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IL PGUAP: UN PIANO DA SCOPRIRE? LA VAS ... - Sentieri urbani

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<strong>Sentieri</strong> Urbani<br />

Rivista semestrale della Sezione Trentino dell’Istituto Nazionale di Urbanistica Numero 1 - aprile 2009<br />

Poste Italiane Spa -<br />

spedizione in<br />

A.P. - DL 353/2003<br />

(conv. in L 27/02/04<br />

nr 46) art. 1, comma 2<br />

CNS Trento<br />

In questo numero:<br />

<strong>IL</strong> <strong>PGUAP</strong>: <strong>UN</strong> <strong>PIANO</strong> <strong>DA</strong> <strong>SCOPRIRE</strong> <strong>SCOPRIRE</strong>? <strong>SCOPRIRE</strong><br />

<strong>LA</strong> <strong>VAS</strong> TRA BISOGNI E STRUMENTI<br />

PENSARE <strong>LA</strong> CITTÀ A MISURA DI BAMBINO<br />

QUALITÀ DELLO SPAZIO URBANO PER <strong>UN</strong>A COM<strong>UN</strong>ITÀ SICURA<br />

LE PEREQUAZIONI E LE COMPENSAZIONI IN URBANISTICA


<strong>Sentieri</strong> Urbani<br />

rivista semestrale della Sezione Trentino<br />

dell’Istituto Nazionale di Urbanistica<br />

nuova serie<br />

anno I - numero 1<br />

aprile 2009<br />

registrazione presso il Tribunale di Trento<br />

n. 1376 del 10.12.2008<br />

direttore responsabile<br />

Alessandro Franceschini<br />

direttore@sentieri-<strong>urbani</strong>.eu<br />

redazione<br />

Fulvio Forrer, Paola Ischia, Giovanna Ulrici,<br />

Massimiliano Vanella, Bruno Zanon<br />

redazione@sentieri-<strong>urbani</strong>.eu<br />

hanno collaborato a questo numero:<br />

Silvia Alba, Fabrizio Andreis, Emanuele Boscolo,<br />

Rose Marie Callà, Claudio Coletta, Silvia Ferrin,<br />

Francesco Gabbi, Giovanna Sonda, Alberto Trenti<br />

tipografia<br />

Rotooffset Paganella s.a.s.<br />

di Roberto Alessandrini &C<br />

via Marchetti, 20<br />

38100 Trento<br />

abbonamenti<br />

Per ricevere <strong>Sentieri</strong> <strong>urbani</strong> è sufficiente inviare una<br />

e_mail indicando i dati postali di chi desidera abbonarsi<br />

alla rivista:<br />

diffusione@sentieri-<strong>urbani</strong>.eu<br />

<strong>Sentieri</strong> <strong>urbani</strong> è a diffusione gratuita. Per contribuire<br />

concretamente al sostentamento della rivista è<br />

sufficiente una donazione, anche simbolica, sul<br />

conto corrente intestato all’Inu Trentino presso la<br />

Cassa Rurale di Trento<br />

IBAN IT63M0830401813000013330319<br />

contatti:<br />

www.sentieri-<strong>urbani</strong>.eu<br />

328.0198754<br />

editore<br />

Istituto Nazionale di Urbanistica<br />

Sezione Trentino<br />

Via Oss Mazzurana, 54<br />

38100 Trento<br />

direttivo 2007/2009<br />

Fulvio Forrer (presidente)<br />

Maurizio Tomazzoni (vicepresidente)<br />

Giovanna Ulrici (segretario)<br />

Alessandro Franceschini (tesoriere)<br />

Bruno Zanon (consigliere)<br />

Paola Ischia (consigliere)<br />

Massimiliano Vanella (consigliere)<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani 1<br />

indice<br />

Editoriale<br />

<strong>Sentieri</strong> <strong>urbani</strong>: un’occasione di confronto per il Trentino pag. 2<br />

a cura della redazione<br />

Territorio&Paesaggio<br />

Insediarsi nelle Alpi: pensare e programmare il futuro pag. 4<br />

di F. Forrer<br />

Il Pguap: un piano da scoprire? pag. 8<br />

di A. Trenti<br />

La Vas tra bisogni e strumenti pag. 10<br />

di F. Forrer<br />

Chi ha ucciso il Paesaggio? pag. 16<br />

di A. Franceschini<br />

Spazio&Società<br />

Qualità dello spazio urbano per una comunità sicura pag. 17<br />

di B. Zanon<br />

Pensare la città a misura di bambino pag. 21<br />

di S. Alba, F. Andreis e S. Ferrin<br />

La città sicura: bambini e genitori a confronto pag. 27<br />

di R. M. Callà<br />

Penelope: le trame emergenti del tessuto urbano pag. 33<br />

di C. Coletta, F. Gabbi, G. Sonda<br />

Dossier<br />

Le perequazioni e le compensazioni in <strong>urbani</strong>stica pag. 37<br />

di E. Boscolo<br />

Vita associativa<br />

Est-etica energ-etica nella pianificazione pag. 50<br />

di P. Ischia<br />

Il Governo del territorio: un corso dell’Inu/Trentino pag. 52<br />

di G. Ulrici<br />

Notizie da Roma pag. 54<br />

di G. Ulrici<br />

Chi siamo, cosa vogliamo, come partecipare pag. 55<br />

a cura della redazione<br />

I nuovi soci pag. 56<br />

a cura della redazione


<strong>Sentieri</strong> <strong>urbani</strong>: un’occasione<br />

di confronto per il Trentino<br />

a cura della redazione<br />

Con questo numero di<br />

<strong>Sentieri</strong> <strong>urbani</strong> inizia una<br />

nuova attività dell’Inu del<br />

Trentino. Dopo avere diffuso<br />

un bollettino per diversi<br />

anni, è giunto il momento<br />

per il passaggio ad<br />

una più impegnativa rivista<br />

semestrale<br />

editoriale<br />

C<br />

omincia con questo numero di <strong>Sentieri</strong> <strong>urbani</strong> una nuova fase<br />

dell’attività dell’Istituto Nazionale di Urbanistica del Trentino. Dopo<br />

avere diffuso un bollettino quadrimestrale per diversi anni, è giunto<br />

il momento per il passaggio ad una più impegnativa rivista semestrale.<br />

L’Inu, fondato nel 1930, eretto ad Ente Morale di Alta Cultura nel 1943,<br />

presente in Trentino Alto Adige dal 1985 e costituitosi in sezione autonoma<br />

provinciale nel 1993, promuove lo studio dei problemi del territorio e<br />

stimola l’applicazione ed il rinnovamento degli strumenti di pianificazione.<br />

Oggi l’INU vuole essere anche un luogo di dibattito sulle dinamiche <strong>urbani</strong>stiche<br />

in atto e strumento di formazione per professionalità in grado<br />

di affrontare le sfide sulla gestione del territorio. Non solo, quindi, elaborazione<br />

scientifica, ma momento di confronto e di partecipazione.<br />

Quello appena conclusosi è stato un anno particolarmente importante<br />

per la nostra provincia. La revisione del Piano <strong>urbani</strong>stico provinciale, approvato<br />

con la legge provinciale nr. 5 del 27 maggio 2008, preceduta<br />

dall’approvazione della nuova legge <strong>urbani</strong>stica (la nr. 1 del 4 marzo<br />

2008), ha fatto fare allo strumento di governo del territorio un ulteriore<br />

passo nel solco tracciato da quelli precedenti, lavorando in particolare su<br />

tre aspetti: la sussidiarietà (ovvero il decentramento della responsabilità<br />

di pianificazione), il paesaggio (ovvero la costruzione consapevole<br />

dell’identità), le conoscenze (ovvero pre-vedere, valutare, scegliere e argomentare<br />

in un processo di co-pianificazione).<br />

La situazione economica e sociale della nostra terra, rispetto ai primi<br />

anni Sessanta - quando è iniziata la stagione pianificatoria - è infatti mutata.<br />

Il Trentino non è più la provincia piccola e sola, collocata ai margini di<br />

una nazione e con un’economia esclusivamente agricola, affetta da frammentazione<br />

fondiara e da incapacità di rispondere alle esigenze di vita. È,<br />

invece, un territorio competitivo, dotato di una Università importante e di<br />

molti centri di ricerca di eccellenza. È inoltre un territorio su cui gravita<br />

un forte flusso turistico e che vuole collocarsi come cerniera e ponte tra<br />

il mediterraneo e la mitteleuropa.<br />

Così questo piano <strong>urbani</strong>stico, a differenza del piano di Giuseppe Samonà<br />

(1967) e di Franco Mancuso (1987), persegue nuovi obiettivi di<br />

sviluppo: rinuncia dichiaratamente alle decisioni centralistiche preferendo<br />

delegare alle comunità locali (in particolare ai Comuni e alle Comunità di<br />

valle) le scelte di sviluppo che devono avvenire in un’ottica di partecipazioni<br />

condivise. Si tratta di quella che Roberto Gambino - uno dei consulenti<br />

dell’Amministrazione - chiama «soft-power», ovvero una politica decisionale<br />

fondata sulla forza della persuasione, sull’incentivazione alla partecipazione,<br />

sull’assunzione di responsabilità da parte delle comunità locali, piuttosto<br />

che sul comando centralizzato.<br />

In questa nuova visione della pianificazione, la rivista <strong>Sentieri</strong> <strong>urbani</strong><br />

vuole essere luogo di incontro e di elaborazione per fare crescere<br />

l’<strong>urbani</strong>stica grazie all’informazione, al dibattito, alla formazione. Per tene-


editoriale<br />

re fede a questi obiettivi saremo sempre attenti a scorgere ed intuire<br />

quello che la disciplina, le dinamiche politiche e amministrative, nonché le<br />

esperienze di trasformazione, ci suggeriranno, segnalando le nuove prospettive<br />

ai lettori.<br />

Parleremo in particolare di perequazione <strong>urbani</strong>stica e territoriale,<br />

proponendo esperienze virtuose maturate dentro e fuori il nostro territorio,<br />

per trasformare questo concetto da un importante assunto teorico<br />

ad una prassi pianificatoria indispensabile, che già altrove vive<br />

un’importante stagione di sperimentazione. Parleremo di sviluppo sostenibile,<br />

cercando di recuperare questo importante concetto dalla retorica<br />

della politica, per proiettarlo nello spazio del progetto strategico e per farlo<br />

diventare ancora occasione per riconvertire l’economia ed il sistema<br />

produttivo, con attenzione ai cambiamenti climatici, all’uso del territorio,<br />

all’ambiente. Parleremo di paesaggio e di partecipazione riempiendo queste<br />

parole spesso “vuote” con occasioni di implementazione, di sperimentazione<br />

e di attuazione. Consapevoli che l’identità connessa a tali concetti<br />

diventa effettiva solo se la qualità del paesaggio diventerà un obiettivo diffuso<br />

e la partecipazione una pratica integrante delle politiche di settore.<br />

Parleremo di sicurezza urbana e di attenzione all’infanzia, perché la qualità<br />

della nostra vita dipende ogni giorno di più dalla qualità dello spazio in<br />

cui viviamo, in un contesto che vede sempre più persone vivere in uno<br />

spazio completamente antropizzato, dai caratteri <strong>urbani</strong> anche in campagna.<br />

Queste e tante altre cose ancora verranno affrontate ogni sei mesi<br />

sulle pagine di questa rivista. Un luogo di riflessione disciplinare,<br />

un’occasione per lo scambio delle idee, delle opinioni, delle visioni, certamente<br />

non distante dalla politica, ma caratterizzato da quella libertà di espressione<br />

e di pensiero, da quella serena pacatezza di chi è al di là degli<br />

schieramenti politici.<br />

Parleremo di perequazione<br />

<strong>urbani</strong>stica e territoriale,<br />

di sviluppo sostenibile,<br />

di paesaggio e di partecipazione,<br />

di sicurezza urbana<br />

e di attenzione<br />

all’infanzia, cercando di<br />

riempire queste parole<br />

spesso “vuote” in<br />

occasioni di riflessione<br />

progettuale


4 / <strong>Sentieri</strong> Urbani<br />

Insediamento tradizionale<br />

nelle Alpi italiane<br />

Insediarsi nelle Alpi: pensare e<br />

programmare il futuro<br />

di Fulvio Forrer<br />

Origine ed evoluzione dell’insediamento nelle Alpi<br />

In origine le Alpi erano solo territori marginali,<br />

territori di caccia: rare le presenze stanziali,<br />

sporadici i passaggi di transito: si sarebbero potuti<br />

definire spazi limite, in cui la penetrazione era<br />

di per se difficoltosa e pericolosa. Solo al termine<br />

del primo millennio d.C., le Alpi diventarono<br />

territori significativi di residenza stabile. Gli<br />

insediamenti erano dapprima nei fondovalle, ma<br />

in posizione dominante (i castellieri) a causa<br />

dei pericoli derivanti dai regimi idrici dei grandi<br />

fiumi di fondovalle, per poi radicarsi nelle aree<br />

più strategiche e comode dei fondovalle. È<br />

l’epopea del colonialismo espansivo europeo dove<br />

la crescita rappresentava più territori, più popolazione,<br />

più entrate.<br />

In questi passaggi storici le Alpi mantennero la<br />

loro caratteristica di fattore fisico di separazione<br />

e ne acquisirono uno nuovo: quello di spazio<br />

di vita per l’espandersi delle regioni limitrofe. Le<br />

Alpi serbatoio di minerali, giacimenti che rappresentano<br />

la materia prima per acquisire maggiore<br />

potenza e forza. I “territori limite” erano nelle<br />

loro condizioni laboratorio di vita, con i<br />

“roncadori”, e scuola di mestieri quanto di tecnologie<br />

di base, in una logica insediativa di diffusione<br />

sul territorio; merita ricordare che in Italia<br />

è l’epoca delle Signorie e dei Comuni, cresciuti<br />

all’insegna dell’antico bisogno di sicurezza. Di<br />

quel periodo vanno ricordato come alcune aree<br />

furono oggetto di sfruttamento intensivo delle risorse<br />

locali (legname, minerali, sale, ecc) al<br />

punto tale da trasformarsi da spazi di vita a luoghi<br />

di morte. Le conseguenze di tale carico sul<br />

territorio furono sia economiche (crisi di cresci-<br />

Territorio&Paesaggio<br />

ta e di mantenimento) che ambientali quanto sociali<br />

(disastri naturali con distruzione di insediamenti,<br />

migrazione).<br />

La rivoluzione industriale di fine ‘800 arriva, seppur<br />

con ritardo, fin dentro le Alpi con il prelievo<br />

di nuove risorse (acqua, energia, manodopera,<br />

ecc.); le nuove logiche economiche hanno nuovamente<br />

alterato gli equilibri di vita in montagne<br />

soprattutto attraverso il fenomeno migratorio;<br />

l’impervio – la montagna – rappresenta solo in<br />

parte il limite fisico, ma più propriamente la penalizzazione<br />

dei costi, anche di quelli commerciali.<br />

In questo contesto i poli <strong>urbani</strong> di sviluppo<br />

delle nazioni di riferimento diventano l’attrattore<br />

dei forti movimenti migratori. L’abbandono della<br />

montagna, anche se non dappertutto e nello<br />

stesso modo ed entità. Si spopolano intere comunità<br />

e vallate. Oggi le Alpi vivono una nuova<br />

stagione: sono i parchi gioco-svago/sfogo- delle<br />

aree forti di pianura il cui modello di vita si impone<br />

nei costumi quotidiani attraverso i media: il<br />

modello urbano si propaga nei fondovalle ed in<br />

collina costruendo arcipelaghi insediativi il cui riferimento<br />

organizzativo appare la metropoli.<br />

Vivere nelle Alpi: il nuovo contesto socioeconomico<br />

ed ambientale<br />

Vivere in montagna (quella vera) è difficile, oneroso<br />

ed impegnativo, in ogni caso ci troviamo in<br />

un epoca nuova. La fase economica e sociale<br />

del nostro tempo è quella della smaterializzazione<br />

e della delocalizzazione. Assistiamo ad un esodo<br />

dai grandi centri verso quelli medi ed anche<br />

nelle Alpi le città rappresentano il fattore di<br />

riferimento: in alcuni territori geografici delle Alpi<br />

gli insediamenti sono periferie dei grandi poli<br />

metropolitani della pianura, ed in altre realtà più<br />

interne al sistema alpino, sono riferimento per<br />

servizi rari e pregiati di bacino. E se storicamente<br />

i capoluoghi erano il vessillo di identificazione<br />

per le intere comunità regionali, ora i centri<br />

principali rappresentano con i loro arcipelaghi<br />

insediativi (una sorta di submetropoli di piccole<br />

dimensioni) l’opportunità di vita qualificata<br />

(minore concentrazione, tempi di vita più diluiti e<br />

minore frenesia).<br />

Le città alpine sono considerate luoghi ad alta<br />

vivibilità prima ancora dei rispettivi territori di<br />

periferia, che risultano ancora malamente serviti<br />

sia dalle reti tecnologiche avanzate che dai<br />

servizi di base. Per identificare il livello della sfida<br />

è interessante notare come la dimensione<br />

delle città italiane capoluogo di Provincia nelle


Territorio&Paesaggio<br />

Alpi è medio-piccola, il parametro demografico è<br />

significativo dei bacini di riferimento, ovvero della<br />

difficoltà di quadrare i costi dell’offerta di servizi<br />

che giocoforza nelle area montana sono più<br />

elevati che in pianura, a fronte invece di bacini<br />

di utenza decisamente inferiori. Il numero degli<br />

abitanti in contesti <strong>urbani</strong> alpini difficilmente supera<br />

i 100 mila abitanti; la maggior parte delle<br />

unità insediative conta tra i 20 e i 50 mila abitanti;<br />

tranne che nel caso lombardo evidentemente<br />

condizionato dal fungo d’influenza milanese;<br />

i sistemi insediativi più interni nelle valli alpine<br />

risultano regolati da logiche endogene,<br />

d’area. La globalizzazione continentale e la riduzione<br />

nella percezione delle distanze, frutto della<br />

diffusione dell’automobile, rende la vita in periferia<br />

simile a quella in città; ne consegue un modello<br />

di vita sostanzialmente urbano vissuto anche<br />

nelle località più marginali. I limiti e le difficoltà<br />

tipici della montagna non sono più percepiti<br />

nella vita comune, ne deriva un modello insediativo<br />

“della dispersione”, l’antica parsimonia<br />

nel consumo di territorio lascia spazio al modello<br />

“padano”; al virtuosismo dei paesi storici si<br />

contrappone lo spreco edilizio della modernità,<br />

in un proliferare di macchie abitate con debole<br />

struttura urbana ed elevati costi di gestione.<br />

La rincorsa all’appezzamento di terreno edificabile,<br />

ufficialmente per i figli o i famigliari, è la logica<br />

imperante nella redazione dei Piani Regolatori,<br />

i quali sono ancora oggi prevalentemente<br />

dei semplici programmi di fabbricazione. Va poi<br />

tenuto presente poi come la dotazione individuale<br />

di terreno edificabile (valore immobiliare) è<br />

fonte di speculazione edilizia, generalmente realizzata<br />

attraverso la vendita del bene che nelle aree<br />

turistiche ed urbane pregiate mantiene un<br />

valore finanziario maggiore che non con gli investimenti<br />

azionari. Dobbiamo considerare che ciò<br />

comporta costi per il soddisfacimento del bisogno<br />

“casa” di chi ha bisogno di entità esorbitan-<br />

te, al limite della inaccessibilità. Infine dobbiamo<br />

tenere presente che il fenomeno dello spopolamento<br />

della montagna è in buona parte finito,<br />

vi è una ripresa generalizzata della crescita<br />

demografica con esodo dalle più alte quote (ma<br />

non nei centri turistici) a favore dei centri di valle,<br />

meglio serviti di servizi e con una decente dimensione<br />

di comunità.<br />

Il consumo di suolo in Trentino evidenza come<br />

l’insediamento si disperde su oltre il 5% del territorio<br />

provinciale ed in particolare nei fondovalle<br />

con una concentrazione abitativa al di sotto dei<br />

500 metri di quota (la parte di territorio più comoda<br />

da abitare) che registra picchi di oltre<br />

550 abitanti per chilometro quadrato, mentre<br />

in Alto Adige l’<strong>urbani</strong>zzato si concentra su appena<br />

il 2,85% del territorio provinciale. È interessante<br />

osservare come la struttura insediativa<br />

delle città alpine italiane sia omogenea, ovvero<br />

interessate dalla dispersione come dal loro estendersi<br />

in un arcipelago di nuclei. Seppur nei<br />

fondovalle spaziosi e ampi, le città alpine fanno i<br />

conti con la morfologia dei luoghi e le asperità,<br />

nonché con le aree soggette ai pericoli naturali<br />

(aree a rischio): frane, alluvioni, ecc: Gaia è viva<br />

in montagna con più evidenza che non in pianura.<br />

Qui, a causa delle particolari condizioni orografiche,<br />

il clima peggiora: d’inverno per<br />

l’inversione termica e le concentrazioni di inquinanti<br />

e d’estate per l’ozono. I territori alpini diventano<br />

così luoghi di contraddizione, dal mito<br />

dell’aria pura alla realtà di inquinamenti simili alla<br />

periferia milanese.<br />

Le città alpine come modello di un equilibrio<br />

dentro la rigenerazione: “verso l’impatto zero”<br />

La sfida futura dello spazio alpino, e dei sistemi<br />

insediativi alpini in particolare, è rafforzare e salvaguardare<br />

le proprie caratteristiche, con attenzione<br />

a porre le condizioni per uscire dalla omologazione<br />

del modello di vita metropolitano, non-<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 5<br />

Le Pale di San Martino<br />

viste dal Passo Rolle


6 / <strong>Sentieri</strong> Urbani<br />

Paesaggio Alpino: la<br />

catena del Lagorai<br />

ché migliorare la propria dotazione di beni e servizi,<br />

ovvero della propria capacità attrattiva come<br />

luogo di vita ad alta qualità, con una base<br />

delle relazioni ecologiche a impronta zero e con<br />

modello sociale di Comunità (solidarietà). Le ricadute<br />

delle attività economico-sociali devono<br />

garantire ritorni su base locale, preferibilmente<br />

di tipo polverizzato, solo così vi sarà quel controllo<br />

sociale (consenso) capace di salvaguardare<br />

da interessi speculativi concentrati e ad alto<br />

ritorno finanziario (generalmente guidati da investimenti<br />

finanziari di origine indefinita).<br />

Vanno in ogni caso trovati meccanismi di compensazione<br />

affinché l‘egoismo, che coinvolge anche<br />

gli interessi sociali delle popolazioni alpine,<br />

trovi adeguato contenimento e compensazione<br />

in iniziative di ampio respiro. L’obiettivo<br />

dell’impatto zero non è un miraggio, ma è un<br />

traguardo verso il quale è possibile avvicinarsi;<br />

già oggi le comunità alpine godono di favorevoli<br />

condizioni di partenza, ampia distesa di boschi<br />

con valori attorno al 50% della superficie totale.<br />

Cicli produttivi parzialmente regionali dentro ad<br />

una logica di sostegno delle produzioni locali. Un<br />

carico antropico elevato per le condizioni di<br />

montagna, ma riequilibrato da una fase storica<br />

di recessione demografia. Un sistema sociale in<br />

cui il senso di comunità è forte, nonché consistenti<br />

iniziative economiche a base cooperativistica,<br />

quindi etica e solidarietà. Un mix di condizioni<br />

economico-sociali che favoriscono una prevalenza<br />

degli interessi comuni rispetto a quella<br />

squisitamente individuali.<br />

Questi punti di partenza sono le leve sulle quali<br />

Territorio&Paesaggio<br />

agire per rafforzare le attuali potenzialità e affrontare<br />

le sfide future. La pianificazione territoriale,<br />

che è lo strumento per programmare le<br />

politiche di comunità su base democratica<br />

(condivisa, ovvero consenso), è il “grimaldello”<br />

per indirizzare le risorse verso gli obiettivi condivisi:<br />

di comunità. È necessario precisare, in estrema<br />

sintesi, che gli interessi di comunità non<br />

sono la sommatoria dei singoli interessi individuali<br />

e che spesso le due visioni confliggono,<br />

quindi il criterio della partecipazione dei cittadini<br />

va garantito entro un sistema costruito e organizzato<br />

in modo da rafforzare le istanze collettive<br />

rispetto a quelle individuali; ovvero va<br />

favorita/incentivata la partecipazione attiva alle<br />

scelte di comunità. In tal senso i Piani vanno redatti<br />

con esplicitazione degli scenari alternativi<br />

tra i quali valutare le ricadute; le scelte devono<br />

essere prese attraverso percorsi partecipati espliciti,<br />

preferibilmente che mutuano da esperienze<br />

di Agenda 21 Locale.<br />

Un nodo centrale per i piani del futuro è<br />

l’energia, essa è il fattore strategico per lo sviluppo<br />

della vita e per la crescita delle comunità,<br />

la trasformazione dell’energia è a sua volta il<br />

principale fattore climalterante; i Piani devono esplicitare<br />

i fabbisogni di energia e le fonti disponibili<br />

capaci al loro soddisfacimento individuandone<br />

gli effetti ambientali. Va considerato che la<br />

pianificazione <strong>urbani</strong>stica può affrontare, riducendoli,<br />

oltre il 60% dei consumi totali di energia,<br />

tale sforzo va condotto contestualmente alla<br />

redazione del piano regolatore generale e non<br />

con strumenti settoriali, ma, quale fattore cen-


Territorio&Paesaggio<br />

trale del processo decisionale. Il settore dei trasporti<br />

con i relativi consumi è direttamente influenzate<br />

dalla distribuzione localizzativa degli abitanti<br />

e delle produzioni, quando dei servizi e<br />

dei consumi. Il 70% degli spostamenti <strong>urbani</strong> avviene<br />

in automobile, una buona pianificazione urbana<br />

capace di fluidificare il traffico secondo il<br />

principio della lentezza può contribuire alla riduzione<br />

delle emissioni gassose per una quota significativa;<br />

ma dato che nelle città il problema<br />

principale sono gli spazi che non sono più in grado<br />

di accogliere scatole di latta (le automobili),<br />

lo sviluppo del trasporto pubblico può risultare<br />

strategico e vincente: può ridurre i consumi individuali<br />

mediamente del 50% rispetto ad oggi<br />

con una ricaduta positiva anche sul bilancio di<br />

collettività.<br />

Il settore dell’abitare, e più in generale dei consumi<br />

civili, può risentire di un deciso miglioramento<br />

delle prestazioni dalla introduzione di specifiche<br />

misure di contenimento energetico: una<br />

casa tradizionale consuma oggi mediamente<br />

2500 litri di gasolio anno; con interventi di miglioria<br />

sull’esistente questo consumo può essere<br />

ridotto ad un terzo, mentre realizzando un edificio<br />

nuovo con le tecnologie e le soluzioni esistenti<br />

tale risparmio può raggiungere valori quasi<br />

di azzeramento dei consumi. E se invece nelle<br />

zone vocate si attivano politiche programmate di<br />

produzione energetica a bassa densità, ma diffuse<br />

sul territorio, si possono affrontare i problemi<br />

del trasporto dell’energia elettrica<br />

(inquinamento elettromagnetico) e il diretto controllo<br />

sui consumi e sulla distribuzione.<br />

Conclusioni<br />

Tasselli dell’approccio virtuoso e di politiche lungimiranti<br />

possono essere ritrovati in vari esempi:<br />

- la politica sui trasporti che caratterizza la Svizzera<br />

(fluidificazione lenta) o il Tirolo del Sud come<br />

nel caso della ferrovia della Venosta<br />

(trasporto pubblico);<br />

- il Piano Generale di Utilizzazione delle Acque<br />

Pubbliche (<strong>PGUAP</strong>) del Trentino, quale strumento<br />

di programmazione nell’uso delle risorse e<br />

delle logiche di recupero ambientale;<br />

- le Perle delle Alpi con le offerte di mobilità dolce;<br />

- casaclima per andare verso un rapporto con le<br />

risorse locali virtuoso (sole-legno);<br />

- nella recente legge (certamente tardiva) per il<br />

contenimento delle seconde case introdotta in<br />

Provincia di Trento;<br />

- nel processo di partecipazione popolare avvenuto<br />

nella Rheintal alla ricerca di un contenimento<br />

all'<strong>urbani</strong>zzazione diffusa o il Piano partecipato<br />

di Budoia (Friuli – I).<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 7<br />

Riferimenti Bibliografici<br />

A. Gorfer, I segni della<br />

storia, ed Saturnia 1982.<br />

S. Bassetti, P. Morello,<br />

Paesaggio e architettura<br />

rurale nelle valli ladine<br />

delle Dolomiti, ed Manfrini<br />

1983.<br />

E. Ferrari F. Sembianti,<br />

M. Tomasi, G. Zampedri,<br />

I centri storici del Trentino,<br />

ed. Silvana 1981.<br />

G. Visetti, Le Alpi tradite<br />

dal denaro, Repubblica<br />

18/7/08.<br />

C. Emanuel, Integrazione<br />

urbana e nuove gerarchie,<br />

ed F. Angeli 1988.<br />

G. Dematteis, L’Italia delle<br />

città tra malessere e<br />

trasfigurazione, ed SGI,<br />

2008.<br />

F. Indovina, Lo spreco<br />

edilizio, ed Marsilio,<br />

1972.<br />

F. Sembiant, Rapporto dal<br />

territorio: il Trentino, ed<br />

INU 2007.<br />

ASTAT, INFO n. 25, Istituto<br />

provinciale di Statistica<br />

10/2006, Provincia<br />

Autonoma di Bolzano.


8 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Territorio&Paesaggio<br />

Introduzione<br />

Il Piano generale di utilizzazione delle acque<br />

pubbliche (Pguap) è nato con il secondo<br />

Statuto di Autonomia per la Regione<br />

Trentino-Alto Adige (D.P.R. 31 agosto<br />

1972, n. 670) quale strumento<br />

di intesa fra lo Stato e le Province autonome<br />

di Trento e Bolzano, alle quali lo<br />

stesso Statuto trasferiva le competenze<br />

in materia di acque e demanio idrico. In<br />

origine esso disciplinava quindi l’uso della<br />

risorsa idrica (derivazioni e attingimenti)<br />

e la regolazione dei corsi<br />

d’acqua.<br />

Alla fine degli anni ‘90 (D.Lgs. 11 novembre<br />

1999, n. 463 - Norme di attuazione<br />

dello statuto speciale della regione<br />

Trentino-Alto Adige in materia di<br />

demanio idrico, di opere idrauliche e di<br />

concessioni di grandi derivazioni a scopo<br />

idroelettrico, produzione e distribuzione<br />

di energia elettrica), è stata conferita<br />

al Pguap la valenza di Piano di bacino<br />

di rilievo nazionale, ampliandone<br />

così notevolmente i contenuti in relazione<br />

a quanto già previsto dalla specifica<br />

legislazione di settore che dieci anni prima<br />

aveva istituito le Autorità di bacino<br />

(legge 18 maggio 1989, n. 183 - Norme<br />

per il riassetto organizzativo e funzionale<br />

della difesa del suolo).<br />

La Provincia autonoma di Trento ha<br />

quindi avviato nel 2001 una radicale revisione<br />

del Piano per farne uno strumento<br />

di disciplina organica e integrata<br />

delle molteplici relazioni tra la sfera antropica,<br />

le risorse idriche e l’assetto del<br />

territorio; il tutto con specifica attenzione<br />

a promuovere la compatibilità ambientale<br />

e la sostenibilità dello sviluppo.<br />

Nei successivi diciotto mesi è stato redatto<br />

il documento preliminare di Piano,<br />

che con più di mille pagine di testi e tabelle<br />

corredati da seicento tavole grafiche,<br />

ha raccolto ed elaborato le informazioni<br />

e i dati più aggiornati disponibili<br />

in queste materie.<br />

Prima dell’approvazione si è svolto un<br />

lungo e complesso iter amministrativo<br />

fatto di presentazioni, pareri, accordi e<br />

intese con le parti sociali e gli Enti locali<br />

trentini, con la Provincia autonoma e le<br />

Il Pguap<br />

<strong>UN</strong> <strong>PIANO</strong> <strong>DA</strong> <strong>SCOPRIRE</strong>?<br />

di Alberto Trenti<br />

due Regioni limitrofe, con le Autorità di<br />

bacino del Po, dell’Adige e dell’Alto Adriatico<br />

e infine con il Ministero<br />

dell’Ambiente e della Tutela del territorio.<br />

Il Piano è infine stato emanato con<br />

decreto del Presidente della Repubblica<br />

il 15 febbraio 2006 ed è entrato in vigore<br />

il successivo 8 giugno.<br />

Lo scorso autunno la Giunta provinciale<br />

ha parzialmente modificato, previa intesa<br />

con gli Enti su menzionati, la parte<br />

del Piano riguardante le aree a rischio<br />

idorgeologico (deliberazione n. 2049<br />

del 21 settembre 2007) al fine di armonizzarne<br />

le disposizioni con la nuova<br />

disciplina del Piano Urbanistico Provinciale.<br />

Esso ha infatti introdotto la Carta<br />

di sintesi della Pericolosità quale strumento<br />

di rappresentazione della criticità<br />

territoriale più adeguato, rispetto alla<br />

Carta del Rischio, per le attività di previsione<br />

e di trasformazione <strong>urbani</strong>stica<br />

del territorio.<br />

Per quanto riguarda i contenuti, come<br />

già accennato, il Piano è un documento<br />

molto corposo e ricco di informazioni;


Territorio&Paesaggio<br />

una vera miniera di dati ed elaborazioni,<br />

spesso originali e quasi sempre su basi<br />

GIS, rappresentati distintamente per<br />

singolo bacino idrografico e/o per ambiti<br />

amministrativi. Il tutto è suddiviso<br />

nelle otto parti brevemente descritte di<br />

seguito.<br />

1. Quadro conoscitivo di base: descrive<br />

le caratteristiche macroscopiche del<br />

territorio e delle risorse idriche con particolare<br />

riguardo agli aspetti geomorfologici,<br />

idrogeologici, idrologici, idrometrici,<br />

idrografici e forestali. Riporta anche<br />

una specifica sezione dedicata<br />

all’agricoltura ed ai fabbisogni irrigui<br />

nonché una rappresentazione delle dinamiche<br />

demografiche e turistiche fino<br />

all’anno 2030.<br />

2. Quantità e qualità delle acque: riporta<br />

il bilancio idrico per ciascuno dei 14<br />

bacini idrografici principali presenti nel<br />

territorio trentino, quantificando gli apporti<br />

e le perdite sia naturali che artificiali.<br />

Quantifica i carichi inquinanti civili,<br />

industriali e agricoli, descrive<br />

l’evoluzione dei sistemi di depurazione e<br />

rappresenta l’andamento dei principali<br />

indici di qualità nel decennio 1990-<br />

2000, affiancandoli anche ad un indicatore<br />

di qualità delle comunità ittiche sviluppato<br />

ad hoc lungo le aste dei principali<br />

corsi d’acqua.<br />

3. Utilizzazione delle acque pubbliche:<br />

descrive l’entità delle derivazioni d’acqua<br />

sia superficiali che sotterranee presenti<br />

in Trentino, distinte per tipologia d’uso,<br />

per bacino idrografico e per mese<br />

dell’anno; determinando inoltre il diverso<br />

indice di utilizzazione dell’acqua nei<br />

principali bacini idrografici. Rappresenta<br />

infine i fabbisogni idrici per gli usi civili,<br />

agricoli, zootecnici, industriali e di innevamento,<br />

affiancandovi quelli per il deflusso<br />

minimo vitale che viene definito<br />

distintamente per 555 sottobacini con<br />

andamento modulato nel corso<br />

dell’anno.<br />

4. Pericolosità e rischio idrogeologico:<br />

Riguarda l’individuazione e la perimetrazione<br />

delle aree a rischio idrogeologico<br />

(esondazioni, frane e valanghe)<br />

sull’intero territorio provinciale mediante<br />

sovrapposizione della carta della pericolosità<br />

(in gran parte derivata dalla<br />

Carta di Sintesi Geologica) con la carta<br />

del valore d’uso del suolo, costruita in<br />

base alle previsioni dei Piani regolatori<br />

Generali dei Comuni.<br />

5. Sistemazione dei corsi d’acqua e dei<br />

versanti: Contiene il Catasto delle opere<br />

di sistemazione e dei dissesti e definisce<br />

i criteri per la determinazione delle<br />

portate di piena nonché quelli per la<br />

programmazione, pianificazione e progettazione<br />

degli interventi di difesa<br />

(supportati da un quaderno delle opere<br />

tipo) e quelli per la manutenzione degli<br />

alvei e delle opere. Tratta infine le problematiche<br />

attinenti alla laminazione delle<br />

onde di piena con particolare riguardo<br />

ai principali punti di criticità idraulica<br />

presenti sul territorio ed alla gestione<br />

degli scarichi degli invasi idroelettrici.<br />

6. Ambiti fluviali: Riguardano le aree<br />

che, sviluppandosi lungo i principali corsi<br />

d’acqua, ne esprimono in maniera significativa<br />

la rilevanza funzionale sotto i<br />

profili idraulico, ecologico e paesaggistico.<br />

I tre tipi di ambiti fluviali sono sovrapposti<br />

in unica cartografia per rappresentarne<br />

la coesistenza; per ciascuno<br />

di essi sono inoltre definiti specifici<br />

criteri di tutela e valorizzazione.<br />

7. Indirizzi per la pianificazione: Tratta<br />

la definizione di criteri e indirizzi per<br />

l’armonizzazione con gli altri strumenti<br />

di pianificazione rilevanti per il territorio<br />

e le acque, ovvero il Piano <strong>urbani</strong>stico<br />

provinciale, il Piano di tutela della qualità<br />

della acque, il Piano energetico, gli<br />

strumenti di pianificazione forestale e<br />

quelli del Servizio idrico integrato.<br />

8. Norme di attuazione: Dettano la disciplina<br />

generale per l’uso e la valorizzazione<br />

del territorio e delle acque nei<br />

prossimi 15-20 anni di validità del Piano.<br />

Sono costituite da 38 articoli suddivisi<br />

in sette capi che ripercorrono le tematiche<br />

sopra descritte definendone indirizzi,<br />

prescrizioni, misure e vincoli che<br />

puntano a definire una strategia complessiva<br />

di Piano articolata sui cinque<br />

assi strategici e relative azioni descritti<br />

di seguito.<br />

Razionalizzazione degli usi idrici:<br />

- bilancio idrico come strumento di valutazione<br />

delle concessioni;<br />

- adeguamento degli standard per i<br />

principali tipi di utilizzazioni;<br />

- interdizione degli usi impropri di acque<br />

pregiate;<br />

- riduzione significativa delle perdite dalle<br />

reti di acquedotto;<br />

- sostegno alla diffusione di tecnologie a<br />

basso consumo;<br />

- graduale passaggio dai canoni alle tariffe;<br />

- promozione di reti duali.<br />

Salvaguardia delle riserve pregiate:<br />

- protezione dei ghiacciai;<br />

- limitazioni d’uso nei laghi in quota;<br />

- interdizione di pozzi profondi in quota;<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 9<br />

- contenimento dei prelievi dalle falde<br />

acquifere.<br />

Aumento diffuso della qualità delle acque:<br />

- incremento dei deflussi minimi vitali;<br />

- potenziamento della rete di depurazione;<br />

- rinaturalizzazione degli alvei;<br />

- valorizzazione degli ambiti fluviali;<br />

- divieto all’estrazione di inerti dagli alvei.<br />

Riduzione del rischio idrogeologico:<br />

- nuova disciplina <strong>urbani</strong>stica delle aree<br />

a rischio;<br />

- individuazione delle opere di difesa più<br />

urgenti;<br />

- uso dei serbatoi idroelettrici per la laminazione<br />

delle piene;<br />

- nuovi standard di progettazione, costruzione<br />

e manutenzione delle opere;<br />

- tutela del demanio idrico.<br />

Miglioramento degli ecosistemi fluviali:<br />

- tutela <strong>urbani</strong>stica degli ambiti fluviali;<br />

- promozione delle tecniche di ingegneria<br />

naturalistica;<br />

- nuovi criteri per il trattamento della<br />

vegetazione in alveo;<br />

- diversificazione degli alvei.<br />

Conclusioni<br />

Se la predisposizione del Piano ha richiesto<br />

il coinvolgimento di molti soggetti<br />

(in particolare un connubio di funzionari,<br />

tecnici e scienziati con notevoli<br />

conoscenze specifiche acquisite in molti<br />

anni di lavoro diretto sul territorio) e se<br />

la sua approvazione ne ha interessati<br />

un numero ancora maggiore soprattutto<br />

nella sfera politica e in quella istituzionale,<br />

la sua attuazione sarà ancora<br />

più impegnativa e per avere successo<br />

dovrà coinvolgere attivamente anche i<br />

principali settori dell’economia, delle libere<br />

professioni e della società civile,<br />

nella ricerca di nuovi strumenti, processi<br />

e soluzioni capaci di dare concretezza<br />

agli obiettivi del Piano e quindi, in ultima<br />

analisi, di conferire allo sviluppo economico-sociale<br />

della Comunità trentina un<br />

rapporto sempre più equilibrato con le<br />

risorse idriche e territoriali.


