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TESI DI LAUREA in Economia Civile VOICE OR - Aiccon

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Alma Mater Studiorum<br />

Università di Bologna<br />

FACOLTÀ di ECONOMIA - Sede di Forlì<br />

Corso di Laurea Specialistica <strong>in</strong><br />

<strong>Economia</strong> e Management delle Imprese Coop. e delle Organizzazioni Non-Profit<br />

(Classe 84/S - Scienze Economico-Aziendali)<br />

<strong>TESI</strong> <strong>DI</strong> <strong>LAUREA</strong><br />

<strong>in</strong> <strong>Economia</strong> <strong>Civile</strong><br />

<strong>VOICE</strong> <strong>OR</strong> <strong>VOICE</strong>LESS GROWTH?<br />

Il rapporto tra democrazia e sviluppo<br />

CAN<strong>DI</strong>DATO: RELAT<strong>OR</strong>E:<br />

Sara Rago Prof. Stefano Zamagni<br />

N° matricola 0000270721<br />

Anno Accademico 2007/2008<br />

Sessione I


Ode alla vita<br />

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitud<strong>in</strong>e,<br />

ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,<br />

chi non cambia la marcia,<br />

chi non rischia e cambia colore dei vestiti,<br />

chi non parla a chi non conosce.<br />

Muore lentamente chi fa della televisione il suo guru.<br />

Muore lentamente chi evita una passione,<br />

chi preferisce il nero su bianco e i punt<strong>in</strong>i sulle “i”<br />

piuttosto che un <strong>in</strong>sieme di emozioni,<br />

proprio quelle che fanno brillare gli occhi,<br />

quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,<br />

quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.<br />

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,<br />

chi è <strong>in</strong>felice sul lavoro,<br />

chi non rischia la certezza per l'<strong>in</strong>certezza, per <strong>in</strong>seguire un sogno,<br />

chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.<br />

Lentamente muore chi non viaggia,<br />

chi non legge, chi non ascolta musica,<br />

chi non trova grazia <strong>in</strong> se stesso.<br />

Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio,<br />

chi non si lascia aiutare;<br />

chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia <strong>in</strong>cessante.<br />

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di <strong>in</strong>iziarlo,<br />

chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,<br />

chi non risponde quando gli si chiede qualcosa che conosce.<br />

Evitiamo la morte a piccole dosi,<br />

ricordando sempre che essere vivo<br />

richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.<br />

Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.<br />

Pablo Neruda<br />

A coloro che, ciascuno <strong>in</strong> modo diverso, mi hanno permesso di scrivere questo lavoro,<br />

di sviluppare le idee che ne stanno alla base e condividono con me degli ideali forti e a<br />

volte scomodi per il mondo d’oggi.<br />

Grazie, perché senza di Voi non ce l’avrei mai fatta ad arrivare f<strong>in</strong>o a qui e perché so<br />

che sarete sempre con me anche <strong>in</strong> futuro.<br />

Sara


IN<strong>DI</strong>CE<br />

INTRODUZIONE……………………………………………………………………...3<br />

CAPITOLO 1 – LE <strong>OR</strong>IGINI DELLA DEMOCRAZIA E GLI SVILUPPI<br />

IN SOCIETÀ IN<strong>DI</strong>VIDUALISTE E COMPETITIVE<br />

1.1 Gli albori della democrazia: quando l’uomo era “al centro”………………….7<br />

1.2 Le rivoluzioni <strong>in</strong>dustriali del XVIII e XIX secolo: le basi per la<br />

democrazia moderna……………………….………………….……………..10<br />

1.2.1 La prima rivoluzione <strong>in</strong>dustriale………………….………………..10<br />

1.2.2 La seconda rivoluzione <strong>in</strong>dustriale………………………………....13<br />

1.3 Il paradigma dell’homo oeconomicus: <strong>in</strong>dividualismo ed utilitarismo………15<br />

1.3.1 Il mutamento del pensiero economico-filosofico…………………..15<br />

1.3.2 L’utilitarismo e l’homo oeconomicus………………………………17<br />

1.4 Il punto di vista politico: la democrazia elitistico-competitiva………………24<br />

1.4.1 La rappresentanza attraverso le élites politiche…………………….24<br />

1.4.2 La competizione tra partiti………………………………………….27<br />

1.4.3 Critiche al modello elitistico-competitivo………………………….29<br />

CAPITOLO 2 – UNA NUOVA RIVOLUZIONE POLITICO-ECONOMICA:<br />

LA GLOBALIZZAZIONE<br />

2.1 La terza rivoluzione <strong>in</strong>dustriale: l’era della globalizzazione e delle<br />

sue conseguenze……………………………………………………………..32<br />

2.1.1 Le teorie del commercio <strong>in</strong>ternazionale……………………………33<br />

2.1.2 La globalizzazione economica: caratteristiche dist<strong>in</strong>tive…………..51<br />

2.2 Per una convivenza tra democrazia e globalizzazione………………………59<br />

2.2.1 La conservazione della varietà istituzionale……………………..…59<br />

2.2.2 La società civile come policy-maker……………………………….61<br />

2.2.3 Una politica globale di redistribuzione………………………….….64<br />

CAPITOLO 3 – LA RELAZIONE TRA DEMOCRAZIA E SVILUPPO<br />

ECONOMICO<br />

3.1 Crescita, sviluppo e relativi <strong>in</strong>dicatori……………………………………….65<br />

3.1.1 Le pr<strong>in</strong>cipali teorie della crescita…………………………………..65<br />

3.1.2 La crescita economica e il PIL……………………………………..68<br />

3.1.3 Lo sviluppo umano e l’H<strong>DI</strong>………………………………………..71<br />

3.1.4 Analisi empirica delle componenti dell’H<strong>DI</strong>………………………74<br />

3.2 Viene prima lo sviluppo economico o la democrazia? ……………………...78<br />

3.3 Comprendere il ruolo delle istituzioni per cogliere la relazione tra<br />

democrazia e sviluppo………………………………………………………..81<br />

1


3.3.1 I diversi approcci all’analisi istituzionale-economica……………...81<br />

3.3.2 Interdipendenza tra istituzioni economiche e istituzioni politiche…90<br />

3.3.3 L’<strong>in</strong>cidenza del concetto di “cultura” sul funzionamento<br />

ottimale delle istituzioni……………………………………………95<br />

3.3.4 Supremazia della legge, apertura economica, democrazia e<br />

crescita di un paese………………………………………………..101<br />

3.4 Democrazia, sviluppo e libertà: i diversi approcci………………………….109<br />

3.4.1 Il libertarismo morale di Nozick………………………………......109<br />

3.4.2 L’egualitarismo liberale di Rawls………………………………....111<br />

3.4.3 Il concetto di libertà di Amartya Sen……………………………...114<br />

3.4.4 Democrazia illiberale e sviluppo sotto dittatura…………………..116<br />

CAPITOLO 4 – L’ALTERNATIVA: UN ALTRO HOMO E UN’ALTRA<br />

DEMOCRAZIA<br />

4.1 L’<strong>in</strong>adeguatezza della dottr<strong>in</strong>a utilitaristica e dell’homo oeconomicus……127<br />

4.2 Il rapporto tra democrazia ed eguaglianza……………………..…………..130<br />

4.3 Le fondamenta per un nuovo modello democratico……………………….132<br />

4.3.1 La democrazia come bene relazionale……………………………132<br />

4.3.2 La rivalsa dell’homo reciprocans e dell’<strong>in</strong>telligenza “emotiva”....135<br />

4.4 Lo sviluppo futuro della democrazia: verso una democrazia deliberativa...138<br />

4.4.1 La democrazia deliberativa……………………………………….138<br />

4.4.2 Gli effetti economici della democrazia diretta……………………143<br />

4.4.3 La partecipazione diretta nelle realtà globali e locali…………….144<br />

4.4.4 Gli strumenti e i mezzi delle ICT per la diffusione della<br />

partecipazione…………………………………………………….156<br />

CAPITOLO 5 – IL NON PROFIT NELLA PROMOZIONE <strong>DI</strong> DEMOCRAZIA<br />

E SVILUPPO<br />

5.1 Il non profit e la partecipazione alla vita civile…………………………..163<br />

5.2 Il non profit e lo sviluppo di una società…………………………………171<br />

5.2.1 Il capitale sociale…………………………………………………171<br />

5.2.2 Modalità di supporto allo sviluppo da parte delle diverse<br />

tipologie di organizzazioni della società civile…………………..174<br />

CONCLUSIONI………………………………..…………………………………...179<br />

BIBLIOGRAFIA………………………………..…………………………………..184<br />

SITOGRAFIA………………………………..……………………………………..192<br />

2


INTRODUZIONE<br />

“Il presupposto della costituzione democratica è la libertà,<br />

tanto che si dice che solo con questa costituzione è possibile godere della libertà,<br />

che si afferma essere il f<strong>in</strong>e di ogni democrazia.<br />

Una delle caratteristiche della libertà è che le stesse persone <strong>in</strong> parte siano comandate<br />

e <strong>in</strong> parte comand<strong>in</strong>o.<br />

[...] Questi dunque sono i caratteri comuni a tutte le democrazie,<br />

e da quella che unanimemente si concorda essere la giustizia secondo i canoni<br />

democratici (cioè che tutti abbiano lo stesso secondo il numero)<br />

deriva quella che più di ogni altra sembra essere democrazia e governo di popolo.<br />

L’uguaglianza consiste nel fatto che non comand<strong>in</strong>o più i poveri dei ricchi,<br />

che non siano sovrani i primi soltanto,<br />

ma tutti secondo rapporti numerici di uguaglianza.<br />

E questo sarebbe l’unico modo per ritenere realizzate l’uguaglianza<br />

e la libertà nella costituzione”.<br />

3<br />

(Aristotele, Politica)<br />

Come si può riscontrare nella citazione riportata, già Aristotele, nel IV secolo a.C.,<br />

def<strong>in</strong>iva la libertà come il presupposto necessario aff<strong>in</strong>ché si potesse realizzare una<br />

forma di governo democratica; libertà che si esplica non attraverso la superiorità e<br />

l’imposizione “dell’uno sull’altro”, ma sull’eguaglianza dei cittad<strong>in</strong>i, se non formale<br />

(data l’esistenza delle classi sociali) almeno sostanziale (<strong>in</strong>tesa come diritto civile), nel<br />

prendere decisioni che riguardano il popolo nella sua <strong>in</strong>terezza.<br />

Parte dunque dall’Atene della prima metà del V secolo a.C. il percorso per<br />

comprendere il significato del term<strong>in</strong>e democrazia, la sua evoluzione<br />

nell’<strong>in</strong>terpretazione e nell’applicazione nei differenti periodi storici che si sono<br />

susseguiti, e il suo stretto legame con il concetto di sviluppo economico, anch’esso<br />

mutevole e dipendente dalle variabili storiche che ne hanno caratterizzato, di volta <strong>in</strong><br />

volta, il contenuto.<br />

L’impronta storica data al lavoro permette di comprendere gradualmente le<br />

d<strong>in</strong>amiche che hanno portato all’evoluzione parallela dei concetti, i quali sono andati a<br />

convergere <strong>in</strong> un modello politico-economico, a mio parere, limitato e


contemporaneamente limitante l’essere umano, espressione solo di alcuni dei lati<br />

caratteristici dell’agire della persona.<br />

C’è chi sostiene, <strong>in</strong>fatti, che la democrazia raggiunga la sua massima espressione nel<br />

momento <strong>in</strong> cui i cittad<strong>in</strong>i decidono di delegare il potere pubblico ad un nucleo di<br />

soggetti, una élite la quale, date le competenze di cui i componenti si fanno depositari,<br />

prende decisioni per conto di coloro che li hanno eletti democraticamente (attraverso il<br />

sistema della votazione): si tratta del concetto di democrazia elitistico-competitiva, la<br />

quale trova nel concetto di homo oeconomicus, impostosi a seguito delle prime due<br />

rivoluzioni <strong>in</strong>dustriali e dell’affermazione della dottr<strong>in</strong>a economica utilitarista, il suo<br />

miglior esponente.<br />

Tuttavia, l’evoluzione storica, attraverso un ulteriore mutamento multidimensionale,<br />

la globalizzazione, ha messo <strong>in</strong> evidenza l’<strong>in</strong>adeguatezza dell’homo oeconomicus nel<br />

rispondere alle esigenze che la globalizzazione pone necessariamente <strong>in</strong> essere.<br />

Per questo motivo c’è una corrente di pensiero che sostiene che anche una<br />

democrazia improntata su queste basi sia riduttiva nonché estraniante il cittad<strong>in</strong>o dalla<br />

vita civile; i soggetti che portano avanti questa idea <strong>in</strong>coraggiano un tipo di democrazia<br />

richiedente la partecipazione del popolo <strong>in</strong> modo diretto, f<strong>in</strong>o a diventare una<br />

democrazia di natura deliberativa.<br />

Chi aderisce a questa <strong>in</strong>terpretazione sostiene l’esistenza di un altro homo, il c.d.<br />

homo reciprocans: una persona il cui agire è dettato non dalla ricerca del bene totale<br />

(cui tende l’homo oeconomicus), bensì del bene comune.<br />

Infatti, come sostenne Mart<strong>in</strong> Luther K<strong>in</strong>g (1963):<br />

“Tutti gli esseri viventi sono <strong>in</strong>terconnessi,<br />

siamo tutti co<strong>in</strong>volti <strong>in</strong> un'<strong>in</strong>estricabile rete di mutualità<br />

che ci lega ad un s<strong>in</strong>golo dest<strong>in</strong>o.<br />

Qualsiasi cosa <strong>in</strong>fluenza qualcuno direttamente,<br />

<strong>in</strong>fluenza anche qualcun altro <strong>in</strong>direttamente”<br />

ed ignorare questa rete di <strong>in</strong>terconnessioni non significa altro se non ignorare la<br />

realtà dei fatti.<br />

In merito al rapporto tra democrazia e sviluppo economico, le correnti di pensiero<br />

vanno <strong>in</strong> due direzioni opposte: da una parte, quella di chi ritiene che lo sviluppo<br />

economico nasca prima della democrazia e che, qu<strong>in</strong>di, sia il presupposto necessario per<br />

la sua nascita ed il suo divenire; dall’altra, quella di chi ritiene che l’esistenza della<br />

democrazia sia basilare per poter generare lo sviluppo economico di un paese.<br />

4


Anche <strong>in</strong> relazione a questo tema, l’analisi storica è fondamentale per comprendere<br />

la limitatezza del relegare il concetto di sviluppo ad una dimensione puramente<br />

economica: così come l’idea di globalizzazione, anche quella di sviluppo può (ma<br />

soprattutto dovrebbe) essere analizzata da diversi punti di vista.<br />

Basilare è l’esame di quest’ultimo concetto dal punto di vista umano: non si può,<br />

<strong>in</strong>fatti, presc<strong>in</strong>dere dal comprendere quali sono le componenti che permettono ad una<br />

persona di vivere nelle condizioni migliori la propria vita ed è facilmente comprensibile<br />

che, per quanto l’aspetto economico possa essere importante per l’esistenza di una<br />

persona, da solo esso non garantisce uno sviluppo duraturo nel tempo della società<br />

civile nel suo <strong>in</strong>sieme.<br />

In questo lavoro, perciò, gli obiettivi che mi prefisso di perseguire sono quelli di:<br />

comprendere e dimostrare quale sia il concetto di democrazia più aderente alle<br />

necessità della nostra società, attraverso l’analisi del modo <strong>in</strong> cui le società del<br />

passato hanno riempito di significato questo term<strong>in</strong>e, dato che, come sosteneva<br />

Hegel: “Lo Stato è la storia di un popolo”, nonché analizzare le d<strong>in</strong>amiche<br />

storiche e politico-economiche che hanno portato all’affermazione di una<br />

particolare dottr<strong>in</strong>a economica (l’utilitarismo), rappresentante della quale si fa<br />

uno specifico tipo di <strong>in</strong>dividuo: l’homo oeconomicus (capitolo 1);<br />

capire gli sviluppi che hanno condotto alla globalizzazione, <strong>in</strong> particolare dal<br />

punto di vista economico, le conseguenze di questo fenomeno <strong>in</strong>terdiscipl<strong>in</strong>are e<br />

mondiale nonché le ripercussioni rispetto al concetto di democrazia (capitolo 2);<br />

<strong>in</strong>dagare il rapporto tra democrazia e sviluppo economico, alla luce della<br />

puntualizzazione della differenza esistente tra i concetti di crescita e sviluppo e<br />

dell’elencazione delle componenti fondamentali per concretizzare il concetto di<br />

sviluppo umano (capitolo 3);<br />

proporre un’alternativa a quanto f<strong>in</strong>o ad ora esposto: sulla base delle <strong>in</strong>dicazioni<br />

tratte dall’analisi condotta, si tratta di identificare una proposta alternativa, sia<br />

per quel che riguarda la realizzazione di un governo democratico differente<br />

(democrazia deliberativa e, più <strong>in</strong> generale, diretta), sia <strong>in</strong> merito all’idealtipo di<br />

homo auspicabile (homo reciprocans), così come gli strumenti necessari al<br />

raggiungimento degli obiettivi democratici del nostro tempo (capitolo 4);<br />

osservare il ruolo del non-profit come pluralità di soggetti che possono facilitare<br />

la partecipazione diretta dei cittad<strong>in</strong>i e catalizzare lo sviluppo della società civile<br />

5


e comprendere le necessità e le richieste da parte degli attori di questo mondo<br />

aff<strong>in</strong>ché si possa potenziare la loro attività (capitolo 5).<br />

6


Capitolo<br />

1<br />

“Le orig<strong>in</strong>i della democrazia<br />

7<br />

e gli sviluppi <strong>in</strong> società<br />

<strong>in</strong>dividualiste e competitive”<br />

1.1 Gli albori della democrazia: quando l’uomo era al “centro”<br />

La parola democrazia (demokratia) è un term<strong>in</strong>e già di per sé ricco di significato:<br />

deriva dall’unione dei term<strong>in</strong>i greci demos, cioè popolo e kratos, ovvero forza, potere,<br />

governo, perciò è letteralmente il “governo del popolo”. Ma, mentre il significato di<br />

“kratos” è univoco, non si può dire altrettanto di “demos”, il quale può <strong>in</strong>dicare<br />

l’<strong>in</strong>sieme di coloro che godono di diritti di cittad<strong>in</strong>anza oppure solo una parte di<br />

cittad<strong>in</strong>i oppure può costituire l’equivalente di “Assemblea” (Greblo, 2000).<br />

La democrazia – anche se non ancora chiamata <strong>in</strong> questi term<strong>in</strong>i, poiché il vocabolo<br />

risale alla metà del V secolo a.C. – nacque ad Atene nel 508-507 a.C. con Clistene, che<br />

<strong>in</strong>trodusse importanti riforme atte a modificare l’organizzazione politica della<br />

cittad<strong>in</strong>anza, e venne abolita nel 322 a.C. con la conquista macedone della città.<br />

Il carattere dist<strong>in</strong>tivo della democrazia ateniese risulta essere l’“esclusività”, <strong>in</strong><br />

quanto essa è considerata più come l’estensione di un privilegio che come la<br />

realizzazione effettiva di un diritto universale (Greblo, 2000); <strong>in</strong>fatti, venivano esclusi<br />

dai diritti politici le donne, i meteci, gli immigrati, gli schiavi. Non tutti, perciò,<br />

potevano <strong>in</strong>tervenire nel prendere decisioni che riguardavano il popolo.<br />

Tra la seconda metà del V e l’<strong>in</strong>izio del IV secolo a.C. , la filosofia <strong>in</strong>com<strong>in</strong>ciò ad<br />

occuparsi della democrazia tramite i Sofisti, degli <strong>in</strong>tellettuali (i c.d. “sapienti”) che<br />

<strong>in</strong>segnavano l’arte della “parola” – da loro ritenuta lo strumento tecnico che permette di<br />

“pensare” – attraverso un modello di “sapere” per tutti, nessuno escluso. Per i Sofisti era<br />

impensabile che potesse esistere qualcuno non facente parte della politica della città,<br />

poiché, secondo loro, l’<strong>in</strong>dividuo doveva essere posto al centro; i Sofisti, qu<strong>in</strong>di, si<br />

fecero promotori dell’Atene democratica e furono testimoni del passaggio da polis<br />

monarchica ad oligarchica e, successivamente, democratica, <strong>in</strong> cui i cittad<strong>in</strong>i più capaci<br />

e virtuosi vengono a porsi come modello educativo per tutti gli altri.


Interpretazione differente e critica del concetto di democrazia è quella di Platone<br />

(428-348 a.C.), secondo cui era “giusta la comunità politica nella quale ciascuno<br />

esercita l’attività cui lo dest<strong>in</strong>a la propria <strong>in</strong>cl<strong>in</strong>azione naturale” e <strong>in</strong> cui il potere<br />

politico e la filosofia sono nelle mani delle stesse persone. La comunità elaborata da<br />

Platone prendeva il nome di “Repubblica”, si basava sul concetto di giustizia ed era<br />

formata da tre classi, cui corrispondevano rispettivamente tre differenti virtù:<br />

a. i governanti (detentori di sapienza): sono i filosofi, conv<strong>in</strong>ti che la giustizia<br />

co<strong>in</strong>cida con il bene e la felicità del popolo, scelgono chi è più adatto, <strong>in</strong> base<br />

alle doti (cioè a quale parte dell’anima è più sviluppata: desiderosa, animosa o<br />

razionale) per far parte di ogni classe (pur rimanendo sempre possibile il<br />

passaggio da una classe all’altra, qualora si mostrassero sviluppate nuove<br />

caratteristiche);<br />

b. i guardiani (detentori di coraggio): hanno il compito della difesa – anche<br />

morale – della città; queste due prime classi non possiedono “beni privati”,<br />

pertanto Platone dà vita ad un “comunismo di beni e di affetti” (comunismo<br />

platonico);<br />

c. i produttori (detentori di temperanza – capacità di misurare il desiderio): sono<br />

gli artigiani e i commercianti, che hanno la possibilità di possedere beni privati<br />

e che lavorano.<br />

Platone presupponeva, <strong>in</strong>oltre, una scissione della vita economica da quella politica,<br />

ed <strong>in</strong>dividuava quattro tipi possibili di Stato degenerato:<br />

1. la timocrazia: il governo del terrore;<br />

2. l’oligarchia: il governo dei ricchi;<br />

3. la democrazia: il governo anarchico;<br />

4. la tirannia: l’ulteriore degenerazione della democrazia, dovuta all’eccessiva<br />

libertà.<br />

Il concetto di democrazia era, perciò, considerato <strong>in</strong> maniera assolutamente negativa<br />

da Platone, il quale non auspicava all’esistenza di alcuno di questi quattro tipi di Stato,<br />

nella conv<strong>in</strong>zione che potessero essere evitati attraverso l’esistenza di un “sistema<br />

educativo” (paideia, ovvero, appunto, l’educazione), perseguito dai governanti i quali,<br />

da un lato, possiedono le capacità per governare la Repubblica e, dall’altro, sono tenuti<br />

a farlo, aff<strong>in</strong>ché la società non degeneri.<br />

Seppure l’<strong>in</strong>terpretazione del concetto di democrazia di Platone sia discutibile, ciò su<br />

cui non si può ribattere è, <strong>in</strong>vece, l’importanza del ruolo ricoperto dalla paideia nella<br />

8


gestione ottimale di uno Stato; anzi, sempre di più nel tempo l’istruzione e l’educazione<br />

si sono rivelati elementi fondamentali per lo sviluppo umano ed economico di un paese.<br />

L’op<strong>in</strong>ione di Platone venne ripresa da Aristotele (384-322 a.C.), il quale sostenne<br />

nella “Politica” che l’uomo è un animale politico e sociale, il quale realizza se stesso<br />

all’<strong>in</strong>terno della polis, la comunità della quale fa parte; la politica è l’unione degli esseri<br />

umani per “vivere bene” e la polis lo spazio <strong>in</strong> cui essi sono liberi di <strong>in</strong>contrarsi e <strong>in</strong> cui<br />

sono caratterizzati da uguaglianza.<br />

Proprio per questo motivo, Aristotele condannò Platone sostenendo che la<br />

Repubblica sia errata poiché la polis è “unità di molteplicità e non si possono abolire le<br />

diversità”.<br />

Le forme di governo possibile per Aristotele erano (Greblo, 2000 e Taroni, 2004):<br />

a. il regno o monarchia: il governo di “uno solo”;<br />

b. l’aristocrazia: il governo di pochi (gli aristòi, <strong>in</strong> greco i “migliori”);<br />

c. la politeia: il governo di molti; per Aristotele risulta essere la migliore forma di<br />

governo auspicabile poiché meno soggetta a rivoluzioni.<br />

Se mal <strong>in</strong>terpretate, queste possono degenerare <strong>in</strong>:<br />

a. tirannide o dittatura: la situazione politica <strong>in</strong> cui l’unico soggetto governante non<br />

gode del favore dei sudditi, ha usurpato il potere e lo usa a proprio esclusivo<br />

vantaggio;<br />

b. oligarchia: quando i pochi che detengono il potere non sono i migliori, ma i più<br />

ricchi, che perseguono solo i propri <strong>in</strong>teressi;<br />

c. democrazia, quando a dom<strong>in</strong>are sono la confusione e la demagogia, che<br />

impediscono la realizzazione di un governo razionale.<br />

Anche per Aristotele, qu<strong>in</strong>di, così come per Platone, la democrazia non era una<br />

forma di governo auspicabile, pur restando “la peggiore delle costituzioni buone e la<br />

migliore di quelle cattive” (Greblo, 2000).<br />

Del tutto simile alla visione di Aristotele, seppure di gran lunga successiva dal punto<br />

di vista temporale, è il pensiero sulla democrazia di Tommaso D’Aqu<strong>in</strong>o (1221 o 1225-<br />

1274), sia per la concezione dell’uomo come animale socievole, che per la tripartizione<br />

delle forme di governo realizzabili e delle loro degenerazioni (tra cui ritroviamo la<br />

democrazia).<br />

Tuttavia si può sostenere che, dal momento <strong>in</strong> cui, nel 322 a.C., si conclude la<br />

democrazia ateniese, viene ad est<strong>in</strong>guersi non solo l’argomento ma anche la parola<br />

stessa, con il passaggio al term<strong>in</strong>e repubblica (da res publica, la “cosa di tutti”), con il<br />

9


quale si <strong>in</strong>dica un “sistema politico aperto (potenzialmente) a tutti nell’<strong>in</strong>teresse di tutti”<br />

(Greblo, 2000).<br />

L’analogia tra repubblica e democrazia si può, comunque, riscontrare nell’idea che<br />

l’<strong>in</strong>dole sociale degli uom<strong>in</strong>i comporti la necessità dell’unione degli <strong>in</strong>dividui <strong>in</strong><br />

un’associazione politica <strong>in</strong> cui i cittad<strong>in</strong>i siano forniti di virtù civica, tale per cui il<br />

repubblicanesimo, attraverso la dottr<strong>in</strong>a della rappresentanza, si fa mezzo al servizio<br />

della democrazia nel contesto storico-politico del XV-XVI secolo d.C. .<br />

1.2 Le rivoluzioni <strong>in</strong>dustriali del XVIII e XIX secolo: le basi della<br />

democrazia moderna<br />

1.2.1 La prima rivoluzione <strong>in</strong>dustriale<br />

All’<strong>in</strong>izio del XVIII secolo prese il via <strong>in</strong> Inghilterra quell’<strong>in</strong>sieme di eventi – forse il<br />

più importante della nostra epoca – che va sotto il nome di prima rivoluzione<br />

<strong>in</strong>dustriale: “rivoluzione” <strong>in</strong> analogia con gli eventi politici e sociali francesi di f<strong>in</strong>e<br />

Settecento; “<strong>in</strong>dustriale” a causa del verificarsi di una rapida e <strong>in</strong>tensa trasformazione<br />

nell'organizzazione tecnico-economica delle lavorazioni di materie prime accompagnato<br />

dalla meccanizzazione, imputabile alla coesistenza di situazioni favorevoli:<br />

la rivoluzione agraria;<br />

l’<strong>in</strong>cremento demografico;<br />

la creazione di un vasto mercato nazionale;<br />

una nobiltà disponibile all'attività imprenditoriale;<br />

una borghesia <strong>in</strong>traprendente, sufficientemente tutelata dalla legislazione;<br />

una mentalità aperta alle novità, plasmata dall'etica protestante del lavoro;<br />

i progressi tecnici legati allo sviluppo del pensiero scientifico;<br />

lo sviluppo dei trasporti;<br />

il territorio favorevole.<br />

Secondo la def<strong>in</strong>izione che ne dà Kuznets (1990, p. 89), per sviluppo economico si<br />

<strong>in</strong>tende:<br />

“l’aumento nel lungo periodo della capacità di fornire beni economici sempre più<br />

diversificati alla popolazione. […] Tale crescente capacità si fonda sul progresso<br />

tecnologico e sugli aggiustamenti, sia istituzionali che ideologici, che esso rende<br />

necessari”.<br />

10


Prima del XVIII secolo già si erano verificati numerosi e <strong>in</strong>teressanti casi di sviluppo<br />

economico: tuttavia, essi furono relativamente limitati nel tempo e nello spazio.<br />

Ciò che accadde tra il 1750 e il 1780 si dist<strong>in</strong>gue da analoghi fenomeni precedenti<br />

per il fatto di essere stato irreversibile, almeno nell’esperienza storica di lungo andare,<br />

caratterizzato da elevati tassi di crescita della produzione e accompagnato quasi<br />

ovunque da radicali mutamenti demografici, strutturali e sociali (AA. VV., 2005).<br />

È, perciò, opportuno sostenere che la prima rivoluzione <strong>in</strong>dustriale sia stata portatrice<br />

di una fase di sviluppo economico f<strong>in</strong>o a quel momento mai conosciuta, <strong>in</strong> quanto sua<br />

caratteristica pr<strong>in</strong>cipale fu il progresso tecnologico e il diffondersi e il trasformarsi<br />

dell’economia <strong>in</strong>dustriale, <strong>in</strong> particolare nel settore tessile-metallurgico.<br />

Lo sviluppo economico orig<strong>in</strong>atosi <strong>in</strong> Inghilterra può dirsi convergente al concetto di<br />

sviluppo capitalistico, def<strong>in</strong>ito dalla scuola economica classica, sviluppatasi <strong>in</strong> Gran<br />

Bretagna tra la seconda metà del XVIII e la prima metà del XIX secolo, tra i cui<br />

esponenti si possono citare Adam Smith (1723-1790), David Ricardo (1772-1823),<br />

Thomas Robert Malthus (1766-1834) e John Stuart Mill (1806-1873) (Boggio,<br />

Seravalli, 2003).<br />

Secondo questa concezione, per l’attività <strong>in</strong>dustriale occorre spendere un capitale <strong>in</strong><br />

macch<strong>in</strong>e, attrezzature, materie prime (beni capitali) e, allora, ciò poteva essere<br />

realizzato solo da alcuni soggetti ben determ<strong>in</strong>ati.<br />

La società capitalistica era divisa <strong>in</strong> tre classi fondamentali, le quali percepivano un<br />

reddito derivante dall’attività produttiva <strong>in</strong> forme differenti:<br />

lavoratori, i quali ricevevano un salario;<br />

proprietari terrieri, i quali ricevevano una rendita;<br />

capitalisti, i quali ricevevano un profitto.<br />

All’epoca della prima rivoluzione <strong>in</strong>dustriale, si può supporre che il salario fosse al<br />

livello di sussistenza e, qu<strong>in</strong>di, che venisse <strong>in</strong>teramente consumato dai lavoratori; che<br />

anche i proprietari terrieri consumassero per <strong>in</strong>tero le loro rendite; che, <strong>in</strong>vece, i<br />

capitalisti re<strong>in</strong>vestissero per <strong>in</strong>tero o quasi i loro profitti.<br />

Tutto ciò permette di comprendere come l’affermazione sempre più netta di una sola<br />

classe sociale – quella dei capitalisti – nel sistema economico, a causa del loro possesso<br />

della proprietà privata, sia stata cruciale nell’aumentare le diseguaglianze tra la<br />

popolazione.<br />

Dal XV secolo <strong>in</strong> poi, <strong>in</strong> modo dapprima lento poi sempre più rapido, l’agricoltura<br />

<strong>in</strong>glese aveva visto diffondersi il processo c.d. delle rec<strong>in</strong>zioni (enclosures): <strong>in</strong> buona<br />

11


sostanza, esse consistevano nell’appropriazione da parte di un gruppo ristretto di<br />

persone della terra coltivata con il sistema dei campi aperti e della conseguente<br />

separazione dei piccoli contad<strong>in</strong>i dai mezzi di produzione.<br />

In questo modo vennero a crearsi due importanti precondizioni dello sviluppo<br />

<strong>in</strong>dustriale:<br />

a- la concentrazione del capitale nelle mani di pochi;<br />

b- una forza lavoro “libera” e mobile.<br />

In “Saggio sul basso prezzo della produzione del grano” (1815), Ricardo analizza<br />

quella che era stata f<strong>in</strong>o a quel momento la pr<strong>in</strong>cipale fonte di rendita di un’economia<br />

pre-<strong>in</strong>dustriale “statica”: l’agricoltura.<br />

Egli determ<strong>in</strong>a il concetto di rendimenti decrescenti (o “teoria ricardiana della<br />

rendita”): il livello di produzione (output) aumenta all’aumentare delle risorse utilizzate<br />

(<strong>in</strong>put). Perciò i primi terreni utilizzati saranno i migliori e renderanno maggiormente: a<br />

mano a mano la qualità dim<strong>in</strong>uirà, f<strong>in</strong>o ad arrivare ad un punto <strong>in</strong> cui non ci sarà più<br />

<strong>in</strong>centivo a mettere a coltura la terra, poiché i costi non sarebbero coperti dai prezzi<br />

degli <strong>in</strong>put prodotti. Se successive dosi di prodotto vengono ottenute con costo<br />

crescente, il prezzo si commisura al costo massimo sopportato, ossia al lavoro speso<br />

nelle condizioni più sfavorevoli o meno produttive.<br />

Questo primo tipo di <strong>in</strong>terpretazione, che prevede che sia il livello di qualità di <strong>in</strong>put<br />

a far crescere più o meno l’economia, ignorando il concetto di progresso tecnologico,<br />

ha come conseguenza il dis<strong>in</strong>centivo ad aprire l’economia, derivante dalla perdita di<br />

valore dei terreni nel tempo.<br />

Nel momento <strong>in</strong> cui l’economia passa da “statica” a “d<strong>in</strong>amica”, questo modello di<br />

previsione <strong>in</strong>izia a perdere di significato (Mazzanti, 2006) e <strong>in</strong>com<strong>in</strong>cia, <strong>in</strong>vece, ad<br />

assumerlo la teoria della suddivisione del lavoro, teorizzata da Adam Smith (1776): il<br />

suo modello di previsione di crescita della produzione si adatta perfettamente al<br />

passaggio da un’economia pre-<strong>in</strong>dustriale statica (fondata sull’agricoltura e chiusa) ad<br />

un’economia <strong>in</strong>dustriale d<strong>in</strong>amica (fondata sul progresso tecnologico e aperta).<br />

Smith (1776, trad. it. 1973, p. 9) vedeva la possibilità di suddivisione del lavoro<br />

come il pr<strong>in</strong>cipale <strong>in</strong>centivo alla crescita di produzione, dovuto all’<strong>in</strong>cremento di<br />

capacità e di specializzazione da essa derivanti:<br />

“La causa pr<strong>in</strong>cipale del progresso nelle capacità produttive del lavoro, nonché<br />

della maggior parte dell’arte, della destrezza e <strong>in</strong>telligenza con cui il lavoro viene<br />

svolto e diretto, sembra sia stata la divisione del lavoro”.<br />

12


A proposito della suddivisione del lavoro, Marx (1867) <strong>in</strong>dividua due forme di<br />

divisione:<br />

a. la divisione tecnica;<br />

b. la divisione sociale.<br />

La divisione tecnica si riferisce alla divisione del lavoro attuata all’<strong>in</strong>terno di<br />

un’unità produttiva, che si concretizza nella riduzione, a parità di tempo di lavoro, delle<br />

mansioni od operazioni svolte da ciascuno; si concretizza nel concetto di “economie di<br />

scala” ed è particolarmente evidente quando essa è collegata all’<strong>in</strong>troduzione di nuovi<br />

macch<strong>in</strong>ari e impianti.<br />

La divisione sociale si riferisce alla divisione del lavoro tra unità produttive diverse,<br />

che producono beni tra loro diversi; le conseguenze sono nuove imprese specializzate,<br />

esternalizzazione (outsourc<strong>in</strong>g), nascita di imprese <strong>in</strong>termedie e f<strong>in</strong>ali.<br />

1.2.2 La seconda rivoluzione <strong>in</strong>dustriale<br />

Durante tutto il XIX secolo si affermarono saldamente sia il progresso tecnologico<br />

che il capitalismo, dando vita alla seconda rivoluzione <strong>in</strong>dustriale, <strong>in</strong>centrata <strong>in</strong><br />

particolar modo sui settori dell'elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio.<br />

Inoltre, anche i settori dei trasporti e delle comunicazioni ebbero un forte sviluppo ed<br />

un ruolo decisivo per il graduale aumento dell'<strong>in</strong>terdipendenza tra i vari stati del pianeta.<br />

Dal 1850 <strong>in</strong> poi, si ebbe <strong>in</strong> Europa e negli Stati Uniti uno sviluppo tecnologico senza<br />

precedenti, che assicurò ai paesi Occidentali la supremazia tecnica <strong>in</strong> tutto il mondo.<br />

La caratteristica che più la differenzia dalla precedente rivoluzione <strong>in</strong>dustriale sta nel<br />

fatto che le <strong>in</strong>novazioni tecnologiche non sono frutto di scoperte occasionali ed<br />

<strong>in</strong>dividuali, bensì di ricerche specializzate <strong>in</strong> laboratori scientifici e nelle università<br />

f<strong>in</strong>anziate dagli imprenditori e dallo Stato per il miglioramento dell'apparato produttivo.<br />

Da un punto di vista sociale, con il trascorrere del tempo, le disuguaglianze tra la<br />

popolazione si andarono ad <strong>in</strong>asprire: come spiega Marx, la divisione del lavoro è<br />

l’effetto della divisione della società <strong>in</strong> classi e il capitale si appropria anche della<br />

conoscenza e dell’<strong>in</strong>telligenza operaia, dopo aver espropriato i lavoratori delle<br />

condizioni materiali e tecniche del loro lavoro (Marchese, Manc<strong>in</strong>i, Greco, Ass<strong>in</strong>i,<br />

1997).<br />

La suddivisione del lavoro ha ripercussioni sulla vita civile, <strong>in</strong> quanto il capitalismo,<br />

oltre allo “sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, produce anche alienazione, ovvero<br />

quella condizione <strong>in</strong> cui le attività umane non hanno il proprio f<strong>in</strong>e <strong>in</strong> loro stesse o nella<br />

13


possibilità della realizzazione di sé offerta a coloro che le esercitano, ma nella necessità<br />

di provvedere a bisogni materiali.<br />

Marx riprende e sviluppa la teoria del valore-lavoro dell’economia politica classica<br />

(Ricardo e Smith), secondo la quale le merci tendono ad essere scambiate <strong>in</strong><br />

proporzione al tempo di lavoro socialmente necessario <strong>in</strong>corporato. Ciò che differenzia<br />

Marx dalla scuola classica è la sua attenzione non tanto per i rapporti quantitativi di<br />

scambio, bensì per i rapporti sociali sottostanti, celati dai fenomeni di mercato.<br />

Le merci sono prodotti del lavoro umano dest<strong>in</strong>ati alla vendita piuttosto che all’uso<br />

diretto del padrone/non-lavoratore.<br />

Attraverso la vendita delle merci il padrone/non-lavoratore acquisisce denaro, con il<br />

quale a sua volta acquista altri prodotti per soddisfare i suoi bisogni (rappresentazione<br />

attraverso lo schema M-D-M, <strong>in</strong> cui M sta per merci e D sta per denaro).<br />

In una società <strong>in</strong> cui tutti i prodotti sono merci e vengono scambiati secondo lo<br />

schema M-D-M, i produttori lavorano <strong>in</strong>dipendentemente l’uno dall’altro e stabiliscono<br />

relazioni solo attraverso il mercato (AA. VV., 2005).<br />

Le loro relazioni personali diventano letteralmente reificate, cioè relazioni tra cose.<br />

Inoltre, nel capitalismo, la forza lavoro è una merce, acquistata dal padrone/non-<br />

lavoratore e venduta all’uomo/lavoratore: egli non produce più per la sua sussistenza e<br />

per l’unità produttiva di base (la famiglia), ma per il suo padrone/non-lavoratore, il<br />

quale gli paga un salario, che è il “prezzo” a cui egli si offriva sul mercato del lavoro,<br />

appropriandosi, però, anche del plus-prodotto realizzato attraverso plus-lavoro, essendo<br />

possessore dei mezzi di produzione.<br />

Si tratta del concetto di plusvalore derivante dalla dist<strong>in</strong>zione tra lavoro e forza<br />

lavoro, che nel capitalismo è comprata e venduta come una qualsiasi altra merce.<br />

La classe lavoratrice, dunque, si viene a trovare <strong>in</strong> una condizione di estraneità e di<br />

non partecipazione attiva rispetto tutto ciò che riguarda il proprio lavoro: si genera una<br />

stato di impotenza dell’uomo/lavoratore nei confronti di oggetti e rapporti sociali che il<br />

suo stesso agire contribuisce a produrre.<br />

14


1.3 Il paradigma dell’homo oeconomicus: <strong>in</strong>dividualismo ed utilitarismo<br />

1.3.1 Il mutamento del pensiero economico-filosofico<br />

La diffusione e l’affermazione dell’economia e, più <strong>in</strong> generale, del sistema<br />

capitalistico è imputabile, oltre che ad un mutamento della struttura produttiva, anche ad<br />

un profondo mutamento del pensiero filosofico di quei tempi.<br />

Thomas Hobbes (1588-1679), nella sua opera “Leviatano” (1651), partiva<br />

dall’assunto che gli uom<strong>in</strong>i fossero per natura egoisti e possedessero una spiccata<br />

razionalità, attraverso cui davano vita al proprio agire.<br />

Secondo Hobbes, a causa della scarsa disponibilità dei beni, gli uom<strong>in</strong>i <strong>in</strong>gaggiano<br />

una guerra di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes), poiché “homo hom<strong>in</strong>i<br />

lupus”, cioè l'uomo è un “lupo divoratore” di ogni altro uomo.<br />

Per queste motivazioni, gli uom<strong>in</strong>i tendono a stipulare un contratto sociale, cioè si<br />

spogliano delle loro libertà per attribuirle allo Stato (o meglio il “Sovrano”), il c.d.<br />

Leviatano, il quale assume il compito di regolare gli avvenimenti (Zamagni, 2007a).<br />

In questo modo:<br />

a. l’autorità del sovrano viene dal basso – attraverso il contratto sociale – poiché i<br />

cittad<strong>in</strong>i sono consapevoli che altrimenti farebbero prevalere la loro peculiare<br />

“uccidibilità” generalizzata (Bruni, Zamagni, 2004);<br />

b. solo il cittad<strong>in</strong>o che ha capacità di contrattare ha libertà di esprimere e<br />

realizzare i propri diritti.<br />

La natura dell’uomo, pertanto, sembra non essere favorevole all’essere sociale <strong>in</strong><br />

modo spontaneo, quanto, <strong>in</strong>vece, è predisposta ad essere governata dall’esterno.<br />

F<strong>in</strong>o alla metà del XVIII secolo, le discipl<strong>in</strong>e dell’economia e dell’etica facevano<br />

parte della stessa dottr<strong>in</strong>a, la filosofia morale, che <strong>in</strong>corporava l’<strong>in</strong>sieme delle scienze<br />

umane e non naturali, le quali <strong>in</strong>vece rientravano nella c.d. filosofia naturale.<br />

La separazione tra discorso economico e riflessione morale si fa risalire alla stesura<br />

da parte di Bernard de Mandeville (1670-1733) del poema satirico-allegorico dal titolo<br />

“Fable of the Bees: private vices, public benefits” (“La favola delle api: vizi privati,<br />

benefici pubblici”, 1714): <strong>in</strong> esso si sostiene che il bene pubblico derivi dai vizi privati<br />

(il lusso, la vanità, la superbia e l’<strong>in</strong>vidia) ovvero che l’<strong>in</strong>teresse egoistico degli<br />

<strong>in</strong>dividui – rappresentati dalle api dell’alveare – possa portare al maggior beneficio<br />

pubblico possibile.<br />

15


La favola narra la storia di un alveare di api egoiste che, grazie alla loro avarizia e<br />

disonestà, vivevano nell’abbondanza e nel benessere.<br />

Nonostante ciò, le api disoneste criticavano pubblicamente la malafede delle<br />

concittad<strong>in</strong>e. Tuttavia:<br />

…il lusso<br />

dava da vivere a un milione di poveri<br />

e l’odiosa superbia a un altro milione.<br />

Perf<strong>in</strong>o l’<strong>in</strong>vidia e la vanità<br />

favorivano l’<strong>in</strong>dustria.<br />

La loro più cara follia, la volubilità<br />

nel vestire, nei cibi e negli arredamenti,<br />

questo strano e ridicolo vizio, era ormai<br />

proprio la ruota che muoveva il commercio<br />

[…]<br />

In questo modo il vizio alimentava l’<strong>in</strong>gegno<br />

che, col tempo e con l’<strong>in</strong>dustria,<br />

aveva portato le comodità della vita<br />

i suoi veri piaceri, conforti ed agi.<br />

Ad un certo punto, Giove, stanco di assistere all’ipocrisia regnante nell’alveare,<br />

convertì le api che divennero oneste, altruiste e virtuose: <strong>in</strong> pochissimo tempo, però,<br />

l’alveare precipitò nella miseria:<br />

mentre vanità e lusso dim<strong>in</strong>uiscono,<br />

anche le vie del mare sono abbandonate.<br />

Non vi sono più mercanti,<br />

e <strong>in</strong>tere fabbriche vengono chiuse.<br />

Tutte le arti e i mestieri sono negletti:<br />

l’accontentarsi del proprio stato, rov<strong>in</strong>a l’<strong>in</strong>dustria<br />

[…]<br />

La virtù da sola non può far vivere<br />

le nazioni nello splendore.<br />

La redenzione morale portò ad un crollo dei consumi, orig<strong>in</strong>ante disoccupazione e<br />

miseria, con un unico risultato f<strong>in</strong>ale: il collasso economico dell’alveare (Ors<strong>in</strong>i, 2007).<br />

16


In modo più estremo Mandeville arriva a sostenere la necessità del vizio, poiché la<br />

ricerca della soddisfazione egoistica del proprio <strong>in</strong>teresse è la condizione prima della<br />

prosperità:<br />

“Il vizio è tanto necessario <strong>in</strong> uno stato fiorente<br />

quanto la fame è necessaria per obbligarci a mangiare.<br />

È impossibile che la virtù da sola renda<br />

mai una nazione celebre e gloriosa”.<br />

Coloro che, <strong>in</strong>vece, impostano la loro esistenza secondo il virtuoso pr<strong>in</strong>cipio di<br />

accontentarsi della propria condizione conducono la loro vita nella rassegnazione e nella<br />

pigrizia danneggiando la produzione <strong>in</strong>dustriale, causando, secondo Mandeville, la<br />

povertà della nazione ed ostacolando il prodigioso sviluppo che avrebbe<br />

successivamente portato alla prima rivoluzione <strong>in</strong>dustriale.<br />

1.3.2 L’utilitarismo e l’homo oeconomicus<br />

“Viviamo <strong>in</strong> un mondo di persone ragionevolmente<br />

ben <strong>in</strong>formate che agiscono <strong>in</strong> modo <strong>in</strong>telligente<br />

nel perseguimento del proprio <strong>in</strong>teresse personale”<br />

(Stigler, 1981)<br />

Si arriva con queste basi a fare <strong>in</strong> modo che il capitalismo, come fenomeno<br />

economico, si possa ripercuotere sulla vita civile degli uom<strong>in</strong>i, riflettendo i propri tratti<br />

<strong>in</strong>dividualistici nella “teoria della giustizia” 1 che va sotto il nome di utilitarismo.<br />

L’utilitarismo, i cui pr<strong>in</strong>cipali esponenti sono Bentham (1789), John Stuart Mill<br />

(1861) e Henry Sidgwick (1874), prevede un unico criterio per valutare più esattamente<br />

possibile le conseguenze delle azioni: il benessere o utilità netta per ciascun membro<br />

della collettività considerata, e cioè la capacità di un’azione/oggetto di produrre<br />

benefici, vantaggi, piacere, bene, felicità al netto dei costi, svantaggi, pene, mali o<br />

<strong>in</strong>felicità.<br />

I tre pr<strong>in</strong>cipi su cui si basa l’utilitarismo sono (Sen, 2000 e Zamagni, 2007a):<br />

1. conseguenzialismo;<br />

2. benesserismo o welfarismo;<br />

1 Per teorie della giustizia si <strong>in</strong>tendono teorie impegnate nella formulazione di pr<strong>in</strong>cipi di<br />

giustificazione di istituzioni, pratiche sociali, regole e scelte pubbliche, che derivano dalla<br />

necessità di perseguire due criteri: quello di efficienza economica e quello di equità (Ors<strong>in</strong>i,<br />

2007).<br />

17


3. ord<strong>in</strong>amento per somma (sum rank<strong>in</strong>g).<br />

Il conseguenzialismo è la tesi secondo cui tutte le scelte vanno giudicate – da un<br />

punto di vista “morale” – <strong>in</strong> base alle loro conseguenze, cioè ai risultati che generano;<br />

nessuna considerazione deve essere riservata alle <strong>in</strong>tenzioni dell’agente ovvero a<br />

motivazioni diverse da quelle di benessere.<br />

Il benesserismo o welfarismo limita i valori sui giudizi di fatto 2 alle utilità materiale<br />

<strong>in</strong> essi presenti – senza un’attenzione diretta a cose come il soddisfacimento o la<br />

violazione di diritti e doveri o la presenza o meno di libertà. L’unione del<br />

conseguenzialismo e del benesserismo genera la richiesta di giudicare ogni scelta <strong>in</strong><br />

base all’utilità che produce.<br />

L’ord<strong>in</strong>amento per somma (sum rank<strong>in</strong>g) prescrive di sommare le une alle altre<br />

utilità di più persone così da ottenerne il valore aggregato, senza tenere conto della<br />

distribuzione del totale tra i diversi <strong>in</strong>dividui.<br />

Pertanto, gli utilitaristi calcolano la somma dei livelli di benessere e scelgono di<br />

conseguenza l’attività che produce il benessere aggregato maggiore – “la massima<br />

felicità del maggior numero possibile di persone” – ovvero m<strong>in</strong>imizza la sofferenza<br />

socialmente evitabile.<br />

Ciò significa che quello che <strong>in</strong>teressa agli utilitaristi è il bene totale calcolato come<br />

sommatoria dei livelli di benessere (utilità) dei s<strong>in</strong>goli:<br />

n<br />

bi = b1 + b2 +…+ bn<br />

i=1<br />

e non il bene comune, cui <strong>in</strong>vece una società realmente civile – che pone al centro la<br />

persona e non l’<strong>in</strong>dividuo 3 – dovrebbe tendere:<br />

n<br />

bi = b1 x b2 x…x bn<br />

i=1<br />

I due concetti differiscono per il fatto che nel primo caso, quello preso <strong>in</strong><br />

considerazione dagli utilitaristi, il bene di qualcuno può essere annullato senza cambiare<br />

2 I giudizi di valore sono valutazioni etiche, religiose o politiche aventi carattere personale ed<br />

esprimono, pertanto, posizioni soggettive su “ciò che dovrebbe essere”; al contrario, i giudizi di<br />

fatto sono affermazioni – corrette o errate che siano – su “ciò che è” (Acocella, 2006, p. 31).<br />

3 La differenza risiede nel fatto che la persona per essere identificata, a differenza dell’<strong>in</strong>dividuo<br />

ha bisogno degli altri: esisto “io” perché esiste un “tu” che riconosce la mia persona (Zamagni,<br />

2007a).<br />

18


il risultato f<strong>in</strong>ale; viceversa, nel caso del bene comune, essendo esso il risultato di una<br />

produttoria, annullando anche uno solo dei livelli di benessere si annulla il risultato<br />

f<strong>in</strong>ale (Zamagni, 2007a).<br />

Le tre componenti dell’utilitarismo, messe <strong>in</strong>sieme, danno la formula utilitaristica<br />

classica: “ogni scelta va giudicata <strong>in</strong> base alla somma complessiva dell’utilità che<br />

genera”.<br />

Per gli utilitaristi, la funzione di benessere sociale, ovvero quella curva che <strong>in</strong>dica il<br />

livello di benessere sociale corrispondente ad un particolare <strong>in</strong>sieme di livelli di utilità<br />

raggiunti dalla collettività, dovrebbe essere rappresentata da una curva d’<strong>in</strong>differenza<br />

sociale – ovvero l’<strong>in</strong>sieme delle comb<strong>in</strong>azioni di utilità degli <strong>in</strong>dividui diversi che<br />

producono lo stesso livello di benessere per la società – con la seguente forma (Stiglitz,<br />

2003):<br />

UTILITÀ di B<br />

19<br />

UTILITÀ di A<br />

Questo significa che la collettività dovrebbe attribuire all’utilità di un <strong>in</strong>dividuo lo<br />

stesso peso dato all’utilità di qualsiasi altro <strong>in</strong>dividuo; <strong>in</strong> questo modo, viene ad esistere<br />

un trade-off tra l’utilità degli <strong>in</strong>dividui, che permette di giustificare le disuguaglianze di<br />

utilità tra <strong>in</strong>dividui diversi, di fronte alla parità o all’aumento del bene totale.<br />

Inoltre, l’utilitarismo può essere def<strong>in</strong>ito come una teoria morale (Ors<strong>in</strong>i, 2007):<br />

a. teleologica: def<strong>in</strong>isce <strong>in</strong>nanzitutto il bene (l’utile), da cui ne discende il giusto<br />

(è giusto ciò che massimizza il bene, cioè l’utile);<br />

b. <strong>in</strong>dividualista: il bene sociale si riduce alla somma dei beni <strong>in</strong>dividuali;<br />

c. aggregativa: si massimizza l’utilità sociale (totale o media), senza riguardo alla<br />

distribuzione <strong>in</strong> sé;<br />

d. razionale: è giusto ciò che è efficiente, è <strong>in</strong>giusto tutto ciò che comporta uno<br />

spreco di felicità pubblica. Il giudizio etico deriva da una “semplice” analisi<br />

costi-benefici;<br />

e. monistica: vi è un solo criterio di valutazione (l’utilità) <strong>in</strong> base al quale<br />

scegliere se una situazione è preferibile o meno;


f. universalistica: tiene conto <strong>in</strong> eguale misura delle preferenze e delle situazioni<br />

di ciascun membro della specie umana, sia delle generazioni presenti, che di<br />

quelle future;<br />

g. comprensiva: si applica a tutte le azioni o scelte da prendere.<br />

Con la dottr<strong>in</strong>a utilitaristica, l’utile e il benessere materiale si elevano a f<strong>in</strong>e<br />

autonomo, pr<strong>in</strong>cipale ricerca dell’agire umano <strong>in</strong>dividuale e collettivo, <strong>in</strong>vece che<br />

ricoprire il ruolo di “mezzi” per la ricerca di qualcos’altro.<br />

L’utilitarismo si concretizza <strong>in</strong> quella che va sotto il nome di scuola neoclassica (o<br />

marg<strong>in</strong>alista) e nella relativa economia del benessere, filone della teoria economica che<br />

affronta gli aspetti normativi, cioè quella parte di economia morale che cerca di valutare<br />

politiche alternative, soppesandone benefici e costi (Stiglitz, 2003).<br />

Il criterio per affrontare le alternative è stato <strong>in</strong>trodotto da Vilfredo Pareto (1848-<br />

1923) e si chiama efficienza paretiana: quando non è possibile modificare una data<br />

allocazione delle risorse tra gli <strong>in</strong>dividui <strong>in</strong> modo tale da migliorare la situazione di<br />

qualcuno senza peggiorare allo stesso tempo quella di qualcun altro, si dice che tale<br />

allocazione è efficiente <strong>in</strong> senso paretiano (o Pareto-efficiente) ovvero costituisce un<br />

ottimo paretiano.<br />

Si può dimostrare che l’ottimo paretiano <strong>in</strong> un’economia di produzione e scambio<br />

richiede:<br />

l’efficiente allocazione nel consumo dei beni, che si realizza quando, per ogni<br />

coppia di beni, vi è uguaglianza del saggio marg<strong>in</strong>ale di sostituzione (MRS) 4 fra i<br />

vari consumatori;<br />

l’efficiente allocazione degli <strong>in</strong>put produttivi, che richiede l’uguaglianza dei<br />

saggi marg<strong>in</strong>ali di sostituzione tecnica 5 (MRTS) fra gli <strong>in</strong>put;<br />

l’efficienza “generale”, che si ottiene quando il saggio marg<strong>in</strong>ale di sostituzione<br />

fra ogni coppia di beni per tutti i soggetti è uguale al saggio marg<strong>in</strong>ale di<br />

trasformazione 6 (MTS).<br />

4 Il saggio marg<strong>in</strong>ale di sostituzione è la quantità di un bene che un <strong>in</strong>dividuo è disposto a<br />

cedere <strong>in</strong> cambio di un’unità di un altro bene (Stiglitz, 2003).<br />

5 Il saggio marg<strong>in</strong>ale di sostituzione tecnica <strong>in</strong>dica <strong>in</strong> che modo un fattore produttivo può essere<br />

sostituito con un altro, ovvero a quante unità di un fattore produttivo si dovrà r<strong>in</strong>unciare per<br />

ottenere un'unità <strong>in</strong> più di un altro fattore produttivo, mantenendo costante la quantità di output<br />

(Ibidem).<br />

6 Il saggio marg<strong>in</strong>ale di trasformazione corrisponde al costo opportunità di un bene rispetto ad<br />

un altro bene (Varian, 2002).<br />

20


I teoremi – cioè proposizioni logiche <strong>in</strong> cui le conclusioni (l’efficienza paretiana<br />

dell’economia) derivano dalle ipotesi – dell’economia del benessere sono due:<br />

1. il “primo” sostiene che se un’economia è perfettamente concorrenziale allora è<br />

anche Pareto-efficiente;<br />

2. il “secondo” afferma che esistono numerose allocazioni delle risorse che sono<br />

Pareto-efficienti. Trasferendo risorse da un <strong>in</strong>dividuo ad un altro, miglioriamo la<br />

posizione del secondo <strong>in</strong>dividuo e peggioriamo quella del primo. Dopo aver<br />

ridistribuito <strong>in</strong> tale modo la ricchezza, se lasciamo funzionare le forze della<br />

concorrenza di mercato potremo ottenere una nuova allocazione Pareto-<br />

efficiente; questo significa che la sola cosa che lo Stato dovrebbe fare è<br />

ridistribuire la ricchezza <strong>in</strong>iziale e lasciare che poi il mercato faccia il resto.<br />

In parole povere, nelle condizioni prestabilite dalla “mano <strong>in</strong>visibile” del mercato –<br />

di concorrenza perfetta – si determ<strong>in</strong>a il miglior equilibrio possibile:<br />

Come precedentemente def<strong>in</strong>ito, si tratta di teoremi, che prevedono la dimostrazione<br />

della validità delle ipotesi di partenza.<br />

Innanzitutto, qu<strong>in</strong>di, è necessario def<strong>in</strong>ire un mercato di concorrenza perfetta, cioè<br />

una particolare condizione del mercato <strong>in</strong> cui domanda e offerta presentano queste<br />

caratteristiche (Varian, 2002):<br />

elevato numero di soggetti dal lato della domanda;<br />

elevato numero di soggetti dal lato dell’offerta;<br />

beni omogenei;<br />

costi di transazione relativamente contenuti;<br />

perfetta <strong>in</strong>formazione;<br />

prezzo dato;<br />

P Domanda<br />

P*<br />

<strong>in</strong>esistenza di barriere all’entrata e all’uscita.<br />

21<br />

Offerta<br />

Q* Q


Lascio ad un successivo capitolo (vedi <strong>in</strong>fra capitolo 4) la critica all’economia del<br />

benessere e all’utilitarismo e sottol<strong>in</strong>eo momentaneamente solo una peculiarità del<br />

criterio paretiano di efficienza, cioè il fatto che esso sia <strong>in</strong>dividualistico, <strong>in</strong> due sensi:<br />

a. considera solo il benessere di ciascun <strong>in</strong>dividuo e non il benessere relativo di<br />

diversi <strong>in</strong>dividui; non considera, cioè, esplicitamente la diseguaglianza tra i<br />

soggetti considerati;<br />

b. ciò che conta è la percezione che ciascun <strong>in</strong>dividuo ha del proprio benessere,<br />

coerentemente con il pr<strong>in</strong>cipio generale di sovranità del consumatore, secondo<br />

il quale ogni s<strong>in</strong>golo <strong>in</strong>dividuo è il miglior giudice dei propri bisogni e<br />

necessità, di ciò che è nel suo <strong>in</strong>teresse.<br />

Ma quali sono le peculiarità dell’<strong>in</strong>dividuo che l’utilitarismo ricerca – e<br />

fondamentalmente trova – per dare adito alle sue teorie?<br />

Quali caratteristiche possiede il soggetto che vive per massimizzare il benessere, non<br />

curandosi delle disuguaglianze che si vengono a creare?<br />

Innanzitutto, egli risponde al nome di homo oeconomicus: si tratta, <strong>in</strong> generale, di un<br />

uomo le cui pr<strong>in</strong>cipali caratteristiche sono la razionalità (<strong>in</strong>tesa <strong>in</strong> un senso precipuo,<br />

soprattutto come precisione nel calcolo) e l’<strong>in</strong>teresse esclusivo per la cura dei propri<br />

<strong>in</strong>teressi <strong>in</strong>dividuali (self-<strong>in</strong>terest).<br />

Le caratteristiche pr<strong>in</strong>cipali dell’homo oeconomicus, <strong>in</strong>fatti, sono (Zamagni, 2007a):<br />

a. l’essere <strong>in</strong>dividualista (concetto di atomismo): egli, quando ragiona, pensa<br />

sempre a partire dal proprio “io”, dalla propria funzione di utilità e pertanto il<br />

suo obiettivo è la massimizzazione del proprio benessere: questo <strong>in</strong>dividuo<br />

persegue un certo numero di obiettivi cercando di realizzarli nella maniera più<br />

ampia possibile e con i costi m<strong>in</strong>ori. In questo obiettivo è mosso da<br />

motivazioni <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seche;<br />

b. l’essere strumentalista: guarda solo alle conseguenze ed è mosso da<br />

motivazioni estr<strong>in</strong>seche;<br />

c. l’essere non emozionale: non si fa <strong>in</strong>fluenzare dalle emozioni nel momento<br />

della scelta, si comporta da “freddo calcolatore”.<br />

Inoltre l’homo oeconomicus assume un comportamento a-sociale o egoista, <strong>in</strong>teso<br />

come soggetto che rimane <strong>in</strong>differente davanti al fatto che gli altri siano felici o meno e<br />

per cui le f<strong>in</strong>alità personali dipendono solo dalle proprie preferenze.<br />

L’homo oeconomicus è il prodotto della “paura” hobbesiana che vige tra gli uom<strong>in</strong>i<br />

di una società e dell’opportunismo benthamiano.<br />

22


Ma attenzione: non si tratta di un uomo “ragionevole”, come ist<strong>in</strong>tivamente si tende a<br />

pensare, bensì solamente di un uomo “razionale”: un soggetto che usa solo il pensiero<br />

“calcolante” e non anche il pensiero “pensante”.<br />

egli:<br />

In particolare, la razionalità attribuita all’homo oeconomicus consiste nel fatto che<br />

ha certe preferenze (ad esempio, “preferisce le mele alle pere”) che è <strong>in</strong> grado<br />

di disporre <strong>in</strong> sequenza;<br />

è capace di massimizzare la sua soddisfazione utilizzando al meglio le sue<br />

risorse;<br />

è <strong>in</strong> grado di analizzare e prevedere nel modo migliore la situazione e i fatti<br />

del mondo circostante, al f<strong>in</strong>e di operare la scelta più corretta <strong>in</strong> ord<strong>in</strong>e a detta<br />

massimizzazione.<br />

Il che è ben diverso dal dire che <strong>in</strong> questo modello assuma importanza se l’<strong>in</strong>dividuo<br />

stia cercando di acquistare qualcosa di completamente <strong>in</strong>utile, purché lo desideri e lo<br />

fissi come suo obiettivo.<br />

Anche la teoria dei giochi 7 , <strong>in</strong> particolare il gioco del prigioniero, permette di<br />

dimostrare che l’agire dell’homo oeconomicus è sì razionale, ma non ragionevole.<br />

