sommario - Ipsoa
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S.p.a.<br />
Gruppi<br />
di società<br />
Liquidazione<br />
S.r.l.<br />
DIRITTO SOCIETARIO<br />
SOMMARIO<br />
Modifica dell’atto costitutivo prima dell’iscrizione<br />
Cass. civ., sez. I, 1 dicembre 2011, n. 25703<br />
commento di Fernando Platania 741<br />
Abuso nell’attività di direzione e coordinamento e violazione dei principi di corretta gestione societaria<br />
e imprenditoriale<br />
Trib. Milano, sez. VIII, 2 febbraio 2012<br />
commento di Enrico Erasmo Bonavera 746<br />
I poteri dei liquidatori di società di capitali<br />
Trib. Milano, sez. VIII, 26 maggio 2011<br />
commento di Leonardo Di Brina 761<br />
La cessione di quote del capitale della s.r.l.<br />
di Vincenzo Salafia 775<br />
DIRITTO DEI MERCATI FINANZIARI<br />
Strumenti Il diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede<br />
finanziari Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065<br />
commento di Edoardo Guffanti 779<br />
Reati tributari<br />
DIRITTO PENALE COMMERCIALE<br />
L’irrilevanza penale dell’elusione tributaria<br />
di Fabio Fasani 791<br />
PROCESSO, ARBITRATO E MEDIAZIONE<br />
Tribunale Le sezioni specializzate in materia d’impresa<br />
delle imprese D.L. 24 gennaio 2012, n. 1<br />
commento di Paolo Celentano 805<br />
Società Tutela cautelare ante causam e sospensione della delibera assembleare<br />
di capitali Trib. Milano, sez. VIII, ord., 23 aprile 2012<br />
commento di Domenico Dalfino 830<br />
OSSERVATORIO<br />
Le Società<br />
Anno XXXI<br />
GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ<br />
acuradiVincenzo Carbone e Romilda Giuffré 835<br />
GIURISPRUDENZA DI MERITO<br />
acuradiAlessandra Stabilini 837<br />
GIURISPRUDENZA PENALE DELL’IMPRESA<br />
acuradiMarco Maria Scoletta 841<br />
CONSOB<br />
acuradiFederico Venturini 847<br />
Le Società 7/2012 739
Le Società<br />
Anno XXXI<br />
FISCALE<br />
acuradiMassimo Gabelli 852<br />
COMUNITARIO<br />
acuradiSilvia Olivieri 858<br />
INDICE<br />
Indice Autori<br />
Indice Cronologico<br />
Indice Analitico<br />
COMITATO PER LA VALUTAZIONE<br />
F. Annunziata, C. Consolo, G. Guizzi, M. Lamandini, S. Menchini, F. Mucciarelli, A. Pericu, A. Perrone, C. Piergallini, S. Rossi<br />
Mensile di diritto e pratica commerciale<br />
societaria e fiscale<br />
EDITRICE<br />
Wolters Kluwer Italia S.r.l.<br />
Strada 1, Palazzo F6<br />
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DIRETTORE RESPONSABILE<br />
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REDAZIONE<br />
Isabella Viscardi, Ines Attorresi, Nadia D’Antoni<br />
REALIZZAZIONE GRAFICA<br />
Wolters Kluwer Italia S.r.l.<br />
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740 Le Società 7/2012
Atto costitutivo<br />
Modifica dell’atto costitutivo<br />
prima dell’iscrizione<br />
Cassazione Civile, Sez. I, 1 dicembre 2011, n. 25703 - Pres. D. Plenteda - Est. R. Rordorf - Mare<br />
s.a.s. di V.E. & C. c. Jolly Fashion s.r.l.<br />
Società - Società di capitali - Società a responsabilità limitata - Atto costitutivo - Modificazioni - Anteriori all’iscrizione -<br />
Validità - Condizioni<br />
(Cod. civ. art. 2463)<br />
La deliberazione assembleare di una s.r.l. con cui sia stato approvato un aumento di capitale anteriormente all’iscrizione<br />
della società nel Registro delle imprese è inesistente, in quanto emanata da un’assemblea ancora<br />
priva della possibilità giuridica di deliberare, e, tuttavia, la manifestazione di volontà dei soci unanime e plenaria<br />
e risultante dalla sottoscrizione dell’atto da parte di ciascuno può essere apprezzata come espressione di<br />
un patto volto a modificare l’importo del capitale sociale e la conseguente attribuzione delle quote ai soci e,<br />
quindi, come una convenzione modificativa dell’atto costitutivo, a condizione che risultino osservati i requisiti<br />
di sostanza e di forma prescritti per tale atto, con la conseguenza che la non ancora avvenuta iscrizione della<br />
società nel Registro delle imprese non condiziona la validità di detta convenzione modificativa, sia pure destinata<br />
ad assumere efficacia dopo l’iscrizione della società (massima ufficiale).<br />
La Corte (omissis).<br />
3.1.1. La prima di tali prospettazioni - che riecheggia ancora<br />
adesso nel primo motivo del ricorso - è fondata sul<br />
rilievo secondo cui l’atto di conferimento immobiliare<br />
compiuto dal sig. B. in favore della Jolly Fashion, essendo<br />
intervenuto a seguito di un aumento di capitale sociale<br />
deliberato prima ancora che la società fosse iscritta<br />
nel Registro delle imprese, avrebbe dovuto esser considerato<br />
nullo, se non addirittura giuridicamente inesistente,<br />
o comunque inefficace. S’intuisce che l’interesse in base<br />
al quale questa tesi è prospettata dalla società che all’epoca<br />
conduceva in locazione l’immobile conferito è di<br />
tipo riflesso: sembrerebbe riposare sulla convinzione che,<br />
venuto meno il conferimento giuridicamente viziato,<br />
emergerebbe in sua vece la realtà di un trasferimento di<br />
proprietà dell’immobile direttamente intervenuto tra il<br />
conferente e coloro che si erano successivamente resi acquirenti<br />
della relative quote sociali. Donde la possibilità<br />
di far valere il diritto di prelazione spettante al conduttore,<br />
a norma della L. n. 392/1978, art. 38 oppure, in<br />
sua vece, il diritto di riscatto.<br />
Sennonché, anche a prescindere dalla maggiore o minore<br />
condivisibilità delle conseguenze che dalla pretesa invalidità<br />
del conferimento in società si vorrebbero trarre,<br />
non può farsi a meno di ricordare come, all’esito di in<br />
una diversa causa tra altre parti, ma riguardante proprio<br />
quel medesimo conferimento, questa corte ebbe ad affermare<br />
che, quantunque la deliberazione assembleare di<br />
una società a responsabilità limitata con cui sia stato approvato<br />
un aumento di capitale anteriormente all’iscri-<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
zione della società nel Registro delle imprese sia da considerare<br />
inesistente, in quanto emanata da un’assemblea<br />
ancora priva della possibilità giuridica di deliberare, la<br />
manifestazione di volontà unanime e plenaria dei soci risultante<br />
dalla sottoscrizione dell’atto da parte di ciascuno<br />
ben può essere apprezzata come espressione di un patto<br />
volto a modificare l’importo del capitale sociale e la conseguente<br />
attribuzione delle quote ai soci e, quindi, come<br />
una convenzione modificativa dell’atto costitutivo, a<br />
condizione che risultino osservati i requisiti di sostanza e<br />
di forma prescritti per tale atto, con la conseguenza che<br />
la non ancora avvenuta iscrizione della società nel Registro<br />
delle imprese non condiziona la validità di detta<br />
convenzione modificativa, sia pure destinata ad assumere<br />
efficacia dopo l’iscrizione della società (Cass. 5 giugno<br />
1999, n. 5533).<br />
Ovviamente, siffatta statuizione non ha valore di giudicato<br />
nella presente causa, ma non v’è ragione di discostarsi<br />
dal principio di diritto in essa enunciato, al quale<br />
del resto nessuna obiezione è mossa nel ricorso: principio<br />
che è certamente applicabile anche alla fattispecie qui<br />
in esame in cui si verte della validità proprio del medesimo<br />
atto col quale il sig. B. ebbe a trasferire alla Jolly Fashion<br />
la proprietà dell’immobile in contestazione.<br />
Ne consegue che, essendo fuori discussione sia l’osservanza<br />
nel caso di specie dei suddetti requisiti di forma<br />
della convenzione di cui si tratta, sia la successiva iscrizione<br />
della società nel Registro delle imprese e la presa<br />
in carico da parte di essa dell’immobile trasferitole, la<br />
Le Società 7/2012 741
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
modificazione dell’atto costitutivo conseguente al conferimento<br />
si è prodotta.<br />
È poi appena il caso di aggiungere che non v’è ragione per<br />
discostarsi neanche dall’altro principio in passato enunciato<br />
da questa corte, neppure esso contestato dalla ricorrente<br />
nel presente giudizio, secondo cui le disposizioni in tema di<br />
prelazione e riscatto dettate dalla cit. L. n. 392/1978, artt.<br />
38 e 39 non sono applicabili all’ipotesi di trasferimento del<br />
IL COMMENTO<br />
di Fernando Platania<br />
pacchetto azionario della società locatrice nel cui patrimonio<br />
sia compreso l’immobile oggetto del diritto di prelazione<br />
vantato dal conduttore (si vedano Cass. 29 settembre<br />
2005, n. 19160, Cass. 21 luglio 2000, n. 9592, e Cass. 23<br />
luglio 1998, n. 7209; nonché, nell’analoga materia del diritto<br />
di prelazione e di riscatto spettante all’affittuario di<br />
fondi rustici, Cass. 26 gennaio 2010, n. 1523).<br />
(omissis).<br />
L’Autore, richiamando i principi già elaborati dalla giurisprudenza onoraria in sede di omologazione degli atti<br />
costitutivi delle società di capitali, concorda con l’orientamento della Cassazione, in altre occasioni espresso,<br />
favorevole alla possibilità di introdurre modifiche allo statuto ed all’atto costitutivo anche prima dell’iscrizione<br />
nel Registro delle imprese, purché assunte da tutti i soci e con la forma dell’atto pubblico. Viene, quindi,<br />
esaminata la disciplina giuridica applicabile, prima dell’iscrizione, al contratto di società ed agli altri atti<br />
che i soci possono compiere prima dell’inizio della piena operatività degli organi sociali.<br />
I precedenti nella giurisprudenza onoraria<br />
La Cassazione torna, con la sentenza annotata,<br />
su un argomento che la giurisprudenza onoraria era<br />
solita affrontare, non infrequentemente, in sede di<br />
omologa degli atti costitutivi, allorquando un soggetto,<br />
appositamente delegato dai soci, provvedeva<br />
a modificare l’atto costitutivo o lo statuto in base<br />
alle indicazioni che il Tribunale aveva formulato in<br />
sede di esame (1). Ritenendosi, tuttavia, che l’intervento<br />
del delegato potesse operare al solo scopo<br />
di adeguare lo statuto alle inderogabili disposizioni<br />
di legge, la giurisprudenza (2) aveva espressamente<br />
escluso che il mandatario potesse intervenire autonomamente<br />
su aspetti sui quali la volontà dei soci<br />
poteva atteggiarsi in vario modo; in tali casi, l’adeguamento<br />
dello statuto o dell’atto costitutivo doveva<br />
essere necessariamente effettuato dai soci con<br />
deliberazione unanime, assunta secondo le stesse<br />
forme previste per la costituzione della società.<br />
Com’è ovvio, le modifiche all’atto costitutivo,<br />
operate dal delegato nei casi in cui si doveva procedere<br />
ad adeguamenti obbligati, ovvero dai soci,<br />
quando fosse necessaria, invece, una nuova manifestazione<br />
di volontà, intervenivano prima dell’iscrizione<br />
dell’atto costitutivo presso il Registro delle<br />
imprese.<br />
Proprio muovendo dagli stessi principi, la giurisprudenza<br />
onoraria aveva espressamente ammesso<br />
la possibilità di modificare l’atto costitutivo prima<br />
dell’iscrizione anche per introdurre, indipendentemente<br />
da ogni sollecitazione del tribunale, cambia-<br />
menti nell’atto costitutivo o nello statuto. Così, si<br />
era ritenuto ammissibile (3) che la società modificasse<br />
la denominazione sociale originariamente prescelta<br />
quando la stessa potesse ingenerare confusione<br />
con altra società, ed anche (4) che i soci, con le<br />
stesse forme dell’atto costitutivo, ed in applicazione<br />
Note:<br />
(1) Trib. Milano 6 maggio 1982, in questa Rivista,1982, 10,<br />
1156: «La delega conferita dall’assemblea dei soci all’amministratore,<br />
in forza della quale si consente a quest’ultimo di apportare<br />
all’atto soggetto ad omologazione le opportune correzioni<br />
che - senza decidere sugli elementi essenziali della manifestazione<br />
di volontà negoziale in esso contenuta - permettano di ottenere<br />
l’iscrizione nel Registro delle imprese, eliminando i fattori<br />
di invalidità ravvisati dall’Autorità giudiziaria, non può produrre<br />
effetti oltre il procedimento di omologazione in vista del quale è<br />
stata conferita».<br />
(2) App. Trento 28 maggio 1997, in questa Rivista, 1997, 12,<br />
1411: «La delega, deliberata dall’assemblea dei soci di una s.r.l.<br />
in favore del presidente della stessa, ad apportare alla delibera<br />
di riduzione del capitale per esuberanza le modifiche eventualmente<br />
richieste dall’autorità giudiziaria in sede di omologazione,<br />
pur se conferita senza limiti, proprio per la sua genericità, va circoscritta<br />
alle sole clausole in ordine alle quali la volontà contrattuale<br />
non ha che da determinarsi in un unico senso, in forza di<br />
norme interpretative. Non è, infatti, possibile conferire al delegato<br />
il potere di introdurre da solo quelle modifiche che richiedono<br />
una manifestazione discrezionale di volontà da parte dell’assemblea<br />
nell’ambito delle opzioni che la legge consente».<br />
(3) App. Trento 18 febbraio 2000, in questa Rivista, 2000, 9,<br />
1100, con nota di G. Zagra: «Dalle norme concernenti i contratti<br />
pluraterali (applicabili anche al contratto di società) deriva la possibilità<br />
di procedere, da parte dei contraenti, a tutte le modifiche<br />
dell’atto sia su loro stessa iniziativa sia, su sollecitazione dell’autorità<br />
giudiziaria».<br />
(4) Cass. 5 giugno 1999, n. 5533, che ha giudicato sulla stessa<br />
vicenda oggetto di esame nella sentenza annotata.<br />
742 Le Società 7/2012
delle specifiche norme, potessero procedere ad operazioni<br />
di conferimento di beni in natura, così modificando<br />
l’atto costitutivo già stipulato.<br />
Alla base di tale orientamento v’era la considerazione<br />
che il contratto societario, esattamente come<br />
i contratti plurilaterali, potesse essere oggetto di<br />
modifica da parte di tutti i contraenti secondo le<br />
regole ordinarie, non costituendo ostacolo l’inoperatività<br />
degli organi sociali fino a quando la società<br />
non avesse acquisito, con l’iscrizione nel Registro<br />
delle imprese, la personalità giuridica.<br />
L’attuale disciplina<br />
Anche alla luce delle modifiche nel frattempo<br />
intervenute all’art. 2331 c.c., i principi prima esposti<br />
conservano integrale validità.<br />
Come in passato, infatti, l’iscrizione nel Registro<br />
delle imprese costituisce il momento di acquisizione<br />
della personalità giuridica, di nascita dell’ente e,<br />
conseguentemente, dell’inizio della piena operatività<br />
degli organi sociali.<br />
Ma l’atto costitutivo, prima dell’iscrizione, è pur<br />
sempre sottoposto alle regole generali dei contratti<br />
plurilaterali applicabili al contratto di società.<br />
Quindi, ancorché l’ipotesi possa apparire solo di<br />
scuola, le regole ordinarie in tema di nullità od annullabilità<br />
dei contratti (e non quelle speciali dettate<br />
dall’art. 2332 c.c.) trovano integrale applicazione<br />
quando, prima dell’iscrizione nel Registro delle<br />
imprese, taluno dei soci impugni l’atto costitutivo;<br />
solo dopo l’iscrizione nel Registro delle imprese, infatti,<br />
può trovare applicazione la speciale disciplina<br />
giuridica dell’art. 2332 c.c. diretta a tutelare i soggetti<br />
che hanno avuto rapporti (5) con la società.<br />
L’eventuale declaratoria di nullità o di annullabilità<br />
dell’atto non iscritto seguirebbe, pertanto, le regole<br />
generali ed in particolare quella dell’art. 1446 c.c.<br />
sull’annullamento parziale di un contratto plurilaterale<br />
o l’altra, dell’efficacia integralmente retroattiva<br />
degli effetti della nullità; i soci, una volta dichiarata<br />
la nullità del contratto sociale, contrariamente a<br />
quanto previsto dall’art. 2332 c.c., non sarebbero<br />
pertanto tenuti ad eseguire i versamenti promessi<br />
(ed anzi avrebbero diritto ad ottenere in restituzione<br />
le somme già versate in banca) e verrebbe conseguente<br />
meno anche l’obbligo per il giudice di nominare<br />
un liquidatore della società.<br />
Non sarebbe probabilmente neppure impossibile<br />
ipotizzare un’azione cautelare, strumentale all’esercizio<br />
dell’azione di nullità o di annullabilità, volta<br />
ad inibire al notaio, pendendo il relativo giudizio,<br />
l’iscrizione nel Registro delle imprese dell’atto costi-<br />
tutivo al fine di evitare l’applicazione della speciale<br />
disciplina dell’art. 2332 c.c. e, soprattutto, l’attribuzione<br />
all’ente della personalità giuridica malgrado<br />
l’esistenza di vizi nel procedimento costituivo.<br />
Il nuovo testo dell’art. 2331 c.c. conferma l’idoneità<br />
dell’atto costitutivo, ancora non iscritto, a<br />
produrre effetti giuridici allorquando specifica che<br />
esso perda efficacia, se entro novanta giorni dalla<br />
stipulazione dell’atto costitutivo o al rilascio delle<br />
autorizzazioni previste, l’iscrizione non abbia luogo.<br />
E del resto lo stesso articolo regola e disciplina<br />
gli effetti degli atti compiuti in nome e per conto<br />
della società prima della sua iscrizione nel Registro<br />
delle imprese prevedendo da un lato che, per le<br />
operazioni compiute in nome della società prima<br />
dell’iscrizione, siano illimitatamente e solidalmente<br />
responsabili verso i terzi i soggetti che hanno agito<br />
(ed anche il socio unico) e dall’altro che la società<br />
sia tenuta a rispondere delle obbligazioni contratte<br />
in suo nome dai soci prima della costituzione quando<br />
siano state approvate dai suoi organi successivamente<br />
alla iscrizione (oppure quando necessarie).<br />
Tra gli altri effetti della stipula v’è certamente<br />
anche quello (6) dell’irrevocabilità del consenso<br />
espresso dai fondatori e, pertanto, l’impossibilità di<br />
recedere singolarmente.<br />
La stipula dell’atto impone al notaio ed all’amministratore<br />
di procedere all’iscrizione dell’atto nel<br />
Registro delle imprese (a meno che non siano ancora<br />
pervenute le autorizzazioni previste da talune<br />
leggi); correlativamente l’omissione di tale adempimento<br />
se permette ai soci di procedere essi stessi all’iscrizione,<br />
fa sorgere in capo agli stessi, non solo,<br />
il diritto a rivalersi sul patrimonio della società per<br />
le spese sostenute per la iscrizione ma anche quello<br />
di richiedere agli amministratori il risarcimento dei<br />
danni che fosse loro derivato dall’iscrizione tardiva<br />
dell’atto (si pensi all’impossibilità di partecipare ad<br />
una gara di appalto che avrebbe potuto far aumentare<br />
il valore delle azioni).<br />
Merita anche di essere ricordato che relativamente<br />
ad una specifica e piuttosto particolare fattispecie<br />
(7), l’Agenzia delle Entrate, con propria risoluzione<br />
del 20 marzo 2002, n. 93/E, ha ritenuto<br />
che, per essere considerata impresa in attività ai<br />
Note:<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
(5) G.F. Campobasso, Diritto Commerciale, Torino, 2009, 2,<br />
170.<br />
(6) G. Zagra nota a App. Trento 18 febbraio 2000, in questa Rivista,<br />
2000, 9, 1100.<br />
(7) Di cui dà conto F. Tassinari nella nota a commento a Trib.<br />
Bolzano 19 gennaio 2002, in Notariato, 2002, 5, 485.<br />
Le Società 7/2012 743
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
sensi della L. 18 ottobre 2001, n. 383, fosse sufficiente<br />
che una società di capitali avesse stipulato,<br />
entro il 25 ottobre 2001, l’atto costitutivo in forma<br />
pubblica.<br />
Le modifiche dell’atto costitutivo ed altre<br />
operazioni<br />
Il nuovo testo dell’art. 2331 c.c. considera solidalmente<br />
ed illimitatamente responsabili, per le obbligazioni<br />
contratte prima della costituzione della<br />
società con coloro che hanno agito, i soci che, anche<br />
con atto diverso dall’atto costitutivo, abbiano<br />
deciso ed autorizzato il compimento dell’operazione.<br />
È, quindi, espressamente previsto che alcuni o<br />
tutti i soci possano manifestare una volontà sia in<br />
forma collettiva (pur non avente la forza ed il valore<br />
di una delibera assembleare) sia individuale che<br />
produca l’effetto di renderli corresponsabili verso i<br />
terzi dell’atto compiuto da altri (indipendentemente<br />
dalla successiva iscrizione della società nel Registro<br />
delle imprese).<br />
Tra le novità più significative introdotte nell’art.<br />
2331 c.c. dalla riforma v’è poi l’abolizione del divieto<br />
di vendere le azioni e le quote prima dell’iscrizione<br />
della società (essendo stato confermato,<br />
invece, il divieto di offerta al pubblico delle azioni<br />
di società non ancora iscritta).<br />
Se in precedenza, pertanto, la stessa vendita delle<br />
azioni era da considerarsi vietata, oggi, l’alienazione<br />
delle azioni prima della costituzione della società<br />
deve ritenersi valida, ancorché produttiva di<br />
effetti solo obbligatori e non reali posto che l’oggetto<br />
del negozio necessariamente va considerato esistente<br />
solo al momento della costituzione della società<br />
(momento dal quale possono essere emesse le<br />
azioni). Il socio che abbia alienato le sue azioni prima<br />
della costituzione, deve, però, considerarsi socio<br />
fondatore e risponde dell’obbligo di versare la parte<br />
di capitale ancora non liberata in conformità all’art.<br />
2355 c.c. anche se egli abbia cessato di far parte<br />
della compagine sociale addirittura prima dell’iscrizione<br />
della società nel Registro delle imprese.<br />
L’esigenza di procedere ad adattamenti dell’atto<br />
costitutivo, inoltre, potrebbe inevitabilmente derivare<br />
dall’eventuale rifiuto di uno degli amministratori<br />
o dei sindaci di accettare la nomina.<br />
Anche in questo caso non potrebbe essere precluso<br />
ai soci di intervenire con una manifestazione<br />
di volontà integrativa di quella espressa in occasione<br />
della stipula dell’atto costitutivo.<br />
Né vi possono esser dubbi circa il requisito di<br />
forma da seguire in tutti i casi in cui l’intervento<br />
modificativo incidesse, per un qualsiasi aspetto, sull’atto<br />
costitutivo e sullo statuto. Per la regola generale<br />
secondo cui la modifica di un contratto deve<br />
avvenire secondo le stesse forme previste per la stipula<br />
del contratto, ogni modifica dovrebbe necessariamente<br />
avvenire con le forme dell’atto pubblico<br />
ad opera di tutti i soci ed essere altresì soggetto all’iscrizione<br />
nel Registro delle imprese unitamente<br />
all’atto costitutivo.<br />
Il principio è chiaramente espresso dal legislatore<br />
nell’art. 2335 c.c. in tema di costituzione della società<br />
per pubblica sottoscrizione che prevede che la<br />
modifica delle condizioni stabilite nel programma<br />
costituivo della società possa avvenire solo con il<br />
consenso unanime di tutti i sottoscrittori (manifestato<br />
nell’atto costitutivo della società da redigersi in<br />
forma pubblica con l’intervento dei sottoscrittori).<br />
Più complessa è l’ipotesi in cui l’intervento dei<br />
soci non determini, invece, un’effettiva modifica<br />
dell’atto costitutivo e dello statuto.<br />
Come già indicato, ai sensi dell’art. 2331 c.c. la<br />
responsabilità per gli atti compiuti in nome della<br />
società prima della costituzione si estende ai soci<br />
che, anche con atto separato, abbiano deciso, autorizzato<br />
e consentito il compimento dell’operazione.<br />
In tali casi, non potendosi utilizzare il sistema collegiale<br />
(perché prima della costituzione della società,<br />
l’assemblea non può validamente costituirsi) ritengo<br />
che la manifestazione di società non solo non<br />
debba provenire da tutti i soci ma anche solo da taluni<br />
e che non debba neppure essere sottoposta ad<br />
una qualche forma particolare, ben potendo l’autorizzazione,<br />
il consenso o la decisione essere assunta<br />
con qualsiasi forma, anche oralmente.<br />
Ancora più complesso è il caso di vendita di<br />
azioni subordinata dai patti sociali ad una qualche<br />
forma autorizzativa da parte dei soci o di organi sociali.<br />
Chi ha trattato espressamente l’argomento (8) ha<br />
concluso che la mancata iscrizione nel Registro delle<br />
imprese della società non possa essere considerata di<br />
ostacolo all’assunzione da parte degli organi sociali<br />
della delibera autorizzativa ritenendosi in particolare<br />
che sarebbe incongruo e penalizzante per il socio<br />
ammettere la vendita delle azioni solo se liberamente<br />
effettuabile e negarla se subordinata all’assenso degli<br />
organi sociali (ancora non operanti).<br />
Tuttavia, tale conclusione non appare totalmen-<br />
Nota:<br />
(8) P. Guida, Riflessi notarili del nuovo art. 2331 del Codice Civile,<br />
inNotariato, 2003, 4, 417.<br />
744 Le Società 7/2012
te condivisibile; in particolare non mi sembra che,<br />
prima dell’iscrizione, possa legittimamente essere assunta<br />
una qualche delibera da parte dell’organo amministrativo,<br />
anche soltanto al fine di autorizzare il<br />
trasferimento azionario, costituendo l’iscrizione della<br />
società imprescindibile presupposto per l’assunzione<br />
da parte dell’organo amministrativo di una<br />
valida delibera.<br />
Probabilmente diversa soluzione potrebbe essere<br />
ammessa quando il trasferimento delle azioni fosse<br />
subordinato all’assenso dell’assemblea dei soci. Mi<br />
sembra possibile, infatti, che la volontà assembleare<br />
possa essere sostituita da una manifestazione di volontà<br />
da parte di tutti i soci ancorché non assunta<br />
nelle forme (evidentemente impossibili) dell’assemblea<br />
ma attraverso una manifestazione negoziale<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
(anche non in forma pubblica); invero, poiché l’assenso<br />
di tutti soci al trasferimento della partecipazione<br />
prima della costituzione della società, non<br />
comporta una modifica statutaria o dell’atto costitutivo,<br />
non si vede la necessità di rispettare la stessa<br />
forma occorrente per le ipotesi di modifica, anche<br />
minima, dell’atto costitutivo, potendo la manifestazione<br />
di volontà di tutti i soci, conseguentemente,<br />
emergere in ogni modo; né appare necessaria l’adozione<br />
della delibera assembleare a tutela della posizione<br />
della società (che non può essere titolare di<br />
un interesse alla limitazione della circolazione delle<br />
azioni prima dell’acquisizione della personalità giuridica),<br />
posto che prima dell’iscrizione, i soli soggetti<br />
tutelati dalle norme sulla limitazione alla circolazione<br />
delle azioni, sono i soci.<br />
Le Società 7/2012 745
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
Gruppi di società<br />
Abuso nell’attività di direzione<br />
e coordinamento e violazione<br />
dei principi di corretta gestione<br />
societaria e imprenditoriale<br />
Tribunale di Milano, Sez. VIII, 2 febbraio 2012 - Pres. E. Riva Crugnola - Rel. Mambriani - G. e altri<br />
c. Policlinico San Donato s.p.a. e altri<br />
Società controllante - Attività di direzione e coordinamento - Illiceità - Condizioni<br />
(Cod. civ. art. 2497)<br />
L’attività di direzione e coordinamento, di per sé legittima, assume, ai sensi dell’art. 2497 c.c., i connotati dell’antigiuridicità<br />
quando sia esercitata da parte di società controllante nell’interesse imprenditoriale proprio o<br />
altrui, dunque estraneo a quello della società soggetta alla sua direzione/coordinamento, e in violazione dei<br />
principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società sottoposte ad essa.<br />
Società controllante - Attività di direzione e coordinamento - Delibera di accantonamento degli utili - Violazione dei principi<br />
di corretta gestione societaria e imprenditoriale - Non sussiste<br />
(Cod. civ. art. 2497)<br />
Non può ravvisarsi violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società controllata<br />
nell’accantonamento degli utili di esercizio, effettuato in esecuzione di delibera assembleare di questa,<br />
non impugnata dai soci.<br />
Società controllante - Attività di direzione e coordinamento - Legittimità - Limiti<br />
(Cod. civ. art. 2497)<br />
La valutazione circa la legittimità dell’attività di direzione e coordinamento esercitata dalla controllante non dipende<br />
dall’uso che questa faccia dei vantaggi ottenuti attraverso il suo esercizio, ma dalle modalità con cui sono<br />
ottenuti quei vantaggi (se in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale) e dall’evenienza<br />
che, in caso di scorretto esercizio di quell’attività, ne siano derivati danni alla controllata.<br />
Il Tribunale (omissis).<br />
(omissis).<br />
II) Le domande proposte dagli attori.<br />
Gli attori - azionisti di minoranza di ICZ (G.G. per il<br />
3,991 % del capitale e Averla s.p.a. per lo 0,727%) -<br />
hanno chiamato in giudizio gli odierni convenuti chiedendo<br />
l’accertamento della loro responsabilità ex art.<br />
2497 c.c. e, per l’effetto, la loro condanna al risarcimento<br />
del danno provocato dalla controllante Policlinico S.<br />
Donato, nell’esercizio della sua attività di direzione e<br />
coordinamento su ICZ, al valore ed alla redditività delle<br />
loro partecipazioni ‘‘da quantificarsi: a) in misura pari al-<br />
la frazione, pro quota, di partecipazione degli esponenti<br />
al capitale sociale degli Istituti Clinici Zucchi s.p.a., del<br />
maggior importo di interessi che sarebbe dovuto dalla<br />
capogruppo Policlinico San Donato alla Società applicando<br />
al finanziamento erogato da quest’ultima alla società<br />
a partire dal 2005 i tassi di mercato; a detto importo<br />
andrà sommato - sempre a titolo di risarcimento -<br />
l’ammontare di utili degli Istituti Clinici Zucchi s.p.a.<br />
non distribuiti ai soci G.G. e Averla s.p.a. negli esercizi<br />
2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2008; alla somma così risultante<br />
andrà ulteriormente sommato l’importo corrispondente<br />
al minor valore della partecipazione degli<br />
746 Le Società 7/2012
odierni attori derivante dalla sproporzionata concentrazione<br />
di rischio di credito sulla controllante - per via del<br />
finanziamento erogato - senza alcuna garanzia a supporto;<br />
b) in quelle diverse somme maggiori o minori che il<br />
Tribunale riterrà dovute anche facendo ricorso, se del<br />
caso, ad una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c.’’.<br />
Gli attori chiedevano altresì, in conseguenza dell’accoglimento<br />
della prima domanda, l’accertamento e la dichiarazione<br />
del proprio diritto di recesso da ICZ ex art.<br />
2497 quater, comma 1, lett. b, c.c.<br />
A supporto delle domande, gli attori sottoponevano al<br />
Tribunale una serie complessa e articolata di allegazioni,<br />
al cui interno, però, ben se ne possono individuare due<br />
che fungono da asse portante di ogni altra.<br />
La prima (A) è costituita dall’addebito a Policlinico di<br />
avere, abusando del suo potere di direzione e coordinamento,<br />
drenato liquidità da ICZ nel periodo 2004-2008<br />
a condizioni sperequate e ‘‘fuori mercato’’ e la seconda<br />
(B), strumentale alla prima, è di avere imposto, nello<br />
stesso periodo, una ‘‘costante ed irragionevole strategia<br />
di accantonamento degli utili di esercizio maturati da<br />
ICZ, in via strumentale all’alimentazione del transito di<br />
liquidità’’.<br />
La prima allegazione è poi specificata con l’affermazione<br />
che:<br />
– (A1) Policlinico non avrebbe corrisposto interessi a<br />
ICZ come corrispettivo al finanziamento predetto;<br />
– (A2) in ogni caso gli interessi contabilizzati erano inferiori<br />
a quelli che Policlinico avrebbe pagato se si fosse<br />
procurato le medesime somme presso enti finanziatori<br />
quali banche o società finanziarie di altro tipo;<br />
– (A3) la restituzione delle somme non sarebbe stata garantita<br />
né sarebbe stata ‘‘a vista’’.<br />
A tali fondamentali allegazioni, se ne sono accompagnate<br />
altre secondarie, e segnatamente: - del ‘‘drenaggio’’ di<br />
risorse finanziarie di cui si discute non sarebbe stata data<br />
chiara rappresentazione nei bilanci di ICZ; - ICZ avrebbe<br />
potuto\dovuto più utilmente destinare le somme destinate<br />
al finanziamento di Policlinico al proprio ‘‘core<br />
business’’ ovvero distribuirle come dividendi; - il finanziamento<br />
di ICZ a Policlinico sarebbe stato utilizzato a<br />
scopo speculativo e, segnatamente, per l’acquisto, da<br />
parte di società diversamente collegate ma comunque facenti<br />
capo a G.R., di un cospicuo pacchetto di azioni<br />
RCS Mediagroup s.p.a. che si sarebbe risolto in perdita.<br />
III) Infondatezza delle domande attoree.<br />
È preliminare alla valutazione della fondatezza delle allegazioni<br />
in fatto, quella dell’inquadramento giuridico che<br />
delle medesime è stato offerto da parti attrici.<br />
Queste, peraltro solo in memoria conclusionale, hanno<br />
ricostruito la norma espressa dall’art. 2497, comma 1,<br />
c.c. affermando che dal riferimento operato «nel tracciare<br />
i contorni dell’attività vietata alla società capogruppo,<br />
al suo agire ‘‘nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui’’,<br />
deve trarsi la conclusione secondo cui presupposto<br />
base (necessario ma non sufficiente) di liceità della direzione<br />
e coordinamento di altre imprese è il perseguimento,<br />
da parte della società suddetta, negli atti posti in essere<br />
con le società figlie, di un interesse imprenditoriale<br />
di gruppo. Può dirsi con ciò chiarito, pertanto, che di<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
fronte all’avvenuto compimento di un atto di direzione<br />
societaria ... questo non possa in nessun modo considerarsi<br />
lecito allorché non ne consti il coerente, preciso e<br />
specifico inserimento in un programma rivolto al perseguimento<br />
di un vantaggio economico all’impresa ‘‘di<br />
gruppo’’ concretamente esercitata».<br />
La dottrina avrebbe perciò «negato la legittimità di atti<br />
insuscettibili di arrecare vantaggi ‘‘all’interesse di gruppo’’<br />
e rivolti invece al mero interesse della controllante».<br />
Sussisterebbe, cioè un ‘‘requisito minimo’’ od una ‘‘precondizione’’<br />
della liceità dell’attività di direzione e coordinamento,<br />
costituita dal «razionale perseguimento di<br />
un vantaggio (di gruppo e, dunque, di tutte le società in<br />
esso coinvolte)».<br />
Si tratterebbe di una precondizione della legittimità dell’attività<br />
di direzione e coordinamento necessaria - in<br />
quanto, in mancanza, tale attività diverrebbe già solo<br />
per questo illegittima e foriera di responsabilità - ma non<br />
sufficiente, poiché anche «la direttiva della società controllante<br />
che pur persegua un interesse di gruppo, ma leda<br />
la ‘‘corretta gestione societaria e imprenditoriale’’ della<br />
singola società ‘‘di gruppo’’ è fonte diretta di responsabilità».<br />
Addirittura ‘‘il requisito del rispetto della corretta gestione<br />
imprenditoriale della controllata impone infatti alla<br />
capogruppo una valutazione ex ante della possibilità di<br />
un vantaggio specifico della controllata in una data operazione<br />
oggetto di direzione, non bastando la dimostrazione<br />
del perseguimento dell’interesse del gruppo nel suo<br />
complesso’’.<br />
Il Tribunale non condivide siffatta interpretazione del<br />
dato normativo, tra l’altro all’evidenza animata da un intento<br />
di ribaltamento dell’onere probatorio che, in queste<br />
azioni, incombe in parte preponderante sull’attore (v.<br />
postea).<br />
In realtà già da una piana lettura della norma - oltre che<br />
da evidenti considerazioni sia di natura economicoaziendalistica<br />
(il gruppo si costituisce per ottimizzare risorse<br />
organizzative, abbattere costi, ampliare quote di<br />
mercato, sfruttare economie di scala, organizzare sinergie,<br />
ecc., situazioni tutte che, per essere realizzate, richiedono<br />
un’attività di direzione e coordinamento) sia di natura<br />
costituzionale (art. 41, comma 1, cost.: ‘‘L’attività economica<br />
privata è libera’’) - si evince che il dato da cui<br />
partire per esaminare la norma è che l’attività di direzione<br />
e coordinamento è in se stessa legittima.<br />
Dal che si desume che non esistono precondizioni o requisiti<br />
di legittimità, che siano previsti dalla norma in<br />
questione, la quale designa invece solo i limiti di quella<br />
liceità, cioè casi e situazioni in cui essa, in presenza di<br />
determinate circostanze, diviene illegittima.<br />
Cioè i requisiti stabiliti dall’art. 2497, comma 1, c.c. sono<br />
requisiti e presupposti della responsabilità derivante<br />
da illegittimo esercizio di quell’attività, non certo - declinati<br />
al contrario - requisiti della sua legittimità.<br />
Dunque l’inciso ‘‘agiscono nell’interesse proprio o altrui’’<br />
va letto in corrispondenza con il disposto dell’ultimo periodo<br />
dello stesso comma (‘‘Non vi è responsabilità<br />
quando il danno risulta mancante alla luce del risultato<br />
Le Società 7/2012 747
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
complessivo dell’attività di direzione e coordinamento<br />
ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni<br />
a ciò dirette’’) e determina la liceità di ogni operazione<br />
compiuta nell’esercizio di attività di direzione e<br />
coordinamento che sia economicamente neutra per la<br />
controllata, cioè o non dannosa o dannosa quando il<br />
danno sia compensato da vantaggi di gruppo o eliso da<br />
specifiche operazioni di segno opposto.<br />
Ciò significa che quell’inciso non può essere né isolato<br />
dall’immediato prosieguo del testo (‘‘agiscono nell’interesse<br />
proprio o altrui in violazione dei principi di corretta<br />
gestione societaria e imprenditoriale’’) né scaravoltato<br />
facendogli assumere surrettiziamente valenza di autonomo<br />
requisito di liceità dell’attività di direzione e coordinamento.<br />
L’inciso, dunque, non può esser letto nel senso che la<br />
controllante ‘‘non deve agire nell’interesse proprio’’ o,<br />
addirittura ‘‘deve agire nell’interesse del gruppo o nell’interesse<br />
della società del gruppo etero-diretta’’.<br />
La norma va invece letta nel suo complesso come concessiva<br />
della possibilità che la controllante agisca anche<br />
nell’esclusivo interesse proprio, purché non rechi danno<br />
alle controllate o i danni causati siano adeguatamente<br />
compensati, sicché, l’attività di coordinamento dia, per<br />
le controllate, un risultato almeno neutro.<br />
Si tratta appunto dell’individuazione del ‘‘punto di equilibrio’’<br />
tra interessi della controllante e delle controllate<br />
come sintetico requisito di liceità dell’attività in questione,<br />
cui, nell’interpretare la norma, si è riferita autorevole<br />
dottrina.<br />
Del resto l’interpretazione qui non condivisa, facendo<br />
assurgere l’interesse di gruppo o l’interesse delle controllate<br />
a requisito di liceità dell’attività di direzione e coordinamento,<br />
acuirebbe notevolmente le difficoltà ed incertezze<br />
applicative che la norma comunque presenta: si<br />
pensi all’estrema difficoltà di individuare l’interesse di<br />
gruppo; alla valenza da riconoscere ai conflitti tra gli interessi<br />
delle controllate tra loro; al difficile rapporto logico\giuridico<br />
tra il configurato requisito di liceità ed il<br />
requisito di illiceità cioè la violazione dei principi di corretta<br />
gestione.<br />
Conviene allora attestarsi sull’interpretazione che già<br />
questo Tribunale ha fornito della norma che ci occupa,<br />
che vede entrambi gli elementi - l’azione della controllante<br />
nell’interesse proprio o altrui e la violazione dei<br />
principi di corretta gestione - come componenti della<br />
complessa fattispecie che designa la responsabilità della<br />
controllante verso le controllate: ‘‘In questo quadro assumono<br />
rilevanza: - la condotta, cioè l’esercizio, da parte<br />
di una società, di attività di direzione e coordinamento<br />
nei confronti di altre; - l’antigiuridicità della condotta,<br />
cioè l’esercizio di quell’attività nell’interesse imprenditoriale<br />
proprio o altrui, dunque estraneo a quello della società<br />
soggetta alla sua direzione\coordinamento, e in<br />
violazione dei principi di corretta gestione societaria e<br />
imprenditoriale delle società sottoposte ad essa; - l’evento<br />
dannoso, ovvero il pregiudizio arrecato al valore od<br />
alla redditività della partecipazione; - il nesso di causalità<br />
tra condotta ed evento. Tutti tali elementi, essendo<br />
costitutivi della responsabilità della società controllante,<br />
devono essere provati dal socio della controllata, in base<br />
ai principi generali, potendo la convenuta esimersi dalla<br />
responsabilità solo provando che l’inadempimento non<br />
le è imputabile’’ (Trib. Milano, sez. VIII, 17 giugno<br />
2011, r.g. 83454\2009).<br />
Tanto premesso, va valutata la fondatezza delle allegazioni<br />
attoree.<br />
La domanda relativa all’omessa distribuzione degli utili<br />
va considerata per prima, se non altro per seguire un ordine<br />
logico nella trattazione delle questioni, in quanto,<br />
secondo le deduzioni attoree, proprio l’accantonamento<br />
degli utili avrebbe consentito l’illecito drenaggio di risorse<br />
finanziarie che costituisce il punto focale degli addebiti<br />
mossi ai convenuti.<br />
Occorre altresì ricordare, tuttavia, che l’omessa distribuzione<br />
degli utili, nella prospettiva attorea, costituisce<br />
un’autonoma voce di danno e, segnatamente, un autonomo<br />
addebito di diminuzione del valore e della redditività<br />
della partecipazione causata in tesi dall’illecito esercizio<br />
dell’attività di direzione e coordinamento.<br />
La domanda è infondata per una considerevole serie di<br />
ragioni in diritto ed in fatto.<br />
Sul piano del diritto occorre considerare per un verso<br />
che, come più volte sottolineato da parti convenute, il<br />
socio non ha diritto alla distribuzione di dividendi.<br />
La società, ed in particolare l’assemblea ha un potere sovrano<br />
in proposito, salvo il limite dell’esercizio abusivo<br />
del voto da parte del socio maggioritario.<br />
La problematica, come noto, si colloca nel quadro del<br />
principio di esecuzione in buona fede, da parte dei soci,<br />
del contratto di società, sicché, in questa materia, non si<br />
può adombrare né la configurazione di un rapporto tra la<br />
società ed un soggetto che non sia socio, né una responsabilità<br />
extracontrattuale.<br />
Ciò posto, non si può che condividere l’assunto di parti<br />
convenute secondo cui la questione della distribuzione<br />
degli utili attiene all’esercizio del diritto di voto del socio<br />
in assemblea, non invece all’esercizio del potere di<br />
direzione e coordinamento.<br />
In questo senso emerge e si apprezza quel potere come<br />
di natura essenzialmente gestoria, dunque, almeno tendenzialmente,<br />
altro e distinto rispetto alle deliberazioni<br />
assembleari ed all’esercizio del diritto di voto in quella<br />
sede.<br />
Ciò significa, anzitutto, che il socio di minoranza della<br />
società controllata non può censurare sub specie di illecito<br />
esercizio dell’attività di direzione e coordinamento<br />
una decisione che è di stretta competenza dell’assemblea<br />
della medesima società, quando, come in questo caso, il<br />
controllo sussiste in ragione di una partecipazione maggioritaria.<br />
Egli dovrà invece, qualora intenda ottenere tutela risarcitoria<br />
a mente dell’art. 2377, comma 4, c.c., spiegare<br />
un’azione che espliciti la relativa causa petendi - ovvero<br />
l’abuso di maggioranza da parte della società controllante<br />
- ed il relativo petitum - gli utili illecitamente non corrisposti<br />
-, azione in mancanza della quale la tutela richiesta<br />
non può che essere ritenuta infondata.<br />
Va considerato, al riguardo, che legittimato passivo dell’azione<br />
ex art. 2377 c.c. non è esclusivamente la società,<br />
748 Le Società 7/2012
ma anche il socio abusante - come tale autore dell’inadempimento<br />
-, sicché, in caso di accertamento della responsabilità,<br />
entrambi i legittimati passivi saranno tenuti<br />
in solido al risarcimento, producendosi così una situazione<br />
identica a quella che l’odierno attore vorrebbe configurare<br />
a diverso titolo, con evidente duplicazione di tutele,<br />
inutile ed elusiva del disposto del citato art. 2377.<br />
È quasi superfluo osservare che, nel caso di specie, gli attori<br />
hanno dichiaratamente agito ex art. 2497, comma 1,<br />
c.c. senza mai nemmeno menzionare né l’art. 2477, comma<br />
4, c.c., né le singole delibere in ipotesi causative di<br />
danno, né l’addebito di abuso di maggioranza nell’esercizio<br />
del voto e chiedendo la corresponsione degli utili<br />
non a titolo risarcitorio diretto, ma sub specie di risarcimento<br />
del danno al valore ed alla redditività della loro<br />
partecipazione.<br />
Il secondo aspetto, direttamente collegato al primo, è<br />
che, non impugnata la deliberazione assemblare che dispone<br />
l’accantonamento degli utili di esercizio, dunque<br />
divenuta stabile la decisione della società non si vede<br />
come costruire ex post una violazione dei principi di<br />
corretta gestione societaria da parte della controllante,<br />
che, semmai, commetterebbe una violazione nel caso<br />
opposto, cioè se imponesse in qualche modo una distribuzione<br />
di dividendi in contrasto con il deliberato assembleare.<br />
Quel che si vuol dire, dunque, non è che la mancata distribuzione<br />
di utili da parte della controllante sia materia<br />
di per sé estranea all’esercizio dell’attività di direzione e<br />
coordinamento, ma che, divenute incontestabili - dunque<br />
di legittimità non più discutibile - le delibere che,<br />
esercizio per esercizio, hanno impedito la distribuzione<br />
degli utili, è arduo configurare un’attività direttiva che,<br />
a causa della non distribuzione, possa predicarsi come illegittima.<br />
Non si vede, cioè, come costruire in questo<br />
caso la violazione dei principi di corretta gestione societaria<br />
ed imprenditoriale a fronte da un lato di passate delibere<br />
cui il socio minoritario è stato acquiescente e, dall’altro,<br />
del potere di quel socio di reagire immediatamente<br />
a fronte di future analoghe decisioni ipoteticamente<br />
abusive e di ottenere la stessa tutela risarcitoria che qui<br />
si vorrebbe vantare ex art. 2497 c.c.<br />
Dirimente conseguenza delle superiori considerazioni è<br />
che la mancata distribuzione degli utili della controllata<br />
non può costituire il fondamento di una richiesta di risarcimento<br />
del danno al valore o alla redditività della<br />
partecipazione causata dall’illegittimo esercizio del potere<br />
di direzione e coordinamento da parte della controllante<br />
che sia socio di maggioranza.<br />
Tanto premesso in diritto, va aggiunto che le prospettazioni<br />
attoree sono infondate anche in fatto, per avere<br />
ICZ distribuito utili in misura significativa negli esercizi<br />
considerati.<br />
Anzitutto va sottolineato che Policlinico S. Donato assumeva<br />
il controllo di ICZ nell’anno 2002, quando la<br />
società, negli anni precedenti, aveva conseguito o scarsi<br />
utili o perdite anche considerevoli.<br />
Dall’anno 2002, al contrario, la società registra utili in<br />
costante e notevole incremento: E 63.770 nel 2003; E<br />
196.154 nel 2004; E 1.887.163 nel 2005; E 2.070.638<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
nel 2006; E 1.970.577 nel 2007; E 2.152.239 nel 2008;<br />
E 2.997.606 nel 2009.<br />
Orbene, pur a fronte di accantonamenti ingenti, la società<br />
ha comunque distribuito, in quel periodo, utili per<br />
somme tutt’altro che trascurabili e, segnatamente, circa<br />
E 980.000 nel 2007 ed E 1.054.000 nel 2009.<br />
Per questo aspetto, dunque, non si rinviene, nell’attività<br />
di direzione e coordinamento svolta da Policlinico nei<br />
confronti di ICZ, violazione di principi di corretta gestione<br />
societaria o imprenditoriale.<br />
L’addebito fondamentale di responsabilità mosso dagli<br />
attori ai convenuti è di avere ‘‘drenato’’ liquidità da ICZ<br />
verso Policlinico S. Donato, con danno per la controllata<br />
ed illecito vantaggio per la controllante, danno da<br />
quantificarsi ‘‘in misura pari alla frazione ... del maggior<br />
importo di interessi che sarebbe stato dovuto dalla capogruppo<br />
Policlinico San Donato alla Società applicando<br />
al finanziamento erogato da quest’ultima alla prima a<br />
partire dal 2005 i tassi di mercato’’.<br />
La domanda è infondata e non può essere accolta.<br />
Anzitutto si è accertato e, per vero, è sostanzialmente<br />
pacifico che, dall’anno 2005, cioè da quando la società<br />
inizia a generare utili consistenti, fu acceso un rapporto<br />
di conto corrente la cui evoluzione evidenzia crescenti<br />
saldi a credito di ICZ. I depositi di ICZ sul conto risultano<br />
infatti di 3, 5 milioni di euro nel 2005, scesi a 3 milioni<br />
di euro nel 2006, per assumere invece dimensioni<br />
rilevanti nel 2007 (oltre 17 milioni di euro) e nel 2008<br />
(oltre 29,5 milioni di euro).<br />
Risulta altresì che, con lettera indirizzata da ICZ a Policlinico<br />
il 22 ottobre 2009, la prima ebbe a richiedere il<br />
rimborso della cospicua somma di E 15.000.000, e che<br />
tale richiesta venne positivamente riscontrata con lettera<br />
del Policlinico del 27.10.2009 (doc. 6 ICZ). L’ingente<br />
somma richiesta risulta dunque essere stata messa a disposizione<br />
di ICZ entro pochi giorni.<br />
Per effetto di tale restituzione, il saldo del conto a credito<br />
di ICZ risulta essere sceso a poco più di 12 milioni di<br />
euro al 31 dicembre 2009.<br />
Occorre, in proposito, sottolineare alcune circostanze in<br />
ordine all’aspetto formale del rapporto in questione.<br />
Anzitutto esso è stato formalizzato sin dall’inizio, mediante<br />
contatto concluso con lettera in data 1.8.2005<br />
(doc. 7 ICZ). Successivamente le parti hanno concordato<br />
e si sono comunicate i tassi di interesse applicati<br />
(doc. 7-11 ICZ). Gli interessi sono poi stati regolarmente<br />
conteggiati e fatturati da ICZ al Policlinico e capitalizzati<br />
(doc. 12 ICZ). Gli interessi di competenza di ciascun<br />
esercizio sono poi stati compresi tra i ratei attivi e<br />
di ciò è stato dato atto nella nota integrativa di ciascun<br />
bilancio.<br />
Sul piano formale, dunque, non emergono situazioni irregolari<br />
od opacità nella rappresentazione della conclusione<br />
e nell’esecuzione del rapporto.<br />
Il piano sostanziale concerne invece la tipologia del rapporto<br />
e la misura degli interessi corrisposti da Policlinico<br />
a ICZ sulle somme depositate sul conto dalla seconda.<br />
Quanto alla prima questione gli attori hanno contestato<br />
trattarsi di un rapporto ‘‘a vista’’. La contestazione non<br />
può essere condivisa: anzitutto, almeno dall’anno 2007,<br />
Le Società 7/2012 749
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
il finanziamento di cui si discute è transitato dalla voce<br />
di bilancio ‘‘immobilizzazioni finanziarie’’ dello stato patrimoniale<br />
alla voce ‘‘attivo circolante’’ del conto economico;<br />
in secondo luogo quando ICZ ha chiesto il rimborso<br />
di ben 15 milioni di euro - cioè oltre la metà delle<br />
giacenze -, la somma le è stata corrisposta nel giro di pochi<br />
giorni, cioè in tempi tipici - considerata l’entità della<br />
somma e la disciplina delle valute normalmente applicata<br />
dalle banche - dei rapporti a vista.<br />
Quanto alla misura degli interessi, è provato che Policlinico<br />
ebbe a corrispondere a ICZ un tasso di mercato,<br />
cioè, fino al 1 agosto 2008 il Tasso Ufficiale di Riferimento<br />
e, da quella data, il tasso Euribor a 6 mesi (doc.<br />
32, 33 ICZ).<br />
Parti convenute hanno poi dimostrato che l’interesse<br />
percepito dalla controllata è sempre stato superiore a<br />
quello attivo che essa avrebbe percepito depositando in<br />
banca la propria liquidità, nonostante gli interessi attivi<br />
percepiti sui depositi, in quanto società facente parte del<br />
Gruppo Policlinico S. Donato, fossero superiori a quelli<br />
di mercato (prospetto doc. 13 ICZ). È stato altresì dimostrato<br />
che il tasso attivo riconosciuto da Policlinico ad<br />
ICZ è stato altresì superiore a quello passivo pagato da<br />
ICZ in un periodo (il quarto trimestre 2008) in cui, eccezionalmente,<br />
la società ebbe a ricorrere al finanziamento<br />
bancario per circa 4 milioni di euro. Ciò spiega<br />
appunto perché era in ogni caso convenuto ad ICZ ricorrere<br />
al finanziamento bancario piuttosto che ritirare<br />
la corrispondente somma dal conto in essere con Policlinico<br />
al fine di soddisfare il suo fabbisogno. In ogni caso<br />
tale circostanza è stata spiegata nel corso dell’assemblea<br />
di ICZ del 18.5.2009, senza che i soci di minoranza avessero<br />
a sollevare obiezioni (doc. 18 C att.).<br />
Parti attrici hanno contestato in modo generico ed apodittico<br />
il prospetto suddetto, che invece trova fondamento<br />
da un lato nelle risultanze dai doc. 7-12 ICZ (tassi<br />
attivi riconosciuti da Policlinico ad ICZ per le somme<br />
depositate sul conto corrente in essere), dall’altro nelle<br />
risultanze dei doc. 40 e 41 ICZ (tassi attivi e passivi desunti<br />
dagli estratti conto 2007 e 2008 relativi ai rapporti<br />
di ICZ con le banche di cui era cliente).<br />
In ogni caso il consulente di parte di ICZ, Prof. Nova,<br />
ha dimostrato in modo inoppugnabile e non specificamente<br />
contraddetto da controparte che i tassi corrisposti<br />
da Policlinico erano superiori ai tassi mediamente riconosciuti<br />
dalle banche sui depositi delle imprese in conto<br />
corrente, al rendimento medio annuo dei BOT, al rendimento<br />
medio dei fondi di liquidità (p. 25 s. rel. CTP nova,<br />
doc. 42 ICZ).<br />
In realtà, la correttezza di tali allegazioni di parti convenute,<br />
è implicitamente riconosciuta dagli stessi attori<br />
che, invece di contestarle nel merito, hanno inteso fondare<br />
la domanda su una peculiare e stravagante accezione<br />
di ‘‘tassi di mercato’’.<br />
Invero, secondo parti attrici, ‘‘il parametro per determinare<br />
se l’operazione conclusa con il Policlinico S. Donato<br />
s.p.a. sia stata ‘‘prezzata’’ a valori di mercato non può<br />
consistere (come vorrebbero parti avversarie) in una<br />
‘‘ideale transazione’’ tra gli Istituti Clinici Zucchi s.p.a. -<br />
nel ruolo di finanziatore (ruolo che usualmente appartie-<br />
ne a una banca o a un intermediario finanziario non<br />
bancario) - ed altra società commerciale analoga a Policlinico<br />
S. Donato s.p.a. Proprio per questa ragione un<br />
indice di valutazione ragionevole circa la coerenza ‘‘di<br />
mercato’’ dell’operazione finanziaria in discussione è rappresentato,<br />
già in prima battuta, dalla misura dei tassi di<br />
interesse che una banca (o un intermediario non bancario)<br />
avrebbe applicato a un simile rapporto (esattamente<br />
in termini inversi rispetto a quelli artatamente proposti<br />
dai convenuti). Siffatto parametro ... significa in modo<br />
chiaro la sperequazione delle condizioni del rapporto in<br />
questione: che crea un oggettivo vantaggio per il Policlinico<br />
S. Donato ... e un netto pregiudizio per Istituti Clinici<br />
Zucchi s.p.a., delineando la profonda scorrettezza<br />
della condotta tenuta dalla controllante. La differenza<br />
esistente tra i ‘‘tassi di mercato’’ mediamente applicati<br />
per finanziamenti di tipo analogo a quello concesso dalla<br />
Società al Policlinico e il tasso effettivamente applicato<br />
nell’ambito di tale finanziamento rappresenta, dunque,<br />
una ‘‘voce positiva’’ per il patrimonio della controllante<br />
e una ‘‘voce negativa’’ per il patrimonio della controllata<br />
e, di conseguenza, per il valore delle partecipazioni dei<br />
soci di minoranza di quest’ultima...’’.<br />
La prospettazione attorea è priva di fondamento già in<br />
astratto e, per certi aspetti, addirittura paradossale.<br />
Qui parti attrici fanno questione di danno al valore ed<br />
alla redditività della partecipazione.<br />
In questa prospettiva affermare che il danno è pari alla<br />
differenza tra i tassi passivi che Policlinico S. Donato<br />
non ha pagato grazie al finanziamento concesso da ICZ<br />
e gli interessi attivi corrisposti dal medesimo Policlinico,<br />
pare francamente contraddittorio.<br />
Anzitutto al vantaggio - qui sub specie di risparmio di un<br />
costo - che una parte contrattuale trae dall’adempimento<br />
dell’obbligazione di controparte non corrisponde automaticamente<br />
il pregiudizio dell’altra. Anzi, in genere,<br />
corrispondono vantaggi per entrambe, sebbene diversamente<br />
distribuiti.<br />
E questo è ovvio per la evidente ragione che, in quanto<br />
tali, le parti contrattuali sono diverse e ciascuna di esse<br />
ha caratteristiche, obiettivi e bisogni diversi, sicché dallo<br />
stesso bene ciascuna può trarre utilità diverse. Del resto,<br />
se il valore di una cosa pur oggetto di scambio fosse lo<br />
stesso per tutti probabilmente nemmeno esisterebbe l’economia.<br />
Nel caso di specie, parti attrici, per giungere a dimostrare<br />
un pregiudizio - sub specie di mancato guadagno - per<br />
ICZ, avrebbero dovuto dimostrare nel concreto che,<br />
qualora ICZ avesse instaurato un identico rapporto di<br />
conto corrente con altra società commerciale avrebbe<br />
goduto di tassi di interesse attivi superiori a quelli corrisposti<br />
da Policlinico. Ma parti attrici si sono ben guardate<br />
dal far ciò, probabilmente nella consapevolezza di<br />
non poter provare un fatto che ben difficilmente sarebbe<br />
potuto accadere. Del resto parti attrici si sono ben guardate<br />
anche solo dal tentare di dimostrare che ICZ avrebbe<br />
potuto altrimenti investire quelle somme con un<br />
maggior guadagno a parità di condizioni del rapporto<br />
(investimenti a breve, prontamente liquidabili, sostanzialmente<br />
privi di rischio).<br />
750 Le Società 7/2012
La prospettazione attorea assume poi caratteri paradossali,<br />
laddove da un lato - nel momento in cui vorrebbe valutare<br />
la congruità dei tassi attivi ottenuti - intende sottolineare<br />
che Policlinico non è una banca (sicché non<br />
potrebbe riconoscere i tassi attivi riconosciuti dalle banche)<br />
e, dall’altro, vorrebbe (erroneamente) equiparare i<br />
maggiori tassi ottenibili da ICZ a quelli corrisposti alle<br />
banche dai loro clienti.<br />
Facile replicare che se Policlinico non è una banca,<br />
nemmeno ICZ lo è, ma, mentre Policlinico correttamente<br />
assume come riferimento il tasso che una banca pagherebbe<br />
a ICZ nel caso il conto corrente fosse stato instaurato<br />
con la stessa (nell’ipotesi, del tutto ragionevole,<br />
che quello avrebbe potuto essere il corrispondente impiego<br />
alternativo delle somme corrisposte) riconoscendone<br />
peraltro uno superiore, gli attori erroneamente assumono<br />
- ed in alcun modo dimostrano - che ICZ avrebbe<br />
altrimenti potuto lucrare un tasso pari a quello che le<br />
banche ottengono per i finanziamenti che erogano ai loro<br />
clienti.<br />
Queste osservazioni trovano conforto definitivo nell’analisi<br />
condotta dal CTP di parte ICZ Prof. Nova alle pag.<br />
22 e s. della sua relazione (doc. 42 att.).<br />
È poi il caso di notare come la erronea prospettiva attorea<br />
sinora illustrata si coniughi nell’altrettanto erronea<br />
interpretazione data dell’art. 2497, comma 1, c.c.: parti<br />
attrici, non potendo provare il danno emergente od il<br />
lucro cessante per la controllata e quindi il danno indiretto<br />
alla loro partecipazione, hanno avuto bisogno di<br />
distorcere il dato normativo per giungere ad affermare<br />
che il vantaggio ottenuto dalla controllante a seguito di<br />
un’operazione che sia effetto di attività di direzione e<br />
coordinamento rende di per sé illegittima e dannosa<br />
quell’attività e quindi determina una responsabilità eun<br />
diritto al risarcimento della controllata.<br />
In questo quadro, la erronea equiparazione tra vantaggio<br />
- sub specie di riduzione di un costo - ottenuto dalla controllante<br />
e pregiudizio per la controllata si risolve nella<br />
carenza di fondamento delle deduzioni attoree in ordine<br />
alla sussistenza dei requisiti della responsabilità ex art.<br />
2497, comma 1, c.c.: circa la ‘‘violazione dei principi di<br />
corretta gestione societaria e imprenditoriale’’ delle società<br />
controllate, manca sinanco la enunciazione del<br />
principio che si vorrebbe violato, a fronte dell’impossibilità<br />
di affermare che sia di per sé illegittima l’attivazione,<br />
da parte della controllante, di un servizio di tesoreria (v.<br />
postea) mediante accensione di conto corrente in cui le<br />
rimesse della controllata sono remunerate al tasso Euribor<br />
a 6 mesi; manca altresì ogni prova sia in ordine al<br />
nesso causale di quella condotta con un presunto pregiudizio<br />
al valore ed alla redditività delle partecipazioni di<br />
cui sono titolari gli attori, sia in ordine all’esistenza stessa<br />
di quel pregiudizio.<br />
Parti convenute hanno adeguatamente giustificato esistenza<br />
ed andamento del conto corrente di cui si discute.<br />
Non occorre dilungarsi oltremodo in proposito, sia perché<br />
- considerata la legittimità intrinseca del rapporto e<br />
l’assenza di danno - si tratta di argomento scarsamente<br />
rilevante, sia perché le scelte operate in proposito dagli<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
organi amministrativi di Policlinico e di ICZ rientrano<br />
appieno nei confini della discrezionalità imprenditoriale,<br />
insindacabile in questa sede giudiziaria.<br />
In ogni modo, essi traggono origine dalla necessità di<br />
impiegare in modo adeguato (richiamo a vista e remunerazione<br />
maggiore di quella derivante da altri impieghi<br />
concretamente disponibili) le ingenti risorse finanziarie<br />
a disposizione di ICZ in vista della futura attuazione di<br />
una serie di interventi di ristrutturazione ed adeguamento<br />
sia delle strutture che degli impianti tecnologici dei<br />
presidi di Monza e di Carate Brianza, interventi previsti<br />
per legge.<br />
Tale necessità è stata soddisfatta con l’accensione del<br />
conto corrente di cui si discute, istituito secondo le linee<br />
di politica generale di gestione del gruppo che fa capo al<br />
Policlinico S. Donato, che contempla la realizzazione di<br />
un servizio di tesoreria a mezzo del quale le controllate<br />
possono depositare la loro liquidità su un conto corrente<br />
in essere con la controllante, remunerato ad un tasso di<br />
interesse vantaggioso per entrambe le parti, comunque<br />
superiore a quello bancario, rimanendo le somme immediatamente<br />
esigibili.<br />
Dall’altro lato, la cogenza degli obblighi di investimento<br />
gravanti sulla società è stata ampiamente provata con il<br />
riferimento alle sue fonti normative, indicate nella L. n.<br />
801/1997 e nelle Delibere Regionali di attuazione<br />
(D.G.R. n. VI/38133 del 1998, n. 7/13306 del 2003, n.<br />
VIII/6226 del 19 dicembre 2007).<br />
Parti convenute, in particolare ICZ, hanno sottolineato<br />
per un verso che i costi per la realizzazione di tali interventi<br />
sono stati stimati tra i 23,1 ed i 26,6 milioni di euro<br />
- dati risultanti dalla relazione sulla gestione allegata<br />
al bilancio 2009 - e, per altro verso, che, in relazione alla<br />
tumultuosa successione degli strumenti normativi predetti<br />
ed all’incertezza sull’accoglimento delle numerose<br />
proroghe richieste (da ICZ come da tutti gli altri operatori<br />
del settore), le somme in conto corrente sono state<br />
accumulate allorquando l’esecuzione degli interventi<br />
strutturali pareva più prossima (anni 2007 e 2008), per<br />
essere poi smobilizzate (si veda la distribuzione di utili<br />
negli anni 2008 e 2009 e il rimborso di 15 milioni di euro<br />
nel 2009) quando sono stati più chiari da un lato i<br />
costi degli interventi, dall’altro i tempi degli stessi, essendo<br />
nel frattempo intervenuta una proroga per la loro<br />
attuazione sino al 2010. Di tali decisioni si trova ampia<br />
e chiara notizia nei bilanci e nelle relazioni allegate relativi<br />
a tutti gli esercizi coinvolti (dal 2006 al 2009).<br />
Gli attori hanno inteso censurare un’asserita opacità che<br />
avrebbe caratterizzato i bilanci di ICZ nella rappresentazione<br />
del rapporto di conto corrente di cui si discute, in<br />
violazione degli artt. 2497 bis comma 5, 2428 commi 2<br />
e 3 c.c., in particolare per non essere indicate le ‘‘modalità<br />
di regolamentazione del rapporto finanziario in questione,<br />
ad iniziare dalle condizioni di tasso applicate’’.<br />
La censura è infondata in fatto e inammissibile in diritto.<br />
A fronte di tale addebito, parti convenute hanno prodotto<br />
i bilanci, corredati da note integrative e relazioni<br />
di gestione, dai quali risultano - per vero con dettaglio<br />
progressivamente sempre maggiore con il crescere delle<br />
Le Società 7/2012 751
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
somme ivi depositate ed a seguito della denunzia ex art.<br />
2408 c.c. proposta da parte degli stessi soci di minoranza<br />
nell’agosto 2008 - sia le caratteristiche sia l’andamento<br />
del conto.<br />
La censura è poi inammissibile perché non se ne apprezza<br />
l’interesse sottostante rispetto alla domanda risarcitoria<br />
proposta, non essendosi in alcun modo chiarito l’effetto<br />
dannoso che si sarebbe prodotto per ICZ quand’anche<br />
essa fosse fondata.<br />
A maggior ragione sono inammissibili altre più specifiche<br />
censure mosse da parti attrici non già alla rappresentazione<br />
dei rapporti con la controllante, ma direttamente<br />
alla chiarezza, verità e correttezza del bilancio di ICZ,<br />
laddove esse si dilungano sull’asserita contraddizione tra<br />
la presenza in bilancio di un ‘‘fondo adeguamento immobili,<br />
impianti ed attrezzature’’ e la dedotta necessità di<br />
instaurare il rapporto di conto corrente per far fronte a<br />
tali spese.<br />
A prescindere dalla considerazione di merito, dedotta<br />
dai convenuti, secondo cui si deve distinguere l’appostazione<br />
del fondo in bilancio e l’adeguato e razionale impiego<br />
della liquidità disponibile nelle more di interventi<br />
nel contempo molto onerosi, sempre imminenti ma via<br />
via prorogati dall’amministrazione competente, la deduzione<br />
è inammissibile oltre che per i motivi già indicati<br />
anche perché si risolve schiettamente in un’impugnativa<br />
di bilancio rispetto alla quale i soci qui agenti non sono<br />
legittimati (art. 2434 bis c.c.).<br />
Nella parte in cui è utilizzato per sostenere la tesi della<br />
carenza di motivazione circa l’omessa distribuzione degli<br />
utili (omissis), l’argomento resta in ogni caso irrilevante<br />
a fronte delle considerazioni già svolte sul punto.<br />
In altra e aggiuntiva prospettazione, il valore delle partecipazioni<br />
degli attori sarebbe stato pregiudicato ‘‘per via<br />
della sproporzionata concentrazione di rischio attuata<br />
tramite il finanziamento della controllante, anche in ragione<br />
dell’assenza di qualsivoglia ‘‘garanzia’’ a presidio<br />
della restituzione dello stesso’’.<br />
Si tratta di un addebito generico, del tutto astratto, da<br />
un lato perché non sono indicati in modo chiaro e specifico<br />
gli elementi che indurrebbero a dubitare della solvibilità<br />
di Policlinico S. Donato, dall’altro perché non è<br />
chiarito il legame causale tra la concentrazione del rischio<br />
e la diminuzione del valore della partecipazione.<br />
In proposito correttamente è stato osservato da controparti<br />
che il riconoscimento di interessi incorpora la remunerazione<br />
del rischio che si assume l’investitore, sicché<br />
la richiesta di ulteriori somme a titolo di presunto<br />
danno integra un’indebita duplicazione delle spettanze<br />
dell’investitore medesimo.<br />
In ogni caso, anche parti attrici hanno riconosciuto che<br />
il gruppo sanitario di cui fa parte ICZ è ‘‘leader assoluto<br />
all’interno del sistema sanitario lombardo’’, e, a fronte di<br />
ciò, stanno i dati di bilancio del Policlinico, decisamente<br />
positivi e tali da farne ‘‘un debitore altamente solvibile’’,<br />
rispetto al quale il rischio di credito in capo ad ICZ ben<br />
può dirsi limitatissimo, pur in assenza di garanzie (omissis).<br />
Le considerazioni di parti attrici circa l’alto indebitamento<br />
di Policlinico verso le controllate non assumono<br />
particolare rilievo, atteso che tali debiti originano da<br />
risorse che le stesse controllate hanno veicolato verso<br />
Policlinico, che ne ha la disponibilità e che ne costituiscono<br />
la contropartita. È invece reale la considerazione<br />
dell’alto indebitamento di Policlinico verso Velcafin,<br />
anche dovuto all’operazione RCS, ma non è stata sollevata<br />
alcuna osservazione in ordine alla sua corretta rappresentazione<br />
in bilancio, sicché è al risultato finale del<br />
bilancio stesso che deve aversi riguardo, e trattasi sempre<br />
di risultati molto positivi (omissis).<br />
Tali considerazioni, già di per sé convincenti, hanno<br />
avuto un riscontro pratico-fattuale allorquando ICZ ha<br />
richiesto la restituzione della somma di E 15 milioni nell’ottobre<br />
2009: la somma, pari ad oltre il 50 % dell’investimento,<br />
le è stata corrisposta nel volgere di pochi giorni.<br />
Gli attori hanno altresì addebitato, più o meno chiaramente,<br />
a Policlinico ed a G.R. di avere utilizzato il finanziamento<br />
ottenuto da ICZ per operazioni speculative,<br />
risoltesi in perdita, relative all’acquisto - a mezzo di altre<br />
società (Pandette Finanziaria s.p.a.) - di un consistente<br />
pacchetto azionario di RCS Media Group s.p.a.<br />
L’addebito è volto in qualche modo a corroborare l’affermazione<br />
secondo cui i denari versati da ICZ nel conto<br />
intrattenuto con Policlinico sarebbero stati utilizzati ‘‘a<br />
vantaggio proprio o di terzi’’ .<br />
Così inteso, tuttavia, a ben vedere, esso è inammissibile<br />
poiché da un lato l’inciso di cui all’art. 2497, comma 1,<br />
c.c. deve essere inteso con riferimento alle operazioni<br />
compiute nell’esercizio ed in esecuzione dell’attività di<br />
direzione e coordinamento, non già - e non sarebbe possibile,<br />
considerato che le società del gruppo mantengono<br />
intatta la loro soggettività giuridica - con riferimento all’uso<br />
che dei vantaggi (in tesi indebitamente) ottenuti la<br />
controllante faccia. Proprio in ragione della perdurante<br />
distinta soggettività giuridica delle società del gruppo, è<br />
possibile affermare la natura fisiologica dell’utilizzo a proprio<br />
vantaggio, da parte della capogruppo, delle utilità<br />
conseguite attraverso l’esercizio dell’attività di direzione<br />
e coordinamento.<br />
Ovvero: la legittimità\illegittimità dell’attività di direzione<br />
e coordinamento non dipende dall’uso che la controllante<br />
faccia dei vantaggi ottenuti attraverso il suo<br />
esercizio, ma dalle modalità con cui sono ottenuti quei<br />
vantaggi (se in violazione dei principi di corretta gestione<br />
societaria ed imprenditoriale) e dall’evenienza che, in<br />
caso di scorretto esercizio di quell’attività, ne siano derivati<br />
danni alla controllata e, quindi, al valore ed alla<br />
redditività delle partecipazioni dei soci di minoranza.<br />
Ne consegue che i soci di minoranza della società controllata<br />
agenti in responsabilità ex art. 2497, comma 1,<br />
c.c. nei confronti della controllante non hanno interesse<br />
(dunque non sono legittimati) a sindacare l’utilizzo che<br />
la controllante faccia delle sue risorse.<br />
Ciò è tanto vero che la situazione disegnata dalla norma<br />
è esattamente opposta: è semmai la controllante che,<br />
provata l’illegittimità dell’esercizio dell’attività di direzione<br />
e coordinamento, dovrà provare che il danno alla<br />
controllante ‘‘risulta mancante ... ovvero integralmente<br />
eliminato ...’’.<br />
752 Le Società 7/2012
In ogni caso l’addebito in questione è anche infondato<br />
in fatto.<br />
Anzitutto non è provato che Policlinico, per finanziare<br />
la propria controllante Velcafin s.p.a. nel corso del 2008<br />
- finanziamento che avrebbe consentito a Velcafin di<br />
sottoscrivere l’aumento di capitale di Eurotec s.p.a., così<br />
da permetterle di rinunciare ad un credito di circa E 85<br />
milioni verso Pandette Finanziaria e, quindi, a quest’ultima<br />
di svalutare la partecipazione in RCS Media Group<br />
s.p.a. in ragione del significativo e durevole calo di valore<br />
di mercato della partecipazione -, abbia utilizzato le<br />
somme versate da ICZ sul conto di cui si discute.<br />
In secondo luogo ICZ ha addotto, a dimostrazione dell’assenza<br />
di nesso di causalità tra l’operazione incriminata<br />
e gli addebiti qui considerati, una significativa discrasia<br />
logica e cronologica tra i fatti: l’operazione risoltasi nel<br />
finanziamento di Pandette Finanziaria s.p.a. è avvenuta<br />
nell’anno 2008; il conto corrente di cui si discute è stato<br />
acceso tre anni prima ed aveva raggiunto un saldo a credito<br />
di ICZ di ben 17 milioni di euro nell’anno 2007,<br />
quando la predetta operazione non era nemmeno alle viste.<br />
Si può aggiungere che, in ogni caso, negli anni 2008<br />
e 2009 si registra una considerevole distribuzione di utili<br />
ai soci di ICZ e, nel 2009, un ingentissimo rimborso (i<br />
già citati 15 milioni di euro) ad ICZ.<br />
Si tratta di circostanze che fanno dubitare dell’esistenza<br />
del nesso che parti attrici vorrebbero instaurare, viepiù<br />
perché non specificamente contraddette.<br />
Infine gli attori prospettano un danno derivante da<br />
omesso reinvestimento degli utili nell’attività economica<br />
tipica svolta da ICZ.<br />
La domanda è infondata.<br />
In questo caso il Tribunale non può che far proprie le<br />
precise e concludenti considerazioni svolte in proposito<br />
dai convenuti:<br />
– la domanda attorea implica un inammissibile sindacato<br />
sulle scelte gestorie della società;<br />
– non corrisponde ad alcuna legge economica l’idea che<br />
ad ogni maggiore investimento aggiuntivo corrisponde-<br />
IL COMMENTO<br />
di Enrico Erasmo Bonavera<br />
rebbe un maggiore rendimento, vigendo invece la regola,<br />
specialmente valida rispetto ad un business maturo e<br />
ben sviluppato, del rendimento decrescente degli investimenti<br />
aggiuntivi;<br />
– la società opera in regime di accreditamento, sicché le<br />
prestazioni erogate dalla società oltre i limiti previsti nelle<br />
convenzioni apposite non sono remunerate e la decisione<br />
dell’ulteriore sviluppo o meno del business in regime<br />
puramente privatistico rientra del tutto nella piena<br />
discrezionalità imprenditoriale;<br />
– la pretesa dei soci di distribuzione degli utili confligge<br />
con quella, di tenore logicamente opposto, di reinvestimento<br />
degli stessi nell’attività tipica;<br />
– soprattutto, lo stesso consulente di parti attrici ha riconosciuto<br />
che, nel periodo fatto oggetto di censura, cioè<br />
proprio da quando ICZ è entrata a far parte del gruppo<br />
Policlinico S. Donato, la società ha conseguito una redditività<br />
‘‘fuori dell’ordinario’’, sicché se ‘‘si applicassero i<br />
medesimi numeri alla cassa supplementare verrebbero risultati<br />
stratosferici’’; dunque non par possibile ritenere<br />
che l’esistenza del conto corrente di cui si discute abbia<br />
sottratto risorse ad un ipotetico ancor maggiore sviluppo<br />
aziendale, che è e rimane una mera supposizione.<br />
In conclusione, non avendo parti attrici provato né l’illegittimità<br />
dell’attività di direzione e coordinamento<br />
svolta da Policlinico S. Donato - per non avere individuato<br />
alcuna violazione di principi di corretta gestione<br />
societaria o imprenditoriale - né un danno derivante dall’esercizio<br />
di detta attività, le relative domande debbono<br />
essere respinte.<br />
Deve altresì essere rigettata la domanda di parti attrici di<br />
accertamento del loro diritto al recesso da ICZ ai sensi<br />
dell’art. 2497 quater, comma 1, lett. b), c.c.<br />
Invero, non pronunciandosi la condanna di Policlinico<br />
S. Donato ai sensi dell’art. 2497 c.c., non sussiste, nel<br />
caso di specie, il presupposto che, ai sensi della norma<br />
invocata dai soci attori, fonderebbe il loro diritto al recesso.<br />
(omissis).<br />
L’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento rappresenta un fatto naturale e fisiologico, di per sé<br />
legittimo, che richiede, tuttavia, che siano prefissati i limiti oltrepassati i quali una tale attività diviene illegittima<br />
e fa sorgere la responsabilità di colui che, per tal modo, ne abusa. La condotta della società controllante<br />
assume i connotati dell’antigiuridicità qualora quell’attività sia esercitata nell’interesse imprenditoriale proprio<br />
o altrui, dunque estraneo a quello della società soggetta alla sua direzione/coordinamento, e in violazione<br />
dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società sottoposta ad essa.<br />
La fattispecie<br />
La sentenza in commento è stata pronunciata<br />
dal Tribunale di Milano nell’ambito del giudizio<br />
promosso da alcuni soci (di minoranza) di una so-<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
cietà controllata nei confronti della società controllante,<br />
della stessa società controllata e di alcuni<br />
componenti gli organi amministrativi e di controllo<br />
di entrambe le società, al fine di fare accertare<br />
Le Società 7/2012 753
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
la responsabilità di costoro ai sensi dell’art. 2497<br />
c.c. e di ottenerne la condanna al risarcimento del<br />
danno, provocato dalla controllante nell’esercizio<br />
della sua attività di direzione e coordinamento, al<br />
valore ed alla redditività delle loro partecipazioni,<br />
nonché al fine di fare accertare la legittimità del<br />
loro recesso ai sensi dell’art. 2497 quater, comma1,<br />
lett. b), c.c.<br />
Dalla lettura della motivazione della sentenza in<br />
commento, si evince che gli attori hanno, in particolare,<br />
ravvisato l’abuso da parte della società controllante<br />
del potere di direzione e coordinamento<br />
esercitato, sia per avere essa ‘‘drenato’’ liquidità in<br />
proprio favore dalla società controllata a condizioni<br />
sperequate, sia per avere imposto a quest’ultima<br />
una strategia di accantonamento degli utili di esercizio.<br />
La fattispecie portata all’attenzione del tribunale<br />
ha così consentito ad esso di approfondire interessanti<br />
questioni in tema di responsabilità per l’esercizio<br />
dell’attività di direzione e coordinamento di società,<br />
e in particolare di soffermarsi sui limiti di legittimità<br />
di detta attività.<br />
Il quadro normativo<br />
Mediante l’introduzione di un apposito Capo IX,<br />
intitolato alla Direzione e coordinamento di società, il<br />
legislatore della riforma del diritto societario<br />
(D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) non ha, in effetti,<br />
inteso dare una disciplina del fenomeno dei gruppi<br />
di società, néha proposto per essi una definizione<br />
normativa. Ed anzi, nella relazione di accompagnamento<br />
al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (di riforma<br />
del diritto delle società di capitali) ha voluto precisare<br />
che non è parso opportuno dare o richiamare<br />
una qualunque nozione di gruppo in quanto le definizioni<br />
esistenti sono funzionali a problemi specifici<br />
e, per ciò stesso, inadatte a contemplare il fenomeno<br />
nel suo complesso, in ragione, vieppiù, dell’incessante<br />
evoluzione del fenomeno nella realtà economica.<br />
Il legislatore si è, invero, limitato a fare riferimento<br />
all’attività che caratterizza le finalità perseguite<br />
dal gruppo, vale a dire l’attività di direzione e<br />
coordinamento, per regolare alcuni aspetti di essa,<br />
tra i quali riveste particolare rilievo quello della responsabilità,<br />
prevista dall’art. 2497 c.c., che può<br />
conseguirne, a determinate condizioni, a carico sia<br />
delle società o degli enti che la esercitano, sia dei<br />
soggetti che abbiano comunque preso parte al fatto<br />
lesivo. Tale intervento normativo è risultato, in<br />
particolare, tanto più necessario, atteso che, in as-<br />
senza di qualsiasi riferimento legislativo, le soluzioni<br />
offerte erano risultate insoddisfacenti.<br />
In quest’ottica, il legislatore, lungi dal regolare<br />
o definire il fenomeno dei gruppi di società, ha introdotto,<br />
mediante formule dai contorni invero<br />
ancora generici, dei parametri cui, almeno tendenzialmente,<br />
ancorare la responsabilità delle società<br />
controllanti e dei soggetti che abbiano agito per<br />
esse, al fine di dare tutela sia ai titolari di quote di<br />
partecipazione (di minoranza) delle società controllate,<br />
sia ai terzi creditori delle società appartenenti<br />
al gruppo contro i possibili abusi della società<br />
controllante.<br />
Sicché - e, del resto, la stessa relazione d’accompagnamento<br />
testé citata non ha mancato di sottolinearlo<br />
- l’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento<br />
rappresenta un fatto naturale e fisiologico,<br />
di per sé legittimo, che non implica il riconoscimento<br />
o l’attribuzione di particolari poteri; ma, al<br />
contempo, richiede che siano prefissati i limiti oltrepassati<br />
i quali una tale attività diviene illegittima<br />
e fa sorgere la responsabilità di colui che, per tal<br />
modo, ne abusa.<br />
I limiti alla liceità dell’attività di direzione<br />
e coordinamento<br />
La sentenza in commento del Tribunale di Milano<br />
fa propri questi principi ed afferma «che l’attività<br />
di direzione e coordinamento è in se stessa legittima»,<br />
sicché «non esistono precondizioni o requisiti<br />
di legittimità, che siano previsti dalla norma in<br />
questione, la quale designa invece solo i limiti di<br />
quella liceità, cioè casi e situazioni in cui essa, in<br />
presenza di determinate circostanze, diviene illegittima».<br />
Ne discende, per quanto attiene alla distribuzione<br />
dell’onere probatorio tra le parti, che non<br />
è la società controllante (che assumerà nel processo<br />
la veste di convenuto) a dover dimostrare la legittimità<br />
dell’attività di direzione e coordinamento da<br />
essa svolta, bensì l’attore a dover fornire la prova<br />
dell’antigiuridicità delle concrete modalità di esercizio<br />
della stessa. Coerentemente con tale impostazione,<br />
la prova dovrà avere ad oggetto: «- la condotta,<br />
cioè l’esercizio, da parte di una società, di attività<br />
di direzione e coordinamento nei confronti di altre;<br />
- l’antigiuridicità della condotta, cioè l’esercizio di<br />
quell’attività nell’interesse imprenditoriale proprio<br />
o altrui, dunque estraneo a quello della società soggetta<br />
alla sua direzione/ coordinamento, e in violazione<br />
dei principi di corretta gestione societaria e<br />
imprenditoriale delle società sottoposte ad essa; -<br />
l’evento dannoso, ovvero il pregiudizio arrecato al<br />
754 Le Società 7/2012
valore o alla redditività della partecipazione; - il<br />
nesso di causalità tra condotta ed evento» (1).<br />
La sentenza in commento si è soffermata sull’esame<br />
soltanto dei due primi elementi (e cioè, la condotta<br />
e la sua antigiuridicità), avendo rilevato che,<br />
nella fattispecie, non era riscontrabile alcun abuso<br />
da parte della società controllante del potere di direzione<br />
e coordinamento esercitato, fatto consistere<br />
dagli attori sia per avere essa ‘‘drenato’’ liquidità in<br />
proprio favore dalla società controllata a condizioni<br />
sperequate, sia per avere imposto a quest’ultima<br />
una strategia di accantonamento degli utili di esercizio.<br />
L’accertamento circa l’esercizio<br />
della attività di direzione e coordinamento<br />
Innanzi tutto, l’esercizio dell’attività di direzione<br />
e coordinamento costituisce il presupposto per l’operatività<br />
della norma in esame. Il compito dell’interprete<br />
consiste, dunque, in primo luogo, nel verificare<br />
se, nella singola fattispecie, sussista l’esercizio<br />
di detta attività.<br />
Come si è rilevato, il legislatore non ha inteso<br />
dare supporto all’interprete mediante precise definizioni<br />
normative: ciò vale anche per la nozione di<br />
attività di direzione e coordinamento, per la quale,<br />
peraltro, soccorre la presunzione (semplice, la quale<br />
consente dunque la prova contraria) di cui all’art.<br />
2407 sexies c.c., secondo cui tale situazione ricorre<br />
in capo alla «società o ente tenuto al consolidamento<br />
dei loro bilanci o che comunque la controlla<br />
ai sensi dell’articolo 2359».<br />
Al fine di ovviare al silenzio normativo, si è così<br />
precisato, in dottrina, che «per attività di direzione<br />
e coordinamento deve intendersi l’esercizio di una<br />
pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo<br />
idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa,<br />
cioè sulle scelte strategiche e operative di carattere<br />
finanziario, industriale, commerciale che attengono<br />
alla conduzione degli affari sociali» (2). E,<br />
nella stessa ottica, in giurisprudenza è stato statuito<br />
che «l’attività di direzione e coordinamento è un<br />
quid pluris rispetto al mero esercizio del controllo,<br />
in quanto espressione di un potere di ingerenza più<br />
intenso, consistente nel flusso costante di istruzioni<br />
impartite dalla società controllante e trasposte all’interno<br />
delle decisioni assunte dagli organi della<br />
controllata, involgenti momenti significativi della<br />
vita della società, quali, a titolo di esempio, le scelte<br />
imprenditoriali, il reperimento dei mezzi finanziari,<br />
le politiche di bilancio, la conclusione di contratti<br />
importanti ed altro» (3).<br />
In concreto, qualora non sussista la situazione di<br />
cui all’art. 2407 sexies c.c., che dà luogo - come detto<br />
- ad una presunzione semplice dell’esistenza dell’attività<br />
di direzione e coordinamento, questa potrà<br />
venire dimostrata fornendo la prova delle direttive<br />
trasmesse dalla società controllante a quella controllata.<br />
Si tratterà, peraltro, di una prova non sempre<br />
agevole, poiché i canali di trasmissione delle direttive<br />
impartite potrebbero non lasciare tracce documentali.<br />
In tal caso, l’esistenza di rapporti contrattuali tra<br />
le parti (rilevanti ai sensi dell’art. 2497 septies c.c.)<br />
che diano all’una il potere di imporre all’altra una<br />
determinata struttura finanziaria o una determinata<br />
politica di mercato potrà rivelarsi rivelatrice dell’attività<br />
di direzione e coordinamento (4): a tal fine,<br />
occorrerà peraltro, pur sempre, individuare specifiche<br />
clausole contrattuali che diano a un contraente<br />
il potere di interferire sulle decisioni rilevanti dell’altro<br />
contraente (5).<br />
In special modo, anche in assenza di rapporti<br />
contrattuali, un elemento sintomatico dell’esistenza<br />
di tale rapporto tra le due società (controllante e<br />
controllata) può essere rinvenuto nell’identica (o,<br />
quanto meno, parzialmente identica) composizione<br />
degli organi amministrativo e di controllo delle due<br />
società (6): così è avvenuto, in particolare, nella<br />
fattispecie su cui è intervenuta la pronuncia in<br />
commento del Tribunale di Milano, nella quale -<br />
come si evince dalla motivazione - lo stesso soggetto<br />
rivestiva la qualità di presidente del consiglio di<br />
amministrazione di entrambe le società, controllan-<br />
Note:<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
(1) In questi termini, già Trib. Milano 17 giugno 2011, in questa<br />
Rivista, 2011, 1099; e nello stesso senso anche la sentenza qui<br />
in commento.<br />
(2) P. Montalenti, Direzione e coordinamento nei gruppi societari:<br />
principi e problemi, inRiv. soc., 2007, 321.<br />
(3) Trib. Palermo 15 giugno 2011, in Foro it., 2011, 3184, spec.<br />
c. 3187; nello stesso senso, già Trib. Pescara 16 gennaio 2009,<br />
in questa Rivista, 2010, 683, con il commento di V. Zanelli, Contratto<br />
di franchising ed abuso di direzione e coordinamento contrattuale.<br />
(4) Si veda, al riguardo, V. Zanelli, Contratto di franchising ed<br />
abuso di direzione e coordinamento contrattuale, cit., in sede di<br />
commento a Trib. Pescara 16 gennaio 2009, in questa Rivista,<br />
2010, 689, ove la sentenza, in particolare, si sofferma (694 s.)<br />
sull’esame di indici rivelatori dell’attività di direzione e coordinamento<br />
contrattuale.<br />
(5) V. Zanelli, op. cit., 695.<br />
(6) Così, Trib. Verona 13 luglio 2007, in questa Rivista, 2008,<br />
1385, con il commento di E. Civerra, Conflitto di interessi di amministratori<br />
di società soggetta ad attività di direzione e coordinamento.<br />
Le Società 7/2012 755
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
te e controllata, e almeno due dei sindaci concorrevano<br />
a formare il collegio sindacale delle stesse.<br />
L’antigiuridicità dell’attività di direzione<br />
e coordinamento<br />
In presenza dell’esercizio dell’attività di direzione<br />
e coordinamento, occorre poi verificare se la condotta<br />
della società controllante sia legittima, o se,<br />
invece, risultando superati i limiti posti dalla norma,<br />
ricorra la responsabilità della stessa ed eventualmente<br />
dei soggetti che abbiano agito per essa.<br />
Si tratta, dunque, di accertare l’antigiuridicità della<br />
condotta della società controllante, e «cioè l’esercizio<br />
di quell’attività nell’interesse imprenditoriale<br />
proprio o altrui, dunque estraneo a quello della società<br />
soggetta alla sua direzione/ coordinamento, e<br />
in violazione dei principi di corretta gestione societaria<br />
e imprenditoriale delle società sottoposte ad<br />
essa» (7).<br />
Occorre quindi, perché operi la responsabilità<br />
della società controllante, il concorso, con riferimento<br />
all’atto o alla decisione assunti dalla società<br />
controllata, di due elementi, espressamente previsti<br />
dalla norma:<br />
(a) l’esercizio dell’attività suddetta nell’interesse<br />
imprenditoriale proprio o altrui, e<br />
(b) la violazione dei principi di corretta gestione<br />
societaria e imprenditoriale della società controllata.<br />
Si tratta, tuttavia, di requisiti dai contorni quanto<br />
mai labili e imprecisi.<br />
Il requisito dell’esercizio della attività<br />
di direzione e coordinamento nell’interesse<br />
imprenditoriale proprio o altrui<br />
Ciò vale, in primo luogo, per il requisito dell’esercizio<br />
dell’attività di direzione e coordinamento<br />
nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui. Con esso<br />
si «ha riguardo ad una vera e propria ipotesi di conflitto<br />
di interessi, tra quello proprio della società capogruppo<br />
e quello della società controllata» (8):<br />
sicché «la finalità ‘‘soggettiva’’ di perseguire il proprio<br />
interesse, contrapposto a quello della società<br />
gestita, rende ‘‘scorretta’’ la gestione» (9).<br />
Al fine di consentire una più agevole identificazione<br />
della ricorrenza, in concreto, del requisito in<br />
parola, il legislatore ha introdotto (art. 2497 ter<br />
c.c.) per le decisioni delle società soggette ad attività<br />
di direzione e coordinamento l’obbligo di analitica<br />
motivazione e di «puntuale indicazione delle ragioni<br />
e degli interessi la cui valutazione ha inciso<br />
sulla decisione». Si vuole, per tal modo, rendere<br />
possibile ex post l’individuazione degli interessi che<br />
hanno indotto gli organi gestionali ad assumere determinate<br />
decisioni; ed in particolare, quelle «decisioni<br />
che nessun organo sociale di una società indipendente<br />
assumerebbe, ma che si rendono legittime<br />
entro una società di gruppo, perché dirette a realizzare<br />
quella particolare dimensione dell’interesse sociale<br />
che è presente solo nelle società di gruppo,<br />
per effetto della quale l’interesse sociale si realizza<br />
grazie alla realizzazione dell’interesse di gruppo. Ma<br />
la norma esige che questi superiori interessi, determinanti<br />
la decisione, siano puntualmente indicati<br />
per consentire un sindacato sulla loro rispondenza<br />
ad un interesse di gruppo, e perciò riferibile anche<br />
alla controllata e non invece all’interesse esclusivo<br />
della sola controllante o di altra società del gruppo»<br />
(10).<br />
È stato al riguardo altresì sottolineato che «la<br />
motivazione espressa dell’operazione contrastante<br />
con l’interesse sociale dovrà focalizzare in modo<br />
analitico ed esauriente il contesto complessivo entro<br />
il quale va a collocarsi l’operazione, dando conto<br />
anche della probabilità che l’apparente contrasto<br />
... possa essere compensato da vantaggi che, appunto,<br />
l’appartenenza al gruppo è in grado di determinare<br />
in favore della stessa etero gestita» (11). A tal<br />
fine, particolare rilievo potrà assumere l’indicazione<br />
di eventuali vantaggi compensativi derivanti dall’operato<br />
dell’amministratore, che si riflettono sulla<br />
società in conseguenza della sua appartenenza al<br />
gruppo ed idonei a neutralizzare, in tutto o in parte,<br />
il pregiudizio cagionato direttamente alla società<br />
amministrata (12).<br />
Il precetto di cui al citato art. 2497 ter, che im-<br />
Note:<br />
(7) Trib. Milano 17 giugno 2011, in questa Rivista, 2011, 1099;<br />
e, negli stessi identici termini, si veda anche la sentenza qui in<br />
commento.<br />
(8) A. Di Majo, La responsabilità per l’attività di direzione e coordinamento<br />
nei gruppi di società, inGiur. comm., 2009, I, 537, ivi<br />
547.<br />
(9) A. Di Majo, op. loc. citt.<br />
(10) Così F. Galgano, Direzione e coordinamento di società, in<br />
Commentario Scialoja - Branca, Bologna - Roma, 2005, 136.<br />