10 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Territorio&Paesaggio<br />

La Vas tra bisogno di decisioni<br />

sostenibili e strumenti di oggettività<br />

di Fulvio Forrer<br />

Grandi opere e paesaggio:<br />

ponte romano sul<br />

torrente Giara in provincia<br />

di La Spezia (Liguria)<br />

La direttiva Comunitaria<br />

La direttiva comunitaria definisce che la valutazione<br />

ambientale strategica «contribuisce<br />

all’integrazione di considerazioni ambientali<br />

all’atto della elaborazione e dell’adozione di piani<br />

e programmi al fine di promuovere lo sviluppo<br />

sostenibile». Quindi la Vas “contribuisce” e non è<br />

necessariamente esaustiva; essa “contribuisce”<br />

all’integrazione e non crea un percorso differenziato<br />

(settoriale); infine, essa “contribuisce”<br />

all’atto della elaborazione e della adozione alle<br />

decisioni, quindi non può essere solo un atto<br />

formale, ma necessità di strutturare la conoscenza<br />

e la decisione con passaggi congruenti.<br />

La direttiva ne fissa il percorso metodologico:<br />

- Il rapporto di impatto ambientale (Relas) individua,<br />

descrive e valuta gli effetti significativi del<br />

piano sull’ambiente, e le ragionevoli alternative;<br />

- Le consultazioni che prevedono necessariamente<br />

la messa a disposizione della proposta di<br />

piano e del rapporto alle autorità e al pubblico,<br />

- La valutazione del Rapporto e dei risultati delle<br />

consultazioni vanno introitati nel processo decisionale,<br />

la messa a disposizione del pubblico delle<br />

informazioni facendo emergere la necessità di<br />

rendere effettiva e costruttiva la partecipazione,<br />

ovvero godere di condizioni adeguate per la partecipazione<br />

già in fase preparatoria delle decisioni<br />

che si caratterizzi per attivismo, corretta, conoscenza<br />

delle informazioni e coerenza dei contributi<br />

di partecipazione.<br />

Tale metodica comporta l’affrontare le seguenti<br />

problematiche:<br />

- L’approccio alla prevenzione e alla precauzione;<br />

- Il processo di partecipazione (consultazioni e<br />

informazione);<br />

- Il nodo conoscenze oggettive/valutazione;<br />

- Il tema dei tempi e dei costi.<br />

Il testo unico nazionale sull’ambiente “Tua”<br />

La normativa nazionale disciplina la valutazione<br />

strategica recependo in sostanza la direttiva comunitaria<br />

ribadendone l’articolazione e slittandone<br />

i tempi entrata in vigore; in ogni caso la materia<br />

è, nei nostri territori, di competenza primaria<br />

provinciale ed attuabile in via ordinaria<br />

previo specifico recepimento normativo.<br />

Un precedente importante per il Trentino è la<br />

storia della Via<br />

Il Trentino è stato un precursore della valutazione<br />

d’impatto ambientale (Via) a livello nazionale,<br />

la piena entrata in vigore della procedura è del<br />

‘90, introduzione delle legge e sua gestione influenzano<br />

significativamente l’attuale ritardo<br />

nell’applicazione della Vas. Sono evidenti le relazioni<br />

ed i richiami tra Via e Vas, pur essendo due<br />

procedimenti tra loro molto differenti per natura,<br />

finalità e metodiche, ma con una radice<br />

comune: l’ambiente e la valutazione. In estrema<br />

sintesi merita ricordare come l’evoluzione della<br />

Via in Trentino si possa condensare nella rapida<br />

evoluzione dalla sperimentazione ad un approccio<br />

multidisciplinare di merito con effetti significativi<br />

sull’esito del rilascio della compatibilità ambientale,<br />

ad una evoluzione successiva, la fase<br />

attuale, prevalentemente settoriale e burocratica,<br />

fatto dalla sommatoria dei pareri di competenza,<br />

privi della capacità di leggere le sinergie e<br />

di condizionare i progetti. Ciò nonostante la Via<br />

ha rappresentato un assunzione di responsabilità<br />

da parte dei proponenti, con specifica ricaduta<br />

positiva sui progettisti. Ma la Via, in passato<br />

ed ancor oggi, è stata pesantemente attaccata<br />

come fattore penalizzante le nuove iniziative economiche<br />

e quindi oggi vi è molto forte la pretesa<br />

per una diluizione dei tempi della introduzione<br />

della Vas, anche se questa centra solo in modo<br />

indiretto con i processi economici.<br />

Alla ricerca di un metodo oggettivo di valutazione:<br />

Psst<br />

Voluto dall’Agenzia Provinciale per la Protezione<br />

dell’Ambiente ed elaborato dall’Università di<br />

Trento anche con il contributo di un focus<br />

group, nel 2000 è stato elaborato il Progetto<br />

per lo Sviluppo Sostenibile del Trentino (Psst),


Territorio&Paesaggio<br />

un contributo tecnico-scientifico alla implementazione<br />

di percorsi di sostenibilità e che aveva esplicitamente<br />

tre obiettivi:<br />

- valutare il grado di sostenibilità ambientale dello<br />

sviluppo economico locale;<br />

- identificare gli aspetti più problematici relativi<br />

alle interazioni tra sviluppo economico locale e<br />

sistema ambientale, associandoli a indicatori capaci<br />

di rifletterne l’intensità e le dimensioni;<br />

- individuare conseguentemente alcuni campi<br />

d’azione su cui intervenire prioritariamente.<br />

Lo studio ha distinto le questioni di natura generale<br />

da altre di tipo settoriale, da indagare per<br />

la loro conoscenza sintetica con specifici indicatori:<br />

13 di natura generale e 9 di tipo settoriale.<br />

L’attenzione era stata posta tra l’altro a fornire<br />

dei criteri di valutazione da applicare distintamente<br />

e con misure migliorative (da attuare con<br />

politiche) da quelle di valutazione strategica (da<br />

esplicitare e prevedere nei piani); lo studio si era<br />

concluso con l’indicazione della autovalutazione<br />

incardinata all’interno dei processi di pianificazione.<br />

Tale scelta risultava motivata dalla volontà<br />

di superare la logica delle imposizioni<br />

dall’alto favorendo così la responsabilizzazione di<br />

tutti i livelli e di soggetti della Società.<br />

A mio giudizio il risultato principale che ha ottenuto<br />

lo studio è stato di ribadire che la conoscenza<br />

dei fenomeni ambientali deve passare attraverso,<br />

valori misurabili oggettivamente superando<br />

la apparente, o reale, discrezionalità dei<br />

procedimenti. Inoltre, grazie a questo studio,<br />

oggi disponiamo di un set selezionato di indicatori<br />

con i quali misurare in modo mirato al contesto<br />

locale le interazioni tra uomo e ambiente.<br />

L’atto di indirizzo della Giunta Provinciale sullo<br />

Sviluppo Sostenibile<br />

Approvato con delibera n 1.947 del luglio<br />

2000, l’Atto di Indirizzo sullo Sviluppo Sostenibile<br />

impegna la Giunta a promuovere uno sviluppo<br />

locale sostenibile. La delibera ha affrontato, oltre<br />

alle questioni più rilevanti in merito alle pressioni<br />

sulle risorse ambientali, anche il tema della<br />

“valutazione-implementazione-valutazione” della<br />

sostenibilità, formalizzando gli indicatori come<br />

strumento di valutazione e la selezione degli indicatori<br />

come risultato di un percorso di condivisione<br />

tecnico-scientifica che richiama i principali<br />

capisaldi della corretta gestione ambientale. Gli<br />

strumenti di attuazione del criterio generale di<br />

sostenibilità sono in particolare i Piani che costituiscono<br />

l’ossatura del governo della cosa pub-<br />

blica in Trentino. La Vas è quindi vista come<br />

strumento ordinario per la sostenibilità dentro al<br />

processo di analisi ambientale finalizzato alla formazione<br />

degli obiettivi di sviluppo in cui deve<br />

concorrere anche la valutazione dell’efficacia e<br />

dell’efficienza delle politiche.<br />

Un percorso di esperienze utili alla introduzione<br />

della Vas<br />

Nel 2001 la Provincia autonoma di Trento (Pat)<br />

ha prodotto una linea guida allo scopo di condurre<br />

le Agende 21 in ambito trentino; in essa<br />

era indicato che il Documento di Sintesi sullo<br />

Stato dell’Ambiente era da elaborare attraverso<br />

l‘utilizzazione degli indicatori sintetici, così come<br />

individuati con il Psst, integrato con eventuali ulteriori<br />

approfondimenti tematici, e accompagnato<br />

da un documento basato sugli Indicatori Comuni<br />

Europei, quale integrazione attenta agli aspetti<br />

sociali-qualità della vita- e al consenso popolare.<br />

Uno dei nodi fondamentali era comunque<br />

la disponibilità dei dati. Essi dovevano essere<br />

raccolti in modo organico, vidimati e messi a<br />

disposizione degli utenti da un soggetto forte di<br />

elevata referenzialità. Questa strada avrebbe<br />

permesso quindi alta qualità dei dati di riferimento.<br />

Un soggetto unico forte nei confronti dei<br />

detentori delle informazioni base, ed in grado di<br />

razionalizzare il sistema di raccolta, trattazione<br />

e fornitura dei dati con conseguenti risparmi economici<br />

e di sistema. Il Comune di Riva del<br />

Garda nel 2002 ha aderito al procedimento<br />

sperimentale di A21L e ha utilizzato le metodologie<br />

proposte dalla linea guida Pat. Il problema<br />

emerso da questa esperienza è stata la frammentarietà<br />

dei dati, la loro difficile disponibilità e<br />

la non sempre soddisfacente significatività delle<br />

conoscenze nei confronti del contesto nel rapporto<br />

tra le conoscenze di livello provinciale da<br />

quelle su base locale. Il procedimento di Agenda<br />

21 è stato ripetuto nel 2008 sostituendo alcuni<br />

degli indicatori originali di cui era stata messa in<br />

discussione la validità, con altri dati più facilmente<br />

disponibili nelle banche dati locali. Il documento<br />

sullo Stato dell’Ambiente e di Bilancio Ambientale<br />

Comunale (Sabac) così ottenuto, per<br />

quanto a conoscenza e valutazione, è risultato<br />

di peggiore qualità e non incidente sulla riduzione<br />

dei costi. Va tenuto presente che un Sabac è<br />

un documento preliminare necessario alla selezione<br />

dei campi di azione (A21L) e complementare<br />

anche alla valutazione ambientale strategica<br />

su base oggettiva. La mancata strutturazio-<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 11


12 / <strong>Sentieri</strong> Urbani<br />

ne di un soggetto detentore di dati di sostenibilità<br />

sensibili e referenziati ha di fatto svuotato di<br />

significato i procedimenti di miglioramento ambientale<br />

riducendoli, prevalentemente, a semplici<br />

campagne pubblicitarie di marketing ambientale.<br />

La Vas del Documento di Programmazione Unica<br />

2000-2006 (Docup)<br />

Il documento unico di programmazione raccoglie<br />

in modo coordinato ed organico le azioni a sostegno<br />

dello sviluppo dei sistemi locali, la valorizzazione<br />

delle risorse naturali, del patrimonio culturale<br />

e gli interventi per il miglioramento della<br />

qualità ambientale, nonché il razionale utilizzo<br />

delle risorse energetiche rinnovabili; interventi il<br />

cui finanziamento è stato richiesto dalla Provincia<br />

autonoma di Trento alla Comunità europea e<br />

poi attuate nel periodo di validità del Programma<br />

a scala locale. La Vas è stata un atto di responsabilità<br />

elaborata come strumento volontario<br />

di valutazione delle scelte in un processo parallelo<br />

e sperimentale rispetto al programma<br />

presentato alla Comunità Europea. Il documento<br />

di Relas risulta molto articolato, mai approvato<br />

formalmente dalla Giunta Provinciale e scarsamente<br />

inserito nel processo decisionale; l’analisi<br />

è stata condotta da un gruppo multidisciplinare<br />

attraverso l’uso degli indicatori e sintetizzato per<br />

mezzo della schematizzazione delle relazioni tra i<br />

punti di forza e di debolezza con i rischi e le opportunità.<br />

L’esperienza della valutazione del Docup<br />

ha aperto la strada alla valutazione dei piani<br />

di settore provinciali.<br />

La Vas del Piano Provinciale della Mobilità<br />

(2003)<br />

Il Piano, elaborato nei primi anni 2000 e mai<br />

approvato dalla Giunta Provinciale, tende a perseguire<br />

i seguenti fini: a) attuazione di una gestione<br />

coordinata dei diversi sistemi di trasporto,<br />

sia persone che merci, ristrutturazione e costruzione<br />

di opere e infrastrutture necessarie allo<br />

scopo; b) contenere i consumi energetici e riduzione<br />

delle cause di inquinamento atmosferico<br />

ed acustico.<br />

Le misure sono:<br />

- orientare lo sviluppo dei trasporti <strong>urbani</strong> ed extra<strong>urbani</strong><br />

e delle relative infrastrutture,<br />

- indirizzare per l’integrazione ed il coordinamento<br />

intermodale dei differenti sistemi,<br />

- migliorare rete dei servizi pubblici e del trasporto<br />

pubblico extraurbano,<br />

Territorio&Paesaggio<br />

- individuare i comuni all’interno dei quali deve<br />

essere svolto un sistema di TP di tipo urbano.<br />

La relazione ambientale strategica (Relas) analizza<br />

le scelte del Piano contestualizzandole nel<br />

rapporto esistente con il sistema della programmazione<br />

ed evidenziandone la coerenza in valutazioni<br />

riferite agli aspetti territoriali e alle problematiche<br />

emergenti, nonché inserendole in<br />

considerazioni qualitative legate anche a misurazioni<br />

oggettive (uso degli indicatori). Essi sono<br />

assunti da due riferimenti scientifico-culturali: il<br />

Progetto per lo Psst e gli indicatori Ocse. La<br />

metodologia di valutazione è stata la Swot (vedi<br />

descrizione precedente). Il rapporto risulta in<br />

questo modo articolato, argomentato e completo,<br />

nonché ricco di spunti di riflessione e di segnalazioni<br />

per il miglioramento nel rapporto con<br />

il territorio e l’ambiente. Anche qui è mancata la<br />

parte pubblica-decisionale del processo, ovvero<br />

le consultazioni e la messa a disposizione del<br />

pubblico.<br />

La Vas del Piano Provinciale di Smaltimento Rifiuti<br />

– 2° e 3° aggiornamento (2002/2006)<br />

L’aggiornamento del Piano Rifiuti si inserisce in<br />

una fase di profondo cambiamento della normativa<br />

e della organizzazione del sistema di trattamento<br />

dei rifiuti e che ha registrato una consistente<br />

evoluzione anche sul fronte operativo. La<br />

Reazione Ambientale Strategica del 2° aggiornamento<br />

e del terzo si collocano nella fase di prima<br />

sperimentazione del procedimento di Vas,<br />

hanno applicato metodologie e sistemi di misurazione<br />

già utilizzati nelle altre valutazioni ed il<br />

processo di confronto pubblico da registrato<br />

momenti di intensa partecipazione. La Vas ne risulta<br />

quindi arricchita di verifiche, sia metodologiche<br />

che di merito, con esplicitazione dei limiti.<br />

La Vas del Piano Generale di Utilizzazione delle<br />

Acque Pubbliche (Pguap - 2004/06)<br />

Il Piano, elaborato in parallelo alla redazione della<br />

Vas e solo per gli aspetti relativi alla gestione<br />

delle risorse idriche, ha disciplinato la materia<br />

delle concessioni alla captazione delle acque e il<br />

loro utilizzo compresa la disciplina del deflusso<br />

minimo vitale, il nodo della sicurezza del territorio<br />

individuando le fasce di rispetto dei corsi<br />

d’acqua di tipo idrologico, per la funzionalità fluviale<br />

e le aree di pertinenza paesaggistica. Infine<br />

ha dato indicazioni di natura progettuale per le<br />

sistemazioni idrauliche.<br />

La specifica Relas è stata elaborata dai compe-


Territorio&Paesaggio<br />

tenti uffici provinciali, in collaborazione con uno<br />

studio professionale, per oggettivizzare la valutazione<br />

ha utilizzato tre set di indicatori: quelli del<br />

Psst, quelli del Rapporto sullo Stato<br />

dell’Ambiente Trentino e quelli Ocse; la valutazione<br />

è stata condotta con il metodo Swot. Con<br />

questa impostazione il processo di integrazione<br />

tra scelte pianificatorie e valutazioni strategiche<br />

è stato organico e strutturale, anche se in qualche<br />

modo parziale, così come il processo di partecipazione<br />

è avvenuto secondo una procedura<br />

formale (osservazioni-accoglimento/rigetto). E’<br />

quindi stato percorso un processo di Vas completo<br />

in cui la natura stessa del piano ha facilitato<br />

il buon esito delle indicazioni della valutazione.<br />

La Vas del Piano Provinciale di Utilizzazione delle<br />

Sostanze Mineriarie – 4° aggiornamento (2003)<br />

Il Piano ha regolato le previsioni di sviluppo delle<br />

attività estrattive dentro ai tradizionale metodi di<br />

governo del settore. La specifica Relas è stata<br />

elaborata da consulenti interni della Pat, in collaborazione<br />

con Prof. Roberto Camagni e Tommaso<br />

Pompili, e la valutazione è stata condotta<br />

con il metodo Swot, nonché con la compilazione<br />

di una check-list. Con questa impostazione il<br />

processo di integrazione tra scelte pianificatorie<br />

e valutazioni strategiche si è inserito nel processo<br />

decisionale con risultati piuttosto modesti ed<br />

anche la fase della partecipazione pubblica appare<br />

di contenuta entità.<br />

La Vas del Piano di Sviluppo Rurale (2007-<br />

2013)<br />

Il Piano prevede 4 assi su cui intervenire sostenendo<br />

finanziariamente le iniziative che saranno<br />

proposte: per migliorare il settore agricoloforestale,<br />

per migliorare l’ambiente e lo spazio<br />

rurale, per migliorare la qualità della vita e la diversificazione<br />

delle attività, nonché per attuare<br />

le strategie di sviluppo locale. La Relas è stata<br />

elaborata a cura del prof. Geremia Gios, metodologicamente<br />

abbandona le esperienze precedenti<br />

e la valutazione è impostata su di un criterio<br />

di rendicontazione <strong>urbani</strong>stico-territoriale allargata<br />

ai fattori ambientali, ma con giudizi qualitativi<br />

generali. La valutazione appare scarsamente<br />

integrata nel processo decisionale ed la<br />

partecipazione risulta di modesta validità.<br />

La Vas del Programma Operativo 2007-2013<br />

(ex Docup)<br />

Il Piano, elaborato in parallelo alla redazione del-<br />

la Vas, ha previsto il sostegno finanziario dei seguenti<br />

assi: Energia/ambiente e distretto tecnologico,<br />

Tecnologie dell’informazione e della comunicazione,<br />

Nuova imprenditorialità, Sviluppo<br />

sostenibile, Assistenza tecnica. La Relas è stata<br />

elaborata dai competenti uffici provinciali avvalendosi<br />

anche del supporto scientifico multidisciplinare<br />

esterno, utilizzando una metodologia adatta<br />

alle valutazioni strategiche di scala comunitaria,<br />

con riferimenti e richiami alla fonte Eurostat.<br />

La procedura ha previsto anche la fase<br />

delle consultazioni nella forma del coinvolgimento<br />

dei soggetti competenti e direttamente interessato<br />

senza avventurarsi in partecipazioni allargate.<br />

Gli indicatori si riferiscono alla strategia<br />

di Lisbona per il 2010 e hanno utilizzato varie<br />

fonti, nonché la valutazione è stata condotta sia<br />

con l’utilizzo di matrici che di check-list. Inoltre,<br />

risultano esplicitate anche le alternative.<br />

La Vas del Pup 2008<br />

Il nuovo Piano di coordinamento territoriale del<br />

Trentino è passato da una impostazione con<br />

previsioni puntuali e prescrittive ad uno con contenuti<br />

strategici generali, di indirizzo, da sviluppare<br />

e dettagliare a scala di Comunità. Il gruppo<br />

di valutazione strategica ha lavorato parallelamente<br />

al gruppo di progettazione del Pup con una<br />

significativa integrazione metodologica e pratica,<br />

nonché coinvolgendo un ampio spettro di<br />

organi competenti, ovvero interessati, dalle scelte<br />

di natura <strong>urbani</strong>stica.<br />

La Relas del Pup risulta complessa e articolata:<br />

gli strumenti di valutazione sono stati le Matrici<br />

per la valutazione degli obiettivi, delle strategie e<br />

delle alternative. Sono state analizzate le componenti<br />

di piano e per la sintesi delle valutazioni<br />

si è utilizzata il metodo dello Swot ambientale incardinato<br />

sugli Indicatori di contesto e di prestazione,<br />

nonché sulla Cartografia. La valutazione<br />

d’incidenza redatta in parallelo appare approfondita<br />

e analogamente complessa. Le consultazioni<br />

hanno riguardato il Piano nei suoi differenti<br />

passaggi, dal documento preliminare alle tre adozioni<br />

formali che hanno comportato tre fasi di<br />

osservazioni-risposte, interessando anche la legge<br />

di approvazione. Parallelamente ciò ha corrisposto<br />

alla messa a disposizione delle informazioni<br />

necessarie alla partecipazione secondo le<br />

modalità previste dalla legge e con incontri<br />

d’area (comprensori) e tematici (le categorie),<br />

nonché con la presentazione del Piano per mezzo<br />

della distribuzione agli interessati di materiale<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 13


14 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Territorio&Paesaggio<br />

Grandi opere e paesaggio:<br />

l’invaso del Lago di<br />

Santa Giustina in Valle di<br />

Non (Trentino)<br />

illustrativo di facile consultazione. Con il procedimento<br />

delle Osservazioni-correzioni al piano e<br />

risposta alla stesse la consultazione è stata pienamente<br />

inserita nelle decisioni formali condizionandone<br />

l’esito del Piano. Ora il monitoraggio<br />

potrà avvenire attraverso il continuo aggiornamento<br />

del Siat-Pat, nonché con il confronto dei<br />

dati che saranno sviluppati a livello di Comunità.<br />

È certamente il processo di Vas più completo e<br />

organico fatto in Trentino.<br />

La Vas sui provvedimenti antincendi boschivi<br />

È in corso una esperienza volontaria di valutazione<br />

ambientale strategica a cura del competente<br />

Servizio e incardinata sulle risorse interne<br />

con supporto di altri attori Pat e che sembra aver<br />

introitato la Vas nel processo decisionale,<br />

ovvero di redazione dello strumenti di programmazione.<br />

La Vas del PRG di Mori<br />

È in corso la redazione di una valutazione strategica<br />

a livello comunale volontaria, affidata al<br />

prof. Vittorio Ingegnoli. Pur non essendo ancora<br />

stata presentata, ne disponibile, è dato sapere<br />

che ha una impostazione tipica di<br />

“Ecologia del paesaggio” e appare poco coerente<br />

con l’impostazione dettata dal PUP alla autovalutazione.<br />

L’ordinamento <strong>urbani</strong>stico trentino e<br />

l’autovalutazione<br />

Il nuovo Ordinamento <strong>urbani</strong>stico trentino (LP n.<br />

1/08) coniuga la Vas al valore strategico dei<br />

piani in una dizione di “autovalutazione”, in coerenza<br />

con gli antefatti già presentati, scelta che<br />

sotto il profilo metodologico risulta pienamente<br />

condivisibile soprattutto alla luce della riforma<br />

istituzionale (sussidiarietà responsabile), e che<br />

nella pratica comporterà ai soli piani di settore<br />

provinciale e ai Piani di Comunità l’essere assoggettati<br />

alla procedura di valutazione. Appare opportuno<br />

evidenziare che la valutazione dei piani<br />

settoriali fin qui fatta si è rilevata positiva in<br />

quanto, superata la prima sperimentalità, ora<br />

sta percorrendo strade di diversificazione metodologica,<br />

e che comunque registra il positivo inserimento<br />

della Vas all’interno dei processi decisionali.<br />

Risultano però esclusi dalla valutazione<br />

strategica i Piani <strong>urbani</strong>stici comunali, in Trentino,<br />

i Piani Regolatori Generale (Prg) in quanto<br />

per impostazione normativa, ma blandamente<br />

nella nuova legge, di natura “operativa”, quindi<br />

che non dovrebbero contenere scelte di natura<br />

strategica, almeno nella forma amministrativa<br />

delle “Varianti”. Ma gli sviluppi che è possibile<br />

registrate sulla vicenda Comunità pone in taluni<br />

ambiti serie perplessità sulla effettiva costituzione<br />

ed operatività di questo nuovo ente, in particolare<br />

la storia dei piani comprensoriale suggerisce<br />

grande prudenza. In ogni caso, in assenza<br />

dei Piani di Comunità, e comunque per un lungo<br />

periodo di interregno di sicura non breve durata,<br />

resteranno operativi i soli Prg (Varianti comprese).<br />

Ne risulta che lo sviluppo del territorio<br />

locale per i prossimi 3-5 anni, ma probabilmente<br />

anche di più, rimarrà sicuramente privo della<br />

valutazione ambientale strategica. E se è vero<br />

che i Prg non sono del tutto esclusi dalle valutazione<br />

di coerenza con l’ambiente, il nodo per ora<br />

al centro dell’attenzione è (LP 1/08, art. 6): la<br />

«rendicontazione <strong>urbani</strong>stica che verifica ed esplicita,<br />

su scala locale, le coerenze con l'autovalutazione<br />

dei piani» sovraordinati, questa avviene<br />

comunque all’interno delle tradizionali procedure<br />

partecipative dei Prg e del vaglio tecnico-


Territorio&Paesaggio<br />

burocratico interno alla Pa (assenza consultazioni-informazione-introitazione<br />

nelle decisione del<br />

processo partecipativo). E se è vero che<br />

l’autovalutazione e la rendicontazione devono evidenziare<br />

gli effetti finanziari delle scelte di piano,<br />

nonché esplicitare la coerenza con i criteri, gli<br />

indirizzi e i parametri della pianificazione di livello<br />

superiore, in particolare riportando misurazioni<br />

degli «indicatori strategici e parametri, da implementare,<br />

monitorare e aggiornare attraverso il<br />

SIAT, per misurare e valutare il livello di conseguimento<br />

degli obiettivi» fin tanto a dire «se ne<br />

ricorrono i presupposti (…) comprendono la valutazione<br />

d'incidenza» il meccanismo della valutazione<br />

appare sbilanciato verso la considerazione<br />

delle sole variabili territoriali e pianificatorie, lasciando<br />

in secondo piano i fattori ambientali. Rimane<br />

inoltre irrisolto il nodo della oggettività delle<br />

valutazioni, quindi dell’apparato conoscitivo,<br />

ovvero dell’uso degli indicatori così come definiti<br />

dal Psst, validi nel tempo e nello spazio.<br />

Infine, nella versione trentina della valutazione<br />

strategica è carente la parte che riguarda la<br />

partecipazione e l’informazione, trasformando la<br />

Vas da fattore tecnico-democratico e variabile<br />

tecnico-burocratica riservata a soli addetti ai lavori.<br />

A ciò si aggiunge la mancata considerazione-presentazione<br />

delle alternative come metodo<br />

di confronto pubblico.<br />

Conclusioni<br />

In questi dieci anni (1999-2008) la Vas trentina<br />

ha prodotto sul fronte dei piani di settore e di<br />

coordinamento territoriale un’esperienza ampia,<br />

articolata e complessivamente positiva. Al di là<br />

degli aspetti formali di recepimento della direttiva<br />

comunitaria, con un processo prevalentemente<br />

volontario, si è permesso un maturare<br />

del procedimento e delle metodologie. Si evidenzia<br />

dunque una articolazione ed una differenziazione<br />

dei percorsi alla ricerca del metodo migliore<br />

in cui emerge il nodo della oggettività della<br />

valutazione (dati). Sul fronte invece dei piani <strong>urbani</strong>stici<br />

intesi come la “disciplina d’uso e di governo<br />

del territorio” l’approccio appare orientato<br />

a diluire i tempi d’entrata in funzione del meccanismo<br />

di Vas, forse in attesa di un assetto più<br />

forte della pianificazione, scelta che forse potrà<br />

avere delle accelerazioni, o delle diversioni, in<br />

relazione alle scelte che farà la prossima Giunta<br />

Provinciale. In ogni caso l’aspetto informativo e<br />

partecipativo appare orientato ad incardinarsi<br />

sulle prassi di approvazione dei piani in vigore<br />

trascurando l’opportunità delle Agende 21 come<br />

processo di partecipazione strutturato. Trovo<br />

che questa impostazione sia debole, soggetta<br />

ad eventuali rilievi comunitari, e che in ogni caso<br />

tralascia l’opportunità di cambiare il rapporto<br />

tra le scelte “politiche” ed i cittadini (il nodo del<br />

consenso).<br />

Per la norma trentina il soggetto protagonista<br />

della Vas è principalmente la Comunità di valle,<br />

ovvero un livello istituzionale e di pianificazione<br />

ancora inesistente, di cui ci si auspica una rapida<br />

introduzione, ma per il quale non si può che<br />

registrate l’assenza. L’esclusione poi dalla Vas<br />

della pianificazione comunale e la sua relega alla<br />

rendicontazione, smonta nei piani comunali<br />

(quelli che oggi contano) la possibile interferenza<br />

della valutazione ambientale strategica con il<br />

processo decisionale tradizionale, inserendolo<br />

invece a pieno nella contrattazione tra la PAT ed<br />

gli Enti locali.<br />

La metodologia fin qui utilizzata per valutare i<br />

piani di settore appare funzionare anche se la vicenda<br />

degli indicatori non è ancora risolta e mostra<br />

tutta la sua complessità e articolazione. Ora<br />

in vista della valutazione di livello comunale,<br />

“coordinato”, la questione delle conoscenze secondo<br />

criteri oggettivi, strutturati e condivisi<br />

(indicatori e loro vidimazione), con i relativi costi<br />

e disponibilità, si fa pressante. Il Siat costituisce<br />

una parte di questa risposta, ma non è in<br />

grado di affrontare il versante ambientale, per<br />

competenza e non per capacità o risorse. Appare<br />

opportuno ribadire il concetto, già altre volte<br />

espresso, che la Pat deve farsi carico di questo<br />

compito semplificando le fasi elaborative preliminari<br />

della valutazione e riducendone così i costi,<br />

ma anche elevando l’affidabilità degli strumenti.<br />

I dati e le informazioni sono strumento di democrazia,<br />

la mancata attivazione di un soggetto dedicato<br />

allo scopo, ovvero il suo spostamento in<br />

altro luogo, testimonia la difficoltà ad affrontare<br />

una questione complessa e delicata per cui la<br />

soluzione stenta a delinearsi.<br />

Appare poi difficile superare il modello decisionale<br />

politico tradizionale, ovvero quello della Decisione<br />

maturata all’interno di un luogo chiuso e<br />

competente, l’Annuncio della stessa con<br />

l’attivazione di misure per la Difesa dell’operato<br />

e la conseguente necessità di addomesticare i<br />

procedimenti al fine di non perdere tempo o<br />

consenso. Infine, l’esplicitazione delle alternative<br />

risulta sostanzialmente assente e raramente<br />

presa in seria considerazione.<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 15


16 / <strong>Sentieri</strong> Urbani<br />

Nota<br />

1. Tratto da F.<br />

Farinelli, “Viaggio<br />

all’isola Maurizio”, in E.<br />

Turri (2008),<br />

Antropologia del<br />

paesaggio, Marsilio,<br />

Chi ha ucciso<br />

il PAESAGGIO?<br />

di Alessandro Franceschini<br />

È<br />

difficile, oggi, parlare di paesaggio,<br />

scrivere di paesaggio. Forse non è<br />

mai stato semplice. Ma oggi più che<br />

mai quando la parola “paesaggio” viene pronunciata<br />

o scritta – e se chi parla o scrive<br />

non è un ingenuo – dovrebbe far tremare il<br />

sangue nelle vene e nei polsi. Troppi i rimandi<br />

culturali e disciplinari che sono sottesi<br />

a quelle nove lettere. Troppi i significati<br />

identitari, le occasioni di progetto consapevole,<br />

le opportunità di costruire l’aperto e il<br />

cuore degli uomini, per liquidare quella parola<br />

con banalità. Tuttavia: oggi quella parola<br />

è sulla bocca di tutti. Ma proprio di tutti.<br />

E fra gli alcuni che pronunciano questa parola<br />

con rispetto, ce ne sono tanti che lo<br />

fanno senza cognizione di causa, collocandola<br />

tra un neo-logismo e una citazione anglosassone,<br />

credendo di riempire vuoti discorsi<br />

con qualcosa. Ma, in realtà, bestemmiando<br />

il paesaggio.<br />

Ma perché questo concetto è diventato così<br />

di moda, così insopportabilmente al centro<br />

di tutte le conversazioni disciplinari che<br />

hanno come oggetto di studio lo spazio aperto?<br />

Insomma: che cosa hanno in comune<br />

l’ingegnere infrastrutturale e l’architetto,<br />

il geografo e l’artista, il filosofo e<br />

l’economista, il legislatore e l’ecologista per<br />

usare – chissà con quale significato diverso,<br />

per ciascuno di loro – la parola paesaggio<br />

con tanta abbondanza? Quasi fosse che<br />

il paesaggio avesse una capacità<br />

“totalizzante”. Le sue caratteristiche, definite,<br />

tra l’altro da autorevoli studiosi, in termini<br />

di inafferrabilità (A. Clementi), imprevedibilità<br />

(A. Lanzani), vecchiezza (M. Ja-<br />

Territorio&Paesaggio<br />

kob), intuitività (M. Vitta), arguzia (F. Farinelli),<br />

meta-spazialità (R. Assunto), artisticità<br />

(M. Schwind), etica (Venturi Ferriolo) solo<br />

per citarne alcune, possono essere lette<br />

come una metafora del nostro tempo, delle<br />

sue contraddizioni e delle sue mode cangianti.<br />

Superata la crisi in cui era caduto<br />

all’inizio degli anni Settanta, oggi il concetto<br />

di paesaggio ha ripreso vigore e autorevolezza.<br />

Ma perché?<br />

Oggi è il geografo Franco Farinelli a spiegarci<br />

il perché della rinnovata fortuna del<br />

paesaggio. Scrive: «Il paesaggio (…) è esattamente<br />

il contrario dello spazio, è innanzitutto<br />

quello che sfugge alla micidiale riduzione<br />

sulla quale l’intera modernità si è fondata:<br />

la riduzione del mondo, che è un<br />

complesso di processi, ad una carta geografica,<br />

che è un complesso di elementi<br />

statici. Il paesaggio si compone di tutto<br />

quello che sfugge a tale fondamentale mortificazione.<br />

E poiché oggi quella misteriosa<br />

cosa che è la rete ha abolito lo spazio dal<br />

funzionamento del mondo, il paesaggio (che<br />

per sua natura è l’antispazio) diventa l’unico<br />

modello con il quale tentare l’impresa di<br />

comprendere quest’ultimo: proprio il modello<br />

d’attitudine rispetto al mondo in cui, come<br />

nella rete, tra soggetto e oggetto è impossibile<br />

distinguere, nel senso che il primo,<br />

consapevolmente, si riconosce anzitutto<br />

come parte del secondo e inseparabile<br />

da esso» 1 .<br />

L’analisi di Farinelli è chiara quanto impietosa.<br />

Come la rete ha la capacità di fondere<br />

in una sola parola la complessità dei suoi<br />

funzionamenti e, al contempo, di liquidare<br />

tutto il fardello dello spazio aperto, così il<br />

paesaggio ha la capacità di essere essenza<br />

di processi antropici e naturali che convivono<br />

nell’equilibrio. Ne consegue che il paesaggio<br />

è la metafora più funzionale (e funzionante)<br />

per descrivere e per progettare<br />

in maniera efficace lo spazio aperto. Esso<br />

si antepone alla “vocazione all’eternità” di<br />

architetti ed <strong>urbani</strong>sti. Sbarazza la pratica<br />

della costruzione del mondo dall’imperativo<br />

dell’immortalità per lasciar spazio alla fluidità<br />

dei processi che da sempre hanno governato<br />

l’immagine del mondo.<br />

Cosa dobbiamo fare, allora, per rispettare<br />

questa tensione del paesaggio ad essere<br />

metafora del mondo d’oggi? Anzitutto rispettando<br />

la parola stessa, evitando l’uso a<br />

sproposito e l’abuso, quasi fosse un comandamento:<br />

«non nominare il suo nome<br />

invano».


