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TECNICHE DI BIOLOGIA MOLECOLARE - Il Saturatore

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<strong>TECNICHE</strong> <strong>DI</strong> <strong>BIOLOGIA</strong> <strong>MOLECOLARE</strong><br />

Pancreas mRNA<br />

proinsulina<br />

Uso clinico<br />

cDNA<br />

proinsulina<br />

Plasmide<br />

ricombinante<br />

Insulina Batterio<br />

trasformato


<strong>Il</strong> DNA ricombinante: gli enzimi di restrizione<br />

Si dicono nucleasi gli enzimi che idrolizzano un legame<br />

fosfodiesterico di una molecola di DNA o RNA, generalmente<br />

in corrispondenza di una sequenza specifica di nucleotidi.<br />

Le nucleasi vengono distinte in nucleasi per RNA e quelle per<br />

DNA.<br />

Nell’ambito di quelle per il DNA, distinguiamo poi le<br />

esonucleasi, che possono tagliare solo il nucleotide ad<br />

un’estremità della molecola (ad esempio una 3’-5’<br />

endonucleasi del veleno di serpenti), dalle endonucleasi, che<br />

operano invece tagli all’interno di una doppia elica di DNA.


Distinguiamo tre tipi di endonucleasi per DNA:<br />

• tipo I: riconoscono un sito e operano un taglio lontano da esso, in<br />

una posizione variabile.<br />

• tipo II: riconoscono un sito e operano un taglio al suo interno, in<br />

una posizione specifica.<br />

tipo III: presentano un diverso meccanismo di azione, ma hanno in<br />

comune con le endonucleasi di tipo I la mancanza di specificità di<br />

taglio.<br />

La rottura in siti specifici della doppia elica di DNA è un sistema di<br />

difesa di molti procarioti nei confronti di DNA estraneo che riesca<br />

ad entrare nella cellula (ad esempio, il DNA di un fago). In questo<br />

modo si contrasta l’infezione della cellula e se ne preserva<br />

l’integrità del genoma.


<strong>Il</strong> sistema delle nucleasi non è specifico per un invasore<br />

piuttosto che per un altro: si basa sulla probabilità che un lungo<br />

tratto di DNA contenga la sequenza riconosciuta dal pool di<br />

nucleasi della cellula. Tuttavia, il DNA di un procariota contiene<br />

a sua volta migliaia di basi ed è possibile che il sito di<br />

restrizione riconosciuto dalle sue nucleasi sia presente anche<br />

nel suo genoma.<br />

Com’è possibile che venga tagliato il DNA esogeno e non<br />

quello endogeno?<br />

<strong>Il</strong> sistema di difesa basato sulle endonucleasi è complementare<br />

a un sistema di riconoscimento del DNA endogeno basato sulla<br />

metilazione: in un dato organismo, è presente, per ogni enzima<br />

di restrizione, una metiltransferasi in grado di metilare un<br />

nucleotide sullo stesso sito riconosciuto dall’endonucleasi. I siti<br />

così metilati sono protetti dall’azione delle endonucleasi.


Sono invece tagliati i tratti di DNA estraneo appena entrano nella<br />

cellula.<br />

Se un fago riesce comunque ad entrare e infettare la cellula<br />

ospite, il genoma virale subisce lo stesso pattern di metilazione<br />

del DNA cellulare, risultanto così refrattario alla digestione da<br />

parte delle endonucleasi.<br />

Se si duplica ed esce dalla cellula potrà facilmente infettare<br />

batteri dello stesso tipo, dei quali può contrastare il sistema di<br />

difesa, ma non organismi o ceppi che posseggano un sistema di<br />

endonucleasi/metiltransferasi diverso.<br />

Si dice quindi che il fago è ristretto ad un determinato ceppo, da<br />

cui il nome “enzimi di restrizione” dato alle endonucleasi.<br />

Nelle endonucleasi di tipo I e III la metiltransferasi è un dominio<br />

della stessa proteina, mentre per quelle di tipo II l’attività è svolta<br />

da una proteina diversa


In virtù della loro specificità di taglio, le endonucleasi di tipo II<br />

sono quelle di gran lunga più interessanti per le applicazioni<br />

biotecnologiche.<br />

La maggior delle endonucleasi di tipo II riconosce sequenze<br />

specifiche di 4, 5 o 6 nucleotidi. Caratteristica comune a questi<br />

siti è il fatto di essere quasi tutti palindromici (o “a simmetria<br />

binaria”).


La simmetria binaria del sito di riconoscimento è<br />

giustificata dalla simmetria binaria dell’enzima stesso,<br />

generalmente in forma dimerica: data la struttura della<br />

doppia elica, nucleotidi su filamenti opposti distanziati di<br />

circa 5 unità si trovano sullo stesso lato della doppia elica.


Vi sono due possibili tagli: quelli che lasciano estremità blunt<br />

(taglio “pari” sui due filamenti) e quelli che lasciano estremità<br />

sticky (con un numero di basi diverso sui due filamenti). I<br />

nucleaotidi “sporgenti” prendono il nome di “overhangs”.<br />

Ciascun enzima di restizione è caratterizzato:<br />

1. Dal sito di restrizione riconosciuto<br />

2. Dalla modalità di taglio (blunt, stiky)


Data la grande importanza biotecnologica delle endonucleasi<br />

di tipo II, si è cercato di isolarne quante più possibile. Oggi ne<br />

sono note migliaia, di cui diverse centinaia sono in<br />

commercio. <strong>Il</strong> nome, per convenzione, deriva dall’organismo<br />

dal quale è stato isolato.<br />

Gli enzimi di restrizione che riconoscono un identico sito,<br />

anche se non lo tagliano nella stessa posizione, sono detti<br />

isoschizomeri.


DNA ricombinante<br />

L’impiego in vitro di due classi di enzimi – gli enzimi di<br />

restrizione e la ligasi – ha consentito di sviluppare la<br />

tecnologia del DNA ricombinante. Due frammenti di DNA<br />

duplex tagliati con il medesimo enzima di restrizione che dia<br />

un taglio “sticky” avranno overhangs complementari che, in<br />

opportune condizioni, tenderanno ad appaiarsi.


La ligasi, a spese dell’ATP, potrà formare due legami<br />

fosfodiesterici. Una volta formato il legame covalente, il<br />

DNA ricombinante è stabile. Si noti che si mantiene il sito di<br />

restrizione, per cui i due frammenti uniti potranno sempre<br />

essere separati per digestione con l’enzima di restrizione<br />

corrispondente (in questo caso BamHI).<br />

Se una delle due molecole tagliate è circolare (ad esempio<br />

un plasmide), la reazione di “taglia e cuci” per<br />

restrizione/ligazione porta, in due passaggi, un DNA<br />

circolare.


La ligasi catalizza anche la formazione di due legami covalenti<br />

tra due estremità blunt, tra le quali, ovviamente, non vi ci può<br />

essere riconoscimento tra overhangs. Come prevedibile, la<br />

reazione richiede condizione più drastiche e tempi più lunghi.<br />

A meno che non sia stato usato la stessa endonucleasi per<br />

rendere blunt i due frammenti, il sito di restrizione viene a<br />

perdersi.<br />

La ligazione di estremità blunt, per quanto meno efficiente, è<br />

più generale, in quanto le estremità blunt possono essere<br />

generate con enzimi di restrizione diversi, o addirittura<br />

“smussando”, con enzimi specifici (polishing enzymes), le<br />

estremità sticky. <strong>Il</strong> prodotto PCR di alcune DNA polimerasi è<br />

blunt. Inoltre, grazie al fatto che il legame indipendentemente<br />

dalla sequenza dei frammenti coinvolti, si possono legare corti<br />

tratti di DNA duplex sintetici a qualsiasi estremità blunt di<br />

frammenti ottenuti in altro modo.