(11) E. Civerra, Conflitto di interessi di amministratori di società<br />
soggetta ad attività di direzione e coordinamento, cit., in questa<br />
Rivista, 2008, 1390, in sede di commento a Trib. Verona 13 luglio<br />
2007.<br />
(12) Così definiti già da Cass. 24 agosto 2004, n. 16707, in questa<br />
Rivista, 2005, 164, con il commento di G. Ciampoli, I ‘‘vantaggi<br />
compensativi’’ nei gruppi di società. Cfr. anche in tema<br />
Trib. Roma 5 febbraio 2008, in questa Rivista, 2009, 491, con il<br />
commento di V. Scognamiglio, Vantaggi compensativi nel gruppo<br />
di società.<br />
756 Le Società 7/2012
pone l’analitica motivazione e la puntuale indicazione<br />
delle ragioni e degli interessi coinvolti, è di<br />
per sé privo di sanzione diretta. Ma la violazione di<br />
esso - e cioè l’omissione dell’analitica motivazione<br />
e della puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi<br />
coinvolti - ben potrebbe indurre l’interprete<br />
a ritenere che sia stato perseguito dalla capogruppo<br />
un interesse imprenditoriale proprio o altrui, ovvero<br />
a non considerare eventuali vantaggi compensativi<br />
non evidenziati dagli amministratori della controllata,<br />
e dunque a ritenere sussistente il requisito<br />
suddetto, così da farne conseguire quale sanzione,<br />
in presenza degli altri requisiti richiesti dall’art.<br />
2497 c.c., la responsabilità a carico della società<br />
controllante e di coloro che abbiano comunque<br />
preso parte al fatto lesivo.<br />
(Segue): rapporti con le disposizioni in tema<br />
di interesse degli amministratori<br />
L’attenzione della dottrina si è altresì soffermata<br />
sulla relazione esistente tra questa norma e l’art.<br />
2391 c.c., in tema di «interessi degli amministratori»:<br />
se cioè gli adempimenti previsti da ciascuna di<br />
tali norme siano tra loro concorrenti ovvero alternativi.<br />
Pare preferibile la seconda soluzione, in ragione<br />
del rilievo che «le prescrizioni di cui all’art.<br />
2391, comma 1, c.c., sono efficaci quando il conflitto<br />
è episodico, non quando queste situazioni sono,<br />
per così dire, ‘‘normali’’. In altri termini, la disposizione<br />
... è stata pensata con riferimento ad una<br />
‘‘società autonoma’’ e non ad una ‘‘società di gruppo’’,<br />
con l’inevitabile conseguenza che risulta funzionale<br />
al primo modello di società (società cd.<br />
autonoma), ma non al secondo (società appartenente<br />
ad un gruppo)» (13).<br />
La violazione dei principi di corretta<br />
gestione societaria e imprenditoriale<br />
Inoltre, la disposizione richiede, per l’operatività<br />
della responsabilità, che l’atto e/o la decisione assunti<br />
dalla società controllata, dettati - come testé<br />
rilevato - dal perseguimento di un interesse imprenditoriale<br />
proprio della società controllante o di altra<br />
società del gruppo, concretino la «violazione dei<br />
principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale»<br />
della società controllata.<br />
Innanzi tutto, il riferimento fatto dalla norma alla<br />
‘‘violazione’’ di principi suggerisce che la responsabilità<br />
che ne deriva (nel concorso degli altri requisiti<br />
di legge) è pur sempre una responsabilità per<br />
colpa (14).<br />
Sicché, èonere dell’attore fornire «la prova della<br />
sussistenza di comportamenti di ‘‘abuso’’ (nel significato<br />
‘‘tipizzato’’ dall’art. 2497 c.c.) di quella posizione<br />
..., i soli suscettibili di convertire quella situazione<br />
- di per sé non illecita nel contesto della vigente<br />
disciplina codicistica (perché espressione della<br />
autonomia privata e della libertà di iniziativa<br />
economica privata) - nella condotta ‘‘non iure’’ causativa<br />
... del danno di cui si pretenda il risarcimento»<br />
(15).<br />
L’individuazione dei principi di corretta gestione<br />
societaria e imprenditoriale (la cui violazione dà<br />
luogo a responsabilità) èvolutamente rimessa - come<br />
avverte la stessa relazione d’accompagnamento<br />
alla legge di riforma del 2003 - a dottrina e giurisprudenza:<br />
una siffatta scelta è, del resto, considerata<br />
coerente sia con la natura del fenomeno, connotato<br />
da diverse variabili e dal suo continuo evolversi,<br />
sia con la stessa funzione che tale clausola svolge<br />
(16).<br />
È stato peraltro evidenziato il rischio, per tal modo,<br />
«di aprire una fase di oscillazioni interpretative<br />
non opportuna, anche alla luce della delicatezza<br />
della materia regolamentata, che costituisce uno<br />
dei settori più ‘‘caldi’’ del diritto societario, in cui<br />
la composizione della dialettica fra gli interessi del<br />
gruppo di controllo e delle minoranze risulta particolarmente<br />
complessa» (17).<br />
(Segue): l’applicabilità della business<br />
judgment rule<br />
Un primo tema di confronto, nel tentativo di in-<br />
Note:<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
(13) U. Tombari, Riforma del diritto societario e gruppo di imprese,<br />
inGiur. comm., 2004, I, 61, spec. 77. Nello stesso senso,<br />
cfr. F. Galgano, op. loc. citt.; E. Civerra, op. cit., secondo il quale<br />
«l’art. 2391 c.c. sembra costruito per ‘‘difendere’’ la società da<br />
interessi concretamente non sociali, mentre l’appartenenza ad<br />
un gruppo non può che riflettersi positivamente sullo stesso<br />
concetto di ‘‘interesse sociale’’ da leggersi ‘‘in combinato disposto’’<br />
con quello della capogruppo e delle altre società partecipanti»<br />
(ivi, 1391).<br />
(14) Cfr., ad esempio, Trib. Palermo 15 giugno 2011, cit., secondo<br />
cui «lo schema di responsabilità che ne discende non è quello<br />
oggettivo, ma, piuttosto, quello colposo nascente dalla violazione<br />
dei canoni generali di correttezza e buona fede imprenditoriali,<br />
tali da configurare una forma di ‘‘abuso’’ derivante dall’esercizio<br />
del potere di direttiva e di istruzione, preordinato volutamente<br />
a soddisfare interessi propri della stessa capogruppo o di<br />
altri soggetti, interni o esterni al gruppo, in condizione sfavorevoli<br />
o pregiudizievoli per la società controllata».<br />
(15) In questi termini, Trib. Pescara 16 gennaio 2009, cit.<br />
(16) Cfr. M.T. Brodasca, Sub art. 2497 c.c., in Codice civile commentato.<br />
I codici ipertestuali, Milano, 2009, 5881.<br />
(17) R. Sacchi, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento<br />
nella riforma delle società di capitali, inGiur. comm., 2003, I,<br />
661, spec. 663.<br />
Le Società 7/2012 757
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
dividuare i criteri identificativi della clausola generale<br />
in parola, attiene all’applicabilità alla fattispecie<br />
della c.d. business judgment rule: se, cioè, il giudice,<br />
nel verificare, in concreto, se vi sia stata violazione<br />
dei principi di corretta gestione societaria e<br />
imprenditoriale, possa sindacare il merito delle scelte<br />
compiute dagli amministratori. Così, in particolare,<br />
in giurisprudenza, è stato affermato che, anche<br />
in subiecta materia, «èpreclusa al giudice la valutazione<br />
del merito di quelle scelte ove queste siano<br />
state effettuate con la dovuta diligenza nell’apprezzamento<br />
dei loro presupposti, delle regole di scienza<br />
ed esperienza applicate e dei loro possibili risultati,<br />
essendo consentito al giudice soltanto di sanzionare<br />
le scelte negligenti, o addirittura insensate, macroscopicamente<br />
ed evidentemente dannose ex ante»<br />
(18); per contro, in dottrina, non è considerato<br />
«irragionevole che la business judgment rule non<br />
operi in presenza di rapporti infragruppo, quando,<br />
dato il maggior rischio di comportamenti opportunistici,<br />
si tratta di verificare il rispetto del duty of<br />
loyalty (e non semplicemente del duty of care)»<br />
(19). Certamente - come è stato pur autorevolmente<br />
rilevato - «il confine tra la regola giuridica<br />
e la business judgment rule rischia ... di farsi qui<br />
pericolosamente labile» (20): e l’analisi delle soluzioni<br />
giurisprudenziali intervenute sul tema inevitabilmente<br />
finisce per dare conferma all’opinione così<br />
espressa.<br />
In ogni caso, deve essere obbiettivo degli interpreti<br />
ancorare i limiti di un siffatto giudizio ai criteri<br />
sin qui recepiti dalla giurisprudenza in materia di<br />
responsabilità degli amministratori di singole società,<br />
«sforzandosi di distinguere le conseguenze della<br />
naturale alea di ogni attività d’impresa da quelle<br />
della mancanza colpevole di diligenza e del mancato<br />
rispetto di regole codificate di buona amministrazione»<br />
(21).<br />
In quest’ottica, è stato segnalato che «i principi<br />
di corretta gestione dell’impresa riguardano la preventiva<br />
raccolta delle informazioni di mercato prima<br />
dell’avvio di nuove operazioni, la valutazione<br />
dell’entità e della natura dei rischi connessi, le possibilità<br />
di finanziamento dell’operazione e previsione<br />
del rapporto fra rischi, costi e benefici immediati<br />
e futuri» (22).<br />
(Segue): la decisione sulla distribuzione<br />
degli utili<br />
In particolare, viene ravvisata la violazione dei<br />
principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale<br />
qualora, ad esempio, la società capogruppo<br />
ometta di provocare, nell’assemblea della controllata,<br />
l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2446<br />
o all’art. 2447 c.c., e, nonostante la perdita del capitale<br />
della controllata, lasci che questa prosegua<br />
nella sua attività; o, ancora, qualora essa induca la<br />
controllata ad assumere rischi impropri, ponendo in<br />
essere operazioni esorbitanti dal proprio oggetto sociale<br />
o trasgredendo alle modalità imposte per il<br />
suo conseguimento (23).<br />
Nella fattispecie sottoposta al suo esame, il Tribunale<br />
di Milano ha escluso che la questione della<br />
distribuzione degli utili nella società controllata<br />
rientri nell’ambito dell’esercizio del potere di direzione<br />
e coordinamento, e che quindi la relativa<br />
decisione possa concretare violazione dei principi<br />
di corretta gestione societaria e imprenditoriale, in<br />
quanto essa attiene all’esercizio del diritto di voto<br />
in assemblea. La sentenza rileva, in proposito, che<br />
i rimedi accordati al socio con riguardo ad una siffatta<br />
deliberazione consistono nella impugnazione<br />
della stessa e nella domanda di risarcimento del<br />
danno ai sensi del quarto comma dell’art. 2377<br />
c.c.; e che, divenuta stabile la decisione assembleare<br />
in difetto di impugnazione, dovrebbe semmai<br />
configurarsi violazione dei principi di corretta<br />
gestione societaria e imprenditoriale qualora venisse<br />
imposto un comportamento in contrasto con<br />
quanto deliberato.<br />
La soluzione non pare condivisibile. Non vi è infatti,<br />
a mio giudizio, ragione per escludere che l’esercizio<br />
del potere di direzione e coordinamento e<br />
la violazione dei principi di corretta gestione societaria<br />
e imprenditoriale che può conseguire nell’ambito<br />
dell’esercizio di tale potere possano essere identificati<br />
anche in atti di competenza dell’assemblea<br />
dei soci che la società controllante, detentore della<br />
maggioranza nell’assemblea della società controllata,<br />
può imporre a quest’ultima.<br />
La norma non consente un’interpretazione a tal<br />
punto restrittiva, tale da limitarne la rilevanza ai<br />
soli atti gestionali di competenza degli amministratori.<br />
Note:<br />
(18) Trib. Milano 17 giugno 2011, cit.<br />
(19) R. Sacchi, op. loc. citt.<br />
(20) R. Rordorf, I gruppi nella recente riforma del diritto societario,<br />
in questa Rivista, 2004, 538, spec. 542.<br />
(21) R. Rordorf, op. loc. citt.<br />
(22) V. Salafia, La responsabilità della holding verso i soci di minoranza<br />
e le controllate, in questa Rivista, 2004, 5, spec. 9 s.<br />
(23) F. Galgano, op. cit., 106 s.<br />
758 Le Società 7/2012
Al contrario, in dottrina è stato evidenziato che,<br />
mentre l’art. 2393 c.c. si rivolge ad un solo organo<br />
della società, e precisamente ai suoi amministratori,<br />
l’art. 2497 c.c. «si rivolge ... alla stessa ‘‘società o<br />
ente’’ che esercita l’attività di direzione e coordinamento,<br />
e perciò detta criteri di comportamento per<br />
tutti gli organi sociali, inclusa l’assemblea» (24).<br />
Né va dimenticato che il rimedio previsto dall’art.<br />
2497 c.c. non è consentito ai soli soci della<br />
società controllata, ma anche ai creditori di questa<br />
che, per effetto degli atti posti in essere in violazione<br />
dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale,<br />
possano avere subito un pregiudizio<br />
conseguente alla lesione cagionata mediante tali atti<br />
all’integrità del patrimonio sociale. Costoro non<br />
sono certamente legittimati ad impugnare le relative<br />
deliberazioni di assemblea; sicché, opinando nel<br />
senso suggerito dalla sentenza qui in commento, essi<br />
si troverebbero senza tutela in caso di violazione<br />
dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale<br />
attuata mediante decisioni assembleari: ciò<br />
che, invece, il legislatore ha voluto evitare mediante<br />
la previsione della responsabilità, anche nei loro<br />
confronti, per abuso del potere di direzione e coordinamento.<br />
Né può, a mio giudizio, trarsi argomento in senso<br />
contrario dal fatto che i soci verrebbero a cumulare<br />
l’esercizio di due distinti rimedi, poiché, in ogni caso,<br />
diversi ne sarebbero i presupposti: l’abuso del diritto<br />
di voto nell’azione ex art. 2377 c.c.; l’abuso<br />
del potere di direzione e coordinamento nell’azione<br />
ex art. 2497 c.c.<br />
Altra situazione che può dare luogo all’insorgere<br />
di contenzioso circa la violazione dei principi di<br />
corretta gestione societaria e imprenditoriale concerne<br />
i rapporti economici tra società controllante<br />
e società controllata, qualora - come dedotto nella<br />
vicenda che ha dato luogo alla pronuncia qui in<br />
commento - la prima risulti destinataria di finanziamenti<br />
da parte della seconda. Non pare dubbio,<br />
tuttavia, che la valutazione circa la conformità dei<br />
flussi finanziari ai principi di corretta gestione societaria<br />
e imprenditoriale debba prescindere dalla<br />
considerazione dell’impiego fattone da parte della<br />
beneficiaria. In altre parole, il parametro della conformità<br />
ai principi di corretta gestione societaria e<br />
imprenditoriale non va riferito - come correttamente<br />
statuito dal Tribunale di Milano - all’uso che la<br />
controllante abbia fatto dei vantaggi ottenuti attraverso<br />
l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento,<br />
bensì alle modalità con le quali tali vantaggi<br />
sono stati ottenuti; sicché, ai fini dell’esercizio<br />
dell’azione di cui all’art. 2497 c.c., non rileva, ad<br />
esempio, se la società controllante abbia impiegato<br />
i finanziamenti ricevuti in operazioni esorbitanti<br />
dal suo oggetto sociale.<br />
Sotto diverso profilo, tuttavia, a seconda delle<br />
modalità di impiego da parte della società controllante<br />
delle risorse finanziarie così ottenute, potrà<br />
ravvisarsi l’esistenza di vantaggi compensativi in favore<br />
della società controllata.<br />
Il dibattito circa la natura contrattuale<br />
o extracontrattuale della responsabilità<br />
della capogruppo<br />
La sentenza in commento non ha invece preso<br />
posizione sulla delicata e dibattuta questione se siffatta<br />
responsabilità abbia natura contrattuale o extra-contrattuale,<br />
cui, pure, pare opportuno, per<br />
completezza di esposizione, dedicare alcune note.<br />
L’orientamento giurisprudenziale maggioritario<br />
vi ravvisa, sulla scorta della considerazione espressa<br />
in proposito nella relazione di accompagnamento<br />
alla riforma, un caso di responsabilità extracontrattuale,<br />
senza che si abbia ad operare distinzioni tra<br />
l’azione del socio e quella accordata al creditore sociale<br />
(25).<br />
E in dottrina è stato altresì rilevato che la norma<br />
ricalca lo schema della responsabilità da fatto illecito<br />
di cui all’art. 2043 c.c., mediante la specificazione<br />
dell’estremo del ‘‘fatto colposo’’ posto in essere<br />
dalla holding, che qui consiste nella violazione dei<br />
principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale,<br />
e l’identificazione del ‘‘danno ingiusto’’ cagionato<br />
ai soci o ai creditori della controllata, consistente,<br />
quanto ai primi, nella lesione del diritto<br />
alla redditività e al valore della partecipazione sociale<br />
e, quanto ai secondi, nella lesione della loro<br />
garanzia patrimoniale (26).<br />
Con pari autorevolezza è stato peraltro sostenuto,<br />
sempre in dottrina (27), che la responsabilità<br />
Note:<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
(24) In questi termini, F. Galgano, op. loc. citt., il quale perviene<br />
quindi - come si è testé ricordato - a configurare la violazione<br />
dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale anche<br />
con riguardo all’omessa adozione da parte dell’assemblea<br />
della società controllata dei provvedimenti, in ipotesi, imposti<br />
dagli artt. 2446 e 2447 c.c.<br />
(25) Trib. Palermo 15 giugno 2011, cit.; Trib. Pescara 16 gennaio<br />
2009, cit. Cfr. anche Trib. Napoli 26 maggio 2008, in Fall.,<br />
2008, 1435, con il commento di O. Cagnasso, La qualificazione<br />
della responsabilità per la violazione dei principi di corretta gestione<br />
nei confronti dei creditori della società eterodiretta, ma<br />
con riferimento all’azione esercitata dai creditori della società<br />
eterodiretta.<br />
(26) F. Galgano, op. it., 95.<br />
(27) Cfr., in particolare, R. Sacchi, op. cit., 668.<br />
Le Società 7/2012 759
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
per abuso dell’attività di direzione e coordinamento<br />
vada qualificata come contrattuale, sul rilievo che<br />
l’affermazione di legittimità dell’attività di direzione<br />
unitaria implica un potere-dovere in ordine alla<br />
stessa.<br />
Merita, infine, di essere segnalato un orientamento<br />
intermedio, secondo cui occorre distinguere<br />
se l’azione è esercitata dai creditori della società<br />
controllata ovvero dai soci di essa: nel primo caso,<br />
la responsabilità che ne deriva ha natura aquiliana;<br />
nel secondo caso, invece, ha natura contrattuale,<br />
sul rilievo che «l’obbligo di correttezza a carico del<br />
predetto capogruppo, la cui violazione potenzialmente<br />
genera responsabilità, non può certo ... essere<br />
inteso come volto solo a tutela della società soggetta<br />
all’attività di direzione e coordinamento, ma<br />
è palesemente diretto anche alla specifica salvaguardia<br />
delle posizioni soggettive dei soci (ed in<br />
specie di quelli minoritari) di tale società» (28):<br />
orientamento al quale lo stesso tribunale di Milano<br />
ha, in un recente passato (29), mostrato adesione.<br />
Non vi è dubbio che la questione non riveste<br />
importanza secondaria, non foss’altro perché interferisce<br />
con l’ambito dell’onere della prova. In effet-<br />
ti, configurandosi la responsabilità in parola «come<br />
extracontrattuale, chi intende farla valere deve dimostrare<br />
che vi sono effettivamente stati degli specifici<br />
inputs nella gestione della società diretta e<br />
coordinata e può dolersi solo dei danni che siano<br />
casualmente riconducibili a questi inputs» (30); per<br />
contro, chi si pronuncia per una responsabilità contrattuale<br />
perviene ad una «inversione dell’onere<br />
della prova, nel senso che, dimostrata la derivazione<br />
di un danno da una operazione avvenuta in circostanza<br />
di esercizio di attività di direzione e coordinamento,<br />
spetti alla società che esercita tale attività<br />
dimostrare che la stessa corrisponde a principi<br />
di corretta gestione societaria e imprenditoriale»<br />
(31).<br />
Note:<br />
(28) R. Rordorf, op. cit., 545.<br />
(29) Trib. Milano 17 giugno 2011, cit.<br />
(30) R. Sacchi, op. cit., 669.<br />
(31) M. Rescigno, Eterogestione e responsabilità nella riforma<br />
societaria fra aperture e incertezze: una prima riflessione, in<br />
questa Rivista, 2003, 336.<br />
760 Le Società 7/2012
Liquidazione<br />
I poteri dei liquidatori di società<br />
di capitali<br />
Tribunale di Milano, Sez. VIII, 26 maggio 2011 - Pres. E. Riva Crugnola - Rel. F. Fiecconi - Softrade<br />
com s.r.l. c. A.B. ed altri<br />
Società - Società di capitali - Liquidatori - Poteri - Ambito della competenza gestoria<br />
(Cod. civ. artt. 2487, 2489)<br />
La sfera di operatività dei liquidatori delle società di capitali non è limitata ad atti meramente liquidatori, ma si<br />
estende anche ad attività più propriamente gestorie, seppure in un’ottica conservativa; ai liquidatori deve perciò<br />
essere riconosciuta una competenza gestoria ampia che li rende arbitri nel gestire i tempi, i modi e le condizioni<br />
della realizzazione dell’attivo sociale, con le uniche limitazioni che possono derivare dall’atto costitutivo<br />
o dalla delibera dell’assemblea che li nomina.<br />
Società - Società di capitali - Liquidatori - Poteri - Interessi dei soci e dei creditori<br />
(Cod. civ. artt. 2484 ss., 2487, 2489, 2491)<br />
Qualora, nella fase di liquidazione di una società di capitali, le ragioni dei creditori non siano state ancora soddisfatte,<br />
la finalità di soddisfazione dei crediti è preminente su quella di realizzazione dello scopo sociale o di<br />
immediata utilità per la liquidazione; pertanto, l’interesse dei soci al migliore realizzo dei beni può ricevere una<br />
compressione a fronte di quello dei creditori di vedere soddisfatti i propri crediti.<br />
Società - Società di capitali - Liquidatori - Responsabilità<br />
(Cod. civ. artt. 2392 ss., 2476, 2489)<br />
Il compito di liquidatore deve essere assolto con la specifica cura e con la particolare attenzione che sono richieste<br />
nel mondo degli affari; pertanto, nel giudizio di accertamento della responsabilità del liquidatore al<br />
Giudice, come per qualsiasi giudizio sul comportamento umano che implica ampia discrezionalità professionale<br />
e decisionale, è preclusa la valutazione del merito delle scelte gestionali del liquidatore allo stesso modo di<br />
quanto avviene per il giudizio sulla responsabilità degli amministratori (c.d. business judgment rule).<br />
@Il testo integrale della sentenza è disponibile su: www.ipsoa.it/lesocieta<br />
Il Tribunale (omissis).<br />
2) I principi di diritto applicabili alla presente fattispecie.<br />
Il presente procedimento trova le proprie norme di riferimento<br />
negli artt. 2489 c.c. (1) e 2491 c.c. (2), le quali<br />
Note:<br />
(1) Art. 2489 c.c.: Poteri, obblighi e responsabilità dei liquidatori:<br />
Salvo diversa disposizione statutaria, ovvero adottata in sede di<br />
nomina, i liquidatori hanno il potere di compiere tutti gli atti utili<br />
per la liquidazione della società.<br />
I liquidatori debbono adempiere i loro doveri con la professionalità<br />
e diligenza richieste dalla natura dell’incarico e la loro responsabili-<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
tà per i danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri è disciplinata<br />
secondo le norme in tema di responsabilità degli amministratori.<br />
(2) Art. 2491 c.c.: Poteri e doveri particolari dei liquidatori: Se i<br />
fondi disponibili risultano insufficienti per il pagamento dei debiti<br />
sociali, i liquidatori possono chiedere proporzionalmente ai soci i<br />
versamenti ancora dovuti.<br />
I liquidatori non possono ripartire tra i soci acconti sul risultato della<br />
liquidazione, salvo che dai bilanci risulti che la ripartizione non incide<br />
sulla disponibilità di somme idonee alla integrale e tempestiva soddisfazione<br />
dei creditori sociali; i liquidatori possono condizionare la<br />
ripartizione alla prestazione da parte del socio di idonee garanzie.<br />
I liquidatori sono personalmente e solidamente responsabili per<br />
i danni cagionati ai creditori sociali con la violazione delle disposizioni<br />
del comma precedente.<br />
Le Società 7/2012 761
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
disciplinano poteri, obblighi e responsabilità dei liquidatori,<br />
disegnando un nuovo sistema rispetto al passato, sia<br />
da un punto di vista strutturale, in quanto le società di<br />
capitali vengono ora dotate di una disciplina loro propria<br />
che supera il precedente richiamo a norme in materia<br />
di poteri e doveri dei liquidatori di società di persone,<br />
sia da un punto di vista sostanziale, poiché il legislatore<br />
del 2003 non limita più la sfera di operatività dei liquidatori<br />
ad atti meramente liquidatori, ma la estende anche<br />
ad attività più propriamente gestorie, seppure in<br />
un’ottica conservativa.<br />
In relazione all’estensione dei poteri dei liquidatori, posto<br />
che a costoro viene riconosciuta una competenza gestoria<br />
ampia che li rende arbitri nel gestire i tempi, i modi<br />
e le condizioni della realizzazione dell’attivo sociale,<br />
con le uniche limitazioni che possono derivare dall’atto<br />
costitutivo o dall’assemblea che li nomina, si rende necessario<br />
stabilire il limite entro il quale tali poteri gestori<br />
possono essere esercitati. Uno degli elementi discriminanti<br />
ai fini dell’individuazione di questo confine è rappresentato<br />
dalla valutazione comparativa degli interessi<br />
dei soci e dei creditori. Sia i soci, sia i creditori hanno<br />
interesse alla realizzazione del massimo attivo, ma quel<br />
che è certo è che i secondi possono far pesare un interesse<br />
prevalente alla più rapida liquidazione del patrimonio<br />
societario, liquidazione specificatamente finalizzata al<br />
soddisfacimento dei propri crediti. Sicché, nell’ipotesi di<br />
conflitto tra i due interessi, dovrà inevitabilmente prevalere<br />
quello dei creditori sociali.<br />
Per quanto riguarda il regime della responsabilità, questo<br />
continua ad essere ancorato a quello degli amministratori<br />
di società di capitali, sia pure con una più specifica indicazione<br />
del canone oggettivo di comportamento cui<br />
debbono uniformarsi i liquidatori (v. art. 2489 c.c. «...<br />
debbono adempiere i loro doveri con la professionalità e<br />
diligenza richieste dalla natura dell’incarico ...»). Quindi<br />
il compito di liquidatore deve essere assolto con la specifica<br />
cura e con la particolare attenzione che sono richieste<br />
nel mondo degli affari. E nel caso di inadempimento<br />
degli obblighi correlati a detta funzione i liquidatori sono<br />
tenuti a rispondere verso la società, verso i creditori<br />
sociali, verso i singoli soci o verso i singoli terzi secondo,<br />
rispettivamente, quanto previsto dagli artt. 2392-2393<br />
c.c., dall’art. 2394 c.c. e dall’art. 2395 e, per quanto riguarda<br />
il liquidatore di s.r.l., secondo le regole dell’art.<br />
2476 c.c.<br />
Considerato quindi che i liquidatori sono in tutto e per<br />
tutto organi della società e ne gestiscono il patrimonio a<br />
questo particolare fine essi possono definirsi a tutti gli effetti<br />
come gli amministratori della liquidazione. Nelle<br />
vesti di amministratori della liquidazione, fonte del loro<br />
generale dovere d’agire secondo la professionalità e la diligenza<br />
richieste dalla natura dell’incarico, in mancanza<br />
di altra e diversa disposizione programmatica statutaria o<br />
assembleare o giudiziale, soccorre la previsione normativa<br />
di cui all’art. 2489, comma 1, c.c. secondo la quale<br />
essi sono vincolati a «... compiere tutti gli atti utili per<br />
la liquidazione della società», dove l’utilità per la liquidazione<br />
è da intendersi proprio come strumentalità dell’atto<br />
al raggiungimento degli obiettivi della liquidazio-<br />
ne, nel senso di massimizzare la realizzazione del patrimonio<br />
sociale nel più breve tempo possibile, onde pagare<br />
i creditori sociali e distribuire l’eventuale residuo ai<br />
soci.<br />
In caso di inadempimento di tale dovere sorge la relativa<br />
responsabilità che, secondo un’opinione prevalente, è di<br />
tipo contrattuale rilevando (i) la conformità del regime<br />
giuridico della responsabilità a quello degli amministratori<br />
e, sopratutto, (ii) la fonte normativa prima evidenziata.<br />
Resta pertanto a carico del liquidatore l’onere di<br />
provare la non imputabilità asémedesimo del fatto dannoso,<br />
mentre rimane a carico della controparte che abbia<br />
proposto l’azione di responsabilità la prova dell’inadempimento<br />
e del nesso di causalità fra il comportamento<br />
inadempiente il danno verificatosi (3).<br />
Nel giudizio di accertamento della responsabilità del liquidatore<br />
al Giudice, come per qualsiasi giudizio sul<br />
comportamento umano che implica ampia discrezionalità<br />
professionale e decisionale, è preclusa la valutazione<br />
del merito delle scelte gestionali del liquidatore allo stesso<br />
modo di quanto avviene per il giudizio sulla responsabilità<br />
degli amministratori (c.d. business judgment rule)<br />
(4). Pertanto anche questo limite deve essere tenuto<br />
presente ove si debba considerare la bontà o meno di<br />
scelte gestorie operate dal liquidatore nell’ambito dell’esercizio<br />
dei propri poteri.<br />
3) La domanda del socio Softrade s.r.l.<br />
Il liquidatore A.B. è chiamato a rispondere del risarcimento<br />
del danno causato sia alla società in liquidazione<br />
(For Value s.r.l. in liquidazione) sia al socio Softrade<br />
com, socio al 50% della società in liquidazione. Per gli<br />
stessi fatti sono chiamati a rispondere anche i soci<br />
A.G.R. e M.M. unitamente alla società Value + s.r.l. di<br />
neo costituzione che ha acquisito il marchio e l’azienda<br />
della società in liquidazione: con provvedimento della<br />
Corte d’Appello al liquidatore erano state revocate le<br />
funzioni esercitate nell’interesse della società For Value<br />
s.r.l. in liquidazione in sede di riforma del provvedimento<br />
camerale del tribunale che, invece, su ricorso di Softrade<br />
com, aveva respinto la domanda di revoca giudicando<br />
infondati i rilievi di grave inadempimento professionale<br />
mossi in occasione della cessione d’azienda. Nei<br />
confronti della socia M. la domanda è stata rinunciata<br />
con accettazione di quest’ultima a spese compensate:<br />
pertanto deve rilevarsi l’estinzione del giudizio ai sensi<br />
dell’art. 306 c.p.c. solo nei confronti di quest’ultima.<br />
Note:<br />
(3) V. Cass. n. 3652/1977; o Trib. di Napoli 3 giugno 2004, secondo<br />
il quale l’accertamento della responsabilità del liquidatore<br />
è condizionata al positivo assolvimento dell’onere probatorio<br />
gravante sul creditore, il quale, nel caso di specie, era tenuto a<br />
dimostrare l’esistenza di una massa attiva del bilancio finale di liquidazione<br />
sufficiente a soddisfare il proprio credito, che invece<br />
risultava distribuito ai soci, oppure l’imputabilità della mancanza<br />
di attivo, da destinarsi al pagamento dei debiti, alla condotta colposa<br />
o dolosa del liquidatore.<br />
(4) Cass. n. 18231/2009; Cass. n. 5718/2004; Cass. 16 gennaio<br />
1982, n. 280; Cass. n. 9252/1977; Trib. Milano 10 febbraio<br />
2000, in Giur. comm., 2001, II 326.<br />
762 Le Società 7/2012
La vicenda prende le mosse dalla cessione del software<br />
‘‘In Vita’’ destinato alla gestione dei settori assicurativi e<br />
bancari del ramo vita e costituente l’unico asset aziendale<br />
della società For Value s.r.l. in liquidazione. All’epoca<br />
dei fatti la società era stata sciolta e messa in liquidazione<br />
con provvedimento giudiziale in seguito a un dissidio<br />
insanabile sorto tra i soci. Il liquidatore B. era stato nominato<br />
liquidatore dal tribunale di Milano in data 19<br />
maggio 2006 a seguito della constatata impossibilità di<br />
funzionamento dell’organo assembleare, ai sensi dell’art.<br />
2484, comma 1, n. 3, c.c. e dell’art. 2486 c.c.<br />
In questa sede processuale, ove si discorre della responsabilità<br />
del liquidatore per i medesimi fatti che ne hanno<br />
causato la revoca giudiziale dalle funzioni, ci si limita a<br />
mettere a fuoco le ragioni fondanti detta revoca, le quali<br />
per l’attrice fungono da medesimo presupposto dell’azione<br />
sociale svolta dal socio della s.r.l. ai sensi dell’art.<br />
2476 c.c. Difatti il nucleo centrale della responsabilità<br />
addebitata al liquidatore si concentra nella vicenda collegata<br />
alla cessione dell’azienda, con il relativo software,<br />
avvenuta in data 16 novembre 2006 in favore della società<br />
Value + s.rl., di cui erano soci i detentori della restante<br />
quota del 50% della società in liquidazione. Si assume<br />
infatti che l’azienda sia stata ceduta a una società<br />
costituita appena 21 giorni prima dai soci ed ex amministratori<br />
di For Value s.r.l. in liquidazione proprio al fine<br />
di favorire i soci ‘‘dissenzienti’’ e portatori di contrapposti<br />
interessi rispetto a quelli di Softrade. Pertanto si trattava<br />
di una società che, non avendo una struttura imprenditoriale<br />
consolidata, non dava sufficienti garanzie<br />
per il mantenimento dei contratti in corso con i clienti<br />
della cedente.<br />
In quell’occasione il liquidatore aveva preferito l’offerta<br />
formulata da quest’ultima società, del valore nominale di<br />
E 500.000,000, accettando un corrispettivo effettivo di<br />
E 377.000,00, detratti i debiti che sarebbero rimasti<br />
quindi da pagare da parte della società in liquidazione e<br />
senza subentro nei crediti ammontanti in E 247.000,00<br />
che pure sono rimasti alla liquidazione, in luogo di quella<br />
dell’attrice Softrade del valore di E 800.000, 00 con<br />
accollo dei suddetti debiti e crediti.<br />
In considerazione delle ragioni della domanda di cui sopra,<br />
pertanto, il Tribunale ritiene preliminare trattare le<br />
assorbenti e prevalenti considerazioni di diritto e di fatto<br />
in merito alla sussistenza o meno degli elementi di responsabilità<br />
in capo al liquidatore convenuto, alla luce<br />
dei parametri normativi sopra richiamati. La responsabilità<br />
del liquidatore, infatti, costituisce il presupposto della<br />
chiamata in corresponsabilità dei soci e della società<br />
acquirente, nonché dell’azione di annullamento del contratto<br />
stipulato in presunto conflitto d’interessi: questi<br />
ultimi, infatti, sono tutti argomenti che, unitamente alle<br />
eccezioni preliminari sollevate in merito alla legittimità<br />
o meno della chiamata in giudizio di questi soggetti e alla<br />
legittimazione attiva della società attrice nei loro confronti,<br />
debbono essere affrontati compiutamente solamente<br />
nel caso in cui venisse affermata la responsabilità<br />
del liquidatore per il negozio di cessione d’azienda messo<br />
in discussione.<br />
Dopo aver messo a fuoco il nucleo centrale della presen-<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
te azione di responsabilità, deve preliminarmente osservarsi<br />
come quest’ultima non possa essere riunita ad altra<br />
precedentemente pendente tra il liquidatore e la società<br />
For Value in merito alla debenza o meno della parcella<br />
richiesta dal liquidatore alla società in ragione delle prestazioni<br />
rese fino alla data della revoca delle funzioni,<br />
posto che si tratta di controversia avente diverso oggetto.<br />
Si deve infatti prendere principalmente in considerazione<br />
che al liquidatore sostanzialmente in questa sede<br />
viene addebitato un comportamento di generale mala gestio<br />
nel quale si iscrive anche la percezione di un acconto<br />
sulle prestazioni rese; nell’altra sede processuale invece<br />
si discute sul diritto al compenso per la prestazione<br />
comunque effettuata. Pertanto le considerazioni in fatto<br />
e in diritto sono del tutto diverse e, in ogni caso, la riunione<br />
dei due giudizi per connessione non si rende opportuna<br />
in ragione del diverso stato in cui versano le<br />
due controversie.<br />
4) Le ragioni della revoca per giusta causa disposta dalla<br />
Corte d’Appello e le ragioni contrarie affermate dal Tribunale<br />
nelle prime cure del ricorso per volontaria giurisdizione.<br />
Secondo la Corte d’Appello, ai fini della revoca per giusta<br />
causa proposta sulla base dell’art. 2487, comma 4,<br />
c.c., il liquidatore ha violato i principali obblighi previsti<br />
dalla legge a carico del medesimo, e in particolare quelli<br />
della diligenza professionale, di perseguire il massimo<br />
realizzo, della trasparenza nella corretta informazione dei<br />
soci, tutti obblighi rappresentati dagli artt. 2489, comma<br />
2, c.c. e 2487, comma 1, lett. c), c.c. In particolare al liquidatore<br />
si addebita il fatto di aver venduto l’azienda<br />
societaria a un prezzo enormemente più basso rispetto all’altra<br />
offerta ricevuta, anche inferiore alla stima peritale<br />
dal medesimo acquisita, e di avere inoltre sistematicamente<br />
negato la visione di documenti societari non fornendo<br />
informazioni circa lo svolgimento della gestione<br />
degli affari sociali.<br />
La Corte ha quindi ritenuto che nel caso di specie non<br />
venisse direttamente in esame la valutazione di merito<br />
sull’offerta più conveniente, trattandosi di scelta che indubbiamente<br />
competeva al discrezionale esercizio dei poteri<br />
conferiti al liquidatore, ma si trattasse di valutare se<br />
e in che modo (an e quomodo) il liquidatore avesse diligentemente<br />
svolto i suoi compiti, indagine che tuttavia<br />
di necessità ripropone il tema delle offerte e dei comportamenti<br />
che hanno segnato lo svolgersi del procedimento<br />
di selezione dell’offerta più conveniente.<br />
Su questo assunto sarebbe quindi emerso, a sostegno delle<br />
ragioni del socio Softrade:<br />
1) che il liquidatore ha accettato non l’offerta di Softrade<br />
che pure era palesemente più vantaggiosa di quella<br />
formulata dalla società acquirente, ma quella contemplante<br />
un prezzo di gran lunga più basso;<br />
2) che il liquidatore ha gestito la procedura di gara con<br />
un’inspiegabile precipitazione senza che ve ne fosse, invero,<br />
la necessità, e senza dare modo ai contendenti di<br />
esprimere fino al massimo delle proprie potenzialità e<br />
con la maggiore chiarezza possibile le condizioni delle offerte;<br />
3) che il liquidatore ha evitato di far svolgere preventi-<br />
Le Società 7/2012 763
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
vamente una stima del coacervo aziendale oggetto di<br />
vendita;<br />
4) che il liquidatore ha consegnato a Softrade la parte<br />
residua di completamento della documentazione che essa<br />
aveva richiesto solo dopo aver accettato l’offerta dell’altra<br />
concorrente e non prima;<br />
5) che il liquidatore ha in vario modo impedito che sulle<br />
condizioni delle offerte si formassero criteri di valutazione<br />
condivisi o quanto meno trasparenti;<br />
6) che il liquidatore non ha considerato che Softrade<br />
era una florida società già operativa da alcuni anni,<br />
mentre la società acquirente era una società appena costituita,<br />
con il solo capitale legale minimo e senza alcuna<br />
operatività pregressa;<br />
7) che dall’offerta di Softrade non potesse evincersi che<br />
questa avesse escluso di garantire la cedente, avendo il<br />
liquidatore tutto l’agio e il tempo di porre in chiaro l’importanza<br />
di tale condizione, mentre il liquidatore ha evitato<br />
di farlo accelerando incomprensibilmente i tempi di<br />
perfezionamento della cessione: in ogni caso il rischio di<br />
inadempimento dei contratti collegati al software da parte<br />
di Softrade era collegato alla clausola di risoluzione<br />
del contratto (mediante put) stipulato con il committente<br />
Eurovita per un importo massimo di E 220.000,00<br />
ampiamente coperto dal maggior prezzo offerto da Softrade.<br />
La Corte d’Appello così riformava il provvedimento di<br />
rigetto del Tribunale che invece, sulla base di diverse argomentazioni<br />
in diritto e dando enfasi ad altri elementi<br />
fattuali, aveva ritenuto non sussistere i motivi per disporre<br />
la revoca giudiziale delle funzioni.<br />
Il Tribunale in particolare aveva ritenuto:<br />
1) che il liquidatore aveva ricevuto ampio mandato dall’assemblea<br />
per procedere alla liquidazione pura e semplice<br />
della società mediante la vendita dei beni di proprietà,<br />
l’incasso dei crediti, il pagamento dei debiti e della<br />
suddivisione dell’eventuale residuo dei soci oppure la<br />
cessione dell’azienda a un soggetto terzo interessato al<br />
proseguimento dell’attività cui dare seguito l’incasso dei<br />
crediti, il pagamento dei debiti e della suddivisione dell’eventuale<br />
residuo ai soci;<br />
2) che il liquidatore aveva scelto la modalità liquidatoria<br />
per la quale lo stesso socio Softrade aveva espresso preferenza<br />
in sede di offerta, escludendo solo la parte di vendita<br />
dei debiti e crediti che il liquidatore preferiva gestire<br />
direttamente ed evidentemente nell’interesse della società<br />
atteso che, in caso di cessione dei debiti, quest’ultima<br />
sarebbe rimasta comunque obbligata in solido (salvo un<br />
improbabile liberazione da parte del creditore) per il caso<br />
di inadempimento dell’acquirente;<br />
3) che la realizzazione al meglio dell’attività liquidatoria<br />
non poteva misurarsi solo in termini di prezzo di realizzo<br />
ma doveva essere valutata alla luce di tutti criteri che<br />
possono far ritenere conveniente una determinata offerta<br />
in determinate condizioni: certamente nella specie dovevano<br />
essere tenute in debita considerazione le garanzie<br />
offerte dall’aspirante acquirente non solo agli effetti dell’effettivo<br />
pagamento del prezzo, ma anche dell’adempimento<br />
dei contratti in essere che tramite la cessione dell’azienda<br />
sarebbero stati ceduti, per evitare ragionevol-<br />
mente che la società dovesse esser chiamata a risponderne<br />
ai sensi dell’art. 2558 s (5). comma c.c.;<br />
4) che nel corso della stessa assemblea del 13 ottobre<br />
2006 convocata dal liquidatore per relazionare sull’attività<br />
di cessione dell’azienda solo i due soci R. e M. si<br />
erano proposti come acquirenti dell’azienda tramite una<br />
società neo-costituita ed in quell’occasione era già stato<br />
rappresentato che il liquidatore aveva ritenuto più conveniente<br />
per la società rivolgersi a un esperto non per<br />
avere una relazione di stima dell’azienda ma per ottenere<br />
una valutazione di congruità della proposte che avesse<br />
ricevuto;<br />
5) che delle offerte ricevute il liquidatore risulta aver dato<br />
conto nell’assemblea del 10 novembre 2006 per la quale<br />
aveva preparato apposita relazione. Su richiesta dei soci<br />
l’assemblea era stata riaggiornata al 14 novembre 2006,<br />
ove si sarebbe dovuto valutare anche l’offerta successivamente<br />
inviata da Softrade tramite un suo delegato;<br />
6) che in riferimento all’offerta solo in ultimo presentata<br />
da Softrade, dal liquidatore venivano espressamente richieste<br />
puntuali garanzie in ordine alla capacità dell’acquirente<br />
di garantire la continuazione dei rapporti inerenti<br />
l’azienda stessa (6): a queste richieste puntuali il<br />
socio Softrade riferiva che avrebbe fatto pervenire al più<br />
presto al liquidatore le proprie considerazioni (7). Tuttavia,<br />
nonostante fosse stato indicato un termine di 24<br />
ore (8) agli offerenti per ottenere le specificazioni richieste<br />
per iscritto, a termine scaduto Softrade faceva pervenire,<br />
solo in data 15 novembre e alle ore 12:46 - dunque<br />
fuori tempo massimo - la comunicazione che l’offerta di<br />
Note:<br />
(5) Così nel testo originale.<br />
(6) V. copia del verbale assembleare del 14 novembre 2006 sub<br />
doc. n. 13 fascicolo dell’attrice Softrade: «Il presidente continua<br />
osservando che, sebbene l’offerta di Softrade com s.r.l. sia<br />
enunciata quale incondizionata, egli ritiene necessario portare a<br />
conoscenza della stessa dei seguenti elementi:<br />
– esistenza di una contestazione mossa da Context Solutions<br />
s.r.l. (la cui consistenza è documentata dalla lettera dello studio<br />
Triberti e Colombo del 18 ottobre 2006, che è consegnata ai<br />
presenti in forma riservata e confidenziale ed è allegata al presente<br />
verbale sotto la lettera B;<br />
– esistenza di una contestazione mossa da Eurovita Assicurazione<br />
s.p.a. (la cui consistenza è documentata dalla comunicazione<br />
e-mail del 25 ottobre 2006, che è consegnata ai presenti<br />
in forma riservata e confidenziale ed è allegata al presente verbale<br />
sotto la lettera C;<br />
– sospensione dell’esecuzione dei contratti con CNP Capitalia<br />
Vita s.p.a. ed Eurovita Assicurazioni s.p.a. a far data dal 1 novembre<br />
2006;<br />
– avvenuta scadenza dei contratti di collaborazione a progetto<br />
con A R. e M. M.;<br />
– avvenuta scadenza dei contratti di collaborazione con la società<br />
Connexio s.r.l.».<br />
(7) Ibidem: «... prende la parola il socio Softrade com s.r.l. il quale<br />
prende atto di quanto sopra e si riserva di comunicare al Liquidatore<br />
entro brevissimo termine le proprie considerazioni».<br />
(8) Ibidem: «Il Liquidatore prende atto di tutto quanto sopra e richiede<br />
che eventuali novità giungano dagli offerenti entro 24<br />
ore dal termine dell’assemblea.<br />
Nessuno chiede la parola e il Presidente dichiara chiusa l’odierna<br />
riunione alle ore 11.55.»<br />
764 Le Società 7/2012
pagamento del prezzo sarebbe stata corredata da fideiussione<br />
a prima richiesta e che l’acquisto doveva intendersi<br />
comprensivo di debiti e crediti e che per il resto si<br />
confermava la proposta come descritta in precedenza;<br />
7) che l’impatto economico dell’eventuale recesso dell’acquirente<br />
dai contratti in essere, o di un eventuale suo<br />
inadempimento, aveva quindi avuto un peso non trascurabile<br />
per la scelta dell’acquirente, tanto più considerando<br />
che al momento della valutazione Softrade risultava<br />
non aver depositato i bilanci degli ultimi due esercizi<br />
(2004 e 2005), con ciò dimostrando incapacità di corretto<br />
funzionamento e di dar conto della solidità patrimoniale<br />
e finanziaria proprio agli effetti dei rischi che il<br />
liquidatore doveva valutare;<br />
8) che quanto al diritto di informazione del socio il liquidatore<br />
aveva messo a disposizione tutti i documenti<br />
richiesti, sia nel corso di due ispezioni sia attraverso le risposte<br />
fornite ad apposite domande (cfr. doc. n. da 22 a<br />
25 di parte convenuta B.) .<br />
5) Le valutazioni di questo Tribunale sul tema della responsabilità<br />
del liquidatore B.<br />
Vi è da osservare, preliminarmente, come sia da respingere<br />
l’affermazione attorea in base alla quale il pronunciamento<br />
di revoca del liquidatore emanato dalla Corte<br />
d’appello, con le motivazioni sopra analizzate, costituisca<br />
un giudicato interno ai fini della decisione della presente<br />
controversia. In sede di volontaria giurisdizione infatti si<br />
sono operate valutazioni dei contrapposti interessi al fine<br />
precipuo di garantire il buon governo della liquidazione<br />
societaria da parte di un soggetto imparziale e competente.<br />
Le statuizioni contenute in un provvedimento di volontaria<br />
giurisdizione, non avente forma di sentenza,<br />
non hanno mai carattere vincolante in termini di giudicato,<br />
anche implicito, trattandosi di provvedimenti interinali<br />
e ordinatori (di tipo amministrativo) che non incidono<br />
sulle singole posizioni soggettive, volendo essi regolare<br />
solo interessi di rilievo pubblico e generale. Pertanto<br />
il giudice in fase contenziosa, dovendo invece disporre<br />
dei diritti delle parti, non è certamente vincolato<br />
dalle argomentazioni svolte nell’ambito di un procedimento<br />
non idoneo a incidere sui diritti soggettivi, potendo<br />
semmai tenerne conto solo al fine di svolgere una<br />
più compiuta valutazione delle singole posizioni soggettive<br />
in contesa.<br />
I principi di diritto affermati dalla Corte d’Appello, per<br />
quanto astrattamente corretti in tema di descrizione dei<br />
doveri generalmente gravanti sul liquidatore di società<br />
di capitali, in termini di buona amministrazione e di<br />
buon governo societario, tuttavia, non paiono sufficientemente<br />
rappresentativi di tutte le considerazioni che<br />
vengono normalmente richieste al liquidatore allorché<br />
deve effettuare una scelta del percorso per ottenere il<br />
migliore realizzo dell’attività da liquidare.<br />
Da un lato, infatti, occorre considerare che i principi affermati<br />
in relazione alla responsabilità del liquidatore devono<br />
essere orientati secondo un’ interpretazione delle<br />
norme che regolano la fase di liquidazione delle società<br />
di capitali che tenga conto della finalità di soddisfazione<br />
dei crediti che si pone come preminente su ogni altra<br />
eventuale finalità di realizzazione dello scopo sociale o di<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
immediata utilità, ove si dimostri che le ragioni dei creditori<br />
non siano state ancora soddisfatte. Difatti, in questa<br />
fase l’interesse dei soci al migliore realizzo dei beni<br />
può ricevere una compressione a fronte di quello dei creditori<br />
di vedere soddisfatti i propri crediti: e tra queste<br />
obbligazioni rientrano anche quelle di vedere garantita<br />
la residuale possibilità di prosecuzione ed esecuzione dei<br />
contratti in essere con l’azienda oggetto della cessione a<br />
fini liquidatori, soprattutto allorquando ci si deve confrontare<br />
con contratti di prestazione di servizi a durata<br />
continuativa, come nel caso in questione.<br />
Nel caso che ci occupa, in particolare, si trattava di dovere<br />
dare massima garanzia ai creditori sociali - i committenti<br />
del software costituente l’unico asset di valore<br />
della società - di dover fornire una corretta installazione<br />
e manutenzione del software creato con l’apporto prevalente<br />
dei due soci (odierni convenuti) le cui prestazioni<br />
personali, per effetto dei dissidi sociali interni nati con<br />
la società attrice (la finanziatrice della società), non erano<br />
più in grado di essere assicurate. La fase della liquidazione,<br />
pertanto, considerando il solo interesse della stessa<br />
società, doveva essere tesa a massimizzare il valore complessivo<br />
del patrimonio aziendale al fine del soddisfacimento<br />
delle ragioni dei creditori sociali, e non solo a velocizzare<br />
la fase di mera monetizzazione degli assets costituenti<br />
il suo patrimonio: la realizzazione di quest’ultimo<br />
scopo, come correttamente osservato dal Tribunale in<br />
sede di volontaria giurisdizione, era a rischio se i creditori<br />
avessero successivamente fatto valere le ragioni correlate<br />
a un eventuale inadempimento delle obbligazioni da<br />
parte della società acquirente, ai sensi dell’art. 2558 c.c.<br />
che stabilisce la responsabilità solidale della società cedente.<br />
Un’interpretazione in tal senso, in termini di doveri e<br />
poteri del liquidatore, si ricava non solo dalle norme che<br />
governano la fase di liquidazione (art. 2487 c.c.) in funzione<br />
del suo miglior realizzo, ma anche da quelle che<br />
stabiliscono il principio generale della postergazione delle<br />
ragioni dei soci rispetto a quelle dei creditori (2491<br />
c.c.). La forza dispositiva di tale principio si evince certamente<br />
laddove la norma di cui all’art. 2491 c.c., al secondo<br />
comma, dispone che il liquidatore non può ripartire<br />
tra i soci acconti sul risultato della liquidazione, salvo<br />
che dai bilanci risulti che la ripartizione non incida<br />
sulla disponibilità di somme idonee all’integrale tempestiva<br />
soddisfazione dei creditori sociali; un’interpretazione<br />
in tal senso si offre anche quando si considera che la<br />
medesima norma dispone che i liquidatori possono condizionare<br />
la ripartizione alla prestazione da parte del socio<br />
di idonee garanzie.<br />
Non pare pertanto irragionevole che il liquidatore, nell’esercizio<br />
dei suoi ampi poteri discrezionali offerti dal tenore<br />
delle norme citate, abbia preferito l’opzione della<br />
cessione dell’azienda (con scorporo dei crediti e dei debiti<br />
pregressi maturati) in favore della società neocostituita<br />
dai due soci che avevano le qualità professionali adeguate<br />
per portare a termine i contratti in corso, salvaguardando<br />
così ogni suo potere di controllo sulle posizioni<br />
attive e passive già maturate al fine di evitare eventuali<br />
onerose rivendicazioni dei creditori sociali dopo il pas-<br />
Le Società 7/2012 765
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
saggio dell’azienda nelle mani di terzi soggetti. Ragionando<br />
quindi anche solo in astratto, in riferimento alle<br />
norme richiamate, il difficile compito di bilanciamento<br />
tra gli opposti interessi in gioco ha richiesto al liquidatore<br />
un’attenta valutazione tanto dei limiti temporali della<br />
continuazione dell’attività d’impresa, quanto dei limiti<br />
di prezzo per la cessione d’azienda: bilanciamento che il<br />
liquidatore sembra avere fatto indicendo una gara tra gli<br />
offerenti e sottoponendo le offerte alla valutazione di un<br />
esperto.<br />
Dall’altro lato, l’indagine sugli esiti finali della liquidazione<br />
conduce a porre l’attenzione non solo ai valori numerici<br />
e monetari di puro profitto e di immediato realizzo<br />
dei cespiti aziendali, ma anche al rilievo dei contrapposti<br />
interessi che eventualmente si frappongono nella<br />
fase della scelta, con ciò per nulla affidata al solo giudizio<br />
prognostico e inevitabilmente soggettivo del liquidatore.<br />
Pertanto, qualora possa in ipotesi emergere anche il<br />
semplice sospetto che il ricavato di negozi immediatamente<br />
disponibili possa non risultare in futuro sufficiente<br />
ai fini della soddisfazione dei crediti sociali attuali e<br />
futuri, secondo questa ampia prospettiva, sarebbe pur<br />
sempre nella facoltà del liquidatore di subordinare la<br />
prevista operazione di liquidazione dei cespiti aziendali<br />
alla prestazione di idonee garanzie di riparazione da parte<br />
del socio o terzo beneficiario.<br />
Da quanto sopra si ricava, come logico corollario, che il<br />
contesto nell’ambito del quale viene effettuato il lavoro<br />
di stima del liquidatore, delimitante lo spazio del suo libero<br />
arbitrio, implica necessariamente l’esistenza di un<br />
rischio strutturale. Si può infatti giungere a valutazioni<br />
‘‘ragionevoli’’ che tuttavia possono prima facie apparire<br />
non oggettive o assolutamente corrette. Molti infatti sono<br />
i fattori che possono giocare ex post a favore o sfavore<br />
della procedura di liquidazione e che possono essere considerati<br />
variabili indipendenti rispetto sia all’operato del<br />
liquidatore, sia alla realtà dell’azienda da liquidare. Prima<br />
di tutto incide il ‘‘mercato’’ di riferimento che, nelle<br />
situazioni delle piccole medie imprese è spesso caratterizzato<br />
da pochi elementi numerici di confronto e, potenzialmente,<br />
da una forte situazione di asimmetria informativa<br />
tra il liquidatore, soprattutto se di nomina giudiziale,<br />
e i potenziali acquirenti di parte o di tutte le attività<br />
aziendali, i quali solitamente sono operatori che agiscono<br />
in quel particolare mercato. Ne segue che, per definizione,<br />
il mercato di riferimento non è intrinsecamente<br />
‘‘efficiente’’ e i prezzi in esso determinati dipendono fortemente<br />
dalle caratteristiche dei singoli operatori che di<br />
volta in volta vi si affacciano. Il meccanismo dell’asta<br />
competitiva cerca di assorbire e risolvere questa criticità.<br />
Tuttavia le difficoltà, anche psicologiche, dell’adesione<br />
di terzi estranei a detto meccanismo ne riducono la potenziale<br />
efficacia.<br />
Conviene pertanto evidenziare che il liquidatore, pur<br />
dovendo agire in un contesto alquanto incerto e scivoloso<br />
dato dalla mancanza di prospettive di continuità dell’azienda<br />
gestita da una società in stato di scioglimento,<br />
tuttavia deve esprimere necessariamente una sola valutazione,<br />
dovendo privilegiare anche in termini probabilistici<br />
l’ipotesi, tra quelle che si affacciano, che ragione-<br />
volmente risulta realizzabile in concreto ai fini di una<br />
pronta e sicura liquidazione. Non pare pertanto corretto<br />
considerare plausibile uno stravolgimento ex post della<br />
prospettiva di indagine che avalli la possibilità di giudicare<br />
la bontà del lavoro svolto dal liquidatore in funzione<br />
di parametri di misurazione ex ante semplicemente<br />
non considerabili, in quanto esplicitamente indicativi di<br />
un rischio di insuccesso.<br />
Si sottolinea dunque come la valutazione sull’operato<br />
del liquidatore non possa trascurare che i liquidatori sono<br />
sempre primariamente responsabili nei confronti dei<br />
creditori sociali per i danni eventualmente subìti per effetto<br />
della violazione degli obblighi di cautela e di conservazione<br />
dei loro interessi loro imposti, vale a dire qualora<br />
essi siano rimasti insoddisfatti a causa dell’erronea<br />
valutazione della sufficienza delle somme disponibili o<br />
della mancata pretesa da parte dei soci delle opportune<br />
cautele, come stabilito espressamente al terzo comma<br />
dell’art. 2491 c.c.<br />
Analizzando il caso che ci occupa sotto questo particolare<br />
prisma, si tratta dunque di valutare la responsabilità<br />
del liquidatore alla luce del comportamento ipoteticamente<br />
esigibile alle condizioni date al tempo del lancio<br />
dell’iniziativa di vendita dell’azienda, condivisa da tutti i<br />
soci, tenendo conto di tutte le problematiche del caso<br />
presenti all’epoca, di cui lo stesso liquidatore ha dimostrato<br />
di tenere conto informandone sufficientemente<br />
l’assemblea dei soci ad ogni passo. Va infatti tenuto presente<br />
che il liquidatore, nello svolgere le sue mansioni,<br />
incontra, come un qualsiasi altro amministratore di società<br />
di capitali, il limite della c.d. business judgement rule,<br />
il quale implica che non siano posteriormente sindacabili<br />
condotte che, per quanto astrattamente produttive<br />
di un decremento patrimoniale per la società, dimostrino<br />
di essere state il portato di comportamenti assunti in<br />
adesione del canone di corretto comportamento professionale<br />
come sopra meglio descritto, tenendo conto delle<br />
circostanze valutabili al tempo del contestato inadempimento.<br />
In punto di fatto è appurato che i soci convenuti, acquirenti<br />
(per il tramite della società neocostituita) del software<br />
costituente l’asset fondamentale della società, fossero<br />
coloro che avevano ideato il software e come tali, fossero<br />
gli unici in grado di dare garanzie per i creditori (i<br />
clienti dell’azienda) di continuità e di esecuzione dei<br />
contratti in corso; il socio Softrade, di contro, era una<br />
società all’epoca non in regola con i conti e non ugualmente<br />
in grado di dare garanzie di puntuale adempimento<br />
dei contratti, non facendo capo a un socio persona fisica<br />
con uguali capacità professionali, ma solo a un capitale<br />
minimo non in grado di dare sufficienti garanzie per<br />
i creditori. Per questo motivo era più che giustificata la<br />
pretesa di ricevere da parte del socio offerente specifiche<br />
garanzie in proposito, mentre risulta incontestabile che<br />
detta richiesta sia stata evasa tardivamente da parte del<br />
legale della società proponente, in toni alquanto laconici<br />
ed evasivi, denotanti quindi l’effettivo ‘‘peso’’ di detta<br />
garanzia nell’economia del negozio di cessione di azienda<br />
da stipulare.<br />
Così ragionando, si mette in evidenza come il miglior<br />
766 Le Società 7/2012
ealizzo di un prezzo, anche con accollo di debiti e crediti<br />
da parte della società acquirente, in mancanza dell’ulteriore<br />
garanzia di adempimento delle obbligazioni contrattuali,<br />
non avrebbe dato al liquidatore piena certezza<br />
di soddisfacimento delle preminenti ragioni dei creditori<br />
della società, la quale - essendosi avviata verso una liquidazione<br />
e la cessazione dell’attività - avrebbe perso ogni<br />
potere contrattuale nei confronti dei suoi originari creditori<br />
in caso di inadempimento delle obbligazioni da parte<br />
della società acquirente.<br />
E, allora, alle condizioni date, quale garanzia di adempimento<br />
è riuscita a fornire la società Softrade esclusa? Essa<br />
si è limitata a ribadire la maggiore forza della sua offerta<br />
in termini di migliore prezzo e di acquisto di crediti<br />
e debiti, già ritenuta insufficiente. Nulla di più. E si aggiunga<br />
la considerazione che il liquidatore, allora, si doveva<br />
confrontare con una società che da due anni non<br />
presentava i bilanci all’approvazione dell’assemblea e<br />
aveva un capitale ridotto, oltre ad appartenere ad una<br />
holding estera. Ai fini liquidatori, pertanto, occorreva aggiungere<br />
anche questi elementi di incertezza che obiettivamente<br />
innalzavano in concreto il rischio di mancato<br />
raggiungimento del buon fine della cessione e compromettevano<br />
una celere ed efficiente chiusura della fase liquidatoria.<br />
Tutti i suddetti elementi rappresentavano quindi, secondo<br />
la visuale di un accorto liquidatore, fattori di rischio<br />
da valutare seriamente ai fini liquidatori, posto che la<br />
vendita al meglio dell’asset societario significava anche e<br />
soprattutto concludere un negozio al minore rischio<br />
d’impresa in fase liquidatoria: tra i compiti del liquidatore<br />
avveduto, infatti, vi sono quelli di consentire la valorizzazione<br />
massima dell’azienda ai fini liquidatori e, tra<br />
questi, non è da sottovalutare anche la necessità per la<br />
società di evitare inutili trascinamenti e ricadute negative<br />
delle cessioni delle aziende che, se implicanti rischi<br />
di azioni di rivalsa dei creditori ceduti non soddisfatti, rischiano<br />
di tenere aperte per anni procedure liquidatorie<br />
innalzandone i costi e diminuendone l’effettivo realizzo<br />
anche per gli stessi soci.<br />
Nella situazione data, pertanto, si trattava non solo di<br />
garantire un buon realizzo dei cespiti attivi ai fini della<br />
ripartizione dell’attivo tra i soci, ma soprattutto di salvaguardare<br />
l’esigenza di soddisfacimento delle ragioni dei<br />
creditori che, all’epoca, proprio in ragione della situazione<br />
di stallo creatasi all’interno della società a cagione<br />
delle liti tra i due nuclei d’interessi dei soci, non confidavano<br />
più sulla reale capacità dell’impresa di mantenere<br />
fede agli impegni presi, come pacificamente attestato<br />
in atti (v. le diffide dei creditori (9)). Un realizzo immediato<br />
in termini puramente monetari della cessione di<br />
azienda doveva quindi necessariamente essere confrontato<br />
col margine di maggior rischio o di imprevedibilità<br />
dei maggiori oneri futuri in termini di possibili ragioni<br />
creditorie che, in mancanza di ulteriori garanzie da parte<br />
del socio finanziatore, sarebbero state in grado finanche<br />
di neutralizzare l’apparente risultato positivo immediatamente<br />
ottenuto con la vendita in termini di immediata<br />
liquidità. Il socio finanziatore, pertanto, in assenza dell’offerta<br />
di adeguate garanzie di adempimento delle ob-<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
bligazioni sociali che andava ad accollarsi, non era nelle<br />
condizioni soggettive (né lo ha dimostrato nel corso del<br />
giudizio) di potere offrire garanzie di adempimento dei<br />
contratti stipulati coi committenti della società rispetto<br />
ai soci prestatori d’opera che, pur corrispondendo un minore<br />
prezzo, essi stessi offrivano quali ideatori e manutentori<br />
del software.<br />
Non si trattava, quindi, solo di dovere valorizzare l’apporto<br />
dei soci prestatori d’opera ai fini della valutazione<br />
della congruità della cessione al prezzo da questi offerto,<br />
in modo da assicurare non solo il soddisfacimento delle<br />
pretese nascenti dai contratti rimasti parzialmente inadempiuti<br />
a causa della situazione di stallo creatasi a causa<br />
del dissidio interno tra i soci, ma anche di considerare<br />
il valore aggiunto portato dai medesimi che si proponevano<br />
come gli unici soggetti in grado di portare a termine<br />
i contratti ancora in essere e di mantenere i committenti,<br />
consentendo pertanto una serena e celere chiusura<br />
della fase liquidatoria. Su questo ultimo punto, giova ripeterlo,<br />
la società Softrade ha solo riferito di essere in<br />
grado di offrire garanzie. Ma, come si è anzidetto, non si<br />
trattava di esserlo veramente, ma di dimostrarlo al liquidatore:<br />
cosa che non è stata fatta. Anzi gli indici offerti<br />
da Softrade al riguardo, dal punto di vista del liquidatore<br />
‘‘accorto e avveduto’’, erano quelli di una società a capitale<br />
di rischio minimo e con i conti non a posto da due<br />
anni.<br />
Le suesposte valutazioni risultano di rilievo assorbente<br />
sulle altre possibili considerazioni in ordine alla regolarità<br />
e correttezza della procedura seguita dal liquidatore<br />
nella raccolta delle offerte e nella loro progressiva valu-<br />
Nota:<br />
(9) V. doc. n. 8 del fascicolo del convenuto Bignami, diffida Eurovita<br />
inviata per e-mail a firma della sig. N. del 6 novembre<br />
2006: «... Relativamente alla Sua, (riferito al liquidatore Bignami),<br />
ultima comunicazione inerente la sospensione delle attività<br />
di assistenza presso di noi, purtroppo non è più sufficiente la<br />
speranza di una pronta soluzione, in quanto è dal mese di Settembre<br />
che attendiamo le conseguenze della possibile acquisizione<br />
di ForValue, sia per il buon esito del progetto che per i necessari<br />
sviluppi futuri (ad esempio la definizione del contratto di<br />
manutenzione). Per tutto ciò sopra descritto ulteriori 10 giorni di<br />
ritardo e la contemporanea sospensione delle attività di progetto<br />
ci pongono in seria difficoltà per il raggiungimento dell’obbiettivo<br />
di fine anno che Lei ben conosce.<br />
Le comunichiamo quindi che, in mancanza di rapide comunicazioni<br />
da parte Sua che sblocchino la situazione, ci vedremo costretti<br />
ad adire prontamente alle vie legali»; v. altresì doc. n. 12<br />
del fascicolo del convenuto Bignami: « ... Siamo con la presente<br />
a ricordarLe:<br />
– la mancanza di risposta alle nostre e-mail sulla situazione del<br />
software installato (Applicativo Labatt)<br />
– la reiterata mancanza agli impegni da lei presi in termini di<br />
tempi di chiusura della liquidazione<br />
– la conseguente mancanza di reintegro del gruppo di lavoro così<br />
come da contratto stabilito<br />
– la situazione di elevato rischio per la gestione del portafoglio<br />
della compagnia, alla quale siamo giunti a causa di quanto sopra<br />
ricordato.<br />
È nostra intenzione attivarci con le azioni che riterremo più opportune<br />
per salvaguardare gli interessi della nostra compagnia»,<br />
e-mail datata 16 novembre 2006 a firma del dott. S. direttore<br />
dei sistemi informativi di CNP Capitalia Vita s.p.a.<br />
Le Società 7/2012 767
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
tazione. Pur tuttavia, sul quomodo dell’operato del liquidatore,<br />
in senso a lui favorevole si deve aggiungere che:<br />
non risulta che il liquidatore sia stato affrettato e precipitoso<br />
nello scegliere i il migliore offerente proprio perché<br />
le proposte sono state sempre vagliate in sede assembleare<br />
e si è dato tempo ai candidati offerenti di dare<br />
prova dei requisiti richiesti dallo stesso liquidatore, mentre<br />
l’offerta di Softrade è stata sicuramente tardiva e lacunosa;<br />
il mandato dato al perito prof. M.V., ai fini della valutazione<br />
della congruità delle offerte, teneva conto delle offerte<br />
presentate per tempo e delle garanzie in concreto<br />
ricevute, data l’aleatorietà di una valutazione astratta<br />
dell’azienda soprattutto in assenza di un mercato di riferimento<br />
al di là delle offerte presentate: la società Softrade<br />
infatti ritiene apoditticamente che la sua offerta corrispondeva<br />
al prezzo di mercato ma, come si è visto, la valutazione<br />
non può essere riferita solo a questo dato, del<br />
tutto incerto in termini astratti e oggettivi, ma alle garanzie<br />
date dagli offerenti e all’affidabilità generale dei<br />
contraenti;<br />
il giudizio affidato in concreto al perito ex post era del<br />
tutto giustificato dalla mancanza di un mercato diverso<br />
dalle offerte ricevute, posto che lo stesso liquidatore era<br />
un professionista in grado di valutare ex ante la congruità<br />
delle offerte rispetto a un supposto valore di mercato, e<br />
tale si è dimostrato in ogni fase del procedimento di offerta<br />
di vendita dell’azienda;<br />
la perizia (perizia R.) offerta a supporto delle sue ragioni<br />
da Softrade indica il valore della società in E<br />
2.200.000,00 alla data di inizio dell’attività di liquidazione,<br />
senza specificarne né la data di riferimento né la pertinenza<br />
di una così ampia valutazione in relazione alla<br />
necessità di vendita della sola azienda: difatti azienda e<br />
società sono concetti ed istituti ben diversi sia nella disciplina<br />
codicistica che nella materia economica e aziendalistica;<br />
inoltre, la valutazione di un’azienda si fa sempre<br />
in riferimento alle concrete risultanze del mercato<br />
dei potenziali acquirenti, mentre la valutazione di una<br />
società fa riferimento al valore di mercato delle partecipazioni<br />
detenute dei soci; si consideri poi che all’interno<br />
del complesso aziendale oggetto della proposta cessione<br />
non era ricompresa l’opera degli ideatori del software, e<br />
ciò per espressa volontà di questi ultimi manifestata al liquidatore<br />
dall’inizio fino al momento di cessione dell’azienda;<br />
IL COMMENTO<br />
di Leonardo Di Brina<br />
la valutazione della società di consulenza Value & Partners<br />
in oltre tre milioni di euro per l’intero compendio<br />
societario è ugualmente inattendibile per le stesse ragioni<br />
di cui sopra, e anche risalente nel tempo (30 maggio<br />
2005), trattandosi di una proposta in bozza di acquisto<br />
di quote della società del tutto generica e priva di data<br />
certa, con valutazioni collegate a consistenti aumenti di<br />
capitale mai avvenuti nella realtà;<br />
le richieste di garanzia del liquidatore non erano certamente<br />
oziose e pretestuose nella situazione di inadempimento<br />
alle obbligazioni sociali in cui versava la società;<br />
la società Softrade non ha chiesto una proroga del termine<br />
ultimo indicato dal liquidatore per presentare le garanzie,<br />
limitandosi a ritenere valide e soddisfacenti le garanzie<br />
prestate;<br />
il fatto che i due soci competitori, preferiti a Softrade,<br />
fossero legati ai clienti della società in forza di separati<br />
contratti di assistenza e manutenzione non dimostra di<br />
per sé che essi abbiano agito in conflitto d’interessi, bensì<br />
solamente che essi erano in grado già solo per questo<br />
di offrire maggiori garanzie di esecuzione dei contratti in<br />
corso;<br />
l’esaurimento dei contratti in corso sono poi andati effettivamente<br />
a favore della società in liquidazione, e non<br />
della società acquirente (tale posta attiva vale da sola E<br />
240.000,00);<br />
la stipula di un esonero di responsabilità da parte del liquidatore<br />
nel corso del mandato ricevuto certamente<br />
non costituisce un’implicita ammissione di responsabilità,<br />
trattandosi di una clausola di stile non valevole a<br />
esonerarlo dalla responsabilità per fatti illeciti specifici.<br />
Mancando ogni elemento di responsabilità in capo al liquidatore<br />
per la cessione di azienda, viene conseguentemente<br />
meno ogni interesse a ottenere una pronuncia anche<br />
sulle questioni di legittimazione attiva dell’attore riguardo<br />
alle collegate ulteriori domande svolte nei confronti<br />
della società che ha acquisito l’azienda (azione di<br />
annullamento del contratto concluso in conflitto d’interessi)<br />
e sulle azioni risarcitorie svolte nei confronti dei<br />
soci convenuti in corresponsabilità. le suddette domande,<br />
infatti, presuppongono l’accertamento di un danno<br />
sociale conseguente alla condotta del liquidatore che, in<br />
realtà, non si è realizzato.<br />
(omissis).<br />
La sentenza del Tribunale di Milano tocca il delicato tema della latitudine dei poteri del liquidatore di società<br />
di capitali, individuando gli interessi correlati alla vicenda liquidativa e i criteri di giudizio circa la sua responsabilità,<br />
con riguardo agli atti gestori non immediatamente funzionali alla realizzazione dell’attivo sociale secondo<br />
il criterio della massimizzazione del risultato per i soci.<br />
768 Le Società 7/2012
Premessa<br />
Il Tribunale di Milano ha pronunciato la sentenza,<br />
qui commentata, in esito all’azione di responsabilità,<br />
promossa nei confronti dell’ex liquidatore<br />
dalla società in liquidazione e dal socio (al 50%) ai<br />
sensi dell’art. 2476 c.c., per il risarcimento del danno<br />
causato dalla vendita del marchio e dell’azienda<br />
(costituita, in sostanza, da un software, unico asset<br />
aziendale) della società medesima ad un prezzo ritenuto<br />
non conveniente. Il tema cruciale della controversia<br />
(che aveva determinato anche la revoca<br />
giudiziale del liquidatore, per gli stessi fatti, posti a<br />
base dell’azione di responsabilità) riguarda la circostanza<br />
che la cessione sia avvenuta in favore di una<br />
società costituita appena 21 giorni prima da altri<br />
soci (ed ex amministratori) della società in liquidazione,<br />
per un corrispettivo (E 500.000,00) inferiore<br />
rispetto a quello offerto dall’attrice (E 800.000,00),<br />
ma con diversa modalità di accollo di debiti e crediti.<br />
La preferenza era stata accordata in base a considerazioni<br />
attinenti all’esigenza di soddisfare l’interesse<br />
di altra impresa, creditrice dei servizi erogati<br />
dalla società in liquidazione.<br />
Nel trattare in via preliminare i profili attinenti<br />
alla sussistenza della responsabilità in capo al liquidatore<br />
convenuto (profili ritenuti pregiudiziali rispetto<br />
alle altre domande svolte nel giudizio), il<br />
Tribunale ha ritenuto che, nella fase di liquidazione,<br />
ai liquidatori è riconosciuta una competenza gestoria<br />
ampia che li rende arbitri nello scegliere i<br />
tempi, i modi e le condizioni della realizzazione dell’attivo<br />
sociale, con le uniche limitazioni che possono<br />
derivare dall’atto costitutivo o dalla deliberazione<br />
dell’assemblea che li nomina. Uno dei criteri<br />
guida dell’azione dei liquidatori è rappresentato dalla<br />
valutazione comparativa degli interessi dei soci e<br />
dei creditori. Ad avviso del Tribunale, sia i soci sia<br />
i creditori hanno interesse alla realizzazione del<br />
massimo attivo, ma i secondi avrebbero un interesse<br />
prevalente alla più rapida liquidazione del patrimonio<br />
societario, mentre i primi potrebbero pretendere<br />
che la dismissione dei beni sociali avvenga<br />
con modalità che tengano prioritariamente presenti<br />
le esigenze di miglior soddisfacimento dei propri<br />
crediti. Sicché, nell’ipotesi di conflitto tra i due interessi,<br />
dovrà inevitabilmente prevalere quello dei<br />
creditori sociali.<br />
La sentenza reputa che «la finalità di soddisfazione<br />
dei crediti» si ponga «come preminente su ogni<br />
altra eventuale finalità di realizzazione dello scopo<br />
sociale o di immediata utilità, ove si dimostri che le<br />
ragioni dei creditori non siano state ancora soddi-<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
sfatte». In conseguenza, «l’interesse dei soci al migliore<br />
realizzo dei beni può ricevere una compressione<br />
a fronte di quello dei creditori di vedere soddisfatti<br />
i propri crediti». Tra i creditori sociali meritevoli<br />
di ricevere la massima garanzia in fase liquidativa<br />
il Tribunale colloca «i committenti del software<br />
costituente l’unico asset di valore della società».<br />
La prevalenza dell’interesse dei creditori rispetto<br />
a quello dei soci è desunta dal principio generale<br />
della postergazione delle ragioni dei soci rispetto a<br />
quelle dei creditori, che «si evince certamente laddove<br />
la norma di cui all’articolo 2491 c.c., al secondo<br />
comma, dispone che il liquidatore non può<br />
ripartire tra i soci acconti sul risultato della liquidazione,<br />
salvo che dai bilanci risulti che la ripartizione<br />
non incida sulla disponibilità di somme idonee<br />
all’integrale tempestiva soddisfazione dei creditori<br />
sociali», disponendo altresì che i liquidatori possono<br />
condizionare la ripartizione alla prestazione da<br />
parte del socio di idonee garanzie.<br />
A queste considerazioni, specificamente attinenti<br />
alla ponderazione degli interessi coinvolti nella fase<br />
liquidativa, il Tribunale fa seguire l’osservazione<br />
che il sindacato sulla responsabilità del liquidatore,<br />
per lo svolgimento delle sue mansioni, incontra, al<br />
pari di quanto avviene per gli amministratori, il limite<br />
della c.d. business judgement rule, «il quale implica<br />
che non siano posteriormente sindacabili condotte<br />
che, per quanto astrattamente produttive di<br />
un decremento patrimoniale per la società, dimostrino<br />
di essere state il portato di comportamenti assunti<br />
in adesione del canone di corretto comportamento<br />
professionale (...) tenendo conto delle circostanze<br />
valutabili al tempo del contestato inadempimento».<br />
Alla luce di queste considerazioni, il Tribunale<br />
ha respinto l’azione di responsabilità, ritenendo che<br />
il liquidatore avesse correttamente adempiuto i suoi<br />
doveri gestori, nel prescegliere la soluzione che, pur<br />
non facendo conseguire nell’immediato il miglior<br />
prezzo realizzabile, forniva tuttavia maggior garanzia<br />
di adempimento delle obbligazioni contrattuali,<br />
dando al liquidatore piena certezza di soddisfacimento<br />
delle preminenti ragioni dei creditori della<br />
società.<br />
La sentenza delinea la gerarchia degli interessi<br />
coinvolti nella fase liquidativa della società di capitali<br />
secondo una graduatoria che sembrerebbe<br />
anteporre i diritti dei creditori (il cui oggetto sia<br />
una somma ovvero, come nel caso in esame, un facere)<br />
rispetto a quelli dei soci almigliorrealizzo<br />
dei beni sociali. Il valore dell’affermazione di prin-<br />
Le Società 7/2012 769
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
cipio, tuttavia, è nel contesto della motivazione<br />
temperato dal fatto che, in ultima analisi, anche<br />
quel criterio gerarchico è comunque espressione<br />
del principio generale del perseguimento di un più<br />
proficuo risultato di liquidazione, al riparo dai rischi<br />
che la disgregazione dell’azienda sociale potrebbe<br />
determinare.<br />
Appare interessante, sotto questo profilo, osservare<br />
come, accanto a quelli tradizionalmente catalogati,<br />
la sentenza commentata sembri identificare<br />
anche altri interessi di creditori (titolari di rapporti<br />
in corso di esecuzione), cui l’immediata dissoluzione<br />
del compendio aziendale o la sua sollecita alienazione,<br />
potrebbe risultare nociva, pervenendo ad<br />
un’affermazione di principio della prevalenza dell’interesse<br />
dei creditori rispetto a quello dei soci,<br />
con postergazione delle ragioni dei secondi rispetto<br />
a quelle dei primi. Principio immanente che la sentenza<br />
desume da norme in materia di liquidazione<br />
(art. 2491 c.c.) che ne sarebbero l’emersione.<br />
Ma - come già osservato - il rilevato criterio gerarchico<br />
appare piuttosto un obiter dictum che un<br />
principio dotato di effettivo valore decisorio, considerato<br />
che quel criterio confluisce comunque nel<br />
generale e consueto canone di corretto comportamento<br />
professionale, che disciplina la condotta sia<br />
degli amministratori sia del liquidatore, alla luce<br />
del quale quei Giudici hanno positivamente valutato<br />
il comportamento del liquidatore e, conseguentemente,<br />
hanno respinto l’azione proposta nei suoi<br />
confronti.<br />
Gli interessi implicati nella liquidazione<br />
delle società di capitali<br />
L’affermazione, sia pur incidenter tantum, di una<br />
gerarchia di interessi e di una loro comparativa valutabilità<br />
in sede di liquidazione fornisce lo spunto<br />
per un’analisi del tema, alla luce delle innovazioni<br />
introdotte dalla riforma del diritto societario.<br />
La sentenza tocca profili che hanno da tempo attratto<br />
l’attenzione della dottrina, la quale non ha<br />
mancato di rilevare la molteplicità degli interessi<br />
sottesi al verificarsi di un evento produttivo dello<br />
scioglimento della società, allo svolgimento della<br />
procedura di liquidazione del patrimonio sociale e<br />
all’approdo dell’ente alla definitiva sua estinzione.<br />
A questi momenti della parabola societaria sono<br />
egualmente interessati, sia pure in prospettive diverse<br />
e talvolta potenzialmente contrapposte, i soci,<br />
i creditori particolari dei soci ed i creditori della società,<br />
senza che vi rimangano poi estranei interessi<br />
pubblici (1).<br />
Con riferimento alla disciplina societaria previgente,<br />
si era rilevato che l’interesse più ‘‘diretto’’<br />
fosse quello dei soci ad una liquidazione spedita<br />
e soprattutto quanto più proficua possibile,<br />
in connessione del generale intento lucrativo,<br />
che caratterizza l’investimento delle risorse (e,<br />
conseguentemente, il loro disinvestimento, una<br />
volta esaurita la vicenda societaria). Parallelamente,<br />
i creditori sociali hanno interesse a che,<br />
determinandosi lo scioglimento della società,<br />
questa cessi di operare, e con ciò di «rischiare»,<br />
nonché ad ottenere una pronta e proficua monetizzazione<br />
di ogni suo avere, al fine di onorare tutti<br />
i suoi impegni (2).<br />
Si era avvertito che, mentre per la generalità dei<br />
creditori la dissoluzione liquidativa dell’organizzazione<br />
aziendale della società è sostanzialmente indifferente<br />
(qualora la conservazione del compendio<br />
non appaia funzionale ad una più rapida e proficua<br />
alienazione dei beni sociali), possono tuttavia sussistere<br />
categorie di creditori, la cui posizione è tale<br />
da indurli a nutrire diversa attesa riguardo a quella<br />
vicenda dissolutiva: a questa categoria appartengono<br />
i lavoratori dipendenti della società, in genere<br />
interessati a che la liquidazione non si apra e non si<br />
svolga a discapito dell’organizzazione aziendale provocandone<br />
quella disgregazione che - indifferente<br />
per i soci e per i loro creditori, come pure per gli altri<br />
creditori sociali - per essi significa invece la perdita<br />
del posto di lavoro (3).<br />
Queste prime notazioni consentono di rilevare<br />
come l’indicazione di principio, che emerge dalla<br />
disposizione menzionata dal Tribunale di Milano<br />
(4), debba essere calata nel più ampio universo<br />
delle norme che regolano i poteri dei liquidatori,<br />
Note:<br />
(1) In questi termini, v. Niccolini, Interessi pubblici e interessi<br />
privati nella estinzione della società, Milano, 1990, 23.<br />
(2) Niccolini, Interessi pubblici e interessi privati, cit., 24, il quale<br />
richiama altresì, a questo riguardo, un generale interesse «pubblico»<br />
a che la liquidazione abbia luogo speditamente, giacché<br />
la condizione in cui versa la società che, sciolta, non procede alla<br />
liquidazione, o la cui liquidazione non segna progresso alcuno,<br />
costituisce una situazione irregolare che sarebbe interesse generale<br />
eliminare.<br />
(3) Cfr. Weigmann, La liquidazione delle società davanti al giudice<br />
del lavoro, Milano, 1985, passim.<br />
(4) L’art. 2491, comma 2, in vero, potrebbe prestarsi ad una opposta<br />
lettura, ove si ponga mente al fatto che nella distribuzione<br />
di acconti sul risultato della liquidazione (sia pur accompagnata<br />
dalla prestazione di idonee garanzie) potrebbe ravvisarsi una sostanziale<br />
attenuazione della posizione dei creditori rispetto a<br />
quella dei soci, per l’oggettivo incremento del rischio di un loro<br />
mancato soddisfacimento, intrinsecamente connesso all’anticipato<br />
soddisfacimento (sia pur parziale) dell’interesse dei primi.<br />
770 Le Società 7/2012
per tener conto dell’intera gamma delle istanze<br />
coinvolte nella liquidazione.<br />
Con la riforma del diritto societario, le innovazioni<br />
normative hanno riacceso il dibattito circa<br />
l’assetto degli interessi ai quali deve ispirarsi la gestione<br />
della società in sede di liquidazione. Pur<br />
sottolineandosi che la gestione nella fase liquidativa<br />
è svolta, non meno che in quella attiva, nell’interesse<br />
esclusivo del soci, tuttavia il soddisfacimento<br />
di questo interesse è normativamente subordinato<br />
alla soddisfazione di quello dei creditori sociali<br />
(5), potendo i soci appropriarsi esclusivamente<br />
del risultato netto della gestione, che naturalmente<br />
presuppone l’integrale soddisfacimento dei<br />
debiti della società. Nella fase di liquidazione,<br />
dunque, la priorità degli interessi dei creditori assume<br />
rilevanza logica, in quanto i soci in tanto<br />
possono realizzare il loro interesse, in quanto si sia<br />
già realizzato quello dei creditori. Il che riverbera i<br />
suoi effetti sul piano cronologico e procedimentale,<br />
caratterizzando la gestione liquidatoria, che si<br />
rivela diretta alla cura degli interessi dei soci e di<br />
essi soltanto (6).<br />
I poteri dei liquidatori di società di capitali<br />
Nel trasporre il ragionamento dal piano meramente<br />
funzionale a quello della disciplina, la sentenza<br />
rileva che il giudizio circa il corretto esercizio<br />
dell’attività gestoria in fase liquidativa implica la<br />
valutazione della latitudine dei poteri del liquidatore,<br />
allorché - come nel caso esaminato dal Tribunale<br />
- a lui venga contestato di aver esorbitato dai<br />
suoi poteri, per aver tenuto conto di una più ampia<br />
sfera di interessi rispetto a quella dei soci ed al loro<br />
interesse alla massima realizzazione dei beni sociali.<br />
Il tema è quindi essenzialmente quello di definire,<br />
alla stregua del dato positivo, quale sia il canone<br />
del comportamento professionale del liquidatore,<br />
entro il quale si collochi il contemperamento di<br />
quegli interessi.<br />
La riforma del diritto societario ha indubbiamente<br />
innovato il profilo gestorio della liquidazione.<br />
L’art. 2489 c.c., eliminato il discusso divieto di<br />
nuove operazioni (7), attribuisce ai liquidatori il<br />
potere di compiere «tutti gli atti utili per la liquidazione<br />
della società», salvo diversa disposizione fornita<br />
dai soci, in sede statutaria o di delibera di nomina<br />
(8). Ma il nuovo enunciato normativo sembra<br />
aver solo spostato l’angolo prospettico della dialettica<br />
tra le diverse dimensioni gestorie (sintetizzato,<br />
dalla previgente disciplina, nel binomio operazioni<br />
nuove e operazioni che tali non sono), forse<br />
anche aggravandola con norme, di cui non sempre<br />
è agevole armonizzare il valore precettivo.<br />
Se da un canto l’art. 2489, comma 1, sembrerebbe<br />
richiedere, per integrare il canone liquidativo,<br />
l’individuazione del requisito dell’«utilità», anche<br />
al fine di stabilire se esso coincida con quello della<br />
«necessità» di cui all’art. 2278, richiamato dal previgente<br />
art. 2452, comma 2, d’altra parte, il coordinamento<br />
con l’art. 2487, comma 1, lett. c) impone<br />
una ben più complessa valutazione, perché la norma<br />
parrebbe riservare all’assemblea dei soci il potere<br />
di autorizzare il compimento di determinate attività,<br />
quali la cessione totale o parziale dell’azienda<br />
nonché la conservazione del valore dell’impresa, ivi<br />
compreso il suo esercizio provvisorio (ma nei soli limiti<br />
degli atti «necessari»). Il che, in definitiva, riverbera<br />
i suoi effetti sul concetto stesso di «liquidazione»,<br />
che potrebbe diversamente atteggiarsi secondo<br />
che la sfera degli atti utili comprenda oppure<br />
no quelli, la cui attuazione sia - in ipotesi - subordinata<br />
all’autorizzazione assembleare; non solo, ma<br />
quella sfera potrebbe essere anche influenzata dalla<br />
ricostruzione dei poteri attribuiti dall’assemblea, la<br />
cui autorizzazione potrebbe non estendersi ad attività<br />
che, pur funzionali alla conservazione e alla più<br />
proficua liquidazione del complesso aziendale, non<br />
siano tuttavia strettamente «necessarie» ai fini di<br />
una più proficua cessione in blocco.<br />
La ridondante formulazione dell’art. 2487, comma<br />
2, lett. c) è parsa conferire all’assemblea un penetrante<br />
ruolo conformativo del potere gestorio dei<br />
liquidatori, con la previsione di una delibera che<br />
delinei i criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione,<br />
conferendo anche ai liquidatori specifici<br />
poteri, con particolare riguardo alla cessione dell’azienda<br />
sociale, di rami di essa, ovvero anche di<br />
singoli beni o diritti, o blocchi di essi, nonché alla<br />
specificazione degli atti necessari per la conservazione<br />
del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio<br />
provvisorio, anche per singoli rami, in funzione<br />
del migliore realizzo. Ciò ha indotto, in particolare,<br />
il dubbio se, in assenza di un previo pronun-<br />
Note:<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
(5) Su questi temi, v. in particolare Ferri jr, La gestione di società<br />
in liquidazione, inRiv. dir. comm., 2003, I, 421 ss.<br />
(6) Così Ferri jr, La gestione di società in liquidazione, cit., 423.<br />
(7) Per riferimenti all’ampio dibattito circa i poteri dei liquidatori,<br />
nel vigore dell’abrogata disciplina v. Di Brina, La responsabilità<br />
per le nuove operazioni successive allo scioglimento delle società<br />
per azioni, Milano, 1996.<br />
(8) Sull’articolazione dei poteri dei liquidatori cfr. Rossi A., Sub<br />
art. 2489, in A. Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società,<br />
III, Padova, 2005, 2237.<br />
Le Società 7/2012 771
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
ciamento assembleare, la prosecuzione dell’attività<br />
d’impresa possa considerarsi rientrante nei poteri<br />
dei liquidatori. A favore della tesi negativa (9) militerebbero<br />
rilevanti ragioni esegetiche, sia di carattere<br />
letterale (l’espressa menzione della gestione<br />
provvisoria fra le deliberazioni richieste all’assemblea<br />
nel momento dell’apertura della liquidazione<br />
dall’art. 2487 e non fra i poteri dei liquidatori delineati<br />
dagli artt. 2489 e 2491 e la separata indicazione<br />
dell’esercizio provvisorio rispetto agli «atti necessari<br />
per la conservazione del valore dell’impresa»)<br />
sia d’ordine sistematico (l’obbligo imposto dall’art.<br />
2490, comma 5, di un’indicazione separata<br />
delle poste di bilancio relative alla continuazione<br />
anche parziale dell’attività di impresa «quando sia<br />
prevista» una simile continuazione lascerebbe intendere<br />
che il programma di conduzione della liquidazione<br />
sia un atto esterno alla sfera dei liquidatori)<br />
(10).<br />
Può, per contro, osservarsi, sul piano empirico,<br />
che la prosecuzione dell’attività d’impresa, specie<br />
qualora funzionale alla esecuzione di contratti in<br />
corso, non è solo atto utile ma talvolta finanche<br />
necessario (11) in ragione delle caratteristiche dell’azienda<br />
sociale, la cui mancata gestione potrebbe<br />
compromettere fortemente il valore di avviamento<br />
(allorché, per es., la repentina interruzione della gestione<br />
porterebbe alla risoluzione per inadempimento<br />
di contratti in corso). Sembra, infatti, contrastare<br />
con dati di comune esperienza che in quei casi il<br />
liquidatore (per il solo fatto di non essere stato<br />
autorizzato dall’assemblea al compimento degli atti<br />
«necessari per la conservazione del valore dell’impresa»)<br />
debba procedere all’immediata dissoluzione<br />
dell’azienda sociale, con perdita non solo del valore<br />
di avviamento, ma addirittura con assunzione di responsabilità<br />
per danni a carico della società.<br />
Ciò renderebbe propensi a ritenere che, almeno<br />
in alcune ipotesi, l’ambito della sfera «originaria»<br />
del potere gestorio dei liquidatori (quella, cioè, delineata<br />
dall’art. 2489, comma 1, con il riferimento<br />
agli atti utili) inevitabilmente comprenda alcune<br />
delle attività che, ad una prima lettura dell’art.<br />
2487, sembrerebbero riservate alla competenza<br />
autorizzativa dell’assemblea. Ma la scelta interpretativa<br />
non può che passare dalla considerazione del<br />
tenore testuale delle norme, che superi il contrasto<br />
tra le disposizioni qui considerate, la cui formulazione<br />
potenzialmente antinomica esige un necessario<br />
coordinamento sistematico.<br />
L’impostazione seguita dal Tribunale, secondo la<br />
quale ai liquidatori è riconosciuta una competenza<br />
gestoria ampia che li rende arbitri nel gestire i tem-<br />
pi, i modi e le condizioni della realizzazione dell’attivo<br />
sociale, con le uniche limitazioni che possono<br />
derivare dall’atto costitutivo o dall’assemblea che li<br />
nomina, si colloca nella linea interpretativa secondo<br />