Spazio&Società<br />

Qualità degli spazi <strong>urbani</strong><br />

per una comunità SICURA<br />

di Bruno Zanon<br />

Q<br />

uale strada scegliamo per tornare a<br />

casa? Perché frequentiamo una certa<br />

piazza e spesso evitiamo un parco? Ci<br />

sentiamo più a nostro agio in un centro commerciale<br />

o nei pressi della stazione ferroviaria?<br />

Le risposte, se non sono reticenti, mettono in<br />

luce aspetti cruciali del vivere la città, in termini<br />

di qualità dei luoghi e di senso di benessere ma<br />

soprattutto di sicurezza personale. Si tratta di<br />

un tema all’ordine del giorno dell’agenda politica<br />

ed è quindi difficile affrontarlo dai diversi punti<br />

di vista – anche disciplinari - senza essere spinti<br />

verso direzioni inappropriate. Certamente<br />

l’<strong>urbani</strong>stica è chiamata a dare risposte nuove,<br />

rivedendo modelli progettuali, riferimenti organizzativi<br />

e quantitativi ed assumendo un atteggiamento<br />

meno improntato all’atto creativo e<br />

più consapevole delle modalità di operare in<br />

quella macchina complessa che è la città. Il<br />

percorso deve partire da una riflessione sul<br />

rapporto tra lo spazio fisico e lo spazio sociale,<br />

tra la città costruita e la comunità che la abita,<br />

in quanto stanno avvenendo trasformazioni<br />

profonde su entrambi i versanti.<br />

Cosa succede alle città? Perché invece di essere<br />

i luoghi dell’incontro, della promozione sociale,<br />

dello sviluppo personale, presentano sempre<br />

più di frequente situazioni di degrado fisico<br />

e di disagio sociale? Perché invece di garantire<br />

la sicurezza appaiono come i luoghi della devianza<br />

e del rischio? Eppure le città da sempre<br />

intendono offrire sicurezza. Ne sono testimonianza<br />

aspetti fisici, - come le mura -, aspetti<br />

politici - come il governo e la sorveglianza -,<br />

aspetti sociali - in particolare la presenza di una<br />

comunità che partecipa, condivide gli spazi e li<br />

controlla -.<br />

Le città attualmente stanno vivendo fasi di<br />

profonda trasformazione. Sono luoghi sempre<br />

più complessi ed articolati, con parti storiche<br />

attorniate da espansioni più o meno recenti e<br />

quindi da vasti spazi di frangia, dove si collocano<br />

le nuove polarità urbane e reti infrastrutturali<br />

poderose. Dalla dimensione umana, nel<br />

senso che gli spazi e gli edifici sono multipli<br />

della misura dell’uomo, si passa ad una astratta<br />

dimensione spazio-temporale, dove le misure<br />

sono prese in termini di percorrenza con un<br />

veicolo. In questo quadro si alternano pieni e<br />

vuoti, aree verdi ed edificate, oggetti di dimensione<br />

diversa che si contrappongono e si sovrappongono.<br />

Qui il senso di appartenenza e di<br />

responsabilità nei confronti dei luoghi, proprio<br />

dell’abitare, perde di significato. Ma anche nelle<br />

parti antiche della città, dove tendiamo a vedere<br />

la permanenza dei fatti fisici, tutto cambia. Non<br />

solo le attività tradizionali, ormai sparite, ma<br />

anche gli abitanti, che da un lato sono i nuovi<br />

ricchi che occupano gli edifici più prestigiosi e<br />

dall’altro gli ultimi arrivati, che occupano le nicchie<br />

(o le vaste aree) di degrado.<br />

Le rapide trasformazioni socio-economiche in<br />

atto, gli effetti della globalizzazione, i flussi di<br />

persone da un continente all’altro producono,<br />

inoltre, situazioni sempre nuove, che richiedono<br />

capacità di comprensione e di governo adeguate<br />

ai processi in atto. Un sociologo ben conosciuto<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 17


18 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Spazio&Società<br />

Architettura contemporanea<br />

e sicurezza: una<br />

bella, ma allo stesso<br />

tempo inquietante,<br />

immagine della Staatsgallerie<br />

di James<br />

Stirling, Michael Wilford<br />

and Associates a Stoccarda<br />

come Bauman racconta i timori e le paure che<br />

pervadono anche le nostre città, molte delle<br />

quali di dimensione modesta e con una lunga<br />

tradizione di convivenza. Ma non si può descrivere<br />

la nuova condizione solo citando uno dei<br />

molti film “di paura” ambientati in città disfatte.<br />

La sicurezza urbana richiede sia maggiori controlli<br />

e interventi di prevenzione più efficaci, sia il<br />

ripensamento delle modalità consuete di costruire<br />

gli edifici e le città, che devono accogliere le<br />

persone e farle diventare cittadini, dare loro una<br />

casa e farle diventare abitanti, fare incontrare<br />

gli individui e creare comunità. In particolare,<br />

vanno ripensate le proposte e le esperienze<br />

<strong>urbani</strong>stiche sviluppate nel secolo scorso, cogliendo<br />

i limiti e gli errori della città costruita<br />

per brani caratterizzati dalla monofunzionalità<br />

che azzera il potenziale di incontri e fatti casuali<br />

(la serendipity) e crea spaesamento; da dimensioni<br />

degli edifici e degli spazi poco appropriate,<br />

con una frequente commistione tra pubblico e<br />

privato, che attenua il senso di appartenenza e<br />

la responsabilità nei confronti dei luoghi; dalla<br />

carenza di luoghi di aggregazione spontanea; da<br />

strade concepite come canali di traffico. Spesso<br />

le attrezzature e gli spazi pubblici (i parchi, le<br />

piazze, i parcheggi, ecc.) non sono dei veri luoghi<br />

<strong>urbani</strong> ma dei semplici vuoti separati dalla<br />

vita della città. Ed ancora, l’architettura, per<br />

assumere un senso urbano, non può essere<br />

intesa come il semplice esito di un atto creativo,<br />

così come appare inadeguata una concezione<br />

astratta della bellezza della città che prescinda<br />

dai modi di vivere, usare e trasformare lo spazio<br />

urbano. Troppe volte raccontiamo di<br />

“architetture tradite” o di luoghi <strong>urbani</strong> male<br />

utilizzati. Poche volte leggiamo gli errori progettuali<br />

di edifici e spazi - anche “firmati” - congegnati<br />

senza riguardo al senso di appartenenza,<br />

alle possibilità di controllo visivo, di orientamento<br />

(nonostante gli architetti conoscano le lezioni<br />

di K. Lynch), ma anche di durabilità ed insieme<br />

di flessibilità. Una città composta di belle architetture<br />

dovrebbe costituire uno spazio di vita<br />

per una società buona. Purtroppo non è così e<br />

paghiamo gli esiti di iniziative velleitarie, di progetti<br />

basati su modi di vita immaginari, di vuoti<br />

che dovrebbero diventare fulcri sociali, di edifici<br />

senza connessioni fisiche con l’intorno che dovrebbero<br />

innescare relazioni comunitarie, di<br />

percorsi articolati e di piazze sopraelevate o<br />

ribassate che dovrebbero diversificare<br />

l’ambiente urbano e moltiplicare i luoghi pubblici<br />

ma che creano degli spazi dove nessuno si addentra.<br />

Sul versante della disciplina <strong>urbani</strong>stica, la qualità<br />

molto spesso è stata perseguita per mezzo di<br />

aspetti quantitativi (distanze tra edifici, dotazioni<br />

di verde e parcheggi, ecc.) oppure proponendo<br />

modelli di spazio urbano che spesso entrano in<br />

conflitto con le esigenze della sicurezza, come<br />

nella tradizione del Movimento Moderno, che<br />

descriveva la città in base a solo quattro funzioni:<br />

abitare, lavorare, circolare, ricrearsi. Era<br />

una visione “fordista” dell’architettura<br />

(“macchina per abitare”, la definiva Le Corbusier)<br />

e della città, che vedeva prevalere le grandi<br />

dimensioni degli oggetti e degli spazi <strong>urbani</strong> e la<br />

loro specializzazione funzionale. Ne erano compromesse<br />

in primo luogo le relazioni urbane e si


Spazio&Società<br />

Tralasciando le proposte (frequenti in alcuni<br />

paesi dove le distanze sociali sono accentuate)<br />

di spazi segregati per dividere i gruppi sociali e<br />

difendere quelli che possono permettersi soluzioni<br />

elitarie (le gated communities, ma anche<br />

gli edifici alti delle città sudamericane, che si<br />

distaccano dalle favelas), si deve puntare alla<br />

qualificazione della città nel suo insieme. In questo<br />

filone si colloca l’approccio definito Crime<br />

Prevention Through Environmental Design<br />

(Cpted), che pone l’accento sul ruolo del disegno<br />

dello spazio fisico nel sostenere la sicurezza e il<br />

controllo della città. Non pretende peraltro che<br />

un ambiente ben congegnato determini automaticamente<br />

comportamenti corretti, ma persegue<br />

condizioni che attenuino la paura del crimine<br />

e rendano più difficile porre in essere atti<br />

criminosi, migliorando la qualità della vita degli<br />

abitanti.<br />

In generale, si deve mirare ad una qualità urbana<br />

che stimoli il senso di appartenenza; che<br />

rafforzi la “territorialità”, che crei una sfera di<br />

influenza che responsabilizzando gli abitanti e<br />

scoraggiando i malintenzionati; che stimoli,<br />

mediante un buon disegno, la sorveglianza spontanea<br />

degli spazi ed in particolare degli accessi.<br />

Tali condizioni non sono certo date per sempre,<br />

dipendendo in buona parte dai processi sociali<br />

attivi, dalla manutenzione, dalla sorveglianza<br />

continua. È importante, infatti, intervenire a<br />

fermare il degrado ed a rimuoverne i segni evidenti<br />

ed allarmanti (gli early warning signals, o<br />

le broken windows), che trasmettono un senso<br />

di abbandono ed allentano le regole del comportamento<br />

socialmente responsabile.<br />

vanificavano la complessità funzionale e il carattere<br />

in gran parte casuale della vita della città.<br />

Alcuni esempi italiani ci ricordano le conseguenze<br />

di tali concezioni astrattamente risolutive,<br />

quali le “Vele” di Scampia a Napoli, o alcuni<br />

edifici “a ponte” sull’asse viario principale del<br />

quartiere Laurentino a Roma, la demolizione dei<br />

quali ha rappresentato l’esito inevitabile di situazioni<br />

di degrado intollerabile. Sono molti, del<br />

resto, gli esempi di edifici e di quartieri, specie<br />

di edilizia residenziale pubblica, che si sono dimostrati<br />

ingestibili a causa di una errata concezione<br />

quanto a dimensione od organizzazione o<br />

per il “marchio” che si portano appresso, insopportabile<br />

per gli abitanti.<br />

Quali sono i possibili interventi per la sicurezza<br />

urbana? Più controllo di polizia, maggiore segregazione,<br />

più telecamere oppure il rafforzamento<br />

del senso di appartenenza degli abitanti e della<br />

loro responsabilità? Non si possono dare risposte<br />

ideologiche ma è necessario combinare una<br />

maggiore attenzione ai comportamenti devianti<br />

e criminosi a risposte strutturate dal punto di<br />

vista tecnico, ben sapendo che gli spazi <strong>urbani</strong><br />

devono garantire il benessere dei cittadini. Non<br />

servono più telecamere se non ci sono gli “occhi<br />

degli abitanti sulla strada” come proponeva<br />

Jane Jacobs.<br />

Nella progettazione urbana, come ricorda una<br />

autrice americana, non ci si deve rassegnare a<br />

distorcere il principio funzionalista: “la forma<br />

segue la funzione” in quello, sempre più diffuso:<br />

“la forma segue la paura”, che spinge verso<br />

spazi segregati o blindati.<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 19<br />

Parcheggi di “genere”


20 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Spazio&Società<br />

Passaggio urbano<br />

Come si vede, c’è un’ampia affinità di modalità di<br />

intervento tra la prevenzione dei comportamenti<br />

criminosi mediante una appropriata progettazione<br />

e la ricerca della qualità urbana. Questa deve<br />

essere intesa come l’esito della interazione tra<br />

le caratteristiche fisiche, morfologiche, percettive<br />

dello spazio urbano e le modalità con le quali<br />

esso è concretamente vissuto dagli abitanti.<br />

Tutto questo assegna grandi responsabilità alla<br />

progettazione urbana e al governo dei processi<br />

di trasformazione della città. In particolare,<br />

appare opportuno porre attenzione ai temi della<br />

sicurezza nelle fasi di decisione e di autorizzazione<br />

dei progetti di rilievo urbano e dei progetti<br />

edilizi di una certa dimensione, così come si fa<br />

correntemente per le barriere architettoniche o<br />

per le misure antincendio. Naturalmente queste<br />

valutazioni non possono essere improvvisate e<br />

richiedono una specifica professionalità.<br />

Riferimenti bibliografici<br />

Bauman Z., 2005, Fiducia e paura nella città,<br />

Milano, Bruno Mondadori.<br />

Bauman Z., 2008, Paura liquida, Torino, Editori<br />

Laterza.<br />

Crowe, T.D., 2000, Crime prevention through<br />

environmental design: applications of architectural<br />

design and space management concepts,<br />

Boston, Mass., Butterworth-Heinemann.<br />

Ellin N., 2001, “Thresholds of Fear: Embracing<br />

the Urban Shadow”, Urban Studies, vol. 38, N.<br />

5-6.<br />

Jacobs J., 2000, Vita e morte delle grandi<br />

città. Saggio sulle metropoli americane, Torino,<br />

Edizioni di Comunità (1a ed. 1961).<br />

Lynch K., 1964, L’immagine della città, Padova,<br />

Marsilio.<br />

Newman O., 1996, Creating Defensible Space,<br />

U.S. Department of Housing and Urban Development,<br />

Office of Policy Development and Research,<br />

Washington.


Spazio&Società<br />

Pensare la città<br />

a misura di BAMBINA/O<br />

di Silvia Alba, Fabrizio Andreis e Silvia Ferrin*<br />

N<br />

ikolaj è un bambino moldavo di<br />

6 anni, vive in una piccola città italiana<br />

e si prepara a frequentare<br />

il primo anno della locale scuola elementare.<br />

Qualche giorno prima dell’inizio<br />

delle lezioni la madre incontra la futura<br />

maestra di Nikolaj per avvertirla che il<br />

bambino tornerà sempre a casa da solo<br />

perché sia lei che il papà sono impegnati<br />

con il lavoro ma anche perché si fidano<br />

di loro figlio. Finite le lezioni del primo<br />

giorno di scuola Nicolaj saluta i compagni<br />

e si incammina da solo verso casa, non<br />

abita lontano e la giornata è bella. Nemmeno<br />

il tempo di uscire dal cortile scolastico<br />

che una mamma lo nota e lo riporta<br />

indietro dalla maestra: «l’ho incontrato<br />

che voleva incamminarsi da solo verso<br />

casa e ho pensato di riportarlo indietro»<br />

dice alla maestra che a sua volta tenta<br />

di spiegarle invano la situazione. La<br />

mamma non capisce o meglio non riesce<br />

a concepire come un bambino così piccolo,<br />

di soli 6 anni, possa raggiungere<br />

da solo il fondo del viale. È vero che c’è<br />

un bel marciapiede e che l’incrocio in<br />

fondo è sicuro, però, lei ne è convinta, il<br />

bambino è troppo piccolo. Nicolaj incomincia<br />

a spazientirsi, vuole andare a casa<br />

dalla sua mamma, poi aveva in mente<br />

di fermarsi un attimo davanti alla vetrina<br />

del negozio di animali, che è sulla strada.<br />

Nicolaj riparte. Subito fuori dalla scuola<br />

incontra la maestra Giuliana, che insegna<br />

nella sua stessa scuola, nelle classi<br />

più anziane, che gli chiede un sacco di<br />

cose, intimorendolo: Cosa fa in giro da<br />

solo a quest’ora?, Dov’è la sua mamma<br />

o il suo papà?, Chi è la sua maestra?,<br />

Che classe frequenta? Dove abita?….<br />

Ovviamente lo riporta indietro dalla sua<br />

maestra che per fortuna era ancora a<br />

scuola perché doveva sbrigare alcune<br />

pratiche. Risolto anche questo contrattempo<br />

Nicolaj finalmente riparte verso<br />

casa. In fondo al viale, però, viene fermato<br />

da un Vigile urbano, addetto al controllo<br />

dell’incrocio, che dopo averlo interrogato<br />

lo riporta a scuola. Nicolaj esausto<br />

incomincia a piangere: vuole andare<br />

a casa dalla sua mamma!<br />

Q<br />

uesta breve storia di ordinaria nonautonomia<br />

racconta una situazione diffusa<br />

in Italia, dalla grande città fino al piccolo<br />

paesino. Mette in luce, secondo noi, alcuni<br />

elementi utili ad inquadrare il rapporto fra i<br />

bambini e lo spazio pubblico urbano contemporaneo:<br />

il percorso casa-scuola, il rapporto fra il<br />

bambino e la strada, i tempi della città, il rapporto<br />

fra la scuola e la comunità, la/e<br />

percezione/e del pericolo da parte dell’adulto in<br />

generale e del genitore in particolare, quella/e<br />

dei bambini…<br />

Siamo un gruppo di architetti che lavora applicando<br />

metodologie partecipative. Da qualche<br />

anno collaboriamo con le Amministrazioni pubbliche<br />

della provincia di Trento su alcuni progetti<br />

che considerano un parametro per valutare il<br />

grado di vivibilità di un ambiente urbano partendo<br />

dall’assunto che quando un luogo, piccolo o<br />

grande che sia, è a misura di bambino sicuramente<br />

lo è per tutti.<br />

Un esempio emblematico è il percorso casascuola<br />

che quotidianamente i bambini compiono.<br />

Esiste un’ampia letteratura che dalla psicologia<br />

all’antropologia, dalla pedagogia<br />

all’architettura, dall’<strong>urbani</strong>stica alla sociologia, si<br />

occupa del rapporto tra spazio costruito e abitanti,<br />

tra percezione e vissuto quotidiano, e il<br />

nostro obbiettivo non è affrontare queste tematiche<br />

da un punto di vista teorico, quanto piuttosto<br />

di fare alcune riflessioni sul nostro lavoro<br />

con i bambini di questo territorio nell’ambito<br />

dell’iniziativa “A Piedi Sicuri” da casa a scuola.<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 21<br />

*Gruppo Palomar -<br />

progettazione partecipata,<br />

Silvia Alba -<br />

Fabrizio Andreis - Silvia<br />

Ferrin architetti<br />

www.gruppopalomar.it


22 / <strong>Sentieri</strong> Urbani<br />

In alto a sinistra (Fig.1):<br />

bambino di sette anni<br />

che si muove a piedi per<br />

recarsi a scuola; a<br />

destra (Fig.2): bambino<br />

di sette anni che si<br />

muove in bicicletta per<br />

recarsi a scuola<br />

L’attività proposta dal progetto “A piedi sicuri” è<br />

un processo inclusivo che, applicando modalità<br />

codificate nei progetti di Agenda 21 locale, vuole<br />

favorire già nel breve termine l’autonomia del<br />

bambino nel percorso casa – scuola. Si rivolge<br />

principalmente ai bambini delle scuole primarie,<br />

e quindi coinvolge anche le famiglie, gli insegnanti,<br />

l’associazionismo, le attività economiche,<br />

le amministrazioni comunali e quella provinciale.<br />

Ma per far cosa? Innanzitutto per permettere ai<br />

bambini di raggiungere la scuola da soli, senza<br />

l’accompagnamento di un adulto e soprattutto<br />

senza utilizzare l’automobile, e, nel lungo periodo,<br />

per stimolare le Amministrazioni pubbliche<br />

locali a dar forma alle trasformazioni dello spazio<br />

urbano tenendo conto delle esigenze di autonomia<br />

e sicurezza dei bambini per migliorare la<br />

vivibilità di tutti. Siamo profondamente convinti<br />

che una città nella quale si vedono i bambini per<br />

strada è una città sicura, viva, democratica e<br />

più serena anche per gli altri abitanti.<br />

Le azioni messe atto, semplici se prese singolarmente,<br />

creano dinamiche complesse se considerate<br />

nelle relazioni reciproche e in una prospettiva<br />

temporale di medio e lungo periodo. In<br />

una prima fase, occorre monitorare la situazione<br />

di partenza capendo la percezione dei genitori,<br />

quella dei bambini e dei diversi attori che a<br />

vario titolo si occupano di bambini e della gestione<br />

della città (dirigenti scolastici, insegnanti, associazionismo<br />

locale, politici, servizi tecnici, addetti<br />

alla sicurezza stradale…) rispetto alla sicurezza<br />

e qualità dei percorsi che conducono a<br />

scuola.<br />

Nella fase successiva queste informazioni diventano<br />

lo sfondo sul quale si predispone uno schema<br />

operativo per permettere ai bambini di muoversi<br />

in modo sostenibile e possibilmente autonomo:<br />

individuazione dei percorsi “sicuri”, degli<br />

spazi di sosta per i genitori “automobilisti”, microinterventi<br />

infrastrutturali ecc. Poi, si sperimenta<br />

per un certo periodo questo insieme di azioni<br />

e si confrontano i risultati con la situazione<br />

Spazio&Società<br />

iniziale. Accanto a queste azioni sono state organizzate<br />

alcune iniziative di sensibilizzazione a<br />

sostegno: dalle feste di quartiere ai cortei di<br />

bambini, dai “piedibus” alle feste ecologiche, dalle<br />

esposizioni pubbliche all’organizzazione di consigli<br />

comunali allargati anche ai bambini. Sono<br />

ormai una trentina le scuole che in Trentino<br />

hanno partecipato al progetto, in molte è diventato<br />

una prassi quotidiana che si applica dal primo<br />

all’ultimo giorno di scuola con risultati che<br />

sono generalmente positivi a dimostrazione come<br />

sia possibile invertire tendenze e abitudini<br />

che paiono a prima vista consolidate, in primo<br />

luogo quella dell’utilizzo del mezzo privato per accompagnare<br />

il proprio figlio a scuola.<br />

Di seguito vengono riportati alcuni risultati dei<br />

questionari rivolti alle famiglie e alcune riflessioni<br />

sui disegni dei bambini. A conclusione una breve<br />

lettura del rapporto dei bambini con lo spazio<br />

pubblico della strada intesa come luogo dei diritti<br />

negati.<br />

Il percorso da casa a scuola in Trentino:<br />

i risultati di 2000 questionari rivolti alle famiglie<br />

Il primo dato utile a portarci nel cuore del problema<br />

è quello relativo alla distanza casa-scuola;<br />

oltre il 90% delle famiglie abita a meno di 20<br />

minuti a piedi dalla scuola, diciamo a meno di 1<br />

chilometro, una distanza relativamente vicina.<br />

Ma come vanno a scuola i bambini?<br />

La metà arriva trasportato con autobus, scuolabus<br />

o automobile privata. Questi ultimi sono circa<br />

un terzo. Vuol dire che in una scuola che ospita<br />

250 bambini ci possono essere un’ ottantina<br />

di macchine che si muovono davanti<br />

all’edificio in un lasso di tempo molto limitato,<br />

circa 10 minuti, con tutto ciò che questo comporta.<br />

Si tenga poi presente che alle macchine<br />

dei genitori vanno aggiunte, in molti casi, anche<br />

quelle degli insegnanti e del personale amministrativo<br />

della scuola che per qualche strano motivo<br />

parcheggia all’interno del cortile scolastico<br />

erodendo spazio utile ai bambini. L’altra metà


Spazio&Società<br />

dei bambini si muove a piedi, da soli o accompagnati;<br />

gli autonomi sono circa il 30% (da soli o<br />

con amici e/o fratelli). La bicicletta non viene<br />

praticamente utilizzata, solo il 3%.<br />

Ma uscendo dal percorso da casa a scuola e<br />

andando a vedere se esistono altri luoghi che i<br />

bambini possono o potrebbero frequentare autonomamente<br />

emerge che solamente il 40% si<br />

muove da solo per frequentare gli amici, i parenti,<br />

per fare qualche compera, per andare al<br />

parco pubblico o frequentare qualche attività. Si<br />

ricorda che stiamo parlando di situazione urbane<br />

in molti casi molto piccole non di metropoli.<br />

Ma quali sono i motivi che secondo le famiglie<br />

scoraggiano l’autonomia dei più piccoli, che generano<br />

questa situazione?<br />

Il 34% ritiene che siano i pericoli del traffico, la<br />

stessa percentuale che accompagna i propri figli<br />

in automobile: forse una coincidenza o forse<br />

sono genitori che si lamentano del traffico generato<br />

da loro stessi, un cane che si morde la coda.<br />

Gli altri motivi riguardano la lontananza da scuola<br />

(20% che corrisponde alla percentuale di famiglie<br />

che abita sopra il chilometro e che utilizza<br />

il mezzo pubblico), il peso dello zaino/cartella, il<br />

15%, e un altro 15% fa parte di una risposta<br />

che volutamente abbiamo lasciato aperta e definita<br />

“altro” che è stata utilizzata per segnalare il<br />

pericolo dei pedofili, dei malintenzionati in genere,<br />

degli stranieri, ecc.<br />

Interessante sottolineare come le condizioni meteorologiche<br />

avverse, in una regione con un inverno<br />

molto rigido, non condizionino più di tanto<br />

le scelte delle famiglie.<br />

Da ultimo abbiamo chiesto come veniva percepita<br />

l’autonomia del proprio figlio in relazione alla<br />

propria, alla stessa età. Solo il 20% la ritiene<br />

migliore, uguale il 36%, quasi la metà la considera<br />

peggiore della propria.<br />

Il paesaggio disegnato: la percezione del bambino<br />

del suo contesto di vita. Analisi di 600 disegni<br />

dei bambini dai 6 ai 10 anni<br />

Una premessa sul perché abbiamo scelto di lavorare<br />

con i bambini. L’infanzia è portatrice di<br />

un’alterità rispetto alla condizione adulta: non è<br />

migliore (come certo partenalismo sostiene),<br />

non è peggiore, è diversa e dal nostro punto di<br />

vista per questo merita di essere valorizzata<br />

perché arricchisce i punti di vista, crea complessità,<br />

mette in crisi verità acquisite e abitudini<br />

consolidate, mette in luce interessi economici<br />

e scelte politiche non sempre lungimiranti. Insomma<br />

i bambini sono sovversivi se messi in<br />

condizione di esserlo. Se invece di stare a casa<br />

davanti al computer possono stare in piazza a<br />

guardare la parata sono in grado di dirci che il<br />

re è nudo.<br />

Dalla casa alla città:<br />

La casa. Il bambino piccolo si sofferma sulla descrizione<br />

estremamente accurata della propria<br />

casa, della scuola, dell’accompagnatore o del<br />

mezzo che usa per recarsi a scuola, non curandosi<br />

di rappresentare la continuità del percorso<br />

casa – scuola. Nella maggior parte dei disegni i<br />

protagonisti principali sono le persone,<br />

l’accompagnatore, il compagno di scuola, il nonno<br />

vigile, il negoziante. Questo può farci pensare<br />

che per i più piccoli percorso casa–scuola sia<br />

un’opportunità per incontrare altre persone dai<br />

famigliari. Poi, con l’aumento dell’età, la componente<br />

umana diminuisce sino a scomparire del<br />

tutto nell’ultimo anno delle elementari (Figg. 1 e<br />

2).<br />

La città. Il bambino a partire dagli otto anni dà<br />

una rappresentazione selettiva e completa del<br />

percorso. Compare lo spazio costruito La maggiore<br />

autonomia di movimento e quindi di esperienze<br />

conoscitive va di pari passo con<br />

l’allargamento dello spazio rappresentato.<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 23<br />

In alto a sinistra (Fig.3):<br />

bambino di otto anni<br />

che si muove in auto<br />

per recarsi a scuola; a<br />

destra (Fig.4): bambino<br />

di otto anni che si muove<br />

in auto per recarsi a<br />

scuola


24 / <strong>Sentieri</strong> Urbani<br />

In alto a sinistra (Fig.5):<br />

bambino di dieci anni che<br />

si muove a piedi per recarsi<br />

a scuola; a destra<br />

(Fig.6) bambino di nove<br />

anni che si muove a piedi<br />

per recarsi a scuola<br />

Città continua e città frammentata:<br />

- la città continua è quella disegnata dal bambino<br />

pedone che come si può notare nel disegno<br />

sopra riportato, è priva continua; ogni elemento<br />

che sia un edificio, una piazza o un parco, è legato<br />

dal percorso che collega la casa con la<br />

scuola. È una città conosciuta dall’esperienza,<br />

ricca di dettagli e informazioni.<br />

- la città frammentata è invece quella disegnata<br />

dal bambino “motorizzato”; il percorso casa/<br />

scuola è una striscia vuota che incontra pochi<br />

luoghi degni di interesse (Figg. 3 e 4).<br />

I luoghi disegnati<br />

Sono i luoghi <strong>urbani</strong> che il bambino quotidianamente<br />

frequenta e che considera significativi. il<br />

bambino disegna la casa e altri luoghi cosiddetti<br />

specializzati, luoghi cioè definiti nella loro funzione<br />

(specializzata) e che non permettono una<br />

fruizione libera, ma sempre ricondotta alla funzione<br />

a cui sono dedicati: i parchi attrezzati per<br />

bambini, le ludoteche e i cinema sono i luoghi<br />

del divertimento, l’ospedale, il luogo della malattia,<br />

l’ospizio, il luogo della vecchiaia, il centro<br />

commerciale, il luogo delle compere, gli asili e le<br />

scuole, i luoghi dell’apprendimento (Fig. 5).<br />

Grande attenzione viene data nel disegno degli<br />

ostacoli o punti di discontinuità lungo il percorso<br />

come gli attraversamenti pedonali, gli incroci e i<br />

semafori, che vengono rappresentati con dovizia<br />

di particolari dal bambino pedone non senza una<br />

certa apprensione (Figg. 6-10).<br />

I disegni dei bambini ci restituiscono la città<br />

com’è veramente e come l’abbiamo creata noi<br />

adulti ad uso e consumo dell’automobile, della<br />

fluidità degli spostamenti e del consumo. Dai loro<br />

disegni non emerge l’esperienza dello spazio<br />

pubblico se non come spazio di attraversamento<br />

per raggiungere altri luoghi ognuno con la propria<br />

funzione.<br />

Noi riteniamo che quanto emerge può far riflettere<br />

i responsabili politici e tecnici della trasformazioni<br />

urbane sull’interesse che attività di con-<br />

Spazio&Società<br />

sultazione allargata e coinvolgimento dei bambini<br />

possono avere prima per la comprensione<br />

della realtà attuale, poi nella scelta di indirizzo e<br />

da ultimo nella verifica delle conseguenze delle<br />

scelte di trasformazione urbana.<br />

La strada contemporanea, luogo di diritti negati<br />

Il diritto di accedere in modo aperto e sicuro agli<br />

spazi pubblici - il diritto alla strada e alla città<br />

- è esplicitamente garantito dalle carte dei diritti<br />

dei bambini diffuse negli ultimi anni da molti organismi<br />

internazionali. (Unicef e Unchs/<br />

Habitat).<br />

Il diritto di accesso e di libera circolazione nei<br />

luoghi pubblici è posto come uno dei diritti fondamentali<br />

dei bambini, il cui compimento deve<br />

essere raggiunto attraverso procedure di coinvolgimento<br />

diretto dei bambini nella progettazione<br />

della città e dell'ambiente.<br />

Mark Francis le ha chiamate Democratic streets:<br />

strade dove ci sono molte attività, dove ci<br />

sono persone, dove si può stare fermi a guardare,<br />

giocare e incontrare amici vecchi e nuovi.<br />

Strade dove c’è complessità e rischio ma anche<br />

protezione sociale. Oggi con un aggettivo di significato<br />

più ampio le chiamiamo le strade sostenibili,<br />

in cui i bambini hanno la possibilità di<br />

giocare, di sentirsi protetti, di sperimentare i<br />

propri limiti e le proprie capacità, di incontrare<br />

gli altri, di sentirsi parte di un luogo.<br />

Il gioco<br />

Da sociale e motorio il gioco sta diventando solitario,<br />

statico e incentrato sullo sviluppo di funzioni<br />

cognitive. Ma nell’infanzia la motricità ha<br />

un peso determinante nello sviluppo<br />

dell’intelligenza. Inoltre il gioco motorio senza la<br />

supervisione degli adulti permette l’ interazione<br />

sociale tra pari con la quale i bambini imparano<br />

la reciprocità, la cooperazione, l’assunzione di<br />

responsabilità rispetto alle regole, la gestione<br />

dei conflitti.


Spazio&Società<br />

Il gioco motorio per strada permette di abitarla<br />

e quindi di conoscerla e rispettarla. Da<br />

un’indagine collegata al progetto A piedi Sicuri<br />

svolta ad Albiano è emerso che i posti per giocare<br />

fuori casa dei bambini di oggi sono il parco<br />

giochi, il campo da calcio, la palestra, l’oratorio.<br />

Quelli dei genitori quando erano bambini, invece,<br />

erano il campo da calcio dove oggi c’è la palestra,<br />

un circuito bici in un campo, il castello diroccato,<br />

i frutteti, gli androni delle case, le strade<br />

in genere, il torrente e l’oratorio; è interessante<br />

sottolineare come per gli adulti, a differenza<br />

dei bambini, non sia stato necessario specificare<br />

che si parlava di luoghi fuori casa.<br />

La sicurezza<br />

Il percorso casa-scuola o il muoversi autonomamente<br />

per le strade è stata per la maggior parte<br />

degli adulti un’esperienza normale, giudicata<br />

a posteriori come determinante nella vita. Oggi<br />

per la maggior parte dei figli di queste persone<br />

si tratta di un’esperienza negata.<br />

Il problema principale si chiama traffico veicola-<br />

re. Le soluzioni che servono per restituire la<br />

strada agli abitanti, in primis ai bambini, non sono<br />

solo tecniche, ma anche e soprattutto culturali.<br />

Le strade sicure per i bambini si costruiscono a<br />

partire da una chiara volontà politica ad andare<br />

verso interventi di moderazione del traffico diffusi<br />

e pervasivi, di riduzione dell’occupazione di<br />

suolo pubblico da parte delle auto, di sensibilizzazione<br />

permanente verso la cittadinanza e di ascolto<br />

delle esigenze dei bambini e delle altre<br />

categorie “deboli”.<br />

Un altro aspetto di carattere pedagogico riguardo<br />

alla sicurezza è la convinzione diffusa che<br />

questa debba essere garantita dall’esterno e<br />

non costruita dal bambino durante un lento percorso<br />

di crescita, in cui il ruolo del genitore non<br />

è quello di non perdere di vista il figlio, ma quello<br />

del promuovere la sua emancipazione dalla<br />

protezione e dalla dipendenza dagli adulti.<br />

Il rischio: al lupo, al lupo!<br />

“La strada (la città, ndr) dovrebbe essere peri-<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 25<br />

In alto a sinistra (Fig.7):<br />

bambino di nove anni che<br />

si muove a piedi e in auto<br />

per recarsi a scuola; a<br />

destra (Fig.8): cortile di<br />

una scuola media.<br />

In basso a sinistra (Fig.9)<br />

bambino di dieci anni che<br />

si muove a piedi per<br />

recarsi a scuola; a destra<br />

(Fig.10): una strada<br />

che fiancheggia la scuola<br />

elementare


26 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Spazio&Società<br />

colosa o sicura come un bosco” (F. La Cecla)<br />

Il bosco può essere avvicinato a quello delle favole<br />

in cui V. Propp ha riconosciuto le radici dei<br />

miti di antiche prove da superare, di pericoli da<br />

riconoscere ed evitare, di persone amiche di cui<br />

imparare a fidarsi di persone ostili da imparare<br />

a riconoscere ed evitare.<br />

Sempre dall’indagine di Albiano emerge che per<br />

i nonni (60-75) e i genitori i posti pericolosi erano<br />

quelli che scaturivano dall’esperienza quotidiana<br />

(il torrente i muretti, gli alberi, il bosco), e<br />

dipendeva dal modo comportamento tenuto la<br />

loro pericolosità. I luoghi non erano pericolosi in<br />

sé. La strada sembra invece ai bambini di oggi<br />

pericolosa comunque a causa del traffico insieme<br />

ad altri luoghi non conosciuti che diventano<br />

pericolosi.<br />

Insieme al traffico la paura dei pericoli sociali legati<br />

a persone malintenzionate nei confronti dei<br />

bambini è un atteggiamento condizionato dai<br />

mass media che non ha riscontro nella realtà.<br />

È socialmente pericoloso insegnare ai bambini a<br />

non fidarsi degli adulti esterni alla famiglia, da<br />

un lato si mina la loro autonomia, aumentando<br />

la dipendenza dalla famiglia, dall’altro<br />

s’impedisce ai bambini di sperimentare nuove<br />

relazioni rendendo difficile nel bambino lo sviluppo<br />

della sana e ponderata diffidenza verso<br />

l’estraneo che si acquisisce solo con<br />

l’esperienza e non con la chiusura aprioristica.<br />

L’autonomia: poter parlare fra di noi.<br />

Dal consiglio dei bambini di Fano è emerso che<br />

ai bambini piace andare a scuola da soli perché<br />

“possiamo parlare tra noi”. Nei luoghi specializzati<br />

pensati per i bambini sempre sotto il controllo<br />

degli adulti non è possibile la comunicazione,<br />

non sono possibili esperienze aperte che il<br />

bambino possa controllare, modificare, secondo<br />

decisioni sue, senza ripetizioni forzate.<br />

Dai dati in nostro possesso emerge che nel percorso<br />

casa-scuola in Trentino è autonomo<br />

all’andata il 31,9% e al ritorno il 39,7%. Il 63%<br />

dei bambini si sposta sempre accompagnato.<br />

Dato in linea con altre esperienze italiane: una<br />

su tutte quella di Legambiente in un quartiere di<br />

Milano in cui ad andare a scuola autonomamente<br />

era il 32%.<br />

Il tempo: quanto tempo ci metti?<br />

Il tempo dei bambini non è quello degli adulti.<br />

“Quanto ci metti da casa a scuola?” chiede<br />

l’adulto al bambino. “10 minuti” risponde. “ E se<br />

corri quanto ci metti?” “Sempre 10 minuti”<br />

Per l’adulto la distanza e il tempo sono dimensioni<br />

euclidee e ciò che conta sono la partenza<br />

e l’arrivo. Per i bambini quello che conta è ciò<br />

che sta in mezzo. Il percorso che dura 10 minuti<br />

in qualsiasi modo venga percorso perché per<br />

il bambino sono 10 muniti di libertà a cui lui non<br />

vuole rinunciare.<br />

I bambini hanno una percezione diversa del tempo<br />

e dello spazio. Non inferiore o sbagliata.Il ritmo<br />

frenetico delle strade dominate<br />

dall’automobile è emblematico di una situazione<br />

esistenziale in cui bambini non hanno più<br />

l’opportunità di fare esperienze di vita orientate<br />

verso orizzonti di esigenze e di comportamento<br />

propri e non imposti dagli adulti.<br />

Questo li porta ad essere spesso bambini stressati,<br />

con difficoltà di apprendimento e con comportamenti<br />

aggressivi. Come accade agli animali<br />

in cattività.<br />

La partecipazione<br />

Le ricerche di psicologia dell'infanzia, e molte<br />

sperimentazioni pratiche, hanno individuato una<br />

specifica competenza spazio-temporale dei bambini:<br />

una competenza abile, consapevole ed esperta.<br />

Nella conversazione sociale che deve accompagnare<br />

la formazione delle politiche urbane,<br />

ascoltare i bambini non è allora un esercizio<br />

retorico o paternalistico, ma una precisa esigenza<br />

tecnica che arricchisce e completa un<br />

quadro altrimenti non in grado di rispondere alla<br />

complessità contemporanea.<br />

Rispetto al tema della strada e dei luoghi collettivi,<br />

è importante che le competenze dei bambini<br />

siano considerate risorse in vista della loro riorganizzazione<br />

fisica come spazi pubblici di relazione.<br />

Per concludere<br />

Chiudiamo con un piccolo test.<br />

«I bambini nel piccolo parco giochi sono affaccendati<br />

a giocare e divertirsi. “Mi sento sicuro a<br />

giocare in questo giardino, molto più di quando<br />

sto per strada”. Questa è forse l'unica opportunità<br />

che questi bambini hanno di fare qualcosa<br />

di divertente fuori dalle loro case. A causa delle<br />

precarie condizioni di sicurezza, infatti, i genitori<br />

sono assai riluttanti a lasciarli uscire di casa per<br />

andare a giocare».<br />

Chi sono questi bambini e dove abitano? Provate<br />

mentalmente ad immaginare al parco pubblico<br />

di quale città si riferisca questa breve descrizione.<br />

Ora leggete il resto e fate le vostre considerazioni.<br />

La scena avviene in un villaggio palestinese di<br />

Wadi Al Salqa, nella Striscia di Gaza. Ma quella<br />

che altrove è una semplice scena di vita quotidiana<br />

non è qualcosa di ordinario qui, dove i<br />

bambini hanno davvero pochi posti per giocare.<br />

«I bambini di Gaza vivono in un'atmosfera di paura<br />

e insicurezza inimmaginabili» spiega Dan Rohrmann,<br />

Rappresentante <strong>UN</strong>ICEF nel Territorio<br />

Palestinese Occupato (TPO).