Separazione di polinucleotidi<br />

Per poter analizzare il DNA, è cruciale<br />

disporre di metodi che consentano la<br />

separazione di frammenti di diversa<br />

lunghezza. Tutti i metodi di separazione<br />

del DNA si basano sul principio<br />

dell’elettroforesi: si applica un campo<br />

elettrico alla miscela da risolvere, posta<br />

in una matrice che fa da “setaccio<br />

molecolare”.<br />

<strong>Il</strong> DNA, a pH neutro, presenta caica<br />

netta negativa, per cui tutti i frammenti<br />

tenderanno a migrare verso il catodo.<br />

La velocità di migrazione è funzione<br />

della lunghezza del frammento. Alla fine<br />

della corsa i frammenti di diversa<br />

lunghezza si disporranno quindi in<br />

bande discrete.<br />

Per frammenti lunghi fino a 1000 bp si<br />

impiega il gel di poliacrilamide (PAGE),<br />

mentre per frammenti più grandi si usa<br />

il più poroso gel di agarosio. Applicando<br />

campi elettrici pulsati ai gel di agarosio<br />

si possono separare interi cromosomi.<br />

<strong>Il</strong> DNA non subisce danni durante la<br />

migrazione, per cui lo si può facilmente<br />

recuperare in forma pura tagliando la<br />

banda corrispondente al frammento che<br />

interessa (elettroforesi preparativa).


Le bande di DNA possono essere visualizzate in vari modi. <strong>Il</strong><br />

metodo aspecifico più usato consiste nel trattare il gel con<br />

bromuro di etidio, una sostanza che diventa fluorescente solo<br />

quando lega il DNA. <strong>Il</strong>luminando il gel con una radiazione di<br />

opportuna lunghezza d’onda, si osserverà quindi luce di<br />

fluorescenza in corrispondenza delle bande.<br />

Si può far correre la miscela che si vuole risolvere parallelamente<br />

a una miscela di markers, ovvero a frammenti di DNA di<br />

lunghezza nota. Ciò consente di stimare la lunghezza delle<br />

diverse bande.


<strong>Il</strong> blotting<br />

Proprio perché porosi, i gel di agarosio non sono adatti a<br />

mantenere a lungo le bande discrete di DNA: i frammenti, in<br />

breve tempo, tendono a diffondere. In seguito alla<br />

separazione su gel, è però possibile trasferire le bande di<br />

DNA su un supporto di nitrocellulosa, sul quale viene<br />

preservata la distribuzione dei frammenti ottenuta per<br />

elettroforesi anche per tempi lunghi.<br />

Si ottiene quindi una replica stabile del gel, che consente<br />

l’applicazione di diverse tecniche di riconoscimento dei<br />

frammenti.


<strong>Il</strong> Southern blotting<br />

<strong>Il</strong> Southern blotting (dal nome dello scopritore), consente di<br />

identificare il frammento di DNA nel quale si trovi la sequenza<br />

complementare a una sonda sintetica marcata<br />

radioattivamente.<br />

Ad esempio, un intero genoma può essere digerito con<br />

enzimi di restrizione e fatto migrare in gel di agarosio. Un<br />

singolo frammento può essere individuato mediante southern<br />

blotting.<br />

<strong>Il</strong> blotting viene condotto in ambiente fortemente basico, in<br />

modo che il DNA si denaturi e si separino i due filamenti che<br />

lo costituiscono.<br />

I filamenti così separati possono così ibridizzare (formazione<br />

di un breve tratto di doppi elica) con una sequenza di DNA o<br />

RNA (sintetica) marcata radioattivamente che sia<br />

complementare. Un’autoradiografia consente di individuare la<br />

banda che contiene il tratto complementare alla nostra<br />

sonda.<br />

5’ – GGGCCCTTTAAAATCGCA ATGTTAACGGGGCCCTTTAAAATC........TGTTTAAACCCGGGTTT TAA TTTAAACCCGGGTTT-3’<br />

3’ – CCCCGGGAAATTTTAGCGATACAATTGCCCCGGGAAATTTTAG.......AC.AAATTTGGGCCCAAAATT AAATTTGGGCCCAAA 5’<br />

5’ – GGGCCCTTTAAAATCGCA ATGTTAACGGGGCCCTTTAAAATC........TGTTTAAACCCGGGTTTTAATTTAAACCCGGGTTT -3’<br />

3’ - TACAATTGCCCCGGGAAATTT<br />

3’ - TACAATTGCCCCGGGAAATTT


La rilevazione di un frammento di DNA e le sue dimensioni<br />

possono essere importanti per diversi scopi, ad esempio<br />

la diagnosi di una malattia genetica.


PCR<br />

La reazione di polimerizzazione a catena (polymerase<br />

chain reaction, PCR) è una tecnica di amplificazione in<br />

vitro di un tratto specifico di DNA.<br />

<strong>Il</strong> materiale di partenza può essere una quantità minima di<br />

DNA, generalmente il materiale genetico estratto da una<br />

cultura cellulare, da un campione di tessuto, ecc.


In vivo:<br />

L’enzima che catalizza l’aggiunta di un nucleotide alla catena<br />

in formazione è la DNA polimerasi.<br />

Esistono diverse DNA polimerasi, ma sono tutte accomunate<br />

da una forma a “mano” grazie alla quale la proteina può<br />

“avvolgere” il DNA.


La polimerizzazione dei nucleotidi avviene a partire dai loro<br />

derivati trifosfato. La rottura del legame fosfoanidridico<br />

fornisce l’energia per formare il legame fosfoesterico con<br />

l’ossidrile in posizione 3’ del nucleotide successivo.<br />

<strong>Il</strong> deossinucleotide aggiunto è, tra i 4 che costituiscono il<br />

DNA, quello complementare al filamento stampo.


Le DNA polimerasi non possono iniziare la sintesi del<br />

filamento complementare ex novo: non possono cioè partire<br />

da un singolo filamento, possono solo allungare una doppia<br />

elica, anche molto corta.<br />

Interviene pertanto un enzima che riesce a partire da un<br />

singolo filamento e sintetizzare un corto tratto di RNA (non<br />

DNA) che formi una doppia elica con il filamento singolo.<br />

Questo corto “innesco” per la DNA polimerasi è detto primer.<br />

L’enzima primasi è una RNA polimerasi specializzata che si<br />

unisce al complesso del pre-innesco e sintetizza un primer di<br />

RNA complementare al frammento da duplicare.<br />

Perché un frammento di RNA e non uno direttamente di DNA?<br />

perché le RNA polimerasi, contrariamente alle DNA<br />

polimerasi, possono partire da un filamento singolo e non<br />

richiedono un primer. Evoluzionisticamente, non si è cioè<br />

sviluppata una DNA polimerasi che possa partire da un singolo<br />

filamento e si è quindi affermato questo sistema più<br />

complesso, che richiede un ulteriore passaggio. <strong>Il</strong> corto tratto a<br />

RNA sarà infatti eliminato in seguito da enzimi specifici.