la quale, nel delineare il profilo fisionomico dei<br />
poteri dei liquidatori, occorre muovere dalla norma<br />
dell’art. 2489, che attribuisce ai liquidatori, in assenza<br />
di particolari disposizioni dello statuto o dell’atto<br />
di nomina, una vasta latitudine di poteri gestori,<br />
pur finalizzati alla monetizzazione liquidativa<br />
dei beni, nell’ambito dei quali essi debbono, con<br />
professionale diligenza, attuare la scelta dei criteri e<br />
delle operazioni più idonee ai fini liquidativi (12).<br />
Tra queste si pongono indiscutibilmente alcune<br />
delle attività elencate nell’art. 2487, comma 1, lett.<br />
c), come la cessione di singoli beni o diritti, o blocchi<br />
di essi.<br />
Il dato letterale, quindi, apre la strada ad un ca-<br />
Note:<br />
(9) Niccolini, Gestione dell’impresa nella società in liquidazione:<br />
prime riflessioni sulla riforma, inRiv. soc., 2003, 895 ss. (ed in<br />
G. Scognamiglio (a cura di), Profili e problemi dell’amministrazione<br />
nella riforma delle società, Milano, 2003, 167 ss. e in 60X60,<br />
t. II, Roma, 2010, 795); Id., Sub art. 2489, in Niccolini - Stagno<br />
d’Alcontres (a cura di), Società di capitali - Commentario, III, Napoli,<br />
2004, 1779 ss. il quale ritiene che la prosecuzione dell’attività<br />
d’impresa, nell’ambito della liquidazione, abbia sempre carattere<br />
eccezionale e come tale esiga un pronunciamento dei<br />
soci (pagina 1781). In questo senso, v. Ferri, Manuale di diritto<br />
commerciale, a cura di Angelici e Ferri G.B., Torino, 2010, 508,<br />
secondo il quale i liquidatori possono compiere gli atti finalizzati<br />
alla conservazione del valore dell’impresa, ma solo in quanto a<br />
tal fine necessari e purché i relativi poteri siano stati attribuiti in<br />
sede di nomina; Cottino, Diritto societario, Padova, 2011, 564<br />
s., il quale ritiene che tra gli atti utili possa annoverarsi anche la<br />
continuazione temporanea dell’attività, in quanto vi sia a monte<br />
una pronuncia assembleare; nello stesso senso; cfr. Gliozzi, Istituzioni<br />
di diritto commerciale, Milano, 2003, 162; Facchin, Sub<br />
art. 2489, in Grippo (a cura di), Commentario delle società, II,<br />
Torino, 2009, p. 1146; Sanzo, Scioglimento e liquidazione, in Cagnasso<br />
- Panzani (diretto da), Le nuove società per azioni, Bologna,<br />
2010, 1723.<br />
(10) Niccolini, Sub art. 2489, cit., loc. cit.<br />
(11) Come del resto riconosciuto dallo stesso A., del quale si riferisce<br />
il pensiero: v. Niccolini, op. loc. cit.<br />
(12) Ritiene che, fermo restando il carattere conservativo e non<br />
propulsivo dell’attività dei liquidatori, tutte le operazioni funzionali,<br />
anche indirettamente, alla conservazione o alla valorizzazione<br />
del patrimonio sociale «integreranno senz’altro gli estremi<br />
della ‘‘utilità’’» Parrella, Sub art. 2489, in Sandulli - Santoro (a cura<br />
di), La riforma delle società, 3, Torino, 2003, 278 s.; in senso<br />
conforme, Vaira, Sub artt. 2487-2487 bis, in Cottino (diretto da),<br />
Il nuovo diritto societario, Bologna, 2004, III, 2071 s.; nello stesso<br />
senso v. altresì Sarale, Scioglimento e liquidazione delle società<br />
di capitali, in Cottino - Bonfante - Cagnasso - Montalenti<br />
(diretto da), Il nuovo diritto societario, Commentario, Bologna<br />
2009, 1210 ss., che rileva come l’opposta interpretazione sia<br />
scarsamente congruente con gli obiettivi della riforma; cfr. altresì<br />
Salafia, Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, in<br />
questa Rivista, 2003, 379, il quale ritiene «utili» gli atti diretti alla<br />
conservazione del patrimonio e alla sua conversione in danaro.<br />
772 Le Società 7/2012
povolgimento della prospettiva interpretativa sopra<br />
illustrata: se infatti non può non ammettersi che talune<br />
delle attività, oggetto della delibera prevista<br />
dall’art. 2487, sono già attribuite, in via «originaria»<br />
alla sfera dei liquidatori dall’art. 2489, comma<br />
1, indipendentemente dall’espressa autorizzazione,<br />
si apre la strada ad una diversa articolazione del<br />
rapporto tra le due norme, anche ai fini dell’esercizio<br />
provvisorio: al pari di quegli atti, la gestione<br />
conservativa, ove abbia carattere di attività utile<br />
(ed a fortiori se si presenti come necessaria) rientra<br />
per sua naturale indole tra quelle consentite ai liquidatori<br />
dall’art. 2489, comma 1 (13).<br />
(Segue): l’esercizio provvisorio<br />
Si ripropone, in sostanza, anche nel nuovo regime<br />
una dicotomia tra due profili gestori, che nel sistema<br />
previgente era indicato dall’antitesi tra nuove<br />
operazioni e operazioni conservative (e, quindi,<br />
non nuove).<br />
Sembra, in sostanza, doversi assegnare all’art.<br />
2489, comma 1, ruolo primario nel modellare i<br />
poteri gestori dei liquidatori, relegando la deliberazione<br />
assunta ai sensi dell’art. 2387, comma 1,<br />
lett. c) (o la disposizione statutaria, avente identica<br />
funzione) in posizione suppletiva, idonea ad<br />
integrare quei poteri, eventualmente contenendoli<br />
o estendendoli (pur con il limite della finalità<br />
del migliore realizzo dell’impresa sociale), per<br />
adattarli alle concrete esigenze della compagine<br />
sociale.<br />
Questa linea interpretativa, condivisa dalla sentenza<br />
annotata, si colloca indubbiamente in posizione<br />
di sostanziale continuità con la disciplina previgente,<br />
posto che il richiamo dell’abrogato art.<br />
2452, comma 2, all’art. 2278, comma 1, c.c., consentiva<br />
di ritenere che ai liquidatori competesse, in<br />
difetto di diversa determinazione dei soci, il potere<br />
di vendere «in blocco» i beni sociali e, conseguentemente,<br />
di gestire provvisoriamente l’impresa, per<br />
il tempo necessario ai fini dell’alienazione dell’azienda.<br />
La sentenza del tribunale, in sostanza, sembra<br />
configurare il nuovo assetto dei poteri liquidatori,<br />
pur in assenza del divieto di nuove operazioni<br />
(imposto ai liquidatori mediante il richiamo dell’abrogato<br />
art. 2452, comma 1, all’art. 2279), come<br />
espressione di un compito gestorio dall’ampio contenuto<br />
conservativo, che vincola quindi al compimento<br />
delle operazioni ancora pendenti al momento<br />
dello scioglimento e, pertanto, obbliga i liquidatori<br />
(anche) alla gestione provvisoria finalizzata ad<br />
una progressiva cessazione dell’impresa sociale o<br />
della vendita in blocco dell’azienda.<br />
L’empirica indicazione, dalla quale si è preso<br />
l’avvio, trova quindi riscontro nella disciplina riformata,<br />
la quale consente di delineare secondo una<br />
coerente prospettiva l’assetto dei poteri dei liquidatori.<br />
In mancanza di diversa disposizione statutaria<br />
o assembleare, i liquidatori hanno il potere di compiere<br />
tutti gli atti utili per la liquidazione: l’art.<br />
2489, comma 1, attribuisce ad essi, cioè, quella<br />
competenza gestoria ampia, riconosciuta dal Tribunale<br />
di Milano, che li rende arbitri nel gestire i<br />
tempi, i modi e le condizioni della realizzazione dell’attivo<br />
sociale, ivi compresi gli atti gestori funzionalmente<br />
indirizzati alla definizione non traumatica<br />
dei contratti in corso di esecuzione nonché quelli<br />
compresi nella dimensione conservativa dell’impresa<br />
sociale, qualora la gestione provvisoria appaia,<br />
secondo un ragionevole giudizio probabilistico, indispensabile<br />
al fine di una migliore alienazione in<br />
blocco dell’azienda (14). In questo ambito, il criterio<br />
di diligenza e professionalità posto dall’art.<br />
2489, comma 2 (15).<br />
La deliberazione assembleare concernente<br />
i poteri dei liquidatori<br />
Ciò che appare profondamente innovato è invece<br />
il rapporto dialettico tra il modello gestorio di<br />
base (l’ambito, cioè, degli atti utili alla liquidazione)<br />
Note:<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
(13) Giudica antistorica una lettura dell’art. 2489 che escluda dagli<br />
«atti utili» per la liquidazione l’eventuale continuazione dell’attività<br />
d’impresa Rossi A., Sub art. 2489, cit., 2239.<br />
(14) Nell’ambito degli atti utili vengono sostanzialmente comprese<br />
quelle che la previgente disciplina considerava come «operazioni<br />
non nuove»: v. Di Brina, La responsabilità per le nuove<br />
operazioni successive allo scioglimento delle società per azioni,<br />
cit., passim.<br />
(15) Con riferimento alla responsabilità in fase di scioglimento,<br />
si è ritenuto in giurisprudenza che «l’abrogazione del previgente<br />
art. 2449 c.c. non ha ristretto, bensì ampliato, il perimetro<br />
della responsabilità degli amministratori, in quanto gli attuali<br />
art. 2485 e 2486 c.c. superano il divieto delle sole operazioni<br />
«nuove», riferendosi a qualsiasi danno cagionato alla società,<br />
ai creditori o ai terzi» (Trib. Milano 3 febbraio 2010, in Giur. it.,<br />
2010, 2352, con nota di Aiello). La stessa sentenza ha ritenuto<br />
che «quando la società versi in stato di scioglimento, le trattative<br />
volte a realizzare una partnership con soggetti terzi sono<br />
fonte di responsabilità per gli amministratori ove determinino<br />
la prosecuzione della gestione speculativa, quand’anche finalizzata<br />
alla salvaguardia dell’avviamento aziendale e dei posti<br />
di lavoro». Ritiene che la prospettiva liquidativa ‘‘obbiettivizzi’’<br />
i compiti dei liquidatori e finisce con l’incidere sul loro agire,<br />
concedendo la possibilità di una valutazione giudiziale anche di<br />
merito della loro attività Niccolini, Sub art. 2489, cit., 1782, nota<br />
26. Sul punto, cfr. Parrella, Sub art. 2489, cit.280,RossiA.,<br />
Sub art. 2489, cit., 2239 ss.<br />
Le Società 7/2012 773
Giurisprudenza<br />
Diritto societario<br />
e l’intervento correttivo in sede assembleare ex art.<br />
2487, comma 1, lett. c).<br />
Quell’intervento, da considerare eventuale (16),<br />
assume infatti valenze diverse secondo che sia diretto<br />
ad indicare ai liquidatori la necessità di proseguire<br />
nella gestione conservativa, a ridurla (o escluderla<br />
del tutto) ovvero ad estenderla (17).<br />
L’estensione del potere di ingerenza dell’assemblea<br />
nella sfera gestoria dei liquidatori non annulla<br />
la distinzione dei ruoli, ove siano in gioco interessi<br />
non disponibili da parte dell’assemblea dei soci.<br />
L’indicazione assembleare (e la disposizione statutaria,<br />
che contenesse regole di attuazione del procedimento<br />
liquidativo) dovrebbe, pertanto, essere disattesa<br />
dai liquidatori se contrastasse con il dovere di<br />
conservazione della garanzia patrimoniale della società<br />
nei confronti dei creditori, e quindi idonea a<br />
far assumere ad essi la relativa responsabilità, oppure<br />
se comportasse sostanziali deviazioni dal fine autenticamente<br />
liquidativo del loro ruolo.<br />
Se in gioco è invece il solo interesse dei soci alla<br />
definizione dei criteri di liquidazione della quota, la<br />
deliberazione assembleare può costituire per i liquidatori<br />
un’indicazione vincolante per lo sviluppo della<br />
procedura, ampliando o restringendo il margine<br />
della loro discrezionalità nell’impostazione del pro-<br />
gramma liquidativo e nella sua attuazione, anche<br />
con riguardo a specifiche operazioni ed alle relative<br />
modalità (fino alla determinazione dei poteri e dei<br />
criteri relativi alla cessione di singoli beni o diritti).<br />
La necessaria adesione alle indicazioni dei soci, quindi,<br />
comprime l’ambito della discrezionalità dei liquidatori<br />
con conseguente creazione di un modello gestorio<br />
ibrido, che in fase liquidativa può giungere<br />
(contrariamente a quanto accade per le società per<br />
azioni, in fase di gestione fisiologica) alla condivisione<br />
assembleare della gestione. Fermo restando lo<br />
scopo dissolutivo-estintivo dell’organismo sociale, i<br />
soci possono cioè influenzare l’opera dei liquidatori<br />
nella scelta delle modalità di gestione e vendita dei<br />
beni sociali, indicando come prioritarie le esigenze<br />
di dissoluzione atomistica o, viceversa, aggregata,<br />
con conseguente esercizio provvisorio dell’impresa.<br />
Note:<br />
(16) Con riguardo alla società per azioni, l’art. 2487, comma 1,<br />
lett. c) appare una deroga alla disposizione dell’art. 2364, in materia<br />
di competenze dell’assemblea.<br />
(17) Pur con il limite della preclusione di una ripresa dell’ordinaria<br />
gestione, che significherebbe sostanziale revoca della liquidazione<br />
e dovrebbe quindi essere attuata nel rispetto delle disposizioni<br />
di cui all’art. 2487 ter.<br />
774 Le Società 7/2012
S.r.l.<br />
La cessione di quote del capitale<br />
della s.r.l.<br />
di Vincenzo Salafia<br />
Si prende in esame e si critica la tesi della derogabilità del testo del primo comma dell’art. 2470 c.c. rilevando<br />
qualche effetto negativo che potrebbe derivarne.<br />
Presentazione del problema<br />
Per effetto delle modificazioni introdotte dall’art.<br />
12 quater, L. 28 gennaio 2009, n. 2, il primo comma<br />
dell’art. 2470, intitolato ‘‘Efficacia e pubblicità’’,<br />
dispone che «il trasferimento delle partecipazioni<br />
ha effetto di fronte alla società dal momento del<br />
deposito di cui al successivo comma». Questo stabilisce<br />
che «l’atto di trasferimento, con sottoscrizione<br />
autenticata, deve essere depositato entro trenta<br />
giorni, a cura del notaio autenticante, presso l’ufficio<br />
del Registro delle imprese nella cui circoscrizione<br />
è stabilita la sede sociale».<br />
Le modificazioni hanno, pertanto, sostituito il deposito<br />
dell’atto di cessione nel Registro delle imprese<br />
all’iscrizione nel libro dei soci, che tradizionalmente<br />
nel nostro ordinamento societario costituiva<br />
il fatto dal quale dipendeva l’efficacia del trasferimento<br />
verso la società.<br />
L’intervento innovativo non è stato limitato a disporre<br />
un nuovo sistema regolatore degli effetti dei<br />
trasferimenti delle quote in questione, ma ha proseguito<br />
sancendo la soppressione del libro soci nell’organizzazione<br />
della società a r.l.<br />
Le nuove regole hanno già presentato difficoltà interpretative<br />
soprattutto per quanto riguarda il loro<br />
grado di vincolatività.<br />
Laddove concordemente si è riconosciuta la derogabilità<br />
della norma relativa alla soppressione del libro<br />
soci, contrastanti tesi interpretative sono state<br />
elaborate intorno al grado di efficacia del nuovo testo<br />
del primo comma dell’art. 2470 c.c.<br />
Ne è stata sostenuta da una parte (1) la stessa derogabilità<br />
riconosciuta alla regola delle soppressione<br />
del libro soci; da altra parte (2), invece, se ne è affermata<br />
la natura imperativa.<br />
Opinioni<br />
Diritto societario<br />
La tesi della derogabilità del primo comma<br />
dell’art. 2470 c.c.<br />
La tesi della derogabilità è stata ampiamente ed<br />
acutamente argomentata. Anzitutto, si osserva che<br />
la data del deposito dell’atto di cessione nel Registro<br />
delle imprese non sempre può coincidere con<br />
quella del trasferimento della quota. Se il negozio<br />
fosse sottoposto a condizione sospensiva, come per<br />
esempio al gradimento degli amministratori o dell’assemblea<br />
della società, secondo quanto lo statuto<br />
al riguardo disponesse, l’effetto del trasferimento<br />
dovrebbe necessariamente essere rinviato a quando<br />
il gradimento fosse positivamente espresso.<br />
In secondo luogo, ove l’atto di trasferimento concentrasse<br />
nel cessionario tutto il capitale sociale,<br />
gli amministratori della società dovrebbero farne<br />
dichiarazione al Registro delle imprese entro trenta<br />
giorni dalla data dell’avvenuta concentrazione,<br />
secondo quanto dispone l’art. 2470, comma 4,<br />
c.c. Ugualmente, il quinto comma dello stesso articolo<br />
dispone che gli amministratori devono presentare<br />
al registro imprese la dichiarazione della<br />
ricostituzione della pluralità deisociquandone<br />
abbiano constatato la sopravvenienza. Il termine<br />
per la presentazione della dichiarazione decorre<br />
Note:<br />
(1) Rescio, Soppressione del libro soci: ulteriori riflessioni, nota<br />
a Trib. Verona, Giud. reg. impr.,14 settembre 2009, in questa Rivista,<br />
2009, 1497; Fico, Trasferimento quote di s.r.l.: autentica<br />
notarile e sottoscrizione con firma digitale dell’intermediario abilitato,<br />
in questa Rivista, 2010, 835.<br />
(2) Cfr. obiter dictum in Trib. Verona, decr., Giud. reg. impr., cit,<br />
ed altri autori indicati in nota 2 da Rescio, fra i quali: Massima n.<br />
115 elaborata da Commissione principi uniformi approvata dal<br />
Cons. Naz. Notariato; Nardone - Ruotolo, La soppressione del libro<br />
soci nella s.r.l., in Cons. naz. not. - Studi e materiali, 2,<br />
2009.<br />
Le Società 7/2012 775
Opinioni<br />
Diritto societario<br />
dal momento dell’avvenuta variazione della compagine<br />
sociale e non da quello del deposito nel<br />
registro imprese dell’atto di trasferimento, i cui effetti<br />
interrompono o ricostituiscono la pluralità<br />
dei soci. La legge, cioè, tiene conto del fatto che<br />
l’efficacia del trasferimento potrebbe non coincidere<br />
con la data del deposito del relativo atto nel<br />
registro imprese e rimette, pertanto, agli amministratori<br />
di procedere alla verifica di questa efficacia<br />
prima di predisporre la dichiarazione al Registro<br />
imprese.<br />
In forza di questi argomenti si sostiene che, ove la<br />
società istituisca il libro soci, statutariamente può<br />
disporre che, fermo restando l’adempimento del<br />
preventivo obbligo di deposito nel registro imprese<br />
dell’atto di trasferimento, l’acquirente potrà essere<br />
ammesso all’esercizio dei diritti sociali solo dopo l’iscrizione<br />
dell’atto nel libro soci.<br />
Si riconosce, così, al deposito dell’atto nel Registro<br />
delle imprese l’efficacia di rendere opponibile il trasferimento<br />
alla società e la si rinvia al momento<br />
successivo all’iscrizione del medesimo atto nel libro<br />
soci per quanto riguarda la legittimazione dell’acquirente<br />
all’esercizio dei diritti sociali.<br />
La tesi dell’inderogabilità<br />
La tesi che sostiene l’inderogabilità della nuova<br />
norma fa leva soprattutto sul fatto che il legislatore<br />
non si è avvalso, nella lettera del nuovo testo del<br />
primo comma dell’art. 2470 c.c., della formula «salvo<br />
che l’atto costitutivo disponga diversamente»,<br />
altrove impiegata per salvaguardare l’autonomia<br />
della società nel decidere eventualmente la deroga<br />
dalla regola legale.<br />
In secondo luogo rileva l’esistenza di un interesse<br />
generale alla base della nuova norma, in presenza<br />
del quale la deroga da essa deve stimarsi incompatibile.<br />
Critica della prima tesi<br />
Riconosco, anzitutto, la robustezza delle argomentazioni<br />
della prima tesi che si contrappongono agevolmente<br />
a quelle addotte a sostegno della seconda,<br />
che, ad una prima lettura, possono apparire meno<br />
persuasive in quanto non sostenute da forti argomenti.<br />
Premetto che, a mio giudizio, non riesce facile criticare<br />
la prima delle due tesi esposte, ma intuisco che<br />
forse un approfondimento della lettura della nuova<br />
regolamentazione e l’individuazione delle ragioni<br />
che l’hanno determinato potrebbero fare approdare<br />
a qualche risultato più accettabile.<br />
Inizio col rilevare che il primo comma dell’art.<br />
2470 c.c. non dispone che la data del trasferimento<br />
della partecipazione coincide con la data del relativo<br />
atto nel registro imprese; stabilisce soltanto che<br />
il trasferimento della quota, come oggetto dell’atto<br />
depositato, ha effetto di fronte alla società dal momento<br />
del deposito.<br />
Nel menzionare il trasferimento la norma intende<br />
far riferimento a quello specifico effetto prodotto<br />
dal negozio depositato nel registro imprese.<br />
La data dell’effetto traslativo, proprio del negozio di<br />
trasferimento, non può che dipendere dal contenuto<br />
del negozio, nel senso che gli eventuali ostacoli<br />
frapposti dalle parti alla sua realizzazione mantengono<br />
la propria rilevanza giuridica, anche in presenza<br />
della avvenuta efficacia del negozio di fronte alla<br />
società.<br />
Correttamente la prima delle due tesi in esame riconosce<br />
la compatibilità della nuova norma con il<br />
sistema giuridico relativo alla cessione delle quote<br />
della s.r.l., secondo il quale gli statuti possono subordinarne<br />
l’efficacia traslativa a speciali condizioni<br />
(cfr. art. 2469 c.c.).<br />
Tuttavia, a mio sommesso giudizio, riconoscere<br />
questa compatibilità non comporta direttamente<br />
anche il riconoscimento che l’innovazione legislativa<br />
sarebbe compatibile con una norma statutaria la<br />
quale disponesse la sola subordinazione dell’esercizio<br />
dei diritti sociali alla preventiva iscrizione del<br />
trasferimento nel libro soci.<br />
A me sembra, anzitutto, che questa subordinazione<br />
non riguardi il negozio di cessione, nel senso che<br />
attenga al suo contenuto, ma solo una situazione di<br />
fatto, esterna al negozio, che l’acquirente avrebbe<br />
l’onere di realizzare se vuole essere ammesso all’esercizio<br />
dei diritti sociali. Questa subordinazione,<br />
cioè, èfenomeno diverso dalle clausole che, nell’economia<br />
dell’art. 2469 c.c., possono ostacolare l’efficacia<br />
del negozio di cessione. Le clausole incidono<br />
direttamente sull’efficacia traslativa e, quindi, sulla<br />
sua causa, laddove invece un ostacolo esterno al<br />
negozio, posto da soggetto diverso dalle parti, non<br />
può incidere sull’efficacia traslativa che per disposizione<br />
di legge si realizza, in assenza di impedimenti<br />
interni al negozio, nel momento del deposito dell’atto<br />
nel registro, senza distinzione fra trasferimento<br />
della titolarità della partecipazione ed esercizio<br />
dei relativi diritti.<br />
In secondo luogo, a me pare che non sia sufficiente<br />
ricavare dalla verificata compatibilità della nuova<br />
norma con il sistema della cessione delle quote della<br />
s.r.l., quale si ricava dall’art. 2469 c.c., per dedurne<br />
la legittimità di una clausola statutaria che, in<br />
776 Le Società 7/2012
presenza di una cessione depositata nel registro imprese,<br />
ne postergasse l’efficacia relativa all’esercizio<br />
dei diritti sociali al momento dell’iscrizione nel libro<br />
soci. Non sufficiente perché si tratta di ostacoli,<br />
alla produzione degli effetti del negozio traslativo,<br />
di natura affatto differente; non utilizzabili per sostenere<br />
l’indifferenza del dettato legislativo di fronte<br />
ad una sua deroga, perché laddove le clausole negoziali<br />
incidono sull’efficacia dell’atto e non derogano,<br />
pertanto, dalla norma, gli ostacoli di altra natura<br />
alla stessa efficacia vi derogano, come sopra<br />
detto.<br />
In terzo luogo, penso che non può non darsi il dovuto<br />
rilievo al fatto che il legislatore, pur potendo<br />
limitare il proprio intervento innovatore alle modificazioni<br />
delle regole contenute nell’art. 2470 c.c.,<br />
ha voluto proseguire disponendo anche la soppressione<br />
del libro soci. Questa soppressione era assolutamente<br />
inutile in relazione alla nuova norma del<br />
primo comma dell’art. 2470, in presenza della quale<br />
il libro soci avrebbe conservato la sua fondamentale<br />
funzione di seguire le variazioni dell’originaria composizione<br />
della compagine sociale, sulla base delle<br />
rilevazioni fatte dagli amministratori nel registro<br />
imprese o delle comunicazioni che lo statuto avrebbe<br />
potuto imporre ai soci.<br />
Non sarebbe, pertanto, azzardato, a mio modesto<br />
parere, ritenere che quella soppressione ha voluto<br />
solo rafforzare la volontà di vietare la restaurazione,<br />
in forza dell’autonomia statutaria, del vecchio sistema<br />
della subordinazione dei trasferimenti delle quote<br />
del capitale delle s.r.l. all’iscrizione nel libro soci.<br />
In altri termini con l’eliminazione del libro soci il<br />
legislatore ha voluto, a mio modo di vedere, esprimere<br />
la volontà di sostituire inderogabilmente al<br />
vecchio sistema il nuovo regime di circolazione delle<br />
quote della s.r.l.<br />
Una ricostruzione della volontà legislativa, astraendo<br />
per un momento dalla lettera della nuova norma,<br />
su cui si basa sostanzialmente la seconda delle<br />
due tesi, potrebbe aiutare a risolvere il problema<br />
qui in esame.<br />
A quanto è dato sapere l’innovazione ha avuto essenzialmente<br />
lo scopo di semplificare la procedura<br />
di trasferimento delle quote della s.r.l., il cui baricentro,<br />
costituito dall’iscrizione nel libro soci, rimessa<br />
alla competenza degli amministratori, ne aveva<br />
reso complessa la realizzazione.<br />
Si potrebbe anche aggiungere che questa cosiddetta<br />
semplificazione contribuisce ad eliminare le controversie<br />
che talora in passato hanno accompagnato<br />
l’iscrizione delle cessioni nel libro soci a causa dei<br />
contrasti fra gli acquirenti e gli amministratori, con<br />
Opinioni<br />
Diritto societario<br />
l’effetto di situazioni paradossali nelle quali il cedente,<br />
ormai disinteressato, conservava la legittimazione<br />
all’intervento in assemblea e il cessionario ne<br />
veniva escluso, nonostante il suo evidente interesse.<br />
Se queste fossero state le ragioni giustificatrici dell’innovazione,<br />
penso che non potrebbe agevolmente<br />
negarsene la natura pubblica, nel senso che la rapida<br />
circolazione delle quote della s.r.l. e la riduzione<br />
delle controversie relative all’opposizione dei relativi<br />
effetti alla società corrispondono ad un interesse<br />
generale.<br />
Di conseguenza, si potrebbe argomentare dicendo<br />
che la restaurazione statutaria del vecchio istituto<br />
dell’iscrizione nel libro soci come condizione, sia<br />
pure della sola legittimazione all’esercizio dei diritti<br />
sociali, non farebbe che vanificare il valore dell’innovazione<br />
di recente introdotta. Senza, peraltro<br />
dire, che questa restaurazione verrebbe a limitare<br />
l’ampiezza dell’efficacia del negozio iscritto<br />
senza che dallo stesso registro risulti la limitazione.<br />
La comunicazione al pubblico potrebbe essere amputata<br />
da un intervento degli amministratori della<br />
società, sia pure conforme ad una astratta regola<br />
statutaria ma non soggetto ad iscrizione nel registro<br />
imprese.<br />
Il deposito dell’atto di trasferimento delle partecipazioni<br />
nel Registro delle imprese verrebbe privato<br />
dalla clausola statutaria della sua efficacia o di parte<br />
della sua efficacia senza che di questa privazione vi<br />
sia traccia nello stesso registro, come dovrebbe avvenire<br />
per i fatti modificativi degli effetti relativi<br />
agli atti iscritti. D’altra parte l’ordinamento non offre<br />
al cittadino strumenti che gli consentano, dopo<br />
aver rilevato per mezzo dell’esame dello statuto societario<br />
nel particolare contesto in cui egli si muove,<br />
di verificare se l’iscrizione del cessionario nel libro<br />
dei soci sia avvenuta.<br />
Esame di qualche effetto negativo<br />
del ‘‘nuovo’’ sistema<br />
Quali pregiudizi potrebbero derivare dal riconoscere<br />
che, per effetto della nuova norma contenuta nell’art.<br />
2470 c.c., solo il deposito del negozio di trasferimento<br />
delle quote della s.r.l. nel registro imprese<br />
costituisce l’unica condizione perché la sua efficacia<br />
possa opporsi alla società?<br />
Mi sembra che, se si accetta l’interpretazione sopra<br />
proposta, secondo la quale il deposito consente di<br />
opporre il trasferimento, con tutti gli ostacoli che<br />
alla sua concreta realizzazione le parti hanno posto,<br />
nessun pregiudizio potrebbe derivarne.<br />
Le Società 7/2012 777
Opinioni<br />
Diritto societario<br />
Gli amministratori potranno ugualmente eccepire,<br />
per esempio, il difetto del gradimento, nell’ipotesi<br />
in cui esso, come di consueto accade, non fosse stato,<br />
invece, richiesto dal socio alienante prima della<br />
stipulazione del negozio; con la conseguenza di dover<br />
riconoscere che l’effetto del trasferimento verso<br />
la società, che l’acquirente ricava dal deposito del<br />
negozio nel registro imprese, in tanto potrà essere<br />
concreto in quanto l’efficacia del negozio sia completata<br />
dal gradimento che le parti hanno concordato.<br />
Se il gradimento sarà negato, l’acquirente ha diritto<br />
di chiedere la risoluzione del contratto e l’iscrizione<br />
nel registro imprese come atto incidente direttamente<br />
sull’efficacia del negozio (3). In ogni caso,<br />
pur essendo possibile questa fattispecie, la pratica<br />
dimostra come nella realtà quotidiana essa sia quasi<br />
del tutto assente, perché, come già detto, il gradimento<br />
è inteso dallo stesso socio alienante come<br />
condizione che lo abilita a negoziare la cessione<br />
della quota.<br />
Se, come più di frequente accade, il negozio fosse<br />
stato stipulato senza osservare la procedura di prelazione<br />
in favore degli altri soci, prevista ed imposta<br />
dallo statuto, gli amministratori si troverebbero<br />
in presenza di un negozio invalido, ai cui effetti,<br />
peraltro, non potrebbero sottrarsi se non per<br />
mezzo della sua impugnazione e la richiesta di un<br />
provvedimento cautelare, che ne sospenda l’efficacia.<br />
Nel sistema precedente, sarebbe bastato il rifiuto di<br />
iscrizione nel libro soci per lasciare che la controversia<br />
rimanesse nelle sfere del socio cedente e del<br />
cessionario, mentre la società avrebbe potuto rimanere<br />
alla finestra in attesa che la lite venisse risolta,<br />
salvo che non avesse voluto direttamente promuovere<br />
la controversia o intervenire in quella promossa<br />
dai suoi soci.<br />
Questo vantaggio, che la società avrebbe potuto<br />
conseguire grazie al vecchio sistema di cessione<br />
delle quote del suo capitale, non può non essere<br />
stato valutato dal legislatore e, ciò nonostante, il<br />
rilievo della sua incompatibilità con il nuovo sistema<br />
non ha impedito che l’innovazione venisse disposta.<br />
In conclusione, a me pare che gli argomenti esposti<br />
a sostegno della prima tesi potrebbero essere rafforzati<br />
e divenire risolutivi del problema ove si riuscisse<br />
ad individuare le reali ragioni che hanno indotto<br />
il legislatore a disporre la soppressione del libro soci,<br />
la quale, almeno apparentemente, sembra essere<br />
stata ispirata dall’intento di esprimere meglio la volontà<br />
di vietare alle società interessate di ripristina-<br />
re statutariamente il vecchio sistema di subordinare<br />
gli effetti della cessione alla sua iscrizione nel libro<br />
soci.<br />
Nota:<br />
(3) Cfr. Cass. 13 maggio 2005, n. 19203, in questa Rivista 2006,<br />
992.<br />
778 Le Società 7/2012
Strumenti finanziari<br />
Il diritto di ripensamento<br />
nell’offerta fuori sede<br />
Cassazione civile, Sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065 - Pres. U. Vitrone- Est. M.C. Giancola - P.E. c.<br />
Banca Fideuram s.p.a.<br />
Contratti di borsa - In genere - Contratti fuori sede - Contratto di negoziazione di obbligazioni sulla base di un contrattoquadro<br />
- Art. 30, D.Lgs. n. 58/1998 - Diritto di recesso del cliente - Sussistenza - Esclusione - Fondamento<br />
(D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 30)<br />
La disciplina del recesso, dettata dall’art. 30, comma 6, D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 con riguardo alle offerte<br />
fuori sede concernenti il collocamento di strumenti finanziari, è inapplicabile ai contratti di negoziazione di obbligazioni<br />
eseguiti in attuazione di un contratto-quadro, sottoscritto fra la banca e il cliente, in quanto tali contratti<br />
non costituiscono un servizio di collocamento, che si caratterizza per l’esistenza di un accordo tra l’emittente<br />
(o l’offerente) e l’intermediario collocatore, finalizzato all’offerta ad un pubblico indeterminato di strumenti<br />
finanziari, emessi a condizioni di tempo e prezzo predeterminati, ed, inoltre, il legislatore ha limitato la<br />
tutela dello ‘‘ius poenitendi’’ agli investitori che abbiano definito l’investimento per essere stati raggiunti all’esterno<br />
dei luoghi di pertinenza del proponente e, quindi, siano stati esposti al rischio di assumere decisioni poco<br />
meditate (massima ufficiale).<br />
La Corte (omissis).<br />
5. - Con i motivi di impugnazione P. ha rispettivamente<br />
denunciato:<br />
1) violazione del D.Lgs. n. 58/1998, art. 30, commi 6 e<br />
7, art. 1418 c.c., per il fatto che, contrariamente a quanto<br />
ritenuto dalla Corte territoriale, gli ordini di acquisto<br />
in questione sarebbero configurabili come proposte contrattuali<br />
di mandato;<br />
2) violazione del medesimo art. 30, commi 9 e 7, in<br />
quanto, trattandosi di prodotti finanziari non bancari, si<br />
applicherebbe comunque il disposto del citato art. 30;<br />
3) violazione del detto art. 30, commi 6 e 7, e art. 12<br />
preleggi, poiché sia il sopra richiamato comma 9 dell’art.<br />
30, che l’interpretazione sistematica delle disposizioni in<br />
esame, deporrebbero nel senso che il legislatore avrebbe<br />
attribuito alle dizioni ‘‘contratti di collocamento’’ e ‘‘servizi<br />
di collocamento’’ formulate nell’art. 30 un significato<br />
atecnico, che renderebbe applicabile nel caso di specie<br />
l’obbligo di dare comunicazione all’investitore della<br />
facoltà di recesso, a pena di nullità dell’accordo;<br />
(omissis).<br />
6. a) - I primi tre motivi di impugnazione pongono sotto<br />
diverse angolazioni la medesima questione relativa all’applicabilità<br />
o meno del D.Lgs. n. 58/1998, art. 30,<br />
commi 6 e 7 al caso di specie, e devono pertanto essere<br />
esaminati congiuntamente, stante la connessione fra essi<br />
esistente.<br />
Più precisamente, il citato art. 30 disciplina l’offerta fuori<br />
sede di strumenti finanziari e di servizi e attività di investimento,<br />
prevedendo in particolare, per la parte di in-<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto dei mercati finanziari<br />
teresse, la sospensione per la durata di sette giorni dell’efficacia<br />
dei contratti di collocamento o di gestione di<br />
portafogli individuali eventualmente conclusi (comma<br />
6), nonché la nullità del relativo negozio traslativo, nell’ipotesi<br />
di omessa comunicazione all’investitore del suo<br />
diritto di avvalersi della facoltà di recesso, nell’arco temporale<br />
di sette giorni entro il quale l’efficacia del negozio<br />
rimane sospesa (comma 7).<br />
Rilevano poi, ai fini di interesse in questa sede, il primo<br />
ed il comma 9 dell’articolo in questione. Il primo, infatti,<br />
offre una definizione dell’offerta fuori sede, segnatamente<br />
stabilendo che per essa devono intendersi la promozione<br />
ed il collocamento presso il pubblico: a) di strumenti<br />
finanziari in luogo diverso dalla sede legale di colui<br />
che opera per sollecitare l’investimento; b) di servizi<br />
ed attività di investimento in luogo diverso dalla sede di<br />
colui agisce per la realizzazione del servizio o dell’attività;<br />
il nono precisa infine che l’intero articolo (e pertanto<br />
anche i sopra richiamati commi 6 e 7) si applica anche<br />
ai prodotti finanziari diversi dagli strumenti finanziari,<br />
oltre che a quelli emessi da imprese assicurative.<br />
6. b) - Il problema sottoposto all’attenzione del Collegio<br />
riguarda dunque la correttezza del giudizio formulato dal<br />
giudice del merito in ordine alla qualificazione dell’operazione<br />
per la quale è sorta controversia, e segnatamente<br />
consiste nello stabilire se, con riferimento alla detta qualificazione,<br />
sia o meno condivisibile l’affermata inapplicabilità<br />
della disciplina dettata dal citato art. 30 alla fattispecie<br />
oggetto di esame. In proposito va osservato che<br />
la Corte di Appello, con statuizione incontestata, ha in-<br />
Le Società 7/2012 779
Giurisprudenza<br />
Diritto dei mercati finanziari<br />
nanzitutto rilevato l’estraneità alla materia del contendere<br />
della fattispecie relativa alla gestione di portafogli individuali<br />
conclusi fuori sede (art. 30, comma 1, lett. b),<br />
circostanza da cui discende che l’ipotesi normativa da<br />
prendere in considerazione è esclusivamente quella concernente<br />
il collocamento di strumenti finanziari di cui<br />
all’art. 30, comma 1, lett. a).<br />
6. c) - Nel merito ha poi ritenuto che l’interpretazione<br />
‘‘della normativa primaria e secondaria di riferimento’’<br />
dovesse indurre ad escluderne l’applicabilità ai contratti<br />
di acquisto di ‘‘bond’’ Cirio stipulati con la banca intermediaria,<br />
dei quali nel presente giudizio è stata invocata<br />
la nullità.<br />
In punto di fatto va premesso che la Corte territoriale<br />
ha configurato i detti contratti come negozi attuativi di<br />
un atto quadro sottoscritto dalla banca Fideuram e dall’investitore<br />
P. in data (omissis), per effetto del quale l’istituto<br />
di credito si sarebbe assunto l’incarico di ricevere<br />
gli ordini dell’investitore relativi ai valori mobiliari, e di<br />
dare quindi corso alle conseguenti negoziazioni e sottoscrizioni.<br />
Il connotato saliente del richiamato accordo del (omissis)<br />
sarebbe poi individuabile nella predeterminazione<br />
del contenuto per uno solo dei contraenti, vale a dire la<br />
banca obbligatasi allo svolgimento dell’attività sopra indicata,<br />
essendo viceversa libero l’investitore ‘‘di attivare<br />
l’obbligo di fare della controparte attraverso la sottoscrizione<br />
di ordini’’. Alla luce della ricostruzione ora delineata<br />
la Corte di Appello ha quindi ritenuto che non<br />
fosse riscontrabile nel caso in esame un servizio di collocamento,<br />
essendo questo caratterizzato da un accordo tra<br />
l’emittente (o l’offerente) e l’intermediario collocatore,<br />
finalizzato all’offerta ad un pubblico indeterminato di<br />
strumenti finanziari, emessi a condizioni di tempo e prezzo<br />
predeterminati.<br />
Al contrario, nella specie, l’evocazione in giudizio della<br />
Fideuram sarebbe intervenuta per effetto di contratto di<br />
negoziazione accedente ad un deposito titoli per custodia<br />
ed amministrazione, e quindi sulla base di accordo stipulato<br />
dall’investitore con soggetto determinato e a condizioni<br />
non predeterminate, condizioni che varrebbero ad<br />
escludere, anche in via del tutto astratta ed ipotetica, la<br />
stessa configurabilità di un servizio di collocamento.<br />
7. a) - Osserva il Collegio che l’interpretazione della<br />
Corte di Appello risulta corretta e che il relativo giudizio<br />
deve essere quindi condiviso. Ed infatti depone innanzitutto<br />
nel senso indicato il dato testuale della normativa<br />
oggetto di esame. Al riguardo è stato già evidenziato<br />
come nel D.Lgs. n. 58/1998, art. 30, comma 1 il legislatore<br />
abbia puntualmente delineato la nozione dell’offerta<br />
fuori sede, stabilendo che per essa deve intendersi<br />
la promozione ed il collocamento presso il pubblico<br />
di strumenti finanziari (lett. a) e di servizi e attività di<br />
investimento (lett. b), in luogo diverso dalle sedi proprie<br />
degli operatori proponenti intervenuti.<br />
L’art. 1 del medesimo provvedimento normativo chiarisce<br />
poi cosa debba intendersi per strumenti finanziari<br />
(punto 2) e per servizi e attività di investimento (punto<br />
5), elencando con precisione analitica le diverse ipotesi<br />
da ricomprendere nella due diverse categorie di atti e di<br />
comportamenti, sinteticamente rappresentati, rispettivamente,<br />
con le due distinte nozioni di strumenti e di servizi.<br />
L’art. 30, comma 6 prescrive infine la sospensione di efficacia<br />
dei contratti conclusi fuori sede per la durata di<br />
sette giorni (decorrenti dalla sottoscrizione dell’investitore),<br />
entro i quali questi può esercitare il diritto di recesso,<br />
limitandolo però a quelli di collocamento di strumenti<br />
finanziari o di gestione di portafogli individuali.<br />
È di tutta evidenza, dunque, come non vi sia coincidenza<br />
fra la definizione dell’offerta fuori sede, quale formalizzata<br />
dal legislatore nell’art. 30, comma 1, e l’ambito di<br />
esercizio del diritto di recesso riconosciuto dal comma 6<br />
del medesimo articolo.<br />
Tale diritto è stato infatti stabilito per i contratti di collocamento<br />
di strumenti finanziari conclusi fuori sede<br />
(con esclusione pertanto di quelli soltanto promossi fuori<br />
sede, che viceversa rientrano nella previsione di cui al<br />
comma 1, lett. a), nonché limitatamente a quella parte<br />
dei servizi di investimento che riguarda la gestione di<br />
portafogli individuali e quindi, conclusivamente, in termini<br />
più contenuti e circoscritti rispetto alla fattispecie<br />
dell’offerta fuori sede delineata nel primo comma dell’art.<br />
30.<br />
Ma al di là del dato testuale, che depone inequivocabilmente<br />
nel senso ora delineato, vi è un’ulteriore considerazione<br />
che induce a ritenere che il legislatore abbia deliberatamente<br />
inteso circoscrivere l’esercizio del diritto<br />
di recesso a peculiari ipotesi specificamente determinate,<br />
e non già con riferimento ad una generica attività di collocamento<br />
fuori sede.<br />
Induce invero alla detta conclusione la circostanza che il<br />
legislatore abbia direttamente richiamato nel sesto comma<br />
solo parte del contenuto del comma 1, operando viceversa<br />
una modificazione per il rimanente. L’analiticità<br />
di una disciplina contenuta nel medesimo articolo, con<br />
prescrizioni solo in parte sovrapponibili, consente dunque<br />
di escludere che la diversità del richiamo possa essere<br />
ricondotto a refusi o a imprecisioni terminologiche, e<br />
denota piuttosto la peculiarità dell’intento perseguito<br />
con la formulazione della disposizione in esame.<br />
D’altra parte conferma indiretta della specificità del riferimento<br />
al servizio di collocamento sì trae pure dalla disposto<br />
del D.Lgs. n. 58, art. 1, comma 5, che, nel ricomprendere<br />
tra i servizi di investimento distinte attività di<br />
negoziazione (‘‘Le imprese di investimento possono procedere<br />
all’offerta fuori sede di prodotti diversi dagli strumenti<br />
finanziari e dai servizi e attività d’investimento...’’),<br />
implicitamente presuppone sia la diversità di quest’ultima<br />
rispetto al collocamento, sia l’attenzione posta<br />
dal legislatore nella individuazione delle distinte fattispecie<br />
da sottoporre ad una comune disciplina.<br />
7. b) - Se pertanto il dato testuale conforta l’interpretazione<br />
della normativa offerta dalla Corte di Appello, ad<br />
identiche conclusioni deve pervenirsi in relazione alla<br />
‘‘ratio’’ ispiratrice della disposizione di cui all’art. 30,<br />
comma 6, che riconosce all’investitore il diritto di recesso.<br />
Tale disposizione non costituisce una novità nel nostro<br />
ordinamento, essendo stata preceduta dai diversi inter-<br />
780 Le Società 7/2012
venti normativi succedutisi nel tempo, disciplinanti, con<br />
prescrizioni sul punto non sempre coincidenti, la distribuzione<br />
fuori sede di prodotti finanziari (si intende segnatamente<br />
fare riferimento alla L. 23 giugno 1974, n.<br />
216, alla L. 23 marzo 1983, n. 77, alla L. 2 gennaio<br />
1991, n. 1, al D.Lgs. n. 415/1996).<br />
In ogni modo ai fini che interessano in questa sede occorre<br />
evidenziare come sia stata cura del legislatore, nel<br />
disciplinare l’offerta di prodotti finanziari, di offrire una<br />
più ampia tutela, nell’ambito dei soggetti investitori, a<br />
quella parte di essi che avessero definito l’investimento<br />
in prodotti finanziari non già recandosi presso la sede<br />
dell’offerente, ma al contrario per essere stati da questo<br />
raggiunti all’esterno dei luoghi di pertinenza del proponente.<br />
Il motivo della detta distinzione fra le due diverse categorie<br />
di investitori è intuitivamente apprezzabile, ed è all’evidenza<br />
individuabile nel fatto che colui che si reca<br />
presso l’offerente con l’obiettivo di impiegare un risparmio<br />
ha maturato una propria convinta determinazione<br />
circa l’utilità dell’iniziativa adottata, determinazione viceversa<br />
non necessariamente sussistente - o quanto meno<br />
non sempre sorretta da adeguate certezze - per effetto<br />
della subita iniziativa da parte del venditore.<br />
Con la sospensione, per l’investitore, dell’efficacia della<br />
vendita per un arco temporale di sette giorni il legislatore<br />
ha dunque ritenuto di poter correggere le eventuali<br />
distorsioni negoziali derivanti dall’eventuale effetto ‘‘sorpresa’’<br />
subito dall’acquirente e di assicurare, quindi, un<br />
corretto equilibrio fra le posizioni dei due contraenti. Da<br />
quanto sinora esposto discende dunque che, in tanto<br />
può trovare ragionevole applicazione la disciplina dello<br />
‘‘ius poenitendi’’, in quanto si sia verificata una situazione<br />
in cui il risparmiatore sia stato esposto al rischio di<br />
assumere iniziative e prendere decisioni poco meditate.<br />
In punto di fatto la Corte di Appello, con ricostruzione<br />
non contrastata sotto questo riflesso, ha escluso che nel<br />
caso in esame fosse ravvisabile l’ipotesi sopra delineata,<br />
avendo collegato l’acquisto dei titoli da parte del P. alla<br />
preesistenza di un precedente rapporto intercorso fra le<br />
stesse parti, vale a dire ad un negozio quadro sostanzialmente<br />
assimilabile (per l’aspetto dell’accordo che rileva<br />
in questa sede) ad un contratto di mandato. Il fatto<br />
quindi che l’acquisto dei titoli non sia avvenuto per iniziativa<br />
dell’offerente, ma a seguito di un precedente accordo<br />
di carattere generale fra l’investitore ed il soggetto<br />
delegato per la definizione negoziale, comporta che nella<br />
specie sia ravvisabile una ipotesi di negoziazione, così come<br />
ritenuto dalla Corte di Appello, e non una ipotesi di<br />
collocamento, come sostenuto dal ricorrente.<br />
7. c) - Tale conclusione, d’altro canto è in linea con le<br />
indicazioni fornite al riguardo in via generale dalla Consob.<br />
Ed infatti con comunicazione del 9 luglio 1997 detto ente<br />
ha precisato che il servizio di collocamento è caratterizzato<br />
da un accordo tra emittente (o offerente) e collocatore,<br />
finalizzato all’offerta al pubblico di strumenti finanziari<br />
a condizioni di tempo e prezzo predeterminate,<br />
precisazione poi ulteriormente confortata dall’art. 35 del<br />
Regolamento n. 11522, secondo il quale nel prestare il<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto dei mercati finanziari<br />
servizio di collocamento gli intermediari si attengono alle<br />
disposizioni dell’offerente, al fine di assicurare l’uniformità<br />
delle procedure di offerta.<br />
7. d) - Infine la prospettata interpretazione dell’art. 30,<br />
comma 6 trova ulteriore conforto anche per due ulteriori<br />
ordini di ragioni.<br />
Innanzitutto in considerazione del disposto del comma 6<br />
dell’articolo in questione, che esclude la configurabilità<br />
dell’offerta fuori sede (pur nella sussistenza delle condizioni<br />
indicate nel comma 1) quando questa sia stata effettuata<br />
nei confronti di clienti professionali, così confermando<br />
l’intento di tutela dell’investitore dal rischio<br />
di assumere iniziative poco meditate, non essendo all’evidenza<br />
ravvisabile detto rischio nel caso di offerta ad<br />
operatore di peculiare competenza, in quanto tale non<br />
esposto al rischio di decisioni affrettate ed indotte dalle<br />
subite iniziative dell’altro contraente. Inoltre, in ragione<br />
dell’esigenza di privilegiare una interpretazione che tenga<br />
conto degli effetti eccezionali della disposizione (l’efficacia<br />
dell’accordo è infatti sospesa ex lege per la durata<br />
di sette giorni, termine entro il quale l’investitore può<br />
esercitare il diritto di recesso) e dei riflessi che la stessa è<br />
potenzialmente idonea a determinare. Sotto tale aspetto<br />
si intende evidenziare come il riconoscimento del diritto<br />
di recesso anche nel caso di negoziazione significherebbe<br />
consentire all’investitore, al di fuori delle sopra indicate<br />
ragioni che hanno indotto alla formulazione della disposizione,<br />
di beneficiare del differimento del termine iniziale<br />
di decorrenza del negozio in funzione dell’eventuale<br />
esercizio del detto diritto (fra l’altro non riconosciuto all’altro<br />
contraente), esercizio che, nel caso di preventivo<br />
mandato in favore dell’intermediario per la conclusione<br />
di negozi alle condizioni più favorevoli, ben potrebbe essere<br />
sollecitato anche da motivi di interesse economico,<br />
quali quelli determinati dalla possibilità di concludere<br />
acquisti di maggiore convenienza, per effetto di mutate<br />
situazioni di mercato.<br />
8. - L’inapplicabilità della disciplina relativa al diritto di<br />
recesso all’ipotesi oggetto di esame determina dunque<br />
l’infondatezza dei primi tre motivi di ricorso, rispetto ai<br />
quali giova comunque precisare che è priva di pregio la<br />
doglianza formulata con il primo motivo, secondo cui<br />
nella specie gli acquisti dei titoli non sarebbero stati effettuati<br />
in esecuzione di un pregresso atto quadro, ma sarebbero<br />
stati invece conclusi in relazione a singole ed<br />
autonome proposte contrattuali di mandato.<br />
Al riguardo è infatti sufficiente rilevare che la Corte di<br />
Appello, cui era stata sottoposta identica questione, ha<br />
specificamente motivato sul punto con specifiche argomentazioni<br />
che non sono state oggetto di censura.<br />
Ad identiche conclusioni deve poi pervenirsi per quanto<br />
concerne il secondo motivo, con il quale è stata invocata<br />
l’applicabilità dell’art. 30, comma 9, per il quale la disciplina<br />
dettata in tale articolo si applicherebbe anche ai<br />
prodotti finanziari diversi da quelli indicati nell’art. 100,<br />
comma 1, lett. f), nel cui ambito non sarebbero annoverabili<br />
quelli oggetto della contestata transazione.<br />
Anche nell’ipotesi indicata, infatti, l’applicabilità della<br />
disciplina dettata dall’art. 30 presuppone la configurabilità<br />
di una offerta fuori sede, sicché, una volta escluso<br />
Le Società 7/2012 781
Giurisprudenza<br />
Diritto dei mercati finanziari<br />
che sia stata posta in essere quest’ultima, ne discende<br />
automaticamente l’inconsistenza della relativa richiesta.<br />
Il terzo motivo affronta infine diffusamente la questione<br />
concernente l’interpretazione dell’art. 30, con riferimen-<br />
IL COMMENTO<br />
di Edoardo Guffanti<br />
to alle dizioni ‘‘contratti e servizi di collocamento’’, questione<br />
già affrontata nella precedente esposizione alle cui<br />
argomentazioni quindi si rinvia.<br />
(omissis).<br />
La sentenza qui commentata tocca due differenti tematiche, entrambe di interesse. La Suprema Corte si<br />
pronuncia dapprima sulla definizione del servizio di collocamento e sulla differenza rispetto al servizio di negoziazione<br />
per conto terzi. Tale precisazione è funzionale alla pronuncia sull’ambito di applicazione del diritto<br />
di ripensamento di cui all’art. 30, comma 6, TUF - in relazione alla quale sussiste un contrasto nella giurisprudenza<br />
di merito - che viene limitato al solo servizio di collocamento propriamente detto (oltre che al servizio<br />
di gestione di portafogli).<br />
Premessa<br />
La Corte di cassazione, con la sentenza del 14<br />
febbraio 2012, n. 2065, che qui si annota, chiarisce<br />
che il diritto riconosciuto dall’art. 30, comma 6,<br />
D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (‘‘TUF’’) non si applica<br />
alle compravendite di strumenti finanziari effettuate<br />
in esecuzione di ordini di acquisto impartiti<br />
nell’ambito del servizio di negoziazione per conto<br />
terzi (ora, ‘‘esecuzione di ordini per conto dei clienti’’).<br />
I temi di rilievo, affrontati dalla sentenza, sono<br />
sostanzialmente due: l’individuazione degli elementi<br />
distintivi del servizio di collocamento rispetto al<br />
servizio di negoziazione, e quello dell’effettivo ambito<br />
di applicazione del citato art. 30, comma<br />
6 (1).<br />
In merito al primo profilo, la Suprema Corte,<br />
nel valutare la correttezza del giudizio formulato dal<br />
giudice del merito, ha ritenuto che nel caso in esame<br />
non fosse riscontrabile un servizio di collocamento<br />
«essendo questo caratterizzato da un accordo<br />
tra l’emittente (o l’offerente) e l’intermediario collocatore,<br />
finalizzato all’offerta ad un pubblico indeterminato<br />
di strumenti finanziari, emessi a condizioni<br />
di tempo e prezzo predeterminati». La sentenza<br />
offre, quindi, lo spunto per analizzare la nozione del<br />
servizio di collocamento, contenuta nell’art. 1,<br />
comma 5, TUF, al fine di individuarne i requisiti<br />
tipizzanti.<br />
Con riguardo al secondo profilo, la Corte - muovendo<br />
dalla qualificazione del servizio di collocamento<br />
nel senso sopra riportato - giunge ad affermare<br />
che obbligare l’intermediario a comunicare la<br />
facoltà di recesso a pena di nullità anche nel caso<br />
di contratto di negoziazione varrebbe a «consentire<br />
all’investitore ... di beneficiare del differimento del<br />
termine iniziale di decorrenza del negozio in funzione<br />
dell’eventuale esercizio di detto diritto ..., esercizio<br />
che ... ben potrebbe essere sollecitato anche da<br />
motivi di mero interesse economico». Considerato<br />
che tale conclusione non risulta condivisa da parte<br />
della giurisprudenza di merito - prevalentemente<br />
orientata a sostenere un’interpretazione estensiva<br />
dell’art. 30, comma 6, TUF - la decisione della Suprema<br />
Corte riveste particolare importanza.<br />
Il servizio di collocamento: la nozione<br />
Il primo problema sottoposto all’attenzione della<br />
Suprema Corte riguardava la correttezza del giudizio<br />
formulato dalla Corte di Appello in ordine alla<br />
qualificazione dell’operazione di acquisto, per la<br />
quale era sorta la controversia, quale operazione di<br />
‘‘collocamento’’ ovvero di ‘‘negoziazione’’ di strumenti<br />
finanziari.<br />
L’assenza all’epoca dei fatti di una precisa definizione<br />
legislativa del servizio di collocamento ha indotto<br />
la Suprema Corte a fare riferimento alla pras-<br />
Nota:<br />
(1) Il caso trattato nella sentenza è relativo all’acquisto di ‘‘Cirio<br />
bond’’ a seguito di un’espressa richiesta di un investitore sul<br />
c.d. ‘‘grey market’’. Il contratto di compravendita di tali strumenti<br />
finanziari fu stipulato fuori sede, senza che la banca avesse informato<br />
l’investitore della facoltà di recesso allo stesso riconosciuta<br />
dall’art. 30, comma 6, TUF. L’investitore decise di citare<br />
in giudizio la banca, al fine di ottenere la declaratoria di nullità<br />
del contratto stipulato e la ripetizione dell’indebito. Il giudice di<br />
primo grado riconobbe la pretesa dell’investitore. Successivamente,<br />
la Corte d’Appello accolse il ricorso della banca e considerò<br />
corretta la condotta dell’istituto di credito. In relazione agli<br />
acquisti effettuati sul ‘‘grey market’’, v. Trib. Milano 7 luglio<br />
2010, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, II, 104, con nota di Accettella.<br />
782 Le Società 7/2012
si interpretativa elaborata dalla Consob, secondo la<br />
quale il servizio consisteva nell’offerta a potenziali<br />
investitori di un determinato quantitativo di strumenti<br />
finanziari a condizioni di tempo e prezzo predeterminate,<br />
sulla base di un accordo preventivo<br />
intercorrente tra l’intermediario collocatore ed il<br />
soggetto che emette (o vende) gli strumenti stessi<br />
(2).<br />
La Corte di Appello prima, e la Suprema Corte<br />
poi, fanno propria tale ricostruzione, giungendo ad<br />
affermare che:<br />
a) l’acquisto di strumenti finanziari effettuato da<br />
un investitore «a condizioni non predeterminate»<br />
non può qualificarsi come servizio di collocamento;<br />
b) nel caso in esame era «ravvisabile una ipotesi<br />
di negoziazione, ... e non un’ipotesi di collocamento»,<br />
dato che «l’acquisto dei titoli non è avvenuto<br />
per iniziativa dell’offerente, ma a seguito di un precedente<br />
accordo di carattere generale fra l’investitore<br />
ed il soggetto delegato per la definizione negoziale<br />
(la Banca, ndr.)».<br />
Sebbene la ricostruzione del contenuto del servizio<br />
di collocamento - fatta propria dalla Suprema<br />
Corte - sia stata elaborata dalla Consob antecedentemente<br />
al recepimento della direttiva 2004/39<br />
(c.d. MiFID), essa risulta ancora valida ed è sostanzialmente<br />
in linea con le successive indicazioni interpretative<br />
fornite dalla Commissione Europea, la<br />
quale ha definito il collocamento come il «servizio<br />
prestato a favore di un emittente in virtù del quale<br />
l’intermediario si impegna a collocare presso gli investitori<br />
strumenti finanziari per conto dell’emittente.<br />
Tale servizio - che può essere prestato con o<br />
senza impegno ... - è riferito all’attività di c.d. mercato<br />
primario» (3).<br />
Le interpretazioni dell’Autorità di vigilanza nazionale<br />
e della Commissione Europea pongono in<br />
luce la centralità dell’accordo tra emittente e collocatore<br />
e la conseguente necessità che il collocatore<br />
non sia anche il soggetto offerente (o emittente)<br />
degli strumenti finanziari). In altri termini, uno dei<br />
tratti caratterizzanti il servizio di collocamento era<br />
(ed è) individuabile nell’alterità soggettiva tra collocatore<br />
ed emittente (4). Pertanto, il soggetto che<br />
colloca presso la propria sede legale e/o le proprie<br />
dipendenze gli strumenti finanziari da lui stesso<br />
emessi non prestava (e non presta) il servizio di<br />
collocamento, bensì un’attività che costituisce il<br />
completamento della propria abilitazione all’emissione<br />
ed all’offerta di prodotti finanziari (c.d. collocamento<br />
diretto) (5). Coerentemente, le SGR potevano<br />
(e possono) commercializzare le quote dei<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto dei mercati finanziari<br />
propri OICR (6) senza dover ottenere l’autorizzazione<br />
alla prestazione del servizio di collocamento (7).<br />
Un secondo elemento qualificante il servizio di<br />
collocamento - posto in evidenza dalle ricordate interpretazioni<br />
e ripreso della Suprema Corte - è lo<br />
svolgimento di un’attività promozionale, funzionale<br />
alla realizzazione di un’offerta standardizzata. In proposito,<br />
è pacifico che tale connotato saliente non<br />
venga meno quando l’impegno alla promozione è<br />
assunto nei confronti di un altro collocatore, il quale<br />
a sua volta si è impegnato nei confronti dell’emittente<br />
a porre in essere la sollecitazione e a ricer-<br />
Note:<br />
(2) V. la Comunicazione Consob 9 luglio 1997, n. DAL/97006042,<br />
richiamata dalla successiva Comunicazione n. DI/98094245 del<br />
10 dicembre 1998.<br />
(3) Risposta n. 152 «Placing is the service provided by an investment<br />
firm to an issuer whereby the firm undertakes to place<br />
financial instruments with investors on behalf of the issuer.<br />
Placing can be carried out either on a firm commitment basis or<br />
not depending on the type of commitment that firms undertake<br />
towards the issuer. It refers to services provided by the investment<br />
firm related to primary market activities associated with<br />
the issuance of new instruments (including private equity)» in<br />
http://ec.europa.eu/yqol/index.cfm?fuseaction=question.show&questionId=152.<br />
(4) Per questa ragione, l’art. 35 del regolamento Consob n.<br />
11522/98 precisava che gli intermediari, nel prestare il servizio<br />
di collocamento, «si attengono alle disposizioni dettate dall’offerente<br />
o dal soggetto che organizza e costituisce il consorzio di<br />
collocamento».<br />
(5) Comunicazioni Consob n. SGE/RM/94002319 dell’11 marzo<br />
1994 e n. DIN/58349 del 28 luglio 2000, ove si afferma il principio<br />
e si precisa che «gli emittenti possono procedere direttamente<br />
al ‘‘collocamento’’ nei confronti del pubblico delle proprie<br />
azioni (senza necessità quindi di avvalersi di intermediari autorizzati<br />
al servizio di cui all’art. 1, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 58/<br />
1998) ove tale attività sia svolta presso la sede legale e/o le dipendenze».<br />
In senso conforme, Costi - Enriques, Il mercato mobiliare,<br />
Padova, 2004, 243 ss., Annunziata, La disciplina del mercato<br />
mobiliare, Milano, 2010, 94; Renzulli, L’offerta fuori sede,<br />
collocamento e offerta a distanza, in Lener, Diritto del mercato<br />
finanziario, Saggi, Torino, 2011, 260. Qualora, invece, la promozione<br />
e il collocamento avvenga in luogo diverso dalla sede legale<br />
o dalle dipendenze, l’attività si configura come una ‘‘offerta<br />
fuori sede’’ e come tale esercitabile soltanto dagli intermediari<br />
autorizzati, ai sensi dell’art. 30, D.Lgs. n. 58/1998 (v. infra).<br />
(6) In relazione ad una SGR devono considerarsi OICR propri sia<br />
i fondi dalla stessa istituiti (in qualità di SGR promotrice) o gestiti<br />
(in qualità di SGR gestore) sia le SICAV eterogestite ai sensi dell’art.<br />
43 bis TUF.<br />
(7) Sul punto, si osserva che la modifica del TUF operata dal<br />
D.Lgs. n. 164/2007 ed il successivo recente recepimento della<br />
direttiva UCITS IV hanno permesso alle SGR di ‘‘commercializzare’’<br />
anche le quote o azioni di OICR di terzi. Tale l’attività - limitata<br />
alle sole parti di OICR terzi - è volutamente identificata<br />
con una terminologia che non fa riferimento al concetto di collocamento,<br />
ed è disciplinata mediante un rinvio alla regolamentazione<br />
del servizio di collocamento e ricezione ordini. Art. 33,<br />
comma 2, lett. e bis), TUF. Lettera dapprima aggiunta dall’art. 8,<br />
D.Lgs. 17 settembre 2007, n. 164 e poi così modificata dall’art.<br />
1, D.Lgs. 16 aprile 2012, n. 47 che ha sostituito le parole:<br />
‘‘OICR propri o di terzi’’ con le parole: ‘‘OICR di terzi’’.<br />
Le Società 7/2012 783
Giurisprudenza<br />
Diritto dei mercati finanziari<br />
care altri collocatori ‘‘secondari’’. Anche in tale<br />
modello operativo (c.d. collocamento ‘‘verticale’’ o<br />
‘‘a catena’’) è, infatti, presente l’impegno alla promozione,<br />
tipico del servizio di collocamento (8).<br />
Dunque, all’epoca dei fatti il collocamento si caratterizzava<br />
per essere un’attività promozionale -<br />
strumentale alla realizzazione di un’offerta promossa<br />
da un soggetto terzo rispetto al collocatore - volta a<br />
far sottoscrivere/acquistare strumenti finanziari mediante<br />
proposte standardizzate, non negoziate con i<br />
singoli investitori.<br />
La qualificazione del contratto stipulato<br />
con la banca<br />
Muovendo dall’assunto che il servizio di collocamento<br />
si caratterizza per essere un’attività promozionale<br />
volta a far sottoscrivere/acquistare strumenti finanziari<br />
con modalità standardizzate, la Suprema<br />
Corte condivide il giudizio della Corte di Appello,<br />
secondo la quale i contratti di acquisto delle obbligazioni<br />
stipulati tra il cliente e la banca non sono<br />
‘‘contratti di collocamento’’, quanto piuttosto negozi<br />
attuativi di un contratto quadro di negoziazione. La<br />
Suprema Corte qualifica la fattispecie come ‘‘negoziazione<br />
per conto terzi’’ (ora, esecuzione ordini per<br />
conto dei clienti), in considerazione del fatto che gli<br />
acquisti degli strumenti finanziari sono avvenuti sulla<br />
base di «un accordo stipulato dall’investitore con<br />
un soggetto determinato e a condizioni non predeterminate»<br />
e quindi «per effetto di un contratto di<br />
negoziazione accedente ad un deposito titoli per custodia<br />
ed amministrazione». Nell’argomentare la propria<br />
conclusione, la Suprema Corte evidenza che la<br />
negoziazione per conto terzi si differenzia dal collocamento<br />
per le modalità di offerta: mentre nel collocamento<br />
l’offerta degli strumenti finanziari avviene a<br />
condizioni standardizzate e nell’ambito dello svolgimento<br />
di un’operazione di massa (9), nella negoziazione<br />
l’offerta avviene invece secondo condizioni definite<br />
di volta in volta con il cliente. Proprio la presenza<br />
di ‘‘condizioni non predeterminate’’ induce la<br />
Suprema Corte «ad escludere, anche in via del tutto<br />
astratta ed ipotetica, la stessa configurabilità di un<br />
servizio di collocamento».<br />
Al riguardo, si può altresì rilevare che il servizio<br />
di collocamento si distingueva (e si distingue) rispetto<br />
alla negoziazione anche per il fatto che l’intermediario<br />
collocatore offriva necessariamente all’investitore<br />
un investimento (nella forma dell’acquisto<br />
o della sottoscrizione), mentre la negoziazione<br />
può avere ad oggetto anche la vendita di strumenti<br />
finanziari e, quindi, un disinvestimento.<br />
Gli elementi tipizzanti sopra individuati della<br />
fattispecie ‘‘collocamento’’ sono utili anche a tracciare<br />
il confine rispetto ad altri due servizi di investimento:<br />
il servizio di negoziazione in conto proprio<br />
(art. 1, comma 5, lett. a), TUF) ed il servizio<br />
di ricezione e trasmissione di ordini (art. 1, comma<br />
5, lett. e), TUF).<br />
Rispetto al primo servizio, il collocamento (a fermo)<br />
si differenziava proprio per l’esistenza di un accordo<br />
‘‘a monte’’ intercorso con l’emittente, in forza<br />
del quale il collocatore si impegna(va) alla vendita<br />
a terzi degli strumenti finanziari preventivamente<br />
acquistati (o sottoscritti) dall’emittente (10).<br />
Il servizio di collocamento si distingueva, poi,<br />
dalla ricezione e trasmissione di ordini perché l’attività<br />
svolta non era limitata alla mera raccolta degli<br />
ordini ed al loro successivo invio ad altro soggetto<br />
(es. negoziatore) (11), ma includeva anche un’attività<br />
distributiva e di promozione realizzata su incarico<br />
dell’emittente (12). Il raccoglitore di ordini<br />
svolgeva, invece, una funzione ‘‘neutra’’ di passag-<br />
Note:<br />
(8) V comunicazione Consob DIN/1079230 del 19 ottobre 2001.<br />
(9) È possibile che il collocamento avvenga per tranches, e ciascuna<br />
tranche può essere riservata a talune categorie di investitori<br />
soltanto (ad esempio: investitori istituzionali; pubblico indistinto;<br />
dipendenti della società o del gruppo, ecc.), ma nell’ambito<br />
di ciascuna tranche l’operazione si realizzerà comunque a<br />
condizioni uniformi.<br />
(10) Prima del recepimento della MiFID era possibile affermare<br />
con certezza che l’acquisto (sottoscrizione) iniziale non esaurisse<br />
il ruolo del collocatore. V. comunicazione Consob BOR/RM/<br />
93005170 del 21 giugno 1993; comunicazione Consob n. DAL/<br />
97006042 del 9 luglio 1997, nella quale la Commissione esclude<br />
la configurabilità del servizio di collocamento proprio per l’assenza<br />
di un impegno nei confronti dell’emittente o alla successiva<br />
rivendita degli strumenti finanziari precedentemente acquistati.<br />
Nell’attuale quadro normativo anche il solo acquisto a fermo<br />
(underwriting), non seguito dal piazzamento degli strumenti (placing),<br />
potrebbe configurare il servizio di collocamento: così Calandra<br />
Bonaura, La trasparenza nei servizi bancari di investimento,<br />
in Giur. comm., 2008, I, 223. Nello stesso senso, Spada, Il<br />
collocamento, in D’Apice (a cura di), L’attuazione della Mifid in<br />
Italia, Bologna, 2010, 168.<br />
(11) Il servizio di ricezione e trasmissione di ordini, di cui all’art.<br />
1, comma 5, lett. e), TUF, può avere ad oggetto sia strumenti finanziari<br />
trattati sui mercati regolamentati (c.d. ‘‘mercato secondario’’),<br />
sia strumenti finanziari durante la fase di emissione (c.d.<br />
‘‘mercato primario’’). Nel primo caso gli ordini vengono trasmessi<br />
per l’esecuzione ad un negoziatore, nel secondo caso ad un<br />
collocatore.<br />
(12) V. comunicazione Consob n. BOR/RM/94009777 del 26 ottobre<br />
1994 e comunicazione n. DIN/1079230 del 19 ottobre<br />
2001. Nello stesso senso, Spada, op. cit., 171, il quale sottolinea<br />
che la convenzione tra emittente e collocatore contribuisce<br />
la tracciare un precisa linea di demarcazione con il servizio di ricezione<br />
e trasmissione ordini. Conforme, Renzulli, op. cit., 261;<br />
Carozzi - Schiavelli, Il contratto di collocamento fuori sede, in<br />
Gabrielli - Lener (a cura di), I contratti del mercato finanziario, Torino,<br />
2010, 1167.<br />
784 Le Società 7/2012
gio degli ordini, in quanto «si limita(va) a ricevere<br />
e trasmettere gli ordini della clientela, senza svolgere<br />
alcuna attività di promozione o di offerta di valori<br />
mobiliari e senza essere incaricato ... del collocamento<br />
degli stessi» (13).<br />
Nel nostro sistema normativo, anche a seguito<br />
del recepimento delle direttive MiFID, l’elemento<br />
della promozionalità resta un elemento distintivo<br />
del servizio di collocamento rispetto alla ricezione e<br />
trasmissione di ordini. Sebbene a livello comunitario<br />
l’interpretazione del servizio fornita risulti in linea<br />
con la prassi interpretativa della Consob (14)<br />
(v. supra), la Commissione Europea ritiene, da un<br />
lato, che il servizio di ‘‘ricezione e trasmissione ordini’’<br />
sia compatibile con l’attività promozionale e,<br />
dall’altro, che il servizio di collocamento si svolge<br />
esclusivamente sul solo mercato primario, per tale<br />
intendendosi il mercato in cui ha luogo l’offerta di<br />
titoli di nuova emissione. La diretta conseguenza di<br />
tale impostazione è che l’attività prestata dall’intermediario<br />
incaricato di promuovere la sottoscrizione<br />
di quote di OICR (armonizzati) viene qualificata<br />
come ‘‘ricezione e trasmissione di ordini’’, e non<br />
collocamento (15). In tale prospettiva, l’attività<br />
svolta dal distributore - pur avendo un carattere<br />
promozionale - non è qualificabile come collocamento,<br />
poiché le quote dell’OICR (armonizzati) sono<br />
emesse in modo continuativo per far fronte alle<br />
richieste dei sottoscrittori e non sono, quindi, ‘‘collocate’’<br />
o ‘‘sottoscritte’’ sul mercato primario (16).<br />
In sintesi, l’interpretazione comunitaria di ‘‘ricezione<br />
e trasmissione di ordini’’ pare più ampia di quella<br />
nazionale e, quindi, idonea a ricomprendere le<br />
modalità ‘‘distributive’’ di quote di OICR (armonizzati),<br />
nelle quali l’elemento iniziale del processo è<br />
la richiesta del cliente alla quale fa seguito l’emissione<br />
(continuativa) dello strumento da parte della<br />
società-prodotto (17).<br />
Come tutti i servizi di investimento, il collocamento,<br />
per qualificarsi come tale, doveva (e deve<br />
tutt’ora) avere ad oggetto ‘‘strumenti finanziari’’.<br />
Non rientrava, quindi, nella nozione di collocamento<br />
propriamente detta l’attività che avesse ad oggetto<br />
prodotti finanziari diversi dagli strumenti finanziari<br />
(18) o servizi di investimento (19). Discorso<br />
diverso valeva (e vale) relativamente all’ambito di<br />
applicazione delle regole di condotta disciplinanti i<br />
servizi di investimento, dato che ai sensi dell’art. 25<br />
bis TUF tali regole si applicano anche «alla sottoscrizione<br />
ed al collocamento di prodotti finanziari<br />
emessi da banche e da imprese di assicurazioni».<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto dei mercati finanziari<br />
Note:<br />
(13) Comunicazione Consob n. BOR/RM/94009777 del 26 ottobre<br />
1994. Per questa ragione non era riconducibile al servizio di<br />
ricezione e trasmissione ordini l’attività dei c.d. ‘‘collocatori secondari’’<br />
(ossia i collocatori incaricati non direttamente dall’emittente,<br />
ma da altri collocatori) i quali erano impegnati a svolgere<br />
la promozione ed il collocamento (v. supra).<br />
(14) Q&A on MiFID, domanda n. 3.2 «Placing is the service provided<br />
by an investment firm to an issuer whereby the firm undertakes<br />
to place financial instruments with investors on behalf of the<br />
issuer. Placing can be carried out either on a firm commitment<br />
basis or not depending on the type of commitment that firms undertake<br />
towards the issuer. It refers to services provided by the<br />
investment firm related to primary market activities associated<br />
with the issuance of new instruments (including private equity)».<br />
(15) Risposta n. 263 «With respect to the factual scenario submitted,<br />
the service provided to the client by the investment firm normally<br />
constitutes the provision of the services of reception and<br />
transmission of orders as per Annex I, Section A(1) of the MiFID.<br />
In this scenario, which involves the sale of units in an open-ended<br />
collective investment scheme where shares are continually being<br />
issued to satisfy the demand by new investors, the investment<br />
firm does not provide the service of underwriting and/or placing issues<br />
in respect of the issuer». V anche Risposta n. 92 «With respect<br />
to the factual scenario submitted, the service provided to<br />
the client by the investment firm normally constitutes the provision<br />
of the services of reception and transmission or execution of<br />
orders as per Annex I, Section A para (1) of the MiFID. In this scenario,<br />
which involves the sale of units in an open-ended collective<br />
investment scheme where shares are continually being issued to<br />
satisfy the demand by new investors, the investment firm does<br />
not provide the service of underwriting and/or placing issues in respect<br />
of the issuer». In merito alla qualificazione dell’attività di distribuzione<br />
di quote di OICR, Spada, op. cit., 172.<br />
(16) In Italia, attualmente, un investitore può accedere, o essere<br />
orientato, ad un investimento in OICR mediante quattro distinte<br />
modalità, che implicano distinte relazioni negoziali tra gli intermediari<br />
offerenti servizi diversi e gli investitori:<br />
– ricezione e trasmissione di ordini in modalità execution only;<br />
– ricezione e trasmissione di ordini (tout court);<br />
– collocamento;<br />
– consulenza in materia di investimenti.<br />
Vedi, Consob, Quaderno di Finanza, n. 61, 2008, 53.<br />
(17) In occasione del recepimento in Italia della direttiva UCITS IV<br />
(2009/65/CE), Banca d’Italia ha chiarito nel documento di consultazione<br />
che «la normativa di derivazione MiFID - e la lettura interpretativa<br />
che di essa hanno reso nel tempo le autorità comunitarie<br />
e nazionali - ha espressamente consentito, chiarendo una tematica<br />
in passato controversa, la possibilità che un raccoglitore di<br />
ordini trasmetta direttamente all’emittente una richiesta di sottoscrizione<br />
o di rimborso relativa a OICR. In tal caso, ove ne sussistano<br />
i presupposti, il raccoglitore di ordini può operare anche in<br />
modalità execution only». Anche il CESR aveva avuto modo di<br />
pronunciarsi a favore della sottoscrizione di quote di OICR armonizzati<br />
in regime di execution only e, quindi, nell’ambito del servizio<br />
di ricezione ordini (Ref.: CESR/09-963, pag. 67). In relazione<br />
agli OICR non armonizzati, CESR «Q&A MiFID complex and non<br />
complex financial instruments for the purposes of the Directive’s<br />
appropriateness requirements» (Ref.: CESR/09-559).<br />
(18) Costituiva un’eccezione a tale regola il classamento presso il<br />
pubblico di obbligazioni bancarie, che non costituiva la prestazione<br />
del servizio di collocamento di cui al TUF, bensì un’attività di raccolta<br />
del risparmio tra il pubblico disciplinata dal TUB (ferma restando,<br />
ovviamente, l’applicazione della disciplina sull’offerta fuori<br />
sede che, come meglio indicato nel prosieguo, ha un ambito di applicazione<br />
diverso e più ampio rispetto al servizio di collocamento).<br />
(19) Il punto è pacifico in dottrina. In passato, Banca d’Italia aveva<br />
affermato che l’offerta al pubblico presso le proprie sedi di<br />
(segue)<br />
Le Società 7/2012 785
Giurisprudenza<br />
Diritto dei mercati finanziari<br />
L’offerta fuori sede: il diritto<br />
di ripensamento<br />
Dopo aver chiarito che l’acquisto delle obbligazioni<br />
è avvenuto in base ad un contratto di negoziazione<br />
per conto terzi, la Suprema Corte affronta<br />
la seconda questione sottoposta alla sua attenzione<br />
- in relazione alla quale sussiste un contrasto nella<br />
giurisprudenza di merito - e, cioè, se le disposizioni<br />
contenute nell’art. 30, comma 6, TUF, trovino applicazione<br />
solo con riferimento ai contratti di collocamento<br />
di strumenti finanziari (e di gestione di<br />
portafogli individuali), ovvero si applichino indistintamente<br />
a tutti i contratti relativi a servizi di investimento,<br />
ivi compresa la negoziazione per conto<br />
terzi.<br />
In altri termini, alla Suprema Corte viene chiesto<br />
di verificare se vi sia coincidenza fra la definizione<br />
dell’offerta fuori sede, formalizzata dal legislatore<br />
nell’art. 30, comma 1, TUF e l’ambito di esercizio<br />
del diritto di ripensamento riconosciuto dal comma<br />
6 del medesimo articolo.<br />
Com’è noto, il disposto dell’art. 30, comma 6,<br />
TUF riconosce all’investitore il diritto di recesso<br />
dai contratti conclusi fuori sede, da esercitarsi entro<br />
sette giorni dalla data di sottoscrizione. La previsione<br />
- che si riallaccia a norme già previste nella legislazione<br />
previgente (20) - riconosce all’investitore<br />
un vero e proprio jus poenitendi, stabilendo che<br />
«l’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti<br />
finanziari o di gestione di portafogli individuali<br />
conclusi fuori sede è sospesa per la durata di<br />
sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione<br />
da parte dell’investitore (21). Entro detto termine<br />
l’investitore può comunicare il proprio recesso (si<br />
ritiene, in forma libera) senza spese né corrispettivo<br />
...».<br />
Al fine di dirimere la questione, la Suprema<br />
Corte evidenzia come il legislatore nazionale abbia<br />
puntualmente delineato la nozione di offerta fuori<br />
sede al primo comma, stabilendo che per essa debba<br />
intendersi la promozione ed il collocamento presso<br />
il pubblico di strumenti finanziari e di servizi ed attività<br />
di investimento in luogo diverso dalle sedi<br />
proprie degli operatori proponenti intervenuti. Più<br />
in dettaglio, l’art. 30, comma 1, TUF definisce ‘‘offerta<br />
fuori sede’’ la promozione e il collocamento<br />
presso il pubblico di:<br />
a) strumenti finanziari in luogo diverso dalla sede<br />
legale o dalle dipendenze dell’emittente, del proponente<br />
l’investimento o del soggetto incaricato<br />
della promozione o del collocamento;<br />
b) servizi e attività di investimento in luogo di-<br />
verso dalla sede legale o dalle dipendenze di chi<br />
presta, promuove o colloca il servizio (22).<br />
Sebbene l’offerta fuori sede di prodotti o servizi di<br />
terzi richieda, di norma, che l’intermediario sia<br />
autorizzato alla prestazione del servizio di collocamento<br />
(23), il perimetro di tali due attività non<br />
coincide. La definizione di cui all’art. 30, comma 1,<br />
evidenzia con chiarezza che ‘‘offerta fuori sede’’ e<br />
‘‘collocamento’’ hanno un diverso ambito oggettivo<br />
di applicazione, dato che l’offerta fuori sede - diversamente<br />
dal collocamento propriamente detto -<br />
può avere ad oggetto anche servizi di investimento<br />
e prodotti finanziari. Tale elemento non rappresenta,<br />
tuttavia, l’unica diversità intercorrente, in quanto<br />
l’offerta fuori sede è tale soltanto se prestata nei<br />
confronti di clienti al dettaglio (24), laddove, invece,<br />
il servizio di collocamento resta tale anche se<br />
prestato nei confronti di clienti professionali.<br />
Al fine di comprendere in che cosa si concretizzi<br />
propriamente l’offerta fuori sede, due sono gli elementi<br />
della definizione che risultano particolarmen-<br />
Note:<br />
(segue nota 19)<br />
un servizio di gestione individuale fornito da terzi non configura<br />
la prestazione del servizio di collocamento, ferma restando la<br />
necessità di applicare le regole di correttezza e trasparenza nei<br />
confronti dei potenziali investitori, v. Banca d’Italia, Bollettino di<br />
vigilanza, 1999, VI, 4.<br />
(20) V. già l’art. 1/18 ter, L. n. 216/1974 e l’art. 5, L. n. 1/1991.<br />
La disciplina antecedente al TUF aveva peraltro sollevato ampio<br />
dibattito in merito all’effettiva individuazione del dies a quo per il<br />
computo del termine rilevante per il recesso del cliente: v. in<br />
proposito i riferimenti contenuti in Rabitti Bedogni (a cura di),<br />
Sub art. 30, inCommentario al testo unico delle disposizioni in<br />
materia di intermediazione finanziaria, Volume III, Milano, 1998,<br />
245 e ss .... Il TUF supera brillantemente la questione, individuando<br />
il termine nel momento in cui l’investitore sottoscrive il<br />
contratto, ovvero la proposta contrattuale, a seconda delle tecniche<br />
negoziali di volta in volta utilizzate. Sulle modalità per assicurare<br />
all’investitore l’effettivo esercizio del diritto in questione<br />
v. i ‘‘suggerimenti’’ indicati nella comunicazione Consob 23 gennaio<br />
1998, n. DI/98004696.<br />
(21) Si osserva, giustamente, in dottrina che la sospensione riguarda<br />
solo i contratti ‘‘conclusi’’ fuori sede: non anche quelli<br />
semplicemente ‘‘promossi’’ fuori sede, ma poi conclusi presso<br />
la sede dell’intermediario. Ad esempio, se un intermediario svolge<br />
un’attività promozionale presso il domicilio dell’investitore,<br />
ma poi il contratto è concluso in sede, il termine di sospensione<br />
non si applica: Amorosino - Rabitti Bedogni, Manuale di diritto<br />
dei mercati finanziari, Milano 2004, p. 138.<br />
(22) Sul punto, v. Costi - Enriques, Il mercato mobiliare, in Cottino<br />
(diretto da), Trattato di diritto commerciale, Padova, 2004,<br />
47; F. Parrella, La disciplina speciale dell’offerta a distanza di<br />
prodotti finanziari e di servizi di investimento, in Dir. banc. merc.<br />
fin., 2000, 38; Rabitti Bedogni, Sub art. 22, in Capriglio (a cura<br />
di), La disciplina degli intermediari e dei mercati finanziari, Padova,<br />
1997, 187.<br />
(23) Art. 30, comma 3, lett. a), TUF.<br />
(24) Art. 30, comma 2, TUF.<br />
786 Le Società 7/2012
te rilevanti: la nozione di ‘‘pubblico’’ e quella di<br />
‘‘promozione e collocamento’’ (25).<br />
Con riguardo al primo elemento, è utile osservare<br />
che la formulazione letterale della norma permette<br />
di escludere dalla nozione di offerta fuori sede i<br />
casi singoli (od episodici) di contatto con la clientela.<br />
Nessuna indicazione quantitativa può invece<br />
trarsi dallo scarno contenuto dell’art. 30 TUF. Pertanto,<br />
in assenza di precise indicazioni legislative e<br />
regolamentari, l’individuazione della nozione di<br />
‘‘pubblico’’ è rimessa all’interprete, il quale può utilizzare<br />
- quali semplici indicatori presuntivi - i criteri<br />
definiti dalla disciplina regolamentare in materia<br />
di offerte pubbliche di sottoscrizione e vendita<br />
(26).<br />
Quanto al secondo elemento, si sottolinea che<br />
entrambe le attività di promozione edicollocamento<br />
sono rilevanti e, quindi, autonome ai fini della qualificazione<br />
della fattispecie (27). Dunque, è soggetta<br />
alla disciplina in parola non soltanto la ‘‘vendita’’<br />
del servizio/strumento in senso stretto, ma anche<br />
ogni attività semplicemente ‘‘promozionale’’ che sia<br />
finalizzata a tale vendita (28). Al riguardo, si rendono<br />
però necessarie due precisazioni.<br />
In primo luogo, l’offerta fuori sede va tenuta distinta<br />
dalla semplice pubblicità. Più precisamente,<br />
deve ritenersi - conformemente alle indicazioni che<br />
da tempo provengono sia dalla dottrina, sia dalla<br />
prassi interpretativa della Consob (29) - che la<br />
pubblicità sia caratterizzata da una valenza essenzialmente<br />
informativa essendo rivolta al pubblico<br />
in generale, laddove, di contro, l’offerta fuori sede è<br />
un’attività finalizzata alla conclusione di un investimento<br />
all’interno di un rapporto diretto con l’investitore<br />
(30). Tale conclusione è, del resto, coerente<br />
con la finalità necessariamente divulgativa della<br />
pubblicità, che per sua natura è rivolta ad un insieme<br />
indistinto di soggetti. È, invece, assoggettata alla<br />
disciplina in questione l’attività promozionale<br />
ogniqualvolta la stessa si svolga nell’ambito di un<br />
rapporto personalizzato con il potenziale investitore<br />
e sia volta a indurre quest’ultimo all’acquisto di<br />
uno prodotto finanziario ovvero all’adesione ad un<br />
dato servizio di investimento.<br />
In secondo luogo, non rientra nella nozione di<br />
promozione rilevante ai fini dell’art. 30 TUF la c.d.<br />
segnalazione pregi (o segnalazione di clientela), che<br />
secondo il consolidato orientamento della Consob<br />
rientra nell’alveo della pubblicità istituzionale (31).<br />
La segnalazione di clientela è, infatti,un’attività<br />
che è essenzialmente volta a ricercare clienti mediante<br />
l’evidenziazione dei pregi dell’intermediario,<br />
senza riferimenti specifici ai prodotti e servizi<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto dei mercati finanziari<br />
offerti dall’intermediario segnalato. Proprio l’assenza<br />
di specifici riferimenti alle caratteristiche degli<br />
prodotti finanziari (o dei servizi di investimento)<br />
rende lecita l’esclusione di tale attività dalla<br />
nozione di offerta fuori sede, venendo meno la<br />
possibilità che il soggetto contattato possa effettuare<br />
scelte di investimento non adeguatamente<br />
mediate.<br />
Come sopra indicato, la disciplina dell’offerta<br />
fuori sede rileva, nella ricostruzione effettuata dalla<br />
Suprema Corte, ai fini dell’individuazione dell’ambito<br />
di applicazione del diritto di ripensamento. È<br />
noto che tale diritto ha quale obiettivo la tutela<br />
dell’investitore che entri in contatto con l’intermediario<br />
al di fuori delle sedi o dei locali di quest’ultimo;<br />
in una situazione, cioè, nella quale egli non si<br />
è recato di propria iniziativa dall’intermediario per<br />
effettuare un determinato investimento, bensì è stato<br />
sollecitato (e convinto) a realizzare l’operazione<br />
a seguito di un’azione promozionale. Stante il rischio<br />
di assumere decisioni poco mediate, il legislatore<br />
- con la sospensione dell’efficacia dell’operazione<br />
per un arco temporale di sette giorni - ha voluto<br />
assicurare all’investitore il tempo necessario per riflettere<br />
sulle scelte finanziare assunte e correggere,<br />
Note:<br />
(25) Quanto alla nozione di ‘‘sede’’ o ‘‘dipendenza’’ la stessa risulta<br />
dall’art. 2, comma 1, regolamento Consob n. 16190, che la<br />
definisce come «una sede, diversa dalla sede legale dell’intermediario<br />
autorizzato, costituita da una stabile organizzazione di<br />
mezzi e di persone, aperta al pubblico, dotata di autonomia tecnica<br />
e decisionale, che presta in via continuativa servizi o attività<br />
di investimento». Non è dunque corretto ritenere che qualsiasi<br />
‘‘ufficio’’ o ‘‘luogo’’ in cui l’intermediario svolge parte della propria<br />
attività sia identificabile come ‘‘sede’’ o ‘‘dipendenza’’ (con<br />
la conseguenza che l’attività ivi svolta non dovrà sottostare alle<br />
regole dettate per l’attività di offerta fuori sede). È, infatti, necessario<br />
che la sede possegga i requisiti richiesti dall’art. 2, configurandosi<br />
come un luogo in cui l’intermediario presta, attraverso<br />
un’organizzazione stabile di mezzi e di persone, uno o più<br />
servizi di investimento, in locali accessibili al pubblico.<br />
(26) In questo senso, V. Renzulli, op. cit., 243.<br />
(27) La rilevanza autonoma del momento promozionale ai fini<br />
della configurazione della fattispecie ‘‘offerta fuori sede’’ trova<br />
la propria giustificazione nella valenza promozionale delle tecniche<br />
commerciali impiegate. Sul punto, Capriglione, L’ordinamento<br />
finanziario italiano, 2010, Milano, 249.<br />
(28) Specularmente, configura l’attività di offerta fuori sede anche<br />
il mero collocamento non accompagnato da attività promozionale.<br />
(29) V. comunicazioni DCL/DEM/2049613/2002; DI/99031525<br />
del 26 aprile 1999; DI/98017959 del 12 marzo 1998.<br />
(30) V. anche Panoni, Sub art. 30, in Rabitti Bedogni (a cura di),<br />
Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione<br />
finanziaria,cit., p. 249.<br />
(31) V. comunicazioni DAL/RM/96006186 del 25 giugno 1996;<br />
BOR/RM/94002407 del 15 marzo 1994.<br />
Le Società 7/2012 787
Giurisprudenza<br />
Diritto dei mercati finanziari<br />
se del caso, le eventuali errate decisioni derivanti<br />
dall’effetto ‘‘sorpresa’’ subito.<br />
Sebbene il sesto comma precisi (in modo apparentemente<br />
chiaro) che il diritto di recedere entro<br />
sette giorni non trovi applicazione in tutti i casi,<br />
ma soltanto in relazione ai ‘‘contratti di collocamento<br />
di strumenti finanziari’’ o ‘‘di gestione di<br />
portafogli individuali’’ conclusi fuori sede (32), la<br />
portata della disposizione è stata oggetto di diverse<br />
letture e l’esatta interpretazione dell’espressione<br />
‘‘contratti di collocamento’’ ha dato vita ad un dibattito<br />
giurisprudenziale (v. infra).<br />
Il ricorrente - facendo propria la tesi estensiva,<br />
secondo la quale la tutela contenuta nell’art. 30,<br />
comma 6, TUF, troverebbe applicazione non soltanto<br />
con riferimento ai contratti di collocamento<br />
in senso stretto (o di gestione di portafogli individuali),<br />
ma anche a tutti i contratti relativi a servizi<br />
di investimento, ivi compresa la negoziazione - denuncia<br />
la violazione del citato sesto comma nel caso<br />
di specie. Secondo l’opinione del ricorrente, «il<br />
legislatore avrebbe attribuito alle dizioni ‘‘contratti<br />
di collocamento’’ e ‘‘servizi di collocamento’’ formulate<br />
nell’art. 30 un significato atecnico, che renderebbe<br />
applicabile nel caso di specie (negoziazione,<br />
ndr.) l’obbligo di dare comunicazione della facoltà<br />
di recesso, a pena di nullità dell’accordo». In<br />
questa prospettiva, la ricostruzione del servizio prestato<br />
dalla banca al cliente con riferimento all’acquisto<br />
delle obbligazioni (quale servizio di collocamento<br />
o di negoziazione per conto terzi) sarebbe irrilevante,<br />
e la mancata indicazione del diritto di recesso<br />
determinerebbe la nullità delle operazioni di<br />
acquisto degli strumenti finanziari ex art. 30, comma<br />
7, TUF (33).<br />
Ove, invece, si accogliesse l’opposta tesi restrittiva,<br />
che limita la tutela apprestata dal sesto comma<br />
alle sole ipotesi espressamente indicate ed interpretate<br />
in senso tecnico, la qualificazione del servizio<br />
prestato dalla banca come negoziazione renderebbe<br />
l’art. 30, comma 6, inapplicabile. Questa seconda<br />
lettura, che è quella prevalente in dottrina (34), è<br />
stata fatta propria dalla Corte di Appello nella sentenza<br />
impegnata. Al riguardo, si rendono necessarie<br />
alcune riflessioni più approfondite.<br />
La ricostruzione della Corte di cassazione<br />
La Suprema Corte affronta il problema sottoposto<br />
alla sua attenzione, che riguarda la correttezza<br />
del giudizio formulato dal giudice di merito in ordine<br />
all’inapplicabilità di tale disciplina alla fattispecie<br />
oggetto di esame. La Corte giunge ad affermare<br />
la correttezza della lettura restrittiva (35) tramite<br />
un percorso logico e ricostruttivo, che giova qui<br />
riassumere.<br />
Il punto di partenza dell’analisi svolta è il chiaro<br />
richiamo contenuto nel sesto comma ai contratti di<br />
collocamento di strumenti finanziari conclusi fuori<br />
sede (con esclusione pertanto di quelli soltanto promossi<br />
fuori sede) ed al servizio di gestione di portafogli<br />
individuali «e quindi, conclusivamente, in termini<br />
più contenuti e circoscritti rispetto alla fattispecie<br />
dell’offerta fuori sede delineata nel primo<br />
comma dell’art. 30». Dunque, secondo la Suprema<br />
Corte, non vi è coincidenza tra la definizione di offerta<br />
fuori sede di cui al primo comma dell’art. 30 e<br />
il più circoscritto ambito di applicazione del diritto<br />
di ripensamento, precisato nel sesto comma del medesimo<br />
articolo.<br />
Al di là del dato testuale, che secondo la Cassazione<br />
«depone inequivocabilmente nel senso ora<br />
delineato», vi è un’ulteriore considerazione che induce<br />
la Corte a ritenere che l’esercizio del diritto di<br />
recesso sia circoscritto soltanto a specifiche ipotesi,<br />
e non già con riferimento ad una generica attività<br />
di promozione fuori sede. A giudizio della Suprema<br />
Corte, infatti, depone in tal senso «la circostanza<br />
che il legislatore abbia direttamente richiamato nel<br />
comma 6 solo parte del contenuto del comma 1,<br />
operando viceversa una modificazione per il rimanente».<br />
Conferma indiretta di ciò si ritrova nella<br />
Note:<br />
(32) Per completezza, si ricorda che il sesto comma non si applica<br />
alle offerte pubbliche di vendita o di sottoscrizione di azioni<br />
con diritto di voto o di altri strumenti finanziari che permettano<br />
di acquisire o sottoscrivere tali azioni, purché le azioni o gli strumenti<br />
finanziari siano negoziati in mercati regolamentati italiani<br />
o di Paesi dell’Unione Europea. La ragione di tale deroga è riconducibile<br />
alle caratteristiche delle offerte pubbliche e alle connesse<br />
esigenze di carattere procedurale, volte ad assicurare un<br />
