio a tali sezioni specializzate ed ai loro presidenti<br />

e non già agli uffici giudiziari (tribunali o corti<br />

d’appello) presso cui le medesime sezioni sono<br />

istituite, nello stesso modo in cui l’art. 1, L. 2 marzo<br />

1963, n. 230, e l’art. 26, L. 11 febbraio 1971, n. 11,<br />

disponevano e l’art. 11, comma 2, D.Lgs. 1 settem-<br />

Note:<br />

(66) La legge invero non prevede uno specifico rimedio contro<br />

l’inosservanza dei criteri di ripartizione degli affari giudiziari tra le<br />

sezioni - e tra i componenti di ciascuna delle sezioni - della sede<br />

principale di un ufficio giudiziario, previsti dalla legge o solo dalle<br />

ccdd. tabelle di organizzazione di ciascun ufficio. Ma la lacuna<br />

può essere agevolmente colmata mediante l’applicazione analogica<br />

ai rapporti tra le sezioni - e tra i componenti di ciascuna delle<br />

sezioni - della sede principale dell’ufficio della previsione di<br />

cui all’art. 83 ter c.p.c., alla cui stregua le questioni concernenti<br />

l’inosservanza dei criteri di ripartizione degli affari giudiziari da<br />

trattarsi in composizione monocratica tra la sede principale (o le<br />

eventuali sezioni della sede principale) e le sezioni distaccate di<br />

un medesimo tribunale ovvero tra queste ultime vanno rilevate<br />

dal giudice, d’ufficio o su eccezione di parte, non oltre l’udienza<br />

di prima comparizione delle parti e risolte dal presidente del tribunale<br />

con decreto non impugnabile.<br />

(67) Cfr. Cass. 22 novembre 2011, n. 24656, in Foro it., 2012, I,<br />

95.<br />

(68) Per il quale v.: Cass. 14 giugno 2010, n. 14251, cit.; Cass.,<br />

25 settembre 2009, n. 20690, cit.<br />

(69) Cfr. Cass., sez. un., 7 febbraio 1994, n. 1238, un Foro it.,<br />

1994, I, 1401. Conf.: Cass. 23 settembre 2009, n. 20494, in<br />

CED Cass. civ., rv. 609471; Cass. 9 agosto 2004, n. 15391, ivi,<br />

rv. 575926; Cass. 30 marzo 2000, n. 3883, ivi, rv. 535204.<br />

(70) Cfr.: Cass. 1 aprile 2011, n. 7579, in CED Cass. civ., rv.<br />

617881; Cass. 14 giugno 2001, n. 8025, in Foro it., 2002, I,<br />

1122, con nota di E. Fabiani, Sui rapporti fra sede principale del<br />

tribunale e sezioni distaccate dello stesso e su quelli fra sezioni<br />

distaccate; Cass. 15 marzo 1990, n. 2117, in Fall., 1990, 1007;<br />

Cass., 26 aprile 1969, n. 1359, in Dir. fall., 1969, II, 874.<br />

(71) Com’è in giurisprudenza pacifico (cfr.: Cass. 26 luglio 2010,<br />

n. 17502, in CED Cass. civ., rv. 614558; Cass. 7 ottobre 2004,<br />

n. 19984, in Giust. civ., 2005, 1226; Cass. 20 agosto 2003, n.<br />

12283, in CED Cass. civ., rv. 566105; Cass., 28 novembre<br />

2001, ivi, rv. 550724; Cass. 11 dicembre 1991, n. 13384, ivi, rv.<br />

475010; Cass. 19 gennaio 2001, n. 736, in Dir. giur. agr., 2001,<br />

II, 758, con nota di C.M. Galiberti, La devoluzione delle controversie<br />

agrarie alle sezioni specializzate: questione di competenza<br />

ovvero di ripartizione amministrativa).<br />

(72) Cfr. Cass. 14 giugno 2010, n. 14251, cit.; Cass. 25 settembre<br />

2009, n. 20690, cit.<br />

Le Società 7/2012 825


Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

bre 2011, n. 150, ora dispone riguardo alle sezioni<br />

specializzate agrarie, mentre l’art. 413 c.p.c. e l’art.<br />

24 l.fall. attribuiscono la competenza in ordine alle<br />

controversie di cui all’art. 409 c.p.c. al tribunale,<br />

anche se precisando «in funzione di giudice del lavoro»,<br />

e, rispettivamente, la competenza in ordine<br />

alle controversie derivanti dal fallimento al tribunale<br />

che lo ha dichiarato, non già ad una sezione del<br />

tribunale;<br />

b) lo stesso legislatore qualifica espressamente<br />

come «specializzate» le sezioni in questione, con un<br />

aggettivo che è, assai significativamente, proprio<br />

quello che è utilizzato dall’art. 102, comma 2, Cost.<br />

e che connota anche le sezioni cui sono affidate le<br />

controversie in materia di rapporti agrari (cioè, appunto,<br />

le «sezioni specializzate agrarie») (73);<br />

c) l’art. 102, comma 2, Cost. prevede poi espressamente<br />

che le «sezioni specializzate» che possono<br />

essere istituite presso gli organi giudiziari ordinari<br />

possono essere composte «anche», non già solo,<br />

«con la partecipazione di cittadini idonei estranei<br />

alla magistratura»;<br />

d) le sezioni specializzate in materia di proprietà<br />

industriale ed intellettuale e quelle in materia d’impresa<br />

sono istituite direttamente dalla legge e peraltro<br />

soltanto in alcuni tribunali ed in alcune corti<br />

d’appello e le sezioni specializzate agrarie devono<br />

essere per legge obbligatoriamente costituite in tutti<br />

i tribunali ed in tutte le corti d’appello, mentre l’attribuzione<br />

delle controversie in materia di lavoro o<br />

che derivano dal fallimento ad una o più delle sezioni<br />

dei tribunali o delle corti d’appello - pur essendo,<br />

nel primo caso, espressamente prevista (74),<br />

nel secondo caso, consentita dalla legge - dipende<br />

in concreto da provvedimenti amministrativi di natura<br />

discrezionale;<br />

e) vero è che ai componenti (giudici, consiglieri<br />

o presidenti) delle sezioni specializzate in materia di<br />

proprietà industriale ed intellettuale e delle sezioni<br />

specializzate in materia d’impresa ben possono essere<br />

assegnati anche processi diversi da quelli di competenza<br />

di tali sezioni, ma ciò vale anche per i magistrati<br />

componenti delle sezioni specializzate agrarie,<br />

nonché per quelli dei tribunali regionali delle<br />

acque pubbliche, i quali pure costituiscono delle sezioni<br />

delle corti d’appello in cui sono istituiti (75)<br />

ed hanno una propria competenza in senso tecnico<br />

(76);<br />

f) last but not least, laratio dell’istituzione delle<br />

sezioni specializzate in materia di proprietà industriale<br />

ed intellettuale e delle sezioni specializzate in<br />

materia d’impresa - piaccia o meno - è chiaramente<br />

costituita dalla complessità, dalle difficoltà e dall’e-<br />

sigenza di una spedita trattazione dei procedimenti<br />

affidati a tali sezioni, che proprio per questo devono<br />

essere composte - come stabiliva e stabilisce il primo<br />

comma dell’art. 2, D.Lgs. n. 168/2003 - da «magistrati<br />

dotati di specifiche competenze», evidentemente<br />

nelle relative materie, sicché sarebbe gravemente<br />

tradita se, sia pur con il nobile intento di<br />

correggere involontari errori o di evitare manovre<br />

dilatorie, si riducesse il rapporto tra le predette e le<br />

altre sezioni (o comunque le altre articolazioni organizzative)<br />

degli stessi uffici giudiziari ad una relazione<br />

meramente interna a questi ultimi, impedendo<br />

così alle parti ed ai giudici di reagire adeguatamente<br />

con i consueti strumenti di rilievo e regolamento<br />

delle questioni di competenza contro l’assegnazione<br />

alle seconde di un processo rientrante tra<br />

quelli attribuite per legge alle prime o viceversa.<br />

La composizione<br />

Assai scarne sono le specifiche disposizioni che il<br />

novellato D.Lgs. n. 168/2003 dètta in ordine agli<br />

aspetti organizzativi concernenti le sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa.<br />

Non si può però nemmeno dire che il testo normativo<br />

non offra alcuna indicazione in proposito,<br />

essendo anzi da un suo complessivo e non superficiale<br />

esame abbastanza chiaro che le sezioni specializzate<br />

in questione:<br />

a) sono state istituite direttamente dalla legge<br />

nei tribunali e nelle corti d’appello aventi sede in<br />

tutti i capoluoghi di regione, eccetto che nel Tribunale<br />

d’Aosta, nonché nei Tribunali e nelle Corti<br />

d’Appello di Brescia e di Catania, senza incrementi<br />

delle relative dotazioni organiche, sicché occorrerà<br />

necessariamente includerle, a partire dal 22 settembre<br />

2012, nell’organizzazione - e dunque nelle ccdd.<br />

tabelle - di tali uffici, anche se alla loro composizione<br />

ed al loro funzionamento non sarà possibile destinare<br />

risorse umane aggiuntive;<br />

b) dovranno utilizzare le risorse materiali di cui<br />

sono muniti i relativi tribunali e le relative corti<br />

d’appello, eccezion fatta per quelle istituite nei 9<br />

tribunali e nelle 9 corti d’appello in cui non vi sono<br />

sezioni specializzate in materia di proprietà indu-<br />

Note:<br />

(73) Costituite nei tribunali e nelle corti d’appello ai sensi della<br />

L. 2 marzo 1963, n. 320.<br />

(74) V. artt. 21 e 22, L. 11 agosto 1973, n. 533.<br />

(75) V. art. 64, comma 2, R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento<br />

giudiziario).<br />

(76) Cfr. Cass., sez. un., 7 ottobre 2010, n. 20774.<br />

826 Le Società 7/2012


striale ed intellettuale, tra le quali, in ciascuno degli<br />

anni 2012 e 2013, dovranno essere distribuite le<br />

spese che saranno consentite dai 600.000 euro che<br />

si prevede che affluiranno nelle casse dello Stato<br />

per effetto del raddoppio del contributo unificato<br />

per i procedimenti attribuiti alla competenza della<br />

generalità delle sezioni specializzate in materia<br />

d’impresa (77);<br />

c) non potranno essere più di una per ciascuno<br />

dei tribunali e ciascuna delle corti d’appello in cui<br />

sono istituite, come può indirettamente desumersi<br />

dagli artt. 1, comma 1 bis, 4 e 5, D.Lgs. n. 168/<br />

2003;<br />

d) dovranno essere composte da «magistrati dotati<br />

di specifiche competenze», evidentemente in<br />

tutte le, non proprio omogenee, materie ad esse attribuite<br />

(78);<br />

e) dovranno tutte avere un presidente, evidentemente<br />

di sezione e dunque che non sia il presidente<br />

del tribunale o della corte d’appello (arg. ex art. 5,<br />

D.Lgs. n. 168/2003);<br />

f) dovranno essere composte da un numero di<br />

magistrati, oltre al presidente, variabile ma comunque<br />

idoneo ad assicurare la tempestiva definizione<br />

dei procedimenti rientranti nella loro competenza e<br />

non inferiore a quattro o cinque, a seconda che si<br />

ritenga o meno di dover tener conto del presidente<br />

nel numero di cinque giudici che gli artt. 46, comma<br />

5, e 54, comma 2, dell’Ordinamento giudiziario,<br />

fissano, in linea generale, come l’organico minimo<br />

di ogni sezione di tribunale o di corte d’appello<br />

(79);<br />

g) potranno essere composte da magistrati assegnati<br />

anche ad altre sezioni dello stesso tribunale o<br />

della stessa corte d’appello ovvero ai quali comunque<br />

potrà essere assegnata - ma in quanto giudici,<br />

consiglieri o presidenti di sezione del tribunale o<br />

della corte d’appello e non già delle relative sezioni<br />

specializzate - anche la trattazione di procedimenti<br />

non rientranti nella loro competenza, purché ciò<br />

non ritardi la definizione dei procedimenti rientranti<br />

invece nella loro competenza;<br />

h) non soppianteranno del tutto le vecchie sezioni<br />

specializzate in materia di proprietà industriale<br />

ed intellettuale, che dovranno continuare a funzionare<br />

fino all’integrale definizione dei procedimenti<br />

pendenti di loro competenza iniziati prima del 22<br />

settembre 2012.<br />

Solo entro questi limiti pertanto potranno esplicarsi<br />

le funzioni organizzative attribuite ai capi degli<br />

uffici giudiziari interessati e quelle che, in via generale,<br />

il Consiglio Superiore della Magistratura suole<br />

esercitare mediante l’emanazione di circolari.<br />

Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

I riti<br />

Le modifiche apportate dal D.L. n. 1/2012, come<br />

risultante dalla legge di conversione n. 27/2012, al<br />

D.Lgs. n. 168/2003 hanno, come s’è visto, sensibilmente<br />

inciso sulle norme già concernenti la competenza<br />

delle sezioni specializzate in materia di proprietà<br />

industriale ed intellettuale per definire la ben<br />

più ampia competenza delle sezioni specializzate in<br />

materia d’impresa, ma nulla hanno disposto sotto il<br />

profilo del rito o, meglio, dei molteplici e multiformi<br />

riti secondo cui queste (80), per vero non meno<br />

di quanto avviene per altre ordinarie sezioni di tribunale<br />

o di corte d’appello, dovranno celebrare i<br />

procedimenti rientranti nella loro eterogenea competenza,<br />

la cui disciplina risulta pertanto immutata<br />

e dovrà essere rintracciata, secondo i principi, nel<br />

codice di procedura civile ed innanzitutto nelle disposizioni<br />

che regolano il processo di cognizione ordinario<br />

dinanzi al tribunale in composizione collegiale<br />

ed il processo d’appello, salvo che debba applicarsi<br />

un rito speciale.<br />

Peraltro, sono state soppresse, in relazione ai giudizi<br />

che dovranno essere trattati dalle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa, le previsioni concernenti<br />

la necessaria collegialità delle decisioni, il numero<br />

dei componenti dei collegi giudicanti e la<br />

conduzione necessariamente monocratica dell’attività<br />

istruttoria delle sezioni specializzate in materia<br />

di proprietà industriale ed intellettuale, prima contenute<br />

nel primo comma dell’art. 2 del predetto decreto<br />

legislativo.<br />

Si trattava invero di previsioni in buona parte<br />

superflue, posto che l’art. 50 bis, comma 1, n. 3,<br />

c.p.c. dispone che tutte le sezioni specializzate devono<br />

sempre giudicare in composizione collegiale,<br />

Note:<br />

(77) Sicché non può dirsi esatta la diffusa affermazione che l’istituzione<br />

delle sezioni specializzate in materia d’impresa è l’ennesima<br />

riforma ‘‘a costo zero’’.<br />

(78) Eventualità, questa, che pare, allo stato, abbastanza remota,<br />

sicché la scelta dei magistrati chiamati a comporre le sezioni<br />

specializzate in materia di impresa dovrà, in via subordinata, il<br />

più delle volte giocoforza ricadere su coloro che sono dotati di<br />

specifiche competenze almeno in una parte delle materie attribuite<br />

a tali sezioni.<br />

(79) Le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale<br />

ed intellettuale, secondo quanto disposto dall’originario testo<br />

del primo comma dell’art. 2, D.Lgs. n. 168/2003, dovevano - e<br />

dovranno finché continueranno a funzionare - essere composte<br />

da non meno di sei magistrati, nel cui novero il Consiglio Superiore<br />

della Magistratura, con la circolare n. P-15620/2003 del 28<br />

luglio 2003, ritenne però di poter includere il presidente.<br />

(80) Nonostante il pretenzioso D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150,<br />

cd. taglia-riti.<br />

Le Società 7/2012 827


Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

gli artt. 48 e 56 dell’Ordinamento giudiziario fissano,<br />

in linea generale, in tre i componenti dei collegi<br />

giudicanti dei tribunali e delle corti d’appello e,<br />

secondo la disciplina del processo ordinario di cognizione<br />

dinanzi al tribunale in composizione collegiale,<br />

la conduzione dell’attività istruttoria è, nel<br />

giudizio di primo grado, sempre monocratica, salvo<br />

quanto previsto dall’art. 281 c.p.c.<br />

L’unica particolarità della disciplina del vecchio<br />

primo comma dell’art. 2, D.Lgs. n. 168/2003 finiva<br />

pertanto per essere costituita dalla necessaria monocraticità<br />

della conduzione dell’attività istruttoria<br />

anche in grado d’appello, ora, come s’è detto, eliminata<br />

per quel che concerne le sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa.<br />

Un carattere anche lato sensu processuale può<br />

però riconoscersi all’immutata previsione del secondo<br />

comma dell’art. 2, D.Lgs. n. 168/2003, secondo<br />

cui «ai giudici delle sezioni specializzate può essere<br />

assegnata, rispettivamente dal presidente del tribunale<br />

o della corte d’appello, anche la trattazione di<br />

processi diversi, purché ciò non comporti ritardo<br />

nella trattazione e decisione dei giudizi in materia<br />

di impresa».<br />

Da tale norma si ricava infatti indirettamente<br />

che i procedimenti di competenza delle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa, come quelli delle sezioni<br />

specializzate in materia di proprietà industriale<br />

ed intellettuale, godono, quanto ai tempi della loro<br />

trattazione e della loro definizione, di una corsia<br />

preferenziale rispetto agli altri, anche se poi è difficile<br />

stabilire se essi abbiano la precedenza pure sui<br />

procedimenti l’urgenza della cui definizione potrebbe<br />

dipendere da altri fattori, come, ad esempio, la<br />

loro sottrazione alla sospensione dei termini per la<br />

durata del periodo feriale.<br />

Gli obiettivi e le previsioni sulla loro<br />

realizzazione<br />

Cosa dire insomma di questa novità battezzata<br />

con il nome di tribunale delle imprese?<br />

Ebbene, innanzitutto, che evidentemente non si<br />

tratta di un tribunale; tanto meno delle imprese.<br />

Si tratta invece di ventuno sezioni specializzate<br />

di altrettanti tribunali e di ventuno sezioni specializzate<br />

di altrettante corti d’appello, destinate ad occuparsi<br />

solo di una parte, apparentemente minima,<br />

degli affari giudiziari di maggior interesse per le imprese,<br />

riconducibili in definitiva a tre grandi - e tra<br />

loro non proprio omogenee - aree del sapere giuridico,<br />

una compiuta conoscenza di ciascuna delle<br />

quali appartiene a pochi e di tutte assieme le quali<br />

è riservata a pochissimi specialisti e che possono essere<br />

sinteticamente individuate in quelle aventi ad<br />

oggetto: la prima, la proprietà intellettuale, questa<br />

intesa in senso comprensivo della proprietà industriale,<br />

e la concorrenza tra imprese; la seconda, la<br />

disciplina delle società di capitali e cooperative; la<br />

terza, gli appalti pubblici.<br />

Sicché va osservato: da un canto, che, vinta la<br />

timidezza, sarebbe stato più coerente includere nella<br />

loro competenza anche i procedimenti riguardanti i<br />

rapporti interni e gli organi delle società di persone,<br />

dei consorzi e dei g.e.i.e. ed i rapporti tra gli imprenditori<br />

riuniti in associazioni temporanee di imprese,<br />

la concorrenza sleale cd. pura, le opere dell’ingegno<br />

creativo dell’uomo non rientranti tra<br />

quelle protette dalla disciplina nazionale del diritto<br />

d’autore, le azioni di classe di cui all’art. 140 bis del<br />

codice del consumo e l’intero contenzioso in materia<br />

di appalti pubblici (81); dall’altro, che siamo in<br />

effetti di fronte a sezioni plurispecializzate o, meglio,<br />

che dovranno divenire tali e che tuttavia, a causa<br />

del modo in cui il legislatore ha delimitato le materie<br />

di loro competenza e disciplinato la loro competenza<br />

per connessione, potrebbero esser costrette ad<br />

occuparsi anche di altre materie, del tutto eterogenee<br />

rispetto alle prime e per affrontare le quali occorrono<br />

di norma ulteriori competenze specialistiche,<br />

e di una quantità di affari giudiziari allo stato<br />

non misurato ed assai difficilmente misurabile e che<br />

potrebbe rivelarsi di gran lunga superiore alle aspettative,<br />

con evidente pregiudizio per la loro dichiarata<br />

ed ardua missione: trattare e definire con efficienza,<br />

efficacia e tempestività gli affari giudiziari<br />

rientranti nelle materie di loro stretta competenza,<br />

evidentemente ritenute quelle giudicate più importanti<br />

dal grande capitalismo che si vuol attirare o<br />

trattenere nel nostro Paese, con un modestissimo<br />

impegno aggiuntivo di spesa a carico della disastrata<br />

finanza pubblica.<br />

A molti è pertanto parso fin troppo facile preconizzarne<br />

subito l’insuccesso (82), da alcuni anzi in<br />

definitiva addirittura auspicato in considerazione<br />

dell’incremento delle diseguaglianze che il loro<br />

eventuale successo produrrebbe.<br />

Note:<br />

(81) Preferibilmente ripartendo i complessivi carichi di lavoro tra<br />

tre distinte sezioni specializzate di tribunale e di corte d’appello,<br />

ciascuna competente nella materia di una sola delle grandi aree<br />

del diritto commerciale che si sono in precedenza individuate.<br />

(82) Cfr., ad es.: G. Casaburi, ‘‘Liberalizzazioni’’, cit., 19 ss.; F.<br />

Santagada, op. cit., 19; Consiglio Nazionale Forense - Ufficio<br />

Studi, Dossier n. 3/2012, cit., 23 ss.<br />

828 Le Società 7/2012


Peraltro, il loro numero e la loro distribuzione<br />

territoriale paiono ancora influenzati da considerazioni<br />

di carattere localistico (le sole che possono essere<br />

alla base della loro istituzione in uffici giudiziari<br />

con un organico di magistrati e carichi prevedibili<br />

di lavoro nelle materia specializzate ridottissimi,<br />

come, soltanto per fare un esempio, la Corte d’Appello<br />

di Campobasso) e prescindere da una ragionata<br />

ponderazione delle scelte in proposito effettuate<br />

(83).<br />

È - beninteso - possibile che la loro istituzione<br />

sortisca alcuni, tutto sommato modesti, effetti positivi,<br />

primo fra tutti quello di svuotare progressivamente<br />

di significato gli uffici giudiziari più piccoli,<br />

favorendone così la sempre più urgente soppressione,<br />

e, in secondo luogo, quello di testare i pregi ed<br />

i difetti della specializzazione dei giudici in settori<br />

nevralgici dell’economia.<br />

Ma che esse possano contribuire a risollevare le<br />

sorti della nostra economia pare davvero una pia illusione.<br />

Non v’è dubbio che i capitali sono attratti dagli<br />

ordinamenti in cui il loro investimento è più redditizio<br />

e sicuro e che l’organizzazione giudiziaria di<br />

uno Stato rientra tra i fattori che incidono sulla<br />

redditività e la sicurezza degli investimenti.<br />

Non è pensabile tuttavia che i grandi capitalisti<br />

possano essere invogliati a investire in Italia perché<br />

qui si risolvono presto e bene le, tutto sommato<br />

marginali per il mondo dell’economia, controversie<br />

Normativa<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

rientranti nella competenza delle sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa (pur dando per scontato che<br />

ciò poi accada per davvero), ma occorre, ad esempio,<br />

attendere più di un decennio per ottenere la definizione<br />

di un giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo<br />

del pagamento di un credito commerciale.<br />

Netta è dunque la sensazione che il tribunale delle<br />

imprese sia in buona sostanza uno specchietto per le<br />

allodole.<br />

Col che non si vuol dire che le sezioni specializzate<br />

in materia d’impresa non possano diventare il<br />

fiore all’occhiello della giustizia italiana, anche se è lecito<br />

dubitarne; ma solo che è sommamente difficile<br />

che i capitalisti (che raramente sono allodole) possano<br />

rimanerne tanto incantati da dimenticare totalmente<br />

il vecchio e sdrucito abito da cui comunque<br />

faranno capolino se non si troveranno le energie,<br />

le idee e le risorse per fornire risposte adeguate<br />

alle sempre più pressanti esigenze di efficienza ed efficacia<br />

del complessivo servizio giustizia in Italia.<br />

Nota:<br />

(83) Sicché probabilmente non esagera chi (come, ad es., C.<br />

Galli, Sezioni specializzate e tribunali delle imprese: inopportunità<br />

di un accorpamento, 2012, in www.altalex.com) paventa l’apertura<br />

a carico dell’Italia di una procedura d’infrazione in sede<br />

comunitaria per la violazione delle norme dell’Unione europea<br />

che impongono agli Stati membri di ripartire la competenza sui<br />

procedimenti giudiziari in materia di marchi e di modelli comunitari<br />

ad un numero il più possibile ridotto di uffici giudiziari nazionali<br />

di prima e di seconda istanza.<br />

Le Società 7/2012 829


Giurisprudenza<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

Società di capitali<br />

Tutela cautelare ante causam<br />

e sospensione della delibera<br />

assembleare<br />

Tribunale di Milano, Sez. VIII, ord., 23 aprile 2012 - Giudice M. Galioto - Credac s.p.a. c. Zopa Italia<br />

s.r.l. e altri<br />

Società - Società di capitali - Deliberazione - Impugnazione - Sospensione ante causam - Ammissibilità - Presupposti<br />

(Cod. civ. art. 2378; Cod. proc. civ. art. 700)<br />

È ammissibile la richiesta di sospensione ante causam della delibera assembleare ai sensi dell’art. 2378, comma<br />

3, c.c., purché dalla prospettazione di parte sia possibile desumere la difficoltà di incardinare per tempo la<br />

domanda di merito (nella specie, il Tribunale ha revocato il decreto cautelare emesso inaudita altera parte per<br />

la constatata assenza del periculum in mora).<br />

Il Tribunale (omissis).<br />

Il provvedimento emesso inaudita altera parte va revocato.<br />

Va anzitutto osservato che la domanda cautelare ex art.<br />

700 c.p.c. non pare ammissibile in relazione a declaratorie<br />

di mero accertamento, posto che lo strumento di tutela<br />

urgente può essere esperito - per giurisprudenza prevalente<br />

qui condivisa - solo per le eventuali pronunce<br />

consequenziali alla declaratoria del diritto che si prospetta<br />

come plausibile nell’instaurando giudizio di merito.<br />

Risultano poi sufficientemente delineate le domande di<br />

merito, alla luce delle conclusioni rassegnate in ricorso,<br />

che sono volte ad ottenere l’accertamento della validità<br />

della sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte di<br />

Credac con i corollari attinenti all’esercizio dei diritti di<br />

socio nella formazione della volontà sociale.<br />

La richiesta di sospensiva delle delibere proposta in ricorso<br />

appare poi chiaramente riconducibile alla cautela<br />

tipica prevista dall’art. 2378 c.c. ancorché la ricorrente<br />

non abbia espressamente citato la ricordata disposizione.<br />

Parte resistente eccepisce l’inammissibilità della richiesta<br />

perché non è stata ancora proposta la causa di merito.<br />

Il Tribunale aderisce alla tesi secondo la quale la tutela<br />

in discorso è esperibile anche ante causam, purché dalla<br />

prospettazione di parte sia possibile desumere la difficoltà<br />

di incardinare per tempo la domanda di merito.<br />

Sul punto è facile constatare che anche nella materia<br />

dell’impugnativa delle delibere assembleari può essere<br />

necessaria una tutela impellente, non potendosi negare<br />

il diritto ad una pronuncia urgente per diritti che possono<br />

subire pregiudizio imminente e irreparabile anche in<br />

un momento precedente all’instaurazione della causa di<br />

merito, con salvaguardia di ‘‘chiusura’’ del sistema che<br />

scaturisce direttamente dall’art. 24 della Costituzione.<br />

L’interpretazione qui prospettata si pone, del resto, in<br />

sintonia con i principi espressi, in più occasioni, dai<br />

Giudici delle leggi riguardo alla garanzia costituzionale<br />

di tutela cautelare, che deve ritenersi consentita al giudice<br />

tutte le volte in cui essa non si riveli superflua (si vedano,<br />

per tutte, Corte cost. n. 161/2000 e n. 253/1994).<br />

Dovendosi dunque accedere ad un’interpretazione costituzionalmente<br />

orientata della citata disposizione, è agevole<br />

concludere in senso favorevole all’ammissibilità della<br />

sospensione dell’esecuzione della delibera assembleare<br />

anche prima dell’instaurazione della causa di merito, sia<br />

pure nei ristretti limiti ora indicati.<br />

La domanda cautelare della ricorrente è dunque ammissibile,<br />

posto che essa ha proposto il ricorso in data 23<br />

settembre 2011 ed ha rappresentato l’esigenza di una<br />

pronuncia entro il successivo 30 settembre.<br />

Ciò premesso, appare rilievo idoneo a superare ed assorbire<br />

ogni altra questione posta dalle parti, la constatazione<br />

dell’assenza del periculum in mora, alla luce dei condivisibili<br />

argomenti svolti da Zopa Italia nella memoria difensiva.<br />

Basti in proposito osservare che nel presente procedimento<br />

è contestata la legittimità della sottoscrizione dell’aumento<br />

di capitale fino a E 125.000 compiuta dal dr.<br />

M.S. asseritamente avvenuta in violazione dei diritti di<br />

Credac.<br />

Quest’ultima, comunque, in data 30 settembre 2011 ha<br />

già provveduto - a differenza del dr. S. - a sottoscrivere il<br />

terzo e ben più consistente aumento di capitale sociale<br />

(fino ad E 1.000.000) fissato dal business plan, che le<br />

consentirà di ottenere una larga maggioranza e di scongiurare<br />

conseguentemente il rischio paventato in ricorso<br />

- e sul quale Credac ha fondato la richiesta cautelare - di<br />

830 Le Società 7/2012


vedersi esclusa dalla compagine sociale, o comunque di<br />

perdere la larga maggioranza di cui disponeva in epoca<br />

precedente.<br />

Dovendosi dunque valutare la sussistenza del periculum<br />

al momento della decisione, è evidente che il provvedimento<br />

reso inaudita altera parte deve essere revocato.<br />

In ragione delle rispettive proposte transattive che le<br />

parti hanno reciprocamente formulato in udienza, ricor-<br />

IL COMMENTO<br />

di Domenico Dalfino<br />

rono giusti motivi per disporre la compensazione integrale<br />

delle spese di lite.<br />

P.Q.M.<br />

revoca il provvedimento emanato con decreto del 29<br />

settembre 2011 compensando le spese.<br />

(omissis).<br />

Il Tribunale di Milano riconosce l’ammissibilità della sospensione della esecuzione della delibera assembleare<br />

anche prima dell’instaurazione della causa di merito, ai sensi dell’art. 2378, comma 3, c.c., sia pure nei ristretti<br />

limiti in cui la parte istante dimostri la difficoltà di incardinare tempestivamente la domanda di merito.<br />

Il provvedimento in epigrafe è condivisibile nella<br />

parte in cui afferma la necessità che la tutela cautelare<br />

trovi copertura costituzionale, principio questo<br />

che, del resto, nessuno oggi si sentirebbe di confutare<br />

(1). Tuttavia, alcuni passaggi della motivazione<br />

rivelano una certa incoerenza e, peraltro, non<br />

sono avallabili.<br />

La controversia aveva ad oggetto la contestazione<br />

della legittimità della sottoscrizione dell’aumento di<br />

capitale effettuata da un socio di s.r.l., in quanto avvenuta<br />

in asserita violazione dei diritti di altro socio,<br />

il quale, per questa ragione, aveva richiesto la sospensione<br />

della relativa deliberazione, individuando<br />

l’oggetto della instauranda causa di merito nell’accertamento<br />

della validità della propria contestuale<br />

sottoscrizione di aumento di capitale, «con i corollari<br />

attinenti all’esercizio dei diritti di socio nella formazione<br />

della volontà sociale». La sospensione veniva<br />

concessa con decreto inaudita altera parte.<br />

L’istante non qualificava espressamente la richiesta<br />

di sospensione. Il Tribunale, in sede di udienza<br />

per la conferma, modifica o revoca del provvedimento,<br />

premessa l’inammissibilità della tutela cautelare<br />

d’urgenza ex art. 700 c.p.c. con riferimento a declaratorie<br />

di mero accertamento (2), ha ritenuto di<br />

Note:<br />

(1) A questo risultato è giunta la Corte costituzionale da tempo.<br />

V. Corte cost. 28 giugno 1985, n. 190, in Foro it, 1985, I, 1881,<br />

con nota di A. Proto Pisani e in Giur. it., 1985, I, 1, 1297, con nota<br />

di M. Nigro, L’art. 700 c.p.c. conquista anche il processo amministrativo;<br />

Corte cost. 23 giugno 1994, n. 253, in Foro it.,<br />

1994, I, 2005, con nota di B. Capponi, Il reclamo avverso il provvedimento<br />

cautelare negativo (il difficile rapporto tra legislatore<br />

ordinario e legislatore costituzionale), inCorr. giur., 1994, 948,<br />

con nota di F. Tommaseo, Rigetto della domanda cautelare e<br />

Giurisprudenza<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

garanzia del reclamo einGiur. it., 1994, I, 409, con nota di C.<br />

Consolo, Il reclamo cautelare e la «parità delle armi» ritrovata;<br />

Corte cost. 31 maggio 2000, n. 161, in Giust. civ., 2000, I, 2531.<br />

A livello comunitario, v. Corte giust. 19 giugno 1990, n. 213/89,<br />

in Giur. it., 1991, I, 1, 1123, con nota di C. Consolo, Fondamento<br />

«comunitario» della giurisdizione cautelare; Corte giust. 21<br />

febbraio 1991, n. 143/88 e 92/89, in Foro it., 1992, IV, 1, con nota<br />

di A. Barone e Riv. dir. internaz. privato e proc., 1991, 108,<br />

con nota di G. Tesauro, Tutela cautelare e diritto comunitario;<br />

Corte giust. 9 novembre 1995, n. 465/93, in Giornale dir. amm.,<br />

1996, 333, con nota di E. Chiti, Misure cautelari positive ed effettività<br />

del diritto comunitario. Sulle provisional measures di cui<br />

all’art. 24 Reg. 44/2001, v. N. Trocker, La formazione del diritto<br />

processuale europeo, Torino, 2011, 286 ss.; C. Consolo - Van<br />

Uden - Mietz: un’evitabile Babele, inInt’l lis, 2002, 30 ss.; Id.,<br />

La tutela sommaria e la convenzione di Bruxelles: la «circolazione»<br />

comunitaria dei provvedimenti cautelari e dei decreti ingiuntivi,<br />

inRiv. dir. internaz. privato e proc., 1991, 593 ss.; E. Merlin,<br />

Le misure provvisorie e cautelari nello spazio giudiziario europeo,<br />

inRiv. dir. proc., 2002, 781 ss.; L. Querzola, Tutela cautelare<br />

e convenzione di Bruxelles nell’esperienza della Corte di giustizia<br />

delle Comunità europee, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,<br />