Spazio&Società<br />

La città sicura:<br />

bambini e genitori A CONFRONTO<br />

di Rose Marie Callà<br />

Premessa<br />

Nell’ambito dello studio “La vivibilità urbana. Un<br />

inquadramento teorico e metodologico” 1 commissionato<br />

nel 2007 dall’Assessorato alla Vivibilità<br />

urbana, Mobilità e Ambiente del Comune di<br />

Trento, sono state analizzate e descritte quattro<br />

diverse azioni per incrementare la vivibilità in<br />

ambito comunale. Una di queste azioni si è<br />

focalizzata sull’analisi dei questionari somministrati<br />

agli allievi - e ai loro genitori – di alcune<br />

classi della Scuola Elementare “Tomasi” di Villazzano.<br />

L’obiettivo della suddetta analisi, di cui si<br />

riportano alcune parti nel presente intervento,<br />

era quello di individuare, attraverso la testimonianza<br />

dei bambini e degli adulti, possibili trasformazioni<br />

urbane volte all’incremento della<br />

sicurezza nel tragitto casa-scuola. Il fine ultimo<br />

era, ed è, quello di (ri)costruire una città più<br />

vivibile per i bambini e, dunque, più vivibile per<br />

tutti, come è stato ampiamente spiegato da<br />

Alba et al. nell’intervento su questo stesso numero<br />

di <strong>Sentieri</strong> Urbani 2 .<br />

La somministrazione dei questionari nella Scuola<br />

Elementare “Tomasi” di Villazzano si inserisce in<br />

un progetto molto più ampio - “Bambini a piedi<br />

sicuri per una mobilità sostenibile 2007/2008”<br />

- promosso dall’assessorato alle Politiche Giovanili<br />

del Comune di Trento e rivolto alle scuole<br />

elementari presenti sul territorio comunale teso<br />

ad incrementare l’autonomia delle bambine e<br />

dei bambini nel tragitto da casa a scuola 3 .<br />

L’iniziativa ha origine nell’anno scolastico<br />

2003/2004 proprio con l’obiettivo di incentivare<br />

i minori a compiere il tragitto casa-scuola da<br />

soli, limitando l’utilizzo degli autoveicoli privati e<br />

privilegiando, invece, i mezzi di trasporto sostenibili<br />

come “i piedi”, la bicicletta, l’autobus 4 .<br />

Dall’anno scolastico 2003-2004 all’anno scolastico<br />

2007-2008, il progetto “Bambini a piedi<br />

sicuri per una mobilità sostenibile” ha visto il<br />

coinvolgimento di oltre 3.000 studenti e oltre<br />

3.000 genitori.<br />

L’analisi dei questionari<br />

I questionari qui analizzati si riferiscono a 6<br />

classi della Scuola Elementare “Tomasi” di Villazzano,<br />

ed in particolare: due prime classi<br />

(sezione A e B), una classe seconda (sezione A),<br />

due terze (sezioni A e B) e una quarta (sezione<br />

A). Lo strumento di rilevazione ha previsto le<br />

stesse domande rivolte dapprima ai genitori e in<br />

successione ai loro giovanissimi figli. Si presupponeva,<br />

dunque, l’auto compilazione del modulo-<br />

questionario da parte del genitore per la domanda<br />

rivolta a lui e la successiva “interrogazione”<br />

dell’adulto rivolta al proprio figlio per la medesima<br />

domanda. Il collettivo di riferimento è pari a<br />

190 soggetti (genitori: n. 95; figli: n. 95).<br />

Il questionario semi-strutturato somministrato,<br />

composto da 13 domande - in parte a risposta<br />

aperta e in parte a risposta chiusa a scelta<br />

multipla - si poneva i seguenti diversi obiettivi:<br />

- sondare con quali mezzi i bambini si recassero<br />

a scuola;<br />

- identificare i luoghi del quartiere che i genitori<br />

percepissero come sicuri, come piacevoli e<br />

come pericolosi;<br />

- identificare i luoghi del quartiere che i bambini<br />

percepissero come piacevoli e come pericolosi;<br />

- identificare i luoghi ritenuti pericolosi nel tragitto<br />

casa-scuola;<br />

- identificare gli interventi ritenuti utili per sopperire<br />

alla pericolosità dei luoghi rilevati.<br />

Vediamo, di seguito, le risposte fornite dai due<br />

gruppi di soggetti alle diverse domande.<br />

Le modalità di spostamento dei bambini<br />

La prima parte dello strumento di rilevazione<br />

indagava con quale mezzo e con chi il bambino<br />

percorre il tragitto casa-scuola.<br />

In generale, confrontando le rilevazioni dell’ISTAT<br />

del 2001 e del 2006 nell’ambito dell’indagine<br />

sugli “Aspetti della vita quotidiana”, si rileva<br />

come la popolazione studentesca italiana abbia<br />

aumentato, nel corso degli ultimi anni, l’utilizzo<br />

dell’auto per recarsi a scuola - dal 32,3% del<br />

2001 al 35,9% del 2006 - e diminuito l’utilizzo,<br />

o rimasto praticamente invariato, di tutti gli altri<br />

mezzi sostenibili: a piedi dal 28,2% al 26,1%, la<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 27<br />

1 Lo studio è stato realizzato<br />

dall’arch. Alessandro<br />

Franceschini (2007).<br />

2 L’intervento si intitola<br />

“Pensare la città a misura<br />

di BAMBINO”, p. 21-26.<br />

3 Per maggiori approfondimenti<br />

relativi al progetto<br />

si consulti il sito:<br />

www.trentogiovani.it. Il<br />

progetto realizzato a<br />

Trento si pone nell’ambito<br />

di una vasta serie di iniziative<br />

simili realizzate in<br />

numerose città italiane<br />

(Genova, Milano, Varese,<br />

Bergamo, Bologna, Firenze,<br />

Bari, La Spezia, ecc.)<br />

e di tutto il mondo (Berna,<br />

Londra, Losanna, Montréal,<br />

New York, ecc.) che<br />

ebbero inizio negli anni<br />

’90 e che proseguono<br />

tutt’ora. Si veda, a tal<br />

proposito, i seguenti siti<br />

che aggiornano, in tempo<br />

reale, cosa si sta realizzando<br />

in tutte le città del<br />

mondo per promuovere<br />

gli spostamenti sostenibili<br />

dei bambini (e non):<br />

www.ecodallecitta.it;<br />

www.iwalktoschool.org.<br />

4 Nell’anno scolastico<br />

2003/2004 le iniziative<br />

del progetto usufruirono<br />

della supervisione scientifica<br />

del Gruppo Palomar di<br />

Trento<br />

(www.gruppopalomar.it).


28 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Spazio&Società<br />

60<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

80<br />

70<br />

60<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

Graf.1: Mezzi utilizzati dai bambini nel tragitto<br />

casa-scuola. Istat 2006<br />

26,1 30,3<br />

48,4<br />

35,9 35,9<br />

24,6<br />

2,6<br />

A piedi Mezzi pubblici Auto Bici<br />

Italia Trento<br />

Graf. 3: Ci sono punti pericolosi nel tragitto da casa a<br />

scuola?<br />

72,8<br />

27,2<br />

Sì No<br />

2,1<br />

bici dal 2,5 al 2,2, il treno dal 6,5% al 5,1%,<br />

l’autobus scolastico da 6,2% al 5,7%, la corriera<br />

dal 12,3% al 12,4% e, infine, il bus dal<br />

12,3% al 12,7%. La popolazione studentesca<br />

della Provincia Autonoma di Trento, nel 2006,<br />

rispetto al contesto nazionale, vantava, tuttavia,<br />

una mobilità - da casa a scuola - più sostenibile<br />

rispetto ai coetanei del resto Italia (Graf.1).<br />

Dall’analisi delle riposte fornite ai questionari si<br />

rileva come la maggior parte degli scolari intervistati<br />

della Scuola Elementare di Villazzano (il<br />

60%) si reca a scuola in “auto”. Solo un quarto<br />

dei soggetti rispondenti adulti dichiara di consentire<br />

ai figli di compiere il percorso “a piedi”,<br />

mentre poco meno del 15% dei bambini si avvale<br />

dei mezzi pubblici per recarsi a scuola<br />

(Graf.2).<br />

Questi risultati sembrano avere un certa caratterizzazione<br />

negativa rispetto ad altri dati rilevati<br />

negli ultimi anni a livello nazionale. Nel 1996,<br />

l’Istat, rilevava infatti come il 40,2% dei bambini<br />

italiani dai 6 ai 10 anni si recasse a scuola in<br />

auto. Nel 2006, tuttavia, sempre nell’ambito<br />

dell’indagine Istat sugli aspetti della vita quotidiana,<br />

la percentuale saliva al 50,5%. Per quanto<br />

riguarda, invece, i bambini dai 6 ai 10 anni che<br />

in Italia dichiaravano di recarsi a scuola a piedi<br />

si attestavano al 42% nel 1996 e al 34,4%<br />

nella rilevazione del 2006.<br />

Per quanto attiene a chi accompagna i bambini<br />

lungo il percorso casa-scuola, la maggior parte<br />

dei bambini della Scuola Elementari “Tomasi”<br />

afferma di essere accompagnata da un adulto<br />

(circa l’81%) che prevalentemente risulta essere<br />

la madre (56% circa) ed in seconda battuta il<br />

padre (26% circa). Queste informazioni sono in<br />

linea con quanto rilevato a livello nazionale. Come,<br />

infatti, viene riportato nel rapporto Istat del<br />

2008 “Conciliare lavoro e famiglia. Una sfida<br />

quotidiana”, le madri sono il soggetto che<br />

nell’ambito del nucleo familiare spende un tempo<br />

maggiore – indipendentemente dalla sua<br />

70<br />

60<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

60<br />

Graf.2: Con quale mezzo si reca a scuola il bambino?<br />

24,2<br />

Graf. 4: I problemi che incontrano i bambini che vanno a<br />

scuola in autonomia<br />

12,8<br />

19,1<br />

2,1<br />

40,4<br />

25,5<br />

la distanza tra scuola e casa i pericoli del traffico<br />

sono troppo piccoli essere fermati da sconosciuti<br />

altro<br />

condizione occupazionale – nell’accompagnare i<br />

figli nelle diverse attività scolastiche ed extrascolastiche.<br />

Se per gli uomini, infatti, vivere in una<br />

coppia con figli, rispetto ad una coppia senza<br />

figli, non comporta né un aumento delle ore di<br />

lavoro familiare né una diminuzione delle ore<br />

dedicate al tempo libero, la condizione delle<br />

donne, in presenza di figli, cambia significativamente<br />

e in peggio: aumentano le ore dedicate al<br />

lavoro domestico e per la cura dei figli, diminuiscono<br />

le attività fisiologiche e di svago e, non<br />

ultimo, si assiste ad una riduzione delle ore di<br />

lavoro retribuito con conseguente arretramento<br />

o congelamento della carriera professionale<br />

(FMS, 2000; Istat, 2008; Saraceno, 1980).<br />

Perché, dunque, i bambini della Scuola Elementare<br />

non si muovono in modo sostenibile per<br />

andare a scuola? Oltre i due terzi dei soggetti<br />

rispondenti adulti (73% circa) dichiarano di<br />

individuare uno o più punti pericolosi nel tragitto<br />

che separa la propria casa dalla scuola (Graf.3).<br />

In generale, comunque, la maggior parte dei<br />

minori (il 77%) non si reca in autonomia in nessun<br />

luogo.<br />

Per quanto attiene, invece, a quella quota minima<br />

di bambini i cui genitori dichiarano di lasciarli<br />

andare da soli in altri luoghi diversi dalla scuola<br />

(circa il 22%), è composta prevalentemente dai<br />

minori che si recano dai nonni (5%) o in altri<br />

luoghi presenti nel quartiere di residenza (parco<br />

giochi, amici, ecc.).<br />

I “pericoli del traffico” e la “distanza tra scuola e<br />

casa” sono i problemi prevalentemente percepiti<br />

dagli adulti rispondenti, difficoltà dunque che i<br />

bambini dovrebbero affrontare se andassero a<br />

scuola da soli. Non trascurabile, tuttavia, anche<br />

la possibilità di “essere fermati da sconosciuti”,<br />

risposta la cui percentuale si attesta al 19,1%<br />

(Graf. 4).<br />

Questi “ostacoli” all’uso di mezzi sostenibili per<br />

compiere il tragitto casa-scuola convergono con<br />

1,1<br />

14,7<br />

Auto Piedi Bici Mezzi pubblici


Spazio&Società<br />

80<br />

70<br />

60<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

70<br />

60<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

Graf. 5 a: Adultii: luoghi più piacevoli del quartiere<br />

71,9<br />

Graf. 6 a: Bambini: luoghi più piacevoli del quartiere<br />

58<br />

11,2 5,6<br />

Villa Mersi Centro Sportivo Valnigra Campagna, boschi<br />

19,3<br />

altre ricerche fatte sullo stesso argomento.<br />

Recentemente lo studio di Ahlport et al. (2008)<br />

rilevava sia barriere di tipo sociale - paura di<br />

rapimenti, di atti di bullismo e di coinvolgimento<br />

in incidenti, immaturità dei figli, scarsa motivazione<br />

sia ad affrontare le avverse condizioni<br />

climatiche, sia ad alzarsi prima il mattino e,<br />

infine, la difficoltà nella gestione del tempo causato,<br />

in primis, da orari di lavoro non flessibili -<br />

sia barriere di tipo fisico, ossia la presenza di<br />

strade senza marciapiedi, il traffico elevato, la<br />

distanza della scuola, ma anche un peso eccessivo<br />

degli zaini e la scarsità di luce al mattino<br />

presto, che si traduce dunque in un potenziale<br />

maggiore pericolo per i bambini.<br />

Ovviamente, la presenza di tutti o di alcuni di<br />

questi fattori, rendono l’automobile il mezzo<br />

privilegiato per lo spostamento casa-scuola,<br />

aumentando - di fatto - quel traffico veicolare<br />

aspramente criticato, la sedentarietà di grandi e<br />

piccini, il livello dell’inquinamento atmosferico e,<br />

non ultimo, privando i bambini di una possibile<br />

occasione di socializzazione, di responsabilizzazione<br />

e dunque di crescita.<br />

Genitori: analisi dei luoghi del quartiere che i<br />

genitori percepiscono come sicuri, piacevoli e<br />

come pericolosi<br />

La seconda parte del questionario indagava<br />

quali fossero, per i genitori e per i figli, i luoghi<br />

all’interno del quartiere percepiti come sicuri e<br />

piacevoli e quelli, invece, ritenuti pericolosi.<br />

Analizzando in prima battuta le risposte riferite<br />

dai soggetti rispondenti–genitori, si rileva come i<br />

luoghi più sicuri menzionati siano: con circa il<br />

24% il Parco pubblico di Villa Mersi 5 , con il<br />

15,7% delle risposte la piazza principale del<br />

paese, P.zza Niccolini 6 . Altri luoghi ritenuti sicuri<br />

nel quartiere sono la dimora domestica<br />

(11,4%), il Centro Sportivo Valnigra (10%) e la<br />

Scuola (8,6 %) (Graf. 5b).<br />

Alla domanda che chiedeva di elencare i luoghi<br />

6,9<br />

Villa Mersi Centro Sportivo Valnigra Casa Nostra<br />

30<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

35<br />

30<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

28,6<br />

21,4<br />

più pericolosi del quartiere, il collettivo-genitori si<br />

è concentrato su una delle vie principali - Via<br />

Valnigra - con il 24% circa delle risposte. Seguono<br />

P.zza Niccolini (14,6%) e Via Villa<br />

(9,8%). Dalle analisi delle risposte aperte di<br />

questa domanda emerge frequentemente la<br />

percezione del pericolo relativamente a diverse<br />

strade presenti nel centro storico e/o nelle<br />

strette sue vicinanze: strade a forte percorrenza<br />

veicolare e di forte interesse pedonale, sprovviste<br />

di sia marciapiede, sia di facili e sicuri<br />

attraversamenti e di piste ciclabili. Infatti, il 18%<br />

circa degli adulti rispondenti ritiene un luogo<br />

pericoloso “le strade del centro/fuori dal centro<br />

senza marciapiede”.<br />

Riprendendo una riflessione fatta poc’anzi,<br />

sull’esistenza cioè di fattori sia di natura sociale<br />

che fisica che ostacolano l’uso di mezzi sostenibili,<br />

rileviamo come alcuni luoghi siano privi degli<br />

uni, ma pregni degli altri. E’ il caso, ad esempio,<br />

di P.zza Niccolini: un luogo pubblico, luogo di<br />

incontro e di passaggio, con un forte controllo<br />

sociale che rende meno probabile l’incontro con<br />

gli ipotetici malintenzionati, e che viene dunque<br />

menzionato tra i luoghi percepiti come “sicuri”.<br />

Contemporaneamente, a causa dell’intenso<br />

traffico veicolare, che pone a rischio l’incolumità<br />

fisica dei bambini, la piazza viene menzionata<br />

anche fra i luoghi “pericolosi” del quartiere.<br />

Per quanto riguarda, invece, il luogo più bello e<br />

più piacevole che i genitori hanno menzionato è<br />

Villa Mersi con il 72% circa delle risposte, segue<br />

il Centro Sportivo Valnigra 7 con il 11,2%<br />

(Graf. 5a). Sono, questi, due spazi nei quali i<br />

bambini possono svolgere attività ludiche e sportive<br />

in ambienti chiusi e protetti e provvisti anche<br />

di aree adibite a verde pubblico.<br />

Bambini: analisi dei luoghi del quartiere che i<br />

genitori percepiscono come sicuri, piacevoli e<br />

come pericolosi<br />

Per quanto riguarda i luoghi ritenuti più pericolo-<br />

28<br />

18,3<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 29<br />

Graf. 5 b: Adulti: luoghi più pericolosi del quartiere<br />

14,6<br />

Graf. 6 b: Bambini: luoghi più pericolosi del quartiere<br />

18,6<br />

9,8<br />

Via Valnigra Le strade P.zza Niccolini Via Villa<br />

7,1<br />

Strade Via Valnigra Pzza Niccolini Via Villa<br />

5 Si tratta di una villa di<br />

origine medievale arricchita<br />

da un ampio parco al<br />

suo interno adibito a<br />

“verde pubblico”, utilizzata<br />

come centro civico, affittata<br />

per cerimonie e feste<br />

di varia natura, rappresentazioni<br />

teatrali e concerti.<br />

6 Si tratta della piazza<br />

principale del paese,<br />

antistante alla Scuola<br />

Elementare “Tomasi”.<br />

7 Si tratta di una struttura<br />

con attrezzature per la<br />

pratica di sport e dotata<br />

di parco pubblico, situata<br />

in Via Valnigra.


30 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Spazio&Società<br />

Sopra: il passaggio pedonale<br />

che porta al centro<br />

sportivo di Via Valnigra.<br />

Nella pagina a fianco:<br />

Piazza Niccolini<br />

8 Questa significativa<br />

concordanza nelle risposte<br />

può essere dovuta<br />

anche all’influenza del<br />

genitore che risponde alla<br />

stessa domanda formulata<br />

nel questionario subito<br />

prima di quella rivolta al<br />

bambino. Inoltre, ricordiamo<br />

che il genitore è il<br />

soggetto che materialmente<br />

compila in toto il<br />

questionario.<br />

9 In Trentino il rapporto è<br />

55 auto ogni 100<br />

abitanti.<br />

si riferiti dai bambini si rileva come essi siano<br />

sostanzialmente quelli menzionati dai genitori 8 .<br />

Emerge, in maniera ancora più netta rispetto<br />

alle risposte fornite dagli adulti, come “le strade<br />

del centro/fuori dal centro senza marciapiede”<br />

siano ritenute dai bambini pericolose con il<br />

28,6% delle risposte. Seguono Via Valnigra con<br />

il 21,4% e P.zza Niccolini con il 18,6% (Graf.<br />

6b).<br />

Per quanto attiene ai luoghi più belli e piacevoli<br />

riferiti dai figli, prevalgono gli spazi aperti nei<br />

quali giocare o praticare sport. Come per i genitori,<br />

infatti, i luoghi che riscuotono maggiore<br />

successo sono il parco di Villa Mersi con circa il<br />

58% delle risposte, e il Centro Sportivo Valnigra<br />

con circa il 19,3%. Seguono, ma con una certa<br />

distanza, la dimora familiare e il cortile antistante<br />

con il 6,8% e, infine, P.zza Niccolini con il<br />

5,7% (Graf.6a). Nell’indagine Istat “La vita quotidiana<br />

di bambini e ragazzi” del 2008, i giardini<br />

pubblici raggiungevano, invece, il 35,6% delle<br />

preferenze mentre il cortile antistante la dimora<br />

domestica il 29,7%.<br />

Se sommiamo le risposte fornite dai genitori e<br />

dei figli come se fossero un unico collettivo è<br />

possibile con maggiore agilità identificare quali<br />

siano i luoghi che maggiormente vengono percepiti<br />

come pericolosi e piacevoli dai soggetti rispondenti:<br />

Via Valnigra con il 25%, le strade in<br />

generale con il 23%, P.zza Niccolini con il<br />

16,4% per quanto riguarda quelli pericolosi, e<br />

Villa Mersi con il 65%, il Centro Sportivo Valnigra<br />

con il 15,3% e, infine, P.zza Niccolini con il<br />

5%, delle risposte riguarda quelli piacevoli.<br />

Osservazioni sui risultati<br />

La prima osservazione che possiamo trarre da<br />

questi risultati è che la maggior parte delle<br />

risposte (85,3%) converge su tre luoghi ritenuti<br />

piacevoli: il parco pubblico di Villa Mersi, il Centro<br />

Sportivo Valnigra e la piazza principale di<br />

Villazzano – P.zza Niccolini – antistante l’Istituto<br />

scolastico “Tomasi”. Questi sono anche probabilmente<br />

i luoghi più frequentati e conosciuti dai<br />

bambini nel “tempo-scuola” e nel “tempo-libero”.<br />

La seconda osservazione è che i luoghi identifi-<br />

cati come più pericolosi sono quelli necessari<br />

per raggiungere i luoghi identificati come più<br />

belli (e dunque più frequentati). Come evidenziato<br />

sopra, le strade in generale sono motivo di<br />

apprensione soprattutto per i bambini perché<br />

molte di esse, sia nel centro storico, sia nelle<br />

zone antistanti al centro storico, sono sprovviste<br />

di marciapiedi e di sicuri punti di attraversamento.<br />

Emerge, per esempio, come la strada per raggiungere<br />

il Centro Sportivo Valnigra, Via Valnigra<br />

appunto, è una strada pericolosa, percorsa<br />

dagli autoveicoli a forte velocità, senza “fasce<br />

protettive” per pedoni e/o per ciclisti, sprovvista<br />

di luoghi sicuri adibiti all’attraversamento.<br />

La stessa P.zza Niccolini, luogo privilegiato da<br />

genitori e bambini, sia perché vicino alla scuola,<br />

sia perché luogo “bello e piacevole” e sia, infine,<br />

perché luogo a forte impatto socializzante, è<br />

contemporaneamente luogo ritenuto<br />

“pericoloso” per la presenza di intenso traffico,<br />

per l’assenza di facili e sicuri attraversamenti e<br />

sprovvisto di sistemi di monitoraggio del traffico<br />

stesso. Infine, proprio in prossimità di P.zza<br />

Niccolini è presente il parco pubblico di Villa<br />

Mersi, luogo che in modo determinante (65%)<br />

viene considerato da adulti e minori il luogo più<br />

bello e più piacevole del quartiere. Per raggiungere<br />

il parco, tuttavia, si percorrono strade<br />

senza marciapiede e senza attraversamenti<br />

sicuri (Via Villa in particolare, ma anche Via<br />

Giordano, Via Tessadori, Strada Stretta e Via<br />

Tabarelle).<br />

Sembrerebbero dunque possibile individuare tre<br />

“oasi” di sicurezza, tre luoghi di pace, di socialità,<br />

di gioco, di divertimento, ad alto livello di<br />

vivibilità. Ma raggiungere tali luoghi comporta<br />

una sorta di “prova ad ostacoli” oggettivamente<br />

pericolosi, fonte di ansia e preoccupazione sia<br />

per i bambini, sia per i genitori che li accompagnano<br />

in tali luoghi e la cui presenza non consente<br />

una mobilità sostenibile. Infatti, se facciamo<br />

riferimento alle risposte analizzate precedentemente<br />

è altamente probabile che in tali<br />

“oasi” i genitori accompagnino i propri figli in<br />

auto. Ricordiamo infatti che il 60% infatti dei<br />

bambini si reca a scuola accompagnato da un<br />

genitore in auto, il 73% identifica punti pericolosi<br />

nel tragitto da casa a scuola, il 78% circa dei<br />

bambini non si reca in nessun luogo da solo a<br />

piedi, proprio a causa del traffico per almeno il<br />

40% circa dei soggetti rispondenti.<br />

Se, infine, in modo sintetico elenchiamo gli interventi<br />

che i soggetti rispondenti hanno suggerito<br />

in modo puntuale compilando il questionario per<br />

sopperire ad alcuni punti pericolosi nel tragitto<br />

da casa a scuola, le problematiche precedentemente<br />

descritte tornano in modo reiterato: la<br />

mancanza di marciapiedi e di attraversamenti<br />

sicuri in primis - e, coerentemente, gli interventi<br />

suggeriti dal collettivo di riferimento sono tesi a<br />

sopperire in maniera semplice ma efficace tali<br />

problematiche.


Spazio&Società<br />

Conclusioni<br />

Pur consapevoli di come molteplici e di varia<br />

natura siano le trasformazioni da apportare per<br />

incentivare una mobilità sostenibile, ci appare<br />

necessario partire da qualcosa. Da un lato per<br />

risolvere concretamente alcune problematiche<br />

relative alle oggettive barriere di tipo fisico, ma<br />

dall’altro per sensibilizzare la popolazione sulla<br />

necessità di un cambiamento di stile di vita.<br />

L’Istat rilevava nel 2008 il numero degli autoveicoli<br />

in Italia superava 35 milioni, mentre<br />

l’Osservatorio per la Mobilità sostenibile, nel<br />

2007, gridava al nostro triste primato: l’Italia al<br />

primo posto in Europa per densità automobilistica:<br />

60 auto ogni 100 abitanti 9 . Non a caso i<br />

problemi maggiormente sentiti dagli italiani sono<br />

nell’ordine: il traffico (45,6%), l’inquinamento<br />

(41,4%) e la difficoltà di parcheggio (39,3%)<br />

(Istat, 2008). Tuttavia solo un quarto della popolazione<br />

usa il mezzi pubblici. Oltre a questo<br />

rapporto squilibrato con gli autoveicoli o conseguentemente<br />

a questo rapporto unito alla percezione<br />

di insicurezza in ambito urbano, emerge<br />

una popolazione sedentaria pari al 41,1%<br />

dell’intera popolazione, con un 35% di soggetti<br />

in sovrappeso e il 10,2% di soggetti obesi 10 . E<br />

in questa popolazione di sedentari ritroviamo<br />

anche i piccoli cittadini: il luogo preferito dai<br />

bambini dai 3 ai 10 anni per il gioco - con una<br />

percentuale pari al 97% - è la propria casa,<br />

nella quale le attività più frequentemente svolte<br />

sono “guardare la tv” e giocare “con giochi elettronici”.<br />

L’idea di apportare trasformazioni urbane per<br />

agevolare la mobilità sostenibile non è, e non<br />

può essere, di per sé risolutiva. Come è stato<br />

sottolineato le barriere fisico-sociali che disincentivano<br />

l’uso dei piedi e della bici per compiere<br />

il tragitto casa-scuola sono innumerevoli e<br />

fanno capo a diverse dimensioni, non riducibili<br />

alla sola mancanza di sicurezza stradale.<br />

Senz’altro una componente/barriera significativa<br />

si riferisce alla gestione del tempo degli adulti.<br />

In particolare al tempo - stretto e soffocante -<br />

delle donne, oberate e occluse nella loro “doppia<br />

presenza”: angelo del focolare che svolge le<br />

attività domestiche e si prende cura dei figli e<br />

donna emancipata che lavora. Due ruoli, dunque,<br />

che lasciano pochi varchi alla sostenibilità.<br />

L’auto diviene infatti mezzo comodo e veloce per<br />

portare il figlio a scuola – o due figli in scuole<br />

diverse - e correre al posto di lavoro, non necessariamente<br />

vicino all’istituto scolastico. Il<br />

mondo del lavoro rimane ancora rigido a fronte<br />

dei cambiamenti sociali e familiari, e lo è diventato<br />

in maniera più stringente in questo periodo<br />

di crisi economica globale, nel quale non perdere<br />

il posto di lavoro sembra essere l’unica aspettativa<br />

possibile. Le politiche di conciliazione,<br />

ossia tutte quelle misure volte ad armonizzare i<br />

tempi della vita familiare con quelli della vita<br />

lavorativa, sono ben lungi da essere sviluppate e<br />

incentivate nel nostro paese.<br />

Un’altra variabile, relativamente indipendente<br />

dalle trasformazioni urbane, è la percezione di<br />

sicurezza, quella relativa alla “paura di incontrare<br />

sconosciuti” che possono aggredire i bambini.<br />

Senza ampliare la riflessione sull’andamento<br />

della criminalità in generale, ma soffermandoci<br />

solo sull’andamento negli ultimi anni di alcun tipi<br />

di reato più attinenti al nostro argomento, si<br />

rileva dal rapporto del Ministero dell’Interno del<br />

2007, una netta diminuzione degli scippi, dei<br />

borseggi, delle aggressioni e dei furti di biciclette.<br />

Quelli che aumentano sembrano invece essere<br />

i furti negli appartamenti, le violenze e gli<br />

omicidi in ambito familiare, consumate proprio<br />

tra le mura domestiche, dove vittima e carnefi-<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 31<br />

10 In Trentino la percentuale<br />

di popolazione sedentaria<br />

è di circa il 18%,<br />

mentre quella degli obesi<br />

è di poco oltre il 9%<br />

(Istat, 2008).


32 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Spazio&Società<br />

ce si conoscono bene, sono persone legate da<br />

vincoli affettivi e di sangue.<br />

Da ciò si può affermare che la probabilità di<br />

essere aggrediti per strada da uno sconosciuto<br />

è decisamente inferiore a quella di essere aggrediti<br />

a casa da un parente. Fatta questa precisazione,<br />

siamo tuttavia consapevoli di quanto<br />

sia comunque importante la percezione soggettiva<br />

dell’aumento della criminalità da parte dei<br />

cittadini. Nel 2008, nell’ambito del rapporto<br />

annuale dell’Istat, si rileva che tale paura angoscia<br />

il 36,8% degli italiani (contro il 34% circa<br />

rilevato nel 2007); secondo il Ministero<br />

dell’Interno (2007)una persona su quattro si<br />

sente poco o per niente sicura quando cammina<br />

nel proprio quartiere, soprattutto di sera, soprattutto<br />

quando è buio. In questo senso il livello<br />

su cui operare sono i media con le loro campagne<br />

del terrore, ma anche il linguaggio della<br />

politica che negli ultimi anni privilegia e strumentalizza<br />

l’argomento “sicurezza” per far breccia<br />

nei cuori degli elettori, letteralmente disseminano<br />

paura e diffidenza. Ed è necessaria anche<br />

una corretta informazione sull’andamento e<br />

caratteristiche reali della criminalità, anche<br />

operando confronti tra il livello nazionale con il<br />

livello locale (Ahlport, 2008). Nel caso specifico<br />

del comune di Trento si rileva, infatti, su tutte le<br />

tipologie di reato un’incidenza inferiore a quella<br />

riscontrata nel nord-est e in Italia.<br />

Ma ancora: il livello sul quale operare è anche<br />

quello della scuola, caratterizzata da orari rigidi<br />

che non rendono agile la già congestionata giornata<br />

degli adulti, in primis di quelle delle mamme<br />

lavoratrici. E’ totalmente assente un coordinamento<br />

reale tra le politiche del mercato del<br />

lavoro e quelle relative all’istruzione, soprattutto<br />

per quanto riguarda la conciliazione degli orari<br />

degli adulti che sono da un lato genitori e<br />

dall’altro lavoratori. Ma la scuola è responsabile<br />

anche del sovra carico di libri per i bambini,<br />

tanto da far abbandonare negli anni la classica<br />

cartella di un tempo, per optare dapprima in<br />

uno zainetto, poi in uno zaino tipo escursione in<br />

montagna con sosta in rifugio, fino ad arrivare<br />

al carrello trasporta-zaino.<br />

Le trasformazioni dell’ambiente urbano sono<br />

condizioni necessarie ma non sufficienti per la<br />

promozione della mobilità sostenibile e dunque<br />

devono essere collegate a strategia a diversi<br />

livelli che appartengono a dimensioni e sfere<br />

diverse del vivere.<br />

Quindi, per concludere, le Iniziative quali i nonni<br />

vigili, il piedi bus, l’aumento delle piste ciclabili e<br />

la messa in sicurezza delle strade divengono<br />

anche momenti di riflessione, informazione e<br />

sensibilizzazione per tutta la cittadinanza, auspicando<br />

ad uno stimolo verso il cambiamento su<br />

tutti i livelli sopra menzionati: politico, mass<br />

mediatico, mercato del lavoro, sistema scolastico,<br />

individuale, culturale, per una riduzione del<br />

traffico automobilistico, dell’inquinamento, per<br />

un aumento dei momenti di socializzazione, di<br />

responsabilizzazione e di attività fisica dei bambini<br />

dunque facilitando lo sviluppo delle loro capacità<br />

motorie, intellettuali e sociali. Per migliorare<br />

la qualità della vita di “piccoli” e “grandi” cittadini,<br />

in modo sostenibile.<br />

Riferimenti Bibliografici<br />

Ahlport K. N., et al., (2008), “Barriers to and<br />

facilitators of walking and bicycling to school:<br />

formative results from the non-motorized travel<br />

study” in Health Education & Behavior, Aprile n.<br />

35 (2): 221-44.<br />

Fondazione M. Bellissario,(2000), Oltre il tetto<br />

di cristallo. Donne e carriera: la scalata difficile,<br />

a cura di Brancati D., Bergantino E., Milano.<br />

Franceschini A. (2007), Rapporto “La vivibilità<br />

urbana: un inquadramento teorico e metodologico.<br />

Quattro azioni per la vivibilità della città di<br />

Trento”, Assessorato alla Vivibilità urbana, Mobilità<br />

e Ambiente del Comune di Trento.<br />

Istat, (1996), Aspetti della vita quotidiana, Roma.<br />

Istat, (2002), La sicurezza dei cittadini. Reati,<br />

vittime, percezione della sicurezza e sistemi di<br />

protezione, Roma.<br />

Istat, (2006), Aspetti della vita quotidiana, Roma.<br />

Istat, (2008), Annuario statistico, Roma.<br />

Istat, (2008), Gli incidenti stradali, Anno 2007,<br />

Statistiche in breve, Settore Sicurezza, Roma.<br />

Istat, (2008), Conciliare lavoro e famiglia. Una<br />

sfida quotidiana, Roma.<br />

Istat, (2008), La vita quotidiana di bambini e<br />

ragazzi, Roma.<br />

Ministero dell’Interno, (2007), Rapporto sulla<br />

criminalità in Italia. Analisi, prevenzione, contrasto,<br />

Roma.<br />

Osservatorio per la Mobilità sostenibile<br />

dell’AIRP, (2007), Rapporto sulla densità automobilistica<br />

in Italia.<br />

Saraceno C., (1980), Il lavoro mal diviso: ricerca<br />

sulla distribuzione dei carichi di lavoro nelle<br />

famiglie, De Donato, Bari.


