IL PGUAP: UN PIANO DA SCOPRIRE? LA VAS ... - Sentieri urbani
IL PGUAP: UN PIANO DA SCOPRIRE? LA VAS ... - Sentieri urbani
IL PGUAP: UN PIANO DA SCOPRIRE? LA VAS ... - Sentieri urbani
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<strong>Sentieri</strong> Urbani<br />
Rivista semestrale della Sezione Trentino dell’Istituto Nazionale di Urbanistica Numero 1 - aprile 2009<br />
Poste Italiane Spa -<br />
spedizione in<br />
A.P. - DL 353/2003<br />
(conv. in L 27/02/04<br />
nr 46) art. 1, comma 2<br />
CNS Trento<br />
In questo numero:<br />
<strong>IL</strong> <strong>PGUAP</strong>: <strong>UN</strong> <strong>PIANO</strong> <strong>DA</strong> <strong>SCOPRIRE</strong> <strong>SCOPRIRE</strong>? <strong>SCOPRIRE</strong><br />
<strong>LA</strong> <strong>VAS</strong> TRA BISOGNI E STRUMENTI<br />
PENSARE <strong>LA</strong> CITTÀ A MISURA DI BAMBINO<br />
QUALITÀ DELLO SPAZIO URBANO PER <strong>UN</strong>A COM<strong>UN</strong>ITÀ SICURA<br />
LE PEREQUAZIONI E LE COMPENSAZIONI IN URBANISTICA
<strong>Sentieri</strong> Urbani<br />
rivista semestrale della Sezione Trentino<br />
dell’Istituto Nazionale di Urbanistica<br />
nuova serie<br />
anno I - numero 1<br />
aprile 2009<br />
registrazione presso il Tribunale di Trento<br />
n. 1376 del 10.12.2008<br />
direttore responsabile<br />
Alessandro Franceschini<br />
direttore@sentieri-<strong>urbani</strong>.eu<br />
redazione<br />
Fulvio Forrer, Paola Ischia, Giovanna Ulrici,<br />
Massimiliano Vanella, Bruno Zanon<br />
redazione@sentieri-<strong>urbani</strong>.eu<br />
hanno collaborato a questo numero:<br />
Silvia Alba, Fabrizio Andreis, Emanuele Boscolo,<br />
Rose Marie Callà, Claudio Coletta, Silvia Ferrin,<br />
Francesco Gabbi, Giovanna Sonda, Alberto Trenti<br />
tipografia<br />
Rotooffset Paganella s.a.s.<br />
di Roberto Alessandrini &C<br />
via Marchetti, 20<br />
38100 Trento<br />
abbonamenti<br />
Per ricevere <strong>Sentieri</strong> <strong>urbani</strong> è sufficiente inviare una<br />
e_mail indicando i dati postali di chi desidera abbonarsi<br />
alla rivista:<br />
diffusione@sentieri-<strong>urbani</strong>.eu<br />
<strong>Sentieri</strong> <strong>urbani</strong> è a diffusione gratuita. Per contribuire<br />
concretamente al sostentamento della rivista è<br />
sufficiente una donazione, anche simbolica, sul<br />
conto corrente intestato all’Inu Trentino presso la<br />
Cassa Rurale di Trento<br />
IBAN IT63M0830401813000013330319<br />
contatti:<br />
www.sentieri-<strong>urbani</strong>.eu<br />
328.0198754<br />
editore<br />
Istituto Nazionale di Urbanistica<br />
Sezione Trentino<br />
Via Oss Mazzurana, 54<br />
38100 Trento<br />
direttivo 2007/2009<br />
Fulvio Forrer (presidente)<br />
Maurizio Tomazzoni (vicepresidente)<br />
Giovanna Ulrici (segretario)<br />
Alessandro Franceschini (tesoriere)<br />
Bruno Zanon (consigliere)<br />
Paola Ischia (consigliere)<br />
Massimiliano Vanella (consigliere)<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani 1<br />
indice<br />
Editoriale<br />
<strong>Sentieri</strong> <strong>urbani</strong>: un’occasione di confronto per il Trentino pag. 2<br />
a cura della redazione<br />
Territorio&Paesaggio<br />
Insediarsi nelle Alpi: pensare e programmare il futuro pag. 4<br />
di F. Forrer<br />
Il Pguap: un piano da scoprire? pag. 8<br />
di A. Trenti<br />
La Vas tra bisogni e strumenti pag. 10<br />
di F. Forrer<br />
Chi ha ucciso il Paesaggio? pag. 16<br />
di A. Franceschini<br />
Spazio&Società<br />
Qualità dello spazio urbano per una comunità sicura pag. 17<br />
di B. Zanon<br />
Pensare la città a misura di bambino pag. 21<br />
di S. Alba, F. Andreis e S. Ferrin<br />
La città sicura: bambini e genitori a confronto pag. 27<br />
di R. M. Callà<br />
Penelope: le trame emergenti del tessuto urbano pag. 33<br />
di C. Coletta, F. Gabbi, G. Sonda<br />
Dossier<br />
Le perequazioni e le compensazioni in <strong>urbani</strong>stica pag. 37<br />
di E. Boscolo<br />
Vita associativa<br />
Est-etica energ-etica nella pianificazione pag. 50<br />
di P. Ischia<br />
Il Governo del territorio: un corso dell’Inu/Trentino pag. 52<br />
di G. Ulrici<br />
Notizie da Roma pag. 54<br />
di G. Ulrici<br />
Chi siamo, cosa vogliamo, come partecipare pag. 55<br />
a cura della redazione<br />
I nuovi soci pag. 56<br />
a cura della redazione
<strong>Sentieri</strong> <strong>urbani</strong>: un’occasione<br />
di confronto per il Trentino<br />
a cura della redazione<br />
Con questo numero di<br />
<strong>Sentieri</strong> <strong>urbani</strong> inizia una<br />
nuova attività dell’Inu del<br />
Trentino. Dopo avere diffuso<br />
un bollettino per diversi<br />
anni, è giunto il momento<br />
per il passaggio ad<br />
una più impegnativa rivista<br />
semestrale<br />
editoriale<br />
C<br />
omincia con questo numero di <strong>Sentieri</strong> <strong>urbani</strong> una nuova fase<br />
dell’attività dell’Istituto Nazionale di Urbanistica del Trentino. Dopo<br />
avere diffuso un bollettino quadrimestrale per diversi anni, è giunto<br />
il momento per il passaggio ad una più impegnativa rivista semestrale.<br />
L’Inu, fondato nel 1930, eretto ad Ente Morale di Alta Cultura nel 1943,<br />
presente in Trentino Alto Adige dal 1985 e costituitosi in sezione autonoma<br />
provinciale nel 1993, promuove lo studio dei problemi del territorio e<br />
stimola l’applicazione ed il rinnovamento degli strumenti di pianificazione.<br />
Oggi l’INU vuole essere anche un luogo di dibattito sulle dinamiche <strong>urbani</strong>stiche<br />
in atto e strumento di formazione per professionalità in grado<br />
di affrontare le sfide sulla gestione del territorio. Non solo, quindi, elaborazione<br />
scientifica, ma momento di confronto e di partecipazione.<br />
Quello appena conclusosi è stato un anno particolarmente importante<br />
per la nostra provincia. La revisione del Piano <strong>urbani</strong>stico provinciale, approvato<br />
con la legge provinciale nr. 5 del 27 maggio 2008, preceduta<br />
dall’approvazione della nuova legge <strong>urbani</strong>stica (la nr. 1 del 4 marzo<br />
2008), ha fatto fare allo strumento di governo del territorio un ulteriore<br />
passo nel solco tracciato da quelli precedenti, lavorando in particolare su<br />
tre aspetti: la sussidiarietà (ovvero il decentramento della responsabilità<br />
di pianificazione), il paesaggio (ovvero la costruzione consapevole<br />
dell’identità), le conoscenze (ovvero pre-vedere, valutare, scegliere e argomentare<br />
in un processo di co-pianificazione).<br />
La situazione economica e sociale della nostra terra, rispetto ai primi<br />
anni Sessanta - quando è iniziata la stagione pianificatoria - è infatti mutata.<br />
Il Trentino non è più la provincia piccola e sola, collocata ai margini di<br />
una nazione e con un’economia esclusivamente agricola, affetta da frammentazione<br />
fondiara e da incapacità di rispondere alle esigenze di vita. È,<br />
invece, un territorio competitivo, dotato di una Università importante e di<br />
molti centri di ricerca di eccellenza. È inoltre un territorio su cui gravita<br />
un forte flusso turistico e che vuole collocarsi come cerniera e ponte tra<br />
il mediterraneo e la mitteleuropa.<br />
Così questo piano <strong>urbani</strong>stico, a differenza del piano di Giuseppe Samonà<br />
(1967) e di Franco Mancuso (1987), persegue nuovi obiettivi di<br />
sviluppo: rinuncia dichiaratamente alle decisioni centralistiche preferendo<br />
delegare alle comunità locali (in particolare ai Comuni e alle Comunità di<br />
valle) le scelte di sviluppo che devono avvenire in un’ottica di partecipazioni<br />
condivise. Si tratta di quella che Roberto Gambino - uno dei consulenti<br />
dell’Amministrazione - chiama «soft-power», ovvero una politica decisionale<br />
fondata sulla forza della persuasione, sull’incentivazione alla partecipazione,<br />
sull’assunzione di responsabilità da parte delle comunità locali, piuttosto<br />
che sul comando centralizzato.<br />
In questa nuova visione della pianificazione, la rivista <strong>Sentieri</strong> <strong>urbani</strong><br />
vuole essere luogo di incontro e di elaborazione per fare crescere<br />
l’<strong>urbani</strong>stica grazie all’informazione, al dibattito, alla formazione. Per tene-
editoriale<br />
re fede a questi obiettivi saremo sempre attenti a scorgere ed intuire<br />
quello che la disciplina, le dinamiche politiche e amministrative, nonché le<br />
esperienze di trasformazione, ci suggeriranno, segnalando le nuove prospettive<br />
ai lettori.<br />
Parleremo in particolare di perequazione <strong>urbani</strong>stica e territoriale,<br />
proponendo esperienze virtuose maturate dentro e fuori il nostro territorio,<br />
per trasformare questo concetto da un importante assunto teorico<br />
ad una prassi pianificatoria indispensabile, che già altrove vive<br />
un’importante stagione di sperimentazione. Parleremo di sviluppo sostenibile,<br />
cercando di recuperare questo importante concetto dalla retorica<br />
della politica, per proiettarlo nello spazio del progetto strategico e per farlo<br />
diventare ancora occasione per riconvertire l’economia ed il sistema<br />
produttivo, con attenzione ai cambiamenti climatici, all’uso del territorio,<br />
all’ambiente. Parleremo di paesaggio e di partecipazione riempiendo queste<br />
parole spesso “vuote” con occasioni di implementazione, di sperimentazione<br />
e di attuazione. Consapevoli che l’identità connessa a tali concetti<br />
diventa effettiva solo se la qualità del paesaggio diventerà un obiettivo diffuso<br />
e la partecipazione una pratica integrante delle politiche di settore.<br />
Parleremo di sicurezza urbana e di attenzione all’infanzia, perché la qualità<br />
della nostra vita dipende ogni giorno di più dalla qualità dello spazio in<br />
cui viviamo, in un contesto che vede sempre più persone vivere in uno<br />
spazio completamente antropizzato, dai caratteri <strong>urbani</strong> anche in campagna.<br />
Queste e tante altre cose ancora verranno affrontate ogni sei mesi<br />
sulle pagine di questa rivista. Un luogo di riflessione disciplinare,<br />
un’occasione per lo scambio delle idee, delle opinioni, delle visioni, certamente<br />
non distante dalla politica, ma caratterizzato da quella libertà di espressione<br />
e di pensiero, da quella serena pacatezza di chi è al di là degli<br />
schieramenti politici.<br />
Parleremo di perequazione<br />
<strong>urbani</strong>stica e territoriale,<br />
di sviluppo sostenibile,<br />
di paesaggio e di partecipazione,<br />
di sicurezza urbana<br />
e di attenzione<br />
all’infanzia, cercando di<br />
riempire queste parole<br />
spesso “vuote” in<br />
occasioni di riflessione<br />
progettuale
4 / <strong>Sentieri</strong> Urbani<br />
Insediamento tradizionale<br />
nelle Alpi italiane<br />
Insediarsi nelle Alpi: pensare e<br />
programmare il futuro<br />
di Fulvio Forrer<br />
Origine ed evoluzione dell’insediamento nelle Alpi<br />
In origine le Alpi erano solo territori marginali,<br />
territori di caccia: rare le presenze stanziali,<br />
sporadici i passaggi di transito: si sarebbero potuti<br />
definire spazi limite, in cui la penetrazione era<br />
di per se difficoltosa e pericolosa. Solo al termine<br />
del primo millennio d.C., le Alpi diventarono<br />
territori significativi di residenza stabile. Gli<br />
insediamenti erano dapprima nei fondovalle, ma<br />
in posizione dominante (i castellieri) a causa<br />
dei pericoli derivanti dai regimi idrici dei grandi<br />
fiumi di fondovalle, per poi radicarsi nelle aree<br />
più strategiche e comode dei fondovalle. È<br />
l’epopea del colonialismo espansivo europeo dove<br />
la crescita rappresentava più territori, più popolazione,<br />
più entrate.<br />
In questi passaggi storici le Alpi mantennero la<br />
loro caratteristica di fattore fisico di separazione<br />
e ne acquisirono uno nuovo: quello di spazio<br />
di vita per l’espandersi delle regioni limitrofe. Le<br />
Alpi serbatoio di minerali, giacimenti che rappresentano<br />
la materia prima per acquisire maggiore<br />
potenza e forza. I “territori limite” erano nelle<br />
loro condizioni laboratorio di vita, con i<br />
“roncadori”, e scuola di mestieri quanto di tecnologie<br />
di base, in una logica insediativa di diffusione<br />
sul territorio; merita ricordare che in Italia<br />
è l’epoca delle Signorie e dei Comuni, cresciuti<br />
all’insegna dell’antico bisogno di sicurezza. Di<br />
quel periodo vanno ricordato come alcune aree<br />
furono oggetto di sfruttamento intensivo delle risorse<br />
locali (legname, minerali, sale, ecc) al<br />
punto tale da trasformarsi da spazi di vita a luoghi<br />
di morte. Le conseguenze di tale carico sul<br />
territorio furono sia economiche (crisi di cresci-<br />
Territorio&Paesaggio<br />
ta e di mantenimento) che ambientali quanto sociali<br />
(disastri naturali con distruzione di insediamenti,<br />
migrazione).<br />
La rivoluzione industriale di fine ‘800 arriva, seppur<br />
con ritardo, fin dentro le Alpi con il prelievo<br />
di nuove risorse (acqua, energia, manodopera,<br />
ecc.); le nuove logiche economiche hanno nuovamente<br />
alterato gli equilibri di vita in montagne<br />
soprattutto attraverso il fenomeno migratorio;<br />
l’impervio – la montagna – rappresenta solo in<br />
parte il limite fisico, ma più propriamente la penalizzazione<br />
dei costi, anche di quelli commerciali.<br />
In questo contesto i poli <strong>urbani</strong> di sviluppo<br />
delle nazioni di riferimento diventano l’attrattore<br />
dei forti movimenti migratori. L’abbandono della<br />
montagna, anche se non dappertutto e nello<br />
stesso modo ed entità. Si spopolano intere comunità<br />
e vallate. Oggi le Alpi vivono una nuova<br />
stagione: sono i parchi gioco-svago/sfogo- delle<br />
aree forti di pianura il cui modello di vita si impone<br />
nei costumi quotidiani attraverso i media: il<br />
modello urbano si propaga nei fondovalle ed in<br />
collina costruendo arcipelaghi insediativi il cui riferimento<br />
organizzativo appare la metropoli.<br />
Vivere nelle Alpi: il nuovo contesto socioeconomico<br />
ed ambientale<br />
Vivere in montagna (quella vera) è difficile, oneroso<br />
ed impegnativo, in ogni caso ci troviamo in<br />
un epoca nuova. La fase economica e sociale<br />
del nostro tempo è quella della smaterializzazione<br />
e della delocalizzazione. Assistiamo ad un esodo<br />
dai grandi centri verso quelli medi ed anche<br />
nelle Alpi le città rappresentano il fattore di<br />
riferimento: in alcuni territori geografici delle Alpi<br />
gli insediamenti sono periferie dei grandi poli<br />
metropolitani della pianura, ed in altre realtà più<br />
interne al sistema alpino, sono riferimento per<br />
servizi rari e pregiati di bacino. E se storicamente<br />
i capoluoghi erano il vessillo di identificazione<br />
per le intere comunità regionali, ora i centri<br />
principali rappresentano con i loro arcipelaghi<br />
insediativi (una sorta di submetropoli di piccole<br />
dimensioni) l’opportunità di vita qualificata<br />
(minore concentrazione, tempi di vita più diluiti e<br />
minore frenesia).<br />
Le città alpine sono considerate luoghi ad alta<br />
vivibilità prima ancora dei rispettivi territori di<br />
periferia, che risultano ancora malamente serviti<br />
sia dalle reti tecnologiche avanzate che dai<br />
servizi di base. Per identificare il livello della sfida<br />
è interessante notare come la dimensione<br />
delle città italiane capoluogo di Provincia nelle
Territorio&Paesaggio<br />
Alpi è medio-piccola, il parametro demografico è<br />
significativo dei bacini di riferimento, ovvero della<br />
difficoltà di quadrare i costi dell’offerta di servizi<br />
che giocoforza nelle area montana sono più<br />
elevati che in pianura, a fronte invece di bacini<br />
di utenza decisamente inferiori. Il numero degli<br />
abitanti in contesti <strong>urbani</strong> alpini difficilmente supera<br />
i 100 mila abitanti; la maggior parte delle<br />
unità insediative conta tra i 20 e i 50 mila abitanti;<br />
tranne che nel caso lombardo evidentemente<br />
condizionato dal fungo d’influenza milanese;<br />
i sistemi insediativi più interni nelle valli alpine<br />
risultano regolati da logiche endogene,<br />
d’area. La globalizzazione continentale e la riduzione<br />
nella percezione delle distanze, frutto della<br />
diffusione dell’automobile, rende la vita in periferia<br />
simile a quella in città; ne consegue un modello<br />
di vita sostanzialmente urbano vissuto anche<br />
nelle località più marginali. I limiti e le difficoltà<br />
tipici della montagna non sono più percepiti<br />
nella vita comune, ne deriva un modello insediativo<br />
“della dispersione”, l’antica parsimonia<br />
nel consumo di territorio lascia spazio al modello<br />
“padano”; al virtuosismo dei paesi storici si<br />
contrappone lo spreco edilizio della modernità,<br />
in un proliferare di macchie abitate con debole<br />
struttura urbana ed elevati costi di gestione.<br />
La rincorsa all’appezzamento di terreno edificabile,<br />
ufficialmente per i figli o i famigliari, è la logica<br />
imperante nella redazione dei Piani Regolatori,<br />
i quali sono ancora oggi prevalentemente<br />
dei semplici programmi di fabbricazione. Va poi<br />
tenuto presente poi come la dotazione individuale<br />
di terreno edificabile (valore immobiliare) è<br />
fonte di speculazione edilizia, generalmente realizzata<br />
attraverso la vendita del bene che nelle aree<br />
turistiche ed urbane pregiate mantiene un<br />
valore finanziario maggiore che non con gli investimenti<br />
azionari. Dobbiamo considerare che ciò<br />
comporta costi per il soddisfacimento del bisogno<br />
“casa” di chi ha bisogno di entità esorbitan-<br />
te, al limite della inaccessibilità. Infine dobbiamo<br />
tenere presente che il fenomeno dello spopolamento<br />
della montagna è in buona parte finito,<br />
vi è una ripresa generalizzata della crescita<br />
demografica con esodo dalle più alte quote (ma<br />
non nei centri turistici) a favore dei centri di valle,<br />
meglio serviti di servizi e con una decente dimensione<br />
di comunità.<br />
Il consumo di suolo in Trentino evidenza come<br />
l’insediamento si disperde su oltre il 5% del territorio<br />
provinciale ed in particolare nei fondovalle<br />
con una concentrazione abitativa al di sotto dei<br />
500 metri di quota (la parte di territorio più comoda<br />
da abitare) che registra picchi di oltre<br />
550 abitanti per chilometro quadrato, mentre<br />
in Alto Adige l’<strong>urbani</strong>zzato si concentra su appena<br />
il 2,85% del territorio provinciale. È interessante<br />
osservare come la struttura insediativa<br />
delle città alpine italiane sia omogenea, ovvero<br />
interessate dalla dispersione come dal loro estendersi<br />
in un arcipelago di nuclei. Seppur nei<br />
fondovalle spaziosi e ampi, le città alpine fanno i<br />
conti con la morfologia dei luoghi e le asperità,<br />
nonché con le aree soggette ai pericoli naturali<br />
(aree a rischio): frane, alluvioni, ecc: Gaia è viva<br />
in montagna con più evidenza che non in pianura.<br />
Qui, a causa delle particolari condizioni orografiche,<br />
il clima peggiora: d’inverno per<br />
l’inversione termica e le concentrazioni di inquinanti<br />
e d’estate per l’ozono. I territori alpini diventano<br />
così luoghi di contraddizione, dal mito<br />
dell’aria pura alla realtà di inquinamenti simili alla<br />
periferia milanese.<br />
Le città alpine come modello di un equilibrio<br />
dentro la rigenerazione: “verso l’impatto zero”<br />
La sfida futura dello spazio alpino, e dei sistemi<br />
insediativi alpini in particolare, è rafforzare e salvaguardare<br />
le proprie caratteristiche, con attenzione<br />
a porre le condizioni per uscire dalla omologazione<br />
del modello di vita metropolitano, non-<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 5<br />
Le Pale di San Martino<br />
viste dal Passo Rolle
6 / <strong>Sentieri</strong> Urbani<br />
Paesaggio Alpino: la<br />
catena del Lagorai<br />
ché migliorare la propria dotazione di beni e servizi,<br />
ovvero della propria capacità attrattiva come<br />
luogo di vita ad alta qualità, con una base<br />
delle relazioni ecologiche a impronta zero e con<br />
modello sociale di Comunità (solidarietà). Le ricadute<br />
delle attività economico-sociali devono<br />
garantire ritorni su base locale, preferibilmente<br />
di tipo polverizzato, solo così vi sarà quel controllo<br />
sociale (consenso) capace di salvaguardare<br />
da interessi speculativi concentrati e ad alto<br />
ritorno finanziario (generalmente guidati da investimenti<br />
finanziari di origine indefinita).<br />
Vanno in ogni caso trovati meccanismi di compensazione<br />
affinché l‘egoismo, che coinvolge anche<br />
gli interessi sociali delle popolazioni alpine,<br />
trovi adeguato contenimento e compensazione<br />
in iniziative di ampio respiro. L’obiettivo<br />
dell’impatto zero non è un miraggio, ma è un<br />
traguardo verso il quale è possibile avvicinarsi;<br />
già oggi le comunità alpine godono di favorevoli<br />
condizioni di partenza, ampia distesa di boschi<br />
con valori attorno al 50% della superficie totale.<br />
Cicli produttivi parzialmente regionali dentro ad<br />
una logica di sostegno delle produzioni locali. Un<br />
carico antropico elevato per le condizioni di<br />
montagna, ma riequilibrato da una fase storica<br />
di recessione demografia. Un sistema sociale in<br />
cui il senso di comunità è forte, nonché consistenti<br />
iniziative economiche a base cooperativistica,<br />
quindi etica e solidarietà. Un mix di condizioni<br />
economico-sociali che favoriscono una prevalenza<br />
degli interessi comuni rispetto a quella<br />
squisitamente individuali.<br />
Questi punti di partenza sono le leve sulle quali<br />
Territorio&Paesaggio<br />
agire per rafforzare le attuali potenzialità e affrontare<br />
le sfide future. La pianificazione territoriale,<br />
che è lo strumento per programmare le<br />
politiche di comunità su base democratica<br />
(condivisa, ovvero consenso), è il “grimaldello”<br />
per indirizzare le risorse verso gli obiettivi condivisi:<br />
di comunità. È necessario precisare, in estrema<br />
sintesi, che gli interessi di comunità non<br />
sono la sommatoria dei singoli interessi individuali<br />
e che spesso le due visioni confliggono,<br />
quindi il criterio della partecipazione dei cittadini<br />
va garantito entro un sistema costruito e organizzato<br />
in modo da rafforzare le istanze collettive<br />
rispetto a quelle individuali; ovvero va<br />
favorita/incentivata la partecipazione attiva alle<br />
scelte di comunità. In tal senso i Piani vanno redatti<br />
con esplicitazione degli scenari alternativi<br />
tra i quali valutare le ricadute; le scelte devono<br />
essere prese attraverso percorsi partecipati espliciti,<br />
preferibilmente che mutuano da esperienze<br />
di Agenda 21 Locale.<br />
Un nodo centrale per i piani del futuro è<br />
l’energia, essa è il fattore strategico per lo sviluppo<br />
della vita e per la crescita delle comunità,<br />
la trasformazione dell’energia è a sua volta il<br />
principale fattore climalterante; i Piani devono esplicitare<br />
i fabbisogni di energia e le fonti disponibili<br />
capaci al loro soddisfacimento individuandone<br />
gli effetti ambientali. Va considerato che la<br />
pianificazione <strong>urbani</strong>stica può affrontare, riducendoli,<br />
oltre il 60% dei consumi totali di energia,<br />
tale sforzo va condotto contestualmente alla<br />
redazione del piano regolatore generale e non<br />
con strumenti settoriali, ma, quale fattore cen-
Territorio&Paesaggio<br />
trale del processo decisionale. Il settore dei trasporti<br />
con i relativi consumi è direttamente influenzate<br />
dalla distribuzione localizzativa degli abitanti<br />
e delle produzioni, quando dei servizi e<br />
dei consumi. Il 70% degli spostamenti <strong>urbani</strong> avviene<br />
in automobile, una buona pianificazione urbana<br />
capace di fluidificare il traffico secondo il<br />
principio della lentezza può contribuire alla riduzione<br />
delle emissioni gassose per una quota significativa;<br />
ma dato che nelle città il problema<br />
principale sono gli spazi che non sono più in grado<br />
di accogliere scatole di latta (le automobili),<br />
lo sviluppo del trasporto pubblico può risultare<br />
strategico e vincente: può ridurre i consumi individuali<br />
mediamente del 50% rispetto ad oggi<br />
con una ricaduta positiva anche sul bilancio di<br />
collettività.<br />
Il settore dell’abitare, e più in generale dei consumi<br />
civili, può risentire di un deciso miglioramento<br />
delle prestazioni dalla introduzione di specifiche<br />
misure di contenimento energetico: una<br />
casa tradizionale consuma oggi mediamente<br />
2500 litri di gasolio anno; con interventi di miglioria<br />
sull’esistente questo consumo può essere<br />
ridotto ad un terzo, mentre realizzando un edificio<br />
nuovo con le tecnologie e le soluzioni esistenti<br />
tale risparmio può raggiungere valori quasi<br />
di azzeramento dei consumi. E se invece nelle<br />
zone vocate si attivano politiche programmate di<br />
produzione energetica a bassa densità, ma diffuse<br />
sul territorio, si possono affrontare i problemi<br />
del trasporto dell’energia elettrica<br />
(inquinamento elettromagnetico) e il diretto controllo<br />
sui consumi e sulla distribuzione.<br />
Conclusioni<br />
Tasselli dell’approccio virtuoso e di politiche lungimiranti<br />
possono essere ritrovati in vari esempi:<br />
- la politica sui trasporti che caratterizza la Svizzera<br />
(fluidificazione lenta) o il Tirolo del Sud come<br />
nel caso della ferrovia della Venosta<br />
(trasporto pubblico);<br />
- il Piano Generale di Utilizzazione delle Acque<br />
Pubbliche (<strong>PGUAP</strong>) del Trentino, quale strumento<br />
di programmazione nell’uso delle risorse e<br />
delle logiche di recupero ambientale;<br />
- le Perle delle Alpi con le offerte di mobilità dolce;<br />
- casaclima per andare verso un rapporto con le<br />
risorse locali virtuoso (sole-legno);<br />
- nella recente legge (certamente tardiva) per il<br />
contenimento delle seconde case introdotta in<br />
Provincia di Trento;<br />
- nel processo di partecipazione popolare avvenuto<br />
nella Rheintal alla ricerca di un contenimento<br />
all'<strong>urbani</strong>zzazione diffusa o il Piano partecipato<br />
di Budoia (Friuli – I).<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 7<br />
Riferimenti Bibliografici<br />
A. Gorfer, I segni della<br />
storia, ed Saturnia 1982.<br />
S. Bassetti, P. Morello,<br />
Paesaggio e architettura<br />
rurale nelle valli ladine<br />
delle Dolomiti, ed Manfrini<br />
1983.<br />
E. Ferrari F. Sembianti,<br />
M. Tomasi, G. Zampedri,<br />
I centri storici del Trentino,<br />
ed. Silvana 1981.<br />
G. Visetti, Le Alpi tradite<br />
dal denaro, Repubblica<br />
18/7/08.<br />
C. Emanuel, Integrazione<br />
urbana e nuove gerarchie,<br />
ed F. Angeli 1988.<br />
G. Dematteis, L’Italia delle<br />
città tra malessere e<br />
trasfigurazione, ed SGI,<br />
2008.<br />
F. Indovina, Lo spreco<br />
edilizio, ed Marsilio,<br />
1972.<br />
F. Sembiant, Rapporto dal<br />
territorio: il Trentino, ed<br />
INU 2007.<br />
ASTAT, INFO n. 25, Istituto<br />
provinciale di Statistica<br />
10/2006, Provincia<br />
Autonoma di Bolzano.
8 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Territorio&Paesaggio<br />
Introduzione<br />
Il Piano generale di utilizzazione delle acque<br />
pubbliche (Pguap) è nato con il secondo<br />
Statuto di Autonomia per la Regione<br />
Trentino-Alto Adige (D.P.R. 31 agosto<br />
1972, n. 670) quale strumento<br />
di intesa fra lo Stato e le Province autonome<br />
di Trento e Bolzano, alle quali lo<br />
stesso Statuto trasferiva le competenze<br />
in materia di acque e demanio idrico. In<br />
origine esso disciplinava quindi l’uso della<br />
risorsa idrica (derivazioni e attingimenti)<br />
e la regolazione dei corsi<br />
d’acqua.<br />
Alla fine degli anni ‘90 (D.Lgs. 11 novembre<br />
1999, n. 463 - Norme di attuazione<br />
dello statuto speciale della regione<br />
Trentino-Alto Adige in materia di<br />
demanio idrico, di opere idrauliche e di<br />
concessioni di grandi derivazioni a scopo<br />
idroelettrico, produzione e distribuzione<br />
di energia elettrica), è stata conferita<br />
al Pguap la valenza di Piano di bacino<br />
di rilievo nazionale, ampliandone<br />
così notevolmente i contenuti in relazione<br />
a quanto già previsto dalla specifica<br />
legislazione di settore che dieci anni prima<br />
aveva istituito le Autorità di bacino<br />
(legge 18 maggio 1989, n. 183 - Norme<br />
per il riassetto organizzativo e funzionale<br />
della difesa del suolo).<br />
La Provincia autonoma di Trento ha<br />
quindi avviato nel 2001 una radicale revisione<br />
del Piano per farne uno strumento<br />
di disciplina organica e integrata<br />
delle molteplici relazioni tra la sfera antropica,<br />
le risorse idriche e l’assetto del<br />
territorio; il tutto con specifica attenzione<br />
a promuovere la compatibilità ambientale<br />
e la sostenibilità dello sviluppo.<br />
Nei successivi diciotto mesi è stato redatto<br />
il documento preliminare di Piano,<br />
che con più di mille pagine di testi e tabelle<br />
corredati da seicento tavole grafiche,<br />
ha raccolto ed elaborato le informazioni<br />
e i dati più aggiornati disponibili<br />
in queste materie.<br />
Prima dell’approvazione si è svolto un<br />
lungo e complesso iter amministrativo<br />
fatto di presentazioni, pareri, accordi e<br />
intese con le parti sociali e gli Enti locali<br />
trentini, con la Provincia autonoma e le<br />
Il Pguap<br />
<strong>UN</strong> <strong>PIANO</strong> <strong>DA</strong> <strong>SCOPRIRE</strong>?<br />
di Alberto Trenti<br />
due Regioni limitrofe, con le Autorità di<br />
bacino del Po, dell’Adige e dell’Alto Adriatico<br />
e infine con il Ministero<br />
dell’Ambiente e della Tutela del territorio.<br />
Il Piano è infine stato emanato con<br />
decreto del Presidente della Repubblica<br />
il 15 febbraio 2006 ed è entrato in vigore<br />
il successivo 8 giugno.<br />
Lo scorso autunno la Giunta provinciale<br />
ha parzialmente modificato, previa intesa<br />
con gli Enti su menzionati, la parte<br />
del Piano riguardante le aree a rischio<br />
idorgeologico (deliberazione n. 2049<br />
del 21 settembre 2007) al fine di armonizzarne<br />
le disposizioni con la nuova<br />
disciplina del Piano Urbanistico Provinciale.<br />
Esso ha infatti introdotto la Carta<br />
di sintesi della Pericolosità quale strumento<br />
di rappresentazione della criticità<br />
territoriale più adeguato, rispetto alla<br />
Carta del Rischio, per le attività di previsione<br />
e di trasformazione <strong>urbani</strong>stica<br />
del territorio.<br />
Per quanto riguarda i contenuti, come<br />
già accennato, il Piano è un documento<br />
molto corposo e ricco di informazioni;
Territorio&Paesaggio<br />
una vera miniera di dati ed elaborazioni,<br />
spesso originali e quasi sempre su basi<br />
GIS, rappresentati distintamente per<br />
singolo bacino idrografico e/o per ambiti<br />
amministrativi. Il tutto è suddiviso<br />
nelle otto parti brevemente descritte di<br />
seguito.<br />
1. Quadro conoscitivo di base: descrive<br />
le caratteristiche macroscopiche del<br />
territorio e delle risorse idriche con particolare<br />
riguardo agli aspetti geomorfologici,<br />
idrogeologici, idrologici, idrometrici,<br />
idrografici e forestali. Riporta anche<br />
una specifica sezione dedicata<br />
all’agricoltura ed ai fabbisogni irrigui<br />
nonché una rappresentazione delle dinamiche<br />
demografiche e turistiche fino<br />
all’anno 2030.<br />
2. Quantità e qualità delle acque: riporta<br />
il bilancio idrico per ciascuno dei 14<br />
bacini idrografici principali presenti nel<br />
territorio trentino, quantificando gli apporti<br />
e le perdite sia naturali che artificiali.<br />
Quantifica i carichi inquinanti civili,<br />
industriali e agricoli, descrive<br />
l’evoluzione dei sistemi di depurazione e<br />
rappresenta l’andamento dei principali<br />
indici di qualità nel decennio 1990-<br />
2000, affiancandoli anche ad un indicatore<br />
di qualità delle comunità ittiche sviluppato<br />
ad hoc lungo le aste dei principali<br />
corsi d’acqua.<br />
3. Utilizzazione delle acque pubbliche:<br />
descrive l’entità delle derivazioni d’acqua<br />
sia superficiali che sotterranee presenti<br />
in Trentino, distinte per tipologia d’uso,<br />
per bacino idrografico e per mese<br />
dell’anno; determinando inoltre il diverso<br />
indice di utilizzazione dell’acqua nei<br />
principali bacini idrografici. Rappresenta<br />
infine i fabbisogni idrici per gli usi civili,<br />
agricoli, zootecnici, industriali e di innevamento,<br />
affiancandovi quelli per il deflusso<br />
minimo vitale che viene definito<br />
distintamente per 555 sottobacini con<br />
andamento modulato nel corso<br />
dell’anno.<br />
4. Pericolosità e rischio idrogeologico:<br />
Riguarda l’individuazione e la perimetrazione<br />
delle aree a rischio idrogeologico<br />
(esondazioni, frane e valanghe)<br />
sull’intero territorio provinciale mediante<br />
sovrapposizione della carta della pericolosità<br />
(in gran parte derivata dalla<br />
Carta di Sintesi Geologica) con la carta<br />
del valore d’uso del suolo, costruita in<br />
base alle previsioni dei Piani regolatori<br />
Generali dei Comuni.<br />
5. Sistemazione dei corsi d’acqua e dei<br />
versanti: Contiene il Catasto delle opere<br />
di sistemazione e dei dissesti e definisce<br />
i criteri per la determinazione delle<br />
portate di piena nonché quelli per la<br />
programmazione, pianificazione e progettazione<br />
degli interventi di difesa<br />
(supportati da un quaderno delle opere<br />
tipo) e quelli per la manutenzione degli<br />
alvei e delle opere. Tratta infine le problematiche<br />
attinenti alla laminazione delle<br />
onde di piena con particolare riguardo<br />
ai principali punti di criticità idraulica<br />
presenti sul territorio ed alla gestione<br />
degli scarichi degli invasi idroelettrici.<br />
6. Ambiti fluviali: Riguardano le aree<br />
che, sviluppandosi lungo i principali corsi<br />
d’acqua, ne esprimono in maniera significativa<br />
la rilevanza funzionale sotto i<br />
profili idraulico, ecologico e paesaggistico.<br />
I tre tipi di ambiti fluviali sono sovrapposti<br />
in unica cartografia per rappresentarne<br />
la coesistenza; per ciascuno<br />
di essi sono inoltre definiti specifici<br />
criteri di tutela e valorizzazione.<br />
7. Indirizzi per la pianificazione: Tratta<br />
la definizione di criteri e indirizzi per<br />
l’armonizzazione con gli altri strumenti<br />
di pianificazione rilevanti per il territorio<br />
e le acque, ovvero il Piano <strong>urbani</strong>stico<br />
provinciale, il Piano di tutela della qualità<br />
della acque, il Piano energetico, gli<br />
strumenti di pianificazione forestale e<br />
quelli del Servizio idrico integrato.<br />
8. Norme di attuazione: Dettano la disciplina<br />
generale per l’uso e la valorizzazione<br />
del territorio e delle acque nei<br />
prossimi 15-20 anni di validità del Piano.<br />
Sono costituite da 38 articoli suddivisi<br />
in sette capi che ripercorrono le tematiche<br />
sopra descritte definendone indirizzi,<br />
prescrizioni, misure e vincoli che<br />
puntano a definire una strategia complessiva<br />
di Piano articolata sui cinque<br />
assi strategici e relative azioni descritti<br />
di seguito.<br />
Razionalizzazione degli usi idrici:<br />
- bilancio idrico come strumento di valutazione<br />
delle concessioni;<br />
- adeguamento degli standard per i<br />
principali tipi di utilizzazioni;<br />
- interdizione degli usi impropri di acque<br />
pregiate;<br />
- riduzione significativa delle perdite dalle<br />
reti di acquedotto;<br />
- sostegno alla diffusione di tecnologie a<br />
basso consumo;<br />
- graduale passaggio dai canoni alle tariffe;<br />
- promozione di reti duali.<br />
Salvaguardia delle riserve pregiate:<br />
- protezione dei ghiacciai;<br />
- limitazioni d’uso nei laghi in quota;<br />
- interdizione di pozzi profondi in quota;<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 9<br />
- contenimento dei prelievi dalle falde<br />
acquifere.<br />
Aumento diffuso della qualità delle acque:<br />
- incremento dei deflussi minimi vitali;<br />
- potenziamento della rete di depurazione;<br />
- rinaturalizzazione degli alvei;<br />
- valorizzazione degli ambiti fluviali;<br />
- divieto all’estrazione di inerti dagli alvei.<br />
Riduzione del rischio idrogeologico:<br />
- nuova disciplina <strong>urbani</strong>stica delle aree<br />
a rischio;<br />
- individuazione delle opere di difesa più<br />
urgenti;<br />
- uso dei serbatoi idroelettrici per la laminazione<br />
delle piene;<br />
- nuovi standard di progettazione, costruzione<br />
e manutenzione delle opere;<br />
- tutela del demanio idrico.<br />
Miglioramento degli ecosistemi fluviali:<br />
- tutela <strong>urbani</strong>stica degli ambiti fluviali;<br />
- promozione delle tecniche di ingegneria<br />
naturalistica;<br />
- nuovi criteri per il trattamento della<br />
vegetazione in alveo;<br />
- diversificazione degli alvei.<br />
Conclusioni<br />
Se la predisposizione del Piano ha richiesto<br />
il coinvolgimento di molti soggetti<br />
(in particolare un connubio di funzionari,<br />
tecnici e scienziati con notevoli<br />
conoscenze specifiche acquisite in molti<br />
anni di lavoro diretto sul territorio) e se<br />
la sua approvazione ne ha interessati<br />
un numero ancora maggiore soprattutto<br />
nella sfera politica e in quella istituzionale,<br />
la sua attuazione sarà ancora<br />
più impegnativa e per avere successo<br />
dovrà coinvolgere attivamente anche i<br />
principali settori dell’economia, delle libere<br />
professioni e della società civile,<br />
nella ricerca di nuovi strumenti, processi<br />
e soluzioni capaci di dare concretezza<br />
agli obiettivi del Piano e quindi, in ultima<br />
analisi, di conferire allo sviluppo economico-sociale<br />
della Comunità trentina un<br />
rapporto sempre più equilibrato con le<br />
risorse idriche e territoriali.