2000, 827 ss.<br />

(2) Sul punto la letteratura è vasta. Cfr., per l’ammissibilità, V.<br />

Andrioli, Commento al codice di procedura civile, IV, 1964, 259<br />

ss.; L. Montesano, I provvedimenti d’urgenza nel processo civile,<br />

Napoli, 1955, 66; A. Proto Pisani, Provvedimenti d’urgenza,<br />

voce dell’Enc. giur. Treccani, XXV, Roma, 1991, 18; F. Tommaseo,<br />

I provvedimenti d’urgenza, Padova, 1983, 254; G. Arieta, I<br />

provvedimenti d’urgenza, 2 a ed., 1985, 142; G. Guarnieri, Azione<br />

di mero accertamento, tutela d’urgenza e revoca degli amministratori,<br />

in questa Rivista, 1992, 1125 ss.; E. Vullo, I provvedimenti<br />

d’urgenza ex art. 700 c.p.c., in Chiarloni - Consolo (a cura<br />

di), I procedimenti sommari e speciali, II, Procedimenti cautelari,<br />

Torino, 2005, 1321 ss.; F. Santangeli, Il provvedimento d’urgenza<br />

ex art. 700 c.p.c. e la manutenzione del contratto, inRiv. dir.<br />

proc., 2006, 85, L. Dittrich, Il provvedimento d’urgenza ex art.<br />

700 c.p.c., in Tarzia - Saletti (a cura di), Il processo cautelare, Padova,<br />

2011, 281 ss. In senso problematico, v. E. Merlin, Variazioni<br />

sui rapporti tra misura cautelare, sentenza (di accertamento<br />

mero, di condanna o costitutiva) e giudicato favorevole al beneficiario<br />

della cautela: un punto trascurato anche nella l. 353/<br />

1990, inRiv. dir. proc., 1992, 959 ss. In senso critico, v. C. Petrillo,<br />

Riconosciuta infine a chiare lettere la inconciliabilità tra tutela<br />

ex art. 700 c.p.c. ed efficacia di accertamento, inCorr. giur.,<br />

2005, 411 ss.<br />

Le Società 7/2012 831


Giurisprudenza<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

inquadrare l’istanza nell’ambito della cautela tipica<br />

dell’art. 2378 c.c. Subito dopo, espressamente ha dichiarato<br />

di aderire «alla tesi secondo la quale la tutela<br />

in discorso è esperibile anche ante causam, purché<br />

dalla prospettazione di parte sia possibile desumere<br />

la difficoltà di incardinare per tempo la domanda di<br />

merito». Sennonché, ha poi aggiunto che anche<br />

«nella materia dell’impugnativa delle delibere assembleari<br />

può essere necessaria una tutela impellente,<br />

non potendosi negare il diritto ad una pronuncia urgente<br />

per diritti che possono subire pregiudizio imminente<br />

e irreparabile anche in un momento antecedente<br />

all’instaurazione della causa di merito».<br />

Orbene, in ciò si ravvisa una contraddizione. E<br />

infatti, per un verso, il Tribunale sembra aver voluto<br />

ammettere l’esperibilità ante causam della (sola)<br />

tutela cautelare tipica ex art. 2378 c.c.; per un altro,<br />

ha applicato ad essa i criteri di individuazione del<br />

periculum in mora richiesti dall’art. 700 c.p.c. (imminenza<br />

e irreparabilità).<br />

L’art. 2378 c.c. non individua le caratteristiche<br />

del pregiudizio che si vuole neutralizzare, limitandosi,<br />

al quarto comma, a stabilire che «il giudice designato<br />

per la trattazione della causa di merito, sentiti<br />

gli amministratori e sindaci, provvede valutando<br />

comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente<br />

dalla esecuzione e quello che subirebbe la<br />

società dalla sospensione dell’esecuzione della deliberazione».<br />

È il terzo comma a prevedere che l’urgenza<br />

di provvedere sia «eccezionale e motivata»,<br />

ma soltanto con riferimento al decreto motivato<br />

che il presidente del tribunale può emettere senza<br />

contraddittorio con la società «convenuta», con<br />

contestuale «designazione del giudice per la trattazione<br />

della causa di merito e la fissazione, davanti<br />

al giudice designato, entro quindici giorni, dell’udienza<br />

per la conferma, modifica o revoca dei provvedimenti<br />

emanati con il decreto, nonché la fissazione<br />

del termine per la notificazione alla controparte<br />

del ricorso e del decreto». Dunque, non soltanto<br />

il periculum in mora per ottenere la sospensione<br />

della deliberazione corrisponde alla ‘‘ordinaria’’<br />

urgenza di provvedere, ma anche nelle ipotesi ‘‘eccezionali’’<br />

in cui l’urgenza assurge ad un grado tale<br />

da giustificare un provvedimento inaudita altera parte,<br />

per essa non è richiesta la sussistenza di un livello<br />

di ‘‘irreparabilità’’.<br />

Ciò premesso, la tesi secondo la quale la sospensione<br />

della deliberazione può essere domandata e<br />

ottenuta ante causam, tanto attraverso il ricorso alla<br />

tutela cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. quanto attraverso<br />

quella tipica ex art. 2378 c.c. (3), non<br />

sembra condivisibile.<br />

Sul punto, come è noto, il dibattito ferve notevolmente<br />

(4).<br />

Note:<br />

(3) Sull’ammissibilità della tutela d’urgenza ante causam nella<br />

differente ipotesi in cui la causa sia devoluta in arbitrato, v. S. Izzo,<br />

Sulla sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari<br />

prima della costituzione del collegio arbitrale, in questa Rivista,<br />

563, ove ampi riferimenti.<br />

(4) La questione si è posta in termini analoghi con riferimento alla<br />

istanza di revoca degli amministratori di società a responsabilità<br />

limitata, ai sensi dell’art. 2476, comma 3, c.c., come modificato<br />

dalla riforma del 2003, questione connessa, peraltro, a<br />

quella relativa alla natura cautelare anticipatoria ovvero conservativa<br />

del relativo provvedimento. Nel senso dell’ammissibilità<br />

della domanda di revoca dell’amministratore di s.r.l. proposta<br />

ante causam, v. Trib. Roma 11 giugno 2004, in Corr. giur., 2005,<br />

262, con note di G. Arieta - M.P. Gasperini, La revoca cautelare<br />

ante causam degli amministratori di srl, e di C. Consolo, Note<br />

sul potere di revoca fra diritto e processo: è vera misura cautelare?<br />

Quale disciplina? Ante causam la revoca dell’amministratore<br />

ma non la inibitoria delle delibere?; Trib. Roma 22 giugno 2004,<br />

in Giur. mer., 2005, 95, con nota di C. Pedrelli, La proponibilità<br />

ante causam dell’istanza cautelare di revoca degli amministratori<br />

ex art. 2476, comma 3, c.c. trova conferma nella giurisprudenza;<br />

Trib. Roma 30 luglio 2004, in Giur. it., 2005, 309, con nota di<br />

O. Cagnasso, Diritto di controllo dei soci e revoca dell’amministratore<br />

per gravi irregolarità: primi provvedimenti in sede cautelare<br />

relativi alla «nuova» società a responsabilità limitata; Trib.<br />

Roma 5 agosto 2004, in questa Rivista, 2004, 1542, con nota di<br />

M. Malavasi, Revoca cautelare ex art. 2476 c.c.: ammissibilità<br />

ante causam e dubbi di legittimità costituzionale, nonché in Foro<br />

it., 2005, I, 868; in Corr. giur., 2005, 261, con note di G. Arieta -<br />

M.P. Gasperini - di C. Consolo, cit.; in Giur. mer., 2005, 306,<br />

con nota di S. Scarafoni, Il provvedimento cautelare di revoca<br />

degli amministratori di srl: inquadramento sistematico e riflessioni.<br />

Successivamente, v. Trib. Catania 14 ottobre 2004, in Dir.<br />

fall., 2005, II, 277, con nota di A. Penta, Ancora in tema di controllo<br />

giudiziario nella società a responsabilità limitata e brevi riflessioni<br />

sulla revoca degli amministratori; Trib. Marsala 15 marzo<br />

2005, in Foro it., 2005, I, 3469 e in Giur. it., 2005, 1468, con<br />

nota di C. Pedrelli, Questioni processuali in tema di azione ex<br />

art. 2476 c.c.; Trib. Napoli 22 marzo 2005, in Corr. giur., 2007,<br />

704, con nota di R. Pellegrini, Revoca cautelare degli amministratori<br />

di srl: ammissibilità ante causam ex art. 700 c.p.c. e domanda<br />

di revoca in via principale; Trib. Milano 12 gennaio 2006,<br />

in questa Rivista, 2007, 1009, con nota di D. Longo, Presupposti<br />

e strumentalità del provvedimento cautelare di revoca degli amministratori<br />

di s.r.l.; Trib. Milano 18 gennaio 2006, in questa Rivista,<br />

2007, 1141, con nota di G. Casaburi, Ammissibilità della revoca<br />

dell’amministratore di srl con misura cautelare ante causam;<br />

Trib. Agrigento 1 agosto 2006, in Dir. fall., 2007, II, 299,<br />

con nota di S. Ziino, Appunti sulla natura anticipatoria del provvedimento<br />

cautelare di revoca dell’amministratore di s.r.l.; Trib.<br />

Milano 30 agosto 2006, in Giur. mer., 2007, 1377, con nota di<br />

V. Sangiovanni, La revoca dell’amministratore di s.r.l.; Trib. Roma<br />

9 maggio 2007, in questa Rivista, 2008, 739, con nota di G.<br />

Di Cecco, La revoca giudiziale degli amministratori di società<br />

cooperative a r.l, nel senso che la disposizione di cui all’art.<br />

2476 c.c. in tema di revoca giudiziale dell’organo amministrativo<br />

con provvedimento cautelare ante causam trova applicazione<br />

anche per le società cooperative che, per legge o per scelta statutaria,<br />

sono rette dale norme in tema di società a responsabilità<br />

limitata ex art. 2519 e 2522 c.c., trattandosi di fattispecie diretta<br />

a consentire la revoca con carattere sanzionatorio dell’amministratore<br />

colpevole di gravi atti di mala gestio e, pertanto, del tutto<br />

diversa e non sovrapponibile a quella regolata dall’art. 2409<br />

c.c. (applicabile alle società cooperative in forza del disposto dell’art.<br />

2545 quinquiesdecies c.c.). In senso contrario, v. Trib.<br />

(segue)<br />

832 Le Società 7/2012


L’orientamento favorevole ad ammettere la sospensione<br />

prima dell’instaurazione della causa di<br />

merito sembra trovare un valido supporto, da un lato,<br />

nell’art. 24 Cost., invocato al fine di affermare<br />

l’incostituzionalità di un sistema che non garantisca<br />

la tutela sospensiva in via preventiva (5); dall’altro,<br />

nella generale previsione di cui all’art. 669 ter c.p.c.<br />

Nell’ambito di tale orientamento, peraltro, non vi<br />

è concordia di opinioni, poiché taluni ritengono che<br />

il rimedio esperibile sia rappresentato dalla tutela<br />

atipica di cui all’art. 700 c.p.c. (6), altri, invece, sostengono<br />

la possibilità di utilizzare ante causam il rimedio<br />

cautelare tipico di cui all’art. 2378 c.c. (7)<br />

La tesi contraria (8) afferma, invece, che non vi<br />

sia alcuno spazio per la sospendibilità della delibera<br />

prima della causa di merito, né attraverso la tutela<br />

offerta dall’art. 700 c.p.c. (9) né attraverso quella<br />

contenuta nell’art. 2378 c.p.c.<br />

Invero, le argomentazioni sulle quali si fonda quest’ultima<br />

tesi sono maggiormente persuasive (10).<br />

In primo luogo, il tenore letterale dell’art. 2378,<br />

comma 3, c.c. non lascia adito ad alcun dubbio sulla<br />

necessità che l’istanza cautelare sia proposta in corso<br />

di causa (11). Il ricorso cautelare va «depositato<br />

Note:<br />

(segue nota 4)<br />

Messina 18 luglio 2008, in Riv. dir. soc., 2010, 392, con nota di<br />

F. Mancuso, La revocabilità ante causam in via cautelare degli<br />

amministratori di società a responsabilità limitata; Trib. Perugia,<br />

19 marzo 2008, in Rass. giur. umbra, 2008, 445; Trib. Genova<br />

28 febbraio 2008, in Riv. dir. comm., 2010, II, 19, con nota di<br />

L.E. Fiorani, La revoca in via cautelare dell’amministratore di srl;<br />

Trib. Lucca 13 settembre 2007, in Giur. mer., 2008, 3187, n.<br />

M.M. Gaeta, La revoca ex art. 2259 c.c. degli amministratori<br />

della nuova srl einGiur. comm., 2009, II, 216, con nota di M.<br />

Prestipino, La tutela cautelare ex art. 2476, 38 comma, c.c. e il<br />

diritto del socio di chiedere la revoca giudiziale dell’amministratore<br />

di srl; Trib. Agrigento, 15 febbraio 2006, in Vita not., 2006,<br />

317; Trib. Vercelli 28 settembre 2005, in questa Rivista, 2006,<br />

885, con nota di E. Picaroni, Irregolarità di gestione e tutela del<br />

socio nella srl: la revoca cautelare degli amministratori; Trib. Brescia<br />

8 marzo 2005, in questa Rivista, 2005, 1254, con nota di F.<br />

Fanti, Proponibilità ante causam dell’azione di revoca degli amministratori<br />

di srl; Trib. Treviso 7 febbraio 2005, in Giur. it.,<br />

2005, 2107, con nota di G. Marra, La revoca degli amministratori<br />

della srl: personaggio in cerca d’autore; Trib. S.M. Capua Vetere<br />

20 luglio 2004, in questa Rivista, 2004, 1545, con nota di M.<br />

Malavasi, Revoca cautelare ex art. 2476 c.c.: ammissibilità ante<br />

causam e dubbi di legittimità costituzionale, cit. Sulla revoca<br />

cautelare, v., oltre ai riferimenti bibliografici innanzi indicati,<br />

M.G. Paolucci, La revoca cautelare dell’amministratore di srl, in<br />

Giur. comm., 2009, I, 1177; M. Comastri - F. Valerini, Natura<br />

conservativa e funzione inibitoria della revoca cautelare dell’amministratore<br />

di srl, inRiv. dir. civ., 2007, II, 451. Sul rapporto tra<br />

revoca cautelare e azione sociale di responsabilità, v. Trib. Torino<br />

20 maggio 2010, in questa Rivista, 2010, 1381, con nota di<br />

M.M. Gaeta, Rapporto di strumentalità tra revoca cautelare degli<br />

amministratori di srl e azione sociale di responsabilità. Da ultimo,<br />

sulle reciproche interferenze e differenze tra la revoca degli<br />

Giurisprudenza<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

amministratori e l’azione di responsabilità, v. I. Pagni, Revoca<br />

degli amministratori, azioni di responsabilità e tutela del credito,<br />

in questa Rivista, 2012, 451 ss.<br />

(5) Argomentazione questa, utilizzata con riferimento all’indirizzo<br />

giurisprudenziale che nega la possibilità di sospendere le deliberazioni<br />

ad esecuzione immediata e quelle già eseguite. Per riferimenti,<br />

v. S. Izzo, Sulla sospensione, cit.<br />

(6) Cfr. C. Consolo, La riforma societaria: aspetti processuali -<br />

Le prefigurabili inanità di alcuni nuovi riti commerciali, inCorr.<br />

giur., 2003, 1520; A. Carratta, Sub art. 2378, in Chiarloni (diretto<br />

da), Il nuovo processo societario, Bologna, 2004, 1160. In epoca<br />

anteriore alla riforma del diritto societario, v. Trib. Milano 20<br />

gennaio 1998, in questa Rivista, 1998, 811; Pret. Voghera 25 ottobre<br />

1991, in Giur. comm., 1994, 473; Trib. Milano 21 giugno<br />

1988, ivi, 1988, 904. In dottrina, G. Arieta, I provvedimenti di urgenza,<br />

cit., 70 ss., 83 e ss.; D. Rufini, Considerazioni sulla sospensione<br />

dell’efficacia di una delibera assembleare invalida di<br />

s.r.l. mediante provvedimento ante causam ex art. 700 c.p.c., in<br />

Giur. comm., 1998, 2, 270.<br />

(7) Cfr. G. Muscolo, Il nuovo regime dei vizi delle deliberazioni<br />

assembleari nella spa: cause ed effetti dell’invalidità dell’atto, in<br />

questa Rivista, 2003, 679; A. Pisani - Massamormile, La sospensione<br />

della delibera di assemblea di spa ed il nuovo modello di<br />

procedimento cautelare, inRiv. dir. comm., 1997, 879.<br />

(8) In senso contrario all’ammissibilità della tutela cautelare ante<br />

causam nell’ipotesi di impugnazione di delibere assembleari, v.<br />

G. Costantino, Note sulle proposte di accelerazione dei giudizi di<br />

impugnazione delle deliberazioni degli organi societari, in questa<br />

Rivista, 2000, 520 e ss.; R. Vaccarella, La riforma societaria,<br />

aspetti processuali, il rito ordinario, inCorr. giur. 2003, 1105; G.<br />

Olivieri, Il procedimento cautelare nel c.d. processo societario,<br />

in www.judicium.it; Bernabei, Le impugnative di delibere assembleari<br />

e degli atti di amministrazione (II parte), in questa Rivista,<br />

2006, 351; L. Abete, Sub art. 2378, in Sandulli - Santoro (a<br />

cura di), La riforma delle società, I, Torino, 2003, 367; U. Corea,<br />

La sospensione delle deliberazioni societarie nel sistema della<br />

tutela giurisdizionale, Torino, 2008.<br />

(9) Nel senso dell’inammissibilità del ricorso alla tutela d’urgenza,<br />

cfr. Trib. di Padova 10 gennaio 2012, in questa Rivista, 563,<br />

2012, su cui v. S. Izzo, Sulla sospensione, cit., in nota 24; v.,<br />

inoltre, Trib. Roma 17 novembre 2004, in Temi rom., 2005, 207;<br />

Trib. S.M. Capua Vetere 16 marzo 2004, in Giur. mer., 2004,<br />

1949; Trib. Catania 20 ottobre 2005, in www.judicium.it. Con riferimento<br />

alla disciplina anteriore alla riforma del diritto societario,<br />

v. Trib. Roma 24 settembre 2001, in Corr. giur., 2002, 949;<br />

Trib. Roma 12 marzo 2001, in questa Rivista, 2001, 1093; Trib.<br />

Cassino 1 dicembre 2000, ivi, 2001, 607; Trib. Como 11 febbraio<br />

1999, in Giur. it., 1999, 1881; Trib. Roma 2 settembre<br />

1996, in Impresa, 1996, 1649; Trib. Roma 18 marzo 1996, in<br />

Giur. it., 1997, I, 2, 81; Trib. Reggio Calabria, decr., 9 maggio<br />

1994, in Giust. civ., 1994, I, 2613, con nota di G. Vidiri, cit.; Trib.<br />

Catania 19 ottobre 1993, in Giur. comm., 1994, II, 691; Trib. Napoli<br />

11 giugno 1993, ivi, 472. In dottrina, v. F. Tommaseo, I<br />

provvedimenti d’urgenza, cit., 193 s.; C. Ferri, Le impugnazioni<br />

delle delibere assembleari. Profili processuali, inRiv. trim. dir. e<br />

proc. civ., 2005, Suppl. al n. 1, 65.<br />

(10) A seguito dell’abrogazione del rito societario, l’argomentazione<br />

fondata sull’art. 24, ultimo comma, D.Lgs. n. 5/2003, secondo<br />

cui «l’istanza di sospensione proposta a norma dell’art.<br />

2378 c.c. è disciplinata dalle disposizioni di cui al presente articolo»,<br />

non può più essere utilizzata. Per la stessa ragione, non<br />

ha ragione di ripetersi l’argomentazione facente capo alla tesi<br />

contraria secondo cui tra i criteri della legge delega 366/2001 figurava<br />

quello di prevedere una «più rapida ed efficace definizione<br />

dei procedimenti» (art. 12).<br />

(11) In questo senso, v. ampiamente U. Corea, Note in tema di<br />

tutela impugnatoria e tutela cautelare ante causam (a proposito<br />

degli art. 2378 c.c. e 700 c.p.c.), inGiusto processo civ., 2008,<br />

529 ss.<br />

Le Società 7/2012 833


Giurisprudenza<br />

Processo, arbitrato e mediazione<br />

contestualmente al deposito, anche in copia, della<br />

citazione». Ciò comporta con tutta evidenza che<br />

non si possa prescindere dalla previa notificazione<br />

dell’atto introduttivo del giudizio di merito. Argomentare<br />

in senso contrario, affermando che la lettera<br />

della norma non ammette ma non esclude neanche<br />

espressamente la possibilità di domandare la cautela<br />

ante causam, significherebbe tradire la ratio delle novità<br />

introdotte dalla riforma del 2003 (12).<br />

In secondo luogo, sul piano sistematico, di regola<br />

i procedimenti a carattere impugnatorio, abbiano<br />

essi ad oggetto provvedimenti amministrativi o delibere<br />

societarie, presuppongono l’esercizio del diritto<br />

di impugnazione (13); sicché, se tale diritto non<br />

è ancora stato esercitato, non è possibile procedere<br />

in via cautelare (14).<br />

In terzo luogo, l’inapplicabilità dell’art. 700<br />

c.p.c. deriva non soltanto dalla esistenza di un misura<br />

cautelare tipica (l’art. 2378, comma 3, c.c., appunto),<br />

ma anche dall’avvenuto superamento delle<br />

ragioni che, in base alla disciplina anteriore alla riforma<br />

del 2003, avevano indotto ad ammettere il<br />

ricorso alla tutela d’urgenza (15). L’ammissibilità<br />

dell’art. 700 c.p.c. ante causam, peraltro, potrebbe<br />

comportare la sopravvivenza sine die della delibera,<br />

sobbarcando la controparte dell’onere di avviare il<br />

giudizio a cognizione piena (in via di accertamento<br />

negativo) (16), al fine di eliminare gli effetti della<br />

delibera stessa.<br />

In quarto luogo, il meccanismo previsto dall’art.<br />

2378, comma 3, c.c. per il caso di ‘‘eccezionale e<br />

motivata urgenza’’, sembra sufficientemente in grado<br />

di soddisfare in tempi rapidi l’istanza di tutela in<br />

via cautelare (17) del ricorrente (18).<br />

In conclusione, nel caso di specie vi era certamente<br />

una non ‘‘ordinaria’’ urgenza di provvedere<br />

(corrispondente alla esigenza, rappresentata in ricorso,<br />

di una pronuncia entro una precisa data),<br />

che ha giustificato la concessione del provvedimento<br />

cautelare inaudita altera parte ex art. 2378, comma<br />

3, c.c. (non confermato in udienza, ma a causa<br />

della ritenuta insussistenza del periculum in mora al<br />

momento della decisione, avendo il ricorrente sottoscritto<br />

un ulteriore e più consistente aumento di<br />

capitale sociale, tale da consentirgli di «ottenere<br />

una larga maggioranza e di scongiurare conseguentemente<br />

il rischio paventato in ricorso [...] di vedersi<br />

esclusa dalla compagine sociale [...])».<br />

Tuttavia, non è dato comprendere a quali fattori<br />

sia stata dovuta la «difficoltà di incardinare per<br />

tempo la domanda di merito», desunta dal Tribunale<br />

dalla prospettazione di parte e posta a fondamento<br />

della ritenuta ammissibilità della tutela cau-<br />

telare ante causam. Orbene, se questa è consistita<br />

nella difficoltà di imbastire tempestivamente un atto<br />

di citazione con la necessaria specificazione dei<br />

motivi di impugnazione, allora il provvedimento in<br />

epigrafe è maggiormente criticabile, poiché avalla<br />

una tesi che rischia di dare per scontato che il ricorso<br />

cautelare possa anche prescindere da tale specificazione<br />

(19).<br />

Note:<br />

(12) Cfr. U. Corea, Note in tema di tutela impugnatoria, cit.,530s.<br />

(13) Cfr. U. Corea, Note in tema di tutela impugnatoria, cit., 534<br />

ss., ove ampi riferimenti di dottrina.<br />

(14) Cfr. G. Costantino, Note sulle proposte di accelerazione,<br />

cit., 520.<br />

(15) U. Corea, Note in tema di tutela impugnatoria, cit., 552.<br />

(16) Cfr. C. Consolo, La riforma societaria: aspetti processuali -<br />

Le prefigurabili inanità di alcuni nuovi riti commerciali, inCorr.<br />

giur., 2003, 1520 ss., il quale, pur ritenendo ammissibile la tutela<br />

ante causam ex art. 700 c.p.c., osserva come «non sia concepibile<br />

che la vita della società possa perdurare sine die, sulla base<br />

di una delibera semplicemente sospesa». Ciò induce a dubitare<br />

che il provvedimento di sospensione della delibera sia idoneo<br />

ad ‘‘anticipare’’ la sentenza (cfr., invece, R. Vaccarella, La riforma<br />

societaria: aspetti processuali - Il rito ordinario, inCorr.<br />

giur., 2003, 1501), apparendo preferibile la tesi che attribuisce<br />

ad esso carattere conservativo (v. G. Arieta - F. De Santis, Diritto<br />

processuale societario, Padova, 2004, 428), anche in considerazione<br />

della sua inidoneità a soddisfare l’interesse della parte<br />

istante, non potendo l’autorità del provvedimento cautelare impedire<br />

che la delibera sia reiterata senza alcun vincolo (cfr., sia<br />

pure in relazione al contesto dell’abrogato processo societario,<br />

D. Longo, Sub art. 24, in G. Costantino (a cura di), I procedimenti<br />

in materia commerciale, 567).<br />

(17) Cfr. U. Corea, Note in tema di tutela impugnatoria, cit., 533.<br />

(18) Si potrebbe obiettare che l’utilità del decreto motivato inaudita<br />

altera parte è destinata ad essere vanificata dalla iniziativa<br />

della società convenuta, la quale, resa edotta, a seguito della<br />

notificazione della citazione, della pendenza del giudizio di impugnazione,<br />