I primers di RNA saranno poi rimossi e rimpiazzati dai<br />

corrispondenti filamenti in DNA da una DNA polimerasi.<br />

Segmenti adiaceti saranno poi legati covalentemente<br />

dall’enzima ligasi


La DNA polimerasi richiede che la doppia elica di DNA<br />

venga localmente aperta da parte di proteine specifiche.<br />

Inizialmente, l’apertura della doppia elica interessa poche<br />

centinaia di nucleotidi, che formano la bolla di replicazione. In<br />

questa regione i filamenti singoli sono esposti e può essere<br />

iniziata la duplicazione.<br />

L’apertura della doppia elica a livello della forcella di<br />

replicazione viene catalizzata da enzimi noti come elicasi.<br />

I tratti a filamento singolo che si generano vengono protetti<br />

da specifiche proteine (single strand DNA binding proteins o<br />

SSB)


La forcella di replicazione in E. coli è quindi un sistema<br />

complesso che vede la partecipazione di un elevato numero<br />

di proteine


Nella PCR:<br />

La PCR sfrutta la capacità della DNA polimerasi di<br />

sintetizzare la catena complementare a un filamento<br />

singolo di DNA in presenza dei 4 deossinucleotidi<br />

trifosfato e di adeguati primer.<br />

Rispetto al processo di trascrizione che avviene in vivo,<br />

dove il distacco tra i due filamenti della doppia elica è<br />

mediato da enzimi, nella PCR si sfrutta il fenomeno della<br />

denaturazione termica. La doppia elica del DNA tende a<br />

dissociarsi nei due filamenti costituenti ad una temperatura di<br />

circa 95°C.<br />

Essendo richiesta una fase ad alta temperatura, non è<br />

possibile impiegare le DNA polimerasi degli organismi più<br />

comuni, inattivate dal calore. La soluzione è utilizzare una<br />

DNA-polimerasi termostabile, isolata da organismi che<br />

normalmente vivono ad alte temperature (ad esempio<br />

Thermus aquaticus, da cui Taq polimerasi, la prima ad<br />

essere stata usata). La Taq polimerasi è attiva attorno a<br />

72°C e resistente alla denaturazione fino ad oltre i 95°C.


La Taq polimerasi, come tutte le DNA polimerasi, necessita<br />

di un tratto a doppia elica sul quale si possa innestare l’elica<br />

complementare allo stampo.<br />

Affinchè la polimerasi agisca, occorre quindi un primer (uno<br />

per filamento), un corto segmento di DNA a singolo filamento<br />

che si appai al DNA che si vuole amplificare formando un<br />

breve tratto a doppia elica.<br />

I primer, che ovviamente devono essere di sequenza nota e<br />

complementare alla catena con cui li si vuole appaiare, sono<br />

ottenuti per sintesi. Le tecnologie attuali consentono di<br />

sintetizzare tratti di DNA di lunghezza fino a 100 nucleotidi<br />

(molto più corti di un gene: per questo non si possono<br />

sintetizzare direttamente i geni, anziché applicare la PCR).<br />

Le sequenze corrispondenti ai primers sono l’unica parte del<br />

DNA da amplificare che deve essere nota in partenza.<br />

5’ – GGGCCCTTTAAAATCGCA ATGTTAACGGGGCCCTTTAAAATC........TGTTTAAACCCGGGTTT TAA TTTAAACCCGGGTTT-3’<br />

3’ – CCCCGGGAAATTTTAGCGATACAATTGCCCCGGGAAATTTTAG.......AC.AAATTTGGGCCCAAAATT AAATTTGGGCCCAAA 5’<br />

5’ – GGGCCCTTTAAAATCGCA ATGTTAACGGGGCCCTTTAAAATC........TGTTTAAACCCGGGTTTTAATTTAAACCCGGGTTT -3’<br />

3’ - TACAATTGCCCCGGGAAATTT<br />

TTTAAACCCGGGTTTTAA -3’<br />

3’- CCCCGGGAAATTTTAGCGATACAATTGCCCCGGGAAATTTTAG........ ACAAATTTGGGCCCAAAATTTTTAAACCCGGGTTT - 5’


Nel complesso, nella miscela di reazione (generalmente<br />

pochi µl di soluzione) occorreranno quindi:<br />

• DNA da amplificare. <strong>Il</strong> tratto che interessa può in realtà<br />

essere la minima parte di quello presente, spesso l’intero<br />

genoma.<br />

• La Taq polimerasi o uno dei diversi enzimi analoghi che<br />

sono stati isolati e messi in commercio e i suoi cofattori (ioni<br />

Mg 2+ ).<br />

• I quattro deossinucleotidi trifosfato, che costituiscono il<br />

substrato della DNA polimerasi anche in vivo.<br />

• i 2 primer che si appaino agli estremi delle due catene<br />

complementari nel tratto che si vuole amplificare. I primer<br />

devono essere aggiunti in grande eccesso, affinchè siano<br />

sufficienti per tutti i cicli.


La miscela di reazione può quindi essere incubata a 95°C per<br />

denaturare il DNA (30 secondi o più). La si porta poi a circa 55°C<br />

per favorire l’appaiamento delle catene singole con i primer e<br />

infine a circa 72°C, la temperatura alla quale la Taq polimerasi è<br />

più attiva. Gli steps di temperatura sono generati da uno<br />

strumento detto thermocycler.<br />

I tempi e le temperature per ognuno dei passaggi dipende in<br />

realtà da una quantità di fattori: il tipo di polimerasi usata, la<br />

lunghezza del segmento da amplificare, la natura dei primers, ecc.<br />

Un ciclo tipo è il seguente:<br />

circa 95°C<br />

(temperatura di<br />

denaturazione)<br />

circa 55 °C<br />

(temperatura di<br />

annealing)<br />

circa 72°C<br />

(temperatura<br />

ottimale per la<br />

Taq)


L’operazione può essere<br />

ripetuta per diverse volte.<br />

Ciò consente anche alle<br />

catene sintetizzate ad ogni<br />

ciclo di fare da stampo in<br />

quello successivo, dando<br />

così un’amplificazione<br />

esponenziale.<br />

Considerando che parte<br />

dell’enzima e dei<br />

deossinucleotidi trifosfato<br />

si degradano ad ogni ciclo,<br />

il numero massimo di cicli<br />

è limitato (generalmente<br />


Si noti che, nei primi cicli, il prodotto è parzialmente<br />

eterogeneo. Quando i primer si legano al materiale di<br />

partenza o a prodotto di amplificazione che in tutti i cicli sia<br />

stato ottenuto a partire dallo stesso primer tra i due presenti,<br />

la polimerasi può continuare indefinitamente e la lunghezza<br />

per più cicli di seguito con lo stesso primer tra i due presenti<br />

della catena prodotta dipenderà prevalentemente dal tempo<br />

che la polimerasi ha a disposizione per la sua reazione.<br />

Se invece il primer si lega ad una catena derivante dalla<br />

polimerizzazione con l’altro primer, il tratto amplificato finale<br />

sarà quello delimitato dai due primer.<br />

È estremamente improbabile che un segmento venga<br />

amplificato. Dopo pochi cicli vengono quindi a prevalere i<br />

segmenti “corti”, di lunghezza ben definita. <strong>Il</strong> prodotto finale è<br />

pressochè puro.<br />

Alla fine dei cicli, si lascia il DNA alla temperatura ottimale per<br />

la sua rinaturazione, per cui i filamenti complementari,<br />

presenti in ugual quantità, si appaiano dando luogo a doppie<br />

eliche.<br />

Si noti anche che, durante l’intervallo alla temperatura di<br />

annealing, i filamenti di DNA potrebbero anche combinarsi<br />

con i filamenti complementari pittosto che con i primers. I<br />

primi ovviamente non potrebbero costituire uno stampo per la<br />

DNA polimerasi. II numero di doppie eliche complete che si<br />

formano durante l’annealing è tuttavia minimo, dato che i<br />

primer vengono aggiunti in grande eccesso. Solo dopo alcuni<br />

cicli i primer si esauriscono.