10 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Territorio&Paesaggio<br />
La Vas tra bisogno di decisioni<br />
sostenibili e strumenti di oggettività<br />
di Fulvio Forrer<br />
Grandi opere e paesaggio:<br />
ponte romano sul<br />
torrente Giara in provincia<br />
di La Spezia (Liguria)<br />
La direttiva Comunitaria<br />
La direttiva comunitaria definisce che la valutazione<br />
ambientale strategica «contribuisce<br />
all’integrazione di considerazioni ambientali<br />
all’atto della elaborazione e dell’adozione di piani<br />
e programmi al fine di promuovere lo sviluppo<br />
sostenibile». Quindi la Vas “contribuisce” e non è<br />
necessariamente esaustiva; essa “contribuisce”<br />
all’integrazione e non crea un percorso differenziato<br />
(settoriale); infine, essa “contribuisce”<br />
all’atto della elaborazione e della adozione alle<br />
decisioni, quindi non può essere solo un atto<br />
formale, ma necessità di strutturare la conoscenza<br />
e la decisione con passaggi congruenti.<br />
La direttiva ne fissa il percorso metodologico:<br />
- Il rapporto di impatto ambientale (Relas) individua,<br />
descrive e valuta gli effetti significativi del<br />
piano sull’ambiente, e le ragionevoli alternative;<br />
- Le consultazioni che prevedono necessariamente<br />
la messa a disposizione della proposta di<br />
piano e del rapporto alle autorità e al pubblico,<br />
- La valutazione del Rapporto e dei risultati delle<br />
consultazioni vanno introitati nel processo decisionale,<br />
la messa a disposizione del pubblico delle<br />
informazioni facendo emergere la necessità di<br />
rendere effettiva e costruttiva la partecipazione,<br />
ovvero godere di condizioni adeguate per la partecipazione<br />
già in fase preparatoria delle decisioni<br />
che si caratterizzi per attivismo, corretta, conoscenza<br />
delle informazioni e coerenza dei contributi<br />
di partecipazione.<br />
Tale metodica comporta l’affrontare le seguenti<br />
problematiche:<br />
- L’approccio alla prevenzione e alla precauzione;<br />
- Il processo di partecipazione (consultazioni e<br />
informazione);<br />
- Il nodo conoscenze oggettive/valutazione;<br />
- Il tema dei tempi e dei costi.<br />
Il testo unico nazionale sull’ambiente “Tua”<br />
La normativa nazionale disciplina la valutazione<br />
strategica recependo in sostanza la direttiva comunitaria<br />
ribadendone l’articolazione e slittandone<br />
i tempi entrata in vigore; in ogni caso la materia<br />
è, nei nostri territori, di competenza primaria<br />
provinciale ed attuabile in via ordinaria<br />
previo specifico recepimento normativo.<br />
Un precedente importante per il Trentino è la<br />
storia della Via<br />
Il Trentino è stato un precursore della valutazione<br />
d’impatto ambientale (Via) a livello nazionale,<br />
la piena entrata in vigore della procedura è del<br />
‘90, introduzione delle legge e sua gestione influenzano<br />
significativamente l’attuale ritardo<br />
nell’applicazione della Vas. Sono evidenti le relazioni<br />
ed i richiami tra Via e Vas, pur essendo due<br />
procedimenti tra loro molto differenti per natura,<br />
finalità e metodiche, ma con una radice<br />
comune: l’ambiente e la valutazione. In estrema<br />
sintesi merita ricordare come l’evoluzione della<br />
Via in Trentino si possa condensare nella rapida<br />
evoluzione dalla sperimentazione ad un approccio<br />
multidisciplinare di merito con effetti significativi<br />
sull’esito del rilascio della compatibilità ambientale,<br />
ad una evoluzione successiva, la fase<br />
attuale, prevalentemente settoriale e burocratica,<br />
fatto dalla sommatoria dei pareri di competenza,<br />
privi della capacità di leggere le sinergie e<br />
di condizionare i progetti. Ciò nonostante la Via<br />
ha rappresentato un assunzione di responsabilità<br />
da parte dei proponenti, con specifica ricaduta<br />
positiva sui progettisti. Ma la Via, in passato<br />
ed ancor oggi, è stata pesantemente attaccata<br />
come fattore penalizzante le nuove iniziative economiche<br />
e quindi oggi vi è molto forte la pretesa<br />
per una diluizione dei tempi della introduzione<br />
della Vas, anche se questa centra solo in modo<br />
indiretto con i processi economici.<br />
Alla ricerca di un metodo oggettivo di valutazione:<br />
Psst<br />
Voluto dall’Agenzia Provinciale per la Protezione<br />
dell’Ambiente ed elaborato dall’Università di<br />
Trento anche con il contributo di un focus<br />
group, nel 2000 è stato elaborato il Progetto<br />
per lo Sviluppo Sostenibile del Trentino (Psst),
Territorio&Paesaggio<br />
un contributo tecnico-scientifico alla implementazione<br />
di percorsi di sostenibilità e che aveva esplicitamente<br />
tre obiettivi:<br />
- valutare il grado di sostenibilità ambientale dello<br />
sviluppo economico locale;<br />
- identificare gli aspetti più problematici relativi<br />
alle interazioni tra sviluppo economico locale e<br />
sistema ambientale, associandoli a indicatori capaci<br />
di rifletterne l’intensità e le dimensioni;<br />
- individuare conseguentemente alcuni campi<br />
d’azione su cui intervenire prioritariamente.<br />
Lo studio ha distinto le questioni di natura generale<br />
da altre di tipo settoriale, da indagare per<br />
la loro conoscenza sintetica con specifici indicatori:<br />
13 di natura generale e 9 di tipo settoriale.<br />
L’attenzione era stata posta tra l’altro a fornire<br />
dei criteri di valutazione da applicare distintamente<br />
e con misure migliorative (da attuare con<br />
politiche) da quelle di valutazione strategica (da<br />
esplicitare e prevedere nei piani); lo studio si era<br />
concluso con l’indicazione della autovalutazione<br />
incardinata all’interno dei processi di pianificazione.<br />
Tale scelta risultava motivata dalla volontà<br />
di superare la logica delle imposizioni<br />
dall’alto favorendo così la responsabilizzazione di<br />
tutti i livelli e di soggetti della Società.<br />
A mio giudizio il risultato principale che ha ottenuto<br />
lo studio è stato di ribadire che la conoscenza<br />
dei fenomeni ambientali deve passare attraverso,<br />
valori misurabili oggettivamente superando<br />
la apparente, o reale, discrezionalità dei<br />
procedimenti. Inoltre, grazie a questo studio,<br />
oggi disponiamo di un set selezionato di indicatori<br />
con i quali misurare in modo mirato al contesto<br />
locale le interazioni tra uomo e ambiente.<br />
L’atto di indirizzo della Giunta Provinciale sullo<br />
Sviluppo Sostenibile<br />
Approvato con delibera n 1.947 del luglio<br />
2000, l’Atto di Indirizzo sullo Sviluppo Sostenibile<br />
impegna la Giunta a promuovere uno sviluppo<br />
locale sostenibile. La delibera ha affrontato, oltre<br />
alle questioni più rilevanti in merito alle pressioni<br />
sulle risorse ambientali, anche il tema della<br />
“valutazione-implementazione-valutazione” della<br />
sostenibilità, formalizzando gli indicatori come<br />
strumento di valutazione e la selezione degli indicatori<br />
come risultato di un percorso di condivisione<br />
tecnico-scientifica che richiama i principali<br />
capisaldi della corretta gestione ambientale. Gli<br />
strumenti di attuazione del criterio generale di<br />
sostenibilità sono in particolare i Piani che costituiscono<br />
l’ossatura del governo della cosa pub-<br />
blica in Trentino. La Vas è quindi vista come<br />
strumento ordinario per la sostenibilità dentro al<br />
processo di analisi ambientale finalizzato alla formazione<br />
degli obiettivi di sviluppo in cui deve<br />
concorrere anche la valutazione dell’efficacia e<br />
dell’efficienza delle politiche.<br />
Un percorso di esperienze utili alla introduzione<br />
della Vas<br />
Nel 2001 la Provincia autonoma di Trento (Pat)<br />
ha prodotto una linea guida allo scopo di condurre<br />
le Agende 21 in ambito trentino; in essa<br />
era indicato che il Documento di Sintesi sullo<br />
Stato dell’Ambiente era da elaborare attraverso<br />
l‘utilizzazione degli indicatori sintetici, così come<br />
individuati con il Psst, integrato con eventuali ulteriori<br />
approfondimenti tematici, e accompagnato<br />
da un documento basato sugli Indicatori Comuni<br />
Europei, quale integrazione attenta agli aspetti<br />
sociali-qualità della vita- e al consenso popolare.<br />
Uno dei nodi fondamentali era comunque<br />
la disponibilità dei dati. Essi dovevano essere<br />
raccolti in modo organico, vidimati e messi a<br />
disposizione degli utenti da un soggetto forte di<br />
elevata referenzialità. Questa strada avrebbe<br />
permesso quindi alta qualità dei dati di riferimento.<br />
Un soggetto unico forte nei confronti dei<br />
detentori delle informazioni base, ed in grado di<br />
razionalizzare il sistema di raccolta, trattazione<br />
e fornitura dei dati con conseguenti risparmi economici<br />
e di sistema. Il Comune di Riva del<br />
Garda nel 2002 ha aderito al procedimento<br />
sperimentale di A21L e ha utilizzato le metodologie<br />
proposte dalla linea guida Pat. Il problema<br />
emerso da questa esperienza è stata la frammentarietà<br />
dei dati, la loro difficile disponibilità e<br />
la non sempre soddisfacente significatività delle<br />
conoscenze nei confronti del contesto nel rapporto<br />
tra le conoscenze di livello provinciale da<br />
quelle su base locale. Il procedimento di Agenda<br />
21 è stato ripetuto nel 2008 sostituendo alcuni<br />
degli indicatori originali di cui era stata messa in<br />
discussione la validità, con altri dati più facilmente<br />
disponibili nelle banche dati locali. Il documento<br />
sullo Stato dell’Ambiente e di Bilancio Ambientale<br />
Comunale (Sabac) così ottenuto, per<br />
quanto a conoscenza e valutazione, è risultato<br />
di peggiore qualità e non incidente sulla riduzione<br />
dei costi. Va tenuto presente che un Sabac è<br />
un documento preliminare necessario alla selezione<br />
dei campi di azione (A21L) e complementare<br />
anche alla valutazione ambientale strategica<br />
su base oggettiva. La mancata strutturazio-<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 11
12 / <strong>Sentieri</strong> Urbani<br />
ne di un soggetto detentore di dati di sostenibilità<br />
sensibili e referenziati ha di fatto svuotato di<br />
significato i procedimenti di miglioramento ambientale<br />
riducendoli, prevalentemente, a semplici<br />
campagne pubblicitarie di marketing ambientale.<br />
La Vas del Documento di Programmazione Unica<br />
2000-2006 (Docup)<br />
Il documento unico di programmazione raccoglie<br />
in modo coordinato ed organico le azioni a sostegno<br />
dello sviluppo dei sistemi locali, la valorizzazione<br />
delle risorse naturali, del patrimonio culturale<br />
e gli interventi per il miglioramento della<br />
qualità ambientale, nonché il razionale utilizzo<br />
delle risorse energetiche rinnovabili; interventi il<br />
cui finanziamento è stato richiesto dalla Provincia<br />
autonoma di Trento alla Comunità europea e<br />
poi attuate nel periodo di validità del Programma<br />
a scala locale. La Vas è stata un atto di responsabilità<br />
elaborata come strumento volontario<br />
di valutazione delle scelte in un processo parallelo<br />
e sperimentale rispetto al programma<br />
presentato alla Comunità Europea. Il documento<br />
di Relas risulta molto articolato, mai approvato<br />
formalmente dalla Giunta Provinciale e scarsamente<br />
inserito nel processo decisionale; l’analisi<br />
è stata condotta da un gruppo multidisciplinare<br />
attraverso l’uso degli indicatori e sintetizzato per<br />
mezzo della schematizzazione delle relazioni tra i<br />
punti di forza e di debolezza con i rischi e le opportunità.<br />
L’esperienza della valutazione del Docup<br />
ha aperto la strada alla valutazione dei piani<br />
di settore provinciali.<br />
La Vas del Piano Provinciale della Mobilità<br />
(2003)<br />
Il Piano, elaborato nei primi anni 2000 e mai<br />
approvato dalla Giunta Provinciale, tende a perseguire<br />
i seguenti fini: a) attuazione di una gestione<br />
coordinata dei diversi sistemi di trasporto,<br />
sia persone che merci, ristrutturazione e costruzione<br />
di opere e infrastrutture necessarie allo<br />
scopo; b) contenere i consumi energetici e riduzione<br />
delle cause di inquinamento atmosferico<br />
ed acustico.<br />
Le misure sono:<br />
- orientare lo sviluppo dei trasporti <strong>urbani</strong> ed extra<strong>urbani</strong><br />
e delle relative infrastrutture,<br />
- indirizzare per l’integrazione ed il coordinamento<br />
intermodale dei differenti sistemi,<br />
- migliorare rete dei servizi pubblici e del trasporto<br />
pubblico extraurbano,<br />
Territorio&Paesaggio<br />
- individuare i comuni all’interno dei quali deve<br />
essere svolto un sistema di TP di tipo urbano.<br />
La relazione ambientale strategica (Relas) analizza<br />
le scelte del Piano contestualizzandole nel<br />
rapporto esistente con il sistema della programmazione<br />
ed evidenziandone la coerenza in valutazioni<br />
riferite agli aspetti territoriali e alle problematiche<br />
emergenti, nonché inserendole in<br />
considerazioni qualitative legate anche a misurazioni<br />
oggettive (uso degli indicatori). Essi sono<br />
assunti da due riferimenti scientifico-culturali: il<br />
Progetto per lo Psst e gli indicatori Ocse. La<br />
metodologia di valutazione è stata la Swot (vedi<br />
descrizione precedente). Il rapporto risulta in<br />
questo modo articolato, argomentato e completo,<br />
nonché ricco di spunti di riflessione e di segnalazioni<br />
per il miglioramento nel rapporto con<br />
il territorio e l’ambiente. Anche qui è mancata la<br />
parte pubblica-decisionale del processo, ovvero<br />
le consultazioni e la messa a disposizione del<br />
pubblico.<br />
La Vas del Piano Provinciale di Smaltimento Rifiuti<br />
– 2° e 3° aggiornamento (2002/2006)<br />
L’aggiornamento del Piano Rifiuti si inserisce in<br />
una fase di profondo cambiamento della normativa<br />
e della organizzazione del sistema di trattamento<br />
dei rifiuti e che ha registrato una consistente<br />
evoluzione anche sul fronte operativo. La<br />
Reazione Ambientale Strategica del 2° aggiornamento<br />
e del terzo si collocano nella fase di prima<br />
sperimentazione del procedimento di Vas,<br />
hanno applicato metodologie e sistemi di misurazione<br />
già utilizzati nelle altre valutazioni ed il<br />
processo di confronto pubblico da registrato<br />
momenti di intensa partecipazione. La Vas ne risulta<br />
quindi arricchita di verifiche, sia metodologiche<br />
che di merito, con esplicitazione dei limiti.<br />
La Vas del Piano Generale di Utilizzazione delle<br />
Acque Pubbliche (Pguap - 2004/06)<br />
Il Piano, elaborato in parallelo alla redazione della<br />
Vas e solo per gli aspetti relativi alla gestione<br />
delle risorse idriche, ha disciplinato la materia<br />
delle concessioni alla captazione delle acque e il<br />
loro utilizzo compresa la disciplina del deflusso<br />
minimo vitale, il nodo della sicurezza del territorio<br />
individuando le fasce di rispetto dei corsi<br />
d’acqua di tipo idrologico, per la funzionalità fluviale<br />
e le aree di pertinenza paesaggistica. Infine<br />
ha dato indicazioni di natura progettuale per le<br />
sistemazioni idrauliche.<br />
La specifica Relas è stata elaborata dai compe-
Territorio&Paesaggio<br />
tenti uffici provinciali, in collaborazione con uno<br />
studio professionale, per oggettivizzare la valutazione<br />
ha utilizzato tre set di indicatori: quelli del<br />
Psst, quelli del Rapporto sullo Stato<br />
dell’Ambiente Trentino e quelli Ocse; la valutazione<br />
è stata condotta con il metodo Swot. Con<br />
questa impostazione il processo di integrazione<br />
tra scelte pianificatorie e valutazioni strategiche<br />
è stato organico e strutturale, anche se in qualche<br />
modo parziale, così come il processo di partecipazione<br />
è avvenuto secondo una procedura<br />
formale (osservazioni-accoglimento/rigetto). E’<br />
quindi stato percorso un processo di Vas completo<br />
in cui la natura stessa del piano ha facilitato<br />
il buon esito delle indicazioni della valutazione.<br />
La Vas del Piano Provinciale di Utilizzazione delle<br />
Sostanze Mineriarie – 4° aggiornamento (2003)<br />
Il Piano ha regolato le previsioni di sviluppo delle<br />
attività estrattive dentro ai tradizionale metodi di<br />
governo del settore. La specifica Relas è stata<br />
elaborata da consulenti interni della Pat, in collaborazione<br />
con Prof. Roberto Camagni e Tommaso<br />
Pompili, e la valutazione è stata condotta<br />
con il metodo Swot, nonché con la compilazione<br />
di una check-list. Con questa impostazione il<br />
processo di integrazione tra scelte pianificatorie<br />
e valutazioni strategiche si è inserito nel processo<br />
decisionale con risultati piuttosto modesti ed<br />
anche la fase della partecipazione pubblica appare<br />
di contenuta entità.<br />
La Vas del Piano di Sviluppo Rurale (2007-<br />
2013)<br />
Il Piano prevede 4 assi su cui intervenire sostenendo<br />
finanziariamente le iniziative che saranno<br />
proposte: per migliorare il settore agricoloforestale,<br />
per migliorare l’ambiente e lo spazio<br />
rurale, per migliorare la qualità della vita e la diversificazione<br />
delle attività, nonché per attuare<br />
le strategie di sviluppo locale. La Relas è stata<br />
elaborata a cura del prof. Geremia Gios, metodologicamente<br />
abbandona le esperienze precedenti<br />
e la valutazione è impostata su di un criterio<br />
di rendicontazione <strong>urbani</strong>stico-territoriale allargata<br />
ai fattori ambientali, ma con giudizi qualitativi<br />
generali. La valutazione appare scarsamente<br />
integrata nel processo decisionale ed la<br />
partecipazione risulta di modesta validità.<br />
La Vas del Programma Operativo 2007-2013<br />
(ex Docup)<br />
Il Piano, elaborato in parallelo alla redazione del-<br />
la Vas, ha previsto il sostegno finanziario dei seguenti<br />
assi: Energia/ambiente e distretto tecnologico,<br />
Tecnologie dell’informazione e della comunicazione,<br />
Nuova imprenditorialità, Sviluppo<br />
sostenibile, Assistenza tecnica. La Relas è stata<br />
elaborata dai competenti uffici provinciali avvalendosi<br />
anche del supporto scientifico multidisciplinare<br />
esterno, utilizzando una metodologia adatta<br />
alle valutazioni strategiche di scala comunitaria,<br />
con riferimenti e richiami alla fonte Eurostat.<br />
La procedura ha previsto anche la fase<br />
delle consultazioni nella forma del coinvolgimento<br />
dei soggetti competenti e direttamente interessato<br />
senza avventurarsi in partecipazioni allargate.<br />
Gli indicatori si riferiscono alla strategia<br />
di Lisbona per il 2010 e hanno utilizzato varie<br />
fonti, nonché la valutazione è stata condotta sia<br />
con l’utilizzo di matrici che di check-list. Inoltre,<br />
risultano esplicitate anche le alternative.<br />
La Vas del Pup 2008<br />
Il nuovo Piano di coordinamento territoriale del<br />
Trentino è passato da una impostazione con<br />
previsioni puntuali e prescrittive ad uno con contenuti<br />
strategici generali, di indirizzo, da sviluppare<br />
e dettagliare a scala di Comunità. Il gruppo<br />
di valutazione strategica ha lavorato parallelamente<br />
al gruppo di progettazione del Pup con una<br />
significativa integrazione metodologica e pratica,<br />
nonché coinvolgendo un ampio spettro di<br />
organi competenti, ovvero interessati, dalle scelte<br />
di natura <strong>urbani</strong>stica.<br />
La Relas del Pup risulta complessa e articolata:<br />
gli strumenti di valutazione sono stati le Matrici<br />
per la valutazione degli obiettivi, delle strategie e<br />
delle alternative. Sono state analizzate le componenti<br />
di piano e per la sintesi delle valutazioni<br />
si è utilizzata il metodo dello Swot ambientale incardinato<br />
sugli Indicatori di contesto e di prestazione,<br />
nonché sulla Cartografia. La valutazione<br />
d’incidenza redatta in parallelo appare approfondita<br />
e analogamente complessa. Le consultazioni<br />
hanno riguardato il Piano nei suoi differenti<br />
passaggi, dal documento preliminare alle tre adozioni<br />
formali che hanno comportato tre fasi di<br />
osservazioni-risposte, interessando anche la legge<br />
di approvazione. Parallelamente ciò ha corrisposto<br />
alla messa a disposizione delle informazioni<br />
necessarie alla partecipazione secondo le<br />
modalità previste dalla legge e con incontri<br />
d’area (comprensori) e tematici (le categorie),<br />
nonché con la presentazione del Piano per mezzo<br />
della distribuzione agli interessati di materiale<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 13
14 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Territorio&Paesaggio<br />
Grandi opere e paesaggio:<br />
l’invaso del Lago di<br />
Santa Giustina in Valle di<br />
Non (Trentino)<br />
illustrativo di facile consultazione. Con il procedimento<br />
delle Osservazioni-correzioni al piano e<br />
risposta alla stesse la consultazione è stata pienamente<br />
inserita nelle decisioni formali condizionandone<br />
l’esito del Piano. Ora il monitoraggio<br />
potrà avvenire attraverso il continuo aggiornamento<br />
del Siat-Pat, nonché con il confronto dei<br />
dati che saranno sviluppati a livello di Comunità.<br />
È certamente il processo di Vas più completo e<br />
organico fatto in Trentino.<br />
La Vas sui provvedimenti antincendi boschivi<br />
È in corso una esperienza volontaria di valutazione<br />
ambientale strategica a cura del competente<br />
Servizio e incardinata sulle risorse interne<br />
con supporto di altri attori Pat e che sembra aver<br />
introitato la Vas nel processo decisionale,<br />
ovvero di redazione dello strumenti di programmazione.<br />
La Vas del PRG di Mori<br />
È in corso la redazione di una valutazione strategica<br />
a livello comunale volontaria, affidata al<br />
prof. Vittorio Ingegnoli. Pur non essendo ancora<br />
stata presentata, ne disponibile, è dato sapere<br />
che ha una impostazione tipica di<br />
“Ecologia del paesaggio” e appare poco coerente<br />
con l’impostazione dettata dal PUP alla autovalutazione.<br />
L’ordinamento <strong>urbani</strong>stico trentino e<br />
l’autovalutazione<br />
Il nuovo Ordinamento <strong>urbani</strong>stico trentino (LP n.<br />
1/08) coniuga la Vas al valore strategico dei<br />
piani in una dizione di “autovalutazione”, in coerenza<br />
con gli antefatti già presentati, scelta che<br />
sotto il profilo metodologico risulta pienamente<br />
condivisibile soprattutto alla luce della riforma<br />
istituzionale (sussidiarietà responsabile), e che<br />
nella pratica comporterà ai soli piani di settore<br />
provinciale e ai Piani di Comunità l’essere assoggettati<br />
alla procedura di valutazione. Appare opportuno<br />
evidenziare che la valutazione dei piani<br />
settoriali fin qui fatta si è rilevata positiva in<br />
quanto, superata la prima sperimentalità, ora<br />
sta percorrendo strade di diversificazione metodologica,<br />
e che comunque registra il positivo inserimento<br />
della Vas all’interno dei processi decisionali.<br />
Risultano però esclusi dalla valutazione<br />
strategica i Piani <strong>urbani</strong>stici comunali, in Trentino,<br />
i Piani Regolatori Generale (Prg) in quanto<br />
per impostazione normativa, ma blandamente<br />
nella nuova legge, di natura “operativa”, quindi<br />
che non dovrebbero contenere scelte di natura<br />
strategica, almeno nella forma amministrativa<br />
delle “Varianti”. Ma gli sviluppi che è possibile<br />
registrate sulla vicenda Comunità pone in taluni<br />
ambiti serie perplessità sulla effettiva costituzione<br />
ed operatività di questo nuovo ente, in particolare<br />
la storia dei piani comprensoriale suggerisce<br />
grande prudenza. In ogni caso, in assenza<br />
dei Piani di Comunità, e comunque per un lungo<br />
periodo di interregno di sicura non breve durata,<br />
resteranno operativi i soli Prg (Varianti comprese).<br />
Ne risulta che lo sviluppo del territorio<br />
locale per i prossimi 3-5 anni, ma probabilmente<br />
anche di più, rimarrà sicuramente privo della<br />
valutazione ambientale strategica. E se è vero<br />
che i Prg non sono del tutto esclusi dalle valutazione<br />
di coerenza con l’ambiente, il nodo per ora<br />
al centro dell’attenzione è (LP 1/08, art. 6): la<br />
«rendicontazione <strong>urbani</strong>stica che verifica ed esplicita,<br />
su scala locale, le coerenze con l'autovalutazione<br />
dei piani» sovraordinati, questa avviene<br />
comunque all’interno delle tradizionali procedure<br />
partecipative dei Prg e del vaglio tecnico-
Territorio&Paesaggio<br />
burocratico interno alla Pa (assenza consultazioni-informazione-introitazione<br />
nelle decisione del<br />
processo partecipativo). E se è vero che<br />
l’autovalutazione e la rendicontazione devono evidenziare<br />
gli effetti finanziari delle scelte di piano,<br />
nonché esplicitare la coerenza con i criteri, gli<br />
indirizzi e i parametri della pianificazione di livello<br />
superiore, in particolare riportando misurazioni<br />
degli «indicatori strategici e parametri, da implementare,<br />
monitorare e aggiornare attraverso il<br />
SIAT, per misurare e valutare il livello di conseguimento<br />
degli obiettivi» fin tanto a dire «se ne<br />
ricorrono i presupposti (…) comprendono la valutazione<br />
d'incidenza» il meccanismo della valutazione<br />
appare sbilanciato verso la considerazione<br />
delle sole variabili territoriali e pianificatorie, lasciando<br />
in secondo piano i fattori ambientali. Rimane<br />
inoltre irrisolto il nodo della oggettività delle<br />
valutazioni, quindi dell’apparato conoscitivo,<br />
ovvero dell’uso degli indicatori così come definiti<br />
dal Psst, validi nel tempo e nello spazio.<br />
Infine, nella versione trentina della valutazione<br />
strategica è carente la parte che riguarda la<br />
partecipazione e l’informazione, trasformando la<br />
Vas da fattore tecnico-democratico e variabile<br />
tecnico-burocratica riservata a soli addetti ai lavori.<br />
A ciò si aggiunge la mancata considerazione-presentazione<br />
delle alternative come metodo<br />
di confronto pubblico.<br />
Conclusioni<br />
In questi dieci anni (1999-2008) la Vas trentina<br />
ha prodotto sul fronte dei piani di settore e di<br />
coordinamento territoriale un’esperienza ampia,<br />
articolata e complessivamente positiva. Al di là<br />
degli aspetti formali di recepimento della direttiva<br />
comunitaria, con un processo prevalentemente<br />
volontario, si è permesso un maturare<br />
del procedimento e delle metodologie. Si evidenzia<br />
dunque una articolazione ed una differenziazione<br />
dei percorsi alla ricerca del metodo migliore<br />
in cui emerge il nodo della oggettività della<br />
valutazione (dati). Sul fronte invece dei piani <strong>urbani</strong>stici<br />
intesi come la “disciplina d’uso e di governo<br />
del territorio” l’approccio appare orientato<br />
a diluire i tempi d’entrata in funzione del meccanismo<br />
di Vas, forse in attesa di un assetto più<br />
forte della pianificazione, scelta che forse potrà<br />
avere delle accelerazioni, o delle diversioni, in<br />
relazione alle scelte che farà la prossima Giunta<br />
Provinciale. In ogni caso l’aspetto informativo e<br />
partecipativo appare orientato ad incardinarsi<br />
sulle prassi di approvazione dei piani in vigore<br />
trascurando l’opportunità delle Agende 21 come<br />
processo di partecipazione strutturato. Trovo<br />
che questa impostazione sia debole, soggetta<br />
ad eventuali rilievi comunitari, e che in ogni caso<br />
tralascia l’opportunità di cambiare il rapporto<br />
tra le scelte “politiche” ed i cittadini (il nodo del<br />
consenso).<br />
Per la norma trentina il soggetto protagonista<br />
della Vas è principalmente la Comunità di valle,<br />
ovvero un livello istituzionale e di pianificazione<br />
ancora inesistente, di cui ci si auspica una rapida<br />
introduzione, ma per il quale non si può che<br />
registrate l’assenza. L’esclusione poi dalla Vas<br />
della pianificazione comunale e la sua relega alla<br />
rendicontazione, smonta nei piani comunali<br />
(quelli che oggi contano) la possibile interferenza<br />
della valutazione ambientale strategica con il<br />
processo decisionale tradizionale, inserendolo<br />
invece a pieno nella contrattazione tra la PAT ed<br />
gli Enti locali.<br />
La metodologia fin qui utilizzata per valutare i<br />
piani di settore appare funzionare anche se la vicenda<br />
degli indicatori non è ancora risolta e mostra<br />
tutta la sua complessità e articolazione. Ora<br />
in vista della valutazione di livello comunale,<br />
“coordinato”, la questione delle conoscenze secondo<br />
criteri oggettivi, strutturati e condivisi<br />
(indicatori e loro vidimazione), con i relativi costi<br />
e disponibilità, si fa pressante. Il Siat costituisce<br />
una parte di questa risposta, ma non è in<br />
grado di affrontare il versante ambientale, per<br />
competenza e non per capacità o risorse. Appare<br />
opportuno ribadire il concetto, già altre volte<br />
espresso, che la Pat deve farsi carico di questo<br />
compito semplificando le fasi elaborative preliminari<br />
della valutazione e riducendone così i costi,<br />
ma anche elevando l’affidabilità degli strumenti.<br />
I dati e le informazioni sono strumento di democrazia,<br />
la mancata attivazione di un soggetto dedicato<br />
allo scopo, ovvero il suo spostamento in<br />
altro luogo, testimonia la difficoltà ad affrontare<br />
una questione complessa e delicata per cui la<br />
soluzione stenta a delinearsi.<br />
Appare poi difficile superare il modello decisionale<br />
politico tradizionale, ovvero quello della Decisione<br />
maturata all’interno di un luogo chiuso e<br />
competente, l’Annuncio della stessa con<br />
l’attivazione di misure per la Difesa dell’operato<br />
e la conseguente necessità di addomesticare i<br />
procedimenti al fine di non perdere tempo o<br />
consenso. Infine, l’esplicitazione delle alternative<br />
risulta sostanzialmente assente e raramente<br />
presa in seria considerazione.<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 15
16 / <strong>Sentieri</strong> Urbani<br />
Nota<br />
1. Tratto da F.<br />
Farinelli, “Viaggio<br />
all’isola Maurizio”, in E.<br />
Turri (2008),<br />
Antropologia del<br />
paesaggio, Marsilio,<br />
Chi ha ucciso<br />
il PAESAGGIO?<br />
di Alessandro Franceschini<br />
È<br />
difficile, oggi, parlare di paesaggio,<br />
scrivere di paesaggio. Forse non è<br />
mai stato semplice. Ma oggi più che<br />
mai quando la parola “paesaggio” viene pronunciata<br />
o scritta – e se chi parla o scrive<br />
non è un ingenuo – dovrebbe far tremare il<br />
sangue nelle vene e nei polsi. Troppi i rimandi<br />
culturali e disciplinari che sono sottesi<br />
a quelle nove lettere. Troppi i significati<br />
identitari, le occasioni di progetto consapevole,<br />
le opportunità di costruire l’aperto e il<br />
cuore degli uomini, per liquidare quella parola<br />
con banalità. Tuttavia: oggi quella parola<br />
è sulla bocca di tutti. Ma proprio di tutti.<br />
E fra gli alcuni che pronunciano questa parola<br />
con rispetto, ce ne sono tanti che lo<br />
fanno senza cognizione di causa, collocandola<br />
tra un neo-logismo e una citazione anglosassone,<br />
credendo di riempire vuoti discorsi<br />
con qualcosa. Ma, in realtà, bestemmiando<br />
il paesaggio.<br />
Ma perché questo concetto è diventato così<br />
di moda, così insopportabilmente al centro<br />
di tutte le conversazioni disciplinari che<br />
hanno come oggetto di studio lo spazio aperto?<br />
Insomma: che cosa hanno in comune<br />
l’ingegnere infrastrutturale e l’architetto,<br />
il geografo e l’artista, il filosofo e<br />
l’economista, il legislatore e l’ecologista per<br />
usare – chissà con quale significato diverso,<br />
per ciascuno di loro – la parola paesaggio<br />
con tanta abbondanza? Quasi fosse che<br />
il paesaggio avesse una capacità<br />
“totalizzante”. Le sue caratteristiche, definite,<br />
tra l’altro da autorevoli studiosi, in termini<br />
di inafferrabilità (A. Clementi), imprevedibilità<br />
(A. Lanzani), vecchiezza (M. Ja-<br />
Territorio&Paesaggio<br />
kob), intuitività (M. Vitta), arguzia (F. Farinelli),<br />
meta-spazialità (R. Assunto), artisticità<br />
(M. Schwind), etica (Venturi Ferriolo) solo<br />
per citarne alcune, possono essere lette<br />
come una metafora del nostro tempo, delle<br />
sue contraddizioni e delle sue mode cangianti.<br />
Superata la crisi in cui era caduto<br />
all’inizio degli anni Settanta, oggi il concetto<br />
di paesaggio ha ripreso vigore e autorevolezza.<br />
Ma perché?<br />
Oggi è il geografo Franco Farinelli a spiegarci<br />
il perché della rinnovata fortuna del<br />
paesaggio. Scrive: «Il paesaggio (…) è esattamente<br />
il contrario dello spazio, è innanzitutto<br />
quello che sfugge alla micidiale riduzione<br />
sulla quale l’intera modernità si è fondata:<br />
la riduzione del mondo, che è un<br />
complesso di processi, ad una carta geografica,<br />
che è un complesso di elementi<br />
statici. Il paesaggio si compone di tutto<br />
quello che sfugge a tale fondamentale mortificazione.<br />
E poiché oggi quella misteriosa<br />
cosa che è la rete ha abolito lo spazio dal<br />
funzionamento del mondo, il paesaggio (che<br />
per sua natura è l’antispazio) diventa l’unico<br />
modello con il quale tentare l’impresa di<br />
comprendere quest’ultimo: proprio il modello<br />
d’attitudine rispetto al mondo in cui, come<br />
nella rete, tra soggetto e oggetto è impossibile<br />
distinguere, nel senso che il primo,<br />
consapevolmente, si riconosce anzitutto<br />
come parte del secondo e inseparabile<br />
da esso» 1 .<br />
L’analisi di Farinelli è chiara quanto impietosa.<br />
Come la rete ha la capacità di fondere<br />
in una sola parola la complessità dei suoi<br />
funzionamenti e, al contempo, di liquidare<br />
tutto il fardello dello spazio aperto, così il<br />
paesaggio ha la capacità di essere essenza<br />
di processi antropici e naturali che convivono<br />
nell’equilibrio. Ne consegue che il paesaggio<br />
è la metafora più funzionale (e funzionante)<br />
per descrivere e per progettare<br />
in maniera efficace lo spazio aperto. Esso<br />
si antepone alla “vocazione all’eternità” di<br />
architetti ed <strong>urbani</strong>sti. Sbarazza la pratica<br />
della costruzione del mondo dall’imperativo<br />
dell’immortalità per lasciar spazio alla fluidità<br />
dei processi che da sempre hanno governato<br />
l’immagine del mondo.<br />
Cosa dobbiamo fare, allora, per rispettare<br />
questa tensione del paesaggio ad essere<br />
metafora del mondo d’oggi? Anzitutto rispettando<br />
la parola stessa, evitando l’uso a<br />
sproposito e l’abuso, quasi fosse un comandamento:<br />
«non nominare il suo nome<br />
invano».