si affretti ad eseguire la delibera, prima che sopraggiunga<br />

il provvedimento di sospensione. L’obiezione non sarebbe<br />

affatto peregrina. L’iscrizione a ruolo della causa di merito attraverso<br />

il deposito della c.d. ‘‘velina’’ dell’atto di citazione, potrebbe<br />

contribuire a ridurre le probabilità di concretizzazione di<br />

tale rischio.<br />

(19) Sulla indefettibilità della specificazione dei motivi nei giudizi<br />

a struttura ‘‘impugnatoria’’, cfr. U. Corea, Note in tema di tutela<br />

impugnatoria, cit., 545 ss. e i riferimenti ivi contenuti.<br />

834 Le Società 7/2012


Osservatorio di giurisprudenza<br />

di legittimità<br />

di Vincenzo Carbone<br />

con la collaborazione di Romilda Giuffrè<br />

AMMINISTRATORI<br />

REVOCA PER GIUSTA CAUSA: SINDACATO DI GESTIONE<br />

@ Cassazione civile, sez. I, 24 maggio 2012, n. 8221 -<br />

Pres. Fioretti - Rel. Scaldaferri - P.P.F. c. Sire s.p.a.<br />

Società - Società per azioni - Amministratori - Revoca -<br />

Per giusta causa - Partecipazione a sindacato di gestione<br />

- Sussistenza - Fattispecie<br />

(Cod. civ. artt. 2341 bis, 2380 bis, 2383)<br />

È sussumibile nell’ipotesi normativa di giusta causa di<br />

revoca dell’amministratore il caso in cui questi abbia<br />

partecipato ad un patto parasociale avente le caratteristiche<br />

del c.d. ‘‘sindacato di gestione’’ (in base al quale i<br />

partecipanti si obbligano, come amministratori, a svolgere<br />

i loro compiti di gestione della società in conformità<br />

a quanto voluto e deciso dalla direzione del sindacato<br />

a maggioranza semplice), pur essendo quest’ultimo pienamente<br />

valido ed efficace tra i partecipanti; ciò in<br />

quanto l’ipotesi di giusta causa di revoca degli amministratori<br />

trova fondamento nel principio normativo della<br />

esclusività della funzione gestoria (massima non ufficiale).<br />

Società - Società per azioni - Sindacato di voto - Legittimità<br />

- Limiti<br />

I patti parasociali, pur vincolando esclusivamente le parti<br />

contraenti e non potendo incidere direttamente sull’attività<br />

sociale, devono ritenersi illegittimi quando il<br />

contenuto dell’accordo si ponga in contrasto con norme<br />

imperative o sia idoneo a consentire l’elusione di norme<br />

o principi generali dell’ordinamento inderogabili, ma<br />

non quando siano destinati a realizzare un risultato pienamente<br />

consentito dall’ordinamento (massima non ufficiale).<br />

L’assemblea ordinaria di una s.p.a., su proposta del nuovo<br />

socio di maggioranza, revoca il c.d.a., avendo appreso dell’esistenza<br />

di un patto parasociale sottoscritto tra gli amministratori:<br />

il patto prevedeva che la direzione del sindacato<br />

avesse la facoltà di adottare, a maggioranza semplice, le decisioni<br />

ritenute più opportune per la vita della società, e che<br />

essa direzione avesse altresì competenza esclusiva nelle assunzioni<br />

e licenziamenti dei quadri. Alcuni consiglieri revocati<br />

impugnano la delibera per insussistenza della giusta causa,<br />

chiedendo la condanna della società al risarcimento dei danni<br />

nei loro confronti. Il Tribunale di Torino accoglie la domanda.<br />

La Corte d’Appello accoglie parzialmente il gravame della<br />

società, ritenendo il patto illegittimo. I Giudici di legittimità,<br />

Diritto commerciale e societario<br />

Giurisprudenza<br />

@Il testo integrale delle sentenze è disponibile su:<br />

www.ipsoa.it/lesocieta<br />

nell’enunciare i suestesi principi di diritto, rigettano il ricorso<br />

degli amministratori soccombenti e cassano la sentenza di<br />

appello con rinvio.<br />

Nei medesimi termini della seconda massima, Cass. civ.,<br />

sez. I, 28 aprile 2010, n. 10215, in Resp. civ. e previd.,<br />

2010, 11, 2364; Cass. civ. 23 novembre 2001, n. 14865,<br />

con nota di Picone, in questa Rivista, 2001, 431; Cass.<br />

civ. 20 settembre 1995, n. 9975, con nota, tra gli altri, di<br />

Buonocore, in Giur. comm., 1997, II, 50; di Cottino, in<br />

Giur. it., 1996, I, 1, 164; di Vidiri in Giust. civ., 1996, I, 73;<br />

di Pernazza, in questa Rivista 1996, 37.<br />

ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE<br />

RISOLUZIONE DEL CONTRATTO<br />

@ Cassazione civile, sez. I, 14 maggio 2012, n. 7426 -<br />

Pres. Plenteda - Rel. Bisogni - P.G. c. G.A.<br />

Associazione in partecipazione - Contratto d’opera - Volontà<br />

delle parti - Differenze - Fattispecie<br />

(Cod. civ. artt. 1362, 2549)<br />

Il coinvolgimento del progettista nell’impresa, a mezzo<br />

di associazione in partecipazione, implica non già l’acquisizione<br />

di una prestazione di mero contenuto intellettuale<br />

(ottenibile con la stipulazione di un contratto d’opera),<br />

ma altresì l’utilizzabilità di quanto progettato, al<br />

fine della realizzazione di prodotti commerciabili (massima<br />

non ufficiale).<br />

Il Tribunale di Saluzzo e la Corte d’Appello di Torino rigettano<br />

la domanda di risoluzione contrattuale proposta da un associato<br />

in partecipazione contro l’altro associato, ritenendo<br />

adempiuta con la pattuita progettazione - sia pure errata ed<br />

inidonea alla produzione e commercializzazione di taluni oggetti<br />

- l’obbligazione del secondo. I Giudici di legittimità, con<br />

il suesteso principio di diritto, dando rilievo all’interpretazione<br />

della volontà delle parti, riformano la doppia conforme, cassando<br />

con rinvio.<br />

Non constano recenti precedenti in termini.<br />

CONSORZI URBANISTICI<br />

CONSORZI<br />

@ Cassazione civile, sez. I, 14 maggio 2012, n. 7427 -<br />

Le Società 7/2012 835


Diritto commerciale e societario<br />

Giurisprudenza<br />

Pres. Plenteda - Rel. Mercolino - G.C. c. Consorzio La Lamia<br />

ed altro<br />

Consorzi - Consorzi urbanistici - Definizione<br />

(Cod. civ. art. 24; L. n. 1150/1942, artt. 23, 28)<br />

I consorzi urbanistici consistono in aggregazioni di persone<br />

fisiche o giuridiche preordinate alla sistemazione o al<br />

miglior godimento di uno specifico comprensorio mediante<br />

la realizzazione e la fornitura di opere o servizi. In<br />

tali organismi, la giurisprudenza della Cassazione ha ravvisato<br />

figure atipiche, nelle quali i connotati delle associazioni<br />

non riconosciute si coniugano con un forte profilo di<br />

realità, dal momento che all’esistenza di una stabile organizzazione<br />

di soggetti funzionale al raggiungimento di<br />

uno scopo non lucrativo fa riscontro l’assunzione da parte<br />

dei consorziati di una serie di obblighi ricollegati in via<br />

immediata e diretta alla proprietà dei singoli cespiti e di<br />

quelli eventualmente comuni, con riferimento non solo<br />

alla gestione delle cose e dei servizi consortili, ma anche<br />

alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e<br />

secondaria (massima non ufficiale).<br />

Consorzi - Consorzi urbanistici - Caratteristiche - Normativa<br />

- Fattispecie<br />

(Cod. civ. art. 24; L. n. 1150/1942, artt. 23, 28)<br />

Ai fini della ricostruzione della disciplina dei rapporti interni<br />

tra consorziati, occorre avere riguardo alla volontà<br />

manifestata nello statuto e, soltanto ove questo non disponga,<br />

passare ad individuare la normativa più confacente<br />

alla regolamentazione degli interessi implicati dalla<br />

controversia, in considerazione della complessità della<br />

struttura degli organismi in questione, la quale rende<br />

insoddisfacente tanto un’applicazione generalizzata delle<br />

norme riguardanti le associazioni non riconosciute,<br />

quanto il ricorso a quelle in tema comunione o condominio<br />

(massima non ufficiale).<br />

Un consorzio tra proprietari di lotti inclusi in un piano di lottizzazione<br />

conviene in giudizio uno dei proprietari, chiedendone<br />

la condanna al pagamento delle quote non versate. Il Tribunale<br />

di Bari, subentrato alla soppressa Pretura locale, accoglie la<br />

domanda. La Corte territoriale rigetta l’appello della proprietaria,<br />

rilevando che quest’ultima, pur avendo alienato ad un terzo,<br />

chiamato in causa, il proprio lotto, non aveva comunicato il<br />

proprio recesso al consorzio né era stata da questo esclusa,<br />

giusta la previsione contenuta all’art. 24 c.c. I Giudici di legittimità<br />

cassano con rinvio la decisione impugnata, escludendo,<br />

attraverso l’enunciazione dei detti principi, la sussumibilità della<br />

fattispecie nella previsione di detta norma.<br />

In termini, Cass., sez. I, 28 aprile 2010, n. 10220, in Giust.<br />

civ. Mass., 2010.<br />

836 Le Società 7/2012


Osservatorio di giurisprudenza<br />

di merito<br />

di Alessandra Stabilini<br />

OPA<br />

LA RISARCIBILITÀ DEI DANNI DERIVANTI<br />

DALLA MANCATA RICOSTITUZIONE DEL FLOTTANTE<br />

@ Corte d’Appello di Milano, sez. I, 4 maggio 2012, n.<br />

1523 - Pres. Tarantola - Rel. Vigorelli - F.M. c. Edison<br />

s.p.a.<br />

Società - Società di capitali - Società per azioni quotate in<br />

un mercato regolamentato - Offerta Pubblica di Acquisto<br />

- Ricostituzione del flottante - Risarcibilità dei danni da<br />

mancata ricostituzione del flottante<br />

(D.Lgs. n. 58/1998, art. 108)<br />

La ricostituzione del flottante, essendo volta a consentire<br />

il regolare andamento delle negoziazioni attraverso<br />

un sufficiente livello di diffusione tra il pubblico delle<br />

azioni, può essere ottenuta mediante modalità diverse,<br />

purché idonee in concreto a determinare il grado di diffusione<br />

dei titoli ritenuto adeguato, grado la cui individuazione<br />

compete all’Autorità di vigilanza.<br />

Società - Società di capitali - Società per azioni quotate in<br />

un mercato regolamentato - Offerta Pubblica di Acquisto<br />

- Ricostituzione del flottante - Risarcibilità dei danni da<br />

mancata ricostituzione del flottante<br />

(D.Lgs. n.58/1998, art. 108)<br />

La lesione dell’aspettativa alla ricostituzione del flottante,<br />

eventualmente ingenerata con il prospetto e con le comunicazioni<br />

al mercato dal detentore delle partecipazioni<br />

eccedenti la soglia normativa rilevante nei confronti degli<br />

altri soci, non è idonea a comportare il risarcimento dei<br />

danni a favore di questi ultimi in quanto non è configurabile<br />

come aspettativa di un vantaggio, né implica un riconoscimento<br />

in capo al singolo azionista di un diritto soggettivo<br />

volto all’ottenimento di tale ricostituzione.<br />

La controversia trae origine da un vicenda che può essere<br />

riassunta come segue.<br />

A seguito di ingenti acquisizioni azionarie, alcuni primari soggetti<br />

economici giungevano a detenere la maggioranza del<br />

capitale sociale di Montedison. Gli stessi soggetti decidevano<br />

di far confluire tutte le partecipazioni in un’unica società<br />

denominata Italenergia, la quale, ritrovatasi a detenere il<br />

52% di Montedison, promuoveva un’OPA obbligatoria sull’intero<br />

capitale. Alla chiusura dell’OPA, Italenergia risultava<br />

detentrice del 96,86% di Montedison e del 95,71% di Edison,<br />

percentuali eccedenti il limite del 94% oltre il quale la<br />

stessa Italenergia, nel documento di offerta pubblica di ac-<br />

Diritto commerciale e societario<br />

Giurisprudenza<br />

@Il testo integrale delle sentenze è disponibile su:<br />

www.ipsoa.it/lesocieta<br />

quisto, dichiarava di non voler promuovere un’OPA residuale,<br />

optando per il ripristino di un flottante sufficiente ad assicurare<br />

il regolare andamento delle negoziazioni.<br />

Prima della chiusura dell’OPA la Consob fissava la percentuale<br />

minima di flottante nell’8% per Montedison e nel 6%<br />

per Edison. Frattanto Italenergia dava inizio ad un piano di ristrutturazione<br />

che avrebbe portato alla fusione tra la stessa<br />

Italenergia, Edison e Montedison. Tale operazione avrebbe<br />

richiesto un tempo superiore a quello richiesto dall’art. 108<br />

TUF, ma avrebbe consentito il ripristino del flottante sopra le<br />

suddette soglie. La Consob, all’uopo interrogata, condivideva<br />

le argomentazioni di Italenergia ritenendo l’operazione<br />

idonea alla corretta ricostituzione del flottante.<br />

Con atto di citazione in appello F.M., M.G. e M.P.M., detentori,<br />

all’epoca del lancio dell’OPA, dello 0,018% del capitale<br />

sociale di Edison, hanno convenuto quest’ultima in giudizio<br />

ritenendo che l’operazione di fusione non fosse idonea alla<br />

ricostituzione del flottante e chiedendo il risarcimento del<br />

danno conseguente a tale mancata ricostituzione, da parametrarsi<br />

al divario tra il prezzo d’OPA e quello di possibile<br />

realizzazione con riferimento al tempo immediatamente successivo<br />

allo spirare del termine per la ricostituzione del flottante.<br />

Il Collegio, ritenendo che (i) la lesione dell’aspettativa<br />

alla ricostituzione del flottante, eventualmente ingenerata<br />

con il prospetto e con le comunicazioni al mercato dal detentore<br />

delle partecipazioni eccedenti la soglia normativa rilevante<br />

nei confronti degli altri soci, non è idonea a comportare<br />

il risarcimento dei danni a favore di questi ultimi in quanto<br />

non è configurabile come aspettativa di un vantaggio, né implica<br />

un riconoscimento in capo al singolo azionista di un diritto<br />

soggettivo all’ottenimento di tale ricostituzione e (ii) comunque<br />

che nel caso di specie il flottante sarebbe stato ricostituito<br />

mediante l’operazione di fusione per incorporazione<br />

di cui sopra rigetta l’appello e condanna gli appellanti alla<br />

refusione delle spese del giudizio.<br />

È conforme alla prima massima la nota Consob n.<br />

98015349 del 27 febbraio 1998. Con riferimento alla seconda<br />

massima non si rinvengono precedenti in termini.<br />

SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA<br />

CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA DA PARTE DEI SOCI<br />

CHE RAPPRESENTANO ALMENO UN TERZO<br />

DEL CAPITALE SOCIALE<br />

@ Tribunale di Milano, sez. VIII, 7 maggio 2012, n. 5244 -<br />

Pres. Perrozziello - Rel. Galioto - R.B. c. Lighting Service<br />

s.r.l.<br />

Società - Società di capitali - Società a responsabilità limitata<br />

- Assemblea - Convocazione - Soci che rappresenta-<br />

Le Società 7/2012 837


Diritto commerciale e societario<br />

Giurisprudenza<br />

no un terzo del capitale sociale - Centralità del socio - Riforma<br />

del diritto societario<br />

(Cod. civ. art. 2479)<br />

Nel potere dei soci di s.r.l. che rappresentano almeno un<br />

terzo del capitale sociale di sottoporre gli argomenti di<br />

decisione all’assemblea, attribuito dall’art. 2479 c.c.,<br />

rientra altresì, per via estensiva, il potere di convocazione<br />

diretta dell’assemblea.<br />

Con atto di citazione, l’attore ha convenuto in giudizio la società<br />

Lighting Service s.r.l. per fare accertare e dichiarare che la<br />

delibera assunta dall’assemblea dei soci in data 3 settembre<br />

fosse invalida per difetto di convocazione. In particolare, l’attore<br />

ha sostenuto che l’assemblea dei soci in questione non fosse<br />

validamente costituita perché convocata direttamente dal<br />

socio di maggioranza in difetto dei poteri e in violazione di legge.<br />

Il Tribunale respinge le pretese di parte attrice, ritenendo<br />

che nel potere dei soci - che rappresentano almeno un terzo<br />

del capitale sociale - di sottoporre all’assemblea determinati argomenti<br />

di decisione, previsto nell’art. 2479 c.c., rientri altresì,<br />

per via estensiva, il potere di convocazione diretta dell’assemblea<br />

su quegli stessi argomenti. L’interpretazione estensiva<br />

dei poteri di cui all’art. 2479 c.c., conferiti ad una minoranza<br />

qualificata dei soci, è compatibile con la posizione dei soci di<br />

s.r.l. così come disegnata dalla riforma del diritto societario del<br />

2003. Il potere di convocare l’assemblea è infatti connaturato<br />

allo status di socio di s.r.l. ed è concorrente e sussidiario a<br />

quello che spetta all’organo amministrativo che eventualmente<br />

ometta di convocare l’assemblea quando glielo richieda una<br />

maggioranza qualificata dei soci. La legge delega ha infatti richiesto<br />

al legislatore delegato di conferire ampia autonomia<br />

statutaria alla società a responsabilità limitata in relazione ai<br />

suoi procedimenti decisionali. L’art. 2479 c.c., inoltre, in relazione<br />

alla richiesta di sottoporre all’assemblea determinati argomenti,<br />

non prevede nessun tipo di mediazione da parte degli<br />

amministratori e, dunque, fissa la centralità del potere decisionale<br />

in mano ai soci, attribuendo agli stessi la facoltà di avocare<br />

a sé ogni tipo di decisione della vita sociale.<br />

Il potere della minoranza qualificata dei soci di s.r.l. di convocare<br />

l’assemblea si pone come diritto parallelo a quello previsto,<br />

per i soci di s.p.a., dall’art. 2467 c.c. Tale ultima norma<br />

non potrebbe essere applicata nelle s.r.l. poiché, per tale<br />

via, si introdurrebbe nel sistema della s.r.l. uno strumento a<br />

sé estraneo che finirebbe, peraltro, per svalutare l’abrogazione<br />

del precedente art. 2486 c.c.<br />

Non si sono rinvenuti precedenti editi nel senso della<br />

massima. Per quanto concerne l’impossibilità di applicare<br />

nelle s.r.l. l’art. 2367 c.c., cfr. Trib. Napoli 13 luglio 2011, in<br />

questa Rivista, 2011, 10, 1230; App. Lecce 23 giugno 2005,<br />

in Foro it., 2006, 5, 1, 1549; Trib. Agrigento 29 dicembre<br />

2005, in Vita not., 2006, 1, 315; Trib. Roma 30 novembre<br />

2004, ivi, 2005, 308. In senso contrario, cfr. Trib. Brescia 8<br />

marzo 2005, in questa Rivista, 2005, 10, 1254 e Trib. Verona<br />

20 luglio 2004, in Vita not., 2005, 308.<br />

SOCIETÀ IN ACCOMANDITA SEMPLICE<br />

IL DIRITTO A PERCEPIRE GLI UTILI DI ESERCIZIO<br />

NELLA SOCIETÀ IN ACCOMANDITA SEMPLICE<br />

@ Corte d’Appello di Milano, sez. I, 15 febbraio 2012<br />

(udienza) - Pres. Tarantola - Rel. Aliverti - C.F. c. Fercal di<br />

M. A. & C. s.a.s.<br />

Società - Società di persone - Società in accomandita semplice<br />

- Diritto agli utili di esercizio - Approvazione rendiconto -<br />

Qualità di socio al momento dell’approvazione del rendiconto<br />

- Bilancio fiscale - Utilizzabilità<br />

(Cod. civ. artt. 2262, 2293, 2303, 2315)<br />

Nella società in accomandita semplice il diritto del singolo<br />

a percepire gli utili è subordinato, ai sensi dell’art.<br />

2262 c.c. (applicabile in forza del duplice richiamo agli<br />

artt. 2315 e 2293 c.c.) alla sola approvazione del rendiconto,<br />

situazione contabile che equivale a quella di bilancio<br />

e che, nell’ipotesi di società in cui uno solo è il socio<br />

accomandatario, coincide con quello della sua presentazione.<br />

Società - Società di persone - Società in accomandita<br />

semplice - Diritto agli utili di esercizio - Approvazione rendiconto<br />

- Qualità di socio al momento dell’approvazione<br />

del rendiconto - Bilancio fiscale - Utilizzabilità<br />

(Cod. civ. artt. 2262, 2293, 2303, 2315)<br />

Al fine di accertare la produzione di utili di una società<br />

commerciale possono essere utilizzate le risultanze del<br />

solo bilancio redatto a fini fiscali e non può esserne genericamente<br />

eccepita l’inutilizzabilità senza svolgere<br />

specifiche e pertinenti deduzioni in ordine ai concreti effetti<br />

che le divergenze tra la normativa fiscale e quella<br />

civilistica possono produrre.<br />

Società - Società di persone - Società in accomandita<br />

semplice - Diritto agli utili di esercizio - Approvazione rendiconto<br />

- Qualità di socio al momento dell’approvazione<br />

del rendiconto - Bilancio fiscale - Utilizzabilità<br />

(Cod. civ. artt. 2262, 2293, 2303, 2315)<br />

In tema di redditi prodotti in forma associata, qualora<br />

nel corso di un esercizio sociale di una società di persone<br />

si sia verificato il mutamento della composizione della<br />

compagine sociale, con il subentro di un socio nella<br />

posizione giuridica di un altro, i redditi della società devono<br />

essere imputati esclusivamente al contribuente<br />

che sia socio al momento della approvazione del rendiconto<br />

proporzionalmente alla sua quota di partecipazione<br />

agli utili e non già al socio uscente ed a quello subentrante<br />

attraverso una ripartizione in funzione della rispettiva<br />

durata del periodo di partecipazione alla società<br />

nel corso dell’esercizio.<br />

L’attore impugna in appello la sentenza di rigetto resa dal<br />

Tribunale di Milano, secondo il procedimento abbreviato di<br />

cui all’art. 281 sexies c.p.c. L’attore aveva convenuto in giudizio<br />

la società Fercal s.a.s. di A. M. & C. perché fosse condannata<br />

a pagargli la quota del 50% dell’utile percepito dalla<br />

società nella gestione relativa agli anni 1995,1996, 1997 e al<br />

periodo dal 1 gennaio 1998 al 6 maggio 1998, data in cui l’attore<br />

aveva ceduto a terzi la quota di capitale sociale di sua<br />

proprietà. In particolare, il diritto a percepire gli utili di esercizio,<br />

nella ricostruzione del socio, sarebbe attestato dalla co-<br />

838 Le Società 7/2012


municazione dell’ammontare degli utili effettuata ai fini fiscali<br />

dalla società tramite il proprio commercialista.<br />

La Corte d’Appello ritiene fondata l’impugnazione, affermando<br />

il principio di cui alla prima massima e rilevando come<br />

nella fattispecie, da un lato, l’attore avesse provato la sua<br />

qualità di socio e attestato la presenza di utili e, dall’altro, la<br />

società non avesse dato prova alcuna in ordine all’avvenuto<br />

pagamento delle somme pretese dal socio.<br />

Riguardo al diritto alla percezione degli utili dell’esercizio<br />

1998, la Corte nega il diritto dell’attore sul presupposto che<br />

il diritto spetti al socio che rivesta tale qualità al momento<br />

dell’approvazione del rendiconto.<br />

Sul diritto del socio a percepire gli utili: cfr. nella giurisprudenza<br />

di merito, Trib. Milano 11 settembre 2003, in<br />

Giur. comm., 2004, II, 434; Trib. Trani 19 settembre 2001,<br />

in questa Rivista, 481. In senso conforme alla prima massima,<br />

cfr. Cass. civ. 17 febbraio 1996, n. 1240, ivi, 1996,<br />

896. Con riguardo alla seconda massima si veda Cass.<br />

civ. 6 luglio 2007, n. 15304, in Gius. civ. Mass., 9. In relazione<br />

alla terza massima, si veda Cass. civ. 14 ottobre<br />

1994, n. 8423, ivi, 94 e in questa Rivista, 1995, 59.<br />

SOCIETÀ PER AZIONI<br />

PRINCIPI E CRITERI DI VALUTAZIONE PER VERIFICARE<br />

LA SUSSISTENZA DELLA CONTINUITÀ AZIENDALE<br />

@ Tribunale di Milano, sez. VIII, 7 maggio 2012, n. 5245 -<br />

Pres. Perozziello - Rel. Dal Moro - Prim s.p.a. c. Aedes<br />

s.p.a.<br />

Società - Società di capitali - Società per azioni - Società<br />

con azioni quotate - Continuità aziendale - Going concern<br />

- Piano attestato di risanamento - Ristrutturazione del debito<br />

- Situazione finanziaria - Bilancio - Nullità - Annullabilità<br />

- Criteri di redazione - Impugnazione<br />

(Cod. civ. artt. 2378, 2379, 2423, 2423 bis; D.Lgs. n. 58/<br />

1998, art. 157)<br />

La sussistenza della continuità aziendale va verificata<br />

sulla base di un’analisi della situazione finanziaria e dell’equilibrio<br />

finanziario, rappresentato dalla sincronia tra<br />

entrate e uscite connesse allo svolgimento della gestione,<br />

nel senso che le attività finanziarie a breve e media<br />

scadenza devono essere sufficienti a coprire i debiti a<br />

breve e media scadenza, e ciò tenuto conto dello specifico<br />

ciclo operativo aziendale.<br />

Società - Società di capitali - Società per azioni - Società<br />

con azioni quotate - Continuità aziendale - Going concern<br />

- Piano attestato di risanamento - Ristrutturazione del debito<br />

- Situazione finanziaria - Bilancio - Nullità - Annullabilità<br />

- Criteri di redazione - Impugnazione<br />

(Cod. civ. artt. 2378, 2379, 2423, 2423 bis; D.Lgs. n. 58/<br />

1998, art. 157)<br />

La valutazione della sussistenza della continuità aziendale<br />

comporta un giudizio prospettico sulla capacità dell’impresa<br />

di generare disponibilità liquide e mezzi equivalenti,<br />

della loro tempistica e del loro grado di certezza,<br />

Diritto commerciale e societario<br />

Giurisprudenza<br />

che deve essere condotto sulla base di indicatori finanziari,<br />

di indicatori gestionali e di altri indicatori (capitale<br />

ridotto al di sotto del minimo legale; esistenza di rischi<br />

connessi alla soccombenza in giudizi civili e fiscali; effetti<br />

di modifiche legislative o politiche governative).<br />

Società - Società di capitali - Società per azioni - Società<br />

con azioni quotate - Continuità aziendale - Going concern<br />

- Piano attestato di risanamento - Ristrutturazione del debito<br />

- Situazione finanziaria - Bilancio - Nullità - Annullabilità<br />

- Criteri di redazione - Impugnazione<br />

(Cod. civ. artt. 2378, 2379, 2423, 2423 bis; D.Lgs. n. 58/<br />

1998, art. 157)<br />

La situazione di insussistenza dei presupposti per redigere<br />

il bilancio in continuità può essere rimossa attraverso<br />

operazioni asseverate da un piano idoneo a consentire<br />

il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa<br />

e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria<br />

ex art. 67, comma 3, lett d), l. fall., o per effetto<br />

di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato<br />

dal tribunale ex art. 182 bis l. fall.<br />

La società Prim ha convenuto in giudizio la società quotata<br />

Aedes, di cui è socia titolare di azioni pari al 5,039%, impugnandone<br />

il bilancio di esercizio e il bilancio consolidato, adducendo<br />

la violazione delle norme che disciplinano i criteri di<br />

redazione e chiedendo la declaratoria di nullità o, in subordine,<br />

di annullamento della deliberazione assembleare di approvazione<br />

dei bilanci medesimi. In sintesi, la società attrice<br />

ha allegato l’esistenza di un cattivo risultato dell’esercizio,<br />

nel quale la società risulta avere subito significative perdite,<br />

con EBITDA e EBIT negativi, nonché la circostanza che le<br />

previsioni del piano attestato di risanamento ex art. 67, comma<br />

3, lett. d), l.fall., alla luce del quale la società era stata ricapitalizzata<br />

e aveva beneficiato in una imponente iniezione<br />

di liquidità, sarebbero state disattese. Ciò premesso, secondo<br />

la società attrice la relazione sulla gestione al bilancio dell’esercizio<br />

esprimeva un giudizio ottimistico sulla ripresa della<br />

società e non affrontava in modo esplicito e analitico le argomentazioni<br />

a sostegno della decisione di redigere il bilancio<br />

adottando il presupposto della continuità aziendale, tenuto<br />

anche conto che l’attuazione del piano di riorganizzazione<br />

industriale non avrebbe raggiunto i risultato auspicati. In definitiva,<br />

la società attrice, rilevando l’insussistenza dei presupposti<br />

di continuità aziendale, ha lamentato che i bilanci sarebbero<br />

stati redatti in violazione dell’art. 2423 bis, n. 1, c.c.,<br />

poiché le poste di bilancio avrebbero dovuto essere valutate<br />

a valori di realizzo, fornendo così una rappresentazione non<br />

chiara e non veritiera della situazione patrimoniale e finanziaria<br />

della società. La società convenuta si è costituita in giudizio,<br />

eccependo in via preliminare il difetto di legittimazione<br />

attiva dell’attrice e nel merito l’infondatezza delle domande<br />

da essa svolte. Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, la<br />

società convenuta ha anzitutto allegato di essere, a seguito<br />

del piano industriale di risanamento attestato, una impresa<br />

funzionante e pertanto tenuta a redigere il bilancio secondo<br />

criteri di continuità. In secondo luogo, ha rilevato che: la società<br />

attrice avrebbe erroneamente assunto il venire meno<br />

della continuità in ragione di uno squilibrio tra costi e ricavi,<br />

non tenendo conto che la continuità aziendale ben può sussistere<br />

anche in presenza di perdite considerevoli; la società<br />

attrice avrebbe fatto riferimento comunque a dati contabili<br />

Le Società 7/2012 839


Diritto commerciale e societario<br />

Giurisprudenza<br />

successivi all’approvazione del bilancio; il bilancio dell’esercizio<br />

successivo confermerebbe l’esistenza della continuità<br />

aziendale; la richiesta di mettere in liquidazione la società,<br />

presentata dalla società attrice in qualità di socio, sarebbe<br />

stata respinta dall’assemblea con l’87,468% del capitale sociale<br />

della società convenuta, la quale ha concluso rimarcando<br />

che l’iniziativa del socio attore rappresenterebbe una mera<br />

azione di disturbo.<br />

Il Tribunale, dopo aver rilevato l’infondatezza dell’eccezione<br />

di difetto di legittimazione attiva, nel merito rigetta integralmente<br />

l’impugnazione, «in ragione dell’inconsistenza degli<br />

elementi su cui si fondano le contestazioni di legittimità dedotte<br />

al bilancio». I Giudici, prima di affrontare le censure al<br />

bilancio svolte dalla società attrice, con ampie e interessanti<br />

argomentazioni, affrontano il tema dei principi in base ai quali<br />

valutare la sussistenza della continuità aziendale o «going<br />

concern». Al riguardo, il Tribunale richiama anzitutto il Documento<br />

570 sulla Continuità aziendale, elaborato dalla Commissione<br />

paritetica per i principi di revisione, documento<br />

che la Consob, con delibera n. 16231 del 21 novembre<br />

2007, ha stabilito venga adottato dalle società di revisione.<br />

Tale documento precisa che la continuità aziendale implica<br />

che l’impresa sia «in grado di continuare a svolgere la propria<br />

attività in un prevedibile futuro, senza che vi sia né l’intenzione<br />

né la necessità di metterla in liquidazione, di cessare<br />

l’attività o di assoggettarla a procedure concorsuali». Ciò<br />

premesso, i Giudici rilevano che se la continuità aziendale<br />

implica necessariamente l’equilibrio economico, inteso come<br />

capacità del sistema aziendale di garantire un’adeguata<br />

remunerazione dei fattori produttivi, tuttavia il solo dato del<br />

rapporto tra ricavi e costi non è di per sé sufficiente alla valutazione.<br />

Al fine di valutare la sussistenza della continuità<br />

aziendale, occorre infatti procedere all’analisi della situazione<br />

finanziaria in quanto essa mira a valutare l’equilibrio finanziario,<br />

ovvero la sincronia tra entrate (ricavi e mezzi equivalenti)<br />

ed uscite connesse allo svolgimento della gestione: le attività<br />

finanziarie a breve e media scadenza devono essere sufficienti<br />

a coprire i debiti a breve e media scadenza. Ai fini di<br />

una corretta analisi finanziaria è necessario, secondo i Giudici,<br />

individuare e considerare la lunghezza dello specifico ciclo<br />

operativo aziendale, cioè il tempo che l’azienda impiega<br />

per completare il proprio processo produttivo, dall’acquisizione<br />

dei fattori produttivi, all’incasso dei ricavi relativi, alla vendita<br />

del prodotto: il periodo di tempo, cioè, in cui un elemento<br />

del capitale aziendale impiega per convertirsi in liquidità. Il<br />

Tribunale chiarisce al riguardo, richiamando il Documento 12<br />

dei Principi contabili nazionali, che gli elementi del capitale<br />

aziendale si intendono a breve termine, quando possono essere<br />

convertiti in liquidità entro dodici mesi e a lungo termine<br />

se tale conversione avviene oltre i dodici mesi, e a lungo<br />

termine quando la conversione avviene oltre i dodici mesi, e<br />

di conseguenza li disequilibrio finanziario sussiste ogni qualvolta<br />

le attività finanziarie a breve-media scadenza non sia<br />

sufficienti a coprire i debiti a breve-media scadenza. La valutazione<br />

della continuità aziendale, osservano ancora i Giudici,<br />

comporta un giudizio prospettico articolato sulle capacità<br />

dell’impresa di generare disponibilità liquide e mezzi equivalenti,<br />

della loro tempistica e del loro grado di certezza; giudizio<br />

che deve essere condotto dagli amministratori alla luce<br />

degli indicatori finanziari (situazione di deficit patrimoniale o<br />

di capitale circolante netto negativo; prestiti a scadenza fissa<br />

e prossimi alla scadenza senza che vi siano prospettive di<br />

rinnovo o rimborso; principali indici economico-finanziari negativi;<br />

consistenti perdite operative o significative perdite di<br />

valore delle attività che generano cash flow; mancanza o di-<br />

scontinuità nella distribuzione di dividendi), degli indicatori<br />

gestionali (perdita di amministratori e dirigenti chiave senza<br />

riuscire a sostituirli; perdita di mercati fondamentali, di contratti<br />

di distribuzione, di concessioni o di fornitori importanti;<br />

difficoltà nell’organico del personale, ecc.), di altri indicatori,<br />

quali capitale ridotto al di sotto del limite legale; contenziosi<br />

legali e fiscali che, in caso di soccombenza, potrebbero comportare<br />

obblighi di risarcimento che l’impresa non è in grado<br />

di rispettare; modifiche legislative o politiche governative<br />

dalle quali si attendono effetti sfavorevoli per l’impresa).<br />

Il Tribunale rileva infine che, qualora dalla valutazione prospettica,<br />

condotta secondo i criteri sopra individuati, emerga<br />

l’assenza dei presupposti per redigere il bilancio in continuità,<br />

tale situazione negativa potrebbe essere rimossa attraverso<br />

operazioni asseverate da un piano idoneo a consentire<br />

il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad<br />

assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria ex art. 67,<br />

comma 3, lett. d), l.fall., o per effetto di un accordo di ristrutturazione<br />

dei debiti omologato dal tribunale ai sensi dell’art.<br />

182 bis l.fall. Se il presupposto di continuazione dell’attività<br />

viene meno senza la possibilità di alcun intervento di risanamento,<br />

la valutazione delle voci di bilancio non può più essere<br />

effettuato secondo valori di finanziamento, bensì secondo<br />

valori di liquidazione o di cessione. Per quanto concerne la<br />

valutazione in concreto della rappresentazione della situazione<br />

patrimoniale e finanziaria della società e del suo risultato<br />

economico dell’esercizio, il Tribunale rileva che, alla luce dei<br />

principi sopra indicati, le censure attoree risultano generiche<br />

e inconsistenti. In particolare, il Tribunale ritiene che il bilancio<br />

impugnato si riferisce a un esercizio nel quale è stato attuato<br />

con successo il piano industriale e di ristrutturazione<br />

del debito da questo previsto, in mancanza del quale il bilancio<br />

dell’esercizio 2008 non avrebbe potuto essere redatto<br />

secondo criteri di continuità. Il bilancio del 2008 (non impugnato)<br />

tiene conto del predetto piano industriale e quello del<br />

2009 si basa sulla effettiva realizzazione di quest’ultimo. Ciò<br />

premesso, i Giudici osservano come tutti gli elementi indicati<br />

dalla società attrice al fine di sostenere l’insussistenza di<br />

una continuità aziendale siano privi di rilevanza, imprecisi e<br />

generici e insufficienti. Attesa l’irrilevanza degli elementi addotti<br />

a sostegno dell’impugnativa, il comportamento processuale<br />

della società attrice, che avrebbe fornito prospettazioni<br />

parziali e omissive di dati che la stessa non poteva non conoscere,<br />

l’iniziativa giudiziaria è stata giudicata dal tribunale<br />

come temeraria, tenuto anche conto che la società convenuta<br />

è una società quotata. Di conseguenza, il Tribunale ha<br />

condannato la società attrice anche al pagamento di una<br />

somma a titolo di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.,<br />

parametrata all’importo delle spese di lite liquidate (in base<br />

al tariffario professionale, che continua ad essere, in attesa<br />

del previsto intervento legislativo, il punto di riferimento).<br />

Non si rinvengono precedenti editi in termini. Sulle problematiche<br />

relative alla valutazione della continuità<br />

aziendale (c.d. going concern), si v. C. Sottoriva, Continuità<br />

aziendale e informativa nelle relazioni finanziarie<br />

per le società quotate e non quotate. Le innovazioni a<br />

partire dai bilanci 2008, in questa Rivista, 2009, 638 ss.,<br />

ove ampi richiami ai principi e criteri indicati dalle autorità<br />

di vigilanza (Banca d’Italia, Consob e ISVAP), e ricavabili<br />

dalla prassi delle professioni economico-aziendali.<br />

840 Le Società 7/2012


Osservatorio di giurisprudenza<br />

penale dell’impresa<br />

di Marco Maria Scoletta<br />

REATI FALLIMENTARI<br />

BANCAROTTA FRAUDOLENTA E RILEVANZA<br />

DEI VANTAGGI COMPENSATIVI INFRAGRUPPO<br />

@ Cassazione penale, sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 4458 -<br />

