REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ... - Corte dei Conti
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sentenza di rigetto<br />
<strong>REPUBBLICA</strong> <strong>ITALIANA</strong><br />
<strong>IN</strong> <strong>NOME</strong> <strong>DEL</strong> <strong>POPOLO</strong> ITALIANO<br />
LA CORTE DEI CONTI<br />
SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE<br />
composta dai seguenti magistrati:<br />
dott. Carmelo Geraci Presidente<br />
dott. Stefano Imperiali Consigliere<br />
dott. Mario Pischedda Consigliere relatore<br />
dott.ssa Josef Hermann Rössler Consigliere<br />
dott.ssa Angela Silveri Consigliere<br />
ha pronunciato la seguente<br />
SENTENZA<br />
Sull'appello iscritto al numero 20729 del registro di segreteria, proposto da Sculco<br />
Antonio, rappresentato e difeso dall’avvocato Valerio Zimatore, giusta delega a margine<br />
dell’atto d’appello, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Roma via G.<br />
G. Porro n 8.<br />
A V V E R S O<br />
la sentenza n. 862/2003, emessa dalla sezione giurisdizionale per la regione Calabria,<br />
notificata il 14 maggio 2004.<br />
Visti gli atti ed i documenti di causa.<br />
Uditi nella pubblica udienza del giorno 5 novembre 2009, il relatore consigliere Mario<br />
Pischedda ed il rappresentante del pubblico ministero nella persona del vice procuratore<br />
generale dott. Pasquale Di Domenico, assente l’avvocato Valerio Zimatore.<br />
SVOLGIMENTO <strong>DEL</strong> PROCESSO<br />
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1. Con atto di citazione del 21 gennaio 2003 la Procura Regionale per la Calabria<br />
conveniva in giudizio Sculco Antonio, sindaco del comune di Cirò, ed altri amministratori<br />
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dello stesso comune, chiedendone la condanna al pagamento della somma complessiva di<br />
euro 730.571,18 (corrispondente a vecchie lire 1.414.583.062) oltre oneri accessori e spese<br />
di giustizia, per il danno conseguente alla decisione di acquistare l’immobile denominato<br />
“Castello di Cirò”. Il pregiudizio era composto per lire 900 milioni dalla sorte capitale di<br />
un mutuo contratto per pagare il prezzo dell’immobile e poi destinato al pagamento delle<br />
spese correnti, per lire 486.223.062 dagli interessi da pagarsi su detto mutuo e per lire<br />
18.360.000 dalle somme pagate ad un professionista esterno, per la redazione della perizia<br />
di stima.<br />
2. Questi i fatti posti a fondamento dell’azionata responsabilità:<br />
Con deliberazione n 27 del 10 ottobre 1998, il consiglio comunale di Cirò, decideva di<br />
acquistare l’immobile denominato Castello di Cirò, ed a tal fine approvava la perizia di<br />
stima dell'immobile redatta dal tecnico incaricato e gli accordi intervenuti con i diversi<br />
comproprietari, che prevedevano un prezzo d’acquisto di complessivi 900 milioni,<br />
comprensivi di un acconto di lire 90 milioni, che valeva anche da caparra penitenziale,<br />
corrisposto con mandato del primo dicembre 1998.<br />
Con deliberazione n 115/1999 la Giunta Municipale assumeva con la cassa depositi e<br />
prestiti un mutuo di 900 milioni per il pagamento del prezzo ed il relativo piano<br />
d’ammortamento prevedeva la corresponsione di interessi per complessive lire<br />
486.232.062 Il mutuo fu concesso ed erogato nel novembre 1999.<br />
In seguito allo scioglimento del consiglio comunale per condizionamenti mafiosi, la<br />
commissione straordinaria, con atto n 13 del 2001, constatato che la somma necessaria<br />
all’acquisto dell’immobile era stata introitata nel bilancio comunale da oltre un anno e<br />
che, ciò nonostante, non si era proceduto alla stipulazione del contratto definitivo di<br />
acquisto, revocava la delibera consiliare n 55/97 a causa dell’incombente dissesto<br />
finanziario dell’ente, successivamente dichiarato dalla stessa commissione con atto n 15/<br />
2001.<br />
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3. Con sentenza n. 862/2003, la sezione giurisdizionale per la regione Calabria, ha escluso<br />
il danno relativamente agli interessi ed alla somma pagata al professionista e, ravvisata la<br />
corresponsabilità del responsabile del servizio finanziario, non convenuto dal requirente<br />
territoriale, ha condannato l’odierno appellante al pagamento di euro 28.888,72. I restanti<br />
amministratori, invece, sono stati assolti per mancanza del nesso di causalità.<br />
4. La decisione è stata impugnata da Sculco Antonio il quale chiede l’annullamento della<br />