Spazio&Società<br />
Qualità degli spazi <strong>urbani</strong><br />
per una comunità SICURA<br />
di Bruno Zanon<br />
Q<br />
uale strada scegliamo per tornare a<br />
casa? Perché frequentiamo una certa<br />
piazza e spesso evitiamo un parco? Ci<br />
sentiamo più a nostro agio in un centro commerciale<br />
o nei pressi della stazione ferroviaria?<br />
Le risposte, se non sono reticenti, mettono in<br />
luce aspetti cruciali del vivere la città, in termini<br />
di qualità dei luoghi e di senso di benessere ma<br />
soprattutto di sicurezza personale. Si tratta di<br />
un tema all’ordine del giorno dell’agenda politica<br />
ed è quindi difficile affrontarlo dai diversi punti<br />
di vista – anche disciplinari - senza essere spinti<br />
verso direzioni inappropriate. Certamente<br />
l’<strong>urbani</strong>stica è chiamata a dare risposte nuove,<br />
rivedendo modelli progettuali, riferimenti organizzativi<br />
e quantitativi ed assumendo un atteggiamento<br />
meno improntato all’atto creativo e<br />
più consapevole delle modalità di operare in<br />
quella macchina complessa che è la città. Il<br />
percorso deve partire da una riflessione sul<br />
rapporto tra lo spazio fisico e lo spazio sociale,<br />
tra la città costruita e la comunità che la abita,<br />
in quanto stanno avvenendo trasformazioni<br />
profonde su entrambi i versanti.<br />
Cosa succede alle città? Perché invece di essere<br />
i luoghi dell’incontro, della promozione sociale,<br />
dello sviluppo personale, presentano sempre<br />
più di frequente situazioni di degrado fisico<br />
e di disagio sociale? Perché invece di garantire<br />
la sicurezza appaiono come i luoghi della devianza<br />
e del rischio? Eppure le città da sempre<br />
intendono offrire sicurezza. Ne sono testimonianza<br />
aspetti fisici, - come le mura -, aspetti<br />
politici - come il governo e la sorveglianza -,<br />
aspetti sociali - in particolare la presenza di una<br />
comunità che partecipa, condivide gli spazi e li<br />
controlla -.<br />
Le città attualmente stanno vivendo fasi di<br />
profonda trasformazione. Sono luoghi sempre<br />
più complessi ed articolati, con parti storiche<br />
attorniate da espansioni più o meno recenti e<br />
quindi da vasti spazi di frangia, dove si collocano<br />
le nuove polarità urbane e reti infrastrutturali<br />
poderose. Dalla dimensione umana, nel<br />
senso che gli spazi e gli edifici sono multipli<br />
della misura dell’uomo, si passa ad una astratta<br />
dimensione spazio-temporale, dove le misure<br />
sono prese in termini di percorrenza con un<br />
veicolo. In questo quadro si alternano pieni e<br />
vuoti, aree verdi ed edificate, oggetti di dimensione<br />
diversa che si contrappongono e si sovrappongono.<br />
Qui il senso di appartenenza e di<br />
responsabilità nei confronti dei luoghi, proprio<br />
dell’abitare, perde di significato. Ma anche nelle<br />
parti antiche della città, dove tendiamo a vedere<br />
la permanenza dei fatti fisici, tutto cambia. Non<br />
solo le attività tradizionali, ormai sparite, ma<br />
anche gli abitanti, che da un lato sono i nuovi<br />
ricchi che occupano gli edifici più prestigiosi e<br />
dall’altro gli ultimi arrivati, che occupano le nicchie<br />
(o le vaste aree) di degrado.<br />
Le rapide trasformazioni socio-economiche in<br />
atto, gli effetti della globalizzazione, i flussi di<br />
persone da un continente all’altro producono,<br />
inoltre, situazioni sempre nuove, che richiedono<br />
capacità di comprensione e di governo adeguate<br />
ai processi in atto. Un sociologo ben conosciuto<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 17
18 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Spazio&Società<br />
Architettura contemporanea<br />
e sicurezza: una<br />
bella, ma allo stesso<br />
tempo inquietante,<br />
immagine della Staatsgallerie<br />
di James<br />
Stirling, Michael Wilford<br />
and Associates a Stoccarda<br />
come Bauman racconta i timori e le paure che<br />
pervadono anche le nostre città, molte delle<br />
quali di dimensione modesta e con una lunga<br />
tradizione di convivenza. Ma non si può descrivere<br />
la nuova condizione solo citando uno dei<br />
molti film “di paura” ambientati in città disfatte.<br />
La sicurezza urbana richiede sia maggiori controlli<br />
e interventi di prevenzione più efficaci, sia il<br />
ripensamento delle modalità consuete di costruire<br />
gli edifici e le città, che devono accogliere le<br />
persone e farle diventare cittadini, dare loro una<br />
casa e farle diventare abitanti, fare incontrare<br />
gli individui e creare comunità. In particolare,<br />
vanno ripensate le proposte e le esperienze<br />
<strong>urbani</strong>stiche sviluppate nel secolo scorso, cogliendo<br />
i limiti e gli errori della città costruita<br />
per brani caratterizzati dalla monofunzionalità<br />
che azzera il potenziale di incontri e fatti casuali<br />
(la serendipity) e crea spaesamento; da dimensioni<br />
degli edifici e degli spazi poco appropriate,<br />
con una frequente commistione tra pubblico e<br />
privato, che attenua il senso di appartenenza e<br />
la responsabilità nei confronti dei luoghi; dalla<br />
carenza di luoghi di aggregazione spontanea; da<br />
strade concepite come canali di traffico. Spesso<br />
le attrezzature e gli spazi pubblici (i parchi, le<br />
piazze, i parcheggi, ecc.) non sono dei veri luoghi<br />
<strong>urbani</strong> ma dei semplici vuoti separati dalla<br />
vita della città. Ed ancora, l’architettura, per<br />
assumere un senso urbano, non può essere<br />
intesa come il semplice esito di un atto creativo,<br />
così come appare inadeguata una concezione<br />
astratta della bellezza della città che prescinda<br />
dai modi di vivere, usare e trasformare lo spazio<br />
urbano. Troppe volte raccontiamo di<br />
“architetture tradite” o di luoghi <strong>urbani</strong> male<br />
utilizzati. Poche volte leggiamo gli errori progettuali<br />
di edifici e spazi - anche “firmati” - congegnati<br />
senza riguardo al senso di appartenenza,<br />
alle possibilità di controllo visivo, di orientamento<br />
(nonostante gli architetti conoscano le lezioni<br />
di K. Lynch), ma anche di durabilità ed insieme<br />
di flessibilità. Una città composta di belle architetture<br />
dovrebbe costituire uno spazio di vita<br />
per una società buona. Purtroppo non è così e<br />
paghiamo gli esiti di iniziative velleitarie, di progetti<br />
basati su modi di vita immaginari, di vuoti<br />
che dovrebbero diventare fulcri sociali, di edifici<br />
senza connessioni fisiche con l’intorno che dovrebbero<br />
innescare relazioni comunitarie, di<br />
percorsi articolati e di piazze sopraelevate o<br />
ribassate che dovrebbero diversificare<br />
l’ambiente urbano e moltiplicare i luoghi pubblici<br />
ma che creano degli spazi dove nessuno si addentra.<br />
Sul versante della disciplina <strong>urbani</strong>stica, la qualità<br />
molto spesso è stata perseguita per mezzo di<br />
aspetti quantitativi (distanze tra edifici, dotazioni<br />
di verde e parcheggi, ecc.) oppure proponendo<br />
modelli di spazio urbano che spesso entrano in<br />
conflitto con le esigenze della sicurezza, come<br />
nella tradizione del Movimento Moderno, che<br />
descriveva la città in base a solo quattro funzioni:<br />
abitare, lavorare, circolare, ricrearsi. Era<br />
una visione “fordista” dell’architettura<br />
(“macchina per abitare”, la definiva Le Corbusier)<br />
e della città, che vedeva prevalere le grandi<br />
dimensioni degli oggetti e degli spazi <strong>urbani</strong> e la<br />
loro specializzazione funzionale. Ne erano compromesse<br />
in primo luogo le relazioni urbane e si
Spazio&Società<br />
Tralasciando le proposte (frequenti in alcuni<br />
paesi dove le distanze sociali sono accentuate)<br />
di spazi segregati per dividere i gruppi sociali e<br />
difendere quelli che possono permettersi soluzioni<br />
elitarie (le gated communities, ma anche<br />
gli edifici alti delle città sudamericane, che si<br />
distaccano dalle favelas), si deve puntare alla<br />
qualificazione della città nel suo insieme. In questo<br />
filone si colloca l’approccio definito Crime<br />
Prevention Through Environmental Design<br />
(Cpted), che pone l’accento sul ruolo del disegno<br />
dello spazio fisico nel sostenere la sicurezza e il<br />
controllo della città. Non pretende peraltro che<br />
un ambiente ben congegnato determini automaticamente<br />
comportamenti corretti, ma persegue<br />
condizioni che attenuino la paura del crimine<br />
e rendano più difficile porre in essere atti<br />
criminosi, migliorando la qualità della vita degli<br />
abitanti.<br />
In generale, si deve mirare ad una qualità urbana<br />
che stimoli il senso di appartenenza; che<br />
rafforzi la “territorialità”, che crei una sfera di<br />
influenza che responsabilizzando gli abitanti e<br />
scoraggiando i malintenzionati; che stimoli,<br />
mediante un buon disegno, la sorveglianza spontanea<br />
degli spazi ed in particolare degli accessi.<br />
Tali condizioni non sono certo date per sempre,<br />
dipendendo in buona parte dai processi sociali<br />
attivi, dalla manutenzione, dalla sorveglianza<br />
continua. È importante, infatti, intervenire a<br />
fermare il degrado ed a rimuoverne i segni evidenti<br />
ed allarmanti (gli early warning signals, o<br />
le broken windows), che trasmettono un senso<br />
di abbandono ed allentano le regole del comportamento<br />
socialmente responsabile.<br />
vanificavano la complessità funzionale e il carattere<br />
in gran parte casuale della vita della città.<br />
Alcuni esempi italiani ci ricordano le conseguenze<br />
di tali concezioni astrattamente risolutive,<br />
quali le “Vele” di Scampia a Napoli, o alcuni<br />
edifici “a ponte” sull’asse viario principale del<br />
quartiere Laurentino a Roma, la demolizione dei<br />
quali ha rappresentato l’esito inevitabile di situazioni<br />
di degrado intollerabile. Sono molti, del<br />
resto, gli esempi di edifici e di quartieri, specie<br />
di edilizia residenziale pubblica, che si sono dimostrati<br />
ingestibili a causa di una errata concezione<br />
quanto a dimensione od organizzazione o<br />
per il “marchio” che si portano appresso, insopportabile<br />
per gli abitanti.<br />
Quali sono i possibili interventi per la sicurezza<br />
urbana? Più controllo di polizia, maggiore segregazione,<br />
più telecamere oppure il rafforzamento<br />
del senso di appartenenza degli abitanti e della<br />
loro responsabilità? Non si possono dare risposte<br />
ideologiche ma è necessario combinare una<br />
maggiore attenzione ai comportamenti devianti<br />
e criminosi a risposte strutturate dal punto di<br />
vista tecnico, ben sapendo che gli spazi <strong>urbani</strong><br />
devono garantire il benessere dei cittadini. Non<br />
servono più telecamere se non ci sono gli “occhi<br />
degli abitanti sulla strada” come proponeva<br />
Jane Jacobs.<br />
Nella progettazione urbana, come ricorda una<br />
autrice americana, non ci si deve rassegnare a<br />
distorcere il principio funzionalista: “la forma<br />
segue la funzione” in quello, sempre più diffuso:<br />
“la forma segue la paura”, che spinge verso<br />
spazi segregati o blindati.<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 19<br />
Parcheggi di “genere”
20 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Spazio&Società<br />
Passaggio urbano<br />
Come si vede, c’è un’ampia affinità di modalità di<br />
intervento tra la prevenzione dei comportamenti<br />
criminosi mediante una appropriata progettazione<br />
e la ricerca della qualità urbana. Questa deve<br />
essere intesa come l’esito della interazione tra<br />
le caratteristiche fisiche, morfologiche, percettive<br />
dello spazio urbano e le modalità con le quali<br />
esso è concretamente vissuto dagli abitanti.<br />
Tutto questo assegna grandi responsabilità alla<br />
progettazione urbana e al governo dei processi<br />
di trasformazione della città. In particolare,<br />
appare opportuno porre attenzione ai temi della<br />
sicurezza nelle fasi di decisione e di autorizzazione<br />
dei progetti di rilievo urbano e dei progetti<br />
edilizi di una certa dimensione, così come si fa<br />
correntemente per le barriere architettoniche o<br />
per le misure antincendio. Naturalmente queste<br />
valutazioni non possono essere improvvisate e<br />
richiedono una specifica professionalità.<br />
Riferimenti bibliografici<br />
Bauman Z., 2005, Fiducia e paura nella città,<br />
Milano, Bruno Mondadori.<br />
Bauman Z., 2008, Paura liquida, Torino, Editori<br />
Laterza.<br />
Crowe, T.D., 2000, Crime prevention through<br />
environmental design: applications of architectural<br />
design and space management concepts,<br />
Boston, Mass., Butterworth-Heinemann.<br />
Ellin N., 2001, “Thresholds of Fear: Embracing<br />
the Urban Shadow”, Urban Studies, vol. 38, N.<br />
5-6.<br />
Jacobs J., 2000, Vita e morte delle grandi<br />
città. Saggio sulle metropoli americane, Torino,<br />
Edizioni di Comunità (1a ed. 1961).<br />
Lynch K., 1964, L’immagine della città, Padova,<br />
Marsilio.<br />
Newman O., 1996, Creating Defensible Space,<br />
U.S. Department of Housing and Urban Development,<br />
Office of Policy Development and Research,<br />
Washington.
Spazio&Società<br />
Pensare la città<br />
a misura di BAMBINA/O<br />
di Silvia Alba, Fabrizio Andreis e Silvia Ferrin*<br />
N<br />
ikolaj è un bambino moldavo di<br />
6 anni, vive in una piccola città italiana<br />
e si prepara a frequentare<br />
il primo anno della locale scuola elementare.<br />
Qualche giorno prima dell’inizio<br />
delle lezioni la madre incontra la futura<br />
maestra di Nikolaj per avvertirla che il<br />
bambino tornerà sempre a casa da solo<br />
perché sia lei che il papà sono impegnati<br />
con il lavoro ma anche perché si fidano<br />
di loro figlio. Finite le lezioni del primo<br />
giorno di scuola Nicolaj saluta i compagni<br />
e si incammina da solo verso casa, non<br />
abita lontano e la giornata è bella. Nemmeno<br />
il tempo di uscire dal cortile scolastico<br />
che una mamma lo nota e lo riporta<br />
indietro dalla maestra: «l’ho incontrato<br />
che voleva incamminarsi da solo verso<br />
casa e ho pensato di riportarlo indietro»<br />
dice alla maestra che a sua volta tenta<br />
di spiegarle invano la situazione. La<br />
mamma non capisce o meglio non riesce<br />
a concepire come un bambino così piccolo,<br />
di soli 6 anni, possa raggiungere<br />
da solo il fondo del viale. È vero che c’è<br />
un bel marciapiede e che l’incrocio in<br />
fondo è sicuro, però, lei ne è convinta, il<br />
bambino è troppo piccolo. Nicolaj incomincia<br />
a spazientirsi, vuole andare a casa<br />
dalla sua mamma, poi aveva in mente<br />
di fermarsi un attimo davanti alla vetrina<br />
del negozio di animali, che è sulla strada.<br />
Nicolaj riparte. Subito fuori dalla scuola<br />
incontra la maestra Giuliana, che insegna<br />
nella sua stessa scuola, nelle classi<br />
più anziane, che gli chiede un sacco di<br />
cose, intimorendolo: Cosa fa in giro da<br />
solo a quest’ora?, Dov’è la sua mamma<br />
o il suo papà?, Chi è la sua maestra?,<br />
Che classe frequenta? Dove abita?….<br />
Ovviamente lo riporta indietro dalla sua<br />
maestra che per fortuna era ancora a<br />
scuola perché doveva sbrigare alcune<br />
pratiche. Risolto anche questo contrattempo<br />
Nicolaj finalmente riparte verso<br />
casa. In fondo al viale, però, viene fermato<br />
da un Vigile urbano, addetto al controllo<br />
dell’incrocio, che dopo averlo interrogato<br />
lo riporta a scuola. Nicolaj esausto<br />
incomincia a piangere: vuole andare<br />
a casa dalla sua mamma!<br />
Q<br />
uesta breve storia di ordinaria nonautonomia<br />
racconta una situazione diffusa<br />
in Italia, dalla grande città fino al piccolo<br />
paesino. Mette in luce, secondo noi, alcuni<br />
elementi utili ad inquadrare il rapporto fra i<br />
bambini e lo spazio pubblico urbano contemporaneo:<br />
il percorso casa-scuola, il rapporto fra il<br />
bambino e la strada, i tempi della città, il rapporto<br />
fra la scuola e la comunità, la/e<br />
percezione/e del pericolo da parte dell’adulto in<br />
generale e del genitore in particolare, quella/e<br />
dei bambini…<br />
Siamo un gruppo di architetti che lavora applicando<br />
metodologie partecipative. Da qualche<br />
anno collaboriamo con le Amministrazioni pubbliche<br />
della provincia di Trento su alcuni progetti<br />
che considerano un parametro per valutare il<br />
grado di vivibilità di un ambiente urbano partendo<br />
dall’assunto che quando un luogo, piccolo o<br />
grande che sia, è a misura di bambino sicuramente<br />
lo è per tutti.<br />
Un esempio emblematico è il percorso casascuola<br />
che quotidianamente i bambini compiono.<br />
Esiste un’ampia letteratura che dalla psicologia<br />
all’antropologia, dalla pedagogia<br />
all’architettura, dall’<strong>urbani</strong>stica alla sociologia, si<br />
occupa del rapporto tra spazio costruito e abitanti,<br />
tra percezione e vissuto quotidiano, e il<br />
nostro obbiettivo non è affrontare queste tematiche<br />
da un punto di vista teorico, quanto piuttosto<br />
di fare alcune riflessioni sul nostro lavoro<br />
con i bambini di questo territorio nell’ambito<br />
dell’iniziativa “A Piedi Sicuri” da casa a scuola.<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 21<br />
*Gruppo Palomar -<br />
progettazione partecipata,<br />
Silvia Alba -<br />
Fabrizio Andreis - Silvia<br />
Ferrin architetti<br />
www.gruppopalomar.it
22 / <strong>Sentieri</strong> Urbani<br />
In alto a sinistra (Fig.1):<br />
bambino di sette anni<br />
che si muove a piedi per<br />
recarsi a scuola; a<br />
destra (Fig.2): bambino<br />
di sette anni che si<br />
muove in bicicletta per<br />
recarsi a scuola<br />
L’attività proposta dal progetto “A piedi sicuri” è<br />
un processo inclusivo che, applicando modalità<br />
codificate nei progetti di Agenda 21 locale, vuole<br />
favorire già nel breve termine l’autonomia del<br />
bambino nel percorso casa – scuola. Si rivolge<br />
principalmente ai bambini delle scuole primarie,<br />
e quindi coinvolge anche le famiglie, gli insegnanti,<br />
l’associazionismo, le attività economiche,<br />
le amministrazioni comunali e quella provinciale.<br />
Ma per far cosa? Innanzitutto per permettere ai<br />
bambini di raggiungere la scuola da soli, senza<br />
l’accompagnamento di un adulto e soprattutto<br />
senza utilizzare l’automobile, e, nel lungo periodo,<br />
per stimolare le Amministrazioni pubbliche<br />
locali a dar forma alle trasformazioni dello spazio<br />
urbano tenendo conto delle esigenze di autonomia<br />
e sicurezza dei bambini per migliorare la<br />
vivibilità di tutti. Siamo profondamente convinti<br />
che una città nella quale si vedono i bambini per<br />
strada è una città sicura, viva, democratica e<br />
più serena anche per gli altri abitanti.<br />
Le azioni messe atto, semplici se prese singolarmente,<br />
creano dinamiche complesse se considerate<br />
nelle relazioni reciproche e in una prospettiva<br />
temporale di medio e lungo periodo. In<br />
una prima fase, occorre monitorare la situazione<br />
di partenza capendo la percezione dei genitori,<br />
quella dei bambini e dei diversi attori che a<br />
vario titolo si occupano di bambini e della gestione<br />
della città (dirigenti scolastici, insegnanti, associazionismo<br />
locale, politici, servizi tecnici, addetti<br />
alla sicurezza stradale…) rispetto alla sicurezza<br />
e qualità dei percorsi che conducono a<br />
scuola.<br />
Nella fase successiva queste informazioni diventano<br />
lo sfondo sul quale si predispone uno schema<br />
operativo per permettere ai bambini di muoversi<br />
in modo sostenibile e possibilmente autonomo:<br />
individuazione dei percorsi “sicuri”, degli<br />
spazi di sosta per i genitori “automobilisti”, microinterventi<br />
infrastrutturali ecc. Poi, si sperimenta<br />
per un certo periodo questo insieme di azioni<br />
e si confrontano i risultati con la situazione<br />
Spazio&Società<br />
iniziale. Accanto a queste azioni sono state organizzate<br />
alcune iniziative di sensibilizzazione a<br />
sostegno: dalle feste di quartiere ai cortei di<br />
bambini, dai “piedibus” alle feste ecologiche, dalle<br />
esposizioni pubbliche all’organizzazione di consigli<br />
comunali allargati anche ai bambini. Sono<br />
ormai una trentina le scuole che in Trentino<br />
hanno partecipato al progetto, in molte è diventato<br />
una prassi quotidiana che si applica dal primo<br />
all’ultimo giorno di scuola con risultati che<br />
sono generalmente positivi a dimostrazione come<br />
sia possibile invertire tendenze e abitudini<br />
che paiono a prima vista consolidate, in primo<br />
luogo quella dell’utilizzo del mezzo privato per accompagnare<br />
il proprio figlio a scuola.<br />
Di seguito vengono riportati alcuni risultati dei<br />
questionari rivolti alle famiglie e alcune riflessioni<br />
sui disegni dei bambini. A conclusione una breve<br />
lettura del rapporto dei bambini con lo spazio<br />
pubblico della strada intesa come luogo dei diritti<br />
negati.<br />
Il percorso da casa a scuola in Trentino:<br />
i risultati di 2000 questionari rivolti alle famiglie<br />
Il primo dato utile a portarci nel cuore del problema<br />
è quello relativo alla distanza casa-scuola;<br />
oltre il 90% delle famiglie abita a meno di 20<br />
minuti a piedi dalla scuola, diciamo a meno di 1<br />
chilometro, una distanza relativamente vicina.<br />
Ma come vanno a scuola i bambini?<br />
La metà arriva trasportato con autobus, scuolabus<br />
o automobile privata. Questi ultimi sono circa<br />
un terzo. Vuol dire che in una scuola che ospita<br />
250 bambini ci possono essere un’ ottantina<br />
di macchine che si muovono davanti<br />
all’edificio in un lasso di tempo molto limitato,<br />
circa 10 minuti, con tutto ciò che questo comporta.<br />
Si tenga poi presente che alle macchine<br />
dei genitori vanno aggiunte, in molti casi, anche<br />
quelle degli insegnanti e del personale amministrativo<br />
della scuola che per qualche strano motivo<br />
parcheggia all’interno del cortile scolastico<br />
erodendo spazio utile ai bambini. L’altra metà
Spazio&Società<br />
dei bambini si muove a piedi, da soli o accompagnati;<br />
gli autonomi sono circa il 30% (da soli o<br />
con amici e/o fratelli). La bicicletta non viene<br />
praticamente utilizzata, solo il 3%.<br />
Ma uscendo dal percorso da casa a scuola e<br />
andando a vedere se esistono altri luoghi che i<br />
bambini possono o potrebbero frequentare autonomamente<br />
emerge che solamente il 40% si<br />
muove da solo per frequentare gli amici, i parenti,<br />
per fare qualche compera, per andare al<br />
parco pubblico o frequentare qualche attività. Si<br />
ricorda che stiamo parlando di situazione urbane<br />
in molti casi molto piccole non di metropoli.<br />
Ma quali sono i motivi che secondo le famiglie<br />
scoraggiano l’autonomia dei più piccoli, che generano<br />
questa situazione?<br />
Il 34% ritiene che siano i pericoli del traffico, la<br />
stessa percentuale che accompagna i propri figli<br />
in automobile: forse una coincidenza o forse<br />
sono genitori che si lamentano del traffico generato<br />
da loro stessi, un cane che si morde la coda.<br />
Gli altri motivi riguardano la lontananza da scuola<br />
(20% che corrisponde alla percentuale di famiglie<br />
che abita sopra il chilometro e che utilizza<br />
il mezzo pubblico), il peso dello zaino/cartella, il<br />
15%, e un altro 15% fa parte di una risposta<br />
che volutamente abbiamo lasciato aperta e definita<br />
“altro” che è stata utilizzata per segnalare il<br />
pericolo dei pedofili, dei malintenzionati in genere,<br />
degli stranieri, ecc.<br />
Interessante sottolineare come le condizioni meteorologiche<br />
avverse, in una regione con un inverno<br />
molto rigido, non condizionino più di tanto<br />
le scelte delle famiglie.<br />
Da ultimo abbiamo chiesto come veniva percepita<br />
l’autonomia del proprio figlio in relazione alla<br />
propria, alla stessa età. Solo il 20% la ritiene<br />
migliore, uguale il 36%, quasi la metà la considera<br />
peggiore della propria.<br />
Il paesaggio disegnato: la percezione del bambino<br />
del suo contesto di vita. Analisi di 600 disegni<br />
dei bambini dai 6 ai 10 anni<br />
Una premessa sul perché abbiamo scelto di lavorare<br />
con i bambini. L’infanzia è portatrice di<br />
un’alterità rispetto alla condizione adulta: non è<br />
migliore (come certo partenalismo sostiene),<br />
non è peggiore, è diversa e dal nostro punto di<br />
vista per questo merita di essere valorizzata<br />
perché arricchisce i punti di vista, crea complessità,<br />
mette in crisi verità acquisite e abitudini<br />
consolidate, mette in luce interessi economici<br />
e scelte politiche non sempre lungimiranti. Insomma<br />
i bambini sono sovversivi se messi in<br />
condizione di esserlo. Se invece di stare a casa<br />
davanti al computer possono stare in piazza a<br />
guardare la parata sono in grado di dirci che il<br />
re è nudo.<br />
Dalla casa alla città:<br />
La casa. Il bambino piccolo si sofferma sulla descrizione<br />
estremamente accurata della propria<br />
casa, della scuola, dell’accompagnatore o del<br />
mezzo che usa per recarsi a scuola, non curandosi<br />
di rappresentare la continuità del percorso<br />
casa – scuola. Nella maggior parte dei disegni i<br />
protagonisti principali sono le persone,<br />
l’accompagnatore, il compagno di scuola, il nonno<br />
vigile, il negoziante. Questo può farci pensare<br />
che per i più piccoli percorso casa–scuola sia<br />
un’opportunità per incontrare altre persone dai<br />
famigliari. Poi, con l’aumento dell’età, la componente<br />
umana diminuisce sino a scomparire del<br />
tutto nell’ultimo anno delle elementari (Figg. 1 e<br />
2).<br />
La città. Il bambino a partire dagli otto anni dà<br />
una rappresentazione selettiva e completa del<br />
percorso. Compare lo spazio costruito La maggiore<br />
autonomia di movimento e quindi di esperienze<br />
conoscitive va di pari passo con<br />
l’allargamento dello spazio rappresentato.<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 23<br />
In alto a sinistra (Fig.3):<br />
bambino di otto anni<br />
che si muove in auto<br />
per recarsi a scuola; a<br />
destra (Fig.4): bambino<br />
di otto anni che si muove<br />
in auto per recarsi a<br />
scuola
24 / <strong>Sentieri</strong> Urbani<br />
In alto a sinistra (Fig.5):<br />
bambino di dieci anni che<br />
si muove a piedi per recarsi<br />
a scuola; a destra<br />
(Fig.6) bambino di nove<br />
anni che si muove a piedi<br />
per recarsi a scuola<br />
Città continua e città frammentata:<br />
- la città continua è quella disegnata dal bambino<br />
pedone che come si può notare nel disegno<br />
sopra riportato, è priva continua; ogni elemento<br />
che sia un edificio, una piazza o un parco, è legato<br />
dal percorso che collega la casa con la<br />
scuola. È una città conosciuta dall’esperienza,<br />
ricca di dettagli e informazioni.<br />
- la città frammentata è invece quella disegnata<br />
dal bambino “motorizzato”; il percorso casa/<br />
scuola è una striscia vuota che incontra pochi<br />
luoghi degni di interesse (Figg. 3 e 4).<br />
I luoghi disegnati<br />
Sono i luoghi <strong>urbani</strong> che il bambino quotidianamente<br />
frequenta e che considera significativi. il<br />
bambino disegna la casa e altri luoghi cosiddetti<br />
specializzati, luoghi cioè definiti nella loro funzione<br />
(specializzata) e che non permettono una<br />
fruizione libera, ma sempre ricondotta alla funzione<br />
a cui sono dedicati: i parchi attrezzati per<br />
bambini, le ludoteche e i cinema sono i luoghi<br />
del divertimento, l’ospedale, il luogo della malattia,<br />
l’ospizio, il luogo della vecchiaia, il centro<br />
commerciale, il luogo delle compere, gli asili e le<br />
scuole, i luoghi dell’apprendimento (Fig. 5).<br />
Grande attenzione viene data nel disegno degli<br />
ostacoli o punti di discontinuità lungo il percorso<br />
come gli attraversamenti pedonali, gli incroci e i<br />
semafori, che vengono rappresentati con dovizia<br />
di particolari dal bambino pedone non senza una<br />
certa apprensione (Figg. 6-10).<br />
I disegni dei bambini ci restituiscono la città<br />
com’è veramente e come l’abbiamo creata noi<br />
adulti ad uso e consumo dell’automobile, della<br />
fluidità degli spostamenti e del consumo. Dai loro<br />
disegni non emerge l’esperienza dello spazio<br />
pubblico se non come spazio di attraversamento<br />
per raggiungere altri luoghi ognuno con la propria<br />
funzione.<br />
Noi riteniamo che quanto emerge può far riflettere<br />
i responsabili politici e tecnici della trasformazioni<br />
urbane sull’interesse che attività di con-<br />
Spazio&Società<br />
sultazione allargata e coinvolgimento dei bambini<br />
possono avere prima per la comprensione<br />
della realtà attuale, poi nella scelta di indirizzo e<br />
da ultimo nella verifica delle conseguenze delle<br />
scelte di trasformazione urbana.<br />
La strada contemporanea, luogo di diritti negati<br />
Il diritto di accedere in modo aperto e sicuro agli<br />
spazi pubblici - il diritto alla strada e alla città<br />
- è esplicitamente garantito dalle carte dei diritti<br />
dei bambini diffuse negli ultimi anni da molti organismi<br />
internazionali. (Unicef e Unchs/<br />
Habitat).<br />
Il diritto di accesso e di libera circolazione nei<br />
luoghi pubblici è posto come uno dei diritti fondamentali<br />
dei bambini, il cui compimento deve<br />
essere raggiunto attraverso procedure di coinvolgimento<br />
diretto dei bambini nella progettazione<br />
della città e dell'ambiente.<br />
Mark Francis le ha chiamate Democratic streets:<br />
strade dove ci sono molte attività, dove ci<br />
sono persone, dove si può stare fermi a guardare,<br />
giocare e incontrare amici vecchi e nuovi.<br />
Strade dove c’è complessità e rischio ma anche<br />
protezione sociale. Oggi con un aggettivo di significato<br />
più ampio le chiamiamo le strade sostenibili,<br />
in cui i bambini hanno la possibilità di<br />
giocare, di sentirsi protetti, di sperimentare i<br />
propri limiti e le proprie capacità, di incontrare<br />
gli altri, di sentirsi parte di un luogo.<br />
Il gioco<br />
Da sociale e motorio il gioco sta diventando solitario,<br />
statico e incentrato sullo sviluppo di funzioni<br />
cognitive. Ma nell’infanzia la motricità ha<br />
un peso determinante nello sviluppo<br />
dell’intelligenza. Inoltre il gioco motorio senza la<br />
supervisione degli adulti permette l’ interazione<br />
sociale tra pari con la quale i bambini imparano<br />
la reciprocità, la cooperazione, l’assunzione di<br />
responsabilità rispetto alle regole, la gestione<br />
dei conflitti.
Spazio&Società<br />
Il gioco motorio per strada permette di abitarla<br />
e quindi di conoscerla e rispettarla. Da<br />
un’indagine collegata al progetto A piedi Sicuri<br />
svolta ad Albiano è emerso che i posti per giocare<br />
fuori casa dei bambini di oggi sono il parco<br />
giochi, il campo da calcio, la palestra, l’oratorio.<br />
Quelli dei genitori quando erano bambini, invece,<br />
erano il campo da calcio dove oggi c’è la palestra,<br />
un circuito bici in un campo, il castello diroccato,<br />
i frutteti, gli androni delle case, le strade<br />
in genere, il torrente e l’oratorio; è interessante<br />
sottolineare come per gli adulti, a differenza<br />
dei bambini, non sia stato necessario specificare<br />
che si parlava di luoghi fuori casa.<br />
La sicurezza<br />
Il percorso casa-scuola o il muoversi autonomamente<br />
per le strade è stata per la maggior parte<br />
degli adulti un’esperienza normale, giudicata<br />
a posteriori come determinante nella vita. Oggi<br />
per la maggior parte dei figli di queste persone<br />
si tratta di un’esperienza negata.<br />
Il problema principale si chiama traffico veicola-<br />
re. Le soluzioni che servono per restituire la<br />
strada agli abitanti, in primis ai bambini, non sono<br />
solo tecniche, ma anche e soprattutto culturali.<br />
Le strade sicure per i bambini si costruiscono a<br />
partire da una chiara volontà politica ad andare<br />
verso interventi di moderazione del traffico diffusi<br />
e pervasivi, di riduzione dell’occupazione di<br />
suolo pubblico da parte delle auto, di sensibilizzazione<br />
permanente verso la cittadinanza e di ascolto<br />
delle esigenze dei bambini e delle altre<br />
categorie “deboli”.<br />
Un altro aspetto di carattere pedagogico riguardo<br />
alla sicurezza è la convinzione diffusa che<br />
questa debba essere garantita dall’esterno e<br />
non costruita dal bambino durante un lento percorso<br />
di crescita, in cui il ruolo del genitore non<br />
è quello di non perdere di vista il figlio, ma quello<br />
del promuovere la sua emancipazione dalla<br />
protezione e dalla dipendenza dagli adulti.<br />
Il rischio: al lupo, al lupo!<br />
“La strada (la città, ndr) dovrebbe essere peri-<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 25<br />
In alto a sinistra (Fig.7):<br />
bambino di nove anni che<br />
si muove a piedi e in auto<br />
per recarsi a scuola; a<br />
destra (Fig.8): cortile di<br />
una scuola media.<br />
In basso a sinistra (Fig.9)<br />
bambino di dieci anni che<br />
si muove a piedi per<br />
recarsi a scuola; a destra<br />
(Fig.10): una strada<br />
che fiancheggia la scuola<br />
elementare
26 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Spazio&Società<br />
colosa o sicura come un bosco” (F. La Cecla)<br />
Il bosco può essere avvicinato a quello delle favole<br />
in cui V. Propp ha riconosciuto le radici dei<br />
miti di antiche prove da superare, di pericoli da<br />
riconoscere ed evitare, di persone amiche di cui<br />
imparare a fidarsi di persone ostili da imparare<br />
a riconoscere ed evitare.<br />
Sempre dall’indagine di Albiano emerge che per<br />
i nonni (60-75) e i genitori i posti pericolosi erano<br />
quelli che scaturivano dall’esperienza quotidiana<br />
(il torrente i muretti, gli alberi, il bosco), e<br />
dipendeva dal modo comportamento tenuto la<br />
loro pericolosità. I luoghi non erano pericolosi in<br />
sé. La strada sembra invece ai bambini di oggi<br />
pericolosa comunque a causa del traffico insieme<br />
ad altri luoghi non conosciuti che diventano<br />
pericolosi.<br />
Insieme al traffico la paura dei pericoli sociali legati<br />
a persone malintenzionate nei confronti dei<br />
bambini è un atteggiamento condizionato dai<br />
mass media che non ha riscontro nella realtà.<br />
È socialmente pericoloso insegnare ai bambini a<br />
non fidarsi degli adulti esterni alla famiglia, da<br />
un lato si mina la loro autonomia, aumentando<br />
la dipendenza dalla famiglia, dall’altro<br />
s’impedisce ai bambini di sperimentare nuove<br />
relazioni rendendo difficile nel bambino lo sviluppo<br />
della sana e ponderata diffidenza verso<br />
l’estraneo che si acquisisce solo con<br />
l’esperienza e non con la chiusura aprioristica.<br />
L’autonomia: poter parlare fra di noi.<br />
Dal consiglio dei bambini di Fano è emerso che<br />
ai bambini piace andare a scuola da soli perché<br />
“possiamo parlare tra noi”. Nei luoghi specializzati<br />
pensati per i bambini sempre sotto il controllo<br />
degli adulti non è possibile la comunicazione,<br />
non sono possibili esperienze aperte che il<br />
bambino possa controllare, modificare, secondo<br />
decisioni sue, senza ripetizioni forzate.<br />
Dai dati in nostro possesso emerge che nel percorso<br />
casa-scuola in Trentino è autonomo<br />
all’andata il 31,9% e al ritorno il 39,7%. Il 63%<br />
dei bambini si sposta sempre accompagnato.<br />
Dato in linea con altre esperienze italiane: una<br />
su tutte quella di Legambiente in un quartiere di<br />
Milano in cui ad andare a scuola autonomamente<br />
era il 32%.<br />
Il tempo: quanto tempo ci metti?<br />
Il tempo dei bambini non è quello degli adulti.<br />
“Quanto ci metti da casa a scuola?” chiede<br />
l’adulto al bambino. “10 minuti” risponde. “ E se<br />
corri quanto ci metti?” “Sempre 10 minuti”<br />
Per l’adulto la distanza e il tempo sono dimensioni<br />
euclidee e ciò che conta sono la partenza<br />
e l’arrivo. Per i bambini quello che conta è ciò<br />
che sta in mezzo. Il percorso che dura 10 minuti<br />
in qualsiasi modo venga percorso perché per<br />
il bambino sono 10 muniti di libertà a cui lui non<br />
vuole rinunciare.<br />
I bambini hanno una percezione diversa del tempo<br />
e dello spazio. Non inferiore o sbagliata.Il ritmo<br />
frenetico delle strade dominate<br />
dall’automobile è emblematico di una situazione<br />
esistenziale in cui bambini non hanno più<br />
l’opportunità di fare esperienze di vita orientate<br />
verso orizzonti di esigenze e di comportamento<br />
propri e non imposti dagli adulti.<br />
Questo li porta ad essere spesso bambini stressati,<br />
con difficoltà di apprendimento e con comportamenti<br />
aggressivi. Come accade agli animali<br />
in cattività.<br />
La partecipazione<br />
Le ricerche di psicologia dell'infanzia, e molte<br />
sperimentazioni pratiche, hanno individuato una<br />
specifica competenza spazio-temporale dei bambini:<br />
una competenza abile, consapevole ed esperta.<br />
Nella conversazione sociale che deve accompagnare<br />
la formazione delle politiche urbane,<br />
ascoltare i bambini non è allora un esercizio<br />
retorico o paternalistico, ma una precisa esigenza<br />
tecnica che arricchisce e completa un<br />
quadro altrimenti non in grado di rispondere alla<br />
complessità contemporanea.<br />
Rispetto al tema della strada e dei luoghi collettivi,<br />
è importante che le competenze dei bambini<br />
siano considerate risorse in vista della loro riorganizzazione<br />
fisica come spazi pubblici di relazione.<br />
Per concludere<br />
Chiudiamo con un piccolo test.<br />
«I bambini nel piccolo parco giochi sono affaccendati<br />
a giocare e divertirsi. “Mi sento sicuro a<br />
giocare in questo giardino, molto più di quando<br />
sto per strada”. Questa è forse l'unica opportunità<br />
che questi bambini hanno di fare qualcosa<br />
di divertente fuori dalle loro case. A causa delle<br />
precarie condizioni di sicurezza, infatti, i genitori<br />
sono assai riluttanti a lasciarli uscire di casa per<br />
andare a giocare».<br />
Chi sono questi bambini e dove abitano? Provate<br />
mentalmente ad immaginare al parco pubblico<br />
di quale città si riferisca questa breve descrizione.<br />
Ora leggete il resto e fate le vostre considerazioni.<br />
La scena avviene in un villaggio palestinese di<br />
Wadi Al Salqa, nella Striscia di Gaza. Ma quella<br />
che altrove è una semplice scena di vita quotidiana<br />
non è qualcosa di ordinario qui, dove i<br />
bambini hanno davvero pochi posti per giocare.<br />
«I bambini di Gaza vivono in un'atmosfera di paura<br />
e insicurezza inimmaginabili» spiega Dan Rohrmann,<br />
Rappresentante <strong>UN</strong>ICEF nel Territorio<br />
Palestinese Occupato (TPO).