Pres. Ferrua - Rel. Zaza<br />

Bancarotta fraudolenta per distrazione - Gruppi societari -<br />

Bancarotta infragruppo - Rilevanza della clausola dei vantaggi<br />

compensativi - Valutazione di rilevanza nel rispetto<br />

dell’autonomia soggettiva di ciascuna società appartenente<br />

al gruppo - Esclusione<br />

(Cod. civ. art. 2634; l.fall. art. 216)<br />

Ai collegamenti della società fallita nell’ambito del gruppo<br />

può essere attribuita incidenza anche nella valutazione<br />

della configurabilità dei reati di bancarotta, avuto riguardo<br />

ad un’indicazione normativa (art. 2634 c.c.) che<br />

comunque conferisce rilievo agli eventuali vantaggi<br />

compensativi in un’ottica riferibile al giudizio sulla correttezza<br />

della gestione societaria. L’influenza di questi<br />

elementi dovrà tuttavia essere esaminata nel rispetto<br />

dell’autonoma tutela delle ragioni creditorie specificamente<br />

riferibili alla società fallita. Occorrerà che l’operazione<br />

produca per la fallita benefici, sia pure indiretti, i<br />

quali si rivelino concretamente idonei a compensare efficacemente<br />

gli effetti immediatamente negativi dell’operazione<br />

stessa (massima non ufficiale).<br />

Nella vicenda oggetto della pronuncia in esame, era in discussione<br />

l’applicabilità della clausola dei ‘‘vantaggi compensativi’’<br />

ad una complessa fattispecie di bancarotta per distrazione<br />

infragruppo. Gli amministratori della società fallita erano<br />

stati infatti condannati in primo grado di giudizio e poi assolti<br />

in appello (relativamente alla imputazione di bancarotta<br />

fraudolenta per distrazione) sulla base di un’argomentazione<br />

che, in sostanza, escludeva un effettivo ed ingiustificato, o<br />

quanto meno percepibile come tale, depauperamento della<br />

società fallita come conseguenza delle operazioni contestate<br />

(suppostamente ‘‘distrattive’’). Secondo la ricostruzione del<br />

fatto operata dai giudici dell’appello, infatti, gli ingenti pagamenti<br />

realizzati dalla fallita nei confronti della capogruppo<br />

avrebbero trovato, giustificazione nell’ambito di un complessivo<br />

settlement agreement tra le società del gruppo, cioè di<br />

un accordo transattivo da cui avrebbero prospettivamente<br />

tratto beneficio tutte le parti contrattuali. Il Procuratore generale<br />

e le parti civili avevano impugnato la decisione d’appello,<br />

sostenendo il carattere effettivamente distrattivo delle<br />

operazioni posto in essere tra la società fallita e la controllante<br />

e considerando irrilevante l’accordo transattivo, in quanto<br />

in realtà ‘‘subìto’’ dalla fallita e comunque inidoneo ad assi-<br />

Diritto commerciale e societario<br />

Giurisprudenza<br />

@Il testo integrale delle sentenze è disponibile su:<br />

www.ipsoa.it/lesocieta<br />

curare un’adeguata e concreta forma di ristoro a fronte degli<br />

effetti negativi conseguenti ai pagamenti eseguiti a favore<br />

della copogruppo.<br />

Come sottolinea la Cassazione, le considerazioni svolte dalla<br />

pronuncia d’appello impugnata evocavano sostanzialmente,<br />

«pur senza chiamarla esplicitamente in causa, la problematica<br />

dei vantaggi compensativi derivanti a favore della fallita<br />

dal compimento di determinate operazioni nella logica commerciale<br />

e finanziaria del gruppo di società a cui la fallita<br />

stessa apparteneva, vantaggi tali da controbilanciare le deprivazioni<br />

patrimoniali immediatamente ricollegabili alle operazioni<br />

stesse».<br />

Nell’impostare la questione, la Suprema Corte tematizza preliminarmente<br />

la rilevanza della clausola degli interessi compensativi<br />

nell’ordinamento penale precisando che:<br />

(i) tale clausola è specificamente riferita dalla legge alla fattispecie<br />

di ‘‘infedeltà patrimoniale’’ infragruppo (art. 2634,<br />

comma 3, c.c.);<br />

(ii) nell’ipotesi di bancarotta rimane fermo il principio dell’autonomia<br />

soggettiva delle società facenti parte del gruppo, in<br />

quanto l’offensività dei fatti di bancarotta, rispetto agli interessi<br />

patrimoniali dei creditori della singola società, rimane<br />

impregiudicata qualora si registri un trasferimento di risorse<br />

ingiustificato dalla società debitrice in favore di altre società<br />

appartenenti al gruppo;<br />

(iii) ciò non esclude, tuttavia - come evidenziato nella massima<br />

sopra riportata - che «ai collegamenti della società fallita<br />

nell’ambito del gruppo può essere attribuita incidenza anche<br />

nella valutazione della configurabilità dei reati di bancarotta,<br />

avuto riguardo ad un’indicazione normativa (art. 2634 c.c.)<br />

che comunque conferisce rilievo agli eventuali vantaggi<br />

compensativi in un’ottica riferibile al giudizio sulla correttezza<br />

della gestione societaria»;<br />

(iv) l’influenza di questi elementi dovrà tuttavia essere esaminata<br />

nel rispetto dell’autonoma tutela delle ragioni creditorie<br />

specificamente riferibili alla società fallita; da ciò segue<br />

l’insufficienza, a questi fini, delle mere circostanze dalla collocazione<br />

della fallita all’interno di un contesto di gruppo di<br />

imprese e del vantaggio che le altre società o il gruppo complessivamente<br />

considerato possano ricavare dalle operazioni<br />

di trasferimento delle risorse patrimoniali della società fallita;<br />

(v) tali circostanze - prosegue la Corte - «integreranno unicamente<br />

i presupposti per la ricerca di uno specifico vantaggio<br />

che dall’atto di disposizione patrimoniale derivi anche in favore<br />

della fallita in maniera da escludere in concreto la lesività<br />

dell’atto per la garanzia dei creditori»;<br />

(vi) in conclusione, sarà necessario «che l’operazione produca<br />

per la fallita benefici, sia pure indiretti, i quali si rivelino<br />

concretamente idonei a compensare efficacemente gli effetti<br />

immediatamente negativi dell’operazione stessa» e pertanto<br />

che il vantaggio complessivamente riferibile al gruppo<br />

si trasferisca sulla fallita, in termini tali da «realizzare gli effetti<br />

compensativi».<br />

Valutando la sentenza oggetto del ricorso sulla base di tali<br />

Le Società 7/2012 841


Diritto commerciale e societario<br />

Giurisprudenza<br />

premesse di diritto, la Cassazione osserva, in primo luogo,<br />

che il pagamento (oggetto della contestazione) effettuato<br />

dalla fallita a favore della capogruppo non trovava adeguata<br />

giustificazione nelle dinamiche contrattuali tra le parti, risolvendosi<br />

viceversa in un depauperamento di risorse finanziarie<br />

per la fallita; in secondo luogo, che, anche nella prospettiva<br />

di operatività dei vantaggi compensativi (secondo il modello<br />

applicativo sopra descritto), il danno subito dalla fallita<br />

non trovava effettiva compensazione nei vantaggi economici<br />

individuati dalla sentenza impugnata. Tali introiti patrimoniali,<br />

infatti, avrebbero avuto efficacia compensativa nella misura<br />

in cui i maggiori esborsi precedentemente effettuati a favore<br />

dalla holding fossero stati inevitabili e cogenti; al contrario, ritenendo<br />

sostanzialmente ingiustificati i pagamenti pregressi,<br />

il vantaggio infine conseguito risulta senza dubbio parziale rispetto<br />

al danno subito e pertanto inidoneo ad attribuire concreta<br />

incidenza alla clausola compensativa al fine della esclusione<br />

della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta<br />

per distrazione.<br />

La sentenza della Cassazione, che in via di principio pare<br />

estendere ai reati di bancarotta l’applicabilità della clausola<br />

dei vantaggi compensativi (positivizzata dall’art. 2634, comma<br />

3, c.c. limitatamente al reato di infedeltà patrimoniale) -<br />

salvo poi disconoscere la presenza dei presupposti operativi<br />

nel caso concreto -, ricostruisce in realtà il contenuto e la<br />

portata lato sensu ‘‘scriminante’’ di tale clausola in modo<br />

affatto diverso - e notevolmente più ristretto - da quanto<br />

previsto dalla previsione codicistica. Sulla base di tale disposizione<br />

normativa, infatti, l’effetto di non punibilità del<br />

fatto dovrebbe derivare anche dalla ‘‘fondata prevedibilità’’<br />

della compensazione attraverso i vantaggi derivanti dall’appartenenza<br />

o dal collegamento al gruppo. La valutazione<br />

svolta della pronuncia qui segnalata, invece, si fonda sulla<br />

verifica di esistenza di un vantaggio ‘‘effettivamente conseguito’’<br />

dalla società fallita, che sia in grado di compensare<br />

il danno derivante dal precedente ingiustificato pagamento<br />

a favore di altra società del gruppo. Nella prospettiva della<br />

Corte, pertanto, la clausola dei vantaggi compensativi applicabile<br />

alla fattispecie di bancarotta distrattiva infragruppo<br />

avrebbe carattere essenzialmente oggettivo, valutabile in<br />

termini di assenza di concreta lesività del fatto rispetto all’interesse<br />

patrimoniale dei creditori della società fallita. Ricostruita<br />

in questi termini, la portata dei vantaggi compensativi<br />

risulta assai ridimensionata, in quanto conduce a risultati<br />

che potrebbero essere già raggiunti, sul piano ermeneutico,<br />

valorizzando correttamente il canone dell’offensività<br />

in relazione alla definizione dei confini tipici della condotta<br />

di distrazione.<br />

Una maggiore apertura della Cassazione in relazione alla<br />

rilevanza anche prognostica dei vantaggi compensativi<br />

nei reati di bancarotta è riscontrabile in Cass., sez. V, 24<br />

maggio 2006, n. 36764, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007,<br />

421 ss., secondo cui: «In tema di bancarotta fraudolenta<br />

per distrazione, nel valutare come distrattiva un’operazione<br />

di diminuzione patrimoniale senza apparente corrispettivo<br />

per una delle società collegate occorre tenere<br />

conto del rapporto di gruppo, restando escluso il reato<br />

se, con valutazione ex ante, i benefici indiretti per la società<br />

fallita si dimostrino idonei a compensare efficacemente<br />

gli effetti immediatamente negativi, sì da rendere<br />

l’operazione incapace di incidere sulle ragioni dei creditori<br />

della società»; la stessa impostazione appare riscontrabile<br />

in Cass., sez. V, 16 aprile 2009, Bossio, in questa<br />

Rivista, 2009, 886 ss., secondo cui: «In tema di reati falli-<br />

mentari, integra la distrazione rilevante ai fini della bancarotta<br />

fraudolenta patrimoniale, il trasferimento di risorse<br />

infra-gruppo, ossia tra società appartenenti allo stesso<br />

gruppo imprenditoriale, effettuato, senza alcuna contropartita<br />

economica, da società che versi in gravi difficoltà<br />

finanziarie a vantaggio di società in difficoltà economiche,<br />

posto che, in tal caso, nessuna prognosi fausta<br />

dell’operazione può essere consentita». Sulla insufficienza<br />

del mero riferimento all’interesse del gruppo al quale<br />

la società appartiene, cfr., ex multis, Cass., sez. V, 13<br />

gennaio 2009, n. 1137, in CED, rv. 242546. Precedentemente,<br />

la Cassazione si era espressa nel senso della<br />

inapplicabilità della clausola dei vantaggi compensativi<br />

prevista dall’art. 2634 c.c. ai reati fallimentari, cfr. Cass.,<br />

sez. V, 24 settembre 2003, Longo, in Cass. pen., 2005,<br />

1359; Cass. pen., sez. V, 27 maggio 2003, Tavecchia, ivi,<br />

2004, 2142. La dottrina ampiamente prevalente riconosce<br />

l’applicabilità della clausola dei vantaggi compensativi<br />

espressamente prevista in relazione alla fattispecie di<br />

infedeltà patrimoniale anche ai reati fallimentari: cfr.<br />

Amati, Infedeltà patrimoniale, in A. Rossi (a cura di),<br />

Reati societari, Torino, 2004, 425; Bellacosa, Obblighi di<br />

fedeltà dell’amministratore di società e sanzioni penali,<br />

Milano - Roma, 2006, 152 ss.; Benussi, L’infedeltà patrimoniale<br />

nei gruppi di società, Milano, 2006; Benussi, La<br />

Cassazione ad una svolta: la clausola dei vantaggi compensativi<br />

è esportabile nella bancarotta per distrazione,<br />

in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 421 ss.; Cocco, Sub art.<br />

223 l.f., in Palazzo - Paliero (a cura di), Commentario breve<br />

alle leggi penali complementari, Padova, 2003, 1005;<br />

Foffani, Sub art. 2634 c.c., inCommentario breve, cit.,<br />

1882; Masucci, Vantaggi del gruppo e dell’impresa collegata<br />

nel governo penale degli abusi di gestione, inRiv.<br />

trim. dir. pen. econ., 2005, 914 ss.; Napoleoni, Geometrie<br />

parallele e bagliori corruschi del diritto penale dei gruppi<br />

(bancarotta infragruppo, infedeltà patrimoniale e vantaggi<br />

compensativi), inCass. pen., 2005, 3808 ss. Nel senso<br />

della inapplicabilità della clausola dei vantaggi compensativi<br />

ai reati fallimentari cfr. Giovanardi, Sull’impossibilità<br />

di estendere i vantaggi compensativi ai reati fallimentari,<br />

in Cass. pen., 2005, 1359 ss.; Tencati, Conflitti di<br />

interessi. Profili penali innovativi, inImpresa, 2004, 879<br />

ss.; Bersani, Operazioni infragruppo e vantaggi compensativi<br />

nel diritto penale societario e fallimentare, inIl Fisco,<br />

2004, 6630; nonché Caraccioli, Gruppi di società e<br />

valenza strategica dell’art. 2634, comma 3, del codice civile,<br />

inImpresa, 2003, 883 ss. Nel senso che i vantaggi<br />

compensativi escludano la rilevanza penale della distrazione<br />

infragruppo già sul piano della tipicità, in quanto<br />

in tal caso non si profilerebbe una reale condotta ‘‘distrattiva’’,<br />

cfr. G. Cocco, Sub art. 223 l.f., cit., 1006. Nel<br />

senso che la clausola dei vantaggi compensativi possa<br />

operare solo condizionatamente al fatto che la società<br />

capogruppo (o comunque quella beneficiata da quella<br />

immediatamente danneggiata) non versi a sua volta in<br />

stato di insolvenza e che quella apparentemente danneggiata<br />

versi in una crisi reversibile, cfr. Benussi, La Cassazione<br />

ad una svolta, cit., 421 ss.; Bellacosa, Obblighi di<br />

fedeltà dell’amministratore, cit., 161; Napoleoni, Geometrie<br />

parallele, cit., 3810.<br />

842 Le Società 7/2012


RESPONSABILITÀ DA REATO<br />

DELLE PERSONE GIURIDICHE<br />

FRODE IN EROGAZIONI PUBBLICHE ATTRAVERSO<br />

FALSE FATTURAZIONI E PROFITTO CONFISCABILE<br />

@ Cassazione penale, sez. III, 10 maggio 2012, n. 17451 -<br />

Pres. Petti - Rel. Marini<br />

Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche<br />

- Utilizzo di fatture false - Confisca del profitto - Determinazione<br />

del quantum confiscabile - Necessaria valutazione<br />

in concreto degli effetti della condotta illecita per<br />

la quantificazione dell’indebito arricchimento confiscabile<br />

(Cod. pen. artt. 483, 640 bis; D.Lgs. n. 74/2000 art. 2;<br />

D.Lgs. n. 231/2001, art. 19)<br />

Nel caso di truffa in erogazioni pubbliche, l’identificazione<br />

del profitto cui ancorare il giudizio circa l’entità del<br />

profitto e della confisca, diretta o per equivalente, muta<br />

a seconda che mediante la condotta fraudolenta sia stata<br />

prospettata all’ente erogante una realtà difforme dal<br />

vero che ha consentito li perfezionamento del contratto<br />

e le successive erogazioni, oppure sia stata prospettata<br />

una realtà che ha permesso alla società di ottenere in<br />

modo indebito erogazioni maggiori di quelle cui avrebbe<br />

avuto diritto (massima non ufficiale).<br />

La sentenza qui osservata è meritevole di attenzione perché<br />

dà corretta applicazione ai principi espressi delle Sezioni Unite<br />

del 2008 sulla determinazione del ‘‘profitto confiscabile’’,<br />

precisandone ulteriormente la portata in relazione ad una fattispecie<br />

di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni<br />

pubbliche. Si tratta di un profilo problematico che, sebbene<br />

non nuovo in quanto già puntualizzato da precedenti decisioni<br />

della Corte di cassazione in relazione a fattispecie analoghe,<br />

ancora non si è radicato - come dimostra le vicenda<br />

oggetto del giudizio - nella giurisprudenza di merito.<br />

La frode, nel caso de quo, era stata attuata attraverso la predisposizione,<br />

tra l’altro, di scritture ideologicamente false, in<br />

quanto relative a fatture su operazioni inesistenti, e di altre<br />

attestazioni infedeli relative alla qualità di mezzi di produzione<br />

strumentali all’attribuzione dei finanziamenti.<br />

In questo modo, gli imputati erano riusciti ad ottenere l’erogazione<br />

di contributi statali, da parte del Ministero delle attività<br />

produttive, per un ammontare complessivo di circa 291<br />

milioni di euro. Proprio tale somma era stata qualificata ‘‘profitto’’<br />

del reato e per tale importo era stata pertanto ordinata<br />

la confisca ‘‘per equivalente’’ all’esito della sentenza di condanna<br />

pronunciata dal Tribunale di Catanzaro e poi confermata<br />

dalla Corte d’Appello distrettuale.<br />

La Corte d’Appello, a fronte delle censure degli imputati che<br />

lamentavano l’erronea determinazione del profitto confiscabile,<br />

aveva giudicato la legittimità della confisca sulla base<br />

del diffuso orientamento giurisprudenziale, confermato anche<br />

dalle Sezioni Unite del 2008, che lega il concetto di profitto<br />

a quello di ‘‘beneficio aggiunto di tipo patrimoniale’’,<br />

identificandolo cioè con ‘‘tutti i vantaggi ricavati dalla commissione<br />

dei reati’’, senza che si possa distinguere il profitto<br />

lordo da quello netto (così che, nel caso di specie, il profitto<br />

sarebbe consistito nell’intero importo della somma erogata<br />

dall’ente pubblico).<br />

I ricorrenti hanno sottoposto a censura tale statuizione, so-<br />

Diritto commerciale e societario<br />

Giurisprudenza<br />

stenendo come il profitto confiscabile debba coincidere non<br />

con l’intero importo erogato alla società ma, sostanzialmente,<br />

«con la minor somma corrispondente alla maggiorazione<br />

dei costi documentati attraverso supporti ideologicamente<br />

falsi».<br />

La Cassazione, nel decidere sulla questione, inquadra immediatamente<br />

la fattispecie sub iudice nello schema argomentativo<br />

tracciato dalle Sezioni Unite nel 2008 (tale decisione -<br />

come noto - aveva impostato e risolto la questione facendo<br />

riferimento, al fine di individuare il criterio per la determinazione<br />

del profitto confiscabile, alla distinzione tra ‘‘reati contratto’’<br />

e ‘‘reati in contratto’’). In particolare, la Corte nota come,<br />

nel caso in esame, non si versi «nell’ipotesi di radicale<br />

simulazione di operazioni destinate ad ottenere finanziamenti<br />

integralmente non dovuti»; solo in relazione a tali casi la<br />

Cassazione fa coincidere il profitto per il privato con l’intera<br />

erogazione da parte dell’ente pubblico. La vicenda in esame<br />

è viceversa inquadrabile nella giurisprudenza relativa ad analoghe<br />

fattispecie in tema di frode in pubbliche erogazioni,<br />

che ha opportunamente precisato come il profitto confiscabile<br />

debba essere limitato al «finanziamento indebitamente<br />

ottenuto» oppure all’«illecito arricchimento effettivamente<br />

conseguito». È entro questi limiti che - secondo la Cassazione<br />

in commento - deve essere correttamente contestualizzata<br />

l’affermazione delle Sezioni Unite - richiamata dalla decisione<br />

impugnata - secondo cui «il profitto del reato, in definitiva,<br />

va inteso come il complesso dei vantaggi economici<br />

tratti dall’illecito e a questo strettamente pertinenti».<br />

La Corte infatti osserva come, nella vicenda oggetto del ricorso,<br />

il finanziamento pubblico fosse stato ottenuto attraverso<br />

la presentazione di dichiarazioni e documentazioni da<br />

considerare non tutte ed integralmente false o simulate (si<br />

trattava, in molti casi, operazioni reali ma sovrafatturate): in<br />

considerazione di ciò «non tutte le somme ricevute dalla società<br />

beneficiata possono considerarsi in quanto tali profitto<br />

dei reato, ma solo quelle che siano state indebitamente percepite<br />

e che costituiscano vantaggio tratto dall’illecito e a<br />

questo strettamente pertinente». Tale valutazione - prosegue<br />

la Corte - deve essere svolta in concreto, dovendosi verificare<br />

«in primo luogo se il progetto di finanziamento presentato<br />

dalla società non sarebbe stato approvato e non<br />

avrebbe avuto esecuzione in assenza delle caratteristiche<br />

falsamente prospettate e attestate; in tal caso, appare evidente,<br />

il profitto per il privato e il danno per l’ente erogante<br />

coinciderebbero con l’intero ammontare del finanziamento<br />

erogato, posto che in assenza delle attività di frode il rapporto<br />

contrattuale non si sarebbe perfezionato. A diversa conclusione<br />

deve giungersi ove si accerti che il progetto, per la<br />

parte di operazioni effettivamente poste in essere, risulta<br />

conforme al dettato della legge e ai criteri di approvazione<br />

dell’ente erogante; in tal caso la condotta illecita avrebbe dato<br />

causa a erogazioni indebite esclusivamente per la quota<br />

di operazioni o di costi supportati dalle fatture per operazioni<br />

inesistenti e dalle relazioni ideologicamente false presentate<br />

in corso di esecuzione del contratto al fine di ottenere l’erogazione<br />

dei fondi in parte non dovuti. Con la conseguenza<br />

che il profitto dei reato coinciderebbe con la sola parte dei<br />

fondi non dovuti, restando lecitamente percepiti da parte<br />

della società quelli corrispondenti alle prestazioni effettive<br />

che la società stessa ha retribuito ai fornitori». Opportunamente,<br />

pertanto, la Cassazione ha enunciato a chiare lettere<br />

il principio di diritto riportato supra (in massima) e, conseguentemente,<br />

ha annullato la decisione di merito che aveva<br />

interpretato il dato normativo nel senso di identificare il profitto<br />

confiscabile in misura corrispondente all’intero importo<br />

Le Società 7/2012 843


Diritto commerciale e societario<br />

Giurisprudenza<br />

erogato dall’ente pubblico, senza la previa, necessaria valutazione<br />

relativa alla determinazione del quantum corrispondente<br />

al profitto effettivamente ‘‘indebito’’.<br />

Il leading case in merito alla determinazione del profitto<br />

confiscabile è costituito da Cass., sez. un., 27 marzo<br />

2008, n. 26654, Fisia Italimpianti, in questa Rivista, 2009,<br />

350 ss., che (come accennato supra) ha valorizzato la distinzione<br />

tra ‘‘reato-contratto’’ - che risulta integralmente<br />

contaminato da illiceità, con l’effetto che il relativo profitto<br />

è conseguenza immediata e diretta della medesima<br />

ed è pertanto integralmente confiscabile - e ‘‘reato in<br />

contratto’’ - in cui è invece possibile enucleare aspetti leciti<br />

del rapporto contrattuale, valido inter partes ed eventualmente<br />

annullabile, con la conseguenza che il corrispondente<br />

profitto tratto dall’agente ben può essere non<br />

ricollegabile alla condotta sanzionata penalmente; su tale<br />

pronuncia si vedano le note di note di Lottini, Il calcolo<br />

del profitto del reato ex art. 19 D.Lgs. n. 231/2001, in questa<br />

Rivista, 2009, 351 ss.; Epidendio, La nozione di profitto<br />

oggetto di confisca a carico degli enti, in Dir. pen.<br />

proc., 2008, 1267 ss.; Rossetti, Commento, ivi, 1273 ss.;<br />

Pistorelli, Confisca del profitto del reato e responsabilità<br />

degli enti nell’interpretazione delle sezioni unite, in Cass.<br />

pen., 2008, 4544 ss.; Mongillo, La confisca del profitto<br />

nei confronti dell’ente in cerca di identità: luci ed ombre<br />

della recente pronuncia delle Sezioni unite, inRiv. it. dir.<br />

proc. pen., 1758, e di Lorenzetto, Sequestro preventivo<br />

contra societatem per un valore equivalente al profitto<br />

del reato, ivi, 1788. In senso conforme alla pronuncia annotata,<br />

cfr. Cass., sez. II, 12 maggio 2011, Meraglia, in<br />

CED, rv. 251178, secondo cui: «Nel caso in cui la truffa<br />

aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche<br />

riguardi l’erogazione di mutui agevolati, il profitto realizzato<br />

dall’agente (che consiste nella percezione della<br />

somma mutuata dall’istituto finanziario) coincide con il<br />

danno patrimoniale subito dall’ente erogante, ed è equivalente<br />

all’importo del finanziamento indebitamente ottenuto»<br />

(la Corte ha precisato che l’eventuale restituzione<br />

all’istituto mutuante delle somme indebitamente percepite<br />

costituisce attività idonea a ridurre il danno conseguente<br />

al reato); Cass., sez. VI, 23 novembre 2010, Marini,<br />

in CED, rv. 248956, che prevede l’obbligo di verificare<br />

e motivare in concreto il quantum del profitto confiscabile:<br />

«va invero osservato che, con il peculiare strumento<br />

cautelare del sequestro per equivalente, il legislatore ha<br />

esplicitamente previsto che esso colpisca soltanto beni<br />

per un valore ‘‘corrispondente’’ al profitto conseguito<br />

dall’imputato o dall’indagato, volendo, con tale espressione,<br />

escludere un sequestro indiscriminato dei beni<br />

dell’imputato di valore eccedente il profitto del reato,<br />

stabilendo così un rapporto di ‘‘congruità’’ tra il profitto<br />

conseguito ed il valore dei beni sottoposti a vincolo e suscettibili<br />

di confisca. Pertanto, la questione concernente<br />

il quantum di beni sottoponibili nel caso concreto a sequestro<br />

non poteva non essere affrontata dal Tribunale,<br />

soprattutto in presenza di una documentazione prodotta<br />

dalla difesa volta a dimostrare la non corrispondenza tra<br />

il valore dei beni sottoposti a vincolo cautelare e la entità<br />

del profitto del reato (...). Il Tribunale ha, invece, totalmente<br />

omesso ogni motivazione su questo punto specifico<br />

indicato dalla difesa. Di fronte alla documentazione<br />

prodotta dalle parti private e agli articolati rilievi difensi-<br />

vi, il giudice del riesame avrebbe dovuto procedere ad<br />

un’analisi della documentazione e delle argomentazioni<br />

della difesa per giungere ad una decisione che, invece,<br />

nella sostanza non vi è stata»; in termini particolarmente<br />

chiari, cfr. Cass., sez. II, 9 febbraio 2011, n. 11590, in<br />

CED, rv. 249883, secondo la quale: «Il sequestro preventivo<br />

finalizzato alla confisca, ex art. 322 ter c.p., del profitto<br />

del reato può essere disposto anche solo parzialmente<br />

nella forma per equivalente, qualora non tutti i beni costituenti<br />

l’utilità economica tratta dall’attività illecita risultino<br />

individuabili»; sul tema, interessante anche quanto<br />

affermato da Cass., sez. V, 9 ottobre 2009, n. 2101, Sortino,<br />

in CED, rv. 245727: «Il sequestro preventivo, funzionale<br />

alla confisca ‘‘per equivalente’’, disposto nei confronti<br />

della persona sottoposta ad indagini per il reato di<br />

truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche,<br />

non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente<br />

il profitto del reato, sicché si impone la valutazione<br />

relativa all’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità<br />

del profitto sì come in sede di confisca» (in applicazione<br />

del principio enunciato, la Suprema Corte ha annullato<br />

l’ordinanza impugnata con la quale il tribunale del riesame<br />

aveva affermato che la questione concernente il<br />

quantum dei beni sottoponibili a sequestro attiene alla<br />

fase esecutiva e non incide sulla legittimità del provvedimento).<br />

Nella dottrina, per un quadro aggiornato e complessivo,<br />

si veda A. Perini, La nozione di ‘‘profitto del<br />

reato’’ quale oggetto della confisca per equivalente, in<br />

Bargi - Cisterna (a cura di), La giustizia patrimoniale penale,<br />

II, Torino, 2011, 909 ss.; Epidendio, La confisca nel<br />

diritto penale e nel sistema delle responsabilità degli enti,<br />

Padova, 2011, spec. 104 ss.<br />

REATO DELLA PERSONA GIURIDICA<br />

ED ESTENSIONE DEL SEQUESTRO PREVENTIVO<br />

AI CONCORRENTI PERSONE FISICHE<br />

@ Cassazione penale, sez. II, 31 maggio 2012, n. 20976 -<br />

Pres. Esposito - Rel. D’Arrigo<br />

Sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente<br />

- Reato di corruzione commesso nell’interesse della<br />

persona giuridica - Estensione del sequestro anche nei<br />

confronti delle persone fisiche concorrenti nel reato -<br />

Esclusione della preventiva escussione della persona giuridica<br />

- Sequestro estensibile all’intera entità del profitto -<br />

Limite dell’ammontare complessivo del profitto illecito<br />

(Cod. pen. art. 322 ter; D.Lgs. n. 231/2001, artt. 19, 53)<br />

Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente<br />

sui beni della persona fisica non richiede, per la<br />

sua legittimità, la preventiva escussione del patrimonio<br />

della persona giuridica nell’interesse della quale il reato è<br />

stato commesso e può interessare indifferentemente ciascuno<br />

dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto<br />

accertato, anche se l’espropriazione non può essere duplicata<br />

o comunque eccedere nel quantum l’ammontare<br />

complessivo dello stesso (massima non ufficiale).<br />

La Corte di cassazione, con la sentenza qui esaminata, affronta<br />

uno dei numerosi aspetti problematici relativi alla concreta<br />

portata del sequestro e della confisca per equivalente<br />

844 Le Società 7/2012


(nel caso de quo si trattava di quella prevista dall’art. 322 ter<br />

c.p.), in particolare qualora riferiti a reati commessi ‘‘in concorso’’<br />

tra persone giuridiche e persone fisiche.<br />

I ricorrenti (persone fisiche) avevano eccepito l’illegittimità<br />

dell’estensione anche nei loro confronti del sequestro preventivo<br />

per equivalente adottato ex artt. 19 e 53, D.Lgs. n.<br />

231/2001 nei confronti della persona giuridica (nell’ambito<br />

della quale almeno uno dei ricorrenti rivestiva una posizione<br />

‘apicale’ essendone il legale rappresentante) imputata per la<br />

commissione di taluni fatti di corruzione. Secondo i rilievi difensivi,<br />

infatti, l’ambito applicativo del sequestro preventivo<br />

applicato nel caso di specie sarebbe coincidente con la sfera<br />

di applicabilità del D.Lgs. n. 231/2001 e quindi limitato agli<br />

enti collettivi tipizzati dall’art. 1 di tale decreto legislativo<br />

(con sicura esclusione, pertanto, dell’estensione nei confronti<br />

delle persone fisiche).<br />

La Corte di Cassazione, rigettando il ricorso, sottolinea come<br />

l’estensione del sequestro preventivo per equivalente nei<br />

confronti delle persone fisiche concorrenti nel reato della<br />

persona giuridica trovi diretto ed autonomo fondamento giuridico<br />

nel disposto dell’art. 322 ter c.p., secondo cui la confisca<br />

per equivalente (ed il sequestro a ciò preordinato) «deve<br />

essere disposta nei confronti del reo, quindi anche della persona<br />

fisica materialmente autrice del reato». D’altra parte, la<br />

disposizione normativa pone come unico limite alla confiscabilità<br />

dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato<br />

la loro ‘‘appartenenza’’ a ‘‘persona estranea al reato’’.<br />

Secondo la Cassazione, peraltro, l’estensione del sequestro<br />

preventivo per equivalente nei confronti delle persone fisiche<br />

concorrenti con la persona giuridica nella realizzazione<br />

dell’illecito penale non richiede neppure - in quanto nessuna<br />

norma lo impone - la preventiva escussione del patrimonio<br />

della società nell’interesse della quale è stato perpetrato il<br />

reato.<br />

Non solo: il sequestro preventivo, in caso di concorso di persone<br />

(fisiche e giuridiche) nel reato, può essere legittimamente<br />

disposto indifferentemente nei confronti di ciascuno dei<br />

concorrenti anche per l’intera entità del profitto (o del prezzo)<br />

accertato. Tale conclusione, secondo la Suprema Corte, sarebbe<br />

la coerente conseguenza del ‘‘principio solidaristico’’<br />

che informa la disciplina del concorso di persone nel reato e<br />

implica la piena solidarietà tra concorrenti sia in relazione al<br />

fatto di reato (‘‘l’imputazione dell’intera azione delittuosa’’) sia<br />

in relazione alle conseguenze punitive (‘‘solidarietà nella pena’’).<br />

Conseguentemente, alla luce del carattere ‘‘sanzionatorio’’<br />

della confisca per equivalente, «la stessa può interessare<br />

ciascuno dei concorrenti fino all’intera entità del prezzo o del<br />

profitto del reato. L’eventuale riparto fra i concorrenti costituisce<br />

fatto interno ai rapporti tra gli stessi».<br />

La Corte pone un limite solo al quantum di profitto (o di prezzo)<br />

confiscabile in capo al singolo concorrente nel reato:<br />

l’ammontare complessivo del sequestro preventivo funzionale<br />

alla confisca non può in nessun caso superare, anche<br />

qualora ‘‘frazionato’’ tra i diversi soggetti solidalmente responsabili,<br />

l’intera entità del profitto (o del prezzo) illecitamente<br />

ottenuto ed accertato.<br />

La conclusione della Cassazione, che corrisponde all’orientamento<br />

prevalente nella giurisprudenza (rispetto al quale si<br />

registrano, tuttavia, opinioni divergenti anche in sede di legittimità),<br />

coinvolge importanti e delicati profili di carattere generale<br />

e si espone ad osservazioni critiche meritevoli di un<br />

approfondimento che non può essere svolto in questa sede.<br />

In estrema sintesi: anche accedendo - come pare ragionevole<br />

- alla tesi che inquadra l’illecito dell’ente collettivo nel paradigma<br />

del ‘‘tipo concorsuale’’ (e quindi riconoscendo la<br />

Diritto commerciale e societario<br />

Giurisprudenza<br />

‘‘unicità’’ del fatto illecito alla cui realizzazione possono concorrere<br />

persone fisiche et etiam persone giuridiche), nonché<br />

riconoscendo - come imposto dalla giurisprudenza della Corte<br />

europea - natura ‘‘sanzionatoria’’ alla confisca per equivalente,<br />

non pare che l’affermazione della ‘‘solidarietà passiva’’<br />

in capo a ciascun concorrente nel reato (persona fisica o giuridica)<br />

costituisca un effetto necessariamente succedaneo.<br />

In primo luogo, proprio il principio di proporzionalità della pena<br />

dovrebbe suggerire di calibrare anche la sanzione/confisca<br />

in relazione al disvalore oggettivo e soggettivo del fatto,<br />

evitando trattamenti sanzionatori indiscriminatamente omologanti;<br />

in secondo luogo, il riconoscimento del carattere<br />

sanzionatorio della confisca per equivalente non cancella ipso<br />

iure il necessario collegamento funzionale di tale misura<br />

con il profitto o il prezzo del reato (anche se in via ‘‘surrogatoria’’<br />

rispetto alla loro materiale ablazione). In sostanza, anche<br />

nella quantificazione dell’entità della confisca/sanzione<br />

(e del correlativo sequestro preventivo) nei confronti del singolo<br />

concorrente nel reato, sarebbe doveroso tener conto<br />

del quantum illecitamente ottenuto (dal soggetto ‘‘sanzionato’’)<br />

al fine di commisurare il tantundem della pena.<br />

In conclusione, sembra che il ‘‘principio solidaristico’’, affermato<br />

dalla Cassazione in merito alla portata applicativa della<br />

confisca per equivalente, si ponga in forte attrito con i fondamentali<br />

principi di personalità e di proporzionalità dello ius<br />

punitivo e che, conseguentemente, sia auspicabile un ripensamento<br />

dell’orientamento giurisprudenziale ribadito dalla<br />

pronuncia qui segnalata. Appare infatti più conforme ai principi<br />

penalistici un distribuzione pro quota dell’entità della<br />

confisca (e del sequestro), da determinare sulla base del<br />

profitto effettivamente percepito da ciascun concorrente nel<br />

reato; un’estensione di tali provvedimenti ablativi ‘‘per equivalente’’<br />

a coloro che, pur concorrendo nel reato, non risultino<br />

aver beneficiato personalmente dai vantaggi patrimoniali<br />

illeciti, sarebbe giustificabile solo nella misura in cui sia effettivamente<br />

impossibile rintracciare i beni illeciti nella sfera patrimoniale<br />

del destinatario diretto del profitto o del prezzo<br />

del reato e possa concretamente essere presunto un loro<br />

trasferimento nella sfera patrimoniale degli altri correi.<br />

Nello stesso senso della sentenza qui annotata si sono<br />

pronunciate, sebbene incidentalmente, anche le Sezioni<br />

Unite: cfr. Cass., sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, Fisia<br />