sentenza ed il suo proscioglimento da ogni addebito. In via subordinata chiede l’esercizio<br />
del potere riduttivo e la conseguente riduzione della condanna.<br />
5. Il procuratore generale nelle proprie conclusioni, ha chiesto il rigetto del gravame e la<br />
conferma della sentenza.<br />
6. All’odierna udienza, il rappresentante del pubblico ministero ha insistito per il rigetto<br />
del gravame.<br />
MOTIVI <strong>DEL</strong>LA DECISIONE<br />
1. Il primo motivo di gravame concerne la violazione del principio di corrispondenza tra<br />
chiesto e pronunziato. Sostiene l’appellante che la somma di euro 27.888,72, alla quale è<br />
stato condannato, costituisce il 60% del controvalore in euro dell’importo della caparra<br />
penitenziale e che questa voce, per espressa ammissione contenuta nella sentenza, non è<br />
mai stata contestata come fatto generatore di responsabilità.<br />
Il pubblico ministero ritiene insussistente il lamentato vizio di extra petizione, perché<br />
l’importo della caparra era ricompreso nei 900 milioni del mutuo contratto per pagare<br />
l’intero prezzo d’acquisto e rileva che nella memoria di primo grado l’odierno appellante<br />
aveva affermato che l’unica somma spesa era proprio quella relativa alla caparra.<br />
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Osserva il collegio che nell'atto di citazione il requirente territoriale, oltre agli interessi da<br />
pagare sul mutuo, ed alle somme pagate al professionista esterno ha contestato come<br />
danno "la somma intera assunta a mutuo per l'acquisto del castello di Cirò e poi non<br />
utilizzata per pagare il castello stesso ai proprietari venditori o promittenti venditori. Tale<br />
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somma ammonta a lire 900.000.000" (atto di citazione pag, 41).<br />
Ancora più chiaramente il requirente territoriale ha sostenuto che "la mancanza della<br />
somma nelle casse dell'ente, quale ne sia stata la sua utilizzazione – ma certo non quella<br />
per cui il mutuo era stato assunto, per cui la somma era finalizzata – consente<br />
l'affermazione che costituisce danno tutto l'importo" (atto di citazione pag. 51).<br />
Il giudice di primo grado, dopo aver escluso il danno relativo agli interessi ed alla somma<br />
pagata al professionista, ha ritenuto sussistente il pregiudizio per l'ammontare della sorte<br />
capitale del mutuo. In particolare l'impugnata sentenza, dopo aver respinto l'eccezione<br />
dello stesso appellante relativa alla mancanza di prova di un diverso utilizzo della somma,<br />
afferma che "Trattandosi di gestione di pubblico denaro spetta agli amministratori la<br />
dimostrazione nei conti consuntivi, regolarmente deliberati, del loro utilizzo, con<br />
l'inversione dell'onere probatorio per responsabilità contabile".<br />
"Ricorrono nella fattispecie i due elementi qualificanti di tale responsabilità, la natura<br />
pubblica dell'ente per il quale gli amministratori agiscono e quella parimenti pubblica del<br />
denaro oggetto della gestione (<strong>Corte</strong> di Cassazione, Sezioni Unite 28 marzo 1974)".<br />
"In ogni caso è espressamente vietato il pagamento di spese correnti con somme prese a<br />
mutuo, cioè non si possono pagare spese correnti facendo ricorso all'indebitamento e tale<br />
divieto costituisce uno <strong>dei</strong> punti salienti per la corretta gestione delle amministrazioni<br />
locali; tale divieto, già presente nella normativa riguardante l'ordinamento contabile<br />
degli enti locali (art.44 decreto legislativo n.77 del 1995) è stato anche recepito<br />
nell'art.119 novellato della Costituzione".<br />
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"Non si può riconoscere l'utilità delle spese effettuate con la distrazione di somme a<br />
destinazione vincolata in quanto in tal modo verrebbero ad essere scardinati i principi<br />
cardine della corretta gestione pubblica, che prevedono la netta separazione tra spese<br />
correnti e quelle di investimento ed il divieto di indebitamento per fronteggiare debiti di<br />
parte corrente, che sarebbe prelusivo di un dissesto finanziario con negative conseguenze<br />
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sulla collettività amministrata ed in disarmonia rispetto al principio fondamentale del<br />
buon andamento di cui all'art.97 della Costituzione" (sentenza pag. 31-32).<br />
Risulta evidente, da quanto sopra riportato, che la condanna è stata pronunziata per la<br />