Prendendo <strong>in</strong> considerazione come esempio la possibilità di “realizzare la raccolta<br />

differenziata”, si determ<strong>in</strong>ano quattro opzioni con differenti valori:<br />

1. “l’altro sì, io no” valore = 4;<br />

2. “tutti sì, me compreso” valore = 3;<br />

3. “nessuno sì, me compreso” valore = 2;<br />

4. “gli altri no, io sì” valore = 1.<br />

Date le strategie possibili coopera (C) o non coopera (NC), la matrice dei pay-off di<br />

questo gioco è la seguente:<br />

C NC<br />

C 3,3 1,4<br />

NC 4,1 2,2<br />

La soluzione adottata dall’homo oeconomicus non è ottimale, bensì sub-ottimale, il<br />

che dimostra come egli non assuma un comportamento ragionevole.<br />

7 La teoria dei giochi è quella scienza che studia l’<strong>in</strong>terazione strategica tra gli <strong>in</strong>dividui (<strong>in</strong><br />

economia, “agenti economici”) (Varian, 2002).<br />

23


Quella che viene messa <strong>in</strong> risalto nell’homo oeconomicus è la c.d. <strong>in</strong>telligenza<br />

cognitiva, cioè quella parte di <strong>in</strong>telligenza che si basa sulle capacità di analisi e s<strong>in</strong>tesi,<br />

sulle abilità logico-matematiche, sulla capacità di def<strong>in</strong>ire un metodo razionale (ad oggi<br />

misurata attraverso il “quoziente <strong>in</strong>tellettivo” – Q.I.); ma, come dimostrerò<br />

successivamente (vedi <strong>in</strong>fra capitolo 4), questo tipo di <strong>in</strong>telligenza e, di conseguenza,<br />

l’homo oeconomicus, non sono sufficienti a spiegare il perché dell’agire dell'uomo, né<br />

<strong>in</strong> campo economico, né <strong>in</strong> campo sociale, poiché limitati ad un’unica sfera dell’essere<br />

umano.<br />

1.4 Il punto di vista politico: la democrazia elitistico-competitiva<br />

“Il metodo democratico è quell’accorgimento istituzionale<br />

per arrivare a decisione politiche, nel quale alcune persone<br />

acquistano il potere di decidere mediante una lotta<br />

competitiva per il voto popolare”<br />

(Schumpeter, 1942)<br />

1.4.1 La rappresentanza attraverso le élites politiche<br />

I mutamenti socio-economici del XVIII e XIX secolo hanno fatto sì che il concetto di<br />

democrazia si sia trasformato con essi.<br />

La democrazia moderna, <strong>in</strong>fatti, ritiene che suo soggetto attivo sia il s<strong>in</strong>golo<br />

cittad<strong>in</strong>o che gode di diritto di voto e non il popolo nel suo <strong>in</strong>sieme: la volontà popolare<br />

non è la volontà del popolo come un tutto, ma la volontà dei s<strong>in</strong>goli cittad<strong>in</strong>i, e la<br />

maggioranza non è l’espressione di un soggetto collettivo, ma la somma numerica di<br />

tanti soggetti <strong>in</strong>dividuali presi uno ad uno (Greblo, 2000).<br />

A differenza di Bentham, che riconosce alla democrazia il valore essenzialmente<br />

strumentale di mezzo più idoneo alla realizzazione del benessere collettivo, <strong>in</strong> John<br />

Stuart Mill (1861) la democrazia diviene un valore <strong>in</strong> sé.<br />

Secondo Mill, un governo rappresentativo non serve soltanto a garantire il<br />

perseguimento dei propri <strong>in</strong>teressi da parte dei cittad<strong>in</strong>i, m<strong>in</strong>imizzando il ruolo dello<br />

Stato e delle sue <strong>in</strong>terferenze, ma costituisce anche una necessità per la realizzazione<br />

delle libertà <strong>in</strong>dividuali e delle potenzialità umane <strong>in</strong> genere.<br />

24


Tra la f<strong>in</strong>e dell’Ottocento e l’<strong>in</strong>izio del Novecento, l’<strong>in</strong>gresso delle “masse” nell’area<br />

politica diviene un tratto costituzionale permanente della democrazia rappresentativa<br />

europea.<br />

A partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento si ebbe la diffusione del suffragio<br />

universale maschile a scrut<strong>in</strong>io segreto <strong>in</strong> quasi tutti i paesi europei; ciò permise a<br />

milioni di persone di partecipare al processo di formazione e di selezione delle classi<br />

dirigenti.<br />

Il modello di democrazia affermatosi nei primi anni del XX secolo fu un modello di<br />

democrazia rappresentativa che fece emergere nuove élite, cioè “quelle classi politiche<br />

che nei diversi paesi trovano nel voto di massa nuove forme di legittimazione” (Greblo,<br />

2000).<br />

L’economia di mercato capitalistica, basata sull’utilitarismo, fece emergere e<br />

prevalere le forze economiche e le sue conseguenze sulla società diedero vita ad<br />

altrettante forze politiche autorizzate dai cittad<strong>in</strong>i a governare sulle scelte pubbliche e<br />

che si impongono o soccombono <strong>in</strong> una logica di competizione politica tra partiti di<br />

massa.<br />

Rispecchiando l’<strong>in</strong>dividualismo dell’uomo, che era stato accentuato sempre di più<br />

dai mutamenti socio-economici apportati dalle prime due rivoluzioni <strong>in</strong>dustriali, la<br />

dottr<strong>in</strong>a dell’utilitarismo generò la conclusione, tratta da Bentham e Mill, che il<br />

pr<strong>in</strong>cipio della massima felicità per il maggior numero di persone trovi nella democrazia<br />

rappresentativa la sua più adeguata espressione funzionale, <strong>in</strong> quanto la democrazia<br />

diretta metterebbe <strong>in</strong> evidenza l’<strong>in</strong>capacità del popolo di assumere autonomamente ruoli<br />

operativi di governo.<br />

Già Jean Jacques Rousseau (1762), ritenendo l’uomo “buono per natura”, aveva<br />

anticipato i tempi sostenendo che la vita associata fosse il prodotto di una spontanea<br />

convivenza di sentimenti, bisogni e <strong>in</strong>teressi.<br />

La società, però, corrompe questa orig<strong>in</strong>aria bontà creando profonde disuguaglianze<br />

sociali, attraverso l’<strong>in</strong>sorgere della proprietà privata e della divisione del lavoro, che<br />

sono qu<strong>in</strong>di le cause pr<strong>in</strong>cipali dell’egoismo e delle <strong>in</strong>giustizie.<br />

La proposta risolutrice di Rousseau consiste nel c.d. contratto sociale, con la cui<br />

sottoscrizione gli uom<strong>in</strong>i r<strong>in</strong>uncerebbero spontaneamente alla libertà assoluta per<br />

accettare una convivenza che porti vantaggio alla collettività e, di conseguenza, al<br />

s<strong>in</strong>golo.<br />

25


Tuttavia, sussistono delle condizioni alle quali il contratto sociale deve essere<br />

subord<strong>in</strong>ato per poter esistere:<br />

Stato di dimensioni limitate;<br />

comunità di uom<strong>in</strong>i virtuosi;<br />

sostanziale eguaglianza economica.<br />

In questo modo, attraverso il contratto sociale, l’<strong>in</strong>dividuo potrebbe delegare<br />

l’autorità al corpo unitario, il Legislatore, che co<strong>in</strong>cide con il popolo stesso: secondo<br />

Rousseau, si verrebbe a creare una forma democratica di governo, <strong>in</strong> cui il potere<br />

legislativo e quello esecutivo vengono a co<strong>in</strong>cidere <strong>in</strong> capo al popolo-sovrano, ovvero:<br />

la sovranità diretta è esercitata dai cittad<strong>in</strong>i, mentre il rappresentante della nazione deve<br />

esprimere la volontà generale dell’<strong>in</strong>tero paese piuttosto che di gruppi particolari di<br />

elettori.<br />

L’idea di partenza di Rousseau si andò modificando con gli avvenimenti<br />

immediatamente successivi ai suoi scritti. Il ruolo della democrazia venne a cambiare<br />

totalmente: da “valore”, espressione di un diritto civile che dovrebbe essere posseduto<br />

da ogni persona, a “strumento” per la scelta di soggetti <strong>in</strong> cui riporre la fiducia (e,<br />

perché no, anche la speranza) di vedere rappresentati i propri valori.<br />

La democrazia elitistico-competitiva, modello attualmente <strong>in</strong> vigore e creato da Max<br />

Weber (1922) e Joseph Schumpeter (1942), presuppone una scissione di ruoli:<br />

il popolo è elettore del partito politico che più lo rappresenta a livello di valori;<br />

i politici, eletti dal popolo, si assumono l’<strong>in</strong>carico di prendere delle decisioni<br />

politiche che riflettano i valori del partito cui appartengono.<br />

Schumpeter ritiene che quest’ultima categoria di soggetti sia legittimata dal popolo e,<br />

ancora prima, dal proprio partito, ad essere loro rappresentanti <strong>in</strong> ragione della loro<br />

professionalità, che si esplica nella capacità di gestione efficiente della complessità<br />

degli organi amm<strong>in</strong>istrativi dello Stato (problema della burocrazia), tesi sostenuta anche<br />

da Weber, che riteneva necessaria la presenza di una burocrazia assunta<br />

contrattualmente <strong>in</strong> base a specifiche competenze professionali.<br />

Per entrambi gli economisti, se il popolo non decide né governa allora il suo compito<br />

si limita a quello di “produrre un governo”, selezionando il personale politico più<br />

preparato.<br />

Schumpeter reputa, <strong>in</strong>oltre, il carattere competitivo del sistema democratico come<br />

quell’elemento che permette di frenare l’eventuale potere <strong>in</strong>condizionato esercitato dal<br />

“governo di esperti”, evitando un eccessivo potere da parte della leadership politica.<br />

26


Una classificazione molto raff<strong>in</strong>ata della democrazia elitistico-competitiva è quella<br />

elaborata da Arend Lijphart, la quale si basa su due criteri (Di Gregorio, 2003):<br />

a. la cultura politica di un paese – omogenea o divisa;<br />

b. il comportamento delle élites – conflittuale o tendente all’accordo.<br />

In tal modo, derivano quattro tipologie di democrazia (Marchese, Manc<strong>in</strong>i, Greco,<br />

Ass<strong>in</strong>i, 1997):<br />

1. depoliticizzante: cultura omogenea ed élites tendenti all’accordo (esempio<br />

degli Stati Uniti d’America);<br />

2. centripete: presuppone un consenso ampio delle classi sociali sulla natura del<br />

sistema ed una competizione non dirompente tra i politici (esempio<br />

dell’Inghilterra);<br />

3. centrifughe: esistono sul piano politico profonde spaccature nel paese e le<br />

élites sono altamente conflittuali (esempio dell’Italia);<br />

4. consociative: si sono sviluppate <strong>in</strong> paesi con forti divisione <strong>in</strong>terne di tipo:<br />

religioso (esempio dell’Olanda);<br />

regionale (esempio della Svizzera);<br />

l<strong>in</strong>guistico (esempio del Belgio).<br />

La conflittualità è stata evitata da élites politiche responsabili e disponibili<br />

all’accordo, realizzato mediante ampie maggioranze entro cui gli <strong>in</strong>carichi<br />

sono divisi secondo una rigorosa proporzionalità.<br />

F<strong>in</strong> qui è stata illustrata la componente “elitistica” del concetto della democrazia<br />

moderna; ma l’aspetto “competitivo” <strong>in</strong> che cosa consiste e da che cosa è garantito?<br />

1.4.2 La competizione tra partiti<br />

La competizione politica è garantita dal pluralismo, ovvero, come sostiene Robert<br />

Alan Dahl (1986), uno dei massimi teorici della democrazia, l’esistenza di una<br />

molteplicità di centri di potere, nessuno dei quali è <strong>in</strong>teramente sovrano, che aiuta a<br />

domare il potere, ad assicurare il consenso di tutti e a risolvere pacificamente i conflitti.<br />

La classe politica è l’<strong>in</strong>terprete di mutevoli equilibri, controlla che i conflitti non<br />

divent<strong>in</strong>o catastrofici e che tutti rispett<strong>in</strong>o le regole.<br />

Le decisioni politiche sono l’esito dell’<strong>in</strong>terazione e della competizione di gruppi con<br />

<strong>in</strong>teressi sociali diversi, qu<strong>in</strong>di delle comb<strong>in</strong>azioni di una molteplicità di centri di<br />

potere.<br />

27


Dahl <strong>in</strong>trodusse il concetto di poliarchia (dal greco poly – “molti” – e arkhe –<br />

“potere”) per def<strong>in</strong>ire un sistema politico <strong>in</strong> grado di massimizzare la democrazia;<br />

secondo il politologo, la teoria democratica si occupa dei processi che permettono ai<br />

cittad<strong>in</strong>i comuni di esercitare forme relativamente elevate di controllo sui propri leader.<br />

In una poliarchia, <strong>in</strong>fatti, la cittad<strong>in</strong>anza è divisa <strong>in</strong> numerose cerchie di m<strong>in</strong>oranza.<br />

In una poliarchia ideale, ogni gruppo è egualmente <strong>in</strong>formato sulle possibili<br />

conseguenze di decisioni ed è dotato sia di eguali risorse politiche per condizionare gli<br />

esiti, sia di eguali possibilità di partecipare alla discussione politica promuovendo le<br />

proprie richieste qualora se ne presenti la necessità.<br />

Nelle società reali non tutte queste distribuzioni paritarie sono tuttavia rispettate,<br />

poiché le risorse politiche sono di fatto distribuite <strong>in</strong> modo da permettere ad alcune<br />

cerchie sociali di possedere più <strong>in</strong>fluenza e maggiori risorse di altre (Greblo, 2000).<br />

Ad ogni modo, la diversità di risorse non esclude alcun gruppo sociale dalla<br />

possibilità di utilizzare quelle che detiene per <strong>in</strong>fluenzare il processo democratico.<br />

Anche nella situazione più sfavorita, una m<strong>in</strong>oranza dispone comunque della propria<br />

forza elettorale, dato che condizione necessaria della poliarchia è l’accesso non<br />

discrim<strong>in</strong>ato al diritto di voto.<br />

Dahl descrive, qu<strong>in</strong>di, una teoria volta ad illustrare la democrazia come regime<br />

caratterizzato dalla competizione elettorale e dalla contrattazione politica pluralistica tra<br />

le diverse élites, che rappresenta, a suo parere, un’adeguata analisi esplicativo-<br />

descrittiva della realtà effettiva della politica democratica.<br />

Tuttavia, bisogna evidenziare come lo stesso Dahl abbia rivisto la propria tesi <strong>in</strong><br />

merito alla democrazia, sottol<strong>in</strong>eando il pericolo limitante che la libertà economica<br />

possa costituire per l’eguaglianza: essa è un fattore non costituzionale che può<br />

restr<strong>in</strong>gere l’eguaglianza politica sancita costituzionalmente. Le conseguenze<br />

dell’ord<strong>in</strong>e economico sulla distribuzione di risorse, posizioni strategiche e forza<br />

contrattuale, e, qu<strong>in</strong>di, sull’eguaglianza politica, non solo creano diseguaglianze<br />

sostanziali <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di ricchezza e di reddito, ma <strong>in</strong>terferiscono profondamente con la<br />

possibilità di eguale accesso dei cittad<strong>in</strong>i alla politica.<br />

Vedremo successivamente (vedi <strong>in</strong>fra par. 4.2) quanto sia importante e necessario<br />

determ<strong>in</strong>are il concetto di eguaglianza parallelamente allo sviluppo del discorso sulla<br />

democrazia.<br />

28


1.4.3 Critiche al modello elitistico-competitivo<br />

Se, da un lato, l’<strong>in</strong>dividualismo e l’utilitarismo tessono gli elogi della forma<br />

rappresentativa della democrazia, dall’altro lato c’è chi <strong>in</strong>vece, come Marx e i socialisti,<br />

critica questa forma di democrazia, <strong>in</strong>terpretandola quale sistema di libertà politica che<br />

deve consentire al popolo di creare un ord<strong>in</strong>e sociale <strong>in</strong> grado di cancellare privilegi e<br />

dist<strong>in</strong>zioni sociali (Greblo, 2000); Marx e i socialisti ritengono, <strong>in</strong>oltre, che la<br />

democrazia rappresentativa non sia altro che la legittimazione ideologica della<br />

diseguaglianza sociale, la forma corrotta dell’ideale della democrazia diretta.<br />

La democrazia rappresentativa opera attraverso elezioni legislative, voto libero e<br />

segreto e trasparenza dell’operato dell’esecutivo al governo (Goodhart, 2001).<br />

Tuttavia, non è un regime politico <strong>in</strong> cui le persone realmente governano, anche se lo<br />

si vuol far passare per tale. Infatti, nemmeno gli abitanti di Atene del V secolo a.C.<br />

ritenevano le elezioni una caratteristica democratica, reputandole, piuttosto, un elemento<br />

a favore di un governo aristocratico.<br />

Marx sostenne che la separazione tra società civile e Stato, nonché la rappresentanza<br />

politica separata dalla società civile sia l’equivalente politico del concetto di divisione<br />

del lavoro; qualcosa che, qu<strong>in</strong>di, tende ad alienare il cittad<strong>in</strong>o dalla sua responsabilità<br />

civica nei confronti degli altri cittad<strong>in</strong>i e ad allontanare il suo <strong>in</strong>teresse dal<br />

raggiungimento del bene comune.<br />

Personalmente, la mia op<strong>in</strong>ione <strong>in</strong> merito si avvic<strong>in</strong>a a quanto sostenuto da Marx,<br />

proprio perché ritengo che le prime due rivoluzioni <strong>in</strong>dustriali abbiano cambiato<br />

profondamente il modo di pensare e di vivere dell’uomo, <strong>in</strong> relazione sia al nucleo<br />

elementare di riferimento – la famiglia – sia ai rapporti sociali con gli altri uom<strong>in</strong>i,<br />

all’<strong>in</strong>terno del contesto della civitas.<br />

Voglio sottol<strong>in</strong>eare come, a suo tempo, il suddetto modello poteva essere valido dato<br />

il periodo di transizione dovuto al secondo dopoguerra, caratterizzato da una tendenza<br />

verso la crescita economica nonché verso il progresso della società (Zamagni, 2005b).<br />

Il problema sorge nel momento <strong>in</strong> cui, <strong>in</strong> una situazione storica nonché socio-<br />

economica del tutto differente, come quella <strong>in</strong> cui ci troviamo al giorno d’oggi, si<br />

cont<strong>in</strong>ua ad applicare ancora il modello di democrazia elitistico-competitiva.<br />

La situazione democratica nel mondo, ad oggi, è, <strong>in</strong>fatti, la seguente (dati tratti dal<br />

“Rapporto Annuale della Freedom House”, 2007):<br />

29


Fonte: Freedom House Report, 2007<br />

Anche Norberto Bobbio (1984) ha messo <strong>in</strong> luce i limiti di validità, applicazione ed<br />

efficacia del pr<strong>in</strong>cipio elitistico-competitivo quale regola fondamentale di un sistema<br />

politico democratico; egli determ<strong>in</strong>a una crisi della democrazia dovuta a:<br />

la riv<strong>in</strong>cita degli <strong>in</strong>teressi particolari (non si tratta più di rappresentanza politica,<br />

ma molto spesso di rappresentanza degli <strong>in</strong>teressi);<br />

il mancato passaggio dalla democrazia politica alla democrazia sociale;<br />

la persistenza del potere <strong>in</strong>visibile e l’assenza di un autentico controllo pubblico<br />

del potere;<br />

la carenza di un’educazione alla cittad<strong>in</strong>anza politica.<br />

Quella del<strong>in</strong>eata non è altro che la situazione politica <strong>in</strong> cui ci troviamo tuttora, anche<br />

<strong>in</strong> Italia:<br />

“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.<br />

La sovranità appartiene al popolo,<br />

che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”<br />

(art. 1 – Costituzione della Repubblica italiana)<br />

Accade, perciò, che il popolo elegga persone che ritiene avere le competenze adatte<br />

per prendere decisioni politiche che lo riguardano più o meno direttamente: ma perché<br />

lo fa?<br />

Anno<br />

Numero di<br />

democrazie<br />

elitistico-<br />

competitive<br />

Non potrebbe prendere “da solo” o, meglio, far scaturire dal confronto con gli altri<br />

cittad<strong>in</strong>i le decisioni che lo toccano <strong>in</strong> prima persona o che, comunque, riguardano la<br />

società <strong>in</strong> cui vive (e di cui dovrebbe, sempre e comunque, essere <strong>in</strong>teressato)?<br />

Il processo storico-economico che ho sopra descritto sembra aver lasciato un segno<br />

nella mente delle persone tale per cui esse non sempre ritengono di essere <strong>in</strong> grado di<br />

partecipare alla vita politica e civile, se non attraverso una “semplice” votazione.<br />

30<br />

Numero<br />

di paesi<br />

1950 22 154 14,3<br />

1974 39 142 27,5<br />

1990 76 165 46,1<br />

1995 117 192 61,3<br />

2001 121 192 63,0<br />

2007 123 193 63,7<br />

Democrazie<br />

elitisticocompetitive<br />

(%)


Ma, da quanto f<strong>in</strong> qui riportato, non è emerso che la politica nasce perché esistono<br />

delle persone, dei cittad<strong>in</strong>i, che hanno dei bisogni, delle necessità, che decidono di<br />

soddisfare perseguendo determ<strong>in</strong>ati valori?<br />

Che cos’è la politica senza le persone? Semplicemente un vocabolo svuotato del suo<br />

significato etimologico e più profondo, dato che il term<strong>in</strong>e stesso deriva dalla parola<br />

polis: politico è qu<strong>in</strong>di tutto ciò che si riferisce alla città, tutto ciò che è pubblico, che<br />

riguarda l’universalità dei cittad<strong>in</strong>i.<br />

La politica deve essere al servizio di tutti e contemporaneamente tutti devono essere<br />

disposti ed avere la volontà di occuparsi di politica, perché essa nasce dai cittad<strong>in</strong>i e per<br />

i cittad<strong>in</strong>i, e non può essere demandata ad un’élite di persone, che il più delle volte<br />

fanno di essa solo un lavoro, e della democrazia uno “strumento” <strong>in</strong>vece che un<br />

“valore”.<br />

Non potendoci, dunque, accontentare di ciò che ci offre il sistema politico elitistico-<br />

competitivo, si vedranno <strong>in</strong> un successivo capitolo (vedi <strong>in</strong>fra capitolo 4) motivazioni<br />

più approfondite – e relativi suggerimenti operativi – per riportare <strong>in</strong> auge il profondo<br />

significato della parola democrazia, alla luce del fenomeno che ha segnato – e tuttora<br />

segna – la nostra vita e che tratterò nel seguente capitolo: la terza rivoluzione <strong>in</strong>dustriale<br />

o, più semplicemente, globalizzazione.<br />

31


Capitolo<br />

2<br />

32<br />

“Una nuova rivoluzione<br />

politico-economica:<br />

la globalizzazione”<br />

2.1 La terza rivoluzione <strong>in</strong>dustriale: l’era della globalizzazione e delle sue<br />

conseguenze<br />

I motivi per cui il concetto di democrazia elitistico-competitiva non può essere la<br />

tipologia di democrazia di cui ci possiamo “accontentare” al giorno d’oggi possono<br />

essere <strong>in</strong>tesi solo alla luce della comprensione dei cambiamenti apportati dalla<br />

globalizzazione o terza rivoluzione <strong>in</strong>dustriale.<br />

Dare una def<strong>in</strong>izione unica di ciò che la globalizzazione rappresenta è praticamente<br />

impossibile: sono molteplici, <strong>in</strong>fatti, i punti di vista da cui essa può essere analizzata e<br />

descritta. Pertanto, proverò ad unire più spiegazioni, per ottenere una def<strong>in</strong>izione più<br />

esaustiva possibile.<br />

Secondo Pass<strong>in</strong>i (2001), la globalizzazione può essere def<strong>in</strong>ita come: “il processo <strong>in</strong><br />

seguito al quale gli Stati nazionali e la loro sovranità vengono condizionati e connessi<br />

da attori transnazionali, dal loro potere, dai loro orientamenti, identità e reti, con la<br />

conseguenza immediata per il cittad<strong>in</strong>o della perdita dei conf<strong>in</strong>i tradizionali”.<br />

La globalizzazione tocca, <strong>in</strong>fatti, diversi ambiti della vita dell’uomo – l’economia e il<br />

mercato, il mondo del lavoro, l’<strong>in</strong>formazione, l’ecologia e la natura, la cultura e gli stili<br />

di vita – cercando di universalizzare e unificare, su scala mondiale, istituzioni, simboli e<br />

stili di comportamento, <strong>in</strong>globando <strong>in</strong> se stessa la dimensione locale.<br />

Se si può sostenere che il concetto di globalizzazione sia nato prima ancora del<br />

term<strong>in</strong>e con il quale viene <strong>in</strong>dicato 8 – con lo sviluppo della civiltà umana –, è altrettanto<br />

vero che la globalizzazione di oggi si differenzia da quella “orig<strong>in</strong>ale” perché qualificata<br />

8 Il term<strong>in</strong>e globalizzazione venne coniato da Theodor Levitt nel 1983. Il fenomeno ebbe <strong>in</strong>izio<br />

nel novembre del 1975 con il primo summit del G6, la riunione dei 6 paesi più potenti del globo<br />

di allora.


pr<strong>in</strong>cipalmente dal suo carattere economico, ovvero dal livello di flussi f<strong>in</strong>anziari e di<br />

capitale che costantemente circolano sul c.d. mercato globale.<br />

Si può, perciò, def<strong>in</strong>ire la globalizzazione anche come “il processo di <strong>in</strong>tegrazione<br />

crescente delle economie delle diverse aree del mondo, ossia il processo che riduce, ed<br />

eventualmente elim<strong>in</strong>a, gli ostacoli che si frappongono alla libera circolazione di beni,<br />

servizi, capitali, persone e conoscenze”.<br />

Prima di approfondire il ragionamento <strong>in</strong> merito alla globalizzazione – <strong>in</strong> particolare<br />

quella economica – , vorrei soffermarmi sulle c.d. teorie del commercio <strong>in</strong>ternazionale,<br />

le quali hanno cercato di spiegare il fenomeno dell’<strong>in</strong>ternazionalizzazione delle<br />

relazioni economiche, ed elaborare una tassonomia delle suddette teorie, aff<strong>in</strong>ché sia di<br />

aiuto nella comprensione del fenomeno che andrò successivamente ad illustrare.<br />

2.1.1 Le teorie del commercio <strong>in</strong>ternazionale<br />

Gli scambi tra nazioni hanno costituito uno dei primi oggetti di studio dell’economia<br />

e anche una delle aree <strong>in</strong> cui, f<strong>in</strong> da tempi remoti, si è concentrata l’attenzione dei<br />

governi.<br />

È sufficiente, del resto, ricordare il ruolo attribuito al commercio <strong>in</strong>ternazionale <strong>in</strong><br />

una delle prime dottr<strong>in</strong>e economiche: il mercantilismo (XVII – XVIII sec.), una dottr<strong>in</strong>a<br />

economica “nazionalista”, che mirava a promuovere, attraverso l’<strong>in</strong>tervento dello Stato,<br />

le <strong>in</strong>dustrie e il commercio nazionali, sviluppando <strong>in</strong> particolar modo le esportazioni di<br />

prodotti f<strong>in</strong>iti e limitando le importazioni alle materie prime <strong>in</strong>dispensabili.<br />

Il mercantilismo considera il monopolio sul mercato <strong>in</strong>terno e il controllo delle rotte<br />

commerciali <strong>in</strong>ternazionali come garanzia di profitto <strong>in</strong>dividuale e di potere nazionale e<br />

li persegue con determ<strong>in</strong>azione, tanto da rendere la politica commerciale e la politica<br />

estera spesso s<strong>in</strong>onimi.<br />

Le teorie del commercio <strong>in</strong>ternazionale sono giunte ad analizzare la realtà<br />

sopranazionale per tentare di dare una spiegazione al passaggio che si è verificato da<br />

un’economia chiusa ad un’economia aperta.<br />

Il cambio di prospettiva è dovuto all’ipotesi che alcuni fattori della produzione sono<br />

ritenuti mobili all’<strong>in</strong>terno di un paese ma immobili tra paesi.<br />

In un’economia chiusa, l’equilibrio economico generale – e, qu<strong>in</strong>di, una situazione<br />

di ottimo <strong>in</strong> senso paretiano – viene raggiunto nel momento <strong>in</strong> cui non c’è eccedenza<br />

della domanda di tutti i beni, mentre, <strong>in</strong> un’economia aperta, questa condizione non<br />

33


deve essere necessariamente rispettata per ciascun paese separatamente considerato,<br />

bensì per il mondo nel suo complesso (Belloc, 2006).<br />

Le teorie degli scambi <strong>in</strong>ternazionali possono essere suddivise <strong>in</strong> (Padova, 2006):<br />

- quelle di stampo economico: le teorie tradizionali e le “nuove” teorie – <strong>in</strong> cui<br />

viene considerata l’ipotesi di concorrenza perfetta;<br />

- quelle sviluppatesi <strong>in</strong> tempi più recenti nell’ambito degli studi economico-<br />

aziendali – <strong>in</strong> cui non viene considerata l’ipotesi di concorrenza perfetta.<br />

Le teorie tradizionali<br />

Storicamente la teoria economica, più che sull’impresa “<strong>in</strong> sé”, ha concentrato<br />

l’attenzione sui flussi di commercio <strong>in</strong>ternazionale, ponendo al centro delle proprie<br />

riflessioni la ricerca delle cause che giustificano la loro esistenza.<br />

Le teorie tradizionali si suddividono <strong>in</strong>:<br />

a. teorie classiche: dei vantaggi assoluti (Smith), dei vantaggi comparati<br />

(Ricardo), della domanda reciproca (Mill);<br />

b. teorie neoclassiche: di Hecksher-Olh<strong>in</strong> e il relativo paradosso di Leontief.<br />

Inizialmente, Adam Smith affermava che la ricchezza di un paese fosse da ricercare<br />

nel concetto di “lavoro” come unico fattore <strong>in</strong> grado di creare un’eccedenza – surplus –<br />

e non più, qu<strong>in</strong>di, negli scambi né nella terra.<br />

Secondo Smith, solo il lavoro è <strong>in</strong> grado di dare “valore all’eccedenza”. Scambiando,<br />

<strong>in</strong>fatti, tale merce prodotta <strong>in</strong> eccesso all’<strong>in</strong>terno con qualcos’altro di cui si ha necessità,<br />

si riesce ad aumentare la soddisfazione di tutti.<br />

Smith sosteneva che i progressi nascono dalla migliore divisione del lavoro e<br />

permettono una maggiore e più efficiente specializzazione rispetto alle capacità<br />

produttive di un paese, accrescendosi <strong>in</strong> tal modo il reddito e la ricchezza reali, oltre che<br />

creando sbocchi per l’eccedenza.<br />

In particolare, egli sosteneva che:<br />

“Se un paese estero può fornirci una merce più a buon mercato di quanto<br />

noi possiamo farlo, sarà meglio acquistarla da quel paese<br />

con una parte del prodotto della nostra <strong>in</strong>dustria, impiegata <strong>in</strong> un modo nel quale<br />

se ne tragga qualche vantaggio”.<br />

Prendendo ad esempio due beni come il “panno” e il “v<strong>in</strong>o”, il vantaggio assoluto si<br />

avrà, pertanto, nei due casi evidenziati:<br />

34


Merci Costi unitari di produzione <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di (unità di) lavoro<br />

Inghilterra Portogallo<br />

Panno 3 10<br />

V<strong>in</strong>o 6 5<br />

David Ricardo (1817), padre della teoria dei vantaggi comparati, basa la sua dottr<strong>in</strong>a<br />

sull’immobilità del lavoro tra paesi e sulla perfetta mobilità <strong>in</strong>terna, ma, a differenza di<br />

Smith, per Ricardo, non contano tanto i vantaggi assoluti di costo, quanto quelli relativi<br />

(o, appunto, comparati).<br />

Nel modello ricardiano, ogni paese esporta i beni che produce <strong>in</strong> modo relativamente<br />

efficiente e importa i beni nella cui produzione è relativamente <strong>in</strong>efficiente.<br />

Per Ricardo, anche qualora un paese avesse un vantaggio assoluto <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di<br />

produttività del lavoro <strong>in</strong> più settori, troverebbe conveniente specializzarsi nella<br />

produzione di un solo bene: quello <strong>in</strong> cui il suo vantaggio è proporzionalmente più<br />

elevato.<br />

I costi comparati possono essere def<strong>in</strong>iti come “il rapporto tra i costi unitari assoluti<br />

delle due merci nello stesso paese – ragione di scambio <strong>in</strong>terna (potere di acquisto di un<br />

bene rispetto ad un altro)”.<br />

La condizione necessaria aff<strong>in</strong>ché si realizzi uno scambio <strong>in</strong>ternazionale è l’esistenza<br />

di una differenza dei costi comparati che a sua volta riflette differenze esistenti nelle<br />

tecniche produttive; mentre la condizione sufficiente è che la ragione di scambio<br />

<strong>in</strong>ternazionale – il rapporto tra i costi unitari assoluti della medesima merce nei due<br />

paesi – sia compresa tra le ragioni di scambio <strong>in</strong>terne dei due paesi, senza mai essere<br />

uguale ad alcuna delle due.<br />

Prendendo nuovamente come esempio i due beni, “panno” e “v<strong>in</strong>o”:<br />

Merci Costi unitari di produzione <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di (unità di) lavoro<br />

è necessario calcolare:<br />

1. i costi comparati per i s<strong>in</strong>goli paesi, per verificare che la condizione necessaria<br />

sia rispettata:<br />

Inghilterra Portogallo<br />

Panno 100 90<br />

V<strong>in</strong>o 120 80<br />

- costi comparati per l’Inghilterra: 100/120 = 0,833;<br />

35


- costi comparati per il Portogallo: 90/80 = 1,125;<br />

2. le ragioni di scambio <strong>in</strong>ternazionali per i s<strong>in</strong>goli prodotti, per verificare che la<br />

condizione sufficiente sia rispettata:<br />

- ragione di scambio <strong>in</strong>ternazionale per il “panno”: 100/90 = 1,11;<br />

- ragione di scambio <strong>in</strong>ternazionale per il “v<strong>in</strong>o”: 120/80 = 1,50.<br />

Poiché nel primo caso la condizione sufficiente è rispettata, a differenza del secondo<br />

caso, la conclusione dell’esempio è che l’Inghilterra dovrà produrre “panno” e<br />

acquistare “v<strong>in</strong>o” dal Portogallo.<br />

Lo sviluppo <strong>in</strong>dustriale del XIX e dell’<strong>in</strong>izio del XX secolo ha rimesso, però, <strong>in</strong><br />

discussione anche alcuni aspetti della teoria del vantaggio comparato: mentre questa<br />

assume che il valore della merce sia determ<strong>in</strong>ato unicamente dall’entità del fattore<br />

lavoro impiegato, il processo di meccanizzazione dell’<strong>in</strong>dustria fa emergere<br />

l’importanza del fattore capitale nella produzione.<br />

Il commercio <strong>in</strong>ternazionale non può dunque essere fatto risalire unicamente a<br />

differenze nella produttività del lavoro: le risorse di un paese e, più <strong>in</strong> generale, la<br />

dotazione di fattori produttivi giocano anch’esse un ruolo.<br />

Le pr<strong>in</strong>cipali critiche mosse alla teoria classica sono state:<br />

a. prima di tutto, il non spiegare le cause che determ<strong>in</strong>ano le differenze nei<br />

costi comparati, limitandosi ad assumerle come date;<br />

b. il supporre la costanza dei costi di produzione o l’assenza di rendimenti<br />

di scala (crescenti o decrescenti), ipotesi che non trova molto riscontro<br />

nella realtà;<br />

c. la mancanza di ogni considerazione circa l’aspetto della domanda;<br />

d. nella formulazione del modello si presc<strong>in</strong>de dalla moneta e, qu<strong>in</strong>di, dai<br />

prezzi assoluti, dai salari e dal tasso di cambio;<br />

e. i costi unitari di produzione sono espressi <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i reali come quantità<br />

del lavoro <strong>in</strong>corporato <strong>in</strong> ogni unità prodotta, lavoro supposto<br />

perfettamente omogeneo. Ne consegue l’identità di salario fra i settori<br />

produttivi dello stesso paese.<br />

Alla luce di queste critiche e dei cambiamenti apportati dallo sviluppo <strong>in</strong>dustriale di<br />

quegli anni due economisti svedesi, Heckscher prima (1919) e Olh<strong>in</strong> poi (1933) hanno<br />

ripreso la teoria di Ricardo, adattandola tenendo conto dell’evoluzione <strong>in</strong>dustriale.<br />

Il modello neoclassico del commercio <strong>in</strong>ternazionale è una teoria basata sull’assunto<br />

che “ciascun paese esporta il bene la cui produzione richiede un impiego relativamente<br />

36


più <strong>in</strong>tenso del fattore di cui il paese ha una dotazione relativamente più abbondante,<br />

mentre tende ad importare l’altro bene”.<br />

Le ipotesi di base del modello sono:<br />

- l’esistenza di due paesi (A e B) <strong>in</strong> grado di produrre due beni (ad esempio, i<br />

soliti “panno” e “v<strong>in</strong>o”) con l’impiego di due fattori produttivi (capitale e<br />

lavoro) disponibili <strong>in</strong> quantità limitate;<br />

- di operare <strong>in</strong> un regime di concorrenza perfetta – il che implica<br />

proporzionalità fra costi e prezzi dei beni;<br />

- l’immobilità <strong>in</strong>ternazionale dei fattori produttivi e la perfetta mobilità degli<br />

stessi all’<strong>in</strong>terno di ogni paese;<br />

- l’assenza di costi di trasporto e di dazi doganali;<br />

- l’assenza di differenze tecnologiche fra i paesi – il che implica identità della<br />

funzione di produzione nei due paesi per lo stesso bene;<br />

- l’identità <strong>in</strong>ternazionale dei gusti dei consumatori e l’elasticità della domanda<br />

dei due beni rispetto al reddito pari ad uno 9 .<br />

I vantaggi comparati sono, <strong>in</strong> questa teoria, determ<strong>in</strong>ati dall’<strong>in</strong>terazione fra le risorse<br />

di cui i paesi dispongono e le tecnologie di produzione.<br />

Nonostante i tentativi da parte dei due economisti di applicare il modello dei<br />

vantaggi comparati ricardiano alle peculiarità che ormai caratterizzavano il panorama<br />

economico <strong>in</strong>dustriale, anche questo modello è risultato presentare diverse imperfezioni<br />

e, di conseguenza, non può essere accettato come soddisfacente approssimazione della<br />

realtà. In particolare, sono state avanzate due critiche fondamentali:<br />

a. la prima riguarda la validità della maggior parte delle ipotesi sottostanti al<br />

modello, non solo troppo astratte ma addirittura contrarie a ciò che l’esperienza<br />

quotidiana mostra essere la regola;<br />

b. la seconda fa riferimento all’eccessiva staticità del modello stesso (viene, ad<br />

esempio, del tutto ignorato il ruolo del progresso tecnico).<br />

Da un punto di vista empirico, è stato dimostrato da Leontief (1954) attraverso una<br />

ricerca condotta agli <strong>in</strong>izi degli anni C<strong>in</strong>quanta sulle esportazioni statunitensi che queste<br />

contenevano più lavoro, rispetto al capitale, dei beni prodotti <strong>in</strong> concorrenza con le<br />

importazioni. Leontief notò come gli Stati Uniti, ricchi di capitale, esportassero<br />

prevalentemente beni per i quali la proporzione di lavoro rispetto al capitale era più<br />

9 Quando si ha elasticità della domanda rispetto al reddito pari ad uno significa che la<br />

variazione percentuale del reddito determ<strong>in</strong>a la stessa variazione percentuale della quantità<br />

domandata del bene (Varian, 2002).<br />

37


elevata. La qual cosa è <strong>in</strong> netta contraddizione con il teorema di Heckscher-Olh<strong>in</strong> (da<br />

qui l’appellativo di paradosso di Leontief).<br />

Dal lavoro di Leontief scaturì un ampio dibattito; semplificando al massimo la<br />

spiegazione del paradosso:<br />

- nel periodo preso <strong>in</strong> esame, la produttività del lavoro statunitense era molto<br />

più elevata di quella del lavoro estero e ciò faceva sì che fosse proprio il<br />

lavoro il fattore più abbondante negli Stati Uniti;<br />

- nel valutare il lavoro si deve tenere conto anche della sua “qualità”;<br />

- non è corretto considerare solo il capitale fisico, tralasciando, ad esempio, il<br />

ruolo delle materie prime, il cui commercio è essenzialmente regolato dalla<br />

loro distribuzione sul territorio.<br />

Il risultato è che il paradosso di Leontief non può essere considerato una costante, ma<br />

deve essere accertato paese per paese e di periodo <strong>in</strong> periodo.<br />

Passando ad una critica più generale delle teorie tradizionali, la ragione pr<strong>in</strong>cipale<br />

che mette <strong>in</strong> discussione tutto il filone di teorie f<strong>in</strong> qui considerate è quella relativa<br />

all’<strong>in</strong>fondatezza delle ipotesi sottostanti.<br />

Nelle teorie tradizionali, i fattori di produzione sono immobili fra i paesi; i mercati<br />

sono trasparenti – <strong>in</strong>formazione perfetta e omogeneità tra i consumatori di paesi<br />

differenti; le imprese operano con identiche conoscenze e tecnologie; non esistono<br />

barriere all’entrata né economie di scala; la concorrenza è unicamente basata sul prezzo;<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, vi è pieno impiego dei fattori produttivi.<br />

Se, alla luce delle d<strong>in</strong>amiche evolutive che connotano l’attuale ondata di<br />

globalizzazione, alcune di tali ipotesi potrebbero non essere oggi così importanti,<br />

rimane tuttavia una limitazione <strong>in</strong>valicabile: la teoria si concentra sul commercio di<br />

merci tra paesi senza alcuna considerazione delle imprese come soggetti competitivi.<br />

Non viene considerata, cioè, l’impresa <strong>in</strong>dustriale, soggetto impresc<strong>in</strong>dibile per<br />

descrivere la realtà di un mercato “imperfettamente concorrenziale”.<br />

Le “nuove” teorie<br />

Come si è appena sostenuto, la formulazione dei modelli tradizionali non corrisponde<br />

alla realtà dei mercati “imperfettamente concorrenziali”, <strong>in</strong> cui i “divari tecnologici”<br />

spiegano la diffusione e i ritardi fra le imprese e fra i paesi nella specializzazione<br />

produttiva, le tecnologie e le <strong>in</strong>formazioni non sono liberamente disponibili e la<br />

38


differenziazione e la diversificazione dei prodotti giocano un ruolo rilevante per<br />

sfruttare le economie di scala e <strong>in</strong>nalzare le barriere all’entrata.<br />

Le c.d. “nuove” teorie, nate quale risposta agli <strong>in</strong>terrogativi posti dal paradosso di<br />

Leontief ed, <strong>in</strong> parte, dai tentativi di spiegare fenomeni quali il diffondersi delle imprese<br />

mult<strong>in</strong>azionali ed il crescente ruolo assunto dagli Stati Uniti all’<strong>in</strong>terno degli scambi<br />

mondiali, sono:<br />

- la teoria del gap tecnologico di Posner;<br />

- la teoria del ciclo di vita <strong>in</strong>ternazionale del prodotto di Hirsh e Vernon;<br />

- la teoria della domanda rappresentativa di L<strong>in</strong>der.<br />

La teoria del gap tecnologico pone enfasi sul ruolo svolto dai cambiamenti<br />

tecnologici e sui pattern of trade dei prodotti “nuovi”.<br />

Si deve a Posner, <strong>in</strong> un articolo del 1961, la prima esplicita formulazione della teoria<br />

successivamente def<strong>in</strong>ita del “gap tecnologico”.<br />

Le ipotesi del modello sono:<br />

- i due paesi hanno le stesse proporzioni – dotazioni – di fattori produttivi;<br />

- identici prezzi assoluti e relativi dei fattori;<br />

- identiche strutture di domanda;<br />

- assenza di costi di trasporto.<br />

L’analisi di Posner consiste nella descrizione del processo d<strong>in</strong>amico con cui i<br />

prodotti e i processi si r<strong>in</strong>novano cont<strong>in</strong>uamente e le tecnologie esistenti si trasferiscono<br />

gradualmente ad altri paesi.<br />

Posner sostiene che i vantaggi comparati di un paese rispetto ad un altro (cioè le<br />

differenze di costo comparato) non dipendono da dotazioni e prezzi bensì da quello che<br />

lui def<strong>in</strong>isce vantaggio tecnologico: sono la creazione e lo sviluppo di <strong>in</strong>novazioni di<br />

processo e di prodotto – tasso di <strong>in</strong>novazione dei settori – che hanno luogo <strong>in</strong> un dato<br />

paese e non <strong>in</strong> altri a mettere <strong>in</strong> moto flussi di commercio <strong>in</strong>ternazionale ed a condurre il<br />

paese <strong>in</strong>novatore <strong>in</strong> una posizione di vantaggio monopolistico. Tale vantaggio ha però<br />

una durata limitata al periodo di tempo necessario per l’imitazione delle nuove<br />

tecnologie da parte dei paesi <strong>in</strong>seguitori (monopolio temporaneo).<br />

La durata della posizione monopolistica detenuta dal settore <strong>in</strong>novatore è def<strong>in</strong>ita<br />

dalla differenza fra il tempo necessario alle imprese straniere per imitare i nuovi<br />

39


processi produttivi (imitation lag) 10 e il tempo necessario ai consumatori esteri per<br />

manifestare la domanda di nuovi prodotti (foreign demand lag).<br />

Inoltre, i produttori che operano nel paese <strong>in</strong>novatore possono trarre vantaggio dalle<br />

economie di scala, le quali possono ritardare il processo imitativo.<br />

Con le economie di scala, l’effetto di una prima <strong>in</strong>novazione può stimolare una<br />

concentrazione degli <strong>in</strong>vestimenti nel settore, la quale determ<strong>in</strong>a un aumento del tasso<br />

di progresso tecnico e, dunque, un flusso cont<strong>in</strong>uo di nuove <strong>in</strong>novazioni e di nuovi<br />

prodotti.<br />

In questo modo, avvenuta l’imitazione, anche se le esportazioni tenderanno a cessare,<br />

il modello potrà generare un flusso costante nel tempo di commercio a senso unico se si<br />

ipotizza non già una <strong>in</strong>novazione s<strong>in</strong>gola, ma un flusso di <strong>in</strong>novazioni nel tempo (vedi<br />

Figura 1 – Andamenti temporali della produzione e del commercio <strong>in</strong> un paese imitatore<br />

– paese <strong>in</strong>novatore).<br />

PAESE<br />

INNOVAT<strong>OR</strong>E<br />

PAESE<br />

IMITAT<strong>OR</strong>E<br />

Fig. 1 – Andamenti temporali della produzione e del commercio <strong>in</strong> un paese imitatore-paese<br />

<strong>in</strong>novatore<br />

Seppur all’apparenza il modello appaia adatto alla realtà di alcuni flussi commerciali<br />

odierni, esso non spiega le ragioni per le quali specifiche <strong>in</strong>novazioni – che pure<br />

10 A sua volta, l’imitation lag sarà determ<strong>in</strong>ato dalla disponibilità di vie d’imitazione, dalla<br />

prontezza dei produttori locali a rendersi conto della possibilità di una futura m<strong>in</strong>accia al loro<br />

mercato non appena l’<strong>in</strong>novazione ha luogo nel paese orig<strong>in</strong>ario (sì che la produzione locale<br />

potrebbe <strong>in</strong>iziare prima che abbia luogo il flusso d’importazioni dal paese <strong>in</strong>novatore) e dal<br />

grado di concorrenza vigente nel settore nazionale (quanto m<strong>in</strong>ore è tale concorrenza, tanto<br />

meno i produttori locali tenderanno a preoccuparsi della possibilità di importazioni e tanto meno<br />

stimolati saranno a trovare vie d’imitazione) (Valdani, Bertoli, 2003).<br />

40<br />

Produzione<br />

t0 t1 t2 t3<br />

Produzione<br />

Esportazioni<br />

Esportazioni


costituiscono l’elemento tra<strong>in</strong>ante di tutto il modello – sono <strong>in</strong>izialmente sviluppate da<br />

certi paesi piuttosto che da altri.<br />

Ancora, per prodotti ormai vecchi è dubbio che sia ragionevole imputare le<br />

differenze temporali d’<strong>in</strong>izio della produzione come causa delle attuali disparità<br />

tecnologiche.<br />

Inoltre, nel modello le date di <strong>in</strong>izio della produzione e il tempo necessario per le<br />

imitazioni si riferiscono soltanto alla prima impresa produttrice di ogni paese, mentre<br />

non si parla delle attività delle imprese successive.<br />

Inf<strong>in</strong>e, Posner trascura completamente il fenomeno delle imprese mult<strong>in</strong>azionali: non<br />

spiega cioè perché l’impresa <strong>in</strong>novatrice non scelga di sfruttare direttamente i vantaggi<br />

derivanti dalla possibilità di m<strong>in</strong>imizzare i costi di produzione andando essa stessa a<br />

produrre nel paese dove quei costi sono m<strong>in</strong>ori.<br />

La superiorità tecnologica di un paese <strong>in</strong> una determ<strong>in</strong>ata produzione non dipende<br />

tanto dalla capacità <strong>in</strong>novativa del paese <strong>in</strong>tesa nel senso di <strong>in</strong>iziale produzione di un<br />

nuovo bene o di sfruttamento di un nuovo processo produttivo, quanto piuttosto dalla<br />

sua capacità di diffusione dell’<strong>in</strong>novazione tecnologica, ossia dalla misura e dalla<br />

rapidità con cui l’<strong>in</strong>novazione, nazionale o estera, si diffonde all’<strong>in</strong>terno del paese tra le<br />

aziende di un dato settore.<br />

Nel 1967, Hirsch rielabora la teoria di Posner attraverso la nozione di “ciclo di vita<br />

<strong>in</strong>ternazionale del prodotto”. Egli sottol<strong>in</strong>ea come col tempo la tecnologia di produzione<br />

di un nuovo bene si vada progressivamente standardizzando e come questo comporti<br />

delle modificazioni nelle <strong>in</strong>tensità e nella qualità dei fattori impiegati nella sua<br />

produzione.<br />

Nella fase <strong>in</strong>iziale di produzione e sviluppo di un prodotto nuovo, questo richiede<br />

tecniche ad alta <strong>in</strong>tensità di lavoro qualificato; mano a mano che aumenta la scala<br />

produttiva, alle imprese conviene utilizzare macch<strong>in</strong>ari specializzati, capaci di<br />

abbreviare al massimo i tempi di produzione. Quando poi il prodotto è maturo e le<br />

tecnologie standardizzate, diviene particolarmente importante la disponibilità di lavoro<br />

non qualificato.<br />

Vernon (1966) giunge a conclusioni molto simili a quelle di Hirsch, partendo però da<br />

ipotesi diverse. Nel suo modello, come Hirsch, assume che siano tre le fasi attraverso le<br />

quali si può riassumere la vita di un prodotto, ma nell’esam<strong>in</strong>arle si sofferma sulle<br />

caratteristiche della domanda, piuttosto che su quelle dell’offerta.<br />

41


L’ipotesi di base è che, pur essendoci eguali possibilità per le imprese dei paesi<br />

sviluppati di accedere alla conoscenza scientifica, non si abbiano uguali probabilità che<br />

tali pr<strong>in</strong>cipi vengano applicati nell’elaborazione di nuovi prodotti e che fondamentale<br />

sia il ruolo del mercato <strong>in</strong>terno: esso funge non solo da stimolo per l’impresa<br />

<strong>in</strong>novatrice, ma anche da localizzazione preferita per il processo produttivo.<br />

Vernon sostiene che la capacità degli imprenditori di trovare le opportunità di<br />

applicazione delle conoscenze scientifiche e la rapidità nel coglierne le implicazioni<br />

siano <strong>in</strong>fluenzate dalla “facilità di comunicazione con i mercati di sbocco” (che a sua<br />

volta può ipotizzarsi come variabile dipendente dalla vic<strong>in</strong>anza geografica). Ciò implica<br />

che per ciascun imprenditore è più facile rendersi conto delle possibilità di lanciare<br />

nuovi prodotti nel mercato <strong>in</strong> cui opera che non <strong>in</strong> mercati <strong>in</strong> cui non è presente.<br />

Inoltre, secondo Vernon, la domanda di nuovi beni di consumo (manufatti) si<br />

manifesta più facilmente <strong>in</strong> paesi ad elevato reddito pro-capite.<br />

Con l’espandersi della domanda del prodotto si raggiunge un certo grado di<br />

standardizzazione e l’importanza dei costi di produzione com<strong>in</strong>cia a prevalere su quella<br />

delle caratteristiche del prodotto.<br />

Nel contempo, è probabile che una certa domanda del nuovo prodotto com<strong>in</strong>ci ad<br />

apparire anche <strong>in</strong> altri mercati.<br />

F<strong>in</strong>ché il costo marg<strong>in</strong>ale di produzione sommato al costo di trasporto dei beni<br />

esportati è <strong>in</strong>feriore al costo medio previsto per produrre nel mercato di importazione, è<br />

probabile che i produttori preferiscano evitare l’<strong>in</strong>vestimento diretto all’estero, ma<br />

<strong>in</strong>fluiscono sulla decisione eventuali barriere doganali e la comparsa, nei paesi<br />

importatori, di produttori locali del bene.<br />

Di fronte ad un prodotto “maturo”, cioè altamente standardizzato (il che significa, da<br />

un lato, impianti ad alta <strong>in</strong>tensità di capitale e poco flessibili tecnologicamente e,<br />

dall’altro, elevata elasticità della domanda rispetto al prezzo), la competitività si sposta<br />

sul prezzo.<br />

A queste condizioni, l’area dei PVS può costituire una localizzazione vantaggiosa.<br />

In questo modello non si tiene conto solo dei ritardi di domanda e di imitazione<br />

messi <strong>in</strong> luce da Posner, bensì si esplicitano le caratteristiche della domanda, delle<br />

funzioni di produzione che mutano lungo il ciclo di vita, e del connesso mutare del mix<br />

dei fattori utilizzati.<br />

42


Nonostante questa teoria abbia ben spiegato l’espansione del commercio mondiale<br />

nel secondo dopoguerra – guidato dagli Stati Uniti – non sono mancate le critiche,<br />

anche da parte dello stesso Vernon.<br />

Innanzitutto, si è rilevato che essa offre una spiegazione dell’orig<strong>in</strong>e dei vantaggi<br />

comparati limitata alla considerazione di un segmento particolare, quello de prodotti<br />

manufatti, ossia quelli concepiti per soddisfare consumatori ricchi e rispondere al<br />

bisogno di risparmiare lavoro.<br />

In secondo luogo, Vernon non ha considerato come le imprese localizzate <strong>in</strong> paesi<br />

poco dotati di materie prime fossero <strong>in</strong>teressate ad <strong>in</strong>trodurre <strong>in</strong>novazioni volte a<br />

risparmiare materie prime piuttosto che lavoro.<br />

Al di là di queste limitazioni concettuali, comunque, la capacità esplicativa della<br />

teoria ha nel tempo subito un logoramento, a causa dei profondi cambiamenti<br />

dell’ambiente <strong>in</strong>ternazionale: l’assunto, <strong>in</strong>fatti, che la maggior parte delle <strong>in</strong>novazioni<br />

tecnologiche provenissero da un unico paese <strong>in</strong> generale, e dagli Stati Uniti <strong>in</strong><br />

particolare, è stato superato con l’affermazione delle imprese giapponesi ed europee sui<br />

mercati mondiali.<br />

Inoltre, la maggior parte delle aziende mult<strong>in</strong>azionali, avendo già sviluppato una<br />

dimensione <strong>in</strong>ternazionale, pianificano la produzione dei prodotti per soddisfare<br />

contemporaneamente differenti mercati, contrastando così l’ipotesi del modello che<br />

voleva che i nuovi prodotti sviluppati dalle imprese fossero pensati per soddisfare le<br />

esigenze della domanda presente <strong>in</strong> un paese e, solo successivamente, anche di altri<br />

mercati.<br />

Inf<strong>in</strong>e, si rende necessario tenere conto che buona parte dei processi di sviluppo<br />

<strong>in</strong>ternazionale avvengono mediante acquisizioni di imprese già operanti o tramite<br />

alleanze con altre imprese e che non si tratta solamente di grandi imprese<br />

mult<strong>in</strong>azionali, ma che la realtà economica è sempre più figurata anche da una miriade<br />

di piccole imprese d<strong>in</strong>amiche che possono operare con una visione globale.<br />

Il passo successivo nelle teorie del commercio <strong>in</strong>ternazionale è stato realizzato da<br />

L<strong>in</strong>der, il quale sostiene che il commercio dei manufatti è determ<strong>in</strong>ato non tanto da<br />

differenze nelle condizioni di offerta quanto da somiglianze nelle condizioni della<br />

domanda.<br />

La proposizione di base è che:<br />

“perché un prodotto venga consumato – o usato come bene di <strong>in</strong>vestimento –<br />

<strong>in</strong> un paese, occorre che vi sia una domanda per tale prodotto […]”.<br />

43


E poiché il commercio <strong>in</strong>ternazionale non è altro che l’estensione dell’attività<br />

economica di un paese al di là delle frontiere nazionali, condizione necessaria ma non<br />

sufficiente aff<strong>in</strong>ché il prodotto sia potenzialmente esportabile è che vi sia una domanda<br />

<strong>in</strong>terna “rappresentativa” di tale prodotto.<br />

È difficile che un imprenditore concepisca di soddisfare un bisogno che non esiste<br />

nel proprio paese, <strong>in</strong> quanto agisce <strong>in</strong> un mondo di conoscenza imperfetta; anche se<br />

questo bisogno esterno potesse essere percepito, potrebbe essere difficile concepire il<br />

prodotto adatto a soddisfare tale bisogno.<br />

Inf<strong>in</strong>e, anche se riuscisse a concepirlo, sarebbe ancora improbabile che tale prodotto<br />

possa alla f<strong>in</strong>e venire adattato a condizioni non familiari senza <strong>in</strong>correre <strong>in</strong> costi<br />

proibitivi.<br />

Per <strong>in</strong>dividuare <strong>in</strong> quali tipi di paesi si può sviluppare un <strong>in</strong>tenso flusso commerciale,<br />

è necessario prima verificare quali fattori determ<strong>in</strong>ano la struttura della domanda, tra<br />

cui: il clima, la cultura, i gusti nazionali, il reddito pro-capite, la distribuzione del<br />

reddito, ecc.<br />

L<strong>in</strong>der sostiene, però, che il più importante di tali fattori sia il livello medio di<br />

reddito, <strong>in</strong> quanto la somiglianza dei livelli medi di reddito potrebbe essere usata come<br />

un <strong>in</strong>dice di somiglianza delle strutture di domanda. Le differenze nel reddito pro-capite<br />

possono essere un potenziale ostacolo al commercio.<br />

Secondo L<strong>in</strong>der, sono le possibilità pressoché illimitate di differenziazione (reale o<br />

presunta) dei prodotti a rendere possibile il commercio di beni sostanzialmente identici.<br />

In assenza di differenziazione dei prodotti, la spiegazione dei vantaggi comparati<br />

andrà cercata nei vantaggi nella lavorazione di materie prime disponibili <strong>in</strong> grandi<br />

quantità, nella superiorità tecnologica, nella capacità manageriale e nelle economie di<br />

scala.<br />

La teoria l<strong>in</strong>deriana, pur fondandosi su ipotesi più aderenti alla realtà rispetto alle<br />

precedenti, è stata oggetto di numerosi rilievi critici: uno dei limiti più importanti della<br />

sua analisi pare derivare dal fatto di non tenere sufficientemente <strong>in</strong> conto il ruolo delle<br />

imprese mult<strong>in</strong>azionali e della loro capacità di attuare un’<strong>in</strong>tegrazione verticale a livello<br />

<strong>in</strong>ternazionale del processo produttivo.<br />

Essa si riduce, <strong>in</strong> sostanza, alla tesi che i più rilevanti flussi di scambio di beni<br />

manufatti avranno luogo tra paesi con livelli di reddito pro-capite più simili; ma una<br />

volta identificati i paesi che con più probabilità si scambieranno beni, il modello non<br />

44


spiega la composizione merceologica dello scambio tra paesi: non spiega, cioè, quali<br />

prodotti ciascun paese venderà all’altro.<br />

Le teorie economico-aziendali (o degli <strong>in</strong>vestimenti diretti esteri – IDE)<br />

Le teorie degli <strong>in</strong>vestimenti diretti esteri (IDE) si propongono di spiegare le<br />

determ<strong>in</strong>anti dei movimenti <strong>in</strong>ternazionali di capitale.<br />

Esistono due gruppi di teorie a proposito:<br />

a. quelle che si basano sulle ipotesi di concorrenza perfetta:<br />

- teoria dei differenziali nei tassi di rendimento;<br />

- teoria della diversificazione di portafoglio;<br />

b. quelle che si basano sulle ipotesi di imperfezione dei mercati:<br />

- teoria economico-<strong>in</strong>dustriale di Hymer;<br />

- teoria dell’ “<strong>in</strong>ternalizzazione” dei mercati di Coase e Williamson;<br />

- il paradigma “eclettico” di Dunn<strong>in</strong>g;<br />

- teoria della rivalità oligopolistica di Knickerbocker;<br />

- la scuola giapponese di Kojima e Ozawa.<br />

Innanzitutto, la teoria dei differenziali nei tassi di rendimento afferma che<br />

l’<strong>in</strong>vestimento diretto estero è il risultato di un processo di trasferimento dei capitali <strong>in</strong><br />

paesi a basso tasso di redditività a paesi a redditività superiore.<br />

Se il costo del capitale è uguale, l’impresa ha convenienza ad <strong>in</strong>vestire nel paese<br />

dove si aspetta di ottenere rendimenti più elevati.<br />

Questa teoria poteva essere veritiera nei primi anni del dopoguerra, ma con il tempo,<br />

soprattutto negli anni a noi più vic<strong>in</strong>i, ha perso <strong>in</strong> rilevanza.<br />

La spiegazione che si riconduce alla teoria della diversificazione di portafoglio<br />

afferma che, nella scelta fra differenti alternative di <strong>in</strong>vestimento, un’impresa è<br />

presumibilmente guidata sia dalle aspettative di rendimento, sia dal tentativo di<br />

abbassare la soglia di rischio.<br />

In quest’ottica, gli <strong>in</strong>vestimenti diretti esteri sono <strong>in</strong>tesi come una diversificazione<br />

<strong>in</strong>ternazionale del portafoglio aziendale.<br />

L’<strong>in</strong>troduzione della variabile “rischio” rende <strong>in</strong>dubbiamente tale approccio più<br />

completo di quello precedente, riuscendo <strong>in</strong> parte a spiegare perché un paese possa<br />

contemporaneamente generare flussi di <strong>in</strong>vestimento <strong>in</strong> entrata e <strong>in</strong> uscita.<br />

Tuttavia, quest’approccio non è <strong>in</strong> grado di <strong>in</strong>terpretare le differenti propensioni<br />

mostrate da determ<strong>in</strong>ati settori e imprese ad <strong>in</strong>vestire all’estero.<br />

45


Negli ultimi trent’anni si è cambiata prospettiva di analisi: sia la struttura dei mercati<br />

sia le strategie delle imprese hanno assunto un ruolo-chiave nella spiegazione delle<br />

ragioni degli IDE.<br />

Per primo, Hymer (1976) pose il problema di verificare quando le imprese<br />

preferiscono realizzare <strong>in</strong>vestimenti diretti all’estero, f<strong>in</strong>alizzati alla produzione <strong>in</strong> loco,<br />

piuttosto che cont<strong>in</strong>uare ad esportare fabbricati nel paese di orig<strong>in</strong>e.<br />