Spazio&Società<br />
La città sicura:<br />
bambini e genitori A CONFRONTO<br />
di Rose Marie Callà<br />
Premessa<br />
Nell’ambito dello studio “La vivibilità urbana. Un<br />
inquadramento teorico e metodologico” 1 commissionato<br />
nel 2007 dall’Assessorato alla Vivibilità<br />
urbana, Mobilità e Ambiente del Comune di<br />
Trento, sono state analizzate e descritte quattro<br />
diverse azioni per incrementare la vivibilità in<br />
ambito comunale. Una di queste azioni si è<br />
focalizzata sull’analisi dei questionari somministrati<br />
agli allievi - e ai loro genitori – di alcune<br />
classi della Scuola Elementare “Tomasi” di Villazzano.<br />
L’obiettivo della suddetta analisi, di cui si<br />
riportano alcune parti nel presente intervento,<br />
era quello di individuare, attraverso la testimonianza<br />
dei bambini e degli adulti, possibili trasformazioni<br />
urbane volte all’incremento della<br />
sicurezza nel tragitto casa-scuola. Il fine ultimo<br />
era, ed è, quello di (ri)costruire una città più<br />
vivibile per i bambini e, dunque, più vivibile per<br />
tutti, come è stato ampiamente spiegato da<br />
Alba et al. nell’intervento su questo stesso numero<br />
di <strong>Sentieri</strong> Urbani 2 .<br />
La somministrazione dei questionari nella Scuola<br />
Elementare “Tomasi” di Villazzano si inserisce in<br />
un progetto molto più ampio - “Bambini a piedi<br />
sicuri per una mobilità sostenibile 2007/2008”<br />
- promosso dall’assessorato alle Politiche Giovanili<br />
del Comune di Trento e rivolto alle scuole<br />
elementari presenti sul territorio comunale teso<br />
ad incrementare l’autonomia delle bambine e<br />
dei bambini nel tragitto da casa a scuola 3 .<br />
L’iniziativa ha origine nell’anno scolastico<br />
2003/2004 proprio con l’obiettivo di incentivare<br />
i minori a compiere il tragitto casa-scuola da<br />
soli, limitando l’utilizzo degli autoveicoli privati e<br />
privilegiando, invece, i mezzi di trasporto sostenibili<br />
come “i piedi”, la bicicletta, l’autobus 4 .<br />
Dall’anno scolastico 2003-2004 all’anno scolastico<br />
2007-2008, il progetto “Bambini a piedi<br />
sicuri per una mobilità sostenibile” ha visto il<br />
coinvolgimento di oltre 3.000 studenti e oltre<br />
3.000 genitori.<br />
L’analisi dei questionari<br />
I questionari qui analizzati si riferiscono a 6<br />
classi della Scuola Elementare “Tomasi” di Villazzano,<br />
ed in particolare: due prime classi<br />
(sezione A e B), una classe seconda (sezione A),<br />
due terze (sezioni A e B) e una quarta (sezione<br />
A). Lo strumento di rilevazione ha previsto le<br />
stesse domande rivolte dapprima ai genitori e in<br />
successione ai loro giovanissimi figli. Si presupponeva,<br />
dunque, l’auto compilazione del modulo-<br />
questionario da parte del genitore per la domanda<br />
rivolta a lui e la successiva “interrogazione”<br />
dell’adulto rivolta al proprio figlio per la medesima<br />
domanda. Il collettivo di riferimento è pari a<br />
190 soggetti (genitori: n. 95; figli: n. 95).<br />
Il questionario semi-strutturato somministrato,<br />
composto da 13 domande - in parte a risposta<br />
aperta e in parte a risposta chiusa a scelta<br />
multipla - si poneva i seguenti diversi obiettivi:<br />
- sondare con quali mezzi i bambini si recassero<br />
a scuola;<br />
- identificare i luoghi del quartiere che i genitori<br />
percepissero come sicuri, come piacevoli e<br />
come pericolosi;<br />
- identificare i luoghi del quartiere che i bambini<br />
percepissero come piacevoli e come pericolosi;<br />
- identificare i luoghi ritenuti pericolosi nel tragitto<br />
casa-scuola;<br />
- identificare gli interventi ritenuti utili per sopperire<br />
alla pericolosità dei luoghi rilevati.<br />
Vediamo, di seguito, le risposte fornite dai due<br />
gruppi di soggetti alle diverse domande.<br />
Le modalità di spostamento dei bambini<br />
La prima parte dello strumento di rilevazione<br />
indagava con quale mezzo e con chi il bambino<br />
percorre il tragitto casa-scuola.<br />
In generale, confrontando le rilevazioni dell’ISTAT<br />
del 2001 e del 2006 nell’ambito dell’indagine<br />
sugli “Aspetti della vita quotidiana”, si rileva<br />
come la popolazione studentesca italiana abbia<br />
aumentato, nel corso degli ultimi anni, l’utilizzo<br />
dell’auto per recarsi a scuola - dal 32,3% del<br />
2001 al 35,9% del 2006 - e diminuito l’utilizzo,<br />
o rimasto praticamente invariato, di tutti gli altri<br />
mezzi sostenibili: a piedi dal 28,2% al 26,1%, la<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 27<br />
1 Lo studio è stato realizzato<br />
dall’arch. Alessandro<br />
Franceschini (2007).<br />
2 L’intervento si intitola<br />
“Pensare la città a misura<br />
di BAMBINO”, p. 21-26.<br />
3 Per maggiori approfondimenti<br />
relativi al progetto<br />
si consulti il sito:<br />
www.trentogiovani.it. Il<br />
progetto realizzato a<br />
Trento si pone nell’ambito<br />
di una vasta serie di iniziative<br />
simili realizzate in<br />
numerose città italiane<br />
(Genova, Milano, Varese,<br />
Bergamo, Bologna, Firenze,<br />
Bari, La Spezia, ecc.)<br />
e di tutto il mondo (Berna,<br />
Londra, Losanna, Montréal,<br />
New York, ecc.) che<br />
ebbero inizio negli anni<br />
’90 e che proseguono<br />
tutt’ora. Si veda, a tal<br />
proposito, i seguenti siti<br />
che aggiornano, in tempo<br />
reale, cosa si sta realizzando<br />
in tutte le città del<br />
mondo per promuovere<br />
gli spostamenti sostenibili<br />
dei bambini (e non):<br />
www.ecodallecitta.it;<br />
www.iwalktoschool.org.<br />
4 Nell’anno scolastico<br />
2003/2004 le iniziative<br />
del progetto usufruirono<br />
della supervisione scientifica<br />
del Gruppo Palomar di<br />
Trento<br />
(www.gruppopalomar.it).
28 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Spazio&Società<br />
60<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
Graf.1: Mezzi utilizzati dai bambini nel tragitto<br />
casa-scuola. Istat 2006<br />
26,1 30,3<br />
48,4<br />
35,9 35,9<br />
24,6<br />
2,6<br />
A piedi Mezzi pubblici Auto Bici<br />
Italia Trento<br />
Graf. 3: Ci sono punti pericolosi nel tragitto da casa a<br />
scuola?<br />
72,8<br />
27,2<br />
Sì No<br />
2,1<br />
bici dal 2,5 al 2,2, il treno dal 6,5% al 5,1%,<br />
l’autobus scolastico da 6,2% al 5,7%, la corriera<br />
dal 12,3% al 12,4% e, infine, il bus dal<br />
12,3% al 12,7%. La popolazione studentesca<br />
della Provincia Autonoma di Trento, nel 2006,<br />
rispetto al contesto nazionale, vantava, tuttavia,<br />
una mobilità - da casa a scuola - più sostenibile<br />
rispetto ai coetanei del resto Italia (Graf.1).<br />
Dall’analisi delle riposte fornite ai questionari si<br />
rileva come la maggior parte degli scolari intervistati<br />
della Scuola Elementare di Villazzano (il<br />
60%) si reca a scuola in “auto”. Solo un quarto<br />
dei soggetti rispondenti adulti dichiara di consentire<br />
ai figli di compiere il percorso “a piedi”,<br />
mentre poco meno del 15% dei bambini si avvale<br />
dei mezzi pubblici per recarsi a scuola<br />
(Graf.2).<br />
Questi risultati sembrano avere un certa caratterizzazione<br />
negativa rispetto ad altri dati rilevati<br />
negli ultimi anni a livello nazionale. Nel 1996,<br />
l’Istat, rilevava infatti come il 40,2% dei bambini<br />
italiani dai 6 ai 10 anni si recasse a scuola in<br />
auto. Nel 2006, tuttavia, sempre nell’ambito<br />
dell’indagine Istat sugli aspetti della vita quotidiana,<br />
la percentuale saliva al 50,5%. Per quanto<br />
riguarda, invece, i bambini dai 6 ai 10 anni che<br />
in Italia dichiaravano di recarsi a scuola a piedi<br />
si attestavano al 42% nel 1996 e al 34,4%<br />
nella rilevazione del 2006.<br />
Per quanto attiene a chi accompagna i bambini<br />
lungo il percorso casa-scuola, la maggior parte<br />
dei bambini della Scuola Elementari “Tomasi”<br />
afferma di essere accompagnata da un adulto<br />
(circa l’81%) che prevalentemente risulta essere<br />
la madre (56% circa) ed in seconda battuta il<br />
padre (26% circa). Queste informazioni sono in<br />
linea con quanto rilevato a livello nazionale. Come,<br />
infatti, viene riportato nel rapporto Istat del<br />
2008 “Conciliare lavoro e famiglia. Una sfida<br />
quotidiana”, le madri sono il soggetto che<br />
nell’ambito del nucleo familiare spende un tempo<br />
maggiore – indipendentemente dalla sua<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
60<br />
Graf.2: Con quale mezzo si reca a scuola il bambino?<br />
24,2<br />
Graf. 4: I problemi che incontrano i bambini che vanno a<br />
scuola in autonomia<br />
12,8<br />
19,1<br />
2,1<br />
40,4<br />
25,5<br />
la distanza tra scuola e casa i pericoli del traffico<br />
sono troppo piccoli essere fermati da sconosciuti<br />
altro<br />
condizione occupazionale – nell’accompagnare i<br />
figli nelle diverse attività scolastiche ed extrascolastiche.<br />
Se per gli uomini, infatti, vivere in una<br />
coppia con figli, rispetto ad una coppia senza<br />
figli, non comporta né un aumento delle ore di<br />
lavoro familiare né una diminuzione delle ore<br />
dedicate al tempo libero, la condizione delle<br />
donne, in presenza di figli, cambia significativamente<br />
e in peggio: aumentano le ore dedicate al<br />
lavoro domestico e per la cura dei figli, diminuiscono<br />
le attività fisiologiche e di svago e, non<br />
ultimo, si assiste ad una riduzione delle ore di<br />
lavoro retribuito con conseguente arretramento<br />
o congelamento della carriera professionale<br />
(FMS, 2000; Istat, 2008; Saraceno, 1980).<br />
Perché, dunque, i bambini della Scuola Elementare<br />
non si muovono in modo sostenibile per<br />
andare a scuola? Oltre i due terzi dei soggetti<br />
rispondenti adulti (73% circa) dichiarano di<br />
individuare uno o più punti pericolosi nel tragitto<br />
che separa la propria casa dalla scuola (Graf.3).<br />
In generale, comunque, la maggior parte dei<br />
minori (il 77%) non si reca in autonomia in nessun<br />
luogo.<br />
Per quanto attiene, invece, a quella quota minima<br />
di bambini i cui genitori dichiarano di lasciarli<br />
andare da soli in altri luoghi diversi dalla scuola<br />
(circa il 22%), è composta prevalentemente dai<br />
minori che si recano dai nonni (5%) o in altri<br />
luoghi presenti nel quartiere di residenza (parco<br />
giochi, amici, ecc.).<br />
I “pericoli del traffico” e la “distanza tra scuola e<br />
casa” sono i problemi prevalentemente percepiti<br />
dagli adulti rispondenti, difficoltà dunque che i<br />
bambini dovrebbero affrontare se andassero a<br />
scuola da soli. Non trascurabile, tuttavia, anche<br />
la possibilità di “essere fermati da sconosciuti”,<br />
risposta la cui percentuale si attesta al 19,1%<br />
(Graf. 4).<br />
Questi “ostacoli” all’uso di mezzi sostenibili per<br />
compiere il tragitto casa-scuola convergono con<br />
1,1<br />
14,7<br />
Auto Piedi Bici Mezzi pubblici
Spazio&Società<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
Graf. 5 a: Adultii: luoghi più piacevoli del quartiere<br />
71,9<br />
Graf. 6 a: Bambini: luoghi più piacevoli del quartiere<br />
58<br />
11,2 5,6<br />
Villa Mersi Centro Sportivo Valnigra Campagna, boschi<br />
19,3<br />
altre ricerche fatte sullo stesso argomento.<br />
Recentemente lo studio di Ahlport et al. (2008)<br />
rilevava sia barriere di tipo sociale - paura di<br />
rapimenti, di atti di bullismo e di coinvolgimento<br />
in incidenti, immaturità dei figli, scarsa motivazione<br />
sia ad affrontare le avverse condizioni<br />
climatiche, sia ad alzarsi prima il mattino e,<br />
infine, la difficoltà nella gestione del tempo causato,<br />
in primis, da orari di lavoro non flessibili -<br />
sia barriere di tipo fisico, ossia la presenza di<br />
strade senza marciapiedi, il traffico elevato, la<br />
distanza della scuola, ma anche un peso eccessivo<br />
degli zaini e la scarsità di luce al mattino<br />
presto, che si traduce dunque in un potenziale<br />
maggiore pericolo per i bambini.<br />
Ovviamente, la presenza di tutti o di alcuni di<br />
questi fattori, rendono l’automobile il mezzo<br />
privilegiato per lo spostamento casa-scuola,<br />
aumentando - di fatto - quel traffico veicolare<br />
aspramente criticato, la sedentarietà di grandi e<br />
piccini, il livello dell’inquinamento atmosferico e,<br />
non ultimo, privando i bambini di una possibile<br />
occasione di socializzazione, di responsabilizzazione<br />
e dunque di crescita.<br />
Genitori: analisi dei luoghi del quartiere che i<br />
genitori percepiscono come sicuri, piacevoli e<br />
come pericolosi<br />
La seconda parte del questionario indagava<br />
quali fossero, per i genitori e per i figli, i luoghi<br />
all’interno del quartiere percepiti come sicuri e<br />
piacevoli e quelli, invece, ritenuti pericolosi.<br />
Analizzando in prima battuta le risposte riferite<br />
dai soggetti rispondenti–genitori, si rileva come i<br />
luoghi più sicuri menzionati siano: con circa il<br />
24% il Parco pubblico di Villa Mersi 5 , con il<br />
15,7% delle risposte la piazza principale del<br />
paese, P.zza Niccolini 6 . Altri luoghi ritenuti sicuri<br />
nel quartiere sono la dimora domestica<br />
(11,4%), il Centro Sportivo Valnigra (10%) e la<br />
Scuola (8,6 %) (Graf. 5b).<br />
Alla domanda che chiedeva di elencare i luoghi<br />
6,9<br />
Villa Mersi Centro Sportivo Valnigra Casa Nostra<br />
30<br />
25<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
0<br />
35<br />
30<br />
25<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
0<br />
28,6<br />
21,4<br />
più pericolosi del quartiere, il collettivo-genitori si<br />
è concentrato su una delle vie principali - Via<br />
Valnigra - con il 24% circa delle risposte. Seguono<br />
P.zza Niccolini (14,6%) e Via Villa<br />
(9,8%). Dalle analisi delle risposte aperte di<br />
questa domanda emerge frequentemente la<br />
percezione del pericolo relativamente a diverse<br />
strade presenti nel centro storico e/o nelle<br />
strette sue vicinanze: strade a forte percorrenza<br />
veicolare e di forte interesse pedonale, sprovviste<br />
di sia marciapiede, sia di facili e sicuri<br />
attraversamenti e di piste ciclabili. Infatti, il 18%<br />
circa degli adulti rispondenti ritiene un luogo<br />
pericoloso “le strade del centro/fuori dal centro<br />
senza marciapiede”.<br />
Riprendendo una riflessione fatta poc’anzi,<br />
sull’esistenza cioè di fattori sia di natura sociale<br />
che fisica che ostacolano l’uso di mezzi sostenibili,<br />
rileviamo come alcuni luoghi siano privi degli<br />
uni, ma pregni degli altri. E’ il caso, ad esempio,<br />
di P.zza Niccolini: un luogo pubblico, luogo di<br />
incontro e di passaggio, con un forte controllo<br />
sociale che rende meno probabile l’incontro con<br />
gli ipotetici malintenzionati, e che viene dunque<br />
menzionato tra i luoghi percepiti come “sicuri”.<br />
Contemporaneamente, a causa dell’intenso<br />
traffico veicolare, che pone a rischio l’incolumità<br />
fisica dei bambini, la piazza viene menzionata<br />
anche fra i luoghi “pericolosi” del quartiere.<br />
Per quanto riguarda, invece, il luogo più bello e<br />
più piacevole che i genitori hanno menzionato è<br />
Villa Mersi con il 72% circa delle risposte, segue<br />
il Centro Sportivo Valnigra 7 con il 11,2%<br />
(Graf. 5a). Sono, questi, due spazi nei quali i<br />
bambini possono svolgere attività ludiche e sportive<br />
in ambienti chiusi e protetti e provvisti anche<br />
di aree adibite a verde pubblico.<br />
Bambini: analisi dei luoghi del quartiere che i<br />
genitori percepiscono come sicuri, piacevoli e<br />
come pericolosi<br />
Per quanto riguarda i luoghi ritenuti più pericolo-<br />
28<br />
18,3<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 29<br />
Graf. 5 b: Adulti: luoghi più pericolosi del quartiere<br />
14,6<br />
Graf. 6 b: Bambini: luoghi più pericolosi del quartiere<br />
18,6<br />
9,8<br />
Via Valnigra Le strade P.zza Niccolini Via Villa<br />
7,1<br />
Strade Via Valnigra Pzza Niccolini Via Villa<br />
5 Si tratta di una villa di<br />
origine medievale arricchita<br />
da un ampio parco al<br />
suo interno adibito a<br />
“verde pubblico”, utilizzata<br />
come centro civico, affittata<br />
per cerimonie e feste<br />
di varia natura, rappresentazioni<br />
teatrali e concerti.<br />
6 Si tratta della piazza<br />
principale del paese,<br />
antistante alla Scuola<br />
Elementare “Tomasi”.<br />
7 Si tratta di una struttura<br />
con attrezzature per la<br />
pratica di sport e dotata<br />
di parco pubblico, situata<br />
in Via Valnigra.
30 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Spazio&Società<br />
Sopra: il passaggio pedonale<br />
che porta al centro<br />
sportivo di Via Valnigra.<br />
Nella pagina a fianco:<br />
Piazza Niccolini<br />
8 Questa significativa<br />
concordanza nelle risposte<br />
può essere dovuta<br />
anche all’influenza del<br />
genitore che risponde alla<br />
stessa domanda formulata<br />
nel questionario subito<br />
prima di quella rivolta al<br />
bambino. Inoltre, ricordiamo<br />
che il genitore è il<br />
soggetto che materialmente<br />
compila in toto il<br />
questionario.<br />
9 In Trentino il rapporto è<br />
55 auto ogni 100<br />
abitanti.<br />
si riferiti dai bambini si rileva come essi siano<br />
sostanzialmente quelli menzionati dai genitori 8 .<br />
Emerge, in maniera ancora più netta rispetto<br />
alle risposte fornite dagli adulti, come “le strade<br />
del centro/fuori dal centro senza marciapiede”<br />
siano ritenute dai bambini pericolose con il<br />
28,6% delle risposte. Seguono Via Valnigra con<br />
il 21,4% e P.zza Niccolini con il 18,6% (Graf.<br />
6b).<br />
Per quanto attiene ai luoghi più belli e piacevoli<br />
riferiti dai figli, prevalgono gli spazi aperti nei<br />
quali giocare o praticare sport. Come per i genitori,<br />
infatti, i luoghi che riscuotono maggiore<br />
successo sono il parco di Villa Mersi con circa il<br />
58% delle risposte, e il Centro Sportivo Valnigra<br />
con circa il 19,3%. Seguono, ma con una certa<br />
distanza, la dimora familiare e il cortile antistante<br />
con il 6,8% e, infine, P.zza Niccolini con il<br />
5,7% (Graf.6a). Nell’indagine Istat “La vita quotidiana<br />
di bambini e ragazzi” del 2008, i giardini<br />
pubblici raggiungevano, invece, il 35,6% delle<br />
preferenze mentre il cortile antistante la dimora<br />
domestica il 29,7%.<br />
Se sommiamo le risposte fornite dai genitori e<br />
dei figli come se fossero un unico collettivo è<br />
possibile con maggiore agilità identificare quali<br />
siano i luoghi che maggiormente vengono percepiti<br />
come pericolosi e piacevoli dai soggetti rispondenti:<br />
Via Valnigra con il 25%, le strade in<br />
generale con il 23%, P.zza Niccolini con il<br />
16,4% per quanto riguarda quelli pericolosi, e<br />
Villa Mersi con il 65%, il Centro Sportivo Valnigra<br />
con il 15,3% e, infine, P.zza Niccolini con il<br />
5%, delle risposte riguarda quelli piacevoli.<br />
Osservazioni sui risultati<br />
La prima osservazione che possiamo trarre da<br />
questi risultati è che la maggior parte delle<br />
risposte (85,3%) converge su tre luoghi ritenuti<br />
piacevoli: il parco pubblico di Villa Mersi, il Centro<br />
Sportivo Valnigra e la piazza principale di<br />
Villazzano – P.zza Niccolini – antistante l’Istituto<br />
scolastico “Tomasi”. Questi sono anche probabilmente<br />
i luoghi più frequentati e conosciuti dai<br />
bambini nel “tempo-scuola” e nel “tempo-libero”.<br />
La seconda osservazione è che i luoghi identifi-<br />
cati come più pericolosi sono quelli necessari<br />
per raggiungere i luoghi identificati come più<br />
belli (e dunque più frequentati). Come evidenziato<br />
sopra, le strade in generale sono motivo di<br />
apprensione soprattutto per i bambini perché<br />
molte di esse, sia nel centro storico, sia nelle<br />
zone antistanti al centro storico, sono sprovviste<br />
di marciapiedi e di sicuri punti di attraversamento.<br />
Emerge, per esempio, come la strada per raggiungere<br />
il Centro Sportivo Valnigra, Via Valnigra<br />
appunto, è una strada pericolosa, percorsa<br />
dagli autoveicoli a forte velocità, senza “fasce<br />
protettive” per pedoni e/o per ciclisti, sprovvista<br />
di luoghi sicuri adibiti all’attraversamento.<br />
La stessa P.zza Niccolini, luogo privilegiato da<br />
genitori e bambini, sia perché vicino alla scuola,<br />
sia perché luogo “bello e piacevole” e sia, infine,<br />
perché luogo a forte impatto socializzante, è<br />
contemporaneamente luogo ritenuto<br />
“pericoloso” per la presenza di intenso traffico,<br />
per l’assenza di facili e sicuri attraversamenti e<br />
sprovvisto di sistemi di monitoraggio del traffico<br />
stesso. Infine, proprio in prossimità di P.zza<br />
Niccolini è presente il parco pubblico di Villa<br />
Mersi, luogo che in modo determinante (65%)<br />
viene considerato da adulti e minori il luogo più<br />
bello e più piacevole del quartiere. Per raggiungere<br />
il parco, tuttavia, si percorrono strade<br />
senza marciapiede e senza attraversamenti<br />
sicuri (Via Villa in particolare, ma anche Via<br />
Giordano, Via Tessadori, Strada Stretta e Via<br />
Tabarelle).<br />
Sembrerebbero dunque possibile individuare tre<br />
“oasi” di sicurezza, tre luoghi di pace, di socialità,<br />
di gioco, di divertimento, ad alto livello di<br />
vivibilità. Ma raggiungere tali luoghi comporta<br />
una sorta di “prova ad ostacoli” oggettivamente<br />
pericolosi, fonte di ansia e preoccupazione sia<br />
per i bambini, sia per i genitori che li accompagnano<br />
in tali luoghi e la cui presenza non consente<br />
una mobilità sostenibile. Infatti, se facciamo<br />
riferimento alle risposte analizzate precedentemente<br />
è altamente probabile che in tali<br />
“oasi” i genitori accompagnino i propri figli in<br />
auto. Ricordiamo infatti che il 60% infatti dei<br />
bambini si reca a scuola accompagnato da un<br />
genitore in auto, il 73% identifica punti pericolosi<br />
nel tragitto da casa a scuola, il 78% circa dei<br />
bambini non si reca in nessun luogo da solo a<br />
piedi, proprio a causa del traffico per almeno il<br />
40% circa dei soggetti rispondenti.<br />
Se, infine, in modo sintetico elenchiamo gli interventi<br />
che i soggetti rispondenti hanno suggerito<br />
in modo puntuale compilando il questionario per<br />
sopperire ad alcuni punti pericolosi nel tragitto<br />
da casa a scuola, le problematiche precedentemente<br />
descritte tornano in modo reiterato: la<br />
mancanza di marciapiedi e di attraversamenti<br />
sicuri in primis - e, coerentemente, gli interventi<br />
suggeriti dal collettivo di riferimento sono tesi a<br />
sopperire in maniera semplice ma efficace tali<br />
problematiche.
Spazio&Società<br />
Conclusioni<br />
Pur consapevoli di come molteplici e di varia<br />
natura siano le trasformazioni da apportare per<br />
incentivare una mobilità sostenibile, ci appare<br />
necessario partire da qualcosa. Da un lato per<br />
risolvere concretamente alcune problematiche<br />
relative alle oggettive barriere di tipo fisico, ma<br />
dall’altro per sensibilizzare la popolazione sulla<br />
necessità di un cambiamento di stile di vita.<br />
L’Istat rilevava nel 2008 il numero degli autoveicoli<br />
in Italia superava 35 milioni, mentre<br />
l’Osservatorio per la Mobilità sostenibile, nel<br />
2007, gridava al nostro triste primato: l’Italia al<br />
primo posto in Europa per densità automobilistica:<br />
60 auto ogni 100 abitanti 9 . Non a caso i<br />
problemi maggiormente sentiti dagli italiani sono<br />
nell’ordine: il traffico (45,6%), l’inquinamento<br />
(41,4%) e la difficoltà di parcheggio (39,3%)<br />
(Istat, 2008). Tuttavia solo un quarto della popolazione<br />
usa il mezzi pubblici. Oltre a questo<br />
rapporto squilibrato con gli autoveicoli o conseguentemente<br />
a questo rapporto unito alla percezione<br />
di insicurezza in ambito urbano, emerge<br />
una popolazione sedentaria pari al 41,1%<br />
dell’intera popolazione, con un 35% di soggetti<br />
in sovrappeso e il 10,2% di soggetti obesi 10 . E<br />
in questa popolazione di sedentari ritroviamo<br />
anche i piccoli cittadini: il luogo preferito dai<br />
bambini dai 3 ai 10 anni per il gioco - con una<br />
percentuale pari al 97% - è la propria casa,<br />
nella quale le attività più frequentemente svolte<br />
sono “guardare la tv” e giocare “con giochi elettronici”.<br />
L’idea di apportare trasformazioni urbane per<br />
agevolare la mobilità sostenibile non è, e non<br />
può essere, di per sé risolutiva. Come è stato<br />
sottolineato le barriere fisico-sociali che disincentivano<br />
l’uso dei piedi e della bici per compiere<br />
il tragitto casa-scuola sono innumerevoli e<br />
fanno capo a diverse dimensioni, non riducibili<br />
alla sola mancanza di sicurezza stradale.<br />
Senz’altro una componente/barriera significativa<br />
si riferisce alla gestione del tempo degli adulti.<br />
In particolare al tempo - stretto e soffocante -<br />
delle donne, oberate e occluse nella loro “doppia<br />
presenza”: angelo del focolare che svolge le<br />
attività domestiche e si prende cura dei figli e<br />
donna emancipata che lavora. Due ruoli, dunque,<br />
che lasciano pochi varchi alla sostenibilità.<br />
L’auto diviene infatti mezzo comodo e veloce per<br />
portare il figlio a scuola – o due figli in scuole<br />
diverse - e correre al posto di lavoro, non necessariamente<br />
vicino all’istituto scolastico. Il<br />
mondo del lavoro rimane ancora rigido a fronte<br />
dei cambiamenti sociali e familiari, e lo è diventato<br />
in maniera più stringente in questo periodo<br />
di crisi economica globale, nel quale non perdere<br />
il posto di lavoro sembra essere l’unica aspettativa<br />
possibile. Le politiche di conciliazione,<br />
ossia tutte quelle misure volte ad armonizzare i<br />
tempi della vita familiare con quelli della vita<br />
lavorativa, sono ben lungi da essere sviluppate e<br />
incentivate nel nostro paese.<br />
Un’altra variabile, relativamente indipendente<br />
dalle trasformazioni urbane, è la percezione di<br />
sicurezza, quella relativa alla “paura di incontrare<br />
sconosciuti” che possono aggredire i bambini.<br />
Senza ampliare la riflessione sull’andamento<br />
della criminalità in generale, ma soffermandoci<br />
solo sull’andamento negli ultimi anni di alcun tipi<br />
di reato più attinenti al nostro argomento, si<br />
rileva dal rapporto del Ministero dell’Interno del<br />
2007, una netta diminuzione degli scippi, dei<br />
borseggi, delle aggressioni e dei furti di biciclette.<br />
Quelli che aumentano sembrano invece essere<br />
i furti negli appartamenti, le violenze e gli<br />
omicidi in ambito familiare, consumate proprio<br />
tra le mura domestiche, dove vittima e carnefi-<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 31<br />
10 In Trentino la percentuale<br />
di popolazione sedentaria<br />
è di circa il 18%,<br />
mentre quella degli obesi<br />
è di poco oltre il 9%<br />
(Istat, 2008).
32 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Spazio&Società<br />
ce si conoscono bene, sono persone legate da<br />
vincoli affettivi e di sangue.<br />
Da ciò si può affermare che la probabilità di<br />
essere aggrediti per strada da uno sconosciuto<br />
è decisamente inferiore a quella di essere aggrediti<br />
a casa da un parente. Fatta questa precisazione,<br />
siamo tuttavia consapevoli di quanto<br />
sia comunque importante la percezione soggettiva<br />
dell’aumento della criminalità da parte dei<br />
cittadini. Nel 2008, nell’ambito del rapporto<br />
annuale dell’Istat, si rileva che tale paura angoscia<br />
il 36,8% degli italiani (contro il 34% circa<br />
rilevato nel 2007); secondo il Ministero<br />
dell’Interno (2007)una persona su quattro si<br />
sente poco o per niente sicura quando cammina<br />
nel proprio quartiere, soprattutto di sera, soprattutto<br />
quando è buio. In questo senso il livello<br />
su cui operare sono i media con le loro campagne<br />
del terrore, ma anche il linguaggio della<br />
politica che negli ultimi anni privilegia e strumentalizza<br />
l’argomento “sicurezza” per far breccia<br />
nei cuori degli elettori, letteralmente disseminano<br />
paura e diffidenza. Ed è necessaria anche<br />
una corretta informazione sull’andamento e<br />
caratteristiche reali della criminalità, anche<br />
operando confronti tra il livello nazionale con il<br />
livello locale (Ahlport, 2008). Nel caso specifico<br />
del comune di Trento si rileva, infatti, su tutte le<br />
tipologie di reato un’incidenza inferiore a quella<br />
riscontrata nel nord-est e in Italia.<br />
Ma ancora: il livello sul quale operare è anche<br />
quello della scuola, caratterizzata da orari rigidi<br />
che non rendono agile la già congestionata giornata<br />
degli adulti, in primis di quelle delle mamme<br />
lavoratrici. E’ totalmente assente un coordinamento<br />
reale tra le politiche del mercato del<br />
lavoro e quelle relative all’istruzione, soprattutto<br />
per quanto riguarda la conciliazione degli orari<br />
degli adulti che sono da un lato genitori e<br />
dall’altro lavoratori. Ma la scuola è responsabile<br />
anche del sovra carico di libri per i bambini,<br />
tanto da far abbandonare negli anni la classica<br />
cartella di un tempo, per optare dapprima in<br />
uno zainetto, poi in uno zaino tipo escursione in<br />
montagna con sosta in rifugio, fino ad arrivare<br />
al carrello trasporta-zaino.<br />
Le trasformazioni dell’ambiente urbano sono<br />
condizioni necessarie ma non sufficienti per la<br />
promozione della mobilità sostenibile e dunque<br />
devono essere collegate a strategia a diversi<br />
livelli che appartengono a dimensioni e sfere<br />
diverse del vivere.<br />
Quindi, per concludere, le Iniziative quali i nonni<br />
vigili, il piedi bus, l’aumento delle piste ciclabili e<br />
la messa in sicurezza delle strade divengono<br />
anche momenti di riflessione, informazione e<br />
sensibilizzazione per tutta la cittadinanza, auspicando<br />
ad uno stimolo verso il cambiamento su<br />
tutti i livelli sopra menzionati: politico, mass<br />
mediatico, mercato del lavoro, sistema scolastico,<br />
individuale, culturale, per una riduzione del<br />
traffico automobilistico, dell’inquinamento, per<br />
un aumento dei momenti di socializzazione, di<br />
responsabilizzazione e di attività fisica dei bambini<br />
dunque facilitando lo sviluppo delle loro capacità<br />
motorie, intellettuali e sociali. Per migliorare<br />
la qualità della vita di “piccoli” e “grandi” cittadini,<br />
in modo sostenibile.<br />
Riferimenti Bibliografici<br />
Ahlport K. N., et al., (2008), “Barriers to and<br />
facilitators of walking and bicycling to school:<br />
formative results from the non-motorized travel<br />
study” in Health Education & Behavior, Aprile n.<br />
35 (2): 221-44.<br />
Fondazione M. Bellissario,(2000), Oltre il tetto<br />
di cristallo. Donne e carriera: la scalata difficile,<br />
a cura di Brancati D., Bergantino E., Milano.<br />
Franceschini A. (2007), Rapporto “La vivibilità<br />
urbana: un inquadramento teorico e metodologico.<br />
Quattro azioni per la vivibilità della città di<br />
Trento”, Assessorato alla Vivibilità urbana, Mobilità<br />
e Ambiente del Comune di Trento.<br />
Istat, (1996), Aspetti della vita quotidiana, Roma.<br />
Istat, (2002), La sicurezza dei cittadini. Reati,<br />
vittime, percezione della sicurezza e sistemi di<br />
protezione, Roma.<br />
Istat, (2006), Aspetti della vita quotidiana, Roma.<br />
Istat, (2008), Annuario statistico, Roma.<br />
Istat, (2008), Gli incidenti stradali, Anno 2007,<br />
Statistiche in breve, Settore Sicurezza, Roma.<br />
Istat, (2008), Conciliare lavoro e famiglia. Una<br />
sfida quotidiana, Roma.<br />
Istat, (2008), La vita quotidiana di bambini e<br />
ragazzi, Roma.<br />
Ministero dell’Interno, (2007), Rapporto sulla<br />
criminalità in Italia. Analisi, prevenzione, contrasto,<br />
Roma.<br />
Osservatorio per la Mobilità sostenibile<br />
dell’AIRP, (2007), Rapporto sulla densità automobilistica<br />
in Italia.<br />
Saraceno C., (1980), Il lavoro mal diviso: ricerca<br />
sulla distribuzione dei carichi di lavoro nelle<br />
famiglie, De Donato, Bari.