Le tecniche del DNA ricombinante e della PCR possono essere<br />

integrate: I primer per la PCR devono essere complementari ai<br />

due estremi del DNA che interessa, ma possono anche<br />

contenere, a monte (posizione 3’) della regione complementare,<br />

una corta sequenza che non lo sia. Tale sequenza viene<br />

incorporata nel prodotto finale della PCR.<br />

5’ – GGGCCCTTTAAAATCGCA ATGTTAACGGGGCCCTTTAAAATC........TGTTTAAACCCGGGTTT TAA TTTAAACCCGGGTTT-3’<br />

3’ – CCCCGGGAAATTTTAGCGATACAATTGCCCCGGGAAATTTTAG.......AC.AAATTTGGGCCCAAAATT AAATTTGGGCCCAAA 5’<br />

3’ - CTTAAG<br />

PCR<br />

5’ – GGGCCCTTTAAAATCGCA ATGTTAACGGGGCCCTTTAAAATC........TGTTTAAACCCGGGTTTTAATTTAAACCCGGGTTT -3’<br />

TACAATTGCCCCGGGAAATTT<br />

TTTAAACCCGGGTTTTAA<br />

AAGCTT – 3’<br />

3’- CCCCGGGAAATTTTAGCGATACAATTGCCCCGGGAAATTTTAG........ ACAAATTTGGGCCCAAAATTTTTAAACCCGGGTTT - 5’<br />

In questo modo possono essere introdotti siti di restrizione,<br />

che possono venire impiegati per unire il prodotto PCR a<br />

altre molecole di DNA.


RT-PCR<br />

La RT-PCR (reverse transcriptase PCR) consente di<br />

trascrivere un filamento di RNA (generalmente mRNA) in DNA<br />

e amplificarlo. <strong>Il</strong> DNA che si ottiene prende il nome di cDNA.<br />

La RT-PCR ha due fondamentali applicazioni:<br />

1. Quantificare il livello di trascrizione di un gene, per valutare<br />

le risposte cellulari a particolari situazioni (nutrimenti, stress).<br />

Al limite si può analizzare l’intero trascrittoma, ovvero<br />

l’insieme dell’mRNA presente in un dato momento nella<br />

cellula (e quindi, indirettamente, della quantità di proteina<br />

espressa).<br />

2. Un secondo motivo per voler amplificare dell’mRNA<br />

anziché il gene da cui è stato trascritto si pone per gli<br />

eucarioti: il gene eucariotico contiene generalmente introni,<br />

che non verranno poi codificati. <strong>Il</strong> messaggio che verrà<br />

tradotto nella proteina risiede quindi nel mRNA. I batteri non<br />

sono in grado di operare lo splicing, per cui occorre fornire<br />

loro il “codice” che è già stato processato dagli eucarioti,<br />

ovvero l’mRNA maturo, trascritto in DNA mediante RT-PCR.


Non vi sono enzimi cellulari che consentano di amplificare il<br />

mRNA (né avrebbero senso, dato il ruolo che ricopre l’RNA<br />

nelle cellule). Si può però sfruttare l’enzima virale trascrittasi<br />

inversa, utilizzata dai retrovirus nel primo passaggio di<br />

integrazione del loro genoma a RNA in quello della cellula<br />

ospite. La trascrizione inversa è quindi un processo che non<br />

avviene normalmente negli organismi cellulari, né eucariotici<br />

né procariotici. Si tratta di un meccanismo attraverso il quale<br />

alcuni virus che presentano un genoma a RNA (retrovirus)<br />

possono “trascriverlo” a DNA in modo che possa essere<br />

integrato al genoma della cellula infettata.<br />

Dopo l’ingresso del virus nella cellula, la trascrittasi inversa<br />

usa l’RNA virale come stampo per sintetizzare una catena di<br />

DNA complementare, dando luogo ad una elica ibrida DNA-<br />

RNA. La catena di RNA virale viene poi degradata dalla<br />

RNasiH (un enzima virale facente parte della stessa catena<br />

polipeptidica della trascrittasi inversa). Infine, la trascrittasi<br />

inversa forma la catena complementare e quindi la doppia<br />

elica.<br />

Come le DNA polimerasi, la trascrittasi inversa necessita di<br />

un primer (ne occorre uno anziché due come nella normale<br />

PCR, perché l’RNA è a singolo filamento).


Una volta che il genoma virale si è integrato con il genoma ospite,<br />

le proteine virali codificate dal materiale genetico virale sono<br />

espresse dal sistema di trascrizione cellulare. Le proteine virali,<br />

insieme al suo genoma a RNA (quindi trascritto dalle RNA<br />

polimerasi della cellula sotto il controllo di una regolazione virale)<br />

possono riassemblarsi a dare nuovi virus.


Siccome le proteine virali sono poche, sono anche<br />

pochi i possibili bersagli molecolari per un’azione<br />

antivirale. La trascrittasi inversa è uno di questi. Gli<br />

inibitori della trascrittasi inversa sono i primi farmaci<br />

anti-HIV ad essere stati utilizzati.


Per poter trascrivere un filamento di RNA in DNA, la<br />

trascrittasi inversa necessita, come la taq polimerasi, di un<br />

primer.<br />

Nei procarioti e in generale quando si voglia amplificare un<br />

mRNA specifico si deve ricorrere a primer sintetici che<br />

abbiano sequenza complementare all’mRNA che interessa, in<br />

modo analogo a quanto visto per la PCR.<br />

Un’importante modificazione posttrascrizionale tipica degli<br />

eucarioti, la poliadenilazione in 3’, offre un modo per<br />

amplificare contemporaneamente tutti gli mRNA presenti<br />

impiegando come primer universale un poliT. La coda di poliA<br />

è anche sfruttata per separare gli mRNA dalle altre molecole<br />

presenti in un lisato cellulare.


Supponiamo di voler<br />

amplificare tutto il<br />

trascrittoma di cellule di un<br />

tessuto. Si estrae il mRNA<br />

maturo e lo purifica.<br />

L’mRNA viene a questo<br />

punto incubato con il primer<br />

poli T e con la trascrittasi<br />

inversa. Si forma una<br />

doppia elica ibrida<br />

DNA/RNA.<br />

Aggiungiamo l’enzima<br />

RNaseH, chè è in grado di<br />

idrolizzare il filamento di<br />

RNA, lasciando quello<br />

singolo di DNA. In<br />

alternativa, si può elevare il<br />

pH: l’RNA non è stabile<br />

all’idrolisi alcalina e quindi<br />

rimane solo il filamento di<br />

DNA.<br />

Se nella miscela di<br />

reazione è presente una<br />

DNA polimerasi e i 4<br />

deossinucleotidi trifosfato, i<br />

singoli filamenti di DNA<br />

possono generare le doppia<br />

eliche di DNA.


Se nell’ambiente di reazione è presente la taq polimerasi e i<br />

primers specifici per l’amplificazione di uno specifico gene, si<br />

può procedere direttamente all’amplificazione del cDNA per<br />

PCR.


Un passaggio in RT-PCR è indispensabile quando si voglia<br />

amplificare il DNA codificante per una proteina eucariotica e<br />

portarlo ad una forma “leggibile” dai procarioti, che non sono<br />

in grado di riconoscere e eliminare gli introni dall’mRNA.


Esempio: ottenimento di un cDNA del gene dell’insulina.