Secondo Hymer, l’impresa ha l’obiettivo di accrescere il proprio potere di mercato;<br />

l’<strong>in</strong>cremento della quota di mercato è collegata alla capacità di erigere e mantenere<br />

barriere all’<strong>in</strong>gresso – possesso di vantaggi competitivi di varia natura.<br />

L’aumento della quota di mercato permette di creare e accrescere situazioni di<br />

oligopolio <strong>in</strong> modo da aumentare i profitti.<br />

Hymer si chiede, allora, perché un’impresa decide di sfruttare il proprio vantaggio<br />

competitivo attraverso l’<strong>in</strong>vestimento diretto estero, anziché “venderlo” ad un’impresa<br />

locale mediante qualche forma di accordo contrattuale.<br />

Il parere di Hymer è che un’impresa che decida di costituire una consociata all’estero<br />

è dest<strong>in</strong>ata a:<br />

- <strong>in</strong>contrare una serie di svantaggi competitivi confrontandosi con imprese<br />

locali;<br />

- subire possibili discrim<strong>in</strong>azioni da parte dei governi o di altri stakeholders<br />

locali nei confronti delle imprese straniere.<br />

Inoltre, le imprese nazionali hanno una migliore conoscenza di alcuni aspetti<br />

competitivi fondamentali quali, per esempio:<br />

- i comportamenti e le aspettative della domanda;<br />

- gli standard tecnologici e i parametri nella qualità del servizio;<br />

- le normative vigenti.<br />

La convenienza derivante dagli IDE è riconducibile pr<strong>in</strong>cipalmente al possesso, da<br />

parte dell’impresa, di vantaggi di tipo oligopolistico riproposti dall’impresa stessa su<br />

scala <strong>in</strong>ternazionale: essa, cioè, dovrà usufruire di vantaggi competitivi rispetto alle<br />

imprese locali <strong>in</strong> misura tale da compensare i maggiori costi sostenuti e neutralizzare gli<br />

svantaggi sofferti.<br />

In mercati oligopolistici, “imperfetti”, dove l’impresa gode di vantaggi competitivi,<br />

l’<strong>in</strong>vestimento diretto acquista <strong>in</strong>vece significato.<br />

46


Secondo Hymer, un’altra possibile causa alla base dello sfruttamento degli IDE è la<br />

rimozione o la prevenzione di possibili conflitti tra imprese di diversa nazionalità<br />

all’<strong>in</strong>terno dei settori oligopolistici.<br />

Nonostante con l’analisi di Hymer la teoria dell’<strong>in</strong>ternazionalizzazione abbia<br />

compiuto senza dubbio – anche da un punto di vista empirico – un significativo passo<br />

avanti, il modello porta con sé dei limiti, presupponendo l’esistenza di vantaggi<br />

oligopolistici e studiandone le modalità di sfruttamento, senza però porre attenzione ai<br />

processi di generazione di tali vantaggi, né al vantaggio “<strong>in</strong> sé” che deriva all’impresa<br />

dall’essere <strong>in</strong>ternazionale.<br />

Inoltre, la teoria non è ancora <strong>in</strong> grado di spiegare perché un’impresa che disponga di<br />

vantaggi competitivi <strong>in</strong>terni debba decidere di <strong>in</strong>vestire all’estero, né perché scelga tale<br />

opzione di sviluppo <strong>in</strong>ternazionale fra le varie possibili.<br />

La successiva teoria, quella di Coase e Williamson (teoria dell’<strong>in</strong>ternalizzazione dei<br />

mercati) afferma che gli oneri collegati allo svolgimento di una transazione possono<br />

variare a seconda che questa avvenga fra:<br />

- due entità economiche <strong>in</strong>dipendenti tra loro (scambi di mercato);<br />

- due entità organizzate sottoposte al medesimo centro di controllo gerarchico<br />

(scambi <strong>in</strong>terni all’impresa).<br />

L’elemento che <strong>in</strong>fluenza i costi di transazione è costituito dall’efficienza relativa dei<br />

mercati ovvero dalle loro distorsioni (market failure):<br />

- imperfezioni di tipo strutturale: barriere alla competizione che conducono<br />

all’oligopolio o al monopolio (già evidenziate da Hymer);<br />

- imperfezioni di tipo naturale: discendono <strong>in</strong>vece dal fatto che i soggetti che<br />

realizzano lo scambio non dispongono di una conoscenza a priori piena e<br />

reciproca delle condizioni della transazione (asimmetria <strong>in</strong>formativa – più<br />

nello specifico, selezione avversa) oppure dal fatto che la stesura delle<br />

condizioni contrattuali e/o l’azione coercitiva per il rispetto delle stesse può<br />

essere molto difficile.<br />

Ove i mercati siano fortemente imperfetti, la realizzazione di una transazione tra<br />

unità economiche <strong>in</strong>dipendenti non è conveniente, a causa:<br />

- dei costi associati alla ricerca della controparte;<br />

- alla redazione del contratto;<br />

- al controllo e all’eventuale sanzionamento della parte <strong>in</strong>adempiente.<br />

47


In presenza di tali condizioni (i c.d. costi di transazione), l’impresa può reputare<br />

conveniente optare per l’<strong>in</strong>ternalizzazione della transazione. Quando il processo di<br />

<strong>in</strong>ternalizzazione dei mercati supera i conf<strong>in</strong>i nazionali, si orig<strong>in</strong>a l’impresa<br />

<strong>in</strong>ternazionale.<br />

Secondo questa teoria, le imprese mult<strong>in</strong>azionali sorgono con l’obiettivo di ridurre i<br />

costi delle transazioni che si orig<strong>in</strong>ano dall’imperfezione naturale dei mercati, ponendo<br />

gli scambi sotto il controllo di strutture dotate di potere gerarchico unitario (creazione di<br />

mercati <strong>in</strong>terni).<br />

Alla riduzione dei costi di transazione fanno naturalmente da contraltare i costi<br />

dell’<strong>in</strong>ternalizzazione, i quali comprendono:<br />

- le maggiori spese amm<strong>in</strong>istrative e di comunicazione <strong>in</strong>terna;<br />

- i costi di coord<strong>in</strong>amento organizzativo e di controllo;<br />

- gli oneri determ<strong>in</strong>ati da politiche discrim<strong>in</strong>atorie dei governi locali nei<br />

confronti delle imprese straniere.<br />

La teoria sconta una difficoltà di fondo nella verifica delle ipotesi ed è stata tacciata<br />

da alcuni studiosi di essere troppo generica o addirittura tautologica.<br />

Essa, <strong>in</strong>oltre, non è <strong>in</strong>teressata alle modalità con cui le imprese generano i vantaggi<br />

competitivi, ma solo alle modalità di contenimento dei costi delle transazioni; così<br />

facendo, non si riescono a cogliere importanti aspetti delle strategie delle imprese.<br />

L’<strong>in</strong>glese Dunn<strong>in</strong>g (1981) ha cercato di sviluppare un approccio <strong>in</strong>tegrato, che egli<br />

stesso ha def<strong>in</strong>ito “paradigma eclettico”, che racchiudesse le tre pr<strong>in</strong>cipali l<strong>in</strong>ee di<br />

pensiero <strong>in</strong> tema di <strong>in</strong>vestimento diretto estero: la teoria dell’economia <strong>in</strong>dustriale,<br />

quella dell’<strong>in</strong>ternalizzazione e quella della localizzazione.<br />

Il paradigma proposto adotta una def<strong>in</strong>izione di “attività <strong>in</strong>ternazionale” molto<br />

ampia:<br />

“qualsiasi attività generatrice di valore posseduta o controllata da un’impresa e<br />

posta al di fuori del paese d’orig<strong>in</strong>e dell’impresa stessa che tiene conto delle nuove<br />

modalità con cui le imprese, negli ultimi tempi, hanno sviluppato – attraverso alleanze,<br />

accordi cooperativi e vari altri strumenti – strategie di controllo su segmenti della<br />

catena del valore posti al di fuori dei conf<strong>in</strong>i del paese d’orig<strong>in</strong>e”.<br />

Secondo questo paradigma, un’impresa <strong>in</strong>tenzionata ad avviare un processo di<br />

<strong>in</strong>ternazionalizzazione deve essere <strong>in</strong> grado di soddisfare tre condizioni necessarie e<br />

consequenziali:<br />

48


1. ownership advantages: l’impresa deve poter disporre di vantaggi competitivi di<br />

proprietà nei confronti delle imprese concorrenti, persistenti nel tempo;<br />

2. <strong>in</strong>ternalizations advantages: i vantaggi esclusivi posseduti devono essere<br />

impiegati al meglio dall’impresa all’<strong>in</strong>terno della propria organizzazione<br />

piuttosto che attraverso il mercato, concedendone la facoltà di utilizzo ad altre<br />

imprese <strong>in</strong>dipendenti attraverso scambi di mercato;<br />

3. locational advantages: l’impresa deve trovare conveniente l’impiego di tali<br />

vantaggi <strong>in</strong> comb<strong>in</strong>azione almeno con qualche fattore di produzione localizzato<br />

nel paese di dest<strong>in</strong>azione dell’<strong>in</strong>vestimento, poiché se così non fosse i mercati<br />

potrebbero essere serviti esclusivamente attraverso flussi di esportazione.<br />

In s<strong>in</strong>tesi, aff<strong>in</strong>ché abbia luogo un IDE, è condizione necessaria che l’impresa<br />

detenga vantaggi competitivi e di <strong>in</strong>ternazionalizzazione, mentre il paese-ospite goda di<br />

vantaggi di localizzazione superiori al paese di orig<strong>in</strong>e dell’impresa.<br />

Tuttavia, la “teoria eclettica” appare, per la sua <strong>in</strong>determ<strong>in</strong>atezza, solo una griglia<br />

d’<strong>in</strong>terpretazione, uno schema di analisi dei fenomeni di <strong>in</strong>ternazionalizzazione e non<br />

come una vera teoria <strong>in</strong> grado di spiegare il processo stesso per quello che riguarda<br />

modalità, dimensioni, motivazioni e tempi della decisione di <strong>in</strong>ternazionalizzarsi.<br />

Secondo la teoria della rivalità oligopolistica elaborata da Knickerbocker nel 1973,<br />

la decisione di <strong>in</strong>vestire all’estero da parte di un’impresa è il frutto di una reazione<br />

strategica agli <strong>in</strong>vestimenti all’estero realizzati dai concorrenti, che può essere suddivisa<br />

<strong>in</strong>:<br />

- strategia follow the leader: nei settori caratterizzati da un elevato livello di<br />

concentrazione, la decisione d’<strong>in</strong>vestire all’estero da parte di un’impresa<br />

sp<strong>in</strong>gerà i concorrenti di riferimento ad adottare comportamenti simili, al f<strong>in</strong>e<br />

di mantenere le proprie quote di mercato;<br />

- strategia exchange of threat: stessa logica quando l’IDE risulta dalla reazione<br />

di un’impresa all’entrata, anche soltanto m<strong>in</strong>acciata, nel proprio mercato da un<br />

concorrente diretto; contromossa che prende la forma d’<strong>in</strong>gresso nel mercato<br />

del concorrente.<br />

Alla teoria della rivalità oligopolistica vengono rivolte due critiche fondamentali:<br />

<strong>in</strong>nanzitutto, non contempla modalità alternative agli IDE nei processi di sviluppo<br />

<strong>in</strong>ternazionale; <strong>in</strong> secondo luogo, non spiega validamente le ragioni del primo<br />

<strong>in</strong>vestimento, la mossa <strong>in</strong>iziale che scatena poi il processo di reazione. Di conseguenza,<br />

la spiegazione delle d<strong>in</strong>amiche di <strong>in</strong>ternazionalizzazione può dirsi solo parziale.<br />

49


Nondimeno, alla teoria va riconosciuto il merito di <strong>in</strong>trodurre considerazioni relative<br />

alla strategia competitiva delle imprese.<br />

Inf<strong>in</strong>e, Kojima (1978) e Ozawa (1979) hanno cercato di del<strong>in</strong>eare le differenze nei<br />

processi di <strong>in</strong>vestimento all’estero delle piccole e medie imprese (PMI) giapponesi<br />

verso il Sud-Est asiatico poste a confronto con l’espansione delle imprese statunitensi <strong>in</strong><br />

Europa, evidenziandone le differenze.<br />

Le operazioni estere delle imprese americane e <strong>in</strong>glesi assumono la forma di<br />

<strong>in</strong>vestimenti diretti:<br />

sono:<br />

- perché esse non <strong>in</strong>tendono perdere il controllo delle basi concorrenziali che<br />

sono all’orig<strong>in</strong>e dell’<strong>in</strong>vestimento;<br />

- per la necessità da parte di tali imprese di trasferire all’estero produzioni per<br />

cui godono di vantaggi tecnologici, al f<strong>in</strong>e di sfruttare maggiormente le<br />

proprie risorse nel paese di dest<strong>in</strong>azione e di superare le barriere tariffarie che<br />

rendono non competitive le esportazioni.<br />

Le imprese nipponiche che si <strong>in</strong>ternazionalizzano, a differenza di quelle americane,<br />

- generalmente di piccole e medie dimensioni;<br />

- operanti <strong>in</strong> settori maturi;<br />

- relativamente svantaggiate quanto a dotazione di fattori <strong>in</strong> generale e al fattore<br />

lavoro <strong>in</strong> particolare.<br />

Per queste imprese, la scelta dell’<strong>in</strong>vestimento diretto è spesso nei fatti non<br />

percorribile per mancanza di risorse manageriali o di capitale, per cui anche modalità<br />

d’<strong>in</strong>ternazionalizzazione di tipo cooperativo possono essere contemplate se sono <strong>in</strong><br />

grado di permettere l’acquisizione dei fattori a costi contenuti.<br />

In assenza di vantaggi di tipo tecnologico (a livello di prodotto o di processo), ciò<br />

che conta è la ricerca di condizioni più favorevoli rispetto a quelle presenti sul mercato<br />

domestico.<br />

Per quanto concerne i paesi di dest<strong>in</strong>azione degli <strong>in</strong>vestimenti, la variabile<br />

considerata è quella dell’atteggiamento delle pubbliche autorità nei confronti dei capitali<br />

esteri: quanto più questo atteggiamento è di tipo liberista, tanto m<strong>in</strong>ori sono i v<strong>in</strong>coli<br />

posti alle imprese operanti nel paese e tanto più alta risulta la possibilità di realizzare<br />

<strong>in</strong>vestimenti diretti a controllo assoluto.<br />

A partire dagli anni Ottanta, il percorso evolutivo delle imprese <strong>in</strong> questione, però, si<br />

è progressivamente allontanato dal modello proposto dai due studiosi giapponesi.<br />

50


Le protagoniste del processo d’<strong>in</strong>ternazionalizzazione non sono più solo le imprese<br />

m<strong>in</strong>ori, ma anche e soprattutto quelle di grandi dimensioni, operanti <strong>in</strong> settori<br />

tecnologicamente avanzati e le cui modalità d’<strong>in</strong>ternazionalizzazione hanno ricalcato il<br />

classico modello dell’IDE.<br />

Inoltre, questi <strong>in</strong>vestimenti sono <strong>in</strong>dirizzati <strong>in</strong> misura maggiore verso i paesi<br />

sviluppati che non verso i PVS. Di conseguenza, anche la validità della teoria proposta<br />

da Kojima e Ozawa è risultata <strong>in</strong>debolita.<br />

2.1.2 La globalizzazione economica: caratteristiche dist<strong>in</strong>tive<br />

La globalizzazione economica è la conseguenza di un progetto di visione del mondo<br />

e dell’economia portato avanti da attori politici, istituzioni e coalizioni transnazionali,<br />

basato sul libero scambio sia degli output che degli <strong>in</strong>put (capitale e lavoro): nasce<br />

perciò da una scelta di tipo politico, nella quale viene def<strong>in</strong>ito il processo di<br />

liberalizzazione dei mercati capitali e di privatizzazione della proprietà pubblica dello<br />

Stato, che viene ceduta ai privati.<br />

In term<strong>in</strong>i più canonici, può essere def<strong>in</strong>ita come:<br />

“una fase del capitalismo moderno, <strong>in</strong>iziata negli anni Ottanta e caratterizzata da<br />

una crescente <strong>in</strong>tegrazione <strong>in</strong>ternazionale delle attività economiche sia nelle forme<br />

tradizionali – commercio ed <strong>in</strong>vestimenti diretti all’estero – sia <strong>in</strong> forma nuove –<br />

<strong>in</strong>vestimenti f<strong>in</strong>anziari, speculazioni sui cambi, commercio nei servizi, accordi di<br />

cooperazione tra imprese, flussi di tecnologia”.<br />

Ma questo non significa, allora, che se la globalizzazione nasce da un fatto politico,<br />

essa “può anche” (o forse sarebbe meglio dire, “dovrebbe soprattutto”) essere governata<br />

attraverso la politica e le scelte prese all’<strong>in</strong>terno di essa?<br />

Lascio per un momento <strong>in</strong> sospeso questa domanda e faccio un piccolo passo<br />

<strong>in</strong>dietro, perché, per comprendere il processo di globalizzazione nel suo profondo, è<br />

impresc<strong>in</strong>dibile evidenziare gli elementi che la differenziano rispetto al più antico e noto<br />

fenomeno dell’<strong>in</strong>ternazionalizzazione delle relazioni economiche (vedi supra par. 2.1.1)<br />

e cioè (Zamagni, 2005a):<br />

1. la destrutturazione dei modi di organizzare l’attività produttiva e del modo di<br />

concepire i rapporti tra politica ed economia;<br />

2. l’aumento a livello globale della ricchezza e del reddito prodotti che riduce la<br />

povertà assoluta, da un lato, e aumenta la povertà relativa, dall’altro;<br />

3. la tendenza all’omologazione culturale.<br />

51


La destrutturazione dell’organizzazione produttiva e dei rapporti tra politica ed<br />

economia<br />

Innanzitutto, sempre più viene a mancare una corrispondenza biunivoca tra il luogo<br />

<strong>in</strong> cui vengono prese le decisioni produttive e il luogo <strong>in</strong> cui viene realizzata l’attività<br />

produttiva: si vanno a verificare di conseguenza degli effetti diretti.<br />

La tendenza a realizzare la produzione fuori del paese di nazionalità dell’impresa –<br />

solitamente per motivi legati all’abbattimento dei costi di produzione – va sotto il nome<br />

di delocalizzazione dell’attività produttiva: essa implica una sottrazione della<br />

responsabilità dell’imprenditore nei confronti dell’ambiente circostante, che si traduce<br />

<strong>in</strong> una dim<strong>in</strong>uzione di responsabilità verso i propri stakeholders.<br />

In secondo luogo, la globalizzazione ha destrutturato il rapporto tra politica ed<br />

economia. F<strong>in</strong>o agli anni Settanta del XX secolo fu sempre il potere politico a fissare le<br />

priorità dell’attività economica: <strong>in</strong>fatti, i paesi più avanzati da un punto di vista<br />

economico sono sempre stati quelli che hanno avuto alle spalle governi stabili ed<br />

autorevoli.<br />

Ad oggi, <strong>in</strong>vece, i governi nazionali si vedono costretti a cedere quote di sovranità ad<br />

altri soggetti emergenti dalla società, oltre che dall’economia, con il risultato che le<br />

decisioni economiche tendono a sovrastare le decisioni di natura politica.<br />

La globalizzazione consente alle imprese di riprendersi un potere d’azione che <strong>in</strong><br />

passato venne “addomesticato” dagli strumenti della politica, permettendo loro di<br />

esercitare oggi la propria <strong>in</strong>fluenza sia sull’organizzazione economica che politica<br />

(Screpanti, Zamagni, 2004).<br />

La conseguenza è una restrizione dei “gradi di libertà” nelle scelte degli Stati-<br />

nazione (tra loro sempre più vulnerabili e <strong>in</strong>terdipendenti) <strong>in</strong> merito a:<br />

- politica estera;<br />

- sicurezza militare;<br />

- servizi sociali;<br />

- organismi di controllo;<br />

- tasse.<br />

Quello che è accaduto con la globalizzazione è, <strong>in</strong> altre parole, un affievolirsi della<br />

capacità degli strumenti (fiscale, monetario e del tasso di cambio) a servizio della<br />

politica per <strong>in</strong>dirizzare l’economia.<br />

È anche vero, che non si può affermare che le istituzioni economiche <strong>in</strong>ternazionali<br />

abbiano, da sole, delegittimato del proprio potere le istituzioni politiche: è stato un<br />

52


percorso, la cui partenza co<strong>in</strong>cide proprio con le decisioni politiche deliberate dai<br />

governi dei paesi più ricchi.<br />

A partire dalla Gran Bretagna di Margaret Thatcher e dagli Stati Uniti di Ronald<br />

Regan, gli anni Ottanta hanno visto un’ondata di politiche di liberalizzazione dei<br />

mercati, di deregolamentazione e di privatizzazione di molte attività economiche<br />

precedentemente gestite dallo Stato. Il risultato è stato un ritiro dell’azione pubblica e<br />

dei controlli da parte degli Stati-nazione su molte attività economiche, lasciate<br />

all’attività delle imprese sia nazionali che straniere. Le decisioni politiche di<br />

liberalizzare i mercati, il commercio, gli <strong>in</strong>vestimenti e la f<strong>in</strong>anza hanno creato le<br />

condizioni per sviluppare queste attività sempre più su scala sovranazionale, svuotando<br />

rapidamente le capacità di controllo dei governi nazionali sulle proprie economie<br />

(Pianta, 2000).<br />

In questo modo, i poteri privati ci impongono, spesso senza neanche un dibattito<br />

politico, il nuovo ritmo del cambiamento, gli orientamenti del progresso economico e<br />

tecnico e la loro occupazione dei dom<strong>in</strong>i non commerciali (De Woot, 2001).<br />

Sembra che tutto avvenga come se la globalizzazione s’imponesse agli Stati senza<br />

lasciare neanche la libertà di scegliere il tipo di economia di mercato conveniente al<br />

proprio paese.<br />

Ad oggi, l’<strong>in</strong>teresse dello Stato a conservare la sua quota di sovranità sul territorio<br />

non co<strong>in</strong>cide di necessità con l’<strong>in</strong>teresse delle imprese a muoversi liberamente sui<br />

mercati <strong>in</strong>ternazionali alla ricerca delle migliori opportunità di profitto, né con<br />

l’<strong>in</strong>teresse dei cittad<strong>in</strong>i ad ottenere qualità migliori di prodotti di cui fanno domanda e<br />

soprattutto ad acquisire più ampi spazi di autogoverno del territorio (Zamagni, 2005a).<br />

La dim<strong>in</strong>uzione di povertà assoluta, l’aumento di povertà relativa<br />

La globalizzazione ha portato come conseguenza l’aumento della diseguaglianza tra<br />

diversi paesi o fasce della popolazione.<br />

Il mercato globale sembra aver diviso i cittad<strong>in</strong>i/lavoratori <strong>in</strong> due grandi categorie<br />

(Pass<strong>in</strong>i, 2001):<br />

i ricchi globalizzati, cittad<strong>in</strong>i di “serie A”, dotati di risorse, competenze,<br />

conoscenze ed <strong>in</strong>formazioni;<br />

i poveri localizzati, cittad<strong>in</strong>i di “serie B”, ricchi solo di <strong>in</strong>stabilità e svolgenti<br />

attività precarie sufficienti appena a garantire un reddito di sopravvivenza.<br />

53


Per comprendere il fenomeno appena descritto, si può fare riferimento al concetto di<br />

povertà, sia <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i assoluti che <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i relativi.<br />

Secondo la def<strong>in</strong>izione della Banca Mondiale, la povertà assoluta può essere def<strong>in</strong>ita<br />

come: “la condizione di persone che non possono contare su un reddito giornaliero<br />

superiore ad uno (povertà estrema) o due (povertà assoluta <strong>in</strong> senso proprio) dollari pro-<br />

capite”.<br />

La povertà assoluta può essere ridotta non solo con la crescita del reddito medio, ma<br />

anche attraverso delle politiche volte ad ottenere il riequilibrio sociale, ossia la<br />

riduzione della distanza economica tra le classi più ricche ed il resto della popolazione<br />

(Boggio, Seravalli, 2003).<br />

C’è chi afferma che questa situazione scandalosa sia frutto della globalizzazione: è<br />

stato stimato, <strong>in</strong>vece, che, se negli ultimi 25 anni essa non avesse <strong>in</strong>iziato ad operare, i<br />

poveri assoluti oggi sarebbero oltre un miliardo e 800 milioni (contro il miliardo e 200<br />

milioni contati ad oggi).<br />

Paesi come quelli del Sud-Est Asiatico e alcuni paesi dell’America Lat<strong>in</strong>a sono usciti<br />

dallo stato di povertà assoluta – <strong>in</strong> cui versavano da secoli – solo a seguito<br />

dell’<strong>in</strong>tervenuta liberalizzazione dei mercati (Zamagni, 2005a).<br />

Il concetto di povertà relativa riguarda, <strong>in</strong>vece, la disuguaglianza distributiva del<br />

reddito di una popolazione e tra paesi diversi e rappresenta la più grave m<strong>in</strong>accia alla<br />

democrazia e alla pace tra i popoli; se nel tempo (dal 1950 al 2000) la popolazione<br />

povera nel mondo è dim<strong>in</strong>uita <strong>in</strong> peso percentuale, ovvero si è assistito ad una riduzione<br />

percentuale della povertà assoluta, prendendo <strong>in</strong> considerazione il concetto di povertà<br />

relativa si verifica l’esatto contrario, <strong>in</strong> quanto tra il 1960 e il 2000 l’andamento della<br />

distanza economica tra ricchi e poveri è di segno positivo e il fattore di disuguaglianza<br />

è quasi raddoppiato (vedi <strong>in</strong>fra Tabella 1 – Povertà relativa e relativi Grafico 1 e<br />

Grafico 2 – Fattore di disuguaglianza).<br />

Tabella 1 - Povertà relativa<br />

1960 1970 1980 1990 1995 2000<br />

Quota del reddito dei paesi<br />

18 17 16 12 12 11<br />

più poveri<br />

Quota del reddito dei paesi<br />

più ricchi<br />

39 36 35 40 43 43<br />

Fattore di disuguaglianza 2,2 2,1 2,2 3,3 3,6 3,9<br />

Fonte: ONU<br />

54


60<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

Grafico 1 - Povertà relativa<br />

1960 1970 1980 1990 1995 2000<br />

Fonte: Nostra elaborazione<br />

4,5<br />

4,0<br />

3,5<br />

3,0<br />

2,5<br />

2,0<br />

1,5<br />

1,0<br />

0,5<br />

0,0<br />

55<br />

Quota del reddito<br />

dei paesi più<br />

ricchi<br />

Quota del reddito<br />

dei paesi più<br />

poveri<br />

Grafico 2 -Fattore di disuguaglianza<br />

1960 1970 1980 1990 1995 2000<br />

Fonte: Nostra elaborazione<br />

La globalizzazione risulta essere un meccanismo molto efficiente nella produzione di<br />

nuova ricchezza – essendo un gioco a somma positiva –, ma non lo è altrettanto nella<br />

redistribuzione tra tutti coloro che hanno partecipato alla sua creazione.<br />

Ciò vuol dire che tra il concetto di ricchezza e quello di povertà si è aperta una<br />

vorag<strong>in</strong>e <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>ua espansione, che può essere controllata, rallentata e (è auspicabile)<br />

def<strong>in</strong>itivamente arrestata solo con politiche e istituzioni <strong>in</strong>ternazionali e nazionali<br />

adeguate e “nella mani dei popoli”.<br />

Aff<strong>in</strong>ché si possa ridurre la diseguaglianza mondiale – la quale considera anche le<br />

diseguaglianze di reddito all’<strong>in</strong>terno di s<strong>in</strong>goli paesi – devono esistere due condizioni:<br />

i paesi poveri e altamente popolati devono crescere con un tasso maggiore<br />

rispetto ai paesi ricchi;<br />

che ciò avvenga senza l’aumento della diseguaglianza <strong>in</strong>terna.<br />

Un altro punto da sottol<strong>in</strong>eare, sempre <strong>in</strong> merito alle modalità di riduzione delle<br />

diseguaglianze, è che la globalizzazione ha a che fare con i concetti di conoscenza e


capacità tecnologica, che sono strumenti per applicare il processo di trasferimento delle<br />

tecnologie.<br />

Mi spiego meglio. È ormai <strong>in</strong>discutibile il ruolo ricoperto dalla “terza rivoluzione<br />

<strong>in</strong>dustriale”, quella delle ICT (Information and Communication Technologies),<br />

nell’affermazione e nell’evoluzione della globalizzazione: il nuovo sistema tecnologico,<br />

basato sull’<strong>in</strong>sieme di <strong>in</strong>novazioni che agiscono sulle telecomunicazioni, ha esteso la<br />

sua possibilità di raggiungimento di ogni punto dello spazio e ha permesso un approccio<br />

più flessibile al commercio e agli <strong>in</strong>vestimenti, nonché alla diffusione delle<br />

<strong>in</strong>formazioni e degli stili di vita.<br />

È, sicuramente, proprio il ruolo assunto dalle ICT uno dei maggiori aspetti positivi<br />

che caratterizzano la globalizzazione: grazie a questi nuovi strumenti e soprattutto allo<br />

sviluppo di Internet, la possibilità di diffondere <strong>in</strong>formazioni a livello mondiale ed <strong>in</strong><br />

tempo reale è f<strong>in</strong>almente possibile, generando così un sentimento di conoscenza e<br />

curiosità nei confronti di situazioni, luoghi e popoli f<strong>in</strong>ora irraggiungibili e offrendo la<br />

possibilità di “esportare” anche importanti conquiste sociali – come la democrazia – <strong>in</strong><br />

contesti <strong>in</strong> cui questi difficilmente si sarebbero realizzate autonomamente.<br />

Inoltre, come sostiene Pass<strong>in</strong>i (2001), nella “società mondiale del rischio”, argomenti<br />

che prima erano trattati a porte chiuse, vengono ora discussi <strong>in</strong> pubblico, come per<br />

esempio la decisione di <strong>in</strong>vestimenti economici, le composizioni chimiche di prodotti, i<br />

programmi scientifici di ricerca, lo sviluppo di nuove tecnologie; oggi il mercato deve<br />

saper rispondere agli <strong>in</strong>terrogativi che i consumatori/cittad<strong>in</strong>i, grazie ad una migliore<br />

<strong>in</strong>formazione, pongono ai governi e alle aziende (per esempio, le problematiche relative<br />

agli OGM, la mucca pazza, ecc.).<br />

È anche vero, d’altro canto, che questo fenomeno globale, a differenza delle<br />

precedenti rivoluzioni <strong>in</strong>dustriali, facendo perno sulla knowledge (la conoscenza)<br />

prevede, di conseguenza, che quella <strong>in</strong>corporata <strong>in</strong> una data tecnologia sia solo <strong>in</strong> parte<br />

codificabile; per lo più, essa è tacita, specifica di determ<strong>in</strong>ate persone e istituzioni,<br />

acquisita tramite l’educazione, l’esperienza e la ricerca e, pertanto, non trasferibile a<br />

costo nullo.<br />

La conoscenza può ben essere offerta socialmente, ma per essere messa a frutto deve<br />

essere assorbita <strong>in</strong>dividualmente (Zamagni, 2005a).<br />

In questo modo, mentre i lavoratori superqualificati vedono progressivamente<br />

aumentare la loro posizione di benessere, quelli a qualificazione <strong>in</strong>termedia o coloro che<br />

56


soffrono di rapida obsolescenza <strong>in</strong>tellettuale vedono peggiorare le loro condizioni di<br />

vita.<br />

La struttura economica basata sulla produzione di “idee” è differente, “a clessidra”<br />

<strong>in</strong>vece che “a piramide” come quella fordista, <strong>in</strong> cui, perciò, non esiste un vertice e le<br />

mansioni di basso profilo sono sempre più necessarie mentre i profili professionali di<br />

mezza misura sono sempre meno <strong>in</strong>dispensabili:<br />

La conseguenza è che per essere competitive sul mercato globale, le imprese hanno<br />

necessità di abbassare i prezzi, e qu<strong>in</strong>di i costi: si <strong>in</strong>terviene così sulla voce di costo più<br />

rilevante – il costo del lavoro – riducendo l’occupazione o tagliando i salari.<br />

Ciò significa che la crescita economica non permette di ridurre la disoccupazione<br />

quanto piuttosto sembra accentuarla, andando a sostituire i posti di lavoro con processi<br />

di automatizzazione sempre più efficaci.<br />

Inoltre, la globalizzazione, <strong>in</strong> questa prospettiva, m<strong>in</strong>accia i diritti dei lavoratori <strong>in</strong><br />

quanto cittad<strong>in</strong>i, a favore dello sfruttamento della manodopera a basso costo.<br />

Il costo del lavoro, <strong>in</strong>fatti, è composto sia dal salario percepito che dagli oneri di<br />

f<strong>in</strong>anziamento al Welfare, cioè assistenza sanitaria, previdenza sociale, politica<br />

ambientale ed istruzione.<br />

Gli Stati-nazione, perciò, pur di attirare le imprese, riducono la tutela dei diritti<br />

sociali di cittad<strong>in</strong>anza, cioè quelli dei lavoratori, per mantenere la manodopera a basso<br />

costo.<br />

L’omologazione culturale e l’<strong>in</strong>sicurezza sociale<br />

Il terzo tratto caratteristico della globalizzazione è la tendenza all’appiattimento delle<br />

varietà culturali dei differenti paesi.<br />

Per omogeneizzazione culturale si <strong>in</strong>tende (Zamagni, 2005a) “un processo che tende<br />

ad uniformare, nel corso del tempo e tra paesi diversi, tre elementi:<br />

le tradizioni;<br />

gli stili di vita;<br />

IERI OGGI<br />

57


le norme sociali di comportamento”.<br />

Il problema risiede nel fatto di non riuscire a far convivere la multiculturalità, cioè la<br />

presenza di varietà culturali come condizione di successo della d<strong>in</strong>amica sociale, e<br />

l’<strong>in</strong>tegrazione socio-economica dei vari paesi, cioè la convergenza verso livelli dignitosi<br />

di benessere, quale condizione di pace e democrazia.<br />

La disuguaglianza reddituale orig<strong>in</strong>ata da una globalizzazione fondata<br />

esclusivamente sulla massimizzazione del profitto genera a sua volta un clima di<br />

<strong>in</strong>sicurezza sociale che spesso sfocia <strong>in</strong> una chiusura verso “l’altro”, <strong>in</strong> paura del<br />

diverso, <strong>in</strong> atteggiamenti nazionalistici che rifiutano sia la tolleranza che, qu<strong>in</strong>di, di<br />

conseguenza, il confronto con una società che ormai è multietnica e multiculturale.<br />

Diretta conseguenza di tutto ciò sono i c.d. conflitti identitari, i quali nascono dal<br />

fatto che nelle nostre società vanno crescendo le richieste di cittad<strong>in</strong>i o gruppi di<br />

persone che non hanno come oggetto pr<strong>in</strong>cipale variabili monetarie o genericamente<br />

economiche, e, pertanto, non possono essere risolti tramite strumenti<br />

monetari/economici, come <strong>in</strong>vece avviene per i conflitti d’<strong>in</strong>teresse (come, ad esempio,<br />

le lotte di classe), bensì necessitano di strumenti di riconoscimento (Bruni, Zamagni,<br />

2004) che permettano alle persone ed ai gruppi di riconoscersi e di essere riconosciuti<br />

nella loro differenza e nella loro identità, senza cadere nella chiusura, nell’isolamento e<br />

<strong>in</strong> atteggiamenti xenofobi, che troppo spesso sfociano <strong>in</strong> fondamentalismi e m<strong>in</strong>ano la<br />

pace e la democrazia.<br />

I problemi delle società multi-identitarie sono particolarmente importanti per la<br />

democrazia, perché essa è propensa ad accogliere identità diverse sul piano di parità.<br />

Anche usare il concetto di tolleranza, <strong>in</strong>fatti, non è del tutto corretto <strong>in</strong> un contesto<br />

democratico: se “io tollero” qualcosa presuppongo un senso di superiorità da parte mia,<br />

non di uguaglianza.<br />

Quando identità maggioritarie si astengono, per determ<strong>in</strong>azione unilaterale, dal<br />

soffocare quelle m<strong>in</strong>oritarie <strong>in</strong> nome delle tolleranza non riconoscono necessariamente<br />

il concetto di uguaglianza (Zagrebelsky, 2007).<br />

La propensione della democrazia ad accogliere identità diverse sul piano di parità<br />

significa due cose: che non possa essere imposta la non-manifestazione dei simboli<br />

culturali a nessuno <strong>in</strong> particolare, ma, allo stesso tempo, che nessuno utilizzi gli stessi<br />

simboli per aggredire od offendere altre identità.<br />

58


Se e quando prevarrà lo spirito di reciproco rispetto e apertura, il problema, che ad<br />

oggi appare tanto acuto quanto irrisolvibile – perché alle identità si associa un’idea di<br />

esclusività ed aggressione –, si supererà da solo.<br />

La democrazia ha la possibilità di sopravvivere alla sfida del c.d. pluriculturalismo<br />

solo se si realizzerà questa condizione di “spirito pubblico” nella nostra società.<br />

2.2 Per una convivenza tra democrazia e globalizzazione<br />

Il futuro e la stabilità economica globale si gioca sempre più ora sul rovesciamento<br />

dei dogmi che hanno portato all’<strong>in</strong>stabilità ed a crescenti disuguaglianze mondiali, sulla<br />

riforma delle istituzioni economiche <strong>in</strong>ternazionali, su un nuovo ruolo della società<br />

civile a livello sia nazionale che globale e sul ritorno di un forte <strong>in</strong>tervento dei governi<br />

nazionali per realizzare obiettivi condivisi di politica economica e sociale.<br />

A livello globale, esiste un vuoto di istituzioni capaci di misurarsi con i poteri<br />

economici che operano sempre più su scala planetaria. Gli organismi esistenti vanno<br />

profondamente riformati e democratizzati.<br />

A livello nazionale, nuovo spazio e legittimità devono essere riconosciuti<br />

all’<strong>in</strong>tervento pubblico nell’economia, al perseguimento di obiettivi di sviluppo, di<br />

occupazione, di equità e di redistribuzione.<br />

A livello della società civile, una nuova alleanza deve essere costruita tra il mondo<br />

delle associazioni, delle ONG, delle forze s<strong>in</strong>dacali, che <strong>in</strong> questi anni hanno <strong>in</strong>iziato ad<br />

affrontare i problemi e gli effetti della globalizzazione sul terreno dei diritti umani e<br />

sociali.<br />

La società civile ha potenzialità importanti per svolgere un ruolo crescente <strong>in</strong> più<br />

direzioni. Da un lato, è necessario svilupparne il protagonismo all’<strong>in</strong>terno dei s<strong>in</strong>goli<br />

paesi, riequilibrando i rapporti di forza con i poteri economici, le imprese e i governi,<br />

dando spazio a forme di auto-organizzazione sociale che super<strong>in</strong>o il dirigismo e la<br />

centralizzazione di molte politiche pubbliche del passato.<br />

Dall’altro lato, è importante sviluppare il ruolo e l’attività <strong>in</strong>ternazionale della società<br />

civile di tutti i paesi co<strong>in</strong>volti.<br />

2.2.1 La conservazione della varietà istituzionale<br />

La necessità primaria è quella di contrastare la tendenza all’appiattimento delle<br />

varietà istituzionali esistenti nelle diverse regioni del mondo.<br />

59


La globalizzazione sp<strong>in</strong>ge verso la direzione opposta, come precedentemente visto;<br />

le regole del libero mercato mal si sposano con l’eterogeneità culturale e trovano nella<br />

difformità degli stili di vita, dei sistemi di Welfare, dei modelli educativi, ecc., un forte<br />

ostacolo alla loro diffusione.<br />

Occorre allora agire di modo tale che il filtro selettivo imposto dalla competizione<br />

globale non annienti le varietà meno forti. Salvaguardare la diversità delle vie dello<br />

sviluppo è oggi il modo più efficace di combattere il tragico aumento delle<br />

diseguaglianze tra paesi e gruppi sociali (Zamagni, 2005a).<br />

Non si può cont<strong>in</strong>uare ad agire come se non ci fosse un divario tra paesi ricchi e PVS<br />

e, soprattutto, non fare niente per colmarlo; le istituzioni da applicare e le modalità con<br />

cui farlo non possono essere gli stessi per i paesi che già hanno beneficiato del<br />

benessere creato con la globalizzazione e per i paesi che, <strong>in</strong>vece, risentono<br />

pr<strong>in</strong>cipalmente degli aspetti negativi del processo considerato.<br />

Ad esempio, secondo Stiglitz (2006), c’è bisogno di un regime economico<br />

<strong>in</strong>ternazionale più equilibrato nel garantire il benessere sia dei paesi sviluppati sia dei<br />

PVS, attraverso alcune l<strong>in</strong>ee guida:<br />

un impegno da parte dei paesi sviluppati a lavorare nella direzione di un regime<br />

commerciale più equo, che davvero promuova lo sviluppo;<br />

un nuovo modo di <strong>in</strong>tendere la proprietà <strong>in</strong>tellettuale e la promozione della<br />

ricerca – con accesso anche per i PVS;<br />

un impegno, da parte dei paesi sviluppati, a retribuire i PVS per i loro servizi<br />

ambientali;<br />

un riconoscimento esplicito che tutti noi condividiamo lo stesso pianeta e che il<br />

riscaldamento globale rappresenta una m<strong>in</strong>accia concreta i cui effetti sarebbero<br />

disastrosi per alcuni PVS;<br />

un impegno da parte dei paesi sviluppati a pagare il giusto ai PVS per le loro<br />

risorse naturali e ad estrarle <strong>in</strong> modo da non deturpare l’ambiente;<br />

la conferma dell’impegno già assunto dai paesi sviluppati a fornire ai PVS aiuti<br />

f<strong>in</strong>anziari <strong>in</strong> ragione dello 0,7% del PIL – al 2002, solo c<strong>in</strong>que paesi l’hanno<br />

mantenuto: Danimarca, Lussemburgo, Svezia, Norvegia, Olanda;<br />

un ampliamento ad un maggior numero di paesi dell’accordo raggiunto nel<br />

giugno del 2005 per il condono del debito;<br />

riforme dell’architettura f<strong>in</strong>anziaria globale, f<strong>in</strong>alizzate a limitare l’<strong>in</strong>stabilità ed<br />

a spostare il peso maggiore del rischio sui paesi ricchi;<br />

60


iforme giuridiche ed istituzionali volte, ad esempio, a scongiurare il pericolo di<br />

nascita di nuovi monopoli globali, a gestire equamente situazioni fallimentari<br />

complesse a livello <strong>in</strong>ternazionale, ecc.;<br />

un impegno concreto da parte dei paesi sviluppati a r<strong>in</strong>unciare a tutte le<br />

procedure che m<strong>in</strong>acciano la democrazia (commercio delle armi, segreto<br />

bancario, corruzione ), adoperandosi <strong>in</strong>vece per la sua promozione.<br />

2.2.2 La società civile come policy-maker<br />

La seconda strada da percorrere è quella che decl<strong>in</strong>a a livello transnazionale il<br />

pr<strong>in</strong>cipio di sussidiarietà (orizzontale) 11 , consentendo alle organizzazioni della società<br />

civile di andare oltre i compiti di advocacy, cioè di promozione e patroc<strong>in</strong>io attivo di<br />

una causa, nonché di denuncia, per assumere ruoli ben def<strong>in</strong>iti di policy-mak<strong>in</strong>g<br />

(Zamagni, 2005a).<br />

In questo modo, si tratta di restituire potere alla politica economica vista come una<br />

componente delle scelte generali adottate da una collettività attraverso gli strumenti<br />

della democrazia.<br />

È importante, <strong>in</strong> questo senso, ricostruire una visione comune degli effetti che la<br />

globalizzazione ha sui lavoratori, sui diritti, sui consumatori, sulla società stessa e<br />

sull’ambiente, proponendo comportamenti e politiche alternative.<br />

La società civile deve cercare delle risposte valide alle grandi questioni politiche e<br />

sociali legate alla sua funzione di progresso economico e tecnico; accettare di<br />

partecipare a certe attività di cooperazione che non derivano dal mercato, apportando il<br />

suo know-how, il suo spirito, la sua capacità di agire per raggiungere l’obiettivo del<br />

bene comune.<br />

Concretamente, tutto questo può avere un doppio significato a due differenti livelli di<br />

ragionamento.<br />

A livello dei s<strong>in</strong>goli paesi e di istituzioni, si tratta di ridimensionare il potere di certi<br />

attori – come le banche centrali – e ricollocare le scelte chiave sull’economia <strong>in</strong> sedi<br />

politiche elettive e controllabili democraticamente.<br />

Si tratta di applicare il concetto espresso da Alexis de Tocqueville (1840), per cui la<br />

democrazia, da <strong>in</strong>tendersi come libertà di partecipazione politica alle gestione della cosa<br />

11 “Stato, Regioni, Città metropolitane, Prov<strong>in</strong>ce e Comuni favoriscono l'autonoma <strong>in</strong>iziativa<br />

dei cittad<strong>in</strong>i, s<strong>in</strong>goli e associati, per lo svolgimento di attività di <strong>in</strong>teresse generale, sulla base<br />

del pr<strong>in</strong>cipio di sussidiarietà.” – Costituzione della Repubblica Italiana, Titolo V, art. 118,<br />

comma 4.<br />

61


pubblica, è la condizione di una libertà <strong>in</strong>tesa come <strong>in</strong>dipendenza dal paternalismo di<br />

coloro che detengono il potere esecutivo (Greblo, 2000).<br />

A livello <strong>in</strong>ternazionale, questa stessa esigenza pone il problema del giusto ruolo<br />

delle istituzioni <strong>in</strong>ternazionali esistenti: <strong>in</strong>fatti, ad oggi, la globalizzazione, così com’è<br />

stata applicata, non risulta essere democratica <strong>in</strong> quanto le stesse istituzioni create a<br />

Bretton Woods 12 nel 1944 e negli anni immediatamente successivi (il Fondo Monetario<br />

Internazionale – FMI, la Banca Mondiale – World Bank, l’Accordo generale sulle tariffe<br />

doganali e il commercio <strong>in</strong>ternazionale o General Agreement on Tariffs and Trade –<br />

GATT, diventato poi successivamente l’Organizzazione mondiale del commercio, OMC<br />

o World Trade Organization – WTO) non lo sono.<br />

L’FMI nacque con il compito di promuovere la cooperazione monetaria<br />

<strong>in</strong>ternazionale, di facilitare l’espansione del commercio <strong>in</strong>ternazionale, di promuovere<br />

la stabilità e l’ord<strong>in</strong>e dei rapporti di cambio evitando svalutazioni competitive, di dare<br />

fiducia agli Stati membri rendendo disponibili – con adeguate garanzie – le risorse del<br />

Fondo per affrontare difficoltà della bilancia dei pagamenti, di abbreviare la durata e<br />

ridurre la misura degli squilibri delle bilance dei pagamenti degli Stati membri.<br />

La Banca Mondiale venne creata, <strong>in</strong>vece, con l’obiettivo di accordare prestiti a lungo<br />

term<strong>in</strong>e, garanzie ed assistenza tecnica per aiutare i PVS ad implementare politiche di<br />

riduzione della povertà.<br />

Il GATT (e, successivamente, il WTO) è un accordo che stabilisce il divieto di ogni<br />

forma di restrizione quantitativa attuata tramite cont<strong>in</strong>genti, licenze all’importazione o<br />

all’esportazione o con qualsiasi altro mezzo che possa porre limiti agli scambi<br />

commerciali <strong>in</strong>ternazionali.<br />

Tutte le suddette istituzioni, anche se nate sotto i migliori auspici, hanno sempre e<br />

solo riflettuto gli <strong>in</strong>teressi dei paesi avanzati, o meglio ancora, degli <strong>in</strong>teressi particolari<br />

all’<strong>in</strong>terno di quella categoria di paesi.<br />

Lo squilibrio che <strong>in</strong>evitabilmente è venuto a crearsi è frutto di un sistema distorto di<br />

attribuzione dei diritti di voto o di puro e semplice potere economico dei paesi e degli<br />

<strong>in</strong>teressi <strong>in</strong> gioco.<br />

12 Mentre il secondo conflitto mondiale era ancora <strong>in</strong> corso, le Nazioni Unite convocarono a<br />

Bretton Woods (USA) una conferenza sui problemi f<strong>in</strong>anziari e monetari. La conferenza, a cui<br />

parteciparono 44 paesi (esclusi quelli usciti sconfitti dal conflitto, tra cui l’Italia), ebbe il<br />

compito di discutere i gravi problemi economici e gli squilibri monetari che avevano travagliato<br />

il mondo dopo la crisi de 1929 e di dare <strong>in</strong>dicazioni sui modi e sulle istituzioni <strong>in</strong>ternazionali e<br />

<strong>in</strong>tergovernative <strong>in</strong> grado di garantire un ord<strong>in</strong>ato sistema monetario <strong>in</strong>ternazionale e un<br />

processo di ricostruzione e riattivazione delle economie martoriate dalla guerra (Valdani,<br />

Bertoli, 2003).<br />

62


Queste istituzioni <strong>in</strong>ternazionali sono imperniate su quello che lo stesso Stiglitz<br />

(2006) chiama Wash<strong>in</strong>gton Consensus: si tratta di una grave mancanza di autonomia<br />

delle istituzioni economiche <strong>in</strong>ternazionali nei confronti della superpotenza americana,<br />

la quale non protegge le economie più deboli né garantisce la stabilità del sistema<br />

economico globale, perseguendo esclusivamente i propri <strong>in</strong>teressi a discapito di quelli<br />

delle nazioni più povere, attraverso i concetti di austerità fiscale, privatizzazione e<br />

liberalizzazione del commercio.<br />

Unendo le due prospettive (nazionale ed <strong>in</strong>ternazionale) è fondamentale riconoscere<br />

che la responsabilità è da attribuire <strong>in</strong> parte anche a chi vota, nel senso che, pur<br />

rendendoci conto del fatto di far parte di una realtà economica sempre più globale,<br />

cont<strong>in</strong>uiamo a vivere <strong>in</strong> comunità circoscritte e a pensare <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di realtà locale.<br />

Occorre, <strong>in</strong>vece, valutare correttamente quali effetti possono avere determ<strong>in</strong>ate<br />

politiche da noi auspicate sull’economia globale e non limitare le preoccupazioni<br />

all’analisi dell’impatto diretto sulla propria collettività (uno slogan rappresentativo per<br />

questa situazione potrebbe essere “Th<strong>in</strong>k & Act Global!”).<br />

Per quanto riguarda le istituzioni <strong>in</strong>ternazionali, sarebbe, <strong>in</strong>nanzitutto, necessario<br />

democratizzare l’FMI, facendo <strong>in</strong> modo che operi <strong>in</strong> condizioni di maggiore<br />

trasparenza, rispondendo ai paesi e alle società delle proprie azioni. A queste condizioni<br />

sarebbe possibile ricapitalizzare l’FMI utilizzando risorse di molti più paesi, riducendo<br />

il potere degli Stati Uniti e dei paesi più ricchi. Si dovrebbe cercare di focalizzare l’FMI<br />

sull’obiettivo di ricoprire il ruolo di responsabile della stabilità f<strong>in</strong>anziaria mondiale, di<br />

garante dei conti esteri e delle condizioni favorevoli per una crescita dei PVS.<br />

La Banca Mondiale dovrebbe, dal canto suo, abbandonare il f<strong>in</strong>anziamento di<br />

progetti che provocano distruzioni ambientali e sociali, per sostenere <strong>in</strong>vece le <strong>in</strong>iziative<br />

di sviluppo sociale e umano.<br />

L’OMC (o WTO) dovrebbe anch’essa essere ridimensionata e offrire maggiori tutele<br />

ai paesi poveri, nonché essere portata all’<strong>in</strong>terno del sistema delle Nazioni Unite (ONU)<br />

per garantire una maggiore trasparenza nel suo agire.<br />

Più <strong>in</strong> generale, le <strong>in</strong>iziative dell’ONU per lo sviluppo e la stabilità economica<br />

<strong>in</strong>ternazionale vanno potenziate e coord<strong>in</strong>ate, diventando così un elemento essenziale<br />

anche per le tradizionali attività dell’ONU <strong>in</strong> difesa dei diritti umani, il mantenimento<br />

della pace e la soluzione di problemi sociali.<br />

63


2.2.3 Una politica globale di redistribuzione<br />

La terza necessità che oramai grava a livello globale è quella relativa alla<br />

realizzazione di una politica redistributiva su scala mondiale, che vada ad attaccare<br />

direttamente e quanto più profondamente il problema della povertà.<br />

Andando a def<strong>in</strong>ire regole per la redistribuzione del reddito – tra paesi e gruppi tra<br />

gruppi sociali – si provvede a realizzare un presupposto fondamentale per generare un<br />

aumento dei livelli di competitività e dello sviluppo.<br />

La redistribuzione consente livelli più elevati di spesa sociale, la quale migliora la<br />

qualità del capitale umano, <strong>in</strong> quanto permette di <strong>in</strong>vestire <strong>in</strong> educazione e politiche<br />

sanitarie, e rende possibile creare istituzioni che siano <strong>in</strong> grado di ridurre il conflitto<br />

sociale. Entrambi gli effetti favoriscono sia la produttività media, sia il tasso di<br />

imprenditorialità e qu<strong>in</strong>di la competitività del sistema.<br />

Ciò che è fondamentale comprendere, e per cui è impresc<strong>in</strong>dibile trovare delle<br />

soluzioni opportune, è la questione che non è la globalizzazione <strong>in</strong> quanto fenomeno<br />

l’errore commesso, bensì il modo <strong>in</strong> cui essa è stata implementata.<br />

Si tratta di una globalizzazione asimmetrica, <strong>in</strong> cui i mercati dei PVS hanno aperto<br />

alle merci dei paesi <strong>in</strong>dustrializzati senza che questi facessero altrettanto nei loro<br />

confronti (Stiglitz, 2006).<br />

L’unico modo per affrontare la situazione che ormai si è venuta a creare è quello di<br />

affrontare il fenomeno così come si presenta oggi e correggere la direzione.<br />

Per realizzare una globalizzazione più equa, Stiglitz suggerisce ai paesi <strong>in</strong>dustriali<br />

avanzati di puntare su una sempre maggiore qualificazione della forza lavoro, ma anche<br />

sul consolidamento degli ammortizzatori sociali e sull’aumento della progressività della<br />

tassazione del reddito: sarebbe giusto allentare la pressione fiscale sulle categorie più<br />

povere e aumentare le imposte per coloro che f<strong>in</strong>ora hanno ricevuto vantaggi maggiori.<br />

D’altro canto, si dovrebbero aumentare gli <strong>in</strong>vestimenti nella ricerca, i quali<br />

<strong>in</strong>crementano la produttività dell’economia, attraverso l’<strong>in</strong>nalzamento dei redditi e dei<br />

salari.<br />

La sfida è, dunque, quella di universalizzare le preoccupazioni relative alla<br />

globalizzazione e democratizzare le procedure e le soluzioni che possono far f<strong>in</strong>almente<br />

funzionare questo fenomeno, con l’obiettivo di trarne il beneficio maggiore per tutti gli<br />

Stati co<strong>in</strong>volti.<br />

64


Capitolo<br />

3<br />

3.1 Crescita, sviluppo e relativi <strong>in</strong>dicatori<br />

65<br />

“La relazione tra<br />

democrazia e<br />

sviluppo economico”<br />

Nonostante spesso vengano usati come s<strong>in</strong>onimi, i term<strong>in</strong>i crescita e sviluppo si<br />

riferiscono a concetti ben diversi tra loro.<br />

La crescita economica fa riferimento alla capacità di un sistema economico di<br />

<strong>in</strong>crementare la disponibilità di beni e servizi atti a soddisfare il fabbisogno di una<br />

determ<strong>in</strong>ata popolazione, <strong>in</strong> maniera cont<strong>in</strong>ua e graduale; è, qu<strong>in</strong>di, caratteristica<br />

propria di una società che è già entrata nell’area dello sviluppo e che pertanto ha solo il<br />

problema di mantenere nel lungo periodo la sua l<strong>in</strong>ea di tendenza (trend).<br />

Lo sviluppo è, <strong>in</strong>vece, un processo più impegnativo, è la transizione, il passaggio, se<br />

non proprio il salto, da uno stadio arretrato alla modernità; il cambiamento, per essere<br />

def<strong>in</strong>ito tale, deve <strong>in</strong>teressare, oltre che l’economia, anche le strutture sociali e politiche,<br />

nonché i quadri mentali (Marchese, Manc<strong>in</strong>i, Greco, Ass<strong>in</strong>i, 1997).<br />

Questa fondamentale dist<strong>in</strong>zione, tuttavia, è stata compresa ed applicata solamente <strong>in</strong><br />

anni più recenti; mentre la storia, da un punto di vista economico, per lungo tempo, ha<br />

trattato solamente il problema della crescita (facendovi co<strong>in</strong>cidere il concetto di<br />

sviluppo) e ha progressivamente teorizzato dei modelli che potessero illustrare e<br />

spiegare le determ<strong>in</strong>anti della crescita economica di un paese.<br />

3.1.1 Le pr<strong>in</strong>cipali teorie della crescita<br />

Queste teorie sono suddivise <strong>in</strong> due tipologie:<br />

a. quelle della crescita esogena: si basano su variabili determ<strong>in</strong>ate e <strong>in</strong>serite<br />

all’<strong>in</strong>terno del modello, a presc<strong>in</strong>dere dal suo funzionamento;


. quelle della crescita endogena: si basano su variabili determ<strong>in</strong>ate <strong>in</strong> base al<br />

funzionamento del modello.<br />

Del primo gruppo di teorie fa parte la teoria neoclassica della crescita realizzata da<br />

Solow (1956). Partendo dalla funzione neoclassica di produzione:<br />

con Y, livello di produzione dell’economia;<br />

F (K, L), funzione di capitale e lavoro;<br />

la quale prevede sia l’aumento della produzione all’aumentare di anche un solo <strong>in</strong>put,<br />

sia allo stesso tempo la legge dei “rendimenti decrescenti” (derivata seconda negativa),<br />

Solow modifica la funzione, aggiungendovi un nuovo elemento, il fattore A, ovvero il<br />

progresso tecnologico, quale spiegazione della crescita di un paese.<br />

Pertanto, la funzione di produzione assume la seguente forma:<br />

Il progresso tecnico <strong>in</strong>trodotto da Solow può, <strong>in</strong> base al modo concreto <strong>in</strong> cui si<br />

applica, modificare il processo produttivo. Questo perché il progresso tecnologico può<br />

essere di tre tipi (Boggio, Seravalli, 2003):<br />

a. neutrale, se a parità di tasso di profitto, il rapporto capitale prodotto è costante<br />

nel tempo e, qu<strong>in</strong>di, non si modifica la produzione del paese;<br />

b. di cambiamento, per cui la produzione del paese viene modificata, il quale si<br />

suddivide a sua volta <strong>in</strong>:<br />

- risparmiatore di capitale: se, a parità di tasso di profitto, il rapporto<br />

capitale prodotto dim<strong>in</strong>uisce nel tempo;<br />

- utilizzatore di capitale: se, a parità di tasso di profitto, il rapporto<br />

capitale prodotto aumenta nel tempo.<br />

In questo modo, secondo Solow, si raggiunge automaticamente – grazie ai<br />

meccanismi di mercato – l’uguaglianza:<br />

Y = F (K, L)<br />

Y = AF (K, L)<br />

Gn = gy = s/v<br />

la quale esprime il fatto che il tasso di crescita naturale (Gn) co<strong>in</strong>cida con il tasso di<br />

crescita del prodotto e del capitale che occorre avere per mantenere l’uguaglianza esatta<br />

66


tra domanda effettiva e capacità produttiva – rispettando, <strong>in</strong> tal modo, la condizione di<br />

piena occupazione della forza lavoro.<br />

Con il secondo filone di teorie, quelle della crescita endogena, si fa un passo <strong>in</strong><br />

avanti e si supera la teoria di Solow, affrontando il problema della crescita seguendo<br />

fondamentalmente due strade:<br />

1. sostituendo l’ipotesi di progresso tecnico come free good con quella di<br />

progresso tecnico endogeno;<br />

2. allargando il concetto di capitale e sc<strong>in</strong>dendolo <strong>in</strong> capitale fisico (C) e<br />

capitale umano (H) – cioè lavoro istruito.<br />

Proprio per quest’ultimo motivo, la funzione di produzione su cui si basano le teorie<br />

della crescita endogena non è quella neoclassica, bensì una funzione del tipo Cobb-<br />

Douglas, la quale assume la seguente forma:<br />

Qu<strong>in</strong>di il capitale, che prima era solamente un fattore produttivo, ora è anche un<br />

prodotto del processo, il quale spiega la generazione di capitale umano – istruito –<br />

attraverso un processo di formazione (learn<strong>in</strong>g by do<strong>in</strong>g).<br />

Nel 1990, Barro realizza, attraverso un modello di crescita endogena, un tentativo di<br />

collegamento tra crescita e politica economica strutturale 13 ; l’ipotesi cruciale è quella<br />

dell’esistenza di beni pubblici, forniti dallo Stato, ed utilizzati dagli agenti economici<br />

come <strong>in</strong>put nella funzione di produzione.<br />

Di conseguenza, quest’ultima viene modificata <strong>in</strong> modo da avere produttività<br />

marg<strong>in</strong>ali decrescenti rispetto alla spesa pubblica (G) e al capitale (K), ma rendimenti<br />

costanti, se entrambi i fattori produttivi vengono considerati congiuntamente:<br />

In questo modo, l’azione del governo sostiene la crescita, bloccando gli effetti della<br />

produttività marg<strong>in</strong>ale decrescente del capitale privato, andando ad agire tramite la<br />

spesa – resa possibile attraverso meccanismi di tassazione – per beni pubblici, quali<br />

istruzione e formazione del capitale umano.<br />

Y = C H 1-<br />

Y = K G 1-<br />

13 Per politica economica strutturale si <strong>in</strong>tende un complesso di <strong>in</strong>terventi pubblici che non<br />

hanno come scopo diretto ed immediato quello di <strong>in</strong>fluire sul grado di utilizzo della capacità<br />

produttiva e sulla d<strong>in</strong>amica dei prezzi e dei cambi (Boggio, Seravalli, 2003).<br />

67


Un ulteriore passo è stato quello compiuto da Romer (1986), che ha fornito<br />

spiegazione di come la conoscenza mediante l’esperienza (il learn<strong>in</strong>g by do<strong>in</strong>g,<br />

appunto) possa generare delle esternalità positive ad essa collegate.<br />

In questo modello, lo Stato è chiamato a fornire <strong>in</strong>centivi alle imprese per la<br />

formazione <strong>in</strong>terna (formazione cont<strong>in</strong>ua) e/o a f<strong>in</strong>anziare ed organizzare direttamente<br />

la formazione professionale.<br />

In tal modo, le imprese potranno generare delle esternalità positive (K ), derivanti<br />

dal capitale fisico, che verranno sfruttate a livello di sistema economico per ottenere<br />

rendimenti crescenti di scala:<br />

con ( + ) = 1 (condizione che permette una crescita a tasso costante).<br />

L’ultimo passaggio per quel che riguarda le pr<strong>in</strong>cipali teorie della crescita (<strong>in</strong><br />

particolare, di quella endogena) è il modello di Lucas, che verrà, però, trattato <strong>in</strong> un<br />

paragrafo seguente (vedi <strong>in</strong>fra par. 3.1.3), alla luce della successiva esposizione del<br />

concetto di sviluppo.<br />

3.1.2 La crescita economica e il PIL<br />

Y = (AK L ) K<br />

In passato, si riteneva che esistesse un rapporto univoco e diretto tra il grado di<br />

sviluppo (e di benessere) di un paese e la ricchezza da questo posseduta.<br />

Così, nel 1940, Kuznets ideò un <strong>in</strong>dicatore che potesse misurare la crescita<br />

economica di un paese, il prodotto <strong>in</strong>terno lordo (PIL), il quale può essere calcolato:<br />