Spazio&Società<br />
Introduzione<br />
La forma e la vita di una città emergono<br />
dall’intreccio di prassi amministrative, pratiche<br />
quotidiane, reti d’azione pubbliche e private che<br />
definiscono l’organizzazione urbana e le sue regole,<br />
e al contempo creano vie di fuga: usi imprevisti,<br />
alternativi, inconsueti degli spazi. Per<br />
questo uno sguardo sociologico sui fenomeni <strong>urbani</strong><br />
aiuta ad esplicitare le connessioni tra il vissuto<br />
del territorio, le strategie e le visioni politiche<br />
e a mettere in discussione il “dato per scontato”<br />
dell’abitare. Le controversie urbane e territoriali<br />
rappresentano un terreno privilegiato<br />
per osservare questo intreccio di posizioni, di<br />
trame organizzative, di retoriche e per seguire<br />
la città nel suo farsi: come si definisce l'adeguatezza<br />
di uno spazio? Per quali funzioni un luogo<br />
è stato pensato e come viene invece utilizzato?<br />
Nelle controversie lo spazio non è più dato per<br />
scontato, ma viene creato e connotato dalle diverse<br />
posizioni in gioco.<br />
Dal momento che le controversie assumono visibilità<br />
attraverso i mezzi di informazione, la componente<br />
mediatica si pone come elemento rilevante<br />
per avviare una ricerca ancorata al territorio,<br />
che segue le visioni politiche e i processi<br />
di trasformazione. In questa ricerca i media più<br />
che una funzione informativa, hanno un carattere<br />
performativo (Robert Park, 1940): essi orientano<br />
cioè il discorso pubblico con effetti che<br />
si traducono nelle retoriche e nelle prassi degli<br />
stessi abitanti (Bifulco, De Leonardis, 2005). Gli<br />
articoli dei quotidiani si configurano allora come<br />
tracce da seguire non per verificare l'attendibilità<br />
dei fatti riportati, ma per ragionare sul modo<br />
in cui le classificazioni e le connotazioni utilizzate<br />
si riverberano nel tessuto urbano, e sul modi in<br />
cui i significati si traducono nelle pratiche. Per<br />
meglio comprendere questo meccanismo, proponiamo<br />
due episodi che interessano la città di<br />
Trento, che raccontano come alcuni brani di città<br />
prendono forma attraverso le rappresentazioni<br />
prodotte a partire dai quotidiani locali.<br />
Organizzare il Centro storico secondo il “decoro”<br />
Il primo episodio riguarda il centro storico di<br />
Trento. Tra febbraio e marzo 2008 abbiamo seguito<br />
le controversie legate all'approvazione del<br />
nuovo regolamento di polizia municipale. In particolare,<br />
il regolamento prevedeva sostanziali modifiche<br />
al capo X, “Esercizio dell’arte e dello<br />
spettacolo su strada”, riguardanti sostanzialmente<br />
i musicisti, e - nei termini del regolamento<br />
- le “emissioni sonore negli spazi pubblici”. Il<br />
regolamento nasce infatti a seguito delle ripetute<br />
lamentele dei residenti e delle persone che lavorano<br />
o frequentano il centro. La questione<br />
chiama in causa la natura della musica di strada<br />
come forma d'arte, la qualità della vita, l'inquinamento<br />
acustico. Senza addentrarci nella<br />
questione di cosa sia arte o meno, e di cosa sia<br />
divertimento o disturbo della quiete, ciò che interessa<br />
in questa sede è osservare come questi<br />
aspetti definiscano la controversia e come connotino<br />
il centro storico di Trento. In che senso<br />
l'opera degli artisti di strada mette in discussione<br />
o mantiene la natura e l’immagine del centro<br />
storico?<br />
I tratti di questa controversia ci hanno portato a<br />
collegare il discorso degli artisti di strada con<br />
un'altra questione che ricorre frequentemente<br />
nelle pagine dei quotidiani, quella degli “happy<br />
hour”, gli aperitivi in centro. Ciò che accomuna<br />
questi due episodi è il carattere ingovernabile<br />
del suono, che mette in discussione i confini tra<br />
il pubblico e il privato, tra spazio urbano e ambiente<br />
lavorativo o domestico. Il suono è qualcosa<br />
di difficilmente classificabile che si situa oltre<br />
la portata degli strumenti normativi, ma deve<br />
essere comunque regolato, ricondotto in una<br />
cornice istituzionale, visualizzato, misurato (ne è<br />
un esempio la recente mappa di zonizzazione acustica<br />
pubblicata sul quotidiano locale<br />
“Trentino” del 6 marzo 2008). In questo senso<br />
una disciplina del rumore diventa una disciplina<br />
degli spazi di competenza della polizia municipale.<br />
Ecco cosa prevede il regolamento:<br />
l’individuazione di 27 aree entro le quali è possibile<br />
suonare liberamente dalle 9 alle 20 nel periodo<br />
invernale, e dalle 9 alle 22 nel periodo esti-<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 33<br />
Progetto Penelope:<br />
le trame emergenti del tessuto urbano<br />
di Claudio Coletta, Francesco Gabbi e Giovanna Sonda*<br />
* Queste osservazioni<br />
emergono da un lavoro di<br />
ricerca nell’ambito del<br />
progetto “Penelope – le<br />
trame emergenti del<br />
tessuto urbano” curato<br />
dai sociologi Claudio<br />
Coletta, Francesco Gabbi,<br />
Giovanna Sonda<br />
(Istituto Regionale di<br />
Studi e Ricerca Sociale di<br />
Trento). Il progetto è cofinanziato<br />
dalla Fondazione<br />
Caritro e dal Comune<br />
di Trento. Maggiori informazioni<br />
relative al progetto<br />
sono disponibili al<br />
sito www.progettopenelope.net
34 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Spazio&Società<br />
Musicisti lungo le vie del<br />
Centro storico<br />
vo. Nelle altre zone della città, è obbligatorio notificare<br />
in anticipo la performance, che può aver<br />
luogo solo in specifiche fasce orarie. Inoltre è<br />
vietato suonare per più di due ore nello stesso<br />
luogo. È interessante notare come<br />
nell’individuazione delle aree il centro storico viene<br />
a coincidere con la Zona a Traffico Limitato<br />
(ZTL), cioè uno strumento di polizia municipale<br />
per la gestione del traffico urbano.<br />
Questo artefatto eccede la sua funzione originaria<br />
e diventa strumento per la gestione degli aspetti<br />
culturali della città, promuovendo l’idea di<br />
un centro storico silenzioso, depurato dalle auto<br />
e dai rumori. Il processo di visualizzazione e regolazione<br />
degli aspetti sonori della città influenza<br />
il modo in cui il centro storico viene concepito e<br />
costruito. Questo ci fa capire che il territorio<br />
non è univoco. In altre parole, esistono molteplici<br />
“centri storici”, tanti quante sono le mappe<br />
che rappresentano e gestiscono un particolare<br />
aspetto della città. C'è un centro storico monumentale,<br />
una Zona a Traffico Limitato, un centro<br />
storico del commercio, un centro storico<br />
circoscrizionale. Tutto questo produce delle trame<br />
mobili che sono al tempo stesso trame narrative<br />
che raccontano pezzi di città, ma anche<br />
trame fisiche del tessuto urbano e trame organizzative.<br />
Da tutte queste trame il centro storico<br />
emerge come realtà multipla, la cui identità si<br />
costruisce (e, al tempo stesso, viene messa in<br />
crisi) a partire da concezioni diverse di adegua-<br />
tezza e dai suoi paradossi: il centro deve mantenere<br />
il decoro e il silenzio, ma deve anche essere<br />
capace, in quanto centro, di attrarre le persone<br />
promuovendo eventi. Il silenzio e il decoro<br />
diventano allora prerequisiti per ospitare eventi<br />
eccezionali, che eccedono appunto le regole della<br />
fruizione quotidiana.<br />
La controversia sugli artisti di strada è stata<br />
un’occasione per seguire come gli spazi vengono<br />
regolati, performati, costruiti e come si definisce<br />
la loro adeguatezza o inadeguatezza. In<br />
sostanza, capire come fare fronte ad una questione<br />
difficilmente governabile come il rumore<br />
mette in evidenza le visioni degli attori in campo,<br />
gli usi molteplici degli spazi, il modo in cui la percezione<br />
sensoriale è incorporata nella dimensione<br />
organizzativa.<br />
La drammatizzazione della periferia: la metafora<br />
del ‘bronx’<br />
Il secondo episodio riguarda il Magnete, un<br />
complesso edilizio di recente costruzione composto<br />
da diversi blocchi abitativi, che si estende<br />
ad ovest di via Brennero, di fronte al centro<br />
commerciale Top Center. Rispetto alla natura<br />
decorosa e regolamentata del centro storico, il<br />
Magnete si presenta con dei tratti decisamente<br />
drammatici. Vale la pena di riportare un passo<br />
da L'Adige, del 6 ottobre 2007: «Benvenuti al<br />
Magnete, il Bronx del Trentino, come lo definiscono<br />
gli stessi residenti, sempre più arrabbiati<br />
per la situazione di degrado che sono costretti a<br />
subire. Casermoni tutti uguali stretti sopra<br />
un’arida spianata di cemento, punti di fuga infiniti<br />
rinserrati tra l’Agenzia delle entrate e il palazzo<br />
che ospita la sede della Guardia di Finanza, il<br />
Magnete si trova pure a ridosso della ferrovia. Il<br />
rumore dei treni merci diventa una costante a<br />
cui l’orecchio fatica ad abituarsi. Ma una volta<br />
varcata la soglia del sottopasso che lo separa<br />
da via Brennero l’impressione di asettica geometria<br />
dei palazzoni lascia il posto allo sgradevole<br />
aroma dei rifiuti in decomposizione ammonticchiati<br />
nei pressi delle campane di raccolta,<br />
sovrastate dal compattatore verde<br />
dell’inorganico. I sacchi e sacchetti sventrati lasciano<br />
fuoriuscire lunghe budella di immondizie,<br />
dove le pantegane zampettano felici e le vespe<br />
fanno il nido dentro il compattatore».<br />
Il ricorso alla metafora del Bronx è pratica ricorrente<br />
nei quotidiani locali per indicare una situazione<br />
di degrado e di insicurezza. Nel corso<br />
degli ultimi due anni il termine Bronx è stato uti-
Spazio&Società<br />
lizzato sui tre maggiori quotidiani trentini almeno<br />
60 volte, e nella maggior parte dei casi per parlare<br />
di zone collocate a nord di Trento. L'etichetta<br />
veniva usata sia in termini identificativi – come<br />
nello stralcio di giornale – sia in termini differenziativi,<br />
con affermazioni quali «Non vogliamo<br />
diventare il Bronx», per prendere le distanze dalla<br />
nebulosa di Trento Nord.<br />
Dall’analisi dei quotidiani siamo passati<br />
all’indagine sul campo: abbiamo contattato un<br />
gruppo di donne che abitano nelle case ITEA del<br />
Magnete riunitesi in una associazione informale<br />
denominata “Animagnete”, che promuove iniziative<br />
per migliorare la qualità della vita nel quartiere.<br />
La descrizione che loro stesse danno della zona<br />
è molto interessante e condivide molte analogie<br />
con quanto scritto sui quotidiani locali. A differenza<br />
di quanto accadeva con il centro storico,<br />
laddove la vista è il senso più coinvolto, purificato<br />
dall’inquinamento acustico e automobilistico,<br />
la descrizione del Magnete è molto più sensoriale:<br />
vi è un forte richiamo alla puzza, alla sporcizia<br />
e in generale un’enfasi drammatica nel suo<br />
carattere iperbolico. Dalle loro testimonianze<br />
l’area si afferma come una zona frequentata da<br />
transessuali e prostitute che lavorano sia in casa<br />
che fuori, un’area di spaccio e consumo di<br />
droga. Un racconto sinestesico che tende a sollecitare<br />
reazioni forti.<br />
A questa drammatizzazione della situazione fa<br />
da contraltare il richiamo al concetto di comunità<br />
come un valore a cui tendere, e risultato di<br />
un processo di tessitura delle relazioni che richiede<br />
costanza ed impegno. Le signore intervistate<br />
fanno spesso riferimento alle “braciolate”<br />
organizzate all’interno del complesso per facilitare<br />
la reciproca conoscenza. La qualità della vita<br />
al Magnete sembra dipendere molto dalla possibilità<br />
di coltivare anche lì, nel loro Bronx, delle<br />
relazioni tipiche della Gemeinschaft di toennesiana<br />
memoria.<br />
Ma lo stesso utilizzo della drammatizzazione<br />
sembra essere, per certi versi, una vera e propria<br />
tattica per guadagnare visibilità presso gli<br />
amministratori e per chiedere maggiore attenzione<br />
e servizi.<br />
Partiamo dalla definizione di tattica di De Certeau<br />
(1980): «azione calcolata che determina<br />
l’assenza di un luogo proprio». La tattica ha come<br />
luogo solo quello dell’altro. Approfitta delle<br />
“occasioni” dalle quali dipende, per accumulare<br />
vantaggi, espandere il proprio spazio e prevede-<br />
re sortite. È insomma astuzia, un’arte del più<br />
debole.<br />
Nel caso del Magnete drammatizzare è una tattica,<br />
come si può leggere in questo brano di intervista:<br />
«…ci hanno buttato di tutto e noi prendevamo<br />
‘sta spazzatura e la buttavamo. Finché<br />
poi uno ha cominciato a fare dei lavori ed ha lasciato<br />
sai quei cosi dei container, sì proprio nella<br />
proprietà, ti ricordi? – pieno di… – no, no ragazzi,<br />
non potete avere l’idea, perché partivano<br />
con gli scarti degli appartamenti e siamo arrivati<br />
ai parafanghi delle macchine, roba assurda, dicevo,<br />
non è possibile. Abbiamo chiamato a tutti,<br />
tutti quelli che era possibile chiamare, non c’è<br />
stato niente da fare. Alla fine, abbiamo detto, usiamo<br />
un altro metodo, diciamo che ci stanno i<br />
topi, che è un rischio per la salute. Così quando<br />
abbiamo cominciato così, abbiamo trovato un vigile<br />
che è stato attento. Devi avere la fortuna di<br />
trovare una persona che si prenda a cura della<br />
situazione che tu vivi».<br />
Il campo in cui si gioca la controversia è quello<br />
istituzionale, dei servizi, e ha un linguaggio proprio<br />
e proprie pratiche organizzative non sempre<br />
facili da intercettare. Per questo la semplice<br />
telefonata non era sufficiente a modificare<br />
l’ingranaggio amministrativo e dunque si è deciso<br />
di giocare con la stessa logica della pubblica<br />
amministrazione, puntando a creare<br />
un’emergenza riguardante la sicurezza, divenuta<br />
oramai nel dibattito pubblico una questione ri-<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 35<br />
Gli appositi spazi per le<br />
“performances” musicali
36 / <strong>Sentieri</strong> Urbani<br />
Il complesso chiamato “Il<br />
Magnete” nell’area Nord<br />
di Trento<br />
corrente. Ma a ben vedere la sicurezza è utilizzata<br />
come un concetto ombrello (Bricocoli,<br />
2005) che comprende questioni anche molto diverse<br />
tra loro che con la sicurezza hanno ben<br />
poco a che fare.<br />
Si drammatizza dunque per intercettare il linguaggio<br />
delle politiche e per confrontarsi sul loro<br />
terreno. Si cerca di dare visibilità alla propria<br />
situazione, utilizzando metafore e linguaggi derivati<br />
dagli stessi quotidiani e alimentando conseguentemente<br />
la creazione degli stessi Bronx cittadini.<br />
Conclusioni<br />
I due brani di città che abbiamo presentato sono<br />
legati da un filo narrativo che li connota e li<br />
mette in relazione tra loro e con altri quartieri<br />
della città secondo meccanismi di identificazione<br />
e differenziazione, come quando i residenti di<br />
Piazza Mostra e S. Martino rivendicano la loro<br />
appartenenza al centro storico e richiedono la<br />
stessa cura, la stessa attenzione che<br />
l’amministrazione riserva al centro storico anche<br />
per non finire come certi ‘bronx’ di altre<br />
parti della città. Curioso, tra l’altro, osservare<br />
che Piazza Mostra e S. Martino sono nel centro<br />
storico e fanno parte di questa circoscrizione.<br />
In questi due casi lo studio delle narrazioni e delle<br />
pratiche urbane ha prodotto una conoscenza<br />
minuta dei diversi meccanismi che regolano<br />
l’abitare e ha reso visibili delle connessioni tra<br />
strategie amministrative, tattiche di vita quotidiana<br />
e cronaca locale. Infatti, «i processi di<br />
messa in visibilità sono fortemente influenzati<br />
da una sorta di doppio legame che si crea tra<br />
l’arena mediatica e la mobilitazione degli abitanti<br />
di quella comunità: da un lato l’arena mediatica<br />
fissa la rappresentazione del problema, dall’altro<br />
Spazio&Società<br />
la mobilitazione di tale oggettività trae alimento<br />
e giustificazione a tradurre la messa in visibilità<br />
nella forma dell’allarme sociale» (Bifulco-de Leonardis,<br />
2005).<br />
Riferimenti bibliografici<br />
Bifulco, L. e de Leonardis, O. (2005) “Sulle<br />
tracce dell’azione pubblica”, in L. Bifulco (a cura),<br />
Le politiche sociali. Temi e prospettive emergenti,<br />
Roma: Carocci.<br />
Bricocoli, M. (2005) “Insicurezza, Città e politiche<br />
in affanno”, in L. Bifulco (a cura), Le politiche<br />
sociali. Temi e prospettive emergenti. Roma:<br />
Carocci.<br />
De Certeau, M. (1980) L'invention du quotidien,<br />
Paris: 10/18; trad. it. L’invenzione del quotidiano,<br />
Milano: Edizioni Lavoro, 2001.<br />
Park, R. (1940) News as a form of knowledge,<br />
in American Journal of Sociology, 45, pp. 669-<br />
686
Dossier<br />
DOSSIER<br />
Le perequazioni e le compensazioni<br />
nel PROCESSO URBANISTICO<br />
di Emanuele Boscolo (Avvocato e Professore di Diritto Amministrativo nell’Università dell’Insubria)<br />
1. La legislazione regionale ed il modello<br />
perequativo<br />
La stagione apertasi nella seconda<br />
metà degli anni Novanta all’insegna di<br />
una revisione della legislazione <strong>urbani</strong>stica<br />
regionale si è precipuamente contrassegnata<br />
per una radicale mutazione<br />
del paradigma di piano <strong>urbani</strong>stico<br />
comunale. Il dato più evidente è sicuramente<br />
rappresentato dalla scomposizione<br />
del piano, fenomeno che in alcune<br />
regioni è coinciso con l’introduzione<br />
del modello piano strutturale-piano operativo<br />
proposto dall’INU, mentre in altre<br />
regioni è approdato alla frammentazione<br />
del piano comunale in una pluralità<br />
di documenti, attraverso i quali trovano<br />
esplicazione le diverse funzioni di<br />
governo del territorio. Ma le innovazioni<br />
forse ancor più radicali si sono registrate<br />
sul versante dei contenuti.<br />
L’ossatura di piano è stata rivista dalle<br />
fondamenta: l’impostazione improntata<br />
ad un rigido zoning, eredità<br />
dell’<strong>urbani</strong>stica razionalista, è stata superata<br />
in nome della ricerca di soluzioni<br />
capaci di favorire la compresenza di<br />
funzioni (mixité). Anche il sistema degli<br />
standards, storicamente retto da una<br />
logica rigidamente parametrica (mq/<br />
ab.), è stato riconsiderato: la programmazione<br />
degli interventi infrastrutturativi<br />
si articola in stretta corrispondenza<br />
con i bisogni effettivi delle diverse coorti<br />
sociali e dalla mera ‘messa in riserva’<br />
di aree tramite vincoli preespropriativi<br />
si è passati alla ricerca di soluzioni infrastrutturative<br />
concrete.<br />
Il risultato di questo mutamento è inevitabilmente<br />
rappresentato da una<br />
sempre più marcata differenziazione<br />
dei piani <strong>urbani</strong>stici: in passato – per<br />
effetto del D.M. 2 aprile 1968, n.<br />
1444 – i piani mantenevano una forte<br />
matrice unificante; il decreto ministeriale<br />
fungeva, in altri termini, da fattore<br />
omologante, mentre negli ultimi anni<br />
ciascuna amministrazione tende ad identificare<br />
ex ante – con pieno esercizio<br />
della propria autonomia – i valori ai<br />
quali conformare l’azione pianificatoria,<br />
gli obiettivi da assumere nella fase di<br />
impostazione (framing) del piano e, da<br />
ultimo, gli strumenti e le ‘tecniche’ più<br />
efficienti al raggiungimento dei risultati<br />
prefissi. Tutto ciò a partire dal riconoscimento<br />
dei caratteri di quello specifico<br />
territorio.<br />
Il ricorso alle tecniche della perequazione,<br />
della compensazione e<br />
dell’incentivazione costituisce indubbiamente<br />
un significativo indicatore di discontinuità.<br />
A circa un decennio dall’avvio del dibattito<br />
attorno a questi strumenti anche<br />
nel mondo giuridico è possibile cercare<br />
di tracciare un primo bilancio. La<br />
ricerca della linea discretiva tra le diverse<br />
stagioni dell’<strong>urbani</strong>stica e tra le<br />
diverse generazioni di piani si presenta<br />
tuttavia particolarmente complessa.<br />
Sarebbe errato ritenere che il crinale<br />
passi soltanto per le traiettorie della legislazione<br />
regionale. Volendo fare un bilancio<br />
che vada oltre la superficie,<br />
l’analisi non può esaurirsi in una disamina<br />
della produzione normativa regionale:<br />
così come in (ambiti diversi) si sono<br />
registrate significative sperimentazioni<br />
perequative ben prima che la legislazione<br />
regionale evolvesse in tale direzione,<br />
allo stesso modo la diffusione di questi<br />
strumenti continua a rappresentare un<br />
dato trasversale, che travalica i confini<br />
delle regioni che esprimono le soluzioni<br />
normative più avanzate.<br />
Sarebbe del pari semplificatorio ritenere<br />
che anche nelle regioni dotate di<br />
norme su questo istituto il modello perequativo<br />
(inteso secondo l'originaria<br />
radice semantica del lemma come equa<br />
ripartizione tra più proprietari dei<br />
vantaggi ed oneri connessi alla trasformazione<br />
edificatoria) costituisca ormai<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 37<br />
un riferimento consolidato. Le regioni<br />
che hanno dato spazio alla perequazione<br />
nelle loro leggi <strong>urbani</strong>stiche sono un<br />
numero importante: per prime si sono<br />
orientate in questa direzione la Toscana,<br />
l'Emilia Romagna, la Basilicata, il<br />
Lazio, la Puglia e la Calabria e, più di<br />
recente, anche la, Campania, il Veneto,<br />
la Lombardia, l'Umbria, la Provincia di<br />
Trento ed il Friuli Venezia Giulia e la<br />
Provincia di Bolzano, tuttavia, per avere<br />
un quadro veramente indicativo, occorre<br />
necessariamente estendere<br />
l’analisi ai piani che hanno visto la luce<br />
negli anni più recenti: solo a questo livello<br />
è possibile cogliere il dato concernente<br />
la effettiva diffusione della perequazione<br />
e verificare quali modelli perequativi<br />
sono concretamente praticati.<br />
Solo a questo livello, in altri termini, si<br />
possono cogliere appieno i tratti di una<br />
tendenza alla ‘differenziazione’ che va<br />
ben oltre la cornice della produzione legislativa<br />
regionale e che costituisce la<br />
più autentica cifra caratteristica<br />
dell’ultimo decennio.<br />
Osservando il panorama dell’attività<br />
pianificatoria comunale, si riscontra<br />
che il modello perequativo non è ancora<br />
riuscito ad affermarsi appieno sino a<br />
divenire il modello veramente prevalente.<br />
Quantitativamente, i piani perequativi<br />
sono ancora un numero ristretto, anche<br />
se godono di grande risonanza ed<br />
assurgono a termine di confronto<br />
(benchmarking). L’interesse suscitato<br />
dai modelli perequativo-compensativi<br />
non deve tuttavia indurre a relegare<br />
sullo sfondo la circostanza che<br />
l’orizzonte <strong>urbani</strong>stico italiano sembra<br />
destinato ancora per molti anni ad una<br />
compresenza di episodi innovativi e di<br />
piani con radici saldamente ancorate<br />
nella tradizione <strong>urbani</strong>stica novecentesca.<br />
Le leggi regionali non hanno sancito<br />
l’obbligatorietà della perequazione ed
38 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Dossier<br />
hanno fatto menzione di questi istituti<br />
unicamente in guisa di un contenuto<br />
opzionale delle nuove figure di piano <strong>urbani</strong>stico<br />
comunale. La decisione circa<br />
la struttura del piano, retta secondo il<br />
diritto amministrativo generale da un<br />
vincolo di proporzionalità-idoneità<br />
(Geeignetheit) dello strumento rispetto<br />
agli obiettivi che ciascun comune assegna<br />
alla pianificazione, è quindi demandata<br />
alle singole amministrazioni comunali.<br />
Importanti indicazioni sul punto sono<br />
venute dalla giurisprudenza amministrativa,<br />
che si è partitamene soffermata<br />
proprio su questa decisione preliminare,<br />
enunciando il principio secondo<br />
cui la verifica circa la possibilità di soluzioni<br />
perequativo-compensative costituisce<br />
un passaggio indefettibile, da rendere<br />
esplicito (mediante una puntuale<br />
motivazione degli atti attraverso cui<br />
prende forma l’impostazione del piano).<br />
In termini sostantivi, il Consiglio di Stato<br />
ha rimarcato che, ove il piano si prefigga<br />
l’obiettivo di acquisizione di vaste<br />
aree, il ricorso a questi strumenti pianificatori<br />
diviene necessitato. La motivazione<br />
di una delibera di reiterazione di<br />
vincoli deve conseguentemente dare<br />
conto della “mancanza di possibili soluzioni<br />
alternative o di perequazione fra i<br />
proprietari espropriabili” e, laddove sia<br />
configurabile una alternativa non autoritativa<br />
all’esproprio, quest’ultima è<br />
senz’altro preferibile: la perequazione e<br />
la compensazione consentono infatti il<br />
più efficace perseguimento delle politiche<br />
pubbliche con il minor sacrificio<br />
della posizione dei proprietari, secondo<br />
la caratteristica valutazione di ‘minor<br />
compressione’ in cui si sostanzia la cd.<br />
proporzionalità-necessarietà (che presuppone<br />
il rispetto del principio ‘del<br />
mezzo più mite’ Gebot des mildesten<br />
Mittels). Ne consegue che l’unica ragione<br />
idonea a giustificare la riproposizione<br />
di una frusta impostazione vincolistica<br />
può essere rinvenuta solo in una<br />
comprovata inapplicabilità per ragioni<br />
strettamente <strong>urbani</strong>stico-territoriali della<br />
perequazione e della compensazione<br />
(essenzialmente, per insussistenza di aree<br />
sulle quali far ‘atterrare’ diritti e<br />
crediti edificatori: amplius infra).<br />
Le norme regionali si limitano, nella<br />
più parte dei casi, a scarne proposizioni<br />
di principio (fanno eccezione la Lombardia<br />
e la Provincia di Trento, che<br />
hanno adottato delle formulazioni<br />
‘lunghe’): di conseguenza, le singole<br />
amministrazioni, muovendosi in questo<br />
spazio non determinato, hanno finito<br />
per tratteggiare schemi perequativi improntati<br />
ad un certo sincretismo, risultato<br />
di una circolazione ultraregionale<br />
della modellistica applicativa. A fronte<br />
di una sempre più accentuata diversificazione<br />
dei diritti <strong>urbani</strong>stici di derivazione<br />
regionale, l’impostazione perequativa<br />
rappresenta uno dei pochi elementi<br />
unificanti tra piani che riflettono schemi<br />
(ed hanno nomi) eterocliti.<br />
2. Le ragioni del ritardo nella diffusione<br />
del modello perequativo<br />
Chiarito preliminarmente che quando<br />
parliamo di perequazione e di compensazione<br />
il riferimento va a fenomeni dalla<br />
diffusione ancora relativamente circoscritta,<br />
occorre interrogarsi sulle ragioni<br />
di questa mancata generalizzazione,<br />
che potrebbe essere prima facie ascritta<br />
ad una sottovalutazione dei vantaggi<br />
che - anche secondo il Consiglio<br />
di Stato - oggettivamente si riconnettono<br />
all’introduzione di queste figure entro<br />
la struttura dei piani. Sicuramente<br />
si registra della riottosità dei decisori<br />
politici ed una certa diffidenza anche in<br />
larghi strati della categoria degli <strong>urbani</strong>sti;<br />
le ragioni più profonde vanno tuttavia<br />
ricercate nel contesto generale entro<br />
cui si colloca la stagione <strong>urbani</strong>stica<br />
del presente: le condizioni per la sperimentazione<br />
di queste tecniche infatti<br />
non sono affatto favorevoli. Nell’ultimo<br />
decennio si è consumato un mutamento<br />
di scenario forse ancor più radicale<br />
di quello determinato dalla riforma della<br />
legislazione regionale. La progressiva<br />
presa di consapevolezza del ‘parametro<br />
suolo’ quale risorsa finita, non rinnovabile<br />
ha imposto il passaggio da pianificazioni<br />
incrementali, fondate sulla diffusione<br />
urbana (sprawl), a piani connotati<br />
da una impostazione fortemente contenitiva,<br />
nella quale ogni ulteriore consumo<br />
di suolo agro-naturale deve trovare<br />
una rigorosa giustificazione. Le tecniche<br />
perequativo-compensative - che<br />
fanno leva su un principio allocativo dello<br />
stock volumetrico orientato ad una<br />
maggior equità ed efficacia delle decisioni<br />
pubbliche - hanno quindi avuto il rispettivo<br />
banco di prova in una contingenza<br />
in cui le volumetrie complessivamente<br />
assegnabili appaiono molto ridotte<br />
rispetto al passato. In comuni - e<br />
non sono pochi, specie nelle regioni<br />
settentrionali e nelle cinture metropolitane<br />
- in cui le uniche possibilità di intervento<br />
sono ormai rappresentate dal-<br />
la ricucitura di circoscritte aree interstiziali,<br />
difettano le condizioni strutturali<br />
per imbastire ambiziosi programmi perequativi.<br />
Merita di essere sottolineato anche<br />
un altro dato che emerge dalla fase di<br />
prima sperimentazione. Nella pratica<br />
amministrativa si è registrato un serio<br />
problema di costruzione del consenso<br />
attorno a questi nuovi modelli. Il tema –<br />
ovviamente – non è propriamente giuridico,<br />
ma una analisi orientata al dato<br />
effettuale non può non tenerne conto,<br />
specie perché si sostenuto che<br />
l’impostazione perequativa allenterebbe<br />
le tensioni che si scaricano sui decisori<br />
pubblici. Nei fatti la decisione politica<br />
pone difficoltà sin qui non adeguatamente<br />
considerate. Anche in un piano<br />
che preveda il mantenimento della capacità<br />
insediativa previgente i proprietari<br />
delle aree attualmente edificabili<br />
(cd. residui di piano) vengono chiamati<br />
ad una condivisione delle possibilità edificatorie<br />
ed in ciò avvertono il senso di<br />
una autentica privazione. Nel confronto<br />
con un piano tradizionale, anche ove il<br />
saldo volumetrico complessivo non subisca<br />
riduzioni, comunque mutano radicalmente<br />
gli esiti individuali. Parafrasando<br />
la critica mossa dai filosofi egualitaristi<br />
all’utilitarismo classico, si può<br />
dire che nel modello pianificatorio tradizionale<br />
si guarda(va) unicamente alla<br />
grandezza della torta, disinteressandosi<br />
della dimensione distributiva e trascurando<br />
che a questo livello di manifestasse<br />
una profonda disparità tra classi<br />
di proprietari. Nella perequazione ci<br />
si preoccupa invece innovativamente<br />
del numero, dell’entità e dell’allocazione<br />
- secondo un parametro egualitario -<br />
delle singole fette. Nei piani di questa<br />
matrice l’equità si persegue secondo il<br />
criterio del maximin (maximum minimorum):<br />
la strategia egualitaria si concentra<br />
cioè sull’innalzamento del risultato<br />
ottenibile dei proprietari altrimenti<br />
svantaggiati. Restando alla metafora,<br />
in luogo delle poche grandi fette d’un<br />
tempo, in un piano perequativo vengono<br />
previste molte più frazioni, tutte uguali,<br />
ma ciascuna di minori dimensioni.<br />
Degli esiti della ‘spalmatura’ tra più<br />
soggetti della dotazione volumetrica beneficiano<br />
dunque i fondi che in un piano<br />
tradizionale verrebbero gravati con un<br />
vincolo, ai quali il piano perequativo riconosce<br />
invece una frazione della volumetria<br />
insediabile, ancorché eventualmente<br />
concentrabile altrove.