Spazio&Società<br />

Introduzione<br />

La forma e la vita di una città emergono<br />

dall’intreccio di prassi amministrative, pratiche<br />

quotidiane, reti d’azione pubbliche e private che<br />

definiscono l’organizzazione urbana e le sue regole,<br />

e al contempo creano vie di fuga: usi imprevisti,<br />

alternativi, inconsueti degli spazi. Per<br />

questo uno sguardo sociologico sui fenomeni <strong>urbani</strong><br />

aiuta ad esplicitare le connessioni tra il vissuto<br />

del territorio, le strategie e le visioni politiche<br />

e a mettere in discussione il “dato per scontato”<br />

dell’abitare. Le controversie urbane e territoriali<br />

rappresentano un terreno privilegiato<br />

per osservare questo intreccio di posizioni, di<br />

trame organizzative, di retoriche e per seguire<br />

la città nel suo farsi: come si definisce l'adeguatezza<br />

di uno spazio? Per quali funzioni un luogo<br />

è stato pensato e come viene invece utilizzato?<br />

Nelle controversie lo spazio non è più dato per<br />

scontato, ma viene creato e connotato dalle diverse<br />

posizioni in gioco.<br />

Dal momento che le controversie assumono visibilità<br />

attraverso i mezzi di informazione, la componente<br />

mediatica si pone come elemento rilevante<br />

per avviare una ricerca ancorata al territorio,<br />

che segue le visioni politiche e i processi<br />

di trasformazione. In questa ricerca i media più<br />

che una funzione informativa, hanno un carattere<br />

performativo (Robert Park, 1940): essi orientano<br />

cioè il discorso pubblico con effetti che<br />

si traducono nelle retoriche e nelle prassi degli<br />

stessi abitanti (Bifulco, De Leonardis, 2005). Gli<br />

articoli dei quotidiani si configurano allora come<br />

tracce da seguire non per verificare l'attendibilità<br />

dei fatti riportati, ma per ragionare sul modo<br />

in cui le classificazioni e le connotazioni utilizzate<br />

si riverberano nel tessuto urbano, e sul modi in<br />

cui i significati si traducono nelle pratiche. Per<br />

meglio comprendere questo meccanismo, proponiamo<br />

due episodi che interessano la città di<br />

Trento, che raccontano come alcuni brani di città<br />

prendono forma attraverso le rappresentazioni<br />

prodotte a partire dai quotidiani locali.<br />

Organizzare il Centro storico secondo il “decoro”<br />

Il primo episodio riguarda il centro storico di<br />

Trento. Tra febbraio e marzo 2008 abbiamo seguito<br />

le controversie legate all'approvazione del<br />

nuovo regolamento di polizia municipale. In particolare,<br />

il regolamento prevedeva sostanziali modifiche<br />

al capo X, “Esercizio dell’arte e dello<br />

spettacolo su strada”, riguardanti sostanzialmente<br />

i musicisti, e - nei termini del regolamento<br />

- le “emissioni sonore negli spazi pubblici”. Il<br />

regolamento nasce infatti a seguito delle ripetute<br />

lamentele dei residenti e delle persone che lavorano<br />

o frequentano il centro. La questione<br />

chiama in causa la natura della musica di strada<br />

come forma d'arte, la qualità della vita, l'inquinamento<br />

acustico. Senza addentrarci nella<br />

questione di cosa sia arte o meno, e di cosa sia<br />

divertimento o disturbo della quiete, ciò che interessa<br />

in questa sede è osservare come questi<br />

aspetti definiscano la controversia e come connotino<br />

il centro storico di Trento. In che senso<br />

l'opera degli artisti di strada mette in discussione<br />

o mantiene la natura e l’immagine del centro<br />

storico?<br />

I tratti di questa controversia ci hanno portato a<br />

collegare il discorso degli artisti di strada con<br />

un'altra questione che ricorre frequentemente<br />

nelle pagine dei quotidiani, quella degli “happy<br />

hour”, gli aperitivi in centro. Ciò che accomuna<br />

questi due episodi è il carattere ingovernabile<br />

del suono, che mette in discussione i confini tra<br />

il pubblico e il privato, tra spazio urbano e ambiente<br />

lavorativo o domestico. Il suono è qualcosa<br />

di difficilmente classificabile che si situa oltre<br />

la portata degli strumenti normativi, ma deve<br />

essere comunque regolato, ricondotto in una<br />

cornice istituzionale, visualizzato, misurato (ne è<br />

un esempio la recente mappa di zonizzazione acustica<br />

pubblicata sul quotidiano locale<br />

“Trentino” del 6 marzo 2008). In questo senso<br />

una disciplina del rumore diventa una disciplina<br />

degli spazi di competenza della polizia municipale.<br />

Ecco cosa prevede il regolamento:<br />

l’individuazione di 27 aree entro le quali è possibile<br />

suonare liberamente dalle 9 alle 20 nel periodo<br />

invernale, e dalle 9 alle 22 nel periodo esti-<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 33<br />

Progetto Penelope:<br />

le trame emergenti del tessuto urbano<br />

di Claudio Coletta, Francesco Gabbi e Giovanna Sonda*<br />

* Queste osservazioni<br />

emergono da un lavoro di<br />

ricerca nell’ambito del<br />

progetto “Penelope – le<br />

trame emergenti del<br />

tessuto urbano” curato<br />

dai sociologi Claudio<br />

Coletta, Francesco Gabbi,<br />

Giovanna Sonda<br />

(Istituto Regionale di<br />

Studi e Ricerca Sociale di<br />

Trento). Il progetto è cofinanziato<br />

dalla Fondazione<br />

Caritro e dal Comune<br />

di Trento. Maggiori informazioni<br />

relative al progetto<br />

sono disponibili al<br />

sito www.progettopenelope.net


34 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Spazio&Società<br />

Musicisti lungo le vie del<br />

Centro storico<br />

vo. Nelle altre zone della città, è obbligatorio notificare<br />

in anticipo la performance, che può aver<br />

luogo solo in specifiche fasce orarie. Inoltre è<br />

vietato suonare per più di due ore nello stesso<br />

luogo. È interessante notare come<br />

nell’individuazione delle aree il centro storico viene<br />

a coincidere con la Zona a Traffico Limitato<br />

(ZTL), cioè uno strumento di polizia municipale<br />

per la gestione del traffico urbano.<br />

Questo artefatto eccede la sua funzione originaria<br />

e diventa strumento per la gestione degli aspetti<br />

culturali della città, promuovendo l’idea di<br />

un centro storico silenzioso, depurato dalle auto<br />

e dai rumori. Il processo di visualizzazione e regolazione<br />

degli aspetti sonori della città influenza<br />

il modo in cui il centro storico viene concepito e<br />

costruito. Questo ci fa capire che il territorio<br />

non è univoco. In altre parole, esistono molteplici<br />

“centri storici”, tanti quante sono le mappe<br />

che rappresentano e gestiscono un particolare<br />

aspetto della città. C'è un centro storico monumentale,<br />

una Zona a Traffico Limitato, un centro<br />

storico del commercio, un centro storico<br />

circoscrizionale. Tutto questo produce delle trame<br />

mobili che sono al tempo stesso trame narrative<br />

che raccontano pezzi di città, ma anche<br />

trame fisiche del tessuto urbano e trame organizzative.<br />

Da tutte queste trame il centro storico<br />

emerge come realtà multipla, la cui identità si<br />

costruisce (e, al tempo stesso, viene messa in<br />

crisi) a partire da concezioni diverse di adegua-<br />

tezza e dai suoi paradossi: il centro deve mantenere<br />

il decoro e il silenzio, ma deve anche essere<br />

capace, in quanto centro, di attrarre le persone<br />

promuovendo eventi. Il silenzio e il decoro<br />

diventano allora prerequisiti per ospitare eventi<br />

eccezionali, che eccedono appunto le regole della<br />

fruizione quotidiana.<br />

La controversia sugli artisti di strada è stata<br />

un’occasione per seguire come gli spazi vengono<br />

regolati, performati, costruiti e come si definisce<br />

la loro adeguatezza o inadeguatezza. In<br />

sostanza, capire come fare fronte ad una questione<br />

difficilmente governabile come il rumore<br />

mette in evidenza le visioni degli attori in campo,<br />

gli usi molteplici degli spazi, il modo in cui la percezione<br />

sensoriale è incorporata nella dimensione<br />

organizzativa.<br />

La drammatizzazione della periferia: la metafora<br />

del ‘bronx’<br />

Il secondo episodio riguarda il Magnete, un<br />

complesso edilizio di recente costruzione composto<br />

da diversi blocchi abitativi, che si estende<br />

ad ovest di via Brennero, di fronte al centro<br />

commerciale Top Center. Rispetto alla natura<br />

decorosa e regolamentata del centro storico, il<br />

Magnete si presenta con dei tratti decisamente<br />

drammatici. Vale la pena di riportare un passo<br />

da L'Adige, del 6 ottobre 2007: «Benvenuti al<br />

Magnete, il Bronx del Trentino, come lo definiscono<br />

gli stessi residenti, sempre più arrabbiati<br />

per la situazione di degrado che sono costretti a<br />

subire. Casermoni tutti uguali stretti sopra<br />

un’arida spianata di cemento, punti di fuga infiniti<br />

rinserrati tra l’Agenzia delle entrate e il palazzo<br />

che ospita la sede della Guardia di Finanza, il<br />

Magnete si trova pure a ridosso della ferrovia. Il<br />

rumore dei treni merci diventa una costante a<br />

cui l’orecchio fatica ad abituarsi. Ma una volta<br />

varcata la soglia del sottopasso che lo separa<br />

da via Brennero l’impressione di asettica geometria<br />

dei palazzoni lascia il posto allo sgradevole<br />

aroma dei rifiuti in decomposizione ammonticchiati<br />

nei pressi delle campane di raccolta,<br />

sovrastate dal compattatore verde<br />

dell’inorganico. I sacchi e sacchetti sventrati lasciano<br />

fuoriuscire lunghe budella di immondizie,<br />

dove le pantegane zampettano felici e le vespe<br />

fanno il nido dentro il compattatore».<br />

Il ricorso alla metafora del Bronx è pratica ricorrente<br />

nei quotidiani locali per indicare una situazione<br />

di degrado e di insicurezza. Nel corso<br />

degli ultimi due anni il termine Bronx è stato uti-


Spazio&Società<br />

lizzato sui tre maggiori quotidiani trentini almeno<br />

60 volte, e nella maggior parte dei casi per parlare<br />

di zone collocate a nord di Trento. L'etichetta<br />

veniva usata sia in termini identificativi – come<br />

nello stralcio di giornale – sia in termini differenziativi,<br />

con affermazioni quali «Non vogliamo<br />

diventare il Bronx», per prendere le distanze dalla<br />

nebulosa di Trento Nord.<br />

Dall’analisi dei quotidiani siamo passati<br />

all’indagine sul campo: abbiamo contattato un<br />

gruppo di donne che abitano nelle case ITEA del<br />

Magnete riunitesi in una associazione informale<br />

denominata “Animagnete”, che promuove iniziative<br />

per migliorare la qualità della vita nel quartiere.<br />

La descrizione che loro stesse danno della zona<br />

è molto interessante e condivide molte analogie<br />

con quanto scritto sui quotidiani locali. A differenza<br />

di quanto accadeva con il centro storico,<br />

laddove la vista è il senso più coinvolto, purificato<br />

dall’inquinamento acustico e automobilistico,<br />

la descrizione del Magnete è molto più sensoriale:<br />

vi è un forte richiamo alla puzza, alla sporcizia<br />

e in generale un’enfasi drammatica nel suo<br />

carattere iperbolico. Dalle loro testimonianze<br />

l’area si afferma come una zona frequentata da<br />

transessuali e prostitute che lavorano sia in casa<br />

che fuori, un’area di spaccio e consumo di<br />

droga. Un racconto sinestesico che tende a sollecitare<br />

reazioni forti.<br />

A questa drammatizzazione della situazione fa<br />

da contraltare il richiamo al concetto di comunità<br />

come un valore a cui tendere, e risultato di<br />

un processo di tessitura delle relazioni che richiede<br />

costanza ed impegno. Le signore intervistate<br />

fanno spesso riferimento alle “braciolate”<br />

organizzate all’interno del complesso per facilitare<br />

la reciproca conoscenza. La qualità della vita<br />

al Magnete sembra dipendere molto dalla possibilità<br />

di coltivare anche lì, nel loro Bronx, delle<br />

relazioni tipiche della Gemeinschaft di toennesiana<br />

memoria.<br />

Ma lo stesso utilizzo della drammatizzazione<br />

sembra essere, per certi versi, una vera e propria<br />

tattica per guadagnare visibilità presso gli<br />

amministratori e per chiedere maggiore attenzione<br />

e servizi.<br />

Partiamo dalla definizione di tattica di De Certeau<br />

(1980): «azione calcolata che determina<br />

l’assenza di un luogo proprio». La tattica ha come<br />

luogo solo quello dell’altro. Approfitta delle<br />

“occasioni” dalle quali dipende, per accumulare<br />

vantaggi, espandere il proprio spazio e prevede-<br />

re sortite. È insomma astuzia, un’arte del più<br />

debole.<br />

Nel caso del Magnete drammatizzare è una tattica,<br />

come si può leggere in questo brano di intervista:<br />

«…ci hanno buttato di tutto e noi prendevamo<br />

‘sta spazzatura e la buttavamo. Finché<br />

poi uno ha cominciato a fare dei lavori ed ha lasciato<br />

sai quei cosi dei container, sì proprio nella<br />

proprietà, ti ricordi? – pieno di… – no, no ragazzi,<br />

non potete avere l’idea, perché partivano<br />

con gli scarti degli appartamenti e siamo arrivati<br />

ai parafanghi delle macchine, roba assurda, dicevo,<br />

non è possibile. Abbiamo chiamato a tutti,<br />

tutti quelli che era possibile chiamare, non c’è<br />

stato niente da fare. Alla fine, abbiamo detto, usiamo<br />

un altro metodo, diciamo che ci stanno i<br />

topi, che è un rischio per la salute. Così quando<br />

abbiamo cominciato così, abbiamo trovato un vigile<br />

che è stato attento. Devi avere la fortuna di<br />

trovare una persona che si prenda a cura della<br />

situazione che tu vivi».<br />

Il campo in cui si gioca la controversia è quello<br />

istituzionale, dei servizi, e ha un linguaggio proprio<br />

e proprie pratiche organizzative non sempre<br />

facili da intercettare. Per questo la semplice<br />

telefonata non era sufficiente a modificare<br />

l’ingranaggio amministrativo e dunque si è deciso<br />

di giocare con la stessa logica della pubblica<br />

amministrazione, puntando a creare<br />

un’emergenza riguardante la sicurezza, divenuta<br />

oramai nel dibattito pubblico una questione ri-<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 35<br />

Gli appositi spazi per le<br />

“performances” musicali


36 / <strong>Sentieri</strong> Urbani<br />

Il complesso chiamato “Il<br />

Magnete” nell’area Nord<br />

di Trento<br />

corrente. Ma a ben vedere la sicurezza è utilizzata<br />

come un concetto ombrello (Bricocoli,<br />

2005) che comprende questioni anche molto diverse<br />

tra loro che con la sicurezza hanno ben<br />

poco a che fare.<br />

Si drammatizza dunque per intercettare il linguaggio<br />

delle politiche e per confrontarsi sul loro<br />

terreno. Si cerca di dare visibilità alla propria<br />

situazione, utilizzando metafore e linguaggi derivati<br />

dagli stessi quotidiani e alimentando conseguentemente<br />

la creazione degli stessi Bronx cittadini.<br />

Conclusioni<br />

I due brani di città che abbiamo presentato sono<br />

legati da un filo narrativo che li connota e li<br />

mette in relazione tra loro e con altri quartieri<br />

della città secondo meccanismi di identificazione<br />

e differenziazione, come quando i residenti di<br />

Piazza Mostra e S. Martino rivendicano la loro<br />

appartenenza al centro storico e richiedono la<br />

stessa cura, la stessa attenzione che<br />

l’amministrazione riserva al centro storico anche<br />

per non finire come certi ‘bronx’ di altre<br />

parti della città. Curioso, tra l’altro, osservare<br />

che Piazza Mostra e S. Martino sono nel centro<br />

storico e fanno parte di questa circoscrizione.<br />

In questi due casi lo studio delle narrazioni e delle<br />

pratiche urbane ha prodotto una conoscenza<br />

minuta dei diversi meccanismi che regolano<br />

l’abitare e ha reso visibili delle connessioni tra<br />

strategie amministrative, tattiche di vita quotidiana<br />

e cronaca locale. Infatti, «i processi di<br />

messa in visibilità sono fortemente influenzati<br />

da una sorta di doppio legame che si crea tra<br />

l’arena mediatica e la mobilitazione degli abitanti<br />

di quella comunità: da un lato l’arena mediatica<br />

fissa la rappresentazione del problema, dall’altro<br />

Spazio&Società<br />

la mobilitazione di tale oggettività trae alimento<br />

e giustificazione a tradurre la messa in visibilità<br />

nella forma dell’allarme sociale» (Bifulco-de Leonardis,<br />

2005).<br />

Riferimenti bibliografici<br />

Bifulco, L. e de Leonardis, O. (2005) “Sulle<br />

tracce dell’azione pubblica”, in L. Bifulco (a cura),<br />

Le politiche sociali. Temi e prospettive emergenti,<br />

Roma: Carocci.<br />

Bricocoli, M. (2005) “Insicurezza, Città e politiche<br />

in affanno”, in L. Bifulco (a cura), Le politiche<br />

sociali. Temi e prospettive emergenti. Roma:<br />

Carocci.<br />

De Certeau, M. (1980) L'invention du quotidien,<br />

Paris: 10/18; trad. it. L’invenzione del quotidiano,<br />

Milano: Edizioni Lavoro, 2001.<br />

Park, R. (1940) News as a form of knowledge,<br />

in American Journal of Sociology, 45, pp. 669-<br />

686


Dossier<br />

DOSSIER<br />

Le perequazioni e le compensazioni<br />

nel PROCESSO URBANISTICO<br />

di Emanuele Boscolo (Avvocato e Professore di Diritto Amministrativo nell’Università dell’Insubria)<br />

1. La legislazione regionale ed il modello<br />

perequativo<br />

La stagione apertasi nella seconda<br />

metà degli anni Novanta all’insegna di<br />

una revisione della legislazione <strong>urbani</strong>stica<br />

regionale si è precipuamente contrassegnata<br />

per una radicale mutazione<br />

del paradigma di piano <strong>urbani</strong>stico<br />

comunale. Il dato più evidente è sicuramente<br />

rappresentato dalla scomposizione<br />

del piano, fenomeno che in alcune<br />

regioni è coinciso con l’introduzione<br />

del modello piano strutturale-piano operativo<br />

proposto dall’INU, mentre in altre<br />

regioni è approdato alla frammentazione<br />

del piano comunale in una pluralità<br />

di documenti, attraverso i quali trovano<br />

esplicazione le diverse funzioni di<br />

governo del territorio. Ma le innovazioni<br />

forse ancor più radicali si sono registrate<br />

sul versante dei contenuti.<br />

L’ossatura di piano è stata rivista dalle<br />

fondamenta: l’impostazione improntata<br />

ad un rigido zoning, eredità<br />

dell’<strong>urbani</strong>stica razionalista, è stata superata<br />

in nome della ricerca di soluzioni<br />

capaci di favorire la compresenza di<br />

funzioni (mixité). Anche il sistema degli<br />

standards, storicamente retto da una<br />

logica rigidamente parametrica (mq/<br />

ab.), è stato riconsiderato: la programmazione<br />

degli interventi infrastrutturativi<br />

si articola in stretta corrispondenza<br />

con i bisogni effettivi delle diverse coorti<br />

sociali e dalla mera ‘messa in riserva’<br />

di aree tramite vincoli preespropriativi<br />

si è passati alla ricerca di soluzioni infrastrutturative<br />

concrete.<br />

Il risultato di questo mutamento è inevitabilmente<br />

rappresentato da una<br />

sempre più marcata differenziazione<br />

dei piani <strong>urbani</strong>stici: in passato – per<br />

effetto del D.M. 2 aprile 1968, n.<br />

1444 – i piani mantenevano una forte<br />

matrice unificante; il decreto ministeriale<br />

fungeva, in altri termini, da fattore<br />

omologante, mentre negli ultimi anni<br />

ciascuna amministrazione tende ad identificare<br />

ex ante – con pieno esercizio<br />

della propria autonomia – i valori ai<br />

quali conformare l’azione pianificatoria,<br />

gli obiettivi da assumere nella fase di<br />

impostazione (framing) del piano e, da<br />

ultimo, gli strumenti e le ‘tecniche’ più<br />

efficienti al raggiungimento dei risultati<br />

prefissi. Tutto ciò a partire dal riconoscimento<br />

dei caratteri di quello specifico<br />

territorio.<br />

Il ricorso alle tecniche della perequazione,<br />

della compensazione e<br />

dell’incentivazione costituisce indubbiamente<br />

un significativo indicatore di discontinuità.<br />

A circa un decennio dall’avvio del dibattito<br />

attorno a questi strumenti anche<br />

nel mondo giuridico è possibile cercare<br />

di tracciare un primo bilancio. La<br />

ricerca della linea discretiva tra le diverse<br />

stagioni dell’<strong>urbani</strong>stica e tra le<br />

diverse generazioni di piani si presenta<br />

tuttavia particolarmente complessa.<br />

Sarebbe errato ritenere che il crinale<br />

passi soltanto per le traiettorie della legislazione<br />

regionale. Volendo fare un bilancio<br />

che vada oltre la superficie,<br />

l’analisi non può esaurirsi in una disamina<br />

della produzione normativa regionale:<br />

così come in (ambiti diversi) si sono<br />

registrate significative sperimentazioni<br />

perequative ben prima che la legislazione<br />

regionale evolvesse in tale direzione,<br />

allo stesso modo la diffusione di questi<br />

strumenti continua a rappresentare un<br />

dato trasversale, che travalica i confini<br />

delle regioni che esprimono le soluzioni<br />

normative più avanzate.<br />

Sarebbe del pari semplificatorio ritenere<br />

che anche nelle regioni dotate di<br />

norme su questo istituto il modello perequativo<br />

(inteso secondo l'originaria<br />

radice semantica del lemma come equa<br />

ripartizione tra più proprietari dei<br />

vantaggi ed oneri connessi alla trasformazione<br />

edificatoria) costituisca ormai<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 37<br />

un riferimento consolidato. Le regioni<br />

che hanno dato spazio alla perequazione<br />

nelle loro leggi <strong>urbani</strong>stiche sono un<br />

numero importante: per prime si sono<br />

orientate in questa direzione la Toscana,<br />

l'Emilia Romagna, la Basilicata, il<br />

Lazio, la Puglia e la Calabria e, più di<br />

recente, anche la, Campania, il Veneto,<br />

la Lombardia, l'Umbria, la Provincia di<br />

Trento ed il Friuli Venezia Giulia e la<br />

Provincia di Bolzano, tuttavia, per avere<br />

un quadro veramente indicativo, occorre<br />

necessariamente estendere<br />

l’analisi ai piani che hanno visto la luce<br />

negli anni più recenti: solo a questo livello<br />

è possibile cogliere il dato concernente<br />

la effettiva diffusione della perequazione<br />

e verificare quali modelli perequativi<br />

sono concretamente praticati.<br />

Solo a questo livello, in altri termini, si<br />

possono cogliere appieno i tratti di una<br />

tendenza alla ‘differenziazione’ che va<br />

ben oltre la cornice della produzione legislativa<br />

regionale e che costituisce la<br />

più autentica cifra caratteristica<br />

dell’ultimo decennio.<br />

Osservando il panorama dell’attività<br />

pianificatoria comunale, si riscontra<br />

che il modello perequativo non è ancora<br />

riuscito ad affermarsi appieno sino a<br />

divenire il modello veramente prevalente.<br />

Quantitativamente, i piani perequativi<br />

sono ancora un numero ristretto, anche<br />

se godono di grande risonanza ed<br />

assurgono a termine di confronto<br />

(benchmarking). L’interesse suscitato<br />

dai modelli perequativo-compensativi<br />

non deve tuttavia indurre a relegare<br />

sullo sfondo la circostanza che<br />

l’orizzonte <strong>urbani</strong>stico italiano sembra<br />

destinato ancora per molti anni ad una<br />

compresenza di episodi innovativi e di<br />

piani con radici saldamente ancorate<br />

nella tradizione <strong>urbani</strong>stica novecentesca.<br />

Le leggi regionali non hanno sancito<br />

l’obbligatorietà della perequazione ed


38 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Dossier<br />

hanno fatto menzione di questi istituti<br />

unicamente in guisa di un contenuto<br />

opzionale delle nuove figure di piano <strong>urbani</strong>stico<br />

comunale. La decisione circa<br />

la struttura del piano, retta secondo il<br />

diritto amministrativo generale da un<br />

vincolo di proporzionalità-idoneità<br />

(Geeignetheit) dello strumento rispetto<br />

agli obiettivi che ciascun comune assegna<br />

alla pianificazione, è quindi demandata<br />

alle singole amministrazioni comunali.<br />

Importanti indicazioni sul punto sono<br />

venute dalla giurisprudenza amministrativa,<br />

che si è partitamene soffermata<br />

proprio su questa decisione preliminare,<br />

enunciando il principio secondo<br />

cui la verifica circa la possibilità di soluzioni<br />

perequativo-compensative costituisce<br />

un passaggio indefettibile, da rendere<br />

esplicito (mediante una puntuale<br />

motivazione degli atti attraverso cui<br />

prende forma l’impostazione del piano).<br />

In termini sostantivi, il Consiglio di Stato<br />

ha rimarcato che, ove il piano si prefigga<br />

l’obiettivo di acquisizione di vaste<br />

aree, il ricorso a questi strumenti pianificatori<br />

diviene necessitato. La motivazione<br />

di una delibera di reiterazione di<br />

vincoli deve conseguentemente dare<br />

conto della “mancanza di possibili soluzioni<br />

alternative o di perequazione fra i<br />

proprietari espropriabili” e, laddove sia<br />

configurabile una alternativa non autoritativa<br />

all’esproprio, quest’ultima è<br />

senz’altro preferibile: la perequazione e<br />

la compensazione consentono infatti il<br />

più efficace perseguimento delle politiche<br />

pubbliche con il minor sacrificio<br />

della posizione dei proprietari, secondo<br />

la caratteristica valutazione di ‘minor<br />

compressione’ in cui si sostanzia la cd.<br />

proporzionalità-necessarietà (che presuppone<br />

il rispetto del principio ‘del<br />

mezzo più mite’ Gebot des mildesten<br />

Mittels). Ne consegue che l’unica ragione<br />

idonea a giustificare la riproposizione<br />

di una frusta impostazione vincolistica<br />

può essere rinvenuta solo in una<br />

comprovata inapplicabilità per ragioni<br />

strettamente <strong>urbani</strong>stico-territoriali della<br />

perequazione e della compensazione<br />

(essenzialmente, per insussistenza di aree<br />

sulle quali far ‘atterrare’ diritti e<br />

crediti edificatori: amplius infra).<br />

Le norme regionali si limitano, nella<br />

più parte dei casi, a scarne proposizioni<br />

di principio (fanno eccezione la Lombardia<br />

e la Provincia di Trento, che<br />

hanno adottato delle formulazioni<br />

‘lunghe’): di conseguenza, le singole<br />

amministrazioni, muovendosi in questo<br />

spazio non determinato, hanno finito<br />

per tratteggiare schemi perequativi improntati<br />

ad un certo sincretismo, risultato<br />

di una circolazione ultraregionale<br />

della modellistica applicativa. A fronte<br />

di una sempre più accentuata diversificazione<br />

dei diritti <strong>urbani</strong>stici di derivazione<br />

regionale, l’impostazione perequativa<br />

rappresenta uno dei pochi elementi<br />

unificanti tra piani che riflettono schemi<br />

(ed hanno nomi) eterocliti.<br />

2. Le ragioni del ritardo nella diffusione<br />

del modello perequativo<br />

Chiarito preliminarmente che quando<br />

parliamo di perequazione e di compensazione<br />

il riferimento va a fenomeni dalla<br />

diffusione ancora relativamente circoscritta,<br />

occorre interrogarsi sulle ragioni<br />

di questa mancata generalizzazione,<br />

che potrebbe essere prima facie ascritta<br />

ad una sottovalutazione dei vantaggi<br />

che - anche secondo il Consiglio<br />

di Stato - oggettivamente si riconnettono<br />

all’introduzione di queste figure entro<br />

la struttura dei piani. Sicuramente<br />

si registra della riottosità dei decisori<br />

politici ed una certa diffidenza anche in<br />

larghi strati della categoria degli <strong>urbani</strong>sti;<br />

le ragioni più profonde vanno tuttavia<br />

ricercate nel contesto generale entro<br />

cui si colloca la stagione <strong>urbani</strong>stica<br />

del presente: le condizioni per la sperimentazione<br />

di queste tecniche infatti<br />

non sono affatto favorevoli. Nell’ultimo<br />

decennio si è consumato un mutamento<br />

di scenario forse ancor più radicale<br />

di quello determinato dalla riforma della<br />

legislazione regionale. La progressiva<br />

presa di consapevolezza del ‘parametro<br />

suolo’ quale risorsa finita, non rinnovabile<br />

ha imposto il passaggio da pianificazioni<br />

incrementali, fondate sulla diffusione<br />

urbana (sprawl), a piani connotati<br />

da una impostazione fortemente contenitiva,<br />

nella quale ogni ulteriore consumo<br />

di suolo agro-naturale deve trovare<br />

una rigorosa giustificazione. Le tecniche<br />

perequativo-compensative - che<br />

fanno leva su un principio allocativo dello<br />

stock volumetrico orientato ad una<br />

maggior equità ed efficacia delle decisioni<br />

pubbliche - hanno quindi avuto il rispettivo<br />

banco di prova in una contingenza<br />

in cui le volumetrie complessivamente<br />

assegnabili appaiono molto ridotte<br />

rispetto al passato. In comuni - e<br />

non sono pochi, specie nelle regioni<br />

settentrionali e nelle cinture metropolitane<br />

- in cui le uniche possibilità di intervento<br />

sono ormai rappresentate dal-<br />

la ricucitura di circoscritte aree interstiziali,<br />

difettano le condizioni strutturali<br />

per imbastire ambiziosi programmi perequativi.<br />

Merita di essere sottolineato anche<br />

un altro dato che emerge dalla fase di<br />

prima sperimentazione. Nella pratica<br />

amministrativa si è registrato un serio<br />

problema di costruzione del consenso<br />

attorno a questi nuovi modelli. Il tema –<br />

ovviamente – non è propriamente giuridico,<br />

ma una analisi orientata al dato<br />

effettuale non può non tenerne conto,<br />

specie perché si sostenuto che<br />

l’impostazione perequativa allenterebbe<br />

le tensioni che si scaricano sui decisori<br />

pubblici. Nei fatti la decisione politica<br />

pone difficoltà sin qui non adeguatamente<br />

considerate. Anche in un piano<br />

che preveda il mantenimento della capacità<br />

insediativa previgente i proprietari<br />

delle aree attualmente edificabili<br />

(cd. residui di piano) vengono chiamati<br />

ad una condivisione delle possibilità edificatorie<br />

ed in ciò avvertono il senso di<br />

una autentica privazione. Nel confronto<br />

con un piano tradizionale, anche ove il<br />

saldo volumetrico complessivo non subisca<br />

riduzioni, comunque mutano radicalmente<br />

gli esiti individuali. Parafrasando<br />

la critica mossa dai filosofi egualitaristi<br />

all’utilitarismo classico, si può<br />

dire che nel modello pianificatorio tradizionale<br />

si guarda(va) unicamente alla<br />

grandezza della torta, disinteressandosi<br />

della dimensione distributiva e trascurando<br />

che a questo livello di manifestasse<br />

una profonda disparità tra classi<br />

di proprietari. Nella perequazione ci<br />

si preoccupa invece innovativamente<br />

del numero, dell’entità e dell’allocazione<br />

- secondo un parametro egualitario -<br />

delle singole fette. Nei piani di questa<br />

matrice l’equità si persegue secondo il<br />

criterio del maximin (maximum minimorum):<br />

la strategia egualitaria si concentra<br />

cioè sull’innalzamento del risultato<br />

ottenibile dei proprietari altrimenti<br />

svantaggiati. Restando alla metafora,<br />

in luogo delle poche grandi fette d’un<br />

tempo, in un piano perequativo vengono<br />

previste molte più frazioni, tutte uguali,<br />

ma ciascuna di minori dimensioni.<br />

Degli esiti della ‘spalmatura’ tra più<br />

soggetti della dotazione volumetrica beneficiano<br />

dunque i fondi che in un piano<br />

tradizionale verrebbero gravati con un<br />

vincolo, ai quali il piano perequativo riconosce<br />

invece una frazione della volumetria<br />

insediabile, ancorché eventualmente<br />

concentrabile altrove.


Dossier<br />

Sul piano aggregato, l’allargamento<br />

della base dei proprietari soddisfatti<br />

giustifica ampiamente la ‘delusione’ inflitta<br />

ad alcuni, ma il problema di costruzione<br />

del consenso resta. Il discorso<br />

si presta, naturalmente, ad essere<br />

rovesciato. In questi anni è infatti emerso<br />

con chiarezza che proprio la<br />

condizione di scarsità volumetrica rende<br />

ancor più stringente l’esigenza di disporre<br />

di un sistema di ripartizione esteso<br />

ad un maggior numero di proprietari,<br />

capace di evitare i risultati intrinsecamente<br />

discriminatori - ormai rifiutati<br />

nel dibattito pubblico - che si riconnettono<br />

inevitabilmente ad una allocazione<br />

delle dotazioni volumetriche e<br />

dei vincoli che ricalchi strettamente lo<br />

zoning di progetto.<br />

Conclusioni diverse valgono invece<br />

per la compensazione. Ci si trova di<br />

fronte ad un istituto che ha avuto ampia<br />

applicazione. Anche qui l’analisi deve<br />

tuttavia scavare sotto la superficie:<br />

la sperimentazione su larga scala della<br />

compensazione, nella più parte dei casi,<br />

si è risolta nell’estemporanea inserzione<br />

in piani di impianto tradizionale di<br />

accordi di scambio tra aree per infrastrutture<br />

ed opportunità di edificazione,<br />

senza che da ciò sia derivata una autentica<br />

revisione del modello pianificatorio<br />

e, primariamente, delle politiche infrastrutturative.<br />

Per contro, nella compensazione<br />

(e sovente nel binomio compensazione-esecuzione<br />

a scomputo) è<br />

stato intravisto un rimedio alla endemica<br />

inefficacia delle politiche dei lavori<br />

pubblici. Questo ha indotto amministrazioni<br />

poco avvedute ad impegnarsi in onerose<br />

iniziative acquisitivo-realizzative<br />

sul presupposto (del tutto errato) che<br />

la compensazione consenta di ‘battere<br />

moneta volumetrica’ a costo nullo. La<br />

considerazione dei suoli alla stregua di<br />

una risorsa limitata impedisce invece di<br />

assumere l’alternativa compensativa alla<br />

stregua di un metodo ordinario di<br />

soddisfacimento di qualsivoglia esigenza<br />

di dotazioni territoriali e, per contro,<br />

induce ad una ancor più rigorosa gerarchizzazione<br />

delle priorità di intervento.<br />

3. Equità e coesione sociale quali<br />

(nuovi) valori orientatori della pianificazione<br />

Il ricorso alla perequazione nei diversi<br />

contesti non ha affatto indebolito la funzione<br />

di progettazione <strong>urbani</strong>stica. La<br />

valenza orientativa (e differenziante)<br />

dell’<strong>urbani</strong>stica ‘disegnata’ in vista di un<br />

ordinato assetto territoriale rimane inalterata.<br />

La perequazione, così detta<br />

a posteriori, e la compensazione sono<br />

state pressoché ovunque impiegate unicamente<br />

alla stregua di strumenti<br />

(‘tecniche’, appunto) utili a rendere indifferenti<br />

per i proprietari coinvolti le<br />

decisioni - non più separabili - sulle destinazioni<br />

edificatorie e sulle localizzazioni<br />

delle infrastrutture.<br />

Nell’affermazione di questa prospettiva<br />

‘strumentale’ (“la strada per ammettere<br />

la perequazione è quella di considerarla<br />

non un fine in sé ma un mezzo”)<br />

si coglie il superamento di un approccio<br />

non scevro da un certo ideologismo egualitarista<br />

che nei primi anni Novanta<br />

aveva accompagnato la fase di esordio<br />

della perequazione (da cui non si distingueva<br />

ancora la compensazione). Il<br />

consolidarsi di questo atteggiamento<br />

‘laico’ ha rappresentato la condizione<br />

che ha reso possibile la significativa diffusione<br />

di esperienze perequative anche<br />

in contesti culturali come il Veneto<br />

e la Lombardia, più refrattari ad ogni<br />

sottolineatura circa la valenza redistributiva<br />

di questi strumenti.<br />

Come si è già indicato, alla base della<br />

scelta di informare un piano ad un modello<br />

perequativo vi è sempre una revisione<br />

dell’orizzonte assiologico a cui si<br />

ancorano le decisioni pubbliche. E’ la riconsiderazione<br />

valoriale ad innescare il<br />

processo di revisione del paradigma di<br />

piano. Nell’impostazione tradizionale,<br />

l’unico valore sotteso alla pianificazione<br />

si ricollegava all’ordinato sviluppo territoriale,<br />

a cui si riconnetteva un interesse<br />

pubblico all’affermazione del disegno<br />

prefigurato dal piano, le cui previsioni -<br />

secondo il tipico schema poteresubordinazione<br />

- si imponevano imperatativamente<br />

entro la sfera proprietaria.<br />

Sempre in nome di questa (astratta)<br />

prevalenza del pubblico interesse la natura<br />

edificatoria o vincolata dei singoli<br />

fondi era considerata un mero riflesso<br />

della decisione di piano. Il risultato<br />

(outcome) di questo schema era un piano<br />

‘intrinsecamente discriminatorio’,<br />

come ebbe a sottolineare sin dagli anni<br />

Sessanta P. Stella Richter. La sperequazione<br />

tra diverse classi di proprietari<br />

fondiari, taluni fortemente avvantaggiati<br />

dalle scelte pubbliche<br />

sull’edificabilità dei suoli, talaltri gravemente<br />

penalizzati dalle decisioni infrastrutturative,<br />

costituiva una ineluttabile<br />

conseguenza non tanto dell’imperatività<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 39<br />