- o come sommatoria di beni e servizi f<strong>in</strong>ali 14 prodotti all’<strong>in</strong>terno 15 di<br />

un’economia <strong>in</strong> un determ<strong>in</strong>ato periodo di tempo 16 (spesa <strong>in</strong> beni f<strong>in</strong>ali o<br />

aggregata) e qu<strong>in</strong>di come somma di “consumi”, “<strong>in</strong>vestimenti”, “spesa<br />

pubblica” e della differenza tra “esportazioni ed importazioni”;<br />

14<br />

Non è considerato, pertanto, il valore dei beni e servizi <strong>in</strong>termedi.<br />

15<br />

Il riferimento è spaziale, per cui il PIL assume significato se def<strong>in</strong>ito <strong>in</strong> una determ<strong>in</strong>ata area<br />

geografica.<br />

16<br />

Il PIL è qu<strong>in</strong>di una grandezza flusso (opposta ad una grandezza stock, la quale viene calcolata<br />

come media), che pertanto assume significato all’<strong>in</strong>terno di un determ<strong>in</strong>ato <strong>in</strong>tervallo temporale.<br />

68


- o come valore aggiunto creato nei diversi settori produttivi: somma del “valore<br />

aggiunto” (calcolato come differenza tra produzione e consumi <strong>in</strong>termedi) ed<br />

“imposte <strong>in</strong>dirette al netto dei contributi ai prodotti”;<br />

- o come somma dei redditi: somma dei “redditi da lavoro dipendente”, “imposte<br />

<strong>in</strong>dirette al netto dei contributi ai prodotti” e “risultato di gestione”.<br />

La base teorica sottostante al PIL come <strong>in</strong>dicatore di crescita economica è quella<br />

della modernizzazione, sviluppatasi tra gli anni C<strong>in</strong>quanta e Sessanta, che prevede che<br />

lo sviluppo sia un processo l<strong>in</strong>eare e multi-dimensionale, <strong>in</strong>arrestabile e positivo, basato<br />

sulla liberazione delle energie latenti nei processi di crescita economica e di scambio<br />

(Solivetti, 2002).<br />

Il maggior <strong>in</strong>terprete della teoria della modernizzazione può essere considerato<br />

l’economista e sociologo americano Walt Whitman Rostow (1962), il quale sostenne<br />

che i sistemi economici seguono c<strong>in</strong>que “stadi”:<br />

1- la società tradizionale, la cui struttura si sviluppa entro limitate funzioni<br />

produttive, gli <strong>in</strong>crementi di produzione sono possibili ma entro un certo<br />

limite, “oltre il quale non poteva salire il livello della produzione pro-capite”;<br />

2- le condizioni prelim<strong>in</strong>ari per il decollo, come periodo di transizione <strong>in</strong> cui<br />

restano dom<strong>in</strong>anti i tratti della società tradizionale, ma <strong>in</strong>iziano a generarsi<br />

nuove funzioni produttive;<br />

3- il decollo (take-off), che si verifica nel momento <strong>in</strong> cui all’accelerazione<br />

dell’<strong>in</strong>novazione tecnologica si unisce l’affermarsi di una nuova élite fautrice<br />

del progresso economico e capace di realizzare politiche pubbliche per<br />

l’aumento, soprattutto <strong>in</strong> campo agricolo, della produttività. Si assiste ad un<br />

consistente aumento del tasso degli <strong>in</strong>vestimenti produttivi e allo sviluppo<br />

dell’attività <strong>in</strong>dustriale;<br />

4- il passaggio alla maturità, quando la tecnologia si diffonde maggiormente e il<br />

commercio <strong>in</strong>ternazionale diventa una parte essenziale del settore economico<br />

– di conseguenza, si ha un calo delle importazioni. Si sfruttano razionalmente<br />

le risorse a disposizione e si ottiene una produzione diversificata. La maturità<br />

è raggiunta “circa sessant’anni dopo il decollo”;<br />

5- il consumo di massa, <strong>in</strong> cui la crescita del reddito disponibile favorisce la<br />

creazione di un’ampia domanda di beni considerati, diversi da quelli<br />

essenziali; le società scelgono di assegnare maggiori risorse al benessere e alla<br />

69


sicurezza sociali. Oltre all’aumento del reddito pro-capite, aumenta anche la<br />

forza-lavoro <strong>in</strong>dustriale e, come conseguenza, la popolazione urbana.<br />

Molte le critiche rivolte alla “teoria degli stadi”, a partire dalla rozza visione delle<br />

società tradizionali – per def<strong>in</strong>izione società sottosviluppate – per arrivare alla sicurezza<br />

nel sostenere che dopo la fase di decollo non possano esistere fenomeni di crisi,<br />

stagnazioni e regresso – questo perché l’ideologia implicita è <strong>in</strong>genuamente<br />

evoluzionistica, cioè suppone che la storia segua una l<strong>in</strong>ea progressiva per tappe<br />

necessarie. Di conseguenza, secondo questa teoria non può esistere l’ipotesi – o<br />

quantomeno il “sospetto” – che gli stadi possano sovrapporsi o possano essere saltati.<br />

Lo stesso Rostow si accorse <strong>in</strong> parte delle carenze della sua teoria e <strong>in</strong> scritti<br />

posteriori aggiunse un sesto “stadio”, quello della ricerca della qualità, caratterizzato<br />

dalla percezione dei costi <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di ambiente, <strong>in</strong>giustizie non elim<strong>in</strong>ate, valori umani<br />

che trascendono i macch<strong>in</strong>ari e gli apparecchi per il consumo di massa.<br />

Pur non essendo un buon <strong>in</strong>dicatore della produttività di un paese – ovvero la<br />

relazione esistente tra il livello delle risorse economiche ed il livello del PIL –, il PIL<br />

cont<strong>in</strong>ua ad essere l’<strong>in</strong>dicatore economico maggiormente utilizzato dagli economisti, dai<br />

governi e dalle organizzazioni economiche, i quali associano spesso la crescita<br />

economica al benessere di una popolazione, cont<strong>in</strong>uando a seguire la strada <strong>in</strong>dicata dal<br />

concetto di modernizzazione.<br />

Tuttavia, è sempre più <strong>in</strong>negabile che il PIL presenti delle lacune che si trasformano<br />

<strong>in</strong> limiti della bontà di calcolo di questo <strong>in</strong>dicatore; i motivi per cui il PIL si rivela un<br />

<strong>in</strong>dicatore <strong>in</strong>sufficiente per misurare lo sviluppo ed il benessere sono (Renzo, 2003):<br />

a. la mancata considerazione dei costi sociali ed ambientali: il PIL ignora ogni<br />

cosa che accade al di fuori degli scambi monetari, non <strong>in</strong>cludendo nel suo<br />

calcolo né i costi sociali né quelli ambientali. Ne deriva, come già detto, che<br />

alcune esternalità 17 negative, fra cui i costi del decl<strong>in</strong>o sociale (ad esempio, il<br />

crim<strong>in</strong>e) e del degrado ambientale (ad esempio, l’<strong>in</strong>qu<strong>in</strong>amento ed i disastri<br />

naturali), vengono considerate solo perché motori di transazioni monetarie che<br />

discendono dall’adozione di misure utili per la loro elim<strong>in</strong>azione. Appare<br />

evidente come siano tralasciate tutte le ripercussioni negative sullo stato<br />

emotivo, psicologico e fisico degli <strong>in</strong>dividui. Inoltre, se da un lato il PIL<br />

considera l’aumento della produzione, occorre precisare che non contabilizza<br />

17 Un’esternalità è una conseguenza (positiva o negativa) di un’azione economica posta <strong>in</strong><br />

essere al di fuori di una relazione contrattuale – o comunque negoziale – tra soggetti e a cui<br />

pertanto non viene associato un prezzo e per cui non esiste un mercato (Stiglitz, 2003).<br />

70


la svalutazione del capitale fisso, <strong>in</strong>teso come esaurimento – depletion – delle<br />

risorse naturali, né tantomeno l’<strong>in</strong>qu<strong>in</strong>amento. Inoltre, il PIL ignora tutte le<br />

attività non di mercato che aumentano il benessere della società ma non<br />

producono flussi f<strong>in</strong>anziari, come, ad esempio, il volontariato. Inf<strong>in</strong>e, sono<br />

escluse dal calcolo del PIL le transazioni illegali e le attività sommerse;<br />

b. la difficoltà di un confronto <strong>in</strong>tertemporale: le quantità prodotte di ogni bene,<br />

oppure il loro prezzo, possono variare di anno <strong>in</strong> anno, oppure ancora alcuni<br />

beni possono uscire dalla produzione, rimpiazzati da altri;<br />

c. la difficoltà di un confronto <strong>in</strong>ternazionale: ogni s<strong>in</strong>golo paese adotta<br />

particolari criteri per la sua valutazione, il che rende impossibile confrontare<br />

direttamente il PIL fra più paesi. Inoltre, a ciò si aggiunge il problema del<br />

tasso di cambio da adottare per rendere omogenei i dati: convertire tutti i dati<br />

<strong>in</strong> un’unica valuta (solitamente US $ PPA) secondo il tasso di cambio<br />

nom<strong>in</strong>ale può essere fuorviante, <strong>in</strong> quanto esso solitamente riflette, oltre a<br />

quelli reali, gli aspetti speculativi di un’economia;<br />

d. i problemi di distribuzione e redistribuzione: il PIL non rileva come realmente<br />

il prodotto nazionale sia effettivamente suddiviso all’<strong>in</strong>terno della popolazione<br />

del paese considerato.<br />

3.1.3 Lo sviluppo umano e l’H<strong>DI</strong><br />

Tutti i sovresposti limiti del PIL hanno fatto emergere, negli ultimi anni, un<br />

paradigma oggettivamente diverso da quello della modernizzazione, il quale si orienta<br />

piuttosto allo studio e all’<strong>in</strong>tervento su condizioni percepite come oggettivamente<br />

negative che costituiscono un problema di specifici gruppi sociali.<br />

In anni più recenti, <strong>in</strong>fatti, ci si è accorti che la crescita economica è solo una<br />

componente di un concetto più ampio di sviluppo e che, perciò, il PIL è un <strong>in</strong>dicatore<br />

riduttivo e non totalmente efficace per la misurazione della situazione di benessere di<br />

una popolazione (a meno che, l’accezione di “benessere” sia quella utilitaristica).<br />

Come esposto già nel 1971 da Mahbub Ul Haq, ispiratore e successivamente ideatore<br />

del primo “Rapporto sullo sviluppo umano” (o Human Development Report) (1990),<br />

l’idea di base è la seguente:<br />

“ci avevano <strong>in</strong>segnato ad occuparci solo del prodotto <strong>in</strong>terno lordo<br />

perché poi quest’ultimo si sarebbe preso cura della povertà.<br />

Ribaltiamo questa op<strong>in</strong>ione, occupiamoci della povertà perché ciò, a sua volta,<br />

71


si prenderà cura del prodotto <strong>in</strong>terno lordo.<br />

In altri term<strong>in</strong>i, preoccupiamoci del contenuto del prodotto <strong>in</strong>terno lordo,<br />

ancor più del suo tasso di <strong>in</strong>cremento”.<br />

La nostra attenzione, aff<strong>in</strong>ché le cose vadano come previste da Mahbub Ul Haq, si<br />

deve concentrare sul concetto di sviluppo, così come def<strong>in</strong>ito dall’United Nations<br />

Development Program (UNDP) nel 1995: “la creazione di un ambiente idoneo per le<br />

persone aff<strong>in</strong>ché possano godere di una vita lunga, salutare e creativa”.<br />

Ancora più nello specifico, si può parlare di sviluppo umano quando si ha:<br />

“un cont<strong>in</strong>uo miglioramento delle condizioni<br />

che permettono a tutta la popolazione<br />

di vivere una vita lunga, <strong>in</strong> buona salute e creativa”.<br />

Il nuovo paradigma è basato su un concetto relativamente “recente”: i basic needs,<br />

ovvero i “bisogni di base” di ogni <strong>in</strong>dividuo, i quali dovrebbero essere soddisfatti prima<br />

che i bisogni meno essenziali di pochi <strong>in</strong>dividui vengano presi <strong>in</strong> considerazione.<br />

Si tratta di ricollocare la persona al centro del concetto di sviluppo, evitando<br />

qualsiasi approccio che consideri l’essere umano essenzialmente solo come homo<br />

oeconomicus. Pertanto, mentre da un lato si riconosce che la crescita economica sia<br />

necessaria per realizzare gli obiettivi umani essenziali, dall’altro lato si ritiene<br />

fondamentale analizzare come questa crescita si traduce – o non si traduce – <strong>in</strong> sviluppo<br />

umano.<br />

Solo una crescita accompagnata da un’azione pubblica rivolta a contenerne gli aspetti<br />

negativi e a ri-<strong>in</strong>dirizzare i benefici prodotti potrà effettivamente generare sviluppo<br />

umano.<br />

È, perciò, strettamente necessario evitare una crescita “jobless, ruthless, voiceless,<br />

rootless and futureless” (UNDP, 1996).<br />

Una crescita “jobless” è tale perché lo sviluppo economico complessivo non espande<br />

le opportunità di occupazione di un paese.<br />

“Ruthless” è una crescita <strong>in</strong> cui i benefici vanno soprattutto a favore dei ricchi,<br />

aumentando la povertà delle masse.<br />

Una crescita “voiceless” è tale quando non è accompagnata dall’espansione delle<br />

forme democratiche e della distribuzione del potere.<br />

“Rootless” è a sua volta una crescita che va a discapito delle identità culturali delle<br />

società.<br />

72


Inf<strong>in</strong>e, una crescita “futureless” è quella che distrugge le opportunità di uno sviluppo<br />

futuro attraverso un irragionevole sfruttamento delle risorse naturali disponibili,<br />

l’<strong>in</strong>qu<strong>in</strong>amento dell’ambiente, la distruzione della biodiversità.<br />

Dovendo perseguire uno sviluppo umano <strong>in</strong>teso <strong>in</strong> questi term<strong>in</strong>i, è stato elaborato un<br />

<strong>in</strong>dicatore idoneo a tradurre <strong>in</strong> cifre tale concetto: l’<strong>in</strong>dice di sviluppo umano (ISU o<br />

H<strong>DI</strong>, Human Development Index), il quale viene impiegato sia per valutare il grado di<br />

sviluppo di un paese, sia per misurare l’impatto di politiche economiche nella qualità<br />

della vita.<br />

Esso risulta essere composto da tre variabili, le quali rientrano nella def<strong>in</strong>izione di<br />

sviluppo umano data dall’UNDP (Boggio, Seravalli, 2003):<br />

il PIL pro-capite, come <strong>in</strong>dice delle condizioni standard di vita;<br />

la speranza di vita alla nascita 18 , come <strong>in</strong>dice di longevità;<br />

l’<strong>in</strong>dice di scolarizzazione 19 , come <strong>in</strong>dice di creatività.<br />

Questa misura dello sviluppo umano è diversa dal “reddito pro-capite”, il quale si<br />

preoccupa soltanto della disponibilità di beni materiali, <strong>in</strong> quanto fa co<strong>in</strong>cidere lo<br />

sviluppo di una popolazione con l’aumento della qualità della vita (come aveva <strong>in</strong>tuito<br />

anche Rostow con la realizzazione del sesto “stadio” della sua teoria).<br />

Le teorie della crescita che si sono susseguite nel tempo hanno sempre considerato<br />

fondamentale il ruolo del capitale fisico come determ<strong>in</strong>ante della crescita economica e<br />

qu<strong>in</strong>di dello sviluppo (vista, <strong>in</strong> passato, la sua co<strong>in</strong>cidenza con il concetto di sviluppo<br />

economico).<br />

Con il modello di Lucas (1988) per la prima volta si evidenziò, <strong>in</strong>vece, il ruolo del<br />

capitale umano come fondamento della crescita di una economia e di un paese; egli<br />

suppose che ogni unità di capitale umano sia tanto più produttiva quanto maggiore è la<br />

dotazione totale di capitale umano dell’economia, supponendo, pertanto, l’esistenza di<br />

esternalità positive generate dal capitale umano, nella relazione seguente:<br />

con K , capitale fisico;<br />

H 1- , capitale umano;<br />

Y = (K H 1- )H<br />

H , esternalità positive del capitale umano.<br />

18 La speranza di vita alla nascita viene calcolata come numero medio di anni di vita vissuta da<br />

una generazione di nati (Boggio, Seravalli, 2003).<br />

19 L’<strong>in</strong>dice di scolarizzazione viene calcolato come la media tra tasso di alfabetizzazione (con<br />

peso pari a ) e tasso di partecipazione all’istruzione secondaria (con peso pari a ) (Ibidem).<br />

73


Il livello di capitale umano è determ<strong>in</strong>ato dagli <strong>in</strong>vestimenti <strong>in</strong> istruzione, formazione<br />

e ricerca che un paese è disposto a sostenere; <strong>in</strong> questo modo il capitale umano è <strong>in</strong><br />

grado sia di utilizzare le <strong>in</strong>novazioni ma anche di produrle, spostando <strong>in</strong> avanti la<br />

frontiera di produzione ed aumentando il livello di <strong>in</strong>novazione.<br />

Ho voluto illustrare questo modello, perché ritengo che permetta di collegarsi a ciò<br />

che già gli antichi greci avevano capito, e che purtroppo è stato accantonato col passare<br />

dei secoli: la funzione che l’educazione e l’istruzione hanno all’<strong>in</strong>terno di un popolo.<br />

Come già detto precedentemente, la globalizzazione si basa soprattutto sulla<br />

conoscenza, a differenza delle due precedenti rivoluzioni <strong>in</strong>dustriali; se la si possiede, si<br />

è soggetti attivi di questo fenomeno, altrimenti si è <strong>in</strong> balìa di fatti non direttamente<br />

gestibili, schiavi di uno sviluppo di altri da cui si rimane però personalmente esclusi.<br />

Attraverso lo sviluppo umano, <strong>in</strong>teso come nella def<strong>in</strong>izione dell’UNDP, si vuole<br />

scongiurare questa possibilità, per mezzo di un ampliamento delle opportunità a<br />

disposizione dei s<strong>in</strong>goli <strong>in</strong>dividui che appartengono ai paesi più poveri, tramite la<br />

formazione ed il potenziamento delle capacità umane.<br />

Per questo motivo diventa di fondamentale importanza l’analisi e la comprensione<br />

della rilevanza di concetti come la mortalità <strong>in</strong>fantile, la speranza di vita alla nascita,<br />

l’istruzione, la diffusione di mezzi di comunicazione culturale, l’allargamento dei regimi<br />

democratici e dei diritti umani (Solivetti, 2002).<br />

3.1.4 Analisi empirica delle componenti dell’H<strong>DI</strong><br />

La vita è il prerequisito di ogni altro aspetto di benessere e di qualità dell’esistenza,<br />

dal momento che ovviamente beni e servizi possono avere valore solo se si è vivi.<br />

Pertanto, la mortalità <strong>in</strong>fantile (IMR) – la quale misura la possibilità di sopravvivere<br />

al primo anno di vita – è evidentemente la pietra angolare dello stesso sviluppo umano.<br />

I livelli di mortalità <strong>in</strong>fantile nei vari paesi del mondo al 2001 (vedi <strong>in</strong>fra Grafico 3 –<br />

Evoluzione della mortalità <strong>in</strong>fantile tra il 1960 e il 2001) si collocano, con una sola<br />

eccezione – l’Azerbaijan –, al di sopra della diagonale che <strong>in</strong>dica una condizione di<br />

perfetta staticità rispetto a livelli registrati nel 1960.<br />

Si tratta qu<strong>in</strong>di di un miglioramento generale. Negli anni ’60, se si escludono i paesi<br />

<strong>in</strong>dustrializzati, la situazione per le altre aree era – tra loro – assai simile: tassi medi di<br />

mortalità <strong>in</strong>fantile tra i 100 e i 160 morti nel primo anno di vita (ogni 1.000 nati vivi).<br />

La situazione più recente è, <strong>in</strong>vece, molto più diversificata: vi sono stati miglioramenti<br />

significativi <strong>in</strong> America Lat<strong>in</strong>a e Carabi, Asia Orientale e Pacifico, e anche <strong>in</strong> Medio<br />

74


Oriente e Nord Africa; mentre i miglioramenti per Asia Meridionale e Africa Sub-<br />

Sahariana sono stati più modesti.<br />

Nel complesso, nell’arco di circa quarant’anni, il tasso di mortalità <strong>in</strong>fantile mondiale<br />

si è dimezzato, passando da circa 120 a meno di 60.<br />

Grafico 3 – Evoluzione della mortalità <strong>in</strong>fantile tra il 1960 e il 2001<br />

Fonte: Solivetti (2002)<br />

Un altro elemento fondamentale per misurare lo sviluppo umano è la speranza di vita<br />

alla nascita, peraltro strettamente collegata all’<strong>in</strong>dicatore IMR.<br />

L’andamento di questa seconda determ<strong>in</strong>ante è speculare rispetto a quello della<br />

mortalità <strong>in</strong>fantile: <strong>in</strong>fatti, come si può <strong>in</strong>tuitivamente comprendere, la dim<strong>in</strong>uzione<br />

della mortalità <strong>in</strong>fantile è accompagnata da un aumento della speranza di vita.<br />

Negli ultimi anni, la speranza di vita dei paesi più sviluppati si è collocata <strong>in</strong>torno<br />

agli 80 anni.<br />

Complessivamente, si può notare (vedi <strong>in</strong>fra Grafico 4 – Evoluzione della speranza<br />

di vita tra il 1960 e il 2001) come il miglioramento abbia <strong>in</strong>teressato tutti i paesi del<br />

mondo, eccetto alcuni paesi dell’Africa Sub-Sahariana (Zimbabwe, Zambia, Botswana).<br />

L’area dell’Asia Orientale e Pacifico, che si trovava all’<strong>in</strong>izio del periodo<br />

considerato <strong>in</strong> fondo alla scala, <strong>in</strong>sieme con l’Africa Sub-Sahariana, ha compiuto un<br />

miglioramento spettacolare, al contrario di quanto avvenuto nell’Africa Sub-Sahariana –<br />

un arretramento tra il 1990 e il 2000.<br />

75


Il Medio Oriente e l’Africa del Nord, che si trovavano <strong>in</strong> posizioni <strong>in</strong>termedie, hanno<br />

registrato un miglioramento notevole, mentre il gruppo di paesi ad alto reddito ha<br />

registrato un miglioramento contenuto.<br />

A differenza di quanto è avvenuto con la mortalità <strong>in</strong>fantile, la speranza di vita per i<br />

paesi più svantaggiati e per quelli <strong>in</strong> posizione <strong>in</strong>termedia non solo è <strong>in</strong> media<br />

decisamente migliorata, ma ha anche ridotto la sua distanza <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i percentuali<br />

rispetto ai paesi avanzati.<br />

Grafico 4 – Evoluzione della speranza di vita tra il 1960 e il 2001<br />

Fonte: Solivetti (2002)<br />

Il livello di istruzione sembra sempre più essere esplicativo rispetto alla<br />

determ<strong>in</strong>azione dello sviluppo futuro dello stesso paese.<br />

L’istruzione, <strong>in</strong> un’evoluzione temporale, è passata ad essere da variabile accessoria<br />

dello sviluppo economico a chiave per il benessere materiale e lo sviluppo complessivo,<br />

oltre che fattore e parametro di scelta e libertà.<br />

Negli ultimi decenni, c’è stata un’evoluzione positiva per quello che riguarda<br />

l’istruzione nel mondo. Il generale andamento <strong>in</strong> senso nettamente migliorativo presenta<br />

poche eccezioni, relative soprattutto ai paesi dell’Africa Sub-Sahariana (vedi <strong>in</strong>fra<br />

Grafico 5 – Evoluzione dell’istruzione tra il 1970-80 e il 2000).<br />

Anche il dato relativo all’andamento dell’istruzione femm<strong>in</strong>ile è <strong>in</strong>coraggiante, ad<br />

eccezione di quello che riguarda le situazioni dei paesi islamici.<br />

76


Il dato sull’istruzione femm<strong>in</strong>ile è enormemente importante e <strong>in</strong>fluente su un altro<br />

fattore, la mortalità <strong>in</strong>fantile: <strong>in</strong>fatti, la maggiore istruzione delle madri ha come<br />

conseguenza positiva una m<strong>in</strong>ore mortalità dei figli.<br />

Grafico 5 – Evoluzione dell’istruzione tra il 1970-80 e il 2000<br />

Fonte: Solivetti (2002)<br />

Un aspetto collegato con il livello di istruzione è costituito dalla diffusione dei mezzi<br />

di comunicazione culturale – Internet, la radio, la televisione, il giornale quotidiano. In<br />

particolare, il dato relativo a quest’ultimo mezzo citato, non è del tutto rasserenante,<br />

poiché esistono differenze marcatissime nella diffusione dei giornali tra le varie aree del<br />

mondo. In particolare, si nota il divario tra paesi sviluppati ed Africa Sub-Sahariana e<br />

Medio Oriente.<br />

Tuttavia, anche se apparentemente sembra essere correlato al livello di reddito,<br />

analizzando i dati ad esso relativi, imputare la diffusione dei mezzi di comunicazione<br />

solo ad un effetto reddito risulta errato: è altrettanto importante, <strong>in</strong>fatti, l’effetto<br />

dell’atteggiamento culturale preponderante all’<strong>in</strong>terno del paese di riferimento.<br />

Il dato sulla diffusione dei mezzi di comunicazione è fondamentale all’<strong>in</strong>terno della<br />

concezione di sviluppo umano, poiché la maggiore capillarità di questi strumenti è<br />

s<strong>in</strong>onimo di maggiore trasparenza – <strong>in</strong>tesa come assenza o controllo della corruzione –,<br />

di partecipazione politica, di controllo delle azioni di governo.<br />

77


Di conseguenza, è positivamente associata con il livello di democrazia e di difesa dei<br />

diritti umani, ossia con concetti che fanno parte <strong>in</strong>tegrante dell’idea di sviluppo umano.<br />

3.2 Viene prima lo sviluppo economico o la democrazia?<br />

Come si lega il concetto di sviluppo economico con quello di democrazia? Quale dei<br />

due nasce per primo e, una volta affermatosi, genera l’altro?<br />

Per l’<strong>in</strong>tero Ottocento non si è mai ritenuto che la democrazia si fondasse su<br />

precondizioni economiche e che il suo avvento dipendesse dalla crescita economica. La<br />

discussione ha preso forma nel momento <strong>in</strong> cui la democrazia, <strong>in</strong>izialmente concepita<br />

come una forma politica che assicura protezione, è passata ad essere una forma politica<br />

che assicura potere.<br />

Alla f<strong>in</strong>e della Seconda Guerra Mondiale, era op<strong>in</strong>ione diffusa tra gli economisti che,<br />

<strong>in</strong> particolare nei paesi del Terzo Mondo, fosse necessario, <strong>in</strong>nanzitutto, applicare delle<br />

riforme economiche – come la riforma agraria –, una più equa distribuzione della<br />

ricchezza e lo sviluppo <strong>in</strong>dustriale, aff<strong>in</strong>ché questi generassero a loro volta, <strong>in</strong> modo<br />

quasi automatico, la democrazia politica.<br />

C’è chi sostiene, <strong>in</strong>fatti, – Lipset (1960), Barro (1999), Djankov (2003), Glaeser et<br />

Al. (2004) – che è dallo sviluppo economico che nasce la democrazia, seguendo quella<br />

che va sotto il nome di tesi della modernizzazione, la quale si fonda su due idee<br />

(Zamagni, 2005b):<br />

la prima è che solo i paesi i cui cittad<strong>in</strong>i abbiano già raggiunto un certo livello di<br />

educazione saranno <strong>in</strong> grado di eleggere, per via democratica, leaders capaci di<br />

governare, poiché la popolazione si <strong>in</strong>teresserà sempre più alla politica e alla<br />

partecipazione attiva e consapevole;<br />

la seconda è che solo nei paesi <strong>in</strong> cui la prosperità economica abbia raggiunto la<br />

maggioranza dei cittad<strong>in</strong>i è possibile che l’<strong>in</strong>troduzione del suffragio universale<br />

non porti il parlamento ad approvare politiche marcatamente redistributive, le<br />

quali metterebbero a repentaglio le opportunità future di crescita, a causa di una<br />

cessazione della produzione da parte dei soggetti più ricchi oppure di una loro<br />

dipartita verso l’estero, cui seguirebbe un arresto dello sviluppo economico del<br />

paese d’orig<strong>in</strong>e.<br />

78


Se la maggior parte della società vive <strong>in</strong> condizioni di povertà accentuata e solo una<br />

piccola parte è ricca, è molto più probabile che la popolazione venga governata da un<br />

regime oligarchico o da una tirannia.<br />

Anche secondo Hunt<strong>in</strong>gton (1999), la modernizzazione dei paesi, realizzata<br />

attraverso un processo di <strong>in</strong>dustrializzazione, porta alla democratizzazione: questo<br />

perché si viene a creare una sfera economica attiva, difficile da controllare da parte di<br />

un regime autoritario. Lo sviluppo economico <strong>in</strong>nesca un meccanismo virtuoso che<br />

aumenta l’educazione dei cittad<strong>in</strong>i e, di conseguenza, alimenta lo sviluppo di valori<br />

democratici, come fiducia e conoscenza.<br />

La crescente urbanizzazione rende più facile la comunicazione tra le persone nelle<br />

città piuttosto che nei villaggi rurali, così da rendere più difficoltoso il controllo e la<br />

soppressione delle persone da parte di un regime autoritario.<br />

Inoltre, Hunt<strong>in</strong>gton sostiene che, parallelamente allo sviluppo economico, i paesi<br />

aumentano il commercio <strong>in</strong>ternazionale e si aprono al mondo sviluppato. Così, la<br />

popolazione di questi paesi si trova sempre più esposta agli approcci democratici<br />

prevalenti nel mondo sviluppato.<br />

Agli antipodi di questo pensiero ci sono altri studiosi – Sen (2000), Rodrik et Al.<br />

(2002), Acemoglu et Al. (2002) – nonché le stesse Nazioni Unite – nel Rapporto sullo<br />

Sviluppo Umano del 2002 – che sostengono che sia proprio la democrazia, una volta<br />

affermatasi, a generare sviluppo economico, per tre ord<strong>in</strong>i di motivi (Zamagni, 2005b):<br />

la democrazia è un meccanismo di creazione e diffusione delle <strong>in</strong>formazioni, le<br />

quali essendo necessarie per un’economia di mercato, generano sviluppo<br />

economico;<br />

la democrazia facilita l’accumulazione di capitale sociale, <strong>in</strong>dispensabile ai f<strong>in</strong>i<br />

dello sviluppo poiché motore della diffusione delle virtù civiche;<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, la democrazia riduce le diseguaglianze e conseguentemente l’<strong>in</strong>certezza<br />

sulla propria vita, favorendo la creatività e l’<strong>in</strong>novazione, le quali sono<br />

componenti fondamentali dello sviluppo umano nonché economico.<br />

In particolare, il premio Nobel Amartya Sen (2000) dà una propria def<strong>in</strong>izione di<br />

sviluppo, <strong>in</strong>tendendolo come “un processo di espansione delle libertà reali godute dagli<br />

esseri umani” e sostiene, di conseguenza, che i problemi portati dal XX secolo –<br />

miseria, fame, violazione dei diritti e delle libertà fondamentali – sorgano dall’illibertà.<br />

L’espansione delle libertà reali degli <strong>in</strong>dividui è sia lo scopo pr<strong>in</strong>cipale (ruolo<br />

costitutivo) che il mezzo pr<strong>in</strong>cipale (ruolo strumentale) dello sviluppo.<br />

79


Sen (vedi anche <strong>in</strong>fra par. 3.4.3) dist<strong>in</strong>gue tra capacitazioni e funzionamenti,<br />

<strong>in</strong>tendendo con il primo term<strong>in</strong>e ciò che le persone sono effettivamente capaci di fare e<br />

di essere, ovvero l’<strong>in</strong>sieme delle opportunità reali che una persona ha per realizzare la<br />

propria vita, la libertà di poter scegliere un comportamento alternativamente ad altri;<br />

mentre con il secondo term<strong>in</strong>e egli <strong>in</strong>tende stati di essere o di fare cui gli <strong>in</strong>dividui<br />

attribuiscono valore.<br />

Le capacitazioni, dunque, vengono a configurarsi come <strong>in</strong>sieme di comb<strong>in</strong>azioni<br />

alternative di funzionamenti che una persona è <strong>in</strong> grado di realizzare; mentre le<br />

comb<strong>in</strong>azioni di funzionamenti di una persona rispecchiano la sua riuscita reale,<br />

sostiene Sen, l’<strong>in</strong>sieme delle capacitazioni rappresenta le sue libertà di riuscire, le<br />

comb<strong>in</strong>azioni alternative di funzionamenti tra cui può scegliere.<br />

Ciò che lega il concetto di libertà così <strong>in</strong>teso e le capacitazioni è il fatto che<br />

quest’ultime dipendono <strong>in</strong> modo cruciale dagli assetti economici, sociali e politici;<br />

questo significa che, per avere la libertà di scelta tra le diverse capacitazioni, è<br />

necessario, tra l’altro, possedere dei diritti civili e delle libertà politiche che permettano<br />

– ed è per questo che Sen le configura come libertà strumentali – alla popolazione di<br />

stabilire chi deve governare e i pr<strong>in</strong>cipi che dovrà seguire, di avere la possibilità di<br />

esam<strong>in</strong>are e criticare le autorità, di discutere liberamente di politica, di avere una stampa<br />

non soggetta a censura, di scegliere fra più partiti politici, <strong>in</strong> poche parole di<br />

raggiungere quella particolare libertà sostanziale che va sotto il nome di democrazia.<br />

Che l’economia sia il motore della democrazia – <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i semplicistici – è una tesi<br />

che nessuno più sostiene; ma quali sono allora le condizioni facilitanti lo sviluppo di<br />

una democrazia?<br />

Sartori (2007) elenca le seguenti: una politica come “pace”, da <strong>in</strong>tendersi<br />

contrapposta alla politica come “guerra” di Carl Schmitt, il quale sosteneva che la<br />

guerra fosse il giusto strumento nelle mani della politica per affermare le proprie idee e<br />

il proprio volere; l’autonomia della società civile, caratteristica che si riallaccia alla<br />

separazione tra pubblico e privato e alla secolarizzazione della politica; delle credenze<br />

di valore pluralistiche.<br />

È solo a questo punto che subentra la relazione tra democrazia e dibattito economico:<br />

da un lato, come sostiene Sartori, è abbastanza vero – seppure con qualche grossa<br />

eccezione – che il benessere facilita la democrazia; dall’altro lato, però, è dubbia<br />

l’ipotesi che la democrazia produca benessere. Se lo fa è probabilmente perché le<br />

80


democrazie non disturbano i processi economici più di tanto, e cioè lasciano che si<br />

realizz<strong>in</strong>o i meccanismi di mercato.<br />

Da questo deriva la certezza che il mercato non sia condizione sufficiente di<br />

democrazia, nonché la necessità di verificare se la democrazia trovi nel mercato una sua<br />

condizione necessaria.<br />

Quest’ultimo problema può essere affrontato sotto due punti di vista: quello<br />

economico e quello politico (Sartori, 2007).<br />

Il discorso economico sostiene che quanto più una democrazia conta sul benessere ed<br />

è attesa a distribuirlo, di altrettanto richiede un’economia <strong>in</strong> crescita, e cioè una “torta”<br />

crescente che consenta sempre più ampie spartizioni.<br />

Il discorso politico sostiene, <strong>in</strong>vece, che il requisito per la democrazia sia la<br />

diffusione di potere, ovvero la disgregazione di qualsiasi concentrazione di potere –<br />

soprattutto se si tratta di potere politico congiunto al potere economico – poiché si<br />

verrebbe altrimenti a creare un potere soverchiante contro il quale all’<strong>in</strong>dividuo non<br />

resta possibilità di difesa.<br />

Sottol<strong>in</strong>eando quest’ultimo punto di vista, ci si rende immediatamente conto del<br />

rilievo che ha il poter garantire ai cittad<strong>in</strong>i la propria libertà all’<strong>in</strong>terno del loro contesto<br />

di riferimento, ovvero la società civile: <strong>in</strong>fatti, come sostiene Bobbio (Bobbio, Viroli,<br />

2001), la libertà democratica è <strong>in</strong> primo luogo quella di poter decidere le norme che<br />

regolano la vita sociale.<br />

Da qui nasce l’importanza di comprendere come le componenti della società civile si<br />

muovono a favore della promozione della libertà democratica dei cittad<strong>in</strong>i e di<br />

analizzare, qu<strong>in</strong>di, la relazione esistente tra le c.d. istituzioni politiche ed economiche.<br />

3.3 Comprendere il ruolo delle istituzioni per cogliere la relazione tra<br />

democrazia e sviluppo<br />

3.3.1 I diversi approcci all’analisi istituzionale-economica<br />

Acemoglu et Al. (2004) def<strong>in</strong>iscono un’istituzione come “un <strong>in</strong>sieme di regole del<br />

gioco <strong>in</strong> una società o, più formalmente, costrizioni ideate umanamente che<br />

determ<strong>in</strong>ano l’<strong>in</strong>terazione umana” e che vengono determ<strong>in</strong>ate, pertanto, <strong>in</strong> modo<br />

endogeno dalla società stessa (vedi <strong>in</strong>fra Tabella 2 – Categorie di istituzioni).<br />

81


Tabella 2 - Categorie di istituzioni<br />

Fiducia Diritti di proprietà Intermediari<br />

Informazioni Rent-seek<strong>in</strong>g<br />

Reputazione<br />

Gruppi di<br />

pressione e<br />

lobbies<br />

Valori Privatizzazioni<br />

Relazioni<br />

<strong>in</strong>dustriali<br />

Free-Rid<strong>in</strong>g<br />

Fonte: Tridico (2006)<br />

Concorrenza<br />

Meccanismi di<br />

selezione<br />

82<br />

Istituzioni<br />

amm<strong>in</strong>istrative<br />

Organizzazioni<br />

Leggi e<br />

costituzioni<br />

S<strong>in</strong>dacati e club<br />

<strong>in</strong>dustriali<br />

Imprese<br />

L’economia istituzionale si <strong>in</strong>terroga sull’impatto che le istituzioni possono avere<br />

sulla crescita economica.<br />

Si tratta di un filone dell’economia (parte della nuova economia politica 20 ) che si<br />

pone come obiettivo di varcare i limiti posti dalla teoria neoclassica ortodossa all’analisi<br />

degli effetti economici delle istituzioni.<br />

La teoria ortodossa cercava di spiegare le scelte degli agenti economici, le loro<br />

<strong>in</strong>terazioni e i risultati a livello collettivo assumendo che:<br />

f<strong>in</strong>i e motivazioni umane siano dati a priori;<br />

l’assetto legale-istituzionale sia un dato che condiziona le scelte ma che non è da<br />

esso condizionato.<br />

Ora, <strong>in</strong>vece, l’obiettivo si sposta sull’analisi della determ<strong>in</strong>azione dei v<strong>in</strong>coli<br />

attraverso lo studio delle proprietà di <strong>in</strong>siemi alternativi di regole legali-istituzionali.<br />

Secondo Tridico (2006), nel paradigma più ortodosso della teoria neoclassica non<br />

esiste nessun meccanismo istituzionale diverso dall'allocazione del mercato. La sola<br />

istituzione ammessa è il mercato dove i prezzi sono determ<strong>in</strong>ati. Questa allocazione non<br />

co<strong>in</strong>volge regole di equità, norme o comportamenti, e le istituzioni sono esogene, o<br />

meglio, non sono considerate nell'analisi economica. Nella teoria neoclassica, con<br />

ipotesi di <strong>in</strong>formazione e concorrenza perfetta, il sistema allocativo delle risorse e dei<br />

beni è guidato dal prezzo (price-guided) ed i costi di transazione sono pari a zero.<br />

20 Sotto l’espressione nuova economia politica si è soliti raggruppare un <strong>in</strong>sieme variegato di<br />

approcci e di aree di studio che vanno dalla teoria delle scelte pubbliche a varie scuole<br />

neoistituzionaliste, dall’economia comportamentale alla teoria dei diritti di proprietà. (Screpanti,<br />

Zamagni, 2004)


Pertanto, le istituzioni (a parte il mercato) non sono utili né efficienti <strong>in</strong> alcun senso,<br />

al contrario esse possono ostacolare le performance economiche. Inoltre, rispetto<br />

all’orig<strong>in</strong>e delle organizzazioni e delle imprese, esse sono il frutto di un processo di<br />

massimizzazione v<strong>in</strong>colata: nel lungo periodo le organizzazioni emergono<br />

spontaneamente <strong>in</strong> virtù del pr<strong>in</strong>cipio della concorrenza e dell’ottimizzazione v<strong>in</strong>colata.<br />

Nel breve periodo sono un dato, un ulteriore v<strong>in</strong>colo ai processi di massimizzazione<br />

degli agenti.<br />

Le proposizioni neoclassiche di perfetta <strong>in</strong>formazione, costi di transazione nulli e<br />

agente razionale massimizzante impediscono qualsiasi domanda circa il ruolo delle<br />

istituzioni, come:<br />

“che ruolo hanno le istituzioni nel panorama economico?”;<br />

“perché esistono istituzioni diverse?”;<br />

“qual è il contributo delle istituzioni alla produttività?”;<br />

“perché esistono istituzioni <strong>in</strong>efficienti?”;<br />

“quali sono i meccanismi del cambiamento istituzionale?”.<br />

L’analisi istituzionale più recente ha, <strong>in</strong>vece, portato ad una duplice configurazione<br />

del concetto di istituzione economica (Tridico, 2006):<br />

a. istituzione <strong>in</strong>formale: norme sociali, convenzioni, valori morali, credenze<br />

religiose, tradizioni ed altre norme comportamentali che si tramandano<br />

attraverso il tempo e sono sopravvissute durante la storia di una determ<strong>in</strong>ata<br />

società. Le istituzioni <strong>in</strong>formali determ<strong>in</strong>ano il comportamento degli agenti e<br />

delle organizzazioni nel perseguimento dei loro obiettivi. Queste regole<br />

<strong>in</strong>formali sono parte dell'evoluzione d<strong>in</strong>amica di una comunità ed eredità del suo<br />

patrimonio culturale. Esse si auto-r<strong>in</strong>forzano attraverso meccanismi di<br />

imitazioni, tradizioni ed <strong>in</strong>segnamento. Il processo di auto-r<strong>in</strong>forzamento (self-<br />

re<strong>in</strong>forc<strong>in</strong>g) è favorito anche da alcune forme di sanzione sociale quali:<br />

l’appartenenza ad una comunità, la paura di espulsione da essa, la reputazione ed<br />

il timore di essere il solo a non rispettare le regole;<br />

b. istituzione formale: è def<strong>in</strong>ita generalmente come la sfera della legge, con<br />

costituzioni, regolamenti e organizzazioni. C'è un collegamento diretto tra le<br />

istituzioni formali e la struttura politico-economica di una società. Alla base di<br />

tale struttura vi sono: distribuzione dei diritti di proprietà, sistema giudiziario,<br />

governance ecc. Il processo di r<strong>in</strong>forzamento nella sfera delle istituzioni formali<br />

è garantito prevalentemente dal sistema legale.<br />

83


Il dualismo istituzionale così def<strong>in</strong>ito evidenzia la complessità di un sistema<br />

normativo che, come è sottol<strong>in</strong>eato dalla successiva tabella (vedi Tabella 3 –<br />

Descrizione di un sistema normativo), è caratterizzato da una dimensione formale e da<br />

una dimensione <strong>in</strong>formale, ognuna con le proprie specifiche caratteristiche:<br />

Fonte: Tridico (2006)<br />

Approfondiremo, d’ora <strong>in</strong> poi, come si è sviluppata l’analisi istituzionale-economica<br />

più recente, per comprenderne le peculiarità che permetteranno successivamente di<br />

cogliere la relazione che <strong>in</strong>tercorre tra istituzioni economiche e istituzioni politiche.<br />

Il primo neoistituzionalismo che prendiamo <strong>in</strong> considerazione è quello “utilitarista”:<br />

esso è legato al pensiero utilitarista, rivisitato da Douglas North (1990, p.6), secondo<br />

cui: “le istituzioni […] rappresentano il modo <strong>in</strong> cui molte economie affrontano i<br />

fallimenti del mercato” .<br />

Ma, come si può derivare da un’analisi più approfondita dei campi di studio trattati,<br />

si considera riduce il concetto di istituzione ad una soluzione per problemi di efficienza<br />

del mercato derivanti dai costi d’uso.<br />

Il primo campo di studio vede l’istituzione impresa assumere un ruolo problem-<br />

solv<strong>in</strong>g nei confronti dell’<strong>in</strong>efficienza del mercato generata da quei costi connessi<br />

all’<strong>in</strong>formazione (Coase, 1937).<br />

Tabella 3 - Descrizione di un sistema normativo<br />

Regole F<strong>OR</strong>MALI Regole INF<strong>OR</strong>MALI<br />

CONF<strong>OR</strong>MITÀ Obbligo giuridico Obbligo sociale<br />

PROCESSI <strong>DI</strong><br />

RINF<strong>OR</strong>ZAMENTO<br />

Sanzioni legali,<br />

<strong>in</strong>centivi<br />

Reputazione,<br />

ortodossia di<br />

appartenenza<br />

MOTIVAZIONE Strumentalità Prevalenza<br />

STRUMENTI<br />

Leggi, organizzazioni,<br />

statuti<br />

Williamson (1975, 1985) suddivide questi costi, i c.d. costi di transazione, <strong>in</strong>:<br />

“ex ante”: costi connesi alla negoziazione e alla redazione dei contratti;<br />

“ex post”: costi che sorgono nella fase di esecuzione della transazione se si<br />

verificano circostanze non regolate preventivamente dal contratto;<br />

84<br />

Convenzioni tacite,<br />

norme sociali,<br />

abitud<strong>in</strong>i, valori<br />

LEGITTIMITÀ Giuridica-statuale Culturale-tradizionale


e la loro dimensione dipende dalle caratteristiche della transazione, che sono: specificità<br />

(relativa all’<strong>in</strong>vestimento richiesto da parte di una o entrambe le parti), frequenza (dei<br />

rapporti tra le parti), <strong>in</strong>certezza (più lo scambio è <strong>in</strong>certo, più dovrà essere dettagliato il<br />

contratto che lo regola).<br />

Williamson def<strong>in</strong>isce i costi di transazione come “i costi di gestione del sistema<br />

economico”.<br />

Più precisamente si realizza una transazione quando “un bene o un servizio viene<br />

trasferito attraverso un raccordo separabile sotto il profilo tecnologico”.<br />

Il sistema economico è una catena di transazioni ciascuna implicante il passaggio di<br />

beni e servizio da un agente ad un altro. L’utilizzo delle istituzioni di mercato, che<br />

favoriscono l’<strong>in</strong>contro della domanda e dell’offerta, la ricerca delle <strong>in</strong>formazione, lo<br />

scambio <strong>in</strong> sé, la negoziazione, il raggiungimento dei mercati, e tutto quanto concerne il<br />

f<strong>in</strong>e ultimo dello scambio e della protezione dei diritti, ha un costo rappresentato dal<br />

costo della transazione, appunto, che tutti gli agenti cercano di m<strong>in</strong>imizzare o comunque<br />

di economicizzare.<br />

Un secondo campo di studio analizza l’istituzione impresa <strong>in</strong> relazione alla teoria dei<br />

diritti di proprietà – diritto al reddito residuale e diritto al controllo residuale.<br />

L’<strong>in</strong>terpretazione orig<strong>in</strong>aria di Demsetz (1982) prevedeva che la struttura dei diritti<br />

d’impresa fosse una risposta ai costi di transazione, mentre l’elaborazione più recente di<br />

Grossman, Hart e Moore (1986, 1990) vede l’impresa come un <strong>in</strong>sieme eterogeneo di<br />

attività, beni capitali e competenze necessarie per il processo produttivo.<br />

Il ruolo fondamentale è ricoperto dal proprietario dell’impresa che è portatore di<br />

conoscenze e capacità tali da renderlo <strong>in</strong>dispensabile per l’impresa stessa.<br />

L’ultimo ambito di studi di questo filone di ricerca riguarda la teoria d’agenzia, che<br />

regola il rapporto tra due soggetti, il pr<strong>in</strong>cipale e l’agente, con funzioni-obiettivo<br />

differenti tra loro. Quest’ultimo aspetto causa dei problemi di asimmetria <strong>in</strong>formativa<br />

che si risolvono tramite i c.d. contratti di <strong>in</strong>centivazione, i quali producono costi<br />

d’agenzia che generano la necessità di def<strong>in</strong>ire una struttura organizzativa appropriata<br />

di corporate governance, come <strong>in</strong>sieme di strumenti organizzativi, legali, culturali che<br />

garantiscono il massimo ritorno dell’<strong>in</strong>vestimento.<br />

La seconda dottr<strong>in</strong>a che consideriamo è il nuovo “vecchio” istituzionalismo, il quale<br />

fa riferimento al c.d. Old Institutional Economics (OIE) degli anni ‘40 di Thorste<strong>in</strong><br />

Veblen, John Commons e Wesley Mitchel.<br />

85


La OIE rifiuta il concetto di <strong>in</strong>dividualismo metodologico ed il concetto di <strong>in</strong>dividuo<br />

razionale che massimizza la propria utilità; <strong>in</strong>vece, enfatizza il ruolo delle abitud<strong>in</strong>i,<br />

delle regole comportamentali e delle norme sociali come base dell'azione degli agenti.<br />

L'OIE sviluppa un concetto alternativo di comportamento economico che trova le sue<br />

orig<strong>in</strong>i proprio nelle istituzioni.<br />

Le istituzioni sono le regole secondo le quali le imprese ed i consumatori<br />

rispettivamente "soddisfano" e non "massimizzano" il loro profitto e la loro utilità.<br />

Secondo quest’approccio, <strong>in</strong> economia "<strong>in</strong>stitutions matter": le istituzioni non sono<br />

necessariamente create per essere socialmente ed economicamente efficienti (<strong>in</strong> senso<br />

paretiano); al contrario, esse sono create per servire e preservare gli <strong>in</strong>teressi di alcuni<br />

gruppi sociali e per creare nuove istituzioni. Pertanto, le istituzioni possono def<strong>in</strong>irsi<br />

“efficienti” f<strong>in</strong> tanto che esse permettano il raggiungimento degli obiettivi per i quali<br />

orig<strong>in</strong>ariamente sono state create.<br />

Durante gli anni ‘60 - ’70, negli Stati Uniti, torna <strong>in</strong> auge il filone dell’OIE tuttavia<br />

rivisto da esponenti come John Galbraith (1961): il suo obiettivo era quello di esplorare<br />

la natura societaria e i modi di pianificazione del sistema delle imprese, nonché studiare<br />

l’<strong>in</strong>fluenza dei c.d. imperativi tecnologici, la formazione sociale delle preferenze<br />

<strong>in</strong>dividuali, l’<strong>in</strong>terazione tra sfera privata e sfera pubblica, le forze che <strong>in</strong>fluenzano la<br />

formazione di op<strong>in</strong>ioni del settore pubblico.<br />

Galbraith promosse la “teoria del potere compensativo” (countervail<strong>in</strong>g power),<br />

secondo cui un modo per tenere <strong>in</strong> equilibrio un sistema sociale – riducendone gli<br />

aspetti negativi – è quello di bilanciare l’eccesso di potere detenuto <strong>in</strong> gruppi socio-<br />

economici, consentendo la costituzione di gruppi con <strong>in</strong>teressi contrapposti.<br />

Secondo Galbraith, la “mano <strong>in</strong>visibile” smithiana sarebbe solo causa di<br />

disuguaglianza nonché sottodimensionamento dell’attività di R&S, che <strong>in</strong>vece avrebbe<br />

grande rilievo per il processo di sviluppo economico.<br />

Un altro esponente di questa corrente di pensiero fu Allan Garfield Gruchy (1982), il<br />

quale si fece grande sostenitore del fatto che il mercato sia fonte di fallimenti ed<br />

<strong>in</strong>efficienze quali: disoccupazione, diseguaglianza dei redditi, <strong>in</strong>flazione, <strong>in</strong>adeguatezza<br />

dei servizi sociali, strapotere delle grandi imprese, alienazione e oppressione dei<br />

lavoratori/consumatori.<br />

Gruchy si focalizza sulla necessità di politiche <strong>in</strong>cisive sulla struttura del sistema<br />

economico, tra cui:<br />

attiva politica dei redditi;<br />

86


forte regolamentazione delle S.p.A.;<br />

risoluta politica antimonopolistica;<br />

sviluppo di programmi sociali avanzati;<br />

pianificazione economica nazionale – basata sul modello socialdemocratico dei<br />

Paesi Scand<strong>in</strong>avi.<br />

Egli, <strong>in</strong>oltre, teorizza un approccio da lui stesso def<strong>in</strong>ito holistic economics, poiché<br />

ha l’obiettivo di comb<strong>in</strong>are tra loro le varie discipl<strong>in</strong>e sociali; secondo Gruchy, <strong>in</strong>fatti, la<br />

discipl<strong>in</strong>a economica deve essere una scienza della cultura e svilupparsi <strong>in</strong> simbiosi con<br />

la sociologia, l’antropologia, la storiografia e la politica.<br />

Inf<strong>in</strong>e, un altro esponente della stessa corrente di pensiero è Warren J. Samuels<br />

(1982), il quale si concentrò sull’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e della discipl<strong>in</strong>a di Law and Economics <strong>in</strong><br />

merito al ruolo dello Stato nella costruzione sociale ed economica, svolto attraverso la<br />

determ<strong>in</strong>azione dei diritti e delle libertà, l’attribuzione del potere e l’imposizione della<br />

coercizione.<br />

Parallelamente a ciò che stava accadendo negli Stati Uniti, <strong>in</strong> Europa si sviluppò un<br />

altro tipo di pensiero economico istituzionalista: quello del neoistituzionalismo<br />

evoluzionista. È esplicita la tendenza alla tradizione critica di Veblen: questo tipo di<br />

neoistituzionalismo rifiuta <strong>in</strong> blocco il sistema neoclassico, poiché rigetta le ipotesi che<br />

def<strong>in</strong>iscono l’homo oeconomicus:<br />

a. edonismo;<br />

b. <strong>in</strong>dividualismo;<br />

c. utilitarismo;<br />

d. razionalità sostanziale;<br />

e. completezza delle <strong>in</strong>formazioni;<br />

f. esogeneità delle preferenze.<br />

Queste ipotesi vengono sostituite dal concetto di evoluzione darw<strong>in</strong>iana che<br />

comporta il mutamento delle istituzioni, organizzazioni, abitud<strong>in</strong>i, apparati produttivi,<br />

norme, <strong>in</strong> base all’evoluzione della specie per la sopravvivenza umana.<br />

Secondo gli esponenti di questa tesi, l’affermazione di certe istituzioni su altre<br />

dipende dal loro modo di servire i bisogni degli <strong>in</strong>dividui: sopravvivono, perciò, le<br />

istituzioni migliori <strong>in</strong> questo senso e, di conseguenza, lo stato <strong>in</strong> cui si trova la società <strong>in</strong><br />

un dato momento storico diventa path-dependent.<br />

La prospettiva evolutiva costituisce il filo conduttore del sistema teorico di Friedrich<br />

August von Hayek (1937), il quale, negando la possibilità di un’efficace capacità<br />

87


esplicativa da parte della categoria di equilibrio e, di conseguenza, del sistema da essa<br />

retto, prova a sostituirlo con il concetto di ord<strong>in</strong>e spontaneo – cioè non <strong>in</strong>dotto<br />

artificialmente –, applicandolo al sistema di mercato.<br />

L’ord<strong>in</strong>e di mercato è l’elemento centrale della scienza economica così come viene<br />

<strong>in</strong>tesa da Hayek. Il mercato rende possibile utilizzare la conoscenza, che Hayek ritiene<br />

essere caratterizzata da limitatezza ed <strong>in</strong>dividualità (Boccaccio, 1996).<br />

Il mercato assume il ruolo di procedimento di scoperta evolutiva attraverso cui si<br />

aggiustano sistematicamente le scelte dei soggetti economici e i loro risultati, di luogo<br />

<strong>in</strong> cui, ancora prima di essere scambiati beni e servizi, si scambiano le <strong>in</strong>formazioni (ad<br />

esempio, attraverso il meccanismo dei prezzi) ad essi relative.<br />

Diceva Hayek:<br />

“Uno dei nostri pr<strong>in</strong>cipali obiettivi sarà quello di mostrare che<br />

la maggior parte delle regole di condotta che governano le nostre<br />

azioni e la maggior parte delle istituzioni che emergono da tali<br />

regolarità di comportamento, sono adattamenti all’impossibilità, <strong>in</strong> cui<br />

ciascuno si trova, di conoscere consapevolmente <strong>in</strong> dettaglio tutti i<br />

fatti particolari che <strong>in</strong>fluenzano l’ord<strong>in</strong>e della società.”<br />

Alla base del ragionamento di von Hayek c’è la concezione di evoluzione culturale<br />

<strong>in</strong>tesa come processo di selezione competitiva da cui scaturiscono regole di condotta<br />

<strong>in</strong>dividuale e istituzioni sociali con cui vengono affrontati i problemi dell’<strong>in</strong>terazione<br />

umana. Questo non significa che Hayek sostenne che i sistemi di norme sociali di un<br />

dato contesto vadano lasciati a sé, bensì che l’azione a favore di un disegno istituzionale<br />

può e deve avere luogo tutte le volte che le condizioni generali possono essere<br />

migliorate per accrescere l’utilizzo e la scoperta di nuove conoscenze.<br />

Gli economisti Paul David e Brian Arthur (1985, 1988) si soffermarono sulla ricerca<br />

di una spiegazione relativa al ruolo dei rendimenti crescenti nello sviluppo economico,<br />

ritenendo che la d<strong>in</strong>amica dei sistemi economici sia history-dependent, dipendente, cioè,<br />

dalle condizioni <strong>in</strong>iziali e dal successivo sentiero perseguito dall’economia nei periodi<br />

antecedenti il momento considerato. La scelta del sentiero è molto spesso frutto di<br />

processi deliberativi di tipo collettivo che chiamano <strong>in</strong> causa le relazioni sociali e le<br />

politiche prevalenti nella società (Bruni, Zamagni, 2004).<br />

88


Le differenti tipologie di rendimenti crescenti – learn<strong>in</strong>g-by-do<strong>in</strong>g e learn<strong>in</strong>g-by-<br />

us<strong>in</strong>g, effetti di coord<strong>in</strong>amento, esternalità di rete – causano irreversibilità degli<br />

<strong>in</strong>vestimenti dovuti all’utilizzo di particolari tecnologie.<br />

Di conseguenza, si vengono a creare dei problemi collegati ai rendimenti crescenti,<br />

quali (Screpanti, Zamagni, 2004):<br />

a- l’esistenza di equilibri 21 multipli 22 ;<br />

b- l’esistenza di forme di <strong>in</strong>efficienza paretiana 23 ;<br />

c- effetti di lock-<strong>in</strong>: significa che una volta raggiunto un certo stato <strong>in</strong> economia è<br />

poi difficile modificarlo;<br />

d- fenomeni di path-dependence: la d<strong>in</strong>amica è <strong>in</strong>fluenzata dalle condizioni <strong>in</strong>iziali,<br />

così che la storia risulta essere rilevante;<br />

e- processi di symmetry-break<strong>in</strong>g: nonostante i presupposti di partenza siano<br />

caratterizzati da simmetria, lo stato conclusivo può realizzarsi <strong>in</strong> condizioni di<br />

asimmetria.<br />

Ognuno di questi problemi può essere direttamente collegato, piuttosto che a<br />

variabili economiche, alle convenzioni e alle norme sociali che regolano il<br />

funzionamento delle organizzazioni ed istituzioni e che sono carriers of history:<br />

possono, cioè, scaturire dall’evoluzione di strutture orig<strong>in</strong>atesi spontaneamente ed<br />

endogenamente oppure possono essere il risultato di regole d’<strong>in</strong>terazioni consapevoli.<br />

L’ipotesi basilare di partenza è quella dell’<strong>in</strong>terpretazione dell’economia come<br />

sistema complesso, ovvero un ambiente <strong>in</strong> cui la storia non si ripete.<br />

I modelli di crescita e sviluppo tecnologico con rendimenti crescenti sono<br />

particolarmente adatti a rappresentare sistemi economici che si comportano<br />

caoticamente, cioè <strong>in</strong> cui c’è non-l<strong>in</strong>earità e, pertanto, si verifica il fenomeno che va<br />

sotto il nome di “caos determ<strong>in</strong>istico”, una d<strong>in</strong>amica generata da leggi che <strong>in</strong> sé non<br />

21<br />

Il riferimento è alla teoria dei giochi, dove per equilibrio di Nash si <strong>in</strong>tende un vettore di<br />

strategie, una per ciascun giocatore, tali che la strategia di ogni giocatore è la risposta ottimale<br />

(<strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di payoff) alle strategie scelte dagli altri giocatori (Cabral, 2002).<br />

22<br />

Si hanno equilibri multipli quando un gioco può avere più di un equilibrio di Nash (Varian,<br />

2002).<br />

23<br />

L’<strong>in</strong>efficienza paretiana deriva dalla possibilità di ottenere un “miglioramento paretiano”<br />

dell’allocazione delle risorse, cioè dall’esistenza di una modalità ulteriore rispetto alla<br />

situazione attuale di aumentare la soddisfazione di qualcuno senza dim<strong>in</strong>uire quella di qualcun<br />

altro (Ibidem).<br />

89


comportano alcunché di stocastico 24 , ma che può produrre traiettorie erratiche <strong>in</strong><br />

relazione a piccole “perturbazioni” delle condizioni <strong>in</strong>iziali.<br />

In base ai differenti livelli di sviluppo tecnologico, si def<strong>in</strong>iscono le caratteristiche di<br />

un’economia <strong>in</strong> un determ<strong>in</strong>ato momento temporale:<br />

a. a bassi livelli di sviluppo tecnologico corrisponde un’economia c.d. stazionaria;<br />

b. a livelli più elevati di sviluppo tecnologico sorgono delle oscillazioni periodiche,<br />

i c.d. cicli economici;<br />

c. a livelli ancora più avanzati di sviluppo tecnologico si ha la possibilità di avere<br />

una sovrapposizione di due o più periodicità;<br />

d. <strong>in</strong> una fase ancora più avanzata l’economia è <strong>in</strong> uno stato turbolento, con<br />

variazioni irregolari e marcata dipendenza dalle condizioni <strong>in</strong>iziali.<br />

Essendo quest’ultimo lo stato più vic<strong>in</strong>o alla situazione economica attuale, si può<br />

sostenere che la necessità prem<strong>in</strong>ente sia quella di accantonare l’analisi di equilibrio di<br />

un sistema per lasciare spazio allo sviluppo di approcci che studiano come le preferenze,<br />

le aspettative e le azioni dei soggetti economici reagiscono <strong>in</strong> modo sistematico<br />

all’<strong>in</strong>sieme di risultati che esse stesse generano.<br />

Da un punto di vista di politica economica, le istituzioni governative dovranno<br />

esercitare la loro autorità per adottare strutture di comportamento capaci di crescere <strong>in</strong><br />

modo spontaneo.<br />

3.3.2 Interdipendenza tra istituzioni economiche e istituzioni politiche<br />

Entrando più nello specifico, le istituzioni economiche possono essere def<strong>in</strong>ite come<br />

“la struttura dei diritti di proprietà e la presenza e il perfezionamento dei mercati”; la<br />

loro <strong>in</strong>fluenza si ripercuote sulla struttura degli <strong>in</strong>centivi economici della società; <strong>in</strong>oltre,<br />

esse aiutano ad allocare le risorse ai loro usi più efficienti e determ<strong>in</strong>ano a chi spettano i<br />

profitti delle attività economiche, le entrate e i diritti residui di controllo.<br />

La def<strong>in</strong>izione, l’allocazione e la protezione dei diritti di proprietà è una delle più<br />

complesse e difficili questioni che ogni società deve affrontare.<br />

Si può pensare di devolvere maggiori diritti e proprietà allo Stato, riducendo e<br />

limitando la proprietà privata, se questo viene considerato più efficace da un punto di<br />

vista sociale; si può altresì pensare di ridurre le proprietà e le prerogative dello Stato a<br />

24 Il concetto di stocasticità <strong>in</strong>dividua una situazione caratterizzata da deviazioni casuali del<br />

sentiero di equilibrio che <strong>in</strong>fluiscono sulla tendenza di lungo periodo (Screpanti, Zamagni,<br />