Dossier<br />
Sul piano aggregato, l’allargamento<br />
della base dei proprietari soddisfatti<br />
giustifica ampiamente la ‘delusione’ inflitta<br />
ad alcuni, ma il problema di costruzione<br />
del consenso resta. Il discorso<br />
si presta, naturalmente, ad essere<br />
rovesciato. In questi anni è infatti emerso<br />
con chiarezza che proprio la<br />
condizione di scarsità volumetrica rende<br />
ancor più stringente l’esigenza di disporre<br />
di un sistema di ripartizione esteso<br />
ad un maggior numero di proprietari,<br />
capace di evitare i risultati intrinsecamente<br />
discriminatori - ormai rifiutati<br />
nel dibattito pubblico - che si riconnettono<br />
inevitabilmente ad una allocazione<br />
delle dotazioni volumetriche e<br />
dei vincoli che ricalchi strettamente lo<br />
zoning di progetto.<br />
Conclusioni diverse valgono invece<br />
per la compensazione. Ci si trova di<br />
fronte ad un istituto che ha avuto ampia<br />
applicazione. Anche qui l’analisi deve<br />
tuttavia scavare sotto la superficie:<br />
la sperimentazione su larga scala della<br />
compensazione, nella più parte dei casi,<br />
si è risolta nell’estemporanea inserzione<br />
in piani di impianto tradizionale di<br />
accordi di scambio tra aree per infrastrutture<br />
ed opportunità di edificazione,<br />
senza che da ciò sia derivata una autentica<br />
revisione del modello pianificatorio<br />
e, primariamente, delle politiche infrastrutturative.<br />
Per contro, nella compensazione<br />
(e sovente nel binomio compensazione-esecuzione<br />
a scomputo) è<br />
stato intravisto un rimedio alla endemica<br />
inefficacia delle politiche dei lavori<br />
pubblici. Questo ha indotto amministrazioni<br />
poco avvedute ad impegnarsi in onerose<br />
iniziative acquisitivo-realizzative<br />
sul presupposto (del tutto errato) che<br />
la compensazione consenta di ‘battere<br />
moneta volumetrica’ a costo nullo. La<br />
considerazione dei suoli alla stregua di<br />
una risorsa limitata impedisce invece di<br />
assumere l’alternativa compensativa alla<br />
stregua di un metodo ordinario di<br />
soddisfacimento di qualsivoglia esigenza<br />
di dotazioni territoriali e, per contro,<br />
induce ad una ancor più rigorosa gerarchizzazione<br />
delle priorità di intervento.<br />
3. Equità e coesione sociale quali<br />
(nuovi) valori orientatori della pianificazione<br />
Il ricorso alla perequazione nei diversi<br />
contesti non ha affatto indebolito la funzione<br />
di progettazione <strong>urbani</strong>stica. La<br />
valenza orientativa (e differenziante)<br />
dell’<strong>urbani</strong>stica ‘disegnata’ in vista di un<br />
ordinato assetto territoriale rimane inalterata.<br />
La perequazione, così detta<br />
a posteriori, e la compensazione sono<br />
state pressoché ovunque impiegate unicamente<br />
alla stregua di strumenti<br />
(‘tecniche’, appunto) utili a rendere indifferenti<br />
per i proprietari coinvolti le<br />
decisioni - non più separabili - sulle destinazioni<br />
edificatorie e sulle localizzazioni<br />
delle infrastrutture.<br />
Nell’affermazione di questa prospettiva<br />
‘strumentale’ (“la strada per ammettere<br />
la perequazione è quella di considerarla<br />
non un fine in sé ma un mezzo”)<br />
si coglie il superamento di un approccio<br />
non scevro da un certo ideologismo egualitarista<br />
che nei primi anni Novanta<br />
aveva accompagnato la fase di esordio<br />
della perequazione (da cui non si distingueva<br />
ancora la compensazione). Il<br />
consolidarsi di questo atteggiamento<br />
‘laico’ ha rappresentato la condizione<br />
che ha reso possibile la significativa diffusione<br />
di esperienze perequative anche<br />
in contesti culturali come il Veneto<br />
e la Lombardia, più refrattari ad ogni<br />
sottolineatura circa la valenza redistributiva<br />
di questi strumenti.<br />
Come si è già indicato, alla base della<br />
scelta di informare un piano ad un modello<br />
perequativo vi è sempre una revisione<br />
dell’orizzonte assiologico a cui si<br />
ancorano le decisioni pubbliche. E’ la riconsiderazione<br />
valoriale ad innescare il<br />
processo di revisione del paradigma di<br />
piano. Nell’impostazione tradizionale,<br />
l’unico valore sotteso alla pianificazione<br />
si ricollegava all’ordinato sviluppo territoriale,<br />
a cui si riconnetteva un interesse<br />
pubblico all’affermazione del disegno<br />
prefigurato dal piano, le cui previsioni -<br />
secondo il tipico schema poteresubordinazione<br />
- si imponevano imperatativamente<br />
entro la sfera proprietaria.<br />
Sempre in nome di questa (astratta)<br />
prevalenza del pubblico interesse la natura<br />
edificatoria o vincolata dei singoli<br />
fondi era considerata un mero riflesso<br />
della decisione di piano. Il risultato<br />
(outcome) di questo schema era un piano<br />
‘intrinsecamente discriminatorio’,<br />
come ebbe a sottolineare sin dagli anni<br />
Sessanta P. Stella Richter. La sperequazione<br />
tra diverse classi di proprietari<br />
fondiari, taluni fortemente avvantaggiati<br />
dalle scelte pubbliche<br />
sull’edificabilità dei suoli, talaltri gravemente<br />
penalizzati dalle decisioni infrastrutturative,<br />
costituiva una ineluttabile<br />
conseguenza non tanto dell’imperatività<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 39<br />
del piano quanto piuttosto della tecnica<br />
dello zoning, nella quale la linea tracciata<br />
dal ‘pennarello del pianificatore’ segnava<br />
anche le sorti dei proprietari.<br />
La storia dell’<strong>urbani</strong>stica dagli anni<br />
Sessanta può essere ripercorsa anche<br />
in questa chiave: è il periodo in cui il tema<br />
della ‘riforma <strong>urbani</strong>stica’ fu posto<br />
al centro del dibattito pubblico dall’INU<br />
di A. Olivetti e da G. Astengo con il famoso<br />
‘Codice dell’<strong>urbani</strong>stica’; il tema,<br />
come noto, fu ripreso con forza (ma<br />
senza successo) dal Ministro dei LLPP<br />
F. Sullo e dai suoi successori Zaccagnini,<br />
Mancini e Pieraccini, anche se<br />
l’unico risultato di quella tensione riformatrice<br />
fu costituito da un intervento<br />
contingente come la legge ‘ponte’. Questo<br />
dibattito si affievolì, rimanendo sottotraccia,<br />
sino al Congresso dell’INU<br />
del 1995, nel quale venne presentata<br />
una organica proposta di superamento<br />
della legge <strong>urbani</strong>stica del 1942, entro<br />
cui – abbandonati progetti di riforma<br />
della struttura della proprietà - la perequazione<br />
veniva identificata quale rimedio<br />
alla esternalità negativa dello zoning<br />
impiegato quale tecnica di allocazione<br />
di una risorsa scarsa come<br />
l’edificabilità. Nel perdurante silenzio<br />
del legislatore nazionale, il tema ha cominciato<br />
a trovare finalmente spazio<br />
nelle leggi regionali di terza generazione.<br />
Uno sparuto stuolo di comuni si era<br />
comunque già avviato sulla strada della<br />
sperimentazione in carenza di una copertura<br />
normativa, ma con il favore<br />
della giurisprudenza amministrativa. In<br />
particolare, va fatta menzione del rilievo<br />
che ha assunto il primo arresto sul<br />
piano regolatore di Reggio Emilia. Tale<br />
sentenza ha avuto l’effetto di rafforzare<br />
la convinzione che il meccanismo perequativo<br />
potesse trovare legittima applicazione<br />
anche in assenza di una revisione<br />
della normativa <strong>urbani</strong>stica generale.<br />
Nella stagione pionieristica della<br />
perequazione le motivazioni di questa<br />
'storica' sentenza si sono inoltre rivelate<br />
decisive per fare chiarezza sulla<br />
ratio di questa tecnica, identificata -<br />
nelle parole dei giudici amministrativi -<br />
nel gravare “contemporaneamente la<br />
proprietà del beneficio dell’edificabilità e<br />
del peso di contribuire all’elevamento<br />
generale della qualità urbana”. L'in se<br />
della perequazione, com’è parso chiaro<br />
da quel momento, effettivamente si<br />
concentra tutta in questa inscindibilità<br />
tra vantaggi della trasformazione ed o-
40 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Dossier<br />
neri infrastrutturativi.<br />
Attorno alla seconda metà degli anni<br />
Novanta il valore etico dell’equità, tradizionalmente<br />
confinato entro altre politiche<br />
pubbliche, come quella tributaria o<br />
quella sociale, è stato esteso anche alla<br />
decisione pianificatoria, ripensata secondo<br />
un criterio di giustizia distributiva.<br />
Si è quindi imposta la revisione delle<br />
modalità applicative dello zoning. Le tavole<br />
di azzonamento (organizzate sempre<br />
più spesso per tessuti e sempre<br />
meno per zone omogenee) non coincidono<br />
più con il piano: ne esprimono soltanto<br />
la componente progettuale. Attraverso<br />
questa tecnica si identificano<br />
le possibilità di trasformazione, ma da<br />
questo disegno ordinatore si svincola<br />
l’attribuzione delle dotazioni volumetriche<br />
(scambiabili) ai singoli lotti. Questa<br />
innovativa forma di piano postula quindi<br />
una doppia maglia pianificatoria (a cui,<br />
effettivamente, vengono a corrispondere<br />
due serie di tavole): l’una finalizzata<br />
alla esplicitazione delle previsioni insediative<br />
ed infrastrutturative, l’altra funzionale<br />
alla allocazione delle dotazioni<br />
volumetriche ed al riparto dei correlati<br />
oneri infrastrutturativi tra una base più<br />
ampia di proprietari.<br />
Definito il mosaico territoriale, la volumetria<br />
insediabile in misura sostenibile<br />
rispetto alla capacità di carico di un<br />
territorio viene previamente ripartita<br />
tra tutti i cd. fondi-sorgente (sending areas).<br />
La permuta delle aree o lo<br />
scambio a titolo oneroso dei ‘titoli’ (cd.<br />
diritti edificatori) rappresentativi di tale<br />
attribuzione originaria (sulla scia del<br />
Transfer of Development Rights della<br />
tradizione statunitense) consentiranno,<br />
al momento della successiva concentrazione<br />
dei volumi (cd ‘atterraggio’) sui<br />
soli fondi-accipienti (receiving areas), di<br />
garantire anche ai proprietari dei fondisorgente<br />
una frazione dei risultati<br />
(economici o costruttivi) dell’attività di<br />
trasformazione. L'attuazione della vicenda<br />
perequativa fa sì che la distinzione<br />
tra le funzioni delle aree (profilo che<br />
resta determinato dello zoning) non ingeneri<br />
alcuna sperequazione (almeno economica)<br />
tra i soggetti coinvolti.<br />
Il tema dell’equità ha tenuto il campo<br />
per tutti gli anni Novanta.<br />
All’impostazione della legge del 1942 si<br />
è contrapposto un modello di piano perequativo<br />
tendente a far coincidere il<br />
massimo di equità con l’applicazione<br />
sull’intero territorio trasformabile<br />
(esclusi soltanto gli areali agricoli ed il<br />
centro storico) di un ‘indice unico’. Soluzioni<br />
di questo tipo hanno tuttavia mostrato<br />
i propri limiti. L’applicazione di<br />
un principio di giustizia distributiva alla<br />
pianificazione non è funzionale a determinare<br />
esiti necessariamente eguali,<br />
quanto piuttosto all’identificazione di un<br />
criterio oggettivo da assumere quale<br />
fattore distributivo in presenza di situazioni<br />
di fondo diversificate. Una tale forma<br />
‘estrema’ di uguaglianza territoriale<br />
non tiene conto che i lotti presentano<br />
delle irriducibili differenze legate alla posizione,<br />
alla giacitura, alla prossimità<br />
alle reti stradali e dei servizi, etc. Paradossalmente,<br />
la forzosa cancellazione<br />
di tali oggettive ed innegabili differenze<br />
produce anch’essa un esito disuguagliante<br />
(reverse discrimination).<br />
Sul piano della tecnica <strong>urbani</strong>stica si<br />
è progressivamente assunta consapevolezza<br />
che anche la decisione di riparto<br />
delle potenzialità volumetriche (e non<br />
solo la funzione progettuale di disegno<br />
urbano) deve essere necessariamente<br />
preceduta da un lavoro di analitica decodificazione<br />
dei caratteri e delle invarianti<br />
territoriali, che va usualmente<br />
sotto il nome di ‘classificazione dei<br />
suoli’. Questa analisi è funzionale<br />
all’identificazione di un certo numero di<br />
classi di suoli formate da lotti tendenzialmente<br />
omogenei. Queste aggregazioni<br />
verranno a costituire altrettanti<br />
frames di pianificazione. Nella fase successiva,<br />
i lotti compresi in una determinata<br />
classe (anche a distribuzione territoriale<br />
discontinua) riceveranno eguale<br />
attribuzione volumetrica indipendentemente<br />
dalla destinazione finale. Da ultimo,<br />
verranno fissate delle regole sulla<br />
trasformazione entro le unità minime di<br />
intervento (comparti, piani attuativi,<br />
ambiti o distretti della trasformazione,<br />
secondo il lessico delle diverse leggi regionali)<br />
o fissate le norme sulle forme<br />
di circolazione dei titoli volumetrici corrispondenti<br />
alla dotazione volumetrica<br />
di ciascun fondo.<br />
La perequazione - dimessa ogni bardatura<br />
ideologica - non elide le differenze<br />
fisico-morfologico-ubicazionali tra i<br />
lotti, ossia le differenze ‘ricevute’. Si limita<br />
ad evitare che la decisione di piano<br />
ingeneri ulteriori disparità. L’attività<br />
preliminare di classificazione dei suoli<br />
dovrebbe avere matrice conoscitiva e<br />
sostanziarsi in una serie di acclaramenti,<br />
ma nella realtà non è completamente<br />
scevra da valutazioni tecnicodiscrezionali.<br />
Il richiamo all’estimo ed<br />
alla ‘tecnica <strong>urbani</strong>stica’ prelude spesso<br />
ad una inammissibile opacità dei criteri<br />
applicati e ad una non ripercorribilità<br />
delle micro-decisioni che si consolidano<br />
in tale fase ‘tecnica’. Il risultato della<br />
classificazione costituisce una<br />
‘premessa decisionale’ particolarmente<br />
stringente per il pianificatore: a valle<br />
della classificazione residua unicamente<br />
l’attribuzione degli indici alle singole<br />
classi di suoli, ossia una operazione<br />
rappresentabile alla stregua di una suddivisione<br />
esatta, in ossequio ad un fattore<br />
distributivo predeterminato, della<br />
volumetria identificata ex ante come<br />
ambientalmente e territorialmente sostenibile.<br />
Si pone quindi il problema della<br />
piena ‘giuridificazione’<br />
dell’identificazione delle classi differenziate<br />
di suoli. Non tutte le leggi regionali<br />
fanno espressa menzione di tale attività<br />
che nel flusso procedurale della<br />
pianificazione correla la fase conoscitiva<br />
e quella decisoria e sono molti i piani<br />
in cui non si riscontra adeguata traccia<br />
di queste fondamentali attività. Occorre<br />
quindi l’identificazione previa di un<br />
set di indicatori conoscibili ed occorre<br />
rendere aperta ad una autentica partecipazione<br />
(sottraendola dunque alla sfera<br />
‘tecnica’) l’attività di applicazione di<br />
tali indicatori ai suoli, onde rendere pienamente<br />
ripetibili (e dunque giustiziabili)<br />
i correlativi esiti. L’esame di taluni piani<br />
perequativi, specie nelle regioni in cui la<br />
classificazione non è espressamente<br />
prevista come una specifica fase, lascia<br />
invece sovente l’impressione che<br />
opzioni enfaticamente definite di perequazione<br />
‘verso il basso’ o di fissazione<br />
di un indice assiomaticamente definito<br />
‘equo’ riflettano decisioni politiche sempre<br />
a rischio di arbitrarietà, che sono<br />
ben lungi dal rappresentare un mero<br />
‘riepilogo’ conseguente alla messa a<br />
fuoco su un piano oggettivo dei caratteri<br />
intinseci dell’armatura urbana. La democraticità<br />
(e la giustiziabilità) costituiscono<br />
invece complementi indissociabili<br />
del valore dell’equità applicato alla pianificazione.<br />
Al di là delle affermazioni di principio<br />
che si riscontrano in alcune leggi regionali,<br />
nel periodo più recente l’idea di una<br />
azione pianificatoria impiegata in<br />
chiave redistributiva ha subito un netto<br />
ridimensionamento e, con essa, è stato<br />
messo in discussione anche il modello<br />
della perequazione generalizzata<br />
(a cui peraltro pare guardare in controtendenza<br />
il Comune di Milano), conno-
Dossier<br />
tato da dispositivi di scambio delle potenzialità<br />
edificatorie omogeneamente<br />
estesi sull’intero territorio comunale<br />
(trasformabile). Innumerevoli piani perequativi<br />
esprimono invece meccanismi di<br />
circolazione delle possibilità edificatorie<br />
circoscritti a taluni segmenti (anche discontinui)<br />
del territorio trasformabile.<br />
Si parla conseguentemente di perequazione<br />
parziale, nella quale il nesso con<br />
le politiche infrastrutturative è solitamente<br />
più evidente.<br />
All’affievolirsi delle suggestioni egualitarie,<br />
ha fatto da contrappunto - sempre<br />
sul piano dei valori - il rafforzamento<br />
della concezione secondo cui la spinta<br />
verso la revisione della pianificazione<br />
in senso perequativo-compensativo (la<br />
compensazione - come vedremo - ha<br />
nel frattempo conquistato uno statuto<br />
autonomo e riconoscibile) si ricollega<br />
strettamente all’esigenza di maggior effettività<br />
nella risposta alle questioni infrastrutturative<br />
ed ambientali (la costruzione-rafforzamento<br />
della ‘città<br />
pubblica’, costituita dalla maglia delle<br />
dotazioni territoriali, fra le quali vanno<br />
ricomprese anche le aree destinate al<br />
verde pubblico). Si tratta invero di un obiettivo<br />
strumentale, dietro il quale si<br />
staglia il valore (di derivazione comunitaria)<br />
della coesione sociale: le politiche<br />
infrastrutturative costituiscono infatti<br />
un mezzo per la realizzazione delle dotazioni<br />
territoriali essenziali per garantire<br />
alle diverse popolazioni urbane una<br />
adeguata offerta di prestazioni (di servizio<br />
pubblico ed ambientali) che valgano,<br />
per un verso, ad evitare situazioni di<br />
marginalità ed esclusione e, per altro<br />
verso, a consentire l’accesso generalizzato<br />
e non discriminatorio a risorse<br />
ambientali fondamentali. Ad un argomento<br />
etico si affianca quindi una istanza<br />
di efficienza.<br />
L'idea che la necessaria infrastrutturazione<br />
del territorio continui ad identificarsi<br />
con la sequenza vincolo-espropriolavoro<br />
pubblico è entrata da tempo irreversibilmente<br />
in crisi. Il fallimento di<br />
questo schema ottimistico, testimoniato<br />
dall'elevato numero di vincoli che le<br />
amministrazioni si trovavano sistematicamente<br />
a dover reiterare, costituisce<br />
uno dei più evidenti limiti dell'<strong>urbani</strong>stica<br />
tradizionale. La pianificazione in questi<br />
casi finisce per risolversi in un disegno<br />
ottativo del territorio, incapace di<br />
promuovere l’effettiva acquisizione dei<br />
beni a fruizione collettiva e la formazione<br />
delle strutture destinate all'erogazio-<br />
ne dei servizi pubblici.<br />
La riconsiderazione del modello di piano<br />
deriva oggi (anche e soprattutto)<br />
da una considerazione di ordine pratico:<br />
la politica infrastrutturativa sconta<br />
un grave deficit di effettività, a cui si<br />
può ovviare solo cercando di strutturare<br />
una corrispondenza diretta tra vicende<br />
edificatorie e formazione delle<br />
dotazioni territoriali ed una comunanza<br />
di interessi tra proprietari delle aree edificabili<br />
e proprietari delle aree destinate<br />
alla città pubblica.<br />
4. La distinzione tra perequazione e<br />
compensazione e le figure ricorrenti<br />
L'<strong>urbani</strong>stica 'postvincolistica' si esprime<br />
attraverso schemi operativi tesi a<br />
stimolare una spontanea adesione dei<br />
proprietari all’attuazione della pianificazione,<br />
facendo coincidere il perseguimento<br />
di obiettivi egoistici (gli unici che<br />
essi sono razionalmente orientati a ricercare)<br />
con risultati di utilità pubblica.<br />
Al di là di questo denominatore comune,<br />
è tuttavia necessario segnare una<br />
distinzione tra situazioni <strong>urbani</strong>stiche<br />
diverse, corrispondenti ad istituti differenziati,<br />
ai quali – con tutta la stipulatività<br />
dei nomi – devono quindi essere attribuite<br />
etichette distintive proprie.<br />
Sin qui abbiamo parlato di perequazione<br />
e di compensazione senza segnare<br />
una distinzione tra queste due figure.<br />
Occorre ora fissare una linea discretiva<br />
di carattere strutturale tra perequazione<br />
e compensazione e, partendo<br />
da una accettabile tassonomia, cercare<br />
di classificare i molteplici modelli<br />
perequativi e compensativi che si registrano<br />
nella prassi. Sul piano ricostruttivo,<br />
di fronte ad una realtà tanto frastagliata,<br />
occorre raggruppare i diversi<br />
modelli riscontrabili nella prassi entro<br />
schemi di fondo che ne consentano –<br />
quanto meno – una più agevole confrontabilità.<br />
Parlare di perequazione<br />
tout court significa fare ricorso ad un iperonimo<br />
riferibile a tecniche profondamente<br />
eterogenee: il significante non<br />
corrisponde ad un significato preciso<br />
ed univoco, con la conseguenza che<br />
questa insufficiente pregnanza semantica<br />
finisce per lasciare in ombra le reali<br />
dinamiche della prassi pianificatoria. Va<br />
dunque superata l’idea che queste innovazioni<br />
si conformino ad un modello<br />
monolitico (‘la perequazione’), laddove<br />
sembra sicuramente più corretto parlare<br />
di ‘modelli perequativi’ al plurale (‘le<br />
perequazioni’). Eguale sforzo distintivo<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 41<br />
di impone anche con riferimento alla<br />
compensazione. Affinando ulteriormente<br />
la classificazione e cercando di ricondurre<br />
ad alcuni ‘tipi’ indicazioni eterogenee<br />
espresse da leggi e soprattutto<br />
da piani molto diversi tra loro, si<br />
possono isolare alcune situazioni ricorrenti.<br />
a. In un primo ordine di casi, il pianificatore<br />
si limita a garantire una equa<br />
ed estesa distribuzione dei vantaggi derivanti<br />
delle previsioni di edificabilità,<br />
mediante una omogenea attribuzione<br />
volumetrica tra i suoli su cui si concentreranno<br />
le trasformazioni ed aree<br />
che, pur connotate da un astratto statuto<br />
di trasformabilità (aree interstiziali,<br />
comprese nel perimetro dei tessuti<br />
consolidati, od aree perturbane di prima<br />
frangia), debbono restare immodificate<br />
per prevalenti ragioni di disegno<br />
<strong>urbani</strong>stico: in questi casi, trova spazio<br />
la figura più semplice (e primigenia) di<br />
perequazione, alla quale è sottesa unicamente<br />
un’istanza di giustizia distributiva<br />
e la ricerca di soluzioni conformative<br />
(densificazioni e, nel contempo, preservazione<br />
di suoli) condivise: in queste<br />
fattispecie, si può parlare di<br />
‘perequazione <strong>urbani</strong>stica’ (o ‘pura’).<br />
b. In un secondo ordine di casi, il pianificatore,<br />
oltre a favorire la più ampia<br />
ed equa distribuzione dei vantaggi indotti<br />
dal piano, deve altresì farsi carico<br />
di talune previsioni infrastrutturative<br />
(acquisizione di aree senza esborsi a<br />
carico del comune): in queste fattispecie,<br />
trova spazio un diverso modello di<br />
perequazione, caratterizzato da possibilità<br />
edificatorie necessariamente più<br />
elevate rispetto al caso a), con dispiegamento<br />
dei volumi entro le aree di<br />
concentrazione e contestuale cessione<br />
delle superfici per la formazione della<br />
città pubblica a vantaggio del comune:<br />
in questo modello le logiche equitative<br />
e di conformazione condivisa sono consentanee<br />
rispetto all’istanza di effettività<br />
del programma infrastrutturativo: si<br />
parla in tali ipotesi (sicuramente le più<br />
diffuse) di perequazione infrastrutturale<br />
(o ‘con oneri di cessione’).<br />
c. In un terzo ordine di ipotesi, in sovrapposizione<br />
a quanto previsto nei<br />
modelli sopra descritti, il piano ‘riserva’<br />
all’amministrazione comunale una frazione<br />
della volumetria concentrabile su<br />
specifici lotti (ad es., nei piani attuativi<br />
o nel recupero di opifici dismessi): il<br />
comune potrà poi cedere a titolo oneroso<br />
tale dotazione volumetrica ovvero
42 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Dossier<br />
impiegarla per scopi connessi al social<br />
housing: si parla in tali fattispecie<br />
(rispetto alla cui legittimità rimangono<br />
forti dubbi) di perequazione ‘con volumetria<br />
pubblica aggiuntiva’;<br />
d. In un quarto ordine di casi, il pianificatore<br />
affronta il problema dei ‘residui<br />
di piano’, ossia delle previsioni edificatorie<br />
inattuate espresse dal piano precedente<br />
e giudicate non confermabili: con<br />
l’intento di evitare drastiche soppressioni,<br />
si privilegia una ‘conversione’ di<br />
tali potenzialità in ‘diritti edificatori’<br />
scambiabili; l’istituto si ricollega ad una<br />
tendenza (a volte criticabile) a ricercare<br />
il consenso dei destinatari anche ove<br />
l’amministrazione disporrebbe di alternative<br />
autoritative: questa soluzione infatti<br />
ha solamente l’effetto di orientare<br />
su aree meno ‘irrinunciabili’<br />
l’atterraggio del carico insediativo ereditato<br />
da piani sovrabbondantemente<br />
dimensionati; in questi casi si persegue<br />
una sorta di equità intertemporale nella<br />
successione tra piani e si può parlare<br />
di perequazione ‘sui residui’; questo<br />
modello può avere una variante infrastrutturativa<br />
ove sia prevista la cessione<br />
al comune delle aree rese inedificabili;<br />
e. In un quinto ordine di casi, il pianificatore<br />
identifica nel piano (nella componente<br />
infrastrutturativa) segmenti di<br />
città pubblica di rango strategico primario,<br />
rispetto ai quali<br />
l’amministrazione non può rinunciare a<br />
priori al vincolo ed alla facoltà imperativa<br />
ed unilaterale di acquisizione coattiva<br />
delle aree; in queste fattispecie, si<br />
deve apporre il vincolo preespropriativo<br />
ed, entro il termine di cinque anni, fare<br />
ricorso all'espropriazione; viene tuttavia<br />
prevista la possibilità di ristoro del proprietario<br />
mediante attribuzione di<br />
‘crediti compensativi’ in luogo<br />
dell’usuale indennizzo pecuniario; dietro<br />
questo modello campeggia una esigenza<br />
di effettività dell’azione infrastrutturativa:<br />
in questi casi si può pertinentemente<br />
parlare di compensazione infrastrutturativa.<br />
f. In un sesto ordine di fattispecie, il<br />
pianificatore cerca di rompere il tralatizio<br />
schema secondo cui il piano può<br />
produrre effetti solo de futuro con riferimento<br />
ai nuovi interventi, essendo privo<br />
di incidenza sui manufatti preesistenti:<br />
per contro, ove si configurino<br />
dei detrattori ambientali o paesaggistici<br />
(si pensi a manufatti in degrado od incongrui,<br />
in quanto suscettibili di snatu-<br />
rare la percezione di un luogo) si ritiene<br />
oggi possibile sollecitare (ed in alcuni<br />
casi imporre) azioni positive (dalla delocalizzazione<br />
alla riqualificazione), i cui oneri<br />
vengono integralmente compensati<br />
ancora una volta tramite l’attribuzione<br />
di ‘crediti compensativi’: in queste fattispecie<br />
si può pregnantemente parlare<br />
di compensazione paesaggisticoambientale.<br />
Da questa sintetica tipizzazione (che<br />
non ha alcuna pretesa di completezza,<br />
anche perché i diversi modelli sovente<br />
vengono impiegati in combinazione tra<br />
loro entro uno stesso piano) si possono<br />
trarre delle indicazioni di ordine generale.<br />
La perequazione, sovvertendo lo<br />
schema tradizionale, configura una autentica<br />
alternativa al vincolo: allarga il<br />
novero dei proprietari tra cui si distribuiscono<br />
i vantaggi e gli oneri indotti<br />
dal piano e poggia sul presupposto che<br />
tutti i proprietari coinvolti trovino razionalmente<br />
preferibile l’adesione alle decisioni<br />
sull’assetto territoriale.<br />
La compensazione ha invece un doppio<br />
volto: in alcuni casi si mantiene entro<br />
l’alveo della pianificazione tradizionale<br />
ed è finalizzata ad elidere le conseguenze<br />
pregiudizievoli che si manifestano<br />
ove resti necessario acquisire delle<br />
aree mediante vincolo-ablazione, in altri<br />
casi si pone al di fuori degli schemi usuali<br />
e diviene funzionale a garantire ristoro<br />
ad un proprietario a cui si richiede<br />
(od impone), un facere per ragioni<br />
paesaggistico-ambientali.<br />
La perequazione garantisce ai proprietari<br />
risultati che rendono comunque<br />
(anche dopo l’assolvimento degli oneri<br />
infrastrutturativi) vantaggiosa<br />
l’attuazione del piano, mentre la compensazione<br />
affronta in termini nuovi il<br />
problema degli effetti delle previsioni <strong>urbani</strong>stiche<br />
sfavorevoli, assegnando ai<br />
proprietari interessati da scelte pianificatorie<br />
di segno negativo (in funzione ablatoria<br />
o per l’eliminazione di<br />
‘detrattori’ percettivi) una alternativa in<br />
valori <strong>urbani</strong>stici preferibile rispetto<br />
all’ordinario indennizzo pecuniario.<br />
Nella perequazione le previsioni pianificatorie<br />
profilano al proprietario una<br />
soluzione comunque vantaggiosa e la<br />
decisione di adesione rimane volontaria.<br />
La compensazione infrastrutturativa<br />
interviene invece in chiave indennitaria<br />
in presenza di incisioni autoritative<br />
su diritti, nell’ambito di fattispecie in cui<br />
ci si trova di fronte a situazioni in cui il<br />
proprietario non può rifiutare di aderire<br />
alla previsione dettata dal piano, in<br />
quanto è posto di fronte ad una alternativa<br />
vincolistico-ablatoria; nella compensazione<br />
paesaggistica invece<br />
l’imposizione di interventi a carico dei<br />
privati è prevista più raramente: la<br />
compensazione funge da elemento volto<br />
a rendere economicamente neutra<br />
per i proprietari la decisione di conformazione<br />
– comunque quasi sempre volontaria<br />
– al piano: poiché un tale risultato<br />
può rivelarsi sub-ottimale rispetto<br />
alle preferenze dei proprietari, in queste<br />
fattispecie la compensazione è molto<br />
spesso associata a forme di incentivazione<br />
che riescono ad aggiungere un<br />
quid decisivo per rendere preferibile la<br />
soluzione di adeguamento a quanto<br />
profilato dal piano.<br />
5. Gli oneri (non vincoli) perequativi<br />
Uno degli elementi su cui poggia la distinzione<br />
proposta tra perequazione e<br />
compensazione (infrastrutturativa) attiene<br />
alla natura delle previsioni pianificatorie<br />
aventi ad oggetto la cessione di<br />
aree all’amministrazione. Si tratta di un<br />
profilo decisivo per segnare il distacco<br />
della perequazione dal tradizionale<br />
schema vincolistico.<br />
Mediante l’apposizione di un 'peso' su<br />
un fondo entro un piano di matrice perequativa<br />
il pianificatore si limita a fissare<br />
un obiettivo (di pubblico interesse)<br />
a cui è condizionato il dispiegamento<br />
delle potenzialità attribuite ai proprietari.<br />
Le previsioni relative alla cessione di<br />
aree all’amministrazione in coincidenza<br />
con il dispiegamento delle potenzialità<br />
edificatorie sui fondi-accipienti non sono<br />
quindi da considerare vincoli in senso<br />
proprio.<br />
Il proprietario non subisce una iniziativa<br />
di matrice vincolistica: egli è tenuto<br />
a cedere l’area per la città pubblica solo<br />
contestualmente al dispiegamento<br />
delle potenzialità volumetriche (sulle aree<br />
di concentrazione), ossia nel momento<br />
in cui tutti i soggetti coinvolti sono<br />
nelle condizioni di ripartirsi privatamente<br />
tanto i vantaggi quanto gli oneri<br />
correlati all’attuazione dell’assetto prefigurato<br />
dal piano. Questa ripartizione,<br />
nei diversi modelli operativi della perequazione,<br />
avviene mediante negozi di ricomposizione<br />
fondiaria (ownership readjustment)<br />
ovvero mediante la circolazione<br />
di diritti edificatori (infra). I proprietari<br />
danno attuazione a quanto prefigurato<br />
dal piano solo ove percepisca-
Dossier<br />
no tale soluzione come economicamente<br />
vantaggiosa, ad esito di una comparazione<br />
tra i vantaggi ritraibili dalla trasformazione<br />
dei fondi accipienti ed i costi<br />
derivanti dalla cessione al comune<br />
dei fondi-sorgente (svuotati dei correlativi<br />
diritti). L’operazione si presenta (e<br />
viene quindi percepita) come connotata<br />
da un bilancio positivo e non postula<br />
quindi una privazione per le parti che vi<br />
partecipano.<br />
Nella perequazione la cessione non è<br />
conseguenza dell’imperatività di un vincolo,<br />
bensì adempimento di un onere<br />
(con un ossimoro si è parlato di 'dovere<br />
libero', retto dal principio ‘se vuoi,<br />
devi’), la cui previsione nel piano va a<br />
modificare l’intima struttura giuridica<br />
della proprietà fondiaria, secondo un innovativo<br />
modello di conformazione che<br />
fa leva unicamente sulla spinta al perseguimento<br />
da parte dei proprietari dei<br />
vantaggi ritraibili dal piano, vantaggi<br />
che restano tali (pur risultando più ridotti)<br />
anche in presenza dell’onere.<br />
La più immediata conseguenza sul piano<br />
<strong>urbani</strong>stico di tale carattere del piano<br />
perequativo è che questo tipo di<br />
previsioni - come è stato chiarito anche<br />
dai giudici amministrativi liguri - non sono<br />
soggette a decadenza quinquennale.<br />
Il vincolo preespropriativo costituisce<br />
un 'peso esorbitante' per il proprietario<br />
che lo subisce: di lì la nota soluzione<br />
che rimonta alla teorizzazione sandulliana<br />
di prevederne la temporaneità in alternativa<br />
alla indennizzabilità. Gli 'oneri<br />
perequativi', al contrario, non costituiscono<br />
un carico esogeno compressivo<br />
della proprietà fondiaria: rappresentano<br />
piuttosto la componente infrastrutturativa<br />
passiva intrinseca alla articolata<br />
vicenda di dispiegamento della facoltà<br />
edificatoria attiva. In un piano perequativo<br />
il diritto di proprietà mantiene<br />
sempre una dimensione di segno positivo,<br />
ancorché lo sviluppo edificatorio sia<br />
condizionato all’assolvimento dell'onere<br />
di cessione. Questo giustifica la prescindibilità<br />
di un limite temporale.<br />
Attenendosi a questo schema di fondo,<br />
i giudici amministrativi hanno messo<br />
in guardia da ‘false perequazioni’,<br />
caratterizzate da indici troppo bassi<br />
per giustificare le cessioni richieste.<br />
L’equilibrio interno al diritto di proprietà<br />
in questi casi veniva sbilanciato dal peso<br />
soperchiante delle cessioni. Sarà<br />
quindi opportuno che i piani contengano<br />
delle schede di giustificazione economica<br />
degli scenari microeconomici pro-<br />
posti ai proprietari. I giudici amministrativi<br />
potranno quindi valutare tale dato<br />
non allo scopo di strutturare un sindacato<br />
di merito, ma al fine di verificare<br />
ab externo se ci si trovi effettivamente<br />
nel campo della perequazione,<br />
in cui - ritornando al principio di proporzionalità<br />
- l’attuazione del piano si denota<br />
sempre per costituire una scelta autonoma<br />
e vantaggiosa, comunque accrescitiva<br />
della sfera patrimoniale del<br />
proprietario.<br />
6. La perequazione endoambito ed estesa<br />
Avendo ora riguardo alla struttura ed<br />
ai funzionamenti dei piani perequativi, è<br />
necessario introdurre una dicotomia ulteriore:<br />
sul piano gestionale,<br />
l’applicazione della perequazione<br />
(generalizzata o parziale) può avvenire<br />
infatti all’interno di ambiti o piani attuativi<br />
ovvero mediante la messa in circolazione<br />
dei diritti edificatori su tutta la<br />
porzione territoriale interessata dalla<br />
perequazione. Questa differente impostazione<br />
segna una netta divaricazione<br />
tra tipologie di piani definibili a pieno titolo<br />
perequativi.<br />
Schematizzando, e premettendo<br />
sempre che le denominazioni hanno valenza<br />
stipulativa, si può quindi parlare<br />
di perequazione endoambito e di perequazione<br />
diffusa.<br />
a. Il modello uniformemente profilato<br />
nelle leggi regionali è quello della perequazione<br />
endoambito, che trova applicazione<br />
entro piani attuativi variamente<br />
denominati (ambiti, piani attuativi, distretti<br />
della trasformazione, etc.) e, comunque,<br />
entro perimetri – anche discontinui<br />
- predeterminati dal piano. Il<br />
luogo di dispiegamento delle potenzialità<br />
volumetriche è dunque fissato ex ante<br />
dal pianificatore. Il meccanismo – in<br />
queste fattispecie – è relativamente<br />
semplice. Il piano comunale assegna una<br />
potenzialità volumetrica all’ambito<br />
nella sua interezza (previo 'scorporo'<br />
della volumetria degli eventuali edifici esistenti)<br />
ed è poi il piano attuativo a ripartire<br />
tra tutti i proprietari delle aree<br />
interessate dagli interventi le capacità<br />
edificatorie e gli oneri correlati alla formazione<br />
delle dotazioni territoriali. I<br />
proprietari coinvolti, prima della presentazione<br />
del piano attuativo, provvedono<br />
– in piena autonomia – a porre in<br />
essere una ricomposizione fondiaria<br />
(“La realizzazione degli interventi previsti<br />
nell’ambito soggetto a perequazione<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 43<br />
<strong>urbani</strong>stica presuppone la redazione di<br />
un piano di ricomposizione fondiaria<br />
comprendente permute o cessioni immobiliari<br />
tra tutti i soggetti aventi titolo,<br />
definito sulla base del progetto di dettaglio<br />
a fini esecutivi riferito all’intero ambito”).<br />
In questo modello l'elemento decisivo<br />
idoneo ad innescare la sequenza che<br />
porta al verificarsi dell’effetto perequativo<br />
è costituito dal vincolo di attuazione<br />
necessariamente unitaria (e di fatto<br />
contestuale) delle previsioni di piano..<br />
Questa rigidità esogena ‘costringe’ infatti<br />
tutti i proprietari dei lotti compresi<br />
nell’ambito ad un atteggiamento cooperativo,<br />
pena la vanificazione di ogni previsione<br />
edificatoria (la ‘paralisi’ del piano<br />
attuativo). Questa cooperazione – come<br />
ormai chiaro – può verificarsi solo in<br />
presenza di una redistribuzione percepita<br />
come equa, in quanto rispettosa di<br />
un fattore distributivo condiviso da tutti<br />
i proprietari interessati. In questo modello<br />
la capacità edificatoria non è assegnata<br />
a singoli lotti edificabili, bensì<br />
all’ambito (solitamente sotto forma di<br />
indice territoriale) nella sua interezza,<br />
con la conseguenza che non sono configurabili<br />
proprietari avvantaggiati e proprietari<br />
svantaggiati dal piano, ma solo<br />
soggetti coinvolti in una vicenda attuativa<br />
a cooperazione necessaria. A rendere<br />
indifferente la collocazione dello<br />
standard è l’essenzialità<br />
dell’adempimento dell’onere di cessione:<br />
in carenza di tale cessione nessuna<br />
area sarà materialmente trasformabile<br />
e quindi nessun proprietario potrà assumere<br />
un atteggiamento predatorio. Il<br />
fattore distributivo, vettore di equità, è<br />
rappresentato unicamente<br />
dall’incidenza percentuale delle aree riferibili<br />
a ciascun proprietario rispetto<br />
alla superficie complessiva dell’ambito e<br />
non dal carattere edificatorio delle<br />
stesse: sul punto intervenuto anche il<br />
Tar Lombardia, sez. Brescia, affermando<br />
che "è conforme agli obiettivi ed alla<br />
tecnica della perequazione <strong>urbani</strong>stica,<br />
nonché ai principi costituzionali in materia<br />
di tutela della proprietà privata<br />
che, in applicazione del principio della<br />
perequazione, i benefici e gli oneri derivanti<br />
dalla pianificazione vengano distribuiti<br />
in modo rigidamente proporzionale<br />
alla consistenza ed estensione delle<br />
singole proprietà".<br />
b. La perequazione estesa, alla quale<br />
si riferisce in termini veramente espliciti<br />
solo la legge <strong>urbani</strong>stica lombarda,
44 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Dossier<br />
ma che trova un certo numero di applicazioni<br />
in piani anche di altre regioni, si<br />
innerva su un innovativo principio di<br />
smaterializzazione della dotazione volumetrica<br />
assegnata ad un fondosorgente<br />
sotto forma di ‘diritto<br />
edificatorio’ cedibile a titolo oneroso. Il<br />
dispiegamento del diritto edificatorio<br />
assegnato ad un'area che il pianificatore<br />
non consente venga trasformata<br />
può avvenire su uno qualsiasi dei molteplici<br />
fondi-accipienti previsti dal piano<br />
quali aree di concentrazione necessaria.<br />
La vicenda di attuazione del piano<br />
si frammenta in una teoria di iniziative<br />
individuali. Il piano si limita a prefigurare<br />
due macro-categorie di fondi ed è lasciata<br />
all’iniziativa individuale (al mercato,<br />
si potrebbe dire, senza ascrivere a<br />
questo termine alcuna accezione valoriale)<br />
l’individuazione delle possibili soluzioni<br />
di atterraggio: il piano si astiene<br />
dunque dal predeterminare la destinazione<br />
puntuale dei diritti edificatori, limitandosi<br />
a prevedere che ogni trasformazione<br />
sia il risultato di un<br />
‘atterraggio’ di diritti edificatori esogeni<br />
che si saldano alla (eventuale) dotazione<br />
intrinseca del fondo-accipiente<br />
(comunque insufficiente a consentire la<br />
trasformazione dell’area). Questo schema<br />
risulta quindi molto diverso non solo<br />
da un piano tradizionale ma anche<br />
dal mainstream perequativo diffusosi in<br />
questi anni.<br />
Dovendo regolamentare scambi tra<br />
quadranti territoriali con accentuate<br />
differenze morfologiche, questo tipo di<br />
piani devono necessariamente prevedere<br />
dei ‘coefficienti di ponderazione’ sotto<br />
forma di indici fondiari differenziati,<br />
legati alle destinazioni concretamente<br />
insediabili ed alle differenze di posizione<br />
tra le diverse aree di atterraggio. Questa<br />
fondamentale operazione, che si<br />
sostanzia nell'attribuzione di una consistenza<br />
differenziata ai diritti edificatori<br />
in ragione dell’area di atterraggio, è<br />
consentanea alla classificazione dei<br />
suoli che precede l’attribuzione del diritto<br />
edificatorio e serve a preservare il<br />
principio di eguaglianza in un orizzonte<br />
di circolazione dei titoli volumetrici in<br />
contesti molto eterogenei.<br />
Va aggiunto che la perequazione estesa<br />
istituisce un dinamismo aperto,<br />
che non contempla vincoli di contestualità<br />
rispetto a specifiche vicende attuative<br />
(come accade invece negli ambiti e<br />
nei piani attuativi). Un piano così impostato<br />
massimizza la libertà dei proprie-<br />
tari e in tal modo tende ad assecondare<br />
(anziché ingabbiare) i processi complessi<br />
che regolano i ritmi e gli itinerari<br />
di sviluppo di una città. Un piano di<br />
questa matrice è destinato a dare risultati<br />
organici in un torno di anni non<br />
breve: va infatti messo in conto che<br />
l’attuazione proceda inevitabilmente per<br />
frammenti, come in una sorta di macro<br />
-mosaico. In questa prospettiva si rafforza<br />
il ruolo della funzione di disegno<br />
territoriale. Il piano deve esprimere soluzioni<br />
‘modulari’ per la strutturazione<br />
di un assetto urbano funzionale ma,<br />
d'altro canto, non deve vincolare eccessivamente<br />
il ventaglio delle possibilità di<br />
negoziazione tra i proprietari (non deve<br />
cioè predeterminare rigidamente<br />
l’ambito di possibile atterraggio di ciascun<br />
diritto edificatorio), onde scongiurare<br />
il manifestarsi delle tipiche<br />
'patologie del mercato' (monopolio, dipendenza,<br />
atteggiamenti predatori) che<br />
diverrebbero esiziali fattori di inceppamento<br />
del modello. Si può parlare di un<br />
‘mercato’ dei titoli volumetrici, nel quale<br />
ciascun proprietario (tanto chi disponga<br />
di un fondo-accipiente, tanto chi sia<br />
titolare di diritti edificatori esportabili)<br />
deve poter immediatamente identificare<br />
un numero elevato di potenziali interlocutori<br />
(anzi proprio la ristrettezza ed<br />
asfitticità di questo ‘mercato’ finirebbe<br />
per far fallire il modello). Vedremo più<br />
avanti come questi titoli circolino in forme<br />
non dissimili da quelle tipiche dei titoli<br />
di credito.<br />
In qualche piano di comuni più piccoli,<br />
in cui l’amministrazione assume unicamente<br />
l’obiettivo di non superare una<br />
certa soglia di densità, si profila addirittura<br />
la possibilità riconoscere margini<br />
di autonomia ancor maggiori ai privati,<br />
lasciando ai proprietari l’opzione circa<br />
la valenza quale fondo-sorgente od accipiente<br />
della rispettiva area. In altre realtà<br />
ove la perequazione serve a garantire<br />
la formazione di vaste aree a parco<br />
pubblico (come a Bergamo) i fondisorgente<br />
rimangono invece rigidamente<br />
identificati in coincidenza con i perimetri<br />
dei futuri parchi, che si formeranno<br />
progressivamente (nella logica del mosaico),<br />
in seguito alla sequenza di cessioni<br />
che si perfezioneranno nell’arco<br />
temporale di efficacia del piano (come,<br />
del resto è accaduto nel caso – assai<br />
noto – della ‘cintura verde’ di Ravenna).<br />
7. La circolazione dei titoli volumetrici<br />
Nei diversi modelli perequativi il perseguimento<br />
di significativi interessi pubblici<br />
viene a coincidere con il soddisfacimento<br />
degli obiettivi egoistici autonomamente<br />
assunti dai proprietari. Il risultato<br />
della funzione infrastrutturativa<br />
viene direttamente collegato<br />
all’efficiente funzionamento della perequazione:<br />
va quindi attentamente vagliato<br />
il rischio che tali programmi rimangano<br />
privi di attuazione in ragione<br />
del mancato accordo cooperativo tra i<br />
proprietari. Se nella perequazione qui<br />
definita <strong>urbani</strong>stica ciò non avrebbe rilevanti<br />
implicazioni (al più, tanto i fondisorgente<br />
quanto quelli accipienti resterebbero<br />
inedificati), il fallimento della<br />
perequazione infrastrutturativa e della<br />
compensazione postulerebbe invece<br />
l’inattuazione delle opere essenziali per<br />
l'erogazione dei servizi pubblici e la frustrazione<br />
della garanzia di accesso generalizzato<br />
a beni pubblici: fallimenti<br />
che lascerebbero dunque residuare rilevanti<br />
costi sociali.<br />
L’amministrazione, a differenza del<br />
passato, non può quindi disinteressarsi<br />
dell’attuazione del piano. Questa costituisce<br />
un’altra rilevante novità. Un piano<br />
perequativo assume dunque una<br />
struttura tipicamente processuale<br />
(specie nelle regioni in cui il piano si divide<br />
in una componente strutturale ed<br />
in una operativa, approvate con un significativo<br />
scarto temporale), che vede<br />
l’amministrazione coinvolta in azioni pro<br />
-attive tese alla agevolazionesollecitazione<br />
delle vicende attuative in<br />
quanto direttamente interessata in<br />
un’ottica di risultato. L’amministrazione<br />
svolge quindi una funzione di regolazione<br />
finalisticamente orientata alla massima<br />
efficienza (intesa come allocazione<br />
dei titoli volumetrici e delle possibilità edificatorie<br />
nelle mani dei soggetti interessati<br />
al loro sfruttamento).<br />
I problemi si pongono – come detto –<br />
soprattutto con riferimento alla perequazione<br />
estesa e nella compensazione<br />
(infra), ossia nelle fattispecie in cui sia<br />
prevista la circolazione di titoli volumetrici.<br />
Per limitare i rischi di fallimento di<br />
questi dispositivi occorre rafforzare i dispositivi<br />
di scambio mediante norme<br />
che cercano di rispondere ad una duplice<br />
esigenza: a. far assumere<br />
all’amministrazione un ruolo pro-attivo<br />
nel favorire l’incontro tra la domanda e<br />
l’offerta di titoli volumetrici; b. garantire<br />
certezza nei negozi giuridici perequativi.