Italimpianti, in questa Rivista, 2009, 350 ss.: «In tema di<br />

responsabilità da reato degli enti, nel caso di illecito plurisoggettivo<br />

deve applicarsi il principio solidaristico che<br />

implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente<br />

in capo a ciascun concorrente e pertanto, una<br />

volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la<br />

sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato<br />

possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti<br />

anche per l’intera entità del profitto accertato,<br />

ma l’espropriazione non può essere duplicata o comunque<br />

eccedere nel ‘‘quantum’’ l’ammontare complessivo<br />

dello stesso»; si veda inoltre, ex multis, Cass., sez. fer.,<br />

28 luglio 2009, n. 33409, in Cass. pen., 2010, 3104 ss.;<br />

Cass., sez. VI, 5 marzo 2009, n. 26611, in Cass. pen.,<br />

2010, 4274 ss.: «il sequestro preventivo funzionale alla<br />

confisca per equivalente del profitto del reato di corruzione<br />

può incidere contemporaneamente od indifferentemente<br />

sui beni dell’ente che dal medesimo reato ha tratto<br />

vantaggio e su quelli della persona fisica che lo ha<br />

commesso, con l’unico limite per cui il vincolo cautelare<br />

non può eccedere il valore complessivo del suddetto<br />

profitto»; in senso particolarmente ampio (in quanto ri-<br />

Le Società 7/2012 845


Diritto commerciale e societario<br />

Giurisprudenza<br />

tiene espressamente irrilevante, ai fini della determinazione<br />

del quantum sequestrabile, la circostanza che parte<br />

del profitto illecito sia stato incamerato da altri concorrenti),<br />

cfr. Cass., sez. II, 21 febbraio 2007, n. 9786, Alfieri,<br />

in CED, rv. 235842: «È legittimo il sequestro preventivo,<br />

funzionale alla confisca di cui all’art. 322 ter c.p., eseguito<br />

in danno di un concorrente del reato di cui all’art. 316<br />

bis c.p., per l’intero importo relativo al prezzo o profitto<br />

dello stesso reato, nonostante le somme illecite siano<br />

state incamerate in tutto o in parte da altri coindagati, in<br />

quanto, da un lato, il principio solidaristico, che informa<br />

la disciplina del concorso di persone nel reato, implica<br />

l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto<br />

conseguente in capo a ciascun concorrente e comporta<br />

solidarietà nella pena; dall’altro, la confisca per equivalente<br />

riveste preminente carattere sanzionatorio e può<br />

interessare ciascuno dei concorrenti anche per l’intera<br />

entità del prezzo o profitto accertato, salvo l’eventuale riparto<br />

tra i medesimi concorrenti che costituisce fatto interno<br />

a questi ultimi e che non ha alcun rilievo penale»;<br />

nei medesimi termini anche Cass., sez. VI, 28 gennaio<br />

2009, n. 5401, in CED, rv. 242777; si veda anche, Cass.,<br />

sez. I, 27 ottobre 2009, Banca credito cooperativo, in Dir.<br />

pen. proc., 2010, 34 ss.; Cass., sez. VI, 8 maggio 2009, n.<br />

19764, in Cass. pen., 2010, 1956 ss.; Cass., sez. II, 14 giugno<br />

2006, n. 31989, Troso, in questa Rivista, 2008, 241<br />

ss. In particolare, per l’esclusione della preventiva escussione<br />

della persona giuridica, Cass., sez. III, 27 gennaio<br />

2011, n. 7138, in CED, rv. 249398; Cass., sez. II, 14 marzo<br />

2007, n. 10838, in CED, rv. 235827. Nel senso invece di limitare<br />

- come riteniamo condivisibile (v. supra) - l’entità<br />

della confisca a quella porzione di profitto effettivamente<br />

conseguita dal soggetto colpito dalla misura sanzionatoria<br />

(argomentando proprio in ragione del carattere ‘‘punitivo’’<br />

della misura in esame), cfr. Cass., sez. VI, 20 febbraio<br />

2009, n. 10690, Giallongo, in CED, rv. 243189: «In<br />

caso di pluralità di indagati quali concorrenti in un medesimo<br />

reato compreso tra quelli per i quali è consentita<br />

la confisca «per equivalente» ai sensi dell’art. 322-terc.p.,<br />

tale misura non può eccedere, per ciascuno dei concorrenti,<br />

la quota di prezzo o profitto a lui attribuibile»; in<br />

termini simili, Cass., sez. VI, 9 luglio 2007, n. 35120, Linguiti,<br />

in CED, rv. 237290, secondo la quale, «nell’ipotesi<br />

di pluralità di indagati come concorrenti in un medesimo<br />

reato compreso tra quelli per i quali, ai sensi dell’art. 322<br />

ter c.p., può disporsi la confisca «per equivalente» di beni<br />

per un importo corrispondente al prezzo o al profitto<br />

del reato, il sequestro preventivo funzionale alla futura<br />

adozione di detta misura non può eccedere, per ciascuno<br />

dei concorrenti, la misura della quota di prezzo o profitto<br />

a lui attribuibile, salvo che, in ragione dei rapporti<br />

personali o economici esistenti tra i concorrenti o della<br />

natura della fattispecie concreta, la quota di prezzo o<br />

profitto imputabile a ciascun concorrente non sia immediatamente<br />

individuata o individuabile, ma sia destinata<br />

a essere accertata solo in fase di giudizio, nel qual caso<br />

il sequestro stesso può essere disposto per l’intero importo<br />

nei confronti di ciascuno dei concorrenti»; negli<br />

stessi termini, cfr. Cass., sez. VI, 5 maggio 2007, n.<br />

31690, in CED, rv. 236900. Si vedano anche le puntualizzazioni<br />

espresse da Cass., sez. V, 14 dicembre 2011, n.<br />

46500, in CED, rv. 251205, secondo la quale «Il sequestro<br />

preventivo, funzionale alla confisca per equivalente del<br />

prezzo o del profitto del reato, è legittimamente adottato<br />

sole se, per una qualsivoglia ragione, i proventi dell’attività<br />

illecita, di cui pure sia certa l’esistenza, non siano<br />

rinvenuti nella sfera giuridico-patrimoniale dell’indagato».<br />

In dottrina, commentando con accenti prevalentemente<br />

critici le decisioni della Cassazione in linea con<br />

l’orientamento della sentenza qui annotata, Giovanniello,<br />

Confisca (e sequestro) per equivalente: recenti sviluppi<br />

giurisprudenziali e problematiche applicative, in Giur.<br />

mer., 2011, 10, 2505 ss.; Lorenzetto, Il sequestro preventivo<br />

funzionale alla confisca di valore nei rapporti tra persona<br />

fisica ed ente, inCass. pen., 2010, 4274 ss.; Assumma<br />

P., L’oggetto del sequestro preventivo funzionale alla<br />

confisca del profitto della corruzione, ivi, 2010, 1956 ss.;<br />

Montani, Sequestro preventivo preordinato alla confisca<br />

per equivalente: un caso controverso, in questa Rivista,<br />

2008, 242 ss.; Bonzano, Sull’inapplicabilità del sequestro<br />

preventivo al profitto che l’ente ha tratto dal reato, in<br />

Cass. pen., 2007, 2884 ss.; Fontana, Non vi è rapporto di<br />

sussidiarietà tra sequestro nei confronti di amministratori<br />

e di società, inRiv. giur. trib., 2007; Balducci, Concorso<br />

di persone nel reato e confisca per equivalente, inCass.<br />

pen., 2010, 3104 ss.; Romanelli, Confisca per equivalente<br />

e concorso di persone nel reato, inDir. pen. proc., 2008,<br />

865 ss.; per ulteriori riferimenti giurisprudenziali si veda<br />

Gualtieri, Le singole ipotesi di confisca (tra tradizione e<br />

diritto penale moderno), in Bargi - Cisterna (a cura di),<br />

La giustizia patrimoniale penale, II, Torino, 2011, 624 ss.<br />

846 Le Società 7/2012


Osservatorio Consob<br />

a cura di Federico Venturini<br />

INFORMAZIONE SOCIETARIA<br />

SANZIONI AMMINISTRATIVE PER OMISSIONE<br />

DI INFORMAZIONI RILEVANTI IN COMUNICATI AL MERCATO<br />

Delibera 1 febbraio 2012, n. 18096<br />

@ In Bollettino Consob 5.1/2012<br />

Emittenti - Informazione societaria - Comunicazioni al<br />

pubblico<br />

(D.Lgs. n. 58/1998, artt. 114, 193; Reg. Consob n. 11971/<br />

1999, art. 66)<br />

È privo degli elementi necessari a consentire un’informazione<br />

completa e corretta un comunicato stampa,<br />

pubblicato in presenza di indiscrezioni di stampa e su<br />

specifica richiesta della Consob, che si limita a negare<br />

l’esistenza di offerte vincolanti per l’ingresso nel capitale<br />

di una società quotata, senza dare conto del conferimento<br />

di un mandato a un advisor finanziario per la ricerca<br />

di possibili investitori e dell’esistenza di trattative<br />

con fondi comuni che hanno presentato manifestazioni<br />

di interesse non vincolanti per l’acquisto di una partecipazione<br />

nel capitale della società.<br />

Il 28 luglio 2010 un quotidiano riportava indiscrezioni sull’interesse<br />

di due investitori per l’ingresso nel capitale di una<br />

società quotata e a seguito di tali indiscrezioni le azioni della<br />

quotata registravano un aumento del 6,81% (mentre l’indice<br />

FTSE MIB registrava contemporaneamente un calo dello<br />

0,36%). Lo stesso giorno la Consob richiedeva alla quotata<br />

di diffondere un comunicato stampa contenente un commento<br />

alle indiscrezioni. Il 29 luglio 2010 la quotata e la sua<br />

controllante pubblicavano un comunicato nel quale, tra l’altro,<br />

rendevano noto «di non aver ancora ricevuto alcuna offerta<br />

vincolante relativo all’acquisto di una partecipazione di<br />

controllo». Il 27 agosto 2010 la Consob formulava alla quotata<br />

e alla sua controllante una richiesta di informazioni ai sensi<br />

dell’art. 115, comma 1, lett. a, TUF, in relazione tra l’altro<br />

all’esistenza di «contatti e/o incontri, anche informali, verificatisi<br />

negli ultimi 6 mesi» con investitori al fine dell’eventuale<br />

acquisto da parte loro di una partecipazione di controllo<br />

nella quotata. Le società rispondevano alla richiesta di informazioni<br />

e, in data 3 settembre 2010, pubblicavano un nuovo<br />

comunicato stampa «su specifica richiesta delle Autorità di<br />

Mercato» nel quale davano atto di aver ricevuto alcune manifestazioni<br />

di interesse non vincolanti, tra cui quelle di due<br />

investitori istituzionali, e del fatto che le relative due diligence<br />

erano ancora in corso.<br />

Sulla base delle informazioni ricevute dalle società a seguito<br />

della richiesta di informazioni, la Consob apprendeva che la<br />

quotata e la sua controllante già nel maggio 2010 avevano<br />

conferito a un advisor finanziario un mandato volto alla ricerca<br />

di possibili investitori istituzionali; che successivamente<br />

alcuni potenziali investitori erano stati coinvolti in una ‘‘procedura<br />

competitiva’’, all’esito della quale, nel giugno/luglio<br />

Diritto dei mercati finanziari<br />

Documentazione<br />

2010, due di essi avevano formulato successive manifestazioni<br />

di interesse non vincolanti.<br />

La Consob contestava quindi alla quotata e alla sua controllante<br />

l’incompletezza del comunicato del 29 luglio 2010, poiché<br />

esso si limitava a negare l’esistenza di offerte vincolanti,<br />

ma non forniva alcun ulteriore elemento informativo sulle<br />

trattative in corso, sulle quali l’Autorità aveva chiesto uno<br />

specifico commento a seguito delle indiscrezioni pubblicate<br />

sulla stampa (stante l’avvenuta ‘‘rottura della confidenzialità<br />

dell’informazione’’). La Consob riteneva che, al contrario, il<br />

comunicato avrebbe dovuto menzionare l’avvenuto conferimento<br />

del mandato all’advisor e l’esistenza di offerte (ancorché<br />

non vincolanti) da parte di due importanti fondi di private<br />

equity.<br />

Le società si difendevano argomentando, tra l’altro, che «l’esistenza<br />

di un mandato volto alla ricerca di potenziali acquirenti<br />

avrebbe rappresentato un fatto pregresso e, quindi, distinto<br />

rispetto all’esistenza di trattative con i fondi» e che tale<br />

informazione «non sarebbe comunque stata rilevante per<br />

consentire al mercato di capire le vicende» in corso.<br />

La Consob non ha condiviso tali osservazioni, ritenendo che<br />

il comunicato del 29 luglio 2010 fosse incompleto e non<br />

consentisse di cogliere il reale stato delle trattative in corso.<br />

La Consob ha quindi irrogato una sanzione amministrativa ai<br />

sensi dell’art. 193 TUF, per la violazione dell’art. 114 TUF.<br />

SANZIONI AMMINISTRATIVE PER PUBBLICAZIONE<br />

DI COMUNICATI INCOMPLETI<br />

Delibera 26 gennaio 2012, n. 18090<br />

@ In Bollettino Consob 5.1/2012<br />

Emittenti - Informazione societaria - Comunicazioni al<br />

pubblico<br />

(D.Lgs. n. 58/1998, artt. 114, 193; Reg. Consob n. 11971/<br />

1999, art. 66)<br />

È incompleto e viola l’art. 114 TUF un comunicato che si<br />

limita a riportare la notizia dell’ingresso di un soggetto<br />

nel capitale di una società quotata, senza precisare che<br />

la stessa partecipazione acquistata è oggetto di un’opzione<br />

di vendita a terzi a favore di tale soggetto.<br />

Procedure concorsuali - Concordato preventivo<br />

(R.D. n. 267/1942, artt. 160, 167)<br />

Poiché la procedura di concordato preventivo non fa venir<br />

meno la continuità aziendale, il radicale mutamento<br />

della compagine societaria e della struttura di governance<br />

successivi all’omologazione del concordato non hanno<br />

alcun riflesso sul piano della responsabilità per gli illeciti<br />

eventualmente commessi nell’ambito della precedente<br />

gestione.<br />

Procedure concorsuali - Concordato preventivo - Esdebitazione<br />

Le Società 7/2012 847


Diritto dei mercati finanziari<br />

Documentazione<br />

(R.D. n. 267/1942, art. 184)<br />

Qualora, al momento dell’omologazione del concordato<br />

preventivo, un procedimento sanzionatorio per violazione<br />

di norme in materia di informazione societaria non<br />

sia ancora concluso, il relativo credito non può dirsi determinato<br />

né esigibile, con la conseguenza che, ai fini<br />

dell’art. 184 l.fall., la sanzione irrogata all’esito del procedimento<br />

non può annoverarsi tra i crediti pregressi<br />

oggetto della procedura, ma è normalmente esigibile<br />

come credito sopravvenuto ed autonomo.<br />

Il 27 febbraio 2009 una società quotata pubblicava un comunicato<br />

relativo all’acquisto da parte di una s.p.a. di una partecipazione<br />

pari al’8,058% del suo capitale sociale. Il comunicato,<br />

peraltro, non precisava che sulla stessa partecipazione<br />

era stato stipulato un contratto di opzione di vendita tra la<br />

s.p.a. e un’altra società, che consentiva alla s.p.a. di vendere<br />

la partecipazione. La circostanza non poteva essere ignota<br />

alla quotata, poiché alcuni amministratori della stessa erano<br />

amministratori anche delle società che avevano stipulato<br />

l’opzione di vendita. La Consob contestava alla quotata l’incompletezza<br />

del comunicato stampa, che si riferiva all’ingresso<br />

nel capitale «di un importante partner strategico»<br />

senza riportare la notizia dell’opzione di vendita sulla partecipazione.<br />

La società si difendeva nel procedimento sanzionatorio premettendo<br />

di essere stata ammessa alla procedura di concordato<br />

preventivo ‘‘in continuità’’; che la proposta concordataria<br />

era stata omologata; che era stata sottoscritta la prima<br />

tranche di un aumento di capitale, in misura sufficiente a riportare<br />

il capitale sopra il minimo legale, con conseguente<br />

revoca dello stato di liquidazione precedentemente deliberato.<br />

Quanto alla contestazione, la società deduceva che la società<br />

che «emerge dalla omologazione della proposta di concordato<br />

preventivo è, nella sostanza, un soggetto ‘‘diverso<br />

da quello nei confronti del quale è stata indirizzata la contestazione<br />

... essendo mutata la compagine societaria e, con<br />

essa, l’intera struttura di corporate governance’’. Inoltre, la<br />

società sosteneva che «il risultato esdebitativo prodotto dalla<br />

omologazione concordataria esplica pieno effetto con riguardo<br />

a tutti i rapporti obbligatori che trovino titolo in fatti<br />

anteriori alla domanda di concordato».<br />

La Consob, oltre a ribadire la fondatezza della contestazione<br />

circa il carattere incompleto del comunicato stampa, ha rigettato<br />

entrambi gli argomenti collegati agli effetti della procedura<br />

concordataria. Riguardo alla ‘‘nascita’’ di un nuovo<br />

soggetto giuridico, l’Autorità ha sottolineato (anche argomentando<br />

ex artt. 160 e 167 l.fall.) che il concordato preventivo<br />

‘‘in continuità’’ (nella fattispecie: concordato preventivo<br />

di risanamento ‘‘puramente dilatorio’’), per quanto con mutamenti<br />

nella compagine societaria e nella governance, non<br />

comporta il venir meno della responsabilità per gli illeciti<br />

commessi dalla precedente gestione. Riguardo all’effetto<br />

esdebitativo, la Consob ha rilevato che l’art. 184 l.fall. prevede<br />

la falcidia concordataria per i creditori anteriori al decreto<br />

di apertura della procedura di concordato; tuttavia, nella fattispecie,<br />

il credito risarcitorio per la violazione dell’art. 114<br />

TUF (ancorché la violazione fosse avvenuta in epoca anteriore<br />

al decreto di apertura della procedura) non poteva dirsi né<br />

determinato né liquido, poiché alla data dell’omologazione il<br />

procedimento sanzionatorio era ancora in corso. Pertanto, la<br />

sanzione applicata all’esito del procedimento «non può essere<br />

annoverata tra i crediti pregressi» oggetto della falcidia<br />

concordataria, ma «è normalmente esigibile come credito<br />

sopravvenuto ed autonomo rispetto alla temuta insolvenza<br />

negoziata in sede di concordato» (il punto non sembra peraltro<br />

pacifico: v. ad esempio, in tema di crediti tributari, Cass.,<br />

sez, un., 6 settembre 1990, n. 9201).<br />

Sulla base di tali argomenti, la Consob ha applicato alla società<br />

una sanzione amministrativa ai sensi dell’art. 193 TUF,<br />

per la violazione dell’art. 114 TUF.<br />

OFFERTE PUBBLICHE DI ACQUISTO E SCAMBIO<br />

ESENZIONI ‘‘DA SALVATAGGIO’’<br />

Comunicazione 24 maggio 2012, n. 12044042<br />

@ In Bollettino Consob 5.2/2012<br />

Offerte pubbliche di acquisto e scambio - Offerta pubblica<br />

di acquisto obbligatoria - Esenzioni<br />

(D.Lgs. n. 58/1998, art. 106; Reg. Consob n. 11971/1999,<br />

art. 49<br />

In relazione alla sottoscrizione di un aumento di capitale<br />

riservato di una società quotata con superamento<br />

della soglia rilevante ai fini dell’Opa obbligatoria<br />

da parte del sottoscrittore, la Consob ha ritenuto applicabile<br />

l’esenzione di cui al combinato disposto dell’art.<br />

106, comma 5. lett. a), TUF e dall’art. 49, comma<br />

1, lett. b), n. 2 del Regolamento Emittenti, a condizione<br />

che vengano revocati i benefici concessi dal sottoscrittore<br />

a favore di azionisti della società con impegni<br />

finalizzati a tenere indenni gli stessi dai rischi di<br />

responsabilità sociale assunti in conseguenza delle<br />

cariche ricoperte nel gruppo; inoltre, la Consob si è riservata<br />

di ritenere non applicabile l’esenzione qualora<br />

gli attuali azionisti di riferimento della quotata<br />

esercitino il diritto di recesso in dipendenza di una<br />

successiva fusione.<br />

Offerte pubbliche di acquisto e scambio - Offerta pubblica<br />

di acquisto obbligatoria - Esenzioni<br />

(D.Lgs. n. 58/1998, art. 106; Reg. Consob n. 11971/1999,<br />

art. 49<br />

In relazione all’acquisto del controllo indiretto di una società<br />

quotata conseguente alla sottoscrizione dell’aumento<br />

di capitale deliberato dalla sua controllante riservato<br />

ad altra società, la Consob ha confermato la sussistenza<br />

dei presupposti per l’esenzione di cui al combinato<br />

disposto dell’art. 106, comma 5, lett. a), TUF e dall’art.<br />

49, comma 1, lett. b), n. 1, (iii), del Regolamento<br />

Emittenti.<br />

Offerte pubbliche di acquisto e scambio - Offerta pubblica<br />

di acquisto obbligatoria - Esenzioni<br />

(D.Lgs. n. 58/1998, art. 106; Reg. Consob n. 11971/1999,<br />

art. 49<br />

In relazione ad una fusione progettata come un ‘‘intervento<br />

di rafforzamento patrimoniale’’ la Consob ha confermato<br />

la sussistenza dei presupposti per l’esenzione<br />

di cui al combinato disposto dell’art. 106, comma 5, lett.<br />

a), TUF e dall’art. 49, comma 1, lett. b), n. 1, (iii), del Re-<br />

848 Le Società 7/2012


golamento Emittenti, a condizione che l’ISVAP, in sede<br />

di autorizzazione della fusione, la ritenga parte integrante<br />

del soddisfacimento delle richieste da essa formulate.<br />

La Consob ha risposto a un quesito relativo alla conferma<br />

della sussistenza di ipotesi di esenzione dall’Opa obbligatoria,<br />

nell’ambito di una complessa operazione di integrazione<br />

di due noti gruppi assicurativi composti, tra l’altro, da società<br />

quotate.<br />

In sintesi, l’operazione vedeva coinvolte le capogruppo Alfa<br />

s.p.a. (che controlla Gamma s.p.a.) e Beta s.p.a. (holding di<br />

partecipazioni che controlla Delta s.p.a. con una partecipazione<br />

diretta pari a circa il 35% del capitale e, tramite Delta,<br />

controlla indirettamente Epsilon S.p.A., con una partecipazione<br />

pari a circa il 63% del capitale). L’operazione prevedeva<br />

la stipulazione di un ‘‘Accordo di Investimento’’ tra Alfa e<br />

Beta, articolato nelle seguenti fasi:<br />

1) aumento di capitale di Alfa funzionale alla sottoscrizione<br />

di un aumento di capitale di Beta riservato ad Alfa, nonché<br />

ad aumentare la dotazione patrimoniale della controllata<br />

Gamma al fine del rispetto della disciplina di settore in tema<br />

di margini di solvibilità, nell’ambito della successiva fusione<br />

(v. infra);<br />

2) predisposizione da parte di Beta di un piano di risanamento<br />

‘‘attestato’’ ai sensi dell’art. 67 l.fall. e attuazione (contestualmente<br />

alla fusione di cui infra) dell’aumento di capitale<br />

riservato ad Alfa;<br />

3) aumento di capitale di Delta;<br />

4) fusione per incorporazione in Delta di Beta, Epsilon e<br />

Gamma.<br />

Completano la descrizione dell’operazione:<br />

(a) la richiesta dell’ISVAP a Beta, il 10 gennaio 2012, di «un<br />

programma di intervento volto ad assicurare un’adeguata ricapitalizzazione<br />

[di Delta] al fine di garantire la solvibilità, anche<br />

futura di [Delta] e delle sue controllate» e a Delta di «un<br />

piano di intervento ... [con] le iniziative che l’impresa si impegna<br />

a realizzare per ripristinare la situazione di solvibilità corretta<br />

e per garantire la solvibilità futura»;<br />

(b) la stipulazione di due side letter tra Alfa e Beta contenenti<br />

rispettivamente: quanto alla prima, impegni di Alfa aventi<br />

ad oggetto la rinuncia a deliberare l’azione di responsabilità<br />

ex art. 2393 c.c. a favore di tutti gli amministratori e sindaci<br />

in carica nel periodo 2007-2011 in Beta, Delta ed Epsilon e<br />

nelle controllate, e una manleva a favore degli stessi amministratori<br />

nel caso in cui tali azioni fossero state invece deliberate;<br />

quanto alla seconda, un impegno di indennizzo a favore<br />

di tutti gli amministratori di Beta per la cessazione anticipata<br />

dalla carica;<br />

(c) la subordinazione dell’efficacia dell’Accordo di Investimento<br />

a varie condizioni sospensive, tra cui la conferma da<br />

parte della Consob che l’operazione non comporta obblighi<br />

di Opa in capo ad Alfa sulle azioni Beta, Delta ed Epsilon.<br />

L’attuazione del programma di cui sopra potrebbe dare luogo,<br />

infatti, a diverse situazioni suscettibili di assumere rilievo<br />

ai fini di un’eventuale Opa obbligatoria. In particolare, a seguito<br />

della sottoscrizione dell’aumento di capitale riservato<br />

di Beta, Alfa acquisterebbe:<br />

(i) una partecipazione superiore al 50% del capitale con diritto<br />

di voto di Beta;<br />

(ii), una partecipazione indiretta superiore al 30% del capitale<br />

con diritto di voto in Delta;<br />

(iii) una partecipazione indiretta superiore al 60% del capitale<br />

con diritto di voto in Epsilon.<br />

Inoltre, a seguito della fusione, Alfa assumerebbe una partecipazione<br />

superiore al 50% nella società risultante dalla fu-<br />

Diritto dei mercati finanziari<br />

Documentazione<br />

sione (Delta), rilevante secondo le norme sull’Opa incrementale<br />

(v. art. 106, comma 3, lett. b, TUF).<br />

Nel quesito, Alfa elencava i singoli argomenti ritenuti rilevanti<br />

al fine di escludere la sussistenza di obblighi di Opa relativamente<br />

agli incrementi nelle partecipazioni di cui sopra,<br />

sottolineando tra l’altro che l’intera operazione presentava<br />

caratteri di unitarietà.<br />

La Consob ha risposto in modo articolato, esaminando separatamente<br />

le situazioni sub (i) - (iii), nonché la situazione derivante<br />

dalla fusione.<br />

La parte probabilmente più interessante della risposta al<br />

quesito è quella relativa all’acquisto da parte di Alfa della partecipazione<br />

in Beta, a seguito della sottoscrizione dell’aumento<br />

di capitale riservato di quest’ultima (punto ‘‘i’’ sopra).<br />

La Consob ha, da un lato, ritenuto sussistenti tutti gli elementi<br />

per la sussistenza dell’esenzione ‘‘da salvataggio’’ ai<br />

sensi dell’art. 49, comma 1, lett. b, n. 2, Reg. emittenti (acquisto<br />

della partecipazione esclusivamente mediante sottoscrizione<br />

di un aumento di capitale riservato; assenza di acquisti<br />

nei dodici mesi precedenti; predisposizione di un piano<br />

attestato ex art. 67 l.fall.). Dall’altro lato, tuttavia, ha valutato<br />

negativamente gli impegni di Alfa aventi ad oggetto la rinuncia<br />

all’azione di responsabilità e la manleva a favore di amministratori<br />

e sindaci contenuti nella prima side letter. La Consob<br />

ha operato un’interpretazione estensiva del requisito<br />

dell’assenza di acquisti nei dodici mesi precedenti, da parte<br />

del sottoscrittore dell’aumento di capitale, di azioni della società<br />

che ha deliberato l’aumento di capitale. Secondo tale<br />

interpretazione, affinché l’esenzione operi non devono rinvenirsi<br />

«benefici di natura economica concessi dal nuovo soggetto<br />

controllante ai vecchi azionisti di controllo, ulteriori rispetto<br />

a quelli derivanti dal semplice salvataggio della società<br />

in crisi a seguito dell’aumento di capitale». L’Autorità di<br />

Vigilanza ha affermato che, mediante gli impegni di rinuncia/<br />

manleva, Alfa attribuirebbe «un beneficio economico a favore<br />

degli azionisti di controllo uscenti» il cui costo «è sostenuto<br />

non solo dal nuovo azionista di controllo, ma anche potenzialmente<br />

dagli altri azionisti di [Beta], in termini di rinuncia ai<br />

possibili proventi derivanti dal risarcimento di eventuali danni».<br />

La Consob ha altresì svolto considerazioni sull’eventuale<br />

diritto di recesso a favore dei precedenti azionisti di controllo<br />

di Beta conseguenti alla modificazione del suo oggetto sociale,<br />

in virtù del passaggio di Beta da holding di partecipazioni<br />

all’esercizio diretto di attività assicurativa (tema comunque<br />

controverso in dottrina). L’art. 2437 c.c. prevede che il<br />

diritto di recesso spetta agli azionisti ‘‘che non hanno concorso’’<br />

alla deliberazione che lo legittima e - nonostante i<br />

precedenti azionisti di Beta abbiano contribuito ‘‘in modo determinante’’<br />

all’operazione - secondo la Consob non può<br />

escludersi che i nuovi azionisti riconoscano la sussistenza<br />

del diritto di recesso ai precedenti. L’esercizio del diritto di<br />

recesso da parte dei precedenti azionisti, così, costituirebbe<br />

un’ulteriore ragione ostativa all’operatività dell’esenzione da<br />

salvataggio, sia perché darebbe a tali azionisti «un vantaggio<br />

economico incompatibile con il disegno complessivo di ripatrimonializzazione,<br />