2004).<br />

90


eneficio degli <strong>in</strong>dividui, se questo viene considerato più efficiente per una migliore<br />

allocazione delle risorse. Tuttavia, quello che <strong>in</strong>vece bisogna evitare è l’ambiguità,<br />

l’<strong>in</strong>certezza e la non distribuzione dei diritti di proprietà, <strong>in</strong> quanto ciò condizionerebbe<br />

negativamente il sistema produttivo (Alchian e Demsetz, 1973). Questo perché i diritti<br />

di proprietà determ<strong>in</strong>ano <strong>in</strong> modo esclusivo e def<strong>in</strong>itivo come le risorse devono essere<br />

usate e da chi devono essere usati (<strong>in</strong>dividui, Stato, collettività).<br />

Le istituzioni economiche <strong>in</strong>coraggiano l’emergere della crescita economica quando<br />

le istituzioni politiche allocano il potere <strong>in</strong> gruppi che esprimono <strong>in</strong>teresse verso il<br />

rafforzamento dei diritti di proprietà generalizzati, quando esse creano costrizioni<br />

effettive su chi detiene il potere, nonché quando esistono relativamente poche possibilità<br />

di essere costretti nelle proprie azioni da coloro che detengono il potere.<br />

Le istituzioni economiche sono importanti per la crescita economica perché<br />

<strong>in</strong>fluenzano gli <strong>in</strong>centivi degli attori economici chiave della società; <strong>in</strong> particolare,<br />

<strong>in</strong>fluenzano gli <strong>in</strong>vestimenti <strong>in</strong> capitale fisico ed umano e <strong>in</strong> tecnologia ed<br />

organizzazione della produzione, per cui determ<strong>in</strong>ano prosperità.<br />

Le istituzioni economiche sono endogene, determ<strong>in</strong>ate come scelte collettive, <strong>in</strong> larga<br />

parte per le loro conseguenze economiche: la società sceglierà le istituzioni economiche<br />

che sono socialmente efficienti – concetto che va al di là del semplice “ottimo<br />

paretiano” e che è associato ad un surplus, alla massimizzazione del benessere o dei<br />

risultati.<br />

Per questo motivo le istituzioni economiche variano da paese a paese, sono diverse<br />

nei diversi contesti sociali e non hanno, generalmente, un modello verso cui esse<br />

convergono, nel senso che <strong>in</strong> alcuni contesti alcune istituzioni possono essere presenti <strong>in</strong><br />

altri no, ed anche laddove esse sono simili, non è detto che svolgano la stessa funzione o<br />

abbiano gli stessi effetti.<br />

La distribuzione del potere politico nella società è anch’essa endogena; <strong>in</strong> particolare<br />

se ne dist<strong>in</strong>guono due tipologie:<br />

potere politico de jure (istituzionale): è quello derivante dalle istituzioni politiche<br />

della società, che determ<strong>in</strong>ano le costrizioni sugli attori chiave e i loro <strong>in</strong>centivi,<br />

ma nella sfera politica (non economica);<br />

potere politico de facto: è quello nelle mani di gruppi di <strong>in</strong>dividui che non<br />

ricevono il potere dalle istituzioni politiche, ma che lo derivano da altre fonti:<br />

a. dall’abilità del gruppo <strong>in</strong> questione di risolvere il suo problema di azione<br />

collettiva;<br />

91


. dalle risorse economiche che determ<strong>in</strong>ano sia le loro abilità nell’usare (o<br />

misurare) le istituzioni politiche esistenti, sia la possibilità di assumere<br />

ed usare il potere contro differenti gruppi.<br />

Schematizzando, la rappresentazione di quanto f<strong>in</strong> qui esposto può essere la<br />

seguente:<br />

ISTITUZIONI POTERE ISTITUZIONI RISULTATI<br />

2 POLITICHEt POLITICO ECONOMICHEt ECONOMICIt<br />

VARIABILI “DE JURE”t e<br />

<strong>DI</strong> STATO <strong>DI</strong>STRIBUZIONE<br />

DELLE<br />

Fonte: Acemoglu et Al. (2004)<br />

<strong>DI</strong>STRIBUZIONE POTERE ISTITUZIONI<br />

DELLE RIS<strong>OR</strong>SEt POLITICO POLITICHE t+1<br />

DE FACTO” t<br />

Def<strong>in</strong>iti gli ambiti di <strong>in</strong>teresse delle due diverse tipologie di istituzioni, la questione è<br />

la seguente: <strong>in</strong> che modo delle “semplici” istituzioni possono essere appellate con<br />

l’aggettivo democratiche? Che cos’è che rende queste istituzioni capaci di garantire ai<br />

cittad<strong>in</strong>i i diritti politici, <strong>in</strong>tesi come “quei diritti che permettono alle persone di<br />

partecipare liberamente al processo politico – <strong>in</strong>cludendo <strong>in</strong> questa def<strong>in</strong>izione: il diritto<br />

di votare liberamente per dist<strong>in</strong>te alternative <strong>in</strong> elezioni legittimate, di competere per i<br />

pubblici uffici, di far parte di partiti politici ed organizzazioni, nonché di eleggere<br />

rappresentanti che abbiano un impatto decisivo sulle politiche pubbliche e siano capaci<br />

di rendicontare all’elettorato – e che sono fondati sul livello di controllo da parte di<br />

ciascun <strong>in</strong>dividuo nei confronti di coloro che governano uno Stato (Saurabh, 2007)?”<br />

Persson e Tabell<strong>in</strong>i (2005) affermano che la risposta risiede <strong>in</strong> ciò che essi<br />

def<strong>in</strong>iscono come capitale democratico, ovvero “l’esperienza storica di una nazione<br />

democratica e l’<strong>in</strong>cidenza sul paese stesso da parte di paesi democratici conf<strong>in</strong>anti”, il<br />

quale permette di, da un lato, ridurre il tasso di uscita da un regime democratico,<br />

dall’altro, aumentare il tasso di entrata <strong>in</strong> un regime autocratico.<br />

Nelle democrazie, un più alto stock di capitale democratico stimola la crescita <strong>in</strong><br />

modo <strong>in</strong>diretto, attraverso l’<strong>in</strong>cremento della probabilità di un colpo di Stato da parte<br />

dei cittad<strong>in</strong>i nei confronti delle istituzioni.<br />

92<br />

RIS<strong>OR</strong>SEt+1


Se la democrazia <strong>in</strong>fluenza la performance economica, come dimostrano anche<br />

Acemoglu et Al. (2004) – le istituzioni politiche al tempo t <strong>in</strong>fluenzano le istituzioni<br />

economiche al tempo t e, di conseguenza, i risultati economici al tempo t –,<br />

quest’ultima, quasi per def<strong>in</strong>izione, <strong>in</strong>fluenza i rendimenti attesi degli <strong>in</strong>vestimenti.<br />

Attraverso gli <strong>in</strong>vestimenti, le prospettive di una futura democrazia, allora, diventano<br />

determ<strong>in</strong>anti fondamentali della performance economica attuale. Per valutare<br />

correttamente le conseguenze economiche della democrazia, bisogna perciò guardare al<br />

di là del regime politico attuale, cercando di prevedere il suo grado di stabilità.<br />

Persson e Tabell<strong>in</strong>i (2005), partendo da una funzione di produzione neoclassica nella<br />

sua forma <strong>in</strong>tensiva, determ<strong>in</strong>ano la produzione aggregata yt come:<br />

con kt = capitale per lavoratore;<br />

f = funzione concava tale per cui fk(0) ;<br />

A = fattore totale di produttività (TFP – Total Factor Productivity).<br />

Il livello di TFP viene calcolato per dist<strong>in</strong>guere tra regime democratico, <strong>in</strong>dicato con<br />

at = 0, e il regime autocratico, <strong>in</strong>dicato con at = 1.<br />

Le differenze di TFP dei diversi regimi politici possono riflettere le priorità di<br />

politica economica che ora sono lasciate implicite.<br />

All’<strong>in</strong>izio del periodo t, si possono <strong>in</strong>dividuare tre variabili di stato:<br />

a. kt , lo stock di capitale accumulato per lavoratore nel periodo t – 1;<br />

b. at-1, il regime politico alla f<strong>in</strong>e del precedente periodo;<br />

c. dt-1, il capitale democratico accumulato f<strong>in</strong>o al periodo precedente.<br />

Ne deriva che, durante il periodo t:<br />

yt = A (at) f (kt)<br />

1- <strong>in</strong> un regime democratico (at-1 = 0), un tentativo di colpo di Stato ha luogo con la<br />

probabilità (0), mentre <strong>in</strong> un regime autocratico (at-1 = 1), un tentativo di<br />

<strong>in</strong>surrezione avviene con probabilità (1);<br />

2- se un tentativo di colpo di Stato o di <strong>in</strong>surrezione è realizzato, ogni <strong>in</strong>dividuo<br />

anziano deve prendere una decisione <strong>in</strong>dividuale sull’eventuale partecipazione <strong>in</strong><br />

difesa della democrazia (resistere al colpo di Stato o partecipare<br />

93


all’<strong>in</strong>surrezione) 25 . Questa decisione è basata su un segnale s<strong>in</strong>tomatico e<br />

specifico-<strong>in</strong>dividuale, sui costi m i t e sul beneficio percepito della partecipazione<br />

nella difesa di successo bt;<br />

3- la probabilità che un regime democratico sopravviva ad un colpo di Stato, o che<br />

un regime autocratico cada dopo un’<strong>in</strong>surrezione, è uguale a st, la proporzione<br />

della popolazione anziana che partecipa alla difesa della democrazia;<br />

4- una volta che at – il regime politico nel periodo t – è stato determ<strong>in</strong>ato secondo il<br />

punto 3, il valore attuale del TFP, A (at), è realizzato;<br />

5- le decisioni di <strong>in</strong>vestimento per il periodo successivo, t +1, sono compiute da<br />

ciascun <strong>in</strong>dividuo giovane, basandosi sui rendimenti attesi nel periodo t +1.<br />

L’accumulazione di uno stock di capitale civile e sociale – capitale democratico –<br />

attraverso l’<strong>in</strong>segnamento sia del paese stesso, tramite l’analisi e la comprensione della<br />

sua esperienza storica, sia dei paesi a esso conf<strong>in</strong>anti, consente di <strong>in</strong>nescare un circolo<br />

virtuoso, una spirale di reazione positiva tra democrazia e sviluppo economico:<br />

EFFETTI<br />

DEMOCRAZIA SVILUPPO CONSOLIDAMENTO ACCUMULO POSITIVI SU<br />

STABILE ECONOMICO DEMOCRAZIA <strong>DI</strong> CAPITALE RED<strong>DI</strong>TO E<br />

DEMOCRA-<br />

ZIA<br />

Fonte: Nostra elaborazione<br />

L’accumulazione di capitale fisico e democratico ha un effetto reciprocamente<br />

r<strong>in</strong>forzante, che promuove lo sviluppo economico congiuntamente al consolidamento<br />

della democrazia.<br />

Questo dimostra come le aspettative sui regimi politici futuri giocano un ruolo<br />

importante, legato al rischio che l’uscita dalla democrazia danneggi la crescita<br />

economica. L’effetto positivo della crescita della democrazia è reso più forte mettendo<br />

<strong>in</strong> conto la possibilità di un cambiamento di un regime politico, la cui probabilità è<br />

determ<strong>in</strong>ata a livello mondiale, <strong>in</strong> cui i cittad<strong>in</strong>i <strong>in</strong>dividualmente decidono se partecipare<br />

nel difendere la democrazia (o nel far cadere un dittatore): decisione che riflette la<br />

dotazione di capitale democratico della società <strong>in</strong> questione.<br />

25 Si supponga come ipotesi di base del modello che i giovani non prendano parte alla difesa<br />

della democrazia (Persson, Tabell<strong>in</strong>i, 2005).<br />

94


Tuttavia, è importante rendersi conto della difficoltà di entrata all’<strong>in</strong>terno di questo<br />

circolo virtuoso, dovuta al fatto che la stabilità di un regime democratico non può essere<br />

raggiunta istantaneamente.<br />

È stato dimostrato (Persson, Tabell<strong>in</strong>i, 2005) come esista un concetto di path-<br />

dependence storico legato al regime politico di uno Stato: ma questo “sentiero” da che<br />

cosa è a sua volta <strong>in</strong>fluenzato?<br />

3.3.3 L’<strong>in</strong>cidenza del concetto di “cultura” sul funzionamento ottimale delle<br />

istituzioni<br />

Le istituzioni non sono necessariamente create per essere socialmente ed<br />

economicamente efficienti (<strong>in</strong> senso paretiano); al contrario, esse sono create per servire<br />

e preservare gli <strong>in</strong>teressi di alcuni gruppi sociali e per generare nuove istituzioni.<br />

Pertanto, le istituzioni possono def<strong>in</strong>irsi “efficienti” f<strong>in</strong> tanto che esse permettono il<br />

raggiungimento degli obiettivi per i quali orig<strong>in</strong>ariamente sono state create.<br />

Le istituzioni economiche sono strumenti, regole e modelli comportamentali che non<br />

solo creano le preferenze ma anche aboliscono il meccanismo di massimizzazione da<br />

parte degli agenti, sostituendo ad esso un modello il cui comportamento degli agenti<br />

non è guidato dal prezzo, bensì è determ<strong>in</strong>ato dalle istituzioni (Matzner, 1993).<br />

Tabell<strong>in</strong>i (2007) def<strong>in</strong>isce con il term<strong>in</strong>e cultura un “<strong>in</strong>sieme di valori e di<br />

conv<strong>in</strong>zioni <strong>in</strong>dividuali <strong>in</strong> merito allo scopo di applicazione di norme di buona<br />

condotta”.<br />

In molti paesi poveri o stagnanti da un punto di vista politico-economico, i politici<br />

sono <strong>in</strong>efficaci e corrotti, i beni pubblici sono sotto-forniti e le politiche pubbliche<br />

conferiscono benefici ad élite privilegiate; <strong>in</strong>oltre, l’applicazione della legge è<br />

<strong>in</strong>adeguata e, di conseguenza, il moral hazard 26 è diffuso all’<strong>in</strong>terno di istituzioni<br />

pubbliche e private.<br />

Anche all’<strong>in</strong>terno di uno stesso paese (come, ad esempio, l’Italia) si presentano<br />

grandi differenze nel funzionamento della burocrazia, nonostante si sia sottoposti alla<br />

stessa legislazione e agli stessi <strong>in</strong>centivi, nonché si disponga di risorse simili.<br />

26 Con il term<strong>in</strong>e moral hazard si <strong>in</strong>tende una forma di opportunismo post-contrattuale causata<br />

dalla non osservabilità di certe azioni, che permette agli <strong>in</strong>dividui <strong>in</strong>caricati di eseguirle di<br />

perseguire i propri <strong>in</strong>teressi personali, a spese della controparte (Milgrom, Roberts, 1997).<br />

95


Una ragione del perché la politica economica “standard”, con il suo approccio, trovi<br />

difficoltà nel spiegare queste differenze risiede soprattutto nel suo concentrarsi sugli<br />

<strong>in</strong>centivi economici e sui conflitti redistributivi.<br />

Ma, mentre gli <strong>in</strong>centivi <strong>in</strong>dividuali sono forti ed <strong>in</strong>fluenti nella maggior parte delle<br />

situazioni economiche, questo non vale per numerose situazioni politiche <strong>in</strong> cui il<br />

risultato aggregato riflette le azioni di molti <strong>in</strong>dividui atomistici.<br />

Per spiegare alcuni risultati politici o il funzionamento delle istituzioni burocratiche,<br />

si potrebbe dover andare oltre gli <strong>in</strong>centivi economici puri ed analizzare altri fattori che<br />

motivano il comportamento <strong>in</strong>dividuale e che sono caratterizzati da un’evoluzione lenta<br />

nel tempo – i c.d. valori normativi <strong>in</strong>dividuali.<br />

Infatti, un’<strong>in</strong>terpretazione “alternativa” 27 di cultura si riferisce “ad oggetti più<br />

primitivi, come valori <strong>in</strong>dividuali e preferenze <strong>in</strong>dividuali” (Akerlof, Kraton, 2003).<br />

La lunga modifica delle attitud<strong>in</strong>i <strong>in</strong>dividuali è <strong>in</strong>fluenzata da risultati politici ed<br />

economici del passato remoto, ovvero, da un punto di vista macroeconomico, dai<br />

fallimenti e dai successi di un governo determ<strong>in</strong>ati <strong>in</strong> diverse aree politiche (Tabell<strong>in</strong>i,<br />

2007):<br />

controllo della corruzione (corruption);<br />

qualità della burocrazia (bureaucratic quality);<br />

assenza del rischio di rifiuto dei contratti governativi (repudiation);<br />

qualità delle <strong>in</strong>frastrutture (<strong>in</strong>frastructures);<br />

rafforzamento della conformità delle tasse (tax compliance);<br />

assenza di rischio di <strong>in</strong>solvenza del debito estero (S&P rat<strong>in</strong>g);<br />

qualità dell’ambiente (environment);<br />

protezione dei diritti di proprietà (gadp).<br />

Da un punto di vista statistico, la correlazione tra questi <strong>in</strong>dicatori è generalmente<br />

molto alta e sempre significante (vedi <strong>in</strong>fra Tabella 4 e relativo Grafico 6 - Qualità<br />

degli <strong>in</strong>dicatori di governo: correlazioni pair-wise).<br />

Attraverso questi parametri è possibile stabilire la qualità di un governo come<br />

caratteristica generale di un paese.<br />

27 Il significato più diffuso del term<strong>in</strong>e cultura è quello def<strong>in</strong>ito da Schotter (1981), Myerson<br />

(1999), Greif (1994): “Convenzioni sociali e credenze <strong>in</strong>dividuali che sostengono l’equilibrio di<br />

Nash come punto centrale <strong>in</strong> <strong>in</strong>terazioni sociali ripetute o quando ci sono equilibri multipli”.<br />

96


Le pr<strong>in</strong>cipali generatrici di capitale sociale bridg<strong>in</strong>g sono, <strong>in</strong>vece, le organizazioni<br />

Fonte: Tabell<strong>in</strong>i (2007)<br />

1<br />

0,8<br />

0,6<br />

0,4<br />

0,2<br />

Grafico 6 - Qualità degli <strong>in</strong>dicatori di governo:<br />

correlazioni pair-wise<br />

0<br />

0 2 4 6 8 10<br />

Fonte: Nostra elaborazione<br />

97<br />

Corruption<br />

Bureaucratic quality<br />

Repudiation<br />

Infrastructures<br />

Tax Compliance<br />

S&P rat<strong>in</strong>g<br />

Una volta compreso il concetto di valori normativi <strong>in</strong>dividuali, è necessario<br />

<strong>in</strong>trodurre quello di “moralità”, <strong>in</strong>tesa come istituzione <strong>in</strong>formale, ovvero un <strong>in</strong>sieme di<br />

norme sociali, convenzioni, valori morali, credenze religiose, tradizioni ed altre norme<br />

comportamentali che si tramandano attraverso il tempo e sono sopravvissute durante la<br />

storia di una determ<strong>in</strong>ata società e che, pertanto, fanno parte dell’eredità del patrimonio<br />

culturale di una comunità. Esse si auto-r<strong>in</strong>forzano attraverso meccanismi di imitazione,<br />

tradizioni ed <strong>in</strong>segnamento – processo di self-re<strong>in</strong>forc<strong>in</strong>g – favoriti anche da alcune<br />

forme di sanzione sociale quali l’appartenenza ad una comunità (con conseguente paura<br />

di espulsione da essa), la reputazione ed il timore di essere il solo a non rispettare le<br />

regole.<br />

Esistono, <strong>in</strong>fatti, due tipologie di moralità:<br />

a- quella limitata, derivante dalle società gerarchiche, <strong>in</strong> cui i codici di buona<br />

Gadp<br />

condotta e di comportamento onesto sono spesso conf<strong>in</strong>ati a piccoli circoli di<br />

persone imparentate;


- quella generalizzata, derivante dalle società democratiche, <strong>in</strong> cui le regole<br />

astratte di buona condotta sono applicate a diverse situazioni sociali e sono<br />

supportate dai valori normativi <strong>in</strong>dividuali.<br />

Se da un lato la moralità limitata <strong>in</strong>duce comportamenti imbroglianti e alimenta il<br />

problema del free rid<strong>in</strong>g 28 , dal lato opposto la moralità generalizzata alimenta la<br />

cooperazione reciproca, <strong>in</strong>duce rispetto e confidenza – riducendo il fenomeno del free<br />

rid<strong>in</strong>g –, facendo crescere la partecipazione degli <strong>in</strong>dividui alla vita politica e<br />

amm<strong>in</strong>istrativa della propria comunità.<br />

La conseguenza della moralità generalizzata è l’<strong>in</strong>duzione di un buon funzionamento<br />

delle istituzioni attraverso:<br />

a- il rafforzamento della legge;<br />

b- una riduzione della tendenza alla corruzione all’<strong>in</strong>terno dell’apparato burocratico;<br />

c- una crescente attesa dei votanti di comportamenti onesti e trasparenti da parte dei<br />

rappresentanti politici.<br />

È stato dimostrato (Tabell<strong>in</strong>i, 2007) che i valori <strong>in</strong>dividuali co<strong>in</strong>cidenti con la<br />

moralità generalizzata sono diffusi <strong>in</strong> società che nel loro passato remoto venivano<br />

governate da istituzioni politiche non dispotiche, che questo <strong>in</strong>cida notevolmente sul<br />

buon funzionamento delle istituzioni e, di conseguenza, dato il legame illustrato<br />

precedentemente, sulla performance economica di un paese.<br />

Tabell<strong>in</strong>i (2007) ha condotto una ricerca, da un punto di vista microeconomico, che,<br />

attraverso un “approccio epidemiologico”, dà prova di quanto appena sostenuto: come<br />

misura delle attitud<strong>in</strong>i <strong>in</strong>dividuali viene utilizzato un <strong>in</strong>dicatore di fiducia generalizzata<br />

verso gli altri, criterio di valutazione sia della credibilità di un comportamento onesto<br />

da parte degli altri sia dell’importanza data dagli <strong>in</strong>dividui <strong>in</strong>terpellati all’onestà e<br />

all’affidabilità degli altri.<br />

Il campione di paesi considerato (vedi <strong>in</strong>fra Tabella 5 e relativo Grafico 7 – Paesi di<br />

orig<strong>in</strong>e degli immigrati negli Stati Uniti) è caratterizzato da un livello attuale di<br />

sviluppo abbastanza omogeneo, anche se non <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di storia politica ed economica<br />

nel passato remoto.<br />

28 Con il term<strong>in</strong>e free rid<strong>in</strong>g si <strong>in</strong>tende il comportamento di un <strong>in</strong>dividuo attuato per poter<br />

raggiungere il livello ottimale di consumo <strong>in</strong>dividuale <strong>in</strong>dipendentemente dal suo contributo ai<br />

costi di produzione del bene consumato, a causa della caratteristica di non escludibilità dei beni<br />

pubblici (Milgrom, Roberts, 1997).<br />

98


All’<strong>in</strong>terno di questo campione di paesi vengono esam<strong>in</strong>ati i 4320 immigrati negli<br />

Stati Uniti appartenenti alla terza generazione, vale a dire quegli <strong>in</strong>dividui nati negli<br />

Stati Uniti che hanno almeno due nonni nati all’estero.<br />

Tabella 5 – Paesi di orig<strong>in</strong>e degli immigrati negli Stati Uniti<br />

Paese d'orig<strong>in</strong>e<br />

Numero di<br />

<strong>in</strong>dividui<br />

Paese d'orig<strong>in</strong>e<br />

Numero di<br />

<strong>in</strong>dividui<br />

Austria 69 Jugoslavia 45<br />

Canada 200 Lituania 40<br />

Cecoslovacchia 149 Messico 252<br />

Danimarca 51 Paesi Bassi 94<br />

F<strong>in</strong>landia 46 Polonia 376<br />

Francia 63 Portogallo 30<br />

Germania 834 Russia 162<br />

Grecia 38 Spagna 40<br />

Ungheria 75 Svezia 153<br />

Irlanda 485 Regno Unito 450<br />

Italia 668 Totale 4320<br />

Fonte: Tabell<strong>in</strong>i (2007)<br />

Grafico 7 - Paesi di orig<strong>in</strong>e degli immigrati negli Stati Uniti<br />

Austria Canada Cecoslovacchia Danimarca F<strong>in</strong>landia<br />

Francia Germania Grecia Ungheria Irlanda<br />

Italia Lituania Messico Paesi Bassi Polonia<br />

Portogallo Russia Spagna Svezia Regno Unito<br />

Jugoslavia<br />

Fonte: Nostra elaborazione<br />

Per ognuno di questi <strong>in</strong>dividui immigrati sono state prese <strong>in</strong> considerazioni alcune<br />

caratteristiche dist<strong>in</strong>tive:<br />

a. sesso (M o F)*;<br />

99


. reddito *;<br />

c. educazione;<br />

d. stato lavorativo *;<br />

e. età *;<br />

f. religione;<br />

g. stato civile;<br />

h. con o senza figli;<br />

i. educazione impartita ai genitori *;<br />

j. numero di nonni nati all’estero;<br />

con * = caratteristiche particolarmente significative da un punto di vista statistico.<br />

Il risultato della ricerca effettuata si concretizza nella presenza di una più ampia<br />

componente di fiducia negli immigrati di terza generazione che provengono da paesi<br />

che più di un secolo fa ebbero delle forti istituzioni politiche (vedi <strong>in</strong>fra Grafico 8 –<br />

Fiducia attuale degli immigrati di terza generazione).<br />

Fonte: Tabell<strong>in</strong>i (2007)<br />

Ciò dimostra come sia stretto e fondamentale il legame tra istituzioni sane e<br />

diffusione capillare nella società di un sentimento di fiducia che permetta la<br />

realizzazione di un regime politico di tipo democratico.<br />

100


3.3.4 Supremazia della legge, apertura economica, democrazia e crescita di un<br />

paese<br />

In term<strong>in</strong>i politico-economici, l’atteggiamento da parte delle istituzioni di un paese<br />

che presenta un regime democratico ammette la prevalenza della supremazia della legge<br />

– rule of law – e il rafforzamento dei diritti di proprietà, questi ultimi <strong>in</strong>tesi come<br />

componenti del concetto più ampio di diritti civili, ovvero quelle tutele basilari di ogni<br />

persona, che dovrebbero essere fornite ad ogni cittad<strong>in</strong>o dalla legge.<br />

La rule of law e i diritti di proprietà sono elementi endogeni del sistema democratico,<br />

essendo determ<strong>in</strong>ati, tra l’altro, anche dalle condizioni politiche ed economiche.<br />

Il legame di stretta dipendenza tra le diverse variabili endogene è sottol<strong>in</strong>eato nel<br />

metodo alternativo proposto da Rigobon e Rodrik (2004), che va sotto il nome di<br />

“Identificazione attraverso Eteroschedasticità” (Identification through<br />

Heteroskedasticity – IH) e che si occupa dei risultati di equazioni simultanee che sono<br />

probabilmente presenti nella determ<strong>in</strong>azione congiunta di istituzioni, apertura e reddito<br />

di un paese.<br />

Date le due equazioni che descrivono la relazione tra reddito (y) e qualità delle<br />

istituzioni (I):<br />

y = I +<br />

I = y + v<br />

la forma strutturale del modello (che non può essere stimata) diventa:<br />

e<br />

con A = matrice che caratterizza la relazione contemporanea tra le variabili<br />

endogene;<br />

X = N variabili endogene;<br />

c = vettore che denota i term<strong>in</strong>i costanti;<br />

= shock strutturali.<br />

AX = c +<br />

La forma ridotta del modello (che, <strong>in</strong>vece, può essere stimata) è:<br />

X = c +<br />

A<br />

101


con = = A -1 = scarto della forma ridotta.<br />

A<br />

Le N variabili endogene tenute <strong>in</strong> considerazione nella matrice sono:<br />

reddito (y);<br />

istituzioni democratiche (idem);<br />

istituzioni economiche – rule of law (irol);<br />

grado di apertura commerciale (open);<br />

distanza dall’equatore (disteq);<br />

superficie del territorio (area);<br />

popolazione (pop).<br />

Il modello assume, perciò, la seguente forma:<br />

Ne derivano i seguenti risultati:<br />

1- relativamente al reddito (y):<br />

• la democrazia e la rule of law sono entrambe positive per la performance<br />

economica, ma la seconda ha un impatto molto più forte sui redditi – sia<br />

da un punto di vista statistico che quantitativo;<br />

• l’apertura commerciale (commercio/PIL) ha un impatto negativo sui<br />

livelli di reddito;<br />

• i paesi che si trovano distanti dall’equatore sono più ricchi;<br />

2- relativamente alle istituzioni (idem e irol):<br />

• redditi più alti producono migliori istituzioni;<br />

• la rule of law e la democrazia solitamente si r<strong>in</strong>forzano reciprocamente e<br />

tendono ad alimentarsi l’un l’altra: una migliore rule of law produce più<br />

democrazia e viceversa;<br />

• l’apertura commerciale è buona per la rule of law ma negativa per la<br />

democrazia;<br />

102


3- relativamente all’apertura commerciale (open):<br />

• le variabili determ<strong>in</strong>anti il grado di apertura sono collegate alla<br />

“geografia”:<br />

distanza dall’equatore (disteq);<br />

superficie del territorio (area);<br />

popolazione (pop).<br />

La relazione tra apertura commerciale, identità dello Stato-nazione e istituzioni<br />

democratiche è ripresa dallo stesso Dani Rodrik (2000), che pone come questione i<br />

possibili trade-off tra i concetti considerati: secondo l’economista, <strong>in</strong>fatti, la<br />

globalizzazione dell’economia mondiale genera un triangolo di obiettivi (il c.d.<br />

trilemma politico) che, purtroppo, possono e devono essere perseguiti solo per coppie di<br />

due.<br />

Il trilemma impone una scelta del tipo “pick two, any two”: si disegni un triangolo<br />

con ai vertici le tre variabili; poi si scelga uno dei tre lati, che lega a due a due i vertici<br />

della figura. Si otterranno così tre comb<strong>in</strong>azioni diverse, che si escludono<br />

reciprocamente.<br />

Rodrik ritiene che questo trilemma rappresenti una sorta di evoluzione di quello che<br />

aveva dom<strong>in</strong>ato la prima stagione dell’<strong>in</strong>tegrazione economica mondiale – quella<br />

compresa tra la f<strong>in</strong>e della Seconda Guerra Mondiale e le crisi, monetarie ed energetiche,<br />

degli anni Settanta – quando mobilità dei capitali, autonomia monetaria nazionale ed un<br />

regime di cambi fissi erano tre aspirazioni che potevano essere conseguite solo a coppie<br />

di due. Il compromesso di Bretton Woods si fondava sulle ultime due: un regime di<br />

dollar standard e la responsabilità monetaria delle autorità nazionali (vedi <strong>in</strong>fra Figura<br />

2 (A) – Standard Trilemma).<br />

La crescente mobilità di capitali su scala <strong>in</strong>ternazionale impose, <strong>in</strong>fatti, di r<strong>in</strong>unciare<br />

al dollar standard <strong>in</strong> favore di tassi flessibili mentre, nel precedente regime di gold<br />

standard, la mobilità dei capitali ed un regime di cambi fissi riducevano drasticamente<br />

il grado di libertà per le politiche monetarie nazionali.<br />

103


Fig. 2 (A): Standar Trilemma Fonte: Rodrik (2000)<br />

Oggi, la globalizzazione ci impone di convivere con tre aspirazioni diffuse: un<br />

regime di piena democrazia politica; la presenza di Stati nazionali ed un marcato<br />

processo di <strong>in</strong>tegrazione economica.<br />

Il trilemma può essere trasformato pur mantenendone le caratteristiche di fondo: si<br />

sostituisca all’autonomia monetaria la mass politics (cioè l’attuazione di politiche<br />

democratiche), alla parità fissa lo Stato-nazione e al libero movimento dei capitali la<br />

globalizzazione (cioè la piena <strong>in</strong>tegrazione economica <strong>in</strong>ternazionale).<br />

La scelta sarà così tra le comb<strong>in</strong>azioni “Stato-nazione e globalizzazione”,<br />

“globalizzazione e mass politics”, “Stato-nazione e mass politics”. E cioè, la scelta sarà<br />

tra il modello della golden straitjacket, un federalismo globale, o, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, un nuovo<br />

compromesso di Bretton Woods (vedi <strong>in</strong>fra Figura 2 (B) – Augmented Trilemma).<br />

Cedr<strong>in</strong>i (2005) sostiene che la prima, e cioè la “camicia di forza dorata”, corrisponde<br />

al lasciare che i mercati govern<strong>in</strong>o il paese, aff<strong>in</strong>ché la loro fiducia non venga mai<br />

meno.<br />

Se però si vuole un mondo globalizzato nel quale la politica non sia esautorata,<br />

bisogna r<strong>in</strong>unciare allo Stato-nazione e affidare il potere sul pianeta alle Nazioni Unite o<br />

comunque a un governo federale mondiale. Se, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, si ritiene che il problema, almeno<br />

per ora, sia ancora quello di consegnare ai cittad<strong>in</strong>i di un paese la scelta sulla propria via<br />

allo sviluppo o, <strong>in</strong> generale, sulla gestione dell’economia e sui f<strong>in</strong>i sociali, politici,<br />

economici e morali che <strong>in</strong> tal modo s’<strong>in</strong>tendono raggiungere, allora bisogna r<strong>in</strong>unciare a<br />

considerare la sempre maggiore <strong>in</strong>tegrazione economica come obiettivo ultimo<br />

dell’azione politico-economica.<br />

104


Fig. 2 (B): Augmented Trilemma Fonte: Rodrik (2000)<br />

Tanto più, aggiunge Rodrik, che la soluzione probabilmente migliore, e cioè un<br />

governo democratico e federale che assicuri la convivenza all’<strong>in</strong>terno del one world, è<br />

lontana almeno un secolo.<br />

Il nuovo trilemma ci pone di fronte al seguente <strong>in</strong>terrogativo: se le decisioni di<br />

rilevanza pubblica devono essere prese da coloro i cui <strong>in</strong>teressi sono <strong>in</strong> gioco, e<br />

contemporaneamente proseguire il processo di <strong>in</strong>tegrazione economica <strong>in</strong>ternazionale,<br />

c’è ancora posto per gli Stati-nazione, cioè per uno Stato che, <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di politica<br />

economica, sia capace di farsi carico del regime di previdenza sociale e della stabilità<br />

macroeconomica di un mercato che ricada sostanzialmente nel perimetro<br />

amm<strong>in</strong>istrativo dei suoi conf<strong>in</strong>i?<br />

L’attenzione si sposta, a questo punto, sulla comprensione degli <strong>in</strong>teressi <strong>in</strong> gioco di<br />

coloro che assumono decisioni istituzionali.<br />

Più precisamente, se le istituzioni sono forti e si muovono a tutela dei più poveri,<br />

rendendo impossibile l’appropriazione del loro reddito attraverso il rent-seek<strong>in</strong>g da<br />

parte dei più ricchi, allora ne consegue che il benessere <strong>in</strong>dividuale determ<strong>in</strong>a <strong>in</strong> larga<br />

misura gli atteggiamenti verso il rafforzamento dei diritti di proprietà e,<br />

conseguentemente, la distribuzione di benessere determ<strong>in</strong>a il prodotto politico <strong>in</strong> questo<br />

senso (Gradste<strong>in</strong>, 2004).<br />

In economia, con il term<strong>in</strong>e rent-seek<strong>in</strong>g – o “ricerca di rendita” – si <strong>in</strong>tende una<br />

situazione <strong>in</strong> cui un <strong>in</strong>dividuo, un’organizzazione o un’azienda cerca di guadagnare<br />

manipolando e facendo pressione sull’ambiente economico o giuridico – lobby<strong>in</strong>g –,<br />

piuttosto che realizzando un profitto attraverso il commercio e la produzione di<br />

benessere, derivante dal possesso di una licenza per una determ<strong>in</strong>ata attività, perché si<br />

105


vuole evitare, attraverso la distribuzione di nuove licenze, che la propria rendita o<br />

posizione di vantaggio acquisita – di monopolista – venga ridotta (Tridico, 2006).<br />

Quando l’apparato politico è controllato da una ristretta e ricca élite, non è<br />

<strong>in</strong>teressante per lo Stato una protezione contro il rent-seek<strong>in</strong>g, proprio perché<br />

quest’ultimo beneficia relativamente i più ricchi.<br />

Gradste<strong>in</strong> (2004) ha analizzato il caso <strong>in</strong> cui, endogenizzando la partecipazione<br />

politica, l’élite <strong>in</strong>izialmente detiene il potere politico e contempla la possibilità di<br />

autorizzare la partecipazione politica di massa.<br />

Prevedendo l’effetto negativo del rent-seek<strong>in</strong>g sugli <strong>in</strong>vestimenti <strong>in</strong>dividuali –<br />

crescita aggregata – l’élite potrebbe volere sia democratizzare che v<strong>in</strong>colare il governo<br />

futuro a r<strong>in</strong>forzare la protezione dei diritti di proprietà.<br />

L’eventuale partecipazione politica di massa avverrà solo se esiste la condizione<br />

<strong>in</strong>iziale di “moderata <strong>in</strong>eguaglianza” all’<strong>in</strong>terno della società o quando il ceto medio è<br />

<strong>in</strong>izialmente attivo politicamente. Allora, la democratizzazione sarà seguita da un<br />

<strong>in</strong>cremento degli <strong>in</strong>vestimenti, i cui frutti saranno protetti dal governo dom<strong>in</strong>ante,<br />

riducendo l’<strong>in</strong>eguaglianza e alla presenza di una crescita rapida.<br />

Se, tuttavia, le condizioni <strong>in</strong>iziali non dovessero prevalere, allora l’élite manterrà il<br />

potere, e gli <strong>in</strong>vestimenti e la crescita saranno quantitativamente <strong>in</strong>feriori.<br />

In questo caso, i guadagni economici potenziali come risultato della partecipazione<br />

politica di massa per ridurre il rent-seek<strong>in</strong>g saranno impossibili da realizzare.<br />

La ragione di quanto sopra<strong>in</strong>dicato, secondo Gradste<strong>in</strong> (2004), deriva dalla<br />

irrealizzabilità di def<strong>in</strong>izione di un contratto sociale con il quale le masse povere si<br />

impegn<strong>in</strong>o a risarcire l’élite ricca dopo che il nuovo governo sia stato costituito.<br />

Ponendo a confronto i modelli di democratizzazione dei diritti di proprietà (property<br />

rights - PR) e del rent-seek<strong>in</strong>g (RS), Gradste<strong>in</strong> dimostra che:<br />

1- sotto il regime PR, la variabilità del reddito decresce, mentre sotto il regime RS<br />

cresce lungo tutto il periodo analizzato; l’<strong>in</strong>vestimento netto economico ed il<br />

livello di crescita del reddito medio è maggiore sotto il primo regime;<br />

2- sia con che senza l’impegno di un regime istituzionale, più ricco è un <strong>in</strong>dividuo<br />

più favorevoli questi sarà nei riguardi del RS <strong>in</strong>efficiente; e quando<br />

l’<strong>in</strong>cl<strong>in</strong>azione politica a favore dei ricchi (la soglia di franchigia o reddito del<br />

policy-maker) è abbastanza ampia, il RS sarà preferito da parte dell’élite<br />

politica;<br />

106


3- quando i policy-makers decisivi appartengono all’élite ricca, la franchigia non<br />

sarà estesa nonostante la sua crescita e l’aumento potenziale di benessere. Solo<br />

quando il reddito del policy-maker è nella serie <strong>in</strong>termedia, la franchigia sarà<br />

estesa <strong>in</strong> modo tale da v<strong>in</strong>colare i governi futuri ad un regime di protezione<br />

della proprietà privata;<br />

4- la democratizzazione fondamentalmente dipende dalle condizioni <strong>in</strong>iziali. Se la<br />

classe media è <strong>in</strong> possesso del diritto di voto o se l’<strong>in</strong>eguaglianza <strong>in</strong>iziale è<br />

relativamente bassa e l’economia è sufficientemente produttiva da generare<br />

crescita del reddito tra i poveri, la democratizzazione eventualmente sarà<br />

possibile, come risultato della protezione dei diritti di proprietà, della m<strong>in</strong>ore<br />

<strong>in</strong>eguaglianza e della crescita più rapida. Viceversa, l’economia sarà dom<strong>in</strong>ata<br />

dall’élite benestante e il rent-seek<strong>in</strong>g prevarrà, generando crescita lenta e<br />

elevata <strong>in</strong>eguaglianza.<br />

La riduzione di un comportamento massimizzante i propri <strong>in</strong>teressi personali da parte<br />

dei soggetti governanti e, pertanto, l’applicazione del concetto di accountability 29 anche<br />

<strong>in</strong> questo contesto, ha come conseguenza la possibilità per le democrazie di avere più<br />

basse barriere all’entrata <strong>in</strong> un mercato rispetto a regimi politici autocratici.<br />

Aghion, Ales<strong>in</strong>a e Trebbi (2007) si sono <strong>in</strong>terrogati su se e quando la democrazia<br />

migliori la crescita economica, partendo dal presupposto che le istituzioni politiche – e<br />

<strong>in</strong> particolare la democrazia – potrebbero avere effetti diversi su differenti settori<br />

dell’economia.<br />

Il modello da loro posto <strong>in</strong> essere ha l’obiettivo di dimostrare che la libertà di entrata<br />

– che è collegata ai diritti politici – è favorevole al miglioramento economico,<br />

specialmente per quei settori più vic<strong>in</strong>i alla frontiera tecnologica, perché nuove imprese<br />

e competizione implicano l’<strong>in</strong>novazione tecnologica.<br />

Prendendo <strong>in</strong> considerazione un solo periodo di riferimento t e un solo settore di<br />

produzione i, data la tecnologia di produzione yt :<br />

con: (0,1);<br />

1<br />

yt = (1/ ) 0 Ait<br />

1-<br />

xit di<br />

29 Con il term<strong>in</strong>e accountability politica ci si riferisce alla rendicontazione politica che <strong>in</strong>teressa<br />

tre dimensioni: delle elezioni, legislativa ed elettorale (Dwivedi, Jabbra, 1989).<br />

107


Ait = parametro di produzione, che esprime la qualità dell’<strong>in</strong>put <strong>in</strong>termedio nella<br />

produzione del bene f<strong>in</strong>ale;<br />

xit = quantità <strong>in</strong>termedia di <strong>in</strong>put prodotta;<br />

si confronta un regime di monopolio con un successivo modello sequenziale leader-<br />

follower (imprese <strong>in</strong>novatrici e imitatrici), considerando come variabili chiave<br />

<strong>in</strong>dipendenti la democrazia e la distanza dalla frontiera tecnologica.<br />

Ne deriva che:<br />

a- non ci sono effetti della democrazia sulla velocità di crescita per le <strong>in</strong>dustrie <strong>in</strong><br />

una regressione ad effetti fissi a livello di paese e, qu<strong>in</strong>di, non si hanno robusti<br />

effetti della democrazia sulla crescita aggregata;<br />

b- a livello disaggregato, non esiste un effetto della democrazia significativo dal<br />

punto di vista statistico o quantitativo;<br />

c- <strong>in</strong>troducendo un term<strong>in</strong>e d’<strong>in</strong>terazione (differenziale) della distanza tra<br />

frontiera tecnologica e democrazia, si nota come questo sia di solito negativo,<br />

mentre il livello di democrazia è positivo; questo implica che quando si è vic<strong>in</strong>i<br />

alla frontiera tecnologica, l’effetto della democrazia sulla crescita è positivo,<br />

mentre dim<strong>in</strong>uisce man mano che ci si allontana dalla frontiera.<br />

Il risultato ottenuto deriva dal fatto che le istituzioni democratiche favoriscono la<br />

crescita nei settori dell’economia che sono particolarmente avanzati <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di valore<br />

aggiunto per lavoratore e, perciò, vic<strong>in</strong>i alla frontiera tecnologica a livello mondiale; la<br />

conclusione è che (purtroppo) la domanda di democrazia è più elevata <strong>in</strong> paesi <strong>in</strong> cui<br />

sono già presenti le istituzioni democratiche, che hanno un livello di reddito pro-capite<br />

che risente del livello di democrazia <strong>in</strong>terno al paese e con un’economia più avanzata,<br />

più vic<strong>in</strong>a alla frontiera tecnologica (Rigobon, Rodrik, (2004) e Aghion, Ales<strong>in</strong>a, Trebbi<br />

(2007)).<br />

108


3.4 Democrazia, sviluppo e libertà: i diversi approcci<br />

109<br />

“Dove non c’è legge,<br />

non c’è libertà”<br />

(Locke)<br />

Se è vero che le istituzioni democratiche, per quanto importanti, non producono<br />

automaticamente lo sviluppo, poiché il loro uso è condizionato dalla scala di valori della<br />

popolazione e dall’esistenza di opposizioni organizzate, è anche vero, secondo Sen<br />

(2000), che “non ci sono carestie nelle democrazie”, perché il paese democratico, per<br />

quanto povero, evita le carestie se il governo persegue quest’obiettivo e, <strong>in</strong> una<br />

democrazia multipartitica con elezioni e mezzi d’<strong>in</strong>formazione liberi, il governo è<br />

fortemente <strong>in</strong>centivato, sul piano politico, ad impedirle.<br />

Ne deriva che, <strong>in</strong> questo modo, la libertà politica – democrazia – contribuisce a<br />

salvaguardare la libertà economica – sviluppo economico – e la libertà di sopravvivere.<br />

Potendo, perciò, affermare che sia la democrazia a garantire sviluppo economico,<br />

piuttosto che il contrario, si rende necessario comprendere <strong>in</strong> che modo garantire questo<br />

assetto istituzionale nel lungo periodo, essendo la democrazia un bene “fragile”, che va<br />

difeso cont<strong>in</strong>uamente da attacchi esterni e dai suoi detrattori <strong>in</strong>terni (Zamagni, 2005b).<br />

Come sostiene Sartori (2007), la vera libertà da considerare quando si parla di<br />

democrazia è la libertà <strong>in</strong>tesa come rapporto, l’essere libero o non-libero <strong>in</strong> relazione ad<br />

altri. E la libertà politica si dispiega tutta nel rapporto: è coesistere <strong>in</strong> libertà e resistere<br />

nella illibertà. Si tratta di comprendere <strong>in</strong> che cosa consiste la libertà esteriore nonché la<br />

libertà di fare, poiché si tratta di una libertà pratica, empirica e specifica.<br />

Sempre secondo Sartori, l’autore che ha def<strong>in</strong>ito la libertà politica più precisamente è<br />

Hobbes: “libertà propriamente significa assenza di impedimenti esterni” (Leviatano,<br />

cap. 21). Egli centra il problema perché la libertà politica si applica al rapporto cittad<strong>in</strong>i-<br />

Stato esam<strong>in</strong>ato dal punto di vista dei cittad<strong>in</strong>i; si tratta di considerare, qu<strong>in</strong>di, una<br />

libertà contraddist<strong>in</strong>ta da una caratterizzazione “negativa” (o meglio ancora, protettiva).<br />

3.4.1 Il libertarismo morale di Nozick<br />

Il concetto di libertà negativa è stato teorizzato dal filosofo americano Robert Nozick<br />

(1974), che ha sostenuto che il mercato è il solo meccanismo giustificabile per<br />

l’allocazione delle risorse, perché esso solo è compatibile con la protezione della libertà<br />

come assenza di costrizioni. La soluzione ottimale, secondo Nozick, sarebbe quella di


uno “Stato m<strong>in</strong>imo”, uno Stato vigilante e garante della proprietà privata, le cui priorità<br />

sono nell’ord<strong>in</strong>e:<br />

1- libertà;<br />

2- fraternità;<br />

3- uguaglianza.<br />

Non si tratta di configurare, pertanto, né un Welfare State né uno Stato <strong>in</strong> cui sia<br />

prevista redistribuzione.<br />

Per quanto riguarda l’<strong>in</strong>tervento dello Stato <strong>in</strong> economia, esso deve avvenire,<br />

<strong>in</strong>nanzitutto, <strong>in</strong> modo tale che nessun <strong>in</strong>dividuo debba trovarsi a stare peggio di quanto<br />

starebbe <strong>in</strong> assenza dell’<strong>in</strong>tervento pubblico; <strong>in</strong> secondo luogo, nessuna valutazione<br />

morale può essere data dagli esiti di mercato, dal momento che nessuno dei presenti sul<br />

mercato può essere ritenuto responsabile per averne “voluto” l’esito (Screpanti,<br />

Zamagni, 2004).<br />

Nozick propone quello che va sotto il nome di libertarismo morale, per cui lo Stato<br />

m<strong>in</strong>imo deve essere organizzato <strong>in</strong> modo tale da assicurare il rispetto dei diritti di<br />

proprietà, concetto <strong>in</strong>torno al quale si sviluppa l’approccio libertario, tramite tre pr<strong>in</strong>cipi<br />

(Arnsperger, Van Parijs, 2003):<br />

1- il pr<strong>in</strong>cipio della proprietà di sé: una società libera deve attribuire a ciascun<br />

<strong>in</strong>dividuo il pieno diritto di proprietà su se stesso, con conseguente possibilità<br />

di “diritto di veto” su qualunque uso si possa fare del proprio corpo; questo<br />

pr<strong>in</strong>cipio sottostà a tre restrizioni:<br />

• non può esistere il diritto di vendersi <strong>in</strong> schiavitù – poiché andrebbe<br />

contro l’ideale di società libera del libertarismo;<br />

• il paternalismo non è sempre fuori luogo quando si tratta dei<br />

bamb<strong>in</strong>i;<br />

• è ammesso restr<strong>in</strong>gere la proprietà di sé di coloro che m<strong>in</strong>acciano<br />

quella altrui;<br />

2- il pr<strong>in</strong>cipio di giusta circolazione dei diritti di proprietà: è possibile divenire<br />

legittimi proprietari di un bene:<br />

• sia acquistando per mezzo di una transazione volontaria – cioè senza<br />

costrizioni e senza frodi (il che, tuttavia, non implica che avvenga <strong>in</strong><br />

condizioni di <strong>in</strong>formazione perfetta);<br />

• sia creandolo senza utilizzare altro che beni acquisiti a loro volta<br />

attraverso transazioni volontarie;<br />

110


3- il pr<strong>in</strong>cipio di acquisizione <strong>in</strong>iziale: riguarda sia le risorse naturali che le idee e<br />

comporta che il pr<strong>in</strong>cipio di giusta circolazione dei diritti di proprietà si possa<br />

applicare solo se il precedente titolare fosse legittimo.<br />

Il libertarismo si configura, <strong>in</strong> def<strong>in</strong>itiva, come una teoria (Ors<strong>in</strong>i, 2007):<br />

a. monistica: l’unica libertà considerata e promossa da questo approccio è quella<br />

negativa, ovvero la libertà dalle costrizioni altrui;<br />

b. deontologica e anticonsequenzialista: si ha una valutazione delle azioni ex ante<br />

– relativa alla coerenza con i diritti – ma non una valutazione degli esiti –<br />

approccio orientato al processo (process oriented) e non allo stato f<strong>in</strong>ale (end-<br />

state oriented);<br />

c. <strong>in</strong> cui il criterio di scelta implicito è l’unanimità: tutti hanno diritto di veto;<br />

d. <strong>in</strong> cui si ha una dimensione morale dell’uguaglianza, poiché tutti hanno uguale<br />

diritto alla libertà negativa;<br />

e. <strong>in</strong> cui non si ha una dimensione della giustizia distributiva (è una teoria<br />

storica): le diseguaglianze sono ammissibili a patto che comport<strong>in</strong>o la libertà.<br />

La libertà che i pr<strong>in</strong>cipi libertari garantiscono a tutti è una libertà puramente formale:<br />

senza i mezzi <strong>in</strong>dispensabili all’esercizio effettivo di questa libertà si tratta di un diritto<br />

senza portata reale.<br />

Questi pr<strong>in</strong>cipi riflettono una concezione particolare di libertà e quest’approccio<br />

appare essere non tanto la formulazione coerente e plausibile di un ideale di società<br />

libera, quanto l’esaltazione dei diritti naturali.<br />

3.4.2 L’egualitarismo liberale di Rawls<br />

Cambiando punto di vista rispetto all’approccio proposto da Nozick e focalizzandosi<br />

su un modello orientato allo stato f<strong>in</strong>ale (end-state), ovvero che, per poter esprimere una<br />

valutazione, pone attenzione al risultato f<strong>in</strong>ale piuttosto che al processo, si giunge<br />

all’approccio teorizzato da John Rawls (1971): l’egualitarismo liberale.<br />

Rawls ipotizza che le priorità di una società siano nell’ord<strong>in</strong>e:<br />

1- libertà;<br />

2- uguaglianza;<br />

3- fraternità.<br />

Egli propone di formulare le esigenze della giustizia <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di beni primari,<br />

ovvero di mezzi che generalmente sono necessari per realizzare una concezione di “vita<br />

111


uona” e perseguirne la realizzazione, a presc<strong>in</strong>dere dal suo esatto contenuto, e che si<br />

suddividono <strong>in</strong> (Arnsperger, Van Parijs, 2003):<br />

• beni naturali primari: cioè salute e talenti, non direttamente sotto il controllo<br />

delle istituzioni sociali;<br />

• beni sociali primari: che a loro volta si suddividono <strong>in</strong> tre categorie:<br />

libertà fondamentali,<br />

accesso alle diverse posizioni sociali;<br />

vantaggi socio-economici legati a queste posizioni (ricchezza,<br />

poteri, prerogative, e le “basi sociali del rispetto di sé”).<br />

Una società giusta è una società le cui istituzioni suddividono i beni sociali primari<br />

<strong>in</strong> modo equo tra tutti i membri, tenendo conto del fatto che questi sono differenti gli<br />

uni dagli altri <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di dotazioni di beni naturali primari: si tratta di scegliere i<br />

pr<strong>in</strong>cipi di giustizia dietro il c.d. velo di ignoranza, ovvero sottomettendo il proprio<br />

giudizio ad una condizione d’imparzialità.<br />

L’equa distribuzione dei beni sociali primari viene fatta attraverso tre pr<strong>in</strong>cipi:<br />

1- il pr<strong>in</strong>cipio di eguale libertà: a garanzia del fatto che a tutti i cittad<strong>in</strong>i sia<br />

assicurata una lista determ<strong>in</strong>ata di libertà fondamentali al livello più elevato<br />

possibile <strong>in</strong> condizioni di eguaglianza;<br />

2- il pr<strong>in</strong>cipio di equa eguaglianza delle opportunità: non esige che si garantisca<br />

a tutti i cittad<strong>in</strong>i la stessa probabilità d’accesso alle diverse posizioni sociali,<br />

bensì soltanto che le persone che hanno gli stessi talenti abbiano la stessa<br />

opportunità di accesso a quelle posizioni – ripartizione delle opportunità, non<br />

delle probabilità;<br />

3- il pr<strong>in</strong>cipio di differenza: prevede che ogni <strong>in</strong>dividuo abbia diritto alla stessa<br />

quota di beni sociali primari, ammettendo diseguaglianze nella distribuzione se<br />

e solo se esse vanno a favore di chi è più svantaggiato – regola del maxim<strong>in</strong>.<br />

Per Rawls, la funzione di benessere sociale, diversamente a quello che accadeva per<br />

gli utilitaristi (vedi supra par. 1.3.2), dovrebbe essere rappresentata da una curva<br />

d’<strong>in</strong>differenza sociale con la seguente forma (Stiglitz, 2003):<br />

112


Ciò significa che il benessere della società aumenta solo se migliora il benessere del<br />

più povero, mentre non trae nessun vantaggio da un aumento di benessere degli altri<br />

<strong>in</strong>dividui. In altre parole, nessun <strong>in</strong>cremento, di qualsiasi ammontare, del benessere<br />

dell’<strong>in</strong>dividuo più ricco potrebbe compensare la società per una dim<strong>in</strong>uzione del<br />

benessere dell’<strong>in</strong>dividuo più povero.<br />

Il contrattualismo 30 di Rawls si del<strong>in</strong>ea come una teoria (Ors<strong>in</strong>i, 2007):<br />

a. deontologica: def<strong>in</strong>isce prima il “giusto” e poi il “bene”, a presc<strong>in</strong>dere dalla<br />

concezione <strong>in</strong>dividuale di ciò che è il “bene”;<br />

b. propriamente distributiva: considera la natura puramente collettiva e<br />

distributiva;<br />

c. riflessiva: bilancia giudizi <strong>in</strong>tuitivi e valutazioni razionali;<br />

d. pluralista: persegue il pluralismo dell’ord<strong>in</strong>e dei valori e prevede uguale<br />

rispetto delle diverse concezioni di “vita buona” che possono esistere <strong>in</strong> una<br />

società;<br />

e. conseguenzialista: pur essendo deontologica, valuta comunque gli effetti<br />

f<strong>in</strong>ali;<br />

UTILITÀ di B<br />

f. basata sulla scelta unanime: potere di veto al più svantaggiato;<br />

g. basata sul concetto di eguaglianza democratica 31 : redistribuzione<br />

dell’arbitrarietà della lotteria naturale 32 <strong>in</strong>iziale.<br />

La teoria di Rawls ha sortito un risultato importante, quello di re<strong>in</strong>trodurre<br />

nell’economia lo studio di fenomeni quali:<br />

le regole morali di convivenza;<br />

30 Il contrattualismo comprende quelle teorie politiche che vedono l'orig<strong>in</strong>e della società <strong>in</strong> un<br />

contratto tra governati e governanti, che implica obblighi precisi per ambedue le parti. In questa<br />

concezione il potere politico si fonda su un contratto sociale che pone f<strong>in</strong>e allo stato di natura,<br />

segnando l'<strong>in</strong>izio dello stato sociale e politico.<br />

31 Il concetto di eguaglianza democratica è differente rispetto a quello di eguaglianza liberale,<br />

<strong>in</strong> cui bisogna rispettare l’esito della lotteria naturale <strong>in</strong>iziale.<br />

32 Per lotteria naturale si <strong>in</strong>tendono le dotazioni e le posizioni sociali riservate <strong>in</strong>izialmente a<br />

ciascun <strong>in</strong>dividuo <strong>in</strong> una situazione di futuro <strong>in</strong>certo (Ich<strong>in</strong>o, 2004).<br />

113<br />

UTILITÀ di A


i contratti di lungo periodo;<br />

i rapporti di autorità;<br />

la reputazione.<br />

Nonostante ciò essa è stata criticata per diversi punti, cui Rawls ha replicato dicendo:<br />

“le persone vanno trattate come f<strong>in</strong>i <strong>in</strong> sé.<br />

Nessuna teoria è <strong>in</strong>fallibile.”<br />

3.4.3 Il concetto di libertà di Amartya Sen<br />

Il concetto di libertà politica f<strong>in</strong> qui ipotizzato nei diversi approcci consiste<br />

sostanzialmente <strong>in</strong> una libertà da: i cittad<strong>in</strong>i sono liberi a patto che non siano impediti.<br />

Ma esiste un altro “lato della medaglia” del concetto di libertà, la libertà c.d.<br />

“positiva” (libertà di), per cui la libertà politica si configura come mezzo per la<br />

realizzazione di altri tipi di libertà.<br />

Sostenitore di questa tipologia di libertà è il premio Nobel per l’economia Amartya<br />

Sen (2000), il quale critica sia il pensiero di Rawls, per il fatto di non mettere <strong>in</strong> chiaro<br />

se alla libertà della persona si debba dare lo stesso tipo di importanza che si dà ad altri<br />

vantaggi personali – reddito, utilità, ecc. – e non di più, sia quello di Nozick, poiché la<br />

proposta di una teoria della priorità politica <strong>in</strong>dipendente dalle conseguenze è m<strong>in</strong>ata da<br />

una grave <strong>in</strong>differenza per le libertà sostanziali che gli esseri umani possiedono o meno<br />

e ciò non può essere una base adeguata di un sistema di valori accettabile.<br />

Come già precedentemente riportato (vedi supra par. 3.2), Sen dist<strong>in</strong>gue le<br />

capacitazioni dai funzionamenti, ciò che un <strong>in</strong>dividuo è effettivamente capace di fare e<br />

di essere dagli stati di essere o di fare cui gli <strong>in</strong>dividui attribuiscono valore.<br />

Per capire più <strong>in</strong> profondità il ruolo delle capacitazioni si deve tener conto:<br />

1- del loro rapporto diretto con il benessere e la libertà degli esseri umani;<br />

2- del loro ruolo <strong>in</strong>diretto <strong>in</strong> quanto fattori che <strong>in</strong>fluiscono sul cambiamento<br />

sociale;<br />

3- del loro ruolo <strong>in</strong>diretto <strong>in</strong> quanto fattori che <strong>in</strong>fluiscono sulla produzione<br />

economica.<br />

Sen sostiene che la libertà <strong>in</strong>dividuale sia un prodotto sociale e che esiste una<br />

relazione bidirezionale fra gli assetti sociali dest<strong>in</strong>ati ad espandere le libertà <strong>in</strong>dividuali<br />

e l’uso di queste libertà non solo per il miglioramento della propria vita, ma anche per<br />

rendere più adeguati ed efficienti gli stessi assetti sociali.<br />

114


La concezione dello “sviluppo come libertà” ha conseguenze di vasta portata non<br />

solo per gli obiettivi ultimi dello sviluppo, ma anche per quelli che sono i processi e le<br />

procedure da rispettare.<br />

Come esseri umani responsabili e <strong>in</strong>telligenti, cioè – etimologicamente parlando –<br />

che hanno facoltà di <strong>in</strong>tendere, pensare e giudicare, ma soprattutto di scegliere tra<br />

diverse alternative 33 , secondo Sen, non possiamo sottrarci al compito di giudicare una<br />

situazione e def<strong>in</strong>ire quali sono gli <strong>in</strong>terventi necessari.<br />

In un certo senso, la responsabilità, per essere esercitata, richiede libertà: dunque, gli<br />

argomenti a favore di un <strong>in</strong>terveto della società che renda più liberi gli <strong>in</strong>dividui<br />

possono essere anche visti come argomenti a favore della responsabilità <strong>in</strong>dividuale.<br />

Senza libertà sostanziale e capacitazioni a compiere un’azione, la persona non ha la<br />

responsabilità di farla; ma se di fatto ha la libertà e la capacitazioni di fare una cosa,<br />

allora è suo dovere chiedersi se farlo o meno, e questo comporta una responsabilità<br />

<strong>in</strong>dividuale.<br />

Nel giudicare i vantaggi <strong>in</strong>dividuali e nel valutare i successi o gli <strong>in</strong>successi sociali,<br />

la libertà sostanziale, secondo Sen, viene al primo posto; il punto di vista orientato alla<br />

libertà consente tuttavia variazioni notevoli, che oscillano dall’attribuire maggiore<br />

importanza all’esigenza di efficienza, piuttosto che a quella di equità.<br />

Ad ogni modo, è dimostrato che porre il concetto di libertà al primo posto all’<strong>in</strong>terno<br />

dello sviluppo (qu<strong>in</strong>di libertà umane come motore di uno sviluppo umano ed<br />

economico) comporta una differenza sostanziale, legata a due ord<strong>in</strong>i di caratteristiche<br />

della libertà:<br />

a. l’aspetto processuale;<br />

b. l’aspetto possibilitante.<br />

Innanzitutto, poiché la libertà riguarda tanto i processi decisionali quanto le<br />

possibilità di ottenere risultati considerati di valore, non si può limitare il proprio<br />

<strong>in</strong>teresse solo a risultati come l’aumento della produzione o del reddito o dei consumi<br />

(o, comunque, l’<strong>in</strong>cremento di altre variabili legate al concetto di crescita economica).<br />

Non si possono considerare processi come la partecipazione alle decisione politiche e<br />

alle scelte sociali dei semplici “mezzi” dello sviluppo, bensì devono essere <strong>in</strong>tesi anche<br />

come parte <strong>in</strong>tegrante degli stessi “f<strong>in</strong>i” dello sviluppo.<br />

33 La parola <strong>in</strong>telligente deriva dal lat<strong>in</strong>o <strong>in</strong>telligens,-entis , participio presente di <strong>in</strong>telligere,<br />

comprendere, composto da <strong>in</strong>ter (tra) e legere (scegliere).<br />