del piano quanto piuttosto della tecnica<br />

dello zoning, nella quale la linea tracciata<br />

dal ‘pennarello del pianificatore’ segnava<br />

anche le sorti dei proprietari.<br />

La storia dell’<strong>urbani</strong>stica dagli anni<br />

Sessanta può essere ripercorsa anche<br />

in questa chiave: è il periodo in cui il tema<br />

della ‘riforma <strong>urbani</strong>stica’ fu posto<br />

al centro del dibattito pubblico dall’INU<br />

di A. Olivetti e da G. Astengo con il famoso<br />

‘Codice dell’<strong>urbani</strong>stica’; il tema,<br />

come noto, fu ripreso con forza (ma<br />

senza successo) dal Ministro dei LLPP<br />

F. Sullo e dai suoi successori Zaccagnini,<br />

Mancini e Pieraccini, anche se<br />

l’unico risultato di quella tensione riformatrice<br />

fu costituito da un intervento<br />

contingente come la legge ‘ponte’. Questo<br />

dibattito si affievolì, rimanendo sottotraccia,<br />

sino al Congresso dell’INU<br />

del 1995, nel quale venne presentata<br />

una organica proposta di superamento<br />

della legge <strong>urbani</strong>stica del 1942, entro<br />

cui – abbandonati progetti di riforma<br />

della struttura della proprietà - la perequazione<br />

veniva identificata quale rimedio<br />

alla esternalità negativa dello zoning<br />

impiegato quale tecnica di allocazione<br />

di una risorsa scarsa come<br />

l’edificabilità. Nel perdurante silenzio<br />

del legislatore nazionale, il tema ha cominciato<br />

a trovare finalmente spazio<br />

nelle leggi regionali di terza generazione.<br />

Uno sparuto stuolo di comuni si era<br />

comunque già avviato sulla strada della<br />

sperimentazione in carenza di una copertura<br />

normativa, ma con il favore<br />

della giurisprudenza amministrativa. In<br />

particolare, va fatta menzione del rilievo<br />

che ha assunto il primo arresto sul<br />

piano regolatore di Reggio Emilia. Tale<br />

sentenza ha avuto l’effetto di rafforzare<br />

la convinzione che il meccanismo perequativo<br />

potesse trovare legittima applicazione<br />

anche in assenza di una revisione<br />

della normativa <strong>urbani</strong>stica generale.<br />

Nella stagione pionieristica della<br />

perequazione le motivazioni di questa<br />

'storica' sentenza si sono inoltre rivelate<br />

decisive per fare chiarezza sulla<br />

ratio di questa tecnica, identificata -<br />

nelle parole dei giudici amministrativi -<br />

nel gravare “contemporaneamente la<br />

proprietà del beneficio dell’edificabilità e<br />

del peso di contribuire all’elevamento<br />

generale della qualità urbana”. L'in se<br />

della perequazione, com’è parso chiaro<br />

da quel momento, effettivamente si<br />

concentra tutta in questa inscindibilità<br />

tra vantaggi della trasformazione ed o-


40 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Dossier<br />

neri infrastrutturativi.<br />

Attorno alla seconda metà degli anni<br />

Novanta il valore etico dell’equità, tradizionalmente<br />

confinato entro altre politiche<br />

pubbliche, come quella tributaria o<br />

quella sociale, è stato esteso anche alla<br />

decisione pianificatoria, ripensata secondo<br />

un criterio di giustizia distributiva.<br />

Si è quindi imposta la revisione delle<br />

modalità applicative dello zoning. Le tavole<br />

di azzonamento (organizzate sempre<br />

più spesso per tessuti e sempre<br />

meno per zone omogenee) non coincidono<br />

più con il piano: ne esprimono soltanto<br />

la componente progettuale. Attraverso<br />

questa tecnica si identificano<br />

le possibilità di trasformazione, ma da<br />

questo disegno ordinatore si svincola<br />

l’attribuzione delle dotazioni volumetriche<br />

(scambiabili) ai singoli lotti. Questa<br />

innovativa forma di piano postula quindi<br />

una doppia maglia pianificatoria (a cui,<br />

effettivamente, vengono a corrispondere<br />

due serie di tavole): l’una finalizzata<br />

alla esplicitazione delle previsioni insediative<br />

ed infrastrutturative, l’altra funzionale<br />

alla allocazione delle dotazioni<br />

volumetriche ed al riparto dei correlati<br />

oneri infrastrutturativi tra una base più<br />

ampia di proprietari.<br />

Definito il mosaico territoriale, la volumetria<br />

insediabile in misura sostenibile<br />

rispetto alla capacità di carico di un<br />

territorio viene previamente ripartita<br />

tra tutti i cd. fondi-sorgente (sending areas).<br />

La permuta delle aree o lo<br />

scambio a titolo oneroso dei ‘titoli’ (cd.<br />

diritti edificatori) rappresentativi di tale<br />

attribuzione originaria (sulla scia del<br />

Transfer of Development Rights della<br />

tradizione statunitense) consentiranno,<br />

al momento della successiva concentrazione<br />

dei volumi (cd ‘atterraggio’) sui<br />

soli fondi-accipienti (receiving areas), di<br />

garantire anche ai proprietari dei fondisorgente<br />

una frazione dei risultati<br />

(economici o costruttivi) dell’attività di<br />

trasformazione. L'attuazione della vicenda<br />

perequativa fa sì che la distinzione<br />

tra le funzioni delle aree (profilo che<br />

resta determinato dello zoning) non ingeneri<br />

alcuna sperequazione (almeno economica)<br />

tra i soggetti coinvolti.<br />

Il tema dell’equità ha tenuto il campo<br />

per tutti gli anni Novanta.<br />

All’impostazione della legge del 1942 si<br />

è contrapposto un modello di piano perequativo<br />

tendente a far coincidere il<br />

massimo di equità con l’applicazione<br />

sull’intero territorio trasformabile<br />

(esclusi soltanto gli areali agricoli ed il<br />

centro storico) di un ‘indice unico’. Soluzioni<br />

di questo tipo hanno tuttavia mostrato<br />

i propri limiti. L’applicazione di<br />

un principio di giustizia distributiva alla<br />

pianificazione non è funzionale a determinare<br />

esiti necessariamente eguali,<br />

quanto piuttosto all’identificazione di un<br />

criterio oggettivo da assumere quale<br />

fattore distributivo in presenza di situazioni<br />

di fondo diversificate. Una tale forma<br />

‘estrema’ di uguaglianza territoriale<br />

non tiene conto che i lotti presentano<br />

delle irriducibili differenze legate alla posizione,<br />

alla giacitura, alla prossimità<br />

alle reti stradali e dei servizi, etc. Paradossalmente,<br />

la forzosa cancellazione<br />

di tali oggettive ed innegabili differenze<br />

produce anch’essa un esito disuguagliante<br />

(reverse discrimination).<br />

Sul piano della tecnica <strong>urbani</strong>stica si<br />

è progressivamente assunta consapevolezza<br />

che anche la decisione di riparto<br />

delle potenzialità volumetriche (e non<br />

solo la funzione progettuale di disegno<br />

urbano) deve essere necessariamente<br />

preceduta da un lavoro di analitica decodificazione<br />

dei caratteri e delle invarianti<br />

territoriali, che va usualmente<br />

sotto il nome di ‘classificazione dei<br />

suoli’. Questa analisi è funzionale<br />

all’identificazione di un certo numero di<br />

classi di suoli formate da lotti tendenzialmente<br />

omogenei. Queste aggregazioni<br />

verranno a costituire altrettanti<br />

frames di pianificazione. Nella fase successiva,<br />

i lotti compresi in una determinata<br />

classe (anche a distribuzione territoriale<br />

discontinua) riceveranno eguale<br />

attribuzione volumetrica indipendentemente<br />

dalla destinazione finale. Da ultimo,<br />

verranno fissate delle regole sulla<br />

trasformazione entro le unità minime di<br />

intervento (comparti, piani attuativi,<br />

ambiti o distretti della trasformazione,<br />

secondo il lessico delle diverse leggi regionali)<br />

o fissate le norme sulle forme<br />

di circolazione dei titoli volumetrici corrispondenti<br />

alla dotazione volumetrica<br />

di ciascun fondo.<br />

La perequazione - dimessa ogni bardatura<br />

ideologica - non elide le differenze<br />

fisico-morfologico-ubicazionali tra i<br />

lotti, ossia le differenze ‘ricevute’. Si limita<br />

ad evitare che la decisione di piano<br />

ingeneri ulteriori disparità. L’attività<br />

preliminare di classificazione dei suoli<br />

dovrebbe avere matrice conoscitiva e<br />

sostanziarsi in una serie di acclaramenti,<br />

ma nella realtà non è completamente<br />

scevra da valutazioni tecnicodiscrezionali.<br />

Il richiamo all’estimo ed<br />

alla ‘tecnica <strong>urbani</strong>stica’ prelude spesso<br />

ad una inammissibile opacità dei criteri<br />

applicati e ad una non ripercorribilità<br />

delle micro-decisioni che si consolidano<br />

in tale fase ‘tecnica’. Il risultato della<br />

classificazione costituisce una<br />

‘premessa decisionale’ particolarmente<br />

stringente per il pianificatore: a valle<br />

della classificazione residua unicamente<br />

l’attribuzione degli indici alle singole<br />

classi di suoli, ossia una operazione<br />

rappresentabile alla stregua di una suddivisione<br />

esatta, in ossequio ad un fattore<br />

distributivo predeterminato, della<br />

volumetria identificata ex ante come<br />

ambientalmente e territorialmente sostenibile.<br />

Si pone quindi il problema della<br />

piena ‘giuridificazione’<br />

dell’identificazione delle classi differenziate<br />

di suoli. Non tutte le leggi regionali<br />

fanno espressa menzione di tale attività<br />

che nel flusso procedurale della<br />

pianificazione correla la fase conoscitiva<br />

e quella decisoria e sono molti i piani<br />

in cui non si riscontra adeguata traccia<br />

di queste fondamentali attività. Occorre<br />

quindi l’identificazione previa di un<br />

set di indicatori conoscibili ed occorre<br />

rendere aperta ad una autentica partecipazione<br />

(sottraendola dunque alla sfera<br />

‘tecnica’) l’attività di applicazione di<br />

tali indicatori ai suoli, onde rendere pienamente<br />

ripetibili (e dunque giustiziabili)<br />

i correlativi esiti. L’esame di taluni piani<br />

perequativi, specie nelle regioni in cui la<br />

classificazione non è espressamente<br />

prevista come una specifica fase, lascia<br />

invece sovente l’impressione che<br />

opzioni enfaticamente definite di perequazione<br />

‘verso il basso’ o di fissazione<br />

di un indice assiomaticamente definito<br />

‘equo’ riflettano decisioni politiche sempre<br />

a rischio di arbitrarietà, che sono<br />

ben lungi dal rappresentare un mero<br />

‘riepilogo’ conseguente alla messa a<br />

fuoco su un piano oggettivo dei caratteri<br />

intinseci dell’armatura urbana. La democraticità<br />

(e la giustiziabilità) costituiscono<br />

invece complementi indissociabili<br />

del valore dell’equità applicato alla pianificazione.<br />

Al di là delle affermazioni di principio<br />

che si riscontrano in alcune leggi regionali,<br />

nel periodo più recente l’idea di una<br />

azione pianificatoria impiegata in<br />

chiave redistributiva ha subito un netto<br />

ridimensionamento e, con essa, è stato<br />

messo in discussione anche il modello<br />

della perequazione generalizzata<br />

(a cui peraltro pare guardare in controtendenza<br />

il Comune di Milano), conno-


Dossier<br />

tato da dispositivi di scambio delle potenzialità<br />

edificatorie omogeneamente<br />

estesi sull’intero territorio comunale<br />

(trasformabile). Innumerevoli piani perequativi<br />

esprimono invece meccanismi di<br />

circolazione delle possibilità edificatorie<br />

circoscritti a taluni segmenti (anche discontinui)<br />

del territorio trasformabile.<br />

Si parla conseguentemente di perequazione<br />

parziale, nella quale il nesso con<br />

le politiche infrastrutturative è solitamente<br />

più evidente.<br />

All’affievolirsi delle suggestioni egualitarie,<br />

ha fatto da contrappunto - sempre<br />

sul piano dei valori - il rafforzamento<br />

della concezione secondo cui la spinta<br />

verso la revisione della pianificazione<br />

in senso perequativo-compensativo (la<br />

compensazione - come vedremo - ha<br />

nel frattempo conquistato uno statuto<br />

autonomo e riconoscibile) si ricollega<br />

strettamente all’esigenza di maggior effettività<br />

nella risposta alle questioni infrastrutturative<br />

ed ambientali (la costruzione-rafforzamento<br />

della ‘città<br />

pubblica’, costituita dalla maglia delle<br />

dotazioni territoriali, fra le quali vanno<br />

ricomprese anche le aree destinate al<br />

verde pubblico). Si tratta invero di un obiettivo<br />

strumentale, dietro il quale si<br />

staglia il valore (di derivazione comunitaria)<br />

della coesione sociale: le politiche<br />

infrastrutturative costituiscono infatti<br />

un mezzo per la realizzazione delle dotazioni<br />

territoriali essenziali per garantire<br />

alle diverse popolazioni urbane una<br />

adeguata offerta di prestazioni (di servizio<br />

pubblico ed ambientali) che valgano,<br />

per un verso, ad evitare situazioni di<br />

marginalità ed esclusione e, per altro<br />

verso, a consentire l’accesso generalizzato<br />

e non discriminatorio a risorse<br />

ambientali fondamentali. Ad un argomento<br />

etico si affianca quindi una istanza<br />

di efficienza.<br />

L'idea che la necessaria infrastrutturazione<br />

del territorio continui ad identificarsi<br />

con la sequenza vincolo-espropriolavoro<br />

pubblico è entrata da tempo irreversibilmente<br />

in crisi. Il fallimento di<br />

questo schema ottimistico, testimoniato<br />

dall'elevato numero di vincoli che le<br />

amministrazioni si trovavano sistematicamente<br />

a dover reiterare, costituisce<br />

uno dei più evidenti limiti dell'<strong>urbani</strong>stica<br />

tradizionale. La pianificazione in questi<br />

casi finisce per risolversi in un disegno<br />

ottativo del territorio, incapace di<br />

promuovere l’effettiva acquisizione dei<br />

beni a fruizione collettiva e la formazione<br />

delle strutture destinate all'erogazio-<br />

ne dei servizi pubblici.<br />

La riconsiderazione del modello di piano<br />

deriva oggi (anche e soprattutto)<br />

da una considerazione di ordine pratico:<br />

la politica infrastrutturativa sconta<br />

un grave deficit di effettività, a cui si<br />

può ovviare solo cercando di strutturare<br />

una corrispondenza diretta tra vicende<br />

edificatorie e formazione delle<br />

dotazioni territoriali ed una comunanza<br />

di interessi tra proprietari delle aree edificabili<br />

e proprietari delle aree destinate<br />

alla città pubblica.<br />

4. La distinzione tra perequazione e<br />

compensazione e le figure ricorrenti<br />

L'<strong>urbani</strong>stica 'postvincolistica' si esprime<br />

attraverso schemi operativi tesi a<br />

stimolare una spontanea adesione dei<br />

proprietari all’attuazione della pianificazione,<br />

facendo coincidere il perseguimento<br />

di obiettivi egoistici (gli unici che<br />

essi sono razionalmente orientati a ricercare)<br />

con risultati di utilità pubblica.<br />

Al di là di questo denominatore comune,<br />

è tuttavia necessario segnare una<br />

distinzione tra situazioni <strong>urbani</strong>stiche<br />

diverse, corrispondenti ad istituti differenziati,<br />

ai quali – con tutta la stipulatività<br />

dei nomi – devono quindi essere attribuite<br />

etichette distintive proprie.<br />

Sin qui abbiamo parlato di perequazione<br />

e di compensazione senza segnare<br />

una distinzione tra queste due figure.<br />

Occorre ora fissare una linea discretiva<br />

di carattere strutturale tra perequazione<br />

e compensazione e, partendo<br />

da una accettabile tassonomia, cercare<br />

di classificare i molteplici modelli<br />

perequativi e compensativi che si registrano<br />

nella prassi. Sul piano ricostruttivo,<br />

di fronte ad una realtà tanto frastagliata,<br />

occorre raggruppare i diversi<br />

modelli riscontrabili nella prassi entro<br />

schemi di fondo che ne consentano –<br />

quanto meno – una più agevole confrontabilità.<br />

Parlare di perequazione<br />

tout court significa fare ricorso ad un iperonimo<br />

riferibile a tecniche profondamente<br />

eterogenee: il significante non<br />

corrisponde ad un significato preciso<br />

ed univoco, con la conseguenza che<br />

questa insufficiente pregnanza semantica<br />

finisce per lasciare in ombra le reali<br />

dinamiche della prassi pianificatoria. Va<br />

dunque superata l’idea che queste innovazioni<br />

si conformino ad un modello<br />

monolitico (‘la perequazione’), laddove<br />

sembra sicuramente più corretto parlare<br />

di ‘modelli perequativi’ al plurale (‘le<br />

perequazioni’). Eguale sforzo distintivo<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 41<br />

di impone anche con riferimento alla<br />

compensazione. Affinando ulteriormente<br />

la classificazione e cercando di ricondurre<br />

ad alcuni ‘tipi’ indicazioni eterogenee<br />

espresse da leggi e soprattutto<br />

da piani molto diversi tra loro, si<br />

possono isolare alcune situazioni ricorrenti.<br />

a. In un primo ordine di casi, il pianificatore<br />

si limita a garantire una equa<br />

ed estesa distribuzione dei vantaggi derivanti<br />

delle previsioni di edificabilità,<br />

mediante una omogenea attribuzione<br />

volumetrica tra i suoli su cui si concentreranno<br />

le trasformazioni ed aree<br />

che, pur connotate da un astratto statuto<br />

di trasformabilità (aree interstiziali,<br />

comprese nel perimetro dei tessuti<br />

consolidati, od aree perturbane di prima<br />

frangia), debbono restare immodificate<br />

per prevalenti ragioni di disegno<br />

<strong>urbani</strong>stico: in questi casi, trova spazio<br />

la figura più semplice (e primigenia) di<br />

perequazione, alla quale è sottesa unicamente<br />

un’istanza di giustizia distributiva<br />

e la ricerca di soluzioni conformative<br />

(densificazioni e, nel contempo, preservazione<br />

di suoli) condivise: in queste<br />

fattispecie, si può parlare di<br />

‘perequazione <strong>urbani</strong>stica’ (o ‘pura’).<br />

b. In un secondo ordine di casi, il pianificatore,<br />

oltre a favorire la più ampia<br />

ed equa distribuzione dei vantaggi indotti<br />

dal piano, deve altresì farsi carico<br />

di talune previsioni infrastrutturative<br />

(acquisizione di aree senza esborsi a<br />

carico del comune): in queste fattispecie,<br />

trova spazio un diverso modello di<br />

perequazione, caratterizzato da possibilità<br />

edificatorie necessariamente più<br />

elevate rispetto al caso a), con dispiegamento<br />

dei volumi entro le aree di<br />

concentrazione e contestuale cessione<br />

delle superfici per la formazione della<br />

città pubblica a vantaggio del comune:<br />

in questo modello le logiche equitative<br />

e di conformazione condivisa sono consentanee<br />

rispetto all’istanza di effettività<br />

del programma infrastrutturativo: si<br />

parla in tali ipotesi (sicuramente le più<br />

diffuse) di perequazione infrastrutturale<br />

(o ‘con oneri di cessione’).<br />

c. In un terzo ordine di ipotesi, in sovrapposizione<br />

a quanto previsto nei<br />

modelli sopra descritti, il piano ‘riserva’<br />

all’amministrazione comunale una frazione<br />

della volumetria concentrabile su<br />

specifici lotti (ad es., nei piani attuativi<br />

o nel recupero di opifici dismessi): il<br />

comune potrà poi cedere a titolo oneroso<br />

tale dotazione volumetrica ovvero


42 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Dossier<br />

impiegarla per scopi connessi al social<br />

housing: si parla in tali fattispecie<br />

(rispetto alla cui legittimità rimangono<br />

forti dubbi) di perequazione ‘con volumetria<br />

pubblica aggiuntiva’;<br />

d. In un quarto ordine di casi, il pianificatore<br />

affronta il problema dei ‘residui<br />

di piano’, ossia delle previsioni edificatorie<br />

inattuate espresse dal piano precedente<br />

e giudicate non confermabili: con<br />

l’intento di evitare drastiche soppressioni,<br />

si privilegia una ‘conversione’ di<br />

tali potenzialità in ‘diritti edificatori’<br />

scambiabili; l’istituto si ricollega ad una<br />

tendenza (a volte criticabile) a ricercare<br />

il consenso dei destinatari anche ove<br />

l’amministrazione disporrebbe di alternative<br />

autoritative: questa soluzione infatti<br />

ha solamente l’effetto di orientare<br />

su aree meno ‘irrinunciabili’<br />

l’atterraggio del carico insediativo ereditato<br />

da piani sovrabbondantemente<br />

dimensionati; in questi casi si persegue<br />

una sorta di equità intertemporale nella<br />

successione tra piani e si può parlare<br />

di perequazione ‘sui residui’; questo<br />

modello può avere una variante infrastrutturativa<br />

ove sia prevista la cessione<br />

al comune delle aree rese inedificabili;<br />

e. In un quinto ordine di casi, il pianificatore<br />

identifica nel piano (nella componente<br />

infrastrutturativa) segmenti di<br />

città pubblica di rango strategico primario,<br />

rispetto ai quali<br />

l’amministrazione non può rinunciare a<br />

priori al vincolo ed alla facoltà imperativa<br />

ed unilaterale di acquisizione coattiva<br />

delle aree; in queste fattispecie, si<br />

deve apporre il vincolo preespropriativo<br />

ed, entro il termine di cinque anni, fare<br />

ricorso all'espropriazione; viene tuttavia<br />

prevista la possibilità di ristoro del proprietario<br />

mediante attribuzione di<br />

‘crediti compensativi’ in luogo<br />

dell’usuale indennizzo pecuniario; dietro<br />

questo modello campeggia una esigenza<br />

di effettività dell’azione infrastrutturativa:<br />

in questi casi si può pertinentemente<br />

parlare di compensazione infrastrutturativa.<br />

f. In un sesto ordine di fattispecie, il<br />

pianificatore cerca di rompere il tralatizio<br />

schema secondo cui il piano può<br />

produrre effetti solo de futuro con riferimento<br />

ai nuovi interventi, essendo privo<br />

di incidenza sui manufatti preesistenti:<br />

per contro, ove si configurino<br />

dei detrattori ambientali o paesaggistici<br />

(si pensi a manufatti in degrado od incongrui,<br />

in quanto suscettibili di snatu-<br />

rare la percezione di un luogo) si ritiene<br />

oggi possibile sollecitare (ed in alcuni<br />

casi imporre) azioni positive (dalla delocalizzazione<br />

alla riqualificazione), i cui oneri<br />

vengono integralmente compensati<br />

ancora una volta tramite l’attribuzione<br />

di ‘crediti compensativi’: in queste fattispecie<br />

si può pregnantemente parlare<br />

di compensazione paesaggisticoambientale.<br />

Da questa sintetica tipizzazione (che<br />

non ha alcuna pretesa di completezza,<br />

anche perché i diversi modelli sovente<br />

vengono impiegati in combinazione tra<br />

loro entro uno stesso piano) si possono<br />

trarre delle indicazioni di ordine generale.<br />

La perequazione, sovvertendo lo<br />

schema tradizionale, configura una autentica<br />

alternativa al vincolo: allarga il<br />

novero dei proprietari tra cui si distribuiscono<br />

i vantaggi e gli oneri indotti<br />

dal piano e poggia sul presupposto che<br />

tutti i proprietari coinvolti trovino razionalmente<br />

preferibile l’adesione alle decisioni<br />

sull’assetto territoriale.<br />

La compensazione ha invece un doppio<br />

volto: in alcuni casi si mantiene entro<br />

l’alveo della pianificazione tradizionale<br />

ed è finalizzata ad elidere le conseguenze<br />

pregiudizievoli che si manifestano<br />

ove resti necessario acquisire delle<br />

aree mediante vincolo-ablazione, in altri<br />

casi si pone al di fuori degli schemi usuali<br />

e diviene funzionale a garantire ristoro<br />

ad un proprietario a cui si richiede<br />

(od impone), un facere per ragioni<br />

paesaggistico-ambientali.<br />

La perequazione garantisce ai proprietari<br />

risultati che rendono comunque<br />

(anche dopo l’assolvimento degli oneri<br />

infrastrutturativi) vantaggiosa<br />

l’attuazione del piano, mentre la compensazione<br />

affronta in termini nuovi il<br />

problema degli effetti delle previsioni <strong>urbani</strong>stiche<br />

sfavorevoli, assegnando ai<br />

proprietari interessati da scelte pianificatorie<br />

di segno negativo (in funzione ablatoria<br />

o per l’eliminazione di<br />

‘detrattori’ percettivi) una alternativa in<br />

valori <strong>urbani</strong>stici preferibile rispetto<br />

all’ordinario indennizzo pecuniario.<br />

Nella perequazione le previsioni pianificatorie<br />

profilano al proprietario una<br />

soluzione comunque vantaggiosa e la<br />

decisione di adesione rimane volontaria.<br />

La compensazione infrastrutturativa<br />

interviene invece in chiave indennitaria<br />

in presenza di incisioni autoritative<br />

su diritti, nell’ambito di fattispecie in cui<br />

ci si trova di fronte a situazioni in cui il<br />

proprietario non può rifiutare di aderire<br />

alla previsione dettata dal piano, in<br />

quanto è posto di fronte ad una alternativa<br />

vincolistico-ablatoria; nella compensazione<br />

paesaggistica invece<br />

l’imposizione di interventi a carico dei<br />

privati è prevista più raramente: la<br />

compensazione funge da elemento volto<br />

a rendere economicamente neutra<br />

per i proprietari la decisione di conformazione<br />

– comunque quasi sempre volontaria<br />

– al piano: poiché un tale risultato<br />

può rivelarsi sub-ottimale rispetto<br />

alle preferenze dei proprietari, in queste<br />

fattispecie la compensazione è molto<br />

spesso associata a forme di incentivazione<br />

che riescono ad aggiungere un<br />

quid decisivo per rendere preferibile la<br />

soluzione di adeguamento a quanto<br />

profilato dal piano.<br />

5. Gli oneri (non vincoli) perequativi<br />

Uno degli elementi su cui poggia la distinzione<br />

proposta tra perequazione e<br />

compensazione (infrastrutturativa) attiene<br />

alla natura delle previsioni pianificatorie<br />

aventi ad oggetto la cessione di<br />

aree all’amministrazione. Si tratta di un<br />

profilo decisivo per segnare il distacco<br />

della perequazione dal tradizionale<br />

schema vincolistico.<br />

Mediante l’apposizione di un 'peso' su<br />

un fondo entro un piano di matrice perequativa<br />

il pianificatore si limita a fissare<br />

un obiettivo (di pubblico interesse)<br />

a cui è condizionato il dispiegamento<br />

delle potenzialità attribuite ai proprietari.<br />

Le previsioni relative alla cessione di<br />

aree all’amministrazione in coincidenza<br />

con il dispiegamento delle potenzialità<br />

edificatorie sui fondi-accipienti non sono<br />

quindi da considerare vincoli in senso<br />

proprio.<br />

Il proprietario non subisce una iniziativa<br />

di matrice vincolistica: egli è tenuto<br />

a cedere l’area per la città pubblica solo<br />

contestualmente al dispiegamento<br />

delle potenzialità volumetriche (sulle aree<br />

di concentrazione), ossia nel momento<br />

in cui tutti i soggetti coinvolti sono<br />

nelle condizioni di ripartirsi privatamente<br />

tanto i vantaggi quanto gli oneri<br />

correlati all’attuazione dell’assetto prefigurato<br />

dal piano. Questa ripartizione,<br />

nei diversi modelli operativi della perequazione,<br />

avviene mediante negozi di ricomposizione<br />

fondiaria (ownership readjustment)<br />

ovvero mediante la circolazione<br />

di diritti edificatori (infra). I proprietari<br />

danno attuazione a quanto prefigurato<br />

dal piano solo ove percepisca-


Dossier<br />

no tale soluzione come economicamente<br />

vantaggiosa, ad esito di una comparazione<br />

tra i vantaggi ritraibili dalla trasformazione<br />

dei fondi accipienti ed i costi<br />

derivanti dalla cessione al comune<br />

dei fondi-sorgente (svuotati dei correlativi<br />

diritti). L’operazione si presenta (e<br />

viene quindi percepita) come connotata<br />

da un bilancio positivo e non postula<br />

quindi una privazione per le parti che vi<br />

partecipano.<br />

Nella perequazione la cessione non è<br />

conseguenza dell’imperatività di un vincolo,<br />

bensì adempimento di un onere<br />

(con un ossimoro si è parlato di 'dovere<br />

libero', retto dal principio ‘se vuoi,<br />

devi’), la cui previsione nel piano va a<br />

modificare l’intima struttura giuridica<br />

della proprietà fondiaria, secondo un innovativo<br />

modello di conformazione che<br />

fa leva unicamente sulla spinta al perseguimento<br />

da parte dei proprietari dei<br />

vantaggi ritraibili dal piano, vantaggi<br />

che restano tali (pur risultando più ridotti)<br />

anche in presenza dell’onere.<br />

La più immediata conseguenza sul piano<br />

<strong>urbani</strong>stico di tale carattere del piano<br />

perequativo è che questo tipo di<br />

previsioni - come è stato chiarito anche<br />

dai giudici amministrativi liguri - non sono<br />

soggette a decadenza quinquennale.<br />

Il vincolo preespropriativo costituisce<br />

un 'peso esorbitante' per il proprietario<br />

che lo subisce: di lì la nota soluzione<br />

che rimonta alla teorizzazione sandulliana<br />

di prevederne la temporaneità in alternativa<br />

alla indennizzabilità. Gli 'oneri<br />

perequativi', al contrario, non costituiscono<br />

un carico esogeno compressivo<br />

della proprietà fondiaria: rappresentano<br />

piuttosto la componente infrastrutturativa<br />

passiva intrinseca alla articolata<br />

vicenda di dispiegamento della facoltà<br />

edificatoria attiva. In un piano perequativo<br />

il diritto di proprietà mantiene<br />

sempre una dimensione di segno positivo,<br />

ancorché lo sviluppo edificatorio sia<br />

condizionato all’assolvimento dell'onere<br />

di cessione. Questo giustifica la prescindibilità<br />

di un limite temporale.<br />

Attenendosi a questo schema di fondo,<br />

i giudici amministrativi hanno messo<br />

in guardia da ‘false perequazioni’,<br />

caratterizzate da indici troppo bassi<br />

per giustificare le cessioni richieste.<br />

L’equilibrio interno al diritto di proprietà<br />

in questi casi veniva sbilanciato dal peso<br />

soperchiante delle cessioni. Sarà<br />

quindi opportuno che i piani contengano<br />

delle schede di giustificazione economica<br />

degli scenari microeconomici pro-<br />

posti ai proprietari. I giudici amministrativi<br />

potranno quindi valutare tale dato<br />

non allo scopo di strutturare un sindacato<br />

di merito, ma al fine di verificare<br />

ab externo se ci si trovi effettivamente<br />

nel campo della perequazione,<br />

in cui - ritornando al principio di proporzionalità<br />

- l’attuazione del piano si denota<br />

sempre per costituire una scelta autonoma<br />

e vantaggiosa, comunque accrescitiva<br />

della sfera patrimoniale del<br />

proprietario.<br />

6. La perequazione endoambito ed estesa<br />

Avendo ora riguardo alla struttura ed<br />

ai funzionamenti dei piani perequativi, è<br />

necessario introdurre una dicotomia ulteriore:<br />

sul piano gestionale,<br />

l’applicazione della perequazione<br />

(generalizzata o parziale) può avvenire<br />

infatti all’interno di ambiti o piani attuativi<br />

ovvero mediante la messa in circolazione<br />

dei diritti edificatori su tutta la<br />

porzione territoriale interessata dalla<br />

perequazione. Questa differente impostazione<br />

segna una netta divaricazione<br />

tra tipologie di piani definibili a pieno titolo<br />

perequativi.<br />

Schematizzando, e premettendo<br />

sempre che le denominazioni hanno valenza<br />

stipulativa, si può quindi parlare<br />

di perequazione endoambito e di perequazione<br />

diffusa.<br />

a. Il modello uniformemente profilato<br />

nelle leggi regionali è quello della perequazione<br />

endoambito, che trova applicazione<br />

entro piani attuativi variamente<br />

denominati (ambiti, piani attuativi, distretti<br />

della trasformazione, etc.) e, comunque,<br />

entro perimetri – anche discontinui<br />

- predeterminati dal piano. Il<br />

luogo di dispiegamento delle potenzialità<br />

volumetriche è dunque fissato ex ante<br />

dal pianificatore. Il meccanismo – in<br />

queste fattispecie – è relativamente<br />

semplice. Il piano comunale assegna una<br />

potenzialità volumetrica all’ambito<br />

nella sua interezza (previo 'scorporo'<br />

della volumetria degli eventuali edifici esistenti)<br />

ed è poi il piano attuativo a ripartire<br />

tra tutti i proprietari delle aree<br />

interessate dagli interventi le capacità<br />

edificatorie e gli oneri correlati alla formazione<br />

delle dotazioni territoriali. I<br />

proprietari coinvolti, prima della presentazione<br />

del piano attuativo, provvedono<br />

– in piena autonomia – a porre in<br />

essere una ricomposizione fondiaria<br />

(“La realizzazione degli interventi previsti<br />

nell’ambito soggetto a perequazione<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 43<br />

<strong>urbani</strong>stica presuppone la redazione di<br />

un piano di ricomposizione fondiaria<br />

comprendente permute o cessioni immobiliari<br />

tra tutti i soggetti aventi titolo,<br />

definito sulla base del progetto di dettaglio<br />

a fini esecutivi riferito all’intero ambito”).<br />

In questo modello l'elemento decisivo<br />

idoneo ad innescare la sequenza che<br />

porta al verificarsi dell’effetto perequativo<br />

è costituito dal vincolo di attuazione<br />

necessariamente unitaria (e di fatto<br />

contestuale) delle previsioni di piano..<br />

Questa rigidità esogena ‘costringe’ infatti<br />

tutti i proprietari dei lotti compresi<br />

nell’ambito ad un atteggiamento cooperativo,<br />

pena la vanificazione di ogni previsione<br />

edificatoria (la ‘paralisi’ del piano<br />

attuativo). Questa cooperazione – come<br />

ormai chiaro – può verificarsi solo in<br />

presenza di una redistribuzione percepita<br />

come equa, in quanto rispettosa di<br />

un fattore distributivo condiviso da tutti<br />

i proprietari interessati. In questo modello<br />

la capacità edificatoria non è assegnata<br />

a singoli lotti edificabili, bensì<br />

all’ambito (solitamente sotto forma di<br />

indice territoriale) nella sua interezza,<br />

con la conseguenza che non sono configurabili<br />

proprietari avvantaggiati e proprietari<br />

svantaggiati dal piano, ma solo<br />

soggetti coinvolti in una vicenda attuativa<br />

a cooperazione necessaria. A rendere<br />

indifferente la collocazione dello<br />

standard è l’essenzialità<br />

dell’adempimento dell’onere di cessione:<br />

in carenza di tale cessione nessuna<br />

area sarà materialmente trasformabile<br />

e quindi nessun proprietario potrà assumere<br />

un atteggiamento predatorio. Il<br />

fattore distributivo, vettore di equità, è<br />

rappresentato unicamente<br />

dall’incidenza percentuale delle aree riferibili<br />

a ciascun proprietario rispetto<br />

alla superficie complessiva dell’ambito e<br />

non dal carattere edificatorio delle<br />

stesse: sul punto intervenuto anche il<br />

Tar Lombardia, sez. Brescia, affermando<br />

che "è conforme agli obiettivi ed alla<br />

tecnica della perequazione <strong>urbani</strong>stica,<br />

nonché ai principi costituzionali in materia<br />

di tutela della proprietà privata<br />

che, in applicazione del principio della<br />

perequazione, i benefici e gli oneri derivanti<br />

dalla pianificazione vengano distribuiti<br />

in modo rigidamente proporzionale<br />

alla consistenza ed estensione delle<br />

singole proprietà".<br />

b. La perequazione estesa, alla quale<br />

si riferisce in termini veramente espliciti<br />

solo la legge <strong>urbani</strong>stica lombarda,


44 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Dossier<br />

ma che trova un certo numero di applicazioni<br />

in piani anche di altre regioni, si<br />

innerva su un innovativo principio di<br />

smaterializzazione della dotazione volumetrica<br />

assegnata ad un fondosorgente<br />

sotto forma di ‘diritto<br />

edificatorio’ cedibile a titolo oneroso. Il<br />

dispiegamento del diritto edificatorio<br />

assegnato ad un'area che il pianificatore<br />

non consente venga trasformata<br />

può avvenire su uno qualsiasi dei molteplici<br />

fondi-accipienti previsti dal piano<br />

quali aree di concentrazione necessaria.<br />

La vicenda di attuazione del piano<br />

si frammenta in una teoria di iniziative<br />

individuali. Il piano si limita a prefigurare<br />

due macro-categorie di fondi ed è lasciata<br />

all’iniziativa individuale (al mercato,<br />

si potrebbe dire, senza ascrivere a<br />

questo termine alcuna accezione valoriale)<br />

l’individuazione delle possibili soluzioni<br />

di atterraggio: il piano si astiene<br />

dunque dal predeterminare la destinazione<br />

puntuale dei diritti edificatori, limitandosi<br />

a prevedere che ogni trasformazione<br />

sia il risultato di un<br />

‘atterraggio’ di diritti edificatori esogeni<br />

che si saldano alla (eventuale) dotazione<br />

intrinseca del fondo-accipiente<br />

(comunque insufficiente a consentire la<br />

trasformazione dell’area). Questo schema<br />

risulta quindi molto diverso non solo<br />

da un piano tradizionale ma anche<br />

dal mainstream perequativo diffusosi in<br />

questi anni.<br />

Dovendo regolamentare scambi tra<br />

quadranti territoriali con accentuate<br />

differenze morfologiche, questo tipo di<br />

piani devono necessariamente prevedere<br />

dei ‘coefficienti di ponderazione’ sotto<br />

forma di indici fondiari differenziati,<br />

legati alle destinazioni concretamente<br />

insediabili ed alle differenze di posizione<br />

tra le diverse aree di atterraggio. Questa<br />

fondamentale operazione, che si<br />

sostanzia nell'attribuzione di una consistenza<br />

differenziata ai diritti edificatori<br />

in ragione dell’area di atterraggio, è<br />

consentanea alla classificazione dei<br />

suoli che precede l’attribuzione del diritto<br />

edificatorio e serve a preservare il<br />

principio di eguaglianza in un orizzonte<br />

di circolazione dei titoli volumetrici in<br />

contesti molto eterogenei.<br />

Va aggiunto che la perequazione estesa<br />

istituisce un dinamismo aperto,<br />

che non contempla vincoli di contestualità<br />

rispetto a specifiche vicende attuative<br />

(come accade invece negli ambiti e<br />

nei piani attuativi). Un piano così impostato<br />

massimizza la libertà dei proprie-<br />

tari e in tal modo tende ad assecondare<br />

(anziché ingabbiare) i processi complessi<br />

che regolano i ritmi e gli itinerari<br />

di sviluppo di una città. Un piano di<br />

questa matrice è destinato a dare risultati<br />

organici in un torno di anni non<br />

breve: va infatti messo in conto che<br />

l’attuazione proceda inevitabilmente per<br />

frammenti, come in una sorta di macro<br />

-mosaico. In questa prospettiva si rafforza<br />

il ruolo della funzione di disegno<br />

territoriale. Il piano deve esprimere soluzioni<br />

‘modulari’ per la strutturazione<br />

di un assetto urbano funzionale ma,<br />

d'altro canto, non deve vincolare eccessivamente<br />

il ventaglio delle possibilità di<br />

negoziazione tra i proprietari (non deve<br />

cioè predeterminare rigidamente<br />

l’ambito di possibile atterraggio di ciascun<br />

diritto edificatorio), onde scongiurare<br />

il manifestarsi delle tipiche<br />

'patologie del mercato' (monopolio, dipendenza,<br />

atteggiamenti predatori) che<br />

diverrebbero esiziali fattori di inceppamento<br />

del modello. Si può parlare di un<br />

‘mercato’ dei titoli volumetrici, nel quale<br />

ciascun proprietario (tanto chi disponga<br />

di un fondo-accipiente, tanto chi sia<br />

titolare di diritti edificatori esportabili)<br />

deve poter immediatamente identificare<br />

un numero elevato di potenziali interlocutori<br />

(anzi proprio la ristrettezza ed<br />

asfitticità di questo ‘mercato’ finirebbe<br />

per far fallire il modello). Vedremo più<br />

avanti come questi titoli circolino in forme<br />

non dissimili da quelle tipiche dei titoli<br />

di credito.<br />

In qualche piano di comuni più piccoli,<br />

in cui l’amministrazione assume unicamente<br />

l’obiettivo di non superare una<br />

certa soglia di densità, si profila addirittura<br />

la possibilità riconoscere margini<br />

di autonomia ancor maggiori ai privati,<br />

lasciando ai proprietari l’opzione circa<br />

la valenza quale fondo-sorgente od accipiente<br />

della rispettiva area. In altre realtà<br />

ove la perequazione serve a garantire<br />

la formazione di vaste aree a parco<br />

pubblico (come a Bergamo) i fondisorgente<br />

rimangono invece rigidamente<br />

identificati in coincidenza con i perimetri<br />

dei futuri parchi, che si formeranno<br />

progressivamente (nella logica del mosaico),<br />

in seguito alla sequenza di cessioni<br />

che si perfezioneranno nell’arco<br />

temporale di efficacia del piano (come,<br />

del resto è accaduto nel caso – assai<br />

noto – della ‘cintura verde’ di Ravenna).<br />

7. La circolazione dei titoli volumetrici<br />

Nei diversi modelli perequativi il perseguimento<br />

di significativi interessi pubblici<br />

viene a coincidere con il soddisfacimento<br />

degli obiettivi egoistici autonomamente<br />

assunti dai proprietari. Il risultato<br />

della funzione infrastrutturativa<br />

viene direttamente collegato<br />

all’efficiente funzionamento della perequazione:<br />

va quindi attentamente vagliato<br />

il rischio che tali programmi rimangano<br />

privi di attuazione in ragione<br />

del mancato accordo cooperativo tra i<br />

proprietari. Se nella perequazione qui<br />

definita <strong>urbani</strong>stica ciò non avrebbe rilevanti<br />

implicazioni (al più, tanto i fondisorgente<br />

quanto quelli accipienti resterebbero<br />

inedificati), il fallimento della<br />

perequazione infrastrutturativa e della<br />

compensazione postulerebbe invece<br />

l’inattuazione delle opere essenziali per<br />

l'erogazione dei servizi pubblici e la frustrazione<br />

della garanzia di accesso generalizzato<br />

a beni pubblici: fallimenti<br />

che lascerebbero dunque residuare rilevanti<br />

costi sociali.<br />

L’amministrazione, a differenza del<br />

passato, non può quindi disinteressarsi<br />

dell’attuazione del piano. Questa costituisce<br />

un’altra rilevante novità. Un piano<br />

perequativo assume dunque una<br />

struttura tipicamente processuale<br />

(specie nelle regioni in cui il piano si divide<br />

in una componente strutturale ed<br />

in una operativa, approvate con un significativo<br />

scarto temporale), che vede<br />

l’amministrazione coinvolta in azioni pro<br />

-attive tese alla agevolazionesollecitazione<br />

delle vicende attuative in<br />

quanto direttamente interessata in<br />

un’ottica di risultato. L’amministrazione<br />

svolge quindi una funzione di regolazione<br />

finalisticamente orientata alla massima<br />

efficienza (intesa come allocazione<br />

dei titoli volumetrici e delle possibilità edificatorie<br />

nelle mani dei soggetti interessati<br />

al loro sfruttamento).<br />

I problemi si pongono – come detto –<br />

soprattutto con riferimento alla perequazione<br />

estesa e nella compensazione<br />

(infra), ossia nelle fattispecie in cui sia<br />

prevista la circolazione di titoli volumetrici.<br />

Per limitare i rischi di fallimento di<br />

questi dispositivi occorre rafforzare i dispositivi<br />

di scambio mediante norme<br />

che cercano di rispondere ad una duplice<br />

esigenza: a. far assumere<br />

all’amministrazione un ruolo pro-attivo<br />

nel favorire l’incontro tra la domanda e<br />

l’offerta di titoli volumetrici; b. garantire<br />

certezza nei negozi giuridici perequativi.