sia perché potrebbe essere considerato<br />

un ’acquisto pattuito nei dodici mesi precedenti».<br />

In conclusione, la Consob ha confermato la sussistenza dei<br />

presupposti per l’esenzione da salvataggio:<br />

(a) subordinatamente alla revoca/esclusione degli obblighi di<br />

rinuncia e manleva assunti da Alfa con la prima side letter;<br />

(b) se i precedenti azionisti di Beta non eserciteranno il diritto<br />

di recesso, con acquisto dei loro titoli da parte di Alfa, per<br />

l’esistenza in tal caso di «significativi indizi di intese in con-<br />

Le Società 7/2012 849


Diritto dei mercati finanziari<br />

Documentazione<br />

trasto con la finalità di salvataggio e il principio di parità di<br />

trattamento» dei soci di Beta.<br />

Riguardo all’acquisto indiretto da parte di Alfa di una partecipazione<br />

superiore al 30% nel capitale votante di Delta (punto<br />

‘‘ii’’ sopra), la Consob ha anzitutto sottolineato che tale acquisto<br />

assumerebbe rilievo ai fini dell’Opa ‘‘a cascata’’ (v.<br />

art. 106, comma 3, lett. a, TUF e art. 45 Reg. emittenti). In<br />

questo caso, la Consob ha ritenuto sussistenti tutti gli elementi<br />

previsti dall’art. 49, comma 1, lett. b, n. 1 (iii) per l’esenzione<br />

da salvataggio: un intervento di ricapitalizzazione<br />

patrimoniale (nella specie l’aumento di capitale di Delta, sottoscritto<br />

da Beta grazie al proprio aumento di capitale a sua<br />

volta sottoscritto da Alfa) e una situazione di crisi attestata<br />

da richieste formulata da un’autorità di vigilanza prudenziale<br />

(nella specie, la richiesta ISVAP del 10 gennaio 2012 rivolta<br />

sia alla capogruppo Beta, sia direttamente a Delta).<br />

Riguardo all’acquisto indiretto da parte di Alfa di una partecipazione<br />

superiore al 60% nel capitale votante di Epsilon<br />

(punto ‘‘iii’’ sopra), la Consob ha ricordato che, per valutare<br />

un eventuale obbligo di Opa ‘‘a cascata’’ occorre tenere conto<br />

delle ‘‘condizioni di prevalenza’’ di natura ‘‘oggettiva’’ e<br />

‘‘valutativa’’ poste dall’art. 45 Reg. emittenti. La Consob ha<br />

escluso che ricorrano le condizioni di prevalenza oggettive,<br />

esaminando la valorizzazione della partecipazione in Epsilon<br />

nel bilancio di Delta al 31 dicembre 2011. Tuttavia, l’Autorità<br />

non ha ritenuto di potersi pronunciare, allo stato, sulle condizioni<br />

‘‘valutative’’, poiché l’Accordo di Investimento non conteneva<br />

‘‘esplicite valorizzazioni’’ delle azioni Epsilon, rinviando<br />

quindi una valutazione ‘‘fino a quando il quadro informativo<br />

non sarà completato dalle decisioni di natura valutativa<br />

che le società interessate dovranno assumere in vista della<br />

progettata fusione’’.<br />

Infine, riguardo all’acquisto da parte di Alfa di una partecipazione<br />

superiore al 50% nella società (Delta) risultante dalla<br />

fusione (di cui Alfa avrebbe acquistato nella prima fase una<br />

partecipazione superiore al 30%: v. sopra), la Consob ha anzitutto<br />

sottolineato che tale acquisto sarebbe in astratto rilevante<br />

secondo le norme che regolano gli acquisti incrementali<br />

(v. art. 106, comma 3, lett. b, TUF e art. 46 Reg. emittenti,<br />

che fissano il limite del 5% annuo del capitale, per coloro<br />

che - pur detenendo più del 30% del capitale votante dell’emittente<br />

- non detengono la maggioranza dei diritti di voto).<br />

La Consob si è chiesta se la fusione (valutata congiuntamente<br />

con i precedenti aumenti di capitale) possa costituire un<br />

intervento di ‘‘rafforzamento patrimoniale’’ ai fini dell’esenzione<br />

da salvataggio prevista dall’art. 49, comma 1, lett. b, n.<br />

1 (iii), Reg. emittenti e già ricordata sopra. La risposta è stata<br />

positiva, non tanto per l’astratta idoneità della fusione a costituire<br />

intervento di rafforzamento patrimoniale (comunque<br />

ammessa), quanto in base al rilievo che in concreto la fusione<br />

per incorporazione in Delta di Beta, Gamma ed Epsilon<br />

costituisce «parte del rafforzamento patrimoniale rispondente<br />

alla richiesta dell’[ISVAP]». In questo quadro, ha assunto<br />

rilievo la qualificazione dell’operazione di rafforzamento patrimoniale<br />

- aumento di capitale e successiva fusione - come<br />

intrinsecamente unitaria, sulla base dell’esame di vari aspetti,<br />

desumibili tra l’altro «dalle clausole dell’accordo, dalle linee<br />

guida del piano strategico-industriale esaminato dall’I-<br />

SVAP nonché dalle prime valutazioni da quest’ultimo espresse»<br />

(comunque a condizione che l’ISVAP, in sede di autorizzazione<br />

della fusione, la ritenga parte integrante del soddisfacimento<br />

delle richieste da essa formulate). La Consob ha<br />

peraltro riservato la propria valutazione definitiva sulla sussistenza<br />

dei presupposti per l’esenzione all’esito dell’esame<br />

dei rapporti di concambio relativi all’incorporazione di Beta in<br />

Delta, poiché l’incorporazione di Beta «apporterebbe un contributo<br />

negativo ai margini di solvibilità» di Delta (a differenza<br />

dell’incorporazione di Gamma ed Epsilon in Delta, che avrebbero<br />

effetti positivi). In sintesi, quindi, l’esenzione sarà sussistente<br />

qualora l’incremento della partecipazione di Alfa in<br />

Delta a seguito dell’incorporazione di Beta (non di Gamma<br />

ed Epsilon) non superi il 5%, poiché - per questo segmento<br />

dell’operazione - non potrebbe parlarsi di un intervento di<br />

‘‘rafforzamento patrimoniale’’ quanto di «un’operazione di<br />

ottimizzazione della struttura del gruppo».<br />

SANZIONI AMMINISTRATIVE PER ACQUISTI DI CONCERTO<br />

E VIOLAZIONE DEL DIVIETO DI VOTO<br />

Delibera 24 febbraio 2012, n. 18130<br />

@ In Bollettino Consob 5.2/2012<br />

Offerte pubbliche di acquisto e scambio - Offerta pubblica<br />

di acquisto obbligatoria - Acquisto di concerto<br />

(D.Lgs. n. 58/1998, artt. 101 bis, 109, 110, 192, 195)<br />

È accertata l’azione di concerto tra due società in relazione<br />

ad acquisti di azioni di una società quotata; conseguentemente<br />

i soci/amministratori di tale società rispondono<br />

dell’esercizio del diritto di voto nell’assemblea<br />

della società quotata in violazione dell’art. 110 TUF<br />

e della mancata promozione dell’Opa obbligatoria a seguito<br />

del superamento della soglia del 30% del capitale<br />

della società quotata.<br />

Con Delibera n. 17535/2010 la Consob aveva accertato che<br />

due società erano qualificabili «persone che agiscono di concerto<br />

in virtù [della] cooperazione tra di loro e della sussistenza<br />

di un accordo, ancorché tacito, volto ad acquisire e a<br />

mantenere il controllo» di una società quotata (v. art. 101<br />

bis, comma 4, TUF). Nella stessa delibera, la Consob riteneva<br />

inoltre che tra le due società fossero stati conclusi due<br />

patti parasociali occulti: il primo, quantomeno dal 4 novembre<br />

2009, avente ad oggetto l’acquisto di azioni della quotata;<br />

il secondo, quantomeno dal 7 aprile 2010, avente ad oggetto<br />

l’esercizio del diritto di voto nella quotata e l’esercizio<br />

anche congiunto di un’influenza dominante sulla stessa (v.<br />

art. 122 TUF). Conseguentemente, la Consob aveva ritenuto<br />

applicabile il divieto di esercizio del diritto di voto previsto<br />

dall’art. 122, comma 4, TUF, per il mancato adempimento<br />

degli obblighi pubblicitari in relazione a tali patti parasociali<br />

occulti.<br />

Successivamente, sulla base dei fatti accertati nella Delibera<br />

n. 17535, la Consob contestava a tre persone fisiche - soci e<br />

amministratori delle due società concertiste - due violazioni<br />

degli obblighi di pubblicazione previsti dall’art. 122 TUF in relazione<br />

ai patti parasociali occulti; tre violazioni del divieto di<br />

esercizio del diritto di voto ai sensi dell’art. 122, comma 4,<br />

TUF, nelle assemblee della quotata del 26 novembre 2009,<br />

del 23 aprile 2010 e del 17 giugno 2010; tre violazioni dell’obbligo<br />

di Opa ‘‘da concerto’’ (v. artt. 106 e 109 TUF), per<br />

l’avvenuto superamento, in tre occasioni, tra il febbraio e l’agosto<br />

2010, della soglia del 30% del capitale della quotata e<br />

la mancata promozione di un’Opa obbligatoria in conseguenza<br />

di tale superamento.<br />

Gli interessati si difendevano nel procedimento sanzionatorio<br />

davanti all’Autorità deducendo, tra l’altro, l’inesistenza di<br />

alcun patto parasociale occulto tra le due società da essi amministrate.<br />

850 Le Società 7/2012


Alla luce dell’istruttoria effettuata, la Consob ha ritenuto sussistente<br />

l’azione di concerto tra le due società ma ha altresì<br />

considerato che «l’impianto probatorio non consenta di valutare<br />

come sufficientemente comprovata l’esistenza dei patti<br />

occulti». Per quanto la Delibera non fornisca dettagli in merito<br />

alla prova dell’azione di concerto né alla mancata prova<br />

dei due patti occulti (dettagli probabilmente contenuti nei soli<br />

atti del procedimento non pubblici), è interessante notare<br />

che la Consob sembra dare rilievo al concerto sulla base della<br />

mera ‘‘cooperazione’’ tra le due società, avendo escluso<br />

la stipulazione tra loro di patti parasociali occulti (cioè di ‘‘accordi’’).<br />

La sussistenza di una figura autonoma di concerto<br />

‘‘da cooperazione’’, diversa dal concerto realizzato mediante<br />

le ipotesi elencate dall’art. 101 bis, comma 5, TUF (tra cui la<br />

conclusione di patti parasociali, cioè il concerto mediante<br />

‘‘accordi’’) resta tuttora altamente discussa in dottrina. Comunque,<br />

sulla base di tale qualificazione (concerto ‘‘da cooperazione’’),<br />

la Consob ha irrogato sanzioni amministrative<br />

pecuniarie alle persone fisiche (e in solido alle due società:<br />

v. artt. 192 e 195 TUF) per la violazione del divieto di esercizio<br />

del diritto di voto previsto dall’art. 110 TUF in caso di acquisti<br />

di concerto (non dall’art. 122, comma 4, TUF, per la<br />

mancata pubblicazione di patti parasociali richiamato nell’originaria<br />

contestazione) relativamente alla sola assemblea della<br />

quotata del 23 aprile 2010, nonché per ciascuna violazione<br />

dell’obbligo di Opa in occasione del superamento della soglia<br />

del 30% del capitale della quotata avvenuto in data 23<br />

febbraio 2010, 11/15 marzo 2010 e 4 agosto 2010.<br />

Diritto dei mercati finanziari<br />

Documentazione<br />

REGOLAMENTO EMITTENTI<br />

MODIFICHE AL REGOLAMENTO EMITTENTI<br />

E AL REGOLAMENTO MERCATI<br />

Delibera 9 maggio 2012, n. 18214<br />

@ In Bollettino Consob 5.1/2012<br />

Emittenti - Disciplina<br />

(Reg. Consob n. 11971/1999)<br />

All’esito della consultazione iniziata con la pubblicazione di<br />

un documento il 22 marzo 2012, la Consob ha approvato<br />

nuova modifiche al Regolamento emittenti e al Regolamento<br />

Mercati che proseguono il percorso di semplificazione<br />

normativa già avviato con l’emanazione della delibera n.<br />

18079 del 20 gennaio 2012.<br />

Le nuove disposizioni hanno ad oggetto:<br />

(i) emittenti diffusi;<br />

(ii) offerte pubbliche;<br />

(iii) diritti dei soci;<br />

(iv) obblighi informativi;<br />

(v) art. 36 Reg. Mercati.<br />

Si rinvia al documento ‘‘Esiti della consultazione’’ sul sito<br />

www.consob.it per il dettaglio delle osservazioni al testo in<br />

consultazione e delle singole modifiche regolamentari.<br />

Le nuove disposizioni entrano in vigore il quindicesimo giorno<br />

successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della<br />

delibera n. 18214 (avvenuta il 22 maggio 2012), eccezion fatta<br />

per quelle elencate dall’art. 3, comma 2, della delibera n.<br />

18214, che entrano in vigore il 1 luglio 2013.<br />

Le Società 7/2012 851


Fisco e società<br />

Sintesi<br />

Osservatorio fiscale<br />

a cura di Massimo Gabelli<br />

PRASSI<br />

Controversie fiscali internazionali<br />

COMPOSIZIONE DELLE CONTROVERSIE FISCALI<br />

INTERNAZIONALI: LE PROCEDURE AMICHEVOLI<br />

@ Circolare Agenzia delle Entrate 5 giugno 2012, n. 21/E<br />

Con la pubblicazione della circolare n. 21/E del 5 giugno<br />

2012, l’Agenzia delle Entrate ha fornito le indicazioni per gestire<br />

agilmente le controversia fiscali internazionali, illustrando<br />

tutte le caratteristiche della procedura amichevole (Mutual<br />

agreement procedure, c.d. ‘‘Map’’), e distinguendo i casi<br />

generati da doppia imposizione, disciplinati da convenzioni<br />

bilaterali tra i vari Stati, da quelli relativi a doppie imposizioni<br />

dovute a rettifiche dei prezzi di trasferimento, regolati, in sede<br />

europea, dalla Convenzione arbitrale.<br />

Per quel che attiene alle convezioni internazionali che regolano<br />

una Map, l’Agenzia ha innanzitutto illustrato le fonti giuridiche<br />

internazionali che la regolano.<br />

Le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni<br />

negoziate sullo schema OCSE prevedono all’art. 25 la procedura<br />

amichevole quale strumento per poter risolvere le controversie<br />

internazionali, la quale si traduce nella consultazione<br />

diretta tra le Amministrazioni fiscali dei singoli Stati contraenti,<br />

finalizzato alla risoluzione di una controversia internazionale.<br />

A tale istituto si può fare ricorso nel caso in cui un soggetto<br />

residente di uno dei due Stati ritenga che le misure da una o<br />

da entrambe le Amministrazioni finanziarie comportino, o<br />

comporteranno, un’imposizione non conforme alle disposizioni<br />

della Convenzione bilaterale.<br />

Sempre in ambito Ocse, all’interno delle Linee guida sulla<br />

determinazione dei prezzi di trasferimento, viene illustrato<br />

anche l’utilizzo delle Map per evitare e risolvere le controversie<br />

generate da rettifiche di transfer pricing.<br />

Nello specifico, accanto alle Convenzioni bilaterali, in ambito<br />

europeo, vige la Convenzione arbitrale (90/436/Cee del 23 luglio<br />

1990), la quale è attivabile nel caso in cui il fenomeno<br />

della doppia imposizione economica sia generato da rettifiche<br />

dei prezzi di trasferimento praticati fra imprese associate<br />

residenti nell’Unione europea.<br />

La sostanziale differenza tra le procedure amichevoli instaurate<br />

in base alle Convenzioni bilaterali e quelle avviate con riferimento<br />

alla Convenzione arbitrale risiede nel fatto che le<br />

prime sono connotate solo da un dovere di diligenza nella<br />

trattazione, mentre le seconde devono portare, in ogni caso,<br />

a un esito concreto, anche passando alla fase arbitrale.<br />

Tanto premesso, l’Amministrazione finanziaria è passata ad<br />

illustrare la procedura da adottare nei casi di attivazione della<br />

procedura amichevole.<br />

Nello specifico, ai sensi del disposto dell’art. 25 del modello<br />

Ocse, il contribuente, sia persona fisica sia giuridica, che ritenga<br />

di essere, o di poter essere, leso da un’imposizione fiscale<br />

non conforme alla Convenzione, può attivare la procedura<br />

amichevole.<br />

@Il testo integrale dei provvedimenti è disponibile su:<br />

www.ipsoa.it/lesocieta<br />

Il caso può essere presentato all’autorità competente dello<br />

Stato di residenza del contribuente. Per quanto riguarda, tuttavia,<br />

le doppie imposizioni originate da rettifiche dei prezzi<br />

di trasferimento, la procedura amichevole può essere comunque<br />

validamente instaurata dall’impresa estera associata,<br />

che si rivolge all’autorità competente del proprio Stato di<br />

residenza per lamentare la doppia imposizione generatasi in<br />

seno al gruppo multinazionale.<br />

Al fine di individuare in modo corretto il termine entro il quale<br />

il contribuente può presentare l’istanza, è necessario fare<br />

riferimento a quanto previsto dalla singola Convenzione.<br />

In genere, lo stesso è identificato nei due anni dalla prima<br />

notifica della misura che comporta un’imposizione non conforme<br />

alle disposizioni della convenzione. Il contribuente<br />

può comunque presentare l’istanza prima di ricevere l’avviso<br />

di accertamento (ad esempio, a seguito della notifica di un<br />

processo verbale di constatazione).<br />

Alle Map attivate in Italia ai sensi di una Convenzione bilaterale<br />

si affianca un procedimento giurisdizionale instaurato in<br />

base alla legislazione interna.<br />

L’opportunità di rivolgersi al giudice tributario corrisponde alla<br />

necessità di evitare che, in pendenza di procedura amichevole,<br />

l’imposta accertata in Italia diventi definitiva e, quindi,<br />

non modificabile in virtù dell’eventuale accordo raggiunto<br />

fra le autorità competenti.<br />

Di conseguenza, se le autorità competenti giungono ad un<br />

accordo che elimina la doppia imposizione senza che sia ancora<br />

intervenuto un giudicato, vale l’accordo amichevole a<br />

patto che il contribuente accetti i suoi contenuti e rinunci<br />

contestualmente al ricorso giurisdizionale.<br />

A differenza della procedura amichevole istituita sulla base<br />

di accordi bilaterali tra Stati, quella adottata in conformità alla<br />

Convenzione arbitrale, per risolvere questioni riguardanti il<br />

transfer pricing, implica l’obbligo per le autorità competenti<br />

di raggiungere un accordo che elimini la doppia imposizione<br />

entro due anni. Se non si arriva a una soluzione entro questo<br />

termine, infatti, le autorità sono tenute a istituire una commissione<br />

consultiva, con l’avvio di una fase arbitrale, al cui<br />

parere sono tenute ad adeguarsi, se non trovano autonomamente<br />

un accordo.<br />

Possono presentare istanza di procedura amichevole all’autorità<br />

competente italiana sia le imprese residenti, in relazione<br />

ai rapporti di partecipazione con imprese stabilite in un altro<br />

Stato membro dell’Unione europea, sia le stabili organizzazioni<br />

in Italia di imprese residenti in altro Stato membro.<br />

L’apertura può essere proposta se l’Amministrazione finanziaria<br />

italiana o quella dell’altro Stato membro intendono<br />

operare o hanno operato una rettifica degli utili delle imprese<br />

associate o delle stabili organizzazioni.<br />

Il contribuente deve presentare istanza entro tre anni dalla<br />

prima notifica della misura che comporta o può comportare<br />

una doppia imposizione. Il contribuente può comunque presentare<br />

l’istanza prima di ricevere l’avviso di accertamento<br />

(ad esempio, a seguito della notifica di un processo verbale<br />

di constatazione).<br />

Infine, la circolare n. 21/E/2012 illustra le relazioni con il contenzioso<br />

interno.<br />

852 Le Società 7/2012


La fase arbitrale è possibile soltanto se l’impresa associata<br />

ha lasciato scadere i termini di presentazione del ricorso o<br />

ha rinunciato a quest’ultimo prima che sia intervenuta una<br />

sentenza.<br />

L’Italia, infatti, rientra fra le giurisdizioni che non consentono<br />

all’autorità amministrativa di derogare a una sentenza, in presenza<br />

della quale non è quindi possibile passare alla fase arbitrale.<br />

Facendo un passo indietro, è importante chiarire che, sulla<br />

base dello stesso principio giuridico, il contribuente può proporre<br />

istanza di procedura amichevole e contemporaneamente<br />

coltivare il giudizio contro l’atto di accertamento in<br />

merito ai rilievi che hanno prodotto la doppia imposizione,<br />

ma, nel caso in cui intervenga una decisione dell’autorità giudiziaria<br />

che non elimini la doppia imposizione, quest’ultima<br />

permane a meno che l’autorità competente estera non sottoscriva<br />

un accordo amichevole specularmente conforme alla<br />

decisione espressa dall’ultimo giudice nazionale.<br />

Evasione<br />

LOTTA ALL’EVASIONE: L’AGENZIA DELLE ENTRATE<br />

FORNISCE LE LINEE GUIDA PER L’ANNO 2012<br />

@ Circolare Agenzia delle Entrate 31 maggio 2012, n. 18/E<br />

Nella circolare n. 18/E del 31 maggio 2012, l’Agenzia delle<br />

Entrate ha fornito le linee guida per la lotta all’evasione per<br />

l’anno 2012: grandi contribuenti sottoposti all’attività di tutoraggio,<br />

piani di azioni mirati su almeno un quinto delle imprese<br />

di medie dimensioni grazie ad analisi di rischio localizzate,<br />

controlli selettivi sulle imprese di minori dimensioni e lavoratori<br />

autonomi, analisi di rischio specifiche sulle persone fisiche<br />

ad alta capacità contributiva.<br />

Nello specifico, l’Agenzia ribadisce che le attività di controllo<br />

devono conseguire ad una approfondita analisi della distribuzione<br />

del rischio di evasione nell’ambito di ciascuna realtà<br />

territoriale, idonea ad indirizzare i controlli sulle situazioni a<br />

maggior rischio, evitando di disperdere le risorse disponibili<br />

(limitate) su situazioni a bassa rischiosità, così come in controlli<br />

finalizzati alla ricerca di violazioni di natura meramente<br />

formale. È poi necessario continuare a puntare - in sede di<br />

controllo - sui comportamenti evasivi che, per loro natura, si<br />

prestano ad essere sistematicamente reiterati e determinano<br />

quindi una perdita di gettito costante nel tempo: lo scopo,<br />

oltre al recupero dell’evasione pregressa, è di dissuadere<br />

dalla reiterazione delle violazioni e di incrementare progressivamente<br />

il gettito fiscale derivante dall’adempimento spontaneo<br />

degli obblighi fiscali.<br />

Tra i comportamenti evasivi reiterati spicca l’omessa contabilizzazione<br />

dei ricavi o compensi conseguiti nelle attività di<br />

impresa e di lavoro autonomo, alla quale tipicamente consegue<br />

una consistente evasione sia delle imposte sui redditi<br />

che dell’IVA.<br />

Nella stessa ottica, un consistente miglioramento va conseguito,<br />

in generale, nei controlli sul corretto adempimento degli<br />

obblighi in materia di IVA. In materia, l’evasione viene realizzata<br />

con l’omessa contabilizzazione delle operazioni attive,<br />

ma anche con molteplici altri espedienti (dalla detrazione dell’imposta<br />

relativa ad operazioni non inerenti o inesistenti, al<br />

pro-rata di detrazione o alle operazioni con l’estero).<br />

Ai fini dell’espletamento delle attività di controllo nel corso<br />

del 2012, restano confermati gli specifici indirizzi forniti con<br />

le precedenti circolari n. 13/E/2009, n. 20/E/2010 e n. 21/E/<br />

2011 con il consueto, distinto riguardo:<br />

(i) alle attività di controllo fiscale destinate, in modo specifi-<br />

Fisco e società<br />

Sintesi<br />

co, alle diverse macrotipologie di contribuenti e che quindi<br />

integrano nel loro complesso la peculiare strategia da adottare<br />

per ridurre i rischi di evasione/elusione che caratterizzano<br />

ciascuna delle macro-tipologie (attività specifiche);<br />

(ii) alle attività che per loro natura non possono specificamente<br />

riferirsi alle suddette macrotipologie di contribuenti,<br />

ma le riguardano tutte trasversalmente, in modo più o meno<br />

marcato (attività trasversali).<br />

Sul fronte delle attività specifiche, l’agenzia ha precisato<br />

quanto segue.<br />

Per i controlli sulle persone fisiche, le analisi di rischio degli<br />

agenti del fisco puntano, da quest’anno, sui soggetti ad alta<br />

capacità contributiva presenti in ciascuna provincia, ossia coloro<br />

che possiedono un patrimonio mobiliare e immobiliare<br />

che supera i 5 milioni di euro.<br />

L’accertamento sintetico si conferma al centro della strategia<br />

di contrasto all’evasione e comincerà ad essere effettuato<br />

in base alle nuove disposizioni in materia introdotte dal<br />

D.L. n. 78/2010, che si applicano per gli accertamenti relativi<br />

al periodo d’imposta 2009.<br />

Per quel che concerne le imprese di minori dimensioni e lavoratori<br />

autonomi, per l’anno 2012 l’obiettivo numerico assegnato<br />

è stato stabilizzato sul livello di quello consuntivato<br />

per il 2011. Per la platea dei contribuenti in parola rileva, in<br />

modo specifico l’esigenza di individuare, nei singoli controlli,<br />

le operazioni attive non contabilizzate, dato che la forma tipica<br />

di evasione in tale comparto deriva proprio dall’occultamento<br />

dei corrispettivi effettivamente percepiti, nonché la<br />

presenza di costi non deducibili ai fini dell’imposizione reddituale,<br />

o non detraibili ai fini dell’IVA.<br />

Il miglioramento dei risultati atteso deve quindi derivare soprattutto<br />

da un consistente aumento della maggiore IVA accertata<br />

e definita, posto che ad esso è tendenzialmente connesso<br />

l’incremento dei risultati sul fronte della imposizione<br />

reddituale.<br />

Si affinano sempre più gli strumenti di selezione a disposizione<br />

dell’Agenzia che consentono di indirizzare i controlli<br />

sui contribuenti a maggior rischio di evasione.<br />

Infine, con riferimento alle imprese di medie dimensioni il<br />

piano d’intervento riguarda almeno un quinto delle imprese<br />

e si realizza grazie alla sinergia con la Guardia di Finanza, basandosi<br />

su analisi di rischio calate nel territorio e nelle realtà<br />

locali.<br />

Per quanto in specie attiene all’analisi di rischio l’Agenzia<br />

delle Entrate rammenta l’importanza della mappatura delle<br />

imprese di medie dimensioni presenti nella Provincia e del<br />

censimento dei rischi di evasione/elusione.<br />

Le posizioni a rischio vanno considerate tenendo conto del<br />

risk score attribuito e, in presenza di elementi di rischio sostanzialmente<br />

equivalenti, privilegiando i seguenti criteri:<br />

(i) assenza di controlli negli ultimi 4 anni;<br />

(ii) presenza di perdite ‘‘sistemiche’’;<br />

(iii) presenza su almeno due annualità di redditività sensibilmente<br />

più bassa rispetto a quella media della categoria economica;<br />

(iv) presenza del rischio di evasione in materia di IVA.<br />

Aumentano le grandi imprese che finiscono sotto tutoraggio.<br />

Sono più di 3.200 i contribuenti di grossa taglia esercenti attività<br />

di impresa costantemente monitorati dal Fisco (rispetto<br />

ai circa 2.000 tutorati nel 2011).<br />

L’intento è quello di non abbassare la guardia su questa significativa<br />

platea di contribuenti, così da individuare in tempo<br />

utile fattori di rischio come, ad esempio, una pianificazione<br />

fiscale aggressiva (attuata anche su scala internazionale),<br />

politiche di utilizzo strumentale delle perdite fiscali o forme<br />

Le Società 7/2012 853


Fisco e società<br />

Sintesi<br />

di arbitraggio basate sullo sfruttamento di strumenti finanziari<br />

complessi, politiche di prezzi di trasferimento non in linea<br />

con il principio del valore normale.<br />

In sede di determinazione del livello di rischio possono assumere<br />

rilievo comportamenti che attestino la propensione del<br />

contribuente alla costruzione di un rapporto collaborativo<br />

con l’Amministrazione finanziaria basato sulla trasparenza e<br />

sulla fiducia.<br />

Infine, a fronte dei (positivi) risultati dell’attività di controllo<br />

svolta nel 2011 sul comparto degli enti non commerciali, delle<br />

ONLUS e degli altri soggetti che fruiscono di regimi agevolativi,<br />

l’obiettivo è di consolidare nel corso del 2012 il<br />

trend seguendo gli indirizzi operativi nel tempo forniti (in specie<br />

quelli contenuti nella circolare n. 21/E del 2011).<br />

In particolare, per gli enti non commerciali e con riferimento<br />

all’utilizzo abusivo delle agevolazioni loro riservate, si ribadisce<br />

la necessità di adottare ogni iniziativa diretta ad assicurare<br />

che l’analisi del rischio di abuso dei regimi agevolativi in<br />

materia sia eseguita con la massima cura, utilizzando anche<br />

le informazioni contenute nelle apposite liste d’ausilio trasmesse<br />

centralmente.<br />

Nell’ambito della analisi di rischio effettuata con l’ausilio degli<br />

specifici applicativi a disposizione, vanno in specie selezionati<br />

gli enti che, in base agli elenchi dei fornitori a suo<br />

tempo inviati dai soggetti obbligati, risultano aver emesso<br />

fatture ma non hanno presentato la dichiarazione IVA oppure<br />

hanno dichiarato un volume d’affari pari a zero.<br />

Necessario, poi, concentrate l’attività operativa prioritariamente<br />

nei confronti dei soggetti che presentino abusi di particolare<br />

rilevanza economica, evitando di perseguire situazioni<br />

di minima rilevanza.<br />

Reddito d’impresa<br />

BENI CONCESSI IN GODIMENTO AI SOCI ED AI FAMILIARI:<br />

I CHIARIMENTI DELL’AGENZIA<br />

@ Circolare Agenzia delle Entrate 15 giugno 2012, n. 24/E<br />

La disciplina relativa alla concessione in godimento dei beni<br />

ai soci e ai familiari dell’imprenditore per fini privati è recata<br />

dall’art. 2, commi da 36 terdecies a36duodevicies, D.L. n.<br />

138/2011. Tale disposizione prevede, per i soggetti (soci o<br />

familiari dell’imprenditore) che ricevono in godimento beni<br />

aziendali, la tassazione di un reddito diverso determinato<br />

quale differenza tra il valore di mercato e il minor corrispettivo<br />

pattuito; a ciò si accompagna l’indeducibilità dei costi relativi<br />

agli stessi beni da parte dell’impresa concedente.<br />

Tale fattispecie differisce da quella dell’autoconsumo familiare<br />

e dell’assegnazione dei beni ai soci, nonché dalla destinazione<br />

dei beni a finalità estranee all’esercizio d’impresa, in<br />

quanto si riferisce a beni che non fuoriescono definitivamente<br />

dal regime d’impresa.<br />

Al fine di monitorare tale fattispecie, il legislatore ha previsto<br />

l’obbligo per i soggetti interessati (concedenti e utilizzatori<br />

dei beni) di comunicare i dati relativi ai beni d’impresa concessi<br />

o ricevuti in godimento, all’Agenzia delle Entrate,<br />

adempimento questo che non è, però, disciplinato dalla circolare<br />

in commento.<br />

Secondo quanto chiarito in tale documento di prassi, destinatari<br />

della previsione in parola sono quindi sia le persone fisiche<br />

che utilizzano i beni in godimento sia le imprese e/o<br />

l’imprenditore individuale che li concedono .<br />

Tra i primi si annoverano i soci, residenti e non residenti nel<br />

territorio dello Stato, di società ed enti privati di tipo associativo<br />

residenti che svolgono attività commerciale, i familiari,<br />

residenti e non residenti nel territorio dello Stato, dell’imprenditore<br />

individuale residente nel territorio dello Stato.<br />

La circolare n. 24/E/2012 precisa che per ragioni di ordine logico-sistematico<br />