115


La seconda ragione per la quale l’idea dello “sviluppo come libertà” è diversa dai<br />

punti di vista più convenzionali sullo sviluppo medesimo ha a che fare con un contrasto<br />

<strong>in</strong>terno dell’aspetto possibilitante.<br />

Oltre alle libertà relative ai processi politici, sociali ed economici, si deve<br />

considerare <strong>in</strong> che misura uom<strong>in</strong>i e donne abbiano la possibilità di ottenere cose cui<br />

danno valore. I livelli di reddito reale della popolazione sono importanti, perché ogni<br />

livello co<strong>in</strong>cide con una certa possibilità di acquistare beni e servizi e di godere del<br />

tenore di vita corrispondente. Tuttavia accade spesso che il livello di reddito non sia un<br />

<strong>in</strong>dicatore adeguato di aspetti importanti come la libertà di vivere a lungo, la capacità di<br />

sottrarsi a malattie evitabili, la possibilità di trovare un impiego decente o di vivere <strong>in</strong><br />

una comunità pacifica e libera dal crim<strong>in</strong>e. Queste variabili, estranee al reddito, hanno a<br />

che fare con possibilità cui chiunque dà valore e che non sono strettamente legate alla<br />

prosperità economica.<br />

Dunque, sia l’aspetto processuale, sia quello possibilitante della libertà ci pongono di<br />

andare ben oltre la tradizionale idea dello “sviluppo come crescita del PIL”.<br />

3.4.4 Democrazia illiberale e sviluppo sotto dittatura<br />

In concreto, la libertà politica rifiuta il potere arbitrario e assoluto chiedendone la<br />

trasformazione <strong>in</strong> potere legale, limitato da leggi eguali per tutti: <strong>in</strong> altre parole, si tratta<br />

dell’affermazione della supremazia della legge – rule of law – sugli <strong>in</strong>teressi <strong>in</strong>dividuali<br />

(vedi supra, par. 3.3.4).<br />

La libertà politica combatte l’abuso di potere; ciò che chiede è la capacità di<br />

controllare e limitare l’esercizio del potere, al f<strong>in</strong>e di garantire <strong>in</strong>dipendenza<br />

nell’affermare – attraverso il voto, la partecipazione, la dimostrazione – i propri diritti,<br />

senza ostacoli di nessuna sorta.<br />

Se così fosse, si verrebbe a configurare una democrazia illiberale (Polterovich,<br />

Popov, 2007), caratterizzata sì da un processo di democratizzazione, ma anche da una<br />

scarsa supremazia della legge, che si tramuterebbe, di conseguenza, <strong>in</strong> un’<strong>in</strong>sufficiente<br />

protezione dei diritti civili, <strong>in</strong>clusi i diritti di proprietà, di stipulare contratti e di<br />

<strong>in</strong>vestimento.<br />

La conseguenza pr<strong>in</strong>cipale sarebbe il decl<strong>in</strong>o dell’efficacia del governo legata ad altri<br />

elementi con un rapporto causa-effetto:<br />

una scarsa conformità del regime fiscale;<br />

l’espansione della c.d. economia sommersa;<br />

116


la difficoltà nella riscossione delle tasse;<br />

una lenta crescita delle entrate e delle spese del governo.<br />

Quando si verificano contemporaneamente anche un’elevata disuguaglianza dei<br />

redditi pro-capite e differenze di efficienza tra i diversi settori dell’economia, si va<br />

<strong>in</strong>contro ad un fallimento del governo nel porre <strong>in</strong> essere un’azione ridistribuiva a<br />

favore dei gruppi sociali più poveri, nonché alla sua impossibilità di sussidiare le<br />

imprese e le aziende <strong>in</strong>efficienti<br />

Tutto ciò comporta:<br />

dal punto di vista politico, l’esistenza di istituzioni sempre più deboli, con<br />

conseguente fallimento dei beni pubblici necessari (supremazia della legge,<br />

sistema sanitario, protezione dei diritti civili, ecc.);<br />

dal punto di vista economico, l’esistenza di politiche macro e <strong>in</strong>dustriali scarse,<br />

che hanno come conseguenza la perdita di consenso, il deficit del bilancio di<br />

governo, l’aumento dell’<strong>in</strong>flazione, la sopravvalutazione dei tassi di scambio.<br />

L’aumento delle disuguaglianze nei redditi, nonché l’aumento dei crim<strong>in</strong>i e la<br />

riduzione dell’aspettativa di vita sono le conseguenze delle carenze istituzionali che<br />

generano a loro volta, <strong>in</strong>sieme alle limitatezze delle politiche economiche, bassi livelli<br />

di <strong>in</strong>vestimenti e una più lenta crescita economica.<br />

Una buona democrazia davvero def<strong>in</strong>ibile <strong>in</strong> quanto tale è quella che cerca attraverso<br />

i suoi strumenti (istituzioni politiche ed economiche) di determ<strong>in</strong>are uno spazio di<br />

libertà <strong>in</strong>dividuale all’<strong>in</strong>terno del contesto politico-socio-economico, tale da permettere<br />

la realizzazione del cittad<strong>in</strong>o <strong>in</strong> tutte le sue forme all’<strong>in</strong>terno dello schema di diritti-<br />

doveri di cui fa parte.<br />

L’esempio dei Paesi Asiatici<br />

In un panorama mondiale di crisi (si pensi, ad esempio, alla crisi dei mutui subprime<br />

<strong>in</strong> America, la crisi alimentare globale, la crisi del Welfare State <strong>in</strong> Italia, ecc.), il ruolo<br />

dei paesi emergenti, come C<strong>in</strong>a e India, risulta ancora più marcato nell’economia<br />

globale (Ramp<strong>in</strong>i, 2008).<br />

Per la C<strong>in</strong>a, il successo ha co<strong>in</strong>ciso con un cambio di rotta delle politiche<br />

economiche, concretizzatosi con il passaggio da una crescita fondata sulle importazioni<br />

ad una basata sulle esportazioni, per sfruttare l’<strong>in</strong>tegrazione ai mercati <strong>in</strong>ternazionali<br />

(vedi <strong>in</strong>fra Tabella 6 e relativo Grafico 8 – C<strong>in</strong>a: importazioni ed esportazioni); mentre<br />

l’India, pur aprendosi al commercio <strong>in</strong>ternazionale, ha mantenuto una maggiore<br />

117


predisposizione per le importazioni rispetto alle esportazioni (vedi <strong>in</strong>fra Tabella 7 e<br />

relativo Grafico 9 – India: importazioni ed esportazioni e Grafico 10 – C<strong>in</strong>a e India a<br />

confronto).<br />

Fonte: http://www.<strong>in</strong>dexmundi.com/it (2008)<br />

Fonte: http://www.<strong>in</strong>dexmundi.com/it (2008)<br />

1200<br />

1000<br />

800<br />

600<br />

400<br />

200<br />

0<br />

Grafico 8 - C<strong>in</strong>a: importazioni ed<br />

esportazioni<br />

2003 2004 2005 2006 2007<br />

Fonte: Nostra elaborazione<br />

Tabella 6 – C<strong>in</strong>a: importazioni ed esportazioni<br />

IMP<strong>OR</strong>TAZIONI ESP<strong>OR</strong>TAZIONI<br />

Anno Milioni di $ Anno Milioni di $<br />

2003 295,3 2003 325,6<br />

2004 397,4 2004 436,1<br />

2005 552,4 2005 538,1<br />

2006 631,8 2006 752,2<br />

2007 777,9 2007 974<br />

Tabella 7 – India: importazioni ed esportazioni<br />

IMP<strong>OR</strong>TAZIONI ESP<strong>OR</strong>TAZIONI<br />

Anno Milioni di $ Anno Milioni di $<br />

2003 53,8 2003 44,5<br />

2004 74,15 2004 57,24<br />

2005 89,33 2005 69,18<br />

2006 113,1 2006 76,23<br />

2007 187,9 2007 112<br />

200<br />

150<br />

100<br />

50<br />

0<br />

118<br />

IMP<strong>OR</strong>TAZIONI<br />

ESP<strong>OR</strong>TAZIONI<br />

Grafico 9 - India: importazioni ed<br />

esportazioni<br />

2003 2004 2005 2006 2007<br />

Fonte: Nostra elaborazione<br />

IMP<strong>OR</strong>TAZIONI<br />

ESP<strong>OR</strong>TAZIONI


1200<br />

1000<br />

800<br />

600<br />

400<br />

200<br />

0<br />

Grafico 10 - C<strong>in</strong>a e India a confronto<br />

2003 2004 2005 2006 2007<br />

Fonte: Nostra elaborazione<br />

119<br />

Importazioni C<strong>in</strong>a<br />

Importazioni India<br />

Esportazioni C<strong>in</strong>a<br />

Esportazioni India<br />

Nonostante da un punto di vista economico i due paesi asiatici considerati siano<br />

spesse volte sovrapposti a causa del boom economico che ha <strong>in</strong>vestito entrambi, il<br />

percorso di ognuna delle due nazioni risulta essere storicamente ed <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>secamente<br />

differente.<br />

Come sostiene Sen (2000), da tempo (la C<strong>in</strong>a dal 1979, l’India dal 1991) i governi di<br />

entrambi i paesi stanno cercando di passare ad un’economia più aperta, attiva sul piano<br />

<strong>in</strong>ternazionale ed orientata al mercato.<br />

Pur raggiungendo qualche successo, l’India non è riuscita a conseguire i grandissimi<br />

risultati raggiunti dalla C<strong>in</strong>a: un fattore importante di questo contrasto sta nel fatto che,<br />

dal punto di vista di preparazione della società, la C<strong>in</strong>a è molto più avanti dell’India<br />

quanto a capacità di utilizzare l’economia di mercato.<br />

Prima della riforma economica, il paese era profondamente scettico riguardo al<br />

mercato, ma non lo era affatto riguardo all’istruzione di base e ad un’ampia diffusione<br />

dell’assistenza sanitaria: così, nel 1979, quando si passò al sistema di mercato, gran<br />

parte della popolazione era già alfabetizzata.<br />

Invece l’India, quando nel 1991 è passata al sistema di mercato, aveva una<br />

popolazione per metà analfabeta e da allora la situazione non è di molto migliorata.<br />

L’arretratezza sociale dell’India, con il suo privilegiare elitariamente gli studi<br />

superiori e la massiccia noncuranza per il sistema scolastico e per le strutture sanitarie di<br />

base, non ha preparato il paese ad un’espansione economica diffusa.<br />

I risultati, misurati <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di PIL, sono quelli che noi tutti conosciamo (vedi <strong>in</strong>fra<br />

Tabella 8 e relativo Grafico 11 – PIL: C<strong>in</strong>a e India).


12<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

Fonte: Nostra elaborazione<br />

Fonte: www.<strong>in</strong>dexmundi.com/it (2008)<br />

Ma a che condizioni la C<strong>in</strong>a gode (e godrà nel futuro più immediato 34 ) di questa<br />

prosperità economica e <strong>in</strong>dustriale?<br />

Per certi aspetti, <strong>in</strong> realtà, la C<strong>in</strong>a è senz’altro svantaggiata rispetto all’India, proprio<br />

per la mancanza di libertà democratiche. Il problema è particolarmente sentito per quel<br />

che riguarda la flessibilità della politica economica e la capacità d’azione pubblica di<br />

reagire a crisi sociali e disastri imprevisti. Quando le cose vanno bene, la mancanza del<br />

potere protettivo della democrazia si può anche avvertire <strong>in</strong> misura m<strong>in</strong>ore, ma il<br />

pericolo può non essere distante.<br />

Tabella 8 – PIL C<strong>in</strong>a e India<br />

CINA IN<strong>DI</strong>A<br />

Anno Trilioni di $ Anno Trilioni di $<br />

2003 5,7 2003 2,66<br />

2004 6,449 2004 3,033<br />

2005 7,262 2005 3,319<br />

2006 8,883 2006 3,666<br />

2007 10,17 2007 4,156<br />

Grafico 11 - PIL C<strong>in</strong>a e India<br />

2003 2004 2005 2006 2007<br />

Le previsioni di una democratizzazione della C<strong>in</strong>a la <strong>in</strong>dicavano come ipotesi reale<br />

per il 2015, data che venne successivamente (nel 2007) posticipata al 2025.<br />

La storia economica dimostra che, mentre sono frequenti i casi <strong>in</strong> cui una prolungata<br />

crisi economica conduce ad una democrazia, assai più rari sono i casi opposti, <strong>in</strong> cui una<br />

34 Ad oggi, le previsioni per il futuro sostengono che nel 2020 la C<strong>in</strong>a raggiungerà gli Stati Uniti<br />

<strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di PIL; f<strong>in</strong>o al 2005 le previsioni <strong>in</strong>dicavano la data del sorpasso nel 2040 (Ramp<strong>in</strong>i,<br />

2005b).<br />

120<br />

CINA<br />

IN<strong>DI</strong>A


apida espansione economica porta al superamento della dittatura, la quale potrà <strong>in</strong>vece<br />

addirittura consolidarsi (Zamagni, 2005b).<br />

Secondo la teoria della modernizzazione, gli effetti democratici a questo punto dello<br />

sviluppo economico c<strong>in</strong>ese dovrebbero aumentare.<br />

Invece, per chi sostiene che viene prima la democrazia dello sviluppo, se <strong>in</strong> un’ottica<br />

di breve periodo un regime dittatoriale produce un livello maggiore di sviluppo<br />

economico rispetto ad un regime democratico – che genera redistribuzione – non si può<br />

dire altrettanto se la prospettiva da cui si osserva la situazione è di lungo periodo.<br />

L’andamento del PIL nel tempo assumerà la seguente forma (vedi <strong>in</strong>fra Figura 3 –<br />

Rapporto PIL/t <strong>in</strong> regimi differenti):<br />

Fig. 3: Rapporto PIL/t <strong>in</strong> regimi differenti Fonte: Nostra elaborazione<br />

Una spiegazione plausibile <strong>in</strong> merito è fornita da Acemoglu (2003), il quale sostiene<br />

che nelle società non democratiche 35 , <strong>in</strong> cui il potere politico è saldamente nelle mani<br />

del partito unico (come accade <strong>in</strong> C<strong>in</strong>a con il Partito Comunista C<strong>in</strong>ese - PCC) oppure<br />

di una ristretta oligarchia, i detentori di potere economico riescono non solo a mantenere<br />

relativamente basso il livello della tassazione, ma anche ad elevare forti barriere<br />

all’entrata sul mercato così da conservare il proprio potere a fronte di potenziali entranti<br />

futuri.<br />

PIL<br />

t* t<br />

Nelle società democratiche, <strong>in</strong>vece, accade il contrario: poiché il potere politico è<br />

distribuito su tutte le classi sociali, i ceti meno abbienti riescono ad ottenere<br />

35 In altri term<strong>in</strong>i, si parla di dittatura – <strong>in</strong> contrapposizione ad un regime democratico – ovvero<br />

di un regime politico caratterizzato dalla concentrazione del potere, dal non rispetto delle libertà<br />

fondamentali dei cittad<strong>in</strong>i, dalla mancanza di legittimazione e dal ricorso sistematico alla<br />

violenza. Si dist<strong>in</strong>gue tra dittature totalitarie (<strong>in</strong> cui il politico <strong>in</strong>vade la società, annientandone<br />

l’autonomia) e autoritarie, le quali si suddividono a loro volta <strong>in</strong> regimi militari, civili-militari,<br />

civili. In quest’ultima def<strong>in</strong>izione rientrano i regimi: nazionalisti, fascisti e comunisti<br />

(Marchese, Manc<strong>in</strong>i, Greco, Ass<strong>in</strong>i, 1997).<br />

121<br />

democrazia<br />

dittatura


provvedimenti fiscali <strong>in</strong> chiave redistributiva a loro favore; allo stesso tempo però i<br />

produttori già presenti sul mercato non riescono ad <strong>in</strong>trodurre barriere all’entrata, così<br />

che i potenziali produttori non saranno discrim<strong>in</strong>ati.<br />

Sia la tassazione a f<strong>in</strong>i distributivi sia la conservazione di posizioni di monopolio<br />

rappresentano casi di politiche discorsive: la prima perché scoraggia gli <strong>in</strong>vestimenti,<br />

nonché il processo di accumulazione di capitale; la seconda perché, rendendo più<br />

difficoltoso l’<strong>in</strong>gresso nel mercato di potenziali entranti, impedisce la competizione e<br />

qu<strong>in</strong>di non consente che possano entrare agenti più capaci di <strong>in</strong>novazione o più<br />

efficienti.<br />

Nel breve periodo e <strong>in</strong> contesti caratterizzati da lenta evoluzione tecnologica, i costi<br />

della redistribuzione tendono a superare gli altri: ciò spiega perché nelle fasi <strong>in</strong>iziali del<br />

processo di sviluppo i sistemi dittatoriali registrano, <strong>in</strong> genere, più alti tassi di crescita.<br />

Infatti, la prima generazione di imprenditori-produttori, <strong>in</strong> generale, non ha bisogno<br />

di competizione per tenere alta la performance economica. Viceversa, quando si passa al<br />

lungo periodo e soprattutto quando il mutamento tecnologico risulta accelerato ed<br />

endemico, i costi del mantenimento delle barriere all’entrata superano di gran lunga i<br />

costi della redistribuzione. Per questo motivo, il sentiero democratico è quello più<br />

sicuro per lo sviluppo economico.<br />

Esattamente l’opposto di quanto sta accadendo, ad esempio, <strong>in</strong> C<strong>in</strong>a: le nazioni<br />

emergenti non hanno ancora politiche economiche adeguate per garantire che i benefici<br />

del commercio estero siano ben distribuiti a tutte le popolazioni; perciò si assiste anche,<br />

<strong>in</strong> quei paesi, ad una crescente reazione contro la globalizzazione. Inoltre, la diffusione<br />

della corruzione contribuisce a creare la percezione che la crescita va a vantaggio di<br />

ristrette élite.<br />

Infatti, la C<strong>in</strong>a non ha partecipato, diversamente dal Giappone, alla prima ondata di<br />

democratizzazione e, malgrado le promesse di democrazia del PCC (al governo dal<br />

1949), il paese non ha preso parte nemmeno alla seconda ondata.<br />

La Rivoluzione Culturale (1967-1976) politicizzò quasi tutti gli aspetti della vita<br />

umana e il governo di Mao Zedong portò all’uccisione di una cifra tra i 40 e i 55 milioni<br />

di c<strong>in</strong>esi.<br />

Dopo di lui, Deng Xiaop<strong>in</strong>g divenne il leader supremo della C<strong>in</strong>a: sotto il suo<br />

governo, l’economia c<strong>in</strong>ese fu gradualmente trasformata da economica pianificata a<br />

capitalistica. La protesta di Piazza Tiananmen (1989) fu brutalmente repressa e anche il<br />

terzo tentativo di democratizzazione passò oltre la C<strong>in</strong>a.<br />

122


La società civile e i suoi conflitti – salariali, redistributivi, sociali di ogni genere –<br />

vengono ignorati, cancellati dall’orizzonte di una classe dirigente per cui ciò che<br />

importa è “lo sviluppo prima di tutto” (Ramp<strong>in</strong>i, 2005a).<br />

In C<strong>in</strong>a, possono essere classificate, <strong>in</strong> base all’orig<strong>in</strong>e sociale e ai settori <strong>in</strong> cui<br />

hanno fatto fortuna, due categorie di ricchi (Huchet, 2006):<br />

gli uom<strong>in</strong>i legati al partito;<br />

i grandi imprenditori.<br />

Com’è noto, lo sviluppo c<strong>in</strong>ese è stato condizionato dall’<strong>in</strong>vadente onnipresenza del<br />

PCC, anche attraverso la circoscrizione dei settori <strong>in</strong> cui si possono sviluppare le attività<br />

economiche private.<br />

Il primo gruppo, dunque, raccoglie gli uom<strong>in</strong>i direttamente legati al potere<br />

comunista, quelli che hanno accesso a ogni settore di attività, compresi gli ambiti che<br />

dipendono dalla proprietà pubblica: i figli degli alti dignitari del Partito, nonché i boss<br />

delle imprese statali e i funzionari.<br />

Il secondo gruppo è quello dei “capitani” d’<strong>in</strong>dustria, i self-made men senza legami<br />

particolari con il Partito, di orig<strong>in</strong>i sociali spesso modeste, che hanno fatto la fortuna nei<br />

settori dove il governo ha autorizzato appunto lo sviluppo della proprietà privata.<br />

Il rapporto che <strong>in</strong>tercorre tra le due classi di potere c<strong>in</strong>esi, tuttavia, non è di<br />

mutualistica <strong>in</strong>fluenza, bensì è il PCC che, da un lato, corteggia gli imprenditori perché<br />

ha bisogno di posti di lavoro; dall’altro, però, è sempre pronto ad annullare le fortune<br />

del secondo gruppo, alla m<strong>in</strong>ima velleità politica.<br />

Apparentemente, la C<strong>in</strong>a possiede un organo democratico, un parlamento, il c.d.<br />

Congresso Nazionale del Popolo; ma tutte le decisioni sono, <strong>in</strong> realtà, prese dal<br />

Politburo del PCC. La popolazione può solamente votare nelle elezioni locali.<br />

Oggi, le idee democratiche <strong>in</strong>iziano a farsi sentire <strong>in</strong> C<strong>in</strong>a e ciò è dovuto soprattutto<br />

all’aumento dell’apertura del paese e alla grande diaspora c<strong>in</strong>ese. Pertanto, il PCC si<br />

trova gradualmente ad affrontare il concetto di democrazia; d’altro canto, però, esso non<br />

ha nemmeno <strong>in</strong>tenzione di ritirarsi dal suo ruolo di governo, sostenendo <strong>in</strong>vece<br />

fermamente la necessità del suo <strong>in</strong>tervento per tre motivi:<br />

a. il PCC <strong>in</strong>coraggia lo sviluppo economico;<br />

b. il PCC garantisce che un paese etnicamente diverso non vada <strong>in</strong><br />

frantumi;<br />

c. il PCC assicura un forte e stabile Stato.<br />

123


La situazione c<strong>in</strong>ese è, <strong>in</strong> realtà, è estremamente <strong>in</strong>stabile, complice anche il<br />

problema <strong>in</strong>terno delle diseguaglianze e di uno sviluppo economico <strong>in</strong>eguale.<br />

Come si può vedere dalla successiva figura, <strong>in</strong>fatti, non c’è coerenza tra l’andamento<br />

crescente del PIL c<strong>in</strong>ese <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i percentuali e il relativo H<strong>DI</strong>:<br />

C’è, <strong>in</strong>vece, conformità se si relazionano l’H<strong>DI</strong> e il PIL pro-capite, relativamente<br />

basso a causa delle diseguaglianze redistributive del PIL complessivo:<br />

Valore H<strong>DI</strong><br />

1. Islanda<br />

(0.968)<br />

79. Repubblica<br />

Domenicana<br />

(0.779)<br />

80. Belize<br />

(0.778)<br />

81. C<strong>in</strong>a<br />

(0.777)<br />

82. Grenada<br />

(0.777)<br />

83. Armenia<br />

(0.775)<br />

177. Sierra<br />

Leone (0.336)<br />

Speranza di vita<br />

alla nascita<br />

(anni)<br />

1. Giappone<br />

(82.3)<br />

66. Bulgaria<br />

(72.7)<br />

67. Seychelles<br />

(72.7)<br />

Tasso di<br />

alfabetizzazione<br />

adulta<br />

(% 15 anni e<br />

più)<br />

1. Georgia<br />

(100.0)<br />

52. Giordania<br />

(91.1)<br />

53. Ecuador<br />

(91.0)<br />

68. C<strong>in</strong>a (72.5) 54. C<strong>in</strong>a (90.9)<br />

69. Lituania<br />

(72.5)<br />

70. Mauritius<br />

(72.4)<br />

177. Zambia<br />

(40.5)<br />

55. Sri Lanka<br />

(90.7)<br />

56. Indonesia<br />

(90.4)<br />

139. Burk<strong>in</strong>a<br />

Faso (23.6)<br />

Fonte: Rapporto sullo Sviluppo Umano 2007/2008<br />

124<br />

Tasso di<br />

iscrizione alla<br />

scuola<br />

primaria,<br />

secondaria e<br />

terziaria (%)<br />

1. Australia<br />

(113.0)<br />

102. Moldavia<br />

(69.7)<br />

103. Botswana<br />

(69.5)<br />

104. C<strong>in</strong>a<br />

(69.1)<br />

105. Paraguay<br />

(69.1)<br />

106. Bosnia<br />

Erzegov<strong>in</strong>a<br />

(69.0)<br />

172. Niger<br />

(22.7)<br />

PIL procapite<br />

(PPP US $)<br />

1.<br />

Lussemburgo<br />

(60.228)<br />

84. Gabon<br />

(6.954)<br />

85. Ucra<strong>in</strong>a<br />

(6.848)<br />

86. C<strong>in</strong>a<br />

(6.757)<br />

87. Santa<br />

Lucia (6.707)<br />

88. Venezuela<br />

(6.632)<br />

174. Malawi<br />

(667)


Il relativamente basso H<strong>DI</strong> può essere imputato proprio alla mancanza di un regime<br />

democratico, con tutto ciò che ne comporta: scarsa attenzione ai diritti civili e<br />

conseguente mancanza di adeguate azioni pubbliche, abusi contro i diritti umani nelle<br />

fabbriche c<strong>in</strong>esi, orari di lavoro che coprono quasi <strong>in</strong>teramente la giornata<br />

dell’<strong>in</strong>dividuo e sfruttamento del lavoro m<strong>in</strong>orile.<br />

La situazione c<strong>in</strong>ese è, <strong>in</strong>oltre, gravata dalla conformazione del proprio territorio, il<br />

quale favorisce il commercio nella parte occidentale (la fascia costiera) a discapito della<br />

zona centro-orientale, prettamente orientata all’attività rurale.<br />

La vocazione prevalentemente agricola delle regioni <strong>in</strong>terne, la bassa qualificazione<br />

delle risorse umane, la difficoltà a diversificare l’economia e la scarsa presenza di<br />

<strong>in</strong>frastrutture sono caratteri che hanno frenato e tuttora rallentano i meccanismi di<br />

sviluppo (Musso, Bartolucci, Pagano, 2005).<br />

Inoltre, il PCC agisce sulla popolazione con una pesantissima azione di repressione,<br />

sia sulla libertà di parola, che di associazione: basti pensare alle limitazioni concesse<br />

anche dai motori di ricerca su Internet – come Google – sotto le pressioni del governo<br />

c<strong>in</strong>ese o alla censura di immag<strong>in</strong>i, video e foto trasmessi da Lhasa su YouTube <strong>in</strong> merito<br />

alla ribellione del Tibet degli ultimissimi giorni (Corriere della Sera, 2008) (vedi <strong>in</strong>fra<br />

“Mappa della libertà”, Freedom House, 2007).<br />

Fonte: Rapporto della Freedom House, 2007<br />

125


Essendo la legittimazione del PCC da parte della popolazione 36 fondata<br />

prevalentemente sulla sua abilità nel favorire la crescita economica, cogliere<br />

l’eterogeneità del paese e <strong>in</strong>crementare l’importanza della nazione nel mondo, c’è da<br />

chiedersi cosa potrebbe accadere se la C<strong>in</strong>a sperimentasse un’importante recessione o<br />

un grosso rallentamento nella crescita economica – fatto non così irreale data la<br />

situazione di recessione che attualmente colpisce gli Stati Uniti e che ben presto avrà<br />

ripercussioni su tutte le economie globali.<br />

Così come lo sviluppo economico è alla base delle legittimazione del PCC, una forte<br />

crisi economica potrebbe essere una grave m<strong>in</strong>accia per il Partito stesso.<br />

Anche se la C<strong>in</strong>a non dovesse subire un’importante recessione, ad un certo punto la<br />

crescita economica da sola non sarà più sufficiente a legittimare il governo del PCC.<br />

In conclusione, la C<strong>in</strong>a si presenta come l’esempio di uno sviluppo effimero,<br />

superficiale, che nasconde dietro alle sue cifre stratosferiche e <strong>in</strong> costante crescita (da un<br />

punto di vista economico) disagi e conflitti (da un punto di vista sociale e politico) con i<br />

quali, prima o poi, dovrà “fare i conti”, dato che la stessa tesi della modernizzazione, se<br />

fosse stata realmente applicabile per la C<strong>in</strong>a, dovrebbe, alla luce del fatto della sostenuta<br />

crescita economica, aver già portato alla democratizzazione del paese, che <strong>in</strong>vece<br />

cont<strong>in</strong>ua ad essere governato da un regime autoritario che non sembra dare segni di crisi<br />

imm<strong>in</strong>ente (Roccu, 2007).<br />

36 In un’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e di op<strong>in</strong>ione cross-country realizzata tra il 1998 e il 2002 <strong>in</strong> 72 nazioni, la C<strong>in</strong>a<br />

si è posizionata al quattordicesimo posto rispetto alla legittimazione del suo governo<br />

(Menger<strong>in</strong>ghaus, 2008).<br />

126


127<br />

“L’alternativa:<br />

un altro homo e un’altra<br />

democrazia”<br />

4.1 L’<strong>in</strong>adeguatezza della dottr<strong>in</strong>a utilitaristica e dell’homo oeconomicus<br />

È mia op<strong>in</strong>ione che la più grande colpa dell’utilitarismo e dell’economia ad essa<br />

ispirata (economia del benessere e relative teorie) sia stata quella di considerare<br />

fondamentale, ancora più della ricerca dell’efficienza e della prosperità, il ruolo<br />

dell’economia come unica discipl<strong>in</strong>a alla base di tutto il resto (etica e morale <strong>in</strong>cluse) –<br />

concetto che va sotto il nome di imperialismo economico.<br />

Gia Aristotele, <strong>in</strong> “Politica”, condannava la crematistica (da chrèmata, che significa<br />

“gli averi”), ovvero la ricerca di denaro f<strong>in</strong>e a se stessa, <strong>in</strong>vece che come mezzo.<br />

L’elevazione dell’utile e del benessere materiale a f<strong>in</strong>e autonomo, come sostiene<br />

anche Zamagni (2006), è il difetto alla base del sistema capitalitisco, così come la sua<br />

ossessiva ricerca dell’ottimalità paretiana, metodo assolutamente limitato di<br />

valutazione dei risultati sociali.<br />

Ben noti sono i limiti dei teoremi dell’economia del benessere, relativi<br />

all’<strong>in</strong>sostenibilità reale delle ipotesi fondanti (vedi supra par. 2.2.2), che generano<br />

fallimenti di mercato nella ricerca di efficienza e fallimenti di governo nella ricerca di<br />

equità.<br />

Capitolo<br />

4<br />

La dottr<strong>in</strong>a utilitaristica ignora, tendenzialmente, le diseguaglianze distributive<br />

(ricordiamo che si fonda su un “ord<strong>in</strong>amento per somma” e sul concetto di “bene<br />

totale”) e non si cura di diritti, di libertà e di altri valori non utilitari: l’approccio<br />

utilitaristico non attribuisce un’importanza <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seca alle rivendicazioni di diritti o<br />

libertà, che hanno valore solo <strong>in</strong>direttamente e solo <strong>in</strong> quanto <strong>in</strong>fluiscono sulle utilità.<br />

Inoltre, la stessa concezione utilitaristica del benessere <strong>in</strong>dividuale non è<br />

particolarmente stabile, dato che può essere <strong>in</strong>fluenzata senza difficoltà dal<br />

condizionamento mentale e dalla disposizione all’adattamento (Sen, 2006).


Privilegiare <strong>in</strong> modo esclusivo certe caratteristiche mentali – come piacere, felicità o<br />

desiderio – può essere particolarmente limitativo quando si fanno raffronti<br />

<strong>in</strong>terpersonali di benessere e carenze.<br />

Il calcolo utilitaristico può essere profondamente <strong>in</strong>iquo verso chi è deprivato <strong>in</strong><br />

modo permanente: anche se esistono persone che non hanno la possibilità di manifestare<br />

la loro preferenza nei confronti di certi valori (si pensi a coloro che vivono <strong>in</strong> un regime<br />

oppressivo e che non hanno il coraggio di desiderare la libertà), nulla esime dal dovere<br />

di accordare loro ciò che essi non chiedono esplicitamente.<br />

Secondo Screpanti e Zamagni (2004), sul piano dei diritti, l’utilitarismo presenta<br />

delle lacune per tre ord<strong>in</strong>i di motivi:<br />

a. <strong>in</strong> primo luogo, per la sua visione alquanto ristretta dell’essere umano, poiché,<br />

come sostiene Sen (1984): “Essenzialmente, l’utilitarismo vede le persone<br />

come localizzazioni delle loro rispettive utilità […]. Una volta considerata<br />

l’utilità della persona, l’utilitarismo non ha alcun ulteriore diretto <strong>in</strong>teresse a<br />

qualsiasi <strong>in</strong>formazione su di essa”;<br />

b. <strong>in</strong> secondo luogo, perché i diritti, poiché rappresentano aree di discont<strong>in</strong>uità,<br />

non possono trovare posto <strong>in</strong> una struttura teorica che <strong>in</strong>vece postula la<br />

cont<strong>in</strong>uità;<br />

c. <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, qualsiasi tentativo di <strong>in</strong>trodurre i diritti nel calcolo morale entra <strong>in</strong><br />

conflitto con l’ord<strong>in</strong>amento per somma che sta alla base dell’utilitarismo: nel<br />

mettere <strong>in</strong>sieme i pezzi di utilità <strong>in</strong> una somma totale si perdono sia le identità<br />

delle persone che la loro separatezza, requisiti necessari per rendere possibile<br />

un’attribuzione di diritti.<br />

La conclusione cui si è giunti è il non poter far conciliare l’<strong>in</strong>dividualismo della<br />

dottr<strong>in</strong>a utilitarista con una tutela del diritto degna di essere chiamata tale.<br />

Nel 1970, Sen realizzò il c.d. teorema di impossibilità del liberale paretiano, con il<br />

quale dimostrò che non è possibile unire il pr<strong>in</strong>cipio democratico e il pr<strong>in</strong>cipio liberale.<br />

Non esiste nessuna regola o funzione di scelta sociale che soddisfi,<br />

contemporaneamente, tre condizioni o criteri di scelta:<br />

1. dom<strong>in</strong>io non ristretto (o universale): implica l’<strong>in</strong>esistenza di v<strong>in</strong>coli;<br />

2. condizione di Pareto – pr<strong>in</strong>cipio democratico: la vittoria va alla maggioranza,<br />

cioè se tutti gli <strong>in</strong>dividui preferiscono x a y, x deve essere socialmente preferito a<br />

y;<br />

128


3. libertà m<strong>in</strong>imale: deve esistere almeno una coppia di alternative, appartenenti alla<br />

sfera protetta dell’<strong>in</strong>dividuo, rispetto alle quali il desiderio o la volontà<br />

dell’<strong>in</strong>teressato devono considerarsi sovrani (pr<strong>in</strong>cipio liberale).<br />

Sen parte dall’ipotesi che esistono due <strong>in</strong>dividui: A, un <strong>in</strong>dividuo molto prude, e B,<br />

che, <strong>in</strong>vece, è privo di scrupoli morali.<br />

Oggetto della scelta sociale è la lettura di un libro considerato libert<strong>in</strong>o, “L’amante di<br />

Lady Chatterley”; le alternative di gioco sono tre:<br />

- solo A legge il libro (x);<br />

- solo B legge il libro (y);<br />

- nessuno dei due legge il libro (z).<br />

In base alle caratteristiche psicologiche dei due <strong>in</strong>dividui, l’ord<strong>in</strong>e di preferenze è<br />

(con > che significa “preferito a”):<br />

- per A, z > x > y;<br />

- per B, x > y > z.<br />

Quando si chiede ad A di scegliere tra z e x, questi opterà per z, mentre all’opzione di<br />

scelta tra z e y, B risponderà y.<br />

Sulla base della condizione di libertà m<strong>in</strong>imale, risulta che la scelta collettiva dovrà<br />

soddisfare l’ord<strong>in</strong>amento y > z > x. Eppure, per entrambi gli <strong>in</strong>dividui x è Pareto<br />

superiore rispetto a y.<br />

La scelta collettiva che rispetta la condizione di libertà m<strong>in</strong>imale contraddice la<br />

scelta collettiva che rispetta il pr<strong>in</strong>cipio di Pareto; qu<strong>in</strong>di, democrazia e libertà m<strong>in</strong>imale<br />

non possono coesistere.<br />

Questa teoria sta a dimostrare come l’<strong>in</strong>troduzione della categoria dei diritti nel<br />

processo della scelta sociale pone nuovi problemi, difficilmente risolvibili se non si<br />

tiene conto delle motivazioni sottostanti le preferenze <strong>in</strong>dividuali e della natura delle<br />

alternative sociali <strong>in</strong> gioco.<br />

Invece, l’homo oeconomicus basa le scelte sulla valutazione della sua personale<br />

funzione di utilità, non considerando le scelte e libertà altrui. Egli rispecchia la<br />

caratteristica di amoralità, cioè di <strong>in</strong>vidividuo che ignora qualsiasi valore sociale o vi<br />

aderisce solo se vi <strong>in</strong>travede il proprio tornaconto.<br />

La critica, sostenuta anche da Frey (2005), è relativa alle spiegazioni che sottostanno<br />

all’agire dell’homo oeconomicus: l’azione dell’<strong>in</strong>dividuo non può essere giustificata<br />

solo da motivazioni strumentali, cioè da ragioni che sp<strong>in</strong>gono il soggetto a muoversi<br />

solo a fronte di un aumento della propria utilità.<br />

129


In questo modo, le c.d. motivazioni estr<strong>in</strong>seche, cioè ricompense e punizioni che<br />

provengono dall’ambiente esterno, dom<strong>in</strong>ano l’agire <strong>in</strong>dividuale, portano ad un<br />

riduzionismo antropologico della scelta economica, secondo l’effetto soprannom<strong>in</strong>ato<br />

moral crowd<strong>in</strong>g out.<br />

Facendo prevalere, <strong>in</strong>vece, le c.d. motivazioni <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seche, proprie del soggetto, di<br />

natura affettiva, tradizionale ed etica, supportandole tramite <strong>in</strong>terventi esterni che le<br />

rafforzano, il soggetto co<strong>in</strong>volto percepisce tali azioni come di sostegno ai propri sforzi<br />

(effetto moral crowd<strong>in</strong>g <strong>in</strong>), cont<strong>in</strong>uando, così, a perseguire obiettivi diversi dal puro e<br />

semplice tornaconto personale, agendo all’<strong>in</strong>terno di un gruppo sociale che riconosce,<br />

stima e <strong>in</strong>centiva l’operato non utilitaristico della persona.<br />

4.2 Il rapporto tra democrazia ed eguaglianza<br />

Prima di passare a del<strong>in</strong>eare i tratti fondamentali e caratteristici della democrazia che<br />

vorremmo si diffondesse nelle società, è bene puntualizzare il concetto di eguaglianza,<br />

relativamente al suo rapporto con un regime politico democratico, ovvero quale tipo di<br />

eguaglianza la democrazia deve pr<strong>in</strong>cipalmente perseguire.<br />

Sartori (2007) fornisce una classificazione delle eguaglianze, dist<strong>in</strong>guendole <strong>in</strong>:<br />

a. eguaglianza giuridico-politica;<br />

b. eguaglianza sociale;<br />

c. eguaglianza di opportunità;<br />

d. eguaglianza economica.<br />

Quella che più attira la nostra attenzione è l’eguaglianza di opportunità, la quale crea<br />

un dibattito relativamente alla sua <strong>in</strong>terpretazione: si tratta solo di garanzia di eguale<br />

accesso per tutti a tutto, come sostiene anche il pr<strong>in</strong>cipio di equa eguaglianza delle<br />

opportunità di Rawls, oppure la def<strong>in</strong>izione si estende alla garanzia di eguali condizioni<br />

di partenza che diano a tutti eguali capacità <strong>in</strong>iziali?<br />

Eguale accesso vuol dire “eguale riconoscimento a eguali capacità” e qu<strong>in</strong>di<br />

promuove una meritocrazia; eguali partenze vuol dire “eguali condizioni di partenza”.<br />

L’eguale accesso è posto da forme – diritti, procedure, modalità – di accesso; le<br />

eguali partenze sono poste da condizioni e circostanze materiali.<br />

L’eguagliamento delle posizioni e condizioni <strong>in</strong>iziali viene cercato, <strong>in</strong>nanzitutto,<br />

nell’eguale educazione per tutti, la quale molto spesso però non è sufficiente.<br />

130


Pertanto si ricorre a trattamenti preferenziali per gli “svantaggiati”: il nodo della<br />

questione è che il povero è sempre svantaggiato, per un verso o per l’altro, a fronte del<br />

ricco. F<strong>in</strong>isce, allora, che l’eguale partenza richiede un relativamente eguale benessere,<br />

rivendicando così una relativa eguaglianza economica.<br />

Questo significa che pareggiare i soggetti economici estremi (per esempio, il<br />

miliardario e il mendicante) significa non soltanto perseguire una giustizia economica,<br />

ma anche una giustizia di opportunità.<br />

Secondo quanto esposto, qu<strong>in</strong>di, il sistema politico di un paese deve garantire, come<br />

direbbe Sen (2000), le capacitazioni ai propri cittad<strong>in</strong>i, per metterli <strong>in</strong> grado di scegliere<br />

la propria vita ed esprimere <strong>in</strong> questo modo la propria libertà, per promuovere uno<br />

sviluppo che non sia solo economico, ma anche e soprattutto umano.<br />

Sarà, qu<strong>in</strong>di, <strong>in</strong> seguito necessario del<strong>in</strong>eare una particolare tipologia di democrazia,<br />

che co<strong>in</strong>volga attivamente e direttamente i cittad<strong>in</strong>i che la compongono aff<strong>in</strong>ché possa<br />

realizzarsi uno sviluppo umano che rispetti i pr<strong>in</strong>cipi di eguaglianza, sostenibilità,<br />

partecipazione e produttività – qu<strong>in</strong>di, non solo, ma anche uno sviluppo di tipo<br />

economico – non essendo più soddisfacente il tipo di democrazia elitistico-competitiva<br />

sopra descritta (vedi supra par. 1.4)ed attualmente vigente nella maggior parte dei paesi<br />

che ritengono di possedere un regime politico di tipo democratico.<br />

131


4.3 Le fondamenta per un nuovo modello democratico<br />

4.3.1 La democrazia come bene relazionale<br />

“Permettetemi di <strong>in</strong>iziare contrapponendo<br />

due differenti concezioni di democrazia.<br />

Una concezione sostiene che una società democratica<br />

è quella <strong>in</strong> cui il pubblico ha i mezzi per<br />

partecipare <strong>in</strong> qualche modo significativo<br />

nella gestione dei propri problemi ed i mezzi<br />

di <strong>in</strong>formazione sono aperti e liberi.<br />

Se cercate il lemma “democrazia” nel dizionario<br />

troverete una def<strong>in</strong>izione di questo tenore.<br />

Una concezione alternativa di democrazia<br />

è quella secondo cui il pubblico dev’essere<br />

preservato dal gestire i propri problemi,<br />

ed i mezzi di <strong>in</strong>formazione devono<br />

essere tenuti sotto stretto e rigido controllo.<br />

Potrebbe sembrare una strana concezione di democrazia,<br />

ma è importante rendersi conto che è quella prevalente.”<br />

(Chomsky, 2001)<br />

I cambiamenti apportati dall’ultimo secolo nella nostra società, nel nostro vivere e<br />

pensare, anche quotidiano, sono ormai irreversibili, come il fenomeno stesso (la<br />

globalizzazione) che li ha generati; siamo parte <strong>in</strong>tegrante di una società multietnica e<br />

multiculturale e spesso questo è visto come fatto negativo, perché si vuole far risultare –<br />

grazie anche all’aiuto di mass-media come la televisione – solo le problematiche<br />

derivanti da una convivenza forzata con il “diverso”, piuttosto che l’arricchimento, ad<br />

esempio <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di conoscenza, che può essere generato dal vivere civile con gli altri<br />

– il che <strong>in</strong>clude la comprensione di ciò che è “nuovo” e f<strong>in</strong>o a quel momento<br />

sconosciuto – , poiché come disse Terenzio (II sec. a.C.):<br />

“Il seme e la terra sono <strong>in</strong> conflitto,<br />

ma da quel conflitto nasce la pianta”.<br />

Lo strumento – questa volta <strong>in</strong>teso come mezzo con dei f<strong>in</strong>i “nobili” e civili e non<br />

per far emergere un partito politico piuttosto che un altro (vedi supra par. 2.3.2) – per<br />

poter realizzare una società veramente civile è la democrazia; ma una democrazia,<br />

diversa, ripensata e adattata ai mutamenti storici e sociali, nonché economici, cui ci<br />

troviamo di fronte.<br />

Dovrebbe essere, a mio parere, un tipo di democrazia riconducibile al concetto di<br />

bene relazionale, ovvero di un bene la cui utilità per il soggetto che lo consuma<br />

132


dipende, oltre che dalle sue caratteristiche <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seche ed oggettive, dalle modalità di<br />

fruizione con altri soggetti (Bruni, Zamagni, 2004).<br />

Il bene relazionale postula la conoscenza dell’identità dell’altro, <strong>in</strong> cui i soggetti<br />

co<strong>in</strong>volti si conoscono a fondo; si tratta, <strong>in</strong>oltre, di un bene anti-rivale, il cui consumo<br />

alimenta il bene stesso, e che richiede un <strong>in</strong>vestimento di tempo, non di denaro.<br />

Ritengo, pertanto, che una democrazia così pensata potrebbe sm<strong>in</strong>uire, se non<br />

elim<strong>in</strong>are nel lungo periodo, le problematiche che ci troviamo a dover fronteggiare, ma<br />

che non affrontiamo, accartocciandoci nel nostro <strong>in</strong>dividualismo e dando sfogo alle<br />

nostre paure.<br />

Precedentemente ho illustrato la tesi secondo cui è la democrazia a generare sviluppo<br />

economico; ora <strong>in</strong>tendo r<strong>in</strong>forzare questa posizione con altri argomenti.<br />

Se la democrazia venisse realmente <strong>in</strong>tesa come bene relazionale, potrebbe essere un<br />

bene “prodotto da”, e allo stesso tempo “generatore di”, un contesto economico<br />

particolare: quello dell’economia civile, cioè un’economia <strong>in</strong> cui coesistono tutti e tre i<br />

pr<strong>in</strong>cipi regolativi:<br />

dello scambio di equivalenti;<br />

di redistribuzione;<br />

di reciprocità.<br />

I primi due pr<strong>in</strong>cipi sono gli elementi costitutivi dell’economia politica; la sfida<br />

dell’economia civile non è quella di spiazzare i primi due pr<strong>in</strong>cipi e sostituirli con il<br />

terzo, bensì quella di vederli <strong>in</strong>tegrati, sottol<strong>in</strong>eando, <strong>in</strong> particolar modo, l’importanza<br />

del terzo.<br />

L’economia civile, <strong>in</strong>fatti, non r<strong>in</strong>nega i fondamenti dell’economia di mercato, su cui<br />

<strong>in</strong>vece si fonda:<br />

1- divisione del lavoro: specializzazione delle mansioni cui segue la necessità<br />

dello scambio per aumentare la produttività;<br />

2- concetto di “sviluppo”: <strong>in</strong>teso come preoccupazione da parte della<br />

generazioni presente di occuparsi di quella del futuro (concetto di solidarietà<br />

<strong>in</strong>tergenerazionale);<br />

3- pr<strong>in</strong>cipio della libertà d’impresa: chi ha le doti 37 per essere imprenditore deve<br />

essere lasciato libero d’<strong>in</strong>iziare un’attività, poiché se c’è libertà di impresa c’è<br />

37 Le doti proprie di un imprenditore sono reputate essere: la propensione al rischio,<br />

l’<strong>in</strong>novatività/creatività, l’ars comb<strong>in</strong>atoria (<strong>in</strong>tesa come capacità organizzativa).<br />

133


competizione e, qu<strong>in</strong>di, una selezione qualitativa che va a vantaggio del<br />

consumatore f<strong>in</strong>ale.<br />

La differenza tra un’economia di mercato che assume un orientamento capitalistico<br />

ed un’economia di mercato civile risiede nella quarta caratteristica: quella relativa al<br />

f<strong>in</strong>e ultimo dell’agire.<br />

Come abbiamo (vedi supra par. 2.2.2), <strong>in</strong>fatti, c’è differenza tra il concetto di bene<br />

totale e bene comune, essendo il primo il risultato di una sommatoria e il secondo di una<br />

produttoria.<br />

L’economia civile fonda la sua attività sul perseguimento del bene comune, tramite,<br />

soprattutto, il pr<strong>in</strong>cipio di reciprocità. Questo postula l’esistenza del concetto di<br />

fraternità: mentre il pr<strong>in</strong>cipio di equità consente ai diversi di essere uguali, il pr<strong>in</strong>cipio<br />

di fraternità permette agli uguali di essere diversi, <strong>in</strong> quanto si basa sul concetto di<br />

“pluralismo” e sulla prospettiva personale.<br />

Ma “reciprocare” significa anche cooperare, ovvero operare <strong>in</strong>sieme per raggiungere<br />

un obiettivo (più o meno materiale), e per farlo deve esistere fiducia tra i soggetti della<br />

relazione, il che presuppone la loro conoscenza. L’atto di fidarsi è, <strong>in</strong>fatti, la<br />

comb<strong>in</strong>azione di credere negli altri e nella loro affidabilità e delle preferenze specifiche<br />

(avversione al rischio, reciprocità, altruismo) di chi si fida.<br />

Le due componenti della fiducia sono pertanto credenze e preferenze, <strong>in</strong> cui le prime<br />

sono più d<strong>in</strong>amiche delle seconde. È stato dimostrato (Sapienza, Toldra, Z<strong>in</strong>gales, 2007)<br />

come la variabilità di ognuna di queste due componenti dipende dal livello di<br />

omogeneità e dal livello di conoscenza reciproca all’<strong>in</strong>terno di ogni caso preso ad<br />

esempio.<br />

Se esiste questa conoscenza allora sarà possibile cooperare anche da un punto di vista<br />

prettamente economico, <strong>in</strong> modo tale da generare così sviluppo economico.<br />

Concludendo il ragionamento, la democrazia <strong>in</strong>tesa come bene relazionale dà vita ad<br />

uno sviluppo economico “civile”, fondato sulle relazioni tra persone e non<br />

sull’<strong>in</strong>dividualismo utilitaristico.<br />

134


4.3.2 La rivalsa dell’homo reciprocans e dell’<strong>in</strong>telligenza “emotiva”<br />

“Le emozioni hanno relazioni con l’apparato cognitivo<br />

perché si lasciano modificare dalla persuasione”<br />

(Aristotele)<br />

L’agire umano <strong>in</strong> campo economico non può essere ridotto alla mera ricerca della<br />

propria utilità, senza curarsi della realtà sociale <strong>in</strong> cui si opera.<br />

Si possono identificare, da un punto di vista temporale, due macroperiodi che vanno<br />

sotto i nomi di moderno e post-moderno (Screpanti, Zamagni, 2004).<br />

Il primo periodo vede l’affermazione della credenza nella portata universale della<br />

ragione umana e la relativa nascita dell’homo oeconomicus, che, come già esplicitato, è<br />

caratterizzato <strong>in</strong> particolar modo dalla sua razionalità soggettiva, che si traduce <strong>in</strong><br />

conoscenza perfetta e completa delle condizioni <strong>in</strong> cui opera, illimitata capacità di<br />

calcolo, abilità di trovare i giusti mezzi per giungere ai propri f<strong>in</strong>i.<br />

Con il periodo post-moderno, <strong>in</strong>vece, si assume la consapevolezza che l’uomo è<br />

razionalmente f<strong>in</strong>ito e che gli agenti economici razionali, seguendo l’agire dell’homo<br />

oeconomicus, possono operare <strong>in</strong> modo tale da non essere <strong>in</strong> grado di determ<strong>in</strong>are<br />

l’<strong>in</strong>sieme delle loro relazioni umane, isolandosi da quella che è la realtà della società<br />

civile e rendendo, conseguentemente, irragionevole il proprio comportamento.<br />

Già <strong>in</strong> precedenza (vedi supra par. 1.3.2) è stato fatto riferimento a come le ipotesi<br />

dell’homo oeconomicus si reggano su di un concetto di <strong>in</strong>telligenza limitato alle<br />

capacità di analisi e s<strong>in</strong>tesi, alle abilità logico-matematiche, nonché alla capacità di<br />

<strong>in</strong>dividuare una sequenza <strong>in</strong> una serie o di def<strong>in</strong>ire un metodo ed una struttura, ovvero<br />

alla c.d. <strong>in</strong>telligenza cognitiva.<br />

Ma è realistico pensare che l’agire umano si limiti a questo tipo di abilità <strong>in</strong>tellettiva?<br />

La risposta è, ovviamente, negativa.<br />

Due psicologi, Howard Gardner prima, e Daniel Goleman poi, hanno <strong>in</strong>dividuato<br />

altre strade di def<strong>in</strong>izione dell’<strong>in</strong>telligenza di una persona.<br />

In particolare, Goleman (1997) ha sottol<strong>in</strong>eato un particolare tipo di <strong>in</strong>telligenza c.d.<br />

emotiva (quella cui si riferisce anche Gardner quando parla di <strong>in</strong>telligenza<br />

<strong>in</strong>trapersonale e <strong>in</strong>terpersonale), legata alla capacità di provare emozioni non razionali,<br />

ma, tuttavia, di usarle <strong>in</strong> modo consapevole.<br />

È stato dimostrato da uno studio condotto presso l’Università della California di<br />

Berkeley nel febbraio 1995 come le persone dotate di grande <strong>in</strong>telligenza emotiva siano<br />

socialmente equilibrate, espansive ed allegre, non soggette a paure o al rimug<strong>in</strong>are di<br />

135


natura ansiosa; hanno la spiccata capacità di dedicarsi ad altre persone o ad una causa,<br />

di assumersi responsabilità e di avere concezioni e prospettive etiche. Inoltre, nelle loro<br />

relazioni con gli altri sono comprensive, premurose e protettive.<br />

Secondo la teoria di Goleman, la consapevolezza delle proprie emozioni ed il loro<br />

riconoscimento sono elementi chiave al f<strong>in</strong>e di maturare un rapporto fondato<br />

sull'<strong>in</strong>terscambio sociale e sulla capacità di creare empatia, un rapporto biunivoco o<br />

“uno-a-molti” e che co<strong>in</strong>volge una pluralità di <strong>in</strong>terlocutori.<br />

L'utilizzo di questa forma di <strong>in</strong>telligenza si fonda sulla capacità di <strong>in</strong>tuire i sentimenti<br />

e le aspirazioni delle persone da cui si è circondati, ed al contempo avere una piena<br />

cognizione del proprio stato d'animo.<br />

La descrizione di questa tipologia di <strong>in</strong>telligenza non rientra nel concetto di homo<br />

oeconomicus e, <strong>in</strong> questo modo, ha permesso di evidenziarne un’altra tipologia, il c.d.<br />

homo reciprocans.<br />

Partendo dalla teoria dei giochi, si <strong>in</strong>dividua come caratteristica del soggetto<br />

sopraccitato l’attribuzione di un valore positivo all’azione buona di per sé.<br />

Rielaborando, <strong>in</strong>fatti, il gioco del prigioniero proposto nel capitolo 2, e riprendendo<br />

<strong>in</strong> considerazione, come esempio, la possibilità di realizzare la raccolta differenziata, si<br />

determ<strong>in</strong>ano quattro nuove opzioni con differenti valori:<br />

1. “tutti sì, me compreso” valore = 4;<br />

2. “gli altri sì, io no” valore = 3;<br />

3. “gli altri no, io sì” valore = 2;<br />

4. “nessuno sì, me compreso” valore = 1.<br />

Date le strategie possibili coopera (C) o non coopera (NC), la matrice dei pay-off di<br />

questo gioco è la seguente:<br />

C NC<br />

C 4,4 2,3<br />

NC 3,2 1,1<br />

La soluzione adottata dall’homo reciprocans, a differenza di quello che accadeva per<br />

l’homo oeconomicus, è ottimale ed è imputabile alla ragionevolezza (<strong>in</strong>tesa come<br />

“pensiero pensante”) da lui utilizzata.<br />

L’homo reciprocans agisce <strong>in</strong> via pr<strong>in</strong>cipale seguendo il pr<strong>in</strong>cipio di reciprocità,<br />

term<strong>in</strong>e chiave dell’economia civile.<br />

136


Il suddetto pr<strong>in</strong>cipio è caratterizzato dalla presenza di tre soggetti (struttura triadica)<br />

ed una persona delle tre compie un’azione per un’altra non con una pretesa ma con<br />

un’aspettativa, pena la rottura della relazione tra le due.<br />

Negli scambi governati da questo pr<strong>in</strong>cipio si susseguono una serie di trasferimenti<br />

bi-direzionali, <strong>in</strong>dipendenti ma allo stesso tempo <strong>in</strong>terconnessi (Kolm, 1994).<br />

Il fatto che gli scambi siano <strong>in</strong>dipendenti implica che c’è volontà, libertà <strong>in</strong> ogni<br />

trasferimento, <strong>in</strong> modo tale che nessuno di questi possa essere un prerequisito di uno<br />

successivo.<br />

La bi-direzionalità dei trasferimenti, <strong>in</strong>oltre, permette di differenziare la reciprocità<br />

dal mero “altruismo”, che si manifesta attraverso trasferimenti unidirezionali, pur<br />

avendo a che fare, <strong>in</strong> entrambi i tipi di scambio, con trasferimenti di natura volontaria.<br />

L’ultima caratteristica degli scambi regolati dal pr<strong>in</strong>cipio di reciprocità è la<br />

transitività: la risposta dell’altro può anche non essere rivolta versa colui che ha<br />

scatenato la reazione di reciprocità, bensì è ammissibile che sia <strong>in</strong>dirizzata verso un<br />

terzo soggetto.<br />

Attuando questi comportamenti l’homo reciprocans non solo agisce mettendo <strong>in</strong><br />

primo piano le emozioni (l’<strong>in</strong>telligenza emotiva) ma riesce anche a rendere la<br />

razionalità “ragionevole”, così che i sentimenti possano venire prima della pura e<br />

semplice razionalità, <strong>in</strong>tesa come l’utilità caratteristica dell’homo oeconomicus.<br />

A questo punto, ricollegandosi al discorso alla base di questa trattazione, dimostrato<br />

che non esiste solo un tipo di homo, ma che è <strong>in</strong>vece possibile spostare il fulcro<br />

dell’agire economico e politico (<strong>in</strong>teso nell’accezione primordiale del term<strong>in</strong>e) sulla<br />

reciprocità piuttosto che sull’utilità degli scambi, si rende necessario capire quali<br />

caratteristiche debba avere la democrazia per poter essere considerata al pari di un bene<br />

relazionale, per fare <strong>in</strong> modo che essa sia una solida base di un’economia civile.<br />

137


4.4 Lo sviluppo futuro della democrazia: verso una democrazia<br />

deliberativa<br />

4.4.1 La democrazia deliberativa<br />

“Io ravviso dunque il più alto valore di<br />

una democrazia nella possibilità di una libera e<br />

razionale discussione e nella capacità di questa<br />

discussione critica di <strong>in</strong>cidere sulla politica.”<br />

(Karl Popper, filosofo)<br />

La democrazia elitistico-competitiva è giustamente criticata per essere la forma<br />

politica che rappresenti l’aggregazione degli <strong>in</strong>teressi <strong>in</strong>dividuali, ignorando, <strong>in</strong>vece,<br />

concetti come partecipazione, confronto, cooperazione e riconoscimento reciproco.<br />

Il limite più grande della democrazia rappresentativa è quello di non riconoscere alla<br />

società civile di ricoprire un ruolo determ<strong>in</strong>ante per lo sviluppo di se stessa e delle sue<br />

componenti.<br />

La necessità di adottare un atteggiamento critico che si <strong>in</strong>dirizzi alla contestazione<br />

degli attuali assetti politico-istituzionali e socio-economici e di concentrarsi sul reale<br />

funzionamento dei processi democratici – basati sulla legittimità delle procedure<br />

democratiche – ha portato ad una ragionevole proposta di modello democratico: essa<br />

deriva dai sostenitori – uno per tutti, James Fishk<strong>in</strong> – di quella che va sotto il nome di<br />

democrazia deliberativa, cioè un regime politico <strong>in</strong> cui la legittimazione di un<br />

ord<strong>in</strong>amento dipende dalla capacità dei cittad<strong>in</strong>i di discutere gli affari pubblici e basato<br />

su una visione generale della società che attribuisce perciò grande peso alla loro<br />

dotazione di <strong>in</strong>formazioni ed argomenti, alla loro partecipazione alla vita politica e alla<br />

loro autonomia morale (Bosetti, Maffettone, 2004).<br />

Bisogna sottol<strong>in</strong>eare la differenza concettuale che il term<strong>in</strong>e deliberazione ha: <strong>in</strong><br />

<strong>in</strong>glese, <strong>in</strong>fatti, “deliberation” <strong>in</strong>dica il processo attraverso cui una questione viene<br />

esam<strong>in</strong>ata e se ne valutano pro e contro prima di prendere una decisione; <strong>in</strong> italiano,<br />

“deliberazione” si sposta temporalmente sulla fase decisionale poiché <strong>in</strong>dica l’atto di<br />

prendere una decisione dopo aver esam<strong>in</strong>ato i pro e i contro (Martello, 2007).<br />

Ad ogni modo, la democrazia deliberativa rientra nel concetto più ampio di<br />

democrazia diretta, quella che ha caratterizzato il governo ateniese dal VI al IV secolo<br />

138


a.C. e che realizza pienamente l’identificazione tra governanti e governati 38 , secondo il<br />

pr<strong>in</strong>cipio per cui, se il dom<strong>in</strong>io è <strong>in</strong>evitabile, sia il popolo ad esercitarlo su di esso<br />

(Marchese, Manc<strong>in</strong>i, Greco, Ass<strong>in</strong>i, 1997).<br />

Le caratteristiche pr<strong>in</strong>cipali del metodo deliberativo sono tre (Bruni, Zamagni, 2004):<br />

1. la deliberazione riguarda le cose che sono <strong>in</strong> nostro potere; il che fa della<br />

deliberazione un discorso volto alla decisione di qualcosa che ci riguarda;<br />

2. la deliberazione è un metodo per cercare la verità pratica e, pertanto, è<br />

<strong>in</strong>compatibile con lo scetticismo morale; non può qu<strong>in</strong>di essere considerata una<br />

pura tecnica senza valori;<br />

3. il processo deliberativo postula la possibilità dell’auto-correzione, di modo tale<br />

che ognuno possa cambiare le proprie preferenze ed op<strong>in</strong>ioni alla luce di ragioni<br />

addotte dall’altra parte.<br />

La democrazia deliberativa prevede il perseguimento di due valori complementari,<br />

l’uguaglianza politica, ovvero ponderare con uguale peso i punti di vista di tutti i<br />

membri del corpo sociale, e la deliberazione, la cui qualità dipende, secondo Fishk<strong>in</strong>, da<br />

quattro fattori cruciali:<br />

a. argomentazione completa;<br />

b. <strong>in</strong>formazioni precise sul tema;<br />

c. consapevolezza e correttezza delle persone co<strong>in</strong>volte;<br />

d. pluralismo delle posizioni presentate.<br />

Il processo deliberativo si basa sullo scambio dialogico e deve rispondere ai requisiti<br />

di uguaglianza politica, non-tirannia e pubblicità dello spazio di discussione (Bohman,<br />

2006) 39 ; di conseguenza deve fondarsi su un riconoscimento reciproco – sviluppato<br />

tramite adeguate forme comunicative – e sulla cooperazione sociale, perseguendo f<strong>in</strong>i di<br />

giustizia sociale, <strong>in</strong>tesa come <strong>in</strong>sieme delle condizioni istituzionali che promuovono<br />

l’autodeterm<strong>in</strong>azione e l’autosviluppo di ciascun membro della società.<br />

Certamente sbaglia chi ritiene che un simile modello di democrazia sia facile da<br />

implementare, ma credo altrettanto che sia necessario sforzarsi verso questo tipo di<br />

governo <strong>in</strong> quanto qualsiasi decisione politica ha delle ripercussioni sui diritti di ognuno<br />

di noi; per cui tutti dovrebbero poter esprimersi <strong>in</strong> merito e avere il “diritto di essere<br />

ascoltati”.<br />

38 “Ma la tendenza democratica, <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>secamente, non può solo significare che un operaio<br />

manovale diventi qualificato, ma che ogni cittad<strong>in</strong>o può diventare governante e che la società lo<br />

pone, sia pure astrattamente, nelle condizioni generali di poterlo diventare; la democrazia<br />

politica tende a far co<strong>in</strong>cidere governanti e governati” – Antonio Gramsci.<br />