Dossier<br />

Sul primo versante qualche legge regionale<br />

(Basilicata, Veneto) ha previsto<br />

che il comune si faccia garante della<br />

struttura efficiente del mercato dei diritti<br />

edificatori mediante un sistema di<br />

aste 'amministrate': si fa quindi leva<br />

sulla valenza che assume la garanzia<br />

derivante dalla presenza dell'amministrazione<br />

nell'ambito delle trattative tra<br />

i proprietari e tra questi ed eventuali<br />

terzi interessati ad acquisire fondi e/o<br />

diritti edificatori. Sovente si organizzano<br />

delle sessioni aperte, precedute da avvisi<br />

pubblici, nelle quali domanda ed offerta<br />

possano venire contestualmente<br />

a galla con la desiderabile chiarezza e<br />

con il vantaggio di una piena confrontabilità.<br />

A Milano, ove ci si accinge a varare<br />

un piano di governo del territorio<br />

imperniato su una forma di perequazione<br />

estesa, sulla scia delle esperienze<br />

nordamericane, proprio in quest’ottica,<br />

si sta lavorando alla strutturazione di una<br />

‘borsa’ (luogo per antonomasia<br />

dell’incontro tra domanda ed offerta)<br />

dei titoli volumetrici, mentre in Veneto,<br />

si pensa ad un intervento di mediazione<br />

tramite una società pubblica (Veneto<br />

scambi s.p.a.). Ulteriori forme di enforcing<br />

più strettamente <strong>urbani</strong>stiche sono<br />

peraltro le più varie: in questa direzione<br />

si potrebbe ipotizzare, per fare<br />

un esempio concreto, che il piano assegni<br />

indici perequativi destinati a mantenere<br />

efficacia solo per un periodo limitato<br />

di tempo, oppure indici che diminuiscano<br />

progressivamente decorso un<br />

primo triennio (cd. allineamento: applicabile<br />

soprattutto in presenza di<br />

‘residui’, ingombrante lascito di un precedente<br />

PRG).<br />

Sul secondo versante altre leggi<br />

(Veneto e Lombardia) hanno previsto<br />

che il comune gestisca un ‘registro dei<br />

diritti (e crediti) edificatori’. I comuni devono<br />

supplire ad un sistema pubblicitario<br />

storicamente pensato solo per<br />

l’annotazione dei negozi su diritti reali<br />

(che non consente quindi la trascrivibilità<br />

dei negozi aventi ad oggetto titoli volumetrici).<br />

Al bisogno di certezze reclamate<br />

da questi particolari mercati <strong>urbani</strong>stici<br />

si cerca quindi di rispondere<br />

mediante la costituzione di un 'registro<br />

comunale nel quale vengono annotati,<br />

dopo l’assegnazione, i diritti edificatori<br />

ed i crediti compensativi e le correlative<br />

vicende di circolazione. dei diritti (e crediti)<br />

edificatori'. Un tale registro può<br />

tuttavia assumere anche una funzione<br />

di volano delle negoziazioni: basti pen-<br />

sare alle forme di pubblicizzazione in rete<br />

delle disponibilità attuali di titoli volumetrici<br />

‘alla ricerca di atterraggio’.<br />

Il problema della circolazione dei titoli<br />

volumetrici si lega anche alla struttura<br />

dei negozi giuridici che hanno ad oggetto<br />

questa innovativa tipologia di ‘beni<br />

<strong>urbani</strong>stici’ generati dalla decisione di<br />

piano. Nella perequazione estesa e nella<br />

compensazione e, comunque, in tutte<br />

le vicende di 'scorporo' della dotazione<br />

volumetrica di un fondo a vantaggio<br />

di soggetti non proprietari dell’area, il<br />

titolo di legittimazione (diritto edificatorio;<br />

credito compensativo) dovrebbe essere<br />

espresso – come detto - da una<br />

'scheda' rilasciata dall'amministrazione<br />

comunale (una sorta di certificato di<br />

destinazione <strong>urbani</strong>stica, trasferibile e<br />

cedibile, secondo la logica dei titoli di<br />

credito, a mo' di cartula, corrispondente<br />

alle annotazioni sull’apposito registro<br />

comunale), idonea ad assicurare la necessaria<br />

certezza in ogni contesto negoziale;<br />

inoltre tale scheda dovrebbe indicare<br />

la consistenza effettiva e gli oneri<br />

a cui è condizionato il dispiegamento<br />

del diritto edificatorio. Al fine di rendere<br />

'fluida' la negoziazione dei diritti edificatori,<br />

si deve necessariamente guardare<br />

– come detto - alle logiche che caratterizzano<br />

la circolazione dei titoli di credito.<br />

Si è sovente parlato di<br />

‘smaterializzazione’ dello ius aedificandi<br />

facendo riferimento alla caratteristica<br />

vicenda di scorporo della volumetria dal<br />

fondo a cui è stata assegnata e di messa<br />

in circolazione della stessa alla stregua<br />

di un (nuovo ed autonomo) bene, di<br />

natura non reale (superando in tal modo<br />

il problema del numero chiuso dei<br />

diritti reali). Non v’è dubbio che una tale<br />

concezione ponga una serie di problemi<br />

che toccano direttamente il diritto<br />

privato e la struttura del diritto di<br />

proprietà: si tratta quindi di profili sui<br />

quali dovrebbe intervenire il legislatore<br />

statale. E’ tuttavia un fatto che di questi<br />

strumenti si stia cominciando a fare<br />

uso e che occorra strutturare dei modelli<br />

giuridici utili nella prassi. La circolazione<br />

del titolo volumetrico (il ‘volo’,<br />

secondo alcuni) può seguire due itinerari.<br />

In comuni più piccoli si tratterà di<br />

vicende bilaterali, nelle quali (art. 1260<br />

c.c.) la pretesa qualificata nei confronti<br />

dell’amministrazione comunale ad ottenere<br />

il dispiegamento dell’attribuzione<br />

volumetrica verrà scambiata direttamente<br />

tra il proprietario del fondosorgente<br />

ed il titolare del fondo-<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 45<br />

accipiente (magari entro la cornice di<br />

un accordo che veda la ‘presa d’atto’<br />

dell’amministrazione). In realtà territoriali<br />

di maggior complessità è invece<br />

preferibile che un documento (nella logica<br />

dei titoli di credito, appunto)<br />

‘incorpori’ tale pretesa e possa così circolare<br />

con la massima fluidità, anche in<br />

forza della ‘astrattezza’ del titolo rispetto<br />

alle vicende contrattuali sottostanti.<br />

Non si dovrebbe escludere, ad esempio,<br />

che il diritto edificatorio venga<br />

scambiato in seguito a delle<br />

'girate' (annotabili nel registro comunale).<br />

Il problema della letteralità, ossia<br />

della esatta corrispondenza tra quanto<br />

indicato nel titolo e l’attribuzione volumetrica<br />

effettuata dall’amministrazione,<br />

si risolverebbe mediante la stampa da<br />

parte dell’amministrazione medesima<br />

della cartula (documento immodificabile<br />

da parte dei privati) ed il titolo circolerebbe<br />

secondo le regole proprie dei beni<br />

mobili (possesso vale titolo). Si tratterebbe<br />

di un titolo ‘rappresentativo’<br />

(come la fede di deposito: art.<br />

1996 c.c.) di una grandezza volumetrica<br />

assegnata dal piano e la gestione<br />

‘borsistica’ o comunque accentrata<br />

presso l’amministrazione comunale (cd.<br />

dematerializzazione del titolo) consentirebbe<br />

di evitare molte delle incertezze<br />

che potrebbero frenarne la circolazione.<br />

Al momento della richiesta del permesso<br />

di costruire, l’amministrazione<br />

avrebbe poi la possibilità di verificare<br />

che il presentatore del titolo sia effettivamente<br />

il soggetto legittimato – sulla<br />

base di validi negozi attributivi – ad utilizzare<br />

tale dotazione volumetrica.<br />

La vicenda circolatoria tuttavia si<br />

complica non poco ove sia prevista la<br />

cessione al comune del fondosorgente:<br />

in tal caso, la circolazione<br />

per girate continue del titolo espressivo<br />

del diritto edificatorio deve comunque<br />

essere accompagnata da un impegno<br />

contrattuale idoneo a garantire che – al<br />

momento dell’ ‘atterraggio’ del diritto edificatorio<br />

– intervenga effettivamente<br />

la contestuale cessione al comune del<br />

fondo destinato alla città pubblica da<br />

parte dell’originario titolare dello stesso.<br />

Il ‘diritto’ allo sfruttamento della volumetria<br />

incorporato nel titolo non può<br />

infatti dispiegarsi disgiuntamente<br />

dall’adempi-mento dell’onere di cessione.<br />

La circolazione su larghissima scala<br />

dei diritti edificatori, ossia ad una scala<br />

ove non siano sempre possibili accordi


46 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Dossier<br />

plurilaterali che vedano direttamente<br />

coinvolta l’amministrazione-garante,<br />

pongono quindi una serie di problemi<br />

giuridici – in primo luogo sul versante<br />

del rispetto del principio di legalità<br />

(l’art. 2001, II comma, c.c. fa riferimento<br />

alla legge quale fonte esclusiva<br />

della disciplina dei titolo di credito<br />

‘pubblici’) - non ancora sufficientemente<br />

indagati, specie con riferimento alla perequazione<br />

infrastrutturativa, problemi<br />

a cui – nel perdurante silenzio del legislatore<br />

nazionale - i registri dei diritti edificatori<br />

comunali possono offrire soluzioni<br />

comunque solo parziali.<br />

8. Le logiche della scelta individuale<br />

Se la pianificazione deve dettare le<br />

condizioni per l'adesione<br />

'spontaneamente interessata' di tutti i<br />

proprietari, è opportuno che il piano si<br />

corredi di schede recanti simulazioni di<br />

scenari condotte facendo ricorso anche<br />

al sofisticato apparato logicomatematico<br />

che va sotto l’etichetta di<br />

‘teoria dei giochi’: è infatti decisivo<br />

'modellizzare' le condotte dei proprietari,<br />

che si prestano ad essere paragonati<br />

ad attori razionali (giocatori). In un<br />

‘gioco’ cooperativo, indici troppo bassi,<br />

zone di concentrazione volumetrica<br />

troppo ristrette, incertezza nei negozi<br />

giuridici privatistici sottesi all’attuazione<br />

del piano od altre rigidità potrebbero rivelarsi<br />

premessa di posizionamenti non<br />

convergenti dei privati.<br />

All’attuazione della perequazione –<br />

specie quella endoambito - è sotteso<br />

un accordo cooperativo tra più proprietari:<br />

dal raggiungimento di questo accordo<br />

multisoggettivo tutti i proprietari<br />

ritraggono un guadagno. La funzione di<br />

utilità di ciascun giocatore è quindi<br />

massimizzata dall'accordo ed una condotta<br />

predatoria od opportunistica nei<br />

confronti degli altri proprietari non garantirebbe<br />

alcun vantaggio. Occorre<br />

quindi che i proprietari mettano debitamente<br />

a fuoco che stare fuori dalla coalizione<br />

generalizza semplicemente la<br />

perdita e non rende nulla al singolo. Lo<br />

snodo cruciale è quindi costituito dall'efficienza<br />

decisionale e dall’ordine delle<br />

preferenze degli attori coinvolti.<br />

La calibratura di tutti i profili che<br />

compongono la previsione perequativa<br />

deve tuttavia prefigurare una situazione<br />

di 'ottimo' (detta 'equilibrio di Nash'),<br />

nella quale tutti i proprietari ricavano<br />

un vantaggio (pay-off) dall'adesione alla<br />

proposta attuativa maggiore rispetto a<br />

quello (pari a zero) che perseguirebbero<br />

rimanendo isolati ‘sabotatori’<br />

dell’iniziativa. Le coalizioni che si formeranno<br />

saranno in tal caso tendenzialmente<br />

stabili: nessuno dei concorrenti<br />

ha infatti interesse ad uscirne in quanto<br />

non troverebbe altrove condizioni di<br />

valorizzazione del proprio fondo od altre<br />

soluzioni di atterraggio del proprio diritto<br />

(o credito) edificatorio.<br />

Si tratta di circostanze decisamente<br />

ottimali, che - almeno in astratto - dovrebbero<br />

sempre decretare il successo<br />

di questa formula. La realtà è tuttavia<br />

ben più complessa ed i proprietari<br />

(specie quando non si tratta di operatori<br />

economici) non sempre rispondono<br />

alla stregua di decisori razionali. Occorre<br />

allora spostare l'attenzione sull'efficienza<br />

di enforcing delle regole procedurali<br />

e sulla loro effettiva attitudine a<br />

stimolare la cooperazione (e quindi, prima<br />

ancora, a far emergere la razionalità)<br />

dei proprietari. Le disposizioni contenute<br />

nelle leggi regionali - in questa<br />

prospettiva – costituiscono, nell'immaginifico<br />

vocabolario della teoria dei giochi,<br />

la game form (la regola del gioco). Una<br />

regola decisiva è quella secondo cui la<br />

maggioranza (assoluta o qualificata) del<br />

valore catastale può proporre il piano<br />

attuativo (entro cui si attua la perequazione<br />

endoambito) e chiedere l'esproprio<br />

delle aree dei proprietari non cooperanti<br />

(evento non usuale ma possibile,<br />

almeno secondo alcune leggi regionali<br />

che richiamano la disposizione espressa<br />

dalla l. 166/2002 e comunque<br />

prefigurato anche nella disciplina<br />

del comparto). La sottrazione del potere<br />

di veto ad una minoranza è importante<br />

soprattutto per l’effetto di deterrenza<br />

che produce, con il risultato di<br />

stimolare, sovente attorno ad un play<br />

maker, il coagularsi di coalizioni stabili.<br />

Sul piano concettuale, la perequazione<br />

richiama implicitamente il teorema<br />

elaborato sin dagli anni sessanta dall'economista<br />

R. Coase, secondo cui (in<br />

condizioni ottimali) la disponibilità a pagare<br />

il prezzo più alto da parte del soggetto<br />

interessato a perseguire la forma<br />

di sfruttamento più efficiente dei beni<br />

dovrebbe comunque portare alla allocazione<br />

più efficiente dei beni. Questa fondamentale<br />

teorizzazione (qui fortemente<br />

semplificata sino al limite della banalizzazione)<br />

descrive solo il risultato finale<br />

di un processo e non dice nulla circa<br />

le condizioni che devono verificarsi affinché<br />

la sequenza si inneschi effettiva-<br />

mente. In particolare, va considerato<br />

che - sempre sul piano della razionalità<br />

decisionale - l'adesione del proprietari<br />

interviene solo a condizione che siano<br />

vantaggiosamente sostenibili i cd. ‘costi<br />

di transazione’ (che si sommano a quelli<br />

derivanti dall’adempimento degli oneri<br />

di cessione). Nella perequazione estesa<br />

si deve strutturare un particolare mercato<br />

avente ad oggetto aree e diritti edificatori.<br />

Nella perequazione endoambito<br />

la perequazione presuppone ricomposizioni<br />

fondiarie’: si attua cioè tramite<br />

una serie di negozi giuridici che hanno<br />

direttamente ad oggetto beni fondiari;<br />

la riflessione su vicende contrattuali<br />

simili a quelle che connotano la perequazione<br />

è tuttavia sostanzialmente ferma<br />

agli studi sul contratto di cessione<br />

di volumetria (o di cubatura), nell'ambito<br />

dei quali - peraltro - non si sono raggiunti<br />

risultati conclusivi. La circolazione<br />

dei diritti edificatori nella perequazione<br />

estesa secondo le forme tipiche dei<br />

titoli di credito sconta un carico fiscale<br />

ancora non precisamente determinato<br />

e solo impropriamente determinabile<br />

per inferenza rispetto alla circolazione<br />

di beni immobiliari. La questione del carico<br />

fiscale che i privati devono sostenere<br />

in tutte queste (diverse) ipotesi diviene<br />

quindi assai rilevante, non solo in<br />

termini generali di equità del prelievo<br />

tributario, ma per i riflessi che la fiscalità<br />

determina sull’attuabilità delle previsioni<br />

di piano. Maggiore è il carico fiscale,<br />

minore è infatti la possibilità che<br />

il proprietario aderisca alla proposta di<br />

ricomposizione fondiaria (o di cessione<br />

del titolo volumetrico), salvo che non<br />

venga correlativamente innalzata la potenzialità<br />

volumetrica complessivamente<br />

perseguibile. L'amministrazione comunale,<br />

in altre parole, dovrebbe intervenire<br />

con un incentivo assai oneroso<br />

per la collettività (l'innalzamento della<br />

dotazione volumetrica, con tutte le conseguenti<br />

implicazioni sul piano della sostenibilità)<br />

per bilanciare gli effetti di un<br />

costo di transazione indotto dalle scelte<br />

di altri livelli di governo (dai quali dipendono<br />

in maniera esclusiva le politiche fiscali<br />

sulla circolazione dei diritti reali).<br />

Raccogliendo l'eco del dibattito che si è<br />

acceso negli ultimi anni attorno a questa<br />

decisiva questione, il legislatore nazionale<br />

è intervenuto ed ha limitato (da<br />

ultimo con l’art. 1, comma XXV, della l.<br />

244/2007) all'1 % l'aliquota della imposta<br />

di registro ed ha sottoposto alle<br />

imposte catastali e ipotecarie in misura


Dossier<br />

fissa i trasferimenti che riguardino beni<br />

immobili ricompresi in ambiti pianificatori<br />

esecutivi (id est piani attuativi perequativi).<br />

La conseguenza (sino ad ora<br />

rimasta in ombra) di questa drastica riduzione<br />

dei costi di transazione è rappresentata<br />

da un significativo ribasso<br />

della soglia di pareggiamento costivantaggio<br />

per i proprietari che consente<br />

ai comuni di assegnare potenzialità<br />

volumetriche più contenute e dunque<br />

maggiormente sostenibili sul piano ambiental-territoriale,<br />

aprendo spazi ad una<br />

autentica perequazione 'verso il basso'.<br />

9. La compensazione infrastrutturale e<br />

paesaggistico-ambientale<br />

La possibilità di introdurre nel piano<br />

la perequazione rimane strutturalmente<br />

condizionata al ricorrere di precise<br />

condizioni spaziali, non sempre verificabili.<br />

Per quanto, sulla scia delle possibilità<br />

aperte dalle leggi regionali si possa<br />

parlare anche di 'comparti discontinui'<br />

connotati da receiving areas non attigue<br />

a quelle che producono i diritti edificatori<br />

(sending areas) e sia stata introdotta<br />

la perequazione estesa, l'applicazione<br />

di questi modelli non è sempre<br />

possibile, specie nei tessuti della città<br />

consolidata.<br />

Nei piani, anche in quelli di più moderna<br />

concezione, si continua a prevedere<br />

in molti casi (anche in abbinamento<br />

con la perequazione parziale) il ricorso<br />

al vincolo preespropriativo ed, entro<br />

il termine di cinque anni, il ricorso all'espropriazione.<br />

Anche in relazione a<br />

queste fattispecie la legislazione regionale<br />

è comunque intervenuta segnando<br />

– come si è visto - una netta ed autentica<br />

discontinuità rispetto agli schemi<br />

tralatizi.<br />

L’idea di fondo è nel senso di evitare<br />

che la vicenda ablatoria si risolva per il<br />

privato unicamente in un impoverimento,<br />

tanto da indurre il destinatario ad<br />

opporsi strenuamente (anche in via giurisdizionale)<br />

alle pubbliche iniziative che<br />

incidono così negativamente sulla sua<br />

sfera patrimoniale. Per perseguire questo<br />

obiettivo, a cui si lega direttamente<br />

l'effettività dei processi di formazione<br />

della città pubblica, è stato introdotto -<br />

come detto - l'istituto della compensazione<br />

infrastrutturativa. Anche in questi<br />

casi la funzione precipua dell'amministrazione<br />

non è quella di esercitare<br />

l'autorità, quanto piuttosto quella di incentivare<br />

la decisione razionale del pri-<br />

vato verso la cessione bonaria, in una<br />

logica dietro la quale si riaffaccia quella<br />

microeconomia <strong>urbani</strong>stica entro cui -<br />

proprio come nella perequazione - rivestono<br />

un ruolo fondamentale approcci<br />

neocomportamentali e modelli di formazione<br />

delle preferenze individuali.<br />

Al proprietario del terreno gravato da<br />

un vincolo è assicurata – per effetto di<br />

alcune norme regionali (Emilia Romagna,<br />

Toscana, Puglia, Umbria, Veneto,<br />

Lombardia, Friuli V. G., Provincia di<br />

Trento) - una utilità costituita da altre<br />

aree edificabili o da crediti compensativi<br />

trasferibili (in Veneto altrimenti definiti<br />

'crediti edilizi'). Questa tendenza., del<br />

resto, ha le sue radici dirette nella sollecitazione<br />

formulata dalla Corte costituzionale<br />

nella fondamentale sentenza<br />

179/1999.<br />

Ancora un volta sono le ragioni<br />

dell’efficienza, più che un ripensamento<br />

valoriale del rapporto proprietà-potere<br />

amministrativo, ad imporre soluzioni<br />

compensative alternative all’esproprio.<br />

Guardando alla compensazione, va<br />

sottolineata l’innovazione dalla possibilità<br />

di corrispondere l'indennizzo mediante<br />

una atipica datio in solutum ad effetti<br />

non reali (che non si sostanza cioè<br />

nell’attribuzione di un bene, bensì di un<br />

‘credito compensativo’). L’effettività della<br />

funzione infrastrutturativa si ricollega<br />

direttamente alla percezione che il proprietario<br />

si forma circa la concretezza<br />

delle possibilità di futuro ‘atterraggio’ di<br />

tale credito compensativo. Il soddisfacimento<br />

della pretesa indennitaria – come<br />

si è detto – viene infatti differito al<br />

momento (incerto) in cui l’attributario<br />

del credito dispiegherà personalmente<br />

tale capacità volumetrica su un fondoaccipiente<br />

o, più frequentemente, un<br />

altro privato, acquisendo a titolo oneroso<br />

il credito compensativo (tramite<br />

‘girata’ del correlativo titolo), garantirà<br />

al proprietario ablato il controvalore del<br />

fondo. Quest’ultimo soggetto è quindi<br />

posto di fronte all’alternativa tra preferire<br />

la immediata liquidazione<br />

dell’indennizzo in denaro (il che rimetterebbe<br />

l’amministrazione di fronte alla<br />

propria endemica penuria di risorse finanziarie)<br />

oppure accettare il credito<br />

ed il conseguente differimento della<br />

percezione del controvalore riferito al<br />

fondo che egli cede anticipatamente.<br />

L’offerta di crediti compensativi va quindi<br />

accompagnata da meccanismi di atterraggio<br />

preferenziale e prioritario dei<br />

suddetti crediti rispetto ai diritti edifica-<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 47<br />

tori. In altre parole, sarebbe fortemente<br />

penalizzante che si lasciasse residuare<br />

una sorta di concorrenza tra le due<br />

tipologie di titoli volumetrici scambiabili,<br />

facendoli convergere in un unico mercato:<br />

poiché i diritti edificatori vengono<br />

assegnati al momento dell’entrata in vigore<br />

del piano, mentre i crediti compensativi<br />

si manifestano in una fase necessariamente<br />

successiva (in seguito<br />

alla cessione dell’area al comune: infra),<br />

vi è il rischio che in tale momento<br />

le possibilità di atterraggio si siano ormai<br />

fortemente ridotte. Occorre quindi<br />

prevedere una sorta di ‘riserva’ di atterraggio;<br />

i permessi di costruire rilasciabili<br />

sui fondi-accipenti dovranno presupporre<br />

l’allegazione di una certa aliquota<br />

volumetrica prodotta da crediti<br />

compensativi (e non solo da diritti edificatori):<br />

si indice così una domanda di<br />

titoli volumetrici orientata preferenzialmente<br />

ai crediti compensativi, dal cui<br />

effettivo atterraggio dipende la formazione<br />

di segmenti strategici della città<br />

pubblica. E’ inoltre possibile che i registri<br />

dei diritti e crediti edificatori prevedano<br />

la possibilità di una ‘iscrizione<br />

anticipata’: il credito – pur venendo assegnato<br />

solo in seguito alla cessione<br />

del terreno all’amministrazione – potrebbe<br />

essere iscritto in una sezione<br />

speciale del registro sin dalla fase di<br />

apposizione del vincolo. In tal modo, i<br />

proprietari dei fondi-accipenti (e dei<br />

promotori immobiliari) avrebbero la<br />

possibilità, sin dall’entrata in vigore del<br />

piano, di sollecitare la circolazione del<br />

credito: la pressione della domanda<br />

fungerebbe da volano dell’intero sistema.<br />

Tornando alla disciplina sostanziale<br />

dell'espropriazione, anche se dopo<br />

l’intervento della Corte costituzionale e<br />

del legislatore nazionale la forbice si è<br />

molto ridotta, tra la soluzione espropriativa<br />

e quella compensativa rimane<br />

una differenza quantitativa: la compensazione<br />

comporta l’attribuzione al proprietario<br />

di aree o crediti di valore pari<br />

a quello del fondo espropriato. Alcune<br />

regioni (Puglia e Toscana) avevano originariamente<br />

previsto una attribuzione<br />

compensativa "in luogo dell'indennità<br />

spettante per l'espropriazione"<br />

(indennità che, anche dopo la sentenza<br />

C. cost. 348/2007, si mantiene<br />

in alcune fattispecie per un 25 % inferiore<br />

al valore venale del bene espropriato:<br />

cfr. art. 2, comma 89, l. 24 dicembre<br />

2007, n. 244), mentre altre


48 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Dossier<br />

regioni (Lombardia, Veneto), già prima<br />

dei ‘sommovimenti’ del 2007, avevano<br />

fatto direttamente riferimento al valore<br />

venale quale unico possibile controvalore.<br />

L’introduzione della compensazione,<br />

già prima dei più recenti arresti della<br />

Corte costituzionale, aveva messo a<br />

fuoco i tratti di un diritto di proprietà insuscettibile<br />

di compressioni anche di<br />

fronte al potere espropriativo. Nel complesso,<br />

si è in presenza di un ripensamento<br />

radicale dell’espropriazione, che<br />

riporta alle origini di questo istituto. Secondo<br />

l'art. 39 della l. 25 giugno<br />

1865, n. 2359, l'indennità dovuta consisteva<br />

"nel giusto prezzo che, a giudizio<br />

dei periti, avrebbe avuto l'immobile<br />

in una libera contrattazione di compra<br />

e vendita": questa posizione era coerente<br />

con le indicazioni derivanti<br />

dall'art. 29 dello Statuto Albertino e<br />

con l'art. 438 del codice civile del<br />

1865 ed aveva indotto la dottrina<br />

dell’epoca - - a ricostruire l'istituto espropriativo<br />

alla stregua di un<br />

"fenomeno giuridico di conversione …<br />

non di sottrazione di diritti", con la conseguenza<br />

che "l'indennità esplicitamente<br />

contemplata dalla presente disposizione<br />

è il risarcimento obbiettivo consistente<br />

nel giusto prezzo dell'immobile espropriato".<br />

La pubblica utilità fungeva<br />

unicamente da necessaria giustificazione<br />

causale entro una vicenda di matrice<br />

propriamente contrattuale. Se il potere<br />

amministrativo teneva luogo del<br />

consenso del proprietario, restava fermo<br />

l’obbligo (una vera e propria obbligazione)<br />

dell'amministrazione di corrispondere<br />

una somma pari al prezzo di<br />

mercato. Tuttavia già con la legge 15<br />

gennaio 1885, n. 2892, si affacciò il<br />

diverso principio secondo cui l'indennità<br />

di esproprio poteva essere sganciata<br />

dal giusto prezzo di mercato. L'indennità<br />

poteva dunque essere quantificata<br />

secondo un canone normativo, derivante<br />

dalla media del valore venale e dei<br />

fitti coacervati nell'ultimo decennio.<br />

Questa modalità di determinazione<br />

dell'indennità di esproprio, introdotta<br />

per facilitare 'il risanamento della città<br />

di Napoli' (il cui centro densamente abitato<br />

necessitava di interventi di<br />

'sventramento' atti a porre rimedio<br />

all'insalubrità che aveva favorito la devastante<br />

epidemia colerica del 1884),<br />

verrà ripresa nella importante legge 7<br />

luglio 1907, n. 429, sulle espropriazioni<br />

per opere ferroviarie e nelle succes-<br />

sive leggi di approvazione dei piani <strong>urbani</strong>stici<br />

delle principali città. Di lì, attraverso<br />

vicende che qui non è il caso<br />

di riassumere, giungerà di fatto sino alla<br />

stagione del presente. Il d.P.R. 8<br />

giugno 2001, n. 327, nella sostanza,<br />

si era infatti mantenuto aderente a<br />

questa impostazione di fondo e solo<br />

l’impatto della giurisprudenza della Corte<br />

Europea dei Diritti dell’Uomo ha determinato<br />

lo scardinamento di questo<br />

paradigma.<br />

La compensazione esprime – anche<br />

semanticamente – l’immagine di una<br />

mera conversione del diritto di proprietà<br />

(una emptio ab invito) in una diversa<br />

utilità di matrice <strong>urbani</strong>stica, la cui attribuzione<br />

preserva tuttavia – dal punto<br />

di vista quantitativo – l’integrità patrimoniale<br />

del proprietario. L'introduzione<br />

della compensazione quale metodo destinato<br />

a prendere il posto dell'espropriazione<br />

si configura quindi come un<br />

definitivo superamento dell’antica tradizione<br />

giuridica italiana e pare far recedere<br />

sullo sfondo i contenuti sociali che<br />

secondo la Costituzione temperano la<br />

pienezza della situazione proprietaria.<br />

Nella frizione tra questi due valori nella<br />

legislazione regionale viene infatti la<br />

consistenza patrimoniale del diritto proprietario<br />

viene assunta in guisa di un<br />

valore intangibile, rispetto al quale non<br />

sono ammessi bilanciamenti.<br />

Si aprono inoltre dei problemi sul piano<br />

applicativo. Le discipline regionali e<br />

pressochè tutti i piani omettono ogni indicazione<br />

circa le forme e la natura giuridica<br />

che dovrà assumere l'atto di offerta<br />

al privato (non è detto, ed esempio,<br />

in quale fase del procedimento espropriativo<br />

tale atto dovrà intervenire,<br />

con quali garanzie per il privato, con<br />

quali conseguenze in caso di legittimo<br />

rifiuto da parte di quest'ultimo<br />

nell’eventualità di proposta incongrua).<br />

Vi è poi una serie di questioni che si legano<br />

alla mancata generalizzazione di<br />

questo strumento. In difetto di una rigorosa<br />

gerarchizzazione delle priorità<br />

infrastrutturative, sulla base di quali<br />

criteri si selezioneranno i casi meritevoli<br />

di compensazione, creando inevitabili<br />

disparità tra due categorie di proprietari:<br />

i 'cessionari-compensati' e gli<br />

'espropriati-indennizzati'? L'aporia sta a<br />

monte: trattandosi di decisione produttiva<br />

di effetti sul versante<br />

dell’uguaglianza tra i proprietari, pare<br />

strutturalmente incongrua l’attribuzione<br />

di un potere discrezionale all'ammini-<br />

strazione. Ed ancora, quali responsabilità<br />

assumerà il funzionario comunale<br />

che acceda ad una soluzione compensativa,<br />

comunque più onerosa per la<br />

collettività (in termini di consumo di<br />

suoli) rispetto ad una ordinaria procedura<br />

espropriativa finanziata con le risorse<br />

fiscali? Se la compensazione costituisce<br />

espressione di una decisione<br />

dai margini così ampiamente discrezionali<br />

(al limite della potestatività), appare<br />

davvero arduo configurare un modello<br />

di tutela. Si ripropone dunque il tema<br />

della ricostruzione di un adeguato sistema<br />

di garanzie a fronte della nuove forme<br />

che assume l’attività di governo del<br />

territorio.<br />

Mediante la compensazione si prefigura<br />

uno schema 'forte' della proprietà,<br />

ma l'<strong>urbani</strong>stica che persegua una<br />

maggior effettività del piano non può<br />

continuare a recepire alla stregua di un<br />

a priori intangibile le tracce più ingombranti<br />

di un modello insediativi inflativo<br />

e dozzinale sedimentatesi nel tempo.<br />

Nel punto di snodo in cui il governo del<br />

territorio converge con l’espressione<br />

più avanzata della disciplina paesaggistica,<br />

viene in gioco una diversa forma<br />

di compensazione (spesso applicata –<br />

come detto - in combinazione con forme<br />

di incentivazione). Anche l’obiettivo<br />

della rimozione dei manufatti incongrui<br />

si persegue stimolando l'iniziativa dei<br />

privati a muoversi nella direzione indicata<br />

dal piano, creando cioè le condizioni<br />

affinché i detrattori percettivi vengano<br />

eliminati. Alcune regioni (Calabria, Veneto,<br />

Umbria) prevedono espressamente<br />

che il proprietario possa essere<br />

gravato da obbligazioni di facere (in alcuni<br />

casi si tratta di sollecitazioni, in altri<br />

casi vere e proprie imposizioni, che<br />

appartengono alla categoria degli ordini),<br />

la cui legittimità si correla direttamente<br />

all’attribuzione di 'crediti compensativi'<br />

idonei a ristorare pienamente<br />

i proprietari dagli oneri esorbitanti di riqualificazione<br />

urbana. Si è detto che<br />

sovente la previsione di ‘premi<br />

volumetrici’ è considerata sufficiente a<br />

garantire che le indicazioni del piano<br />

assumano concretezza. Ma il nuovo diritto<br />

<strong>urbani</strong>stico regionale non mostra<br />

unicamente questo volto 'mite'. Talune<br />

leggi regionali contemplano - quale extrema<br />

ratio - l'esproprio. L'espropriazione-compensazione,<br />

fallito ogni altro<br />

strumento di incentivazione, può dunque<br />

costituire lo strumento di cui si<br />

profila l'impiego per l’eliminazione delle


Dossier<br />

"costruzioni e degli esiti di interventi …<br />

che per impatto visivo, per dimensioni<br />

planivolumetriche o per caratteristiche<br />

tipologiche e funzionali, alterano in modo<br />

permanente l'identità storica, culturale<br />

o paesaggistica dei luoghi" o ancora,<br />

- come prevede una legge lombarda<br />

- per favorire il recupero degli opifici dismessi.<br />

Ciò in un quadro in cui fra le<br />

funzioni sociali a cui è orientata la proprietà<br />

assume uno spazio autonomo<br />

l’interesse alla riqualificazione formale<br />

del paesaggio urbano mediante<br />

l’eliminazione di iconemi negativi che in<br />

molti centri dequalificano pesantemente<br />

il paesaggio urbano. In tal modo,<br />

grazie a questa forma di compensazione,<br />

il catalogo degli strumenti per incidere<br />

in termini reali sull'assetto materiale<br />

della città esistente risulta decisamente<br />

più completo.<br />

10. Le differenze tra diritti edificatori e<br />

crediti compensativi<br />

La scarsa consapevolezza delle differenze<br />

tra la perequazione e la compensazione<br />

fa sì che uno dei profili su cui i<br />

piani mantengono una notevole incertezza<br />

terminologica e concettuale attiene<br />

alla dicotomia tra diritti edificatori e<br />

crediti compensativi. Sul piano teorico<br />

si profila invece una netta distinzione<br />

tra i titoli volumetrici scambiabili che si<br />

assegnano ai proprietari coinvolti nella<br />

perequazione (diffusa) e nella compensazione<br />

(infrastrutturale ed ambientalepaesaggistica).<br />

E’ opportuno rimarcare<br />

tale distinzione caso – come si è fatto<br />

sin ad ora - anche sul piano semantico.<br />

Questi titoli volumetrici scambiabili a<br />

titolo oneroso, indipendentemente dalla<br />

circolazione del fondo (scorporabili cioè<br />

dal fondo), consentono al titolare (od al<br />

cessionario) di beneficiare di una quota<br />

dei risultati economici conseguibili per<br />

effetto della trasformazione di un fondo<br />

-accipiente. Le due tipologie di titoli volumetrici<br />

profilate differiscono in primo<br />

luogo in ragione della finalità a cui assolvono<br />

(diversità teleologico-causale).<br />

Il diritto edificatorio costituisce lo<br />

strumento per allocare dotazioni volumetriche<br />

anche su fondi materialmente<br />

non trasformabili, con lo scopo di consentire<br />

ai rispettivi proprietari di concorrere<br />

comunque alla distribuzione dei<br />

benefici economici indotti dal piano; secondo<br />

il tipico schema delle previsioni<br />

conformative, il diritto edificatorio viene<br />

ad accedere al fondo, anche se tale potenzialità,<br />

prodotta dal fondo, non sarà<br />

dispiegabile sul fondo. Dalla circolazione<br />

del titolo espressivo di un carattere<br />

<strong>urbani</strong>stico del fondo deriverà un risultato<br />

patrimonialmente vantaggioso per<br />

il proprietario del fondo-sorgente (e del<br />

titolo che ‘incorpora’ tale carattere). Una<br />

redistribuzione privata successiva<br />

consentirà di ‘perequare’ le differenze<br />

derivanti dal diverso statuto edificatorio<br />

dei suoli (ed in caso sia prevista la cessione<br />

del fondo-sorgente<br />

all’amministrazione consentirà a<br />

quest’ultima di risparmiare il costo degli<br />

indennizzi).<br />

Il credito compensativo assolve invece<br />

ad una funzione tipicamente indennitario-compensativa,<br />

a ristoro dei ‘pesi’<br />

imposti dal piano ai proprietari di specifici<br />

fondi. Il credito compensativo accresce<br />

quindi, in funzione di riequilibrio, il<br />

patrimonio del proprietario di tali fondi,<br />

garantendo a tale soggetto, in seguito<br />

alla circolazione del credito, la possibilità<br />

di ottenere un risultato economico<br />

che ne ripristini la originaria consistenza<br />

patrimoniale. Il sintagma ‘credito<br />

compensativo’ esprime quindi con pregnanza<br />

i tratti di un sequenza entro la<br />

quale il proprietario che adempie ad una<br />

obbligazione <strong>urbani</strong>stica ottiene il ristoro<br />

non mediante una contestuale<br />

controprestazione da parte<br />

dell’amministrazione (come accadrebbe<br />

in caso di immediata liquidazione di una<br />

indennità in numerario o come accade<br />

quando al privato viene assegnata in<br />

permuta un’altra area), bensì tramite<br />

l’assegnazione di un titolo che garantisce<br />

a tale soggetto un soddisfacimento<br />

differito, conseguente ad un’altra vicenda<br />

giuridica di circolazione del suddetto<br />

titolo. Anche in questo caso è una redistribuzione<br />

privata a garantire il controvalore<br />

dell’obbligazione <strong>urbani</strong>stica adempiuta<br />

e l’amministrazione risparmia<br />

il costo dell’indennizzo.<br />

Questi titoli differiscono anche in ragione<br />

del rispettivo regime giuridico.<br />

I diritti edificatori sono assegnati direttamente<br />

dal piano, alla stregua di un<br />

carattere giuridico-<strong>urbani</strong>stico del fondo.<br />

Sono scambiabili dal momento della<br />

approvazione del piano e ne costituiscono<br />

un ‘prodotto’ diretto.<br />

I crediti compensativi sono (sovente)<br />

quantificati dal piano (in stretta proporzione<br />

alle prestazioni imposte al proprietario)<br />

ma assegnati al soggetto proprietario<br />

del fondo vincolato o gravato<br />

da obbligo di facere solo ad esito della<br />

effettiva cessione del fondo o<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 49<br />

dell’esatto adempimento<br />

dell’obbligazione di riqualificazione paesaggistico-ambientale.<br />

Sono scambiabili<br />

solo dopo l’assegnazione, in seguito ad<br />

una particolare vicenda attuativa del piano<br />

<strong>urbani</strong>stico generale.<br />

Da ultimo, le due diverse tipologie di<br />

titoli volumetrici reagiscono poi in maniera<br />

diversa al riesercizio del potere<br />

pianificatorio da parte<br />

dell’amministrazione.<br />

I diritti edificatori rimangono immanentemente<br />

sottoposti al potere di revisione<br />

del piano da parte<br />

dell’amministrazione (salvo che il comune<br />

– alla stregua di un autolimite – non<br />

dichiari di voler tenere ferma tali attribuzione<br />

per un certo numero di anni,<br />

magari già preannunciando il dissolvimento<br />

progressivo dei diritti decorso<br />

tale periodo di stabilità garantita). Una<br />

diversa regola dovrebbe invece valere<br />

per i crediti compensativi, che costituiscono<br />

il risultato di una prestazione<br />

che il privato ha già assolto (cedendo la<br />

propria area o riqualificando un proprio<br />

manufatto).<br />

Le rilevanti questioni che restano aperte,<br />

il cui approfondimento (si pensi<br />

alla estensibilità di schemi proprie dei<br />

titoli di credito) per alcuni versi travalica<br />

il diritto amministrativo, rischiano<br />

quindi di frenare la circolazione di questi<br />

titoli, con effetti penalizzanti per la<br />

realizzazione delle dotazioni territoriali.<br />

Ne risulterebbe penalizzata la formazione<br />

della parte pubblica della città e<br />

dunque la costruzione della coesionesociale<br />

- valore essenziale per tutti i cittadini<br />

e non solo per i proprietari immobiliari<br />

- a cui è sottesa la funzione<br />

più alta dell’<strong>urbani</strong>stica ed ai suoi innovati<br />

strumenti.<br />

Nota di redazione<br />

Per questioni di spazio, l’articolo del prof. Emanuele<br />

Boscolo viene qui riproposto privo<br />

del ricco apparato di note e di approfondimenti<br />

bibliografici. I lettori interessati ad approfondire<br />

i contenuti del saggio possono contattare<br />

direttamente la redazione per averne<br />

una copia integrale.