Dossier<br />
Sul primo versante qualche legge regionale<br />
(Basilicata, Veneto) ha previsto<br />
che il comune si faccia garante della<br />
struttura efficiente del mercato dei diritti<br />
edificatori mediante un sistema di<br />
aste 'amministrate': si fa quindi leva<br />
sulla valenza che assume la garanzia<br />
derivante dalla presenza dell'amministrazione<br />
nell'ambito delle trattative tra<br />
i proprietari e tra questi ed eventuali<br />
terzi interessati ad acquisire fondi e/o<br />
diritti edificatori. Sovente si organizzano<br />
delle sessioni aperte, precedute da avvisi<br />
pubblici, nelle quali domanda ed offerta<br />
possano venire contestualmente<br />
a galla con la desiderabile chiarezza e<br />
con il vantaggio di una piena confrontabilità.<br />
A Milano, ove ci si accinge a varare<br />
un piano di governo del territorio<br />
imperniato su una forma di perequazione<br />
estesa, sulla scia delle esperienze<br />
nordamericane, proprio in quest’ottica,<br />
si sta lavorando alla strutturazione di una<br />
‘borsa’ (luogo per antonomasia<br />
dell’incontro tra domanda ed offerta)<br />
dei titoli volumetrici, mentre in Veneto,<br />
si pensa ad un intervento di mediazione<br />
tramite una società pubblica (Veneto<br />
scambi s.p.a.). Ulteriori forme di enforcing<br />
più strettamente <strong>urbani</strong>stiche sono<br />
peraltro le più varie: in questa direzione<br />
si potrebbe ipotizzare, per fare<br />
un esempio concreto, che il piano assegni<br />
indici perequativi destinati a mantenere<br />
efficacia solo per un periodo limitato<br />
di tempo, oppure indici che diminuiscano<br />
progressivamente decorso un<br />
primo triennio (cd. allineamento: applicabile<br />
soprattutto in presenza di<br />
‘residui’, ingombrante lascito di un precedente<br />
PRG).<br />
Sul secondo versante altre leggi<br />
(Veneto e Lombardia) hanno previsto<br />
che il comune gestisca un ‘registro dei<br />
diritti (e crediti) edificatori’. I comuni devono<br />
supplire ad un sistema pubblicitario<br />
storicamente pensato solo per<br />
l’annotazione dei negozi su diritti reali<br />
(che non consente quindi la trascrivibilità<br />
dei negozi aventi ad oggetto titoli volumetrici).<br />
Al bisogno di certezze reclamate<br />
da questi particolari mercati <strong>urbani</strong>stici<br />
si cerca quindi di rispondere<br />
mediante la costituzione di un 'registro<br />
comunale nel quale vengono annotati,<br />
dopo l’assegnazione, i diritti edificatori<br />
ed i crediti compensativi e le correlative<br />
vicende di circolazione. dei diritti (e crediti)<br />
edificatori'. Un tale registro può<br />
tuttavia assumere anche una funzione<br />
di volano delle negoziazioni: basti pen-<br />
sare alle forme di pubblicizzazione in rete<br />
delle disponibilità attuali di titoli volumetrici<br />
‘alla ricerca di atterraggio’.<br />
Il problema della circolazione dei titoli<br />
volumetrici si lega anche alla struttura<br />
dei negozi giuridici che hanno ad oggetto<br />
questa innovativa tipologia di ‘beni<br />
<strong>urbani</strong>stici’ generati dalla decisione di<br />
piano. Nella perequazione estesa e nella<br />
compensazione e, comunque, in tutte<br />
le vicende di 'scorporo' della dotazione<br />
volumetrica di un fondo a vantaggio<br />
di soggetti non proprietari dell’area, il<br />
titolo di legittimazione (diritto edificatorio;<br />
credito compensativo) dovrebbe essere<br />
espresso – come detto - da una<br />
'scheda' rilasciata dall'amministrazione<br />
comunale (una sorta di certificato di<br />
destinazione <strong>urbani</strong>stica, trasferibile e<br />
cedibile, secondo la logica dei titoli di<br />
credito, a mo' di cartula, corrispondente<br />
alle annotazioni sull’apposito registro<br />
comunale), idonea ad assicurare la necessaria<br />
certezza in ogni contesto negoziale;<br />
inoltre tale scheda dovrebbe indicare<br />
la consistenza effettiva e gli oneri<br />
a cui è condizionato il dispiegamento<br />
del diritto edificatorio. Al fine di rendere<br />
'fluida' la negoziazione dei diritti edificatori,<br />
si deve necessariamente guardare<br />
– come detto - alle logiche che caratterizzano<br />
la circolazione dei titoli di credito.<br />
Si è sovente parlato di<br />
‘smaterializzazione’ dello ius aedificandi<br />
facendo riferimento alla caratteristica<br />
vicenda di scorporo della volumetria dal<br />
fondo a cui è stata assegnata e di messa<br />
in circolazione della stessa alla stregua<br />
di un (nuovo ed autonomo) bene, di<br />
natura non reale (superando in tal modo<br />
il problema del numero chiuso dei<br />
diritti reali). Non v’è dubbio che una tale<br />
concezione ponga una serie di problemi<br />
che toccano direttamente il diritto<br />
privato e la struttura del diritto di<br />
proprietà: si tratta quindi di profili sui<br />
quali dovrebbe intervenire il legislatore<br />
statale. E’ tuttavia un fatto che di questi<br />
strumenti si stia cominciando a fare<br />
uso e che occorra strutturare dei modelli<br />
giuridici utili nella prassi. La circolazione<br />
del titolo volumetrico (il ‘volo’,<br />
secondo alcuni) può seguire due itinerari.<br />
In comuni più piccoli si tratterà di<br />
vicende bilaterali, nelle quali (art. 1260<br />
c.c.) la pretesa qualificata nei confronti<br />
dell’amministrazione comunale ad ottenere<br />
il dispiegamento dell’attribuzione<br />
volumetrica verrà scambiata direttamente<br />
tra il proprietario del fondosorgente<br />
ed il titolare del fondo-<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 45<br />
accipiente (magari entro la cornice di<br />
un accordo che veda la ‘presa d’atto’<br />
dell’amministrazione). In realtà territoriali<br />
di maggior complessità è invece<br />
preferibile che un documento (nella logica<br />
dei titoli di credito, appunto)<br />
‘incorpori’ tale pretesa e possa così circolare<br />
con la massima fluidità, anche in<br />
forza della ‘astrattezza’ del titolo rispetto<br />
alle vicende contrattuali sottostanti.<br />
Non si dovrebbe escludere, ad esempio,<br />
che il diritto edificatorio venga<br />
scambiato in seguito a delle<br />
'girate' (annotabili nel registro comunale).<br />
Il problema della letteralità, ossia<br />
della esatta corrispondenza tra quanto<br />
indicato nel titolo e l’attribuzione volumetrica<br />
effettuata dall’amministrazione,<br />
si risolverebbe mediante la stampa da<br />
parte dell’amministrazione medesima<br />
della cartula (documento immodificabile<br />
da parte dei privati) ed il titolo circolerebbe<br />
secondo le regole proprie dei beni<br />
mobili (possesso vale titolo). Si tratterebbe<br />
di un titolo ‘rappresentativo’<br />
(come la fede di deposito: art.<br />
1996 c.c.) di una grandezza volumetrica<br />
assegnata dal piano e la gestione<br />
‘borsistica’ o comunque accentrata<br />
presso l’amministrazione comunale (cd.<br />
dematerializzazione del titolo) consentirebbe<br />
di evitare molte delle incertezze<br />
che potrebbero frenarne la circolazione.<br />
Al momento della richiesta del permesso<br />
di costruire, l’amministrazione<br />
avrebbe poi la possibilità di verificare<br />
che il presentatore del titolo sia effettivamente<br />
il soggetto legittimato – sulla<br />
base di validi negozi attributivi – ad utilizzare<br />
tale dotazione volumetrica.<br />
La vicenda circolatoria tuttavia si<br />
complica non poco ove sia prevista la<br />
cessione al comune del fondosorgente:<br />
in tal caso, la circolazione<br />
per girate continue del titolo espressivo<br />
del diritto edificatorio deve comunque<br />
essere accompagnata da un impegno<br />
contrattuale idoneo a garantire che – al<br />
momento dell’ ‘atterraggio’ del diritto edificatorio<br />
– intervenga effettivamente<br />
la contestuale cessione al comune del<br />
fondo destinato alla città pubblica da<br />
parte dell’originario titolare dello stesso.<br />
Il ‘diritto’ allo sfruttamento della volumetria<br />
incorporato nel titolo non può<br />
infatti dispiegarsi disgiuntamente<br />
dall’adempi-mento dell’onere di cessione.<br />
La circolazione su larghissima scala<br />
dei diritti edificatori, ossia ad una scala<br />
ove non siano sempre possibili accordi
46 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Dossier<br />
plurilaterali che vedano direttamente<br />
coinvolta l’amministrazione-garante,<br />
pongono quindi una serie di problemi<br />
giuridici – in primo luogo sul versante<br />
del rispetto del principio di legalità<br />
(l’art. 2001, II comma, c.c. fa riferimento<br />
alla legge quale fonte esclusiva<br />
della disciplina dei titolo di credito<br />
‘pubblici’) - non ancora sufficientemente<br />
indagati, specie con riferimento alla perequazione<br />
infrastrutturativa, problemi<br />
a cui – nel perdurante silenzio del legislatore<br />
nazionale - i registri dei diritti edificatori<br />
comunali possono offrire soluzioni<br />
comunque solo parziali.<br />
8. Le logiche della scelta individuale<br />
Se la pianificazione deve dettare le<br />
condizioni per l'adesione<br />
'spontaneamente interessata' di tutti i<br />
proprietari, è opportuno che il piano si<br />
corredi di schede recanti simulazioni di<br />
scenari condotte facendo ricorso anche<br />
al sofisticato apparato logicomatematico<br />
che va sotto l’etichetta di<br />
‘teoria dei giochi’: è infatti decisivo<br />
'modellizzare' le condotte dei proprietari,<br />
che si prestano ad essere paragonati<br />
ad attori razionali (giocatori). In un<br />
‘gioco’ cooperativo, indici troppo bassi,<br />
zone di concentrazione volumetrica<br />
troppo ristrette, incertezza nei negozi<br />
giuridici privatistici sottesi all’attuazione<br />
del piano od altre rigidità potrebbero rivelarsi<br />
premessa di posizionamenti non<br />
convergenti dei privati.<br />
All’attuazione della perequazione –<br />
specie quella endoambito - è sotteso<br />
un accordo cooperativo tra più proprietari:<br />
dal raggiungimento di questo accordo<br />
multisoggettivo tutti i proprietari<br />
ritraggono un guadagno. La funzione di<br />
utilità di ciascun giocatore è quindi<br />
massimizzata dall'accordo ed una condotta<br />
predatoria od opportunistica nei<br />
confronti degli altri proprietari non garantirebbe<br />
alcun vantaggio. Occorre<br />
quindi che i proprietari mettano debitamente<br />
a fuoco che stare fuori dalla coalizione<br />
generalizza semplicemente la<br />
perdita e non rende nulla al singolo. Lo<br />
snodo cruciale è quindi costituito dall'efficienza<br />
decisionale e dall’ordine delle<br />
preferenze degli attori coinvolti.<br />
La calibratura di tutti i profili che<br />
compongono la previsione perequativa<br />
deve tuttavia prefigurare una situazione<br />
di 'ottimo' (detta 'equilibrio di Nash'),<br />
nella quale tutti i proprietari ricavano<br />
un vantaggio (pay-off) dall'adesione alla<br />
proposta attuativa maggiore rispetto a<br />
quello (pari a zero) che perseguirebbero<br />
rimanendo isolati ‘sabotatori’<br />
dell’iniziativa. Le coalizioni che si formeranno<br />
saranno in tal caso tendenzialmente<br />
stabili: nessuno dei concorrenti<br />
ha infatti interesse ad uscirne in quanto<br />
non troverebbe altrove condizioni di<br />
valorizzazione del proprio fondo od altre<br />
soluzioni di atterraggio del proprio diritto<br />
(o credito) edificatorio.<br />
Si tratta di circostanze decisamente<br />
ottimali, che - almeno in astratto - dovrebbero<br />
sempre decretare il successo<br />
di questa formula. La realtà è tuttavia<br />
ben più complessa ed i proprietari<br />
(specie quando non si tratta di operatori<br />
economici) non sempre rispondono<br />
alla stregua di decisori razionali. Occorre<br />
allora spostare l'attenzione sull'efficienza<br />
di enforcing delle regole procedurali<br />
e sulla loro effettiva attitudine a<br />
stimolare la cooperazione (e quindi, prima<br />
ancora, a far emergere la razionalità)<br />
dei proprietari. Le disposizioni contenute<br />
nelle leggi regionali - in questa<br />
prospettiva – costituiscono, nell'immaginifico<br />
vocabolario della teoria dei giochi,<br />
la game form (la regola del gioco). Una<br />
regola decisiva è quella secondo cui la<br />
maggioranza (assoluta o qualificata) del<br />
valore catastale può proporre il piano<br />
attuativo (entro cui si attua la perequazione<br />
endoambito) e chiedere l'esproprio<br />
delle aree dei proprietari non cooperanti<br />
(evento non usuale ma possibile,<br />
almeno secondo alcune leggi regionali<br />
che richiamano la disposizione espressa<br />
dalla l. 166/2002 e comunque<br />
prefigurato anche nella disciplina<br />
del comparto). La sottrazione del potere<br />
di veto ad una minoranza è importante<br />
soprattutto per l’effetto di deterrenza<br />
che produce, con il risultato di<br />
stimolare, sovente attorno ad un play<br />
maker, il coagularsi di coalizioni stabili.<br />
Sul piano concettuale, la perequazione<br />
richiama implicitamente il teorema<br />
elaborato sin dagli anni sessanta dall'economista<br />
R. Coase, secondo cui (in<br />
condizioni ottimali) la disponibilità a pagare<br />
il prezzo più alto da parte del soggetto<br />
interessato a perseguire la forma<br />
di sfruttamento più efficiente dei beni<br />
dovrebbe comunque portare alla allocazione<br />
più efficiente dei beni. Questa fondamentale<br />
teorizzazione (qui fortemente<br />
semplificata sino al limite della banalizzazione)<br />
descrive solo il risultato finale<br />
di un processo e non dice nulla circa<br />
le condizioni che devono verificarsi affinché<br />
la sequenza si inneschi effettiva-<br />
mente. In particolare, va considerato<br />
che - sempre sul piano della razionalità<br />
decisionale - l'adesione del proprietari<br />
interviene solo a condizione che siano<br />
vantaggiosamente sostenibili i cd. ‘costi<br />
di transazione’ (che si sommano a quelli<br />
derivanti dall’adempimento degli oneri<br />
di cessione). Nella perequazione estesa<br />
si deve strutturare un particolare mercato<br />
avente ad oggetto aree e diritti edificatori.<br />
Nella perequazione endoambito<br />
la perequazione presuppone ricomposizioni<br />
fondiarie’: si attua cioè tramite<br />
una serie di negozi giuridici che hanno<br />
direttamente ad oggetto beni fondiari;<br />
la riflessione su vicende contrattuali<br />
simili a quelle che connotano la perequazione<br />
è tuttavia sostanzialmente ferma<br />
agli studi sul contratto di cessione<br />
di volumetria (o di cubatura), nell'ambito<br />
dei quali - peraltro - non si sono raggiunti<br />
risultati conclusivi. La circolazione<br />
dei diritti edificatori nella perequazione<br />
estesa secondo le forme tipiche dei<br />
titoli di credito sconta un carico fiscale<br />
ancora non precisamente determinato<br />
e solo impropriamente determinabile<br />
per inferenza rispetto alla circolazione<br />
di beni immobiliari. La questione del carico<br />
fiscale che i privati devono sostenere<br />
in tutte queste (diverse) ipotesi diviene<br />
quindi assai rilevante, non solo in<br />
termini generali di equità del prelievo<br />
tributario, ma per i riflessi che la fiscalità<br />
determina sull’attuabilità delle previsioni<br />
di piano. Maggiore è il carico fiscale,<br />
minore è infatti la possibilità che<br />
il proprietario aderisca alla proposta di<br />
ricomposizione fondiaria (o di cessione<br />
del titolo volumetrico), salvo che non<br />
venga correlativamente innalzata la potenzialità<br />
volumetrica complessivamente<br />
perseguibile. L'amministrazione comunale,<br />
in altre parole, dovrebbe intervenire<br />
con un incentivo assai oneroso<br />
per la collettività (l'innalzamento della<br />
dotazione volumetrica, con tutte le conseguenti<br />
implicazioni sul piano della sostenibilità)<br />
per bilanciare gli effetti di un<br />
costo di transazione indotto dalle scelte<br />
di altri livelli di governo (dai quali dipendono<br />
in maniera esclusiva le politiche fiscali<br />
sulla circolazione dei diritti reali).<br />
Raccogliendo l'eco del dibattito che si è<br />
acceso negli ultimi anni attorno a questa<br />
decisiva questione, il legislatore nazionale<br />
è intervenuto ed ha limitato (da<br />
ultimo con l’art. 1, comma XXV, della l.<br />
244/2007) all'1 % l'aliquota della imposta<br />
di registro ed ha sottoposto alle<br />
imposte catastali e ipotecarie in misura
Dossier<br />
fissa i trasferimenti che riguardino beni<br />
immobili ricompresi in ambiti pianificatori<br />
esecutivi (id est piani attuativi perequativi).<br />
La conseguenza (sino ad ora<br />
rimasta in ombra) di questa drastica riduzione<br />
dei costi di transazione è rappresentata<br />
da un significativo ribasso<br />
della soglia di pareggiamento costivantaggio<br />
per i proprietari che consente<br />
ai comuni di assegnare potenzialità<br />
volumetriche più contenute e dunque<br />
maggiormente sostenibili sul piano ambiental-territoriale,<br />
aprendo spazi ad una<br />
autentica perequazione 'verso il basso'.<br />
9. La compensazione infrastrutturale e<br />
paesaggistico-ambientale<br />
La possibilità di introdurre nel piano<br />
la perequazione rimane strutturalmente<br />
condizionata al ricorrere di precise<br />
condizioni spaziali, non sempre verificabili.<br />
Per quanto, sulla scia delle possibilità<br />
aperte dalle leggi regionali si possa<br />
parlare anche di 'comparti discontinui'<br />
connotati da receiving areas non attigue<br />
a quelle che producono i diritti edificatori<br />
(sending areas) e sia stata introdotta<br />
la perequazione estesa, l'applicazione<br />
di questi modelli non è sempre<br />
possibile, specie nei tessuti della città<br />
consolidata.<br />
Nei piani, anche in quelli di più moderna<br />
concezione, si continua a prevedere<br />
in molti casi (anche in abbinamento<br />
con la perequazione parziale) il ricorso<br />
al vincolo preespropriativo ed, entro<br />
il termine di cinque anni, il ricorso all'espropriazione.<br />
Anche in relazione a<br />
queste fattispecie la legislazione regionale<br />
è comunque intervenuta segnando<br />
– come si è visto - una netta ed autentica<br />
discontinuità rispetto agli schemi<br />
tralatizi.<br />
L’idea di fondo è nel senso di evitare<br />
che la vicenda ablatoria si risolva per il<br />
privato unicamente in un impoverimento,<br />
tanto da indurre il destinatario ad<br />
opporsi strenuamente (anche in via giurisdizionale)<br />
alle pubbliche iniziative che<br />
incidono così negativamente sulla sua<br />
sfera patrimoniale. Per perseguire questo<br />
obiettivo, a cui si lega direttamente<br />
l'effettività dei processi di formazione<br />
della città pubblica, è stato introdotto -<br />
come detto - l'istituto della compensazione<br />
infrastrutturativa. Anche in questi<br />
casi la funzione precipua dell'amministrazione<br />
non è quella di esercitare<br />
l'autorità, quanto piuttosto quella di incentivare<br />
la decisione razionale del pri-<br />
vato verso la cessione bonaria, in una<br />
logica dietro la quale si riaffaccia quella<br />
microeconomia <strong>urbani</strong>stica entro cui -<br />
proprio come nella perequazione - rivestono<br />
un ruolo fondamentale approcci<br />
neocomportamentali e modelli di formazione<br />
delle preferenze individuali.<br />
Al proprietario del terreno gravato da<br />
un vincolo è assicurata – per effetto di<br />
alcune norme regionali (Emilia Romagna,<br />
Toscana, Puglia, Umbria, Veneto,<br />
Lombardia, Friuli V. G., Provincia di<br />
Trento) - una utilità costituita da altre<br />
aree edificabili o da crediti compensativi<br />
trasferibili (in Veneto altrimenti definiti<br />
'crediti edilizi'). Questa tendenza., del<br />
resto, ha le sue radici dirette nella sollecitazione<br />
formulata dalla Corte costituzionale<br />
nella fondamentale sentenza<br />
179/1999.<br />
Ancora un volta sono le ragioni<br />
dell’efficienza, più che un ripensamento<br />
valoriale del rapporto proprietà-potere<br />
amministrativo, ad imporre soluzioni<br />
compensative alternative all’esproprio.<br />
Guardando alla compensazione, va<br />
sottolineata l’innovazione dalla possibilità<br />
di corrispondere l'indennizzo mediante<br />
una atipica datio in solutum ad effetti<br />
non reali (che non si sostanza cioè<br />
nell’attribuzione di un bene, bensì di un<br />
‘credito compensativo’). L’effettività della<br />
funzione infrastrutturativa si ricollega<br />
direttamente alla percezione che il proprietario<br />
si forma circa la concretezza<br />
delle possibilità di futuro ‘atterraggio’ di<br />
tale credito compensativo. Il soddisfacimento<br />
della pretesa indennitaria – come<br />
si è detto – viene infatti differito al<br />
momento (incerto) in cui l’attributario<br />
del credito dispiegherà personalmente<br />
tale capacità volumetrica su un fondoaccipiente<br />
o, più frequentemente, un<br />
altro privato, acquisendo a titolo oneroso<br />
il credito compensativo (tramite<br />
‘girata’ del correlativo titolo), garantirà<br />
al proprietario ablato il controvalore del<br />
fondo. Quest’ultimo soggetto è quindi<br />
posto di fronte all’alternativa tra preferire<br />
la immediata liquidazione<br />
dell’indennizzo in denaro (il che rimetterebbe<br />
l’amministrazione di fronte alla<br />
propria endemica penuria di risorse finanziarie)<br />
oppure accettare il credito<br />
ed il conseguente differimento della<br />
percezione del controvalore riferito al<br />
fondo che egli cede anticipatamente.<br />
L’offerta di crediti compensativi va quindi<br />
accompagnata da meccanismi di atterraggio<br />
preferenziale e prioritario dei<br />
suddetti crediti rispetto ai diritti edifica-<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 47<br />
tori. In altre parole, sarebbe fortemente<br />
penalizzante che si lasciasse residuare<br />
una sorta di concorrenza tra le due<br />
tipologie di titoli volumetrici scambiabili,<br />
facendoli convergere in un unico mercato:<br />
poiché i diritti edificatori vengono<br />
assegnati al momento dell’entrata in vigore<br />
del piano, mentre i crediti compensativi<br />
si manifestano in una fase necessariamente<br />
successiva (in seguito<br />
alla cessione dell’area al comune: infra),<br />
vi è il rischio che in tale momento<br />
le possibilità di atterraggio si siano ormai<br />
fortemente ridotte. Occorre quindi<br />
prevedere una sorta di ‘riserva’ di atterraggio;<br />
i permessi di costruire rilasciabili<br />
sui fondi-accipenti dovranno presupporre<br />
l’allegazione di una certa aliquota<br />
volumetrica prodotta da crediti<br />
compensativi (e non solo da diritti edificatori):<br />
si indice così una domanda di<br />
titoli volumetrici orientata preferenzialmente<br />
ai crediti compensativi, dal cui<br />
effettivo atterraggio dipende la formazione<br />
di segmenti strategici della città<br />
pubblica. E’ inoltre possibile che i registri<br />
dei diritti e crediti edificatori prevedano<br />
la possibilità di una ‘iscrizione<br />
anticipata’: il credito – pur venendo assegnato<br />
solo in seguito alla cessione<br />
del terreno all’amministrazione – potrebbe<br />
essere iscritto in una sezione<br />
speciale del registro sin dalla fase di<br />
apposizione del vincolo. In tal modo, i<br />
proprietari dei fondi-accipenti (e dei<br />
promotori immobiliari) avrebbero la<br />
possibilità, sin dall’entrata in vigore del<br />
piano, di sollecitare la circolazione del<br />
credito: la pressione della domanda<br />
fungerebbe da volano dell’intero sistema.<br />
Tornando alla disciplina sostanziale<br />
dell'espropriazione, anche se dopo<br />
l’intervento della Corte costituzionale e<br />
del legislatore nazionale la forbice si è<br />
molto ridotta, tra la soluzione espropriativa<br />
e quella compensativa rimane<br />
una differenza quantitativa: la compensazione<br />
comporta l’attribuzione al proprietario<br />
di aree o crediti di valore pari<br />
a quello del fondo espropriato. Alcune<br />
regioni (Puglia e Toscana) avevano originariamente<br />
previsto una attribuzione<br />
compensativa "in luogo dell'indennità<br />
spettante per l'espropriazione"<br />
(indennità che, anche dopo la sentenza<br />
C. cost. 348/2007, si mantiene<br />
in alcune fattispecie per un 25 % inferiore<br />
al valore venale del bene espropriato:<br />
cfr. art. 2, comma 89, l. 24 dicembre<br />
2007, n. 244), mentre altre
48 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Dossier<br />
regioni (Lombardia, Veneto), già prima<br />
dei ‘sommovimenti’ del 2007, avevano<br />
fatto direttamente riferimento al valore<br />
venale quale unico possibile controvalore.<br />
L’introduzione della compensazione,<br />
già prima dei più recenti arresti della<br />
Corte costituzionale, aveva messo a<br />
fuoco i tratti di un diritto di proprietà insuscettibile<br />
di compressioni anche di<br />
fronte al potere espropriativo. Nel complesso,<br />
si è in presenza di un ripensamento<br />
radicale dell’espropriazione, che<br />
riporta alle origini di questo istituto. Secondo<br />
l'art. 39 della l. 25 giugno<br />
1865, n. 2359, l'indennità dovuta consisteva<br />
"nel giusto prezzo che, a giudizio<br />
dei periti, avrebbe avuto l'immobile<br />
in una libera contrattazione di compra<br />
e vendita": questa posizione era coerente<br />
con le indicazioni derivanti<br />
dall'art. 29 dello Statuto Albertino e<br />
con l'art. 438 del codice civile del<br />
1865 ed aveva indotto la dottrina<br />
dell’epoca - - a ricostruire l'istituto espropriativo<br />
alla stregua di un<br />
"fenomeno giuridico di conversione …<br />
non di sottrazione di diritti", con la conseguenza<br />
che "l'indennità esplicitamente<br />
contemplata dalla presente disposizione<br />
è il risarcimento obbiettivo consistente<br />
nel giusto prezzo dell'immobile espropriato".<br />
La pubblica utilità fungeva<br />
unicamente da necessaria giustificazione<br />
causale entro una vicenda di matrice<br />
propriamente contrattuale. Se il potere<br />
amministrativo teneva luogo del<br />
consenso del proprietario, restava fermo<br />
l’obbligo (una vera e propria obbligazione)<br />
dell'amministrazione di corrispondere<br />
una somma pari al prezzo di<br />
mercato. Tuttavia già con la legge 15<br />
gennaio 1885, n. 2892, si affacciò il<br />
diverso principio secondo cui l'indennità<br />
di esproprio poteva essere sganciata<br />
dal giusto prezzo di mercato. L'indennità<br />
poteva dunque essere quantificata<br />
secondo un canone normativo, derivante<br />
dalla media del valore venale e dei<br />
fitti coacervati nell'ultimo decennio.<br />
Questa modalità di determinazione<br />
dell'indennità di esproprio, introdotta<br />
per facilitare 'il risanamento della città<br />
di Napoli' (il cui centro densamente abitato<br />
necessitava di interventi di<br />
'sventramento' atti a porre rimedio<br />
all'insalubrità che aveva favorito la devastante<br />
epidemia colerica del 1884),<br />
verrà ripresa nella importante legge 7<br />
luglio 1907, n. 429, sulle espropriazioni<br />
per opere ferroviarie e nelle succes-<br />
sive leggi di approvazione dei piani <strong>urbani</strong>stici<br />
delle principali città. Di lì, attraverso<br />
vicende che qui non è il caso<br />
di riassumere, giungerà di fatto sino alla<br />
stagione del presente. Il d.P.R. 8<br />
giugno 2001, n. 327, nella sostanza,<br />
si era infatti mantenuto aderente a<br />
questa impostazione di fondo e solo<br />
l’impatto della giurisprudenza della Corte<br />
Europea dei Diritti dell’Uomo ha determinato<br />
lo scardinamento di questo<br />
paradigma.<br />
La compensazione esprime – anche<br />
semanticamente – l’immagine di una<br />
mera conversione del diritto di proprietà<br />
(una emptio ab invito) in una diversa<br />
utilità di matrice <strong>urbani</strong>stica, la cui attribuzione<br />
preserva tuttavia – dal punto<br />
di vista quantitativo – l’integrità patrimoniale<br />
del proprietario. L'introduzione<br />
della compensazione quale metodo destinato<br />
a prendere il posto dell'espropriazione<br />
si configura quindi come un<br />
definitivo superamento dell’antica tradizione<br />
giuridica italiana e pare far recedere<br />
sullo sfondo i contenuti sociali che<br />
secondo la Costituzione temperano la<br />
pienezza della situazione proprietaria.<br />
Nella frizione tra questi due valori nella<br />
legislazione regionale viene infatti la<br />
consistenza patrimoniale del diritto proprietario<br />
viene assunta in guisa di un<br />
valore intangibile, rispetto al quale non<br />
sono ammessi bilanciamenti.<br />
Si aprono inoltre dei problemi sul piano<br />
applicativo. Le discipline regionali e<br />
pressochè tutti i piani omettono ogni indicazione<br />
circa le forme e la natura giuridica<br />
che dovrà assumere l'atto di offerta<br />
al privato (non è detto, ed esempio,<br />
in quale fase del procedimento espropriativo<br />
tale atto dovrà intervenire,<br />
con quali garanzie per il privato, con<br />
quali conseguenze in caso di legittimo<br />
rifiuto da parte di quest'ultimo<br />
nell’eventualità di proposta incongrua).<br />
Vi è poi una serie di questioni che si legano<br />
alla mancata generalizzazione di<br />
questo strumento. In difetto di una rigorosa<br />
gerarchizzazione delle priorità<br />
infrastrutturative, sulla base di quali<br />
criteri si selezioneranno i casi meritevoli<br />
di compensazione, creando inevitabili<br />
disparità tra due categorie di proprietari:<br />
i 'cessionari-compensati' e gli<br />
'espropriati-indennizzati'? L'aporia sta a<br />
monte: trattandosi di decisione produttiva<br />
di effetti sul versante<br />
dell’uguaglianza tra i proprietari, pare<br />
strutturalmente incongrua l’attribuzione<br />
di un potere discrezionale all'ammini-<br />
strazione. Ed ancora, quali responsabilità<br />
assumerà il funzionario comunale<br />
che acceda ad una soluzione compensativa,<br />
comunque più onerosa per la<br />
collettività (in termini di consumo di<br />
suoli) rispetto ad una ordinaria procedura<br />
espropriativa finanziata con le risorse<br />
fiscali? Se la compensazione costituisce<br />
espressione di una decisione<br />
dai margini così ampiamente discrezionali<br />
(al limite della potestatività), appare<br />
davvero arduo configurare un modello<br />
di tutela. Si ripropone dunque il tema<br />
della ricostruzione di un adeguato sistema<br />
di garanzie a fronte della nuove forme<br />
che assume l’attività di governo del<br />
territorio.<br />
Mediante la compensazione si prefigura<br />
uno schema 'forte' della proprietà,<br />
ma l'<strong>urbani</strong>stica che persegua una<br />
maggior effettività del piano non può<br />
continuare a recepire alla stregua di un<br />
a priori intangibile le tracce più ingombranti<br />
di un modello insediativi inflativo<br />
e dozzinale sedimentatesi nel tempo.<br />
Nel punto di snodo in cui il governo del<br />
territorio converge con l’espressione<br />
più avanzata della disciplina paesaggistica,<br />
viene in gioco una diversa forma<br />
di compensazione (spesso applicata –<br />
come detto - in combinazione con forme<br />
di incentivazione). Anche l’obiettivo<br />
della rimozione dei manufatti incongrui<br />
si persegue stimolando l'iniziativa dei<br />
privati a muoversi nella direzione indicata<br />
dal piano, creando cioè le condizioni<br />
affinché i detrattori percettivi vengano<br />
eliminati. Alcune regioni (Calabria, Veneto,<br />
Umbria) prevedono espressamente<br />
che il proprietario possa essere<br />
gravato da obbligazioni di facere (in alcuni<br />
casi si tratta di sollecitazioni, in altri<br />
casi vere e proprie imposizioni, che<br />
appartengono alla categoria degli ordini),<br />
la cui legittimità si correla direttamente<br />
all’attribuzione di 'crediti compensativi'<br />
idonei a ristorare pienamente<br />
i proprietari dagli oneri esorbitanti di riqualificazione<br />
urbana. Si è detto che<br />
sovente la previsione di ‘premi<br />
volumetrici’ è considerata sufficiente a<br />
garantire che le indicazioni del piano<br />
assumano concretezza. Ma il nuovo diritto<br />
<strong>urbani</strong>stico regionale non mostra<br />
unicamente questo volto 'mite'. Talune<br />
leggi regionali contemplano - quale extrema<br />
ratio - l'esproprio. L'espropriazione-compensazione,<br />
fallito ogni altro<br />
strumento di incentivazione, può dunque<br />
costituire lo strumento di cui si<br />
profila l'impiego per l’eliminazione delle
Dossier<br />
"costruzioni e degli esiti di interventi …<br />
che per impatto visivo, per dimensioni<br />
planivolumetriche o per caratteristiche<br />
tipologiche e funzionali, alterano in modo<br />
permanente l'identità storica, culturale<br />
o paesaggistica dei luoghi" o ancora,<br />
- come prevede una legge lombarda<br />
- per favorire il recupero degli opifici dismessi.<br />
Ciò in un quadro in cui fra le<br />
funzioni sociali a cui è orientata la proprietà<br />
assume uno spazio autonomo<br />
l’interesse alla riqualificazione formale<br />
del paesaggio urbano mediante<br />
l’eliminazione di iconemi negativi che in<br />
molti centri dequalificano pesantemente<br />
il paesaggio urbano. In tal modo,<br />
grazie a questa forma di compensazione,<br />
il catalogo degli strumenti per incidere<br />
in termini reali sull'assetto materiale<br />
della città esistente risulta decisamente<br />
più completo.<br />
10. Le differenze tra diritti edificatori e<br />
crediti compensativi<br />
La scarsa consapevolezza delle differenze<br />
tra la perequazione e la compensazione<br />
fa sì che uno dei profili su cui i<br />
piani mantengono una notevole incertezza<br />
terminologica e concettuale attiene<br />
alla dicotomia tra diritti edificatori e<br />
crediti compensativi. Sul piano teorico<br />
si profila invece una netta distinzione<br />
tra i titoli volumetrici scambiabili che si<br />
assegnano ai proprietari coinvolti nella<br />
perequazione (diffusa) e nella compensazione<br />
(infrastrutturale ed ambientalepaesaggistica).<br />
E’ opportuno rimarcare<br />
tale distinzione caso – come si è fatto<br />
sin ad ora - anche sul piano semantico.<br />
Questi titoli volumetrici scambiabili a<br />
titolo oneroso, indipendentemente dalla<br />
circolazione del fondo (scorporabili cioè<br />
dal fondo), consentono al titolare (od al<br />
cessionario) di beneficiare di una quota<br />
dei risultati economici conseguibili per<br />
effetto della trasformazione di un fondo<br />
-accipiente. Le due tipologie di titoli volumetrici<br />
profilate differiscono in primo<br />
luogo in ragione della finalità a cui assolvono<br />
(diversità teleologico-causale).<br />
Il diritto edificatorio costituisce lo<br />
strumento per allocare dotazioni volumetriche<br />
anche su fondi materialmente<br />
non trasformabili, con lo scopo di consentire<br />
ai rispettivi proprietari di concorrere<br />
comunque alla distribuzione dei<br />
benefici economici indotti dal piano; secondo<br />
il tipico schema delle previsioni<br />
conformative, il diritto edificatorio viene<br />
ad accedere al fondo, anche se tale potenzialità,<br />
prodotta dal fondo, non sarà<br />
dispiegabile sul fondo. Dalla circolazione<br />
del titolo espressivo di un carattere<br />
<strong>urbani</strong>stico del fondo deriverà un risultato<br />
patrimonialmente vantaggioso per<br />
il proprietario del fondo-sorgente (e del<br />
titolo che ‘incorpora’ tale carattere). Una<br />
redistribuzione privata successiva<br />
consentirà di ‘perequare’ le differenze<br />
derivanti dal diverso statuto edificatorio<br />
dei suoli (ed in caso sia prevista la cessione<br />
del fondo-sorgente<br />
all’amministrazione consentirà a<br />
quest’ultima di risparmiare il costo degli<br />
indennizzi).<br />
Il credito compensativo assolve invece<br />
ad una funzione tipicamente indennitario-compensativa,<br />
a ristoro dei ‘pesi’<br />
imposti dal piano ai proprietari di specifici<br />
fondi. Il credito compensativo accresce<br />
quindi, in funzione di riequilibrio, il<br />
patrimonio del proprietario di tali fondi,<br />
garantendo a tale soggetto, in seguito<br />
alla circolazione del credito, la possibilità<br />
di ottenere un risultato economico<br />
che ne ripristini la originaria consistenza<br />
patrimoniale. Il sintagma ‘credito<br />
compensativo’ esprime quindi con pregnanza<br />
i tratti di un sequenza entro la<br />
quale il proprietario che adempie ad una<br />
obbligazione <strong>urbani</strong>stica ottiene il ristoro<br />
non mediante una contestuale<br />
controprestazione da parte<br />
dell’amministrazione (come accadrebbe<br />
in caso di immediata liquidazione di una<br />
indennità in numerario o come accade<br />
quando al privato viene assegnata in<br />
permuta un’altra area), bensì tramite<br />
l’assegnazione di un titolo che garantisce<br />
a tale soggetto un soddisfacimento<br />
differito, conseguente ad un’altra vicenda<br />
giuridica di circolazione del suddetto<br />
titolo. Anche in questo caso è una redistribuzione<br />
privata a garantire il controvalore<br />
dell’obbligazione <strong>urbani</strong>stica adempiuta<br />
e l’amministrazione risparmia<br />
il costo dell’indennizzo.<br />
Questi titoli differiscono anche in ragione<br />
del rispettivo regime giuridico.<br />
I diritti edificatori sono assegnati direttamente<br />
dal piano, alla stregua di un<br />
carattere giuridico-<strong>urbani</strong>stico del fondo.<br />
Sono scambiabili dal momento della<br />
approvazione del piano e ne costituiscono<br />
un ‘prodotto’ diretto.<br />
I crediti compensativi sono (sovente)<br />
quantificati dal piano (in stretta proporzione<br />
alle prestazioni imposte al proprietario)<br />
ma assegnati al soggetto proprietario<br />
del fondo vincolato o gravato<br />
da obbligo di facere solo ad esito della<br />
effettiva cessione del fondo o<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 49<br />
dell’esatto adempimento<br />
dell’obbligazione di riqualificazione paesaggistico-ambientale.<br />
Sono scambiabili<br />
solo dopo l’assegnazione, in seguito ad<br />
una particolare vicenda attuativa del piano<br />
<strong>urbani</strong>stico generale.<br />
Da ultimo, le due diverse tipologie di<br />
titoli volumetrici reagiscono poi in maniera<br />
diversa al riesercizio del potere<br />
pianificatorio da parte<br />
dell’amministrazione.<br />
I diritti edificatori rimangono immanentemente<br />
sottoposti al potere di revisione<br />
del piano da parte<br />
dell’amministrazione (salvo che il comune<br />
– alla stregua di un autolimite – non<br />
dichiari di voler tenere ferma tali attribuzione<br />
per un certo numero di anni,<br />
magari già preannunciando il dissolvimento<br />
progressivo dei diritti decorso<br />
tale periodo di stabilità garantita). Una<br />
diversa regola dovrebbe invece valere<br />
per i crediti compensativi, che costituiscono<br />
il risultato di una prestazione<br />
che il privato ha già assolto (cedendo la<br />
propria area o riqualificando un proprio<br />
manufatto).<br />
Le rilevanti questioni che restano aperte,<br />
il cui approfondimento (si pensi<br />
alla estensibilità di schemi proprie dei<br />
titoli di credito) per alcuni versi travalica<br />
il diritto amministrativo, rischiano<br />
quindi di frenare la circolazione di questi<br />
titoli, con effetti penalizzanti per la<br />
realizzazione delle dotazioni territoriali.<br />
Ne risulterebbe penalizzata la formazione<br />
della parte pubblica della città e<br />
dunque la costruzione della coesionesociale<br />
- valore essenziale per tutti i cittadini<br />
e non solo per i proprietari immobiliari<br />
- a cui è sottesa la funzione<br />
più alta dell’<strong>urbani</strong>stica ed ai suoi innovati<br />
strumenti.<br />
Nota di redazione<br />
Per questioni di spazio, l’articolo del prof. Emanuele<br />
Boscolo viene qui riproposto privo<br />
del ricco apparato di note e di approfondimenti<br />
bibliografici. I lettori interessati ad approfondire<br />
i contenuti del saggio possono contattare<br />
direttamente la redazione per averne<br />
una copia integrale.