Sequenziamento del DNA<br />

<strong>Il</strong> metodo di elezione per il sequenziamento di catene di DNA<br />

fino a 500 bp è quello enzimatico, detto anche di Sanger. Si<br />

tratta di una reazione catalizzata da una DNA polimerasi su un<br />

singolo filamento condotta in presenza non solo dei quattro<br />

deossinucleotidi trifosfato, ma anche di loro derivati privi<br />

dell’ossidrile in 3’ (dideossinucleotidi), aggiunti in minima<br />

quantità.<br />

Per avere più materiale, si può condurre una PCR, ovviamente<br />

usando la Taq polimerasi come DNA polimerasi.


Affinchè la DNA polimerasi possa formare il filamento<br />

complementare, occorre fornire anche un primer, che individua<br />

l’inizio del tratto da sequenziare.<br />

Nelle prime versioni di questo metodo, si conducevano<br />

separatamente 4 reazioni di PCR, ognuna in presenza di un<br />

diverso nucleotide modificato. La duplicazione si blocca, per<br />

ognuna delle 4 reazioni, quando viene incorporato il nucleotide<br />

modificato: tali derivati possono essere aggiunti alla catena<br />

nascente dalla DNA polimerasi ma poi ne impediscono il<br />

proseguimento. <strong>Il</strong> loro inserimento è casuale, per cui si<br />

generano filamenti di lunghezza diversa, ciascuna terminante<br />

con il derivato terminatore.<br />

La proporzione di nucleotidi “normali” e modificati è tale per cui,<br />

statisticamente, si formeranno tutti i filamenti tronchi terminanti<br />

con un determinato nucleotide.<br />

n<br />

copie


Le catene sono tutte marcate radioattivamente (si aggiungono<br />

nucleotidi con un atomo radioattivo, o al primer o a una porzione<br />

dei nucleotidi trifosfato), per cui possono essere visualizzate<br />

mediante autoradiografia su un gel. Si utilizzano gel di<br />

poliacrilamide perché consentono di separare molecole che<br />

differiscono in lunghezza per un singolo nucleotide.


I 4 prodotti di PCR vengono fatti correre parallelamente su un<br />

gel. In questo modo è possibile ricostruire la sequenza completa<br />

del filamento complementare.


La variante più recente di questo metodo prevede che i quattro<br />

nucleotidi modificati leghino un label fluorescente, ognuno in<br />

grado di emettere luce di “colore” diverso. Con questo metodo<br />

è sufficiente una singola reazione di PCR in presenza di tutti e<br />

quattro i nucleotidi modificati. Le repliche parziali vengono<br />

separate mediante elettroforesi: il “colore” di ciascuna banda<br />

indicherà la natura del nucleotide terminate (A, T, G o C). In<br />

questo modo, si può ricostruire a l’intera sequenza.


Clonaggio<br />

<strong>Il</strong> clonaggio consiste nello sfruttare la capacità di cellule,<br />

generalmente batteriche, di ospitare DNA estraneo e di<br />

consentirne l’amplificazione insieme al proprio. Attraverso il<br />

clonaggio, possiamo quindi disporre di quantità illimitate di DNA<br />

di sequenza desiderata. <strong>Il</strong> clonaggio è quindi un’amplificazione in<br />

vivo di DNA ricombinante.<br />

Se lo si inserisse come tale in una cellula, il DNA non sarebbe<br />

replicato e si perderebbe immediatamente. Per poter essere<br />

mantenuto nelle cellule batteriche da una generazione all’altra, il<br />

frammento che vogliamo amplificare deve essere (a) integrato<br />

nel genoma cellulare oppure (b) essere inserito in una molecola<br />

di DNA extragenomico di cui facciano parte sequenze tali da<br />

consentirne la permanenza nella cellula e la replicazione. Nel<br />

secondo caso, di gran lunga più frequente, si parla di vettori di<br />

clonaggio. Quelli più utilizzati sono i plasmidi, piccoli cromosomi<br />

circolari accessori derivanti da varianti naturali normalmente<br />

presenti nelle cellule batteriche. I plasmidi permettono di clonare<br />

tratti di DNA corrispondenti a uno o pochi geni. Recentemente,<br />

con la possibilità di sequenziare interi genomi, si sono resi utili<br />

vettori di clonaggio più “capienti”, grazie ai quali è possibile<br />

clonare tratti di DNA molto più lunghi. I cromosomi artificiali<br />

batterici (BAC), i fagi e i cosmidi ne sono esempi.<br />

Per il clonaggio sono generalmente impiegati ceppi batterici da<br />

cui siano stati eliminati i sistemi di metilazione/restrizione, in<br />

modo che non interferiscano con il DNA che vogliamo inserire. Si<br />

noti che i vettori di clonaggio possono essere facilmente separati<br />

dalle altre componenti della cellula (compreso il suo genoma) e il<br />

frammento che vi abbiamo inserito può essere recuperato dal<br />

plasmide tagliandolo con gli stessi enzimi di restrizione con i<br />

quali lo abbiamo inserito.


I plasmidi sono elementi genetici accessori normalmente<br />

presenti nelle cellule procariotiche.<br />

• Contrariamente al cromosoma principale, i plasmidi sono<br />

normalmente presenti in più di una copia, spesso in numero<br />

variabile da cellula a cellula. Non sono generalmente<br />

indispensabili alla crescita della cellula in condizioni normali, ma<br />

codificano per proteine coinvolte nella resistenza ad antibiotici,<br />

proteine associate alla virulenza, ma anche enzimi che<br />

catalizzano particolari reazioni metaboliche.<br />

• I plasmidi sono entità genetiche relativamente indipendenti e<br />

possono spesso trasferirsi da cellula a cellula, anche tra specie<br />

diverse.


Type of plasmid<br />

Resistance<br />

Fertility<br />

Killer<br />

Degradative<br />

Virulence<br />

Gene functions<br />

Antibiotic resistance<br />

Conjugation and<br />

DNA transfer<br />

between bacteria<br />

Synthesis of toxins<br />

that kill other bacteria<br />

Enzymes for<br />

metabolism of<br />

unusual molecules<br />

Pathogenicity<br />

Examples<br />

Rbk of Escherichia<br />

coli and other<br />

bacteria<br />

F of E. coli<br />

Col of E. coli, for<br />

colicin production<br />

TOL of<br />

Pseudomonas<br />

putida, for toluene<br />

metabilism<br />

Ti of Agrobacterium<br />

tumefaciens,<br />

conferring the ability<br />

to cause crown gall<br />

disease on<br />

dicotyledonous<br />

plants


I plasmidi ricombinanti<br />

L’inserimento di plasmidi in batteri viene chiamato<br />

trasformazione ed è ottenuto trattando una cultura di batteri<br />

con agenti chimici o fisici che ne aumentano<br />

temporaneamente la permeabilità di membrana.