efficiente ed ordinato svolgimento di un’operazione che coinvolge<br />
un elevato numero di investitori.<br />
(33) Con riguardo alla necessità che il diritto di recesso sia indicato<br />
nel contratto, v. Trib. Roma 8 giugno 2009, in www.ilcaso.it.<br />
Secondo il Tribunale è nullo per difetto di forma il contratto<br />
che non preveda la clausola di recesso prescritta per le offerte<br />
fuori sede dall’art. 30, comma 6, TUF, e deve considerarsi a tal<br />
fine insufficiente il rinvio al prospetto informativo nel quale detta<br />
clausola di recesso è inserita. V. anche Trib. Bologna 15 aprile<br />
2009, in www.ilcaso.it, ove si afferma che, in ipotesi di collocamento<br />
fuori sede di strumenti finanziari, la mancata indicazione<br />
nei moduli o formulari sottoscritti dall’investitore della facoltà di<br />
recesso determina la nullità non del contratto quadro, bensì dello<br />
specifico ordine impartito dal cliente; Trib. Rimini 18 dicembre<br />
2006, n. 1874, ove si afferma l’importanza della chiarezza e<br />
comprensibilità della clausola.<br />
(34) Renzulli, op. cit., 249.<br />
(35) Nello stesso senso Cass., sez. I, 22 marzo 2012, n. 4564,<br />
in www.ilprocessocivile.com.<br />
788 Le Società 7/2012
formulazione dell’art. 1, comma 5, TUF, che distingue<br />
il servizio di collocamento dalla negoziazione<br />
per conto terzi, il che «implicitamente presuppone<br />
... la diversità di quest’ultima rispetto al collocamento».<br />
Pertanto, a giudizio della Suprema Corte,<br />
il diverso richiamo contenuto nel sesto comma rispetto<br />
a quello contenuto nel primo «denota ... la<br />
peculiarità dell’intento perseguito con la formulazione<br />
della disposizione in esame».<br />
Al dato testuale si sommano, poi, altre ragioni<br />
connesse alla ratio ispiratrice della disposizione di<br />
cui all’art. 30, comma 6, TUF. Tale disposizione è,<br />
secondo la Corte, chiaramente volta ad offrire una<br />
più ampia tutela a quegli investitori che abbiano effettuato<br />
un investimento in strumenti finanziari in<br />
un contesto nel quale il soggetto non ha necessariamente<br />
maturato una propria convinta determinazione<br />
circa l’utilità dell’investimento, e vi è il rischio<br />
che la decisione sia stata assunta in modo affrettato<br />
per effetto della iniziativa commerciale posta<br />
in essere dal promotore finanziario. In tale ottica,<br />
il fatto «che l’acquisto dei titoli non sia avvenuto<br />
per iniziativa dell’offerente, ma a seguito di un<br />
precedente accordo di carattere generale fra l’investitore<br />
ed il soggetto delegato per la definizione negoziale»<br />
comporta che nel caso di specie non sia<br />
ravvisabile una situazione nella quale sia necessario<br />
ribilanciare l’‘‘effetto sorpresa’’, dato che è stato<br />
l’investitore a impartire gli ordini (36) e, quindi, a<br />
prendere l’iniziativa (37).<br />
La conferma che la finalità perseguita dalla norma<br />
(ossia assicurare all’investitore il tempo necessario<br />
per rivalutare le scelte di investimento che non<br />
sono state realizzate di propria iniziativa) sia essenziale<br />
al fine di individuare l’esatto ambito di applicazione<br />
del sesto comma trova conferma, a giudizio<br />
della Suprema Corte, nell’esclusione dei contratti<br />
di collocamento conclusi fuori sede da clienti professionali<br />
(v art. 30, comma 2): è di tutta evidenza,<br />
infatti, che l’investitore professionale non è esposto<br />
al rischio di assumere scelte non consapevoli per effetto<br />
di un’azione commerciale effettuata fuori sede.<br />
Infine, l’interpretazione restrittiva dell’art. 30,<br />
comma 6, risulta preferibile - a giudizio della Corte -<br />
per un’ulteriore ragione: «l’esigenza di privilegiare<br />
una interpretazione che tenga conto degli effetti eccezionali<br />
della disposizione» e «dei riflessi che la<br />
stessa è potenzialmente idonea a determinare». Il riconoscimento<br />
del diritto di recesso anche nel caso<br />
di acquisti effettuati nell’ambito della negoziazione<br />
significherebbe, infatti, «consentire all’investitore, al<br />
di fuori delle sopra indicate ragioni che hanno indotto<br />
alla formulazione della disposizione» di benefi-<br />
Giurisprudenza<br />
Diritto dei mercati finanziari<br />
ciare del differimento del termine iniziale di decorrenza<br />
del contratto di acquisto di strumenti finanziari<br />
e del connesso diritto di recesso, il cui esercizio potrebbe<br />
essere determinato «da motivi di interesse<br />
economico, quali quelli determinati dalla possibilità<br />
di concludere acquisti di maggiore convenienza, per<br />
effetto di mutate situazioni di mercato».<br />
Il diritto di ripensamento nell’intepretazione<br />
giurisprudenziale<br />
Come sopra accennato, la norma di cui all’art.<br />
30, comma 6, è stata oggetto di diverse interpretazioni<br />
giurisprudenziali con riguardo alla sua portata<br />
e, più precisamente, con riguardo all’individuazione<br />
delle tipologie di contratto rientranti tra i ‘‘contratti<br />
di collocamento di strumenti finanziari’’.<br />
Una parte della giurisprudenza di merito ha interpretato<br />
la citata espressione in senso atecnico,<br />
nel chiaro intento di ampliare la portata della norma<br />
di tutela. In tale prospettiva ricostruttiva, il sesto<br />
comma dell’art. 30 TUF conferisce all’investitore<br />
il diritto di ripensamento in relazione a qualunque<br />
contratto concluso fuori sede (38). Il riferimen-<br />
Note:<br />
(36) Sul punto, il considerando 30 della direttiva 2004/39/CE<br />
(‘‘MiFID’’) stabilisce che un servizio dovrebbe essere considerato<br />
come prestato ‘‘su iniziativa del cliente’’ a meno che il cliente<br />
lo richieda in risposta ad una comunicazione personalizzata dall’intermediario<br />
a quel particolare cliente, che contiene un invito<br />
oèintesa a influenzare il cliente rispetto ad uno strumento finanziario<br />
o operazione finanziaria specifici. In questa prospettiva,<br />
il servizio prestato è irrilevante e l’elemento centrale diventa,<br />
appunto, la presenza, o meno, di un’autonoma volontà negoziale<br />
del cliente non sollecitata dall’intermediario. Si potrebbe osservare<br />
che nell’attuale contesto molti intermediari prestano i<br />
servizi di investimento in abbinamento con il servizio di consulenza.<br />
Tale modello relazionale potrebbe ridurre la valenza della<br />
distinzione effettuata dalla Suprema Corte, dato che in entrambi<br />
i casi (i.e. collocamento e esecuzione di ordini) l’investitore effettuerebbe<br />
un investimento dopo aver ricevuto una raccomandazione<br />
personalizzata. In altri termini, il fatto che l’investitore riceva<br />
- fuori sede - una raccomandazione a lui diretta avente ad<br />
oggetto l’acquisto (o la sottoscrizione) di un dato strumento finanziario<br />
rende, forse, meno conclusiva questa parte della motivazione<br />
della Suprema Corte se riferita all’attuale contesto normativo.<br />
(37) Così, Renzulli, op. cit., 249; Santosuosso, Jus poenitendi e<br />
servizi di investimento, in Banca borsa, 2008, 773.<br />
(38) V. Trib. Parma 20 dicembre 2011, n. 1399, in www.dirittobancario.it;<br />
Trib. Bologna 15 aprile 2009, in www.ilcaso.it; Trib.<br />
Modena 6 marzo 2009, ivi; Trib. Forlì 13 gennaio 2009, in Contratti,<br />
2009, 401; Trib. Milano 17 aprile 2007, in Giur. it., 2007,<br />
2815, con nota di Uselli; Trib. Bologna 17 aprile 2007, in www.ilcaso.it;<br />
Trib. Benevento 26 ottobre 2005, in Banca borsa e tit.<br />
cred., 2008, 753; Trib. Rimini 28 aprile 2007, in www.ilcaso.it;<br />
Trib. Roma 20 luglio 2006 e 14 settembre 2006, ivi; Trib. Pescara<br />
9 maggio 2006, in Giur. mer., 2007, 1276, con nota di Viola;<br />
Trib. Parma 17 gennaio 2006, in www.giuemilia.it; Trib. Mantova<br />
10 dicembre 2004, in Contratti, 2005, 604; App. Palermo 2<br />
luglio 2010, in Giur. it., 2010, 868.<br />
Le Società 7/2012 789
Giurisprudenza<br />
Diritto dei mercati finanziari<br />
to letterale al collocamento scolora a favore di una<br />
sua lettura ampia quale generico sinonimo ‘‘di piazzamento<br />
di titoli’’, tale da assegnare uno spatium deliberandi<br />
all’investitore in qualunque ipotesi di conclusione<br />
di contratti fuori sede, ossia in una situazione<br />
nella quale l’investitore non si è recato di<br />
propria iniziativa dall’intermediario per realizzare<br />
una determinata operazione di investimento (e,<br />
quindi, plausibilmente, con una qualche determinazione<br />
in merito all’operazione da realizzare), bensì è<br />
stato sollecitato e convinto a realizzare l’operazione<br />
a seguito di un’azione commerciale da parte di un<br />
promotore finanziario con il rischio di assumere decisioni<br />
poco mediate. Una delle motivazioni ricorrenti<br />
a sostegno della tesi che il termine ‘‘collocamento’’<br />
di cui all’art. 30, comma 6, TUF deve ritenersi<br />
comprensivo di ogni forma di compravendita<br />
e di sottoscrizione (e quindi anche dell’attività di<br />
negoziazione), è che solo tale interpretazione è<br />
compatibile con l’uso promiscuo del termine fatto<br />
dalla norma in connessione sia con gli strumenti finanziari<br />
sia con i servizi di investimento.<br />
A questa lettura ‘‘estensiva’’ se ne è contrapposta<br />
un’altra, la quale, interpretando in modo più rigoroso<br />
il disposto letterale, limita la tutela prevista<br />
dal citato sesto comma ai soli contratti di collocamento<br />
(in senso stretto) di strumenti e prodotti finanziari<br />
ed ai contratti di gestione patrimoniale<br />
(39).<br />
Poco tempo dopo la sentenza in commento,<br />
un’altra sezione della Suprema Corte ha avuto modo<br />
di affrontare lo stesso tema, confermando la correttezza<br />
della lettura restrittiva (40). Anche in questa<br />
occasione, la ricostruzione della Suprema Corte<br />
fa perno sul tenore letterale della norma e su una<br />
lettura sistematica del precetto. La Corte afferma<br />
che, in applicazione del criterio di interpretazione<br />
letterale, «deve ritenersi che laddove l’art. 30, comma<br />
6, TUF si riferisce esclusivamente ai contratti<br />
di collocamento di strumenti finanziari o di gestione<br />
di portafogli individuali intenda dettare una disciplina<br />
peculiare limitata a siffatte tipologie di<br />
contratti con esclusione degli altri elencati all’art.<br />
1, comma 5, TUF» A conferma di tale conclusione,<br />
viene rilevato che:<br />
(a) l’art. 30, comma 6, TUF prende in considerazione<br />
non la sola ipotesi di collocamento di servizi<br />
finanziari, che isolatamente presa potrebbe dare<br />
adito a dubbi circa un suo significato atecnico e generico<br />
sinonimo di piazzamento di titoli, ma anche<br />
l’ipotesi della gestione di portafogli individuali; «il<br />
che sta a significare che il legislatore aveva l’intenzione<br />
ben precisa di limitare l’ipotesi della indica-<br />
zione della clausola di recesso esclusivamente a tali<br />
due tipi di contratto con esclusione degli altri contratti»<br />
(41);<br />
(b) la discrepanza, anche sotto il profilo dei tempi<br />
di attuazione, che esiste tra il servizio di collocamento<br />
degli strumenti finanziari e altri servizi di investimento:<br />
il primo infatti si svolge a condizioni di<br />
prezzo e sovente anche di tempo definite per cui,<br />
stante la stabilità del quadro di riferimento dell’investimento,<br />
l’investitore può utilmente riflettere<br />
nell’arco di sette giorni sulla opportunità della sua<br />
scelta optando eventualmente nel recesso. «Altrettanto<br />
non può dirsi nel caso di contratti di investimento<br />
in cui il valore dei titoli mobiliari è soggetto<br />
a costante mutamento ed in cui, quindi, il prezzo<br />
effettivo di acquisto da parte dell’intermediario non<br />
avverrà mai di regola al prezzo indicato nel contratto<br />
di investimento perché nel lasso di tempo intercorso<br />
tra la stipula di questo e l’acquisto il prezzo<br />
sarà certamente variato» (42).<br />
Note:<br />
(39) App. Brescia 20 giugno 2007, in www.ilcaso.it; Trib. Torino<br />
18 settembre 2007, n. 5930, ivi; Trib. Parma 14 aprile 2007, ivi.<br />
(40) Cass. 22 marzo 2012, n. 4564, in www.ilprocessocivile.com.<br />
(41) Cass. 22 marzo 2012, n. 4564, cit.<br />
(42) Cass. 22 marzo 2012, n. 4564, cit.<br />
790 Le Società 7/2012
Reati tributari<br />
L’irrilevanza penale<br />
dell’elusione tributaria<br />
di Fabio Fasani<br />
Il dibattito concernente la rilevanza penale dell’elusione tributaria deve essere risolto avendo a mente taluni<br />
principi cardine dell’ordinamento penalistico: la frammentarietà el’extrema ratio del diritto penale; la legalità<br />
e l’irretroattività delle fattispecie incriminatrici; la necessaria colpevolezza del soggetto agente. Il rispetto di<br />
questi principi impone di assimilare il concetto di ‘‘fittizietà’’ a quello di ‘‘inesistenza oggettiva’’, con la conseguente<br />
estromissione di qualsiasi forma di elusione tributaria dall’area del penalmente rilevante.<br />
Le recenti aperture giurisprudenziali alla<br />
rilevanza penale dell’elusione tributaria<br />
Dopo sfuggenti obiter dicta (1) e sortite in terreni limitrofi<br />
(2), la Cassazione nell’ultimo anno ha affrontato<br />
con crescente coraggio il tema della rilevanza<br />
penale dell’elusione tributaria. Tale percorso,<br />
dai risultati tanto chiari quanto non condivisibili,<br />
ha preso le mosse dalla sentenza Ledda (3) del marzo<br />
scorso e si è concluso con la recente pronuncia<br />
emessa nel noto caso Dolce&Gabbana (4).<br />
Entrambe le sentenze, pur con diversa consapevolezza<br />
e convinzione, giungono a considerare penalmente<br />
rilevanti, ex art. 4, D.Lgs. n. 74/00, le condotte<br />
elusive del contribuente, ossia quei comportamenti<br />
«privi di valide ragioni economiche, diretti<br />
ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento<br />
tributario, e a ottenere riduzioni d’imposte o<br />
rimborsi, altrimenti indebiti» (5).<br />
Sono molto stringate le ragioni della sentenza Ledda,<br />
anche a causa della natura cautelare della pronuncia<br />
stessa, chiamata a decidere circa la legittimità<br />
di un sequestro preventivo per equivalente.<br />
In tale contesto, i giudici si limitano a valutare la<br />
sussistenza del fumus del delitto di dichiarazione<br />
infedele rispetto al «comportamento dell’indagato<br />
che ha, di fatto, portato alla sottrazione di una rilevante<br />
somma dall’imponibile, attraverso [...] una<br />
complessa operazione, realizzata attraverso un insieme<br />
di condotte ed atti negoziali che, sebbene<br />
tutti di per sé leciti, apparivano finalizzati ad evadere<br />
l’IVA e le imposte sui redditi».<br />
Ebbene, pur vertendosi pacificamente in un caso di<br />
elusione ex art. 37 bis, D.P.R. n. 600/73, la Cassa-<br />
zione ammette l’astratta configurabilità del delitto<br />
in contestazione sulla scorta del semplice ragionamento<br />
che la condotta elusiva, «essendosi risolta in<br />
atti e negozi non opponibili alla amministrazione,<br />
avrebbe comunque comportato una dichiarazione<br />
Note:<br />
Opinioni<br />
Diritto penale societario<br />
(1) Cfr. ad es. Cass. pen., sez. V, del 18 maggio-7 luglio 2006, n.<br />
23730 in Dir. prat. soc., 2007, 62 ss. con nota di I. Caraccioli,<br />
Elusione fiscale e reati tributari: un precedente giudiziario inesistente.<br />
Fra le pieghe di tale sentenza, avente ad oggetto un’ipotesi<br />
di bancarotta fraudolenta, si legge un’affermazione chiara<br />
per quanto non motivata: «[...] Condotta che esula dalla contestazione<br />
e che non assume (trattandosi di elusione) interesse a<br />
fine penale. Del resto questa prassi è stata diffusamente praticata<br />
all’epoca dei fatti, in vista della introduzione di norme antielusive<br />
(la cui violazione, peraltro, in linea di principio, non comporta<br />
conseguenze di ordine penale)».<br />
(2) Si veda, ad esempio, Cass. pen., sez. III, 26 maggio-28 luglio<br />
2010, n. 29724, in Corr. trib., 2011, 2937 ss. con nota di P. Corso,<br />
Abuso del diritto in materia penale: verso il tramonto del<br />
principio di legalità? einGT, 2011, 852 ss. con nota di A. Marcheselli,<br />
Numerosi concreti ostacoli si contrappongono alla punibilità<br />
di elusione fiscale e abuso del diritto. La pronuncia, in un<br />
caso di esterovestizione della residenza fiscale, ritiene ipotizzabile<br />
il reato di omessa dichiarazione, ex art. 5, D.Lgs. n. 74/00,<br />
con riferimento a una società di diritto straniero che possegga<br />
in Italia una stabile organizzazione.<br />
(3) Cass. pen., sez. III, 18 marzo-7 luglio 2011, n. 26723, in<br />
C.E.D. Cassazione.<br />
(4) Cass. pen., sez. II, 22 novembre 2011-28 febbraio 2012, n.<br />
7739, in C.E.D. Cassazione. La sentenza ha già ricevuto numerosi<br />
commenti ed è stata pubblicata in questa Rivista, 2012,<br />
690 ss. con nota di L. Troyer, La rilevanza penale dell’elusione<br />
tra Suprema Corte e Legislatore dopo la sentenza D&G ein<br />
Corr. giur., 2012, 487 ss. con nota di A. D’Avirro, L’elusione entra<br />
‘a torto’ nell’illecito penale tributario.<br />
(5) Così argomentando ex art. 37 bis, D.P.R. 29 settembre<br />
1973, n. 600. Il problema della definizione della condotta elusiva<br />
e quello della sua incidenza sul piano penale sono invero molto<br />
più complessi; a tal proposito si vedano i successivi paragrafi.<br />
Le Società 7/2012 791
Opinioni<br />
Diritto penale societario<br />
infedele, perché nella stessa gli elementi attivi non<br />
sono stati esposti nel loro ammontare effettivo». In<br />
una parola, il sillogismo della Corte è basilare: la<br />
dichiarazione è fedele quando gli elementi attivi e<br />
quelli passivi sono indicati nel loro ammontare effettivo;<br />
gli atti e i negozi elusivi non sono opponibili<br />
alla amministrazione e dunque tamquam non essent;<br />
la dichiarazione che di essi tenga conto è infedele<br />
perché calcola gli elementi attivi e quelli passivi<br />
sulla base di operazioni che non devono essere valutate<br />
a fini tributari (6).<br />
Un maggiore approfondimento è dedicato al tema<br />
dalla sentenza con la quale, nel caso D&G, la Cassazione<br />
ha annullato con rinvio la pronuncia liberatoria<br />
del giudice dell’udienza preliminare meneghino<br />
(7).<br />
In questo contesto, sempre avendo sullo sfondo una<br />
condotta prettamente elusiva (8), la Cassazione articola<br />
in tre motivi la propria posizione di favore rispetto<br />
alla penale rilevanza dell’elusione tributaria.<br />
In primo luogo, i giudici fanno riferimento all’art.<br />
1, lett. f), D.Lgs. n. 74/00 laddove esso indica come<br />
per imposta evasa si intenda «la differenza tra l’imposta<br />
effettivamente dovuta e quella indicata nella<br />
dichiarazione». Tale definizione - a parere della<br />
Cassazione - sarebbe «più che idonea a ricomprendere<br />
l’imposta elusa, che è, appunto, il risultato della<br />
differenza tra un’imposta effettivamente dovuta,<br />
cioè quella della operazione che è stata elusa, e<br />
l’imposta dichiarata, cioè quella autoliquidata sull’operazione<br />
elusiva».<br />
In secondo luogo, a sostegno della penale rilevanza<br />
dell’elusione deporrebbe il contenuto dell’art. 16<br />
D.Lgs. n. 74/00 (9), in base al quale non può acquisire<br />
penale rilevanza la condotta di chi uniformi<br />
il proprio comportamento al parere del «Comitato<br />
per l’applicazione delle norme antielusive». Pare infatti<br />
evidente ai giudici della Suprema Corte che<br />
«detta disposizione induca proprio a ritenere che<br />
l’elusione, fuori dal procedimento di interpello, possa<br />
avere rilevanza penale», conducendo l’interpretazione<br />
contraria alla sostanziale abrogazione della<br />
norma.<br />
In terzo luogo, infine, militerebbe nello stesso senso<br />
anche un argomento di natura politico-criminale.<br />
In particolare, un interesse privilegiato a livello ermeneutico<br />
sarebbe da riconoscere - secondo la Cassazione<br />
- al passaggio dal modello di tutela prodromica<br />
e formale di cui alla L. n. 516/82 al modello<br />
del D.Lgs. n. 74/00, incentrato sul momento dichiarativo<br />
e sulla lesione sostanziale degli interessi<br />
economici dell’erario. In tale ultima ottica, «se il<br />
bene tutelato dal nuovo regime fiscale è la corretta<br />
percezione del tributo, l’ambito di applicazione delle<br />
norme incriminatrici può ben coinvolgere quelle<br />
condotte che siano idonee a determinare una riduzione<br />
o una esclusione della base imponibile», quali<br />
appunto le condotte elusive.<br />
A detta degli stessi giudici di legittimità, basterebbe<br />
una sola accortezza per impedire che questo ampliamento<br />
dell’area di precettività del delitto di dichiarazione<br />
infedele alle condotte elusive possa entrare<br />
in collisione col principio legalità, che la costituzione<br />
italiana proclama con riferimento alla fattispecie<br />
penale e che la giurisprudenza comunitaria incessantemente<br />
ha declamato, anche a livello meramente<br />
tributario, a partire dalla sentenza Halifax<br />
(10). Basterebbe, in particolare, limitare la penale<br />
rilevanza dell’elusione a quelle condotte che<br />
aggirino espresse disposizioni antielusive, in ossequio<br />
al principio secondo cui «non qualunque condotta<br />
elusiva ai fini fiscali può assumere rilevanza<br />
penale, ma sono quella che corrisponde ad una specifica<br />
ipotesi di elusione espressamente prevista dal-<br />
Note:<br />
(6) Il ragionamento - come meglio vedremo in seguito - è condiviso<br />
da una parte della dottrina. Per un’identica impostazione<br />
del problema, si veda subito A. Martini, Reati in materia di finanze<br />
e tributi, in C.F. Grosso - T. Padovani - A. Pagliaro (a cura di),<br />
Trattato di diritto penale, vol. XVII, Milano, 2010, 392 ss. e spec.<br />
400: «Laddove la normativa sancisce il non riconoscimento da<br />
parte dell’amministrazione finanziaria degli effetti favorevoli di<br />
siffatte prassi o la rideterminazione dei corrispettivi alla luce del<br />
valore di mercato delle cessioni operate, afferma altresì un dato<br />
elementare: che la dichiarazione avrebbe dovuto avere contenuti<br />
diversi da quelli che rivela, ovvero che essa deve considerarsi<br />
infedele».<br />
(7) G.I.P. Milano 1-29 aprile 2011 - Giud. Luerti, n. 828/11, in<br />
Riv. dott. comm., 2011, 441 ss. con nota di L. Troyer - A. Ingrassia,<br />
Esclusa nuovamente la tipicità penale dell’elusione. A margine<br />
di un noto caso di presunta esterovestizione tra divieto di<br />
presunzioni legali nel processo penale e libertà di stabilimento e<br />
in Corr. mer., 2011, 967 ss. con nota di G. Lunghini - Va. Valentini,<br />
Irrilevanza penale dell’elusione e inutilizzabilità delle presunzioni<br />
tributarie.<br />
(8) Senza scendere in dettagli, il caso di specie concerne la presunta<br />
esterovestizione dei redditi derivanti dall’utilizzo dei notissimi<br />
marchi di moda, ceduti a una società di diritto lussemburghese.<br />
(9) Art. 16, D.Lgs. n. 74/00 («Adeguamento al parere del Comitato<br />
per l’applicazione delle norme antielusive»): «Non dà luogo<br />
a fatto punibile a norma del presente decreto la condotta di chi,<br />
avvalendosi della procedura stabilita dall’articolo 21, commi 9 e<br />
10, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, si è uniformato ai pareri<br />
del Ministero delle finanze o del Comitato consultivo per<br />
l’applicazione delle norme antielusive previsti dalle medesime<br />
disposizioni, ovvero ha compiuto le operazioni esposte nell’istanza<br />
sulla quale si è formato il silenzio-assenso».<br />
(10) Corte di Giustizia, C-255/02, 21 febbraio 2006, Halifax e a.,<br />
secondo cui la condotta elusiva «non deve condurre ad una sanzione,<br />
per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo<br />
chiaro ed univoco, bensì e semplicemente a un obbligo di<br />
rimborso di parte o di tutte le indebite detrazioni».<br />
792 Le Società 7/2012
la legge». In base a questo approccio, la norma generale<br />
antielusiva, di cui all’art. 37 bis, D.P.R. n.<br />
600/73 rappresenterebbe il ‘‘limite inferiore’’ dell’area<br />
del penalmente rilevante, con la conseguenza di<br />
escludere quantomeno la possibilità di un’ulteriore<br />
penalizzazione, che prenda le mosse dal riconoscimento,<br />
effettuato dalla Cassazione civile, di un generale<br />
principio antielusivo non scritto, fondato sugli<br />
artt. 3 e 53 Cost. (11).<br />
Le facili obiezioni e l’impasse<br />
dell’interpretazione parcellizzata<br />
La sentenza D&G è la prima ad affrontare, in maniera<br />
diretta, il tema della rilevanza penale dell’elusione<br />
tributaria. Ciononostante, essa è destinata a<br />
non soddisfare chi da tempo si aspettava che la Suprema<br />
Corte facesse chiarezza una volta per tutte<br />
sul tema, offrendo finalmente un’impostazione organica<br />
e delle soluzioni convincenti.<br />
Piuttosto che inquadrare il problema in maniera<br />
complessiva ed in chiave realmente penalistica, la<br />
pronuncia in discorso si limita infatti ad elencare le<br />
tre argomentazioni analizzate in precedenza. Come<br />
meglio vedremo in seguito, peraltro, ciascuna di esse<br />
corrisponde semplicemente ad una delle divergenti<br />
opinioni rispetto a tre dei molteplici temi<br />
controversi, su cui si gioca da una dozzina d’anni la<br />
battaglia tra i sostenitori e gli oppositori della rilevanza<br />
penale dell’elusione fiscale (12).<br />
È anomalo, tra l’altro, che la Suprema Corte non<br />
dia nemmeno conto di questo dibattito interpretativo,<br />
cristallizzato già a partire dai primi commenti<br />
successivi all’approvazione del D.Lgs. n. 74/00, e<br />
che soprattutto non dia conto delle opinioni divergenti<br />
che agevolmente permettono di mettere in<br />
discussione ciascuno dei tre argomenti sfruttati in<br />
motivazione.<br />
Partendo dal primo, infatti, va ricordato come esso<br />
faccia riferimento all’art. 1, lett. f), D.Lgs. n. 74/00,<br />
il quale, indicando come imposta evasa «la differenza<br />
tra l’imposta effettivamente dovuta e quella<br />
indicata nella dichiarazione», recherebbe una definizione<br />
talmente ampia da ricomprendere l’imposta<br />
elusa. Se il contribuente si fosse comportato bene e<br />
non avesse realizzato condotte elusive - si dice - è<br />
evidente che più alta sarebbe stata l’imposta autoliquidata,<br />
ossia quella effettivamente dovuta al fisco<br />
(13).<br />
Ebbene, a questa tesi se ne contrappone da sempre<br />
una di segno inverso, secondo la quale l’imposta<br />
elusa non potrebbe essere ricondotta alla definizione<br />
relativa all’imposta evasa. Ciò deriverebbe dal<br />
Opinioni<br />
Diritto penale societario<br />
fatto che l’imposta elusa non è affatto un’imposta<br />
dovuta, quanto piuttosto un’imposta pretesa o comunque<br />
attesa dall’erario. Il contribuente è infatti<br />
tenuto a versare l’imposta autoliquidata in base alle<br />
operazioni (anche elusive) effettuate e dunque effettive,<br />
che hanno determinato i valori della dichiarazione<br />
fiscale. Solo il successivo intervento dell’amministrazione<br />
finanziaria, che disconosca le condotte<br />
elusive, è idoneo a generare un (nuovo) dovere<br />
patrimoniale del contribuente, prima correttamente<br />
appiattito sulle proprie lecite scelte economico-gestionali<br />
(14).<br />
Diversamente ragionando sul punto, si giungerebbe<br />
a quell’effetto paradossale e a quella ‘‘discrasia<br />
deontologica’’ puntualmente rilevati sulle pagine<br />
di questa Rivista: in sede di autoliquidazione dell’imposta<br />
dovuta, il contribuente sarebbe infatti<br />
chiamato a dichiarare il ‘‘falso’’, indicando non gli<br />
elementi attivi e passivi reali, ma quelli ricavabili<br />
dall’ipotetica applicazione delle norme<br />
antielusive (15).<br />
Venendo al secondo argomento, esso si fonda - come<br />
anticipato - sull’interpretazione sistematica dell’art.<br />
16, D.Lgs. n. 74/00, che esclude la punibilità<br />
(16) di chi si sia conformato al parere antielusivo<br />
ottenuto dall’apposito Comitato. Se tale vaglio<br />
preventivo del proprio operato ipoteticamente elusivo,<br />
è idoneo ad escludere, in caso di responso positivo,<br />
la rilevanza penale della condotta del contribuente,<br />
andrebbe da sé che in assenza di tale interpello<br />
(o in presenza di un responso negativo) la<br />
Note:<br />
(11) Il riferimento è alle sentenze del dicembre 2008 della Sezioni<br />
Unite della Cassazione: Cass. civ., sez. un., 23 dicembre<br />
2008, nn. 30055, 30056 e 30057, in Corr. trib., 2009, 411 ss.<br />
(12) Ciò ovviamente con riferimento alla nuova formulazione<br />
della fattispecie in discorso. Per un breve excursus storico circa<br />
il rilievo della problematica sotto la vigenza della vecchia disciplina<br />
legislativa, cfr. A. Lanzi - P. Aldrovandi, Manuale di diritto penale<br />
tributario, Padova, 2011, 163 ss.<br />
(13) Questo ragionamento, ripreso dalla Corte nella sentenza<br />
D&G, era stato già paventato, in fase di prima interpretazione<br />
del dettato normativo, da F. Gallo, Rilevanza penale dell’elusione,<br />
inRass. trib., 2/2001, 325, seguito poi da copiosa dottrina.<br />
(14) Per una chiara esposizione di questo orientamento di segno<br />
inverso, cfr., ex multis, G.M. Flick, Abuso del diritto ed elusione<br />
fiscale:quale rilevanza penale?, inGiur. comm., 2011, 477/I e A.<br />
Marcheselli, Numerosi e concreti ostacoli si contrappongono alla<br />
punibilità di elusione fiscale e abuso del diritto, inGT, 10/<br />
2011, 855 ss.<br />
(15) L. Troyer, La rilevanza penale, cit., 701.<br />
(16) Il termine punibilità è qui utilizzato in senso generico, non<br />
rendendo possibile l’economia del presente lavoro una disquisizione<br />
dogmatica circa la natura della disposizione in oggetto.<br />
Le Società 7/2012 793
Opinioni<br />
Diritto penale societario<br />
condotta elusiva del contribuente stesso ben potrebbe<br />
acquisire rilievo penale (17).<br />
Anche a tal proposito, peraltro, vi è stato chi ha<br />
autorevolmente dimostrato come dall’esistenza di<br />
tale interpello non si possa certo far discendere<br />
l’automatico interesse del diritto penale per (tutte)<br />
le condotte di elusione tributaria. Questa argomentazione<br />
è stata variamente articolata in passaggi che<br />
possono così essere sintetizzati:<br />
i) sarebbe anzitutto la Relazione accompagnatoria<br />
del D.Lgs. n. 74/00 ad escludere la possibilità di ricavare<br />
dall’art. 16 la rilevanza penale delle condotte<br />
elusive, atteso che la stessa relazione espressamente<br />
recita: «la disposizione di cui all’art. 16 è<br />
unicamente di favore per il contribuente, e non<br />
può in alcun modo esser letta, per così dire, ‘‘a rovescio’’,<br />
ossia come diretta a sancire la rilevanza penalistica<br />
delle fattispecie latu sensu elusive non rimesse<br />
alla preventiva valutazione dell’organo consultivo»<br />
(18);<br />
ii) in secondo luogo, il suddetto art. 16 si riferirebbe<br />
ad un’ampia gamma di ipotesi diffuse nella normativa<br />
tributaria, in relazione alle quali può essere<br />
formulato l’interpello, di talché ci si potrebbe forse<br />
interrogare sulla rilevanza penale di talune di esse,<br />
ma non si potrebbe certo concludere per l’indistinta<br />
rilevanza penale dell’elusione. Anche il possibile rilievo<br />
penale di una sola delle ipotesi (elusive o meno),<br />
attratte dall’interpello di cui all’art. 16, darebbe<br />
infatti senso a tale norma, sventando il rischio<br />
dell’interpretatio abrogans (19);<br />
iii) la norma in oggetto, peraltro, avrebbe tutt’altro<br />
significato, costituendo uno specifico e forse superfluo<br />
corollario del principio di rilevanza dell’errore<br />
inevitabile di diritto, in base all’interpretazione dell’art.<br />
5 c.p. fornita dalla Corte costituzionale con la<br />
nota sentenza n. 364/88, secondo cui sarebbe scusabile<br />
l’agente allorquando l’errore sulla norma penale<br />
derivi dalle rassicurazioni ottenute da autorità<br />
amministrative (20);<br />
iv) sarebbe, in ogni caso, inammissibile, stante la<br />
strutturale differenza tra i concetti di evasione ed<br />
elusione, ritenere che il legislatore nel 2000 abbia<br />
voluto risolvere l’annosa disputa circa la rilevanza<br />
penale delle condotte elusive non tramite una norma<br />
chiara e diretta ma tramite l’interpretazione indiretta<br />
e a contrario di una norma di favore qual è<br />
l’art. 16, D.Lgs. n. 74/00 (21).<br />
Quanto al terzo argomento della sentenza D&G,<br />
infine, esso si fonderebbe sulla nuova ratio puniendi<br />
del D.Lgs. n. 74/00, tutta fondata sulla corretta percezione<br />
del tributo da parte dello Stato e dunque ri-<br />
volta a colpire anche i casi di elusione, che proprio<br />
tale percezione compromettono.<br />
Di contro, nell’ambito della medesima impostazione<br />
politico-criminale, vi sono altri autori che hanno<br />
concluso nel senso esattamente opposto, attraverso<br />
motivazioni che appaiono ancor più condivisibili.<br />
V’è infatti chi ha sottolineato la palese frizione<br />
esistente fra questa impostazione sanzionatoria<br />
(ed ampliativa dell’area del penalmente rilevante)<br />
e le «linee guida politico-criminali della riforma<br />
ispirate largamente da un’applicazione [...] del principio<br />
di sussidiarietà ediextrema ratio, che, in controtendenza<br />
rispetto alla pan-penalizzazione della L.<br />
n. 516/1982, intendeva restringere la minaccia criminale<br />
alle ipotesi d’illiceità maggiormente gravi e<br />
lesive degli interessi sostanziali» (22).<br />
Lo sforzo, svolto in questi due paragrafi, di spiegare<br />
sinteticamente le ragioni fondanti e le critiche degli<br />
argomenti utilizzati dalla Suprema Corte, per sancire<br />
la penale rilevanza dell’elusione tributaria, dimostra<br />
la palese inconcludenza di un approccio interpretativo<br />
parcellizzato, che speri di risolvere la questione<br />
facendo perno su puntiformi questioni ermeneutiche,<br />
sistematiche o politico-criminali che siano.<br />
Non si tratta, purtroppo, della sola impostazione<br />
della giurisprudenza di legittimità, posto che sostanzialmente<br />
negli stessi termini si svolgono da sempre<br />
il canto ed il controcanto di quella parte della dottrina<br />
che ha inteso impostare il problema in termini<br />
precipuamente ‘‘tributaristici’’.<br />
L’impostazione tradizionale del problema<br />
in chiave ‘‘tributaristica’’<br />
È assolutamente impossibile, in questa sede, fornire<br />
Note:<br />
(17) Anche questo argomento è ripreso da un longevo filone<br />
dottrinale. Si vedano, ad esempio, sul punto, F. Gallo, Rilevanza,<br />
cit., 321 ss.; G. Flora, Commento a ‘Nuova disciplina dei reati in<br />
materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto’, in Leg.<br />
pen., 2001, 17 s.<br />
(18) Sul punto, cfr. per tutti F. Mucciarelli, Abuso del diritto, elusione<br />
fiscale e fattispecie incriminatrici, in G. Maisto (a cura di),<br />
Elusione ed abuso del diritto tributario, Milano, 2009, 439 ss.<br />
(19) Così, ad es., L. Ramponi, ‘Transfer pricing’ e categorie penalistiche.<br />
La selettività dell’illecito penale tributario tra disvalore<br />
d’azione e disvalore d’evento, inRiv. trim. dir. pen. econ., 2009,<br />
222 ss.<br />
(20) In questo senso, G. M. Flick, Abuso, cit., 478/I.<br />
(21) Cfr. ancora F. Mucciarelli, Abuso, cit., 441. Così anche L.<br />
Troyer, La rilevanza penale, cit., 698 che denuncia, a tal proposito,<br />
l’inversione metodologica nell’attività ermeneutica della Corte, la<br />
quale ricava da una disposizione di favore il «sintomo di una incriminazione<br />
sulla quale il testo della legge scientemente tace».<br />
(22) L. Ramponi, ‘Transfer pricing’, cit., 218.<br />
794 Le Società 7/2012
una panoramica completa circa gli orientamenti<br />
esistenti in tema di rilevanza penale dell’elusione<br />
tributaria. Si tratta di uno dei temi della modernità<br />
penalistica, in cui maggiori sono le sfumature nelle<br />
impostazioni e nelle soluzioni propugnate dalla letteratura.<br />
Tale caos interpretativo, oltretutto, è accresciuto<br />
dalla circostanza che a cimentarsi sulla<br />
questione sono stati tanto i penalisti quanto i tributaristi,<br />
con la conseguenza che ampiamente divergenti<br />
sono non soltanto le basi concettuali e le<br />
conclusioni operative, ma anche gli strumenti argomentativi<br />
ed i principi di diritto applicati.<br />
Nel tentativo di fare chiarezza, tuttavia, si può correre<br />
il rischio dell’approssimazione e procedere ad<br />
un’operazione di semplificazione e di sintesi che dia<br />
conto delle principali soluzioni interpretative. A tal<br />
fine, conviene senz’altro seguire l’impostazione tradizionale<br />
attraverso le quattro questioni cardine, attorno<br />
cui abitualmente ruotano le argomentazioni<br />
della letteratura che si è occupata dell’argomento:<br />
a) la definizione del concetto di elusione;<br />
b) la scelta della fattispecie penale di riferimento;<br />
c) la definizione del concetto di fittizietà e le conclusioni<br />
in punto di penale rilevanza dell’elusione;<br />
d) lo spiegamento degli argomenti posti a sostegno<br />
di tale decisione.<br />
La nozione di elusione fiscale<br />
Benché - come vedremo (23) - la questione sia a<br />
nostro avviso del tutto irrilevante, la maggior parte<br />
degli autori pongono a fondamento delle proprie<br />
analisi la definizione del concetto di elusione fiscale<br />
e, a tal fine, fanno ovviamente ampio ricorso alla<br />
dottrina tributaristica (24).<br />
A grandi linee, pur nella forte variabilità contenutistica<br />
(25), viene ricordato come l’elusione occupi<br />
uno spazio intermedio fra il risparmio di imposta<br />
(lecito) e l’evasione (illecita). La differenza fra questi<br />
ultimi due istituti starebbe in questi termini: nell’evasione<br />
il contribuente occulterebbe al fisco il<br />
presupposto (già sorto) dell’imposta; nell’elusione,<br />
invece, tramite un utilizzo distorto e malizioso di<br />
negozi giuridici leciti, il contribuente impedirebbe<br />
l’insorgere dello stesso presupposto dell’imposta.<br />
Nell’elusione, l’utilizzo di strumenti leciti sarebbe<br />
distorto poiché il contribuente stesso, in assenza di<br />
valide ragioni economiche, violerebbe lo ‘‘spirito’’<br />
della legge e seguirebbe strade negoziali ‘‘anomale’’<br />
al solo scopo di abbattere l’imposizione fiscale (26).<br />
Con riferimento agli strumenti antielusivi approntati<br />
dall’ordinamento - e non certo a differenze ontologiche<br />
fra le condotte - si distinguono abitualmente<br />
tre differenti tipologie di elusione.<br />
In primo luogo, i casi rispetto ai quali l’ordinamento<br />
ha apprestato specifiche norme antielusive, destinate<br />
a contrastare la sottrazione di materia imponibile<br />
al fisco, mediante criteri di disconoscimento<br />
delle condotte elusive e di cristallizzazione del comportamento<br />
dovuto dal contribuente in particolari<br />
situazioni tipizzate. Si tratta, nello specifico, di casi<br />
ormai notissimi, quali il transfer pricing, ilcost sharing,<br />
il dividend washing ed altri ancora (27).<br />
In secondo luogo, vengono collocate quelle forme<br />
di elusione che non trovano specifiche norme di repressione,<br />
ma che possono essere ricondotte alla generale<br />
clausola antielusiva scritta di cui all’art. 37<br />
bis, D.P.R. n. 600/73, secondo la quale, a determinate<br />
condizioni, «sono inopponibili all’amministrazione<br />
finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche<br />
collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche,<br />
diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti<br />
dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni<br />
di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti» (28).<br />
In terzo luogo, infine, sono annoverate quelle condotte<br />
elusive che sfuggono persino alla clausola generale<br />
di cui all’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/73 e che<br />
potrebbero trovare disapprovazione esclusivamente<br />
alla luce di quel generalissimo principio antielusivo<br />
che - come visto - la Cassazione Civile recentemente<br />
ha ricollegato addirittura agli artt. 3 e 53<br />
della Costituzione (29).<br />
La fattispecie penale di riferimento<br />
La penale rilevanza dell’elusione tributaria, in questi<br />
termini definita, è stata vagliata da copiosa lette-<br />
Note:<br />
Opinioni<br />
Diritto penale societario<br />
(23) V. infra, § La ricerca di un orizzonte penalistico: principi costituzionali,<br />
tecniche normative e interpretazioni sostenibili.<br />
(24) Sul tema, cfr. per tutti G. Maisto (a cura di), Elusione, cit.,<br />
passim.<br />
(25) Più di vent’anni fa, veniva già notato criticamente che «la<br />
stessa nozione di elusione fiscale [...] è ben lontana dall’assumere<br />
un’appagante certezza di contorni, al punto da dover talora<br />
registrare una vera confusione di linguaggi, che rispondono a<br />
impostazioni tra loro differenziate e spesso neppure adeguatamente<br />
motivate» (A. Alessandri, L’elusione fiscale, inRiv. it. dir.<br />
proc. pen, 1990, 1075).<br />
(26) Sulla nozione di elusione, cfr., per tutti, F. Tesauro, Istituzioni<br />
di diritto tributario. 1. Parte generale, 2009, 239 ss.<br />
(27) L’economia del presente lavoro non consente l’approfondimento<br />
di tali istituti, rispetto ai quali si rinvia a A. Martini, Reati,<br />
cit., ed alle fonti ivi citate.<br />
(28) In questo ambito si colloca - come visto - il caso deciso nella<br />
sentenza D&G.<br />
(29) Sul tema, v. M. Beghin, Evoluzione e stato della giurisprudenza<br />
tributaria: dalla nullità negoziale all’abuso del diritto nel sistema<br />
impositivo nazionale, in G. Maisto (a cura di), Elusione,<br />
cit., 39 ss.<br />
Le Società 7/2012 795
Opinioni<br />
Diritto penale societario<br />
ratura, la quale ha prima di tutto dovuto orientarsi<br />
circa la fattispecie penale di riferimento, entro cui<br />
tentare di sussumere i comportamenti del contribuente<br />
elusore.<br />
A tal proposito, il fronte è abbastanza compatto e,<br />
ad eccezione di rare voci che ipotizzano la configurabilità<br />
dell’art. 3, D.Lgs. n. 74/00 (30), la quasi totalità<br />
degli autori ha preso quale parametro di riferimento<br />
il delitto di dichiarazione infedele, previsto<br />
e punito dall’art. 4 del decreto medesimo (31).<br />
La definizione del concetto di fittizietà<br />
e le conclusioni in punto di penale rilevanza<br />
dell’elusione tributaria<br />
La domanda, nell’impostazione tradizionale del problema,<br />
diventa così una sola: l’elusione fiscale è riconducibile<br />
al precetto penale di cui all’art. 4<br />
D.Lgs. n. 74/00 (32)?<br />
Senza inutili divagazioni, peraltro, è di tutta evidenza<br />
come il ricorrere o meno dell’elemento oggettivo<br />
della fattispecie criminosa in questione, posta<br />
la sussistenza degli altri requisiti, si giochi esclusivamente<br />
sul terreno dell’esistenza dell’elemento<br />
costitutivo dell’indicazione di ‘‘elementi passivi fittizi’’.<br />
O meglio, volendo ulteriormente specificare, si<br />
giochi sul terreno dell’estensione da attribuire al<br />
concetto di fittizietà, atteso che i costi generati dalle<br />
operazioni elusive sono indubitabilmente «elementi<br />
passivi» (33).<br />
Sul punto, si confrontano almeno tre categorie di<br />
tesi contrastanti:<br />
i) quelle tesi che considerano fittizi solo i costi oggettivamente<br />
inesistenti, escludendo così la rilevanza<br />
penale di tutte le forme di elusione tributaria;<br />
ii) quelle tesi che, per contro, considerano fittizi<br />
anche i costi solo giuridicamente ‘‘inesistenti’’ perché<br />
non deducibili o comunque indicati in violazione<br />
della normativa tributaria, così sancendo la<br />
penale rilevanza di tutte le forme di elusione;<br />
iii) quelle tesi intermedie, che invece considerano<br />
fittizi solo i costi relativi a determinate tipologie di<br />
condotte elusive, escludendo le altre dall’ambito di<br />
applicazione della fattispecie penale.<br />
i) Secondo le teorie, di cui al primo punto, l’aggettivo<br />
‘‘fittizio’’ potrebbe indicare esclusivamente<br />
quell’elemento passivo che non trova riscontro nella<br />
realtà, cui non corrisponde cioè un esborso monetario<br />
equivalente rispetto al dato indicato nel documento<br />
fiscale.<br />
Secondo tale orientamento, ogni altra questione<br />
tributaristica che può, in ipotesi, viziare l’indicazione<br />
di un costo in dichiarazione (indeducibilità, non<br />
inerenza, mancata aderenza ai criteri valutativi pre-<br />
scritti, etc.) non potrebbe, in ogni caso, incidere<br />
sulla sua esistenza concreta e dunque portare a qualificarlo<br />
come fittizio. Già a livello logico, il fatto<br />
che possa essere considerato indeducibile importa<br />
che un costo effettivamente esista e non sia fittizio.<br />
Fittizio, in breve, significherebbe ‘‘non reale’’ e ciò<br />
non avrebbe nulla a che vedere con il regime fiscale<br />
relativo alla deducibilità, il quale ha natura squisitamente<br />
giuridica. Non potrebbe mai dunque considerarsi<br />
fittizio quell’elemento passivo che la dichiarazione<br />
mutua dalle scritture contabili e dalla<br />
realtà dei fatti.<br />
Conseguentemente, dovrebbe considerarsi illecita<br />
solo in sede extrapenale quella divergenza tra l’essere<br />
della dichiarazione, rispettoso della realtà fattuale,<br />
e il suo ‘‘dover essere’’, ricostruito sulla base dei<br />
criteri indicati nelle leggi tributarie, che avrebbero<br />
imposto una diversa valutazione delle operazioni effettuate<br />
e una conseguente difformità nell’autoliquidazione<br />
dell’imposta da pagare.<br />
Questo approccio - come anticipato - è avallato da<br />
Note:<br />
(30) Si vedano, ad esempio, G. Pezzuto, L’esclusione della punibilità<br />
in caso di adeguamento al parere del Comitato consultivo<br />
per l’applicazione delle norme antielusive, inRass. trib., 2001,<br />
1628; A. Tomassini - A. Tortora, La rilevanza penale dell’elusione<br />
fiscale, inCorr. trib., 2005, 1169 ss. Secondo tali ultimi autori,<br />
le forme di elusione di cui alla prima delle tipologie pocanzi viste<br />
potrebbero essere sussunte entro l’ipotesi di dichiarazione<br />
fraudolenta mediante altri artifici. A tal fine gli autori si riferiscono<br />
espressamente ‘‘all’art. 110 in materia di costi da Paradisi Fiscali<br />
e all’art. 167 in materia di CFC’’. Per analoghe aperture in<br />
questo senso, cfr. P. Venturati - S. Caltabiano, I reati di frode fiscale<br />
nel D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, Pavia, 2003, 117.<br />
(31) «Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione<br />
da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte<br />
sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni<br />
annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare<br />
inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi,<br />
quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento<br />
a taluna delle singole imposte, a euro cinquantamila;<br />
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione,<br />
anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi,<br />
è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli<br />
elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore<br />
a euro duemilioni».<br />
(32) La letteratura che tenta di fornire una risposta a questa domanda<br />
è - come anticipato - ormai sconfinata. Per un (necessariamente)<br />
parziale quadro bibliografico, si rinvia a L. Troyer - A.<br />
Ingrassia, Il fatto, in quanto integrante fattispecie di natura elusiva,<br />
non è previsto dalla legge come reato: ovvero dell’irrilevanza<br />
penale dell’elusione fiscale. Nota a Tribunale di Catania, sentenza<br />
n. 2741/2009, inRiv. dott. comm., 2010, 887, nt. 18.<br />
(33) Per semplicità, ci si riferirà d’ora innanzi ai soli ‘‘elementi<br />
passivi fittizi’’, dato il loro rilievo statisticamente maggiore in<br />
materia di condotte elusive. Resto inteso che, anche ove non<br />
specificato, il discorso è sempre specularmente estensibile anche<br />
agli «elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo»,<br />
rappresentando questa seconda locuzione l’altra faccia<br />
della medaglia rispetto alla fittizietà degli elementi passivi.<br />
796 Le Società 7/2012
una parte della dottrina (34) e - fino alle sentenze<br />
sopra ricordate - lo era anche della scarsa giurisprudenza<br />
di merito esistente in materia (35).<br />
È evidente come, ragionando in questi termini, nessun<br />
rilievo penale possa essere attribuito alle condotte<br />
elusive, di qualsiasi tipologia esse siano, posto<br />
che, in tutti i casi, gli elementi passivi posti in dichiarazione<br />
dal contribuente non potrebbero affatto<br />
essere considerati fittizi, essendo gli stessi pienamente<br />
corrispondenti alla realtà fattuale e a quanto indicato<br />
nelle scritture contabili di riferimento.<br />
ii) A questo orientamento - come si accennava - se<br />
ne contrappone un altro di segno opposto, che trova<br />
a sua volta conferma in talune voci dottrinarie.<br />
Secondo quest’altra posizione «per elementi passivi<br />
fittizi si devono intendere non solo quelli non esistenti<br />
nella realtà, ma anche quelli che, pur essendo<br />
effettivi, sono indeducibili (per esempio per la<br />
mancanza dei requisiti della competenza o della<br />
inerenza) ai sensi delle disposizioni di legge od ancora<br />
non di competenza di quell’esercizio dovendosi,<br />
indi, parlare di fittizietà dell’elemento passivo<br />
nei casi di mancanza di corrispondenza non solo<br />
con la realtà materiale, [...], ma anche con quella<br />
giuridico-tributaria essendovi una violazione ad essa»<br />
(36).<br />
Così intesa la fittizietà come mera indeducibilità<br />
dei costi, «è evidente che sono fittizi anche quei<br />
costi che non concorrono a formare il reddito non<br />
perché inesistenti, ma perché fiscalmente irrilevanti<br />
come può essere il caso dei costi che derivano da<br />
una condotta elusiva fiscalmente illecita» (37).<br />
Al di là dell’analizzato riscontro dottrinale, le argomentazioni<br />
in parola sono state tra l’altro avallate<br />
da tutte le Circolari della Guardia di Finanza esistenti<br />
sul tema (38).<br />
La menzionata tesi, anche di recente autorevolmente<br />
sostenuta (39), amplia in definitiva il concetto<br />
di fittizietà e vi riconduce anche i casi di elusione,<br />
in cui vengano dedotte componenti negative di<br />
reddito indeducibili, poiché indicate in violazione<br />
della normativa tributaria (norme antielusive specifiche<br />
o clausole antielusive generali).<br />
iii) All’interno dei confini tracciati da queste due<br />
impostazioni estreme, si rinvengono in letteratura<br />
teorie intermedie, che tendono a riconoscere la penale<br />
rilevanza delle condotte elusive del contribuente<br />
solo con riferimento a talune fra le tipologie<br />
di elusione che sono state indicate in precedenza.<br />
A tal proposito, vi è anzitutto chi, analogamente<br />
alla sentenza D&G, si limita ad escludere dall’ambito<br />
della penale rilevanza quelle condotte che sarebbero<br />
poste in essere in violazione del generale prin-<br />
cipio antielusivo non scritto di cui agli artt. 3 e 53<br />
Cost., recentemente riconosciuto dalle Sezioni<br />
Unite Civili. Osservano infatti tali autori che tale<br />
regola sarebbe «non solo generale, ma anche del<br />
tutto generica e, perciò, non in grado di integrare<br />
quei requisiti di tipicità che presiedono alla configurazione<br />
delle fattispecie incriminatrice» In quest’ottica,<br />
il limite minimo della penale rilevanza sarebbe<br />
rappresentato dall’art. 37 bis, il quale, essendo<br />
in grado di disconoscere i vantaggi tributari maturati<br />
dal contribuente elusore, sarebbe altresì «potenzialmente<br />
idoneo ad integrare il profilo oggettivo<br />
del delitto di dichiarazione infedele» (40).<br />
Diversamente, taluni altri autori escludono anche<br />
la penale rilevanza rispetto alle condotte che aggirano<br />
la generale fattispecie antielusiva scritta di cui<br />
all’art. 37 bis, limitando l’area di precettività dell’potesi<br />
delittuosa di dichiarazione infedele ai soli casi<br />
di violazione diretta di specifiche norme antielusive,<br />
quali - come visto - quelle in materia di transfer<br />
pricing, società controllate estere, deduzione dei<br />
costi sostenuti con Paesi in black list ecc. Queste<br />
conclusioni si fondano abitualmente su due riflessioni<br />
aventi ad oggetto la diversa natura della norma<br />
antielusiva generale rispetto alle norme antielusive<br />
specifiche. Anzitutto la prima, al contrario delle<br />
seconde, non genererebbe un illecito (nemmeno<br />
in sede tributaria), ma si limiterebbe a rendere non<br />
opponibili all’amministrazione finanziaria le operazioni<br />
elusive realizzate dal contribuente. In questo<br />
senso, viene ritenuto impossibile che una condotta<br />
ritenuta addirittura lecita in ambito amministrativo<br />
Note:<br />
Opinioni<br />
Diritto penale societario<br />
(34) In questo senso, cfr. ex multis, F. Mucciarelli, Abuso, cit.,<br />
421 ss.; E. Musco - F. Ardito, Diritto penale tributario, Bologna,<br />
2010, 166 ss.; G. Zoppini, La condotta elusiva sotto il profilo della<br />
pena, in Riv. dir. trib., 2002, 594; P. Venturati-S. Caltabiano, I<br />
reati, cit., 19 s.; A. Traversi - S. Gennai, I nuovi delitti tributari,<br />
Milano, 2000, 214.<br />
(35) Si vedano, a tal proposito, i provvedimenti giudiziari citati da<br />
L. Troyer, La rilevanza penale, cit., 693 alle note 13, 14 e 15.<br />
(36) Così G. L. Soana, I reati tributari, Milano, 2009. In senso<br />
analogo, v. anche G. Bersani, L’interpretazione del concetto di<br />
‘‘fittizietà’’ nella dichiarazione fraudolenta e infedele, inDir. pen.<br />
proc., 2003, 373 ss. e D. Stevanato, Gli elementi passivi fittizi<br />
tra inesistenza e indeducibilità del costo, in R. Lupi (a cura di),<br />
AA.VV., Fiscalità d’impresa e reati tributari, Milano, 2000.<br />
(37) F. Gallo, Rilevanza, cit., 321 ss.<br />
(38) Si vedano, ad esempio, la Circolare del Comando Generale<br />
della Guardia di Finanza del 14 aprile 2000 n. 114000, in Il Fisco,<br />
2000, 6230 ss. e, da ultimo, la Circolare 1/2008, Istruzione sull’attività<br />
di verifica del Comando Generale della Guardia di Finanza,<br />
Vol. III, 88 ss.<br />
(39) A. Martini, Reati, cit., 402 ss.<br />
(40) A. Di Amato, Diritto, cit., 549.<br />
Le Società 7/2012 797
Opinioni<br />
Diritto penale societario<br />
possa allo stesso tempo essere considerata penalmente<br />
tipica (41). In secondo luogo, rileva una<br />
parte della letteratura come l’art. 37 bis abbia invero<br />
natura procedimentale e non sostanziale, con la<br />
conseguenza che essa esplicherebbe i propri effetti<br />
non ex ante, come obbligo per il contribuente ad<br />
un’autoliquidazione dell’imposta (virtuale) che non<br />
tenga conto delle pratiche elusive poste in essere,<br />
ma solo ex post, come potere per l’amministrazione<br />
di disconoscere i benefici maturati, rideterminando<br />
la corretta base imponibile (42).<br />
A questo quadro va aggiunta l’opinione di altri<br />
autori che ritengono corretto distinguere addirittura<br />
fra le differenti tipologie di condotte realizzate in<br />
violazione di norme antielusive della medesima specie<br />
(43).<br />
Queste impostazioni intermedie rappresentano, ad<br />
ogni evidenza, ulteriori complicazioni in un quadro<br />
già di per sé torvo e fortemente convulso, che, in<br />
materia di rilevanza penale dell’elusione tributaria,<br />
vede il confronto fra tutte le possibilità interpretative<br />
esistenti.<br />
Gli argomenti posti a conferma<br />
delle differenti impostazioni<br />
Come anticipato, le conclusioni, più o meno approfondite,<br />
cui giungono i diversi autori, vengono motivate<br />
tramite una serie di argomenti tradizionali ricorrenti<br />
- di ‘‘tp giuridici’’ potremmo dire -, i quali,<br />
alternativamente sfruttati in senso inverso, concorrono<br />
a rendere la disputa teorica ormai asfittica.<br />
L’economia del presente lavoro rende superfluo ripercorrere<br />
tale analisi.<br />
Basti notare che, oltre ai tre sfruttati dalla sentenza<br />
D&G (44), esistono numerosi altri tasselli di questo<br />
approccio ermeneutico parcellizzato, quali, ad esempio,<br />
gli argomenti fondati sull’art. 7 (45) e sull’art.<br />
19 (46), D.Lgs. n. 74/00.<br />
La ricerca di un orizzonte penalistico:<br />
principi costituzionali, tecniche normative<br />
e interpretazioni sostenibili<br />
Al di là degli argomenti ambigui e scivolosi, sfruttati<br />
con approccio opposto dai sostenitori di entrambi<br />
gli orientamenti pocanzi considerati, è da ritenere<br />
che l’unico metodo proficuo di procedere sia quello<br />
di spostare e risolvere la questione su di un piano<br />
squisitamente penalistico. Si tratta dell’approccio<br />
già anticipato sulle pagine di questa Rivista (47) e<br />
già sfruttato dalla migliore dottrina (48).<br />
È proprio in questo senso che - a nostro avviso -<br />
perdono qualsiasi interesse le questioni concernenti<br />
la definizione del concetto di elusione tributaria,<br />
così come perde interesse la stessa domanda che la<br />
letteratura da sempre si pone circa la rilevanza penale<br />
dell’elusione medesima.<br />
Il problema in questi termini appare infatti mal posto.<br />
Dal momento che il termine elusione non compare<br />
in alcuna fattispecie penale, infatti, è evidente come<br />
lo stesso concetto possa essere agevolmente tenuto<br />
sullo sfondo dal penalista, così come tutte le<br />
intricate questioni dogmatiche e processuali di cui<br />
esso è foriero (tipologie di elusione, natura delle<br />
norme elusive, liceità dell’elusione ecc.). Il primo<br />
punto fermo è infatti l’assenza, nell’ordinamento<br />
italiano, di una norma penale che colpisca l’elusione<br />
tributaria in quanto tale (49).<br />
Nell’ambito di tutti i ragionamenti sinora esplorati,<br />
solo una resta in definitiva la domanda cardine, cui<br />
occorre dare risposta: il concetto di fittizietà corrisponde<br />
necessariamente ad inesistenza oggettiva (in<br />
rerum natura) degli elementi passivi indicati in dichiarazione<br />
o può anche riguardare i casi di mera<br />
inopponibilità dei medesimi al fisco (50)?<br />
Tale domanda, anzitutto, è la sola meritevole di ri-<br />
Note:<br />
(41) Ragiona, tra gli altri, su questo problema G.M. Flick, Abuso,<br />
cit., 476/I s.<br />
(42) Così, ex multis, Marcheselli, Numerosi, cit., 857 s. L’autore<br />
nota oltretutto come costituirebbe un «dovere sproporzionato»<br />
per il contribuente quello di «individuare lo spirito della legge e<br />
salvaguardarlo dalla lettera della legge stessa, in supplenza del<br />
legislatore».<br />
(43) Si vedano, per esempio, A. Lanzi - P. Aldrovandi, Manuale, cit.,<br />
171 ss. che ritengono penalmente rilevante il fenomeno del transfer<br />
pricing e non anche quello dei costi sostenuti con Paesi a fiscalità<br />
privilegiata e indicati in dichiarazione come elementi passivi.<br />
(44) Si tratta degli argomenti fondati sul concetto di imposta<br />
evasa, sull’art. 16, D.Lgs. n. 74/00 e sulla ratio puniendi del decreto.<br />
Di essi ci si è già occupati in precedenza ai §§ Le recenti<br />
aperture giurisprudenziali alla rilevanza penale dell’elusione tributaria<br />
e Le facili obiezioni e l’impasse dell’interpretazione parcellizzata,<br />
cui si rinvia.<br />
(45) Ripercorrono entrambe le tesi sull’art. 7, D.Lgs. n. 74/00, tra<br />
gli altri, T. Landi, La vexata quaestio della rilevanza penale dell’elusione,<br />
inDir. prat. trib., 2004, 643 ss. e G.D. Toma, Quali risvolti penali<br />
per l’elusione fiscale? Dubbi e perplessità: dallanotitia criminis<br />
all’esimente ex art. 16, D.Lgs. n. 74 del 2000, ivi, 2009, 1027 s.<br />
(46) V. ancora G. M. Flick, Abuso, cit., 479/I s.<br />
(47) L. Troyer, La rilevanza penale, cit., 699 ss.<br />
(48) In questi termini, si vedano, ad esempio, F. Mucciarelli,<br />
Abuso, cit., passim; E. Musco - F. Ardito, Diritto, cit., 170 ss.; G.<br />
M. Flick, Abuso, cit., 480/I ss.<br />
(49) Così, per tutti, E. Musco - F. Ardito, Diritto, cit., 170 che<br />
spiegano anche le ragioni di tale (volontaria) lacuna normativa.<br />
(50) In questi stessi termini, A. Lanzi - P. Aldrovandi, Manuale,<br />
cit., 164.<br />
798 Le Società 7/2012
sposta, atteso che il termine ‘‘fittizio’’ compare invece<br />
all’interno dei delitti dichiarativi di cui al D.Lgs.<br />
n. 74/00, costringendo così l’interprete ad un confronto<br />
ermeneutico. La fittizietà, in particolare,<br />
connota con forza la condotta a forma vincolata<br />
del delitto di dichiarazione infedele, imponendo un<br />
attento interpretativo (51).<br />
E tale domanda, inoltre, è cruciale perché consente<br />
di risolvere ogni questione legata alla possibile rilevanza<br />
penale delle condotte di elusione tributaria:<br />
in tali casi infatti il contribuente non dichiara mai<br />
nulla di difforme dalla realtà dei fatti (52), sicché<br />
solo la tesi dell’identità fittizietà/inopponibilità potrebbe<br />
fornire aperture in senso colpevolista.<br />
A tal proposito, peraltro, occorre prescindere per<br />
un momento dallo scontro scarsamente proficuo<br />
circa l’interpretazione letterale astratta del singolo<br />
termine ‘‘fittizio’’, per dedicarsi ad una sua contestualizzazione<br />
alla luce dei principi cardine dell’ordinamento<br />
penalistico.<br />
Così ragionando, ci si rende conto dell’esistenza di<br />
almeno tre ordini di motivi, capaci di rendere palese<br />
l’irrilevanza penale dell’elusione fiscale e delle situazioni<br />
di c.d. ‘‘abuso del diritto’’ o, per dirla in<br />
termini più corretti alla luce della nuova impostazione,<br />
capaci di identificare il concetto di fittizietà<br />
con quello di inesistenza oggettiva.<br />
Gli argomenti legati ai principi<br />
di frammentarietà ed extrema ratio<br />
del diritto penale<br />
Il primo argomento si fonda sui principi costituzionali<br />
di frammentarietà ed extrema ratio del diritto<br />
penale.<br />
La sanzione penale, in questa luce, dovrebbe essere<br />
selettivamente riservata per le violazioni più gravi<br />
(rispetto ai beni giuridici tutelati), lasciando agli altri<br />
rami dell’ordinamento il dovere di reprimere gli<br />
illeciti ‘‘meno intensi’’ e meno dannosi.<br />
In ambito penal-tributario questa necessità deve ritenersi<br />
confermata dalla riforma del 2000, attraverso<br />
la quale il legislatore ha inteso escludere l’utilizzo<br />
dello strumento penale rispetto a tutte le violazioni<br />
meramente formali, appiattite sulla normativa tributaria,<br />
riservandolo ad un numero esiguo di delitti<br />
particolarmente offensivi e ben connotati nella propria<br />
tipicità, grazie anche all’uso massiccio dello<br />
strumento definitorio.<br />
In quest’ottica, l’interpretazione che associa al concetto<br />
di fittizietà ogni forma di inopponibilità fiscale<br />
stride in maniera irreparabile con i principi menzionati,<br />
posto che essa comporterebbe la pan-penalizzazione<br />
di ogni violazione tributaria. L’effetto<br />
inaccettabile sarebbe quello di considerare penalmente<br />
rilevanti, quantomeno ex art. 4 D.Lgs. 74/<br />
00, salvi i limitati margini relativi alle soglie di punibilità,<br />
tutte le possibili forme di violazione della<br />
normativa tributaria, comportando le medesime<br />
una divergenza tra l’essere ed il dover essere della<br />
dichiarazione.<br />
Questa conclusione è del tutto inaccoglibile e<br />
un’interpretazione costituzionalmente orientata si<br />
impone.<br />
In questo senso è da ritenersi che il concetto di fittizietà<br />
debba essere limitato alle componenti negative<br />
realmente fittizie, perché dichiarate nonostante<br />
la loro inesistenza naturalistica. Tale situazione non<br />
potrebbe per nulla essere accomunata alla dichiarazione<br />
perfettamente limpida e priva di mendacio,<br />
attraverso cui l’imprenditore dichiara con trasparenza<br />
i costi da lui sostenuti, anche se in ipotesi<br />
quantificati e dedotti in dichiarazione in maniera<br />
difforme da quanto prescritto dalle leggi tributarie.<br />
Tale conclusione sarebbe peraltro l’unica in linea<br />
con la Relazione ministeriale al D.Lgs. 74/00, la<br />
quale, anche con riferimento all’art. 4, espressamente<br />
richiede «un minimum di attitudine all’inganno<br />
nei confronti del fisco». Attitudine che<br />
manca completamente nei fenomeni elusivi, ove<br />
«non vi è alcuna artificiosità nel comportamento<br />
materiale, ma solo nella veste giuridica» (53).<br />
Gli argomenti legati ai corollari<br />
del principio di legalità<br />
Il secondo argomento poggia sul principio di legalità<br />
della norma penale e sui corollari del principio<br />
medesimo (54).<br />
È evidente che, interpretando l’elemento normativo<br />
della fittizietà alla luce della disciplina extrapenale<br />
(indeducibile=fittizio), si aprono le porte della<br />
fattispecie penale all’intero ordinamento tributari-<br />
Note:<br />
Opinioni<br />
Diritto penale societario<br />
(51) Cfr., ancora, sul punto, L. Troyer, La rilevanza penale, cit.,<br />
698. L’Autore, richiamando la già citata sentenza del G.I.P. Milano<br />
1-29 aprile 2011 - Giud. Luerti, cit., osserva come l’annichilimento<br />
ermeneutico del vincolo di condotta comporterebbe l’inammissibile<br />
creazione di una differente fattispecie a condotta<br />
libera, di una sorta di ‘‘omicidio fiscale’’, sconosciuto al D.Lgs.<br />
n. 74/00.<br />
(52) Cfr. E. Musco - F. Ardito, Diritto, cit., 172; P. Venturati - S.<br />
Caltabiano, I reati, cit., 115: «Nel caso dell’elusione [...] la fattispecie<br />
imponibile, per effetto di condotte che potremmo anche<br />
definire strumentali e artificiose, non sorge (in tutto o in parte) e<br />
la dichiarazione riporterà una situazione corrispondente al reale».<br />
(53) E. Musco - F. Ardito, Diritto, cit., 173.<br />
(54) Su questi stessi principi si fondano le condivisibili argomentazioni<br />
di L. Troyer, La rilevanza penale, cit., 699 ss.<br />
Le Società 7/2012 799
Opinioni<br />
Diritto penale societario<br />
stico, con la conseguenza di un’evidente ed insanabile<br />
frattura della tipicità propria dell’art. 4, D.Lgs.<br />
n. 74/00 (55).<br />
Il complessivo impianto tributaristico, anche se in<br />
ipotesi previsto interamente da fonti legislative, difetta<br />
palesemente dei requisiti di precisione richiesti<br />
dalla norma penale, essendo colmo di ipotesi valutative,<br />
incerte ed aperte alla discrezionalità degli uffici<br />
accertatori.<br />
Ne seguirebbe l’apertura della fattispecie penale,<br />
per il tramite di un suo elemento normativo (56),<br />
a disposizioni extrapenali imprecise, nate e vissute<br />
in settori giuridici del tutto difformi, retti da principi<br />
e da canoni interpretativi inaccettabili in sede<br />
penale.<br />
Il portato diabolico di questa interpretazione sarebbe<br />
una norma penale in bianco completamente<br />
aperta e destrutturata, destinata a coprire col cappello<br />
del penalmente rilevante ogni ipotesi, anche<br />
incerta, anche imprecisa, di illecito tributario (57).<br />
Questa lesione del principio di legalità appare palpabile<br />
proprio nei casi ‘‘elusivi’’ oggetto della nostra<br />
attenzione, rispetto ai quali è possibile fornire alcune<br />
esemplificazioni.<br />
i) Con riferimento, anzitutto, alle transazioni con<br />
Paesi in black list, si pensi al completo deficit di precisione,<br />
insito nell’irrompere all’interno della fattispecie<br />
penale del comma 11 dell’art. 110 del TUIR;<br />
quello - per intenderci - relativo alle esimenti rispetto<br />
all’ordinaria indeducibilità dei costi sostenuti<br />
con soggetti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata:<br />
«11. Le disposizioni di cui al comma 10 non si<br />
applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano<br />
la prova che le imprese estere svolgono<br />
prevalentemente un’attività commerciale effettiva,<br />
ovvero che le operazioni poste in essere rispondono<br />
ad un effettivo interesse economico e che le stesse<br />
hanno avuto concreta esecuzione. Le spese e gli altri<br />
componenti negativi deducibili ai sensi del primo<br />
periodo sono separatamente indicati nella dichiarazione<br />
dei redditi. L’Amministrazione, prima<br />
di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento<br />
d’imposta o di maggiore imposta, deve notificare<br />
all’interessato un apposito avviso con il quale<br />
viene concessa al medesimo la possibilità di fornire,<br />
nel termine di novanta giorni, le prove predette.<br />
Ove l’Amministrazione non ritenga idonee le prove<br />
addotte, dovrà darne specifica motivazione nell’avviso<br />
di accertamento».<br />
La fittizietà della dichiarazione - e con essa la penale<br />
rilevanza della condotta del contribuente -,<br />
rispetto al collocamento in dichiarazione degli elementi<br />
passivi derivanti dai rapporti predetti, di-<br />
penderebbe, a questa stregua, dalle intricate ed incertissime<br />
condizioni poste dalla norma pocanzi riportata.<br />
Ma come può l’applicazione di una norma penale<br />
dipendere dalla circostanza che siano soddisfacenti<br />
o meno le prove fornite, in contraddittorio con<br />
l’Ufficio accertatore, in riferimento alla circostanza<br />
che «le imprese estere svolgono prevalentemente<br />
un’attività commerciale effettiva’’, ovvero che ‘‘le<br />
operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo<br />
interesse economico e che le stesse hanno avuto<br />
concreta esecuzione»? Dovrebbe il giudice penale<br />
valutare autonomamente questi requisiti, con la<br />
conseguenza di poter giungere a valutazioni opposte<br />
all’Ufficio accertatore, o dovrebbe appiattirsi su tali<br />
valutazioni? La risposta facile relativa all’autonomia<br />
dei giudizi si scontra inevitabilmente con la circostanza<br />
che la norma si riferisce espressamente al dato<br />
probatorio e non a quello sostanziale.<br />
Può forse un elemento normativo della fattispecie,<br />
qual è il concetto di fittizio, trovare, in questo caso,<br />
la propria definizione all’interno di una formula intricata<br />
e fortemente valutativa che contiene termini<br />
e locuzioni quali «prevalentemente», «attività<br />
commerciale effettiva’’ » e «concreta esecuzione»?<br />
La verità è che il citato comma 11 - come la maggior<br />
parte delle ipotesi contenute nel TUIR - nasce<br />
e vive in ambito tributario extrapenale, difettando<br />
completamente dei requisiti di precisione e tassatività<br />
che in ambito penale si impongono.<br />
ii) Lo stesso è da dirsi per la disciplina concernente<br />
il transfer pricing, sol che si pensi al concetto di valore<br />
‘‘normale’’ delle transazioni, determinato alla<br />
luce dell’intricato combinato disposto degli artt. 9 e<br />
110 TUIR, nell’ambito delle svariate modalità di<br />
calcolo conosciute a livello nazionale e transnazionale<br />
(58).<br />
Note:<br />
(55) Così anche A. Lanzi - P. Aldrovandi, Manuale, 170 s.<br />
(56) In generale, sugli elementi normativi della fattispecie, v. L.<br />
Risicato, Gli elementi normativi della fattispecie penale, inStudium<br />
iuris, 2005, 159 ss.<br />
(57) Come giustamente nota L. Ramponi, «Transfer pricing»,<br />
cit., 227, il precetto della dichiarazione infedele si tradurrebbe a<br />
questo punto nel seguente: «chiunque espone un reddito le cui<br />
componenti positive sono inferiori alla misura accertabile come<br />
esatta alla stregua delle norme sostanziali del TUIR, ovvero le<br />
cui componenti negative sono indeducibili alla stregua delle medesime<br />
norme è punito ...».<br />
(58) Per avere anche solo un’idea delle problematiche connesse<br />
alla scelta del metodo di calcolo del prezzo di trasferimento ed<br />
alle conseguenze che tale scelta determina, si vedano, ex multis,<br />
G. Giardina, Transfer Pricing and the Traditional Methods: a<br />
Comparative Analysis, inDir. prat. trib. int., 2002, 719 ss. e, più<br />
(segue)<br />
800 Le Società 7/2012
Non pare necessario riportare testualmente le lunghe<br />
ed intricate disposizioni legislative concernenti<br />
i prezzi di trasferimento, né approfondire i complessi<br />
e contestati metodi di calcolo del valore normale,<br />
per poter affermare la palese e completa carenza di<br />
tassatività di decine di termini e concetti ivi contenuti.<br />
Tali circostanze, peraltro, sono confermate anche a<br />
livello pratico, ove è usuale imbattersi in decine di<br />
calcoli differenti del valore normale, in dipendenza<br />
delle molteplici variabili su cui l’interprete può lavorare,<br />
pur nel pieno rispetto del dettato normativo<br />
(metodo di calcolo, scelta dei comparables, interpretazione<br />
delle linee guida ecc.).<br />
iii) Il medesimo discorso deve essere ripetuto, infine,<br />
anche con riferimento ai contenuti dell’art. 37<br />
bis, D.P.R. n. 600/73, a detta del quale sono inopponibili<br />
all’amministrazione «gli atti, i fatti e i negozi,<br />
anche collegati tra loro, privi di valide ragioni<br />
economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti<br />
previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni<br />
di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti».<br />
L’interpretazione larga del concetto di fittizietà, fatta<br />
propria peraltro anche dalla sentenza D&G, importa<br />
l’irrompere della disposizione appena trascritta<br />
all’interno della norma penale in bianco di cui<br />
all’art. 4, D.Lgs. n. 74/00, con la conseguenza che<br />
fittizio diverrebbe anche l’elemento passivo derivante<br />
da un negozio avente le caratteristiche appena<br />
menzionate.<br />
Anche in questo caso, il completo deficit di precisione/tassatività<br />
in cui incorrerebbe la fattispecie<br />
penale, così ‘‘assemblata’’, è di immediata evidenza<br />
e deriva, tra l’altro:<br />
– dall’aleatorietà della formula negativa e relazionale<br />
«privi di valide ragioni economiche», che imporrebbe<br />
tra l’altro un’inammissibile inversione dell’onere<br />
della prova quale unica alternativa rispetto<br />
alla necessità di ottenere una probatio diabolica da<br />
parte dell’accusa (59);<br />
– dalla caratterizzazione fortemente incerta del fine<br />
che si propone il contribuente, che rimarrebbe quale<br />
unico elemento di tipizzazione (dolo specifico?)<br />
di una condotta altrimenti del tutto lecita (60).<br />
Queste esemplificazioni dimostrano alcuni degli esiti<br />
inaccettabili, in punto di precisione e tassatività,<br />
cui giungerebbe l’identificazione dei concetti di fittizietà<br />
e inopponibilità, tramite l’irrompere dell’intero<br />
ordinamento tributario all’interno di una singola<br />
norma penale generalissima qual è l’art. 4,<br />
D.Lgs. n. 74/00.<br />
In definitiva, non si danno altre possibilità se non<br />
quella di ritenere che il concetto di fittizietà debba<br />
essere autonomamente tipizzato in via restrittiva<br />
nel suo significato di ‘‘inesistente nella realtà’’, secondo<br />
un senso peraltro maggiormente in linea anche<br />
col tenore letterale del termine.<br />
Gli argomenti legati al principio<br />
di colpevolezza e di irretroattività<br />
della norma penale sfavorevole<br />
Il terzo argomento si collega strettamente al precedente<br />
e illumina un’altra caratteristica allarmante<br />
dell’interpretazione che legge l’elemento normativo<br />
della fittizietà come clausola di rinvio all’intero ordinamento<br />
tributario.<br />
Deve essere notato infatti come l’abnormità di tale<br />
approccio interpretativo vada persino al di là della<br />
marcata carenza di precisione del complessivo precetto<br />
penale, così come pocanzi evidenziato.<br />
La notevole gravità di quest’ultima circostanza è infatti<br />
acuita dal rilievo che, ragionando per assurdo<br />
nei termini già indicati, non solo il contribuente si<br />
troverebbe a che fare con normative penalisticamente<br />
imprecise e (sovente) persino difficilmente<br />
comprensibili dal punto di vista letterale, ma si troverebbe<br />
anche a che fare con discipline extrapenali<br />
antielusive che esplicano la loro efficacia solo ex<br />
post, rendendo impossibile che il contribuente stesso<br />
possa conoscere ex ante se l’elemento passivo che<br />
va indicando in dichiarazione, in ossequio alla realtà<br />
economica e fattuale, possa essere ritenuto o meno<br />
fittizio (61).<br />
Sul punto conviene fare chiarezza.<br />
Le disposizioni antielusive - come visto - si preoccupano<br />
esclusivamente di rettificare ex post (ampliandola)<br />
la base imponibile del contribuente sulla<br />
scorta di determinati criteri valutativi. Questa riflessione<br />
è vera in termini pratico-oggettivi a pre-<br />
Note:<br />
(segue nota 58)<br />
Opinioni<br />
Diritto penale societario<br />
di recente, D. Avolio - P. Ruggiero, IAS/IFRS e ‘‘transfer pricing’’:<br />
le differenze nelle valutazioni a ‘‘fair value’’ e ad ‘‘arm’s<br />
lenght", inCorr. trib., 2011, 3719 ss.; S. Mattia - P. Valente, Principi<br />
e criticità nella selezione del metodo per determinare il transfer<br />
pricing, ivi, 2011, 197 ss.<br />
(59) In questo senso, potrebbero addirittura essere ipotizzate<br />
delle carenze anche in punto di determinatezza, intesa quale<br />
possibilità di provare in giudizio uno degli elementi costitutivi<br />
della fattispecie.<br />
(60) Si veda, sul punto, la completa analisi di F. Mucciarelli, Abuso,<br />
cit., 436 ss.<br />
(61) Imposta il problema in questi termini G. Flora, Perché<br />
l’«elusione fiscale» non può costituire reato (a proposito del<br />
«caso Dolce & Gabbana»), inRiv. trim. dir. pen. econ., 2011,<br />
873.<br />
Le Società 7/2012 801
Opinioni<br />
Diritto penale societario<br />
scindere dal problema - già anticipato - circa la natura<br />
delle singole norme antielusive.<br />
Tale disciplina, in altri termini, non modifica ex<br />
ante le ordinarie regole tributarie previste dall’ordinamento,<br />
né altera in alcun modo, sempre ex ante,<br />
la possibilità dell’imprenditore di autodeterminarsi<br />
nella libera realizzazione di determinate operazioni<br />
commerciali.<br />
Con la normativa antielusiva, in pratica, la legge<br />
prevede la (mera) possibilità - il rischio dal lato<br />
dell’imprenditore - che determinati costi relativi ad<br />
operazioni intercorse non vengano riconosciuti o<br />
vengano riconosciuti in misura difforme da quanto<br />
sarebbe avvenuto, in base alle regole ordinarie note<br />
ab origine, qualora gli uffici accertatori non avessero<br />
ravvisato gli estremi di un fenomeno elusivo.<br />
La conclusione del quadro viene da sé.<br />
Fino a quando la base imponibile non viene ex post<br />
rettificata, il quadro offerto dall’imprenditore in dichiarazione<br />
rispecchia pienamente l’ordinario complesso<br />
di disposizioni tributarie che l’imprenditore<br />
medesimo applica ad operazioni perfettamente lecite<br />
e realizzate nell’ambito della propria liberta d’azione<br />
(62).<br />
Ciò comporta non solo un’assenza di fittizietà negli<br />
elementi dichiarati, ma una radicale assenza di<br />
mendacio.<br />
Né pare ragionevole ritenere che una rettifica ex<br />
post della base imponibile possa rendere retroattivamente<br />
fittizio un elemento che al momento della<br />
sua indicazione tale non era.<br />
A questa conclusione inaccettabile osterebbe infatti<br />
un ulteriore corollario dei principi di legalità e colpevolezza,<br />
consistente nell’impossibilità di rimproverare<br />
all’agente una condotta che risultava ex ante<br />
lecita o, comunque, la cui liceità od il cui quantum<br />
di liceità sarebbe dipeso da un successivo ed eventuale<br />
ampliamento della base impositiva.<br />
Quanto esposto sinora appare con chiarezza estrema<br />
nei casi pocanzi analizzati: dal caso del transfer pricing,<br />
ove il valore normale dei prodotti risente necessariamente<br />
delle modalità di calcolo utilizzate ex<br />
post dagli accertatori; al caso dei rapporti con Paesi<br />
a fiscalità privilegiata, ove la valutazione circa la<br />
sussistenza delle esimenti sfugge necessariamente a<br />
priori al contribuente ed è oltretutto connotata da<br />
un’inammissibile inversione dell’onere probatorio;<br />
al caso, ancora, della clausola antielusiva generale,<br />
ove l’assenza di validità delle ragioni economiche<br />
del contribuente dipende da un successivo accertamento<br />
dell’amministrazione finanziaria, che rende<br />
ex post indeducibile ciò che prima lo era.<br />
La tesi che allarga il concetto di fittizietà pare, an-<br />
che da questo punto di vista, inammissibile: un dato<br />
- per definizione - è reale o fittizio in sé e per sé,<br />
non può divenire o non divenire tale a seconda<br />
dell’interpretazione data, in un secondo tempo, al<br />
quadro economico sulla base di un complicato e<br />
(penalmente) impreciso complesso di disposizioni<br />
antielusive.<br />
La conseguenza dell’approccio inverso sarebbe, nei<br />
fatti, quella di creare delle pericolosissime fattispecie<br />
penali ‘‘a formazione progressiva’’, le quali, in<br />
violazione del principio di irretroattività del precetto<br />
penale, sarebbero colmate ex post da un sopravvenuto<br />
giudizio di fittizietà, derivato dalla modifica<br />
amministrativa della base imponibile auto-definita<br />
dal contribuente.<br />
Anche in questo senso, dunque, per ragioni di certezza<br />
del dettato normativo (rectius delle condizioni<br />
di operatività del dettato normativo) e di rimproverabilità<br />
soggettiva della condotta, deve ritenersi<br />
inammissibile un accostamento del concetto di fittizietà<br />
alle normative antielusive.<br />
Conclusioni e prospettive<br />
Le conclusioni sono - a nostro avviso - abbastanza<br />
chiare.<br />
Fino a quando il legislatore non riterrà opportuno<br />
normare la materia in maniera coerente e dettagliata,<br />
i principi cardine dell’ordinamento penalistico<br />
imporranno di interpretare lo scarno concetto di fittizietà,<br />
contenuto nei delitti dichiarativi, come<br />
‘‘inesistenza oggettiva’’, con conseguente esclusione<br />
di ogni forma di elusione dell’area del penalmente<br />
rilevante.<br />
Qualora il legislatore penale decida di cimentarsi in<br />
questa sfida codificatoria, dovrà far sì che ciascuna<br />
fattispecie di reato sia costruita tramite tecniche<br />
normative che garantiscano i suddetti principi e<br />
che segnatamente:<br />
i) disegnino precetti chiari in tutti i loro elementi<br />
oggettivi e soggettivi, specie con riferimento alla<br />
portata degli elementi normativi extrapenali della<br />
fattispecie, la cui definizione dovrà essere ricavabile<br />
dall’ordinamento tributario in maniera precisa ed<br />
univoca, ovvero dovrà essere definita autonomamente<br />
dallo stesso legislatore penale (principio di<br />
precisione);<br />
Nota:<br />
(62) Nota oltretutto Marcheselli, Numerosi, cit., 857 come il<br />
contribuente abbia il preciso obbligo di autoliquidare l’imposta<br />
sulla base delle proprie operazioni elusive e non possa autonomamente<br />
disapplicare tali operazioni e passare all’autoliquidazione<br />
sulla base delle (mai realizzate) operazioni non elusive.<br />
802 Le Società 7/2012
ii) garantiscano la possibilità per il giudice penale,<br />
nell’ambito di un giudizio penale, di provare in maniera<br />
inequivoca, al di là di ogni ragionevole dubbio,<br />
tutti gli elementi della fattispecie penale (principio<br />
di determinatezza);<br />
iii) garantiscano la possibilità per il contribuente di<br />
comprendere in qualsiasi momento, in anticipo rispetto<br />
all’azione, quali siano gli esatti confini di liceità<br />
penale della propria condotta, senza che l’area<br />
di penale rilevanza di un comportamento potenzialmente<br />
elusivo possa essere determinata dall’amministrazione<br />
finanziaria a condotta ormai conclusa<br />
(principi di colpevolezza ed irretroattività della norma<br />
penale).<br />
Qualora questa sfida fosse ritenuta necessaria a livello<br />
politico-criminale, essa dovrà essere affrontata<br />
con notevole impegno e dedizione, posta l’elevatissima<br />
complessità tecnico-giuridica degli argomenti.<br />
In caso contrario, è infatti evidente che qualunque<br />
nuova incriminazione (o modifica delle esistenti)<br />
che intendesse forzare la penale rilevanza delle con-<br />
Opinioni<br />
Diritto penale societario<br />
dotte elusive, in assenza di una meditazione attenta<br />
ed organica, si esporrebbe necessariamente a quelle<br />
veementi censure di costituzionalità, che al momento<br />
sono - a nostro avviso - placate dalla residua<br />
possibilità di interpretare la normativa penale-tributaria<br />
in chiave costituzionalmente orientata.<br />
Pare peraltro, al momento, che il Legislatore si stia<br />
condivisibilmente muovendo in senso opposto rispetto<br />
alla penalizzazione delle condotte elusive. È infatti<br />
del 16 aprile 2012 la legge delega in materia fiscale<br />
(«Schema di disegno di legge delega recante disposizioni<br />
per la revisione del sistema fiscale»), all’interno<br />
della quale l’art. 6 lett. d) testualmente indica quale<br />
principio da seguire nella futura codificazione delegata<br />
quello di «escludere la rilevanza penale dei comportamenti<br />
ascrivibili a fattispecie abusive».<br />
È evidente come questa eventuale presa di posizione<br />
da parte de Legislatore risolverebbe in radice<br />
tutte le questioni sollevate dalla giurisprudenza e<br />
dalla dottrina, nel senso da noi illustrato nelle righe<br />
che precedono.<br />
Le Società 7/2012 803
studi materiali<br />
e<br />
e<br />
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tributari, esecuzioni immobiliari, informatica<br />
giuridica, comunitari e internazionali), nonché<br />
degli approfondimenti e delle interpretazioni<br />
operative del Consiglio Nazionale.<br />
La sezione Materiali pubblica lavori che, pur<br />
senza costituire studi approvati dal Consiglio<br />
Nazionale, presentano comunque profili di particolare<br />
interesse. In questa sezione sono pubblicati<br />
anche studi e ricerche sulla storia del<br />
notariato.<br />
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Studi del Consiglio Nazionale formula a specifici<br />
quesiti di interesse generale.<br />
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Y26DU LE
Tribunale delle imprese<br />
Le sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa<br />
Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1 (1)<br />
Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività (2)<br />
(G.U. 24 gennaio 2012, n. 19, Suppl. ord. n. 18)<br />
@Il testo integrale del provvedimento è disponibile su: www.ipsoa.it/lesocieta<br />
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA<br />
(Omissis).<br />
Titolo I<br />
Concorrenza<br />
Capo I<br />
Norme generali sulle liberalizzazioni<br />
(Omissis).<br />
Art. 2<br />
Tribunale delle imprese<br />
1. Al decreto legislativo 26 giugno 2003, n. 168 sono<br />
apportate le seguenti modificazioni:<br />
a) all’articolo 1:<br />
1) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Istituzione<br />
delle sezioni specializzate in materia di impresa»;<br />
2) al comma 1, le parole: «proprietà industriale ed intellettuale»<br />
sono sostituite dalla seguente: «impresa»;<br />
3) è aggiunto il seguente comma:<br />
«1-bis. Sono altresì istituite sezioni specializzate in<br />
materia di impresa presso i tribunali e le corti d’appello<br />
aventi sede nel capoluogo di ogni regione, ove non esistenti<br />
nelle città di cui al comma 1. Per il territorio compreso<br />
nella regione Valle d’Aosta/Vallé d’Aoste sono<br />
competenti le sezioni specializzate presso il tribunale e la<br />
corte d’appello di Torino. È altresì istituita la sezione<br />
specializzata in materia di impresa presso il tribunale e la<br />
corte d’appello di Brescia. L’istituzione delle sezioni specializzate<br />
non comporta incrementi di dotazioni organiche»;<br />
b) all’articolo 2, il comma 1 è sostituito dal seguente:<br />
«1. I giudici che compongono le sezioni specializzate sono<br />
scelti tra i magistrati dotati di specifiche competenze»;<br />
c) all’articolo 2, comma 2, le parole: «proprietà industriale<br />
ed intellettuale» sono sostituite dalla seguente:<br />
«impresa»;<br />
d) l’articolo 3 è sostituito dal seguente:<br />
«Art. 3. - (Competenza per materia delle sezioni spe-<br />
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
cializzate) - 1. Le sezioni specializzate sono competenti<br />
in materia di:<br />
a) controversie di cui all’articolo 134 del decreto legislativo<br />
10 febbraio 2005, n. 30, e successive modificazioni;<br />
b) controversie in materia di diritto d’autore;<br />
c) controversie di cui all’articolo 33, comma 2, della<br />
legge 10 ottobre 1990, n. 287;<br />
d) controversie relative alla violazione della normativa<br />
antitrust dell’Unione europea.<br />
2. Le sezioni specializzate sono altresì competenti, relativamente<br />
alle società di cui al Libro V, Titolo V, Capi<br />
V, VI e VII, e Titolo VI, del codice civile, alle società<br />
di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio,<br />
dell’8 ottobre 2001, e di cui al regolamento (CE) n.<br />
1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, nonché alle<br />
stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle società<br />
costituite all’estero, ovvero alle società che rispetto<br />
alle stesse esercitano o sono sottoposte a direzione e<br />
coordinamento, per le cause e i procedimenti:<br />
a) relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti<br />
l’accertamento, la costituzione, la modificazione<br />
o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità<br />
da chiunque promosse contro i componenti<br />
degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore,<br />
il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione<br />
dei documenti contabili societari, nonché contro<br />
il soggetto incaricato della revisione contabile per i<br />
danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti<br />
commessi nei confronti della società che ha conferito<br />
l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, le opposizioni<br />
di cui agli articoli 2445, terzo comma, 2482, secondo<br />
comma, 2447 quater, secondo comma, 2487 ter,<br />
Note:<br />
(1) Il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 è stato convertito con modificazioni<br />
dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, pubblicata in G.U. 24 marzo<br />
2012, n. 71, Suppl. ord. n. 53.<br />
(2) Testo coordinato con le modifiche apportatevi dalla legge di<br />
conversione.<br />
Le Società 7/2012 805
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
secondo comma, 2503, secondo comma, 2503 bis, primo<br />
comma, e 2506 ter del codice civile;<br />
b) relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali<br />
o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni<br />
sociali o i diritti inerenti;<br />
c) in materia di patti parasociali, anche diversi da<br />
quelli regolati dall’articolo 2341 bis del codice civile;<br />
d) aventi ad oggetto azioni di responsabilità promosse<br />
dai creditori delle società controllate contro le società<br />
che le controllano;<br />
e) relativi a rapporti di cui all’articolo 2359, primo<br />
comma, numero 3), all’articolo 2497 septies e all’articolo<br />
2545 septies del codice civile;<br />
f) relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi<br />
o forniture di rilevanza comunitaria dei quali sia parte<br />
una delle società di cui al presente comma, ovvero quando<br />
una delle stesse partecipa al consorzio o al raggruppamento<br />
temporaneo cui i contratti siano stati affidati, ove<br />
comunque sussista la giurisdizione del giudice ordinario.<br />
3. Le sezioni specializzate sono altresì competenti per<br />
le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione<br />
con quelli di cui ai commi 1 e 2»;<br />
e) l’articolo 4 è sostituito dal seguente:<br />
«Art. 4. - (Competenza territoriale delle sezioni). - 1.<br />
Le controversie di cui all’articolo 3 che, secondo gli or-dinari<br />
criteri di ripartizione della competenza territoriale e<br />
nel rispetto delle normative speciali che le disciplinano,<br />
dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi<br />
nel territorio della regione sono assegnate alla sezione specializzata<br />
avente sede nel capoluogo di regione individuato<br />
ai sensi dell’articolo 1. Alle sezioni specializzate istituite<br />
presso i tribunali e le corti d’appello non aventi sede nei<br />
capoluoghi di regione sono assegnate le controversie che<br />
dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi<br />
nei rispettivi distretti di corte d’appello».<br />
2. All’articolo 33, comma 2, della legge 10 ottobre<br />
1990, n. 287, le parole: «alla corte d’appello competente<br />
per territorio» sono sostituite dalle seguenti: «al tribunale<br />
competente per territorio presso cui è istituita la sezione<br />
specializzata di cui all’articolo 1 del decreto legislativo<br />
26 giugno 2003, n. 168, e successive modificazioni».<br />
3. Dopo il comma 1 bis dell’articolo 13 del testo unico<br />
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia<br />
di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente<br />
Decreto Legislativo 27 giugno 2003, n. 168 (3)<br />
della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive<br />
modificazioni, è inserito il seguente:<br />
«1 ter. Per i processi di competenza delle sezioni specializzate<br />
di cui al decreto legislativo 27 giugno 2003, n.<br />
168, e successive modificazioni, il contributo unificato di<br />
cuialcomma1èraddoppiato. Si applica il comma 1 bis».<br />
4. Il maggior gettito derivante dall’applicazione della<br />
disposizione di cui al comma 3 è versato all’entrata del<br />
bilancio dello Stato per essere riassegnato, quanto ad euro<br />
600.000 per ciascuno degli anni 2012 e 2013, alla copertura<br />
degli oneri derivanti dalla istituzione delle sezioni<br />
specializzate in materia di impresa presso gli uffici giudiziari<br />
diversi da quelli nei quali, per effetto dell’articolo<br />
1 del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, sono<br />