deve ritenersi che nell’ambito di applicazione<br />

della norma si debbano annoverare anche il soggetto residente<br />

e non residente che nella sfera privata utilizza in godimento<br />

i beni della sua impresa commerciale residente nel<br />

territorio dello Stato nonché i familiari, residenti e non residenti<br />

nel territorio dello Stato, di tale soggetto.<br />

Attesa la necessità di evitare l’aggiramento della norma in<br />

questione, si ritiene che debbano essere considerati quali<br />

destinatari della stessa anche i soci ed i loro familiari che ricevono<br />

in godimento i beni di società controllate o collegate<br />

ai sensi dell’art. 2359 c.c. a quella partecipata direttamente<br />

dai medesimi soci.<br />

Per quel che concerne i soggetti concedenti, sono da includersi<br />

quindi l’imprenditore individuale, le società di capitali,<br />

le società cooperative, le stabili organizzazioni di società non<br />

residenti, gli enti privati di tipo associativo limitatamente ai<br />

beni relativi alla sfera commerciale. Restano escluse le società<br />

semplici.<br />

Relativamente all’ambito oggettivo di applicazione della norma<br />

in esame, si annoverano tutti i beni, quindi siano, merce<br />

o gli immobili patrimonio.<br />

Si tratta di tutti i beni di cui l’impresa ha conseguito la disponibilità,<br />

posseduti a titolo di proprietà o in base ad un diritto<br />

reale, ovvero detenuti in locazione, anche finanziaria, noleggiati<br />

o ricevuti in comodato.<br />

Al contrario, sono esclusi i beni di società ed enti di tipo associativo<br />

che svolgono attività commerciale, concessi in godimento<br />

ad enti non commerciali soci che utilizzano gli stessi<br />

per fini esclusivamente istituzionali.<br />

Come detto, ai sensi del disposto dell’art. 2, comma 36 terdecies,<br />

D.L. n. 138/2011 la differenza tra il valore di mercato<br />

e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento dei<br />

beni dell’impresa concorre alla formazione del reddito imponibile<br />

del socio o del familiare. Per quantificare il valore di<br />

mercato il riferimento è l’art. 9, D.P.R. n. 917/1986.<br />

Per esigenze di certezza e di documentabilità, al fine di verificare<br />

gli accordi previsti dalle parti per la concessione in godimento<br />

del bene relativo all’impresa, si ritiene opportuno<br />

che il corrispettivo annuo e le altre condizioni contrattuali<br />

debbano risultare da apposita documentazione scritta di data<br />

certa, antecedente alla data di inizio dell’utilizzazione del bene.<br />

L’Amministrazione finanziaria ha inoltre precisato che la previsione<br />

in commento non trova, invece, applicazione quando<br />

il soggetto utilizzatore dei beni in questione sia al contempo<br />

dipendente della società o dell’impresa individuale, ovvero<br />

sia un lavoratore autonomo, in quanto al ricorrere di tali ipotesi<br />

lo stesso è assoggettato alla disciplina di tassazione prevista<br />

dagli artt. 51 e 54, D.P.R. n. 917/1986.<br />

Nel caso in cui il bene sia concesso in godimento per una<br />

frazione di anno, ai fini del calcolo dell’ammontare da assoggettare<br />

a tassazione, il valore di mercato deve essere rapportato<br />

alla stessa.<br />

Per quel che concerne, invece, l’indeducibilità dei costi sostenuti<br />

in relazione ai beni poi concessi in godimento a corrispettivo<br />

inferiore al valore normale, ma anche le altre eventuali<br />

spese o componenti negativi relativi agli stessi, l’Agenzia<br />

ha chiarito che la stessa trova una deroga in tutti i casi in<br />

cui siano concessi in godimento beni per i quali sia già prevista<br />

una limitazione alla deducibilità, come ad esempio nel<br />

caso di autoveicoli (ex art. 164, D.P.R. n. 917/1986).<br />

Dette disposizioni decorrono dal periodo successivo a quello<br />

854 Le Società 7/2012


di entrata in vigore del D.L. n. 138/2011, ossia per i soggetti<br />

con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, dal<br />

2012.<br />

Infine, tenuto conto delle novità introdotte e delle obiettive<br />

condizioni di incertezza circa l’applicazione della normativa in<br />

questione, l’Agenzia ha chiarito che il contribuente che non<br />

ha applicato correttamente le disposizioni in esame in sede<br />

di determinazione del primo acconto, potrà sanare l’eventuale<br />

omesso versamento in sede di secondo acconto, senza<br />

l’applicazione delle sanzioni per ritardato pagamento, maggiorato<br />

degli interessi del 4% annuo.<br />

SOCIETÀ IN PERDITA SISTEMATICA:<br />

LE PRIME INDICAZIONI DELL’AGENZIA<br />

@ Circolare Agenzia delle Entrate 11 giugno 2012, n. 23/E<br />

Con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate,<br />

protocollo n. 2012/87956, l’Agenzia delle Entrate ha individuato<br />

le situazioni oggettive al ricorrere della quali è ammessa<br />

la disapplicazione della disciplina sulle società in perdita<br />

sistematica dettata dal D.L. n. 138/2011, senza dover<br />

assolvere all’onere di presentazione dell’istanza di interpello.<br />

Nella circolare n. 23/E, dell’11 giugno 2012, l’Agenzia ha,<br />

inoltre, fornito le prime indicazioni operative in ordine all’applicazione<br />

della disciplina in commento, secondo la quale le<br />

società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre<br />

esercizi consecutivi e quelle che, nell’arco dello stesso intervallo<br />

temporale, presentano per due periodi d’imposta dichiarazioni<br />

dei redditi in perdita fiscale e nel terzo dichiarano<br />

un reddito imponibile inferiore a quello minimo presunto, sono<br />

considerate non operative a decorrere dal successivo<br />

quarto periodo d’imposta.<br />

Alla luce di quanto disposto dal predetto provvedimento, la<br />

disciplina di cui al D.L. n. 138/2011 non trova applicazione al<br />

ricorrere di determinate circostanze, quali:<br />

(i) società in stato di liquidazione che, con impegno assunto<br />

in dichiarazione dei redditi, richiedono la cancellazione dal<br />

Registro delle imprese entro il termine di presentazione della<br />

dichiarazione dei redditi successiva;<br />

(ii) società assoggettate ad una delle procedure indicate nell’art.<br />

101, comma 5, D.P.R. n. 917/1986 ovvero ad una procedura<br />

di liquidazione giudiziaria; la disapplicazione opera<br />

con riferimento ai periodi d’imposta precedenti all’inizio delle<br />

procedure, i cui termini di presentazione delle dichiarazioni<br />

dei redditi scadono successivamente all’inizio delle procedure<br />

stesse;<br />

(iii) società sottoposte a sequestro penale o a confisca nelle<br />

fattispecie di cui al D.Lgs. n. 159/2011 o in altre fattispecie<br />

analoghe in cui il Tribunale in sede civile abbia disposto la<br />

nomina di un amministratore giudiziario e la disapplicazione<br />

opera con riferimento al periodo di imposta nel corso del<br />

quale è emesso il provvedimento di nomina dell’amministratore<br />

giudiziario ed ai successivi periodi di imposta nei quali<br />

permane l’amministrazione giudiziaria);<br />

(iv) società che detengono partecipazioni, iscritte esclusivamente<br />

tra le immobilizzazioni finanziarie, il cui valore economico<br />

è prevalentemente riconducibile a:<br />

1) società considerate non in perdita sistematica;<br />

2) società escluse dall’applicazione della disciplina anche in<br />

conseguenza di accoglimento dell’istanza di disapplicazione<br />

della disciplina delle società in perdita sistematica;<br />

3) società collegate residenti all’estero cui si applica il regime<br />

dell’art. 168, D.P.R. n. 917/1986 e la disapplicazione opera<br />

a condizione che la società non svolga attività diverse da<br />

Fisco e società<br />

Sintesi<br />

quelle strettamente funzionali alla gestione delle partecipazioni;<br />

(v) società che hanno ottenuto l’accoglimento dell’istanza di<br />

disapplicazione della disciplina sulle società in perdita sistematica<br />

in relazione ad un precedente periodo di imposta sulla<br />

base di circostanze oggettive puntualmente indicate nell’istanza,<br />

che non hanno subito modificazioni nei periodi di imposta<br />

successivi e la disapplicazione opera limitatamente a<br />

tali circostanze oggettive;<br />

(vi) società che conseguono un margine operativo lordo positivo;<br />

(vii) società per le quali gli adempimenti e i versamenti tributari<br />

sono stati sospesi o differiti da disposizioni normative<br />

adottate in conseguenza della dichiarazione dello stato di<br />

emergenza e la disapplicazione opera limitatamente al periodo<br />

d’imposta in cui si è verificato l’evento calamitoso e quello<br />

successivo;<br />

(viii) società per le quali risulta positiva la somma algebrica<br />

della perdita fiscale di periodo e degli importi che non concorrono<br />

a formare il reddito imponibile per effetto di proventi<br />

esenti, esclusi o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta<br />

o ad imposta sostitutiva, ovvero di disposizioni agevolative;<br />

(ix) società che esercitano esclusivamente attività agricola;<br />

(x) società che risultano congrue e coerenti ai fini degli studi<br />

di settore;<br />

(xi) società che si trovano nel primo periodo d’imposta.<br />

Al ricorrere delle predette situazioni, le società non sono tenute<br />

a presentare alcuna istanza di interpello, poiché la disapplicazione<br />

della normativa delle società in perdita sistematica<br />

opera automaticamente.<br />

Contestualmente al citato provvedimento, l’Amministrazione<br />

finanziaria ha emanato anche la circolare n. 23/E/2012, nella<br />

quale ha chiarito che le società in perdita sistematica beneficiano<br />

sia delle cause di esclusione previste per le società<br />

non operative, sia delle cause di disapplicazione automatica<br />

sopra indicate, come individuate dal provvedimento n. 2012/<br />

87956.<br />

Mentre le prime riguardano solo i periodi d’imposta di applicazione<br />

della disciplina sulle società in perdita sistematica (a<br />

fronte di un intervallo di osservazione di tre periodi d’imposta<br />

in perdita fiscale, le cause di esclusione agiscono sul<br />

successivo quarto periodo), le seconde valgono soltanto nell’arco<br />

del triennio di osservazione (il verificarsi di una delle situazioni<br />

previste dal provvedimento interrompe tale periodo<br />

di osservazione).<br />

Le società interessate che non rientrano né nelle cause di<br />

esclusione, né in quelle di disapplicazione automatica, devono<br />

presentare istanza di disapplicazione della disciplina sulle<br />

società in perdita sistematica. L’istanza deve contenere l’indicazione<br />

del periodo d’imposta per il quale si chiede la disapplicazione,<br />

oltre che di quello nel quale le situazioni oggettive<br />

che la giustificano si sono verificate.<br />

Sono inammissibili le istanze che riguardano periodi d’imposta<br />

precedenti a quello di prima applicazione della disciplina,<br />

a meno che il periodo d’imposta non sia compreso nel triennio<br />

di osservazione.<br />

Infine, se i soggetti interessati intendono presentare istanza<br />

di disapplicazione sia in relazione alla disciplina sulle società<br />

in perdita sistematica sia in merito a quella sulle società non<br />

operative devono farlo separatamente; solo le istanze inviate<br />

congiuntamente prima dell’emanazione della circolare verranno<br />

accettate dagli uffici dell’Agenzia che adotteranno in<br />

ogni caso due distinti provvedimenti di risposta.<br />

Le Società 7/2012 855


Fisco e società<br />

Sintesi<br />

Reati tributari<br />

GIURISPRUDENZA<br />

LA PUNIBILITÀ È DOPPIA PER CHI EMETTE ED UTILIZZA<br />

FATTURE PER OPERAZIONI INESISTENTI<br />

@ Corte di cassazione, sez. III pen., 21 maggio 2012, n.<br />

19247<br />

Nell’interessante sentenza n. 19247, depositata il 21 maggio<br />

2012, la terza sezione penale, della Corte di cassazione ha<br />

esaminato la questione relativa al fatto se nel caso di fatture<br />

per operazioni inesistenti, il soggetto che sia amministratore<br />

sia della società emittente, sia della società ricevente, risponda<br />

di due delitti (emissione della fattura, art. 8, D.Lgs.<br />

n. 74/2000, e dichiarazione fraudolenta, art. 2, D.Lgs. n. 74/<br />

2000) ovvero soltanto di uno di essi.<br />

La fattispecie in esame è incentrata sulla corretta interpretazione<br />

del disposto dell’art. 9, D.Lgs. n. 74/2000, secondo il<br />

quale, in deroga alle norme sul concorso nel reato, chi emette<br />

(e chi concorre con chi emette) non concorre nel delitto di<br />

chi dichiara, e viceversa.<br />

La Corte premette, innanzitutto, la questione in ordine all’applicazione<br />

del predetto art. 9 non si pone nel caso in cui del<br />

‘‘secondo’’ delitto il soggetto non sia imputato. Ad esempio,<br />

non potrebbe certo invocare l’art. 9 il soggetto imputato di dichiarazione<br />

fraudolenta, al quale non sia imputato contemporaneamente<br />

anche quelli di emissione neppure in concorso.<br />

Quanto alla portata del predetto art. 9, la Corte osserva che<br />

esso è teso solo ad escludere che chi emette la fattura possa<br />

rispondere, per ciò solo, di concorso nel delitto di chi tale<br />

fattura utilizza, e viceversa.<br />

La norma, afferma la Corte, deroga all’art. 110 c.p. nel senso<br />

che il solo fatto di concorrere materialmente (e moralmente)<br />

alla condotta altrui di utilizzazione della fattura falsa, emettendola,<br />

non comporta la corresponsabilità nel delitto di dichiarazione<br />

fraudolenta (o viceversa).<br />

Il citato art. 9 quindi va interpretato nel senso di comprendere<br />

la sola ipotesi in cui la condotta del potenziale concorrente<br />

si limiti alla sola emissione (rispetto alla utilizzazione) o alla<br />

sola utilizzazione (rispetto alla emissione), in cui pure si<br />

avrebbe altrimenti un’ipotesi di concorso ex art. 110 c.p. nella<br />

fattispecie complementare.<br />

Viceversa, la medesima non si applica quando un soggetto<br />

emetta e utilizzi la fattura per operazione inesistente (ad<br />

esempio, appunto, perché amministratore di entrambe le società<br />

coinvolte). In questo caso, vi è una doppia condotta<br />

propria e si è fuori dall’area di applicazione dell’art. 9, D.Lgs.<br />

n. 74/2000.<br />

NON SI PERFEZIONA IL REATO DI DICHIARAZIONE<br />

FRAUDOLENTA MEDIANTE L’USO DI FATTURE<br />

O ALTRI DOCUMENTI PER OPERAZIONI INESISTENTI CON<br />

LA SEMPLICE REGISTRAZIONE IN CONTABILITÀ DEGLI STESSI<br />

@ Corte di cassazione, sez. III pen., 13 giugno 2012, n.<br />

23229<br />

Confermando un orientamento ormai costante, la Corte di<br />

cassazione, III sezione penale, nella sentenza n. 23229, depositata<br />

il 13 giugno 2012, ha concluso che il reato di dichiarazione<br />

fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti<br />

per operazioni inesistenti di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 74/<br />

2000 si consuma al momento della presentazione della di-<br />

chiarazione e non già in quello in cui detti documenti vengono<br />

registrata in contabilità.<br />

La fattispecie posta all’attenzione della Corte traeva origine<br />

dalla sentenza con la quale il GUP aveva dichiarato non luogo<br />

a procedere nei confronti dell’ex amministratore di una<br />

società in ordine al reato ascrittogli di cui all’art. 2, D.Lgs. n.<br />

74/2000.<br />

Allo stesso era stato ascritto di aver, in qualità di amministratore,<br />

di diritto prima e di fatto dopo di una società per azioni,<br />

o comunque amministratore al momento della registrazione<br />

della fattura nei registri IVA, relative ad operazioni inesistenti,<br />

indicando nella dichiarazione annuale IVA elementi passivi<br />

fittizi.<br />

Il giudice aveva rilevato che al momento della consumazione<br />

del reato, da individuarsi nella scadenza del termine per la<br />

presentazione della dichiarazione IVA, l’imputato non era più<br />

amministratore della società, essendosi dimesso da tale carica,<br />

né vi era prova che lo stesso fosse comunque amministratore<br />

di fatto.<br />

Avverso detta sentenza il Procuratore della Repubblica aveva<br />

proposto ricorso, rilevando quale unico motivo la violazione<br />

dell’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000, ed evidenziando come la sentenza<br />

abbia dimenticato di considerare la condotta tenuta dall’imputato<br />

era ancora amministratore della società, di accordo<br />

con l’emittente per l’emissione di una fattura non la relativa<br />

annotazione della stessa nei registri IVA, sicché una volta portato<br />

in dichiarazione da altri il credito IVA, lo stesso non potrebbe<br />

non essere chiamato a rispondere dell’utilizzazione in<br />

concorso con l’amministratore al momento del fatto.<br />

Secondo la Suprema Corte il reato contestato non sussiste,<br />

qualificandosi lo stesso quale reato istantaneo, senza pertanto<br />

che possa assumere rilievo penale la precedente sola<br />

condotta di registrazione delle fatture.<br />

L’irrilevanza sul piano penale delle predette condotte implica<br />

che i comportamenti tenuti dall’imputato quanto lo stesso era<br />

amministratore della società, di diritto o di fatto, non possano<br />

di per sé stessi essere valorizzate, nemmeno in termini di<br />

concorso di reato con l’amministratore della società che, recependo<br />

in dichiarazione i dati della fattura in questione, avrebbe<br />

perfezionato il reato di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000.<br />

Pur essendo in astratto possibile concepire in capo ad un extraneus<br />

il concorso nel reato proprio di cui al predetto art. 2 in<br />

caso di determinazione o istigazione alla presentazione della<br />

dichiarazione, una diversa conclusione comporterebbe, ancor<br />

prima di ogni altra considerazione, la vanificazione della precisa<br />

volontà del legislatore che è di evitare la punibilità del reato<br />

in esame a titolo di tentativo (art. 6, D.Lgs. n. 74/2000).<br />

Registro delle imprese<br />

SOCIETÀ ESTINTA: IL SOCIO RISPONDE DEI DEBITI TRIBUTARI<br />

SOLO SE HA PERCEPITO SOMME DALLA LIQUIDAZIONE<br />

@ Corte di cassazione, sez. trib., 16 maggio 2012, n. 7679<br />

La Corte di cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n.<br />

7679, depositata il 16 maggio 2012, ha concluso che nel caso<br />

in cui la cancellazione della società sopravvenga in corso<br />

di un processo, il contenzioso tributario può proseguire nei<br />

confronti del socio, ma a condizione e nei limiti delle somme<br />

da questi percepite dalla liquidazione.<br />

La questione trae origine da un controllo fiscale a seguito<br />

del quale venivano imputate ad una società maggiori imposte<br />

con un avviso di accertamento, tempestivamente impugnato<br />

ed annullato in primo grado, con conferma della sentenza<br />

anche da parte dei giudici di secondo grado. Nel frat-<br />

856 Le Società 7/2012


tempo la società era posta in liquidazione e poi cancellata<br />

dal Registro delle imprese.<br />

Ciononostante, però, il ricorso per Cassazione proposto dall’Ufficio<br />

veniva notificato alla società estinta, al liquidatore<br />

ed all’unico socio.<br />

In ragione di ciò, quindi, la Suprema Corte, si è espressa sull’eccezione<br />

di inammissibilità e/o improponibilità del ricorso<br />

per cassazione nei confronti della società, ancorché cancellata,<br />

del liquidatore e del socio.<br />

In ogni caso, in merito alla questione degli effetti della cancellazione<br />

della società commerciale dal Registro delle imprese,<br />

occorre innanzitutto rilevare che le Sezioni Unite (cfr.<br />

Cass., sez. un., n. 4060/2010; n. 4061/2010; n. 4062/2010)<br />

hanno già concluso che la predetta cancellazione, nell’ipotesi<br />

in cui l’adempimento abbia avuto luogo in data successiva<br />

all’entrata in vigore dell’art. art. 4, D.Lgs. n. 6/2003, che, modificando<br />

l’art. 2495, comma 2, c.c., ha attribuito all’istituto<br />

efficacia costitutiva, determina l’immediata estinzione della<br />

società, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti<br />

giuridici a essa facenti capo.<br />

Il profilo che però viene in rilievo nel caso di specie, e che<br />

non ha precedenti nella giurisprudenza di legittimità, attiene<br />

alla sorte dei rapporti processuali laddove la cancellazione<br />

della società sopravvenga in corso di causa o, come nella<br />

specie, dopo la sentenza gravata.<br />

Ebbene, in tal caso, secondo la Cassazione, la cancellazione<br />

della società va equiparata alla morte della parte persona fisica<br />

che comporta l’invalidità dell’instaurazione nei suoi confronti<br />

del giudizio di impugnazione indipendentemente dallo<br />

stato soggettivo dell’impugnante (qui in ogni caso consapevole<br />

dell’evento); né rileva, peraltro, che l’estinzione sia avvenuta,<br />

nel caso di specie, dopo addirittura la sentenza di<br />

primo grado, e che la stessa non sia stata rilevata nel giudizio<br />

d’appello.<br />

Di talché, la conseguente inammissibilità del ricorso per<br />

Cassazione proposto nei confronti della società estinta.<br />

Ciò posto in ordine agli effetti della cancellazione della società<br />

dal registro delle imprese, la stessa Corte si è poi preoccupata<br />

di chiarire che è altresì inammissibile il ricorso per<br />

Cassazione proposto sia nei confronti del liquidatore, essendo<br />

quest’ultimo soggetto ‘‘gravato da responsabilità civile<br />

concorrente, subordinata, ai sensi dell’art. 2495, comma 2,<br />

c.c., al fatto che il mancato pagamento del debito sociale<br />

sia dipeso da colpa (o a fortiori da dolo)’’, che del socio che<br />

non abbia riscosso la quota ad esso spettante in base al bilancio<br />

finale di liquidazione ovvero nei confronti del quale il<br />

creditore sociale non dimostri l’avvenuta riscossione della<br />

quota.<br />

L’art. 2495, comma 2, c.c., infatti, prevede che «ferma restando<br />

l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori<br />

sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti<br />

nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da<br />

questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei<br />

confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso<br />

da colpa di questi ...».<br />

La Cassazione, peraltro, con la sentenza in commento, precisa<br />

che l’effetto estintivo, producendosi anche in presenza di<br />

crediti insoddisfatti o di rapporti non definiti, determina l’insorgenza,<br />

da un lato, di una conseguente comunione fra i<br />

soci in ordine ai beni residuati dalla liquidazione (essendo legittima<br />

la cancellazione anche se il residuo attivo non è stato<br />

ancora ripartito), o sopravvenuti alla cancellazione; e, dall’altro,<br />

di una successione dei soci medesimi ai fini dell’esercizio,<br />

«nei limiti e alle condizioni stabilite», delle azioni dei creditori<br />

insoddisfatti.<br />

Fisco e società<br />

Sintesi<br />

La condizione testualmente fissata dall’art. 2495 c.c., ai fini<br />

della possibilità accordata ai creditori sociali di far valere i loro<br />

crediti, dopo la cancellazione della società nei confronti<br />

dei soci è che questi abbiano riscosso somme in base al bilancio<br />

finale di liquidazione.<br />

In ragione di quanto esposto, si può dunque concludere nel<br />

senso che il ricorso per cassazione è, invece, valido qualora,<br />

in caso di cancellazione della società dal registro delle imprese<br />

nel corso del giudizio, venga proposto nei confronti del<br />

solo successore universale della stessa, vale a dire nei confronti<br />

del socio che abbia riscosso la quota ad esso spettante<br />

sulla base del bilancio finale di liquidazione.<br />

Le Società 7/2012 857


Società e Unione europea<br />

Sintesi<br />

Osservatorio comunitario<br />

acuradiSilviaOlivieri<br />

Fiscalità indiretta<br />

LA CORTE DI GIUSTIZIA DEFINISCE IL CONCETTO DI ‘‘PRESTAZIONE A TITOLO ONEROSO’’<br />

NELL’AMBITO DI CONTRATTI DI SERVIZI DI TELECOMUNICAZIONI<br />

Corte di Giustizia UE 3 maggio 2012, causa C-520/10, Lebara Ltd/Commissioners for Her Majesty’s Revenue<br />

and Customs<br />

In data 3 maggio 2012, la Corte di Giustizia dell’Unione europea si è pronunciata, dietro rinvio pregiudiziale, sull’interpretazione<br />

dell’art. 2, punto 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione<br />

delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari - Sistema comune di imposta sul valore<br />

aggiunto: base imponibile uniforme, ai sensi del quale «le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo<br />

oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale» sono assoggettate ad IVA.<br />

La domanda pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia sorta tra la Lebara Ltd (la ‘‘Lebara’’) e i<br />

Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs (i ‘‘Commissioners’’) in merito ad un avviso di accertamento<br />

emesso da questi ultimi riguardo all’imposta sul valore aggiunto (l’‘‘IVA’’) asseritamente dovuta dalla Lebara<br />

per i servizi di telecomunicazioni forniti da quest’ultima nel corso del mese di marzo del 2005.<br />

In ordine ai fatti di cui è causa, va detto che la Lebara è una società stabilita nel Regno Unito che fornisce servizi di<br />

telecomunicazioni consistenti nel vendere ad un distributore carte telefoniche che contengono tutte le informazioni<br />

necessarie per effettuare chiamate telefoniche internazionali mediante l’infrastruttura messa a disposizione da detto<br />

operatore e che sono rivendute dal distributore, a proprio nome e per proprio conto, a utenti finali, direttamente o<br />

mediante altri soggetti passivi quali grossisti e dettaglianti.<br />

Relativamente al periodo qui considerato, la Lebara non versava alcuna IVA per la vendita di carte telefoniche ai distributori;<br />

conformemente al meccanismo dell’inversione contabile, essa riteneva che tale operazione configurasse<br />

una prestazione di servizi di telecomunicazioni il cui luogo si trovava nello Stato membro di stabilimento del distributore<br />

ed era pertanto quest’ultimo che doveva pagare l’IVA in tale Stato.<br />

Secondo la Lebara, l’uso effettivo della carta non comportava che essa fornisse una prestazione di servizi a titolo<br />

oneroso all’utente finale. Di diverso avviso erano i Commissioners, i quali ritenevano che la società dovesse versare<br />

l’IVA al Regno Unito poiché essa forniva due servizi: l’‘‘emissione’’, al momento della vendita della carta al distributore<br />

ed il ‘‘riscatto’’, al momento dell’utilizzo effettivo della carta da parte dell’utente finale. In proposito, bisogna tenere<br />

presente che gli Stati membri sono liberi di tassare o la prima o la seconda di tali prestazioni. Avendo il Regno<br />

Unito scelto di assoggettare ad imposizione il ‘‘riscatto’’, la base imponibile sarebbe costituita dalla frazione dell’importo<br />

versato dal distributore alla Lebara proporzionale all’uso effettivo della carta da parte del suo utente finale rispetto<br />

al valore nominale della medesima.<br />

I Commissioners emettevano conseguentemente un avviso di accertamento a titolo dell’IVA afferente ai servizi di telecomunicazioni<br />

forniti dalla Lebara nel corso del mese di marzo del 2005, avverso il quale la società proponeva ricorso<br />

dinanzi al giudice del rinvio, il First-tier Tribunal (Tax Chamber). Quest’ultimo, tenuto conto delle diverse prassi riguardanti<br />

il trattamento fiscale di tali carte telefoniche esistenti in taluni Stati membri, rilevava un rischio di doppia imposizione<br />

o di mancata imposizione di entrate provenienti dalla commercializzazione delle carte telefoniche. Decideva allora<br />

di sospendere il procedimento per sottoporre alla Corte di Giustizia due questioni pregiudiziali. Chiedeva innanzitutto<br />

se, in circostanze come quelle della causa principale, ove un soggetto passivo (l’‘‘operatore economico A’’) venda carte<br />

telefoniche che rappresentano il diritto di ricevere da detto soggetto servizi di telecomunicazioni, l’art. 2, punto 1,<br />

della sesta direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che l’operatore economico A effettua due forniture ai fini<br />

dell’IVA: una al momento della vendita iniziale della carta da parte dell’operatore economico A ad un altro soggetto<br />

passivo (l’‘‘operatore economico B’’) ed una al momento del suo ‘‘riscatto’’, vale a dire dell’utilizzo della carta da parte<br />

dell’‘‘utente finale’’ per effettuare chiamate telefoniche. In caso di risposta affermativa a tale questione domandava come<br />

debba applicarsi l’IVA all’interno della catena di fornitura in cui l’operatore economico A vende la carta telefonica all’operatore<br />

economico B, quest’ultimo rivende la carta telefonica in uno Stato membro B, e la carta viene infine acquistata<br />

nello Stato membro B dall’utente finale che la utilizza per effettuare chiamate telefoniche. Nell’affrontare i quesiti<br />

posti la Corte di Giustizia ricorda gli obiettivi e le regole principali del sistema comune dell’IVA nonché le peculiarità del<br />

sistema di commercializzazione di cui al procedimento principale. Innanzitutto, ai sensi dell’art. 2 della prima direttiva, il<br />

principio del sistema comune dell’IVA consiste nell’applicare ai beni ed ai servizi un’imposta generale sul consumo<br />

esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo<br />

di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell’imposizione (1).<br />

Nota:<br />

(1) Corte Giust. 3 ottobre 2006, C-475/03, Banca popolare di Cremona, punto 21, e Corte Giust. 28 ottobre 2010, C-49/09, Commissione/Polonia, punto 44.<br />

858 Le Società 7/2012


L’IVA mira, infatti, a gravare unicamente sul consumatore finale e ad essere perfettamente neutrale nei confronti<br />

dei soggetti passivi che intervengono nel processo di produzione e di distribuzione che precede la fase di imposizione<br />

finale, indipendentemente dal numero di operazioni avvenute.<br />

La Corte osserva quindi come ai sensi dell’art. 2, punto 1, della sesta direttiva sono le cessioni di beni e le prestazioni<br />

di servizi ad essere soggette all’IVA, non i pagamenti effettuati quale corrispettivo di queste ultime, anche se, nel<br />

caso di versamento di un acconto, l’IVA può diventare esigibile senza che la cessione o la prestazione sia stata ancora<br />

effettuata purché tutti gli elementi qualificanti del fatto generatore, vale a dire la futura cessione o la futura prestazione,<br />

siano già conosciuti (2).<br />

Ricorda infine la costante giurisprudenza secondo cui una prestazione di servizi è a titolo oneroso, e configura quindi<br />

un’operazione imponibile, solo quando sussiste un nesso diretto tra il servizio prestato ed il controvalore ricevuto.<br />

Passando ad esaminare le peculiarità del sistema, il giudice comunitario rileva che le carte telefoniche in questione<br />

danno diritto ad un solo tipo di servizi, la cui natura e quantità sono predeterminate e che è soggetto ad una sola aliquota<br />

di imposta.<br />

La commercializzazione delle carte telefoniche avviene mediante una catena di distribuzione che comprende perlomeno<br />

un operatore intermedio tra l’operatore telefonico e l’utente finale. Secondo la rappresentazione dei fatti contenuta<br />

nella decisione di rinvio, detto distributore rivende le carte telefoniche a proprio nome e per proprio conto.<br />

Quanto al prezzo pagato dall’utente finale per l’acquisto di una carta telefonica, direttamente presso il distributore<br />

oppure presso un dettagliante intermedio, la Corte osserva che esso non è necessariamente identico al valore nominale<br />

di detta carta e che l’operatore telefonico, non controllando il prezzo di rivendita chiesto dai distributori o dagli<br />

altri intermediari, non è in grado di conoscere il medesimo. Ciò premesso, poiché l’operatore telefonico riceve<br />

un solo pagamento effettivo nell’ambito della fornitura di tali servizi di telecomunicazioni, non è possibile sostenere<br />

che egli fornisca due prestazioni di servizi a titolo oneroso. Vi è pertanto un’unica operazione imponibile, il cui beneficiario<br />

è il distributore.<br />

L’operatore telefonico fornisce infatti un servizio al distributore, consistente nel trasferirgli il diritto di utilizzare la sua<br />

infrastruttura per effettuare chiamate internazionali, in cambio del quale riceve dal distributore il prezzo convenuto.<br />

Lo scambio tra reciproche prestazioni esiste quindi tra l’operatore telefonico ed il distributore al momento della vendita<br />

iniziale delle carte telefoniche a quest’ultimo, non essendovi alcun nesso diretto tra l’utente e l’operatore telefonico.<br />

Il pagamento effettuato dal distributore all’operatore telefonico non può infatti essere considerato un pagamento<br />

effettuato dall’utente finale a tale operatore, sebbene l’onere di detto pagamento si ripercuota su tale utente<br />

finale. Da un lato, il distributore rivende le carte telefoniche a proprio nome e per proprio conto, dall’altro l’importo<br />

che l’utente finale paga al momento dell’acquisto della carta non è necessariamente identico al prezzo pagato dal distributore<br />

all’operatore telefonico.<br />

L’utente finale non ha peraltro alcun diritto di rimborso, a carico dell’operatore telefonico, di un eventuale credito di<br />

chiamata non utilizzato nel periodo di validità della carta. Pertanto, nel caso di specie, l’osservanza dell’art. 2, primo<br />

comma, della prima direttiva e del principio di neutralità fiscale è garantita in quanto sia la vendita iniziale di una carta<br />

telefonica sia la sua rivendita successiva sono operazioni imponibili. In ciascuna fase della catena, l’IVA è esattamente<br />

proporzionale al prezzo pagato e consente la detrazione dell’imposta versata a monte. In particolare, al momento<br />

dell’ultima vendita di una carta telefonica all’utente finale, l’IVA è esattamente proporzionale al prezzo pagato<br />

da quest’ultimo per l’acquisto della carta, anche se tale prezzo non è identico al valore nominale della carta. Alla luce<br />

delle suesposte considerazioni, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha statuito che:<br />

«L’articolo 2, punto 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione<br />

delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul<br />

valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2003/92/CE del Consiglio, del 7 ottobre<br />