I plasmidi più comunemente usati come vettori di clonaggio<br />

hanno dimensioni variabili tra 2000 e 5000 bp e sono stati<br />

originariamente ottenuti da plasmidi naturali, tra cui, in<br />

particolare, il plasmide di E. coli ColE1. Alcuni possono<br />

replicarsi in più specie, altri sono più selettivi e possono<br />

replicarsi solo in una. Nella loro sequenza devono contenere<br />

almeno:<br />

1. Un’origine di replicazione (ori) affinché possano essere<br />

duplicati ad ogni ciclo cellulare. <strong>Il</strong> tipo di origine di<br />

duplicazione determina il numero medio di copie presenti nel<br />

batterio: si distinguono ori che danno un high copy number<br />

da quelle che danno un low copy number. I primi<br />

consentono di ottenere una quantità maggiore di DNA.<br />

L’origine di replicazione è spesso specie-specifica. Si può<br />

però modificare la sequenza del plasmide in modo che<br />

contenga siti ori specifici per più di un organismo.<br />

2. Un marker, o selettore: tra le funzioni svolte dai plasmidi in<br />

natura, vi è quella di veicolare un’attività antibiotica (vedi ad<br />

esempio le multiresistenze nelle infezioni nosocomiali).<br />

Codificano cioè per una o più proteine in grado di bloccare<br />

l’azione di un antibiotico (ad esempio, ampicillina,<br />

kanamicina, streptomicina). A livello molecolare, tale azione<br />

può essere di diverso tipo: ad esempio il gene di resistenza<br />

alla ampicillina codifica per un enzima, la β-lattamasi, che<br />

rompe l’antibiotico, inattivandolo. Si è pensato di sfruttare<br />

questa funzione dei plasmidi (che non è non l’unica in<br />

natura) per mantenere il plasmide nel batterio durante i vari<br />

cicli di duplicazione cellulare. Se si aggiunge l’antibiotico al<br />

mezzo di cultura, solo i batteri in cui il plasmide è presente<br />

sopravviveranno e si riprodurranno. In assenza di antibiotico<br />

il plasmide tenderebbe a perdersi. In un plasmide possono<br />

essere presenti geni di resistenza a più di un antibiotico.


La resistenza all’antibiotico è lo stratagemma che si usa per<br />

selezionare i cloni batterici in cui la trasformazione con il<br />

plasmide ricombinante abbia avuto successo (in genere, una<br />

minima parte). La cultura trattata con il plasmide viene “stesa”<br />

su un terreno solido (LB agar) in cui sia disciolto l’antibiotico al<br />

quale il plasmide conferisce resistenza. Le cellule nelle quali è<br />

presente potranno crescere come popolazione clonale (cellule<br />

identiche, derivate da una singola cellula) fino a formare<br />

colonie visibili ad occhio nudo. La colonia a questo punto può<br />

essere isolata e coltivata in terreni liquidi. <strong>Il</strong> plasmide può<br />

essere purificato dalla cultura batterica in modo semplice e<br />

veloce.


3. Un sito in cui siano contenuti dei siti di restrizione unici<br />

(single cutters), in modo da potervi inserire il frammento di<br />

DNA tagliato con gli stessi enzimi. Sarebbe sufficiente anche<br />

un solo sito di restrizione unico, ma molti plasmidi<br />

commerciali presentano un multiple cloning site, in modo<br />

che vi sia un’ampia scelta di enzimi di restrizione da usare<br />

(nota bene: la scelta dei siti di restrizione da impiegare per<br />

ottenere DNA ricombinante è ristretta dalla possibilità che<br />

tali enzimi taglino il frammento di DNA che interessa).<br />

<strong>Il</strong> MCS non è indispensabile al plasmide in sé ma è richiesto<br />

affinché lo si possa usare come vettore di clonaggio. Un<br />

MCS consente inoltre di clonare in serie più frammenti.


I BAC ricombinanti<br />

I BAC (cromosomi artificiali batterici) sono costrutti di DNA<br />

basati sul plasmide naturale della fertilità (F) di E. coli, più<br />

grande di altri plasmidi che si riscontrano in natura. Rispetto ai<br />

plasmidi, I BAC possono accomodare frammenti più lunghi di<br />

DNA (fino a 300 Kbp). Grazie a questa capienza, sono spesso<br />

impiegati nel seqenziamento di genomi.


I fagi ricombinanti<br />

I batteriofagi, o fagi, sono virus che infettano i batteri. <strong>Il</strong> loro<br />

materiale genetico, una volta entrato nella cellula può (a) integrarsi<br />

con quello della cellula ospite, di cui diventa parte integrante (via<br />

lisogenica) (b) moltiplicarsi in più copie: i geni virali vengono quindi<br />

espressi in grande quantità e diversi virus si assemblano,<br />

comportando la rottura della cellula (via litica). Si dicono temperati i<br />

fagi che vanno generalmente incontro a lisogenia, ma che sono<br />

occasionalmente in grado di iniziare un ciclo litico. <strong>Il</strong> batteriofago<br />

temperato più studiato è il batteriofago λ.<br />

L’integrazione del genoma virale è una ricombinazione non omologa<br />

(mediata da proteine che riconoscono siti specifici nel DNA), del tipo<br />

incontrato per molti virus.


Tanto il processo lisogenico che quello litico avvengono<br />

anche se, all’interno del genoma virale, inseriamo un<br />

frammento di DNA estraneo al fago. I fagi ricombinanti che si<br />

ottengono possono infettare cellule di E. coli come quelli<br />

naturali. Si può introdurre direttamente il genoma<br />

(trasfezione) o infettare le cellule con l’intero virus<br />

assemblato in vitro (infezione).<br />

trasfezione


<strong>Il</strong> genoma fagico ricombinante può essere introdotto nella cellula<br />

ospite per infezione, “impacchettandolo invitro con le proteine del<br />

capside.<br />

Affinché si possa avere l’impacchettamento in vitro del genoma<br />

fagico ricombinante a partire dalle proteine del capside, sono<br />

indispensabili le sequenze cos, situate normalmente alle<br />

estremità del genoma fagico. Tali sequenze sono riconosciute<br />

dalle proteine fagiche (codificate cioè da geni del genoma fagico)<br />

Nu1 e A, che ne mediano l’impaccamento nella “testa” del virus.<br />

Per un efficiente impacchettamento, è anche critica la lunghezza<br />

del DNA. Se è troppo corta (ad esempio non si è avuta<br />

l’inserzione del frammento esogeno), non si ha formazione di un<br />

fago attivo. Se è troppo lunga, l’impaccamento è impedito.<br />

infezione


La resa del processo di trasfezione/infezione è relativamente<br />

bassa, per cui solo poche cellule la subiranno. Incubando<br />

cellule di E. coli stratificate uniformemente su un terreno solido, si<br />

osserveranno delle placche (cellule lisate) che si originano da un<br />

singolo “focolaio” di infezione. I fagi che si trovano nella placca,<br />

derivando da un singolo fago, costituiranno una popolazione<br />

clonale (copie identiche del fago originario).<br />

I fagi di una placca potranno essere prelevati e usati per infettare<br />

una cultura in terreno liquido: si viene quindi ad ottenere un<br />

numero di fagi sufficiente per purificarne il DNA contenuto e, con<br />

esso, il nostro frammento.


I cosmidi ricombinanti<br />

I cosmidi sono plasmidi in cui<br />

sono stati inseriti siti cos, che<br />

consentono loro di impaccarsi -<br />

in vitro - nella testa di un<br />

batteriofago λ. Possono anche<br />

essere visti come batteriofagi cui<br />

sono stati tolti tutti i geni fagici,<br />

rimpiazzati con gli elementi tipici<br />

di un plasmide: ori, markers,<br />

MCS. Nella testa del virus, vi è<br />

quindi sufficiente spazio per un<br />

grosso inserto, fino a 45kb. Un<br />

inserto di tali dimensioni non<br />

potrebbe essere inserito in un<br />

fago λ (perché gran parte dello<br />

“spazio disponibile” è occupato<br />

dai geni fagici), ma neppure in un<br />

plasmide. In sostanza, con<br />

l’aggiunta dei siti cos, si<br />

consente l’introduzione del<br />

plasmide per infezione, un<br />

sistema più efficiente della<br />

trasformazione.<br />

Una volta entrato nella cellula, il<br />

cosmide si comporta come un<br />

normale plasmide (non possiede<br />

i geni del batteriofago per la<br />

ricombinazione, né per la sintesi<br />

delle proteine del capside).