state istituite le sezioni specializzate in materia di proprietà<br />
industriale ed intellettuale e, per la restante parte,<br />
al fondo istituito ai sensi dell’articolo 37, comma 10, del<br />
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni,<br />
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. A decorrere<br />
dall’anno 2014 l’intero ammontare del mag-gior gettito<br />
viene riassegnato al predetto fondo. Il Ministro dell’economia<br />
e delle finanze è autorizzato ad apportare, con<br />
propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.<br />
5. Al fine di semplificare ed accelerare le procedure relative<br />
alle nuove assunzioni di personale di magistratura<br />
nonché di avvocati e procuratori dello Stato, la riassegnazione<br />
delle entrate prevista dall’articolo 37, commi 10 e<br />
14, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con<br />
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è effettuata<br />
al netto della quota di risorse destinate alle predette<br />
assunzioni; la predetta quota è stabilita con apposito decreto<br />
del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto<br />
con i Ministri della giustizia e dell’economia e delle finanze.<br />
Le risorse da destinare alle assunzioni corrispondenti alla<br />
predetta quota sono iscritte nello stato di previsione dell’entrata<br />
e in quello dei Ministeri interessati. Il Ministro<br />
dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare,<br />
con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.<br />
6. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano<br />
ai giudizi instaurati dopo il centottantesimo giorno<br />
dalla data di entrata in vigore della legge di conversione<br />
del presente decreto.<br />
(Omissis).<br />
Istituzione di Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale presso tribunali e corti d’appello,<br />
a norma dell’articolo 16 della legge 12 dicembre 2002, n. 273<br />
(G.U. 11 luglio 2003, n. 159)<br />
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA<br />
(Omissis).<br />
Art. 1<br />
Istituzione delle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa (4)<br />
1. Sono istituite presso i tribunali e le corti d’appello<br />
Note:<br />
(3) Testo aggiornato con le modifiche apportatevi dal D.L. 24<br />
gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24<br />
marzo 2012, n. 27.<br />
(4) Rubrica così modificata dall’art. 2, comma 1, lett. a), n. 1),<br />
D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, conv., con modiff., dalla L. 24 marzo<br />
2012, n. 27. La precedente era la seguente: «Istituzione delle<br />
sezioni».<br />
806 Le Società 7/2012
di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli,<br />
Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia sezioni<br />
specializzate in materia di impresa (5), senza oneri aggiuntivi<br />
per il bilancio dello Stato né incrementi di dotazioni<br />
organiche.<br />
1- bis. Sono altresì istituite sezioni specializzate in materia<br />
di impresa presso i tribunali e le corti d’appello<br />
aventi sede nel capoluogo di ogni regione, ove non esistenti<br />
nelle città di cui al comma 1. Per il territorio compreso<br />
nella regione Valle d’Aosta/Vallé d’Aoste sono<br />
competenti le sezioni specializzate presso il Tribunale e<br />
la Corte d’appello di Torino. È altresì istituita la sezione<br />
specializzata in materia di impresa presso il Tribunale e<br />
la Corte d’appello di Brescia. L’istituzione delle sezioni<br />
specializzate non comporta incrementi di dotazioni organiche<br />
(6).<br />
Art. 2<br />
Composizione delle sezioni e degli organi giudicanti<br />
1. I giudici che compongono le sezioni specializzate<br />
sono scelti tra i magistrati dotati di specifiche competenze<br />
(7).<br />
2. Ai giudici delle sezioni specializzate può essere assegnata,<br />
rispettivamente dal presidente del tribunale o<br />
della corte d’appello, anche la trattazione di processi diversi,<br />
purché ciò non comporti ritardo nella trattazione<br />
e decisione dei giudizi in materia di impresa (8).<br />
Art. 3 (9)<br />
Competenza per materia delle sezioni<br />
1. Le sezioni specializzate sono competenti in materia<br />
di:<br />
a) controversie di cui all’articolo 134 del decreto legislativo<br />
10 febbraio 2005, n. 30, e successive modificazioni;<br />
b) controversie in materia di diritto d’autore;<br />
c) controversie di cui all’articolo 33, comma 2, della<br />
legge 10 ottobre 1990, n. 287;<br />
d) controversie relative alla violazione della normativa<br />
antitrust dell’Unione europea.<br />
2. Le sezioni specializzate sono altresì competenti,<br />
relativamente alle società dicuialLibroV,TitoloV,<br />
Capi V, VI e VII, e Titolo VI, del codice civile, alle società<br />
di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 del<br />
Consiglio, dell’8 ottobre 2001, e di cui al regolamento<br />
(CE) n. 1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003,<br />
nonché alle stabili organizzazioni nel territorio dello<br />
Stato delle società costituite all’estero, ovvero alle società<br />
che rispetto alle stesse esercitano o sono sottoposte<br />
a direzione e coordinamento, per le cause e i procedimenti:<br />
a) relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti<br />
l’accertamento, la costituzione, la modificazione<br />
o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità<br />
da chiunque promosse contro i componenti<br />
degli organi amministrativi o di controllo, il liqui-datore,<br />
il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione<br />
dei documenti contabili societari, nonché contro<br />
il soggetto incaricato della revisione contabile per i<br />
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti<br />
commessi nei confronti della società che ha conferito<br />
l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, le opposizioni<br />
di cui agli articoli 2445, terzo comma, 2482, secondo<br />
comma, 2447 quater, secondo comma, 2487 ter,<br />
secondo comma, 2503, secondo comma, 2503 bis, primo<br />
comma, e 2506 ter del codice civile;<br />
b) relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali<br />
o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni<br />
sociali o i diritti inerenti;<br />
c) in materia di patti parasociali, anche diversi da<br />
quelli regolati dall’articolo 2341 bis del codice civile;<br />
d) aventi ad oggetto azioni di responsabilità promosse<br />
dai creditori delle società controllate contro le società<br />
che le controllano;<br />
e) relativi a rapporti di cui all’articolo 2359, primo<br />
comma, numero 3), all’articolo 2497 septies e all’articolo<br />
2545 septies del codice civile;<br />
f) relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi<br />
o forniture di rilevanza comunitaria dei quali sia parte<br />
una delle società di cui al presente comma, ovvero<br />
quando una delle stesse partecipa al consorzio o al raggruppamento<br />
temporaneo cui i contratti siano stati affidati,<br />
ove comunque sussista la giurisdizione del giudice<br />
ordinario.<br />
3. Le sezioni specializzate sono altresì competenti per<br />
le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione<br />
con quelli di cui ai commi 1 e 2.<br />
Note:<br />
(5) La parola «impresa» è stata sostituita alle parole «proprietà<br />
industriale ed intellettuale» dall’art. 2, comma 1, lett. a), n. 2),<br />
D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, conv., con modiff., dalla L. 24 marzo<br />
2012, n. 27.<br />
(6) Comma aggiunto dall’art. 2, comma 1, lett. a), n. 3), D.L. 24<br />
gennaio 2012, n. 1, conv., con modiff., dalla L. 24 marzo 2012,<br />
n. 27.<br />
(7) Comma così sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. b), d.l. 24<br />
gennaio 2012, n. 1, conv., con modiff., dalla L. 24 marzo 2012,<br />
n. 27. Il suo precedente testo era il seguente: «1. Le sezioni<br />
specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale<br />
sono composte di un numero di giudici non inferiore a sei, scelti<br />
tra i magistrati dotati di specifiche competenze. Le sezioni decidono<br />
in composizione collegiale ai sensi dell’art. 50 bis, comma<br />
1, n. 3), del codice di procedura civile, salve le diverse previsioni<br />
di leggi speciali. Il collegio giudicante è composto da tre magistrati.<br />
Lo svolgimento delle attività istruttorie è assegnato ad un<br />
magistrato componente il collegio».<br />
(8) La parola «impresa» è stata sostituita alle parole «proprietà<br />
industriale ed intellettuale» dall’art. 2, comma 1, lett. c), d.l. 24<br />
gennaio 2012, n. 1, conv., con modiff., dalla L. 24 marzo 2012,<br />
n. 27.<br />
(9) Articolo così sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. d), D.L. 24<br />
gennaio 2012, n. 1, conv., con modiff., dalla L. 24 marzo 2012,<br />
n. 27. Il suo precedente testo era il seguente: «Le sezioni specializzate<br />
sono competenti in materia di controversie aventi ad<br />
oggetto: marchi nazionali, internazionali e comunitari, brevetti<br />
d’invenzione e per nuove varietà vegetali, modelli di utilità, disegni<br />
e modelli e diritto d’autore, nonché di fattispecie di concorrenza<br />
sleale interferenti con la tutela della proprietà industriale<br />
ed intellettuale».<br />
Le Società 7/2012 807
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
Art. 4 (10)<br />
Competenza territoriale delle sezioni<br />
1. Le controversie di cui all’articolo 3 che, secondo<br />
gli ordinari criteri di ripartizione della competenza territoriale<br />
e nel rispetto delle normative speciali che le disciplinano,<br />
dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari<br />
compresi nel territorio della regione sono assegnate<br />
alla sezione specializzata avente sede nel capoluogo di regione<br />
individuato ai sensi dell’articolo 1. Alle sezioni<br />
specializzate istituite presso i tribunali e le corti d’appello<br />
non aventi sede nei capoluoghi di regione sono assegnate<br />
le controversie che dovrebbero essere trattate dagli uffici<br />
giudiziari compresi nei rispettivi distretti di corte<br />
d’appello.<br />
Art. 5.<br />
Competenze del presidente della sezione specializzata<br />
1. Nelle materie di cui all’articolo 3, le competenze<br />
riservate dalla legge al presidente del tribunale e al presidente<br />
della corte d’appello spettano al presidente delle<br />
rispettive sezioni specializzate.<br />
(Omissis).<br />
Nota:<br />
(10) Articolo così sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. e), D.L. 24<br />
gennaio 2012, n. 1, conv., con modiff., dalla legge 24 marzo<br />
2012, n. 27. Il suo precedente testo era il seguente: «1. Le controversie<br />
di cui all’articolo 3 che, secondo gli ordinari criteri di ri-<br />
IL COMMENTO<br />
di Paolo Celentano<br />
Dal contesto storico, culturale e normativo in cui s’innesta l’istituzione del cd. tribunale delle imprese ai primi<br />
approfondimenti sui problemi, di carattere processuale ed organizzativo, concernenti le sue plurime e variegate<br />
competenze specialistiche, con particolare riguardo a quelle relative alla materia societaria.<br />
I prodromi<br />
Come sovente accade in Italia, un inarrestabile<br />
andamento pendolare sembra caratterizzare anche il<br />
dibattito sui pregi e i difetti della cd. specializzazione<br />
dei giudici; formula, questa, che invero può essere<br />
utilizzata per indicare sia la ripartizione della funzione<br />
giurisdizionale tra più articolazioni organizzative<br />
ciascuna delle quali destinata ad occuparsi soltanto<br />
di una o più specifiche materie, sia il processo di<br />
acquisizione da parte dei singoli magistrati di conoscenze<br />
e capacità particolarmente elevate in una o<br />
più determinate materie.<br />
La crescente complessità del sistema delle fonti del<br />
diritto ed al contempo dei fenomeni che il diritto mira<br />
a regolare, la per lo più assai scadente qualità della<br />
partizione della competenza territoriale e nel rispetto delle disposizioni<br />
normative speciali che le disciplinano, dovrebbero essere<br />
trattate dagli uffici giudiziari di seguito elencati, sono assegnate<br />
alle sezioni specializzate di primo e secondo grado istituite<br />
secondo il seguente criterio:<br />
«a) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Bari,<br />
Lecce, Taranto (sezione distaccata), e Potenza: sono competenti<br />
le sezioni specializzate di Bari;<br />
«b) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Bologna<br />
e Ancona: sono competenti le sezioni specializzate di Bologna;<br />
«c) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Catania,<br />
Messina, Reggio Calabria e Catanzaro: sono competenti<br />
le sezioni specializzate di Catania;<br />
«d) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Firenze<br />
e Perugia: sono competenti le sezioni specializzate di Firenze;<br />
«e) per i territori ricompresi nel distretto di corte d’appello di Genova:<br />
sono competenti le sezioni specializzate di Genova;<br />
«f) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Milano<br />
e Brescia: sono competenti le sezioni specializzate di Milano;<br />
«g) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Napoli,<br />
Salerno e Campobasso: sono competenti le sezioni specializzate<br />
di Napoli;<br />
«h) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Palermo<br />
e Caltanissetta: sono competenti le sezioni specializzate<br />
di Palermo;<br />
«i) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Roma,<br />
L’Aquila, Cagliari e Sassari (sezione distaccata): sono competenti<br />
le sezioni specializzate di Roma;<br />
«l) per i territori ricompresi nel distretto di corte d’appello di Torino:<br />
sono competenti le sezioni specializzate di Torino;<br />
«m) per i territori ricompresi nel distretto di corte d’appello di<br />
Trieste: sono competenti le sezioni specializzate di Trieste;<br />
«n) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Venezia,<br />
Trento e Bolzano (sezione distaccata): sono competenti le<br />
sezioni specializzate di Venezia».<br />
produzione normativa, i progressi della scienza e della<br />
tecnica, la proliferazione di discipline settoriali, gli effetti<br />
della cd. globalizzazione e molti altri fattori che è<br />
pressoché impossibile enumerare e solo alcuni dei<br />
quali di altrettanto intuitiva evidenza concorrono a<br />
rendere sempre più difficile il mestiere del giudicare,<br />
sempre più forte e sentita l’esigenza che i giudici - tuttiigiudici,diogniordineegrado,comesisarebbe<br />
detto una volta - estendano ed affinino progressivamente<br />
ed aggiornino continuamente i loro saperi,<br />
non solo quello giuridico, in modo tale da essere in<br />
grado di fornire una risposta celere e qualitativamente<br />
elevata e dunque adeguata ai tempi alla cd. domanda<br />
di giustizia di cui sono destinatari, eventualmente anche<br />
per contrastarne le ipertrofie e gli abusi.<br />
808 Le Società 7/2012
D’altro canto, è innegabile che il giudice generalista,<br />
eppur peritus peritorum, cioè, almeno tendenzialmente,<br />
onnisciente, è una figura che, per quanto<br />
desiderabile, anche per l’elasticità che è in grado di<br />
conferire all’organizzazione giudiziaria, non trova riscontro<br />
nella realtà e che l’esigenza di avere giudici<br />
professionalmente all’altezza di svolgere con efficienza<br />
ed efficacia i compiti a loro affidati può essere<br />
tanto più facilmente soddisfatta quanto minore è<br />
l’ambito delle conoscenze che lo svolgimento di tali<br />
compiti richiede.<br />
Da qui muove la convinzione, in questo momento<br />
storico assai diffusa, che anche lo ius dicere, visto<br />
come attività volta alla produzione di un servizio<br />
(il cd. servizio giustizia), dovrebbe essere in grado di<br />
fornire risultati migliori, per qualità e quantità, e<br />
pertanto, nella logica economicistica della competizione<br />
tra ordinamenti, di maggior appeal per gli investitori,<br />
se ripartito tra strutture organizzative specializzate<br />
per funzioni omogenee, a loro volta composte<br />
da giudici non già specialisti, bensì specializzati,<br />
cioè che, già dotati di un’ampia e solida preparazione<br />
e di una significativa esperienza di carattere generalista,<br />
abbiano saputo e potuto progressivamente<br />
approfondire la conoscenza teorica e pratica di una<br />
o più particolari materie, magari tra loro contigue,<br />
senza smarrire la capacità di orientarsi nelle più vaste<br />
distese del diritto e della realtà sociale e per<br />
questo di passare ad occuparsi, ove necessario, di altro,<br />
garantendo così la pur necessaria duttilità dell’organizzazione<br />
giudiziaria.<br />
La difficoltà sta piuttosto nel trovare un equilibrio<br />
organizzativo che consenta e valorizzi la specializzazione<br />
ed al contempo ne limiti i non pochi difetti<br />
(1), come, ad esempio, il rischio che la struttura<br />
specializzata e/o i suoi componenti perdano la visione<br />
d’insieme dell’organizzazione, della generalità<br />
delle sue funzioni e del complesso delle sue relazioni<br />
con l’esterno, tendendo a porsi come monadi separate,<br />
incapaci di svolgere adeguatamente altri<br />
compiti ed eccessivamente autoreferenziali, ovvero<br />
finiscano per entrare con altri soggetti dello specifico<br />
settore socio-economico in cui operano in un<br />
rapporto di osmosi pernicioso per la loro terzietà e<br />
la loro indipendenza o per sfuggire ad adeguate verifiche<br />
sull’efficienza e l’efficacia della loro attività<br />
a causa delle difficoltà di comparare i loro, per definizione<br />
peculiari, risultati con quelli delle altre articolazioni<br />
dell’organizzazione giudiziaria (2).<br />
Ma questo equilibrio è un traguardo che in Italia<br />
sembra ancora assai lontano da raggiungere, sia che<br />
si guardi alla complessiva organizzazione della funzione<br />
giurisdizionale, sia che si limiti lo sguardo al<br />
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
più ristretto ambito della giurisdizione ordinaria,<br />
ancora, come purtroppo ben noto, essenzialmente<br />
legata, a partire dalle sue articolazioni territoriali, ai<br />
modelli organizzativi ereditati dagli Stati preunitari,<br />
che il legislatore, nonostante i ricorrenti proclami,<br />
non è sinora riuscito a riformare organicamente,<br />
preferendo, salvo poche eccezioni, por mano ad interventi<br />
settoriali, estemporanei ed a volte contraddittori.<br />
È infatti evidente che, fino a quando non si riuscirà<br />
a vincere le resistenze - soprattutto di carattere<br />
corporativo e localistico - che strenuamente si oppongono<br />
ad una razionale revisione della distribuzione<br />
territoriale degli uffici giudiziari ed in particolare<br />
alla soppressione della pletora di tribunali (ma<br />
il discorso dovrebbe essere esteso anche a talune<br />
Corti d’Appello) di piccole o piccolissime dimensioni<br />
che caratterizzano la struttura organizzativa<br />
della giurisdizione ordinaria in Italia, l’unico modo<br />
per assecondare la specializzazione sarà quello di<br />
concentrare le competenze nelle materie che si ritiene<br />
più importante che siano trattate da giudici<br />
specializzati negli uffici giudiziari ordinari di più<br />
grandi dimensioni, magari attribuendole a delle sezioni<br />
specializzate di questi uffici, come peraltro<br />
espressamente consentito dal lungimirante secondo<br />
Note:<br />
(1) In considerazione di almeno alcuni dei quali, l’art. 19, D.Lgs.<br />
5 aprile 2006, n. 160, ha introdotto (elevando al rango della normativa<br />
primaria ed estendendo la disciplina già contenuta, in relazione<br />
a talune funzioni, nelle circolari in proposito emanate dal<br />
Consiglio Superiore della Magistratura negli anni immediatamente<br />
precedenti) il divieto di permanenza ultradecennale nel<br />
«medesimo incarico» dei magistrati con funzioni (non direttive<br />
né semidirettive) di primo o di secondo grado ed ora, dopo le<br />
modifiche apportatevi dall’art. 2, L. 30 luglio 2007, n. 111, stabilisce<br />
che i medesimi magistrati non «possono rimanere in servizio<br />
presso lo stesso ufficio svolgendo le medesime funzioni o,<br />
comunque, nella stessa posizione tabellare o nel medesimo<br />
gruppo di lavoro nell’ambito delle stesse funzioni» per un periodo<br />
eccedente quello stabilito, tra un minimo di cinque ed un<br />
massimo di dieci anni «a seconda delle differenti funzioni», dal<br />
Consiglio Superiore della Magistratura con proprio regolamento,<br />
che, poi adottato il 13 marzo 2008, ha individuato come limite<br />
generale quello decennale. Prevalentemente altre sono invece<br />
le ragioni della temporaneità degli incarichi direttivi o semidirettivi,<br />
per i quali gli artt. 45 e 46, D.Lgs. n. 160/2006 fissano una<br />
durata massima di otto anni.<br />
(2) Sul generale tema della specializzazione dei giudici civili, v. il<br />
recente contributo di I. Pagni, Competenze e specializzazioni, in<br />
Tutela dei diritti e «sistema» ordinamentale. Atti del 68 Convegno<br />
Nazionale della Società Italiana degli Studiosi del Diritto Civile, Napoli,<br />
2012, 353 ss., nonché quelli, più risalenti, di: G.B. Nardecchia,<br />
La specializzazione del giudice civile, 2002, in www.movimentoperlagiustizia.it;<br />
G. Civinini, La specializzazione del giudice,<br />
in Quest. giust., 2000, 605 ss.; R. Rordorf, La professionalità dei<br />
magistrati: specializzazione e avvicendamento, inForo it., V, 271<br />
ss.; G. Borrè -G.Petrella,La specializzazione del giudice, inIl<br />
Ponte, 1968,866ss.<br />
Le Società 7/2012 809
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
comma dell’art. 102 della nostra Costituzione ed a<br />
volte, più o meno direttamente, imposto dalle istituzioni<br />
comunitarie.<br />
Ricorrente è allora - complici anche la pochezza<br />
delle risorse destinate all’organizzazione giudiziaria<br />
ed il divieto costituzionale di istituire giudici straordinari<br />
e nuovi giudici speciali - la tentazione del<br />
nostro legislatore di attribuire a giudici specializzati<br />
solo gli affari giudiziari relativi ad alcune materie,<br />
evidentemente ritenute di maggior importanza sociale,<br />
politica od economica, con l’obiettivo di sottrarli<br />
all’inefficienza ed all’inefficacia che caratterizzano<br />
purtroppo nel nostro Paese la risposta, per così<br />
dire media, alla domanda di giustizia, anche andando<br />
oltre gli specifici obblighi derivanti dalla qualità di<br />
Stato membro dell’Unione (già Comunità) europea.<br />
Il che, per rimanere allo specifico tema qui oggetto<br />
di indagine e dunque alle materie di maggior<br />
interesse per le imprese, è quanto tentò di fare il<br />
Governo già nel corso dell’anno 2000, evidentemente<br />
traendo ispirazione dal precedente delle «sezioni<br />
specializzate per la trattazione delle controversie riguardanti<br />
il brevetto comunitario», istituite presso i<br />
soli Tribunali e le sole Corti d’appello di Torino,<br />
Milano, Bologna, Roma, Bari, Cagliari e Palermo<br />
dall’art. 4, L. 26 luglio 1993, n. 302 (3), come «tribunali<br />
dei brevetti comunitari» di prima e di seconda<br />
istanza competenti sulle controversie in materia di<br />
contraffazione e di validità di brevetti comunitari,<br />
ma di fatto mai entrate in funzione (4).<br />
Il progetto di riforma della disciplina delle società<br />
di capitali e cooperative elaborato dalla cd.<br />
Commissione Mirone e varato dal Governo nel<br />
maggio del 2000 (5) conteneva infatti la proposta<br />
di istituire presso i tribunali delle città sedi di Corte<br />
d’appello (che in Italia sono 26), nonché, eventualmente,<br />
presso le corti d’appello e la Corte di cassazione,<br />
«sezioni specializzate nella trattazione dei procedimenti<br />
che richiedono un elevato grado di conoscenza<br />
dei settori economico e finanziario», individuati, in<br />
buona sostanza, in quelli concernenti le materie del<br />
diritto societario, dell’intermediazione finanziaria,<br />
della concorrenza, dei brevetti e dei segni distintivi<br />
dell’impresa, nonché del diritto fallimentare e delle<br />
altre procedure concorsuali, esclusi i procedimenti<br />
prefallimentari e gli aspetti gestori delle procedure<br />
fallimentari (6). Ma la proposta naufragò miseramente<br />
nel corso dei successivi lavori parlamentari<br />
(7).<br />
Ciò nonostante, l’idea venne un po’ di tempo<br />
dopo ripresa, anche se con ambizioni più limitate,<br />
dal D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, che-sempre<br />
sulla spinta del legislatore comunitario (8) ed in<br />
attuazione dell’art. 16 della legge-delega 12 dicembre<br />
2002, n. 273 - attribuì la competenza in ordine<br />
ai giudizi (9) aventi ad oggetto le controversie in<br />
Note:<br />
(3) Per dare attuazione alla convenzione istitutiva del brevetto<br />
comunitario, che, tra l’altro, prevedeva appunto che ciascuno<br />
degli Stati contraenti designasse come «tribunali dei brevetti comunitari»<br />
«un numero per quanto possibile ridotto di tribunali<br />
nazionali di prima e di seconda istanza» per lo svolgimento delle<br />
funzioni ad essi attribuite.<br />
(4) A causa delle resistenze frapposte da altri Stati all’entrata in<br />
vigore della convenzione istitutiva del brevetto comunitario.<br />
(5) Con il dichiarato obiettivo di dare attuazione alla delega di cui<br />
all’art. 12, L. 3 ottobre 2001, n. 366, che tuttavia, a ben vedere,<br />
non prevedeva modifiche dell’organizzazione giudiziaria così importanti<br />
quanto l’istituzione di sezioni specializzate.<br />
(6) L’art. 11 della proposta di legge-delega elaborata dalla Commissione<br />
Mirone ed approvata dal Consiglio dei Ministri il 26<br />
maggio 2000 stabiliva che nella competenza delle sezioni specializzate<br />
di cui prevedeva l’istituzione nei tribunali sedi di corte<br />
d’appello potessero essere fatti rientrare dal legislatore delegato:<br />
1) i procedimenti in materia di diritto societario, comprese le<br />
controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali<br />
ed ai patti parasociali; 2) tutti o alcuni dei procedimenti nelle materie<br />
disciplinate dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, recante il<br />
testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria,<br />
e dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, recante il testo<br />
unico delle leggi in materia bancaria e creditizia; 3) i procedimenti<br />
in materia di concorrenza, brevetti e segni distintivi dell’impresa;<br />
4) tutti i procedimenti previsti dalla disciplina dell’amministrazione<br />
straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza<br />
e tutte le relative controversie, nonché tutti i procedimenti<br />
connessi e consequenziali, esclusi i procedimenti previsti dal<br />
capo I del titolo IV del D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270; 5) tutte o alcune<br />
delle controversie in materia fallimentare e concorsuale in<br />
genere, con esclusione della dichiarazione di fallimento e delle<br />
competenze gestorie del tribunale fallimentare. Stabiliva inoltre<br />
che il legislatore delegato potesse istituire delle sezioni specializzate<br />
nelle suddette materie ed in quella delle procedure concorsuali<br />
in genere anche presso le corti d’appello e la Corte di<br />
cassazione.<br />
(7) Per le ragioni che sono efficacemente sintetizzate nel dossier<br />
n. 3/2012 dell’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale Forense<br />
dal titolo Giustizia e crisi economica. I diritti non sono merce,<br />
26-27, in www.consiglionazionaleforense.it.<br />
(8) Era infatti da poco entrato in vigore il regolamento (CE) n. 6/<br />
2002 del Consiglio del 12 dicembre 2001, sui disegni o modelli<br />
comunitari, il cui art. 80 impone agli Stati membri dell’Unione europea<br />
di designare nei loro rispettivi territori «un numero per<br />
quanto possibile ridotto di tribunali nazionali di primo e di secondo<br />
grado» per lo svolgimento delle funzioni attribuite dal medesimo<br />
regolamento ai «tribunali dei disegni e modelli comunitari», sulla<br />
falsariga di quanto già da tempo previsto per i «tribunali dei marchi<br />
comunitari» dall’art. 91 del regolamento (CE) n. 40/1994 del<br />
Consiglio del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario.<br />
(9) Iscritti a ruolo (per la prima volta) a partire dal 18 luglio 2003,<br />
secondo quanto affermato da Cass. 1 febbraio 2007, n. 2203, in<br />
Giust. civ., 2007, I, 585, sulla base di quanto disposto dall’art. 6,<br />
comma 1, D.Lgs. n. 168/2003, sebbene questo decreto sia entrato<br />
in vigore solo il successivo 12 luglio 2003. Invece, secondo<br />
Trib. Napoli, sez. spec. propr. ind. e ind., 14 luglio 2004, in Foro<br />
it., 2005, I. 924, le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale<br />
ed intellettuale potevano ritenersi competenti solo in<br />
relazione a giudizi iscritti a ruolo a partire dal 12 luglio 2003, non<br />
(segue)<br />
810 Le Società 7/2012
materia di marchi nazionali, internazionali e comunitari,<br />
di brevetti d’invenzione e di nuove varietà<br />
vegetali, modelli di utilità, disegni e modelli<br />
e di diritto d’autore e di quelle relative a fattispecie<br />
di concorrenza sleale interferenti con la tutela<br />
della proprietà industriale ed intellettuale, alle «sezioni<br />
specializzate in materia di proprietà industriale ed<br />
intellettuale» contestualmente istituite soltanto in<br />
12 dei 165 tribunali ed in 12 delle 26 Corti d’Appello<br />
della Repubblica - cioè nei Tribunali e nelle<br />
Cortid’appellodiBari,Bologna, Catania, Firenze,<br />
Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino,<br />
Trieste e Venezia - e dunque caratterizzate da una<br />
competenza per territorio nella quasi totalità dei<br />
casi più ampia di quella ordinariamente attribuita<br />
agli uffici giudiziari nell’ambito dei quali erano,<br />
sotto il profilo organizzativo, chiamate ad operare,<br />
con le sole eccezioni delle sezioni specializzate delle<br />
Corti d’appello di Genova, Torino e Trieste<br />
(10).<br />
L’ambito della competenza in materia di proprietà<br />
industriale attribuito a queste sezioni venne poi<br />
ridefinito dall’art. 134 del Codice della proprietà industriale<br />
(nel prosieguo c.p.i.), varato con il D.Lgs. 10<br />
febbraio 2005, n. 30 (11), in modo tale da includervi<br />
- superando molte delle perplessità precedentemente<br />
emerse ed accogliendo in parte le istanze<br />
espansionistiche della dottrina industrialistica (12) -<br />
anche i procedimenti concernenti i marchi di fatto,<br />
i segni distintivi diversi dai marchi, le indicazioni<br />
geografiche, le denominazioni d’origine, le topografie<br />
dei prodotti a semiconduttori, le invenzioni dei<br />
lavoratori dipendenti (13) e dei ricercatori delle<br />
università e degli enti pubblici di ricerca e le informazioni<br />
aziendali riservate, i procedimenti in tema<br />
di concorrenza sleale interferenti solo indirettamente<br />
con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale,<br />
le controversie relative alle violazioni della normativa<br />
italiana e comunitaria a tutela della concorrenza<br />
e del mercato (cd. normativa antitrust) afferenti<br />
all’esercizio dei diritti di proprietà industriale (14),<br />
quelle concernenti l’indennità di espropriazione per<br />
scopi di pubblica utilità dei diritti di proprietà industriale<br />
e quelle «in materie» connesse, anche in<br />
senso improprio, con quelle devolute alla cognizione<br />
delle medesime sezioni.<br />
Correlativamente, l’art. 134 c.p.i. estese a tutte<br />
le controversie attribuite alla competenza delle sezioni<br />
specializzate in materia di proprietà industriale<br />
ed intellettuale il (famigerato) cd. rito societario o,<br />
più precisamente, le disposizioni concernenti lo<br />
speciale procedimento di merito a cognizione piena<br />
davanti al Tribunale e le speciali disposizioni con-<br />
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
cernenti il giudizio d’appello ed il procedimento<br />
cautelare contenute, rispettivamente, nei capi I e<br />
IV del titolo II e nel titolo III del D.Lgs. 17 gennaio<br />
2003, n. 5. Ma la previsione venne in parte<br />
qua dichiarata costituzionalmente illegittima, per<br />
eccesso di delega, con la sentenza della Corte costituzionale<br />
17 maggio 2007, n. 170, con il conseguente<br />
rientro dei processi di competenza delle predette sezioni<br />
specializzate nell’alveo del rito di cognizione<br />
ordinario e del rito cautelare uniforme, fatte salve<br />
le particolarità contenute nelle relative discipline<br />
speciali.<br />
L’integrale sostituzione dell’art. 134 c.p.i. opera-<br />
Note:<br />
(segue nota 9)<br />
potendo riconoscersi alle disposizioni sulla competenza introdotte<br />
dal predetto decreto legislativo efficacia retroattiva (sul tema<br />
v. G. Casaburi, Le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale<br />
ed intellettuale: competenza, rito, organizzazione,<br />
2004).<br />
(10) Secondo l’originario testo dell’art. 4, D.Lgs. n. 168/2003 infatti:<br />
la competenza delle Sezioni specializzate in materia di proprietà<br />
industriale ed intellettuale del Tribunale e della Corte d’appello<br />
di Bari si estendeva ai distretti delle Corti d’Appello di Lecce<br />
e Potenza; quella delle Sezioni specializzate del Tribunale e<br />
della Corte d’Appello di Bologna al distretto della Corte d’Appello<br />
di Ancona; quella delle Sezioni specializzate del Tribunale e<br />
della Corte d’Appello di Catania ai distretti delle Corti d’Appello<br />
di Messina, Reggio di Calabria e Catanzaro; quella delle Sezioni<br />
specializzate del Tribunale e della Corte d’Appello di Firenze al<br />
distretto della Corte d’Appello di Perugia; quella delle Sezioni<br />
specializzate del Tribunale e della Corte d’Appello di Milano al<br />
distretto della Corte d’Appello di Brescia; quella delle Sezioni<br />
specializzate del Tribunale e della Corte d’appello di Napoli ai distretti<br />
delle Corti d’Appello di Salerno e Campobasso; quella delle<br />
Sezioni specializzate del Tribunale e della Corte d’Appello di<br />
Palermo al distretto della Corte d’Appello di Caltanissetta; quella<br />
delle Sezioni specializzate del Tribunale e della Corte d’Appello<br />
di Roma ai distretti delle Corti d’Appello de L’Aquila e di Cagliari;<br />
quella delle Sezioni specializzate del Tribunale e della Corte<br />
d’appello di Venezia al distretto della Corte d’Appello di Trento.<br />
(11) Entrato in vigore il 19 marzo 2005.<br />
(12) Per le quali si vedano L.C. Ubertazzi, Commentario breve<br />
alle leggi sulla proprietà intellettuale e concorrenza, Padova,<br />
2007, 154 ss., e G. Casaburi, Le sezioni specializzate, cit., 11<br />
ss.<br />
(13) Che prima si riteneva rientrassero nella competenza per<br />
materia del tribunale in funzione di giudice del lavoro, ai sensi<br />
del comb. disp. degli artt. 409 e 413 c.p.c. (cfr. Cass. 28 agosto<br />
2006, n. 18595, in Dir. ind., 2007, 335, con nota di Bacchini C.,<br />
La competenza delle sezioni specializzate nelle controversie sulle<br />
invenzioni dei dipendenti).<br />
(14) In tal modo riducendo significativamente l’ambito della<br />
competenza sulle azioni di nullità e di risarcimento del danno<br />
fondate su violazioni della normativa antitrust italiana e sui relativi<br />
provvedimenti cautelari che l’art. 33, comma 2, L. 10 ottobre<br />
1990, n. 287, aveva attribuito alle Corti d’Appello in unico grado<br />
già - come giustamente osservato da I. Pagni, Competenze, cit.,<br />
353 ss. - con la chiara intenzione di concentrare il relativo contenzioso<br />
in pochi uffici giudiziari e di favorire in tal modo la specializzazione<br />
dei relativi giudici.<br />
Le Società 7/2012 811
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
ta (15) dalla L. 23 luglio 2009, n. 99, ha infine<br />
esteso la competenza delle sezioni specializzate in<br />
materia di proprietà industriale ed intellettuale pure<br />
alle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti<br />
del Consiglio dell’ordine dei consulenti in proprietà<br />
industriale, sempreché, ovviamente, rientranti nella<br />
sfera della giurisdizione del giudice ordinario (16).<br />
Un’infausta sorte era invece finora toccata all’idea<br />
di includere nella competenza delle sezioni specializzate<br />
in materia di proprietà industriale ed intellettuale<br />
le controversie, rientranti nella giurisdizione ordinaria,<br />
in tema di contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o<br />
forniture, lanciata dall’art. 15, D.L. 31 dicembre<br />
2007, n. 248, conv., con modiff., dalla L. 28 febbraio<br />
2008, n. 31, per giustificare la contestuale proroga<br />
al 18 luglio 2008 dell’entrata in vigore (17) del<br />
divieto di devolvere la cognizione di tali controversie<br />
ad arbitri introdotto dall’art. 3, commi 19 e 20,<br />
L. 24 dicembre 2007, n. 244, ma poi, come questo<br />
divieto, mai concretizzatasi ed infine travolta dall’abrogazione<br />
di tale divieto ad opera dell’art. 15, comma<br />
5, D.Lgs. 20 marzo 2010, n. 53 (18).<br />
D’altro canto, sempre in quest’ultimo scorcio<br />
d’anni, uno sbocco diverso dall’ampliamento della<br />
competenza per materia delle sezioni specializzate<br />
in materia di proprietà industriale ed intellettuale o<br />
dalla creazione di un’apposita sezione specializzata è<br />
stato trovato dal legislatore per soddisfare l’esigenza<br />
di concentrare in pochi uffici giudiziari le ccdd.<br />
azioni di classe previste dall’art. 140 bis aggiunto al<br />
Codice del consumo, di cui al D.Lgs. 6 settembre<br />
2005, n. 206, dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, ed<br />
entrato in vigore, dopo aver subito rilevanti modifiche,<br />
solo il 18 gennaio 2010, che sono infatti state<br />
stranamente attribuite, nonostante la loro prevedibilmente<br />
frequente interferenza con le materie delle<br />
privative industriali e della concorrenza, alla competenza,<br />
in primo grado, dei tribunali e, in secondo<br />
grado, delle corti d’appello aventi sede nei capoluoghi<br />
di regione, eccetto che in quelli della Valle<br />
d’Aosta, del Trentino-Alto Adige, del Friuli-Venezia<br />
Giulia, delle Marche, dell’Umbria, dell’Abruzzo,<br />
del Molise, della Basilicata e della Calabria, cioè,<br />
in definitiva, dei soli Tribunali e delle sole Corti<br />
d’appello di Torino, Genova, Milano, Venezia, Bologna,<br />
Firenze, Roma, Napoli, Bari, Cagliari e Palermo<br />
(19).<br />
L’istituzione<br />
Sui descritti antecedenti storico-normativi s’innesta<br />
ora l’operazione approdata alla conversione,<br />
con modificazioni, da parte della L. 24 marzo<br />
2012, n. 27, dell’art. 2, D.L. 24 gennaio 2012, n.<br />
1, e dal legislatore propagandata come volta all’istituzione<br />
dei tribunali delle imprese, cosìingannevolmente<br />
etichettando (20) quelle che altro non sono<br />
che sezioni specializzate di Tribunale e di Corte<br />
d’Appello che, come meglio vedremo appresso, sono<br />
caratterizzate da uno speciale ambito di competenza<br />
territoriale, tendenzialmente più ampio di<br />
quello degli uffici giudiziari in cui sono incardinate,<br />
ma non quanto quello delle vecchie sezioni specializzate<br />
in materia di proprietà industriale ed intellettuale,<br />
giacché di norma coincidente con il<br />
territorio regionale (21), e competenti per mate-<br />
Note:<br />
(15) Anche per superare i dubbi concernenti la sua legittimità<br />
costituzionale per eccesso di delega avanzati da accorta dottrina<br />
(per i quali cfr. G. Casaburi - S. Di Paola, Guida al codice della<br />
proprietà industriale, inForo it., 2005, V, 77).<br />
(16) La previsione dell’art. 221, comma 1, c.p.i., secondo cui tutti<br />
i provvedimenti del Consiglio dell’ordine dei consulenti in proprietà<br />
industriale sono impugnabili dinanzi alla Commissione dei<br />
ricorsi, era stata infatti fortemente ridimensionata dall’interpretazione<br />
datane dalla Corte di cassazione (cfr. Cass., sez. un., 2<br />
maggio 2006, n. 10055, in Giurisdiz. amm., 2006, III, 317), che<br />
aveva ritenuto di dover attribuire a tale rimedio natura amministrativa<br />
e carattere facoltativo, al contempo affermando che i<br />
provvedimenti del Consiglio incidenti su diritti soggettivi, quali,<br />
tra gli altri, quelli di carattere disciplinare, possono essere contestati<br />
innanzi al giudice ordinario.<br />
(17) Poi ulteriormente prorogata: al 31 dicembre 2008 dall’art. 4<br />
bis, comma 12, D.L. 3 giugno 2008, n. 97, conv., con modiff.,<br />
dalla L. 2 agosto 2008, n. 129; al 30 marzo 2009 dall’art. 1 ter,<br />
comma 1, D.L. 23 ottobre 2008, n. 162, conv., con modiff., dalla<br />
L. 22 dicembre 2009, n. 201; al 31 dicembre 2009 dall’art. 29,<br />
comma 1 quinquiesdecies, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207,<br />
conv., con modiff., dalla L: 27 febbraio 2009, n. 14; al 30 aprile<br />
2010 dall’art. 5, comma 4, del 30 dicembre 2009, n. 194, conv.,<br />
con modiff., dalla L. 26 febbraio 2010, n. 25.<br />
(18) Con il quale, in attuazione della direttiva 2007/66/CE dell’11<br />
dicembre 2007, sono state apportate significative modifiche al<br />
Codice dei contratti pubblici varato con il D.Lgs. 12 aprile 2006,<br />
n. 163.<br />
(19) Individuando come giudice di primo grado competente per<br />
materia: per la Valle d’Aosta il Tribunale di Torino; per il Trentino-Alto<br />
Adige e il Friuli-Venezia Giulia il Tribunale di Venezia; per<br />
le Marche, l’Umbria, l’Abruzzo e il Molise il Tribunale di Roma;<br />
per la Basilicata e la Calabria il Tribunale di Napoli.<br />
(20) L’espressione «Tribunale delle imprese», d’altronde, si rinviene<br />
soltanto nella rubrica dell’art. 2, D.L. n. 1/2012, come risultante<br />
dopo la sua conversione, e non trova riscontro nel testo<br />
normativo.<br />
(21) Con le sole eccezioni, come vedremo meglio nel seguito<br />
del corpo del testo: delle sezioni specializzate in materia d’impresa<br />
dei Tribunali e delle Corti d’appello di Brescia, di Catania e<br />
di Milano, i cui ambiti di competenza territoriale coincidono con<br />
quelli dei rispettivi distretti di corte d’appello; delle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa del Tribunale e della Corte d’appello<br />
di Palermo, il cui ambito di competenza territoriale non<br />
comprende il distretto della Corte d’Appello di Catania; delle sezioni<br />
specializzate in materia d’impresa del Tribunale e della Corte<br />
d’appello di Torino, il cui ambito di competenza territoriale si<br />
estende alla Valle d’Aosta.<br />
812 Le Società 7/2012
ia, oltre che sulle controversie già attribuite alle<br />
sezioni specializzate in materia di proprietà industriale<br />
ed intellettuale dal comb. disp. dell’art. 3,<br />
D.Lgs. n. 168/2003 e dell’art. 134 c.p.i., nella sua<br />
ultima versione, su ogni altra controversia concernente<br />
le violazioni della normativa italiana ed europea<br />
a tutela della concorrenza e del mercato (cd.<br />
normativa antitrust), nonché su una serie di controversie<br />
e, più in generale, di procedimenti che<br />
potremmo definire sinteticamente di carattere societario,<br />
ma solo nella misura in cui, anche indirettamente,<br />
in virtù dei rapporti di gruppo, riguardino<br />
- vedremo dopo in qual senso ed entro quali limiti<br />
-societàdi capitali o cooperative o stabili organizzazioni<br />
nel territorio italiano di società costituite<br />
all’estero, nonché sulle controversie in tema di appalti<br />
pubblici di lavori, forniture o servizi di rilevanza<br />
comunitaria affidati ad una di dette società<br />
ovvero ad un consorzio o ad un raggruppamento<br />
temporaneo di imprese di cui faccia parte almeno<br />
una di dette società ovvero una società che esercita<br />
l’attività di direzione e coordinamento o è sottoposta<br />
all’attività di direzione e coordinamento di<br />
una di dette società.<br />
Con l’art. 2, D.L. n. 1/2012, come modificato<br />
dalla legge di conversione n. 27/2012 (22), il<br />
D.Lgs. n. 168/2003 è stato infatti ampiamente rimaneggiato,<br />
in modo tale da farne il collettore delle<br />
norme concernenti l’istituzione, la competenza,<br />
per materia e per territorio, e la composizione di<br />
queste nuove «sezioni specializzate in materia di impresa»<br />
(23), destinate ad entrare concretamente in<br />
funzione il 22 settembre 2012 nei tribunali e nelle<br />
corti di appello aventi sede nei capoluoghi di regione,<br />
eccetto che nel Tribunale di Aosta (il che vale<br />
a dire nei Tribunali e nelle Corti d’appello di Ancona,<br />
Bari, Bologna, Cagliari, Campobasso, Catanzaro,<br />
Firenze, Genova, L’Aquila, Milano, Napoli,<br />
Palermo, Perugia, Potenza, Roma, Torino, Trento,<br />
Trieste e Venezia), nonché nei Tribunali e nelle<br />
Corti d’appello di Brescia e Catania, assorbendo totalmente,<br />
ma soltanto per i procedimenti civili che<br />
saranno instaurati a partire dalla predetta data (24),<br />
anche la competenza delle preesistenti sezioni specializzate<br />
in materia di proprietà industriale ed intellettuale,<br />
che dunque dovranno rimanere in funzione<br />
fino al completo smaltimento dei procedimenti<br />
innanzi ad esse pendenti.<br />
La competenza per materia<br />
Panoramica<br />
Secondo quanto disposto dall’art. 3, D.Lgs. n.<br />
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
168/2003, come sostituito dall’art. 2, comma 1,<br />
lett. d), D.L. n. 1/2012, conv., con modiff., dalla<br />
L. n. 27/2012, l’ambito della competenza per materia<br />
delle sezioni specializzate in materia d’impresa comprende:<br />
a) le controversie in tema di proprietà industriale<br />
che, ai sensi dell’art. 134 c.p.i., come sostituito dalla<br />
L. 23 luglio 2009, n. 99, già rientravano nella<br />
competenza per materia delle vecchie sezioni specializzate<br />
in materia di proprietà industriale ed intellettuale;<br />
b) le controversie in tema di diritto d’autore, che<br />
pure già rientravano nella competenza per materia<br />
delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale<br />
ed intellettuale;<br />
c) le controversie relative alle violazioni della normativa<br />
a tutela della concorrenza e del mercato (cd.<br />
normativa antitrust) italiana di cui all’art. 33, comma<br />
2, L. 10 ottobre 1990, n. 287, cioè quelle concernenti<br />
le azioni di nullità e di risarcimento del danno<br />
e le relative azioni cautelari fondate su tali violazioni,<br />
già rientranti nella competenza delle Corti<br />
Note:<br />
(22) Invero, nel testo inizialmente presentato dal Governo al Parlamento<br />
per la conversione in legge (che può leggersi anche<br />
sub La società a responsabilità limitata semplificata e il tribunale<br />
delle imprese, in questa Rivista, 2012, 151, con nota di commento<br />
di V. Salafia), l’art. 2, D.L. n. 1/2012 prevedeva soltanto<br />
la modifica della denominazione delle preesistenti sezioni specializzate<br />
in tema di proprietà industriale ed intellettuale in quella<br />
di sezioni specializzate in materia d’impresa ed il contestuale<br />
ampliamento della loro competenza per materia alle azioni di<br />
classe di cui all’art. 140 bis, D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206<br />
(cd. Codice del consumo), a talune controversie di diritto societario,<br />
se riguardanti società per azioni od in accomandita per<br />
azioni, società controllate da società per azioni od in accomandita<br />
per azioni o società controllanti società per azioni od in accomandita<br />
per azioni, ed alle controversie in materia di appalti pubblici<br />
di lavoro, servizi o forniture di cui sia parte una di tali società.<br />
Per un ampio (e critico) commento all’originario testo del d.l.<br />
n. 1 del 2012 si rinvia a G. Casaburi, ‘‘Liberalizzazioni’’ e sezioni<br />
specializzate, inDir. ind., 2012, 11 ss.<br />
(23) Con una tecnica normativa assai singolare e certamente<br />
censurabile, se sol si considera che il d.lgs. n. 168 del 2003 era<br />
e continua ad essere intitolato alla «Istituzione di sezioni specializzate<br />
in materia di proprietà industriale ed intellettuale presso<br />
tribunali e corti d’appello, a norma dell’articolo 16 della legge 12<br />
dicembre 2002, n. 273».<br />
(24) Il sesto comma dell’art. 2, D.L. 14 gennaio 2012, n. 1, come<br />
modificato dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27,<br />
pubblicata nella G.U. della Repubblica Italiana il 24 marzo 2012<br />
ed entrata in vigore il 25 marzo 2012, prevede infatti che le precedenti<br />
disposizioni del medesimo articolo si applichino «ai giudizi<br />
instaurati dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata<br />
in vigore della legge di conversione» del predetto decreto-legge,<br />
cioè dopo il 21 settembre 2012. Il momento dell’instaurazione<br />
di tali giudizi andrà poi, come di consueto, individuato in quello<br />
del deposito del ricorso o della notificazione della citazione, a<br />
seconda del rito.<br />
Le Società 7/2012 813
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
d’Appello quale giudice di primo ed unico grado di<br />
merito (25);<br />
d) le controversie concernenti la violazione della<br />
normativa antitrust dell’Unione europea;<br />
e) la gran parte delle «cause» e dei «procedimenti»<br />
in materia societaria, ma solo «relativamente alle»<br />
(cioè, per rimanere per il momento neutrali quanto<br />
al significato di quest’avverbio, solo se riguardanti<br />
le) società per azioni, società in accomandita per<br />
azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative,<br />
mutue assicuratrici, società europee, società<br />
cooperative europee, stabili organizzazioni nel<br />
territorio dello Stato italiano di società costituite<br />
all’estero ovvero società che esercitano la direzione<br />
ed il coordinamento o sono sottoposte alla direzione<br />
ed al coordinamento di tali società;<br />
f) i procedimenti relativi a contratti pubblici di appalto<br />
di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria<br />
dei quali sia parte taluna delle predette società, ovvero<br />
quando talune di queste società partecipi al<br />
consorzio o al raggruppamento temporaneo cui i<br />
contratti siano stati affidati;<br />
g) i procedimenti connessi («le cause e i procedimenti<br />
che presentano ragioni di connessione») con<br />
quelli sopra indicati.<br />
Dal che già si ricava:<br />
1) che il nomen che il legislatore ha ritenuto di<br />
attribuire a queste sezioni specializzate non corrisponde<br />
alla loro competenza per materia, che in effetti<br />
è tanto variegata da rendere impossibile ricondurla<br />
ad un denominatore comune (26) e comprende<br />
solo una, prevedibilmente piccolissima, sotto il<br />
profilo numerico, parte dei procedimenti giudiziari<br />
rientranti nella sfera della giurisdizione dell’autorità<br />
giudiziaria ordinaria che interessano più da vicino<br />
le imprese;<br />
2) che i criteri dettati per definire l’ambito di<br />
questa competenza non sono sempre di agevole interpretazione<br />
ed applicazione ed appaiono forieri<br />
pertanto di una perniciosa proliferazione di questioni<br />
in proposito, oltre a rendere alquanto difficoltosa,<br />
almeno nella fase di avvio dell’attività delle sezioni<br />
in considerazione, l’individuazione delle dimensioni<br />
numeriche dei carichi di lavoro da cui<br />
queste saranno gravate e dunque delle risorse umane<br />
e materiali che vi dovranno essere impegnate.<br />
Ma ora proviamo a penetrare un po’ più a fondo<br />
nell’aggrovigliato ordito normativo!<br />
La competenza in tema di proprietà industriale<br />
La competenza in materia di proprietà industriale<br />
(in senso lato) delle sezioni specializzate in materia<br />
d’impresa coincide con quella che l’art. 134<br />
c.p.i., come sostituito dalla L. 23 luglio 2009, n.<br />
99 (27), al quale il nuovo art. 3, comma 1, lett. a),<br />
D.Lgs. n. 168/2003 appunto rinvia, attribuiva alle<br />
vecchie sezioni specializzate in materia di proprietà<br />
industriale ed intellettuale, comprendendo quindi:<br />
a) i procedimenti giudiziari in tema di proprietà industriale<br />
(in senso stretto), vale a dire - giusto quanto<br />
previsto dall’art. 1 c.p.i. - quelli concernenti marchi<br />
(registrati o di fatto), altri segni distintivi, tipici<br />
(come la ditta, la ragione sociale, la denominazione<br />
sociale, l’insegna e l’emblema) ed atipici, indicazioni<br />
geografiche, denominazioni d’origine, disegni,<br />
modelli, invenzioni, modelli d’utilità, topografie dei<br />
Note:<br />
(25) Che la Corte di cassazione ha ritenuto comprensiva anche<br />
delle azioni di carattere risarcitorio o ripetitorio promosse dai<br />
consumatori nei confronti degli imprenditori deducendo una violazione<br />
della normativa antitrust (cfr.: Cass., sez. un., 4 febbraio<br />
2005, n. 2207, in Corr. giur., 2005, 333, con note di I. Pagni, La<br />
tutela civile antitrust dopo la sentenza n. 2207/05: la Cassazione<br />
alla ricerca di una difficile armonia nell’assetto dei rimedi del diritto<br />
della concorrenza, e di M. Negri, Il lento cammino della tutela<br />
civile antitrust: luci ed ombre di un atteso grand arrêt; in<br />
Danno e resp., 2005, 495, con note di B. Inzitari, Abuso da intesa<br />
anticoncorrenziale e legittimazione aquiliana del consumatore<br />
per lesione alla libertà negoziale, e di B. Libonati, Responsabilità<br />
extra contrattuale per violazione di norme antitrust, edinRiv.<br />
dir. comm., 2005, II, 120, con nota di A. Genovese, Risarcimento<br />
del danno in favore del consumatore che conclude il contratto<br />
attuativo di un’intesa vietata: l’intervento delle Sezioni Unite;<br />
Cass. 21 gennaio 2010, n. 993, in CED Cass. civ., rv. 611386;<br />
Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305, in Foro it., 2007, I, 1097; Cass.<br />
13 luglio 2005, n. 14716, in Giur. comm., 2006, 253, con nota di<br />
L. Delli Priscoli, Equilibrio del mercato ed equilibrio del contratto,<br />
ed in Riv. dir. ind., 2006, 241, con nota di G. Dalle Vedove, Le<br />
azioni del consumatore avverso pratiche anticoncorrenziali).<br />
(26) Più serio, anche se alquanto indigesto sotto il profilo mediatico,<br />
sarebbe stato denominarle, pur sempre con un buon margine<br />
di approssimazione concettuale: sezioni specializzate in<br />
materia di proprietà intellettuale (espressione, questa, che, a livello<br />
internazionale, viene comunemente utilizzata secondo<br />
un’accezione comprensiva anche delle privative industriali), tutela<br />
della concorrenza, società di capitali e cooperative ed appalti<br />
pubblici.<br />
(27) Il cui testo aggiornato dispone che: «Sono devolute alle sezioni<br />
specializzate previste dal decreto legislativo 27 giugno<br />
2003, n. 168:<br />
a) i procedimenti giudiziari in materia di proprietà industriale e di<br />
concorrenza sleale, con esclusione delle sole fattispecie che<br />
non interferiscono, neppure indirettamente, con l’esercizio dei<br />
diritti di proprietà industriale, nonché in materia di illeciti afferenti<br />
all’esercizio dei diritti di proprietà industriale ai sensi della legge<br />
10 ottobre 1990, n. 287, e degli articoli 81 e 82 del Trattato<br />
che istituisce la Comunità europea, la cui cognizione è del giudice<br />
ordinario, e in generale in materie che presentano ragioni di<br />
connessione, anche impropria, con quelle di competenza delle<br />
sezioni specializzate;<br />
b) le controversie nelle materie disciplinate dagli articoli 64, 65,<br />
98 e 99 del presente codice;<br />
c) le controversie in materia di indennità di espropriazione dei diritti<br />
di proprietà industriale, di cui conosce il giudice ordinario;<br />
d) le controversie che abbiano ad oggetto i provvedimenti del<br />
Consiglio dell’ordine di cui al capo VI di cui conosce il giudice ordinario».<br />
814 Le Società 7/2012
prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate<br />
(28) e nuove varietà vegetali;<br />
b) i procedimenti giudiziari concernenti fattispecie di<br />
concorrenza sleale interferenti, sia pur indirettamente,<br />
con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale, escluse<br />
dunque le fattispecie di concorrenza sleale cd. pura,<br />
con tutte le difficoltà che si frappongono ad una<br />
precisa distinzione delle prime dalle seconde, stante<br />
la genericità del concetto di interferenza, per di più<br />
indiretta, cui ha fatto ricorso il legislatore e che la<br />
Corte di cassazione ha cercato di precisare (29) affermando<br />
che si ha interferenza tra fattispecie di<br />
concorrenza sleale e tutela della proprietà industriale<br />
sia nei casi in cui la domanda di concorrenza<br />
sleale si presenta come accessoria a quella di tutela<br />
della proprietà industriale, sia in quelli in cui ai fini<br />
della decisione sulla domanda di repressione della<br />
concorrenza sleale o di risarcimento dei danni da<br />
concorrenza sleale debba incidentalmente verificarsi<br />
se i comportamenti che la parte assume di concorrenza<br />
sleale interferiscano con un diritto di<br />
esclusiva, sicché la competenza delle sezioni specializzate<br />
va negata nei soli casi in cui la denunciata<br />
condotta concorrenziale non interferisca con la tutela<br />
della proprietà industriale, non richieda cioè<br />
neanche indirettamente l’accertamento della esistenza<br />
di un diritto di proprietà industriale (30);<br />
c) i procedimenti giudiziari relativi alle violazioni della<br />
cd. normativa antitrust italiana ed europea afferenti<br />
all’esercizio dei diritti di proprietà industriale, ovviamente<br />
se rientranti nella sfera della giurisdizione ordinaria;<br />
d) le controversie concernenti le invenzioni dei lavoratori<br />
dipendenti e dei ricercatori delle università e degli<br />
enti pubblici di ricerca di cui agli artt. 64 e 65<br />
c.p.i. (31);<br />
e) le controversie in tema di indennità di espropriazione<br />
per scopi di pubblica utilità dei diritti di proprietà<br />
industriale, sempreché ovviamente devolute al giudice<br />
ordinario, e dunque probabilmente escluse<br />
quelle concernenti l’indennità di espropriazione<br />
delle invenzioni industriali, che, giusto quanto disposto<br />
dall’art. 133, comma 1, lett. h), del Codice<br />
del processo amministrativo approvato con il<br />
D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (32), dovrebbero ricadere<br />
nell’orbita della giurisdizione esclusiva dei tribunali<br />
amministrativi regionali e del Consiglio di<br />
Stato (33);<br />
f) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti<br />
del Consiglio dell’ordine dei consulenti in proprietà industriale<br />
incidenti su diritti soggettivi (34), come, ad<br />
esempio, quelli di natura disciplinare;<br />
g) le controversie «in generale in materie che pre-<br />
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
sentano ragioni di connessione, anche impropria, con<br />
quelle di competenza delle sezioni specializzate».<br />
Quest’ultimo gruppo di controversie attribuite<br />
già alle sezioni specializzate in materia di proprietà<br />
industriale ed intellettuale ed ora alle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa merita qualche più<br />
specifica considerazione.<br />
La relativa previsione - considerata anche la sua<br />
collocazione, per così dire, topografica nell’ambito<br />
dell’art. 134, comma 1, lett. a), c.p.i. - potrebbe invero<br />
essere interpretata come volta ad attrarre nella<br />
competenza delle sezioni specializzate in materia di<br />
proprietà industriale ed intellettuale le cause che,<br />
pur non rientrando di per sé nella competenza per<br />
materia di tali sezioni, presentano ragioni di connessione,<br />
anche (oggettiva) impropria (35), con cause<br />
invece di competenza di tali articolazioni organizzative<br />
della giurisdizione ordinaria in quanto rientranti<br />
nell’orbita dei procedimenti in materia di proprietà<br />
industriale, compresi quelli concernenti fattispecie<br />
di concorrenza sleale o violazioni della disciplina antitrust,<br />
nazionale o comunitaria, interferenti con l’esercizio<br />
di diritti di proprietà industriale, precedentemente<br />
indicati alle lett. a), b) e c).<br />
Ma la sua formulazione letterale, considerata<br />
unitamente a quanto s’è detto in ordine alla sua<br />
Note:<br />
(28) Come definite dall’art. 98 c.p.i.<br />
(29) Con esiti insoddisfacenti secondo G. Casaburi, ‘‘Liberalizzazioni’’,<br />
cit., 4.<br />
(30) Cfr.: Cass. 18 maggio 2010, n. 12153, in CED Cass. civ., rv.<br />
613661; Cass. 19 giugno 2008, n. 16744, in Riv. dir. ind., 2009,<br />
II, 329, con nota di M. Filippelli, La concorrenza sleale interferente<br />
con i diritti di proprietà industriale ed intellettuale alla luce<br />
dei recenti interventi della Corte di Cassazione.<br />
(31) Cfr. la precedente nota n. 23.<br />
(32) Che, più precisamente, attribuisce alla giurisdizione esclusiva<br />
dei giudici amministrativi generali «le controversie aventi ad<br />
oggetto i decreti di espropriazione per causa di pubblica utilità<br />
delle invenzioni industriali» senza eccettuare espressamente<br />
quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione della relativa<br />
indennità di espropriazione, a differenza di quanto fanno le<br />
previsioni di cui alle precedenti lettere f) e g) dello stesso primo<br />
comma dell’art. 133 c.p.a.<br />
(33) Fatti salvi i forti dubbi di legittimità costituzionale che quest’ultima<br />
previsione - ovvero l’interpretazione che nel corpo del<br />
testo se n’è sommariamente proposta - suscita in considerazione<br />
sia dei limiti della delega in esecuzione della quale il Governo<br />
l’ha introdotta (contenuta nell’art. 44, L. 18 giugno 2009, n. 69),<br />
sia dei principi più volte affermati dalla Corte costituzionale a<br />
partire dalla sentenza 5 luglio 2004, n. 204, riguardo ai limiti costituzionali<br />
degli interventi legislativi che estendano la sfera della<br />
giurisdizione amministrativa generale alle controversie concernenti<br />
diritti soggettivi.<br />
(34) Cfr. la precedente nota n. 26.<br />
(35) Cioè anche per la semplice identità delle questioni, di diritto<br />
o di fatto, dalla cui soluzione dipende la loro decisione.<br />
Le Società 7/2012 815
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
collocazione topografica, sembra autorizzarne una<br />
lettura diversa e per certi versi ben più ampia (36),<br />
giacché fa riferimento ai procedimenti «in materie<br />
che presentano ragioni di connessione, anche impropria,<br />
con quelle» (cioè con le materie) di competenza<br />
delle suddette sezioni specializzate, non già ai<br />
procedimenti che presentano ragioni di connessione,<br />
anche impropria, con quelli rientranti nella<br />
competenza per materia di tali sezioni, così lasciando<br />
abbastanza chiaramente trasparire l’intenzione<br />
del legislatore di incidere direttamente sulla competenza<br />
delle sezioni specializzate in modo tale da<br />
estenderla ai procedimenti in materie connesse, anche<br />
in senso improprio, con la materia della proprietà<br />
industriale, a prescindere dalla loro connessione<br />
con altri procedimenti pendenti; ed il sospetto<br />
è ora rafforzato dal testo del nuovo terzo comma<br />
dell’art. 3, D.Lgs. n. 168/2003, che dispone l’attrazione<br />
alla competenza delle sezioni specializzate in<br />
materia d’impresa delle cause e dei procedimenti<br />
che presentano ragioni di connessione con quelli<br />
che rientrano direttamente nell’ambito di tale competenza<br />
in forza dei precedenti due commi del medesimo<br />
articolo e che sarebbe, almeno in parte, inutile<br />
se la «connessione» cui fa riferimento la previsione<br />
di cui all’art. 134, comma 1, lett. a), c.p.i. dovesse<br />
intendersi come connessione tra procedimenti<br />
e non già tra materie.<br />
Pare allora plausibile concludere che: il rinvio<br />
dell’art. 3, comma 1, lett. a), D.L. n. 1/2012, come<br />
convertito dalla L. n. 27/2012, all’art. 134 c.p.i.,<br />
vale ad attribuire alla competenza delle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa (così come attribuiva<br />
alla competenza delle sezioni specializzate in materia<br />
di proprietà industriale ed intellettuale) anche<br />
le controversie in materie connesse, anche in senso<br />
improprio, con le (sole) materie rientranti nella<br />
competenza più propriamente industrialistica di<br />
dette sezioni (cioè quelle che abbiamo in precedenza<br />
individuato facendo riferimento ai procedimenti<br />
in tema di proprietà industriale in senso stretto ovvero<br />
concernenti fattispecie di concorrenza sleale o<br />
di violazioni della normativa antitrust, interna e/o<br />
europea, interferenti, almeno indirettamente, con<br />
l’esercizio dei diritti di proprietà industriale); il terzo<br />
comma del predetto art. 3 invece attribuisce alla<br />
competenza delle sezioni specializzate in materia<br />
d’impresa tutti i procedimenti, in qualsivoglia materia,<br />
connessi in senso proprio (cioè per il titolo e/o<br />
l’oggetto) con procedimenti rientranti nella competenza<br />
per materia delle medesime sezioni, compresi<br />
quelli che vi rientrano per connessione, anche impropria,<br />
delle relative materie con quelle comprese<br />
nella competenza in tema di proprietà industriale<br />
in senso stretto attribuita a dette sezioni.<br />
Il problema pare allora quello di stabilire quali<br />
siano le «materie» che presentano ragioni di connessione,<br />
anche impropria, con la materia della<br />
proprietà industriale. Ma non è certo questa la sede<br />
per provare ad affrontarlo.<br />
La competenza in tema di diritto d’autore<br />
Le nuove sezioni specializzate in materia d’impresa<br />
sono destinate ad assorbire anche le «controversie<br />
in materia di diritto d’autore», che già il precedente<br />
art. 3, D.Lgs. n. 168/2003 attribuiva alle sezioni<br />
specializzate in materia di proprietà industriale<br />
ed intellettuale e che devono ritenersi comprensive<br />
di tutte le azioni che hanno per oggetto l’accertamento<br />
o si fondano sull’esistenza di diritti, morali e<br />
patrimoniali, sulle opere protette dagli artt. da 2575<br />
a 2583 c.c. e dalla fondamentale, anche se più volte<br />
modificata, L. 22 aprile 1941, n. 633, cioè sulle<br />
opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono<br />
alla letteratura, alla musica, alle arti figurative,<br />
all’architettura, al teatro ed alla cinematografia,<br />
qualunque ne sia la forma di espressione, nonché<br />
sui programmi per elaboratore e sulle banche di<br />
dati che per la scelta o la disposizione del materiale<br />
costituiscono una creazione intellettuale dell’autore<br />
(37), purché, ovviamente, rientranti nell’orbita<br />
della giurisdizione ordinaria (38).<br />
Note:<br />
(36) Ma non tanto quanto vorrebbe parte autorevole della dottrina<br />
(per la quale cfr. L.C. Ubertazzi, Commentario, cit., 160 ss.),<br />
secondo cui la previsione normativa in considerazione varrebbe<br />
ad attrarre alla competenza delle sezioni specializzate in materia<br />
di proprietà industriale ed intellettuale (e dunque ora a quella<br />
delle sezioni specializzate in materia d’impresa) anche le materie<br />
connesse con quella del diritto d’autore, in modo da far coincidere<br />
l’ambito della competenza di tali sezioni con quello dei diritti<br />
tutelati dalla WIPO (World Intellectual Property Organization)<br />
o, per i pochi non esterofili rimasti, OMPI (Organizzazione Mondiale<br />
della Proprietà Intellettuale).<br />
(37) Secondo la definizione datane dagli artt. 1 e 2, L. n. 641/<br />
1933.<br />
(38) Come in sostanza ritenuto di recente da Cass. 23 febbraio<br />
2012, n. 2777, in CED Cass. civ., rv. 621575, concludendo per<br />
la competenza delle sezioni specializzate in materia di proprietà<br />
industriale ed intellettuale in ordine alla controversia derivante<br />
dall’azione esercitata nei confronti della SIAE per la ripetizione<br />
dell’indebito pagamento di diritti per l’utilizzazione economica di<br />
opere musicali. Rientra invece nella sfera della giurisdizione tributaria<br />
- secondo Cass., sez. un., 26 gennaio 2011, n. 1780 - l’azione<br />
esercitata nei confronti della SIAE per la ripetizione dell’indebito<br />
pagamento del costo dei contrassegni da apporre, ai sensi<br />
dell’art. 181 bis, L. n. 633/1941, sui supporti non cartacei contenenti<br />
programmi per elaboratore, opere multimediali o altre<br />
opere o parti di opere dell’ingegno protette e destinati ad essere<br />
messi in commercio.<br />
816 Le Società 7/2012
Posta la presumibile intenzione del legislatore di<br />
far riferimento alla nostrana accezione della materia<br />
del diritto d’autore, è però prevedibile che verrà a<br />
riproporsi in relazione alle sezioni specializzate in<br />
materia d’impresa il problema dell’estensione della<br />
competenza delle sezioni specializzate in materia di<br />
proprietà industriale ed intellettuale ai ccdd. diritti<br />
connessi al diritto d’autore o, più precisamente, di<br />
quei diritti che non rientrano tra quelli sulle opere<br />
dell’ingegno di cui agli artt. 1 e 2, L. n. 633/1941 e<br />
tuttavia pure sono considerati a livello internazionale<br />
(39) come oggetto della tutela riservata alla<br />
proprietà intellettuale; problema, questo, la cui soluzione<br />
dipende soprattutto dall’individuazione della<br />
portata della previsione contenuta nell’art. 134,<br />
comma 1, lett. a), c.p.i. in ordine alla competenza<br />
di tali sezione sulle materie connesse e che dunque<br />
pare, alla stregua di quel che s’è sommariamente<br />
detto in precedenza, che debba esser risolto negativamente.<br />
La competenza sulle controversie in tema<br />
di violazioni della normativa antitrust interna<br />
e/o di quella europea<br />
Opportunamente il D.L. n. 1/212, come risultante<br />
dalla legge di conversione n. 27/2012, ha incluso<br />
nella competenza delle sezioni specializzate in materia<br />
d’impresa tutte le controversie in tema di violazioni<br />
della normativa a tutela della concorrenza e<br />
del mercato, cioè della cd. normativa antitrust, interna<br />
o comunitaria (40), anche se non afferenti all’esercizio<br />
dei diritti di proprietà industriale, in tal<br />
modo risolvendo il problema dell’individuazione<br />
delle fattispecie concernenti le violazioni di tale<br />
normativa invece afferenti all’esercizio dei diritti di<br />
proprietà industriale che erano le sole attribuite<br />
dall’art. 134 c.p.i. alla competenza delle sezioni specializzate<br />
in materia di proprietà industriale ed intellettuale<br />
(41).<br />
Conseguentemente ha modificato il secondo<br />
comma dell’art. 33. L. 10 ottobre 1990, n. 287, che<br />
attribuiva alla Corte d’Appello quale giudice di primo<br />
ed unico grado di merito la competenza sulle<br />
azioni di nullità e di risarcimento del danno e le<br />
domande cautelari fondate sulla violazione delle disposizioni<br />
della stessa legge nazionale concernenti<br />
la tutela della concorrenza e del mercato che costituiscono<br />
l’ossatura fondamentale della normativa<br />
italiana antitrust, nonché - secondo quanto ormai<br />
pacifico in giurisprudenza (42) - le azioni di risarcimento<br />
del danno o di ripetizione dell’indebito (e le<br />
correlative azioni cautelari) esercitate dai consuma-<br />
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
tori nei confronti degli imprenditori responsabili<br />
della violazione di tali disposizioni.<br />
È rimasta ferma invece la giurisdizione esclusiva<br />
dei tribunali amministrativi regionali e del Consiglio<br />
di Stato sulle controversie aventi ad oggetto i<br />
provvedimenti, anche di carattere sanzionatorio,<br />
purché non inerenti ai rapporti d’impiego privatizzati,<br />
adottati dall’Autorità garante della concorrenza<br />
e del mercato (43).<br />
La competenza in materia societaria<br />
Generalità<br />
È facilmente prevedibile che il grosso degli affari<br />
giudiziari da cui saranno gravate le nuove sezioni<br />
specializzate in materia d’impresa sarà costituito da<br />
quelli che possiamo sinteticamente, anche se giocoforza<br />
approssimativamente, individuare come concernenti<br />
la materia societaria, cioè, secondo il lungo<br />
ed a tratti pedante, ma certamente non esaustivo e<br />
comunque utile, elenco che ne fa il secondo comma<br />
del nuovo art. 3, D.Lgs. n. 168/2003 (ricalcando<br />
in buona parte quello contenuto nell’abrogato<br />
(44) art. 1, D.Lgs. n. 5/2003 per individuare le<br />
controversie da trattarsi facendo applicazione delle<br />
disposizioni processuali introdotte da quest’ultimo<br />
decreto legislativo, cioè dei ccdd. riti societari)<br />
(45), i procedimenti, di carattere contenzioso o<br />
di volontaria giurisdizione (in tal complessivo senso<br />
dovendo essere interpretata l’espressione «le cause e<br />
Note:<br />
(39) In particolare dagli accordi TRIPS e da quello istitutivo dell’OMPI<br />
o WIPO (v. amplius L.C. Ubertazzi, Commentario, cit.,<br />
161).<br />
(40) I rapporti tra la normativa antitrust nazionale e quella comunitaria<br />
sono disciplinati dal regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio<br />
del 16 dicembre 2002, alla cui stregua dunque le sezioni<br />
specializzate in materia d’impresa sono destinati a diventare a<br />
pieno titolo i giudici cui è affidata l’applicazione diretta in ambito<br />
nazionale anche della normativa dell’Unione europea.<br />
(41) Cfr. F. Santagada, Sezioni specializzate per l’impresa, accelerazione<br />
dei processi e competitività delle imprese, inwww.judicium.it,<br />
2012, 10 ss.<br />
(42) V. la giurisprudenza citata nella precedente nota n. 35.<br />
(43) V. art. 133, lett. l), c.p.a.<br />
(44) Com’è noto, dall’art. 54, L. 18 giugno 2009, n. 69.<br />
(45) Alla dottrina ed alla giurisprudenza relative al quale (per una<br />
panoramica sui cui orientamenti si rinvia a F. Carpi-M. Taruffo (a<br />
cura di), Commentario breve al codice di procedura civile, 2009,<br />
2616 ss., ed a M. Montanaro, Sub art. 1, in G. Arieta - F. De<br />
Santis (a cura di), Commentario dei processi societari, 2007, 15<br />
ss.) può dunque farsi, in linea di massima, riferimento anche<br />
per la soluzione di molte delle questioni interpretative che pone<br />
il secondo comma dell’art. 3, D.Lgs. n. 168/2003.<br />
Le Società 7/2012 817
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
i procedimenti» utilizzata dal legislatore (46)), compresi<br />
quelli di impugnazione di lodi arbitrali (47):<br />
a) «relativi a rapporti societari», ivi esplicitamente<br />
compresi quelli che si prenderanno partitamente in<br />
considerazione fra poco;<br />
b) «relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali<br />
o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni<br />
sociali o i diritti inerenti»;<br />
c) «in materia di patti parasociali, anche diversi da<br />
quelli regolati dall’articolo 2341 bis del codice civile»;<br />
d) «aventi ad oggetto azioni di responsabilità promosse<br />
dai creditori delle società controllate contro le società<br />
che le controllano»;<br />
e) «relativi a rapporti di cui all’articolo 2359, primo<br />
comma, numero 3), all’articolo 2497 septies e all’articolo<br />
2545 septies del codice civile».<br />
Tutti gli anzidetti procedimenti giudiziari rientrano<br />
però nella competenza delle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa solo «relativamente» alle società<br />
per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità<br />
limitata, alle società cooperative, alle mutue<br />
assicuratrici, alle società europee (48), alle società<br />
cooperative europee (49) ed alle stabili organizzazioni<br />
nel territorio italiano delle società costituite<br />
all’estero, ovvero alle società (evidentemente di<br />
persone e di nazionalità italiana) sottoposte all’attività<br />
di direzione e coordinamento o che esercitano<br />
l’attività di direzione e coordinamento di società<br />
per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità<br />
limitata, di società cooperative o di mutue assicuratrici,<br />
di società europee o cooperative europee<br />
o di una società costituita all’estero (50), cioè non<br />
già per il semplice fatto di aver tra le parti una delle<br />
predette società, ma solo qualora queste siano, per<br />
così dire, il loro oggetto, anche indiretto, come, ad<br />
esempio, nel caso della controversia derivante dall’azione<br />
volta ad ottenere l’annullamento per vizi<br />
del consenso di un patto parasociale concluso tra<br />
persone fisiche per esercitare un’influenza dominante<br />
su una società per azioni.<br />
Il che trova conferma nella diversa formulazione<br />
della lett. f) dello stesso secondo comma del novellato<br />
art. 3, D.Lgs. n. 168/2003, che, come si vedrà<br />
in seguito, per definire la competenza delle sezioni<br />
specializzate in materia di impresa in tema di contratti<br />
pubblici di appalto fa riferimento ai procedimenti<br />
relativi a quei contratti che abbiano ad oggetto<br />
appalti affidati ad una delle suddette società<br />
ovvero ad un consorzio o ad un raggruppamento<br />
temporaneo di imprese del quale faccia parte una<br />
delle suddette società.<br />
Pare pertanto già a questo punto evidente che la<br />
competenza ‘‘societaria’’ di queste nuove sezioni<br />
specializzate, sebbene tenda ad escludere dalla sua<br />
orbita le controversie che riguardino soltanto società<br />
di persone, risulta dotata di una vis expansiva<br />
davvero notevolissima, di cui è difficile valutare oggi<br />
- ed il legislatore certamente non ha valutato -<br />
appieno la portata.<br />
I procedimenti relativi a rapporti societari<br />
I procedimenti relativi a rapporti societari comprendono,<br />
a loro volta, per espressa indicazione del<br />
legislatore:<br />
1) ovviamente, quelli «concernenti l’accertamento,<br />
la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un<br />
rapporto societario»;<br />
2) «le azioni di responsabilità da chiunque promosse»<br />
- e dunque, deve ritenersi, pure quelle promosse<br />
dal curatore del fallimento, dal commissario liquidatore<br />
e dal commissario straordinario, nel caso in<br />
cui le società danneggiate siano sottoposte a fallimento,<br />
a liquidazione coatta amministrativa o ad<br />
amministrazione straordinaria (51) - «contro i com-<br />
Note:<br />
(46) Cfr., nello stesso senso: A. Motto, Gli interventi legislativi<br />
sulla giustizia civile del 2011 e 2012, 2012, in www.judicium.it<br />
(visto il 21.5.2012), 28; F. Santagada, Sezioni, cit., 13.<br />
(47) Fermo restando che le impugnazioni per nullità dei lodi arbitrali<br />
rituali nelle materie di competenza delle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa dovranno essere trattate in primo ed<br />
unico grado, salvo ovviamente l’eventuale successivo ricorso alla<br />
Corte di cassazione, dalle sezioni specializzate di corte d’appello<br />
territorialmente competenti.<br />
(48) Di cui al regolamento n. 2157/2001 (CE) del Consiglio dell’8<br />
ottobre 2001.<br />
(49) Di cui al regolamento n. 1435/2003 (CE) del Consiglio del<br />
22 luglio 2003.<br />
(50) Deve però ritenersi che, affinché possa rilevare ai fini dell’individuazione<br />
del giudice competente, l’esercizio dell’attività<br />
di direzione e coordinamento di una società di capitali o cooperativa,<br />
italiana od europea, o di una società estera da parte della<br />
società di persone cui il procedimento si riferisce o la sottoposizione<br />
di quest’ultima all’attività di direzione e coordinamento di<br />
una delle predette società debba risultare dal registro delle imprese<br />
secondo quanto disposto dall’art. 2497 bis c.c., salvo che<br />
si provi che i terzi che siano parti del procedimento ne erano comunque<br />
a conoscenza al momento della domanda giudiziale,<br />
giusto quanto in generale previsto a proposito dell’efficacia delle<br />
iscrizioni nel registro delle imprese dall’art. 2193 c.c.<br />
(51) Il che conferma che le azioni di responsabilità in questione,<br />
se promosse o proseguite dal curatore del fallimento della società<br />
danneggiata, si sottraggono alla cd. vis attractiva del foro<br />
fallimentare, cioè alla competenza del tribunale che ha dichiarato<br />
il fallimento per le azioni da questo derivanti prevista dall’art.<br />
24 l.fall., come peraltro dovrebbe già ricavarsi dalla considerazione<br />
che tali azioni non derivano dal fallimento della società, essendo<br />
le medesime che, qualora il fallimento della società non<br />
fosse dichiarato, potrebbero essere esercitate dalla stessa società<br />
o dai suoi creditori. Invero, quel che, nelle fattispecie in<br />
considerazione, deriva dal fallimento non sono le azioni, ma solo<br />
la legittimazione del curatore ad esercitarle in luogo della società<br />
e/o dei suoi creditori.<br />
818 Le Società 7/2012
ponenti degli organi amministrativi o di controllo,<br />
il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente<br />
preposto alla redazione dei documenti contabili<br />
societari, nonché contro il soggetto incaricato della<br />
revisione contabile per i danni derivanti da propri<br />
inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti<br />
della società che ha conferito l’incarico e nei<br />
confronti dei terzi danneggiati» (52);<br />
3) le opposizioni dei creditori delle società per azioni,<br />
in accomandita per azioni od a responsabilità limitata<br />
contro le deliberazioni sociali di riduzione del capitale<br />
sociale mediante liberazione dei soci dai versamenti ancora<br />
dovuti o mediante il rimborso del capitale ai soci,<br />
di cui agli artt. 2445, comma 3, e 2482, comma 2,<br />
c.c.;<br />
4) le opposizioni dei creditori delle società per azioni<br />
od in accomandita per azioni contro le deliberazioni sociali<br />
di costituzione di patrimoni destinati in via esclusiva<br />
a specifici affari, di cui all’art. 2447 quater, comma<br />
2, c.c.;<br />
5) le opposizioni dei creditori delle società per<br />
azioni, in accomandita per azioni od a responsabilità<br />
limitata, delle società cooperative e delle mutue<br />
assicuratrici contro le deliberazioni sociali di revoca<br />
dello stato di liquidazione, di cui all’art. 2487 ter,<br />
comma 2, c.c.;<br />
6) le opposizioni dei creditori o dei possessori di obbligazioni<br />
delle società partecipanti ad una fusione od<br />
una scissione societaria contro la deliberazione o decisione<br />
sociale della fusione o della scissione, di cui agli<br />
artt. 2503, comma 2, 2503 bis, comma 1, e 2506 ter<br />
c.c.<br />
Ma queste esplicitazioni, dichiaratamente non<br />
esaustive, unitamente ad una piana interpretazione<br />
dell’ampia portata semantica dell’espressione «rapporti<br />
societari», inducono a ritenere rientranti nell’ambito<br />
della competenza societaria delle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa anche: i procedimenti<br />
relativi al recesso od all’esclusione dei soci; i procedimenti<br />
di cui all’art. 2409 c.c.; le opposizioni dei<br />
creditori alle trasformazioni eterogenee delle società<br />
di capitali loro debitrici ovvero alle trasformazioni<br />
eterogenee in società di capitali dei consorzi, delle<br />
società consortili, delle comunioni d’azienda, delle<br />
associazioni riconosciute e delle fondazioni loro debitrici,<br />
di cui all’art. 2500 novies, comma 2,<br />
c.c. (53); ogni impugnativa da parte dei soci, degli<br />
amministratori o dei sindaci delle deliberazioni o<br />
decisioni degli organi sociali che non importino<br />
modificazioni dell’atto costitutivo; le azioni di responsabilità<br />
promosse, ai sensi dell’art. 2497, comma<br />
1, c.c., dai soci di società sottoposte all’attività<br />
di direzione e coordinamento di altri enti nei con-<br />
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
fronti di questi ultimi; le impugnative delle decisioni<br />
degli arbitratori cui sia affidata la risoluzione di<br />
contrasti sulla gestione delle società a norma dell’art.<br />
37, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5; le controversie<br />
tra il socio di una cooperativa e quest’ultima<br />
«relative alla prestazione mutualistica» (54).<br />
Fortemente dubbia sembra invece l’inclusione<br />
nello spettro delle controversie in considerazione di<br />
quelle promosse dall’amministratore, dal liquidatore<br />
o dal sindaco nei confronti della società per il pagamento<br />
(o la determinazione) dei propri compensi,<br />
la cui causa petendi è, a ben vedere, costituita dal<br />
rapporto contrattuale, che pare difficile definire,<br />
stricto iure, societario, piuttosto che dal (distinto)<br />
rapporto organico (ed eventualmente, nel caso dell’amministratore<br />
e del liquidatore unici, persino di<br />
totale immedesimazione) tra tali soggetti e la società<br />
(55); ed analoghi dubbi potrebbero investire le<br />
controversie concernenti la revoca per giusta causa<br />
degli organi amministrativi o di controllo o dei li-<br />
Note:<br />
(52) Tra le quali dovrebbero rientrare tutte quelle di cui agli artt.<br />
2392, 2393, 2394, 2394 bis, 2395 e 2476, comma 1, 3, 4, 5 e 6,<br />
c.c.<br />
(53) Conf. A. Motto, Gli interventi, cit., 28, nota n. 78.<br />
(54) Che il secondo comma dell’art. 5, L. 3 aprile 2001, n. 142,<br />
come modificato dall’art. 9, comma 1, L. 14 febbraio 2003, n.<br />
30, attribuisce alla «competenza del tribunale ordinario», anche<br />
quando la prestazione mutualistica si risolva nella prestazione di<br />
un’attività lavorativa (cfr. Cass. 6 dicembre 2010, n. 24692, in<br />
Riv. it. dir. lav., 2011, II, 1206, con nota di M. Vincieri, Sulla dibattuta<br />
questione dell’applicabilità del rito ordinario alle controversie<br />
tra soci lavoratori e cooperative).<br />
(55) Spunti in tal senso possono ricavarsi in particolare da Cass.,<br />
sez. un., 14 dicembre 1994, n. 10680 (in Giust. civ., 1995, I,<br />
2473), e dalla conforme prevalente giurisprudenza della Sezione<br />
lavoro della Corte di cassazione, secondo cui il rapporto (evidentemente<br />
di natura contrattuale) tra l’amministratore (almeno<br />
quello di società di capitali o cooperative) e la società va qualificato<br />
come un rapporto di lavoro parasubordinato rientrante nell’orbita<br />
dell’art. 409 c.p.c., tenendolo distinto da quello di immedesimazione<br />
organica, con la conseguente attrazione della controversia<br />
concernente il compenso od il rimborso delle spese al<br />
primo spettante per la propria attività nell’ambito di quelle di<br />
competenza del giudice del lavoro e da trattarsi secondo il rito<br />
del lavoro (cfr.: Cass., sez. lav., 20 febbraio 2009, n. 4261, in Foro<br />
it., 2009, I, 3386; Cass., sez. lav., 29 marzo 2001, n. 4662, in<br />
Notiz. giur. lav., 2001, 519; Cass., sez. lav., 14 febbraio 2000, n.<br />
1662, in CED Cass. civ., rv. 533866; Cass. 17 giugno 1995, n.<br />
6901, in CED Cass. civ., rv. 492920). Ma in opposto senso si<br />
muovono Cass., sez. I, 12 settembre 2008, n. 23557 (in CED<br />
Cass. civ., rv. 605348), secondo cui il rapporto di immedesimazione<br />
organica esistente tra l’amministratore e la società da costui<br />
amministrata esclude che le sue funzioni siano riconducibili<br />
ad un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata<br />
e continuativa, nonché Cass., sez. I, 1 aprile 2009, n. 7961<br />
(in CED Cass. civ., rv. 607490, e Cass., sez. lav., 26 febbraio<br />
2002, n. 2861, in questa Rivista, 2002, 1371), secondo cui è lo<br />
stesso rapporto di immedesimazione organica dell’amministratore<br />
(nella specie, di una società cooperativa) con la società che<br />
va qualificato come di lavoro autonomo.<br />
Le Società 7/2012 819
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
quidatori delle società di capitali o cooperative, almeno<br />
nei casi in cui la revoca non sia fondata sulla<br />
responsabilità di tali organi nei confronti per l’inosservanza<br />
degli obblighi sugli stessi incombenti per<br />
legge o statuto.<br />
Non è sempre semplice poi includere nel novero<br />
dei procedimenti «relativi a rapporti societari»<br />
nemmeno molti di quelli che gli abrogati artt. 29 e<br />
33, D.Lgs. n. 5/2003 stabilivano che dovessero essere<br />
trattati nelle forme camerali di cui agli artt. 25 e<br />
ss. dello stesso decreto legislativo (56) e rimasti privi<br />
di una propria speciale disciplina processuale dopo<br />
l’abrogazione di tali articoli ad opera della L. n.<br />
69/2009, venendo così, almeno quelli di carattere<br />
non unilaterale, paradossalmente risucchiati nell’alveo<br />
della disciplina del processo ordinario di cognizione,<br />
che mal si attaglia al loro contenuto ed alla<br />
loro funzione.<br />
Solo alcuni di tali procedimenti invero si rintracciano<br />
tra quelli specificamente elencati nella<br />
lett. a) del secondo comma del nuovo art. 3, D.Lgs.<br />
n. 168/2003 e ciò potrebbe essere letto come un indice<br />
della volontà del legislatore di non attribuire<br />
alla competenza delle sezioni specializzate in materia<br />
d’impresa quelli ivi non espressamente menzionati.<br />
Ma se, come sembra più plausibile, l’intenzione<br />
del legislatore era quella di fare delle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa il polo d’attrazione di<br />
tutti gli affari giudiziari che coinvolgono le società<br />
di capitali o cooperative, di diritto italiano od europeo,<br />
e le società estere in quanto tali, e non in ragione<br />
dell’attività d’impresa da loro svolta, cioè, in<br />
sintesi, di tutti gli affari la cui trattazione implica<br />
necessariamente la risoluzione di, più o meno complesse,<br />
questioni di diritto societario, pare ragionevole<br />
propugnare un’interpretazione dell’espressione<br />
«rapporti societari» tanto ampia da poter comprendere<br />
tutte le controversie in cui si faccia questione<br />
dei compensi e delle spese o della cessazione, per<br />
qualsiasi ragione, dalla carica degli amministratori,<br />
dei liquidatori e dei sindaci e tutti i procedimenti<br />
già cameralizzati dagli abrogati artt. 29 e 33, D.Lgs.<br />
n. 5/2003.<br />
In ogni caso problematico pare pure il regolamento<br />
di confini tra la competenza delle sezioni<br />
specializzate in considerazione e quelle del giudice<br />
del registro delle imprese e del tribunale da cui dipende<br />
l’ufficio del registro delle imprese, che tuttavia<br />
dovrebbero prevalere su quella della prima in<br />
considerazione della loro natura funzionale.<br />
Nota:<br />
(56) Cioè i procedimenti aventi ad oggetto: la designazione dell’esperto<br />
stimatore del valore dei conferimenti di beni in natura<br />
o di crediti, di cui all’art. 2343, comma 1, c.c.; la designazione<br />
dell’esperto stimatore del valore dei beni o dei crediti che la società<br />
intenda acquistare dai propri promotori, fondatori, soci od<br />
amministratori, di cui all’art. 2343 bis, comma 2, c.c.; la nomina<br />
del rappresentante comune dei comproprietari di un’azione o di<br />
una quota di partecipazione ad una società a responsabilità limitata<br />
che non vi abbiano provveduto, di cui agli artt. 2347, comma<br />
1, 2436, comma 4, e 1105, ultimo comma, c.c.; la nomina<br />
del rappresentante comune degli obbligazionisti cui non abbia<br />
provveduto l’assemblea degli obbligazionisti, di cui all’art. 2417,<br />
comma 2, c.c.; l’omologazione delle deliberazioni concernenti<br />
modifiche statutarie la cui iscrizione nel registro delle imprese<br />
non sia stata chiesta dal notaio verbalizzante, di cui all’art. 2436,<br />
co. 4, c.c.; la nomina dell’esperto stimatore del valore di liquidazione<br />
delle azioni del socio receduto, di cui all’art. 2437 ter,<br />
comma 6, c.c.; la designazione dell’esperto o degli esperti stimatori<br />
della congruità del rapporto di concambio delle azioni o<br />
delle quote delle società partecipanti ad una fusione, di cui all’art.<br />
2501 sexies, commi 3 e 4, c.c.; la designazione dell’esperto<br />
stimatore del valore del patrimonio della società cooperativa<br />
di cui sia stata deliberata la trasformazione, di cui all’art. 2545<br />
undecies, comma 2, c.c.; la nomina e (forse) la revoca per giusta<br />
causa del liquidatore o dei liquidatori delle società di persone<br />
(ovviamente che esercitino l’attività di direzione e coordinamento<br />
o siano sottoposte all’attività di direzione e coordinamento di<br />
una società di capitali o cooperativa, italiana o europea, o di una<br />
società straniera), in caso di disaccordo tra i soci, di cui all’art.<br />
2275 c.c.; la convocazione dell’assemblea a richiesta dei soci di<br />
una società per azioni cui ingiustificatamente non abbiano provveduto<br />
gli organi amministrativi o di controllo, di cui all’art.<br />
2367, comma 2, c.c.; l’approvazione della revoca per giusta causa<br />
dei sindaci, di cui all’art. 2400, comma 2, c.c.; i provvedimenti<br />
previsti dall’art. 2409 c.c. o, rispettivamente, dal comb. disp.<br />
degli artt. 2545 quinquiesdecies e 2409 c.c. in caso di gravi irregolarità<br />
nella gestione di una società per azioni o di una società<br />
cooperativa; l’opposizione dei creditori sociali alla deliberazione<br />
di riduzione del capitale di una società per azioni in conseguenza<br />
della liquidazione delle azioni del socio receduto, di cui all’art.<br />
2437 quater, ultimo comma, c.c.; l’opposizione dei creditori sociali<br />
alla deliberazione di riduzione del capitale sociale mediante<br />
liberazione dei soci dai versamenti ancora dovuti o mediante il<br />
rimborso del capitale sociale ai soci, di cui all’art. 2445, commi<br />
3 e 4, c.c.; la riduzione del capitale sociale per perdite caso prevista<br />
dall’art. 2446, comma 2, c.c., per quel che concerne le società<br />
per azioni, e dall’art. 2482 bis, commi 4 e 5, c.c., per quel<br />
che concerne le società a responsabilità limitata; l’opposizione<br />
dei creditori sociali alla deliberazione della costituzione di un patrimonio<br />
destinato ad uno specifico affare, di cui all’art. 2447<br />
quater, comma 2, c.c.; l’accertamento dell’avvenuto scioglimento<br />
di una società di capitali, di cui all’art. 2485, comma 2, c.c.; la<br />
convocazione dell’assemblea per l’adozione dei provvedimenti<br />