39 Bohman, J., <strong>in</strong> Zola, D., (2006).<br />

139


Come propone Fishk<strong>in</strong>, per soddisfare la necessità di una maggiore consapevolezza<br />

dei cittad<strong>in</strong>i di fronte ai programmi politici <strong>in</strong> discussione, si potrebbe implementare il<br />

c.d. sondaggio deliberativo (deliberative poll<strong>in</strong>g), una forma di sondaggio, su temi<br />

specifici, che consiste nell’usare un campione tradizionale – scelto con metodi<br />

demoscopici 40 – <strong>in</strong> modo non tradizionale, cioè riunire tra le trecento e le c<strong>in</strong>quecento<br />

persone, così come avveniva nell’antica Grecia 41 , compensate per il distacco dalle loro<br />

attività, <strong>in</strong> un unico luogo e farle rispondere ad un questionario di base;<br />

successivamente, si tratta di far loro ricompilare il questionario dopo aver fornito però<br />

delle <strong>in</strong>formazioni, averli fatti confrontare con esperti e, soprattutto, averne discusso tra<br />

di loro.<br />

L’obiettivo è duplice: da un lato <strong>in</strong>centivare la partecipazione dei cittad<strong>in</strong>i alla<br />

gestione del bene comune e dall’altro predisporre un sistema strutturale di <strong>in</strong>formazioni.<br />

La partecipazione è un problema non di poco conto se si considera che ogni volta si<br />

prendono <strong>in</strong> considerazione “solo” trecento/c<strong>in</strong>quecento persone per il sondaggio; la<br />

proposta di Fishk<strong>in</strong> (<strong>in</strong>sieme ad Ackerman) diventa allora quella di istituire delle<br />

“giornate della deliberazione”, i c.d. deliberation days, giorni di festività nazionale, da<br />

dedicare alla deliberazione su larga scala dell’<strong>in</strong>tera popolazione, con i metodi del<br />

sondaggio deliberativo.<br />

Uno degli esempi più recenti di sondaggio deliberativo riguarda l’op<strong>in</strong>ione pubblica<br />

europea: è stata realizzato, <strong>in</strong>fatti, per la prima volta a livello europeo un deliberative<br />

poll<strong>in</strong>g presso il parlamento di Bruxelles, tra il 12 e il 14 ottobre 2007 (Buonocore,<br />

2007).<br />

L’esperimento ha visto la presenza di 362 persone, “semplici” cittad<strong>in</strong>i, a<br />

rappresentanza dell’<strong>in</strong>tera popolazione europea, i quali sono stati <strong>in</strong>formati su temi<br />

complessi ed impegnativi come il ruolo dell’UE:<br />

nelle politiche di Welfare nazionali;<br />

nei mercati del lavoro;<br />

nella competizione economica globale;<br />

nelle politiche energetiche;<br />

nell’allargamento e nell’esigenza di una comune politica estera.<br />

40 Il metodo demoscopico si basa su un sondaggio dell'op<strong>in</strong>ione pubblica <strong>in</strong> merito a determ<strong>in</strong>ate<br />

questioni e viene effettuato con metodi statistici (Dizionario della l<strong>in</strong>gua italiana, Garzanti,<br />

2008).<br />

41 Nella polis del IV secolo a.C. l’Assemblea aveva perso la sua antica autorità e tutte le<br />

decisioni istituzionali più importanti venivano prese nell’ambito di piccoli gruppi di circa<br />

c<strong>in</strong>quecento cittad<strong>in</strong>i estratti a sorte (Bosetti, Maffettone, 2004).<br />

140


Dopo la prima fase di <strong>in</strong>formazione, essi sono stati divisi <strong>in</strong> gruppi multil<strong>in</strong>guistici –<br />

con a disposizione traduttori simultanei del Parlamento e moderatori che gestivano i<br />

dibattiti – per discutere tra di loro e giungere, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, alla manifestazione della loro<br />

op<strong>in</strong>ione <strong>in</strong> merito.<br />

L’esperienza, così come dedotto dagli organizzatori leggendo i questionari f<strong>in</strong>ali<br />

compilati dai 362 soggetti, è stata molto preziosa e utile.<br />

Anche <strong>in</strong> Italia sono stati mossi i primi passi verso il sondaggio <strong>in</strong>formato “à la<br />

Fishk<strong>in</strong>” e più precisamente dalla Regione Lazio. Qui, <strong>in</strong>fatti, si è svolto il 03 dicembre<br />

2006 un deliberative poll<strong>in</strong>g <strong>in</strong> merito ai temi della politica e dell’amm<strong>in</strong>istrazione<br />

locale.<br />

È stato <strong>in</strong>dividuato un campione rappresentativo per età, sesso e condizione sociale<br />

composto da 119 cittad<strong>in</strong>i laziali.<br />

Il risultato raggiunto è stato un 85% del totale con un’idea più chiara sui temi<br />

affrontati.<br />

Personalmente, la mia op<strong>in</strong>ione <strong>in</strong> merito è duplice: da un lato, ritengo che la<br />

partecipazione dei cittad<strong>in</strong>i alla vita politica, nonché civile, sia fondamentale e<br />

configurabile come un diritto naturale e, perciò, sostengo il concetto di democrazia<br />

deliberativa.<br />

Più nello specifico, giudico <strong>in</strong> maniera positiva il sondaggio deliberativo, ma solo<br />

quando esso viene applicato alla luce dei suoi limiti: con questo voglio dire che credo<br />

che il sondaggio deliberativo possa risultare efficace nel momento <strong>in</strong> cui la sua<br />

applicazione avvenga <strong>in</strong> un’ottica di breve periodo, con l’obiettivo di responsabilizzare<br />

le persone e stimolare <strong>in</strong> loro l’<strong>in</strong>teresse verso la partecipazione e l’<strong>in</strong>formazione su fatti<br />

che le co<strong>in</strong>volgono <strong>in</strong> quanto cittad<strong>in</strong>i, non di un paese o di una città, ma del mondo.<br />

In un’ottica di lungo periodo ritengo, <strong>in</strong>vece, maggiormente auspicabile che<br />

l’attenzione verso certe tematiche e problematiche nasca “dal basso”, direttamente dai<br />

cittad<strong>in</strong>i, come se fosse naturale (ma la questione <strong>in</strong> realtà dovrebbe essere: “perché non<br />

dovrebbe esserlo?”) occuparsene.<br />

In tal caso, il problema – che sussiste anche quando parliamo di sondaggio<br />

deliberativo – sarebbe quello di garantire una corretta <strong>in</strong>formazione ai cittad<strong>in</strong>i: la<br />

dis<strong>in</strong>formazione, <strong>in</strong>fatti, è un problema non meno importante e frequente della<br />

partecipazione.<br />

I mezzi che producono <strong>in</strong>formazioni sono sempre più concentrati <strong>in</strong> poche mani e<br />

simili tra loro, le fonti delle notizie sono sempre le stesse, la ricerca dell’articolo “ad<br />

141


effetto” da parte dei giornalisti fa passare spesso <strong>in</strong> secondo piano i pr<strong>in</strong>cipi della<br />

deontologia professionale.<br />

Da questo punto di vista, la nostra società assomiglia sempre di più a quella descritta<br />

da George Orwell <strong>in</strong> “1984”, <strong>in</strong> cui lo slogan del “M<strong>in</strong>istero della Verità” recitava così:<br />

“La guerra è pace,<br />

la libertà è schiavitù,<br />

l’ignoranza è forza.”<br />

Ma quando Orwell scrisse il suo romanzo nel 1948 non poteva prevedere anche la<br />

terza rivoluzione <strong>in</strong>dustriale, che ha fatto delle ICT ed, <strong>in</strong> particolar modo, di Internet, il<br />

mezzo di comunicazione (e <strong>in</strong> un certo senso di democrazia) per eccellenza.<br />

Internet, <strong>in</strong> quanto spazio virtuale, ha permesso la nascita di spazi liberi ed<br />

<strong>in</strong>dipendenti, nati con l’obiettivo di poter fare discutere e partecipare le persone ed<br />

abbattere le barriere della conoscenza.<br />

Ovviamente, anche <strong>in</strong> questo caso è necessario fare un dist<strong>in</strong>guo tra i diversi casi di<br />

applicazione di Internet, rispetto al concetto di democrazia: non si può certo affermare<br />

che Internet ed i siti web che permettono di creare op<strong>in</strong>ioni popolari, solo perché<br />

aggregano i voti <strong>in</strong>dividuali espressi dai cittad<strong>in</strong>i <strong>in</strong> merito a determ<strong>in</strong>ate materie,<br />

possano essere considerati rappresentanti del concetto di democrazia deliberativa, <strong>in</strong><br />

quanto non c’è scambio di <strong>in</strong>formazioni e di op<strong>in</strong>ioni ex ante (Sunste<strong>in</strong>, 2003).<br />

Ma se, <strong>in</strong>vece, Internet fosse proprio lo scenario per i sondaggi deliberativi, il luogo<br />

per realizzare discussioni su argomenti civili?<br />

Rimango dell’op<strong>in</strong>ione che lo scenario migliore per deliberare sia il proprio luogo di<br />

vita quotidiano, perché le relazioni personali non possono essere sostituite da quelle<br />

virtuali; nonostante questo, non sarebbe un’ottima alternativa per quei casi <strong>in</strong> cui<br />

impedimenti – come, ad esempio, la distanza fisica – limiterebbero altrimenti la<br />

possibilità di partecipare ad un dibattito o di scambiarsi <strong>in</strong>formazioni <strong>in</strong> merito ad uno<br />

specifico tema?<br />

Vedremo <strong>in</strong> un successivo paragrafo (par. 4.4.3) l’approfondimento dell’argomento<br />

democrazia deliberativa applicato alle ICT.<br />

Più <strong>in</strong> generale, viene a configurarsi un diritto necessario e fondante del diritto stesso<br />

di partecipazione alla vita civile e di deliberazione: quello di “accesso<br />

all’<strong>in</strong>formazione”, necessaria per esprimere il proprio parere e poter applicare il<br />

concetto di democrazia deliberativa.<br />

142


4.4.2 Gli effetti economici della democrazia diretta<br />

Ad oggi, numerosi studi empirici hanno dimostrato che le istituzioni della<br />

democrazia diretta hanno effetti significativi e robusti sui risultati economici di un<br />

paese.<br />

L’analisi di Persson e Tabell<strong>in</strong>i (2003) aveva analizzato gli effetti delle istituzioni su<br />

una serie di variabili:<br />

1. politica fiscale: le dimensioni del governo, la composizione della spesa del<br />

governo, la dimensione del deficit di bilancio;<br />

2. estrazione di rendite da parte del governo: <strong>in</strong> particolare, la corruzione<br />

percepita dal governo e l’efficacia con cui il governo fornisce beni pubblici e<br />

servizi;<br />

3. misure composte dalle politiche promotrici di crescita così come la protezione<br />

dei diritti di proprietà privata: queste possono avere riflessi nel lavoro così<br />

come nella produttività totale dei fattori.<br />

Dall’analisi di Blume, Müller e Voigt (2007) deriva una significativa <strong>in</strong>fluenza delle<br />

istituzioni democratiche dirette sulle variabili della politica fiscale.<br />

La presenza di istituzioni democratiche dirette è correlata ad una più bassa spesa da<br />

parte del governo, ad una riduzione del deficit di bilancio e della corruzione così come<br />

ad una maggiore efficacia delle azioni del governo e ad un migliore sviluppo<br />

economico.<br />

Come sostenuto da Persson (2005), <strong>in</strong>fatti, la forma di democrazia adottata <strong>in</strong> un<br />

paese ha delle conseguenze importanti per l’adozione di politiche strutturali che<br />

promuovono le performance economiche di lungo periodo.<br />

La forma di democrazia potrebbe essere uno dei collegamenti mancanti tra storia,<br />

politica attuale e sviluppo economico di un paese: se effettivamente le istituzioni<br />

<strong>in</strong>cidono sulla politica fiscale e sulla corruzione, probabilmente esse saranno<br />

rispecchiate anche nelle politiche strutturali che promuovono lo sviluppo economico<br />

così come i diritti di proprietà che preservano regolamenti e politiche commerciali non<br />

protezionistiche.<br />

Se la storia e la cultura effettivamente <strong>in</strong>cidono sulle istituzioni societarie importanti,<br />

esse saranno rispecchiate molto probabilmente nella progettazione delle istituzioni<br />

politiche, così come la forma di governo o il sistema elettorale.<br />

La forma di democrazia è, dunque, critica per la progettazione del commercio e dei<br />

regimi regolatori.<br />

143


4.4.3 La partecipazione diretta nelle realtà globali e locali<br />

Lo strumento del deliberative poll<strong>in</strong>g nasce e si sviluppa come mezzo di diffusione<br />

del concetto di democrazia diretta. Tuttavia, non può avere la pretesa di essere<br />

considerato l’unico metodo attraverso cui possa essere diffusa la partecipazione attiva<br />

dei cittad<strong>in</strong>i.<br />

Durante un <strong>in</strong>contro dal titolo “Democrazia locale e nuove forme di partecipazione”,<br />

tenutosi <strong>in</strong> data 15 febbraio 2008, un professore francese, Yves S<strong>in</strong>tomer, ha proposto<br />

una tassonomia sulle diverse forme di partecipazione possibili, composta da sei modelli,<br />

tenendo conto di c<strong>in</strong>que variabili:<br />

contesto sociale, politico ed economico;<br />

quadro ideologico e scopi ufficiali (amm<strong>in</strong>istrativi, sociali, politici, ecologici,<br />

economici, ecc.);<br />

procedure partecipative;<br />

d<strong>in</strong>amica dell’azione collettiva;<br />

relazione tra politica partecipativa e politica convenzionale.<br />

I modelli così <strong>in</strong>dividuati sono (Ardizzoni, 2008):<br />

1. democrazia partecipativa: presenza di forte politicizzazione e comb<strong>in</strong>azione di<br />

tecniche top-down e bottom-up, per una società civile forte <strong>in</strong> cui si assiste<br />

l’empowerment delle classi medie;<br />

2. democrazia di prossimità: strumentalizzazione della partecipazione <strong>in</strong> quanto la<br />

prossimità è solo geografica, ma non è lasciata ampia autonomia alla società<br />

civile; il governo locale è forte ed agisce dall’alto senza però impartire regole<br />

chiare;<br />

3. modernizzazione partecipativa: strumentalizzazione della partecipazione, attuata<br />

solo per trasmettere l’idea di una modernizzazione dell’amm<strong>in</strong>istrazione locale<br />

che <strong>in</strong>vece impartisce gli ord<strong>in</strong>i dall’alto;<br />

4. partenariato pubblico/privato partecipato: la posizione dom<strong>in</strong>ante è rivestita<br />

questa volta dal mercato; i governi locali sono deboli, ma <strong>in</strong> questo modo non<br />

vengono esclusi i cittad<strong>in</strong>i;<br />

5. sviluppo comunitario: i cittad<strong>in</strong>i partecipano attivamente alle decisioni e sono<br />

loro che poi sviluppano i progetti <strong>in</strong>erenti;<br />

6. neo-corporativismo: lo Stato afferma il suo ruolo <strong>in</strong> modo centrale, ma anche<br />

l’organizzazione degli <strong>in</strong>teressi <strong>in</strong> associazioni che poi partecipano alla<br />

144


discussione sulle politiche pubbliche. La partecipazione è settoriale e la<br />

pianificazione strategica.<br />

È sufficientemente ovvio e reale che esistano dei limiti al passaggio, <strong>in</strong> un periodo di<br />

tempo breve, da una democrazia rappresentativa ad una totalmente diretta;<br />

probabilmente, non è nemmeno auspicabile che l’una v<strong>in</strong>ca def<strong>in</strong>itivamente sull’altra<br />

senza vivere una fase di transizione, di mediazione tra le due forme di democrazia, per<br />

poter cogliere gli errori del passato e farli diventare i punti di forza del futuro, ottenendo<br />

così la miglior forma di democrazia che possa nascere “dai cittad<strong>in</strong>i, per i cittad<strong>in</strong>i”.<br />

Attualmente, per un paese <strong>in</strong> cui vige il regime democratico elitistico-competitivo,<br />

sarebbe auspicabile un cambiamento lungo tre direzioni:<br />

a. una maggiore partecipazione aperta a tutti i cittad<strong>in</strong>i;<br />

b. una comb<strong>in</strong>azione di democrazia diretta e rappresentativa, con regole <strong>in</strong>terne<br />

determ<strong>in</strong>ate dai partecipanti;<br />

c. un’allocazione delle risorse per gli <strong>in</strong>vestimenti basata su di una comb<strong>in</strong>azione di<br />

criteri generali e tecnici.<br />

Quanto appena descritto è ciò che avvenne nel 1989 a Porto Alegre, capitale dello<br />

stato brasiliano di Rio Grande do Sul, una città quasi di conf<strong>in</strong>e, con un’economia<br />

basata sul commercio e il terziario e una prevalenza di microimprese.<br />

Quando nel 1988 il Partido dos Trabalhadores (Partito dei Lavoratori, coalizione<br />

politica di s<strong>in</strong>istra) andò al governo fece, <strong>in</strong>nanzitutto, una riforma fiscale per drenare le<br />

risorse; poi, <strong>in</strong>ventò <strong>in</strong>sieme alla cittad<strong>in</strong>anza dei modi per far partecipare quante più<br />

persone possibili alle scelte collettive.<br />

Nasce così la partecipazione sociale al bilancio (o bilancio partecipativo –<br />

Orçamento Participativo – OP) come processo, organizzato e guidato<br />

dall’amm<strong>in</strong>istrazione, con il quale il cittad<strong>in</strong>o viene chiamato a partecipare a scelte<br />

<strong>in</strong>erenti la dest<strong>in</strong>azione di spesa di una parte del bilancio comunale e che nasce dalla<br />

necessità di co<strong>in</strong>volgere i cittad<strong>in</strong>i nella risoluzione di determ<strong>in</strong>ati problemi che<br />

riguardano il territorio <strong>in</strong> cui vivono, favorendone l’<strong>in</strong>teressamento e la partecipazione.<br />

L’obiettivo pr<strong>in</strong>cipale è quello di formare un’opportuna coscienza civica e di<br />

costruire una vera e propria comunità di persone sensibili allo sviluppo e alla vita del<br />

proprio territorio.<br />

La proposta di Porto Alegre fonda le sue radici <strong>in</strong> una tradizione di autonomia e di<br />

movimenti popolari urbani, su cui si sono spontaneamente costituite le 16 aree <strong>in</strong> cui è<br />

suddivisa la città.<br />

145


Tramite la pratica dell’OP, sono attivamente co<strong>in</strong>volti ogni anno circa 45.000<br />

cittad<strong>in</strong>i (su un totale di 1.300.000 abitanti) 42 .<br />

La preparazione annuale dell’OP si articola <strong>in</strong> due percorsi paralleli, uno territoriale e<br />

l’altro tematico, ed è scadenzata <strong>in</strong> due turni pr<strong>in</strong>cipali, separati da un periodo<br />

<strong>in</strong>termedio di discussioni (assembleias <strong>in</strong>termediarias) nei vari quartieri delle 16 aree<br />

della città.<br />

La prima tornata, che avviene tra marzo ed aprile, si sviluppa <strong>in</strong> 16 assemblee<br />

plenarie territoriali, una per regione comunale, e 5 assemblee plenarie su altrettante<br />

tematiche:<br />

trasporto e circolazione;<br />

salute ed assistenza sociale;<br />

educazione, cultura e riposo;<br />

sviluppo economico e tassazione;<br />

sviluppo urbano.<br />

In queste assemblee si presentano i conti e si valutano le opere realizzate nell’anno<br />

solare precedente, si eleggono i delegati per i Forum dei Delegati della Regione e per la<br />

Plenaria Tematica, <strong>in</strong> numero proporzionale alla partecipazione dei s<strong>in</strong>goli quartieri<br />

all’assemblea della regione comunale.<br />

I delegati hanno il compito di organizzare la partecipazione popolare alle assemblee,<br />

mantenendo un costante contatto con i contesti locali di appartenenza, a com<strong>in</strong>ciare<br />

dalla tornata <strong>in</strong>termedia, che si svolge <strong>in</strong> ogni regione tra aprile e maggio con dec<strong>in</strong>e di<br />

riunioni di quartiere.<br />

Nella seconda tornata, i delegati eleggono i consiglieri, due per ogni regione e due<br />

per ogni tema (qu<strong>in</strong>di 32 più 10), eleggibili al più per due cariche consecutive, i quali<br />

vanno a comporre il Consiglio Popolare del Bilancio Partecipativo (COP).<br />

I consiglieri hanno l’<strong>in</strong>carico di valutare le priorità di bilancio emerse nelle riunioni<br />

precedenti e di organizzare la proposta di programma di <strong>in</strong>vestimento da presentare<br />

all’amm<strong>in</strong>istrazione comunale.<br />

A questo punto, si tratta di trovare nel confronto con gli organismi del governo<br />

municipale propriamente detti il giusto equilibrio di bilancio: ciò avviene tramite un<br />

dialogo tra le parti – non esente da momenti di tensione – e coerentemente a tre criteri<br />

generali:<br />

42 Il 58% sono donne, il 42% maschi; i bianchi sono il 61%, i neri il 20%, gli <strong>in</strong>dios il 3,6%. I<br />

ceti meno istruiti e con reddito <strong>in</strong>feriore partecipano di più, ma la tendenza vede un aumento<br />

dell’<strong>in</strong>teresse delle classi medie (Cangemi, 2002).<br />

146


1. popolazione totale della s<strong>in</strong>gola regione;<br />

2. grado di carenza di servizi e <strong>in</strong>frastrutture;<br />

3. priorità tematiche <strong>in</strong>dicate da ogni regione.<br />

La redazione f<strong>in</strong>ale della proposta di bilancio, approvata o modificata dal COP,<br />

dovrà essere discussa e convalidata dal Consiglio Comunale entro la f<strong>in</strong>e di novembre.<br />

Essa costituirà la base del nuovo piano di <strong>in</strong>vestimenti.<br />

Le pr<strong>in</strong>cipali caratteristiche di questo processo democratico che è il bilancio<br />

partecipativo sono sostanzialmente tre:<br />

a. la partecipazione avviene su base volontaria e a titolo assolutamente gratuito;<br />

b. il bilancio partecipativo non possiede una base strettamente legale, ma si erge<br />

su una base prevalentemente morale – la sua forza risiede nel “patto politico”<br />

tra amm<strong>in</strong>istrazione popolare e cittad<strong>in</strong>i;<br />

c. il bilancio partecipativo è regolato da un articolo dello Statuto comunale – e<br />

non da una vera e propria legge ad hoc –, la cui <strong>in</strong>formalità permette<br />

modifiche e correzioni anche <strong>in</strong> corso d’opera.<br />

Con queste modalità di azione, Porto Alegre è stata la prima città a perseguire<br />

palesemente tre obiettivi di fondamentale rilevanza:<br />

una migliore valutazione delle necessità e delle energie sociali della popolazione;<br />

rifondare la relazione di fiducia fra cittad<strong>in</strong>i ed istituzioni;<br />

ridare significato all’asfittica capacità di rappresentanza dimostrata negli anni<br />

precedenti dalla classe politica al governo della città.<br />

I risultati di cui si può vantare Porto Alegre sono visibili a tutti: se nel 1987 erano<br />

400.000 i poveri che abitavano <strong>in</strong> 200 favelas, oggi molte di queste sono stata<br />

riqualificate ed urbanizzate, il 99% della popolazione dispone di acqua potabile e il 92%<br />

di servizi igienici.<br />

Le scuole comunali da 29 sono diventate 90 e l’evasione scolastica si è ridotta a<br />

meno del 2%.<br />

Ci sono progetti per lo sviluppo di piccole imprese e cooperative nell’ambito<br />

dell’economia popolare solidale e gli <strong>in</strong>dicatori dell’H<strong>DI</strong> si avvic<strong>in</strong>ano a quelli del Nord<br />

del mondo: l’aspettativa di vita è di 70,3 anni, la mortalità <strong>in</strong>fantile è del 15 per mille, la<br />

popolazione alfabetizzata è il 97%.<br />

Inoltre, Porto Alegre è considerata dall’ONU, che raccomanda il bilancio<br />

partecipativo come best practice, una delle quaranta città meglio gestite al mondo.<br />

147


L’<strong>in</strong>troduzione dell’OP ha migliorato la vita di migliaia di persone e ha ridotto le<br />

forme di clientelismo e di corruzione.<br />

Parallelamente, ha sviluppato il senso di responsabilità collettiva e di appartenenza<br />

alla comunità, la capacità di risolvere conflitti e di costruire patti sociali, la coscienza<br />

critica e il controllo sull’operato dei politici, ma anche la comprensione di quanto è<br />

complesso gestire una metropoli.<br />

E soprattutto la crescita del sapere collettivo sui propri luoghi di vita e la<br />

progettazione di nuovi modelli di sviluppo e convivenza.<br />

L’esempio di Porto Alegre è stato da qualche anno “esportato” <strong>in</strong> altre realtà: oltre<br />

140 città <strong>in</strong> Brasile, <strong>in</strong>fatti, hanno adottato l’OP, così come altre <strong>in</strong> America Lat<strong>in</strong>a<br />

(Montevideo, Rosario, Buenos Aires) hanno <strong>in</strong>iziato a sperimentare strumenti di<br />

partecipazione modellati sull’OP, adattandoli a territori, storie e culture differenti.<br />

L’eco brasiliano è arrivato f<strong>in</strong>o ai paesi dell’Occidente: prima <strong>in</strong> Francia (Sa<strong>in</strong>t<br />

Denis, Bobigny, Morsane sur Orge), poi <strong>in</strong> Inghilterra (Manchester) e <strong>in</strong> Spagna (San<br />

Feliu de Llobregat, Rubi e alcune sperimentazioni alla Diputacio di Barcellona), f<strong>in</strong>o<br />

alle città tedesche di Moenchweiler e Blumberg e <strong>in</strong> altre del Land Nordreno-Westfalia,<br />

alla neozelandese Christchurch e ad alcune città USA.<br />

L’esempio di Porto Alegre è stato decl<strong>in</strong>ato <strong>in</strong> Francia secondo il modello della<br />

“democrazia di prossimità” attraverso la legge n°276/2002 (detta anche “Loi Vaillant”),<br />

facente parte di quei testi di legge concentrati sulla statuizione “formale” di diritti alla<br />

partecipazione popolare delle scelte, <strong>in</strong>seriti all’<strong>in</strong>terno di leggi “di riforma<br />

dell’ord<strong>in</strong>amento e degli statuti degli enti locali”. La legge si pone i seguenti obiettivi:<br />

avvic<strong>in</strong>are maggiormente i cittad<strong>in</strong>i alle decisioni locali;<br />

r<strong>in</strong>forzare (<strong>in</strong> quanto già altre disposizioni legislative li prevedevano) i diritti<br />

degli elettori locali, <strong>in</strong> particolare quelli dell’opposizione – diritto<br />

all’<strong>in</strong>formazione e di partecipazione;<br />

facilitare l’accesso ai mandati locali, articolare meglio questi mandati con<br />

l’attività professionale, r<strong>in</strong>forzare la formazione degli elettori locali e migliorare<br />

le condizioni di esercizio dei mandati;<br />

assicurare la trasparenza dei processi di elaborazione dei progetti di<br />

ristrutturazione e di equipaggiamento così come la partecipazione del pubblico<br />

all’elaborazione di grandi progetti.<br />

148


All’orig<strong>in</strong>e dell’<strong>in</strong>troduzione di questa trasformazione vi è l’idea che gli eletti sono<br />

disponibili, con sempre maggiore frequenza, ad ascoltare i cittad<strong>in</strong>i, ma senza<br />

compartire il potere decisionale.<br />

La legge sulla democrazia di prossimità <strong>in</strong>trodusse sostanzialmente due strumenti di<br />

partecipazione: i Consigli di Quartiere e i Fondi di Quartiere (Allegretti, Herzberg,<br />

2004).<br />

I primi vennero <strong>in</strong>trodotti obbligatoriamente <strong>in</strong> tutte le città con oltre 80.000 abitanti;<br />

nonostante questo sia uno strumento che riconosce un grado di partecipazione alle scelte<br />

che propone soluzioni e punti di vista diversi dalla volontà delle autorità locali, tuttavia,<br />

nella maggioranza dei casi, il suo ruolo resta meramente consultivo. Al Consiglio di<br />

Quartiere partecipano il S<strong>in</strong>daco, i consigliere eletti, gli abitanti o alcuni rappresentanti<br />

dell’associazionismo; i temi sono per lo più micro-locali e riguardano la gestione del<br />

quartiere – trasporti, urbanistica, sicurezza, spazi pubblici, ecc.<br />

L’altro strumento di partecipazione è costituito dai Fondi di Quartiere (o “portafogli<br />

di quartiere”) che hanno <strong>in</strong>trodotto delle forme di democrazia diretta su scala micro-<br />

locale. I cittad<strong>in</strong>i, riuniti <strong>in</strong> assemblee aperte o attraverso riunioni di rappresentanti<br />

nom<strong>in</strong>ati <strong>in</strong> maniera diversa, possono decidere su un quantitativo di denaro dest<strong>in</strong>ato ad<br />

<strong>in</strong>vestimenti <strong>in</strong>frastrutturali o a dei progetti locali.<br />

Negli ultimi anni grazie al Fondo di Partecipazione degli Abitanti (FPH), le<br />

esperienze sono passate da qualche dec<strong>in</strong>a ad alcune cent<strong>in</strong>aia <strong>in</strong> tutto il paese.<br />

In Francia, la struttura del bilancio partecipativo permette forme di deliberazione<br />

dove il potere decisionale è condiviso tra i cittad<strong>in</strong>i e la municipalità, grazie ad<br />

organismi di rappresentanza che riuniscono un numero ridotto di partecipanti delegati<br />

per approfondire e dettagliare argomenti e richieste <strong>in</strong>dicati <strong>in</strong> assemblee più ampie.<br />

Il problema di fondo riscontrato <strong>in</strong> Francia è, però, che spesso non si ha ben chiaro a<br />

che cosa si partecipa. Secondo il professore universitario francese Rémy Lefebvre<br />

(Ardizzoni, 2008), gli obiettivi che ci si propone di raggiungere attraverso questa nuova<br />

tecnica di co<strong>in</strong>volgimento sono – nell’ord<strong>in</strong>e <strong>in</strong> cui vengono perseguiti– pr<strong>in</strong>cipalmente<br />

quattro:<br />

a. manageriale: miglioramento della gestione urbana, costruzione di<br />

un’accettabilità sociale, modernizzazione dei servizi pubblici;<br />

b. sociale: partecipazione come progetto di co<strong>in</strong>volgimento della società;<br />

c. politico;<br />

d. di democratizzazione.<br />

149


È per questo motivo che gli amm<strong>in</strong>istratori <strong>in</strong> Francia hanno la tendenza a preferire<br />

la democrazia “di prossimità” piuttosto che quella “partecipativa”. Alla base vi sta<br />

un’ambiguità che permette lo sviluppo di logiche opportunistiche, tant’è che esiste la<br />

tendenza a mantenere più vivi i rapporti con il locale piuttosto che con il nazionale. I<br />

politici puntano sulla prossimità perché è una risposta alla professionalizzazione e,<br />

qu<strong>in</strong>di, cercano di essere vic<strong>in</strong>i fisicamente perché sono molto lontani socialmente.<br />

In Italia molti comuni (oltre 20, tra i quali Napoli, Venezia e Roma) hanno<br />

formalizzato l’<strong>in</strong>teresse per l’adozione dello strumento partecipativo, nom<strong>in</strong>ando un<br />

assessore o un consigliere comunale delegato del S<strong>in</strong>daco alla sperimentazione.<br />

Nella realtà, a quest’impegno formalizzato, solo poche città hanno fatto<br />

corrispondere azioni concrete d’<strong>in</strong>novazione dei processi di costruzione del bilancio<br />

comunale. L’OP ha spesso rappresentato una “moda” spendibile nella programmazione<br />

elettorale o uno strumento di contrattazione tra i partiti o nei rapporti tra questi e i<br />

tessuti sociali.<br />

Questo atteggiamento da parte delle amm<strong>in</strong>istrazioni pubbliche italiane ha portato<br />

alla dist<strong>in</strong>zione tra bilancio partecipativo e bilancio partecipato: il primo determ<strong>in</strong>a<br />

percorsi di co<strong>in</strong>volgimento duraturi, reiterati e strutturati, dove i cittad<strong>in</strong>i svolgono un<br />

ruolo attivo nella costruzione delle decisioni; il secondo, <strong>in</strong>vece, denuncia ambizioni<br />

m<strong>in</strong>ori e riveste esclusivamente alcuni momenti di partecipazione popolare <strong>in</strong>seriti <strong>in</strong><br />

processi sostanzialmente tradizionali.<br />

Si tratta qu<strong>in</strong>di di una re<strong>in</strong>terpretazione di basso livello di quello che era stato<br />

proposto ed implementato a Porto Alegre, che viene portata avanti <strong>in</strong> una qu<strong>in</strong>dic<strong>in</strong>a di<br />

città italiane.<br />

Si configura perciò la necessità di perseguire il superamento della “mitologia” del<br />

modello di Porto Alegre, per coglierne la filosofia di base da adattare alle nostre realtà<br />

locali, sostituendo la pigrizia di un approccio imitativo con la d<strong>in</strong>amicità di uno<br />

creativo.<br />

Uno dei pochi esempi <strong>in</strong> Italia degni di menzione è quello di Grottammare, nelle<br />

Marche. Si tratta di un comune di circa 14.000 abitanti che <strong>in</strong>trodusse la pratica<br />

partecipativa già dal 1994, con la vittoria alle elezioni amm<strong>in</strong>istrative di una lista civica<br />

chiamata “Solidarietà e Partecipazione”, formata da persone provenienti dalla società<br />

civile (senza esperienza politica o amm<strong>in</strong>istrativa), come dai partiti tradizionali, nonché<br />

da diverse realtà associative del luogo.<br />

150


Da quel momento, la neo-amm<strong>in</strong>istrazione non si impaurì e com<strong>in</strong>ciò a convocare le<br />

Assemblee cittad<strong>in</strong>e prima della redazione del Bilancio di Previsione Annuale proprio<br />

per ricevere non solo una maggiore legittimazione, ma anche una funzionale conoscenza<br />

delle esigenze e delle problematiche della cittad<strong>in</strong>anza.<br />

In concreto, l’implementazione della partecipazione cittad<strong>in</strong>a si è sviluppata tramite<br />

due strumenti: le Assemblee di Quartiere e i Comitati di Quartiere.<br />

Le prime sono dei momenti comuni e collettivi <strong>in</strong> cui i s<strong>in</strong>goli cittad<strong>in</strong>i esternano<br />

segnalazioni, fanno <strong>in</strong>terventi e proposte, discutono il bilancio, <strong>in</strong>dividuano i problemi e<br />

cercano <strong>in</strong>sieme le soluzioni. Il tutto è regolarmente verbalizzato e successivamente<br />

portato <strong>in</strong> Giunta.<br />

Sono convocate prima della redazione del Bilancio di Previsione Annuale, una <strong>in</strong><br />

ognuno dei 6 quartieri per due cicli (per un totale di 12 assemblee), con l’obiettivo di<br />

giungere ad un’approvazione condivisa e generalizzata del documento contabile.<br />

I Comitati di Quartiere, <strong>in</strong>vece, rappresentano la dimensione permanente della<br />

partecipazione popolare, <strong>in</strong> quanto hanno il compito di seguire lo stato di attuazione<br />

delle richieste fatte dai cittad<strong>in</strong>i ed, eventualmente, riferire; sono, <strong>in</strong>oltre, portatori di<br />

nuove richieste, preparano il dibattito assembleare, possono richiedere “assemblee<br />

tematiche” e allo stesso tempo sollecitare l’apparato amm<strong>in</strong>istrativo su questioni<br />

delicate. Inf<strong>in</strong>e, avvisano i cittad<strong>in</strong>i <strong>in</strong> merito ad eventuali questioni da discutere,<br />

concordano date e modalità dello svolgimento delle assemblee con il Comune e<br />

svolgono un ruolo <strong>in</strong>formativo per la collettività.<br />

Da un punto di vista di funzionamento, non è possibile standardizzare – poiché non<br />

formalizzato e, qu<strong>in</strong>di, <strong>in</strong> movimento – il processo partecipativo. Tuttavia, se ne<br />

possono del<strong>in</strong>eare i tratti caratteristici, riconducibili alla suddivisione del processo <strong>in</strong><br />

due fasi fondamentali:<br />

“Gli Amm<strong>in</strong>istratori ascoltano i Cittad<strong>in</strong>i”, con <strong>in</strong>izio ad ottobre;<br />

“Decido anch’io”.<br />

Nella prima fase, la Giunta raccoglie tutte le richieste d’<strong>in</strong>tervento fatte dai cittad<strong>in</strong>i<br />

impegnandosi, prima dell’<strong>in</strong>izio della seconda fase, a razionalizzarle e a suddividerle <strong>in</strong><br />

tre settori dist<strong>in</strong>ti:<br />

1. segnalazioni: <strong>in</strong>terventi che riguardano l’ord<strong>in</strong>aria amm<strong>in</strong>istrazione e sui quali<br />

non c’è un grosso potere decisionale da porre <strong>in</strong> essere; pertanto, sono<br />

<strong>in</strong>terventi di piccola entità che l’amm<strong>in</strong>istrazione non ha realizzato perché<br />

momentaneamente impossibilitata o semplicemente perché non ne era al<br />

151


corrente. Una volta raccolte tutte le segnalazioni di tutti i quartieri, esse<br />

vengono accorpate e girate automaticamente agli uffici di competenza;<br />

2. <strong>in</strong>terventi di quartiere: riguardano quegli <strong>in</strong>terventi <strong>in</strong> cui il potere decisionale<br />

è decisivo e la realizzazione di una richiesta può escluderne un’altra; sono<br />

usualmente opere che prevedono una spesa di media importanza da parte del<br />

Comune e che per questo sono decise dalla base popolare. Anch’esse vengono<br />

riportate <strong>in</strong> apposite schede successivamente consegnate all’<strong>in</strong>terno del<br />

secondo ciclo assembleare e sulla quale i cittad<strong>in</strong>i potranno materialmente<br />

esprimere la propria preferenza. La Giunta si impegna a realizzare quella più<br />

richiesta all’<strong>in</strong>terno di ogni quartiere;<br />

3. <strong>in</strong>terventi cittad<strong>in</strong>i: sono quelle richieste che toccano tutta la città e non solo il<br />

quartiere di riferimento. Riguardano normalmente “macro-<strong>in</strong>terventi”<br />

strutturali che impegnano il Bilancio Comunale <strong>in</strong> maniera piuttosto<br />

importante. Anche <strong>in</strong> questo caso le richieste vengono isolate e riportate su<br />

schede dove i cittad<strong>in</strong>i andranno ad esprimere la propria preferenza;<br />

chiaramente <strong>in</strong> questo caso la Giunta non si impegna a realizzare l’<strong>in</strong>tervento<br />

entro l’anno, bensì a prendere a titolo di sondaggio questo strumento per uno<br />

sviluppo condiviso dalla comunità.<br />

La seconda fase, Decido anch’io, è quella che si svolge <strong>in</strong> autunno <strong>in</strong>oltrato e che<br />

vede il cittad<strong>in</strong>o ancora più protagonista, <strong>in</strong> quanto:<br />

a- il S<strong>in</strong>daco rende conto delle risposte degli uffici tecnici a riguardo delle<br />

segnalazioni espresse nell’Assemblea precedente;<br />

b- vengono espresse le preferenze sugli <strong>in</strong>terventi di quartiere (l’<strong>in</strong>tervento più<br />

richiesto sarà realizzato entro l’anno);<br />

c- vengono espresse le preferenze sugli <strong>in</strong>terventi cittad<strong>in</strong>i.<br />

La partecipazione ha avuto un forte peso sulla realtà cittad<strong>in</strong>a, andando<br />

pr<strong>in</strong>cipalmente a portare cambiamenti riguardanti:<br />

il miglioramento della qualità della vita di alcuni quartieri che prima di allora<br />

erano caratterizzati dal degrado;<br />

una maggiore educazione popolare e più vaste d<strong>in</strong>amiche <strong>in</strong>clusive per i<br />

Cittad<strong>in</strong>i;<br />

una crescente responsabilizzazione economica delle richieste da parte dei<br />

Cittad<strong>in</strong>i (oltre il 60 % delle richieste sono a basso costo – nessuna spesa o<br />

talmente bassa da non rappresentare un problema per le casse comunali).<br />

152


Seppur efficace e significativa l’esperienza partecipativa <strong>in</strong> tema di Bilancio, essa<br />

non risulta esaustiva al f<strong>in</strong>e di illustrare i meccanismi partecipativi <strong>in</strong> essere nella realtà<br />

di Grottammare. Percorso altrettanto significativo è quello relativo al Piano Regolatore<br />

Generale.<br />

Dec<strong>in</strong>e di Assemblee tematiche, una forte azione dei Comitati di Quartiere e<br />

l’istituzione di un Ufficio di Piano <strong>in</strong> cui le persone potevano vedere l’evolvere dei<br />

lavori esprimendo la propria idea di sviluppo permisero di arrivare ancora una volta ad<br />

un’approvazione condivisa e generalizzata di questo documento così importante. La<br />

scommessa <strong>in</strong> questo caso, come per il Bilancio, fu quella di far <strong>in</strong>tervenire <strong>in</strong> maniera<br />

effettiva i cittad<strong>in</strong>i su percorsi per troppo tempo relegati agli “addetti ai lavori”;<br />

attraverso una costante e capillare opera di semplificazione fatta quartiere per quartiere<br />

si è potuto dimostrare che non solo non esistono argomenti <strong>in</strong> cui la cittad<strong>in</strong>anza non<br />

può essere co<strong>in</strong>volta, ma anche che la trasparenza è garanzia essenziale per scongiurare<br />

d<strong>in</strong>amiche di collusione tra potere politico ed economico sul terreno del consenso.<br />

La partecipazione attiva dei cittad<strong>in</strong>i <strong>in</strong> temi che f<strong>in</strong>o a qualche tempo fa erano<br />

unicamente accessibili alle pubbliche amm<strong>in</strong>istrazioni fa parte di un progetto più ampio,<br />

composto da diversi punti di forza, che va sotto il nome di Rete del Nuovo Municipio.<br />

Si tratta di un coord<strong>in</strong>amento costituito da amm<strong>in</strong>istratori locali, esponenti del<br />

mondo associativo di base e ricercatori, i quali vogliono collegare <strong>in</strong> una struttura<br />

operativa stabile ed a rete le <strong>in</strong>iziative già <strong>in</strong> atto sul territorio nazionale, per conferire<br />

loro una forte valenza propositiva ed anticipatrice <strong>in</strong> un contesto di sviluppo locale.<br />

La Rete del Nuovo Municipio è composta da quattro tipologie di soggetti:<br />

1. gli organi istituzionali: con funzioni di tipo propositivo e di coord<strong>in</strong>amento<br />

tipiche di un comitato tecnico-scientifico;<br />

2. i soci: sono gli elementi catalizzatori e attivatori dei processi di trasformazione<br />

locali promossi e collegati dalla Rete;<br />

3. i nodi territoriali: hanno il compito di promuovere e coord<strong>in</strong>are le azioni<br />

<strong>in</strong>traprese nell’area di competenza iscrivendole negli orientamenti generali<br />

della Rete, nonché di raccogliere i feed-back necessari per orientare le scelte<br />

future;<br />

4. i sottoscrittori: sono cent<strong>in</strong>aia tra amm<strong>in</strong>istratori locali, associazioni,<br />

ricercatori e privati cittad<strong>in</strong>i sensibili alle esigenze di riorientamento dello<br />

sviluppo economico, sociale e territoriale.<br />

153


La Rete del Nuovo Municipio si fonda sulla Carta del Nuovo Municipio, elaborata<br />

nel 2002 <strong>in</strong> occasione del Forum Sociale Mondiale tenutosi a Porto Alegre (Altomeni,<br />

2004).<br />

La Carta, scritta da amm<strong>in</strong>istratori pubblici, docenti universitari ed esponenti della<br />

società civile, sancisce alcuni pr<strong>in</strong>cipi su cui orientare la politica amm<strong>in</strong>istrativa, a<br />

partire da un approccio partecipativo alla democrazia e alla valorizzazione delle società<br />

locali, e che sono i seguenti:<br />

a. globalizzazione e sviluppo locale;<br />

b. nuovo ruolo degli enti locali e delle loro unioni per una globalizzazione dal<br />

basso;<br />

c. nuove forme di democrazia diretta;<br />

d. nuovi territori multiculturali;<br />

e. nuovi <strong>in</strong>dicatori di benessere;<br />

f. nuovi sistemi economici locali autosostenibili – con valorizzazione dei beni<br />

territoriali e ambientali comuni;<br />

g. forme di valorizzazione del patrimonio territoriale locale;<br />

h. reti di scambio equo e solidale.<br />

Pertanto, la Rete, fondandosi sulla Carta del Nuovo Municipio, si orienta verso la<br />

realizzazione di d<strong>in</strong>amiche comuni che possano contemporaneamente valorizzare le<br />

diverse realtà e le loro peculiarità, per mantenere quella “biodiversità” culturale, su cui<br />

si fonda una democrazia def<strong>in</strong>ibile realmente <strong>in</strong> quanto tale.<br />

A livello regionale, degno di menzione è il caso della Regione Toscana: già nel 2005<br />

era stato approvato il nuovo Statuto Regionale che prevedeva all’art. 3 – “Pr<strong>in</strong>cipi<br />

generali” – da un lato, il sostegno da parte della Regione ai pr<strong>in</strong>cipi di sussidiarietà<br />

sociale ed istituzionale, attraverso l’<strong>in</strong>tegrazione delle politiche locali e il<br />

riconoscimento delle formazioni sociali e il supporto per un loro libero sviluppo;<br />

dall’altro, la garanzia da parte della Regione della partecipazione di tutti i residenti e dei<br />

toscani residenti all’estero alle scelte politiche.<br />

Successivamente, <strong>in</strong> data 27 dicembre 2007, è stata approvata la Legge Regionale<br />

n°69 <strong>in</strong> merito alle “Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione<br />

delle politiche regionali e locali”, la quale è servita come banco di prova della<br />

possibilità di realizzare percorsi partecipativi <strong>in</strong>terscalari, per modellare gli organi<br />

superiori di governo come espressioni delle comunità locali (Magnaghi, 2008).<br />

154


Con questa legge, la Giunta ha, <strong>in</strong>nanzitutto, voluto dar corpo e piena attuazione allo<br />

Statuto Regionale <strong>in</strong> merito alla partecipazione dei cittad<strong>in</strong>i alle scelte di governo<br />

affermando il pr<strong>in</strong>cipio del metodo partecipativo come “forma ord<strong>in</strong>aria di governo <strong>in</strong><br />

tutti i settori e <strong>in</strong> tutti i livelli amm<strong>in</strong>istrativi” (art. 1, comma 3, lett. “b”); <strong>in</strong> secondo<br />

luogo, realizzare nei processi partecipativi la massima <strong>in</strong>clusività, soprattutto dei<br />

soggetti più deboli e privi di rappresentanza e promuovere forme di auto-organizzazione<br />

e di autogoverno della società civile.<br />

Per quanto riguarda la partecipazione su “scala locale”, la legge prevede la<br />

“promozione e diffusione dei processi partecipativi locali”, <strong>in</strong>centivando le “buone<br />

pratiche” e progetti specifici di attivazione di processi partecipativi promossi da enti<br />

locali, cittad<strong>in</strong>i, associazioni, nonché la def<strong>in</strong>izione di pr<strong>in</strong>cipi che garantiscono<br />

“requisiti essenziali” del processo partecipativo – <strong>in</strong>clusività, trasparenza e pari<br />

opportunità – e il sostegno delle “<strong>in</strong>iziative autonome” della società civile e delle sue<br />

forme associative.<br />

In merito, <strong>in</strong>vece, alle procedure partecipative per le “politiche regionali”, la legge<br />

prevede, oltre alla generalizzazione e sistemizzazione delle procedure partecipative già<br />

presenti <strong>in</strong> molti settori:<br />

a. l’istituzione del “Dibattito Pubblico Regionale”, ovvero la possibilità che, su<br />

grandi <strong>in</strong>terventi, opere pubbliche o questioni di rilevante impatto ambientale e<br />

sociale per la vita dell’<strong>in</strong>tera comunità regionale, si svolga un confronto<br />

pubblico che si articoli sulla base di regole precise, dalla durata di sei mesi,<br />

organizzato e condotto sotto la responsabilità di un organo “terzo”, <strong>in</strong>dipendente<br />

e “neutrale”, che la legge istituisce: l’“Autorità regionale per la garanzia e la<br />

promozione della partecipazione”;<br />

b. un’“azione di sostegno e di supporto ai processi locali di partecipazione”, siano<br />

essi promossi sia dagli enti locali che dai cittad<strong>in</strong>i, o da altri soggetti. La legge<br />

prevede che un ente locale, ma anche un gruppo di cittad<strong>in</strong>i, un’associazione, un<br />

istituto scolastico o anche un’impresa, possano presentare un progetto di<br />

processo partecipativo, <strong>in</strong>torno ad un oggetto ben def<strong>in</strong>ito e circoscritto, della<br />

durata massima di sei mesi, <strong>in</strong>dicando i metodi e gli strumenti più adatti, tali da<br />

assicurare comunque la massima “<strong>in</strong>clusività”, ossia che tutti i punti di vista e<br />

gli <strong>in</strong>teressi siano co<strong>in</strong>volti e che tutti abbiano pari opportunità di esprimersi.<br />

Spetta all’Autorità regionale la valutazione e l’ammissione dei progetti<br />

presentati, sulla base di una serie di condizioni e requisiti che la legge <strong>in</strong>dica.<br />

155


L’ente competente <strong>in</strong> materia dichiara, all’<strong>in</strong>izio del processo, di impegnarsi a<br />

“tener conto” dell’esito del processo partecipativo o, <strong>in</strong> ogni caso, di motivare<br />

adeguatamente e pubblicamente le ragioni del mancato o parziale accoglimento<br />

dei risultati. Il sostegno regionale ad un progetto può essere di tipo f<strong>in</strong>anziario,<br />

metodologico (assistenza, consulenza, ecc.) o anche logistico (ad esempio,<br />

supporti <strong>in</strong>formatici);<br />

c. il rafforzamento e l’estensione, tramite una serie di modifiche alla legislazione<br />

regionale vigente, dei numerosi momenti di “partecipazione” che sono già<br />

previsti nelle politiche regionali e nelle stesse procedure della programmazione<br />

della Regione Toscana.<br />

4.4.4 Gli strumenti e i mezzi delle ICT per la diffusione della partecipazione<br />

Parallelamente al mondo reale, noi tutti oggi siamo cittad<strong>in</strong>i di quello che è un<br />

mondo virtuale: ma chi dice che i due universi debbano essere nettamente separati e non<br />

possono, <strong>in</strong>vece, su alcune tematiche venirsi <strong>in</strong>contro, sviluppando un rapporto di<br />

mutuo aiuto?<br />

Due concetti, la democrazia e la tecnologia: l’una desiderosa di uno spazio<br />

<strong>in</strong>formativo quanto più ampio possibile, l’altra offerente di ciò che la prima cerca per<br />

potersi espandere e sviluppare.<br />

Internet sembra offrire nuove possibilità di partecipazione politica direttamente ai<br />

cittad<strong>in</strong>i, ai gruppi politici, alle istituzioni. La demografia di Internet, considerata <strong>in</strong><br />

relazione a dati sulla partecipazione politica, mostra che gli utenti partecipano alla<br />

politica e che, viceversa, coloro che sono politicamente attivi tendono ad usare Internet.<br />

La partecipazione tramite Internet, vista la natura della rete, tende a trascendere<br />

conf<strong>in</strong>i nazionali ed istituzionali e ad <strong>in</strong>nescare nuove pratiche di cittad<strong>in</strong>anza,<br />

mediatica e culturale (Lusoli, 2005).<br />

Internet e le altre tecnologie della comunicazione <strong>in</strong>teragiscono con trend esistenti di<br />

sviluppo socio-politico nelle democrazie occidentali avanzate, specificamente <strong>in</strong><br />

riferimento all’<strong>in</strong>dividuazione, frammentazione ed uscita dall’alveo istituzionale dei<br />

comportamenti politici, <strong>in</strong>dividuali e collettivi, ed il modo <strong>in</strong> cui questo cambiamento è<br />

concettualizzato <strong>in</strong> scienza politica.<br />

I nuovi media favoriscono il controllo decentralizzato della comunicazione, ogni<br />

utente diventa un produttore, avviene un’<strong>in</strong>terazione tra i comunicanti, si favorisce un<br />

156


processo di apprendimento socio-politico, vi è controllo sociale del mezzo<br />

comunicativo.<br />

Già <strong>in</strong> uno studio del 1988, Abramson, Arterton e Orren identificarono sei<br />

caratteristiche che rendono i nuovi media una tecnologia democratica:<br />

1- migliore qualità e maggiore disponibilità di <strong>in</strong>formazioni per<br />

governanti e governati;<br />

2- Internet favorisce un maggior controllo sull’<strong>in</strong>formazione da parte di<br />

coloro che la ricevono;<br />

3- tempo e spazio sono v<strong>in</strong>coli m<strong>in</strong>ori per la circolazione e la fruizione di<br />

<strong>in</strong>formazione digitale;<br />

4- i nuovi media rendono il narrowcast<strong>in</strong>g 43 economicamente<br />

conveniente;<br />

5- i nuovi media favoriscono la decentralizzazione dell’uso ed una certa<br />

capacità di produzione da parte degli utenti, sebbene la proprietà dei<br />

mezzi di produzione rimanga nelle mani di pochi;<br />

6- i processi comunicativi di rete sono propriamente <strong>in</strong>terattivi.<br />

La maggior parte dei lavori sulla democrazia elettronica (o e-democracy) può essere<br />

suddivisa <strong>in</strong> tre pr<strong>in</strong>cipali modelli (Lusoli, 2005):<br />

a. teledemocrazia, i cui fautori rilevano l’importanza dei cittad<strong>in</strong>i nei confronti<br />

delle istituzioni e la capacità dei nuovi media di creare un collegamento più<br />

diretto fra le preferenze dei cittad<strong>in</strong>i e la decisione politica;<br />

b. democrazia virtuale comunitaria, i cui teorici enfatizzano la capacità di<br />

Internet di favorire la creazione e di sostenere v<strong>in</strong>coli comunitari, a loro volta la<br />

pietra angolare di una società politicamente emancipata;<br />

c. democrazia elettronica deliberativa, i cui cultori sostengono che i nuovi media<br />

favoriscono la creazione di ambienti quasi-istituzionali deliberativi, che<br />

assomigliano alla sfera pubblica, prima della decadenza.<br />

I punti <strong>in</strong> comune delle tre modalità di applicazione dei concetti di democrazia e ICT<br />

sono, da un lato, l’estromissione dei tradizionali “agenti della rappresentanza politica”,<br />

mentre, dall’altro, l’assunzione che i nuovi media <strong>in</strong>deboliscano – piuttosto che<br />

rafforz<strong>in</strong>o – i mediatori tradizionali e che servano ad appiattire le gerarchie istituzionali.<br />

43 Il narrowcast<strong>in</strong>g è una metodologia di diffusione di <strong>in</strong>formazioni o che permette a chi usa la<br />

rete di avere notizie e commenti <strong>in</strong> tempo reale da tutto il mondo su qualsiasi tema usando gli<br />

strumenti che mette a disposizione Internet (forum, mail<strong>in</strong>g list, blog, newsletter, ecc.)<br />

(Wikipedia, 2008).<br />

157


In particolare, la deliberazione onl<strong>in</strong>e è def<strong>in</strong>ita come “ogni pratica di comunicazione<br />

<strong>in</strong>terattiva <strong>in</strong> cui attori democratici cercano di modellare le decisioni altrui<br />

<strong>in</strong>fluenzandone le op<strong>in</strong>ioni riguardo a fatti, valori, concetti o <strong>in</strong>teressi” (Applbaum,<br />

1999).<br />

La prospettiva deliberativa orig<strong>in</strong>a al contempo teledemocrazia e comunità virtuali e<br />

condivide l’assunzione che i nuovi media – nello specifico, le teleconferenze – siano<br />

strumento che consente di migliorare l’accesso dei cittad<strong>in</strong>i al processo decisionale.<br />

Nel concreto, la democrazia elettronica deliberativa si realizza attraverso lo<br />

strumento del Town Meet<strong>in</strong>g (TM): esso nacque circa quattrocento anni fa negli Stati<br />

Uniti, nella regione del New England, ovvero nei primi villaggi coloniali sorti nella<br />

zona nord-est degli USA. In questi luoghi è stato usato s<strong>in</strong> dall’<strong>in</strong>izio come espressione<br />

di democrazia diretta, attraverso assemblee che si tenevano per discutere tra gli abitanti<br />

le esigenze e le politiche del paese.<br />

Più recentemente è stata sperimentata una nuova versione del TM, che offre elementi<br />

<strong>in</strong>novativi legati alle ICT: l’Electronic Town Meet<strong>in</strong>g (e-TM).<br />

Questo metodo è caratterizzato dall’uso di una comb<strong>in</strong>azione di tecniche che<br />

consentono di coniugare i vantaggi della discussione per piccoli gruppi, con quelli di un<br />

sondaggio rivolto ad un ampio pubblico.<br />

In una cont<strong>in</strong>ua alternanza fra momenti di discussione e momenti di voto <strong>in</strong>dividuale<br />

si può ottenere anche un ulteriore vantaggio: quello di costruire l’agenda dei lavori <strong>in</strong><br />

modo progressivo, ossia permettendo che l’esito delle discussioni produca delle<br />

domande da sottoporre immediatamente all’assemblea (<strong>in</strong> una logica di cont<strong>in</strong>uum<br />

mezzi-f<strong>in</strong>i).<br />

Nell’e-TM si svolgono <strong>in</strong> successione tre differenti fasi di lavoro, volte a facilitare i<br />

partecipanti nel trattamento dei temi oggetto della discussione (proprio come avviene<br />

nel deliberative poll<strong>in</strong>g):<br />

1. una prima fase di <strong>in</strong>formazione ed approfondimento grazie agli apporti di<br />

documenti ed esperti;<br />

2. una seconda fase di discussione <strong>in</strong> piccoli gruppi;<br />

3. una terza fase <strong>in</strong> cui i temi s<strong>in</strong>tetizzati e restituiti <strong>in</strong> forma di domande sono<br />

proposti ai partecipanti che si possono dunque esprimere <strong>in</strong> modo diretto<br />

votando <strong>in</strong>dividualmente mediante delle tastier<strong>in</strong>e (poll<strong>in</strong>g keypads).<br />

Con quanto f<strong>in</strong> qui illustrato, sembra che Internet si sia “messo al servizio” della<br />

democrazia, attraverso il suo world wide web e gli strumenti ad esso legati. Come <strong>in</strong><br />

158


tutte le situazioni, tuttavia, esiste il rovescio della medaglia, cioè esistono dei potenziali<br />

ostacoli che potrebbero m<strong>in</strong>are la “collaborazione” tra le ICT e la democrazia (Lusoli,<br />

2005).<br />

Il primo impedimento consiste nella volontà e capacità dei tradizionali mediatori –<br />

partiti, parlamenti e s<strong>in</strong>dacati – di riformare le strutture di rappresentanza politica per<br />

accomodare le nuove tecnologie, al f<strong>in</strong>e di favorire l’emergere di nuovi modelli di<br />

cittad<strong>in</strong>anza. Infatti, <strong>in</strong> generale, l’offerta di opportunità di partecipazione digitale<br />

rimane ad oggi limitata, specialmente <strong>in</strong> relazione alla notevole recente evoluzione di<br />

Internet, <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di audience ed accessibilità.<br />

Un secondo ostacolo è rappresentato dalla volontà e dalla capacità dei cittad<strong>in</strong>i di<br />

partecipare elettronicamente. Per quanto riguarda la volontà, la maggior parte degli<br />

studi sulla partecipazione politica <strong>in</strong> rete dimostra, <strong>in</strong> modo persuasivo, che soltanto una<br />

piccola m<strong>in</strong>oranza di utenti è co<strong>in</strong>volta <strong>in</strong> un numero limitato di attività politiche. Per<br />

quanto concerne la capacità di partecipare, è forse più preoccupante che questa<br />

m<strong>in</strong>oranza provenga da determ<strong>in</strong>ate sezioni della società – uom<strong>in</strong>i, con educazione<br />

universitaria, provenienti da ceti sociali medio-alti, con significativi livelli di <strong>in</strong>teresse<br />

politico – <strong>in</strong> particolare coloro che già partecipano <strong>in</strong> varie attività politiche.<br />

Posto che esistono dei limiti attuali alla possibilità di utilizzo ottimale delle ICT<br />

applicate alla diffusione della partecipazione democratica, giudico fondamentale il ruolo<br />

ricoperto da Internet e dagli strumenti derivanti dalla terza rivoluzione <strong>in</strong>dustriale per<br />

poter diffondere una “cultura del dialogo”, sia nel mondo virtuale sia del mondo reale.<br />

Nonostante i regimi dittatoriali (si pensi al caso della C<strong>in</strong>a – vedi supra par. 3.4.4)<br />

riescano comunque ad avere potere anche su quello che viene proclamato il pr<strong>in</strong>cipale<br />

strumento di comunicazione democratico, il potenziale di Internet come mezzo di<br />

diffusione di <strong>in</strong>formazioni relative alla realtà dei fatti (e che qu<strong>in</strong>di permettono alla<br />

persona di ampliare la propria conoscenza <strong>in</strong> merito a diverse tematiche), nonché come<br />

mezzo di <strong>in</strong>formazione delle pr<strong>in</strong>cipali attività partecipative del proprio territorio e<br />

come luogo di dialogo, di scambio di op<strong>in</strong>ioni e di sondaggi tematici, è assolutamente<br />

<strong>in</strong>discutibile.<br />

Le pubbliche amm<strong>in</strong>istrazioni dovrebbero <strong>in</strong>vestire maggiormente sulle ICT, sia <strong>in</strong><br />

generale – e-government – (i dati relativi all’implementazione delle tecnologie<br />

<strong>in</strong>formatiche negli uffici delle amm<strong>in</strong>istrazioni pubbliche sono decisamente<br />

sconfortanti), sia per la parte strettamente relativa alla partecipazione democratica dei<br />

cittad<strong>in</strong>i.<br />

159


In merito, bisogna, <strong>in</strong>vece, evidenziare l’esistenza di progetti di e-democracy, che<br />

stanno prendendo piede sul nostro territorio nazionale.<br />

In particolare, cito, da un lato, il progetto Partecipa.net promosso dalla regione<br />

Emilia-Romagna e, dall’altro, il progetto “EDEMPS: e-democracy con la pianificazione<br />

strategica”, che riunisce più comuni sul territorio nazionale.<br />

Per quanto riguarda la Regione Emilia-Romagna, l’attività partecipativa tramite ICT<br />

è espressione della volontà contenuta nello Statuto Regionale del 2005, ed, <strong>in</strong><br />

particolare, di due articoli:<br />

art. 7 – “Promozione dell’associazionismo”: la Regione valorizza le forme di<br />

associazione ed autotutela dei cittad<strong>in</strong>i e, a tal f<strong>in</strong>e, opera per:<br />

a. favorire forme di democrazia partecipata alle scelte delle istituzioni<br />

regionali e locali, garantendo adeguate modalità di <strong>in</strong>formazione e di<br />

consultazione;<br />

b. garantire alle associazioni ed alle organizzazioni della Regione pari<br />

opportunità nel rappresentare i vari <strong>in</strong>teressi durante il procedimento<br />

normativo;<br />

c. tutelare i consumatori nell’esercizio dei loro diritti di associazione,<br />

<strong>in</strong>formazione, trasparenza e controllo sui s<strong>in</strong>goli servizi e prodotti;<br />

art. 9 – “Formazioni sociali”: la Regione, nell’ambito delle funzioni legislativa,<br />

d’<strong>in</strong>dirizzo, programmazione e controllo, <strong>in</strong> attuazione del pr<strong>in</strong>cipio di<br />

sussidiarietà previsto dall’articolo 118 della Costituzione, riconosce e valorizza:<br />

a. l’autonoma <strong>in</strong>iziativa delle persone, s<strong>in</strong>gole o associate, per lo<br />

svolgimento di attività di <strong>in</strong>teresse generale e di rilevanza sociale, nel<br />

quadro dello sviluppo civile e socio-economico della Regione,<br />

assicurando il carattere universalistico del sistema di garanzie sociali;<br />

b. la funzione delle formazioni sociali attraverso le quali si esprime e si<br />

sviluppa la dignità della persona, e, <strong>in</strong> questo quadro, lo specifico ruolo<br />

sociale proprio della famiglia, promuovendo le condizioni per il suo<br />

efficace svolgimento.<br />

Così nella primavera del 2004 è stato presentato il progetto Partecipa.net, <strong>in</strong>iziativa<br />

alla quale collaborano, sotto il coord<strong>in</strong>amento della Regione Emilia-Romagna,<br />

l'Assemblea Legislativa Regionale, i Comuni di Bologna, Modena e Ferrara,<br />

l'Associazione dei Comuni di Argenta, Portomaggiore, Ostellato e Voghiera, le<br />

160


Prov<strong>in</strong>ce di Ferrara e Piacenza. Assieme a queste amm<strong>in</strong>istrazioni si affiancano<br />

associazioni attive sul territorio regionale <strong>in</strong> particolare per rappresentare il punto di<br />

vista dei soggetti potenzialmente esclusi dai processi di partecipazione democratica,<br />

come, ad esempio, le categorie svantaggiate (dal punto di vista delle abilità/disabilità).<br />

Gli obiettivi del progetto sono: primo fra tutti quello di offrire nuovi canali per<br />

<strong>in</strong>coraggiare, rafforzare e stimolare la partecipazione dei cittad<strong>in</strong>i alle decisioni<br />

pubbliche; <strong>in</strong> secondo luogo quello di accentuare il legame fra gli stessi cittad<strong>in</strong>i e le<br />

amm<strong>in</strong>istrazioni co<strong>in</strong>volte, <strong>in</strong> un'ottica di dialogo e collaborazione reciproca al f<strong>in</strong>e di<br />

attivare processi democratici di cittad<strong>in</strong>anza attiva.<br />

Aff<strong>in</strong>e alla proposta emiliano-romagnola è il progetto “EDEMPS: e-democracy con<br />

la pianificazione strategica”, che ha l’obiettivo di elaborare strumenti che consentano la<br />

partecipazione alla decisione delle politiche pubbliche da parte dei cittad<strong>in</strong>i e delle forze<br />

economiche e sociali del territorio e <strong>in</strong> cui l'uso delle tecnologie di rete serve a favorire<br />

la partecipazione con ruoli decisionali. Il Piano Strategico, <strong>in</strong> questa logica, mira a<br />

sperimentare nuove forme di partecipazione e di cittad<strong>in</strong>anza attiva dei soggetti,<br />

ricercando anche nuove espressioni di democrazia deliberativa, da affiancare alle<br />

pratiche di democrazia rappresentativa tradizionali. Il progetto co<strong>in</strong>volge i seguenti<br />

soggetti: associazione dei Comuni del Copparese, associazione Tor<strong>in</strong>o Internazionale,<br />

Comune di Asti, Comune di Barletta, Comune di Bolzano, Comune di Carbonia,<br />

Comune di Caserta, Comune di Catania, Comune di Cesena, Comune di Firenze,<br />

Comune di Jesi, Comune di La Spezia, Comune di Perugia, Comune di Pesaro, Comune<br />

di Reggio Calabria, Comune di Spoleto, Comune di Terni, Comune di Trento, Comune<br />

di Venezia, Comune di Verona.<br />

In particolare, per ciò che riguarda il Comune di Pesaro, è stato avviata una forma<br />

<strong>in</strong>novativa di co<strong>in</strong>volgimento e di partecipazione dei cittad<strong>in</strong>i: si tratta del portale<br />

PartecipaPesaro.it che mette a disposizione strumenti per dialogare con<br />

l’Amm<strong>in</strong>istrazione Comunale <strong>in</strong> maniera semplice, snella ed efficace.<br />

Il Comune ha deciso di partire con una prima sperimentazione: il forum di<br />

discussione dedicato ai giovani sulle tematiche della partecipazione e cittad<strong>in</strong>anza<br />

attiva, gestito anche grazie alla collaborazione dell’Assessorato alle Politiche Giovanili.<br />

A questa prima esperienza seguiranno poi delle altre; il sito offre, <strong>in</strong>fatti, svariati<br />

strumenti di partecipazione, che, <strong>in</strong> un prossimo futuro, sarà possibile attivare <strong>in</strong><br />

161


funzione delle esigenze di co<strong>in</strong>volgimento manifestate dai cittad<strong>in</strong>i, per favorire e<br />

consolidare sempre più il patto tra le istituzioni e la comunità locale.<br />

Personalmente, mi sento di esprimere una critica <strong>in</strong> merito al progetto, che è la<br />

seguente: la partecipazione dei giovani è <strong>in</strong>dubbiamente elemento fondamentale per la<br />

rivalutazione della città di Pesaro, ma anche <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i più generali. Tuttavia, ritengo<br />

che l’<strong>in</strong>centivo a partecipare avrebbe dovuto essere esteso a tutti i membri della<br />

cittad<strong>in</strong>anza e non limitato ai giovani – oltretutto su tematiche forse poco <strong>in</strong>cidenti (ad<br />

esempio, un post del forum conteneva la domanda: “Cosa cambieresti della Biblioteca<br />

San Giovanni?”). Spero, dunque, che i limiti riscontrati nell’utilizzo di uno strumento<br />

con un potenziale di efficacia così alto possano essere superati <strong>in</strong> una successiva fase<br />

del progetto e che la cittad<strong>in</strong>anza attiva possa <strong>in</strong>tegrare l’amm<strong>in</strong>istrazione comunale<br />

nelle questioni di ord<strong>in</strong>e pubblico.<br />

162


5.1 Il non profit e la partecipazione alla vita civile<br />

163<br />

“Il ruolo del non profit nella<br />

promozione di democrazia e<br />

sviluppo”<br />

Come già l’esempio della Rete del Nuovo Municipio (vedi supra par. 4.4.2) può far<br />

capire, il concetto di democrazia non può esulare dalla parola cooperazione.<br />

“Cooperare” significa “operare <strong>in</strong>sieme ad altri”, ma anche “contribuire con la<br />

propria opera al conseguimento di un f<strong>in</strong>e”. Per questa ragione la parola “cooperazione”<br />

è un term<strong>in</strong>e collettivo, <strong>in</strong> quanto postula l’esistenza di più persone (e sottol<strong>in</strong>eo<br />

persone, non <strong>in</strong>dividui, per la differenza espressa nel par. 1.3.2), poste <strong>in</strong> relazione tra<br />

loro e che agiscono assieme per raggiungere un f<strong>in</strong>e comune.<br />

Così come la cooperazione, anche la democrazia, per esistere <strong>in</strong> quanto tale, postula<br />

l’esistenza di una pluralità di persone, agenti (almeno <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea teorica) nell’<strong>in</strong>teresse del<br />

bene comune.<br />

La def<strong>in</strong>izione più alta e “nobile” di democrazia vorrebbe proprio che il popolo fosse<br />

sovrano e che, <strong>in</strong> quanto tale, operasse <strong>in</strong>sieme per il bene comune.<br />

Come precedentemente illustrato, non sempre la realtà aderisce perfettamente alla<br />

def<strong>in</strong>izione del concetto di democrazia, sia perché il modello attualmente prevalente è<br />

quello di una democrazia rappresentativa (o elitistico-competitiva) sia perché, di<br />

conseguenza, alla base dell’agire risiedono delle motivazioni che portano le persone ad<br />

operare per l’ottenimento dei propri <strong>in</strong>teressi <strong>in</strong>dividuali, piuttosto che per il bene<br />

comune.<br />

Capitolo<br />

5<br />

Tuttavia, è possibile <strong>in</strong>dividuare, nel panorama odierno, l’esistenza di soggetti<br />

giuridici privati che si muovono verso un f<strong>in</strong>e comune e di utilità sociale.