Vector Type<br />

Plasmid<br />

λ phage<br />

Cosmid<br />

P1 phage<br />

BAC (bacterial artificial<br />

chromosome)<br />

YAC (yeast artificial chromosome)<br />

Cloned DNA (kb)<br />

20<br />

25<br />

45<br />

100<br />

300<br />

1000


Clonaggio di interi genomi:<br />

le librerie genomiche<br />

Tra le principali applicazioni del clonaggio vi è la possibilità di<br />

amplificare corti tratti di DNA ottenuti per frazionamento di<br />

molecole molto lunghe. I frammenti amplificati per clonaggio,<br />

disponibili in quantità pressoché illimitata, possono essere<br />

caratterizzati e sequenziati. Ad esempio, è possibile tagliare un<br />

grosso frammento di DNA con un singolo enzima di restrizione. Ne<br />

deriveranno frammenti più piccoli che possono essere inseriti in un<br />

plasmide tagliato con lo stesso enzima di restrizione.<br />

Si noti che i frammenti sono casuali e non rispecchiano<br />

necessariamente i limiti tra unità funzionali (geni, elementi di<br />

regolazione, enhancer, ecc).


I plasmidi possono essere trasformati in batteri a dare diversi<br />

cloni batterici, facilmente isolabili e amplificabili. L’insieme di<br />

questi cloni, che potenzialmente coprono tutto il DNA<br />

originario, prende il nome di libreria.<br />

Questa operazione potrà essere eventualmente ripetuta<br />

rompendo il DNA originario con altri enzimi di restrizione: si<br />

ottengono librerie ridondanti con frammenti in parte sovrapposti<br />

(contigs). L’analisi delle sequenze sovrapposte consente di<br />

risalire all’ordine in cui i frammenti si presentano nella<br />

molecola di DNA originaria (metodo “shotgun”) e, quindi, alla<br />

sua sequenza complessiva.


Al limite, si può costruire una vera e propria libreria genomica,<br />

un insieme di cloni batterici che nel loro complesso contengono<br />

tutto il DNA di un organismo. Per queste applicazioni, dovranno<br />

essere impiegati i vettori di clonaggio più “capienti” (fagi o<br />

BAC).<br />

Ad esempio, l’intero genoma umano è stato frazionato<br />

(Progetto Genoma Umano) in 393216 BACs.<br />

Queste librerie, eventualmente “sfoltite” per essere il meno<br />

ridondanti possibile, sono rese disponibili alla comunità<br />

scientifica.


Clonaggio di interi trascrittomi: le librerie di cDNA<br />

Le librerie genomiche non danno informazioni circa il diverso<br />

livello di espressione dei geni. Da questo punto di vista, è più<br />

informativa una libreria di cDNA, ottenuta mediante clonaggio del<br />

cDNA ottenuto per RT-PCR su tutti gli mRNA espressi da una<br />

cellula. Non si arriverà a clonare tutto il materiale genetico (non<br />

tutto è trascritto a mRNA), ma si ottengono informazioni, seppur<br />

indirettamente, sulle proteine espresse. Confrontando librerie<br />

genomiche con quelle di cDNA si possono avere informazioni<br />

sulla forza di promotori ed enhacer, sulla inducibilità di alcuni<br />

geni, sullo splicing, ecc.


Clonaggio di sequenze specifiche<br />

<strong>Il</strong> clonaggio può essere integrato con la PCR per isolare una<br />

sequenza ben definita ed eventualmente modificata. Inserendo<br />

siti di restrizione ai lati del segmento amplificato (usando<br />

opportuni primers), è possible inserirlo agevolmente in un<br />

vettore di clonaggio.<br />

Si noti che, se si mantiene il sito di restrizione grazie al quale si<br />

è inserito l’inserto nel plasmide, lo si potrà sempre recuperare<br />

e clonare, ad esempio, in un altro vettore (subclonaggio).


Espressione<br />

Un semplice clonaggio consente di isolare e caratterizzare un<br />

segmento di DNA, che può essere replicato a piacere in modo<br />

semplice ed efficace. Se il clonaggio viene condotto in<br />

appositi vettori, detti vettori di espressione, è possibile<br />

sfruttare non solo il sistema di duplicazione del DNA della<br />

cellula procariotica ospite, ma anche il suo sistema di<br />

trascrizione, ottenendo così la proteina codificata dal tratto di<br />

DNA (via mRNA). Se l’espressione avviene in un organismo<br />

diverso da quello in cui è stato isolato il gene si parla di<br />

espressione eterologa.<br />

Ciò è di straordinaria utilità, perché le proteine espresse e<br />

purificate possono trovare le più varie applicazioni. È inoltre<br />

possibile produrre di una proteina in quantità sufficiente per<br />

essere caratterizzata mediante tecniche biochimiche.<br />

Combinando questa tecnologia con quella della mutagenesi<br />

sito-specifica, è possibile esprimere e caratterizzare anche<br />

proteine mutanti.<br />

Nella grande maggioranza dei casi, la cellula ospite è<br />

batterica (E. coli). Le cellule batteriche non sono in grado di<br />

operare uno splicing sugli mRNA, per cui, volendo clonare ed<br />

esprimere una proteina eucariotica, dovremo utilizzare il<br />

cDNA ottenuto mediante RT-PCR dall’mRNA maturo estratto<br />

dalla cellula eucariotica. Se usassimo il prodotto PCR<br />

ottenuto dal genoma eucariotico, vi sarebbero inclusi anche<br />

gli introni, che la cellula batterica non saprebbe “interpretare”<br />

come tali.<br />

Rimane l’eventualità che la cellula procariotica non sia in<br />

grado di operare modificazioni post-traduzionali indispensabili<br />

alla funzione della proteina eucariotica. In questo caso è<br />

indispensabile esprimerla in cellule eucariotiche impiegando<br />

speciali vettori.


DNA<br />

Sequenza di regolazione<br />

della trascrizione (INIZIO<br />

trascrizione)<br />

mRNA<br />

Inizio trascrizione<br />

Proteina<br />

Espressione in procarioti<br />

Affinché un vettore di clonaggio sia anche di espressione, il<br />

frammento di DNA inserito deve essere un gene,<br />

comprendente le sequenze non codificanti di regolazione<br />

della sua espressione, sia a livello della trascrizione che<br />

della traduzione.<br />

Reg. trad.<br />

(INIZIO)<br />

Sequenza trascritta a RNA<br />

Fine trascrizione<br />

Inizio traduzione Fine traduzione<br />

Sequenza di regolazione<br />

della trascrizione (STOP<br />

trascrizione)<br />

Codone di stop


Sequenza di regolazione<br />

della trascrizione (INIZIO<br />

trascrizione)<br />

Promotore<br />

Inizio trascrizione<br />

Reg. trad.<br />

(INIZIO)<br />

RBS<br />

Sequenza trascritta a RNA<br />

Fine trascrizione<br />

Codone di stop<br />

Inizio traduzione Fine traduzione<br />

Sequenza di regolazione<br />

della trascrizione (STOP<br />

trascrizione)<br />

Sequenza di<br />

terminazione della<br />

trascrizione


Promotore<br />

La sintesi dell’RNA incomincia in corrispondenza di siti<br />

specifici sullo stampo di DNA: la RNA polimerasi si lega<br />

ad una sequenza di basi detta promotore.<br />

Nei procarioti, i promotori sono sequenze di DNA di circa<br />

40 basi localizzate immediatamente a monte del gene. Un<br />

tipico promotore batterico consiste di due sequenze di<br />

consenso (sequenze comuni a tutti i promotori): la<br />

sequenza TTGACA centrata in posizione -35 (riferito alla<br />

posizione di inizio della trascrizione) e quella TATAAT in<br />

posizione -10.