concernenti la liquidazione delle società di capitali o, nel caso in<br />
cui l’assemblea non si costituisca o non deliberi, l’adozione di<br />
tali provvedimenti e la revoca per giusta causa dei liquidatori<br />
delle società di capitali, di cui all’art. 2487, commi 2 e 4, c.c.;<br />
l’opposizione dei creditori sociali alla deliberazione di revoca dello<br />
stato di liquidazione delle società di capitali, di cui all’art. 2487<br />
ter, commi 2, c.c.; l’opposizione dei creditori alle trasformazioni<br />
eterogenee delle società di capitali loro debitrici ovvero alle trasformazioni<br />
eterogenee in società di capitali dei consorzi, delle<br />
società consortili, delle comunioni d’azienda, delle associazioni<br />
riconosciute e delle fondazioni loro debitrici, di cui all’art. 2500novies,<br />
comma 2, c.c.; l’opposizione dei creditori delle società<br />
partecipanti ad una fusione contro la deliberazione o decisione<br />
sociale della fusione, di cui all’art. 2503, comma 2, c.c.; la cancellazione<br />
dal registro delle imprese della società iscrittavi in<br />
mancanza delle autorizzazioni eventualmente necessaria o sulla<br />
base di autorizzazioni invalide, di cui all’art. 223 quater, comma<br />
2, disp. att. c.c.<br />
820 Le Società 7/2012
I procedimenti relativi al trasferimento<br />
di partecipazioni sociali<br />
La categoria dei procedimenti «relativi al trasferimento<br />
delle partecipazioni sociali o ad ogni altro<br />
negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali<br />
o i diritti inerenti» è tanto ampia da risultare idonea<br />
a comprendere anche procedimenti che ben<br />
poco potrebbero avere a che fare con la materia societaria,<br />
come, per far solo qualche esempio, quello<br />
avente ad oggetto l’azione di divisione giudiziale di<br />
un patrimonio nel quale vi sia una partecipazione<br />
sociale o l’impugnativa di un testamento con cui si<br />
disponga di diritti d’opzione (57).<br />
Pone inoltre il problema di stabilire se includa<br />
anche le azioni di cui il negozio avente ad oggetto<br />
partecipazioni sociali o diritti inerenti a partecipazioni<br />
sociali non costituisce né il petitum né la causa<br />
petendi, se non indirettamente (come, ad esempio,<br />
nel caso dell’azione di regresso esercitata nei confronti<br />
del proprio condebitore solidale da chi abbia<br />
acquistato insieme ad altri una quota di una società<br />
a responsabilità limitata pagandone da solo l’intero<br />
prezzo), anche se la soluzione negativa pare preferibile<br />
in considerazione dei pericoli di un’eccessiva e<br />
peraltro dai confini assai incerti espansione della<br />
competenza societaria delle sezioni specializzate in<br />
materia d’impresa che si annidano nell’opposta soluzione.<br />
I procedimenti in materia di patti parasociali<br />
I procedimenti in materia di patti parasociali di<br />
competenza delle sezioni specializzate in materia<br />
d’impresa comprendono, per esplicita indicazione<br />
del legislatore, anche quelli in materia di patti parasociali<br />
diversi da quelli regolati dall’art. 2341 bis<br />
c.c., cioè anche di patti parasociali ccdd. atipici, lasciando<br />
all’interprete il difficilissimo compito di individuarli.<br />
Nel loro novero vanno tuttavia presumibilmente<br />
comunque inclusi i «patti strumentali ad accordi di<br />
collaborazione nella produzione o nello scambio di beni<br />
o servizi e relativi a società interamente possedute dai<br />
partecipanti all’accordo» che l’ultimo comma del predetto<br />
articolo sottrae espressamente alla disciplina<br />
dei patti parasociali contenuta nei precedenti due<br />
commi.<br />
È invero difficile negare natura parasociale a<br />
questi patti, una volta che li si tenga distinti dagli<br />
accordi di collaborazione cui sono funzionalmente<br />
collegati, che, significativamente, la lett. c) del secondo<br />
comma del nuovo art. 3, D.Lgs. n. 168/2003<br />
non menziona, a differenza della lett. c) dell’abrogato<br />
art. 1, D.Lgs. n. 5/2003, che li assimilava<br />
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
espressamente ai patti parasociali ai fini dell’applicazione<br />
dei ccdd. riti societari ai procedimenti ad<br />
essi relativi, e che dunque vanno invece di per sé<br />
esclusi dalla competenza in materia societaria delle<br />
sezioni specializzate in materia d’impresa (58).<br />
I procedimenti aventi ad oggetto azioni<br />
di responsabilità promosse dai creditori delle società<br />
controllate contro le società che le controllano<br />
L’espressa attribuzione alla competenza delle sezioni<br />
specializzate in materia d’impresa dei procedimenti<br />
«aventi ad oggetto azioni di responsabilità<br />
promosse dai creditori delle società controllate contro<br />
le società che le controllano» può far sorgere il<br />
dubbio che la competenza di dette sezioni non valga<br />
per le altre azioni di responsabilità rientranti nell’orbita<br />
dell’art. 2497 c.c., cioè quelle promosse dai<br />
creditori o dai soci o dal curatore del fallimento o<br />
dal commissario liquidatore o dal commissario<br />
straordinario delle società che, sebbene eventualmente<br />
non controllate da altre società nel senso indicato<br />
dall’art. 2359, commi 1 e 2, c.c., sono sottoposte<br />
all’altrui attività di direzione e coordinamento<br />
nei confronti delle società o degli altri enti che<br />
tale attività esercitano.<br />
L’attribuzione della competenza sui procedimenti<br />
relativi a queste altre azioni al tribunale individuato<br />
secondo gli ordinari crediti anziché alle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa costituirebbe però<br />
una stranezza di cui non si riuscirebbe a comprendere<br />
le ragioni, sicché un’interpretazione sistematica<br />
e costituzionalmente orientata dovrebbe bastare<br />
ad escluderla.<br />
I procedimenti relativi ai rapporti di gruppo<br />
I procedimenti «relativi a rapporti di cui all’articolo<br />
2359, primo comma, numero 3), all’articolo<br />
2497 septies e all’articolo 2545 septies del codice civile»<br />
vanno individuati in quelli aventi ad oggetto<br />
domande fondate o destinate ad incidere sui rapporti:<br />
tra le società che sono sotto l’influenza dominante<br />
di un’altra società in virtù di particolari vincoli<br />
contrattuali con essa e la società che in tal modo<br />
le controlla; tra la società o l’ente che esercita<br />
Note:<br />
(57) O addirittura quello avente ad oggetto l’istanza dei genitori<br />
di autorizzazione alla vendita di una partecipazione sociale del figlio<br />
minore d’età, se non dovesse ragionevolmente darsi la prevalenza<br />
alle natura funzionale della competenza attribuita al giudice<br />
tutelare.<br />
(58) Salvo poi eventualmente ricadere nelle altre aree della competenza<br />
per materia delle sezioni specializzate in materia di impresa.<br />
Le Società 7/2012 821
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
attività di direzione e coordinamento di altre società<br />
sulla base di un contratto con queste ultime o di<br />
clausole dei loro statuti e queste ultime società; tra<br />
le società cooperative appartenenti ad un gruppo<br />
cooperativo paritetico.<br />
Lo scopo della previsione di cui all’art. 3, comma<br />
2, lett. e), D.Lgs. n. 168/2003 è dunque quella di<br />
estendere la competenza delle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa ai procedimenti relativi a tali<br />
rapporti, evidentemente sul presupposto della difficoltà<br />
di inquadrarli nei procedimenti relativi a<br />
«rapporti societari», nell’ambito dei quali invece ricadono<br />
certamente quelli relativi a rapporti infragruppo<br />
più intensi di quelli considerati da detta<br />
previsione.<br />
La competenza in materia di contratti pubblici<br />
di appalto<br />
Ripescando un’idea più volte, come s’è detto, accarezzata<br />
in passato, il legislatore ha attribuito alle<br />
sezioni specializzate in materia d’impresa la competenza<br />
anche sui procedimenti «relativi a contratti<br />
pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di<br />
rilevanza comunitaria» (59) dei quali sia parte una<br />
società per azioni, in accomandita per azioni od a<br />
responsabilità limitata, una società cooperativa,<br />
una mutua assicuratrice, una società europea, una<br />
società cooperativa europea od una società costituita<br />
all’estero ovvero un consorzio o l’impresa capogruppo<br />
mandataria di un raggruppamento temporaneo<br />
d’imprese del quale faccia parte una di dette società,<br />
purché, ovviamente, rientranti nella sfera<br />
della giurisdizione ordinaria.<br />
Si tratta dunque delle controversie su diritti soggettivi<br />
concernenti la fase dell’esecuzione dei predetti<br />
contratti di appalto, fatta eccezione per quelle<br />
relative al divieto di rinnovo tacito ed all’applicazione<br />
della clausola di revisione del prezzo nei contratti<br />
ad esecuzione continuata o periodica e dell’adeguamento<br />
dei prezzi, che sono dall’art. 133, lett.<br />
e), c.p.a. devolute alla giurisdizione esclusiva dei<br />
tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di<br />
Stato, insieme a tutte quelle, anche di carattere risarcitorio,<br />
concernenti la fase dell’affidamento dei<br />
lavori, dei servizi e delle forniture o relative a provvedimenti<br />
di carattere sanzionatorio dell’Autorità<br />
di vigilanza.<br />
Peraltro, le controversie su diritti soggettivi derivanti<br />
dall’esecuzione dei suddetti contratti pubblici<br />
di appalto, anche quelle che rientrano nella giurisdizione<br />
amministrativa esclusiva, possono essere e<br />
di fatto spesso sono devolute, a norma dell’art. 241,<br />
D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (cd. Codice degli ap-<br />
palti pubblici), ad un arbitrato rituale, il cui lodo<br />
può essere impugnato per nullità ai sensi dell’art.<br />
829 c.p.c. dinanzi alla corte d’appello territorialmente<br />
competente e dunque, dal 22 settembre<br />
2012, potrà essere impugnato innanzi alla sezione<br />
specializzata in materia d’impresa della corte d’appello<br />
territorialmente competente qualora si riferisca<br />
ad una controversia insorta in relazione all’esecuzione<br />
di un contratto pubblico d’appalto di lavori,<br />
servizi o forniture di rilevanza comunitaria affidato<br />
ad una società di capitali o cooperativa, italiana<br />
od europea, ovvero ad una società di diritto straniero<br />
con una stabile organizzazione nel territorio<br />
italiano oppure ad una società che esercita o subisce<br />
l’attività di direzione e di coordinamento di una<br />
delle predette società o ad un consorzio o ad un<br />
raggruppamento temporaneo di imprese di cui faccia<br />
parte almeno una delle predette società.<br />
Potrebbe dunque accadere che, in subiecta materia,<br />
il contenzioso che affluirà alle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa delle corti d’appello sia,<br />
anche numericamente, più importante di quello da<br />
cui saranno gravate le sezioni specializzate dei tribunali.<br />
La competenza sui procedimenti connessi<br />
Il terzo comma del nuovo art. 3, D.Lgs. n. 168/<br />
2003, con una previsione che sembra in contrasto<br />
con la vocazione specialistica delle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa, include infine nella competenza<br />
di tali sezioni anche «le cause e i procedimenti<br />
che presentano ragioni di connessione con quelli<br />
di cui ai commi 1 e 2», cioè con quelli che abbiamo<br />
in precedenza passato in rassegna, utilizzando il rapporto<br />
di connessione tra procedimenti (o, meglio,<br />
tra le domande giudiziali) non già come ragione di<br />
una soltanto eventuale deroga degli ordinari criteri<br />
di attribuzione della competenza, ma direttamente<br />
come uno speciale criterio inderogabile di attribu-<br />
Note:<br />
(59) Le soglie di rilevanza comunitaria degli appalti ovviamente<br />
variano nel tempo. Attualmente, per effetto del regolamento<br />
della Commissione dell’Unione europea n. 1251 del 20 novembre<br />
2011, a partire dal 18 gennaio 2012, le soglie di rilevanza comunitaria<br />
degli appalti pubblici sono fissate negli importi di: E<br />
5.000.000 per gli appalti e le concessioni di lavori pubblici; E<br />
130.000 per gli appalti pubblici di forniture e di servizi aggiudicati<br />
dalle autorità governative centrali nei settori ordinari; E 200.000<br />
per gli appalti pubblici di forniture e di servizi aggiudicati dalle altre<br />
stazioni appaltanti nei settori ordinari; E 400.000 per gli appalti<br />
pubblici di forniture e servizi nei settori speciali; E 200.000<br />
per gli appalti pubblici di forniture aggiudicati dal Ministero della<br />
difesa, aventi ad oggetto prodotti non menzionati nell’allegato V<br />
al Codice degli appalti pubblici.<br />
822 Le Società 7/2012
zione della competenza per materia (60), e ponendo<br />
immediatamente il problema di stabilire:<br />
1) quali siano i rapporti di connessione tra procedimenti<br />
da considerare rilevanti ai predetti fini;<br />
2) quali siano i limiti della vis attractiva della<br />
competenza delle sezioni specializzate in materia<br />
d’impresa.<br />
Ebbene, quanto al primo punto, va ricordato che<br />
il primo comma dell’art. 1, D.Lgs. n. 5/2003, che<br />
certamente costituisce il prototipo normativo tenuto<br />
in considerazione dal legislatore per definire la<br />
competenza delle sezioni specializzate in materia<br />
d’impresa, disponeva l’estensione dei ccdd. riti societari<br />
introdotti dal medesimo decreto legislativo<br />
ai soli procedimenti connessi ai sensi degli artt. 31,<br />
32, 33, 34, 35 e 36 c.p.c. con quelli direttamente<br />
assoggettati a tali riti, escludendo dunque, secondo<br />
il classico argumentum a contrario, la rilevanza dei<br />
rapporti di connessione tra procedimenti di minor<br />
intensità, cioè dei rapporti di connessione oggettiva,<br />
propria od impropria, non qualificata o di connessione<br />
meramente soggettiva (61).<br />
Il riferimento da parte del terzo comma del nuovo<br />
art. 3, D.Lgs. n. 168/2003 a non meglio specificate<br />
«ragioni di connessione» potrebbe pertanto essere<br />
ritenuto un indice della volontà del legislatore di<br />
attrarre alla competenza delle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa tutti i procedimenti in qualsiasi<br />
modo connessi con quelli di competenza di tali<br />
sezioni.<br />
Una siffatta conclusione sarebbe però in chiaro<br />
contrasto con la ratio dell’istituzione delle sezioni<br />
specializzate in materia d’impresa, che induce ad<br />
escludere che il legislatore abbia inteso riferirsi anche<br />
alla connessione meramente soggettiva, di cui<br />
all’art. 104, comma 1, c.p.c. (62).<br />
Più equilibrata pare pertanto una soluzione che<br />
includa nella competenza delle sezioni specializzazione<br />
in materia d’impresa solo e tutti i procedimenti<br />
oggettivamente connessi, anche in senso improprio,<br />
con quelli di cui ai primi due commi del<br />
nuovo art. 3, D.Lgs. n. 168/2003.<br />
Quanto poi alla questione dei limiti della competenza<br />
per connessione delle sezioni specializzate in<br />
materia d’impresa, deve ritenersi che la vis attractiva<br />
di tale competenza sia destinata a prevalere su tutti<br />
i criteri che attribuiscono i procedimenti connessi<br />
alla competenza per materia o per territorio di altro<br />
giudice, dovendo cedere solo di fronte alle ipotesi<br />
di competenza funzionale, come, ad esempio, quella<br />
del giudice del registro delle imprese ovvero quella<br />
del tribunale in ordine al procedimento per la dichiarazione<br />
di fallimento (63) od ancora quella del<br />
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
giudice delegato al fallimento o del tribunale innanzi<br />
al quale pende la procedura fallimentare in<br />
ordine ai procedimenti endofallimentari.<br />
Entro questi limiti, la domanda giudiziale connessa<br />
con una domanda di competenza delle sezioni<br />
specializzate in materia d’impresa potrà essere cumulativamente<br />
proposta con quest’ultima alla sezione<br />
specializzata territorialmente competente e, anche<br />
se poi separata dalla seconda, non potrà essere<br />
rimessa al giudice competente a conoscerla secondo<br />
gli ordinari criteri di competenza; qualora invece<br />
sia stata separatamente proposta alla medesima sezione<br />
specializzata, potrà essere riunita all’altra,<br />
sempreché non vi ostino ragioni processuali; qualora<br />
infine sia stata separatamente proposta al giudice<br />
competente a conoscerla secondo gli ordinari criteri<br />
di competenza in un momento in cui era già pendente<br />
innanzi alla competente sezione specializzata<br />
in materia d’impresa - e, deve ragionevolmente ritenersi,<br />
nello stesso grado - il procedimento avente<br />
ad oggetto la domanda cui è connessa, dovrà essere<br />
oggetto da parte del giudice adito di una dichiarazione<br />
d’incompetenza in favore della predetta sezione<br />
specializzata.<br />
La competenza per territorio<br />
Come s’è anticipato, la competenza territoriale<br />
delle sezioni specializzate in materia d’impresa è<br />
tendenzialmente più ampia di quella dei tribunali e<br />
delle corti d’appello in cui tali sezioni sono incardinate<br />
sotto il profilo organizzativo ed al contempo<br />
meno ampia di quella delle vecchie sezioni specializ-<br />
Note:<br />
(60) Con la conseguenza che, giusto quanto disposto dall’art. 5<br />
c.p.c., la sua esistenza andrà verificata con riferimento al momento<br />
della proposizione della domanda giudiziale connessa e<br />
farà sorgere la competenza in ordine a questa domanda della<br />
sezione specializzata in materia d’impresa territorialmente competente<br />
in ordine all’altra domanda; competenza che rimarrà ferma<br />
anche nel caso in cui i due procedimenti non siano poi riuniti<br />
ovvero quello avente ad oggetto la domanda giudiziale rientrante<br />
nella competenza, per così dire, naturale delle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa sia in qualsiasi modo definito.<br />
(61) Per una chiara classificazione dei vari tipi di rapporti di connessione<br />
tra cause si rinvia a G. Balena, Istituzioni di diritto processuale<br />
civile, 2011, 164 ss.<br />
(62) Verso analoga conclusione sembra orientato A. Motto, Gli<br />
interventi, cit., 29, che però nutre dubbi, sia pur di minor spessore,<br />
anche sull’attrazione alla competenza delle sezioni specializzate<br />
delle cause connesse oggettivamente in senso improprio<br />
- cioè per la semplice identità delle questioni, di fatto o di diritto,<br />
da cui dipendono - con quelle di competenza di dette sezioni.<br />
(63) Sulla quale sia consentito il rinvio a P. Celentano, Sub Art.<br />
9. Competenza, in A. Nigro - M. Sandulli - V. Santoro (a cura di),<br />
La legge fallimentare dopo la riforma, 2010, 89, nota 2.<br />
Le Società 7/2012 823
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
zate in materia di proprietà industriale ed intellettuale,<br />
giacché, di norma, coincide con l’ambito del<br />
territorio regionale.<br />
Fanno infatti eccezione a questa regola soltanto:<br />
le Sezioni specializzate in materia d’impresa dei Tribunali<br />
e delle Corti d’Appello di Brescia, di Catania<br />
e di Milano, i cui ambiti di competenza territoriale<br />
coincidono con quelli dei rispettivi distretti di<br />
Corte d’Appello; le Sezioni specializzate in materia<br />
d’impresa del Tribunale e della Corte d’Appello di<br />
Palermo, dal cui ambito di competenza territoriale<br />
va escluso il distretto della Corte d’Appello di Catania;<br />
le Sezioni specializzate in materia d’impresa<br />
del Tribunale e della Corte d’Appello di Torino, il<br />
cui ambito di competenza territoriale si estende alla<br />
Valle d’Aosta.<br />
Ciò è quanto si ricava dal pur assai contorto testo<br />
dell’art. 4, D.Lgs. n. 168/2003, come modificato<br />
dall’art. 2, comma 1, lett. e), D.L. n. 1/2012, conv.,<br />
con modiff., dalla L. n. 27/2012, che stabilisce che<br />
le controversie che rientrano nella competenza per<br />
materia delle sezioni specializzate in questione<br />
«che, secondo gli ordinari criteri di ripartizione della<br />
competenza territoriale e nel rispetto delle normative<br />
speciali che le disciplinano, dovrebbero essere<br />
trattate dagli uffici giudiziari compresi nel territorio<br />
della regione sono assegnate alla sezione specializzata<br />
avente sede nel capoluogo di regione individuato<br />
ai sensi dell’articolo 1», mentre «alle sezioni<br />
specializzate istituite presso i tribunali e le corti<br />
d’appello non aventi sede nei capoluoghi di regione<br />
sono assegnate le controversie che dovrebbero essere<br />
trattate dagli uffici giudiziari compresi nei rispettivi<br />
distretti di corte d’appello», ma va letto in correlazione<br />
con l’art. 1 dello stesso D.Lgs. n. 168/<br />
2003, pure modificato, che in definitiva prevede l’istituzione<br />
di tali sezioni presso tutti i tribunali e le<br />
corti d’appello aventi sede nei capoluoghi di regione,<br />
tranne Aosta, nonché presso i Tribunali e le<br />
Corti d’Appello di Brescia e Catania, per un totale<br />
di 21 sezioni specializzate in materia d’impresa, contro<br />
le 12 sezioni specializzate in materia di proprietà<br />
industriale ed intellettuale.<br />
Va inoltre segnalato che l’art. 194 c.p.i. attribuisce<br />
espressamente: al Presidente della Sezione specializzata<br />
del Tribunale di Roma la competenza alla<br />
designazione, in caso di disaccordo tra le parti, del<br />
terzo componente del collegio di arbitratori cui lo<br />
stesso articolo affida (64) la determinazione dell’indennità<br />
di espropriazione dei diritti di proprietà industriale<br />
non concordata tra le parti; alla medesima<br />
Sezione specializzata del Tribunale di Roma la competenza<br />
(in primo grado) sulle impugnazioni delle<br />
determinazioni conseguentemente adottate dal predetto<br />
collegio.<br />
Il rapporto con le altre articolazioni<br />
organizzative del medesimo ufficio<br />
giudiziario<br />
Il legislatore non ha ritenuto di risolvere la questione<br />
che pare tuttora irrisolta in relazione alla rilevanza<br />
della competenza di ciascuna sezione specializzata<br />
in materia di proprietà industriale ed intellettuale<br />
nei rapporti con le altre sezioni dello<br />
stesso ufficio giudiziario e che dunque può agevolmente<br />
prevedersi che si riproporrà in termini pressappoco<br />
identici per le sezioni specializzate in materia<br />
d’impresa.<br />
Diffusa è infatti, soprattutto in dottrina e nella<br />
giurisprudenza di merito, l’opinione (65) che le sezioni<br />
specializzate in materia di proprietà industriale<br />
ed intellettuale costituiscano delle semplici articolazioni<br />
interne degli uffici giudiziari in cui sono istituite,<br />
assimilabili alle sezioni cui sono affidate le<br />
controversie in materia di lavoro e di previdenza ed<br />
assistenza sociale ovvero alle sezioni cui sono affidate<br />
le procedure fallimentari, sicché i loro rapporti<br />
con le altre sezioni dei medesimi uffici giudiziari<br />
non rileverebbero come rapporti di competenza in<br />
senso proprio (o tecnico), ma atterrebbero solo alla<br />
Note:<br />
(64) Con previsione di cui potrebbe non infondatamente sospettarsi<br />
l’illegittimità costituzionale ove si ritenga che l’arbitraggio<br />
collegiale sia sostanzialmente assimilabile ad un arbitrato obbligatorio<br />
ex lege, che la Corte costituzionale ha più volte affermato<br />
in contrasto con l’art. 24, comma 1, Cost. (cfr., ad es., Corte<br />
cost. 8 giugno 2005, n. 221).<br />
(65) Per la quale cfr.: Trib. Milano 1 giugno 2009, in Dir. ind.,<br />
2011, 233, con nota di G. Ciccone, Sezioni specializzate e sezioni<br />
ordinarie: questioni di competenza o di ripartizione interna?;<br />
Trib. Torino 24 aprile 2008, in Foro it., 2009, I, 1285; Trib. Milano<br />
13 luglio 2006, in Dir. ind., 2006, 582; U. Scotti, Le sezioni specializzate<br />
in materia di proprietà industriale ed intellettuale. Osservazioni<br />
relative ad alcune questioni processuali, inGiur. mer.,<br />
2003, IV, 2614 ss.; G. Casaburi, Le sezioni specializzate, cit., 35<br />
ss.; Idem, Il giudice della proprietà industriale (ed intellettuale).<br />
Sezioni specializzate: competenza e rito dal D.Lgs. n. 168 del<br />
2003 al Codice, inRiv. dir. ind., 2005, I, 201; M. Scuffi, La competenza<br />
per materia e per territorio delle sezioni specializzate, in<br />
Dir. ind., 2006, 78; A. Giussani, Le sezioni specializzate per la<br />
proprietà industriale ed intellettuale e l’art. 25 Cost., in A. Giussani,<br />
Saggi sulle tutele dell’impresa e dall’impresa, 2007, 10;<br />
Idem, Questioni di competenza in senso stretto e in senso lato<br />
nella disciplina delle sezioni specializzate in materia di proprietà<br />
industriale ed intellettuale, ivi, 19 ss. Contra, Cass. 14 giugno<br />
2010, n. 14251, in Dir. ind., 2011, 229; Cass. 25 settembre<br />
2009, n. 20690, ivi, 2010, 50; Trib. Bologna 22 giugno 2010, ivi,<br />
2011, 230; L.C. Ubertazzi, Le sezioni specializzate in materia di<br />
proprietà intellettuale, inRiv. dir. ind., 2003, I., 219; I.M. Prado,<br />
Sezione specializzata e assegnazione della causa, inDir. ind.,<br />
2006, 582 ss.<br />
824 Le Società 7/2012
distribuzione degli affari all’interno di tali uffici, e<br />
le parti non sarebbero legittimate ad insorgere contro<br />
l’erronea attribuzione di un procedimento rientrante<br />
nella competenza della sezione specializzata<br />
ad un’altra sezione dello stesso ufficio giudiziario né<br />
contro l’erronea attribuzione alla sezione specializzata<br />
di un procedimento non rientrante nella sua<br />
competenza, ma potrebbero solo sollecitare il potere-dovere<br />
ufficioso dei giudici e del capo dell’ufficio<br />
di rispettare le ccdd. previsioni tabellari (66).<br />
Quest’opinione ha di recente ricevuto l’avallo<br />
dell’ultima pronunzia nota sul tema della Corte di<br />
cassazione (67), che, ribaltando il proprio precedente<br />
orientamento (68), senza peraltro nemmeno<br />
citarlo, ha fondato la sua conclusione sul rilievo,<br />
espressamente indicato come «decisivo», che - secondo<br />
quanto allora disposto dall’art. 2, comma 2,<br />
D.Lgs. n. 168/2003 (il cui testo è però rimasto sostanzialmente<br />
immutato, per quel che qui rileva,<br />
dopo la modifica apportatavi dal D.L. n. 1/2012,<br />
come convertito dalla L. n. 27/2012) - «ai giudici<br />
delle sezioni può essere assegnata, rispettivamente,<br />
dal presidente del tribunale o della corte d’appello,<br />
anche la trattazione di processi diversi, purché ciò<br />
non comporti ritardo nella trattazione dei giudizi in<br />
materia di proprietà industriale ed intellettuale»<br />
(ed ora «in materia di impresa»), facendo di tali sezioni<br />
specializzate delle «sezioni ‘‘miste’’ in cui possono<br />
essere trattate sia materie riguardanti la competenza<br />
esclusiva in materia di proprietà industriale<br />
che cause ordinarie rientranti nella normale sfera di<br />
competenza del tribunale».<br />
Conforterebbero tale conclusione - secondo questo<br />
recente arresto della Suprema Corte - il rilievo<br />
che anche l’art. 413 c.p.c. e l’art. 24 l.fall. fanno riferimento<br />
al concetto di «competenza» per individuare,<br />
rispettivamente, le cause attribuite al cd. giudice<br />
del lavoro ed al cd. tribunale fallimentare (e -<br />
la stessa Corte verosimilmente sottintende - ciò nonostante<br />
non si dubita che le questioni concernenti<br />
la ripartizione degli affari tra le sezioni cui sono affidate<br />
le controversie in materia di lavoro (69) o<br />
quelle che derivano dal fallimento (70) e le altre<br />
sezioni del medesimo ufficio giudiziario non attengono<br />
alla competenza in senso tecnico), mentre<br />
(71) opposta conclusione vale per le sezioni specializzate<br />
agrarie poiché queste sono composte anche<br />
da giudici non togati.<br />
Tutti gli argomenti sopra esposti appaiono però<br />
assai deboli e recessivi di fronte alle considerazioni<br />
- alcune delle quali già espresse dalle precedenti e<br />
contrarie pronunzie della Corte di cassazione sul tema<br />
(72) e tutte indubbiamente valide anche per le<br />
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
sezioni specializzate in materia d’impresa - che, unitariamente<br />
considerate, militano invece univocamente<br />
per la configurazione delle sezioni specializzate<br />
in materia di proprietà industriale ed intellettuale<br />
ed ora anche delle sezioni specializzate in materia<br />
di impresa, nonché dei loro presidenti, come<br />
organi giudiziari costituenti articolazioni organizzative<br />
di più complessi uffici giudiziari ma dotati di<br />
una propria competenza in senso tecnico:<br />
a) il legislatore ricorre senza esitazioni al termine<br />
o comunque al concetto di «competenza» per delimitare<br />
l’ambito dei poteri giurisdizionali attribuiti<br />
proprio a tali sezioni specializzate ed ai loro presidenti<br />
e non già agli uffici giudiziari (tribunali o corti<br />
d’appello) presso cui le medesime sezioni sono<br />
istituite, nello stesso modo in cui l’art. 1, L. 2 marzo<br />
1963, n. 230, e l’art. 26, L. 11 febbraio 1971, n. 11,<br />
disponevano e l’art. 11, comma 2, D.Lgs. 1 settem-<br />
Note:<br />
(66) La legge invero non prevede uno specifico rimedio contro<br />
l’inosservanza dei criteri di ripartizione degli affari giudiziari tra le<br />
sezioni - e tra i componenti di ciascuna delle sezioni - della sede<br />
principale di un ufficio giudiziario, previsti dalla legge o solo dalle<br />
ccdd. tabelle di organizzazione di ciascun ufficio. Ma la lacuna<br />
può essere agevolmente colmata mediante l’applicazione analogica<br />
ai rapporti tra le sezioni - e tra i componenti di ciascuna delle<br />
sezioni - della sede principale dell’ufficio della previsione di<br />
cui all’art. 83 ter c.p.c., alla cui stregua le questioni concernenti<br />
l’inosservanza dei criteri di ripartizione degli affari giudiziari da<br />
trattarsi in composizione monocratica tra la sede principale (o le<br />
eventuali sezioni della sede principale) e le sezioni distaccate di<br />
un medesimo tribunale ovvero tra queste ultime vanno rilevate<br />
dal giudice, d’ufficio o su eccezione di parte, non oltre l’udienza<br />
di prima comparizione delle parti e risolte dal presidente del tribunale<br />
con decreto non impugnabile.<br />
(67) Cfr. Cass. 22 novembre 2011, n. 24656, in Foro it., 2012, I,<br />
95.<br />
(68) Per il quale v.: Cass. 14 giugno 2010, n. 14251, cit.; Cass.,<br />
25 settembre 2009, n. 20690, cit.<br />
(69) Cfr. Cass., sez. un., 7 febbraio 1994, n. 1238, un Foro it.,<br />
1994, I, 1401. Conf.: Cass. 23 settembre 2009, n. 20494, in<br />
CED Cass. civ., rv. 609471; Cass. 9 agosto 2004, n. 15391, ivi,<br />
rv. 575926; Cass. 30 marzo 2000, n. 3883, ivi, rv. 535204.<br />
(70) Cfr.: Cass. 1 aprile 2011, n. 7579, in CED Cass. civ., rv.<br />
617881; Cass. 14 giugno 2001, n. 8025, in Foro it., 2002, I,<br />
1122, con nota di E. Fabiani, Sui rapporti fra sede principale del<br />
tribunale e sezioni distaccate dello stesso e su quelli fra sezioni<br />
distaccate; Cass. 15 marzo 1990, n. 2117, in Fall., 1990, 1007;<br />
Cass., 26 aprile 1969, n. 1359, in Dir. fall., 1969, II, 874.<br />
(71) Com’è in giurisprudenza pacifico (cfr.: Cass. 26 luglio 2010,<br />
n. 17502, in CED Cass. civ., rv. 614558; Cass. 7 ottobre 2004,<br />
n. 19984, in Giust. civ., 2005, 1226; Cass. 20 agosto 2003, n.<br />
12283, in CED Cass. civ., rv. 566105; Cass., 28 novembre<br />
2001, ivi, rv. 550724; Cass. 11 dicembre 1991, n. 13384, ivi, rv.<br />
475010; Cass. 19 gennaio 2001, n. 736, in Dir. giur. agr., 2001,<br />
II, 758, con nota di C.M. Galiberti, La devoluzione delle controversie<br />
agrarie alle sezioni specializzate: questione di competenza<br />
ovvero di ripartizione amministrativa).<br />
(72) Cfr. Cass. 14 giugno 2010, n. 14251, cit.; Cass. 25 settembre<br />
2009, n. 20690, cit.<br />
Le Società 7/2012 825
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
bre 2011, n. 150, ora dispone riguardo alle sezioni<br />
specializzate agrarie, mentre l’art. 413 c.p.c. e l’art.<br />
24 l.fall. attribuiscono la competenza in ordine alle<br />
controversie di cui all’art. 409 c.p.c. al tribunale,<br />
anche se precisando «in funzione di giudice del lavoro»,<br />
e, rispettivamente, la competenza in ordine<br />
alle controversie derivanti dal fallimento al tribunale<br />
che lo ha dichiarato, non già ad una sezione del<br />
tribunale;<br />
b) lo stesso legislatore qualifica espressamente<br />
come «specializzate» le sezioni in questione, con un<br />
aggettivo che è, assai significativamente, proprio<br />
quello che è utilizzato dall’art. 102, comma 2, Cost.<br />
e che connota anche le sezioni cui sono affidate le<br />
controversie in materia di rapporti agrari (cioè, appunto,<br />
le «sezioni specializzate agrarie») (73);<br />
c) l’art. 102, comma 2, Cost. prevede poi espressamente<br />
che le «sezioni specializzate» che possono<br />
essere istituite presso gli organi giudiziari ordinari<br />
possono essere composte «anche», non già solo,<br />
«con la partecipazione di cittadini idonei estranei<br />
alla magistratura»;<br />
d) le sezioni specializzate in materia di proprietà<br />
industriale ed intellettuale e quelle in materia d’impresa<br />
sono istituite direttamente dalla legge e peraltro<br />
soltanto in alcuni tribunali ed in alcune corti<br />
d’appello e le sezioni specializzate agrarie devono<br />
essere per legge obbligatoriamente costituite in tutti<br />
i tribunali ed in tutte le corti d’appello, mentre l’attribuzione<br />
delle controversie in materia di lavoro o<br />
che derivano dal fallimento ad una o più delle sezioni<br />
dei tribunali o delle corti d’appello - pur essendo,<br />
nel primo caso, espressamente prevista (74),<br />
nel secondo caso, consentita dalla legge - dipende<br />
in concreto da provvedimenti amministrativi di natura<br />
discrezionale;<br />
e) vero è che ai componenti (giudici, consiglieri<br />
o presidenti) delle sezioni specializzate in materia di<br />
proprietà industriale ed intellettuale e delle sezioni<br />
specializzate in materia d’impresa ben possono essere<br />
assegnati anche processi diversi da quelli di competenza<br />
di tali sezioni, ma ciò vale anche per i magistrati<br />
componenti delle sezioni specializzate agrarie,<br />
nonché per quelli dei tribunali regionali delle<br />
acque pubbliche, i quali pure costituiscono delle sezioni<br />
delle corti d’appello in cui sono istituiti (75)<br />
ed hanno una propria competenza in senso tecnico<br />
(76);<br />
f) last but not least, laratio dell’istituzione delle<br />
sezioni specializzate in materia di proprietà industriale<br />
ed intellettuale e delle sezioni specializzate in<br />
materia d’impresa - piaccia o meno - è chiaramente<br />
costituita dalla complessità, dalle difficoltà e dall’e-<br />
sigenza di una spedita trattazione dei procedimenti<br />
affidati a tali sezioni, che proprio per questo devono<br />
essere composte - come stabiliva e stabilisce il primo<br />
comma dell’art. 2, D.Lgs. n. 168/2003 - da «magistrati<br />
dotati di specifiche competenze», evidentemente<br />
nelle relative materie, sicché sarebbe gravemente<br />
tradita se, sia pur con il nobile intento di<br />
correggere involontari errori o di evitare manovre<br />
dilatorie, si riducesse il rapporto tra le predette e le<br />
altre sezioni (o comunque le altre articolazioni organizzative)<br />
degli stessi uffici giudiziari ad una relazione<br />
meramente interna a questi ultimi, impedendo<br />
così alle parti ed ai giudici di reagire adeguatamente<br />
con i consueti strumenti di rilievo e regolamento<br />
delle questioni di competenza contro l’assegnazione<br />
alle seconde di un processo rientrante tra<br />
quelli attribuite per legge alle prime o viceversa.<br />
La composizione<br />
Assai scarne sono le specifiche disposizioni che il<br />
novellato D.Lgs. n. 168/2003 dètta in ordine agli<br />
aspetti organizzativi concernenti le sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa.<br />
Non si può però nemmeno dire che il testo normativo<br />
non offra alcuna indicazione in proposito,<br />
essendo anzi da un suo complessivo e non superficiale<br />
esame abbastanza chiaro che le sezioni specializzate<br />
in questione:<br />
a) sono state istituite direttamente dalla legge<br />
nei tribunali e nelle corti d’appello aventi sede in<br />
tutti i capoluoghi di regione, eccetto che nel Tribunale<br />
d’Aosta, nonché nei Tribunali e nelle Corti<br />
d’Appello di Brescia e di Catania, senza incrementi<br />
delle relative dotazioni organiche, sicché occorrerà<br />
necessariamente includerle, a partire dal 22 settembre<br />
2012, nell’organizzazione - e dunque nelle ccdd.<br />
tabelle - di tali uffici, anche se alla loro composizione<br />
ed al loro funzionamento non sarà possibile destinare<br />
risorse umane aggiuntive;<br />
b) dovranno utilizzare le risorse materiali di cui<br />
sono muniti i relativi tribunali e le relative corti<br />
d’appello, eccezion fatta per quelle istituite nei 9<br />
tribunali e nelle 9 corti d’appello in cui non vi sono<br />
sezioni specializzate in materia di proprietà indu-<br />
Note:<br />
(73) Costituite nei tribunali e nelle corti d’appello ai sensi della<br />
L. 2 marzo 1963, n. 320.<br />
(74) V. artt. 21 e 22, L. 11 agosto 1973, n. 533.<br />
(75) V. art. 64, comma 2, R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento<br />
giudiziario).<br />
(76) Cfr. Cass., sez. un., 7 ottobre 2010, n. 20774.<br />
826 Le Società 7/2012
striale ed intellettuale, tra le quali, in ciascuno degli<br />
anni 2012 e 2013, dovranno essere distribuite le<br />
spese che saranno consentite dai 600.000 euro che<br />
si prevede che affluiranno nelle casse dello Stato<br />
per effetto del raddoppio del contributo unificato<br />
per i procedimenti attribuiti alla competenza della<br />
generalità delle sezioni specializzate in materia<br />
d’impresa (77);<br />
c) non potranno essere più di una per ciascuno<br />
dei tribunali e ciascuna delle corti d’appello in cui<br />
sono istituite, come può indirettamente desumersi<br />
dagli artt. 1, comma 1 bis, 4 e 5, D.Lgs. n. 168/<br />
2003;<br />
d) dovranno essere composte da «magistrati dotati<br />
di specifiche competenze», evidentemente in<br />
tutte le, non proprio omogenee, materie ad esse attribuite<br />
(78);<br />
e) dovranno tutte avere un presidente, evidentemente<br />
di sezione e dunque che non sia il presidente<br />
del tribunale o della corte d’appello (arg. ex art. 5,<br />
D.Lgs. n. 168/2003);<br />
f) dovranno essere composte da un numero di<br />
magistrati, oltre al presidente, variabile ma comunque<br />
idoneo ad assicurare la tempestiva definizione<br />
dei procedimenti rientranti nella loro competenza e<br />
non inferiore a quattro o cinque, a seconda che si<br />
ritenga o meno di dover tener conto del presidente<br />
nel numero di cinque giudici che gli artt. 46, comma<br />
5, e 54, comma 2, dell’Ordinamento giudiziario,<br />
fissano, in linea generale, come l’organico minimo<br />
di ogni sezione di tribunale o di corte d’appello<br />
(79);<br />
g) potranno essere composte da magistrati assegnati<br />
anche ad altre sezioni dello stesso tribunale o<br />
della stessa corte d’appello ovvero ai quali comunque<br />
potrà essere assegnata - ma in quanto giudici,<br />
consiglieri o presidenti di sezione del tribunale o<br />
della corte d’appello e non già delle relative sezioni<br />
specializzate - anche la trattazione di procedimenti<br />
non rientranti nella loro competenza, purché ciò<br />
non ritardi la definizione dei procedimenti rientranti<br />
invece nella loro competenza;<br />
h) non soppianteranno del tutto le vecchie sezioni<br />
specializzate in materia di proprietà industriale<br />
ed intellettuale, che dovranno continuare a funzionare<br />
fino all’integrale definizione dei procedimenti<br />
pendenti di loro competenza iniziati prima del 22<br />
settembre 2012.<br />
Solo entro questi limiti pertanto potranno esplicarsi<br />
le funzioni organizzative attribuite ai capi degli<br />
uffici giudiziari interessati e quelle che, in via generale,<br />
il Consiglio Superiore della Magistratura suole<br />
esercitare mediante l’emanazione di circolari.<br />
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
I riti<br />
Le modifiche apportate dal D.L. n. 1/2012, come<br />
risultante dalla legge di conversione n. 27/2012, al<br />
D.Lgs. n. 168/2003 hanno, come s’è visto, sensibilmente<br />
inciso sulle norme già concernenti la competenza<br />
delle sezioni specializzate in materia di proprietà<br />
industriale ed intellettuale per definire la ben<br />
più ampia competenza delle sezioni specializzate in<br />
materia d’impresa, ma nulla hanno disposto sotto il<br />
profilo del rito o, meglio, dei molteplici e multiformi<br />
riti secondo cui queste (80), per vero non meno<br />
di quanto avviene per altre ordinarie sezioni di tribunale<br />
o di corte d’appello, dovranno celebrare i<br />
procedimenti rientranti nella loro eterogenea competenza,<br />
la cui disciplina risulta pertanto immutata<br />
e dovrà essere rintracciata, secondo i principi, nel<br />
codice di procedura civile ed innanzitutto nelle disposizioni<br />
che regolano il processo di cognizione ordinario<br />
dinanzi al tribunale in composizione collegiale<br />
ed il processo d’appello, salvo che debba applicarsi<br />
un rito speciale.<br />
Peraltro, sono state soppresse, in relazione ai giudizi<br />
che dovranno essere trattati dalle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa, le previsioni concernenti<br />
la necessaria collegialità delle decisioni, il numero<br />
dei componenti dei collegi giudicanti e la<br />
conduzione necessariamente monocratica dell’attività<br />
istruttoria delle sezioni specializzate in materia<br />
di proprietà industriale ed intellettuale, prima contenute<br />
nel primo comma dell’art. 2 del predetto decreto<br />
legislativo.<br />
Si trattava invero di previsioni in buona parte<br />
superflue, posto che l’art. 50 bis, comma 1, n. 3,<br />
c.p.c. dispone che tutte le sezioni specializzate devono<br />
sempre giudicare in composizione collegiale,<br />
Note:<br />
(77) Sicché non può dirsi esatta la diffusa affermazione che l’istituzione<br />
delle sezioni specializzate in materia d’impresa è l’ennesima<br />
riforma ‘‘a costo zero’’.<br />
(78) Eventualità, questa, che pare, allo stato, abbastanza remota,<br />
sicché la scelta dei magistrati chiamati a comporre le sezioni<br />
specializzate in materia di impresa dovrà, in via subordinata, il<br />
più delle volte giocoforza ricadere su coloro che sono dotati di<br />
specifiche competenze almeno in una parte delle materie attribuite<br />
a tali sezioni.<br />
(79) Le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale<br />
ed intellettuale, secondo quanto disposto dall’originario testo<br />
del primo comma dell’art. 2, D.Lgs. n. 168/2003, dovevano - e<br />
dovranno finché continueranno a funzionare - essere composte<br />
da non meno di sei magistrati, nel cui novero il Consiglio Superiore<br />
della Magistratura, con la circolare n. P-15620/2003 del 28<br />
luglio 2003, ritenne però di poter includere il presidente.<br />
(80) Nonostante il pretenzioso D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150,<br />
cd. taglia-riti.<br />
Le Società 7/2012 827
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
gli artt. 48 e 56 dell’Ordinamento giudiziario fissano,<br />
in linea generale, in tre i componenti dei collegi<br />
giudicanti dei tribunali e delle corti d’appello e,<br />
secondo la disciplina del processo ordinario di cognizione<br />
dinanzi al tribunale in composizione collegiale,<br />
la conduzione dell’attività istruttoria è, nel<br />
giudizio di primo grado, sempre monocratica, salvo<br />
quanto previsto dall’art. 281 c.p.c.<br />
L’unica particolarità della disciplina del vecchio<br />
primo comma dell’art. 2, D.Lgs. n. 168/2003 finiva<br />
pertanto per essere costituita dalla necessaria monocraticità<br />
della conduzione dell’attività istruttoria<br />
anche in grado d’appello, ora, come s’è detto, eliminata<br />
per quel che concerne le sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa.<br />
Un carattere anche lato sensu processuale può<br />
però riconoscersi all’immutata previsione del secondo<br />
comma dell’art. 2, D.Lgs. n. 168/2003, secondo<br />
cui «ai giudici delle sezioni specializzate può essere<br />
assegnata, rispettivamente dal presidente del tribunale<br />
o della corte d’appello, anche la trattazione di<br />
processi diversi, purché ciò non comporti ritardo<br />
nella trattazione e decisione dei giudizi in materia<br />
di impresa».<br />
Da tale norma si ricava infatti indirettamente<br />
che i procedimenti di competenza delle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa, come quelli delle sezioni<br />
specializzate in materia di proprietà industriale<br />
ed intellettuale, godono, quanto ai tempi della loro<br />
trattazione e della loro definizione, di una corsia<br />
preferenziale rispetto agli altri, anche se poi è difficile<br />
stabilire se essi abbiano la precedenza pure sui<br />
procedimenti l’urgenza della cui definizione potrebbe<br />
dipendere da altri fattori, come, ad esempio, la<br />
loro sottrazione alla sospensione dei termini per la<br />
durata del periodo feriale.<br />
Gli obiettivi e le previsioni sulla loro<br />
realizzazione<br />
Cosa dire insomma di questa novità battezzata<br />
con il nome di tribunale delle imprese?<br />
Ebbene, innanzitutto, che evidentemente non si<br />
tratta di un tribunale; tanto meno delle imprese.<br />
Si tratta invece di ventuno sezioni specializzate<br />
di altrettanti tribunali e di ventuno sezioni specializzate<br />
di altrettante corti d’appello, destinate ad occuparsi<br />
solo di una parte, apparentemente minima,<br />
degli affari giudiziari di maggior interesse per le imprese,<br />
riconducibili in definitiva a tre grandi - e tra<br />
loro non proprio omogenee - aree del sapere giuridico,<br />
una compiuta conoscenza di ciascuna delle<br />
quali appartiene a pochi e di tutte assieme le quali<br />
è riservata a pochissimi specialisti e che possono essere<br />
sinteticamente individuate in quelle aventi ad<br />
oggetto: la prima, la proprietà intellettuale, questa<br />
intesa in senso comprensivo della proprietà industriale,<br />
e la concorrenza tra imprese; la seconda, la<br />
disciplina delle società di capitali e cooperative; la<br />
terza, gli appalti pubblici.<br />
Sicché va osservato: da un canto, che, vinta la<br />
timidezza, sarebbe stato più coerente includere nella<br />
loro competenza anche i procedimenti riguardanti i<br />
rapporti interni e gli organi delle società di persone,<br />
dei consorzi e dei g.e.i.e. ed i rapporti tra gli imprenditori<br />
riuniti in associazioni temporanee di imprese,<br />
la concorrenza sleale cd. pura, le opere dell’ingegno<br />
creativo dell’uomo non rientranti tra<br />
quelle protette dalla disciplina nazionale del diritto<br />
d’autore, le azioni di classe di cui all’art. 140 bis del<br />
codice del consumo e l’intero contenzioso in materia<br />
di appalti pubblici (81); dall’altro, che siamo in<br />
effetti di fronte a sezioni plurispecializzate o, meglio,<br />
che dovranno divenire tali e che tuttavia, a causa<br />
del modo in cui il legislatore ha delimitato le materie<br />
di loro competenza e disciplinato la loro competenza<br />
per connessione, potrebbero esser costrette ad<br />
occuparsi anche di altre materie, del tutto eterogenee<br />
rispetto alle prime e per affrontare le quali occorrono<br />
di norma ulteriori competenze specialistiche,<br />
e di una quantità di affari giudiziari allo stato<br />
non misurato ed assai difficilmente misurabile e che<br />
potrebbe rivelarsi di gran lunga superiore alle aspettative,<br />
con evidente pregiudizio per la loro dichiarata<br />
ed ardua missione: trattare e definire con efficienza,<br />
efficacia e tempestività gli affari giudiziari<br />
rientranti nelle materie di loro stretta competenza,<br />
evidentemente ritenute quelle giudicate più importanti<br />
dal grande capitalismo che si vuol attirare o<br />
trattenere nel nostro Paese, con un modestissimo<br />
impegno aggiuntivo di spesa a carico della disastrata<br />
finanza pubblica.<br />
A molti è pertanto parso fin troppo facile preconizzarne<br />
subito l’insuccesso (82), da alcuni anzi in<br />
definitiva addirittura auspicato in considerazione<br />
dell’incremento delle diseguaglianze che il loro<br />
eventuale successo produrrebbe.<br />
Note:<br />
(81) Preferibilmente ripartendo i complessivi carichi di lavoro tra<br />
tre distinte sezioni specializzate di tribunale e di corte d’appello,<br />
ciascuna competente nella materia di una sola delle grandi aree<br />
del diritto commerciale che si sono in precedenza individuate.<br />
(82) Cfr., ad es.: G. Casaburi, ‘‘Liberalizzazioni’’, cit., 19 ss.; F.<br />
Santagada, op. cit., 19; Consiglio Nazionale Forense - Ufficio<br />
Studi, Dossier n. 3/2012, cit., 23 ss.<br />
828 Le Società 7/2012
Peraltro, il loro numero e la loro distribuzione<br />
territoriale paiono ancora influenzati da considerazioni<br />
di carattere localistico (le sole che possono essere<br />
alla base della loro istituzione in uffici giudiziari<br />
con un organico di magistrati e carichi prevedibili<br />
di lavoro nelle materia specializzate ridottissimi,<br />
come, soltanto per fare un esempio, la Corte d’Appello<br />
di Campobasso) e prescindere da una ragionata<br />
ponderazione delle scelte in proposito effettuate<br />
(83).<br />
È - beninteso - possibile che la loro istituzione<br />
sortisca alcuni, tutto sommato modesti, effetti positivi,<br />
primo fra tutti quello di svuotare progressivamente<br />
di significato gli uffici giudiziari più piccoli,<br />
favorendone così la sempre più urgente soppressione,<br />
e, in secondo luogo, quello di testare i pregi ed<br />
i difetti della specializzazione dei giudici in settori<br />
nevralgici dell’economia.<br />
Ma che esse possano contribuire a risollevare le<br />
sorti della nostra economia pare davvero una pia illusione.<br />
Non v’è dubbio che i capitali sono attratti dagli<br />
ordinamenti in cui il loro investimento è più redditizio<br />
e sicuro e che l’organizzazione giudiziaria di<br />
uno Stato rientra tra i fattori che incidono sulla<br />
redditività e la sicurezza degli investimenti.<br />
Non è pensabile tuttavia che i grandi capitalisti<br />
possano essere invogliati a investire in Italia perché<br />
qui si risolvono presto e bene le, tutto sommato<br />
marginali per il mondo dell’economia, controversie<br />
Normativa<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
rientranti nella competenza delle sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa (pur dando per scontato che<br />
ciò poi accada per davvero), ma occorre, ad esempio,<br />
attendere più di un decennio per ottenere la definizione<br />
di un giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo<br />
del pagamento di un credito commerciale.<br />
Netta è dunque la sensazione che il tribunale delle<br />
imprese sia in buona sostanza uno specchietto per le<br />
allodole.<br />
Col che non si vuol dire che le sezioni specializzate<br />
in materia d’impresa non possano diventare il<br />
fiore all’occhiello della giustizia italiana, anche se è lecito<br />
dubitarne; ma solo che è sommamente difficile<br />
che i capitalisti (che raramente sono allodole) possano<br />
rimanerne tanto incantati da dimenticare totalmente<br />
il vecchio e sdrucito abito da cui comunque<br />
faranno capolino se non si troveranno le energie,<br />
le idee e le risorse per fornire risposte adeguate<br />
alle sempre più pressanti esigenze di efficienza ed efficacia<br />
del complessivo servizio giustizia in Italia.<br />
Nota:<br />
(83) Sicché probabilmente non esagera chi (come, ad es., C.<br />
Galli, Sezioni specializzate e tribunali delle imprese: inopportunità<br />
di un accorpamento, 2012, in www.altalex.com) paventa l’apertura<br />
a carico dell’Italia di una procedura d’infrazione in sede<br />
comunitaria per la violazione delle norme dell’Unione europea<br />
che impongono agli Stati membri di ripartire la competenza sui<br />
procedimenti giudiziari in materia di marchi e di modelli comunitari<br />
ad un numero il più possibile ridotto di uffici giudiziari nazionali<br />
di prima e di seconda istanza.<br />
Le Società 7/2012 829
Giurisprudenza<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
Società di capitali<br />
Tutela cautelare ante causam<br />
e sospensione della delibera<br />
assembleare<br />
Tribunale di Milano, Sez. VIII, ord., 23 aprile 2012 - Giudice M. Galioto - Credac s.p.a. c. Zopa Italia<br />
s.r.l. e altri<br />
Società - Società di capitali - Deliberazione - Impugnazione - Sospensione ante causam - Ammissibilità - Presupposti<br />
(Cod. civ. art. 2378; Cod. proc. civ. art. 700)<br />
È ammissibile la richiesta di sospensione ante causam della delibera assembleare ai sensi dell’art. 2378, comma<br />
3, c.c., purché dalla prospettazione di parte sia possibile desumere la difficoltà di incardinare per tempo la<br />
domanda di merito (nella specie, il Tribunale ha revocato il decreto cautelare emesso inaudita altera parte per<br />
la constatata assenza del periculum in mora).<br />
Il Tribunale (omissis).<br />
Il provvedimento emesso inaudita altera parte va revocato.<br />
Va anzitutto osservato che la domanda cautelare ex art.<br />
700 c.p.c. non pare ammissibile in relazione a declaratorie<br />
di mero accertamento, posto che lo strumento di tutela<br />
urgente può essere esperito - per giurisprudenza prevalente<br />
qui condivisa - solo per le eventuali pronunce<br />
consequenziali alla declaratoria del diritto che si prospetta<br />
come plausibile nell’instaurando giudizio di merito.<br />
Risultano poi sufficientemente delineate le domande di<br />
merito, alla luce delle conclusioni rassegnate in ricorso,<br />
che sono volte ad ottenere l’accertamento della validità<br />
della sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte di<br />
Credac con i corollari attinenti all’esercizio dei diritti di<br />
socio nella formazione della volontà sociale.<br />
La richiesta di sospensiva delle delibere proposta in ricorso<br />
appare poi chiaramente riconducibile alla cautela<br />
tipica prevista dall’art. 2378 c.c. ancorché la ricorrente<br />
non abbia espressamente citato la ricordata disposizione.<br />
Parte resistente eccepisce l’inammissibilità della richiesta<br />
perché non è stata ancora proposta la causa di merito.<br />
Il Tribunale aderisce alla tesi secondo la quale la tutela<br />
in discorso è esperibile anche ante causam, purché dalla<br />
prospettazione di parte sia possibile desumere la difficoltà<br />
di incardinare per tempo la domanda di merito.<br />
Sul punto è facile constatare che anche nella materia<br />
dell’impugnativa delle delibere assembleari può essere<br />
necessaria una tutela impellente, non potendosi negare<br />
il diritto ad una pronuncia urgente per diritti che possono<br />
subire pregiudizio imminente e irreparabile anche in<br />
un momento precedente all’instaurazione della causa di<br />
merito, con salvaguardia di ‘‘chiusura’’ del sistema che<br />
scaturisce direttamente dall’art. 24 della Costituzione.<br />
L’interpretazione qui prospettata si pone, del resto, in<br />
sintonia con i principi espressi, in più occasioni, dai<br />
Giudici delle leggi riguardo alla garanzia costituzionale<br />
di tutela cautelare, che deve ritenersi consentita al giudice<br />
tutte le volte in cui essa non si riveli superflua (si vedano,<br />
per tutte, Corte cost. n. 161/2000 e n. 253/1994).<br />
Dovendosi dunque accedere ad un’interpretazione costituzionalmente<br />
orientata della citata disposizione, è agevole<br />
concludere in senso favorevole all’ammissibilità della<br />
sospensione dell’esecuzione della delibera assembleare<br />
anche prima dell’instaurazione della causa di merito, sia<br />
pure nei ristretti limiti ora indicati.<br />
La domanda cautelare della ricorrente è dunque ammissibile,<br />
posto che essa ha proposto il ricorso in data 23<br />
settembre 2011 ed ha rappresentato l’esigenza di una<br />
pronuncia entro il successivo 30 settembre.<br />
Ciò premesso, appare rilievo idoneo a superare ed assorbire<br />
ogni altra questione posta dalle parti, la constatazione<br />
dell’assenza del periculum in mora, alla luce dei condivisibili<br />
argomenti svolti da Zopa Italia nella memoria difensiva.<br />
Basti in proposito osservare che nel presente procedimento<br />
è contestata la legittimità della sottoscrizione dell’aumento<br />
di capitale fino a E 125.000 compiuta dal dr.<br />
M.S. asseritamente avvenuta in violazione dei diritti di<br />
Credac.<br />
Quest’ultima, comunque, in data 30 settembre 2011 ha<br />
già provveduto - a differenza del dr. S. - a sottoscrivere il<br />
terzo e ben più consistente aumento di capitale sociale<br />
(fino ad E 1.000.000) fissato dal business plan, che le<br />
consentirà di ottenere una larga maggioranza e di scongiurare<br />
conseguentemente il rischio paventato in ricorso<br />
- e sul quale Credac ha fondato la richiesta cautelare - di<br />
830 Le Società 7/2012
vedersi esclusa dalla compagine sociale, o comunque di<br />
perdere la larga maggioranza di cui disponeva in epoca<br />
precedente.<br />
Dovendosi dunque valutare la sussistenza del periculum<br />
al momento della decisione, è evidente che il provvedimento<br />
reso inaudita altera parte deve essere revocato.<br />
In ragione delle rispettive proposte transattive che le<br />
parti hanno reciprocamente formulato in udienza, ricor-<br />
IL COMMENTO<br />
di Domenico Dalfino<br />
rono giusti motivi per disporre la compensazione integrale<br />
delle spese di lite.<br />
P.Q.M.<br />
revoca il provvedimento emanato con decreto del 29<br />
settembre 2011 compensando le spese.<br />
(omissis).<br />
Il Tribunale di Milano riconosce l’ammissibilità della sospensione della esecuzione della delibera assembleare<br />
anche prima dell’instaurazione della causa di merito, ai sensi dell’art. 2378, comma 3, c.c., sia pure nei ristretti<br />
limiti in cui la parte istante dimostri la difficoltà di incardinare tempestivamente la domanda di merito.<br />
Il provvedimento in epigrafe è condivisibile nella<br />
parte in cui afferma la necessità che la tutela cautelare<br />
trovi copertura costituzionale, principio questo<br />
che, del resto, nessuno oggi si sentirebbe di confutare<br />
(1). Tuttavia, alcuni passaggi della motivazione<br />
rivelano una certa incoerenza e, peraltro, non<br />
sono avallabili.<br />
La controversia aveva ad oggetto la contestazione<br />
della legittimità della sottoscrizione dell’aumento di<br />
capitale effettuata da un socio di s.r.l., in quanto avvenuta<br />
in asserita violazione dei diritti di altro socio,<br />
il quale, per questa ragione, aveva richiesto la sospensione<br />
della relativa deliberazione, individuando<br />
l’oggetto della instauranda causa di merito nell’accertamento<br />
della validità della propria contestuale<br />
sottoscrizione di aumento di capitale, «con i corollari<br />
attinenti all’esercizio dei diritti di socio nella formazione<br />
della volontà sociale». La sospensione veniva<br />
concessa con decreto inaudita altera parte.<br />
L’istante non qualificava espressamente la richiesta<br />
di sospensione. Il Tribunale, in sede di udienza<br />
per la conferma, modifica o revoca del provvedimento,<br />
premessa l’inammissibilità della tutela cautelare<br />
d’urgenza ex art. 700 c.p.c. con riferimento a declaratorie<br />
di mero accertamento (2), ha ritenuto di<br />
Note:<br />
(1) A questo risultato è giunta la Corte costituzionale da tempo.<br />
V. Corte cost. 28 giugno 1985, n. 190, in Foro it, 1985, I, 1881,<br />
con nota di A. Proto Pisani e in Giur. it., 1985, I, 1, 1297, con nota<br />
di M. Nigro, L’art. 700 c.p.c. conquista anche il processo amministrativo;<br />
Corte cost. 23 giugno 1994, n. 253, in Foro it.,<br />
1994, I, 2005, con nota di B. Capponi, Il reclamo avverso il provvedimento<br />
cautelare negativo (il difficile rapporto tra legislatore<br />
ordinario e legislatore costituzionale), inCorr. giur., 1994, 948,<br />
con nota di F. Tommaseo, Rigetto della domanda cautelare e<br />
Giurisprudenza<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
garanzia del reclamo einGiur. it., 1994, I, 409, con nota di C.<br />
Consolo, Il reclamo cautelare e la «parità delle armi» ritrovata;<br />
Corte cost. 31 maggio 2000, n. 161, in Giust. civ., 2000, I, 2531.<br />
A livello comunitario, v. Corte giust. 19 giugno 1990, n. 213/89,<br />
in Giur. it., 1991, I, 1, 1123, con nota di C. Consolo, Fondamento<br />
«comunitario» della giurisdizione cautelare; Corte giust. 21<br />
febbraio 1991, n. 143/88 e 92/89, in Foro it., 1992, IV, 1, con nota<br />
di A. Barone e Riv. dir. internaz. privato e proc., 1991, 108,<br />
con nota di G. Tesauro, Tutela cautelare e diritto comunitario;<br />
Corte giust. 9 novembre 1995, n. 465/93, in Giornale dir. amm.,<br />
1996, 333, con nota di E. Chiti, Misure cautelari positive ed effettività<br />
del diritto comunitario. Sulle provisional measures di cui<br />
all’art. 24 Reg. 44/2001, v. N. Trocker, La formazione del diritto<br />
processuale europeo, Torino, 2011, 286 ss.; C. Consolo - Van<br />
Uden - Mietz: un’evitabile Babele, inInt’l lis, 2002, 30 ss.; Id.,<br />
La tutela sommaria e la convenzione di Bruxelles: la «circolazione»<br />
comunitaria dei provvedimenti cautelari e dei decreti ingiuntivi,<br />
inRiv. dir. internaz. privato e proc., 1991, 593 ss.; E. Merlin,<br />
Le misure provvisorie e cautelari nello spazio giudiziario europeo,<br />
inRiv. dir. proc., 2002, 781 ss.; L. Querzola, Tutela cautelare<br />
e convenzione di Bruxelles nell’esperienza della Corte di giustizia<br />
delle Comunità europee, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,<br />
2000, 827 ss.<br />
(2) Sul punto la letteratura è vasta. Cfr., per l’ammissibilità, V.<br />
Andrioli, Commento al codice di procedura civile, IV, 1964, 259<br />
ss.; L. Montesano, I provvedimenti d’urgenza nel processo civile,<br />
Napoli, 1955, 66; A. Proto Pisani, Provvedimenti d’urgenza,<br />
voce dell’Enc. giur. Treccani, XXV, Roma, 1991, 18; F. Tommaseo,<br />
I provvedimenti d’urgenza, Padova, 1983, 254; G. Arieta, I<br />
provvedimenti d’urgenza, 2 a ed., 1985, 142; G. Guarnieri, Azione<br />
di mero accertamento, tutela d’urgenza e revoca degli amministratori,<br />
in questa Rivista, 1992, 1125 ss.; E. Vullo, I provvedimenti<br />
d’urgenza ex art. 700 c.p.c., in Chiarloni - Consolo (a cura<br />
di), I procedimenti sommari e speciali, II, Procedimenti cautelari,<br />
Torino, 2005, 1321 ss.; F. Santangeli, Il provvedimento d’urgenza<br />
ex art. 700 c.p.c. e la manutenzione del contratto, inRiv. dir.<br />
proc., 2006, 85, L. Dittrich, Il provvedimento d’urgenza ex art.<br />
700 c.p.c., in Tarzia - Saletti (a cura di), Il processo cautelare, Padova,<br />
2011, 281 ss. In senso problematico, v. E. Merlin, Variazioni<br />
sui rapporti tra misura cautelare, sentenza (di accertamento<br />
mero, di condanna o costitutiva) e giudicato favorevole al beneficiario<br />
della cautela: un punto trascurato anche nella l. 353/<br />
1990, inRiv. dir. proc., 1992, 959 ss. In senso critico, v. C. Petrillo,<br />
Riconosciuta infine a chiare lettere la inconciliabilità tra tutela<br />
ex art. 700 c.p.c. ed efficacia di accertamento, inCorr. giur.,<br />
2005, 411 ss.<br />
Le Società 7/2012 831
Giurisprudenza<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
inquadrare l’istanza nell’ambito della cautela tipica<br />
dell’art. 2378 c.c. Subito dopo, espressamente ha dichiarato<br />
di aderire «alla tesi secondo la quale la tutela<br />
in discorso è esperibile anche ante causam, purché<br />
dalla prospettazione di parte sia possibile desumere<br />
la difficoltà di incardinare per tempo la domanda di<br />
merito». Sennonché, ha poi aggiunto che anche<br />
«nella materia dell’impugnativa delle delibere assembleari<br />
può essere necessaria una tutela impellente,<br />
non potendosi negare il diritto ad una pronuncia urgente<br />
per diritti che possono subire pregiudizio imminente<br />
e irreparabile anche in un momento antecedente<br />
all’instaurazione della causa di merito».<br />
Orbene, in ciò si ravvisa una contraddizione. E<br />
infatti, per un verso, il Tribunale sembra aver voluto<br />
ammettere l’esperibilità ante causam della (sola)<br />
tutela cautelare tipica ex art. 2378 c.c.; per un altro,<br />
ha applicato ad essa i criteri di individuazione del<br />
periculum in mora richiesti dall’art. 700 c.p.c. (imminenza<br />
e irreparabilità).<br />
L’art. 2378 c.c. non individua le caratteristiche<br />
del pregiudizio che si vuole neutralizzare, limitandosi,<br />
al quarto comma, a stabilire che «il giudice designato<br />
per la trattazione della causa di merito, sentiti<br />
gli amministratori e sindaci, provvede valutando<br />
comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente<br />
dalla esecuzione e quello che subirebbe la<br />
società dalla sospensione dell’esecuzione della deliberazione».<br />
È il terzo comma a prevedere che l’urgenza<br />
di provvedere sia «eccezionale e motivata»,<br />
ma soltanto con riferimento al decreto motivato<br />
che il presidente del tribunale può emettere senza<br />
contraddittorio con la società «convenuta», con<br />
contestuale «designazione del giudice per la trattazione<br />
della causa di merito e la fissazione, davanti<br />
al giudice designato, entro quindici giorni, dell’udienza<br />
per la conferma, modifica o revoca dei provvedimenti<br />
emanati con il decreto, nonché la fissazione<br />
del termine per la notificazione alla controparte<br />
del ricorso e del decreto». Dunque, non soltanto<br />
il periculum in mora per ottenere la sospensione<br />
della deliberazione corrisponde alla ‘‘ordinaria’’<br />
urgenza di provvedere, ma anche nelle ipotesi ‘‘eccezionali’’<br />
in cui l’urgenza assurge ad un grado tale<br />
da giustificare un provvedimento inaudita altera parte,<br />
per essa non è richiesta la sussistenza di un livello<br />
di ‘‘irreparabilità’’.<br />
Ciò premesso, la tesi secondo la quale la sospensione<br />
della deliberazione può essere domandata e<br />
ottenuta ante causam, tanto attraverso il ricorso alla<br />
tutela cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. quanto attraverso<br />
quella tipica ex art. 2378 c.c. (3), non<br />
sembra condivisibile.<br />
Sul punto, come è noto, il dibattito ferve notevolmente<br />
(4).<br />
Note:<br />
(3) Sull’ammissibilità della tutela d’urgenza ante causam nella<br />
differente ipotesi in cui la causa sia devoluta in arbitrato, v. S. Izzo,<br />
Sulla sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari<br />
prima della costituzione del collegio arbitrale, in questa Rivista,<br />
563, ove ampi riferimenti.<br />
(4) La questione si è posta in termini analoghi con riferimento alla<br />
istanza di revoca degli amministratori di società a responsabilità<br />
limitata, ai sensi dell’art. 2476, comma 3, c.c., come modificato<br />
dalla riforma del 2003, questione connessa, peraltro, a<br />
quella relativa alla natura cautelare anticipatoria ovvero conservativa<br />
del relativo provvedimento. Nel senso dell’ammissibilità<br />
della domanda di revoca dell’amministratore di s.r.l. proposta<br />
ante causam, v. Trib. Roma 11 giugno 2004, in Corr. giur., 2005,<br />
262, con note di G. Arieta - M.P. Gasperini, La revoca cautelare<br />
ante causam degli amministratori di srl, e di C. Consolo, Note<br />
sul potere di revoca fra diritto e processo: è vera misura cautelare?<br />
Quale disciplina? Ante causam la revoca dell’amministratore<br />
ma non la inibitoria delle delibere?; Trib. Roma 22 giugno 2004,<br />
in Giur. mer., 2005, 95, con nota di C. Pedrelli, La proponibilità<br />
ante causam dell’istanza cautelare di revoca degli amministratori<br />
ex art. 2476, comma 3, c.c. trova conferma nella giurisprudenza;<br />
Trib. Roma 30 luglio 2004, in Giur. it., 2005, 309, con nota di<br />
O. Cagnasso, Diritto di controllo dei soci e revoca dell’amministratore<br />
per gravi irregolarità: primi provvedimenti in sede cautelare<br />
relativi alla «nuova» società a responsabilità limitata; Trib.<br />
Roma 5 agosto 2004, in questa Rivista, 2004, 1542, con nota di<br />
M. Malavasi, Revoca cautelare ex art. 2476 c.c.: ammissibilità<br />
ante causam e dubbi di legittimità costituzionale, nonché in Foro<br />
it., 2005, I, 868; in Corr. giur., 2005, 261, con note di G. Arieta -<br />
M.P. Gasperini - di C. Consolo, cit.; in Giur. mer., 2005, 306,<br />
con nota di S. Scarafoni, Il provvedimento cautelare di revoca<br />
degli amministratori di srl: inquadramento sistematico e riflessioni.<br />
Successivamente, v. Trib. Catania 14 ottobre 2004, in Dir.<br />
fall., 2005, II, 277, con nota di A. Penta, Ancora in tema di controllo<br />
giudiziario nella società a responsabilità limitata e brevi riflessioni<br />
sulla revoca degli amministratori; Trib. Marsala 15 marzo<br />
2005, in Foro it., 2005, I, 3469 e in Giur. it., 2005, 1468, con<br />
nota di C. Pedrelli, Questioni processuali in tema di azione ex<br />
art. 2476 c.c.; Trib. Napoli 22 marzo 2005, in Corr. giur., 2007,<br />
704, con nota di R. Pellegrini, Revoca cautelare degli amministratori<br />
di srl: ammissibilità ante causam ex art. 700 c.p.c. e domanda<br />
di revoca in via principale; Trib. Milano 12 gennaio 2006,<br />
in questa Rivista, 2007, 1009, con nota di D. Longo, Presupposti<br />
e strumentalità del provvedimento cautelare di revoca degli amministratori<br />
di s.r.l.; Trib. Milano 18 gennaio 2006, in questa Rivista,<br />
2007, 1141, con nota di G. Casaburi, Ammissibilità della revoca<br />
dell’amministratore di srl con misura cautelare ante causam;<br />
Trib. Agrigento 1 agosto 2006, in Dir. fall., 2007, II, 299,<br />
con nota di S. Ziino, Appunti sulla natura anticipatoria del provvedimento<br />
cautelare di revoca dell’amministratore di s.r.l.; Trib.<br />
Milano 30 agosto 2006, in Giur. mer., 2007, 1377, con nota di<br />
V. Sangiovanni, La revoca dell’amministratore di s.r.l.; Trib. Roma<br />
9 maggio 2007, in questa Rivista, 2008, 739, con nota di G.<br />
Di Cecco, La revoca giudiziale degli amministratori di società<br />
cooperative a r.l, nel senso che la disposizione di cui all’art.<br />
2476 c.c. in tema di revoca giudiziale dell’organo amministrativo<br />
con provvedimento cautelare ante causam trova applicazione<br />
anche per le società cooperative che, per legge o per scelta statutaria,<br />
sono rette dale norme in tema di società a responsabilità<br />
limitata ex art. 2519 e 2522 c.c., trattandosi di fattispecie diretta<br />
a consentire la revoca con carattere sanzionatorio dell’amministratore<br />
colpevole di gravi atti di mala gestio e, pertanto, del tutto<br />
diversa e non sovrapponibile a quella regolata dall’art. 2409<br />
c.c. (applicabile alle società cooperative in forza del disposto dell’art.<br />
2545 quinquiesdecies c.c.). In senso contrario, v. Trib.<br />
(segue)<br />
832 Le Società 7/2012
L’orientamento favorevole ad ammettere la sospensione<br />
prima dell’instaurazione della causa di<br />
merito sembra trovare un valido supporto, da un lato,<br />
nell’art. 24 Cost., invocato al fine di affermare<br />
l’incostituzionalità di un sistema che non garantisca<br />
la tutela sospensiva in via preventiva (5); dall’altro,<br />
nella generale previsione di cui all’art. 669 ter c.p.c.<br />
Nell’ambito di tale orientamento, peraltro, non vi<br />
è concordia di opinioni, poiché taluni ritengono che<br />
il rimedio esperibile sia rappresentato dalla tutela<br />
atipica di cui all’art. 700 c.p.c. (6), altri, invece, sostengono<br />
la possibilità di utilizzare ante causam il rimedio<br />
cautelare tipico di cui all’art. 2378 c.c. (7)<br />
La tesi contraria (8) afferma, invece, che non vi<br />
sia alcuno spazio per la sospendibilità della delibera<br />
prima della causa di merito, né attraverso la tutela<br />
offerta dall’art. 700 c.p.c. (9) né attraverso quella<br />
contenuta nell’art. 2378 c.p.c.<br />
Invero, le argomentazioni sulle quali si fonda quest’ultima<br />
tesi sono maggiormente persuasive (10).<br />
In primo luogo, il tenore letterale dell’art. 2378,<br />
comma 3, c.c. non lascia adito ad alcun dubbio sulla<br />
necessità che l’istanza cautelare sia proposta in corso<br />
di causa (11). Il ricorso cautelare va «depositato<br />
Note:<br />
(segue nota 4)<br />
Messina 18 luglio 2008, in Riv. dir. soc., 2010, 392, con nota di<br />
F. Mancuso, La revocabilità ante causam in via cautelare degli<br />
amministratori di società a responsabilità limitata; Trib. Perugia,<br />
19 marzo 2008, in Rass. giur. umbra, 2008, 445; Trib. Genova<br />
28 febbraio 2008, in Riv. dir. comm., 2010, II, 19, con nota di<br />
L.E. Fiorani, La revoca in via cautelare dell’amministratore di srl;<br />
Trib. Lucca 13 settembre 2007, in Giur. mer., 2008, 3187, n.<br />
M.M. Gaeta, La revoca ex art. 2259 c.c. degli amministratori<br />
della nuova srl einGiur. comm., 2009, II, 216, con nota di M.<br />
Prestipino, La tutela cautelare ex art. 2476, 38 comma, c.c. e il<br />
diritto del socio di chiedere la revoca giudiziale dell’amministratore<br />
di srl; Trib. Agrigento, 15 febbraio 2006, in Vita not., 2006,<br />
317; Trib. Vercelli 28 settembre 2005, in questa Rivista, 2006,<br />
885, con nota di E. Picaroni, Irregolarità di gestione e tutela del<br />
socio nella srl: la revoca cautelare degli amministratori; Trib. Brescia<br />
8 marzo 2005, in questa Rivista, 2005, 1254, con nota di F.<br />
Fanti, Proponibilità ante causam dell’azione di revoca degli amministratori<br />
di srl; Trib. Treviso 7 febbraio 2005, in Giur. it.,<br />
2005, 2107, con nota di G. Marra, La revoca degli amministratori<br />
della srl: personaggio in cerca d’autore; Trib. S.M. Capua Vetere<br />
20 luglio 2004, in questa Rivista, 2004, 1545, con nota di M.<br />
Malavasi, Revoca cautelare ex art. 2476 c.c.: ammissibilità ante<br />
causam e dubbi di legittimità costituzionale, cit. Sulla revoca<br />
cautelare, v., oltre ai riferimenti bibliografici innanzi indicati,<br />
M.G. Paolucci, La revoca cautelare dell’amministratore di srl, in<br />
Giur. comm., 2009, I, 1177; M. Comastri - F. Valerini, Natura<br />
conservativa e funzione inibitoria della revoca cautelare dell’amministratore<br />
di srl, inRiv. dir. civ., 2007, II, 451. Sul rapporto tra<br />
revoca cautelare e azione sociale di responsabilità, v. Trib. Torino<br />
20 maggio 2010, in questa Rivista, 2010, 1381, con nota di<br />
M.M. Gaeta, Rapporto di strumentalità tra revoca cautelare degli<br />
amministratori di srl e azione sociale di responsabilità. Da ultimo,<br />
sulle reciproche interferenze e differenze tra la revoca degli<br />
Giurisprudenza<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
amministratori e l’azione di responsabilità, v. I. Pagni, Revoca<br />
degli amministratori, azioni di responsabilità e tutela del credito,<br />
in questa Rivista, 2012, 451 ss.<br />
(5) Argomentazione questa, utilizzata con riferimento all’indirizzo<br />
giurisprudenziale che nega la possibilità di sospendere le deliberazioni<br />
ad esecuzione immediata e quelle già eseguite. Per riferimenti,<br />
v. S. Izzo, Sulla sospensione, cit.<br />
(6) Cfr. C. Consolo, La riforma societaria: aspetti processuali -<br />
Le prefigurabili inanità di alcuni nuovi riti commerciali, inCorr.<br />
giur., 2003, 1520; A. Carratta, Sub art. 2378, in Chiarloni (diretto<br />
da), Il nuovo processo societario, Bologna, 2004, 1160. In epoca<br />
anteriore alla riforma del diritto societario, v. Trib. Milano 20<br />
gennaio 1998, in questa Rivista, 1998, 811; Pret. Voghera 25 ottobre<br />
1991, in Giur. comm., 1994, 473; Trib. Milano 21 giugno<br />
1988, ivi, 1988, 904. In dottrina, G. Arieta, I provvedimenti di urgenza,<br />
cit., 70 ss., 83 e ss.; D. Rufini, Considerazioni sulla sospensione<br />
dell’efficacia di una delibera assembleare invalida di<br />
s.r.l. mediante provvedimento ante causam ex art. 700 c.p.c., in<br />
Giur. comm., 1998, 2, 270.<br />
(7) Cfr. G. Muscolo, Il nuovo regime dei vizi delle deliberazioni<br />
assembleari nella spa: cause ed effetti dell’invalidità dell’atto, in<br />
questa Rivista, 2003, 679; A. Pisani - Massamormile, La sospensione<br />
della delibera di assemblea di spa ed il nuovo modello di<br />
procedimento cautelare, inRiv. dir. comm., 1997, 879.<br />
(8) In senso contrario all’ammissibilità della tutela cautelare ante<br />
causam nell’ipotesi di impugnazione di delibere assembleari, v.<br />
G. Costantino, Note sulle proposte di accelerazione dei giudizi di<br />
impugnazione delle deliberazioni degli organi societari, in questa<br />
Rivista, 2000, 520 e ss.; R. Vaccarella, La riforma societaria,<br />
aspetti processuali, il rito ordinario, inCorr. giur. 2003, 1105; G.<br />
Olivieri, Il procedimento cautelare nel c.d. processo societario,<br />
in www.judicium.it; Bernabei, Le impugnative di delibere assembleari<br />
e degli atti di amministrazione (II parte), in questa Rivista,<br />
2006, 351; L. Abete, Sub art. 2378, in Sandulli - Santoro (a<br />
cura di), La riforma delle società, I, Torino, 2003, 367; U. Corea,<br />
La sospensione delle deliberazioni societarie nel sistema della<br />
tutela giurisdizionale, Torino, 2008.<br />
(9) Nel senso dell’inammissibilità del ricorso alla tutela d’urgenza,<br />
cfr. Trib. di Padova 10 gennaio 2012, in questa Rivista, 563,<br />
2012, su cui v. S. Izzo, Sulla sospensione, cit., in nota 24; v.,<br />
inoltre, Trib. Roma 17 novembre 2004, in Temi rom., 2005, 207;<br />
Trib. S.M. Capua Vetere 16 marzo 2004, in Giur. mer., 2004,<br />
1949; Trib. Catania 20 ottobre 2005, in www.judicium.it. Con riferimento<br />
alla disciplina anteriore alla riforma del diritto societario,<br />
v. Trib. Roma 24 settembre 2001, in Corr. giur., 2002, 949;<br />
Trib. Roma 12 marzo 2001, in questa Rivista, 2001, 1093; Trib.<br />
Cassino 1 dicembre 2000, ivi, 2001, 607; Trib. Como 11 febbraio<br />
1999, in Giur. it., 1999, 1881; Trib. Roma 2 settembre<br />
1996, in Impresa, 1996, 1649; Trib. Roma 18 marzo 1996, in<br />
Giur. it., 1997, I, 2, 81; Trib. Reggio Calabria, decr., 9 maggio<br />
1994, in Giust. civ., 1994, I, 2613, con nota di G. Vidiri, cit.; Trib.<br />
Catania 19 ottobre 1993, in Giur. comm., 1994, II, 691; Trib. Napoli<br />
11 giugno 1993, ivi, 472. In dottrina, v. F. Tommaseo, I<br />
provvedimenti d’urgenza, cit., 193 s.; C. Ferri, Le impugnazioni<br />
delle delibere assembleari. Profili processuali, inRiv. trim. dir. e<br />
proc. civ., 2005, Suppl. al n. 1, 65.<br />
(10) A seguito dell’abrogazione del rito societario, l’argomentazione<br />
fondata sull’art. 24, ultimo comma, D.Lgs. n. 5/2003, secondo<br />
cui «l’istanza di sospensione proposta a norma dell’art.<br />
2378 c.c. è disciplinata dalle disposizioni di cui al presente articolo»,<br />
non può più essere utilizzata. Per la stessa ragione, non<br />
ha ragione di ripetersi l’argomentazione facente capo alla tesi<br />
contraria secondo cui tra i criteri della legge delega 366/2001 figurava<br />
quello di prevedere una «più rapida ed efficace definizione<br />
dei procedimenti» (art. 12).<br />
(11) In questo senso, v. ampiamente U. Corea, Note in tema di<br />
tutela impugnatoria e tutela cautelare ante causam (a proposito<br />
degli art. 2378 c.c. e 700 c.p.c.), inGiusto processo civ., 2008,<br />
529 ss.<br />
Le Società 7/2012 833
Giurisprudenza<br />
Processo, arbitrato e mediazione<br />
contestualmente al deposito, anche in copia, della<br />
citazione». Ciò comporta con tutta evidenza che<br />
non si possa prescindere dalla previa notificazione<br />
dell’atto introduttivo del giudizio di merito. Argomentare<br />
in senso contrario, affermando che la lettera<br />
della norma non ammette ma non esclude neanche<br />
espressamente la possibilità di domandare la cautela<br />
ante causam, significherebbe tradire la ratio delle novità<br />
introdotte dalla riforma del 2003 (12).<br />
In secondo luogo, sul piano sistematico, di regola<br />
i procedimenti a carattere impugnatorio, abbiano<br />
essi ad oggetto provvedimenti amministrativi o delibere<br />
societarie, presuppongono l’esercizio del diritto<br />
di impugnazione (13); sicché, se tale diritto non<br />
è ancora stato esercitato, non è possibile procedere<br />
in via cautelare (14).<br />
In terzo luogo, l’inapplicabilità dell’art. 700<br />
c.p.c. deriva non soltanto dalla esistenza di un misura<br />
cautelare tipica (l’art. 2378, comma 3, c.c., appunto),<br />
ma anche dall’avvenuto superamento delle<br />
ragioni che, in base alla disciplina anteriore alla riforma<br />
del 2003, avevano indotto ad ammettere il<br />
ricorso alla tutela d’urgenza (15). L’ammissibilità<br />
dell’art. 700 c.p.c. ante causam, peraltro, potrebbe<br />
comportare la sopravvivenza sine die della delibera,<br />
sobbarcando la controparte dell’onere di avviare il<br />
giudizio a cognizione piena (in via di accertamento<br />
negativo) (16), al fine di eliminare gli effetti della<br />
delibera stessa.<br />
In quarto luogo, il meccanismo previsto dall’art.<br />
2378, comma 3, c.c. per il caso di ‘‘eccezionale e<br />
motivata urgenza’’, sembra sufficientemente in grado<br />
di soddisfare in tempi rapidi l’istanza di tutela in<br />
via cautelare (17) del ricorrente (18).<br />
In conclusione, nel caso di specie vi era certamente<br />
una non ‘‘ordinaria’’ urgenza di provvedere<br />
(corrispondente alla esigenza, rappresentata in ricorso,<br />
di una pronuncia entro una precisa data),<br />
che ha giustificato la concessione del provvedimento<br />
cautelare inaudita altera parte ex art. 2378, comma<br />
3, c.c. (non confermato in udienza, ma a causa<br />
della ritenuta insussistenza del periculum in mora al<br />
momento della decisione, avendo il ricorrente sottoscritto<br />
un ulteriore e più consistente aumento di<br />
capitale sociale, tale da consentirgli di «ottenere<br />
una larga maggioranza e di scongiurare conseguentemente<br />
il rischio paventato in ricorso [...] di vedersi<br />
esclusa dalla compagine sociale [...])».<br />
Tuttavia, non è dato comprendere a quali fattori<br />
sia stata dovuta la «difficoltà di incardinare per<br />
tempo la domanda di merito», desunta dal Tribunale<br />
dalla prospettazione di parte e posta a fondamento<br />
della ritenuta ammissibilità della tutela cau-<br />
telare ante causam. Orbene, se questa è consistita<br />
nella difficoltà di imbastire tempestivamente un atto<br />
di citazione con la necessaria specificazione dei<br />
motivi di impugnazione, allora il provvedimento in<br />
epigrafe è maggiormente criticabile, poiché avalla<br />
una tesi che rischia di dare per scontato che il ricorso<br />
cautelare possa anche prescindere da tale specificazione<br />
(19).<br />
Note:<br />
(12) Cfr. U. Corea, Note in tema di tutela impugnatoria, cit.,530s.<br />
(13) Cfr. U. Corea, Note in tema di tutela impugnatoria, cit., 534<br />
ss., ove ampi riferimenti di dottrina.<br />
(14) Cfr. G. Costantino, Note sulle proposte di accelerazione,<br />
cit., 520.<br />
(15) U. Corea, Note in tema di tutela impugnatoria, cit., 552.<br />
(16) Cfr. C. Consolo, La riforma societaria: aspetti processuali -<br />
Le prefigurabili inanità di alcuni nuovi riti commerciali, inCorr.<br />
giur., 2003, 1520 ss., il quale, pur ritenendo ammissibile la tutela<br />
ante causam ex art. 700 c.p.c., osserva come «non sia concepibile<br />
che la vita della società possa perdurare sine die, sulla base<br />
di una delibera semplicemente sospesa». Ciò induce a dubitare<br />
che il provvedimento di sospensione della delibera sia idoneo<br />
ad ‘‘anticipare’’ la sentenza (cfr., invece, R. Vaccarella, La riforma<br />
societaria: aspetti processuali - Il rito ordinario, inCorr.<br />
giur., 2003, 1501), apparendo preferibile la tesi che attribuisce<br />
ad esso carattere conservativo (v. G. Arieta - F. De Santis, Diritto<br />
processuale societario, Padova, 2004, 428), anche in considerazione<br />
della sua inidoneità a soddisfare l’interesse della parte<br />
istante, non potendo l’autorità del provvedimento cautelare impedire<br />
che la delibera sia reiterata senza alcun vincolo (cfr., sia<br />
pure in relazione al contesto dell’abrogato processo societario,<br />
D. Longo, Sub art. 24, in G. Costantino (a cura di), I procedimenti<br />
in materia commerciale, 567).<br />
(17) Cfr. U. Corea, Note in tema di tutela impugnatoria, cit., 533.<br />
(18) Si potrebbe obiettare che l’utilità del decreto motivato inaudita<br />
altera parte è destinata ad essere vanificata dalla iniziativa<br />
della società convenuta, la quale, resa edotta, a seguito della<br />
notificazione della citazione, della pendenza del giudizio di impugnazione,<br />
si affretti ad eseguire la delibera, prima che sopraggiunga<br />
il provvedimento di sospensione. L’obiezione non sarebbe<br />
affatto peregrina. L’iscrizione a ruolo della causa di merito attraverso<br />
il deposito della c.d. ‘‘velina’’ dell’atto di citazione, potrebbe<br />
contribuire a ridurre le probabilità di concretizzazione di<br />
tale rischio.<br />
(19) Sulla indefettibilità della specificazione dei motivi nei giudizi<br />
a struttura ‘‘impugnatoria’’, cfr. U. Corea, Note in tema di tutela<br />
impugnatoria, cit., 545 ss. e i riferimenti ivi contenuti.<br />
834 Le Società 7/2012
Osservatorio di giurisprudenza<br />
di legittimità<br />
di Vincenzo Carbone<br />
con la collaborazione di Romilda Giuffrè<br />
AMMINISTRATORI<br />
REVOCA PER GIUSTA CAUSA: SINDACATO DI GESTIONE<br />
@ Cassazione civile, sez. I, 24 maggio 2012, n. 8221 -<br />
Pres. Fioretti - Rel. Scaldaferri - P.P.F. c. Sire s.p.a.<br />
Società - Società per azioni - Amministratori - Revoca -<br />
Per giusta causa - Partecipazione a sindacato di gestione<br />
- Sussistenza - Fattispecie<br />
(Cod. civ. artt. 2341 bis, 2380 bis, 2383)<br />
È sussumibile nell’ipotesi normativa di giusta causa di<br />
revoca dell’amministratore il caso in cui questi abbia<br />
partecipato ad un patto parasociale avente le caratteristiche<br />
del c.d. ‘‘sindacato di gestione’’ (in base al quale i<br />
partecipanti si obbligano, come amministratori, a svolgere<br />
i loro compiti di gestione della società in conformità<br />
a quanto voluto e deciso dalla direzione del sindacato<br />
a maggioranza semplice), pur essendo quest’ultimo pienamente<br />
valido ed efficace tra i partecipanti; ciò in<br />
quanto l’ipotesi di giusta causa di revoca degli amministratori<br />
trova fondamento nel principio normativo della<br />
esclusività della funzione gestoria (massima non ufficiale).<br />
Società - Società per azioni - Sindacato di voto - Legittimità<br />
- Limiti<br />
I patti parasociali, pur vincolando esclusivamente le parti<br />
contraenti e non potendo incidere direttamente sull’attività<br />
sociale, devono ritenersi illegittimi quando il<br />
contenuto dell’accordo si ponga in contrasto con norme<br />
imperative o sia idoneo a consentire l’elusione di norme<br />
o principi generali dell’ordinamento inderogabili, ma<br />
non quando siano destinati a realizzare un risultato pienamente<br />
consentito dall’ordinamento (massima non ufficiale).<br />
L’assemblea ordinaria di una s.p.a., su proposta del nuovo<br />
socio di maggioranza, revoca il c.d.a., avendo appreso dell’esistenza<br />
di un patto parasociale sottoscritto tra gli amministratori:<br />
il patto prevedeva che la direzione del sindacato<br />
avesse la facoltà di adottare, a maggioranza semplice, le decisioni<br />
ritenute più opportune per la vita della società, e che<br />
essa direzione avesse altresì competenza esclusiva nelle assunzioni<br />
e licenziamenti dei quadri. Alcuni consiglieri revocati<br />
impugnano la delibera per insussistenza della giusta causa,<br />
chiedendo la condanna della società al risarcimento dei danni<br />
nei loro confronti. Il Tribunale di Torino accoglie la domanda.<br />
La Corte d’Appello accoglie parzialmente il gravame della<br />
società, ritenendo il patto illegittimo. I Giudici di legittimità,<br />
Diritto commerciale e societario<br />
Giurisprudenza<br />
@Il testo integrale delle sentenze è disponibile su:<br />
www.ipsoa.it/lesocieta<br />
nell’enunciare i suestesi principi di diritto, rigettano il ricorso<br />
degli amministratori soccombenti e cassano la sentenza di<br />
appello con rinvio.<br />
Nei medesimi termini della seconda massima, Cass. civ.,<br />
sez. I, 28 aprile 2010, n. 10215, in Resp. civ. e previd.,<br />
2010, 11, 2364; Cass. civ. 23 novembre 2001, n. 14865,<br />
con nota di Picone, in questa Rivista, 2001, 431; Cass.<br />
civ. 20 settembre 1995, n. 9975, con nota, tra gli altri, di<br />
Buonocore, in Giur. comm., 1997, II, 50; di Cottino, in<br />
Giur. it., 1996, I, 1, 164; di Vidiri in Giust. civ., 1996, I, 73;<br />
di Pernazza, in questa Rivista 1996, 37.<br />
ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE<br />
RISOLUZIONE DEL CONTRATTO<br />
@ Cassazione civile, sez. I, 14 maggio 2012, n. 7426 -<br />
Pres. Plenteda - Rel. Bisogni - P.G. c. G.A.<br />
Associazione in partecipazione - Contratto d’opera - Volontà<br />
delle parti - Differenze - Fattispecie<br />
(Cod. civ. artt. 1362, 2549)<br />
Il coinvolgimento del progettista nell’impresa, a mezzo<br />
di associazione in partecipazione, implica non già l’acquisizione<br />
di una prestazione di mero contenuto intellettuale<br />
(ottenibile con la stipulazione di un contratto d’opera),<br />
ma altresì l’utilizzabilità di quanto progettato, al<br />
fine della realizzazione di prodotti commerciabili (massima<br />
non ufficiale).<br />
Il Tribunale di Saluzzo e la Corte d’Appello di Torino rigettano<br />
la domanda di risoluzione contrattuale proposta da un associato<br />
in partecipazione contro l’altro associato, ritenendo<br />
adempiuta con la pattuita progettazione - sia pure errata ed<br />
inidonea alla produzione e commercializzazione di taluni oggetti<br />
- l’obbligazione del secondo. I Giudici di legittimità, con<br />
il suesteso principio di diritto, dando rilievo all’interpretazione<br />
della volontà delle parti, riformano la doppia conforme, cassando<br />
con rinvio.<br />
Non constano recenti precedenti in termini.<br />
CONSORZI URBANISTICI<br />
CONSORZI<br />
@ Cassazione civile, sez. I, 14 maggio 2012, n. 7427 -<br />
Le Società 7/2012 835
Diritto commerciale e societario<br />
Giurisprudenza<br />
Pres. Plenteda - Rel. Mercolino - G.C. c. Consorzio La Lamia<br />
ed altro<br />
Consorzi - Consorzi urbanistici - Definizione<br />
(Cod. civ. art. 24; L. n. 1150/1942, artt. 23, 28)<br />
I consorzi urbanistici consistono in aggregazioni di persone<br />
fisiche o giuridiche preordinate alla sistemazione o al<br />
miglior godimento di uno specifico comprensorio mediante<br />
la realizzazione e la fornitura di opere o servizi. In<br />
tali organismi, la giurisprudenza della Cassazione ha ravvisato<br />
figure atipiche, nelle quali i connotati delle associazioni<br />
non riconosciute si coniugano con un forte profilo di<br />
realità, dal momento che all’esistenza di una stabile organizzazione<br />
di soggetti funzionale al raggiungimento di<br />
uno scopo non lucrativo fa riscontro l’assunzione da parte<br />
dei consorziati di una serie di obblighi ricollegati in via<br />
immediata e diretta alla proprietà dei singoli cespiti e di<br />
quelli eventualmente comuni, con riferimento non solo<br />
alla gestione delle cose e dei servizi consortili, ma anche<br />
alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e<br />
secondaria (massima non ufficiale).<br />
Consorzi - Consorzi urbanistici - Caratteristiche - Normativa<br />
- Fattispecie<br />
(Cod. civ. art. 24; L. n. 1150/1942, artt. 23, 28)<br />
Ai fini della ricostruzione della disciplina dei rapporti interni<br />
tra consorziati, occorre avere riguardo alla volontà<br />
manifestata nello statuto e, soltanto ove questo non disponga,<br />
passare ad individuare la normativa più confacente<br />
alla regolamentazione degli interessi implicati dalla<br />
controversia, in considerazione della complessità della<br />
struttura degli organismi in questione, la quale rende<br />
insoddisfacente tanto un’applicazione generalizzata delle<br />
norme riguardanti le associazioni non riconosciute,<br />
quanto il ricorso a quelle in tema comunione o condominio<br />
(massima non ufficiale).<br />
Un consorzio tra proprietari di lotti inclusi in un piano di lottizzazione<br />
conviene in giudizio uno dei proprietari, chiedendone<br />
la condanna al pagamento delle quote non versate. Il Tribunale<br />
di Bari, subentrato alla soppressa Pretura locale, accoglie la<br />
domanda. La Corte territoriale rigetta l’appello della proprietaria,<br />
rilevando che quest’ultima, pur avendo alienato ad un terzo,<br />
chiamato in causa, il proprio lotto, non aveva comunicato il<br />
proprio recesso al consorzio né era stata da questo esclusa,<br />
giusta la previsione contenuta all’art. 24 c.c. I Giudici di legittimità<br />
cassano con rinvio la decisione impugnata, escludendo,<br />
attraverso l’enunciazione dei detti principi, la sussumibilità della<br />
fattispecie nella previsione di detta norma.<br />
In termini, Cass., sez. I, 28 aprile 2010, n. 10220, in Giust.<br />
civ. Mass., 2010.<br />
836 Le Società 7/2012
Osservatorio di giurisprudenza<br />
di merito<br />
di Alessandra Stabilini<br />
OPA<br />
LA RISARCIBILITÀ DEI DANNI DERIVANTI<br />
DALLA MANCATA RICOSTITUZIONE DEL FLOTTANTE<br />
@ Corte d’Appello di Milano, sez. I, 4 maggio 2012, n.<br />
1523 - Pres. Tarantola - Rel. Vigorelli - F.M. c. Edison<br />
s.p.a.<br />
Società - Società di capitali - Società per azioni quotate in<br />
un mercato regolamentato - Offerta Pubblica di Acquisto<br />
- Ricostituzione del flottante - Risarcibilità dei danni da<br />
mancata ricostituzione del flottante<br />
(D.Lgs. n. 58/1998, art. 108)<br />
La ricostituzione del flottante, essendo volta a consentire<br />
il regolare andamento delle negoziazioni attraverso<br />
un sufficiente livello di diffusione tra il pubblico delle<br />