50 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Vita associativa<br />
Est-etica energ-etica<br />
nella PIANIFICAZIONE<br />
di Paola Ischia (Commissione nazionale INU “Piano, energia ed ambiente”)<br />
L<br />
’Inu ha attivato la Commissione nazionale<br />
“Piano, energia ed ambiente” che opererà, integrandosi<br />
con il “sistema Inu” (altre Commissioni,<br />
Gruppi di lavoro, Osservatori) in un Programma<br />
per «…una riforma sostanziale dei contenuti e delle<br />
forme dell’azione di governo territoriale, in quanto le<br />
condizioni energetico-ambientali delle città del nostro<br />
Paese non si prestano a correzioni marginali o a risposte<br />
meramente tattiche; l’urgenza dei problemi<br />
da risolvere impone al piano riformato (“Nuovo Piano”)<br />
di confrontarsi fin d’ora con alcune “grandi questioni”<br />
per ridurre la domanda di energia, anche concorrendo<br />
a ricostruire il sistema della mobilità».<br />
La XIV conferenza ONU sul clima a Poznan in Polonia,<br />
a dicembre 2008, ha articolato il percorso verso<br />
la Cop 15 (Conference of Parties) United Nations<br />
Climate Change Conference, prevista a Copenaghen<br />
a dicembre 2009, in cui 189 paesi si riuniranno per<br />
riformulare il protocollo di Kyoto.<br />
In campo teorico, sono molteplici gli incontri,<br />
convegni, seminari, sulla questione climaticoenergetica<br />
in rapporto alla pianificazioneprogrammazione<br />
e si stanno sviluppando progetti<br />
di ricerca che, va evidenziato, hanno mosso i<br />
primi passi fin dagli anni ’70.<br />
In campo operativo, peraltro, si riscontra una paradossale<br />
mancanza di : …domanda di pianificazione!<br />
SAIE (Salone dell’industrializzazione edilizia) a Bologna,<br />
ha introdotto il settore SAIENERGIA, illustrando<br />
progetti innovativi, presentando nuovi materiali sperimentali<br />
e discutendo problematiche in convegni. UR-<br />
BANPROMO, evento di marketing urbano e territoriale,<br />
ha ospitato, a novembre a Venezia, la premiazione<br />
della prima edizione del Concorso Nazionale<br />
“Energia sostenibile nelle città”, promosso da INU e<br />
Ministero dell’Ambiente che introduce in Italia i temi<br />
della Campagna “Sustainable Energy Europe - SEE”,<br />
premiando nella sezione A “Metodologia”, il Comune<br />
di Bologna, per l’applicazione del Piano Energetico al<br />
Piano Strutturale e, nella sezione B “Progetti energeticamente<br />
sostenibili”, il Comune di Faenza, per il<br />
quartiere sperimentale di San Rocco. A Venezia sono<br />
stati inoltre organizzati gli incontri: “Energia, paesaggio<br />
e valori” (SIEV Società italiana di Estimo e Valutazione),<br />
“Linee guida per regolamenti edilizi sostenibili”<br />
e “Pianificazione, contabilità ambientale e cambiamenti<br />
climatici” che ha trattato esperienze di contabilizzazione<br />
fisica e monetaria, azioni di mitigazione<br />
ed azioni di adattamento.<br />
La Commissione INU “Piano, energia ed ambiente”<br />
con il Coordinamento Agenda21 locali, ed il patrocinio<br />
del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio<br />
e del Mare, ha organizzato a Bologna la Conferenza<br />
Nazionale “Il clima delle città, le città per il<br />
clima”.<br />
Nell’insieme delle azioni virtuose appare imprescindibile<br />
spostare l’attenzione dal singolo edificio al complesso,<br />
al tessuto, all’organismo urbano: è necessario<br />
razionalizzare, cooperare ed organizzare.<br />
In un’intensa e diretta riflessione sulla nuova politica<br />
americana per la riduzione di emissioni di CO2, apparsa<br />
sul quotidiano la Repubblica, lo scrittore Ian<br />
McEwan, sottolinea «…la faccenda dunque sta passando<br />
da questione di virtù, idealismo e tetri inviti<br />
all’abnegazione, tutte cose di cui i governi, mercati<br />
ed elettori diffidano, a una questione di interesse egoistico<br />
e necessità, argomenti per cui tutti nutriamo<br />
rispetto. (…) Non fare niente è semplicemente<br />
troppo costoso!». La nuova politica si avvarrà delle<br />
tecnologie più avanzate (al MIT, Massachusetts Institute<br />
of Technology di Boston, sono allo studio dinamiche<br />
ispirate alla fotosintesi), capaci di incidere sui<br />
sistemi occupazionali ma esse troveranno efficace<br />
applicazione solo in un sistema coordinato, pianificato.<br />
Jeremy Rifkin ha delineato la terza rivoluzione industriale,<br />
caratterizzata da hi-tech e combustibili<br />
green, dopo quelle generate da carbone e petrolio,<br />
che comporterà un totale rinnovamento<br />
dell’infrastrutturazione del territorio, delle città, delle<br />
reti (intergrid).<br />
Anche la tanto discussa XI Biennale Internazionale di<br />
Architettura di Venezia, non ha trascurato ricerche<br />
sul tema, in particolare nel padiglione svizzero o in<br />
quello danese che ha concentrato l’attenzione<br />
sull’appuntamento di Copenaghen 2009 Cop15, attraverso<br />
l’insieme di iniziative raccolte in “ecotopedia<br />
walk the talk” a cura del <strong>DA</strong>C Danish architecture<br />
centre. Sono state presentate le trasformazioni di<br />
sette città: Bogotà, Chicago, Vancouver, Melbourne,<br />
Shanghai, Copenhagen, Dar es Salaam (Tanzania).<br />
Attraverso www.sustainablecities.dk è stato lanciato<br />
un database globale per la pianificazione sostenibile.<br />
Questo tema caratterizzerà l’Expo 2010 a Shanghai<br />
“Better City, Better Life”: laboratorio che vorrà interfacciare<br />
architetti, pianificatori, esperti, politici e cittadini.
Vita associativa<br />
Gli approcci risolutivi, i temi presentati, non sono<br />
certo straordinari o di sorprendente portata innovativa.<br />
Si tratta semplicemente di rendere effettivi dei<br />
principi alla base di una corretta progettazione urbana:<br />
la città compatta, la mobilità prevalente a livello<br />
pedonale e ciclabile, la realizzazione di spazi che consentano<br />
e rendano appunto gradevole la mobilità<br />
non veicolare (è citato il successo dell’esperienza<br />
Barcellona 100 luoghi, per la riqualificazione degli<br />
spazi pubblici); l’ampia presenza di vegetazione efficace<br />
nel migliorare la qualità dell’aria, la coerenza<br />
degli spazi aperti del tessuto urbano. Su<br />
quest’ultimo aspetto il professor Jan Gehl di Copenaghen<br />
lancia una riflessione: di per sé gli edifici green,<br />
non fanno una città sostenibile! Dubai, viene definita<br />
“una collezione di edifici sostenibili” e non una<br />
città. È imprescindibile un’azione globale, una conoscenza<br />
e capacità critica diffusa: deve essere ridotta<br />
la quantità di energia che ogni cittadino utilizza. È necessario<br />
controllare l’espansione crescente di città<br />
in Asia ed Africa, centri che non devono ripetere gli<br />
errori delle città occidentali come sta succedendo in<br />
Cina, dove interi nuovi quartieri nascono in forte dipendenza<br />
dalle auto. A Bogotà in Colombia è stata<br />
attivata una precisa azione politica: chiusura al traffico<br />
di molte arterie e concessione di mobilità esclusivamente<br />
ciclabile nei giorni festivi. In Australia a Melburn<br />
si è voluto introdurre lo “stile Copenaghen” di<br />
mobilità ciclabile. A New York, Michael Bloomberg<br />
ha promosso, attraverso il Piano dei trasporti,<br />
6.000 Km di nuove piste ciclabili. L’intento è quello<br />
di avviare il “secolo delle biciclette” per liberarsi dalla<br />
dipendenza dai combustibili fossili. È possibile progettare<br />
città più sicure, sane, sostenibili, potenziando<br />
gli spazi collettivi e pubblici di relazione: muoversi<br />
nelle città usando la propria energia personale, rende<br />
la città più sana.<br />
Gli strumenti per ridurre l’impronta ecologica sono<br />
noti: attenzione per l’orientamento e cura del disegno,<br />
risparmio dell’uso del suolo, utilizzo di materie<br />
prime e tecnologie locali, sperimentazioni di agricoltura<br />
urbana, ottimizzazione di cicli per acqua, trasporti<br />
e rifiuti, trasformabili come in natura attraverso<br />
processi circolari, in nutrienti. È fondamentale inoltre<br />
spostare lo sguardo su guadagni a lungo termine<br />
e far prevalere gli interessi collettivi sugli interessi<br />
individuali. Nuove visioni del vivere urbano intrecciano<br />
l’innovazione tecnologica agli spazi di relazione<br />
sociale o professionale: sono auspicati nuovi<br />
cittadini e nuovi architetti e pianificatori che sappiano<br />
riconcettualizzare il loro lavoro. Emerge infatti il<br />
problema dell’eccesso di pianificazione di settore e<br />
l’esigenza di operare integrazioni e sintesi. È fondamentale<br />
inoltre programmare il risanamento energetico<br />
del patrimonio costruito esistente. Certo gli studiosi<br />
avvertono: la creatività della popolazione è importante<br />
ma senza una politica internazionale, non<br />
sarà possibile compiere i cambiamenti in tempi sufficientemente<br />
rapidi.<br />
La questione energ-etica è anche est-etica: le città,<br />
gli spazi pubblici, devono essere “belli”: se un luogo<br />
non è vivibile, la popolazione non ne fruirà mai in modalità<br />
pedonali o ciclabili e non assumerà comportamenti<br />
virtuosi. La città storica ci trasmette la consapevolezza<br />
di come gli spazi <strong>urbani</strong> siano un insieme<br />
di studiati luoghi di micro-clima. L’Italia potrebbe acquisire,<br />
recuperare, un ruolo di primo piano a livello<br />
internazionale: Siena è globalmente individuata tra le<br />
città a minor impronta ecologica. Solo luoghi di qualità<br />
potranno innescare il rinnovamento della modalità<br />
abitativa del pianeta che appare oggi, ogni momento<br />
di più, imprescindibile.<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 51<br />
Nella pagina accanto,<br />
una veduta di New York<br />
(foto di Gabriele Basilico);<br />
qui sopra, una<br />
veduta aerea di Bogotà,<br />
con la ragnatela delle<br />
piste ciclabili (foto di<br />
Giovanna Silva)
52 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Vita associativa<br />
Il Governo del Territorio:<br />
un corso dell’Inu/Trentino<br />
di Giovanna Ulrici<br />
I<br />
l Governo del Territorio, di cui la pianificazione<br />
è solo una componente seppure fondamentale,<br />
è sempre più al centro della riflessione<br />
disciplinare attualmente interessata<br />
da una fase di rapida innovazione.<br />
I piani, comunque denominati, sono uno strumento<br />
interessato da profonda trasformazione,<br />
ma accanto ad essi vi sono altri nuovi<br />
strumenti utili per raggiungere obiettivi, come<br />
i programmi, le politiche territoriali che possono<br />
mettere in campo le amministrazioni locali<br />
e regionali, nuove formule di rapporti pubblico-privato.<br />
C’è una nuova generazione di piani figli di legislazioni<br />
<strong>urbani</strong>stiche innovative in numerose<br />
regioni italiane, ma la Provincia Autonoma di<br />
Trento si trova alle soglie di una svolta senza<br />
paragone e della quale ha già posto le basi<br />
con le leggi della riforma emanate nella scorsa<br />
legislatura: non solo la nuova legge <strong>urbani</strong>stica,<br />
ma anche il nuovo PUP e la riforma<br />
amministrativa delle Comunità di Valle, solo<br />
per citare le maggiori nel campo della trasformazione<br />
territoriale.<br />
La pratica della pianificazione richiede quindi<br />
nuove competenze ma anche<br />
l’approfondimento e la verifica delle modalità<br />
di declinazione dei nuovi strumenti nelle specifiche<br />
realtà locali.<br />
L’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) è dalla<br />
sua fondazione vocato alla promozione degli<br />
studi <strong>urbani</strong>stici, diffondendo i principi della<br />
pianificazione: ha ritenuto quindi doveroso<br />
proporre e contribuire all’attivazione di una<br />
pratica di formazione su queste tematiche,<br />
coniugando l’illustrazione di aspetti teorici e<br />
metodologici con la presentazione di esperienze<br />
di altre regioni ed approfondimenti sulle<br />
prospettive locali.<br />
Sono stati individuati quattro temi-guida da affrontare<br />
nelle giornate di corso:<br />
- contenuti strategici e contenuti operativi della<br />
pianificazione;<br />
- il dimensionamento del piano, da tecnica a<br />
progetto;<br />
- la perequazione territoriale;<br />
- la perequazione <strong>urbani</strong>stica.<br />
I temi sono stati introdotti da docenti universitari<br />
e professionisti di chiara fama afferenti a<br />
diversi campi disciplinari (Urbanistica, Politica<br />
economica, Diritto pubblico, Estimo) e selezionati<br />
grazie alla supervisione scientifica offerta<br />
dalla Fondazione Astengo (FA), che per INU si<br />
occupa della formazione permanente. Nelle<br />
lezioni è stato dedicato ampio spazio a casistudio<br />
di recente elaborazione a livello nazionale.<br />
Ad esporre la declinazione locale dei temi<br />
trattati sono stati invitati alti funzionari della<br />
Provincia Autonoma di Trento, promotrice<br />
con INU e FA del corso. Si tratta di attori<br />
coinvolti in prima persona nella elaborazione<br />
dei documenti e degli strumenti di pianificazione<br />
locale. A loro il compito di introdurre i<br />
principi ed obiettivi alla base del nuovo PUP e<br />
della pianificazione a scala di Comunità, i criteri<br />
operativi da applicarsi nelle procedure di<br />
dimensionamento in particolare residenziale e<br />
per l’edilizia economico-popolare, gli strumenti<br />
per la perequazione previsti dalla normativa<br />
provinciale.<br />
Dal punto di vista organizzativo, il corso è stato<br />
volutamente strutturato a numero chiuso<br />
(30 iscritti) per consentire una corretta interazione<br />
con i relatori e tra i partecipanti durante<br />
le attività laboratoriali. Si è inoltre scelto<br />
di aprire alla partecipazione gli amministratori,<br />
funzionari pubblici e professionisti: nel rispetto<br />
dei rispettivi ruoli è infatti importante<br />
contribuire alla costruzione di una base culturale<br />
comune.<br />
Il corso si è concretizzato in sei appuntamenti,<br />
quattro dei quali hanno ospitato un laboratorio<br />
di esercitazione, che ha permesso di approfondire<br />
operativamente contenuti, metodi<br />
e strumenti e che ha dato spazio alla testimonianza<br />
di chi – partecipante al corso – ha offerto<br />
la propria esperienza e casi e problemi<br />
specifici affrontati nelle rispettive amministrazioni.<br />
Questa interazione, esplicitata principalmente<br />
all’interno dei gruppi di lavoro, ha rivelato la<br />
ricchezza delle esperienze locali, ma anche<br />
l’assenza di una consuetudine al confronto, in<br />
primo luogo fra Enti, sulle problematiche di<br />
governo e di pianificazione. Un risultato indiretto<br />
ma cruciale di questo corso consiste<br />
quindi nell’aver messo in evidenza il bisogno<br />
diffuso di occasioni di scambio fra gli operatori<br />
locali: questo bisogno potrà sicuramente<br />
ottenere maggior spazio nelle future auspica-
Vita associativa<br />
te edizioni del corso, e merita anche una riflessione<br />
da parte degli Enti organizzatori<br />
sull’opportunità di costruire luoghi e condizioni,<br />
affinchè si diffonda una cultura del confronto<br />
e della collaborazione. Una dimostrazione<br />
del bisogno di aggiornamento e confronto<br />
è stato l’esaurimento dei posti disponibili<br />
già due giorni dopo l’uscita del bando!<br />
A conclusione del corso sono emerse alcune<br />
criticità, tali da meritare forte attenzione.<br />
Innanzi tutto si è constatato che la rigenerazione<br />
del territorio tramite le Comunità debba<br />
accompagnarsi ad una pianificazione strategica<br />
di Comunità, e perchè ciò accada serve una<br />
capillare costruzione di reti a livello locale,<br />
una gerarchizzazione di temi e problemi, una<br />
pratica di governo del territorio che comprenda<br />
ma non si esaurisca nella pianificazione<br />
tradizionalmente intesa come produzione di<br />
piani.<br />
Il rischio che si apra una fase di grande differenziazione<br />
tra le Comunità è di fatto il rischio<br />
che solo alcune di esse possano cogliere le<br />
grandi opportunità della riforma in campo di<br />
trasformazione del territorio, e che fra le cause<br />
di esclusione possano esserci fabbisogni<br />
insoddisfatti o inespressi di competenze locali<br />
in campo paesaggistico, infrastrutturale, dei<br />
servizi.<br />
Anche per le Amministrazioni comunali si apre<br />
una nuova fase più orientata allo sviluppo<br />
della parte operativa e progettuale, e<br />
all’attivazione di politiche territoriali sperimentando<br />
nuovi strumenti di partnerariato. Questo<br />
aspetto rende cruciali alcuni strumenti,<br />
quali la perequazione territoriale che – esten-<br />
dendo i benefici del trasferimento degli indici<br />
edificabili a più comuni confinanti – potrà permettere<br />
una funzionale allocazione delle nuove<br />
iniziative finalizzata alla competitività, con il<br />
vantaggio di tutte le amministrazioni contermini<br />
e di piccole dimensioni.<br />
Ma è anche emersa la difficoltà di ritrovare -<br />
nel panorama delle esperienze italiane fino ad<br />
ora maturate - condizioni di partenza affini a<br />
quelle delle valli trentine, da un punto di vista<br />
sociale e da un punto di vista fisico/<br />
dimensionale, tali quindi da facilitare la percezione<br />
dei vantaggi dati dai nuovi strumenti: il<br />
rischio ovviamente è quello di rimandare il rinnovamento,<br />
e di cogliere solo il lato meno appetibile<br />
del lavoro che si prospetta.<br />
Infine, un grazie ai partecipanti, per la costanza,<br />
l’impegno e la passione dimostrata per<br />
questi temi. Di seguito, in ordine alfabetico i<br />
nomi degli iscritti al corso che hanno conseguito<br />
l’attestato finale di partecipazione:<br />
Stefano Bassetti, Emanuele Bernardi, Bruno<br />
Beteotti, Michele Bortoli, Lucia Brighenti, Tiziano<br />
Brunialti, Katia Buratti, Lucia Burigo,<br />
Flavio Carli, Marco Carli, Elisa Coletti, Alberto<br />
De Vecchi, Barbara Eccher, Stefano Faccenda,<br />
Marco Giovanazzi, Giorgio losi, Laura<br />
Marinelli, Ivana Martin, Elisabetta Miorelli,<br />
Loris Moar, Alessandro Moltrer, Giorgio Osele,<br />
Marco Osler, Massimo Pasqualini, Stefano<br />
Portesi, Paola Ricchi, Sandra Salvaterra,<br />
Giancarlo Sicher, Giorgio Tecilla, Enrico Tomassini,<br />
Sara Sbetti, Bianca Maria Simoncelli,<br />
Isabella Weber, Remo Zulberti.<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 53<br />
Alcuni momenti dei<br />
Laboratori organizzati<br />
all’interno del corso
54 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Vita associativa<br />
NOTIZIE <strong>DA</strong> ROMA<br />
di Giovanna Ulrici<br />
Lo scorso 15 dicembre si è svolto a Roma<br />
l’ultimo incontro del Direttivo Nazionale per<br />
l’anno 2008. Tanti gli argomenti trattati, due in<br />
particolare meritano una nota per la partecipazione<br />
cui tutti gli iscritti sono chiamati in ragione<br />
dell’interesse che rivestono nell’ambito della<br />
materia <strong>urbani</strong>stica.<br />
Innanzi tutto è stato definito il calendario delle<br />
principali future iniziative nazionali per l’anno<br />
2009 e 2010. Proprio nella primavera del<br />
2010 si terrà a Matera la prossima edizione<br />
della Rassegna Urbanistica Nazionale (R<strong>UN</strong>),<br />
senza dubbio la più impegnativa iniziativa tenuta<br />
dall’INU, essendo strutturata sulla esposizione<br />
di un migliaio di pannelli di presentazione di piani<br />
e progetti e su un intenso programma convegnistico<br />
svolto nell’arco di una intera settimana.<br />
La R<strong>UN</strong> si è fino ad oggi tenuta con cadenza<br />
quinquennale e nelle ultime tre stagioni è stata<br />
ospitata a Venezia, ma nel corso dell’ultimo Direttivo<br />
si è deciso di optare per una nuova sede<br />
in sud Italia, ad alto valore simbolico. Lo slittamento<br />
alla primavera 2010 è principalmente finalizzato<br />
a dare il giusto risalto alla R<strong>UN</strong>, privandola<br />
di possibili interferenze con le altre iniziative,<br />
ed in particolare:<br />
- un convegno nazionale, ospitato a Verona nel<br />
maggio del 2009, dedicato alla “nuova pianificazione”<br />
e fortemente voluto da INU Veneto: sarà<br />
occasione di confronto e studio sulla prima generazione<br />
di piani figli della nuova legislazione<br />
<strong>urbani</strong>stica del Veneto, della Lombardia e di altre<br />
realtà del nord-Italia;<br />
- il Congresso INU, in programma per la fine di<br />
settembre 2010 a Livorno.<br />
Infine, si terranno regolarmente ogni anno a<br />
Venezia nel mese di novembre, gli incontri di<br />
UrbanPromo, che riconferma il proprio settore<br />
di competenza nel marketing urbano e territoriale<br />
e nella presentazione di formule di partnerariato<br />
pubblico - privato di cruciale utilità per le<br />
Pubbliche Amministrazioni.<br />
Altro tema. Con grande soddisfazione INU è<br />
giunta a licenziare la proposta di Legge di riforma<br />
statale per il Governo del Territorio, che è<br />
stata consegnata alle più alte cariche parlamentari<br />
ed ai Presidenti delle Commissioni Senato<br />
e Camera competenti per materia, oltre<br />
che agli Assessorati regionali.<br />
Rispetto alle precedenti proposte di legge INU,<br />
questa si configura come una legge di principi,<br />
che evita l’invasività verso le leggi regionali e<br />
che pone al proprio fondamento il Governo del<br />
Territorio, di cui la pianificazione è solo una<br />
componente, seppure fondamentale. I piani, comunque<br />
denominati, sono uno strumento importante,<br />
ma accanto ad essi vi sono altri strumenti<br />
utili per raggiungere obiettivi, come i programmi,<br />
le politiche territoriali che possono<br />
mettere in campo le amministrazioni locali e regionali,<br />
le politiche generali dello Stato. Questa<br />
proposta di legge ritiene che tali strumenti e tali<br />
azioni vadano opportunamente coordinati e<br />
resi coerenti fra loro e con la pianificazione, e<br />
che per farlo occorra dare copertura legislativa<br />
nazionale in primis a perequazione, compensazione<br />
e fiscalità. È necessario che le innovazioni<br />
delle leggi regionali riformiste siano consolidate<br />
giuridicamente, quando coinvolgono competenze<br />
che appartengono allo Stato.<br />
Un’ulteriore ragione che induce alla necessità di<br />
una espressione nazionale in materia di legislazione<br />
<strong>urbani</strong>stica sta nell’urgenza di superare,<br />
abrogandolo, il vecchio corpo legislativo imperniato<br />
sulla legge <strong>urbani</strong>stica del 1942, già superato<br />
dalle leggi regionali riformiste, ma che<br />
essendo ancora vigente determina, a livello di<br />
giurisprudenza, contraccolpi negativi che spesso<br />
mettono in discussione le scelte innovative.<br />
La redazione della proposta di legge è stata relativamente<br />
veloce, ed ha coinvolto solo una<br />
parte degli attori ritenuti cruciali per ruolo ed esperienza:<br />
si apre quindi ora una fase in cui è<br />
auspicabile la più ampia pubblicizzazione del testo<br />
che va supportato nel suo iter parlamentare,<br />
ma anche arricchito di osservazioni e contributi<br />
che possano guidare le revisioni successive.<br />
Per questo motivo INU si farà cura di presentare<br />
e discutere il testo con Anci, UPI, ed<br />
altre associazioni coinvolte per competenza. Ma<br />
chiede ad ogni Sezione locale di promuovere il<br />
dibattito sull’argomento e di pubblicizzare la<br />
proposta di legge: a tal fine i documenti sono visionabili<br />
e scaricabili al seguente indirizzo, ove è<br />
stato inoltre aperto un blog per agevolare la<br />
partecipazione: www.inu.it/blog/<br />
proposta_legge/<br />
Buon lavoro!
Vita associativa<br />
Inu/Trentino<br />
Chi siamo, cosa vogliamo<br />
come PARTECIPARE<br />
COSA È L’INU?<br />
L’Istituto Nazionale di Urbanistica è stato fondato<br />
nel 1930 per promuovere gli studi edilizi e<br />
<strong>urbani</strong>stici, diffondendo i princìpi della pianificazione.<br />
Lo Statuto, approvato con DPR<br />
21.11.1949, definisce l’INU come “Ente di diritto<br />
pubblico ... di alta cultura e di coordinamento<br />
tecnico giuridicamente riconosciuto”<br />
(art. 1).<br />
L’INU è organizzato come libera associazione di<br />
Enti e persone fisiche, senza fini di lucro. In tale<br />
forma l’Istituto persegue con costanza nel tempo<br />
i propri scopi statutari, eminentemente culturali<br />
e scientifici: la ricerca nei diversi campi di<br />
interesse dell’<strong>urbani</strong>stica, l’aggiornamento continuo<br />
e il rinnovamento della cultura e delle tecniche<br />
<strong>urbani</strong>stiche, la diffusione di una cultura<br />
sociale sui temi della città, del territorio,<br />
dell’ambiente e dei beni culturali. Inu aderisce a<br />
CIPRA sia formalmente che con contributi ed elaborazioni<br />
di significativo valore disciplinare.<br />
La stessa composizione della sua base associativa<br />
caratterizza l’INU come luogo di scambio e<br />
di libero confronto culturale, attraverso le diverse<br />
esperienze di cui ciascun socio è portatore:<br />
da quelle scientifiche, accademiche e della ricerca<br />
a quelle tecniche, professionali e della<br />
pubblica amministrazione.<br />
L’attività sociale propria dell’Istituto si articola in<br />
prevalenza intorno alle sue numerose iniziative<br />
nazionali, regionali e locali (rassegne, convegni,<br />
seminari e simili), che nell’arco dell’anno, sono<br />
diverse decine. A queste si aggiungono le attività<br />
finalizzate alle pubblicazioni e alla ricerca,<br />
svolta sia in proprio che – anche sotto forma di<br />
consulenze – per conto di Enti pubblici.<br />
L’INU ha sede a Roma ed è articolato in diciannove<br />
Sezioni regionali. Gli Enti associati sono<br />
Regioni, Province, Comuni, Iacp, aziende ed enti<br />
economici pubblici e privati, dipartimenti universitari,<br />
Ordini e associazioni professionali, imprese,<br />
cooperative e loro associazioni, Istituti di<br />
ricerca, studi professionali, associazioni culturali.<br />
I Soci (Membri effettivi e Soci aderenti) sono<br />
docenti e ricercatori, professionisti, dirigenti e<br />
funzionari delle pubbliche amministrazioni, studenti.<br />
Agli architetti, ingegneri e <strong>urbani</strong>sti, si affiancano<br />
giuristi, economisti, geologi, geografi,<br />
agronomi, cartografi, ecologi, archeologi e medici.<br />
Le Sezioni locali possono attivare – anche su<br />
proposta di gruppi di soci – proprie Commissioni<br />
(o gruppi di lavoro), su temi analoghi o complementari<br />
a quelli trattati dalle Commissioni<br />
nazionali, ovvero su altri temi, o per lo studio di<br />
situazioni e problemi locali. Le Sezioni locali partecipano<br />
comunque con propri rappresentanti<br />
alle attività degli Osservatori nazionali e, qualora<br />
ne abbiano interesse, ai lavori delle Commissioni<br />
nazionali di studio.<br />
AAA - <strong>Sentieri</strong> Urbani cerca collaboratori<br />
<strong>Sentieri</strong> Urbani / 55<br />
Ti interessi di <strong>urbani</strong>stica e ti piacerebbe collaborare alla redazione di questa rivista? Contattaci!<br />
redazione@sentieri-<strong>urbani</strong>.eu - direttore@sentieri-<strong>urbani</strong>.eu<br />
COME ASSOCIARSI<br />
Per associarsi<br />
all’Istituto Nazionale di<br />
Urbanistica (INU) occorre<br />
presentare al<br />
Presidente della Sezione<br />
di competenza (per<br />
residenza o luogo di lavoro)<br />
una domanda sottoscritta<br />
da due Membri<br />
effettivi dell’Istituto e<br />
accompagnata da un<br />
breve curriculum e dalla<br />
ricevuta di pagamento<br />
della quota associativa<br />
per il primo anno. Il<br />
Consiglio direttivo locale<br />
approva le domande e<br />
le trasmette alla sede<br />
nazionale per la ratifica<br />
e la registrazione.<br />
Per gli Enti pubblici che<br />
intendono associarsi è<br />
sufficiente inviare alla<br />
sede nazionale<br />
dell’Istituto la delibera<br />
degli organi competenti<br />
(di cui potete scaricare<br />
il modello) contenente<br />
anche l’impegno di spesa<br />
per la prima quota<br />
annuale, oppure anche<br />
solo una copia della ricevuta<br />
del versamento<br />
della quota associativa.<br />
Informazioni e modelli<br />
per iscriversi sono sul<br />
sito: http://<br />
www.inu.it/<br />
informazioni/<br />
associarsi_inu.html<br />
Il pagamento della quota<br />
associativa può essere<br />
effettuato con bollettino<br />
postale n.<br />
97355002 intestato a<br />
“INU c/Soci” o mediante<br />
bonifico bancario sul<br />
conto n.<br />
000000581551 intestato<br />
a “INU” – Banca<br />
di Roma – Filiale 112 –<br />
ABI 03002 – CAB<br />
03256.<br />
Per contatti e ulteriori<br />
informazioni: Segreteria<br />
INU Sezione Trentina<br />
(arch. Giovanna Ulrici,<br />
giovanna.ulrici@tiscali.it<br />
cell. 393.2292378).
56 / <strong>Sentieri</strong> Urbani 9|2009<br />
I NUOVI ASSOCIATI<br />
Nel 2008 la sezione dell’Inu/Trentino si è arricchita di tre nuovi membri aderenti. Ecco una loro breve presentazione biografica.<br />
Arch. Elisa COLETTI<br />
Dottoranda di ricerca in progettazione<br />
paesistica presso l’Università degli studi<br />
di Firenze; laureata in Architettura al<br />
Politecnico di Milano/sede di Mantova<br />
con la tesi ‘Le aree industriali dismesse:<br />
luoghi di una rivoluzione. Il caso Ti.Co.Sa<br />
a Como’. Fra le esperienze in campo<br />
<strong>urbani</strong>stico si segnala una partecipazione<br />
al Piano di Settore dei percorsi e<br />
delle piste ciclopedonali per Amministrazioni<br />
lombarde. Attualmente è collaboratore<br />
al Comune di Pergine dove si occupa<br />
del progetto di implementazione<br />
dell’Atto di indirizzo per l’applicazione<br />
della perequazione <strong>urbani</strong>stica nel territorio<br />
del Comune di Pergine Valsugana,<br />
con particolare riferimento agli aspetti<br />
metodologici riferiti alla classificazione<br />
del territorio nella fase di caratterizzazione<br />
dello stato di fatto e di diritto.<br />
NEWS <strong>DA</strong> TRENTO<br />
Sulla base della legge provinciale che<br />
disciplina la valutazione dell’impatto ambientale<br />
(LP n. 28/88 e s.m.) è stato<br />
rinnovato il Comitato Provinciale per<br />
l’Ambiente della Provincia autonoma di<br />
Trento. Il comitato è composto dai dirigenti<br />
generali dei dipartimenti competenti<br />
nelle materie di protezione dell'ambiente,<br />
<strong>urbani</strong>stica, foreste, sanità, opere<br />
pubbliche, protezione civile, attività economiche,<br />
agricoltura e alimentazione, dal<br />
direttore dell'Agenzia provinciale per la<br />
protezione dell'ambiente, dal responsabile<br />
dell'ufficio per la valutazione dell'impatto<br />
ambientale, dal medico designato dal<br />
direttore generale dell'Azienda provinciale<br />
per i servizi sanitari, da cinque esperti<br />
in materia ambientale, di cui uno designato<br />
dal direttore dell'Agenzia nazionale<br />
per la protezione dell'ambiente ed uno<br />
designato dalle sezioni provinciali delle<br />
associazioni di protezione ambientale<br />
Arch. Marco GIOVANAZZI<br />
Laureato al Politecnico di Milano nel<br />
1990, si occupa di progettazione architettonica<br />
e <strong>urbani</strong>stica. Già segretario<br />
del Circolo Trentino per l’Architettura<br />
Contemporanea e attuale consigliere<br />
dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori<br />
Paesaggisti e Conservatori della Provincia<br />
di Trento e membro del Comitato<br />
interprofessionale. Nell’ambito della<br />
progettazione urbana, oltre alla partecipazione<br />
a numerosi concorsi, si segnalano<br />
la proposta di riqualificazione <strong>urbani</strong>stica<br />
a Pergine Valsugana (2007) e la<br />
riqualificazione degli spazi esterni a Marilleva<br />
1400. In campo <strong>urbani</strong>stico si<br />
segnala la redazione della Variante generale<br />
al PRG del Comune di Cavareno<br />
(2007).<br />
Fulvio Forrer nominato nel Comitato Provinciale per l’Ambiente<br />
individuate dal Ministero dell'ambiente,<br />
da un esperto in discipline economiche<br />
designato dalla Camera di commercio,<br />
industria, artigianato e agricoltura di<br />
Trento e da un esperto in materia giuridico-amministrativa.<br />
Per le Associazioni<br />
ambientaliste sono stati nominati Giorgio<br />
Rigo (Italia Nostra) e Fulvio Forrer (INU).<br />
Arch. Remo ZULBERTI<br />
Laureato in Architettura presso l’Istituto<br />
Universitario di Architettura di Venezia<br />
con una tesi intitolata ‘Madonna di Campiglio:<br />
Insediamento, Turismo e<br />
Territorio’. Segue la redazione di Varianti<br />
ai PRG dei Comuni di Pinzolo (2008),<br />
Giustino (2008), Cles, Smarano, Spiazzo<br />
Rendena, Pieve di Bono. Per i Comuni di<br />
Ragoli Prezzo e Bocenago segue la redazione<br />
della Variante generale ai relativi<br />
PRG. Impegnato come Commissario ad<br />
acta per l’adozione dei PRG dei comuni<br />
di Sfruz e di Tres. Conclusi gli incarichi di<br />
redazione delle Varianti generali del PRG<br />
del Comune di Roncone e del PRG del<br />
Comune di Bersone, nell’ambito dei quali<br />
redige i relativi Progetti di recupero del<br />
Patrimonio edilizio montano. Attualmente<br />
impegnato nella redazione della Variante<br />
al PRG del Comune di Moena.<br />
Fulvio Forrer, presidente<br />
dell’Inu/Trentino
LE PROVOCAZIONI DI FULVIO<br />
di Fulvio Forrer<br />
Un centimetro ogni tre anni “Eurasia” slitta<br />
verso nord-ovest ed i riferimenti per la navigazione<br />
satellitare (GPS) devono essere<br />
ricalibrati<br />
Le cime, i versanti, i singoli massi con i tempi<br />
della geologia scendono inesorabilmente verso<br />
valle e le protezioni artificiali difficilmente riescono<br />
a contenere i movimenti, il più delle<br />
volte rincorriamo le emergenze<br />
Quantitativamente oggi piove quasi come nel<br />
passato (da noi –10%), ma la distribuzione<br />
degli eventi rende le precipitazioni più distruttive,<br />
i corsi d’acqua oggi sono configurati per<br />
aumentare le ondate di piena, ed il territorio<br />
mostra come sia stato utilizzato in modo incompatibile<br />
I conoidi, per disegno morfologico, sono da<br />
sempre l’accumulo di detriti incoerenti, ma<br />
oggi vengono attraversati di infrastrutture<br />
viarie, sono localizzazione per insediamenti<br />
stabili e nella loro destinazione d’uso sono<br />
oggetto di studio per prevenire catastrofi<br />
I boschi ed i corsi d’acqua fanno la differenza...<br />
GAIA è VIVA !