Ribosome binding site<br />

La sintesi proteica nei procarioti<br />

consiste di tre fasi: inizio,<br />

elongazione o allungamento e<br />

terminazione.<br />

L’inizio è innescato dal legame<br />

della subunità piccola, insieme<br />

al fattore IF-3, all’RBS. <strong>Il</strong><br />

legame con l’RBS consente il<br />

corretto posizionamento dei siti<br />

attivi del ribosoma sul codone di<br />

inizio dell’ mRNA.<br />

<strong>Il</strong> codone di inizio per i geni<br />

batterici è generalmente AUG, il<br />

codone per la metionina.<br />

A questo punto il tRNAi – met<br />

(formilata) si lega al suo<br />

codone.<br />

Infine, la subunità maggiore si<br />

lega alla subunità minore<br />

formando il complesso di<br />

iniziazione.<br />

Quindi: sia la sequenza RBS<br />

che il codone AUG definiscono<br />

il reading frame


<strong>Il</strong> plasmide contenente gli elementi genetici accessori necessari<br />

per la trascrizione (oltre a quelli necessari per la selezione e per<br />

la replicazione) può essere trasformato in una cellula<br />

procariotica come un plasmide di clonaggio. Come vettori di<br />

espressione per procarioti, è sufficiente utilizzare i plasmidi<br />

perché un gene è di dimensioni ridotte e non richiede vettori più<br />

capienti, come BAC o cosmidi.


Ciascun batterio possiede diversi tipi di siti promotori (siti cui si<br />

lega la RNA polimerasi), che potrebbero essere posti a monte<br />

di un gene plasmidico per regolarne la trascrizione. Tra i<br />

possibili siti promotori presenti nel genoma di E. coli, ci si è<br />

focalizzati su quelli che controllano geni inducibili. È infatti utile<br />

poter indurre l’espressione di una proteina mediante induttori<br />

(piccole molecole, possibilmente stabili) al momento<br />

desiderato, ad esempio quando la cultura ha raggiunto un certo<br />

livello di crescita, dato che la sovraespressione di una proteina<br />

esogena tende a rallentarla.<br />

Uno dei sistemi più semplici consiste nell’impiegare il<br />

promotore per l’operone del lattosio (o lac). Invece del lattosio,<br />

l’induttore naturale, si impiega un suo analogo sintetico più<br />

stabile, l’IPTG.


Le proteine repressore interagiscono direttamente con il DNA in<br />

corrispondenza di una sequenza specifica: quando vi si legano,<br />

impediscono alla RNA polimerasi di proseguire la trascrizione.<br />

L’associazione e la dissociazione di queste proteine regolatrici<br />

dal DNA è a sua volta regolata da piccole molecole, che<br />

legandosi a siti allosterici determinano modificazioni<br />

conformazionali tali da modificare le proprietà di legame della<br />

proteina al DNA.<br />

Le molecole sono spesso metaboliti o loro derivati: segnalano<br />

quindi al sistema di trascrizione quando debbano essere<br />

espresse proteine in risposta a una mutata situazione<br />

ambientale.<br />

L’esempio meglio studiato è quello del repressore lac. In<br />

presenza del suo ligando (l’allolattosio) il repressore si stacca<br />

dalla sequenza di regolazione


Come il lattosio, l’IPTG si lega alla proteina lacI,<br />

inducendone la dissociazione dal DNA e quindi<br />

consentendo alla RNA polimerasi di trascrivere il gene<br />

immediatamente a valle (che normalmente, nei batteri, è<br />

l’operone lac, ma che noi possiamo sostituire con il gene<br />

che ci interessa).


Per ottenere rese ancora più alte si può ricorrere ad un<br />

duplice sistema di amplificazione basato su un promotore<br />

virale, il T7, riconosciuto dalla RNA polimerasi virale T7.<br />

Vi sono ceppi ingegnerizzati di E. coli in cui il gene per la<br />

RNA polimerasi T7 viene posto sotto il controllo del<br />

promotore lac (quindi inducibile dall’IPTG). Una volta che ne<br />

è indotta l’espressione, la RNA polimerasi potrà a questo<br />

punto trascrivere il gene di interesse posto nel plasmide<br />

sotto il controllo del promotore virale T7. La produzione di<br />

polimerasi T7 determina un’enorme espressione dei geni<br />

dipendenti dal suo promotore (T7, appunto).


Se si mette a monte del promotore T7 anche un promotore<br />

lac, rendiamo ancora più stringente l’induzione: l’IPTG<br />

rimuoverà contemporaneamente la repressione sul gene<br />

plasmidico e sulla RNA polimerasi T7. Un gene per il<br />

repressore lac, lacI, può essere inserito nel plasmide per<br />

aumentarne la concentrazione all’interno della cellula, in<br />

modo che l’espressione sia completamente soppressa in<br />

assenza di induttore.<br />

Questi stratagemmi per rendere il più possibile stringente<br />

l’induzione sono motivati dal fatto che, a volte, la proteina<br />

sovraespressa in grandi quantità è tossica per la cellula. <strong>Il</strong><br />

controllo sui tempi di espressione diventa quindi cruciale per<br />

ottimizzare le condizioni di espressione.


Mutagenesi sito specifica


Espressione in eucarioti<br />

La maggior parte delle proteine eucariotiche può essere<br />

espresso in cellule procariotiche (via cDNA), ma alcune<br />

richiedono modificazioni post-traduzionali che i procarioti<br />

non riescono a compiere. In questi casi occorre quindi<br />

esprimere le proteine in sistemi eucariotici.<br />

Siccome la maggior parte degli eucarioti non tollera DNA<br />

extracromosomale (tipo plasmidi), il DNA che si vuole<br />

esprimere deve essere inserito, con gli elementi di<br />

regolazione riconosciuti dalla cellula ospite, nel DNA<br />

genomico.<br />

<strong>Il</strong> DNA può essere microiniettato in cellule animali. il tasso di<br />

successo è molto basso, perché un’inserzione spontanea<br />

nel genoma è molto improbabile.


Si ha maggiore efficienza utilizzando vettori di espressione<br />

per eucarioti, generalmente derivati da virus, dei quali si<br />

sfrutta la capacità, mediante ricombinazione, di inserire<br />

DNA nel genoma della cellula ospite (come i fagi nella via<br />

lisogena).<br />

Principi simili a quelli visti per i fagi possono essere ad<br />

esempio applicati al baculovirus, in grado di infettare cellule<br />

di insetto (che possono poi essere mantenute in cultura).<br />

Per ciascun tipo di eucariote si è sviluppato un set<br />

appropriato di vettori.


In genere si preferisce<br />

usare cellule eucariotiche<br />

in cultura, perché è più<br />

facile recuparare la<br />

proteina espressa.<br />

Un’eccezione è data da<br />

tessuti di animali dai quali<br />

la proteina è secreta e<br />

facilmente recuperabile.<br />

Ad esempio,<br />

un’importante farmaco<br />

proteico, l’attivatore<br />

tissutale del<br />

plasminogeno, viene<br />

secreto nel latte di pecore<br />

transgeniche. <strong>Il</strong> gene per<br />

l’attivatore tissutale del<br />

plasminogeno è in realtà<br />

presente in tutte le cellule<br />

ma è posto sotto il<br />

controllo del gene per la<br />

β-lattoglobulina, una<br />

proteina sintetizzata solo<br />

dalla ghiandola<br />

mammaria.

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