distrazione <strong>dei</strong> fondi acquisti con il mutuo e di ciò si ha conferma anche nella condotta<br />
addebitata. Infatti, dopo aver richiamato i poteri di direzione, controllo ed impulso<br />
dell'apparato burocratico, spettanti al sindaco nel nuovo come nel vecchio ordinamento<br />
delle autonomie locali, la sentenza afferma che "nella fattispecie, in virtù di tali poteri,<br />
esercitabili senza difficoltà in un apparato amministrativo di modeste dimensioni quale<br />
quello del Comune di Cirò, il Sindaco Sculco sarebbe dovuto intervenire per evitare il<br />
protrarsi per alcuni anni di una precaria situazione finanziaria con l'erosione delle<br />
disponibilità di cassa e con la distrazione di fondi vincolati".<br />
"E' evidente che l'attività richiesta, nella fattispecie, era quella necessaria all'adozione di<br />
provvedimenti ed all'avvio di iniziative diretti al ripristino della pesante situazione<br />
debitoria, tanto più in presenza degli obblighi assunti con la caparra penitenziale ai fini<br />
dell'acquisizione del castello".<br />
"Il Collegio giudica gravemente colposa la condotta dello Sculco nella considerazione<br />
che, in presenza di una precaria situazione finanziaria e di una inefficace attività di<br />
riscossione delle entrate, non ha ritenuto di accertarsi di quanto accadeva e sollecitare il<br />
responsabile del servizio finanziario per l'avvio delle necessarie iniziative e, se<br />
necessario, avviare nei suoi confronti provvedimenti disciplinari e/o sostitutivi" (sentenza<br />
pag. 37).<br />
Non vi è stata quindi alcuna pronunzia sulla perdita della caparra penitenziale, come<br />
sostenuto dall'appellante, tratto in inganno dalla coincidenza dell'importo di condanna con<br />
il 60% di 90 milioni (pari ad euro 27.888,72) e non di 900 milioni (pari ad euro<br />
278.886,72), circostanza la cui cognizione sfugge a questo giudice, in mancanza di<br />
qualsiasi impugnazione e/o richiesta da parte del pubblico ministero.<br />
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Per completezza va evidenziato che l'affermazione del giudice di primo grado, richiamata<br />
dall'appellante, secondo cui " non viene contestata agli amministratori la perdita della<br />
caparra penitenziale in quanto dovuta all'azione degli amministratori straordinari che<br />
hanno risolto il contratto producendo in via diretta ed immediata la perdita della predetta<br />
caparra", non è corretta, poiché nell'atto di citazione il procuratore regionale ha<br />
chiaramente affermato che "costituisce certamente danno la perdita della<br />
caparra" (pagina 55) e che "la perdita della caparra di novanta milioni è anch'essa,<br />
imputabile a chi si è determinato all'acquisto incautamente, senza avere ben chiari gli<br />
obiettivi ed in mancanza di mezzi finanziari per il recupero dell'edificio" (citazione pagina<br />
52, secondo capoverso).<br />
2. In via subordinata l’appellante eccepisce l’insindacabilità della scelta discrezionale di<br />
procedere all’acquisto dell’immobile, Sul punto osserva che la stessa procura regionale ha<br />
affermato che la decisione di impegnare parte delle risorse economiche comunali per<br />
acquistare l’immobile era una scelta discrezionale, sicché l’affermazione della sentenza,<br />
secondo la quale non è stata contestata la scelta operata, si pone su un piano diverso<br />
rispetto all’atto di citazione. Sostiene, inoltre che la decisione di acquistare l’immobile è<br />
stata ponderata, che sono state assunte tutte le relative deliberazioni e che<br />
l’amministrazione si era rivolta ad un professionista esterno, incaricato con delibera<br />
252/1996, sui cui suggerimenti ha fatto affidamento<br />
Il procuratore generale sostiene invece che l’atto di citazione e la sentenza impugnata non<br />
contestano la decisione di acquistare l’immobile, ma comportamenti gestionali connotati<br />
da mancanza di diligenza, da grave disinteresse per la precaria situazione finanziaria<br />
dell’ente. Contesta poi il legittimo affidamento riposto sul consulente esterno che dagli atti<br />
di causa non risulta si sia mai pronunziato sulla condotta gestionale da seguire<br />
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Le osservazioni del requirente colgono nel segno. Infatti, nell'atto di citazione il requirente<br />
territoriale, afferma che l'ente ha deliberato l'acquisto del bene "senza avere chiara né la<br />
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prospettiva di quale uso farne, né quella non meno importante di quali mezzi impiegare,<br />