Sono le c.d. organizzazioni della società civile 44 , dove con il term<strong>in</strong>e<br />

“organizzazione” si <strong>in</strong>tende “un’unità sociale, deliberatamente costituita, dotata di una<br />

struttura di ruoli funzionali al perseguimento di determ<strong>in</strong>ati f<strong>in</strong>i”, ovvero soggetti<br />

caratterizzati da omogeneità <strong>in</strong>terna, che fanno scelte libere ed autonome, <strong>in</strong> cui esiste<br />

un livello almeno m<strong>in</strong>imo di differenziazione dei compiti per perseguire obiettivi più o<br />

meno espliciti, comuni e condivisi (Bassi, 2008).<br />

In particolare, queste tipologie di organizzazioni hanno delle caratteristiche che le<br />

diversificano da altre tipologie di organizzazioni e che sono (Bassi, 2008):<br />

a. la natura privata: sono discipl<strong>in</strong>ate dal diritto civile – caratteristica che le<br />

differenzia dallo Stato, discipl<strong>in</strong>ato dal diritto pubblico;<br />

b. l’essere formalmente costituite: attraverso un atto costitutivo e/o uno statuto,<br />

che permettono di def<strong>in</strong>ire una l<strong>in</strong>ea di demarcazione della responsabilità e di<br />

dare stabilità nel tempo – caratteristica che le differenzia dalle relazioni<br />

<strong>in</strong>formali o primarie;<br />

c. un f<strong>in</strong>e non profit: s<strong>in</strong>tetizzato nel “v<strong>in</strong>colo di non distribuzione degli utili”,<br />

che prevede la redistribuzione per <strong>in</strong>tero degli utili maturati durante l’attività<br />

dell’organizzazione;<br />

d. la volontarietà: decl<strong>in</strong>abile rispetto all’orig<strong>in</strong>e dell’organizzazione, alla<br />

configurazione delle risorse umane (volontari), alle risorse economico-<br />

f<strong>in</strong>anziarie disponibili (donazioni);<br />

e. l’autogestione: si concretizza nelle forme e nelle modalità di gestione della<br />

classe dirigente, che deve essere la “cart<strong>in</strong>a tornasole” della compag<strong>in</strong>e<br />

associativa;<br />

f. la pubblica utilità: riguarda la differenza tra organizzazioni “mutualistiche” e<br />

“solidaristiche”: nelle prime, i soggetti beneficiari sono i facenti parte della<br />

compag<strong>in</strong>e sociale; nelle seconde, i soggetti beneficiari sono terzi rispetto<br />

all’organizzazione.<br />

Le prime tre caratteristiche sopramenzionate sono strettamente identitarie di questa<br />

tipologia di organizzazioni, mentre le successive tre possono essere def<strong>in</strong>ite come<br />

accessorie e possono essere presenti <strong>in</strong> misura più o meno ampia all’<strong>in</strong>terno delle<br />

diverse tipologie di OSC.<br />

44 Il dibattito <strong>in</strong> merito alle def<strong>in</strong>izioni term<strong>in</strong>ologiche di “terzo settore” è tuttora al centro degli<br />

studi dei sociologi mondiali (cfr. Colozzi, Bassi, 2003). In questo contesto si è scelto di usare,<br />

pertanto, il term<strong>in</strong>e “organizzazioni della società civile”.<br />

164


Queste organizzazioni si <strong>in</strong>seriscono all’<strong>in</strong>terno del dibattito riguardante il<br />

preesistente modello dicotomico di ord<strong>in</strong>e sociale composto da mercato e Stato, il primo<br />

produttore e fornitore di beni privati, il secondo fornitore di beni pubblici e<br />

redistributore delle risorse secondo canoni di equità fissati a livello politico: il tutto<br />

secondo il “volere” dei Teoremi dell’<strong>Economia</strong> del Benessere.<br />

L’esistenza delle organizzazioni della società civile (d’ora <strong>in</strong> avanti, OSC) sarebbe<br />

legittimata, secondo alcuni studiosi, dal verificarsi, da un lato, del fallimento dello Stato<br />

(government failure) teorizzato da Weisbrod (1975), dall’altro, di quello del mercato<br />

(market failure) teorizzato da Hansmann (1986).<br />

Secondo Weisbrod, le OSC nascono per soddisfare, dal lato dell’offerta, una<br />

domanda di beni pubblici simili a quelli che lo Stato fornisce ma non è <strong>in</strong> grado di<br />

evadere per quantità e che non viene soddisfatta dal privato profit, <strong>in</strong> quanto non c’è<br />

<strong>in</strong>centivazione alla loro produzione da parte di questi soggetti, poiché si tratta di beni<br />

non escludibili (cui non si può, cioè, applicare un prezzo che permetterebbe di escludere<br />

i consumatori f<strong>in</strong>ali nel caso <strong>in</strong> cui non fossero disposti a pagarlo) che non generano il<br />

profitto ricercato.<br />

Nei contesti ad elevato grado di sviluppo, a causa del “pr<strong>in</strong>cipio di maggioranza”, lo<br />

Stato è portato a soddisfare quasi sempre solo i bisogni espressi da una particolare<br />

tipologia di elettore, il c.d. elettore mediano, chiamato così poiché corrispondente alla<br />

mediana delle preferenze espresse dall’elettorato.<br />

Di conseguenza, secondo la teoria di Weisbrod, verrebbero ad esistere delle<br />

“m<strong>in</strong>oranze <strong>in</strong>soddisfatte” di dimensioni direttamente proporzionali al grado di<br />

eterogeneità – etnica, religiosa, culturale – della società cui ci si riferisce, la cui<br />

presenza legittimerebbe l’orig<strong>in</strong>e delle OSC come fornitori di beni pubblici.<br />

Hansmann, <strong>in</strong>vece, si concentra sul lato della domanda (cioè tenta di spiegare perché<br />

esiste la domanda dei beni e servizi offerti) e trae la conclusione che le OSC prendano<br />

vita per rimediare al problema delle asimmetrie <strong>in</strong>formative, che <strong>in</strong>duce le imprese che<br />

operano per la massimizzazione del profitto a fornire beni e servizi privati di qualità<br />

<strong>in</strong>feriore rispetto a quella promessa o dichiarata (Bruni, Zamagni, 2004). Secondo<br />

Hansmann, le OSC riuscirebbero a supplire il suddetto problema grazie al v<strong>in</strong>colo di<br />

non distribuzione degli utili (Non Profit Distribution Constra<strong>in</strong>t - NPDC), cui sono<br />

tenute a sottoporsi per essere fedeli alla loro forma giuridica, e che sarebbe sufficiente<br />

come segnale di <strong>in</strong>esistenza di comportamenti opportunistici, adottati, <strong>in</strong>vece, dalle<br />

imprese profit.<br />

165


Entrambe le <strong>in</strong>terpretazioni della nascita delle OSC summenzionate rientrano <strong>in</strong> una<br />

visione assolutamente riduttiva e residuale dell’esistenza di questo tipo di<br />

organizzazioni, poiché ritengono, <strong>in</strong> entrambi i casi, che le OSC si orig<strong>in</strong><strong>in</strong>o dal<br />

fallimento di una delle due colonne portanti del modello dicotomico, Stato e mercato;<br />

sul versante opposto c’è, <strong>in</strong>vece, chi sostiene che le OSC nascano con una propria<br />

identità, con una sp<strong>in</strong>ta “dal basso”, per un volere <strong>in</strong>dipendente e ben def<strong>in</strong>ito delle<br />

persone che ne stanno alla base.<br />

Questa prospettiva consiste nell’<strong>in</strong>terpretare la nascita e la diffusione delle OSC<br />

come espressione della società civile, cioè come “libero coerire di persone per un<br />

progetto da realizzarsi <strong>in</strong> comune” (Zamagni, 2007b) e nell’<strong>in</strong>dividuare come base<br />

concettuale delle suddette organizzazioni il pr<strong>in</strong>cipio di sussidiarietà orizzontale (vedi<br />

supra par. 2.2.2): questo pr<strong>in</strong>cipio è previsto nel nostro ord<strong>in</strong>amento nazionale all’art.<br />

118, comma 4, Titolo V della Costituzione della Repubblica italiana:<br />

“Stato, Regioni, Città metropolitane, Prov<strong>in</strong>ce e Comuni<br />

favoriscono l'autonoma <strong>in</strong>iziativa dei cittad<strong>in</strong>i, s<strong>in</strong>goli e associati,<br />

per lo svolgimento di attività di <strong>in</strong>teresse generale,<br />

sulla base del pr<strong>in</strong>cipio di sussidiarietà”<br />

e prevede una “condivisione” della sovranità, delle funzioni e del potere che spetta<br />

alla pubblica amm<strong>in</strong>istrazione, ai diversi livelli istituzionali 45 .<br />

Il fatto che dal 2001, nel nuovo Titolo V della Costituzione italiana, venga<br />

riconosciuta e legittimata la possibilità per i cittad<strong>in</strong>i di essere soggetti attivi nel<br />

perseguimento dell’<strong>in</strong>teresse generale fa si che, nel rapporto amm<strong>in</strong>istrazione-cittad<strong>in</strong>o,<br />

vi siano oggi elementi che ampliano gli spazi di presenza dei cittad<strong>in</strong>i come “la<br />

partecipazione al procedimento amm<strong>in</strong>istrativo, la trasparenza, la comunicazione<br />

pubblica, ecc.” (Arena, 2007).<br />

Si tratta di un riconoscimento costituzionale dell’esistenza di una terza dimensione,<br />

altra rispetto alla dicotomia di Stato e mercato: la dimensione del civile.<br />

Secondo Teubner (2005), la società di oggi può darsi altri ord<strong>in</strong>i di tipo<br />

costituzionale orig<strong>in</strong>ati, <strong>in</strong>vece che dagli organismi politici, dalla società civile.<br />

Si tratta dell’emersione di “governi privati a carattere pubblico” che nascono con la<br />

necessità di essere democratici e, pertanto, hanno bisogno di una propria<br />

costituzionalizzazione.<br />

45 A differenza del concetto di sussidiarietà verticale, <strong>in</strong> cui si verifica una “cessione” di quote<br />

di sovranità (Zamagni, 2007b).<br />

166


Questi soggetti non possono, cioè, accontentarsi del fatto che la loro<br />

costituzionalizzazione venga realizzata tramite un “super-Stato” o una “meta-<br />

costituzione globale”: bensì, richiedono una costituzione sociale dualistica per una<br />

società civile globale.<br />

Secondo Teubner (2005), <strong>in</strong>fatti, laddove il diritto si accoppia ai vari sottosistemi<br />

sociali deve sapersi distanziare ed adattare ad essi, come nel caso della politica.<br />

La “società civile globale” si configura, pertanto, come nuovo soggetto sociale<br />

avente il compito di rigenerare i processi democratici di produzione del diritto.<br />

Ebbene, il riconoscimento da parte della Costituzione della legittimità dell’agire<br />

attivamente <strong>in</strong>centiva la nascita di OSC, come espressione democratica dell’agire del<br />

cittad<strong>in</strong>o per l’ottenimento del bene comune.<br />

La Costituzione italiana afferma che i cittad<strong>in</strong>i possono essere autonomamente attivi<br />

nell’<strong>in</strong>teresse generale (non <strong>in</strong> quanto appaltatori, concessionari di pubblici servizi, ecc.)<br />

e che, se lo sono, il Comune, la Regione e il M<strong>in</strong>istero di competenza devono favorire<br />

queste <strong>in</strong>iziative con proprie risorse, competenze ed organizzazioni.<br />

Il paradigma bipolare che vedeva, da un lato, l’<strong>in</strong>teresse pubblico di competenza<br />

esclusiva della pubblica amm<strong>in</strong>istrazione – che era, dunque, amm<strong>in</strong>istratore “unico” – e,<br />

dall’altro, i cittad<strong>in</strong>i ricoprire un ruolo meramente passivo – di amm<strong>in</strong>istrati – è entrato<br />

<strong>in</strong> crisi e ora i due soggetti sono sullo stesso piano e ricoprono il ruolo di co-<br />

amm<strong>in</strong>istratori (Arena, 2007).<br />

I cittad<strong>in</strong>i attivi sono persone che autonomamente, responsabilmente e concretamente<br />

riassumono la sovranità che giustamente spetta loro.<br />

È a questo punto che sorge un paradosso peculiarmente italiano: la nostra<br />

Costituzione – che è forse una delle poche al mondo a formulare il pr<strong>in</strong>cipio di<br />

sussidiarietà orizzontale – prevede la possibilità di partecipare legittimamente e<br />

attivamente all’ottenimento del bene comune, ma il più delle volte l’atteggiamento dei<br />

cittad<strong>in</strong>i italiani è, <strong>in</strong>vece, di menefreghismo di fronte ai problemi che riguardano tutti.<br />

Si opera così delegando “gli altri” ad agire per l’<strong>in</strong>teresse pubblico: questo aspetto è<br />

ovviamente legato alla cultura del nostro paese e, pertanto, non è immediatamente<br />

modificabile – abbiamo visto precedentemente che, per apportare cambiamenti nella<br />

cultura di un paese, i dati rilevano la necessità di un periodo temporale che ricopre<br />

almeno tre generazioni di <strong>in</strong>dividui (vedi supra par. 3.3.3).<br />

167


Tuttavia, il fatto che esista un riconoscimento legislativo dell’importanza dell’agire<br />

del cittad<strong>in</strong>o attivo nell’<strong>in</strong>teresse di tutti è già <strong>in</strong>discutibilmente un passo <strong>in</strong> avanti<br />

rispetto al passato.<br />

Ciò nonostante, ricollegandosi al pensiero di Teubner <strong>in</strong> merito alla<br />

costituzionalizzazione del civile (2005), non si può considerare esaustivo quanto<br />

previsto f<strong>in</strong>ora dall’apparato giuridico relativamente alle OSC: <strong>in</strong>tendo dire che se, da<br />

una parte, è vero che è stata riconosciuta la possibilità a queste organizzazioni di<br />

nascere ed ai cittad<strong>in</strong>i, attraverso l’art. 118 della Costituzione, è dato supporto <strong>in</strong> questo<br />

senso, d’altra parte, <strong>in</strong>vece, non sono ancora state implementate delle pratiche tali da<br />

poter consentire alle diverse espressioni della società civile organizzata di avere accesso<br />

ai luoghi della decisione pubblica, facendo così <strong>in</strong> modo, ancora una volta, di porre lo<br />

Stato su quel “piedistallo giuridico” che è ormai anacronistico.<br />

Teubner suggerisce <strong>in</strong> questo senso una rivisitazione delle fonti del diritto, spostando<br />

il focus della questione da una modalità gerarchica ad una eterarchica, <strong>in</strong> cui si sottol<strong>in</strong>ei<br />

la dist<strong>in</strong>zione tra il centro e la periferia della produzione normativa.<br />

Questo perché non si può più considerare il diritto come il prodotto normativo di uno<br />

Stato-nazione e la ragione di ciò è da ricercare proprio nel concetto di<br />

“globalizzazione”.<br />

Questo fenomeno poliedrico (vedi supra par. 2.1 e ss.) implica l’esigenza di uno<br />

spostamento dell’oggetto del diritto verso la periferia dello Stato-nazione: le sfere<br />

sociali globalizzate.<br />

La sfida è quella di costituzionalizzare il civile senza appesantire questi soggetti di<br />

formalità, fatto che limiterebbe la loro operatività. Si tratta, perciò, di mantenere il<br />

d<strong>in</strong>amismo della società civile, attraverso il pluralismo dei sottosistemi globali sociali.<br />

Invece, la situazione <strong>in</strong> cui ci si trova ancora oggi è quella di “riconoscimento senza<br />

rappresentanza”, se così si può dire, nel senso che il sistema dicotomico Stato-mercato<br />

riconosce l’esistenza di questi soggetti, senza però porre <strong>in</strong> essere degli spazi di<br />

confronto, nonché di reciproco controllo, con essi.<br />

Anche <strong>in</strong> un’ottica di collaborazione tra dimensione del pubblico e dimensione del<br />

privato sociale per la realizzazione di un Welfare Mix <strong>in</strong> sostituzione del concetto –<br />

ormai da lungo tempo <strong>in</strong> crisi di Welfare State – non è possibile ignorare la necessità di<br />

porre <strong>in</strong> essere un modello di rappresentanza delle realtà e delle esigenze che nascono<br />

all’<strong>in</strong>terno delle OSC: un modello che trova nella sua essenza deliberativa la possibilità<br />

di giungere ad un confronto e all’ottenimento delle conseguenti decisioni.<br />

168


Aff<strong>in</strong>ché le OSC possano esprimere <strong>in</strong> modo olistico la propria natura (privata ma<br />

con f<strong>in</strong>i di utilità sociale) è <strong>in</strong>dispensabile che il concetto di democrazia sia vigente sia<br />

al loro <strong>in</strong>terno che rispetto all’ambiente esterno.<br />

Quello che <strong>in</strong>tendo dire è che è necessario che un modello di democrazia deliberativa<br />

venga implementato prima di tutto <strong>in</strong>ternamente alla s<strong>in</strong>gola OSC, per gestire le sue<br />

attività e per poter prendere delle decisioni; <strong>in</strong> secondo luogo, che spazi deliberativi<br />

vengano realizzati anche nel rapporto tra OSC, Stato e mercato: non si può riconoscere<br />

l’esistenza di certi soggetti ma, al contempo, ignorare “la loro voce”, poiché così si cade<br />

nella strumentalizzazione di quei soggetti legittimati ad agire ma illegittimati ad<br />

esprimersi e a partecipare attivamente alle decisioni che li riguardano.<br />

Se f<strong>in</strong>o ad ora la situazione che si è venuta a configurare può essere rappresentata nel<br />

modo seguente:<br />

ad oggi si sente sempre più l’esigenza di uno shift<strong>in</strong>g ad un rappresentazione di<br />

quest’altro genere:<br />

169


In aggiunta, deve esistere anche un altro elemento aff<strong>in</strong>ché le OSC possano<br />

rappresentare la migliore forma di espressione democratica della società civile e di<br />

diffusione del concetto di democrazia – come orig<strong>in</strong>ariamente pensato: mi riferisco al<br />

tipo di governance <strong>in</strong>terna ai soggetti di cui stiamo parlando.<br />

Le organizzazioni della società civile devono sviluppare al loro <strong>in</strong>terno delle forme<br />

di democrazia che vanno sotto il nome di democratic stakehold<strong>in</strong>g (o governance<br />

multistakehold<strong>in</strong>g), cioè una forma di governance che offre a tutti coloro che<br />

<strong>in</strong>trattengono rapporti con le OSC, che sono <strong>in</strong>fluenzati e/o <strong>in</strong>fluenzanti dalle/le attività<br />

dell’organizzazione – gli stakeholders, appunto – la possibilità reale di partecipare al<br />

processo decisionale.<br />

Per poter governare quanto più democraticamente possibile una OSC non sono<br />

sufficienti i modelli di governo che si basano solo sull’<strong>in</strong>formazione e sulla<br />

consultazione: queste due forme di controllo sono condizioni necessarie ma non<br />

sufficienti per poter dire che la governance dell’OSC è democratica.<br />

Infatti, oltre alla diffusione a tutti gli stakeholders delle <strong>in</strong>formazioni riguardanti<br />

l’organizzazione e alla realizzazione di momenti di confronto, di co<strong>in</strong>volgimento<br />

saltuario, è <strong>in</strong>dispensabile che si “respiri” costantemente “un’aria” di partecipazione<br />

quotidiana rispetto alle decisioni da assumere e alle attività da implementare.<br />

Ritengo che, come <strong>in</strong> un processo osmotico, quante più organizzazioni della società<br />

civile riusciranno ad implementare una governance multistakehold<strong>in</strong>g e ad agire<br />

secondo motivazioni e metodi democratici, tanto più la società civile circostante avrà la<br />

possibilità di vedere diffuse pratiche e ideali di democrazia, riempiendo di nuovo<br />

significato quest’ultimo term<strong>in</strong>e.<br />

170


5.2 Il non profit e lo sviluppo di una società<br />

5.2.1 Il capitale sociale<br />

Il ruolo riconosciuto alle OSC, per far sì che esse possano essere concretamente<br />

soggetti promotori di “democrazia” e “sviluppo”, deve comprendere anche l’agire per la<br />

promozione e la diffusione del c.d. capitale sociale, <strong>in</strong>teso come “<strong>in</strong>sieme di valori, di<br />

stili di vita, di norme di comportamento che rendono le scelte <strong>in</strong>dividuali compatibili<br />

con la promozione del bene comune <strong>in</strong> tutte le situazioni di non co<strong>in</strong>cidenza tra<br />

<strong>in</strong>teresse privato e <strong>in</strong>teresse collettivo” (Sacco, Zarri, 2006).<br />

Il livello di capitale sociale di una data area territoriale è elevato nella misura <strong>in</strong> cui<br />

sono numerose le situazioni nelle quali una frazione significativa di soggetti adotta<br />

spontaneamente comportamenti rispettosi dell’<strong>in</strong>teresse collettivo.<br />

Il term<strong>in</strong>e capitale sociale ha una duplice connotazione: da un lato, economica (forza<br />

di produzione, ovvero capitale), dall’altro, sociale (relazione connettiva).<br />

Le componenti di base del capitale sociale sono riconducibili sostanzialmente alla<br />

fiducia e alla reciprocità e per questo motivo esso viene prodotto nel momento <strong>in</strong> cui<br />

due persone con stesse motivazioni dell’agire <strong>in</strong>teragiscono tra loro (Donati, Colozzi,<br />

2006).<br />

Il vantaggio comparato delle OSC è da valutare relativamente alla loro capacità di<br />

favorire la produzione di relazionalità e l’accumulazione di capitale sociale.<br />

In particolare, secondo Putnam (2004), esistono tre tipologie di capitale sociale:<br />

- bond<strong>in</strong>g social capital – o capitale sociale <strong>in</strong>tragruppo: è quella forma di<br />

capitale sociale che “serra”, che si configura come l<strong>in</strong>ea di demarcazione tra gli<br />

appartenenti di un gruppo e coloro che ne restano esclusi. Ha, qu<strong>in</strong>di, una<br />

connotazione negativa e si riferisce a piccoli gruppi di persone simili tra loro,<br />

che condividono sempre le stesse <strong>in</strong>formazioni e raramente si fanno contam<strong>in</strong>are<br />

dalle novità (Sabat<strong>in</strong>i, 2008);<br />

- bridg<strong>in</strong>g social capital – o capitale sociale <strong>in</strong>tergruppo: è quella forma di<br />

capitale sociale che “crea ponti” tra chi fa parte di un determ<strong>in</strong>ato gruppo sociale<br />

e altri <strong>in</strong>dividui che <strong>in</strong>vece non fanno parte del gruppo di soggetti che ha favorito<br />

l’accumulazione di tale forma di capitale. È costituito da legami orizzontali<br />

all’<strong>in</strong>terno di gruppi eterogenei di persone e permette di collegare ambienti<br />

socio-economici e culturali diversi, favorendo il trasferimento delle<br />

<strong>in</strong>formazioni;<br />

171


- l<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g social capital – o capitale sociale di collegamento: descrive le relazioni<br />

verticali che collegano gli <strong>in</strong>dividui, o le reti sociali cui appartengono, a persone<br />

o gruppi che si trovano <strong>in</strong> posizioni di potere politico o economico (Sabat<strong>in</strong>i,<br />

2008).<br />

Il bond<strong>in</strong>g social capital è quello di cui Banfield (1958) parlava analizzando il<br />

Mezzogiorno italiano: si tratta dell’<strong>in</strong>capacità degli abitanti di agire collettivamente per<br />

il bene comune o, almeno, per qualsiasi f<strong>in</strong>e che trascenda l’immediato <strong>in</strong>teresse<br />

materiale del nucleo familiare (fenomeno chiamato familismo amorale). Pertanto, il<br />

bond<strong>in</strong>g social capital non è solo una causa, ma anche una conseguenza del<br />

sottosviluppo di un territorio.<br />

Ovviamente, la nostra attenzione si focalizza sulla seconda e la terza tipologia di<br />

capitale sociale, essendo quelle forme che permettono, a livello macro, il diffondersi e il<br />

moltiplicarsi della c.d. fiducia generalizzata o <strong>in</strong>terpersonale, la quale, di conseguenza,<br />

permette la creazione di reti sociali (social networks) o fiduciarie, formali e <strong>in</strong>formali,<br />

che stimolano reciprocità e cooperazione.<br />

La mancanza di collegamento tra cittad<strong>in</strong>i ed istituzioni è un fattore chiave del<br />

sottosviluppo di un territorio: <strong>in</strong> questo contesto, il benessere sociale può essere<br />

migliorato significativamente e <strong>in</strong> breve tempo solo mediante il rafforzamento del<br />

capitale sociale di tipo l<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g.<br />

Da un punto di vista economico, il capitale sociale permette di ridurre i costi di<br />

transazione e d’<strong>in</strong>certezza associati agli scambi economici e di <strong>in</strong>coraggiare ad <strong>in</strong>vestire<br />

<strong>in</strong> capitale fisico, f<strong>in</strong>anziario ed umano (Fiorillo, 2005).<br />

Numerosi studi empirici (World Values Survey – WVS, New South Wales,<br />

Barometer of Social Capital, Index of National Civic Health, GSCS) hanno dimostrato<br />

la relazione esistente tra l’aumento della componente “fiducia” del capitale sociale,<br />

nonché della vita associativa e della partecipazione civile di una determ<strong>in</strong>ata area<br />

geografica e la crescita <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i economici della stessa.<br />

In società “ad alta fiducia” le persone possono spendere meno risorse nel tutelare se<br />

stesse, sia contro comportamenti opportunistici nelle transazioni economiche, sia contro<br />

violazioni illegali (crim<strong>in</strong>ali) dei loro diritti di proprietà. Inoltre, una bassa fiducia può<br />

scoraggiare le <strong>in</strong>novazioni: se gli imprenditori devono spendere molto del loro tempo<br />

nel controllare il comportamento dei loro soci, impiegati, fornitori, al f<strong>in</strong>e di evitare<br />

eventuale malafede, essi avranno meno tempo da <strong>in</strong>vestire <strong>in</strong> nuovi prodotti e processi.<br />

172


Lo stesso Arrow (1972) aveva identificato nell’assenza di fiducia reciproca uno dei<br />

pr<strong>in</strong>cipali fattori alla base del ritardo dei processi di sviluppo a livello mondiale.<br />

L’<strong>in</strong>tervento e la diffusione capillare delle OSC nel tessuto nazionale si rendono<br />

necessari per poter selezionare ed alimentare nella società motivazioni comportamentali<br />

di natura “non strumentale”, nonché di contribuire all’accumulazione di fiducia<br />

generalizzata.<br />

In questo modo, si avrebbero due importanti conseguenze: da un lato, la possibilità di<br />

produrre una quantità tale di capitale sociale tale da poter sopperire all’eventuale<br />

carenza del suddetto nel sistema economico generale; dall’altro lato, la possibilità di<br />

avere degli effetti positivi di “contam<strong>in</strong>azione” su altre sfere dell’economia – come, ad<br />

esempio, la pratica della responsabilità sociale d’impresa (RSI o Corporate Social<br />

Responsibility - CSR) per le imprese profit: il non-profit, <strong>in</strong> questo caso, diverrebbe un<br />

“alleato” per le imprese <strong>in</strong>telligenti al f<strong>in</strong>e di migliorare l’ambiente contestuale <strong>in</strong> cui<br />

operano.<br />

I collegamenti tra fiducia a diversi livelli (orizzontale, meso e verticale) e di capitale<br />

sociale (bond<strong>in</strong>g, bridg<strong>in</strong>g e l<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g) sono così riassumibili:<br />

Fonte: Nostra elaborazione<br />

173


Per realizzare tutto ciò è strettamente necessario puntare ora sulle OSC come soggetti<br />

attivi nella produzione di fiducia, soprattutto tramite il concetto di l<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g social capital.<br />

Come ipotizzato da Putnam, Leonardi e Nanetti (1993), le OSC funzionano come<br />

“scuole di democrazia”, la cui attività favorisce la diffusione delle norme di fiducia e<br />

reciprocità nell’ambiente sociale circostante. La fiducia verso le istituzioni migliora se i<br />

cittad<strong>in</strong>i sentono di poter <strong>in</strong>cidere sulle azioni dei policy maker grazie alla loro<br />

partecipazione sociale. Al contempo, l’appartenenza alle OSC rende più frequenti le<br />

<strong>in</strong>terazioni sociali e crea i presupposti per lo sviluppo di legami fiduciari, che stimolano<br />

i comportamenti cooperativi anche al di fuori del contesto dell’OSC.<br />

Questi meccanismi giocano un ruolo fondamentale nel determ<strong>in</strong>are il buon<br />

funzionamento dei mercati e la sostenibilità della crescita economica (Sabat<strong>in</strong>i, 2008).<br />

In un ambiente sociale ricco di opportunità di partecipazione, le persone si <strong>in</strong>contrano<br />

spesso, si conoscono meglio e parlano tra loro. La migliore diffusione delle<br />

<strong>in</strong>formazioni e l’elevata probabilità che l’<strong>in</strong>terazione tra ciascuna coppia di agenti si<br />

ripeta più di una volta aumentano l’importanza della reputazione. Il comportamento<br />

degli agenti diviene più facilmente prevedibile e si determ<strong>in</strong>a una riduzione<br />

dell’<strong>in</strong>certezza, che abbassa i costi di transazione. A livello aggregato, tale processo<br />

migliora la performance dell’<strong>in</strong>tero sistema economico preso <strong>in</strong> considerazione.<br />

Nelle aree caratterizzate da elevate dotazioni di capitale umano e bassi livelli di<br />

fiducia <strong>in</strong>termedia e verticale diviene, allora, di fondamentale importanza <strong>in</strong>coraggiare il<br />

radicamento delle OSC e la partecipazione sociale dei cittad<strong>in</strong>i.<br />

5.2.2 Modalità di supporto allo sviluppo da parte delle diverse tipologie di<br />

organizzazioni della società civile<br />

Con il concetto di “organizzazioni della società civile” si identifica un <strong>in</strong>sieme di più<br />

soggetti con determ<strong>in</strong>ate caratteristiche <strong>in</strong> comune (vedi supra par. 5.1), ciascuna delle<br />

quali è decl<strong>in</strong>ata, <strong>in</strong> modo tale da dare vita a realtà differenti tra loro.<br />

Rispetto alle diverse tipologie di OSC, i sociologi hanno realizzato una tassonomia<br />

che prevede l’esistenza, nel panorama italiano, di almeno c<strong>in</strong>que tipologie di soggetti<br />

(Colozzi, Bassi, 2003):<br />

1. organizzazioni di volontariato (OdV);<br />

2. associazioni di promozione sociale (Aps);<br />

3. cooperative sociali;<br />

174


4. fondazioni civili;<br />

5. altri enti non-profit – <strong>in</strong> cui rientrano i soggetti non ascrivibili nelle categorie<br />

suddette.<br />

Un’organizzazione di volontariato è def<strong>in</strong>ita come “un organismo liberamente<br />

costituito […] che si avvalga <strong>in</strong> modo determ<strong>in</strong>ante e prevalente delle prestazioni<br />

personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti” (Legge quadro sul volontariato,<br />

n°266/91, art. 3). In particolare, le OdV si differenziano rispetto agli altri attori del non-<br />

profit per la particolare configurazione delle risorse umane (volontari) e per il fatto che i<br />

beneficiari del servizio sono soggetti terzi rispetto ai soci – motivo per cui il livello di<br />

benefici fiscali è massimo ed esiste la possibilità di deduzione dell’importo delle<br />

donazioni a loro favore dalla dichiarazione dei redditi del donatore.<br />

La def<strong>in</strong>izione di associazione di promozione sociale è, <strong>in</strong>vece, contenuta all’art. 2<br />

della legge n°383/00 (“Discipl<strong>in</strong>a delle associazioni di promozione sociale): “Sono<br />

considerate associazioni di promozione sociale: le associazioni riconosciute e non<br />

riconosciute, i movimenti, i gruppi e i loro coord<strong>in</strong>amenti, le federazioni, costituiti al<br />

f<strong>in</strong>e di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza f<strong>in</strong>alità di<br />

lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati”.<br />

Vengono esclusi dal concetto di Aps: i partiti politici, le organizzazioni s<strong>in</strong>dacali, le<br />

associazioni dei datori di lavoro, le associazioni professionali e di categoria, tutte le<br />

associazioni che hanno f<strong>in</strong>alità la tutela esclusiva di <strong>in</strong>teressi economici degli associati.<br />

Rispetto alle altre categorie di OSC, le Aps si differenziano per l’erogazione ai propri<br />

membri o familiari della loro offerta.<br />

Le cooperative sociali sono regolate dalla legge n°381/91, la quale def<strong>in</strong>isce all’art. 1<br />

come quelle cooperative che “[…] hanno lo scopo di perseguire l'<strong>in</strong>teresse generale<br />

della comunità alla promozione umana e all'<strong>in</strong>tegrazione sociale dei cittad<strong>in</strong>i attraverso:<br />

a. la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi (cooperative sociali di tipo “A”);<br />

b. lo svolgimento di attività diverse - agricole, <strong>in</strong>dustriali, commerciali o di servizi -<br />

f<strong>in</strong>alizzate all'<strong>in</strong>serimento lavorativo di persone svantaggiate (cooperative sociali<br />

di tipo “B”).<br />

In confronto alle altre OSC, le cooperative sociali si differenziano per il loro<br />

carattere imprenditoriale: sono, <strong>in</strong>fatti, le uniche – da un punto di vista della forma<br />

giuridica – a poter essere società a responsabilità limitata e a seguirne la relativa<br />

discipl<strong>in</strong>a legislativa.<br />

175


Inf<strong>in</strong>e, l’ultima tipologia di OSC sono le fondazioni civili, per le quali, tuttavia, non<br />

esiste una def<strong>in</strong>izione univoca. Per poterne dare una caratterizzazione prendiamo <strong>in</strong><br />

questa sede la def<strong>in</strong>izione data dall’European Foundation Centre: “Ente senza f<strong>in</strong>alità di<br />

lucro con una propria sorgente di reddito che deriva normalmente, ma non<br />

esclusivamente, da un patrimonio. Questo ente ha il suo organo di governo ed usa le<br />

proprie risorse f<strong>in</strong>anziarie per scopi educativi, culturali, religiosi, sociali o altri scopi di<br />

pubblica utilità, sia sostenendo persone ed associazioni, sia organizzando e gestendo<br />

direttamente i suoi programmi”.<br />

Ognuna di queste tipologie di OSC agisce nella come “motore produttivo” di capitale<br />

sociale differente a diversi livelli dimensionali.<br />

Volendo classificare le OSC <strong>in</strong> base a questo concetto, lo si può fare come segue:<br />

TIPOLOGIA<br />

di OSC<br />

CREAZIONE<br />

<strong>DI</strong>RETTA di<br />

CAPITALE SOCIALE<br />

L<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g<br />

Bridg<strong>in</strong>g<br />

Bond<strong>in</strong>g<br />

Fonte: Nostra elaborazione<br />

OdV APS<br />

176<br />

Cooperative<br />

sociali<br />

Fondazioni<br />

civili<br />

Il capitale sociale bond<strong>in</strong>g viene maggiormente prodotto <strong>in</strong> quelle associazioni di<br />

promozione sociale che vedono i propri soci riunirsi per una particolarità che viene da<br />

tutti condivisa: ad esempio, la passione per il teatro o per la musica, ecc.<br />

Per questo, i membri di un’associazione di promozione sociale tendono a<br />

identificarsi e a riunirsi, andando escludendosi dal resto delle altre OSC.<br />

Le pr<strong>in</strong>cipali generatrici di capitale sociale bridg<strong>in</strong>g sono, <strong>in</strong>vece, le organizzazioni<br />

di volontariato, che permettono l’<strong>in</strong>staurazione di rapporti fiduciari orizzontali tra i<br />

soggetti facenti parte l’organizzazione e i beneficiari che sono <strong>in</strong>vece esterni; ciò,<br />

soprattutto, è imputabile alla particolare composizione del personale di questa forma<br />

organizzativa (almeno il 70% deve essere personale volontario per legge).<br />

Inoltre, le organizzazioni di volontariato sono le migliori produttrici di l<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g social<br />

capital, <strong>in</strong> quanto riescono ad <strong>in</strong>trattenere relazioni verticali poiché <strong>in</strong>serite <strong>in</strong> una fitta<br />

rete di rapporti, ad esempio con i Centri Servizi per il Volontariato (CSV), le fondazioni<br />

di orig<strong>in</strong>e bancaria (che sono tenute per legge ad erogare al Fondo per il Volontariato


una somma pari ad 1/15 degli utili annuali), la P.A. (attraverso la possibilità di stipulare<br />

convenzioni), il governo statale (tramite l’Osservatorio nazionale per il volontariato,<br />

istituito sempre per legge, presieduto dal M<strong>in</strong>istro della Solidarietà Sociale).<br />

Vorrei sottol<strong>in</strong>eare anche l’importanza delle fondazioni civili <strong>in</strong> questo senso, poiché<br />

esse riescono, attraverso l’erogazione di f<strong>in</strong>anziamenti o la realizzazione diretta di<br />

progetti di utilità sociale, a mettere <strong>in</strong> contatto tra loro realtà diverse (profit e non) che<br />

spesso non riuscirebbero altrimenti ad <strong>in</strong>contrarsi.<br />

F<strong>in</strong>o ad ora sono stati elencati gli attori del mondo non-profit che generano capitale<br />

sociale fiduciario (e, di conseguenza, sviluppo) a diversi livelli, ma, comunque, quasi<br />

sempre a livello nazionale.<br />

Tuttavia, esistono dei soggetti non-profit che svolgono la loro attività pr<strong>in</strong>cipalmente<br />

– anche se non esclusivamente - <strong>in</strong> particolari contesti <strong>in</strong>ternazionali: mi riferisco a<br />

quelle che nella legislazione italiana – legge n°49 del 1987, “Nuova discipl<strong>in</strong>a della<br />

Cooperazione dell'Italia con i Paesi <strong>in</strong> via di sviluppo” – vengono def<strong>in</strong>ite ONG<br />

(Organizzazioni non governative) 46 , soggetti del Terzo Settore che operano attivamente<br />

per lo sviluppo dell’educazione, della salute e per l’abbattimento della povertà, <strong>in</strong><br />

particolare nei confronti dei PVS. Questi attori sono fondamentali catalizzatori di<br />

fiducia per quei paesi <strong>in</strong> cui ancora nella popolazione non si sono sviluppate delle reti<br />

sociali, a causa di problemi legati all’asimmetria <strong>in</strong>formativa, alla fragilità – delle<br />

persone e, di conseguenza, delle relazioni tra loro – e ai conflitti esistenti tra i diversi<br />

villaggi.<br />

Le ONG si fanno promotrici per quel che riguarda la creazione di meccanismi<br />

<strong>in</strong>formali che possano creare network di fiducia e reciprocità <strong>in</strong> contesti <strong>in</strong> cui altrimenti<br />

sarebbe difficile dare <strong>in</strong>izio a circuiti virtuosi di questo genere.<br />

In conclusione, dato che il capitale sociale di tipo bridg<strong>in</strong>g e l<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g, se<br />

opportunamente <strong>in</strong>vestito, produce beni relazionali e, posto che ritengo che la<br />

democrazia possa essere annoverata tra i suddetti beni (vedi supra par. 4.3.1), sono<br />

fermamente conv<strong>in</strong>ta che le OSC, permettendo la diffusione di capitale sociale, siano i<br />

soggetti collettivi migliori per poter diffondere i pr<strong>in</strong>cipi democratici all’<strong>in</strong>terno della<br />

società civile aff<strong>in</strong>ché si abbia uno sviluppo economico, ma non solo, della popolazione.<br />

L’opportunità di dare vita ad un tessuto nazionale composto da tre soggetti (Stato,<br />

mercato e settore non-profit) <strong>in</strong>dipendenti – seppur tra loro <strong>in</strong>terconnessi – e tutelati –<br />

46 Si sottol<strong>in</strong>ea il contesto nazionale <strong>in</strong> quanto il significato della sigla ONG risulta essere<br />

differente di paese <strong>in</strong> paese (nei paesi anglosassoni, per ONG – <strong>in</strong> <strong>in</strong>glese NGO, non<br />

governmental organization – si <strong>in</strong>tendono le organizzazioni non-profit <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i più generali).<br />

177


da un punto di vista legislativo – è offerta al nostro paese dallo scenario attuale: come<br />

già visto, <strong>in</strong>fatti, nonostante l’esistenza di un apparato legislativo non propriamente<br />

conforme alle necessità del settore non-profit (realtà più che altro dovuta alla<br />

realizzazione dello stesso da parte di soggetti che con il Terzo Settore non hanno mai<br />

avuto a che fare direttamente) è tuttavia evidente il raggio di libertà di creazione delle<br />

OSC e, almeno sulla carta, l’<strong>in</strong>coraggiamento costituzionale aff<strong>in</strong>ché questo avvenga.<br />

Al contempo, una tale concezione di cittad<strong>in</strong>anza societaria, <strong>in</strong>tesa come “forma di<br />

un complesso di diritti-doveri delle persone e delle formazioni associative che articola la<br />

vita civica <strong>in</strong> autonomie universalistiche, capaci di <strong>in</strong>tegrare la generalità dei f<strong>in</strong>i con le<br />

pratiche di autogestione” (Donati, 2000), e una simile <strong>in</strong>terpretazione del pr<strong>in</strong>cipio di<br />

sussidiarietà orizzontale (vedi supra par. 5.1) conduce necessariamente verso una<br />

ridef<strong>in</strong>izione della nozione stessa di democrazia, <strong>in</strong> cui non è tanto lo Stato, quanto la<br />

società civile, il centro attorno a cui è chiamato a gravitare l’<strong>in</strong>tero ord<strong>in</strong>amento<br />

giuridico.<br />

La realtà dimostra che i cittad<strong>in</strong>i che vogliono operare attivamente sul proprio<br />

territorio spesso si uniscono <strong>in</strong> gruppi (le organizzazioni della società civile appunto) e<br />

il loro agire è basato sul concetto di “cooperazione” (vedi supra par. 5.1).<br />

Va da sé, dato il legame tra cooperazione e democrazia evidenziato precedentemente,<br />

che agire tramite le OSC sia attualmente la via più attiva e democratica che un cittad<strong>in</strong>o<br />

oggi possa decidere di percorrere.<br />

178


CONCLUSIONI<br />

“Il diritto allo sviluppo è un diritto <strong>in</strong>alienabile dell’uomo,<br />

<strong>in</strong> virtù del quale ogni essere umano e tutti i popoli hanno il diritto di partecipare<br />

e di contribuire ad uno sviluppo economico, sociale, culturale, politico<br />

nel quale tutti i diritti dell’uomo e tutte le libertà fondamentali possano essere<br />

pienamente realizzati, e di beneficiare di questo sviluppo.”<br />

(Dichiarazione sul diritto allo sviluppo,<br />

Risoluzione 41/128 dell’Assemblea generale,<br />

4 dicembre 1986)<br />

Gli avvenimenti storici portano con sé cambiamenti che toccano le persone e le loro<br />

idee, è <strong>in</strong>eluttabile; tuttavia, come molto spesso è stato dimostrato, la storia si ripete e,<br />

con le dovute trasformazioni, le persone assumono atteggiamenti già scorti nelle pieghe<br />

del “grande libro” della storia dei popoli.<br />

È per questa ragione che, durante la stesura di questo lavoro, mi sono<br />

particolarmente sorpresa nel riscontrare che ciò che era ovvio <strong>in</strong> passato, oggi agli occhi<br />

di molti può sembrare “strano” ed “<strong>in</strong>appropriato”: mi riferisco al fatto che, nell’antica<br />

Grecia, il governo diretto del popolo fosse <strong>in</strong>sc<strong>in</strong>dibile dalla condizione di libero<br />

cittad<strong>in</strong>o.<br />

Questo presupposto, tanto importante quanto correlato alla natura sociale dell’uomo,<br />

nonostante fosse stato già al tempo dei Greci compreso quale caratteristica<br />

fondamentale per la vita dell’uomo <strong>in</strong> quanto cittad<strong>in</strong>o di una polis, è stato<br />

progressivamente reso meno rilevante e basilare, attraverso quello che può essere<br />

chiamato “effetto spiazzamento” (crowd<strong>in</strong>g out), secondo cui, figurativamente, “la<br />

moneta buona viene scacciata da quella cattiva”.<br />

Infatti, con il passare del tempo, grazie anche alla convergenza di cause che ebbero<br />

orig<strong>in</strong>e <strong>in</strong> più ambiti (sociali, politici, economici, ecc.), è stato il fattore economico a<br />

prendere il sopravvento sull’importanza della libertà: questo fondamentale diritto, per il<br />

quale molti hanno combattuto e lottato, nelle più diverse forme, nel corso dei secoli, ha<br />

assunto una posizione di secondo piano, lasciando spazio nella scala delle priorità alla<br />

“moneta” e al “potere” da essa promulgato.<br />

Ha preso piede l’<strong>in</strong>dividualismo e, di conseguenza, l’<strong>in</strong>teresse per la polis e il bene<br />

della collettività sono stati mano a mano soppiantati dagli <strong>in</strong>teressi personali (sempre<br />

più tendenti a co<strong>in</strong>cidere con quelli monetari ed economici).<br />

179


Le cont<strong>in</strong>genze economiche e sociali hanno portato, dopo un processo di<br />

<strong>in</strong>dustrializzazione che ha percorso – nelle sue diverse fasi – oltre due secoli di storia, al<br />

fenomeno che va sotto il nome di “globalizzazione”, con la conseguente emersione di<br />

d<strong>in</strong>amiche sociali ed economiche che, seppure su vastissima scala, ricalcano gli<br />

<strong>in</strong>segnamenti che la storia passata ha già <strong>in</strong>dicato.<br />

L’<strong>in</strong>terpretazione utilitarista della globalizzazione – e non il fenomeno <strong>in</strong> quanto tale<br />

– ha fatto affiorare la necessità di un cambio di prospettiva per non soccombere sotto il<br />

cont<strong>in</strong>uo aumento del divario economico, e, qu<strong>in</strong>di, anche sociale, tra i diversi popoli<br />

della Terra.<br />

Pertanto, l’ottica che ho suggerito di adottare <strong>in</strong> questo lavoro è quella del<br />

perseguimento dello sviluppo umano, che sposta il focus dell’agire dall’<strong>in</strong>dividuo alla<br />

persona e, conseguentemente, da una democrazia elitistico-competitiva e<br />

rappresentativa ad una democrazia deliberativa e diretta.<br />

Come dimostrato nell’analisi condotta nelle pag<strong>in</strong>e precedenti, la forma democratica<br />

prevalente nei paesi c.d. sviluppati si dimostra ad oggi <strong>in</strong>sufficiente nel perseguire la<br />

concretizzazione di bisogni espressi dalle persone, che sono sì cittad<strong>in</strong>i del loro<br />

territorio, ma anche cittad<strong>in</strong>i “del mondo”.<br />

La globalizzazione estende il pensiero e l’agire umano ad un campo di azione che<br />

non ha conf<strong>in</strong>i geografici; questo, purtroppo, si traduce, spesso e volentieri, nel non<br />

avere conf<strong>in</strong>i di responsabilità, perché non ci sono istituzioni formali di dimensioni<br />

altrettanto vaste che possano, così come sono attualmente poste <strong>in</strong> essere (mi riferisco a<br />

World Bank, FMI, WTO), controllare efficacemente l’agire umano a livello globale.<br />

Per poter garantire una vita “lunga, <strong>in</strong> buona salute e creativa” ad ogni essere umano<br />

è necessario, qu<strong>in</strong>di, ripensare le modalità di azione che, a mio parere, non possono<br />

esulare dal guardare alla dimensione locale, come un atomo di una molecola globale:<br />

una democrazia “dal basso” (bottom-up), creata e supportata da reti fiduciarie composte<br />

da s<strong>in</strong>goli e organizzazioni della società civile, <strong>in</strong> una commistione di pensieri ed azioni<br />

orientate al bene comune.<br />

Il significato del term<strong>in</strong>e “democrazia” non può essere ridotto ad <strong>in</strong>dicare solamente<br />

un particolare sistema politico: la democrazia è molto di più.<br />

Cito da Sen (2004, pp. 62-63): “[…], possiamo dist<strong>in</strong>guere tre modi diversi<br />

attraverso i quali la democrazia arricchisce e migliora la vita dei cittad<strong>in</strong>i.<br />

Primo, la libertà politica è parte <strong>in</strong>tegrante della libertà umana <strong>in</strong> generale, e i diritti<br />

civili e politici sono fondamentali per garantire agli <strong>in</strong>dividui un pieno <strong>in</strong>serimento nella<br />

180


vita della società. La partecipazione politica e sociale costituisce un valore <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seco<br />

per la vita e il benessere dell’uomo. La proibizione di prendere parte attiva alla vita<br />

politica della comunità non può che essere considerata una grave restrizione.<br />

Secondo, […], la democrazia ha un importante valore pratico per accrescere<br />

l’attenzione ottenuta dal popolo quando dà voce alle proprie richieste e pretende di<br />

svolgere un effettivo ruolo politico (anche per soddisfare le proprie necessità<br />

economiche).<br />

Terzo […], la pratica della democrazia offre ai cittad<strong>in</strong>i l’opportunità di imparare gli<br />

uni dagli altri, e alla società quella di formare i propri valori e def<strong>in</strong>ire le proprie<br />

priorità. Lo stesso concetto di “bisogno” (<strong>in</strong>clusa la def<strong>in</strong>izione dei “bisogni<br />

economici”) richiede una discussione pubblica e uno scambio di <strong>in</strong>formazioni, op<strong>in</strong>ioni<br />

e analisi. In questo senso la democrazia ha funzione costruttiva, che si aggiunge al suo<br />

valore <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seco per la vita dei cittad<strong>in</strong>i e al suo valore pratico nella formulazione delle<br />

decisioni politiche.<br />

Chi sostiene che la democrazia è un valore universale deve tenere conto di questi<br />

molteplici aspetti”.<br />

Quest’ultima affermazione di Sen mi permette di sottol<strong>in</strong>eare come non tutti gli<br />

studiosi della relazione tra democrazia e crescita economica siano concordi<br />

nell’affermare l’assoluta necessità dell’implementazione di un governo (e di un pensiero<br />

olistico) democratico <strong>in</strong> un paese come base per un aumento degli <strong>in</strong>dici di benessere<br />

economico.<br />

A mio avviso, ciò che non viene compreso è la differenza tra crescita e sviluppo<br />

economico: andando a sovrapporre questi due term<strong>in</strong>i, <strong>in</strong>fatti, non si può negare la<br />

possibilità che i sostenitori della c.d. tesi della modernizzazione abbiano una qualche<br />

ragione; tuttavia, come precedentemente mostrato nello svolgimento del lavoro, crescita<br />

e sviluppo non sono s<strong>in</strong>onimi. Questi due concetti hanno significati differenti, poiché<br />

riguardano orizzonti temporali e campi di azione differenti e, pertanto, è possibile avere<br />

una crescita economica senza un successivo sviluppo (economico, ma anche umano),<br />

ma non viceversa.<br />

Personalmente, non comprendo chi sostiene che sia attraverso lo sviluppo economico<br />

che si possa raggiungere la democrazia, dato che la storia ci <strong>in</strong>segna che esso, se non<br />

generato a sua volta dalla democrazia, dalla collettività nel suo complesso, sfocia <strong>in</strong><br />

<strong>in</strong>dividualismo e, nel peggiore dei casi, <strong>in</strong> tirannia, m<strong>in</strong>ando così la realizzazione della<br />

democrazia stessa.<br />

181


Non si può più auspicare ad uno crescita o ad uno sviluppo economico senza avere<br />

un impianto democratico alla base; o almeno questo è il pensiero di chi, come me, crede<br />

nella ragionevolezza dell’uomo come caratteristica superiore alla razionalità, e, perciò,<br />

auspica all’aumento globale del numero di hom<strong>in</strong>es reciprocantes.<br />

Ciò che mi domando è: se anche fosse vera – ricordo che le ricerche <strong>in</strong> merito sono<br />

ad oggi ancora <strong>in</strong> corso d’opera – la tesi che la crescita economica comporti, <strong>in</strong> un<br />

secondo momento, la possibilità di un passaggio ad un regime democratico, potendo<br />

tuttavia scegliere anche – secondo gli studiosi – di rimanere nel totalitarismo (o,<br />

comunque, nel regime autoritario) che l’ha generata, ne vale la pena?<br />

Vale la pena m<strong>in</strong>are le libertà fondamentali umane <strong>in</strong> nome della crescita economica<br />

di un paese? O, forse, sarebbe meglio cercare di trovare un trade-off tra ricchezza e<br />

diritti umani, riempiendo il term<strong>in</strong>e “felicità” di significato non solo economico?<br />

(Menziono, <strong>in</strong> questo contesto, il filone di studi che va sotto il nome di “<strong>Economia</strong> della<br />

felicità” di Easterl<strong>in</strong>, il quale con i suoi studi dimostra l’esistenza di limiti <strong>in</strong> merito alla<br />

relazione tra ricchezza e felicità dell’uomo).<br />

Mi rendo conto di parlare da un punto di vista non condiviso dai più, ma, come<br />

sostiene Kant:<br />

“il cielo stellato sopra di me,<br />

la legge morale dentro di me”<br />

e la “mia legge morale” non mi permette di fare mio un pensiero che vuole il<br />

perseguimento del f<strong>in</strong>e economico prima ancora di quello umano.<br />

Per questi motivi, nel corso della redazione di questo lavoro, ho potuto, <strong>in</strong>oltre,<br />

comprendere l’importanza che sempre ha avuto l’educazione, <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i generali,<br />

nell’affermazione dei diritti civili, poiché, come disse José Martì (politico, poeta e<br />

scrittore cubano nonché leader del movimento per l'<strong>in</strong>dipendenza cubana):<br />

“Essere colti è l’unico modo per essere liberi”.<br />

Di conseguenza, ho riflettuto, <strong>in</strong> particolare, anche sul ruolo dell’“Educazione<br />

Civica”, materia ormai dimenticata nella maggior parte delle scuole e che, <strong>in</strong>vece,<br />

sarebbe di fondamentale importanza per far comprendere, f<strong>in</strong> da bamb<strong>in</strong>i, che vivere<br />

come cittad<strong>in</strong>i (ormai, del mondo) comporta dei diritti e dei doveri che non possono<br />

essere delegati né sostituiti con il denaro, <strong>in</strong> nome di uno sviluppo economico, che <strong>in</strong><br />

realtà agevolerebbe pochi a discapito di molti.<br />

Quando le persone percepiscono di essere libere e di poter contare, attraverso<br />

l’espressione della propria op<strong>in</strong>ione, non può accadere nulla di negativo per la società.<br />

182


Viceversa, quando non si possono esprimere le proprie idee, queste ultime fermentano<br />

all’<strong>in</strong>terno della persona, per poi esplodere brutalmente verso l’esterno.<br />

Ritengo, <strong>in</strong>oltre, che nella nostra epoca, anche il persistere di una democrazia<br />

rappresentativa possa simboleggiare una potenziale m<strong>in</strong>accia, <strong>in</strong> quanto l’appartenenza<br />

forzata (mi riferisco, <strong>in</strong> particolare, al momento delle elezioni) ad un partito politico,<br />

rappresentante di valori ed idee già prefissate e il più delle volte immutabili, rischia di<br />

accendere lotte tra i partecipanti dei diversi partiti politici.<br />

Concludendo, vorrei sottol<strong>in</strong>eare come, <strong>in</strong> orig<strong>in</strong>e, “economia” era il term<strong>in</strong>e con il<br />

quale si designavano gli “affari di casa”, per cui il nucleo di riferimento era la famiglia;<br />

è impossibile pensare di poter tornare a quella <strong>in</strong>terpretazione del concetto, tuttavia deve<br />

essere <strong>in</strong>vece possibile e realizzabile un ridimensionamento dell’economia e una sua<br />

applicazione più civile, che abbia un ruolo fondamentale nell’affermazione e nel<br />

mantenimento di una democrazia partecipativa e <strong>in</strong>formata: un’economia e una<br />

democrazia “di tutti e per tutti”.<br />

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