2003, deve essere interpretato nel senso che un operatore telefonico che propone servizi di telecomunicazioni consistenti<br />

nel vendere ad un distributore carte telefoniche che contengono tutte le informazioni necessarie per effettuare<br />

chiamate telefoniche internazionali mediante l’infrastruttura messa a disposizione da detto operatore e che sono<br />

rivendute dal distributore, a proprio nome e per proprio conto, a utenti finali, direttamente o mediante altri soggetti<br />

passivi quali grossisti o dettaglianti, fornisce una prestazione di servizi di telecomunicazioni a titolo oneroso al<br />

distributore. Per contro, detto operatore non fornisce una seconda prestazione di servizi a titolo oneroso all’utente finale<br />

allorché quest’ultimo, avendo acquistato la carta telefonica, esercita il diritto di effettuare chiamate telefoniche<br />

servendosi delle informazioni figuranti su detta carta».<br />

Libera circolazione di capitali<br />

LA CORTE DI GIUSTIZIA SI PRONUNCIA IN MATERIA DI ORGANISMI DI INVESTIMENTO COLLETTIVO<br />

DI VALORI MOBILIARI<br />

Corte di Giustizia UE 10 maggio 2012, cause riunite C-338/11 a C-347/11, Santander Asset Management SGIIC<br />

SA, (C-338/11)/Directeur des résidents à l’étranger et des services généraux e Santander Asset Management<br />

SGIIC SA, (C-339/11), Kapitalanlagegesellschaft mbH, (C-340/11), Allianz Global Investors Kapitalanlagegesell-<br />

Nota:<br />

(2) Art. 10, par. 2, comma 2, della sesta direttiva.<br />

Società e Unione europea<br />

Sintesi<br />

Le Società 7/2012 859


Società e Unione europea<br />

Sintesi<br />

schaft mbH, (C-341/11), SICAV KBC Select Immo (C-342/11), SGSS Deutschland Kapitalanlagegesellschaft<br />

mbH (C-343/11), International Values Series of the DFA Investment Trust Co. (C-344/11), Continental Small Co.<br />

Series of the DFA Investment Trust Co. (C-345/11), SICAV GA Fund B (C-346/11), Generali Investments<br />

Deutschland Kapitalanlagegesellschaft mbH, (C-347/11)/Ministre du Budget, des Comptes publics, de la Fonction<br />

publique et de la Réforme de l’État<br />

Note:<br />

In data 10 maggio 2012, la Corte di Giustizia dell’Unione europea si è pronunciata, dietro rinvio pregiudiziale, sull’interpretazione<br />

degli artt. 63 TFUE e 65 TFUE (3) relativi alla libera circolazione dei capitali.<br />

La domanda pregiudiziale è stata presentata dal Tribunal administratif de Montreuil (Francia) nell’ambito di una controversia<br />

che vede opposti alcuni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (gli ‘‘OICVM’’) non residenti<br />

alle autorità tributarie francesi, relativamente alla ritenuta alla fonte riscossa sui dividendi d’origine nazionale distribuiti<br />

a detti OICVM.<br />

I ricorrenti nei procedimenti principali sono OICVM belgi (cause C-342/11 e C-346/11), tedeschi (cause C-340/11, C-<br />

341/11, C-343/11 e C-347/11), spagnoli (cause C-338/11 e C-339/11) e statunitensi (cause C-344/11 e C-345/11),<br />

che investono soprattutto in azioni di società francesi ed a tale titolo ricevono dividendi.<br />

Ai sensi degli artt. 119 bis, par. 2, e 187, par. 1, del Codice generale francese delle imposte (‘‘CGI’’), detti dividendi<br />

sono assoggettati in Francia ad una ritenuta alla fonte del 25%. Il giudice del rinvio ritiene che la normativa nazionale<br />

di cui ai procedimenti principali introduca una differenza di trattamento fiscale a sfavore degli OICVM non residenti,<br />

in quanto i dividendi d’origine francese che tali organismi ricevono sono assoggettati ad una ritenuta alla fonte, mentre<br />

dividendi della stessa origine versati a OICVM residenti non sono assoggettati ad una ritenuta siffatta. Tale differenza<br />

di trattamento costituisce, secondo il giudice del rinvio, una restrizione alla libera circolazione dei capitali ai<br />

sensi dell’art. 63 TFUE, che, alla luce dell’art. 65 TFUE, può essere ammessa solo se la differenza di trattamento riguarda<br />

situazioni che non sono oggettivamente comparabili oppure se la restrizione sia giustificata da una ragione<br />

imperativa di interesse generale.<br />

Ad avviso del giudice del rinvio, per valutare se le situazioni sono comparabili è essenziale sapere se, oltre a quella degli<br />

OICVM, debba essere presa in considerazione la situazione dei titolari di quote. Tale giudice spiega che, se si prendesse<br />

in considerazione solo la situazione degli OICVM, si dovrebbe constatare che questi ultimi, siano essi residenti<br />

in Francia o in un altro Stato membro, si trovano in una situazione oggettivamente comparabile; in tal caso la differenza<br />

di trattamento non potrebbe più essere considerata giustificata da una ragione imperativa di interesse generale.<br />

Nell’ipotesi in cui, invece, occorresse tener conto non solo della situazione degli OICVM, ma anche della situazione<br />

dei loro titolari di quote, la conformità della ritenuta alla fonte al principio della libera circolazione dei capitali potrebbe<br />

essere ammessa in tutti i casi in cui le situazioni, tenuto conto del regime fiscale complessivo applicabile, non<br />

possono essere considerate oggettivamente comparabili o nei casi in cui una ragione imperativa di interesse generale<br />

attinente all’efficacia dei controlli fiscali giustifichi la differenza di trattamento.<br />

In tale contesto, il Tribunal administratif de Montreuil ha deciso di sospendere il procedimento per chiedere, appunto,<br />

alla Corte di Giustizia se, oltre alla situazione degli OICVM, debba essere presa in considerazione anche quella<br />

dei titolari di quote e, in tale ipotesi, a quali condizioni la ritenuta alla fonte controversa può essere considerata conforme<br />

al principio della libera circolazione dei capitali» (4).<br />

Orbene, nell’affrontare i quesiti pregiudiziali, la Corte rammenta in via preliminare che per giurisprudenza costante<br />

anche se la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri questi ultimi devono esercitare<br />

tale competenza nel rispetto del diritto dell’Unione (5).<br />

Sempre per costante giurisprudenza, le misure vietate dall’art. 63, par. 1, TFUE, in quanto restrizioni dei movimenti<br />

di capitali, comprendono quelle che sono idonee a dissuadere i non residenti dal fare investimenti in uno Stato<br />

membro o a dissuadere i residenti di detto Stato membro dal farne in altri Stati (6).<br />

(3) Ai sensi dell’art. 63 TFUE: «... 1. Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati<br />

membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi. 2. Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra<br />

Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi. ...». Ai sensi dell’art. 65 TFUE: «... 1. Le disposizioni dell’articolo 63 non pregiudicano il diritto degli Stati<br />

membri: a) di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella<br />

medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale; b) di prendere tutte le misure necessarie per<br />

impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni<br />

finanziarie, o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure<br />

giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. 2. Le disposizioni del presente capo non pregiudicano l’applicabilità di restrizioni in materia<br />

di diritto di stabilimento compatibili con i trattati. 3. Le misure e le procedure di cui ai paragrafi 1 e 2 non devono costituire un mezzo di discriminazione<br />

arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 63. 4. In assenza di misure in applicazione dell’articolo<br />

64, paragrafo 3, la Commissione o, in mancanza di una decisione della Commissione entro un periodo di tre mesi dalla richiesta dello Stato membro<br />

interessato, il Consiglio può adottare una decisione che conferma che le misure fiscali restrittive adottate da uno Stato membro riguardo ad uno o più paesi<br />

terzi devono essere considerate compatibili con i trattati nella misura in cui sono giustificate da uno degli obiettivi dell’Unione e compatibili con il buon funzionamento<br />

del mercato interno. Il Consiglio delibera all’unanimità su richiesta di uno Stato membro. ...».<br />

(4) Si tenga presente che con ordinanza del presidente della Corte del 4 agosto 2011, i procedimenti da C-338/11 a C-347/11 sono stati riuniti ai fini<br />

della fase scritta e orale del procedimento, nonché della sentenza.<br />

(5) Corte Giust. 4 marzo 2004, C-334/02, Commissione/Francia, punto 21; C. Giust. C-155/09, 20 gennaio 2011, Commissione/Grecia, punto 39, e C.<br />

Giust. 16 giugno 2011, C-10/10, Commissione/Austria, punto 23.<br />

(6) Corte Giust. 25 gennaio 2007, C-370/05, Festersen, punto 24, e C. Giust. 18 dicembre 2007, C-101/05, A, punto 40, nonché C. Giust. 10 febbraio<br />

2011, C-436/08 e C-437/08, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, punto 50.<br />

860 Le Società 7/2012


Società e Unione europea<br />

Sintesi<br />

La Corte osserva allora che ai sensi della normativa controversa i dividendi distribuiti da una società residente ad un<br />

OICVM non residente, sia esso stabilito in un altro Stato membro o in uno Stato terzo, sono assoggettati ad imposta<br />

con aliquota del 25%, mediante ritenuta alla fonte, mentre siffatti dividendi non sono assoggettati ad imposta allorché<br />

sono versati ad un OICVM residente. Poiché tale differenza di trattamento fiscale è idonea a dissuadere, da<br />

un lato, gli OICVM non residenti dall’effettuare investimenti in società stabilite in Francia e, d’altro lato, a dissuadere<br />

gli investitori residenti in Francia dall’acquistare quote in OICVM non residenti, la normativa che la prevede costituisce<br />

una restrizione della libera circolazione dei capitali, in linea di principio vietata dall’art. 63 TFUE.<br />

A questo punto si rende necessario esaminare se tale restrizione possa essere giustificata alla luce delle disposizioni<br />

del Trattato. Il giudice comunitario rammenta in proposito che sebbene ai sensi dell’art. 65, par. 1, lett. a), TFUE,<br />

«[l]e disposizioni dell’articolo 63 [TFUE] non pregiudicano il diritto degli Stati membri (...) di applicare le pertinenti disposizioni<br />

della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella<br />

medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale», tale<br />

disposizione, derogando al principio fondamentale della libera circolazione dei capitali, deve essere interpretata restrittivamente.<br />

Peraltro, lo stesso art. 65, al par. 3, TFUE, prevede che le disposizioni nazionali contemplate dal par.<br />

1 «non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento<br />

dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 63». Orbene, conformemente alla giurisprudenza comunitaria in materia,<br />

perché una normativa tributaria nazionale possa essere considerata compatibile con le disposizioni del Trattato<br />

relative alla libera circolazione dei capitali è necessario che la differenza di trattamento da essa prevista riguardi situazioni<br />

che non sono oggettivamente paragonabili o sia giustificata da ragioni imperative di interesse generale.<br />

Proprio al fine di valutare se le situazioni siano comparabili, il giudice del rinvio si chiede se, oltre alla situazione degli<br />

OICVM, debba essere presa in considerazione la situazione dei titolari di quote.<br />

La Corte osserva in merito che, allorché una normativa nazionale fissa un criterio distintivo per l’assoggettamento<br />

ad imposta degli utili distribuiti, la valutazione della comparabilità delle situazioni va effettuata tenendo conto di tale<br />

criterio, essendo del tutto priva di pertinenza la situazione fiscale dei titolari di quote di detti organismi.<br />

Con specifico riferimento alla normativa fiscale di cui ai procedimenti principali, constata poi che essa fissa un criterio<br />

distintivo basato sul luogo di residenza dell’OICVM, assoggettando ad una ritenuta alla fonte dei dividendi da essi<br />

ricevuti solo gli OICVM non residenti.<br />

Contrariamente a quanto sostenuto dal governo francese, non sussiste un nesso tra il mancato assoggettamento<br />

ad imposta dei dividendi ricevuti dagli OICVM residenti e l’assoggettamento ad imposta di tali dividendi in capo ai titolari<br />

di quote di questi ultimi.<br />

L’esenzione fiscale di cui godono gli OICVM residenti non è, infatti, subordinata all’assoggettamento ad imposta dei<br />

redditi distribuiti in capo ai titolari delle loro quote. Neppure relativamente agli OICVM che distribuiscono i dividendi<br />

ricevuti la normativa di cui trattasi prende in considerazione la situazione fiscale dei titolari delle loro quote. Risulta<br />

dalla normativa di cui trattasi nei procedimenti principali che i dividendi d’origine nazionale versati ad un OICVM di<br />

distribuzione residente saranno esenti da imposta anche nel caso in cui la Repubblica francese non eserciterà la<br />

propria potestà impositiva sui dividendi ridistribuiti da un OICVM siffatto, in particolare allorché essi siano versati a<br />

titolari di quote aventi la residenza fiscale in uno Stato membro diverso o in uno Stato terzo. Peraltro, i dividendi d’origine<br />

nazionale versati agli OICVM di distribuzione non residenti sono assoggettati ad un’aliquota del 25%, indipendentemente<br />

dalla situazione fiscale dei titolari delle loro quote.<br />

Anche nell’ipotesi in cui, per un titolare residente in Francia di quote di un OICVM non residente, esista, come sostiene<br />

il governo francese, una prassi amministrativa che consente a detto titolare, in talune ipotesi, di ottenere un<br />

credito d’imposta per la ritenuta alla fonte applicata a livello dell’OICVM non residente, resta pur sempre il fatto che<br />

la normativa di cui trattasi nei procedimenti principali prevede l’assoggettamento ad imposta dei dividendi d’origine<br />

nazionale distribuiti agli OICVM non residenti con un’aliquota del 25% in base unicamente al luogo di residenza di<br />

questi ultimi e, pertanto, indipendentemente dalla situazione fiscale dei titolari di quote di tali OICVM.<br />

Considerato il criterio distintivo stabilito da tale normativa, basato unicamente sul luogo di residenza dell’OICVM, la<br />

valutazione della comparabilità delle situazioni ai fini della determinazione del carattere discriminatorio o meno della<br />

normativa di cui trattasi va effettuata unicamente a livello del veicolo di investimento. Inoltre, come sottolinea il giudice<br />

del rinvio, rispetto ad una normativa nazionale, come quella controversa nei procedimenti principali, che mira a<br />

prevenire l’imposizione a catena dei dividendi distribuiti da società residenti, la situazione di un OICVM beneficiario<br />

residente è comparabile a quella di un OICVM beneficiario non residente. Resta da esaminare se la restrizione risultante<br />

da una normativa nazionale come quella controversa nei procedimenti principali sia giustificata da ragioni imperative<br />

di interesse generale.<br />

Quanto alla necessità, invocata dal Governo francese, di salvaguardare una ripartizione equilibrata della potestà impositiva<br />

tra gli Stati membri, la Corte ricorda che essa può essere ammessa qualora, in particolare, il regime di cui<br />

trattasi sia inteso a prevenire comportamenti atti a porre a rischio il diritto di uno Stato membro di esercitare la propria<br />

potestà impositiva in relazione alle attività svolte sul suo territorio. Tuttavia, allorché uno Stato membro sceglie<br />

di non assoggettare ad imposta gli OICVM residenti beneficiari di dividendi d’origine nazionale, non può invocare la<br />

necessità di garantire una ripartizione equilibrata della potestà impositiva tra gli Stati membri per giustificare l’assoggettamento<br />

ad imposta degli OICVM non residenti beneficiari di tali redditi.<br />

La normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali non può essere giustificata neppure dalla necessità<br />

di garantire l’efficacia dei controlli fiscali. Come osservato dal giudice del rinvio, l’efficacia dei controlli fiscali non<br />

può, infatti, giustificare un assoggettamento ad imposta che colpisca unicamente e specificamente i non residenti.<br />

Relativamente all’argomento attinente alla preservazione della coerenza del regime fiscale francese, occorre ricordare<br />

che la Corte ha già dichiarato che la necessità di preservare detta coerenza può giustificare una normativa idonea<br />

Le Società 7/2012 861


Società e Unione europea<br />

Sintesi<br />

a restringere le libertà fondamentali. Tuttavia, affinché un argomento fondato su una siffatta giustificazione possa<br />

essere accolto, secondo giurisprudenza costante occorre che sia dimostrata l’esistenza di un nesso diretto tra l’agevolazione<br />

fiscale di cui trattasi e la compensazione della stessa con un determinato prelievo fiscale. Orbene, come<br />

evidenziato sopra, l’esenzione dalla ritenuta alla fonte dei dividendi non è assoggettata alla condizione che i dividendi<br />

ricevuti dall’OICVM di cui trattasi siano ridistribuiti da quest’ultimo e che il loro assoggettamento ad imposta in<br />

capo ai titolari di quote di detto OICVM consenta di compensare l’esenzione dalla ritenuta alla fonte.<br />

Infine, per quanto riguarda le ragioni che giustificano restrizioni di movimenti di capitali nei confronti di Stati terzi, la<br />

Corte ricorda, da un lato, che il governo francese si è limitato a sostenere che, nell’ambito di siffatti movimenti e in<br />

assenza di convenzioni fiscali che prevedano una reciproca assistenza amministrativa, le limitazioni di cui trattasi dovrebbero<br />

essere giustificate dall’esigenza di garantire l’efficacia dei controlli fiscali.<br />

Per quanto sia vero che secondo la giurisprudenza siffatti movimenti di capitali si inseriscono in un contesto giuridico<br />

diverso rispetto alle relazioni tra gli Stati membri, nel caso di specie la Corte rileva che il governo francese non<br />

ha prodotto elementi atti a dimostrare i motivi per i quali l’efficacia dei controlli fiscali giustificherebbe un assoggettamento<br />

ad imposta che colpisce unicamente e specificamente gli OICVM non residenti.<br />

D’altro lato, giacché le domande di pronuncia pregiudiziale non concernono un’interpretazione dell’art. 64, par.<br />

1, TFUE, afferma che non è necessario esaminare se la limitazione dei movimenti di capitali destinati a Stati terzi, o<br />

da essi provenienti, risultante da una normativa nazionale, come quella controversa nei procedimenti principali, possa<br />

essere giustificata in base a tale disposizione.<br />

Da ultimo il giudice comunitario rigetta la richiesta del Governo francese di limitare nel tempo gli effetti della sentenza.<br />

Se è vero che la Corte, applicando il principio generale della certezza del diritto intrinseco all’ordinamento giuridico<br />

dell’Unione, può essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata<br />

onde rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede, ciò avviene solo in via eccezionale.<br />

Affinché una tale limitazione possa essere disposta, è necessario che siano soddisfatti due criteri essenziali, la buona<br />

fede degli ambienti interessati e il rischio di conseguenze gravi.<br />

La Corte ha poi fatto ricorso a tale soluzione soltanto in presenza di circostanze ben precise, in particolare quando vi<br />

era un rischio di gravi ripercussioni economiche e quando risultava che i singoli e le autorità nazionali erano stati indotti<br />

ad un comportamento non conforme al diritto dell’Unione in ragione di una oggettiva e rilevante incertezza circa<br />

la portata delle disposizioni di diritto dell’Unione.<br />

Con riferimento al caso di specie essa rigetta gli argomenti del Governo francese relativi, da un lato, all’asserita esistenza<br />

di un’incertezza oggettiva e rilevante quanto alla portata delle disposizioni del diritto dell’Unione, dall’altro, alle<br />

considerevoli implicazioni di bilancio di una sentenza della Corte in materia. Afferma infatti che il Governo francese<br />

non ha precisato in che modo il comportamento adottato dalla Commissione e da altri Stati membri avrebbe contribuito<br />

a siffatta incertezza. Inoltre, per costante giurisprudenza, le conseguenze finanziarie che potrebbero derivare<br />

per uno Stato membro da una sentenza pronunciata in via pregiudiziale non giustificano, di per sé, la limitazione nel<br />

tempo degli effetti di tale sentenza. Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte di Giustizia dell’Unione europea<br />

ha dichiarato che:<br />

«Gli articoli 63 TFUE e 65 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa di uno Stato<br />

membro che prevede l’assoggettamento ad imposta, mediante ritenuta alla fonte, di dividendi d’origine nazionale<br />

se ricevuti da organismi di investimento collettivo in valori mobiliari residenti in un altro Stato membro, mentre siffatti<br />

dividendi sono esenti da imposta in capo ad organismi di investimento collettivo in valori mobiliari residenti nel<br />

primo Stato».<br />

862 Le Società 7/2012


INDICE DEGLI AUTORI<br />

Bonavera Enrico Erasmo<br />

Avvocato in Genova<br />

Abuso nell’attività di direzione e coordinamento e<br />

violazione dei principi di corretta gestione societaria<br />

e imprenditoriale ........................................... 746<br />

Carbone Vincenzo<br />

Presidente Emerito onorario della Suprema Corte<br />

di cassazione<br />

Osservatorio di giurisprudenza di legittimità........... 835<br />

Celentano Paolo<br />

Consigliere della Corte d’Appello di Napoli<br />

Le sezioni specializzate in materia d’impresa ......... 805<br />

Dalfino Domenico<br />

Professore associato di Diritto commerciale e<br />

processuale nell’Università degli Studi di Bari<br />

Tutela cautelare ante causam e sospensione della<br />

delibera assembleare...................................... 830<br />

Di Brina Leonardo<br />

Professore straordinario di Diritto Commerciale<br />

nell’Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma’’<br />

I poteri dei liquidatori di società di capitali ............. 761<br />

Fasani Fabio<br />

Dottore di ricerca in Diritto penale nell’Università<br />

degli Studi di Pavia<br />

L’irrilevanza penale dell’elusione tributaria............. 791<br />

Gabelli Massimo<br />

Dottore commercialista in Milano<br />

Osservatorio fiscale........................................ 852<br />

Giuffrè Romilda<br />

Avvocato in Napoli<br />

Osservatorio di giurisprudenza di legittimità........... 835<br />

Guffanti Edoardo<br />

Dottore commercialista in Milano<br />

Il diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede....... 779<br />

Olivieri Silvia<br />

Avvocato in Bruxelles<br />

Osservatorio comunitario ................................. 858<br />

Platania Fernado<br />

Presidente della sezione fallimentare del Tribunale<br />

di Verona<br />

Modifica dell’atto costitutivo prima dell’iscrizione .... 741<br />

Salafia Vincenzo<br />

Presidente aggiunto onorario della Corte di cassazione<br />

La cessione di quote del capitale della s.r.l. ........... 775<br />

Stabilini Alessandra<br />

Avvocato in Milano e Ricercatore di Diritto Commerciale<br />

nell’Università degli Studi di Milano<br />

Osservatorio di giurisprudenza di merito............... 837<br />

Venturini Federico<br />

Avvocato in Genova<br />

Osservatorio Consob...................................... 847<br />

INDICE CRONOLOGICO<br />

DELLA LEGISLAZIONE<br />

D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 ............................... 805<br />

INDICE CRONOLOGICO<br />

DELLA GIURISPRUDENZA<br />

Corte di Giustizia UE<br />

3 maggio 2012, causa C-520/10......................... 858<br />

10 maggio 2012, cause riunite C-338/11 a C-347/11 859<br />

Cassazione civile<br />

1 dicembre 2011, n. 25703 .............................. 741<br />

14 febbraio 2012, n. 2065 ................................ 779<br />

14 maggio 2012, n. 7426 ................................. 835<br />

14 maggio 2012, n. 7427 ................................. 835<br />

16 maggio 2012, n. 7679 ................................. 856<br />

24 maggio 2012, n. 8221 ................................. 835<br />

Cassazione penale<br />

2 febbraio 2012, n. 4458.................................. 841<br />

10 maggio 2012, n. 17451 ............................... 843<br />

21 maggio 2012, n. 19247 ............................... 856<br />

31 maggio 2012, n. 20976 ............................... 844<br />

13 giugno 2012, n. 23229 ................................ 856<br />

Corte d’Appello<br />

Milano 15 febbraio 2012.................................. 838<br />

Milano 4 maggio 2012, n. 1523 ......................... 837<br />

Tribunale<br />

Milano 26 maggio 2011................................... 761<br />

Milano 2 febbraio 2012 ................................... 746<br />

Milano 23 aprile 2012 ..................................... 830<br />

Milano 7 maggio 2012, n. 5244 ......................... 837<br />

Milano 7 maggio 2012, n. 5245 ......................... 839<br />

INDICE CRONOLOGICO<br />

DELLA PRASSI<br />

Indici<br />

Le Società<br />

Agenzia delle Entrate<br />

Circolare 31 maggio 2012, n. 18/E ...................... 853<br />

Circolare 5 giugno 2012, n. 21/E ........................ 852<br />

Circolare 11 giugno 2012, n. 23/E....................... 855<br />

Circolare 15 giugno 2012, n. 24/E....................... 854<br />

Le Società 7/2012 863


Indici<br />

Le Società<br />

Consob<br />

Delibera 26 gennaio 2012, n. 18090 .................... 847<br />

Delibera 1 febbraio 2012, n. 18096 ..................... 847<br />

Delibera 24 febbraio 2012, n. 18130.................... 850<br />

Delibera 9 maggio 2012, n. 18214 ...................... 851<br />

Comunicazione 24 maggio 2012, n. 12044042 ....... 848<br />

INDICE ANALITICO<br />

Associazione in partecipazione<br />

Contratto d’opera<br />

Risoluzione<br />

Risoluzione del contratto (Cass. civ., sez. I; 14 magio<br />

2012, n. 7426 - Osservatorio di giurisprudenza di legittimità)<br />

..................................................... 835<br />

Consorzi<br />

Consorzi urbanistici<br />

Definizione<br />

Consorzi urbanistici (Cass. civ., sez. I, 14 maggio<br />

2012, n. 7427 - Osservatorio di giurisprudenza di legittimità)<br />

..................................................... 835<br />

Gruppi di società<br />

Direzione e coordinamento<br />

Abuso nell’attività<br />

Abuso nell’attività di direzione e coordinamento e<br />

violazione dei principi di corretta gestione societaria<br />

e imprenditoriale (Trib. Milano, sez. VIII, 2 febbraio<br />

2012) commento di E.E. Bonavera...................... 746<br />

Liquidazione<br />

Liquidatori<br />

Poteri<br />

I poteri dei liquidatori di società di capitali (Trib. Milano,<br />

sez. VIII, 26 maggio 2011) commento di L. Di<br />

Brina.......................................................... 761<br />

Mercati finanziari<br />

Informazione societaria<br />

Sanzioni amministrative<br />

Sanzioni amministrative per omissione di informazioni<br />

rilevanti in comunicati al mercato (Delibera 1 febbraio<br />

2012, n. 18096 - Osservatorio consob).......... 847<br />

Sanzioni amministrative per pubblicazione di comu-<br />

nicati incompleti (Delibera 26 gennaio 2012, n.<br />

18090 - Osservatorio consob) ........................... 847<br />

Offerta pubblica di acquisto e di scambio<br />

Esenzioni<br />

Esenzioni ‘‘da salvataggio’’ (Comunicazione 24 maggio<br />

2012, n. 12044042 - Osservatorio consob) ....... 848<br />

Obbligatoria<br />

La risarcibilità dei danni derivanti dalla mancata ricostituzione<br />

del flottante (App. Milano, sez. I, 4 maggio<br />

2012, n. 1523 - Osservatorio di giurisprudenza di<br />

merito)....................................................... 837<br />

Sanzioni amministrative per acquisti di concerto e<br />

violazione del divieto di voto (Delibera 24 febbraio<br />

2012, n. 18130 - Osservatorio consob) ................ 850<br />

Regolamento Emittenti<br />

Disciplina<br />

Modifiche al regolamento emittenti e al regolamento<br />

mercati (Delibera 9 maggio 2012, n. 18124 - Osservatorio<br />

Consob) ............................................ 851<br />

Strumenti finanziari<br />

Emissione e offerta<br />

Il diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede<br />

(Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065) commento<br />

di E. Guffanti ....................................... 779<br />

Reati fallimentari<br />

Bancarotta fraudolenta<br />

Bancarotta infragruppo<br />

Bancarotta fraudolenta e rilevanza dei vantaggi compensativi<br />

infragruppo (Cass. pen., sez. IV, 2 febbraio<br />

2012, n. 4458 - Osservatorio di giurisprudenza penale<br />

dell’impresa)............................................. 841<br />

Reati tributari<br />

Omessa o infedele dichiarazione<br />

Disciplina<br />

L’irrilevanza penale dell’elusione tributaria, di F. Fasani...........................................................<br />

791<br />

Regime fiscale<br />

Controversie internazionali<br />

Disciplina<br />

Composizione delle controversie fiscali internazionali:<br />

le procedure amichevoli (Circolare Agenzia delle<br />

Entrate 5 giugno 2012, n. 21/E - Osservatorio fiscale).............................................................<br />

852<br />

864 Le Società 7/2012


Evasione<br />

Misure di contrasto<br />

Lotta all’evasione: l’Agenzia delle Entrate fornisce le<br />

linee guida per l’anno 2012 (Circolare Agenzia delle<br />

Entrate 31 maggio 2012, n. 18/E - Osservatorio fiscale).........................................................<br />

853<br />

Reddito d’impresa<br />

Deducibilità<br />

Beni concessi in godimento ai soci ed ai familiari: i<br />

chiarimenti dell’Agenzia (Circolare Agenzia delle Entrate<br />

15 giugno 2012, n. 24/E - Osservatorio fiscale) 853<br />

Società in perdita sistematica: le prime indicazioni<br />

dell’Agenzia (Circolare Agenzia delle Entrate 11 giugno<br />

2012, n. 23/E - Osservatorio fiscale)............... 855<br />

Registro delle imprese<br />

Cancellazione<br />

Effetti<br />

Società estinta: il socio risponde dei debiti tributari<br />

solo se ha percepito somme dalla liquidazione<br />

(Cass., sez. trib., 16 maggio 2012, n. 7679 - Osservatorio<br />

fiscale) .............................................. 856<br />

Responsabilità amministrativa<br />

delle persone giuridiche<br />

Misure cautelari reali<br />

Sequestro preventivo<br />

Frode in erogazioni pubbliche attraverso false fatturazioni<br />

e profitto confiscabile (Cass. pen., sez. III, 10<br />

maggio 2012, n. 17451 - Osservatorio di giurisprudenza<br />

penale di impresa) ................................. 843<br />

Reato della persona giuridica ed estensione del sequestro<br />

preventivo ai concorrenti persone fisiche<br />

(Cass. pen., sez. II, 31 maggio 2012, n. 20976 - Osservatorio<br />

di giurisprudenza penale di impresa)....... 844<br />

Società a responsabilità limitata<br />

Assemblea<br />

Convocazione<br />

Convocazione dell’assemblea da parte dei soci che<br />

rappresentano almeno un terzo del capitale sociale<br />

(Trib. Milano, sez. VIII, 7 maggio 2012, n. 5244 - Osservatorio<br />

di giurisprudenza di merito).................. 837<br />

Atto costitutivo e Statuto<br />

Modifiche<br />

Modifica dell’atto costitutivo prima dell’iscrizione<br />

(Cass. civ., sez. I, 1 dicembre 2011, n. 25703) commento<br />

di F. Platania ....................................... 741<br />

Quote<br />

Cessione<br />

La cessione di quote del capitale della s.r.l............ 775<br />

Società di capitali<br />

Deliberazione<br />

Impugnazione<br />

Tutela cautelare ante causam e sospensione della<br />

delibera assembleare (Trib. Milano, sez. VIII, ord., 23<br />

aprile 2012) commento di D. Dalfino ................... 830<br />

Società in accomandita semplice<br />

Utili di esercizio<br />

Diritto alla percezione<br />

Il diritto a percepire gli utili di esercizio nella società<br />

in accomandita semplice (App. Milano, sez. I, 15<br />

febbraio 2012 - Osservatorio di giurisprudenza di<br />

merito)....................................................... 838<br />

Società per azioni<br />

Amministratori<br />

Revoca<br />

Revoca per giusta causa: sindacato di gestione<br />

(Cass. civ., sez. I, 24 maggio 2012, n. 8221 - Osservatorio<br />

di giurisprudenza di legittimità) ................. 835<br />

Società quotate<br />

Continuità aziendale<br />

Criteri di valutazione<br />

Principi e criteri di valutazione per verificare la sussistenza<br />

della continuità aziendale (Trib. Milano, sez.<br />

VIII, 7 maggio 2012, n. 5245 - Osservatorio di giurisprudenza<br />

di legittimità) ..................................<br />

Tribunale delle imprese<br />

Competenza<br />

Indici<br />

Le Società<br />

839<br />

Disciplina<br />

Le Sezioni specializzate in materia d’impresa (D.L.<br />

24 gennaio 2012) commento di P. Celentano......... 805<br />

Le Società 7/2012 865


Indici<br />

Le Società<br />

Unione europea<br />

Diritto delle società<br />

Libera circolazione dei capitali<br />

La Corte di Giustizia si pronuncia in materia di organismi<br />

di investimento collettivo di valori mobiliari<br />

(Corte di Giustizia dell’Unione europea, 10 maggio<br />

2012, cause riunite C-338/11 a C-347/11 - Osservatorio<br />

comunitario) .......................................... 859<br />

Fiscalità indiretta<br />

Iva<br />

La Corte di Giustizia definisce il concetto di ‘‘prestazione<br />

a titolo oneroso’’ nell’ambito di contratti di servizi<br />

di telecomunicazioni (Corte di Giustizia dell’Unione<br />

europea, 3 maggio 2012, causa C-520/10 - Osservatorio<br />

comunitario).................................... 858<br />

866 Le Società 7/2012

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!