50 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Vita associativa<br />

Est-etica energ-etica<br />

nella PIANIFICAZIONE<br />

di Paola Ischia (Commissione nazionale INU “Piano, energia ed ambiente”)<br />

L<br />

’Inu ha attivato la Commissione nazionale<br />

“Piano, energia ed ambiente” che opererà, integrandosi<br />

con il “sistema Inu” (altre Commissioni,<br />

Gruppi di lavoro, Osservatori) in un Programma<br />

per «…una riforma sostanziale dei contenuti e delle<br />

forme dell’azione di governo territoriale, in quanto le<br />

condizioni energetico-ambientali delle città del nostro<br />

Paese non si prestano a correzioni marginali o a risposte<br />

meramente tattiche; l’urgenza dei problemi<br />

da risolvere impone al piano riformato (“Nuovo Piano”)<br />

di confrontarsi fin d’ora con alcune “grandi questioni”<br />

per ridurre la domanda di energia, anche concorrendo<br />

a ricostruire il sistema della mobilità».<br />

La XIV conferenza ONU sul clima a Poznan in Polonia,<br />

a dicembre 2008, ha articolato il percorso verso<br />

la Cop 15 (Conference of Parties) United Nations<br />

Climate Change Conference, prevista a Copenaghen<br />

a dicembre 2009, in cui 189 paesi si riuniranno per<br />

riformulare il protocollo di Kyoto.<br />

In campo teorico, sono molteplici gli incontri,<br />

convegni, seminari, sulla questione climaticoenergetica<br />

in rapporto alla pianificazioneprogrammazione<br />

e si stanno sviluppando progetti<br />

di ricerca che, va evidenziato, hanno mosso i<br />

primi passi fin dagli anni ’70.<br />

In campo operativo, peraltro, si riscontra una paradossale<br />

mancanza di : …domanda di pianificazione!<br />

SAIE (Salone dell’industrializzazione edilizia) a Bologna,<br />

ha introdotto il settore SAIENERGIA, illustrando<br />

progetti innovativi, presentando nuovi materiali sperimentali<br />

e discutendo problematiche in convegni. UR-<br />

BANPROMO, evento di marketing urbano e territoriale,<br />

ha ospitato, a novembre a Venezia, la premiazione<br />

della prima edizione del Concorso Nazionale<br />

“Energia sostenibile nelle città”, promosso da INU e<br />

Ministero dell’Ambiente che introduce in Italia i temi<br />

della Campagna “Sustainable Energy Europe - SEE”,<br />

premiando nella sezione A “Metodologia”, il Comune<br />

di Bologna, per l’applicazione del Piano Energetico al<br />

Piano Strutturale e, nella sezione B “Progetti energeticamente<br />

sostenibili”, il Comune di Faenza, per il<br />

quartiere sperimentale di San Rocco. A Venezia sono<br />

stati inoltre organizzati gli incontri: “Energia, paesaggio<br />

e valori” (SIEV Società italiana di Estimo e Valutazione),<br />

“Linee guida per regolamenti edilizi sostenibili”<br />

e “Pianificazione, contabilità ambientale e cambiamenti<br />

climatici” che ha trattato esperienze di contabilizzazione<br />

fisica e monetaria, azioni di mitigazione<br />

ed azioni di adattamento.<br />

La Commissione INU “Piano, energia ed ambiente”<br />

con il Coordinamento Agenda21 locali, ed il patrocinio<br />

del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio<br />

e del Mare, ha organizzato a Bologna la Conferenza<br />

Nazionale “Il clima delle città, le città per il<br />

clima”.<br />

Nell’insieme delle azioni virtuose appare imprescindibile<br />

spostare l’attenzione dal singolo edificio al complesso,<br />

al tessuto, all’organismo urbano: è necessario<br />

razionalizzare, cooperare ed organizzare.<br />

In un’intensa e diretta riflessione sulla nuova politica<br />

americana per la riduzione di emissioni di CO2, apparsa<br />

sul quotidiano la Repubblica, lo scrittore Ian<br />

McEwan, sottolinea «…la faccenda dunque sta passando<br />

da questione di virtù, idealismo e tetri inviti<br />

all’abnegazione, tutte cose di cui i governi, mercati<br />

ed elettori diffidano, a una questione di interesse egoistico<br />

e necessità, argomenti per cui tutti nutriamo<br />

rispetto. (…) Non fare niente è semplicemente<br />

troppo costoso!». La nuova politica si avvarrà delle<br />

tecnologie più avanzate (al MIT, Massachusetts Institute<br />

of Technology di Boston, sono allo studio dinamiche<br />

ispirate alla fotosintesi), capaci di incidere sui<br />

sistemi occupazionali ma esse troveranno efficace<br />

applicazione solo in un sistema coordinato, pianificato.<br />

Jeremy Rifkin ha delineato la terza rivoluzione industriale,<br />

caratterizzata da hi-tech e combustibili<br />

green, dopo quelle generate da carbone e petrolio,<br />

che comporterà un totale rinnovamento<br />

dell’infrastrutturazione del territorio, delle città, delle<br />

reti (intergrid).<br />

Anche la tanto discussa XI Biennale Internazionale di<br />

Architettura di Venezia, non ha trascurato ricerche<br />

sul tema, in particolare nel padiglione svizzero o in<br />

quello danese che ha concentrato l’attenzione<br />

sull’appuntamento di Copenaghen 2009 Cop15, attraverso<br />

l’insieme di iniziative raccolte in “ecotopedia<br />

walk the talk” a cura del <strong>DA</strong>C Danish architecture<br />

centre. Sono state presentate le trasformazioni di<br />

sette città: Bogotà, Chicago, Vancouver, Melbourne,<br />

Shanghai, Copenhagen, Dar es Salaam (Tanzania).<br />

Attraverso www.sustainablecities.dk è stato lanciato<br />

un database globale per la pianificazione sostenibile.<br />

Questo tema caratterizzerà l’Expo 2010 a Shanghai<br />

“Better City, Better Life”: laboratorio che vorrà interfacciare<br />

architetti, pianificatori, esperti, politici e cittadini.


Vita associativa<br />

Gli approcci risolutivi, i temi presentati, non sono<br />

certo straordinari o di sorprendente portata innovativa.<br />

Si tratta semplicemente di rendere effettivi dei<br />

principi alla base di una corretta progettazione urbana:<br />

la città compatta, la mobilità prevalente a livello<br />

pedonale e ciclabile, la realizzazione di spazi che consentano<br />

e rendano appunto gradevole la mobilità<br />

non veicolare (è citato il successo dell’esperienza<br />

Barcellona 100 luoghi, per la riqualificazione degli<br />

spazi pubblici); l’ampia presenza di vegetazione efficace<br />

nel migliorare la qualità dell’aria, la coerenza<br />

degli spazi aperti del tessuto urbano. Su<br />

quest’ultimo aspetto il professor Jan Gehl di Copenaghen<br />

lancia una riflessione: di per sé gli edifici green,<br />

non fanno una città sostenibile! Dubai, viene definita<br />

“una collezione di edifici sostenibili” e non una<br />

città. È imprescindibile un’azione globale, una conoscenza<br />

e capacità critica diffusa: deve essere ridotta<br />

la quantità di energia che ogni cittadino utilizza. È necessario<br />

controllare l’espansione crescente di città<br />

in Asia ed Africa, centri che non devono ripetere gli<br />

errori delle città occidentali come sta succedendo in<br />

Cina, dove interi nuovi quartieri nascono in forte dipendenza<br />

dalle auto. A Bogotà in Colombia è stata<br />

attivata una precisa azione politica: chiusura al traffico<br />

di molte arterie e concessione di mobilità esclusivamente<br />

ciclabile nei giorni festivi. In Australia a Melburn<br />

si è voluto introdurre lo “stile Copenaghen” di<br />

mobilità ciclabile. A New York, Michael Bloomberg<br />

ha promosso, attraverso il Piano dei trasporti,<br />

6.000 Km di nuove piste ciclabili. L’intento è quello<br />

di avviare il “secolo delle biciclette” per liberarsi dalla<br />

dipendenza dai combustibili fossili. È possibile progettare<br />

città più sicure, sane, sostenibili, potenziando<br />

gli spazi collettivi e pubblici di relazione: muoversi<br />

nelle città usando la propria energia personale, rende<br />

la città più sana.<br />

Gli strumenti per ridurre l’impronta ecologica sono<br />

noti: attenzione per l’orientamento e cura del disegno,<br />

risparmio dell’uso del suolo, utilizzo di materie<br />

prime e tecnologie locali, sperimentazioni di agricoltura<br />

urbana, ottimizzazione di cicli per acqua, trasporti<br />

e rifiuti, trasformabili come in natura attraverso<br />

processi circolari, in nutrienti. È fondamentale inoltre<br />

spostare lo sguardo su guadagni a lungo termine<br />

e far prevalere gli interessi collettivi sugli interessi<br />

individuali. Nuove visioni del vivere urbano intrecciano<br />

l’innovazione tecnologica agli spazi di relazione<br />

sociale o professionale: sono auspicati nuovi<br />

cittadini e nuovi architetti e pianificatori che sappiano<br />

riconcettualizzare il loro lavoro. Emerge infatti il<br />

problema dell’eccesso di pianificazione di settore e<br />

l’esigenza di operare integrazioni e sintesi. È fondamentale<br />

inoltre programmare il risanamento energetico<br />

del patrimonio costruito esistente. Certo gli studiosi<br />

avvertono: la creatività della popolazione è importante<br />

ma senza una politica internazionale, non<br />

sarà possibile compiere i cambiamenti in tempi sufficientemente<br />

rapidi.<br />

La questione energ-etica è anche est-etica: le città,<br />

gli spazi pubblici, devono essere “belli”: se un luogo<br />

non è vivibile, la popolazione non ne fruirà mai in modalità<br />

pedonali o ciclabili e non assumerà comportamenti<br />

virtuosi. La città storica ci trasmette la consapevolezza<br />

di come gli spazi <strong>urbani</strong> siano un insieme<br />

di studiati luoghi di micro-clima. L’Italia potrebbe acquisire,<br />

recuperare, un ruolo di primo piano a livello<br />

internazionale: Siena è globalmente individuata tra le<br />

città a minor impronta ecologica. Solo luoghi di qualità<br />

potranno innescare il rinnovamento della modalità<br />

abitativa del pianeta che appare oggi, ogni momento<br />

di più, imprescindibile.<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 51<br />

Nella pagina accanto,<br />

una veduta di New York<br />

(foto di Gabriele Basilico);<br />

qui sopra, una<br />

veduta aerea di Bogotà,<br />

con la ragnatela delle<br />

piste ciclabili (foto di<br />

Giovanna Silva)


52 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Vita associativa<br />

Il Governo del Territorio:<br />

un corso dell’Inu/Trentino<br />

di Giovanna Ulrici<br />

I<br />

l Governo del Territorio, di cui la pianificazione<br />

è solo una componente seppure fondamentale,<br />

è sempre più al centro della riflessione<br />

disciplinare attualmente interessata<br />

da una fase di rapida innovazione.<br />

I piani, comunque denominati, sono uno strumento<br />

interessato da profonda trasformazione,<br />

ma accanto ad essi vi sono altri nuovi<br />

strumenti utili per raggiungere obiettivi, come<br />

i programmi, le politiche territoriali che possono<br />

mettere in campo le amministrazioni locali<br />

e regionali, nuove formule di rapporti pubblico-privato.<br />

C’è una nuova generazione di piani figli di legislazioni<br />

<strong>urbani</strong>stiche innovative in numerose<br />

regioni italiane, ma la Provincia Autonoma di<br />

Trento si trova alle soglie di una svolta senza<br />

paragone e della quale ha già posto le basi<br />

con le leggi della riforma emanate nella scorsa<br />

legislatura: non solo la nuova legge <strong>urbani</strong>stica,<br />

ma anche il nuovo PUP e la riforma<br />

amministrativa delle Comunità di Valle, solo<br />

per citare le maggiori nel campo della trasformazione<br />

territoriale.<br />

La pratica della pianificazione richiede quindi<br />

nuove competenze ma anche<br />

l’approfondimento e la verifica delle modalità<br />

di declinazione dei nuovi strumenti nelle specifiche<br />

realtà locali.<br />

L’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) è dalla<br />

sua fondazione vocato alla promozione degli<br />

studi <strong>urbani</strong>stici, diffondendo i principi della<br />

pianificazione: ha ritenuto quindi doveroso<br />

proporre e contribuire all’attivazione di una<br />

pratica di formazione su queste tematiche,<br />

coniugando l’illustrazione di aspetti teorici e<br />

metodologici con la presentazione di esperienze<br />

di altre regioni ed approfondimenti sulle<br />

prospettive locali.<br />

Sono stati individuati quattro temi-guida da affrontare<br />

nelle giornate di corso:<br />

- contenuti strategici e contenuti operativi della<br />

pianificazione;<br />

- il dimensionamento del piano, da tecnica a<br />

progetto;<br />

- la perequazione territoriale;<br />

- la perequazione <strong>urbani</strong>stica.<br />

I temi sono stati introdotti da docenti universitari<br />

e professionisti di chiara fama afferenti a<br />

diversi campi disciplinari (Urbanistica, Politica<br />

economica, Diritto pubblico, Estimo) e selezionati<br />

grazie alla supervisione scientifica offerta<br />

dalla Fondazione Astengo (FA), che per INU si<br />

occupa della formazione permanente. Nelle<br />

lezioni è stato dedicato ampio spazio a casistudio<br />

di recente elaborazione a livello nazionale.<br />

Ad esporre la declinazione locale dei temi<br />

trattati sono stati invitati alti funzionari della<br />

Provincia Autonoma di Trento, promotrice<br />

con INU e FA del corso. Si tratta di attori<br />

coinvolti in prima persona nella elaborazione<br />

dei documenti e degli strumenti di pianificazione<br />

locale. A loro il compito di introdurre i<br />

principi ed obiettivi alla base del nuovo PUP e<br />

della pianificazione a scala di Comunità, i criteri<br />

operativi da applicarsi nelle procedure di<br />

dimensionamento in particolare residenziale e<br />

per l’edilizia economico-popolare, gli strumenti<br />

per la perequazione previsti dalla normativa<br />

provinciale.<br />

Dal punto di vista organizzativo, il corso è stato<br />

volutamente strutturato a numero chiuso<br />

(30 iscritti) per consentire una corretta interazione<br />

con i relatori e tra i partecipanti durante<br />

le attività laboratoriali. Si è inoltre scelto<br />

di aprire alla partecipazione gli amministratori,<br />

funzionari pubblici e professionisti: nel rispetto<br />

dei rispettivi ruoli è infatti importante<br />

contribuire alla costruzione di una base culturale<br />

comune.<br />

Il corso si è concretizzato in sei appuntamenti,<br />

quattro dei quali hanno ospitato un laboratorio<br />

di esercitazione, che ha permesso di approfondire<br />

operativamente contenuti, metodi<br />

e strumenti e che ha dato spazio alla testimonianza<br />

di chi – partecipante al corso – ha offerto<br />

la propria esperienza e casi e problemi<br />

specifici affrontati nelle rispettive amministrazioni.<br />

Questa interazione, esplicitata principalmente<br />

all’interno dei gruppi di lavoro, ha rivelato la<br />

ricchezza delle esperienze locali, ma anche<br />

l’assenza di una consuetudine al confronto, in<br />

primo luogo fra Enti, sulle problematiche di<br />

governo e di pianificazione. Un risultato indiretto<br />

ma cruciale di questo corso consiste<br />

quindi nell’aver messo in evidenza il bisogno<br />

diffuso di occasioni di scambio fra gli operatori<br />

locali: questo bisogno potrà sicuramente<br />

ottenere maggior spazio nelle future auspica-


Vita associativa<br />

te edizioni del corso, e merita anche una riflessione<br />

da parte degli Enti organizzatori<br />

sull’opportunità di costruire luoghi e condizioni,<br />

affinchè si diffonda una cultura del confronto<br />

e della collaborazione. Una dimostrazione<br />

del bisogno di aggiornamento e confronto<br />

è stato l’esaurimento dei posti disponibili<br />

già due giorni dopo l’uscita del bando!<br />

A conclusione del corso sono emerse alcune<br />

criticità, tali da meritare forte attenzione.<br />

Innanzi tutto si è constatato che la rigenerazione<br />

del territorio tramite le Comunità debba<br />

accompagnarsi ad una pianificazione strategica<br />

di Comunità, e perchè ciò accada serve una<br />

capillare costruzione di reti a livello locale,<br />

una gerarchizzazione di temi e problemi, una<br />

pratica di governo del territorio che comprenda<br />

ma non si esaurisca nella pianificazione<br />

tradizionalmente intesa come produzione di<br />

piani.<br />

Il rischio che si apra una fase di grande differenziazione<br />

tra le Comunità è di fatto il rischio<br />

che solo alcune di esse possano cogliere le<br />

grandi opportunità della riforma in campo di<br />

trasformazione del territorio, e che fra le cause<br />

di esclusione possano esserci fabbisogni<br />

insoddisfatti o inespressi di competenze locali<br />

in campo paesaggistico, infrastrutturale, dei<br />

servizi.<br />

Anche per le Amministrazioni comunali si apre<br />

una nuova fase più orientata allo sviluppo<br />

della parte operativa e progettuale, e<br />

all’attivazione di politiche territoriali sperimentando<br />

nuovi strumenti di partnerariato. Questo<br />

aspetto rende cruciali alcuni strumenti,<br />

quali la perequazione territoriale che – esten-<br />

dendo i benefici del trasferimento degli indici<br />

edificabili a più comuni confinanti – potrà permettere<br />

una funzionale allocazione delle nuove<br />

iniziative finalizzata alla competitività, con il<br />

vantaggio di tutte le amministrazioni contermini<br />

e di piccole dimensioni.<br />

Ma è anche emersa la difficoltà di ritrovare -<br />

nel panorama delle esperienze italiane fino ad<br />

ora maturate - condizioni di partenza affini a<br />

quelle delle valli trentine, da un punto di vista<br />

sociale e da un punto di vista fisico/<br />

dimensionale, tali quindi da facilitare la percezione<br />

dei vantaggi dati dai nuovi strumenti: il<br />

rischio ovviamente è quello di rimandare il rinnovamento,<br />

e di cogliere solo il lato meno appetibile<br />

del lavoro che si prospetta.<br />

Infine, un grazie ai partecipanti, per la costanza,<br />

l’impegno e la passione dimostrata per<br />

questi temi. Di seguito, in ordine alfabetico i<br />

nomi degli iscritti al corso che hanno conseguito<br />

l’attestato finale di partecipazione:<br />

Stefano Bassetti, Emanuele Bernardi, Bruno<br />

Beteotti, Michele Bortoli, Lucia Brighenti, Tiziano<br />

Brunialti, Katia Buratti, Lucia Burigo,<br />

Flavio Carli, Marco Carli, Elisa Coletti, Alberto<br />

De Vecchi, Barbara Eccher, Stefano Faccenda,<br />

Marco Giovanazzi, Giorgio losi, Laura<br />

Marinelli, Ivana Martin, Elisabetta Miorelli,<br />

Loris Moar, Alessandro Moltrer, Giorgio Osele,<br />

Marco Osler, Massimo Pasqualini, Stefano<br />

Portesi, Paola Ricchi, Sandra Salvaterra,<br />

Giancarlo Sicher, Giorgio Tecilla, Enrico Tomassini,<br />

Sara Sbetti, Bianca Maria Simoncelli,<br />

Isabella Weber, Remo Zulberti.<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 53<br />

Alcuni momenti dei<br />

Laboratori organizzati<br />

all’interno del corso


54 / <strong>Sentieri</strong> Urbani Vita associativa<br />

NOTIZIE <strong>DA</strong> ROMA<br />

di Giovanna Ulrici<br />

Lo scorso 15 dicembre si è svolto a Roma<br />

l’ultimo incontro del Direttivo Nazionale per<br />

l’anno 2008. Tanti gli argomenti trattati, due in<br />

particolare meritano una nota per la partecipazione<br />

cui tutti gli iscritti sono chiamati in ragione<br />

dell’interesse che rivestono nell’ambito della<br />

materia <strong>urbani</strong>stica.<br />

Innanzi tutto è stato definito il calendario delle<br />

principali future iniziative nazionali per l’anno<br />

2009 e 2010. Proprio nella primavera del<br />

2010 si terrà a Matera la prossima edizione<br />

della Rassegna Urbanistica Nazionale (R<strong>UN</strong>),<br />

senza dubbio la più impegnativa iniziativa tenuta<br />

dall’INU, essendo strutturata sulla esposizione<br />

di un migliaio di pannelli di presentazione di piani<br />

e progetti e su un intenso programma convegnistico<br />

svolto nell’arco di una intera settimana.<br />

La R<strong>UN</strong> si è fino ad oggi tenuta con cadenza<br />

quinquennale e nelle ultime tre stagioni è stata<br />

ospitata a Venezia, ma nel corso dell’ultimo Direttivo<br />

si è deciso di optare per una nuova sede<br />

in sud Italia, ad alto valore simbolico. Lo slittamento<br />

alla primavera 2010 è principalmente finalizzato<br />

a dare il giusto risalto alla R<strong>UN</strong>, privandola<br />

di possibili interferenze con le altre iniziative,<br />

ed in particolare:<br />

- un convegno nazionale, ospitato a Verona nel<br />

maggio del 2009, dedicato alla “nuova pianificazione”<br />

e fortemente voluto da INU Veneto: sarà<br />

occasione di confronto e studio sulla prima generazione<br />

di piani figli della nuova legislazione<br />

<strong>urbani</strong>stica del Veneto, della Lombardia e di altre<br />

realtà del nord-Italia;<br />

- il Congresso INU, in programma per la fine di<br />

settembre 2010 a Livorno.<br />

Infine, si terranno regolarmente ogni anno a<br />

Venezia nel mese di novembre, gli incontri di<br />

UrbanPromo, che riconferma il proprio settore<br />

di competenza nel marketing urbano e territoriale<br />

e nella presentazione di formule di partnerariato<br />

pubblico - privato di cruciale utilità per le<br />

Pubbliche Amministrazioni.<br />

Altro tema. Con grande soddisfazione INU è<br />

giunta a licenziare la proposta di Legge di riforma<br />

statale per il Governo del Territorio, che è<br />

stata consegnata alle più alte cariche parlamentari<br />

ed ai Presidenti delle Commissioni Senato<br />

e Camera competenti per materia, oltre<br />

che agli Assessorati regionali.<br />

Rispetto alle precedenti proposte di legge INU,<br />

questa si configura come una legge di principi,<br />

che evita l’invasività verso le leggi regionali e<br />

che pone al proprio fondamento il Governo del<br />

Territorio, di cui la pianificazione è solo una<br />

componente, seppure fondamentale. I piani, comunque<br />

denominati, sono uno strumento importante,<br />

ma accanto ad essi vi sono altri strumenti<br />

utili per raggiungere obiettivi, come i programmi,<br />

le politiche territoriali che possono<br />

mettere in campo le amministrazioni locali e regionali,<br />

le politiche generali dello Stato. Questa<br />

proposta di legge ritiene che tali strumenti e tali<br />

azioni vadano opportunamente coordinati e<br />

resi coerenti fra loro e con la pianificazione, e<br />

che per farlo occorra dare copertura legislativa<br />

nazionale in primis a perequazione, compensazione<br />

e fiscalità. È necessario che le innovazioni<br />

delle leggi regionali riformiste siano consolidate<br />

giuridicamente, quando coinvolgono competenze<br />

che appartengono allo Stato.<br />

Un’ulteriore ragione che induce alla necessità di<br />

una espressione nazionale in materia di legislazione<br />

<strong>urbani</strong>stica sta nell’urgenza di superare,<br />

abrogandolo, il vecchio corpo legislativo imperniato<br />

sulla legge <strong>urbani</strong>stica del 1942, già superato<br />

dalle leggi regionali riformiste, ma che<br />

essendo ancora vigente determina, a livello di<br />

giurisprudenza, contraccolpi negativi che spesso<br />

mettono in discussione le scelte innovative.<br />

La redazione della proposta di legge è stata relativamente<br />

veloce, ed ha coinvolto solo una<br />

parte degli attori ritenuti cruciali per ruolo ed esperienza:<br />

si apre quindi ora una fase in cui è<br />

auspicabile la più ampia pubblicizzazione del testo<br />

che va supportato nel suo iter parlamentare,<br />

ma anche arricchito di osservazioni e contributi<br />

che possano guidare le revisioni successive.<br />

Per questo motivo INU si farà cura di presentare<br />

e discutere il testo con Anci, UPI, ed<br />

altre associazioni coinvolte per competenza. Ma<br />

chiede ad ogni Sezione locale di promuovere il<br />

dibattito sull’argomento e di pubblicizzare la<br />

proposta di legge: a tal fine i documenti sono visionabili<br />

e scaricabili al seguente indirizzo, ove è<br />

stato inoltre aperto un blog per agevolare la<br />

partecipazione: www.inu.it/blog/<br />

proposta_legge/<br />

Buon lavoro!


Vita associativa<br />

Inu/Trentino<br />

Chi siamo, cosa vogliamo<br />

come PARTECIPARE<br />

COSA È L’INU?<br />

L’Istituto Nazionale di Urbanistica è stato fondato<br />

nel 1930 per promuovere gli studi edilizi e<br />

<strong>urbani</strong>stici, diffondendo i princìpi della pianificazione.<br />

Lo Statuto, approvato con DPR<br />

21.11.1949, definisce l’INU come “Ente di diritto<br />

pubblico ... di alta cultura e di coordinamento<br />

tecnico giuridicamente riconosciuto”<br />

(art. 1).<br />

L’INU è organizzato come libera associazione di<br />

Enti e persone fisiche, senza fini di lucro. In tale<br />

forma l’Istituto persegue con costanza nel tempo<br />

i propri scopi statutari, eminentemente culturali<br />

e scientifici: la ricerca nei diversi campi di<br />

interesse dell’<strong>urbani</strong>stica, l’aggiornamento continuo<br />

e il rinnovamento della cultura e delle tecniche<br />

<strong>urbani</strong>stiche, la diffusione di una cultura<br />

sociale sui temi della città, del territorio,<br />

dell’ambiente e dei beni culturali. Inu aderisce a<br />

CIPRA sia formalmente che con contributi ed elaborazioni<br />

di significativo valore disciplinare.<br />

La stessa composizione della sua base associativa<br />

caratterizza l’INU come luogo di scambio e<br />

di libero confronto culturale, attraverso le diverse<br />

esperienze di cui ciascun socio è portatore:<br />

da quelle scientifiche, accademiche e della ricerca<br />

a quelle tecniche, professionali e della<br />

pubblica amministrazione.<br />

L’attività sociale propria dell’Istituto si articola in<br />

prevalenza intorno alle sue numerose iniziative<br />

nazionali, regionali e locali (rassegne, convegni,<br />

seminari e simili), che nell’arco dell’anno, sono<br />

diverse decine. A queste si aggiungono le attività<br />

finalizzate alle pubblicazioni e alla ricerca,<br />

svolta sia in proprio che – anche sotto forma di<br />

consulenze – per conto di Enti pubblici.<br />

L’INU ha sede a Roma ed è articolato in diciannove<br />

Sezioni regionali. Gli Enti associati sono<br />

Regioni, Province, Comuni, Iacp, aziende ed enti<br />

economici pubblici e privati, dipartimenti universitari,<br />

Ordini e associazioni professionali, imprese,<br />

cooperative e loro associazioni, Istituti di<br />

ricerca, studi professionali, associazioni culturali.<br />

I Soci (Membri effettivi e Soci aderenti) sono<br />

docenti e ricercatori, professionisti, dirigenti e<br />

funzionari delle pubbliche amministrazioni, studenti.<br />

Agli architetti, ingegneri e <strong>urbani</strong>sti, si affiancano<br />

giuristi, economisti, geologi, geografi,<br />

agronomi, cartografi, ecologi, archeologi e medici.<br />

Le Sezioni locali possono attivare – anche su<br />

proposta di gruppi di soci – proprie Commissioni<br />

(o gruppi di lavoro), su temi analoghi o complementari<br />

a quelli trattati dalle Commissioni<br />

nazionali, ovvero su altri temi, o per lo studio di<br />

situazioni e problemi locali. Le Sezioni locali partecipano<br />

comunque con propri rappresentanti<br />

alle attività degli Osservatori nazionali e, qualora<br />

ne abbiano interesse, ai lavori delle Commissioni<br />

nazionali di studio.<br />

AAA - <strong>Sentieri</strong> Urbani cerca collaboratori<br />

<strong>Sentieri</strong> Urbani / 55<br />

Ti interessi di <strong>urbani</strong>stica e ti piacerebbe collaborare alla redazione di questa rivista? Contattaci!<br />

redazione@sentieri-<strong>urbani</strong>.eu - direttore@sentieri-<strong>urbani</strong>.eu<br />

COME ASSOCIARSI<br />

Per associarsi<br />

all’Istituto Nazionale di<br />

Urbanistica (INU) occorre<br />

presentare al<br />

Presidente della Sezione<br />

di competenza (per<br />

residenza o luogo di lavoro)<br />

una domanda sottoscritta<br />

da due Membri<br />

effettivi dell’Istituto e<br />

accompagnata da un<br />

breve curriculum e dalla<br />

ricevuta di pagamento<br />

della quota associativa<br />

per il primo anno. Il<br />

Consiglio direttivo locale<br />

approva le domande e<br />

le trasmette alla sede<br />

nazionale per la ratifica<br />

e la registrazione.<br />

Per gli Enti pubblici che<br />

intendono associarsi è<br />

sufficiente inviare alla<br />

sede nazionale<br />

dell’Istituto la delibera<br />

degli organi competenti<br />

(di cui potete scaricare<br />

il modello) contenente<br />

anche l’impegno di spesa<br />

per la prima quota<br />

annuale, oppure anche<br />

solo una copia della ricevuta<br />

del versamento<br />

della quota associativa.<br />

Informazioni e modelli<br />

per iscriversi sono sul<br />

sito: http://<br />

www.inu.it/<br />

informazioni/<br />

associarsi_inu.html<br />

Il pagamento della quota<br />

associativa può essere<br />

effettuato con bollettino<br />

postale n.<br />

97355002 intestato a<br />

“INU c/Soci” o mediante<br />

bonifico bancario sul<br />

conto n.<br />

000000581551 intestato<br />

a “INU” – Banca<br />

di Roma – Filiale 112 –<br />

ABI 03002 – CAB<br />

03256.<br />

Per contatti e ulteriori<br />

informazioni: Segreteria<br />

INU Sezione Trentina<br />

(arch. Giovanna Ulrici,<br />

giovanna.ulrici@tiscali.it<br />

cell. 393.2292378).


56 / <strong>Sentieri</strong> Urbani 9|2009<br />

I NUOVI ASSOCIATI<br />

Nel 2008 la sezione dell’Inu/Trentino si è arricchita di tre nuovi membri aderenti. Ecco una loro breve presentazione biografica.<br />

Arch. Elisa COLETTI<br />

Dottoranda di ricerca in progettazione<br />

paesistica presso l’Università degli studi<br />

di Firenze; laureata in Architettura al<br />

Politecnico di Milano/sede di Mantova<br />

con la tesi ‘Le aree industriali dismesse:<br />

luoghi di una rivoluzione. Il caso Ti.Co.Sa<br />

a Como’. Fra le esperienze in campo<br />

<strong>urbani</strong>stico si segnala una partecipazione<br />

al Piano di Settore dei percorsi e<br />

delle piste ciclopedonali per Amministrazioni<br />

lombarde. Attualmente è collaboratore<br />

al Comune di Pergine dove si occupa<br />

del progetto di implementazione<br />

dell’Atto di indirizzo per l’applicazione<br />

della perequazione <strong>urbani</strong>stica nel territorio<br />

del Comune di Pergine Valsugana,<br />

con particolare riferimento agli aspetti<br />

metodologici riferiti alla classificazione<br />

del territorio nella fase di caratterizzazione<br />

dello stato di fatto e di diritto.<br />

NEWS <strong>DA</strong> TRENTO<br />

Sulla base della legge provinciale che<br />

disciplina la valutazione dell’impatto ambientale<br />

(LP n. 28/88 e s.m.) è stato<br />

rinnovato il Comitato Provinciale per<br />

l’Ambiente della Provincia autonoma di<br />

Trento. Il comitato è composto dai dirigenti<br />

generali dei dipartimenti competenti<br />

nelle materie di protezione dell'ambiente,<br />

<strong>urbani</strong>stica, foreste, sanità, opere<br />

pubbliche, protezione civile, attività economiche,<br />

agricoltura e alimentazione, dal<br />

direttore dell'Agenzia provinciale per la<br />

protezione dell'ambiente, dal responsabile<br />

dell'ufficio per la valutazione dell'impatto<br />

ambientale, dal medico designato dal<br />

direttore generale dell'Azienda provinciale<br />

per i servizi sanitari, da cinque esperti<br />

in materia ambientale, di cui uno designato<br />

dal direttore dell'Agenzia nazionale<br />

per la protezione dell'ambiente ed uno<br />

designato dalle sezioni provinciali delle<br />

associazioni di protezione ambientale<br />

Arch. Marco GIOVANAZZI<br />

Laureato al Politecnico di Milano nel<br />

1990, si occupa di progettazione architettonica<br />

e <strong>urbani</strong>stica. Già segretario<br />

del Circolo Trentino per l’Architettura<br />

Contemporanea e attuale consigliere<br />

dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori<br />

Paesaggisti e Conservatori della Provincia<br />

di Trento e membro del Comitato<br />

interprofessionale. Nell’ambito della<br />

progettazione urbana, oltre alla partecipazione<br />

a numerosi concorsi, si segnalano<br />

la proposta di riqualificazione <strong>urbani</strong>stica<br />

a Pergine Valsugana (2007) e la<br />

riqualificazione degli spazi esterni a Marilleva<br />

1400. In campo <strong>urbani</strong>stico si<br />

segnala la redazione della Variante generale<br />

al PRG del Comune di Cavareno<br />

(2007).<br />

Fulvio Forrer nominato nel Comitato Provinciale per l’Ambiente<br />

individuate dal Ministero dell'ambiente,<br />

da un esperto in discipline economiche<br />

designato dalla Camera di commercio,<br />

industria, artigianato e agricoltura di<br />

Trento e da un esperto in materia giuridico-amministrativa.<br />

Per le Associazioni<br />

ambientaliste sono stati nominati Giorgio<br />

Rigo (Italia Nostra) e Fulvio Forrer (INU).<br />

Arch. Remo ZULBERTI<br />

Laureato in Architettura presso l’Istituto<br />

Universitario di Architettura di Venezia<br />

con una tesi intitolata ‘Madonna di Campiglio:<br />

Insediamento, Turismo e<br />

Territorio’. Segue la redazione di Varianti<br />

ai PRG dei Comuni di Pinzolo (2008),<br />

Giustino (2008), Cles, Smarano, Spiazzo<br />

Rendena, Pieve di Bono. Per i Comuni di<br />

Ragoli Prezzo e Bocenago segue la redazione<br />

della Variante generale ai relativi<br />

PRG. Impegnato come Commissario ad<br />

acta per l’adozione dei PRG dei comuni<br />

di Sfruz e di Tres. Conclusi gli incarichi di<br />

redazione delle Varianti generali del PRG<br />

del Comune di Roncone e del PRG del<br />

Comune di Bersone, nell’ambito dei quali<br />

redige i relativi Progetti di recupero del<br />

Patrimonio edilizio montano. Attualmente<br />

impegnato nella redazione della Variante<br />

al PRG del Comune di Moena.<br />

Fulvio Forrer, presidente<br />

dell’Inu/Trentino


LE PROVOCAZIONI DI FULVIO<br />

di Fulvio Forrer<br />

Un centimetro ogni tre anni “Eurasia” slitta<br />

verso nord-ovest ed i riferimenti per la navigazione<br />

satellitare (GPS) devono essere<br />

ricalibrati<br />

Le cime, i versanti, i singoli massi con i tempi<br />

della geologia scendono inesorabilmente verso<br />

valle e le protezioni artificiali difficilmente riescono<br />

a contenere i movimenti, il più delle<br />

volte rincorriamo le emergenze<br />

Quantitativamente oggi piove quasi come nel<br />

passato (da noi –10%), ma la distribuzione<br />

degli eventi rende le precipitazioni più distruttive,<br />

i corsi d’acqua oggi sono configurati per<br />

aumentare le ondate di piena, ed il territorio<br />

mostra come sia stato utilizzato in modo incompatibile<br />

I conoidi, per disegno morfologico, sono da<br />

sempre l’accumulo di detriti incoerenti, ma<br />

oggi vengono attraversati di infrastrutture<br />

viarie, sono localizzazione per insediamenti<br />

stabili e nella loro destinazione d’uso sono<br />

oggetto di studio per prevenire catastrofi<br />

I boschi ed i corsi d’acqua fanno la differenza...<br />

GAIA è VIVA !

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