libretto Alcesti.pdf - “Decio Celeri” di Lovere
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ADMETO -- Quest'oggi devo seppellire un defunto.<br />
ERACLE -- Che stia lontana la sventura dai tuoi figli<br />
ADMETO -- I miei figli sono vivi nella casa.<br />
ERACLE -- Tuo padre, comunque era anziano, se si tratta <strong>di</strong> lui<br />
ADMETO -- Anch'egli è vivo, e anche mia madre.<br />
ERACLE -- E’ forse successo qualcosa ad <strong>Alcesti</strong>?<br />
ADMETO -- Il <strong>di</strong>scorso su <strong>di</strong> lei è ambiguo.<br />
ERACLE -- Insomma! E’ viva o morta?<br />
ADMETO -- Vive e non vive: ed angoscia il mio cuore.<br />
ERACLE -- Non ne so piú <strong>di</strong> prima. Parli per enigmi.<br />
ADMETO -- Sai quale destino l’aspetta?<br />
ERACLE -- Sí. Che accettò <strong>di</strong> morire in vece tua.<br />
ADMETO -- E come puoi <strong>di</strong>rla viva, dopo una promessa simile?<br />
ERACLE -- Non piangere prima del tempo! Atten<strong>di</strong> l'ora.<br />
ADMETO -- Morto è chi deve morire. Chi è morto non è più.<br />
ERACLE -- Essere e non essere, sono due cose <strong>di</strong>verse.<br />
ADMETO -- Tu pensi cosí; ed io penso altrimenti.<br />
ERACLE -- Chi piangi, dunque? Quale dei tuoi cari è morto?<br />
ADMETO -- Una donna: parlavamo <strong>di</strong> una donna, poco fa<br />
ERACLE -- Straniera, o del tuo sangue?<br />
ADMETO -- Straniera: eppure legata al mio tetto.<br />
ERACLE -- E come mai è morta in casa tua?<br />
ADMETO -- Orfana del padre, fu cresciuta qui.<br />
ERACLE -- Mi spiace! Non avrei voluto trovarmi qui mentre sei in lutto!<br />
ADMETO -- Perché <strong>di</strong>ci cosí? Che pensi?<br />
ERACLE -- Penso <strong>di</strong> cercare ospitalità altrove.<br />
ADMETO -- Non può essere! Dio non voglia!!<br />
ERACLE -- Un ospite dà fasti<strong>di</strong>o quando si è in lutto.<br />
ADMETO -- I morti sono morti. Entra!<br />
ERACLE -- Non sta bene che un ospite mangi accanto a gente che piange.<br />
ADMETO -- Ti condurrò in stanze appartate.<br />
ERACLE -- Lasciami andare; ti sarò comunque grato.<br />
ADMETO -- Non puoi andare al focolare <strong>di</strong> un altro. Vieni. Sian chiuse le porte. Non<br />
bisogna rattristare gli ospiti.<br />
PRIMO CORIFEO -- E perché mai celasti la tua sorte all'uomo che, come <strong>di</strong>ci, ti è<br />
amico?<br />
ADMETO: Il tetto mio non sa che cosa sia respingere o far torto ad un ospite…<br />
7-L’OSPITALITÀ<br />
TERZO STASIMO (vv 568 – 605)<br />
PRIMO CORIFEO -- Strofe prima O casa d'un uomo generoso, sempre generosa e<br />
ospitale, Apòllo pizio, signor della cetra, si degnò <strong>di</strong> abitarti e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare pastore<br />
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alcuni elementi in comune con le versioni liriche del mito, in particolare con<br />
Rilke. L'azione drammatica è semplice e lineare, e i personaggi, che non si<br />
chiamano mai l'un l'altro per nome, sono ridotti a quattro: il padre, il marito, la<br />
moglie e infine il Custode ("traghettatore" o "spe<strong>di</strong>zioniere"), ambiguo, come<br />
nelle versioni più antiche (o come anche in Rilke), fra il ruolo <strong>di</strong> salvatore e<br />
quello <strong>di</strong> angelo della morte (...quel tipo indecifrabile / che compare e<br />
scompare / come un orologio a cucù / o come la figura della morte / in certi<br />
campani/i gotici... <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> lui il padre). L'ambientazione è nel presente: un'età<br />
contemporanea che sta cadendo a pezzi, contrassegnata dalla persecuzione<br />
politica e dall'intolleranza (il pensiero corre a Savinio, anche se il contesto<br />
storico non è qui precisato). Il terzetto - padre, figlio e moglie del figlio - si<br />
rifugia in un vecchio teatro, in attesa <strong>di</strong> poter essere imbarcato e fuggire, ma<br />
si apprende che, contrariamente a quanto era stato pattuito, solo due persone<br />
potranno partire, e dunque salvarsi. Poiché i due uomini non accettano l'idea<br />
che a restare possa essere la donna, ha inizio un conflitto drammatico fra il<br />
padre e il figlio, mentre la moglie tenta inutilmente <strong>di</strong> proporre una soluzione<br />
alternativa: restare a vivere insieme, nascondendosi nel teatro, in attesa che<br />
cessi la persecuzione. Dello scontro verbale fra l'Admeto euripideo e il padre<br />
rimane una reminiscenza nelle parole con cui il vecchio nel dramma <strong>di</strong> Raboni<br />
<strong>di</strong>fende il suo <strong>di</strong>ritto a vivere: lo ci tengo / ancora, ci tengo forse <strong>di</strong> più, / ci<br />
tengo forsennatamente / a quel po' d'albe e dì tramonti / che, chissà, potrei<br />
ancora vedere... (in modo analogo il Ferete euripideo esprimeva il suo<br />
attaccamento alla dolce luce del sole). L'archetipo euripideo è del resto citato,<br />
con raffinata operazione metateatrale, all'interno del dramma: la donna<br />
ricorda <strong>di</strong> aver debuttato proprio in quel teatro nel ruolo dell'ancella <strong>di</strong><br />
<strong>Alcesti</strong>, e della sua regina ella aveva appreso a memoria la parte. E nel ruolo <strong>di</strong><br />
<strong>Alcesti</strong> ella ora cala se stessa: allontanandosi in silenzio (vengono in mente<br />
certe nobili e solitàrie eroine sofoclee, come Deianira, o Euri<strong>di</strong>ce, o Giocasta,<br />
che escono <strong>di</strong> scena senza proferire parola, per darsi la morte), mette i due<br />
uomini <strong>di</strong> fronte al fatto compiuto della sua scelta, costringendoli con il suo<br />
sacrificio a continuare a vivere nel ricordo della loro meschina grettezza.<br />
L'ombra <strong>di</strong> Euripide riaffiora ancora nell'ambiguo finale: la novella <strong>Alcesti</strong><br />
ricompare in scena velata e muta, per partire insieme ai due uomini. Ma la<br />
conclusione è assai più amara: la scena <strong>di</strong> riconoscimento, che nel modello greco<br />
aveva luogo nell'esodo e che non poco contribuiva alla lieta katastrophé, qui è<br />
rimandata al <strong>di</strong> fuori del dramma: i due uomini si avviano a prendere posto sul<br />
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