azioni, può essere ottenuta mediante modalità diverse,<br />
purché idonee in concreto a determinare il grado di diffusione<br />
dei titoli ritenuto adeguato, grado la cui individuazione<br />
compete all’Autorità di vigilanza.<br />
Società - Società di capitali - Società per azioni quotate in<br />
un mercato regolamentato - Offerta Pubblica di Acquisto<br />
- Ricostituzione del flottante - Risarcibilità dei danni da<br />
mancata ricostituzione del flottante<br />
(D.Lgs. n.58/1998, art. 108)<br />
La lesione dell’aspettativa alla ricostituzione del flottante,<br />
eventualmente ingenerata con il prospetto e con le comunicazioni<br />
al mercato dal detentore delle partecipazioni<br />
eccedenti la soglia normativa rilevante nei confronti degli<br />
altri soci, non è idonea a comportare il risarcimento dei<br />
danni a favore di questi ultimi in quanto non è configurabile<br />
come aspettativa di un vantaggio, né implica un riconoscimento<br />
in capo al singolo azionista di un diritto soggettivo<br />
volto all’ottenimento di tale ricostituzione.<br />
La controversia trae origine da un vicenda che può essere<br />
riassunta come segue.<br />
A seguito di ingenti acquisizioni azionarie, alcuni primari soggetti<br />
economici giungevano a detenere la maggioranza del<br />
capitale sociale di Montedison. Gli stessi soggetti decidevano<br />
di far confluire tutte le partecipazioni in un’unica società<br />
denominata Italenergia, la quale, ritrovatasi a detenere il<br />
52% di Montedison, promuoveva un’OPA obbligatoria sull’intero<br />
capitale. Alla chiusura dell’OPA, Italenergia risultava<br />
detentrice del 96,86% di Montedison e del 95,71% di Edison,<br />
percentuali eccedenti il limite del 94% oltre il quale la<br />
stessa Italenergia, nel documento di offerta pubblica di ac-<br />
Diritto commerciale e societario<br />
Giurisprudenza<br />
@Il testo integrale delle sentenze è disponibile su:<br />
www.ipsoa.it/lesocieta<br />
quisto, dichiarava di non voler promuovere un’OPA residuale,<br />
optando per il ripristino di un flottante sufficiente ad assicurare<br />
il regolare andamento delle negoziazioni.<br />
Prima della chiusura dell’OPA la Consob fissava la percentuale<br />
minima di flottante nell’8% per Montedison e nel 6%<br />
per Edison. Frattanto Italenergia dava inizio ad un piano di ristrutturazione<br />
che avrebbe portato alla fusione tra la stessa<br />
Italenergia, Edison e Montedison. Tale operazione avrebbe<br />
richiesto un tempo superiore a quello richiesto dall’art. 108<br />
TUF, ma avrebbe consentito il ripristino del flottante sopra le<br />
suddette soglie. La Consob, all’uopo interrogata, condivideva<br />
le argomentazioni di Italenergia ritenendo l’operazione<br />
idonea alla corretta ricostituzione del flottante.<br />
Con atto di citazione in appello F.M., M.G. e M.P.M., detentori,<br />
all’epoca del lancio dell’OPA, dello 0,018% del capitale<br />
sociale di Edison, hanno convenuto quest’ultima in giudizio<br />
ritenendo che l’operazione di fusione non fosse idonea alla<br />
ricostituzione del flottante e chiedendo il risarcimento del<br />
danno conseguente a tale mancata ricostituzione, da parametrarsi<br />
al divario tra il prezzo d’OPA e quello di possibile<br />
realizzazione con riferimento al tempo immediatamente successivo<br />
allo spirare del termine per la ricostituzione del flottante.<br />
Il Collegio, ritenendo che (i) la lesione dell’aspettativa<br />
alla ricostituzione del flottante, eventualmente ingenerata<br />
con il prospetto e con le comunicazioni al mercato dal detentore<br />
delle partecipazioni eccedenti la soglia normativa rilevante<br />
nei confronti degli altri soci, non è idonea a comportare<br />
il risarcimento dei danni a favore di questi ultimi in quanto<br />
non è configurabile come aspettativa di un vantaggio, né implica<br />
un riconoscimento in capo al singolo azionista di un diritto<br />
soggettivo all’ottenimento di tale ricostituzione e (ii) comunque<br />
che nel caso di specie il flottante sarebbe stato ricostituito<br />
mediante l’operazione di fusione per incorporazione<br />
di cui sopra rigetta l’appello e condanna gli appellanti alla<br />
refusione delle spese del giudizio.<br />
È conforme alla prima massima la nota Consob n.<br />
98015349 del 27 febbraio 1998. Con riferimento alla seconda<br />
massima non si rinvengono precedenti in termini.<br />
SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA<br />
CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA DA PARTE DEI SOCI<br />
CHE RAPPRESENTANO ALMENO UN TERZO<br />
DEL CAPITALE SOCIALE<br />
@ Tribunale di Milano, sez. VIII, 7 maggio 2012, n. 5244 -<br />
Pres. Perrozziello - Rel. Galioto - R.B. c. Lighting Service<br />
s.r.l.<br />
Società - Società di capitali - Società a responsabilità limitata<br />
- Assemblea - Convocazione - Soci che rappresenta-<br />
Le Società 7/2012 837
Diritto commerciale e societario<br />
Giurisprudenza<br />
no un terzo del capitale sociale - Centralità del socio - Riforma<br />
del diritto societario<br />
(Cod. civ. art. 2479)<br />
Nel potere dei soci di s.r.l. che rappresentano almeno un<br />
terzo del capitale sociale di sottoporre gli argomenti di<br />
decisione all’assemblea, attribuito dall’art. 2479 c.c.,<br />
rientra altresì, per via estensiva, il potere di convocazione<br />
diretta dell’assemblea.<br />
Con atto di citazione, l’attore ha convenuto in giudizio la società<br />
Lighting Service s.r.l. per fare accertare e dichiarare che la<br />
delibera assunta dall’assemblea dei soci in data 3 settembre<br />
fosse invalida per difetto di convocazione. In particolare, l’attore<br />
ha sostenuto che l’assemblea dei soci in questione non fosse<br />
validamente costituita perché convocata direttamente dal<br />
socio di maggioranza in difetto dei poteri e in violazione di legge.<br />
Il Tribunale respinge le pretese di parte attrice, ritenendo<br />
che nel potere dei soci - che rappresentano almeno un terzo<br />
del capitale sociale - di sottoporre all’assemblea determinati argomenti<br />
di decisione, previsto nell’art. 2479 c.c., rientri altresì,<br />
per via estensiva, il potere di convocazione diretta dell’assemblea<br />
su quegli stessi argomenti. L’interpretazione estensiva<br />
dei poteri di cui all’art. 2479 c.c., conferiti ad una minoranza<br />
qualificata dei soci, è compatibile con la posizione dei soci di<br />
s.r.l. così come disegnata dalla riforma del diritto societario del<br />
2003. Il potere di convocare l’assemblea è infatti connaturato<br />
allo status di socio di s.r.l. ed è concorrente e sussidiario a<br />
quello che spetta all’organo amministrativo che eventualmente<br />
ometta di convocare l’assemblea quando glielo richieda una<br />
maggioranza qualificata dei soci. La legge delega ha infatti richiesto<br />
al legislatore delegato di conferire ampia autonomia<br />
statutaria alla società a responsabilità limitata in relazione ai<br />
suoi procedimenti decisionali. L’art. 2479 c.c., inoltre, in relazione<br />
alla richiesta di sottoporre all’assemblea determinati argomenti,<br />
non prevede nessun tipo di mediazione da parte degli<br />
amministratori e, dunque, fissa la centralità del potere decisionale<br />
in mano ai soci, attribuendo agli stessi la facoltà di avocare<br />
a sé ogni tipo di decisione della vita sociale.<br />
Il potere della minoranza qualificata dei soci di s.r.l. di convocare<br />
l’assemblea si pone come diritto parallelo a quello previsto,<br />
per i soci di s.p.a., dall’art. 2467 c.c. Tale ultima norma<br />
non potrebbe essere applicata nelle s.r.l. poiché, per tale<br />
via, si introdurrebbe nel sistema della s.r.l. uno strumento a<br />
sé estraneo che finirebbe, peraltro, per svalutare l’abrogazione<br />
del precedente art. 2486 c.c.<br />
Non si sono rinvenuti precedenti editi nel senso della<br />
massima. Per quanto concerne l’impossibilità di applicare<br />
nelle s.r.l. l’art. 2367 c.c., cfr. Trib. Napoli 13 luglio 2011, in<br />
questa Rivista, 2011, 10, 1230; App. Lecce 23 giugno 2005,<br />
in Foro it., 2006, 5, 1, 1549; Trib. Agrigento 29 dicembre<br />
2005, in Vita not., 2006, 1, 315; Trib. Roma 30 novembre<br />
2004, ivi, 2005, 308. In senso contrario, cfr. Trib. Brescia 8<br />
marzo 2005, in questa Rivista, 2005, 10, 1254 e Trib. Verona<br />
20 luglio 2004, in Vita not., 2005, 308.<br />
SOCIETÀ IN ACCOMANDITA SEMPLICE<br />
IL DIRITTO A PERCEPIRE GLI UTILI DI ESERCIZIO<br />
NELLA SOCIETÀ IN ACCOMANDITA SEMPLICE<br />
@ Corte d’Appello di Milano, sez. I, 15 febbraio 2012<br />
(udienza) - Pres. Tarantola - Rel. Aliverti - C.F. c. Fercal di<br />
M. A. & C. s.a.s.<br />
Società - Società di persone - Società in accomandita semplice<br />
- Diritto agli utili di esercizio - Approvazione rendiconto -<br />
Qualità di socio al momento dell’approvazione del rendiconto<br />
- Bilancio fiscale - Utilizzabilità<br />
(Cod. civ. artt. 2262, 2293, 2303, 2315)<br />
Nella società in accomandita semplice il diritto del singolo<br />
a percepire gli utili è subordinato, ai sensi dell’art.<br />
2262 c.c. (applicabile in forza del duplice richiamo agli<br />
artt. 2315 e 2293 c.c.) alla sola approvazione del rendiconto,<br />
situazione contabile che equivale a quella di bilancio<br />
e che, nell’ipotesi di società in cui uno solo è il socio<br />
accomandatario, coincide con quello della sua presentazione.<br />
Società - Società di persone - Società in accomandita<br />
semplice - Diritto agli utili di esercizio - Approvazione rendiconto<br />
- Qualità di socio al momento dell’approvazione<br />
del rendiconto - Bilancio fiscale - Utilizzabilità<br />
(Cod. civ. artt. 2262, 2293, 2303, 2315)<br />
Al fine di accertare la produzione di utili di una società<br />
commerciale possono essere utilizzate le risultanze del<br />
solo bilancio redatto a fini fiscali e non può esserne genericamente<br />
eccepita l’inutilizzabilità senza svolgere<br />
specifiche e pertinenti deduzioni in ordine ai concreti effetti<br />
che le divergenze tra la normativa fiscale e quella<br />
civilistica possono produrre.<br />
Società - Società di persone - Società in accomandita<br />
semplice - Diritto agli utili di esercizio - Approvazione rendiconto<br />
- Qualità di socio al momento dell’approvazione<br />
del rendiconto - Bilancio fiscale - Utilizzabilità<br />
(Cod. civ. artt. 2262, 2293, 2303, 2315)<br />
In tema di redditi prodotti in forma associata, qualora<br />
nel corso di un esercizio sociale di una società di persone<br />
si sia verificato il mutamento della composizione della<br />
compagine sociale, con il subentro di un socio nella<br />
posizione giuridica di un altro, i redditi della società devono<br />
essere imputati esclusivamente al contribuente<br />
che sia socio al momento della approvazione del rendiconto<br />
proporzionalmente alla sua quota di partecipazione<br />
agli utili e non già al socio uscente ed a quello subentrante<br />
attraverso una ripartizione in funzione della rispettiva<br />
durata del periodo di partecipazione alla società<br />
nel corso dell’esercizio.<br />
L’attore impugna in appello la sentenza di rigetto resa dal<br />
Tribunale di Milano, secondo il procedimento abbreviato di<br />
cui all’art. 281 sexies c.p.c. L’attore aveva convenuto in giudizio<br />
la società Fercal s.a.s. di A. M. & C. perché fosse condannata<br />
a pagargli la quota del 50% dell’utile percepito dalla<br />
società nella gestione relativa agli anni 1995,1996, 1997 e al<br />
periodo dal 1 gennaio 1998 al 6 maggio 1998, data in cui l’attore<br />
aveva ceduto a terzi la quota di capitale sociale di sua<br />
proprietà. In particolare, il diritto a percepire gli utili di esercizio,<br />
nella ricostruzione del socio, sarebbe attestato dalla co-<br />
838 Le Società 7/2012
municazione dell’ammontare degli utili effettuata ai fini fiscali<br />
dalla società tramite il proprio commercialista.<br />
La Corte d’Appello ritiene fondata l’impugnazione, affermando<br />
il principio di cui alla prima massima e rilevando come<br />
nella fattispecie, da un lato, l’attore avesse provato la sua<br />
qualità di socio e attestato la presenza di utili e, dall’altro, la<br />
società non avesse dato prova alcuna in ordine all’avvenuto<br />
pagamento delle somme pretese dal socio.<br />
Riguardo al diritto alla percezione degli utili dell’esercizio<br />
1998, la Corte nega il diritto dell’attore sul presupposto che<br />
il diritto spetti al socio che rivesta tale qualità al momento<br />
dell’approvazione del rendiconto.<br />
Sul diritto del socio a percepire gli utili: cfr. nella giurisprudenza<br />
di merito, Trib. Milano 11 settembre 2003, in<br />
Giur. comm., 2004, II, 434; Trib. Trani 19 settembre 2001,<br />
in questa Rivista, 481. In senso conforme alla prima massima,<br />
cfr. Cass. civ. 17 febbraio 1996, n. 1240, ivi, 1996,<br />
896. Con riguardo alla seconda massima si veda Cass.<br />
civ. 6 luglio 2007, n. 15304, in Gius. civ. Mass., 9. In relazione<br />
alla terza massima, si veda Cass. civ. 14 ottobre<br />
1994, n. 8423, ivi, 94 e in questa Rivista, 1995, 59.<br />
SOCIETÀ PER AZIONI<br />
PRINCIPI E CRITERI DI VALUTAZIONE PER VERIFICARE<br />
LA SUSSISTENZA DELLA CONTINUITÀ AZIENDALE<br />
@ Tribunale di Milano, sez. VIII, 7 maggio 2012, n. 5245 -<br />
Pres. Perozziello - Rel. Dal Moro - Prim s.p.a. c. Aedes<br />
s.p.a.<br />
Società - Società di capitali - Società per azioni - Società<br />
con azioni quotate - Continuità aziendale - Going concern<br />
- Piano attestato di risanamento - Ristrutturazione del debito<br />
- Situazione finanziaria - Bilancio - Nullità - Annullabilità<br />
- Criteri di redazione - Impugnazione<br />
(Cod. civ. artt. 2378, 2379, 2423, 2423 bis; D.Lgs. n. 58/<br />
1998, art. 157)<br />
La sussistenza della continuità aziendale va verificata<br />
sulla base di un’analisi della situazione finanziaria e dell’equilibrio<br />
finanziario, rappresentato dalla sincronia tra<br />
entrate e uscite connesse allo svolgimento della gestione,<br />
nel senso che le attività finanziarie a breve e media<br />
scadenza devono essere sufficienti a coprire i debiti a<br />
breve e media scadenza, e ciò tenuto conto dello specifico<br />
ciclo operativo aziendale.<br />
Società - Società di capitali - Società per azioni - Società<br />
con azioni quotate - Continuità aziendale - Going concern<br />
- Piano attestato di risanamento - Ristrutturazione del debito<br />
- Situazione finanziaria - Bilancio - Nullità - Annullabilità<br />
- Criteri di redazione - Impugnazione<br />
(Cod. civ. artt. 2378, 2379, 2423, 2423 bis; D.Lgs. n. 58/<br />
1998, art. 157)<br />
La valutazione della sussistenza della continuità aziendale<br />
comporta un giudizio prospettico sulla capacità dell’impresa<br />
di generare disponibilità liquide e mezzi equivalenti,<br />
della loro tempistica e del loro grado di certezza,<br />
Diritto commerciale e societario<br />
Giurisprudenza<br />
che deve essere condotto sulla base di indicatori finanziari,<br />
di indicatori gestionali e di altri indicatori (capitale<br />
ridotto al di sotto del minimo legale; esistenza di rischi<br />
connessi alla soccombenza in giudizi civili e fiscali; effetti<br />
di modifiche legislative o politiche governative).<br />
Società - Società di capitali - Società per azioni - Società<br />
con azioni quotate - Continuità aziendale - Going concern<br />
- Piano attestato di risanamento - Ristrutturazione del debito<br />
- Situazione finanziaria - Bilancio - Nullità - Annullabilità<br />
- Criteri di redazione - Impugnazione<br />
(Cod. civ. artt. 2378, 2379, 2423, 2423 bis; D.Lgs. n. 58/<br />
1998, art. 157)<br />
La situazione di insussistenza dei presupposti per redigere<br />
il bilancio in continuità può essere rimossa attraverso<br />
operazioni asseverate da un piano idoneo a consentire<br />
il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa<br />
e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria<br />
ex art. 67, comma 3, lett d), l. fall., o per effetto<br />
di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato<br />
dal tribunale ex art. 182 bis l. fall.<br />
La società Prim ha convenuto in giudizio la società quotata<br />
Aedes, di cui è socia titolare di azioni pari al 5,039%, impugnandone<br />
il bilancio di esercizio e il bilancio consolidato, adducendo<br />
la violazione delle norme che disciplinano i criteri di<br />
redazione e chiedendo la declaratoria di nullità o, in subordine,<br />
di annullamento della deliberazione assembleare di approvazione<br />
dei bilanci medesimi. In sintesi, la società attrice<br />
ha allegato l’esistenza di un cattivo risultato dell’esercizio,<br />
nel quale la società risulta avere subito significative perdite,<br />
con EBITDA e EBIT negativi, nonché la circostanza che le<br />
previsioni del piano attestato di risanamento ex art. 67, comma<br />
3, lett. d), l.fall., alla luce del quale la società era stata ricapitalizzata<br />
e aveva beneficiato in una imponente iniezione<br />
di liquidità, sarebbero state disattese. Ciò premesso, secondo<br />
la società attrice la relazione sulla gestione al bilancio dell’esercizio<br />
esprimeva un giudizio ottimistico sulla ripresa della<br />
società e non affrontava in modo esplicito e analitico le argomentazioni<br />
a sostegno della decisione di redigere il bilancio<br />
adottando il presupposto della continuità aziendale, tenuto<br />
anche conto che l’attuazione del piano di riorganizzazione<br />
industriale non avrebbe raggiunto i risultato auspicati. In definitiva,<br />
la società attrice, rilevando l’insussistenza dei presupposti<br />
di continuità aziendale, ha lamentato che i bilanci sarebbero<br />
stati redatti in violazione dell’art. 2423 bis, n. 1, c.c.,<br />
poiché le poste di bilancio avrebbero dovuto essere valutate<br />
a valori di realizzo, fornendo così una rappresentazione non<br />
chiara e non veritiera della situazione patrimoniale e finanziaria<br />
della società. La società convenuta si è costituita in giudizio,<br />
eccependo in via preliminare il difetto di legittimazione<br />
attiva dell’attrice e nel merito l’infondatezza delle domande<br />
da essa svolte. Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, la<br />
società convenuta ha anzitutto allegato di essere, a seguito<br />
del piano industriale di risanamento attestato, una impresa<br />
funzionante e pertanto tenuta a redigere il bilancio secondo<br />
criteri di continuità. In secondo luogo, ha rilevato che: la società<br />
attrice avrebbe erroneamente assunto il venire meno<br />
della continuità in ragione di uno squilibrio tra costi e ricavi,<br />
non tenendo conto che la continuità aziendale ben può sussistere<br />
anche in presenza di perdite considerevoli; la società<br />
attrice avrebbe fatto riferimento comunque a dati contabili<br />
Le Società 7/2012 839
Diritto commerciale e societario<br />
Giurisprudenza<br />
successivi all’approvazione del bilancio; il bilancio dell’esercizio<br />
successivo confermerebbe l’esistenza della continuità<br />
aziendale; la richiesta di mettere in liquidazione la società,<br />
presentata dalla società attrice in qualità di socio, sarebbe<br />
stata respinta dall’assemblea con l’87,468% del capitale sociale<br />
della società convenuta, la quale ha concluso rimarcando<br />
che l’iniziativa del socio attore rappresenterebbe una mera<br />
azione di disturbo.<br />
Il Tribunale, dopo aver rilevato l’infondatezza dell’eccezione<br />
di difetto di legittimazione attiva, nel merito rigetta integralmente<br />
l’impugnazione, «in ragione dell’inconsistenza degli<br />
elementi su cui si fondano le contestazioni di legittimità dedotte<br />
al bilancio». I Giudici, prima di affrontare le censure al<br />
bilancio svolte dalla società attrice, con ampie e interessanti<br />
argomentazioni, affrontano il tema dei principi in base ai quali<br />
valutare la sussistenza della continuità aziendale o «going<br />
concern». Al riguardo, il Tribunale richiama anzitutto il Documento<br />
570 sulla Continuità aziendale, elaborato dalla Commissione<br />
paritetica per i principi di revisione, documento<br />
che la Consob, con delibera n. 16231 del 21 novembre<br />
2007, ha stabilito venga adottato dalle società di revisione.<br />
Tale documento precisa che la continuità aziendale implica<br />
che l’impresa sia «in grado di continuare a svolgere la propria<br />
attività in un prevedibile futuro, senza che vi sia né l’intenzione<br />
né la necessità di metterla in liquidazione, di cessare<br />
l’attività o di assoggettarla a procedure concorsuali». Ciò<br />
premesso, i Giudici rilevano che se la continuità aziendale<br />
implica necessariamente l’equilibrio economico, inteso come<br />
capacità del sistema aziendale di garantire un’adeguata<br />
remunerazione dei fattori produttivi, tuttavia il solo dato del<br />
rapporto tra ricavi e costi non è di per sé sufficiente alla valutazione.<br />
Al fine di valutare la sussistenza della continuità<br />
aziendale, occorre infatti procedere all’analisi della situazione<br />
finanziaria in quanto essa mira a valutare l’equilibrio finanziario,<br />
ovvero la sincronia tra entrate (ricavi e mezzi equivalenti)<br />
ed uscite connesse allo svolgimento della gestione: le attività<br />
finanziarie a breve e media scadenza devono essere sufficienti<br />
a coprire i debiti a breve e media scadenza. Ai fini di<br />
una corretta analisi finanziaria è necessario, secondo i Giudici,<br />
individuare e considerare la lunghezza dello specifico ciclo<br />
operativo aziendale, cioè il tempo che l’azienda impiega<br />
per completare il proprio processo produttivo, dall’acquisizione<br />
dei fattori produttivi, all’incasso dei ricavi relativi, alla vendita<br />
del prodotto: il periodo di tempo, cioè, in cui un elemento<br />
del capitale aziendale impiega per convertirsi in liquidità. Il<br />
Tribunale chiarisce al riguardo, richiamando il Documento 12<br />
dei Principi contabili nazionali, che gli elementi del capitale<br />
aziendale si intendono a breve termine, quando possono essere<br />
convertiti in liquidità entro dodici mesi e a lungo termine<br />
se tale conversione avviene oltre i dodici mesi, e a lungo<br />
termine quando la conversione avviene oltre i dodici mesi, e<br />
di conseguenza li disequilibrio finanziario sussiste ogni qualvolta<br />
le attività finanziarie a breve-media scadenza non sia<br />
sufficienti a coprire i debiti a breve-media scadenza. La valutazione<br />
della continuità aziendale, osservano ancora i Giudici,<br />
comporta un giudizio prospettico articolato sulle capacità<br />
dell’impresa di generare disponibilità liquide e mezzi equivalenti,<br />
della loro tempistica e del loro grado di certezza; giudizio<br />
che deve essere condotto dagli amministratori alla luce<br />
degli indicatori finanziari (situazione di deficit patrimoniale o<br />
di capitale circolante netto negativo; prestiti a scadenza fissa<br />
e prossimi alla scadenza senza che vi siano prospettive di<br />
rinnovo o rimborso; principali indici economico-finanziari negativi;<br />
consistenti perdite operative o significative perdite di<br />
valore delle attività che generano cash flow; mancanza o di-<br />
scontinuità nella distribuzione di dividendi), degli indicatori<br />
gestionali (perdita di amministratori e dirigenti chiave senza<br />
riuscire a sostituirli; perdita di mercati fondamentali, di contratti<br />
di distribuzione, di concessioni o di fornitori importanti;<br />
difficoltà nell’organico del personale, ecc.), di altri indicatori,<br />
quali capitale ridotto al di sotto del limite legale; contenziosi<br />
legali e fiscali che, in caso di soccombenza, potrebbero comportare<br />
obblighi di risarcimento che l’impresa non è in grado<br />
di rispettare; modifiche legislative o politiche governative<br />
dalle quali si attendono effetti sfavorevoli per l’impresa).<br />
Il Tribunale rileva infine che, qualora dalla valutazione prospettica,<br />
condotta secondo i criteri sopra individuati, emerga<br />
l’assenza dei presupposti per redigere il bilancio in continuità,<br />
tale situazione negativa potrebbe essere rimossa attraverso<br />
operazioni asseverate da un piano idoneo a consentire<br />
il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad<br />
assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria ex art. 67,<br />
comma 3, lett. d), l.fall., o per effetto di un accordo di ristrutturazione<br />
dei debiti omologato dal tribunale ai sensi dell’art.<br />
182 bis l.fall. Se il presupposto di continuazione dell’attività<br />
viene meno senza la possibilità di alcun intervento di risanamento,<br />
la valutazione delle voci di bilancio non può più essere<br />
effettuato secondo valori di finanziamento, bensì secondo<br />
valori di liquidazione o di cessione. Per quanto concerne la<br />
valutazione in concreto della rappresentazione della situazione<br />
patrimoniale e finanziaria della società e del suo risultato<br />
economico dell’esercizio, il Tribunale rileva che, alla luce dei<br />
principi sopra indicati, le censure attoree risultano generiche<br />
e inconsistenti. In particolare, il Tribunale ritiene che il bilancio<br />
impugnato si riferisce a un esercizio nel quale è stato attuato<br />
con successo il piano industriale e di ristrutturazione<br />
del debito da questo previsto, in mancanza del quale il bilancio<br />
dell’esercizio 2008 non avrebbe potuto essere redatto<br />
secondo criteri di continuità. Il bilancio del 2008 (non impugnato)<br />
tiene conto del predetto piano industriale e quello del<br />
2009 si basa sulla effettiva realizzazione di quest’ultimo. Ciò<br />
premesso, i Giudici osservano come tutti gli elementi indicati<br />
dalla società attrice al fine di sostenere l’insussistenza di<br />
una continuità aziendale siano privi di rilevanza, imprecisi e<br />
generici e insufficienti. Attesa l’irrilevanza degli elementi addotti<br />
a sostegno dell’impugnativa, il comportamento processuale<br />
della società attrice, che avrebbe fornito prospettazioni<br />
parziali e omissive di dati che la stessa non poteva non conoscere,<br />
l’iniziativa giudiziaria è stata giudicata dal tribunale<br />
come temeraria, tenuto anche conto che la società convenuta<br />
è una società quotata. Di conseguenza, il Tribunale ha<br />
condannato la società attrice anche al pagamento di una<br />
somma a titolo di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.,<br />
parametrata all’importo delle spese di lite liquidate (in base<br />
al tariffario professionale, che continua ad essere, in attesa<br />
del previsto intervento legislativo, il punto di riferimento).<br />
Non si rinvengono precedenti editi in termini. Sulle problematiche<br />
relative alla valutazione della continuità<br />
aziendale (c.d. going concern), si v. C. Sottoriva, Continuità<br />
aziendale e informativa nelle relazioni finanziarie<br />
per le società quotate e non quotate. Le innovazioni a<br />
partire dai bilanci 2008, in questa Rivista, 2009, 638 ss.,<br />
ove ampi richiami ai principi e criteri indicati dalle autorità<br />
di vigilanza (Banca d’Italia, Consob e ISVAP), e ricavabili<br />
dalla prassi delle professioni economico-aziendali.<br />
840 Le Società 7/2012
Osservatorio di giurisprudenza<br />
penale dell’impresa<br />
di Marco Maria Scoletta<br />
REATI FALLIMENTARI<br />
BANCAROTTA FRAUDOLENTA E RILEVANZA<br />
DEI VANTAGGI COMPENSATIVI INFRAGRUPPO<br />
@ Cassazione penale, sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 4458 -<br />
Pres. Ferrua - Rel. Zaza<br />
Bancarotta fraudolenta per distrazione - Gruppi societari -<br />
Bancarotta infragruppo - Rilevanza della clausola dei vantaggi<br />
compensativi - Valutazione di rilevanza nel rispetto<br />
dell’autonomia soggettiva di ciascuna società appartenente<br />
al gruppo - Esclusione<br />
(Cod. civ. art. 2634; l.fall. art. 216)<br />
Ai collegamenti della società fallita nell’ambito del gruppo<br />
può essere attribuita incidenza anche nella valutazione<br />
della configurabilità dei reati di bancarotta, avuto riguardo<br />
ad un’indicazione normativa (art. 2634 c.c.) che<br />
comunque conferisce rilievo agli eventuali vantaggi<br />
compensativi in un’ottica riferibile al giudizio sulla correttezza<br />
della gestione societaria. L’influenza di questi<br />
elementi dovrà tuttavia essere esaminata nel rispetto<br />
dell’autonoma tutela delle ragioni creditorie specificamente<br />
riferibili alla società fallita. Occorrerà che l’operazione<br />
produca per la fallita benefici, sia pure indiretti, i<br />
quali si rivelino concretamente idonei a compensare efficacemente<br />
gli effetti immediatamente negativi dell’operazione<br />
stessa (massima non ufficiale).<br />
Nella vicenda oggetto della pronuncia in esame, era in discussione<br />
l’applicabilità della clausola dei ‘‘vantaggi compensativi’’<br />
ad una complessa fattispecie di bancarotta per distrazione<br />
infragruppo. Gli amministratori della società fallita erano<br />
stati infatti condannati in primo grado di giudizio e poi assolti<br />
in appello (relativamente alla imputazione di bancarotta<br />
fraudolenta per distrazione) sulla base di un’argomentazione<br />
che, in sostanza, escludeva un effettivo ed ingiustificato, o<br />
quanto meno percepibile come tale, depauperamento della<br />
società fallita come conseguenza delle operazioni contestate<br />
(suppostamente ‘‘distrattive’’). Secondo la ricostruzione del<br />
fatto operata dai giudici dell’appello, infatti, gli ingenti pagamenti<br />
realizzati dalla fallita nei confronti della capogruppo<br />
avrebbero trovato, giustificazione nell’ambito di un complessivo<br />
settlement agreement tra le società del gruppo, cioè di<br />
un accordo transattivo da cui avrebbero prospettivamente<br />
tratto beneficio tutte le parti contrattuali. Il Procuratore generale<br />
e le parti civili avevano impugnato la decisione d’appello,<br />
sostenendo il carattere effettivamente distrattivo delle<br />
operazioni posto in essere tra la società fallita e la controllante<br />
e considerando irrilevante l’accordo transattivo, in quanto<br />
in realtà ‘‘subìto’’ dalla fallita e comunque inidoneo ad assi-<br />
Diritto commerciale e societario<br />
Giurisprudenza<br />
@Il testo integrale delle sentenze è disponibile su:<br />
www.ipsoa.it/lesocieta<br />
curare un’adeguata e concreta forma di ristoro a fronte degli<br />
effetti negativi conseguenti ai pagamenti eseguiti a favore<br />
della copogruppo.<br />
Come sottolinea la Cassazione, le considerazioni svolte dalla<br />
pronuncia d’appello impugnata evocavano sostanzialmente,<br />
«pur senza chiamarla esplicitamente in causa, la problematica<br />
dei vantaggi compensativi derivanti a favore della fallita<br />
dal compimento di determinate operazioni nella logica commerciale<br />
e finanziaria del gruppo di società a cui la fallita<br />
stessa apparteneva, vantaggi tali da controbilanciare le deprivazioni<br />
patrimoniali immediatamente ricollegabili alle operazioni<br />
stesse».<br />
Nell’impostare la questione, la Suprema Corte tematizza preliminarmente<br />
la rilevanza della clausola degli interessi compensativi<br />
nell’ordinamento penale precisando che:<br />
(i) tale clausola è specificamente riferita dalla legge alla fattispecie<br />
di ‘‘infedeltà patrimoniale’’ infragruppo (art. 2634,<br />
comma 3, c.c.);<br />
(ii) nell’ipotesi di bancarotta rimane fermo il principio dell’autonomia<br />
soggettiva delle società facenti parte del gruppo, in<br />
quanto l’offensività dei fatti di bancarotta, rispetto agli interessi<br />
patrimoniali dei creditori della singola società, rimane<br />
impregiudicata qualora si registri un trasferimento di risorse<br />
ingiustificato dalla società debitrice in favore di altre società<br />
appartenenti al gruppo;<br />
(iii) ciò non esclude, tuttavia - come evidenziato nella massima<br />
sopra riportata - che «ai collegamenti della società fallita<br />
nell’ambito del gruppo può essere attribuita incidenza anche<br />
nella valutazione della configurabilità dei reati di bancarotta,<br />
avuto riguardo ad un’indicazione normativa (art. 2634 c.c.)<br />
che comunque conferisce rilievo agli eventuali vantaggi<br />
compensativi in un’ottica riferibile al giudizio sulla correttezza<br />
della gestione societaria»;<br />
(iv) l’influenza di questi elementi dovrà tuttavia essere esaminata<br />
nel rispetto dell’autonoma tutela delle ragioni creditorie<br />
specificamente riferibili alla società fallita; da ciò segue<br />
l’insufficienza, a questi fini, delle mere circostanze dalla collocazione<br />
della fallita all’interno di un contesto di gruppo di<br />
imprese e del vantaggio che le altre società o il gruppo complessivamente<br />
considerato possano ricavare dalle operazioni<br />
di trasferimento delle risorse patrimoniali della società fallita;<br />
(v) tali circostanze - prosegue la Corte - «integreranno unicamente<br />
i presupposti per la ricerca di uno specifico vantaggio<br />
che dall’atto di disposizione patrimoniale derivi anche in favore<br />
della fallita in maniera da escludere in concreto la lesività<br />
dell’atto per la garanzia dei creditori»;<br />
(vi) in conclusione, sarà necessario «che l’operazione produca<br />
per la fallita benefici, sia pure indiretti, i quali si rivelino<br />
concretamente idonei a compensare efficacemente gli effetti<br />
immediatamente negativi dell’operazione stessa» e pertanto<br />
che il vantaggio complessivamente riferibile al gruppo<br />
si trasferisca sulla fallita, in termini tali da «realizzare gli effetti<br />
compensativi».<br />
Valutando la sentenza oggetto del ricorso sulla base di tali<br />
Le Società 7/2012 841
Diritto commerciale e societario<br />
Giurisprudenza<br />
premesse di diritto, la Cassazione osserva, in primo luogo,<br />
che il pagamento (oggetto della contestazione) effettuato<br />
dalla fallita a favore della capogruppo non trovava adeguata<br />
giustificazione nelle dinamiche contrattuali tra le parti, risolvendosi<br />
viceversa in un depauperamento di risorse finanziarie<br />
per la fallita; in secondo luogo, che, anche nella prospettiva<br />
di operatività dei vantaggi compensativi (secondo il modello<br />
applicativo sopra descritto), il danno subito dalla fallita<br />
non trovava effettiva compensazione nei vantaggi economici<br />
individuati dalla sentenza impugnata. Tali introiti patrimoniali,<br />
infatti, avrebbero avuto efficacia compensativa nella misura<br />
in cui i maggiori esborsi precedentemente effettuati a favore<br />
dalla holding fossero stati inevitabili e cogenti; al contrario, ritenendo<br />
sostanzialmente ingiustificati i pagamenti pregressi,<br />
il vantaggio infine conseguito risulta senza dubbio parziale rispetto<br />
al danno subito e pertanto inidoneo ad attribuire concreta<br />
incidenza alla clausola compensativa al fine della esclusione<br />
della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta<br />
per distrazione.<br />
La sentenza della Cassazione, che in via di principio pare<br />
estendere ai reati di bancarotta l’applicabilità della clausola<br />
dei vantaggi compensativi (positivizzata dall’art. 2634, comma<br />
3, c.c. limitatamente al reato di infedeltà patrimoniale) -<br />
salvo poi disconoscere la presenza dei presupposti operativi<br />
nel caso concreto -, ricostruisce in realtà il contenuto e la<br />
portata lato sensu ‘‘scriminante’’ di tale clausola in modo<br />
affatto diverso - e notevolmente più ristretto - da quanto<br />
previsto dalla previsione codicistica. Sulla base di tale disposizione<br />
normativa, infatti, l’effetto di non punibilità del<br />
fatto dovrebbe derivare anche dalla ‘‘fondata prevedibilità’’<br />
della compensazione attraverso i vantaggi derivanti dall’appartenenza<br />
o dal collegamento al gruppo. La valutazione<br />
svolta della pronuncia qui segnalata, invece, si fonda sulla<br />
verifica di esistenza di un vantaggio ‘‘effettivamente conseguito’’<br />
dalla società fallita, che sia in grado di compensare<br />
il danno derivante dal precedente ingiustificato pagamento<br />
a favore di altra società del gruppo. Nella prospettiva della<br />
Corte, pertanto, la clausola dei vantaggi compensativi applicabile<br />
alla fattispecie di bancarotta distrattiva infragruppo<br />
avrebbe carattere essenzialmente oggettivo, valutabile in<br />
termini di assenza di concreta lesività del fatto rispetto all’interesse<br />
patrimoniale dei creditori della società fallita. Ricostruita<br />
in questi termini, la portata dei vantaggi compensativi<br />
risulta assai ridimensionata, in quanto conduce a risultati<br />
che potrebbero essere già raggiunti, sul piano ermeneutico,<br />
valorizzando correttamente il canone dell’offensività<br />
in relazione alla definizione dei confini tipici della condotta<br />
di distrazione.<br />
Una maggiore apertura della Cassazione in relazione alla<br />
rilevanza anche prognostica dei vantaggi compensativi<br />
nei reati di bancarotta è riscontrabile in Cass., sez. V, 24<br />
maggio 2006, n. 36764, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007,<br />
421 ss., secondo cui: «In tema di bancarotta fraudolenta<br />
per distrazione, nel valutare come distrattiva un’operazione<br />
di diminuzione patrimoniale senza apparente corrispettivo<br />
per una delle società collegate occorre tenere<br />
conto del rapporto di gruppo, restando escluso il reato<br />
se, con valutazione ex ante, i benefici indiretti per la società<br />
fallita si dimostrino idonei a compensare efficacemente<br />
gli effetti immediatamente negativi, sì da rendere<br />
l’operazione incapace di incidere sulle ragioni dei creditori<br />
della società»; la stessa impostazione appare riscontrabile<br />
in Cass., sez. V, 16 aprile 2009, Bossio, in questa<br />
Rivista, 2009, 886 ss., secondo cui: «In tema di reati falli-<br />
mentari, integra la distrazione rilevante ai fini della bancarotta<br />
fraudolenta patrimoniale, il trasferimento di risorse<br />
infra-gruppo, ossia tra società appartenenti allo stesso<br />
gruppo imprenditoriale, effettuato, senza alcuna contropartita<br />
economica, da società che versi in gravi difficoltà<br />
finanziarie a vantaggio di società in difficoltà economiche,<br />
posto che, in tal caso, nessuna prognosi fausta<br />
dell’operazione può essere consentita». Sulla insufficienza<br />
del mero riferimento all’interesse del gruppo al quale<br />
la società appartiene, cfr., ex multis, Cass., sez. V, 13<br />
gennaio 2009, n. 1137, in CED, rv. 242546. Precedentemente,<br />
la Cassazione si era espressa nel senso della<br />
inapplicabilità della clausola dei vantaggi compensativi<br />
prevista dall’art. 2634 c.c. ai reati fallimentari, cfr. Cass.,<br />
sez. V, 24 settembre 2003, Longo, in Cass. pen., 2005,<br />
1359; Cass. pen., sez. V, 27 maggio 2003, Tavecchia, ivi,<br />
2004, 2142. La dottrina ampiamente prevalente riconosce<br />
l’applicabilità della clausola dei vantaggi compensativi<br />
espressamente prevista in relazione alla fattispecie di<br />
infedeltà patrimoniale anche ai reati fallimentari: cfr.<br />
Amati, Infedeltà patrimoniale, in A. Rossi (a cura di),<br />
Reati societari, Torino, 2004, 425; Bellacosa, Obblighi di<br />
fedeltà dell’amministratore di società e sanzioni penali,<br />
Milano - Roma, 2006, 152 ss.; Benussi, L’infedeltà patrimoniale<br />
nei gruppi di società, Milano, 2006; Benussi, La<br />
Cassazione ad una svolta: la clausola dei vantaggi compensativi<br />
è esportabile nella bancarotta per distrazione,<br />
in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 421 ss.; Cocco, Sub art.<br />
223 l.f., in Palazzo - Paliero (a cura di), Commentario breve<br />
alle leggi penali complementari, Padova, 2003, 1005;<br />
Foffani, Sub art. 2634 c.c., inCommentario breve, cit.,<br />
1882; Masucci, Vantaggi del gruppo e dell’impresa collegata<br />
nel governo penale degli abusi di gestione, inRiv.<br />
trim. dir. pen. econ., 2005, 914 ss.; Napoleoni, Geometrie<br />
parallele e bagliori corruschi del diritto penale dei gruppi<br />
(bancarotta infragruppo, infedeltà patrimoniale e vantaggi<br />
compensativi), inCass. pen., 2005, 3808 ss. Nel senso<br />
della inapplicabilità della clausola dei vantaggi compensativi<br />
ai reati fallimentari cfr. Giovanardi, Sull’impossibilità<br />
di estendere i vantaggi compensativi ai reati fallimentari,<br />
in Cass. pen., 2005, 1359 ss.; Tencati, Conflitti di<br />
interessi. Profili penali innovativi, inImpresa, 2004, 879<br />
ss.; Bersani, Operazioni infragruppo e vantaggi compensativi<br />
nel diritto penale societario e fallimentare, inIl Fisco,<br />
2004, 6630; nonché Caraccioli, Gruppi di società e<br />
valenza strategica dell’art. 2634, comma 3, del codice civile,<br />
inImpresa, 2003, 883 ss. Nel senso che i vantaggi<br />
compensativi escludano la rilevanza penale della distrazione<br />
infragruppo già sul piano della tipicità, in quanto<br />
in tal caso non si profilerebbe una reale condotta ‘‘distrattiva’’,<br />
cfr. G. Cocco, Sub art. 223 l.f., cit., 1006. Nel<br />
senso che la clausola dei vantaggi compensativi possa<br />
operare solo condizionatamente al fatto che la società<br />
capogruppo (o comunque quella beneficiata da quella<br />
immediatamente danneggiata) non versi a sua volta in<br />
stato di insolvenza e che quella apparentemente danneggiata<br />
versi in una crisi reversibile, cfr. Benussi, La Cassazione<br />
ad una svolta, cit., 421 ss.; Bellacosa, Obblighi di<br />
fedeltà dell’amministratore, cit., 161; Napoleoni, Geometrie<br />
parallele, cit., 3810.<br />
842 Le Società 7/2012
RESPONSABILITÀ DA REATO<br />
DELLE PERSONE GIURIDICHE<br />
FRODE IN EROGAZIONI PUBBLICHE ATTRAVERSO<br />
FALSE FATTURAZIONI E PROFITTO CONFISCABILE<br />
@ Cassazione penale, sez. III, 10 maggio 2012, n. 17451 -<br />
Pres. Petti - Rel. Marini<br />
Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche<br />
- Utilizzo di fatture false - Confisca del profitto - Determinazione<br />
del quantum confiscabile - Necessaria valutazione<br />
in concreto degli effetti della condotta illecita per<br />
la quantificazione dell’indebito arricchimento confiscabile<br />
(Cod. pen. artt. 483, 640 bis; D.Lgs. n. 74/2000 art. 2;<br />
D.Lgs. n. 231/2001, art. 19)<br />
Nel caso di truffa in erogazioni pubbliche, l’identificazione<br />
del profitto cui ancorare il giudizio circa l’entità del<br />
profitto e della confisca, diretta o per equivalente, muta<br />
a seconda che mediante la condotta fraudolenta sia stata<br />
prospettata all’ente erogante una realtà difforme dal<br />
vero che ha consentito li perfezionamento del contratto<br />
e le successive erogazioni, oppure sia stata prospettata<br />
una realtà che ha permesso alla società di ottenere in<br />
modo indebito erogazioni maggiori di quelle cui avrebbe<br />
avuto diritto (massima non ufficiale).<br />
La sentenza qui osservata è meritevole di attenzione perché<br />
dà corretta applicazione ai principi espressi delle Sezioni Unite<br />
del 2008 sulla determinazione del ‘‘profitto confiscabile’’,<br />
precisandone ulteriormente la portata in relazione ad una fattispecie<br />
di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni<br />
pubbliche. Si tratta di un profilo problematico che, sebbene<br />
non nuovo in quanto già puntualizzato da precedenti decisioni<br />
della Corte di cassazione in relazione a fattispecie analoghe,<br />
ancora non si è radicato - come dimostra le vicenda<br />
oggetto del giudizio - nella giurisprudenza di merito.<br />
La frode, nel caso de quo, era stata attuata attraverso la predisposizione,<br />
tra l’altro, di scritture ideologicamente false, in<br />
quanto relative a fatture su operazioni inesistenti, e di altre<br />
attestazioni infedeli relative alla qualità di mezzi di produzione<br />
strumentali all’attribuzione dei finanziamenti.<br />
In questo modo, gli imputati erano riusciti ad ottenere l’erogazione<br />
di contributi statali, da parte del Ministero delle attività<br />
produttive, per un ammontare complessivo di circa 291<br />
milioni di euro. Proprio tale somma era stata qualificata ‘‘profitto’’<br />
del reato e per tale importo era stata pertanto ordinata<br />
la confisca ‘‘per equivalente’’ all’esito della sentenza di condanna<br />
pronunciata dal Tribunale di Catanzaro e poi confermata<br />
dalla Corte d’Appello distrettuale.<br />
La Corte d’Appello, a fronte delle censure degli imputati che<br />
lamentavano l’erronea determinazione del profitto confiscabile,<br />
aveva giudicato la legittimità della confisca sulla base<br />
del diffuso orientamento giurisprudenziale, confermato anche<br />
dalle Sezioni Unite del 2008, che lega il concetto di profitto<br />
a quello di ‘‘beneficio aggiunto di tipo patrimoniale’’,<br />
identificandolo cioè con ‘‘tutti i vantaggi ricavati dalla commissione<br />
dei reati’’, senza che si possa distinguere il profitto<br />
lordo da quello netto (così che, nel caso di specie, il profitto<br />
sarebbe consistito nell’intero importo della somma erogata<br />
dall’ente pubblico).<br />
I ricorrenti hanno sottoposto a censura tale statuizione, so-<br />
Diritto commerciale e societario<br />
Giurisprudenza<br />
stenendo come il profitto confiscabile debba coincidere non<br />
con l’intero importo erogato alla società ma, sostanzialmente,<br />
«con la minor somma corrispondente alla maggiorazione<br />
dei costi documentati attraverso supporti ideologicamente<br />
falsi».<br />
La Cassazione, nel decidere sulla questione, inquadra immediatamente<br />
la fattispecie sub iudice nello schema argomentativo<br />
tracciato dalle Sezioni Unite nel 2008 (tale decisione -<br />
come noto - aveva impostato e risolto la questione facendo<br />
riferimento, al fine di individuare il criterio per la determinazione<br />
del profitto confiscabile, alla distinzione tra ‘‘reati contratto’’<br />
e ‘‘reati in contratto’’). In particolare, la Corte nota come,<br />
nel caso in esame, non si versi «nell’ipotesi di radicale<br />
simulazione di operazioni destinate ad ottenere finanziamenti<br />
integralmente non dovuti»; solo in relazione a tali casi la<br />
Cassazione fa coincidere il profitto per il privato con l’intera<br />
erogazione da parte dell’ente pubblico. La vicenda in esame<br />
è viceversa inquadrabile nella giurisprudenza relativa ad analoghe<br />
fattispecie in tema di frode in pubbliche erogazioni,<br />
che ha opportunamente precisato come il profitto confiscabile<br />
debba essere limitato al «finanziamento indebitamente<br />
ottenuto» oppure all’«illecito arricchimento effettivamente<br />
conseguito». È entro questi limiti che - secondo la Cassazione<br />
in commento - deve essere correttamente contestualizzata<br />
l’affermazione delle Sezioni Unite - richiamata dalla decisione<br />
impugnata - secondo cui «il profitto del reato, in definitiva,<br />
va inteso come il complesso dei vantaggi economici<br />
tratti dall’illecito e a questo strettamente pertinenti».<br />
La Corte infatti osserva come, nella vicenda oggetto del ricorso,<br />
il finanziamento pubblico fosse stato ottenuto attraverso<br />
la presentazione di dichiarazioni e documentazioni da<br />
considerare non tutte ed integralmente false o simulate (si<br />
trattava, in molti casi, operazioni reali ma sovrafatturate): in<br />
considerazione di ciò «non tutte le somme ricevute dalla società<br />
beneficiata possono considerarsi in quanto tali profitto<br />
dei reato, ma solo quelle che siano state indebitamente percepite<br />
e che costituiscano vantaggio tratto dall’illecito e a<br />
questo strettamente pertinente». Tale valutazione - prosegue<br />
la Corte - deve essere svolta in concreto, dovendosi verificare<br />
«in primo luogo se il progetto di finanziamento presentato<br />
dalla società non sarebbe stato approvato e non<br />
avrebbe avuto esecuzione in assenza delle caratteristiche<br />
falsamente prospettate e attestate; in tal caso, appare evidente,<br />
il profitto per il privato e il danno per l’ente erogante<br />
coinciderebbero con l’intero ammontare del finanziamento<br />
erogato, posto che in assenza delle attività di frode il rapporto<br />
contrattuale non si sarebbe perfezionato. A diversa conclusione<br />
deve giungersi ove si accerti che il progetto, per la<br />
parte di operazioni effettivamente poste in essere, risulta<br />
conforme al dettato della legge e ai criteri di approvazione<br />
dell’ente erogante; in tal caso la condotta illecita avrebbe dato<br />
causa a erogazioni indebite esclusivamente per la quota<br />
di operazioni o di costi supportati dalle fatture per operazioni<br />
inesistenti e dalle relazioni ideologicamente false presentate<br />
in corso di esecuzione del contratto al fine di ottenere l’erogazione<br />
dei fondi in parte non dovuti. Con la conseguenza<br />
che il profitto dei reato coinciderebbe con la sola parte dei<br />
fondi non dovuti, restando lecitamente percepiti da parte<br />
della società quelli corrispondenti alle prestazioni effettive<br />
che la società stessa ha retribuito ai fornitori». Opportunamente,<br />
pertanto, la Cassazione ha enunciato a chiare lettere<br />
il principio di diritto riportato supra (in massima) e, conseguentemente,<br />
ha annullato la decisione di merito che aveva<br />
interpretato il dato normativo nel senso di identificare il profitto<br />
confiscabile in misura corrispondente all’intero importo<br />
Le Società 7/2012 843
Diritto commerciale e societario<br />
Giurisprudenza<br />
erogato dall’ente pubblico, senza la previa, necessaria valutazione<br />
relativa alla determinazione del quantum corrispondente<br />
al profitto effettivamente ‘‘indebito’’.<br />
Il leading case in merito alla determinazione del profitto<br />
confiscabile è costituito da Cass., sez. un., 27 marzo<br />
2008, n. 26654, Fisia Italimpianti, in questa Rivista, 2009,<br />
350 ss., che (come accennato supra) ha valorizzato la distinzione<br />
tra ‘‘reato-contratto’’ - che risulta integralmente<br />
contaminato da illiceità, con l’effetto che il relativo profitto<br />
è conseguenza immediata e diretta della medesima<br />
ed è pertanto integralmente confiscabile - e ‘‘reato in<br />
contratto’’ - in cui è invece possibile enucleare aspetti leciti<br />
del rapporto contrattuale, valido inter partes ed eventualmente<br />
annullabile, con la conseguenza che il corrispondente<br />
profitto tratto dall’agente ben può essere non<br />
ricollegabile alla condotta sanzionata penalmente; su tale<br />
pronuncia si vedano le note di note di Lottini, Il calcolo<br />
del profitto del reato ex art. 19 D.Lgs. n. 231/2001, in questa<br />
Rivista, 2009, 351 ss.; Epidendio, La nozione di profitto<br />
oggetto di confisca a carico degli enti, in Dir. pen.<br />
proc., 2008, 1267 ss.; Rossetti, Commento, ivi, 1273 ss.;<br />
Pistorelli, Confisca del profitto del reato e responsabilità<br />
degli enti nell’interpretazione delle sezioni unite, in Cass.<br />
pen., 2008, 4544 ss.; Mongillo, La confisca del profitto<br />
nei confronti dell’ente in cerca di identità: luci ed ombre<br />
della recente pronuncia delle Sezioni unite, inRiv. it. dir.<br />
proc. pen., 1758, e di Lorenzetto, Sequestro preventivo<br />
contra societatem per un valore equivalente al profitto<br />
del reato, ivi, 1788. In senso conforme alla pronuncia annotata,<br />
cfr. Cass., sez. II, 12 maggio 2011, Meraglia, in<br />
CED, rv. 251178, secondo cui: «Nel caso in cui la truffa<br />
aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche<br />
riguardi l’erogazione di mutui agevolati, il profitto realizzato<br />
dall’agente (che consiste nella percezione della<br />
somma mutuata dall’istituto finanziario) coincide con il<br />
danno patrimoniale subito dall’ente erogante, ed è equivalente<br />
all’importo del finanziamento indebitamente ottenuto»<br />
(la Corte ha precisato che l’eventuale restituzione<br />
all’istituto mutuante delle somme indebitamente percepite<br />
costituisce attività idonea a ridurre il danno conseguente<br />
al reato); Cass., sez. VI, 23 novembre 2010, Marini,<br />
in CED, rv. 248956, che prevede l’obbligo di verificare<br />
e motivare in concreto il quantum del profitto confiscabile:<br />
«va invero osservato che, con il peculiare strumento<br />
cautelare del sequestro per equivalente, il legislatore ha<br />
esplicitamente previsto che esso colpisca soltanto beni<br />
per un valore ‘‘corrispondente’’ al profitto conseguito<br />
dall’imputato o dall’indagato, volendo, con tale espressione,<br />
escludere un sequestro indiscriminato dei beni<br />
dell’imputato di valore eccedente il profitto del reato,<br />
stabilendo così un rapporto di ‘‘congruità’’ tra il profitto<br />
conseguito ed il valore dei beni sottoposti a vincolo e suscettibili<br />
di confisca. Pertanto, la questione concernente<br />
il quantum di beni sottoponibili nel caso concreto a sequestro<br />
non poteva non essere affrontata dal Tribunale,<br />
soprattutto in presenza di una documentazione prodotta<br />
dalla difesa volta a dimostrare la non corrispondenza tra<br />
il valore dei beni sottoposti a vincolo cautelare e la entità<br />
del profitto del reato (...). Il Tribunale ha, invece, totalmente<br />
omesso ogni motivazione su questo punto specifico<br />
indicato dalla difesa. Di fronte alla documentazione<br />
prodotta dalle parti private e agli articolati rilievi difensi-<br />
vi, il giudice del riesame avrebbe dovuto procedere ad<br />
un’analisi della documentazione e delle argomentazioni<br />
della difesa per giungere ad una decisione che, invece,<br />
nella sostanza non vi è stata»; in termini particolarmente<br />
chiari, cfr. Cass., sez. II, 9 febbraio 2011, n. 11590, in<br />
CED, rv. 249883, secondo la quale: «Il sequestro preventivo<br />
finalizzato alla confisca, ex art. 322 ter c.p., del profitto<br />
del reato può essere disposto anche solo parzialmente<br />
nella forma per equivalente, qualora non tutti i beni costituenti<br />
l’utilità economica tratta dall’attività illecita risultino<br />
individuabili»; sul tema, interessante anche quanto<br />
affermato da Cass., sez. V, 9 ottobre 2009, n. 2101, Sortino,<br />
in CED, rv. 245727: «Il sequestro preventivo, funzionale<br />
alla confisca ‘‘per equivalente’’, disposto nei confronti<br />
della persona sottoposta ad indagini per il reato di<br />
truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche,<br />
non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente<br />
il profitto del reato, sicché si impone la valutazione<br />
relativa all’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità<br />
del profitto sì come in sede di confisca» (in applicazione<br />
del principio enunciato, la Suprema Corte ha annullato<br />
l’ordinanza impugnata con la quale il tribunale del riesame<br />
aveva affermato che la questione concernente il<br />
quantum dei beni sottoponibili a sequestro attiene alla<br />
fase esecutiva e non incide sulla legittimità del provvedimento).<br />
Nella dottrina, per un quadro aggiornato e complessivo,<br />
si veda A. Perini, La nozione di ‘‘profitto del<br />
reato’’ quale oggetto della confisca per equivalente, in<br />
Bargi - Cisterna (a cura di), La giustizia patrimoniale penale,<br />
II, Torino, 2011, 909 ss.; Epidendio, La confisca nel<br />
diritto penale e nel sistema delle responsabilità degli enti,<br />
Padova, 2011, spec. 104 ss.<br />
REATO DELLA PERSONA GIURIDICA<br />
ED ESTENSIONE DEL SEQUESTRO PREVENTIVO<br />
AI CONCORRENTI PERSONE FISICHE<br />
@ Cassazione penale, sez. II, 31 maggio 2012, n. 20976 -<br />
Pres. Esposito - Rel. D’Arrigo<br />
Sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente<br />
- Reato di corruzione commesso nell’interesse della<br />
persona giuridica - Estensione del sequestro anche nei<br />
confronti delle persone fisiche concorrenti nel reato -<br />
Esclusione della preventiva escussione della persona giuridica<br />
- Sequestro estensibile all’intera entità del profitto -<br />
Limite dell’ammontare complessivo del profitto illecito<br />
(Cod. pen. art. 322 ter; D.Lgs. n. 231/2001, artt. 19, 53)<br />
Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente<br />
sui beni della persona fisica non richiede, per la<br />
sua legittimità, la preventiva escussione del patrimonio<br />
della persona giuridica nell’interesse della quale il reato è<br />
stato commesso e può interessare indifferentemente ciascuno<br />
dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto<br />
accertato, anche se l’espropriazione non può essere duplicata<br />
o comunque eccedere nel quantum l’ammontare<br />
complessivo dello stesso (massima non ufficiale).<br />
La Corte di cassazione, con la sentenza qui esaminata, affronta<br />
uno dei numerosi aspetti problematici relativi alla concreta<br />
portata del sequestro e della confisca per equivalente<br />
844 Le Società 7/2012
(nel caso de quo si trattava di quella prevista dall’art. 322 ter<br />
c.p.), in particolare qualora riferiti a reati commessi ‘‘in concorso’’<br />
tra persone giuridiche e persone fisiche.<br />
I ricorrenti (persone fisiche) avevano eccepito l’illegittimità<br />
dell’estensione anche nei loro confronti del sequestro preventivo<br />
per equivalente adottato ex artt. 19 e 53, D.Lgs. n.<br />
231/2001 nei confronti della persona giuridica (nell’ambito<br />
della quale almeno uno dei ricorrenti rivestiva una posizione<br />
‘apicale’ essendone il legale rappresentante) imputata per la<br />
commissione di taluni fatti di corruzione. Secondo i rilievi difensivi,<br />
infatti, l’ambito applicativo del sequestro preventivo<br />
applicato nel caso di specie sarebbe coincidente con la sfera<br />
di applicabilità del D.Lgs. n. 231/2001 e quindi limitato agli<br />
enti collettivi tipizzati dall’art. 1 di tale decreto legislativo<br />
(con sicura esclusione, pertanto, dell’estensione nei confronti<br />
delle persone fisiche).<br />
La Corte di Cassazione, rigettando il ricorso, sottolinea come<br />
l’estensione del sequestro preventivo per equivalente nei<br />
confronti delle persone fisiche concorrenti nel reato della<br />
persona giuridica trovi diretto ed autonomo fondamento giuridico<br />
nel disposto dell’art. 322 ter c.p., secondo cui la confisca<br />
per equivalente (ed il sequestro a ciò preordinato) «deve<br />
essere disposta nei confronti del reo, quindi anche della persona<br />
fisica materialmente autrice del reato». D’altra parte, la<br />
disposizione normativa pone come unico limite alla confiscabilità<br />
dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato<br />
la loro ‘‘appartenenza’’ a ‘‘persona estranea al reato’’.<br />
Secondo la Cassazione, peraltro, l’estensione del sequestro<br />
preventivo per equivalente nei confronti delle persone fisiche<br />
concorrenti con la persona giuridica nella realizzazione<br />
dell’illecito penale non richiede neppure - in quanto nessuna<br />
norma lo impone - la preventiva escussione del patrimonio<br />
della società nell’interesse della quale è stato perpetrato il<br />
reato.<br />
Non solo: il sequestro preventivo, in caso di concorso di persone<br />
(fisiche e giuridiche) nel reato, può essere legittimamente<br />
disposto indifferentemente nei confronti di ciascuno dei<br />
concorrenti anche per l’intera entità del profitto (o del prezzo)<br />
accertato. Tale conclusione, secondo la Suprema Corte, sarebbe<br />
la coerente conseguenza del ‘‘principio solidaristico’’<br />
che informa la disciplina del concorso di persone nel reato e<br />
implica la piena solidarietà tra concorrenti sia in relazione al<br />
fatto di reato (‘‘l’imputazione dell’intera azione delittuosa’’) sia<br />
in relazione alle conseguenze punitive (‘‘solidarietà nella pena’’).<br />
Conseguentemente, alla luce del carattere ‘‘sanzionatorio’’<br />
della confisca per equivalente, «la stessa può interessare<br />
ciascuno dei concorrenti fino all’intera entità del prezzo o del<br />
profitto del reato. L’eventuale riparto fra i concorrenti costituisce<br />
fatto interno ai rapporti tra gli stessi».<br />
La Corte pone un limite solo al quantum di profitto (o di prezzo)<br />
confiscabile in capo al singolo concorrente nel reato:<br />
l’ammontare complessivo del sequestro preventivo funzionale<br />
alla confisca non può in nessun caso superare, anche<br />
qualora ‘‘frazionato’’ tra i diversi soggetti solidalmente responsabili,<br />
l’intera entità del profitto (o del prezzo) illecitamente<br />
ottenuto ed accertato.<br />
La conclusione della Cassazione, che corrisponde all’orientamento<br />
prevalente nella giurisprudenza (rispetto al quale si<br />
registrano, tuttavia, opinioni divergenti anche in sede di legittimità),<br />
coinvolge importanti e delicati profili di carattere generale<br />
e si espone ad osservazioni critiche meritevoli di un<br />
approfondimento che non può essere svolto in questa sede.<br />
In estrema sintesi: anche accedendo - come pare ragionevole<br />
- alla tesi che inquadra l’illecito dell’ente collettivo nel paradigma<br />
del ‘‘tipo concorsuale’’ (e quindi riconoscendo la<br />
Diritto commerciale e societario<br />
Giurisprudenza<br />
‘‘unicità’’ del fatto illecito alla cui realizzazione possono concorrere<br />
persone fisiche et etiam persone giuridiche), nonché<br />
riconoscendo - come imposto dalla giurisprudenza della Corte<br />
europea - natura ‘‘sanzionatoria’’ alla confisca per equivalente,<br />
non pare che l’affermazione della ‘‘solidarietà passiva’’<br />
in capo a ciascun concorrente nel reato (persona fisica o giuridica)<br />
costituisca un effetto necessariamente succedaneo.<br />
In primo luogo, proprio il principio di proporzionalità della pena<br />
dovrebbe suggerire di calibrare anche la sanzione/confisca<br />
in relazione al disvalore oggettivo e soggettivo del fatto,<br />
evitando trattamenti sanzionatori indiscriminatamente omologanti;<br />
in secondo luogo, il riconoscimento del carattere<br />
sanzionatorio della confisca per equivalente non cancella ipso<br />
iure il necessario collegamento funzionale di tale misura<br />
con il profitto o il prezzo del reato (anche se in via ‘‘surrogatoria’’<br />
rispetto alla loro materiale ablazione). In sostanza, anche<br />
nella quantificazione dell’entità della confisca/sanzione<br />
(e del correlativo sequestro preventivo) nei confronti del singolo<br />
concorrente nel reato, sarebbe doveroso tener conto<br />
del quantum illecitamente ottenuto (dal soggetto ‘‘sanzionato’’)<br />
al fine di commisurare il tantundem della pena.<br />
In conclusione, sembra che il ‘‘principio solidaristico’’, affermato<br />
dalla Cassazione in merito alla portata applicativa della<br />
confisca per equivalente, si ponga in forte attrito con i fondamentali<br />
principi di personalità e di proporzionalità dello ius<br />
punitivo e che, conseguentemente, sia auspicabile un ripensamento<br />
dell’orientamento giurisprudenziale ribadito dalla<br />
pronuncia qui segnalata. Appare infatti più conforme ai principi<br />
penalistici un distribuzione pro quota dell’entità della<br />
confisca (e del sequestro), da determinare sulla base del<br />
profitto effettivamente percepito da ciascun concorrente nel<br />
reato; un’estensione di tali provvedimenti ablativi ‘‘per equivalente’’<br />
a coloro che, pur concorrendo nel reato, non risultino<br />
aver beneficiato personalmente dai vantaggi patrimoniali<br />
illeciti, sarebbe giustificabile solo nella misura in cui sia effettivamente<br />
impossibile rintracciare i beni illeciti nella sfera patrimoniale<br />
del destinatario diretto del profitto o del prezzo<br />
del reato e possa concretamente essere presunto un loro<br />
trasferimento nella sfera patrimoniale degli altri correi.<br />
Nello stesso senso della sentenza qui annotata si sono<br />
pronunciate, sebbene incidentalmente, anche le Sezioni<br />
Unite: cfr. Cass., sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, Fisia<br />
Italimpianti, in questa Rivista, 2009, 350 ss.: «In tema di<br />
responsabilità da reato degli enti, nel caso di illecito plurisoggettivo<br />
deve applicarsi il principio solidaristico che<br />
implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente<br />
in capo a ciascun concorrente e pertanto, una<br />
volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la<br />
sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato<br />
possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti<br />
anche per l’intera entità del profitto accertato,<br />
ma l’espropriazione non può essere duplicata o comunque<br />
eccedere nel ‘‘quantum’’ l’ammontare complessivo<br />
dello stesso»; si veda inoltre, ex multis, Cass., sez. fer.,<br />
28 luglio 2009, n. 33409, in Cass. pen., 2010, 3104 ss.;<br />
Cass., sez. VI, 5 marzo 2009, n. 26611, in Cass. pen.,<br />
2010, 4274 ss.: «il sequestro preventivo funzionale alla<br />
confisca per equivalente del profitto del reato di corruzione<br />
può incidere contemporaneamente od indifferentemente<br />
sui beni dell’ente che dal medesimo reato ha tratto<br />
vantaggio e su quelli della persona fisica che lo ha<br />
commesso, con l’unico limite per cui il vincolo cautelare<br />
non può eccedere il valore complessivo del suddetto<br />
profitto»; in senso particolarmente ampio (in quanto ri-<br />
Le Società 7/2012 845
Diritto commerciale e societario<br />
Giurisprudenza<br />
tiene espressamente irrilevante, ai fini della determinazione<br />
del quantum sequestrabile, la circostanza che parte<br />
del profitto illecito sia stato incamerato da altri concorrenti),<br />
cfr. Cass., sez. II, 21 febbraio 2007, n. 9786, Alfieri,<br />
in CED, rv. 235842: «È legittimo il sequestro preventivo,<br />
funzionale alla confisca di cui all’art. 322 ter c.p., eseguito<br />
in danno di un concorrente del reato di cui all’art. 316<br />
bis c.p., per l’intero importo relativo al prezzo o profitto<br />
dello stesso reato, nonostante le somme illecite siano<br />
state incamerate in tutto o in parte da altri coindagati, in<br />
quanto, da un lato, il principio solidaristico, che informa<br />
la disciplina del concorso di persone nel reato, implica<br />
l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto<br />
conseguente in capo a ciascun concorrente e comporta<br />
solidarietà nella pena; dall’altro, la confisca per equivalente<br />
riveste preminente carattere sanzionatorio e può<br />
interessare ciascuno dei concorrenti anche per l’intera<br />
entità del prezzo o profitto accertato, salvo l’eventuale riparto<br />
tra i medesimi concorrenti che costituisce fatto interno<br />
a questi ultimi e che non ha alcun rilievo penale»;<br />
nei medesimi termini anche Cass., sez. VI, 28 gennaio<br />
2009, n. 5401, in CED, rv. 242777; si veda anche, Cass.,<br />
sez. I, 27 ottobre 2009, Banca credito cooperativo, in Dir.<br />
pen. proc., 2010, 34 ss.; Cass., sez. VI, 8 maggio 2009, n.<br />
19764, in Cass. pen., 2010, 1956 ss.; Cass., sez. II, 14 giugno<br />
2006, n. 31989, Troso, in questa Rivista, 2008, 241<br />
ss. In particolare, per l’esclusione della preventiva escussione<br />
della persona giuridica, Cass., sez. III, 27 gennaio<br />
2011, n. 7138, in CED, rv. 249398; Cass., sez. II, 14 marzo<br />
2007, n. 10838, in CED, rv. 235827. Nel senso invece di limitare<br />
- come riteniamo condivisibile (v. supra) - l’entità<br />
della confisca a quella porzione di profitto effettivamente<br />
conseguita dal soggetto colpito dalla misura sanzionatoria<br />
(argomentando proprio in ragione del carattere ‘‘punitivo’’<br />
della misura in esame), cfr. Cass., sez. VI, 20 febbraio<br />
2009, n. 10690, Giallongo, in CED, rv. 243189: «In<br />
caso di pluralità di indagati quali concorrenti in un medesimo<br />
reato compreso tra quelli per i quali è consentita<br />
la confisca «per equivalente» ai sensi dell’art. 322-terc.p.,<br />
tale misura non può eccedere, per ciascuno dei concorrenti,<br />
la quota di prezzo o profitto a lui attribuibile»; in<br />
termini simili, Cass., sez. VI, 9 luglio 2007, n. 35120, Linguiti,<br />
in CED, rv. 237290, secondo la quale, «nell’ipotesi<br />
di pluralità di indagati come concorrenti in un medesimo<br />
reato compreso tra quelli per i quali, ai sensi dell’art. 322<br />
ter c.p., può disporsi la confisca «per equivalente» di beni<br />
per un importo corrispondente al prezzo o al profitto<br />
del reato, il sequestro preventivo funzionale alla futura<br />
adozione di detta misura non può eccedere, per ciascuno<br />
dei concorrenti, la misura della quota di prezzo o profitto<br />
a lui attribuibile, salvo che, in ragione dei rapporti<br />
personali o economici esistenti tra i concorrenti o della<br />
natura della fattispecie concreta, la quota di prezzo o<br />
profitto imputabile a ciascun concorrente non sia immediatamente<br />
individuata o individuabile, ma sia destinata<br />
a essere accertata solo in fase di giudizio, nel qual caso<br />
il sequestro stesso può essere disposto per l’intero importo<br />
nei confronti di ciascuno dei concorrenti»; negli<br />
stessi termini, cfr. Cass., sez. VI, 5 maggio 2007, n.<br />
31690, in CED, rv. 236900. Si vedano anche le puntualizzazioni<br />
espresse da Cass., sez. V, 14 dicembre 2011, n.<br />
46500, in CED, rv. 251205, secondo la quale «Il sequestro<br />
preventivo, funzionale alla confisca per equivalente del<br />
prezzo o del profitto del reato, è legittimamente adottato<br />
sole se, per una qualsivoglia ragione, i proventi dell’attività<br />
illecita, di cui pure sia certa l’esistenza, non siano<br />
rinvenuti nella sfera giuridico-patrimoniale dell’indagato».<br />
In dottrina, commentando con accenti prevalentemente<br />
critici le decisioni della Cassazione in linea con<br />
l’orientamento della sentenza qui annotata, Giovanniello,<br />
Confisca (e sequestro) per equivalente: recenti sviluppi<br />
giurisprudenziali e problematiche applicative, in Giur.<br />
mer., 2011, 10, 2505 ss.; Lorenzetto, Il sequestro preventivo<br />
funzionale alla confisca di valore nei rapporti tra persona<br />
fisica ed ente, inCass. pen., 2010, 4274 ss.; Assumma<br />
P., L’oggetto del sequestro preventivo funzionale alla<br />
confisca del profitto della corruzione, ivi, 2010, 1956 ss.;<br />
Montani, Sequestro preventivo preordinato alla confisca<br />
per equivalente: un caso controverso, in questa Rivista,<br />
2008, 242 ss.; Bonzano, Sull’inapplicabilità del sequestro<br />
preventivo al profitto che l’ente ha tratto dal reato, in<br />
Cass. pen., 2007, 2884 ss.; Fontana, Non vi è rapporto di<br />
sussidiarietà tra sequestro nei confronti di amministratori<br />
e di società, inRiv. giur. trib., 2007; Balducci, Concorso<br />
di persone nel reato e confisca per equivalente, inCass.<br />
pen., 2010, 3104 ss.; Romanelli, Confisca per equivalente<br />
e concorso di persone nel reato, inDir. pen. proc., 2008,<br />
865 ss.; per ulteriori riferimenti giurisprudenziali si veda<br />
Gualtieri, Le singole ipotesi di confisca (tra tradizione e<br />
diritto penale moderno), in Bargi - Cisterna (a cura di),<br />
La giustizia patrimoniale penale, II, Torino, 2011, 624 ss.<br />
846 Le Società 7/2012
Osservatorio Consob<br />
a cura di Federico Venturini<br />
INFORMAZIONE SOCIETARIA<br />
SANZIONI AMMINISTRATIVE PER OMISSIONE<br />
DI INFORMAZIONI RILEVANTI IN COMUNICATI AL MERCATO<br />
Delibera 1 febbraio 2012, n. 18096<br />
@ In Bollettino Consob 5.1/2012<br />
Emittenti - Informazione societaria - Comunicazioni al<br />
pubblico<br />
(D.Lgs. n. 58/1998, artt. 114, 193; Reg. Consob n. 11971/<br />
1999, art. 66)<br />
È privo degli elementi necessari a consentire un’informazione<br />
completa e corretta un comunicato stampa,<br />
pubblicato in presenza di indiscrezioni di stampa e su<br />
specifica richiesta della Consob, che si limita a negare<br />
l’esistenza di offerte vincolanti per l’ingresso nel capitale<br />
di una società quotata, senza dare conto del conferimento<br />
di un mandato a un advisor finanziario per la ricerca<br />
di possibili investitori e dell’esistenza di trattative<br />
con fondi comuni che hanno presentato manifestazioni<br />
di interesse non vincolanti per l’acquisto di una partecipazione<br />
nel capitale della società.<br />
Il 28 luglio 2010 un quotidiano riportava indiscrezioni sull’interesse<br />
di due investitori per l’ingresso nel capitale di una<br />
società quotata e a seguito di tali indiscrezioni le azioni della<br />
quotata registravano un aumento del 6,81% (mentre l’indice<br />
FTSE MIB registrava contemporaneamente un calo dello<br />
0,36%). Lo stesso giorno la Consob richiedeva alla quotata<br />
di diffondere un comunicato stampa contenente un commento<br />
alle indiscrezioni. Il 29 luglio 2010 la quotata e la sua<br />
controllante pubblicavano un comunicato nel quale, tra l’altro,<br />
rendevano noto «di non aver ancora ricevuto alcuna offerta<br />
vincolante relativo all’acquisto di una partecipazione di<br />
controllo». Il 27 agosto 2010 la Consob formulava alla quotata<br />
e alla sua controllante una richiesta di informazioni ai sensi<br />
dell’art. 115, comma 1, lett. a, TUF, in relazione tra l’altro<br />
all’esistenza di «contatti e/o incontri, anche informali, verificatisi<br />
negli ultimi 6 mesi» con investitori al fine dell’eventuale<br />
acquisto da parte loro di una partecipazione di controllo<br />
nella quotata. Le società rispondevano alla richiesta di informazioni<br />
e, in data 3 settembre 2010, pubblicavano un nuovo<br />
comunicato stampa «su specifica richiesta delle Autorità di<br />
Mercato» nel quale davano atto di aver ricevuto alcune manifestazioni<br />
di interesse non vincolanti, tra cui quelle di due<br />
investitori istituzionali, e del fatto che le relative due diligence<br />
erano ancora in corso.<br />
Sulla base delle informazioni ricevute dalle società a seguito<br />
della richiesta di informazioni, la Consob apprendeva che la<br />
quotata e la sua controllante già nel maggio 2010 avevano<br />
conferito a un advisor finanziario un mandato volto alla ricerca<br />
di possibili investitori istituzionali; che successivamente<br />
alcuni potenziali investitori erano stati coinvolti in una ‘‘procedura<br />
competitiva’’, all’esito della quale, nel giugno/luglio<br />
Diritto dei mercati finanziari<br />
Documentazione<br />
2010, due di essi avevano formulato successive manifestazioni<br />
di interesse non vincolanti.<br />
La Consob contestava quindi alla quotata e alla sua controllante<br />
l’incompletezza del comunicato del 29 luglio 2010, poiché<br />
esso si limitava a negare l’esistenza di offerte vincolanti,<br />
ma non forniva alcun ulteriore elemento informativo sulle<br />
trattative in corso, sulle quali l’Autorità aveva chiesto uno<br />
specifico commento a seguito delle indiscrezioni pubblicate<br />
sulla stampa (stante l’avvenuta ‘‘rottura della confidenzialità<br />
dell’informazione’’). La Consob riteneva che, al contrario, il<br />
comunicato avrebbe dovuto menzionare l’avvenuto conferimento<br />
del mandato all’advisor e l’esistenza di offerte (ancorché<br />
non vincolanti) da parte di due importanti fondi di private<br />
equity.<br />
Le società si difendevano argomentando, tra l’altro, che «l’esistenza<br />
di un mandato volto alla ricerca di potenziali acquirenti<br />
avrebbe rappresentato un fatto pregresso e, quindi, distinto<br />
rispetto all’esistenza di trattative con i fondi» e che tale<br />
informazione «non sarebbe comunque stata rilevante per<br />
consentire al mercato di capire le vicende» in corso.<br />
La Consob non ha condiviso tali osservazioni, ritenendo che<br />
il comunicato del 29 luglio 2010 fosse incompleto e non<br />
consentisse di cogliere il reale stato delle trattative in corso.<br />
La Consob ha quindi irrogato una sanzione amministrativa ai<br />
sensi dell’art. 193 TUF, per la violazione dell’art. 114 TUF.<br />
SANZIONI AMMINISTRATIVE PER PUBBLICAZIONE<br />
DI COMUNICATI INCOMPLETI<br />
Delibera 26 gennaio 2012, n. 18090<br />
@ In Bollettino Consob 5.1/2012<br />
Emittenti - Informazione societaria - Comunicazioni al<br />
pubblico<br />
(D.Lgs. n. 58/1998, artt. 114, 193; Reg. Consob n. 11971/<br />
1999, art. 66)<br />
È incompleto e viola l’art. 114 TUF un comunicato che si<br />
limita a riportare la notizia dell’ingresso di un soggetto<br />
nel capitale di una società quotata, senza precisare che<br />
la stessa partecipazione acquistata è oggetto di un’opzione<br />
di vendita a terzi a favore di tale soggetto.<br />
Procedure concorsuali - Concordato preventivo<br />
(R.D. n. 267/1942, artt. 160, 167)<br />
Poiché la procedura di concordato preventivo non fa venir<br />
meno la continuità aziendale, il radicale mutamento<br />
della compagine societaria e della struttura di governance<br />
successivi all’omologazione del concordato non hanno<br />
alcun riflesso sul piano della responsabilità per gli illeciti<br />
eventualmente commessi nell’ambito della precedente<br />
gestione.<br />
Procedure concorsuali - Concordato preventivo - Esdebitazione<br />
Le Società 7/2012 847
Diritto dei mercati finanziari<br />
Documentazione<br />
(R.D. n. 267/1942, art. 184)<br />
Qualora, al momento dell’omologazione del concordato<br />
preventivo, un procedimento sanzionatorio per violazione<br />
di norme in materia di informazione societaria non<br />
sia ancora concluso, il relativo credito non può dirsi determinato<br />
né esigibile, con la conseguenza che, ai fini<br />
dell’art. 184 l.fall., la sanzione irrogata all’esito del procedimento<br />
non può annoverarsi tra i crediti pregressi<br />
oggetto della procedura, ma è normalmente esigibile<br />
come credito sopravvenuto ed autonomo.<br />
Il 27 febbraio 2009 una società quotata pubblicava un comunicato<br />
relativo all’acquisto da parte di una s.p.a. di una partecipazione<br />
pari al’8,058% del suo capitale sociale. Il comunicato,<br />
peraltro, non precisava che sulla stessa partecipazione<br />
era stato stipulato un contratto di opzione di vendita tra la<br />
s.p.a. e un’altra società, che consentiva alla s.p.a. di vendere<br />
la partecipazione. La circostanza non poteva essere ignota<br />
alla quotata, poiché alcuni amministratori della stessa erano<br />
amministratori anche delle società che avevano stipulato<br />
l’opzione di vendita. La Consob contestava alla quotata l’incompletezza<br />
del comunicato stampa, che si riferiva all’ingresso<br />
nel capitale «di un importante partner strategico»<br />
senza riportare la notizia dell’opzione di vendita sulla partecipazione.<br />
La società si difendeva nel procedimento sanzionatorio premettendo<br />
di essere stata ammessa alla procedura di concordato<br />
preventivo ‘‘in continuità’’; che la proposta concordataria<br />
era stata omologata; che era stata sottoscritta la prima<br />
tranche di un aumento di capitale, in misura sufficiente a riportare<br />
il capitale sopra il minimo legale, con conseguente<br />
revoca dello stato di liquidazione precedentemente deliberato.<br />
Quanto alla contestazione, la società deduceva che la società<br />
che «emerge dalla omologazione della proposta di concordato<br />
preventivo è, nella sostanza, un soggetto ‘‘diverso<br />
da quello nei confronti del quale è stata indirizzata la contestazione<br />
... essendo mutata la compagine societaria e, con<br />
essa, l’intera struttura di corporate governance’’. Inoltre, la<br />
società sosteneva che «il risultato esdebitativo prodotto dalla<br />
omologazione concordataria esplica pieno effetto con riguardo<br />
a tutti i rapporti obbligatori che trovino titolo in fatti<br />
anteriori alla domanda di concordato».<br />
La Consob, oltre a ribadire la fondatezza della contestazione<br />
circa il carattere incompleto del comunicato stampa, ha rigettato<br />
entrambi gli argomenti collegati agli effetti della procedura<br />
concordataria. Riguardo alla ‘‘nascita’’ di un nuovo<br />
soggetto giuridico, l’Autorità ha sottolineato (anche argomentando<br />
ex artt. 160 e 167 l.fall.) che il concordato preventivo<br />
‘‘in continuità’’ (nella fattispecie: concordato preventivo<br />
di risanamento ‘‘puramente dilatorio’’), per quanto con mutamenti<br />
nella compagine societaria e nella governance, non<br />
comporta il venir meno della responsabilità per gli illeciti<br />
commessi dalla precedente gestione. Riguardo all’effetto<br />
esdebitativo, la Consob ha rilevato che l’art. 184 l.fall. prevede<br />
la falcidia concordataria per i creditori anteriori al decreto<br />
di apertura della procedura di concordato; tuttavia, nella fattispecie,<br />
il credito risarcitorio per la violazione dell’art. 114<br />
TUF (ancorché la violazione fosse avvenuta in epoca anteriore<br />
al decreto di apertura della procedura) non poteva dirsi né<br />
determinato né liquido, poiché alla data dell’omologazione il<br />
procedimento sanzionatorio era ancora in corso. Pertanto, la<br />
sanzione applicata all’esito del procedimento «non può essere<br />
annoverata tra i crediti pregressi» oggetto della falcidia<br />
concordataria, ma «è normalmente esigibile come credito<br />
sopravvenuto ed autonomo rispetto alla temuta insolvenza<br />
negoziata in sede di concordato» (il punto non sembra peraltro<br />
pacifico: v. ad esempio, in tema di crediti tributari, Cass.,<br />
sez, un., 6 settembre 1990, n. 9201).<br />
Sulla base di tali argomenti, la Consob ha applicato alla società<br />
una sanzione amministrativa ai sensi dell’art. 193 TUF,<br />
per la violazione dell’art. 114 TUF.<br />
OFFERTE PUBBLICHE DI ACQUISTO E SCAMBIO<br />
ESENZIONI ‘‘DA SALVATAGGIO’’<br />
Comunicazione 24 maggio 2012, n. 12044042<br />
@ In Bollettino Consob 5.2/2012<br />
Offerte pubbliche di acquisto e scambio - Offerta pubblica<br />
di acquisto obbligatoria - Esenzioni<br />
(D.Lgs. n. 58/1998, art. 106; Reg. Consob n. 11971/1999,<br />
art. 49<br />
In relazione alla sottoscrizione di un aumento di capitale<br />
riservato di una società quotata con superamento<br />
della soglia rilevante ai fini dell’Opa obbligatoria<br />
da parte del sottoscrittore, la Consob ha ritenuto applicabile<br />
l’esenzione di cui al combinato disposto dell’art.<br />
106, comma 5. lett. a), TUF e dall’art. 49, comma<br />
1, lett. b), n. 2 del Regolamento Emittenti, a condizione<br />
che vengano revocati i benefici concessi dal sottoscrittore<br />
a favore di azionisti della società con impegni<br />
finalizzati a tenere indenni gli stessi dai rischi di<br />
responsabilità sociale assunti in conseguenza delle<br />
cariche ricoperte nel gruppo; inoltre, la Consob si è riservata<br />
di ritenere non applicabile l’esenzione qualora<br />
gli attuali azionisti di riferimento della quotata<br />
esercitino il diritto di recesso in dipendenza di una<br />
successiva fusione.<br />
Offerte pubbliche di acquisto e scambio - Offerta pubblica<br />
di acquisto obbligatoria - Esenzioni<br />
(D.Lgs. n. 58/1998, art. 106; Reg. Consob n. 11971/1999,<br />
art. 49<br />
In relazione all’acquisto del controllo indiretto di una società<br />
quotata conseguente alla sottoscrizione dell’aumento<br />
di capitale deliberato dalla sua controllante riservato<br />
ad altra società, la Consob ha confermato la sussistenza<br />
dei presupposti per l’esenzione di cui al combinato<br />
disposto dell’art. 106, comma 5, lett. a), TUF e dall’art.<br />
49, comma 1, lett. b), n. 1, (iii), del Regolamento<br />
Emittenti.<br />
Offerte pubbliche di acquisto e scambio - Offerta pubblica<br />
di acquisto obbligatoria - Esenzioni<br />
(D.Lgs. n. 58/1998, art. 106; Reg. Consob n. 11971/1999,<br />
art. 49<br />
In relazione ad una fusione progettata come un ‘‘intervento<br />
di rafforzamento patrimoniale’’ la Consob ha confermato<br />
la sussistenza dei presupposti per l’esenzione<br />
di cui al combinato disposto dell’art. 106, comma 5, lett.<br />
a), TUF e dall’art. 49, comma 1, lett. b), n. 1, (iii), del Re-<br />
848 Le Società 7/2012
golamento Emittenti, a condizione che l’ISVAP, in sede<br />
di autorizzazione della fusione, la ritenga parte integrante<br />
del soddisfacimento delle richieste da essa formulate.<br />
La Consob ha risposto a un quesito relativo alla conferma<br />
della sussistenza di ipotesi di esenzione dall’Opa obbligatoria,<br />
nell’ambito di una complessa operazione di integrazione<br />
di due noti gruppi assicurativi composti, tra l’altro, da società<br />
quotate.<br />
In sintesi, l’operazione vedeva coinvolte le capogruppo Alfa<br />
s.p.a. (che controlla Gamma s.p.a.) e Beta s.p.a. (holding di<br />
partecipazioni che controlla Delta s.p.a. con una partecipazione<br />
diretta pari a circa il 35% del capitale e, tramite Delta,<br />
controlla indirettamente Epsilon S.p.A., con una partecipazione<br />
pari a circa il 63% del capitale). L’operazione prevedeva<br />
la stipulazione di un ‘‘Accordo di Investimento’’ tra Alfa e<br />
Beta, articolato nelle seguenti fasi:<br />
1) aumento di capitale di Alfa funzionale alla sottoscrizione<br />
di un aumento di capitale di Beta riservato ad Alfa, nonché<br />
ad aumentare la dotazione patrimoniale della controllata<br />
Gamma al fine del rispetto della disciplina di settore in tema<br />
di margini di solvibilità, nell’ambito della successiva fusione<br />
(v. infra);<br />
2) predisposizione da parte di Beta di un piano di risanamento<br />
‘‘attestato’’ ai sensi dell’art. 67 l.fall. e attuazione (contestualmente<br />
alla fusione di cui infra) dell’aumento di capitale<br />
riservato ad Alfa;<br />
3) aumento di capitale di Delta;<br />
4) fusione per incorporazione in Delta di Beta, Epsilon e<br />
Gamma.<br />
Completano la descrizione dell’operazione:<br />
(a) la richiesta dell’ISVAP a Beta, il 10 gennaio 2012, di «un<br />
programma di intervento volto ad assicurare un’adeguata ricapitalizzazione<br />
[di Delta] al fine di garantire la solvibilità, anche<br />
futura di [Delta] e delle sue controllate» e a Delta di «un<br />
piano di intervento ... [con] le iniziative che l’impresa si impegna<br />
a realizzare per ripristinare la situazione di solvibilità corretta<br />
e per garantire la solvibilità futura»;<br />
(b) la stipulazione di due side letter tra Alfa e Beta contenenti<br />
rispettivamente: quanto alla prima, impegni di Alfa aventi<br />
ad oggetto la rinuncia a deliberare l’azione di responsabilità<br />
ex art. 2393 c.c. a favore di tutti gli amministratori e sindaci<br />
in carica nel periodo 2007-2011 in Beta, Delta ed Epsilon e<br />
nelle controllate, e una manleva a favore degli stessi amministratori<br />
nel caso in cui tali azioni fossero state invece deliberate;<br />
quanto alla seconda, un impegno di indennizzo a favore<br />
di tutti gli amministratori di Beta per la cessazione anticipata<br />
dalla carica;<br />
(c) la subordinazione dell’efficacia dell’Accordo di Investimento<br />
a varie condizioni sospensive, tra cui la conferma da<br />
parte della Consob che l’operazione non comporta obblighi<br />
di Opa in capo ad Alfa sulle azioni Beta, Delta ed Epsilon.<br />
L’attuazione del programma di cui sopra potrebbe dare luogo,<br />
infatti, a diverse situazioni suscettibili di assumere rilievo<br />
ai fini di un’eventuale Opa obbligatoria. In particolare, a seguito<br />
della sottoscrizione dell’aumento di capitale riservato<br />
di Beta, Alfa acquisterebbe:<br />
(i) una partecipazione superiore al 50% del capitale con diritto<br />
di voto di Beta;<br />
(ii), una partecipazione indiretta superiore al 30% del capitale<br />
con diritto di voto in Delta;<br />
(iii) una partecipazione indiretta superiore al 60% del capitale<br />
con diritto di voto in Epsilon.<br />
Inoltre, a seguito della fusione, Alfa assumerebbe una partecipazione<br />
superiore al 50% nella società risultante dalla fu-<br />
Diritto dei mercati finanziari<br />
Documentazione<br />
sione (Delta), rilevante secondo le norme sull’Opa incrementale<br />
(v. art. 106, comma 3, lett. b, TUF).<br />
Nel quesito, Alfa elencava i singoli argomenti ritenuti rilevanti<br />
al fine di escludere la sussistenza di obblighi di Opa relativamente<br />
agli incrementi nelle partecipazioni di cui sopra,<br />
sottolineando tra l’altro che l’intera operazione presentava<br />
caratteri di unitarietà.<br />
La Consob ha risposto in modo articolato, esaminando separatamente<br />
le situazioni sub (i) - (iii), nonché la situazione derivante<br />
dalla fusione.<br />
La parte probabilmente più interessante della risposta al<br />
quesito è quella relativa all’acquisto da parte di Alfa della partecipazione<br />
in Beta, a seguito della sottoscrizione dell’aumento<br />
di capitale riservato di quest’ultima (punto ‘‘i’’ sopra).<br />
La Consob ha, da un lato, ritenuto sussistenti tutti gli elementi<br />
per la sussistenza dell’esenzione ‘‘da salvataggio’’ ai<br />
sensi dell’art. 49, comma 1, lett. b, n. 2, Reg. emittenti (acquisto<br />
della partecipazione esclusivamente mediante sottoscrizione<br />
di un aumento di capitale riservato; assenza di acquisti<br />
nei dodici mesi precedenti; predisposizione di un piano<br />
attestato ex art. 67 l.fall.). Dall’altro lato, tuttavia, ha valutato<br />
negativamente gli impegni di Alfa aventi ad oggetto la rinuncia<br />
all’azione di responsabilità e la manleva a favore di amministratori<br />
e sindaci contenuti nella prima side letter. La Consob<br />
ha operato un’interpretazione estensiva del requisito<br />
dell’assenza di acquisti nei dodici mesi precedenti, da parte<br />
del sottoscrittore dell’aumento di capitale, di azioni della società<br />
che ha deliberato l’aumento di capitale. Secondo tale<br />
interpretazione, affinché l’esenzione operi non devono rinvenirsi<br />
«benefici di natura economica concessi dal nuovo soggetto<br />
controllante ai vecchi azionisti di controllo, ulteriori rispetto<br />
a quelli derivanti dal semplice salvataggio della società<br />
in crisi a seguito dell’aumento di capitale». L’Autorità di<br />
Vigilanza ha affermato che, mediante gli impegni di rinuncia/<br />
manleva, Alfa attribuirebbe «un beneficio economico a favore<br />
degli azionisti di controllo uscenti» il cui costo «è sostenuto<br />
non solo dal nuovo azionista di controllo, ma anche potenzialmente<br />
dagli altri azionisti di [Beta], in termini di rinuncia ai<br />
possibili proventi derivanti dal risarcimento di eventuali danni».<br />
La Consob ha altresì svolto considerazioni sull’eventuale<br />
diritto di recesso a favore dei precedenti azionisti di controllo<br />
di Beta conseguenti alla modificazione del suo oggetto sociale,<br />
in virtù del passaggio di Beta da holding di partecipazioni<br />
all’esercizio diretto di attività assicurativa (tema comunque<br />
controverso in dottrina). L’art. 2437 c.c. prevede che il<br />
diritto di recesso spetta agli azionisti ‘‘che non hanno concorso’’<br />
alla deliberazione che lo legittima e - nonostante i<br />
precedenti azionisti di Beta abbiano contribuito ‘‘in modo determinante’’<br />
all’operazione - secondo la Consob non può<br />
escludersi che i nuovi azionisti riconoscano la sussistenza<br />
del diritto di recesso ai precedenti. L’esercizio del diritto di<br />
recesso da parte dei precedenti azionisti, così, costituirebbe<br />
un’ulteriore ragione ostativa all’operatività dell’esenzione da<br />
salvataggio, sia perché darebbe a tali azionisti «un vantaggio<br />
economico incompatibile con il disegno complessivo di ripatrimonializzazione,<br />
sia perché potrebbe essere considerato<br />
un ’acquisto pattuito nei dodici mesi precedenti».<br />
In conclusione, la Consob ha confermato la sussistenza dei<br />
presupposti per l’esenzione da salvataggio:<br />
(a) subordinatamente alla revoca/esclusione degli obblighi di<br />
rinuncia e manleva assunti da Alfa con la prima side letter;<br />
(b) se i precedenti azionisti di Beta non eserciteranno il diritto<br />
di recesso, con acquisto dei loro titoli da parte di Alfa, per<br />
l’esistenza in tal caso di «significativi indizi di intese in con-<br />
Le Società 7/2012 849
Diritto dei mercati finanziari<br />
Documentazione<br />
trasto con la finalità di salvataggio e il principio di parità di<br />
trattamento» dei soci di Beta.<br />
Riguardo all’acquisto indiretto da parte di Alfa di una partecipazione<br />
superiore al 30% nel capitale votante di Delta (punto<br />
‘‘ii’’ sopra), la Consob ha anzitutto sottolineato che tale acquisto<br />
assumerebbe rilievo ai fini dell’Opa ‘‘a cascata’’ (v.<br />
art. 106, comma 3, lett. a, TUF e art. 45 Reg. emittenti). In<br />
questo caso, la Consob ha ritenuto sussistenti tutti gli elementi<br />
previsti dall’art. 49, comma 1, lett. b, n. 1 (iii) per l’esenzione<br />
da salvataggio: un intervento di ricapitalizzazione<br />
patrimoniale (nella specie l’aumento di capitale di Delta, sottoscritto<br />
da Beta grazie al proprio aumento di capitale a sua<br />
volta sottoscritto da Alfa) e una situazione di crisi attestata<br />
da richieste formulata da un’autorità di vigilanza prudenziale<br />
(nella specie, la richiesta ISVAP del 10 gennaio 2012 rivolta<br />
sia alla capogruppo Beta, sia direttamente a Delta).<br />
Riguardo all’acquisto indiretto da parte di Alfa di una partecipazione<br />
superiore al 60% nel capitale votante di Epsilon<br />
(punto ‘‘iii’’ sopra), la Consob ha ricordato che, per valutare<br />
un eventuale obbligo di Opa ‘‘a cascata’’ occorre tenere conto<br />
delle ‘‘condizioni di prevalenza’’ di natura ‘‘oggettiva’’ e<br />
‘‘valutativa’’ poste dall’art. 45 Reg. emittenti. La Consob ha<br />
escluso che ricorrano le condizioni di prevalenza oggettive,<br />
esaminando la valorizzazione della partecipazione in Epsilon<br />
nel bilancio di Delta al 31 dicembre 2011. Tuttavia, l’Autorità<br />
non ha ritenuto di potersi pronunciare, allo stato, sulle condizioni<br />
‘‘valutative’’, poiché l’Accordo di Investimento non conteneva<br />
‘‘esplicite valorizzazioni’’ delle azioni Epsilon, rinviando<br />
quindi una valutazione ‘‘fino a quando il quadro informativo<br />
non sarà completato dalle decisioni di natura valutativa<br />
che le società interessate dovranno assumere in vista della<br />
progettata fusione’’.<br />
Infine, riguardo all’acquisto da parte di Alfa di una partecipazione<br />
superiore al 50% nella società (Delta) risultante dalla<br />
fusione (di cui Alfa avrebbe acquistato nella prima fase una<br />
partecipazione superiore al 30%: v. sopra), la Consob ha anzitutto<br />
sottolineato che tale acquisto sarebbe in astratto rilevante<br />
secondo le norme che regolano gli acquisti incrementali<br />
(v. art. 106, comma 3, lett. b, TUF e art. 46 Reg. emittenti,<br />
che fissano il limite del 5% annuo del capitale, per coloro<br />
che - pur detenendo più del 30% del capitale votante dell’emittente<br />
- non detengono la maggioranza dei diritti di voto).<br />