dove trovarli, per il riadattamento dell'immobile, quale che fosse l'uso che si sarebbe<br />
deciso di farne" (citazione pag42), che "in una situazione in cui il passivo andava<br />
aumentando, in una situazione in cui talvolta – o, certo, mai per periodi superiori ai due<br />
mesi! – non si riusciva a pagare gli stipendi del personale … ci si è avventurati<br />
coscientemente, volontariamente in un acquisto per cui non esistevano i mezzi" (pag.<br />
54/55) ed ancora più chiaramente che" il danno è la conseguenza causalmente logica <strong>dei</strong><br />
comportamenti di quanti hanno voluto l'acquisto del bene senza curarsi di tutte le<br />
conseguenze successive, senza curarsi di commisurare i mezzi disponibili alla spesa<br />
effettivamente necessaria, senza curarsi dell'andamento della finanza dell'Ente" (pag 62) .<br />
Appare, pertanto, corretta, l'affermazione dl giudice di primo grado il quale ha ritenuto che<br />
"la contestazione nei confronti degli amministratori del Comune di Cirò non si riferisce<br />
alla scelta discrezionale di acquistare il castello bensì alle modalità con le quali è stata<br />
impostata e gestita la procedura di acquisto, alla compatibilità finanziaria della spesa<br />
prevista con la situazione in cui si è trovato a gestire in quel periodo il Comune stesso,<br />
alla perdita della caparra penitenziale incautamente pagata, alla violazione delle<br />
disposizioni in tema di utilizzo di entrate a destinazione vincolata" (sentenza pag 25/26).<br />
L'esatta individuazione della condotta contestata rende irrilevanti le argomentazioni<br />
relative alla legittimità dell'azione amministrativa ed all'asserito affidamento riposto sul<br />
consulente esterno.<br />
3. L’appellante eccepisce ancora che non risulta provato che i fondi acquisti con il mutuo<br />
sono stati adoperati per pagare le spese correnti, che in questo caso non vi sarebbe alcun<br />
danno e che l'eventuale pregiudizio ogni caso sarebbe addebitabile soltanto la responsabile<br />
del servizio di ragioneria.<br />
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Si tratta della mera riproposizione delle eccezioni difensive formulate in primo grado,<br />
senza alcuna contestazione delle argomentazioni svolte dal giudice territoriale, alle quali il<br />
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collegio rinvia condividendone il contenuto. In particolare va ricordato che la somma di<br />
lire 900 milioni è stata regolarmente incassata dal Comune e che la commissione<br />
straordinaria, subentrata a seguito dello scioglimento del Consiglio comunale per mafia,<br />
non le ha rinvenute in cassa, sicché, "trattandosi di gestione di pubblico denaro spetta agli<br />
amministratori la dimostrazione nei conti consuntivi, regolarmente deliberati, del loro<br />
utilizzo ", che "non si può riconoscere l'utilità delle spese effettuate con la distrazione di<br />
somme a destinazione vincolata in quanto in tal modo verrebbero ad essere scardinati i<br />
principi cardine della corretta gestione pubblica" e che il responsabile del servizio<br />
ragioneria è stato ritenuto corresponsabile nella misura del 40% del danno.<br />
4. L'appellante, infine, chiede la riduzione della condanna in applicazione del potere<br />
riduttivo. Sul punto il collegio, condividendo le osservazioni del procuratore generale, non<br />
rinviene elementi o circostanze che possono giustificare il ricorso a questo istituto, anche<br />
tenendo conto del ridotto ammontare della condanna rispetto al danno accertato.<br />
6. Le spese, del presente grado, che si liquidano nel dispositivo, seguono la soccombenza.<br />
P Q M<br />
La <strong>Corte</strong> <strong>dei</strong> conti, sezione seconda giurisdizionale centrale, definitivamente<br />
pronunciando, ogni contraria ragione ed istanza reiette, respinge l'appello iscritto al<br />
numero 20729 del registro di segreteria, proposto da Sculco Antonio avverso la sentenza<br />
n. 862/2003 della sezione giurisdizionale per la regione Calabria.<br />
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che si<br />
liquidano in euro 206,01 (duecentosei/01).<br />
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 novembre 2009.<br />
IL RELATORE IL PRESIDENTE<br />
(dott. Mario Pischedda) (dott. Carmelo Geraci)<br />
F.to Mario Pischedda F.to Carmelo Geraci<br />
Depositata in Segreteria il 20 settembre 2010<br />
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Il Direttore della Segreteria<br />
F.to Andreana Basoli<br />
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