La Consob si è chiesta se la fusione (valutata congiuntamente<br />
con i precedenti aumenti di capitale) possa costituire un<br />
intervento di ‘‘rafforzamento patrimoniale’’ ai fini dell’esenzione<br />
da salvataggio prevista dall’art. 49, comma 1, lett. b, n.<br />
1 (iii), Reg. emittenti e già ricordata sopra. La risposta è stata<br />
positiva, non tanto per l’astratta idoneità della fusione a costituire<br />
intervento di rafforzamento patrimoniale (comunque<br />
ammessa), quanto in base al rilievo che in concreto la fusione<br />
per incorporazione in Delta di Beta, Gamma ed Epsilon<br />
costituisce «parte del rafforzamento patrimoniale rispondente<br />
alla richiesta dell’[ISVAP]». In questo quadro, ha assunto<br />
rilievo la qualificazione dell’operazione di rafforzamento patrimoniale<br />
- aumento di capitale e successiva fusione - come<br />
intrinsecamente unitaria, sulla base dell’esame di vari aspetti,<br />
desumibili tra l’altro «dalle clausole dell’accordo, dalle linee<br />
guida del piano strategico-industriale esaminato dall’I-<br />
SVAP nonché dalle prime valutazioni da quest’ultimo espresse»<br />
(comunque a condizione che l’ISVAP, in sede di autorizzazione<br />
della fusione, la ritenga parte integrante del soddisfacimento<br />
delle richieste da essa formulate). La Consob ha<br />
peraltro riservato la propria valutazione definitiva sulla sussistenza<br />
dei presupposti per l’esenzione all’esito dell’esame<br />
dei rapporti di concambio relativi all’incorporazione di Beta in<br />
Delta, poiché l’incorporazione di Beta «apporterebbe un contributo<br />
negativo ai margini di solvibilità» di Delta (a differenza<br />
dell’incorporazione di Gamma ed Epsilon in Delta, che avrebbero<br />
effetti positivi). In sintesi, quindi, l’esenzione sarà sussistente<br />
qualora l’incremento della partecipazione di Alfa in<br />
Delta a seguito dell’incorporazione di Beta (non di Gamma<br />
ed Epsilon) non superi il 5%, poiché - per questo segmento<br />
dell’operazione - non potrebbe parlarsi di un intervento di<br />
‘‘rafforzamento patrimoniale’’ quanto di «un’operazione di<br />
ottimizzazione della struttura del gruppo».<br />
SANZIONI AMMINISTRATIVE PER ACQUISTI DI CONCERTO<br />
E VIOLAZIONE DEL DIVIETO DI VOTO<br />
Delibera 24 febbraio 2012, n. 18130<br />
@ In Bollettino Consob 5.2/2012<br />
Offerte pubbliche di acquisto e scambio - Offerta pubblica<br />
di acquisto obbligatoria - Acquisto di concerto<br />
(D.Lgs. n. 58/1998, artt. 101 bis, 109, 110, 192, 195)<br />
È accertata l’azione di concerto tra due società in relazione<br />
ad acquisti di azioni di una società quotata; conseguentemente<br />
i soci/amministratori di tale società rispondono<br />
dell’esercizio del diritto di voto nell’assemblea<br />
della società quotata in violazione dell’art. 110 TUF<br />
e della mancata promozione dell’Opa obbligatoria a seguito<br />
del superamento della soglia del 30% del capitale<br />
della società quotata.<br />
Con Delibera n. 17535/2010 la Consob aveva accertato che<br />
due società erano qualificabili «persone che agiscono di concerto<br />
in virtù [della] cooperazione tra di loro e della sussistenza<br />
di un accordo, ancorché tacito, volto ad acquisire e a<br />
mantenere il controllo» di una società quotata (v. art. 101<br />
bis, comma 4, TUF). Nella stessa delibera, la Consob riteneva<br />
inoltre che tra le due società fossero stati conclusi due<br />
patti parasociali occulti: il primo, quantomeno dal 4 novembre<br />
2009, avente ad oggetto l’acquisto di azioni della quotata;<br />
il secondo, quantomeno dal 7 aprile 2010, avente ad oggetto<br />
l’esercizio del diritto di voto nella quotata e l’esercizio<br />
anche congiunto di un’influenza dominante sulla stessa (v.<br />
art. 122 TUF). Conseguentemente, la Consob aveva ritenuto<br />
applicabile il divieto di esercizio del diritto di voto previsto<br />
dall’art. 122, comma 4, TUF, per il mancato adempimento<br />
degli obblighi pubblicitari in relazione a tali patti parasociali<br />
occulti.<br />
Successivamente, sulla base dei fatti accertati nella Delibera<br />
n. 17535, la Consob contestava a tre persone fisiche - soci e<br />
amministratori delle due società concertiste - due violazioni<br />
degli obblighi di pubblicazione previsti dall’art. 122 TUF in relazione<br />
ai patti parasociali occulti; tre violazioni del divieto di<br />
esercizio del diritto di voto ai sensi dell’art. 122, comma 4,<br />
TUF, nelle assemblee della quotata del 26 novembre 2009,<br />
del 23 aprile 2010 e del 17 giugno 2010; tre violazioni dell’obbligo<br />
di Opa ‘‘da concerto’’ (v. artt. 106 e 109 TUF), per<br />
l’avvenuto superamento, in tre occasioni, tra il febbraio e l’agosto<br />
2010, della soglia del 30% del capitale della quotata e<br />
la mancata promozione di un’Opa obbligatoria in conseguenza<br />
di tale superamento.<br />
Gli interessati si difendevano nel procedimento sanzionatorio<br />
davanti all’Autorità deducendo, tra l’altro, l’inesistenza di<br />
alcun patto parasociale occulto tra le due società da essi amministrate.<br />
850 Le Società 7/2012
Alla luce dell’istruttoria effettuata, la Consob ha ritenuto sussistente<br />
l’azione di concerto tra le due società ma ha altresì<br />
considerato che «l’impianto probatorio non consenta di valutare<br />
come sufficientemente comprovata l’esistenza dei patti<br />
occulti». Per quanto la Delibera non fornisca dettagli in merito<br />
alla prova dell’azione di concerto né alla mancata prova<br />
dei due patti occulti (dettagli probabilmente contenuti nei soli<br />
atti del procedimento non pubblici), è interessante notare<br />
che la Consob sembra dare rilievo al concerto sulla base della<br />
mera ‘‘cooperazione’’ tra le due società, avendo escluso<br />
la stipulazione tra loro di patti parasociali occulti (cioè di ‘‘accordi’’).<br />
La sussistenza di una figura autonoma di concerto<br />
‘‘da cooperazione’’, diversa dal concerto realizzato mediante<br />
le ipotesi elencate dall’art. 101 bis, comma 5, TUF (tra cui la<br />
conclusione di patti parasociali, cioè il concerto mediante<br />
‘‘accordi’’) resta tuttora altamente discussa in dottrina. Comunque,<br />
sulla base di tale qualificazione (concerto ‘‘da cooperazione’’),<br />
la Consob ha irrogato sanzioni amministrative<br />
pecuniarie alle persone fisiche (e in solido alle due società:<br />
v. artt. 192 e 195 TUF) per la violazione del divieto di esercizio<br />
del diritto di voto previsto dall’art. 110 TUF in caso di acquisti<br />
di concerto (non dall’art. 122, comma 4, TUF, per la<br />
mancata pubblicazione di patti parasociali richiamato nell’originaria<br />
contestazione) relativamente alla sola assemblea della<br />
quotata del 23 aprile 2010, nonché per ciascuna violazione<br />
dell’obbligo di Opa in occasione del superamento della soglia<br />
del 30% del capitale della quotata avvenuto in data 23<br />
febbraio 2010, 11/15 marzo 2010 e 4 agosto 2010.<br />
Diritto dei mercati finanziari<br />
Documentazione<br />
REGOLAMENTO EMITTENTI<br />
MODIFICHE AL REGOLAMENTO EMITTENTI<br />
E AL REGOLAMENTO MERCATI<br />
Delibera 9 maggio 2012, n. 18214<br />
@ In Bollettino Consob 5.1/2012<br />
Emittenti - Disciplina<br />
(Reg. Consob n. 11971/1999)<br />
All’esito della consultazione iniziata con la pubblicazione di<br />
un documento il 22 marzo 2012, la Consob ha approvato<br />
nuova modifiche al Regolamento emittenti e al Regolamento<br />
Mercati che proseguono il percorso di semplificazione<br />
normativa già avviato con l’emanazione della delibera n.<br />
18079 del 20 gennaio 2012.<br />
Le nuove disposizioni hanno ad oggetto:<br />
(i) emittenti diffusi;<br />
(ii) offerte pubbliche;<br />
(iii) diritti dei soci;<br />
(iv) obblighi informativi;<br />
(v) art. 36 Reg. Mercati.<br />
Si rinvia al documento ‘‘Esiti della consultazione’’ sul sito<br />
www.consob.it per il dettaglio delle osservazioni al testo in<br />
consultazione e delle singole modifiche regolamentari.<br />
Le nuove disposizioni entrano in vigore il quindicesimo giorno<br />
successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della<br />
delibera n. 18214 (avvenuta il 22 maggio 2012), eccezion fatta<br />
per quelle elencate dall’art. 3, comma 2, della delibera n.<br />
18214, che entrano in vigore il 1 luglio 2013.<br />
Le Società 7/2012 851
Fisco e società<br />
Sintesi<br />
Osservatorio fiscale<br />
a cura di Massimo Gabelli<br />
PRASSI<br />
Controversie fiscali internazionali<br />
COMPOSIZIONE DELLE CONTROVERSIE FISCALI<br />
INTERNAZIONALI: LE PROCEDURE AMICHEVOLI<br />
@ Circolare Agenzia delle Entrate 5 giugno 2012, n. 21/E<br />
Con la pubblicazione della circolare n. 21/E del 5 giugno<br />
2012, l’Agenzia delle Entrate ha fornito le indicazioni per gestire<br />
agilmente le controversia fiscali internazionali, illustrando<br />
tutte le caratteristiche della procedura amichevole (Mutual<br />
agreement procedure, c.d. ‘‘Map’’), e distinguendo i casi<br />
generati da doppia imposizione, disciplinati da convenzioni<br />
bilaterali tra i vari Stati, da quelli relativi a doppie imposizioni<br />
dovute a rettifiche dei prezzi di trasferimento, regolati, in sede<br />
europea, dalla Convenzione arbitrale.<br />
Per quel che attiene alle convezioni internazionali che regolano<br />
una Map, l’Agenzia ha innanzitutto illustrato le fonti giuridiche<br />
internazionali che la regolano.<br />
Le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni<br />
negoziate sullo schema OCSE prevedono all’art. 25 la procedura<br />
amichevole quale strumento per poter risolvere le controversie<br />
internazionali, la quale si traduce nella consultazione<br />
diretta tra le Amministrazioni fiscali dei singoli Stati contraenti,<br />
finalizzato alla risoluzione di una controversia internazionale.<br />
A tale istituto si può fare ricorso nel caso in cui un soggetto<br />
residente di uno dei due Stati ritenga che le misure da una o<br />
da entrambe le Amministrazioni finanziarie comportino, o<br />
comporteranno, un’imposizione non conforme alle disposizioni<br />
della Convenzione bilaterale.<br />
Sempre in ambito Ocse, all’interno delle Linee guida sulla<br />
determinazione dei prezzi di trasferimento, viene illustrato<br />
anche l’utilizzo delle Map per evitare e risolvere le controversie<br />
generate da rettifiche di transfer pricing.<br />
Nello specifico, accanto alle Convenzioni bilaterali, in ambito<br />
europeo, vige la Convenzione arbitrale (90/436/Cee del 23 luglio<br />
1990), la quale è attivabile nel caso in cui il fenomeno<br />
della doppia imposizione economica sia generato da rettifiche<br />
dei prezzi di trasferimento praticati fra imprese associate<br />
residenti nell’Unione europea.<br />
La sostanziale differenza tra le procedure amichevoli instaurate<br />
in base alle Convenzioni bilaterali e quelle avviate con riferimento<br />
alla Convenzione arbitrale risiede nel fatto che le<br />
prime sono connotate solo da un dovere di diligenza nella<br />
trattazione, mentre le seconde devono portare, in ogni caso,<br />
a un esito concreto, anche passando alla fase arbitrale.<br />
Tanto premesso, l’Amministrazione finanziaria è passata ad<br />
illustrare la procedura da adottare nei casi di attivazione della<br />
procedura amichevole.<br />
Nello specifico, ai sensi del disposto dell’art. 25 del modello<br />
Ocse, il contribuente, sia persona fisica sia giuridica, che ritenga<br />
di essere, o di poter essere, leso da un’imposizione fiscale<br />
non conforme alla Convenzione, può attivare la procedura<br />
amichevole.<br />
@Il testo integrale dei provvedimenti è disponibile su:<br />
www.ipsoa.it/lesocieta<br />
Il caso può essere presentato all’autorità competente dello<br />
Stato di residenza del contribuente. Per quanto riguarda, tuttavia,<br />
le doppie imposizioni originate da rettifiche dei prezzi<br />
di trasferimento, la procedura amichevole può essere comunque<br />
validamente instaurata dall’impresa estera associata,<br />
che si rivolge all’autorità competente del proprio Stato di<br />
residenza per lamentare la doppia imposizione generatasi in<br />
seno al gruppo multinazionale.<br />
Al fine di individuare in modo corretto il termine entro il quale<br />
il contribuente può presentare l’istanza, è necessario fare<br />
riferimento a quanto previsto dalla singola Convenzione.<br />
In genere, lo stesso è identificato nei due anni dalla prima<br />
notifica della misura che comporta un’imposizione non conforme<br />
alle disposizioni della convenzione. Il contribuente<br />
può comunque presentare l’istanza prima di ricevere l’avviso<br />
di accertamento (ad esempio, a seguito della notifica di un<br />
processo verbale di constatazione).<br />
Alle Map attivate in Italia ai sensi di una Convenzione bilaterale<br />
si affianca un procedimento giurisdizionale instaurato in<br />
base alla legislazione interna.<br />
L’opportunità di rivolgersi al giudice tributario corrisponde alla<br />
necessità di evitare che, in pendenza di procedura amichevole,<br />
l’imposta accertata in Italia diventi definitiva e, quindi,<br />
non modificabile in virtù dell’eventuale accordo raggiunto<br />
fra le autorità competenti.<br />
Di conseguenza, se le autorità competenti giungono ad un<br />
accordo che elimina la doppia imposizione senza che sia ancora<br />
intervenuto un giudicato, vale l’accordo amichevole a<br />
patto che il contribuente accetti i suoi contenuti e rinunci<br />
contestualmente al ricorso giurisdizionale.<br />
A differenza della procedura amichevole istituita sulla base<br />
di accordi bilaterali tra Stati, quella adottata in conformità alla<br />
Convenzione arbitrale, per risolvere questioni riguardanti il<br />
transfer pricing, implica l’obbligo per le autorità competenti<br />
di raggiungere un accordo che elimini la doppia imposizione<br />
entro due anni. Se non si arriva a una soluzione entro questo<br />
termine, infatti, le autorità sono tenute a istituire una commissione<br />
consultiva, con l’avvio di una fase arbitrale, al cui<br />
parere sono tenute ad adeguarsi, se non trovano autonomamente<br />
un accordo.<br />
Possono presentare istanza di procedura amichevole all’autorità<br />
competente italiana sia le imprese residenti, in relazione<br />
ai rapporti di partecipazione con imprese stabilite in un altro<br />
Stato membro dell’Unione europea, sia le stabili organizzazioni<br />
in Italia di imprese residenti in altro Stato membro.<br />
L’apertura può essere proposta se l’Amministrazione finanziaria<br />
italiana o quella dell’altro Stato membro intendono<br />
operare o hanno operato una rettifica degli utili delle imprese<br />
associate o delle stabili organizzazioni.<br />
Il contribuente deve presentare istanza entro tre anni dalla<br />
prima notifica della misura che comporta o può comportare<br />
una doppia imposizione. Il contribuente può comunque presentare<br />
l’istanza prima di ricevere l’avviso di accertamento<br />
(ad esempio, a seguito della notifica di un processo verbale<br />
di constatazione).<br />
Infine, la circolare n. 21/E/2012 illustra le relazioni con il contenzioso<br />
interno.<br />
852 Le Società 7/2012
La fase arbitrale è possibile soltanto se l’impresa associata<br />
ha lasciato scadere i termini di presentazione del ricorso o<br />
ha rinunciato a quest’ultimo prima che sia intervenuta una<br />
sentenza.<br />
L’Italia, infatti, rientra fra le giurisdizioni che non consentono<br />
all’autorità amministrativa di derogare a una sentenza, in presenza<br />
della quale non è quindi possibile passare alla fase arbitrale.<br />
Facendo un passo indietro, è importante chiarire che, sulla<br />
base dello stesso principio giuridico, il contribuente può proporre<br />
istanza di procedura amichevole e contemporaneamente<br />
coltivare il giudizio contro l’atto di accertamento in<br />
merito ai rilievi che hanno prodotto la doppia imposizione,<br />
ma, nel caso in cui intervenga una decisione dell’autorità giudiziaria<br />
che non elimini la doppia imposizione, quest’ultima<br />
permane a meno che l’autorità competente estera non sottoscriva<br />
un accordo amichevole specularmente conforme alla<br />
decisione espressa dall’ultimo giudice nazionale.<br />
Evasione<br />
LOTTA ALL’EVASIONE: L’AGENZIA DELLE ENTRATE<br />
FORNISCE LE LINEE GUIDA PER L’ANNO 2012<br />
@ Circolare Agenzia delle Entrate 31 maggio 2012, n. 18/E<br />
Nella circolare n. 18/E del 31 maggio 2012, l’Agenzia delle<br />
Entrate ha fornito le linee guida per la lotta all’evasione per<br />
l’anno 2012: grandi contribuenti sottoposti all’attività di tutoraggio,<br />
piani di azioni mirati su almeno un quinto delle imprese<br />
di medie dimensioni grazie ad analisi di rischio localizzate,<br />
controlli selettivi sulle imprese di minori dimensioni e lavoratori<br />
autonomi, analisi di rischio specifiche sulle persone fisiche<br />
ad alta capacità contributiva.<br />
Nello specifico, l’Agenzia ribadisce che le attività di controllo<br />
devono conseguire ad una approfondita analisi della distribuzione<br />
del rischio di evasione nell’ambito di ciascuna realtà<br />
territoriale, idonea ad indirizzare i controlli sulle situazioni a<br />
maggior rischio, evitando di disperdere le risorse disponibili<br />
(limitate) su situazioni a bassa rischiosità, così come in controlli<br />
finalizzati alla ricerca di violazioni di natura meramente<br />
formale. È poi necessario continuare a puntare - in sede di<br />
controllo - sui comportamenti evasivi che, per loro natura, si<br />
prestano ad essere sistematicamente reiterati e determinano<br />
quindi una perdita di gettito costante nel tempo: lo scopo,<br />
oltre al recupero dell’evasione pregressa, è di dissuadere<br />
dalla reiterazione delle violazioni e di incrementare progressivamente<br />
il gettito fiscale derivante dall’adempimento spontaneo<br />
degli obblighi fiscali.<br />
Tra i comportamenti evasivi reiterati spicca l’omessa contabilizzazione<br />
dei ricavi o compensi conseguiti nelle attività di<br />
impresa e di lavoro autonomo, alla quale tipicamente consegue<br />
una consistente evasione sia delle imposte sui redditi<br />
che dell’IVA.<br />
Nella stessa ottica, un consistente miglioramento va conseguito,<br />
in generale, nei controlli sul corretto adempimento degli<br />
obblighi in materia di IVA. In materia, l’evasione viene realizzata<br />
con l’omessa contabilizzazione delle operazioni attive,<br />
ma anche con molteplici altri espedienti (dalla detrazione dell’imposta<br />
relativa ad operazioni non inerenti o inesistenti, al<br />
pro-rata di detrazione o alle operazioni con l’estero).<br />
Ai fini dell’espletamento delle attività di controllo nel corso<br />
del 2012, restano confermati gli specifici indirizzi forniti con<br />
le precedenti circolari n. 13/E/2009, n. 20/E/2010 e n. 21/E/<br />
2011 con il consueto, distinto riguardo:<br />
(i) alle attività di controllo fiscale destinate, in modo specifi-<br />
Fisco e società<br />
Sintesi<br />
co, alle diverse macrotipologie di contribuenti e che quindi<br />
integrano nel loro complesso la peculiare strategia da adottare<br />
per ridurre i rischi di evasione/elusione che caratterizzano<br />
ciascuna delle macro-tipologie (attività specifiche);<br />
(ii) alle attività che per loro natura non possono specificamente<br />
riferirsi alle suddette macrotipologie di contribuenti,<br />
ma le riguardano tutte trasversalmente, in modo più o meno<br />
marcato (attività trasversali).<br />
Sul fronte delle attività specifiche, l’agenzia ha precisato<br />
quanto segue.<br />
Per i controlli sulle persone fisiche, le analisi di rischio degli<br />
agenti del fisco puntano, da quest’anno, sui soggetti ad alta<br />
capacità contributiva presenti in ciascuna provincia, ossia coloro<br />
che possiedono un patrimonio mobiliare e immobiliare<br />
che supera i 5 milioni di euro.<br />
L’accertamento sintetico si conferma al centro della strategia<br />
di contrasto all’evasione e comincerà ad essere effettuato<br />
in base alle nuove disposizioni in materia introdotte dal<br />
D.L. n. 78/2010, che si applicano per gli accertamenti relativi<br />
al periodo d’imposta 2009.<br />
Per quel che concerne le imprese di minori dimensioni e lavoratori<br />
autonomi, per l’anno 2012 l’obiettivo numerico assegnato<br />
è stato stabilizzato sul livello di quello consuntivato<br />
per il 2011. Per la platea dei contribuenti in parola rileva, in<br />
modo specifico l’esigenza di individuare, nei singoli controlli,<br />
le operazioni attive non contabilizzate, dato che la forma tipica<br />
di evasione in tale comparto deriva proprio dall’occultamento<br />
dei corrispettivi effettivamente percepiti, nonché la<br />
presenza di costi non deducibili ai fini dell’imposizione reddituale,<br />
o non detraibili ai fini dell’IVA.<br />
Il miglioramento dei risultati atteso deve quindi derivare soprattutto<br />
da un consistente aumento della maggiore IVA accertata<br />
e definita, posto che ad esso è tendenzialmente connesso<br />
l’incremento dei risultati sul fronte della imposizione<br />
reddituale.<br />
Si affinano sempre più gli strumenti di selezione a disposizione<br />
dell’Agenzia che consentono di indirizzare i controlli<br />
sui contribuenti a maggior rischio di evasione.<br />
Infine, con riferimento alle imprese di medie dimensioni il<br />
piano d’intervento riguarda almeno un quinto delle imprese<br />
e si realizza grazie alla sinergia con la Guardia di Finanza, basandosi<br />
su analisi di rischio calate nel territorio e nelle realtà<br />
locali.<br />
Per quanto in specie attiene all’analisi di rischio l’Agenzia<br />
delle Entrate rammenta l’importanza della mappatura delle<br />
imprese di medie dimensioni presenti nella Provincia e del<br />
censimento dei rischi di evasione/elusione.<br />
Le posizioni a rischio vanno considerate tenendo conto del<br />
risk score attribuito e, in presenza di elementi di rischio sostanzialmente<br />
equivalenti, privilegiando i seguenti criteri:<br />
(i) assenza di controlli negli ultimi 4 anni;<br />
(ii) presenza di perdite ‘‘sistemiche’’;<br />
(iii) presenza su almeno due annualità di redditività sensibilmente<br />
più bassa rispetto a quella media della categoria economica;<br />
(iv) presenza del rischio di evasione in materia di IVA.<br />
Aumentano le grandi imprese che finiscono sotto tutoraggio.<br />
Sono più di 3.200 i contribuenti di grossa taglia esercenti attività<br />
di impresa costantemente monitorati dal Fisco (rispetto<br />
ai circa 2.000 tutorati nel 2011).<br />
L’intento è quello di non abbassare la guardia su questa significativa<br />
platea di contribuenti, così da individuare in tempo<br />
utile fattori di rischio come, ad esempio, una pianificazione<br />
fiscale aggressiva (attuata anche su scala internazionale),<br />
politiche di utilizzo strumentale delle perdite fiscali o forme<br />
Le Società 7/2012 853
Fisco e società<br />
Sintesi<br />
di arbitraggio basate sullo sfruttamento di strumenti finanziari<br />
complessi, politiche di prezzi di trasferimento non in linea<br />
con il principio del valore normale.<br />
In sede di determinazione del livello di rischio possono assumere<br />
rilievo comportamenti che attestino la propensione del<br />
contribuente alla costruzione di un rapporto collaborativo<br />
con l’Amministrazione finanziaria basato sulla trasparenza e<br />
sulla fiducia.<br />
Infine, a fronte dei (positivi) risultati dell’attività di controllo<br />
svolta nel 2011 sul comparto degli enti non commerciali, delle<br />
ONLUS e degli altri soggetti che fruiscono di regimi agevolativi,<br />
l’obiettivo è di consolidare nel corso del 2012 il<br />
trend seguendo gli indirizzi operativi nel tempo forniti (in specie<br />
quelli contenuti nella circolare n. 21/E del 2011).<br />
In particolare, per gli enti non commerciali e con riferimento<br />
all’utilizzo abusivo delle agevolazioni loro riservate, si ribadisce<br />
la necessità di adottare ogni iniziativa diretta ad assicurare<br />
che l’analisi del rischio di abuso dei regimi agevolativi in<br />
materia sia eseguita con la massima cura, utilizzando anche<br />
le informazioni contenute nelle apposite liste d’ausilio trasmesse<br />
centralmente.<br />
Nell’ambito della analisi di rischio effettuata con l’ausilio degli<br />
specifici applicativi a disposizione, vanno in specie selezionati<br />
gli enti che, in base agli elenchi dei fornitori a suo<br />
tempo inviati dai soggetti obbligati, risultano aver emesso<br />
fatture ma non hanno presentato la dichiarazione IVA oppure<br />
hanno dichiarato un volume d’affari pari a zero.<br />
Necessario, poi, concentrate l’attività operativa prioritariamente<br />
nei confronti dei soggetti che presentino abusi di particolare<br />
rilevanza economica, evitando di perseguire situazioni<br />
di minima rilevanza.<br />
Reddito d’impresa<br />
BENI CONCESSI IN GODIMENTO AI SOCI ED AI FAMILIARI:<br />
I CHIARIMENTI DELL’AGENZIA<br />
@ Circolare Agenzia delle Entrate 15 giugno 2012, n. 24/E<br />
La disciplina relativa alla concessione in godimento dei beni<br />
ai soci e ai familiari dell’imprenditore per fini privati è recata<br />
dall’art. 2, commi da 36 terdecies a36duodevicies, D.L. n.<br />
138/2011. Tale disposizione prevede, per i soggetti (soci o<br />
familiari dell’imprenditore) che ricevono in godimento beni<br />
aziendali, la tassazione di un reddito diverso determinato<br />
quale differenza tra il valore di mercato e il minor corrispettivo<br />
pattuito; a ciò si accompagna l’indeducibilità dei costi relativi<br />
agli stessi beni da parte dell’impresa concedente.<br />
Tale fattispecie differisce da quella dell’autoconsumo familiare<br />
e dell’assegnazione dei beni ai soci, nonché dalla destinazione<br />
dei beni a finalità estranee all’esercizio d’impresa, in<br />
quanto si riferisce a beni che non fuoriescono definitivamente<br />
dal regime d’impresa.<br />
Al fine di monitorare tale fattispecie, il legislatore ha previsto<br />
l’obbligo per i soggetti interessati (concedenti e utilizzatori<br />
dei beni) di comunicare i dati relativi ai beni d’impresa concessi<br />
o ricevuti in godimento, all’Agenzia delle Entrate,<br />
adempimento questo che non è, però, disciplinato dalla circolare<br />
in commento.<br />
Secondo quanto chiarito in tale documento di prassi, destinatari<br />
della previsione in parola sono quindi sia le persone fisiche<br />
che utilizzano i beni in godimento sia le imprese e/o<br />
l’imprenditore individuale che li concedono .<br />
Tra i primi si annoverano i soci, residenti e non residenti nel<br />
territorio dello Stato, di società ed enti privati di tipo associativo<br />
residenti che svolgono attività commerciale, i familiari,<br />
residenti e non residenti nel territorio dello Stato, dell’imprenditore<br />
individuale residente nel territorio dello Stato.<br />
La circolare n. 24/E/2012 precisa che per ragioni di ordine logico-sistematico<br />
deve ritenersi che nell’ambito di applicazione<br />
della norma si debbano annoverare anche il soggetto residente<br />
e non residente che nella sfera privata utilizza in godimento<br />
i beni della sua impresa commerciale residente nel<br />
territorio dello Stato nonché i familiari, residenti e non residenti<br />
nel territorio dello Stato, di tale soggetto.<br />
Attesa la necessità di evitare l’aggiramento della norma in<br />
questione, si ritiene che debbano essere considerati quali<br />
destinatari della stessa anche i soci ed i loro familiari che ricevono<br />
in godimento i beni di società controllate o collegate<br />
ai sensi dell’art. 2359 c.c. a quella partecipata direttamente<br />
dai medesimi soci.<br />
Per quel che concerne i soggetti concedenti, sono da includersi<br />
quindi l’imprenditore individuale, le società di capitali,<br />
le società cooperative, le stabili organizzazioni di società non<br />
residenti, gli enti privati di tipo associativo limitatamente ai<br />
beni relativi alla sfera commerciale. Restano escluse le società<br />
semplici.<br />
Relativamente all’ambito oggettivo di applicazione della norma<br />
in esame, si annoverano tutti i beni, quindi siano, merce<br />
o gli immobili patrimonio.<br />
Si tratta di tutti i beni di cui l’impresa ha conseguito la disponibilità,<br />
posseduti a titolo di proprietà o in base ad un diritto<br />
reale, ovvero detenuti in locazione, anche finanziaria, noleggiati<br />
o ricevuti in comodato.<br />
Al contrario, sono esclusi i beni di società ed enti di tipo associativo<br />
che svolgono attività commerciale, concessi in godimento<br />
ad enti non commerciali soci che utilizzano gli stessi<br />
per fini esclusivamente istituzionali.<br />
Come detto, ai sensi del disposto dell’art. 2, comma 36 terdecies,<br />
D.L. n. 138/2011 la differenza tra il valore di mercato<br />
e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento dei<br />
beni dell’impresa concorre alla formazione del reddito imponibile<br />
del socio o del familiare. Per quantificare il valore di<br />
mercato il riferimento è l’art. 9, D.P.R. n. 917/1986.<br />
Per esigenze di certezza e di documentabilità, al fine di verificare<br />
gli accordi previsti dalle parti per la concessione in godimento<br />
del bene relativo all’impresa, si ritiene opportuno<br />
che il corrispettivo annuo e le altre condizioni contrattuali<br />
debbano risultare da apposita documentazione scritta di data<br />
certa, antecedente alla data di inizio dell’utilizzazione del bene.<br />
L’Amministrazione finanziaria ha inoltre precisato che la previsione<br />
in commento non trova, invece, applicazione quando<br />
il soggetto utilizzatore dei beni in questione sia al contempo<br />
dipendente della società o dell’impresa individuale, ovvero<br />
sia un lavoratore autonomo, in quanto al ricorrere di tali ipotesi<br />
lo stesso è assoggettato alla disciplina di tassazione prevista<br />
dagli artt. 51 e 54, D.P.R. n. 917/1986.<br />
Nel caso in cui il bene sia concesso in godimento per una<br />
frazione di anno, ai fini del calcolo dell’ammontare da assoggettare<br />
a tassazione, il valore di mercato deve essere rapportato<br />
alla stessa.<br />
Per quel che concerne, invece, l’indeducibilità dei costi sostenuti<br />
in relazione ai beni poi concessi in godimento a corrispettivo<br />
inferiore al valore normale, ma anche le altre eventuali<br />
spese o componenti negativi relativi agli stessi, l’Agenzia<br />
ha chiarito che la stessa trova una deroga in tutti i casi in<br />
cui siano concessi in godimento beni per i quali sia già prevista<br />
una limitazione alla deducibilità, come ad esempio nel<br />
caso di autoveicoli (ex art. 164, D.P.R. n. 917/1986).<br />
Dette disposizioni decorrono dal periodo successivo a quello<br />
854 Le Società 7/2012
di entrata in vigore del D.L. n. 138/2011, ossia per i soggetti<br />
con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, dal<br />
2012.<br />
Infine, tenuto conto delle novità introdotte e delle obiettive<br />
condizioni di incertezza circa l’applicazione della normativa in<br />
questione, l’Agenzia ha chiarito che il contribuente che non<br />
ha applicato correttamente le disposizioni in esame in sede<br />
di determinazione del primo acconto, potrà sanare l’eventuale<br />
omesso versamento in sede di secondo acconto, senza<br />
l’applicazione delle sanzioni per ritardato pagamento, maggiorato<br />
degli interessi del 4% annuo.<br />
SOCIETÀ IN PERDITA SISTEMATICA:<br />
LE PRIME INDICAZIONI DELL’AGENZIA<br />
@ Circolare Agenzia delle Entrate 11 giugno 2012, n. 23/E<br />
Con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate,<br />
protocollo n. 2012/87956, l’Agenzia delle Entrate ha individuato<br />
le situazioni oggettive al ricorrere della quali è ammessa<br />
la disapplicazione della disciplina sulle società in perdita<br />
sistematica dettata dal D.L. n. 138/2011, senza dover<br />
assolvere all’onere di presentazione dell’istanza di interpello.<br />
Nella circolare n. 23/E, dell’11 giugno 2012, l’Agenzia ha,<br />
inoltre, fornito le prime indicazioni operative in ordine all’applicazione<br />
della disciplina in commento, secondo la quale le<br />
società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre<br />
esercizi consecutivi e quelle che, nell’arco dello stesso intervallo<br />
temporale, presentano per due periodi d’imposta dichiarazioni<br />
dei redditi in perdita fiscale e nel terzo dichiarano<br />
un reddito imponibile inferiore a quello minimo presunto, sono<br />
considerate non operative a decorrere dal successivo<br />
quarto periodo d’imposta.<br />
Alla luce di quanto disposto dal predetto provvedimento, la<br />
disciplina di cui al D.L. n. 138/2011 non trova applicazione al<br />
ricorrere di determinate circostanze, quali:<br />
(i) società in stato di liquidazione che, con impegno assunto<br />
in dichiarazione dei redditi, richiedono la cancellazione dal<br />
Registro delle imprese entro il termine di presentazione della<br />
dichiarazione dei redditi successiva;<br />
(ii) società assoggettate ad una delle procedure indicate nell’art.<br />
101, comma 5, D.P.R. n. 917/1986 ovvero ad una procedura<br />
di liquidazione giudiziaria; la disapplicazione opera<br />
con riferimento ai periodi d’imposta precedenti all’inizio delle<br />
procedure, i cui termini di presentazione delle dichiarazioni<br />
dei redditi scadono successivamente all’inizio delle procedure<br />
stesse;<br />
(iii) società sottoposte a sequestro penale o a confisca nelle<br />
fattispecie di cui al D.Lgs. n. 159/2011 o in altre fattispecie<br />
analoghe in cui il Tribunale in sede civile abbia disposto la<br />
nomina di un amministratore giudiziario e la disapplicazione<br />
opera con riferimento al periodo di imposta nel corso del<br />
quale è emesso il provvedimento di nomina dell’amministratore<br />
giudiziario ed ai successivi periodi di imposta nei quali<br />
permane l’amministrazione giudiziaria);<br />
(iv) società che detengono partecipazioni, iscritte esclusivamente<br />
tra le immobilizzazioni finanziarie, il cui valore economico<br />
è prevalentemente riconducibile a:<br />
1) società considerate non in perdita sistematica;<br />
2) società escluse dall’applicazione della disciplina anche in<br />
conseguenza di accoglimento dell’istanza di disapplicazione<br />
della disciplina delle società in perdita sistematica;<br />
3) società collegate residenti all’estero cui si applica il regime<br />
dell’art. 168, D.P.R. n. 917/1986 e la disapplicazione opera<br />
a condizione che la società non svolga attività diverse da<br />
Fisco e società<br />
Sintesi<br />
quelle strettamente funzionali alla gestione delle partecipazioni;<br />
(v) società che hanno ottenuto l’accoglimento dell’istanza di<br />
disapplicazione della disciplina sulle società in perdita sistematica<br />
in relazione ad un precedente periodo di imposta sulla<br />
base di circostanze oggettive puntualmente indicate nell’istanza,<br />
che non hanno subito modificazioni nei periodi di imposta<br />
successivi e la disapplicazione opera limitatamente a<br />
tali circostanze oggettive;<br />
(vi) società che conseguono un margine operativo lordo positivo;<br />
(vii) società per le quali gli adempimenti e i versamenti tributari<br />
sono stati sospesi o differiti da disposizioni normative<br />
adottate in conseguenza della dichiarazione dello stato di<br />
emergenza e la disapplicazione opera limitatamente al periodo<br />
d’imposta in cui si è verificato l’evento calamitoso e quello<br />
successivo;<br />
(viii) società per le quali risulta positiva la somma algebrica<br />
della perdita fiscale di periodo e degli importi che non concorrono<br />
a formare il reddito imponibile per effetto di proventi<br />
esenti, esclusi o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta<br />
o ad imposta sostitutiva, ovvero di disposizioni agevolative;<br />
(ix) società che esercitano esclusivamente attività agricola;<br />
(x) società che risultano congrue e coerenti ai fini degli studi<br />
di settore;<br />
(xi) società che si trovano nel primo periodo d’imposta.<br />
Al ricorrere delle predette situazioni, le società non sono tenute<br />
a presentare alcuna istanza di interpello, poiché la disapplicazione<br />
della normativa delle società in perdita sistematica<br />
opera automaticamente.<br />
Contestualmente al citato provvedimento, l’Amministrazione<br />
finanziaria ha emanato anche la circolare n. 23/E/2012, nella<br />
quale ha chiarito che le società in perdita sistematica beneficiano<br />
sia delle cause di esclusione previste per le società<br />
non operative, sia delle cause di disapplicazione automatica<br />
sopra indicate, come individuate dal provvedimento n. 2012/<br />
87956.<br />
Mentre le prime riguardano solo i periodi d’imposta di applicazione<br />
della disciplina sulle società in perdita sistematica (a<br />
fronte di un intervallo di osservazione di tre periodi d’imposta<br />
in perdita fiscale, le cause di esclusione agiscono sul<br />
successivo quarto periodo), le seconde valgono soltanto nell’arco<br />
del triennio di osservazione (il verificarsi di una delle situazioni<br />
previste dal provvedimento interrompe tale periodo<br />
di osservazione).<br />
Le società interessate che non rientrano né nelle cause di<br />
esclusione, né in quelle di disapplicazione automatica, devono<br />
presentare istanza di disapplicazione della disciplina sulle<br />
società in perdita sistematica. L’istanza deve contenere l’indicazione<br />
del periodo d’imposta per il quale si chiede la disapplicazione,<br />
oltre che di quello nel quale le situazioni oggettive<br />
che la giustificano si sono verificate.<br />
Sono inammissibili le istanze che riguardano periodi d’imposta<br />
precedenti a quello di prima applicazione della disciplina,<br />
a meno che il periodo d’imposta non sia compreso nel triennio<br />
di osservazione.<br />
Infine, se i soggetti interessati intendono presentare istanza<br />
di disapplicazione sia in relazione alla disciplina sulle società<br />
in perdita sistematica sia in merito a quella sulle società non<br />
operative devono farlo separatamente; solo le istanze inviate<br />
congiuntamente prima dell’emanazione della circolare verranno<br />
accettate dagli uffici dell’Agenzia che adotteranno in<br />
ogni caso due distinti provvedimenti di risposta.<br />
Le Società 7/2012 855
Fisco e società<br />
Sintesi<br />
Reati tributari<br />
GIURISPRUDENZA<br />
LA PUNIBILITÀ È DOPPIA PER CHI EMETTE ED UTILIZZA<br />
FATTURE PER OPERAZIONI INESISTENTI<br />
@ Corte di cassazione, sez. III pen., 21 maggio 2012, n.<br />
19247<br />
Nell’interessante sentenza n. 19247, depositata il 21 maggio<br />
2012, la terza sezione penale, della Corte di cassazione ha<br />
esaminato la questione relativa al fatto se nel caso di fatture<br />
per operazioni inesistenti, il soggetto che sia amministratore<br />
sia della società emittente, sia della società ricevente, risponda<br />
di due delitti (emissione della fattura, art. 8, D.Lgs.<br />
n. 74/2000, e dichiarazione fraudolenta, art. 2, D.Lgs. n. 74/<br />
2000) ovvero soltanto di uno di essi.<br />
La fattispecie in esame è incentrata sulla corretta interpretazione<br />
del disposto dell’art. 9, D.Lgs. n. 74/2000, secondo il<br />
quale, in deroga alle norme sul concorso nel reato, chi emette<br />
(e chi concorre con chi emette) non concorre nel delitto di<br />
chi dichiara, e viceversa.<br />
La Corte premette, innanzitutto, la questione in ordine all’applicazione<br />
del predetto art. 9 non si pone nel caso in cui del<br />
‘‘secondo’’ delitto il soggetto non sia imputato. Ad esempio,<br />
non potrebbe certo invocare l’art. 9 il soggetto imputato di dichiarazione<br />
fraudolenta, al quale non sia imputato contemporaneamente<br />
anche quelli di emissione neppure in concorso.<br />
Quanto alla portata del predetto art. 9, la Corte osserva che<br />
esso è teso solo ad escludere che chi emette la fattura possa<br />
rispondere, per ciò solo, di concorso nel delitto di chi tale<br />
fattura utilizza, e viceversa.<br />
La norma, afferma la Corte, deroga all’art. 110 c.p. nel senso<br />
che il solo fatto di concorrere materialmente (e moralmente)<br />
alla condotta altrui di utilizzazione della fattura falsa, emettendola,<br />
non comporta la corresponsabilità nel delitto di dichiarazione<br />
fraudolenta (o viceversa).<br />
Il citato art. 9 quindi va interpretato nel senso di comprendere<br />
la sola ipotesi in cui la condotta del potenziale concorrente<br />
si limiti alla sola emissione (rispetto alla utilizzazione) o alla<br />
sola utilizzazione (rispetto alla emissione), in cui pure si<br />
avrebbe altrimenti un’ipotesi di concorso ex art. 110 c.p. nella<br />
fattispecie complementare.<br />
Viceversa, la medesima non si applica quando un soggetto<br />
emetta e utilizzi la fattura per operazione inesistente (ad<br />
esempio, appunto, perché amministratore di entrambe le società<br />
coinvolte). In questo caso, vi è una doppia condotta<br />
propria e si è fuori dall’area di applicazione dell’art. 9, D.Lgs.<br />
n. 74/2000.<br />
NON SI PERFEZIONA IL REATO DI DICHIARAZIONE<br />
FRAUDOLENTA MEDIANTE L’USO DI FATTURE<br />
O ALTRI DOCUMENTI PER OPERAZIONI INESISTENTI CON<br />
LA SEMPLICE REGISTRAZIONE IN CONTABILITÀ DEGLI STESSI<br />
@ Corte di cassazione, sez. III pen., 13 giugno 2012, n.<br />
23229<br />
Confermando un orientamento ormai costante, la Corte di<br />
cassazione, III sezione penale, nella sentenza n. 23229, depositata<br />
il 13 giugno 2012, ha concluso che il reato di dichiarazione<br />
fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti<br />
per operazioni inesistenti di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 74/<br />
2000 si consuma al momento della presentazione della di-<br />
chiarazione e non già in quello in cui detti documenti vengono<br />
registrata in contabilità.<br />
La fattispecie posta all’attenzione della Corte traeva origine<br />
dalla sentenza con la quale il GUP aveva dichiarato non luogo<br />
a procedere nei confronti dell’ex amministratore di una<br />
società in ordine al reato ascrittogli di cui all’art. 2, D.Lgs. n.<br />
74/2000.<br />
Allo stesso era stato ascritto di aver, in qualità di amministratore,<br />
di diritto prima e di fatto dopo di una società per azioni,<br />
o comunque amministratore al momento della registrazione<br />
della fattura nei registri IVA, relative ad operazioni inesistenti,<br />
indicando nella dichiarazione annuale IVA elementi passivi<br />
fittizi.<br />
Il giudice aveva rilevato che al momento della consumazione<br />
del reato, da individuarsi nella scadenza del termine per la<br />
presentazione della dichiarazione IVA, l’imputato non era più<br />
amministratore della società, essendosi dimesso da tale carica,<br />
né vi era prova che lo stesso fosse comunque amministratore<br />
di fatto.<br />
Avverso detta sentenza il Procuratore della Repubblica aveva<br />
proposto ricorso, rilevando quale unico motivo la violazione<br />
dell’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000, ed evidenziando come la sentenza<br />
abbia dimenticato di considerare la condotta tenuta dall’imputato<br />
era ancora amministratore della società, di accordo<br />
con l’emittente per l’emissione di una fattura non la relativa<br />
annotazione della stessa nei registri IVA, sicché una volta portato<br />
in dichiarazione da altri il credito IVA, lo stesso non potrebbe<br />
non essere chiamato a rispondere dell’utilizzazione in<br />
concorso con l’amministratore al momento del fatto.<br />
Secondo la Suprema Corte il reato contestato non sussiste,<br />
qualificandosi lo stesso quale reato istantaneo, senza pertanto<br />
che possa assumere rilievo penale la precedente sola<br />
condotta di registrazione delle fatture.<br />
L’irrilevanza sul piano penale delle predette condotte implica<br />
che i comportamenti tenuti dall’imputato quanto lo stesso era<br />
amministratore della società, di diritto o di fatto, non possano<br />
di per sé stessi essere valorizzate, nemmeno in termini di<br />
concorso di reato con l’amministratore della società che, recependo<br />
in dichiarazione i dati della fattura in questione, avrebbe<br />
perfezionato il reato di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000.<br />
Pur essendo in astratto possibile concepire in capo ad un extraneus<br />
il concorso nel reato proprio di cui al predetto art. 2 in<br />
caso di determinazione o istigazione alla presentazione della<br />
dichiarazione, una diversa conclusione comporterebbe, ancor<br />
prima di ogni altra considerazione, la vanificazione della precisa<br />
volontà del legislatore che è di evitare la punibilità del reato<br />
in esame a titolo di tentativo (art. 6, D.Lgs. n. 74/2000).<br />
Registro delle imprese<br />
SOCIETÀ ESTINTA: IL SOCIO RISPONDE DEI DEBITI TRIBUTARI<br />
SOLO SE HA PERCEPITO SOMME DALLA LIQUIDAZIONE<br />
@ Corte di cassazione, sez. trib., 16 maggio 2012, n. 7679<br />
La Corte di cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n.<br />
7679, depositata il 16 maggio 2012, ha concluso che nel caso<br />
in cui la cancellazione della società sopravvenga in corso<br />
di un processo, il contenzioso tributario può proseguire nei<br />
confronti del socio, ma a condizione e nei limiti delle somme<br />
da questi percepite dalla liquidazione.<br />
La questione trae origine da un controllo fiscale a seguito<br />
del quale venivano imputate ad una società maggiori imposte<br />
con un avviso di accertamento, tempestivamente impugnato<br />
ed annullato in primo grado, con conferma della sentenza<br />
anche da parte dei giudici di secondo grado. Nel frat-<br />
856 Le Società 7/2012
tempo la società era posta in liquidazione e poi cancellata<br />
dal Registro delle imprese.<br />
Ciononostante, però, il ricorso per Cassazione proposto dall’Ufficio<br />
veniva notificato alla società estinta, al liquidatore<br />
ed all’unico socio.<br />
In ragione di ciò, quindi, la Suprema Corte, si è espressa sull’eccezione<br />
di inammissibilità e/o improponibilità del ricorso<br />
per cassazione nei confronti della società, ancorché cancellata,<br />
del liquidatore e del socio.<br />
In ogni caso, in merito alla questione degli effetti della cancellazione<br />
della società commerciale dal Registro delle imprese,<br />
occorre innanzitutto rilevare che le Sezioni Unite (cfr.<br />
Cass., sez. un., n. 4060/2010; n. 4061/2010; n. 4062/2010)<br />
hanno già concluso che la predetta cancellazione, nell’ipotesi<br />
in cui l’adempimento abbia avuto luogo in data successiva<br />
all’entrata in vigore dell’art. art. 4, D.Lgs. n. 6/2003, che, modificando<br />
l’art. 2495, comma 2, c.c., ha attribuito all’istituto<br />
efficacia costitutiva, determina l’immediata estinzione della<br />
società, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti<br />
giuridici a essa facenti capo.<br />
Il profilo che però viene in rilievo nel caso di specie, e che<br />
non ha precedenti nella giurisprudenza di legittimità, attiene<br />
alla sorte dei rapporti processuali laddove la cancellazione<br />
della società sopravvenga in corso di causa o, come nella<br />
specie, dopo la sentenza gravata.<br />
Ebbene, in tal caso, secondo la Cassazione, la cancellazione<br />
della società va equiparata alla morte della parte persona fisica<br />
che comporta l’invalidità dell’instaurazione nei suoi confronti<br />
del giudizio di impugnazione indipendentemente dallo<br />
stato soggettivo dell’impugnante (qui in ogni caso consapevole<br />
dell’evento); né rileva, peraltro, che l’estinzione sia avvenuta,<br />
nel caso di specie, dopo addirittura la sentenza di<br />
primo grado, e che la stessa non sia stata rilevata nel giudizio<br />
d’appello.<br />
Di talché, la conseguente inammissibilità del ricorso per<br />
Cassazione proposto nei confronti della società estinta.<br />
Ciò posto in ordine agli effetti della cancellazione della società<br />
dal registro delle imprese, la stessa Corte si è poi preoccupata<br />
di chiarire che è altresì inammissibile il ricorso per<br />
Cassazione proposto sia nei confronti del liquidatore, essendo<br />
quest’ultimo soggetto ‘‘gravato da responsabilità civile<br />
concorrente, subordinata, ai sensi dell’art. 2495, comma 2,<br />
c.c., al fatto che il mancato pagamento del debito sociale<br />
sia dipeso da colpa (o a fortiori da dolo)’’, che del socio che<br />
non abbia riscosso la quota ad esso spettante in base al bilancio<br />
finale di liquidazione ovvero nei confronti del quale il<br />
creditore sociale non dimostri l’avvenuta riscossione della<br />
quota.<br />
L’art. 2495, comma 2, c.c., infatti, prevede che «ferma restando<br />
l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori<br />
sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti<br />
nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da<br />
questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei<br />
confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso<br />
da colpa di questi ...».<br />
La Cassazione, peraltro, con la sentenza in commento, precisa<br />
che l’effetto estintivo, producendosi anche in presenza di<br />
crediti insoddisfatti o di rapporti non definiti, determina l’insorgenza,<br />
da un lato, di una conseguente comunione fra i<br />
soci in ordine ai beni residuati dalla liquidazione (essendo legittima<br />
la cancellazione anche se il residuo attivo non è stato<br />
ancora ripartito), o sopravvenuti alla cancellazione; e, dall’altro,<br />
di una successione dei soci medesimi ai fini dell’esercizio,<br />
«nei limiti e alle condizioni stabilite», delle azioni dei creditori<br />
insoddisfatti.<br />
Fisco e società<br />
Sintesi<br />
La condizione testualmente fissata dall’art. 2495 c.c., ai fini<br />
della possibilità accordata ai creditori sociali di far valere i loro<br />
crediti, dopo la cancellazione della società nei confronti<br />
dei soci è che questi abbiano riscosso somme in base al bilancio<br />
finale di liquidazione.<br />
In ragione di quanto esposto, si può dunque concludere nel<br />
senso che il ricorso per cassazione è, invece, valido qualora,<br />
in caso di cancellazione della società dal registro delle imprese<br />
nel corso del giudizio, venga proposto nei confronti del<br />
solo successore universale della stessa, vale a dire nei confronti<br />
del socio che abbia riscosso la quota ad esso spettante<br />
sulla base del bilancio finale di liquidazione.<br />
Le Società 7/2012 857
Società e Unione europea<br />
Sintesi<br />
Osservatorio comunitario<br />
acuradiSilviaOlivieri<br />
Fiscalità indiretta<br />
LA CORTE DI GIUSTIZIA DEFINISCE IL CONCETTO DI ‘‘PRESTAZIONE A TITOLO ONEROSO’’<br />
NELL’AMBITO DI CONTRATTI DI SERVIZI DI TELECOMUNICAZIONI<br />
Corte di Giustizia UE 3 maggio 2012, causa C-520/10, Lebara Ltd/Commissioners for Her Majesty’s Revenue<br />
and Customs<br />
In data 3 maggio 2012, la Corte di Giustizia dell’Unione europea si è pronunciata, dietro rinvio pregiudiziale, sull’interpretazione<br />
dell’art. 2, punto 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione<br />
delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari - Sistema comune di imposta sul valore<br />
aggiunto: base imponibile uniforme, ai sensi del quale «le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo<br />
oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale» sono assoggettate ad IVA.<br />
La domanda pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia sorta tra la Lebara Ltd (la ‘‘Lebara’’) e i<br />
Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs (i ‘‘Commissioners’’) in merito ad un avviso di accertamento<br />
emesso da questi ultimi riguardo all’imposta sul valore aggiunto (l’‘‘IVA’’) asseritamente dovuta dalla Lebara<br />
per i servizi di telecomunicazioni forniti da quest’ultima nel corso del mese di marzo del 2005.<br />
In ordine ai fatti di cui è causa, va detto che la Lebara è una società stabilita nel Regno Unito che fornisce servizi di<br />
telecomunicazioni consistenti nel vendere ad un distributore carte telefoniche che contengono tutte le informazioni<br />
necessarie per effettuare chiamate telefoniche internazionali mediante l’infrastruttura messa a disposizione da detto<br />
operatore e che sono rivendute dal distributore, a proprio nome e per proprio conto, a utenti finali, direttamente o<br />
mediante altri soggetti passivi quali grossisti e dettaglianti.<br />
Relativamente al periodo qui considerato, la Lebara non versava alcuna IVA per la vendita di carte telefoniche ai distributori;<br />
conformemente al meccanismo dell’inversione contabile, essa riteneva che tale operazione configurasse<br />
una prestazione di servizi di telecomunicazioni il cui luogo si trovava nello Stato membro di stabilimento del distributore<br />
ed era pertanto quest’ultimo che doveva pagare l’IVA in tale Stato.<br />
Secondo la Lebara, l’uso effettivo della carta non comportava che essa fornisse una prestazione di servizi a titolo<br />
oneroso all’utente finale. Di diverso avviso erano i Commissioners, i quali ritenevano che la società dovesse versare<br />
l’IVA al Regno Unito poiché essa forniva due servizi: l’‘‘emissione’’, al momento della vendita della carta al distributore<br />
ed il ‘‘riscatto’’, al momento dell’utilizzo effettivo della carta da parte dell’utente finale. In proposito, bisogna tenere<br />
presente che gli Stati membri sono liberi di tassare o la prima o la seconda di tali prestazioni. Avendo il Regno<br />
Unito scelto di assoggettare ad imposizione il ‘‘riscatto’’, la base imponibile sarebbe costituita dalla frazione dell’importo<br />
versato dal distributore alla Lebara proporzionale all’uso effettivo della carta da parte del suo utente finale rispetto<br />
al valore nominale della medesima.<br />
I Commissioners emettevano conseguentemente un avviso di accertamento a titolo dell’IVA afferente ai servizi di telecomunicazioni<br />
forniti dalla Lebara nel corso del mese di marzo del 2005, avverso il quale la società proponeva ricorso<br />
dinanzi al giudice del rinvio, il First-tier Tribunal (Tax Chamber). Quest’ultimo, tenuto conto delle diverse prassi riguardanti<br />
il trattamento fiscale di tali carte telefoniche esistenti in taluni Stati membri, rilevava un rischio di doppia imposizione<br />
o di mancata imposizione di entrate provenienti dalla commercializzazione delle carte telefoniche. Decideva allora<br />
di sospendere il procedimento per sottoporre alla Corte di Giustizia due questioni pregiudiziali. Chiedeva innanzitutto<br />
se, in circostanze come quelle della causa principale, ove un soggetto passivo (l’‘‘operatore economico A’’) venda carte<br />
telefoniche che rappresentano il diritto di ricevere da detto soggetto servizi di telecomunicazioni, l’art. 2, punto 1,<br />
della sesta direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che l’operatore economico A effettua due forniture ai fini<br />
dell’IVA: una al momento della vendita iniziale della carta da parte dell’operatore economico A ad un altro soggetto<br />
passivo (l’‘‘operatore economico B’’) ed una al momento del suo ‘‘riscatto’’, vale a dire dell’utilizzo della carta da parte<br />
dell’‘‘utente finale’’ per effettuare chiamate telefoniche. In caso di risposta affermativa a tale questione domandava come<br />
debba applicarsi l’IVA all’interno della catena di fornitura in cui l’operatore economico A vende la carta telefonica all’operatore<br />
economico B, quest’ultimo rivende la carta telefonica in uno Stato membro B, e la carta viene infine acquistata<br />
nello Stato membro B dall’utente finale che la utilizza per effettuare chiamate telefoniche. Nell’affrontare i quesiti<br />
posti la Corte di Giustizia ricorda gli obiettivi e le regole principali del sistema comune dell’IVA nonché le peculiarità del<br />
sistema di commercializzazione di cui al procedimento principale. Innanzitutto, ai sensi dell’art. 2 della prima direttiva, il<br />
principio del sistema comune dell’IVA consiste nell’applicare ai beni ed ai servizi un’imposta generale sul consumo<br />
esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo<br />
di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell’imposizione (1).<br />
Nota:<br />
(1) Corte Giust. 3 ottobre 2006, C-475/03, Banca popolare di Cremona, punto 21, e Corte Giust. 28 ottobre 2010, C-49/09, Commissione/Polonia, punto 44.<br />
858 Le Società 7/2012
L’IVA mira, infatti, a gravare unicamente sul consumatore finale e ad essere perfettamente neutrale nei confronti<br />
dei soggetti passivi che intervengono nel processo di produzione e di distribuzione che precede la fase di imposizione<br />
finale, indipendentemente dal numero di operazioni avvenute.<br />
La Corte osserva quindi come ai sensi dell’art. 2, punto 1, della sesta direttiva sono le cessioni di beni e le prestazioni<br />
di servizi ad essere soggette all’IVA, non i pagamenti effettuati quale corrispettivo di queste ultime, anche se, nel<br />
caso di versamento di un acconto, l’IVA può diventare esigibile senza che la cessione o la prestazione sia stata ancora<br />
effettuata purché tutti gli elementi qualificanti del fatto generatore, vale a dire la futura cessione o la futura prestazione,<br />
siano già conosciuti (2).<br />
Ricorda infine la costante giurisprudenza secondo cui una prestazione di servizi è a titolo oneroso, e configura quindi<br />
un’operazione imponibile, solo quando sussiste un nesso diretto tra il servizio prestato ed il controvalore ricevuto.<br />
Passando ad esaminare le peculiarità del sistema, il giudice comunitario rileva che le carte telefoniche in questione<br />
danno diritto ad un solo tipo di servizi, la cui natura e quantità sono predeterminate e che è soggetto ad una sola aliquota<br />
di imposta.<br />
La commercializzazione delle carte telefoniche avviene mediante una catena di distribuzione che comprende perlomeno<br />
un operatore intermedio tra l’operatore telefonico e l’utente finale. Secondo la rappresentazione dei fatti contenuta<br />
nella decisione di rinvio, detto distributore rivende le carte telefoniche a proprio nome e per proprio conto.<br />
Quanto al prezzo pagato dall’utente finale per l’acquisto di una carta telefonica, direttamente presso il distributore<br />
oppure presso un dettagliante intermedio, la Corte osserva che esso non è necessariamente identico al valore nominale<br />
di detta carta e che l’operatore telefonico, non controllando il prezzo di rivendita chiesto dai distributori o dagli<br />
altri intermediari, non è in grado di conoscere il medesimo. Ciò premesso, poiché l’operatore telefonico riceve<br />
un solo pagamento effettivo nell’ambito della fornitura di tali servizi di telecomunicazioni, non è possibile sostenere<br />
che egli fornisca due prestazioni di servizi a titolo oneroso. Vi è pertanto un’unica operazione imponibile, il cui beneficiario<br />
è il distributore.<br />
L’operatore telefonico fornisce infatti un servizio al distributore, consistente nel trasferirgli il diritto di utilizzare la sua<br />
infrastruttura per effettuare chiamate internazionali, in cambio del quale riceve dal distributore il prezzo convenuto.<br />
Lo scambio tra reciproche prestazioni esiste quindi tra l’operatore telefonico ed il distributore al momento della vendita<br />
iniziale delle carte telefoniche a quest’ultimo, non essendovi alcun nesso diretto tra l’utente e l’operatore telefonico.<br />
Il pagamento effettuato dal distributore all’operatore telefonico non può infatti essere considerato un pagamento<br />
effettuato dall’utente finale a tale operatore, sebbene l’onere di detto pagamento si ripercuota su tale utente<br />
finale. Da un lato, il distributore rivende le carte telefoniche a proprio nome e per proprio conto, dall’altro l’importo<br />
che l’utente finale paga al momento dell’acquisto della carta non è necessariamente identico al prezzo pagato dal distributore<br />
all’operatore telefonico.<br />
L’utente finale non ha peraltro alcun diritto di rimborso, a carico dell’operatore telefonico, di un eventuale credito di<br />
chiamata non utilizzato nel periodo di validità della carta. Pertanto, nel caso di specie, l’osservanza dell’art. 2, primo<br />
comma, della prima direttiva e del principio di neutralità fiscale è garantita in quanto sia la vendita iniziale di una carta<br />
telefonica sia la sua rivendita successiva sono operazioni imponibili. In ciascuna fase della catena, l’IVA è esattamente<br />
proporzionale al prezzo pagato e consente la detrazione dell’imposta versata a monte. In particolare, al momento<br />
dell’ultima vendita di una carta telefonica all’utente finale, l’IVA è esattamente proporzionale al prezzo pagato<br />
da quest’ultimo per l’acquisto della carta, anche se tale prezzo non è identico al valore nominale della carta. Alla luce<br />
delle suesposte considerazioni, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha statuito che:<br />
«L’articolo 2, punto 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione<br />
delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul<br />
valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2003/92/CE del Consiglio, del 7 ottobre<br />
2003, deve essere interpretato nel senso che un operatore telefonico che propone servizi di telecomunicazioni consistenti<br />
nel vendere ad un distributore carte telefoniche che contengono tutte le informazioni necessarie per effettuare<br />
chiamate telefoniche internazionali mediante l’infrastruttura messa a disposizione da detto operatore e che sono<br />
rivendute dal distributore, a proprio nome e per proprio conto, a utenti finali, direttamente o mediante altri soggetti<br />
passivi quali grossisti o dettaglianti, fornisce una prestazione di servizi di telecomunicazioni a titolo oneroso al<br />
distributore. Per contro, detto operatore non fornisce una seconda prestazione di servizi a titolo oneroso all’utente finale<br />
allorché quest’ultimo, avendo acquistato la carta telefonica, esercita il diritto di effettuare chiamate telefoniche<br />
servendosi delle informazioni figuranti su detta carta».<br />
Libera circolazione di capitali<br />
LA CORTE DI GIUSTIZIA SI PRONUNCIA IN MATERIA DI ORGANISMI DI INVESTIMENTO COLLETTIVO<br />
DI VALORI MOBILIARI<br />
Corte di Giustizia UE 10 maggio 2012, cause riunite C-338/11 a C-347/11, Santander Asset Management SGIIC<br />
SA, (C-338/11)/Directeur des résidents à l’étranger et des services généraux e Santander Asset Management<br />
SGIIC SA, (C-339/11), Kapitalanlagegesellschaft mbH, (C-340/11), Allianz Global Investors Kapitalanlagegesell-<br />
Nota:<br />
(2) Art. 10, par. 2, comma 2, della sesta direttiva.<br />
Società e Unione europea<br />
Sintesi<br />
Le Società 7/2012 859
Società e Unione europea<br />
Sintesi<br />
schaft mbH, (C-341/11), SICAV KBC Select Immo (C-342/11), SGSS Deutschland Kapitalanlagegesellschaft<br />
mbH (C-343/11), International Values Series of the DFA Investment Trust Co. (C-344/11), Continental Small Co.<br />
Series of the DFA Investment Trust Co. (C-345/11), SICAV GA Fund B (C-346/11), Generali Investments<br />
Deutschland Kapitalanlagegesellschaft mbH, (C-347/11)/Ministre du Budget, des Comptes publics, de la Fonction<br />
publique et de la Réforme de l’État<br />
Note:<br />
In data 10 maggio 2012, la Corte di Giustizia dell’Unione europea si è pronunciata, dietro rinvio pregiudiziale, sull’interpretazione<br />
degli artt. 63 TFUE e 65 TFUE (3) relativi alla libera circolazione dei capitali.<br />
La domanda pregiudiziale è stata presentata dal Tribunal administratif de Montreuil (Francia) nell’ambito di una controversia<br />
che vede opposti alcuni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (gli ‘‘OICVM’’) non residenti<br />
alle autorità tributarie francesi, relativamente alla ritenuta alla fonte riscossa sui dividendi d’origine nazionale distribuiti<br />
a detti OICVM.<br />
I ricorrenti nei procedimenti principali sono OICVM belgi (cause C-342/11 e C-346/11), tedeschi (cause C-340/11, C-<br />
341/11, C-343/11 e C-347/11), spagnoli (cause C-338/11 e C-339/11) e statunitensi (cause C-344/11 e C-345/11),<br />
che investono soprattutto in azioni di società francesi ed a tale titolo ricevono dividendi.<br />
Ai sensi degli artt. 119 bis, par. 2, e 187, par. 1, del Codice generale francese delle imposte (‘‘CGI’’), detti dividendi<br />
sono assoggettati in Francia ad una ritenuta alla fonte del 25%. Il giudice del rinvio ritiene che la normativa nazionale<br />
di cui ai procedimenti principali introduca una differenza di trattamento fiscale a sfavore degli OICVM non residenti,<br />
in quanto i dividendi d’origine francese che tali organismi ricevono sono assoggettati ad una ritenuta alla fonte, mentre<br />
dividendi della stessa origine versati a OICVM residenti non sono assoggettati ad una ritenuta siffatta. Tale differenza<br />
di trattamento costituisce, secondo il giudice del rinvio, una restrizione alla libera circolazione dei capitali ai<br />
sensi dell’art. 63 TFUE, che, alla luce dell’art. 65 TFUE, può essere ammessa solo se la differenza di trattamento riguarda<br />
situazioni che non sono oggettivamente comparabili oppure se la restrizione sia giustificata da una ragione<br />
imperativa di interesse generale.<br />
Ad avviso del giudice del rinvio, per valutare se le situazioni sono comparabili è essenziale sapere se, oltre a quella degli<br />
OICVM, debba essere presa in considerazione la situazione dei titolari di quote. Tale giudice spiega che, se si prendesse<br />
in considerazione solo la situazione degli OICVM, si dovrebbe constatare che questi ultimi, siano essi residenti<br />
in Francia o in un altro Stato membro, si trovano in una situazione oggettivamente comparabile; in tal caso la differenza<br />
di trattamento non potrebbe più essere considerata giustificata da una ragione imperativa di interesse generale.<br />
Nell’ipotesi in cui, invece, occorresse tener conto non solo della situazione degli OICVM, ma anche della situazione<br />
dei loro titolari di quote, la conformità della ritenuta alla fonte al principio della libera circolazione dei capitali potrebbe<br />
essere ammessa in tutti i casi in cui le situazioni, tenuto conto del regime fiscale complessivo applicabile, non<br />
possono essere considerate oggettivamente comparabili o nei casi in cui una ragione imperativa di interesse generale<br />
attinente all’efficacia dei controlli fiscali giustifichi la differenza di trattamento.<br />
In tale contesto, il Tribunal administratif de Montreuil ha deciso di sospendere il procedimento per chiedere, appunto,<br />
alla Corte di Giustizia se, oltre alla situazione degli OICVM, debba essere presa in considerazione anche quella<br />
dei titolari di quote e, in tale ipotesi, a quali condizioni la ritenuta alla fonte controversa può essere considerata conforme<br />
al principio della libera circolazione dei capitali» (4).<br />
Orbene, nell’affrontare i quesiti pregiudiziali, la Corte rammenta in via preliminare che per giurisprudenza costante<br />
anche se la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri questi ultimi devono esercitare<br />
tale competenza nel rispetto del diritto dell’Unione (5).<br />
Sempre per costante giurisprudenza, le misure vietate dall’art. 63, par. 1, TFUE, in quanto restrizioni dei movimenti<br />
di capitali, comprendono quelle che sono idonee a dissuadere i non residenti dal fare investimenti in uno Stato<br />
membro o a dissuadere i residenti di detto Stato membro dal farne in altri Stati (6).<br />
(3) Ai sensi dell’art. 63 TFUE: «... 1. Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati<br />
membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi. 2. Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra<br />
Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi. ...». Ai sensi dell’art. 65 TFUE: «... 1. Le disposizioni dell’articolo 63 non pregiudicano il diritto degli Stati<br />
membri: a) di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella<br />
medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale; b) di prendere tutte le misure necessarie per<br />
impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni<br />
finanziarie, o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure<br />
giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. 2. Le disposizioni del presente capo non pregiudicano l’applicabilità di restrizioni in materia<br />
di diritto di stabilimento compatibili con i trattati. 3. Le misure e le procedure di cui ai paragrafi 1 e 2 non devono costituire un mezzo di discriminazione<br />
arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 63. 4. In assenza di misure in applicazione dell’articolo<br />
64, paragrafo 3, la Commissione o, in mancanza di una decisione della Commissione entro un periodo di tre mesi dalla richiesta dello Stato membro<br />
interessato, il Consiglio può adottare una decisione che conferma che le misure fiscali restrittive adottate da uno Stato membro riguardo ad uno o più paesi<br />
terzi devono essere considerate compatibili con i trattati nella misura in cui sono giustificate da uno degli obiettivi dell’Unione e compatibili con il buon funzionamento<br />
del mercato interno. Il Consiglio delibera all’unanimità su richiesta di uno Stato membro. ...».<br />
(4) Si tenga presente che con ordinanza del presidente della Corte del 4 agosto 2011, i procedimenti da C-338/11 a C-347/11 sono stati riuniti ai fini<br />
della fase scritta e orale del procedimento, nonché della sentenza.<br />
(5) Corte Giust. 4 marzo 2004, C-334/02, Commissione/Francia, punto 21; C. Giust. C-155/09, 20 gennaio 2011, Commissione/Grecia, punto 39, e C.<br />
Giust. 16 giugno 2011, C-10/10, Commissione/Austria, punto 23.<br />
(6) Corte Giust. 25 gennaio 2007, C-370/05, Festersen, punto 24, e C. Giust. 18 dicembre 2007, C-101/05, A, punto 40, nonché C. Giust. 10 febbraio<br />
2011, C-436/08 e C-437/08, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, punto 50.<br />
860 Le Società 7/2012
Società e Unione europea<br />
Sintesi<br />
La Corte osserva allora che ai sensi della normativa controversa i dividendi distribuiti da una società residente ad un<br />
OICVM non residente, sia esso stabilito in un altro Stato membro o in uno Stato terzo, sono assoggettati ad imposta<br />
con aliquota del 25%, mediante ritenuta alla fonte, mentre siffatti dividendi non sono assoggettati ad imposta allorché<br />
sono versati ad un OICVM residente. Poiché tale differenza di trattamento fiscale è idonea a dissuadere, da<br />
un lato, gli OICVM non residenti dall’effettuare investimenti in società stabilite in Francia e, d’altro lato, a dissuadere<br />
gli investitori residenti in Francia dall’acquistare quote in OICVM non residenti, la normativa che la prevede costituisce<br />
una restrizione della libera circolazione dei capitali, in linea di principio vietata dall’art. 63 TFUE.<br />
A questo punto si rende necessario esaminare se tale restrizione possa essere giustificata alla luce delle disposizioni<br />
del Trattato. Il giudice comunitario rammenta in proposito che sebbene ai sensi dell’art. 65, par. 1, lett. a), TFUE,<br />
«[l]e disposizioni dell’articolo 63 [TFUE] non pregiudicano il diritto degli Stati membri (...) di applicare le pertinenti disposizioni<br />
della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella<br />
medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale», tale<br />
disposizione, derogando al principio fondamentale della libera circolazione dei capitali, deve essere interpretata restrittivamente.<br />
Peraltro, lo stesso art. 65, al par. 3, TFUE, prevede che le disposizioni nazionali contemplate dal par.<br />
1 «non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento<br />
dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 63». Orbene, conformemente alla giurisprudenza comunitaria in materia,<br />
perché una normativa tributaria nazionale possa essere considerata compatibile con le disposizioni del Trattato<br />
relative alla libera circolazione dei capitali è necessario che la differenza di trattamento da essa prevista riguardi situazioni<br />
che non sono oggettivamente paragonabili o sia giustificata da ragioni imperative di interesse generale.<br />
Proprio al fine di valutare se le situazioni siano comparabili, il giudice del rinvio si chiede se, oltre alla situazione degli<br />
OICVM, debba essere presa in considerazione la situazione dei titolari di quote.<br />
La Corte osserva in merito che, allorché una normativa nazionale fissa un criterio distintivo per l’assoggettamento<br />
ad imposta degli utili distribuiti, la valutazione della comparabilità delle situazioni va effettuata tenendo conto di tale<br />
criterio, essendo del tutto priva di pertinenza la situazione fiscale dei titolari di quote di detti organismi.<br />
Con specifico riferimento alla normativa fiscale di cui ai procedimenti principali, constata poi che essa fissa un criterio<br />
distintivo basato sul luogo di residenza dell’OICVM, assoggettando ad una ritenuta alla fonte dei dividendi da essi<br />
ricevuti solo gli OICVM non residenti.<br />
Contrariamente a quanto sostenuto dal governo francese, non sussiste un nesso tra il mancato assoggettamento<br />
ad imposta dei dividendi ricevuti dagli OICVM residenti e l’assoggettamento ad imposta di tali dividendi in capo ai titolari<br />
di quote di questi ultimi.<br />
L’esenzione fiscale di cui godono gli OICVM residenti non è, infatti, subordinata all’assoggettamento ad imposta dei<br />
redditi distribuiti in capo ai titolari delle loro quote. Neppure relativamente agli OICVM che distribuiscono i dividendi<br />
ricevuti la normativa di cui trattasi prende in considerazione la situazione fiscale dei titolari delle loro quote. Risulta<br />
dalla normativa di cui trattasi nei procedimenti principali che i dividendi d’origine nazionale versati ad un OICVM di<br />
distribuzione residente saranno esenti da imposta anche nel caso in cui la Repubblica francese non eserciterà la<br />
propria potestà impositiva sui dividendi ridistribuiti da un OICVM siffatto, in particolare allorché essi siano versati a<br />
titolari di quote aventi la residenza fiscale in uno Stato membro diverso o in uno Stato terzo. Peraltro, i dividendi d’origine<br />
nazionale versati agli OICVM di distribuzione non residenti sono assoggettati ad un’aliquota del 25%, indipendentemente<br />
dalla situazione fiscale dei titolari delle loro quote.<br />
Anche nell’ipotesi in cui, per un titolare residente in Francia di quote di un OICVM non residente, esista, come sostiene<br />
il governo francese, una prassi amministrativa che consente a detto titolare, in talune ipotesi, di ottenere un<br />
credito d’imposta per la ritenuta alla fonte applicata a livello dell’OICVM non residente, resta pur sempre il fatto che<br />
la normativa di cui trattasi nei procedimenti principali prevede l’assoggettamento ad imposta dei dividendi d’origine<br />
nazionale distribuiti agli OICVM non residenti con un’aliquota del 25% in base unicamente al luogo di residenza di<br />
questi ultimi e, pertanto, indipendentemente dalla situazione fiscale dei titolari di quote di tali OICVM.<br />
Considerato il criterio distintivo stabilito da tale normativa, basato unicamente sul luogo di residenza dell’OICVM, la<br />
valutazione della comparabilità delle situazioni ai fini della determinazione del carattere discriminatorio o meno della<br />
normativa di cui trattasi va effettuata unicamente a livello del veicolo di investimento. Inoltre, come sottolinea il giudice<br />
del rinvio, rispetto ad una normativa nazionale, come quella controversa nei procedimenti principali, che mira a<br />
prevenire l’imposizione a catena dei dividendi distribuiti da società residenti, la situazione di un OICVM beneficiario<br />
residente è comparabile a quella di un OICVM beneficiario non residente. Resta da esaminare se la restrizione risultante<br />
da una normativa nazionale come quella controversa nei procedimenti principali sia giustificata da ragioni imperative<br />
di interesse generale.<br />
Quanto alla necessità, invocata dal Governo francese, di salvaguardare una ripartizione equilibrata della potestà impositiva<br />
tra gli Stati membri, la Corte ricorda che essa può essere ammessa qualora, in particolare, il regime di cui<br />
trattasi sia inteso a prevenire comportamenti atti a porre a rischio il diritto di uno Stato membro di esercitare la propria<br />
potestà impositiva in relazione alle attività svolte sul suo territorio. Tuttavia, allorché uno Stato membro sceglie<br />
di non assoggettare ad imposta gli OICVM residenti beneficiari di dividendi d’origine nazionale, non può invocare la<br />
necessità di garantire una ripartizione equilibrata della potestà impositiva tra gli Stati membri per giustificare l’assoggettamento<br />
ad imposta degli OICVM non residenti beneficiari di tali redditi.<br />
La normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali non può essere giustificata neppure dalla necessità<br />
di garantire l’efficacia dei controlli fiscali. Come osservato dal giudice del rinvio, l’efficacia dei controlli fiscali non<br />
può, infatti, giustificare un assoggettamento ad imposta che colpisca unicamente e specificamente i non residenti.<br />
Relativamente all’argomento attinente alla preservazione della coerenza del regime fiscale francese, occorre ricordare<br />
che la Corte ha già dichiarato che la necessità di preservare detta coerenza può giustificare una normativa idonea<br />
Le Società 7/2012 861
Società e Unione europea<br />
Sintesi<br />
a restringere le libertà fondamentali. Tuttavia, affinché un argomento fondato su una siffatta giustificazione possa<br />
essere accolto, secondo giurisprudenza costante occorre che sia dimostrata l’esistenza di un nesso diretto tra l’agevolazione<br />
fiscale di cui trattasi e la compensazione della stessa con un determinato prelievo fiscale. Orbene, come<br />
evidenziato sopra, l’esenzione dalla ritenuta alla fonte dei dividendi non è assoggettata alla condizione che i dividendi<br />
ricevuti dall’OICVM di cui trattasi siano ridistribuiti da quest’ultimo e che il loro assoggettamento ad imposta in<br />
capo ai titolari di quote di detto OICVM consenta di compensare l’esenzione dalla ritenuta alla fonte.<br />
Infine, per quanto riguarda le ragioni che giustificano restrizioni di movimenti di capitali nei confronti di Stati terzi, la<br />
Corte ricorda, da un lato, che il governo francese si è limitato a sostenere che, nell’ambito di siffatti movimenti e in<br />
assenza di convenzioni fiscali che prevedano una reciproca assistenza amministrativa, le limitazioni di cui trattasi dovrebbero<br />
essere giustificate dall’esigenza di garantire l’efficacia dei controlli fiscali.<br />
Per quanto sia vero che secondo la giurisprudenza siffatti movimenti di capitali si inseriscono in un contesto giuridico<br />
diverso rispetto alle relazioni tra gli Stati membri, nel caso di specie la Corte rileva che il governo francese non<br />
ha prodotto elementi atti a dimostrare i motivi per i quali l’efficacia dei controlli fiscali giustificherebbe un assoggettamento<br />
ad imposta che colpisce unicamente e specificamente gli OICVM non residenti.<br />
D’altro lato, giacché le domande di pronuncia pregiudiziale non concernono un’interpretazione dell’art. 64, par.<br />
1, TFUE, afferma che non è necessario esaminare se la limitazione dei movimenti di capitali destinati a Stati terzi, o<br />
da essi provenienti, risultante da una normativa nazionale, come quella controversa nei procedimenti principali, possa<br />
essere giustificata in base a tale disposizione.<br />
Da ultimo il giudice comunitario rigetta la richiesta del Governo francese di limitare nel tempo gli effetti della sentenza.<br />
Se è vero che la Corte, applicando il principio generale della certezza del diritto intrinseco all’ordinamento giuridico<br />
dell’Unione, può essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata<br />
onde rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede, ciò avviene solo in via eccezionale.<br />
Affinché una tale limitazione possa essere disposta, è necessario che siano soddisfatti due criteri essenziali, la buona<br />
fede degli ambienti interessati e il rischio di conseguenze gravi.<br />
La Corte ha poi fatto ricorso a tale soluzione soltanto in presenza di circostanze ben precise, in particolare quando vi<br />
era un rischio di gravi ripercussioni economiche e quando risultava che i singoli e le autorità nazionali erano stati indotti<br />
ad un comportamento non conforme al diritto dell’Unione in ragione di una oggettiva e rilevante incertezza circa<br />
la portata delle disposizioni di diritto dell’Unione.<br />
Con riferimento al caso di specie essa rigetta gli argomenti del Governo francese relativi, da un lato, all’asserita esistenza<br />
di un’incertezza oggettiva e rilevante quanto alla portata delle disposizioni del diritto dell’Unione, dall’altro, alle<br />
considerevoli implicazioni di bilancio di una sentenza della Corte in materia. Afferma infatti che il Governo francese<br />
non ha precisato in che modo il comportamento adottato dalla Commissione e da altri Stati membri avrebbe contribuito<br />
a siffatta incertezza. Inoltre, per costante giurisprudenza, le conseguenze finanziarie che potrebbero derivare<br />
per uno Stato membro da una sentenza pronunciata in via pregiudiziale non giustificano, di per sé, la limitazione nel<br />
tempo degli effetti di tale sentenza. Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte di Giustizia dell’Unione europea<br />
ha dichiarato che:<br />
«Gli articoli 63 TFUE e 65 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa di uno Stato<br />
membro che prevede l’assoggettamento ad imposta, mediante ritenuta alla fonte, di dividendi d’origine nazionale<br />
se ricevuti da organismi di investimento collettivo in valori mobiliari residenti in un altro Stato membro, mentre siffatti<br />
dividendi sono esenti da imposta in capo ad organismi di investimento collettivo in valori mobiliari residenti nel<br />
primo Stato».<br />
862 Le Società 7/2012
INDICE DEGLI AUTORI<br />
Bonavera Enrico Erasmo<br />
Avvocato in Genova<br />
Abuso nell’attività di direzione e coordinamento e<br />
violazione dei principi di corretta gestione societaria<br />
e imprenditoriale ........................................... 746<br />
Carbone Vincenzo<br />
Presidente Emerito onorario della Suprema Corte<br />
di cassazione<br />
Osservatorio di giurisprudenza di legittimità........... 835<br />
Celentano Paolo<br />
Consigliere della Corte d’Appello di Napoli<br />
Le sezioni specializzate in materia d’impresa ......... 805<br />
Dalfino Domenico<br />
Professore associato di Diritto commerciale e<br />
processuale nell’Università degli Studi di Bari<br />
Tutela cautelare ante causam e sospensione della<br />
delibera assembleare...................................... 830<br />
Di Brina Leonardo<br />
Professore straordinario di Diritto Commerciale<br />
nell’Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma’’<br />
I poteri dei liquidatori di società di capitali ............. 761<br />
Fasani Fabio<br />
Dottore di ricerca in Diritto penale nell’Università<br />
degli Studi di Pavia<br />
L’irrilevanza penale dell’elusione tributaria............. 791<br />
Gabelli Massimo<br />
Dottore commercialista in Milano<br />
Osservatorio fiscale........................................ 852<br />
Giuffrè Romilda<br />
Avvocato in Napoli<br />
Osservatorio di giurisprudenza di legittimità........... 835<br />
Guffanti Edoardo<br />
Dottore commercialista in Milano<br />
Il diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede....... 779<br />
Olivieri Silvia<br />
Avvocato in Bruxelles<br />
Osservatorio comunitario ................................. 858<br />
Platania Fernado<br />
Presidente della sezione fallimentare del Tribunale<br />
di Verona<br />
Modifica dell’atto costitutivo prima dell’iscrizione .... 741<br />
Salafia Vincenzo<br />
Presidente aggiunto onorario della Corte di cassazione<br />
La cessione di quote del capitale della s.r.l. ........... 775<br />
Stabilini Alessandra<br />
Avvocato in Milano e Ricercatore di Diritto Commerciale<br />
nell’Università degli Studi di Milano<br />
Osservatorio di giurisprudenza di merito............... 837<br />
Venturini Federico<br />
Avvocato in Genova<br />
Osservatorio Consob...................................... 847<br />
INDICE CRONOLOGICO<br />
DELLA LEGISLAZIONE<br />
D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 ............................... 805<br />
INDICE CRONOLOGICO<br />
DELLA GIURISPRUDENZA<br />
Corte di Giustizia UE<br />
3 maggio 2012, causa C-520/10......................... 858<br />
10 maggio 2012, cause riunite C-338/11 a C-347/11 859<br />
Cassazione civile<br />
1 dicembre 2011, n. 25703 .............................. 741<br />
14 febbraio 2012, n. 2065 ................................ 779<br />
14 maggio 2012, n. 7426 ................................. 835<br />
14 maggio 2012, n. 7427 ................................. 835<br />
16 maggio 2012, n. 7679 ................................. 856<br />
24 maggio 2012, n. 8221 ................................. 835<br />
Cassazione penale<br />
2 febbraio 2012, n. 4458.................................. 841<br />
10 maggio 2012, n. 17451 ............................... 843<br />
21 maggio 2012, n. 19247 ............................... 856<br />
31 maggio 2012, n. 20976 ............................... 844<br />
13 giugno 2012, n. 23229 ................................ 856<br />
Corte d’Appello<br />
Milano 15 febbraio 2012.................................. 838<br />
Milano 4 maggio 2012, n. 1523 ......................... 837<br />
Tribunale<br />
Milano 26 maggio 2011................................... 761<br />
Milano 2 febbraio 2012 ................................... 746<br />
Milano 23 aprile 2012 ..................................... 830<br />
Milano 7 maggio 2012, n. 5244 ......................... 837<br />
Milano 7 maggio 2012, n. 5245 ......................... 839<br />
INDICE CRONOLOGICO<br />
DELLA PRASSI<br />
Indici<br />
Le Società<br />
Agenzia delle Entrate<br />
Circolare 31 maggio 2012, n. 18/E ...................... 853<br />
Circolare 5 giugno 2012, n. 21/E ........................ 852<br />
Circolare 11 giugno 2012, n. 23/E....................... 855<br />
Circolare 15 giugno 2012, n. 24/E....................... 854<br />
Le Società 7/2012 863
Indici<br />
Le Società<br />
Consob<br />
Delibera 26 gennaio 2012, n. 18090 .................... 847<br />
Delibera 1 febbraio 2012, n. 18096 ..................... 847<br />
Delibera 24 febbraio 2012, n. 18130.................... 850<br />
Delibera 9 maggio 2012, n. 18214 ...................... 851<br />
Comunicazione 24 maggio 2012, n. 12044042 ....... 848<br />
INDICE ANALITICO<br />
Associazione in partecipazione<br />
Contratto d’opera<br />
Risoluzione<br />
Risoluzione del contratto (Cass. civ., sez. I; 14 magio<br />
2012, n. 7426 - Osservatorio di giurisprudenza di legittimità)<br />
..................................................... 835<br />
Consorzi<br />
Consorzi urbanistici<br />
Definizione<br />
Consorzi urbanistici (Cass. civ., sez. I, 14 maggio<br />
2012, n. 7427 - Osservatorio di giurisprudenza di legittimità)<br />
..................................................... 835<br />
Gruppi di società<br />
Direzione e coordinamento<br />
Abuso nell’attività<br />
Abuso nell’attività di direzione e coordinamento e<br />
violazione dei principi di corretta gestione societaria<br />
e imprenditoriale (Trib. Milano, sez. VIII, 2 febbraio<br />
2012) commento di E.E. Bonavera...................... 746<br />
Liquidazione<br />
Liquidatori<br />
Poteri<br />
I poteri dei liquidatori di società di capitali (Trib. Milano,<br />
sez. VIII, 26 maggio 2011) commento di L. Di<br />
Brina.......................................................... 761<br />
Mercati finanziari<br />
Informazione societaria<br />
Sanzioni amministrative<br />
Sanzioni amministrative per omissione di informazioni<br />
rilevanti in comunicati al mercato (Delibera 1 febbraio<br />
2012, n. 18096 - Osservatorio consob).......... 847<br />
Sanzioni amministrative per pubblicazione di comu-<br />
nicati incompleti (Delibera 26 gennaio 2012, n.<br />
18090 - Osservatorio consob) ........................... 847<br />
Offerta pubblica di acquisto e di scambio<br />
Esenzioni<br />
Esenzioni ‘‘da salvataggio’’ (Comunicazione 24 maggio<br />
2012, n. 12044042 - Osservatorio consob) ....... 848<br />
Obbligatoria<br />
La risarcibilità dei danni derivanti dalla mancata ricostituzione<br />
del flottante (App. Milano, sez. I, 4 maggio<br />
2012, n. 1523 - Osservatorio di giurisprudenza di<br />
merito)....................................................... 837<br />
Sanzioni amministrative per acquisti di concerto e<br />
violazione del divieto di voto (Delibera 24 febbraio<br />
2012, n. 18130 - Osservatorio consob) ................ 850<br />
Regolamento Emittenti<br />
Disciplina<br />
Modifiche al regolamento emittenti e al regolamento<br />
mercati (Delibera 9 maggio 2012, n. 18124 - Osservatorio<br />
Consob) ............................................ 851<br />
Strumenti finanziari<br />
Emissione e offerta<br />
Il diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede<br />
(Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065) commento<br />
di E. Guffanti ....................................... 779<br />
Reati fallimentari<br />
Bancarotta fraudolenta<br />
Bancarotta infragruppo<br />
Bancarotta fraudolenta e rilevanza dei vantaggi compensativi<br />
infragruppo (Cass. pen., sez. IV, 2 febbraio<br />
2012, n. 4458 - Osservatorio di giurisprudenza penale<br />
dell’impresa)............................................. 841<br />
Reati tributari<br />
Omessa o infedele dichiarazione<br />
Disciplina<br />
L’irrilevanza penale dell’elusione tributaria, di F. Fasani...........................................................<br />
791<br />
Regime fiscale<br />
Controversie internazionali<br />
Disciplina<br />
Composizione delle controversie fiscali internazionali:<br />
le procedure amichevoli (Circolare Agenzia delle<br />
Entrate 5 giugno 2012, n. 21/E - Osservatorio fiscale).............................................................<br />
852<br />
864 Le Società 7/2012
Evasione<br />
Misure di contrasto<br />
Lotta all’evasione: l’Agenzia delle Entrate fornisce le<br />
linee guida per l’anno 2012 (Circolare Agenzia delle<br />
Entrate 31 maggio 2012, n. 18/E - Osservatorio fiscale).........................................................<br />
853<br />
Reddito d’impresa<br />
Deducibilità<br />
Beni concessi in godimento ai soci ed ai familiari: i<br />
chiarimenti dell’Agenzia (Circolare Agenzia delle Entrate<br />
15 giugno 2012, n. 24/E - Osservatorio fiscale) 853<br />
Società in perdita sistematica: le prime indicazioni<br />
dell’Agenzia (Circolare Agenzia delle Entrate 11 giugno<br />
2012, n. 23/E - Osservatorio fiscale)............... 855<br />
Registro delle imprese<br />
Cancellazione<br />
Effetti<br />
Società estinta: il socio risponde dei debiti tributari<br />
solo se ha percepito somme dalla liquidazione<br />
(Cass., sez. trib., 16 maggio 2012, n. 7679 - Osservatorio<br />
fiscale) .............................................. 856<br />
Responsabilità amministrativa<br />
delle persone giuridiche<br />
Misure cautelari reali<br />
Sequestro preventivo<br />
Frode in erogazioni pubbliche attraverso false fatturazioni<br />
e profitto confiscabile (Cass. pen., sez. III, 10<br />
maggio 2012, n. 17451 - Osservatorio di giurisprudenza<br />
penale di impresa) ................................. 843<br />
Reato della persona giuridica ed estensione del sequestro<br />
preventivo ai concorrenti persone fisiche<br />
(Cass. pen., sez. II, 31 maggio 2012, n. 20976 - Osservatorio<br />
di giurisprudenza penale di impresa)....... 844<br />
Società a responsabilità limitata<br />
Assemblea<br />
Convocazione<br />
Convocazione dell’assemblea da parte dei soci che<br />
rappresentano almeno un terzo del capitale sociale<br />
(Trib. Milano, sez. VIII, 7 maggio 2012, n. 5244 - Osservatorio<br />
di giurisprudenza di merito).................. 837<br />
Atto costitutivo e Statuto<br />
Modifiche<br />
Modifica dell’atto costitutivo prima dell’iscrizione<br />
(Cass. civ., sez. I, 1 dicembre 2011, n. 25703) commento<br />
di F. Platania ....................................... 741<br />
Quote<br />
Cessione<br />
La cessione di quote del capitale della s.r.l............ 775<br />
Società di capitali<br />
Deliberazione<br />
Impugnazione<br />
Tutela cautelare ante causam e sospensione della<br />
delibera assembleare (Trib. Milano, sez. VIII, ord., 23<br />
aprile 2012) commento di D. Dalfino ................... 830<br />
Società in accomandita semplice<br />
Utili di esercizio<br />
Diritto alla percezione<br />
Il diritto a percepire gli utili di esercizio nella società<br />
in accomandita semplice (App. Milano, sez. I, 15<br />
febbraio 2012 - Osservatorio di giurisprudenza di<br />
merito)....................................................... 838<br />
Società per azioni<br />
Amministratori<br />
Revoca<br />
Revoca per giusta causa: sindacato di gestione<br />
(Cass. civ., sez. I, 24 maggio 2012, n. 8221 - Osservatorio<br />
di giurisprudenza di legittimità) ................. 835<br />
Società quotate<br />
Continuità aziendale<br />
Criteri di valutazione<br />
Principi e criteri di valutazione per verificare la sussistenza<br />
della continuità aziendale (Trib. Milano, sez.<br />
VIII, 7 maggio 2012, n. 5245 - Osservatorio di giurisprudenza<br />
di legittimità) ..................................<br />
Tribunale delle imprese<br />
Competenza<br />
Indici<br />
Le Società<br />
839<br />
Disciplina<br />
Le Sezioni specializzate in materia d’impresa (D.L.<br />
24 gennaio 2012) commento di P. Celentano......... 805<br />
Le Società 7/2012 865
Indici<br />
Le Società<br />
Unione europea<br />
Diritto delle società<br />
Libera circolazione dei capitali<br />
La Corte di Giustizia si pronuncia in materia di organismi<br />
di investimento collettivo di valori mobiliari<br />
(Corte di Giustizia dell’Unione europea, 10 maggio<br />
2012, cause riunite C-338/11 a C-347/11 - Osservatorio<br />
comunitario) .......................................... 859<br />
Fiscalità indiretta<br />
Iva<br />
La Corte di Giustizia definisce il concetto di ‘‘prestazione<br />
a titolo oneroso’’ nell’ambito di contratti di servizi<br />
di telecomunicazioni (Corte di Giustizia dell’Unione<br />
europea, 3 maggio 2012, causa C-520/10 - Osservatorio<br />
comunitario).................................... 858<br />
866 Le Società 7/2012